i 4 DI rg, tfr Se >. | ® Su 3 i : &+ Y il » La à Ma '‘% : — Rd » db. % fe La o Va rds # ‘ ‘ * dì n_& E, » de € -è# Soa x . 3° ì é n ul -_® l'o MR se vu 4 è gr I f wr ) =" % A a u Lal * | t Di tal pe ita) % Mid A * < P. x È è gs ° - . £ : a - i an , . re nt è, n “, hi * ene PI bi -° l » DR “ e = . Gy PONTI » 1 a La‘ e % f » d. - ve : si +” - . Vie Pm % : . a Me x ca 7 ; d; 0 — « n Le E to Pe rà N ci @ è 3 “di; PA SS ga dii «= eu hi - I o U - K Peo 1° Ut. det »a i : o Tie de en ia ge e oc aa e È i RATA AT IO (i d* 5 seni 1, gi è, ai » D'AIOE Nd RM 3; + SH er) @ % «of dl tura. i 3 y # 7 "4 PIRA sl \ LR VOR SE AA n FAI dig Dr v y ì ANTOLOGIA LUGLIO, AGOSTO, SETTEMBRE 1825. TOMO DECIMONONO FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI, MDCCCXXY vb +A ‘ avoid dmot vo mE. pa s uit po Ù CI i "0 NANORAPUI ‘ogì costa in sta - da dii xiraea drv: « » E. n Sok: "i CARI BISI s d n di 7 v. Bhe L Dl A { a ; é CIT n SULTT I ° na "N ra PE O È d A È edi POI Ta Lee x \ é DI “ N se vi po ’ VARA, (4) î I 0; pai" i bj IRA 4 e | RE. è -"9 eee d'a a ‘ ANTOLOGIA N.° LV. Luglio, 1829. e_N RITTER pre i i Storia della scultura, dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, del conte LeopoLDo Cicocnara , edizione seconda riveduta e ampliata. Prato, Giachetti. 1823-25, volumi 7 in 8°. con atlante in foglio. E) L autore, il cui nome suona glorioso per l’Italia, alla quale ha innalzato un vero monumento, raccolte le opi- nioni che fra noi e fra gli esteri si manifestarono intorno alla sua storia dall’epoca della prima pubblicazione a que- sta della ristampa, e distinte dalle troppo parziali le più generali, ha cercato di perfezionare la storia medesima a norma di queste, che gli sembravano esprimere il publico voto. Nel che dica altri se debba lodarsi maggiormente o una prudenza corrispondente al suo perspicace ingegno, 0 una modestia degna del suo alto sapere. Che se la sua storia, bisognosa delle seconde cure, destò fra i dotti d’Eu- ropa un sentimento quasi universale d’ ammirazione; rive- duta e ampliata con quella diligenza, di cui ci sono mal- levadrici le immense fatiche sostenute nel comporla, deve destare fra gli studiosi un quasi universale desiderio. E lo previdero forse i fratelli Giachetti (benemeriti, a molti ri- guardi, dell’ italiana tipografia) quando alla magnificenza della veneta edizione determinarono di sostituire la como- da eleganza della presente ristampa, il cui acquisto non può richiedere dalle più mediocri fortune alcun spropor- zionato dispendio (*). Quella magnificenza, intanto , che (*) Si ‘aspetta da loro nell’istessa forma Îa storia di d’Agincourt, che forma anello fra la storia di Winckelmana e questa del Cicognara. Il primo, come ognuo sa, ha scritta la storia dell’arti ne’ tempì antichi, il secondo ne’ tempi di mezzo, e il terzo fra’ moderni, 4 non lasciò finora pervenire l’opera del Cicognara alle mani di molti, impedì che molti ne prendessero maggiore con- tezza di quella che poteva loro derivarne dagli altrui di- scorsi o dalla lettura degli altrui giudizi riferiti negli scritti periodici. Sarebbe oggi tempo di dare una compita idea di tanta opera, perchè tutti intendessero quanto possa di- lettare e giovare il farne studio. E noi ci prenderemmo volentierì questa fatica, se l’autore medesimo non ci avesse prevenuti, conchiudendo l’ opera sua con una breve reca- pitolazione di quanto vi è contenuto. Chi meglio di lui poteva farci sapere e lo scopo ch’ ei si propose nel com- porla, e la via che tenne per conseguirlo? Da chi meglio che da lui possono gradire i nostri lettori d’esserne infor- mati? Noi dunque non esiteremo a presentar loro quella recapitolazione , egualmente rapida che succosa, e aggiu- gneremo soltanto che se l’intera opera, come potrà argo- mentarsi dalla recapitolazione medesima, non poteva es- sere scritta con più dottrina ed acume, non poteva pur es- serlo con più vivezza «o con animo più sinceramente ita- liano, 7 Potevasi con maggior rapidità, she da noi non si è fatto, trascorrere sullo spazio di sei secoli , che tanto comprende la nostra istoria, e svolgere dinanzi all’ osservatore la suc- cessiva serie delle opere degli scarpelli, dal primo risorgere delle arti in Italia sino al giorno presente. Ma primi essendo a riordinare siffatte materie, abbiamo preferito di essere piuttosto diffusi, che oscuri: sebbene non sarà da maravigliarsi che ta- luno ci faccia carico di omissione, quasichè le glorie di molti celebri artisti non siano state rilevate abbastanza, e siansi da noi preterite molte circostanze credute integrali. D'altronde fa- cilissimo riescirebbe a presentarsi un tal quadro in iscorcio, e dare un epitome di questo lavoro, modificandolo alla foggia di quei tanti ristretti che ridussero a scheletro le lunghe fatiche di solertissimi ingegni. Impossibile ci saria stato però l’appagare le prevenzioni, le abitudini, e la maniera di vedere e di sen- tire di tutti quelli presso i quali verrà dato notizia di questa nostra intrapresa. E indubitato che alcuni letterati di pronto e Vivace ingegno, avvezzi a percorrere con rapidità ogni periodo della storia, e impazienti di arrivare allo scopo, troveranno 5 che alla loro perspicacia avrebbero bastato pochissimi cenni , e saranno intolleranti d’ ogni ordinario andamento che li ritar- da: mentre altri dottissimi uomini, accostumati all’ ordine il più materiale e più esatto e alla minutezza d’ ogni particolare, non dotati di tanta rapidità nella percezione, e abituati al più la- borioso e più freddo esercizio della mente, avrebbero forse applau. dito a una maggiore , anzi ad una scrupolosa diligenza nelle. più minute parti di questo lavoro ; cosicchè presso amendue queste classi di giudici sarà notata quest’ opera di contrari di- fetti. Destino comune alla più parte delle umane produzioni, e dal quale non abbiamo certamente creduto mai sfaggir potesse questa nostra , la quale è troppo spoglia di meriti per non starsi modestamente attendendo il pubblico voto, e invocando, pel buon volere almeno, il suffragio degli italiani, se parve aver ottenuto quello degli stranieri. Molte note, dissertazioni e prolegomeni da noi si sarebbero potuti tralasciare ad oggetto di progredire più rapidamente allo scopo dell’ opera; ma ci sembrarono le prime strettamente con- nesse coll’ andamento deil’ arte, e gli ultimi racchiudevano molte nostre opinioni, che l’ometterle avrebbe lasciato alcuni dei lettori o incerti, o non preparati alle nozioni filosofiche ed universali di questi studi; come l’ inserirle mano a mano che se ne fosse presentata l’ opportunità avrebbe troppo di sovente interrotti i racconti ed il filo della vera storia dell’ arte. I lettori indiffe- renti a tutto questo hanno il rimedio ad ogni volger di pagi- na, incontrando la materia indicata nelle note marginali, rie- pilogata nell’ indice, che potrà da loro percorrersi senza l’in- terruzione de’ non estranei episodii di un tal lavoro. Non sono di una minor estensione le opere degli illustri nostri predecessori, dalle quali questa- prese le mosse; poichè gli scritti di Winckelmann sulla storia dell’ arte e sui monu- menti inediti si possono riguardare come strettamente congiun- ti; e se dai tempi oscuri il signor d’Agincourt seppe trar tanta luce per accumulare una serie innamerabile di monumenti, non senza importantissime preterizioni, non veggiamo per deduzione di confronti, con quanta ragione si possa dar taccia di ridon- danza al nostro percorrere le glorie degli scarpelli italiani pel corso di sei secoli; tanto più che non abbiamo coperto di ob- blivione quelle degli esteri, quando seppero con qualche fe- lice tentativo prenderci ad imitazione, E qui non vogliamo esser guardati’ a sinistro se alcuno os- serverà pel corso di questa nostra istoria che poco di gloria 6 é straniera riluca in quest'arte. Gl’ imparziali e disappassionati converranno con noi che non vi fu alcuna nazione la quale per copia o grandezza di opere, o per numero ed eccellenza di scultori venir potesse coll’ Italia a contesa: la qual cosa non può dirsi così assolutamente nelle altre arti , e massimamente nella pittura, chiari essendo i vanti delle scuole straniere , se non quanto quelli delle italiane , al certo però meritevoli di un posto assai distinto nella storia dell’ arte . Ciò servirà per giustificare in qualche maniera il titolo che abbiamo posto in fronte a questa opera, che alcuno potrebbe giudicare improprio e troppo generale, quando strettamente intendesse di riscon- trare in queste pagine della storia nostra le più minute cose, che si operarono da tutti gli artisti di qualsiasi nazione, per quanto esser potessero mediocri, e non segnassero epoca alcuna nelle prospere o infelici vicende dell’arte. Poichè ove la scultu- ra fu sempre trattata con poco successo e non si elevò mai a grado eminente, non presenta essa nelle sue opere alterno anda- mento e varietà di risultamenti; nè crediamo possa o debba far parte di questo lavoro. La qual cura rimane affidata alla soler- zia de’ parziali investigatori delle curiosità, e dei meriti patrii di ciascun paese, ove ogni memoria è preziosa, e può spigolarsi con diligenza ogni campo di quelle glorie che riescirono sfugge- voli all’ occhio nostro. E giova ancor dichiarare, ciò che in più luoghi abbiamo pur anche accennato, che fermo tenendo il pro- ponimento di tacer dei viventi, meno di quel solo che fu primo a dare un diverso andamento alle arti, e scemò la maraviglia ai miracoli dell’ antichità , il quale al riprodursi questo nostro la- voro con una seconda edizione passò fra gli estinti, abbiamo lasciato un bello e vastissimo campo a chi scriverà dopo di noi, per celebrare quei moltissimi appunto fra gli stranieri ; i quali hanno colte in questa età nostra, e attualmente colgono glorio- sissime palme, non solo nella scultura, ma anche nelle altre ar- ti; cosicchè nè d’orgoglio, nè d’ ingiustizia, nè d’ omissione avrà nessuno il diritto di gravarci per questo. Per le quali cose, e per moltissime altre difficoltà ed osta- coli, sarebbe venuto meno il nostro coraggio a questa impresa, se non fosse stato sostenuto da quel desso, che primo fece in noi nascere il desiderio e il pensiere di gittare in carta le linee fon- damentali di quest’ edificio, sulle quali ci confortò' a progre- dire costantemente. Questi fu Pietro Giordani, ignoto a quei soli che non co- noscono la letteratura d' Italia, il quale moveva continua que- 7 rela che la scultura propriamente detta, e più particolarmente quella che dai Pisani a Canova racchiudeva il giro di sei se- coli, fosse rimasta finora senza uno storico. E come quegli che con ogni suo aureo scritto istilla santamente l’amor dell’Italia, seppe colla più persuadente insistenza farci sentire quasi una necessità di non intralasciare l’ assunto impegno , sebbene nel maggior uopo per poco fu che non si affievolisse la nostra le- na: ma giova il rammentare, che nè per vicenda di tempi, nè per rallentamento d’aiuti venne trattenuto questo lavoro dal progredire fino al termine cui miravamo da. principio. .L’andamento anzi dei tempi in cui furono scritti questi nostri libri, lo abbiamo di sovente riconosciuto consimile a quello che accompagnò l’arte medesima nelle sue diverse e singolari vicende; il che servirà anche a provare maggiormente ciò che in più luoghi della storia abbiamo ripetutamente enunciato , vale a dire che non si eseguirono all'ombra dei placidi ulivi le più ardimentose intraprese. E per quanto esser possa me- diocre il merito del nostro lavoro, non verrà riputato a jat- tanza se da noi stessi è riconosciuto per laborioso ed ardito , e nato non ostante e compiuto fra le massime agitazioni che invol- sero la maggior parte del mondo; unica circostanza che avrà di comune nella sua tenuità colle opere grandissime di colui, che per dono del cielo dopo duemila anni in questa età stessa venne a ringiovanire il .mondo delle arti. {l presentare i confronti delle diverse opere escite nelle epoche che si sono a mano a mano succedute, dimostrà la gra- duazione con cui hanno proceduto gl’ ingegni, e scema la sor- presa di alcuni slanci, i quali realmente non sono che progres- sioni , qualora con insistente diligenza si osservino le produzio- ni di queste diverse epoche. E ciò che della scultura si è ve- duto nel corso di questi libri, si riconobbe esser comune sn- vente alle altre arti. Poichè le bellissime opere del Perugino ognuno potrebbe attribuirle a Raffaello, siccome le più insigni del Bellino a Tiziano; e andando più indietro cesseranno le ma- raviglie dei primi, se si prenderanno ad esame il Masaccio, il Ghirlandajo, il Memmi, Giotto ec. e si osserveranno Mantegna, Squarcione, i Vivarini, e via dicendo, Così qualora si portò maravigliato il nostro sguardo sulle insigni sculture di Niccola da Pisa, di Giovanni, di Nino, poi di Andrea, e degli altri di quella prima e più celebrata scuola, fu mestiere di porre ad esame e confronto le opere di coloro che li avevano preceduti, per conoscere se e fino a qual grado 8 veniva a scemarsi il miracoloso operare di Niccola, caposcuola di tutte le arti in Italia. E quindi fa cura non lieve, rimontando nelle epoche che precedono questi primi luminari, il cercare fra la caligine, e fra ì ruderi di una più oscura antichità le opere e i nomi di co- loro per cui non poterono mai dirsi interrotte e senza cultori le arti in Italia; e in Toscana non solo, ma per tutta la Lom- bardia, e in Venezia medesima (quantunque per maggior comodo sbrigandosi molti scrittori attribuissero a’greci ogni primordio di arte in quella capitale) andammo spigolando non senza frutto quanto potè bastarci a provare coi fatti il nostro assunto. E italiani antichissimi trovammo fra i costruttori degli edifici pi- sani, e italiani rinvenimmo fra’ primi operai degli edificj vene- ziani, e italiani dal nord al mezzodì di tutta la penisola che la- vorarono cospicuamente in maniera da non invidiare in modo al- cuno gli artisti, che tenevano allora le scuole nella cadente ca- pitale del ricchissimo impero di oriente. Ma i nomi di Boschetto , Diotisalvi, Rinaldo, Bonanni, e quei tanti altri che s'incontrano nel secondo libro, quando per- correndo la storia de’ più antichi templi , si trova indiviso il me- rito degli architetti e degli scultori; e quando nel terzo si enu- merano più partitamente gli Antelami, i Biduini, i Viligelmi, ì Gruamonti, tutti predecessori di ‘Niccola ; que’ nomi attestano evidentemente che da Bizanzio non fur tratti gli artisti esclu-. sivamente, e che ai bizantini non dobbiamo altra riconoscenza che per averci conservato il tesoro della divina lingua, e aver trascritti molti volumi preziosi di lor mano, finchè nei migliori secoli, caduto il regno d'oriente, trovarono in Italia pane e tetto ospitale e mecenati generosissimi, presso i quali si ricovrarono, e scuole nelle quali diffasero l’ erudizione grammaticale . Dal che ci sembra aver provato, che le arti sebbene illanguidirono, e rimasero con un filo di vita, non emigrarono però mai dal suolo italiano. E fu appunto in proposito di questa antica esistenza delle arti, che ci dilungammo in una nota intorno alla natura degli antichi metodi del colorire all’ olio, conosciuti fino dall’ XI se- colo per un trattato de omni scentia artis pingendi, chiamato Tractatus Lumbardicus. L’avanzamento immenso che poi fecero le arti nell'epoca di Niccola da Pisa fu prodotto dall’ osservare le opere dell’alta e maestra antichità, in concorso. coll’ imitazione del naturale. Fu quello il passo più grande che mosse ognuno di questi sta- 9 dj verso la perfezione, e pei confronti da noi esposti coll’an- tico, vedemmo nel XIII secolo rapidissimi avanzamenti dell'arte dello scarpello, i quali, fintantochè si confrontano colle opere degli scultori del medio evo, sembrano miracoli sorprendenti, e soltanto a fronte delle più classiche produzioni vedono atte- nuato il loro pregio. Lunga età stettero prima di diffondersi le pratiche e lo stile reso migliore; sebbene questa lentezza fosse però sempre accom- pagnata da savio pensare di ottimi osservatori, i quali operavano con grandissima circospezione e timidezza unite alla verità e alla più giusta espressione degli affetti. In questa prim’epoca dell’ar- te, secondo la nostra divisione in cinque periodi consecutivi, noi abbiamo costantemente ammirato semplicità, imitazione diligente ed espressione. Le arti non attesero a sorprendere, ma si dires- sero a toccare il cuore: e siccome la ‘(devozione si manifesta im- mediata con sentimenti dolcissimi e affettuosissimi, così i primi monumenti che si scolpirono, essendo sacri al culto e all’ altare, furono trattati in maniera da commuovere, ed eccitare piuttosto la sensibilità, di quello che dar pascolo all’ immaginazione. In questi primi due secoli nei quali le fabbriche di Pisa, di Siena, di Orvieto, di Firenze, di Venezia, di Milano ebbero in- cremento, si andò preparando il più gran trionfo dell’ arte per la susseguente epoca di Donatello , nella quale le porte di An- drea da Pisa dovevano mostrar tracciata la strada a quelle del Ghiberti; e la sorpresa dei bassi rilievi dell’ arca di san Dome- nico, dei Pergami di Pisa, di Siena edella facciata d’ Orvieto, e i monumenti dei Tarlati e degli Scaligeri, e le sculture del palazzo ducale di san Marco e quelle del campanile di santa Maria del Fiore dovevano essere l'anello intermedio tra i bar- barismi dei tempi oscuri, e le grandi produzioni del XV secolo- Aumentate le cause, si aumentarono gli effetti, e 1’ Italia fu piena in breve di artisti eccellenti pei bronzi e pei marmi» Niccolò dalla Quercia, Matteo Cividali, Donatello, il Ghiberti, Desiderio da Settignano, i Rossellini, i Majani, i della Robbia, Andrea da Verrocchio, e tutti quei bravi artefici fiesolani reser chiarissima la Toscana per le porte di bronzo, i monumenti se- polcrali , le statue, gli altari ornati di eleganti rilievi, i cammini e gli acquai nei palazzi dei grandi, e per le argenterie famose di san Giovanni di Firenze, e di santo Jacopo di Pistoia. Nè la Toscana sola resero adorna; chè in Bologna , in Padova, in Mi-_ lano, in Napoli condussero lavori insigni, e fecero allievi di chia- IO rissimo nome. Intanto il Riccio, il Cavino, il Camelio, il Leo- pardi negli stati veneti emularono i maestri toscani, e la nu- merosa scuola di quei famosi Lombardi (per nome di famiglia co- nosciuti) riempì tutta Venezia di mirabili sculture, che attestano ancora a qual segno nel quattrocento l’arte spingesse il suo volo, La certosa di Pavia e il duomo di Milano misero a prova gli artefici di quelle pingui contrade, la cui scuola era stata fino a quel tempo presso a quegli industriosissimi scarpellini di Como e di Campione che lavorarono in tutti i principali edifici d’Italia;e Andrea Fusina; il Gobbo Solari, Antonio Amalteo, Jacopino da Tradate e molt’altri levarono grido de’ loro scarpelli. Modena pel Mazzoni, Bologna per Properzia de’ Rossi, e Napoli per Ciccione, per il Bambog- cio, il Monaco, e Aniello Fiore non furono oscure ; cosicchè si vide universalmente per tutta Italia diffuso il gusto di quest’ar- te, la quale s’ era incominciata a trattare dagli architetti e da- gli orefici, divenuti generalmente scultori, fonditori, plastici e cesellatori; e lavorarono di conio e di niello persino, applican- dosi quasi tutti a una quantità di solertissimi esercizi di scarpel- lo, di bulino, e di minutissimi e ingegnosissimi ferri. Il carattere però dell’arte in questa seconda epoca fortuna- tissima può dirsi che fosse conforme dovunque, quanto alla so- stanza dell’ espressione. In Venezia e in Toscana si vide più svi- luppato e più prossimo alla perfezione che non negli estremi d’Italia, appunto perchè da quei due centri tutto sembrava dipartirsi ciò che alle arti portava incremento : e Roma, che non prosperava ancora , per l’ assenza della sua corte pontifica- le, non entrò per terza in questo arringo che nell’epoca sus- seguente , quando ritornò in sna sede lo splendor del triregno. Modesta l’ arte metteva in evidenza |’ oggetto e cercava di non far di se stessa una mostra di soverchio pomposa. Il cuo+ re prendeva in ogni cosa interesse, e mettevano gli artisti ogni studio a commuovere, pochissimo a sorprendere . Ingenuità , semplicità, dolcezza, affetto e concetti purissimi, elegantissimi si veggono in tutte le opere di questo secolo. La mano non superava le forze del pensiero, e appunto, come abbiamo al- trove osservato, per la bella semplicità nelle composizioni, se da pochi tratti in contorno dovesse decidersi del merito intrin- seco delle opere nelle varie età dell’arte, quelle di Ghiberti, di Donato,» del Riecio, del Leopardi starebbero vicine senza temer del confronto alle più belle opere dell’alta antichità. La sola perfezione dell’ esecuzione, una certa scioltezza ; e un po’più II d’ ideale mancava ancora, che dalle tavole di quest’ opera, nè da alcun’ altra che i più diligenti balini tentassero anche di esporre, si potrebbe mai discernere. Fattasi l’arte più adulta, sentì d’ aver acquistato forze mag- giori. I modelli della natura e dell’ antico si andarono trascu- rando, perchè si credeva di averli imparati a memoria, e nel- l’operare si negligeva ogni giorno sempre più il carattere della verità. Quel po’ di stento che restava alle opere del quattro- cento parve loro comunicasse una certa freddezza; si cominciò a largheggiare , e a cercare l’effetto, la scioltezza, il grandio- so, il brillante; e tutto questo sarebbe stato eccellente , se si, fosse saputo ottenerlo senza danno del semplice e dell’ in- genuo. L’ espressione che manifestasi per tratti finissimi si andò dileguando, e quelle figurine mosse con grazia, con riverenza; con divozione, con affetto non si scolpirono più. Tutto questo doveva fatalmente aprire la strada all’ amore di novità, scoglio ove rompono pur troppo tutti coloro che sono dotati di un genio trascendente. E questo genio apparve infatti come una meteora ardente in mezzo alla mite candida luce di un’alba serena. Egli sorse gigante, e sciolse la briglia a un ingegno colossale , signoreggiando tutti i campi dell’arte, e in tutti dif- fondendo l’amore del grande, del nuovo, dell’ immaginoso ; e chiuse le porte ad ogni più dolce espressione, a tutte le ma- niere semplici e delicate; urtò e non commosse; fece inarcare le ciglia, stupire e maravigliar tutti, e levò un rumore spaven- tevole in tutto il mondo delle arti. I suoi proseliti furono mol- tissimi, e signoreggiò lungamente per tutto ciò che dal disegno dipende. Gli parve d’ aver tocco di slancio fin dove poteva uma- no ingegno arrivare ; e in effetto egli giunse con rapidità ad un estremo oltre cui stava aperta una voragine minacciosa. Tutti i giovani credettero quella via più facile se non più sicura, più atta ad ottener la sorpresa e l’ ammirazione di cui è sì vago l’ animo dell’ uomo; e siccome l’ espressione delicata pare riser- vata a commovere i pochi, e la maraviglia destinata a scuotere l’ universale , così tennero questa via che conduceva all’ effetto più pronto, e più sicuro. Jl divino Michelangelo stette modello d’ ogni arte, e largheggiando con franco ardimento oltre ogni confine, preparò la caduta la più fatale a coloro che vennero dopo di lui. Genio incomparabile e grande ! egli stesso conobbe il precipizio che aveva escavato a’ sui imitatori, e lo enunciò, Ma nudrito egli delle migliori instituzioni, seppe tenersi su quel 12 pendio da cui caddero tutti gli altri; e se furonvi opere d'alta lode meritevoli fra’ suoi contemporanei, si vede il grande de- cadimento ne’ suoi successori. Questa verità noi toccammo con aperta franchezza e con intimo convincimento, senza defraudare quel grande degli onori che la posterità gli ha decretati. Ma nes- suno levossi contro il nostro opinare e le nostre conclusioni, che nella scuola del Bonarroti l’ immaginazione è tutto il cuore è nulla. Noi la seguimmo in presso che tutte le opere di scar- pello, e grandi anche ci apparvero, sebben astri minori, Alfonso Lombardi, il Bandinelli, I’ Ammannati, il Rustici, Baccio e Raf- faello da Monte Lupo , Giovanni dall’ Opera, Andrea e Jacopo Sansovino, Vincenzo Danti, il Montorsoli, il Cioli, il Lorer- zi, il Tribolo e quel bizzarro ed agile ingegno di Benvenuto Cellini e Giovan Bologna e il Francavilla, ultimo di quella scuola. Bellissime e chiare opere escirono da queste mani di egregi artisti, che la Toscana e Roma adornarono di infinite preziosi- tà. Anche in Venezia fecero a gara per renderla sempre più ricca e avvenente Alessandro Vittoria, Girolamo Campagna, Danese Cattaneo , che possonsi contare fra i principali taminari di que- st’ epoca; e la Lombardia aprì gli occhi a un nuovo genere di sorpresa dinanzi alle opere di Agostino Busti, che se non vinse nel merito intrinseco le belle produzioni di Guglielmo dalla Porta, superò tutti gli scarpelli per la singolare agilità della mano e dei ferri. Finalmente Marliano Nola, e Girolamo Santa Croce sostennero in Napoli mirabilmente |’ onore di que- sto secolo. Sviluppato così con tanta universalità il genio dell’arte nel . cinquecento, non potè più contenersi in Italia tanta luce ; chè in Francia gli artisti nostri vi avevano già fondato il bello sti- le, come lo attestano le opere di Jean Cousin, di Jean Gou- jon, di Germain Pilon, ammirabili quanto le migliori produ- zioni di molti artisti italiani. Ci parve angusto lo spazio prefisso a questa storia, quando ci avvedemmo nello splendor di questa epoca della folla che ci si parava dinanzi di quegli esimj intagliatori di gemme, conia- tori di medaglie , lavoratori di nielli, di tarsia, d’avorj, d’az- zimina, e quando si riconobbe che artisti celebratissimi in cento rami d’industriosi artifici, in incavo, o in rilievo, facevano parte con buon diritto della famiglia degli scultori; cosicchè in iscorcio e con rapidità demmo qualche tocco sul merito di queste produzioni che in quell’ età arrivarono a un grado di perfezione singolarissima: 13 Il Finiguerra; Caradosso, il Francia, il Cellini, Giovan dalle Corniole , il Poggi, Jacopo da ‘Trezzo, l’Annichino, Gio- vanni da Castel Bolognese, il Grechetto, il Cavino, Valerio Vicentino formano coi loro nielli, i loro conii 3 i loro cammei, i loro cristalli, i loro ceselli la delizia e la preziosità dei ga- binetti più ricchi, e inducono in errore i più periti osservatori sull’ origine di tante gemme e di tante medaglie attribuite alla maestrà antichita, le quali farono da essi lavorate con finissi- simo magistero. Da tanta elevatezza ove erano salite le arti nel cinquecento, non potevano più ricadere per mancanza o d’esempi o di mezzi ad uno stato di povertà o d’angustie, e venir neglette e re- spinte alla barbarie dei secoli da cui erano escite. I potenti smaniosi di proteggerle e di animarle parevano assicararle dalla caduta: e la civiltà sparsa quasi per tutta l’ Europa faceva sen- tire il bisogno di questi studi, che dopo aver servito all’ ornato del tempio e della reggia, dovevano col propagarsi più univer- salmente render pur anche più adorna e più deliziosa la vita soddisfacendo a’ bisogni fittizj dell’ uomo. Ecco l’ epoca singolare del seicento, in cui quanto più lon, tane erano le arti da una specie di barbarie, altrettanto s’av_ vicinarono a un’ altra non preveduta. Dal difetto si cadde nel- l’ eccesso, e la mano dell’uomo avvezza a un più libero maneg- gio dei ferri, e l’abbagliante e il sor prendente che comincia- vano ad applaudirsi sul finire del cinquecento, apersero la strada alla smania di novità, come se due strade opposte condur po- tessero alla meta medesima. La novità fu applaudita con molta ragione nelle scoperte del’ filosofo che cominciò dal togliere il velo ai misteri della natura e a far comparire le scienze; la novità fu cercata dall’ artista, che essendo giunto ormai a una elevatezza superiore, nel punto che stava per giungere alla sua meta, andò a perdersi in un la_ berinto di stravaganze, e si rinnovò per lui il caso d’ Icaro. Le arti e le scienze non erano alla medesima condizione ; queste erano al buio, e quelle nello stato il più luminoso: ma il plau- so delle nuove scoperte sedusse i poveri artisti a tentare an- ch’ essi un nuovo sentiero, sembrando loro misero e angusto if seguito fin ora, e venendo sedotti dai clamorosi successi def grande ‘antesignano del secolo precedente. Shagliarono di scopo, e dimenticarono che l’arte non fu e non sarà mai che una scelta imitazione del naturale; vollero creare e scuoprir nuovi modi, nuove forme; e loro parve che le nuove terre scoperte e i sistemi e le leggi dei movimenti e dell’economia mondiale aprir dovessero un adito a nuove vie anche per le opere dello architetto, del pittore, dello scultore. Cessò per così dire d’esser presa a modello tanto l’antichità che la natura; e il Bernini, genio vivacissimo e di felici dispo- sizioni ripieno, dominato dall’ influenza di questi falsi principj assoggettò alla sua maniera strana e bizzarra le arti in Italia , come le Brun pittore della corte aveva fatto in Francia ; co- sicchè questi due stettero tiranneggiando per così dire la terra e condussero le arti alla perdizione. Se non che il Bernini per l'ampiezza del ao sul quale esercitò la forza del suo ingegno potè dilatare più estesamente le dottrine e gli esempi, e riempì Roma di opere magnifiche e stravaganti ad un tempo, nella maggior parte delle quali si vede talora lo strano accozzamento dell’ altezza del genio nei concetti e della maestria della mano abilissima per l'esecuzione, così stra- namente poi discordanti colla depravazione del gusto, dalla quale fatalmente ricevono un carattere quasi tutte le sue produzioni. Questi modi sedussero anche perchè incontrarono mecenati che li protessero: e gli artisti von è raro che vengano guasti e corrotti da chi intende di accordar loro protezione. Tutti gli scultori dovettero porsi sotto i vessilli del Bernino per aver pa- ne; e non sì contano molte e grandi occasioni in cui potessero distinguersi coloro che si tennero indipendenti da lui, come l’ Algardi e il Fiammingo, che poche opere ottennero e medio- crissima protezione. In questa età tutto prese un aspetto conforme ; l’ arte cessò d’ avere un dominio; poichè essa fu dominata e assoggettata a una folla di convenzioni stravagantissime. Furono confusi i diversi regni. Gli scultori sì misero a trat- tar lo scarpello imitando le opere di pennello; gli architetti presero in abborrimento le linee rette; l’ affettazione occupò il luogo della grazia; non si parlò più di espressione, di commo- vimento; tutto si torse, e persino le ossa ed i muscoli piegaronsi a modificazioni convenzionali : i trafori, gli svolazzi de’ panui, le sottigliezze e le meccaniche dell’ esecuzione invasero il merito della semplicità e dell'eleganza; e i nostri giovani anni trovaro- no questi studi e queste produzioni in tale stato per tutta l’ Italia. L’amore dei viaggiatori per le antichità, la scoperta di Ercolano, i nuovi dissotterramenti in Roma, lo stadio della ar- cheologia, Algarotti, Mengs, Winckelmann, Milizia cominciarono 19 sul finire della scorsa età a mettere di nuovo ‘in movimento gli animi e a destare dall’ubbriachezza le arti. Era tale la distanza dei dissepolti avanzi di antichità e dei ruderi venerandi da tutto quello che si operava dagli artisti viventi, che‘ne furono scossi tutti coloro, i quali avevano anche un senso mediocre; e queste circostanze predisposero la felice epoca in cui Canova quasi da se stesso educandosi ai rudimenti dell’arte in luogo ove erano pochissimi e fallaci insegnamenti, mosse animoso in teneri anni per quella via, che era del tutto abbandonata, anzi forse da nessuno giammai seguita da che le arti erano risorte in Italia Molti stupirono, e rimasero incerti; pochi gli fecero coraggio, ed altri tentarono di gridar contro l’innovatore; ma egli mo- destissimo e timido si tacque, e le sole sue opere risposero, tre- pidandogli da prima persino la mano: finchè fatto più franco, i monumenti dei Papi, le statue dei Pugilatori, l’Ercole e Lica, il Teseo, le Veneri, le Grazie, il Paride offersero all’ Italia ed al mondo una serie di bellezze, alle quali non poteronsi com- parare nè le opere dei predecessori, nè quelle dei contempo- ranei; poichè nessuno neppur produsse lavori di tal forza, di tal mole;, di tal genere. Due tavole comparative in questo no- stro ultimo volume segnate XLVI e XLVII presentano la suc- cessiva progressione e andamento dell’ arte da Niccola di Pisa sino a Canova. In generale non trovasi alcuna stretta analogia tra l’operar di quest’ ultimo, e le produzioni di tanti che il ‘ precedettero per l’ andar di sei secoli. Noi abbiamo in più luo- ghi indicato poter questa analogia trovarsi tra le opere di lui e le antiche che abbiamo qualche volta prodotte. È bizzarro pe- rò il trovare il Paride accanto alla statua del Davidde di Pie- tro Pacilli, uno degli ultimi che il precedettero, e gli fu quasi contemporaneo. Ove poi si guardi soltanto alla composizione e al concetto, s’ incontrerebbe maggior affinità di stile tra la sta- tua del Ghiberti e le opere di Canova, poichè grandiosa, sem- plice, naturale, e assai ben panneggiata. Ognuno da se stesso potrà comparare con libertà di opinione; e quanto da noi fu espresso nel corso dell’opera, figurato in iscorcio su qaeste due tavole, presenterà all’ osservatore qualche materia alle sue de- duzioni. Il linguaggio tenuto da noi nel parlare di Canova avreb- be forse potuto offendere la sua modestia, se per lui non fosse cominciata la posterità; e come egli non deve curare né ac- corgersi di qualunque biasimo gli fosse dato, così non gli è le- cito di porre un limite ad alcuna lode; tanto più che dessa ‘mon gli fa mai tributata alla cieca, come i favori della sorte 16 alla maggior parte dei fortunati, e bisogna in ciò concludere con Luciano che: La lode è cosa libera, nè le fu prescritta misura alcuna dalle leggi, avendo per unico fine il rendere maraviglioso a tutti e degno di emulazione colui che viene lo- dato. Oltre di che non ci siamo in alcun modo prefissi di tessere le lodi di lui, cui non mancheranno certamente biografi e loda= tori d’ogni maniera colta e gentile; talchè chi di ciò fosse vago» ira moltissimi che di questo occuparonsi finora, potrà soddisfarsi cogli articoli letterarii dei giornali di Europa, e particolarmente di Francia, colle descrizioni della contessa Albrizzi, coi versi del- l'abate Missirini, colle lettere del cavalier Giovanni Gherardo de’ Rossi, cogli scritti di Pietro Giordani, e con tante altre o poe- tiche, o eleganti produzioni, che nostro scopo non fa di pren- dere ad esame nè ad esempio. Ciò che successe nel giro di questi sei secoli per riguardo alle arti dell’ imitazione, e più specialmente intorno al loro de- cadimento, riscontrasi altre volte accaduto , soltanto che vo. gliasi gittare lo sguardo sulle più antiche storie; talmente che i maravigliosi eventi di una età spesso non sono che riprodu- zioni di quanto in parità di circostanze accadde in un’altra. Gli sforzi dell’ umano ingegno hanno un confine, e |’ or- goglio dell’uomo bisogna che si abbassi e si calmi allorchè è giunto a una certa meta, Questa tiene di mira il bello; e quan- do questo bello è arrivato ad altissimo grado nell’ imitazione è follia il credere di sorpassarlo, o di arrivarvi per una strada diversa; talchè il delirio di andare al di là del bello, è lo stesso che la manìa di andare al di là dell’arte: e chi tenta inoltrarsi con troppo ardimento, dopo essersi tant’ oltre spinto, convien che retroceda o decada. Nel confine a cui pervennero ‘gli antichi si riconobbe che agli scultori mancarono la forza ed i mezzi per superar Pras- sitele o Policleto, anzi non giunsero neppur a pareggiarli, poi- chè l’ imitatore rimane sempre inferiore al suo tipo, Che fecero essi adunque? Adottarono all’ incirca gli stessi espedienti dei no- stri seicentisti, che volendo superar Michelangelo, stettero tanto al disotto di lui, e deviarono sperando di emergere famosi pel fascino della novità. Gente a cadere le arti in Grecia, allorquando cessò d’ apprezzarsi nelle opere dei sommi maestri quell’ artific iosa ed accorta negligenza nelle minime estreme parti, per dar risalto alle massime, e i più deboli imitatori furono d’ avviso di poter 17 far meglio col finire, col rotondeggiare, col tormentaro le un- ghie, i capelli, le estremità, e caddero in tutte quelle piccolezze che tanto muocciono alla vera grandezza dello stile. Ecco sner- vata l’arte senza più carattere energico , senza che un colpo solo fosse dato dal genio, e rese Je parti della scultura fiacche, insi- gnificanti, fredde, e senza espressione. Il buono si perde, se per la via del raffinamento si va in cerca dell’ottimo; nello stesso modo dice Winckelmann, che l’uomo che sta bene nuoce alla propria salute cercando di voler star meglio. Andavasi forse riconoscendo il decadimento dell’ arte peì nuo- vi metodi introdotti ; e volendo poi richiamarla a’ suoi più ele- vati principj fu nocivo , e fatale il rimedio stesso che si adope- rò , se è però vero che la moda in cui vennero le imitazioni egizie prendesse la sua voga dal bisogno di riformare gli abusi risalendo alla maniera degli antichissimi maestri dell’ arte (1). (x) Non sembra molto probabile che fosse questo motivo il quale con- ducesse esclusivamente gli artefici greci a mettere in uso i modi dell’ egizia scultura ; poichè non solamente le forme, ma gli ornamenti, i geroglifici, ì caratteri sconosciuti e dimenticati andaronsi rifacendo, e gli antichi idoli persino si mentivano , oltre lo scolpire anche i moderni ritratti sotto quelle egizie forme . Nè pare che per ‘affinità di principj , e di derivazioni sì faces- se allora come ora fassi, ma per adulare invece il genio delle conquiste , o l’amore per le alte antichità di qualche romano imperatore , Un consimile motivo piuttosto sembrerebbe ‘potersi applicare ai tempi presenti, nei quali con una certa non affatto riprovevole, benchè un po’ singolare finezza di giu. dizio , veggiamo alcuni ingegni richiamare freddamente ad esercizio le anti- che pratiche, sia che per essi venga a torto giudicato corrotto , e falso il gusto dell’età in cui vivono, ossia che cerchino con tal mezzo di salire a mag- gior fama ; e non prendono quindi di mira nella loro imitazione le opere che gli artefici sommi composero nel più eccellente periodo dell’ arte, ma studia- no piuttosto di risalire a un epoca anteriore , come quella i cui principj sono da essì riputati più severi e più puri. Per la qual cosa taluno il quale po- trebbe prendere a modello del suo fare a cagion d'esempio Raffaello o Ti- Ziano, studiar si vede sull’ opera del Perugino o dei Bellini; e tal altro che potrebbe modificare il suo stile sugli scrittori gentili e abbondanti del cin- quecento , preferisce di esprimersi coi castigati ma disusati modi dei trecen- tisti; talmente che vedonsi prese a modello le lettere e le arti rinascenti piuttosto che le adulte, Nel fare le quali cose però è da notarsi, che non si diparte dai maestri delle nostre scuole, non si risale a troppo lontane de- rivazioni : nè peregrini modi egizj, o persiani, 0 etruschi »i ostentano per richiamare gli studj alia primitiva semplicità. Che qualora volesse dedarsi , che i greci adottarono nella decadenza delle loro arti i modi egiziani per tentare la riforma degli abusi introdotti, piuttosto sembra verosimile che sì sarebbero attenuti ai modi di Reco e di Teodoro , o degli altri y\redecessori © contemporanei di Fidia. E quantunque sia vero che per la continua rivo- T. XIV. Zuglio 2 18 La qual cosa veramente potrebbe aver avuto principio da altra sorgente , e potrebbe essere poi degenerata in modo , come tante altre costumanze che variano perchè variano , e non se ne co- nosce la cagione , o cercandola vi si attribuisce quella che non vi ha alcuna relazione. Vitruvio si lagna di queste imitazioni egizie, e noi le veggiamo nelle opere di scarpello salite in gran voga presso gli artisti greci, massimamente in Roma. Ma è vero che la novità d’introdurre oggetti strani, mostruosi e minuti per- dette le arti. Così nel seicento mentre l'arte parimente s’ avviava ad una nuova decadenza , si vide che quella facile semplicità adoprata da' buoni maestri, e osservata nelle più antiche opere de’ greci institutori , incominciò a dispiacere ; e volendo l’ arte mettere in evidenza se stessa, fu fatto appunto come nei tempi dell’ an- terior decadimento , vale a dire si espressero con diligente finez- za i capelli, si tracciarono tutte le vene anche nei corpi fem- minili e sulle mani in ispecie, si esagerarono i raccorciamenti dei muscoli , e ini tal modo si credè meglio imitar la natura ed esprimer la forza. L’ abilità degli scultori per queste particola- rità fu ammirata , ma l’arte sempre più invilita. E non è ma- raviglia di ciò, poichè molti osservatori privi di gusto , e di co- gnizione anche ‘oggidì come in ogni tempo, fanno consistere in queste futilità l’abilità degli scultori più mediocri , ammirando vene, tendini e muscoli eziandio se sono scolpiti fuori di luo- go. Il cominciare dall’ arte presso gli antichi sino a Fidia può equivalere all’ epoca che lentamente anche percorse in Italia da Niccolò fino al Bonarroti . Il grande incremento ; e il raffinamento dell’ arte che da Fidia giunse a Prassitele e a Lisippo , il quale può computarsi pel giro di poco più d’un secolo; vale a dire da Pericle alla morte di Alessandro , dopo cui incominciò a de- clinare, può compararsi all’ epoca di Michelangelo , e di tutti gli altri valentissimi suoi contemporanei, che illustrarono il se» colo mediceo . L’ antica decadenza condusse le arti a una letar- gia infinitamente più lunga, e la moderna può contar quasi due secoli; e questo nuovo odierno rialzamento in cui |' esperienza e gli esempj si sono di tanto moltiplicati, potrebbe darci una luzione delle cose umane si vada spesso a terminare dove si era incominciato$ noi ci appelliamo ai conoscitori delle arti e dell’ istoria per decidere , se al tempo di Adriano, in cui tanta moda era invalsa di foggie egizie , questa fosse condotta dal bisogno assoluto d’ una riforma, e dal ritorno alle antichiw simé instituzioni, 0 piuttosto da altre cause che abbiamo accenvate. 19 lasinga assai fondata di un’ epoca lumfnosissima : che se per av- ventura le produzioni del secolo XV , e XVI si debbono riputare inferiori a quelle dell’ età di Pericle e d' Alessandro , non è fol- lia il credere che quelle del XIX possano poi sostenerne con più decoro il confronto. Al quale prospero avvenimento noi credia- mo non manchino che le grandi e moltiplici occasioni : e soltan- to che andassero del pari l’ ambizione per la gloria dell’ armi con quella dell’ incremento degli studi e dell’ elevazione de’ mo- numenti , sembra non potersi omai più dubitar del successo . Non vi sarà chi non riconosca , che le arti sono avviate se- condo i più castigati e severi principj. Mai con più mezzi di quel- li che ora si apprestano fu instituita la gioventù . I preziosi mos mumenti scoperti in grandissimo numero , sono , medianti le for- me estrattene, multiplicati e diffusi come non furono mai. Le nozioni archeologiche estesissime , e le stampe con eleganza di bulino e precision di contorno resero di pubblico dritto ciò che nei secoli precedenti era riservato a pochissimi amatori, che ne facean tesoro privato, Le meccaniche dell’ arte perfezionate abbre- viano la fatica materiale e risparmiano un tempo infinito e pre- zioso agli artisti, I pregiudizi sono dovunque superati ; l’ antico ha riacquistato il suo culto, i suci diritti : le opere dei nostri artisti ‘dei buoni secoli sono apprezzate col rispettivo grado di stima che loro compete ; quelle del seicento spogliate d’ ogni prestigio , e cadute nella meritata dimenticanza ; gl’ ingegni sentono tutto il fervore , e attendono gl’ impulsi vigorosi dei mecenati , 'per far gareggiare l’ età presente colle più celebri di cui va fastosa l’uma- na istoria. Tocca a voi, re dell’ Europa, che avete il vanto di averla pacificata , a schiudere le cave di Paros , estrarne i maci- gni, e far che sorgavo i monumenti della vostra grandezza nei fori e nelle basiliche, per emulare i bei secoli d’ Alessandro , di Augusto, dei Medici: la gloria di Canova serve di esempio, 6 cento artefici impazienti sull’ orme sue aspettano per slanciarsi nel nobile arringo dai generosi potenti il segnale . Riflessioni sugli effetti della libera concorrenza. Memoria letta all'Accademia de’ Georgofili nell’ adunanza del 10. Aprile 1825. Costava il grano lire 37. il sacco, quando ai 18 settembre 1767, LeoPoLpo Granduca di Toscana ne permetteva la libera 20 esportazione, fin’ allora impedita. La nuova legge fa di dolo re agli stolti che la temevano cagione di più gravi angustie, di allegrezza ai saggi, perchè cancellava l'errore il più fanesto della vecchia legislazione. L’inopportunità dei vincoli era nella mente di quel Principe un fatto assicurato, non un problema di difficil risoluzione; e questa credenza dalla Reggia gradatamente discese nel volgo, e comune restò finchè, nello stato attuale di cose totalmente opposto a quello del 1767, il grido di la- menti autorevoli fece dubitare ad alcuno se, quanto una pie- na libertà fu efficace rimedio alla carestia, altrettanto utile dovesse reputarsi nei tempi di universale abbondanza . Dalle quali dabbiezze derivò gravissimo argomento di disputa fra gli economisti, i quali con forza inusitata d’ingegno difesero va- lidamente le contrarie opinioni. Ma , come nelle umane con- tese spesse volte accade che la ragione indebolita dai trasporti dell'animo si adombra il vero, così la nuova questione eco- nomica non fa sempre ridotta ai suoi veri termini, e nel di- scuterla non sempre furono impiegati argomenti che da essa non divergessero . La necessità del libero esercizio dell’ industria, i van- taggi di una concorrenza illimitata, i danni delle restrizioni risultano da ragionamenti semplicissimi fondati sulla dimostra- zione del vero interesse sociale. Alle dotte difese della li- bertà dell’ industria assunte da validissimi ingegni, mi sia per- messo di far eco nella seguente memoria , la quale verrà di- visa in doe parti. Stabilita che sia nella prima la misura esatta del prezzo di tutti i prodotti dell’industria, mi sforze- rò di mostrare che quella misura non può essere alterata , o almeno solamente per intervalli brevissimi, allorchè abbia luogo una libera concorrenza; siccome poi da tal dimostra- zione deriverà per conseguenza necessaria , essere opposta alla conveniente distribuzione del premio dovuto all’ industria, ogni disposizione che in qualsivoglia maniera tolga campo alla con- correnza ; così i principii stabiliti nella prima parte saran pie- gati nella seconda a far conoscere la inconvenienza delle varie restrizioni governative, imaginate fin quì e seguite costantemente da prontissimi danni. Mi sarà di scorta la pubblica economia, la quale ha il solo scopo di spenger gli errori dell'umano giu- dizio circa al nostro interesse medesimo, e spentili completa- tamente, sparirà dal numero delle scienze forse prima del so- praggiugnere di vicine generazioni, le quali dagli studi delle età presenti riceveranno lucidissima la verità. ; 21 Se l’industria sia o no giustamente ricompensata, mal si giudica avendo riguardo soltanto alla quantità della moneta che costituisce una tal ricompensa. La mioneta non può esser la misura dell’ industria, come non fu il primitivo e non è il mezzo natarale di premiarla . Stabilita una volta la division del lavoro, ogni uomo cambiò il suo superfluo in quello che avanzava ad altri, onde provvedere completamente ai propri comodi e bisogni. Il baratto effettivo di lavoro per lavoro si eseguì realmente fino ai tempi più bassi e più civilizzati, nei quali i metalli divennero il mezzo universale dei cambi. Per quest' uso importantissimo furon preferiti ad ogni altra merce a motivo della facilità della conservazione e del trasporto , della rarità e del comodo di una minutissima suddivisione senza perdita . Di quì l'origine della moneta. Le sue forme , i suoi segni non fanno che risparmiare in ogni baratto il riscontro del peso e della purità dei metalli, Questi però, come ogni altra merce, van soggetti a mutazion di valore. È il prezzo di tutte le cose determinato: dal rapporto fra la richiesta e la quantità circolante, nè vi è ragione per cui il prezzo dei me- talli non debba stabilirsi colla regola istessa. E poichè varia notoriamente la proporzione fra la richiesta dei metalli, e la quantità di essi posta in commercio, dovrà il loro valore andar soggetto a cambiamenti. Ed è poi chiaro che una merce di va- lor mutabile non può servire di misura fissa al valor di tutte. La più vera e più costante, anzi l’unica misura del va- lore d’ogni merce, si è il lavoro che costa E il lavoro che in ultima analisi si offre in vendita, e si ricerca nelle compre: è desso che costituisce la vera ricchezza; o piuttosto lavoro e ricchezza sono una cosa sola. Laonde valor reale delle cose sarà quello computato sul lavoro necessario a produrle , ben diffe- rente dall’ altro espresso in moneta, che chiamasi valor nomi- nale. Ed in questo consiste la loro differenza; è il secondo va- riabilissimo, fisso assolutamente il primo, Alla scoperta delle miniere d’ America cadde in Europa sì fattamente il valor dei metalli, che, dopo di essa, per la me- desima misura di grano abbisognava tre volte più. di moneta. Ma non i grani rincararono allora, la moneta rinviliò : nè i possiden- ti arricchirono, perchè dopo quell’epoca pagarono tre volte più di moneta per sodisfare ad ogni loro bisogno, ossia per mettere a propria disposizione un’ egual quantità di lavoro. Al termi- nar del secolo decimoquinto riposandosi l'Europa da lunghe ca- lamità, e prendendo forme di governo più stabili e più tran- quille , la sicurezza , l'industria e la cultara avanzarono ton- cordemente , i prodotti aumentarono , il commercio ne moltiplicò i cambi, e la moneta, mezzo di questi cambi moltiplicati, salì di valore. Allora per l’ istessa quantità di moneta si ebbe dop- pia quavtità di grano: ma non il grauo era rinviliato, era la moneta salita di prezzo; nè i possidenti impoveriti, perchè pote- rono in seguito disporre dell’ istessa quantità di lavoro con la metà di moneta. Chi confrontasse l'epoca attuale col finire del secolo decimoquinto, vi trovrebbe moltissimi lati di somiglianza. Precedute ambedue da lunghe agitazioni di guerra ; seguite da una calma perfetta ; segno |’ una e l’altra di riconciliazione fra i popoli, ristabilirono il commercio da lungo tempo inceppato, rianimarono l’industria che gemeva in catene, Cause eguali do- vean produrre eguali effetti. Quindi poco dopo l’anno 1814; cessate le miserie d’ Europa , la moneta salì ad un prezzo ele- vatissimo, e ad aumentarlo viepiù concorrono costantemente il progresso dell’industria., assai più rapido che non fosse dopo il 1500, e l’incivilimento di nazioni grandi per numero e per potenza, fra le quali l’uso della moneta, quasi sconosciuto finquì, va celeremente diffondendosi . Pertanto, poichè il valor reale delle merci che dee esser posto a calcolo , risulta dalla quantità del lavoro in esse accu- mulato, o in altri termini da ciò che è stato necessario per provvedere alla sussistenza degli operai, chiaramente apparisce che dove sia permessa una libera concorrenza ad ogni branca d’ industria, questo valore dee esser conseguito nella giusta mi- sura. L’interesse particolare, che mai s’ inganna, impedisce ad ogni uomo di cambiare il lavoro proprio con minor quan- tità dell’ altrui che possa esser fatto con egual destrezza , senza maggiori difficoltà, nel tempo istesso. La coazione ad un cambio ineguale vo!terebbe altrove la di lui industria. Ciò accade precisamente quando le circostanze tendono a fare ab- bassare la ricompensa di una data specie di lavoro. L’ occu- pazione, che non somministra più adequato premio, è abbando- nata finchè non vi sia più di saperfluo nelle sue produzioni. Nel caso opposto aumenta la concorrenza degli industriosi a quell’ esercizio che dà guadagno più largo, e ciò finchè que- sto guadagno non sia tornato al livello ordinario . Così la li- bera concorrenza fa che la ricompensa effettiva d’ogni lavoro sia sempre eguale alla ricompensa giusta e naturale di esso, o pochissimo differente. Ed ogoi qualvolta alcuna leggera dif- ferenza si manifesti, l’interesse privato, sempre vigilante, si ado- 33 prerà per eliminarla : di modo che le oscillazioni fra la ricom - pensa effettiva e la ricompensa giusta saran poche e corte. Pur tali oscillazioni han luogo, e son causa certo di qualche danno. Un lavoro divenuto meno utile in paragone degli altri, prima di essere abbandonato ha fatto perdere una parte della ricompensa dovuta a chi in esso si esercitava ; e i cambiamenti di occupazione non son sempre facili, nè di pronta utilità. Ac- cordiamo che tali inconvenienti accadano , e siamo pur liberali nel calcolo di essi. Supponghiamo che una classe intiera di una popolazione perda istantaneamente il profitto della sua industria. Il guadagno di tutte le altre classi si troverà inalzato, se non as- solutamente , almeno comparativamente a quello della classe di- soccupata: e poichè il giusto livello dei guadagni non ha un’ al- tezza determinata , mà può averne una qualunque purchè sia uniforme , così la classe priva di lavoro concorrerà subito colle altre, nè prima che sia tutta occupata in nuovi lavori sarà ri- stabilita l’ egual distribuzione delle ricompense, Adunque i danni che derivar possono dal sistema di libertà, si riducono nella pes- gior ipotesi ad una momentanea sospensione dei guadagni dovuti ad una qualche classe d’ industriosi, la perdita dei quali gua- dagni torna a vantaggio delle altre classi della nazione; le qua- li offrono poi necessariamente compenso alla classe defraadata associandola ai loro guadagni. Il confronto fra questi danni, e quelli procedenti dalle restrizioni , i quali più tardi dimostrere- mo , basterà a far giudicare quale dei due opposti sistemi sia da preferirsi. Chi insegnasse a determinare una formula atta ad esprimer generalmente il prezzo di tutti i lavori , e somministrasse il me- todo di tener fisso costantemente il rapporto fra la misura dei salari, e il prezzo degli oggetti impiegati nel pagamento effettivo di questi salari, farebbe una scoperta che segnerebbe un’ epoca nuova nella pubblica economia , Egli dispenserebbe gli uomini dalla necessità di appigliarsi al sistema che presenta gl'inconve- nienti più piccoli, sostituendone uno perfetto, Finchè peraltro questa scoperta non sia fatta, godiamo che al prezzo di ben po- chi mali si evitino miserie gravissime , i Diceva poc’ anzi che nel sistema di completa libertà, può avvenire che una classe d’ industriosi si trovi momentaneamente aggravata ; e scendendo dalle teorle ai fatti, è forza convenire che tal infortunio si verificò negli ultimi tempi a danno dei pos- sidenti, Sia permesso rivolgersi un momento a loro onde con- fortarli. Prima conseguenza del rincaro della moneta fa il deca- 24 dimento del prezzo nominale dei prodotti del suolo :. seconda. dovea esser necessariamente un proporzionale abbassamento dei prodotti manifatturieri. Le manifatture son pur cadute di prez- zo, ma più tardi. L’ intervallo nocque ai possidenti. Ciò è inne- gabile. Ma l’ intervallo fa breve, e il danno piccolo. Appena i manifattori si trovarono avvantaggiati, crescendo in numero e allargandosi negli agi, associarono ai loro guadagni i possiden- ti. I vantaggi degli uni e degli altri furono ben, presto spinti ver- so il livello naturale, ci son forse vicinissimi, e per avventura l'oltrepassarono, portando il favore dalle parte dei possidenti . Nè gran tempo passò da che i possidenti stessi formavano la classe più avvantaggiata della società. Così nel circolo conti- nuo delle vicende economiche accade costantemente, che 1’ al- tezza è causa d’'abbassamento , come questo riconduce necessa- riamente a nuova altezza. La situazione dei possidenti dee esser paragonata a quella delle altre classi, valutuando la quantità di lavoro che può es- ser posta a loro disposizioue in cambio dei prodotti del suolo. Non si abbia riguardo alla quantità della moneta riscossa nelle vendite, Il caro e il vile, computati sul valor nominale, son voci prive di siguificato , e alte a condarre all’ errore, Moneta na- turale dei possidenti sono i prodotti agricoli, moneta naturale dei manifattori son le rnanifatture. Gli uni e gli altri debbon comprare il denaro prima di spenderlo. Prescindendo adunque dalla quantità di moneta che abbisogna per effettuare i cambi, la relativa situazione dei possidenti e dei manifattori sarà l’istes- sa tatte le volte, che per egual quantità di prodotti del suolo, si avrà egual quantità di prodotti manifatturieri. Sieno stati in un epoca L. 4o il braccio il prezzo del panno; L. 30 il sacco il prezzo del grano. In altra epoca sia L. 20 il prezzo dell’ istessa misura di panno dell’ istessa qualità , e vaglia il grano L. 15. il sacco. In ambedue i casi il possidente dovrà spogliarsi di 4 sacca di grano per aver 3 braccia di panno, e il manifattore cedendo 3 braccia del suo panno si provvederà di 4 sacca di grano. La quantità della moneta impiegata nell'effettuare i cam- bi variò da un’ epoca all’ altra, ma il cambio del possidente col manifattore:è rimasto precisamente l’istesso . Quindi è che gravissimo davno soffrirebbero nella loro privata economia quei possidenti che, sedottij dall’apparente rinvilio delle mapifatture, comprassero ora ciò che sembrava arrecare una spesa mal mi- surata allorquando i prezzi nominali erano elevatissimi. Ripren- dendo l'esempio di sopra citato, è chiaro che il panno: caduto. 25 da L. 4o a L. 20 non è punto rinviliato per il possidente, men- tre il prezzo del grano ha subito un proporzionale abbassamen- to. In questa materia son frequentissimi gli errori di calcolo; e contro tali errori bisoguerebbe declamare, non contro la li- bertà dell’ industria. I possidenti saggi non soffrirono danno negli ultimi tempi non prosperi per essi, perchè avean molti risparmi cumulati dei tempi più felici: i meno avveduti trovandosi privi di quella risorsa, provarono momentanee strettezze: i prodighi soli incontrarono inevitabil rovina. Chi dopo aver esauriti i mez- zi facilmente spendibili, era giunto a formare una massa di de- bito prima dell’ ultimo cangiamento economico, dovea incorrere in gravi disastri . Sono i debiti in denaro, di natura pericolissi - ma: ove fiell’ intervallo di tempo , che corre fra la formazione di un debito e la sua scadenza, avvenga un cambiamento nel prezzo della. moneta , il debitore o il creditore son lesi. Facil- mente si calcola a qual danno si troverebbe esposto un pos- sidente, il quale avendo formato un debito allorchè il suo gra- no potea cambiarsi con molta moneta , dovesse pagarlo ora che molto grano abbisogna per aver poca moneta. Ma su ciò non è del mio assunto il trattenermi più lungamente. Mostrai che nella piena libertà dell’ industria i vantaggi di tutte le classi del popolo tendono sempre a porsi al giusto li- vello, dimodochèé nessun può ricavar significante utilità dai danni delle altre. Quella proporzionata divisione di guadagni , che gli uomini non offrirebbero spontanei per carità scambievo- le, si stabilisce necessariamente nella libera concorrenza. E do- ve ad ognuno è dato di prescegliere l’ occupazione più utile, anderà sempre aumentando la somma dei vantaggi individuali, e in conseguenza di quelli della società : cosicchè la libertà istessa, che giova agli individui gioverà pure alle masse. Per contrarie ragioni sarà a danno degli uni e delle altre tuttociò che tenderà a porre inciampo alla concorrenza, o ad assegnare una direzione forzata all’ industria. Abbia una nazione i manifattori distinti per classi: sia limitato il numero dei componenti di cia- scheduna: sieno necessarie certe forme e studii preparatori per l’ ammissione : sia impedito il passaggio dell’ una all’ altra, ogni classe avrà il monopolio delle sue produzioni. Il mercato ne sarà sprovvisto , il prezzo alto. Intanto il lavoro sarà minor del bisogno , minore cioè di quello che si avrebbe nella libera con- correnza. La perdita di una parte di lavoro produce intanto perdita di proventi alla nazione. Dipiù gii esteri non compre- ranno al prezzo di monopolio , e nell’ interno chi farà pagar 26 troppo il proprio lavoro, dovrà pagar nell’istessa misura anche l’ altrui; cosicchè l’altezza dei prezzi verrà compensata nei cam- bi, senza aver giovato ad alcuno. Nè la mancanza del concorso renderà solamente scarso il lavoro , ma lo ridurrà anche peg- giore, poichè dispensa dalla necessità di migliorarlo. Che se poi nel progresso della civiltà, o nel cambiamento delle umane cose, divenga meno necessario il lavoro di una di quelle classi che si dicon privilegiate , i di lei componenti, esclusi dai guadagni delle altre, caderanno a carico del pubblico. Conseguenza fune- stissima ! che rende perniciose quelle forze istesse le quali po- trebbero esser di grandissima utilità, e fa temer pericolo di danno fin negli aumenti di popolazione. Son questi gli effetti delle leggi che stabiliscono le corpora+ zioni dei manifattori, e ne assegnano i privilegi esclusivi. Prin- cipii ben differenti han servito di base ad altre leggi che ac- cordano privilegi agli individui. È certo che i risultati delle proprie meditazioni e del proprio studio sono una proprietà che ognuno ha il diritto di difendere dall’ altrui usurpazione . Un’ uomo, d’ingegno straordinario, inventa una macchina, dalla quale si ottiene quel lavoro istesso che costava gran tempo ; e molta fatica a persone di non comune destrezza. I principii che ban servito di scorta all’ inventor della macchina son tan- to sublimi, quanto ne è semplice la costruzione, che da ogni manifittore iediocremente esercitato può essere imitata. Pre> mio naturale di chi inventò la macchina dovrebbe esserne la sua utilità; nè altri può aver parte al premio dovuto a quel bell’ingegno, Pure il premio sarà di fatti diviso se altri copie- rà la macchina. In simil circostanza il silenzio della legge par- ve ingiustizia. Più mature considerazioni persuaderanno il con- trario . All’ inventore di una cosa utile potrebbe liberamente accor» darsi il privilegio esclusivo della sua invenziore , se da quel privilegio non potesse talvolta derivare il danno di altri indi. vidui. Nulla è più facile che invadere con una privativa una intiera branca d’ industria. Un manifattore, che ne ha molti a concorso impiegati nel lavoro istesso , imagina un qualche me- todo, o un qualche ordegno, mediante il quale si pone nel ca- so di vendere le sue produzioni a prezzo minore degli altri. Se a questi la legge vieterà l’ uso dell’invenzione di quello, o do- vran vendere a scapito , o abbandonar la manifattura : e al- lora il monopolio ne verrà di fatto trasferito nell’ individuo privilegiato . "1 Bisognerebbe stabilir deì criteri onde giudicare della dif-. ferenza fra invenzione e miglioramento. Ma questi criteri non può fissar la leg gge, che non prevede i casi cui può essere ap- plicata; in ogni particolar circostanza converrebbe riporne la decisione al giudizio di quei tribunali, gli errori dei quali, che si ripeterebbero seinpre, sono tanto noti quanto furon perniciosi. Nella mancanza pertanto dei mezzi coi quali, in ogni occa- sione, distinguer si possa esattamente la vera invenzione sul sem- plice miglioramento, o in altri termini coi quali sia dato il de- cidere preventivamente se un privilegio possa o no arrecar danno, converrà considerare che una privativa niegata toglie il premio dovuto a chi ritrovò una cosa utile; la privativa accordata può toglier l’occupazione a tutti quelli che son impiegati nell’ istessa branca d’ industria ; la prima disposizione nuoce ad un ipdivi- duo, le seconda può nuocere ad una classe; e fra il danno di un individuo e quello di una classe, la legge non può scegliere. L’ errore istesso che dettò gli statuti delle corporazioni dei manifattori, servì di base alle leggi che proibivano le im portazio- ni dall’ estero. Con la mira d’incoraggiar l’industria interna, da- vasele un colpo fatalissimo. Vita dell’industria è la concorrenza, Nessun uomo sarebbe industrioso senza il timore che altri fosse più industrioso di lui. Il difetto di concorrenza facendo gli) uo- mini sicuri d’un moderato guadagno gli rende inerti; non sido disce soltanto il miglioramento della loro industria, fa di più che i prodotti vadan continuamente peggiorando. La certezza della vendita nell’ interno dispensa dalla necessità di sostener il con- fronto con le estere produzioni, e chiude per sempre la via ad ardite speculazioni, e quindi a più larghi guadagni. Così niun avanzo continuamente risparmiato serve alla formazione di nuo- vi capitali : e son povere sempre le nazioni fra le quali da con- correnza rimane lungamente impedita . Ma il danno che ne deriva necessariamente non è il solo ar- gomento da opporsi alle leggi, le quali impediscono l’importazio- ne di estere merci. Ledono esse un diritto che ad ogni cittadi. no incontrastabilmente compete. Chiunque può con la propria moneta comprare il bisognevole da chi gliel’ offre a miglior con- to ; nè si può senza ingiustizia proibire le provviste di ciò che trovasi fuori ad ottimo prezzo, per obbligare a comprar le mer- ci interne con più grave disborso. Furono giustamente paragonate le nazioni alle famiglie. Ogni uomo si eccupa a preferenza di quel lavoro nel quale è più eser- eitato , e nel quale per conseguenza ‘trova maggiore utilità . Sia- 28 no qualunque i prodotti della sua industria particolare, purchè abbiano sicuro smercio, egli sa che potrà cambiarli sempre in tutto ciò che ad esso abbisogna. Non abbandonerà mai il suo lavoro per quello d’ altri, all’ oggetto soltanto di dispensarsi dalla necessità di comprarlo . Così le nazioni moltiplicando e miglio- rando quei prodotti, i quali nelle loro respettive circostanze arre- cavo utilità maggiore, debbon comprare dalle estere ciò che ad esse abbisogna , piattostochè rinunziare a più vantaggiose occu- pazioni per procurarsi esse medesime le loro provviste. Ma non il solo desiderio d’ incoraggiar |’ industria domesti- ca consigliò i legislatori ad impedire le importazioni: fu benan- che il timore d’ imprudenza nei popoli ai quali fosse data il- limitata facoltà di comprare estere merci. E pel contrario ti- more, onde un’ eccessiva sete di guadagno non producesse penuria, furono le esportazioni talvolta proibite . Si temè eccesso di im- portazione , e in conseguanza pericolo di spese mal misurate ; sì; temè eccesso di esportazione, e in conseguenza mancanza di provvisioni, Le leggi vollero regolar l’ una e l’altra; come se della legge non fosse più chiaro veggente l’interesse privato. Difatti, ogni nazione tanto importa dalle estere, quanto que- ste da quella esportano. Altrimenti l’ una o le altre vendereb- bero senza pagamento. I prodotti corrono ove il bisogno li chiama ; non escono se non avanzano. Nel primo caso si rispar- miano molti inutili sacrifizi; nel secondo la libertà dell’ escita dà prezzo al superfluo: circostanza vantaggiosissima; poichè gran- dissimo inciampo all’ industria è il timor del superfluo. Proibir l’ esportazione quando i prodotti sono in eccesso, è a danno; proi= birla quando i prodotti posson sodisfar giustamente ai bisogni, è inutile: proibirla quando i prodotti mancano, è danno peggio- re. Allora non si può contare sui soccorsi stranieri, poichè, le porte chiuse all’ escire son chiuse anche all’ entrare; e chi pos- siede oggetti, che han valore, non li porta ove non possa a volontà sua disporne . Più ragionevol modo d’ incoraggiar l'industria crederono d'im- piegare i governi, e impiegano ancora assegnando premi all’ espor- tazione dei generi supposti sovrahbondanti. Ma non è questa di- sposizione legislativa più utile delle altre esaminate finguì ., Non ha bisogno d’incoraggiamento l’esportazione dei generi, che nell’in- terno o all’esterno posson trovare utile smercio. Resterà da pre- miarsi chi esporta generi la cui produzione è a scapito: a com- pensare il quale scapito appunto è destinato il premio. Così la hranca d’industria che sarebbe a perdita certa, non è più abban» d. donata. Ma chi ripara a questa perdita? Non gli esteri sicuramente, ma la nazione. Adunque lo scapito di una classe è distribuito fra tutte, ma resta sempre nell’ istessa misura. Lo scapito del lavoro che si è voluto incoraggiare, se non è risentito dagli indi- vidui, ricade sulla: massa. Così il desiderio, sebben lodevole, di provveder colle leggi ai bisogni dei popoli, ingrandì costantemente questi bisogni, e di- strusse i mezzi di sodisfarli . Altro esempio di simili conseguen- ze somministrano quei regolamenti coi quali si pretese di prov- vedere all’ ordine , alla giustizia , e alla buona fede delle giorna- liere contrattazioni, in special modo delle vettovaglie . L° inten- zione di stabilire un rapporto costante fra i mezzi del popolo e i suoi bisogni, suggerì l’ idea di fissare il prezzo dei viveri . I ‘governi saggi e moderati affidarono la vigilanza della legge al- ì’ onore , all’ amor di patria , e alla filantropìa dei migliori cit- tadini ; i governi tirannici al furore di agenti abominevoli . Con- seguenza necessaria di questi regolamenti fu lo scoraggiamento del- l’ agricoltura. Come coltivare i campi allorchè manca la cer- tezza di ricavar dai loro prodotti un prezzo proporzionale a quello delle cose necessarie al proprio mantenimento ? Fissato il prezzo dei viveri, si può forse regolar quello dell’ opera dei ma- nifattori , e la loro attività ? Le merci che han prezzo fissato dal- la legge debbon mancare al mercato , o giangervi di peggior qualità. Le quali conseguenze, che il ragionamento dimostra in- dispensabili, sono ampiamente confermate dai fatti. Chi non ram- menta la legge che nel 1813 fissò il massimo prezzo dei grani, ed i funesti effetti di essa? Altra volta in Toscana si facea bre- ve torto , seguito però da sollecito pentimento , alla libertà del- l’industria. La legge dei 30 ottobre 1792 stabilì i prezzi delle vettovalie. Ben tosto ne scarseggiarono i mercati; le speranze del popolo furono deluse. Alla pasqua del successivo anno non si trovarono agnelli al mercato di Firenze : il malcontento de- generò in clamore: il popolo fiorentino, dimentico dell’ ordinaria civiltà, recò pubblico insulto ai magistrati della Grascia. Allo- ra fu tolta ogni osservanza all’ esecuzione della legge: neppure fu rammentata per revocarla . Assai più gravemente provò i mali dell’ inceppamento del- l’ indastria, sul cadere dell’ultimo secolo, una nazione celebre per grandezza e per sventure. Avea il governo repubblicano di Francia proibita l’ esportazione del grano e dei bestiami. Proibita era l’importazione dei prodotti di popoli nemici, e 30 la Francia ne avea gran numero. Impediti assolutamente i cambi coll’ estero, non eran facili gl’interni per l’ instabilità del prezzo degli assegnati, moneta di quell’epoca. ‘L’ agricoltura cadde in scoraggimento : la carestia non tardò a manifestarsi. Il prezzo delle vettovaglie cresceva a dismisura ; il popolo escla- mava. Allora furon fissati i massimi prezzi dei viveri. L’in- dustria agricola, già vacillante, cadde a quest’ultimo colpo. Ces- sata la speranza di trovar nell’altezza dei prezzi compenso al- l’ eccesso delle spese di produzione , la cultura dei terreni re- stò abbandonata. La carestia divenne fame. Il grano mancava al bisogno: assunse il governo il carico della distribuzione . Non si poteva comprar grano senza la permissione dei magi- strati, senza la periaissione istessa non si poteva aver pane. Questo non bastava ‘alle giornaliere distribuzioni, nè ai più tardi, che ne erano rimasti privi, potevano farne parte i più solleciti che ne avevan ricevuto sole tre once per testa. A estremi mali successero ingiustizie enormi, La pubblica forza atterrò le porte dei privati granai; al coltivatore si lasciò il ri- stretto bisogno calcolato dagli agenti di polizia: il dipiù si portava al mercato per vendersi al prezzo della legge. Il possidente che abitava lontano dalle sue terre non po- teva mangiare il suo grano. Perquisizioni nelle case, vessazioni d’ogni maniera costringevano i possidenti a denunziare le loro raccolte: pene pecuniarie in principio punirono le false denun- zie, poi giungendo i mali all’ estremo, si diede morte a chi aveva nascosto il grano, morte a chi ne serbava più del ri- stretto bisogno, morte a chi lasciava i campi senza sementa . Così la Convenzione Nazionale involse la Francia in miserie inau- dite, e preparò la sua caduta. Le vittorie degli eserciti fran- cesi non bastarono a compensare gli errori di Parigi; mezzo milione di guerrieri morti trionfando non servì a sostenere un governo spinto dalle sue leggi a pronta rovina. Molti altri fatti potrebbero citarsi per dimostrare gli effetti funestissimi delle restrizioni. Non men significante di tutti, nè men dolorosa per noi è la scarsità delle manifatture in Toscana per difetto di capitali, conseguenza neccssaria dei lunghi vincoli. Impedita l’estera concorrenza, in un paese nel quale per la sua ristrettezza nessuna o piccolissima potea destarsene nell’ interno, l'industria senza stimolo, capace appena di supplirne al biso- gno del momento, non era in grado di cumular capitali, e pre- pararsi un più largo esercizio per |’ avvenire. 31 în cotal modo l’esperienza del passato comprovando am- piamente i risultati del ragionamento, pone la libera concorren- za per canone primo e fondamentale della pubblica economia. FERDINANDO TARTINI SALVATICI. @__1@zzz———————————————@<— + r”"r_no. eee La pittura Cremonese descritta dal Conte BartoLoMMEO Viponi. Milano 1824. Pierro GrorpanI a Giuserre MONTANI. Firenze 2 luglio 1825. Il Conte Bartolommeo Vidoni ha pubblicato la sua descrizione della pittura Cremonese : della quale opera parmi che dobbiamo congratularci non solamente con Cre- mona ma coll’Italia. Elegantissimo volume in foglio di 142 pagine; splendido di caratteri, di carta, e ( che più importa, ed è più raro ) di accuratissima correzione ; de- dicato dall'autore alla madre. L’imagine di lui, in abi to militare di cavalier gerosolimitano, è disegno ed inta- glio di Giovita Garavaglia. Direi lavoro bellissimo ; se vo= lessi esser deriso apponendo superflua lode a tal nome. Dopo una introduzione di 13 pagine ci dà il conte una mostra di XV pittori cremonesi, per 140 anni; comin- ciandosi da Bonifacio Bembo, del quale furono pitture in Milano segnate dell’anno 1461; sino a Giambattista Trotti vocato Mal-osso, che dopo l’anno 1600 dipingeva con emu= lazione di Agostino Caracci a Ranuccio I. Farnese nel pa- lazzo del giardino in Parma. Di ciascun pittore, secondo l’ordine de’ tempi, dà intagliato un dipinto: se non che di Boccaccino Boccaccio due tavole; di Bernardino Gatti, detto lombardamente il soglzaro, oltre un quadro a olio, un grande a fresco diviso in due carte; di Giulio Campi figlio di Galeazzo tre tavole. Cosicchè l’opera del Conte in 20. carte ci rappresenta 1g dipinti. ; Soddisfece ancora il generoso signore al giusto deside- rio degli amatori di queste bellissime arti, e diede ( quan- Sa to potè) le imagini de? pittori fatte da lor medesimi. queiîa di Camillo Boccaccino, nato di Boccaccio, e morto in gennaio del 1546. Quella di Galeazzo Campi, glorioso padre di gloriosi figli Antonio e Vincenzio, che del maggior fratello e maggior maestro Giulio furono allievi; e trovolla nella Galleria Medicea. Di Giulio diede una medaglia. Medaglia tolta dal museo Mazzucchelliano e ritratto di Bernardino Campi, nato nel 1522 da un Pietro, non attinente di sangue agli altri pittori dello stesso cognome. L'ultimo de? 5. ritratti è quello che la valorosa e bella discepola di Bernardino Campi e tanto lodata Sofonisba Angussola dipinse di se stessa. Disegnarono ed incisero ( assai lodevolmente , come si vede ) il Motta, il Miazzi, il Gravagni, il Ceresa, il Ferreri; i quali diresse il Garavaglia. E sin qui il Conte Vidoni come ricco e generoso ami= co delle Arti. Egli poi si mostra intelligente e pratico del disegno, ed elegante scrittore, nel giudizio che fa di ciascuno dei proposti dipinti, e nella notizia del pittore che ad ognuno mette innanzi. Chi tiene in pregio la brevità la proprietà la nobile schiettezza del dettato; chi abborrisce le gonfiezze i romori le tenebre i torcimenti dello stile, credo che di lui dovrà essere contento. Io mi asterrò dal- l’ ufficio di lodatore, per non esser detto da taluni pre- suntuoso: ma senza presunzione posso venir testimonio alla diligenza vereconda dello scrittore, che fuggendo saviamen- mente la stolta ambizione del far presto, nemica alla lode vera del far bene, studiò non pochi anni il suo lavoro: poichè mi è presente che sino del 18 in Venezia, per sua cortesia, me ne fece partecipe; e giudice ne fece il Conte Leopoldo Cicognara. Dall’approvazione di quel grande po- tè venire sicuro al giudizio del publico. Nella pagina 118 finiscono le notizie de’ pittori e le con- siderazioni delle pitture. Da quella sino alla 149 distende lo scrittore una tavola di altri LXXXVIH pittori, dal ri- sorgimento dell’arte sino all’anno 1750; nella qual tavola pur altri pittori non pochi, e artisti in altre parti del disegno nominò: fra questi Giovanni Beltrami, che da Gia- 33 como Guerrini ( nato nel 1721, vissuto 72 anni ) ha presi i principii del disegno; e d’intagliare in gemme è straor- dinariamente lodato. Giusto è, caro Montani, congratularsi colla tua Cre- mona; la quale ( se togli Firenze e Venezia ) non credo che sia vinta al paragone d’altra città d’ Italia nell’ avere bene meritato della pittura; chi guardi il mumero degli ar- tisti, continuato per quattro secoli , o la eccellenza delle opere di centocinquant’ anni. E mi pare che la onori non mediocremente l'esempio (troppo raro ) mostrato da Bar- tolommeo Vidoni, come possa un signore spendere nobil- mente l’ingegno e il tempo e l’oro. Con quest’ onorevole amico nostro congratuliamoci della lode che il bell’ inge- gno e i buoni studi e la bene usata ricchezza gli acqui- stano. Esser nobilissimo e dovizioso, figlio e fratello di principe, nipote di Cardinale, Conte de Soresina, Cava- lier di Malta, Ciamberlano d’ Imperatore, poteva. ba- stare a un animo vano; cui può parere assai magnifica felicità in superbo ozio sopportando i rodimenti della noia disprezzare i faticanti. Meglio a lui parve, e con profitto di molti, non contentarsi di fuggevoli ombre, e stampare în questa umana polvere un’orma, che lo raccomanda all’a- mor de’ viventi, alla memoria de’ futuri. Saggio sull’antica pittura tedesca , illustrata nella collezione di quadri de’ sigg. BoISseRÈEE E BERTRAM. Introduzione. Storia della collezione. {*) Mentre mi accingo a parlare di alcuni fra i più gloriosi mo- numenti dell’antica arte tedesca, i quali, non sono molti anni, gia- cevano o sconosciuti o negletti , quanto mi è grato il pensiero che all’ Italia, alla nutrice (lette arti sono Hiralte le mie parole, e particolarmente a quella parte d’Italia, nella quale prima d’o- (*) Per le notizie seguenti mi sono prevalso d’un eccellente articolo del sig. Prof. Schuab inserito nel Dizionario Enciclopedico tedesco , conosciuto. sotto il nome di Conversations Lexicon ( Lipsia 1824. 6. edizione ); molto. ancor debbo alla gentile assistenza de’ sigg. Boisserée, T. XIX. Luglio 3 34 gni altra fiorirono; e che già può conoscere in parte il soggetto del quale stò per occuparmi, dai bellissimi disegni litografici qui pubblicati, che si conservano fra i tesori di quella biblio- teca con tanto amore raccolta dall’ ottimo Ferdinando! Deve la Toscana sentir vaghezza di apprendere come riva- leggiasse con lei la Germania ; quali monumenti rimangano del- la più antica fralle sue scuole ; quali favorevoli circostanze contribuissero allo sviluppo dell’arte; a qual perfezione giun- gesse questa nelle mani de’ grandi maestri de’ Paesi Bassi; co- me infine in parte seguendo le loro tracce, e in parte appog- giata a principii proprii, sorgesse nuova scuola nell’ alta Ger- mania , finchè a poco a poco lo spirito d’imitazione, distrag- gendo il carattere nazionale dell’arte tedesca, la confondesse in parte con l’arte italiana , e in parte la rivolgesse a meno clas- sico studio nella seconda scuola fiamminga, Ma siccome quanto più ci appressiamo a queste ultime vi- cende, tanto più sono generalmente divulgate le notizie dell’arte, così mi tratterrò principalmente sulle opere più antiche ; e poi- chè ogni mia osservazione si appoggierà sopra monumenti che ho sott'occhio e che mi stadierò di descrivere , voglio prima di tutto esporre la storia di questi , cioè la storia della colle- zione di antichi dipinti tedeschi e de’Paesi Bassi, raccolta e pos- seduta dai sigg. Boissereé e Bertram. Quanto finora conoscevasi dell'antica pittura tedesca, limi- tavasi generalmente alle opere della scuola dell’ alta Germania, e de’ suoi più famosi maestri Durero, Cranach e Olbenio; delle produzioni di Gio. d’ Eyck non avevansi che superficiali notizie; gli altri maestri della bassa Germania, come Hemling, Maboggio, Shooreel e molti altri, erano quasi del tutto obliati, e non ave- vasi alcuna giusta cognizione dello stato della pittura prima di Giovvani d’Eyck. Ma le ricerche de’ sigg. Boissereé e Bertram hanno sparso nuova luce sugli oscuri tempi ne’ quali ne era av- volta l’ origine, e ad essi devesi la scoperta che la Germa- nia, fino dal secolo XIII, aveva in Colonia una ragguardevole scuola di pittura, la quale come l’italiana derivò dall’ antica Bizanto, masi sviluppò in modo tutto proprio sì per il colo- rito sì per lo stile. Nè per tale scoperta rimase oscurato il merito di Giovanni d’ Eyck; chè anzi di lui e de’ suoi segua- ci salì per opera di questi signori più chiara la fama, per gli stupendi quadri che ne discuoprirono, e che mentre formano l'ammirazione di ognuno, servono poi, paragonati a quelli della scuola di Colonia , a mostrare quanto più alto de’ loro prede- 35, eessori 8’ innalzassero i maestri della bassa Germania , e quanto fosse iniquo 1’ oblio in che erano avvolti. Così questa collezio- ne dilata i confini della storia dell’ arte, e mentre ne segue l’ origine e i progressi, ne presenta l’ insieme sotto un punto di vista nuovo e completo. Io non ripeterò in questo luogo ciò che lo scritto del sig. Conte Cicognara ha già fatto conoscere intorno alle opere che compongono questa raccolta , ai secoli che abbraccia , e alle va. rie scuole che vi sono illustrate : cose tutte che ove si cerchi in compendio conoscerle, trovansi nel citato articolo egregiamente esposte; ed ove si brami averne più ampia contezza, si ritroveranno a parte a parte trattate ne’ seguenti capitoli , onde io quì non voglio che brevemente rispondere alle domande che devono naturalmente affacciarsi allo spirito d’ ogni lettore : ,, come mai giungesse a formarsi sì rara collezione? e come tante opere in- signi venissero per gli sforzi di alcuni particolari, non pure acqui- state, ma del tutto scoperte ,, ? I sigg. Sulpizio e Melchiorre Boissereé di Colonia , ai quali per amicizia e per similitudine di studii si unì il sig. Giovanni Bertram loro concittadino, fecero nell’anno 1803 wu viaggio @ Parigi. Qui si trattennero circa nove mesì , godendo della so- cietà ed istruzione del celebre Fed. Schlegel, col quale am- mirando i capi d’opera raccolti allora in quella capitale, sen- tirono vivamente accendersi dall’ amore delle arti belle , per le quali già gli aveano disposti gli scritti di Forster, di Goethe, di Tieck e di Schlegel, e le frequenti visite alla Galleria di Dusseldorf. Fra i quadri del Museo di Parigi, ne erano alcuni di antichi maestri tedeschi, che il Direttore sig. Denon avea saputo apprezzare non solo sotto un punto di vista storico, ma anche per il loro merito proprio ; e alla lor vista gli ami- ci di Colonia si rammentarono di aver veduti nella loro pa - tria simili quadri, e ne parlarono allo Schlegel, che poi gli accompagnò nel loro ritorno sul principio del 1804. La città di Colonia aveva essa pure risentiti gli effetti della rivoluzione francese ; molte chiese e molti conventi erano stati soppressi e spogliati; e se nell’ universale scompiglio, molte preziose pit- ture erano andate disperse, molte ancora, scovosciute per l’ in- manzi, erano venute alla luce, ed erano cadate in gran parte nelle mani di rigattieri , dalle quali le avevano ritratte alcuni conoscitori particolari. ,, In questo stato trovarono gli amici » le cose quando giunsero in Colonia con Fed. Schlegel. Tutto 1» fa in comune osservato; ammirato e discusso ; le loro spe- 36 s; ranze erano superate; eppure que’ tesori che aveano sott’oc- ;, chio, non erano che resti di terribil naufragio! ,, Con tal pensiero non v’ era bisogno che d’un felice accidente per de- stare in essi l’idea di tentare se potessero eglino pure salvare alcuni di que’ tesori patrii, e la fortuna favorevole gli condusse un giorno sulla pubblica piazza, ove a caso incontrarono un vecchio quadro rappresentante S. Veronica che incontra Gesù sutla via del Calvario, che fu poi riconosciuto esser opera di Ioraele di Mechenem. Fu questo il primo fondamento della loro raccolta, che dapprima non fece rapidi progressi , perchè que- sti signori, non occupandosene per allora che come di oggetto secondario e di puro diletto , consacravano con altre vedute il loro tempo a studi storici e filosofici, nei quali ricevevano sem- pre giovamento dallo Schlegel, che come professore erasi sta- bilito in Golonia. Tuttavia | interesse ch’ essi avevano per le arti gli animò a fare continuamente delle ricerche sopra le an- tiche pitture che incontravano, e così giunsero alla scoperta d’ una scuola bizantino-tedesca , l’ esistenza della quale neppur sospettavasi. Imperocchè quelle opere , che allora riguardavansi come anteriori ai tempi di Giovanni d’ Eyck, non davano a supporre la loro maggiore antichità che per la loro rozzezza, e per il rapporto che aveano , nel disegno e nello stile, con le opere di lui. È Allorehè dunque i sigg. Boisserée videro per la prima volta in una chiesa di Colonia un quadro di carattere bizantino, do- veltero naturalmente essere indotti a crederlo di origine stra- niera. Varii antichi quadri che avevano veduto in Parigi, ed uno singolarmente tolto dalla chiesa di S. Luigi in Roma, rap- presentante gli Apostoli, in campo d’oro, avevano somministra- to loro qualche idea della maniera bizantino-italiana , e la so- miglianza del dipinto da essi scoperto in Colonia con quello veduto in Parigi era altrettanto sensibile, quanto lo era la sua differenza dagli altri antichi quadri tedeschi, che supponevansi anteriori ad Eych. E però lo tennero dapprima per italiano , confermandoli nelia loro congettura le frequenti relazioni della Germania con l’Italia ne’ secoli XIII e XIV. Ma continuando le loro ricerche, trovarono in antiche chiese e monasterii un sì gran numero di opere di vario merito in muro e in tavola alcune delle quali con iscrizioni e date, che non restò più in essi alcun dubbio sopra i due segaenti fatti. 1. che le opere fino allora credute di antecessori d’ Eyck erano anzi di segua- ci di lui, e 2.° che prima di Gio. d’ Eyck una scuola di pit- 37 tura erasi, come in Italia, sviluppata in Germania dietro i co- muni principii dell’arte bizantina, ma con caratteri distintivi e nazionali. : Una scoperta sì importante ben doveva far nascere in essi il desiderio di raccogliere vna serie di quadri di questa scuola, a fine d’ illustrare nel miglior modo possibile il nuovo periodo ch’ essi avevano aggiunto alla storia dell’ arte, e l’esito il più felice coronò la loro intrapresa. Un certo riguardo tra- dizionale aveva fatto rispettare molti antichi dipinti, e quan- tunque la maggior parte avesse già da più secoli dovuto ce- dere nelle chiese il posto a nuovi ornamenti, pure nelle sacre- stie, nelle cappelle, nelle stanze di capitoli ec. ove erano stati trasferiti, venivano, benchè poco riguardati, non pertanto assai ben tenuti e stimati. Dopo lunghe premure giunsero ad acqui- starne alcuni, e vennero così nel 1808 in possesso di un pic- ciol numero di quei tesori che formano adesso il decoro mag. giore della loro collezione. Quest’ anno fu decisivo pe’ nostri amici, imperocchèé vedendo l’importanza e la possibilità della loro intrapresa, sentirono che dedicandosi intieramente alla sto- ria delle arti, e abbracciando nelle loro ricerche non solo cià che riguardava l’antica scuola di Colonia, ma le altre ancora che avevano ne’ passati secoli illustrata la Germania , potrebbe- ro rivendicare alla patria una gloria, di cui il tempo el’ igno- ranza l'avevano in certo modo spogliata. Intanto il maggior Boisserée aveva intrapresi profondi stu- dii sull’antica architettura tedesca, che lo avevano indotto a considerare il Duomo di Colonia come un capo d’opera d'un’ arte cotanto negletta. Egli volle farlo conoscere all’ Europa per mezzo dell’ incisione; e per procurarsi gli artisti a ciò ne- cessari, ed estendere al tempo stesso le loro cognizioni sulle an- tiche pitture tedesche, visitarono i tre amici molte città della Germania, e questo viaggio riuscì ad essi molto utile dando luogo a importanti osservazioni, che dovevano dare sviluppo maggiore alle loro idee sopra vari punti importanti della storia delle arti. Imperocchè nel vedere l’opere di pittura raccolte nel- le gallerie di Monaco e di Schleisheim, giunsero alla certezza che la scuola dell’alta Germania, tanto. per il tempo che per il merito delle sue produzioni, non poteva competere con quella della bassa Germania, sulla quale in certo modo appoggiavasi , e al tempo stesso si sviluppò maggiormente in essi il pensiero che la fama europea di Gio. d’ Eyck era fondata, non tanto sul- la contestata scoperta della mistura materiale de’colori con olio, 38 quanto sn ciò ch'egli abbandonando del tutto la maniera bi- zautina , aveva con l'imitazione della natura, e con la mara- vigliosa accuratezza della sua esecuzione , dato un nuovo impulso all’ arte. Questa idea fu per lungo tempo il tema principale del- le ricerche e degli studi de’ nostri amici, ed ebbero il piacere di vederla confermata dalla scoperta di nuovi quadri di stra- ordinaria bellezza, tanto che poterono farne riconoscere la ve- rità ai più distinti conoscitori ed artisti . Nell’ anno 1809, il minore Boisserée con l' amico sig. Ber- tram, continuarono le loro ricerche per arricchire la loro col- lezione, mentre il. maggiore Boisserée era tutto occupato de’suoi lavori per la grand’ opera del duomo di Colonia, i disegni del quale furono in gran parte terminati l’anno seguente. Fu in quest’ anno medesimo che con molti sacrifizi fecero l’ acquisto, da un dotto particolare in Colonia, del famoso quadro della Morte di Maria opera di Gio. Shoreel, e con questo e po- chi altri, fra i quali Za Presentazione al Tempio di Gio. d'Eyck, vennero in Heidelberg, per godere in questa città d'un più vivo commercio con uomini scienziati, e avere più mezzi da continuare i loro studii storici ed antiquarii. I pochi quadri che avevano seco loro portati, eccitarono un sì vivo in teresse fra i conoscitori, che fecero venire da Colonia il ri- manente della loro raccolta, che ben presto fu conosciuta ‘e ammirata, benchè non consistesse allora che nella metà delle opere che adesso possiede. Negli anni 1812 e 1813, fece il mi- nore Boisserée de’ viaggi ne’ Paesi-Bassi, ove gli riuscì di fare ragguardevoli acquisti, fra i quali il S. Cristofano, ed altri maggiori quadri di Hemling, il quale, benchè quasi sconosciuto nel resto dell’ Europa, era però ancora giustamente apprezzato nella sua patria, e le opere sue con gran cura venivano conser- vate. Un quadro di questo gran maestro, che i nostri racco- glitori avevano veduto in Parigi, aveva dato luogo a uno scritto dello Schlegel, sopra questo artista; ma da quel tempo non avevano più veduto alcuna sua opera. I dipinti che trovò il gio- vine Boisserée, mentre servirono a farne conoscere l’eccellenza, aggiunsero nuovo onore alla memoria di Gio. d’Eyck, del quale Hemling era scolare; nè meno in seguito di questi viaggi tornò chiara a rivivere la fama dei distinti pittori Maboggio e Sho- reel, ai quali erano stati fino allora attribaiti quadri poco degni di «î grandi maestri. Heidelberg, città floridissima e sede d’ una università nella parte della Germania la più visitata dagli stranieri, offriva 39 ai raccoglitori il più bel campo per dispiegare i bei frutti della loro lodevole attività. I grandi avvenimenti politici degli an- ni 1813-15, radunando in questa città un prodigioso numero di grandi personaggi, la fama di questa raccolta andò sempre cre- scendo , e il Goethe, che in questo tempo venne più volte a ammirarla, fu il primo che nella sua operetta sulle anzichità del Reno e del Meno fece conoscere al pubblico i due prin- cipali risultati storici di questa raccolta, cioè il rapporto del- l'antica pittura tedesca con la scuola bizantina , e la vera e grande influenza di Gio d’Eych. Sempre più generale facevasi così l'interesse che destar doveva la riunione di tante produ- zioni patrie; ma l’ ammirazione della quale erano questi dive- nuti oggetto, lungi dal far sì che i nostri amici si rimanessero contenti di quanto aveano già fatto , non fece che eccitarli a maggiori ricerche , e in varii viaggi molti altri bellissimi qua- dri vi aggiunsero di Giov. d’Eych, del Maboggio, del Durero e d’altri maestri, finchè nel 1817. acquistarono ancora la famosa te- sta di Cristo di Hemling, di grandezza naturale. Ma il numero dei tracatri cresciuto ormai a più di 200, rendeva angusto il locale che avevano in Heidelberg. Il Re di Wurtemberg, che nel 1818 li visitò con l'imperatrice Madre di Russia, osservando questo inconveniente, offrì loro nel modo più generoso uno spazioso locale in Stutgardia, ove si trasferirono nel 1819. Da quel tem- po non hanno cessato di render quasi pubblica la loro colle- zione; accogliendo quasi giornalmente nùmerose persone, presso alle quali essi medesimi, senza curare il tempo e l’ incomodo, si fanno còn ogni compiacenza illustratori di quanto è più meri- tevole d'attenzione ; e per maggiormente spargere la gloria del- l'arte tedesca, impiegano già dal 1821 il celebre litografo sig. Strixner, che quì a bella posta è venuto da Monaco a stabilirsi, per disegnarne le opere le più ragguardevoli, che accompagnate verranno da storiche illustrazioni. Tale è la storia della ‘collezione della quale mi accingo a dar ragguaglio all’ Italia. Non mi sfugge la vastità dell’ impre- sa, nè la mia debolezza, e però io non voleva, dapprima, che descrivere parzialmente alcuni de’ quadri i più ragguardevoli ; ma espresso il mio proponimento al sig. Boisseré e al sig. Dr. Schorn, essi mi si sono mostrati tanto cortesi, i primi, non solo coll’aprirmi in ogni tempo libero l’ adito alla collezione, e coll’as- sistermi nelle mie osservazioni, ma ancora col pormi nelle ma- mi varie opere che poteano giovarmi; e il secondo col comuni- carmi quanto egli stesso avea scritto sopra il medesimo argomen- 40 to, nel celebratissimo Aunst5/a/:, che male avrei creduto rispon- dere a tanta gentilezza, se non avessi fatto uso de’ ricchi mate- riali, che venivano posti a mia disposizione. Ma non pertanto in questa stessa abbondanza avrei trovata nuova sorgente di perplessità, se il seguente squarcio di Goethe non mi, avesse additata una traccia, dietro la quale progredendo potea nutrire migliore speranza di riuscita . “ ‘Tornando dopo un anno d'in- tervallo (così si esprime quel venerabil padre della moderna letteratura tedesca ) a contemplare la collezione de’ sigg. Bois- serée e Berilram, e penetrando più addentro nello spirito e nell’og- getto della medesima , benchè desideroso io mi sia di farne pub- biicamente parola, pure mi si fanno incontro tutte. le già pre- viste difficoltà. Imperocchè mentre il pregio principale dell’ arie in ciò consiste, che le sue produzioni possono bensì adombravsi, ma non rendersi con parole, così chi ha mente chiara compren- de, ch'egli si accinge a impossibil cosa, se non impone a sè medesimo un termi. . Allora egli dee riconoscere che : la via della storia è quella, sulla quale può agire nel modo il più chiaro e il più utile. E però abbraccierà il proponimento di fare onore a sì ricca e sì ben ordinata raccolta, col tentare di render conto, non tanto delle opere stesse, quanto del rapporto che hanno fra loro... E così farà che piena giustizia sia resa ai lavori de’ quali si occupa, e ne tratterà in modo, che il pro- fondo conoscitore della storia assegnerà loro di buon animo il posto che meritano nel vasto circolo del dominio generale delle arti ;,. ( Goethe. Oper. cit. p. 192.) Cercando di seguire, per quanto sarà nelle mie forze, l’ ot- time prescrizioni del Goethe, non perderò di vista , ch’ egli espres- samente suppone, che i suoi lettori abbiano presente agli oc- chi o alla memoria la collezione medesima , mentre. io dovrò, per essere inteso, far precedere la descrizione al ragionamento; nè piccola è tal differenza, trattandosi di descrivere opere, nelle quali la minuta finitezza esige pari minutezza nel dire. Confidandomi tuttavia nell’ indulgenza de’ miei lettori, e con- scio a me stesso di non aver risparmiata, fatica per mettermi in caso di trattare degnamente l'argomento propostomi, mi conforterò nella mia intrapresa, e ne’ seguenti articoli, verrò a mano a ma- no a parlare in ordine cronologico , di quanto di più interessante contiensi in questa preziosissima collezione. E. M. 41 Viaggi del Capitano A. Gorpon Lainc pei paesi di Timan- noe, Kooranco, e Sooloma , alle sorgenti del Rokelle e del Nigri, nell’anno 1822. ( Estratto dal Quarterly Review ). La morte di Sir Charles M’ Carthy può riguardarsi co- me una delle più grandi disavventure , che accader potes- sero agli abitanti di Sierra Leone, e a tutte quelle tribù d’in- digeni confinanti con questo stabilimento . Il migliorare la lo- ro condizione col rischiararne le menti e rivolgerne i pen- sieri a industriose intraprese, onde por gradatamente un fine al grande e forse unico ostacolo che opponevasi alle sue mi- re, quello cioè del traffico dell’uman genere, erano gli og- getti che interessavano più intimamente il cuore di quel gene- rale; e a questo scopo appunto erano principalmente dirette le missioni del luogotenente (ora maggiore ) Laing. Le istru- zioni di questo ufficiale portavano ch'egli avesse ad accertarsi dello stato del paese, della disposizione dei suoi abitanti, del- l’ industria e del commercio; e ad investigare i loro sentimen- ti e la loro condotta riguardo all’ abolizione del traffico degli schiavi. All’ epoca della di lui partenza per questa missione, pare che poco più fosse conosciuto a Sierra Leone, oltre il no- me dei Soolimanas; e gli dicevano distanti 3 o 4 cento miglia al- l’ Est; mentre, come quindi fu riconosciuto , sole 200 miglia se ne allontana Talala lor capitale. Veniano rappresentati co- me una nazione poderosa , ricca d’oro e d’ avorio; lo che però discomparve pure col fatto. Poco o nulla conosceasi insomma di essi, come pure delle altre tribù molto più vicine alle coste. Al di lui arrivo a Toma nel paese di Timannee ben si avvide il maggior Laing di non esservi giammai stato prece- duto da alcun bianco. “ La prima sorpresa, ;, dice egli, 3» mostrossi in una donna, che fermatasi come una statua a ri- »» guardar la compagnia che entrava nella città, non scosse mu- 3; scolo prima che fossimo tutti passati; quando mandò un al- 3) tissimo grido di sorpresa, coprendosi ia bocca con ambe le 3 mani ;,. Assai sfavorevolmente invero ci viene dal Capitano Laing dipinto il carattere di questo popolo. Per quanto ei sep- pe conoscerlo, trovollo depravato , licenzioso , indolente ed ava- ro ; e tale inoltre era in esso il desiderio di quell’ esecrabile commercio , che svelle fin da radice ogni germe d’ industria; che distrugge i legami dell’ ordine sociale , ed estingue perfino ì più teneri e potenti sentimenti di natura, ch’ei giunse al 42 punto di vedersi ingiuriato da due madri, per aver egli ricusato di comprare i loro propri figli , le quali gridarono contro di lui, co- me contro uno di quei bianchi, che impedendo la vendita degli schiavi, danneggiavano la prosperità di quel paese. La mala condotta del bello o piuttosto nero sesso di 'Timannee lo resero un oggetto particolare di disprezzo per quei viaggiatori, i quali lo accusano di disonestà, e di una tal mancanza di decenza, ch'egli non parea averne alcuna idea. “ Ho vedute, dice il Maggior Laiog, in alcune circostanze delle donne già adul- »» te, madri di famiglia, nude come al momento della loro » nascita, ed ignare del disgusto cagionato dalla loro presenza,,. Il paese è tutto ricoperto di spesse foreste che nascondono ban- de di cacciatori, e ladri di schiavi, conosciuti sotto il nome di Purah. Questi sgherri sbucano dai loro agguati su’ disarmati viaggiatori, ch’ ei portan seco, e de’ quali non s'intende poi più parlare. Si dice ancora ch’ ei facciano di notte tempo fre- quenti irruzioni nelle città e nei villaggi, simili a quelle dei Decoits dell’Indostan , portandone via gli abitanti insieme con tutto ciò che può venir loro alle mani. L’ esistenza di queste numerose bande, e la general dissolutezza dei costumi del po- polo, non poca sorpresa arrecarono ai nostri viaggiatori, ve- dendo che un paese così prossimo a Sierra Leone sì poco aves- se guadagnato . Il di lui ingresso nel paese di Kooranko fu per lui di mi- glior augurio. « Entrando nella prima città , l’occhio è immediatamente »» colpito da ammirevole cangiamento : la piccola, mal costrut- 3) ta capanna, coperta di glebe, dà luogo allo spazioso e circolare » edifizio a tetto conico, destramente adornato di argille; e 3» Il sucido spazio che fronteggia la casa solitaria d’ ogni indi- 3» viduo, rimpiazzato da netto e ingegnosamente palizzato cor- 3, tile; le intelaiature delle porte sono fatte di Bamboo, e le for- » melle di canne intessute. Entrai nella città sul tramontare del »» sole, e ricevei immediatamente degli abitanti la più favore- »» vole impressione , Ritornavano eglino dalle loro giornaliere fa- » tiche, portando ognuno seco le prove della industriosa sua », occupazione, altri erano andati preparando i campi per le rac- » colte, che le vicine pioggie doveano matarare ; altri rinchiu- » dendo alcuni bestiami , i di cui rilucenti fianchi e tranquillo » sguardo dimostravano la ricchezza delle loro pasture . Risuo- 7 nava appunto per l’ultimo squillo la percossa ancudine del- » l'abbrunito fabbro; il tessitore stava misurando la tela del 45 »» giorno, e il lavorator di cuoiami rianevdo in un ampio Aatakoo , 3, 0 sacco, le sue ben macchiate borse, scarpe e vagine da col- »; telli; mentre il gridatore della moschea col suo melancolico ,, Alla Akbar ,, ripetuto a misurati intervalli, invitava i devoti », musulmanni alle preci della sera. L°intiera scena faceva sì » per l’ apparenza che pel sentimento un piacevole contrasto » col rumore, la confusione e la leggerezza che riempiono al- » l’istessa ora le città di Timanee : contrasto che fortemente », inpegnommi a favor degli abitanti, abbenchè la susseguente 7 loro condotta non confermasse poi la buona opinione ch’ io 3» m' era disposto a formarne ,,. p. 108. Diverse famiglie di Mandingo sono sparse su quella parte del paese; gente di cui Park ci ha dati molti interessanti parti- colari, e della cui nettezza nel vestiario, prevenente apparenza, ben formato e grazioso personale , accompagnato da fattezze re- golari ed aperte , il Maggior Laing parla nei termini i più fa- vorevoli. Dispersi come ei sono, e separati dal proprio pae- se, sono rigidamente attaccati ai costumi della loro tribù, e scrupolosamente osservanti del respettivo grado della loro sucie- tà, nella quale primo in ordine viene il capo, poi il maestro del Corano, quindi i condottieri : seguono poi quattro profes- sioni, l’oratore o leggista, il suonatore , il calzotaro, e il fab- bro; quindi i borghesi, ed ultimi gli schiavi, che non è però permesso di vendere, qualora sieno nativi del paese. Abbondanti sono i mezzi di sussistenza generalmente posseduti dagli abitan- ti. Il riso e il miele formano il cibo loro favorito ; ma hanno inoltre gran copia di cassada, di yams ( sorta di patate ), di noci terrestri, e della nutrente piantaggiue, che si dice cre- scere incolta pei boschi. All’avvicinarsi delle altare , o di quei ronconi (Buttresses), che si sporgono in fuori dal gran mucchio di montagne, le quali incomin- ciano a mostrare le azzurre lor cime verso levante, nulla havvi di più bello e di più animato dei ben ricoperti terreni, delle valli coltivate e dei prati sorridenti di verdura, sui quali ne- gligentemente andavano pascolando numerosi armenti di grosse e rossicce vitelle, e greggi di pecore. Avea il popolo d’ogni cit- tà tutta l’ apparenza del contento , della felicità e del più gra- devole buon umore. Furono i nostri viaggiatori ricevuti da essi con gran cortesia , festeggiati e divertiti ovunque accadeva loro di fermarsi, con canti e danze nazionali. Il ritornello della can- zone d’uno dei loro musici era: “ L’ uomo bianco che vivea sull'acqua e nutriasi solo di pesce, che lo facea sì magro; ma 44 che gli uomini neri gli darebbero a mangiare della vacca @ della pecora, e a bever latte; e allora diverrebbe grasso ,,. Serve questo piccolo tratto a mostrar la cortese disposizione di questo popolo. La be!lezza della scena andava crescendo a misura che i nostri viaggiatori si approssimavano alla incolta campagna, pres- so la base del gran ceppo di montagne. Immensi blocchi di granito vedeansi sparsi pella superficie; ed era l’ ago attrat- to da abbondanti pietre ferrigne, che il popolo andava fon- dendo nelle semplici fornaci descritteci da Lyon, e che sono sì comuni nella maggior parte dell’Affrica, Benissimo coltivata era la campagna; ed i giardini netti, e di gran lunga superiori a quelli di Timanee : gli uomini erano tutti occupati nei poderi, cosicchè le sole donne rimanevano per portare il bagaglio della conpagnia. I Koorankos vengono descritti dal Maggior Laing, come di molto inferiori ai Mandingos, cui rassomigliano nel ve- stire , nelle maniere e nel linguaggio; ma assai però superiori ai Timannei in quanto alla civilizzazione. Parte degl’ indigeni sono stati convertiti a una sorta di semi-maomettismo , ma la massa però del popolo sono pagani. Ambi le sette, se tali posson chiamarsi , festeggiano i morti con le strida , e passano la sera del funerale in musiche e danze. Le donne si occu- pano principalmente in filar cotone e farne una semplice ma ingegnosa tela, che vien poi tinta con indaco. Nonostante la evi- dente disposizione alla civiltà ed al buon cuore, questo , come la maggior parte dei popoli dell’Affrica , non può raffrenarsi al- l’ aspetto del bottino. Il nostro Maggiore incontrò a Komato, ultima città dei Koo- rankos, un messaggiere del re di Soclimana con cavalli e vet- turali per condurlo a Falaba, capitale di quel regno. Non lungi dalla città ebbero a traversare il fume Rokelle, largo circa 100. braccia, per mezzo di due ben torli canapi di giunchi ( ver- mene ), sospesi ai rami di due immensi alberi, che favorevol- mente inclinavansi a tal nopo dagli opposti margini del fiume, Questa sorta di ponte sospeso, chiamasi Nyankata, che per rozzo che si fosse, dice il Maggiore “ fu il primo indizio di coope- razione in lavori di pubblica utilità, in che io m’imbattessi dopo lasciato Sierra Leone, e lo salutai pieno di gioja, come un sintomo di futuro miglioramento ,,. Durante tutto il loro viaggio nel paese di Soolimana vennero i nostri viaggiatori ricevuti colla maggiore ospitalità. Ognuno fu studioso di render loro servigio; e passando essi di città A in città, si videro incontrati da brigate che a bella posta usci» vano da ognuna di esse fra canti e suoni portando loro pre- senti d’ uova, latte e uccellame, Giovani e vecchi , dice il Maggiore, prendevano parte alla vivace e dolce musica del Ballafoo ; le arie erano dolci e selvaggie , ed eccitavano in me una tal rimembranza degli anni miei giovanili, che potea io col menomo sforzo esser indotto ad unirmi al giolito della brigata ,,. All’ultima città prima di arrivare alla capitale , il nostro viaggiatore venne incontrato dal figlio del re, cavalcando un su- perbo destriero , e seguito da diversi guerrieri ugualmente ben montati, il quale esposegli l’ansioso desiderio , in cui era il re suo padre, di vederlo nella capitale; abbenchè bramoso d’ altronde ch’ ei non venisse ad ammalare per troppo affrettarsi nel viaggio. Fece quindi uccidere un toro pel servizio dei cavallari. Il Maggiore ci dice che ‘ per diverse miglia intorno a questa città, gode il terreno del migliore stato di coltivazione, e fa supporre una cognizione dell’agricoltura, superiore a quella pos- seduta dagli abitanti del paese ch'io aveva già attraversato. Fui particolarmente sorpreso dell’ apparente nettezza delle ter- re, e dell’ attenta provvidenza dei contadini nel mondar da ogni erba inutile estese piantagioni di nascente riso e noci ter- restri, come pure della regolarità e bellezza degli alternati sol- chi di yams, cassada e grano, mentre numerosi greggi di pecore e armenti di vacche andavano pascolando per le fertili praterie. < Pag. 224. 225. Egli poscia così descrive il suo ingresso in Falaba. « Erano circa ro ore, quando venimmo in vista di que- sta lungamente desiderata città, che ricopre un’ immensa esten- sione di suolo in mezzo a una ridente vallata, cui fan corona intorno leggiadre collinette. Vi scendemmo dalla parte del sud : venimmo poscia condotti fino alla porta boreale, e quindi in- trodotti nella capitale della nazione di Soolimana. Passammo per una strada o gola di circa mezzo miglio, ad una spaziosa esten- sione di aperta campagna , quasi nel centro della città, in un canto della quale trovammo assisi oltre a 2,000. uomini, armati di moschetti, archi e lancie. Appena entrato, fui salutato da una grave e irregolare scarica di moschetteria, che pose sfortunata- mente in ardenza il mio cavallo: ed essendo io sprovvisto di sferza e di sproni onde metterlo a dovere, mi trovai astrelto di ricorrere al freno; ma ignaro quale mi era del potere di questo arnese, costrinsi il cavallo ad arretrarsi fra gli arma- 46 ti, che vennero per questo retrogrado movimento in qualche disordine: nè doverono certo formarsi una favorevole opinione della mia destrezza nel maneggiar cavalli. Com’ io fui un po- co rimesso dalla balordaggine della mia prima comparsa, ordi- nai alla mia compagnia che il saluto fosse restituito con tre salve; quindi smontando da cavallo strinsi la mano di sua maestà che pose nella mia due anelli d’oro massiccio, e invi- tommi ad assidermi accanto a lui. Era egli un bell’ uomo di circa 60 anni; la sua fisonomia dolce e piacevole, e di un’ in- genua espressione ; la di lui statura piuttosto maggiore del- l’ ordinario dei Soosoos, avendo circa 5 piedi e 8 pollici di al- tezza ; e il suo aperto vestiario di drappo nero del paese con- veniagli perfettamente. Ero appena sedato , quando il mio yec- chio amico Yarradee ( più splendidamente abbigliato della pri- ma volta ch’ io lo vidi al campo nel paese di Mandingo ), montato sopra un focoso destriero, attraversò la parata a gran galoppo, seguito da circa 30 cavalieri e 2000 pedoni, gli ul- timi dei quali marciando precipitosamente, facean fuoco su tutte le direzioni. Dopo un lasso di alcuni minuti la cavalleria tor- nò indietro ed eseguì vari movimenti ed evoluzioni che du- rarono circa mezza ora, con gran divertimento ed ammirazione dei miei compagni , parte dei quali, che aveano seguito l’ in- felice fu Maggior Peddie , e quindi il Maggior Gray in Boon- don , confessarono esser questa la più bella mostra di che fossero stati fino allora testimoni. Yarradee scese quindi dal suo cavallo, e prendendo l’arco, ne trasse la corda all'ultima esten- sione, volendo scoccare un dardo contro qualche oggetto distan- te : lo andava quindi spiando dritto sulla punta dei piedi colla maggiore attenzione, finchè giunto quello al segno, fece egli un salto, sorridendo di sodisfazione; percuotendosi poi colla destra il petto, e sfigurando la faccia sua, naturalmente de- forme, con isconcie contorsioni, ordinò zi suoi guerrieri di seguirlo , lo che fecero con un clamore che ripercosse in cie- lo; avanzando quindi per alcuni passi, si arrestarono ad un tratto, e facendo attenzione a Yarradee, che con occhi di fal- cone stava vegliando sui movimenti del suo opposto nemico, attendeano i di lui ordini per iscoccare i loro strali, Sca- gliati ch’ ei gli ebbero , ognun di loro seguì la traccia del vo- lante suo dardo, mostrando segni di sodisfazione o di dispiacere secondo che avea bene eseguito o mancato il finto colpo. Il volo degli strali fu seguito da una salva di moschetteria, dopo la quale lancie e coltelli furono posti in azione per tagliarne in 47 pezzi lo sconfitto nemico. Durante l'esecuzione di questi bel. licosi movimenti, un’ altra. mano di popolo non istava punto oziosa : più di cento musici andavano suonando diversi istru- menti come tamburi, flauti, ballafoos ed arpe di un rozzo la- voro, con molti altri che sarebbe noioso il raccontare; e il di cui frastuono , che servir quasi potrebbe a far crepare il timpano d’ un orecchio ordinario, obbligò me a rinforzare i mici con del cotone. Due particolarmente di costoro anda- vano martellando con urtante perseveranza, e con la vio- lenza del fabbro sull’ incudine , due uncinati bastoni su due ampj tamburi, alti circa quattro piedi, e della forma di una torre da scacchi arrovesciata . Sembravano costoro anziosi sol- tanto di fare gran fracasso ; e in ciò, credo, consisteva l’ arte lor principale, poichè maggiori erano gli applausi, quanto più forti le percosse. Un cenno del re pose finalmente un termi- ne a questo clangore di acciaio, e rumor di tamburi; e già lusingavami la speranza di potermi ritirare all’. appartamento assegnatomi , quando il re interruppe il mio movimento di- cendo che rimaneami ancora qualche cosa da udire. Essendo- mi di nuovo assiso, un Jelle, o cantore, vestito alla maniera dei Mandingos, coi polsi e i gomiti ornati di campanelli, uscì fuori” percuotendo un dolce ballafoo, le cui note andava egli scorrendo con molto gusto e velocità ; e suonata una sorta di sinfonia o preludio , incominciò a cantare in dialogo con alcune persone, che dovean esser da prima invisibili, e che quindi unironsi con lui, L--229,933, Il Maggiore ci ha data una relazione generale delle canzoni e dei dialoghi dei Jelli o bardi, in. lode dei bianchi, in cui dieci donne capricciosamente vestite univansi sulla fine, e le quali andavano strepitando finchè ogni vena del lor collo fosse gonfia di sangue. ‘° Non ho mai sentito, dice il maggiore Laing, la voce femminile giungere a un tuono sì alto; io n'era assolutamente atterito, ed aspettavami a ogni momento che si scoppiasse loro qualche vaso; specialmente quando la misura era lunga, e lo sforzo da esse fatto per sostenere la voce fino all'ultimo senza trar fiato, portava loro nella gola san- gue bastante da produrne la soffocazione. ,, Grandissima meraviglia ci ha recato la sorprendente rassomi- glianza in molti costumi dei Mandinugos, Roorankos e Soolima- nas, con quelli degli orientali, e quivi probabilnente esistenti prima che gli Arabi invadessero l’Affrica. Le quattro classi o professioni limitate alle famiglie di Mandingos, la loro parteci- 49 pazione a’ prodotti, e la certa distribuzione delle parti degli ani. mali uccisi, molto ravvicinano questo paese all’ Indostan, Il se- guente ragguaglio potrebbe esser la conseguenza di osservazioni fatte sulle coste del Malabar. sa Tosto che le Ainazzoni ebbero finito il loro canto, un uomo d’ un aspetto assai ridicolo, che suonava una chitarra , il di cui corpo era formato della scorza di una specie di zucca , incominciò un’ aria assai dolce, accompagnandola con una bella voce. Vantavasi egli di guarir ogni male con la sua mu- sica; di saper fur ballare le ‘bestie selvaggie e i serpenti; e se l’uomo bianco non volesse crederlo, ch’ei potrebbe dargliene una pruova. Cangiando allora in un tuono più vivace, im- mediatamente scaturì di dietro allo steccato un gran serpente che rapidamente traversò il cortile; quando, riprendendo un suo- no più lento, cantò: Fermati serpente, tu corri troppo pre- sto, fermati al mio comando, e servi l’tiomo bianco. ,, Il serpe obbedì , e il cantore continuò. “ Serpente tu dei ballare per un uomo bianco, ehe è venuto a Falaba; balla o serpente, perchè davvero questo è un giorno felice ,,, Il serpente allora altortigliossi, alzò la testa, incurvossi, saltò ed eseguì diversi movimenti ed azioni de’ quali non avrei creduto suscettibile un serpente; dopo di che il cantore uscissene dello steccato, se- guito dal rettile, lasciando me assai sorpreso , e il resto della compagnia assai contenta che un uomo neto avesse potuto ec- citar la sorpresa d’un bianco. ,, PP. 245. 246. Un altro costume attesta il Maggior Laing, il quale per meno pomposo e assai più efficiente che sia , non rimane dall’aver qualche relazione con la ceremonia dell’ aratura, praticata da- gl’imperatori della China. Pare che glì abitanti di Falaba sieno nel costume di assegnare al re tre giorni di lavoro nel corso dell’anno; uno per seminare il suo riso, uno per sarchiarlo , e l’altro per mieterlo. La mattina del giorno destinato alla se- mentazione, il re mandò pel Maggiore , che trovollo nel cor- tile del suo palazzo, arando il suolo in mezzo ai suoi primati, montati su nitrenti destrieri, quasi impazienti di freno. Tutti erano vestiti de’ loro più ricchi abiti, mentre il re soltanto era coperto d’una sola camicia, trose e berretto di colore scuro. Presentò egli al nostro viaggiatore un bellissimo cavallo, pre- gandolo di unirsi alla compagnia. Il Jelle cantò allora le stra- vaganti lodi della generosità del lor sovrano, che decantavano come il primo potentato della terra, eccetto il re de’ bianchi, il quale convenivano esser più ricco di denaro, ma non di ca- 49 valli, nè di bel paese. Quindi partitasi la cavalcata, giunse in una estesa pianura, circa ad un miglio fuori della città, ove ogni cosa era già stata preventivamente preparata per la ce- rimonia e il lavoro del giorno, che viene dal nostro viaggia- tore così descritto. « I cespugli tutti erano stati di fresco abbruclati, e 1’ alcali prodotto dalle lor ceneri, era sparso ad una lunga distanza, in- dicando un terreno presto per ricevere la sementa . Circa tre- mila persone divise in vari gruppi stavano schierate intorno, sotto diversi stendardi, quali andar sogliono nelle fiere i reclutatori: tamburi, flauti, chitarre, corni fatti (di denti d’ elefante, percoteano le orecchie con la selvaggia lor melodia, mentre schiere di dan- zatori, seguendo ora il tempo d’ una suonata or quello dell’ al- tra, secondo che l’arte loro, e la rozzezza del moto forzavali ai diversi loro movimenti, presentavano una stravagante sce- na, così dilettevole agli occhi dell’ Atricano, come sorpren- dente per quelli dell’ Europeo. Ripetute salve di moschetteria salutarono l’arrivo del re, insieme con le grida, lo squillo dei corni, e il rimbombo dei tamburi; mentre delle bande di ca- valieri andavano galoppando a tutta briglia, e facendo prove d’ incomparabile destrezza. Quando ad un segnale del re fu ristabilito l’ ordine ed il silenzio, il Fumo ( oratore ) del re a- ringò lungamente la moltitudine. Esortò egli ognuno all’ in- tenso lavoro, ed a bagnare la terra col sudor della fronte, giacchè il loro re era sì buono verso di loro ; ei mostrò ad essi Falaba come quella città nella quale veniano tatti protetti, e che era stata fabbricata dal padre del presente loro re; ac- cennò quindi due grassi tori che erano legati all’ ombra d'un albero da cotone, e stavano per essere uccisi dal re pel suo popolo. “ Coloro dunque, disse egli, che posson mangiar del bove, sappiano pur anco porsi al lavoro ,,. Finito il discorso del Fumo (oratore) i gruppi si sciolsero, ed in meno d’un quar- to d’ora, tutti furono ordinatamente disposti al lavoro.,, con un tal metodo, che pur ora mi sorprende. Vennero essi posti su due linee, la prima delle quali, composta di circa 500 uo- mini, era incaricata di spargere il seme, e l’altra, che forma- vasi d’oltre 2000, di ricaoprirlo con ia marra. Avanzavano in tal modo nel lor lavoro sì regolarmente e con tanta rapidità, che parea anzi procedere per incantesimo, che per arte umana. La musica dei Jelle, senza la cui presenza e gioiosi canti nulla 7, XIX. Luglio 4 50 si eseguisce, sia nel lavoro, nelle feste o nella guerra , accom- pagnava i lavoratori nelle loro fatiche ,,. P. 251—- 253. Tosto di poi fu il maggior Laing preso dalla febbre, che tennelo in delirio per diversi giorni; durante il quale uno dei medici di Soolimana, applicogli sì efficacemente le coppe, ch’ egli si persuase esser quello l’unico mezzo di serbargli la vita. L’ ope- razione non differiva punto dalla nostra; sennonchè la pelle fu scarificata con un rasoio, e che la coppa consisteva in una pic- cola zucchetta. Durante la di lui malattia, come ancora in ogni altra occasione, dettero gli abitanti le più incortestabili. pruove di cortesia . ‘ Sono al tempo stesso sodisfatto ed orgoglioso, dice il maggior Laing, riconoscendo di avere spesi con questi incolti popoli , e co’ loro vicini, molti giorni felici, senza desiderar pur nel pensiero una società più incivilita ,,. Non ostante però, questo popolo sì cortese, industrioso e ap- parentemente pacifico, non è esente dagli orrori della guerra ; i pretesti per la quale sono del medesimo carattere appunto di quelli messi in esecuzione ne’ più inciviliti paesi. Raccontaci il Maggiore, che durante il suo soggiorno in Falaba, alcuni Man- dingos portarono al re diversi regali, ch'egli dovea dal canto suo contraccambiare con altrettanti doni di schiavi ed olio di palme. E mancando Soolimana di ambi questi oggetti, mentre il pros- simo paese di Limba produceagli in abbondanza, era stato da un palaver , od assemblea dei capi e degli anziani, stimato giu- sto e necessario che Limba supplisse a Soolimana ciò di che potea abbisognare; e per sostenere la domanda 9,000 uomini erano raunati a gran fretta, e marciavano in bell’ ordinanza per questa giusta e necessaria guerra. Gli argomenti di essa erano della seguente importanza, e dopo un lungo dibattimento , fu- rono reputati irresistibili . “ Decantavano grandemente le virtù particolari dell’ olio di palma, le sue eccellenti qualità nutritive e di cucina, il suo ine- stimabil pregio nel procurar lace in ogni tempo, anco quando il sole ricusa la :sua ; ma sopra ogni altro la sua sorprendente ef- ficacia nel conservare ed ammollire la pelle: avea inoltre il po- tere di fugar l’arida e rilassata apparenza della vecchiezza; ab- belliva le lor mogli, la pelle delle quali sarebbesi senza di esso crepolata, come l'intonaco delle muraglie. Andavano interrogan- do tutti all’intorno se desiderassero di veder belle le lor donne, e gridando loro che i mezzi ne erano alla loro portata, giacchè Limba era abbondantissima d’olio di palma. Che Dio non avea - 5i invero accordato al palmista di crescere nel paese di Soolimana, ma ne avea però fatti potenti gli abitanti , cosicchè gir potessero nel paese che produceva quell’ albero, e prendersi quant’ olio era loro a grado ,,. P. 284. 285. La posizione di Falaba, sopra un’eminenza in mezzo ad un’ estesa pianura, il fosso che la circonda, largo venti piedi ed altrettanto profondo, ed il forte e largo steccato di duro legna- me che la cinge, sono altrettante pruove degli ostili attacchi, cui va essa soggetta ; ma dice il Maggiore che la sua forza’ è sufficientissima per resistere contro ogni macchina di guerra, men potente dell'artiglieria. Dicesi ‘che si contengono in quella capitale soli 6000 abitanti, benchè vi si contino circa 4000 case: forse s'intendono 6000 uomini adulti. ‘ Queste case, dice egli, sono circolari, e per quanto fabbricate di argilla, e con tetti pira- midali di paglia, sono benissimo eseguite, nette, ed in molti ri- spetti eleganti. Rassomigliano ammirabilmente alle case dei Bo- shueni nel sud dell’ Africa ,,. Entra quindi il maggior Laing in qualche particolare su le maniere e gli abiti dei Soolimaiti, da esso raccolti durante i tre mesi di soggiorno fatto in Falaba,:a’ quali possiamo liberamente rimandare quei de’ nostri lettori, che bramasse- ro istruirsene e divertirsi. Il principale oggetto però della mis- sione sembra essere andato a vuoto. Andò sempre il re promet- tendo di madar seco loro una compagnia di mercatanti; ma giune to il tempo, niuno trovossi presto ad adempire una tal promessa: e la ragione erane, secondo l’ opinione del Maggiore , che aven- do il re stesso il monopolio di tutto il commercio del suo paese, non bramava di dare a’ suoi sudditi il vantaggio d’un li- bero commercio con altri popoli. Îl presente stato però di quel paese ci fa credere che nulla producesse d’un considerabile va- lore per Sierra Leone . — Tralascieremo ora le nostre osservazio- ni sul maggior Laing, per portare più estesamente lo sguardo sulle più interne Load dell’Africa. Non sarà da maravigliarsi, dietro l’ importanza accordata al Nigri, se un viaggiatore che inoltrasi per due, tre o anco sei, giornate ( essendo ancora dubbioso qual sia la sua distanza da Fa- laba ) verso la sua sorgente, si senta ansioso di visitarla; troppo però trattiensi il maggior Laing sulle disperate sollecitudini che costogli questa intrapresa; e nel totale stato d’incertezza sulla sua direzione e distanza, con immenso gruppo di montagne avanti a sé, ove paendanp la loro sorgente il Gambio, il funi: il Nigri, è piuttosto un’ ardita coniettura, o quasi diremmo asserziune, l’avere x da stabilita l'elevazione della sua sorgente a 1500 e 1600 piedi al di sopra del livello dell'Atlantico. La sorgente del Rokelle ch’ei dice aver misurata; abbenchè noi non sappiamo come, è stabilita a 1441 piede. Scaturisce questo fiume precisamente alla base del gran mucchio di granito che presenta le sue fronti superbe verso l’ ovest, mentre la sua parte orientale dicesi an- dar gradualmente declinando dalla sommità vicina alla quale. scaturiscono le fonti del Nigri, e continuare in una quasi non interrotta superficie di considerabile elevazione fino alle pianure di Sennaar, formante un passo intermedio fra lo Zabara o gran deserto, e la catena di granito , della quale può considerarsi co- me la base, e le di cui estremità sono le montagne di Kong all’ovest, e quelle dell’Abissinia all’ est. Il Maggior Laing è ora in viaggio da Tripoli con la caravana di Tombuctou , ac- compagnato da un capo Taurico ben noto a Lyon, ed altamente stimato da’ viaggiatori inglesi. Qualora egli pervenir possa al luogo sì lungamente desiderato, la via del quale il nostro con- sole a Tripoli dice (cotn’ei si espresse intorno al molto più for- midabile viaggio a Bornou) esser così aperta e sicura, come. da Londra a Edimburgo, sentiamo che la sua ulteriore inten- zione è di seguire il corso d’ uno de’ fiumi, ( poichè siam persuasi che sono due, come ora dimostreremo ) fino al Tsad di Bornoa, ove troverà i nostri compatriotti, stati domiciliati a Kouka pel corso di due anni, o in loro assenza, sarà ricevuto cortesemente dallo Sheik e dagl’ indigeni. Dobbiamo avvertire che due di questi compatriotti , cioè il D. Oudney e il luogotenente Tool, han già pagato il lor debito a natura. L’ ultimo di essi cadde vittima di operazioni che, in un clima come quello dell’ Africa, erano troppo severe per la di lui età giovanile ; specialmente dopo avere appunto terminato un viaggio da Mourzouck a traverso al deserto: 1° al- tro fu distrutto da una malattia, che per quanto sentiamo ei portossi seco , e alla quale era persuaso dovesse quel clima es- ser. favorevole ; cioè un attacco polmonare . Abbiamo ancora il rammarico di vederci mancanti dei loro giornali, itinerari , 0s- servazioni geografiche ed altri documenti , che ci lusinghiamo però saranno salvi. Alcune loro lettere al console di Tripoli, e ad altri loro amici in Inghilterra, possono non pertanto sup- plire in parte almeno alla deficienza di questi particolari, coll’of- ferire un abbozzo generale de’ loro progressi: e da queste let- tere, che trovansi ora nelle nostre mani, trarremo noi argomen- to a dimostrare ch’ ei non han posto in oblio gli oggetti della 53 loro missione , ma che hanno anzi premurosamente colta ogni possibile occasione di adémpire pienamente le loro istruzioni . Si rammenteranno i nostri lettori che noi ponemmo loro sotto gli occhi in vari numeri di questo giornale alcune notizie di negozia- zioni seguite in Bornou , fino al mese di maggio 1823 : le con- tinueremo ora per un altro anno. Nel 21. dunque di quel mese il D. Oudney in compagnia del luogotenente Clapperton, e di un fidato schiavo dello Sheik per guida, partì per un viaggio nel Soudan. Procedendo alquanto verso il nord ovest, giunsero in quattro giorni alle rovine di Vecchio Birnie , antica capitale di Bornou , situata quattro miglia distante dalla riva meridionale del Yeou, i di cui Sultani , ricchezze , potere e grandezza for- mano pur oggi soggetti di conversazione, meraviglia, e rincre- scimento . Avea il lor palazzo evidentemente occupata una vasta estensione di terreno, ed era intieramente fabbricato di bei matto- ni rossi, misti con argilla, sì lisci e solidi, da esser reputati mi.. | gliori di quelli di qualunque altro paese. Le mura pure della città erano di mattoni ed argilla, della figura d’ un rettango- lo: giravano esse 8 o 9 miglia; avevano gdo piedi di altezza e 10,0 12 piedi di profondità . Tutto ciò non era più che un am- masso di rovine; e numerosi elefanti, leoni ed altre bestie ne erano i soli abitanti. La sua latitudine è 13.° 4” N. e la long. cir- ca 1.° 1/4. O. di Kouka, che ne è distante 75 o 80 miglia in circa, Quattro miglia oltre questa, verso il girone del fiume , trovan- si gli avanzi di Gambaroo in uno stato simile a quello di Birnie ; e dal numero di città e villaggi rovinati, ben si scorge essere stata un giorno questa parte di Bornou numerosissimamente popolata . Giunti colà , lo Sheik raggiunse i nostri viaggiatori, ed invi- tolli a seguirlo in una spedizione contro una piccola tribù no- minata Munga. Consisteva la di lui armata in circa 6000 caval- li, per la maggior parte Arabi Shua, e 2000 fanti , Dieci miglia più lungi verso l’ovest traversarono il Yeou presso una città chia- mata Kuhshara ; quindi trovarono quella de Biskour , ove una parte dell’armata dei Bornou, che era stata spedita avanti, ritornò .il giorno susseguente, con un gran numero di prigionieri, di torelli, e di pecore. Lo Sheik con la sua solita umanità ri- mandò liberi tutti i prigionieri, poichè quantunque abbia i suoi domestici schiavi, non ne fa egli però commercio . Tusto dipoi ì principali abitanti della conquistata tribù vennero a prostrarsi ai di lui piedi , aspersero il loro capo di polvere, e giurarongli sul Corano che non prenderebbero mai più le armi contro di lui, 54 | Otto miglia dipoi giansero i nostri viaggiatori alla cittì di Sar- gum , e cinque miglia oltre questa trovarono quella di Balley , ambe considerabili, e l’ultima delle quali presso il fiume Yeou. Da Belley a Kano , capitale di Houssa , passa una distanza di otto giornate ; forse circa 120 miglia . Da questo.luogo tornaro- no i nostri viaggiatori a Kouka , donde poi ripartirono il 14 di- cembre susseguente ; coll’ intenzione di andare, se fosse possibile, fino a Nyfflé. Giunsero essi a toccare in 12 giornate di comodo cammino le frontiere occidentali di Bornou ; ma entrando sul ter- ritorio di Beder, il tempo era sì eccessivamente freddo la notte del 26 dicembre e la mattina del 27, che l’ acqua era gelata nei vasi, e gli otri, che eranne ripieni, duri come legno. Un sì subi- taneo cangiamento cagionò al D. Qudvey un rigido raffreddore, per cui fin da quel tempo ei divenne sensibilmente più debole ogni giorno . Ei proseguì ciò nonostante lentamente, e giunse nel 2. gennaio ad un’ampia città, chiamata Kattagum, nella quale fermaronsi fino a’ 10, continuando quindi il lor viaggio per altri due giorni. Non fecero nel primo che 10 miglia, giungendo ad una città sulle sponde del Yeou, il quale era quivi d’ una con- siderabile larghezza ; e quindi il giorno susseguente ad un luogo chiamato Murmur, alla semplice distanza di 5 miglia . Da una let- tera del luogotenente Clapperton impariamo noi il doloroso even- to quivi occorso . « Allorchè la mattina del 12 i camelli farono caricati, il Dottor Oudney uscì della sua tenda, ed io mi avvidi con troppa certezza che la mano della’ morte stava sopra di lui, e che non restavagli un’ ora di vita. Riuscii a farlo rientrare nella tenda, ove’ essendomi assiso accanto a lui, lo vidi spirare circa un’ ora dipoi. L’ unica di lui richiesta fu ch'io spedissi le sue carte al Lord Bathurst, dicendogli com’ ei desiderava, qualora non dispiacesse a Milord, che il sig. Barrow ne venisse inca- ricato. Feci immediatamente informare il governatore della città di quanto era accaduto, pregandolo ch’ ei volesse assegnarmi un luogo, ove fossemi permesso di seppellire gli avanzi del mio amico; e prestarmi alcun de’snoi uomini per lavare il corpo, e scavargli una fossa. Tutto ciò vennemi tosto accordato ; e come che noi eravamo vestiti alla foggia inglese, riguardai co- me un dovere indispensabile di leggere l’ ufficio funebre sul corpo nella tenda, e accanto alla tomba, secondo i riti della Chiesa inglese. Lungi dall’ esserne in alcun modo interrotto da- gli abitanti, sforzaronsi anzi di dimostrarmi il maggior rispetto possibile, per aver io eseguita questa funzione. Avendo uccise dò due agnelle, da esser distribuite tra’poveri, feci inalzar tutto in- torno alla sepoltura un muro d’ argilla , e il giorno di poi, sentendomi assai. ammalato, sì per essere stato esposto ai raggi del, sole, che pel dolore cagionatomi dalla perdita del mio amico e compagno, alle cui amabili qualità la mia lingua non basta, lasciai Murmur col cuore pregno , e giunsi il 20. a mezzo giorno alla città di Kano ,, La causa immediata della morte del Dottore Ondney fu senza dubbio l’ intenso freddo, che non è facile in vero il con- ciliare col basso grado di latitudine di questa parte dell’ Af- frica, e la piana ed uniforme superficie del paese, interrotta soltanto da alcune poche distaccate colline di sabbia e rottami di pietre arenose, senza che niuna montagna possa scuoprirsi in alcuna direzione (1). Ben sappiamo quanto rapida sia l’astra- ‘zione o radiazione del caldo da un terreno posto sotto un cielo limpido e di un cupo turchino; e se non sia dovuto a questo o all’ eccessiva evaporazione di un suolo ripieno di carbonato di soda, non possiamo dare spiegazione o soluzione alcuna di un fatto che è non pertanto incontestabile. Trovandosi il sultano di Kano con la sua armata a poca distanza , il luogotenente Clapperton, dietro la di lui richiesta andò a ritrovarlo, e rimisegli la lettera dello Sheik con an pic- colo presente, ambi i quali ricevè egli con molto piacere, di- cendogli che lo invierebbero in sicurezza al suo padrone Bello, Sultano di tutti i Fe//atas, a Sakatoo, città distante quindici giornate da Kano,e situata sulle sponde del Yeou, che vien quivi chiamato Quolla o Quorra. Questo è l’ ultimo rapporto direttamente ricevuto dal luo- gotenente Clapperton; ma il maggior Denham scrive da Konka sotto il 23 marzo 1824, che pochi giorni prima alcuni mer- canti di Bornou giunti dal ponente, riferirono di averlo veduto (1) Un giornale di Glascovia dà una descrizione della immensa "altezza delle montagne , che cagionano quel grado d’ intenso freddo, e ne conclude che il Nigri debbe essere necessariamente da esse rivolto nella caletta di Be- nio ; ed uu francese, seguendo la stessa traccia, imprende a provare che l’ alteze za di queste montagne sia esattamente di 14,000 piedi. Ecco quanto è danno- so lo stabilire teorie su date ipotetiche! E di fatto le vicinanze di Kano sono un altro Wangara, o probabilmente il Wangara stesso. Raccomanderemmo ben volentieri a questo scrittore, come ancora al sig. Jomard, di non falsificare le notizie geografiche , che eglino atîingono da questo come dagli altri gior- nali inglesi relativi all’ Affrica, ( e sì non hanno essi altra fonte di tai noti» zie ) ma di darle tale quali sono, e non quali dovrebbero essere , seconda la loro fantasia . 56 a Sakatoo, ove egli avea depositate tutte le sue proprietà e carte presso Hat Salah capo di Kano, con l'istruzione di spedir tatto allo Sheik di Bornou, nel caso di qualche suo infor- tunio. Il suo scopo era indubitatamente di proseguire verso Timbuctoo, avendo forse inteso dal maggior < cati che Bel- zoni erasi da Benin diretto verso quel luogo (2). Questo Bello, verso il quale incamminavasi il Pa Clapper- ton, è un famoso capo che alcuni anni indietro avea con- quistato tutto il Soudan da D' Jennie fino al lago Tsad, e ro- vinata l’ antica città di Birnie , quale è stata veduta e descritta dal Dottore Oudpey. Il Capitano Lyon conta fra le virtà di questo conquistatore la riverenza per la sua religione, e per tatti coloro che vi si distinguono; lo che vien detto ancora dal maggiore Denham dello Sheik di Bornou, il quale col solo mezzo del suo carattere virtuoso e religioso, potè con circa 400 uomini di Kanem, non solo riconquistare pel Sultano Bornou , ma stabilire ancora ia pace con Bello, che dicesi pure S&eik del Corano, e dichiara che allorquando lo Sheik di Bornou verrà a morire, prenderanne nuovamente possesso per sè me- desimo . “ Egli è, dice il miaggior Denham, uno straordina- rio, se non unico esempio nella storia del mondo, che un uo- mo s’inalzi da un' umile condizione al sovrano potere, senza sparger sangue per la mano di assassini, o senza sbarazzarsi col cordino o colla tazza avvelenata di coloro che incontrò sui suoi passi ,,, La benevolenza e liberalità del suo naturale alta- mente si mostra nella di lui eccellente lettera scritta a Bello, e rimessa a Qudney e Clapperton (3). (2) In data dei 2 giugno 1824, così scrive il maggior Denham al [uogote- nente Clipperton: Voi vedrete da un estratto del Quarterly review, che vi spe- disco , quanto è probabile che incontriate Belzoni, cui credo riuscirà di giun- gere a Timbuctoo . Questo numero di iù giornale fu pubblicato nel dicem- bre 1823. (3) In questo rimarchevole seritto così egli si spiega dopo gli ordinari saluti . Alcune distinte persone , inglesi e cristiane , fra’ quali e i musulmani lia esistito un’ antica amicizia e fratellanza, come è ben noto a tutto il mondo, stan per visitare il vostro paese . L’ attaccamento fra questa gente e i seguaci della vera fede, continuò per secoli, e discese di generazione in generazione , come van discendendo nei figli le ricchezze dei padri ; e spesse amichevoli ne- goziazioni vi ebbero fra loro e i Musulmani in seguito di questa amicizia . Mag- giormente però si dimostra questo attaccamento nella facilità con cui visitano ora i musulmani le lor ricche ed estese contrade , andando e ritornando sen- za alcun pericolo o molestia. Hanno ora questi cristiani visitato noi pel mez- zo e pell’ amore del nostro padrone Yussuff Bassà di Tripoli, spinti dal de- A 57 Dobbiamo ora far menzione di un’ altra vittima delle af- fricane scoperte. Il luogotenente Ernesto Stuart Tool, partito vo- lontario da Malta per raggiungere la compagnia di Bornou, ed arrivato a Kouka verso la fine di Dicembre, avendo egli solo ( vogliam dire senza alcun altro Earopeo) attraversato in 108 giorni da Tripoli il deserto, dopo alcuni vessanti indugi ed impedimenti per parte degli Arabi che lo accompagnavano, e delle tribù erranti del deserto medesimo. {l maggior Denham pro- pose una seconda visita al nobil fiume Shary, onde esaminarne il corso più esattamente, di quello che avessero fatto prece- dentemente Qudney e Clapperton. Lasciò egli Kouka nel 23 Gennaio, accompagnato dal sig. Tool, e arrivarono il 30. alla piccola città di Showey, situata sulle sue rive sotto il'12% 47. siderio di vedere il paese che la Dio mercè appartiene a noi, € ciò che vi ha di maraviglioso, come i fiumi, i laghi e i popoli, le quali cose tutte dif- feriscono da quelle del paese loro. Noi li abbiamo posti in istato di vedere tutto il paese di Bornou, ed in quel modo pure ch’ ei desideravano , con li- bertà ; perchè ci richiedono era un passaggio pel vostro , affiachè possano es- sì trovar costà altre meraviglie che non sieno qui. Abbiamo acconsentito alla loro richiesta , e gli abbiam muniti di lettere commendatizie e di saluto , dal- le quali rileverete quanto sieno essi da noi stimati . Vi rammentiamo , ( abbencbè inutile, dappoichè il saper vostro stesso ve lo dirà ), che sta scritto , avere il nostro stesso profeta , il nostro intercesso- re ed avvocato (lodato sia Dio e gli angeli suoi') ordinato che non fossero co- storo molestati nè ingiuriati, quantunque volte venissero essi in pace e non facesser danno . Li poniam dunque sotto la vostra protezione e cura. Sapete bene che vi son fra noi dei credenti che atterrano e calpestano il debole ed abbandonato . Voi sapete inoltre che non sempre il malvagio fa giustizia al buono ; e però noi fidiamo in voi, e vi preghiamo che vogliate assistere e pro- teggere quetti inglesi e cristiani ; che non vogliate permettere che vengano maltrattati o ingiuriati, o che soffrino privazioni o disastri, e perfino che sieno riguardati con disprezzo per tutto il tempo che non piacerà a Dio di far- li ritornare nel loro paese. Ei son gente d’ un cuor puro e di verace lingua : tali li abbiam ritrovati: siate loro sostegno, e fate che godano della nostra raccomandazione . Dio vi ri- compensi e vi accordi ciò che sperate e bramate ! e possiamo quindi noi con la sua benedizione procedere nella via della celeste beatitudine ! Salute e feli- cità , virtù e fede siano con voi, e con quelli che stan vicini a voi, con tut- ti quelli che vi appartengono , e non a voi solo! Datata la sera ec. 3 Hameen ben Kanerry, Sheik del Coran, Mentre tali nomini regnano nel cuore dell’Affrica, come potrem noi can- siderare ancora come rozzi ed incolti quei popoli ? Ella è invero una impos- sibil cosa, se siavi qualche verità nel proverbio ,, talis rex, talis grex ,,. Ci lusinghiamo di non udir più parlare d’ inglesi che si fecero maomettani, chè dimostrano essi così di non esser che jmpostori . 58 In quel sito il fiame era bellissimo, largo più di 600 braccia, e il suo corso era di circa 5 miglia l'ora, al N. E. Il Kaid che governava la città, propose loro d’ imbarcarsi sul fiume, e seguirne il corso fino al lago Tsad; perlochè que- sto uffiziale accompagnolli il 2. febbraio con otto navicelli, ognu- no dei quali conteneva 10. o 11. persone. Dopo un viaggio di circa trenta cinque miglia fecero alto ad un'isola chiamata Jog- gabah. Il fiume vien decantato come eccessivamente interes- sante; le sponde densamente vestite d’alberi ricchi di foglie, e ricoperte di rampicanti piante cariche diuna gran varietà di belli ed aromatici fiori. Un gran numero di cocodrilli stavano sulle sponde scaldandosi al raggio solare. "Lo Shary diviso in due rami formati dall'isola, sboccava nel gran lago. Scendendo il giorno susseguente il ramo occidentale, pel corso di circa due ore, ritrovaronsi i nostri viaggiatori sul ma- re dell’ acqua fresca, che, “ dice il Maggior Denham , noi denominammo il Lago di Waterloo ,,, Non aveano eglino però navigato oltre due miglia, quando un’ondata di N. E. rese il remare sì faticoso, che furono obbligati a tornare indietro . Fu detto ai nostri viaggiatori che la più prossima delle isole Beddoumy era alla distanza di tre giornate dalla imboccatura dello Shary («irca novanta miglia), verso il N. E., durante due delle quali perdesi d’occhio la terra. Questi isolani fanno una guerra di pirateria contro gli abitanti delle vicine sponde. Dicesi ch’ei passano in rassegna tra 60. e 100 navicelli. Non fanno schiavi, ma richiedono un riscatto pe” prigionieri, e qualora venga questo negato, divengono essi isola- ni, si ammogliano; e rimangono fra di loro. Credesi che tutte le isole riunite possano mettere assieme una flotta di mille navicelli, ciascheduno dei quali contenga da 15. a 20. uomini. Eccetto il predare, è questo popolo reputato dolce ed affettuoso, non dato alla crudeltà, niun prigioniere, per quanto si sappia, essendone stato giammai ucciso. Eglino dicono che son forti di braccio , acuti di testa , che il lor paese è piccolo e povero di bestia- me, e che sono per conseguenza obbligati a prendere a quelli che sono più ricchi di loro. Risalendo il fiume, furono i nostri viaggiatori maravigliati dell’ abbondanza e della bellezza degli uccelli aquatici ed al- tri: copioso era il pesce nel fiume, e gli smisurati ippopota- mi tanto sì appressavano da esser colpiti coi remi. Lasciando Showey seguirono la corrente fino a Dagheia, ove il fiume divien guadabile: l’ acqua però si alza fino alle spalle, e ben- chè l’ infanteria guadi con lo scudo sulla testa, sul quale son 59 posti il lor sacchetto di grano e le lor lance , viene la caval- leria trasportata su i mavicelli, mentre i cavalli van nuotando ‘alla poppa . Fra due giorni ritornaronsene a Showey , onde ovviare una tribù nemica, per lo che era prudente di non proseguir' più oltre la corrente . Essi dunque determinaronsi a proseguir per terra verso il sui, prendendo la strada vicina e parallela al fiume, fino a Lggum, abbenchè raramente battuta, per esser ripiena di spes- st paludi , pantani ed acque stagnanti, ricoperte d’ inutile ed abondante vegetazione; ‘ ove, dice il Maggior Denham, mosche, al, zanzare, e grossissimi. rospi neri cospirano continuamen- ticontro la quiete del viandante ;,. Chiudonsi gli abitanti per derse ore del giorno nelle loro case, che sono nidiate di cel- Ite l'una dentro l’ altra, fino al numero talvolta di cinque sei, in tal foggia espressamente costrutte, onde garantirsi da- i attacchi di questi insetti. Giunti ad un luogo chiamato Kissery, in mezzo ad uno e’ mentovati pantani, era il signor Tool così ammalato che urono obbligati a fermarsi. Era non pertanto impossibile di timaner lungamente in un tal sito, onde tentarono di prose- guire: ma non aveano fatte due miglia, che il male del sig. Tool tanto era andato crescendo, finch’ ei perdè i sensi per {due volte consecutive; e divenne così debole, che fu necessario ‘aiutarlo sì a montare sul suo cavallo, che a discenderne. La disgraziata loro situazione può in parte concepirsi, pensando che erano obbligati ad accender dei fuochi all’ ingresso delle tende, e andar continuamente nutrendoli con sterpi e paglia umida, onde procurarsi col denso soffocante fumo qualche temporario sollievo contro i milioni d’ insetti, che svolazzavan loro d’intorno. I lor cavalli ricusavano ogni sorta di cibo ; ve, naturalmente contrari alla fiamma e al fumo, lanciavansi anzi verso il fuoco, e soffrivano che la lor testa si abbruciasse , onde ottenere qualche respiro dagli aculei dei lor persecutori . In tal penosa loro condizione gli Shua Arabi che presi- diavano la frontiera del territorio di Loggum, ricusarono di la- sciarli passare , finch’ ei non ne avesser ricevuta permissione dal Sultano. Arrivò questa a’ 16. febbraio, ma l’ infelice Tool era allora in tale stato d’insensibilità, che furono obbligati a legarlo sopra un camello. Così entrarono essi nella città, € presero possesso d’ una decente capanna ch’ era stata loro assegnata . L'indomani il maggior Denham fu chiamato a visi- 60 tare il Sàltano, il quale era, come quello di Bornou, rinchia- so in uno casotto, la cui facciata consisteva in un graticcio di canna . “ Essendo questo tolto via, dice il Maggiore, com- parve qualche cosa di vivente sopra un tappeto , avviluppato in vesti di seta, con la testa avvoltolata di scialli, che non lascia» vano scuoprir che gli occhi: tutti i cortigiani prosternarorsi e aspersero di cenere la lor testa, mentre otto trombette e altet. tanti corni mandavano il più alto e tremendo suono ,,. Rce- vendo un picciol presente susurrò egli der venuti, riguardanosi come una prova di mala educazione a Loggum il parlare ad |. ta voce. Richiesto questo vecchio signore nel casotto del >r. messo di proseguire fino allo Shary , domandò particolarmite se il Maggiore desiderasse di comprare delle sirzack o belle schire, perchè in tal caso, susurrò egli, non avete bisogno d’ andar iù avanti: ne ho io qualche centinaio, e potrete averle a bin mercato ,,. Vedendo però che non avea alcuna speranza di gua_ gnarsi un avventore , si ritirò, e la udienza terminò. Kurnuck era il nome di questa capitale di Loggum; ed situata, come dicemmo, sulle sponde del Shary sotto il 11°.» di lat. Contiene circa 1500. abitanti , il di cui linguaggio compone d’ Arabo e di Baghermie . Fanno essi un considerabi commercio con gli Shua Arabi, da’quali ricevono torelli, latte grasso, in ricambio di tele di cotone rigate di turchino , ch’ es: lavorano eccellentemente, e tingono di un color chiaro e bellis simo. Vengonci gli uomini descritti come assai più belli di quell di Bornou , e più di essi intelligenti; ma sopra tutto le donne, che sono fornite di un portamento e di maniere al disopra d’ o- gni altra nera nazione veduta fino allora dal maggior Denham, Diverse signore delle principali del paese andarono a visitarlo, esaminarono tutto ciò ch’ egli avea dintorno , domandarono ogni cosa, rapivano tutto ciò che potean celare, e qualora venivano. scoperte, rideano smoderatamente, e grate nie insieme le ma- ni esclamavano ,, Ve’com’egli è fino ! pensate soltanto che ci ha colte! ,, Pare che non avessero alcun pensiero di modestia . Il maggior Denham ci fa credere ch’ ei non abbia mai veduta una razza più destra e più immorale , abbenchè esse pure chiaminsi Moslem. Avvidesi il di seguente il nostro Maggiore ch’ eranvi due re di Brent-ford a Loggum padre e figlio , alla testa di due partiti che temeansi e odiavansi scambievolmente . ,; Nonostante la lo- ro consanguineità , dice egli , ebbi chiarissime pruove del modo i 6i in cui essi viveano , aveniomi ambedue mandato a chiedere del ‘veleno che , secundo la lor propria espressione, non mentisse; e ne ricevei dal figlio tre schiave come un mezzo per indurmivi.,3 Niuna difficoltà fu incontrata per ottener permissione. di proseguir il viaggio pel fiume, che era largo in quel sito circa 40e braccia, e sembrando il compagno di Denham alquanto mi- gliorato, 1mbarcossi egli pure onde esaminar il fiume più. alto, I nuvicelli erano migliori degli altri, avendo circa So. piedi di lun- ghezza, ed essendo capaci di 20 a 25. uomivi; e costruiti d’un legno rosso ben macchiato, che abbondantemente cresce sulle sponde del Shary , e le cui tavole erano larghe 2. o 3. piedi. Avea egli scorse appena poche miglia, allorchè fu scoperta una barca che remava dietro a loro con la maggior velocità pos- sibile, e al di lei approssimarsi, tutte le sette che lo accom- | pagnavano si trassero insieme alla riva , nella maggior confu- | sione. Ei tosto intese che i Baghermiti andavan marciando verso Logsum, e che il sultano avea fatto ingiungere allo Sheik. del- i la nazione di Bornou che dovesse immantinente abbandonar la città. Vanamente rappresentò il Maggiore la malattia del suo ami- co e del suo servo; ,, andate, risposegli, finchè ne avete tempo, non posso io darvi ora alcun ajuto ,,, Non vedendo alternativa, fu il povero sig. Tool, incapace di sostenersi da per sè, nuo- vamente legato sopra un camello ; ed abbandonando Kurnuch, tre porte ‘venner chiuse una dopo l’ altra dietro di loro, con la maggior sodisfazione d’ un’ immensa folla di popolo. Furono 4 giorni prima di giungere ad Angala, avendo pre- so in Bornou brevissimo riposo e -scarsissimo cibo. L’infelice va- letudinario , legato sul suo camello , esposto ai cocenti raggi del sole, fa in un quasi continuato delirio : ed intendendo ch’ eran giunti ad Angala, egli esclamò, “ siano grazie all’Altissimo» dunque non morirò ,,. Ogni speme fu però perduta due giorni dopo. Fu assalito da un freddo tremito , e le sue estremità di- vennero gelate: vissuto quindi in tale stato alcune poche ore, spirò egli senza alcun moto o gemito, essendo intieramente con- sunto ed esausto. La sera stessa, dice il maggior Denham, seguii le sue membra all’ ultimo loro alloggio, ove sei schiavi del sul- tano d’ Angala le discesero nella fossa da essi scavata, sostenen- dole con rami di mimosas ben fioriti; una silenziosa preghie- ra mormorata su quel corpo fu il miglior faverale che le cir- costanze mi permisero d’ accordargli. Non avea il sig. Tool compito ancora il suo ‘22. anno, ed ora in ogui rispetto un amabilissimo uffiziale e di buone spe- 6a ranze. Decantansi le sue maniere come piacevolissime; ed era di una cortese, gentile ed obbligante disposizione d’animo, L’ami- chevole Sheik avealo trattato colla maggiore affezione, e spese con esso molte ore passeggiando e conversando nel suo giardino , Ei morì rassegnatissimo al suo fato ; ed allorquando nel giorno che precedè la sua morte il maggior Denham parlogli del loro ritorno a Kouka , scosse sorridendo il capo e disse: ;, No, no, è finita ,,: e domandò poco di poi, come sua ultima preghie- ra, che il Lord Bathurst raccomandasse suo fratello minore , acciò gli succedesse nel grado d’alfiere, che verrebbe per la sua morte a vacare nell’ 80. reggimento . Sarebbe inutile il ridire che non più tosto fa ciò noto in Inghilterra che eseguito. Nulla di più cortese della maniera con la quale venne il Maggiore ricevuto dall’ amico Sheik, ch’ egli incontrò con la sua armata ad Angornou in marcia verso il Baghermie, aven- dogli puranco offerto di ricondurlo fino a Kouka. Pare che le due armate essendosi per qualche giorno guardate di fronte nel- le vicinanze del Shary , avessero finalmente guerreggiata una gran battaglia, nella quale due vecchi cannoni, montati su’ lor carri dal falegname Hillman, furono, abbenchè scaricati una sol volta, d’ uno special servigio, se non per la distruzione, per l’ allarme almeno cagionata nell’ armata nemica : non anda- rono invero privi di timore coloro stessi che aveanli ripieni di cartocci di palle. L’ armata di Baghermie venne posta in rotta; sette dei nove figli del Sultano rimasero uccisi, ed uno cadde prigioniero nelle mani dell’ armata dello Sheik, con un im- menso bottino, parte del quale erano cinquecento cavalli , e circa cinquanta fra mogli e schiave dei capi deil’armata nemica. Intraprese quindi il maggior Denham un altro viaggio, in- sieme con l’armata dello Sheik, in una spedizione verso Fittre ivtorno alla parte settentrionale del lago , nella quale però non molto progredirono a cagione, dicevano essi, del Rhamadan, ma principalmente, come quindi chiaramente apparve, per cer- ti movimenti ostili per parte degli abitanti di ‘Waday. Era il Maggiore desiderosissimo di progredire fino a Kanem verso il Nord, e quindi costeggiare la riva occidentale del lago; lo che fugli dallo Sheik quasi positivamente ricusato, per cura della sua salvezza. Egli quindi acconsentigli di andar verso il sud , traver- sare il Shary sotto Showey, conducendo seco venti cavalieri, ed alcuni dei suoi migliori Arabi, tutti armati di fucili. Dovea egli poi con due delle più veloci malarie pel suo uso, animale il più snello che si conosca, prender la via precisamente lungo il . A ra 63 lago di Tsad, mentre la forza armata fiancheggerebbelo, seguen- do una direzione più interna, ma parallela alla sua. Fu con- venuto col Sheik ch’ egli (il maggiore ) farebbe il giro del la- go, ritornando per Laree, sull’ estremità settentrionale. fino a Kouka. ,, Il Sheik, dice egli, sorride alla mia pertinace an- sietà di visitar luoghi, nei quali egli scorge sì poco interesse ; >» ma finisce ordinariamente dicendo : ‘Certo che è sorprendente ; » sarebbe assai meno incomodo il ritornare per la strada stessa: ma vi piace così, e così debbe farsi ,,. Niuno ebbe giammai per verità un miglior cuore di quello dimostrato da questo capo a’ nostri concittadini. Due dei cavalli del luogotenente Tool essen- do morti per le fatiche del deserto , furono da esso subitamente rimpiazzati ; ed il maggior Denham dice , che avendo egli com- prato un cavallo, dopo che diversi di quelli ricevuti in dono dal Sheik erano morti, mandogli questi a dire, che se lo' sti- masse quanto egli lui, ei volea essere istrutto il primo dei di lui bisogni. Dobbiamo invero piangere amaramente la perdita di tan- te degne persone, prezzo delle cognizioni da noi acquistate in- torno all’ Affrica; ma con qual giusto orgoglio, pieno di gra- titudine verso coloro che ne’ furon la vittima, non dobbiamo noi riflettere, che per lo spirito intrepido e l’ onorevole condotta dei nostri concittadini volò rispettato il nome inglese dal Gam- bia al Nilo, e dal Mediterraneo alle montagne delia Luna , fra milioni di popoli, alcuni dei quali non impararon fin'ora del no- me stesso delle nazioni europee, se non quello dell’Inghilterra! La lettera che portava notizia di questa spedizione del mag- gior Denham intorno al 'Tsad, l’ ultima che sia stata ricevuta, è datata de'18. Giugno 1824. Dovea egli esservi accompagnato da un giovine signore, per nome Tyrwhitt, che da Tripoli era giunto a Kouka a’ 20. del precedente mese, con presenti di spa- de , pistole , orologi ed altro per l’ amichevole Sheik , che , se- condo l’ asserzione del Maggior Denham, vennero da esso rice- vuti con quella sodisfazione o estasi, con cui può supporsi che una persona sì intelligente e largamente dotata dalla natura di estesa penetrazione e gusto, vedrebbe le migliori produzioni dei primi nostri artisti in ispade , coltelleria ed orologeria . Mostrò egli grandissima la sua sodisfazione pel pugnale e per 1’ orologio a doppio movimento ; e quando vennesi a far menzione che i razzi pure eran giunti:,, Chè, esclamò egli, così presto ? e inol- tre, tutte queste ricchezze ! No, non ci sono amici simili a que- sti! gl’ Inglesi sono tutti verità! e vedo dal libro, che se il 64 Profeta avesse vissuto alcun tempo di più, sarebbero sta. cattî Musulmani! ,, Dicemmo già di sopra che i rapporti circostanziati, che i no- stri viaggiatori furono, per questi loro viaggi ed una lunga re- sidenza, posti in grado di raccorre, non ci sono ancora giunti : potremo però trar dalla loro corrispondenza privata alcune po- che osservazioni relative a Bornou . Il suo clima non vien re- putato peggiore di qualunque altro paese situato presso al tro- pico; abbenchè salga il termometro dal principio di Febbraio fi- no a Maggio dal 104.° al 108 a due ore pomeridiane , mentre generalmente non sia poco prima della levata del sole che da 84. a 86. Continue pioggie cadono poi da Giugno a Ottobre; quin- di incomincia l’ inverno : l’ aria è allora dolce, il cielo puro e sereno, e spirano venti di N. O. 1 mesi di Dicembre e Gennaio so- no freddi, essendo ordinariamente il termometro a 70°. e. nel mat- tino a 60. e talvolta ancora più basso . Rompono. gli abitanti in Maggio e Giugno il terreno , e seminano il loro gossub , o miglio ( apparentemente il Ro/cus sorghum ) grano d’ India, orzo, diverse specie di fagioli, cotone, canapa ed indaco. L’hol- cus è il principal loro commestibile, ch’ ei mangian sovente ab- brostito al sole. Nomina il maggior Denham trentasei città in Bornou; e calcola a 2,000,000. la popolazione di questo paese. Ne descri- ve gli abitanti come aventi faccie insignificanti, nasi piatti a guisa di negri , bocche larghissime , bei denti e regolari, e spa- ziosa fronte; e di un carattere pacifico , quieto , timido, cor- diale e civile. Dotati di una disposizione flemmatica , ed estre- mamente temperati com’ei sono, e regolari nelle loro abitudini, sono facili a governarsi. Rare vi si odono le uccisioni; il latro- cinio vien punito con la perdita della mano, o con la più ter- ribile pena che possa infliggersi , venendo i nuovi spartani sep- pelliti fino al collo, e quindi quasi divorati vivi dalle mosche» Il lor nutrimento è semplicissimo : la farina impastata con gras- so, e raddolcita con miele, è la pietanza del Sultano: e l’acqua, mista talvolta con un poco d'orzo, onde torle il sapore aspro» forma ogni sua bevanda. Le donne volgono i lor capelli ver- so il vertice del capo , impiastrandoli con indaco e cera, della quale non può esser quivi scarsezza , per l’ immensa quantità d'api, che giungono pur talvolta ad arrestare i viaggiatori. Le femmine son quivi le più umili del lor sesso , approssimandosi si ta mariti coperte di un velo, ed inginocchiandosi avanti i loro. 65 Se si eccettuino le cipolle, pochi vegetabili crescono nel peese di Bornou. Noti appena vi sono i frutti , all’ eccezione di una sorta di cedro, o piuttosto limone , e i fichi: e sull’ Yeou, e nelle valli delle montagne meridionali trovansi le mangoes . Le ultime palme sono distanti quattro giornate al N. di Kouka, e quivi ne è il frutto quasi nullo. Abbondanti sono di pesce sì il lago, che i fiumi; e sì numerosi i volatili, che possono per un solo colonnato comprarsene quaranta . Gli animali loro domestici sono i cani, le pecore , i bovi, i cavalli, i bufali e gli asini; gli ultimi dei quali ed i bufali servon loro come be- stie da soma. Le fiere non sembrano differenti in conto alcuno da quelle delle altre parti settentrionali e occidentali dell’ Afri- ca: gli elefanti vanno vicino al gran lago in branchi di ottan- ta o cento. Se vorrà la Provvidenza che possa Denham giungere a per- correre tutte le rive del lago Tsad, e che salvo ritorni Clap- perton dal Soudan, non dovranno le nostre carte dell’ Africa settentrionale più lungamente far disonore alla geografia del se- colo XIX. Non di poco importante giovamento saranno le no- tizie già ricevute dal maggior Denham , onde stabilire un pun- to, che risvegliò da gran tempo un considerabile interesse, e cui vogliamo ora qui avvertire, Osserva egli nella sua spedi- zione a Mandara e alle montagne meridionali che |’ inclinazione o pendio del paese va gradatamente ascendendo verso il Sud ; e che a Mandara, ove s’ innalza in colline , cangiasi la natura della superficie, essendo la terra ricoperta di sabbia micacea , e formandosi il suolo quasi intieramente di decomposto granito. Scorgonsi inoltre sparse in ogni direzione, e di ogni immagina- bile forma pittoresca, delle masse o sistemi di monti, le più vicine delle quali han circa 1500. piedi di altezza, mentre le cime che appariscono in distanza , li sorpassano almeno di 1000 piedi. Sono essi composti di enormi masse e blocchi di granito, . della più scabrosa superficie, nelle fessure de’ quali crescono al- beri d'ogni misura. Dei gruppi di capanne , uno superiore al- l’altro, cuoprono i ripiani fino alla cima del monte ; mentre il tamarindo, una specie di gigantesco fico salvatica, e il mango fio- renti e belli popolano {e sottoposte vallate. ,, Spandono le foglie una chiara e lussuriosa verdura; e i fiori d’ innumerevoli piante rampicanti, van sì strettamente circondando il tronco degli al- beri , che resta | immaginazione in dubbio a quale stelo deb- bano quei fiori, che impregnan |’ aere di profumi, il prolifico Tomo XIX. Luglio i 5 66 lor nutrimento. Nittha informazione potè il'Maggiore ottener dagli abitanti, intorno alla lunga estensione di quei grappi di montague. A!quanto differisce , a prò suo, il popolo di Mandara da quel- lo di Bornou. Grandi vi sono gli uomini e vivaci; le lor fron- ti, abbenchè spianate, sono piuttosto alte; gli occhi grandi, i capelli increspati, e sono essi generalmente ben fatti del cor= po . Le loro fattezze per lo più meno schiacciate di quelle dei Bornousi. Le donne sono piuttosto di bello aspetto; di modo che la lor bellezza passa in Africa in proverbio , e specialmen- te pel tanto decantato dono, onde son singolarmente adorne, della post-esuberanza degli Otentotti ; particolarità che le rende mol- to apprezzevoli agli occhi di un mercante turco o moro . Pare ch’elleno non sieno reputate dal Maggiore prive in alcun modo di attrattive ‘ allorchè se ne ‘vanno scherzando pe’ deserti loro nativi senza alcun velame, foss'egli la foglia di tico d’ Eva,,. Vengono esse condotte al mercato di Kouka, e tanto dipende la lor vendita da quelle loro rilevate attrattive, che ‘ ho cono- sciuto un uomo , dice il maggior Denham, che stava per com- prarne una fra diverse, non curando le vaghezze del volto; far lo= ro rivolger le spalle, e riguardandole per didietro, giusto ap- punto al di sopra dell’ anche ;} in quel modo stesso in che al- linear si suole una fila di soldati, fare scelta di quella che mag- giormente sporgevasi fuori delle sue compagne . ,, Meno è forse straordinario per parte degli uomini questo gusto per la post-esuberanza, di quello che lo sia in quasi ogni parte dell’Affrica la natural tendenza delle donne (che ad esse pare ed alle pecore esser limitata ) ad acquistarla. Non è però questo universale in ogni parte di quel continente; li- mitasi fra gli Abissinii ai rami della famiglia dominante , ‘od è almeno considerato come contrassegno di distinzione, e d’ al- to nascimento . « M° imbattei , dice il sig W. Bankes , allor- chè mi portai la prima volta a Gerusalemme, in una prin- cipessa abissina, figlia di un morto re, colà giunta in; pelle- grinaggio , la quale era in tal genere straordinariamente con- formata, e che molto gloriavasene. Intesi dire a Lady Ester Stanhope , che non avea potuto creder ché ciò fosse natura- le, finchè non ebbe veduta quella dama nel bagno ;,. Verso Sennaar e Meroe è comunissima fra ‘le donne; e il sig. Li- nant osservò, ed ha accuratamente disegnata dai bassi rilievi degli antichi tempi, la figara d’una donna, la forma della quale era differente da tutte le figure egiziane, dalle quali è .cir- condata, ed in perfetta conformità col presente pregiudizio 67 di quel barbaro paese. Dal diadema che le cinge la frou- te, e dagli omaggi ch ella riceve, iudubitatamente apparisce ch’ ella debbe rappresentare la regina di quel paese: una delie Cudaces mentovate da Plinio, il che altro non vuol sigpilicare, come plaus:ibilmente congettura il sig. Bankes, nel lin.uaggio etiopico , sennonsè regina. Ella viene inoltre rappresentata con lunghe unghie alle dita, simili agli artigli degli uccelli; e le di lei anteriori e posteriori esuberanze sembrano atte a confer- mare 1 osservazione di Giovenale ; In Meroè crasso majorem infante mamiliam ,,. Impariamo da Bowdich che alcuni di questa prosperosa raz- za trovansi fra gli Asbantei, ove sono ammirati e corteggiati: più generale però la crediamo tra gli Otentotti, ove quasi ogni donna di 30 anni mostra più o ineno di questa adiposa escre- scenza ; mentre prive ne sono nel paese stesso tutte le donne de’Cafri. Il gran filosofo speculativo sig. Pauw sembra di pa- rere ciò nonostante , che venga questa prodotta dal clima e dalie acque, Del resto poi non abbiamo su di ciò più estese notizie di quelie che dei gozzi, su’ quali tanta buona carta è stata inutilmente distrutta, In questo suo viaggio nelle parti meridionali venne il mag- gior Denbam visitato da un uomo, che annunziossi come figlio di Hornemann e d’una schiava del Soudan. Portava egli il nome preso da Hornemann, di Moussa ben Jussuff; era abile ed in- telligente, ma venne dal Maggiore reputato più vecchio, qual- che diecina d’anni, della data dell’ ingresso di quel viaggiatore in Houssa, Un clima caldo dà non pertanto frequentemente l'apparenza d’un’età prematura. Avea costui viaggiato per venti giorni al sud di Mandara, in un paese chiamato Adamouab , formato da un’ estesa pianura nel centro del gran mucchio di montagne , alcune delle quali ei descriveva irmmensamente alte, le di cui cime erano d’un bianco latteo. È quel paese abitato dai Fellatas, che nutronsi della carne d’ogni selvaggio o do- mestico animale. Se se ne eccettui il sultano e i suoi figli, tutti vanno nudi, senuonchè portan gli uomini talora una pelle intorno ‘a’ fianchi, mentre le donne van sempre prive d’ogoi Coperta . Descrive egli con gran chiarezza un gran fiume che scorre fra due alture delle montagne, e ch’ egli traversò prima, benchè però presso, a Adamouvh. Assicurò cli’ esso venia dal- l'Quest, e che era il medesimo che il Quora a Nyffè e a Raka. Disse che dividevasi passandone un ramo per Longun, e gettan- do quindi nel 'fsad, e chiamollo Shrary; mentre però la più 68 importante massa d’acqua scorrea al sud di Baghermie, ove pa- reagli averlo inteso nominar Bahr el Dago; ma ch'egli era si- curo che andavasene a gettarsi nel Nilo al sud di Darfur, ov’egli egli era stato. Un Roffila di Soudan portò a Kouka un giovine Fighi di Timbuctoo , figlio di un Fellata capo di D’Jennie, denomi- nato Abdul Gassam ben Maliky. Egli era in cammino per la Mezca, ed avea, secondo il costume, lasciato Timbuctoo con una semplice camicia indosso , gli stracci della quale avea egli cambiati sulla via contro una pelle di pecora , sussistendo du- rante 5 mesi di viaggio da D’ Jennie dell’altrui carità, per lo che era molto esausto, sì per la fatica, come ancora per man- canza di cibo nutritivo. Seguendo la sua solita benevolenza, il Sheik regalollo di una veste; ma il giovine pellegrino riguardò però come un peccato il rivestirsene. Era egli un bello e intel- ligente giovinetto, non maggiore di 76. anni, di un cupo color bronzino, ma di fattezze bellissime ed espressive. Venia ri- guardato come un prodigio; e supea ridire a mente tutto in- tiero il Corano . “ Gli domandai più volte, dice il maggior Denham, cosa ci farebbero se noi ci portassimo a Timbuctoo .,? Che! rispose egli, farebbero di voi ciò che ora fate di me; vi nutrirebbero ,,. Disseci che ogni comunicazione fra D'Jennie e Timbuctoo era per un gran fiume chiamato Quolla , il quale passava per Kabra, che è distante sei ore da Timbuctoo, e ch’ egli avea sempre inteso dire che questo gran fiume era di- viso in molti rami, uno dei quali passava da Nyffé verso il sud, e scorreva all’ est tra le alte montagne. Aggiunse questo Abdul Gassam, ch’ei poteva appena rì- dursi a credere che sì buona gente come quei viaggiatori in- glesi esser potessero altrimenti che Musulmanni. Senza averne mai veduti, avca già egli inteso parlare di cristiani ; ed interro- gato dal Maggiore del dove, e del come, ei fece il seguente racconto, che sostanzialmente coincide co’ numerosi altri, stati fatti su tutte le coste dell’Affrica, lasciando così un ben picciol dubbio sulla sua verità. Egli non era mai stato interrogato prima che dal maggior Denham. Poco sapea egli al di là dell’Arabo, ed era stato ap- pena osservato nel suo viaggio, durante il quale fu trasmesso da un Koffila all’ altro , « Dei bianchi cristiani, vennero molti anni sono, e _ pri- ma ch'io fossi nato, da Sego a D’ Jennie in una gran barca, grossa quanto due delle nostre; i nativi endaron loro incontre 69 nei loro navicelli, e non volean far loro alcun male; ma i cri- stiani furono spaventati, e fecero fuoco su di loro, uccidendo diversi uomini nei navicelli, che avvicimavansi alla loro barca. Proseguirono essi fino a Timbuctoo , ove il Sultano spedì loro uno de’ suoi capitani, col quale ebbero essi un abboccamento , rammaricandosi secolui che il popolo volea derubarli. Il Sul- tano fu cortese verso di loro, e diede loro dei soccorsi: essi però nonostante tutto questo, immediatamente partironsi nella notte; il che non poco inerebbe al Sultano, che avrebbe volu- to mandar gente seco loro, se non ne fossero stati un poco spa- ventati; ei dunque spedì lor dietro diverse barche, onde av- vertirli del lor pericolo , essendo il corso del fiume sparso di scogli appuntati. I cristiani però proseguirono , non permet- tendo alla gente del Sultano di avvicinarli, e tutti perirono',,. Diceva egli di avere spesso veduto un uomo con suo padre, che era in una delle barche che seguirono i cristiani, e che portà a Timbuctoo la nuova ch’aveano urtato negli scogli. Grande fu la sensazione eccitata nel popolo dall’apparir di questi bian- chi; ed avea egli spesso udito parlar per un intiero giorno in casa di suo padre, intorno ai cristiani e alla gran barca, co- me se ne parla tultora: aveano essi delle bocche da fuoco fis- sate ai fianchi della barca, lo che non era peranco stato veduto a Timbuctoo; e funne il popolo altamente allarmato . Partissi questo povero giovane da Kouka con un vecchio Fighi per Waday con un piccolo sacco di cuoio, ripieno di orzo abbrosto- lito, e una bottiglia per l’acqua. Diegli il maggior Devham un ducato per pagare il passaggio del mar rosso, ch'egli cucì nella sua pelle d'agnello: ma quindi s’intese ch’egli erasì annegato nel traversare un ramo dello Tsad, Non bavvi ora più alcun dubbio che le acque che scaturiscono dalle montagne della parte occidentale dell’Africa, che noi chia- meremo, in mancanza d’ un miglior nome, montagne di Kong, scorrono all’ est e si versano nel gran lago di Bornou; e siamo portati a credere, sì per le testimonianze di coloro co’ quali ha il Maggiore conversato, e sì ancora per altre autorità , che il Shary abbia la sua origine nelle medesime montagne, o che divenga nella più alta parte del suo corso il principal ramo di quel fiume che noi chiamiamo il Nigri, Fummo lungamente imbarazzati nello scorrere i vari itine- rari dati dai viaggiatori, per conciliare l’ idea d'uno e medesi- mo fiume coi nomi di Joliba e di Quolla, o Quorra; e siamo ora assai sodisfatti nel vedere che sieno difatto, come abbiamo po i già. detto di sopra, due differenti fiami, le di coni sorgenti sia- no reciprocamente vicine; o al più due rami divergenti a qual- che distanza |’ uno dall’altro, allorchè il fiume è giunto nella gran pianura dell’Affrica . Nelle carte presenti noi scorgiamo il Joliba esser dall’ isola Jinbala diviso, al suo lasciar il lago Debbi, in due correnti, che van poi a riunirsi non molto prima che raggiungano il meridiano di Timbuctoo. Non ab- biamo su di ciò finora alcuna notizia positiva . Seppe il sig. Dupuis da un Sheik maomettano , stato una volta gran viag- giatore e mercante, che il Joliba e il Quorra sono due fiami affatto diversi, ambi procedenti da un mare o Jago ch’ ei tal- volta chiamava Bahr Gimbala, e tal’altra Bahr Deby o Zeby; ana non fa egli menzione alcuna della loro riunione. Certa no- tizia però di due correnti abbiamo noi all’est del meridiano di Timbuctoo, nelle vicinanze di Nyffé, ove viene descritto un gran lago denominato in alcune carte Bahr el Soudan, dalla sponda meridionale del quale pare scaturiscano queste due cor- renti. Ecco le autorità su cui vien basata l’esistenza delle due correnti. In una delle diverse strade insegnate al sig. Du- puis dai Mussulmani, a Camossie, e ch’gli pone in arabo, par- tendo egli da quella città, incontrò primieramente il fiume Ghul- bi; proseguendo quindi per sei giorni il suo cammino al N. € hav- vi,dic' egli, un gran mare o fiume ( Bahr significa l’uno e l'al. îro ) simile al quale non trovasi în alcan luogo ; vien questo chiamato Kourra (Quorra); quindi si giunge dopo un giorno di cammino alla città di Youri, la quale è grandissima ,,. Dalla qual città noi sappiamo prendere il suo nome il Yeou, sulle sponde del quale ella giace. Tutto ciò ammirabilmente coincide col conto dato da Abou Bouker ( quel nativo di Cashma, che era destinato ad accom - paguar Belzoni a Timbuctoo ) del suo viaggio con alcuni mer- canti di Coola , dalla città sua natale, alla cala di Benin. Ei traversa primieramente il Quorra , ( Yeou ) che scorre verso il nascer del sole; proseguendo quindi verso il sud , giunge 5 gior- ni dipoi al Ghulbi, fiume più largo , e che scorre nella stessa direzione, che passa, secondo che fugli raccontato, per Nyflè , e ricongiungesi quindi con l’ altro, verso Bornou. Colui che di- ceasi figlio di Hornemann, disse al maggior Denham che il Quorra di Nyffé andavasene verso il sud, scorreva fia due catene di montagne, passava a Loggun, ove chiamavasi Slary, e cadea quindi nel lago Tsad; lo che tutto, eccetto la prima parte, sì è poi confermato. Il giovine Figbi assicurò che il Quolla era a 71 Kabra il nome del fiume, e che uno dei suoi rami passava per Nyffé, e scorreva verso il sud fra le montagne. Ed osser- viamo finalmente , nel cammino tenuto da un moro di Jennie, ch' avea viaggiato in Egitto ( procurato a Comassie dal signor Hutchinson ), che lasciando Youri e Bousa diramasi sul Quolla verso il sud, e che trovansi successivamente in tal direzione i nomi di Noffee ( Nyffé ) Atagara, il fiume Shary, e il laga Chadee ( Tsad ). " Siamo ora informati dai nostri viaggiatori , che inco- mincia il Quorra alla città di Youri in Haoussa a cavgiare il suo nome in quello di Yeow; e che sulle sue rive, o in poca distanza da esse, son situate l’ una dopo l’altra le città @ borgate di Sockatoo, Rano, Murmar, Katagum, vecchio Binee, Laree e molte altre, niuna delle quali vien mentovata nelia via meridionale del viaggiatore di Jennie. Sappiamo inoltre, che il ramo di quel fiume chiamato Yeou si getta al N. nel lago "Tsad, mentre il Sbary vi cade al sud. L’intelligente Burckhardt conosceva bene il Yeou, che Hornemann chiamava Tsad, ma fortemente dubitò della sua identità col Joliba, al quale sup- poneva una direzione più meridionale, Fu però detto che fino alla città di Youri ritiene il fiume il nome di Quorra, ma che non mai incontrasi su quella linea il nome di Joliba. Del resto, noi siam di parere che due fiumi, o due rami del mede- simo fiume, traversano l’Affrica settentrionale dall’est al sud; che il ramo più alto si distingue coi nomi di Quolla e Yeou, e il più basso. con quelli di Ghulbi e Shary ; e che finalmente il nome di Joliba , che altro insomma non vuol signifitare che Gran fiume, cessa in un’altra parte del suo corso - Incredulo qual erasi il maggior Denham che esser potesse il Yeou lo stesso che il Nigri, e ciò per cagione della sua pic- colezza ( il che difatto non è sufficiente obiezione ), è ora sì contento che sia almeno un ramo di quel fiume, che ha spedita al console di Tripoli, amico suo, una bottiglia della sua acqua, come un saggio della “ vera acqua del Nigri ,,; al che aggiun- ge : ‘“ Io ho qui un amico moro che ha veduto il fiume per quasi tutto il sno corso ,;. Condotte le acque della parte occidentale dell’Africa nel gran lago di Bornou, ov'esse tutte scorrono per la generale inclinazione o pendio del paese di ponente a levante, resta ora l’altra e più difficile questione , come debba disporsi di loro; 0, altrimenti esprimendoci, come accertarci se questa orientale inclinazione m / della superficie continui al di la del Tsad, non avendo ancora da quel punto in poi alcun’ altra notizia , sennonchè il Balr el Abiad, la di cui sorgente non è ancora conosciuta, scorre dol- cemente all’ovest fino nel Nilo; lo che è per sè stesso una forte pruova in favore della continuazione del general pendio del paese verso l’est. Che le acque non rimangano nel lago Tsad, è ora così certo, quanto è provato ch'esse di fatto vi si riuniscono. Una contraria supposizione importerebbe un'anomalia nella na- tura, se non un'impossibilità fisica. Volentieri accorderemo che possa l’evaporazione dell’estesa superficie del lago trarne l’acqua versatavi dai due fiumi summentovati, ed altri piccoli tribu- tari formatisi nella stagione piovosa; siamo però preparati al- Jora ad opporre, che dopo una costante successione di evapo- razioni per molte migliaia d’anni, e il continuo influsso del la- vamento d'un suolo salso, l’acqua ne sarebbe a quest'ora sa-. lata; come accade rapporto a certi laghi fra Maorzouk e Bornou, il sale de’ di cui margini offre l'aspetto della neve, e le di cui acque non sono meno salinastre ed amare, di quelle del lago Asfaltite, o mar morto. Ora egli è indubitabile che l’acqua del Tsad è perfettamente dolce , cioè a dir dolce quanto quella d'ogni fiume che vi si getti. Debbe dunque questo lago ne- cessariamente avere un’ uscita . Il maggior Denham apprese da alcuni intelligenti Shua arabi, che scorre un fiume da. Wady al S. E. continuando in tal dire- zione, finchè raggiunge il Bahr el Abiad. È questo senza dub-. bio il Misselad, veli a Brown fu detto scorrere al N. O.; pe- rocchè gli Arabi, come ancora altri popoli più intelligenti, ri- gonoscono il corso d'un fiume, secondo la sua situazione rap- ‘porto al sito donde accade loro di riguardarlo. Nulla finora fa inteso intorno a questo od alcun alito fiume che scorra in quella direzione, abbenchè s’ egli avesse mai esistito, avrebbe dovuto attraversare varie strade tenute dalle caravane che si portano a Fezzan. Gli stessi Arabi assicurarono il M. Denham che il Babr el Abiad esce del 'Tsad, che descrissero nella prima parte del suo corso come ripieno di spaventosi riflussi e vortici, che attirano le acque fra gli scogli, ed in sotterranee caverne, d'onde poi scaturisce, dopo un corso di molte miglia, fra due colline, proseguendo a scorrere verso l’est. Così credesi comu- nemente dal popolo di Bornou, e da’ suoi vicini. Accoppiando ora noi queste notizie con l'informazione ri. cevuta dal compianto Burckhardt, che il fiume all’ovest del 73 ligo di Bornou, che passava al sud di Darfoor, chiamavasi Shary , viensi a pensare che piccolissimo dubbio possa esservi che il Joliba, il Quolla, il Shary, il Yeau, o vogliam dire se, ci piace Nigri dell’ Africa, riuniscano tutte le loro acque nel la- go di Bornou, e vadano finalmente a terminare nell’ Abiad, che è insomiwa il Nilo d'Egitto , o il suo ramo almen principale, e senza il quale sarebbe quel fiume asciutto la metà dell’ anno, Il sig. Linant vide l’ Azrek sopra l’ Abiad mentre l’acqua non arrivava più in su della caviglia, ed egli pure intese che venia l’ ultimo da un gran lago all’ovest. Pare che un altro francese, per nome Hey, abbia viaggiato su questo fiume per 180 miglia in una di- rezione occidentale, ma non è comparso ancora alcun ragguaglio di tal viaggio. Due sono i punti di che, in mancanza di attuale ispezione, ab- hisogniamo per determinare la precitata conclusione ; l’ altezza cioè del Tsad, e quella del punto di giunzione del Bahar el Abhiad col Niio, al disopra del livello del mare. Sarebbe invero suffi- ciente il primo, ed è stato stabilito, benchè senza dati, in una delle lettere del D. Oudney a circa 1200 piedi; quella dell’al- tro sembra esser sfuggita alla ricerca, od ecceduto piuttosto le cognizioni d’ ogni viaggiatore, eccetone Bruce, che ha arditamente stabilita l’ altezza della pianura di Sennaar: avrebbe egli però avuto miglior riguardo pel suo carattere per le scienze, restando in silenzio su questo punto. Nulla abbiam noi veduto nelle rela- zioni sulla caduta del Nilo, che possa opporsi alla minore, che 1100 piedi di elevazione esser possan sufficienti a trasportare le acque del Tsad e ridurle nel Mediterraneo; poichè supponendo che la distanza della sua costa orientale all'imboccatura dell’ A- biad sia di 1100 miglia, e quindi la stessa alla bocca del Nilo, avremo 2205 miglia con una inclinazione di 1200; 0 vogliam dire sette pollici per miglio, che noi troveremo bastanti a produrre quel lento corso dell’Abiad, che indusse il Bruce a chiamarlo un fiune d'un corso stagnante. Il fiume delle Amazzoni è; ben lungi dall’ esser tale; ciò non ostante, secondo il sig. De la Con- damine, la sua inclinazione ha qualche cosa meno di sette pollici per miglio; ed ha il maggior Reonell stabilito , dietro esperimen- to, che l'inclinazione del Gange a traverso alle pianure dell’In- dostan ( per un’ estensione di 1300 miglia dal piede delle mon- tagne ) è di nove pollici per miglio in linea retta, ma che il pen. dio del suo canale preso nei suoi giri, non è più di quattro pol- lici per miglio: nonostante però questa piccola inclinazione, il eorso di questo fiume è nella stagione di siccità di tre miglia 74 lora. I maggiori scettici potranno sodisfarsi di tai fatti, chè se resta loro pur seinpre campo a disputare la probabilità , non potranho però negare come impossibile l'identità del Nigri e del Nilo. Viaggio degli Inglesi al Soudan. Osservazioni sulle notizie della spedizione degl’'Inglesi nell’ Africa centrale, e sull’ arti- colo del Quarterly Rew.iew N. LXII. (3) Dappoichè i viaggiatori inglesi son penetrati nel regno di Boruou, cioè da due anni in circa, non erano giunte che una sol volta notizie di loro , le quali, per interessantissime che si fossero , lasciavano pur nonostante maggiore spazio al desideria di quel che fossero i lumi ch’ esse ci porgevano . Ho digià di- mostrato altra volta che in altro non consistevano che nel ri- conoscimento d’ una stretta linea su di una superficie di 400,000 leghe quadrate . In tal proporzione , ricevendo ogui giorno re- lazione d’ una scecperta nell’interno dell’ Africa , che facesse co- noscere uno spazio di venti leghe quadrate, non abbisognerch- bero meno di sei differenti viaggiatori, ed uno spazio di sei anni in- iieri, per rendere completamente sodisfatta la nostra curiosità, Pec- cato invero che sieno mancati a’ viaggiatori inglesi i mezzi di far pervenire le loro lettere a Tripoli, e di quivi in Europa, Vero si è che la loro corrispondenza passa , per quanto dicesi, col più gran mistero per Tripoli, senza che vi se ne traspiri una sola linea ; e che quando ancora è pervenuta in Inghilterra, resta ugualmente nascosta a’ lor compatriotti, finchè i dotti editori del Quarterly Review non abbiano avuta la felicità di far teso- ro delle notizie contenutevi , facendone quindi godere al pub- blico inglese e forestiere dei saggi. Dolgonsi questi dotti di non potere estendersi inaggiormente : non sarebb’ egli permesso a noi di manifestare il medesimo rincrescimento, perchè le lettere stes- se di quei coraggiosi esploratori non vengon poste sotto gli oc- chi degli amici della geografia, eccettuandone i segreti diploma- (*) È tale l'interesse che destano in tutti gli animi i tentativi fatti per conoscere l’interno dell’Africa, che i nostri leggitori ci sapranno buon grado, ce ne lusiaghiamo, di avere, benchè molto lungo, tradotto l’intero articolo del Quarterly Review. Ma poichè il redattore di esso aveva acerbamente attaccato ì dotti francesi, giustizia voleva che si dasse luogo nell’ Antologia anche alla difesa di questi: e ciò abbiamo fatto , inserendo i due seguenti articoli estratti dal celebre Bullettino Geografico del sig. de Ferussac,. Nota dell’'E. dell’Ant. mò tici, cheglino non si cnran punto di penetrare? Chi crederebbe che da Londra soltanto, e par anco talvolta da Parigi stesso, ri- cevansi a Tripoli i ragguagli delle escursioni dei viaggiatori in- glesi? Mal accorti saremmo dunque attingendone ad altri fonti che a’ giornali inglesi le notizie, e maggiormente colpevoli sa- remmo ‘alterandone i-racconti . Niuno , ch’ io mi sappia, lo ha mai fatto in Francia ; ed io men che tutti, abbenchè venga il Q_R. rimproverandemene, qualora non si riguardi come una fal- sificazione una breve analisi, o che debbansi tradurre senza sa- crificare una sola linea tutte le riflessioni che trovansi frammiste alle relazioni degli osservatori. Sono del rimanente ben lontano dal negare la giustezza ed il merito della maggior parte di que- ste osservazioni ; i loro autori però son troppo sagaci per volere che i lavori de’ lor compatriotti sieno esposti alla perdita del loro interesse , immergendoli in discussioni meramente scientifiche . Credei, debbo confessarlo, che maggior lustro acquistar dovesse l'esposizione di queste nuove scoperte, qualora venisse questa presentata in un quadro più ristretto . Il Q. R. indica un altro francese, senza però nominarlo, come quegli che ha calcolata 14,000 piedi l'altezza precisa delle pretese montagne in mezze alle quali dicesi il D. Oudney esser morto di freddo. Raccomanda egli di copiare esattamente i giornali inglesi; ma l’averli appunto copiati, fu cagione che s'imprimesse e si spandesse in Francia l’asserzione di cui si tratta. Non debbe per lo meno un tal rimprovero riguardarmi in conto alcuno, essendo io stato il primo se non il solo op- posto a questo calcolo meramente empirico. Io ignoro invero le basi di questo calcolo; temo però che il giornalista inglese siasi regolato sulle osservazioni falte sul continente dell'America e nelle isole circonvicine situate sotto il 14.° grado di latitudine incirca, come è il paese di Beder; e dall’ esser su quelle montagne all’ al- tezza di circa 14000 piedi una neve perpetua, si è voluto in- ferire: che l’acqua degli otri del D. Oudney erasi gelata su delle montagne ; e quivdi che queste montagne aveano 14,000 piedi d’elevazione. Appartiene questa azzardata opinione intiera- mente al giornalista di Glascovia, che venne quindi troppo fedel- mente tradotto a Parigi. Addurrò ora degli argomenti atti mi sembra a spogliar d'ogni probabilità una tale opinione. i primi di essi sono di fatto, gli altri d’induzione. 1.° Gela realmente in Africa sotto il 30.° gralo di latitudine ad una piccolissima altezza al di so- pra del mare. Non è l'elevazione della pianura di Belbeys, 76 all’oriente del Basso Egitto, maggiore di 30 piedi, e il ter- mometro vi discese nel 1800 fino allo zero. Nè potrassi op- porre la lontananza che passa tra il 14.° al 30.° grado di la- titudine, perchè il calore medio è a Belbeys, cone in tutto l'Egitto, d’una grande intensità, ed ascende spesso il giorno al 25,°0 30.° al di sopra di zero. Si vorrà egli obiettare che la vicinanza del mare, a 4o leghe, è una causa particolare di ab- bassamento nella temperatura? ma accade pure un tal fenome- no anco più presso al tropico. Gela nei deserti di Syovah assai più lontani dal mare, e il di cui parallelo è più meridionale .- Il sig. Cailliaud vi ha trovato il ghiaccio. Il capitano Lyon ha pur trovato lo stesso freddo nel Fezzan verso il 27. grado. Il sig. William Burchel finalmente , viaggiando al sud dell’equa- tore, ha veduto il termometro a zero il 12 ottobre 1821 a tre ore del inattino a Klaarwater alla latitudine di 28.° 50’ 56” ed in paese piano; il vento era d’est, e purissimo l’ orizzonte (1). Una terza circostanza è il costume che vedesi univer- salmente praticato dagli Arabi, guerrieri o pastori, dai Be- duini di tutte le tribù africane, che si accampano nelle pia- nure del deserto, di vestirsi caldissimamente ; essendo sempre coperti d’un mantello di lama, il cui principale oggetto è di render loro sopportabile l’ intensissimo freddo nelle notti d'in- verno. Ed altrettanto sensibile è questo freddo, in quanto che succede, con sole 12 ore d’intervallo, un considerabile calore, Provai io stesso questa estrema variazione di temperatura solto il 27.° grado, che mi fu più penosa dei maggiori freddi d' Eu. ropa: facile è a sentirsene la causa. Ecco un fatto, che per poco conosciuto o poco esaminato fino ad ora, non cessa di esser costante. Il freddo che fà |’ in- verno all’ occidente di Burnoù sembra dunque un fitto collegato col primo , né l’ uno di essi è più sorprendente dell’ altro. Vo- Jendolo poi spiegare , e trovandosi ridotto a congetture per la scoperta della sua causa , dovrassi certamente andare errando d’ inganno in inganno: ma ammettendo ancora che non avessi» mo alcun altra consistente spiegazione da dare, non meno certa sarà però la proposizione che ne resulta, che nei deserti del- l’ Africa dal 14. fino al 29 grado di latitudine N. può gelare nei bassi piani nei paesi sprovvisti di montagne e di colline, co- (1) Lo stesso William Burche] ha osservato il 27 d'ottobre la terra in- durita, forse dal freddo, sotto il 26° parallelo, e lungi dalle montagne ( Lat 26.° 36.’ S. Long. 21° 25/ E, ) 77 me su dei pianori mediocremente elevati. Non resulta invero da ciò alcuna cognizione della temperatura media di quelle re- gioni dell’Africa, nè puossi conseguentemente concludere che ta- le o tal altra sia l’ elevazione della neve| sotto il 14 grado di latitudine. Può questa esser considerabile come mediocre ; il yero sì è però che non venghiamo per questo autorizzati a con- eludere, sull’ esistenza del ghaccio in Africa a questa latitudine in un giorno d’ inverno , che l’elevazione del suolo sia di 14000 piedi, né molto minore (2). Tentiamo pertanto di fare una con- gettura sulle cause d’un tal fenomeno : l’ esser questa fondata su dei fatti, m' incoraggia soltanto a sottoporla allo sguardo dei dotti. In tal copia cade nei deserti dell’ Egitto la rugiada , che le vesti ne rimangono intieramente imbevute. Viene: questa dis- sipata nel giorno dai raggi del sole: ma la sera però e la notte ‘non può svaporarsi che a carico degli strati bassi dell’ atmo- sfera, e privando la terra d’ una pa:te del calore che vi si trova accumulato. Ella è cosa evidente che questo raffreddamento è proporziona- tamente più considerabile ne’ paesi giacenti in pianura, che sulle montagne , cone quelli che debbono naturalmente esser più riscaldati. Se inoltre, non ha il Tsad, come supponiamo; alcuna uscita, dovrà l’ affluenza dei tre o quattro grandi fiumi che vi si gettano venir bilanciata dalla evaporazione ; la quale debbe certamente dal canto suo contribuire al raffreddamento dell’ atmosfera. La radiazione verso un cielo puro e sereno è un’ altra cagione di raffreddamento per la superficie delle pia- vure di sabbia verso il tropico; perlochè debbe necessariamente, soprattutto in tempo di notte, dissiparsi in gran parte il ca- lore del suolo: questo calore non vi è d’altronde concentrato come nelle valli, cosicchè non essendovi questo, venuta la notte, più compensato , abbassasi gradatamente la temperatura, fineb’ ella scende, verso le tre ore del mattino, al grado suo più basso. Quando finalmente viene il vento freddo a soffiare (2) L'altezza di 14000 piedi assegnata da prima a queste pretese montagne dell’ Africa, è stata possibilmente dedotta dai dotti calcoli del sig. di Humboldt, che pare abbia fissata a 4,600 metri l'altezza del limite delle nevi sotto il 20 grado di latitudine . Per poter applicar però questa legge al continente africa- no, o per trovarne un’ altra più esatta, converrebbe posseder migliaia di os- servaziovi precise , fatte in quella parte del mondo , onde dedurne la tempe» rattra media; fiuora però von se ne possiede alcuna: e bisogoerebbe finalmen- te avere delle livellazioni geodesiche o almeno barometriche, che sono assoluta- le mancanti. Non possediamo ancora che dei punti isolati. 73 dal N. o N. E. non trovando maggiore ostacolo su quegl'immensi pianori che sulla faccia del mare , non può esso giungere a ri- scaldarsi che doppo un lungo spazio di tempo. Come che queste congetture sieno riguardate , bastano al- meno a diminuir la sorpresa cagionata dal subito freddo cui ven- ne attribuita la morte del D. Oudney . L'ucqua invero gelatà negli otri, se però il fatto sia certo , supporrebbe un freddo di più gradi al disotto dello zero ; ina giunta una volta la tempe- Yatura a questo termine , una semplice causa accidentale e lo- cale può farla discendere a qualche grado di più; ed è probabil- mente tale quella della catastrofe di quel viaggiatore (3) . Quanto insomma sulla semplice comparazione dei fatti co- nosciuti noi presumemmo sei mesi indietro , trovasi ora intiera- mente confermato dagli ultimi rapporti. Il sito sul territorio di Beder, ove perì l’infelice dottore, non è una montagna , ma una pianura bensì che si presume di colline basse , come i deserti della Libia, per giungere alla quale da Kouka , città situata sulle sponde del Yeou, non lungi dal lago sad , non aveano i viaggiatori per quanto si sappia traversata montagna alcuna - Non pare dunque che esistano all’occidente, e a questa distanza del regno di Bornoa, montagne elevate paragonabili a quelle dell'Atlante, nè elevazioni tampoco degne di menzione: nou può in conseguenza scaturirne alcun fiume, il di cui livello sia bastantemente alto per iscorrer nel Nilo. Erano allora (li 26 Di- cembre 1823 ) i viaggiatori Oudney e Clapperton , dodici gior- nate distanti da Kouka , residenza del Sheik di Bornou. uy I Corso del Nigri e del Nilo. È stato letto all’ Accademia delle scienze ( 18 Aprile 1825) un estratto d’una memoria, sulla probabilità di comuwvicazione tra il Nilo dei Neri, e il Nilo d’ Egitto. Esaminasi in essa la questione sotto un nuovo aspetto , e le più recenti osservazioni sull’ altezza dei luoghi, dalla sorgente del Dialli-ba , fino a due differenti punti del corso del Nilo in Egitto, vengono quivi rac- colte e discusse. L’ autore di questo scritto è il sig. Jomard , ch’ avea già un anno fa pubblicato diverse notizie sulie receuti (3) Il sig. Barone di Humboldt crede ( ed è mio dovere di avvertir qui la sua opinione ) che la congelazione dell’acqua negli otri sotto il 14 grado di latit. è un fatto, che lungi dal convenire con le analogie di già da noi cono- sciute, indica anzi delle cause che non ci son note: pubblicherò altrove quelle osservazioui ch’ egli ebbe la bontà di comuuicarmi. 79 seoperte de’ viaggiatori inglesi nell’ Africa centrale. Le reiterate di lui fickrche lo han confermato nell'opinione già da lui emes- sa altravolta all’ epoca de’ viaggi del sig. Caillaud sul Babr- el Abiad, o Nilo bianco, e persiste a credere che nè il Dialli_ ba, nè il lago Tsad, vadano a gettarsi nel Nilo. Ha egli ac- compagnata la sua memoria da una tavola, che stabilisce nella più chiara forma i rapporti del pendio del Nilo e degli altri fiu- mi scorrenti in quella parte, dell’ Africa, con quella di diversi altri fumi de’ due mondi. Vien quindi esaminando la questione insorta rispetto alla temperatura ed all’ altezza del sito ove perì il D. Oudney,; nel suo viaggio da Kouka a Bornou. Ardito for- se può alquanto sembrare il combatter così l'opinione dei dotti collaboratori del Quarterly Review , che trovansi al fonte delle nuove; ma può dirsi daltronde avere eglino stessi attaccato il Sicario del celebre maggior Rennel, ch’ era insomma lo stes- so di quello dell’autore della suddetta memoria, La maggior par- te del precedente articolo è stata estratta da questa stessa me- moria , (4) i (4) Vedi Autol. passato fascicolo pag. 145. l’opinione del sig. Maltebrun. NUOVE SCOPERTE INTORNO AI GEROGLIFICI D'EGITTO N.° 1. Lettera di M. CHAMPOLLION IL GIOVANE sopra l’alfa- beto de’ geroglifici fonetici . Parigi 1822. 8. 2. Esposizione di nuove scoperte della scrittura geroglifica ne’ monumenti antichi d’Egitto, di 'TomMAso YounG. Lon- dra 1823. 8. 3. Trattato del sistema geroglifico degli antichi Egiziani , èevero ricerche sui primi elementi di questa sacra scrit- tura , sulle loro diverse combinazioni, e sopra î rapporti che ha questo sistema colle altre maniere grafiche d’ Egit- o; di M. CHAMPOLLION IL GIOVANE, con un volume di tavole. Parigi 1824. 8. 4. Osservazioni sopra un testò d’un papiro egiziano, che si trova nella raccolta del Generale Minutoli; di F. G. C. KosEGARTEN. Greafswald , 1824. 4. (*) Fra le genti più antiche , di cui racconta la istoria essersi inalzate a un alto grado di sapienza , evvi il popolo d'Egitto (*) Quest’articolo è estratto dall’ermzes, rinomatissimo giornale tedesco. 80 il quale in tale stato si compose che severi ordini lo prospe- , ravano nell’ interno, e una temibile potenza il faceva rive- rito dagli stranieri. Indipendente si mantenne nel corso di più secoli; e quando più tardi cadde sotto l’ altrui signoria , e tor- me di Greci e Romani innondarono le sue contrade, incontrò così leggieri mutazioni, che non può dirsi aver lui cangiato d’ interno reggimento. Non pensiamo che il regno d’ Egitto in que’ tempi tanto solo si allargasse quanto nei nostri: altri po- poli meridionali , come Nubia e Abissinia , gli appartenevano , uniti o da politici legami, o da eguaglianza di studii e di go- verno. Perocchè come in Egitto , così in Nubia e Abissinia sì scriveva; e quali in Egitto, tali in queste altre regioni erano i numi adorati. E di quanta grandezza fossero gli Egizii, abbiamo indubitabile prova nelle maravigliose reliquie de’ loro tempii e palazzi; dai quali conosciamo esservi state arti e scien- ze, che farono per essi coltivate e altamente cresciute . Onde nell’ animo agli studiosi di cose antiche si accende maggiore il desiderio di avere e conoscere le egiziane scritture; e così po- tere una volta udir la voce di quell’ onorato popolo, intendere da lui medesimo la qualità gli oggetti e le espressioni de’ suoi pensamenti ; da lui medesimo ricevere irrefragabili testimonian- ze del suo governo e della sua storia. Non è da dubitare che stati vi sieno libri egiziani; ma noi non ne abbiamo più altro se non pochi frammenti della storia che Maneto, sommo sacer- dote in Eliopoli, scrisse dell'Egitto l’anno 270. avanti Cristo, regnando Tolomeo Filadelfio. Che quei libri sieno andati smar- riti, niuno si meraviglierà dove pensi ai somiglianti esempi, che in gran numero ci porgono gli antichi tempi, e troverà ,' come principal cagione ne sia stata la non curanza, che scam- bievolmente si aveano i popoli antichi. Essi mancavano di quel vincolo universale , e di quella reciproca comunicanza , che tie- ne congiunte le genti de’ nostri giorni : ma ciascuno , vivendo a sè e d’altro non prendendosi pensiero che delle proprie bi- sogne, avea in niun conto ovvero in dispregio il suo vicino, quando non gli si fosse accostalo pei politici interessi: tantochè il forestiero era a lui non altrimenti che un barbaro e un ne- mico. Ma oltre a ciò niuno era che si pigliasse cura di diffon- dere alquanto lontano le proprie idee, e cercar di ricambio l’ acquisto di straniere cognizioni. Voglionsi però trarre da que- sto numero alcuni Greci scriitori , siccome Erodoto, che a po- poli quantunque fuori di Grecia , rivolse la mente: se non che per quanto preziose, principalmente perchè uniche , ci sieno le 81 loro scritture, abbiamo a dolerci di parecchi loro mancamerti, tra’ quali che non ci abbiano conservati gli scritti useti da loro medesimi, e appartenenti a popoli stranieri, di cui tessevano la istoria. Molti libri aveano i Greci e i Romani de’ Persiani, de’ Fenicii e de’ Cartaginesi: molti ne aveano parimente degli Egizii; ma di tutti per sgraziato destino non è rimasto quasi vestigia. Se un solo di tanti Greci e Romani, che lungamente soggiornarono in Egitto, si avesse dato la leggier cura di tener memoria dell’ idioma e delle scritture che correvano in quelle regioni., conservandone anche una sola facciata nelle proprie opere istoriche e di geografia , sarebbono ora rischiarate quelle tenebre, che si incontrano così nella istoria come nella filolo- gia ; e cessata la cagione di tante dispute, sarebbe pur tulto il bisogno di molti faticosissimi studii. Non vorrà alcuno apporre a dovere degli antichi, che tenessero conto de’ bisogni lettera- rii de’popoli più tardi: ma se riguardiamo solo ai vantaggi che gli uomini e le scienze ne avrebbono potuto ritrarre, non sarà ingiusto, che agli antichi sia dato rimprovero di negligenza , perchè abbiano trascurato di mettere in perpetua lane le cose de’ loro tempi, Nondimeno se dagli Egizii non ci rimane un libro compiu- to, siam però ancora fortunati di avere alcuni monumenti della loro scrittura. In due ordini vengono distinti; nel primo le così dette geroglifiche inscrizioni, che dal basso Egitto ai con- fini della Abissinia si incontrano a gran copia , 0 intagliate, o dipinte, nelle pareti de’ tempii, degli obelischi e delle tombe: nel secondo, le pergamene portate dalle Mummie, e che furo- no scoperte nell’ età a noi meno lontana . Alcune contengono caratteri geroglifici: su’ altre si vede una differente maniera di scrivere egiziano : e di tali ancora ve n’ hanno in greco idio- ma, ma con: greche lettere così mal formate, che ne riesce assai difficoltosa la intelligenza. Ne raccolsero quante poterono i viaggiatori che andarono percorrendo l’ Europa, I Musei di Torino, Parigi, Berlino, e Inghilterra ne danno moltissime a vedere; e parecchie conoscere si possono incise tanto nella de- scrizione dell’Egitto stampata in Francia, come in molte altre opere somiglianti . Da lungo tempo i dotti posero l’ ingegno ad aprirsi una via onde fossero condotti al conoscimento de’ geroglifici e del- le pergamene. Ma per troppe difficoltà loro falliva la im- presa , iguorandosi ben anche di quale scrivere e di qual lin- gua si avesse a cercare. Perocchè siccome molti erano tuttavia T. XIX. Luglio ; 6 82 bella incertezza di reputare conie ‘antichissimia’ la lingua copta d’ Egitto a noi mezzanamente conosciuta , così nasceva dubbio Mrgzifeltà fosse appunto adoperata nella maniera di ‘scrivere ; sini sopra accennammo. Di quanti si provarono a dissipare que= sta oscurità, niuno aveva ottenuto buon successo , e molti me- no accorti fecero mercato di pazze imaginazioni. Ma nè ricchi conuscitori di lingue, nè uomini addottrinati cercarono più che tito in quel buio, e avvisando che mancato il fondamento di sicare cognizioni non potevano riuscire a niuna certezza, usa- rono prudenza a tacersi da ‘ogni giudizio . Sovente all’incontro vennero innanzi con vane dichiarazioni gli inîziàti’ nelle scien- ze: erano allettati dalla novità del soggetto; e ‘poveri di quanto avrebbe potuto fargli avvisati del loro traviamento , prestando fucile fede alla vanità ‘delle proprie supposizioni, davansi stol- tainente il' vanito di nuove scoperte. Non sono che due anni; da che Tomaso Young d'Inghilterra , e il giovane Champollion di nazione francese aiedero primi una quasi indubitabile speran- zi, che in ‘mezzo a tanta confusione avessero ritrovato il vero. E Champollion principalmente in quel 'sao trattato del sistema geroglifico degli antichi Egizii, arrivò a penetrare nella oscurità’ di molte egiziane scritture dell’ età più antica, e traendone fuori i sepolti concetti, diede esempio di quanto aiuto riuscir potes- sero le geroglifiche inscrizioni* alla istoria e alla mitologia che si stendono ai tempi più addietro di quella ‘nazione Ma avanti ch’ io discenda ai particolari di questi tentati. vi, onde chiarire i segreti delle scritture egiziane, amo di bre- vemente scorrere le varie maniere di scrivere o usate o da po- tersi usare da’ popoli: perocchè la pale da noi adoperata di combinare un numero di lettere non è a credere che sia la sola valevole ad esternare i pensieri degli uomini. Esse si riducono a tre specie : scrittura ideografica , simbolica ; e alfabetica , ossia di lettere (1). Consiste la prima in una immediata di- mostrazione della idea con segnare la figura della cosa, che ne è if soggetto, senza rendere il suono onde parlando suol essere espressa. Essa non ha alcun legame col linguaggio, e può dirsi quasi una pasigrafia che, dove pur non sia conosciuto il par- ticolare idioma, porge la idea intelligibile a qualsiasi gente. Poniamo ; ‘che si voglia indicare la idea di casa : si delinea di una qualunque casa l’aspetto ; e questo vedendo, il tedesco (1) Quest ultima é da Champollion chiamata fonetica, siccome quella che tende il suono delle parole., 1EOTrTT====-+{(---—_ == rrr9] {191 83 pronuncia la parola Raus , il francese maison, l° italiano casa. Quando questa maniera di scrivere, che certo doveva essere la più agevole a ritrovarsi, mon sia altronde soccorsa, non basta al bisogno; e in ispecie non varrebbe a mettere sotto gli oc- chi quelle idee intellettuali , che , non ayendo corpo , non pos- sono essere figurate; come ad esempio la idea dello spirito, ov- vero d’ una relazione gramaticale di un verbo ad un nome. Non, dispregevole uso. sembra, che facevano di questo scrivere quelli del Messico: ed anche della scrittura Cinese è verosimile, che a quel modo siasi principalmente attenuta nella sua prima fanciullezza . Una .indicazione della idea senza espressione del suono è parimente la scrittura simbolica: ma con tale differenza , che a manifestare una idea si serve di un segno qualunque, dove la scrittura ad imagini adopera la figura della cosa che la. idea comprende . Onde la idea di una casa nella scrittura simbolica, non per l’aspetto delineato di una casa, ma può essere resa o con due punti sopraposti o con qualsiasi altro segno. Questa seconda maniera avanza di vantaggio la prima; tanto perchè vale «pure a dare idee incorporali , quanto per aver infinita ab- bondanza di segni, potendosene sempre creare quel maggior nu- mero, che piaccia. La qual cosa appunto genera una forte dif- ficoltà. a farne uso, perocchè la mente più pronta non può ba- stare a tutti. impararli, e di tutti tenerne tal memoria che al so- praggiunger dell’ideà, 0 vedendo il segno vi sappia corrispondere il segno o l’idea. Simbolica è la scrittura, che di presente adoperano i Chinesi, nella. quale, a. molte. migliaia. si trovano pure. i (segni composti rappresentativi, di più idee insieme, riu- nite.. E. però anche questo modo di. scrivere ; non, essendo al- tro. che una Pasigrafia;j verrà inteso da. ciascun popolo nella sua, lingua particolare ; tantochè a chiunque non sappia l’ idio- ma della China è posti Bile di entrare nei. concetti, che vi si vuole rappresentare co’ segni simbolici . À Nella scrittura alfabetica :non si indicano immediatamente le idee, ma. i suoni, onde, parlando, sogliono quelle es- sere manifestate . Vuole il Tedesco dare , scrivendo, l’imagine di casa? ei deve con lettera, ritrarre il suono del vocabolo, che nel suo linguaggio la rappresenta, per che di quattro se- gni fa uso: de’ quali il primo indica una leggera aspirazione , il:secondo e terzo l'unione delle vocali 4 ed u, l’ultimo quasi un,sibilo. E però siccome le parole non sono altro che suoni esprimenti le idee; e la scrittura alfabetica col renderci il suo- 34 no ci condace alla idea relativa, sarà necessariamente questa scrittura così congiunta col linguaggio, che dove esso non si conosca , non potrà mai quella essere intesa. Furono i popoli semitici dell'Asia che trovarono questa maravigliosa maniera, la quale, per esser di tutte la più accomodata all’ uso, venen- do di mano in mano dall’ altre genti ricevuta , oggi si è fatta quasi universale nel mondo. Passando ora ad esaminare la scrittura dell’ Egitto, po- trà forse alcuno dimandarci di qual maniera ella fosse , se scrittura ideografica , o simbolica od alfabetica? Ne’ tempi più addietro, dove era costume di attendere a quelle sole scritture egiziane, a cui abbiamo dato il nome di geroglifici , si sareb- be a quella dimanda quasi universalmente risposto, che la scrit- tura a geroglifici appartenesse alla ideografica. Del qual giu- dizio in parte sarebbe stato cagione il vedervi una moltitudine di corporali oggetti figurati, come gatti, oche ; ibi, serpenti, leoni, uomini, donne, tempii, piedi, mani, ed altri simili, Nè mancarono scrittori, e Orapollo fu uno di essi, che colle loro spiegazioni de’ geroglifici confortassero a ricevere, siccome vera; quella opinione ; seguitando la quale non si poteva andar molti passi avanti: perocchè quando pur si avesse creduto di leggere in quelle figure alcuni nomi del linguaggio, qual mezzo eravi a comprendere i verbi, gli avverbi e le congiunzioni, ovvero ì nomi esprimenti le idee, che create puramente dallo spirito non potessero prendere alcuna veste corporale ? Fu quindi ne- cessità reputare, che a formare la egiziana scrittura entrassero ancora i caratteri simbolici: ma a conoscere questi , mancando ogni lume, altro non seguitavasi che i suggerimenti del pro- prio capriccio. Ognuno che si dava a scoprire i concetti na- scosti ne’ geroglifici, apponeva a questi il significato che gli an- dava più a grado ; credendolo anche vero di buona fede , poi- chè è facile vedere una relazione e un legame tra un segno e quella idea , che piace di attribuirvi. La figura dell’uovo p. e. poteva rendere a ciascuno de’ molti investigatori una diversa immagine ; all’ uno l’origine di un qualsiasi oggetto , all’altro l’amore materno; a questi la rotondità dell’ universo, a que- gli il bianco colore, o l’ alimento o altro. Dei tentativi più notabili, che anticamente si fecero a in- terpretare i geroglifici, vogliono esser ricordati i seguenti . I dotto padre Atanasio Kircher scrisse intorno a questa materia sei volumi in foglio, corredandoli di molte geroglifiche inseri- zioni tradotte e ritratte . Egli si aveva cacciato in mente , che 85 tatte contenessero cabalistici , metafisici e teosofici misteri di una meravigliosa demonologia , la quale credeva ben a propo- sito di avere ritrovata. Con questo lume non era geroglifico per oscuro che fosse, che non gli sì richiarasse fino alle mini- me parti, tanto se dalle prime, come se dalle ultime righe ei ne incominciasse la lettura. V’ ha un celebre obelisco di Pamfili, che porta un gruppo di geroglifici. Champollion secondo la sua maniera , che appena è a dubitare che possa dipartirsi dal ve- ro, vi legge la parola Autrocrator, che è quanto imperato- re. Ma Kircher, dove parla di questa iscrizione , ne vuol dar a credere esservi copertamente detto: “ che Osiride fosse l’ autor primo della fecondità, e della universale vegetazione, la di cui virtù generativa fosse per Mofta tratta dal Cielo nel suo re- gno ,,. Un altro gruppo di geroglifici, che si trova nello stesso obelisco, e che nelle altre parole Aaisur Domitianos Sebastos esprime il nome dell’ Imperatore Domiziano , è così spiegato da Kircher: il benefico reggitore della generazione , che nel ce- lesto regno tiene una quadrupla potenza, manda per Mofta l’aria e la benefica aerea wmidità , onde dar prova di sua forza ad Ammone , che nel sottoposto mondo crebbe in soverchia po- tenza pei simulacri e le cerimonie usurpate ,,. Il Mofta, di che ragiona questa oscura dichiarazione, è un genio egiziano della creazione imaginato dalla fantasia del padre Kircher ; il quale a malgrado tanta ‘enormità di errori, ottenne lode da molti, e fu da molti seguitato. L’abate Pluche nella sua istoria del cielo , tenendo per simbolica la scrittura geroglifica , altro non vi trovò che esposizioni di calende, meteore e cambiamenti di luna. E con tanta stranezza egli ebbe parimenti molti imi- tatori: i quali, sendochè meglio diceva loro la fantasia, da- vano un senso a quei simboli, non ponendo pur mente se dalle loro infinite dichiarazioni potesse cavarsi un tutto ordinato e non repugnante alla ragione . Il Cavaliere Polini, che quando pure a mezzo le righe incominciasse a leggere, valeva a inten- dere le iscrizioni geroglifiche, diede una spiegazione a tutti i segni di geroglifica scrittura negli emblemi da lui scoperti presso i Greci, i Romani, i Chinesi e altri popoli. Ma postosi a inter- pretare la inscrizione di Rosetta in quanto ha di geroglifici, non si avvisò il valent’ uomo che tutto ne mancava il principio per essere rotta la pieira, dov’ erano scolpiti. Quindi messo la geroglifica a confronto della corrispondente inscrizione in lin .gua greca, procedendo di pari passo a leggere nell’una e nel- l’altra, venne a spiegare la metà della prima col cominciamento 86 della seconda. Non eranvi più in quella i geroglifici esprimetiti i nomi di molte persone , che si le&gevano a principio della greca inscrizione , ma non dimeno così gli parve di trovarvegli, che non dubitando del vero credeva di aver proprio colpito nel segno. L'autore della vasta opera de l’'étude des hyérogliphes, Paris 1812. ne venne innanzi con questa scoperta tutta nuova , che nelle scritture geroglifiche d’ Egitto altro non si racchiu- desse che le poesie del vecchio testamento. Onde per esempio parlando egli della iscrizione scolpita nel portico del rinomato tempio di Dendera , affermava esservi tradotto il centesimo pri- mo salmo di Davide dove si fa invito ai popoli d' entrare nel tempio di Dio. Vi fu poi un tal altro, che a Genova nel 1821, pubblicò una sua traduzione de’geroglifici trovati nell'obelisco di Pamfili, annunciando, che vi era descritto il trionfo sugli ere- tici riportato dagli adoratori della Trinità e dell’ eterna parola, nel sesto secolo dopo il primo peccato, regnando in Egitto il seste o il settimo de’ suoi re. Con più ragione, che non fecero questi fantastici scoprito- ri, si condussero l'Inglese Warburton e il Danese Zoega: i quali, se ne’ loro esami sono difettivi, non è per altro che per non aver fatto scoperta di sorta. Perocchè Warburton a questo solo principalmente si tenne di raccogliere, e per comenti rischia- rare , le notizie che dei geroglifici vengono somministrate dagli antichi scrittori, Diodoro, Plutarco, Orapollo, Eusebio e Cle- mente Alessandrino. Le quali notizie o sono generali osserva- zioni intorno la maniera delia scrittura egiziana , o sono quasi caparra del significato da dare a un particolar segno simbolico o di imagine. Ma se anche tutte insieme le si considerano, non è possibile trarne una guida, che ci scorga al significato di una sola geroglifica proposizione. Zoega pure in un grosso volume in foglio si distese a parlare degli egiziani obelischi e de’loro ge- roglifici : raccolse tanto le dispute che sopra vi si fecero , quan- to le dichiarazioni diverse che vi furono date: e raffrontando le une alle altre venne a stabilire che tutte tornavano a nulla, poi- chè una non ve n’era, che porgesse alcunchè di sicuro intorno quella tenebrosa materia. In tempi più vicini fu in Germania il sig. consigliere conci- storiale Sickler di Hildburghausen, il quale in molti suoi libri diede con un gran corredo di ragioni a conoscere un suo sistema di interpretare i geroglifici. Non dissimilmente a coloro che avanti lui studiarono in questa materia, egli non si diede pensiero, se la lingua copta e la lingua più antica d’ Egitto fossero una 8g medesima. Ma come credette di poter coll’idioma ebraico co- noscere nella loro essenza nomi delle greche deità e degli esseri mitologici, così reputò che l’idioma ebraico fosse pure il mezzo di svolgere il nascosto senso delle egiziane iscrizioni. Prese aiuto anche dalle altre lingue semitiche, l’ arabica, la sirica, e quella de’ Caldei e degli Etiopi: ma sembra aver lui queste lingue non altrove imparate che nei dizionari, nulla sapendo- ne delle regole, della formazione e della etimologia dei voca- boli. Oltre a questo, a interpretare la mitologia de’ greci, egli creò di sua fantasia mostruose parole che disse ebraiche, e che se eccettui i suoi libri, è impossibile ritrovarsi in altri. E rispetto a quelle significazioni che appose ai vocaboli semitici da lui adoperati, egli non le cercò con un profondo e giudiziosa studio della lingua, ma bensì ideolle secondo le regole che da Golio e da Castelli farono dettate. Un siffatto sistema di pene- trare i misteri de’ geroglifici è basato in ispecie sopra le due se. guenti proposizioni, che a me sembrano egualmente fuori del vero . La prima è che gli Egizii usassero scrivendo non la propria, ma la lingua degli Ebrei, ovvero un miscuglio degli idiomi ebrai- co, arabo, sirico, etiopico e caldaico: sopra che il sig. Sick- der trasse quanto gli occorreva alle sue dichiarazioni dal no- stro dizionario, e principalmente dal dizionario archeologico di Castelli. Della falsità di questa opinione ci fanno fede le notizie, cha della lingua egiziana sono date da antichi scrittori, non che molti particolari vocaboli da loro medesimi riferiti. Da che è posto fuor di dubbio, che essendo Re i Faraoni e i Tolomei, parlassero gli Egizii, come nell'età più antica, quella lingua da noi chiamata copta, In questo avviso ci conferma la rinomata opera di Quatremère : Recherches sur la langue ct la litterature de l’ Epypte , Paris 1808. E Champollion nel suo trattato del sistema geroglifico, a pagine 373, è di sentimento, che basta il buon senso a sciogliere la controversia , se gli Egizii nel proprio o nell’ ebraico linguaggio abbiano scritto, le simple don sens veut cependant que, si les textes egyptiens expriment des prononciations , leur lecture nous donne des mots égyptiens et non des mots hebreux chaldéens. Nondimeno il sig. Sickler ne vuol condurre a credere, che gli Egizii, deposta la loro alte- rigia; dimenticando la carità dovuta alla patria, prendessero a scrivere in un idioma forestiero, e di una nazione, che come l’ ebraica, avevano nel più alto dispregio - Il secondo fondamento al sistema del sig. Sickler sta in ciò, «che gli Egizii scrivessero con lingua ebraica a modo di Pgra- 88 nomasia, tantochè indicassero una idea per la imagine di un altra, che fosse dinotata da un vocabolo ebraico, il cui suono corrispondesse all’ebraico vocabolo rappresentativo della idea che volevasi esprimere. Di che darò due esempii presi dalle interpreta- zioni, che il sig. Sickler pubblicò nell’Iside del 1821, di dieci tavole geroglifiche, che si trovano sopra la cassa di una mum- inia egiziana esistente in Vienna nell’I e R gabinetto d°’ antichità . Sickler, vedutavi una foglia perse, così ragiona: questa fo- glia chiamasi nell’idioma arabico leda ( propriamente dedacha ): uu vocabolo arabico di egual suono è il verbo /ebacha che di- nola esser morto (e in forma attiva morire ); nella foglia per- sea adunque sarà rappresentata l’imagine di morte. Così pure avvenutosi il sig. Sickler in una dipinta fecaccia di miele , os- servato che il miele è dagli Arabi chiamato Dedasch, e che un somigliante suono rende il vocabolo arabo Debascha ( propria- mente debbasa ) che vale coprire ( e in forma attiva essere co- perto ); trasse la conseguenza che la focaccia di miele desse I’ idea di coprimento . E di una penna che vi era pitturata disse; chiamarsi la penna in voce ebraica Eber, e perchè da questa parola poco dissomigliava nel suono il verbo arabico Abara, che siguifica parlare, doversi avere la penna come rappresen- tativa della idea Discorso. La qual maniera se dagli italiani fosse seguitata, essi dovrebbero a dare l’imagine di un /adro delineare un guadro ; e così dipingendo una gabbia manifestare l’idea di rabbia; dipingendo una tavola significare favola, poi- chè le parole ladro e quadro, gabbia e rabbia, tavola e fa- vola hanno ben poca diversità di suono. Ma questo metodo di scrivere, che noi tedeschi chiamiamo anche Rebus, avanza ogni altro, che imaginar si possa di dubbiezza e difficoltà nell’uso: e in ispecie quando fosse adoperato colle lingue semitiche, dove come il più delle idee possono essere per molti diversi voca- boli espresse, così la maggior parte delle parole valgono a in- dicare parecchie idee l’una dall’altra differenti; onde appare che gli Egizii avrebbono di gran lunga sorpassato Edippo, se bastati fossero a scrivere come il sig. Sickler ha imaginato. La spada p. e può avere oltre a mille denominazioni , senduchè affere ma Firusabadi, autore di un arabico dizionario, al quale piacque di tutte raccoglierle in un’ operetta intitolata Erraud el meslif. Se adunque veduta delineata una spada, la volessimo interpre- tare col linguaggio semetico , quale di tante sue denominazioni crederemmo valevole a svelarne la vera idea? Il sig. Sickler è d’ avviso, come sopra accennammo, che la penna chiamandosà 69 dagli Ebrei Eder, dinoti il verbo arabico Abara cioè parlare : ma noi osservato che questo vocabolo Ab4r scritto con un Ain significa ancora sorpassare una cosa, andar via, morire , leg- gere , esaminare, piangere, e essere ammonito; e scrilto con un E%if, che più ancor si accorda col vocabolo Eber penna, può esprimere ficcare, maledire , secondare, migliorare, tro- varsi bene, oltrechè abdr indica pozzo, e abbar pulce ; noi di- mandiamo al sig. Sickler come tra tante idee rappresentate da parole che hanno somiglianza col vocabolo Eder, potremmo sciegliere quella che sia veramente racchiusa nella penna? Non v' ha dubbio, che per questa maniera è impossibile uno scri- vere esatto, chiaro e da intendersi senza gravissima difficoltà. Ond’è che qualunque de’ nostri dotti creda che così fosse presso gli Egizii, dove si ponga a interpretarne le geroglifiche inscri- zioni, non ha altra scorta a seguire che i dettati del proprio capriccio. E se di quelle il sig. Sickler già diede una tradu- zione, altri ne potranno dar mille tutte diverse e fondate in ragioni che varranno a stare in bilico colle sue. Che anzi egli con soverchia prolissità di parole inte:preta sovente in tal modo, che ne escono concetti di filosofia e mitologia, in nulla confacenti alla maniera di pensare ed esprimersi che aveano in costume quegli anti- chi popoli. Di tanto difetto ci sia prova la seguente sua interpreta- zione. Posta in bilancia dal servo d’ Osiride la religione con- tro il guasto dell’umano intelletto, piega la coppa della reli- gione ; perchè i due genii sopraintendenti al mondo, che co- noscevano il retto animo dell’ iniziato, pregano di perdono ; onde dalla conoscenza della interna rettitudine dell’iniziato viene la sentenza del giudice, il concedimento del perdono, e la libe- razione della lotta che si fa per uscire dalle tenebre alla luce. Ora veniamo a discorrere le nuove cognizioni intorno a que- sta materia, di cui siamo debitori a Young e Champollion . Essi mossero da eguali principii; e mirabilmente si avvicinarono al vero, principalmente perchè nel congetturare la lingua delle iscrizioni ebbero riguardo ai vocaboli e alla costruzione della lingua copta. Ai loro ritrovamenti fa possentissimo aiuto la celebre iscrizione, scolpita in una pietra, che, trovata nella città di Rosetta quando l’ esercito francese fece la spedizione dell'Egitto, venne poscia ‘in possedimento degli Inglesi, e collacata a Lon- dra nel museo britannico. Questa iscrizione, che in appresso tutta Europa percorse, figurata in carta per incisione o per li- tografia, si distingue in tre parti; quella al di sopra, dove è ‘grande il guasto, comprende de’ geroglifici: quella al mezzo una 90 maniera di scrittara egiziana, che in moltissime. pergamene si incontra : l’ultima è in lettere e lingua greca, Nella quale ap- punto si legge che al re Tolomeo Epifane nel nono anno del suo regno, che fu intorno l’anno 197 avanti Cristo, acconsentirono i sacerdoti d'Egitto alcune onoranze; e che tale concessione era portata impressa da quella pietra in iscrittura sacra nazionale e greca. Di qui fattosi manifesto qual senso necessariamente rac- chiudessero le altre due parti, si cominciò per diradare la oscu- rità de’geroglifici, ad aver una luce; la quale ancor più virtù acquistava dall’ esservi a principio della iscrizione parecchi nomi propri. Perchè questi nella verità delle lingue sogliono tanto leggermente venir tramutati che tosto si ravvisano anche in un idioma sconosciuto : del quale poichè così alcune lettere si san- no, riesce dell’ altre parole agevole la lettura, Dappritna si diedero gl’ingegni ad esaminare quella parte di mezzo della iscrizione di Rosetta, che, posta in lingua na- zionale, aveva apparenza di scrittura costituita da lettere. Sil- vestro di Sacy fu il primo a scoprirvi i nomi di Tolomeo e Alessandro, scolpiti da sinistra a destra. Altri nomi propri riconobbe lo svedese Ackerblad; il quale, cercando di accordarle alla lingua copta, non potè esser lodato di felice successo . Il Young d’ Inghilterra osservati tutti insieme nella loro formazione i nomi propri, posto di passo in passo in confronto del greca il dettato egiziano, e sopra tutto considerandovi il regolare rigirarsi di ciascun accoppiamento di caratteri, diede per via di conget. tura tradotta la iscrizione di mezzo nel Museum criticum d’ In- ghilterra, N. 6 maggio 1816. Dagli esami del dotto Inglese si faceva manifesto che il dettato egiziano alquanto dal greco si diparte; poichè quello ha la data a fronte, e porta una più am- pia descrizione del fatto. Si aveva inoltre intorno a tale ma- niera di scrivere, che qui senza dubbio constassero di lettere i nomi propri, donde si poteva raccogliere un alfabeto mezza- namente compiuto. Ma quando con questo si volevano leggere altre parole della iscrizione che poi si ritrovassero nella lingua copta, non si faceva passo che non si incontrassero gravi diffi- coltà. Potevasi bensì di molti gruppi di segni ripetuti in più luoghi asserire senza tema d’inganno : questo indica tempzo, quello significa re; ma perchè in questi nov chiaramente appa- rivano le lettere, che negli altri componevano i nomi propri, rimaneva dubbioso, non solo da quali elementi fossero vera- mente costituiti, ma ancora come sì avessero a pronunciare in lingua egiziana. Young in appresso uscì colla opinione, che MR A RA 9I nella iscrizione di mezzo il sasso di Rosetta, solo i nomi propri fossero scritti con lettere, ed essere l’ altre parole in una scrit- tura simbolica, formata di geroglifici corsivi ed abbreviati. Pe- rocchè avendo in questo frattempo vedute le pergamene, che, ritratte, accompagnano l’ ampia descrizione dell’ Egitto pubblicata in Francia, e che contengono un terzo modo di scrivere egiziano, nominato presentemente gerazico: non era diligenza che egli non avesse adoperato in esaminarle, e quindi mercé lungo studio era riuscito a scoprire , che la maniera geratica altro non era, che l’uso di geroglifici abbreviati, ossia corsivi. Il che chiaro ap- parisce a chiunque si compiaccia di riscontrare nelle sopraccen- nate pergamene i testi geroglifici coi geratici, che vi sono cor- rispondenti. Per questo ritrovato parve in appresso al sig. Young di dover distinguere tre ' qualità di scrittura egiziana: , 1. La geroglifica costituita d’ imagini ritratte da oggetti varii e d’ogni grandezza. Di che valga ad esempio la figura posta nella qui unita tavola, N. 6., dove appare un braccio che sostiene colla mano una piccola piramide, Dal carattere distintivo di questa scrittura avea tratto Young il nome che prima le impose di figurativa e simbolica . 2. La geratica, differente della prima in quanto solo con semplici tratti ritrae in iscorcio le anzidette figure geroglifiche. In esempio di ciò sia la figura N. 7, nella quale, essendo ella un abbreviamento dell’ altra sopraccennata , vedesi a stento il braccio colla piramide. Anche questa per la sua intrinseca qualità aveva in addietro ricevuto da Young il nome di figurativa e simbolica. 3. La encorica, dissomigliante non in altro dalla geratica, che nell’ avere i tratti eguali condotti più brevemente e con mag- giore speditezza . Ne porge un esempio la figura N.° 8, che, bene osservata, vien conosciuta per un accorciamento della set- tima. Onde la scrittura encorica è quasi un adrombramento delle figure geroglifiche per esser elle state due volte (la prima nel- la geratica ) mozzate e ristrette: e però si vede la figura ot- tava essere della sesta non altrimenti che un’ umbra - Quindi Young, ponendo mente alla costituzione della scrittura encorica, aveva motivo da reputarla simbolica : ma non si disdisse , che vi fosse inserito un numero di cifre alfabetiche , delle quali ‘si componessero i nomi proprii forestieri. Queste considerazioni del sig. Young si attenevano nella più parte al giusto , siccome quelle che, distinte tre maniere di scrivere egiziano, dimostravano le relazioni di somiglianza che erano dall’ una all’altra, Ma intor- 92 no alle intrinseche qualità di ciascuna , egli portava opinioni di- fettive , che al presente sembrano sincerate dalle disamine di Champollion. Dal quale la scrittura che Young nominò encorica ( enchorial character) è invece chiamata demotica (écriture dé- motigue ), fondandosi egli nel dire di Erodoto e Diodoro , che gli Egizii ebbero una scrittura demotica , ossia solita ad usarsi dal popolo. Clemente Alessandrino dipartendosi da ambedue , le dà il nome di epistolografica, cioè da adoperarsi nelle lettere : divide però ancor egli in tre maniere la scrittura egizia , le quali da lui chiamate epistolografica , geratica e geroglifica, è d' aw viso che fossero a un tempo medesimo adoperate dagli Egizia- ni. Ma Young fermo a sostenere contro Champollion la deno- minazione encorica, osserva, che debba reputarsi la più conve- niente , perchè dove dalla Inscrizione di Rosetta chiaro si appren- de cosa abbia ad intendersi per segni encorici , Erodoto lascia in dubbio qual senso racchiuda la espressione di caratteri de- motici. Ma quantunque questa disputa sia di poco momento, perchè gli antichi scrittori sotto le differenti appellazioni di en- corica, demotica, epistolografica, accordavansi a indicare una stes- sa maniera di scrivere egiziano , e’ sembra però tanto più accon- cio il chiamarla demotica, quanto universale è la denominazio- ne encorica ovvero nazionale : onde non minor ragione si avreb- be di così nominare anche la geroglifica e la geratica . Mentre che Young di quelle sue disamine si occupava , sta= diavano altri intorno a pergamene portate in Europa e scritte con demotici caratteri ; la intelligenza delle quali era agevola- ta dell’ esservene alcune in greco idioma , ed altre, che il me- desimo significavano in iscrittura greca ed egiziana . Fa quindi conosciuto , che molte di esse, dal tempo de’ Tolomei, erano istrunenti di compra di poderi, o altri oggetti, ovvero rice- vute delle gravezze pagate dal compratore allo stato. Il che venne pubblicamente dimostrato da Béòckh nella interpretazio- ne ch'egli diede di un egiziano documento in pergamena , con carattere greco-corsivo dell’anno 104 avanti Cristo; e in appresso da Young nel suo crattato delle nuove scoperte nella lettera- tura geroglifica, Londra 1823. Alle quali dichiarazioni altre fu- rono aggiunte da Buttman, che ragionò d'una greca postilla trovata in un papiro egiziano della raccolta Minutoli {Berlino 1824 ); da me nelle osservazioni esposte intorno al testo egiziano di un papiro della medesima raccolta { Greifswald 1824. ); poscia da Peyron che ( Bonne 1824) pubblicò le sue illustrazioni d’ al- cune pergamene , d’ alcuni manoscritti in lingua copta, e d’ una 93 triplice iscrizione ; cose tutte da lui esaminate a Torino nel Re- gio Museo delle antichità egizie . Volgendo ora particolarmente il discorso agli studii fatti da Champollion intorno questa materia, darò qui un sunto de” suoi tro- vati più importanti. Le tre maniere di scrivere , che presso il popolo d’ Egitto furono in uso , sono tutte nella loro sostan- za cifre alfabetiche, dinotanti così le parole come il corrispon- dente suono della lingua egiziana nominata copta . A queste cifre ovvero lettere si incontrano alcuna volta mescolate alcune figu- re e segni simbolici , in ispecie dove siano rappresentate idee religiose . Quindi appaiono frequentissimi nella scrittura geroglifica ; rari nella geratica , che in maggior parte è costituita di lette- re ; rarissimi nella demotica , dove i caratteri sono quasi tutti lettere alfabetiche. Ma in queste tre scritture le cifre sono egua- li nella essenza , e diversificano solo in apparenza per gli accor- ciamenti, a cui vanno seggette : perocchè i segni della geroglifi- ca, mozzi, e assottigliati , formano la scrittura geratica , sicco- me pure la demotica consta dei segni della geratica abbreviati e ristretti. Costumavasi la geroglifica nelle occorrenze più so- lenni , e principalmente nelle inscrizioni a’ tempii e agli obeli- schi ; talvolta anche nelle pergamene; era adoperata la geratica nelle preghiere, ne’ mortuorii, e nei documenti in pergamena che si univano alle mummie ; facevasi uso della demotica nei contratti , nei protocolli e nelle lettere . Con questi generali prin- cipii Champollion tolse il velo, che in parecchie antiche scrittu- re dell’ Egitto ci nascondeva tali particolari memorie, che , ora per lui conosciute , giovano a rientegrare in parte la istoria e la mitologia, e quanto sappiamo del linguaggio di quella nazio- ne. E di buon grado presteremo fede alle di lui asserzioni , se vorremo por mente al savio modo che seguitò nelle sue disa- mine , e ai felici risultamenti che ne ottenne . Dapprima metteremo sott’ occhio, come Champollion sia ar- rivato a conoscere, che i geroglifiti non fossero altrimenti che lettere . Nella iscrizione di Rosetta, in quella. parte dove stanno i geroglifici, incontransi parecchi accoppiamenti di imagini, circondati ciascuno da un anello, e accompagnati talvolta anche da altro segno . Veggasi ad esempio nella qui unita tavola la figura N. 1. In questa il dettato greco apertamente insegnava che fosse espresso il nome di Tolomeo, poichè l’ unione de’ segni in essa racchiusi, si vedeva ripetuta dove dal senso e dalla allontananza aveasi a credere replicato il. nome di Tolomeo. Ma niuno era 94 che sapesse per qual regola riuniti quei segni indicassero il no- me , nè in qual ufficio fosse ciascuno ; se p. e. il giacente leone dimostrasse per via di simbolo le' regali qualità, ovvero. fosse una lettera o altro . Così pure , trovandosi in quasi tutte le iscri- zioni de’ tempii varii accompagnamenti di segni, a cui andava intorno un anello se eravi una voce universale, che vi diceva contenuti i nomi di alcuni principi, mancava però sempre chi singolarmente li sapesse leggere . Perchè si potesse, mettere in chiaro il mistero , faceva bisogno , oltre la sopraccennata unione di segno della iscrizione di Rosetta; averne un’ altra , di cui fosse parimente certa la significazione. Si avrebbe allora posti scambievolmente in confronto ad uno ad uno tanto i segni quan- to i suoni dei due nomi; e quindi osservato se un segno eguale veramente corrispondesse a un egual suono. Senonchè a toccar più agevolmente questo scopo conveniva, che, avendosi già un accoppiamento di segni indicante, Toloineo,, quell’ altro che al paragone si prendesse, gli si avvicinasse al più possibile nella qualità delle lettere. Ma lungo tempo avanti passò che si trovas» se siffatto nome: chè tal sorte avea pur colpita la iscrizione di Rosetta da non più poterlo ritrarre da lei. Vi dovevano i ca- ratteri geroglifici , siccome facevano i greci e i demotici , espri- mere a principio molti nomi di ragguardevoli personaggi , Bere- nice , Arsinoe, Alessandro , Pirro, Diogene ed altri; i quali, secondando il dettato greco, vi si sarebbono con facilità ricono», sciuti; ma così era stata spezzata la pietra , che; salvo, quello di Tolomeo , niuno ne appariva » Onde fu che tanto ritardasse la desiderata scoperta, che altrimenti molto tempo avanti ci avreb- be data o Champollion o alcun altro. Ma dopo tante ricerche Champollion arrivò a sciogliere il no- do , avendo egli veduto un secondo gruppo di geroglifici ; del quale le seguenti circostanze gli rendevano manifesto il nome che esprimeva . Nell’ isola d’ Egitto nominata Fille, si trovò un obelisco fornito di geroglifica iscrizione, che comprendeva ; due quantità di segni, rinserrata ciascuna da un anello: l’una fu ricono- sciuta eguale a quella ,;che nella. iscrizione di Rosetta dava il nome di Tolomeo : nell’altra figurata, come si vede al numero 2 della tavola , aveasi ragione da ‘credere posto il nome di Cleopatra , inquantochè di sotto all’ obelisco sorgeva un piedestallo con una greca inscrizione indirizzata a un Re Tolomeo e sua sorella Cleo- patra e a sua moglie Cleopatra ; iscrizione illustrata da Letronne nella sua opera ,, Eclaircissements. sur une inscription grecque contenant une pétition des prétres. d' Isis, dans l’ isle de Philae; gd à Piolomée Poergòle second, Paris 1822: Ma che da quel nume- ro di uniti geroglifici fosse dinotato il nome di Cleopatra , parea ancor più verosimile da ciò che vi aveva in ultimo i due segni, uno ovale , e 1’ altro semicircolare, i quali, secondochè dagli esa- mi d’ altre inscrizioni aveasi imparato, ponevansi nella scrittu- ra geroglifica a significare il sesso femminile: onde nel nostro caso doveasi necessariamente pensare al nome di una donna del- la schiatta dai lagidi. Siccome pai i nomi Tolomeo e Cleopa- tra sì pareggiano in gran parte ne’ suoni o per meglio dire nel- le lettere , così messe a confronto le due quantità di gerogli- fici, dove reputavansi scritti que’ nomi, dovea subito balzare all’ E se anche nei segni geroglifici vi avesse eguaglianza , e particolarmente se a a segni eguali corrispondesse infatto un suono ossia una lettera eguale. Raffrontando adunque secondo questi principii i due gruppi geroglifici,; abbiamo quanto segue. Nella quantità N. 2. deve presumersi il nome di Cleopatra , appare. I. Un quarto di circolo ; segno che quando veramente avesse a indicare un suono di voce , sarebbe la lettera K, onde comin- cia il nome Aleopatra . Esso manca nel gruppo N.1, perchè la K° non concorre a formare il nome Piolemaeus. II. Un giacente leone, che sarebbe la L di Cleopatra. E questo ci vien confermato dal trovarsi un’ eguale imagine nel gruppo N. 1. appunto al luogo, dove esser deve la L, quarta lettera del nome Prolemaeus. III. Una foglia o secondo l’ avviso di altri una penna, che sar- rebbe la E del nome Aleopatra . Questo segno si ritrova doppio nel nome Ptolemaeus per essere rappresentativo del greco ditton - go AI. o AE.: ma siccome un tale dittongo suona quanto la vo- cale E., non è quasi più da dubitare a qual significazione fosse usata la foglia. — IV. Un fiore. con piegato lo stelo; segno ‘che ritrarrebbe la O del nome Klcopatra , siccome quello , che gli è eguale nel gruppo N.:, esprime la terza lettera del nome Pto/emaeus , che è ap- punto un 0. V.Un quadrato che renderebbe il, P del nome Kleopatra : e poichè un quadrato , sta parimenti a capo del gruppo N. 1, viene a sciogliersi il dubbio , che esso vi serva a dinotare il P. onde ha Brno il nome Prolemaeus. IV. Un astore, che si ‘dovrebbe riferire alla prima A. del some Kleopatra . Di una tale imagine va senza l’altro gruppo, 96 perchè essendovi il dittongo AE. rappresensato dalle due ioglie accoppiate non entra nel nome Ptolemaeus la vocale A. VII. Una mano che nella sua posizione corrisponde al T.del no- me Kleopatra. Un somigliante segno esser dovrebbe il secondo del gruppo n. 1 essendo il T. la seconda lettera di Ptolemaeus. Ma se in fatto presentasi in laogo di quello un semicircolo, non dobbiamo perciò temere di smarrimento, poichè , come da altri esami e confronti si è ritratto, la mano e il semicerchio valgono a una medesima significazione. Gli Egizii non tenevano per ciascuna lettera un solo segno, ma costumavano di mutare secondo quello che diremo brevemente più sotto . VIII. Una bocca che sarebbe la R del nome A/eopatra: man» cando questa lettera in Prolemaeus, manca pure quella ima- gine nel gruppo .n. 1. IX. Un astore, da cui non altrimenti che della prima _ver- rebbe ritratta la seconda A di Cleopatra. X. Un semicircolo e un lineamento ovale, che come so- pra dicemmo, sono una dimostrazione del sesso feminile. Ve- duti così per ciascuno i segni che costituiscono il gruppo n. 1 conosciamo che, presi insieme, consuonano a A/eopatra fem. Ora passando ad analizzare per egual modo l’altro n. 1. che racchiude il nome di Peolomacus andando da destra a. sini- stra, troviamo : I. Un quadrato che in A/eopatra dinota il P. II. Un semicircolo, che varrebbe il T. seconda lettera di Ptolemaeus. III. Il fiore con lo stelo curvato che per la vocale O. si riscontra in A/eopatra. IV. Il giacente Leone, che in KA/eopatra rende la L. V. Un aperto parallelogramma, che qui terrebbe il luogo della M. VI. Le due foglie, che dal nome A/eopatra abbiamo già conosciuto essere rappresentative della vocale E. ovvero d’un suono somigliante . VII. Un raffio che corrisponderebbe alla S. onde vien chiuso il nome Ptolemaeus. I segni adunque che fanno il gruppo n. 1, dinotano insie- me la parola Pto/mes o Piolmais + Champollion , poichè ebbe così riscontrato le parti componenti i due gruppi, aveva appena a dubitare, che qui i geroglifici non fossero tali lettere, quali si trovano nei due nomi Xleopatra e Ptolemaeus scritti secondo 97 la pronuncia egiziana. Conoscendo egli adunque tanti gerolifi- ci, quanti sono i suoni A, AI, E, K, L, MO, P, R, S, T. gli si agevolò la via a cercar nuove lettere di altri grappi. Il che in fatto così felicemente gli avvenne, che non solo si confermò pel valore da lui già dato ai sopra detti geroglifici, ma riuscì ancora a scoprire da quali segni fossero rappresentate parrecchie altre lettere . Egli fra molti gruppi, chiuso ciascuno da un anello, e trovati negli edifizi di Karnac in Egitto, dove sorgeva l’ antica Tebe, ano ne osservò che alcuni di quei segni comprendeva , da lui già conosciuti. Questo, che sotto il n. 3. è figurato nella qui unita tavola, veniva proprio opportuno alle nuove ricer- che. Esaminandolo nelle sue parti, cominciato da destra ri- conosciamo : I. L’astore, che in A/eopatra rendeva la vocale A. II. Il giacente leone, che in Aleopatra e Ptolemaeus va- leva la L. IIT. Una tazza fornita di manico: (1) prendiamola per K. poichè non è altrimenti conosciuta. IV. Un raffio (2) che in luogo della S. è posto ultimo nel gruppo indicante Ptolemaeus. V. La foglia, che in Cleopatra figara la vocale E. VI. Una linea spezzata (3) che si congettura essere un N. VII. La mano, che dinota il T. nel nome Aleopatra. VIII. La bocca , che in Cleopatra rappresenta la lettera R. {X. Due scettri che si sguardano orizzontalmente ; dai quali, non sapendosene altro, si suppone dinotata la S. Leggendo insieme questi segni per tal modo interpretati, risulta la parola A/4sertrs, che si crede valere Alessandros, in quantochè questo nome trovasi sotto quell’aspetto non che in alcune pergamene di demotica scrittura, ma altresì in quella parte della iscrizione di Rosetta, dove sono i caratteri demotici. Che poi in Pto/mes e A/ksentrs manchino alcune vocali, che convengono a formare questi nomi nelle forme greche, non è da farsene meraviglia , poichè, se un tal mutamento, come tutti sanno , si incontra frequentissimo nelle scritture degli Ebrei, dei Sirii, de’ Persiani, e de’ Turchi, è naturale il credere che così di (1) Più acconciamente \chiama Champollion questo segno un grand rase è anneau. Lett. è M, Dacier. (2) Champollion chiama questo segno trait recourbé-id. . (3) Di questo segno Ehampollion dice che sia: Ze signe vulgairement nome me signe de l’eau.id; Tomo XIX. Luglio 7 9$ fosse anche nel modo di scrivere adoperato dagli Egizii. Il no ine Cleopatra trovasi nella tavola al n. 4 espresso in caratteri geratici ; al n. 5 in caratteri demotici, Dalla geroglifica esposizione del nome Alessandro, conosciute Champollion nuove cifre geroglifiche dinotanti le lettere K. N. 5., passando egli ad esaminare altri gruppi, gli riescì leggervi ì noini Berenice , Kaiser, Autokrator, Sebastos, Vespasiano, Romitiano, Adriano, Antonino e altri del tempo che in Egitto signoreggiavano i Tolomei e i romani imperatori. Onde si trasse la certezza, dove prima non era che congettura ; che sotto il do+ minio di questi monarchi fossero alcuni tempii egiziani condotti o ristorati. Quindi Champollion prese opinione, che i segni ge- roglifici da lui chiamati fonetici, perchè rappresentativi delle let- tere ovvero de’ suoni, fossero principalmente adoperiti ad espri- inere ì nomi forestieri: opinione) che diede a conoscere nella sua lettera a M. Dacier intorno all’alfabeto de’ geroglifici fonetic:» Riguardo alla scelta de’ segni, che dovevano tener luogu delle lettere, e’ sembra che gli Egiziani usassero di indicare una lettera per l' imagine di un oggetto, che nel loro idioma por- îasse un nome avente a principio la lettera che si voleva signi- ficare. Ond’è p. es. che dinotassero la K. per una tazza a manico, © per una capanna, o per una beretta , essendo le parole Ke- lol, Kalibi, Klaft che presso loro valevano tazza, capanna , beretta; cominciate appunto da una K. Così esprimevano la L. con un giacente leone, perchè quella lettera dava principio al vocabolo Z250, onde essi nominavano il leone; e la R. con l’ima- gine di una bocca o d’ un fiore di melagrana, essendo quella la prima lettera delle parole egiziane Ro, Rocca, Roman fiore di melagrana. incontrasi talvolta nei gruppi rappresentativi de’ nomi il segno della L. per queilo della R, e viceversa. Ma, lontani dal meravigliarsi di questo cambiamento , noi il vediamo facile ad essere stato nelle scritture praticato , quando solo pensiamo che nel dialetto daschmurio della lingua copta, era spessissime volte adoperata la L. dove negli altri dialetti correva la R. Per la sopracennata maniera anche i Fenicii, o qual si fosse aliro trovatore di tale scrittara fonetica usata da’ popoli semi- tici, avevano in costume di scegliere i segni delle loro lettere. Esprimevano l’ À. con una testa di toro, cominciando di que- sta vocale la parola semitica .4/ef toro ; così il D. per un uscio chiamato da loro Daleth: il V. con un piuolo , da essi nomi- nato Zaw; e il T. per un serpente, che essi indicavano col vu 99 vocabolo Ter. Passò» quindi alla lettera il nome della cosa , dalla cui imagine quella veniva rappresentata : e dove noi di- ciamo A. D. V. T. dicevano i popoli semitici Alef, Daleth, Vaw. Tet., cioè toro, uscio, piuolo, serpente . Questa origine dell’ alfabeto fenicio studiò Gesenio di dimostrare nella sua isto- ria della lingua e scrittura ebraica . Young nella sua opera Account afsome recent discoveries , trattato delle recenti scoperte nella letteratura geroglifica, Lon- dra 1823; acconsenti a Champollion il valor dato ai gerogli- fici fonetici, approvando la lettura ch’ egli fece dei nomi dei Tolomei e de’ Romani. Ma pensò a contrastargli , ch’ei ne fos- se primo trovatore; e mise in dubbio, che i suoi principii va- lessero pure a comprendere i nomi de’ principi nativi d'Egitto. Champollion, continuando le sue disamine , riesci presto a sciogliere questa dubbiezza con mostrare , che, come i no- mi de’ principi romani e greci, così fossero scritti in carat- teri geroglifici, non che i nomi di private persone greche, ro- mane ed egiziane, ma ancora ì nomi degli Dei, e di que're dell’ Egitto, che, chiamati Faraoni, portano un nome di vo- ci semplicemente egiziane: e altresì in molti testi l’altre parole della lingua copta, fino dai tempi più antichi dell’ Egitto. Que- sti grandiosi ritrovati, quando in appresso non fossero contra- detti, ci verrebbono ad aprire quello, che a malgrado innume- rabili tentativi rimase sempre mistero nel sistema della scrittura egiziana , e mirabilmente diffonderebbero una luce a rischiarar molte delle cose antiche d'Egitto. Champollion gli fece conosce- re nella sua opera: Précis du système hiéroglyphique des anciens Egyptians, Paris 1824; dove unì pure così gli esami come le considerazioni , che loro danno origine e verità. La qual opera pubblicata non rimase l’ autore dai suoi studii e ricerche: ma continuando innanzi, con nuovi confronti e interpretazioni fon- date ne’ medesimi principii, aggiunse fede e certezza alle sue opi- nioni. Egli principalmente trasse profitto della raccolta, ric- ca sovra ogni altra, di antichità egiziave , che con uno zelo di molti anni, radunate al Cairo dal Console Drovetti, e poi comprate dal Re di Sardegna, si trovano da poco tempo in Torino. In questa raccolta gli avvenne di vedere pergamene, le quali da notizie percorse si sanno del tempo di Sesostri, e che, scritte appunto , regnando questo monarca , devono porgere con esattezza l’anno, il mese e il giorno, che furono terminate. Gli importanti vantaggi che intorno ai diversi oggetti del- 100 l'età antica ritrar si possono dalle scoperte di Champollion, si riducono a queste generali . N. I. Vi ha un mezzo sicuro di determinare l’ età di mol- CI) tempi » obelischi, sepolcri e statue egiziane, che durano tut- tavia a’ nostri giorni » potendovisi leggere scolpiti i nomi dei principi , per cui comando furono janaliità E Champollion ha già dimostrato che molti di questi monumenti sono del tempo che in Egitto imperavano re nazionali, altri da quando vi regna” vano i Tolomei, altri d’ allora che vi avevano signoria i Ro- mani. La qual cosa a far meglio conoscere egli annunziò una sua particolare opera col titolo Chronologie des monumens Egy- ptiens, a cui l’ aiutava il sig. Hogot membro dell’istitato , che dimorando in Egitto, raccolse quanto più poteva di preziose notizie intorno all’ architettura e all’altre arti di quel paese. II. Di importanti cognizioni accresce l’istoria d' Egitto ; pe- rtocchè non solo alcuni nomi di principi, ma si trovano anco nelle iscrizioni e pergamene registrate intere dinastie reali, so- miglianti, a quella che ci fu data da Maueto. E uniti ai nomi de’ principi vi si leggono ancora i nomi de’ loro antenati, mo- gli, fratelli , sorelle, e figliuoli : oltrechè vi si rinvengono me- morie dei casi de’ loro tempi. Da quanto Ghampollion ba finora manifestato intorno questa materia , vengono tutte confermate le notizie che Maneto pubblicò di molti ordini di re egiziani, e che per lo addietro erano quasi in voce di favole. I monumenti della Nubia co’ nomi de’ principi, che portano descritti, fanno fede, che un tempo in questa parte dell’ Affrica dominasse una particolare schiatta di re, la quale secondo ogni verosimiglian- za non proveniva da quella che aveva impero in Egitto , per- chè se i nomi de’ principi dell’ una e dell’ altra sono per egual modo espressi e accompagnati da’ medesimi titoli, hanno però in sostanza tutta la differenza. III La mitologia degli Egizii acquista una esattezza, che per lo addietro le mancava; e rnoltà sue parti ora appariscono sotto un aspetto diverso da quello , che loro aveano dato i greci scritto- ri, unici testimoni che prima ne avevamo. Parecchie sono le iscrizioni che racchiudono i veri nomi, attributi, titoli e ge- nealogie degli Dei adorati in Egitto: intorno a che Champollion nel suo Panthéon égyptien già cominciò a pubblicare quante co- guizioni gli è venuto di raccogliere. E v' hanno pure assai. gran= di pergamene dalle quali, poichè. contengono le preci e i riti usati dagli Egizii in riguardo ai morti, potremo prender più sà tti IO I giusta conoscenza di quanto questo popolo imaginò sulla vita futura . IV. Più seritture si dichiareranno degli Egiziani, e più co- gnizioni si verranno ad ottenere certe ed esatte intorno la lora lingua. Champollion,, dovunque finora ha letto, trovò il copto essere stato l’ idioma più antico , del quale anzi alcune scritture geroglifiche gli mostrarono in sè racchiuse molte importanti re- gole. gramaticali, come p. e sulle particelle , i pronomi , le frasi, la formazione delle sillabe etc. Non si creda però che be' testi egiziani più antichi si incontrino vocaboli greci così di frequente , come nei testi meno vecchi chiamati coptici. V, Lo. spirito , le idee e le espressioni naturali al popolo egiziano verranno posti in maggiore evidenza tanto dagli ogget- ti che sono materia alle iscrizioni, quanto da’ modi e da’ yoca- boli che a descriverli vi sono usati. Poichè in generale abbiamo tenuto dietro agli andamenti di simili studi ne’ tempi più vicini, ci fermeremo a discorrere al- cune parlicolarità delle opere annunciate in testa del presente ragionamento, Champollion nella sua lettera a M. Dacier , re- .stringendosi a dichiarare nomi greci e romani espressi con ca- ratteri geroglifici, sembra che reputi ideografici e simbolici i segni di tutte le altre geroglifiche iscrizioni e pergamene. Young all'incontro comincia la saa opera, ricordando gli sforzi che più addietro con infelice successo furono fatti per penetrare il mistero di vecchie scritture egiziane. Quindi passa a ragionare di quanto Akerblad ed egli medesimo, studiando la inscrizione di Rosetta , e le pergamene in caratteri geratici , che accompa- gnano la celebre descrizione dell’ Egitto, hanno ricavato intorno le somi iglianze | e differenze delle tre scritture, demotica, geratica e geroglifica- È poi materia del quarto capitolo la rinomata rac- colta di antiche cose egiziane, di cui andiamo debitori al sig. Drovetti, e che Young vide, ancora acconciata nelle casse , nel 1821 a Livorno, Solo gli venne fatto di osservare una pietra con due corrispondenti iscrizioni , demotica l’una , l’ altra greca : le quali, per grande che vi fosse il guasto, lasciavano speranza di poter essere lette. Acceso l'animo da ineffabile ailegrezza per questo ritrovato, che un notabile accrescimento prometteva a quanto sapevasi dalla iscrizione di Rosetta, non fu fatica, che il dotto inglese non tollerasse per trarne un disegno: ma che egli lo terminasse, il sig Dovretti, mosso da particolare interesse, non volle a niana condizione concedere. Diede poi il sig. Peyron a Torino pubbliche notizie di questo prezioso sasso , che. egli 102 crede di chiamare trilinguis , cioè fornito, a modo di quello di Rosetta , di una iscrizione ne’ tre diversi caratteri, geroglificì ° demotici e greci. Ed è sua opinione, che il demotico sia te- sto originale, quantunque, per esser la pietra fuor di modo danneggiata, egli non bastasse a leggervi una parola. La iscrizio- ne ascende presso a poco al dudicesimo anno di regno della ce- lebre Cleopatra, che quivi porta il soprannome Philopator, e del di lei figlio Tolomeo Cesare Philopator Philometor. Essa contiene un decreto, che i sacerdoti del Dio Amon ra sonter diedero agli anziani e a tutti i cittadini di Diospoli, o Tebe in onore di Callimaco cugino del re, epistolografo, sopraintendente alle gra - vezze di Peritebe , e ginnasiarca , il quale , fatto degno d' ogni onoranza dalla sua saviezza e dalla benefica pietà da lui usata verso i tempii, aveva lodevolmente governata la pubblica biso- gna in calamitose circostanze, e difeso il regno dalle distruzioni che vi facevano la peste e la fame. Gli onori assegnati a Calli- maco erano una statua di granito , un giorno solenne chiamato dal suo nome, e la incisione di così glorioso decreto in un pila- stro di pietra, che dovea porsi nel vestibolo del tempio sacro al Dio Amon ra sonter. Conchiude il sig. Peyron che questo sasso fosse stato trovato non a Menuf, come udito avea Young, ma sì a Tebe: esservi però luogo a credere, che Young ricor- dasse un altro sasso tuttavia seonosciuto a Torino, perchè non ancora tutte erano tratte dagli inviluppi le più rinomate cose raccolte dal Drovetti. Poichè Young, nella sopraccennata sua opera, espose il suo avviso sopra le dichiarazioni date da Champollion a’ nomi greci e romani posti in geroglifiche iscrizioni , si fa nel quarto capito- lo a descrivere e interpretare alcune delle preziose pergamene in caratteri greci e demotici , che il sig. Grey, per cui opera era- no passate dall’ Egitto in Inghilterra , gli aveva comunicato . Fra queste dapprima merita osservazione una , che ci piace di chia- mare l’ antigrafo di Grey, e che contiene voltata in greco una egiziana lettera mercantile . Young lettovi da principio : tradu- zione di una egiziana lettera mercantile, e da ultimo una serie di sedici - testimoni , tra cui Apollonio , Antimaco, e Antigono, si risovenne d’ aver poco tempo addietro vedato in Parigi una pergamena d’ Egitto in iscrittura demotica , dove coi nomi di molti altri testimoni erano ancor quelli inseriti. Traendo quin- di la congettura che questa fosse l’ originale dell’ anzigrafo del sig. Grey , fatto quanto si voleva ad averne da Parigi le più particolari notizie, vide con stupore avverato il suo presentimen- 103 to. A nuovi trovati appianava la via questa scoperta, onde tra- dotto si ebbe un testo demotico di molta considerazione, E chiunque consideri a quale accidente ne dobbiam essere debito- ri, ne avrà certo meraviglia. Esistere voltata in greco linguag- gio una egiziana lettera mercantile; venir questa in Europa, e venirvi pure per contraria via la traduzione ; giunger la. tra- duzione in Inghilterra , dov’ era un Young che i suoi studii po- neva a esaminare vecchie carte egiziane ; recarsegli alla presen- Za appunto in un tempo, che poco era, che a Parigi era da lai stato veduto |’ originale demotico ; poteva meglio il destino disporre le cose al felice successo ? Non meno meraviglioso rie sce quanto accadde a me medesimo circa questa lettera egizia- na . Era la estate del 1824 che leggendo l’ opera del sig. Young, aveva preso cognizione del sopra mentovato antigrafo. Mi re- cai nel vicino settembre a Berlino, dove mi traeva il desiderio di esaminare le pergamene d’ Egitto quivi raccolte dal generale Minutoli. Niun pensiero mi correva pet la fantasia , che rinve- nir vi potessi alcunchè di corrispondente all’ antigrafo di Grey, quando mi fermò attenti gli occhi la lunghezza e chiarezza di una scrittura demotica segnata col n. 36. Vi osservai di sotto al- cune righe in greco, le quali secondo una traduzione datane po- co avanti dal sig. Professore Buttmann, nelle sue illustrazioni ad alcune greche scritture sopra un papiro egiziano , contenevano un decreto di dogana , onde nel nono giorno del mese egiziano Choiak , essendo il decimosesto anno del regno di un Tolomeo; sì assegnava ad un uomo per nome ©ros , figlio di un tale così pur chiamato , il pagamento di una gabella da farsi alla doga- na di Diospolis, per alcune cose proprie ai sacrificii da lai com- perate ; montava la gabella alla ventesima parte del prezzo . Che questi concetti fossero parimenti nel soprapposto testo demoti- co, non poteva crederlo , perchè troppo notabilmente più lun- go: spingeva quindi innanzi le mie considerazioni; e arrivai fi- malmente a riconoscerlo per un egiziano testo originale dell’an/i- grafo del sig. Grey : tantochè tre esemplari l’ Europa possiede di quel documento, uno egiziano a Parigi, un secondo egiziano a Berlino, un terzo greco in Inghilterra, E che anche in lin- gua greca si trovi, non sarà ad alcuno di maraviglia, quando sì pensi all’ accasarsi e soggiornare che i Greci, regnando ì To- lomei; fecero in Egitto: dove però i soli documenti in lingua nazionale otteneano forza legale presso i magistrati : la qual co- sa era già stata da Peyron considerata nelle sopraindicate sue ricerche: poichè egli dalle raccolte di pergamene , che. sono in 104 Torino , ebbe a eonoscere alcuni atti di processo in lingua gre- ca, dove, ed era sotto il regno de’ Tolomei, gli avvocati pro- testando, che avanti i tribunali bastassero i documenti di greco idioma , asserivano che quelli soli scritti con lingua egiziana fos- sero dalle leggi riconosciuti valevoli’ alle prove . Nella mia opera annunciata sotto il n. 4 a fronte di que- sto ragionamento, diedi tradotto il testo originale della lettera mercantile veduta in Berlino, aggiungendovi oltre a parecchie considerazioni quante testimonianze poteva della sua originalità. Se il sig. Young non si dilungò menomamente dal vero nel di- chiarare che fece l'esemplare di Parigi e l’antigrafo greco, dei quali tanto solo conosco, quanto fa detto da lui, non v'è dubbio, che da ambedue corra alcuna differenza nel testo di Berlino. Quivi la vendita è di cose da offerirsi in sacrificio a’ morti: un Calchite, sacerdote di professione, che aveva alcana sopraintendenza al seppellimento de’ trapassati, di nome Onofrio e figlio di Oros, compra la sua parte pel sacrificio al morto Colchite Oro , figlio di Oros e suo fratello, nel trentesimo se- sto anno del regno di Tolomeo Evergete Il, cioè 134 anni avanti l’era cristiana. Le egiziane parole, onde vien indicato il nome del Colchite, furono per me tradotte: servo nel term- pio della grande Iside Dea, poichè Young nel suo antigrafo credette di leggere a questo luogo: zodgorns rav dodAwy Yridos ‘mile ZZA E Ma in vece par più verisimile che sia: Colchite di Diospoli la grande: così opina il sig. Peyron, il quale congetturando da altre greche pergamene, crede che nell’ antigrafo greco si abbia a leggere: NoXirye TEN diormbAews tig puey Ans. Ed a me pure avvenne di leggere in pergamene di caratteri demotici il nome di Colchite e d’al- tre città. Un critico nel giornale letterario di Lipsia mi domanda del come io abbia potuto dire, che l’egiziano vocabolo, il quale secondo il mio avviso suona quanto in greco MAanephore, ossia portatrice di cesti, consti, non altrimenti che il greco, di due sole parole? costui ve ne vorrebbe almeno quattro, poichè vi conta da sedici o diciasette lettere, e afferma esser brevi d’assai le radicali egiziane. A che rispondiamo primieramente, che la parola, di cui qui cade il discorso, non ha quante lettere cre- de il critico, il quale tante ne ha numerate quante strisce vi ha veduto; dove pareechie di queste valgono a formare una lettera sola. Di questo abbiamo un esempio nelle tre. striscie l'una all'altra quasi parallelle, onde, siccome nelle parole Ar- 105 sino e Berenice, è rappresentata la. vocale I.; prestando fede al ragionamanto del critico, esse dovrebbono dare tre lettere. Rispondiamo in secondo luogo, che quantunque non dissomi- gliando dall’altre lingue, abbia l’egiziana assai brevi le radi- cali, pure per l’aggiungimento di molte sillabe, onde vi so- gliono essere formate tante parole , si hanno vocaboli di nota- bile lunghezza; così mechre significa testimonio, e nimetmethreu testimonianza ; ermeni ricordarsi, e timetrefermeni ricordanza. lo aveva detto, che i vocaboli egiziani corrispondenti ai greci xanepho- re, Athlophore, Galaktophore cioè portante cesto, portante prezzo, portante miele, parevano constare di due parole, di cui la pri- ma indicasse l’idea portare. Di questa maniera conosciamo nella lingua copta altri vocaboli; che son pure da due parole con- stituiti, di cui la prima vale portante: tale ad esempio faioutah portante frutto; Xapropopos e XepuarioTie , faikerma, portante monela . Il critico fa le meraviglie, che un segno costituito da un piccolo angolo io abbia dapprima reputato T, e come ar- ticolo femminile; dappoi come E nel prefisso del presente plu- rale della terza persona. Ma egli in questo è camminato assai lontano dal mio intendimento: poichè il segno da me allegato qual prefisso del presente plurale della terza persona, e che vien formato da due piccole rette linee piegate ad angolo, fu da me come semplice S. dichiarato nel nome Arsinoe, tal valore avendo nei nomi Antigenes, Antimachus, Apollonius, Diogenes, Antos. Ma perchè come appare da’ libri copti , il prefisso al presente plu- rale della terza persona è un se , io credetti nel sopraccennato luogo che come se si avesse a ritenere quel segno. Il sig. Young ritrovò ancora nella raccolta di Grey una per- gamena di molta ampiezza, dov'erano comprese tre lettere mer- cantili con caratteri demotici, e tre relative carte di dazio in greco idioma : il soggetto era la vendita di certi campi nei contorni di Tebe. Queste carte di dazio furono da Young pub- blicate originali e tradotte: ma nel mezzo , leggendo e tradu- cendo , egli corse errori che nella mia opera N°. 4. cercai di emendare . Delle demotiche lettere diede, quanto portavano le sue forze, per via di congetture il contenuto , aggiungendo un facsimile d' ana parte di tutta la pergamena ; il quale , se non fosse troppo breve, e non presentasse in istaccate linee greche e demotiche un senso interrotto, porgerebbe un maggiore van- taggio. Da esso però si conosce essere in quelle carte di da- zio assai più chiara la greca scrittura , che non nell’ altre si- mili della raccolta di Berlino, 106 Quindi Young passa nel sesto capitolo della sua opera a rî- ferire alcuni passi d’Erodoto e Diodoro sulla preparazione delle mummie . E negli altri capitoli porge alcuni estratti da Stra- bone, somministra prove della interpretazione data da Cham= pollion a’ geroglifici nomi, dimostra alcuni nomi in iscrittura demotica , si stende in cronologiche osservazioni intorno il re- gno de’ Tolomei, vi unisce il greco testo delle carte di dazio fino a’nostri tempi conosciute, ed in ultimo espone la dichia - razione di parecchi geroglifici : la quale in appresso quanto agli uni fu approvata, quanto agli altri rigettata da Champolliob, Sia ora materia al nostro discorso l’altra opera di Cham- pollion: Précis du sistéme hiérogliphique ete. Nella introduzione e nel primo capitolo , dove discorre la condizione presente de- gli studii intorno ai geroglifici e ai caratteri fonetici usati da- gli Egiziani nel trascrivere i nomi proprii de’re greci o degli imperatori romani , comparte l’autore con giustizia quello che al sig. Young e a lui medesiino dobbiamo delle nuove scoperte. Egli però, riconoscendo i meriti del sig. Young, accenna, è non fuor di ragione, che quanto era per dire dello scrivere i nomi greci, che facevano gli Egiziani co’ geroglifici , diver- sificava nella essenza da quanto per l’ addietro il sig. Young aveva esposto, e porgeva a un tempo medesimo risultamenti non che più ampii ma altresì di maggior importanza . Nel secondo capitolo Champollion prende a dimostrare che i no- mi non solo de’ principi, ma ancora di private persone gre. che o romane, fosse costume di scrivere con geroglifiche let- tere ossia con geroglifici. fonetici. Sopra l’obelisco Barberi- ni, che nella sua geroglifica iscrizione porta i nomi Adria- nos, Kaisar e Saberina Sebaste, osservò l’ autore un grup- po composto di otto segni: vi precedeva, il solito contrassegno di Osiride: vi seguitavano due altri segni, che nelle. mummie e negli altri mouumenti innalzati a memoria de’ morti sempre si veggono dopo la indicazione dei nomi. Champollion interpre- tando quel gruppo secondo il suo proprio insegnamento, e. lettovi il nome Anteinous, appena ebbe a dubitare, che non fosse di Avtinoo , favorito di Adriano, uscito di vita in Egitto, e an- noverato tra gli Dei. Così nell’ obelisco di Benevento; dove si trovano scolpiti i nomi Autokrator Kaisar Domitianos appare un altro gruppo terminato nella imagine d'un uomo ginocchio- ne, e con il braccio distesto., Questa figura indica che dai segni innanzi è significato un nome proprio: poichè la è usan- za conosciuta degli antichi Egiziani il porre in seguito a’ nomi 107 di persone viventi, secendochè sieno d'uomo o di donna, un uomo o una donna sulle ginocchia. I segni adunque veduti nell’obelisco di Benevento racchiuder dovevano il nome proprio di un uomo: gli ha Jetti Champollion alla sua maniera, e vi rinvenne la parola Zukilis , che senza dubbio è il nome roma- no Lucilius. Ma di questo vi ha abbondanza di esempi. Champollion facendosi nel terzo capitolo a parlare del ri- trovamento de’ geroglifici fonetici, dimostra come dal confronto di parecchi testi geroglifici che tra essi avevano somiglianza , era stato persuaso esservi i geroglifici non altrimenti che let- tere. Perocchè vedendo alcuni gruppi differir in ciò solo, che vi si avvicendevano certi segni, da lui riconociuti nei nomi proprii quali lettere d’uguale significazione, era tratto necessa- riamente a concludere, che come nei nomi proprii, così in altri vocaboli di varia natura, i geroglifici fossero lettere di un pari valore. In questa scrittura di geroglifici fonetici incon- transi di tali proprietà e permutamenti quali sono nella lingua copta : stanno p. e scambievolmente l’ uno per l’altro i se- gui rappresentativi delle lettere B. F. V. U, come nella lin- gua copta vale il medesimo lo scrivere aban o qo0uan calore , bot o fot asciugare , bo o fo chioma, bai o fai portare , don o ouon cosa . Nel quarto capitolo l’autor francese passa a dimostrare che se dalla lingua copta prendonsi i sostantivi, gli aggettivi e le sillabe caratteristiche usate dagli Egiziani, li si conoscono apertamente scritti con quelle medesime lettere geroglifiche , che corrispondono a lettere di egual voce o suono nei nomi proprii greci e romani. L’ idea di figlio è di frequente rap- presentata da un’ oca con sopra una breve linea perpendico- lare ; i quali due segni rendono il suono scha 0 sche: la vo- ce scha nell’ idioma copta significa esser nato, la voce sche dinota figlio ne’ vocaboli composti seleniot figlio del padre o di egual padre; schenman figlio della madre, o di egual ma- dre; schenson, figlio del fratello o nipote. Così il plurale nelle scritture geroglifiche vien espresso in varie guise, p. e. o con una linea spezzata che nei nomi proprii vale N. ovvero per una quaglia con tre linee parallele, che rende la sillaba oue : e parimenti nella lingua copta i plurali sono molte fia- te terminati o dalla sillaba owe ovvero ou. Soggetto del quin- to capitolo sono i nomi degli dei egiziani, che appaiono pur scritti con geroglifici fonetici. Il nome del Dio, che por- tano le principali sculture trovate a Tebe, si vede constare 108 d’una foglia, d’un acuto parallelogramma e d’ una linea spez= zata ; questi tre segni danno la parola Aman, che corrispon- de a quanto dicono i Greci essere stato A7m2440n o Amoun il Dio che sovra gli altri aveva da’ Tebani religiose onoranze, Questo Dio è talvolta accompagnato da un soprannome espres- so con un vaso, un’ aquila e un ariete, ovvero con un vaso , un'aquila e un angolo; indicano i primi tre segni roub , i se- condi noum . Egli è verosimile che questa parola si riferisca appunto al soprannome dato dai Greci al medesimo Dio, chia- mandolo essi, Ammon Chnoubis e Ammon Chnoumis . Vuolsi però osservare , come ne porge gli esempi l’ autore francese, che i nomi degli Dei non solo per lettere, ma ancora più breve- mente con simboli , solevano dagli Egiziani essere espressi. Nel sesto capitolo prova Champollion che non solo gli stra- nieri, ma altresì i nazionali nomì di particolari persone, costu- mavano gli Egizii di scrivere con geroglifici fonetici; ve ne banno in copia nelle mummie, nelle pergamene e ne? pilastri fatti a memoria e ad onore de’ morti. Quindi seguitando l’al- fabeto da lui conosciuto, egli ha letto questi nomi, che sono al tutto egiziani: Piamn ovvero Petamon, cioè |’ appartenente ad Ammon: Pethem, cioè l’appartenente a Chem, che vale Pane il Dio; Amnftp o Amoneftep, cioè l’ approvato da Ammon; nome che suona quanto il greco Amenophtes. E nel piedestal- lo a una piccola statua di bronzo lesse Champollion : Petelem rome sche n petamn rome mes n tnibii tamtbo; parole, che in nostra lingua danno: Petchem, uomo, figlio di Petamon, uomo, nato dalla donna Tamtebo. Qui sono pur scolpiti i segni, che sopra dicemmo solersi adoperare a meglio chiarire che i pre- cedenti gruppi dinotino nomi di persona maschile , Nel settimo capitolo è dimostrato che negli obelischi e tempii più antichi trovansi in lettere geroglifiche alcuni sopran- nomi e titoli reali, quali sarebbono ad esempio Ptalhmai, amato da Phtha, deità egizian» ; Amnrimei, amato da Amon-ri, e Ma- nenoute , amatore degli Dei. Nel capitolo ottavo espone Cbampollion essere scritti con alfabeto geroglifico anche i nomi de’ re nazionali, che ne’ tem- pi più lontani ebbero dominio in Egitto. E dapprima ricorda un vaso d’ alabastro, che si trova in Parigi nel real gabinetto di antichità. Esso porta due iscrizioni: l’ una in geroglifici, che rendono la parola Kschearscha irina: \ altra con diversi caratteri, che similmente; secondo l’opinione del sig. San Mar- tini, indicano Kschearscha icre ; vocabolo che nella lingua zen- PI LIO RO RT 109 dica vale un iranio; o persiano, come pure un eroe. Dappoi l’ autore si fa a dichiarare varii nomi in caratteri geroglifici dei Re Faraoni p. e. Hakr, detto da Diodoro Akoris; Maifroni , nominato da Diodoro Mephrea: Psmtk, cioè Psammetichos : Qusrtsn , chiamato da Maneto Osorthon: Ptahaftep , cioè Pe- tubastes: Pdscham, cioè Psammus: Scheschonk, cui Maneto nomin Sesonchis: Osrkn , chiamato da Maneto Osorchon, e Se- rach nel vecchio testamento 2. Chron. 4: Ramses, vero nome egiziano del rinomato Sesostri. ‘Termina |’ autore questo capi tolo, osservando quanti vantaggi sieno derivati e deriveranno dal conoscere le geroglifiche inscrizioni . Finalmente nel nono capitolo , discorrendo Champollion i pri- mitivi elementi della scrittara geroglifica, produce generali os- servazioni intorno i tre alfabeti egiziani; geroglifico , geratico e demotico. Se egli non ha ancora in questo tempo dichiarato per intero un testo d’una di quelle scritture, accontentandosi d'alcuni passi e nomi, chiunque consideri quante difficoltà in quella pperaziove si abbiano a vincere, sia per la lingua sia per la qua- lità della scrittura, rimarrà certo dal fargliene il più leggiero rimprovero, Champollion ha intanto aperta la via da percorrere in avvenire : e dove la sua guida non fallisca, vi è sicura spe- ranza di conoscere disvelate quante si banno di scritture egiziane. Ho già fatto un cenno della mia operetta, segnata al N. 4. Essa, oltre la traduzione, che per congettura feci della per- gamena in caratteri demotici trovata a -Berlino, e quanto giu- dicai d’aggiungervi di osservazioni e prove , contiene eziandio, originali e tradotti, l’ anigrafo e le tre carte di dazio posse- dute dal sig. Grey. J. G. C. KOSEGARTEN. Opere in verso e in prosa del dottor Frvipro PananTI. Fi- renze, Piatti 1824 - 25 tomi 3 in 8°, Quanto bramerei , diceva madama di Sévigné , saper scrivere una storiella o un apologo, per far capire a quel bonomo di La-Fontaine che fa male a far altro che sto- rielle ed apologhi! Il doromo , come ognun sa, avea pur voluto comporre un romanzo, una commedia, de’ poemetti e perfino alcuni atti d’ una tragedia. Je suis chose légère, _ TIO confessava egli graziosamente , et vole d tout sujet. 1l no- stro Pananti (a cui il titolo di bonomo, nel senso in cui da- vasi a La-Fontaine , certamente non può dispiacere) è da lungo tempo famigerato in Italia per le sue novellette e i suoi epigrammi. Taluno, gettando l’occhio su questa rac- colta delle sue opere, in cui trovansi un poema, due poe- metti, poesie varie, prose intorno a diversi soggetti, e in- fine un viaggio , sarà forse tentato di chiedere: perchè non ha egli fatto sempre epigrammi e novellette? — Ma legga pure di lieto animo, giacchè vedrà che, scrivendo un poema , de’ poemetti, delle poesie varie , delle prose di- verse , e fui per dire anche un viaggio , il buon Pananti quasi non ha fatto che novellare o condiscendere alla sua vena epigrammatica. Ciò era comodo a lui; ciò è delizio- so per noi. E già nelle arti, per quello ch’ io n°ho ca- pito, dà sempre molto piacere agli altri chi dà piacere a sè stesso. Il poema, conosciuto da molti per due antecedenti edizioni, è qual già era ( malgrado gli infiniti cangiamenti ) una specie di giornale, in cui il poeta di teatro, che gli dà titolo, nota rimando pel corso di più anni le sue pas- sioni, le sue fantasie, le sue curiose avventure. Ma que- sto poeta di teatro è egli lo stesso che 1’ autore del poe- ma? — Noi non potremmo dire con sicurezza nè sì nè no. Il poeta anch'egli si chiama Pippo, è nativo di Mugello, è laureato a Pisa, ha scambiate l’Arno pel Tamigi, come l’autore , ed è in fondo un vero bonomo , uno zucchero di tre cotte ( direbbero il Lippi od il Cecchi) qual si mo- stra l’ autore medesimo in tutte le sue composizioni, Una sola difficoltà potrebbe opporsi da chi volesse che i due Pippi fossero bensì due simillimi ma l’uno non fosse l’al- tro; ed è che del Pippo autore del poema non si co- noscono drammi. Se non che sappiamo dal canto 19 inti- tolato i/ costituto , che le prime opere che l’ altro Pippo scrisse pel teatro , divenute preda d’ una compagnia mu- sicale da cui egli fuggiva, furono date o tutte o quasi tut- te al fuoco. Ora chi sa che le altre, poi ch'egli fece viag- gi per terra e per mare, non abbiano finito nell’ acqua? x:14 Nel canto 102 intitolato / accademia marina ci si dipinge un secondo poeta teatrale che nuota a mano alzata per tenere asciutto il gran libro della sua fama. Potrebbe que- sto racconto , come quello dell’ arsione già detta , fondarsi sopra qualche avvenimento personale all’ autore. Nel canto 102!( voi ripetete con ammirazione mio caro lettore ): ma quanti ne ha dunque fatti il dottor Pippo, sia egli o non sia il poeta di teatro? — Ne ha fatti per l’ appunto 109. — Spavento! Più del doppio di quelli dell’ Ariosto, un terzo più di quelli del Bojardo. — Sì, ma di tutt’ altra misura. I canti de’ due poeti, che avete nominati, si compongono ciascuno d’un centinaio o poco meno di ottave.. Vari di quelli del nostro poeta di teatro ( di cui faremo una sola persona coll’autore , giacchè 1’ autore lo fa egli stesso) chiudonsi in una mez- za dozzina di sestine , e pochi ne contengono tante , che al confronto escano di proporzione. Non già che il nostro poeta schivi di abbandonarsi al dolce gusto del chiacchie- rare, ch'è il suo gusto dominante. Dalla metà del poema in poi si direbbe anzi che a questo riguardo il caro uomo vada invecchiando: se è vero che sermonis delectationem se- nectus auget giusta quella sentenza catoniana nel famoso dialogo de serectute. Ma egli riparte con molta discretez- za Je sue chiacchiere , sia che abbia spesso bisogno di ri- posare o di variare, sia che abbia timore di annoiare. E di questo timore non parlo nè per satira nè per compli- mento. Il canto 103 intitolato / apologia mostra ch’ ei l’ha realmente provato. Dopo averci a lungo divertiti colle pro- dezze d’ una classe di gente forse la più curiosa di tutte ne’ suoi costumi, la gente di teatro, ei pensa in sè mede- simo : Diran : che premon quegli scarafaggi , Che ci narrate le lor pazze risse; E ci fate sapere anco i viaggi Quasi fussero quei del saggio Ulisse ? Al che risponde certe sue scuse, che paiono infantili e sono quanto basta maliziose, come provano i versi che seguono : 112 Esopo fe’ parlar la scimmia e l’ orso, La volpe, il lupo, il corvo, il barbagianni; Io non potrò tirar qualche soccorso Da Tigna , da Ficchin, da Degiovanni ? Queste son le mie bestie ; è il solo male Che non c’ è a trar da lor niuna morale. Questa malizia, si può dire innocente, è il sale che con- disce tutto il poema. Veramente in alcuni canti parrebbe che il poeta avesse un po’vaglia di trarre il ruzzo del ca- po a chi gli dà noia; nè già lo dissimula. Ma dice ch'egli è come /’insetto industrioso che susurra fra i calici de’fiori: quando ha fatta la sua piccola ferita non sembra che ab- bia più pungolo. E già non può fare grandi ferite ai ne- mici chi quasi non ha coraggio di andare in collera con- tro i disleali amici. Nel canto 105 , intitolato i/ giusto ri- sentimento , leggiamo questa sestina edificante , che deve apparire una vera novità fra Za razza irritabile de’vati: Ma sievo ingrati , io fido ognor rimango, E l’ offesa in me il duol non l’ira desta ; Né offesa io la riguardo ; io sol compiango L’ offenditor, la nia vendetta è questa. Che se anco all’ ira si aguzzar le spade, Veggo l’ amico, e di man |’ arme cade. La sua arme, o diciam meglio il suo pungolo d'ape, ei l’ usa piuttosto contro i pregiudizii, le ridicolezze o le tristizie degli uomini in generale che contro alcuno in particolare. Quantunque la pittura de’ costumi della gente di teatro sia il principale scopo del suo poema, ben si scorge ch’ egli è stato ad osservare anche altra gente sopra un teatro più grande. Ciò ne fa rammentare che uno de’ suoi canti (il 23) s'intitola appunto i/ teatro del mon- do. Questo canto, in cui trovasi un ingegnoso e ben cir- costanziato paragone fra la vita umana ed un’ opera sce- nica, se non è de’ più belli, certo è de’più notabili. Chi lo ha scritto non è semplicemente un celiatore, un poe- ta faceto; ma potrebbe prendersi quà e là per un Pascal travestito. Rechiamo a saggio queste sole stanze. Chi s’ espon sul teatro molto rischia ; Quai son le opere brutte e quai le belle ? 113 Qui si batte le mani e qui si fischia, Qui sì fa fiasco e là vassi alle stelle, È bisogna lasciare il buono e il giusto, Seguendo il mondo e il suo cattivo gusto. Quelli sovente , che cervel non hanno, Han di rappresentar voglia e furore, E poi cosa si facciano non sanno, Non san parlar che ‘col suggeritore ; E dar quello spettacolo si suole Ove un gestisce, un dice le parole. Fan qualche attore la natura e l'arte, Qualcuno |’ inquietudine e l’ inedia , Molti non sanno far nessuna parte , Molti fan tutte le parti in commedia; Sul gran teatro e sopra il teatrino Fan tanto il Senator che il Truffaldino. Alle quali precede quest’ altra, in cui, se qualche nostra prevenzione o disposizione d’animo non ne illude, ci sem- bra di sentire assai più dolore ché dileggio : Crediam spesso veder figli d’ eroi, Anime grandi, ingegni pellegrini; Si crede apprender molto e divien poi Un palco di Brigbelli e d° Arlecchini ; Belle cose si vanta e si promette, E dopo marionette marionette. Gli scrittori ( questa sentenza è ormai trita ma ci cade opportuna) qualunque pur sia il loro scopo o l’indole del loro ingegno portano sempre l’ impronta del tempo in cui vivono ; e le sestine da noi citate anch’ esse ne fanno fede. A certe piacevolezze , a certi grilli della fantasia si crederebbe che il Pananti non fosse fatto che per dir baie come quel Berni o altri de’ suoi lieti compagni il Casa, il Mauro , il Firenzuola, il Molza che sotto nome di wigraiuoli sì adunavano in Roma ne’ giar- dini dello Strozzi. D’ orinali e d’ anguille recitava , dice il Berni di sè stesso nell’ Orlando innamorato, e certe a/- tre sue magre poesie , ch’ eran tenute strane bizzarrie. Ma il poeta, che ha veduta la fine del decimottavo secolo; il poeta che s'è esigliato dalla sua patria (si cerchi il can- to 79 intitolato / addio all'Italia) ove indarno gridava: Tomo XiX. Luglio 8 14 Ov' è l'ardire , ov' è il natio valore ; Che sol le genti fa libere e grandi ? Nel regno della forza e del terrore, E al balenar degli stranieri brandi , Sovan la libertà su i labbri suona ; La libertà s’ acquista e non si dona; il poeta, che, disperato di poter fare intendere a’suoi con: cittadini le forti idee che gli occupavano la mente; ha Teo quel partito che per chi ama la patria è il più dos orosò : Che far poss’ io ? che val ch’alto io rimbombe? La verità nell’ anime corrotte È come il taon che mugghia nelle tombe , Né rompe il sonno dell’ eterna notte ; i Poichè gli occhi si chiude e il ver dispiace, Il saggio geme , si ritira e tace ; gnesto poeta, dico, non può più scherzar tanto, che qual: che cosa ben seria non si senta per entro a’ suoi scherzi . Ed è osservabile come dalla metà del poema in poi si ma- nifesti piuttosto l’ abitudine di scherzare che non la voa lontà. Dopo il canto 69 intitolato Za della visita, e i quat tro seguenti, che sotto altri titoli ne continuano il sog: getto ( modelli veramente graziosissimi di lepidezza e di spiritosa evidenza ) pare che i versi facciano prova ché l’ in= dole del poeta è a duro contrasto coll’ esperienza della vita. L’indole sua è sempre la stessa; ma si direbbe in certo modo turbata 0 sgomentata ; e anche dove sembra più partico- larmente riavimarsi; come nel cante 98 che ha per titolo la gran sirena, il ventriloquo e la fanciulla invisibile, ci ac- corgiamo che non è più sì confidente come prima, In uno dei canti che seguono (cioè nel 106), sotto apparenza di scher- zo quali tristi idee dirò di più quali tristi verità! — In esso il poeta fa prova di guardare sorridendo ciò che avvi di più desolante: basti dire che quel canto è intitolato /a fatalità. Questa parola , lettor mio, è ben seria; e pro- nunziata una volta, pesandone il significato ;} addio gusto della poesia bernesca. Infatti ecco il nostro Pananti trasformato in altr’uos îno sognare nel canto seguente la Musa d’Eriry (severissima 115 Musa appena da noi conosciuta ) che il labbro scioglie in questi gravi accenti : Son la Musa d’Aven, la diva io sono Che de’ Bardi ispirò le ardenti rime : Amo l’ antica Cimri , ergo il mio trono D’ Eriry là sulle nevose cime ; Ne’ sacri boschi e nelie arcane grotte Sono i miei gaudi e le mie veglie dotte, Essa gli addita in Cambria il modello degli alti cantori; quello che , secondo le sue frasi, dona ai gràndi alto no- me e li corregge — e protetto non è ma li protegg<; e spa- risce dicendogli: wa’ tra i velchi poeti, ei suon gagliardi— sposa alla maestosa arpa de’ Bardi. Ecco perciò ne’ due ultimi canti aprirsi al poeta nuovo mondo , il paese di Galles (singolare paese , per la cui descrizione il compe- titore di Byron non avea trovati fin qui colori che gli bastassero) e presentarsi il coro di quelli onde chi alta fiam- ma d’onor nel cor si sente può apprendere come nei soro= ri versi — il fuoco di sua grande anima wersi. Qual passo immenso dal teatrino di Tavarnelle e di San» ta Croce, ove il poeta comincia le sue imprese, ai campi di Tinterne e alle rupi di Snowdon; dalla compagnia musicale dell’impresario Imbratta e del primo uomo Trappola all’as- semblea sacra de’ Bardi, com’ei la chiama! Il poema a que- sto riguardo è un’allegoria della vita d’ogni essere dotato di facoltà non ordinarie. Età prima, semplicità della abitudini domestiche, desideri indefiniti, seduzione delle novità. Indi esperienze, dispiaceri, compensi, dispiaceri più gravi, ritor= no momentaneo alla quiete. Nuovi desideri, nuove esperien= Ze, casi straordinari, disgusti non più provati, bisogno e incapacità di riposo , ricerca di miglior sorte sotto cielo | straniero. Speranze svanite, stanchezza d’animo , filoso= | fia dolorosa, stato fantastico per tutto compenso. — Tale în fatti si è quello , in cui lasciamo il poeta, alla fine dell’ultimo canto. Poco vedrebbe chi vi vedesse soltanto una scherzosa invenzione per abbellire la rinuncia al teatro che conchiude il poema. V’è di più, v'è assai di più; e ciò che rende sì nuovo stato degno di particolar riflessione | | | | / 116 si è ch’esso manca del prospetto di un avvenire. L'autore avrebbe per avventura voluto significarci che l’ uomo di sentimenti vivaci presto invecchia ; che tante rapide espe- rienze lo privano di un futuro ; e che al suo animo ama- reggiato dal presente più non resti rifugio che in alone memorie del passato? ° Quelle da lui prescelte hanno in sè tanto di .peregri» no e di melanconico da renderci assai probabile la nostra supposizione. Si aggira il poeta ( compendiamo i due ul- timi canti ) fra l’orride pendici di Penmaen, lungo le ra- pide acque della Wye; che gorgogliano nelle caverne ; si profonda nelle miniere d’ Arlek ; va in traccia dell’antica Avenny, ove altra volta solevano abitare le duone fate, risanatrici dell’ infermo viaggiatore ; visita il ciglione di sangue, ove il vecchio Liliarco perdè l’ultimò figlio ; si arresta sulla Saverne a piangervi il fato della vergine Sabina , e ricorda come dall’ acque di quel fiume spiegò le vele Madoc dei velchi antico duce, e forse Alle spiagge approdò del nuovo mondo , : E precedè, se il ver la fama suona, L’ ardito navigante di Savona. Indi s'innalza col mago degli altissimi segreti, che percorre l’aria entro il suo palazzo di cristallo; ridiscende per visitare la sala di Mostyn, ove sta ancora appesa la spada di Riche- mond ; penetra nel castello di Cardiff, la torre dell’oblio, ove ag figlio di Guglielmo il conquistatore fu tenuto in ceppi vent'anni e poi fatto morire } s’ inoltra nella so- litudine di Cuwmm, ove non vedi orma d’ uomo viven= te, non trovi albero, non tocchi filo d’erba, non ti sor- ride raggio di luce, non ascolti altra voce che 1’ urlo dei torrenti, e il grido lamentoso dei neri uccelli del setten- trione. Entra presso la riviera di Kegenan nella grotta d’ Ogof, ove Edelfredo diede ricovero al prode Glendor ; sì riposa al piè dell’ Aran nell’antro misterioso, Ove dal saggio mentore ‘Timone Di gloria e di virtù versati furo 1 priini semi in cor del grande Arturo; 117 si arresta vicino a Bangor, per esecrare il sassone tiranno, ch’ ivi fece accerchiar di fuoco mille e dugento solitari, che in candide vesti mandavano al cielo candide preci, perchè si allontanassero dal suolo della patria l’armi stra- miere; va a baciar l’urna dell’uomo di Ross, consola» tore degl’ infelici, e, come Pope cantava di lui, ami- co a quelli che non hanno amici. Non oblia in Aber- gelles la tomba di Gellert, il fido cane che salvò, al re Levelin la vita del suo figlioletto , e n’ ebbe in ri- compensa la morte. Presso a Lagollen visita 1’ amabile ritiro, che un poeta chiamò il palazzo incantato della valle , e noi potremmo chiamare il tempio della femminile amicizia; di là volge lo sguardo al tumulo solitario della infelice Lucia ( della vergin del duolo e dell’ affetto già cantata da Sovthey ), su cui ogn’ anno il giorno dei mor» ti vanno i contadini e le villanelle a sparger lagrime e fiori. In riva all’ Usk risuscita dalle rovine la gran torre normanna, che già s’alzava sopra di un monte; sceso dallo Snowdon entra nell’ umile albergo ove Swift era. solito passare ogn’ anno alcuni giorni d’ estate, e sulla cui por- ta ancor leggonsi i versi che gli furono chiesti in prezzo della prima ospitalità. Percorrendo la valle di Lagollen, simile a quella di Valchiusa , ricorda il poeta Stoel , ca- sto e infelice amante come il Petrarca. Più oltre ram- menta come ivi passò , simile a striscia di fuoco in ne- buloso calle, Etelselda figlia del grande Alfredo , l’ ama- zone dell’ antica Galles ; come Gendlor ivi stette pieno della sua possa e rivendicò dall’inglese oppressione la pa- tria libertà ; come ivi Carattaco fece gli ultimi sforzi con- tro la fortuna de’romani, e cadde qual chi sente d’ esser degno della vittoria. Indi, procedendo si sofferma alla vista de’druidici momenti, pensa al tristo destino di quelli che li inalzarono , e nuovo Gray ricorda l’ultimo de’Bar- di, che dalla rupe d’onde bieco guatava il fumante Conway Alzò sdegnato l’animosa voces E leggendo ne’ secoli più tardi Impallidir fe’ il despota feroce ; 118 Poi l’ arpa con dolor baciata @ stretta Precipitossi dall'oscura vetta . Penetra, in seguito, gli arcani recessi, ove i Druidi ( si- mili seconde lui ai puri ignicoli della Persia , ai magi della Caldea, e ai ginnosofisti dell’ India ) serbavano il fuoco sacro, simbolo di quello che anima la natura; ove intrecciavano le mistiche danze , imagine di quelle degli astri; ed ove con falce d’oro troncavano al suono del- l’arpe il prezioso misletoe, emblema di tutti i beni del ereato , e ne adornavano gli altari sotto la luminosa vol- ta del cielo, chè indegno ai saggi par fra strette mura — îl gran Dio rinserrar della natura. Indi scende solingo sulle piagge meste — dell’ antica repubblica di Mona ; e com- preso di sacro orrore crede sentirsi risuonare all’ orecchio Ia voce terribile di Odin, e di vedere gli spiriti dell’aria carolare al raggio della luna; mentre i Bardi toccano le corde de’loro strumenti: O dell’alta Abersfran distrutte mura, Del palagio dei re sacre ruine, Qui del genio spirò l’ aura più pura, E i vati ornar di raggi il corto crine, Qui s'udir le cent’ arpe e qui le cento , Voci dei vati alzar l’aureo concento, Ed ecco gli pare (è questa la materia dell’ultimo canto ) che quei vati risorgano d’ intorno a lui, e va nominando via via i più famosi: Quei la festa cantò di Levelino; Quei del forte Glendor l’eccelse imprese, E de! genio la fiamma che al divino Soffio di libertà si riaccese; Qaei dei Bardi cantò l’arpa guerriera , Questi i piacer della gioiosa Clera. Si avanza tremando come colui che non si reputa degno di mescolarsi fra loro : Del gran cantor del procelloso Aveno Ja lo stile non ho suonante e grave, Nè il maschio tuon del bellicoso Ureno ; Io non ho l'arpa del cantor soave, si 119 Che d’Elfin lagrimò sulle sventore E d’obho sparse le sue triste cure. È accolto benignamente dal capo della sacra assemblea, a gran Bardo che amiamo appellarlo, ma non sì che ne ascolti parole più dolci di queste: Non spingerai la stirpe degli eroi Pel campo luminoso della fama, Nè udir vorrassi la tua molle cetra Nel maestoso circolo di pietra . Della quale severità ecco la principal ragione , espressa in forma, che non vorremo dir bardica, ma che c’ importa di notare per quello che fra poco si aggiugnerà ; ‘Tu incatenato su basso teatro Non spaziasti pei sereni campi; E misero poeta teatrale Solo per abbassarti avesti l’ ale. \ Il poeta si discolpa come sa meglio, dicendo fra l'altre cose: quando misi il piede sopra il teatro , Ze muse ia conoscea , non le sirene —'io troppo schietto per le finte scene. Le sue scuse non sono disprezzate ; egli è ammesso a toccare l’ arpa d’Eryn, l’arpa degli eroi, purchè giuri di non più tornare alla passata viltà. Ed ecco, pronun, ziato il giuramento , egli si sublima ai nostri occhi, su» blimando nel proprio concetto il carattere di un vero poeta ; Un vate, un cigno dalle rapide ale È il prodigio maggior della natura; Novello Prometéo dall’ immortale Fiamma del sol l’ eccelso raggio ei fura , E il suo gran cor ne’ gran pensieri immerso Il prisma si può dir dell’ universo * Ci siamo trattenuti un po’ a lungo sni due nìtimi canti, come quelli che giungono meno aspettati ( quan» tunque il 68 intitolato /a natura sembri prepararvici di lontano ) e formano per così dire un @ parte nella mu- sica dell’ antore. Del resto nessuno s° imagini che siano perpetuamente sopra un tuono concitato 0 patetico. La corda faceta vi si fa sentire per entro ; e il toccarla era pel nostro autore un bisogno dell’indole sua e una cons 120 venienza prescrittagli dal gusto. Il disaccordo coi canti ante- cedenti sarebbe troppo, se questi non fossero di un genere or misto or temperato. E serve atemperarlo anche certa pro- ‘lissità, cui non lodiamo in sè stessa, ma a cui siamo preparati da quanto ne confessa il poeta dell’umore communicativo, che la natura gli ha dato. Noi non possiamo scordarci ch’ egli è pur quello che nel canto 79 già citato , cioè nell’addio al- Italia, mostra un’invincibile ripugnanza a ritenere una sola parola , che la lingua facilissima gli porti alle labbra: Lo vedo ben con questa lingua mia 3 Qualche imprudenza tutti i dì mi scappa, Onde convien ch’ io me ne vada via 3 O ch’ io mi faccia frate della Trappa : La bocca a un fiorentin si dee cucire? Questa ancor, questa ancor si ha da sentire ? Tale sestina ci riconduce a ciò che abbiamo detto a principio di due cose quasi necessarie all’ autore: far rac- conti , che sono sempre la sostanza più gradita della con- versazione, e fare epigrammi, che ne sono il condimento. Il citar racconti sarebbe vano, poi ch’ è in racconti tutto il poema. Anzi osserviamo che l’ autore è spesso tentato d’ innestar racconti sopra racconti: veggasi il canto 50 intitolato /e grandezze , ove in proposito del vivere a cre- denza ci narra la storiella di quel povero diavolo che si fa- cea far la barba per amor di Dio: veggasi il canto 61, intitolato gl'inviti , ove a proposito di certe commissioni , che voleano darglisi da alcuni, soliti a dichiarare colle com- missioni la loro amicizia, ci dice: Jo loro narrai subito di botto — certa novella del piovano Arlotto. Così ci rivela egli stesso il segreto dell’ indole suna. Ma i modi del rac- contare sono varj. Il nostro poeta particolareggia, dialo- gizza raccontando, si accusa, si difende con una ingenuità la più piacevole. Il lettore però badi bene: perchè il bo= momo, mentre racconta i suoi, racconta pure gli altri in- teressi più minuti. Caviamone un esempio del canto 24, che ha per titolo i viaggiatori a piedi . lo l’aria non ho già d'un vagabondo, \ Qualcosa di civile ci si vede: 121 Sembro un signor che vuol vedere il mondo, E si diverte a camminare a piede; Ma , se volesse, con l’entrate sue Potrebbe prendere un cavallo e due. Or passo per pittor per paesista , Che ‘contempla un bel punto , un bell’orrore; Or mi dò l’aria d’un naturalista , Che cerca di qualch’ erba o qualche fiore; Or me ne vado con sì dolce metro, Che par che aspetti la carrozza dietro. Dico a qualcun che soffro d’ ostruzione, Che per smaltirla fo questo viaggio; / O dico che lo fo per devozione, Tornando adesso d’un pellegrinaggio Fatto a san Pellegrino, e lemme lemme Vado a Loreto ed a Gerusalemme . Quando son presso a qualche paesetto Vo dietro a un muro o dietro un boschicello ; Se sudacchiato son resto un pochetto, Mi spolvero ben ben giubba e cappello ; Poi dove scorre una fontana pura Mi rifò tutta quanta la figara. Quando son raffrescato e meno stanco Levo di tasca un paro di scarpini, Mi metto al collo un fazzoletto bianco, Tiro fuori la gala e i manichini; Fo due ricci superbi e sulla testa Mi do una nappatina lesta lesta , Entro all'alloggio con disinvoltura , Dicendo non vo far più lunga via , Voleva prender la cavalcatura, Ma l’ho lasciata a una villetta mia ; È il più bel giorno che si possa avere ; È far due passi gli è proprio un piacere. Poscia, per\pon parer d°’ essere stracco, Sembro per la cucina un terremoto, Dicendo ad ogni po’: corpo di bacco Fa veramente bene un po’ di moto, Jo aveva perso l’ appetito affatto, Or della sanità sembro il ritratto . Se questa non è pittura comica ben .graziosa , dica 123 altri come si debba chiamarla . Da alcune piccole tinte il lettore già si accorge che il nostro poeta dipinge un mondo di trent'anni fa. Dice questi in qualche luogo d’avere scritto il suo poema in Inghilterra, ove andò a cercare quella pace che l’Italia avea perduta. Rifacendolo adesso vi ha introdotte alcune allusioni a cose posteriori, le quali for- mano una specie d’anacronismo . I costumi però da lui ridipinti sono sempre gli italiani de’ tempi della sua pri- ma gioventù, Diciamo costumi e non caratteri , poichè ciò sarebbe inutile. Dopo Teofrasto sì continua veramente la lettura leggendo La-Fruyere : gli uomini del secolo d’Alessandro chiamato il grande sono forse differenti per carattere da quelli del secolo di Luigi a cui è dato l’istes- so appellativo? Quanto a’ costumi particolari della gente di teatro, materia principale del poema, non sappiamo che abbiano dal tempo della prima a quello della terza edi» zione del poema medesimo subite grandi modificazioni , Non è qui Inogo di esaminarne il perchè, bastandoci di notare il fatto. Jouy, si può dire jer l’altro, parlava di essi come nell’ età antecedente ne parlava Duclos. La scena dell’ esamze, onde s'intitola il canto 13, è così vera oggi, come poteva esserlo mezzo secolo addietro . Ne re= cheremo una parte come altro saggio della varia forma che il poeta sa dare a’suoi racconti. Egli è chiamato dalla sua compagnia musicale ( compagnia, avvertasi', di secondo o di terz’ordine ) a leggere innanzi ad essa l’opera nuova che gli fu ordinata; Son qui. — Leggete. — Leggo: Scena prima; Marcantonio ed Ottavia. Ottavia : E‘ questa La mercè che mi rendi? e che mi opprima La mia doglia vorrai ? Tutti la testa Scossero allor d’ approvazione in atto: Dice il soffione : benissimo fatto . Seconda scena. Sta tutto a martello. La scena terza , la quarta , la quinta , Le due seguenti son fatte a pennello, E l’ ottava ci sta proprio dipinta; Sorrise il buttafuori, ed il soffione Neon facea che ripetere: benone . 133 Ma quella scena poi quand' è arrivata Dove il gran Marcantonio se ne scappa, E si dà poscia una terrperinata , Trappola il foglio di mano mi strappa E dice: io vi farò tutte le scene Ma morir no, perch'io non muojo bene. Oh! questa , io gli risposi, non mi torna: lo per voi non vo’ dire una bugia ; Se avute ha Marcantonio busse e corna, E dopo ha fatta la stivaleria , Che si fe’ onor grandissimo ho da dire? lo dirò che si è fatto compatire. Lo strion, che pel capo ha tante borie, Mi rispose con aria dottorale: Badar dovete a me non alle storie, Io vo’ venir sul carro trionfale; Avete voi capito? ed io gli ho detto Ch’ egli verrebbe sopra il cataletto. Voi, seguitai, con queste vostre uscite Vorreste pormi in un tremendo bivio; O con vossignoria fare una lite, O farla con Svetonio e "Tito Livio; Ma come stimo più Livio e Svetonio Voi morirete come Marcantonio . In queste due ultime citazioni da noi fatte il lettore già sente quella vena epigrammatica, onde dicemmo avere ordinariamente tanto brio i racconti del nostro poeta. Or diamo qualche saggio di questa vena particolarmente. La scandalosa resistenza al giudiziosissimo Trappola cagionò la più alta indignazione fra la virtuosa compagnia, quindi la fuga del poeta indispettito, la sua presa, di cui già si fe cenno, e il suo imprigionamento , ch’ è la materia del canto 17 intitolato il tribunale. . Volto al guardian del carcere dolente Dissi: in grazia potrebbesi sapere Per qual cagione, per quale accidente M'’ hanno cacciato in queste bolge nere, M'’han chiuso a cento chiavi a cento toppe ? Rispose: ne vorreste saper troppe . Noi certo non abbiamo bisogno di far notare a chi legge il sale di questa risposta, La virtuosa compagnia (® 124 | qui-la lepidezza dell’invenzione degenera in caricatura burlesca ) accusava il poeta di tentato omicidio, cioè ( come il lettore indovina ) d'aver voluto far morire Mar- cantonio. L’accusa. fu cagione dell’ imprigionamento , e- all’imprigionamento venne dietro un costituto da cui s’in- titola il canto 19. Il poeta adunque si trova innanzi a chi de jure lo interroga. Già i lettori suppongono che il giudicante non era un Bentham, nè un Livington, il cui progetto di codice penale per la Luigiana è oggi soggetto di tanta ammirazione per gli amici dell’ umanità. Intanto quel notaro criminale Tira giù presto presto il suo processo , E vuol darmi una pena capitale Quantunque non convinto né confesso ; Temendo di parer poco sapiente Se il povero accusato esce innocente. Il poeta protesta contro il delitto che gli si appone, e il suo Minosse insiste : — Se non c’ è colpa perchè aver paura, Se non feste alcun mal perchè fuggire ? — Perchè contro di me c’è una congiura , E i tristi san sì ben la tela ordire, Che a porsi in salvo insegna la prudenza ; Poi da lontan si prova |’ innocenza. Nel canto 36, intitolato /a bella proposizione, trattasi pel buon poeta di dare una merenda ai cari socj dopo la riconciliazione . . Tutte le società, tutte le feste Cominciano e finiscono in pappate; E prima che s’accomodin le teste Voglion esser le pance accomodate ; Di là con un bellissimo concetto Ingenii venter largitor fa detto. Si vuol fare una fabbrica, un canale? Tutto a un pranzo si fissa e si dispone; Evvi il gran desinar ministeriale, Quello dei membri dell’ opposizione ; Si fa l'installazione del lord mere? Che union, che sala, che mangiar, che bere! 125 Adunasi un polilico consesso, Di ministri e di re l’altro senato? Di saper, di cercar non è permesso Cosa fan quei grand’ uomini di stato ; Ma solo sappiam noi genti volgari Che si dan dei superbi desinari. I preti, che non son dei meno accorti, Fan dieci miglia per un desinare; O che si faccia l’ ufizio dei morti, O la festa del santo titolare, Se non v' è dopo la sua pappatoria , Il salmo non finisce colla gloria . pranzi dan nel mondo tanti gradi, Che santa chiesa , che le cose pensa , L’ entrate dei superbi vescovadi Con nobil suono le chiamò la mensa; E quando vanno in visita i prelati Se ne accorgono i poveri curati. Fra lo stuol degli erranti cavalieri Quei che sepper menar vita gioconda Della gloria fra i nobili pensieri Furon quei della tavola rotonda ; Oggidì le persone più contente Son quei che fanno i cavalier del dente: beni Nel canto 39 intitolato i viaggio per Arno ( uno dei più piacevoli fra i ventotto o trenta interamente rifatti ) ‘leggiamo : Ecco ad Empoli siam famosa terra Che tirò il nome suo dal gran mercato ; Là fu più d’un eroe fulmine in guerra , Che le torri espugnò di San Miniato; E là ben più che in cento Montaperti S'illustrò Farinata degli Uberti. Potrei qualche cosetta raccontare D’ una che qui si fa bizzarra festa, Dove si vede un asino volare, Ma una gran meraviglia non è questa , Non è la terra d’ Empoli la sola, Dove si vede l’asino che vola. Ma in Empoli v'è almen questa fortuna : L’ asino, che il bucefalo si crede, 126 O l’ippogrifo che va nella luna, Venir giù capitomboli si vede; Altrove, non sto a dire ibi nè ubdi, Più ciuchi son più vanno nelle nubi. Che se questo paresse epigtamma ormai senza punta ( bene chè ho paura che la sua punta sarà eterna ) citiamone un altro di punta, che par di fresco aguzzata, il quale ci si presenta nel 73 .( uno anch’ esso de’ rifatti ) intitolato la rivoluzione teatrale . Il poeta, scrivendo, non pensava a Wasington , nè profetizzava Bolivar; ma pur troppo avea dinanzi agli occhi molte istorie . E d’onde nascon le rivoluzioni ? Dai lumi dei filosofi ? dal peso Dell’ ingiustizia , delle imposizioni ? So che questo si dice , anch’ io l’ ho inteso . Ma tutto si riduce, a parer mio, Al dire : esci di lì, ci vo’ star io. Questo gusto dell’ epigramma si manifesta particolar» mente ne’ due poemetti didascalici Za Civetta e il Pare- taio ( diversi affatto da quelli che già leggevamo in una ‘o due altre edizioni ), poemetti ove trovi pur altro che i loro titoli non annunciano. Comincia il primo da una invocazione al Firenzuola, di cuni è famosa la canzone sopra l’ augello medesimo onde il poemetto è intitolato. Il secondo può aver comune il soggetto con qualche pare te di tanti poemi sull’ uccellagione o sui piaceri della campagna che leggiamo nelle varie lingue, ma non ci è noto che lo abbia con alenn poemetto particolare. Che importa però l'identità del tema, quando la forma è no- vissima? Come la storia del poeta di teatro è ripartita in tanti piccoli quadri, così la caccia colla civetta e quella col paretajo sono ripartite in tante brevi lezioni. Non , sappiamo dir bene se quel poema ( a noi veramente pa- re che sì ) avesse potuto insaporarsi d’ un maggior nu- mero di allusioni alla gran scena della vita sociale , che all’ epoca in cui fu scritto cominciava a divenire ani» matissima. 1] poemetti, avuto riguardo alla loro natura, sono forse più piccanti del poema. E come formano una specie particolare, per l’ arte con cui ad ogni sestina è - er sinti 127 data l’ aria d’ un epigramma (arte che poteva degeriera= re in affettazione, ma che ci sembra usata con molta na» turalezza ) così spesso per la qualità degli epigrammi si danno a conoscete per produzione esclusiva del nostro secolo . Cerca civetta aver bella e vivace , Che gli occhi sgrani e stia tutta impettita; Sia piuttosto presiccia che nidiace, Ma dalle cove di quest’ anno uscita ; Perchè quando con gli anni si va in sù Far la civetta non si addice più. Non mi dispiace che oltre della gabbia; Ove il chiuso pettier canterelluccia, Si possa stender la civetta, ed abbia Da potersi elevar sopra la gruccia; Fa certa elevazion cose ammirande, E su in alto salir fa parer grande. Coi canori pettieri in gabbia stretti L’ alato stuol , che per la selva corre; Si fa correre all’ esca dei diletti, L’incauto piè sopra la pania porre, Dei campi abbandonar l’aure soavi, E con gli scbiavi si fanno gli schiavi. . Queste sestine, come vi accorgete, appartengono al primo poemetto. Quante se ne scelgano dall’ altro anch’ esse parranno tanti epigrammi, O donne, sì gentil sesso e sì gajo , Per tutto siete un ben, siete gradite; Ma, per dirvela schietta, al paretaio Ci fate grazia se non ci venite; O se troppo onorar voi ci volete, Chetatevi un pochin, se lo potete. . . è . . . . . . . . Che non può un filo! appesi a un filo stanno I nostri giorni; da un sol filo pende La spada sulla testa del tiranno; Son fili le politiche vicende, Le cabale, gl’ intrighi delle corti; E quelli per lo più son fili torti » 128 i Grilleggia verso il ciel la lodoletta, E sua dolce canzon modula e varia ; "ri Poi tutta a un tratto rapida si getta , ti Dà rapida del par subito all’aria : Appena s’ abbassò, la rete scatti ; Prontezza è madre dei felici fatti . Molte conchiusioni epigrammatiche del nostro autore, siccome può argomentarsi dall’ ultimo verso che abbiamo citato, potrebbero facilmente passare in proverbio. Tale sarebbe quella sì dolorosa del canto 12 del. poema : Nor far del bene se non vuoi del male; quella scherzosa del 27 ove parla del trarre dall’ urna i temi datigli quando improvvisava: L’ amica sorte a mio comando espresso — Fa sempre uscire il tema ch'io ci ho messo ; quella del 54x Pure andiam: non si fa mai tanta strada — Che quando non si sa dove si vada; quella dell’ uno de’ due poemetti: Molte sentenze pronunziate furo — Modo di rimaner sem- pre all’ oscuro ; 0 quella dell’ altro : £ che # affanni mi- sero cantore? — Fan vani sforzi servitù peggiore. Delle quali conchiusioni alcune mostrano semplicemente certa finezza d’ingegno osservatore; altre mostrano insieme certa bontà d’animo che si rattrista per quello che l’ingegno os- servò. E le sentenze di questo secondo genere ci compensano spesso, nel poema specialmente , di quella profondità che ianca alle diverse pitture, in cui non si rappresenta per così dire che la parte superficiale della vita. Y gran pensieri vengono dal cuore ha detto in qualche luogo il nostro poeta , traducendo una sentenza notissima del più soave se non del più acuto fra i moralisti francesi dello scorso secolo . La sentenza peraltro può estendersi a tutti i pensieri migliori, anzi a tutte le espressioni più felici, a quelle cioè che lasciano una cara e durevole impressione. L’ autore istesso pare che voglia indicarcelo quando nel canto 82 ci dice : Sentir di far sentire è la grand’ arte — E giugne al cuor quel suon che dal cuor parte . Perchè tante imitazioni di versi inglesi tra i versi da lui composti? Perchè que’ versi partono dal cuore, e 129 îl cuore li serba e prova nel ripeterli un? indicibile volut- tà. Ne siano testimonio due o tre del Viaggiatore dì Goldsmith, che troviamo riprodotti nel canto 62 intitola- to il forestiere: Ovunque il piè rivolgo e il guardo giro AI patrio suol, come a sicuro porto, ‘Torna sempre il mio cuor con un sospiro, E meco d’oro una catena porto, Che ad ogni passo par farsi più lunga, - E che a’ più cari miei mi ricongiunga . Dicemmo a principio che il poema del nostro autore ci sembra non tanto la storia d’un poeta di teatro, come lo specchio della vita d’ un essere dotato di non ordinarie facoltà. Noi leggiamo e quasi dissi godiamo nel canto 24 questa sestina: To spiro la soave aura de' colli, I profumi dei verdi praticelli, Odo il sussurro delle aurette molli. Le tenere canzoni degli augelli, E passeggiando libero a mio modo Del ciel, dei campi e di me stesso godo. Ecco la prima gioventù in tutta la sua contentezza. Giu- gniamo al canto 61, e troviamo nell’autore l’ istessa indo= le, ma ben modificata dal tempo, che per certi uomini non ha bisogno d'essere lungo onde produrre notabili can- giamenti. Di tristezza gentil l’anima ingombra Sul margine dei fonti solitari, Sotto dei boschi la poetic’ ombra Errano i vati più alle muse cari, E son tra i molli fonti e la verdara, £ suon più doici e la moral più pura. Di questa tristezza gentile, che non solo dà varietà al poema essenzialmente faceto , ma gli aggiugne un soave calore, che altrimenti non avrebbe, appena trovasi vestigio nei due poemetti. Non così nelle poesie diverse, che loro sono aggiunte, e in cui potrebber» notarsi molte trascuratezze € imperfezioni, se potesse aver luogo la critica, quando si leg- ono versi come questi che conchiudono l’ode sul matrimonio: T. XIX. Zuglio 9 150 Torna al pensier l’imagine gradita (* Dei passati piacer, dei primi amori ; Si rimonta il torrente della vita, E sulle rive ancor troviam dei fiori; ovvero questi altri alla fine dell’ anacreontica seguente , la quale ha per titolo il primo amore: Il tempio è caduto, Che al nume più caro Bell’alme innalzaro Nel fior dell’età; Ma sulle ruine Si. piange talora , E vi abita ancora - La dolce pietà. Il. divino Alighieri ha detto, e tutti i nostri giovani il sanno ridire: Amore e ’l cor gentil sono una cosa. Se al buon Pa- nanti non può venir meno la gentilezza, non può facil- mente venir meno un sentimento che n'è quasi insepara- bile. Noi però non pretenderemo ch’ei lo esprima sempre in sospiri, dacchè questi possono bene prestare una va- riazione a? suoi canti, ma non l’intera melodia. Come rinuncierebbe egli mai alla sua naturale festività, onde suol parlare delle cose con un piacevole sorriso, e scher- zare talvolta fino co’ propri dolori! Nell'ultima parte del secondo de’ suoi poemetti, intitolata i/ paretaio d’ amore egli motteggia leggiadramente così: Ma l’armonica voce del fringuello, Ch’ è così grata al cor, grata all’ orecchio, Canto non è di giovinetto uccello; Ma bensì canto dell’ uccello vecchio ; Amore è d’ogni tempo e d’ogni loco, E i ghiacci dell’età scioglie il suo fuoco. . . PI . . . ». . . Ma cos'è, donne mie , questo ribrezzo Che fanno quarant’anni e alcuni più? Quella si suol chiamar l’età di mezzo, E nel mezzo risiede la virtù ; Poi sulla quarantina e un po’ più in là L’uomo si chiama ancor di bella età. Per me e per qualcuno de’ miei lettori questo ragionamen= i. Dita at i 131 + to è buonissimo . Per le giovani donne varrà , ci s'intende, quello che potrà. Ma esse prenderanno della bontà del poeta la più favorevole idea, ove leggano nell’anacreontica l’in- fedeltà perdonata queste strofette: Non ti toglie un torto solo Cento dritti all’amor mio, Per un fallo non oblio Cento amabili virtù . Tu spargesti i giorni miei Delle rose dell’ amore, Non convien tanto rigore Se una spina mì ferì. Tutti i poeti amorosi ci empiono di querele sull’infedeltà’ delle loro belle . Nell’ anacreontica dell’indulgentissimo Pa- nanti non si dirà che non ci sia del nuovo, almeno quanto al sentimento. Altre delle sue anacreontiche ci sembrano avere del nuovo anche per l'argomento. Tale si è quella , per ésempio , intitolata i/ pigiamento del piede : Il bel nume ha cento ingegni Per provar la sua virtù, Ma fra tutti questi segni Qual è quel che prova più? Crederassi un sorrisetto , Uno sguardo lusinghier, Crederassi un vago detto, Un amibile tacer? Direm forse un caro amplesso , Un dolcissimo sospir, Un bel pianto, un bacio impresso Nelle fiamme del desir? Ma san ben le ragazzette Che qualcosa v'è di più; Hin di piè due care strette Una magica virtù. Il resto dell’ anacreontica è impiegato a provare questa propesizione (con quella logica, già s'intende, che a tale proposizione può convenirsi ) e si conchiude lepidamente così ; Della forza dell’ amore Più gran segno no non v'è; Oh qual impeto è nel cuore, Se va il sangue fino ai piè! 132 Dopo tante citazioni da noi fatte deve sembrate supet- fluo il farne altre sia degli epigrammi, sia delle novellette, che in questa raccolta succedono alle poesie varie. Come novelli gaiamente o come epigrammeggi argutamente il nostro autore parecchie di quelle citazioni lo mostrano abbastanza. L'Italia altronde conosce da lungo tempo e più che qualunque altra sua opera i piccoli componimenti, che qui ci basta di aver nominati. Essa ne troverà fra loro molti di nuovi, e non per questo ritroverà il Ioro numero molto accresciuto . La Fontaine, narrasi, avea scritta un giorno certa sua novella assai lieta, e pensava d’ intito- larla in grazia di certe allusioni al celebre Arnaldo . Ra- cinè e Boildah che la videro: sei tu matto! gli dissero: de- ‘dicare ad Arnaldo questa tua gai/lardise! Il bonomo spa= . lancò gli occhi ; e dopo un poco di riflessione capì che veramente la sua novella non poteva servire di testo ‘ad, una lezione d’etica in Portoreale. Il nostro Pananti, che si preparava a darci buone lezioncine morali nelle sue pro- se diverse, che succedono a tutte le poesie, inclusive a farci l'elogio dell’amor platonico da lui chiamato 1’ amor. perfetto , si sentì compreso da inaspettato rigore verso le sue novellette e i suoi epigrammi, non scritti certamente all’ombra dell’ Accademia o alla scuola dell’ amante di Laura. Rigidissimo quanto alla scelta, che avrebbe potuto additargli il gusto di un Racine o di un Boileau, non si può dire ch’egli sia stato. Quanto a quella, che avrebbe po= tuto consigliargli la severità di un Arnaldo, ci pare di sì. Egli è almeno stato più rigido che altri non fosse largo pubblicando , lui insciente e lontano, i componimenti di cui si parla. Basti] accennare che ha loro tolto perfino l’epiteto di galanti, con cui si raccomandavano al bel mon- do nei frontispizii delle passate edizioni. Triste presagio per le sue prose , dirà forse taluno. . Saranno prose diverse nel senso in cui usarono talvolta quest’aggettivo Dante e gli altri del trecento. — Di que- ste prose, come delle poesie varie, si erano già veduti de’ saggi in alcuni giornali d’ Inghilterra e d’Italia. Ma anche senza aver veduti que’ saggi potete imaginarvi se il x | 153 buon Pananti possa essere moralista disumano. Le donne, l’amore compaiono così spesso nelle sue prose come nei suoi versi; e s’egli non fa in esse de’ bei madrigaletti co. me nella canzoncina sull'uso inglese di far partire le si- gnore quando giungono in tavola le bottiglie ; non crediate però che non sappia introdurvi bastante galanteria. Dico galanteria , e di quella sopraffine , poichè non solo dice alle donne tutte le possibili gentilezze , ma dà loro tutti i vanti e tutte le vittorie. Egli si propone, a cagion d’esempio, in una prosa questo problema: chi più ama , l’uomo o la donna? Ed è tanta la sua premura in favore del bel ses- so, che comincia come al più avrebbe potuto finire: ‘ gli uomini non sentono l’amore la metà di quel che il sen- tono le donne. ,, Dopo questo principio il resto già s’in- tende. Ma chi pur bramasse vedere fin dove giunga la sua galanteria nella soluzione del problema, eccogli i due pe riodetti finali. “ È stato detto che la natura, dispensando i suoi doni fra’ due sessi, ha posta una calluta di più nella testa dell’uomo, e una fibra di più nel cuor della fem. mina., Madama di Beauharnais disse con senno e con gens tilezza che l’uomo ama con tutte le sue forze , e la donna ama con tutto il suo cuore. ,, Un’ altra delle sue prose è intitolata omo 0 donna? Vi si esaminano le prerogative dell’uno e dell’altra per sapere a chi si debba la prefe- renza; e vi si dice che la questione par decisa dal crea- tore medesimo nell’ordine di progressione ch’ ei tenne po- polando l’ universo. La donna uscì ultima dalle sue mani “ come il prototipo della bellezza, come la perfettissima | delle sue opere ,,. Il nostro filosofo intanto, non so dire | se pensando alle imperfezioni di questa perfettissima creatu= ra o agli svantaggi che le fa soffrire l'ordine sociale, non ha coraggio di dire che gli piacerebbe d’ esser donna. Quin- | di, allorchè vi aspettate forse di ridere della sua bonarie= | tà o del suo imbarazzo, egli vi scappa destramente, la- sciandovi con questa sentenza : ‘“ Io però, diceva un uo» | mo di spirito, se dovessi scegliere d'essere uomo o don= \na,, elegg erei d’ esser uomo , per fare il mio amore e la de- lizia mia d’ una donna.,, 134 Ma le prose del Pananti (già l'abbiamo accennato ) non si aggirano solo intorno a questi argomenti di conver= sazione. Esse percorrono. si può dire tutto il campo della morale , fino ai confini della morale politica. Dico mora le politica ,'poichè il nostro autore non è punto dell’opi- nione, di chi pronunziò che la. piccola morale ammazzacla grande; ma, pensa che una stessa legge , la legge rata, non; fatta, come credo che Cicerone la chiami in qualche ibra degli offici, debba regolare egualmente gli individui e la società. Del: resto se non ogni argomento delle sue. prose è argomento di conversazione, ogni sua prosa po- trebbe nondimeno appellarsi una graziosa conversazione . Il che non vuol già dire ch’ei tratti le cose leggiermens te: un racconto, un epigrammetto può avere, voi lo sapete, una grande profondità. — Chiameremo noi idun- que il Pananti un, moralista. profondo? — Egli non aspi- ra , io credo, che al vanto di moralista piacevole il quale desidera d’ esser utile. In grazia di questo desiderio egli si è curato poco della singolarità o della novità, anzi ha posta certa; compiacenza nel ripetere ciò che per essere già vec- chio nor cessa d’ essere opportuno. Leggendo le sue prose ( e si leggono assai volentieri) voi vi trovate come ad un’aca- demia d’ un dilettante di musica. Oh quest’ aria, voi escla> mate, l’ho sentita altre volte; questo bel motivo non mi è nuovo! Ma il diletto .che ne. ricevete è forse minore, perchè vi si unisce quello della memoria? — Un altro pa- ragone, sarà più a proposito . Voi avete visitate, per av= ventura , molte città d’ Europa, e conosciuti in esse molti uomini eccellenti. Or siete ai bagni d’Abano o di Lucca’, di Genova. o di Livorno, .e vi avviene d’incontrarli uniti quasi per incanto. Che. bella combinazione! voi dite ;* non, può .imaginarsene, altra più desiderabile. — Nel corso” delle vostre letture voi non solo avete fatta conoscenza , ma forse, avete stretta amicizia con vari celebri moralisti: Marco Tullio .e. Marc’ Aurelio, Plutarco. e. Montaigne ,°' Labruyere e, Adisson, Weiss..e Vauvenargues, Rous- seau; e la, Staél.. Può egli dispiacervi di udirli ‘parlare quasi in compagnia nelle prose «dlel Pananti? +— Lettore, 135 di grazia , non insistete. Intendo la domanda maliziosa che siete per farmi. Sì essi ripetono que’ pensieri che sono loro abituali, e li ripetono come farebbero ai bagni in una conversazione fortuita, vale a dire con un lunguaggio alla buona prestato loro dal buon Pananti, che possiamo con- siderare come uno degli interlocutori. Or ch’ egli possegga il linguaggio o lo stile della buona conversazione, dopo quello, che si è detto delle sue poesie , si crederà facilmen= te. Noi non paragoneremo il suo stile prosastico al suo | stile poetico. Questo, se non è più esatto, è più colorito , più ricco di toscane proprietà, non tutte registrate dalla Crusca, ma degne in gran parte di esserlo,, Anche l’ altro però RE il suo pregio. È facile, chiaro, animato, e in mezzo alle stiracchiature e alle affettazioni, che oggi si usano in Italia, ci verrebbe quasi voglia di proporlo come un buon modello. Ciò s’ intenda egualmente dello stile del viaggio in Barbe- ria, 0 piuttosto della relazione d’un viaggio in Algeri, giusta il titolo della ‘presente edizione, Questo secondo titolo (nelle due. edizioni antecedenti leggesi qualche cosa di simile al pri- mo ) fu dato dal sig. Blaquiéres ( l’autore della storia dell’at- tual' rivoluzione della Grecia) nella versione inglese del viag- gio; ch” egli pubblicò a Londra . Il nostro Pananti l’ha adot- tatò' come più preciso ; e dalla riforma del titolo è passato ad'‘altre riforme, Il viaggio in Barberia veniva accusato di varie! rancanze nel fondn delle cose, di certo. disordine , nella loro distribuzione , di non so quale prolissità nella” loro esposizione , e d’una sovrabbondanza di note veramente . eccessiva ! La relazione del viaggio in Algeri è più esatta, più piena, più ordinata, e ridotta al semplice testo ; ciò che debb’essere costato all’ autore non solo ùna grave fa- tita, ma un grave sagrificio. Già si è detto più sopra della sua' Matnazivhe alle dolci chiacchiere. Varie note del poe- mà dimostrano tuttavia quanto il temperarla gli riesca dif ficikeg ‘Non intendo petò (sia qui detto per parentesi ). co- mé fra’ quelle abbia serbato . erudizioni ‘ed aneddoti i che podoò ‘bîsognavàno , e''ommesse tante dichiarazioni di voci e di modi già poste nell’edizione di Londra (e riportate mi | 136 in quella di Milano) così necessarie ai nostri non toscani come lo erano agli inglesi. La relazione del viaggio in Al. geri, non essendo in iste giocoso nè familiare , non richie» deva simili dichiarazioni. E non ne richiedeva neppure d’ale tro genere, giacchè non appartiene a quelle relazioni di viaggi, a cui si dà il nome di antiquarie o di scientifiche, Le note escluse erano per lo più novellette ed epigrammi, piacevoli a leggersi, ma che distraevano dalla materia del viaggio, la cui relazione può collocarsi fra le opere di morale. E noto che questo viaggio non fu volontario. L’au- tore veniva desiderosamente d'Inghilterra in Italia, quan» do la sorte decise che prima ca giungere fra le Bihotia de’ suoi cari si troverebbe fra le ritorte de” ladroni aftica- nì. Lo stile della sua relazione prende necessariamente co- lore dalle vicende che sono in essa narrate, Addio isola po= tentissima, ei dice vedendo ancora biancheggiar di lontano quella che per più anni gli fu-cortese d’ asilo e di soavi con- forti, addio felice paese, ove spira il soffio divino , che se- condo Platone è proprio de’ climi favorevoli alla virtù; ove la vita politica è regolata in guisa che nessuna attività o grandezza d’ animo vi è repressa e nessuna può riuscirvi pericolosa ; ove gli uomini godono di quante dolcezze hanno le lettere, di quanti progressi fanno le scienze, e privi de’ pia» ceri, che offre lo spettacolo della natura sotto un cielo più sereno, trovano largo compenso in quelli sì preziosi dell’in» telletto e del cuore ; ove infine, come diceva il principe di Ligne, vedi sorriderti per ogni parte la libertà, la pro» sperità, l'abbondanza ; ‘° ove sono bellissime donne , si va ognora di trotto serrato, si sguazza nell’oro, e non si ve- de una vera ragione d’abbandonarsi allo sp/eer ,. e di bru, ciarsi il cervello. ,, Ecco in quest’ ultima frase 1’ umor gajo ed eprigram- matico del Pananti, che vorrebbe farsi strada attraverso la narrazione, se la serie dei successivi avvenimenti ben- tosto non gliela chiudesse. Avvi nel poema un canto ( il 53), che può dirsi il trionfo di quest’ umore grazioso . Ivi il poeta si rappresenta colla sua compagnia musicale in un carcere atro , ove dovrebbe morire di spasizzo e d’ ine- 137 dia , s' egli non sapesse volgere in trastullo gli stromenti delle sue pene. Ma la caduta in mano de” pirati , lo sbar= co in Algeri, la propria e l’ altrui schiavità, di cui parla în alcuni de’ primi capi della relazione del viaggio , gli hane no lasciata un’ impressione troppo terribile, perch’ egli pos= sa scherzare . I colori delle sue pitture sono tetri o di fuo- co , siccome nelle pitture de’ vulcani e delle tempeste . Ri» cuperata la sua libertà ( per opera del console inglese Magdonald, a cui dichiara la più viva gratitudine ) ei sem» bra tornare un istante alla sua naturale piacevolezza . Ri corda il poeta Regnard, stato esso pure schiavo fra gli algerini (il gusto d’intersiare aneddoti alle sue narrazio- ni mai non lo abbandona ) e divenuto caro a Sydi Thaleb in grazia del suo bel talento “‘ quello non già di far com- medie e versi, ma il talento da molti anco in Europa più valutato che la poesia, quello di fare i confetti ed i pasticcini . ,, Ma questa piacevolezza , come ognun sente, è languida , e deve facilmente essere vinta della tristezza, che in lui producono i dolorosi spettacoli, che ha sotto gli occhi in Algeri, da lui chiamata orrenda città. Una volta ( e questa citazione varrà per molte ) sull’ imbrunir della sera mi sono udito appellare da una fioca voce; os- servo , e veggo un infelice a terra disteso , tutto pieno i labbri di spuma , e col sangue che gli usciva gorgoglian- do dalle narici e dagli occhi. Mi arresto pieno di doglia e di raccapriccio . Cristiano, cristiano, disse con mesta voce , abbi pietà del mio spasimo , e termina questa esi- stenza , ch’io non so più sopportare . Chi sei, misero uo. mo ? io gridai. Sono uno schiavo , ei rispose , sono ben in> felici gli schiavi! Passò all’ istante un oldak della milizia, e gridando al moribondo: can d’ infedele, non ingombrare la strada allorchè passa un effendi, dette un calcio al mi- sero schiavo, lo gettò giù da un dirupo , e lo fece piombar nella morte.,, Altri fatti non meno lagrimevoli, se non egual» mente orribili, di cui fu testimonio, lo conducono ad una ri- flessione, di cui gli uomini veramente probi ed umani senti- ranno la gravità. Ciò che soffrono i nostri fratelli ridotti sulle spiagge africane ad una condizione peggiore di quella 138 À va dc’ bruti gli sembra veramente passare ogni espressione. Ma avvi per loro, egli dice , un male più grande , che accresce a dismisura tutti gli altri. ‘ La virtù che vince tutti i dolo- ri, e spesso dolci li rende , la virtù s° indebolisce e si estin=" gue in quei cuori oppressi dalla barbarie degli uomini, e dal sentimento dell’ avvilita natura. ,, Quindi sono in sua bocca ben naturali queste parole: ‘‘ Chi non è! stato..in> Algeri, chi non ha vista la sorte alla quale sono condan-. nati i cristiani che cadono schiavi dei barbari, non cono= sce quello che la sventura ha di più amaro, e in quale stato di affanno e di abbattimento può cadere l’anima degli. infelici figli degli uomini. ,, Solo, dopo aver dato sollie-. vo al suo cuore, descrivendo quest’ orribile stato , perchè. il mondo ne sia non vanamente commosso, egli può pen= sare a darci que’ raggnagli che la nostra curiosità per avven-- tura desideri sullo stato fisico, civile, militare così d’Algeri, come del resto della Barberia. Se non che portato dal suo + argomento a parlare del governo ottomano, con cui la, Bar=!» beria ha si stretta relazione , come può egli trattenersi dal considerare lo spirito dell’islamismo, e i suoi effetti fu» nesti per l’ umana civiltà? Fra le perdite da lui fatte, ca- dendo in mano ai pirati, la più dolorosa giusta le sue pa- role fu quella de’ suoi libri e de’ suoi manoscritti. Pur essi;, egli scrive, “ non doveano .tentare la cupidigia di barbari musulmani, doveano loro parere quello che la margherita al: sallo della favola. Ma dissero forse come quel saracino feroce, ordinando la distruzione della biblioteca d’Alessan» dria : se sono conformi all’ Alcorano sono inutili, se sono + contrari ‘meritano ‘d’essere distrutti. ,, Egli non dubita di; chiamare Maometto ( ed oggi che il profeta della Mecca ritro- va inaspettati ammiratori non è vano il ripeterlo ) il più gran nemico che la ragione umana abbia avuto, ‘ Uomini, pie= ni'del suo feroce spirito esclamarono che Dio punirebbe il califfo Almamon per avere appellato nei.suoi stati le scienze a detrimento della santa ignoranza raccomandata ai. } veri credenti; e che se qualcuno osasse imitarlo,, impalar si doveva è di tribù in tribù trasportarlo , preceduto, da un araldo che andasse ad alta voce gridando: Ecco quale 139 è stato e quale sarà,il guiderdone dell’ empio , che prefe- risce la filosofia alla tradizione » e la superba ragione ai precetti del divino Koran. ,, ‘Dalle relazioni de’ barbareschi fra loro e colla Porta passa il nostro Pananti a quelle de’ barbareschi colle po- tenze cristiane. Ciò ch’ egli dice a questo proposito è det- tato dalla più pura dani e ci richiama alla memoria un eccellente libretto intitolato i Cristianì e i Barbareschi ( Ginevra 1822 (#) ) scritto da un uomo, che ha put sog- giornato fra i pirati africani. Questo libretto , Mietio nella sua brevità, di fatti e di osservazioni preziose; è dra un complemento degli ultimi capitoli che chiudono la relazio- ne e con essa la raccolta dell’ opere del. nostro Pananti. Pare che questi partisse d’Algeri poco innanzi al famoso bombardamento, che dovea , giusta le concepite speranze, assicurare per sempre la libertà dei cristiani contro gli at- tentati de” loro nemici. È nota la pace che fu dettata all’or- goglioso Dey, pace , dice il nostro Pananti , degna d’essere paragonata a quella che il saggio re di Siracusa Gelone su quelle stesse coste africane impose ad un popolo possente che offendeva l'umanità colla sua mala fede e i suoi riti atroci. “Ma era egli veramente domato il feroce capo della città dei pirati? Egli rialzò i muri delle sue fortezze 3 fab- bricò nuovi IE s strinse una forte alleanza coll’ impe- ratore del popolo moro. La squadra di lord Exmouth era ancora alla vista del porto, quando l’ inflessibile Omar agà dall’alto, del suo palazzo così parlò con fiero linguaggio alle sue barbare orde: Noi non siamo stati vinti, o vinti ci hanno learmi che non conoscevamo, quelle della corruzione e del tradimento; ma noi pugnammo da veri musulmani, e la nostra fama risuonerà sulle lontane spiaggie . I vili cadono e più di loro non si parla ; i forti cadono, e il loro nome resta’, e la gloria della ‘loro patria rinasce. — L’ africano Dey fu umiliato, ma la sua potenza non disparì. Si fece passare i barbareschi sotto le forche caudine. L’ Europa ri- (*) È, vendibile in Liverno:presso Glauco Masi, in Genova presso Gra- vier e in Firenze al Gabinetto Letterario. rdo mase esposta ai rinnovati insulti dei Mauri. ,, Quindi l’ul» timo capo s'intitola: della necessità e della giustizia di pro» vedimenti più efficaci, perchè cessino per sempre insulti sì obbrobriosi. ‘* L’umil mia voce, conchiude l’autore, gran forza aver non potrà ; ma l’oscura nebbia dei laghi s'alza talvolta fino ai cieli e vi produce la folgore , Potrei dire allora col poeta: Jai fait quelque bien, c’est mon plus bel ouvrage. Il rumore delle catene degl’ infelici schiavi dei barbari, i gemiti degli afflitti inchiodati sopra le ardenti arene dell’Africa, non si faranno forse sentire nei gelati cnativdi:bréngo( ia politica ha degli occhi e non delle viscere. Ma vi sono regie anime eccelse che ardono del fuoco santo della virtù; l'amor dell'umanità le scalda e le illumina. La giustizia e Ja verità trionfano alla fine dei freddi calcoli, e degli isnobili pregiudizii; la ragione ter- mina per aver sempre ragione. ,, Quando la relazion del suo-viaggio non avesse alcun pregio di dicitura, quando ( supposizione assai lontana dal vero ) mancasse d’ogn’al- tro pregio fuorchè quello di uno scopo santo e di un ca- lore che viene dal profondo dell’anima, chi mai si senti. rebbe coraggio di censurarla? La commozione che provasi terminandone la lettura ci fa tornare al pensiero ciò ch’ei dice in una delle sue prose intitolata /a critica severa: ‘ Si dovrebbe sulle trascuratezze e sui falli degli stima- bili autori spargere quella lagrima che Sterne fa versaro all’angelo sul peccato del buon uomo Tobia. ,, . Osservazioni sulla pittura in maiolica. ( Articolo trovato fralle. carte inedite di Fiorillo, e pubblicato nel Kunstblace. N. 51. DI La maiolica altro non è che una porcellana ordinaria , che spesso ha avuto il nome dal luogo ove si fabbricava. Fu in- . ventata in Italia, e Pesaro, Gubbio, Urbino, Fermignano e Castel Durante furono le principali città che ne coltivarono l’ arte. Già da antichissimi tempi lavoravasi di terra in Pesa- ro, e solto gl’imperatori vi erano fornaci a tal uso, che poi Idi abbandonate , tornarono nuovamente verso il 1300 a fornire roz- ti lavori. In que’ tempi non adopravasi per dipingere le terre che quattro colori: cioè giallo, verde, azzurro e nero; ma verso il 1450 cominciarono quelle opere a migliorare , e diven- nero mezza maiolica intorno al tempo in cui la famiglia Sforza erasi impadronita in parte di questo paese. I dipinti che allora eseguivansi etano per lo più arabeschi e armi gentilizie, ornan- done piatti, scodelle e varie sorti di vasi; questi dipinti an- darono sempre migliorando , e cominciarono in seguito a mo- strarvisi alcune teste rappresentanti qualche virtù o qualche divinità. In questa guisa andò l’ arte sempre salendo finchè verso il 1500 fu introdotta in Pesaro l’arte della fina maiolica. Di non lieve vantaggio per questi lavori fu al tempo stesso la scoperta fatta da Luca della Robbia di una vernice da sten- dersi sui vasi e sulle figure. Dopo il 1500 incominciarono da varie officine a uscire dei lavori di merito, dietro a disegni de’ migliori artisti ; i colori si perfezionarono sempre più con l’ aiuto della chimica, e si abbandonò quella maniera secca, che avea fino allora prevalso, cosicchè verso il 1530 o 1540 era giunta l’arte al suo più alto grado di perfezione. Intorno a questo tempo furono fatti di maiolica anche vari pavimenti, con figure in grande di oggetti naturali, di ornati, di fiori ec. Ma questo periodo di perfe- zione non durò che fino al 1560. Le opere di quest’ epoca sono facili a distinguersi, perchè quelle anteriori sono per lo più rozze e secche, e quelle posteriori sono trascurate. Così lo splendore di quest'arte non ha durato che circa a 30 an- ni. In quel tempo avea gran fama il Cav. Cipriano Piccolpasso di Castel Durante , ( ora Urbania ), il quale scrisse un libro sul- l’arte di lavorare di terra , fu distinto pittore di maiolica, e fiorì verso l’anno 1550. La maiolica di Gubbio fu invenzione di Giorgio Andreoli di Pavia, il quale si stabilì in Gubbio l’anno 1498. Fu egli scultore e al tempo stesso pittore in maiolica, Nel 1511 fece due belle tavole d'altare di maiolica in basso rilievo, l’ una in S. Domenico, l’altra nella cappella di casa Bentivogli. Ma ì suoi più bei lavori furono pitture sopra terraglie a uso di tavola, le quali hanno sul rovescio il monogramma M.° G.° cioè Macrstro Giorgio, essendo in quei tempi comune fra gli artisti il titolo di maestro. Da una notizia manoscritta rilevasi ch’ egli viveva ancora circa l'anno 1552. Ebbe anche un figlio di no- 142 ù me Vincenzo, che esercitò la stessa arte, e fu volgarmente chia- mato Maestro Cencio. Della maiolica di Urbino trovavansi l’officine solamente a Fermignano, dove nell’ anno 1534 Maestro Rovigo da Urbino si rese celebre pel suo talento, come pure si distinse A4/fonso Patanazzi che avea l’uso di segnare i suoi lavori con A. P. Vedonsi ancora de’ bei lavori d’ un Vincenzo Patanazzi, che fioriva verso il 1620; ma non so, se fosse figlio di Alfonso. Furono però tutti vinti in quest’arte dal famoso Orgzio Fon- V tana di Urbino, che segnava le sue opere col monogramma OF. Cominciò egli a distinguersi verso l’anno 1540, e morì verso 1560. Nel sopracitato libro MS. del Piccolpasso si fa menzione ancora di alcuni altri artisti nel modo seguente ; ‘ In Corfù » hanno lavorato Giovanni Tisco e i fratelli Luzio e Alessan- », dro Gatti della Torre di Durante; In Anversa un Guido di », Savino che v'introdusse l’arte, e Timoteo Viti ,,; (che senza dubbio deve essere Timoteo della Vita ). Circa l’ anno 1538 Guidobaldo II, Duca di Urbino fece fare in quelle officine delle copie di pitture di Raffaello e di altri grandi maestri di quei tempi, e però avviene che tro- vansi su queste maioliche tanti soggetti simili alle loggie e alle stanze di Rafaello , con quelle poche variazioni che incon- transi ancora in alcuni quadri e schizzi. Di quì ancora deriva senza dubbio l’errore commesso dal sig. Scheib nella sua opera intitolata Koremon ( Part. 2. p. 316) quando dice : “ Raffaello. », ancor giovinetto, per quanto abile si fosse, trovò de’ ca- s» lunniatori del suo nome, i quali lo chiamavano il Bocca- » Zaio d' Urbino , perchè dipingeva sopra terre di Faenza, e » aveva talmente innalzata quell’ arte, che anche a’ dì nostri 3, tengonsi per inapprezzabili quelle tazze e quei piatti sui quali » esercitò il suo pennello ,,. Perciò che riguarda il sopranome dato a Raffaello, ciò fece il Malvasia nella sua Felsina Pittri- ce (1), quantunque in seguito ne dasse colpa al suo stampato- (1) Vi si leggeva ( 7. I. p. 471.) © L’azzardare cosa sì alta e sì su- so blime, non avrebbe mai potuto, a mio credere , cadere nell’ idea circo- » Spetta, per non dir bassa d’un boccalaio d’Urbino ,,. Queste sciocche parole furon peraltro cangiate poco dopo nelle seguenti: “ l’azzardare cosa s» sì alta e sì sublime, credo non mai sarebbe venuto nella mente erudita 3» € feconda del gran Raffaello ,,. 143 te, e intorno a ciò possono consultarsi vari scritti, in favore e contro il Malvasia (2). Certo si è che Raffaello non mai dipinse in maiolica, ed anzi abbiam veduto che quest’arte non giunse alla sua perfezione che dopo la morte di quel gran maestro. vero che il sig. Heinecke dice (3) che uno de’ suoi parenti Guido Durantino possedeva una officina in Urbino, e che forse Raffaello nella sua gioventù vi lavorò ; ma oltrechè gli oggetti che di lui o piuttosto dietro schizzi, disegni o incisioni delle sne opere vedonsi in questa maiolica, sono imitati da lavori ch’ ei fece in Roma, nissuno prova l’esistenza di questo sup- posto parente, e tutte le ricerche che ho fatte a questo pro- posito sono intieramente rimaste infruttuose. Così pure è una idea senza fondamento, che la celebre Fornarina , l'amata di Raffaello , fosse figlia d’un boccalaio, e che Raffaello in un momento di debolezza si fosse lasciato indurre a dipingere in maiolica , Ciò che può aver cagionato equivoco si è che Raf- faello del Colle lavorò molto per queste officine, ed essendo sempre l’uso in Italia di denominare le persone col loro pre- nome , ne sarà nato l’ abuso o piuttosto l'inganno di spacciar quei lavori per opere del famoso Rafaello , L’ abate Giannan- drea Lazzari pittore conosciuto, uomo di dottrina , e versa- tissimo nelle opere di Raffaello, è d’opinione che molte di que- ste maioliche, benchè non dipinte da Raffaello stesso, devono tuttavia considerarsi come composizioni di lui e de’ suoi sco- lari; mentre Luffoli pittor di maiolica avea raccolti per uso della fabbrica molti disegni di Marc’ Antonio e d’ altri dietro , Raffaello. Si distinsero ancora: il già nominato Raffaello del Colle o del Borgo per la composizione e il disegno, come an- che Battista Franco da ‘Venezia, pittor di merito, che vi fu chiamato nel 1540 ad istanza di Bartolommeo Genga , archi- tetto del Duca, ed è opinione che fosse Franco, il quale componesse in parte i disegni di que’ vasi che ora formano la fumosa farmacia di Loreto, e sono in numero di più di 300. (2) Osservazioni sopra il libro della Felsina pittrice per difesa di Raf- faelle ete. da D. Vincenzo Vittoria. Roma 1703. 4. Lettere familiari in di- fesa del Conte Cesare Malvasia ec. per Gio, Pietro Zanotti. Bologna 1705. 8. Vi è inoltre un ivteressante lettera dello Zanotti al Bottari su questo argo- mento nelle lettere pittoriche. T. 3. p. 370. seg. Il Winkelman nel suo libro € della facoltà di sentire il bello nelle arti p. 5. ;, sembra non aver saputo con quanta forza il Malvasia avesse rigettata da sè l’ accusa di aver voluto denigrare Raffaello con la denominazione derisoria di Boccalaio d’Urbino + (3) Ved. « Notizie sulle arti e sopra oggetti d’arte » 144 La regina Cristina di Svezia offrì di cangiarli con altri d'ar- geuto di ugual peso e grandezza, ma la sua offerta non fa accettata . Verso l’anno 1560 cominciò l’ arte, per ciò che riguarda le figure, a decadere sempre più; migliorò il paese e l’ armo- nia, ma prevalse la trascuranza. Il decadimento dell’arte vuolsi attribuire alla morte di varii artefici, e principalmente di Gi- rolamo Lanfranco, di Raffuello del Colle , di Battista Fran- co, e di Terenzio di Matteo . In quanto ai dipinti che ornano le maioliche , sono questi tratti principalmente dall’antico e nuovo testamento , come an- che dalla storia romana, o da altri soggetti allegorici som- ministrati in gran parte dalle favole d° Ovidio. Riguardo al meccanismo o alla parte tennica, non può stabilirsi nulla di certo; ma ognuno che ha vedute molte di queste maioliche può facilmente riconoscere , che tutti questi lavori sono dap- prima passati sulla ruota, dipoi seccati e quindi tuffati nella vernice. Quando siano nuovamente seccati si fanno cuocere , e all’ uscir della fornace si cuoprono di uno smalto bianco, sul quale dipingonsi le figure con colori a smalto che dolce- mente si sfumano incorporandosi nel fondo bianco . Fralle varie collezioni di simili maioliche che ho vedate in varii luoghi, come a Dresda, Monaco ec. sembrami la più considerabile quella che trovasi nel museo di Brunswik e che è tornata da Parigi, ove era stata trasferita. Ben meriterebbe essa che un dotto conoscitore la descrivesse minutamente. Nota dell’Edit. del Kunstblatt. L’ autore nulla dice della maiolica in Francia, che molto si perfezionò a’ tempi del Primaticcio e sotto la sua direzione. Ve n’era una gran fabbrica in Fontainebleau, i cui lavori di- stinguonsi dalle maioliche italiane in ciò che le figure sono in parte di rilievo e tuttavia dipinte. Gli ornamenti sono ricchi e eleganti con molte dvrature; i colori, fra’ quali predomina il violetto, sono molto saturati. Il sig. Durand, raccoglitore di oggetti d’arte in Parigi, possiede un gran numero di tali lavori, e dobbiam sperare che i frutti della sua esperienza in quest’ arte, come pure nella pittura a smalto, saranno da lui partecipati al pubblico. 145 Lettera al direttor dell’ Antologia intorno ad una memoria dell’ Avv. Al. Mugnai. ‘ "Tra le diverse opere che di recente sono state pubblicate in Italia, e delle quali trovasi fatto cenno nel di lei accreditato giornale dell’Antologia , all'art. Rivista Letteraria, inserito nel N. 54. del decorso mese di giugno, evvi enunciata la Memoria del sig. Avvocato Alessandro Mugnai, che ha per scopo il di- mostrare col fitto , che gl’italiani sono stati i primi cultori, € promotori insieme della moderna scienza di pubblica economia. . Un tema, che cotanto interessa per la storia di scienza iì importante , e lusinghiero del pari per chi porta amore di pa- trià, mi spiuse tosto a far lettura dello scritto anzidetto, ma con sorpresa io vidi fatto in esso non blando, ed insieme ingiustissi- mo rimprovero ad un uomo, che d’ altronde tra gl’italiani scrit- tori in pubblica economia, che in quello si citano , meritava certamente che più estesa menzione di lui si facesse, senza li- mitarsi a semplicemente accennare una sola delle tante cose da esso scritte e pubblicate , ed alla predetta scienza relative, e quella sola citando ad unico oggetto, non già di parlare con du- vuto encomio di lui, ma di raramentare un’ altrui memoria. Parlandosì per tanto dal suddetto autore dell’ arcidiacono Sallustio Bandini, egli asserisce nella rota apposta alla pag. 28. », ivi ,, Fà poi specie come nel trattato dei regolamenti anno- narii del Cavalier Giovanni Fabbroni nemineno si contenga al- cun ricordo di questo illustre toscano, che fu assolutamente il primo a declamare contro il devastatore U/ffizio di pubblica Annona. Cli accurati colleîtori milanesi degli economisti clas- sici italiani hanno il merito di avere inserito nel primo tomo della parte moderna il discorso economico, unitamente all’ elo- gio, ed alle notizie istoriche riguardanti il Bandini; ma ciò mon è pero recentemente servito a determinare i compilaturi della Biografia antica, e moierna a fare in detta loro opera onorevole commemorazione di sì valente scrittore. Il prospet- to dî. sì ingiusta oblivione mi ha più di tutto spinto ec. Ingiusta taccia , e rampogna , e non giusta ubdlivione, che si porta a carico di chi non è più in stato di mostrarne da per sè stesso la falsità; imputazione infine tanto più grave in quan- to sembra contenere implicitamente quasi quella di plagio. Ma la morale condotta di un tavt’ uomo , la vastità della sua dottrina in ogni ramo di scienza , ed il giudizio che di lui T. XIX. Luglio 10 146 ha formato l'Europa, non che l’Italia ; lo pont al cuopeito di ogni ingiuria che mai far si volesse alla sua memoria, che sarà sempre , ed ognor più cara alla Italia, E come poteva mai dirsi che nello scrivere degli annonarii provvedimenti scordato venisse dal Fabbroni l’autore del Discor- so economico, che non poco rapporto aveva al soggetto trattato da lui? Alla pagina non 200, o 4oo, ma alla 18ma della prima edi- zione dei provvedimenti annonarii, Firenze 1804; ell alla 17ria. della seconda, Firenze 1817. leggesi infatti ,, ivi ,, Anco le no stre Maremme senesi per tanto tempo desolate, ed oppressé e dalla legislazione, e dalla natura risorgevano col benefi- zio della libertà , ed 1, BANDINI UNO DEI PiiMi ECONOMISTI TOSCANI, provò ad evidenza che i vincoli consecutivamente im- posti al grano le ricondussero al più deplorabile stato. ,, Un tal paragrafo prova che l’autore della memoria giudica delle altrui produzioni , o senza leggerle, o senza portarvi quel- la attenzione cotanto necessaria , ed indispensabile quando vuolsi specialmente sopra delle medesime ragionare: Una riprova di quésta supposizione emerge dall’avere l’autore ridetto asserito pag. 29. che scritta fa dal Bandini l’opera surriferita nel 1737, ma che però fu pubblicata due anni dopo, vale a dire nel 1739. quando che non fu stampata per la prima, e sola volta finora che nell’anno 1775. in Firenze dal Cambiagi, come il fronte spizio a carattere non corsivo o poco intelligibile ma ben maiuscolo il dichiara _,,ivi,, E PUBBLICATO NELL'ANNO CORRENTE 1775. DO- PO LÀ DI LUI MORTE SEGUITA NEL 1760. ,, e ciò perchè ( se l’at- tento autore lo ignora ) il manoscritto di quell’ opera, o discor- so che dir si voglia , trovavasi nelle mani del Barone di Saint- Odile ministro Gran-Ducale in Roma; dalla qual carica essendo stato nel 1774 per particolari motivi dispensato , pervenne allo- ra quel manoscritto medesimo in altre due; che mentre il fecero di pubblica ragione, contribuirono pur anco a renderne più sparso il soggetto mediante un estratto che ne venne contemporanea- mente pubblicato , che fu parto della penna di Michele Ciani; e dal quale estratto si apprende inoltre qual fosse la causa che diè impulso al Bandini di ragionare sul divisato argomento. Or siccome non cercasi il ravvedimento di chi sì gravemen- te peccò, forse non per mala intenzione , ma per replicata non troppo perdonabile trascuranza, l’ unico scopo di chi le scrive es- sendo quello, ornatissimo sig. Direttore, di giustificare un nostro celebre concittadino che tanto onore reca alla patria, ed al no> | 147 me italiano , Ella è pregata, a gloria del vero, d’inserire questa mia nel prossimo fascicolo del lodato di lei giornale . Dalle rive dell’ Arno, li 12 Luglio 1825. Ss. UETTZz...Tr.r————tzxTTTFT6y+y6F6FgT6rxTTe -TrTTr,.T.,.TxT% Il Sig. CHAMPOLLION LE JEUNE in Firenze. Il celebre sig. Champollion il minore nella breve dimora , che di ritorno dal suo viaggio di Roma e di Napoli ha fatto in Firenze , si è ogni dì recato alla galleria di questa città per considerarvi in ispecial modo i monumenti egiziani , di che nello scorso anno degnossi arricchirla il munificentissimo nostro Sovrano; al quale or si dee nuovo plauso per aver providamente ovdinato che nella galleria medesima una stanza si costruisca per essi, e per quelli eziandio di simil genere, che vi si conser- vano da tempo più antico , Il detto sig. Champollion ha giu- dicato , esser tutti di molta importanza ; e dee il suo giudi- zio tenersi per inappellabile, dacchè sa ognuno aver egli tol- to il velo misterioso alle antichità egiziane colla felicissima sco- perta dell’ alfabeto dei geroglifici fonetici : scoperta che si mo- stra verissima a chiunque legga con ponderazione le opere di questo insigne letterato; scoperta , che tutte le iscrizioni bi- lingui, cioè in geroglifico ed in greco, che di poi sono venu- te in luce, han maravigliosamente confermata; e scoperta che ha posto in chiaro lume la mitologia e le arti dell'Egitto, che ha rovinato dalle radici non pochi sistemi di celebri letterati moderni e restituito il credito agli antichi autori, che in concor- dia si trovano essere per lo più con ciò che gli Egiziani han lasciato dipinto , scolpito e scritto in quei moltissimi monumenti, dei quali or son fatte ricche le principali gallerie d’ Europa , o che riportati si veggono nelle tavole di pregiatissimi libri. Di questi ne avremo altri in breve dal sig. Champollion , che più agevoleranno la via a questo importantissimo studio ; e sono essi la grammatica e il dizionario dei geroglifici, ed un’ opera su gli scarabei, nei quali vedesi accolta e la religione e la storia dell’ antico Egitto, egualmente che la religione e la sto- ria dei Greci e de’ Romani espresse si trovano nelle monete di questi due popoli celebratissimi . Sarebbe pur desiderabile che il sig. Champollion prendesse presto a stampare la sua gram- matica e il suo dizionario della lingua egiziana (1), che è gran (1) V. Champollion le jeune, l'Égypte sous les Pharaons, tom. prem. préf. pag: XV. 148 fondamento allo studio dei geroglifici, e di che nè molti, nè ovvi, nè perfetti sono i libri elementari, che or sì conoscono . Del resto il lodato sig. C®ampollion ha preso assai ricor- di dalle antichità egiziane della .;ostra ga!leria per valersene al- I nopo ; lo che dovea dirsi per meglio inculcare altrui il pre- gio delle medesime ; siccome dce dirsi per amore del vero, e per argomento di gratitadine , che egli ha scritto e lasciato in proprietà della galleria una breve dichiarazione dei vasi, delle statuette , degli scarabei e di altri piccoli oggetti della raccolta egiziana: dichiarazione che a noi servirà di guida quando da- remo d’ essa raccolta particolarizzato ragguaglio . G. B. ZANNONI. in ENRRERyczMmMeE::*:<::*E= E. r—_—PrP _P_r—_—_—@@@. i; ii Notizia intorno al Sig. Lvrer Pons Lettera al Direttore dell’ Antologia. Firenze 23, Luglio 1825. Gentilmente da lei richiesto di comunicarle qualche succinta notizia relativa al celebe:rimo sig. Zuigi Pons, che con Sovrano Motuproprio del 22. Giugno p.° p.° è stato eletto in professore d’Astronomia addetto all’I. e R. Università di Pisa, non saprei come meglio soddisfare alle giuste sue brame , che richiamando la di lei atten- zione su] seguente articolo del sig. professore Gautier in- serito nella biblioteca universale di Ginevra, Vol. XXVIII. pag. 268. Ivi pertanto il sig. Gautier, dopo aver candidamente palesato come quest’ uomo reso adesso sì celebre non fu in principio che semplice custode dell’Osservatorio R. di Mar- silia (1) nell’ epoca assai felice , in cui ne era direttore Thulis, soggiunge : “ Il sig. Pons avendo trovato in Thu- ss lis piuttosto una guida benevola, che un imperioso pa- »» drone , si preparò sotto di lui a dare un nuovo esem- »» pio di ciò che può una volontà forte e perseverante, e (1) Il sig. Pons è nato in Peyru villaggio dell'alto Delfinato il 24 De- : PILE MRI cembre 1761. Eunò al servizio dell'Osservatorio di Mars.lia ,13, l'ebbrsjo 1769, I 1) 149 ‘xa convertire l’ osservatorio di Marsilia in una specie di ij, posto avanzato astronomico . (00 Tutti sanno con'qual ardore quest’ uomo altrettan- 5 t0 stimabile peril suo carattere, che per lo zelo che nutre .,, verso la scienza, si è consacrato alla ricerca delle co- :,, mete, delle quali ne ha egli solo scoperte da trenta in ‘,, ventiquattro anni (2). Tra le altre siamo a lui debi- ‘sy itori del primo annunzio della comparsa di quella del s sig. Encke nel 1805. e nel 1818; annunzio, che per- +3, mettendo di osservare allora questa singolar cometa, ha 3; condotto alla scoperta del corto periodo della sua ri- 3, voluzione (3). Il sig. Pons è molto abile in lavorare le (2) Nel solo anno 1819 giunse a scoprirne fino a quattro. (3) Fino a questi ultimi tempi una sola era la cometa di cui si fosse ' veduto e riconosciuto il ritorno, quella cioè del 1582, che impiega circa 96 anni. a compiere un’ intera rivoluzione, e che volgarmente si chiama la co- | meta d’Mulley; perchè Halley fu il primo a sospettarne l'identità con quelle gia osservate nel 1531 e 1607, e ne annunziò la nuova apparizione verso il 1958 o 1759; annunzio che, come si sa, venne coronato dal più felice successo. La cometa scoperta dal sig. Pons a Marsilia nel 1818 e della quale gni «parla, il sig. Gautier ha dato il. secondo esempio di un fatto sì raro e sì rimarchevole nella scienza .. Allorchè ne venne pubblicata la comparsa, e ne futono calcolati gli elementi approssimativi sì produsse da molti la facil congettura che potesse essere la stessa scoperta dal medesimo sig. Pons nel a805,.in Marsilia.. Anzi O/ders pensò di più che si fosse egualmente veduta nel 1795 e 1786. Appoggiato a questi supposti il sig. ‘Ercke astronomo di Sceberg si accinse non solo a calcolarne l' orbita ellittica rigorosa, ma con ‘tun coraggio indicibile e del tutto nuovo , imprese a tesserne un Efemeride per: l'epoca del primo suo ritorno, che dovea ‘accadere nel 1822. Quanta pazienza e fatica dovesse un lavoro di simil genere essere custato a questo intrepido calcolatore , e quanta intelligenza avesse dovuto impiegarvi per condurlo a felice termine, è cosa ben difficile a concepirsi, specialmente avuto riguardo alla necessità in cui egli si vide di tener conto dell’ azione di Giove su questo piccol Astro, che per lungo tratto del suo periodo do- | veva ‘aggirarsi nei contorni di quel vasto Pianeta. Dai suoi calcoli e dalle declinazioni diurne che ne concluse, conobbe quell’ Astronomo ed’ annunziò che fatalmente non era da sperarsi di poter vedere in Europa l’ aspettato ri- torno ; e che per osservarlo si rendeva necessario trasferirsi nell’opposto Emi- sfero. Tanto appunto avvenne; e la bella sorte di essere testimone della bon- tà e verità di queste predizioni toccò al sig. Rumker che da Amburgo sì era verso quei tempi trasportato a Paramatta nella nuova Galles Meridio- nale per fondarvi e stabilirvi un’ osservatorio. Un esito sì fortunato di una fitica finor senza esempio , e condotta con tanto sapere e tanto coraggio, ha faito meritamente attribuire il nome di Cometa d' Encke a quella di cui ‘parliamo : quantunque il sig. Encke tutte le volte clie gli occorre parla 150 » lenti, ed ha costruiti in intiero alcuni dei canocchiali 3, da notte, dei quali si è servito. E dotato di una vista »» singolarmente penetrante , e ben si comprende qual »» cognizione debba egli avere del cielo stellato . Molte ,» dotte società gli hanno conferite delle medaglie (4). ,» Nel 1813. fu nominato Astronomo aggiunto dall’Osser- »» vatorio di Marsilia (5). Scelto nel 1819. dalla già regi- »» na d’Etruria, Duchessa di Lucca , per adempire le me- », desime funzioni nel nuovo osservatorio di Marlia, vi »» ha proseguite con uno zelo infaticabile fino al princi= »» pio dell’ anno attuale le sue ricerche ed osservazioni di ,» comete, col solo mezzo di una macchina parallattica e »s di un piccol canocchiale dei passaggi . È stato uno dei »» primi ad accorgersi della singolare conformazione che ,, ha presentata durante alcuni giorni sul finir di Gen- »» naio del 1824. la cometa da sè scoperta il 29. Dicem» > bre 1823 ; conformazione consistente in una doppia co- ,» da di cui l’una diretta verso il sole, l’altra rivolta in 3» senso opposto, come sogliono ordinariamente mostrarsi . 3» La morte della Duchessa di Lucca ha dato luogo alla »; soppressione del posto del sig. Pons, che non ha per »» altro cessato non ostante di tenere dietro fino al 24 s) Dicembre dell’ anno scorso alla nuova piccola cometa s» senza coda nè chioma, che aveva scoperta il 24 Luglio, »» e alla quale il sig. Ercke assegna un orbita Iperboli- »» ca (6). In questa dolorosa situazione il sig. Pons non ne faccia al suo primo discopritore 1’ omaggio di chiamarla la Cometa di Pons . Le osservazioni di Rumker in quella parte che riguardano la posi- zione geografica di Paramatta , articolo importantissimo per trarre un giu- sto partito da tutte le altre osservazioni fatte in quel luogo, furonv calco» late in Firenze nel mio Osservatorio. Del resto la media rivoluzione ‘ano- malistica della cometa d’ Erncke è presso a poco di giorni 1204: periodo che dal 1818 al 1822. venne prolungato di g giorni, attesa l’ azione ehe, come ho accennato , fu dal pianeta Giove esercitata sulla Cometa . (4) Debbon fra queste società annoverarsi quella dell’ Istituto di Francia, dell’ ufizio delle Longitudini , dell’Accademia di Marsilia ec. , come pure il ministero dell’ interno. (5) Il decreto imperiale di questa nomina fu segnato a Dresda nel Lus glio 1813. (6) Posteriormente allo scritto del sig. Gautier, Encke ha abbandonata 151 (» è stato abbandonato dal suo antico protettore il Barone ) ss di Zach, e non vi è dubbio che non si pensi in Fran- s» cia a farsi un dovere ed un onore di rimettere pronta- ss mente quest’ uomo interessante in posizione da ripren= »» dere le sue utili ricerche nella sua patria, e di racco» »» glierne il frutto. Ma se la Francia ha concepito dal canto suo questo disegno , la memorabile e generosa risoluzione del nostro Sovrano le ha ormai impedito di effettuarlo ; e tutto il profitto , che i concittadini del sig. Pons si potevano at= tendere dal di lui ritorno , sarà adesso conseguito dalla nostra Toscana, che in quest’ avvenimento vede una bella aurora di quei giorni felici, nei quali la corte Medicea chiamava da lungi ed accoglieva nella sua reggia i più distinti personaggi che ornassero allora le scienze, le let- tere e le arti. Nè il sig. Pons ha tardato un momento a corrispon dere alle speranze che si avevano sopra di lui, renden- do celebri fino i primi istanti del suo ingresso fra noi. Era questo appunto l'anno ed il mese in cui doveva com- parire di nuovo la sopra accennata cometa a corto perio= do : gli Astronomi tutti l’ attendevano con impazienza ; il Sig. Encke aveva pur questa volta compilata e pub» blicata in tempo l’ Efemeride con la quale ne annun- ziava giorno per giorno la posizione dal 1.° del corren- te Luglio fino a tutto agosto; ma egli stesso era nella ferma persuasione, che , attesa l’ estrema piccolezza di quest’ Astro , e la brevità e chiarezza delle notti, non avrebbe potuto essere in alcun modo visibile se non cir ca Ia metà del futuro mese d’Agosto . Pure l'istancabile felice zelo del sig. Pons ha saputo ritrovarla fino dal dì 15 del mese attuale. Non sappiamo ancora se altri ab- biano divisa con lui la gloria di questa scoperta , che nel presente stato dell’ astronomia deve certamente riguar- darsi come una delle più interessanti, trattandosi di una Questa sua congettura, altre volte e da molti prodotta con enfasi in campo anche per altre comete. 152 cometa atta assai più di quella tanto celebre d’Z/a/ley a confermare le teorie , e fissare le idee fin qui tanto dub- bie ed incerte rapporto a questo genere singolare e biz- zarro di corpi celesti . sù P. Incnmami. ‘BULLETTINO SCIENTIFICO: N.* XXII. Zuglio 1825. SCIENZE NATURALI Meteorologia. Alle Antille, ove dal dicembre 1823 non si erano fatti più sentire terremoti, ne sono stati sentiti due recentemente, cioè uno nella notte del dì 3 ottobre a un’ ora dopo la mezza not- te, l'altro il dì 30 novembre 1824 a ore 3 1f2 pomeridiane. La commozione del suolo che il primo ha prodotto alla Martinie- ca è stata così forte, che ha svegliato dal sonno la popolazione, benchè le scosse non sieno state che due. L'ultima di esse, for- tissima, è stata preceduta da un calore di più giorni molto straordinario per la stagione. Il fragore da cui la. scossa fu accompagnata era maggiore e più distinto che non suole. Fu anche osservato che questo fragore sembrava prodotto nella re- gione media dell’atmosfera, e non sortito dal suolo commosso. La temperatura dell’atmosfera s1 è abbassata immediatamente dopo; a S. Pietro vi è stato una marèa, che ha gettato più navigli sulla costa. Una pioggia, che aveva sembianza di diluvio, ed accompagnata da tuoni, ha durato dieci giorni dopo il terremoto. Il sig. Dalton avendo esaminato dell’acqua di pioggia ca- duta a Manchester in seguito d’una burrasca violenta scoppiata nel giorno 5 dicembre 1822, trovò che essa conteneva un grano di sale comune per ogni diecimila grani d’acqua. Siccome l’ acqua del mare contiene circa un grano di sale in 25 grani d’acqua, sembra che l’acqua caduta contenesse un grano d° acqua di mare sopra 400 grani d’acqua di pioggia. La direzione di questa tempesta era dal sud-ovest all’ovest. Il vento del.sud-ovest viene. dalla costa di Galles, che ne è lontana cento miglia , e quello | li | 153 dell'ovest dalla parte dl Liverpool, che n'e distante trenta o quaranta miglia. In ‘occasione d’ altre susseguenti tempeste il sig. Dalton: verificò che vi era un grano d’acqua salata sopra 200 grani d’acqua di pioggia, e che l’acqua salata era stata tra- sportata dal vento per lo spazio di treuta miglia almeno. Fisica e Chimica. Mariotte provò già che comprimendosi l’aria (e lo stesso si dica degli altri fluidi aeriformi ), la diminuzione del volume ‘è proporzionale alla forza comprimente. il professore OQersted unitamente al sig. Suensson, capitano del genio, hanno recen- temente intrapreso delle esperienze, per le quali, comprimendo violentemente l’aria nella canna d’uno schioppo a vento, sono giunti a ridurla ad un volume 110 volte minore del primiti- vo. Ma anche sotto questa enorme pressione la diminuzione del volume è stata proporzionale alla forza comprimente.. Altre esperienze hanno provato che a questa legge è sempre sog ggetta la compressione dei gas fino al momento della loro conversione in liquidi, come ancora la compressione dei liquidi stessi; ed il prof. Oersted presume che debba avvenir lo stesso anche' dei corpi solidi. Egli aggiunge per altro essere una condizione ne- cessaria al conseguimento dell’effetto che il calorico sviluppato per la compressione possa trovare una via per cui esalare, prima che si misuri il volume al quale si è ridotto il corpo per la compressione . Il sig. Berzelius aveva sospettato da lungo tempo che quella sostanza, la quale, sotto il nome di gorinia, è stata riguarda- ta come una terra particolare, fosse una combinazione di zir- conia non conosciuta. Esaminando ora l’ultima porzione che gli restava d’un saggio supposto contenere la torinia, ha ricono- sciuto che questa pretesa terra' non è altra cosa che un fosfato d’ittria con eccesso di base; o sottofosfato. Egli non è giunto a scuoprirvi l'acido fosforico se. non sottoponendolo ad alcuni saggi del processo pirognostico, che egli è sì abile a praticare, e per cui particelle piccolissime di qualunque materia , forte- mente scaldate’ a contatto di varii sali o altri agenti chimici, per mezzo della fiamma d’una lucerna spinta loro addosso col soffio d’ una cannellina (chalumeau), presentano delle reazioni o' dei cambiamenti caratteristici . 154 Il colonnello Z7ryght , tornato dall’India per terra, ha por- tato in Inghilterra una piccola quantità d’una terra acida, di cui i Persiani fanno uso pex acidulare le loro bevande, come noi facciamo dei limoni e dei cedri. Questa terra si trova in abbondanza a Daulakia, villaggio della Persia meridionale, di- stante circa 4 giornate da Aboucker. Il sig. Pepys avendone analizzato alcuni grani, ha trovato che l’acqua bollente discio- glie coll’aiuto della triturazione una quinta parte in peso di que- sta terra; che questa soluzione arrossa la carta turchina , come fanno gli acidi; che infondendovi il nitrato o l’idroclorato di barite, vi si forma un precipitato abbondante, che indica la pre- senza dell’ acido solforico; che il solfaro d’ammoniaca vi pro- duce un precipitato bruno nerastro , il quale annunzia la pre- senza del ferro . Finalmente la soluzione evaporata gli ba dato dei cristalli, che al calore ed al gusto seubravano, di solfato acidulo di ferro, Il sig. Adolfo Karl di Weissenfels ha trovato che un in- fusione d'una parte di senapa bianca in otto parti d’acqua può servire come un reagente utilissimo per riconoscere nelle ana- lisi la presenza degli alcali, i quali la colorano in giallo. Scoperti dal sig. Davy i due metalli potassio e sodio, e ri- conosciutene le singolari proprietà, e specialmente quella d’ in- fuocarsi per il contatto dell’acqua o dell'aria umida , si attri- buiscono alla presenza d’alcuno di questi metalli i fenomeni dei pirofori, prima non bene spiegati. Il sig. Gabel d’Iena ( vedi Antol, N.° 45. pag 161) avendo ottenuto un buon piro- foro per la scomposizione del tartrato di piombo mediante il fuoco , attribu} ad un carburo di piombo formatosi la combu- stibilità spontanea del residuo. Ma i risultamenti ottenuti dal sig. Serullas, da un sno bel lavoro sulle leghe del potassio, fe- cero sospettare che il tartrato di piombo del sig. Gabel non fosse libero da tartrato di potassa, e che un poco di potassia derivante da questa gli avesse dato le proprietà piroforiche. Ora il sig. dot. Han/e, osservando che il residuo della sa- blimazione del sale ammoniaco si accende spontaneamente al contatto dell’aria, inclina ad attribuir quest’ effetto alla presenza d’ una base metallica nel carbonio e nell’azoto. In questa ipo- tesi, che il sig. Hanle presenta solo come tale, l’ accensione del carburo di piombo sarebbe doyuta al metallo del carbonia. 155 Il sig. Unverdorben tedesco, considerando che le resine so- no corpi elettronegativi, le ha fatte soggetto di molte sue espe- rienze, le quali lo inducono a classarle fra gli acidi. Combi- nandole in proporzioni definite a corpi elettropositivi, quali sono gli alcali, le terre, e gli ossidi metallici, ne sono risultati composti simili nelle loro proprietà ai sali. La colofonia è la re- sina con cui ha fatto il maggior numero d’esperienze. Egli l’ha combinata agli alcali, alle terre, agli ossidi, ed ha determinato le proporzioni di tutte queste combinazioni. I resinati ( così gli chiama) alcalini sono solubili, gli altri sono insolubili. La colofonia in polvere ha la proprietà d’assorbire il gas ammo- niaco ; ne risulta un resinato solubile in parte nell’acqua. Il sig. Graham, analizzando il granturco, ha confermata la scoperta del sig. Bizio, che vi trovò primo una sostanza parti- colare da lui chiamata zeina. Ecco i caratteri e le proprietà che il sig. Graham ha riconosciuto in questa sostanza. Essa è di color giallo simile alla cera delle api, è molle, quasi senza sapore nè odore, più pesante dell’acqua. Scaldandola si gon- fia, tramanda odore di pane bruciato, quindi si fonde, esala l’odore delle sostanze animali che bruciano, e lascia un resi- duo carbonoso. Appressata alla fiamma d’una candela, vi bru- cia lentamente, distillata non dà ammoniaca. È solubile nell’al- cool , nell’ olio di terebintina, e nell’etere solforico ; poco solu» bile negli acidi minerali e negli alcali , affatto insolubile nell’ acqua e negli olii grassi. Può unirsi alle resine, La zeina sembra diversa da tutte le sostanze vegetabili fin qui conosciute. Si distingue dal glutine perchè non contiene azoto, è solubilissima nell’alcool, e può conservarsi fino a 6 settimane senza provare alterazione. La proprietà di disciogliersi interamente nell’.alcool, negli olii essenziali, negli alcali, e par- zialmente negli acidi, le dà. qualche analogia colle resine. Sem- bra composta d’ossigene , d’ idrogene, e di carbonio. Si ottiene facilmente facendo digerire per alcune ore nell’alcool della fam rina gialla di granturco, filtrando, ed evaporando - Spremendo il sugo d'alcuni frutti, come dell’uva spina, dei lamponi, del ribes, e lasciandolo per qualche tempo in riposo, vi si forma una materia rappresa e tremolante , simile alla colla allungata, o alla gelatina animale, e che è stata chia» mata gelo, o gelatina vegetabile. La tarda formazione di que- 156 sta gelatina da un liquido prima perfettamente disciolto aveva fatto pensare che il principio gelatinoso divenisse insolubile’ per la fermentazione. Ora il sig. Guibourt è stato condotto a con- clusioni diverse in seguito dell'esame da sè istituito del sugo del ribes ( grossularia ), e dei fenomeni che presenta. Osservando il sugo al momento'in cui è stato estratto, ha trovato che era dis- seminata in esso un'infinità di parti fibrose, opache, tritumi della polpa, dell’arillo, e dei cordoni per: i quali i semi erano attaccati alla ‘placenta. Queste fibre non danno in principio ‘una notabile consistenza al sugo, perchè il volume di ciascuna di esse è piccolissimo rispetto al liquido ambiente; ma gonfiandosi per la macerazione, prendono l’ aspetto d’ una mucillaggine densa e trasparente, e fanno che tatto il liquido si formi in una massa gelatinnsa. Quest’ effetto precede la fermentazione, e non dipende da lei. L'autore ha ottenuto il principio petto stemprando nell’ alcool la ‘gelatina che aveva separata per filtra- zione dal ‘sugo del ribes mediocremente fermentato, lavando questa gelatina finchè essa non somministrasse ‘più nulla all’al- cool, ‘benchè bollente; facendola allora bòllire pil ed evaporando la. dissoluzione . ‘L'autore riguardando come improprio ‘il nome di gelatina dato fin qui a questa sostanza, propone di. sostituirgli quello N: CINA? Era stato affermato da abili sperimentatori che lo zucchero, il quale si trova in copia nelle orine ‘degli individui affetti da' quella malattia ‘che’ dicono diabete , esiste. nel siero del loro sangue. Ma i'sigg. Fauquelin e Segalas, profittanio: della circostanza che ad una donna soggetta a quel male furono fatte due ‘emis- sioni. di sangue per, un accidente inflammatorio ; esaminatolo di- ligentemente, non wi trovarono: traccia. alcuna di quello zuc- chero ,» sebbene 1° orina: che questa donna ‘rendeva fino nella quantità di circa ‘20 libbre per. giorno. ne contenesse una setti- ma parte: Nemmeno la saliva; ripetutamente esaminata diede alcun indizio «di: contenerne.. L’orina, al ‘solito dei diabetici, non conteneva urea, sebbene questa sostanza venisse ammini- strata da alcuni giorni alla: malata. i Era: stato detto che lo zucchero .d’ uva: ha dell’ analogia con quello che si trova nell'orina dei diabetici. Il sig. Ca/lond, farmacista ad Annecy; esaminando comparativamente queste due =—=--ro{(ii{(é(iiiéééééoÀàÀ}}}|||; 157 materie, ha confermato quest’asserzione. Così esse hanno dato dei cristalli identici, combinando egualmente l’una e l’altra all’ idroclorato di soda. Nell” ‘infiammazione dei tessuti sierosi accade frequentemente che si formino alla loro superficie. delle membrane elastiche, le quali contraggono aderenza con esse. Non ne era stata ancora determinata la composizione chimica , e solo per analogia’ il celebre Bichat, nella sua anatomia generale, le aveva riguar- date come formate d’ una materia albuminosa, senza appoggiare la sua opinione all’esperienza. Ora il sig. Lassaigne, sottopo- ste all'analisi queste produzioni patologiche, ha riconosciuto che la materia la quale ne forma la base ha tutte le proprietà della fibrina, simile a quella che si ricava dal sangue , e che. il li- quido che si trova presso la loro superficie ha tutti ‘i caratteri del siero del sangue. Questi risultamenti provano ad evidenza che la produzione di queste membrane è stata cagionata da un afflusso di sangue, gli elementi del quale si sono separati ed in parte organizzati per costituirle, Zoologia. Verso l’ isola di Terra Nuova si pesca una specie di to- tano, al quale i coloni francesi danno il nome di encornet e che particolarmente serve alla pesca, i costumi del quale sono stati osservati e descritti dal sig. Py/zie ; e poichè presentano alcune: particolarità interessanti , oltre quelle abitudini che gli suno comuni con i cefalopodi senza conchiglia, ne daremo qui un qualche ragguaglio. Conformato esso come gli altri apparte- benti a quest’urdive ,, ed al genere dei totani , si ciba esso di radiarie, di meduse, e di altri animali molli; ed anco di: pesci, i quali prende e rad» colle coppette delle sue braccia. E Ska- to infatti trovato velle reti delle aringhe tenendole afferrate e ferme alla bocca , ove col suo becco corneo le rodeva. Questi animali, in grandi turme si veggono giungere verso le rive a primavera, e quindi divenuti ii doppio più grandi e di colo- re roseo; di bianchi che erano, ritornare nell’ autunno , am- massati a riva per la lunghezza di 2, o 300 tese. La lamina carnosa che è alla cima del Joro corpo gli serve al nuoto lento. v tranquillo, mentre, le sue 10 braccia, ch'egli spiega a foggia di ruota, gli servono di punto di appoggio Lia per lan Ciatsi e fuggire come un tampo, ailurchè il più piccolo rumore iù 158 o movimento lo fa sospettare di an qualche pericolo ; ma al' momento della fuga egli raccoglie sul dosso del suo mantello le braccia, per ritrovare nell’ acque il minimo possibile di re- sistenza al suo corpo. Che se incalzato pure si sente dal suo nemico, egli schizza il nero che conserva nel ricettacolo di questa so- stanza, e pone fra sè e il persecutore una nube che gli oscu-' ra non solo il cammino, ma che coll’ odore e colla causticità lo disgusta da più oltre procedere, e nella quale , come in un estremo rifugio si ravvolge e resta immobile , e sicuro come nel più recondito ritiro del fondo marino, In fatti il nero di questa specie, a differenza delle altre, è penetrante e caustico al punto, che i pescatori medesimi sono costretti a maneggiargli con cautela o a lavarsi prontamente le mani, se ne restano imbrattate , poichè tale si è l’effetto sulla pelle, da darle lo stesso bruciore e corroderla , come il fuoco. Con questa spe- cie d’ inchiostro, con un getto di acqua di mare , col morso , col tenere afferrata colle loro braccia la mano del pescatore, cer- cano di difendersene allorchè sono presi da esso , ma gli stes- si sforzi ch’essi fanno per difendersi e l'esaurimento della ma- teria nera, gli conducono ben tosto alla morte . La carne di questo animale , per quanto dura o tosta , si mangia però in frittura o in umido, ma l’uso più generale si è di tagliarla in fette sottili, le quali servono di esca per i pescatori , onde il sig. Pylzie lo chiama soligo piscatorum . Per prendere questo mollusco non v’ha bisogno che di un pezzo affasato di piombo pulito e lustro, in cima al quale sono) varii spilli a foggia di oncino, al quale arnese, che i paesani chia- mano turlut , accorrono in folla questi totani, come ad ammi- rarne e goderne la lucentezza , sicchè tirando fuori il turlut vengono con esso di questi molluschi. Di questa, o ammirazione o curiosità che si sia, per i corpi lustri e lucenti, si approfit- tano pure i pescatori per richiamare questi totani dal fondo alla superficie, mandando prima fra loro a fondo il turlut , e quindi appoco appoco elevandolo fino a superficie, sicchè que- sti animaletti, come tutti insieme lo seguitano, vengano ele- vandosi con esso. Se nonostante si veggono pochi di questi totani, allora si adopera qualche cosa che brilli più del piombo, ed a tale oggetto si preferisce una boccetta piena di mercurio, o un pezzetto di argento. Poichè dall’ abbondanza di questi totani dipende quella della pesca del baccalà, a cui servono essi di esca , e che d'altronde ogni più piccolo rumore lo disturba e lo mette in fuga, la pesca se ne fà in un perfetto silenzio, 159 nè a riva o sul mare si tirano cannonate per qualunque siasi ‘ motivo di festa o di gioia, durante tutto il tempo nel quale si tien dietro a questo animaletto , vale a dire dal luglio in poi, giacchè i baccalà da primo .si lasciano prendere colla my avenaria , quindi col gadus fuscus,e nell’ ultimo periodo con questa specie di totano. Il sig. Geoffroy St. Hilaire avea, illustrando tutta la fa- miglia dei pipistrelli, descritte alcune specie appartenenti al Brasile, e fralle altre i G/ossofagi amplexicauda , caudifer , e caudata ( Mem.du Mus. IV. ). Il di lui figlio sig. Isidoro ha recentemente descritte alcune altre specie , pure del Brasile, appartenenti al gen. Vespertilio, e sono V. Hilarii, che sem- bra essere la stessa della Brasiliensis , V. polythrix, V. levis. I vespertilioni di questa regione si rassomigliano tutti per la morbidezza e foltezza del pelo , per la lunghezza della coda pres- sochè eguale a quella del corpo, peril pelame superiore più o | meno bruno, per il giro della bocca poco fornito di baffi, Inoltre egli ha descritto una specie brasiliense di P/ecotus, cui ha dato il nome di velatus. Esso ha gli orecchi rovesciati sul muso come i pipistrelli rictizomi e molossi . Dopo il lavoro del sig. Spix sui serpi Brasiliensi, il Prince. di Neuwied è per pubblicare la descrizione di varie specie di ret- tili di quel paese; vale a dire di 7 specie di testuggini, 16. di lacertini, 44 di serpenti, 15 di battracii. Il sig. X/ug ha dato alla luce la 2.da parte degl’insetti di questa medesima pro- vincia del nuovo mondo ; e dai sigg. Spix e Martius è stato pubblicato il viaggio da essi fatto nel Brasile dal 1817 al 1820. Il sig. Richardson ha descritto varie nuove specie di pesci state raccolte nel viaggio del Cap. Franklin, cioè Salmo #earnii, S. Mackenzie , Coregonus Signifer, C. Chymalloides, C. Qua- drilateris, Cottus hecorhus ; oltre l’indicazione di varie specie già conosciute, che sono state raccolte nelle acque delle regioni percorse dall’ equipaggio di Franklin. Una più esatta descri- zione di una specie di scrofano ( Po/yprion cernium ) è stata pubblicata dal Sig. Valenciennes, ed il Sig. Lesueur ha ret- tificato il genere battracoide . 160 SCIENZE ECONOMICHE ED AGRARIE iò È stata molto applaudita in Francia un’opera del sig. Boi- slandry , pubblicata nello scorso anno sotto il titolo seguente: Dell’ imposizione , e dei pesi del popolo in Francia. Nel 16°, capitolo |’ autore imprende a provare che ogni sistema. proibi- tivo è dannoso all’ agricoltura. Nè egli si limita a voler libera l’ esportazione delle granaglie, ma crede utile e necessaria la libertà anche della loro importazione . Al qual proposito rac- comanda caldamente che non sia perduta di vista questa. sag- gia massima : esser cosa molto pericolosa il fare con troppa facilità delle leggi intorno ad un oggetto di sì alta impor. tanza, € lasciarsi trascinare dai sofismi degl’ interessi privati, dsì Sono sempre graditi dai bestiami, e spesso per particolari circostanze aspettati con ansietà dai proprietarii e dagli agricol- tori, i nuovi foraggi freschi. Però lu società d’ agricoltura. di. Parigi aveva aperto un concorso per dei saggi comparativi in- torno alla coltura di piante atte a somministrare un foraggio precoce . Fra i concorrenti ha ottenuto una medaglia d’oro il sig. Lajous de l’ Ariége , il quale ha coltivato con. successo | per più anni la senapa bianca o gialla come foraggio d’,inver- no e di primavera. Questa pianta è coltivata da lungo tempo | per foraggio in alcuni distretti dei contorni di Parigi, e in di- verse parti del nord-est della Francia, seminandosi, nel modo stesso praticato dal sig. Lajous, sulle stoppie dopo un lavoro dato al terreno in agosto o al principio di settembre. Se ne ot- tiene in autunno un pascolo rinfrescante , ma che non si man. tiene fino in inverno , resistendo raramente alle intemperie di questa stagione. I successi ottenuti dal sig. Lajous, e che la so- cietà d’agricoltura ha coronati, fanno credere che questa pian-- ta resista ai rigori dell’ inverno nei dipartimenti meridionali. Vi è chi assicura che impiegando , come si fa generalmente per la sementa del lino il seme della precedente raccolta , il li- no della più bella qualità degenera, divenendo sempre più corto d’anno in anno, finchè si riduca alla lunghezza del lino comu- ne ; e si aggiunge che impiegando in vece del seme conservato per sei anni in un luogo ventilato, si ottiene del lino bellissimo. Per le instancabili care del sig. Ternaux, si può dire che le capre del Thibet sono ormai naturalizzaté in Francia. È da i quali facevano languire gli alberi, nè li lasciavano portar frut- 161 | desiderare che si estenda grandemente l’educazione di questi ani- «mali per tanti titoli preferibili alle capre indigene. Oltre il mag- gior pregio del loro pelo , oltre le loro forme più svelte e più leggiadre , le capre del Thibet sono più mansuete, meno deli- cate per il nutrimento , più facili a condurre alla pastura, dan- no un latte più saporito, più sostanzioso , e da cui si ricava più burro. Ad esse convengono tutti i climi, nè soffrono più per il caldo dei paesi meridionali, che per il freddo delle più alte montagne. Il barone di 7schudy , che ha suggerito il primo il metodo riconosciuto utilissimo d’ innestare sugli alberi, specialmente rex sinosi , bacchette tenere ed ancora erbacee , è anche giunto ad innestare erbe vere le une sopra le altre. Egli ha dato in una sua memoria stampata tutte le indicazioni necessarie per esegui- re questo genere d’innesto , il quale per altro e più curioso che utile , poichè cagiona una diminuzione nel volume dei frutti, e ne ritarda la maturità. Un proprietario coltivatore , osservando che da un anno. 0 due le gemme d’ alcuni suoi fab conservati in stufa si cuopri - vano in primavera d’ una moltitudine di piccoli vermi bianchi, ti, indagando la causa probabile di questa circostanza , credè trovarla nella presenza d’un fico, che occupava il fondo della stufa, tornandogli alla mente che Plutarco, ove parla delle leg- | | | gi di Solone, dice: i suoi regolamenti intorno alle piavtazioni erano molto hene intesi; per essi era proibito piantare un albero a distanza minore di 6 piedi dal suo vicino , e se era un fico o ‘on ciriegio , la distanza doveva essere almeno di 9, perchè le radici di questi alberi si distendono più lontano di quelle degli altri, e perchè non possono crescere vicino ad altre specie senza recar loro danno, ed anche perchè assorbono tutti i sughi putri- tivi, e soffogano i loro vicini colla loro rigogliosa crescenza. «Il proprietario appoggiandosi a questa autorità , fece, sradi- | care il fico, ed i suci peschi ripresero tutto il loro vigore. Un giardiniere inglese ha trovato per esperienza, che a di- struggere gl’insetti i quali danneggiano gli alberi frattiferi, è sin- golarmente efficace l’ acqua a traverso della quale è stato fat- to passare il gas idrogene estratto dal carbon fossile, onde pu- rificarlo prima d’ impiegarlo ad illuminare, acqua il di cui odo- T. XIX. Luglio II 162 re è estremamente fetido. Egli unisce a quest’ acqua un poco di fiori di zolfo, e tanto sapone da formarne una composizione che aderisca ai rami ed alle altre parti delle piante, alle quali l’ap- plica con un pennello. Non vi è alcun inconveniente a preparare questa composizione sul fuoco , poichè non è infiammabile. Nep- pure arreca alcun danno alle piante. Infatti applicata ai più de- licati fra gli alberi, ha prodotto il suo buon effetto senza il più piccolo danno. Si afferma che la scorza del castagno contiene il tannino, o principio astringente che opera la concia delle pelli, in una pro- porzione doppia di quella che ne contiene la scorza di quercia , e che somministra col solfato di ferro un bellissimo color nero. Il sig. 7Vay insegna il seguente metodo per conservare le carote. Cavat& di terra alla fine d’ agosto , se ne recide il fusto e le foglie , e se ne distacca la terra che vi aderiva ; allora si prende una botte, nella quale si dispone prima un sottile strato di terra, poi uno di carote, continuando così fino ad avere em- pita la botte, che chiusa esattamente si pone in una cantina asciutta. Le carote così conservate sono assai migliori di quelle rimaste in terra fino a settembre ed ottobre ; bensì vi vuole il doppio di tempo per cuocerle . Una commissione della Società agraria di Monaco ha fatto ùn rapporto vantaggioso d’un nuovo processo proposto dal colon- nello Sanson per la conservazione delle carni ad uso d’ alimen- to. Egli impiega un’acqua che contiene i principii solubili del- la fuligine dei camini, e che egli chiama salamoia di fuligine. La commissione avendo esaminato diversi prosciutti ed una lin- gua di bove , così preparati da alcuni mesi , !trovò tutto ben conservato e di buon sapore. Alcuni oggetti erano stati immersi in quel liquido per 8 ore , altri per soli 5. minuti ; pure anche questi ultimi erano ben conservati. La commissione riguarda que- sto processo come migliore del comune, perchè conserva meglio il peso ed il volume delle carni, non meno che il loro sugo ; perchè li conserva per un tempo più lungo, e perchè può es- sere impiegato in tutte le stagioni, laddove la fumigazione non può praticarsi nell’ estate. ; 163 .. NUOVE INVENZIONI Il sig. Zuzier ha tentato di unire in lega il ferraccio a di- versi metalli. Fra le combinazioni che son risultate, non gli ban- no presentato proprietà utili che quelle formate dall’ unione del ferraccio coll’ottone in varie proporzioni, a seconda degli usi ai quali le destina. Queste leghe quadernarie sono più tenaci e più inalterabili che le leghe binarie delle quali si compongono. Fra i diversi modi di prepararle il sig. Fazie raccomanda co- me il migliore quello che consiste nel versare il ferraccio e l’ot- tone nella forma , dopo averli fusi separatamente, e nel deter- minare fa loro unione e l' omogeneità del composto, agitandolo convenientemente finchè è ben liquido. ll sig. Pope fabbrica delle leghe di stagno e di zinco , e di stagno di piombo e di zinco , che riduce poi in foglie o. lamine adatte a molti usi. Ma nè egli dice, nè si può facilmente ima- ginare per quali vantaggi queste leghe siano preferibili allo zin- co solo. Il giornale asiatico fa conoscere un processo i mediante il quale. si; può far riacquistare alle perle offuscate o. macchiate la loro nettezza e lucidezza. Questo semplicissimo, processo consiste nel fare ingoiare dai polli le perle difettose, mescolandole ai semi destinati a nutrirli. Dopo un, brevissimo soggiorno delle perle nello stomaco dei polli, uccisi questi, ed aperto vil loro sto- imaco vi si, trovano. le perle tanto bianche e tanto lucide quanto lo fossero, al momento in cui farono tratte dalla conchiglia nativa, Il "andere O'Neil di Comber ha trovato: un processo chi- mico; mediante; il quale converte il grasso di maiale in una so- istanza, superiore af sego di Russia per la fabbricazione-delle can- «dele, e ciò. senza accrescerne il costo. Il grasso così preparato sò- miglia, alla cera bianca \0. allo spermaceti. Le candele che se ine «fotmano danno) una luce più bella delle candele ordinarie, e com- «parabile a quella del, gas. più puro; non hanno, cattivo odore , mon tatto grasso, non; fanno famo, durano più lungiimente che raltre candele dello stesso peso . :Hysig.\Tay/or inglese ha imaginato ed eseguito un mecca- “nismo,, per mezzo del quale fabbrica li spilli senza aleana mano -d’operà. Una parte del. meccanismo prende il filo d’'ottone in 164 matasse, e lo conduce dall’ aspo sotto delle forbici che lo ta- gliano alle diverse lunghezze occorrenti. Una piccola tenaglia meccanica prende ciascun pezzo, e lo presenta ad ùna pritna ruota o mola d’acciaio che abbozza la punta; una seconda te- naglia lo prende egualmente, e lo porta ad una seconda ruota che ne assottiglia e ne termina la panta. Una terza tenaglia pre- senta lo spillo ad uno strumento che vi forma il capo con una porzione della parte superiore del filo. Il sig. Caver ha calcolato che 200 operai lavorano attualmente col mezzo delle macchine tanto cotone quanto 4o anni addietro avrebbero potuto fabbricarne senza macchine 20 milioni d’ indi- vidui, Egli aggiunge che la quantità d' oggetti manifatturati di ogni specie, che si producono per mezzo delle macchine, è così grande , che senza questi potenti ausiliari vi si richiederebbe l’opera di 4oo milioni di operai. GEOGRAFIA E VIAGGI SCENTIFICI. Un viaggio d'investigazione molto importante è stato ese- guito in alte latitudini australi negli anni 1822 - 23 - e 24 dal sig. Giacomo Weddel , della marina reale inglese. Si stampa. attaalmente una relazione di questo viaggio. Frattanto ecco al- cune particolarità comunicate da queste capitano . Egli fece vela dall’ Inghilterra nel dì 17. settembre 1822 con due vascelli, i quali gettarovo le ancore nel porto di S. Elena sulla costa della Patagonia . Il dì 12 di gennaio 1823 si trovò in vista d’un gruppo d'’ isole, alle quali diede il no- me di Orcadi Australi. Questo è il paese più sterile e più orrido di tutte le terre australi scoperte fin qui. Il dì 23 gen- naio il cap. Weddel si diresse verso il sud fino al 65.mo gra- do; in seguito rimontò verso il nord fino a too miglia dalla terra Sandwich, Il dì 7. febbraio si rivolse di nuovo al sud, sperando sempre di scuoprire una serie di terre, che dopo la scoperta del Shetland australe è stato supposto trovarsi die- tro quest’ arcipelago, un poco all’ indentro del cerchio polare antartico Dopo aver traversato una barriera d’isole di ghiac- chio larga circa 50 miglia , e che cominciava nella latitudine. di 68 gradi, nel dì 20 febbraio egli pervenne effettivamente all’ alta latitudine australe di 74 gradi e 15 minuti. Quivi alla più grande distanza, a cui potesse estendersi la vista dall’alto degli alberi dei vascelli, non fu veduto alcun pezzo di ghiae- 165 cio piano , ma solo quattro isole di ghiaccio. Questa parte dell'oceano, ove niuno ancora era penetrato , e che anzi pas- sava per MER ha ricevato dal capitano Weddel il no- me di Mare di Ra IV. Il Sig. Maltebrun osserva con ra- gione che sebbene il re Giorgio IV. meriti tutti gli omaggi della scienza, il nome generico di mar polare australe sarebbe molto più conveniente. Notizia officiale intorno al viaggio del capitano Duperrey comandante la corvetta la Conchiglia. Abbiamo dato frequen- temente ai nostri lettori delle notizie del viaggio di esplora- zione marittima di questo giovane navigatore, che ne presentò il piano al re di Francia, appena tornato dal viaggio che egli aveva fatto col cap. Freycinet. La Conchiglia, partita da Tolone il dì 11 agosto 1822, vi- sitò successivamente S. Croce di Teneriffa , l'isola di S. An- tonio, la Trinità, S Caterina al Brasile, ove i naturalisti della spedizione cominciarono le ricerche scientifiche . Il dì 18 no- vembre la Conchiglia giunse al porto Luigi nelle isole Malo- vine. Il primo gennaio 1823 girò attorno al capo Horn, e fu suc- cessivamente alla Concezione, a Lima, a Payta. Partita da Payta , il dì 22 marzo, la Conchiglia si è slanciata nel gran- de oceano equatoriale, dove ha scoperto 4. muove isole. nel- I’ arcipelago pericoloso . Nel giorno 3. di marzo diede fondo nella rada di Matara, isole di Tahiti. Questa fermata e quella | che essa fece dal 25 maggio al 30 giugno al Baratora presen- tano tanto maggiore interesse , quantochè in oggi queste isole hanno decisamente adottato i nostri costumi. Non seguiteremo minutamente il sig Duperrey nella pro- digiosa quantità di grandi e piccole isole che egli ha visitato dal 9g giugno al 16 settembre. Il porto Praslin nella nuova Irlanda, le vicinanze della nuova Guinea, ed Amboine furo- no le sue principali stazioni. Il dì ro gennaio 1824 egli girò attorno alla terra di Vandiemen, ed il 17. giunse a Sidney, capitale della Nuova Gall:s meridionale . Il governatore Sir Tommaso Brisbane pose ogni maggior premura nel favorire tutte le operazioni della spedizione . Se- _ condo le relazioni del sig. Dauperrey, Sidney si abbellisce ogni . giorno più di numerosi e magnifici monumenti. Partita dal porto Jackson il di 20 di marzo , la Conchiglia . gettò l'ancora il dì 3 di aprile nel fondo della baia Marion . nella nuova Zelanda. Vi fu eretto un osservatorio. Essa la- 166 sciò questi paraggi la mattina del di 17 d’ aprile. Da que- st'’epoea fino alla fine di maggio non la seguiteremo a traverso del laberinto di basse isole nel quale ella si è impegnata. Ml dì 5. di giugno diede fondo in una baia dell’isola Strang, che era stata soltanto veduta dal capitano Croser. Il capitano Du- perrey diede a questa baia il nome della Conchiglia -''Egli è facile concepire con qual premura i nostri navigatori discesero in un'isola ove gli europei ponevano il piede la prima volta. Le loro osservazioni intorno ai costumi degli abitanti sono pie- ne d’ interesse. La corvetta lasciò questa stazione nel dì 15 di giugno, e dopo aver traversato diverse altre isole, e di nuo- vo le Molucche, arrivò il dì 30 d’ ottobre all’ isola Maurice. Finalmente si restituì a Marsilia il dì 24 d'aprile 1825, dopo mesi 31 e giorni 12 dal giorno della sua partenza , avendo fatto 24894 leghe, senza aver perduto un solo uomo, senza malati. ; Torneremo a parlare di questo viaggio importante, il di cui successo singolarmente fortunato fa grande onore al glovine ufficiale al quale era confidato il comando. Ricche collezioni d’oggetti di storia naturale , abbondanti materiali per le scienze fisiche, e principalmente per Ja geografia ne sono stati il frutto. Partenza del vascello il Blossom. Questo vascello della marina reale inglese è partito il dì 20. di maggio da Portsmouth per un viaggio di scoperta, che può diventare interessantissimo . Il suo fine principale è di andare per l’ Oceano pacifico, allo stretto di Bebring, girare il capo ghiacciato di Cook, e pene- trare al nord dell'America nella direzione dello stretto dell’Hecla e della puria, all’ oggetto d’ incontrare il capitano Parry, e di portargli i soccorsi che potessero abbisognargli. Egli deve cer- care ancora d’incontrare la spedizione terrestre del capitano Franklin, il quale deve discendere il fiume /Afackenzie fino allo stretto di Behring. Il capitano Beechey comanda questa spedizione. Viaggio del capitano Kotzbue. Pietroburgo 26 di maggio. Si sono ricevute notizie del capitano Kotzbue nel suo traver- sare dalle coste del Chili al Kamchatka, dove è giunto nel dì 8. di giugno 1824. Egli ha scoperte alcane isole. Le memorie inviateci da diverse persone imbarcate con questo capitano fanno sperare che questa spedizione non surà senza utilità per la scien- za. ( Estratto di lettera del sig. di Krusenstern ). 167 Nuova spedizione del sig. di YVrangel . Quest’ufficiale rus- so, che nella sua prima spedizione ha riconosciuta e deter- minata quella parte della costa della Siberia , che era ancora incerta, e che ha distrutto i dubbii che erano insorti intorno «ad una connessione fra l'America e l’Asia, ha già steso in gran parte la sua relazione, ma non la pubblicherà se non dopo avere eseguito una seconda spedizione, per mezzo della quale deciderà probabilmente i dubbii relativi alle terre vedute al nord del paese dei 7%euktches . Viaggio del maggiore Gordon Laing. ( Vedi qui sopra pag, 4,) Qaesto viaggiatore è in questo momento in via con una carava- na, che va da Tripoli a Tombouctou. Egli è accompagnato da un capo Touarico ben conosciuto dal capitano Lyon, e che gode ad un alto grado della stima dei viaggiatori inglesi. Il console di questa nazione a Tripoli pretende che la strada fino a questa città misteriosa sia non meno aperta nè meno sicura che quella da Londra a Edimburgo. ( Vedi il fascic. prece- dente pag. 176.) Il capitano Lyon è quello stesso che ha dal 1821 al 1823 fatto il viaggio del mare artico rcol capitano Parry , e che in se- guito avendo tentato di penetrarvi di nuovo, è stato obbligato dalla tempesta a tornare in Inghilterra, bensì dopo avere ret- tificato le cognizioni intorno al mare d’ Hudson. Precedente- mente il cap. Lyon aveva accompagnato a Mourzouck, capitale del Fezzan, il sig. Ritchie, giovane viaggiatore altrettanto istruito quanto coraggioso , il quale dovè soccombere in questa città affricana all’ influenza d’un clima pernicioso agli europei. Il cap. Lyon ebbe la fortuna di scamparne, e tornato in Inghil- terra pubblicò la relazione di questo viaggio, che ha estese le nostre cognizioni intorno all’ Affrica. ARCHEOLOGIA . È giunta ultimamente ai sigg. Pietro Santoni e Com. di Li- vorno una bellissima collezione d’ antichità spedita loro {dall Egit- to, la quale consiste in 4oo e più scarabei, 750 fra ‘idoli e statuine , 100 fra anelli e orecchini, 1400 fra vasi, amuleti ed ornamenti vari, 200 medaglie di varia grandezza, parecchie tavole, non poche gran- di statue, moltissimi papiri. Due papiri cofti piccoli ma interi ; una penna di canna; uno strumento di musica rotto ma singo- larissimo; due piccoli quadri intarsiati a vari colori; una spe- 108 ce di calamaio d’altezza usuale con geroglifici di pietra nera; una maschera dorata di donna egiziana; un pezzo della telà di uva mummia, con un papiro dentro e varie figure di deî- tà; alcuni papiri con geroglifici, ed uno in ispecie collo stru- mepto per inciderli; alcune casse e frammenti d’arpe; alcune pitture a fresco tolte da un sepolcro di Tebe e rappresentanti scene di caccia, d’'osvvicoltura e di nautica; dae battelli con ti- mone se non in bauno almeno in tolerabile stato; una sedia egizia benissimo conservata col di dietro intarsiato d’ebano è d'avorio, cosa forse unica nel suo genere; nove superbi ritratti di greci, tre in tela e sei in legno; una gran tavola col no- me del re Sabaco, un'altra tavola con iscrizione greca d’Abido che data dal primo anno dell’imperio di Traiano; una statua d’Osiride in bronzo deli’ altezza circa di tre piedi; un’ altra statua pure in bronzo e sedente, con corpo maschile e testa di leone, non alta che un piede e dae terzi; un’altra di due pie- di e mezze con santuario dinanzi, ov’ è una scimmia di pietra simile a quella del colosso tebano di Mennone; un’altra di sette piedi coperta di geroglifici d'antico stile; una testa d’ Iside con tempio sopra (il tutto di pietra dura dell’ altezza circa di due piedi) somigliantissima a quella rappresentata sulle colonne di Tentira, di bellissimo lavoro , e tanto più pregevole, che serve ad illustrare l’egiziana architettura ; sono, fra molti altri, gli oggetti che hanno particolarmente fissati gli sguardi degli intel- ligenti, (*) a cui è stata mostrata la collezione. Più altri se ne aspettano d’Alessandria , onde compirla, e fra essi due gran- dissime sfingi, una delle quali tanto colossale da non potersi trasportare che sopra un bastimento da guerra. In tanto fervore di studi egizii, che la grande spedizione francese, e poi la grande scoperta dell’alfabeto geroglifico hanno destato, una tal collezio- ne deve sembrare ai dotti, anche dopo quella di Torino, una vera conquista. Qualunque stato d'Europa ne divenga il fortunato possessore, questa collezione servirà ‘certamente ad ampliare il reguo del sapere, che si estende a tutta la terra, e di cui tutti possono essere cittadini. (*) Si dice che il sig. Champollion, prima di lasciar la Toscana, abbia, visitata questa collezione. 169 SocIETA SCIENTIFICHE I. E R. ACCADEMIA ECONOMICO - AGRARIA DEI GEORGOFILI. Nell’ adunanza ordinaria del dì 3: luglio 1825, il socio ordi- nario sig. dott. Zippo Gallizioli lesse una sua memoria, nella quale mostrò quanto importi ai proprietarii di terreni miglio- rare la coltura del grano, usandovi speciali cure e diligenze che egli indicò, onde trovare nella maggior quantità e nella miglior qualità del prodotto un compenso al danno che essi risentono dai bassi prezzi attuali . Quindi il segretario delle corrispondenze, sig. dot. Ferdi- nando Tartini Salvatici,lesse un ragionamento intorno al com- mercio della Toscana e alle relazioni commerciali fra Livor- no e l’Egitto, inviato da un toscano, abitante da qualche tem- po in Germania. Questo, prendendo occasione dalla memoria che alla stessa Accademia dei Georgofili aveva letto nell’ adu- danza del dì 2 gennaio 1825. il sig. Commendator Lapo de’Ric- ci ,, sull’ utilità dei moltiplicati prodotti della generale indu- stria, e sul danno dell’opporvisi, anche nel caso che i sistemi proibitivi sussistano negli altri paesi ,, memoria che lo scrit- tore del ragionamento aveva incontrata nel N. 50. dell’Anto- logia pag. 122. conferma anche con altre ragioni e con altri fatti le massime del iodato accademico. E dopo aver ricordato come non molti anvi addietro Livorno , ed in tempi anteriori Venezia, Pisa, Genova, Firenze andassero debitrici della loro ricchezza al grande afflusso dei prodotti stranieri, che chiama- tivi da una piena libertà fecero di quelle città nei diversi ri- spettivi tempi quasi un emporio universale, indica le cause della decadenza e dell’attual languore del commercio di Livorno , al quale gli sembra che potrebbero tornare a dar nuova vita nuo- ve e prudenti relazioni da stabilirsi col risorgente Egitto . ACCADEMIA LABRONICA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI IN LI- vorno. Adunanza del 29: Gennajo 1825. Transunto dei lavori e delle opinioni che si ebbero in chimica fino ai nostri giorni sull’aci- dità, del sig. Antonio Disperati soc. ord. Osservazioni sulla Cirenai- ca e sulla Marmarica del sig. Dottor Giuseppe Mancini soc. ord, Il contagio dell’ Elefantiasi combattato dalla ragione e dai fatti, me- moria del sig. prof. Giacomo Adragna socio corrispondente, Adunanza del 26. Febbr. Elenco dei terremoti sentiti ne- gli anni 1818. 19. 20' 21. e 22. tratto dagli Annal di Chimica e di Fisica di Parigi, con giunte ed annotazioni del sig. Fran- 1709 cesco Pistolesi seg. perp. Esame del sentimento del Dott. Sam; Johuson sul merito di probità , sull’ utile influenza dello stoico Atenodoro nel regno dell’ Imperatore Augusto, del sig. Avvoc. Ang. Santoni soc. ord.. Adunanza pubblica del 19. Marzo . Dell’ influenza del com- mercio sulla potenza e la cultura delle nazioni . Dissertazione | del sig. Cav. prof. Gaetano Palloni Presidente. Rapporto dei lavori accademici fatti nell’ anno 1824 del sig. Francesco Pistolesi seg. perp. Della pazienza e del coraggio, memoria del sig. avv. Gio. Castinelli soc. ord. Poesie de’ signori Enr. Mayer, Padre Pasg. Malipiero, Carlo Borghini, prof. Ferd. Foggi ed Angelica Palli. Adunanza del 23. Aprile. Dell’ importanza generale della piena vegetazione dei boschi e foreste massimamente nelle parti montuose della Toscana, memoria del sig. Carlo Borghini soc. ord. Pensieri sulle università, e notizie su quella di Tubinga ; sull’istituto di agricoltura a Hohenheim, del sig. Enr. Mayer soc. ord. (vedi Antologia Tom. XVII p. 12) Nota sul mo- vimento vorticoso di alcuni terremoti, del sig. Francesco Pistolesi. Adunanza del 28. maggio Sul destino dell’uomo, lezione del sig. Cane. Err. Bianconi soc. ord. Storia generale del Por- to Pisano, continuazione dell’ Epoca V. I Porto Pisano sotto il dominio della Repubblica di Pisa . Sezione riguardante la po- polazione, i villaggi, i castelli, le fabbriche, ed opere pubbliche di ogni genere nel medio evo esistenti nel piano del porto, e nel porto stesso, del, sig. Dot. Gius. Vivoli soc. ord. Se l’ amo» re e la natura agissero sull’ animo di Dante nella composizione del suo poema, lettera del sig. Enr. Mayer. Nota di terremoti sentiti nell’ anno 1824. oltre quelli già riportati negli annali di Chimica e di Fisica di Parigi , di Franc. Pistolesi. I. e R. ISTITUTO DI SCIENZE, LETTERE E ARTI DI MILANO. Adunanza del dì 16 di dicembre 1824. Sotto il titolo di Os- servazioni nuovissime su di alcune malattie dei grani, il sig. cav. Bossi trattò. da prima del grano cornuto detto anche sprone o dell’ergot dei Francesi; e riferite per esteso le ana- lisi del sig. Vauquelin, dalle quali risulterebbe che quella ma- lattia dovuta fosse ad una semplice alterazione di quel grano; non che l’ opinione del sig. Decandolle che la crede dipendente dalla prodazione parasita d’un fungo del genere sclerotium ; sog-' giunse le proprie osservazioni ed esperienze instituite nella scorsa state, dalle quali non solamente sembra confermata l’ opinione del Decandolle; ma alcune eccezioni insorgono intorno ai risul- - 174 tati dell'analisi del Vauquelin ed alle conseguenze che quell’ il- lustre fisico ne ha dedotte. Dopo aver parlato a lungo dei ca- ratteri del grano cornuto, dei fenomeni ch’esso presenta, ed aver esposte le analisi di diversi funghi e della fungina, l’au- tore scese a trattare dei rimedi suggeriti per preservare da quella malattia le biade , ed inserì varie nuove osservazioni sulla carie di carbone, sulla fuliggine, e sopra altre malattie dei grani analoghe a queste; sulle loro cagioni, e sui mezzi per evitarle e per liberarne i campi infetti. Dopo di ciò fu comunicata all’instituto una lettera del so- cio professore Brera, colla quale accompagna la presentazione d’un opuscolo stampato sopra una china bicolorata, ed alcuni saggi della china medesima, intorno all'esame della quale de- sidera che l’instituto si occupi, affine di determinarne la specie. ‘Fu quindi nominata nell'adunanza istessa una speciale commis- sione che venne incaricata dell’esame richiesto. Adunanza del dì 13. di gennajo 1825. Fu prima di tatto nominata una commissione coll’incarico di esaminare una nuo- va composizione metallica presentata all’ Istituto dal sig. Van- train di Ginevra stabilito in Milano. Indi il sig. Carlini fece lettura d’ una sua memoria relativa alla precisa lunghezza della base trigonometrica misurata dagli ‘astronomi di Milano, l’anno 1788 nelle vicinanze del Ticino. Nella costruzione delle pertiche in ferro che hanno servito alla suddetta misura , sebbene si partisse in origine dalla lunghezza della tesa francese detta del Perù , si era dovuto passare per una ripetuta successione di campioni ricopiati gli uni dagli al- tri, per cui era da temersi che nelle diverse operazioni fosse scorsa una qualche piccola inesattezza , la quale , moltiplicata un gran numero di volte neila misura della base, poteva aver prodotto alla fine un qualche notabile divario . Cresceva poi que- sto dubbio al riflettere che nello scorso secolo non si avevano quei mezzi meccanici per ricopiare e verificare le misure che sì usano attualmente . Per togliere queste difficoltà, avendo il sig.. Carlini intrapre- 80 l’ immediato paragone delle pertiche con un modello in ferro del metro. definitivo della maggiore autenticità, espose in que- sta memoria i metodi e le precauzioni adoperate in simile con- fronto , ad istabilire il quale egli ha potuto valersi di un com- \paratore a microscopio composto , la cui vite micrometrica ren- de sensibile la parte trecentesima d’ un millimetro. Fatti gli op- portuni calcoli e le riduzioni , egli ha trovato che la lunghezza 172 assegnata ad un’intiera portata , equivalente alla somma della tre pertiche , ossia a tese sei, era di circa una mezza linea , o sia d’ un diecimillesimo del totale maggiore del vero ; e che per- ciò nella medesima proporzione doveva diminuirsi la lunghezza sin qui attribuita alla base trigonometrica del Ticino . L’ autore annunciò per ultimo che adottando la correzione da esso propo- sta , sparisce quasi intieramente il piccolo dissenso che si era al- la prima incontrato fra i lati della triangolazione originale di Lombardia, e quelli che recentemente si sono calcolati parten- do , per mezzo d’ una lunga catena geodetica , dalle basi misu- rate in Francia. L’ accordo, veramente singolare , che ora si trova fralle due determinazioni (non essendo più la differenza che di 5 centimetri sopra 10,000 metri), nell’ atto che fa pa- lese l’ esattezza con cui hanno operato i sunnominati astronomi ; presenta una preziosa verificazione di tutta la serie di triangoli, che attraversando le Alpi si estende dal centro della Francia fino ai nostri confini. Adunanza del dì 27 di gennaio 1825. Si cominciò dalla scelta d’un tema da proporsi pel premio biennale , e venne a plu- ralità di voti adottato il seguente: (Vedi Ant. Vol. XVIII. p. 160. A.) «..«« Indi il socio professore Carminati, presentò a nome della commissione delegata la sua relazione sulla così detta china bi- colorata spedita all’instituto dal consigliere professore Brera - Egli espose l’analisi fatta di quella sostanza dal padre Ottavio Ferrari, farmacista dell’ ospitale de’ padri Fatebenefratelli, dalla quale risulta che la detta corteccia non contiene alcuna base | salificabile e non può annoverarsi tra le chine, ma può appar- tenere piuttosto a qualche specie di angustura. Egli riferì poi | alcune esperienze cliniche fatte nei nostri spedali , le quali non sembrano confermare le proprietà da altri attribuite a quella so- stanza, ed annunziò che esse sarebbero state continuate. Adunanza del dì 10 Febbrajo 1825. Dopo la lettura di alcune note governative e d’ una lettera del socio prof. Brera ; contenente alcuni ulteriori ragguagli sulla così detta china bico- lorata,il sig. Abate Oriani presentò un rapporto sul libro rimesso ! all’institato dal sig. Capitano Della Casa, intitolato Opuscolo di Geo- desia sublime, e sopra una memoria manoscritta che ad essa serve di supplemento. Perultimo fu comunicato all’institato il ricorso del sig. Zetta di Varese che presenta una sua macchina di pressione atta a turare le bottiglie e ad altri usi differenti. Adunanza del dì 24 di Febbraio detto . Si legge una nota | dell’ I. e R. Governo colla quale rimette all’[nstituto alcune | i DI 173 carte relative al modo di prevenire i pericoli provenienti dal- l’ uso delle macchine a vapore , e chiede intorno ad esse il pa- rere dell’ instituto medesimo. Per soddisfare alle superiori pre- mure , fu subito nominata una commissione coll’ incarico di oc- cuparsi nel proposto argomento. Poscia il sig. Cavaliere Aldini presenta alcune lettere de] sig. Dottore Luga Stulli di Ragusi, relative alle detonazioni del- l’ isola di Meleda. Egli annuncia inoltre un’ osservazione singo- lare comunicatagli dal suddetto , ed è che essendosi sentita una leggiera scossa di terremoto quasi contemporaneamente ad una detonazione , non fu la detonazione successiva; come avviene d’ ordinario nei terremoti, ma preventiva alla scossa; dal che potrebbe dedursi che le scosse e le detonazioni non abbiano una eguale cagione. Per ultimo il professore Carminati pone sotto gli occhi del- l’ Instituto alcune mostre d’ una terra nuovamente applicata nel- la fabbrica Cernuschi in Milano , all’ operazione detta comune- mente terramento dello zucchero. La terra suddetta fu rinve- nuta a Grandosso nel comune di Grumello, provincia di Ber- gamo. Egli presenta pure un pezzo di zucchero in pane raffi- nato, come prova degli ulteriori perfezionamenti ottenutisi in quella nuova raffineria , dopo che fu dall’instituto fregiata del premio della medaglia d’ oro. i Adunanza del dì 10. Marzo 1825. La commissione ch'era stata incaricata di riferire intorno alle precauzioni più oppor- tune a prevenire lo scoppio delle ‘macchine a vapore, presenta all’ institato il suo lavoro, il quale viene approvato, e se ne or- dina la trasmissione all’ I. e R. Governo. In appresso il socio Cavaliere Caccianino legge una sua memoria contenente un suo principio , al quale egli appoggia ia teoria del calcolo differenziale. Avendo |’ autore manifestata la sua intenzione di render di pubblica ragione questo breve scritto, ottiene, a norma de’regolamenti , la facoltà di assume- re in esso il titolo di membro dell’ instituto. Adunanza del dì 24 di Marzo. Premessa la lettura di alcuni dispacci governativi, si ode la lettura fatta dal professore Carminati di alcune osservazioni sull’uso dei solfati di china e di chinconina. Egli fa conoscere diversi non lievi errori che certi medici e chi- rurgi poco istituiti ed incauti, commettono nelle cure de’loro în- fermi, eseguite coi solfati suddetti, Questi errori, contro cui re- Il sera 0,1 21,5 20,0 ‘| omomo:8] 56 i vo 49 55 rai 49 S7_ "62. 52 61 i 62 48 80° no. 47 59 45 Ciel 44° 38 49 65 45 76, 78. 49 _79 043 -QUO1AD]q 0,02 Re iS “ nd > 5 9.5 © © m o Ò ' ‘Scir [Sereno Po. Li. Sereno Lib | Sereno Sc. Lev ‘Sereno Pon. |Se.con nuv. Lev. |Ser. nuv. i Tram, |Sereno Tram. |Se. con nuv. Tram. 'Nuvolo 7 Tram. |Ser. con neb. Tr. Gr. Nuvoloso Tram. Sereno Tram. |Nuvolo sere. Grec. :Nuvoli rotti Gr. Tr. Nuvolo sere. “ |Lev. |Nuvolo sere. sc (Ba. Nnvolo Lev. |Sereno 5a | 7a 4{Lew, Sereno Tram. Nuvoloso 'Os.Lib Sereno )|64| © [Lew Lib. Gr. Tr. Sereno nuvo. "['r. Gr. Nuvoloso l[ram. & con neb. Ser. con nuv, ‘Sereno ‘Grec. Gr./Tt: Sc. Lev Sereno Tram Sereno Os. Lib Sereno Lev. |Sercnò Po: Li. Sereno Lib. |Sereno SET Sir 'Berehé ‘Po. Li.!Ser. con nuv. Ser. con neb. 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Stetten primo Giugno 1825, Pu volte, colleghi veneratissimi, ho fatto a me stesso acerbo rimprovero di ciò ch'io sì poco adempio i miei doveri di socio corrispondente, dandovi sì rare e scirse notizie di cose tedesche : e l’unica discolpa, con la quale ho sempre fatto ta- cere i proprii rimproveri, è quella appunto che più mi accora e più mi disanima; imperocchéè la mia scusa è riposta nell’ im- possibilità, e questa, qaanto più addentro vedo nelle cose deila Germania, tanto più mi sembra divenire maggiore. Quel cir- colo di attività nel quale io credeva dapprima poter muovermi liberamente, e la cui circonferenza non mi pareva al di ià della mia sfera di azione, parmi adesso sempre più dilatarsi, e ben mi avvedo che quella prima illusione non era prodotta che dal mio corto vedere, e che sono simile a un osservatore, che quanto più sale, tanto più vede d’ogni parte ingrandirsi il suo oriz- zonte. Quegli oggetti che dapprima lo circondavano e che per la loro vicinanza gli sembravano i più degni della sua attenzione, ora confondonsi con altri molti, e cedono il posto a nuovi che la | vista discopre , e questi sono tanti e in ogni direzione, che non può agli uni accostarsi senza allontanarsi dagli altri; onde ei pende indeciso, e perchè non può tutto abbracciare, e che la scelta gli è dolorosa non men che difficile, quasi inerte rimansi, ©r a questa parta mirando, or a quella. Tale appunto è il mio stato. E gia lungo tempo che ho 2 dovuto rinunziare alla speranza di poter presentarvi in un in- sieme alquanto completo i lavori de’ tedeschi. Questi si ammas» sano continuamente in tanta copia, clie anche se volessi limitarmi a un solo ramo di scienze o di letteratura, non potrei vederne la fine, e ognuno di questi rami sarebbe quasi un torrente che mi strascinerebbe fuori di quel centro, dal quale almeno posso formarmi qualche idea de’ reciproci rapporti che hanno fra loro le scienze e le lettere tedesche, del loro spirito e delle loro prin- cipali direzioni. Così rimanendomi tranquillo in questo giro an- gusto, ora cerco a conoscere i principali personaggi che figurano hella scena che osservo, ora mi avvicino ad uno di essi, e mi rendo famigliare qualche sua opera; poi mi volgo alla nazione, e vi cerco gli effetti di quelle opere, ne studio i costumi , ne esa- mino gl’istituti, e così di tempo in tempo vado cogliendo qual- che util frutto, che mi consola col poco di quel molto che non ho più speranza di conseguire. Or ditemi, colleghi ornatissimi, vi terreste di me contenti se di quel poco vi facessi parte? Se a mano a mano che leggessi qualche libro interessante , che osservassi qualche oggetto impor- tante, o che avessi notizia di qualche persona o da "quali av- venimento che potessi credere riuscirvi piacevole, io ve ne ren- dessi conto in una lettera ; non potrebbe forse col tempo formarsi una serie di notizie di vario genere , che servirebbero a gettar qualche lume sullo stato presente delle scienze, delle lettere e delle arti in Germania ? Scrivendo lettere, e non memerie accademiche, mi si dovrà molto perdonare, tanto per l’ ordine che per lo stile. Io spiegherò i miei pensieri ingenlinmente e con libertà, e sfus- girò i paragoni; senza però trascurare ie opportune occasioni si lasciarne fare a voi stessi. Trascurando di ragionare de’ vantaggi o de’ difetti di un tal modo di scrivere, io voglio piuttosto dirvi qualche parola del mio scopo e del mio piano. —Lo scopo che mi propongo è di stabilire una più intima comunicazione letteraria fra i tedeschi e gl’ italiani, e nel mio piano ho di mira di far ciò in modo che ne riesca una utilità reale. Nè le mie cognizioni, nè le mie forze mi permettono di dare a questo piano quella generalità che sarebbe desiderabi- le, ma tanto più cercherò di esser severo nella scelta di ciò che mi si farà incontro nella parte che potrò abbracciare. Non avranno adito presso di me quegl’innumerevoli romanzi; che escono ogni anno a migliaia da’ torchi per circolar qualche mese nelle mani de’ sfaccendati, né lo avranno quelle tante carte depositarie di sogni metafisici e di sottigliezze filologiche, sorgenti di inutili con- 3 tese, che per lo più divengono personali, perchè non vi prendoa parte che 1 disputanti. Tenendomi ad opere che abbiano meritato il pluuso generale , dovrò trattarne in vario modo, secondo che sieuo scientifiche o letterarie : se relative alle scienze, ne farò conoscere que’ resultati che sieno degni d’ essere generalmente co- nosciuti ; se del dominio delle lettere, ne esaminerò il merito este- tico è lu spirito dell’autore, ma non pretenderò farle conoscere, perchè a ciò è necessario lo studio della lingua . Sì per le une che per l’altre, se siano lavori di persone la cui vita sia merite- vele d’iuteresse, sceglierò nelle loro biografie le circostanze le più importanti, principalmente quando queste servino a diluci- dare l’opere stesse. Se cercherò di preferenza come meno cono- sciute quelle di autori viventi, non rinunzierò alla libertà di ri. salire ad altre meno recenti, ma che mi sembrassero non assai note 0 apprezzate, e ciò è tanto più necessario, perchè la letteratura tedesca essendo assai moderna , e scuoprendovisi ancora in parte | le tracce de’ suoi principii, fa d’uopo più volte aver questi in mente per ben comprendere come duri la loro iniluenza . Forse direte, che questi principii vi sono bastantemente noti per altre opere , e se ciò è vero io volentieri acconsentirò di uon più far- ne parola, perchè già tanti sono gli scritti nel mondo, che prima di prender la penna, dovrebbe ognuno darsi ogni cura a ricercare se ciò ch'egli ha in mente di fare non sia stato fatto prima di lui. Questa considerazione mi pone nella necessità di farvi una richiesta, che per la mia lontananza dall’ Italia dovrete trovare scusabile, e questa si è che a voi piaccia, o signori, mandarmi notizia di quelle opere più conosciute nella penisola, che trattino di cose tedesche; se sono traduzioni, accennandomi gli origiuali, potrò per me giudicarne ; ma: se lavori italiani, allora vi com- piacerete a darmi un ragguaglio del loro contenuto, o a far- ueli pervenire. Prima che lasciassi l’Italia, so che vi erano ge- neralmente conosciute e l’opera della Staél sull’ Allemagua, e quelle dei fratelli Schlegel, oltre a varie traduzioni di autori tedeschi. La Biblioteca germanica ha ancora comunicate non po- che importanti notizie, ma dopo che quel giornale ha cessato, non so che siasi fatto in Ìtalia per conoscere le opere de’ tedeschi, ed attendo dalla vostra com piacenza di apprenderlo. Intanto voglio dar principio al mio operare, parlandovi d’ un libro che ha destato in Germania quell’ interesse che dal solo ti- tolo, potete argomentare, trattandosi delle Memorie di Goethe scrit- te da lui medesimo. Quest’ uomo, che i suoi veneratori chiama- no il maggiore de’ viventi, e che tutta l'Europa onora come un À genio straordinario , giunto alla sera de’ suoi anni; sembra voler ancora spargere di luce la sua percorsa carriera, simile al sole ‘the dall’occaso illumina gli opposti colli che videro il suo spuntare. Fu desiderio plausibile de’ suoi amici quello che diede ori- gine a queste memorie; imperocchè avendo essi sotto gli occhi le opere poetiche del Goethe, e vedendo in queste realizzato ve- tamente quel detto che /a vila d’un autore è ne’ suoi scritti ; dolevansi d’altra parte di trovarvi tànte cose problematiche, al- tre in apparente contradizione, ed altre ancora relative a delle tircostanze o ignote o dimenticate. Si rivolsero dunque al Goethe} è questi cominciò dal disporre cronologicamente le sue produzio- ni, richiamandosi alla memoria quei momenti della sua vita, nei quali le aveva composte, il vario stato de’ suoi sentimenti, e le diverse direzioni del suo spirito verso una scienza o verso un’al- tra. “ Ma queste premure e queste osservazioni, aggiunge egli ; mi condussero sempre più lontano, imperocchè mentre io pro- curava di rappresentare ordinatamente le interne disposizioni dell’animo, gl’ influssi esterni e i miei progressi teoretici e pra- tici, mi trovai tratto fuori dall’angusta mia vita privata nel va- sto mondo; le immagini di cento uomini ragguardevoli , che da vicino o da lontano aveano ‘agito sopra di me, mi si fecero in- nanzi, e i grandi movimenti mediali di tutto il mondo politico) che aveano esercitata sopra di me come su tutti i contemporanei là più grande influenza , richiamarono ancora la mia particolarè attenzione. Imperocchè |’ oggetto BRAGEE d’una biografia par- mi esser quello di rappresentar l’uomo ne’ suoi rapporti col suo secolo, e di mostrare in quanto gli sia questo stato contrarie, iù quanto favorevole, come da questo si sia formata un' idea del mondo e degli uomini, e come abbia saputo riflettere al di fuori ‘questa idea se sia stato artista, poeta , scrittore. Ma a conseguir quest’oggetto }’ impossibile quasi richiedesi, cioè che l’ indivi duò conosca e sè stessso e il suo secolo: sé stesso, în quanto che sia restato lo stesso in tutte le circostanze ; e 70 suo secolo, come quello che seco strascina, determina, e forma ogni uomo an- cor sno malgrado, tantochè ben può dirsi che ognuno che fossé nato solamente dieci anni più presto o più tardi, sarebbe divenuto un ‘essere affatto diverso per ciò che riguarda il proprio svilup- po e la sua esterna influenza. ;, Ska p. IX-XI ). Dietro tali considerazioni, e da questo punto di vista, vuol Goethe che si giudichi il suo lavoro, ed io cercherò di farlo nel presente ragguagliò. In questa lettera non vi parlerò che del primo volume, che abbraccia |’ infanzia e l'adolescenza dell’au> Ò tore. Molti lo troveranno prolisso , e certo se dovesse tradarsi sarebbe bene il trascurar molte cose , come poco interessanti per gli stranieri, che non possono sentire quel vivo desiderio che prova un nazionale di conoscere la più piccola circostanza rela- tiva a un suo illustre concittadino; ma d’altra parte, se un venerabil vecchio a voi caro vi conduce a rivedere i luoghi ove menò i suoi primi anni, ‘e che ad ogni passo ritrova grate memo- rie e si ferma a comunicarvele, chi vorrà dolersi che tardi sia- no i passi del vecchio, e lungo il cammino? E poi chi non ricerca con piacere i primi sviluppi d’uno spirito creatore? In quante pagine, che i più salteranno come tediose, troverà lo psicologo delle osservazioni curiose sulle facoltà dello spirito , l’educatore delle utili regole, e il giovinetto de’ rapporti coi proprii sentimenti, che l’empiranno d’interna soddisfazione! Ma per venire all’opera stessa, vi troviamo che il Goethe nacque il 28 Agosto 1749 a Francfort sul Meno. Il padre suo; dottore di legge e consigliere imperiale, era persona ragguar- devole, ma tenevasi lontano dagli impieghi pubblici, e si occu- pava dell’educazione della sua famiglia, dirigendola dietro le pro- prie idee, e verso quegli studii che a lui stesso erano stati pre- diletti, e che ancora coltivava, « E un sacro desiderio di tutti i padri (osserva l’autore ) di vedere realizzato ne’ figli ciò che ad essi stessi è sfuggito, quasi vivessero una seconda volta, ed ora volessero approfittar pienamente dell’esperienza della prima carriera,, (p. 53.). Il seguen.. te squarcio contiene la prima impressione fatta sull’animo del fan- ciullo da un oggetto esterno: «‘ nella nostra abitazione arrestavasi principalmente il mio sguardo sopra una serie di vedute romane, incise da alcuni abili predecessori del Piranese, che s’ intendevano bene in architettara e in prospettiva, e il bulino de’ quali è molto preciso e apprezzabile , Qui vedeva io giornalmente la piazza del popolo, il Coliseo, la piazza di S. Pietro, l’interno e l’esterno della chiesa di S. Pietro, il Castel S. Angelo, e molte altre cose. Queste immagini s’impressero profondamente in me, e il mio padre, che d'altronde era molto laconico, com- piacevasi più volte a darmi una descrizione di questi oggetti, La sua predilezione per la lingua italiana e per tatto ciò che ha rapporto a quel paese, era molto decisa. Egli varie volte mo- stravaci apcora una piccola collezione di marmi e di oggetti naturali che avea portate dall’Italia, e impiegava una gran parte del suo tempo nel comporre una descrizione italiana del suo viag- gio.... Cantaya ancora assai bene, e mia madre dovea giornal- 6 mente accompagnare sè stessa e il padre sul clavicembalo; cosie- chè appresi a conoscere l’aria del solitario bosco ombroso, e pre- sto Ja seppi a mente, prima d’intenderla.,, ( p. 1214.) La città di Francfort era ben atta ad occupare lo spirito osservatore, e a destare l’imaginazione del giovinetto. Egli con- templava con piacere i suoi vecchi edifizii, le sue mura, le sue torri; era una festa l’entrare nel palazzo del consiglio, vedere Ja stanza delle elezioni, e la sala ove incoronavansi gl’ impe- ratori; la vista de’ loro ritratti incuteva nel fanciullo un fre- mito rispettoso, e volentieri trattenevasi a udire il custode narrare le gesta di questo o di quello; ma queste immagini dei tempi passati svanivano ogni anno due volte, per cedere il posto a quelle che offrivano le fiere ; e qui l’autore compiacesi di nar- rare tatte le antiche cosiumanze che in queste epoche osserva- vansi, i giuochi, i canti, i balli, tatto gli torna alla mente, e sem- bra che ancor ne goda. Poi torna a dir qualche cosa della biblioteca e della qua- dreria del padre, che faceva lavorare i migliori artisti, e di que- sti parla brevemente. indi espone i principii della propria edu- cazione, ce di quella imperfettissima che in que’ tempi ricevevasi nelle scuole. Dotato di pronto intendimento, di forte memoria, e avvezzato dal padre all’ assiduità , rapidi furono i suoi pro- gressi anche negli studii che erano contrarii alla sua inclinazione. Non vi parlerò di questi studii, benchè sia curioso il seguire que’ pri- mi passi, vedere quai libri gli divenissero cari, fra i quali cita principalmente il Telemaco, il Robinson, e i viaggi di Lord Anson; come giudicasse de’ proprii lavori, e come |’ emulazione agisse sovra di lui. Passerò sotto silenzio il ritratto che fa di alcuni individui della sua famiglia; e mi asterrò ancora di parlarvi del culto singolare che un giorno gli venne in pensiero di ren- re alla Divinità, formando una piramide di varie prodazioni della natura, e facendovi ardere sopra una piccola fiamma, ch'egli come sacerdote della natura vi accese coi raggi del sol na- scente raccolti nel fuoco d’uno specchio ustorio. Finquì non erano che vicini oggetti che agivano sul tenero spirito del fan- ciullo , ora lo vedremo ricever delle impressioni affatto nuove da cause esterne che agitarono il mondo politico. Scoppiò la guerra de’ sette anni , e i cittadini di Francfort, benchè non vi prendessero parte colle armi, pure si divisero d’opinione, e un partito era per Federigo il Grande, l’altro per Maria Teresa, Il fanciullo vide disunita la propria famiglia ; e il vedere que- sta e il pubblico ora pendere da una parte ora da un’ altra, 7 destò in esso la naturale idea che gli uni o gli altri dovevano essere ingiusti; nè sapendo quali, sentì nascersi nello spirito un fatal dubbio sulla giustizia degli uomini, che non fu senza in- fluenza per i suoi anni futuri. ‘* Quando attentamente rifletto ( dice l’ autore ) a quella impressione , vi trovo il germe di quella non curanza, e dirò pure di quel disprezzo, pel pubblico che conservai gran tempo della mia vita, e che tardi soltan- to mi abbandonò in forza di più chiare vedute, e di un più perfetto sviluppo del mio spirito ,,. ( p. 97. ) Sl Goethe era allora nell’ ottavo suo anno, e se vi maravigliaste che io mi arresti sopra circostanze spettanti una sì tenera età, vi dirò che appunto perchè sì giovine, piacemi di raccogliere, per la storia dell’educazione, un nuovo esempio della impressione che già esercitano ne’ primi nostri anni que’sentimenti, che proprii crediamo di più avanzata età. Per veder poi come già allora si agitasse il suo spirito sotto l’impero di quella fantasia, che fu poi sì feconda, leggasi come egli trovasse diletto a narrare ad altri fanciulli varie novellette ch’ei componeva, una delle quali; che aveva eccitato il mag- gior gradimento, e che però più volte avea dovuto ripetere, gli è restata impressa nella memoria , e la narra in questo li- bro ai suoi numerosi lettori come un dì la narrava ai suoi fanciulleschi uditori. Varii tratti degni d’osservazione offre an- cora il quadro ch’ egli ci fa del suo carattere morale nella sua prima età; ma è tempo di vederlo uscir dall’ infanzia» e come farlo meglio che colle seguenti parole dell’ autore? ..... ‘.Vo- glio rivolger lo sguardo da quell’ età felice, imperocchè chi sarebbe in caso di parlar degnamente della piena delle sensazio- ni nella fanciullezza ! Noi non possiamo fare a meno di riguar- dar con piacere , e dirò pure con ammirazione, 'e tenere crea- ture che ci si avvolgono innanzi: esse per lo più promettono più di quel che mantengono ; e in questo ancora sembra che la natura siasi proposto di farsi giuoco di noi. I primi organi ch’ essa concede al bambino insieme con l’esistenza, sono confor- mi al suo stato; egli se ne serve senza artifizio , e giunge nel modo il più abile allo scopo immediato che si propone. Il fan- ciullo considerato in sè stesso, con i suoi simili e sotto que’rap- porti che convengono alle sue forze, apparisce tanto intelligente e sensato, che nulla più, e al tempo stesso , sì disinvolto e giu- livo, che saremmo tentati a non desiderare in lui altro svilup- po - Se crescessero i fanciulli nel modo che lo annunziano , non vi sarebbero che de’ geni. Ma col crescere non si sviluppano 3 solamente i varii sistemi organici che costituiscono l’ individuo ,. nascono l’ uno dall’ altro, trasmutansi l’uno nell’ altro , si re- spingon l’un l’altro, e talvolta pure scambievolmente distrug- gonsi; tantochè di varie disposizioni, di varii indizii di vigore che manifestava il fanciullo, dopo alcun tempo più non si trovano tracce. Quantunque i talenti abbiano generalmente nell’ uomo una direzione decisa , riescirà non pertanto difficile al più sperimentato \conoscitore’ di ennunziarli con certezza, benchè gli riesca in seguito di andar ricercando ciò che sia stato indi- zio del futuro ,,. ( p. 155. - 157. ) Grato ai suoi concittadini deve essere il veder rammentati non pochi uomini insigni, ai quali porge tributo di lode e di riconoscenza, per la parte che ebbero allo sviluppo del suo spirito; ed interessante non meno per la storia della poesia te- desca, è il vedere come arricchisse la sua memoria delle opere de’ poeti che lo aveano preceduto, e singolarmente di Klopstock. Ma di maggior importanza per l'esercizio del suo ingegno fa il soggiorno de’ francesi in Francfort in conseguenza della guer- ra; imperocchè il luogotenente del re, alloggiato nella sua casa paterna, essendo grande amatore delle belle arti, e avendo fatto lavorare per suo conto i più distinti pittori, ebbe il giovine Goethe agio di coltivare il suo natural talento per le arti, che unendosi in lui a quello della poesia, inducevalo a ideare delle composizioni che talora vennero rappresentate dagli artisti: co- sì fra gli altri descrisse dodici quadri ailusivi alla storia di Giuseppe , alcuni de’ quali vennero eseguiti. In questo tempo ancora ebbe occasione di apprendere la lingua francese, e ne fece uno studio pralico, visitando seralmente un teatro ove re- citavano attori di quella nazione . Avendo fatto conoscenza con un giovine attore , e pieno il capo delle composizioni dram- matiche che avea veduto rappresentare , volle egli pure ten- tarsi a scriverne una pel teatro, e la sottomise al giudizio del suo giovine amico; ma questi cominciò a farvi tante alterazioni, e a parlargli di tante regole sulle unità di Aristotele, sulla verosimiglianza teatrale, ta versilicazione etc. delle quali non aveva mai udito parlare, che non tavto scoraggito del suo in» felice successo , che stordito di tante teorie, cominciò a ricer- carne i principii e a studiarne |’ applicazione ne’ classici fran- cesì, non senza riconoscere che quelle regole non erano poi talmente lontane dall’arbitrario, da mon lasciar nascere delle covtese fra quegli autori stessi che maggiormente credevano seguirle. Così noi vediamo il Goethe, spinto da varie circo. 9 stanze a varii studii, senza piano d'’ istrazione, e guidato sol- tanto da quel talento universale che lo rendeva capace di tutto abbracciare. Poco dopo si applicò pure al disegno, alla mu- sica e alla lingua inglese, e per riunire in un tutto e mettere in reciproca corrispondenza i varii rami della propra istruzio- ne , concepì l’ingegnoso pensiero di un romanzo, in cui sei o sette fratelli, stabiliti in varie parti del mondo, davansi raggua- glio in varie lingue e con vario stile delle loro occupazioni e de’ loro sentimenti. Così un fratello narra in tedesco varie av- venture de’ suoi viaggi; un altro scrive in latino sopra la re- ligione; un terzo impiegato al commercio ha la corrisponden- za inglese; altri trattano di altri argomenti in francese e in italiano. E quasi ciò non fosse bastato, ecco che il Goethe prende l’idea bizzarra d’ introdurne anche un altro che usi il dialetto tedesco-giudaico, e per meglio riuscirvi, comincia a stu- diare anche la lingua ebraica . Con l’aiuto d’un vecchio pro- fessore si mise a scorrere i libri dell’antico testamento, e at- tenendosi principalmente alle narrazioni di Mosè, la sua imagi- nazione si riempì delle vivaci pitture che vi s’ incontrano, del primitivo stato dell’uomo, e delle regioni che abitava; pitture nelle quali trovava sollazzo e ricreazione dalle tante disordi- nate occupazioni che dividevano il suo tempo. “Quando la mia 3» immaginazione, sempre attiva, or quà or là strascinavami, 33 quando il miscuglio di favole e di storie, di mitologia e di »» religione minacciavano di sconcertare il mio spirito, allora » io ricorrea volentieri a quelle regioni orientali, e là, tra »» quelle famiglie di pastori, trovavami ad un tempo nella 3» massima solitudine e nella società la più grata ,,. ( p. 327.) Allora concepì per la prima volta il proponimento d’ intrapren- dere qualche gran lavoro poetico, e compose in forina di poe- ma epico, ma in prosa, quella stessa storia di Giuseppe, che già come fanciullo aveagli data l’idea d’ una serie di disegni, e vi aggiunse delle odi sacre; nè questi sollazzi lo distraevano dagli altri studi, ai quali aggianse pur quello de’ principii di giurisprudenza, che il padre suo fecegli apprendere a memo- ria; e quasi non dovesse bastantemente esser confuso da una applicazione in tante parti divisa senza uno scopo determina- to, univansi ad accrescere la sua perplessità varie persone au- torevoli, delle quali erasi acquistata l’amicizia, e ciascuna delle quali diversamente lo consigliava sulla via che dovesse segui- re. Ma l’ardore della poesia era quello che lo dominava, e a dar nuovo impulso alla piena de’suoi sentimenti venne l’amo, Io re. Le prime inclinazioni amorose d’ una gioventù incor- » rotta prendono sempre una spirituale tendenza ,,, e tale fu quella passione del Goethe. Ma nata da giovanile impruden- za , nutrita all’ombra del segreto con infrazione de’ figliali do- veri, e avendo per oggetto una persona della quale 1’ abietta condizione scemava fede anche alla più sincera virtù , infelicis- simo ne fu l’esito, e quasi fatale alla vita del giovinetto. Nè più se ne scancellò l’ impressione ; il poeta la consacrò in varii canti, e l’imagine della sua amata si riprodusse in varii perso- naggi de’suoi drammi. Nella tragedia d’Egmond la ritroviamo in Chiara, e ne ravvisiamo de’ tratti in quella Margherita che figura nel Fausto. Eppure il Goethe non aveva allora che quattordici anni, in ciò simile a Dante, che in tenerissima età erasi acceso per Beatrice. ( sard continuato ) LETTERA Il. Giornali tedeschi. Stetten 15 Giugno 1825. Chi può star dietro alla feconda vena degli innumerevoli autori e autrici della Germania, che fanno gemere i torchi sotto la mano degli stampatori, che appena bastano alla pubblicazione di migliaia d’ opere d’ ogni genere ? E infelice chi lo potes- se ‘appena i vortici di Cartesio potrebbero dare idea della ter- ribile confusione che sarebbe per riuscirne nella testa di quel misero. Certo è grande il bene di lasciar stampare a tutti, ma è grande quello che deriva dal voler tutti farsi stampare? Co- lui che vuol tener dietro a un particolar ramo di scienza o di letteratura, crede suo obbligo di tutto conoscere ciò che se ne scrive , e spesso trova, dopo avervi impiegato moltissimo tem- po, che questo tempo è stato perduto, e che già ne sapeva prima altrettanto, o che in una sola delle nuove opere si è contenuto più di quello che non in tutte le altre insieme, la cui lettura gli lia costato tante ore preziose. Felice lui se qual- cuno lo avesse avvertito esser quella tale opera la sola degna di leggersi, e un tale amichevole avvertimento può riceverlo da un buon giornale. Leggansi dunque i giornali. Così ho io detto a me stesso, ed ho comminciato a leggere; ma tanto ne è il numero, che appena il rimedio è da anteporsi al male. E però unitomi a giovine professore, che fra i migliori si è limi- tato a sceglierne dodici, ho cominciato a trascorrerli , fa- cendone per mio uso alcuni estratti. Or ho pensato, colleghi J1 ernatissimi, che questi, alquanto ordinati, potrebbero da voi gra- dirsi; e però ve li mando, facendo principio dai primi fascicoli del corrente anno, e proponendomi farvi ogni mese un simile invio . Educazione e istruzione Nel repertorio generale della letteratura moderna ( Gen- naio 1825, 8°.) trovo annunziato un giornale per l’ educazione e per l’ istruzione del popolo, pubblicato in Aquisgrana da una società d’istitutori. Non è questo il solo giornale di simil ge- nere che circoli nella Germania; in varii altri luoghi sonosi ugualmente formate delle società di educatori, che si comuni- cano vicendevolmente, o i resultati della loro esperienza, o quei miglioramenti che sembrano loro i più oppotuni, tanto per l’edu- cazione pubblica quanto per la privata. Il presente giornale non abbraccia ciò che riguarda le università nè le scuole su- periori; ma bensì comprende quanto può aver rapporto per la Germania all’ educazione nelle famiglie, o a quella del popolo nelle scuole elementari; e però entrano nel suo piano; disser- tazioni sulla scienza dell’ educare ; esposizioni dello stato at- tuale degl’ istituti d’istruzione pel popolo; osservazioni sul mo- do di trattare i varii rami di questa istruzione ; articoli sopra l’organizzazione delle scuole; storia dell’ educazione del popo- lo ; rivista critica di opere relative all'educazione; annunzii per le scuole. Nella gazzetta universale di letteratura ( in 4 Halle e Lipsia ) è fatta menzione con lode di una nuova operetta perio- dica che ha per titolo foglio d’ istruttivo trattenimento per la gioventù di tutte le condizioni, pubblicato in compagnia di va- rii amici dell’ educazione dal professore Schutz in Amburgo. Questo foglio verrà alla luce due volte per settimana e con- lerrà 1.° notizie sugli avvenimenti de’ nostri tempi ; 2.° annun- zii di nuove scoperte ; 3.° articoli biografici, geografici, o rela- tivi alla storia naturale; 4.° osservazioni religiose e morali ; 5.° racconti atti a destare |’ emulazione per la virtù; 6.° favole, dialoghi ed altre piccole composizioni. In bel modo ragiona l’ egregio professore del vantaggio che possa derivare da tale operetta ; ed è certo che se sia ben condotta dagli editori, e che dall’altro canto, i genitori o gli educatori de’ giovinetti Weppiano ben dirigere l’attenzione di questi sopra gli oggetti che più possino contribuire allo sviluppo del loro intendimento, e alla formazione del cuore, questi fogli suppliranno con pe- 12 renne abbondanza a quella perplessità in cui ci troviamo so- vente, non sapendo quai libri porre in mano ai fanciulli. Nella gazzetta letteraria di Jena ( 1825 N. 14. 15. e 16) trovasi un interessante articolo sull’ opera del sig. Hergenròthen direttore del R. Seminario d’Institutori in Vurzburgo, pubblica- ta sotto il titolo : dello spirito dell’ educazione secondo lo spirito del Cristianesimo . Il recensore ben osserva come un opera che tratta un soggetto sì importante , comparica opportu- namente in un momento nel quale, se da una parte sentesi la necessità di migliorare in varii luoghi l’ educazione, da un’ al- tra vedonsi fondare buon numero di ottimi istituti per diffonde= re nelle classi inferiori del popolo una educazione veramente umana e cristiana . Nel n. 39 dello stesso giornale, annunziansi al pubblico tre opere non poco importanti per l'istruzione nazionale. La pri- ma del sig. 4/u4/ ha per titolo : della necessità dell’ istruzione del popolo, e della sua influenza sulla formazione della so- cietà in generale . Con profondo spirito filosofico sembra com- posto questo libro, nel quale principalmente tendesi a rimedia- re a molte imperfezioni, che ancora esistono nel modo di eda- care le basse classi della società: “ il povero popolo poco ancor si è destato al sentimento della vita umana , e principalmente per colpa di coloro, che lo educano e lo dirigono . Potrebbe la cosa andare altrimenti, e ciò avverrà pur certamente ,,. La seconda opera è la Gazzetta letteraria per gl’ istitutori delle scuole del popolo in-Germania . Questo scritto presenta ogni trimestre un ragguaglio critico delle più recenti pubblicazioni relative alle scuole e alla educazione generale, e vi si trova- no ancora degli articoli originali sugli stessi argomenti. Se que- sto giornale mostra avere lo stesso scopo che quello di cui ho fatto parola più sopra, non deve dedursene che l’ uno renda inutile | altro, ma che anzi tutte le provincie tedesche cerca- no di emularsi, spargendo quanto più possono delle idee, che tanto più riescono salutari, quanto più s’immedesimano col mos do di pensare dell’ intera nazione. Molte sono le opere di questo genere, ed è necessario il tutto conoscerle, per farsi una giusta idea dello stato e della generalità dell’ istruzione in Ger- mania; imperocchè in ciascuno degli stati che la compongono, trovasi diversità di metodi, diversità di coltura, diversità d’idee. Il giornale d’ educazione di Aquisgrana ci apprenderà come si educa il popolo sulle rive del basso Reno; questo che si pub- blica in Jlmenau ci farà conoscere le idee che regnano su que- L di 13 eta materia in ùna parte della Sassonia; e la terza opera an- nunziata in questo foglio, e che è venuta alla luce a Wurzburgo sotto il titolo di Discorsi per contribuire all’avanzamento della scienza dell’educazione, del sig. Gehrig, ci può mostrare come sia questa scienza incoraggita in Baviera . Imperocchè in quel regno, oltre de’seminarii per i maestri di scuola, ne’ quali que- sti apprendono a istruire e a educare la gioventù , trovansi ancora degli stabilimenti destinati al maggior perfezionamento de’ medesimi , sotto il nome d'’ istituti per lè conferenze dei maestri di scuola. Queste conferenze sono tenute ogni mesè presso l’ispettore d’ ogni provincia, e sotto la sua direzione. Il loro scopo è di comunicarsi a vicenda le esperienze fatte sopra i vantaggi di tale o tal altro metodo d'istruzione, e di far conoscere i nuovi scritti pedagogici. In tali conferenze fu- rono tenuti questi discorsi, che abbracciano tutti i punti i più essenziali dell'educazione fisica e morale de’ fanciulli . Nel repertorio generale ec. (Febbraio) annunziasi l'ottava edi- zione dell’opera del Niemeyer intitolata: elementi dell’educazione e dell'istruzione ad uso de’ genitori, e degli istitutori pubblici e privati. Io qui mi contenterò di questo semplice annun- zio, essendo l’opera stessa di tanto merito e di tanta celebrità da impormi il dovere di parlarvene altra volta più a lungo, se pure già la sua fama non ne è giunta all’ Italia e ha indotto alcuno a tradurla . Vi dirò invece qualche parola sopra un importabte arti- colo contenuto ne’ numeri 27-31 della gazzetta universale di letteratura, e che avendo per oggetto l’ esame di dodici opere diverse, che tutte o generalmente o parzialmente trattano delle scuole e de’ ginnasii tedeschi, serve mirabilimente a darci un’ idea generale de’ regolamenti e de’ metodi di questi istitati. Io non seguirò i ragguagli che si danno di queste opere, nè vi tedierò trascrivendone i titoli; ma vi farò conoscere la icon- clasione che il dotto autore dell’ articolo deduce dal loro esame. ‘“ Se raccogliamo , dice egli, il risultato degli scritti che abbiamo sott’ occhio, e che al tempo stesso avvertiamo al con- tenuto delle opere pedagogiche che ogni anno vengono alla lù- ce, dovremo riconoscere che alto è il grado dell’ istruzione e della moralità negli istitutori de’ ginnasii tedeschi, imperocchè sul Reno e sulla Pregel, sull’ Elba e sulla Vistola, manifestasi non solo nelle persone degl’istitutori una erudizione vasta e profonda, è un ardore fervente per il proprio perfezionamento scientifico e morale, ‘ma gl’ istituti medesimi hanno da venti 14 anni a questa parte assunta una forma , di cui può la Germa- nia andar superba ,,. Filosofia. sy Il sistema di reazione esposto e esaminato dal professore Tzschirner (Lipsia 1824 1 vol: in 8°.) L'oggetto di questo scritto è di difendere lo spirito di perfettibilità che caratterizza il no- stro secolo, che alcuni dichiarano follia, ed altri abbandonano co- me cosa troppo superiore alle forze umane. Il chiarissimo autore spera convincere i suoi lettori che : ma/grado molti ostacoli e molti movimenti retrogradi , pure vi è avanzamento e sviluppo nelle cose umane ; e però vedendo gli sforzi che si fanno più e più manifesti, non solo di trattenere il mondo ne’ suoi progres- si, ma anche di respingerlo sopra vie abbandonate, esamina que- sti sforzi dietro l’ esperienza de’secoli, e dietro que’ principii che restano eterni come le stelle nel cielo, mentre le generazioni de- gli uomini vanno e vengono coi loro piani e con le loro opere. L'autore, che per altre opere politiche e religiose ha acquistata in Germania meritata fama «li profondo osservatore del suo secolo, ci mostra in questo scritto la filosofia e la storia come due ce- lesti sorelle indivisibili; e illustrando col loro lume lo stato de’'no- stri tempi, è condotto a delle osservazioni che meritano esser lette ne’ palazzi e ne’ tugurii, e che dovunque devono consegui- re lo scopo propostosi dall’ autore. — L’opera è divisa in tre sezioni: la prima contiene una esposizione del sistema di reazione considerato storicamente e nella sua essenza. Del pari che nella natura, così ancora nell’uomo trovansi due forze opposte , l’ una impulsiva , l’altra coercitiva e d’ inerzia. Se questa prevale ne nasce la letargia; se quella vince ne segue agitazione e disordi- ne. ,, Tutta la storia è piena di esempii per provarlo, e l’autore ne cita un gran numero atti a convincere ogni uomo. — La se- conda sezione racchiude un esame del sistema di reazione sotto il punto di vista del diritto e della politica. La terza ci offre i risultati delle precedenti osservazioni , in quanto possano favori- re gli sforzi e le speranze de’nostri contemporanei. — Non posso seguire la bella analisi fatta di ogni parte dell’opera, che trova- si nel N. 21 della gazzetta letter, di Iena (1825), ma ognuno po_ trà da queste poche parole facilmente convincersi dell’importan- za e del merito di questo scritto. Varie altre opere filosofiche si annunziano in questi fogli, ma è impossibile il darne ragguaglio all’ Italia prima di aver fatto co- 15 boscere la nuova nomenclatura dei filosofi tedeschi » cosa tediosa quanto inutile, finchè s’ ignorino i principii che vi hanno dato origine. Non essendo io nel caso di chiaramente esporli, mi li- miterò a parlare di quelle opere che, come lu precedente, sieno appoggiate a quelle considerazioni che non sono proprie d’ una setta filosofica o d’una nazione, ma che appartengono a tutti gli uomini pensatori. Io parlerò dunque della filosofia de’ tedeschi non come scienza astratta, ma come applicata al ben essere della società ; e felici gli uomini se dovunque questa santa filo- sofia scendesse dai regni dell’astrazione, e venisse nel loro mezzo per regolarne le sorti ! Storia, Storia di Francesco I Re di Francia, del Prof. Augusto Herrmann. (Dresda 1824. 8.°) “ Questa biografia è una delle mi- gliori che la moderna letteratura storica de’ tedeschi possa mo- strare. Dopo alcune considerazioni generali sopra l’Italia, la Spa- gna, l'Inghilterra, la Germania e la Francia, nelle quali è pre- so specialmente di mira lo stato dell’ arte militare e della civil- tà , tratta |’ autore ne/le prima sezione degli avvenimenti dal 1515 al 1525, cioè dal pr incipio del regno di Francesco I. fino alla battaglia di Pavia ; nella seconda , dal 1525 fino al 1536, ossia dalla battaglia di Pavia fino alle nuove ostilità fra Carlo V. e Francesco I; nella terza, dal 1536 fino al 1547, cioè fino alla morte del Re di Francia. Non seguirò l’ già tanto conosciut lustrata ; 2) analisi di quest'opera, che abbraccia un’epoca a, e che tavti rinomati scrittori già hanno il- e mi contenterò invece di tradurre alcuni passi del re- censore. (Gaz. univ. di letter. 1825 n. 36.) 3, Minutamente è descritta in questo libro la disfida fra Car- to V. e Francesco I. Il Re di Francia, riposto in libertà in for- za della pace di Madrid conchiusa nel 1326, avendo mancato di adempirne le condizioni 3 Carlo V incaricò verbalmente 1’ amba- sciatore francese Calvimont, di sfidare in suo nome il suo signo- Te a duello. Sembra che |’ ambasciatore non si ardisse di far- lo, e Carlo V essendosi diretto a Francesco I. per rammentar- gli la sua disfida » il re ne dimandò al:suo ambasciatore , che finse aver dimenticato l’affare , e ottenne dall'imperatore una disfida in iscritto pel suo signore. In questo scritto trovansi le seguenti parole: ma/ si conviene a de’principi cristiani, men- tre sono minacciati de tutte le parti dai nemici del cristia- 16 nesimo , di versare essi medesimi il sangue de’ cristiani, dei quali dovrebbero essere difensori . Però è megli che un duello decida la loro contesa. Ricevuta questa disfida , Francesco ne mandò una dal canto suo a Carlo , e gli domandò di determi. nare il luogo del duello; ma l’Imperatore avendo tissato a que- sto oggetto il medesimo posto presso il fiume Bidassoa , dove Francesco era stato riposto in libertà, questi sotto varii pretesti irremovibili non comparve. Carlo allora altamente dichiarò che il re di Francia aveva vergognosamente ricusato il duello pro- postogli; e così questa scena tragica annunziata con tanta pom- pa, terminò qual ridicola farsa , dove gli spettatori risero alle spese dei reali eroi. ,, ,, 1 meriti di Francesco I, come protettore delle scienze e delle lettere , sono in quest’ opera meritamente apprezzati. Egli stesso non aveva una grandissima cultura scientifica , ma era pe- netrato assai addentro nello spirito delle scienze, per riconosce- re la loro influenza sulla civiltà iv generale. E però apprezzava i dotti e li proteggeva come a re si conviene. + Si mostrò mol- to favorevole al piano fatto nel 1529 per erigere un Collegio reale, e l’ autore ben espone le cause perchè il piano non. ve- nisse posto in esecuzione. Ne fu causa in parte, dice egli, la mancanza di danaro prodotta dalle molte guerre , ma in par- te ancora lo furono le opposizioni , colle quali la nobiltà e il clero seppero sempre im pedirlo. Rincresceva ai nobili che i let- terati, sui quali abbassavano con disprezzo gli sguardi, venissero promossi agli impieghi i più onorevoli e i più importanti, che fosse- ro impiegati nelle ambasciate, e che godessero del favore e della fiducia del re, mentre pochissimi eran quelli del loro corpo che il meritassero, attesa la loro ignoranza. Il clero, non meno igno- rante, tenieva ovunque eresie, e di più sentivasi spiacevolmente turbato nel suo beato riposo. Quindi la viva opposizione di que- sti due corpi ad ogni nuovo progetto. Tuttavia furono nomina» ti alcuni professori per il nuovo istituto , e posti al!’ università sotto il nome di collegio reale. Francesco nominò due profes- sori di lingua ebraica, e due di lingua greca, con un annuo sti- pendio di 450 lire, che in que’ tempi era assai considerabile. ,, Lo stile dell'autore è semplice e chiaro, nè manca di quelle erudite ricerche che caratterizzano l’opere de’tedeschi. — Sareb- be interessante il confrontarlo con la bell’ opera del Robertson sul regno di Carlo V.y, con la quale dee necessariamente avere molti punti comuni . TE 17. Notizie varie. 0. Università. L' università di Lipsia ha ottenuto dallo stato una somma di 12000 scudi per ingrandire e migliorare il suo ocale, e un aumento annuo di 4000 scudi per onorarii etc. Nell’ università di Gottinga trovavansi. neli’ ultimo semestre d'inverno 1824 - 1825, mille quattrocento ottantasei studenti ; de’ quali 287 per la teologia, 798 per la giurisprudenza , 211 per la medicina , e 190 per le scienze filusofiche. Nell’ università di Halle il numero degli studenti era di 930. In quella di Tubinga di 846; cioè per la teologia evange- lica 210; per la teologia cattolica 102; per la giurisprudenza 153; per la medicina e chirurgia 145; per la filosofia 204, e per l’ economia pubblica 72. Nell’università di Berlino il namero degli studenti era di 1598; per la giurisprudenza 614; per la teolo- gia 412; per la medicina 392; e per la filosofia e matematiche 182. In quella di Friburgo nel granducato di Baden studiano 607 giovani. 126 giur ; 143 medicina; 176 teologia; e 162 filosofia. Biblioteche. Fra tutte le biblioteche della Germania, la più ricca pel numero de’volumi è quella di Monaco, che ne contiene quattro cento mila. Libri nuovi. Nell'anno 1824 sono venuti alla luce in Ger- mania non meno di 5245 opere! Traduzioni di opere italiane. Negli annali di Heidelberg ( Ottobre 1824 ) trovasi una rivista della traduzione della vita nuova di Dante fatta dal sig. Oeynhausen , e di quella dell’/n- ferno del sig. Streckfuss, già conosciuto per altre traduzioni dal- l’ italiano. Il sig. Guglielmo Muller nella Gazz. Lett. univ N. 4r e 42. ha scritto un bell’articolo su questa traduzione, com- parandola ad altre anteriori; e in altra lettera prenderò occasio- ne dr*parlarvene più particolarmente . Nel Repert. univ. Febr. 1825, trovasi pure encomiata una traduzione de’capitoli amorosi di Lodovico Ariosto, fatta dal sig. Laube, il quale anni addietro pubblicò pure in tedesco una scelta di poesie del Petrarca. Nella Gazzetta letteraria universale 1825, N°. 11. parlasi con molta lode dell’ operetta del sig. Amadeo Peyron, Ricer- che sopra i papiri del reat Musco Egizio in Torino. Questa dissertazione è stata trodotta in tedesco dal sig.! Fischer, Romanzi moderni. Se qualcuno volesse dolersi della dichia- razione fatta nella mia prima lettera, di now voler far parola T. XIX, Agosto À 2 18 di romanzi, legga il seguente articoletto , che spero potrà set- virmi di scusa. 3 Il recensore, dietro un esame officiale di questo parto del sig. M.... crede trovarsi nella necessità di darne il suo giu- dizio in forma di ricetta. Egli però prescrive a ogni futuro fab- bricante di romanzi di simil genere gl’ ingredienti che seguono. Prendi due rapimenti di madre e di figlia; una ritrosa zitel- la di capello biondo ; un povero trovatore con due dozzine di versacci zoppicanti; un paio di cavalieri valorosi , uno che spiri vendetta , e mezza dozzina di rapitori con un sotterraneo ; impasta il tutto e mescilo bene insieme , e poi vi unisci ad ar- bitrio, frode, tradimento , crudeltà , rozzezza e villania, anche assassinii e incendii quanti ne vuoi, e finalmente due coppie di amanti, divisi dapprima senza speranza, e poi uniti per mano di sacerdote. — Lascia ben fermentare la mistura, e poi la colori- sci con tintura di rozzo scherzo ; aggiungendovi ancora un poco di prosa poetica e di goffo naturalismo. ,, ( Gazz. Lett. di Iena, 1825. n. zo. ) E. MAYER. Istoria della letteratura greca profana, dalla sua origine si- no alla presa di Costantinopoli, fatta dai Turchi, con un compendio istorico del traportamento della letteratura gre- ca in Occidente. Opera di F. SHOELL recata in italiano, per la prima volta, con giunte ed osservazioni critiche, da EMi- LIO TiPALDO Cefaleno. Venezia, presso gli editori. Milesi-An- tonelli, co’ torchi della tipografia di Alvisopoli. 1824. T. I. DoJ6e:My:T. JLuP, bin 8, Niuno è rozzo tanto ed incolto , che gli antichi greci scrit- tori non ami e tenga in pregio ed ammiri; e pari a questo amore ed estimazione è il desiderio non di saperne i nomi so- lamente, ma le vicende eziandio, e i meriti dell’ opere loro - Molti si, sono adoperati di satisfare a questo desiderio, o di tut- ti ragionando in generale , o d’ alcuni soltanto. Benchè però in tanti eruditi scritti di questo argomento , e nella Biblioteca greca del Fabricio principalmente si abbia gran parte de’ ma- teriali per fare una vera storia. della greca letteratura, ciò non ostante questa si desidera tuttavia, che degli scrittori di- ca ciò che è più necessario od utile, e poi sia sollecita d’in- dagare le vicende e le cause de’ progressi e del decadimento 19 delle scienze e delle lettere nelle. diverse loro parti. Il signor F. Shoell dopo ayer dato grandi testimonianze del suo. molto sapere nelle cose. diplomatiche , nel letterario sno ozio ha tes- suto in francese l’opera, di cui, ho annunziata la traduzione. Es- sa. a dir vero è una biblioteca degli scrittori, più presto che una storia, ma non per questo. è meno utile. Imperciocchè, oltre al vantaggio, che ancora da questo genere d’ opere si ritrae grandissimo , un altro ve n° ha tutto proprio della pre- sente , ed è che l’autore si è giovato di parecchi libri tede- schi pubblicati, non son molti anni; che. spargono molta luce su yari punti della greca storia letteraria. Per la qual cosa dobbiamo saper grado al signor Emilio Tipaldo , che 1’ ha re- cata nel nostro volgare. E molto più vuolsi rendergli grazie della sua fatica, perchè |’ ha arricchita di copiose annotazioni piene d’ utile erudizione e di savia critica , nelle quali, ove l’oecasione gli si è offerta, difende o ricorda gli scrittori ita. liani, spesso dagli stranieri dimenticati o accusati, L’ A. ha scelto sei epoche , che sono le seguenti. I. Tem- po anteriore alla guerra , che chiama tempo favoloso , e per questo appunto pare che dovesse trascurarsi in un libro stori- co. II. Fino all’anno 594. av. G.C. in cui Solone diede le leg- gi ad Atene. Questo periodo è tutto poetico. III. Fino al tem- po in cui Alessandro salì sul trono di Macedonia anno 336. IV. Fino all’anno 146, in cui venne la Grecia sotto il domidio de'Ro- mani. V. Fino al 306 dell’era volgare, in cui Costantino trasferì a Bizanzio la sede principale dell'impero. VI. Fino al 1453, in cui Costantinopoli fu presa dai Turchi, Io fo plauso alla scelta di queste epoche, imperciocchè in ciascheduna gli avvenimenti politici im- primono alla letteratura una qualità propria in quel periodo di tem- po. Esposte così le sei epoche , dà il catalogo delle molte col- lezioni d’ autori greci, al quale si possono aggiugnere i gram- matici stampati dall’ Ermanno col suo libro de emendanda ra- tione grammaticae graecac, Dracone de metris e Tzetze exege- sis in IHiadem dallo stesso Hermanno pubblicati, gli scrittori de’dialetti uniti a Gregorio Corintio di Lipsia del :8t1, i gram. matici aggiunti dal Valckenaer al- suo Aftonio , la tetralogia di tragedie del Burgess, l’ Antologia dello Jacobs, |’ E pitteto| cogli altri filosofi di quella scuola dello Schweigeuser, il dizionario medico d’Enrico Stefano stampato il 1564. in 8., alcuni cata- loghi di manoscritti greci e particolarmente quello della Lau. renziana del canonico Bandini, e la Biblioteca coisliniana del P. Montfaucon , ed altri se ne potrebbono aggiugnere, 20 Comincia ogni epoca con un breve cenno storico della Grecià ìn quello spazio, il che è ottimo divisamento . Ma siccome la prima epoca appartiene ai tempi favolosi, perciò l’ antore ha dovuto trattare cose oscure tanto che non potranno mai defi- nirsi. Tali sono gli avvenimenti de’ Pelasgi, d’ Inaco, di Gadmo, di Danaào , e d'altri. Nè vorrei pure sentirmi narrare in una storia, che Apollo fu esiliato dal cielo , che Lino era figlio di ùna Masa e d’Apollo p. 34. nè di Tamiri che disfidò le Mu- se, p. 37. nè di Museo figlio della Luna p. 50. nè delle Si- bille p. 53, nè di tutti gli altri favolosi scrittori, che si pre- tende essere vissuti prima della guerra di ‘Troja , e che occu- pano tutto il capo secondo. Le opere loro sono imposture d’ età più recenti, e doveasi tenerne discorso a quelle epoche, nelle quali può credersi, che fossero fatte. La storia della greca letteratura comincia da Omero, cioè dalla seconda epoca. Fu- rono certamente prima di lui altri poeti, chè non può l’arte poetica esser nata così perfetta quale in lui si vede, come ‘di- cono che Minerva nascesse dalla testa di Giove; ma il tempo ne ha involate le rimembranze , e fino la speranza di saper- ne qualche cosa. La seconda parte del primo tomo ci dà la seconda epoca hel terzo libro. Si parla brevemente dell’invasione degli Eracli- di, delle colonie greche stabilite sulle spiagge dell'Asia ed in Sicilia, e dell’ origine della Magna Grecia, la quale però si na- sconde fra le tenebre de’ tempi favolosi. Accenna altresì l'origine de’ dialetti, i quali vuole , che da prima fossero l’ eolico e l’ ionico , che dal primo #enisse il dorico e dal secondo l’ attico, e questi poi si suddividessero in molti rami. Dice che a poco a poco gli scrittori ateniesi leva- rono tanto grido , che tutti vollero usar |’ attico: se non che ognuno v’ introdusse le forme del proprio dialetto , che gli era più familiare ; e quindi sorse un nuovo dialetto chiamato elle- nico dai grammatici più recenti, e l’attico allora si disse anche comune. Per poco però che si svolgano gli autori dell’ Attide, come Meride e Tommaso Maestro , e i greci lessicografi si ve- drà , che l’ellenico dicevasi comune non l’ attico. Nè pure cre- do vera l’origine del dialetto ellenico da lui proposta; quantan- que il difetto di documenti non mi permetta d’addurne una più probabile. Se la sua opinion fosse vera le forme del dialetto el- lenico sarebbono o eoliche, o doriche, o ioniche ; e non sono - Anzi non vi sarebbe un dialetto ellenico, cioè comune, ma sa- rebbero diversi misti d’ attico coll’ eolico negli scrittori eolj, 21 eol dorico ne’ dorj , coll’ ionico negl’ ionj. Se il nostro autore si fosse richiamato alla mente quello anche solo, che dice lo Stur- zio nell’ introduzione al Maittaire de dialectis p, XXXIII. e seg. avrebbe , siccome credo, cambiato avviso. Lasciamo però sì fat- ta questione, ed anche 1’ autore poteva lasciarla, che oscura è troppo, e troppo remota relazione ha colla vera storia letteraria, Per la stessa ragione poteva tralasciare l’altra ancora non meno oscura su l’ origine del greco alfabeto, di che fa non breve discorso. Le opinioni sono divise su questo. Vogliono al- cuni, che i Pelasgi introducessero in Grecia l’ arte di scrivere, altri ne danno la gloria a Cadmo , altri dicono , che i Greci ricevuto l’ alfabeto da’ Pelasgi n’ ebbero poi, un altro da Cadmo o dai Fenicj, e al signor Tipaldo p. 181. piace sopra tutte nesta sentenza. Io però son d’ opinione ch’essi avessero un solo alfabeto, e l'avessero da’ Fenici, di che é da veder- si una lunga annotazione aggiunta dal P. Fabricy in una sua Diatriba (1). Credo, che ciò possa provarsi con niolta forza, benchè con minor numero di parole; ma mi converrebbe de- viare alquanto dal mio sentiero, Ne parlerò forse in altra più acconcia occasione. Pretende l’autore, che da prima si seri- vessero sal marmo. gli atti dell’ autorità ( vorrà dire le leg- gi), ma le produzioni dell’ ingegno si conservassero a memo, ria'(p. 22.): nè vera per lui altra maniera di scrivere, che su i marmi o su i metalli; imperciocchè appena si sapeva mal digrossare le pelli, le djftere d’ Erodoto, e la carta di papira non era inventata in Egitto, o se pur era, non v’avea com- mercio fra la Grecia e l'Egitto (.p. 28. ). Così avyisa anche il signor Wolf ne’ prolegomeni omerici. Ma se si concede , che vi furono iscrizioni incise sul. marmo, si concederà ugualmente , ‘che quelle iscrizioni si fecero, perchè il popolo LI leggesse . Dunque il. popolo sapeva’ leggere, Dangas verano altre ma- terie, su le quali si scriveva ; chè non .s’ impara a leggere su poche e brevi iscrizioni. Chi portò in Grecia |’ arte di scri- were è da credersi, chie, oltre gli strumenti, necessarj procaccias- se ancora la materia su cui scrivere . ‘Tali sono le pelli ben- chè mal digrossate., le. sottili tavole incerate , le foglie di pal- ma, e la carta di papiro. Che. se la Grecia non aveva com- mercio coll’ Egitto , la Fenicia l’avea con ambedue; ed. i mer- (1) E aggiunta allo specimen variarum lectionum sacri textus, et chaldaica Esthevis additamenta del sig. ab. De Rossi. V. ivi p. 311,—346. 52 ‘catanti’ Fenic], che andavano fino alle coste della Spagna 5 por {e Vano | portare ai Greci ‘carta di papiro . ix ioì © "Parla poi l’autore del'numero delle antiche lettere; e del pe di scrivere da destra ‘a sinistra , come gli. orientali fanno ,, 0 ‘Una linéa ‘in questo modo, e l’altra» da sinistra .a destra, sem- pre alternando, il che dicono. scrivere bustrophedon., e final. ‘mente ricorda le ‘più antiche greche iscrizioni, che, sono; note. ‘Celebri priùcipalmente son quelle, delle quali il Fonrmont, por tò copia di Grecia in Francia. H ‘Knight e l’Aberdeen.(2),gi ‘adoperarono di provare , che queste sono; una.mera impostura, ma all’ accusa loro rispose. il signor Raoul Rochette con una “lettera (3) che il’ nostro ‘autore chiama capo-lavoro di, dialetti- ‘ca e ‘d’'erudizione. ‘Se è così ( non ‘avendo vio veduta questa ‘Tettera ) dirò ch’ egli ha riserbatò ‘per lei tutto il ‘tesoro; della sua ‘dialettica , della quite non vedo gran traccia in qualche altrà cosa sua. Certò ‘è però che non è giunto a persuadere .il Knight (4). E sol che si ‘guardi la «forma degli scudi. votivi, ne’ Toti è sono alcune di queste iscrizioni, ‘si. vedrà. una strana foggia di scudi, di cui non è esempio in: tutta «l’antichità, con certe curve ‘fuor d’ ogni ragione ora salienti ora rientranti, ehe ai giorni del Fourmont avevan plauso nell’ architettura; nei mobili , negli ornati d’ ogni maniera. Il \Fourmont dalla, Gre- scia dando coriPezia al Ministro Maurepas delle pretese iscrizio- nì scoperte, gli ‘scriveva d’avere spezzati i marmi dove erano scolpiti. Questo fatto ‘( dice il nostro ‘autore ) è provato dal carteggio di''Fourmont col conte di Maurepas, che si conserua originale, ed in cui egli isi vanta della‘sua impresa. Secondo Dodwell, non s'è ancora perduta’ in ‘Grecia la rimembranza di questo Milotd Francese, il quale faceva a colpi di mar- tello spezzare ‘le inscrizioni , che ‘gli’ erano ‘state mostrate»: Jl viaggiatore inglese ‘ha veduto grandi pezzi di marmo coperti d’ ihserizioni Smatilzre: Queste ragioni. sono forse prese. dalla ‘hiaravigliosa dialettica del sig. Raoul Rochette; la quale però fa quì povera mostra di sè. Ognun vede, che la testimonianza ©) Knights An Analytical Essay on the Greckalphabet. Landed) 1995, in 4. Si veda a cv Ue segg. Aberdeen, Th. Walpoles, Memoirs relating to Europednand Hsiatik Turkey. p.. 446. e segg. (3) Raoul Rochette, Lettres à Milord Aberdeen sur l'authenticité des inscriptions de Fourmont , à Paris 1819. in 4. (4) Si veda il'suo Omero stampato a Londra vil 1820, a ps ‘107, e nelle note all’ Odissea Nb; 19. v. 176. 23 dell’accusato Fourmont non ha alcuna autorità . Al viaggiatore Dodwell poi oppongo il viaggiatore Stuart. Dice il Knight a carte 212. dell’opera. allegata, che lo Stuart, il quale aveva seguitato il Fourmont, gli avt:va, detto, che questi, raccolta quanta gente potè, (fece spezzare, i marmi delle iscrizioni sco- perte non da lui, ma da;quelli che, l’ avevan preceduto. Son forse questi i marmi infranti, di cui più tardi sentì parlare, o .li vide il Dodwell. Alquanto. severo mi. son mostrato fin quì verso il signore Schoell. Mal però si apporrebbe chi. per, questa. mia severità reputasse | poco felice l’ opera; sua... Entrando egli adesso nel suo vero argomento mi'offre l'occasione di, mutar, linguaggio. La vera storia letteraria. della Grecia, comincia, da. Omero. Al- cuni hanno. detto:, che Omero non fa mai. Altri concedono che fosse, ma dicono , che non sapeva scrivere. E. sono no- mini dottissimi, che abusando la critica credono e vogliono far credere sì fatte cose. Vogliono i primi, che alcuni poeti aves- ser composto ; de’ poemetti su gli avvenimenti della guerra tro- jana ; uno sopra; la.rissa insorta fra Achille ed Agamennone , un altro pel;noyero, delle greche navi, e. va dicendo: altri poi tardi raccogliesse que’ poemetti in un corpo.solo, che intitolò Iliade ,,adagiandovisi; essi per non, so qual prodigio egregiamen- te. sì per la condotta del tutto, delle parti.,, come per, l’ uni- formità, dello, stile, benchè, scritti fossero da diversi :poeti in luoghi.e tempi. diversi, e con diverso intendimento;. Creda pur queste , favole chi vuole , ma. non le. crede il nostro autore ,, nè il dotto suo. traduttore e comentatore, nè le. crederò io mai, Anzi il primo dice queste memorabili parole a_c. 75. Moi sia- mo vivamente sbigottiti di questo pirronismo,,.che vuole oggidì introdursi di soppiatto nelle scienze, e sovvertire, le. tradizioni letterarie, come: ha distrutto. la fede della religione , e tur- bato la felicità d’ un’ epoca in cui la Providenza n° ha con- dannato .a..vivere. Non meno strana, è l’ altra favola nè priva meno (d'ogni probabilità , che Omero non sapesse scrivere: se un poeta giunge a così alto segno d’ eccellenza nella sua arte, dee. necessariamente aver trovata schiusa la. via da altri che l'abbiano preceduto : deve lnektre ayer molto faticato. meditan- do..e. correggendo . Sepe stylum vertas, iterum quae digna legi sint, scriplturus dico. .Orazio ..(5). Ma questo non si, fa, nè può farsi se non si scrive. n (5) Lib. 1, Sat. 10. v. q2. 24 Omero visse intorno al goo. prima della nostra era, come si raccoglie da Erodoto. Ora sono alcuni filologi, che credono sapere le cose antiche meglio d’ Erodoto, e pongono Omero nel- l’undecimo secolo prima di Gesù Cristo , o forse anche nel duodecimo. È fra questi il nostro autore , docile spesso agli al- trui divisamenti. Gli si oppone però il dotto editore } che a gran ragione a mio giudizio non: vuole scostarsi dall’ opinione d’Erodoto. Egli si oppone ancora all’altta sentenza d’alcuni moderni Seoonivita dal signore Schoell che |’ Iliade ‘e 1’ Odissea sieno di due diversi autori, e cita oltre Erodoto Platone Ari stotele Dionisio d’Alicarnasso e Longino, anzi tutta |’ antichi- tà. Ma ora usano alcuni di prestar fede a leggiere congetture più che alle antiche testimonianze : e ciò si chiama filosofia . Si parla altresì del dubbio promosso da Aristofane Bizantino, e senza più adottato da alcuni moderni, che l’ ultimo libro dell’ Odissea e parte del precedente sieno aggiunte d’altri; si parla delle varie edizioni de’due poemi fatte anticamente , delle quali cose non terrò qui discorso, avendone già favellato in questo stesso Giornale nell’annunziare l'Omero del Knight. Quin- di si accennano le varie vite di lui compilate dagli antichi, gli scolj, le questioni, il lessico d’ Apollonio, le parafrasi, e quanto si è fatto dai Greci per illustrare 1’ Iliade ‘e’ 1’ Odissea* Passa pòi a discorrere dell’ altre opere, cominciando dagl’inni. Negano i moderni, che questi sieno d’ Omero, quantanque li credano antichi molto. Il nostro Autore sarebbe poco propenso a questa sentenza, se non che gli fa non piccola forza 1’ 0s- servazione dell’ Hermanno , che l’iato , il quale {requentissimo è ne’ due poemi, molto più raro è negl’ inni,. Si moverano ancora l’ impressioni meritevoli di ricordanza, il che si fa as- sai minutamente e con diligenza , se non che quella celebre d’Antonio Blado per errore tipografico dicesi fatta a Rennes, e dovea dirsi a Roma, e aggiugnersi, che ha i grandi comenti d’ Eustazio. Chi volesse una critica notizia di queste edizioni potrà vedere i prolegomeni dell’Heyne, che ‘sono uniti all’Iliade da lui pubblicata il 1802 a Lipsia . De’ poeti ciclici avea l’autore dato un cenno prima di par: lare d’ Omero, ma dopo ne dà il catalogo, e quindi: passa a parlare d’ Esiodo, del quale parimente si descrivono le ope- re e le migliori edizioni. Il suo poema dell’opere e dei giorni & una delle più interessanti produzioni letterarie dell’ antichi- tà, perchè ci presenta il prospetto dello stato della società nella Grecia in tempi antichissimi, Nè meno ‘interessante è 25 la Teogonia , in cui si vede riunita tutta la tradizione mito- logica de’ suoi giorni. Dopo Esiodo viene Epimenide Cretese, cui si attribuiscono due poemi , uno sulla spedizione degli Ar- gonauti , e l’altro sull’ origine de’ Cureti e de’ Coribanti col titolo di Teogonia di Creta. Succede poi l’origine della poesia elegiaca , lirica ed erotica. Ma di Callinico, Tirteo, Mimner- mo, Terpandro, Clitagora, Telamone, Ibria, Arifrone, Timo- creonte , Talete di Creta, Dionisodoto, Archiloco, Alemane , Alceo, Saffo, Arione, Simonide, che in questi generi si se- gnalarono , non abbiamo che alcuni fraramenti, e di pochi po- chissime cose. Cresceva intanto la civiltà della Grecia, e le varie repub- bliche, che si reggevano per via di costumanze e di tradizio- ni cominciarono a conoscere la necessità d’avere leggi scrit- te. Dracone fu il pritno , che dettò leggi ad Atene, ma fu- rono leggi di sangue; Taleuco le diede ai Locresi Epizefiri , e Caironda ai Catanesi. Ma miglior legislatore fu Solone, che abrogate le troppo severe leggi di Dracone altre nuove ne diede ad Atene. Da ‘lui ‘comincia un’altra epoca pel nostro ‘autore. Ecco l’età , in cui la Grecia in guerra e in pace, nelle arti del disegno e nelle lettere salì ERRANTE a tanto splen- dore ; che si fece’ maestra delle altre culte nazioni, nè ces- serà d'essere finchè non torni ad opprimerle la barbarie . Di- visa in molte piccole repubbliche aveva un seme interno di vi- cendevole gelosia e discordia; ma l’institazione de’ giochi olim- pici e del collegio degli Anfizioni riparò questo male per lun- go tempo. Finchè i ‘costumi non furono al tutto guasti potè Atehe or sola, ‘ora vnita a Sparta, ‘e con picciol numero d’al- Jeati respingere 1’ innumerabile oste del re di Persia chiamato ‘il’ gran re. L’ambizione e la gelosia destò la guerra del Pe- loponneso , la sociale; e la sacra o' Focese, e i corrotti co- stumi fecero accusare calunniare e punire i migliori cittadini, é più utili, e apriron la via all'oro di Filippo e alla rovina della nazione. In questa età l’ eccellenza e il molto numero degli attici scrittori diedero tale splendore al loro dialetto, che se ‘mon divenne Za lingua classica di tutte l’opere di ‘prosa, come dice l’autore, almeno all’ epoca susseguente queste a poco a poco ne furono , dirò così , «colorate , talchè in esse non si scorge che l’ attico e la lingua comune. Il nostro autore dopo aver noverate le iscrizioni; che ci rimangono di questa età, passa a parlar de’ pocti, cominciando 26 dai gnomici, o. scrittori di sentenze morali. Il gran legislatore Solone fa anche poeta , ed è il primo che ci si offre in que- sta classe. Lo seguono Teognide , Focilide ,, Senofane , Pitta- gora ; ed altri. I versi però attribuiti a Pittagora sono spu- rj, e forse quelli ancor di Focilide : e il. poema di 'Teognide pare che da altra mano stato sia alterato .. L’elegia ilize a Solone ed a Teognide vanta due Simonidi, Antimaco ed Er- mesianatte : la didascalica Senofane Parmenide ed. Empedocle : la favola il solo Esopo, che non dee però fra i poeti essere collocato. Anche Esiodo scrisse una: favola, due Archiloco., ed una Stesicoro : ma queste son così poche che non possono me- ritare ai loro ‘autori il nome di scrittori di. favole. Ma quanto alla favola di Stesicoro sarebbe stato. opportuno che alla ci- tazione di Conone avesse aggiunto quell’altresì d’Aristotele nella Rettorica lib. 2. cap. 20. scrittor più antico e più autorevole. Parlando d’ Esopo dice il signore Schoell: il. Coray ha resti- tuito la forma metrica alle favole, di Babrio,, le quali il bi- bliotecario di Fiorenza avea stimate scritte in prosa. Mi fa gran ,maraviglia che dica, ciò. uno storico della greca lettera- tura P. II. vol. I. p. 55. Tutti sanno, che Babrio ha scritto le. sue favole in versi. Tutti sanno che alcune favole di Ba- brio furono ridotte da altri in prosa più diffasamente., Que- ste, cose son note, Zippis et tonsoribus,, non. che al dotto bi- bliotecario. di Firenze. Questi avendo intrapreso di raccogliere le favole. esopiche , cioè, d’Esopo o a foggia di quelle ‘d’ Eso- po; non doveva escludere quelle che prese erano da Babrio, e ridotte. diffasamente, in prosa. Così ha. fatto secondo il. sno in- stituto., e le ha giudicate scritte in prosa, perchè tali le_ giadi- ca chiunque sa. distinguere la, prosa dai versi, Io. non ho ve- duta. l’ impressione .del dotto, Coray,, ma forse non avrà fatto che (aggiugnere le favole originali di Babrio , e ROtaxA farlo ,,se così igli piaceva , ma, non, era richiesto. i A segno molto più sublime. di gloria pra ci ‘n 1 porti liri- ci Il nostro autore. ha; voluto \indicare le,.varie. specie della poesia lirica greca, e il diligente editore è stato sollecito d’emen- dare alcuni.|degli errori ne) quali è caduto. I principali; poe- ti di questogevere ; di \cui l’ autore fa, ricordanza,, sono Ste- sicoro, Jbicoy Erode, Ipponatte,,. Laso,,, Ananio,, Pratina, Pin- daro, il. suo; rivale: Bacchilide,, Asclepiade , Glicone ,, Faleco , Callistrato , Melanippide,,, Timoteo; Teleste,. Filosseno, Erinna , Melinno,, Mirtidel, Gorinna, che, potè ;vincer Pindaro,, Telesil- la , Prasilla ,jeo da, sventurata Saffo. A: questi, non, so. perchè, sa) l’A'atore. aggiunge Zoroastro, che Greco non era nè poeta, e solo in altra più tarda età poche sue cose furono o comentate o tra- dotte 0 finte dai Greci. Il tempo, cui Pindaro chiama padre di tutto, è anche distruggitore di tutto, e pochissimi. ha risparmiati di questi poeti: due odi di Saffo, una d’Erinna, un inno di Bacchilide, qualche epigramma e, molti frammenti, miseri avvanzi di gran rovina... Il nostro autore cita ancora un ditirambo di Bacchilide; ma.ciò è falso : anzi niuno intiero ditirambo abbiamo né di lui, nè d'altri, Anacreonte e Pindaro soli hanno avuto il tempo meno inimico, quantunque anche di loro siasi perduto molto. Una bella vita d’Anacreonte ha scritta il signor Mustoxidi. Mol - to egli scrisse e di molti generi, ma ciò che ci è rimasto, e che «gli ha, dato maggior fama sono i suoi scherzi, da’ quali fra noi ‘hanno (preso il nome le canzonette anacreontiche. Fra i versi però, che portano in fronte il suo nome, parecchi ve n’ ha che certamente non sono suoi. Se altro non li accusasse come spu- ri,.li accuserebbe la misura de’ versi talvolta errata. Molto scrisse anche Pindaro; ma solo n’ abbiamo le odi pe’ vincitori de’ gio- chi olimpici, pizi, nemei, ed istmi, oltre a gran numero di frammenti . De’ pregi di questi due poeti non farò, parola, chè sono abbastanza noti. Dirò più tosto della cupidigia del danaro, idi che viene accusato Pindaro da alcuni. Pare che non alieno sia pure il nostro, autore dal dargli questa taccia, ma l’ editore lo difende. La frequente lode ch'egli dà alle ricchezze è il prin- cipal fondamento di sì fatta accusa, Ove però si consideri, che grandi spese erano ai giochi necessarie, e che per questo ap- spunto sei. le commenda, caderà.a terra quell’ accusa . Non,minore celebrità dell’ epica e della lirica ebbe la poe- ssia teatrale,, alla. quale passa, ora l’ autore. ‘Troppo lungo di- scorso dovrei fare se lo seguitassi accennando gli umili principj della; medesima. Nè parlerò pure di Tespi, di Frinico , e di -Cherilo.. La gloria della. Grecia. per la tragedia, sta tutta in Eschilo., Sofocle.;.ed Euripide, de’ quali dirò con quella bre- vità ,\.che potrò maggiore. 7 vero padre della tragedia, quello Che! primo le diede una forma regolare fu Eschilo, come dice "al; nostro autore .. Ciò è vero, ma era opportuno di spiegarlo i alquanto più, Eschilo è il vero padre della tragedia, perchè intro- :dusse il secondo attore, come dice Aristotele nella Poetica cap. 5. ne;Laerzio lib. 3. paragr. 36. Come ciò debba intendersi, e come per ‘questo appunto debba dirsi, che da lui ebbe origine la trage- ‘dia, mi, sono adoperato di mostrarlo in una dissertazione , che è negli atti dell’ accademia lucchese : che se in alcuna cosa di 28 minor conto par che da me dissenta il signore Salvator Bet- ti, homo in omni iuditio elegantissimus, come d’Attico dicea Cicerone , la diversità delle opinioni può agevolmente conciliar- si. Sofocle introdusse il terzo attore a far dialogo, e condusse la tragedia al grado della perfezione . Cicerone lo chiamò doctis- simum hominem, poetam quidem divinum ,de Div. lib. 1. c. 25. Tutte le tragedie di Sofocle sono bellissime , ma î due Edipi sono maravigliosi. Le 'Trachinie non hanno avuto la fortuna di piacere al sig. Schlegel , talchè vorrebbe pure che gli fosse permesso di crederla opera altrui, Io però metterò questa con alcune altre singolari sentenze, che non sono rare in questo scrittore , Euripide parmi che debba cedere la palma agli al- tri due, ed Aristotele condanna l’ economia ossia il disegno delle sue tragedie; ma uopo è confessare, che ne’ teneri affetti egli è grande. Il suo stile è piano e facile, in Eschilo è li- rico, e non di rado turgido, e in Sofocle è magnifico. D’Eschi- lo abbiamo sette tragedie , altrettante di Sofocle , e. diciotto d’ Euripide secondo il nostro autore, ma deesi aggiugnere la diciannovesima da lui dimenticata , cioè il Ciclope tolto dal- 1’ Odissea . Ciascuno però ne fece molte più , delle quali pos- sono vedersi i titoli presso il Fabricio, se pure essi fecero ve- ramente tutte quelle che sono loro attribuite. A mostrar poi quanto si tenessero in pregio questi tre poeti basti il dire, che per legge dall’ oratore Licurgo proposta, un’accurata copia delle tragedie loro tenevasi nell’ archivio d’Atene , ed un ‘pubblico scriba ne avea la custodia. Tolomeo terzo Re d’ Egitto ‘ebbe voglia d’averla, per confrontarla, diceva co’suoi esemplari je correggerli . L’ ottenne quel Re dagli Ateniesi, avendo lor dato per malleveria quindici talenti: ma poi, reputando bene. spesa fa gran somma di quindici talenti per sì prezioso esemplare, in vece di questo rimandò loro una copia. Di questi poeti, co- me degli altri, accenna l’autore le principali e più utili \edi- zioni. Intorno a ciò aggiugnerò poche parole per due:edizioni d'Euripide, cioè per quella fattà a Padova dal P. Michelangelo Carmeli, e per quella di Glascow e Londra del 1821 Della prima parla con gran disprezzo } forse nòn avendola’ nè pur Vista: ma l’egregio editore è stato sollecito: d’ accennarne: i pregj ; chè ne ha parecchi. Dell’ altra edizione ‘poi dirò che alle molte qualità sue pregevelissime si vede ‘unito an gran difetto; ed è la stucchevole ripetizione delle stesse cose più e più volte . Chianque la possede ‘deve aver ciò ‘ osservato con isdegno, e confesserà che tolte quelle tante ripetizioni si sareb- 29 ie diminuita l’edizione forse d’ an paio di volumi; con buon risparmio di danaro pe’ compratori; e di tempo pe’ lettori. Ma basti di questi poeti tragici, i quali portarono la greca tra- gedia al più altu segno di gloria. Dopo di loro però essa de- cadde alquanto , talchè dei successori nulla ci è rimasto fuor- chè pochi frammenti e parecchi nomi. Alcuni di questi ne ri- corda l’ autore, e chi più ne vuole ricorra al Fabricio . Dovrei parlare adesso della commedia per compiere ciò che spetta al teatro; ma il volume , in cui l’autore dee ra- gionarne , non mi è fin quì arrivato. Chiuderò pertanto questo articolo dicendo, che l’ opera è degna di lode, perchè ci dà sufficiente contezza de’greci scrittori, e delle edizioni loro più pregevoli. Ma gran parte di questa lode vuolsi dare al signor Emilio Tipaldo, il quale, fornito essendo di molta dottrina e di fine criterio, ne ha corretti igli errori e molte opportune erudizioni vi ha aggiunte. CESARE LUCCHESINI. Carteggio inedito di BARTOLOMMEO LORENZI. Mentre si prepara in Venezia un’edizione delle opere del Lorenzi, di cui l’epistolario formerà il complemento, ci viene sotto gli occhi il manoscritto originale d’una parte dell’ epi- stolario medesimo , posseduta da un colto concittadino dell’au- tore e da lui destinata a quell’edizione. Piacerà sicuramente a chi coltiva gli studi che il Lorenzi coltivò l’averne ‘un saggio anticipato, e poichè la gentilezza del possessore ce lo permette, noi qui volentieri il daremo, così ad altrui che a nostra sodi- sfazione. Ci ricreano l’animo le parole di un uomo buono anzi innocente; 11 cui gusto è schietto come è schietta la vita, e le cui occupazioni sono un'immagine di quella quiete operosa , in cui ci sembra che vada riposta l’umana felicità. Il conte Montanari, serivendone l'elogio, dopo averci par- lato della sua opera maggiore che tutti conoscono, ci vien di- cendo; “ Un altro poema ma più breve compose di latini esa- metri, il cui titolo è commentarium rusticum, ch’ egli non solo non pubblicò ma smarrì, perdita a noi’ più amara, perchè nessun’ altra poesia scritta in quella lingua egli ci ha lasciato e perchè qualche brano, che potei raccogliere dalle sue lette- re, abbastanza mostra che in questo poemetto di latinità ga- r*ggiava con quel Vanierio, cui vedemino aver egli superato 30 d’ imaginazione e di cuore nel più bello tra gli episodi ( suZ cappone che fa da chioccia ) della Coltivazione de’ monti. Indi reca alkquanti versi trovati in una lettera dell’autore ad un suo amico e discepolo, Francesco Bongiovanni, che veramente fanno desiderare i rimanenti, Or pochi altri di questi ecco ci si pre- sentano in altra lettera ad un suo concittadino, Pietro Albarelli, che trascriveremo con quel passo della lettera stessa, che li contiene. 3) Sono contento che vi sieno piaciati i miei versi latini. Questo è un lavoro che ho quasi compiuto così per uso mio col titolo di commentarium rusticum. E poichè vedete che ne ho fatto parte così per amicizia a quel giovinetto, non li cre- derete gran cosa. Fo quasi un esperimento di me medesimo per vedere se so più il latino e i numeri eroici. Se non che ne ho pur qualche tratto che mi lusinga di potermi lasciare a dietro e Vanerio e Rapin, non solo per le materie che io spiego nuove e difficili, ma talvolta ancora per la precisione dello stile vibrato e presso. Ad ogni modo quando una tale oc- cupazione serve per divertirmi, se anco fosse un’insania, non vorrei che fosse levata. Vedete una di queste pazzie in quat- tro versi che ho scritti questa mattina (la lettera non ha data , ma è del tempo in cui il poeta per la seconda volta abitava Venezia cioè del 1778 0 79 ) sulla pastura e il covo delle galline. Sed quanta est vobis(sottintendesi spes) quae implumes matre fovetis Sollicita pullos, ovisque in vota creandis, Sufficitis rutilo gallinam saepe marito ? Jam siliquas orobi , atque urentem culta panicum, Et lolia et cyminum legistis, pabula natis, Grandis ubi in cana turgeret foctus arista . Sicca etiam furno farcit glans pinsita matres, Nec solos pavisse suos dedit utilis ilex. Nux absinthites est illis trita venenum, Alsine delicium , multiqgue oxocardia lactis Foeturae ovorum magis , et staphisagria juvit. Nune vorat incoctae pullus cum furfure betas Cyncramus , atque ebulos passim , malvasque salubres . Et pandam urticam , dentesque leonis amaros. Ergo agite; atque avium dum se grex fundit ab orbe Fimineo, et crebro resonant cava tecta pipatu , Me socium, etc.\ Questo suo raro valore nella poesia campestre accompa» gnavasi, com’ è noto, a moltissima scienza delle cose intor- no a cui la sua poesia si esercitava. E a tanta scienza , ch’ egli 31 doveva tutta a sè medesimo, si aggiugheva una gran pratica, la. quale gli abbelliva la sua solitudine e gli rendeva più agiata la vita. Sarà gradevole a questo proposito un passo d'una sua lettera (scritta di Venezia il 4 settembre 1779) ‘al mede- simo Albarelli, a cui sono mandati i versi. 3, Mi sono trovato un capitale di seicento ducati l’altro ieri, che non, sapeva di possedere, e questo ho scoperto nella le- zione dei libri di storia naturale di Plinio, e nella meditazione di alcuni principii chimici di Macquer; nè per metterlo a fratto mi costa altro che otto soldi di lettere inviate a mio fratello. Il primo capo appartiene alla cozione delle olive acerbe cadute per ruggine, per tempesta , per verme o altro vizio ; l’ altro alìa maniera di cauterizzare gli alcali vegetali e animali col capnumargo di cui ho delle miniere inesauribili. Non è novissima questa se- conda scoperta, come neppure la prima; ma nuovo è bene l’esame e ’l1 ragionamento e l’applicazione all'uso. mio. Non è stata fissata ancora la dose del combinamento delle polveri cal- cinose coll’ alcali. per ottenerne la debita saturazione. Nelle ope- re in grande basta ottenere una proporzionata prossimità per averne il profitto ch’ io mi sono proposto. Ma tosto verrò a capo anche della dose più esatta, osservando i metodi onde s’ot- tengono. colle terre assorbenti i tartari fusibili. Sono cose facilissime e della più chiara evidenza. Ho dovuto impararle da mia posta, non senza indegnazione contro i miei antichi mae- stri, 1 quali mentre mi faceano quistionare del vauco o delle curiose operazioni della luce, non m’insegnavano mai a gua- dagnar un soldo onoratamente a gloria di Dio ed a vantaggio del prossimo. Io non vorrei esser felice senza che voi godeste del mia felicità caro Pierino. Viviamo e speriamo. Se avvenga un di che possiate e vogliate passar un mese ‘nella mia villa e veder la ragione, la bellezza e il frutto dell’ opere mie, mi renderete ragione di quelle cure che io mi son preso, e degli studi che ho volto a stabilirmi un luogo, una vita e una ricreazione di quella sorte. Ora conservatemi l’ animo hen disposto a gradir- ne, finchè compiuta la vostra schiavitadine e il mio esilio possia- mo godere colla presenza il frutto di ciò, la di cui speranza sol ne conforta. ,, La sua villa, come già saprete, era Mazurega in Val Poli- sella, parte sì deliziosa dell’agro veronese. In essa aveva di continuo i suoi pensieri; ‘di essa parlava frequentemente nelle lettere agli amici; da essa, ‘come da cosa amatissima , riceveva anche lontano la sua m:ggior consolazione, 32 »» Sono ancora in Venezia (così a quel suo Albarelli il 27 settembre del 1778), nè se non dopo degli 8 .di ottobre si par- lerà di mutar soggiorno . Io sono peraltro indifferentissimo, La mia assiduità riscuote miglior testimonio sotto gli occhi di quel. li a cui serve, i quali lontano, stimandola anche molta, non la potrebbero imaginare quali sono costretti a vederla . Dall’ altra parte una campagna che non m’ appartiene non mi ricrea gran fatto. Un deserto di mia ragione mi sarebbe più caro che il ter- restre paradiso non mio, Io ho descritti a quest'ora tutti i la- vori autunnali e invernali, che debbono ristorare parte delle mie ‘colline. Ho alla vista presente ogn’ angolo di quelle balze , ne conosco le piagge, i terreni, i costumi, quai colti adottino, qua- li ricusino, come se fossi presente. Con poca spesa mi studio ogn’anno di ornar quel sito, ove medito di riposare i miei gior- ni e di chiuder la favola della vita. ,, Dalle quali parole non si argomentasse mai che il possesso d’u- na campagna più che la campagna per sè medesima gli stesse a cuore. Ma oltrechè noi amiamo particolarmente ciò che ne appar- tiene, come mai il buon Lorenzi avrebbe potuto godere di quello che chiamasi soggiorno di libertà, se la libertà gli era tolta? Nè si pensi ch’ egli nella campagna pregiasse più l’ utile che il dilet- tevole; ma poneva nell’ utile gran parte di diletto , seguen- do in ciò la natura, che all’ uno vuol che l’altro si accom- pagni. Del resto egli non bramava quest' utile soltanto per sè; ma dava consigli a quanti voleano riceverne, onde essi pure sel procacciassero , e ne prendeva diletto come del proprio. In una lettera, scritta da Venezia il 30 aprile del 1774 ad una no- bile fanciulla di casa Tamanini di Trento, egli aveva caldamen- te raccomandata a lei e a’suoi una copiosa piantagione di gelsi, calcolandone minutamente la spesa e il prodotto. La pianta- gione fu fatta ma con poco prosperi auspici, dacchè la man- canza di pioggie dava a temere che sarebbe fatta indarno. Alfine le pioggie vennero, i gelsi miser radice, cominciarono a promet- ter bene di sè medesimi, e la fanciulla si affrettò di dare così buona notizia al Lorenzi che n’era ansioso. Vedete con che tra- sporto questi le risponda in data dei 29 maggio dell'anno che si diceva pocanzi. ‘‘ Godo pure che i suoi gelsi sieno belli e frondosi, e mi par di vederli e abbracciarli e baciarli, tanta è la compia- cenza e sodisfazione che ne risento. Da me , via dagli uli- vi, de’ quali le scrissi, e pochi mori, seppi che non si pian- tò pure ana vite, per non gettare l’opra inutilmente e la spe- 33 sa. Vegga se la siccità era grande. Ci vuol pazienza : piantere- mo nel dechinar dell’ autunno con esito più felice. Intanto; quello che importa più e che più costa, i luoghi sono eccellen- temente apprestati. Non mi meraviglio pertanto di ciò che av- venne al mio sig. Giampietro. Credo ch’ egli soffrirà facilmente un tal dispiacere ,, come quello di non aver potuto. piantar le vi- ti che non sariano state meno di mille maglioli.. La piantagione de’ mori è più sicura; e mi piace ch’ ella pure convenga del- la loro utilità. ,, Aveva il nostro poeta agricoltore proposta alla . nobil fan- ciulla, quale occupazione gustosissima; l'educazione delle api. Nel- la lettera del zo aprile, che già si è citata, le avea scritto: <. ,» La ringrazio poi anche della prova incominciata di tenere api. Aspetto da Roma una forma d’ alveare ehe m’ ha promesso il principe Chigi, che ne avrà da ducento sulle foci del: Tevere, ed è dilettantissimo di questi studi. Quando l’ avrò, non man- cherò di comunicargliene la costruzione, o mandargliene qualche esempio indicando gli usi e le utilità. ,, Nella seguente le attiene la promessa con parole di pazien- tissimo maestro, alle quali non sembra mancare se non quella to- scana proprietà che l’autore per istudio non potè abbastanza ap- prendere , e che avrebbe facilissimamente acquistata , aggirando- si pel nostro contado. sì Vengo ora a dirle qualche cosa di quel che so intorno al- la forma e all’uso dell’alveare indicatole. Ne ho avuto a que - st’ ora un esempio in cartone da, Roma, procuratomi dal sig. principe Chigi. L’ ho veramente spedito a Verona al. fratello col le dovute istruzioni; ma non è cosa che io disperi di poterle de- scrivere colle parole, e con quattro segni malfatti in un foglio che quivi inchiudo. ,, Come questo foglio non s’ è qui rinvenuto , noi omettiamo la descrizione ,, che senza di esso non sarebbe facile ad inten- dersi. L' alveare ghigiano sembra avere qualche conformità con quelli di Palteau e di Massar, è forse egualmente economi co che quello di Boisjugan, e senz’ essere così ingegnoso com£ quelli di Biangy e di Ravenel, o come il recentissimo dell’ ame- ricano Black, può dirsi assai bene ideato. ,, « Le comodità, scrive il nostro Lorenzi, che presta questo alveare sono di poter aprire interamente la parte di tramontana e castrarlo, come dicono, levando con un coltello .in forma di ronca i favi, la cera e ’l mele acciocchè l’api tornino a fab- bricare . L'altra è che, quando si volesse vuotar tutto, sì pos- T. XIX. Agosto 3 34 i sono costringer l’api con un poco di fumo dalla parte di mez. zodì a passare a quella di tramontana , ove innestando un altro alveare vuoto si ricovrano, senza la crudele necessità di am- mazzarle, siccome s' usa. Non so , se quando uno sciame novel- lo è per partire, si potesse fire lo stesso innesto. d'un altro al- veare e pigliarlo tostu, senza aspettare che vada errando con pericolo, e con difficoltà di raccorio. Credo che sia anche a quest’ aso. Ma io ne ho sospirato sempre le prove , senza po- terle tentare ; e gli autori non me ne parlano con chiarezza. Mi raccomando alle sue sperienze. Questo posso affermare, che l’al- veare vuoto, che s’ accomoda a pigliar il fuggitivo sciame ( del che conviene star in attenzione e accomodar l’albergo prima che fuggano l’api novelle ) giova moltissimo che sia fregato con aglio e cipolla o altra erba forte e d’odore e di succo accerrimo, per allettarvi gli ospiti a far dimora; e ciò è meglio che un- gerlo di mele. Le altre operazioni , per raccor mele e purgar la cera, l’apprenderà da chiunque raccoglie di quest’ entrata , e son certo che la sua gentilezza le tratterà con maggior perfe- zione. Con tutto ciò, se di qualche cosa sarò richiesto ; lo avrò per un favore singolarissimo , e gliene dirò quel poco che ho potuto imparare . Si usa non privar gli alveari di mele inte- ramente acciocchè abbiano l’ api da vivere nell’ inverno ; ed è meglio in ciò essere più cortese, che non sono gli avari colti vatori di quest’armento , che per torgli troppo della sua provi- sione lo lasciano perire. V’ ha però un modo di preparargli una pastura di poca spesa , e di ria invenzione , che non vo- glio lasciare di suggerirle. Ora che i gelsi avranno le loro frut- te mature, ne faccia scuotere dolcemente in un lenzuclo da do- dici in quattordici libbre. Le faccia scottare nel forno , dopo che se n’è tratto il pane, stese sopra qualche tavola o gratic- cio: è quando sono raffreddate le meita in un vaso di terra forbito e senza odore, spargendole a suolo a suolo d’ un dito di farina di sorgo , che si conserveranno cento anni senza am- muffire\o inacidirsi. Avviso adesso , perchè non sarà tempo do- po. Nell’ inverno poi, che comincia in sal finir dell’ autunno, quando si veggono l’api a non voler più uscire al pascolo , e si fermano vicino a casa, ponga di questa conserva ( fatta mor- bida col bollire in pochissima acqua , tanto che resti come una polpa anzi tosta che molle di troppo ) in una scodella vicino al- l’ alveare, e vedrà che si coprirà d’api e si ristoreranno. Se ne può usare una libbra alla volta. Si può anche far bollire questa libbra di pastura ( ben pesta in prima ) in tre libbre di vi 35 acqua , e colandola metterla in un catino presso all’ alveare. Ma nel catino bisogna immergere una pezza di fanella o di panno bianco o di scarlatto, il quale galleggierà mezzo immerso nel- l’acqua, e farà sì che l’api non s’anneghino , mentre vanno pompando di quell’ umore. Mi sono inventato questo modo di pastura , perchè i miei cari signori Varrone e Plinio adopra- no dell’uva passa e dei fichi secchi, che non mi. comoda ‘di comperare . Bensì. non mi dispiacerebbe, ‘secondo loro , pre- parar in autunno del mosto d’uva ben siroppato ; da impa- star qualche pugno di farina gialla, in modo che nè fosse troppo liquida perchè non s’anneghino le api, ne’ troppo dura che non si potesse succiare; e invece di zucchero la spruzzerei di sale tan- to caro alle api, che iv son persuaso che là appunto onde . vie- ne maggior copia di cera , sabbia d’aver in considerazione la vicinanza de’ salsi umori, de’ quali sono sì amiche queste be- stie. Mi dirà forse ch'è pericolosa l'operazione di levar i favi ad un alveare pieno di api; ma si può scacciarle alla parte opposta con un poco di fumo , che le intorinentisce alcun poco ma non le uccide; si può vestirsi un buon paio di guanti, e aver una ma- schera cogli occhi di velo trasparente .. Ma non voglio dirle tut- to; perchè amo che le resti qualchè difficoltà, onde mi rinno- vi ‘il piacere di ricever sue lettere , ec. ,; Abbiamo recato a disegno questo passo intorno ad una ma- teria, ch’ era al Lorenzi meno familiare di molte altre, onde si argomenti qual fosse il suo genio per le cose campestri e quanti lumi possano aspettarsi dal suo carteggio. Son noti pa- recchi suoi scritti agrari; altri se ne faranno conoscere al pub- blico per mezzo dell’edizione completa delle sue opere ; e con- fermeranno la riputazione ch'ei s'era acquistata co’primi. Potreb- bero però dalle sue lettere, dettate con piena fiducia e quasi dissi con estro, uscir fuori più che da qualunque suo seritto meditato idee originali e suggerimenti inattesi. In una poco an- teriore a quella, di cui si è fatta pur dianzi così lunga cita- zione , ei dice alla nobil giovane : » Ho letto i giorni passati un trattato assai voluminoso ‘di monsieur Duhamei sopra i boschi. Ho imparato pochissi- me ‘cose ) perchè le altre sapea, e ne so anche qualcun’ al- tra che non ho letto. Ho notato poche cose delle importanti per farne argomento di lettera ai sig. Giampietro quando avrò ccecasione di scrivergli. Ho scritto anche un commentario in versi esametri latini per usò dimestico e con matematica cer- tezza che se alcuno mme lo trova su ’l tavolino in questo paese, 36 o mon. capirà niente de’ futti miei, che non amo di palesare. Fing®b in una disgressione , che il mio caro sig. Giampierino venga a trovarmi in campagna ; e gli dico ciò che troverà sulla carta che includo nella presente, e che mi farà grazia di consegnar- gli. Mì sono compiaciuto di saper ancora scrivere questa lingua numerata‘; e molto più del pensiero che mi scelsi a questo passo da esprimere. Sarà ciò se non altro un argomento del costante amor. mio, e che mi occupo dolcemente a pensare ad un amico sì caro ,, + Hl buon Lorenzi, che nell’ autunno del 1778 ne sapeva; in proposito di boschi, per lo meno quanto il Duhamel, e di tutto il resto, che riguarda la coltura de’ campi, dovea saperne in proporzione; quanto crediamo noi che avrà accresciuto il te- soro delle sue cognizioni negli anni successivi fino all’ inverno del 1822; in cui cessò di vivere? Scemato il fuoco giovanile che lo facea poeta , cessata per lui quasi ogni distrazione, ve- nuti in onore per tutto gli studi agrarj, fattasi dell’ applica- zione della chimica all’ agricoltura quasi una nuova scienza , parmi che le ultime lettere del Lorenzi debbano racchiudere, in proposito di ciò che ormai esclusivamente lo occupava, assai cose importanti . Fra queste lettere ci dice il suo elogista che ve n'erano di bellissime, le quali i suoi veronesi tutti erano avidi di leggere, per ristorarsi della sua assenza dalla città, e della privazione d’altre sue opere. Desideriamo di leggerle noi pure; massime dopo aver veduta questa cinquantina all’incirca, da cui abbiam cavato qualche saggio . Così, come le lettere, si fosse conservato il poema latino , di cui si fa nuovo cenno nell’ ultimo passo da noi citato! Questo passo è prezioso, e potrebbe servir di Amagtazione ad un altro del suo elogio, che vogliamo trascrivere. “ Il Lorenzi non. fu del certo privo di. amici; ma forse uno br è mancato, la cui intimità fosse la delizia della sua vita, o il cui gusto la perfezione delle sue opere. Tale mancanza parmi, che dallo stesso di lui poema traspiri, perchè esso tuttavia contiene di che esercitare un ami- co di gusto squisito, e perchè qualche amico di più; che le rupi e gli alberi, in esso vedrebbesi nominato , se stato fosse particolarmente intimo di qualcuno. ‘ Il poema latino abbel- lito com’ era di un caro nome e. riscaldato di un dolce affet- to sarebbe riescito a noi pure di dolce lettura . Tali ci riescono quasi tutte le sue lettere che abbiamo sott’ occhio , e specialmente quella alla nobil fanciulla che si diceva , e ch’ egli ci rappresenta come un modello di grazia e 37 di virtù. Pare ch’ei non le fosse tanto gradito precettore di cose agrarie , come di cose morali; e forse ei non cercava in- vaghirla dell’ agricoltura , che per mantenere in lei il gusto dell'innocenza. Recherò un tratto d’una saa lettera dei 4 ago- sto 1774, il quale farà pensare a molte cose , e porgerà idea del modo con cui egli sapea filosofare a penna corrente. « Passo a quel punto della sua lettera ove gentilmente si lagna ch’io abbia interrotte le mie lezioni. Veramente non so bene quando le abbia incominciate , poichè , se dissi pur qual- che cosa , si fù così di passaggio e tanto timidamente, ch’ella potea vedere quanto fossi lontano dall’ arrogarmi , e quanto ri- cusante per assumermi un tale ufficio. Confesso il vero, che avea preparato ultimamente una lettera sopra questo soggetto, la qual temendo di mandare a lei ho poi spedita al fratello, perchè ne facesse quell’ uso che gli paresse più conveniente, fidandomi più assai della di Ini prudenza che della mia, E chi sa che a lei non vengano da lui stesso, come mi accenna, non tanto le cose da me ascoltate una volta, quanto quelle che gli mandai da leggere ultimamente? Io sono contentissimo d’aver tenuto quest'arte che ha potuto forse giovare a due, e a mantenere la lode del rispetto che le professo, e quella ancora della volontà che ebbi sempre di servirla . Sebbene sa- yia necessario che ella mi prescrivesse il soggetto su di cui deb. bo scrivere, perchè non vagassi incerto nell’ampiezza degli ar- gomenti di questo genere, e allora potrei o mi studierei di scrivere più a proposito. Ora, parlando in generale se pur le piace , dirò, che non è sì meschina educazione, che non ba- sti ad un animo ingenuo siccome è il suo, e che non è stu- dio che non possa peggiorare uno spirito cattivo . L’ape ogni sugo converte in miele , il serpe anche i più dolci in veleno. Quante donne che sariano state l’ amore della società sono di- venute intollerabili per avere studiato? La ragione si è per- chè già non possono aver tempo di perfezionarsi , o loro manca spesso il talento, e diventano appena mediocri, cosa che basta per farle vane, non basta per farle saggie. Noi non cerchiamo let- tere quando andiamo a visitare una donna ..Se parlo di me, trovo che taluna che studiò pur qualche cosa mi dà molto da compatire, niente da ammirare, se non che l’imprudenza di voler con poche parole tolte ad imprestito da un poeta o da un romanzo gareg- giar meco di cognizioni in un genere, che è tutto, con sua buona pace, di mio diritto ,,. Studi solidi e ben fatti gioverebbero a. prevenire a que- 38 sto riguardo ogni ridicolezza, poichè non vi è nulla di più mo- desto che il vero sapere : e perchè il buon giudizio , perfezio- nato da tali studj, farebbe sentire in ogni cosa quella con- venienza e quella misura, che mai non si oltrepassa impune- mente. Lo stesso Lorenzi pare che così pensi, giacchè soggiunge indi a poco che fra le donne comunemente studiasi tutt’ altro che quello che converrebbe . Ma ascoltiamolo ove ci descrive una classe assai più numerosa , per cui sarebbe una lode an- che il rimprovero di studi vani. « La maggior parte (delle donne ) teme la solitudine più dell’ inferno, parendo loro che questa sia un giudizio che le con- danni o di bruttezza o di vecchiezza o di povertà. Per que- sto si antepone il partito più ricco al più virtuoso, perchè coi comodi della fortuna sperano di ricomperare i difetti della for- ma e dell'età. Ed ecco come si trovano in necessità di far le spese ai propri adulatori. Le più giovani e le più belle è quasi impossibile che abbiano un amico: hanno più spesso de- gli amanti che è bene una cosa assai differente , cioè invece d’un buon consigliere , d’ un estimatore della virtù, d’una per- sona onesta, lianno un giocatore, un ignorante, un’ effeminato, un libertino talvolta, e quasi tutti di tutt’ altro e di se stessi piuttosto che del vero merito innamorati. Tal fa pompa di sen- sibilità, ed è passione ; tal di delicatezza, ed è malattia ; tal di nobiltà, ed è arroganza; tal di conoscenza, ed è leggerezza . Non saria meglio mille volte esser sola, che vivere con una tal compagnia ? Eppure si teme di perderla, a costo di sofferire la più inutil gente e meschina; e tanta è la paura , che arriva a scusare i più gran difetti, ad interpretarli quasi virtù ..... Intanto gli uomini onesti, che sono in libertà, e che si trovano mal soddisfatti di vivere cogli stolti, le abbandonano, o si ve- dono rarissime volte , e così restano colla feccia dei più cattivi. Eppur si filosofa, e si studiano le leggi del vivere in compa- gnia , che sono l’arte d'ingannar molti e più d’ ogni altro se stesse . Poichè non sono mai riposate e contente . E così deve essere. Sono oziose e trattano oziosi, che non hanno altra pro- fessione che del far nulla Così si pesano adosso scambievolmen- te ( perchè non è cosa più pesante dell’ozio ) e per fuggir la fatica d’ un’ onesta occupazione incontrano quella di sopportarsi un l’altro che è la più insopportabile. Da questo avviene che i divertimenti, de’ quali formano una catena non mai interrotta, le affaticano anzichè sollevarle, ec ,,. Questo linguaggio è schietto più che elegante , ragionevole 39 più che ingegnoso. Ma la schiettezza e la ragionevolezza non sono un picciolo pregio ; e il Joro effetto sugli animi ben di- sposti è grandissimo . Alia persona, con cui Lorenzi lo usava, sembra che riuscisse molto persuasivo. Ella finì, non solo col- l’avere a noja tutto quello che è frivolo, ma quasi coll’avere pel ritiro e le occupazioni campestri |’ istesso gusto di chi la consi- gliava . i Fini « Oh quanto mi son compiaciuto ( leggiamo in una lettera senza data ) ascoltando come con più amico sguardo ella mira il soggiorno della campagna! Possibile ch'io abbia potuto con- tribuire a farle nascere in cuore un ta! sentimento? Lo debbo io credere ? O lo dice forse per lusingarmi? A dir vero io non ho mai parlato con lei di queste cose col pensiero di guadagnar la sua approvazione, né colla speranza che facessero quell’effet- to che dalle diverse idee delle donne non mi promisi giammai . Le dirò bene che se la cosa è così come mi scrive, io la stimo moltissimo , l’ ammiro , la ringrazio, e direi anche ( se non suonasse male agli orecchi d’un cattivo interprete ) le vo- glio più bene che non le ho voluto in vita mia. Ella mi per- doni. Sa quanto amo il mio caro Pierino. Ella incita col ge- nio docile e virtuoso i suoi studi: che posso io fare conside- rando ch’ ella ha in ciò anche un merito maggiore , e che le dee costar la vittoria di fortissimi pregiudici ? Io non conosco che due damine da poter paragonare con lei. Una è la con- tessa Francesca Rambaldi, moglie del colonnello Pompei, che ha imparato a ordinare qualunque agreste lavoro , e che po- trebbe comandare alla truppa di mille uomini tutte fe militari evoluzioni: l’altra la marchesa Eleonora Giona , nata contessa Emilj, che può montando a cavallo passeggiare i rivelini d’ una risaia , ordinarne gli inaffiamenti , disporne i quarti , reggerne i canali. Le quali signore io dirò che le ammiro ancor meno di lei, perché finalmente, avendo di che occuparsi, meglio possono ingannare il tempo , e cogliere maggior diletto. Per lei non è così. La sua ragionevolezza le dipinse inutili ed in- sipidi i costumi di chi vive in conversazione più numerosa ; e però solo al suo consiglio ella deve il piacere della sua pre- sente tranquillità. Or bene: ella è impegnata a mantenersi simile a se medesima. Io ardisco di proporgliene un modo, e sia di domandar conto al sig. Gio. Pietro di quel che fa. Voglio credere che ella si fidi di lui; che poco anche le im- porti di saper queste cose. Non serve: faccia a modo mio. Ciò servirà a rendere a lui care le sue occupazioni, vederi- 40 do che sono care ed importanti anche a lei. La cosa nom è indegna della sua: conoscenza . Chi sa che un. giorno non le dovesse importare ? Si faccia dar le mie lettere, che sono pieve di rustici ragionamenti. Sono scritte assai bene , sono chiare , sono dettate d’ uno stile che non l’è ignoto. Le cose non sono difficili. Non le manca nel fratello un interprete . Ma perchè questo? mi dirà. Perchè in tal modo , facendo un passeggio, le diventerà dilettevole , ed avrà quinci qualche di- fesa dall’ ozio, che fa noiosi i volgari divertimenti. La contes- sa Lavinia Pompei, or colla mia compagnia, or con quella del sig. Alessandro Guarienti, ha fatto un’ ampia cognizione di bo- tunica , per cui passando lungo una strada non è erba, non è fiore che non corosca per nome. Ed era pure un piacere, quando mi trovavo con lei, vederla farsi un mazzetto di per- sicarie, di sunchi, di millefogli, d’elleborine, di gallii, di dauchi, di geranj, e sfrondar qualche volta una saponacea, un siliquastro , un evonimo, un amorino, un ligustro e dirne ancora le qualità.... Non permetta che alcuno sappia queste cose di quelli che sono sciocchi; e so che così le terrà celate a molti. Io so che le devono costar pochissimo alcani momenti donati così di passaggio anche a questi pensieri, e so altresì che le saranno di una utilità, per accidente , grandissima ,). Questo scrivere, ci bisogna ripeterlo, è schietto ma negletto; e se non ci fosse di meglio nell’ epistolario, noi consiglierem- mo gli editori a non pubblicarne che quella parte, che abbia abbastanza pregio per l’importanza delle cose. Osserviamo però ( e ciò torna a vanto del cuore del Lorenzi ) che l’ affetto suol dargli e più eloquenza e più grazia a misura che in lui è più vivo , onde se si trovano le lettere al fratello della fanciulla, da lui sommamente amato , speriamo ch’ esse possano, essere assai buoni modelli nel loro genere. E perchè la nostra speran- za sembri fundata, veggansi ancora queste quattro righe che lo riguardano, e che caviamo dalla lettera, onde furono cavati po- canzi que’ ragionamenti morali . ,», Ho mille prove del molto amore ch’ ei mi porta ; non dovrei più temere che fosse per dimenticarsi di me: con tut- tociò mi raccomando anche a lei, acciocchè le scriva quel be- ne che può, se non altro dell'animo mio, e me lo tenga ami- co, poichè mi sento scoppiar il core di malinconia, quando penso talvolta che sarebbe di me, se il mio Pierino non vo- lesse più sapere de’ fatti miei. Ella non si meravigli di que- ste cose, e creda pure che non è inopia d'amici che mi ridu- 4i ca a queste paure .... Dirò come dicea quel francese : cento sono più belle di Giulietta, ma nessuna è come Giulietta. Così | è appunto di lui. Ei mi par così fatto secondo il mio cuore, e mi sembra così moderato per contentarsi di quel poco che io so- no, che amore da una parte e speranza dall’altra m’han tolto in mezzo , perch’ io non creda di poter essere felice a questo mondo , senza il piacere d’essergli amico ,,. Quest'ultimo periodo, espresso in bei versi nella Monteide, avrebbe prestato all’affettuoso elogista del poeta una citazione desi- derata, e a noi un piacere più caro di quelli che gusta il solo intelletto. i M. &WCeTT—TT.TTT---+-+=-===T TTT =53reEF_tte**:: Flora veronensis, quam in prodromum Florae Italiae se- ptemtrionalis exhibet CyRus PoLLINIUS. Veronae Tom. I. II. II. 1822. 1825. Mentre alcuni fra’ bottanici italiani ci vanno da più an- ni pascendo di lontane speranze di una lora italica, ecco condotta a fine, col terzo volume, dal sig. Dott. Pollini un’ opera, che sotto il modesto titolo di Flora Veronese, com- prende pressochè tutte le piante indigene dell’Italia setten- trionale. Nè si vuol punto misurare il pregio di questi lavo- ri dalla estensione delle provincie che ne fissarono i confini. Non avremo mai una Flora italiana completa , che dal con- corso di molti bottanici , ciascun de’ quali applicato a descri- vere e illustrare le piante de’ luoghi ch’ egli potrà a più ripre- se visitare, tatti insieme vengano .a fornirci i preziosi mate- riali di una tanta impresa. Saran questi per noi i veri autori della Flora italiana ; nè saprem mai confondere le loro origi- nali ricerche con i facili tentativi de’ loro compilatori. È vero bensì che queste flore parziali , ridotte le più volte a ripeterci i nomi di piante comuni a tutta Italia, a copiare da altri, cogli stessi difetti, le loro definizioni specifiche, ad applicarvi sinonimi già stati preparati e corretti, a darci in ultimo, dal canto loro nulla più che la notizia che la tale specie trovasi in luoghi ove strano sarebbe che la non vi fosse, sono puerili la- vori di nessun conto per la scienza. Ma ben lungi da questa censura è la Flora Veronese del Dot. Pollini, il quale ha real- mente renduto con essa alla Flora italiana un tributo degno del 42 suo ingegno , e di quella riputazione che per altre produzioni di bottanico argomento egli si è giustamente acquistato . Verona, ordinario soggiorno del Dot. Pollini, e quindi cen- tro delle sue peregrinazioni, ha dato il nome alla Fiora, benché i suoi confini siano di gran lunga più estesi della provincia Ve- ronese. Poichè tutto quel vasto piano inclinato che dal ciglio delle Alpi Retiche, protendendosi per le Noriche scoscende sulle pianure Lombardo-venete, e si distende fino alla sponda sinistra del Po, è stato il teatro delle ricerche dell’ autore . In quelle altissime vette nevose imminenti all’ Italia setten- trionale , nelle vaste selve che ne ingombrano il dorso, nella va- riata esposizione delle loro tortuose valli , sulle tiepide sponde de’ laghi che s’ internano tra le viscere di que’ monti, e negli aperti e limacciosi campi lombardi che ne faldano la base e fino al Po si distendono , quale varietà di temperatura , di esposizio- ne, di suolo, e quindi di sede non offre quella regione alla tanto varia indole delle piante ; e quale messe feconda di ri- cerche per l’ autore della Flora veronese! Fu saggio consiglio del Dott. Pollini di avere, per mezzo di osservazioni barometri - che, determinato l’ altezza sul pelo del mare di tutta quella schiera di monti; riesce quindi più cospicua la rapidità con cui discendendo da quelle alture cambia l’aspetto della vegetazione, che come è noto sta in corrispondenza coll’ altezza ; nel che siam d’ avviso aversi pure a tener conto di una temperatura, che direm permanente , particolare alla vasta valle del Po, chiusa a tramontana dalle Alpi, e a mezzodì dall’Appennino, per cui scendendo dalle montagne , all’ avvicinarsi della pianu- ra, la temperatura, come abbiam avuto più volte occasione di conoscere , cresce con legge più rapida assai, che non porte- rebbe il solo declivio. E se l’autore avesse fissato le altezze a cui le stesse specie discendendo in direzione opposta dalle Al- pi scompaiono, avrebbe verificato che assai prima van mancan- do dall» parte d’ Italia, che dal suo fianco settentrionale ; e si ba in questo un tratto caratteristico delle flore che regnano alle falde opposte delle Alpi. La stazione in altezza cui giungono diverse specie è un da- to fisso, come è la teinperatura assegnata a ciaschedun vivente per l’ esercizio della vita. Ma due cagioni principalmente per- turbano questa legge nelle piante . In primo luogo la diversa giacitura e conformazione de’ luoghi, di cui abbiamo poc’an- zi fatto parola ; e con questa cagione concorre la diversa natu- ra del suolo ; ossia che questo talvolta somministri maggior ca- 43 lore alla pianta, che in esso alligna ; ossia che per esserle più confacente e nutritivo , la pianta tragga da esso maggior forza e vigorìa per resistere all’ insulto di una temperatura più bassa. 4 più volte ci avvenne di osservare che alcune specie avvezze a tenersi in luoghi depressi e temperati , salivano ad altezze bd Binciderabil , in grazia del suolo, che senza interruzione dalle falde di un monte proseguiva ‘inalterato fino alla sua vette. È da notarsi che quell’ osservazione ci è occorsa a preferenza nel suolo magnesiaco . Ci siamo alquanto trattenuti sopra questo argomento per far conoscere quanto meriti di essere seguitato l’ esempio del Dot. Pollini, nel descrivere esattamente il suolo delle regioni di cui taluno si propone di compilare la flora ; nè dubitiam punto di assicurare , che in questa parte del suo lavoro l’ autore non ha meno ben meritato della bottanica che della geologia . A malgrado delle anomalie che la varia giacitura de’ luo» ghi, e la natura diversa del suolo arrecano nella sede delle piante comparata all’ altezza cui vivono, è comodo ritenere la . divisione stabilita dall’ autore, comprendendone tutta |’ esten- | sione in sei zone, La prima, ove giace Verona, a 70 metri di ”w altezza dal mare, occupa gli aperti piani che dal piè di quei monti si distendono fino alla sinistra sponda del Po. E ben si scorge che questi ultimi confini non son certamente quelli sta- biliti dalla natara , che ha unito in una sola regione, e sotto la comune influenza di giacitura e di suolo , le) piante tutte che allignano ne’ vasti piani traversati da questo fiume. La seconda zona detta co/lina, che da 70 metri giugne a 500 , fornisce la prova di quanto la giacitura de’ luoghi tem- pera l’influenza dell’altezza. Infatti vediamo a viver quì molte piante australi, come l’olea europaea, la Cercis siliquastrum , V’arbutus Unedo, il Pinus Pinea, il Pistacia vera al ridosso delle altissime vette che le proteggono da settentrione; mentre perireb- bero certamente nelle aperte pianure comprese nella prima zona, benchè a un’altezza assai minore. La terza zona, compresa fra 500 e rooo metri di altezza , è detta dall’ A. regione montana, cui non ci piace di vedergli sostituito il nome di regione del Faggio. Poichè col variare di latitudine variando la temperatura , la sede del faggio, assai più elevata, si trova nelle latitudini più meridionali. E senza ‘uscire d’Italia, bisogna salire almeno a 800 metri negli appen- nini ligustici, e nelle alpi marittime per trovare i boschi di 44 quest’albero , che ascendono probabilmente ad una elevazione _ * anche maggiore nell’Italia più meridionale. La quarta zona, che dai mille metri di altezza sale a "1500, è la sede degli Abeti, de’Rododendri, delle Pirole, di varie ma- niere di Genziane, e di Aconiti. MB: desiderato che l’autore | avesse detto meno generalmente che questa zona alimenta la famiglia de’ Pini; poichè se hanno in essa loro sede natìa il Pinus sylvestris , il Larix, il Picea e il Cembra, non vivono che nelle zone più basse il Pinea, il Pinaster, il Maritima, e l’Haleppen- sis; anzi può dirsi di quest’ultimo che ama sempre specchiarsi sul mare delle rupi ligustiche e napoletane . Nè sapremmo ugual- mente approvare, che fossero state addette a particolari zone certe specie , delle quali la regione è sì estesa, che dalle zone — più basse per le più eminenti si propagano, e in tutte ugual- mente riescon prosperose. Ta!e è tra questa la Daphne Cneo- rum che l’autore ha circoscritto alla zona alpina, e che co- mincia a trovarsi in Liguria a 80 circa metri di altezza dal ma- re, e sale vigorosa l’imminente apennino fino a 1000 metri sopra l’Acquasanta presso Voltri. Anche l’illustre Haller aveva ugual- mente opinato di questa specie nella sua Flora elvetica. La quinta e sesta zona portano ugualmente il nome di af pina , distinte col nome di inferiore la prima , e supertzore la seconda. Tutte e due stanno tra il livello di 2000, a 2500 metri di altezza cui giungono , e superano talvolta le alpi Vi- centine e Veronesi, e il tanto noto a’ botanici Monte Baldo. Cessa nella prima di queste zone lo stabile soggiorno della spe- cie umana : il suolo più non comporta che umili arbusti, e di questi pure si spoglia nella sesta zona, per non vestirsi più che di umili erbe, e piante criltogame, Fra i molti corollari che potrebbero dedursi da queste osser- vazioni del dottor Pollini, ci basti per ora di fissar quello che mette sott’occhio quanto più rapida sia la legge con cui la tem- peratura decresce salendo per le alpi dell’Italia settentrionale, di quella che ba luogo sul dorso mediterraneo dell’ apennino ligu- stico, e delle alpi marittime. E per avvalorarlo con nuove pro- ve, aggiungeremo di aver riconosciuto in questi monti, la zona dell’ abete assai più elevata di 1500 metri, ai quali s’ incontra sul dorso delle alpi. Parimente l’olivo, che nei manti veronesi non oltrepassa i 500 metri di altezza, l’ abbiam veduto stendersi fino a 660 metri nell’ alta valle di Albenga, presso al villaggio di Parnassio, nella riviera di Ponente, Nè intendiamo punto 45 che di queste differenze di altezza sia interamente accagiona- ta la latitudine più meridionale, che in tanta vicinanza è in- sufficiente, ma vi ba certamente la sua parte la temperatura permanerte più elevata del cratere del mediterraneo , di cui quella schiera di monti che gli sorgono in giro sentono l’influen- za. Vedrem tra poco che con queste differenze la natura non solo si limita a variare la sede delle stesse specie, ma va prepa- rando l'albergo a nuovi ospiti, destinati a popolare una botani- ca regione diversa. Abbiam seguitato passo passo l’autore in queste sue origi- nali osservazioni , e se ci è occorso talvolta di rilevarne qualche difetto, ciò dee provargli l'interesse e la parte che abbiam preso ne'snoi lavori. E ci piacque di produrre opportunamente alcune nostre osservazioni , tratte dalle molte che abbiamo isti- tuite sopra questo argomento , delle quali non avremmo potuto rilevare tutta l’importanza senza un punto di paragone cui ri- ferirle ; e che appunto quelle del dottor Pollini ci hanno for- nito, Se i botanici italiani fisseranno col barometro i livelli delle montagne che vanno visitando , se valendosi di buone osservazio- ni termometriche sapranno valutare la temperatura che spetta all'altezza, e lexmodificazioni che la giacitura de’ luoghi, e la diversa latitudine vi arrecano, se col soccorso delle scienze au- siliarie distingueranno |’ indole diversa de’ terreni, allora potre- mo in una Flora italica schierare le piante nostre , e scorgerle in siffatte dipendenze colle loro stazioni e località , che la fisi- ca a un tempo, la geografia botanica, e l’ agricoltura principal- mente ne trarranno i più grandi sussidi. Ed è poi colpa nostra se in queste produzioni di botanico argomento, ridotte sempre a pure e magre definizioni di specie, registrate in modo che sem- brano disperse dal caso sulla superficie del globo, e per di più irte di voci tecniche, necessarie certamente, ma che pochi inten- dono, ci siam segregati da ogni consorzio con quelle scienze , colle quali appunto era duopo legarsi: strettamente per progre- «dire con esse all’ avvanzamento dell botanica . Pieni.di speranza che questi nostri desiderj tocchino il cuo- re de’ botanici italiani, ritornerémo alle nostre considerazioni in- torno a’confini assegnati dall'autore alla sua Flora Veronese. E furon certo arbitrari quelli, che la chiudono a ponente , se- gnati dal corso del Mincio, e da questi per l’agro brescia- no, salendo per la Valtellina alle alpi rezie; poichè non vw’ ha confine che possa giustamente dividere la natia sede delle pian- te, che per ogni verso naluralmente si disseminano per le va- 46 ste e non interrotte pianare dell’ Italia superiore. Non in- tendiamo per tanto di censurarne l’autore , se nel novero delle specie da lui registrate, spesse volte uscendo da’ confini assegna= ti alla sua Flora, ammette quelle che nelle pianure Ticinesi , e nel pendìo delle alpi Graie e Cozzie furono dal Balbis, dal Bi- roli , e dall’Allioni scoperte. Chè anzi bellissimo lavoro, di cui i confini posson dirsi segnati dalla natura, sarebbe stato rac- cogliere in una flora tutte le abitatrici di quel vasto crate- re formato dalle due schiere di monti, le alpi e l’ appen- nino, che si alzano in giro sul lembo dell'ampia pianura del- l’Italia superiore. Della qual flora, quale sarebbe ’ analogia tra le specie che dalle falde delle alpi Cozzie largamente si disseminano per le pianure circonpadane ; quanto pieno d’ in- teresse il ragguaglio di quelle che a diverse altezze s’innalza- no per gli opposti dorsi dell’alpi e dell’ appennino; quanto più ricche di piante e quindi meglio abbozzate le naturali fa- miglie che in quel cratere hanno stanza, è cosa facile il sentire. In questi nostri progetti, null'altro dee scorgere . il dottor Pollini, che il desiderio di veder uscita dalle sue mani perfetta un’opera, che qual è ha tanti titoli al suffragio de’ botanici. Ma l’idea di presentare nella sua lora veronese il prodromo di quella dell’Italia superiore, lo ha messo nella necessità di con- fondere i confini di due regioni botaniche realmente distinte . Non sarebbe certamente stato meno pregevole benchè meno esteso il suo lavoro, se a’piè di ciaschedun genere della Flora veronese, egli si fosse astenuto di registrare i nomi di quelle specie, che l’Allioni, il Bertoloni, il Viviani, ed altri videro indigene sulle coste lisustiche . Queste specie, che dalle sponde della Liguria, attraverso le isole, stendon la loro sede fino al littorale affrica- no, e dalla Provenza si van dilatando fino all’ estremo lembo meridionale d’ Italia, mal s’innestano con quelle che vivono sul dordo delle alpi, o nelle pianure circonpadane. Nè sappia- mo comprendere come nel mandare a esecuzione questo suo in- tendimento, |’ autore non ne abbia rilevato il difetto, Poichè avendo egli registrato i nemi delle specie ligustiche a’ piè dei generi della Flora veronese a’quali appartenevano , si son tro- vate omesse tutte le specie particolari alla Liguria; di cui i generi mancavano nella Flora veronese. Così limitandoci alle sole piante fanerogame, nou v° hanno meno di 36 generi (1) (1) Eccoli: Creorum, Ixia, Ortegia, Crucianella, Hypecoum, Rup- 47 de’ quali nessuna specie è stata dall’ autore registrata. Ora si vede chiaramente che in questo rapido e spesso variare di tipi generici, la flora di quelle contrade marittime sente l’influenza di una regione diversa , di cui le specie di questi generi forma- no un tratto caratteristico, e ne sono a un tempo l’ ornamento . Nè facciam punto carico al dott. Pollini di aver ommesso que- ste specie nel!a sua flora, ma bensì di non avere ugualmente taciuto molte altre che pur vivono con quiete nella stessa re- gione marittima, nè mai si videro a varcare le vette dell’ ap- pennino ligustico . A dirla in breve si vorrebbe che queste flore parziali, delle quali Ja Flora italiana avrà a comporsi, a guisa delle diverse membra di ben ordinato edifizio , stringen- dosi nello spazio loro assegnato da'la natura , traessero da sé i loro ornamenti, e tutte insieme concorressero alla variata bel- lezza e armonia della Flora del bel paese Che Appennin parte , il mar circonda , e l’ alpe . Del rimanente, quanto alla maniera con cui il D. Pollini ha condotto a fine la sua Flora, qualunque siano i confini che gli è piaciuto assegnarle, diremo schiettamente, che a fronte dei gran- di botanici che lo hanno preceduto , il suo lavoro è pieno di ori- ginali ricerche , al punto che può dirsi di esso, che non v’ ha osservazione de’ suoi predecessori che non sia passata per le sue mani, e nessuna ve n’è passata che non ne sia uscita a miglior forma. E bastano a farne fede le definizioni specifiche pressochè tutte riformate , e ridotte a quella precisione, che toglie ogni equivoco nella loro applicazione . Nè egli ha usato minor. crite- rio e sagacità nella scelta de’ sinonimi, benchè talvolta, come ce ne siamo accertati in alcune piante graminacee, si sia lascia- to traviare più dell’altrui autorità che dal proprio giudizio . E dobbiamo inoltre sapergli grado della diligenza con cui ha rac- colto i nomi vernacoli di ciascheduna specie , e ha indicato l’uso, e la maniera di agire di quelle che possono adoperarsi in medi- cina . In questo modo si giunge a mettere la scienza a contatto pia, Coris, Echinophora, Corrigiola j Crassula , Frankenia, Pancra- tium , Amaryllis, Bulbocodium, Aphyllanthes, Agave , Passerina , Ana- ggris, Styrax, Mesembryanthemum, Molucella , Clypeola , Lavatera, Biserrsula Psoralea, Catananche , Seriola , Andryala , Anacylus, San- tolina , Thelygonum , Croton , Momordica , Coriaria , Ceratonia, Cha- mioerops , 48 del volgo , appunto da quel lato di pubblica utilità che può far- gliene più sentire l’ importanza . Nella scelta di un sistema di classificazione il D. Pollini, uniformandosi alla scuola italiana , è rimasto fedele alle bandie- re di Linneo: nel che egli ha certamente adoperato a conforto di coloro che vorranno imparare a conoscere quelle specie colla scorta della sua Flora. Nè spirito di patte ci muove punto a questa dichiarazione ; chè neil’ accordare preferenza al sistema del botanico svedese , noi italiani intendiamo sagrificare alquan- to del nostro amor nazionale a’ progressi della scienza. E avrem- mo di che compiacerci come di cosa patria, dichiarandoci a favore del sistema delle famiglie naturali , poichè promulgato per la prima volta in Italia dall’ illustre Cesalpino, in un’ epoca in cui dell’ anatomia della semente , e de’ solidi caratteri di classi- ficazione ch’ella fornisce , nessuno aveva neppur fiatato , fu tanto oltre spinto dalla perspicacia di quel sommo filosofo, che la- sciamo alla coscienza dei botanici francesi il dirci chi ne fu l’ in- ventore . Se poi di questo sistema, come di sicura guida possiam valerci mella determinazione di una specie, anche dopo tutti i miglioramenti che ha sortito dalle mani di un Jussieu e della sua scuola, chiunque il sa che con esso si avventarò alla ricerca di qualche pianta . Sia dunque serbato , come nelle altre scienze si pratica col metodo sintetico , a ordinare , conforme alle loro na- turali affinità , le piante state prima col processo analitico del sistema linneano scoperte e nominate. Che se questa nostra maniera di vedere sarà senza prevenzione ponderata da’ botani- ci, facilmente si comprenderà quanto sconsigliatamente furon fatti segno di guerra perpetua due sistemi, i quali impiegati di concerto promettono alla scienza il più rapido avanzamento . Abbiam luogo pertanto di sperare che in altre flore che po- tranno in seguito essere compilate, di diverse parti d’ Italia , sul. l’esempio del D. Pollini, nel registrarne i generi secondo il sistema di Linneo, non sia mai taciuta la famiglia naturale cui questi spettano. E sarebbe inoltre necessario , ciocchè manca alla Flora Veronese, che i frammenti di queste famiglie, rimasti in tal guisa le più volte disgregati e dispersi, fossero tutti raccolti e ordina- ti in una tavola sinottica , onde poter cogliere a colpo d’ occhio le famiglie che in quella data regione han sede , e le specie delle quali ciascheduna si compone . Ponghiam quì fine alle nostre osservazioni intorno la Flora Veronese del D. Pollini, che abbiam contemplato dal punto di vista, che dallo stato della scienza presso di noi ci pareva più 49 precisamente indicato . Ed in queste tanto più volentieri, almen per ora, ci ristringeremo , che a piè dell’ ultimo volume della sua opera il Dot. Pollini, con opportune correzioni e schiarimen- ti, ha provveduto a qualche inesattezza già stata scorta ne’ pri- inì volumi nella determinazione di qualche specie , ed ba in par- te prevenuto quelle che avrebbero potuto incontrarsi nel terzo . V. <=. — rr r——@P@———@mà@‘@òÒrtTTTéÙeeToIElElCIIbèizZoI Italy and the Italians etc. L’ Italia e gl’italiani del secolo XIX. Opera di A. Vieusseux. Vol. 2. Londra. 1824. Quest’ opera, già due volte stampata , ha ricevuto lodi in più giornali. È scritta in inglese, benchè l’autore, mato in Ita. lia, sia consueto al nostro idioma. Partito egli da queste spiagge in età giovanile , e riapprodandovi adulto , volle usar |’ occasio- ne di far conoscere l’Italia a’ non viaggianti inglesi : e perciò dettava il suo viaggio nella lingua della Gran-Brettagna : ed è stato più prudente, siccome era più esperto, degli altri scrittori. Il suo viaggio incomincia dalla città di Napoli, ove sbarcò Titornandovi dall’ isola di Malta. E per questo giro potè riveder l Italia nel suo più magnifico aspetto ; salutandola con giocondo animo dal libero mare, intantochè da prua sedendo rammentava tutta la storia. L’antico monte Vesuvio che arde in mezzo i di- rupi delle più antiche montagne , e la valle degli Appennini che è diventata un delizioso golfo , ritraggono la mente a que’ vetu- sti tempi, de’ quali se la storia tace, ne dà la natura vivissime immagini. E intorno al golfo, Napoli che sorge nel mezzo dell’an- fiteatro per colli ameni , fa rimembrar Partenope, greca repub- blica, innanzichè ì latini partissero dal Tevere con grandi arma- te. Poi seguitando fuor la città verso occidente , i ruderi sparsi per l’ amabile piaggia di Mergellina e di Posilipo rammentano le ville de’ consoli di Roma . E in faccia a Napoli, nell’ ultima linea del golfo, l’isola di Gapri, ove si fermò a lascivir Tiberio. Congiunto cotla città è lo scoglio, nella cui fortezza, dicono, aver Odoacre chiuso l’ ultimo imperator de’ romani. Nè mancano me- morie de’ bassi tempi, perchè si veggono rozzi castelli e con- venti, o sulle lontane rupi, o presso le grotte vicine al lido» Si scorge ad oriente il piano, ove le onde bagnavano le mura di Pompei: e poco più langi è l’ antica Nocera, in cui Fede- rigo II trasferì que’ saracini che avevano già devastato l'impero. Di quivi costeggiando gli appennini sale e scende la via alla pa- T. XIX, Agosto 4 do tria del Vico, alla patria del Tasso : prossimo il villaggio di Vico alla città di Sorrento, e posto il primo in alberato poggio, la seconda in valle odorosa per aranci e fiori ; l’ uno e l’ altrà sulla marina, Onde il navigante tra poppa e prua si volge lieto ad amendue le sponde, sacre del pari alle muse ed alla filosofia, perchè alle suddette rispondono sopra Mergellina le famose tom- be di Virgilio e del Sanazzarro. Sogliono i viaggiatori entrare in Italia , passar,» le alpi. E questa via è opportuna a graduar nell’ animo a loro le bellezze della natura , la quale è sempre più lieta e varia dalle alpi a Napoli, Ma il nostro Vieusseux quivi sbarcando , potè graduare la civiltà de’ popoli italiani, la quale è al suo principio in detta città, e diviene compiuta nelle settentrionali e nelle inedie pro- vincie della penisola. [o nou parlo delle famiglie che vivono ordina - tamente dopo essere state bene educate. Esse abbondano pure in Napoli, ed ivi come altrove hanno costumi europei, Ma il po- polo soggetto, che è sì numeroso , tanto si diversifica agli altri italiani che non è neppur simile a sè stesso in tutte le. parti della città. Sulla piaggia, che chiamano Chicia secondo lor dia- letto, è la gente de’ pescatori buona e mansueta. Vivono rozzi anch’ essi, e non lavorano se non quanto è necessario ad ali- mentar la vita, cioè poco, perchè banno pochi bisogni; ma stanno uniti colle loro famiglie, nè odiano il vicino, e se non erro, mai non sono stati i primi a concitare la città. Girando poi da quell’ ameno luogo , ov è sempre aura di primavera perchè Mergellina e i colli del Vomere lo riparano da settentrione : girando da quel luogo, ove gli alberi non per- dono la fronda che un sol mese dell’anno ; e passando tra le rupi di Pizzofalcone e lo scoglio che fu carcere d’ Augustolo, si comincia a trovare sul lido orientale altra gente, altri” usi; talchè verso il molo e il porto, quasi sotto la reggia e i ca- stelli, si fa traffico d’ogni cosa, per sè e per altrui. Quivi si scorge l’uno all’ altro accanto, ed uomo grave che ammonisce, e pulcinella che fa ridere, e poeti che commentano le gesta di Rinaldo. Quindi penetrando nell’ interiore città , se moviamo per la via di Toledo, spaziosa , lunghissima , e piena d’ogni cosa de- siderabile; vi troviamo di e notte un popolo misto , che qui concorre vivacissimamente. E per questa strada , ove non è mai la quiete nè la noia, progredendo a settentrione , si riesce alle più vaghe colline di Capo-di-monte, sopra le quali all’ incon- tro è delizia e pace, nel giardino della natura, non lungi al 5I collegio de’ chinesi, ed a’ quattro seguenti luoghi importantissi- mi: il palazzo, detto degli stadi, ove sono tutti i famosi musei, e la libreria, e l'accademia delle belle arti riordinata da Antonio Niccolini: la magnifica specola che Federigo Zuc- cari, caro e sventurato giovane, fece a’ monarchi edificare in sito opportuno alla contemplazione degli astri: il bel giardino botanico piantato dal prof. Tenore : ed il rec/usorio, dove più che mille poverelli apprendono le arti, e s’ istruiscono nell’am- pia scuola d'insegnamento reciproco. Due altre simili scuole sono istituite in altri quartieri : e nella deliziosa Chiaia è pure un liceo ordinato dal prof. Quadri a rendere operosi i cechi ; sicchè possano anche questi infelici partecipare degli ordini ci- vili , istruiti nella lettura , nella musica e nelle arti mecca- niche . Il nostro Vieusseux godeva di ritrovare sì molti elementi di pubblica felicità, ond’era poi costretto di non credere il po- polo napoletano sì cattivo e barbaro come altri viaggiatori ave- Vano presupposto e scritto, Che se dispiacevagli incontrare nella più popolosa spiaggia, verso il Sebeto, uomini ignudi che uscen= do dal mare s’asciugavano al sole o si rotolavano per l’arena: se gl’ incresceva veder la plebe mangiar quasi l’ immondizia , e i carcerati chiusi in mal’ aria , e rumoroso il foro : si ralle- grava udendo che v’ è un codice buono, da cui può derivarsi senza sforzo , col solo buon volere, ogni miglioramento dell’or- dine sociale. Ove la natura ha preparato ogni cosa , se l’ arte ad essa non si oppone, ma la seguita ; ad ogni principio rispon- de fausto fine, E quando nelle scuole avrà il popolo imparato a leggere ; allorchè saprà la differenza che v'è dal bruto ‘al- l’uomo ; allorchè potrà render ragione delle opere sue, e pre- gare da sè stesso Iddio ( maravigliandosi alcuni viaggiatori che neppur questo sappia la plebe di Napoli, poichè hanno tro- vato all’aurora le chiese piene o tutte di donne., o tutte di momini, tra’ quali uno solo di essi pregava per tutti); allora in iscambio d’ esser pronti al tumulto ed al saccheggio , rispet- terebbero le leggi, dando amore se non timore a chi gli aves- se educati. Molti dicono che la plebe è istabile e riottosa: po- chi soggiungono che ella è così, perchè non abbiamo pazien- za in educarla , perchè la vogliamo o tener bruta del tutto o trasportarla di subito a quella civiltà che non intende. Il po- polo di Napoli ha in ogni particolare occasione; come dice il Vieusseux , buon cuore e ardimento. Sicché promossa la sua in- telligenza , si toglierebbe facilmente il biasimo , di che esage- 52 rando lo accusàno, cioè di voluttuosa ferocia senza coraggio pubblico. Dalla città trasferendosi nelle campagne, l’ Autore difende con ragione la troppo censurata popolazione degli agricoltori . Discorriamo di loro. E uso in que’ luoghi affittare 1 terreni o in denaro, o in grano, o in altri generi campestri. Il fitta- iuolo è per lo più un contadino, che lavora il podere coll’ope- ra della famiglia sua, nè ha altro obbligo se non migliorare piut- tostochè peggiorare il terreno, e d'’ ordinario trasmette a’ figli lo stesso incarico colle medesime condizioni. ‘Calclhè può egli riguardarsi come il vero padrone , subitochè paga puntualmente l'affitto. E perciò tra que’ contadini ed i nostri che fanno col padrone a metà della raccolta, è questa gran differenza; che se quelli fanno qualche dono, largheggiano del proprio, men- tre i nostri largheggerebbero di quello d-l padrone. Se dunque fossero quelli cattivi, non dovrebbero essere inospitali ed ava- ri? Eppare sono ospitalissimi: invitano facilmente a casa loro; accolgono volentieri, sempre lieti, sempre generosi, eccetto le vecchie che piangono sempre miseria. Ed hanno camere pu- litissime: buon saccone, buone materasse , buoni lenzuoli, e guanciali con federe: rare volte manca lo specchio: qualche se- dia, un tavolino, e un cassettone. Che se poi mangiano tutti in un sol piatto; bevono tutti in un sol vaso; prendendo il cibo, mettendolo in bocca, e ripulendosi, tutto colle mani; questa loro semplicità o rozzezza non proviene da animo cat- tivo. E se hanno altri difetti, è per colpa altrui, e per causa delle passioni comuni a tutti gli uomini, le quali sono tanto più forti e fanno tanto maggior effetto, quanto più il tempe- ramento della versona è fervido, e quanto più mancano le vir- tù sociali. Ivi l’aria è vulcanica: per conseguente la conples- sione degli uomini è focosa. Nè il popolo ha, nè può aver vir- tù sociali, perchè non conversa affitto co’ signori ben educati. L’uomo, che dee fuori delle sue stanze veder levare il sole , che dee tutto il giorno maneggiar la zappa; e che la sera torna sonnacchioso e stanco alla capanna; non può da sè medesimo prov- vedere all’ingentilimento dell’animo. Nè contro questa opinione è l'esempio de’contadini toscani, i quali sono civili benchè costretti a’ medesimi esercizii. La loro civiltà è effetto principalmente della loro frequenza co’ signori. Le contadine vengono spesso a trovar la padrona, che le accoglie con amore, e le tratta con gentilezza. Va il padrone al podere, e sede tra’ suoi contadi- Mi: ivi in dolce e familiare parlamento, discorre delle raccolte, 53 delle semente , de’ bestiami; interroga se la famiglia è in buo- no stato, se i figli hanno disciplina; e spesso ha da abbrac- ciare un giovanetto, di cui è compare, Scambievoli doni man, tengono amicizia tra ’l signore e ’l contadino: i non partiti in- teressi obbligano il primo a trasferirsi in campagna , e il secon- do in città. Onde l’agricoltore che conosce il suo signore esperto della coltivazione de’ campi, è egli stesso costretto a saper gli usi della città, a parlare la lingua, a praticare le virtù del padrone suo. Il che è sì vero, che dall’ indole de’ signori si conosce quella de’ contadini, e viceversa: buoni ed ufficiosi i contadini dell’uomo onesto , e crudi e sgarbati quelli di soper- chiante padrone , i Quanti banchetti, quante festività non fanno i nostri signori a’ lor contadini; esclusi soltanto quei che non hanno cura del costume o della persona: abbassandosi un poco del grado loro i grandi, ed altrettanto elevandosi i villani: acquistando que+ sti la civiltà, quegli scemando della superbia. Talche senza la- sciare i lavori campestri s’ educa il contadino, traendo dall’ esem- pio de’ padroni. Ma nelle campagne napoletane si trovano con- tadini che non sanno neppure il nome di ,chi possiede il po- dere. Non conversando co’ cittadini, sono abbandonati alla na- tura: ed essa può dare robustezza, e terreno fertile, ma non civiltà e istruzione, particolarmente se la copia de’ viveri e la dolce temperatura diminuiscono all’ uomo le fatiche e i bisogui, Quelli non sanno leggere, non sanno la numerazione, ignorano spesso come si chiami lo strumento con che lavorano. Quindi possono diventar brutali se gli muove la gelosia o il fanatismo: nè avranno gentilezza, finchè non sieno partecipi delle corre- lazioni sociali. In ogni luogo però si trovano villaggi, piccole città , e spesse taverne. E quivi essendo altre arti, quivi son meditati quei tradimenti che il viaggiatore poi attribuisce a’ contadini perchè si commettono faori alla campagna. Ne’ villaggi marittimi, ove ciascuno attende alla navigazione , è sempre sicurtà , perchè i ma- | rinari esposti di continuo a pericoli, e governati con rigorosa di- sciplina, hanno bisogno di riposo e mantengono l’ordine, quando vengono a riva: dovendo altresì accomodar le barche, e star Vicini al mare, per rimbarcarsi quando il vento spira, Sicchè rubberanno al più qualche mercanzia, o faranno il contrabban- do, ma non disprezzano la loro povertà , contenti di soddisfare alla fame, al sonno, ed alla libidine, Tra” tavernari, i facchini, ì mezzani, ei gabellieri, è la gente che dà con ragione sospetto, 54 Ed a loro bisogna pure aggiungere alcuni de’ piccoli possessori, e gli operanti. I primi sdegnano di vivere in tranquillo e me- diocre stato, non avendo mente vigorosa da conoscere quanta libertà sia congiunta coll’ umile loro condizione: essi son pigri alle fatiche, e fiunno volentieri quel guadagno che si conseguisce con poco fastidio. L’operaio fa tutti i mestieri, e non ne fa bene alcuno: oggi lavora un campo: domani fa legna al bosco: ora è mano- vale: ora fornaciaio : ora serve a un oste: e mutando spesso pa- drone, quando gli par troppa la fatica, si mette in piazza per esser guida ai primo forestiero che incontra. Iù vicinità di tanti antichi monumenti è sempre una turba di questi oziosi , che deturpano uno de’ be’ nomi tramandatici da Roma, chiamandosi, non so per che stravaganza , Ciceroni. E questi sono i colpevoli de’ delitti: ed i piccoli possessori ne sono i protettori. Colui che ha rubbato nella vigna o nella capanna, colui che ha spogliato un viaggiatore, egli si ripara al villaggio e dorme tranquillo, perchè il vicino è consapevole del delitto, e partecipa della preda. Non credo inutile trascrivere un dialogo fatto con un operaio che mi guidava alla montagna di Somma. — Giorgio , sei tu del villaggio di S. Bastiano? — Io sto in S. Bastiano. — E che fai? — Vengo a far fascine nella montagna. — Lavori per te o per altri? — Il bosco è affittato: mi pagano l’opra. — Chi pratica nel bosco? — Noi spaccalegna, e i guardiani collo schioppo. — Lavori ne’ giorni di festa? — Non si può far che la vendemmia ne’ giorni di festa. — Vai tu a vendemmiare? — Io vengo sem- pre alla montagna. — E nelle feste? — Mi diverto a crocchio davanti la chiesa, e a mezzo giorno mangio. — Nella taverna ? — In casa mia. — Tatto il giorno in casa? — La taverna è necessaria. — Perchè? — Per bere una bottiglia di vino. — Non puoi berla colla tua famiglia? — Compro il vino per la moglie e i figli, ma poi, io sono uomo, lavoro molto, ho bisogno di più vino. — Quanti anni hai? — Trentadue. — Trentadue! — La fatica mi fa parer più vecchio: ma sono robusto: qui si cam- pa assai: ma bisogna ber vino. — Vai alla taverna solo per be- re? — Si gioca. — A che? — Alle carte. — A che gioco? — Al tressette, o al ventuno. Siamo quattro o sei o sette che gio- chiamo. Si tirano a sorte quattro che prendono le carte: gli altri, che gli chiamiamo padroni, hanno la scelta o di parteci- pare della sorte del gioco a metà con qualche giocatore , ovvero di non partecipar nel gioco e pagar mezza bottiglia. — Quanto gio- cale per partita? — Una sola bottiglia che vale tre o quattro soldi, — Quante partite giocate? — Quanto è il bisogno di bere. — Gio- 3ò cate denari ? Facciamo cià a primiera. — Giocate anche a primie- ra? — Quando abbiamo denari. — E fate risse? — Colle leggi d’ora non si può : il tavernaro ne debbe rispondere. — Farete rissa fuori della taverna? — Neppure. Dove si va ora, quando si è dato un colpo? — Colpo! si ammazzavano prima? — Accadevano mali molti. — Chi pratica nella taverna ? — Quasi tutti. — Cioè gli ope- rai? — Anche i galantuomini. ( Così chiamano i possessori). — Ed anche questi darebbero un colpo? — Collo stile o colla scure. — E i contadini? — Vendono il vino, non lo ricomprono. — Ver- ranno per giocare? —., Ben di rado. Stanno in casa loro a ve- der ballar la tarantella a’ figliuoli. — Iofatti nelle domeniche s’aduna la gioventù nelle case o sul- l’aia per ballar Ja tarantella a suon di cembolo e di nacchere. E fan questo ballo spesso dall’aurora al vespro; tarantellano andando dall’una all’ altra casa : e seguitano per molte ore questa dansa cotanto lasciva con una serietà maravigliosa. Gli altri pas- satempi de’ contadini sono i lavori campestri. La vendemmia è un baccanale soavissimo. Figurisi ìl lettore d’ essere in una di quelle vigne, sdraiato all’ ombra degli alti pioppi carichi d’uva, la quale pende da’ più elevati rami fino alla bocca sua. Perchè non v'è ordini, o simmetria: piantano i magliuoli quanto più possono fitti, dando alla natura cura del resto: e Ia natura è sì benigna che feconda copiosamente questa selva di pioppi e di viti, ove nè i raggi del sole, nè l’ umor della terra e dell’ aria non sembrano a sì molte piante bastare. Prima che la vendemmia incominci, tutta la vigna è intralciata. Vien quindi un villa- no con lunga falce, che passa e taglia i tralci medii, aprendo lo spazio tra Juno e l’altro pioppo. Seguitano i carri, cui è so- praposto il tino. Abbasso fermansi le donne, sugli alberi sal- gono i giovani. Alcuni portano scale strettissime, lunghissime, Altri già sul pioppo inerpicati, gettano giù dall’ alto un paniere conico e pieno di grappi, il quale è con destrezza preso dalle villanelle. Ognuno vagheggia collo sguardo, co’ motti, o col can- to. Solo il fittaiuolo tace, e cogli occhi misura la raccolta. S’ empie il tino. Un bove grande, ben pasciuto, e con maestose corna , trae il carro verso la tinaia: sì ferma ad nna finestra, d’ on- de la colta uva si getta in basse vasche, nelle quali pigiata da robusto giovane manda l’ umor di Bacco alle maggiori tina, | collocate ancora più abbasso. -— Quanto tempo tenete qui. il mosto? — In quest’ anno poco piovoso cinque ventiquattro ore. — E se pioveva? — sei ventiquattro ore, o sette ventiquattro ore: quanto più acqua è nel mosto, più tardi bolle il tino, — J tini 56 son di pietra, o di mattoni, di forma quadra, e scoperti. Presso la tinaia è lo strettoio fatto d’alberi tagliati colla sola scure. Quivi gettano la già premuta vinaccia , ed acqua; e ne traggono un vinello che bevono i contadini ne’ primi mesi dopo la ven- demmia. Presso la tinaia è pure altro vaso ad altra specie di vi- no. Su l’aia e sopra pali fitti nel terreno mettono due lunghe pertiche orizzontali e paralelle: a queste appendono più sacchi di grossa tela e ricurvi a guisa de’ lambicchi: poi versano in essi il mosto, svinato dopo ventiquattro ore dal tino: e lasciano così distillare in vasi sottoposti il vino, che così fatto lo chia- mano /ambiccato. E un vino dolce e poco colorito: non du- revole, non sano, quantanque piacevole : se ne servono a governa - re il vin guasto. E lo filtrano più volte ne’ lambicchi, acciocchè non possa più fermentare, e diventi chiaro e limpido. Siccome ho seguitato il valente Vieusseux nella città di Napoli e nel contado , vorrei pur con esso viaggiare nel rima- nente dell’Italia, ma per dir tutte le sue belle annotazioni , do- vrei ricopiare il libro suo. Egli parla eziandio delle lettere e de’ letterati italiani con molto discernimento . Egli ha preso una via bellissima, perchè parla delle cose lodevoli. Quanto più viaggia tra noi, tanto più è con noi gentile - Sicchè gli ren- diamo grazie affettuosamente. Avendo io dovuto ristringere il di- scorso, mi è sembrato più utile il parlare delle cose meno no- te agli italiani. Ed ora per simile cagione voglio rapidamente indicare due viaggetti poco frequentati da’ più de’ viaggiatori . Tutti vanno a Napoli: e dalla città corrono a Baia , a Cama, a Pompei, a Pesto , a Sorrento, all’ isole. Pochissimi fanno il viaggio di Benevento , che è sì importante. Onde mi sia lecito qui trascrivere la lettera seguente d’ un viaggiatore, a ciò re- lativa . « Restare tanto tempo in Napoli, e non visitare la contrada celebratissima delle streghe , sarebbe stato error gravissimo . So- no stato danque a Benevento . Ma il famoso noce , sotto le cui meste foglie cocevano le streghe la caldaia, è spento al tutto nella memoria de’ posteri . Tantochè non v’ è luogo , dove non sel figurino. Alcuni ne mostrano le radici in un vallone, altri lo dicono portato via da’ fiumi. Le donne raccontano , averlo le stesse streghe sbarbato per farne amuleti contro il fascino in fa- vore de’ proprii lor partigiani. Pertanto non discorrerò più del- la magia , e racconterò le altre cose del viaggio ,,. “ Da Napoli si va per bella via all’Acerra, brutto villaggio benchè chiamato città, lungi otto miglia. Quindi per sentieri tra” 97 monti si giange , dopo altre otto miglia, ad Arienzi, villaggio brutto anch’ esso , ma celebre per ogni specie di latticinio . Quin- di si trovano i due famosi gioghi, Forchia ed Arpaia sulle ro- vine di Caudio , che per breve tempo infamarono l’antica Ro- ma . Ed anche ora sarebbe il luogo opportuno agli agguati, sì profonda è la via , sì ripide e alte le imminenti colline : se non che la valle è meno stretta per causa delle piogge e della lavo- razione del terreno ,, . “ Le più vaghe contadine abitano in queste campagne, e splen- dono tra le vigne con nuovo vestire. Coprono alquanto il capo con ripiegata pezzola : ma quasi nudo è il petto, sotto cui han piccolo busto . Sotto scende loro da tergo un grembiale rosso che le cinge per metà il corpo fino alle gambe : altro grembia- le stretto e verde pende da sotto il petto: niun legame tra’ due grembiali. Onde sotto le pieghe di questi due panni sciolti, non tutto l’ignudo è coperto dalla corta camicia . E seguitano così di vedersi con varia attitudine per tutta la via ,,. « Dopo altre otto miglia si giunge a Montesarchio, bellis- simo villaggio, in colle, di buon’ aria. E dopo altre otto mi- glia di cammino più alpestre si entra in Benevento ,,. “ Volete pesci del sabato, mi dissero gli ospiti miei: ed era venerdì . Fanno questa burla, dando poi freschissimi pescioli- ni tratti dal fiume che ha nome Sabato. Anche il fiume detto Calore bagna le mura di Benevento : torrenti, non fiumi , amendue, niuno de’ quali traversa la città, che pur ne avreb- be bisogno per acquistar letizia . Essa è piena di merore, con vie strettissime e ciottolate , con aria frigida e nebbhiosa , col- locata in un vallone. Il contado all’ incontro è amenissimo e fertile . Copete , cardoni , cipolle, cervellate , e corde da arpa, sono i cinque C rinomati di Benevento . Le copete sono paste di mandorle con miele , chiamate pur torroni o torroncini, e sono squisite; come pur vi sono saporitissimi e variati gli erbag- gi. Parliamo delle cose antiche ,, . “ È, come tutti sanno, in Benevento l’arco di Traiano . Inciso più volte, non ha uopo di descrizione. Ma vi figurereste voi come sia mantenuto? Credereste voi che i ragazzi facciano di quelle bellissime scalture segno alle pietrate? Non v'è figu- ra, cui non manchi o naso, o dito, o altro membro. E di lato , addosso all’arco che serve di porta alla città, vi hanno murato sozzissime case : tanto che per vederlo, e non si può veder tutto , bisogna girar per le vie , e salire in più case. Nondimeno è tanto bello , che quantanque informe fa goder chi 58 lo guarda . Mentre io fo contemplava , il sole ha cominciata a girare sopra esso . To non ho mai avato tal maraviglia come in quel punto . Allor conobbi il greco lavoro , penetrando quegli scultori collo scalpello anche le parti interiori e posteriori del- le rilevate figure . Queste parevano allora siccome vive, ton- deggianti e spiccate nell’ aria. Pareva muoversi col sole il marmo ,,. « Dell’anfiteatro, che doveva esser grandissimo, poche pie- tre rimangono . Nella chiesa ottagona di S. Sofia sono sei co- lonne di granito . Il chiostro fa architettato ne’ bassi tempi . Veggonsi per ornamento gatti che mangiano topi più grossi di loro. In mezzo del chiostro è un pozzo: e per bocca del pozzo vi hanno messo un gran capitello di marmo bianco, d’ ordine composito ,,. “ Per le piazze si trova un leone di marmo grigio, e un bu falo di granito, la cui figura a pena si conosce tanto è consunta ,,. « Non v'è indizio della tomba di Manfredi. Dissotterrate le ceneri sue dal suo ignobile nemico, non vi può essere restato il sepolero. Ma pure i beneventani affermano che Manfredi giace presso al ponte , dov’ ebbe la prima sepoltura ; e credono vede- re anche i sassi che coprono lo sventurato : più pietosi costora di colui che insultava alle morte reliquie ,,. ì “ Un’ ombrosa passeggiata, e un ponte sul Calore faori di porta Pia, sono le cose moderne da vedersi: perchè se andate alla cattedrale, dovete subito uscirne spaventato . Fu cominciata con grandi proporzioni , e finita con piccole per causa de’ terre- moti sì gravi alla città. Onde le navi son grandi, e il soffitto basso. E le dipinture in tavola o tela essendo state fatte secon, do il primo disegno, sono ora collocate quattro volte o incirca più basse del vero punto di vista: sicchè gli evangelisti e i san- ti vi aprono certi occhioni in faccia , che fan fuggire. E me- glio rimanere innanzi la porta della chiesa, la quale è di bron- zo , e rappresenta in rilievo |’ antico e il nuovo testamento ,, . “ Io ho molto goduto di questo viaggio perchè i beneventa- ni sono veramente ospitali ,,. L’ altro viaggio è a Sora e negli Abruzzi. Trovasi dappri- ma il nudo colle sopra il cui vertice è il famaso monastero di Monte Casino . E presso il monte è la piccola città di S. Ger- mano, ove sono alcuni ruderi d’un teatro, d’ un anfiteatro ,' e di terme antiche. Quindi si va ad Aquino, che dà pur qualche memoria dei romani; e poi si ha da veder Pontecorvo , città piccola e non bella, ma situata in poggio nella valle del Liri; 99 sopra il qual fiume è un lungo e curvo ponte, che dà nome alla città. Seguita la strada verso la Melfa , e passato questo torrente è la campagua un lieto giardino, pe’ cui viali si giunge all’ Iso- la di Sora. Qui è uopo farla seconda fermata, e correre i lno- ghi vicini. L'Isola è circondata dal Liri, il quale si divide per breve spazio in due rami, e cade per due rupi , dipingendo co” flutti l’ iride quando vi si rifrange il sole. Due miglia distante, scendendo il fiume, si approda a un’ altra isoletta, che appartiene alla famiglia Zuccari , ed è per es- sere mirabile e grata , pe’ punti di vista, per l’ ombra folta de- gli alberi, pe’ ruscelli e per le varie e copiose cascatelle del fiume . AI di sopra dell’ Isola di Sora è quell’ isoletta , di che par- la Cicerone; collocata nella foce appunto del Fibreno nel Liri. Sono qui presso e cartiere , e gualchiere, sì accomodate come le fabbriche della Svizzera : e simile è pure il luogo , se non che il Fibreno e il Liri non si derivano da’ ghiacciai, ma da piccole sorgenti . Il Fibreno nasce in una valle , poco lungi dalla foce: e le sue acque, scoppiando per più luoghi da sotto i colli , fan- no dapprima alcuni laghi abbondanti di trote, e poi corrono al Liri. Questo nasce ne’ monti superiori degli Abruzzi , e sboc- ca alfine in mare col nome di Garigliano . Dall’ isola è breve cammino al villaggio d’ Atina, in cui le donne, tutte belle, vestono con tanta leggiadria che ogni pittore le ritrae. Più breve cammino è ad Arpino, patria di Tullio , dove si veggono ancora i ruderi dell’ antica città , con mura ciclopee ; e dov’ è tuttora piacevolezza di costumi , e ospitalità generosa . Nelle chiese di S. Vito e di S. Michele so- no due dipinture del Cav. Arpino . Nella Città è pure il ritrat- to di questo pittore, fatto da lui medesimo . E nella chiesa di S. Michele , dietro l’ altar maggiore, è un rudere antico con più nicchie, forse ad uso di sepolcro ; quantunque i sagresta- ni lo mostrino a’ forestieri come il tempio delle sette muse. Veduti poi questi luoghi, si ha due vie per andare a Roma. L’ una per la città di Sora, collocata in bellissime campagne: per Marino, piccolo villaggio sopra un colle circondato da or- ridi e maestosi monti, in mezzo de’quali vedesi il fiume di Schioppo sgorgare con impeto da dentro una rupe; simile a fonte perenne che dall’altura cadesse sopra una selva : per Ca- pristello, ove si vede il fine, e pel Jago di Fucino ove è il principio del famoso canale , per mezzo cui volevano i romani Go trarre nel Liri le acque del lago. Questo canale è una delle più magnifiche opere degli antichi, e se ne vede gran parte, e sì potrebbe restaurare . Il principio di esso è ora sotto il livello delle acque ; le quali crescono di continuo , ed hanno già som- merso alcuni villaggi. Il lago è spazioso, e le colline sono di tal forma, che somigliano alquanto a’ contorni di Napoli verso Por- tici. Avezzano e Celano sono due piccole città poco lungi tra loro, e presso il lago, nelle quali pure, come in tutti gli Abruz- zi, è ospitalità dolcissima. Mancano le locande ; e una piccola raccomandazione fa trovare nelle case particolari accoglienza cortese. Il terreno produce frutti squisiti. I fiumi e il lago ge» nerano pesci: poco distanti sono altresì quel colle, dov era Alba de marzii, e la valle di Tagliacozzo , che seguita verso Tivoli e Roma. L’ altra via, dall’ isola di Sora a Roma, conduce prima a Casa Mari, convento de’ Monaci della Trappa, e detto così per- chè , secondo la tradizione, era quivi una villa di Mario. L’edi- ficio è grande e non bello. I frati mangiano la mattina una mi- nestra di pane ed erba , una seconda minestra di paste ovvero ova o latticinii, e frutti. Mai pesce: mai carne. La sera mangia- no insalata, formaggio e frutti. In quaresima pane ed acqua - Cantano in coro la mattina e la notte, il che è ad essi un hiso_ gno , perchè non debbono mai parlare. Lavorano da sarti, o al tornio, o nell’orto, o quel che il priore comanda dì per dì a voce bassa. Se un forestiero domanda loro qualche cosa , fanno per risposta una profonda reverenza. E necessaria la licenza del lo- ro superiore, affinchè possano usare della prima qualità dell’nomo, che è l’ articolata loquela . Non favellano neppur tra loro, quan- do vanno a spasso nell’ orto. Non si scavano da sè la tomba : ma sono morti vivi. Da casa Mari si può andare alle città di Veruli , e di Fro- sinone per seguir poi la valle di Palestrina e giungere a Ro- ma. Io non posso ora dichiarar queste cose particolarmente ; e ne ho indicato le principali bellezze , a fine d’ invogliare i viag- giatori a lasciar qualche volta la via maestra, perchè l’ Italia è degna d’ esser conosciuta in tutti i punti. A BENCI. 61 Tragedie ed altre opere d’ Aressanpro Manzoni. Firenze, Molini, 1825, grosso volume in 12.° Quando poc'anzi l’ autore del Paria e de’ Vespri siciliani fù aggregato solennemente all’ areopago della francese letteratu- ra, gli spettatori, dicesi, stavano attentissimi per sentire di che animo egli si dichiarerebbe fra quella che il presidente, pero- rando, chiamava insurrezione romantica e quella che appellava classica legittimità. L’ autore dell’Agamennone e del Pinto, ri- cevuto qualche tempo innanzi fra i membri dell’ areopago me- desimo, non aveva esitato a proferire il voto che la loro opi- nione conosciuta sembrava additargli, sforzandosi (ciò che nes- suno si aspettava ) di far comparire il romanticissimo Pinto buon vassallo del clas:icismo. Il nuovo eletto, che forse non s’ intende molto di convenienza accademica, poichè nel suo discorso di rin- graziamento ragionò di coscienza letteraria , fece intendere queste o simili parole: ‘ Il dispregio e il fanatismo per le regole che chia- miamo classiche sono egualmente irragionevoli. Restringere fra esse un’ azione teatrale che mal le comporti è una misera servitù. Sottrarvi un’ azione che volentieri le ammetta, e ciò per seguire idee od esempi di moda, è una servitù anche peggiore come quella che si dà l’aria di libertà. Ammiratori ardenti di Sofocle sappiamo ammirare Shakespeare e Goèthe , meno per riprodurli in noi stessi) che per apprendere da loro a rimanere quelli che la natura ci ha fatti ,,. Le quali parole, se mai dispiacquero ad alcuni, a cui l'antitesi dell’insurrezione e della legittimità più sopra accennata piaceva grandemente, parvero ad altri molto saggie e, avuto riguardo al luogo ove le ascoltavano , abbastanza conciliatrici. Nè mai veramente fra i coltivatori o j legislatori dell’ arte drammatica avrebbe dovuto formarsi aperta scissura, la quale sembra accusare dall’ una parte la soverchia rigi- dezza , dall’ altra il soverchio amore di novità. Gli ingegni o più arrendevoli o meno preoccupati, fino dal primo nascere delle qui- stioni intorno al dramma classico e al dramma romantico, sorri- devano e ripetevano quel noto verso di. Voltaire: Tous les gen- res sont bons, hors le genre ennuyeux. Quegli, che oggi è ri- putato capo della nuova letteratora , da chi per lode e da chi per ingiuria appellata romantica; quegli a cui un nostro critico an- tiromantico ) del quale più sotto avremo occasione di parlare, dà con entusiasmo l’epiteto d’ immenso, Goethe insomma , ha fatto egualmente l’ Ifigenia in Tauride e il Goetz di Boerlichingen 62 l’ Egmont e il Torquato Tasso. Egli è stato ora classico ed or ro- mantico nella composizione de’ suoi drammi , secondo 1’ indole de’ soggetti che scelse a trattare. E gli spettatori della sua na- zione , sia libertà di principii, sia ingenuità di gusto, sembrano essere ora classici ed or romantici , accogliendoli sulle scene con eguale piacere. Anche in Francia, ne diceva l’anno scorso il giovane Didot nella prefazione alla sua Regina di Portogallo (1’Ines de Castro, stupendo argomento che La Motte avea trattato per metà) si cominciano a trovar buone pel teatro le tragedie del nuovo genere, se pur avvi fra questo e l'antico una pre- cisa distinzione qual la vorrebbero i nostri dogmatici. In Ita- lia, per quanto io mi sappia, non s’ è ancora tentato di dare in ispettacolo simili tragedie, chè non voglio chiamare di tal no- me certe produzioni, le quali non appartengono più ad un ge- nere che ad un altro, ma sembrano lo scherno d’ ambidue. Al ripubblicarsi di queste del nostro Manzoni, io ho fatto sentire a taluno che si potrebbe cominciare da loro, giacchè i più av- versì al sistema, secondo il quale sono composte, si accordano a dichiararle risplendenti di poetiche bellezze. No no mi è stato risposto : le due tragedie possono ammirarsi dai letterati nel loro gabinetto; ma in teatro non sarebbero sofferte. — E perchè? — Perchè tutto quello che si allontana dalle forme stabilite o fa sbalordire o fa ridere il popolo, e al primo sorriso addio tra- gica dignità. — Oh il popolo, assistendo alla rappresentazione delle due tragedie , non si mostrerebbe che interessato e commosso: basterebbe che quelli, i quali pretendono ch’ ei non debba gusta- re piaceri independenti dalle loro teorie, non glielo impedissero» — Che volete vci dire con ciò? — Voglio dire che se all’ an- nunciarsi per la rappresentazione il Carmagnola o | Adelchi , i ietterati della buona scuola cominciano a screditare o l’uno o l’altro chiamandolo romantico (parola pur troppo di colore oscu- ro) se quindi si spargono pei palchetti e per la platea e gri- dano e sussurrano : questo non istà bene, questo non è secondo le regole, questo è stravagante; il povero Manzoni, ch'è veramente un grande e giudiziosissimo poeta , piacerà meno d’ un poeta me- diocre o farà la figura d’ un poeta senza giudizio. — Ma se le sue tragedie sono fatte per interessare e commovere, che te- mete i loro gridi o i loro sussurri? — Li temo come potea temersi il veto d’ un nobile nell’ antiche diete polacche; li temo se non altro come una distrazione. La moltitudine crede na- turalmente al proprio sentimento, ma non bisogna farnela du- bitare ; si abbandona facilmente al diletto che prova, ma non bi- 63 sogna che si senta al fianco l’autorità pronta a sospenderglie- lo. — Nel vostro concetto adunque i letterati di cert’ ordine sono quasi tanti signori feudali interposti fra lei e la natura: que- sta le dà il diritto a molti e variatissimi piaceri, destinati a svi- luppare le sue morali facoltà; quelli fanno un gesto severo, e dicono : non è buono che ciò che si conforma alle leggi del vecchio castello. — Sì, e gli scrittori non ne soffrono meno della moltitudine. Chi d’ingegno più grande che il gran Cor- neille, a cui Napoleone, buon misuratore della grandezza , avreb- be voluto essere contemporaneo per farlo principe? E il gran Corneille, dice il nostro Manzoni in uno scritto di cui fra un istante parleremo, si sentì minore di sè medesimo sotto l’i- spezione di coloro , che colle leggi classiche alla mano si argo- mentavano di fargli da maestri. ‘ L’ingegno non è mai pie- namente sicuro di sè stesso; brama sempre una testimonianza esteriore che lo affidi delle sue forze. Disdegnato si turba, male apprezzato dubita se ciò che in lui apparisce sia vero. Non gli basta un giudizio imparziale; egli ha bisogno di un giudizio illuminato. La gloria lo alletta potentemente, ma non vi è gloria per lui se non è dispensata da chi sappia ben valutare quel ch’ egli merita ,,. Manzoni ha detto il suo secreto , dicendo quello di Corneillei — Ma che sperare da una generazione d'uo- mini prevenuti? Le tragedie del Manzoni sono romantiche ; dun- que, malgrado tutto il suo senno, malgrado tutto il suo valore poetico, debbono essere qualche cosa di strano, o almeno di non rappresentabile. Quest' argomento ha preceduto la loro lettura ; quest’ argomento si è cercato di confermare leggendole; da que- st' argomento mai non si uscirà. — La ristampa moliniana di esse e dell’altre poesie del Manzoni medesimo è corredata di un'appendice, a cui io alludeva pur dianzi, e che potrebbe ren- dere gli uomim prevenuti alquanto meno difficili a trovar buono un gusto diverso dal loro. Giova dunque farne parola non bre- ve; giacchè, secondo la massima dell’autore , tuttociò che serve a dissipare qualche prevenzione , sia pure in materie pochissimo importanti come le letterarie, serve ai progressi della ragione. Già pubblicando il suo Carmagnola ( la prima tragedia romantica o storica apparsa in Italia ) il nostro Manzoni avea detto intorno alle regole delle due unità di tempo e di luo- go, a cui viene assoggettata la tragedia classica, più cose sen- sate , che gli sembravano dover giustificare abbastanza la sua risoluzione di emanciparsene. Quelle regole, al parer suo, non erano fondate nella ragione dell’ arte, nè risultanti dall’ indo- 64 le del poema drammatico ; non aveano veruna analogia cogli altri principj regolatori di tal poema, ricevuti da quelli stes- si che le credono necessarie; nulla giovavano all’ illusione, poi- chè non si vedea che questa fosse maggiore pei popoli avvezzi ai drammi in cui si osservano, che per altri avvezzi ai drammi in cui non si osservano ; spesso erano state violate anche da quelli che in teoria se ne mostravano rigidi zelatori, e non violate impedivano spesso molte bellezze ed erano causa di molti in- convenienti. Ciò era spiegato da lui chiarissimamente ma brevis- simamente , quasi in appendice, com’ egli si esprimeva, agli scritti di critici sommi , che con ragioni inespugnabili aveano combattuta la necessità di quelle regole. Ma le sue parole , come. quegli scritti, parvero a molti di nessun momento; e il suo Carmagnola fa giudicato colle regole stesse ch’ ei rigettava e in nome di quell’Aristotele, ch’ei diceva male interpretato. Goe- the, non conosciuto allora dal nostro Manzoni che per le sue opere , ne assunse la difesa in un giornale di Stuttgardia con- secrato alle arti e alle antichità. E prima di questa difesa ne diede un’ analisi molto accurata, in cui cominciò dal dire che, seguendo le norme della giusta critica proposte dall’autore, egli si era innanzi tutto formata l’idea più chiara possibile del pia- no della suna tragedia, e l’ avea trovato quale il richiedevano la natura e l’arte; e dichiarò quindi che esaminatane l’ ese- cuzione scrupolosamente , gli era sembrata opera di maestro consumato, Il qual suffragio spontaneo di chi non solo è riguar- dato supremo maestro dai letterati d’Alemagna, ma si conside- ra, malgrado le differenze di gusto, qual prodigio d’ ingegno in tutto il resto d’Earopa, era ben lusinghiero pel nostro Manzo- ni e per l’Italia, a cui oggi avviene così di rado che i suoi poeti ottengano fra gli stranieri qualche attenzione. La difesa, ch’io non ho letta, sento dire che fosse breve ma tale da do- ver bastare contro alcune critiche italiane ed inglesi non mol- to profonde, a cui si riferiva. Altre intanto ne uscivano dal- l'ingegno de?’ francesi, fra le quali una, recata da quel giornale ch’ avea titolo di Liceo, parve notabilissima, poichè non solo rimetteva in questione i principj seguiti dal mostro Manzoni, ma tendeva a rinfrancare i principj opposti con nuovo sostegno. Il Man- zoni, che si trovava allora a Parigi, non ne fu, com'egli dice, sorpre- so, e, com’essa gli sembrava tanto sagace quanto era gentile, pensò, rispondendovi, di dar prova di stima e di gratitudide a chi l’avea scritta. La sua risposta però, a cui obbligato di ‘tor- nare in Italia non potè porgere l’ultima mano, sarebbe rima- | sta inedita, se il sig. Fauriel suo amico ( uno de’ più distint! letterati francesi, ormai da tutti conosciuto pei canti popolari della Grecia moderna ) pubblicando una versione del Carma- gnola e dell’Adelchi non si fosse deciso di aggiugnerla all’ ana- lisi del primo fatta dal Goethe , e a quella dell’altro fatta da lui medesimo. Questa risposta in forma epistolare (dettata orì- ginalmente nella lingua del critico a cui è diretta ) e aggiun- ta ora alla raccolta delle produzioni letterarie dell'autore è quel- la di cui vogliamo dare un’idea, quanto ci sarà possibile , compita, non solo come di cosa nuova per molti de’ nostri lettori, ma' altresì come di cosa che può spargere nuovo lu- me sulla disputa che divide oggi le opinioni intorno alla dram- matica . - Il genere storico o romantico, se così piace chiamarlo, che da qualche tempo , come accennavasi più sopra , si co- mincia a ben accogliere in uno de’ paesi ove da secoli doni- na il classico, sembra però che da alcuni venga tuttavia ri- guardato come un intruso o come un iliegittimo . lo legge- va, son pochi mesi, in una bella introduzione del signor De Vitry alla sua versione o compendio delle memorie biografiche di Goethe: “ proscrivere la tragedia storica sarebbe un’ ingiusti- zia o una sciocchezza; e sciocchezza è veramente in fatto d’arti ìf proscrivere ciò che ne dà piacere : chi saprà iuterassarci avrà ben presto guadagnata la sua causa presso di noi ,,. Or co- me questo critico dovea parlarci dei drammi di Goethe e di Shakespeare, che a Goethe è sembrato interessantissimo , ci aspettavamo ch'egli mandasse almeno del pari il genere dram- matico preferito dagli inglesi e dai tedeschi, e quello preferi- to dagli italiani e dai francesi. Pure la nostra aspettazione andò fallita. « Il dramma regolare, egli dice, il vero dramma, è quello di Sofocle, di Corneille e d’Alfieri . ,, Così sempre la ragione allarga le nostre idee, e la prevenzione tende a restrin- gerle. Il'eritico, a cui il nostro Manzoni risponde, non ha voluto dire espressamente che il dramma ‘storico non sia vero dranima; pure sembra che abbia voluto insistere sulle regole delle due Unità, come necessarie alla perfetta bellezza di un tal componimen- tò. Ciò almeno ci fanno pensare quelle sue parole: che siffatte re- gole non debbono tanto considerarsi relativamente alla verositui- glianza (il nostro Manzoni avea detto che questa, o l’illasione che ne deriva nulla soffre della loro infrazione ) quanto relativamente all’ unità d’azione e alla stabilità de’ caratteri. Come l’argomen- to della verosimiglianza, leggiamo nelia risposta , fu sino ad T. XIX. Agosto 5 È 65 66 oggi il principale che si opponesse a .chi voleva prescindere dalle regole, sarebbe stato importante il sapere, se il ‘critico. lo considerasse così solido come sempre è sembrato , oppure da farsene piccolo conto. “ Avviene talvolta che alcuni princi- pj ; sostenuti a lungo con falsi ragionamenti , si dimostrino in seguito con altri migliori. Ma come il caso è raro, e il variare le prove d’un sistema forma sempre una forte presunzione con- tro di esso, avrei amato sapere, aggiugne il nostro Manzoni, se il critico abbia cercate nuove ragioni in favore del sistema, stabilito per aver trovate insufficienti o false le antiche.,,, In=. tanto, prima di esaminare se le due unità di tempo e di luo- go siano così importanti per quella d’ azione , come il critico asserisce , egli si fa ad indagare ciò che sia questa terza uni- tà. Essa certamente non consiste nella rappresentazione d’ un fatto semplice e isolato, ma bensì in quella d'una serie d’ay- venimenti che abbiano fra loro ano stretto legame. Questo le-. game , che li fa considerare come un’ azione unica, non è ar= bitrario , altrimenti l’ arte non avrebbe fondamento nella natu- ra e nella verità. Lo storico e il poeta, per quella facoltà che hanno comune con tutti gli uomini di vedere fra. gli avveni- menti le relazioni di causa e di effetto , di anteriorità e di con- seguenza , li scelgono da altri, a cui si possono dire piuttosto frammisti che legati, onde presentarli sotto un punto unico di veduta. Ma il poeta differisce dallo storico in ciò che, mentre questi si propone di far conoscere una serie indefinita di avveni- menti, quegli si propone di rappresentarne una serie separata, che sembri più particolarmente degnad’attenzione, e il cui adempimento, possa aver luogo prssna a poro in un tempo determinato . Così l’unità d’azione mai non può, essere assoluta, e. solo diventa più sensibile , quando tra. gli avvenimenti scelti se ne, presenta uno principale, intorno a cui gli altri vengano ad aggrupparsi o co- me mezzi o come ostacoli, un avvenimento che talvolta è pre- veduto da lungi, e verso cui i personaggi si precipitano per quelle strade stesse, che pareano dover condurli a meta op- posta . “ Quest’ avvenimento principale è quello;che si chiama catastrofe , e che si è troppo spesso confuso coll’ azione ; la quale consiste propriamente nell’andamento progressivo dei fatti rappresentati ,,. Ora dall’ azione così intesa ( nè sembra che i fautori del sistema classico la possano intendere altrimenti ) nulla può conchiudersi in favore delle due unità . Se si dice che più l’azione si estende in luogo ed in tempo, più rischia di perdere quel carattere delicato d’ unità ch'è sì importante per l’ arte, e? CI i si avrà ragione . Ma dalla necessità di un limite a questo ri- 67 guardo inferirne che un tal limite possa fissarsi d’una manie- ra precisa per tutte le azioni imaginabili è un grande ingan- no. Bisognerebbe allora poter mostrare che gli avvenimenti rap- presentati in uno spazio di laogo più ampio di quello a cui l’ occhio può estendersi, o in uno spazio di tempo maggiore di un giro di sole, non hanno fra loro vero legame. Quindi gli autori dellà regola delle due unità mai non pensarono a sta- bilirla in favore dell’unità d’azione , accontentandosi di dirla ne- cessaria all’ illusione o alla verosimiglianza. Voltaire fu il pri- mo a parlare della relazione che le due unità hanno coll’ altra; e Schlegel ha fatto sentire abbastanza la debolezza del suo ra- gionamento . Nè il considerare l’unità d’azione come fa il nostro Manzo- ni scema all’ arte il suo pregio , diminuendone le difficoltà . È assai più comodo, egli dice, l’ imporre e l’adottare pel luogo e pel tempo limiti arbitrarii. L’arte. però da questi limiti , co- modissimi al poeta per iscurarsi de’ suoi falli, e agli spettatori per sentenziare del suo dramina, nulla guadagna. Il critico, per meglio provare che giovano all’unità d’azione, pretende che per essi fino dal primo atto vengono ad essere determinati i caratteri e i disegni di ciascun personaggio . Ma il nostro Manzoni tro- va soverchia questa determinazione, e quando sia necessaria non vede qual relazione abbia colle unità di tempo e di luogo. Si possono benissimo, egli dice, mettere nell’ esposizione di un dramma tutti i germi dell’azione in esso rappresentata , e dare nondimeno a quest’azione uno spazio di tempo e di luogo este- sissimo . Del resto se è necessario che gli spettatori conoscano i personaggi che prendono parte all’azione, è difficile provare che debbano conoscerli nel primo atto. Ove l’azione li presenti a misura che naturalmente debbono entrarvi, certo si troverà in in essa ciò che chiamiamo interesse, continuità , progressione, Perchè diremo noi che non possa trovarvisi unità ? Il bisogno di far conoscere i personaggi fino dal primo atto è un bisogno ben singolare , se non fa pure imaginato da tanti drammatici, che mai non avrebbero concepita la tragedia senza unità d’ a- zione. « Nongne citerò che un esempio, e non andrò a cer- ‘ carlo in un teatro romantico, ma lo trarrò da quello di So- focle , che i classici invocano ad ogni istante. Emone è un personaggio interessantissimo nell’azione d’Antigone, e lo è per una circostanza ben rara nel greco teatro , cioè come eroe amo - roso. Nondimeno egli non solo non è amnunciato nel priwo 68 atto, se pure quell’azione è distribuita in atti, ma appena dop@ due cori; vale a dire dopo la metà dell’azione medesima , noi udiamo parlare di lui. Sofocle peraltro potea farlo conoscere fino dall’ esposizione , e il potea d’ una maniera assai naturale; e in un’ occasione, che un poeta moderno sicuramente. non avrebbe trascarata. La tragedia comincia dal proporre che fa Antigone a sua sorella Ismene d’esserlé compagna a seppellire» malgrado il divieto di Creonte, la misera spoglia del fratello Polinice. Ismene le oppone la propria e la sua debolezza , la forza pronta a sostenere quell’ingiusto divieto, la pena che ne seguirà la violazione. Quale opportunità per Sofocle di mette- re in bocca d’Antigone i più bei versi riguardo ad Emone, suo amante, suo futuro sposo, e figlio del tiranno ; di far pre- sentire l’ ajato che le due sorelle potevano da lui aspettarsi ! Egli non solo aveva in ciò un mezzo comodo, e semplice di an- nunciare ùn personaggio importante, ma trovava ben altri vantag- gi, secondo certo sistema tragico, infinitamente preziosi. Egli veniva così ad annodare fortemente l'intreccio fino dalla prima scena ; mentre indicava fieri ostacoli, faceva pure introvedere de’ rnezzi per superarli, e temperava con qualche speranza il sentimen- to del pericolo di due virtuose persone; annunciava un contrasto inevitabile fra il tiranno geloso del suo potere e il figlio diletto di questo tiranno; in una parola eccitava vivamente la curiosità . Ebbene tutti questi vantaggi ei li neglesse, o piuttosto non li credette di verun conto , nè degni del suo disegno. Vi ram- mentate voi la risposta ch’ egli fa fare da Antigone ad Îsme- ne? “ Più non ti chieggo, e s’anco -- or tu il volessi, a me grata non fora -- più l’opra tua. Pensa a tuo grado ; io sola -- a lui tomba darò: bello mi fia -- per tal fatto morir. Com- piuto il sacro, -- pietoso ufficio, io giacerò col caro -- fratel- lo, a lui cara pur io. Più tempo -- agli estinti piacer deg- gio che a’vivi ,,. Vedete come ogni pensiero d' Emone sareb- be qui stato fuori di luogo, come avrebbe snatarato, indebo- lito, profanato il sentimento che occupava il cuore di Anti- gone. Essa andava a compiere an religioso dovere; una legge superiore le diceva di sfidare quella del capriccio e della forza che glielo vietava. Ismene sola, a’suoi occhi, avea dgitto di parte- cipare al suo pericolo, giacchè avea comune con lei lo stesso dovere. Come potea qui entrare il pensiero d’un amante, o la speranza nel soccorso di un uomo? Però come in tutta questa parte l’a- zione procede naturalmente senza l’ intervento d’ Emone; come la sua presenza anzi la sua rimembranza sarebbe stata inu- 69 tile e d’un effetto volgare, il poeta si è ben guardato dal farvi ricorso. Ma quando il giovane comincia ad essere inte- ressato all’ azione, egli lo fa annunciare e quindi subito dopo comparire . Antigone è condannata , la sposa di Emone È vi- cina a perire; questi allora è richiesto dall’ azione medesima, e si mostra in iscena. Egli viene innanzi a suo padre a difen- dere la vergine cui ama, e che deve morire per aver fatto ciò che la religione e la natura le comandava. Ciò gli spettatori intendono assai bene appena sentono pronunziare il suo nome; e sì mirabile effetto dell’arte è tutto dovuto alla sua semplicità, Ora diremo noi che l’azione tragica di Sofocle manchi d’unità, perchè lo stato e i disegni de’personaggi non sono conosciuti fina dal primo atto ? Secondo un certo sistema , che a’ miei occhi è piuttosto l’opera laboriosa e successiva de' critici che il risul, tato della pratica de’ grandi poeti, si dà moltissima importanza all’ arte di preparare la comparsa de’ personaggi e l’ introdu- zione degli avvenimenti. Ma ciò stesso mi sembra indigare il debole del sistema, non derivando, com’è chiaro, se non da un’ attenzione eccessiva e quasi esclusiva alla forma anzi al- l’ esteriore del dramma. Parrebbe infatti che la maggipr bellez- za di questo consistesse nell’ evidenza ‘de’ mezzi onde il poeta la trasse al suo compimento; che non vi fosse per noi maggior pia - cere che quello di ammirare la destrezza, ond’ ei si sottrasse a” lacci che un’arte ostile gli tese lungo il cammino, Gli si per. mette di fare per così dire i suoi patti nell’ esposizione , ma in tutto il resto del dramma si sta con tanto d’occhi per ve- dere come li serba. Ove si presenti una situazione non prepa- rata , un personaggio non annunciato , lo spettatore , addottri- nato dai critici, gli grida in suo cuore: intendo benissimo, que- sta situazione è chiara per me, questo personaggio viene a pro- posito, ma io non voglio interessarmivi, perchè avea diritto d’ esservi disposto d'altra maniera, Da un medesimo principia wiene quell’ ammirazione sì puerile e potrei dire sì ingiuriosa per ciò che avvi di meno importante nell’opere de’ grandi poe» ti. Fa veramente pena il vedere i critici notare con una cu- ra minnta alcuni versi gettati a principio d’una tragedia per far conoscese anticipatamente un personaggio che yi avrà gran parte, o anpunciare un incidente che condurrà la catastrofe; fa tristezza l’ udirli esclamare su questi piccioli preparativi e co- mandare con freddo entusiasmo che si ammiri l’arte, la gran- d’ arte di Racine. Ah! la grand’arte di Racine non consiste in Sì pieciole cose; nè Je grandi bellezze della poesia sono pra: 70 vate dalle esclamazioni di sì gravi scolari. ,Ben lo sono dagli uomini che si trovano per esse trasportati fuori di sè e po- sti in uno stato indefinibile , in cui obliano e la critica e la poesia medesima , dal cui potere son dominati ,,. Noi non possiamo certamente seguire il critico francese in tut- te le osservazioni opposte al sistema del nostro Manzoni, per ripro- durre o intere o compendiate le risposte di questo , e mostrare quale alta filosofia illumini il suo intendimento. Sceglieremo perciò alcune osservazioni principali che hanno dato luogo a risposte, le quali ci sembrano particolarmente atte a formare il nostro cri- terio intorno ad un’arte, ancor troppo tiranneggiata da principii esclusivi. Quel critico insisteva che, se lunghi intervalli di tem- po e di luogo separano gli atti e le scene, gli avvenimenti inter- medì rallenteranno i nodi dell’ azione, e più saranno numerosi e importanti , più l’ azione sembrerà dislogata . Intorno a che il nostro autore avverte che siccome nel sistema istorico il poeta non crea a piacer suo quegli intervalli, se l’ azione presa a rap- presentare è tale che non ammetta unità drammatica , ei l’ ab- bandona. Del resto se è proprio di questo sistema il supporre fra atto ed atto o scena e scena intervalli più o meno lunghi, non Jo è già di supporli pieni di avvenimenti numerosi e im por- tanti ali’ azione. Esso ha d’ uopo soltanto di tali spazi , che si possano valicare o restringere come indifferenti, nel che concor- da col classico. Solo che nell’ un sistema il poeta si fida piena- mente alla capacità del nostro spirito , che va pronto dalle cau- se agli effetti, e nell’altro lo stima sì lento da non poter passare che con isforzo ad un effetto il quale non sia vicinissimo alla sua causa. Ora di questi due sistemi qual è il più giovevole ad un poeta per distinguere in un soggetto drammatico gli ele- menti dell’azione, disporli ne’luoghi che loro appartengono , svi- Jupparli nelle proporzioni che loro convengono? Quello certa- mente che non lo assoggetta ad alcuna legge arbitraria, desunta d’ altronde che dal soggetto medesimo. Che se , malgrado que- sto vantaggio , il poeta non riesce a presentare che tante parti di un'azione , piuttosto che un’ azione vera e ben collegata , la colpa è tutta sua. Il critico, in prova della sua tesi a favore delle due unità, avea notato che nel Carmagnola fra il terzo e il quar- to atto corre il tempo d’un’intera campagna, e che a tal di- stanza è impossibile seguire il progresso dell’ azione. ‘ Conven- go volentieri, dice il nostro Manzoni con quella ingenuità che non si trova che negli spiriti veramente elevati, che questo è un vero difetto ; solo bisogna vedere a chi si debba imputarlo . | | I | 71 Un poco al soggetto., assai più all’ autore, nulla affatto al siste. ma. ,, Quanto all’importanza delle due unità per ciò che riguar- da i caratteri , il critico aggiugneva che nel sistema romantico l’ apparizione e disparizione de’ personaggi è sì frequente, che gli spettatori appena hanno tempo di far con loro conoscenza - Il nostro Manzoni , confessando che questa apparizione e dispa- rizione deve avere un limite , nega che sia più facile determi- narlo nel sistema delle due unità che in quello in cui l’azione, dando regola a sè stessa, prende i personaggi quando li trova per così dire sulla sua via, e li abbandona quando non hanno più seco alcuna relazione importante. Del resto, egli osserva, l’ abi- tudine e lo spirito sistematico fanno talvolta parere vizioso ciò che tale non sembrerebbe a uomini altramente disposti. ‘ Se un personaggio si mostra sulla scena quand’ è necessario ; se nel tempo breve o lungo , che vi si trattiene, dice cose che ca- ratterizzino un’ epoca, una classe d’ uomini , una passione indi- widuale, e contribuisce con ciò al corso dell’azione e al suo effet- to sull’animo degli spettatori, quel personaggio non si sarà dunque fatto conoscere abbastanza ? E che male c’è ch’ egli in seguito scompaia quando l’azione più nol richiede ? ,, Ma un in- conveniente assai più grave deriva, secondo il critico, dalla violazione delle due unità, ed è che i personaggi , se persistono a lungo in un medesimo disegno, riescono talvolta o strani o ributtanti , e , se lo variano, riescono meno interessanti. Al che il nostro Manzoni risponde, risalendo al grande principio del nuovo sistema teatrale, e mostrando con vivo ragionamento co- me i caratteri drammatici debbano essere più vicini alla perfe- zione in quel sistema, che prende scrupolosamente per base la verità. Il perioolo che i personaggi riescano quali il critico ac- cenna è piuttosto nel vecchio sistema, e il Manzoni lo prova ‘con esempi, fra cui il confronto dell’ Orosmane di Voltaire € dell’ Otello di Shakespeare ci è sembrato cosa stupenda. Egli ha così prevenuto lo spiritoso Stendhal, il quale nulla sapendo del- la lettera di cui si parla , scritta prima del suo libretto sopra Racine e Shakespeare, ma stampata dopo, mette queste poche parole che troviamo in essa ampiamente spiegate : “ E interes- santissimo , è de/lissimo il vedere Otello sì innamorato nel pri- mo atto uccidere la donna sua nell’ ultimo. Se un tal cangia- mento avesse luogo in trentasei ore, sarebbe assurdo ed io di- sprezzerei Otello. ,, Il nostro Manzoni è ben deciso a favore del sistema istorico, il qual gli sembra il più «favorevole all’ arte «drammatica; ma non è cieco sull’abuso che se ne è fatto. Quin> 72 di riconosce giuste , a cagione d’ esempio, le accuse d’ ecces: siva lunghezza date ad alcune tragedie composte in quel siste- ma. Come però tanta lunghezza non gli è essenziale, crede che per rimediarvi non sia punto necessario di. adottare il sì: etema opposto. ‘ Fondarsi, egli dice, sopra qualche eccesso per istabilire de’ limiti arbitrarii è fare come chi, dopo avere mostrato facilmente che |’ anarchia è cosa molto cattiva, ne conchiudesse che in fatto di governo non v'è di meglio che. il governo di Costantinopoli. ,, Madama Stael, se ben mi ricordo, trattando la quistione dei due sistemi teatrali in quel suo libro della letteratura che a suo tempo sarà inteso come più altri libri e frammenti riguardevoli di scritti periodici ( fra i qua- li annoveriamo il dialogo d’ Ermes Visconti sulle unità , citato con tanta lode dal nostro Manzoni , tradotto da Fauriel , imi- tato da Stendhal, e accolto colle risa da tante povere creature quando comparve nel Conciliatore ), distinse molto saviamente le leggi del gusto immutabili dalle leggi drammatiche di pura convenzione, Anche il nostro Manzoni sembra aver fatta una si- nile distinzione; e quando non la trovassimo nelle sue teorie, già l’argomenteremmo dalla sua pratica. Shakespeare, ( que- sta citazione mi sembra importante) mescolò sovente il comico a ciò che avvi di più serio. Un critico moderno, a cui non si può negare molta sagacia e profondità, volle giustificare questa sua pratica e darne buone ragioni, Ma confesso che queste ra- gioni, sebbene derivate da una filosofia troppo superiore a quei- la che si è applicata fin qui all’arte drammatica, non mi ;han- no mai persuaso. Io penso, come un buono e leale partigiano del classicismo, che la mescolanza di due elementi contrarii di- strugga quell’unità d’ impressione ch’ è necessaria a commover- ci, 0 per parlare più ragionevolmente mi sembra che questa mescolanza , come fù impiegata da Shakespeare sia sconvenien- tissima . Infatti che sia realmente e per sempre impossibile il produrre un’ impressione armonica ed aggradevole , combinando quei due elementi, nè ho il coraggio di affermarlo, né ho la do- cilità di ripeterlo. Non avvi che un solo genere, da cui si possa an- ticipatamente escludere ogni speranza di buon successo, e questo genere è il falso. Ma vietare al!’ ingegno d’ impiegare elementi che sono in natura , per la ragione che non potrà cavarne un bnon partito, è un oltrepassare i confini della critica , la quale nou può giungere a vedere tant’oltre.... Comunque di ciò sì pen- si, egli conchiude, sarà questo un punto particolare di diseussio- pe, ove si abbiano dati per sostenerla ; ma non potranno ai LA” 73 trarsene sinbione contro il sistema storico seguito da Shake- speure. Poichè non fu già la violazione della regola delle due unità quella che lo strascinò alla mescolanza del grave e del burlesco, del toccante e del basso; ima l’avere osservato questa mescolanza nella realtà e desiderato di riprodurre la forte impressione che ne avea ricevuta. ,, Il critico, fondato sulle osservazioni di cui si è fatto cenno ( esclusa quella che riguarda la mescolanza del grave e del bur- lesco ) credette di poter asserire che il Carmagnola , scritto se- condo le regole classiche , sarebbe riuscito più bello e più in- teressante, e a meglio dimostrarlo ne tracciò egli medesimo il piano , che quelle regole sembravano suggerire. I lettori potran- no vederlo riportato esattamente nella risposta di cui sì parla. Il nostro Manzoni, non accettandolo, come ben possiamo imagi- marci, ha ridotte le sue ragioni ad una tesi generale (ei fugge quant’ è possibile di parlare di sè e delle cose sue ) divisa in quattro capi, che offrono un esempio di critica nuovo in Italia e non comune fuori di essa . ‘ Ecco, egli dice , i principali in- convenienti che mi sembrano risultare da questo modo (il modo proposto del critico ) di trattare drammaticamente i soggetti isto- rici. 1. Nella scelta fra gli avvenimenti da rappresentarsi innan- zi allo spettatore e quelli da fargli conoscere per mezzo di nar- razioni si piglia norma dall' arbitrio e non dalla natura degli av- wenimenti stessi e dai legami che hanno coll’ azione . 2. Si re- stringe nello spazio fissato dalla regola un più gran numero di fatti, che la verosimiglianza non permette . 3. Non perciò si omettono meno elementi poeticissimi, che vengono forniti dalla storia. 4. Si sostituiscono (e quest’ inconveniente è più grave degli altri ) cause di pura invenzione a quelle che hanno real- mente determinata l’ azione che si rappresenta .,, Ci duole inve- ro che i limiti d’ un articolo non ci permettano di dare alcun saggio delle prove con cui egli sostiene queste quattro propo- sizioni. Benchè forse il darne saggio, quando la loro dimostra- zione risulta da tutto il ragionamento , sarebbe piuttosto un il- ludere che un soddisfare |’ aspettazione de’ nostri lettori . Fu giu- stamente rimproverato a Lessing e a Schlegel , che volendo nel- le loro drammaturgie sostenere il muovo sistema teatrale aves- sero con troppa minvtezza cercati i difetti nelle opere appar- tenenti all’ altro sistema . Nella lettera del nostro Manzoni ap- parisce un’ imparzialità veramente ammirabile , se si consideri che , mentre parla ad un critico pieno di lumi e. di cortesia , sente di averne in presenza altri assai disdegnosi ( molti tratti 74 rimarchevoli della. sua lettera. ne fanno fede) quali non trovano nelle opere appartenenti al sistema!romantico altro che assurdi, e stravaganze . Egli ne fa ricordare di iciò che abbiamo letto di Goethe nel terzo libro delle sue memorie + che essendo si determinato a studiare nelle loro sorgenti quelle regole clas- siche, a cui sentiva farsi un appello continuo , e su cui d’ asprez- za degli appellanti aveva destato nel suo animo non pochi dub- bi, trovò che la ragione di tali regole era un’ po? meno che ragionevole, ma seguitò a credere che i grandi poeti classici erano quasi dei, ‘ Quello che mi determinò specialmente , egli dice. a mettere da parte una volta per sempre le regole fu il vedere che gli autori delle più belle opere teatrali, quando cominciavano a dissertare intorno ad esse ( allude ad alcuni scritti teorici di Cor+ neille e di Racine ) per render conto delle loro invenzioni, spie* garle , difenderle, non s’ intendevano sempre. essi medesimi. Stimai dunque miglior partito il nutrirmi nelle loro opere, e studiarne io medesimo la ragione negli effetti che in me «produ- cevano . ,, Già abbiamo accennato come il nostro Manzoni sap- pia valutare la grande arte di Racine meglio di tanti, che 1’ ban no sì spesso sulle labbra, ma a cui per l’ onore del. poeta non bisogna domandare in che consista. Quanto a Gorneille , egli è andato più avanti dell’ illustre alemanno , poichè ha mostrato ( altra parte notabilissima della sua lettera ) che quel poeta accusato continuamente di aver violate le regole, di cui sentiva la debolezza, e a cui faceva tanti sagrifizi , volle, cercando in esse la propria difesa , placare la critica , destinata per sua na- tura a favorire i progressi dell’ arti e quasi sempre molesta a’ grandi ingegni. Anche il nostro Manzoni , sebbene solito a tro- varla a proprio riguardo complimentosa o almeno rispettosa . può dire di non averla trovata più incoraggiante di quello che la trovasse Corneille. E quando non avesse prove personali della sua rigidezza importuna, non potendo nè volendo separare la sua causa da quella degli altri romantici, ancora avrebbe ragione di rammaricarsene. La critica , dirò così un po’ liberale, non ere= do che in Francia sia anteriore alla data della sua lettera, e in Italia non so vederla che dopo il suo Adelchi, Non già che di questa tragedia sia comparsa ne’ nostri giornali un’ analisi come quella che il sig. Fauriel aggiunge alla sua versione . L’ egregio traduttore partecipa pienamente ai principj letterarj del nostro Manzoni , e la tragedia, malgrado qualche imperfezione che vì ritrova, è per lui un nuovo argomento della bontà di questi prin» cip). Un critico, il quale non va certo confusa ‘coi critici mi- 75 - muti, un critico, il quale per la forza del..proprio ingegno e lo studio delle varie letterature sa alzarsi dalle teorie esclusive a quel- la d’una poesia universale , in cui si confondono Calderon, Shake- speare, Goethe, Dante ed Omero, prese l’anno scorso nella Biblio- teca italiana ad esaminare l’ Adelchi ; e si propose di giudicarlo secondo la legge che il suo autore avea scelta. Ma al proponi- mento non era facile che corrispondesse l’effetto, poichè se la vo- lontà , da cui l’uno proveniva, era benissimo disposta; la mente, da cui l’altro dipendeva, non era forse libera abbastanza.Già nell’espres- sione di quel proponimento vedeasi inchiusa una tacita disapprova - zione della legge manzoniana , a cui nel pensiero del critico ne stava incontro un’altra da lui stimata migliore. Era dunque naturalissimo che l’ una fosse pressochè obliata , e l’altra fos- se presa a vera norma del giudizio . In fatti il critico già sta- wa per condannare la tragedia fino dal principio del suo esa- me, come quella che non si accostava all’ idea esemplare che di un, sì alto lavoro egli avea concepita. Ora chi dubitasse che in questa idea esemplare non entrassero tutte e tre le classiche uni- tà, sebbene il critico sembrasse donar volentieri quelle di luogo e di tempo , consideri bene il piano da lui proposto come più con- venevole del manzoniano. Esso non è strettamente classico, di che stendendolo gli incresceva , ma è però fondato su questo prin- cipio che per mantenere l’ unità d’ azione in senso drammatico bisogni afferrare il momento principale, e in esso condensare quan- to più importa di far conoscere all’ imaginazione ed al cuore . Ora è questa una legge a cui il Manzoni ricusa d’'assoggettarsi , perchè secondo lui il momento principale può essere assai lonta- no da’suoi antecedenti, e il condensare in esso i fatti più impor- tanti è spesso con iscapito dell’integrità e d’altre doti essenziali sen- za vero vantaggio per l’unità. Veggasi nella sua lettera la bella analisi del Riccardo secondo di Shakespeare, opposta ai princi- Pj» a cui Corneille credette di dover sacrificare I’ azione del suo Cid, e si avrà la più forte risposta che possa farsi alla mas- sima del nostro critico, e quasi dissi la dichiarazione de’ mo- tivi per cui al Manzoni sarebbe impossibile di adottare il suo piano. Noi non vogliamo dire con ciò che da questo piano non potesse uscire buona tragedia. Vogliamo dire soltanto che non poteva uscirne una tragedia secondo l’ idea del Manzoni, una tragedia che mettesse veramente sotto gli occhi degli spettatori la caduta del regno, longobardico ,, la parte che ebbero a questo grande avvenimento e longobardi e franchi e italiani, i tratti caratte- Fistici insomma che secondo la storia ( quale almeno l’autore 6 # hi concepita prendendola alle fonti, e ragionandola in quel suo discorso che il critico chiama sapiente ) distingu no e l’avvenimen» to e gli uomini che lo hanno operato. Molte cose in fatti per consiglio del critico medesimo dovevano nel suo piano darsi per avvenute, molte raccomandarsi a narrazioni e a cenni, i quali egli sa bene come suppliscano a ciò che si vede. Lasciamo per brevità molte sue considerazioni speciali sulle parti e la distri- buzione della tragedia, egregiamente scritte ed egregiamente pen- sate , ma quasi tutte già s’ intende secondo il suo sistema favo- rito. Quanto alla nullità tragica de’ due ultimi atti non pos- siamo essere d'accordo, perchè non ci sembra vero che su» perate le chiuse delle Alpi cessi, com’ egli dice, ogni so- spensione. Sì, dopo quel fatto, la rovina del regno longobardi co può credersi inevitabile, ma pure non è decisa, I longobardi fedeli, come osserva il signor Fauriel, si raccolgono sotto Adel. chi, e formano ancora un corpo abbastanza numeroso per con- trastare ai franchi la piena vittoria. Sulla fine di marzo del 1814, egli poteva aggiugnere ad esempio , Parigi era vicina ad arrendersi agli alleati ; Napoleone, che aveva commesso l’ er- rore di allontanarsene per recarsi alle spalle di quelli che bi- sognava aspettare di fronte, poco probabilmente era per giugne- re in tempo di sostenerla; nondimeno il fatto era possibile, e la sua sorte non si poteva ancor dire perduta. Che più? Al cominciare d’aprile, Parigi non era più sua, e colla capitale pareva che gli fosse sfuggito l’ impero ; ma se l’esercito da lui raccolto a Fon- tainebleau gli rimaneva intatto , se una convenzione particola- re non ne distaccava più di una quinta parte , chi poteva asserire che l’ impero gli fosse sfuggito realmente? — Ma ciò che il critico dic@€ del partito che il signor Manzoni po- tea trarre dalla fine di Adelchi raccontata da Sigiberto, af- fine specialmente di serbare quella ch’ei chiama unità d' affet- to , ci sembra tanto più giusto , che il poeta doveva esser por- tato da’ suoi principj ad attenersi a quel racconto. Quanto ‘al carattere di questo Adelchi, il critico già non poteva esser più rigido verso il poeta di quello che il poeta lo sia stato verso di sè, e però non ne parliamo. Quell’ Ermengarda , non può negarsi, è nella tragedia quasi per distrarci dall’ azione princi- pale; ma un così divino concetto dell’anima dell'autore in qua- lanque luogo si presenti chi può avere il coraggio di trovarlo fuori di luogo? Disuo padre Desiderio che possiamo noi dire? E giusta la brama di vederlo far azioni degne dell’ira sua, Ma forse è il proprio di simili caratteri violenti, che mai non hanno 77 pesate le difficoltà della loro situazione , il perdere le forze quando sono soprafatti dalla fortuna. Svarto, è verissimo , pro- mette assai più che non attiene ; ma non è vero che sia asso- lutamente nullo nella tragedia . Serve, se non altro, come Guntigi, a mostrare la vera situazione di Desiderio, che non ha solo a combattere con aperti nemici, ma si trova in ba- lia di quelli che non può combattere, i traditori. Questi due sono cone l’ ideale delle due classi a cui appartengono ; e il cavalleresco Anfrido , che forma contrasto con loro, sembra posto nella tragedia così per sostegno del re longobardo come per nostra consolazione. La principale censura del critico ri- guarda il carattere di Carlo, e dico principale perchè va a toccare nel cuore il sistema romantico . Senza offendere la ve- rità storica; anzi osservandola meglio che al nostro Manzoni non è piaciuto , potea farsi di Adelchi altr’ uomo, e concentrare in lui più sensibilmente le varie. fila della tragedia. Ma Carlo po- tea o dovea farsi differente? E non potendosi, nè dovendosi, aveva ad abbandonarsi il soggetto della tragedia? Noi non ci arroghiamo di entrare giudici in tale questione; ma diciamo sol- tanto che, secondo la legge che il sig. Manzoni ha prescelta, non si vede questa necessità , e ch’'ei l'ha prescelta appunto per andarne esente. Giova riportare un passo della sua lettera ( principale oggetto del nostro articolo ) perchè siano ben chia- re le sue opiùioni a questo riguardo. ‘ Qual è l’attrattiva che ha per noi una compo-izione drammatica ? Quella del piace- re che trovasi a conoscere l’uomo , a discoprire ciò che avvi di reale ‘e d’intimo nella sua natura, a vedere l’effetto de’fe- nomeni esteriori sopra la sua anima, il fondo dei pensieri e de’ sentimenti pei quali egli si determina ad operare. Quan- do si racconta una cosa ad un fanciullo , egli non manca mai di domandarvi : è dessa vera? E non è questo un gusto par- ticolare dell’infanzia . Il gasto della verità è il solo, che possa rendere. per noi importante ciò che ascoltiamo. Ora il vero drammatico, ove può meglio trovarsi che in ciò che gli uomi- ni hanno fatto realmente? Un! poeta incontra nell’ istoria un carattere notabile che lo ferma e sembra dirgli; ossetvami; io t'insegnerò qualche cosa intorno alla nostra natura . Il poeta si fa dunque ad osservarlo per darne in certo modo il ritratto. Ove troverà egli uulla di più conforme all’ idea vera dell’uomo ch’ ei si propone di dipingere, se non negli atti che un tal uomo ha realmente eseguiti? Ebbe questi uno scopo, giunse a consc- guirlo, ovvero fallì nel suo intento. Ove il poeta ritrovereb- 98 . . . . sl GRNSE be una rivelazione più sicura di questo scopo e de’ sentimenti che portarono il suo personaggio a cercare di conseguirlo , che ne’ mezzi a ciò scelti dal personaggio medesimo ? Ma non ci arrestiamo qui se vogliamo compire la nostra proposizione. Il poeta incontra pure nella storia un’azione ch’ ei si compiace a con- siderare , in fondo a cui vorrebbe penetrare. Essa è sì inte- ressante che bramerebbe conoscerla in ogni sua parte , e por- gerne un'idea la più vera, la più intera, la più viva. Per giugnervi ove cercherà egli le cause che l’hanno provocata , che ne hanno deciso il compimento , se non ne’ fatti stessi che ne furono le vere cause ? Forse per non avere osservato questa rela- zione fra la verità materiale de’ fatti e la loro verità poetica, i critici hanno aggiunta alla regola di non falsificare la storia un” eccezione che non mi sembra ragionevole. Essi hanno detto che, quando le principali circostanze d’ una storia non siano da tutti” conosciute, si può alterarle o sostituirne altre di pura inven- zione. Ma, o io m’inganno a partito, o questo anzichè faci- litare al poeta la formazione di un buon piano gliene toglie i' mezzi più sicari. Che importa che quelle circostanze siano 0 no conosciute dallo spettatore? Se il poeta le ha trovate, deve riguardarle come un filo conduttore per giagnere al vero. Ei tiene in mano qualche cosa di reale: perchè mai lo rigette- rebbe; perchè rinuncierebbe volontariamente alle grandi lezioni della ‘storia ? ,, Ma tutte le lezioni della storia, pare che domandi il cri- tico, sono esse egualmente degne della tragedia? Egli ha con- siderato bene il discorso che accompagna quella del Manzoni, e malgrado tale discorso a lui sembra (usiamo volentieri le sue parole sempre vigorose e sempre eloquenti ) che tutte le benedi- zioni di papa Adriano non avrebbero condotto giù per l’ Alpi re Carlo, se la vendetta non gli stava ‘ai fianchi, e l’ambizione non gli mostrava lì sotto una gente perfida e discorde, un re- gno vicino a sciogliersi; una preda facile ad essere divorata' dalla spada e dal tradimento ;;: Quindi fa queste gravi conside razioni: ‘ Gli effetti sinistri della forza scompagnata da giusti- zia sono troppo conosciuti, perchè importi ripeterli sopra le sce-- ne: nè può senza danno della morale pubblica vedersi la prepo- tenza delle ‘armi soverchiare ogni diritto, perchè tale è uno splen- dore nella vittoria anche iniqua, che la plebe. ingannata’ le decreta sempre il trionfo. L'anima del Manzoni è troppo nobile » perchè potesse lasciarsi vincere ai prestigì della conquista , e il suo Carlo è dipinto secondo la severità dell’istoria ; ma che resta al- 79 lora nella tragedia; che consoli la virtù e spaventi la colpa ? Chie resta val popolo; per cui Platone" dicé fatta la tragedia più che ogni ‘altra»poesia ? ;j} Resta la verità può rispondere il sig: Manzoni , la'quale è sempre buona a qualche cosa. Io non sv come si ‘avesse ideata la tragedia Platone, il quale esclu- ‘deva dalla sua repubblica la poesia ‘come perturbatrice. Ma mi cade nell’anitho ch’ei l’avesse ideata differentemente da Aristotele, il quale 'se'le dava ‘per ‘iscopo la purgazione degli affetti, le dava per'istromento la loro commozione. E di questa commo- zione, sebbene assegnasse'le specie, non mi pare che restringesse le fonti, desumendo le sue regole dalla pratica di quegli anti- chi) ilquali non furono guidati da alcuna sottigliezza filosofica 3 ma dal dettato semplicissimo della ‘natura. « ‘I greci tragici» senivés il Gravina (trattato della tragedia ) erano contenti d‘an fatto :ràrove ‘notabile succeduto o'che potesse succedere tra per- sone reali, perchè con tal rappresentazione di passo in passo e- scono alla cognizione’ del popolo i genj de’ grandi insieme coi loro costumi e passioni, e:compariscono le trame dell’ ambizione e della: corte ; le quali: seimipre sono accompagnate con effetti stre- pitosi; e col danno, per lo più , del più debole benchè più giu- sto; d’ onde isi genera nello spettatore compassione e spavento , oll’uno el'altro insieme; ‘con'la mescolanza alle volte d’altre commozioni. Onde il'popolo con la consuetudine della compas- sioné e dello spavento , che raccoglie dal finto, si dispone a tollerar [lei disgrazie mel vero, acquistando cor l’aso una tal quale ‘indifferenza: E questa è la correzione delle passioni, la quale. Aristotele riconosce dalla ‘tragedia. ;, l romantici, miran- do a qualche cosa ‘di meglio che l’ indifferenza » hanno però sen- tito al par ide’ greci e ‘più ‘di loro il bisogno di attenersi alla severità dell’ istoria , la quale per ciò solo che ne porge vera cognizione della’ vita, ne fa atti a traversarla o con meno af- fanno. 0: con'più dignità. Non volendo | permettere al teatro che una sola specie .di lezioni ‘morali, si verrebbe ad escluderne , per usare le. parole dello ‘stesso Gravina , pressochè tutta 1’ in- finita varietà de’ casì umani, e ‘a' non trovare più personaggi che gli convenissero. lio splendore della ‘vittoria anche ingiusta è dibbagliante ; ma appunto per ciò credo utile avvezzare gli uo- mini a fissarvi gli scuardi per diminuire il loro pericolo d’in- gannio: Anche la iscaltrezz!; vestita’ di certe forme , onde prende home di saper vivere }ha pei volgari mon piccola seduzione. Bisognerà danque o poni meéttertà mai in iscetàa , o' non mettervela Il ib l 1035 s9a9° 6 i) 80 se non perchè riesca a danno di chi l’ adopera? È impossibile che i nostri lettori non conoscano , almeno, per gli estratti dei giornali, ’ Honnéte homme ou le niais di quel Picard, a cui sembra che l’autore del Gil Blas abbia lasciati in eredità i suoi pennelli perchè mostri che questo secolo non è, come dice taluno, senza colori. Il suo onest’uomo .è un ‘vero one- et’ uomo , e non pare sciocco ai prudenti di/ certa specie ; se non perchè ba il coraggio di fare, quello che non fa quasi nessuno , di anteporre cioè a’ suoi interessi la;sua coscienza. Egli) ba un amico sul gusto di, tanti amici, che abusa della sua . bon- tà e finisce col rapirgli impiego, amante, considerazione , e per poco non gli fa perdere anche le sostanze e la libertà. Picard, dice in uno degli. ultimi, numeri del Mercurio francese lo scrittore spiritoso «delle, lettere sopra il teatro ; che sogliono leggersi in questo giornale, ha dipinto. con colori sventurata- mente ‘esattissimi quella corruzione sistematica, la. quale. è una delie piaghe della presente società. Ma lo scioglimento della sua composizione è egli egualmente vero ?. L’ onestuomo sempre onestuomo termina la sua carriera in una dolce prosperità; il finto amico sempre vile e sempre schiavo si. ruina e muore abbandonato. Così le cose sogliono finire ne’ romanzi; ma è poi: di questo modo che finiscono nel mondo? — Anch'io. amo, al pari del nostro critico, quella tremenda giustizia: poetica ch’ è, non dirò com’ egli il necessario, ma certo il giovevolissimo éon- forto de’ buoni al doloroso spettacolo, della prosperità de’ mal- vagi . Se però a questa giustizia poetica si oppone l’ istorica penso che, per non illudere gli uomini, convenga rinunciarvi a cercare altrove qualche compenso. E il compenso è a parer mio. nel rendere o direttamente o indirettamente odiosa l’ ingiustizia fortunata. Nel qual caso V Ermengarda; che tutti ammirano come sommamente. patetica , servirebbe moltissimo alla. mo- ralità della tragedia. Del resto il Carlo del Manzoni, appunto perchè descritto secondo la severità dell’istoria, non è nè inte- ramente buono, nè ‘interamente malvagio. Se fosse interamen- te buono, poco o niuna compassione y avremmo di Desiderio e della sua casa sfortunata; se interamente malvagio, mon ba- sterebbe l’odiosità che si fa cadere sopra di lui; « Il Carlo del nostro poeta, osserva il sig. Fauriel, è come quello della sto- ria un uomo di spirito elevato; avido .di: sapere , ammiratore un po’ pedantesco, delle tradizioni, de’ monumenti, e della ci- viltà de'romani, il quale però non fa nulla così bene o così vo- lentieri come la guerra, e non la fa che come un capo di bar- 8i bari; ma facendola contro i barbari sembra farla a. vantaggio della civiltà. Dalla ‘pittura del. suo carattere non ne viene al- l’animo alcuna di quelle impressioni che producono gli eroi ro- mavzeschi (intorno alle quali sono da vedersi verso la fine della lettera manzoniana alcune particolari considerazioni) ma ne vie- ne pur quella abbastanza profonda che produce la verità, pri- mo bisogno di chi assiste ad una rappresentazione drammatica, giusta la massima già accensata del nostro poeta. Avvi nella sua lettera, fra tanti altri, un luogo bellissimo, ov’ egli negando al tragico il diritto di creare, nel senso romanzesco dato ‘sì a lungo a questa parola, mostra come gli rimanga quello di creare nel senso più serio della parola. medesima, entrando ne’ senti- menti di coloro, di cui le storie non ci dicono che i fatti, e reca in esempio i famosi versi che Corneille fa pronunciare a Cesare al recarsegli innanzi il capo di Pompeo. I due periodi finali ci sembrano applicabilissimi al caso di Carlo nell’ ultime scene del- l’Adelchi, ove il nostro critico dice ch’ei perde coll’ ipocrisia anche quella grandezza che si attribuisce ad ogni forza. « II poeta ha tradotto. in. certo modo nel proprio linguaggio le lagrime del guerriero vincitore sulla tragica fine del vinto eroe. Questo misto di magnanimità e d’ipocrisia, di generosità e di politica , questa dissimulazione della gioja nell’ eccesso della for- tuna , questo moto di pietà che viene da una certa riflessione so- pra sè medesimo , considerando la misera fine d’un uomo pocanzi sì possente, tutti questi sentimenti, di cui la storia non porge per. così dire che il risultato astratto, Corneille li ha espressi in parole e in quelle propriamente che Cesare avrebbe potuto pro- nunciare. ,, Ma il popolo, insiste il critico , a tanta verità storica della tragedia si trova in angustie, perchè lo spettacolo presente di- strugge le sue antiche tradizioni. ‘ Chi di noi non sentì parlare nella sua fanciullezza di Carlomagno e de’suoi paladini ? Quelle battaglie, quelle cortesie sono così fitte nell'animo nostro , che quanto vedemmo poi cogli occhi propri non è che un gioco puerile a paragone di quegli speciosi miracoli: il volgo resta sempre fanciullo, e per lui Carlomagno è ancora là tra Orlan - do e Rinaldo vestito di tutte le. armi , difensore degli oppressi, amico di Dio, e sostenitore della nostra fede contro il furore de' mori. Ora a vederlo impicciolirsi così in una guerra non giu- sta, diviso dal fiore de’ suoi cavalieri, e sleale alla, sua nobi» le donna, il popolo si trova ingannato, e va erranilo ;incerto della verità e della menzogna , ma non sa scordarsi di quell’ an T. XIX Agosto 6 82 tico suo Carlo. ;, Al che noi non possiamo opporre se non la no- stra ferma persuasione che il popolo anzi il volgo tenda per tutto ad uscire di fanciullo, e che la storia che per tutto si coltiva , e che può sì bene insegnarsi anche in teatro, debba gradatamente fargli dimenticare ciò che non è se non favola. Le considerazioni del critico sarebbero state fortissime nell’ età antecedente quan- do un d’Argenson (come leggiamo nelle sue memorie recen- temente pubblicate) vedendo Voltaire estasiarsi alla lettara di certi speciosi miracoli di quello che in Francia molti chiama- no tuttavia il gran secolo, diceagli con una franchezza pie- na di buon senso: mio caro, voi non siete che un fanciullo; che amate le bagattelle, e trascurate l'essenziale. Oggi il buon senso di quel momentaneo ministro di Luigi XV va diventan- do comune, e non credo di sognare pensando che dove il po- polo ha vera’ istruzione ( non avesse che quella delle scienze applicate alle arti, per la. quale vediamo formarsi ogni dì so- cietà filantropiche in Inghilterra, negli Stati uniti d’ America e finalmente anche in Francia) si trovano a migliaia tali ap- prezzatori delle cose, che renderebbero severissimo Voltaire se ancora vivesse. Il gusto del vero, che malgrado tutti gli osta- coli va pur crescendo nel mondo , ha già prodotta nella storia una decisa rivoluzione, e l'ha per necessaria conseguenza inco- minciata anche nel teatro. ‘ Il gusto ognor crescente degli sta- di storici finirà pure; dice il nostro Manzoni , col modificare le idee degli spettatori, \e rendere difficilissimi i trionfi teatrali non fondati che sulla loro ignoranza. L’istoria sembra alfine diven- tare una scienza ; per tutto ‘essa viene rifatta; per tutto gli uo- mini si accorgono clîe quanto finora si è preso in vece soa non era che un’ astrazione sistematica, una serie di tentavi per di- mostrare idee o vere o false per mezzo di fatti più o meno snaturati dalle particolari intenzioni (quelle dei cronisti di Car- lo magno son troppo note ) a cui si voleano far servire. ,, Ci ha fatta a questi dì passati non picciola meraviglia il leggere cin'an giornale {eminentemente consecrato allo studio della verità ( il Globo) eve si ragiona di una storia ch'è una delle più belle pro- ve di questo studio (la conquista d’ Inghilterra fatta da’Normanni e descritta dal sig. Thierry) che tale studio riguardo al passato è figlio della nostra indifferenza pel presente. Figlio della nostra indifferenza uno studio , che nasce anzi dal nostro invincibile desi- derio di miglioramento, al quale sacrifichiamo volentieri molte illasioni che ci trastallerebbero senza giovarci, per non dir nulla di quelle che già ci sono riuscite fatali senza trastullarci ? Del 33 resto in siffatto studio entra pure un amore più ragionato dei nostri piaceri, e fra questi vogliamo annoverare i piaceri tea- trali. Così pensano alcuni saggi, e così finiranno presto col pensare i tanti, che, se la sorte non si giuoca delle nostre speranze, lo andranno diventando. “ A misura , seguita il nostro Manzoni, che il pubblieo vedrà più chiaro nella storia, vi si affezionerà davvantaggio, e sarà più disposto a preferirla alle finzioni individuali. Avvezzo a trovare nella scienza degli av- venimenti cause semplici, vere , e varie all’infinito, altro non bramerà, che di vederle sviluppate sulle scene. Egli giungerà fors’anche a meravigliarsi e mormorare se, assistendo ad una tragedia di soggetto conosciuto , si accorga che per non urtare un pregiudizio si siano trascurati gli incidenti più notabili o più caratteristici del soggetto medesimo. Già si son fatti sulla scena francese alcuni arditi tentativi per trasportare |’ azione dai limiti delle regole fra quelli della natara ; e questi tentativi rigettati con disdegno, che si sarebbe voluto far credere disprez- zo, hanno almeno manifestato una prima volontà di scuo- tere il giogo. Ma trasgressioni più prudenti non hanno ricevuti che applausi; ed ove gli scrittori, che se le sono permesse, vo» gliano e sappiano approfittare del vantaggio che loro danno questi felici successi per ottenerne de’ nuovi, credo che giunge- ranno facilmente a détruire la loi dà force d’ amendemens. ,, Que- sto è bene, dirà più d’ un'anima timorata, un aggiugnere il raffina- mento alla tenacità dell’ odio contra la legge dei classici, un manifestare il più deciso spirito di fazione. Ma se quello, che il sig. Manzoni sembra promettersi, per isventura accadesse, ove avrebbe mai termine la cosa? — Il sig. Manzoni medesi- mo sì fa quest’obbiezione e risponde che la natura vi ha già provveduto , limitando le umane facoltà , sicchè non potendosi esse applicare con forza ad oggetti molto sparsi o lontani, |’ a- zione teatrale non può neppur essa estendersi o prolungarsi al di là di certi confini. “ Quindi ognì poeta, che abbia com- presa bene l’unità d’azione , vedrà .in ciascun soggetto dram- matico , presentatogli dalla storia, la misura di tempo e di luo- go che gli.è propria, e trattandolo fedelmente, lo tratterà pure drammaticamente , sempre avuto riguardo all’ effetto morale. Non essendo più obbligato a violentare i fatti, per formare una com- posizione secondo le regole, potrà mostrare in ciascuno di essi la vera parte che vi ebbero le passioni. Sicuro d’ interessare per mezzo della verità, egli non crederà più necessario di a- Bitare lo spettatore per captivarselo, e potrà quindi serba 84 re all’istoria il suo carattere più grave e più poetico ; l'im parzialità. ,, i Queste parole , che a molti sembreranno enigmatiche, ma che , ove leggano attentamente lo scritto da cui sono cavate, riusciranno abbastanza chiare, contengono tutto lo spirito del sistema romantico riguardo al teatro, sono per così dire il som= mario delle. nuove teorie drammatiche sì combattute: perchè sì poco intese. Ho sentito domandare se i cori, parte assai lodata ma Non integrale delle tragedie del Manzoni, sieno veramente in armonia col nuovo sistema e le nuove teorie di cui si favel- la? Modellati, dicesi, sopra esempi appartenenti ad altro sistema e ad altre teorie sembrano in queste tragedie tanto più dis- sonanti, quanto sono più belli. — Io qui dichiarerò primie- ramente quello che ho dichiarato altre volte in questo giornale, che fra il sistema greco e il sistema romantico non trovo la dif- ferenza che passa fra il sistema romantico e il sistema classico propriamente detto , cioè quale a forza di successive modifica- zioni lo son venuti formando i moderni. Il dramma torna oggi a diventare greco per ciò solo che torna verso uno scopo più | grande, e cerca regole più naturali; e il popolo potria bene prendervi nuova parte, facendosi rappresentare da’ cori, come in alcuni stati prende parte al dramma sociale facendosi rappre- sentare da’ suoi mandatari. Chi sa perchè vi erano cori nelle tragedie greche, non troverà ridicola questa relazione d°’ idee. Il sig. Manzoni , riportando nella sua prefazione al Carmagnola alcune parole dello Schlegel intorno al coro de’ greci, sembra che consideri questo come il rappresentante degli spettatori, e il coro, di cui egli propone l’esempio, come il rappresentante del poeta. Se è vero ciò che dice un critico, non essere le più applau- dite tragedie dell’età nostra che lirici componimenti insieme lega- ti quasi a corona sopra alcuni grandi soggetti; se è pure un bi- sogno pel poeta, che dà parole a grandi personaggi, il parlare egli stesso, cioè a dire l’esprimersi con tutta la pompa del poe» tico linguaggio , è bene che gli sia riserbata una parte, in cui possa farlo, senza alterare la semplicità e verità ( doti per cui il nostro Manzoni riesce ammirabile ) essenziali allo stile della tragedia. Ma già i pensieri del poeta diventano facilmente pen- sieri degli spettatori, e guai s’egli esprimesse quello che gli spet- tatori non sentono o non possono sentire facilmente. Quindi Goethe nella sua analisi del Carmagnola fa degli uni e dell’altro una sola persona, e considerando il coro manzoniano come un rap- presentante d’ ambidue, gli vorrebbe assegnato un posto nella 85 nostra orchestra . Il critico itatiano dell’ Adelchi va più innan- zi, e vorrebbe che fra gli atti diversi delle moderne tragedie (e qui sia detto per parentesi che tra le riforme teatrali ci aspet- tiamo di vedere pur quella del numero degli atti, il quale dovrebbe sempre essere proporzionato all’ azione ) invece della solita musica, la quale devia la mente ad altri pensieri, si udisse un concerto uniforme ai sentimenti, che la tragedia ne va ispirando , e in un canto armonioso si sentisse quasi un eco risponderci al cuore. Nel mettere in atto questa idea, egli aggiunge con molta giustizia, niuno potrebbe certamente supe- rare il Manzoni. Con che mostra di riconoscerlo 'se non il pri- mo de’ nostri lirici assolutamente , poichè ci vive ancora un tale, a cui fu dato sopra gli altri ?'os magna sonaturum, certo il primo in quel genere di lirica, la quale potrebbe in Italia prendere il nome da lui. Sarebbe qui a proposito ( poichè alle sue tragedie nell’ edizione che dà motivo al nostro articolo si aggiangono tutti gli altri suoi componimenti poetici ) il par- lare di questa lirica distesamente; ma il tempo e lo spazio, di cui qui ci è forza rispettare le leggi, non cel consentono. Quei romantici screditati,, che parlavano pochi anni fa nel Conciliatore di riforma del teatro, parlavano pure di riforma della lirica e di tatta la letteratura , per farla essere propria- mente /’ espressione della società. Il mostrare con esempi qua- le dovrebbe oggi essere la tragedia non potea naturalmente appartenere che a qualche ingegno privilegiato. Il mostrare qual dovrebb’ essere la lirica, almeno relativamente al suo scopo, era meno difficile; e si potrebbero indicare varj ro- mantici italiani, che lo hanno fatto con buon successo. Non si troveranno , è vero, nelle loro composizioni tutti i numeri poe- tici, ma si troveranno pure alcune doti importantissime, e la popolarità specialmente. Questa dote ha cercata con molta cura anche il nostro Manzoni nelle sue liriche sacre, ed ha saputo accoppiarvi una nobiltà ed un affetto, da cui non avvi chi non sia commosso. Però queste liriche le incontri fra quelle de’ più solenni poeti nello studio de’ letterati, e fra quelle de’ più amo- rosi nel. gabinetto delle nostre donne, E dalla bocca delle donne avrai forse, com’ io, udito più volte in suono or di pietosa me- ostizia: O tementi dell’ira ventura; or di dolce rapimento: Ma- dre de’ santi, imagine -- De la città superna ; or d’ indicibile tenerezza ; La feminetta nel tuo sen regale -- La sua spregia- ta lagrima depone ; or di doglia quasi virile: Segno d’ im- mensa invidia -- E di pietà profonda -- D’ inestinguibil odio 86 -- E d’indemato amor! Nessuno, credo, si meraviglierà che io ponga il Cinque Maggio fra le liriche sacre del nostro Man- zoni, vedendosi chiaramente come sia diretto ad un fine re- ligioso. Stendhal recandone alcune strofe ( nella vita di Rossi- ni) non ha esitato a dire che lo trovava, fra molti, il solo componimento degno del soggetto. L’ ora estrema dell’ uom fatale, come il nostro poeta lo chiama , fu argomento a can- ti non volgari. Io non ricorderò che l’ode famosa di Byron, e la terza delle nuove messeniche di Delavigne (l’ autore co- me ognun sa del Paria e de’ Vespri ) nè esiterò a preferir lo- ro come assai più patetico il componimento di Manzoni. E di- rei quasi come più imaginoso, ove fossi certo che tutti aves- sero dell’imaginazione poetica , quale il secolo sembra deside- rarla, o quale almeno sembra abbisognargli, quella severa idea che mostra averne il Manzoni medesimo. E tale idea è neces- saria conseguenza di quella ch’ ei s’ è formata dell’officio del poeta, derivandola, se pur ciò gli bisognava , dalla più classica antichità. Quindi ei si prepara a sostenerlo , meditando nel si- lenzio, lungi dalle umane passioni , ond’ esce improvviso qual sacro interprete degli Dei, come l’ Orfeo che Orazio ci dipin- ge, 0 qual vindice nobilissimo della grandezza abbandonata dalla fortuna: Lui sfolgorante in soglio — Vide il mio genio e tacque ; -- Quando con vece assidua -- Cadde , risorse e giacque, -- Di mille voci al sonito — Mista la sua non ha; = Ver- gin di servo encomio — E di codardo oltraggio -- Sorge or commosso al subito — Sparir di tanto raggio; -- E scioglie all’urna un cantico — Che forse non morra. Ed io godo som- mamente ch’ egli abbia fornito all’ età nostra, che ne abbiso- gnava, splendidissima prova che la migliore ispiratrice de’ poe- ti, direi quasi la prima delle Muse, è la coscienza. E tutti sono sì persuasi della purezza e dignità della sua, che se, cre- scendo fra noi l’ amore dell’ utili cose, venisse ad adunarsi in alcuna delle nostre grandi città , come pocanzi in Stuttgardia, il fiore de’ poeti per la composizione di canti veramente civili, non vi sarebbe chi non bramasse la sua presidenza, come non vi sa- rebbe (tant’ è la persuasione del suo poetico valore ) chi non domandasse da lui il primo canto . -- La quale nostra e co- mune persuasione non impedisce che notiamo una cosa , la quale ci sembra che si desideri talvolta nelle sue liriche, ed è pres- so a poco quella stessa che il critico italiano dell’ Adelchi dice desiderarsi talvolta ne’ suoi versi tragici, una maggiore sceltez- 2a d’ espressioni e una combinazione di suoni più armoniosa. né Questo eritico chiama immortale, a preferenza forse di quanti il nostro poeta ne abbia composti, i versi in morte dell’Imbo- nati; e per ciò che riguarda le doti intrinseche penso che ab- bia ragione. Per ciò, che riguarda le estrinseche , io ho sempre dato il primo luogo all’ Urania, nè so ricredermi di tale giu- dizio. Intendo bene che i versi lirici destinati al popolo deb- bano adattarsi alla sua o rozzezza o mediocrissima cultu» ra. Non veggo per altro, come alle piane maniere che questa richiede, potesse nuocere una più dolce armonia, ed una più leggiadra proprietà. E questo che dico della proprietà intendo applicarlo anche alla prosa e storica e didascalica, di cui ab- biamo saggi uniti alle tragedie. Essa è di forma antica per la sua semplicità, o piuttosto è di quella forma, che danno na- turalmente al loro scrivere le anime ingenue, piene di nobili pensieri e di umanissimi sentimenti, e più desiderose di gio- vare che di piacere. Ma una maggiore proprietà, che spesse volte non sarebbe che maggiore esattezza, come ne’versi una maggiore armonia vuol dir sovente maggiore facilità, non le toglierebbe punto il suo pregio caratteristico. Se però non posso aderire pienamente al sig. Fauriel, che lodando l’amico suo di maneggiare la lingua francese coll’ abilità de’ più grandi scrit- tori della sua nazione, pensa ch’ egli abbia toccata anche nella nostra la perfezione dello stile, fo eco di buon grado a que- ste sue parole: “ Nipote ‘al Beccaria , di cui sua madre è fi- gliuola, ei scrive la prosa colla severità dell’ autore dei delitti e delle pene, e sa abbellirla col colorito d’ un poeta. ,, Quest’ elogio si riferisce specialmente alla lettera, che ci premeva sopra modo di far conoscere, e da cui abbiamo tratti vari passi, non senza timore di spogliarli, nella nostra fretta, di gran parte della loro forza e della loro precisione. Ma co- m’ essa è cosa che tutti gli italiani studiosi vorranno vedere da sè stessi (e le nostre parole erano dirette ad invogliarneli ) ci rassi- curiamo facilmente. Chi ha lette le sue produzioni poetiche (e chi ormai non le ha lette ! ) sa ch’egli non esagera i principj romantici , e rispetta scrupolosamente le leggi del gusto. Vedrà nella lettera stessa (malgrado ì giudizi che potrebbero farsene da passi distaccati) com’ egli sia lontano da tutto ciò che dia indizio di passione o di capriccio. Egli acconsente, dice il sig. Fauriel, ad essere chia- mato romantico, ma è d’uopo avvertire ch’ ei dà alla parola, onde quest’ epiteto deriva , altro senso che quello a lei dato co. munemente, ‘ Le sue dottrine poetiche sono troppo indipen- denti, troppo elevate, troppo conformi a quanto avvi di ra- 88 gionevole e di dimostrato ne’ diversi sistemi letterarj, perchè possa loro convenire una denominazione esclusiva. Certo non è indifferente. al genio |’ essere più o menv libero nella scelta delle forme convenevoli all’ espressione de’ proprii concetti; e quelle assegnategli, quasi sempre suo malgrado o senza sua sa- puta, sono ben lontane dall’ essere tutte felici egualmente. Il sig. Manzoni sa ciò troppo bene; ma sa ad un tempo, che non vi hanno forme attraverso le quali il genio più o meno non si manifesti, e quanto è sagace nel discoprirlo, altrettanto è caldo nel rendergli omaggio. ,, Malgrado ciò egli troverà forse an- cora chi lo chiami spregiatore dei classici non che odiatore delle lor regole. Troverà poi sicuramente chi, malgrado la lucidezza e la profondità de’ suoi raziocin), chiami stravaganti le sue dottrine. « L’errore, di qualunque genere sia, egli dice, mai non si la- scia distruggere in un giorno. La tortura è durata a lungo an- che dopo l’ immortale trattato dei delitti e delle pene. Quindi bisognerebbe essere ben impaziente e quasi dissi egoista per lamentarsi della tenacità de’ pregiudizii letterarj. Ma fra i di- fensori delle nuove dottrine ( e duolmi di non poter qui fare di essi menzione distinta ) si trovano uomini particolarmente dedicati agli stadi filosofici, e avvezzi a spargere sopra ogni disputa quella luce che la loro mente ha raccolta da molti ge- neri di cognizioni ; si trovano poeti, il cui talento , riconosciu- to da quelli stessi che impugnano le loro dottrine, ha già servito o a giustificarle o a diffonderle. Quindi si sono vedati alcuni spiriti eccellenti, prevenuti a prima giunta contro di esse, fi- nire coll’ adottarle. L’ errore è già turbato nel suo possesso; col tempo ne sarà spogliato; e poi ch’è usanza di chi, a guerra quasi finita, abbandona i vecchi pregiudizi l’ esagerare le nuove ve- rità ch'è forzato di ammettere, e l’ esagerarle con rigore pedan- tesco, quasi per darsi l’aria di non giugnere troppo tardo in loro soccorso, non dubito che verrà giorno in cui gl’ attuali romantici d’ Italia si udranno rimproverare di non essere ab- bastanza romantici. ,, Quanti clamori qualch’ anno addietro sull’uso disputato della mitologia, la quale era magazzino sì comodo per chi, non avendo nè la mente provveduta di molte idee, nè il cuore abbondante di affetti, volea pure comparire poeta ! Oggi (se ne togli forse qualche minuto accademico ) non è chi non si vergogni di ricondurci col canto sulle vette del Parnaso e dell” Olimpo sì brillanti per gli antichi e sì squallide per noi, ove non sappiamo collocarvi nuovi Dei, il genio , per esempio, della libertà e quello della civiltà che sorridono alla $9 Grecia rigenerata, Qualche severo spirito, a cui varie dottrine de’ romantici non comparvero punto nuove , e le nuove non parvero adottabili, non volendo avere ad essi alcun obligo , vi dirà che l’uso puerile della mitologia era , assai prima che da loro , stato posto in deriso da chiunque aveva ombra di razio- cinio ; e che nulla di efficace potea scriversi contro di esso che già non'fosse scritto dal ‘Tasso nel suo»dialogo degli idoli, ove leggiamo queste parole, che si crederebbero pur dettate dal- l’odierna sapienza: ‘ se al fine del politico si debbono dirizzare i fini di tutte l’arti, chi non riguarda in questo segno co- mune non è buono artetice, e non vedendolo per imperfezione di giudizio non dee mancare chi glielo dimostri. ,, Ma l’ avere un uomo di gran mente conosciuto da gran tempo l’errore dei volgari, non fa che quest’ errore non sia durato ancor lunga- mente dopo di lui, anzi non abbia tiranneggiato lui medesimo e molti intelletti non volgari , come tanti versi del Tasso e di altri insigni poeti a lui posteriori ne fanno prova. Del resto s’ era pur facile accorgersi della vanità della mitologia e abban- donarla a chi non sapesse derivare da fonti più immanchevoli la sua vena poetica, non lo era egualmente l’avvedersi de’pregiudizi dominanti nel sistema teatrale, e molto meno il dimostrarli altrui e il fare che si abbandonassero per que’principii che sono vera- mente fondati in natura. So bene che il Castelvetro, interpre- tando il codice d'Aristotile onde que’ pregiudizii ebbero origine , usò filosofica libertà sciogliendo la mente da quella cieca vene- razione che toglie l’esercizio della ragione. Ma il Gravina, che così si esprime (vedi il trattato della tragedia ) ci avverte ch’ egli fu il solo di tanti interpreti che ciò ardisse; e aggiugne che siccome la luce dell’istessa natura, manifestata nelle sperienze, era ineffi- ‘cace a sgombrare gli errori appresi ne? libri fisici del legislatore d’ogni disciplina, così l’evidente ragione comprovata cogli esempi delle antiche tragedie era debole e vana a riporre gli uomini in libertà. “ Alla quale, ( e ciò dice dopo essersi francamente inoltrato sull’ orme del Castelvetro ) poichè l’ umana stoltizia re- pugna , perciò tanti avversari abbiamo noi, che cerchiamg la poesia in libertà vendicare. ,, Nè gli avversari poteano manca- re ai romantici, i quali si assunsero di condurre a termine l’im- presa da lui in qualche parte soltanto avanzata. Dico in qual. che parte, poichè se fra il suo libro della tragedia e il com- ‘mento della poetica aristotelica del suo contemporaneo Dacier è la differenza che dee passare fra l’ opera d’ un ragionatore e quella d’ un superstizioso ; fra il suo libro e la lettera manzo- he 90 niona ci par quella che passa fra qualche trattato di filosofia scolastica ove fu introveduta la vera generazione delle idee, e il trattato delle sensazioni di Condillac o l’ ideologia di Tra- cy. Questa lettera , essendo in risposta alle osservazioni di un critico , il quale, come si disse, abbardonò egli medesimo il principale argomento solito recarsi in favore delle classiche uni- tà, non poteva essere un trattato compito sulla tragedia secon- do i nuovi principi, o almeno dovea lasciare una grande lacuna, E quasi ce ne incresce, poichè altrimenti vi avremmo trovato quanto può desiderarsi intorno all’ illusione e alla verisimiglian+ za, o ne avremmo, bisognando , presa occasione di aggiugnere alquante parole a ciò che ne dice Stendhal, sforzandoci di en- trare un poco più addentro nella teoria del piacere. Del resto chi volesse da un solo confronto formarsi idea del passo immenso che le teorie letterarie hanno fatto dal Gravina al Manzoni, guardi ciò che l’ uno dice degli amori tragici, riferendosi agli esempi degli antichi, e ciò che ne dice l’altro esaminando l’An- dromaca di Racine, Ambidue banno lo stesso sentimento della convenienza, ambidue trovano nel sistema classico, qual l'hanno foggiato i moderni, un vizio radicale, poichè chi lo segue è condotto a impicciolire o falsificar la matura. Ma l’idee del. l’uno sono staccate e incomplete; quelle dell’altro scendono da una lunga dedazione di ragionamenti i più esatti, e aggiungo- no ciò che poteva mancare alla loro ultima evidenza . I ro- manticì sono ormai venuti a quel punto ( giovando loro som- mamente , il confesso volentieri, la condizione de’ tempi ) che possono piuttosto avere avversari di fatto che avversari di cuore. E qui duolmi di non potere, per la lunghezza già ecces- siva di quest'articolo, recare una parte veramente mirabile della lettera del Manzoni, ove sono distinti con filosofica pro- fondità i due periodi che sogliono avere gli errori di qualun. que specie , per mostrare come quelli che riguardano il teatro già stanno per dar luogo alla verità . Ciò che accresce a que- sto riguardo la fiducia dell’ autore si è, com’ egli dice , la ten- denza istorica, la quale si manifesta da certo tempo nel tea- tro francese. Malgrado alcuni tentativi fatti in diverse epoché e coronati di qualche lieve successo, mai questa tendenza non era stata decisa; nè qui è d’uopo indicarne le cagioni che da tutti son conosciute. Ma oggi noi abbiamo tragedie storiche » la cui fama già ben stabilita sembra promettere loro il suffra- gio della posterità ; oggi vediamo ingegni brillanti spingere l’arte drammatica per nuova carriera , e prepararle nuove glo- 9I rie che non saranno minori delle passate. O io m’inganno , o a misura ch’ essa andrà inoltrandosi nel vasto campo dell’ isto- ria più si conosceranno gli inconvenienti della regola delle due unità , e gli uomini di genio se ne sdegneranno come d’un impe- dimento alla manifestazione fedele de’ loro concetti e ai pro- gressi dell’arte medesima. Sentiranno quale stolido consiglio sa- rebbe per loro il rinunciare ad elementi tragici i più grandi e i più vari, forniti dalla natura e dalla realtà, per foggiarne de’ romanzeschi. In ogni tempo , in ogui paese troveranno uo- mini, che spinti dall’ energia del loro carattere fuori della sfera comune, hanno più o meno felicemente intraprese grandi cose e data per così dire la misura delle forze umane. Chiederanno senza prevenzione a sè medesimi se i drammatici, che si di- lungarono dalle regole, se i popoli che li ammirano , siano realmente, come si è tante volte ripetuto, drammatici e popoli barbari. Esamineranno queste regole, onde furono tiranneggiati i loro antecessori, saliranno alla loro origine, vedranno quali uomini e per quali motivi le hanno stabilite, e ricuseranno sde- gnosamente di seguitare a prestar loro obbedienza. Per quanto i pregiudizi opposti alle loro idee siano generali e dominanti, si sentiranno abbastanza coraggio contro di essi, ove pensino che quasi tutti i grandi poeti ebbero a combatterne , e non diven- nero immortali , che affrontando in qualche modo il loro seco- lo. ,, Così l’autore del Paria e de’ Vespri ( giova finire onde abbiamo cominciato ) nel discorso che a principio si citò, figu- randosi l’arte sua come un mare già gloriosamente percorso , e la critica come quell’ Adamastore di Camoens, che s’ alzi a spaventare il giovane poeta con vaticini di procelle e di nau- fragi, ove ardisca oltrepassare i limiti conosciati , che importa- no, grida, questi vaticini, se il poeta è irresistibilmente tra- saportato dal suo genio ove altri ancora non è pervenuto? Debba egli perdere sè stesso, debba rompere contro gli scogli, si aprirà nuove vie, cercherà più larghi spazi, darà il suo nome a in» cognite regioni, che come quelle del mondo materiale dateran- no la loro esistenza dal giorno della loro scoperta. Mi do 92 Recueil de voyages et de mémoires, publié par la société de séographie. Tom. premier, in 4.° pag. 568. Paris de l’imprimerie d’Everard, 1824. Nel dare al pubblico questo primo tomo della rac- colta di viaggi e memorie, il quale contiene unicamente il viaggio di Marco Polo, la società di geografia ha cre duto dovere indicare i generi degli scritti che potranno trovar luogo ne’ tomi seguenti, e i principi che le servi- ranno di norma e che andrà seguendo nella loro compi- ‘lazione , Essa accoglierà tutto ciò che varrà ad accrescere la massa delle cognizioni positive, per mezzo delle osser- vazioni personali di nuovi fatti, o della discussione di osservazioni anteriori ben verificate; senza escludere ve- run opera o per la sua forma, o pel genere del suo la- voro, o per la maniera delle sue indagini, rigetterà sol- tanto il falso e l'inutile. in conseguenza vi saranno am= messe le relazioni , fratto del coraggio de’ viaggiatori , e le memorie, frutto dello studio de’ dotti. Vi avranno pur luogo certe antiche relazioni inedite che giacciono nelle biblioteche, e che meritano vedere la luce per essere relative alla storia della geografia; ma che vogliono essere accompagnate da illustrazioni, da comenti , e da altri accessori pertinenti alla critica e alla bibliografia. E tale è appunto la relazione de’ viag- gi di Marco Polo, contenuta in questo primo volume; alla quale conseguiteranno in altro volume successivo le illustrazioni e i comenti a’ quali potrà dar luogo e occasione la pubblicazione di questo testo . ‘ Qual vasto campo e fecondo è aperto agli scienziati? Quante in- vestigazioni di geografia, d’istoria, di scienze naturali possono avere correlazione all’ illustrazione del viaggio di Marco Polo, che più d’ ogni altro ha contribuito ad eccitare il talento intraprendente del Colombo , onde portare il pensiero dall’ Europa al di là dei limiti dell’ antica geografia! ,, v 99 ‘Abbiamo quindi ferma fiducia che la società potrà trovar copia di materiali onde arricchire la sua raccolta relativamente all’ opera del veneto viaggiatore, allorchè comparirà alla luce, ( il che speriamo sia per accadere in breve ) l’edizione del Milione di Marco Polo in quat- tro grossi volumi in 4." , illustrato e comentato per ope- ra e studio del chiarissimo sig. Conte Baldelli. Sentia- mo con piacere che l’opera sia presso al suo compimen- to : così l’ universale desiderio fosse valevole ad affrettar= ne la. pubblicazione! Sarebbe opportunissimo che fossero pure fatti di pubblico diritto gli studi intorno Marco Polo, del fu Cav. Giovanni de’ Baillou, noto per le sue cogni- zioni scientifiche , specialmente geografiche; i quali sono tutt’ ora presso i di lui eredi. Si gioverà pure la società di quel genere di. rela- zioni, felice risultamento di quell’ incivilimento che va tuttogiorno universalizzandosi ; e che fa nascere su diversi punti del globo una generazione di osservatori, distinti dai viaggiatori e dagli scienziati propriamente detti; i qua- li sul loro proprio paese potranno osservare e descrivere oggetti correlativi alla scienza con più facilità ed esat- tezza che un viaggiatore che vi faccia un passeggiero sog- giorno . L'Europa istessa racchiude paesi, città, monumenti, ec., che sfuggono alla osservazione d’ un viaggiatore, all’ eru- dizione d’un geografo; ma che possono essere. descritti da uomini istruiti che vi han domicilio. Ogni paese pos- siede non pochi elementi di prosperità , i quali appartie- ne alla statistica e alla geografia fisica il far palesi alle amministrazioni ed al pubblico: ed ogni giorno vediamo quali felici risultamenti. abbia pel bene dello stato e della società la cognizione anco di un semplice fatto di geografia . i Altro scopo, o per dir meglio, desiderio della so- cietà geografica sarebbe di dare una specie d’ unità di direzione agli studi, e alle memorie di geografia ; e ripete dalla mancanza di questa ragionata ed uniforme direzione lo scarso numero di utili risultanze chie per 94 lungo tempo ebbero le scienze a mal grado di tanti scritti individuali o collettivi. ‘ Qua vedevansi uomi- ni di sublimi talenti prendere ciascuno una via sua pro- pria, e lasciare immense lacune ; là mediocri talenti fer- marsi al punto ove avevali lasciati il capo della lo- ro scuola. — Ninna idea del passo progressivo , infini- to, illimitato dello spirito umano ; niuna idea di quel- la associazione di esseri pensanti , la quale alla forza degl’individui , sostituisce la potenza di tutta la specie. — Qual felice cangiamento hanno subito le scienze fisi- che e matematiche ! esse seguono un impulso comune , e marciano, dirò così, come un corpo d’armata in ordine e in linea alla conquista della verità. Ma così non av- viene ancora rispetto alle scienze istoriche . Una metà del mondo scienziato non è peranco uscita affatto dalle ombre del caos: la critica ondeggia tuttavia’ tra il vero e il falso: l’amore delle ipotesi sdegna lo studio dei fat- ti; e lo spirito di parte sotto varie forme opprime la libertà delle indagini, e la indipendenza del pensiero. Una orgogliosa pigrizia trascura le più necessarie comu- nicazioni , rifiuta di conoscere le opere pubblicate altro- ve e in altre lingue; e la scienza offre lo spettacolo di una oscillazione sovente retrograda ,,. Per imprimere alla scienza geografica un movimen- to più uniforme , più rapido , più decisivo, e più analo- go al corso delle scienze esatte e naturali, colle quali la geografia ha tanta correlazione e corrispondenza, la società intende di proporre vari problemi relativi a varie lacune ; i quali mostreranno in certo modo, a coloro che volessero presentarle opere e scritture , la strada da te- nersi affinchè venga ad esistere fra queste un collega» mento , sempre utile, quando anco .restasse incompleto e imperfetto . Noi abbiamo tanto più volentieri digredito alcun poco dal primo subietto , esponendo con'quali principi si regoli la società di geografia di Parigi, credendo ciò opportuno ora che vediamo fra noi pure sorgere una so+ cietà di geografia statistica e storia naturale toscana , del 99 cui nascere fu manifestata speranza in questo giornale N. 53. pag. 169. Ora tornando al primo proposito diremo, che il tomo della raccolta annunziata, oltre il testo inedito francese del viaggio di Marco Polo di antichissima dettatura, con- tiene ancora una antica versione latina pure inedita , trat- ta del pari dalla ‘biblioteca reale di Parigi. Per la in- tellisenza del testo francese sonovi aggiunte alcune note marginali, e un glossario delle parole disusate; una ta- vola delle varianti dei nomi propri di persone e luoghi , per la quale furono spogliati cinque diversi codici fran- cesi, quattro codici latini, uno italiano, e l'edizione del Ramusio . Infine evvi il numeroso registro dei membri della società geografica . Precede alla relazione di Marco Polo una intro- duzione, la quale abbiamo creduto dovere riportare per intero, colla fiducia di aver fatta cosa grata ai nostri lettori . Non oseremo parlare sul quesito: in qual lingua det- tasse la sua relazione l’ autore. Noteremo soltanto che se è vero che per lui la scrivesse un Rustico, o Rusticiano o Rustichello pisano che trovavasi con lui prigioniero di guerra a Genova, e se porremo mente alle voci di si gnificato e desinenza italiana, oltre quelle italiane cui fu data desinenza e, dirò così, fisionomia francese ; non meno che a quelle di cui è pieno il testo latino, ambi- due quasi del tempo dell’ autore, si potrebbe inclinare a credere che l’ opera fosse dettata in italiano misto di ver- macolo veneziano . Acompimento , arme, ariento, bagni, coltre, con, crine, Dio, dolo, duro, fornace, fredo, forti, \ gamba, milio, molto , noce, olio, pelle, parte per divide, in prego io prego , rame, uno, verme, ec. sono vocaboli pretti italiani. Sono molti pure i francesizzati, fra i quali oltre mangan e trabuc per mangano e trabocco , macchine \ militari, evvi Dome ne dieu, tradotto materialmente dall’ita- liano Domeneddio . | Nel testo latino poi vi sono le parole ‘guerra, mer- cantia , reame, caciare , uccellare , ballare , montagna , | i | | | 96 È giornata di cammino , gatta, sala, crusca , bertresca , mu» ri merlati, scaggiale, caccia, caristia , canova,, canapo , salvo quod, gabelle, coltre, costume, in groppa, magis a basso, in una cassa grossa uno palmo, ec. ec. Italiane ma latinizzate sono destiamen, robare , quancialium , ballare, bastonata , giardinus , medalia , galoppos , manganus , ca- napus, boscus , ricciutus, rabbuffatus , ec: ed altre infinite, Per quanto generalmente si conosca qual fosse la la- tinità degli scrittori del secolo XIV, nulla di meno cre- diamo dover dare un saggio di quella in cui è dettato il MS. pubblicato ; la quale ci sembra, se non erriamo , ben diversa da quella degli autori che in quel secolo scrissero opere in latino. A questo saggio abbiamo aggiunto anco- ra la lezione francese del capitolo corrispondente. La di- versità di numerazione dei detti capitoli proviene dall’es- sere la versione latina divisa in libri, laddove la trasla- zione francese manca di tal divisione. TESTO LATINO; LIBER II. capur LX. pac. 422: De civitate Singui et flumine Quianci et multitudine civitatum quae sunt juxta ipsum flumen. Quando homo recedit hinc et ‘vadit per silochum quin- decim miliaria, invenit quamdam civitatem quae vocatur Sin- gui, quae non est multum magna, sed est magnarum mer- cationum et magni navigii. Isti omnes sunt idolatrae et sunt sub magno Kaan, et habent monetam'de cartis. Ista civitas habet flumen vocatum Quianci, et istud flumen est majus flumen de mundo. Est longum in aliquibus locis bene decem miliariis, et in aliquo octo et in aliquo sex, et est plus quam centum giornatis in longum. Et per istud flumen ista civi- tas habet multum navigium. Habet inde magnus Kaan ma- gnos reditus: omnes mercationes quae vadunt superius et in- ferius ibi requiescunt; et propter multas civitates quae sunt super et juata istud flumen, vadunt plures mercationes quam per omnia flumina christianorum, et magis carae mercatio- nes. Ego Marcus Paulus vidi in ista civitate plus quam 97 quimdecim millia navium; et potestis scire quod ex quo ista civitas, quae non est multum magna, habet tot naves, quot sunt aliae quae sunt in isto flumine. Super istud flumen sunt bene sedecim provinciae quae habent bene ducentas bonas civitates quae habent plus de navigio quam ista. Naves sunt coopertae et habent unam arborem : sed sunt magnae por- tationis, quia bene portat una navis decem millia usque in duodecim millia cantarà. Omnes naves habent funes de can- nis ad trahendum naves per flumen; longiores sunt magnae et grossae sicut dixi vobis superius: ipsi ligant unam ad aliam et faciunt longas bene trecenta brachia, imo passusj et findunt eas et sunt fortiores quam de canapo. Or dicamus de Caygui. TESTO FRANCESE; cHAPITRE CXLVII. pac. 163. Ci devise de la cité de Singui. Or sachiés qe quant Ven se part de la cité de Angui et il ala por Yseloc quinze miles, adonc treuve une cité ge est apelés Singui. Ne est mie trop grant, mès ele est de grant naives et de grant mercandies. Il sunt ydres et sunt au grant Kaan. Lor monoie est de carte, et sachiés ge elle est sus le greingnor flum qe soit au monde, qe est apellés Quian. Il est large, en tel leu hi a dix miles, et en tel huit, et ‘en tel six, e long est plus de cent jornée. Et por achai- son de cet filum cest cité a mout grandisme quantité des naves qui portent por ceste flun maintes couses et maintes mercandies , e por ce est ville de coi le grant Chan en a grant rende et grant treu. Et si voz di qe ceste flun vait tant longe et por tantes pars et tantes cités hi sunt soure, ge je voz di voiremant qe por ceste flun ala plus naives e con plus chieres couses et de greignor vailance, ge ne vont | por tus les flus de cristiens, ne por tout lor mer. Car je voz di ge je hi vi à cest cité bien (cinq-mille) nés è une foies ge toute najent por ceste flum. Or donc poés-vos bien pen- ser puis que ceste cité qe ne est mie trop grant a tantes nés quant sunt le autres. Car je voz di ge cest flun ala por plus de seize provences, e si hi a sor lui plus de deus cens T. XIX. Agosto 7 98 cités grant qe toute ont plus naives de ceste. Les nés les sunt coverte et ont un arbre, mès elle sunt de grant porter, car je voz di q'eles portent da quatre mille cantar jusque en douze mille de peis au conte de notre contré. Or nos par= tiron adonc de ci ge bien nos en avon conté le fait, et après nos conteron d’une autre cité qui est apelé Qucui; mès avant vos voil conter une couse ge je avoie dementique, por ce ge bien fait à nostre livre. Or sachiés qe tutes les nés ne ont sarce de caneue , for que il en ont bien form les arbres e les voiles, mès je vos di g’ele ont le pelorce de canne con lesquele se tirent les nés sor por cest flum. Et entendés ge cest sunt de les cannes groses et longes qe je vos ai dit en ereres , ge bien sunt longes quinze pas. Il le fendent e li gent le une con l’autre et le font longo bien trois cens pas, et est plus fort ge ne seroit des chavane. Or voz lairon de ce, e retorneron à Caicuì. [| Introduzione de’ Viaggi di MARco PoLo. Se porremo a eonfronto i lavori eominciati nel medio evo e i monumenti geografici de’ tempi moderni; i progressi della navigazione; l’ aggrandimento del mondo conosciuto; l’abitual cambio di ricchezze, d’industria, di lumi messi in circolo at- torno al globo, ammireremo l’attuale svolgimento delle arti e delta civiltà, e inalzeremo al di sopra delle passate età il se- col nostro, senza dare un giusto valore a quanto fecero i nostri predecessori. Il punto da eui abbassiamo il guardo per giudicarli spiega la nostra sconoscenza verso di loro: misuriamo lo spazio che abbiam valicato, e vediamo soltanto la nostra superiorità. Ma se risaliremo all’epoca di quelli antichi intraprendimenti, alle difficoltà che li attorniavano, agli sforzi che vi vollero per sormontarle, saremo più giusti verso coloro che ci scortarono, e renderemo loro la dovuta gloria. Marco Polo che precedè a tutti i viaggiatori moderni fu tanto più severamente giudicato, in quanto che niun altro osservatore veniva a confermare l'esattezza di ciò che egli aveva scoperto. Le vie dell’ Asia per le quali egli era passato si erano in certo mo- do chiuse dietro a lui; le immense solitudini della Tartaria niu- — no europeo avea traversate; e allorchè la vaghezza di viaggiare 99 @ scoprir nuove terre si ravvivò, per diverse vie si pervenne al- l'estremità dell’Asia: la navigazione apriva più libero varco, e la terra, fatta accessibile in ciascun punto delle sue spiagge , po- teva essere esaminata a un tempo stesso su tutti i lati. Era cosa naturale il preferire questa nuova maniera di co- municazione fra regioni remote; la politica e il commercio vi trovavano ugual vantaggio. I potentati mandar potevano le flot- te loro ovunque avessero terre da conquistare, confederati da difendere: i negozianti stabilivano i loro sistemi di cambio fra i. diversi paesi, e le ricchezze d’ogni provincia, come la corrente dei fiumi, scendevano per un insensibile pendio fino al mare, per quindi diffondersi su i diversi punti del globo. Tutto adunque cospirava a far sì che si abbandonassero i lun- ghi viaggi per terra da intraprendenti uomini altre volte ten- tati, e non seguendo le tracce loro, si perdeva di vista la fe- deltà delle descrizioni da’ medesimi fatte, e quanto più si erano allontanati dalle comuni pitture tanto più dubitavasi di loro veracità. Erano annoverate fra le favole le relazioni risguar- danti ad esseri sconosciuti; pareva che tutte le parti della ter- ra dovessero esser popolate in un modo uniforme, e le mille varietà della creazione si ristringevano a ciò che avevamo sotto gli occhi. > Néè da maravigliarsi se alcuno de’ racconti di Marco Polo ha fatto nascere diffidenza. Il dubitare è rendere omaggio alla verità, e nasce a guisa di rampollo a piè del vero il dubbio, dimostran- do che l’umana ragione procede per severe diduzioni, ed am- mette solo nozioni fra loro legate e conseguenti. Si vuole però attrbuire questa incertezza anco allo stato imperfetto delle co- gnizioni di un secolo. L’ ignoranza. pone sovente fra le grandi meraviglie certi fenomeni che in tempi più illuminati, invece di riguardarli come tali, si sarebbero dichiarati con le leggi della natora. E come non prendere sbaglio si taluna di quelle relazioni ? Anco l’insufficienza del linguaggio induce in errore. Non solo grano incomplete le descrizioni, e i fatti rimanevano oscuri ,.ma ‘mancavano l’ espressioni per dichiararli, e si adopravano i nomi di oggetti conosciuti per indicarne altri, che mon avevano con quelli la più piccola analogia. In tal guisa venivano confusi nuovi esseri, con quelli già dai viaggiatori osservati. La loro descrizione non andava d’ accordo coi nomi ricevati, e furono considerate come iminaginarie parecchie famiglie di piante e 100 di animali, ehe per essere credate come realtà non faceva bi- sogno se non di essere più esattamente dinotate. Alla pittura degli oggetti che aveva sotto gli occhi, aggiun- se Marco Polo alcune tradizioni locali relative ai paesi da lui non visitati; e questa giunta , che sovente rese più istruttive le sue relazioni, vi mischiò talvolta il vero e |’ errore: nè era facile in questa lega separare |’ uno dall’altro. La favola nac- que nelle regioni orientali; le allegorie snaturarono la storia, e passarono nello stile abituale; e i racconti di un viaggiatore, appoggiati soltanto sulla fede altrui, hanno l'impronta di alcun- chè maraviglioso; e ciò è ancor più notabile ne’ commentari e ne’ compendi, i quali sfigarano col tempo il primitivo testo delle sue relazioni. Altra sorgente d’errore dovevano essere la negligenza e l’in- fedeltà dei copiatori. Non abbiamo potuto più riconoscere le per- sone e i luoghi de’ quali furono alterati i nomi; e a proporzio- ne che si sono moltiplicati gli errori di chi ha scritto, si sono confuse le nozioni istoriche , cronologiche e geografiche. Se ci è impossibile schiarire oggi tutte le questioni. dal tempo e dagli uomini oscurate, per servirci di scorta nelle no- stre indagini, abbiamo però qualche aiuto di cui mancavano i no- stri antecessori. Da altri viaggiatori sono state descritte le re- gioni per le quali discorse Marco Polo , le loro produzioni, lo stato dell’ industria, e i tratti, onde tuttavia si distingue l’ in- dole dei loro abitanti; e queste descrizioni han sovente raffer- mato, corretto e schiarito vari passi delle relazioni lasciateci da quell’ illustre veneziano. Questo esame critico diviene specialmente necessario in fatto di geografia. Fa di mestieri verificare se la situazione attuale dei popoli e de’ luoghi corrisponda a quella loro assegnata da Marco Polo; e questo studio si divide in due parti; l’ una che concerne alla terra in sè stessa: l’altra che risguarda alle isti- tuzioni che gli uomini vi hanno ordinate. Questi due rumi della geografia, l'uno fisico l’altro politico, sono per essenza distinti e possono essere separatamente analizzati. I documenti che abbiamo sulla topografia dell’ Asia antica ; non sono sufficienti ad assicurarci non essere ella andata sogget- ta a qualche sensibile mutamento . Le sue catene di monta- gone hanno, è vero, tuttavia lo stesso ordine e disposizione : ma le sue regioni centrali contengono nel loro recinto im- mense solitudini di arena in balia di tutto il furore deì ven- IOI ti. Queste instabili pianure, spesso volte sossopra come la su- perficie dei flutti, non har per certo conservato il loro sito ‘e la medesima estensione : hanno potuto seppellire intere città, scoprire antichi sepolcri, deviare le correnti di quei finmi che | anche oggi si vanno perdendo fra le sabbie. Quando si vedono uelle immense dune con un movimento progressivo avanzarsi nelle pianure, colmar vallate , sollevarsi, disperdersi per l’ aria | Ove impetuose bufere le aggirano in vortici avanti sè , qual po- ter d’uomo tratterrebbe sullo stesso suolo le città , le foreste, le generazioni degli esseri viventi? Gli storici della China hanno talvolta osservato sul pianoro della Tartaria tali funesti fenomeni; e così possiam trovar la .ragione deila difficoltà di riscontrare al presente qualcheduno dei siti indicati da Marco Polo. Ma questa oscurità proviene in modo speciale dai gran mu- tamenti che ha sofferti la geografia politica. Gli ordinamenti degli uomini si sono incessantemente variati, i popoli han mu. tato domicilio; mentre alcuni scomparivano, altri hanno occu- | pato il posto loro; i conquistatori han dato il guasto alla ter- ra; i legislatori ne hanno ristorato i danni, e ovunque è ma- mifesta l’opera del tempo che invecchia e ringiovanisce le insti- tuzioni ed i popoli. In questa serie di fuggitivi avvenimenti si vuole di continuo risalire verso gl’ istituti di una sola epoca, riportare sulla carta tutte le denominazioni contemporanee, valersi della geografia dei vari secoli, per conoscere quella di Marco Polo. Allora si vo- gliono studiare tutte le carte del medio evo; confrontarle fra loro; prendere aiuto dall’ istoria e dai linguaggi onde verificare ‘© rintracciare la situazione delle popolazioni , riconoscere le loro denominazioni sovente snaturate dalla differenza degl’ idiomi, e così restituire al suo vero aspetto l’Asia del medio evo. Senza entrare in un arringo di discussione, che vogliamo la- sciare aperto ai lettori, ci studieremo di far sentire la connes- sione dei fatti, per lo più sommariamente accennati nelle rela- zioni di Marco Polo. E perchè viepiù sien valutatii servigi resi dal veneto viaggiatore alla geografia, al commercio , alle scienze, offriremo alcune brevi notizie generali sulle condizioni sociali dell’Asia, e sulla difficoltà delle sue comunicazioni con l'Europa anteriormente al secolo in cui egli viaggiò per quelle vaste re- gioni. Gli antichi avevano stabilite regolari relazioni di commercio fra le rive dell'Indo e il mediterraneo, le quali erano favorite 102 dalla navigazione su i mari e su i fiami. L'India mandava i suoî navigli nel rnar rosso e nel golfo persico : gli abitatori delle spiag- ge ne ricevevano le riechezze per trasportarle sul Nilo, o per ri- salire l’ Eufrate. Altri mezzi di comunicazione formavansi tra il letto dell'Eufrate e i porti della Siria } ed ogni ramo di traffico era abbandonato a’ popoli de’ paesi pei quali passava. Gli europei si recavano a raccogliere questi tributi forestieri sul littorale ; € quelle strade intermedie, lungo le quali le stesse merci passava- no più volte da una mano all’ altra, conducevano ai popoli occi- dentali le produzioni del levante, senza che i popoli che le in- viavano e quelli che le ricevevano fossero in grado neppure di conoscersi. Il traffico dell’ Europa con |’ Asia non fa costante nella sua direzione, ma il modo di comunicazione rimase lo stesso; e al- lorchè le ricchezze dell’ Asia risalirono |’ Indo, per giungere quindi nel mar Caspio coll’acque dell’Oxus; e quando queste relazioni si estesero fino al mar nero per mezzo dell’Arasse e del Fasi, o per la navigazione del Volga e del Tanai, la quale aprì un nuovo sbocco al traffico del medio evo, le merci andarono circolando per tutti questi canali, ma i popoli lontani restarono sempre nel modo stesso isolati. Le relazioni coll’Asia non portavano un traffico di baratto; le mercanzie dell’Indie le pietre prezio- se, le perle, le droghe erano pagate in oro; e tra il levante e l’ occidente non esisteva per anco quella specie di avvicinamento che mette i diversi popoli a portata di permutare la loro inda- stria , di provvedere ai loro scambievoli bisogni. Nel medio evo queste relazioni presero un nuovo aspetto, e le manifatture delle repubbliche italiane inondarono il levante delle loro produzioni; ma la maggior parte di queste venivano depositate in magazzini sulle spiagge dei mari, ‘ove si recavano le caravane e i navigatori da diverse parti. Questo traffico por- tato spezialmente ‘verso l’Indie, non aveva fatto uguali progressi dirigendosi in altre parti; e gli europei non estendevano le loro relazioni col centro dell’ Asia oltre l' Oxrus. Queste regioni ove trovavansi Khotan, Kerkiang, Kashgar e il reame di Ivthiam ; dopo essere state occupate dai tartari, avevano perduto i loro abi- tuali vincoli d’ interessi colla China. Quindi i deserti e le mon- tagne separavano il levante dalle regioni occidentali; ‘immense foreste si stendevano dal Ponto Eussino al mar glaciale ; era chiusa ogni comunicaziove fra il centro de’ continenti, e i popoli occidentali avevano idee confuse e racconti favolosi, rispetto ai paesi ove non erano penetrate le loro armi e il loro commercio. 103 RRMPICARA del pari verso la civiltà, sebbene con passo non uniforme ; le grandi nazioni che, senza aver veruna relazione fra loro, sorgevano verso le due estremità dell’ antico continente. Le opinioni morali e religiose diversificavano nella loro direzio- ne. Il gusto, i principi del bello, le arti imitative non potevano essere le stesse in paesi ove gli womini non hanno la stessa in- dole, ove le produzioni naturali sono diverse, ove lo spirito si esercita sopra ben altri oggetti di paragone. Da situazioni tanto fra loro diverse si trovava posto, dirà così; in nuovo mondo il viaggiatore che avesse lasciata 1’ Euro- pa per recarsi alle parti estreme dell’ Asia. Tutto intorno a lui erasi cangiato, e le nazioni non erano più le stesse. Il tipo ori, ginale dell’uomo si trova dappertutto, ma l'esercizio e la mo- bilità del pensiero gli danno incessantemente nuove maniere ; e quindi l’essere più intelligente diventa il più diverso ne’ co- stami, nel linguaggio e in tutte le istituzioni pertinenti ai di- versi gradi dello stato sociale. Allora qual contrapposto fra i paesi inciviliti e le selvagge pianure della ‘Tartaria, traverso le quali erano per aprirsi nuo- ve comunicazioni. Popolazioni nomadi andavano oscuramente mol- tiplicandosi; e le tribù loro, sovente necessitate a mutar luogo per sussistere, furono per lungo tratto di tempo indipendenti ed isolate: infine furono cangregate da uomini ambiziosi, che se ne fecero capi; l’età le accrebbe e le rese formidabili; e nel tem- po in cui nascevano regolari instituzioni nelle regioni europee ed asiatiche bagnate dai mari e favorite da un cielo più mi- te, il centro tutto dell’antico continente si popolava di nazio- ni irrequiete e bellicose. Le guerre che fra loro si mossero, e che portarono fuori del loro paese, divennero unflagello pel mondo tutto, che s’ imparò a conoscere solo per le loro depredazioni.: Si rinnuo- varono le grandi trasmigrazioni, che dalla decadenza del roma- no impero avevano continuato sino alla barbarie del medio evo: e quelle regioni mediterranee ove non penetrava la civiltà de- stimavano all’ Asia nuovi dominanti. All’ epoca del viaggio di Marco Polo le conquiste più re- centi eran quelle di Gengis Kan. Addetto da prima al servizio di Ung Kan, del quale erano divenuti tributari i tartari. mon- goli, erasi acquistato l’intero favore del monarca, e se lo era conservato per diciotti anni. Ma le calunnie de’ suoi emuli glielo fecero perdere; e Gengis Kan, conosciuto allora sotto il nome di Temugin, fu costretto a fuggire per non perdere anco la vi- ta. Allora mischiatosi coll’ orde dei tartari, gli eccita a negare 104 ì consueti loro tributi a Ung Kan, a scuotere il giogo e a diven- tare una potenza indipendente. Quindi marcia contro il nemi- co ; gli dà una gran battaglia; Ung Kan muore alla testa de'suoi che sono tagliati a pezzi, e a questa prima impresa succedo-. no le numerose conquiste di Gengis Kan, Sottomette tutte le po- polazioni tartare ; regna su tutto il centro dell’ Asia ove vien fondata la dinastia dei tartari mongoli; e allorchè fu divisa fra i suoi figli questa vasta eredità , uno di essì gli successe nella signoria , continuò ad essere riconosciuta l’ autorità del Gran Kan, e rimasero suoi dipendenti i principi della propria famiglia . Questo vincolo di signoria portò di necessità che le diver- se parti dell’ impero comunicassero fra loro ; e le strade. volta- te verso l’ Europa , che erano servite di passo alle arfnate con- quistatrici, servirono quindi ad agevolare qualche cambio di inercanzia : e così si stabilirono relazioni d’ interessi, di pros- simità, di bisogni fra le contrade per le quali passavano; e do- po che vi furono gettati pochi semi d’ industria , vi sorsero più cittadi: e questi primi germi di civiltà diedero presagio e spe- ranza alla Tartaria di un più prospero avvenire. Pur nonostante restavano tuttavia separate tra loro da im- mensi deserti le città che si fondavano ; e più che si allontana- vano i viaggiatori da questi grandi recinti , erano meno sicuri, e più esposti alle scorrerie dei tartari. Il più di queste nazio- ni aveva conservato l’ abitudine della vita errante ; le famiglie discorrevano le campagne co’ loro greggi; davano la caccia ne’ boschi alle bestie selvagge ; spiavano il passo de’ forestieri , e ane-. lavano a spogliarli. Questi ostacoli che attraversavano ogni comunicazione di commercio , non lasciavano altro compenso ai mercatanti se non le caravane ; lo che si costuma pure oggidi: e bisognava fermarsi in certe città per aspettare che vi convenisse un numero di viag- giatori onde potere con sicurezza continuare il cammino. Pel solito erano fissate l’ epoche della partenza; ma sovente impensati acci- denti necessitavano a differire, e a prolungare in modo indeter- minato il tempo de’ viaggi. Le nevi cadute, i fiumi straripati, la profondità delle sab- bie e dei marazzi interrompevano queste comunicazioni . Qui la strada che doveva farsi era appena segnata da qualche ve- stigia d’ un passeggiero ; altrove il guasto delle boscaglie e gli avanzi rovinati di antiche abitazioni davan segno che vi fossero passati uomini. Quando i fiumi si erano ritirati nel loro let- to, e il flagello della guerra era passato in altri paesi, le ea- 105 ravane si rimettevano in via. Ma incontravano nuovi inciampi, per sormontare i quali vi voleva tempo e pazienza ; e infine dopo anni e anni di travagli si veniva a capo di an viaggio che ad ogni istante avea posto a cimento le forze e il coraggio . In quei paesi che traversò Marco Polo sussistono tuttavia quelle difficoltà che e’ dovè superare; e sono anzi cresciute , dacchè gli abitatori dell’ interno dell’ Asia non riconoscono più un solo sovrano. Il tempo ha distrutto la maggior parte delle città; si sono guaste le strade che le ponevano in comunicazio- ne ; le vestigia di coltivazione che di tanto in tanto si vedevano sono rimaste sepolte sotto le arene del deserto; e ad ogni passo nuovi ostacoli trattengono chi viaggia per quelle desolate regio- ni. L’ incontrare un uomo, nei paesi inciviliti rianima la fi- ducia del viaggiatore , e gli promette soccorso ; ma in questi diventa un oggetto di spavento. Spesso le stesse caravane , che venendo da opposte parti traversano la stessa pianura, si gua- | tano sospettando , e si armano da una parte e dall’ altra co- me se dovessero difendersi da nemici aggressori. Si ristringono le file della scorta, si spronano al corso i cavalli», si avvicina- no, si attraversano , si sfuggono con la rapidità del lampo: e per istrade tanto pericolose, l’uomo solo vi è apparso ridottabile. Oltre tutti gli ostacoli provenienti dalla difficoltà di comu- nicazione , se il viaggiatore viene ad avvicinarsi alla fine del viaggio, vi sono per lui nuove difficoltà : una politica sospet- tosa ed inospitale gli chiade il passo a quell’impero di Mangy, ove Cublay Kan non aveva temuto di dare accesso ai forestieri . Nel secolo XIII. vi erano più strade , per le quali gli occi- dentali potevano incaminarsi verso il Gran Kan de’ tartari. Plan Carpin inviato presso di lui nel 1246. dal Papa Innocenzo IV., valicò il Tanai e il Volga, passò al settentrione del mar Caspio, seguitò i confini settentrionali deile regioni che occupano il cen- tro dell’ Asia , e s’ indrizzò verso il paese de’ mongoli, ove era stato proclamato sovrano. Gaiouk figlio di Octay e nipote di Gengis Kan. Non s’ incontrò neppure in una città : erano state tutte spianate . I tartari vivevano sotto tende; il monarca era stato eletto in mezzo ai campi; e Caracoron era la sola città, ove qualche volta facesse residenza . Tenne presso appoco lo stesso cammino Rubruquis quando si recò verso il Gran Kan, incombensato da S. Luigi di una missione pei tartari occidentali. Nel più rigido inverno era passato dalle sponde del Volga sino in prossimità di Caracoron ; e in estate ritornò seguendo una direzione paralella, ma più settentrionale - 106 Questi missionari non essendosi trattenuti in luogo veruno ; non ebbero nè agio , nè facilità di osservare minutamente le con- trade che discorrevano. E poi quali lavori, quali istituzioni avrebbero potuto meritare i loro riguardi ? Questa nazione sem - pre in arme, senza uno stabile domicilio , occupava solamente paesi miseri e devastati, e non offeriva altro spettacolo se non’ sè medesima. Quindi gli inviati che in quei tempi visitarono le diverse tribù de’ tartari si limitarono a descrivere i loro usi, la loro religione, e le loro guerresche abitudini, e appena fe- cero cenno dei loro primi passi verso l’ incivilimento . Una so- la ragione d’ industria è notata da Rubruquis. Aveva trovato a Caracoron un francese abilissimo ne’ lavori d’ oreficeria, il quale preso dai tartari come prigioniero di guerra nelle loro scorrerie sul Danubio , era stato trasportato nel fondo dell’ Asìa . La sua bravura nell’ arte fa la sua sicuranza , e posto sotto il patroci- nio del Gran Kan fu atilissimo a’ missionari del Re di Francia mandati colà : e Rubruquis attinse da lui la maggior parte del- le Nere , che ei pubblicò sulla Tartaria . Nelle proposte di viaggi da intraprendersi in questa direzione cominciarono a mischiarvisi più regolari relazioni mercantili . L° impero del Catai era sotto l’ obbedienza dei tartari, e le ric- chezze di quello richiamavano gli sguardi degli altri popoli. I frutti della industria di lui venivano recati verso occidente , traversando i deserti dell’ interno dell’ Asia. Parecchie città spar-’ se in quelle immense solitudini, come le Oasi che s’ incontrano in mezzo alle sabbie, offerivano qualche punto di riunione e di riposo alle caravane. In.tal guisa si giungeva sulle frontiere del- la Persia, ove regnava un altro ramo della dinastia de’ mongo- li; e questo traffico veniva ad unirsi per mezzo di altre linee di comunicazione a quello dell’ Armenia, delle sponde dell’ Eufra- te e degli scali del mediterraneo . Queste strade, più meridionali di quelle di Plan Carpin e di Rubruquis , tenne la famiglia di {Marco Polo nel traversare per tre volte : la Tartaria. Nel suo primo passaggio da Boccara a Cambalu, nel suo ritorno a-8, Giovanni d’Acri, e in questo terzo ‘viaggio’, in cui Marco Polo accompagnava suo padre e suo zio, furono senza fine gli ostacoli incontrati. Ma queste lentezze davano ‘agio e tempo di meglio conoscere l’ Asia: e Marco Polo esaminando accuratamente in ciascun paese gli ani- mali, le piante e le altre produzioni che a quello erano pro- prie, si fermò specialmente a quelle cose’, che pel valore ed utilità loro potevano divenire materia di traffico. Questo viag- 4 197 giatore estende le sue osservazioni sulle arti, non tanto per ispiegarne le operazioni, quanto per farne conoscere le risul- tanze. Accenna i diversi tessuti che si fabbricano , i lavori di ricamo, i progressi dell’ arte di lavorare i metalli. Se si acco- sta a paesi selvaggi, parla degli animali che danno le pelli più preziose e più belle. Se giunge ai luoghi ove si raccolgono le spezie, ne annovera le diverse piante, ma è molto parco nel- le descrizioni. In commercio erano solo apprezzate le scorze e i frutti di quei vegetabili; e i viaggi mandati ad effetto per risalire alla sorgente di quelle ricchezze avevano |’ unico scopo di agevolarne la circolazione , ed indrizzarle verso 1’ Europa . Trascorrendo le relazioni di Marco Polo, si fa manifesto ch’ei parteneva ad un paese mercantile e marittimo , Sa perdo che le sue osservazioni sull’ industria e la navigazione dei popoli diversi sarebhero in modo particolare importate ai veneziani, ei non ha mai ne’ suoi rapporti perduto di vista questo grande 0g- getto di pubblica utilità. Gli itinerari che egli nota non sono regolarmente descritti, nè fra loro ordinati e congiunti; ma in questi sparsi documenti si scorgono le strade tenute già dagli antichi ; le comunicazioni aperte dipoi per l'Armenia e la Per- sia; quelle formate al settentrione della palude meotide e del mar Caspio ; quelle che in direzioni diverse incrociavansi sul pianoro della Tartaria-, e che diedero. agio agli europei di pe- netrare fino alle sponde dell’ Asia orientale . Se oggi abbiamo abbandonate tutte queste comunicazioni interne, non si vuol dimenticare i vantaggi che altra volta ar- recarono al commercio ' europeo. Venezia. poteva dirigere le sue spedizioni con maggior sicurezza, prendendo consiglio dalle relazioni di Marco Polo. Il traffico che essa faceva. coll’ Indie per la via dell’ Egitto ricevè nuovi incrementi. I genovesi im- padromitisi del. Chersoneso. Taurico seguirono più abitualmente il corso del Tanai e del Volga. Due vie diverse alle merci e alle produzioni dell'Armenia ‘aprirono Trebisonda e Layazza; e il secolo trascorso tra i viaggi di Marco Polo e le sangui- nose spedizioni di Tamerlano , fu notabile per le più frequen- ti relazioni fra I Europa e la Tartaria . Ma qui ci si offrono ben altri subietti di osservazione. I viaggi di Marco Polo cangiarono scopo e direzione . Non è più una famiglia di mercatanti veneziani condotta dall’interesse del- la mercatura fino al settentrione della China; ma sono gl’ in- viati del gran Kan de’ tartari. Le commissioni che debbono adempiere, le testimonianze di familiarità date loro da Cublay 108 Kan estendono le loro mire, determinano la loro attenzione ver- so altri oggetti, e gli fanno entrare in questioni di reggimento, di storia riportate da Marco Polo nella sua opera , e che servono a darle maggior varietà, maggiore importanza . Ma per meglio intendere questa parte delle sue relazioni, utile sarà trovare in questo luogo un compendio di alcuni av- venimenti , dei quali fa l’Asia il teatro nel corso dei viaggi di Marco Polo. Nei suoi racconti sono troppo dispersi questi fram- menti storici; e approssimati fra loro faranno vie meglio in- tendere la reciproca loro connessione. i I tartari divisi sotto vari capi, che tutti riconoscevano la supremazia di Cublay Kan, si spartirono le regioni interne del- l’Asia, come già osservammo. I tartari occidentali risedevano in Circassia a settentrione del Ponto Eussino, e sulle sponde del Volga e del Tanai. Stavano sotto l’° obbedienza di Barka, e formavano le ascolte di questa nazione :conquistatrice . Sotto il nome di tartari del levante erano conosciuti quelli che occupavano le provincie situate all’ oriente e al mezzogior- no del mar Caspio. Ne era loro capo Houlagou fratello di Cu- blay Kan; e questo principe , che erasi fermato in principio sulla destra sponda dell’ Oxus non passò di là dal fiume fin- chè visse Baton Kan, quel capo dei tartari occidentali che ave- va fatto tremare l'Europa. Ma dopo la morte di lui, che av- venne nel 1255, Houlagou attaccò gl’ismaelini e distrusse la po- tenza del veglio della montagna che gli governava. Fece la guerra a Barka da cui gl’ismaelini avevano ricevuti soccorsi ; e dopo avere fatto morire tutta la schiatta del loro capo, rivolse le armi contro Bagdad ove fu distrutto il califfato. Altre nazioni tartare erano sparse a mezzodì e a levante dei monti Altai che oggi separano la Tartaria indipendente e la Siberia. Le une erano sotto il comando di Caydu Kan, uscito dalla linea imperiale di Gengis Kan; delle altre più prossime al lago Baikal era sovrano Nayan, e conservarono una parte del retaggio di Ung Kan, conosciuto nelle nostre leggende col nome di Pretejanni, e riguardato dai popoli del medio evo come il promotore del cristianesimo nelle regioni orientali. A quell’epoca due potenze gigantesche, i saraceni e i tar- tari, erano il terrore degli altri popoli. I saraceni, le cui forze principali erano nell’ Egitto , avevano dilatate le loro conquiste verso l' occidente, fino al mare Atlantico , e prestavano loro obbedienza tutte le regioni settentrionali dell’ Affrica. Erano padroni in Europa delle più ricche provincie della Spagna ; in- 109 festavano con le loro scorrerie tutto il mediterraneo , ne oc- cupavano parecchie isole, e ne minacciavano tutte le spiaggie. Erano a loro soggette e l’ Arabia e le altre regioni che si sten- dono dall’occidente dell’ Eufrate. Con questa frontiera si trova- vano vicini ai tartari che dominavano una gran parte dell’ A- sia; e sovente passarono terribilissimi fatti d’arme fra questi due potentati, capaci di muovere forze tanto formidabili. Potevano opporre un argine alle irruzioni dei saraceni le crociate europee; e tutte le relazioni di quel tempo danno oc- casione di supporre che Cublay Kan cercasse con questo scopo l'amicizia degli occidentali. Le guerre sante non sollevavano più in massa |’ Europa intera. Luigi !X era allora l’ eroe della cri- stinità. Il suo valore, la sua giustizia, le sue sublimi virtù, che cimentate dall’avversità brillavano più luminose, avevano reso celebre il nome di lui sino all’ estremità dell’ Asia. Questo principe fu in relazione col gran Kan dei tartari, come Carlo Magno era stato col Califfo de’ saraceni: e Cublay Kan conti- tinuò questa negoziazione intavolata già dal suo predecessore. I nemici de’ saraceni divenivano suoi alleati , egli affidò nel 1206. al padre e allo zio di Marco Polo una commissione presso il papa, e diede loro lettere pel re di Francia, e per altre corone di cristianità. Vedendosi in questo stesso tempo prepa- rarsi una nuova crociata sotto la bandiera dell’ Qrofiamma, ri- starsi i tartari dal minacciar |’ Europa, e non avere in occi- dente altri nemici fuor che i saraceni; confrontando le date e accostando fra loro i fatti, si può credere che alcune di que- ste spedizioni fossero fatte di concerto. I saraceni erano attac- cati su vari punti, in Affrica, in Portogallo, in [spagna, nelle isole del mediterraneo. Ma il principale scopo era d’ indebo- lirli in Siria, ed ivi eravi bisogno di ausiliari. Già da gran tempo le nazioni conquistatrici si gettavano in folla verso l’occidente dell’ Asia, verso quelle regioni ora- mai sì famose per le rivoluzioni e la caduta delle più antiche monarchie. Le armate europee vi erano accorse sotto il ves- sillo della croce: i turcomanni e i tartari le invadevano del pari , e i saraceni ne contrastavano il dominio agli europei , che in- tendevano a rialzare il trono di Gerusalemme, come pure aì suc- cessori di Gengis Kan. I soldani, signori di una parte della Si- ria, assalivano l’ Armenia e minacciavano la Persia, la quale, mentre resisteva alle armi loro, cominciava ad essere soggio- gata dalla loro religione. Questi stati intermedi soggiacquero alle prime devastazioni 110 sino a che, tanto pei saraceni che pei tartari vi furono paesi da saccheggiare. Ma quando i due popoli non furono più se- parati, divennero più sanguinose le ostilità, e più calamitose le spedizioni. Non ostante che queste guerre tenessero occupati i luogo- tenenti e la famiglia di Cublay Kan sulle sponde dell’ Eufrate, pure non li distornarono da una conquista di grande importan- za che avevano già intrapresa i loro predecessori. nel fondo dell’ oriente. La China era divisa in due vaste regioni, il Catai e il Mangi. La prima comprendeva le »rovincie settentrionali , l’ altra le meridionali. Era già più d’un secolo che il Catai obbediva ai tartari Nieut-Chè i quali lo avevano invaso; ma i tartari mon- goli ne avevano loro tolta la sovranità , ed assoggettato questo paese al loro dominio prima che Cublay Kan salisse sul trono. I vincitori non trovandosi più separati dalla China meri- dionale, mossero contro di essa tutte le forze loro, e Cublay Kan, dopo avere spesii primi anni del suo regno a consolidare il proprio potere, intraprese la conquista del Mangi. Ei la co- minciava con una armata sino allora invincibile: ma quell’ im- pero era immenso, nè le battaglie bastavano a ridurlo in sog- gezione, La guerra rendeva necessari molti e molti assedi , e i tartari conoscevano poco l’arte di dare l’ assalto alle piazze. I fiumi, che in tempo di pace sono mezzi di ‘comunicazione, divennero linee di difesa contro l’inimico. La metropoli non fu presa prima del 1276; e vi volle qualche anno di più per as- soggettare il Mangi onninamente ; e la dinastia dei Songs cedè il luogo a quella dei tartari mongoli. Durante questa spedizione militare, la città di Sayanfu, assediata da tre anni, non potè esser presa se non per l’indu- stria de’ veneziani, Le macchine da guerra fatte costruire dalla famiglia di Marco Polo mavganarono nella città pietre di sì enor- me peso, che gli abitanti, spaventati dalia ruina dei primi edi- fizi, aprirono ai tartari le porte. L'uso di queste macchine da assedio perfezionate in occidente sotto il regno di Filippo Au- gusto , erano tattavia ignote nell’ estremità orientali; ma la guerra diede ben presto cognizione di queste scoperte, e Cublay Kan non trascurava mezzo veruno per vincere. Il conquisto della China trasse questo monarca in altre guerre, e la sua impresa contro il Giappone, notato nei viaggi di Marco Polo col nome di Zipangu, fu notabile soltanto per Je disavventure della sua flotta. 1 suoi vascelli, investiti da una III tempesta , furono quasi totalmente distrutti + e i venti riporta- rono in Asia solo pochi avanzi della sua armata. Il rimanente fu gettato sulla spiaggia delle isole, e cadde sotto i colpi degli abitanti. Ma più prosperi successi ebbero le armate di Cublay Kan sulle frontiere. meridionali della China. Mentre le sue flotte ne scorrevano il littorale , le sue truppe di terra vi penetrarono ; e furono dalle sue armi soggiogati il Tunchino , la Concincina e il Pegù, e si riconobbero di lui tributari. Lo stesso avvenne del 'Thibet e dei paesi che separano il corso del Gange dai fiumi dell’ Asia orientale. : Questo regno presentò un singolar fenomeno. Vedevasi il sovrano d’una gran parte dell’ Asia comandare alle proprie na- zioni le più incivilite, e nel tempo stesso a quelle che usci- rono appena dalia barbarie; qui incoraggiare le arti di pace , là tener viva tutta |’ attività guerriera; ammollire i popoli vinti, e volgere contro altri stati le sue armi vittoriose. Il progre- dimento verso la civiltà trovava continuo inciampo ne’ primitivi costumi: nè il contatto di queste tribù ignoranti e guerriere con una nazione pacifica e bene ordinata fu sufficiente a far sì che i due popoli s’'immedesimassero. I tartari in mezzo alle loro conquiste conservarono gli usi e le armi loro, rispettando però le consuetudini dei vinti: si approfittarono di una parte dei loro godimenti, protessero l’ esercizio delle arti che non professa- vano, e si crederono interessati a conservare la prosperità del- l'impero da loro assoggettato. Il gran Kan de’ tartari divise in nove governi il territorio del Mangi. Tre provincie furono assegnate ai propri figli, le altre ai suoi primi officiali; e a Marco Polo fu dato per tre anni l’incarico di supplire ad uno di questi governanti. Inal- zato a questa carica potè conoscere tutta _l’ amministrazione, e tutti i mezzi economici dell’impero , e li descrisse in parte nella sua opera. Dà notizia del sistema monetario adottato negli stati di Cublay Kan, ove generalmente correvano monete di scorza, e dove l’ oro, l'argento, le conchiglie, i pani di sale erano i se- gni e i mezzi di permutazione usati da parecchie provincie, Ram- menta i lavori intrapresi per aprire comunicazioni fra tutte le parti dell’ impero. Qui si scavano canali che congiungono due gran fiumi, ed estendono la navigazione interna ; là partono dalla metropoli varie strade, come tanti raggi divergenti , ver- s0 i paesi lontani; di tanto in tanto sorgono abitazioni ; si di- spongono cambiature di cavalli pei corrieri e per gl’inviati che il rI2 gran Kan spedisce e riceve; sono poste delle barche per pas- sare i fiumi; d’ ordine di Cublay sono piantati alberi lungo le strade, sono arginate e contrassegnate con pioli di pietra, che ne mostrino la direzione, quelle che passano per deserti sterili. Veglia il sovrano sui bisogni delle regioni devastate da qualche flagello ; fa dispensare provvisioni ai poveri della me- tropoli: ogni anno si vedevano più di 20000 fanciulli abban- donati: ei li fa raccogliere ed allevare: i ricchi che non han figli ne adottano alcuni; gli altri orfanelli sono impiegati al servizio o nelle armate di Cablay Kan. Costituiscono le imposte sul commercio la parte principa- le delle entrate del gran Kan ; e quindi i tributi che riceve dai grandi che vengono a prestargli omaggio alle principali fe- stività dell’anno; ed aggrandiscono le sue ricchezze in tempo di guerra, e il lusso e lo splendore della sua corte i donativi di cavalli, di ricchi drappi; di pietre preziose, e tutto ciò che la devozione e l'ambizione può offrire al regnante, o per te- stificare il loro zelo o per chiamare sopra di loro i di lui be- nigni riguardi. Il monarca per parte sua dispensa i ricevuti te- sori; e questo cambio di servigi e di liberalità che l’ uso con- serva, diventa il primo vincolo dell’ obbedienza e del potere. Nel descrivere i costumi della corte di Cublav Kan, Mar- co Polo rammenta ancora quelli di tutti i popolì tartari. La caccia è il primo piacere di quella guerriera nazione. Adde- strano i falconi e gli altri uccelli da preda ad insegwre gli animali più deboli, mentre numerose brigate assaliscono gli orsi e i cinghiali. Ora si fa guerra alle tigri e ai leoni, ora sì av- vezzano a combattere le altre bestie selvagge. I cammelli tra- sportano i bagagli, gli elefanti tolti al nemico fan parte delle armate; e il sovrano esige dai popoli vinti e si appropria i mezzi di accrescere le proprie forze. Le lodi date da Marco Polo a Cublay Kan possono essere talvolta |’ espressione della gratitudine; egli faceva favorevole giudizio del benefattore della sua famiglia; e forse chiuse gli occhi su i difetti del principe di cui esaltava a cielo le vir- tuose qualità. Pure a traverso la lode traspare una serie di fedeli osservazioni, raffermate poi dalle relazioni de’ viaggiato ri, e dagli annali dell’ Asia. Si trattiene Marco Polo principalmente nel descrivere la metropoli del Catai e del Mangi. A Clemenfu fa osservare tutte le abitudini di un popolo conquistatore ; a Quinsay tutte quelle che appartengono alle arti della pace. Questa città siede sulle 113 sponde di un gran fiume, ed è traversata da numerosi canali . Nell’interno si distende un lago su cui di continuo molte bar- che trascorrono. ‘Cutta l'industria dell’ impero del Mangi si manifesta nella metropoli; e vi si vede un popolo ammollito . dai piaceri della pace sospirare una indipendenza che non sep- pe conservare , cercare di tanto in tanto di scuotere il giogo o cattivarsi i propri vincitori, alimentando la speranza di liberar- sene, se gli riesce d’incivilire i propri dominatori. Dopo avere conquistato un florido stato Cublay Kan ado- però soprattutto a non esaurirne le ricchezze. Favoreggiò le relazioni mercantili, e le indirizzò verso le provincie meridio- nali più industriose e più fertili; verso le isole che producono spezie ed aromati; verso le spiagge della Concincina e della penisola di Malaca. Fu anzi spedito Marco Polo con una com- missione per quelle contrade ; e le notizie da lui raccolte sulla navigazione dei mari orientali furono poi la ragione principale del suo ritorno in Europa, e fecero risolvere Cublay Kan a concedergli licenza’ di accompagnare per mare sino in Persia gli ambasciatori di quel reame, i quali bramavano di avere una guida nella loro navigazione . Questa ultima parte dei viaggi di Marco Polo diviene per lui una sorgente di nuove osservazioni. Ben’ altre produzioni si offrivano ai suoi sguardi. Non erano più quelle pelli varia- te , ricchezza delle foreste settentrionali; quei tessuti di oro e di seta, capolavoro dell’ indastria orientale ; quei vasi fragili , il cui smalto è fregiato delle più vivaci dipinture. Una natura feconda ha vestite le spiagge e l’ isole del mare delle Indie di preziosi vegetabili. Il sugo d’un’albero supplisce al vino ; la palma somministra il suo latte; 1’ albero da pane nutrisce gli abitanti ; le foglie di betel gli inebriano; la gomma del ma- stice gli rinfresca ; diversi aromi stimolanti animano il sapore de’ loro alimenti. Tutto ciò che può stimolare o lusingare il palato abonda in quei climi, ed è premurosamente richiesto da tutti i popoli, e in modo speciale dalle nazioni incivilite. Nè la terra è soltanto coperta di sì preziosi ornamenti in quelle regioni equinoziali, ma chiude nuovi tesori nelle sue viscere . Il topazio, l’ametista , lo smeraldo si trovan confusi co’ dia- manti di Golconda, con gli zaffiri del Ceilan, co’rubini delle imontagne ove nasce il Gange. Le perle si pescano ne’ mari del Ceilan e di Ormuz. Tutte queste produzioni della terra e del mare son trasportate sopra altre spiagge. Il commercio dell’In- | dia si stende, come una immensa catena , fra gli stati di Cu- T. XIX Agosto 8 114 blay Kan, le rive del golfo persico e del mar rosso y le coste dell’ Affrica e del Madagascar. Marco Polo segna fino a quest’ isola la navigazione degli asiatici del medio evo. Osserva ripetutamente e in diverse par- ti di questo tragitto il fenomeno dei monsoni o venti regolari, i quali ora lo trasportano verso i luoghi ove egli intende di giun- gere, ora lo costringono a sospendere per più mesi il corso def suo viaggio. Non giunge fino al Madagascar , e dalle rive dell’ Indo rientra nel golfo persico: ma viene a sapere che ve- leggiando verso quell’ isola i vascelli navigano con velocità mag- giore che ritornandone ; e che sarebbero trasportati verso il mezzodì da una corrente anco più impetuosa, se s’ inoltrassero oltre il Madagascar. Questa osservazione può servire a spiegare perchè gli an- tichi viaggiatori non giungessero a scoprire la punta meridio- nale dell’ Affrica. Qualche tentativo aveva indubitatamente fatto conoscere che i bastimenti trasportati al mezzodì del Madagascar non avevano in quella direzione incontrato veruna terra , e che era avanti a loro aperto uno smisurato abisso. Coloro che scam- parono i pericoli di questa navigazione, e che poterono esser ricondotti verso l’ Indo dal monsone di primavera, disanimarono de’ viaggiatori che avrebbero osato esporsi agli stessi rischi . Ma non era ancor giunto il secolo dei discoprimenti marittimi; e se i monsoni permettevano di allontanarsi dalle coste, e fa- vorivano qualche fortunata spedizione, esponevano altresì a nuo- vi pericoli quei vascelli, che erano trasportati verso il setten- trione a traverso un oceano interminabile. Nelle relazioni di Marco Polo vengono indicate le maniere della nautica, e le diverse forme degli edifizi degli asiatici. De- scrivendo il lago di Quinsay o i fiumi e canali che trascor- rono per il Mangi, ci fa sapere che navigano in quei bassi fon- di con battelli larghi e senza carena. I vascelli che dalle spiagge dell'impero passano al mare delle Indie hanno quattro alberi e nove vele, hanno un doppio ponte ove stanno i passeggieri, e possono avere fino a 300 uomini di equipaggio. I navigli d’ Ormuz pescano meno , sono più leggeri, hanno un solo al- bero ed una vela: e si rompono talvolta nel corso della na- vigazione per esserne tenute insieme le tavole da legature fat- te con delle scorze d’ alberi. Marco Polo annovera parecchi paraggi del mare delle Indie ove non si vede più la stella polare che serviva di scorta ai marinari: Nota i luoghi ove essa ricomparisce , quelli ove es- 115 sa si alza più o meno sull’orizzonte , e viene a dare così un indizio approssimativo di alcune latitudini, Non fa mai menzione della bussola, e questo silenzio indurrebbe a credere che allo- ra non ne fosse per anco noto l’uso agli orientali, sebbene non poche tradizioni attribuiscano a loro questa scoperta, di cui gli occidentali han fatto onore ad un cittadino amalfitane. Prima di por fine alle sue relazioni marittime richiama per un momento la nostra attenzione su quelle isole, ove le abitadini della pesca separano per una parte dell’ anno gli uo- mini dalle donne. Descrive le insidie tese dai pirati ai navi- ganti ne’ mari di Guzurate e dei paraggi di Scotora ove gran quantità di uomini era allora occupata nella pesca delle balene. In questa parte della sua opera si trovano non poche tra= dizioni favolose che ei non aveva osservate da sè. Ci dice che al mezzodì del Madagascar si libra sulle ali quell’ uccello Rue, di cui esagera le forze, e che da una cima d’un’ ala all’ altra ha maggior lunghezza dello stesso Condor, che forse è servito di modello a questa descrizione. Le meraviglie del settentrione corrispondono a quelle del mezzogiorno. In quel clima nebbioso stendono il loro volo i gri- foni, e piombano sulla loro preda. I tenebrosi inverni delle re- gioni boreali sono rappresentati come una perpetua notte: trup- pe di vagabondi vi spogliano gli abitanti; la miseria di quelle regioni e il timore le rende inaccessibili; e la credalità ne fa il paese dei mostri, in tempi nei quali i racconti maravigliosi erano senza esame ricevuti per altrettante verità. Ma da queste inverisimili tradizioni ch’ ei tocca per inci- denza e senza asserirle , passa Marco Polo a narrare gli avve- nimenti storici degli ultimi anni della sua dimora in Asia. Aveva posto termine alle sue langhe navigazioni, tornava per la se- conda volta a rivedere la Persia, nè si occupa più nel descriver le contrade per le quali passò, ma dà ai suoi racconti una nuo- va vita, mettendo in iscena i loro abitatori. In quei tempi si cominciava a porre insieme gli annali dei tartari , fino a quel- l’ epoca negletti o dispersi. Trae profitto l’ autore dal suo sog- giorno in Persia per informarsi dei principali avvenimenti. Si vede nel suo libro che Caida Kan, i cui domini occupavano la Tartaria boreale, portò le armi verso il Catai contro Cublay Kan e verso la Persia, ove le di lai armate furono fatte in pezzi da Argoun , uno dei successori di Houlagou. E qui comincia a narrare le battaglie date da Argoun pel conquisto e la difesa della propria corona. Questo principe 116 valoroso vegliava alla sicurezza delle frontiere, quando venne è morire suo padre Abaga. Acomat suo zio gli preoccupò il trono , e lo fece suo prigioniero di guerra. Ma un partito a questo ultimo favorevole , nato nell’ armata stessa che lo ave- va vinto , lo riconobbe per suo sovrano: e lo zio Acomat costretto a fuggire, fu inseguito ed ucciso per ordine dello stesso Argoun. Egli pure era morto quando gli ambasciatori da lui inviati a Cublay Kan tornarono in Persia con la famiglia di Marco Polo : e due altri fratelli di Acomat salirono succes- sivamente al trono; nè prima del 1294. fu occupato da Gha- zan il vittorioso , principe che |’ oriente annovera tuttora fra i più famosi regnanti. Narrate le rivoluzioni politiche della Persia, Marco Polo ram- menta le guerre dei tartari occidentali , quelle sostenute contro Houlagou, e le dissensioni che insorsero fra loro sotto il regno di Toctai . Questi fatti dovevano essere importantissimi pei suoi con- temporanei, poichè l’ Europa vedeva un principio della propria sicurezza nelle guerre e nelle turbolenze che laceravano l’ im- pero dei tartari , rivolgendo i di lei feroci nemici contro loro stessi l’ armi che l’ avevano devastata. La storia di quelle irrequiete nazioni consisteva in quella delle loro guerre ; e Marco Polo, commosso da questo terribi- le spettacolo , dopo averlo descritto , fa fine alla sua opera . Nuo- va luce ricevono gli annali del medio evo da questi ultimi do- cumenti , i quali accrescono la serie dei fatti , e danno il modo di schiarire l’oscurità di alcuni anteriori avvenimenti , i quali ei presenta sotto un nuovo aspetto ripetendosi, e in tal guisa dà spiegazione di ciò che da prima aveva solamente accennato . E sebbene i racconti di lui sieno talvolta disordinati , interrotti e ripresi, dà nonostante luogo ed occasione di riassumere il filo quando si credeva di averlo perduto . Quantunque questo viaggiatore non tenga un ordine crono- logico ne’ fatti esponendo gli avvenimenti del secolo e dei paesi in cui visse, e sovente ce li presenti staccati, pure una sana critica può ordinarli e trovarne il collegamento : e le sue rela- zioni, sebbene incomplete , saranno sempre una sorgente feconda, ove i dotti tutti potranno attingere osservazioni relative ad ogni maniera di studi; e ci soccorreranno a supplire un gran numero di lacune in istoria , in geografia e nello studio degli uomini e della natura . Le relazioni pubblicate da Marco Polo contengono , è ve- L49 ro , soltanto un sommario di ciò che egli aveva osservato , senza estendersi in minute particolarità . Pareva doversi permettere l’ essere conciso a chi descriveva avvenimenti del tempo , poichè una sola parola bastava a richiamare molte rimembranze ; il lettore col pensiero collegava i fatti, compiva le osservazioni incominciate ; e stavasi contento ad un’opera che svegliava at- tenzione per la nuovità e varietà dei racconti, in una età in cui era mal nota l’ arte di scrivere , e ancor meno quella di ana- lizzare . L’ affetto col quale furono. allora atcolte le relazioni di Marco Polo pare che riviva oggigiorno; giacchè verso le regioni da quel viaggiatore visitate si volgono gli sguardi dei dotti: nè mai con maggior caldezza furono studiate le lingue dell’oriente, le sue antichità , i suoi usi, le sue correlazioni, la sua istoria. O sia che ci trasporti amore per quei luoghi sempre reveriti come la cuna delle mostre cognizioni, o che ci giovi risalire verso quei paesi, ove la civiltà e il commercio, trapiantativi come in un suolo ingrato , vi fiorirono per intervalli; vi si trovano anche oggi le tracce di Marco Polo, e pare che l’ Asia aspetti un nuo- vo viaggiatore , il quale visitando le regioni mene conosciute alzi l’ultimo velo che le nasconde, e possa scrivere in fronte all’ opera sua: Marco Polo fu la mia guida: ho riscontrato tutto ciò che egli indicò : fu sincero ne’suoi racconti , ma gli mancò un secolo più illuminato . Avvisiamo d’aggiungere a queste nostre osservazioni alcune di quelle da noi presentate alla società di geografia, allorchè propose la pubblicazione di questa opera. Riguardano queste alla famiglia di Marco Polo o alla presente edizione . Il commercio , sorgente della prosperità dei veneziani, ave- va tratti a Costantinopoli verso il 1250 Niccolò e Matteo Polo. Nel 1256 ambedue si recarono presso il Kan dei tartari che occupavano le rive del Volga. Ma le guerre insorte fra quei popoli erranti gli costrinsero ad abbandonare gli stati di Barka, ove eransi fermati, e si trasferirono a Boccara verso: lo sciroc- «co del mar Caspio. Il loro traffico li trattenne per tre anni ìm quel paese: vi studiarono il linguaggio e i costumi dei bar- bari, e quindi determinarono di portarsi a Cublay Kan, che si- gnoreggiava la maggior parte dell’Asia . Erano essi partiti pochi mesi prima che nascesse Marco Polo; e quando dopo venti anni di assenza tornarono alla pa- tria loro, questo giovine veneziano restato senza la madre fino dall’ infanzia , conobbe per la prima volta la propria famiglia, 118 Dovevano i due viaggiatori tornare in Asia, e Marco Polo volle tener loro compagnia. 1 loro racconti accesero la di lui im- Inaginazione: non temeva pericoli, ed anelava di farsi un nome. Questo penoso viaggio durò tre anni: e i tre viaggiatori ve- neti non giunsero a Clemenfa, ove allora trovavasi Cublay Kan, prima della fine del 1274. Marco Polo fu addetto al servizio di quel sovrano: la dolcezza delle sue maniere, l’attività del suo spirito gli cattivarono un favore, che ei giustifico merita- re col suo zelo e con la sua fedeltà. Acquistò esperienza col crescer dell’età: ei più begli anni della vita furono da lui spési o in graudi viaggi, o a prò dell’impero. Quindi al suo ricom- parire in Europa nel 1295, dopo aver trascorse le spiagge e le isole del mar delle Indie, richiamò tutta 1’ attenzione degli occidentali su regioni non. visitate prima di lui da veruno europeo . Ma non gli fu concesso di godere a lungo il riposo che po- teva sperare. Scoppiò la guerra fra. Venezia e Genova pochi mesi dopo il suo ritorno. Lamba Doria comparve nell'Adriatico con una flotta genovese, che giunse a minacciare il nemico fin sull’ entrare delle di lui lacune. Ma Venezia ebbe armata ben tosto una squadra di novanta galee sotto il comando di Andrea Dandolo. Marco Polo ricevè l’ onore dì servire a bordo di questa squadra, e di esporre i suoi giorni in difesa di quella patria che aveva illustrata con le proprie scoperte, e gli venne affidato il comando d’ una galea. Ma quando i veneziani per- derono la, battaglia di Curzola, nella quale fu presa e distrut- ta la maggior parte dei loro vascelli, Marco Polo, la cui galea era nel primo ordine , rimase ferito , e insieme collo stesso Dandolo cadde nelle mani del vincitore, che lo condusse a Genova, prigioniero di guerra . La, sua prigionia durò quattro anni: ma questa sventura pose il sigillo alla sua celebrità. Formava l'ammirazione dei genovesi ,, dai quali veniva avidamente raccolto quanto ei nar- rava di regioni fino allora sconosciute. Non aveva ancora com- pilata la sua relazione, perchè i materiali da lui raccolti erano a Venezia. Egli li, fece venire, gli ordinò, e dettò la storia dei suoj viaggi ad un pisano compagno della sua prigionia. Que- st'opera passò immediatamente nelle mani di molti per essersene moltiplicate le. copie, i compendi, le traduzioni: e fu da per- tutto conosciuta . Molte sono l’ edizioni da lungo tempo comparse in luce dei viaggi di Marco Polo, ma non iutte fureno fatte su gli stessi I | Î | I 19 MSS. La prima fu pubblicata due secoli dopo le relazioni origi- nali, e in questo tempo le copie subirono infinite alterazioni, le quali passarono nelle edizioni successivamente fatte in diversi luoghi . Ciò rese dubbia la scelta ; e sebbene la stampa abbia fatto trascurare la lettura de’ MSS.,i dotti sentirono la neces- sità di riscontrarli, ad oggetto di rinvenire il testo primitiva. Ma questa indagine portava seco difficoltà senza numero ; poichè si attribuivano allo stesso Marco Polo alcune delle di- verse compilazioni de’ suoi viaggi. Non già che queste si contra- dicano, perchè il fondo dell’ opera è sempre lo stesso; ma s0- vente l’ordine è confuso ; le proporzioni sono diverse, lo stile è più o meno conciso; s'incontrano dei supplementi e delle omissioni: cosicchè si direbbe che |’ autore, ritornando su * propri racconti, abbia inteso a perfezionarli e completarli con successive dichiarazioni. Se la relazione compilata più estesamente ha tutti i carat- teri dell’ autenticità, essa deve altresì considerarsi come la più istruttiva, ed è interesse dei dotti il conoscerla . Perciò la s0- cietà di geografia ha determinato di pubblicare un MS. sinora inedito della biblioteca reale. Ne abbiamo confrontata l’ esten- sione con quella di altri MSS. delle nostre biblioteche, e con le edizioni fatte in più e diverse lingue; come l'italiana del Ramusio ; la spagnola stampata a Saragozza nel 1601 ; la fran- cese del 1556 ; quella compresa nella raccolta di viaggi, pubbli- cata dal Bergeron ; e l’edizione inglese data in luce nel 1818 dal sig. Marsden, arricchita di preziose osservazioni. L'esame delle dotte dissertazioni di S. E. il Cardinale Zurla ha supplito a quelli esemplari che non potevamo riscontrare, ed abbiamo osservato che il MS. veneto della libreria Soranzo ; e il MS. di Firenze conosciuto col nome di Milione erano, del pari che le altre edizioni, molto più compendiati di quello deila biblioteca reale. I capitoli di supple- mento che sono alla fine dell’opera spargono, a dir vero , più luce sulla storia che sulla geografia: ma lo studio della terra sa- rebbe sterile ed incompleto se non vi si frammischiasse quello dei popoli che |’ abitano . Gli annali delle nazioni che han can- giato l’ aspetto di parecchie contrade sono i soli che possano spiegare le rivoluzioni geografiche. Ora qual potenza indusse maggiori cangiamenti nella situazione dell'Asia e dell'Europa nel medio evo di quella dei tartari, i quali distrussero la maggior parte delle città , rovesciarono i confini de’ regni, e dispersero persino le tracce delle popolazioni che incontrarono ? «La lingua in cui è dettato il nostro MS. gli dava per noi Ù] 120 una importanza di più, rammepntandoci quella che dai nostri padri parlavasi in Francia nel secolo XIV. Questa erasi intro- dotta in una parte d’Italia dopo il conquisto fatto di Napoli da Carlo d’Angiò nel 1265. Erasi più anticamente diffasa in oriente per mezzo delle crociate; e per essersi successivamente stabiliti principi francesi a Gerasalemme , ad Antiochia, a Tri- poli , e persino entro le mura di Costantinopoli. Era intesa ne’ porti del mediterraneo che comuanicavano con la Francia » ed era idonea a far conoscere anco lontano i viaggi di Marco Polo. Quindi possiamo stimare questo MS. francese come una antica traduzione della relazione originale. E nata discussione sulla lingua di cui si sia servito l’autore; e tal questione è divenuta anco più oscura mercé le diverse tra- duzioni che a un tempo stesso comparvero. Genova e Venezia non avevano ancora se nou i rozzi elementi di quell’idioma gen- tile, fecondo, armonioso, che Dante rendeva maschio e dovi- zioso, in cui seppe il Petrarca esprimere i più affettuosi senti. menti, che il Boccaccio piegò a tutte le maniere ne’ suoi viva- ci ed eleganti racconti. Fioriva Dante in quel tempo, ma non erano per anco venuti in iscena i due suoi grandi emuli let- terari. Gli autori avevano mantenuto l’uso di scrivere in latino, e furono in questa lingua dettate le prime opere del Petrarca e del Boccaccio; tenendo essi in maggior pregio l’antico idioma ricevuto in retaggio da Roma, che il nuovo, cui adopravano a perfezionare, e che doveva un giorno formare la gloria d'Italia. Il latino faceva gran parte del sistema generale degli studi, ed occupava tutti coloro che aspiravano a seguire i grandi mo- delli. Ma non si vuole considerare Marco Polo come scrittore. Non vi è ombra di classico nel suo lavoro, nè vi si scorge traccia veruna di quella letteraria erudizione della quale si compiaceva- no mostrarsi forniti gli autori di quei tempi. Ei racconta tutto ciò che vedde con ingenuità, e con semplicità di stile. Essendo educato probabilmente come la propria famiglia nella professio ne di negoziante, non brigò a rendersi chiaro nelle lettere, coltivate allora a Venezia meno che nel centro dell’Italia. Il perchè siamo indotti a opinare avere egli dettata la sua relazio- ne nel proprio dialetto, il quale non si vuol credere avere egli per lunga assenza dimenticato. È vero che nelle sue peregrina- zioni aveva Marco Polo studiato parecchi linguaggi dell’ Asia, e che erano questi a lui famigliari ond’ ei potesse riuscire nell’ a- dempimento delle afffdategli commissioni: ma le prime impres- sioni di una lingua bevuta col latte, e fortificatasi fra i trastal- 12I li, gli stadi e le passioni dell’età giovenile, non si cancella mai dalla memoria. Possono altri segni aver preso momentaneamente luogo nella mente, altri paesi avere ausato l’ orecchio a nuovi suo- ni. Ma al ritornare in patria con quanta rapidità le antiche rimem- branze si rinnovellano? sotto un aspetto di novità ti si mostre- ranno, è vero, gli obietti da’ quali fosti per lungo tempo lonta- no ; in confuso ti si offriranno i modi di esprimere il tuo concet- to, de’ quali perdesti la consuetadine : na tosto s’ affaccia al pen- siero il linguaggio quasi obliato ; si arricchisce delle parole ne- cessarie a dinotare tutte le imagini dalle quali ti senti commos- so; il vocabolario ti torna in mente nella sua purità, nella sua estensione; e senza bisogno d’interprete ti trovi in relazione coi vecchi amici, co’ tuoi concittadini, ed hai intero godimento della tua patria. Anzi chi sa se nelle più lunghe assenze non si presenti più spesso l’ occasione di discorrere l’ idioma nativo? I viaggiatori lo serbano per comunicare i loro segreti; gli esuli per esprimere i loro affanni. Con questo scrivono i loro pensieri nella solitudine 3 si volgono al loro creatore, e lontani dalla compagnia dei loro simili si rammentano le impressioni che han ricevute. Si posso- no sapere e parlare molte lingue, ma l’uomo raccolto in sè stesso pensa nella sua lingua materna ; spesso la dilata e la for- tifica mercè di quelle solitarie meditazioni ; e le scritture più animate, più eloquenti furono talvolta dettate in mezzo ai de- serti. Qual si voglia opinione abbiano i filologi sulla vera lingua usata da Marco Polo, sembra che meritino la maggior fiducia quei manoscritti, che risalgono all’ epoca in cui quelle narrazioni vennero in luce: e il loro stile informe e irregolare imprime in esse un’impronta di verità, che resterebbe cancellata dalle correzioni di un editore; il perchè avvisiamo dover noi fedelmen- te pubblicare il testo del MS. Introducendovi una moderna det- tatura avremmo tolto alla prima traduzione quell’ aria di sem- plicità, distintiva di quel vecchio linguaggio; e se per noi si fosse procurato di conciliar fra loro queste due età della no- stra letteratura, usando. un linguaggio intermedio, che mante- nendo il giro antico ringiovanisse soltanto le dizioni troppo in- vecchiate : questa pretensione a scrivere la lingua del Montai- gne e dell’Amyot non avrebbe appagato, nè chi si diletta delle croniche originali, nè chi ama la nostra lingua perfezionata, Avremmo sfigurata l’ opera che si vuol conoscere; e senza acqui- 122 stare l’indole del nostro secolo, avrebbe perduta quella del se- colo in cui comparve. Oltre a ciò non sarebbe tanto facil cosa il prendere a scri- vere nella lingua d’ Amyot. I modi e le parole che adopra han- no fra loro intima corrispondenza , e formano un complesso siste- matico, che non potrebbesi scomporre senza distruggerne |’ ar- tificio e la venustà. Molte delle espressioni di quel tempo non appartengono all’età precedente o susseguente ; e sarebbe un eccesso di presunzione il volere, senza confondere l’ epoche, rin- venire quelle antiche forme del nostro linguaggio, e farle re- irocedere due secoli per risalire più agevolmente alla sua origine. Conservando in questa edizione tutte le irregolarità dello stile, si doveva egli usare la stessa fedeltà rispetto alle imper- fezioni della ortografia? su tale articolo diversi han diversa- mente opinato. Alcuni avvisavano che la più informe maniera di scrittura potesse sottoporsi ad alcune regole ; che l’ ortogra- fia di alcune parole non dovesse essere continuamente diversa ; e che sarebbe conveniente l’ adottare una sola forma e non se ne dipartire, subito che questa diversità portasse una maggior confusione nell’ opera, e ne rendesse più difficile la lettura. Al- poi si opponevano a questa rettificazione. Or quali guide seguire per riconoscere i veri segni, e su quali ragioni fissare la preferenza e la scelta? Pareva che dall’incertezza d’un lin- guaggio non per anco stabilito dipendessero le indecisioni del- l'ortografia: e si pensò doverle rispettare, appunto perchè me- glio caratterizzano l’ antichità del MS. L' ultima opinione prevalse, ma erane penosa l’ esecuzione, nè avemmo cuore di addossarci questo per noi tanto nuovo la- voro, nel quale faceva di mestieri essere esercitati in questa maniera di studi. Ma lo stimabile editore di un antico MS del romanzo de /a Rose si prese l’ assunto di assistere all’edizione di Marco Polo , di dichiarare ì passi oscuri con alcune note marginali, e di compilare un glossario ove fossero spiegate le pa- role affatto proscritte dall’ uso. Per agevolare sempre più la via d’intendere questo antico linguaggio facciamo stampare , dopo il testo francese, un altro testo latino inedito , pertinente alla biblioteca reale. Queste due opere non sono traduzione l’ una dell’altra, ma vanno d’accordo nel fondo de’ pensieri : il latino contiene una parte degli stessi supplementi, e ne testifica |’ autenticità. In questa versione non si vuol cercare l'eleganza e la pu- 123 rità di stile. Il latino del secolo X{V non rammenta quello dei grandi scrittori: sono in parte conservate le parole del loro idioma, ma perdè la sua armonia, e dirò così, la sua anima. Alla lingua de’ signori del mondo si affiliarono altri barbari vo- caboli ; disparve il gusto, sì obliarono le regole, e in mezzo a questa crise del medio evo , in cui si andarono formando novelli idiomi , il latino degenerando si appropriò una parte delle loro locuzioni. Riunì con bizzarra mischianza i caratteri della decre- pitezza e della infanzia, senza averne la virilità: pure ad onta della sua degradazione conservar seppe tuttavia alcune vestigia della sua antica maestà. Al volume che pubblichiamo è aggiunta in fine una tavola comparativa, ove sono riportate le varianti dei nomi propri e di luoghi citati nei viaggi di Marco Polo. Abbiamo consultato dieci MSS e l’eccellente edizione del Ramusio , ed abbiamo riu- niti tutti i nomi applicabili agli stessi soggetti, affinchè coloro , che avessero intrapreso a farè indagini istoriche o geografiche sul testo di Marco Polo, possano scegliere fra queste varianti e riconoscere le vere denominazioni. La. società di geografia ha dato principio al suo lavoro; e deve degnamente continuarlo. Per completare adunque con un secondo volume l’edizione de’ viaggi di Marco Polo essa invoca i soccorsi di tutti i dotti che si sono occupati nello studio dell’ Asia del medio evo; Geografi , naturalisti, navigatori; tutti siete invitati a prender parte in questa intrapresa. Saranno con gratitudine ricevute le vostre osservazioni su tutte le questioni le quali è utile risolvere: esse verranno onorevolmente citate; e potranno dare a quest'opera un nuovo pregio le molte indagini che avrà fatte nascere la nostra pubblicazione. La società di geografia. non si allontana o devia dal suo scopo riscontrando e consultando gli annali dei secoli trascorsi , perchè la scienza, della quale intende dilatare e distendere il pro- gredimento comprende tutti i tempi. Quanta maggior oscurità ingombra il medio evo , tanto maggior luce. bisogna che vi si porti : e se la geografia è una facella dell’ istoria, nostro dove- re è di portarne lo splendore su tutti i punti. Se viaggiatori intrepidi e istruiti, trascorrendo terre e ma- ri faranno nuove scoperte, ed amplieranno i confini del mondo , occuperanno in geografia il primo posto : ma gli uomini aman- ti del ritiro, e dedicatisi a pacifici studi possono pure aspirare a fare nuove scoperte. Il passato ha pure le sue regioni inco- 124 gnite , ed è officio dei dotti il farle soggetto delle loro inve- stigazioni . Sarebbe da desiderarsi che lo stesso disegno d’ indagini si applicasse ai grandi viaggi pubblicati in diversi secoli; e che le relazioni dei loro autori venissero offerte agli amanti della scienza come altrettanti subietti di studi e di osservazioni. Una tal serie di lavori , che si collegassero con le più importanti epoche istoriche , e che giungessero fino ai nostri giorni, rap- presenterebbero fedelmente il corso e la connessione delle nostre cognizioni . In questo immenso stadio era duopo porre un primo segna- le ; e questo s’inalza nel secolo XIII. La terra discopriva al- lora la sua superfice ; comparve Marco Polo, e la passione di viaggiare prese con lui una nuova vita : Coll’ opera di lui dia- mo principio alla serie di ciò che pubblicheremo successivamen- te. Questo è un omaggio di cui gli era debitrice la geografia . Roux. Le odi di Anacreonte e di Saffo, traduzione di Giovanni Caserti. Firenze, stamperia Ciardetti 1825. in 8. coll’e- pigrafe, Son delle prime cure le seconde più sagge. Celebre è la bella traduzione d’ Anacreonte e di Saf- fo fatta dal sig. Giovanni Caselli , e da lui resa pubblica il 1819. splendidamente col testo greco pe’ torchi dell’ ot- timo tipografo fiorentino signor Guglielmo Piatti. Essa eb- be tosto gran plauso dagli uomini dotti, ed alcuni gior- nali letterari italiani e stranieri le diedero molta lode. Parve a dir vero , che il traduttore avesse colta la palma in questo arringo , o si consideri la fedeltà del volgariz- zamento , o le proprietà dello stile convenientissimo alla poesia anacreontica. Ciò non ostante il signor Caselli con severità grande esaminata di nuovo l’opera sua vi ha rav- visato quà e là alcuni nei, e parecchi luoghi, benchè non difettosi, ha creduto che :si potessero render migliori. Quindi si è accinto a correggere tutta la sua traduzione , il che ha fatto con tanta cura che l’opera può quasi dir- ' 125 si nuova. Vediamo qualche esempio e cominciamo dal principio della prima ode. Il traduttore aveva detto: Cantar desìo gli Atridi, Cadmo cantar desio , Ma solo il plettro mio, Solo risuona Amor. Il testo dice 0420, voglio , il che mostra una risoluzione efficace, a che non risponde abbastanza il dire desio. Per la qual cosa ora si legge: Cantar vogl’io gli Atridi, Cadmo cantar vogl’ io ec. Ma questa è piccola mutazione, nè potevasi in quell’ ode chiederne altra maggiore. Altrove però non è così. La quinta cominciava in questo modo. Fresca rosa gradita agli Amori S’accompagni di Bacco ai licori Rosa adorna di frondi lo stel. Questo metro decasillabo sarebbe acconcio per un cantico guerriero. Sarebbe atto altresì per un beone. Ma quando il beone è Anacreonte , il metro dee ritrarre della dolcez- za dell’originale . Perciò quest’ ode è' al tutto nuova . Eccola. La rosa il dolce fior Di Venere e d’ Amor Con Bacco uniamo : E serto porporin Per lei tessendo al crin Lieti beviamo, O rosa , o fior gentil, O primo onor d’ april, Cura ai celesti : Di te s’adorna ognor, Se colle grazie Amor I balli desti. Deh! viemmi a incoronar, ‘Bacco, e al tuo santo altar Miei carmi udrai: Me di ghirlande pien Con vergin di bel sen Danzar vedrai. 126 Io non credo che possa più leggiadramente recarsi in vere si italiani questa leggiadrissima ode. Per la stessa ragione ha rifatto la tredicesima, e la ventesima , che nel metro erano simili alla quinta. Non così ha dovuto mutare un altro genere di decasillabi, come nell’ ode 21. che prin- cipia. A me, donzelle, la ridondante Tazza ec. perchè questi veramente sono versi di cinque sillabe . Nè altri metri ha dovuto mutare , perchè ancora nella prima impressione aveva posto cura che tutti fossero anacreontici, Aveva bensì assai volte trascurato le rime ne’ versi tron- chi, come non necessarie. Ora però ha voluto che alla nuova edizione non manchi nè pure questo ornamento. Di che gli so grado, perchè la rima ne’ versi tronchi parmi che aggiunga molta grazia ai componimenti , laon= de lodo chi l’ adopera , benchè non si debba dar biasimo a chi la trascura. Dubito solamente , che , dando alle odi questo fregio nuovo , sia avvenuto all’autore di cadere in un difetto, L’ ode ottava principiava così. Copria la notte il cielo, E pien di Bacco il petto Sovra purpureo letto Prendea dolce sopor Esser pareami cinto Da stuolo di donzelle Ed ora queste, or quelle Seguir con agil piè. volendo che il verso tronco sia rimato ha mutato la pri- ma strofa in questo modo, Me ritrovò la notte Pieno di Bacco il petto, E su purpureo letto Era Morfeo con me. Non mi ricorda d’ aver veduto il nome di Morfeo in ve- runo scrittor greco. Fra i latini fa Ovidio , che lo nomi- nò (Metam. lib. XI. v. 635.) e lo disse figlio del Sonno, da cui pur nacquero Icelo e Fantaso con molti altri. Io non so se questa sia invenzione d’ Ovidio , come dubito ; 127 ma certamente non se ne ha traccia in Anacreonte, nè in altri di quell’ età. Ora in quella gran diversità di tradi- zioni, di che piena è la mitologia, io giudico che a niu- no scrittore si debbano attribuire tradizioni , ch’ egli non abbia veramente adottate, e molto meno quelle che fosse- ro d’età più recente. Ma ove ancora sembri giusta questa mia osservazione, nè severa di soverchio, io credo che sia l’unica emendazione che si possa riprendere. Le altre tut- te mi sembrano felici e mostrano la severità della critica e il gusto fine del traduttore. Increscevole troppo sarebbe se trascrivessi qui de’brani staccati delle odi per mostrare i miglioramenti che il signor Caselli ha fatti in questa nuova impressione. Darò più tosto un’ ode intera , e sarà la terza, cui aggiungerò , come annotazioni , ai luoghi corretti le prime lezioni. Quando è notte a mezzo il corso, E del gelido Boote Ver la mano in lente rote L’orsa vedesi piegar; E son l’alme affaticate In oblio profondo assorte : Ecco Amor delle mie porte (1) Ecco giunge al limitar. Batte : io grido: chi percuote La mia soglia, e tu chi sei, bor, Che disturbi i sogni miei ? Apri, dice, e non temer. Son fanciullo tutto molle, Che vo errando a notte bruna Senza stelle, e senza luna, Per incognito sentier. Di pietà si scosse il core, (2) ((1) Ecco Amore alle mie porte Batte , e giungemi a destar. Chi percuote la mia soglia , Grido allora, e tu chi sei.ec. (2) A tai voci impietosito Lascio il letto, il lume accendo , Ad aprir la porta scendo , E rimiro un fauciullin . 128 X Come udii pregar quel mesto ; Ratto corro , il foco desto, Apro, e veggo un fanciullin . Avea d’ali armato il dorso ui Nella destra l’arco avea; La faretra gli pendea Del bel fianco sul confin. Alla fiamma l’avvicino , (3) Fra le mie le man gli premo, Dalle chiome indi gli spremo Lo stillante freddo umor. Vo’ provar; ei disse appena Gli tornar le forze usate, Se le corde rallentate Son dell’arco feritor . Tende l’arco; e d’ape in guisa Mi trafigge in mezzo al core: Poi con riso schernitore Allontanasi da me. Salvo è l’arco; or meco godi, Ei soggiugne: amico addio: Ma il tuo core, ospite mio, Senza pena or più non è. Mi torna a mente, che il sommo La Fontaine imitò questa chiusa dicendo nel suo volgare . Amour fit une gambade ; - Et le petit scelerat Me dit, pauvre camarade, Mon arc est en bon état, Mais ton coeur est bien malade . Il signor de’ Rogati, che nel suo volgarizzamento d’Ana- creonte riporta queste parole, aggiugne : questi versi (!) son belli, ma non per gli orecchi italiani avvezzi ad altro suono , ad altra melodia, e ad altra musica. Io direi alquanto più, se non temessi d’essere accusato di poetica bestemmia . Il volgarizzamento di Saffo, che nella prima impres- sione era unito a quello d’Anacreonte , vedesi quì pure , (3) Tosto al foco l’avvicino. t29 ed ha non piccoli miglioramenti. In quella due versi per ogni strofa erano rimati , in questa son tutti. Non dispia- cerà , io credo , che ne porti un esempio, e sarà l’ ode a Venere. O Venere immortal d’ Egioco prole, Che in mille guise imperi e tessi inganni, Deh! non gravar lo spirto a chi ti cole Di cure e affanni. A me discendi ; s’ altra volta il suono Di mie langhe querele intenta udisti, E abbandonate l’ ardue vie del tuono, A me venisti. I passeri leggiadri al carro uniti 'Ti guidaro veloci al bruno suolo, Che si librar battendo i vanni arditi Per l’ aure a volo, Pronta giungesti, e il roseo volto e santo Con un riso volgendomi, o beata , De’ miei mali chiedesti, e perchè tanto Eri invocata. E qual desio dell’ infuocato. petto Arbitro fosse, e nuovo ordisse amore ; Misera Saffo, qual garzon diletto Ti strazia il core? Ratto ti seguirà s'or fugge, e sora Sdegna i doni, offriralli alle tue soglie; Amerà, se mon ama, in onta ancora Alle tue voglie, Diva , deh! vieni: dall’acerbo pianto Tergimi il ciglio: fa il desir compiuto Del cor turbato; e alla tua figlia accanto Pugna in aiuto. I pochi saggi da me recati dell’uno e dell’altro volga- rizzamento meglio che le mie parole faranno conoscere co- me sono stati arricchiti di nuovi fregi, e se la prima im- pressione fu' meritamente applaudita da tutti gli uomini dotti, vie più sarà questa seconda. Cesare LuccHESINI. T: XIX. Agosto 9 130 BULLEYTINO SCIENTIFICO N.° XXIII. Agosto 1895. ScIENZE NATURALI Meteorologia. Grandi disastri hanno cagionato in Olanda le tempeste su- \Bcitatesi verso quelle coste nel mese di febbraio di quest’ an- no, e le inondazioni che ne sono derivate: L'acqua del mare è montata ad un’ altezza maggiore di quella a cui salì nella spa- ventevole marèa del 1775. La Nord-Olanda ha singolarmente sof- ferto per una molto larga rottara della diga situata presso Dur- gerdam, per cui le acque penetrarono nel territorio dei vil- laggi di Waterland e di Zaanland, che ne rimase inondato quasi interamente , e ad una grande altezza. Lo stesso è accaduto del Wormer. Fortunatamente le acque giunte gradatamente ad , . . . . . un’ altezza straordinaria, non vi si mantennero che una mez- 2° ora, abbassandosi a grado a grado. Alquanti individui sono rimasti sommersi , ed una grande quantità di mercanzie è stata perduta o danneggiata, sì a Rotterdam, che ad Amsterdam. Nè minori danni hanno sofferto le provincie dell’ Over-Yssel, e della Frisia, compresa la Frisia orientale. La città d’ Embden soprattutto è stata veramente devastata. Ecco i fenomeni che precedettero ed accompagnarono quest’ orribile disastro. Il mar- tedì 1. febbraio l’ aria eccessivamente calda, per la stagione, fece presagire una prossima tempesta. Nella sera farono vedute delle nubi oscure slanciarsi rapidamente dalla parte del Sud-o- vest; quindi si levò dalla parte stessa un vento, che il giorno dopo divenne impetuoso , conservando la stessa direzione fino alla sera, nella quale saltò al nord-est. La mattina del giovedì 3, al momento del flasso, non avendo variato, fece temere un’al- ta marèa. Di fatti dopo mezzo giorno l’acqua montò ad un’al- tezza molto superiore a quella delle marèe medie ; il vento si mantenne al nord-ovest, contrariando il riflusso, che fu incom- pleto. Questa circostanza minacciava un’altra marèa più forte della prima. Effettivamente nella mattina del venerdì 4, conti- nuando sempre la tempesta, il flusso montò 26 pollici più alto che il precedente. All’ ora della marèa bassa, l’acqua mante- nendosi ad una certa altezza, fece comprendere che la tempesta 4 131 continuava ancora in distanza, e rispingeva le acque. Se ne pre- sagì che il terzo flusso sarebbe anche più violento degli altri due. Esso oltrepassò di pollici 6 1/2 la maréa del 1808. All’ora del riflusso il vento si calmò gradatamente; per altro il sabato 6 la maréa della mattina montò all’ altezza delle forti marée co- muni. Ma levatosi di nuovo il vento, sempre dalla parte del nord-ovest, la marèa pomeridiana dello stesso giorno si elevò alla stessa altezza che la seconda del giovedì. Verso sera il vento soffiò di nuovo con forza, e siccome il moto retrogrado delle acque era stato poco sensibile, si temeva un’ altra maréèa simile alle precedenti. Ma alle ore 10 1/2 della sera il vento diminuì, quindi passò al nord, ed anche un poco all’ est, per lo che 1’ acqua diminuì notabilmente anche nel flasso, ed in fine si ri- dusse alla sua linea ordinaria. L’altezza a cui queste marèe hanno elevato l’ acqua è così straordinaria, che non ve n'é esempio nemmeno in Zelanda. Nel corso del mese di Marzo di questo stesso anno, a Wor- cester, salì il mercurio nel barometro all’ altezza straordinaria di pollici 30, 967100. Questo fatto è tanto più degno di attenzio- ne, che l’igrometro indicava non esser l’aria molto secca, La distanza a cui la scintilla elettrica scocca da un corpo ad un altro, suol chiamarsi dai fisici lunghezza della scintilla. Il sig. Gay-Lussac, dopo aver premesso che nelle tempeste atmo- sferiche la lunghezza della scintilla è spesso grandissima, e tal- volta di più d’una lega, aggiunge che una lunghezza così grande, ed il fragore orribile che accompagna la scarica, portano natu- ralmente ad ammettere che la quantità d’ elettricità da cui que- sti effetti sono prodotti sia incom parabilmente più grande di quella che si può accumulare nelle batterie elettriche più considerabili, delle quali non si può determinar |’ esplosione che alla distanza di pochi pollici. Ed in fatti, affinchè l'esplosione avvenisse alla distanza soltanto d’alcuni metri, bisognerebbe supporre nelle batterie un’ intensità così grande, che non potrebbe esser rite- nuta sulle superficie armate dalla pressione dell’ aria. Altronde quando il fulmine cade sopra un parafulmini, avviene spesso che non ne fonda la punta che ad una piccola profondità , o fino ad un diametro d’ una linea e mezzo o di due linee, effetto il qua- le non è moltissimo diverso da quelli che si possono produrre con grandi batterie elettriche. Ma lo stesso dotto fisico aggiunge che non si può realmente 132 giudicare dell’ intensità dell’ elettricità accumulata sopra'i nostri conduttori e sopra una nuvola tempestosa, dalla langhezza della scintilla. Sopra i nostri conduttori, dic’ egli, l’ elettricità è rite- nuta dalla pressione dell’ aria, e la scintilla non ha luogo se non quando questa pressione può esser vinta dall’elettricità. So- pra una nuvola al contrario l’ elettricità non è ritenuta se non dalla resistenza che l’aria le oppone come corpo non condautto- re, ed essendo affetta egualmente da essa aria che la circonda da ogni parte, deve obbedire alle più leggiere forze attrattive o ripulsive che la sollecitino. Quindi si concepisce che appena l’e- lettricità formerà uno strato, comunque sottile, purchè conti. nuo , la scintilla potrà aver luogo e portarsi a distanza conside- rabile. L’intensità della scintilla sarà prodotta dall’ efflusso più o meno grande dell’ elettricità contenuta nello strato immenso che circonda la nuvola. Se lo strato non è continuo , lo che è possibile in un corpo così cattivo conduttore come una nuvo- la, ovvero se tutta l’ elettricità sparsa nello spazio occupato dalla nuvola tempestosa mon ha avuto il tempo di sprigionarsi per portarsi alla superficie della nuvola, la scarica di questa non sarà che parziale; quindi si concepiranno facilmente i colpi rad- doppiati di tuono. In seguito di queste osservazioni, prosegue lo stesso fisico, ci sembra impossibile che la densità dello strato elettrico , il quale circonda una nuvola tempestosa, possa mai avvicinarsifalla densità dello strato che circonda i conduttori solidi; perchè la ripulsione delle sue molecole lo farebbe disperdere nell’ aria : noi non vediamo per ritenerlo che la resistenza dell’aria come corpo non conduttore, e questa resistenza deve essere pochissimo con- siderabile. L’ elettricità, continua egli, primitivamente sparsa nello spazio occupato dalla nuvola tempestosa non riunendosi in strato sottile ehe poco a poco, divien difficile nella teorìa del Volta di attribuirle la formazione della grandine in masse tanto con- siderabili quanto quelle che ‘si osservano qualche volta; ma il fenomeno è certamente connesso coll’ elettricità atmosferica, e sebbene noi ignoriamo ancora tutte le circostanze le quali ci aiuterebbero a concepirlo, non possiamo rigettare una causa , perchè ci sembra non avere una intensità proporzionata agli ef- fetti che vogliamo spiegare. 133 Fisica e Chimica. Il sig. Enrico Meikle inglese , contro i risultamenti del- l’ esperienze dei signori Herschel, Berard, ed altri, opina non esistere nell’ emanazione solare raggi calorifici distinti, appog- giandosi alla seguente osservazione del sig. Leslie. Se nel mez- zo d’ una gran lente convessa si renda opaco uno spazio circo- lare , la luce trasmessa per il riflesso di questa lente forma so- pra un piano posto a conveniente distanza una serie d°’ anelli concentrici, dipinti dei colori del prisma, i quali ricevuti sopra della cera nera, non operano in essa verun principio di fusione al di dentro dei limiti dell’ iride , lo che dovrebbe accadere se esistessero dei raggi calorifici al di dentro dell’ anello rosso . Secondo il sig. Meikle i fisici sono stati indotti in errore dalla circostanza che il prisma, da essi usato, riscaldandosi nell’ espe- rienza, tramanda da ogni sua faccia del calorico raggiante in raggi paralleli, il quale fa salire il mercurio nel termometro , cosa che non avviene colla lente del sig. Leslie, dalla quale il calorico raggiante emana in raggi divergenti . Il sig. Grothus facendo gelare rapidamente dell’acqua in una boccia di Leida, e quindi facendola digelare, ha riconosciuto che nel primo caso l’interno de'la boccia si carica d’elettricità vitrea, nel secondo d’ elettricità resinosa. i Il sig. Gaetano Pinucci di Firenze, fabbricante di termo- metri, barometri, ed altri strumenti meteorologici e fisici, a-, vendo osservato che la scintilla elettrica traversando una stecca d’avorio lascia vedere una luce rossastra , ha disposto una palla dello stesso avorio del diametro di circa un pollice in modo, che una forte scintilla proveniente dalla scarica d’una boccia di Lei- da scocchi nel suo interno, mediante l’ interruzione d’ un con- duttore metallico , ed ha veduto nell’istante della scarica |’ in- tiera palla internamente illuminata d’ una luce .rossa assai viva, e per cui nell’oscurità rassomiglia ad una piccola sfera vuota, o boccetta di vetro, che fosse ripiena d’un liquido trasparen- te, e d’un bel color rosso. Noi stessi abbiamo ripetuto con ‘egual successo quest’esperienza , fattaci prima vedere dal sig. Pinucci. Il sig. cav. Leopoldo Nobili di Reggio, che abbiamo avato più volte vccasione di nominare, ha imaginato un nuovo galva- 134 nometro , il quale non differisce da quello di Schiveigger, se non in questo, che in vece d’un solo ago calamitato sospeso nel mezzo del telaio, su cui è avvolto il filo di rame vestito di seta, ne porta due. Questi due aghi sono eguali fra loro, ca- lamitati quanto è possibile egualmente, e fissati ad un tubo di paglia suspeso ad un filo in modo, che uno sovrasti parallelamen- te all’altro, bensì coi poli in posizione inversa il polo nord dell'uno corrispondendo sopra al polo sud dell’altro, e vice- versa, ed a tal distanza reciproca, che possano girare libera- mente uno dentro il telaio o gabbia, come nel. galvanometro ordinario, l’altro al di sopra degli avvolgimenti del filo, che sono in numero di 72, in due strati sopraposti uno all’altro,cia- scuno di 36, quanti ne comporta la larghezza del telaio. Fra le circonvoluzioni del filo metallico e |’ ago superiore è un cer- chio graduato , sul quale si misura o si riconosce la deviazione dell’ ago stesso, solo comodamente visibile. Questo strumento è coiì sensibile, che interposta fra le due estremità del filo di ra- me una delle combinazioni termoelettriche del dottor Seebecky, come una vergletta per metà di bismuto e per metà d’antimo- nio, e raffreddato il punto di riunione dei due metalli, in vece dell’azione debolissima che in questo caso si manifesta nel gal- vanometro ordinario , gli aghi di questo del cav. Nobili fanno più rivoluzioni. Anzi se fra le due estremità del filo di rame si avvolga semplicemente un filo di ferro lungo cinque o sei pol- lici, e si scaldi uno dei punti d’unione col solo calore della mano, l'ago devia tosto di go gradi , e se la mano si avvici- ni soltanto al punto d’unione senza toccarlo, vi è pure una de- viazione di 20 gradi. Il cav. Nobili pensa che questo suo galvanometro o molti- plicatore , potrà servire ad altri usi, oltre le più delicate ri- cerche elettromagnetiche. Così, dopo aver ricordato che l’ acqua esposta al contatto dell’aria libera ha una temperatora sensi- bilmente ma di poco inferiore a quella dell’aria ambiente, dipen- dentemente dal raffreddamento che produce l’ evaporazione con- tinua, annunzia che attaccando alle due estremità del filo di ra- me del suo nuovo strumento una semplice barra di bismuto, ed immergendo uno dei punti d’unione in una tazza d’acqua, la piccola differenza di temperatura fra la parte immersa della bar- ra e quella che è fuori dell’acqua basta a far deviare di più gradi l’ago. E siccome mantenendo quest’ ultimo apparato in a- zione, si osserva che la deviazione diviene nelle ore alte del giorno notabilmente maggiore che nella mattina e nella sera, |’ 135 . autore congettura che questo suo stramento potrà divenire fra le mani dei fisici una specie d’atmidometro, o misuratore del- l’evaporazione. Oltre varie autorevoli testimonianze dei felici risultamenti ottenutisi in quest’ anno in diverse parti d’ [talia dall’ uso dei paragrandine, si ha un rapporto officiale dell’effetto da essi pro- dotto nelle campagne vicine alla città di Berna, dal qual rap- porto risulta quanto appresso, Verso la fine del mese di maggio, le comunità di Douane e di Gleresse armarono i loro campi di paragrandine; diversi ostacoli impedirono che quella di Neuville imitasse subito que- st’ esempio. Il dì 4 di luglio i paragrandine non si estendevano ancora in quest’ ultima comunità che fino alla distanza d’ un quarto di lega dalle ultime linee stabilite dalla comunità di Gleresse. Verso le ore due dopo mezzogiorno , l’ atmosfera si caricò di nubi tempestose, e cadde della grandine in più luo- ghi. Lo spazio che non era preservato fu danneggiato assai , e vi si contano da ito a 15 granelli percossi per ogni grappo- lo d’ uva. La parte di mezzo ha maggiormente sofferto ; il male diminuisce a misura che uno si avvicina alle due linee dei paragrandine. Il dì 13 si formò una tempesta violenta al nord di Douane al di sopra di Diesse ; la grandine cadde in ‘copia sopra i bo- schi, e si arrestò interamente alla prima linea dei paragran- dine; non cadde in tutta l’ estensione dei campi che una piog- gia fecondante. Diverse persone che andavano in quel momento dall’ isola di S. Pietro a Douane, e che osservarono lo stato dell'atmosfera, dicono che la tempesta scese dalle montagne in colonna densa, ma che al momento di avvicinarsi ai campi, si arrestò visibilmente, e che le nuvole sembravano agitarsi . Le masse dense si rischiararono , si dissiparono, e finirono con risolversi in pioggia. Siccome la grandine è caduta tutto all'in- torno dei nostri campi ( aggiugne il rapporto ), noi siamo con- vinti che, senza i paragrandine, le nostre vigne, che il tempo ha finora così ben favorite, avrebbero notabilmente sofferto. I nostri paragrandine, benchè stabiliti in fretta, e forse senza tutta la diligenza necessaria, avendo così ben corrisposto alla nostra aspettativa, ci affrettiamo a completare e perfezionare l’o- pera incominciata ; il tempo e l'esperienza c’ insegneranno ciò che può ancora mancarvi, 136 ll sig. prof. P/eischl di Praga, occupandosi in ricerche re- lative all'infuocamento del platino spugnoso a contatto d’una me- scolanza di gas ossigeno e di gas idrogeno, dopo aver riconosciut> tre circostanze che principalmente influiscono a renderlo più fa- cile e più pronto, cioè la previa elevazione di temperatura, lo stato di siccità, e lo stato di divisione e di porosità del metallo, insegna un facil processo, nel quale quest’ultima condizione, forse più impor- tante delle altre, è meglio ottenuta che in qualunque altro. Egli prende della carta da filtrare, ed imbevutala d’ una dissolu- zione d’ idroclorato di platino, la fa asciugare . Ripetuta per tre volte quest’ operazione, brucia la carta così preparata, ed ottiene il platino in tale stato di divisione, che s’infucca al primo contatto del gas idrogene , il quale si combina all’ ossi- gene circostante con tal prontezza, che ha luogo una vera esplo- sione. Il raffreddare questa materia fino a gradi 8 del termo- metro di Réaumur e l’ umettarla coll’alito della respirazione non bastano ad impedire l’effetto, ma solo a fire che non sia istantaneo» Il sig. Gustavo Rose di Berlino, è giunto a separare da un gran pezzo dell’aerolito di Juvenas dei cristalli di pirosseno di cui ha misurato gli angoli col goniometro a riflessione: uno di questi cristalli è la varietà dell’ottaedro rappresentata nella figura 109 della Mineralogia d’ Hauy. Lo stesso tessuto con- tiene dei cristalli emitropii microscopici che sembrano essere del feldsputo a base di soda, cioè dell’ albite. Pregatone dal sig. de Humboldt, il sig. Rose ha esamina- to egualmente l’ aerolito di Pallas, e le trachiti raccolte al Chimborazo , e sopra altri vulcani delle Ande. Egli ha ricono- sciuto che l’ olivina della massa di Pallas è perfettamente cri- stallizzata , e che le trachiti delle Ande sono in parte mesco- lanze di pirossene e d’albite, come l’ aerolito di Juvenas. Forse è la stessa cosa di quelli di Ionzac e di Stannern, i tessuti dei quali non sono stati ancora studiati mineralogicamente per mezzo della triturazione, del microscopio , e del goniometro a riflessione» L’iodio che trovato prima solo in alcuni vegetabili e mol- luschi marini, fu poco fa scoperto dal sig. dot. Cantu nell’ac- qua mîherale d’ Asti, è stato ora incontrato dal sig. Vauquelin în un minerale di cui non è ben noto il luogo d’ origine, e che il lodato chimico aveva ricevuto da un particolare unitamente ad altri minerali argentiferi , che quest’ ultimo aveva comprato dagl’indigeni dell’ America meridionale , ed in parte raccolto da 137 sè stesso nei contorni di Messico in un raggio di 25 leghe . Il minerale di cui si tratta portava il titolo di argento vergine di serpentino ; nella superficie consumata dal fregamento presenta- va un color biancastro , e dei grani d’argento metallico ; la sua spezzatura era lamellare, d’ un verde giallastro, con alcune parti nere, e dell’ argento metallico. Il sig. Vauquelin ha rico- nosciuto per l’analisi che questo minerale contiene 18 172 per 100 di iodio, il quale sembra esistervi combinato all’ argento in stato d’ ioduro. Il sig. Lassaigne impiega il seguente sensibilissimo mezzo per riconoscere le più piccole quantità di gas ammoniaco che si sviluppino da un miscuglio o da una combinazione qualunque. Egli bagna leggermente una lastra di vetro con una soluzione concentratissima d’idroclorato acido di platino. Questa lastra immersa nell’ atmosfera da jJesaminarsi, se realmente v’incontri gas ammoniaco, si ricuopre di idroclorato di platino e d’am- moniaca insolubile, d'un bel color giallo. Il sig. Silliman ha dimostrato che il gas ammoniaco s’in- fiamma. al contatto d’un lume acceso allorchè può mescolarsi ad una. notabile quantità d’aria atmosferica. Però l’ esperien- za riesce impiegandovi vasi proporzionatamente larghi e poco profondi. La fiamma è di color giallo, e ben visibile in pie- no giorno . Il sig. Murray fino dal 1815 aveva dimostrato potersi ri- conoscere le qualità calmanti o narcotiche, di cui son dotati al- cuni sughi vegetabili, per la proprietà di sospendere l’ eccita- bilità voltaica nelle granocchie preparate, e la virtù contraria dell’acido acetico, quasi contravveleno di questi sughi, per la proprietà di risvegliare l’' eccitabilità sopita. Dopo la scoperta di molte nuove basi alcaline vegetabili , avendo egli intrapreso nuove ricerche sopra di esse , special- mente nella veduta di trovare agenti contrarii, o che ne di- struggessero gli effetti funesti, ed avendole estese anche all’aci- do idrocianico o prussico, ha riconosciuto che nel modo stes- so in cui l'acido acetico agisce come antidoto rispetto alle so- stanze alcaline vegetabili, così l’ ammoniaca distrugge o neu- tralizza gli effetti dell’ acido idrocianico o praussico . Per altro è evidente che il sig. Murray parla di quest’ acido preparato alla maniera ordinaria, o presso a poco col processo di Scheele, 138 non di quello puro, concentrato, ed orribilmente energico , che il sig. Gay-Lussac ha insegnato a preparare, e contro gli ef- fetti del quale non ha efficacia nè l’ammoniaca nè il cloro, nè ‘alcan altro contrario agente applicato immediatamente, e quasi nello stesso istante, come l’esperienza ci ha dimostratò, Era stato recentemente annunziato da diversi autori che il sangue dei diabetici contiene dello zucchero. I sigg. Vauque- lin e Segalas, avendo impreso a verificare il fatto, non hanno trovato, qualunque diligenza v’ impiegassero, alcun segno di zucchero nel sangue d’una malata, la quale rendeva da 20 a 25 libbre d’ orina per giorno, che ne conteneva un settimo del suo peso. Essendo stata per consiglio d’ un medico amministra- ta a questa malata dell’urea per alcuni giorni , non ne fu ri- trovato alcun indizio nella sua orina, che conservò le sue vi- ziose qualità . Il sig. Payen, analizzando la radice dell’ Ailantus glandulo- sa, albero divenuto comune fra noi, ha riconosciuto nella sua parte corticale una sostanza aromatica, che sparge un fragran- tissimo odore di vainiglia,e che è solubile nell’acqua, nell’alcool, e nell’etere. Nella stessa radice ha pur trovato una resina, che posta sopra un ferro caldo sparge un fumo d’odor gratissimo, ed atto a profumare gli appartamenti. Così un albero del quale il sig. marchese Ridolfi mostrò alcuni anni addietro l’ utilità per il legname da impiegarsi in lavori sì d’impiallacciatura che di mas- sello, e per il bel color giallo che le sue foglie possono comu- nicare alla lana nei processi dell’arte tintoria , si raccomanda ora per i nuovi pregi in lu discoperti dal sig. Payen, ai quali è da aggiugnersi la bell’ ombra che procura in estate, e la rapida suna vegetazione. Geologia. La piaggia nelle quale Angouleme è fabbricato, ha offerto al sig. Bigot de Morogues quattro sorte di calcarj marini, uno con ippuriti e retepore, sul quale sono due depositi calcari più recenti, il più antico distinto per le ammoniti e le grifiti, ed è di aspetto tufaceo e di color grigiastro, che il sig. Bigot crede esser men recente del calcario terroso, sul quale posa un cal- cario cavernoso ferruginoso, con astroiti e pettiniti, che l'A. confronta col calcario grossolano ceritifero. Il quarto deposito è un calcario giurassico compatto e senza fossili, al settentrione 139 della Charente, il qual deposito altrove riposa sulle roccie in- termediarie. Il gesso secondario di Luneville forma alcune colline non elevate molto, addossate o posate sul calcario compatto, è in ammassi fralle argille varicolori, e la maggior parte di questi gessi contiene cristalli di quarzo, talvolta rubiginoso. In que. ste masse di gesso talvolta s’ incontrano alcuni cogoli che a- rieggiano alquanto i Pettini, i Carditi, le Ostriche, le Ammo- niti ec. i quali corpi sono vestiti di una terra selciosa, o di quarzo , e si sono ristretti di volume dopo la loro formazione. Presso Neuveville nel cantone di Boulemont si trovano nei banchi superiori delle marne certe palle calcarie da 3 a 18 poll. di diametro con vene spatiche e conchiglie, come ammo- nici belemmiti ed un nucleo colorito dall’ossido di ferro. L’ Hartz, secondo il sig. De Buch, è circondato dal gesso, che ne è però separato in pendici scoscese. Egli riguarda que- sta celebre montagna come una parte del sistema N-E. della Germania, che si stenda tra la Franconia , l’ Ungheria ed il Bal- tico. Sull’ estremità settentrionale si elevano le due masse gra- nitiche di Broken e di Ramberg, quindi il gravacco, e sull’ e- stremità meridionale il porfido nero d’Ilfed un masse gessoso di dolomia, che indicano la probabile prossimità delle roccie ignee. Le sostanze dipendenti dai porfidi sono specialmente il fluato di calce, la barite, il ferro spatico, oligisto , e il rosso , ed il manganese ossidato . Le roccie scoscese porfiritiche dalla parte d’ Ilfed contengono de' noccioli di Agata terminati inferiormente in cono, quali quanto più il loro maggior diametro sì allon- tana dalla verticale, tanto più sono quatti, lorchè, secondo il sig. Lasius è dovuto all'aria, la quale tende ad andare per la parte meno resistente. I filoni del porfido si perdono spesso nell'interno della roccia , lochè dal sig. Debach è riguardato come una ulterior prova che essi siano stati formati per sablimazione; e quanto più il porfido è coperto dalle altre roccie, tanto più esso contiene dei minerali solforosi. Dopo Breihengen comparisce il grès rosso secondario, nel quale non trovasi in alcun luogo il porfido d’ Ilfeld. Fra la linea dei graniti e quella dei porfidi esistono molti filoni di Sp. fluore, e tutti questi depositi sem- brano contemporanei del porfido nero che il sig. D. B. chiama epidotico. { graniti dell’Harz non sono fra loro connessi , ed il gravacco è in posizione verticale allato di essi, talchè nulla si può dedurre dalle loro vera posizione. Sul granito del castello di Lavenburgo , superiormente a Stecklemburgo e di Gerneroda 140 riposa uno schisto siliceo, e sul granito medesimo in diversi lao- ghi si veggono sparsi dei massi di granito, che forse vi sono stati trasportati da qualche caduta, e quegli che sono sul limite del granito , che forse vi è stato trasportato da qualche caduta, e quegli che sono sul limite del granito e degli schisti forse pro- vengono dall’attrito nell’elevamento del granito medesimo. In un granito cellulare si trovano aghi e prismi di turmalina , che sem- brano esservisi insinuati posteriormente, lochè è coerente all’ os- servazione del sig. Lasius, che le turmaline non esistano se non sull’orlo delle roccie granitiche. Gli schisti corneo e siliceo, ed il trappo attorno al granito, sono schisti argillosi che non giun- gono mai a passare al granito. Il sig. Buck/and insieme col sig. Conybeare, hanno dato una descrizione dei terreni carboniferi del S. E. dell’ Inghilterra , in una lunga memoria , nella quale è sviluppata la storia di un terreno, non tanto interessantissimo per i cavatori di carbon fos- sile, quanto ancora perchè in un piccolo spazio presenta un numero di fatti geologici importanti per la determinazione certa delle relazioni fra diverse formazioni state riguardate come di- stinte. Un’ altra memoria sullo stesso soggetto è stata pubblica- ta dal sig. Weaver. Il Berillo di Killeele e di Neucastle è stato riscontrato dal sig. Giesecke , il quale ha veduto che egli è posto nel granito ordinario analogo a quello di Odontscholon nella Dauria, nel quale pure trovasi il berillo. Paleontografia. Presso a Sandbach nel Cheshire in un terreno marnoso è stato trovato un dente di elefante fossile, e nella caverna di Kent'’shole il sig. Vorthmare ha trovato contenuti nelle incrosta- zioni stallagmitiche molti denti d’iena, di cinghiale, di lupo, e di altri animali non peranco determinati. Il sig.. Humboldt ha reso conto all’ Accademia del quadro dei corpi organizzati fossili del sig. Defrance , opera per ogni riguardo stimabile, essendo il frutto di numerose ricerche sui terreni inferiori e superiori alla creta (craze ). Le mascelle o becco della seppia fossili state osservate da diversi naturalisti, hanno da essi avuto vari nomi, secondo che essi si sono formati una differente idea della loro origine. Il sig. Dessalines d’ Orbigny ba restituito il posto che era dovu- to a questi fossili nella serie degli esseri di età assai anteriori I4I alle nostre, dei quali ne descrive quattro specie, che non s’in- contrano se non nei terreni inferiori alla creta (craie ). Inol- tre egli descrive un nautilo f. ch’ egli chiama gigante, per avere quasi due piedi di diametro . Appartiene questa conchi- glia al calcario giurassico , al quale pure appartengono due spe- cie di Prerocero fos. che egli ha trovato nel dipartimento della Chiarenta inferiore. Il sig. Baer ha dato ragguaglio dei mammiferi fossili della Prussia, che sono una specie di rinoceronte, una di ippopota- mo, ed una pure di cervo, di cavallo, di bove, ed una gros- sa balena. Zoologia. Il sig. professor Paolo Savi continua indefessamente ad oc- cuparsi dell’illustrazione degli oggetti naturali di Toscana , e noi ne abbiamo una recente prova nella interessante memoria da lui pubblicata nel giornale di Pisa, per i mesi di Maggio, e. Giugno , sopra un nuovo animale della famiglia dei Pipistrel- ° li, Accidentalmente in due parti opposte della città di Pisa , la sera del 10. Maggio scorso, furono presi due pipistrelli, che per la loro singolarità furono portati al Museo di quella città. Lo stesso, prof. Savi, quantunque si fosse antecedentemente occu- pato di questa qualità di mammiferi; rimase sorpreso dall’ as- petto feroce che presentava il-muso di questi piccoli carnivori . Riscontrate minutamente le loro forme ed i loro organi, non trovò somiglianza fra questi e quelli indicati nei generi descrit_ ti, e conobbe non solo che questa era una nuova specie, ma che doveva formarsene un nuovo genere, Dal truce aspetto di que- sto nuovo animale, trasse il nuovo nome generico di Dinops (qui truci est vultu). I di lui caratteri sono i seguenti . 2 Tot Fid Denti incisivi "D canini molari — 5. II Orecchie riunite , e distese sulla fronte Labbra pendenti e grinzose Coda racchiusa solo per metà nella membrana interfemorale. Alla specie poi diede il nome di Cestoni in onore di Gia- cinto Cestoni Livornese, amico del Redi, e benemerito dell’isto - ria naturale per diverse osservazioni da lui pubblicate. I carat- teri specifici sono: Corpo grigio-bruno leggermente tendente al giallastro ; dorso un poco più cupo ; ali bruno-nere; muso, labbra, e orec- 142 chie nere, orecchie grandi rotondate, un poco smarginate ester- namente; coda lunga bruno-nera . Oltre i due individui già accennati, il prof. Savi ne vidde un altro volare sul far della sera lungo l’Arno nella stessa cit- tà di Pisa, ed altro individuo fu portato a quel museo sulla fi- ne del decorso luglio . Il sig. Vito Procaccini Ricci prende motivo dalla pesca di un grosso Delfino fattasi nella rada di Sinigaglia, per scrivere al prof. Ottaviano Targioni sopra alcuni cetacei non comuni, stati ivi presi in varii tempi , e sopra altri oggetti stati trovati lun- go lo stesso lido. Sembrandoci le notizie contenute in questa let- tera non prive d'interesse, ne diamo brevemente un cenno . Il sig. Procaccini adunque rammenta il Capo d’Oglio ( Phiseter Lin.) stato ucciso nell’ aprile 1713 nel porto di Pesaro. Si dice che questo immenso cetaceo pesasse 130,000 libbre romane, che fosse lungo 80 palmi pure romani, e che ne avesse 4o di circonferenza. Circa la stessa epoca altro cetaceo della stessa famiglia fu pre- so nel molo di Sinigaglia, del quale si conservano ancora alcu- ne ossa nel palazzo della città. Altro consimile mammifero , nel 1775, diede in secco alla distanza d'una lega da Siniga- glia, ed in ultimo altri tre ne furono uccisi nel porto di San- tespidio nell'inverno dell’anno 1805. Della testa di uno di que- sti fu conservato lo scheletro, che il sig. Procaccini ha recen- temente. veduto in quella terra. Dopo queste indicazioni l’ an- tore della lettera passa a descrivere, con qualche dettaglio, il Delfino stato preso nel maggio decorso da alcuni pescatori, alla distanza di otto miglia dalla città di Sinigaglia . Egli re- . puta essere questo delfino il De/phinus Phocaena di Linn, o Marsuin dei francesi; ma dalla descrizione che egli dà dei di lui denti , che dice conici, nasce il dubbio che possa essere piut- tosto il De/phinus Delphes Lin., o altro, dovendo il Phocaena averli compressi e taglienti. Crediamo ancora aver egli equivo- cato allorchè dando le misure delle parti di questo cetaceo, dice che le branchie sono alte centesimi 21, mentre è noto che i cetacei non posseggono branchie. Questo delfino fu giudicato , intiero, pesare libbre 1530 romane, ma toltone il sangue, gl’ intestini, ec. pesò sole lib- - 955. Era lungo metri 3 e 22 centesimi, e nella massima al- tezza centesimi 72. Il nominato sig. Procaccini, al quale gli oggetti della natura non sono indifferenti, accenna ancora al- ù È È 4 d 145 euni molluschi non comuni altrove , che abitualmente o dopo burrasche sogliono trovarsi lungo i suddetti lidi, e richiama l’ attenzione dei naturalisti verso quelle spiagge » Le inesatte descrizioni dello Zerdz aveano lungamente te- nuti dubbiosi i naturalisti riguardo all’indole di questo anima- le, sicchè or fu riguardato come una specie di cane, or di mar- tora, or di scoiattolo, or come un quadrumano , or si credè che dovesse costituire un genere nuovo . Un individuo spedito dal signor Rappel a Francoforte e preso a Dongola lo ha fatto riconoscere per una specie di cane, nella suddivisione delle vol- pi, se non che si ravvisano alcune differenze, che il sig. Le- uckart ha segnalate. Il museo di Francoforte ha ricevuto un’al- tra volpe di Affrica che ha, come lo Zerda, gli orecchi mol- to grandi. Si è creduto che i cani non si trovassero in America e che vi sieno stati trasportati d’Europa. Moreau de Joannés ha dimostrato in una memoria che l’America aveva una specie di cani prima della occupazione degli europei, e che si distingue- vano per il difetto di voce e di pelo , la qual razza pur tut- tora si trova nel N, Continente e nelle isole ad esso aggiacenti. Cinque specie di foche nel settentrione dell’Europa sono sta- te dal sig. Thiememan osservate e descritte , alcune delle qua- li sembrano nuove, e come tali le ha egli riguardate. Tali so- no le Ph. Scopulicola, littorea, lecucopla, ed ha osservato e meglio descritto la ph. dardata Fabr. la groenlandica e l’anel- lata di Nilsson. Ha inoltre meglio descritto il cane Lagopo, ed una nuova specie di topo , ch’egli chiama islandese. Gli uccelli pelagici proprii di tutti i mari, di tutti i me- ridiani, e quasi di tutte le latitudini, van percorrendo l’Ocea- no per tutta la loro vita, eccettuato il tempo della riprodu- zione , ove in mezzo alle tempeste van cercando un cibo scar- so e ben tosto digerito. Questi uccelli hanno formato l’oggetto delle ricerche dei sigg. Quoy e Gaymard, tanto più utilmente , che la difficoltà di prenderli ha resa oscura la loro storia ed imbrogliata la loro sinonimìa. Fra questi le 4/5atrosse, impropria- mente chiamate dai marinari francesi, montoni del Capo sono gli uccelli più grandi, appartengono più particolarmente all’emisfero antartico dalla China all'America, ed anco si trovano a C. Frio ed 144 a Kamtchatka, ma più che altrove fral 55° al 59.° parallelo. Le procellarie , a differenza delle Diomedee o Albatrosse ( che non si tengono accoste mai molto ai mavigli ) si aggirano anzi sem- pre attorno di essi, nè gli abbandonano, se non quando il vento cessa di spingerli. Infatti spariscono colla calma, ritor nano co’ venti, e sembrano compiacersi nelle tempeste, proba- bilmente perchè il mare agitato allora caccia alla superficie una maggior quantità di animali marini, frai quali essi sembrano preferire i calamai, le seppie, ed i molluschi di questa fami- glia. Così è uno spettacolo che eccita maraviglia e insieme di- verte, il vedergli agilissimamente piombare sulla loro preda , portarla via nel becco , battere velocemente il piede sulle on- de agitate e spumanti, percorrerne i mobili solchi ch’ esse la- sciano fra loro, stendere in piano il loro volo senza il più piccolo battere delle ali, senza calare in tal volo , fare diversi giri e movimenti colla più grande agevolezza, e spingersi senza apparente affaticamento contro il vento più gagliardo . Hanno di particolare di non poter prender volo , se sieno posate sopra una superficie piana , quale sarebbe quella d’un ponte di ba- stimento. La specie più grande viene, come le altre, a ter- ra a fare le sue uova, ed il numero di questi animali che al- lora si riunisce è sì grande, che il Cap. Orne riferisce che in primavera se ne potrebbero empiere delle barchette . I Mon. chi ( Aptenodytes ) a differenza degli altri uccelli nuotatori, non tengono fuori dell’ acqua altra parte del corpo che la te- sta, e nuotano con una rapidità che supera quella. di. vari pesci. Essi abitano le isolette racchiuse nelle Maluine, e per sei mesi dell’anno vi abitano, o per dir meglio vi si ritirano, nè si sà dov'essi stieno negli altri sei mesi dall’ Aprile in poi. Nei boschetti di queste isole si formano essi dei viali ed una specie di ritirata a foggia di forno, fondo da un braccio a un braccio e 172; dove depongono le loro uova, sovente sopra un letticciolo di erbe secche. Da queste loro tane sul far del giorno e della sera partono alla pesca, nella quale talvolta si empiono sì sconciamente lo stomaco, da dover rigettare una parte del cibo inghiottito, ed al loro ri- torno si posano a riva a gareggiare fra di loro al canto , 0 per meglio dire al raglio, poichè la loro voce somiglia appuntino quella dell’ asino . Infatti i suddetti naturalisti qualche giorno dopo il loro naufragio, dirigendosi verso l’ isola de’ Pinguiui, dovettero esser ben maravigliati nel sentire un fracasso or- ribile senza comprendere d’onde provenisse , finchè appressando- 1a "=== Tr. Pi di Mei eg, 145 visi di più scorsero, sulla riva delle centinaie di Monchi i quali gridavano tutti insieme. L’abbondanza di questi uccelli assicu- rò per lungo tempo la sussistenza all’ equipaggio , tanto più che impegnati una volta nei boschetti è facilissimo |’ uccidergli a colpi di bastone , e che anco non vedendogli , vi si sento- no passeggiare con un rumore che sì assomiglia a quello del trotto di un cavallo. Essi osservano in generale che poche specie di questi uc- celli sono atte a dare in mare indizio della prossimità della terra: frai quali però sono una guida certa le procellarie , le albatrosse e i mignattoni » fino al punto ‘che il Cap°. Delano, avendo veduto per una tal direzione volare alcuni di questi uccelli, ‘dette ordine al ‘suo fratello di ‘portarsi verso quella parte , ove egli scoperse |’ isola Pellegrina ( Pilgrim ) ‘Il sig. Z/Zarian ha descritto una nuova specie di mammi- feri sdentati, che costituisce un genére ch'egli ba chiamato Chlamyphorus, per essere l’animale coperto, come gli armadilli, di squamme cornee che gli formano come un guscio, ma questo non gli veste che la parte superiore fino ai fianchi, essendo il resto coperto di pelo, soprattutto all’orlo di questa clami- de testacea. Le sue unghie sono compresse e taglienti. Abita nell’ interno del Chili, dov'è chiamato Picistago. I sigg. Cuoy e Gaymard hanno preso in esame la causa della fosforescenza delle acque del mare soprattutto nei tro- pici, la quale essi attribuiscono a minutissimi zoofiti, 1’ esisten- za dei quali animali credono pure che sia la causa della viscosi- tà dell’acqua del mare. Questa fosforescenza è .volontaria in essi , come pure in vari molluschi dotati di luce. Al che si può ag- giungere il fatto notissimo; di vedersi. nella notte oscura le membra ripiene di punti lucidi nell’ uscire che si faccia dalle acque del mare, anco nei nostri lidi. Botanica. Il sig. dott. Gaetano Savi, celebre professore di botanica nell’ università di Pisa, pubblicò nell’anno 1808 in detta città per le stampe di Ranieri Prosperi il primo volume di un’ opera botonica: intitolata Botanicon Etruscum . Successivamente negli anni 1815 e 1818 ne diede alla luce: il secondo ed il terzo ve- C. XIX. Agosto 10 146 lume, e recentemente (nel giogno 1825) ne ha pubblicato il quarto. Noi profittiamo di qaest’ ultima pubblicazione per dare un’ idea di tale opera. Il professor Savi ebbe in animo di pub» blicare le descrizioni di tutte le piante che crescono spontanee nell’ Etruria ; ma non avendo tutti i materiali in pronto, e volendo ancora riscontrare nuovamente molti di quelli già rac- colti, incominciò dal dare una serie di descrizioni delle pian- te da lui fino allora meglio esaminate, il che fece nel primo volume, La precisione delle descrizioni , l’esattezza della sinonimia ; e l’utilità dell’ opera fecero sommamente ricercare dagl’ italiani non solo, ma dagl’ esteri ancora la nuova produzione del pro- fessore toscano . Le altre occupazioni del prof. Savi, e la ne- cessità di fare nuovi riscontri impedivano la pubblicazione sol- lecita degl’ altri volumi, i quali non hanno potuto succedersi che ad intervalli. Un solo inconveniente ( necessariamente con- nesso con questo modo di pubblicazione ) era quello di non po- tersi trovare le piante ordinate sistematicamente , il che ren= deva un poco imbarazzante la ricerca di tutte le specie di un genere. Questo piccolo inconveniente è stato in parte tolto colla pubblicazione del quarto volume, nel quale l’ autore ha posti due indici generali che comprendono le piante dei quattro vo- lumi, uno secondo l’ ordine alfabetico, e 1’ altro secondo l’ or- dine sistematico di Linneo. Con questo quarto volume non vie- ne, è vero, compita la Flora Etrusca, ma un gran numero di piante son già descritte, ed abbiamo luogo di sperare che il nostro celebre professore vorrà pubblicare anche il restante , rendendo così la sua opera perfetta. Osiamo ancora invitarlo a compilare la frase generica delle nostre specie, affinchè in una nuova edizione del suo Botanicon possa essere messa al prin- cipio delle descrizioni delle specie allora sistemate. Il numero delle piante descritte nei quattro volumi ammonta a 1509, delle quali 384 appartengono alla classe criptogamia . Altra interessante produzione dello stesso professor Savi è la Memoria sulle piante da foraggio spontanee in Toscana, in parte pubblicata nel Giornale di Pisa per i mesi di maggio e giugno del corrente anno. L’ autore cogliendo l’ occasione op- portuna , richiama i suoi concittadini a considerare il vantag- gio che essi ritrarrebbero dal tenere regolarmente e successi- vamente a foraggio una considerabile porzione delle loro ter- re, ed il maggior prodotto che in porporzione, darebbero le 147 cereali seminate in una terra tanto più fertile peri maggiori la- vori e concimi che riceverebbe in quel sistema . Il prof. Savi divide le piante da foraggio indigene in due sezioni, delle quali una' comprende le annue, l’altra le peren- ni. Delle prime ne novera 128 specie appartenenti alle seguen- ti famiglie: graminacee So. leguminose 47. cicoriacee 12. cina- rocefale 1. siliquose 7. chenopedì 9. poligoni 2. Di queste 128 specie attualmente non è coltivato presso di noi che il trifo- glio rosso ( trifolium incarnatum) e lo potrebbero essere con profitto il trif. resupinatum , subterraneum , hybridum ec. ec. Le quali piante bene adattate ai varii Jaoghi e conveniente- mente coltivate, potrebbero far aumentare considerabilmente il bestiame, ed essere origine di ricchezza. L’ autore rileva ancora la necessità di conoscere le piante per il loro nome tecnico, poichè il nome volgare può dare ori- gine a sbagli considerabili, dei quali cita degl’esempi. Questa circostanza lo impegna a mostrare il bisogno di conoscere la botanica , e lo conduce ad una digressione sopra lo studio delle altre scienze molto trascurato fra noi. Eccone alcuni tratti. 3, Le università ( egli dice ) sono piene dî studenti in medi- s, cina, in chirurgia, e soprattutto in legge , e si moltiplica 3, così eccessivamente il numero di coloro , che hanno interes- , se che non si goda mai nè salute nè pace : e di questi stu- » denti, anche i migliori, di quasi null’altro si occupano, che 3) di quello che ha immediato rapporto colla parte lucrativa 3» della professione cui si son dedicati, e lasciano le università 3) Senza aver presa nessuna idea delle scienze, e talvolta an- s» che senza sapere quali son quelle che vi s’insegnano.,, ( ed altrove ) ,, Quelli poi cui spetterebbe il far progredire le scien- » ze fisiche e natarali, perchè potrebbero dedicarvisi intiera- », mente , intendo dire i facoltosi , questi appunto , non so per », qual fatalità e miseria nostra , sono quelli che meno degli al- 3 tri si danno allo studio . Ce ne sono, egli è vero, diversi che ) studiano e si distinguono onorevolmente, ma sono in numero 3; troppo scarso per il bisogno, e per poterne imporre col buon 3, esempio, e son piuttosto eggetto di riso e di compassione per » la gran massa di coloro, che al dovere di coltivare il pro- 3, prio, e di cercare di rendersi utili agli altri, preferiscono 3» l'ignoranza, l’ozio, e per necessaria conseguenza anche i vizii.,, Nella prima parte di questa memoria il professor Savi non si occupa che delle piante annue, nella seguente parlerà neces- 148 sariamente anche delle perenni. Subito che questa seconda pat» te vedrà la luce , ci faremo un dovere di renderne conto . SciENZE ECONOMICHE E AGRARIE: Il sig. 7Vhitemore inglese in una sua lettera sullo stato at+ tuale dell’ agricoltura, e sulla speranza che essa dà per l’ av- venire, discute importanti questioni economiche Caldo . fautore della libertà del commercio, combatte i contrarii argomenti dei fautori dei vincoli. E primieramente a quello desunto dal basso prezzo dei grani esteri, per cui si teme che importati in (nghil- terra vi scoraggirebbero la coltura, l’ aùtore oppone un fatto, cioè che il prezzo delle mercuriali dei grani a Danzica, in Prus- sia, in America, a Parigi, non presenta tanta differenza quanta si vorrebbe far credere. Dal che egli conchiude che i grani e» steri non possono entrare in Inghilterra a meno d’ un certo prez- zo medio, fra il quale ed il prezzo medio dei grani inglesi la differenza è sì modica, che in mille casi la speculazione può vincerla. Il sig. Withemore qualifica il sistema ristrettivo come: una legislazione la quale ha l’inconveniente di forzare |’ agricoltura ad aggiungere abbondanza all’abbondanza, e d’ essere troppo tarda quando i bisogni sono urgenti; il grano arriva dopo la ne- cessità, e rende svantaggioso il commercio a chi deve contener- si nei limiti affatto incerti dell’ importazione. L’ autore, appoggiandosi ad informazioni prodotte da un’in- chiesta parlamentaria, afferma che li stati del Nord non pos- sono somministrare più d’un milione di guarters di grani espor- tabili, quantità che è precisamente 1/36 della consumazione pre- sunta di tutta l’ Inghilterra. Egli ne conclude che questa quan- tità non può alterare in una maniera sensibile la produzione. Nel Belgio ed in alcùne provincie di Francia, ove si colti- vano estesamente alcune specie di cavoli e di rape per ricavar l’olio dai loro semi, era nota la singolare efficacia che dimostra, impiegata come ingrasso, o governo del terreno, la sostanza di questi semi spogliata della più gran parte dell’olio mediante una forte pressione meccanica; che la riduce in forma di schiacciate, le quali si vendono ad un prezzo non lieve per quest’uso. Il sig. Delcourt considerando la poca attività comparativa d’ altre so- stanze vegetabili analoghe a questa, ma prive d'olio, ove s’im» "A 149 pieghino come ingrassi, suppose che alla piccola quantità d’olio rimasta in quelle schiacciate fosse dovuta la loro grande energia, la qual sua congettura fu confermata dall’ esperienza. Formò egli una massa di 20 carrettate (ciascuna di circa 2 piedi cubi) di letame di cavalli, di bovi, e di montoni, sulla quale ver- sò un ettolitro d’ olio , distribuendolo nella massa quanto più egualmente fosse possibile, mediante il rivoltamento, e raise il tutto in una cisterna destinata alla fermentazione dei letami. Fece poi un altro mescuglio destinato a rappresentare in qualche modo le suddette schiacciate di semi oleosi, impregnando con un ettolitro d’olio 20 ettolitri di» cenere comune (circa 35 piedi cubi) meschiatovi diligentemente. Il costo di queste due masse era come appresso : Della I. per 20 carrattate di letame a mezzo franco ciascuna Fr. io per un ettolitro d’ olio li, Fr. 58 Della II. per 20 ettolitri di cenere Fr. 20 per un ettolitro d’ olio 33;(,48 Fr. 68° >” 58 e però in tutto RT L'insieme di quest’ ingrassi sparso sopra un’ estensione di ter. reno sopra la quale si sarebbero sparse nel sistema ordinario 5000 delle suddette schiacciate, hanno dato per dieci anni raccolte più belle e più abbondanti. E siccome le 5000 schiacciate sarebbero costate franchi 300, ne segue che l’ uso dei suddetti mescueli , v ladutdit.) oltre una maggior produzione, ha procurato un economia di 174 franchi sopra 300. Però non solo il sig. Delcourt continua in questo suo sistema, ma esso è seguitato da altri coltivatori te- stimoni dei di lui successi. i Il sig. Ignazio Lomeni ha fatto conoscere in un opuscolo stam- pato in Milano presso Silvestri una macchina di sua invenzione per pigiar l'uva, invenzione premiata dall’ I. e R, Istituto di scienze; lettere, ed arti di quella città, nel concorso d’industria dell’anno 1824. La macchina è costituita sostanzialmente da due cilindri scannellati, i quali s’ingranano fra loro, e muovendosi in giro l'uno contro l’altro, obbligano le uve che discendono da sana tramoggia ad oltrepassare, frangendosi, e discendere nel tino 150 sottoposto. Il libretto è corredato di tutte le tavole necessarie a dare un'idea chiarissima delle più minute particolarità della macchina, che ci sembra semplice, bene intesa, e però pre- gevolissima . Bensì non possiamo qui lasciar d’ avvertire, che una macchina, forse anche più perfetta di questa (poichè le uve già schiacciate ;dai primi due cilindri vi sono completamente lace- rate da altri due sottoposti) è già in uso da parecchi. anni alla tenuta delle RR. Cascine presso Firenze , ivi introdotta dal benemerito ‘agente sig. Cecconi, che ha cortesemente permesso a diversi proprietarii toscani a noi ben noti di far copiare la mac- china stessa, che già si vede usata in varie tinaie all’ occasione della vendemmia. Un coltivatore di Norton nella Gran Brettagna ha fatto re- centemente l’esperienza di spargere una grande quantità di ra- pe sopra un tratto di terreno seminato a grano, e che era in- fetto di vermi bianchi. La mattina dopo trovò le rape talmente ricoperte di quei vermì malefici, che sopra una sola, presa a ca- so, ne contò 150, e da tutte ne fu raccolta una quantità suffi- ciente ad empierne tre staia e mezzo. Rinnuovata |’ operazione , il campo rimase interamente purgato da quella specie di vermi Vien raccomandato come un mezzo efficace per preservare i formaggi dai danni dei vermi e dei tarli il disporli in barili o altri vasi opportuni, frapponendovi dell’iperico (Hypericum perforatum), pianta cui si attribuisce pure la proprietà di da- re un buon gusto al formaggio, e di renderlo grasso. Altri assicurano che anche dei grani interi di pepe sparsi tra ì for- maggi hanno la virtù di farne perire i vermi. A distruggere in un pomario i bruchi infesti alle fratta, vien proposto di porvi alcune piante di Loto (Prunus Padus), sulle quali si afferma che tutti i bruchi e tutte le farfalle, che si trovassero alla distanza di 50 e anche di 100 tese, anderan- no a riunirsi, vi faranno il loro bozzolo, e vi periranno . Tali piante presenteranno per un mese un aspetto disgustoso, ma avendo attirato a sè tatti quegl’insetti, gli alberi vicini ne saran- no liberi. Il prunus padus cresce in abbondanza nelle foreste del- la Baviera. Si va formando in Francia una società per il miglioramen- to delle lane , ad imitazione d’una simile, che esiste da gran I5i tempo in Inghilterra, e che ha raccolto dalle sue premure ri- sultamenti molto importanti: I lumi e gli sforzi riuniti dei più istruiti e più zelanti fra i coltivatori ed i fabbricanti promettono alla Francia dei successi non meno brillanti, e chela sottraggano alla necessità di trarre dalla Sassonia, dall’ Inghilterra, e dal- l° Olanda le lane sopraffini, necessarie alle sue molte e belle ma- nifatture. GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI . Lettera all’ editore dell’ Antologia. Tripoli di Ponente, 12 Luglio 1825. Le piccole notizie che io ho potuto darvi intorno ai viag- giatori in Affrica, non vagliono i ringraziamenti che voi me ne fate. Ma io ho letto nell'ultimo vostro fascicolo un articolo ricavato dai giornali inglesi, il quale non è esatto, sul conto del maggiore Gordon-Laing. Questo viaggiatore non arrivò quì che il dì ro di maggio di quest’ anno, ed egli continua i suoì preparativi per andare a Tombouctou, accompagnato soltanto da due negri nativi delle Indie occidentali ; uno dei quali, che serve il maggiore da 6 anni, parla la lingua dei Mandinghi della costa occidentale dell’ Affrica. Voi sapete che il sig. Laing fu il solo ufficiale che scampasse al massacro delle truppe dell’ infelice Alessandro Mac-Carthy distrutte dagli Ascantei pres- so al Capo Corso, sulla costa d’oro nel gennaio 1824. Egli fu pur quello che riportò in Europa le ultime lettere dello sfortu- nato Belzoni. Era stato detto che il principe Hattila, capo dei Touvaryks d’ Ayades , amico del capitano Lyon, doveva venir quì a cercare il sig. Laing per condurlo nel suo paese, ed in seguito introdurlo nel Soudan; ma il nostro Pacha ha rice- vuto una di lui lettera, nella quale esprime il suo dispiace- re di non potere nè venir quì, nè far cosa alcuna per il Maggiore, per cagione d’ una guerra civile scoppiata fra i suoi proprii sudditi, e fra altre tribù circonvicine. La spedizione doveva passare da quì a Ghadams , l’ antica Cydamus dei romani, per la strada di ponente; ma questa strada si trova egualmente impedita da una rivolta generale degli abitanti le montagne di Gharrian, di Oudalete, e di Fis- sate al sud-ovest di Tripoli, contro i quali il Pacha ha fatto partire un’ armata di cinquemila fanti e tremila cavalli, accom- pagnati da alcuni pezzi d’ artiglieria, In conseguenza il mag- giore sarà obbligato a prendere la strada per Tajoura , Terho- na, Benoulid , e Mezdah, che è oltre il doppio più lunga del- 152 l’altra, e perderà .almeno 30 giorni per arrivare a Ghadams i Il suo campo di partenza è già piantato a Tajoura, donde par- te oggi o domani. Frattanto si comincia a sparger voce della morte del sig. Tyrwhett, che partì di quì nel mese di feb- braio dell’anno passato, per andare a risedere, nella qualità di Console di S. M., Britannica , presso il Cheykh di Ranem, sovrano reale di Bornou. Questa nuova vittima della geogra- fia affricana , non disanima il maggior Laing , il quale al con- trario è così persuaso della riuscita della sua missione, a mal- grado di tutti gli ostacoli, che egli ha contratto gli sponsali con una damigella amabile, figlia del Console della Gran Bret- tagna quì residente , sig. cav. Warriogton, il quale è pure console, generale di Toscana . Il matrimonio sarà celebrato su- bito dopo il suo ritorno , o qui, o in Inghilterra. Voi mi grattate, come dice il proverbio , dove ho prari- to quando m’ invitate a mandarvi delle memorie intorno al paese che io abito, o all’interno di questa terribile Affrica. Quanto a Tripoli, ed alla sua statistica, io potrò somministrar- vi qualche cosa, ma quanto al lago di Tzad, al Nilo dei Ne- gri, a Tombouctou, ec., che volete voi che io scriva quando tutto ciò che fanno questi signori inglesi riman sepolto nel più gran segreto? Voi dovete aver veduto a Firenze i due viag- giatori Denbam e Clapperton. Ebbene, quali notizie ne avete voi ricavato? Io posso assicurarvi che non ne ho sapato più di voi, benchè li abbia veduti tutti i giorni per un mese intero. Il sig. Gordon Laing , che si era detto partito da Tripoli, non è partito da Malta che al principio di giugno. ( Annali dei viaggi di Malte-Brun , luglio 1825 ) Nuova spedizione inglese in Affrica. Viene annunziato in questo momento che il governo inglese è per spedire lo sloop da guerra il Camaleonte sulla costa di Guinea , sotto gli ordini del sig. Clapperton, nominato capitano, e che avrà il capitano Pearce per secondo. L’oggetto di questa spedizione è di pene- trare a Sakkatoo per la costa di Guinea; ma si tien segreto il punto preciso della costa ove si ha la lusinga di trovare |’ imboc- catura del gran fiume. A Sakkatoo vi erano non solo delle terra- glie inglesi, ma anche dei coltelli ed altri oggetti, portativi re- golarmente per mezzo d’una comunicazione colla costa . Fummo già solleciti di annunziare il ritorno dalla Nuova 153 Olanda, dell’ infaticabile viaggiatore naturalista sig. Sieder di Praga ( ved. Antol. fascic. di Decembre 1824. pag. 154. ), ed indicammo in un modo generale le preziose collezioni da esso fatte. Attualmente sono rese, pubbliche altre interessanti parti- colarità relative al suo viaggio, e ad uno stabilimento. utilissi- mo da lui progettato . Però ci facciamo un dovere di comuni- carle ai nostri lettori . . Il sig. Sieber, prima di partire per la Nuova Olanda , spe- dì alcuni giovani in diversi punti del globo per raccogliervi og- getti d’ istoria naturale . I signori /7i/senderg e Boyer furono mandati all’ Isola di Francia ed al Madagascar: al Senegal an-. dò Schmidt , cd il sig. ZVrba a Cajenna . Il sig. Sieber poi con- dusse seco al Capo ed all’ Isola di Francia il sig. Zeyher. In tal modo egli gettò in Germania le basi di uno stabilimento di viaggiatori naturalisti, stabilimento che è sua intenzione di re- alizzare in breve . All’ Isola di Francia , ove il sig. Sieber restò tre mesi e mezzo , raccolse da 50,000. esemplari di 1000. specie di pian- te, fra le quali se ne contano 60 di Felci credute esclusive dell’ Isola Borbone. Riunì 80 specie di frutti, fra i quali 4 di Pan- danus , di molte Palme e segnatamente quelli della Lodoicea Maldivica. Degli uccelli se ne procurò 30 specie in 50 indi- vidui. Alla Nuova Olanda si trattenne 7 mesi e mezzo , percor- rendo parte di essa per tuttii lati , e spingendosi fino alle mon- tagne turchine. Vi raccolse circa 1000 specie di piante in 12,000 esemplari. Si procurò 32 specie di Mammiferi, fra i quali 4 di Kanguroas , 4 Scoiattoli volanti, il Pipistrello della Nuova Olan- da ( Petaurus pygmaeus ) diversi Dasyuri, il Koala, il Tacky- glossus , 3. Topi, 1. Foca, 8. Ornitorinchi , dei quali sei maschi, e due femmine. Degli uccelli riunì 180 specie in 1200 esem- plari . È fra essi il singolarissimo uccello Lira ( Menura N. Hol- landiae ) il Casoar della Nuova Olanda (Casuaris N. Hollandiae ) l’ Ardea gigantesca di 7. piedi d’ altezza , il Cigno nero ( Anas plutonia Shavv ), il Fagiano di padale , l’Avvoltoio bianco » il Rigogolo detto principe reggente ( Orzolus Regens Tem. ) 8& Piccioni, 14 Pappagalli, e 7 Germani. Dei Rettili si procu- rò 8 Serpenti e 14 Lucertole ; degli Annelidi 120 specie, fra le quali alcune rarissime . Raccolse ancora dei minerali, e non trascurò le armi, gl’ istramenti , le vesti fatte di Phormium tenax ec. tanto della 154 nuova Olanda, che della nuova Zelanda , di Tongaboto , e d’ Othaiti . ( Il sig. Zeyher al Capo di Buona Speranza ha raccolti 7000 esemplari di piante appartenenti a circa 600 specie ; ha porta- to una cassa di semi che ne conteneva 120 specie. Si è pro- curato le spoglie di 4 Leoni, 3 Leopardi, 7 Antilope , e i Mus Maritimus, e Carpensis . Degli uccelli ne ha riunite 18 specie in 50 esemplari, e degli Annelidi 250 specie in 3000 individui . Dall’Isola di Francia, Borbone, e Madagascar è aspettata in breve una considerabile collezione di piante, semi, uccelli ec. rac- colti dai sigg. Hilsemberg e Boyer. Una porzione degli oggetti raccolti al Senegal sono già arrivati a Praga, ugualmente che una parte di quelli riuniti a Cajenna dal Sig. Wrba. Siccome questi tre giovani naturalisti resteranno ancora provisoriamente nelle parti che ad essi sono state assegnate, però si aspettano nuo- ve spedizioni , e si possono fare delle’ domande. Il sig. Sieher si occupa in determinare questi diversi oggetti , in dividerli in classi, per quindi esibirli ai dilettanti. Sopra ciò sono promes- si ulteriori schiarimenti . Il progetto del sig. Sieber, di stabilire in Germania un isti- tuto di viaggiatori naturalisti da inviarsi nelle principali colonie per raccogliervi qualunque oggetto d’istoria naturale, è un mezzo sicuro di rendersi utile alla scienza, e di fare al tempo stesso onore alla sua patria , Il capitano americano Leslie lasciò a Manilla nell’ ottobre 1824. una fregata ed una corvetta francese sotto il comando del sig. de Bougainville, figlio del celebre navigatore, destinate ad un viaggio di scoperte. Sembrò al sig. Leslie che il comandan- te francese possegga tutti i talenti e l’attività di suo padre. A bordo vi erano delle persone scienziate, ed altre adattate alle ri- cerche di ogni genere. Nel soggiorno di questi vascelli a _Ma- nilla gli uffiziali hanno esplorate le coste, i boschi, e le mon- tagne adiacenti, per scoprirvi gli animali rari, le piante, e imi- nerali, e dipingere o disegnare o descrivere le vedute, le posi- zioni, e gli oggetti più interessanti della natura , e quelli che possono interessare l’ arti. Il comandante stesso si occupa mol- to in osservazioni astronomiche e fisiche. I due bastimenti do- vevano andare alla China, e alla Cochinchina , e di là traver- sare il mare pacifico, 155 Dall’ estratto di una lettera del sig. De ZLangsdorf, conso- le generale di Russia à Rio Janeiro , si rileva che egli fa un viaggio scientifico nell’ interno del Brasile: questo viaggio du- rerà due anni, e ne sarà pubblicata la relazione . Il sig. Lan- gsdorf è accompagnato dai signori Riedel hottanico , e Rugen- dans paesista; egli poi si occupa degli oggetti di geografia , statistica e zoologia . INVENZIONI NOVITA' E VARIETA'. Alcuni giornali hanno annunziato che il sig. Conn di Geor- ges-Town negli Stati Uniti ha trovato che si può fondere il fer- ro per la sola applicazione del vapore , e che è giunto a comu- nicare al ferro con questo processo un grado di calore sufflcien- te a saldarlo. Senza arrogarci il pronunziare intorno alla verità di quest’ annunzio , confesseremo che non sappiamo immaginare quale specie di vasi possa essere atta a produrre e contenere il vapo- re portato al grado di produrre tali effetti, Alle altre applicazioni dei razzi alla Congreve è da ag- giungersi quella che ne è stata fatta recentemente alla: pesca delle balene . Il capitano Kay inglese , comandante il bastimen- to /a Margherita , spedito al banco di Terranuova, si era pre- parato ad attaccar le balene con questo nuovo genere d’ arme offensiva . Nel dì 8. di giugno, essendosi mostrata in vicinanza del suo bastimento un’ enorme balena, fu ben presto raggiunta, e diretto un razzo contro il di lei fianco , penetrò nel suo cor- po ; e le cagionò terribili convulsioni, che durarono alcuni mi- nuti secondi, dopo i quali la balena, voltato il ventre in aria, spirò. Il razzo aveva penetrato a traverso degli strati del gras- so , ed era scoppiato fra le coste. Nel mese seguerte fu attac- cata egualmente una seconda balena ; ma il suo movimento ra- pido , e l’ agitazione violenta della scialuppa per il grosso ma- re , furono cagione che .il razzo non entrò che al di sotto del corpo, ove il suo effetto fu assai minore . Per altro l’esplosio- ne dette una violenta scossa all’ animale, che nel momento si tuffò nell’ acqua , donde in seguito emerse , gettando una quan- tità prodigiosa di sangue. Allora fu afferrato coi ramponi, ed ucciso a colpi «di lancia . La scarsità delle balene non ha per- messo al capit. Kay di moltiplicare le sue esperienze , 156 La proprietà riconosciata dal celebre cav. Davy nei tessuti di sottil filo di ferro o d'altro metallo, di non lasciarsi traver-' sare dalla fiamma, e di opporre ostacolo alla trasmissione d’una' temperatura capace di operare l’infiammazione del gas idrogene, ha indotto qualcuno a suggerire delle maschere ed anche delle specie di vesti formate d’un simil tessuto, da usarsi a propria difesa dalle persone incaricate dell’ estinzione degl’ incendii. Senza negare alle reti metalliche l’ indicata proprietà, sin- golarmente utile nella lanterna di sicurezza, imaginata dal lo- dato cav. Davy, non crediamo che grande vantaggio si possa sperare dalla nuova proposta applicazione, giacchè alla salvezza delle persone esposte al fuoco ardente non basta che elleno sieno assicurate dal pericolo d’accendersi e d’ardere con fiam- ma , ma è necessario che non le investa una temperatura alquan- to elevata, e sufficiente ad alterare l’organismo animale, tempe- ratura che la rete metallica è non solo insufficiente ad intercet- tare, ma che trasmette essa medesima ai corpi contigui. Nelle Indie Orientali, i lapidarii, cioè quelli che lavorano le gemme, impiegano una ruota colà chiamata Coarundum sane, e che è formata d’un impasto di due parti di Corindone ri dotto in polvere, e d’una parte di resina lacca. Si fanno alcune ruote con polvere di corindone più grossolana , altre con polvere più fine. Le prime servono a digrossare le gemme, le altre a la- vorarle, ‘o faccettarle. Si dà poi loro il pulimento con ruote di piombo e polvere di corindone finissima. i Gl’indiani montano tali ruote supra una specie di tornio a. due punte , facendole girare rapidamente in senso verticale per mezzo d’un archetto, la corda del quale passa intorno ad una puleggia, il di cui asse è quello stesso della ruota. L’ artefice muove colla mano diritta l’ arco, e presenta colla sinistra la pie- tra da lavorarsi alla ruota, che procura di mantener bagnata d’ acqua, ed aspersa di polvere di corindone. Potrebbero comporsi collo smeriglio ridotto in polvere più o meno fine delle ruote simili a queste, che potrebbero essere utili per lavorare le pietre dure, il vetro, ed altre simili materie. Un'altra ingegnosa ed utile pratica introdottasi nelle Indie è quella di costruire sopra i torrenti dei ponti formati di grosse e tenaci corde di cuoio spalmate di catrame. Uno di tali ponti passa sopra il torrente di Berai presso Bancourale, a 80 miglia da 157 Calcutta ; esso è lungo 160 piedi, largo 9g 1/2. Un'altro, quasi eguale ,.sta sopra il torrente di Gioryburnah all’ovest di Ga- zareebaugh; finalmente. il più grande ed il più bello di totti, lungo 320 piedi, largo 8 1/2, è quello che. traversa il fiume Caramnassa, e che è riguardato come un gran benefizio dai pellegrini indiani, che possono per esso traversare il fiume senza temere di toccarne le acque, riguardate come immonde nella lo= ro credenza. Si tratta ora di stabilire altri simili ponti, spe- cialmente nei monti Himalaya. La semplicità d’una tal co- struzione , che gl’indiani presto impareranno dagli europei, che vi hanno pref i primi, renderà comuni questi ponti sopra i torrenti dell’ India, ove sono frequentissimi gli anvegamenti. Una nuova ed ingegnosa applicazione del potentissimo stret- toio idraulico è quella che è stata fatta nella provincia di York in Inghilterra, alzando col suo mezzo il tetto intero d’ una manifattura, in cui si fila il cotone, per aggiungere un piano al fabbricato, con accrescere opportunamente l'altezza delle pareti. Il peso di questo tetto eccedeva 160,000 libbre inglesi; pure nella operazione la solidità e la forma di quel tetto non hanno sof- ferto in modo alcuno, sicchè nemmeno un tegolo è stato rotto: «si calcola che la spesa occorsa sia appena 1/9 di quella che sa- rebbe stata necessaria disfacendo il tetto, e ricostraendolo. Sono commendate come economiche e d’uso eccellente le candele di sego intonacate di cera. Ecco il processo con cui si fabbricano. Dopo avere empiute di cera le solite forme da candele, se ne apre il foro inferiore, allorchè si giudica essersi concretato intorno alle pareti interne uno strato di cera di di- screta grossezza. Allora, disposto nell’asse di questa specie di cilindri vuoti un lacignolo nel modo consueto, si riempiono di sego fuso, non riscaldato quanto bisognerebbe per fondere affat- to la cera aderente alle pareti delle forme, ma quanto basti per fargli contrarre adesione di superficie colla cera. . Un abitante di Sommersetshire in Inghilterra ha inventato ed eseguito una nuova foggia di letti; nei quali i gusci delle materasse sono formati d’un tessuto impermeabile dall’ aria. E d’aria appunto, più docile e più elastica della lana e delle piu- me, si riempiono per mezzo d’un mantice, solo strumento ne- cessario a convertire questa specie di sacchi in eccellenti ma- terasse . 158 Due medici francesi avendo pubblicato le osservazioni che aveva offerto loro l’ occasione di fare un caso recente di quella mostruosità della specie umana, che viene indicata col nome di anencefalo , e che consiste nella privazione della midolla spi- nale e del cervello ; ed avendo quei due medici attribuito una tal mostruosità alla circostanza d'essere stata la madre del mo- stro., nel tempo che era gravida di lui , spaventata per la vi- sta d’un rospo, animale alla di cui organizzazione i medici stessi riguardano come analoga quella dell’ anencefalo di cui si tratta ; il sig. Geoffroy S. Hilaire, naturalista celebre, ha letto avanti l’ accademia delle scienze di Parigi alcune sue riflessioni intorno ad un’ opinione popolare, che atiribuisce la formazione dei mostri alla vista di oggetti analoghi . Il fatto che ha motivato l’opinione dei due medici indi- cati è il seguente: avendo la madre dell’ anencefalo una gran- de repugnanza per i rospi , il di lei suocero, uomo bizzarro, ebbe la strana ed assurda idea di guarirla dalla sua paura colla paura stessa. Però tre mesi dopo il suo matrimonio, e proba- bilmente tre mesi dopo il concepimento del feto che ella por- tava, una notte le gettò sul letto un grosso rospo. La forte impressione che ella ne risentì la determinò a lasciare la casa del suocero, ove abitava dopo il matrimonio, ed a tornare presso i suoi parenti. La gravidanza ebbe il suo corso ordi- nario , ma il figlio che ne resultò era un anencefalo , e tutti gli assistenti furono colpiti dalla rassomiglianza della di lui te- sta con quella del rospo. Il siga Geoffroy S. Hilaire fa osservare che questa rasso- miglianza era soltanto apparente, e non aveva in modo alcu- no la sua sorgente nell’ organizzazione interna. Tutto quel che vi era di reale riguardo a ciò si è che l’anencefalo presenta- va come il rospo l’inserzione immediata della testa sul tronco, ed un allargamento considerabile della parte inferiore del cra- nio. Ma in esso questa doppia apparenza era il risultamento del- l’ apertura del canal vertebrale e del cranio, mentre nel ro- spo essa è prodotta dalla diminuzione del numero delle ver- tebre, e dallo sviluppo eccessivo dei temporali. Lo spavento che colpì la madre è, per verità, secondo ogni apparenza, la cau- sa della mostruosità del figlio che ella ha messo al mondo; ma questo spavento non ha agito diversamente da quello che avreb- be fatto ogni altra scossa morale che arvebbe potuto produrre lo stesso risultato, imprimendo una direzione viziosa all’organizza- zione del feto, nei primi tempi del suo sviluppo. G. GAZZERI» ASTRONOMIA + ] Firenze 26. Agosto 1825. Scoperta di tre Comete , Già resi noto ( Antologia fascicolo del Luglio 1825. pag. 181 ) come il sig. Professore Luigi Pons, trovandosi in Lucca sco- pri, fino dalla metà del passato mese di luglio una debolissima cometa, che per trovarsi in luogo assai prossimo a quello, do- ve verso appunto lo stesso :itempo comparir doveva la celebre cometa d’Ercke, fu da lui supposta ,, e fatta a me e ad altri supporre essere appunto questa .la Cometa che tanto anziosa- mente attendevasi. Ma tornato il sig. Pons in Firenze; non sì tosto potè mostrarmi il piccolo Astro da sè novellamente tro- vato, che fino dalla prima osservazione instituita in questo mio osservatorio dall’Allievo Astronomo P. Pompilio Tanzini ebbi luo - go di conoscere e di far comprendere al sig. Pons che la Cometa era del tutto nuova, o almeno ben differente da quella che egli credeva. Ciò accadde nella; notte del 29. luglio ; e il tutto venne poi confermato dalle .moltiplici osservazioni fatte nelle notti seguenti, e che tuttora continuano a farsi dallo ‘stesso Pa- dre Tanzini . ._ Convinto il sig. Pons del preso abbaglio, e desideroso di non esser da altri prevenuto nel ritrovamento della: cometa che si aspettava , si pose a nuove ricerche, che diedero ben presto luogo alla felice scoperta fatta da lui la notte del 9 agosto di una seconda cometa nella costellazione del. Cocchiere , la quale benchè più dell’ altra. conforme a quella d’.Encke nella figura, e più vicina ai luoghi che questa doveva percorrere, pure fu da me riconosciuta per differente, appena che il P. Tanzini me ne rimise le prime sue osservazioni, fatte nella notte ‘dell’ 11 del mese corrente, ; Dovè dunque il sig. Pons riassamer di nuovo le sue fatico- se indagini, frutto delle quali fu infine il ritrovamento della cometa d’Encke accaduto la notte del 14. E le posizioni con- clase dalle osservazioni che il P. Tanzini ne istituì nella notte posteriore , e che. poi ha continuato nelle seguenti, si trovarono tanto conformi a quelle date dall’effemeridi, da non potersi com- prendere come la scenza cometaria , tuttora per così dire in in- fanzia, sia già pervenuta ad un tanto grado di perfezione . Se si dee prestar fede ad an.articolo assai mal concepito della 160 Gazzetta Genovese, la prima di queste tre comete sarebbe stata pure osservata a Marsilia la notte del 25 luglio, dieci giorni dopo che il sig. Pons ne aveva fatta la prima scoperta. Quan- to alla seconda non è per anche a mia notizia che sia stata osservata fin quì in verun’altro luogo; ma riguardo a quella d’ Encke il sig. Pons fu di gran lunga prevenuto nella sua sco- perta dal sig. Beniamino Valz a Nimes, che dice averla per la prima volta veduta il 13 luglio, senza peraltro averla potuta re- golarmente osservare , che il 27 luglio, e il 13 agosto. Anche il sig. Carlini a Milano e il sig. P/ana a Torino l’ avevano dal canto loro già ritrovata l’ uno il dì 7, l’altro il di 9 d°’ agosto. Tutte queste osservazioni continuano a mostrare una somma pre- cisione nell’ Effemeride d’Encke, e fan palese quanto il sig. Da- moiseau in un lavoro , che pure riscosse il pienissimo suffragio dell’ accademia francese , siasi disgraziatamente ingannato in di- chiarar difettosa e nei principj e nei risultamenti la predetta ef- femeride , in sostituirne una sua nuova , in tutto da quella di- versa , e in dichiarare che forse vano era l’attenderci di poter vedere questa cometa nell’attuale suo periodo, e che non poteva ciò sperarsi se non al nuovo ritorno della medesima nel 1828. Queste tre comete sono tuttora invisibili ad occhio nudo, La prima soltanto è munita di coda che attualmente si stende circa un grado. La seconda apparisce circondata da una piccola ed ir» regolare nebulosità ; ed è sì poco densa anche nel debolissimo suo nucleo, che una stella d’ottava grandezza, sulla quale essa passò con tutto intero il suo diametro, non ne rimase in guisa alcu- na offuscata. Quanto a quella d’ Encke si mostra spogliata di chioma e di coda ; il contorno ne è quasi aflatto rotondo , benchè non decisamente terminato, con una leggera sfumatara . Il moto della prima è stato per lungo tempo lentissimo ; rapi- dissimo all’ opposto quello delle altre due , che si sono avvici- nate fra loro. Le osservazioni del Padre Tanzini sono state fat- te ad un eccellente micrometro annulare applicato ad un super- bo Cannocchiale acromatico di cinque piedi di fuoco della fab- brica di Araunhofer , che insieme con altri ragguardevoli stru- menti delle sì celebri officine di Monaco di Baviera , possie- de da qualche tempo il mio piccolo osservatorio. Ecco i re- sultamenti che fin quì ne abbiamo potuti ottenere , dietro i cal- coli diligentemente istituiti dall’ alunno sig. Antonio Cioci . A 12. 20, TO, 16. 18. 19. 20. 22, Epoca . Luglio » Agosto . Agosto . Agosto . Agosto . Agosto . Agosto . Agosto - Agosto + Agosto . Agosto . Agosto . Agosto A gosto Agosto Agosto Agosto Agosto Agosto Agosto Agosto T. XIX. Agosto I.a Cometa. Tempo medio Ascensione in Firenze. retta. 15.°î.164,:36." 162.9. 50," 534! 14 58.1 (355 6320017, 31. 19025: “20. 63. a." "9d, 13. OL. 50 63. 42. 59. I4. to. 20 63. 45. 7 ia ale 0 63. 46. 37. ic oe Pe e 63. 48. -33. 13. 36. 29 63. 50. 35 Lot ade eo 63. 50. 43. VETTAD, 7 63. 50 49. 13. 49. 32 63. . 50... 25. II.a Cometa Via 48 3 83. 2. 23. 13. 39. 49. 83. 134. 1041 13. 57. 19. | 84. to. 55. 10. 420, 30. 1 G0-Ad. 0 Cometa d’Encke 45. | 106. 29. I7. 108. 29. 35 112, 17 23 II4. 19 4 116. 21 17 120. 22 161 Declinazione 28, 12. 45. dI. 36. 4. 59. 58. ua: 4t. > 32. Boreale . 29 bile 24:39. 39. II, 23. 42. 23. 31. 23. ‘24. Delo ONE 22% (52: Die SEI: 22. 30. 22. 19. 3g. 21 SO 23 36. 38. 22 (DE 3o. St. So. 34. SR 50. 20.: 272 296 ice po PMO" INGHIRAMI. 162 SociETA' SCIENTIFICHE . I. E R. ACCADEMIA ECONOMICO AGRARIA DEI GEORGOFILI . Nell’ adunanza ordinaria del dì 7. agosto 1825. il sig. cav. Fran- cesco Inghirami dimostrò in una sua memoria, di quanta utili. tà sarebbe ai progressi dell’ agricoltura il provvedere ad una be- ne intesa istruzione dei contadini, specialmente mediante la let- tura di buoni libri in cui fossero chiaramente esposte le più uti- li cognizioni relative ; libri che disgraziatamente ci mancano , e che sarebbe necessario comporre e pubblicare . Quindi il sig. commendatore Lapo de’ Ricci lesse un suo ra- gionamento intorno all’ importante manifattura dei cappelli di paglia , ed al commercio di essi e della paglia stessa onde si com- pongono ; ragionamento che faremo conoscere ai nostri lettori. Finalmente il sig. dottor Giuseppe Cosimo panni , dalle molte cose lette e dette da varii membri della società nel cor- so dello spirante anno accademico intorno all’ importante que- stione — se la libertà del commercio dei generi frumentari pos- sa e debba in alcuni casi esser vincolata da tasse, o altre simi- li restrizioni — conclase non avere i molti argomenti addotti in contrario portato attacco al sistema d’ un’ illimitata libertà . =_——8@@@@—@—@—@—__e_eEEeET- «| -*: BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). N.* XXII. Agosto 1825. N.° 147. Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca. Tomo IX. Lucca 1825. presso Francesco Bertini > tipograf. ducale, Questo tomo contiene , Della Storia lettera- ria del ducato lucchese . Libri sette di CESARE LUCCHESINI, so- cio della reale accademia di Lucca, in 4.° pag. 270. 148. Scelta di piante officinali più necessarie a conoscersi, descritte ed illustrate dal dott. ANTONIO TARGIONI TOZZETTI. Firenze litografia dell'autore, tipografia di A. Tofani, in fo- (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino, non devono attribuirsi ai redaitori dell’Antologia, Essi vengono somministrati da' sigg. librai e editori delle opere stesse , e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell'Antologia me- desima, siano cume estratti o analisi, siano come annunzi di opere. 163 glio, fascicolo 3.° Ogni fascicolo contiene 5 tavole , e 5 fogli di descrizioni. Si pabblica un fascicolo il mese, e tutta l’opera sarà di circa 12 fascicoli. Un fascicolo in colori costa paoli 15, e senza colorire paoli ro; le copie in carta distinta costano il doppio, 149. COLLEZIONE PORTATILE DI CLASSICI ITALIANI , Firenze presso G. Borghi e C. ( Vedi l’ annunzio di quest’ intrapresa al N° 146. del precedente bullettino ). E pubblicato il primo va- lume: Drammi di P. Metastasio . 150. Commedie di ANTONIO CAMPAGNA. Prima edizione. Pra- to 1825. per li fratelli Giachetti, 8.° di p. 170. 151. Osservazioni chimiche sull’ arte di levare le macchie dalle stoffe, e di ristabilirne i colori alterati, del sig C. A. CHAPTAL. "Traduzione con annotazioni del prof, G. MokeTTI. Aggiunto in fine l’estratto di una memoria del sig. Vauquelin sull’ arte d’ imbiancare i pannini macchiati dall’ unguento mercuriale . Mi- lano 1825. Silvestri, 8.° di p. 48. 152. Macchina per la pigiatura delle uve, o pigiatore del dott. IGNAZIO LOMENI, premiata con medaglia d’argento dall’ I. e R. Governo di Milano, nel concorso d’industria dell’anno 1824, Milano 1825. Silvestri 82 di p. 71. con 3. tavole. Lire 2. 20. it. 153. Dell’ uroedema perineale. Memoria del dottor ANDREA CAMPANA, letta all'Ateneo di Venezia il giorno 10 luglio 1823. Venezia 1825. per Francesco Andreola . 154. Opere dell’ Abate GIOVANNI ROMANI. Volume primo, Teo rica de’ sinonimi italiani. Un volume in 8.° grande, carta so- praffine levigata. Prezzo lire 4. 00. Volumi II, II. e IV. Di- zionario generale de’ sinonimi italiani. Sono pubblicati i fasci- coli I e II formanti il primo volume, in 8.° grande, carta so- praffine levigata. Prezzo lire 7. 60. ital Vol. V. Osservazioni sopra il Vocabolario della Crusca. Queste due opere si .stanno attualmente stampando , e la loro pubblicazione succede per fa- scicoli, colla sollecitadine combinabile con an’ accurata corre- zione. Milano, 1825. Glo. SILVESTRI. 159. Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architet- tura, scritta da’ più celebri personaggi dei secoli XV. XVI, e XVII. , pubblicata da M. Gio. BOTTARI, e continuata fino ai nostri giorni da STEFANO Ticozzi . Milano 1825. G. Silvestri 18.9, volume ottavo ed ultimo di p. 475., prezzo lire 3. Questo vo- lume non si vende separatamente dai precedenti . L’opera com: pleta vale lire 32. italiane. 156. Regole ed osservazioni della lingua toscana, ridotte a metodo , ed in tre libri distribuite, da SALVATORE CORTICELLI 164 bolognese. Edizione eseguita sulla seconda fatta dall’ autore. Milano 1825. per G. stop 18. un vol. di p. 409 prezzo lire 3. 50: italiane. 157. Chimica applicata È agricilià del sig. GONTE CHA- PraL. Tradotta ed illustrata con note da GIiroLAMo PRIMO. Milanò 1825. G. Silvestri, fascicolo V. ed ultimo. L’opera com- pleta in cinque fascicoli, vale lire 12. 50. ital. 158. La Inondazione ai Pietroburgo avvenuta nel dì 19. no- vembre 1824. Canti IV. del professore ANTONIO MEZZANOTTE. Perugia 1825, presso Bartelli e Costantini. Prezzo p. 2. romani. 159. Rime della signora CEcILIA De LunA FOLLIERO napole- tana , socia corrispondente di varie accademie d°’ Italia . Vapoli 1823. un volume in 8.°, prezzo in carta realella grana 30. in carta reale grana 4o. presso R. Marotta e Vanspandock . 160. Opere pubblicate nella TIPOGRAFIA FIACCADORI in Reg- gio. BARRUEL : storia del clero di Francia in tempo della rivo- lazione . In 16.° Vol. primo . Prezzo per i signori associati ital. lire 2. 28. Prezzo per li non associati lire 2. 98. BAUDRAND : il nuovo pensateci bene ec. In 12.° piccolo lire — 60. LETTERE scientifiche di Evasio ad Uranio in-8,° lire 1, 20. Sotto è torchi: SEGNERI l’ incredulo senza scusa ed il Quaresimale , a norma del manifesto del 18. maggio 1825. MAFFEI le storie delle Indie orientali tradotte dal Serdonati , giusta l'avviso 22. luglio 1825. Reggio di Lombardia 30. luglio 1825. 161. Botanicon Etruscum sistens plantas in Etruria sponte cre- scentes ec. del Dott. GAETANO SAVI professore di botanica nel- PI. Università di Pisa. Volume IV. Si trova vendibile a Firen- ze presso Guglielmo Piatti, e in Pisa presso Sebastiano Nistri . ( Di questa opera è reso conto nel Bullettino Scientifico di que- sto stesso fascicolo alla pag. 145 ). 162. Compendio della storia del risorgimento della Grecia dal 1740 al 1824, compilato dal professore M. P. Quest'opera è divisa in due volumi, e si vende in Firenze da Guglielmo Piatti al prezzo di paoli 8. 163. Mignet , storia della rivoluzione francese dal 1789 al 1814. — 2. volami che si vendono dal suddetto Piatti al prezzo di paoli 8.,, Queste due opere, con tuttociò che sieno in com- pendio, non sono meno storiche di quelle pubblicate in molti tomi sul medesimo soggetto ,,. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE "MATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. LUGLIO 1825. Ò O, Termo. | g lac] > Re) 5 oh tri E A E 5 Ora S CR E cane = ar s 3.8 Stato del cielo 2 d la) lo) (©) 9 È 2 - Mi E È ò o | | © Ù 7 | 7 mat. |28. 0,7 paia | 68 ‘Lib. ‘Ser, conneb. Ventic.]} LI mezzog. |28. Ch 20,9 22,0 | 59 M. Tr.|Nuvoloso Ventie. «| xt sera |28. 21,3 19,9 | 70 Lib. |Ser. rag Vento L: 7 mat. |28. 0,2 | 20,6|19,0 | 80 P. Lib.! Nuvoli rotti Calma 2| mezzog. |28. dA 21,3j23,0 | 50 Lib. {|Nuvoli vaganti Ventie. 11 sera |28._ 0,4 | 22,8/19,0 | 76 Po. Li.|Ser. rag- Calma si 7 niat. |28. 0,3 | 20,9|19,2| 74 Po. Li.|Ser. rag. Calma 3 mezzog. |28. 0,5 | 21,8|23,2 | 44 Tram. |Nuvolo vaganti Ventic. |-11 sera |28. 0,5 | 23,1120,6 | 54 Tram. |Nuvolo Calma mereeer——_——__—_—_—____—_——yr-=rr=rr. Nr Sh rTrrTroeorre=r#=_—_rree-e--—-o-ee-eee eo om_—— .|.7 mat. (23. 0,3 | 21,3|18,3 | 79 | 0,13 Tram. (Ser. con nuv. Veptic. 4| mezzog. 28. 0,0 | 21,8|22,8| 56 Po. Ma Nuvoloso Calma | 11 sera [28. 0,6 | 20,416,0 | 75 [0,06 Gr.Tr. !Ser. con. ser. Ventic. Di 7 mat. |28. 1,2 19,1 16,5 | 62 Tram. |Nuvolo sere. Vento dj mezzog. |28. 1,2 | 19,5'19,5 i Tram. |Ser. con nuv. Venlic. ti sera |28. 1,0 | | 20,0|18,0 Lib. |Sereno Ventic. 7 i .mat. |28. 0,6 | 1”, 17,811 15,0 + Scir. |Ser. con neb. Ventic mezzog. 128. 0,0 Datt ‘(20,7 46 Po. Li.| Nuvoloso Ventic It sera |27..LI,0_| 20,0. 17,0 | 62 Pon. |Sereno Calma ti 7. mat. (27. 11,0 | rg,1[17,0 | 76 Gr. Tr.|Nuvolo neb, Calma 7\ mezzog: |27. 10,9 19,1/18,2 78 ‘0,10 [Sci. 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Sereno Calma 7 mat. 27. 11,8 | 20,0 17,2] 75 Sc. Lev|Ser. con neb. ” Ventic, 12| mezzog. |28. 0,3 20,4 22,5 | 39 Maes. |Ser. con nuv. Ventic,li 14 sera {28. 0,7 21,8'20,0 | 55 Os. Lib|Nuv. neb. Calma 7 mat. |28. 0,7 23,5' 18,0 "80 [0,02 Gr. Tr.|Nuvolo Ventic' 13. mezzog. |28. 0,6 | 21,1|17;0| 76 [0,01 | Tr. Gr.|Nnvolo Vento || i ar sera |28. 1,0 | 20,4,17,4| 72 Tram. |Ser. nuv. Vento || | 7 mat. |28. 1,0 | 20,0|17,5 | 65 Tram. |Nuvolo sere. Vento || 14 mezzog. |28. 0,9 | 20,2|21,0 | 54 Gr.Lev Nuvoloso Ventic.|| \ 1rsera |23.. 1,4 20,4 18,5 65 Gr. Tr.'Sereno Ventic. 7 mat. |28. 1,4 | 20,0 19,5 61 Tram. |Sereno Ventic.|| :15 mezzog. |28. 1,2 | 20,6|22,a2 | 45 Tr. Gr.|Ser. con nuv. Vento || | unsera |20. 37. Li 20,0 | 53 "Tram..|Sereno neb. Calma | 7 mat. |28. 1,7 | 20,9 19; | 60 Tram. |Sereno Vento 16) mezzog. |28. 1,5 | 21,8 23,1 | 43 Tram. |Ser. connnvolet. Vento || | _1y sera. 28. 2,2 | 23,1 20,0 | 50 Lev. ‘Sereno Ventic ” ‘mat. |28. 2,5 | 20,4 19;0 55° Lev: |Sereno Calma || {17 mezzog. |28. 2,2 | 21,5 25,0 | 32 Tr. Gr. Sere. ragn. Vento i‘! 1: sera ‘28. 2,6 23,1 21,1| 42 Tram. | Sereno Ventic. 7 mat. |28. 2,6 | 21,3|20,0 | 52 Sc. Le.|Sereno Ventic. 18| mezzog. |28. 2,1 |22;2|25,0 | 40 Gr. Le.|Ser. con nuv. Ventieg r1sera |28. EI 23,9 22,0 LA ___|Lev. |Ser. con neb. Ventic. 7 mat. 128. 2,0. 2,0 |] 22,2 20,2 57 ———|Se. Le.|Ser. ragn. Ventic] |19 mezzog. 23. 2,0 | 23,1|25,8 | 35 |Gr. Tr.|Ser. con nuv. Vento rr sera 28. 2,0 | 23,5 21,5 42 Grec. |Sereno Ventic, cpu 01} 9UIO1eg 28. . 128. 28. 28. . 128. 2,0 1,3 13 1,7 0,6 28. 0,9 21,3 19,9 | 22,8 25,2 39,0:21,0 44 ia 017 -QUICIAN]TK, [ter | \ ord -009S0 weuy Stato del cielo Ventic. Vento . Ventic. Sereno Tram. |Sereno Scir. {Sereno . Ventic. Ven. leggie. Ventic. Scir. |Ser. rag. Po.Lib|Sereno Lib. {Sereno 128. OI - |27. 11,5 II sera |27. 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Ven. burr. . |Nuvolo Ven. for. . [Sereno Ventic. Ser. con uuv. Nuvolo Sereno Tram. }Ser. ragn- Tr. Gr.: Nuvoloso Lev. {Ser. neb. Lev. |Sereno Lib. Ser. con nuv. Po.LiblSereno Sc. Lev|Sereno Po.Lib|Sereno Os.Sci.{Sere. nuvolo Calma Calma Calma Ventic.' Cala Ventic. Sc. Lev|Sere,. con nuvo. Ostro |Sere. ragn. Scir. |Sereno DI VARIO GENERE. il BT di 20 a ore 3,5 pomeridiane ebbe luogo il massimo AA che fu di 26° 1/2. ANTOLOGIA N.° LVII. Settembre, 1825. DELL'ANTICA SCUOLA DI PITTURA IN COLONIA (*). Articolo I. $. I. Osservazioni preliminari. A toreha ci facciamo ad investigare i principii delle ar- ti presso ad un popolo, e che stiamo dinanzi alle prime loro produzioni , la nostra mente deve per così dire tutta cangiar sè medesima per porsi in grado, non pure di giudicar sanamen- te, ma ancora di rettamente vedere, Noi dobbiam distaccarci dal nostro secolo ; il suo spirito non deve più essere il no- stro ; i suoi lumi e ì suoi progressi ci debbono divenire stra- nieri, e tutto dee riporsi a livello colle idee del secolo nel quale ci trasportiamo . La stessa natura fisica non deve più agir su di noi, che come agiva negli anni della nostra infanzia , quan- do ci erano ignote le cagioni delle cose , e con: uguale sem- plicità d’ animo dobbiamo tornare di nuovo a rappresentarci gli oggetti morali . i Allora potremo far nostri i pensieri di que’ primi ingegni , che senza poter rinunziare alle idee de’ proprii tempi, seppe- ro ingrandirle e svilupparle ne’ proprii concepimenti, e espri- mer questi in forme o sensibili agli occhi o manifeste al pen- siero ; allora sapremo risalire con essi alla lor propria altez- za, e apprezzando que’ primi sforzi che fecero, cangieremo in ammirazione quell’ orgoglioso disprezzo, col quale altrimenti gli avremmo considerati. Se questo è vero di tutte le arti perchè di tutte sono roz- zi i principii, lo è particolarmente di quelle del disegno, l’an- damento delle quali presenta una serie di fenomeni degni di (®*) Vedi pres. vol. A. p. 33, 'T. XIX. Settembre I 2 particolare attenzione. Imperocchè, invano la natura sembra volet essa stessa servire all’uom di maestra, offrendogli d’ogni ogget- to i più perfetti modelli; egli per lungo tempo sembra non curar di osservarli , e quando alfin tenta imitarli, sembra che l’ occhio più non sappia vedere , che la mente più non sappia dirigere, che la mano più non sappia obbedire : naseono stra- ne figure che pur l’ artefice non sa trovar difettose, e, ciò che più ne sembra incredibile, tutti i suoi contemporanei al par di lui acciecati gli fanno plauso , e quasi secondo creato- re il riguardano (1). E qui non parlo delle arti presso gli antichi, ma ho di mira i tempi a noi più vicini, perchè un’ altra particolare circostanza, nella storia delle arti del disegno , si è che dovun- que sono risorte dalle loro rovine , poco hanno ad esse giova- to in principio gli esempi e i monumenti de' tempi migliori ; esse hanno dovuto ripassare per tutti i gradi della loro infan- zia, come se allora per la prima volta fossero nate, e lenta- mente hanno dovuto risalire verso il punto onde erano cadu- te, senza neppur talvolta aver potuto tornarvi. Così quando vogliam ragionare de’ primi tentativi d’un’ar- te, quelle tacite convenzioni che esistono fra |’ artista e lo spettatore debbono prima di tutto determinarsi; imperocchè aven- do queste la loro base nel paragone delle opere della natura con i mezzi che ha l’arte d’imitarle , e la perfezione di que- sti mezzi d’imitazione dipendendo da cause fisiche e morali che non esercitano se non con l’ andar del tempo tutta la loro in- fluenza, è pur d’uopo che avendo innanzi agli occhi |’ opere d’un antico artista, pensiamo sempre ai mezzi con i quali le ha prodotte ) e ai lumi che potevano a’ suoi tempi guidarlo. — Forse non v’ è miglior mezzo di disporre l’ animo nostro a un tal modo di vedere, che con osservare un fanciullo che si addestri nell’esercizio del disegno. Incerti sono i suoi segni, le sue figure sono prive di grazia e di proporzione; s’egli copia , appena ritrovia- mo sulla sua carta una idea del modello che ha innanzi; s’egli com- pone, appena sappiam rinvenire nella natura l’originale delle sue immagini; ma vorrem noi pertanto seco lui adirarci, e giudicar- lo privo d’ogni talento per l’arte? un osservatore superficiale sarebbe tentato a farlo; ma chi più addentro vede sospenderà il suo giudizio , fino a che sappia il tempo da che il fanciallo ha dato opera al nuovo studio, e i soccorsi interni ed esterni che gli (1) Basta rammentarsi il trionfo della Madonna di Cimabue. 3 vengono somministrati . Verrà poi un tempo che il giovinetto medesimo riguarderà con maraviglia que’ primi suoi tentativi, e con interna compiacenza li paragonerà con opere posteriori, le quali poi serviranno esse pure a misurare il pregio di più perfetti lavori. Non altrimenti ha luogo lo sviluppo generale delle arti in secoli successivi, che segnano per esse, ciò che per gl’ individui determinano le varie età. Onde ogni volta che vedremo qualche opera di uno de’ primi restauratori dell’ ar- te, accanto ad un capo-lavoro di qualche maestro , che sia giunto all’apice dell’ umana perfezione, dovremo figurarci di avere al fianco quel buon vecchio artista che pian piano ci vada rammentando il tempo in cui visse, e i mezzi che erano in suo potere : nè dovremo deriderlo se con nobil fierezza mo- strandoci esser suo il fondamento dell’ arte , ci verrà dicendo che se a lui fosse stato concesso l’innalzarsi sui proprii prin- cipii, più e più progredendo col progredire de’secoli, suo sa- rebbe quel capo-lavoro che tanto ammiriamo , e tutto in lui solo vedrebbesi riunito lo splendore di quella luce , col primo raggio della quale egli pur dissipò quel denso velo, che ricuo- priva per così dir la natura allo sguardo degli uomini (2). 6. II. Risorgimento delle arti in Europa. Premesso quanto sopra, ci sarà più facile di esaminare sot- to. il loro vero punto di vista i principii dell’ antica scuola di pittura della quale sono per ragionare , e la cui origine fa d’ uo- po ripetere da quegli antichi tempi, dai quali lo spirito indaga- tore dei moderni va ogni giorno strappando nobili monumenti al- la barbarie che li teneva nascosti , per affidarne la gloria alla cu- stodia de’contemporanei e de’posteri, che, giova sperare, più non li lasceranno ricader nell’oblio . In mezzo alle cupe tenebre che si aggravarono sulle rovine del romano impero , l’arti che sempre partecipano delle vicende della società, giacevano non pur neglette ma quasi dimenticate del tutto. L’ architettura ricuopriva di grandiose rovine quel terreno classico sul quale aveva eretto tanti gloriosi monumenti ; la scul- tura teneva nascoste nel seno della terra le immagini degli dei (2) E però osserva con ragione il barone di Stendhal nella sua storia della pittura in Italia, che chi dicesse vedendo l’opere di Giotto: che brut- ta cosa! potrebbe forse aver ragione; ma chi aggiungesse: che cattivo pitto- re! mancherebbe di buon senso. 4 e degli eroi de’ quali erano stati rovesciati gli altari, e la pit- tura avea ridotto in polvere l’opere sue, quasi non dovessero in tanto lutto conservarsi le immagini ridenti di tempi migliori. Eppur di queste arti non poteva intieramente estinguersi il ge- nio, perchè non erasi estinto il sacro fuoco della natura che lor dà vita e alimento. Il bel cielo del mezzo giorno non si era oscurato al venire de’ barbari , e i campi dell’ Italia tornava- no a velare con la pompa de’loro colori le scene di devasta- zione che gli avevano insanguinati. Una nuova religione offeri- va agli uomini nuovi oggetti di adorazione, e quegli spiriti‘che, per natural debolezza soggetti all’ impero de’ sensi, mal sape- vano senza l’aiuto di questi sollevarsi alla sublimità delle nuo- ve dottrine, chiesero alle arti soccorso. S'innalzarono chiese sul- le rovine de’ tempii; de’ sarcofagi cristiani si formarono co’mar- mi di quelle tombe che aveano un tempo racchiuso le ossa dî eroi gentili, e la pittura consacrò con musaici e con tavole quelle immagini sotto le quali la tradizione rappresentava gli og- getti del nuovo culto . Le arti non fioriscono che in seno alla pace, e l’Italia era esternamente spogliata d’ ogni potenza , e lacerata interna- mente da guerre crudeli; e però passarono l’ arti nell’ impero d’ oriente , e più fiorirono presso ai greci che presso agli altri popoli occidentali. Sorse la scuola bizantina, che dopo aver dap- prima sostenuto per certo modo l’ onore dell’arte, andò poi de- cadendo per la languida servilità de’ suoi tipi, e i suoi maestri, che in questi tempi si sparsero per l'Europa, più vi diffasero il degradamento dell’arte , che non ne coltivarono il gusto . Ma come avviene talvolta, che un debol cenno serve a dare un subitaneo impulso allo sviluppo di quelle forze , che ignote a noi stessi erano state fino allora assopite nell’ animo nostro : così quei rozzi prodotti dell’arte bizantina ridestarono in varie parti d’Italia l’ ardore di alcuni ingegni, che di nuovo si volsero all’imitazione della natura, e gettarono il fondamento di quel dominio che dovea consolar gl’italiani di quello che aveano perduto . Sono generalmente note queste vicende, ma non fin quì del pari era noto, ciò che più assidue ricerche rendono ogni giorno più manifesto : cioè che non in Italia soltanto, ma anche in molte altre parti d'Europa, eransi in certo modo o conser- vate le arti che un dì vi aveano fiorito, o introdotte ove non le avevano conosciute gli antichi. Dovunque i missionarii' eri- 5 stiani predicavano la nuova fede, vi apportavano ancora le im- magini sante davanti alle quali dovevano abbattersi gl’ idoli (3), e dovanque o tempii o monasteri venivano stabiliti, e fatto uso negli esercizi di pietà di libri sacri, questi formavano un ric- co arredo di quelle congregazioni che l’ arte de’ miniatori ren- deva ancor più preziosi. Così la Francia , la Spagna, el’ In- ghilterra stessa, nella quale la storia delle arti non si fa gene- ralmente cominciare che nel secolo scorso , offrono antiche im- magini e antichi manoscritti miniati (4) . Ma restringendo il (3) S. Metodio che nel 863 venne come missionario nella Slavonia , è lodato come abile dipintore, che faceva uso dell’arte sua come ausiliaria alla conversione de’ gentili. (4) So che alcuni trascurano di legare la storia della pittura con l’arte de’ miniatori. che riguardano come cosa distinta , in quella guisa. che non sì ripetono i principii dell’ incisione in rame da quella de’ sigilli. La ra- gione n’ è forse che per essere i libri miniati diffacil trasporto, non si può sovente determinare se sieno opera di artisti d’ un paese o d’ un altro; e che per rimanere il più delle volte racchiusi nei monasteri o nelle cappelle. de’ principi, non poteano aver molta influenza sulla pittura in generale: ma se le pitture in minio sono tali da mostrare un carattere e uno stile pro- prii ai pittori d’ una nazione, non può restar dubbio sulla loro origine, che inoltre è constatata assai spesso dai nomi e dalle date che vi si leggono : e in quanto alla loro influenza sul resto della pittura, quando anche si concedesse che non ne avessero alcuna , essi stessi ne formano parte, e però dovrebbero studiarsi come un ramo particolare dell’ arte ; ma anzi la loro influenza. trovasi provata in più luoghi da ciò che i pittori erano al tempo stesso miniatori, il che accadde principalmente presso gli antichi fiammin- ghi, presso i quali la pittura non è che una miniatura che il genio e l’ imi- tazione della natura seppero render grandiosa. Hemling stesso miniava dei libri, come ne fa fede un prezioso MS. che era in Colonia, ed è poi stato venduto' al’ sig. Campe in Lipsia, e quello ancor più famoso ‘della libreria di S. Marco in Venezia, già illustrato dal Morelli nella Notizia d’ opere di disegno ec. e descritto poi dal. dott. Schorn in una lettera al sig. Boisse- rée ( Kunstblatt 1823. n. 14. ). -- Uguali rapporti fra la miniatura e la pit- tura \scuopronsi in varie parti d’Italia, e il sig. Barone di Rumohr ha sa- puto trarre da antichi MS. non pochi lumi. sullo. stato delle arti nel suo interessante articolo « sullo sviluppo dell’antica pittura italiana » ( Kun- stblatt 1821. numeri 7. 12.) Il Juanzi parlando della scuola di Siena, che vanta. qual primo suo monumento il MS, miniato che ha per titolo: Ordo officiorum.senensis.ecclesiae 1213, cita l'osservazione del Padre della Valle che sì fatti codici si onoravan di minio nelle pergamene di dentro e si dipingevano nelle tavole di fuori , ed « è prova ( aggiunge il. Lanzi ) che » la, stessa arte del miniare potè passo passo condurre a più grandi opere « (Tom. 1. p., 308. ediz. di Bassano del 1809 ). È in principio del. libro » sulla scuola di Venezia dice: 4 questa qualunque originalità » (o ma- « niera nazionale come poco prima avea detto ) « contribuirono i minia 6 discorso alla sola Germania, in antichissimi secoli ritracciansi le vestigie delle arti. L'Austria vanta monumenti del secolo X; la Silesia ne offre una serie che abbraccia lungo spazio di tem- po fino alla famosa tavola di S. Eduvige in Breslavia, opera del secolo XIV; in Boemia formavano i pittori una società verso la metà del 300; in Baviera ritrovansene de’ più antichi ancora, principalmente fra i monaci benedettini . Che dirò poi di No- rimberga, che vide già lungo tempo fiorire nel suo seno le arti prima che dasse vita al celebre Wohlgemuth? Passo rapida- mente sopra altri stati e città della Germania, dove le storie e le cronache mi arresterebbero ovunque per additarmi antiche opere e antichi maestri, e discendendo il Reno senza soffer- marmi nè a Magonza, nè a Strasburgo, nè a Spira, nè a Worms ; nè a Treviri, che tutte mostrano di aver tenute l’ arti in onore, mi affretto a tornare a Colonia, ove queste innalzaronsi in que’ tempi remoti più che in altro luogo d’Alemagna, in quella guisa che in Toscana la scuola di Cimabue e di Giotto avanzava tutte le altre d° Italia (5). $. III, Origine della scuola di Colonia. Ho già altrove accennato come questa scuola del basso Reno venisse scoperta ; ora debbo tentare di gettar qualche lu- Ce sopra l’ oscuro periodo in cui se ne asconde l’ origine; ma incamminandomi sopra un sentiero non ancora battuto , se deb- bo sostituire ai fatti le congetture, spero ottenerne perdono, mentre dirò col Vasari: “ accettisi in questa parte quello che io posso, poichè non posso quello che io vorrei. , Lasciando di parlar de’ romani, che furono i primi a in- » tori, che in niuna età mancati in talia, erano moltiplicati in quel se- » colo ( XII ), e crescevano col loro ingegno, ritraendo le cose dal na- » turale, non da alcuno esemplare italiano o greco ». Memorabile è que- st’ ultima sentenza , perchè se ne potrebbe concludere che in quegli anti- chi tempi la miniatura fosse Ja sola parte della pittura che seguisse la vera strada , non ricopiando tipi ma imitando la natura. Ma non voglio insi- stere su questo punto, contento di aver mostrato che i MS. miniati deb- bono far parte dei documenti della storia pittorica, e principalmente in epoche nelle quali formano essi i soli residui dell’ arte. (5) Questi pochissimi cenni sulle antiche arti tedesche sono tratti dalla Storia delle arti del disegno in Germania di Fiorillo, Vol. I. opera poco digesta, ma piena di documenti, che riuscirebbero preziosi se fossero vagliati con più critica, e in miglior ordine disposti. r 7 trodurre le arti sulle rive del Reno (6) possiam far risalire all’ e- poca di Carlo Magno il loro incoraggimento in queste contra- de. La chiesa di S. Maria di Aquisgrana formò |’ ammirazione del suo secolo, e dall’Italia furon fatti venire gli artefici per adornarla. — Aquisgrana essendo allora la sede del nuovo im- pero d’ oceidente, è probabile che i più distinti di questi ar- tefici, o greci o italiani o tedeschi che fossero, si stabilissero in essa e nelle città vicine, fralle quali Colonia, che già al- lora era la più considerabile, contò poi Aquisgrana stessa nella diocesi del suo arcivescovato. A’ tempi de’ Carolingi attribui- sconsi infatti alcuni freschi che vedevansi nella chiesa di S, Maria, e al secolo X, sembrano appartenere un lezionario con miniature, che ammirasi nella biblioteca del duomo, e un ma- noscritto della Yu/gata , esso pure con ogni cura miniato. ( Fio- rillo tom. 1. p. 393.) Or mentre sotto questi imperatori erano sempre frequenti le relazioni coll’ Italia, e che sotto Enrico I. ( an. 916-936. ) l'edificazione di molte città e lo spirito cavalle- resco e poetico di quel tempo doveva agire favorevolmente sulle arti, ottennero queste un impulso maggiore dal matrimonio di Ottone II. (an. 973.) con la principessa Teofania figlia del gre- co imperatore Niceforo , la quale risedè lungo tempo in Co- Jonia, ed esercitò poi tanta influenza sullo spirito del giovine im- peratore Ottone III , che la'greca civiltà, e principalmente l’a- more delle arti si propagarono con prontezza nella Germania. Questi tempi furono hen presto seguiti da quelli delle crociate, ne’ quali Colonia giunse al più alto grado di lustro e di ric- chezze, tanto che Federigo II. (an. 1235.) avendo scelta que- sta città da lai favorita per celebrarvi il suo matrimonio con Isabella figlia del re d’ Inghilterra, dieci mila cittadini ricca- mente montati a cavallo andarono incontro alla real principes- sa; e tutte le vie festosamente adornate mostrarono non solo l’opulenza della città, ma quello sfoggio di esterna pompa che è certo indizio del fiorire delle arti (7), (6) Ammiano Marcellino visitando nell’anno 355. le città romane sul Reno , fralle quali Colonia e Treviri tenevano il primo posto: « Queste » città, dice egli, offrono l’aspetto di prosperità e di coltura, e vi fio- » riscono l’ arti e le scienze, I romani vogliono riprodurre dovunque » l’immagine di Roma, e questo amore per la madre patria fa che in- » nalzino in queste colonie de’ panteon, de’ campi di Marte, degli ate- » nei, degli anfiteatri, delle terme, ed altri pubblici stabilimenti co- » me erano soliti averli in Roma ( Libro XV. cap. II. citato da Fio- » rillo ). (7) Giovi quì rammentare un simile esempio di pompa in Firenze quan: lu ue $ Comunque siasi, certo si è che la città di Colonia, che in. tempi passati contava più di cento chiese, mostra ancora in quelle che rimangono ì più bei monumenti delle arti, e che già nel principio del secolo XIII. î suoi pittori. erano rico- nosciuti come i migliori della Germania, mentre il gran poeta di quei tempi Z/o/fram di Eschilbach, nel suo poema di Per- civalle, parlando della bellezza del suo eroe, dice : neppure un pittore di Colonia odi Maestricht saprebbe meglio ritrarlo (8). Infelicemente i nomi e i lavori di quei primi pittori sono perdu- ti; e le opere meno antiche che esistono ancora, sono esse pure d°’ ignoti maestri, i quali se vanno privi della gloria particolare dovuta a ciascuno, hanno però quella comune e più d’ ogni altra desiderabile di avere illustrata la patria. f. IV. Opere di questa scuola . Di oltre quaranta quadri di questa scuola posseduti dai sigg. Boisserée, non ne descriverò che un piccol numero che sono i più atti a gettar lume sulle varie epoche della scuola, e sulla diversa maniera di trattare i tipi fino ai primi tenta- ‘tivi fatti per imitare la natura. — Il primo e il più antico è una S. Veronica in fondo d’oro che sostiene il sudario. Della santa non apparisce che la testa e le mani; il resto della fi- gura è cuoperto dal panno bianco , sul quale è impressa la testa di Cristo, bruna ma di bel disegno. Nella parte inferiore del quadro sono da ciascuna parte tre angiolini bene agruppati in attitudine di cantare. Questa opera è stata illustrata dal Goethe do nel 1515 vi entrò Leon X. accompagnato da Michelangiolo e da Raffael- lo. « Quali archi ( esclama il Lanzi con giusto entusiasmo ) vi collocarono » il Granacci e il Rosso! Quali tempii o facciate nuove vi finsero Antonio » da S. Gallo e Jacopo Sansovino! Quai chiaroscuri vi dipinse Andrea del » Sarto, quai grotteschi il Teltrino, quai bassi rilievi e statue e colossi » il Sansovino stesso, il Rustici, il Bandinelli! Con qual gusto ornarono » il suo quartiere al pontefice, il Ghirlandaio, il Pantormo, il Franciabi- » gio, l’ Ubertini! Taccio il volgo degli artefici, quantunque essi in altra » età non sarian da dir volgo ma principi: dico solo che quella gara d’in- » gegni, quella mostra di belle arti, in una parola quel giorno, ‘bastò a » conciliare per sempre a Firenze il nome di nuova Atene, a Leone il no- » me di nuovo Pericle o di nuovo Augusto. » (8) Fed. Schlegel nel 2.° fascicolo del vol. II. del giornale 2° Europa ( tom. Î. p. 17. ) ha fatto conoscere questo passo. Fiorillo citandolo os- serva la sua importanza in ciò che può dedursene che già in epoca sì an- tica i pittori si occupavano di ritratti. ( Tom. I. p. 419. ) 9 nel suo libro sulle antichità del Reno e del Meno, ed egli vi riconosce a ragione il carattere bizantino nel colore della te- sta di Cristo, che sì frequentemente incontrasi in quella scuola, e che forse è dovuto alle tradizioni de’ primi cristiani dell’ Abissinia e dell’ Etiopia; ma quanto è superiore questo lavoro alle opere bizantine! Simile alla Madonna di S. Dome- nico in Siena, di questa come di quella può dirsi col Lanzi che: “ il volto di questa sacra imagine è amabile, nè parte- s»» cipa di quel bieco che fa il carattere de’ greci ,,: ( Lanzi tom. 1. p. 307.) nè solo è amabile, ma ha una espressione di dolcezza e di grazia quasi ideale, che tanto più invita a fissarvi lo sguardo, quanto più atterrisce il terribile volto del Salva- tore coronato di spine. Quanto più si riguarda il quadro tanto più profondo è l’ effetto che esercita sullo spirito il contrasto di que’ due volti, e questo effetto continua , finchè le ups fisure degli angioletti lo fanno dolcemente svanire (9). Come nella composizione, così ancora nella esecuzione scorgesi molto migliorata la greca maniera; i colori benchè deboli sono assai sfumati ; le estremità non sono secche o appuntate ; le pieghe benchè di poco rilievo sono semplici e non hanno il tritume de’ greci; le fattezze e le mosse non hanno niente di amma- nierato , e il tutto già mostra uno stato progressivo dell’arte, tanto più notabile, che quest’ opera risale ai primi anni del tre- cento. — Il Goethe ne ha fatto incidere un disegno a contorni (9) Il Goethe loda ancora l’ artefice per il concepimento di tre diverse dimensioni per le figure, essendo la testa di Cristo di quasi naturale grandezza, quella della santa di circa due terzi minore, e piccolissime poi le figure degli angioli; ma a me sembra che l’osservare varie dimensioni è già proprio de’ tipi antichi. ln una pittura greca del medio evo , che il sig. barone di Rumohr ha tratta da un MS. della Laurenziana, e che rappresenta Dio nell’ atto di emanare la luce, il Creatore è colossale per rapporto alle altre figure ; nel gran musaico sulla facciata del duomo di Spoleto; Cristo è pur molto più grande della Madonna e del S. Gio- vanni, che gli stanno accanto, e la stessa osservazione può farsi in varii monumenti di arte bizantina raccolti nell’ opera di d’ Agincourt. Io credo che quando 1’ infanzia dell’ arte non sapeva distinguere la differenza fra grandezza e grandiosità , sì facessero grandi le figure in proporzione della loro dignità , e forse da questo principio derivò poi 1’ uso anche ne’ buoni maestri di dipingere quasi pigmei le figure de’ donatori. A questa distin- zione pare che non avvertisse il Vasari nella vita del Buffalmacco, quando loda quest’ artefice per aver mostrato grandezza d’animo facendo un Dio Padre alto cinque braccia, e un S. Cristofano di 12. braccia. Il S. Cristo- fano di Hemling ha appena ‘altrettanti pollici, e tanta è nondimeno la sua grandiosità! 10 nel citato libro , e i signori Boisserée l’ hanno poi fatta cono- “scere al publico in modo più degno per mezzo della loro li- tografia (*). Dello stesso secolo sono tre altri quadretti, i quali, benchè inferiori di merito al precedente, sono però degni d’ esame per la loro composizione. Il primo è un dipinto circolare di circa due piedi di diametro rappresentante un celeste colloquio, com- posizione usata comunemente in Italia fino a tutto il 400, ed an- che nel seguente secolo dallo stesso Raffaello nell’ epoca della sua seconda maniera. Sopra un trono è assisa la Vergine , e tiene sulle ginocchia il Bambino, che si diverte a toccare le corde d’un saltero presentatogli da un angiolo; a destra della Madonna vedesi S. Caterina, e a sinistra S. Barbara , l’una e l’altra in piedi; sotto la prima siede S. Agnese, e sotto la se- conda S. Apollonia, ciascuna con gli attributi distintivi, che sono generalmente gl’ istrumenti del loro martirio. Scoperto è il capo della Vergine , e soltanto un sottil filo di perle ne stringe i biondi capelli; due angiolini sostengono sul suo capo una co- rona ricca di gemme, ed altri angiolini tutto attorno svolazzano suonando varii strumenti. Il fondo è d’ oro , poco accurato è il disegno, rozza la maniera e assai debole il colorito; ma la com- posizione è felice, e grazioso è il pensiero dell’ angiolo , che abbandonando il coro de’ suoi compagni offre a Gesù bambino il proprio stramento, mentre gli altri sembrano raddoppiar di letizia vedendo il divino Infante prender parte al loro concerto. Il secondo è una Incoronazione della Vergine ( alto 2.’ 6" ; largo 1. 3.” ) che il sig. dott. Schorn ha illustrata nel Kun- stblatt ( 1821. n. 23.), e dal suo dotto scritto trarrò la mia de- scrizione. Cristo assiso in trono benedice e corona la Vergine che gli siede a sinistra. Questa è la più antica maniera di rappre- sentare l’ Assunzione di N. D. e in questo stesso modo l’espres- sero in Firenze e Giotto in S. Croce e Gaddo Gaddi in un mu- saico in S. Maria del Fiore, e in Roma il Berna in S. Giovanni Laterano. (d’ Agincourt. tav. CXIV. e CXVIII, ) (10). La com- posizione è semplice e nobile, e il disegno, benchè non corretto in ogni parte, è non pertanto grandioso , sopratutto nella testa (*) Alcuni de’ bei prodotti della litografia dei sig. Boisserèe , si trovano visibili presso il direttore dell’ Antologia. (10) Anche Cimabue trattò in simil guisa questo soggetto : « dipinse » Cimabue in Assisi alcune storie della N. D. quando è da Cristo portata » l’ anima di lei in cielo... e quando in mezzo a un coro d’angioli 4a » corona »,( Vasari tom. I. p, 238, ediz, fior. 1770, ) II di Cristo, che ha qualche cosa di maestoso e di divino: men bello è il volto della Vergine, che pur dimostra semplice grazia, umiltà e, divozione. Dignitoso è il costume ed ampio il piegar delle vesti; il fondo è d’oro, nel quale apparisce in alto fralle due figure la colomba simbolica; ai piedi del trono è un tappeto di porpora ornato di fiorelli d’oro. Quest’ opera è già stata pub- blicata con un disegno litografico del sig. Strixner, nel quale principalmente, la testa di Cristo è riuscita mirabilmente. Di contrapposto al precedente serve una tavola che figura la Presentazione al tempio. Nel Bambino -ho veduto il primo esempio di nudo, passabile per quei tempi, se non che, con bizzarro pensiero, è rappresentato assai grande e vivace, e in atto di camminar sull’altare, sul quale lo sostiene la madre . Dietro a questa è S. Giuseppe, e dall’altra parte S. Simeone seguito da altra figura, che non serve che alla simmetria, tanto severa a quei tempi. I volti son meno nobili che nel quadro precedente , minore è la’ forza e l'armonia del colorito e più trascurato il disegno, ma i costumi sono bene osservati, come accadde finchè sì tenne dietro al tipo; e S. Simone non vi è ritratto ( come lo fu dal Carpaccio rivale de’ Bellini ) in abito pontificale, fra due ministri vestiti da cardinali . Sotto al quadro di S. Veronica vedonsi tre grandi tavole, che insieme compongono un tabernacolo , nelle quali è raffigu- gurato Gesù. Crocifisso in mezzo agli apostoli. Questi sono di- sposti in gruppi di tre a tre, fuorche il primo a destra, in cui trovasi la Madonna; e per far mero, sentire la mancanza di simmetria, S. Giovanni è dipinto die:ro alla Vergine in atto di sostenerla , mentre è sul punto di wnir meno. Vi sono alcune belle espressioni nelle teste, ma dovite al tipo non alla natura. Le mani, e soprattutto i polsi sono secchi, ne' piedi perchè più nascosti meno apparisce difettoso il disegno. Le pieghe vi sono meglio sentite che nella S. Veronic:; vi è più rilievo di chia- roscuro , e più vigore di colorito . Questo per le carni è rossi- gno , e nelle vesti regna sempre li trilogia de’colori; di modo che delle tre figure aggruppate inseme una è sempre vestita di verde, l’altra di rosso e la t:irza di azzurro, eccettuato per S. Bartolommeo che ha un matto bianco e scarpe a’ piedi, mentre gli altri apostoli apparisconc, come di consueto, scalzi ; il fondo è formato da un tappeb di broccato sostenuto da angiolini ; il terreno è cuoperto di fiorellini e di pianticelle. A questo tabernacolo devono paragonarsi due grandi -tavole di apostoli, attribuite a maestro Guglielmo di Colonia, che 12 furono trovati in una chiesa dedicata a S. Bernardo nelle vi. cinanze di quella città, e che probabilmente sono gli sportelli d’ una tavola d’altare ove saranno. stati gli altri apostoli, e forse ancora, come nel quadro precedente, Gesù crocifisso e la Vergine. I santi qui rappresentati sono ‘progredendo da destra ‘a sinistra: (e ciò riguardo alle figure. dipinte non all’osservatore) S. Benedetto, Filippo, Matteo, Jacopo , Bartolommeo, Simone; Mattia, e Bernardo . In quest’ opera si. scorge non piccolo pro- gresso dell’ arte ,, principalmente nell’ esecuzione: I tipi sono an- cora presso a poco i medesimi , ma. se |’ artista mon ha potuto. cangiarli , copiando dalla natura, ha però dovuto conoscer que-: sta per migliorare come lo ha fatto le forme e il colorito; Le: attitudini sono, bene variate ;.e se le figare hanno ancora dello statuino , sono però statue che cominciano ad anîmarsi; wi sol no delle belle arie di. volti, e le mani sono assai buone 5 ben-: chè. meschini i polsi ; per le tinte delle carni, principalmente negli scuri e nelle mezze tinte ; .l’ artista. sembra: essersi fatto un metodo, proprio , usando alcuni sbattimenti ‘verdastri ; ‘come io tempi, posteriori gli usarono non pochi maestri italiani. Benchè: la trilogia de’ colori vi. sia. ancora scrupolosamente » osservata nelle vesti, non pertanto vi. regna: ùn':bell’accordo di tinte Il piegar de’ panni è grandioso, e vi si scorge l’ effetto. dei pro- gressi che in questo frattempo avea fatto la, plastica. Largo e sfumato.è il pennello.; me non di meno: coh. somma finitezza sono trattati, gli ornamenti d’oro e «li ;igemme. Le figure! sono in nicchie,.d’ architettura gotica, disegnata ‘con. linee nere in fondo d’oro, e. compartita da'colonette, sulle quali. sono in pica cole, dimensioni dipinti i qrofeti. In altri compartimenti: archi- tettonici vedonsi sotto (a’pieli degli apostoli de’cranii fasciati. in croce,.con tele colorite, € questa circostanza induce il\Goethe a cret dere che, in, questi quadri sieno imitati da antichi reliquarii , e, che qui,si veda in pittura ciò. che. ‘altrimenti vedevasi «in la yori di rilievo), esercitandisi «i pittori. di que’ tempi a copiare dalle figure tagliate in piera o in legno come poi si fece dai marmi. (11) Dietro a queste tavol: erano dipinte otto piccole storie che i ‘possessori hanno fatt. segare ;'e due delle quali vedonsi esposte nella loro galleria. La prima: rappresenta (Gesù nell’al- tima notte della. passione . Sul davanti vedonsi ‘i tre discepoli ji (i1) Questi apostoli sono: stati ‘ottimamente disegnati in litografia dal Sig. Strixwer. i 13 Pietro, Giovanni e Giacomo disposti in bella simmetria e pre- si dal sonno, che in vario modo e con molta verità è espres- so in ciascuno . Pietro a. destra mezzo in ginocchio e mezzo giacente si appoggia a verde monticello sul quale è un libro aperto ; il sonno sembra avere or ora interrotta la sua devo- zione, mentre il braccio destro ha ancora la forza di soste- nere la testa, e la sinistra la spada. In mezzo è S, Giovan_ ni assiso di faccia con un libro sulle ginocchia: il sonno è bene espresso nella sua bella testa, che s’inchina sulla spalla destra, e nell’ abbandono delle braccia e di tutta la persona. A sini stra vedesi S. Giacomo con un ginocchio in terra, e con la faccia nascosta in parte dalle braccia che riposano sopra una ‘ piccola elevazione di terreno. Più lontano sulla cima del monte è Gesù orante in ginocchio ; dignitoso è il volto che scorgesi di profilo; davanti gli apparisce dall’ alto un piccol angelo a presentargli il calice, sporgendo dal fondo del quadro che è formato da un tappeto di broccato d’oro con ornamenti dise- gnati con linee nere. — Questo quadretto è degno di osserva- zione per il tentativo di rappresentar le figure in una certa prospettiva con alberi e roccie, ma convien dire che il tentativo è riuscito assai male. Il secondo dipinto è la morte di Maria , rappresentata se- condo l’uso della scuola greca, e in modo simile a quello che vedesi nella pittura runica rapportata dal d’ Agincourt, (tav. LXXXII ) (12), La Vergine or or trapassata è distesa sopra un letto di ricco broccato. Il suo volto ha quell’ aria di gioventù, che secondo la tradizione conservò sino alla morte; le sue ma- ni sono giunte sul petto, e Giovanni, che con atto di tenera ri_ verenza su di lei s’inchina, cerca di porre in quelle uno scet- tro come dovuto alla regina del cielo. Mentre Pietro l’asperge di acqua benedetta, un apostolo assiso sul davanti a capo del letto non alza gli occhi da un libro; e un altro in ginocchio dalla parte opposta prega con devoto. fervore. Più indietro gli altri. apostoli esprimono in vario modo il loro dolore e la loro rassegnazione . La parete della stanza che forma il fondo del quadro è cuoperta di un tappeto d’ oro intersiato,, non senza profondo pensiero, di gigli e di palme. Sull’ alto apparisce Ge- (12) Anche Giotto non diversamente trattò questo soggetto come risulta da queste parole del Vasari: « Dipinse Giotto una tavolina a tempera con » infinita diligenza, dentro la quale era la morte di Nostra Donna con g/° » apostoli intorno, e con un Cristo che in braccio l anima di lei rice- » veva ( Tom. I. p. 322.). 14 sù Cristo in mezza figura e in dimensioni minori , tenendo in braccio l’anima della Vergine già ascesa in cielo, e che è rap- presentata come una fanciullina ridente, ciò che mi richiama alla mente que’tenerissimi versi dell’ Alighieri : Esce di mano a lui , che la vagheggia Prima che sia, a guisa di fanciulla Che piangendo e ridendo pargoleggia L’ anima semplicetta, che sa nulla Salva che mossa da lieto Fattore Volentier torna à cio che la trastulla. (13). Belle sono alcune figure, e singolarmente l’apostolo in ginocchio, L’ armonia delle tinte è degna di osservazione, imperocchè sem- bra che il pittore, avuto riguardo al vestimento azzurro della Madonna, non ba voluto a bella posta impiegare quella tinta in veruo’ altra figura, onde qui non ha luogo la solita trilogia dei colori , ma soltanto il rosso e il verde variati con non volgare artifizio entrano nelle vesti degli apostoli. (14) La minor finitez- za di questi due dipinti, paragonati all’interno del tabernacolo cui appartenevano, li fa riguardare generalmente come opere di qualche scolaro di maestro Guglielmo ; ma il merito della eom- posizione è tale, che io credo dover questa almeno apparte- nergli . Più non mi resta che a far parola di due quadri, che per la maniera onde sono dipinti, svelano la mano di maestro Gu- glielmo , e sono tali da far epoca nel progresso dell’ arte. In (13) Ognuno che investighi i principii delle arti troverà una stretta catena fra i concetti de’ più antichi poeti e le rappresentazioni de’ primi pittori , e possono essi sovente servire a spiegarsi l’ un l’ altro. Nè ciò dee far maraviglia . Comune è ad essi quella prima ispirazion del genio, che nella infanzia della civiltà altro non è che la schietta voce della natura e della religione; e comune il desio di esercitare su i loro concittadini una viva azione. Sovente allora diventano emuli , e se sono di spirito ge- neroso, si fanno amici e s’ inspirano a vicenda. Dante diede a Giotto non ‘poche idee per le sue pitture, e que’ due ingegni rivaleggiarono insieme nello sposalizio di S. Francesco, con la povertà cantata dal primo nell’ XI. del Purgatorio, e dipinta dal secondo nel sacro convento d’ Assisi. (14) Loda il Vasari un simile artifizio in Lorenzo di Bicci che fioriva circa nel tempo stesso che maestro Guglielmo: « In alcune figure dell’ or- » dine di S. Francesco, ancorchè a tutte facesse gli abiti bigi,gli variò » nondimeno, per la buona pratica ch’ egli aveva nel lavorare, di ma- » niera, che tutti sono fra loro differenti, alcuni pendono in rossigno, » altri in azzurriccio, altri sono scuri ed altri più chiari, ed in somma sono tutti varii e degni di considerazione. (Tom. I. p. 520. ) x 15 ciascuno di questi sono rappresentati due santi e ‘una santa ; nel primo S. Antonio , S. Cornelio e S. Maddalena: nel secondod S. Caterina , S. Uberto e S. Ippolito. Qui più non si trova la pit- tura, assoggettata in certo modo all’architettura, imitare nicchie e tabernacoli, per collocarvi le sue figure ; più non si vede dipendente dall’arte dell’indoratore ricorrere ad essa per i suoi fondi. L’artefice sembra avere scoperto il potere del suo pen- nello, e ba poste le sue figure in un fondo colorito, dal quale più o meno avanzandosi, acquistano movimento e vita. Egli ha ricorso alle proprie tinte per gli ornamenti ancora e con pieno successo , come ne fanno prova i tanti fregi che adornano le teste e le vesti delle figare , dai quali è affatto sbandito ogni metallo ; ma il pregio maggiore di questi due quadri, parago- nati ai precedenti, consiste nel più perfetto tondeggiar delle forme , nella trasparenza de’ colori, che negli scuri stessi han- no lucidezza ammirabile ; nella pastosità delle carni , e nella espressione delle teste, che per una certa nazionalità, fanno chia- ro lo studio della natura. (15) Ugual merito non ha invero il disegno, che nelle estremità è ancora meschino e secco , ma considerato l’ insieme della esecuzione, gran lode merita questo lavoro, ed è degno della mano del grande artefice che dipinse. il tanto celebre quadro del duomo di Colonia, del quale come del capo d’ opera di questa scuola sarebbe errore se non facessi breve menzione, tanto più che sebbene non appartenga alla col. lezione che descrivo , va nondimeno debitore della sua ristaura- zione ai possessori della medesima. I fasti della religione sono sempre stati i primi ad accender gli animi e a ispirar loro grandiose idee , che poi si manifesta- (15) Un dotto collaboratore del Kunstblatt così si esprime alla vi- sta de’ disegni litografici di questi quadri: « Se si considerano le opere » di questo maraviglioso maestro ( Guglielmo ) , la nobiltà delle sue ficu- » re, il loro , lie placido e dignitoso , l’ anima delle loro teste, » la grandiosità de’ panneggiamenti e delle pieghe , e unita a ciò l’accurata » esecuzione che non però mai cade nel minuto , naturalmente affacciasi la » domanda: quali esemplari avevano i maestri di quel tempo? Ignoti ad » essi erano i modelli antichi, e in Italia cominciava appunto allora a fio- » rir l’arte! ... Qual varietà e qual sorprendente verità nelle teste di » questi sei santi! nel volto di Maddalena la devozione unita alla sensua- » lità, in Papa Cornelio la serietà e la dolcezza, nel solitario Antonio la » semplicità della fede, in Ippolito lo spirito fermo e audace , in Uberto ss Vl umor risoluto e insieme amabile, e in Caterina quella calma indizio » di equilibrio fisico e morale. Questi due fogli sono maestrevolmente di- » segnati e fra i migliori della raccolta. » ( Kunstblatt. Agosto 1824. ) ‘7A rono al mondo per mezzo della poggia o delle opere d’arte - L’ antichità ne è piena di esempii, e'‘allo spargersi del cristia- nesimo, le lodi de’ santi e principalmente de’ martiri consacrate negli inni della chiesa e nelle antiche leggende, furono il primo studio non solo de’ sacerdoti, ma degli artefici ancora e de’ poe- ti, e l’effetto prodotto sugli spiriti doveva essere tanto più forte, quanto più la gloria di que’ sacri personaggi interessava l’ onore particolare della propria nazione, o anche della propria città. Così nel primo secolo del rinascimento delle arti tutti i più celebri pittori italiani furono chiamati ad adornare il tem- pio di S° Francesco d’ Assisi; così diedero i pisani per tema agli artefici le gesta di S. Ranieri, e così pure i sacri annali di Co- lonia fornirono il soggetto per l’ opera che sto per descrivere. I santi protettori di Colonia, oltre i martiri S. Ursola e S- Gereo- ne, sono i re magi, le cui ossa vi furono trasferite da Milano quando l’imperatore Federigo Barburossa non tanto espugnò che barbaramente distrusse quella città, non meno gelosa in quei tempi della propria indipendenza , che avversa a quella delle vi- cine città . Il consiglio di Colonia volle veder riuniti que’ varii santi in un gran quadro destinato alla propria cappella, nè fa- cile era il tema, perchè o dovevano rappresentarsi i magi , co- me comunemente suol farsi, adoranti il divino Infante nel pre- sepio, e allora mal potevano comparirvi i martiri; o dovevano questi dipingersi come in una celeste conversazione, e allora era difficile l’ unirvi i magi. Il pittore cercò un mezzo di tutto con - ciliare, figurando la Vergine che già nella gloria celeste tiene ancora sulle ginocchia il Bambino, cosa non solo appoggiata al- l’autorità de’ tipi, ma anche seguita da’ più grandi maestri (16). (16) Sono troppo ovii gli esempii perch’ io voglia arrecarne alcuno . Soltanto, per ciò che riguarda )’ apparente anacronismo , rammenterò il famoso quadro di Raffaello detto la Madonna del pesce. Vi si vede la Ver- gine in cielo assisa in trono col divino Infante, il quale si volge amore- vole verso il giovine Tobia, mentre ancora stende la mano verso un libro tenuto da S. Girolamo. Il chiarissimo Sig. Emeric-David nella sua Serze di studii sopra cinque quadri di Raffaello , Parigi 1818-1822, ha voluto dimostrare la proprietà di questa composizione riconoscendovi una allego- ria a ciò che il libro di Tobia era stato riconosciuto come canonico dal concilio tridentino . Quantunque l’autore sia caduto egli stesso in questo caso in manifesto anacronismo , non essendosi il concilio tridentino aperto che nel 1545, cioè 25 anni dopo la morte di Raffaello, pure non è meno vero che come allegorici debbono riguardarsi simili quadri, e quando ciò non apparisca in alcuni, dobbiam persuaderci che un anacronismo in pittura era considerato dagli antichi artisti come tutt’ altro che un anacronismo "e_———_ttÎfttt’ i i lit ni I 7 Così trasferì ne’ cieli l’ adorazione de’ magi, col pensiero che ne' cieli è contiuua l’ adorazione de’ bali ; e in tal guisa potè ancora introdurvi S. Orsola e S. Gereone, che occupano le due tavole laterali del tabernacolo . Se poi apparisse strano il ritro- vare î tre regi seguiti ancor nell’ empireo di tutta la pompa mondana, bisogna rammentarsi dell’ uso introdotto fra i pittori di rappresentare i santi nel cielo con tutti quei simboli che ri- chiamano la loro esistenza terrestre, per rendere la composizio- | ne più intelligibile al popolo. L’ erudito canonico Walraf ha data una minuta descrizione di questo quadro (17), e il Goethe ne parla con somma lode denominandolo “ l’asse sul quale rivol- gendosi l’arte tedesca sale a una indipendenza propria (18), ma la descrizione del Walraf oltrepassando essa sola i limiti d’un articolo, e non conoscendo io stesso dell’ opera che una incisio- ne assai debole, mi limiterò a riferire alcune espressioni del celebre Federigo Schlegel, nome ben noto anche all’ Italia, e che alla sua fama di critico e letterato, unisce pur quella di ottimo apprezzatore di arti belle. Questa tavola, dice egli (19), è unica nel suo genere, come unico è il duomo di Colonia fra » Gli edifizii gotici, e ben vi si scorge che quel secolo volea far » mostra in quest'opera di quanto potea produrre di più grande e » di più prezioso. Una ammirabile diligenza nella esecuzione, e una s straordinaria pompa di colorito vi si trovano in un grado al qua- »» le vedonsi rare volte arrivare le migliori antiche pitture te- » desche. Le figure hanno un rilievo ammirabile specialmente ne’ gruppi laterali, ove vedonsi 1 due martiri: da una parte S. », Gereone in tutta armatura co’ suoi seguaci della legione te- baica , dall’ altra S. Orsola con la freccia in mano presso al- l'amato giovane Eterio , che la guarda con tenera espressione * di dolore ; e questa mostra nella pallida faccia sol tanto del ss suo martirio , da dare con questo tristo accessorio maggiore >» in materia di storia o anche di poesia. Se ne servivano essi talvolta per render sensibili de’ rapporti esistenti fra tempi disgiunti, ai quali unendo quel momento presente, che è 1’ unico loro dominio, cercavano completare l’effetto della loro composizione. -- ‘Tornerò su questo proposito parlando dell’ Epifania di Gio. da Bruggia in questa collezione. (17) Taschenbuch ec, Almanacco per gli amici delle antichità tede- sche. Colonia 1816. (18) Arti e antichità. Fascicolo 1.° p. 163. (19) Io non espongo che pochissime delle idee contenute a p. 132. e seg. del 4.° fascicolo dell’ Europa, senza attenermi nè al loro ordine nè alle eloquenti parole del testo, non essendo mio pensiero che di accennare . alcuni de’ pregii principali dell’ opera. T. XIX. Settembre 2 18 » risalto alla lieta sublimità della tavola principale, e imprime- » re nell’animo un dolce sentimento di tenerezza ,,. Pieno di sauta bellezza è il voito della Vergine , pieno di divinità quel- lo del Bambino, che dolcemente è rivolto verso il più vecchio de’ magi e lo benedice. Il maggior numero delle figure sono evi- dentemente ritratti ; il costume è in parte antico in parte mo- derno, ed eseguito con maestria e finitezza . ll disegno, ove si eccettuino alcune attitudini, è degno di molta lode; e tutto il lavoro insomma mostra nel suo autore un ingegno nato a por- tar l’arte sua a un punto tale da non abbisognar più che di un genio, più sublime ancora per tutta rinnovarla, e per così di- re rimodellarla sugli esemplari della vivente natura. Eppure era ignoto il nome di un tanto artefice, e ignota o almeno dimenticata era l’opera stessa, che dopo la destituzione dell’antico governo di Colonia era stata rimossa dalla cappella senatoria, e relegata in una stanza del palazzo della città. Qui lo rinvennero i sig. Boisserée , e quautunque annerito dal fumo e offascato dal tempo, furon colpiti di maraviglia alla vista di tanta bellezza; e più crebbe la maraviglia, quando rimossolo dal muro ove era appoggiato, scuoprirono due nuovi dipinti sulla parte esterna delle tavole laterali, e in essi la data' dell’ an- no i4ro, per la quale rimase accertata la portentosa antichità della tavola. Fu danque naturale attribuirlo a maestro Gu- glielmo di Colonia, conosciuto in que’ tempi come il miglior pittore della Germania; e per le cure de’sig. Boisserée questo suo capo d’opera fu nel 1810, e nel giorno appanto dell’ a dorazione de’ magi, trasferito nel duomo di Colonia, e esposto all’ ammirazione del pubb'ico. Così dopo quattro secoli ha di nuovo ottenuto l'artefice la meritata corona che, deve sperar- si, la trascuranza de’ posteri non gli lascierà nuovamente cade- fe di capo. (20) (20) Nel nominare maestro Guglielmo come dipintore di questo qua dro, io seguo l’ opinione più generalmente ricevuta in Germania, appog- giata al seguente passo tratto dagli annali de’ frati domenicani di Fran- kfort, pubblicati dal Senkenberg, che Fiorillo ha citato nel tomo I. della sua storia della pittura tedesca : « Eodem tempore ( 1380 ) Coloniae erat pictor optimus, cui non fuit similis in arte sua; dictus fuit Wilchelmus; depingit enim homines quasi viventes. » Il Can. Walraf avevà creduto leg- gere il nome di Filippo Kalf sul fodero d’ una sciabola, ma la sua lezione è stata riconosciuta priva di fondamento . Più plausibile è forse l' ipotesi emessa dal sig. Bohmer nel Kunstblatt ( anno 1823.'n:78. ), ove pubblica un passo fino allora inedito dell’ itenerario di Alberto Durero a Aquisgra - 19 V. Qai porrò fine alle notizie storiche sull’ antira scuola di Colonia, perchè dopo maestro Guglielimo cessarono i suoi pit- tori di avere un carattere proprio, ma seguirono secondo i teinpi nuovi metodi e stranieri maestri. Così Israele di Me- ckenem seguì lo stile dell’ Eyck; Giovanni Melem quello di Schoreel, e Bartolommeo de Bruyn quello di Hemskerk ; Gio- vanni da Aquisgrana imitò il Coreggio; Geldorp unì il colorito dello stesso maestro italiano a quello de’ fiamminghi ; e non pochi artefici vantò poi la città di Colonia, che sì glorifica ancora di aver veduto nascere il Rubens. Ma ritornando a quell’ epoca più antica, alla quale ristringesi il mio discorso , credo prezzo dell’opera, dopo averne descritti separati lavori, considerarli in un solo insieme, e dedurne il carattere generale , tanto per ciò che riguarda la parte filosofica dell’arte nella composizione, ché ‘per ciò che spetta alla parte meccanica della medesima nel- l’impiego dei materiali, In quanto alla prima, alcuni cenni generali sulla natura del- la imitazione nell’infanzia dell’ arte presso i cristiani, serviranno a indicare quel che la scuola di Colonia ha in ciò di comune con tutte le altre fin qui conosciute. Le primizie delle arti fu- Tono , come più sopra osservai, consacrate alla religione , e co- me unico era il loro oggetto, unico era lo spirito che le a- nimava. Esse non aveano di mira che la rappresentazione di cose religiose, e questa doveva in principio limitarsi a quella de’ personaggi celebrati nelle sacre storie. E benchè queste, par- lando più allo spirito che ai sensi, non dipingevano le forine e- sterne degli eroi della religione, pure descrivendune il carattere na, a Brussella e a Colonia , ove dice di aver pagati alcuni soldi in que- st’ ultima città perchè gli fosse mostrata Za tavola di Maestro Stefano ; onde il sig. Bòhmer inclina a dar questo nome all’ autore dell’ Adorazio- ne . Ma sia Guglielmo o Filippo o Stefano il dipintore del quadro, la cosa poco rileva ; più importante ne è per contro la data , sulla quale il sig. Conte Cicognara ha mossi alcuni dubbii, volendo leggere 1510. iu- vece di 14ro: ( Ved. Antologia vol. XXI. p. 61.). Ma quando anche lo stile della composizione e il metodo del colorire non formassero una evi- denza interna della sua antichità, quando la serie de’ quadri posseduti dai signori Boisserée, dalla santa Veronica fino ai due dipinti in fondo nero (.ved. p. 14. ) che sono di maniera affatto simile a quella del quadro del duomo di Colonia, non ne costituisse una prova storica ; a chi non dovrà sembrare impossibile che un contemporaneo di Alberto Durero e di Luca di Leida, non solo fosse totalmente ignorato, ma dipiugesse in uno stile affatto diverso dal loro e abbandonato in Germania dopo i pro- gressi della scuola d’ Eyck che fu anche seguita in Colonia? 20 e narrandone l’ azioni, doveano far nascere nelle menti delle iîn- magini sublimi, che il linguaggio figurato de’ popoli dell’oriento, ove la religione avea gettate le prime radici, non poteva esser tardo ad esprimere. Queste immagini ridotte dai primi artisti a. for- me sensibili, dovevano prontamente scolpirsi negli animi de’ nuo- vi fedeli e questa impressione dovea reagire sull’ arte stessa » rendendo impossibile di più alterar quelle effigie che erano state una volta consacrate agli occhi del popolo. La tradizione e il tempo facevanle sempre più venerabili; la devozione diceale miracolose; e la superstizione le supponeva fatte dagli angeli o alineno dall’evangelista S. Luca. E allora ogni nazione le vo- lea ritrovar ne’ suoi tempii, e gli artefici doveano ripeterle, sen- za permettersi alcuna alterazione, che qual sacrilegio sarebbe stata considerata dal volgo. Eran questi dunque costretti a .ri- copiarsi l’ un l’altro, e declinava l’arte come quella che, libe- rale di sua natura, era servilmente trattata ,, ed inceppati gli spiriti, languiva ogni scivtilla creatrice del Dello, che, allora soltanto risplende, quando può libera avvivarsi al sacro fuoco della natura (21). Seguaci della scuola bizantina; gli artefici di - Colonia dovettero conservarne i tipi, e che ciò avvenisse, ne fan- no fede |’ opere descritte. Semplici e simmetriche, ma poco ani- mate, sono le composizioni, e poco variate le figure, se non che vi si vede quel carattere di placida devozione, che dai più apti- chi tempi ha distinte l’opere de’ maestri tedeschi. Vi si scor- gono ancora le traccie di quel simboleggiar filosofico che poi tanto distinse la scuola d' Eyck. Per esempio, quegli angioli- ni, che collocati presso alla terribil testa di Cristo, cantan festosi anzichè esser presi da spavento , non simboleggiano essi la gioie de’ cieli per la redenzione dell’uomo? e quei profeti rappresen- tati in piccolo ne’ compartimenti delle nicchie, ove sono gli a- postoli, non servono essi a illustrare in un punto l’ unione fra l’antica e la nuova alleanza? Così eve-ben si considerino que- (21) Bisogna rammentarsi l’uso stabilito nella chiesa greca di affidare ai sacerdoti la direzione de’ dipinti sacri, direzione che era allora in certo modo per le opere del pennello , ciò che fu poi la censura per quelle della penna. -- Anche ai giorni nostri in Suidal, città della Russia, ove dipingonsi i quadri destinati alle chiese greche dell’ impero, le im- magini de’ santi sono eseguite sotto la direzione ecclesiastica.-- Sui rap- porti delle arti con la religione trovasi un bellissimo squarcio nel ci- tato libro di Goéthe , e il sig. dott. Schorn ne tratta pure maestrevol- mente in poche parole nell’ introduzione alla sua opera « sugli studii degli artisti greci. » (p. tt. ec. ediz. di Heidelberg 1818. ) 21 sti lavori, o una idea filosofica o un pensiero poetico, palesa ne’ loro autori degli spiriti capaci di più alto scopo; e li ve- diamo difatti negli ultimi tempi provarsi a conseguirlò , comin- ciando a imitar la natura. .E ben era egli un passo ardito, e da far prova di non volgar ingegno, quello di vincere de’ pre- giudizii da più secoli inveterati, e di rappresentare nelle tavole esposte sugli altari, immagini di uomini viventi. Per ciò che riguarda l’ esecuzione, sarà vano il ripetere ciò che ho già dovuto osservare descrivendo i varii quadri. Il carat. tere bizantino non vi si scorge che quanto basta a mostrarve la filiazione, ma la scuola di Colonia mostrasi figlia vigorosa e leggiadra di decrepita madre. Basta rammentarsi la maniera di que’ greci ,, vecchi e non antichi (come dice il Vasari) che »; piuttosto tignere che dipignere sapevano (22); maniera tutta piena di linee e di profili, scabrosa, goffa e ordinaria (23) , che non mai rappresentava la natura se non che sfigurandola (24): figure piccole e senza proporzione, mosse steniate e violen- ti, i volti stretti nella parte superiore, larghi nella inferiore, 3, con occhi grandissimi e spauriti, con sopracigli alti e inarcati; profondissime rughe, corti capelli e applicati alle teste, vesti- menti con pieghe disordipate e soprabbondanti , colorito lan- » guido, con tuoni neri nelle carni ,, (25). Qual differenza dalle opere de’ maestri di Colonia, nelle pig vedonsi bei volti di fan- cialli e di vergini, bei vecchi con morbide barbe, figure di belle proporzioni, vestimenti con piegar grandioso , e il tutto trattato con isfumatezza di pennello e con colorito lucido e vi- vace ! In quanto all’ impiego meccanico de’ materiali, gioverà 1’ osservare che nella compagnia de’ pittori in Colonia, come in quelle d’ Italia, erano compresi gl’intagliatori, i legnaioli , i do- ratori ed altri inferiori artefici , che tutti avean parte all’ intra: preso lavoro. ,, Le tavole per tutto il secolo XIV, non mai preparavansi come ora si fa, separatamente dall’ ornato loro. Si Javoravano prima di legno i tabernacoli, e operosamente si or- navan d’intagli» con disegno di architettara tedesca. Talvolta e principalmente ne’ quadri da stanza, cingevansi le tavole di 2) (22) Proemio delle vite, p. 163. (23) Vita di Cimabue, p. 236. (24) Lanzi, tom. JT. p. 3. (25) Descrizione del sacro convento di Assisi; nel Kunstblatt 1821. n. 40. 22 grosse eornici, e formavano loro d’ intorno quasi un merletto o un rabesco per adornarli: le tavole erano per lo più vestite di tela sopra !a nuali davasi di gesso (26). Allora gli stuccatori V'impri' 4 varii ornamenti , facendo probabilmente uso di for- me, non parendo altro che fatti a stampa certi fiorellini e glo- betti e picciole stelle che si veggono nelle dorature di gessi. D'oro poi si fregiavano i campi della pittura, i mimbi de’ santi, le lor vestimenta, le lor trine; e benchè i pittori stessi aves- sero abilità ìn queste cose, pare che si facessero aiutare dai doratori , che perciò entravano nella loro categoria. Verso il 1400 il disegno degli intagliatori migliorò , o i pittori occuparon- si per sè stessi a adornare con disegni di architettara le loro ta» vole, compartendole in nicchie, nelle quali collocavano le figure de’ santi. A poco a poco si tolsero i tramezzi, e in una tavola indivisa d’ intorno al trono di Nostra Donna si disposero i santi, non più come prima a modo di statue, ma in positu- re e in mosse diverse. Le dorature de’ fondi assai decaddero, e nel seguente secolo fu quasi del tutto sbandito l’ oro. ,, Sarà bastante per dimostrare la similitudine de’ processi mee- canici di questa scuola con quelli usati dagli antichi italiani » quando dirò, non aver io creduto poter meglio descriverli che con le precedenti espiessioni, le quali non sono mie, ma quasi tutte del Lanzi. ('T. I. p. 34 — 38.) Ed or più non mi resta che a parlare del colorito, che è veramente degno di am- mirazione nelle opere di questa scuola, e tale da far credere che siano dipinte con materie oleose, il che se fosse accertato, sa- rebbe questa la serie la più completa di documenti compro- vanti l’uso di tali materie prima de’ fratelli d’Eyck (27). La sola (26) Il Vasari attribuisce a Margheritone di Arezzo il ritrovamento di questo metodo di preparare le tavole: « Egli fu il primo che consi- » derasse quello che bisogna fare quando si lavora in tavole di legno, per- » chè stiano ferme nelle commettiture, e non mostrino ( aprendosi poi » che sono dipinte ) fessure o squarci; avendo egli usato di mettere sem- » pre sopra le tavole per tutto una tela di panno lino, appiccata con for!e » colla... e poi sopra detta tela dato di gesso ( Tom. I. p. 298 ). Or questo metodo trovandosi usato in Colonia da tempi antichissimi , ( il Walraff nel Taschenbuch già citato dice già dal tooo, ma credo esage- rata quest’ asserzione ) pare già doversi attribuire ai greci. -- Del resto la cosa è di poca importanza, ma osservando con diligeuza ciò che hanno di comune i metodi di antichi maestri di paesi diversi e seguaci dei bi- zantini, potrà giungersi a meglio conoscer questi ultimi, sui quali nella storia pittorica sembrami essere non piccola lacuna. (27) Le pitture di Tommaso da Mutina o Modena hanno dato dei 123 23 vista di questi quadri, unita al pensiero che i loro colori manten- gonsi tanto vivaci dopo più di quattro secoli, dee suggerire ad ogni osservatore questo dilemma : o sono essi dipinti a olio, ed allora la scuola di Colonia è la prima , nella quale sia stata questa materia generalmente impiegata; o non sono a olio, ed allora devesi ai loro autori il pregio, di aver già prima dell’Eyck risoluto in gran parte benchè in modo diverso il gran problema pittorico, la cui soluzione segna un’ epoca sì luminosa nella storia dell’arte. Desideroso di dileguare su questo punto ogni incertezza, mi rivolsi al sig. dottor Sulpizio Boisserée, per indur- lo a tentare l’analisi chimica, e la risposta che ne ebbi, mo- strò essere ormai vano il ricorrere a dubbiose esperienze, quando da prove istoriche , l’ antichità dell’ uso della pittura a olio, non poteva più essere oggetto di controversia. Questa risposta è trop- po importante perchè io non creda doverne comunicare a’ miei lettori un estratto : ,, La mia opinione (così mi scrisse il sig. B,) »» sulle esperienze da farsi sopra le materie usate dagli antichi » pittori per mischiare i loro colori, è la seguente. Lasciando di »» parlare della pittura a fresco, è noto che per gli altri gene- » ri di dipinti s’ impiegò la colla , il chiaro e il rosso d’ovo, la », cera, il latte di fico, l’ essenza d’olio, la gomma ec. e che ) Spesso una di queste sostanze è stata mischiata con l’ altra, » ma ciò che è più essenziale si è, che la colla è stata general- ,) mente impiegata per i fondi, mentre poi vi si è dipinto so- pra, ora con colla, ora con una o più delle varie materie in+ dicate, Finalmente devo ancora osservare, che le pitture sono » State per lo più verniciate, per dar loro maggior lucentezza » e preservarle dagli effetti dell’ aria. Queste vernici sono state » sovrapposte o dagli autori stessi de’ quadri, o da altre per- sone, che in tempi posteriori hanno voluto contribuire alla »» loro conservazione. Usavasi per le modesime chiaro d’uovo, resultati non certi : le esperienze di Pietro Bianchi hanno deciso. contro l’impiego dell’ olio in Toscana, Non v'è che Colantonio del Fiore e qualche altro incerto artefice , ai quali 1’ opinione de’ periti attribuisca qualche opera a olio anteriore o contemporanea a Giovanni da Bruggia, Ma questi sono lavori isolati, e mostrano piuttosto un processo partico - lare posseduto da chi li dipinse, anzichè un metodo generalmente seguito da tutta una scuola, -- Tutto ciò che riguarda la tanto agitata questione © sull’ invenzione della pittura a olio trovasi egregiamente discusso nell’ o- pera di Waagen sopra i Fratelli Van Eyck (Cap. III. p. 88- Breslau 1822. ) e le notizie contenute nella lettera del sig. Boisserée trancheranna forse ogni ulteriore discussione, 24 » Olio, essenza, gomma , mastice ec. Colui che vuole analizzare i 3» colori d'un quadro dee dunque osservare tre cose, cioè: il » fondo — 1 colori della pittura propriamente detta, — e la verni- s» ce. E per potere ottenere un resultato netto e esatto, bisognereb- » be provare che i colori sui quali vuol farsi !’ esperimento non » sono mai stati cuoperti di vernice, e in secondo luogo do- s, vrebbero staccarsi i colori con una avvertenza tale che non vi », entrasse la minima parte del fondo. — Ella sente che queste 3» sono condizioni indispensabili, e al tempo stesso dovrà conve- », nire essere appena possibile l’ adempierle, onde tutte le e- ») sperienze delle quali non può constatarsi essere state fatte con », la più scrupolosa osservazione di queste condizioni, devono » sempre rimaner dubbiose. ,, », Ma quale è lo scopo dell’ analisi chimica di antiche pit- ture? Non può essere altro che o quello di risolvere la que- 3) stione storica sulla invenzione o l’ antichità della pittura a »3 Olio, o quello di ritrovare de’ processi migliori di quelli che 3) conosciamo . In quanto al primo sembrami — o per dir più — 3 ho la certezza , che possiam giungervi nel modo il più con- 3, vincente per mezzo di ricerche storiche; e in quanto al se- 3, condo , credo che delle esperienze fatte con colori nuovi, pre- s, parati con le varie materie impiegate dagli antichi, sarebbero »» preferibili ad ogni analisi. Dovrebbero a parer mio farsi de’ ,3 dipinti con cera , rosso d’ uovo ec.; esporli a tutti gli effetti 3, della temperatura e delle stagioni, e paragonarli in seguito », con pitture antiche e con altre fatte co’ nostri processi or- »; dinari ,, . ‘6 Per provarle che le ricerche storiche possono darci i mi- s» gliori schiarimenti sull’ antichità dell’ uso di dipingere a olio, ,» le citerò un contratto passato nel 1419 fra il tesoriere della ;; città di Gent, e i franchi pittori Guglielmo Van Axpolèe e 33 Giovanni Martens, per restaurare e rifare con buoni colori ,, a olio varie pitture nella gran sala del palazzo della città . 3» ( Ved. Memorie della città di Gent di Dieric ps 73. tor. II. », dove è stampato in intiero l’atto tratto dai registri conservati » negli archivi della città ) Le citerò in oltre i conti della città », di Bruggia, ne'quali, sotto la data del 1351 al 1352, è notata - w la spesa per far decorare con ogni sorta di dipinti a olio dal » pittore Giovanni Van Leye la cappella di Damme, piccola »» città presso Bruggia |,.. « Ecco de’ fatti certi e che si accordan benissimo col. li- »» bro di Cennino, che nel 1437 parla della pittura a olio, non 13 »» già come di nuova invenzione , ma come d’una maniera di dipingere da lungo tempo usata dai fiamminghi; nè deve destar maraviglia che questa maniera sia stata praticata di preferenza ne’ Paesi bassi, giacchè ne’ paesi ove l’aria è umi- da si cercano naturalmente i mezzi i più efficaci per conser- » vare ciò dhe è soggetto a soffrire dall’ influenza dell’ atmo- sfera. L’uso de’ colori a olio può ben dunque essere stato conosciuto in Italia lungo tempo prima di Giovanni d’Eyck, e ancora può essere che questa maniera di dipingere sia stata esercitata isolatamente da qualche artista; ma per farla gene- ralmente apprezzare era necessario che le opere di Giovanni da Bruggia, che in verità ha prodotto miracoli per l’eminen- », te destrezza colla quale maneggiava il pennello, fossero spedi- te in Italia, ove non poteano mancare di eccitar la più gran- 3, de ammirazione ,,, « Non è dunque per l’ invenzione materiale della pittura a » olio che Gio. da Bruggia, o piuttosto i fratelli Uberto e Giovanni 3» Van Eyck hanno fatto epoca nella storia della pittura, ma > bensì per l’ impiego affatto nuovo che hanno fatto di que- »» sta maniera di dipingere, imitando col più gran successo la »,) natura fino in ogni minuzia. Così i fratelli d’ Eyck sono sta- 33 ti i creatori d’ un nuovo genere di dipingere, e gli inven- tori non della pittura a olio, ma del del colorito è olio nel- la pittura moderna. — Se ben si esamini il colorito de’ qua- dri de'Van Eyck, e che si paragoni con ciò che la moderna pittura a olio ha mai prodotto di bello in tutta |’ Europa, ,» si trova che il colorito de’ Van Eyck ne forma la base e ne », riunisce i veri principii 4,. « Spero che queste leggiere indicazioni le daranno una giu- »a sta idea della mia opinione sull’ invenzione della pittura a olio, e che dietro a ciò potrà comprendere perchè non ano netto una minuziosa importanza alla questione se i quadri di Colonia siano dipinti a olio o nò. Se si giudichi dall'aspetto, dovranno dirsi fatti a olio: vi si scorge un tocco grasso e morbido, i colori vi sono ben fusi, i lumi bene accordati, le ombre trasparenti; e il colorito è in generale vigoroso , sen- za esserlo tuttavia come quello de’ fratelli Van Eyck. Final- mente i colori resistono agli acidi, e siccome abbiamo dei dati storici sull’ uso della pittura a olio ne’ nostri paesi pri- », ma dei Van Eyck, non abbiamo ragione alcuna da dubitare » che i quadri di maestro Guglielmo sieno stati eseguiti con que- 3 Sto processo ,,, 26 Qui debbo terminare il mio scritto, benchè io senta che per completarlo dovrei istituire un confronto fra la scuola di Co- lonia e le contemporanee d’Italia , principalmente la fiorentina . Ma lontano dalla Toscana, nè avendo presenti allo spirito le po- che opere che ci restano de’suoi antichi maestri, mi riesce im- possibile un tal paragone. Se da contorni incisi e da descrizioni di scrittori, potesse acquistarsi perfetta idea di opere d’ arti, ben potrei paragonare l’idea che mi formo del merito degli an- tichi dipinti toscani, col merito de’lavori che ho sott'occhio: e allora dovrei essere indotto a riconoscere tanto superiori i to- scani per la fecondità delle loro composizioni, quanto inferiori per l’ esecuzione agli artisti di Colonia. Ma lascierò che altri decida dietro più accurate osservazioni e con dati più sicuri, imperocchè molto ancor ne rimane per dileguare ogni nebbia che in parte ricuopre-tuttora una scuola or or risorta dalla ca- ligine dell’ oblio: e il dileguarla sarà opera dello scopritore me- desimo , il quale coronerà in tal guisa le sue interessanti ricer- che , e compierà pienamente ciò che io non ho fatto che leg- giermente abbozzare. E. M. rT8Tr—=—-=.xeaei ki: {iii if -{Ùl, I bevitori di acqua, ossia la Fonte di S. Galgano presso Perugia , nell’Agosto del 1824. Sermone del Marchese G. ANTINORI. Urbano Lampredi al Direttore dell’ Antologia. Essendumi capitato fra le mani un leggiadro poemetto recentemente dettato dal M. G. Antinori, professore di belle lettere nell’ università della sua patria, Perugia; io m’affretto a trasmettervelo , acciocchè , se vi aggrada, lo pubblichiate nel vostro giornale, come composizione de- gna, al parer mio, d’essere annoverata fra le migliori del suo genere, cioè de’ così detti Serzzoni. Questi, de’ quali abbiamo il tipo originale nelle poesie del Venosino, si pos» sono dividere in due specie principali. Perciocchè il Ser- mone non è Satira propriamente detta come voi ben sapete; cioè non investe direttamente i vizi degli uomini, ma ne va notando le ridicole usanze e i leggieri difetti con sale 27 blando ed urbano. Or queste piccole punture, e quasi direi vellicamenti possono derivarsi o da morali dottrine e senten- ze, come fecero egregiamente G. Gozzi, il Pindemonte!, ed altri, o dalla semplice descrizione d’un fatto , le cui circostanze o accidenti offrono riflessioni o pitture che ci fanno ridere della nostra leggerezza e delle nostre follie, come si vede classicamente eseguito da Orazio, che prende argomento da una cena, da un viaggio ec. A questa seconda specie dee riferirsi il sermone del March. Antinori che vi trasmetto . Il soggetto è tratto dalla festevole descrizione d’ un improvviso concorso dei cittadini di Perugia d’ogni età, sesso e condizione, che un mero accidente fece nascere, e la moda continuare per qualche tempo, alle acque dette di S. Galgano, che scaturiscono in vicinanza di Perugia. L’autore non ha bisogno di questo componimento per es- ser conosciuto in tutta Italia come colto scrittore, ed ele- gante poeta; ma sarebbe d’uopo che fosse personalmente da tutti conosciuta la gentilezza del suo costume, e l’ o- nestà de’suoi sentimenti, perchè tutti si persuadessero su- bito, non aver egli avuto in mira alcuna persona reale , ma individui meramente possibili nelle sue descrizioni: che se per avventura alcuna ve ne ha delle prime, egli scher- za, poetando, con essa come avrebbe giocondamente scher- zato in socievole e familiare intertenimento, senza timo- re di offenderla, Ma eccovi il sermone Lungi o sonno importuno ; omai le stelle Disparver tutte , e già rosseggia in cielo Nunzia del dì la rinascente Aurora . Sorgere è buon da le stancate piume , Moleste or fatte da gli estivi ardori, E muover là, ’ve suburbana fonte A ber le celebrate acque salubri Con le fresche aure matutine invita . Ecco sui cardin rugginosi stride La cittadina porta, al comun voto Anni ed anni negata e alfin dischiusa . D’ acque cadenti e di dolci ombre lieto , 28 Che dilatan cortesi in ordin lungo Gli olmi frondosi e gli odorati pioppi , Quinci si stende agevol calle ameno, In cui presso a negletto annoso ponte Altre mettono vie non men gioconde . Varia di sesso di costumi e d’ anni Oh quanta or qui di cittadin frequenza Di salute miglior credula brama Ovver la moda ed il piacer conduce! L’ ora ed il loco, a l’ incontrarsi alterno, Pingon gioja e stupor d’ ognun sul volto , Dove non anco le diurne cure Di tristezza o di noja han l’ orme impresse . Tutto ride e festeggia : alcun si affretta L’ attesa amica ad incontrar : taluno Dopo un cespuglio appiattasi , onde meglio Spiarne i passi, ed improvviso a un tratto Venirle innanzi : altri su l’ erba molle Stanco s’ adagia, e si stropiccia i lumi Non ben disgombri dal vapor notturno . Chi per ignoti ermi sentier si perde In traccia forse di leggiadre imprese : E chi più audace pe’ vicini campi, Non curante il latrar de’ fidi cani , Di dolci frutta predator s’ aggira . Lungo la via su le spinose fratte , Interrompendo del mattino il canto , Timorosi gli augei mal certo il volo Spiccan di ramo in ramo : e a l’inusato Rumor festoso dal materno tronco Metton le Driadi fuor la bionda testa, Meravigliate e curìose il guardo Volgendo intorno: ma a celarsi ratte, A l’apparir di tante emule Dive E di protervi giovinetti Eroi, Tornano in sen de le natle cortecce. Or chi potria de |’ accorrente schiera Tutti ridir gl’ illustri nomi , e tutti Pingerne i modi i portamenti e i passi ? Primo qui giugne Telegon, famoso D’ogni altrui fatto indagator solerte , ‘Testor di fole e banditor maligno, 2) 29 Onde spiar chi a la vezzosa Dori Il braccio porga; a chi dispensi un detto O un guardo Irene; a chi Nicèa sorrida; Ed ampia merce indi recar superbo La ’ve co’rari farmachi innocenti, O ’ve col gel voluttuoso e caro Si ministran bevande ozio e novelle. Del suo Titon dagl’ infecondi amplessi La giovin Cloe sollecita fuggendo Con la fedel fantesca , eccola in fretta Venir qui, dove con le mediche acque Virtù sorbir generatrice anela . In vaga veste ecco la vaga Eurishe, Occhi-bruna fanciulla, a cui fiorisce Fervida in volto gioventù procace ; E lei mal segue con incerto passo In cenci avvolta la benigna madre, Ch' ella non cura, e dimenando il fianco Salutata da molti altera passa, Ed incontrar presso queste onde spera Invan cercato altrove il biondo Imene. Vedi l’ ingordo Emon, che barcollando Tragge a fatica l’ adiposo ventre , E i pingui pranzi e le indigeste cene Col ber qui largo diluir s’ avvisa. Vedi a lui presso livido e sparuto L’avaro Egon che a le infermicce membra, Senza nè punto dimagrar la borsa , Vuol con queste acque ritornar salute . Chi è colei che biancheggiar là veggio Per via romita fra quegli arbor folti Grave e pensosa il piè movendo? Ah certo La dotta Egeria ell’è, che in man recando Il non ben noto a lei volume usato, Forse con altro Numa al fonte appresso D’ arcane cose a ragionar qui venne . Del giocator Mercurio e in un d’Astrèa Filen seguace, poi che molta notte Al.tavolier consunse , ed il molt’ oro In pochi dì raccolto ivi disperse, A dissipar la bile e il tetro umore Anch' ei quì muove ; a coricarsi poi 3o Andrà men tristo , è invan sarà che al Fore L’importuno cliente oggi l’attenda . Silvio loqaace , seccator solenne , Sento da lungi: benchè ognun lui fugga , Ei tutti assal co’ vuoti detti , a tutti Fa vuote inchieste ; e se nessun l’ascolta, Parla con se, parla coi tronchi, i sassi . . . ..; E or l’arse fauci a ristorar s’ affretta . Lidia che il mezzo del vital cammino Di già trascorse, nè parer vuol meno Giovine e bella, poi che in vigil scranna Passò la notte a non turbar del volto E de la chioma il magistero arcano, Che breve tempo a ricompor non basta , Qui anch’ ella a far mostra di se pomposa Recasi, e a ber dolce degli anni obblìo. Ma ov’ è l’altero incantator Narciso, Sospir di cento Belle, e specchio e norma Di giorinetti Eroi? Di sua presenza Il teatro frodar non volle, e poche Ore al sonno concesse, ei tardo appare, Ma caro più, più desiato; e scarse Saran forse quest’onde a tanti ardori , Anch’ei Filandro d' Esculapio alunno, Di doppia lente il grave ciglio armato Qui solingo passeggia, e con amaro Sorriso spregiator guata e compiange La incauta gente che in queste acque ardisce Senza l’oracol suo cercar salute. La fredda sposa che fidar non volle Or sola ai muti abbandonati lari, Sonnacchiosa ed invita al braccio appesa Qui geloso Artemon seco strascina , Come al fonte d’Ardenna , a ber l’amore. Ma dove a un tratto volge ognun lo sguardo? Auspice Dea del loco, ecco la bella Dal colto ingegno graziosa Clori, Di placido somier premendo il dorso Del gentil pondo glorìoso e baldo . Schiudendo il passo a lei ciascun, vagheggia L’amabil viso, i dolci lumi , il labbro, E fausta le desia quest onda. Oh quanti De l’ orecchiuto portator rivali Con lui comune anco vorrian la forma ! Alfin pur veggo il sì bramato loco, Delizia un tempo al cittadino e cura, Negletta or di villan stanza e di fiere: Veggo la oscura sotterranea volta Albergo fatta di notturni augelli , Gli archi, i pilastri, e le marmoree conche Del portico vetusto ove i Maggiori, Più providi al bisogno e meno al fasto, In copia accolser le pure acque un giorno . Ma barbarica man, siccome è grido, Disperse i larghi rivi, ed or sol una Angusta fonte il chiaro umor dispensa. Io vi saluto, di quest’ onda amica Ninfe custodi, e voi propizie prego A la turba devota. Ah non v' incresca S’ ella per poco il solitario orrore Ed il silenzio garrula interrompa Di questi a voi sacri recessi antichi, "Ve a regnar forse torneran ben tosto, E sol talora dal pastor tarbati Che qui l’armento a dissetar conduca . Per ardua scala giù discesa a stento Oh quanta or qui schiera s’ aduna e ferve Di bevitor bramosi! Ognun la destra Di lucente cristallo empie, e s’ avanza E preme ed urta: e chi sdrucciola e cade, E chi le vesti e il piè, chi ‘| volto bagna: E tutto cresce la letizia e il riso. Or chi sarà cke a la leggiadra Clori, Che in disparte si stà, del chiaro umore Colmi il nappo odorato, e ad essa il porga Vezzosamente in atto ? Oh lui felice Più del Frigio garzon ministro a Giove! Ma tre fiate ancor più lieto e quattro, S’' ella da poi che alcun sorso ne trasse, A lui pregante di bear conceda L’ avide labbra su quel nappo istesso! Mentre a l’ opposto lato in van cortese Il bicchier non ambito a molti offerse La non più vaga nonilustre Argene . 32 Ma già ciascun de la purissim’ onda Bebbe e ribebbe largamente , e tutte Le passeggiate vie stancò d’ intorno . Ecco già il Sol del vicin colle indora Le verdi cime , e i primi raggi spande, Che forse mai non vider pria le belle Emule Dive e i. giovanetti Eroi, Egli ‘imperar vuol solo , e lor già strigne Co la temuta sferza a partir ratti, E ricovrar ne le difese mura, Ivi a riprender gl’ interrotti sonni , E quei protrar fin ch’ ei su l’arduo cocchio In pien meriggio folgoreggi e bolla . —x——tktTd e TTTY ySyvyV[yvyv=>WT](QKT]U[]TTZTZT[E:Tu Opinione dell’ Abate Guillon sul metodo di reciproco insegnamento. Lettera al Direttore dell’ Antologia. L’ insegnamento reciproco non ha oggimai più detrattori fra noi : ma poichè il vostro accreditato giornale è destinato alla propagazione delle utili dottrine, vorreste voi compiacervi di far conoscere un glorioso trionfo di quel metodo, desunto da un rapporto inserito nel Giornale di Educazione , che si stam- pa a Parigi, e che vi accludo ridotto nel nostro idioma? »» L’ Abate Guillon Ispettore dell’ Accademia di parigi, Professore di eloquenza sacra nella facoltà di Teologia , Ca- nonico onorario della Cattedrale di Nostra Donna, Predica- tore ordinario der Re, ec. ,, Sopra l' Istituzione di M; Morin. 1 Le nuove incombeuse impostemi da S. E. il Gran Maestro dell’ Università, mi hanno richiamato all’ispezione dell’ istita- zione del primo e secondo circondario della capitale, e conse- guentemente ho dovuto procedere ad una indagine più scru- polosa sopra quelle le quali mi venivano indicate, come aventi dei metodi opposti a quelli dei nostri collegi ,, » Mi sono perciò recato più volte a osservare quella di M, | 33 Morin stabilita da vari anni nella strada di Luigi il Grande, sotto nome d'insegnamento reciproco. La prima visita ebbe luo- go nel mese di novembre ultimo decorso: io vi giunsi improv- viso. Fino a quel giorno ne aveva un’ idea assai vaga, e debbo confessarlo, la mia prevenzione contro il metodo usato in quello stabilimento era già pubblicamente conosciuta: la sua sola no- vità me l’avea reso sospetto. ,, », La lezione incominciò verso il mezzo dì, e alle ore quat- tro non era per anche terminata. L’ interesse e la varietà de- gli esercizi tenner viva costantemente l’attenzione degli alunni. Dei gruppi di fanciulli, dall’ età di sette anni fino a quella di dodici, comparivano successivamente (1): l’ ordine il più perfetto era mantenuto nelle loro evoluzioni, la serenità si pingeva sui loro volti, e la modestia del contegno andava del pari colla fran- chezza dei loro movimenti. Ciascuno di essi aveva da rispondere sopra dei lunghi testi di autori latini presi all’azzardo. Io ho veduto codesti fanciulli tradurre dal latino in francese con una precisione e prontezza veramente sorprendente: gli ho veduti u- sare degl’istessi principii per tradurre delle frasi greche e ren- dere conto mercè dell'analisi grammaticale di tutte le parti del discorso, con una intelligenza e sicurezza di memoria da non lasciar dubbio sulle loro cognizioni abituali dei principii della lingua e delle regole della sintassi, che sono essi accostumati a ridurre alle combinazioni le più semplici e le più feconde. Jo mi richiamava alla memoria l’epoca della mia vita in cui avea dovuti subire l’ istessi esperimenti, e ben mi ricordo, era ben lungi dal sostenerli con. egual fortuna. Perchè mai una tal differenza ? forse che i fanciulli oggidì nascono con disposi- zioni più felici di quelli delle passate generazioni, ovvero il metodo di M. Morinè superioreagli antichi? la risposta a questo dilemma è sulla labbra di tutti. AI mio particolar sentimento aggiungerò la ri- spettabile opinione di M. Ordinaire, per ricompensare i di cui meriti, S. E. il gran maestro dell'università creò l'importante carica d’ispettore dei metodi. Ha detto questi in un suo rappor- to —,, il metodo d'insegnamento reciproco adottato dall’ abile grammatico (M. Morin) è tale, che al merito della chiarezza e della semplicità unisce il vantaggio di non impiegare che degli elementi già conosciuti da un lungo uso, e le di cui parti sono sì bene coordinate fra loro, ed esercitano le une sulle altre una (1) Questa nen è una scuola elementare, ma il metodo d' insegnamento è reciproco, T. XIX. Settembre 3 34 dipendenza sì esatta, che è egualmente facile l’ abbracciarne il complesso , che il seguirne le diverse ramificazioni — .,, ,; Ho esaminato lo stabilimento in tutti i particolari che si ri- feriscono alla religione, alla morale, all’ insegnamento , e mi sono convinto esser tutto conforme ai desideri degli uomini dabbene. Perchè dunque un metodo giustificato da esperienze cotanto deci- sive, non sarà egli applicato a delle coguizioni anche più sublimi ? Gli studi elementari di calligrafia, di disegno, inclusivamente di carte geografiche, vi sono condotti con eguale attenzione e felicità. Io mi compiaccio di rendere testimonianza ai padri di famiglia, egualmente che al savio istitatore, di essermi accertato che gli alunni di quello stabilimento si distinguono sopra quelli delle altre case di educa- zione per l’assiduità agli esercizi religiosi delle loro parrocchie, e pel raccoglimento che mostrano nelle pratiche di pietà. Ecco de. scritto quanto ho veduto coi miei propri occhi : chi ha fior di senno comprenderà facilmente le conseguenze felici di una tale educa- zione. ;, Dalla Sorbona li 28 febbraio 1825. Ecco adunque vendicato il metodo non solo dalle rancide accuse di antisociale, ma ancora da quelle, apparentemente più spe- ‘ciose, di non essere adattabile che agli studi i più elementari. InbT. ———€<———————rc e“ “ ©‘*é"é*©*EF*+>T,_ T©Trrrrr————__riii— Lettera intorno ad alcune nuove scoperte e pratiche ap- plicate all’arte dell’intaglio e dell’impressione, al No- bil Sig. Cavaliere Ramirez pi MontALvO sotto Diret- tore dell’ Imperial Galleria di S. A. I. il Gran-Duca di Toscana . Io non intendo retribuire i frequenti tratti di cortesia ‘con cui avete, o Signore, corrisposto a molte mie ricerche in più epoche esternatevi intorno le cose dell’ arte che sì ben conoscete , e con tanto zelo dirigete in questa Im- perial Galleria, se vi indirizzo le mie osservazioni rela- tive a metodi recentissimi che in materia d’ impressione e d’intaglio si sono divulgati. Ma più particolarmente in- tendo darvi ciò che a miglior dritto vi spetta, intratte- nendovi su di quelle cose che formano una particolar vo- stra delizia, che sono oggetto de’ vostri nobilissimi studi, 35 e vi rammenterò così come io non viva dimentico delle tante ‘ricerche vostre, e cure, ed opera per illustrare, aumen- tare ,'/e rendere sempre a maggior pubblica utilità il Ga- binetto delle stampe in questa Galleria di Firenze, che debbe la sua ordinanza , il suo aumento, il suo lustro alle estesissime vostre cognizioni, e alle vostre fatiche . Sembra, poter notarsi una combinazione ben singolare in proposito delle arti dell’ imitazione , per la quale, a compensar- le in questa età nostra di qualche grado di deterioramento, in ciò che dipende dalla forza del genio sublime e delle circostan- ze mutate che le produssero e le spinsero negli aurei secoli al massime incremento , ricevono però ogni giorno ben grandi sus- sidii nella pratica delle medesime, per opera delle scienze adiu- trici, che accorrono di continuo con nuove ed utilissime scoperte a render più facile il loro andamento e. più spedite le loro mec- caniche . Gli scultori, che erano astretti per lo addietro a spremere il sudor dalla fronte, e con quello attenuare la vita digros- sando i macigni, poichè non esistevano od erano con incertez- za applicati, i mezzi meccanici mediante i quali affidare la prima , lenta, ed orribil fatica con sicurezza a braccia secon- darie, trovarono nella mattematica un conforto per |’ applica- zione di facili strumenti, i quali colla medesima esattezza che dai. pantografi si tracciano le figure sui piani, guidando le dif- ferenze del calcolo in tutte le profondità , assicurano | ope- ra del rilievo con quella invariabile evidenza , il difetto della quale fece al Bonarroti mancar talvolta d’ insieme i suoi mar- mi, a fronte della maggior perfezione de’ suoi disegni e dei suoi modelli , e lo commise pur anche all’ inimitabile ardimento di porre lo scarpello sù d’ un macigno non atto forse a tutta 1° estensione del sno concetto . L’ artefice. di cui compiangiamo la perdita , che tanto le- yò.in onore l’ Italia ed il mondo, sommo non saprebbesi qua- si. dire se più pel cuore o per l’ingeguo , non dovette for- se.al difetto di tali sussidii attribuire |’ origine di quelle soffe- ‘renze. fisiche che il condussero. poi a lento deperimento , le quali. provenivano dall’ aver , mancato di questi mezzi nell’ età giovanile , sebbene egli stesso avesse poi preparato a chi ve- niva dopo di lui doviziosi soccorsi di cui fu privo nel mag- gior uopo ? 36 . E moltissimi fors’ anche non sono gli ajuti che la fîsica predispone per quel magico effetto, che stemperato dai colori sulle tavole , gli augelli non più ma gli uomini illuder tenta con ar- tificiosissimo magistero? La proteiforme natura apparente che nel crogiolo del chimico presentano le sostanze metalliche , e .l’ ar- tificio con cui le frali materie del regno animale e del vege- tabile vengono raccomandate alla resistenza delle sostanze cal- cari, con quelle associandole e difendendole così dalle inevi- tabili ‘azioni dell’ aria e della luce ; e se non togliendo del tutto, per certo ritardando di molto il loro decomponimento , sono questi possenti soccorsi , convien confessarlo , che le scien- ze prestano tutto giorno agli artisti: se non che riesce pur tanto inesplicabile, in proposito di questi non mai abbastanza lo- dati artifici, come malgrado tanti sussidii, tanta bellezza e splen- dore delle materie prime , preparate sulla tavolozza dagli ar- tisti moderni, sia. poi tanto inferiore il loro merito nella fu- sion dei colori sulle tavole e sulle tele, che di gran lunga son vinte dalla trasparenza soavissima, e dall’armonico pennello de- gli antichi maestri , i quali furono assai meno assistiti dei mo- derni, e trionfano tuttora assai più per la beltà vera, che per la ricchezza fittizia delle Elene da loro dipinte. La qual va- ghezza in specie de’ pennelli veneziani ha fatto credere falsa- mente che vi fosse un arcano riservato ai maestri di questa scuola, e in special modo a Tiziano, mentre non solo alcuni preziosi abbozzi, ma l’ analisi anche delle antiche pittare di questa scuola, dimostrano non esservi stato alcun singolare ar- tificio, il quale ove avesse realmente esistito, non poteva per certo perdersi, (che fra quei tempi e gli odierni non è inter- posta già lacuna di secoli barbari e oscuri ), e per tradizione sarebbe’ a noi giunto di maestro in scolare, di padre in fi- glio. Ed è ancora più singolare che la recente pretesa sco- perta di questo segreto sia stata nel 1821 pubblicata in Lon- dra, da una gentil signora autrice d’ un volume dedicato alla Maestà Reale, nel quale tentò di far credere, non si saprebbe con qual ragione , che il lavoro di pennello sulle tavole e le tele de’ veneziani sia rimasto splendente, poichè avanti di es- sere colorito all’ olio veniva predisposto ‘a secco con polverosi pastelli. Alle quali indagini tatte sembra risponder meglio ciò che era solito rispondere Tiziano stesso a chi'gli chiedeva ra- gione di tanta vaghezza, e penetrar cercava nel segreto delle sue mestiche, che i suoi segreti stavano tutti nella bottega del Coloraro . 37 E ben a lungo si potrebbe disgorrere sull'argomento de’sus- sidii prestati dalle scienze alle arti, se i moltiplici giochi delle lenti e degli specchi si volessero qui ricordare , pei quali le viste prospettiche si concentrano in tante guise e proporzioni, distinte per colore e per forma in angustia di spazio, e pre- parano così bellamente i piacevoli inganni dell’ ottica ; inganni che restituiti dall’ arte del disegno, e mutuamente riconsegnati alle fisiche speculazioni, riproducono nuove e sorprendénti com- binazioni ed effetti, cosicchè sopraffatta l’immaginazione nei Pa- norami, nei Diorami, nei Cosmorami, rimane incerta per la complicazione di queste illusioni a quale degli ingannevoli ar- tificii, se della scienza o dell’arte, esser debitrice del fascino di tanta sorpresa . Oggetto però più particolare di queste ricerche è il get- tare uno sguardo sull'arte dell’intaglio , che prendendo le mosse bambina dai finissimi nielli del Finiguerra , sì giustamente da voi sig. Cavaliere vendicato, dal Botticelli, dal Baldini, e in se- guito da quegli altri sommi uomini che la recarono per tutto il mondo a trionfare delle ingiurie del tempo, col moltiplicare le invenzioni de’ gran luminari delle arli, giunse a noi lussu- reggiante con perfetti ed arditi lavori: e se le età precedenti andarono superbe dei Raimondi, dei Dureri, degli Edelink, dei Masson, dei Nanteuil, dei Callotti, le moderne non riescirono men chiare pei Voolet, i Bartolozzi, i Muller, i Morghen, i Gan- dolfi, i Bervick, i Toschi, i Longhi, i Pinelli, e per tanti altri che potranno forse condurla a più alto grado di perfezione, se nel confine degli umani mezzi rimane ancor forza o distanza oltre cui spingersi in questo artificiosissimo magistero . Infino a questo momento li materiali che servirono a mol- tiplicare le stampe, cioè il rame ed il legno, furono adoperati con opposta maniera ; il primo presentando sulla sua superficie l’oggetto a forza di solchi, il secondo offrendo in rilievo tutto ciò che prima venne tracciato dalla penna sul piano della ta- vola levigata, cosicchè una gagliarda pressione fra grossi cilindri ottiene lo stesso effetto per la lamina, che una più mite pres- sione alla maniera de’ caratteri a stampa produce l'incisione in legno. L'uno e l’altro però, sempre faticoso lavoro, è abbiso- gnevole di pratiche, di artificii, di meccanismi più o meno dif- ficili e lenti per ottenere il suo effetto. Ma non parve abbastanza spedito e facile il moltiplicare questi lavori co’ due metodi indicati, che di recente investiga- tesi altre maniere, si volle supplire alle difficoltà ed alla len- 38 tezza inseparabile da simili lavori, col trovare un materiale su di cui tracciato il disegno a bella prima colla matita 0. col- la penna, venisse a riprodursi sui fogli l’ identico originale , senz’ altra operazione , e in numero copioso di esemplari . Si credette da prima che questa scoperta divenir potesse una ri- vale dell’ intaglio in rame , quando fattone un esame diligen- te e imparziale vedrassi non esserlo neppure dell’ intaglio in legno ; ma non cessa per questo di offrire immensi avvantaggi ad alcune pratiche dell’arte, e lasciandola nel luogo che dalla natura e dall’indole de’suoi artificii le viene assegnato , non sarà improprio il fare su di questa alcuni riflessi. Fino dal 181. in Monaco , il sig. Luigi Senefelder aveva prodotto il suo modo d’incisione , o per meglio dire di stam- pe ; chiamato prima polyantografia dal moltiplicare il disegno, indi litografia per meglio esprimere l'esecuzione di questo di- segno sulla pietra; e vuolsi che una tale scoperta si dovesse a un botanico che ne usava per moltiplicare alcune figure di piante : sebbene, come si è in molti casi osservato, accada ,che le stesse circostanze producendo li medesimi effetti in più luoghi e in più tempi, si ottengono con pari originalità moltiplici diritti alle palme dell'invenzione. Difatti nella nuova edizione dello specchio della lingua Mandchoue pubblicato nel 1772; per ordine del- }’ Imperatore della China Kian-Loung; trovansi due squarci che dimostrano evidentemente come anche prima di quest’ epoca i Cinesi usavano la litografia, venend» dall’autore iodicati due luo- ghi, l'uno ove si tracciano sulle pietre li fac simile in grandi e piccoli caratteri degli editti imperiali, e l altro ove si spal- mano di nero le pietre sulle quali sono impressi questi ordi- ni dell’ Imperatore , e stampansi in carta bianca (1). Potrebbe anche aggiugnersi che le macchinette le quali ser- vono a moltiplicare la scrittura , ove impiegasi un inchiostro preparato a tal uopo, producono un quasi egual risultato; poi- chè dopo aver coperta di scritto una pagina, quand’ anche non piacesse calcarla su d’un foglio trasparente, per leggerne così il contenuto da tergo ritornando in tal modo lo scritto al suo ver- so, può facilmente venir surrogato ad un secondo foglio qual siasi anche un terzo , moltiplicando in tal guisa lo scritto, che dal secondo foglio in cui si vedeva impresso a rovescio ritorna poi diritto nel terzo, se non che alquanto più languido , al mo- do dei controcalchi delle stampe in rame, Questo già debbe aver (1) Annales des Voyages par Malte-Brun, 3. année 1821 p. 195. 39 chiaramente dimostrato, che l’impiego d’un materiale più adat- tato avrebbe resi egualmente facili a moltiplicarsi i disegni. e gli scritti in maggior numero. Infatti il sig. Senefelder ben co- noscendo gli avantaggi della sua scoperta, e la qualità del suo materiale, ne rese chiara e preziosa l’ importanza, scrivendo col- l' inchiostro da lui preparato; non sulla pietra da prima; ma so- pra la carta, e da questa poi trasportandolo a rovescio sulla pie- tra nè derivò il modo per cui gl’incisori possono evitare l’enorme imbarazzo di scrivere a rovescio, e si offrì in tal guisa un mezzo assai più esatto e sicuro per moltiplicare quelle imitazioni della scrittura che sono dette fac simile. Questa maniera di tracciare sulla pietra i disegni mediante un inchiostro grasso e composto di sego, sapone, gomma lacca, e nero di fumo fù immediatamente conosciuta utilissima per ogni sorta di tabelle, di compartimenti, di scritture, di note musicali ; e siamo poi debitori al sig. Miterer, parimente di Monaco, della seconda invenzione veramente preziosa, di aver trovata cioè una composizione equivalente alla matita, mediante la quale colle sostanze grasse può esser tracciato sulla pietra un disegno come se fosse eseguito con pastello di Francia sopra la carta, da cui può trarsi sufficiente numero di copie senza che perdano punto l’ originalità primitiva. Questa matita semplicissima non d’ altro è formata che di cera vergine, sapone, e nero di fumo. Ciò conosciuto ognuno vede chiaramente che servendosi della pietra calcare di grana finissima, e rendendola perfettamente pia- na e levigata, quando si ottenga di ridurla capace a repellere l’ inchiostro da stampa in ogni sua parte, eccetto nei luoghi ove è tracciato il disegno col nero o colla matita grassa, 1’ inchio- stro da stamperia, che è parimente oleoso, applicatovi poi con mazza da stampatore , o cilindro, non attaccasi più che sui contorni ; e sulla granellatura del disegno. Questa repulsione dell’ inchiostro da stampa della pietra ove rimane scoperta, ot- tiensi assai facilmente mediante gli acidi, che rendendo porosa e suscettibile a ricevere |’ umidità tutta quella parte e quegli intervalli che sono bianchi; ogni qualvolta si mantenga bagnata d’acqua , l’inchiostro da stampa non può per conseguenza at- taccarsi. che ai medesimi segni fatti dalla penna o dalla matita grassa con cui è affine, ed è ripulso dall’ umidità su tatto il restante della superficie. Siccome poi questa parte umida della pietra rimane an- che d’alquanto incavata e più bassa pel principio corrosivo del- 40 l’acido, oltre al mantenere per tal mezzo una maggiore affinità coll’ umido , ne risultano gli stessi avvantaggi appunto delle in- cisioni in legno, le quali si moltiplicano a motivo che tutti li tratti del disegno rimangono rilevati sul piano della tavola, e restando incavata la parte dei vuoti destinata a rappresentare i lumi, non riceve per conseguenza neppure l’inchiostro da stampa. Questi sono i principii fondamentali pei quali si spiega in- teramente il metodo della litografia, noti ormai in ogni parte , e fatti di pubblica ragione. Vennero a ciò fatte alcune mo- dificazioni apparenti per sostituire alla pietra calcare altre pre- parazioni artificiali, e cartoni, e carte persino: siccome ora più particolarmente , pel suo minor costo, vedesi sostituire lo zinco al rame, e alla pietra medesima, le quali cose tutte vennero immaginate per cogliere il possibile avvantaggio col risparmio di prezzo e di spazio nei materiali : ma ciò in nulla altera il sistema , e le combinazioni rimangono sempre le stesse. Le copie di varii disegni preziosi d’ Alberto Durero, e di altri lavori distinti che rendono insigne la R. Galleria di Mo- naco, cominciarono a far conoscere quanta utilità le arti at- tender potevano da questa scoperta. In Francia e in Inghilterra ne farono rapidamente divulgati i successi ed il metodo, e nel magazzino filosofico del Dottor Tilloch ne fa resa amplissima testimonianza; ed oltre al volume dello stesso suo primo inven- tore , il sig. Senefelder , pubblicato a Parigi nel 1819, il sig. Wollwiler in Londra pubblicò uno speciment of Polyantography ricco di disegni d’ ogni maniera ; siccome diffusamente tutti i giornali d'Europa enunciarono questa scoperta con un apparato di speranze ben seducente , e convennero concordemente , che il metodo dipendeva dalle affinità e dalle repulsioni fra loro dei materiali impiegati , dalla facilità colla quale l’ acqua im- beve la superficie delle pietre calcari compatte, senza contrarre con queste un’ aderenza completa, dall’adesione che provano i corpi grassi e resinosi sulla superficie di queste pietre, e ‘dal- l’ affinità che tra loro conservano i corpi grassi della stessa na- tura, e l’antipatia loro per ogni sorta di umidità. Dalle quali cose fù conosciuto risultare ; che un tratto segnato dal fluido o dalla matita grassa sulla pietra, non può esservi cancellato se non con estrema difficoltà fino quasi al deperimento della stessa sua superficie ; che in tutti i luoghi ove la pietra non è co- perta da questi tratti assorbe avidamente e conserva l umi- dità, e che passando su tutta l’estensione della pietra un lar- 41 go strato di materia o di tinta oleosa, non attaccasi questa che ai luoghi marcati dall’ inchiostro grasso, mentre è ripulsa da tutte le parti inumidite. Resosi universale questo metodo dì moltiplicare, sia la scrit- tura, sia qualunque disegno , non tanto per la facilità del- l’eseguire quanto pel minor prezzo del materiale , successe ciò che in simili casi suol sempre accadere, che se ne magpifica- rono talmente i risultamenti, fino al credere che la litografia potesse rivaleggiare coll’ arte dell’ intaglio. Sulla qual cosa però non presero abbaglio tutti coloro che la giudicarono ottima per ogni impressione di fac simile, di . tabelle, di musica; eccellente per tutti gli studi elementari che abbisognano con rapida e poco dispendiosa esecuzione di veder moltiplicate alcune stampe dimostrative; assai propria per le scienze i cui libri abbisognano egualmente di dimostrazioni figurate; la dissero buonissima pei tocchi magistrali e pel fuo- co necessario a mantenersi in ogni composizione estemporanea, che dal tormento lentissimo dei ferri riceve sovente, con molta lucentezza e lindara, un’impronta di ghiaccio , e ciò special- mente se in luogo di penna adoprisi la matita a larghi tocchi. Nè l’arte dell’ intaglio forse arriverebbe mai, in prova di quan- to è qui indicato, a conservare altrettanto calore quanto se ne osserva nei cavalli impressi a matita litografica dal sig. Orazio Vernet a Parigi, e negli studi di paesaggio che in piccol nu- mero ha pubblicato a delizia degli artisti in Roma il celebre sig. Voogd. Ma difficilmente può ottenersi un'armonia genera- le e costante in un lavoro finito, e più difficilmente una lu- centezza di tratti che equivalgano al taglio o alla punta sec- ca: e non è possibile che possa togliersi dai lavori molto fi- niti un non sò qual aspetto di lana o di bombace , che ne. vela tutta la superficie e attenna di molto la vaghezza del lavoro. È bensì vero che vanno più esenti da questo annebbiamento ì lavori fatti colla penna di acciaio; ma si chiamino in testi- monio tutti coloro, che accostumati a trattare la penna animale deggioro sostituire quella di metallo , e dicano se possono usar- ne con vivacità di tratto , e facilità nell’ incrociamento de’ se- gni, e se non riesce a loro timido e secco il tratteggiare con un fluido grasso piuttosto che coll’ inchiostro umido e scorre- vole. L’ incertezza di questi tratti più visibilmente si scorge nelle opere architettoniche , ove l’ eguaglianza degli andamenti rettilinei e sottili diventa d’ un’estrema difficoltà per 1° esecuzione ; e suscettibile a disvelare tutte le imperfezioni dell'impressiane. 42 L'eleganza, la precisione, la finezza dei tratti coi quali ‘a semplici contorni vengono da molti artefici , e singolarmente dal sig. Lasinio, intagliati alcuni soggetti con tanta intelligenza, di- venta presso che ineseguibile sulla pietra, o riescirebbe molto scarso il numero d’ esemplari nei quali il contorno non fosse interrotto, o sbavato in forza dei difetti dell’ impressione ; la quale mancanza di successo non può attribuirsi che alla mag- gior fermezza della punta sul rame, impossibile ad ottenersi dalla penna sulla pietra. E deducendo dalle pratiche, oltre che dalle teorie, argomen- to che questo metodo non può, pareggiare giammai i tratti del- l’acqua forte, i soli che con gran successo furono sostituiti alla penna , basti il considerare che quel Pinelli romano, mostro d’ingegno che non ha pari nell’improvisare un soggetto magi- stralmente sulla lamina di rame, senza talvolta neppur tracciarne il disegno, malgrado che sarebbegli grato per certo il rispar- mio de’ materiali, ove giudicasse preferibile la pietra , nondimeno egli non osò di sostituir mai una pietra ad una lamina, e nol farebbe che nel caso di imitar la matita ; poichè il tratto suo ve- loce e spiritoso di penna, o di punta che voglia dirsi, sul rame, non imitasi con gusto e con brio , e con pari celerità con fluido oleoso sulla pietra; e molto minor numero trarrebbe d’ esem- plari che dalle lamme di rame egli non cava, per servire al de- siderio di tutti gli amatori e di tutti gli artisti, di recare da Ro- ma coi fatti dell’antica istoria, o coi moderni costumi di quei popoli, da lui intagliati valorosamente, anche un saggio dell’ arte vivente. E per la conoscenza pratica che di ambo i metodi si è fatta, è dimostrato che occorrerebbe più tempo per tratteggiare in pietra colla penna d’ acciaio una di quelle composizioni, che non esige lo stesso lavoro sulla vernice, che la varietà dei segni, la fermezza, la lucentezza, la quale sì prontamente acquistasi e conservasi sul rame, non può in alcun altro modo con egual successo ottenersi. Ma deve più particolarmente osservarsi, che ove si tratti di condurre litograficamente un’ opera finita , tolta da qualche gran composizione disegnata o dipinta , ove la concentrazione de'lami importi per conseguenza masse d’ ombre gradatamente od equa- bilmente distribuite, è immensamente scarso il numero d’ esem- plari ove non sia necessario 1’ emendare a manovi difetti e i vuoti di tinta, che risultano dall’ ineguaglianza di pressione , o dalla distribuzione dell’ inchiostro difficilissima a ottenersi nelle parti oscure, conservando la dolcezza dei passaggi nelle mezze 43 tinte. Si milantarono nel principio che si rese pubblica la sco- perta gli esemplari a migliaia copiosi, ma in sostanza a ben po- che centinaia riduconsi, e quando piaccia confessarlo sinceramen- te, il numero delle stampe importanti che dopo la loro impres- sione non abbisognino di ritocchi, si riduce a qualche dozzina. Intorno alla qual cosa crediamo poter qui produrre due argo- menti invincibili dell’imperfezione del metodo , che spiegano una parte degli irreparabili difetti di questa maniera d’impres- sioni; argomenti che ci sembra non essere fin qui stati esposti . dagli scrittori su questo soggetto. Il primo è quello che le parti oscure della litografia deg- giono inevitabilmente presentare un solo ed egual valore di tin- ta, e per conseguenza un’ invincibile monotonia, simile affatto alle masse oscure delle incisioni in leguo. Ognuno sa che nel- l’intaglio in rame il bulino solca più o meno profondamente , e nelle parti oscure vi entra talvolta il taglio ad una estrema profondità , attraverso ad altri tagli minori, producendo in tal modo una varietà e gradazione di effetti e di coutrasti, ai quali non è dato il supplire altrimenti: ed allorquando lo «tampatore fa entrare col palmo della mano nei solchi la tinta per tirare una stampa, questa tinta non può nè deve essere in egual misura di- stribuita in tutti li tagli, ma li più profondi, ricevendone più abbondantemente , lasciano per conseguenza anche sut foglio una copia assai maggiore di nero che non lasciano i tagli sottili e leggieri; cosicchè vedesi in una stampa di prima freschezza che la tinta negli oscuri più profondi rendesi sensibile pel suo ri- lievo non che allo sguardo, al tatto medesimo. Il quale effetto non è lusinga di ottener mai ip un'opera di litografia, che im- prime le parti oscure in ragione di sola superncie, e mai di pro» fondità. In secondo luogo, siccome l’ impressione di questi lavori non può farsi senza. pressione, e questa pressione si esercita sulle parti rilevate dalla grossezza dei segni della penna o della ma- tita, resi ancora più rilevati o sensibili per l’ acido che ha d' alquanto incavati i lumi, e tutte le parti chiare, e per la tin- ta che dalle masse vien sopraposta al disegno, così la com- pressione continuata di questo lavoro formato da una materia tenera come l’inchiostro grasso , non può a meno di non an- darlo schiacciando ; e dal toglierli la sua freschezza originaria, ne deriva poi quello shavato, quel lanoso, quella nebbia gene- rale che non può eliminarsi da simili opere. Aggiungasi inoltre che in una lamina di rame lo stampa» 44 tore pone la tinta sù tutta la parte lucida , e col palmo della mano facendola a poco a poco entrare in tutti i solchi, tra- guardando il suo lavoro, non solo si assicura che i tagli siano tutti pieni di nero, che a meno di un’ estrema negligenza non può mancare di distribuirlo egualmente per tutto , ma de- terge nel tempo stesso le parti lucide e chiare, cosicchè non resta mai annebbiato o confaso il valore dei lumi con quello delle mezze tinte: e al contrario lo stampatore della litografia pren- dendo li mazzi imbevuti di tinta, li stende e li preme sulla pietra già prima coperta di segni neri d’ una materia grassa e conforme, nè facilmente può accorgersi se il nuovo nero si è attaccato al primo, e spesso in tal modo succede che la stampa risalta da una parte saturata di tinta, mentre rimane dall’ altra debolissima e sparuta; dal che ne viene quel numero infinito d’ esemplari abbisognevoli di ritocchi affine di emendare una incompatibile imperfezione: oltre di che accade assai facilmente allo stampatore delle litografie di sporcare coi cilindri o coi mazzi le parti chiare senza avvedersene per la minima eva- porazione dell’ umido in stagione calda , o per qualunque delle tante avvertenze che sia perduta di mira, le quali rendono così complicata l'impressione di queste stampe. Sembra con ciò spiegarsi come alcuni lavori non potendosi ottenere che in piccol numero d’ esemplari senza difetti, od es- sendo di qualche dispendio il correggerli, il prezzo poi delle ope- re cessa di esser sì tenue come pareva fin dal principio che la scoperta venne enunciata. — fi certo che gli elementi del dise- gno, magistralmente intagliati da Annibale Caraccio, moltiplicati a migliaia d’esemplari, anzi fino alla total consumazione delle lamine, costavano meno che non si vendono oggi altrettante ta- vole elementari col nuovo metodo, le quali sono inseparabili dagli inconvenienti indicati: che quand’ anche si vogliano ripe- tere su pietre artificiali o cartoni litografici, sempre sarà più» tenue che non si crede il numero delle copie, e scarsissimo quello degli esemplari non difettosi. Nè qui abbiamo enumerato la folla degli inconvenienti che emergono ad ogni istante, mettendo a prova la pazienza di chi prende a trattare questo metodo, a fine di superare l’ uno o l’altro ostacolo che deriva dalla complicazione del meccanismo o dalla imperfezione de’ materiali , giacchè la menoma svista in- fluisce considerabilmente pell’effetto di un lavoro che sia stato eseguito con lenta cura e diligente artificio per imitare un’ opera di rimarco, non già pei lavori pittoreschi ai quali sembra riser- 45 varsi esclusivamente la litografia. E sempre sarà notato a van- taggio il poter moltiplicarsi per via di calchi e controcalchi le pietre e i cartoni litografici, onde poter tirare un maggior nu- mero di copie della stessa impressione : ma non si speri ottener- Jo però senza gravi difetti nei lavori di fina esecuzione , e di gran- di masse ombreggiate. Parve però che a molti degli inconvenienti inseparabili da questo modo di impressione tendesse a riparare una più recen- te ed importantissima scoperta fattasi in Inghilterra dai signo- ri Perkins e Fairmans, i quali servendosi del più utile def metalli, di quello a cui l’arte edificatoria oggi tributa le pri- me sue cure, e va debitrice a lui de’ successì più imponenti nelle strade, nei ponti, e in tutte le costruzioni del più inge- gnoso ardimento , vogliam dire del Ferro, abbiano reso con que- sto ritrovato un servigio alle arti e al commercio della più decisiva importanza. Le molte difficoltà che fa mestieri di superare in queste esperienze, oltre al disvelare un sommo grado d’ingegno e di persistenza , formar dovranno per certo un’epoca importante nel- la' storia dell’ arte: la quale scoperta, quand’ anche si volesse ri- guardare di un interesse secondario per l’ arte dell’ intaglio , può sempre divenire della più alta importanza col prevenire il gran- de ed ognor crescente delitto della falsificazione . Crediamo dover prevenire in questo luogo, che sebbene an- che negli antichi tempi siasi da alcuni maestri dell’arte prodot- ta a guisa di tentativo qualche incisione sul ferro od altro me- tallo , ciò avvenne col mezzo dell’ acqua forte soltanto , e. con pochissima riescita, come lo attestano le cinque stampe in fer- ro , e le tre in istagno che si enumerano nelle opere di Alberto Darero. L’odierna scoperta consiste nel modo di render l’accia- jo duttile e molle quanto l’ oro ed il rame, ritornandolo poi senza la menoma alterazione di forma alla massima durezza do- ‘po esser stato intagliato. L’incisore riceve dalle mani del sig. Perkins una laminetta d’ acciajo resa molle e adattata ad essere intagliata a bulino con quel maggior grado di finezza e di faci- lità a cui sia mai pervenuto il più fino intaglio sul rame. Com- piuto il lavoro, e restituita la lamina incisa al sig. Perkins, egli non solo ritorna l’acciajo alla primitiva durezza originaria, ma lo rende della più rigida tempra di cui sia suscettibile questo metallo. E già per questa sola operazione risulterebbe a prima vista il grande avvantaggio, che in luogo di tirare duemila esem- ‘plari a cui forse pervenir potrebbe una lamina di rame, n€ 46 possono esser tirati ben dieci mila di questa d’acciajo, avanti che divenga sensibile il suo logoramento. Ma qui non istà l’im- portante della scoperta, che sarebbe già molto , mentre in luo- go di poter moltiplicare le stampe oltre l'usato, fu scoperto il modo di moltiplicare le lamine medesime in forma origina- le , cosicchè d’ una e medesima stampa ne possono essere tirati gli esemplari a centinaja di migliaia in tutte le capitali d’ Eu- ropa ad un medesimo tempo , se vogliasi, conservando l’iden- tifica originalità . Indurita così, siccome abbiamo esposto, la lamina d’acciaio, viene preparato un cilindro dello stesso metallo in dimensione pro- porzionata, il quale rendesi molle, affinchè girandolo sul piano del- la lamina mediante uno strettojo singolarmente costratto, possa rice- vere in rilievo sulla periferia tutto ciò che il bulino aveva già prima nella lamina segnato in incavo. Restando quindi questo cilindro nel suo giro coll’incisione identifica originale rilevata, e tagliente quanto la punta acutissima dei bulini che servirono ad aprire i solchi sul piano della lamina, viene esso pure in- durito colla più rigida tempera e reso atto all’ uso cui è de- stinato. Infatti adattando di bel nuovo il cilindro nello stret- tojo cogli artificii a ciò preparati, serve ad imprimere e inci- dere lo stesso soggetto quante volte si voglia su d’una lamina d’ acciajo ammollito, o di rame, o d’altro metallo qualunque; ripetendolo, anche su varie lamine a piacere, e secondo il bi- sogno. Ogni copia in tal modo prodotta diventa un perfetto fac simile dell’ originale inciso a mano nella prima lamina d’ac- ciajo, e in brevissimo tempo possono esser moltiplicate molte lamine tratte da un tipo della più squisita esecuzione, che non variano nella più piccola parte dal merito e dalla perfezione dell’ originale. Che questo ritrovato sia molto utilè ed economico, pare dimostrato a bastevole evidenza per la celerità di moltiplicare i lavori, e la facilità di ottenere le opere della maggior per- fezione al prezzo che ora costano le più inferiori: il quale con- vincimento può aversi coll’ispezione delle opere, non tanto pro- dotte nel giornale delle scienze e delle arti di Londra num. 17, anno 1820, ma in quelle che posteriormente vennero eseguite con tutta l’ eleganza ed il lusso dell’ arte calcografica, per or- namento dei poemi del signor Tommaso Moore, e del signor Walter Scott, intagliate da’ più valenti bulini dell'Inghilterra, e impresse col metodo del sig. Perkins da noi enunciato . Nè qui si arresta il prezioso ed il singolare della. sidero- 47 grafia recentemente scoperta, giacchè con questo nome venne chiamata dal vocabolo greco che esprime il ferro in luogo del rame , poichè giunse il perfezionamento delle sue macchine a produrre simultaneamente nella stessa stampa in un pezzo or- namentale, come sarebbe un meandro a catena, il doppio ef- fetto che producono |’ incavo del bulino e il rilievo del le- gno, rendendo nella medesima catena an anello coperto dei minutissimi intagli e lavori che sono il risultamento dei sol- chi, i quali imprimono in nero la parte incavata, ed un’ al- tro anello vien reso nel senso inverso, imprimendo in bianco ciò che nel precedente era espresso dall’ombra con una simul- tanea inversione della macchina, che non solo può riprodurre il disegno da lamina a cilindro , e da cilindro a lamina, ma ancora da cilindro a cilindro, quasi moltiplicando le scherzose e infinite combinazioni presentate dal Raleidoscopio . Queste invenzioni come ognun vede mostrano le grandi dif- ficoltà di chi volesse imitare a mano il prodotto di una tal macchina , oltre di che la delicatezza con cui si possono ese- guire ,e, moltiplicare. simili lavori; è impossibile ad essere imi- tata coi mezzi conosciuti e ordinari. La carta del banco d’In- gbilterra stampata per intero in un medaglione , la cui inter- na capacità non è maggiore della superficie d'un centesimo, sud- divisa in trentadue linee di caratteri chisri e leggibili coll’ ajuto d’ una lente di mediocre acutezza , e tutto intero il simbolo degli apostoli in minor spazio compreso dell’ ugna d'un dito mignolo , moltiplicati col mezzo del cilindro sulla stessa lami- na, e riconosciuti non avere l’imperfezione d’ un sol punto che li distingua l'uno dall’altro, in fede dell’integra loro originali- tà, sono talte prove evidenti della perfezione e della finezza a cui è giunta questa scoperta . E ivcalcolabile l’ utilità che risulta da questo metodo, sic - come si è più sopra osservato, per prevenire le falsificazioni , giacchè conosciuta l’ impossibilità di riprodurre le proprie in- cisioni medesime senza alterazione di punti o di linee, quanto non sarà più difficile il riprodurre le altrui, se vengano spinte a tanta complicazione e a tanta finezza ; oltre di che risulta un doppio avvantaggio per riconoscere gli attentati di falso, mentre sulle cedole di banco possono dai cilindri venir moltiplicate di- verse minute opere, delle quali riesce agevolissimo il procurarsi un esemplare impresso separatamente, utilissimo pei confronti in caso di dubbietà , poichè fu dimostrato che la ripetizione d’ ogni intaglio offre sempre un identifico originale impossibile 48 a contraffarsi ; e sapendosi per conseguenza dai falsificatori che ogni persona che il voglia può acquistare un mezzo atto a sco- prire l’ inganno, ben difficilmente si troverà chi ardisca com- mettersi a sommo pericolo con sì poca probabilità di successo. Una quantità considerabile di lavori del gusto più fino e più ricercato sono stati presi ad esame, i quali vennero sotto- iessi al metodo e alle prove del sig. Perkins, e non cedono menomamente a nulla di quanto venne eseguito di più insigne in materia d’intaglio, Che se volesse obiettarsi per avventura la diffi- coltà di moltiplicare nel modo stesso grandi opere, e il non es- sersi ripetuta l’esperienza che in alcuni lavori di piccola dimen- sione, l’obbiezione cadrà da sè stessa, considerando che la costru- zione di più grandi lamine e macchine e cilindri corrispon- denti, non dipende che dai soli mezzi che vi si vogliono im- piegare , nella qual costruzione si è già di molto addestrata la mano e l’ingegno per l’ottima riescita dei primi saggi prodotti. È indubitato che se la trasfigurazione di Morghen, la Ma- donna di S. Sisto di Muller , l’ Assunta ormai compiuta di Schia- voni fossero eseguite in lamina d’ acciajo in luogo che il rame, quand’ anche non si volesse moltiplicarle col mezzo dei cilindri, avrebbero dato un numero d’ esemplari dieci volte maggiore di quello che al rame è concesso moliplicare. Ma qual vantaggio non ne trarrebbero le arti, se poi moltiplicate le lamine stes- se medianti i. cilindri, si potesse in ogni calcografia averne un freschissimo originale metallico, mediante il quale per poco denaro si otterrebbe ciò che a stento si ottiene adesso per som- me considerabili ! Nè da ciò verrebbe mai minor profitto all’ intagliatore d’ un’ opera classica, giacchè oltre le stampe che escirebbero tirate nella sua officina , potrebbe a prezzo conside- rabile vendere un bel numero di lamine moltiplicate dal suo ci- lindro, ben atte a compensarlo con usura del mite prezzo a cui. sarebbero vendute le carte . Qual serie di avvantaggi immensi non potrà derivare a tutte le arti da questa scoperta, se corrispose con tanto suc- cesso in questa dell’ intaglio, e a quante utilissime meccaniche non può essere applicata questa perfezionata alternativa di mol- lezza e di resistenza dello stesso metallo, che rese per così dire comune all’ arte dell’ intaglio il metodo e i privilegi incalco- labili di quella del conio? Trovata la stampa nel quindicesimo secolo , e cavata l’ im- pressione d’ un niello, dovevano le arti della calcografia prospe- rare con rapidità di successo, nè sarà meraviglia che si elevino 49 adesso oltre |’ aspetta@one nostra; se l’uomo lanciato audace- mente nette regioni dell’aria, abbandona persino |’ aereo navi- glio e dalle nubi discende in tortuoso giro come piuma leggiera, vincendo l’ antica sagacia e i favolosi racconti del volatore di Creta ; e se per la forza dei concentrati vapori si stà seduto ed immobile spettatore dei movimenti di mille braccia e di mille ruote complicate, e fida senz’ alberi senza remi e senza vele il fragile pino contro l’ onda ed il vento, e a tutto supplisce con piccol caldaja che bolle , quasi minacciando con questa di scuo- tere , nuovo Encelado , da’ suoi cardini il mondo. Qual meraviglia delle accennate meccaniche, se 1’ uomo per vineer la notte che gli pareva funesta , raccolse dall’ aria che sprigionano i combustibili un oceano di splendore, rivaleggiando col giorno , e gittò ardimentoso sovra gli ondosi gorghi del mare e dei fiumi, senz’ archi, senza piloni, senza sostruzioni un ardi- to passaggio affidato alla potenza del calcolo , e sospeso sovra interminabili catene lanciate da un mopte all’altro, ormai pronto a schernire i latrati di Scilla , e a ricongiungere i massi che le rivolazioni del globo staccarono dal continente. Se la popolar moltitudine, in tempi di superstiziosa ignoranza, raccapricciava per le sotterranee voci degli oracoli che escivano da perforati altari, dai cavi bronzi de’ simulacri, o dal petto anelante delle sibille o dei ventriloqui, qual terrore non la in- vaderebbe al veder oggi, col sussidio possente delle scienze, strap- pata di mano all’ aquila di Giove, strisciar la saetta distruggi- trice intorno le pile di Volta? e di qual meraviglia non sarebbero compresi quei popoli al vedere i difficili giuochi di Palamede affidati agli automi con raffinamento di tanto ingegno; e mentre la mano de’ moderni Anfioni percorre veloce sulle corde sonore dell’ istramento , un dedaleo segreto artificio imprime sulle pa- gine e fissa gli armoniosi numeri fugaci, tutte segnando le pause, gli accidenti, le misure del tempo, che la perfezione ed il bello costituiscono della celeste armonia ? Ma qual stupore non dovrà invadere le nostre menti, se si osserverà la strana contradizione per cui lo stesso genere umano leva plauso e rumore alla con- servazione della specie e della bellezza medianti le benefiche sco- perte di Jenner, e applaude poi clamorosamente in pari tempo agli inventori dei fuochi alla Congreve, e dei Brulotti incendiarii che la distruggono? Dalle quali cose convien finalmente conclu- dere, che non furono se non l'inerzia e il timore che imbriglia- rono i voli dell’ umano ardimento , che i campi della gloria so- T. XIX. Settembre 4 50 gono in riva a quelli dei misfatti, e che la definizione dei pro- digi trovasi tra i confini dell'ingegno , e le tenebre dell’ignoranza. LEOPOLDO CICOGNARA. 1 Te i I IO nm Notizia intorno ad un volgarizzamento inedito delle istorie di Giovanni Ducas. Al Cavaliere DEMETRIO MOSTRAS. Ognl volta che io m'avvengo a qualche peregrino volume, e spe- cialmente se greco per l’autore o per l’argomento, mi corro- no subito nell'animo la vostra liberale sollecitudine nel rac- cogliere i tesori della patria sapienza, e i cari ragionamenti con voi tenuti in Pisa nel principio di quest’ anno per noi felicissimo. Vi mando dunque una notizia intorno a certo volgarizzamento delle istorie di Giovanni Ducas, e voi gra- ditela come segno, ancorchè piccolo , della memoria e della stima che vi conserva il grato ospite vostro, e candido amico ANDREA MUSTOXIDI. Giovanni , a cui fa avo Michele Ducas imperatore , espose grecamente i fatti pei quali, dall'anno 1341 al 1462, si ampliò in Asia ed in Europa l’esecrata potenza dei Turchi, e l’ impero di Oriente pervenne alla sua estrema rovina. Le narrazioni di lui sono talvolta è vero declamatorie; ma se la diligenza e Ja civil pradenza principalmente richieggonsi in una istoria , quella del Ducas non ne va priva, perchè fu egli, testimonio e parte del maneggio degli affari della repubblica , e dei var) ed infelici casi che ci descrive. Di questa istoria esiste un volga- rizzamento tuttavia inedito , il quale vuolsi considerare prezio- so per più ragioni. E primieramente non v' ha di esso, ch’ io mi sappia, altro esemplare se non quell’uno, il quale scritto da buona ed esperta mano sopra membrana , già apparteneva alla famiglia dei Nani patrizj veneti, ed ora si conserva nella Marciana. Poi non vi essendo parimente del testo che un solo esemplare, ed anche di non castigata ed emendata scrittura, cioè quel medesimo della reale biblioteca di Parigi, inserito nella gran collezione degli Istorici bizantini col commento e la tra- duzione d’ Ismaello Bullialdo, o Bauvilland ( Parigi 1649, Ye- nezia 1729 ), ne viene di conseguenza che il volgarizzamento Pa italiano tenga le veci d’ altro codice originale, ed acquisti co- sì fede e pregio maggiore. Il perchè col suo ajuto ad alcuni di- fetti del testo si può supplire facilmente. A cagion d’ esempio alla fine del capitolo IV voi vedete una lacuna dall’ editore’ se- gnata con molti asterischi, e questa si riempie tutta colle quat- tro parole: destituita da ogni speranza di soccorso. Eccovi l’in- tero periodo: £4 essendo ( Filadelfia) serrata da ogni parte , destituita da ogni speranza di soccorso, per carestia di vit- tuarie si raccomandò e dette alla discrezione di Bajazet. Il termpo ha ingiuriato il codice in alcune parti. Manca in esso ciò che nel greco forma il XXXIII ed il XXXIV capitolo , ossia il quinternetto dopo la p. 95; e la narrazione della resa di Mi- tilene, con cui si compieva l’istoria, rimane mutila , ma pro- cede ella almeno di alquanti periodi, oltre l'originale. Ed essi so- no i seguenti: », Uscì fuori Luchino Cataluso , e con esso in compagnia il Vicario della terra, i quali incominciarono a tramare la tra- dizione della città con Maumet Bassà, mostrandogli tutti i luo- ghi più deboli, i quali avesse a bombardare , combattere , e scalare. E data cognizione delli mancamenti della terra, torna- rono dentro in la città e cominciarono con persuasioni false in- clinare il Signore all’ accordo, salvando le teste e l’ avere. E co- sì concludendo mandarono per il Signore alli Asmati, il qual venne. Il Signor Nicoloso uscì fuori con tutti li principali colle chiavi in mano, e baciato i piedi del Signore, fu confermato quello che aveva fatto Maumet Bassà di salvare le teste e l’ave_ re. Di poi fece venire tutti gli uomini d’ arme franchi , (1) e mandò dentro della terra, grande numero di gianizzeri , e di asappi a prendere le fortezze , facendo ben guardare le mura e le porte , che non uscisse nè uomo nè femmina. Poi fece ta- .gliare per mezzo tutti li franchi, e mettere in distretto il Si- gnore e tutti li principali, e così cavillando salvò le teste (2) e salvò l’avere. Il giorno seguente fece aprir le porte, facendo uscir fuora tutte le anime, piccoli e grandi, uomini e femmine, e fecele passare per il suo padiglione ad uno ad uno, e qua- lunque non aveva marito che gli piacesse , pigliava , e così i putti, e fossero di chi volesse, figliuoli. Del resto fece tre par- (1) Cioè Cristiani occidentali, non greci, come anche oggidì si chiamano, (2) Valendosi di consimile atroce sottigliezza, Maometto JI. fece segare io mezzo il governatore di Negroponte Paolo Erizzo, al quale avea promesso salvare la testa, 52 ti; l’ una lasciò in la terra, di più vili; la seconda fece ven- dere ; la terza condusse a Costantinopoli per ischiavi. Dopo questo «il duca passò coll’ armata alli Asmati, ond’egli coll’ esercito per .terra, e l’armata da mare tornarono a Costantinopoli. Il signor Nicoloso fu messo in la torre de’ Francesi in compagnia con Luchino Cutaluso , che tradette la terra e il suo signore. Dipoi il duca Mehemet fece che il signor Nicoloso rinegò la fede, e fecesi turco. Il povero peccatore pensando salvar la vita, perse la vita e l’anima; fu strangolato con una corda d’arco, come aveva fatto lui... Jacopo Morelli pubblicò già Split frammento (Codici Mss: Volg. della libreria Naniana n.° 72.), ed osservò che il codice si rende anche notabile per alcune aggiunte , che qua e là si trovano sparse , secondo l’ordine e la cronologia dell’ originale. ‘Tre egli ne cita, ma le due sono di minor momento che egli non crede. Merita , bensì d’esser riferita la prima che consegue alle parole Bitinia tutta e parte della Paflagonia fu presa da Ottomano (c«. 11. dell’ originale ). » Questi furono i primi capitani turchi che condussero le genti turchesche contro l’imperio dei greci . Questi furono i primi apparitori, i primi antesignani i quali le treccie d’oro prima, e poi la testa tagliarono alla regina del mondo, alla figliuola del- I’ antica Roma, e sposa del grande Costantino imperatore. Questi furono i primi che cominciarono profanare e adulterare la inte- merata sposa di Gesù Cristo, la sacra e santa Chiesa patriarcale di tutto l'Oriente, il sacro e santo tempio della santa sapienza dello eterno Iddio (3). Questi sono stati i primi invasori, i primi guastatori di tanti popoli, di tante cittadi, e di tanti regni, e ultimamente di tutto l’imperio orientale de’cristiani. Oh do- lore inconsolabile, oh vergogna ineffabile, oh pianto eterno! O apostolo e vicario di Gesù Cristo, o imperadore de’ Romani, o regi e principi cristiani, o cristianesimo tutto, che pensate voi, che guardate, che aspettate più? Non vedete me che solea essere Regina del mondo, or son fatta serva dei servi? Non vedete voi che il figlio del falso profeta, siede e regna nel mie loco? Non vedete voi che la fede, e la santa la evange- lica legge, all’età vostra manca? se di me non avete compas- sione nè cordoglio almen da me prendiate esempio, e di voi stessi vengavi pietade. ,, (3) Il tempio di Santa Sofia. 53 Quella parte ehe appartiene alla istoria della guerra fra Amurat e Lazaro despota della Servia, anzi che gianta, può con- siderarsi quasi narrazione diversa dall’ originale. Perchè questo si spaccia in una cinquantina di linee (Cap. /I7.) e l'italiano così ampiamente e minutamente ragiona : 37 In questo medesimo anno morì Orchan lasciando duca del suo paese male acquistato il suo figliolo Amurat (4), il qua- le prese ch’ebbe tutte le terre di "Tracia per assedio ultimamen- te prese Andrianopoli, e tutta la Tessaglia, (5) eccetto Salonic- chio . Ed occupato quasi tutto l’ impero de’ Greci venne in Mi- sia } in Servia, ed alli monti Triballi. Depopulando adunque di tutte le provincie , le città , e le castella, le misere anime cri- stiane mandava per il portino (6) mare mediterraneo del Cher- soneso in paesi diversi per l’ Asia grande, come la sorte cadeva in servitù delle barbare genti, lontano dalla patria e dal cos- petto de’ cari parenti, acciochè dimenticandosi del culto della ve- ra fede evangelica diventassero Mussulmani , e inimici della san- ta Croce. Vedendo adunque queste cose tant’ orribili e crudeli, Lazaro figliuolo di Stefano Despota della Servia (7), subito fece chiamare a se tutti i baroni e principali del suo 1mperio e adu- nato il suo esercito nella grande campagna di Cossovo di qua dal fiume Sieniza (8) non lungi dalla ricca città di Novaman- te; Tuarico. re di Bosina, mandò Vlatico Vlagenichio suo nipo= te (9), con venti mila valorosi combattenti in aiuto di Lazaro suo vicino e consorte . Ordinate adunque Lazaro le. sue genti e ben disposto il suo esercito, con grande animo , ed efficacis- sima orazione ammoniva «e confortava tutti i cristiani a combat- : (4) Variamente è scritto nel codice il nome del gran Turco: Morat , Amorat, Amorathes. (5) Forse mancano le parole: e la Macedonia. (6) Qui v' ha nn vocabolo che mon ho saputo intendere, Il ii age ore ha certi Menismi, onde forse scrisse Piet dà Tod ÉY Xepbov Ow Topi poù. Per futum Chersonesi. (7) Despota. La prima. digaità dopo l’imperiale., E perchè un solo era 1’ Imperatore ed il Re, despoti al chiamavano anche i principi vicini, quasi dipendenti. (8) Cossovo vale lo stesso che campo Merlo. Giace nelle pianure della Servia. (E intersecato dal fiume Sicniza o Schitniza che dai monti illirj mette nel Danubio. Questo fiume, secondo alcuni, è la Morava, ovvero con questa si. mescola; e. perduto il primo nome, va con essa al Danubio. (9) Se sieno, scritti bene questi nomi slavi io nol so. Mauro Orbino (il Regno degli Slavi p. 314) dice che il Re di Bosina mandò in aiuto l’eser- cito col Voivoda Vulatko Vuccovich. 54 tere valorosamente, e vendicare tante ignomignose offese, e dan- ni incomparabili ricevuti, o veramente a morire gloriosamente per amore di Cristo nostro Redentore , e per difensione della cara patria, dei figliuoli, de’ parenti, della fede e sacra, e santa legge evangelica sotto |’ insegna della santa Croce . Dall’ altra parte il Duca Amurat per tante acquistate vittorie non manco superbo che potente nemico , sitibondo del sangue cristiano, or- dinò il suo esercito con grande pratica delle cose militari. ;; ‘E così questi due imperadori dell’ uno e l’altro esercito, inimici per la legge, per la fede , e per l’imperio; per il se- guente giorno si deffidarono alla battaglia. O Lazaro nobilissimo dall'alto regal sangue disceso,, tu non pensavi che in altri fos- se quel che in te non era , nè milizia si trovasse senza virtude e senza fede. Non avevi ancora inteso che quella gente perfi+ da non conflisse mai con esercito , ne combattè mai terra sen- za prodizione e senza inganno. Amurat più volte per sue det- tere e secreti nunzi con grandi offerte avea tentato sedurre e tirare alla sua parte Milos Cobilichio capitano di Lazaro uo- mo di animo e di corpo tanto valoroso e gagliardo quanto al- tro che in quel tempo si trovasse al mondo (10). Milos per la sua sincera carità e fede tutte lé lettere da Amurat incontinen- te ricevute , le mostrava al suo Signor Dispoto , il quale a qualche escogitato fine, comandava a Milos che simulando ri- spondesse ad Amurat che il suo desiderio adempir voleva, Il giorno precedente a quello che seguì la iniqua ed infelice bat- taglia, Lazaro convocati tutti i signori e principali del suo imperio, comandò che si apparecchiasse una Sdraviza (11) se- condo la usanza della sua corte , su la quale come grazioso e benigno signore a tutti porse la Sdraviza con sua mano. Quan- (10) Milos Chotilich nacque in Tientiscte appresso Novipasar , e fu al- levato alla corte di Lazaro (Ordino). (11) Le etimologie sono per lo più incerte, nè sempre fidarci possiamo dell’ apparente relazione fra la voce e la cosa. Se non sì sapesse’ p. e. che ombrello viene da ombra, il deriveremmo dal greco ombros pioggia. Ciò pre- messo, io dico, che sdraviza è in lingua slava, la coppa in cui si beve in giro alla salute di taluno, come il denota la sua denominazione; e sdravize è il bere in quella coppa; e da essa per l’uso che se ne fa, detto è sdra- viza anche il banchetto. Adunque non è qui chiara l’ origine della voce stravizz0? L’ ebbero i veneziani dai loro vicini, e la trasmisero alle altre genti d’Italia, nè credo ch’ella si troverebbe negli scrittori toscani d’età an- teriore a quella del nosti'o ‘ volgarizzatore. Ma io forse sogno, ed ha ragione invece il Salvini (Prose Toscane p. 108) che fa uscire il vocabolo stravizzo dal latino barbaro extransbiditio ovvero extrabdibitis. 55 do la volta toccò a Milos si fe dare una grande tazza d’oro piena di prezioso vino, la quale porgendogli disse, o Milos, ec- cellentissimo cavaliere , prendi questa Sdraviza che colla taz- za ti dono, e sdraviza per amor mio. Ma molto mi doglio che ho inteso una mala novella che al tuo Despoto sei fat- to ribello. Al qual Milos reverentemente presa la tazza con chiara faccia , ridendo disse : Signor Despoto molto te ringrazio della Sdraviza e tazza d’ oro che mi hai donata; ma molto mi doglio della mia dubitata fede. Doman di mattina se Dio darà effetto all'alto pensier mio, si conoscerà se io son fede- le o ribelle della tua signoria (12). E venuto il nuovo gior- no alla battaglia deputato Milos che nella mente ben conserva- va le parole che il suo Signore gli aveva detto nella Sdravi- za, e la sua magnanima risposta , come era giovine di spirito feroce , montò nel suo possente cavallo , impugnando una lan- gia dal canto del lucente ferro, volgendo il pedale contra l’ ostile esercito (13) e come transfuga passò Sicniza fiume il quale l’ uno dall'altro esercito disterminava, e con alte ed ami chevoli voci chia- mava Amurat. Essendo da’ turchi come amico accettato, alla turba de’ circostanti disse, dov’ è dov'è il duca nostro Amurat. Io sono Milos da sua signoria desiderato, menatemi alla sua presenza: secreti porto nel mio petto , i quali alla sua signoria sola manifestar si conviene. Condotto adunque al grande padiglione del Duca, e in- trodotto, come quello che molto era stato desiderato ricevuto con lieto volto il duca gli stese il piede che potesse baciare secondo la usanza del suo imperio. Milos risguardato alquanto il volto del ti- ranno, acceso d’ ira , odio , e disdegno, con grande impeto prese a lui lo stesso piede, e con molta forza quello tirando col capo in terra il fece traboccare. E subitamente snudato un ben forbito ed acuto pu- ghale, che a questo fine ascoso portava, feri Amurat in mezzo al vetto trapassandolo per mezzo il core, per la qual ferita il barbaro poi in breve spazio finì la sua via (14). Il valoroso cristiano avendo Î suo voto compito, e di tanto inimico acquistata la gloriosa vttoria, tra l’attonita e perturbata turma di satrapi e di satelliti (12) Lazaro aveva maritato Mara sua figlinola a Milos. A costui porta- va acerrimo odio Vuk Brancovich suo cognato, il quale per metterlo in di- sgnzia del suocero fiuse che Milos avesse segrete pratiche con Amurat (Or- bim ). (13) Per mostrare che non avanzavasi con ostile animo. - ‘14) E d'allora sì ‘usa tener strette le braccia agli ambasciatori ed altri ì quli s’‘inchitano ‘al Sultano, acciocchè non gli facciano qualche insulto (Lewel. Pand, Hist. Turc. p+319). 56 d'Amurat si ficcava, or questo or quello percotendo,, sinchè per-. venne al suo cavallo, e ficcando il piede in la sinistra staffa ; prima, che in sella potesse salire, dall’ armata giannizzaria perizia “ord il. glorioso cavaliere di Cristo da innumerabili ferite di quella canina . moltitudine fu morto. I turchi veramente del subito ed inopinato caso molto sbigotiti, ed incontinente poi.riassunto |’ animo breve- mente si consigliarono , e dalle cose avverse e perturbate prendendo speranza di salute cominciarono risarcire li ricevuti danni; e in inezzo del campo adornarono un tabernacolo con un letto di ricchi . panni d’oro, sopra il qual posero il corpo di Amurat, i grandi pericoli poca iattura estimando , dato il segno della battaglia con orribili instromenti bellici, entrarono come cani rabbiosi in batta- . glia (15). Il despoto Lazaro il quale mai per avanti avea combattuto . con queste fiere barbare, ne anco inteso della morte di Amurato,., e l’opera gloriosa di Milos suo eccellentissimo cavaliero non senza formidine e paura spiegò li suoi stendardi, pur niente dimeno più, da neccessità che da sua volontà costretto comandò a Vlatico Vla» ‘ genico, come avemo predetto del re di Bosina, capitano di venti- : milia combattenti primo entrasse in battaglia, il quale valorosa- mente e con grand’impeto entrò con la sua compagnia, e ruppe , tutti i turchi che li farono all’ incontra, e girando per entrare la seconda volta secondo l’ ordine della milizia, allora fu udita una voce la quale per tutto il campo si sparse, che Dragossavo Probiscio. capitano del campo del Dispoto avea ribellato e voltato le armi con, tra a’cristiani. La qual voce udita Vlatico Vlagenico subito voltò , le spalle, e con grande fuga si dipartì, tornando verso Bosina colla. sua compagnia ; ; o che la novella fosse levata dai turchi, uomini sagacissimi, per impaurire il nostro esercito, o che così volesse i fati contrari alli poveri cristiani per i suoi peccati (16). Lazaro i abbandonato da’suoi capitani, senza battaglia fu preso vivo con tutti i nobili del suo imperio, e menato al paviglion di Amurat..E visto il tiranno il quale con grandissima pena per l'ora estrema pas- sava di sua vita e inteso che Milos suo fortissimo cavaliere l'aveva morto , gli occhi e le mani al cielo levando , devotamente disse. O alto Dio, creator di tutto l’ universo , senza tua volontà in arbore non si move fronde, poichè alla tua maestà così piace ch’ io di me e del mio imperio sia d’ ogni speranza privo, ormairricevi l’animi mia nel regno tuo , la quale di bona voglia te la offerisco ; poiclè (15) Fu li 15 di Giugno dell’anno 1389. (16) Il calunniatore di Milos, Vuk Brancovich aveva veramente tratito coi Turchi. Nel fervore della pugna si volse alla fuga colle sue, genti, ede-; cise la vittoria a favor dei Turchi ( Ordino). 97 ie vedo l’inimico tuo; V inimico mio avanti ch’ io mora per man del mio cavaliere, finire la vita sua. E dette queste parole Lazaro fu morto dai satrapi che più amava Amurat. E con lui insieme tutti i nobili della sua compagnia, e questa fa la fine di Amurat e di Milos nobilissimo cavaliero , di Lazaro e della sua elettissima corte (17). Per queste giunte io non nego già che il volgarizzatore non siasi talora allargato, ma non affermerei col Morelli che quanto manca al greco testo fosse arbitrariamente intruso, o ne occorrerebbero per avventura allora migliori prove di quelle che !’ unico esemplare pa- rigino non ne può offerire. E veramente egli è manifesto che il vol- garizzamento fu compito poco dopo l’originale , e forse durante la vita dello stesso Ducas , perchè |’ istorico giunge scrivendo sino al- l’anno 1462, ed il nostro codice è del secolo XV. Adunque non mi fa maraviglia se l’ autore ampliasse e ritoccasse il suo testo , in guisa che i secondi esemplari differissero da quelprimo ed unico che fu messo inluce , e se da essi procedesse l’italiano che raccomandiamo agli eruditi. Il volgarizzatore si mostra intelligentissimo del greco idioma; e fa un veneziano. Tanto si deduce da’vari idiotismi, i quali noi abbiamo stimato ridurre alle migliori e generali regole della buona italiana favella. » IMustrazione di un Kilanaglifo copiato în Egitto da Sua Ec- céllenza signor Barone d’ Icskull , fatta' da MIcHELANGIOLO LANCI interpetre delle lingue orientali nella Vaticana Bi- ‘ ‘Blioteca. Roma, presso Francesco Bourliè, 1825. eci Quest” opera forma la seconda parte, e in ragion della mo- le, la‘terza, di un volume in quarto grande, pubblicato dal ch. sig. Lanci con il principal titolo: Osservazioni sul bassorilie- so : ll x i (17) Questo racconto è importantissimo, e ad esso concordano quelli del Leuoclario (Annal. Turc.) e dell’Orbino (/. c. ) quantunque non sieno così circostanziati. Il Franza scrive ( Z* I.) che Amurat fosse ucciso da Lazaro stesso; ed il Sagredo (Mem. ist. de’ Mon. otto. p. 15.) che poichè Lazaro fu vinto ed ucciso; Amurat restasse trafitto;da Milos, il quale a lui avven- tossi, colla lancia. Il Cantemir (Hist. ot. L. I.) narra che Amurat fè pri» gione Lazaro, indi volgendo in fuga i Cristiani, fu ferito da un fante Tri- ballo che s' era nascosto fra’ morti, e così rabbiosamente , che dopo due ore spirò. Ma egli segue le tradizioni dei Turchi, sempre per la superbia loro intenti ad occultare: e sminuire ‘i propri danni; e Leonico Calcondila ( Fst- Ture. L. I. p. 21.) che già ‘prima riferì queste medesime tradizioni, non tace il racconto de’ Cristiani, e benchè assai breve esso è conforme al nostro. 58 vo. Fenico-Egizio che si conserva in Carpentrasso etc. Il qual libro avendo noi con molta avidità percorso ed esamina-, to, e sembrandoci assai interessante, non meno per la cele- brità del suo Autore, che per la qualità della materia stret- tamente, massime in alcune parti, congiunta coi nuovi archeo- logici studi; ci venne in pensiero di farne un completo estratto con la giunta di certe nostre osservazioni , dirette alcune a confermare la sentenza del ch. A,, altre a dimostrare dove e perchè noi altrimenti giudicassimo +. Lo che avendo con qual- che amore eseguito , ci accorgemmo esserci più del dovere, specialmente nella parte filologica, dilungati, quanto gli. or- dinari limiti di un articolo di giornale non soffrono . Fu dun- que necessario dividere in due parti quel lavoro ; come la divi- sione dell’ opera stessa concede; e così deliberammo di dare in luce ciò che riguarda la parte seconda , la Zl/ustrazione del Ki- lanaglifo , riserbandoci a far pubblica l’altra quanto prima sarà possibile, in qualche altro dei giornali d’ Italia . E dunque da sapersi (secondo che narra l’A ) che fino dell’ anno 1823, rimosse per le cure di Salt console generale d’ In- ghilterra in Egitto , le arene che per metà seppellivano quella Sfinge che con la sua maravigliosa grandezza adorna un fiance della più alta Piramide egizia , fu scoperto tra le braccia di quella una larga e profonda nicchia , nel cui fondo siscorge un Bassorilievo sculto nel masso , il quale con molta cura fu dise- gnato da S. E. il sig. Barone d’ Icskull, e da lui ebbelo il no- stro A. con invito di pubblicarlo; lo che egli fa in questo libro, offerendone un disegno nella forma del quarto grande , onde ri- ducesi all’ incirca a nove volte più piccolo dell’ originale ,, Es- sendo questa una di quelle sculture che per, la loro incavata forma , dette furono. dagli Archeologi Bassirilievi nell’ inca- vo (Bas-relief dans le creux ) l’ A, volendola appellare con un sol vocabolo che questa singolar forma significhi , aggiunge alla greca voce Anaglifo ( Bassorilievo) l’altra xosdàos cavo, e ne forma comodamente la parola Atlanaglifo . PIA Prende quindi a darne minutissima ed esatta descrizione, con quello stile ch’ ei suole ; non in tutto! privo di eleganze, ma vago più spesso di' affettazioni; la quale novi colla maggior pos- sibile brevità riferiremo . » AI lato sinistro del Kilanaglifo sta an uomo di figura gigan- te, che come colui che da lungo cammino sia stanco; con;tut- ta la persona al bastone si. appoggia . {Ha coperta la testa di leg- gerissimo manto ‘che sulle spalle gli scende ; attraversagli il pet- 59 to, e giù pendala cade una strettissima stola, ed un grembiule annodato alle reni fino al ginocchio ìl ricuopre. Un veltro di snelle. ed eleganti forme gli, stà innanzi vigilante , mentre un servo , in. suo, confronto di statura, piccolissimo , sostiene un qua- drato solecchio a schermirgli la faccia dai raggi del sole. Egli sta fisso con la mente e cogli occhi a colui che è primo nel superiore compartimento, ove si veggono uomini al tutto nudi, tranne, l’ ultimo, ciascuno ad alcuna cosa intento . Il primo che ha dinanzi a se una grande ed. aperta bottiglia, tiene nell’ una mano una tavoletta .0. papiro , e dimostra coll’ atteggia- mento dell’ altra di recitar ciò che scrisse, poichè scrivano lo mostra il calamo fermo all’ orecchio . Segue lui un altro serit- tore intento a notar col dito sulla tavoletta forse ciò che pro - nunzia il dicitor precedente. Sta il terzo scrivendo ciò che sem- bra dettargli. colui che gli sta in faccia , il quale tenendo ,, se- condo l’uso di antichi selvaggi popoli le dita in su la spalla, pare inteso a fare un novero. Sembra pensare il quinto a tener viva la memoria di. tatto ciò che gli spetta - ma non apparisce il se- sto di ciò occupato, per aver scritta la nota sulla tavoletta che tiene pronta nelle mani per offerire. L’ ultimo sta in piedi co- me per. dar comando a quelli che succeder debbono al. rendi- mento.de’conti; impugna con la destra mano lo scettro, e preme colla sinistra il capo dell’ uno , quasi. a muoverlo a presentarsi. Nel. medio compartimento vengono primi quindici buoi. in tale. ordinanza schierati, da indicare che non in mandra vadano a pascolo errando, ma che sieno a far bella mostra riuniti. Suc- cede a questi un gruppo di vacche e vitelli, scolti nel modo il più naturale ed elegante, cui un condottiero vien dietro, arma- to di bastone ad affrettarne il cammino . Quindi procede un ca- pro di lunghissime corna, cui succedono tante caprette quante contenersene, potevano nello spazio che resta, ma il numero so- vrapposto , com’ è sopra ogni, altra forma indicato , supplisce al difetto , segnandone oltre dae mila . . Nell’ ultimo compartimento si vede un asinello ‘precedere a undici altri. di più grande e bella forma , disposti in regolare or- dine come.i buoi superiori ; e ad essi venir dietro un uomo , coperto la testa di un berrettino , e cinto di grembiule , e por- tante sull’ incurvato dorso un fascio che ad un bastone legato , colla man destra in sulla spalla sostiene. Una mandra di peco- relle chiude la scena - Espresse come le vedi in natura , sembra- no tutte , tranne la prima, intente al fascio dell’ uom che pre- 60 | cede , quasi vi si contenga alimento per loro : ultimo vierie od becco in atto di maestà e di compiacenza . na Male si avviserebbe ( così ragiona l’A. ) chi opinasse indicar-- si per questo quadro la lettura ‘di un testamento, e ‘per quelli è animali il patrimonio lasciato dal defunto , damecetit trarne vo- lesse argomento dal veder ciò scolpito nel petto di quella sfinge‘ destinata a guardare il più magnifico monumento del mondo . Egli pensa che vi si rappresenti il rendimento de’conti di ‘una gran- de amministrazione rurale , e che ivi sia stato effigiato per indi- car lo stato di ricchezza in cui trovavasi quel signore ; quando la grande Sfinge configurò . Quell’. uomo gigante adunque è il proprietario , così espresso a indicare la sua potenza sopra i sog-' getti , modo non insolito a praticarsi tra vari popoli. ll cane ai suoi piedi ricorda ; segue l’A., l’antichissimo uso che dava quest” unica guardia ai re. Si legge nelle antiche arabiche storie, che concedevasi in real patrimonio tutto quello spazio di terreno pel quale si‘udiva il latrato del veltro ‘che stava ai fianchi del re . I due vasi che stanno dinanzi a’due primi scrittori, non sono a parer dell’A., per contenere inchiostro o altra tinta da scrive-' re, poichè essi, posta, come si vede, la penna o stile all’orecchio, stan leggendo , e quello il quale scrive, d’ esso vaso è senza. Opi na pertanto che ivi si contenga piuttosto latte od altra materia ‘da’ farne secondo l’antichissimo ‘uso de’ servi, un presente al pa- drone . E qui toccando la questione della maniera di scrivere, certo è, come attesta Orapollo; che gli egiziani usarono penna ed inchiostro: e dice il dottissimo Champollion che il Kasck degli egizi equivale al Az/2m degli Arabi, il quale al calamus dei latini corrisponde . Ma aggiunge l’A- che oltre la penna usarono ancora: dello stilo j che gli Arabi ebber pure, e lo chiamaro- no ‘Malmul (1), col. quale incidevano le lettere sù preparate tavolette ; ed. ei vuole che di tal specie sia quello degli seriva= ni del Kilanaglifo. Non troviamo irragionevole questa sentenza,’ molto piu ripensando che gli ‘antichi avendo. l’uso delle canne, o penne e'degli stili, adoperavano più spesso questi ultimi per iscrivere. quelle cose che o. servir dovevano. per il. momento ; od erano per emendazioni più soggette ad esser cancellate . Quin-. (1) Se a taluno facesse diflicoltà questa voce, di uso in vero non frequen. te e di radice non certa , la vegga riportata nel (Golio sotto la radice malla, o malal col. 2256. II. Q. tamalmal, ov'è riportata con la vocale dsamma ‘sulla ‘prima /Mim', Mulmul, e spiegata dietro l’ autorità di El--Gieuhari ‘4, stylus ferreus quo in tabula scribitur . 61 di ne usarono forse i poeti (2) ; come dimostra l’ antichissimo dipinto della Saffo, che appoggia al labbro uno stilo; ed è anche probabile che per. questo modo si scrivessero presso gli egizi i conti di amministrazione . i Il terzo che succede distinto pel berrettino, par quello , dice l’A, al quale incombe il ricevimento dei conti dai subal- terni, che un dopo l’altro se gli presentano , dietro il coman- do di quello che ultimo della fila sta in piedi, e cui esser capo dell’ amministrazione dimostra il piccolo scettro che nella mano sostiene . Negli altri due compartimenti si veggono coloro ai quali è affidata la cura del bestiame ; sui quali , e su certi lo- ro distintivi ragiona l’A. con molto ingegno in vero, ma alla maniera degli archeologi assai minutamente . Io quanto ai numeri abbiamo qui la conferma di quanto fa già scoperto dall’ inglese Young , più la certezza del mille che fu da lui lasciata in dubbio. La unità è simile nella forma al- l’antica romana; la decina ha figura di un ferro da cavallo; il cento si assomiglia al nove che noi usiamo ; e il mille si for- ma di un emiciclo sostenuto da una lunga asta a modo di ste. lo. L'ordine dei numeri dice l'A. è in questo luogo orientale , vale a dire da destra a sinistra (3); ima vedendosi altrove di- versamente disposti, è da credere fosse indifferente agli egizi |’ ordinare i numeri nel computo @ da sinistra o da destra . Il pro- cesso è decimale, e si fa per ripetizione della stessa cifra . Ve- desi a cagion d’ esempio il numero dei buoi distinto in due ver- si in questo modo : il primo, cominciando da sinistra, composto di quattro nove e tre ferri di cavallo , darà 430 ; il secondo di quattro nove e di quattro unità , che portando 4o4., si avrà la somma totale in 834, e così dicasi degli altri numeri quivi potati . i Lungo l’ asta che sostiene il solecchio si veggono alcune ge- roglifiche note alle quali volendo pur dare |’ A. una spiegazio- ne, e nonostante le nuove scoperte fatte su questi misteri del- l’ antichità, non valendo a farlo, prende da questa. occasione di parlare del sistema geroglifico del celebre sig. Champollion. Su di che, come di cosa che ben a dritto empie il mondo di me- (2) Ved. il Martorelli: De regia theca calamaria t 1. pag. 29. (3) Orientale sarebbe in quanto alle parole , ma inquanto ai numeri è lo stesso che praticarono i romani, ed usiamo noi colle cifre arabiche o india- ne, comiuciando a sinistra, colle decine , e andando a destra colle unità .An- zi per lo contrario gli Orientali, quaudo scrivono i numeri per parole , comin- ciano generalmente dalle unità, e procedono colle decine, centinaia, migliaia ec* 62 raviglia e di espettazione, volendo noi più che profferire gia- dizio, dichiarare alcune cose che, forse non ben chiarmente, sono state espresse dal nostro A., riportiamo fedelmente le parole di lui. ,, Posciachè, egli dice , v'è grido per Europa che le no- velle scoperte del peritissimo Champollion spargano sì gran luce su quei misteri, che più misteri non sono , benchè innanzi a due mille anni lo fossero. Non è certamente |’ autore che move sì alto e falso grido; è la turba degli adulatori, di rado intelli- genti, che per troppo illustrare la fama di alcuno, l’adombra e la offende assai volte; siccome nuocerebbe al nome di quel sag- gio, se non ne fosse nota la modestia, che va predicando esservi per lui da studiare più ch'ei non fece, per giungere a tal punto che ogni difficoltà ne sia vinta. Lodiamo lo zelo fortissimo che lo anima alla verità della cosa; e ciò che s' ha da lui a sperare, da chi altri mai si potrebbe ? Eh! sì , che in leggendo il suo nuovo sistema grafico per lo intendimento dei geroglifici , fui da . molta verità colpito, e tanto gustai quel suo dotto lavoro, che voglio darne segno all’ autore, cui apprezzo quanto null’ altro mai, con produrre alcun mio pensamento , e sottoporlo al suo giudizio, perchè si piaccia considerarlo ed usarne, quando gli giovi, a fortificare i suoi trovamenti. ,, Dopo tal dichiarazione egli accenna brevemente come per la celebre trilingue iscrizione di Rosetta (4) si potè disporre in ordine alfabetico i geroglifici fonetici: che Champollion nella sua gran- d’opera diede un buon numero di fonetiche figure, alle quali as- segnò il valor letterale , ed appose le corrispondenze della scrit- tura ieratica e demotica, e ne diede per rapporti di lettere ebrai- che e moderne copte l'ordine e la successione. Ora nasce il dubbio, egli dice, se con quel geroglifico alfabeto abbia voluto darci i segni co’ quali gli egiziani indicavano i suoni delle lette- re greche e romane, ovvero quelli delle proprie lettere nella lor lingua originale + E sembra, aggiugne, ch'egli abbia voluto su gli uni e su gli altri estendere quell’ alfabeto, avvegnachè applichi il valore delle figure fonetiche usate per li nomi nostri anche ai nomi egiziani, ed alla egiziana espressione : lo che non è buono , se si consideri che per la differenza che passa tra l’ egizio e il greco, o romano linguaggio , le lettere di quello non valevano ad esprimere i nomi di quest’ altro che impropriamen- te. Era dunque necessario che si offrissero due diversi alfabeti a distinguere questo diverso valore di segni; inoltre è gravissimo (4) Vedi A.p. 79. del presente volume. 65 inconveniente, ei dice, l'aver aggiunto all’egiziano alfabeto co- me vocali quei segni che, quantunque adoprati fossero dagli e- gizi per esprimere le nostre vocali nei nomi greci o romani, pure in loro alfabeto erano consonanti . Quindi procede ad esa- minare alcune voci che più frequenti occorrono, onde mostra- re che nell’ alfabeto di Champollion più d’ una lettera è scam- biata; e percorrendo poscia ordinatamente tutto l’ alfabeto, fa a ciascuna lettera le sue osservazioni, ne propone i cangiamenti, ed esorta il sig. Champollion ad introdurli; comecchè non ignori esser ciò per dargli assai di molestia, andando per tal guisa sog- getta a molta varietà la già fissata ortografia. Conclude in fi- ne di nulla intendere ciò che fu geroglificamente scritto nel Ki- lanaglifo, nè a lui darne lume bastante il nuovo sistema ; tanto esser breve la estensione di tale scoperta! Noi ci contentiamo di aver così brevissimamente riportate le principaliopposizioni dell’A. al sistetna del sig. Champollion, il quale nonignoriamo esser appoggiato da fatti e da solenni prove confer- mato; e nulla di meno non esser per anche a tal perfezione con- dotto che altro non resti su di esso a desiderare, quantunque per il sig. Champollion siasi fatto il più grande e il più diffici- le passo. Non vogliamo pertanto dichiararci in tutto favorevoli al nostro A. dicui, se non sono da rigettarsi le osservazioni, han- no cerlo bisogno di quella conferma della quale non mancavo le teorie dello Champollion; nè ( chiedendo la cosa lunga e profon- da ponderazione, ed altro campo che non si concede dai limi- ti di questo articolo ) vogliamo esporci a pregiudicare la causa di quel grandissimo archeo!ogo, rispondendo per lui troppo de- bolmente, quando che egli medesimo potrà farlo, se il voglia , con tutto il nerbo della sua dottrina (5). A noi non cade in pen- (5) Mentre stavamo scrivendo questo articolo, ci è pervenuta la distri- bùzione 4. del 1,vol.delle Memorie romane di antichità e di delle arti , im fine delle quali troviamo riportata una lettre de M. Champollion a M. Z. .+. , ove quel dotto francese risponde alle opposizioni del nostro A. in vero con mal represso risentimento. Alle ragioni ch’ egli reca, sebbene con brevissimo discorso, noi non sapremmo che cosa rispondere in contrario, e siamo d’av- viso che neppure il sig. Lanci, od*alcun altro il saprebbe, Soprattutto ne par giustissimo ciò che oppone alla sentenza dell’ A. che, la priucipal guida a se- guirsi per fissare il suono e il valore dei segni fonetici egiziani sia Mosè. È incontrastabile che quel legislatore, scrivendo per gli Ebrei, infletteva alla ebraica quelle voci egiziane che gli occorreva di riportare, secondo la ma- niera, non già da lui stesso inventata, ma formata dal popolo nell’ uso del parlare, come sempre accade in ogni lingua allorquando sì mettono in corso le voci degli stranieri. E 1’ alterazione suol esser lanto maggiore quanto è mi» 64 siero la stolta presanzione di far giadizi, lambendo, su quelle cose che vogliono essere profondamente esaminate; ed amiamo meglio umili comparire, confessandoci non bastantemente, pre- parati, e non per anco forniti di mezzi sufficienti a toccare il fondo di una importante quistione, che stolti e leggieri aggi- randone la corteccia. Rimettendo però ad altro tempo il ragio- narne più addevtro, facciamo passaggio alle due ultime pagine, ove siffatte cose si accennano dal nostro A., le quali potendo per avventura sembrar dettate da non lodevole studio ; non sap- piamo dispensarci da sottoporle a certe nostre riflessioni, le qua- li a tutti facciano aperto il vero loro intendimento, che con gra- ve danno degli studi esser potrebbe da qualche incauto, o ma- levolo travolto. A ciò fare, riferiamo le parole stesse dell’ A. là ove si scusa del non aver dato alcuna spiegazione ai gero- glifici del Rilanaglifo. “ Per la qual cosa , egli dice, non si vo- gliono accrescere per me le molte conghietture, nè alla vana vo- ce far eco, la quale da ogni lato schiamazza , che tutto si è fatto sù geroglifici a’ dì nostri chiarissimi. Corre l’ ignaro vol- go di nostro secolo ai grido delle scoperte, come femmine a nuova foggia di vestire; siccome questa caccia quella , così l’ un grido l'altro disperge. Ha pochi anni non si parlava, che de’ Palimpsesti: per poche rinvenute righe e sconessi periodi. di antico scrittore, si menava rumor per guzzette e giornali, più che in altra più bella età non si fece per lo scoprimento di tut - ta l’opera di un classico autore. Che ne avvenne? Tali ricer- che furono generali; tutti che stavano sulle manoscritte per- gamene , ed aveano concession di macchiarle, usando gli stessi mezzi per dar la vita a’ perduti inchiostri, pubblicamente si conobbe la facilità e il poco ingegno che vi s’ impiegava a pro- durre frammenti inediti, ove era dato per siffatta guisa produr- li; e la volgar fama per gli scopritori fu muta; nè resta loro per la usata fatica de’ riprodotti volumi, fuor la stima e la gra- titudine degli studiosi. A quel grido successe la declamazione a favore dei geroglifici; ed ora ognuno si studia d'incidere e segnare il suo nome con egiziane figure: quando apertamente si conoscerà da quanto breve confine la nuova scoperta è cir- coscritta,, quel grido sarà fioco; svanirà il timore che il nuo. vo geroglifico sistema possa mai adombrare in alcuna parte quel- nore l’ analogia de’ suoni delle due lingue. Basti ad esempio la maniera eon la quale i settanta interpreti resero nel greco i nomi propri dell’ ebreo, Ora chi direbbe che la guida sicura di fissare il suono ed il valore ebraico di quei nomi, sia la pronunzia che lor diedero i settanta? 65 la storia, che sola merita la universale venerazione ; sorgerà no- vella voce per acclamare a un migliore scoprimento ; ed io in- . frattanto per chiudere con l’ Alighieri, siccome fu incomincia- to (6), farò il buon augurio, che è «0 0 « Forse è nato Chi l’uno e l’ altro caccerà del nido. Neon é’l mondan romore altro che un fiato Di vento, ch’ or vien quinci, ed or quindi, E muta nome, perchè muta lato . A che, e d’ onde tante ire direbbe chi, grossamente pren- dendo le parole dell’ A., non ne vedesse l’intimo spirito, il qua- le esser dee degno indubitatamente di lui? Abbiamo perciò vo- luto trattenervici alquanto , onde far considerare che il ch. A. è certamente amico de’ buoni studi, e ne ha dato già prove manifeste e sarà per darne delle maggiori; nè per tali espres- sioni se gli vuol far debito di contrario intendimento. Egli non ignora doversi distinguere il grido del volgo dai parlari dei sag- gi, ai quali quel grido stesso fa eco, se non a premio di plauso, certamente a niun danno della istruzione: essere stato dalle cure di pazienti ed esperimentati filologi utile non lieve partorito alla erudizione ed alle lettere, e non senza frutto avere i dotti pro- fittato di ciò che l’altrui diligenza ha scoperto: esser dovuta moltisssima lode e ricompensa di universal gratitudine all'Autore di sì bello scoprimento, che può riguardarsi come vivo fonte di sempre nuovi tesori: disconvenire in fine grandemente a chi fa professione di scienze o di lettere il solo pensiero di detrarre alla fama che altri già acquistò con immenso studio ed ingegno profondo in ogni maniera di sapere, ed essere sopra d’ogni al- tra cosa vituperevole in saggio critico la mordace censura, vi- zio di cui pur troppo vaghi si mostrano molti italiani, a dan- no gravissimo degli studi; onde sì spesso apparisce la nostra polemica tutta piena di ributtevoli insolenze, Queste cose non ignora }' A., e noi che rettamente interpretiamo le parole di lui, non intendiamo di fargliene rimprovero. Molto poi ne con- solerebbe il poter dire che corre l’ ignaro volgo del nostro se- colo al grido delle scoperte mosso da curiosità o maraviglia, onde nasce il sapere, e sia pure un’ augurio da compiersi tra noi, che alle fatiche dei dotti anche il volgo prenda par- (6) L'A. pose ad epigrafe del Kilanaglifo quei versi di Dante- Purg. XI O vanagloria dell’ umane posse, Com” poco il verde in su la cima dura Se nonè giunta dell’ etadi grosse! T. XIX. Settembre 5 66 ‘te, e con quell’ unico mezzo che per lui si può , coll’ applauso avvalori. È certamente zelo di maggior verità che muove l’ A. a scrivere essere, al grido de’ Palimpsesti successa la decla- mazione a favore dei Geroglifici; poichè nè vorrebbe nega- re i vantaggi che da quel primo trovato derivarono , nè sapreb- be noverare alcun danno di cui quel grido fosse stato cagio- ne; e molto meno egli è per vituperare chiunque anche troppo parli a questi nostri giorni dei Geroglifici, e si studi di conoscere gli avanzamenti che si sono fatti in questo ramo importantis- simo dell’ archeologia . I quali, ancorchè fossero a quel grado che per lui si presume, sarà sempre forza il confessare che per essi molto meno siamo distanti dal vero, di quello che per lo avanti lo fossimo. Ogni amico della cultura e degli uomini (e tra questi non sarà ultimo il nostro A.) dovrà fare ogni opera perchè più presto si pervenga al fine desiderato di perfezione , anzi che declamando sconfortare quelli stessi i quali mova sol- tanto non biasimevole curiosità. A quanto poi egli dice che svanirà il timore che il nuovo ge- roglifico sistema possa mai adombrare in alcuna parte quell Sto- ria che sola merita la universale venerazione ; noi asseriamo ala cremente doversi in tutt’ altro senso interpretare che in quello per cui furono simili parole in altre circostanze profferte, e menatone alto grido, e fattone uso da altri come di arme imbrandita a danno della istrazione. Vi è pure una schiatta di uomini che per intempe- rante zelo, e per mal concetti principii fa guerra aperta ad ogni avanzamento della scienza; ed è spesso la vituperevol calunnia la infame arme di più infame disegno. A noì piace di rappresentare la cosa coi suoi più veri colori, onde meglio si vegga quanto il ch- Lanci andar debba lontano da sì brutta taccia. Quella storia che so- la merita la universale venerazione rimarrà sempre quella che è; nè quei sommi ingegni ai quali fa concessa la gloria di utili sco- primenti in ogni maniera di sapere, discesero mai alla bassezza o dicasi pure, all’empietà, di voler far guerra a quel vero a cui ogni saggio piega la fronte. Il fatto ne sia prova manifesta. Più e più scoperte grandissime si fecero nel corso di pochi secoli: |’ e- sperienza ed il tempo han dimostrato esser vere; e quella storia ve- nerabile non solo non ne ha patito detrimento, ma ancora gli stessi ardenti contradittori alle nuove dottrine han dovuto confessare che male di quella si abusarono per contrariarle. SÌ, convien pur dir- lo: nelle varie opinioni del nostro secolo è vizio dominante l’in- temperanza . Cominciossi appena per i precetti di sommi inge- gni a formare le naenti degli uomini, a ordinare in distinte elassi 67 le idee, ad insegnare la rigorosa deduzion dei giudizi nel ragio- namento , e sì gridò, ad onta di tante e sì manifeste dichiara- sioni, mescendo il buono \col mediocre e col pessimo , si gridò al materialismo. Si rivolsero altri per ristaurare lo ‘stile del no- stro ‘idioma , già tutto pieno delle impronte del popolo straniero dominatore , all’ innocuo stadio del gran padre della nostra fa- vella, ed ecco voce si fè udire che mormorava un non so che d’ iosidia ad altri principii. In fine , chi’l crederebbe ? Vuolsi far credere che lo studio dei geroglifici egiziani miri insidiosa- mente a fini occulti e sovvertitori ! Ben dice il ch. A. che sva- nirà un tal timore; chè timore soltanto può essere di men- ti deboli e stolte oppure calunnia di maliziosi. E chi non ve- de mirarsi per tal mezzo a metter in odio la scienza, quella scienza di cui, al dir di Tallio, nulla virtù fu data da Dio agli uomini più prestante, e cui la santissima religion nostra co- manda di apprendere ? Aborriranno i troppo creduli padri dal farne ricchi i lor figli, per timore che alla immoralità li con- duca ed alla irreligione. Di tal ragionamento, non affatto a tor- to, si valgono quelli che eccedono nella contraria sentenza ; e quindi nasce un conflitto tra gli estremi i più opposti, dai quali rifugge lontanissima la verità. Ma soprattutto ne duole che tali voci muovano più spesso di là d’ onde il falso esser dovrebbe anco dagli umani studi bandito , e dove di niuna efficacia do- vrebb’ essere l’ aura di grido maligno o volgare. L’A. finalmente in più luoghi di questo libro ha dimostrato quanta stima ei faccia del dottissimo Champollion, la di cui opera confessa di aver ammirato, e che si propone con giu- stizia a modello di utilissimo scoprimento. Noi, secondo che pensiamo , di maggiore avanzamento diremmo piuttosto; e fac- ciamo augurio che sorga pure questa voce novella per acclamare o allo stesso Champollion , o ad altri che più in là dietro le sue tracce progredendo , ogni velo squarci, se fia possibile, che ri- cuopre quelle interessanti dottrine dell'antichità, Ed a chiunque lo conceda fortuna, non crediamo potersi oscurare la gloria di quel Dotto , al quale si dovranno sempre le prime lodi, comec- chè si discopra abbisognare il suo sistema in molte parti di cor- rezione. Noi pertanto vogliamo piuttosto rendergli grazie , e pre- stargli incoraggiamento a nuovi passi, che sconfortarlo con in- grate parole. Nè ingrato apparirà il nostro A. allegando quei versi dell’ Alighieri, a che forse lo indusse zelo di maggiori avanzamenti, siccome ben dimostrano le varie espressioni che quà e là s'incontrano nel suo libro. Male anche si avviserebbe chi a lui farne volese debito di orgoglio, quasi che con inten- dimento di se stesso le avesse profferte come già Dante le scrisse ; poichè simile accusa verrebbe smentita da quelle parole di mo- destia che valgono in più luoghi dell’opera sua a renderne più commendevole la dottrina. IPPOLITO ROSELLINI. —_— RIVISTA LETTERARIA Lezioni di lingua toscana di DomeNIco M. MANNI, quarta edizione, Milano, Silvestri 1825 in 12°. La grammatica d’ una lingua ( ognuno il sa) è l’arte di ben esprimere in questa lingua le proprie idee. Ma nessun’ arte, dice Tracy, può avere principii certi quando la scienza da cui deriva non è pervenuta o non è molto vicina alla sua perfe- zione. Perchè adunque la grammatica particolare di nostra lin- gua (0 toscana o italiana che vogliamo chiamarla ) si riducesse ad arte sicura, bisognava che la scienza dell’ espressione delle idee ossia la grammatica generale fosse poco meno che perfetta - Ora la scienza dell’ espressione ( speriamo che ciò sia inteso da tutti ) non potea perfezionarsi prima di quella della forma- zione delle idee : come ta scienza della loro deduzione , ossia del ragionamento, nol potea indipendentemente dall’altra. Queste tre scienze sono sì legate fra loro, che quasi parti di una sola, benchè si distinguano con nomi differenti, sogliono pure com- prendersi sotto un nome comune , quello d’ ideologia. Chi però nell’ età del Manni , cioè nella prima metà dello scorso secolo, pensava a così stretto legame? Chi , volendo pur fondare la gramatica della propria lingua sopra la gramatica generale, sa- peva assegnare a questa il suo vero fondamento ? Ed oggi che un tal fondamento è sì bene conosciuto , chi oserebbe dire che sia abbastanza approfondito? Noi non vogliamo con ciò tacciare di superficialità gli illustri ideologi che ce l’ hanno fatto cono- scere. Bisognava certo vedere molto addentro nelle operazioni del nostro spirito, per dedurne chiaramente quantunque in- completamente le leggi del discorso, che serve a manifestarle . Bisognava aver fatto di questo mezzo d’ espressione un’ anali- sì accuratissima , per trovarne in qualche modo la corrispon- denza con quelle operazioni. Pure ciò che resta a farsi non è poco. Restano se non altro a studiarsi i sistemi d’ un eran nu- 69 mero di segni particolari delle idee , cioè le lingue di molti po- poli e anticamente conosciuti e modernamente scoperti. Questo stadio, a cui parecchi oggi si applicano con ardore in varie parti d’ Europa , ci sembra necessarissimo, perchè la scienza dell’ espressione o gramatica generale acquisti veramente un ca- rattere di generalità . Il deposito delle idee degli uomini è nelle loro lingue. Più si estende la cognizione e quindi il confronto di queste, più si chiarisce la scienza della formazione delle idee, più si approfondisce quella della loro espressione generale, più si precisano le norme della loro espressione particolare. Ma se la sicurezza di queste norme dipende dalla scienza dell’ espressione generale delle idee, noi dunque ( può doman- darsi ) fino a questi ultimi tempi non avremo posseduta una vera arte d’esprimerci, non avremo avuto che una lingua molto imperfetta ? — E la nostra e tutte le lingue del mondo sono tuttavia e saranno più o meno imperfette, malgrado tutti i progressi dell’ ideologia, la quale può molto rettificare , ma non può nulla creare. Lingua perfetta, come osserva Tracy, sarebbe quella in cui ogni idea avesse un’ espressione. propria e precisa , e ogni dedazione d’ idee o ragionamento qualunque avesse l’ evidenza di una matematica dimostrazione. Ora ciò è impossibile, poichè per la natura delle nostre intellettuali fa- coltà siamo costretti a far uso di segni, che tutti ( meno quelli delle idee di quantità oggetto delle matematiche } esprimono incompletamente ciò che abbiamo nell’ animo. Ad ogni modo risalendo studiosamente ai segni primitivi delle idee, cercandone le naturali affinità , indagando le relazioni che passano fra essi e le idee che rappresentano, può giugnersi a diminuire le am- biguità e le incertezze d’ una lingua particolare, a stabilire certe norme per la più semplice e più esatta espressione delle no- stre idee nella lingua che da noi si parla. Il Manni sicuramente non potè proporsi uno scopo sì filoso- fico nelle lezioni che scrisse intorno alla nostra lingua. Pure condotto da un istinto felice (e in ciò parmi che si distingua da pa- recchi gramatici a lui anteriori ) cercò di sottrarla per quanto da lai dipendeva all’arbitrio, e di accostarla a certa esattezza, che avea nella mente. Difatti, omesse le regole che supponeva ab- bastanza note a quelli per cui scriveva, intese a far chiare le poco note, e stabili le incostanti. Quindi prese per così dire a testo delle sue lezioni (v. l’ ottava) queste parole d’ uno de’ suoi predecessori G. B. Strozzi: “ Intorno alla nostra lingua io sono ito considerando quelle cose nelle quali i più sogliono errare mentre 79 parlano o scrivono, secondo che li porta l’ uso o pinttosto l’ abuso degli altri ,,. Ogni lingua, passata per vari periodi, d'infanzia, di giovinezza , di virilità deve necessariamente contenere elementi diversi, aver subite molte alterazioni. Il distinguere in essa ciò che è proprio e quasi ispirato dalla natura e ciò ch'è improprio o contro ragione ; il cercar di serbarle, conformandola agli esempi de’suoi primi scrittori, una specie di unità, la quale risulta così dalla regolarità dei costrutti, come dal costante significato delle parole, può sembrare a taluno opera minuta e pedantesca, ed è in sè medesima opera sommamente filosofica. I primi scrittori, che diedero per così dire forma precisa ad una lingua, farono più logici e più rigorosi che nessuno s’ imagina. Essi usarono le parole in un significato molto esatto e secondo le loro naturali relazioni, che è quanto dire secondo le relazioni delle idee con esse significate. Questa loro proprietà di espressione, specchio di quella usata dal popolo che parlava la lingua medesima , si andò un poco alla volta, per la complicazione di nuove idee, l’in- troduzione di modi forestieri, e i tristi effetti dell’ ignoranza e del- l’ incuria, in molta parte obliando. Il richiamarvi gli uomini fra cui si vive, indicando loro quali fra le modificazioni ricevute dalla lingua vi sieno conformi e quali contrarie , è un servire alla filosofia della lingna medesima, la quale quanto più si scosta dalla pro- prietà tanto più manca di chiarezza e di precisione, e quanto più manca di queste doti tanto è più lontana dalla perfezione. Che se d’un tal richiamo hanno bisogno frequente quelli stessi che nacquero e vivono ove la lingua nacque o almen crebbe e ancor vive (il Manni ha dettate le sue lezioni pei toscani) e dove per conseguenza è naturale il gusto della sua proprietà; che sarà di quelli che vivono ove mai non si par- larono che informi dialetti, ed ove i pochissimi scrittori; che si curarono di proprietà, tanta ne usarono, quanta seppero derivarne dagli scrittori della Toscana? Già era sorta da tempi anteriori a quelli del Manni la questione, sicuramente non oziosa, se la lingua degli scrittori d'Italia dovesse chiamarsi toscana o italiana, E non per superbia municipale, ma per amore del- l’ Italia tutta, parve a questo grammatico di seguitare come i suoi antecessori a chiamarla toscana. Poichè, accettata |’ al- tra denominazione, che è quanto dire (se tal denominazione ha un significato) ammessi i vari dialetti italiani a formare la lingua scritta, la norma del perfetto scrivere, anzi la speranza di una lingua comune sarebbe perduta. Manni faceva sicura - mente un raziocinio semplicissimo: la lingua scritta vien dopo 75 la lingua parlata; se la lingua, che si scrive in Italia, non ha conformità che con quella che si parla in Toscana, dunque per ora è lingua toscana e non italiana ; e se è lingua toscana, tanto meno bisogna permetterle una vaga denominazione, che per essa non solo si allontanerebbe da quella urbanità o proprietà , senza di cui non può avere nè efficacia nè bellezza, ma rischierrebbe di perdere alfine anche la sua umtà. Egli vedeva, come i più studiosi di nostra lingua, non soggiornando ove questa ha sede, sì trovavano talvolta nella condizione de’ meno studiosi. Il Cinonio a cagion d’esempio ed il Bartoli (lezione 5.) prendendo fra le mani testi non esatti, e non avendo nella lingua parlata al:un mezzo di correggere la lingua male scritta, erano stati costretti o ad adottare l'errore o a rimanersi nell’ incertezza. Vedea come i più ingegnosi, per l’istessa ragione del vivere lentano di qui, si trovavano talvolta nel fatto della lingua così impacciati come quelli di minore ingegno. Il Marini per esem- pio e il Chiabrera (lezione 3.) non potendo trar lume dal- l’uso del popolo, supremo arbitro delle lingue, aveano male adoprati nomi comunissimi, o non supponendo fra loro alcuna differenza di significato, o supponendone una non vera. Però di- ceva forse tra sè : conserviamo alla lingua questo appellativo di toscana , che richiami sempre gli scrittori alla pura sua fonte, altrimenti verrà dì che la lingua sarà varia quanto variano i dialetti delle provincie d’Italia, anzi quanto variano le fan- tasie degli scrittori medesimi, e si renderà più che mai dif- ficile (chè impossibile non dovrebb' essere ) l’ avere una lingua veramente italiana. Non so s’egli sperasse che fra gli studi elementari d’ ogni provincia si annovererebbe un giorno anche quello della sua lingua prediletta, che raccomandata special- mente al delicato sentire delle fanciulle si propagherebbe con facilità, e diverrebbe alfine lingua di tatti. So che le sue lezioni sono un commendevole esempio di quella lucidezza e di quell’amenità che potrebbe darsi all’ insegnamento della lin- gua, e da cui dipende in gran parte il buon effetto dell’ insegna- mento medesimo. Certo per offerire un tale esempio, quando l’ ispidezza parea dappertutto la caratteristica de’ precettori, bi- sognava avere intendimento non volgare ed animo assai gentile. tia Rime gravi d° Antonio Cesari con pochi versi latini. Verona, Libanti 1823. in 8: Ecco uno degli studiosissimi della lingua, se pur non dob- biamo dire il più studioso, che oggi si trovi fuori di ‘Toscana; ed ecco un gravissimo testimonio di ciò che si asseriva poc’an-, zi, che la vera lingua non è propria che della ‘Toscana. Mai forse nessuno più del Cesari giunse, studiando , a rendersi fa- miliari le dovizie della lingua medesima, e nondimeno è. pur forza sentire che questa lingua non gli è ancor divenuta na- turale. Noi avevamo più anni addietro ( quando in Italia si sta- diava il latino meglio che oggi non si studi quello che allora chiamavasi il volgare ) molti ciceroniani. Scrivevano essi veramente la lingua di Cicerone? Qualcuno può imaginarselo se ciò gli piace ; a noi basta di credere che scrivessero con frasi di Ci- cerone. L'essere la lingua de’ grandi scrittori toscani ancor viva, e l’avere con essa i vari dialetti della nostra penisola più 0 meno affinità, appena la rende più maneggevole ai non to- scani di quello che la lingua di Cicerone potesse esserlo a quei ciceroniani. Derivandola da’ libri e non prendendola dall’ uso, più vecchio insieme e più giovane de’ libri, a cui serve d’ in- terprete o di supplemento, si scrive questa lingua viva come farebbesi una lingua morta. Quindi gli arcaismi, gli idiotismi, i modi ricercati, le perifrafi o i traslati invece delle parola proprie , le sintassi bizzarre o faticose, e cento altre coserel- le, di cui pochi si avveggono fuori di Toscana, ma'che in To_ scana si notano inesorabilmente , in ispecie le mancanze con- tro l’ eufonia , fatalissime allo stile, per le quali ogni Teofrasto qui corre pericolo di sentire dalla vecchierella il terribile sei fo- restiere. Questo discorso per altro non vogliamo tanto applicarlo al Cesa- ri, poco noto rimatore , come al Cesari, conosciutissimo prosatore . Il linguaggio della poesia più ristretto, più speciale, più costante che quello della prosa deve anche'per chi vi abbia disposto l’ingegno esser più facile ad apprendersi. Linguaggio scritto anzichè parla- to si trasmette naturalmente da scrittori a scrittori, e quale, se non si creò, certo s’ingrandì e s’ illegiadrì sulle rive del- l’Arno, può ancora per istudio ravvivarsi ove scorrono fiumi di lingua altro che d'oro. Il Cesari, come ognuno può sapere, ha stu. diato molto il linguaggio di Dante (idue grossi volumi che ab- biamo da lui salle bellezze di questo poeta ne fanno prova); e molto ha pure studiato quello del Petrarca, siccome potem- 73 mo accorgerci fin da quando egli diede il primo saggio d’una versione dell’ odi d’ Orazio, che sì sarebbe chiamato non im- propriamente d’ odi oraziane petrarcheggiate. L’anteriorità di tale studio, che noi quì abbiamo posto in secondo luogo, e più di tutto l’ indole dello studioso, hanno fatto sì che le sue rime sentono piuttosto le maniere del cantore di Laura che quelle del cantore di Bice. Dico le maniere, e non posso di- re di più, come trattandosi de’ suoi versi latini non potrei dire che sentano più che le maniere d’ Orazio o d’ altri del seco- lo d’ Augusto. La natura volea fare del Cesari un buon filo- logo piuttosto che un buon poeta ; ed è inutile l’ andare contro la natura. Se bastasse gridare. com’ egli fa, cominciando la sua terza rima pel ritorno di Pio VII a Roma nel 1814: A me Dan- te il tuo foco, io n’ ho mestiero; noi avremmo in Italia mille poeti, mentre quasi non abbiamo che verseggiatori. Il Cesari, per alzarsi un poco dalla schiera di questi , ha d’ uopo che qualcuno degli antichi, a cui furono concéduti i favori delle Muse, gli presti in qualche modo le parole e l’ armonia. La sua versione per esempio dell’ inno di Callimaco sopra i lavacri di Pallade non solo si lascia addietro quella del suo concittadino Pompei, ma riesce più graziosa di quella del Pagnini e a quan- do a quando anche di quella dello Strocchi. Il suo esperimento intorno alle satire e alle epistole del Venosino certo non pro- mette un Wieland all’ ltalia, ma è il meglio che ci ricordiamo d' aver veduto in questo genere dopo gli esperimenti del Van- netti. Nelle rime originali del Cesari non si trovano dunque , tran- ne lo stile o per dir meglio la lingua, pregi di nessuna specie? — Quelli, che derivano dal buon giudizio , credo che loro non manchino. Voi incontrate fra esse or canzoni or sonetti di bell’ andamento ed anche talvolta d’ ingegnosa orditura. Ma il fuoco, il vero fuoco poetico non potremmo dire, senza stolta adulazio- ne, che mai vi si trovi. Un solo componimento sembra aver- ne qualche scintilla , ed è quello a cui nell’ indice della presen- te raccolta leggiamo apposta questa specie di rubrica: “ Si canta l’ immaginato nascimento di ur figliuolo d’ Oltaviano Au- gusto , e si accenna alla pace poco dopo in tutto il mondo av- venuta per G. Cristo. Il poeta amplificò i fatti ad esempio di Virgilio nel libro terzo delle Georgiche . ,, La singolarità del ti- tolo ci fece un poco meravigliare, e quindi la lettura non poco sospettare che si trattasse in origine del nascimento non imma- ginario del figliuolo d’un Augusto più moderno d’ Ottaviano . 74 Quando un bibliofilo venne a cangiare il nostro sospetto in certezza, presentandoci un singolar libriccino d’ a/cune poesie dell'autore, impresso nel 1814 colla falsa data di questa nostra città . Ivi il componimento s° intitola canzone per la nascita del figlio primogenito di Napoleone nel 1810 , epoca posteriore di poco a quella in cui il Cesari pubblicando sotto gli auspici del figlio adottivo di quel potente il famoso vocabolario , magnifi- cava nella dedicatoria il suo gran padre, e lo chiamava in buone majuscole il grande Augusto. Il piccolo proemio posto dagli editori a quel libriccino, e il confronto della canzone con altri componimen- ti che nel libriccino medesimo e in questa raccolta le tengono com- pagnia, serve a spiegarci la mutazione del suo titolo. Quel gran- de , ch'a Dio qui regna secondo — con quel voler a cui tutto s' inchina — già t' apparcecchia l’ universo intiero è detto in essa con cento altre magne cose al regal pargoletto. Nella terza rima, che in questa raccolta immediatamente la segue, e in al- tra che non immediatamente la precede , è parlato di letizia che imperando quel non piu grande fu forza mentire, di popolo folto d’ adulatori che lui gridaro un nume — a sozze lodi, mentre ri- dea fortuna, il fren disciolto . Siffatti componimenti è ben® chiaro che stavano male insieme » la canzone fra le due terze rime si trovava fra due terribili accusatrici. Dubiliamo per altro che ribattezzata com’ è vi possa star meglio . Alle poesie gravi, come promette l’ avviso ai lettori, debbono tener dietro altre piacevoli ; e il sapersi quanta cura l’ autore abbia posta vello studio de’ bernieschi e de’ comici toscani specialmente ( veg- gasi il suo bel Terenzio) ne fa credere che non saranno piacevo- li soltanto d’ intenzione , Sappiamo che ad alcuni , gettatisi ( pro- babilmente in forza di strane esperienze ) alla scuola di Demo- crito, certe contradizioni sembrano le più lepide fra le cose di questo mondo. Noi però confessiamo che le rime piacevoli ci riuscirebbero alquanto malingoniche, se ci avvenisse di trovarvi simili lepidezze come nelle gravi. Lezione sopra ciò che compete all’ intelletto e all’ imagina- tiva nelle diverse produzioni dell’ ingegno. Parma , Paga- nino 1825 în 8°, Questa lezione ci è sembrata a più riguardi esemplare. Fa- cile, piana, condita di opportuna erudizione, scritta con certa castigatezza elegante ci ha fatto pensare che sia opera d’ in- gegno maturo, o, se non maturo, già bene esercitato. Non vi 75 abbiamo trovate per vero dire idee molto rimarchevoli; ma in generale vi abbiamo trovate idee molto giuste. Solo tre cose non ci hanno contentati abbastanza , e le noteremo, perchè siano soggetto dì riflessioni alteriori. Ove parlasi di ciò che compete all’ imaginativa nello stu- dio delle scienze , pare che, oltre l’officio di somministrare i segni delle idee, il tipo degli stromenti necessari per le spe- rienze, e il colorito per l’ espressione delle verità ritrovate, nessun altro si creda a lei conveniente, per ciò ch’essa, a dif- ferenza dell’ intelletto, facoltà conoscitrice, deve riguardarsi qual facoltà creatrice. Questa definizione , convenevolissima in un di- scorso di poetica, può sembrare troppo ambigua in una lezio- ne di filosofia; e la prova della sua ambiguità è nella conse- guenza che ne venne dedotta. Ove infatti si fosse detto che l’imaginativa è una facoltà combinatrice delle idee, si sarebbe sentito ch’essa è atta ugualmente a creare fantasmi, non importa di qual genere, come a formare supposizioni, di ‘cui poi l’ intel- letto dimostri l’ aggiustatezza. Come l’ imaginativa nelle opere di sua speciale pertinenza mal si guida senza il soccorso dell’in- felletto, così questo nelle sue speculazioni ha d’uopo che l’im- maginativa lo preceda e gli additi una meta a cui poi egli giudica “se possa pervenire. Il separare nelle speculazioni l'una facoltà dall’altra parmi un errore simile a quello di separare la sin- tesi dell’ analisi. È già stato ‘osservato come non avvi metodo rigorosamente sintetico nè metodo rigorosamente analitico, poi- chè in ogni sorte di scientifico ragionamento ambidue si adope- rano a vicenda, cioè la sintesi dà motivo all’ analisi, e l’ana- lisi ricondace alla sintesi. Così |’ operazione dell’ imaginativa promove quella dell’intelletto ; e l’operazione dell’intelletto con- duce ad approvare o riprovare quella dell’ imaginativa. Nè si andrebbe forse lungi dal vero considerando l’una come facoltà sintetica e l’altra come facoltà analitica, distinte fra loro ma dipendenti, e necessarie del pari allo scoprimento del vero. Senza l’ analisi o l’ operazione dell’ intelletto non vi sarebbe certezza; senza la sintesi o l’operazione dell’ imaginativa non vi sarebbe congettura. Tutti gli esempi d’ipotesi condannate dall’esperien- za , che cita l’autore, non sono che esempi. d’ abuso dell’imagi- nativa, che è quanto a dire di sintesi non verificata dall’ana- lisi prima di darla per ua complesso di verità. Quindi provano bensì che nelle scienze l’ imaginativa scompagnata dall’intelletto conduce a risultati chimerici (poichè le verità stesse non sono tali per noi che quando vengano dimostrate ), ma non provano che 76 l'una sia all’ altro dannosa. Per provar ciò bisognerebbe poter sostenere che nessuna ipotesi, esaminata dall’ intelletto, cioè as- soggettata all’ esperienza, fu mai trovata ragionevole. Ora contro le ipotesi di Cartesio e degli altri nominati nella lezione stanno quelle di Newton, le quali certamente furono verità imaginate prima d’essere verità dimostrate. Quindi se il dare all’imaginativa trop- po impero nelle scienze è un volere in esse la bizzarria e la confusione , il non concedere a quella facoltà almeno l’iniziati- va del ragionamento è un condannare le scienze medesime alla sterilità. Più largo fu il nostro autore verso l’intelletto, cui chia- mò a presiedere a tutte l’ opere che diconsi dell’imaginativa e in ispecie alle poetiche. Dichiarò peraltro che la sua presiden- za debb’ essere quasi impercettibile nè mai usurparsi le altrui parti, come avverrebbe se nella poesia s’introducesse la disputa o la dissertazione . Al qual passo ci aspettavamo che a maniera d’ esempio si toccherebbero le prove fisiche e metafisiche, e i labirinti scolastici fra cui piacque avvolgersi, nella terza parte della sua cantica specialmente , al maggiore de’nostri poeti; cosa che facea perdere pazienza sino al freddo ingegno del Bembo. Quando con nostra grande sorpresa (e ciò voleva notarsi in se- condo luogo) leggemmo che Dante non usò, poetando, altra fi- lofia che quella che deriva dal sentimento, onde la sua imagina» tiva ne fu nutrita non soprafatta. Piacesse al cielo che tanto potesse dirsi del Petrarca, messo dall’ autore in compagnia di quel sommo, siccome poeta filosofo non filosofo poeta! Dante è lì co’ suoi grandi splendori poetici, e le sue grandi oscurità non poetiche: ciascan lo vede qual è, e non occorre parlarne davvantaggio. Ma se l'intelletto disputò nel suo poema il campo all’im- maginativa per ciò che riguarda i pensieri, che diremo noi che faccia nelle poesie di molti più moderni per ciò che riguarda gli ornamenti? Abbiamo conosciuto parecchi, i quali dopo avere per abitudine approvato lungo tempo l’uso della mitologia nelle poesie ‘che si vanno scrivendo, l’ hanno poi disapprovato per riflessio- ne. L’autore è il primo, di cui leggiamo, che avendolo disap- provato lungamente e non già per abitudine, lo abbia poi ap- provato per riflessione maggiore. Noi non abbiamo che dire contro la veracità di un fatto, di cui egli solo può esserci te- stimonio. Ben possiamo esaminare le ragioni del fatto per ve- dere se siano di tal forza da doverlo riprodurre in altre menti. Lasciamo da parte le voci mitologiche. da cui egli dice (re- 77 candone in prova gli esempii di Dante. e del Tasso) derivarsi al linguaggio poetico un sì bel colorito. Molte di quelle voci possono oggi riguardarsi come simboliche o metaforiche e ap- partenere alla nostra poesia come all’ antica. Usate quali abbre- viazioni di pensieri, non quali espressioni di credenze, esse hanno un valore indipendente affatto da quello che avevano nell’ an- tichità. Non così gli esseri mitologici introdotti ad operare ne’no- stri poemi. Essi fanno supporre una ‘credenza che. più non esi- ste; e poichè questa credenza più non esiste riescono le cose più fredde del mondo. Gli esempi che l’autore arreca del Fra- castoro, del Vida, dell’ Alamanni per provare il contrario, ve- ramente nulla provano. Se in grazia de’ bei versi di que’poeti noi ci lasciamo trar dietro alle loro fantasie, non è che queste ci illudano , e non ne desideriamo di migliori. E i bei versi, che ce le rendono mediocremente piacevoli ne’ poeti di un’ età poco ragionatrice, e copiatrice fedele degli antichi, appena ce le fanno sopportare ( potrei recarne qualche prova recente ) ne” poeti della nostra. Ma se quegli enti mitologici, insiste l’ au- tore, fossero oggi nomi vuoti di senso, noi potremmo scambiarne gli attributi, senza che alcuno vi porgesse mente o mostrasse d’es- serne offeso—Al che è facile rispondere che, conoscendo quegli enti per lo studio dell’opere o delle opinioni degli antichi, se qualcuno si argomenta di metterli ancora in iscena, e lo fa alterando le attribuzioni date loro dagli antichi, noi. non possiamo non avvedercene, e non dire al poeta: voi peccate d’ incongruenza, Una religione, brillante insieme e politica, la quale avea nutrito sì a lungo le arti e formava, per così dire, la sostanza delle più belle opere dell’ imaginativa, doveva necessariamente riprodursi nelle opere de’ moderni fatte a loro imitazione. Essa dava un infinito piacere nelle prime, ed era naturale che ne desse uno proporzionato nelle seconde. Ciò è durato finchè il ragionamento non ci ha resi più severi nella scelta delle cose atte a dilettarci , finchè non ci ha fatto sentire il bisogno di una letteratura che si riferisse alle nostre idee e ai nostri sentimenti. Introducete destramente nelle vostre composizioni gli esseri mito- logici, come esseri creduti veri dagli antichi, cioè fate che questi se li rappresentino, ricordino le loro avventure , chieggano il loro favore , cerchino di declinare il loro sdegno, e la poesia potrà ancor riceverne un ornamento senza scapito della ragio- Introducete quegli esseri, come vi crediate voi medesimo, e siate pur sicuro che appena i versi bellissimi potranno trat- | tenerci del sorriderre di pietà.—Ma che resta dunque all’ima- 78 ginativa de’ nostri poet, se tutto il mirabile dell’antichità non è più per noi che un giuoco puerile?—Domandatelo , di grazia, a tanti poeti stranieri, che combinano meglio de’ nostri |’ ima- ginativa coll’ intelletto. Resta, vi diranno, tutta la natura e fi- sica e morale, fonte di ben altre meraviglie a chi sappia stu- diarla. La difficoltà sta tutta in queste due NIE parole. Quanto è più comodo (e per questo i poetini schiamazzano ) il tenersi ut olim ad un buon dizionario delle favole! Io, com’è chiaro, non mi fo meraviglia degli schiamazzi de’ poetini. Ben potrei meravigliarmi che i nostri saggi abbiano talvolta la bontà di porgervi orecchio. Lettere sopra le belle arti, raccolte da Gio. BOTTARI e STE- FANO Ticozzi. Milano, Silvestri 1822-25. Tomi 8. in 12.° La raccolta; che appartiene al Bottari, e riceve più co. munemente il. titolo di lettere pittoriche, è già troppo cono- sciuta. La parte aggiunta comprende 304 nuove lettere (molte delle quali inedite) 49 nel primo volume, ti nel sesto, 62 nel settimo e 182 nell’ ultimo. Quarantaquattro di queste le dob- biamo ad una ben lagrimosa circostanza, alla perdita cioè an- cor recente del più perfetto artista che da Raffaello in poi abbia onorato il paese dell’arti, e vivente il quale mai non si sarebbero pubblicate. In esse tu non sai dire ciò che ammiri maggiormente se il cuore o l’ingegno di quest’uomo straordinario (il Canova) a cui la semplicità colla quale si esprime non dà che più vivo risalto. Al- cune sono dirette al gentiluomo Giuseppe Falier, figlio del suo be- nefattore, ch’ egli sempre chiama col dolce nome di padre. Leg- gendole si sente come la facoltà di compartir benefici sia il più invidiabile privilegio della ricchezza : la tenera gratitudine» di un Canova lasciata in eredità ad un figlio è superiore ad ogni te- soro. Da una di esse, la quale è senza data, ma che, guar- dandone il contenuto, supponiamo scritta nel 1787, apparisce co- me il buon Canova, non potendo spesso dar prove riguardevoli del sentimento che nutriva, coglieva le occasioni di darne al- meno. delle picciole, che doveano anch’ esse riuscire ben care. Se il Falier era dilettante di stampe e ambizioso, come sogliono i ricchi, di avere le così dette prove innanzi lettere, a cui l’ac- corgimento mercantile ha saputo dare tanto credito , doveva ri- manere ben obbligato al Canova che con un dono gentile gli mandava una lezione per lui importante. “ Credo che a quest’ora ella avrà ricevuto dal sig. Martino de Boni due mie stampe rap- 79 presentanti il deposito di Clemente XIV. Io gliele ho mandate senza dedica, perchè vi sono di quelli che vogliono che siano più rare: mi spiace soltanto, che essendo le stampe, che ho spe- dito, appunto così tra le prime, esse sono riuscite alquanto fuori d’ armonia ed anche difettose, particolarmente nella figura a se- dere dell’ Umiltà, che pare un po’ tozza, col lume indeciso, e con poco trite le pieghe tra le gambe. Adesso peraltro non ven- gono più così male, perchè se ne sono stampate molte, e perchè ancora si è fatto qualche cosa al rame, essendo stata voce co- mune anche in Roma, che quantunque la stampa sia bella, essa è lontana dall'originale e particolarmente nella figura a sedere. ,y Ma la citazione di un passo, in coi si distinguono i più dolci affetti dell'anima del Canova, interesserà un maggior numero di leggitori. Lo caviamo da una lettera scritta nel settembre del 1812 al conte Cicognara , che si trovava qui in Firenze, ove pur tro- vavasi una signora spagnuola di carattere così aureo com’ era di spirito colto, alla quale dicesi che il grande artista fu per legare indissolubilmente la propria vita. ‘ Ed io vi porto invidia della cara compagnia di Alessandri, di Niccolini e sopratutto di quella di Minette. Oh perchè non lo seppì io per tempo, che vi avrei pregato a studiare e penetrare nel più intimo seno di quell’a ni- ma di paradiso? A voi, che siete così appassionato per le belle e virtuose creature, avrebbe fatto tenerezza e maraviglia la co- guizione interna delle virtù e delle adorabili qualità di cuore di questa nostra carissima amica. Per me vi giuro che non ne ho trovato l’ eguale, e ci giocherei anche la vostra amicizia , che non v'è al mondo una matrona che la sorpassi in candore e bontà veramente di angelo. Ma voi forse l’ avrete, prima dell’ invito mio, da quel conoscitore che siete, ritratta nella vostra mente tal quale ella è, poichè a dir vero non vi bisogna gran sapienza ed arte a scoprire i sensi d’ un cuore che sta sempre in veduta sulla fronte e sul labbro ,,. In questo passo il sentimento del- l’ amicizia è modificato sensibilmente da quello di una tenera ammirazione. In altri, che potremmo recare d’ altre lettere al medesimo Cicognara, coll’ amicizia parlano la stima e la più schietta confidenza, Si argomenti da pochi versi della lettera già citata. « Il desiderio che nudrite di stare più giorni con me, per istudiare i miei sentimevti e l’ animo mio, troppo mi lusinga e mi consola. Pari al vostro è pure il mio, e Dio vo- glia adempirlo quando che sia; perchè non posso augurarmi bene maggiore che la compagnia di persona stimabile e cara quanto voi siete per me. Lè belle e graziose osservazioni che 80 fate sulla mia Venere mi trovano il più riposto angolo del cuore. E se voi crescete un palmo quando sentite a parlare di me con amore e bontà, io ne cresco dieci ogni volta che mi sento lo- dare da un amico sincero e candido come voi ,,. È troppo nota l'amicizia del Canova pel cav. Bossi pittore, di cui scolpì il busto colossale, che poi servì al suo monumento. Alcune let- tere al sig. Cattaneo, direttore del gabinetto delle medaglie in Milano, riguardano l’ erezione di questo monumento, pel quale Canova offerì trenta az:onz che non bisognarono. Citeremo al- cune parole dell’ultima, scritta nel maggio del 1818, dopo aver ri- cevuta la descrizione delle cerimonie con cui il monumento fa inaugurato. ‘ Io l’ assicuro che alla lettura di essa non potei contenere le lagrime, tanto affettuoso e pieno di commozione sensibilissima mi è sembrato quell’ illustre spettacolo, con che sì diede tributo di vero onore alla memoria di una persona sì cara ,,. Dopo questi passi che fanno conoscere i sentimenti del- l’uomo, taluno potrebbe desiderarne qualch’ altro che facesse conoscere le idee dell’ artista. A questo fine bisognerebbe che noi potessimo riferire per intero una lettera, mandata nel feb- braio del 1815 all’ amico Cicognara sopra un capitolo della sua storia riguardante Michelangelo. Per brevità ci acconteremo di un solo paragrafo, che i savii lettori sapranno interpretare sa- viamente. ‘ Non saprei poi cosa intendere per ciò che voi appellate in Michelangelo scienza anatomica. A me sembra che egli abbia eletto espressamente delle mosse contorte e convul- se, specialmente nelle braccia atteggiate a foggia di zeta per aver campo di esprimere e scolpire le parti e i muscoli più rilevati, pronunciandoli con violenza più che naturale. A ciò che voi dite, che il Torso di Belvedere ha servito di studio e di esempio a Michelangelo, io aggiungerei che il gruppo d’ Ercole con Antéo nel cortile Pitti a Firenze gli abbia mo- strato e indicato più chiaramente il cammino; ma lo studio di quelle forme era poi sempre subordinato al genio e senso par- ticolare del Buonarroti, il quale si è valuto costantemente delle opere antiche per modellare sullo stile suo' proprio, e per im- primere nelle produzioni sue quel carattere gonfio e alterato, ch’ era il suo elemento. Per conoscere poi la linea di separa- zione fra lo stile di lui e quello degli antichi, più che al ri- stauro del Fiume, io mi appellerei alle gambe antiche dell’Er- cole di Glicone, dove si vede veracemente la forza e le squa- drature , non il gonfio solamente. La differenza è palpabile, e : 61 salta agli occhi ad ogni ‘idiota nell'arte. Ma questi miei dubbi sieno. affidati all’ orecchio d’ un amico cordiale, al quale mi permetto di manifestarli, perchè lo considero come un altro me stesso ,,. Voleva il Silvestri (a .cui nulla potea fac presagire che inserirebbe lettere postume del Canova nella presente raccolta ) illustrarla almeno col suo nome , dedicandogliela. Ma questi gli rescriveva a mezzo dicembre del 1821: Appunto in que- sti giorni medesimi ho dovato rifiutarmi ad un consimile testi- monio di gentilezza, che persona d’ insigne merito voleva dar- mi; e ciò per antica e inviolata massima, ben nota al comune ed ottimo amico signor Pietro Giordani, onde io non potrei accon- discendere alla di lei cortese domanda senza rompere il mio si- stema, e fare nel tempo stesso un torto a quante persone ri- cevettero da me finora una negativa ,,. Delle aggiunte di que- sta raccolta, la quale si compie colla lettera, onde abbiamo tratta l’ultima citazione, il Silvestri si dichiara particolarmente obbligato, oltre al sig. ‘Ficozzi, ai professori Marsand e Mo- schini, al direttore Cattaneo e al .defunto cav. Tambroni. Se alcuno di questi degni uomini, che tanto »° interessarono per lui, gli avesse suggerito di far fare da qualche paziente e in- telligente un buon indice rerum et verborum notabilium, quanta obbligazione gli professeremmo anche noi! Perchè guai se ci abbisogni una notizia, e già non sappiamo, per pratica fatta, in quale delle tre in quattro mila lettere, contenute negli otto vo- lumi, possiamo ricercarla. Prima affogheremo in questo pelago, che incontrarci appunto in ciò che desideriamo. Alcune memorie di MICHELANGELO BUONARROTI. Roma, De Romanis 1823 in 8°. Poche memorie ma preziose: tre lettere, una di Sebastia- no del Piombo, l’altra del Vasari, la terza di Francesco pri- mo di Francia al nostro Michel più che mortale angiol divino, e due scritture (che non sono per vero dire se non una ce- dola di vendita e un’altra di ricevuta) stese da quella mano propria che dipinse la Sistina, e alzò la cupola vaticana. Le . lettere di Sebastiano e del Vasari colla cedola di ricevuta so- no tratte dagli autografi che esistono presso il sig. Vodburne in Inghilterra; l’ altra lettera e l’altra cedola da altri auto- grafi posseduti dal cav. Wicar in Roma. Quelle due lettere dei due pittori colla seconda delle due cedole le vediamo inserite T. XIX. Settembre. 6 82 | dal Silvestri nell’ ultimo volumetto delle Pittoriche, di cui po- canzi si parlava; la lettera del. re Francesco e la prima ce- dola non si trovano che nel libriccino che si annuncia. Questa cedola (dice l’ editore e illustratore delle memorie sig. De Ro- manis) mi sembra un documento molto interessante, come quello che serve a provare che verso la fine dell’anno 1529 Michelan- gelo angustiato nelle cose domestiche ancor non pensava a fug- girsi di Firenze, ciò che i suoi biografi dicono che facesse in quell’anno. Per tirare ancora un po’innanzi ei vendea li 23 novembre il suo cavallo bello e bardato al prezzo di otto scudi non pa- gabili del tatto che fra tre mesi, prima del qual termine era improbabile che si movesse. La lettera di Francesco primo ha la data degli 8 febbraio 1546, che fu il penultimo anno della vita di quel monarca. Ei la inviò per mezzo del Primaticcio (quegli che con Niccolò dell’ Abate, come scrive il Felibien, portò in Francia il gusto della pittura e scultara antica) pregando in essa istantissimamente il signor Michelangelo di qualche sua ec- cellente cosa, e almeno d’ una copia in gesso del Cristo della Minerva, e del gruppo della Pietà, che vedesi a destra subito entrando in S. Pieiro di Roma. Ma la lettera, con cui il sig De Romanis intitola ad un amico queste memorie, non è la parte meno interessante del libricciolo che le racchiude. Perocchè vi si parla d’una scoper- ta, di cui nessuno, per non sembrare peggio che rozzo, vor- rebbe dire che nulla gl’importi. Michelangelo, come ognun sa, morì in Roma novagenario il 17 febbraio del 1564, e fu tu- mulato nella basilica de’ SS. Apostoli, d’onde il Vasari ci narra che venne recato di soppiatto a Firenze, e trovato (non dovendo mancare i miracoli a uomo sì miracoloso ) venticinque giorni dopo la morte ancor fresco e flessibile, come il suo spirito si fosse appena partito da lui. Il professore Sangiacomo, suo grande ammiratore , aggirandosi due anni sono pel chiostro an_ nesso alla basilica, si avvenne inopinatamente nel suo monu- mento, trasportatovi forse a principio dello scorso secolo, quan- do la basilica fu ristaurata, ed ivi abbandonato, Questo mo- numento presenta l’intera figura di Michelangelo, semigiacente in un letto, con una mazza da scultore nella destra, e due geni, uno piangente che si appoggia ad un trespolo posto nel dinanzi su cui posano gli emblemi della pittura e dell’ archi- tettura, e un altro non ridente che offre all’ artefice un libro, emblema forse de’ suoi studi letterari, ed ha &’ piedi un’anfora e una patera, emblemi forse de’ suoi studi antiquari. Il volto 83 di' Michelangelo fa bentosto raffigurato dal sig. Siangiacomo , il quale avea in mente, oltre ciò che ne dice il Vasari, le 7medaglie del museo mazzucchelliano , il ritratto che ne dipinse il Bronzino, e quello in metallo ch’è nel palazzo de’ conserva- tori di Roma e fu gittato sopra il marmoreo del suo mausa- leo, ch'è qui in S. Croce a Firenze. Pure, non fidandosi degli occhi proprii, corse dal cav. Wicar, che venuto al monurrento anch’ egli riconobbe Michelangelo alle note fattezze, e special- mente all’ ammaccatura che gli fece al naso il famoso pugno del Torrigiani, anzi riconobbe come in uno specchio la raris- sima imagine che Michelangelo dipinse di sè in una tavola, com- perata in Napoli, non sono molti anni , dal cav. Alquier. Presto dunque ei ne prese il disegno , e il sig. Siangiacomo lo incise all'acqua forte; e questa incisione adorna il libretto del sig. De Romanis, che i devoti alla memoria di Michelangelo vorranno | sicuramente ricercare. Se questo libretto facesse nascere dubbi sul luogo ove realmente riposano le spoglie del grande artefice, o su qualch’ altro particolare della sua vita, potrà consultarsi con profitto il nostro Moreni nel proemio della sua illustrazione d’una medaglia buonarrotiana rappresentante Bindo Altoviti, di cui l’An- tologia tempo fa rese conto. Iscrizioni veneziane raccolte e illustrate da E. A. CIGOGNA, Venezia, Orlandelli 1824. in 4°. Lasciamo pur stare Flavio e le iscrizioni astronomiche dei figliuoli di Seth. Posto che il diluvio le ha profondate chi sa in quali abissi, e lo storico non può darcene precisa notizia, contentiamoci delle posdiluviane che ci sono rima- ste. Esse ci sembrano più che sufficienti (così le sapessimo leggere tutte! ) a provare che fu pensiero utilissimo quello di scolpire ne’ sassi le memorie che si volevano durevoli. Anzi come di ciò nessuno dubita , il raccoglitore e illustratore delle iscrizioni veneziane potea cominciare addirittura dal dirci: vi do queste iscrizioni perchè sono una serie di documenti per la storia della mia patria, la quale fu tanto gloriosa, o se, co- me suo figlio, debbo parlare più modestamente, fu tanto sin- golare, per la sua origine , le sue istituzioni, le sue vicende , che nessuna ricerca intorn» ad essa può sembrare minuta, nes- suna benchè piccola scoperta può sembrare indifferente. — Al- lora noi, collocandoci col pensiero o sotto i cavalli olim. do- rati di S. Marco, o sotto il leone alato della piazzetta, o sul 84 ponte di Rialto o in faccia a quello de Sospiri ( benchè ogni onte in Venezia può chiamarsi di questo nome, per le me- morie che desta, onde siamo forzati a sospirare ) avremmo fatto un inchino , e risposto così: La vostra patria stà a capo di tutte le moderne nazioni nella via della civiltà. I principii, i progressi, la durata del suo potere, malgrado la debolezza in cui era caduta, ci riempiono d’ammirazione. I passi fatti fare all’ industria in mezzo alle guerre , alle congiure , ai mi- steri non tutti venerabili del suo governo, furono un beneficio pel mondo intero, e ci empiono di riconoscenza. Quindi ci in- teressiamo grandemente a tutte le sue memorie , che non cre- diamo straniere a nessuna parte del mondo incivilito e molto meno a nessuna parte d’ Italia, e riceviamo volentieri questa raccolta delle sue iscrizioni, non importa di quali o quanti ge- neri sieno, bastandoci il loro titolo di veneziane. E il sig. Cigogna non ha confidato male del publico, pen- sando che le più rozze, come le più nobili, quelle che riguar- dano una compagnia di gondolieri o di legnajoli dell’ arsenale, come quelle che riguardano i dogi o il senato, troverebbero de’ giusti apprezzatori. Non tatte possono destare egualmente la curio- sità di tutti; e nondimeno ( corredate come sono d’opportune illu- strazioni ) tutte hanno per la storia qualche importanza. Non ne sono pubblicati finora che due fascicoli; poichè, malgrado l’aiuto che il lor raccoglitore paò trarre da varie raccolte parziali an- teriori alla sua, ancor gli bisognano tanti studi e tante fatiche da non isbrigarsene in breve tempo. Egli avrebbe dovuto, secondo la pratica più comune, distribuire le iscrizioni per classi, e il so- lo desiderio di porgere agli studiosi qualche maggiore diletto col- la varietà gli ha fatto preferire di pubblicarle nell'ordine in cui sono collocate ne’ luoghi sacri e non sacri della sua patria. Egli ci fa fare con esse una specie di viaggio epigrafico storico per la maravigliosa Venezia , distribuito in tante parti , quanti sono ì principali quartieri della città; e ciò ha per noi non so quale attrattiva. Ma ci sarebbe pure di certo comodo il trovare in fi- ne alla raccolta una specie di classificazione , ossia i titoli delle classi coi numeri delle iscrizioni corrispondenti, come in fine ad alcuni dizionari di scienze o d’arti, distribuiti per ordine alfa- betico , si trova un indice per ordine di materie. Facendo simile classificazione parmi che il raccoglitore potrebbe indicare con un segno le iscrizioni più importanti e più degne d' essere conosciu- te; come il suo concittadino sig. Quadrio nella guida dell’istes- sa sua patria ba indicate le cose più degne d’ esser vedute fra 85 le tantissime altre che nota; della qual cosa i viaggiatori gli so- no veramente obbligati. Le iscrizioni raccolte dal sig. Cigogna sono tutte posteriori al mille, vale a dire appartengono tutte a Venezia propriamente e non alla Venezia o paese de’veneti o eneti, i cui monumenti non so a quale epoca ci conducano , ma il cui nome precede i tempi istorici. Le iscrizioni anteriori al mille, cioè le greche e le romane appartenenti al paese de’ veneti, ei si propone di rac- coglierle dopo queste ; e desideriamo ch’ ei lo possa, promet- tendocene opera di molta utilità. Egli si mostra nella presente raccolta uomo egualmente dotto che diligente ; e speriamo che ne abbia da tutti la lode che merita. Speriamo pure che da tutti sia apprezzata la pulitezza e facile eleganza del suo scrivere , la quale in mezzo a tanta o trascuratezza o affettazione oggi usata in Italia non può riuscire che d’ utile esempio. Egli si mostra , parmi, della scuola di que’ suoi buoni concittadini Apostolo Zeno ed altri, ne’ quali la dottrina era così piena di urbanità, e l’ur- banità così piena di naturalezza. Prose del marchese TommAso GaARGALLO. Milano , Silvestri 1824. in 12°. Poesie del marchese Tommaso GARGALLO. Milano , Silvestri 1825. in 12°. La versione d’ Orazio e la novella del Palatino d’ Unghe- ria (le due produzioni del march. Gargallo più conosciute ) sern- bravano.da sè sole assicurargli un nome fra gli scrittori elegan- ti di versi e di prose. Ma in queste produzioni egli non avea così voluto mostrare sè stesso, che non avesse voluto molto più ve- stire la persona altrui. Quanto alla versione ciascuno intende co- me ciò doveva essere ; quanto! alla novella molti sanno ch’ ei ce la diede come tratta da un manoscritto attribuito al Boccaccio , il che vuol dire che cercò di rassomigliarsi in essa quanto più perfettamente gli era possibile al principe de’ novellatori. L’ave- re, e per l’una e per l’altra, ottenuta generalmente molta lode mostra ch’ egli si accinse ad ardue cose con forze proporziona- te. — E in simili cimenti è così facile soccombere al primo pas- so, che il sostenersi fino all’ ultimo equivale ad una vittoria. Delle composizioni, in cui egli non pensò ad imitazione di sorta , quelle che abbiano avuti più lettori sono, io credo, i due ditirambi. Il secondo, cioè la dama alla toletta, sembra più gustato del primo, che ha per titolo il poeta al tavolino, 86 Dipende ciò dall’argomento o da altre cagioni ? L' autore nel- l'uno volle ridere di sè medesimo ; e nessuno , vaglia il vero, nemmeno ne’ momenti di più dolce follia o di più franca since- rità può ridere di sè medesimo senza molto pudore, Nell’altro ei diede corso non timido alla sua vena scherzevole. Quella sua da- ma è da lai rappresentata in gran caricatura, e però al fine del- la scena |’ applauso è romoroso. I ditirambi chiudono con poche altre poesie la raccolta sil- vestriana, che comincia da buon numero di anacreontiche . Le chiamo tutte indistintamente di questo nome, perchè sono tutte così intitolate nella raccolta . Del resto a molte potrebbe anche non disconvenire un nome diverso, derivato dalla loro indole se non dal loro metro. Si vede che l’ autore, al dolce tempo dei versi amorosi, era tanto sicuro di sè medesimo, che poco gli bisognava di adoperar colle belle il madrigaletto lusinghiero , ma poteva lanciare anche l’epigrammetto pungente, ed esserne forse più ben voluto. Gli idilj marinaneschi , i quali succedono alle anacreontiche, ci fanno pensare che in una condizione meno signorile il nostro poeta sarebbe stato più poeta. Non distratto dalle sale brillanti di Palermo e di Napoli egli avrebbe abbando- nato il suo giovane cuore alle forti impressioni della natura, e i suoi idil) sarebbero fosse riusciti di un colore più originale e più vivo, o d’ur tuono più profondamente melanconico. Alcuni fra i versi che chiudono quella sua novella pastorale quasi rigettata ci provano ch’ ei potea, per esempio, aspirare ad altro che ad es- sere l’emulo di Bertola nelle quattro parti del giorno. Uno de’suoi ultimi componimenti, l’inno alla musa etnea, è una piccola satira piena di fuoco e di bizzaria , la quale ne rallegra tanto mag- giormente , che ne promette ancor lunga la poetica gioventù dell’ autore . Ma, per quanto da noi si pregino i versi che hanno pregio, con- fessiamo che la nostra particolare attenzione è per le prose da cui può derivare ben altra utilità. Il Silvestri ha fatto ottima- mente ad inserire tra quelle del nostro autore la prefazione all’ Orazio volgarizzato che uelle ristampa di questo avea messa da parte. Essa è molto ‘erudita, molto ragionata, molto vi- vace. Ma se tante cose, che l’autore dice dottamente, acu- tamente , spiritosamente , fossero anche dette semplicemente , quanto maggior piacere per noi! Certe ricercatezze or di pen- siero, or di frase, or di sintassi, quando pure, in grazia del- l’ abitudine, siano delizie per chi scrive , sono affanni per chi legge, massime nelle materie didascaliche. Lasciamo stare che in 89 ogni materia la semplicità è. più dignitosa e più persuasiva: li- mitiamoci a dire che è sommamente favorevole alla chiarezza, prima ed essenzialissima dote dello scrivere come del parlare. Nel proemio al volgarizzamento degli offici di Cicerone, l’altra delle due lunghe prose che troviamo nella raccolta sil- vestriana , l’ autore insiste molto sul buon effetto dell’ elegan- za; e ciò prova non solo ch’ egli è d’ingegno assai colto, ma anche d'intendimento assai retto. Quanto più importanti sono le cose che si hanno a dire, tanto più si dee cercare di dirle bene, onde ci. entrino meglio nell'animo: questa massima non soffre obbiezioni. Temo però che nella scelta degli ornamenti l’autore dia in qualche eccesso ( anche il proemio giustifica le nostre pa- role) nè sia talvolta lontano da quella che nel linguaggio del- l’arti si chiamerebbe maniera. Dispiace ma è pure indispensa- bile il fare simili osservazioni, perchè l’Italia sembra ancora molto indecisa intorno alle vere qualità dello stile, e 1’ autori- tà del marchese Gargallo potrebbe a qualcuno essere cagione d’ inganno. Par ch’egli abbia preso, generalmente parlando, ad imi- tare il Boccaccio e quelli che sono andati sulla sua via. Ma il Boccaccio, pur troppo, ha alterata la primitiva semplicità dello stile italiano, che potea divenire più pieno e più armo- nioso, anche senza tante fronde e tanti avvolgimenti. Gli altri del trecento, se sono meno eloquenti di lui, sono più candidi e più naturali, e a questo riguardo li credo di migliore esempio. Quanto alla lingua usata dal nostro autore, si vede ch'egli è uscito francamente dai limiti di quella usata dal Boccaccio e da’suoi contemporanei, ma non da quella usata dai buoni scrit- tori toscani. La lingua sicuramente non è ancora perfetta co- m'’ egli nota con molta saviezza, e può ricevere accrescimenti dagli scrittori d’ ogni parte d’ Italia; a condizione però (ed egli lo sente più d’ ogn’ altro ) che questi scrittori si facciano per istudio ciò che non sono per nascita, cittadini di quel paese ove la lingua ha sede. Veggo ch'egli cita la famosa distinzione della lingua ple- bea e della lingua illustre, divenuta. quasi parola. di guerra per chi contende in nome di Dante l’onor della lingua alla pa- tria di Dante. Molto ci sarebbe a dire, oltre ii già detto, su questa distinzione (vedi Antologia num. 3. 1821 ) e sul resto che scrisse Dante contro il primato della lingua in cui apprese a pen- sare. Perticari ha fatto un libro dottissimo ed elegantissimo per provare che il poeta magno non lo scrisse da adirato, Bisognereb- 88 be, se si potesse, farne un altro per provare ch’ egli, quando non scrisse latino, scrisse italiano e non toscano, cioè una lingua non mista soltanto, e quasi sempre in forza della rima, d’alcane parole tolte ai vari dialetti d’Italia, ma formata ve- ramente di questi dialetti. E nessuno qui mi accusi di uscire artifiziosamente dalla vera sentenza di Dante, per convincere di assurdo quelli che hanno fatto o fanno di tal sentenza l’uso ostile che si accennò. Dante, il quale ben sapea che senza po- polo, che parli bene o male una lingua, non ci sono illu- stri che abbiano il privilegio di parlarla meglio, volea proprio dire che la lingua di questi illustri era l’ estratto di tutte le voci e di tutte le maniere di dire che si ascoltavano dall’ Alpi al Lilibeo. Il march. Gargallo in fatti cita un passo della poeti- ca del Trissino (il traduttore come ognun sa del libro della vol- gare eloquenza ) in cui è posto in bocca a Dante che delle quat- tordici lingue da lui noverate in Italia sî fa una lingua che si domanda lingua italiana, e questa è quella in cui si dice che scrissero î buoni autori, la quale tra gli altri cognomi si no- mina illustre e cortigiana, per ciò che si usa nelle corti d° Ita- lia. Ora il sig. marchése, che ha studiato la diviita Commedia) il Canzoniere, il Decamerone ec. ec. ed ha soggiornato quanto bal sta in tutte le parti della penisola, dica in sua coscienza quan: ta lingua di que’libri ha sentita nelle bocche de’ diversi popoli che l’abitano, e quanta nelle bocche dei popolo toscano. Se dal tempo di Dante tutto non è cangiato, se i vari popoli ita- lici non hanno stranamente peggiorati i loro dialetti, mentre il solo toscano ha perfezionato il proprio, converrà pur dire, mal grado la contraria asserzione del poeta, che i pochi bene parlanti nelle corti d'Italia o bene scriventi fuori di esse , non da quei popoli ma da questo derivassero la lingua illastre che li distingueva. E torna pur addietro nella memoria de’ tempi’, dice il Gravina in un suo dialogo postumo (v. gior. arcad. n. 1:) nè vedrai d’alcuna parte d’Italia uscir lume di buona loquela prima che da Firenze. Che se nella ragion poetica parve farla spuntare dalle varie province d’Italia, ossia dalle loro corti, strascinato dalla forza del vero aggiunge che nella fiorentina republica la corte abitava per tutto it popolo, sicchè questo, come già l’ateniese fra i greci, consegui il pregio della lingua cortigiana. Ora poi ch’ esso ne conseguì il pregio, era ben forza che tutti da lui la prendessero, come appunto gli scrittori dei vari popoli greci, che pur aveano lingue pulitissime e in nessun modo comparabili, per detto del Gravina ‘medesimo, ai nostri 39 òrridi vernacoli, presero dall’ ateniese (è Raynouard che lo af. ferma ) una lingua migliore la qual divenne comune. Dante sapea .troppo non esservi. lingua illustre in Italia fuorchè la sua fiorentina o toscana, e in essa dichiarò pur sempre di par- lare e di scrivere. Finchè, venuto il giorno in cui vinto, ben- chè fortissimo, dal dolore dell’esilio chiamava Arrigo a per- cuotere il popolo di Firenze com’aitri un dì percosse quello d’Amalec (v. il già citato n. 3. dell’Antol.), si argomentò di negare a questo popolo il pregio della lingua come ogn’ altra virtà. Qual fu intanto il volgare illustre ch’ egli prese ad usare, e in paragon di cui, secondo alcuni, la fiorentina lingua non è che idioma plebeo? Quello, io mi figuro, che andato am- basciadore a Venezia, nove o dieci anni prima della sua morte, usò nel cospetto del doge e di tutto il senato. Ora scrivendo egli il ro marzo 1313 a Guido Polentano signor di Ravenna che lo avea mandato, e lamentandosi che fra i suoi illustri uditori nessuno intendeva la romana facondia; sicchè gli fu imposto di mutare favella, soggiunge: ‘ così, mezzo fra stor- dito e sdegnato, nè so quel più, cominciai alcune poche cose a dire in quella lingua che portai meco dalle fasce, la quale fu loro poco più familiare e domestica , che la latina si fosse. ,, Egli non parla di lingua cortigiana migliore o diversa dalla na- tiva, e (singolar confessione !) la sua lingua nativa, che, sup- posta inferiore alla cortigiana, pur dovea coutenerne di cento parti le novanta, a grande stento s’intendeva dal primo corpo politico d’una potente republica. Or come la cortigiana sarà stata intesa dal popolo ? come dagli altri popoli d’Italia? E come potea dirsi lingua italiana quella che da nessuno fra i popoli d’Italia era intesa se non per istudio? Ma non dispu- tiamo adesso del nome. Se la lingua italiana era, com’è tut- tavia, fra i popoli d’Italia lingua di studio, dunque non era lingua comune; se infatti si chiamava lingua illustre o cor- tigiana, essa era propria delle sole corti. Ora le corti non foriaano una lingua, ma la raggentiliscono se vuolsi in quella parte che ne scelgono per loro uso. Una lingua non può essere for- mata che da un popolo (il libro di Niccolini in quest’ argomento è dimostrativo ) presso il quale si troverà naturalmente il resto della lingua di cui le corti non hanno bisogno. Ora , se si du- bitasse da qual popolo le corti d’Italia prendessero la loro lin - gua, veggasi qual popolo usi nelle cose più dimestiche una lin- gua che concordi con quella illustre. Questo popolo appena ha d’uopo che si nomini, ed era troppo presente al pensiero di 90 Dante, a cui doleva smisuratamente d’ esserne escluso. Scom- parvero molte corti, scomparve con esse la lingua illustre, ri- fagiatasi negli scritti di pochissimi eletti; ma un tal popolo ancor vive, ancor parla la lingua che ammiriamo in Dante e negli altri maestri, e può somministrare agli scrittori ciò che da quei maestri non si raccoglie. Perocchè , oltre ch’essi non iscrissero tutta la lingua, mancandone loro l’ occasione , que- sta lingua si modifica di età in età, e il popolo arbitro su- premo delle sue modificazioni debb’ esserne di necessità il su- premo maestro. E insisto su questo particolare non per fare la corte ai toscani (grazie al cielo non so cosa sia far la corte nè a molti nè a pochi), ma per la ferma persuasione che se ci allon- taniamo dalla vera fonte, la buona, la pura, la genuina lin- gua non si saprà più in che consista. — Così non per far la corte a’romantici, che per ora hanno piuttosto uopo di di- fesa, ma per amore del vero dirò che il marchese li giudica troppo severamente o piuttosto si beffa di loro colla più in- giusta, prevenzione. Pure dove gli si presentavano Schlegel, la Staél e Sismondi, ch'egli nomina, poteva pensare che non vi fossero soli delirj e sole ridicolezze, come pretendono certi signori. Le ridicolezze sono d’ alcuni romantici, come d’alcuni classici, perchè si può seguire la migliore delle scuole, e mancare d’ in- gegno o di criterio. Quanto ai loro principj opposti veggo che si esagerano dall'una e dall’altra parte, e quando si sarà finito di esagerare sarà facile il conciliarsi. Così spero che si concilieranno i fautori delle lettere e quelli delle scienze, i filosofi che vor- rebbero dare al popolo troppa istruzione e quelli che vorrebbero darne troppo poca. Le questioni della lingua e del romanticismo, che il nostro autore tocca nella prefazione all’ Orazio, sono assai lievi in paragone delle altre due, riguardanti lo studio delle scienze e l’ istruzione del popolo, da lui toccate nel proemio agli offici di Cicerone. Colla mente più sana e colle migliori intenzioni del mondo, pare ch’ egli diffidi un poco di quello studio, e si mostri pauroso di quest’ istruzione. Lasci, di grazia, che diffidino le teste vuote, lasci che paventino coloro , che non trovano il loro conto se non nell’altrui ignoranza. È degno de' saggi l’ esaminare, com’ egli propone, di che modo porta a regolarsi la popolare istruzione, perchè non ne venga detri- mento alla società, Ma è pur degno de’saggi il dire franca - mente e nettamente ai partigiani dell’oscuravtismo: la ragione è il gran fondo che la providenza ha donato al genere umano» 91 perchè ne tragga , coltivandolo , il suo maggior possibile ben es- sere. I limiti naturali di questo fondo ecco gli unici limiti della sua cultura. Nessun uomo può determinare i secondi, poichè non saprebbe determinare gli altri, nè saprebbe determinare i limiti del ben essere a cui l’ uman genere è destinato. Quello che ci sembra evidente si è che più vi sono lumi nel mondo, più sono adempiti i voleri della providenza , e che i disordini falsamente attribuiti ai lumi si debbono tutti all’ ignoranza. Meno si per- mette agli uomini di uscirne, più si lasciano esposti all’ im- peto delle passioni e agli inganni dell’ errore. No tutti gli uomini non possono essere dotti; ma tutti possono e debbono essere illuminati. E un misero sofisma quello che fa confondere i lumi colla dottrina (la quale, sia detto per parentesi, ne è spes- sissimo disgiunta ) onde negare gli uni a chi non può acquistar l’altra. La dottrina è un lusso, i lumi sono un bisogno , anzi il primo bisogno degli esseri ragionevoli. Sarebbe un bestemmiare contro la providenza il dire ch’essa abbia dato loro questo bisogno, e non la facoltà di soddisfarlo. Le scienze più astruse (guardate all’Inghilterra) possono esser rese intelligibilissime al popolo più mi- nuto. Tanto più la scienza dei diritti e dei doveri , di cui quasi ogni uomo , se gli altrui pregiudizii nol pervertissero , potrebb’ essere maestro a sè medesimo. Chi fa delle scienze un traffico, un tra- stullo nell’ozio , 0 uno strumento di vanità ; chi ha la mente pre- occupata ; od occupata più del trionfo delle proprie opinioni che della ricerca del vero, può aver d’uopo di destrezza polemica, o di sottile dialettica. Per comunicare alla generalità degli uomini le più utili congnizioni non c’è bisogno che di chiarezza e di sem- plicità. Queste congnizioni, prima che acquistassero il grado di evidenza, che le rende veramente utili, richiesero senza dubbio gran forza d’intelletto e lunghe meditazioni. Oggi comunicate con metodo, e rischiarate da fatti usuali a cui si applicano entrano con somma facilità nelle menti più volgari. Quante di esse (tutte quelle per esempio che si riferiscono alla condotta della vita) possono com- municarsi indirettamente , e per la via del piacere! Nulla di più morale, nulla di più religioso che il promovere con tatte le forze e per tutte le vie la diffusione dei lumi nel genere umano. Essi non possono accrescerne il ben essere, che rialzandone la natu- rale dignità, e non possono rialzarne la naturale dignità che ren- dondone maggiore la virtù. Chi oserebbe dire che non vuole il popolo se non mediocremente virtuoso ? Chi dunque oserà dire che non lo vuole se non mediocremente illuminato? È dolce il vedere un uomo distinto pel suo ingegno e per la sua condizione 92 sociale ( leggasi il cominciamento del proemio agli offici di Cicero- ne volgarizzati ) assistere alle lezioni di due carissimi figliuoli , e perfezionare quant’ è da lui la loro letteraria istruzione . Ma non è meno dolce il vedere (si guardi nuovamente all’ Inghil- terra ) uomini per ogni riguardo i più illustri farsi del popolo una famiglia, aprir scuole ai figli degli umili artigiani perchè imparino a conoscervi Newton, mentre aprono ai propri figli un nuovo ateneo , perchè vi approfondiscano le verità insegnate da quel sapiente, mostrarsi insomma persuasi che gli umili e i grandi si troverano a vicenda più contenti gli uni degli altri quel giorno che gusteranno insieme la gloria d’ essergli concittadini. Alcune immagini di FiLostRATO trad. da MARIA PETRETTINI. Treviso, Andreola 1825. in 8° Brava , brava questa giovane, che può insegnare a noi bar- buti come lo scrivere con garbo sia diverso dallo scrivere con affettazione , come il tradurre bene dal greco sia tutt’ altro che contraffare il greco storpiando l’ italiano . Queste due asserzioni bisogna che le proviamo con due citazioni , e possiamo prender- le alla ventura nel suo libretto , giacchè non avvi quasiì luogo alla scelta ove quasi tutto è così scelto . “ L’ aver inteso o cre- duto d'intendere la prima delle imagini ( dic’ ella modestamente nella lettera con cui intitola il libretto ad un amico ) mi animò alla seconda e poscia alla terza fino a quella più lunga degli Amori, Non so quanto mi sarei inoltrata nel lavoro : so bene , che mentre io vagheggiava l’idea d’offerirvene un saggio, gian- semi la nuova che un Perticari sì era accinto a tradurre queste gentili pitture fin’ ora, per quanto io sappia , sconosciute all’Ita- lia (agli italiani, ha voluto dire , che non sanno dì greco nè di latino in cui da un pezzo sono tradotte ) , ond’ è ch’ io caddi d’animo ed abbandonai un’impresa sì sproporzionata alle mie forze. E certo quel dotto e peregrino ingegno , se non fosse stato pre- venuto da colei, che fura sempre i migliori, avrebbe dato alla sua Italia tal opera da togliere a chi che sia ogni speranza di battere con applauso quella carriera ,, . A qual segno il Perticari avesse condotta la sua versione , quando ci fu eosì immatura- mente rapito , non ce lo ricordiamo. Ben ci ricordiamo di avere, or saranno piu di dae anni, veduta colei che sempre lo piange tenere a rincontro del testo il suo manoscritto , come lo andas- se apparecchiando per la stampa. Ma l’' egregia Petrettini non se ne sgomenti ; perchè s° egli era scrittore sovrano , ella non 93 cesserà al suo confronto d’ essere scrittrice graziosa , il maggior vanto a cuì possa aspirare giovane donna . E dico giovane don- na senza conoscerla, congetturandolo dal fermarsi ch’ ella fa col suo saggio di traduzione all’ imagine degli Amori, questa sola nominando nella lettera di cui si è fatta parola. Sembrerebbe che con tale distinzione ella ci avesse indicato onde particolar- mente le piacerebbe che si scegliesse qualche citazione . Ma, per essere coerenti a noi stessi, ci è forza essere con lei poco galan- ti, il che ci costerebbe un grave rincrescimento, s’ ella per comparire valorosa avesse bisogno della nostra galanteria. Ci si affaccia l’ imagine quarta, intitolata Meneceo. Prendiamone la fine ov’ è dipinto tutt’ altro che un giuoco degl’ Amori. ,, Tire- sia proferì vaticinio intorno a Meneceo figlio di Creonte , che com’ egli fosse morto presso il covile di un serpente la città ( cioè Tebe ) sarebbe fatta libera . Egli senza saputa del padre sen muo- re, giovane da compiangersi per l’ età sua fresca, ma da dir- si beato per l’ intrepido cuore. Or vedi indastria di chi dipin- se! Rappresentò un giovane non pallido per mollezza , ma pie- no di grande animo , spirante palestra, e di un colore tra flo- rido e bruno, come sono quelli che si lodano dal figlio di A- ristone. Ha il petto palpabile, e ben proporzionati i fianchi, le cosce e le gambe . Robuste e ben tarchiate sono le spalle, ed il collo pieghevole. Di chioma egli ha quanto basta a non parere effeminato, e sta presso la tana del serpente con la spa- da sguainata e già immersa nel seno . Raccogliamone , o fan- ciullo , il sangue nel sottoposto grembo : esso scorre giù , l’a- nima stà per partirsene , e già ne udrai lo strido. Impercio- chè anche l’ anime portano affetto a’ bei corpi, e per questo contra voglia se ne distaccano . All’ uscire del sangue egli sviene e cade , ed abbraccia la morte con occhio sereno e soave , come se fosse per accogliere il sonno.,, Questa pittura è tutta nel gusto delle statue di Canova . Filostrato forse non fece che descriverla; ma non mi ripugna il credere che l’abbia imagi- nata. Egli fa de’ tempi di Settimio Severo, cioè del secondo secolo dell’ era nostra già inoltrato, e fu sofista di professione ; ma greco e abitatore, d’ Atene , rimasta sempre la scuola del ve- ro gusto sin sotto il capo degli eunuchi neri. Egli ebbe 1’ am- bizioncella di farsi presentare alla corte mezzo galante e mez- zo letteraria dell’ imperatrice Giulia ; ma per l’ istessa ragione ch’ era greco e quasi ateniese potè sentire qual divino soggetto per l’ arte fosse il sagrifiicio di quel giovane bellissimo e di re- 94 gia stirpe , che incontra volontario la morte per la libertà della sua patria. Novelle di SAvERIO ScROFANI. Palermo, Solli 1824. in 8. Le novelle, per ciò che ne dicono gli editori, sono dodi- ci e tutte d’ argomento siciliano. Esse furono scritte in Parigi, or saranno vent’ anni, ma non mai pubblicate , se ne eccettui una sola , cioè la festa di Venere , che ora si riproduce e a cui si faranno succedere le altre a diversi intervalli. Di questa pri- ma novella il buon Cesarotti, gran complimentario, mandò al- all’ autore solenni ringraziamenti quasi a nome dell’ Italia - « Essa è scritta ( così in una sua lettera citata dagli editori ) con quella naturalezza , semplicità ed eleganza che conviene a questo genere ec. ,, Circa alla naturalezza e alla semplicità non abbiamo che ridire : circa all’ eleganza ci sarebbe a opporre quello che alcuni forse non avrebbero la pazieoza di udire . Cesarotti pienissimo di spirito, ma di gusto non troppo sicuro, si era for- mata dell’ eleganza un’ idea così larga, che quasi ogni altra qualità dello scrivere gli parea meritare quel nome. E nel par- ticolare della novella ei dovea riflettere che, lodandola d'essere scritta coll’ eleganza conveniente al suo genere, veniva a dire con greca eleganza, ch’ è la massima di tutte le lodi . Ora, per non gettare il tempo in minutezze noiose , mettiamo al confron- to della festa di Venere qualche capitolo della Saffo d’ Alessan- dro Verri, l’opera moderna che più senta il gusto dei greci narratori, e ci accorgeremo di quello che manchi all’ eleganza che ci si vanta colle parole del Cesarotti . Più sanamente quest’ oracolo del suo tempo avrebbe potuto giudicare del merito intrin- seco della novella cioè del merito della sua invenzione . Ma egli se ne astenne, e per buone ragioni, giacchè volendo in qualche modo conciliare la sincerità col complimento, dovea pur fare in- tendere che quella novella non avea nè la vaghezza che avreb- be saputo darle un antico, nè l’importanza che avrebbe potuto darle un moderno quale il sig. Scrofani. Perochè quest’ uomo si è pur nutrito d’ altro che d’ inezie letterarie, come ne fanno testimonianza le sue opere istoriche ed economiche rammemora- te dagli editori della novella, tutte copiose d’utili idee, e dettate la più parte da un sentimento di vivo amore verso la patria. Par- mi che in qualche luogo dell’epistolario cesarottiano si parli di un suo viaggio in Grecia anteriore di molto ai due di Pouqueville, e for- 95 se contemporaneo a quello di Choiseul—Gouffier. Discendente da que’ coloni antichi messeni e focesi , che vennero al tempo del- le grandi emigrazioni ad abitare la Sicilia , il sig. Scrofani avrà sicuramente sparso un pianto generoso sulle profanate rovine di Pilo e di Delfo, ei miseri abitatori dell’ Itorne e del Parnaso. Il suo pianto non sarà dimenticato da chi rialzerà quelle città famose, e forse rinnoverà su que’monti gli esercizii del valore e il culto dell’ ingegno . Rime di CeciLiA DE Luna FoLLieRo. Napoli, Manfredi e Rai- . mondi 1823 in 8. i L’ Ulivo di Boemia, terzine di CeciLiA DE LuNnA FotLLiero . Napoli , Marotta e Vanspandoch 1825. in 8. Figlia, sposa, madre , amica tenerissima, qual si mostra la giovane autrice , avea ella bisogno di cercare le ispirazioni po- etiche altrove che nel proprio cuore ? E dell’avervele cercate assai spesso ( vorremmo potere dir sempre) le tornò gran vantag- gio , poichè la sola ingenuità dell’ affetto potea supplire ne’ suoi versi a quella mancanza d’arte , di cui ( siccome argomentiamo da qualche frase di un sonetto all’ amico Lampredi ) pare ch’ella me- desima siasi accorta. Quando ritrae la genitrice o il consorte , quando consiglia il suo Beppino crescente o vezzeggia il suo Memmo lattante, quando idolatra maternamente la sua Adele o la sua Giulietta , chiamando l’ una sua fiorente speranza, l’al- tra suo bell’amore , ciò ch’ella ne fa sentire è quasi una mu- sica interna, che veste e illegiadrisce le sue parole. Ma quan- do ci trasporta nel campo dell’ immaginazione , quando ci acco- sta al campo della metafisica o del ragionamento , allora siamo forzati di porgere alle parole tutta quanta la nostra attenzione, e di giudicarle per sè medesime , ossia secondo i pregi dell’ ar- te che in loro si manifestano. Talvolta pure l’ autrice, facen- dosi molto severa ,.ci dispone mal nostro grado a certa seve- rità - Ch’ ella inorridita all’ aspetto della discordia, di cui com- piange le vittime , gridi con isdegno più giusto che poetico : fin- ge delitti ove innocenza trova, fere il giusto ed il reo di e- gual percossa , — macchia l' onor di obbrobrio e sospettosi — rende tra lor fratelli, amici e sposi , noi sentiamo il grido del suo cuore , e non pensiamo se in questo grido potesse alquanto più manifestarsi l’ ingegno . Ma se ella si scaglia ( e per maggio- re singolarità nel metro più lusinghiero ) contro quelli che apri- rono le prime vie all’ umano sapere ; se li sentenzia ‘ si perdo- 96 nino alla necessità queste parole ) con eguale asprezza che in. consideratezza , possiamo noi trattenerci dal dire: almeno le sue invettive e le sue sentenze fossero più poetiche / — Del resto quale infelice consiglio potè mai distrarla dal parlare a’ suoi cari il linguaggio dell’ affetto , per gridare contro uomini che s’ ella ben conoscesse troverebbe degni di tanto rispetto ? Lasci lasci all’ ipocrisia o al furore scolastico certe declamazioni , che nessun’ arte può abbellire abbastanza , e a cui la mitezza dell’ ingegno femminile non può che accrescere spiacevolezza in grazia del contrasto — Oh amabili donne, oh esseri in cui il cielo pose tan- to di dolcezza quanto vi negò di forza, noi bramiamo da voi consolazioni e non declamazioni. Se qualche voce meno soave può ascoltarsi senza pena dalle vostre labbra, è una voce di la- mento non contro i filosofi, che in nessuna età vi hanno offese , ma contro i nemici de’ filosofi che sono pure i nemici vostri , poichè il sono dell’ umanità , di cui voi formate il vincolo più caro non che il più gentile ornamento — Così direbbe , non ne dubito , alla nostra autrice, ove sostenesse con lei le parti di critico, quel cavaliere Pougens, la cui amicizia le ha ispirata la migliore forse delle sue composizioni , |’ Ulivo di Boemia. E inutile il ricordare a’ nostri lettori chi sia un uomo sì illustre , che per la sua doltrina ha in Europa tanti discepoli, e per la bontà del suo animo e le grazie della sua imaginazione ha tanti amici quanti ammiratori. Egli se ne vive semplicemente (e que. sto cilè uopo notarlo ) nella pacifica valle di Vauxbuin poco lun- gi da Soisson , consolando la sua cecità co’ suoi studi e con quel- la specie di culto che presta agli affetti. Volendo egli conse- crare un albero nel proprio giardino a quella che la nostra au- trice chiama parerna amorevolezza verso di lei , l’ amabil don- na le chiese che piantasse un ulivo di Boemia, che le parea simboleggiarlo assai bene, e vicina all’ alivo un’ edera greca , che simboleggiasse lei medesima , e il sentimento che a lui la strin- ge. La piantagione fu eseguita , e diede argomento alla com- posizione , che si accennava pur dianzi , e il cui vezzo si argo- menterà da questi tre versi, che formano una delle sue divisioni: O argenteo ulivo ! al lusinghevol laccio — Dell’ edra carezzan- te invan restio — Saresti : è dolce un amoroso impaccio . Poi- chè l’ autrice ha scelta per suo simbolo quest’edera dai bei maz- zolini dorati e dalle bacche non amare, com’ ella ce la descrive in una delle sue noterelle erudite, noi ci aspettiamo che fedele in tutto al simbolo prescelto non vorrà quind’ innanzi donarci ver- si, i quali non siano egualmente aurei per lo stile che graziosi per le imagini e dolci pei sentimenti . 97 Opere di MicHeLE CoLomso . Milano , Silvestri 1824. in 12. Lodare il Colombo, scrittore de’ nostri giorni sì diligente , può essere cosa assai convenevole, onde mostrargli gratifudine . fortunatamente è già da un pezzo assai inutile onde farlo apprez- zare. Le sue lezioni intorno alle doti di una colta favella sono in mano di tutti, e possono ormai chiamarsi un libro classico : resta che molti approfittino e dell’ insegnamento che racchiudo- no e dell’ esempio che porgono. Le altre operette , che loro si aggiungono in questa raccolta , sono la lettera sugli studi d’ un giovanetto , anch’ essa molto conosciuta , benchè meno dalle per- sone a cui potrebbe giovare che da quelle a cui non manche- rebbero cose da aggiungervi; un ragionamento sull’ Asino d’ oro del Machiavello e un altro sulle cose volgari del Poliziano , pie- ni ambidue di critica non comune; l’ elogio d’ Elena Porta , che può far sentire alle fanciulle di qual pregio sia per loro una buo- na educazione e alle madri di quanta dolcezza |’ averla saputa dare ; tre novelle, già pubblicate sotto il nome d’ Agnolo Pic- cione , e delle quali per essere schietti più che la materia com- ‘menderemo lo stile; i trattatelli malabarici, collezioncella prege- vole ( non sappiamo dir bene se originale o tradotta ) di docu- menti che riguardano il costume; infine il trattato del giuoco degli scacchi, recato dall’ inglese nel nostro idioma e arricchi- to d’ annotazioni e di aggiunte . Questo trattato a chi non impor- tasse pel giuoco può ancora importare per la dicitura, € pia- cere per l’ amena erudizione . Vi è premessa una notizia in- torno all’ origine del giuoco medesimo scritta, dicesi, dal fran- cese Favet, ma che troviamo essere quasi letteralmente quel- la che ci diede Freret in una parte delle sue opere intitolata delle scenze e dell’ arti. È noto che quest’ uomo dottissimo , rigettando l’ asserzione de’ greci che quel giuoco fosse imaginato da Palamede mentre stava all’ assedio di ‘Troja , lo dice e sem- bra dimostrarlo inventato dal bramino Sissa al principio del quin- to secolo dell’ era nostra, per avvertire un giovane re indiano, a cui il dar lezione pia diretta sarebbe stato soimmamente pe- ricoloso , che il suo potere era vano se non pensava a difender- do. Veramente gli annali della China { come nota Buret ne’ fasti universali) fanno menzione di un simil giuoco da loro chiamato dell'Elefante ; sette secoli e mezzo innanzi all’ età del bramino , e non come di cosa che fosse nuova . La maggiore o minore an- tichità per altro nulla proverebbe contro la sua origine al- legorico -politica , la quale potrebb’ essere così cinese come in- T. XIX. Settembre 7 98. diana. Ma quest’anno un concittadino di Freret , il sig. Villot ar- chivista della città di Parigi , ha pubblicato una memoria , secondo la quale il giuoco dovrebbe credersi d’ origine astronomica ed egiziana, e trasportando la disputa nel campo delle scienze ha quasi reso inutile il voto degli eruditi. Piacerà nondimeno che , in via diragguaglio o di annotazione a quanto si premette al trattato, noi diciamo qui una parola della nuova opinione so- stenuta in tale memoria , Vedea l’ autore quanta fosse la venerazione degli antichi per certi numeri dispari, e specialmente pel numero sette, ch'era il numero de’pianeti da loro conosciuti. Questa venerazione, egli pensò, proveniva forse dalla proprietà riconosciuta in tali nume- ri di formare, quando fossero disposti in ordine convenevole , certe figure, come il triangolo e la tavola che chiamasi pitta- gorica. Or chi sa , egli disse, fin dove giugneva la loro arte nel- l’ ordiaarli a tal uopo? chi sa per esempio fin dove giugneva quella degli egiziani, che sembrano essere stati i primi mae- stri dell'astronomia? Essi, come ci dicono le storie, aveano un calendario differentissimo dal ‘nostro , poichè fondato sulla successione dei giorni della settimana , e con esso calcolavano as- sai bene un triplice anno,il solare, il lunare, e quello che diceano sotico. Di questo calendario ci rimangono poco più che lievi indizii; ma sarebb’ egli impossibile il ricomporlo? Tentia- molo; e così intenderemo un po’ meglio qual fosse la loro ar- te nelle combinazioni numeriche. Se non che bisogna imagina- re queste pure, cioè comporne ana tavola, che sia applicabi- le a tale calendario: se l’ uno si ottiene, l’ altra di neeessità sarà quella di cui essi facevano uso. — Ardito ma’ inesegui- bile pensiero dirà il lettore. — Ardito, ma eseguibilissimo , noi dobbiamo rispondere, avendone la prova nella memoria di cui si tratta. Di che modo il sig. Villot ci sia riuscito non è di questo luogo l’accennarlo. Il fatto, a cui colle nostre premesse voleva- mo venire, si è che mentr” egli era tutto nelle sue congettare e ne’ suoi calcoli venne ad accorgersi d’ una singolar corrisponden- za fra il giuoco degli scacchi e le leggi, a cui vedea sotto- messe le combinazioni cronologiche del calendario egiziano, Il re in quel giuoco (useremo quasi le sue parole ) è, come ognuno sa, il pezzo più importante, e potrebbe chiamarsene il fondamen- to, come il sole, il cui corso regola la divisione del tempo; è il fondamento d’ogni calendario. Il posto, che occupa il re bian- co nelle prime disposizioni de’ pezzi del giuoco, è lo stesso che quello in cui si trova nel calendario il segno rappresentativo del 99 ‘sole. L’ andamento assegnato al re ne ritraccia esattamente il con- tare che noi facciamo nel calendario per mezzo di rivolgimenti ‘eonsecutivi tutte le combinazioni fino all’ otto, senza mai allon- tanarci dalla casella centrale. Perchè mai il re ora bianco ora nero , se non forse perchè rappresenta il sole or visibile ed ora invisibile, onde abbiamo alternativamente i giorni e le notti ? Perchè la regina or bianca se gli sta a sinistra , or nera se gli sta a destra, se non forse perchè rappresenta la luna, or risplenden- te, s'è in opposizione con lui o come dicesi piena, ed ora senza luce , s'è in congiunzione o come dicesi nuova ? Del resto le mos- se del re nel giuoco ne raffigurano precisamente il corso dell’ an- no solare, e quelle della regina il corso dell’ anno lunare. I sei altri gran pezzi, pel luogo che occupano , possono riferirsi al grande periodo egiziano, detto anche anno sotico, il qual era di 146 anni solari, e per le loro mosse ai calcoli dell’ uno e degli altri. Infatti quelle delle torri corrispondono al calcolo delle ore e dei mesi sotici sulla linea verticale, e dell’ ore e dei mesi ordinari sulla orizzontale; quelle degli alfieri al calcolo de’ giorni della settimana sotica sulle diagonali ascendenti da manca a destra, e della settimana ordinaria sulle diagonali pure ascen- denti da destra a manca; quelle finalmente de’ cavalieri, sin- golarissime fra tutte le altre, corrispondono a certe com- binazioni d’ otto in otto, che servono a legare fra loro nel calendario tutti i periodi ebdomadari .] pedoni, o gli otto pic- cioli pezzi, per la lore struttura e la divergenza delle linee su cui si movono, appartengono al periodo lunare di 25 av- ni, e il loro andamento corrisponde ai giorni degli anni solari e lunari . Il primo passo semplice del pedone bianco sembra ri- ferirsi alla successione dei giorni ordinari, e il primo suo pas- so doppio alla successione dei giorni sotici. — Queste singolari corrispondenze fra il giuoco degli scacchi e il calendario egi- ziano agli occhi dell’ autore non possono essere effetto del caso, Senza pretendere d’indovinar l' epoca dell’ invenzione di que- sto giuoco , ei lo riguarda come imaginato per rappresentare quasi tutte le proprietà di quel triplice calendario, e quindi come un monumento astronomico, il ‘quale riproduce fedel- mente la divisione del tempo che gli egizii aveano adottata. Nella quale opinione viene, com’ egli asserisce, a confermarlo l’uso frequente ch'essi fecero di figure analoghe a tale calen- dario : ‘testimonio la famosa tavola isiaca, ov egli vede parec- chi scacchieri e promette di farli vedere a noi pure in una se- conda memoria. Ove questa risolva affatto il problema dell’ o- 100 rigine. degli scacchi, noi potremmo conciliare. facilmente col- l’ opinione dell’ autore la tradizione de’ greci, sapendo che quel loro Palamede fu uno de’ loro primi astronomi, e che quasi tutti i loro primi scienziati da loro creduti inventori non furono che introduttori degli altrui ritrovati, specialmente egiziani. Ma allora la notizia del Freret non meriterà più nel trattato che un posto secondario. Quella che ne meriterà sempre come ora uno primario è la dissertazioncella di Franklin intitolata la morale de- gli scacchi, a cui auguriamo , fra i giovani specialmente , mol- ti lettori. Le nozze di Cadmo e d’ Ermione, idillio del cav. Vincenzò Monri, ec. Milano ; Foliani 1825 in 8. Evviva sempre i bei versi! Evviva i bei versi quand mé- me! Poco c’ importa veramente (oggi 21 agosto 1825 ) di Cad- mo e d’ Ermione e del divino corteggio , dugento mila volte già descritto , il quale onorò le loro nozze come tante altre nozze illustrissime. C’ importano però infinitamente le lodi dell’ arte di pinger la voce e render visibile il pensiero, arte che i greci vo- gliono inventata da Cadmo , come gli orientali da Henoch o Edris più secoli prima, e che il poeta personifica, paragonandola alla favolosa Dea della sapienza : Tal tu pure, verace altra Minerva, Dalla mente di Cadmo partorita E nell’ armi terribili del vero Fulminando atterrasti della cieca ignoranza gli altari , e la gigante Forza frenasti dell’ Error, che stretta Sul ciglio all’ uomo la feral sua benda Di spaventi e di larve all’ infelice Ingombrava il cerebro, e si regnava Solo e assoluto imperador del mondo. Seguono quindi le maggiori vittorie ch’ella deve ottenere su que- sto mostro, ma non prima, per quello che pare, dell’ anno 2240 , quando l’ uomo andrà per vie tutte di luce, n E dirà seco: de’ miei mali il primo E la prima mia morte è l’ ignoranza. Tutta questa parte profetica dell’ idillio, che ci sarebbe sì earo di poter qui inserire, e che i lettori nostri amici imparerebbero a mente per loro consolazione, è posta in bocca della musa Cal- liope , intesa a consolare Cadmo delle, traversie vaticinategli poco prima , non quali effetti della sua invenzione (vedi il Prometeo TOI d’ Eschilo) ma quali effetti dell’ira di Giunone, che non potea perdonargli d’ essere fratello d’ Europa. Il resto è detto dal poeta ( così ben parlante come la ‘musa ) al marchese Trivulzio, a cuî l’ idillio s’ indirizza. per que’ motivi che si faranno ehiari dal commiato ‘cui recheremo intero, spiegandosi nel suo principio la ragione poetica dell’ idillio medesimo. E tu, ben nato idillio mio, che î modi Di Tebe osasti con ardir novello las All’ avene sposar di Siracusa, { Vanne al fior de’ gentili, a.lui che fermo Nella parte miglior del mio pensiero HE Tien della vera nobiltà le cime E de’cortesi è re, vanne e gli porgi Queste parole: Amico ai buoni il cielo Di doppie illustri nozze oggi beati Rende i tuoi lari, ed il canuto e fido De’ tuoi studi compagno all’ allegrezza , Che l’anima t innonda, il suo confonde Debole canto , che di stanco ‘ingegno Dagli affanni battute è tardo figlio ; Ma nen è tardo il cor che, come spira Lui Riverente amistade; a te lo sacra. Questo digli e non altro. E s’ ei dimanda Come del viver mio si volga ilcorso, Dì che ad umil ruscello egli è simile Su le cui rive impetuosa:e dura ” I fior più cari la tempesta uccise. A: quest’ idillio semipindarico anzi talvolta omerico ne succede nella stampa uno gesneriano (la felicità conjugale) graziosa imi- tazione di quel cavaliere Maffei, a cui dobbiamo una graziosis- sima versione di molti idilli del Teocrito di Zarigo., La mae- stà dell’ uno e la semplicità dell’altro fanno tra loro ‘un singo- larissimo contrasto. Sia però lode al vero: il Maffei ci ha fatta conoscere una semplicità più bella e più degna di star a fronte di) quella maestà. Se la sua imitazione valesse in ogni 'sua parte, come nel cominciamento, ciò che vale generalmente parlando la sua versione,a noi non. mancherebbe il coraggio di dire: Mirone e Dafne pastorelli stiano innanzi a Cadmo ed Ermione semidéi. La mito- logia sarà cosa splendidissima ; chi lo nega ? Ma la natura ha un’at- trattiva che quella da gran tempo non ha più ; la mitologia sa- rà anche sapientissima ,, e il nostro-serno dovrà dirsi ben povero ‘ come canta il cav. Monti, non vedendo il vero che vi è ascoso. Ma se questo vero hasopra un tal velo, ch’occhio vulgar nol passa, e le.iniziazioni necessarie a penetrarlo oggi o sono divenute som- mamente difficili: (veggasi la grand’ opera di Creuzer) o ci 102. fanno gettare un tempo prezioso, ehe può assai meglio impie- garsi, ci è ben forza di preferire un vero, più manifesto.o un velo di nostra tessitura e quindi più trasparente. Così il cav. Monti, che con due cantiche e alcune liriche sublimi ci avea più che altro qualunque de’ nostri, poeti fatto prendere il, ga» sto di questo vero e di questa nuova specie di velo.; avesse voluto seguitare a soddisfarlo! La sua. gloria. sarebbe stata, maggiore come il nostro piacere e la nostra utilità..Lecito «a luiisolo per altra, che dopo aver lottato con Omero potrebbe quasi pren- dersi per un antico, il donarci ancora versi mitologici. Rice- vendoli (si perdoni la nostra sincerità) sorridiamo un poco, ma gridiamo: evviva sempre i bei versi! ES: Singolar cosa! Appena scritte e date allo stampatore queste poche righe, ci giungono colla gazzetta di. Genova e poi con quella di Milano altri versi nuziali del cav., Monti (il sermone alla marchesa Costa ) i quali sembrano fatti per. prevenire le no- stre osservazioni e quelle di sitnil genere a cui altri fosse incli- nato. Bei versi in verità! Ma quanto al fondo delle idee ci spunta nostro malgrado sulle labbra il solito sorriso, Il cav. Monti ha creduto del suo onore il rompere una lancia per l’ oltraggiata mi- tologia, stata a più riprese la dama de’ suoi pensieri. Ma, com’ e- gli non può vantarsi di gran fedeltà verso di lei, ed ha pur man- dato di tempo in tempo qualche sospiro. verso.:1’ audace scuola! boreale che combatte, i suoi colpi sono stati più da sehermitore: che da vero combattente. L’ ho contemplato con infinito piacere: in quest’esercizio : egli è sempre un brillante paladino, e questa volta. più che mai avendo voluto far mostra più:di leggiadria che di forza.» Mi ricordo che il: sig. Viennet , senza farsi campione della mito-.| logia, ha portato qualche tempo fa colpi ben più gagliardi alla scuola audace. Come più presto ci sarà. possibile discorreremo), un poco dell’ effetto dei colpi d’ambidue , e. per non. dire cose, in aria esamineremo prima di tutto quanto vulnerabile sia la;ne+; mica nelle parti contro cui quei colpi furono diretti, indi .s’ella; abbia parte coperta abbastanza dallo scudo della ragione; Ù 4 e GIRI 1 ao ht Lettere di FrRancesco REDI. Firenze, Magheri 1825 in 8.° Ove l’oro abbonda nelle miniere par facile il ricoglierne solo ehe si stenda la mano .fra. la rena o fra i.sassi; e nondimeno: ci 103 bisogna una pazienza e una diligenza infinita. E quanto all’ oro della lingua, non potendo esserne buoni ricoglitori che i dovi- ziosi, se non li anima un grande amore della lingua medesima, e un gran desiderio di accrescere, più che la privata, la pub- blica ricchezza,"@ poco a sperare che si diano cure, di cui si noierebbero anche i poveri. Quindi, allorchè se le danno , dob- biamo saperne loro buon grado, come d’atto generosissimo, e molto somigliante a quello di chi suda fra gli agi onde meglio sovvenire altrui. Che se la gratitudine deve pur essere propor- zionata alla costanza da loro posta in cure sì utili, non so chi oggi la meriti maggiore del nostro Moreni, il quale da lungo tempo va facendoci ad ogni pochi mesi qualche dono d’ auree scritture , o affatto inedite o non mai pubblicate così intere come da lui. Può pensare taluno che le presenti lettere del Redi, come d’ autore famoso e d’età non molto distante dalla nostra , gli siano cadute sotto la mano, senza quasi ch’egli avesse d’uopo di cer- carle. Ma la cosa veramente non è così. Perocchéè se alcune di queste lettere erano già state raccolte dal Manni, il quale non fa in tempo di aggiugnerle alla sua edizione, altre erano ancora sepolte nella nostre biblioteche, ed altre si trovavano fuori di Firenze, e se mai furono dal nuovo raccoglitore facilmente ottenute, non credo però che gli siano state esibite, Del resto egli dona sem- pre più che non promette , a differenza di molti che promettono più che non attengono; e questa volta pure, sotto il semplice titolo di lettere del Redi, ci dà non solo altre lettere d’ altri scrit- tori, ma altre prose più lunghe e forse più belle, parte aggiunte alle lettere, parte inserite nelle sue copiose illustrazioni. —_‘Veggo ch'egli si affanna a mostrare in un discorso di proe- mio l'utile e la convenienza che il privato carteggio degli nomini dotti o in altro modo qualificati venga in pubblica luce. E ri- guardo al carteggio dei dotti reca fra |’ altre prove i frammenti di tre lettere, una del Chimentelli , l’altra del Magalotti e la terza del Dati intorno ad un codice della republica di Cicerone, che si diceva trovato in una biblioteca della Germania, e che pare dovesse essere o intero o meno mancante del vaticano, publicato tre anni sono dal celebre Maj. Io temo pur troppo che quel ri- trovamento fosse un bel sogno, ma, poichè poteva anche non es- serlo, godo nel leggere qui vari documenti della voce che n’era sparsa più di un secolo e mezzo innanzi a noi, sembrandomi op- portunissimi a ridestare ne’dotti alemanni |’ ardore delle ricerche. Un'altra bella prova dell’ importanza che possono avere le lettere familiari ce la porge la prima di queste del Redi, la quale è di- 104 retta ad un Montemagni di consenso e quasi d’ordine del prin-. cipe Leopoldo, e contiene l’ estratto d’un antico manoscritto in- torno al dominio sofferto da’ lucchesi in diversi tempi, onde porta in fronte nell’ autografo: non si può stampare. Essa chiarisce al- cuni punti di storia, e giustifica alcune doglianze mosse contro il Sozomeno e l’Ammirato da chi scrisse quella di Lucca. Dopo que- sta mi ha fatto singolar piacere una lettera al Pini medico fio- rentino al Cairo, autore d’una descrizione della Morea, lodatis- sima dallo Zeno, che ne avea tratta copia da un’ altra del Marmi, parente del Pini medesimo, e volea pubblicarla, quando gli fu derubata. Si vede da questa lettera quanto {premessero“a chi reggeva allora la Toscana gli studi naturali e antiquarj, a van- taggio de’ quali il Pini era mandato a viaggiare, così per l’ opi- nione che si aveva del valor suo come pei buoni offici del no- stro Redi. Chi conosce questo brav’ uomo sa abbastanza che le sue lettere non possono essere vuote di cose, come non possono essere se non auree per la dicitura. Io però, che non voglio adu- lare nè i vivi né i morti, dirò francamente che parecchie di esse, ove non ci riuscissero care per la dicitura, pel valor delle cose ci lascierebbero indifferenti. E qui coglierò occasione di giustificare un poco quelli che non si mostrano troppo favorevoli al continuo publicarsi di tante lettere, e la cui disapprovazione sembra sì in- giusta al mostro Moreni. Egli fortunatamente ha quasi sempre avuto sotto gli occhi fr fiorentine de’ tempi migliori, e si è in esse grandemente dilettato per la ricordanza delle cose patrie o la beata copia del domestico idioma. In moltissime, altre pexò date in luce per ogni dove con tanta facilità, qual diletto può mai prendersi (ove non sia talvolta certo diletto maligno) o qual ragione si vede per cui dovessero publicarsi? E supposta pure ogni ragione di simili publicazioni , io amerei che si racco- mandasse almeno la discrezione (e in questo so che il sig. Mo- reni consente meco pienissimamente ) oggi in ispecie, che anche le lettere de’ vivi o a’ vivi si donano, senza pur consultarli, alla stampa, e si fanno oggetto della publica curiosità i seereti dell’altrui amicizia. Il qual uso è simile a quello di chi , viag- giando , si trova a’ colloqui d’onde la confidenza ha bandito il riserbo, e appena giunto a casa li scrive e li publica senza par pensare se in nulla lo inganni la propria memoria, senza al- meno assicurarsi che non turberà la pace o la sicurezza di chi non è reo d’ altra colpa che d’ una confidenza imprudente. Ai non approvatori delle publicazioni epistelari il nostro Moreni unisce nella sua redarguzione i dispregiatori delle ciea- 105 | late, e bisogna dire per mezzo gi qual legame. Il Redi e il suo carteggio si riferiscono spesso alla Crusca e ai suoi accademi- ci. Di questi accademici era desiderato da chi può dare qual. che studio a sì speciali erudizioni un elenco esatto , che parea non, dovesse mancare. Ma nè la nuova Crusca il possedea, nè l’antica, per quella. parte che spettava a lei, l’ aveva real- mente lasciato. Quello che trovasi nella Magliabechiana è molto incompleto, e bisognava supplirlo, aggiugnendovi poscia quanto appartiene alla Crusca odierna, di cui ii Moreni è corrispon- dente. Cercando i nomi degli antichi accademici gli venivano sott’occhi le imprese di molti di loro; e notando le loro im- prese, gli cadeva in acconcio di ricordare il canone accademi- co, per cui ciascuno doveva scegliere la propria, indi assogget- tarla ad una censura e difenderla, prima di poterne far uso. Di questi esercizii d’ingegno e quasi condimenti d’ozio signo- rile il nostro Moreni reca alcuni esempi, uno dei quali ci da- rebbe assai favorevole idea della piagkyolezza faconda del Buon- mattei , se non cela porgesse vie più favorevole la sua bella narra- zione dello stravizzo fatto dagli accademici il 21 luglio 1641, posta in calce al piccolo epistolario. La rimembranza di simili esercizii, dolcissima al nostro editore erudito, gli fa pensare ad altri ancor più piacevoli ch’ erano pure d’ istituto accademico, cioè le ci- calate , il cui nome or non sembra pronunciarsi che per ischerno, ma che veramente, significa o significava cosa egualmente gen- tile che lieta. Le cicalate erano fra le prose ciò che i capitoli bernieschi fra le poesie: come gli uni si scrivevano per ralle- grare le brigate, le altre si componevano per finire con più fe- sta i simposii o stravizzi accademici. Di qui le norme che ne dà il Salvini, e che il Moreni riferisce. “ La cicalata ha, da essere una imitazione d’ un ragionamento dopo cena, non me- ditato, figliuolo di schietta letizia, che non perifrasa, non pe- rioda, ma se ne. va giù per la piana a guisa di limpido fiume, scorrendo senza inciampo e senza strepito, Componimento dee esser questo, come fatto da forbiti accademici appresso al vino, libero sì, ma non mordace; arguto, ma mon ricercato; pieno d’ aurea ilarità, di sale dolce frizzante, di nobil facezia, di gen- tile rallegramento, di amorevolezza accademica. Qai ha da trion- fare la beata ricchezza di nostra fiorenlina lingua, che nell’Italia tiene il luogo dell’ attica, co’ folti proverbi, colle maniere di dire brevi, acute, forti, con quelle grazie, con quelle veneri ( perdonimi Italia il vanto) che altrove invan si ricercano. ,, Maaquesta idea esemplare delle più piacevoli fra le prose (non 106 ci rincresca d’ essere sinceri) quante, fra quelle che conoscia- mo, corrispondono realmente? E per ciò Che riguarda |’ amo- revolezza accademica, pensa egli il mostro Moreni che ne siano buon saggio gli scherzi che cita del Lorenzini? Certo egli nè vorrebbe dare nè vorrebbe ricevere simili prove d’ amorevo- lezza, e dopo avere provata tanto amara la burla forse prefe- rirebbe la serietà. “ Ma senza di queste baje, egli dice, mon: brillano le cicalate. ,, Nè io lo credo, nè egli dee bramare che si creda; poichè, se ben riflette, nulla potrebbe asserirsi di’ più grave contro le composizioni ch’egli ci commenda. Ma il buon Salvini, egli prosegue, soggetto di quelle baje ne rise egli me- desimo fra le risa universali. —Il buon Salvini era probabilmente un uomo disinvolto , il quale sapeva che in simili casi non resta miglior espediente che unirsi a chi ride, perchè chi ride si trovi dalla nostra parte. Del resto (ed è il Moreni che lo dice) sem- bra che il Salvini in una delle sue posteriori cicalate volesse ammonire dolcemente il motteggiatore che la burla deve avere i suoi confini, oltre i quali diventa villania. E ciò mi prova ® che il Lorenzini fu meno civile che i costumi de’ suoi tempi richiedessero, o che il Salvini lo era più ch’ essi non richie- dessero. S° egli, ch’ era anche sì ingegnoso, vivesse con noi, guardando all’ indole del secolo , ai progressi che va facendo l umana regione, al bisogno che questa ha di nutrimento an- che in mezzo al piacere, non proscriverebbe le cicalate, ma prescriverebbe loro qualche norma novella, per cui servirebbero a render piacevoli tante utili verità, che dette con ciglio se- vero sarebbero mal accolte. Così serbato il nome, e modificata la cosa, i dispregiatori si troverebbero d’accordo coi favoreg- giatori o questi con quelli, e il tempo che si dona al disputare s'impiegherebbe a far meglio che ancora non siasi fatto. Versione d’ alcuni salmi di GIAMBATISTA SPINA. Bologna , Marsigli 1825. in 12. Agli ebraizzanti e a tutti quelli, che posseggono o credono possedere il vero gusto della poesia orientale , salute e rispet to. Io tengo qui fra le mavi un libriccino, sul quale essi potreb- bero imaginarsi di avere delle ragioni, ed è mio obbligo d’av- visarli che non ne hanno veruna. Ove amino disputare di pun- teggiatura o di metri o d'altre cose rabbiniche , di cui a parer loro deve intendersi quel cristiano che vuol darciin versi i ver si di Davide e d’altri profeti , si piglino quel magnifico în To] quarto contenente "il ‘salterio volgarizzato letteralmente e poeti camente , datoci ‘anni sono col testo a riscontro da due dotti veronesi il 'Ventari e ‘il Gazzola; 6 tornino, se la polvere alta delle biblioteche non li sgomenta , ai salteri in versi latini di Montano e di Bucanano o di altri laureati di Salamanca e di Edimburgo, ch’io non nomino perchènon ho l'onore di conoscerli» Avrei nominato volentieri 11 salterio del secondo Mattei, il quale sapeva probabilmente d’ebraico quanto possono saperne le. loro signorie, se nom’avessi udito da chi. ha strette relazioni con lo- ro che su quel salterio non vi è più»luogo a discorso essendo già stata pronunziata da loro sentenza capitale. Il piccolo salterio del sig. Spina, verseggiatoitalianamente sulla volgata, deve giudicarsi indipendentemetrte ‘dal testo, e però , fatta umile riverenza a co- sì temibili sentenziatori , lo’ presento ‘con certa fiducia a chi non mi domanderà quanto serbi d’ebraico ( al che nonvsarei'in ista- to di rispondere ) ma quanto abbia ‘in'sè di poetico. E qui bisogna ch'io medesimo faccia ad essi una domanda, Che poesia bramaàte voi ne’ salmi volgarizzati? Una poesia adat- tata’ alla nostra ‘salmodia , che il Martini nella storia della mu- sica dice essere quella stessa che usavano gli ebrei? Siate con- tenti , chè i salmi del'sig. Spina e pel metro e per le altre quali- tà" bono veramente ‘il ‘fatto vostro. Voi conoscete i ‘sette salmi del nostro grande Alighieri . Io. non'so dirvi; se) traducend one. al- tri'che di penitenza, egli avrebbe usato ‘inetro differente, o se nòd 'sentendosi ‘vena per un metro differente ne avrebbe tra- dètti altri che di penitenza. Il' sig. Spina 'ha credato che la terza ‘rima gli servirebbe egualmente bene per’ tutti, e' obbli- gatosi: una volta all’uniformità del metro si è ‘pure ‘obbligato a certa ùhiformità di maniere e di'ornamento Così l’inglese Jen- son, parafrasando elegantemente il salterio nél‘metro elegiaco dei latini; l’avea ‘fatto diventare ‘tutto‘‘d’un*colore elegiaco.» Ma la- sciando' pur ‘stare che :l metro‘ originale. è vario, come n° era Vario l’accompaguamento musicale presso gl’ebrei (intorno a queste cose chi hon voglia ‘sapere “del Mattei può consultare il Michaelis ) nella stessa volgata apparisce' tanta varietà di co- lori che'‘basta per far pensare che ‘in una ‘versione un solo me- tro' è ‘piuttosto atto a confonderli ‘che a farli apparire . E an- che senza questa ‘varietà di colori, la sola varietà degli argomenti vi ‘dice che non li'tratterete bene ‘nella nostra lingua‘che valendo- vi di tatti i metri della nostra lirica ? Guai se Cafaro , volendo met- tere ih musica il Confitemini Domino, specie d’oratorio sacro, in cui alle' doglianze ‘sulle sofferte sciagure si alternano le espressioni 108 della ‘gioia per gli ottenuti trionfi, si fosse attenuto al solo esem- pio di Benedetto Marcello, il quale non fece eantare che Davide penitente! Avrebbe. potuto ideare gli accordi i più sublimi del mondo e non per questo avrebbe fatto: sentire ciò che si trova nel salmo. i Orsù ; dirà taluno, quando: avviene che. l’argomento) di, un salmo e il metro della nuova traduzione si convengano in qual- che modo l'uno all’ altro, quali pregi, oltre questa convenienza, possiamo noi lusingarci-di trovare nel salmo tradotto? L'adattar-, si o non adattarsi afla nostra’ salmodia è cosa affatto estranea alla ragione poetica; e non si vede bene se voi.,ne abbiate fatto cenno per lode o per biasimo; — Ne ho fatto cenno per indicare breve-. mente che. alla traduzione, di cui si parla) mai non manca certa. dignità .e certa! pietosa armonia, due doti che ne fanno supporre. varie altre;.come la sceltezza della frase e quella che, trattan- dosi di salmi, può benissimo chiamarsi unzione dell’affetto. S°io potessi. aggiugnere altre lodi lo farei volentieri; nè, perchè; mi sia impossibile. di aggiugnerle, asserirò. che non, possano essere meritate. Volendo recare per saggio qualche terzina confesso che mi trovo molto perplesso, vedendo lì pronto chi griderà contro la mia scelta, quasi fatta espressamente per aver motivo di cen- surare. Io non toccherò ( già nessuno se lo aspetta) que’ salmi solenni per cui tutto. il vigore .e lo splendore de’ versi lirici di un Monti appena sarebbe stato bastante. Non uscirò, dagli, ele- giaci. e. fra essi mi. atterrò al più elegiaco. di itutti ,, a quel.. lo che sembra, fatto ;,per essere sentito .da ogni uomo e.in, ogni età, al Super Mumina Babylonis, tanto famoso, ch’ io, debbo credere. più facile degli altri ad, essere tradotto ;; poi- chè anche, da chi,non proponevaseto fù più volte imitato . Io leggeva non è granitempo ( e non so che darei per ricordar- mi! dove.) qualche cosa, di simile \a quel salmo posta in bocea; di una donna ellenica , a cui i, turchi, traendola schiava,,, doman. davano ;i canti armoniosi della, sua, patria. Credo che vi faccia qualche allusione Blaquieres (l’autore dell’ istoria, della greca rivoluzione ) nel ragguaglio dell’ ultimo suo. viaggio, in Grecia ; ove, parla .della sua, visita jalla | consorte, di, Miaouli ;, .uno,; degli ‘ eroi ( (come dice Chateaubriand nella 1celebre, sua nota;, già trar; dotta in tutte le lingue d’ Earopa ) che gli .eroi di Micale e .di, Salamina avrebbero riconosciuto per compagno. Ma, lettor,mio, prima di presentarvi il più piccolo saggio, bisogna.che; io. yi fac- cia un’altra domanda . Avete voi sentita Desdemona nell’ Otel= lo cantare sulla sua arpa la, romanza della schiava affricana;/? 109 Rossini, che tocca divinamente le. corde. brillanti , non tocca se non mediocremente le corde malinconiche. Pure, se vi ricordate di quella romanza , sarà meno male per voi che vi rivolgiate al Mattei, il quale in poesia non è che un debole rossiniano , ma pur vi move perchè è pieno di movimento. Ove in fatti sen- tirete voi piu distintamente la passione de’ leviti o, del levita che canta per tutti , in questi versi dello Spina : | Di Babilonia assisi in riva ai fiumi Te, Sion, rimembrando un tal ne prese 3 Dolor , che largo discorrea dai lumi; o in quelli dell’ altro, che non do per modelli, ma che lascia- no nell’ anima , quasi malgrado il loro metro e la loro sovrab- bondanza di parole, certo intenerimento che sforza noi pure al pianto ? Dell’ Eufrate sul barbaro lido Rimembrando l’amata Sionne, Mesto , afflitto, confuso m'assido, E frenarmi dal pianto non so. Il sig. Spina, proseguendo , mostra” di aver’ sentito meglio. del Mattei la toccante semplicità delle parole che traduceva e fors'anche la relazione intima che le unisce : Ivi tacquer le cetre ai salci appese, Chè l’ odioso autor del nostro pianto L’ usata un tempo melodia c’ inchiese . Insultator, della letizia il canto Intonate , dicea , ma al buono Iddio Deh! come in sì crudel loco dar vanto ? Nel rimanente della versione sarebbe stato desiderabile ch’e- gli adottasse i legami delle idee indicati dal Mattei, giacchè i traduttori dell’antiche poesie debbono talvolta, senza che mo- strino di cangiare officio, farsene espositori, e il riuscirvi senza lunghe parafrasi ( difetto. principalissimo del Mattei) è una del- le massime prove del loro ingegno e della loro destrezza, Sareb- be pure stato desiderabile che nel traslatare i due ultimi ver- setti egli avesse adottata l’interpetrazione del Mattei medesimo, onde invece di questa sentenza finale contro Babilonia : Beato chi duol pari al nostro duolo Daratti, e chi dal cielo abbia la possa , Svelto dal sen materno ogui figlinolo , D' infrangerne alle pietre i nervi e l’ossa, abbiamo quest’ altra meno letterale , ma per tutti i riguardi più chiara e più conveniente : Come feroci e perfidi, Come crudeli a noi, Così sarà con voi Barbaro il vincitor . E l’innocente figlio Farà svenar sul ciglio Della dolente madre, Del mesto genitor. I pochi versi citati credo che diano bastante idea della maniera di tradurre del sig. Spina. Questa maniera posta a confronto di quella del Mattei fa pur sentire ,se non m’' inganno; la differenza che passa in proposito di traduzioni fra il gusto della nostra e quello dell'età antecedente. Oggi si tende più che allora a serbare il carattere degli antichi; oggi più che allora si vorrebbe conci- liare l’originalità de’ loro modi colla proprietà de’ modi italiani. Avvi però nell’ esecuzione di questo disegno un non so che di timido e di studiato, che toglie agli antichi gran parte della lor vita, e fa spesso desiderare que’ traduttori che si davano maggio- re libertà . Verrà, non ne dubito, il giorno in cui, nelle tradu- zioni poetiche specialmente , si troverà eguale spontaneità che fedeltà, egual calore che eleganza. Il Monti colla sua Iliade ba dato un gran passo nella carriera aperta dal Caro e dal Mar- chetti. Sento di che difficoltà sia il metterglisi a paro ne’ sen- tieri della lirica. Pure qualche tentativo già fatto , e la imman- chevole potenza dell’ingegno italiano , il quale , se si addormen- ta per alcun tempo, alfin si risveglia e guadagna il tempo per- duto, mi empiono , dirò anch’ io col poeta , di speranza buona. Storia cronologica de’ Romani compilata da FrANcEScO CRI- VELLI. Verona , Società tip. 1823-24. tom. 3. in 8°. Non ripeteremo ciò che in altri giornali ( vedi la Bibliote- ca italiana e la Rivista enciclopedica ) fa già detto di questa sto- ria. Era giusto il dolersi che l’ autore, ordinando nuovamen- te la serie de’consoli, mon avesse tenuto verun conto delle ret- tificazioni fatte dal Sanclementi e dal Borghesi alla serie livia- na. Non sarebbe forse ingiusto il chiamarci sorpresi che, pre- sentandoci lo stato politico e geografico de’ popoli italiani pri- ma della fondazione di Roma, non abbia tenuto verun conto delle sagaci ricerche fatte in tale argomento dal nostro Micali . Ma già queste due mancanze non sono così sue; che nol siano pure d’ altri cronologi contemporanei di molto nome, e ( quel- lo che più vale ) di nome ben meritato . Fors” anche non sono che mancanze supposte e non ci provano altro se non la diffi- coltà eon cui le cose nuove si fanno strada per mezzo alle vec- III chie, o la lentezza con cui giungono a notizia di quelli stessi cui debbono più particolarmente interessare. Nessuno pensi ch’ io metta /’ Italia innanzi al dominio de’ romani sull’ istessa linea dell’Emendazione dell’era volgare e de’ Fasti consolari. Come qui pon trattasi dell’ ingegno o della dottrina che trovasi in quest’ opere , ma della loro autorità istorica , veggo abbastan- za che la prima non è in paragone delle due altre che un sag- gio di critica filosofica o una serie di congetture , Ma queste con- getture sono tali , che si è costretti di preferirle spesso a ciò che in vece loro chiamavasi storia; e i cronologi , che seguono Dio- nisio, debbono ormai accontentarsi di darci come semplici opi- nioni una gran parte delle sue asserzioni. Lasciamo però i tempi anteriori a Roma, per non entrare in dispute da cui non è possibile uscire con brevi parole, e ve- niamo a’ primi che da lei s’ intitolino, cioè a quelli che cor- rono dalla sua fondazione alla cacciata de’ suoi re . Se la cro- nologia dei consoli, come altri già osservarono , in questa storia del sig. Crivelli è sbagliata , quella dei re possiamo dire che non è spiegata . Come mai, avevano riflettuto Levesque , Con- dillac ed altri storici filosofi, sette soli re, parte dei quali periti di morte violenta , e l' ultimo sopravvissuto tredic’ anni al proprio regno , possono empire lo spazio di quasi due. secoli e mezzo che loro si assegna ? Questi storici mossero il dubbio ; il principe de’ nostri eruditi, filosofo non meno di loro , ne cer- cò la soluzione . Plinio, egli dice, pensò che le statue di quelli che chiamiamo i primi quattro re fossero state poste in Campidoglio da Tarquinio Prisco uomo d’alto animo e oriundo, come ognun sa, dalla-Grecia , il quale aveva rirnovato in Etru- ria il gusto dell’ arti. Quei quattro re non erano sicuramente i soli suoi predecessori ; ma erano forse i soli benemeriti dello sta- to e degni che il loro nome si avesse in onore. Alle loro sta - tue fu in seguito aggiunta la sua e quella dei due successori , che ancor si vedevano coll’ altre ( testimonio Dionisio ) nel ter- zo secolo dell’ era volgare. La storia , non trovando altri do- cumenti, numerò i re dal numero di quelli ch’ erano in esse rappresentati, nè si curò di cercare degli altri, di cui nessuno avea curato di serbare memoria , Questa congettura del Viscon- ti è sì nota, che a me basta d’ averla accennata : quindi tanto più meraviglio che non sia stata dal signor Crivelli in. nessun modo ricordata . Egli accompagna i suoi articoli cronologici di varie osser- vazioni, con cui sembra aver voluto avvivarli, racchiudendo in 112 essi ciò che chiamiamo spirito della storia. È stato avvertito da chi già rese conto dell’ opera sua , che la dicitura di queste osservazioni non è sempre la più tersa nè la più esatta. Da ciò verrà forse che non sempre si riesce a bene intenderle , e noi potremano in quelle sole , che riguardano il primo articolo dell’ epoca seconda , cioè l’ articolo della cronologia dei re , notare non poche ambiguità . Limitiamoci ad alcune, tanto perchè i lettori giudichino se il non intendere provenga da nostra distra- zione, e se ad essi possa giovare una maggiore attenzione . “ Noi vediamo seguendo la storia romana , dice l’ autore, che Romolo divise tosto la sua colonia in due ordini distinti di patrizi e plebei , cioè di ottimati e di servi. I primi erano coloro che con Romolo stesso passarono a fondar Roma , ed isecondi quel. li che vennero da esso accolti nell’ asilo. ,, Patrizi e plebei sino- nimo di ottimati e di servi? plebei e servi gli accolti nell’ asi- lo? Sappiamo da Livio che Romolo condusse con sè una mol- titudine tumaltuante e divisa , a cui si affrettò di dare uno statuto per formarne un corpo sociale . Come questo fu. forma- to, volendolo accrescere e render più forte, aprì un asilo, ove accolse dai popoli finitimi chiunque bramasse entrarvi, senza distinzione fra libero e servo. Chi era libero certo non veniva a cercare la servitù ; chi era servo probabilissimamente non ac- correva che allettato dalla libertà. Ma questa è piccola considera- zione in confronto di un’altra che a ciascuno si presenta . Ro- molo , circondato da nemici, contro i quali dovea star pronto a difendersi, avea d’ uopo non di servi, che sarebbero stati tanti nemici di più, ma di compagni , che facessero propria la sua causa. Il corpo sociale da lui formato non potea crescere di forza che per I’ aggregazione di nuovi membri egualmente forti che gli altri; e i nuovi membri non potevano essere ugualmente forti se non erano liberi ugualmente , Ora che tali fossero ce lo fa intendere Livio narrandoci, che, per aggiungere alla forza il consiglio, Ro:nolo elesse , non dai primi piuttosto che dai secon- di, ma sicuramente da tutti insieme, cento senatori, detti padri a cagione d’ onore, onde poi il nome di patrizi ai Joro discenden- ti. Così, dopo l’ unione coi sabini, furono scelti fra questi nuo- vi compagni cento nu ovi senatori onde raddoppiare il numero degli antecedenti, non dovendo essere disuguali per l’onore delle magistrature quelli ch’ erano uguali pel diritto della cittadinanza. E dico onore delle magistrature , perchè se i sematori divennero col tempo ottimati, per loro istituzione veramente non furono che magistrati. So che Dionisio im agina una distinzione di patri- 113 zii e plebei anteriore al senato, e chiama patrizii i ricchi , ple- bei i poveri, quasi potessero esservi ricchi o poveri uve, com’e- gli stesso asserisce, era stato fatto un riparto egualissimo de'ter- reni, salva una porzione destinata ai bisogni del cuito e a quelli delio stato. Nè perchè i senatori avessero le principali cariche sì della guerra che della pace poterono in seguito, vivente Romo- lo, arricchirsi colla vittoria. Perocchè i beni conquistati furono divisi ugualmente fra le trenta curie, componenti fin da princi- pio l’ intero popolo, e ben atte a difendere ( adunandosi spesso in comizi or generali or particolari ) le loro ‘piccole proprietà . Dico difendere , non dubitando che i senatori avranno cercato di usurparsi i loro diritti , e impedire l’ esercizio della loro li- bertà. Se ciò non fosse , perchè mai Livio avrebbe notato che Romolo fu sempre più proclive al popolo che al senato? O il se- nato non voleva che il giusto , e Romolo , a cui premeva trop- po di consolidare l’opera sua, dovea sostenerlo. O il popolo da- va segni d’inquietudine rivoltosa, e per l’ istesso metivo doveva ben guardarsi dell’ aderirgli. Se il fece , vide sicuramente che il povero popolo era minacciato da pretensioni ambiziose ed avare ; e che per mantenere l’ equilibrio nello stato bisognava mettere dalla parte del popolo medesimo il peso della propria autorità , Il senato, non potendo sofferire un tal re , e non osando libe- rarsene francamente in faccia a chi lo avrebbe vendicato, pensò di farne un dio. Ma l’autore, il qual vaole assolutamente che Romolo isti- tuisse un governo aristocratico anzi feudale prosegue: è cosa veramente singolare che alcuni filosofi abbiano creduto il governo di Roma essere stato monarchico da Romolo fino a Tarquinio il superbo ,,; e chiama un’incoerenza il pretendere che ‘ quel governo fosse mescolato di libertà popolare. ,, Certo il governo di Roma non poteva essere monarchico secondo il significato odierno o moderno di questo nome. Le prerogative dei re, come osserva Montesquieu, sì limitavano anticamente al comando de- gli eserciti, all'esercizio delle funzioni di giudice , e a pochissime altre. Romolo non ne godeva più che i re del suo tempo e del suo paese; ma perchè non era signore assoluto, non per questo era un re nullo. Che se gli era impossibile fondare un’ assoluta monarchia, gli era egnalmente impossibile stabilire un'assoluta aristocrazia , Ja quale richiede maggior tempo e maggiori prepa- razioni che l’altra. Un popolo d’avventurieri, osserva Condillac, deve avere necessariamente un capo che lo conduca, e gli dia sicura sede. Questo capo non può essere dispotico ne’ suoi voleri, perchè T. XIX. Settembre $ 114 gli uomini più veggienti o più coraggiosi, che gli stanno intorno, sono pronti a resistergli, quando ciò ch’ egli vuole non sia di loro vantaggio. Quindi egli è costretto ad intendersi con loro , a for- marne per così dire il suo consiglio. Ma questo consiglio istesso non può nulla se non è secondato dalla moltitudine , la quale per ciò deb)’ essere chiamata a parte di quasi tutte le deliberazioni. Così ne’ primitivi governi si temperano insieme i tre principj monar- chico , aristocratico , e democratico , e ciò naturalmente, senza pro- getti o speculazioni di politici che ancor non vi sono. Così Roma ebbe fin dalla sua fondazione un re , un senato , e de’ comizii popo- lari. Livio non ci dice propriamente di che si trattasse in questi comizii sotto Romolo, ma quello , che vi fu dibattuto sotto i suc- cessori, ci fa intendere abbastanza, che vi si trattava della guerra e della pace, della formazione delle leggi, dell'elezione de’ ma- gistrati, e di quanto apparteneva al publico ben essere. L’autore per provarci che il governo di Roma era veramente aristocratico cita la condotta di Tullo Ostilio nella famosa causa di Orazio, uccisore della sorella. Da questa condotta, egli dice, s’ inferi- scono due cose : ‘ una cioè che 'Tullo non era in facoltà di as- solvere Orazio dalla sentenza dei Duumviri, abbenché desiderasse di farlo; l’altra che per accrescere il proprio potere tentò in questa circostanza di assoggettare la sovranità al voto della mol- titadine. ,, Il fatto però si è, secondo Livio, che il fraticidio d’ Orazio era sembrato così atroce alla plebe come ai padri, ma che contro l’orrore del fraticidio combatteva in tutti i cuori un’ ammirazione ancor troppo viva per l’eroe fraticidia; che Tullo non potea dispensarsi dal far giustiza, nè impedire che questa giustizia sembrasse odiosa; che quindi, convocato il popolo, elesse, per non giudicare e sentenziare egli medesimo, due giudici chia- mati Daumviri (magistrati che lo storico nomina per la prima volta in questa occasione e alla cui scelta è probabile che il popolo avesse parte) e intimando il giudizio permise che l’ accusato si appellasse al popolo medesimo, ove la sentenza gli fosse sfavo- revole. Può darsi ch'egli ciò facendo avesse un secondo pensiero, quello di gratificarsi la plebe, con cui sentiva forse, al pari di Romolo, ch’ era più facile governare che coi padri. Ma il suo primo scopo fa quello di fare che nè il rigore nè l’ indulgenza, in causa così straordinaria e difficile, gli si apponessero a colpa. In altre cause, occorrendo qualche dubbio intorno all’ applica- zione della legge, era uso che il re si volgesse per consiglio ad alcuni senatori o a tutto il senato. In questa, per più sicurezza , concesse l'appello al popolo, risguardato qual fonte dell’autorità 115 giudiziaria, poichè lo era della dignità reale, o qual interprete supremo delle. leggi, dacchè niuna interpretazione senatoria po- teva aver forza di legge senza la sua approvazione. Finchè non vi fa in Roma disugualianza d’averi, non vi fu disugualianza di diritti, non vi fu aristocrazia. Rotta affatto la proporzione fra gli averi de’cittadini, allora |’ aristocrazia si stabilì legalmente, e ciò avvenne sotto Servio Tullio, che forse vi ripugnava. Son noti i suoi progetti liberali, che facilitarono a Giunio Bruto lo stabilimento della republica sotto il suo sue- cessore. Non è probabile che pensando a sottrarre il popolo dal regio potere volesse aggravare sovr’ esso il potere patrizio. Qaello ch'è certo si è che il censo da lui ordinato, e chiamato da Livio cosa salutevolissima, non fu per nulla favorevole ai no- bili nel senso che l’autore l’intende. Questo censo, come ognun sa, altro non significa se non l’ estimazione degli averi di ciascun cittadino, e fu fatto al fine principalmente di ripartire gli ag- gravi secondo le ricchezze, parendo un assurdo che i più poveri pagassero come i più ricchi. Infatti, dopo il censo, i cittadini ven- nero divisi in cinque classi di maggiori e minori estimati, a cui si aggiunse quella dei proletari, che, nulla possedendo, nulla doveano più contribuire allo stato. Questa divisione è vero fu causa di gran cangiamenti nel modo di votare ne’ comizii, e trasportò nei ricchi tutta | autorità, quasi a compenso dell’ essersi accumulati sopra di loro tutti i pesi. Ma il censo per sè medesimo fu un atto di giustizia necessarissimo ai poveri, e un mezzo se non di ristabilire l’ egnalianza, almeno di rimediare in parte agli effetti della disuguaglianza. Come l’autore possa dire .ch’esso non era che una legge feudale, la legge “ della decima o imposta da pagarsi ai nobili dai plebei sopra i campi dai medesimi lavorati, ,, con- fesso che non lo intendo. Molto meno intendo com’egli, dopo averlo chiamato legge feudale, il confonda colla prima legge agra- ria. La prima legge agraria, seme di tante dissensioni posteriori ,_ fu proposta come ognun sa dal console Spurio Cassio , a cui costò la vita, più d’un secolo dopo Servio Tullio , e poco tempo in- . manzi all’ istituzione del tribunato popolare. L'elemento democra- tico passato dalla costituzione regia nella costitazione della re- publica si era allora più che mai ravvivato contro l’aristocratico, a cui Jo stabilimento dei comizii per centurie fatto da Servio Tullio avea data una decisa preponderanza. I poveri aveano da un pezzo aperti gli occhi; ai comizii per centurie aveano op- posti i comizii per tribù, che è quanto dire alla legislazione pa- trizia avevano opposta una legislazione plebea, e all’epoca della 116 prima legge agraria una legge feudale era la cosa meno possibile del mondo. In fatti vediamo come in seno allo stesso patriziato , vale a dire fra i possessori e in gran parte usurpatori dei terreni dello stato, fu proposta la revisione de’ titoli dei ‘loro possessi , e un riparto de’ terreni conquistati fra i cittadini più poveri , il quale non s’ era più fatto da Romolo in poi. Ma come la legge agraria proposta e riproposta più volte non fu mai adottata, io crederei di poter chiamare prima di tal nome la leggg licinia dei cinquecento jugeri , fatta e approvata un secolo dopo, ma che essendo poi andata in desuetudine fu riproposta da T. Gracco con quelle modificazioni, che rendevano i ricchi tanto più odiosi ove negassero di aderirvi. E poichè abbiamo nominato questo tribuno , da cui non pos- siamo scompagnare il fratello perito per l’ istessa causa , ricordere- mo onde trarne cagione piuttosto di lode che d'altro l’articolo ottavo della terza epoca di Roma, che il sig. Crivelli intitola della loro uc- cisione. Cominciando le sue osservazioni su quest’ articolo sembra per vero dire ch’ egli inclini fortemente ad accogliere contro di loro tutte le accuse dei patrizii , che li immolarono ; ma alfine egli pensa che possono essere stati calunniati, e che se fu biasimevole la loro violenza, forse furono lodevoli le loro intenzioni. Più volte si è cercato di spiegare il carattere di quei tribuni del popolo; più volte si è domandato se doveansi riguardare quali ambiziosi cospi- ratori, che volessero farsi della popolarità una scala al potere, o quali zelatori illuminati dell’eguaglianza , quali vittime innocenti (Napoleone in esilio pensava così) degli oppressori della libertà. Questo gran problema istorico, diceva pocanzi un celebre giornale, è stato ora esaminato di nuovo in un’ opera veramente notabile pu- blicata a Parigi (saranno due mesi) la quale s’ intitola storia del tri- bunato de’ Gracchi. L’ autor suo, che non si nomina, sembra avere ‘meditato lungamente sopra ciò che ne forma il soggetto, e che dopo le considerazioni d’altri uomini profondi ancor non gli pareva chiaro abbastanza. Egli non ha trascurato nè Cicerone che si contradice più volte, nè i diversi passi in cui Livio, Patercolo, Platarco e gli scrittori moderni, fra i quali Montesquieu e Mably , hanno ragionato della vita publica de'’figliuoli di Cornelia; e il risultato de’ suoi studi è stato se non la loro completa apologia, almeno una giustificazione che molto vi si avvicina. Confutando le testi- monianze d’alcuni scrittori evidentemente venduti ai patrizii, riproducendo ciò che il tempo ci ha lasciato dei discorsi de’ due eloquenti tribuni, i primi che fra i romani abbiano conosciuti i secreti dell’arte del dire, investendosi di tutta la loro com- I 17 passione per le miserie del popolo, di tutto il loro sdegno per la cupidigia, l’insolenza, la dissolutezza del patriziato, ei viene a dipingere la loro condotta come affatto pura d’ogni ambi- zione, come animata dal desiderio più sincero del publico bene Se non che fa sventura che il loro desiderio fosse ancor più vio- lento che ardente ; e che i! publico bene si facesse da loro con- sistere in riforme impraticabili. Non basta che le riforme siano buone in sè stesse, perchè il proporle sia conveniente. Bisogna pure che possano essere eseguite senza turbare molti interessi, fra.i quali chi non vede che quelli della proprietà tengono il primo luogo? I Gracchi , toccando in essi la base fondamentale dello iù, misero in più fiera lotta che mai le due gran classi componenti lo stato medesimo , cioè i poveri e i ricchi; diedero il segnale de’ comk**:menti di cui furono le vittime, e affrettarono, senza avpederecneni la rovina di quella republica che adoravano. Questa sembra pure l opinione dell’ autore della storia cronolo- gica de’romani, la quale è da lui condotta fino all’ estinzione del- l'impero d’Oriente, fatalissima, com’ egli dice, all’ Europa “ dap- poichè annichilata quella barriera che arrestava le scorrerie dei tur- chi, rimasero l’ Ungheria, la Bulgaria, |’ Illiria e tutte le isole dell’Arcipelago esposte al furore di que’ barbari e soggette a con- tinue crudelissime devastazioni. ,, In morte d’ Antonio Onorri, canzone d’ Icnazio BELZOPPI. Pesaro, Nobili 1825. in 8.° »» Vive da dodici secoli ( scrivea pocanzi il nostro Botta sulla fine del primo libro della sua storia d’Italia) la repubblica di S. Marino appena nota al mondo per fama. Quivi virtù senza fasto, quiete senza tirannide, felicità senz’ invidia : quivi nobil- tà solo per chiarezza di natali , non per dritti oltraggiosi nè per privilegi, nè per desiderio di dominazione: quivi popolo occupato ed industrioso, e come fra nobili temperati così nè ir- requieto nè tirannico, Fortunate sorti, per cui, tolta l’ ambi- zione delle due parti, solo rimasero gli affetti conservatori della società. Rovinavano per lunghi anni intorno a San Marino i re- gni, rovinavano le repubbliche, si straziavano gli uomini per civili, per esterne guerre: sul titano monte perseverarono i sam- mariniani in tranquillo stato ed amici a tutti: dall’alto e dal sereno miravano le tempeste. Volle l’ ambizione moderna intro. darsì in quei placidi recessi, ma fu l’ opera indarno: l’inveterato e dolee aere resistette al pestilenziale soffio. ,, Or chi fu il princi. 118 pale autore di questo prodigio, ehè prodigio veramente dee chia® . marsi in mezzo a tutto quello che |’ Eugopa a’ nostri giorni ha ve- duto ? La fama pubblica da luogo tempo ce lo addita, la gratitudiné dei suoi concittadini non si sazia di celebrarlo ; ma nè lo storico ne pronunzia il nome, nè alcuna delle opere destinate a far co- noscere gli uomioi più riguardevoli di quest'epoca nostra, con- sacra due soli versi alla sua memoria. Non dubito che chi prepara in Parigi una biografia italiana in supplemento alla universale de’ contemporanei , è chi si adopera in Bruxelles per compiere la gal!eria storica de’ contemporanei medesimi scriverà d’ An- tonio Onofri in modo che sarà compensata la troppo langa di- menticanza. Intanto chi desideri qualche più prouto compenso prenda la canzone che gli annunciamo, e congetturi qual uomo fu quegli sulla cui tomba un vecchio venerando, ancor più do- ino dalle infermità che dagli anni (vedi il Giornale arcadico, giugno 1825), può cantare queste nobili strofe » Oh! patria, o santo nome! aucor più cara A me tu sei perché da lui serbata. Opra è di lui se il nome tuo pur suona In estranie contrade, c se tua voce Tioca ma non ingrata All’orecchio de’ grandi ancor ragiona. Opra è di lui se atroce Ira di tempi non ti scosse, e chiara Sorge tuttor d’ altro destin ben degna Su i muri tuoi di libertà 1’ insegua. Tu il vedesti allorchè nembo di guerra Terror portò nell’ itale contrade Più pensoso di te che di se stesso Volar là doye fanno Adda e Ticino Cerchio alla gran cittade, Ove al braccio d’ un sol parea concesso Delle genti il destino: Colà di te parlando, o patria terra , I tuoì dritti fe’ conti, e chì tenea D' Italia allor le sorti in cor godea, E quell’ anime indomite ed altere Maravigliar che nel comun servaggio Sopra quesl'erma puvera pendice Pur culto e altare libertade avesse; E in ascoltar quel saggio Forse alcuno sclamò: terra felice, Cui largo il ciel concesse Virtù cotanta! Ah! tu d’armi e di sehiere Uopo non hai, nè di guarnite mura, Ferma, tranquilla e in tua virtù sicura. 119 Pietro Giordani, a cui non bisognò la personale conoscenza per sentirsi amico dell’ Onofri egualmente che il suo poeta, è stato recentemente invitato dalla repubblica nel propio seno, onde tessere l’elogio di un uomo ; a cui vivente ella avea decretato il titolo di padre della patria. La poca salute , che gli toglie mol- te altre contentezze degne dell’ elevato suo animo , non gli per- mette neppur questa di aderire ad un invito che sommamen- te lo onora , e di cui forse non si troverebbe l’esempio che nel- l’antichità. Corre intanto una voce che l’ elogio sarà scritto da Bartolommeo Borghesi, il quale potendo vivere all’aura del fa- vore fra i dotti d’ ogni gran capitale, preferisce la modesta quie- te della piccola repubblica, cui Solone si compiacerebbe d’avere istituita e Cicerone d’ avere descrittà, dopo averla salvata. Vita di DANTE ALIGHIERI seritta da GIOVANNI BOCCACCIO: Lesto, emendato da BARTOoLOMMEO GAMBA . Wenezia Tip. d’ Alviso- poli 1825. in 8. La vita del più gran poeta scritta dal più gran prosatore del- la nazione è cosa , io credo, che la sola Italia può vantarsi di possedere. E ciò che rende tale singolarità vie più preziosa si è che questo prosatore fu dell’istessa terra e quasi dell’ istessa età di quel poeta, onde può credersi che seppe il vero de’ fatti suoi, e lo narrò di un modo caratteristico e propriamente natu- rale. Nessuna storia suol dirsi, debb’ essere composta da contempo- ranei delle persone e degli avvenimenti a cui si riferisce. Dietro que- sto principio fondato sul giusto timore che sia composta con pas- sione , ho veduto nell’ ultimo quaderno della Rivista enciclopedica trattarsi assai rigorosamente quella della campagna di Russia del generale di Segur. Alla buon’ora: i posteri la ricomporranno con maggior sangue freddo. Ma lasciando stare che il sangue freddo non è bastante mallevadore dell’ imparzialità dei giudizi, dubito che lo sia della verità delle narrazioni nef senso ch'io do a questa parola. I fatti , che si narrano , presi nudamente non sono a parer mio che metà di sè stessi. L'altra metà sta tatta nel sentimento con cui son narrati , e chi li vide o fa molto vicino al tempo e al luogo in cui avvennero , deve averne un sentimento più vero che chi per tempo e per luogo è loro affatto straniero. Ora, per tornare a Dante, i moderni, non importa di qual nazione, possono dirci di lui cose bellissime ; i soli, che vissero fra quei costumi, quelle idee» quelle passioni, quelle cose tutte fra. cui egli visse , poteano rappresentarcelo tal quale egli era. Pochi cenni lasciatici da 120 Giovanni e Matteo Villani, due aneddoti raccontatiei dal Sae- ebetti; due frammenti di lettere di un frate Ilario e d’un ma- estro Giovanni tradottici dal Perticari, ci avvicinano ( 0 io mi illudo ) al grande poeta più che cento dotti volumi, pieni di ac- curatissime ricerce fatte nei tempi posteriori - E se avvenga mai che si pubblichi quel commento sì desiderato della divina com- media , che si attribuisce a Iacopo della Lana, e in cui spesso i versi del poeta si spiegano colle parole raccolte dalla bocca del poeta medesimo, qual diletto per noi, che ci parrà di sen- tire da Dante i secreti della sua composizione ! Intanto la vita scrittane dal Boccaccio è per noi quasi una sua confidente an- tica, a cui egli abbia manifestato di sé quello che non manife- stò ad alcuno, e da cui ce lo sentiamo ripetere colle frasi da lui adoperate. Questa confidente , è vero , non ce lo fa cono- scere per ogni parte, ma in quella prescelta chi ce lo farebbe conoscer meglio di lei ? Molti anni dopo il Boccaccio venne un uomo di molta autorità, Lionardo Aretino, che l’accusò di ave- re scritta la vita del sommo poeta comé il Filocolo e la Fiam- metta, ricordando le cose leggieri e tacendo le gravi; e |’ ac- cusa fu ripetuta per più di tre secoli fino a Pelli e Gingue- né . Solo il conte Baldelli, scrivendo la wita del primo biogra - fo di Dante , diede voto contrario. E il sig. Gamba, raccoglien= do ( come fecero pocanzi l’ Arrivabene e il Maffei) questo voto contrario , ha mostrato quavto sia più giudizioso dell’ accusa. Da quel brav’ uomo che è, vide però che la vita di Dante, qual finora la leggevamo , non era degna della fama del Boc- caceio . Una sola edizione, quella fattane qui in Firenze. per cura del Biscioni nel 1723, e citata dalla Crusca , gli parve mero sconcia dell’ altre. Ma neppur essa va esente di gravi er- rori , ed ei lo prova notando alcune voci registrate sulla sua fe- de nel vocabolario, nè mai dal Boccaccio adoperate . Molto lo hanno ajutato per la correzione della vita il suo buon giudizio e la sua rara intelligenza nelle cose della lingua , e molto pùre due codici della Marciana alla quale egli presiede. Leggendola nella sua nuova edizione , e ricordandomi degli imbrogli di al- eune delle antecedenti, mi son trovato propriamente in un paese nuovo , Potrei recare alcuni saggi delle correzioni da lui fatte e da lui medesimo indicate. Ma ciò sarebbe così inutile come ina- meno , poiché ‘tutti, io penso, vorranno leggere la vita di Dan- te scritta dal Boccaccio, e per la prima volta leggibile . Dico per la prima volta, perchè quella vita stampata in Milano dal Mussi nel 1809 sopra un codice .del secolo decimoquinto , pos- 12I seduto allora dal cav. Bossi «pittore ed oggi dal march. Trivul- zio, e poi ricopiata nell’ edizione padovana della divina comme- dia , è piuttosto compendio che vita. La. più notabile variante che possa trarsi da questo compendio (ed è quella che riguar- da un sogno avuto dalla madre del poeta ) vien riportata dal sig. Gamba in via di nota. A rendere la sua edizione più leg- gibile ei I’ ha divisaffftmolto opportunamente per capi, siccome il nostro Rosini fece de’ libri della storia guicciardiniana , esem- pio che ben imitato può dare nuova vita a molte classiche narrazioni . Chiudendo il libro, di cui ho dato conto, mi torna sott’ oc- chio il ritratto del Bocaccio postovi in fronte, e che mi ha fatto fare , quando l’ ho aperto , una piccola riflessione. Perchè il ri- tratto del Boccaccio in fronte alla vita di Dante? Non volendo ‘ mettere che un solo‘ritratto pare che dovesse essere prescelto quello del poeta, perchè il lettore avesse sotto gli occhi quei linea- menti che il biografo s’° ingegna di presentargli all’ imaginazione. Ma questo confronto è forse quello che il sig. Gamba , uomo pru- dente, ha voluto schivare. Benedetta quella pittura o quell’incisione del ritratto di Dante che concorda veramente colle parole del Boc- caccio ! L’accidente vuole chio abbia qui sul tavolino un’ incision- cella del Dante dipinto da Raffaello nel suo Parnaso vaticano. Mi fa pensare al ritratto di Monti dipinto da Appiani. Tutti credono che Dante avesse faccia poeticissima ; ed io credo che dopo Dante nes- suno de’ nostri abbia avuto faccia più poetica di Monti. Ora che il carattere di queste due faccie sia ben rappresentato dai due pit- tori è quello di cui non saprei persuadermi anche non avendone i particolari motivi che ne ho. Quanto a Monti, chi voglia raffi- gurarlo guardi al busto che ne ha fatto il Comolli, sebbene un poco esagerato. Gli occhi datigli dall’Appiani sono certamente di un gran poeta e non potevano essergli dati che da un gran pittore. Il resto è di gentiluomo , è di principe se vogliamo , non è di poeta par suo. Raffaello pose Dante in g!oria e gli conferì un’ espres- sione insolita di serenità. Più fortunato d’ Appiani ( non avendo a dipingere il suo poeta in giubba e panciotto e ad aiutarsi contro queste cose antipoetiche insieme ed antipittoriche con una cravatta male annodata ) ne sostenne il carattere con due accessori im por- tanti, il lucco di questi repubblicani del secolo decimoterzo e la corona d’alloro. Senza di essi forse Dante non si riconoscerebbe ; nuocendogli il troppo bello o il troppo ideale. Gli altri ritratti, che poco più poco meno si somigliano tutti (una rappresentanza del loro tipo comune può vedersi nell’ incisione di Morghen ) non mi danno 122 pur essi nè il Dante poeta qual io me lo imagino , nè molto meno il Dante del Boccaccio. Uno solo ch’ io ne vidi in Milano tre anni fa (e mi parve di vedere quello d’un bisavolo di Monti) debb’ essere eccettuato. Chi allora lo possedeva, l’ avvocato Bartorelli di Ro- ma (brav’ uomo a cui la repubblica di San Marino ha confidati molti documenti preziosi per la sua storia ch’ egli si proponeva di scrivere ) compiacevasi a trovarvi grandiff&corrispondenze colle parole del biografo. Gli artisti, a cui fu allora mostrato, lo giu- dicarono , con un altro di riscontro rappresentante Beatrice, pit- tura di scuola fiorentina, Si sarebbe desiderato il parere di Sa- batelli, ma egli era qui in Pitti attorno al suo Olimpo. Ora che si è restituito all’ accademia lombarda avrei gran gusto che ve- desse e quello del poeta e quello della. donna sua (mi assicu- rano che si trovino presso il march. Saporiti ) e ne congetturasse la provenienza . C° è qualche cosa in ambidu:: , che li fa credere non solo dell’ istessa scuola, ma dell’ istessa mano. Beatrice però è dipinta con assai meno estro e minore sentimento che Dante. Chi la guardasse ricordandosi di quei due versi del suo poeta: £ par che sia una cosa venuta — Di cielo in terra a miracol mo> strare ; o prendendo alla lettera le parole del Boccaccio, il qual dice che per la sua onesta vaghezza quasi un’ angioletta era re- putata da molti, non saprebbe che pensarsi. Crederebbe più facil- risente che fosse la monna Isabetta della novella 24, fresca e bella e ritondetta che pareva una mela casolana. Ma Dante , oh Dante è proprio il sublimissimo dei Danti ch’ io m’abbia veduto, è il Dante della gran malinconia e dei grandi pensieri che Boccaccio gli mette in viso, e non so crederlo ideato originalmente da pittore mediocre, qual si mostra l’autore del ritratto di cui favello. Venne in testa al suo passato possessore che fosse opera di quel Cristofano dell’Altissimo , che Cosimo primo, come racconta anche il Lanzi, mandò a copiare per questa nostra galleria i ritratti degli uomini illustri del museo di Paolo Giovio, e che d’alcuni fece varie copie per vari signori lombardi; come parmi che il Porcacchi rac- conti in un suo libretto sulle bellezze del lago di Como. Cercai dunque di vedere se in quel museo ( che ancora si conserva benchè diviso fra due famiglie dei discendenti del Giovio) vi fosse nulla che confermasse la congettura ; ma non trovai che il solito Dante. E questo solito Dante è pur troppo conforme al più antico che si conosca , voglio dire a questo nostro di S. Maria del Fiore, cre- duto dai più opera d’ uno degli Orcagna, e da altri opera di Mariotto. Lessi o sentii dire una volta che nel palazzo del Potestà poi del Bargello se ne trovasse uno di mano di Giotto , che sarebbe 123 il solo autentico, perchè il solo contemporaneo al poeta. Se mai vi si trovò, e da tanto tempo ne è perduta la memoria , bisogna dire che sia andato a male assai prima che quel palazzo cangiasse no- me, cangiando destino, cioè al cadere della repubblica. E quando penso che il potestà si sceglieva sempre di parte guelfa, e che Dante, il qual era di quella parte, fu da essa cacciato, onde poi divenne fiero ghibellino , veggo che il suo ritratto non potea du- rare ove Giotto l’avea dipinto. Per trovar dunque il modello dell’insolito ritratto, che il cuor mi dice essere il solo ritratto vero, non mi resta che l’ ottavo de’ capitoli, in cui è stata di- visa dal sig. Gamba la vita di Dante scritta dal Boccaccio. M. Memorie e documenti per servire all’ Istoria del ducato di Lucca. — Lucca presso Francesco Bertini Tipografo ducale.— Della storia del ducato lucchese , libri sette, di CESARE LuccHESsINI socio della Reale Accademia di Lucca. 1825. in 4. di p. 270, Bello , e per ogni riguardo lodevolissimo divisamento si fu quello di alcuni lucchesi letterati di unirsi tra loro insieme , e con nobil gara intraprendere ad illustrare la patria, compilan- do un’ opera che porta il titolo di Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, opera che fa onore non solamente alla. provincia alla quale appartiene, ma a tutta intiera |’ Italia. Non vi ha dubbio che l’ unione , e quello che chiamasi comunemente spirito di associazione , non sia la sor- gente delle grandi intraprese. Intendesi però di parlare di quello spirito di associazione , che movendo da virtuosi principii, di- retto da rette intenzioni, giunge al felice fine di unire gli ani- mi di un’intiera nazione in fraterna società , gli rivolge al be- ne, gl’ infiamma ad onorate opere e di mano e d’ ingegno , della patria gloria fa il loro idolo, e ad emulazione scevra d’ invidia e di livore provocandoli , gli pone in grado di produr cose grandi’, degne della estimazione dei presenti'e dei posteri. i ‘ A questo spirito appunto van debitrici alcune delle nazioni europee di quella superiorità che oramai hanno presa sopra la nostra Italia, che pur di tutte un'‘tempo fu maestra in ogni ma- miera di arte e di lettere e di scienze; ed esser lo potrebbe an- cor tutto dì ( poichè certamente l’ antico valore negl’ italici cuo- ri non è ancor morto ) se da uno spirito non fosse animata di- verso da quello che le dovrebbe dar vita. Sia pur divisa in par- ti; ogni piccolo stato riconosca gli angusti suoi confini; oguì po- 124 polo viva tranquillo sotto le leggi del suo sovrano ; ma che ha di comune la divisione politica coll’unione intellettuale ? come questa potrà essere impedita da quella? nome, lingua, costumi han di comune gl’ italiani; e ciò basta perchè comune debbano avere l’amor della gloria; di quella gloria che partoriscono l’eser- cizio delle pacifiche arti , e il coltivamento delle ottime discipline, giacchè la sorte le vieta di potere ad altre aspirare. Ma pur troppo diversamente procedono le bisogne. Non so- lamente l’indifferenza, ma una quasi che alienazione, di animi , una invidia, una gelosia regna tra noi, che è oggetto di° scan- dolo eziandio agli stranieri ; il nostro spirito municipale mentre ci disamora reciprocamente , ci tradisce; e l’ oltrmontano ride volentieri su i nostri danni , mirando oziosi, o male adoperati tanti talenti, che bene spesi pur troppo varrebbero , non che a sostener la patria riputazione, ad oscurare le altrui glorie. Dalle persone di sana mente , a cagion d'esempio , non sì può senza ira es- ser spettatori di questa lotta troppo lunga e vergognosa, che chiama in campo tanti lombardi contro i toscani, e di questi contro di loro: e poichè aderenze non mabcano nè a questa nè a quella parte, quin- di chi accusa e chi difende ; e intanto la guerra diviene univer- sale, e in cose frivole spendesi un tempo prezioso, che serie ed utili occupazioni giustamente reclamano . Se un Monti rinno- vella contro all’ Accademia della Crusca le ridicole guerre di un Gigli, chi scrivegli contro , od a sua difesa, non perde il. tem- po e l'ingegno ? e se ama d’ intromettersi in cose alla .lingua spettanti, imiti piuttosto coloro ; che tolto a spogliare qualche classico insigne , han rimesso all’ Accademia il frutto delle. loro fatiche per contribuire al perfezionamento di quel vocabolario ch'è l’ oggetto di tante scissure, pito Tornando ai letterati. lucchesi , noi ii clp un tributo di giusta. lode al loro ingegno ; e alla. gloriosa loro fatica ; e lor sappiamo buon grado dell’ esempio che hanno dato a tutti gli al- tri popoli dell’Italia di fare altrettanto in riguardo al, proprio paese. Questo è l’ unico mezzo per aver delle storie particolari, o provinciali, esatte e complete, che poi forniscono i materiali per: la.storia universale della nazione. Crediamo che si, possa asserire di tutti i popoli, ma, specialmente poi (dell’ Italia, che fu sempre divisa in piccoli stati l’uno, dall’ (altro, indipendente, essere impossibile di. avere, un’ esatta storia. universale ( e nai pur. troppo. ne, siamo, privi ) ,se prima non vengano pubbli cati i. monumenti, storici, delle particolari provincie, Egli è ve- ro che nessuna provincia d’ Italia manca della sua storia; an- 125 zi anche molte città hanno inoltre la loro particolare ; ma che vuoto! che imperfezione! d’ ordinario non si raggirano che su i fatti politici, o al più al più toccano qualche cosa pur della religione; il resto è rilasciato all’ oblio. Lo stato di Lucca è fin qui, se non erriamo, l’ unico che in questa parte nulla più abbia a desiderare, dacchè nell’ opera di cui parliamo so- nosi ottimamente esauriti tutti gli argomenti che a storia appar- tengono. In fatti dal P. Ant. Niccola Cianelli è stata trattata la storia civile, dal sig. Domenico Bertini |’ ecclesiastica, dal sig. Biagio Figliotti la storia della legislazione, dal sig. Tom- maso Trenta delle belle arti, dal sig. Ciuseppe Pellegrino Fre- dianiî del commercio, dal sig. Gio. Wincenzio Lucchesini del- l'agricoltura, dal sig. Giorgio Viani della Zecca , dal prelo- dato P. Cianelli de’ principali monumenti di pietà, e dal sig. Marchese Cesare Lucchesini la storia letteraria , il quale di pre- sente si stà occupando pur della storia della tipografia. A noi è piaciuto di portare le nostre particolari conside- razioni sopra la storia letteraria , di cui per ora non son pub- blicati che i primi cinque libri contenuti nel tomo IX. della collezione, come quella che in piccolo volume ci pone innanzi agli occhi quel tanto che gl’ ingegni della provincia lucchese a- doperarono in ogni maniera di lettere e di scienze. E se non copioso sembra il numero di quelli che ottennero mediocre lo- de, scarso poi di coloro che salirono in gran rinomanza, e a- cquistaron diritto ad eterna fama, abbiasi riguardo agli angusti limiti tra’ quali è racchiuso quel territorio, alla scarsa popo- lazione che appena arriva a cento trenta mila anime, alle cir- costanze non molto all’ imparare propizie che |’ attorniarono sempre: s’ incolpino le guerre quasi continue ora offensive or difensive, e le civili discordie sempre rinascenti ,\e i traffichi mercantili che distrassero la gioventù arrendevole più agli al- lettamenti delle ricchezze che della gloria sterile dell’ ingegno, e il sospettoso governo, che per istrano travedimento appren- deva come cosa alla repubblica pericolosa il favoreggiare gli studi, e l’ ammettere tra’ suoi confini coloro che potevano re- carvi la luce di una buona e soda istruzione. Scarse, e molto sparse notizie si avevano fin qui della let- teratura de’ lucchesi; e sebbene tra loro non sieno mancati al- cuni, che in diversi tempi di questo argomento si travagliassero, pure o troppo poco ne dissero, o i loro scritti alle stampe non consegnarono. Aveva Miccolò Tucci scritti latinamente quattro li- bri di elogi di alcuni illustri lucchesi, e Daniele de’ Nobili un 126 quinto libro ne aveva aggiunto, e Bartolommeo Beverini pa- recchi pur ne scrisse in volgare; ma oltre che i letterati fu- rono il minor numero de’ soggetti presi a lodare, questi scritti non videro mai la luce, e non furono conosciuti che da qual- che erudito. Giambattista Orsucci, detto dal sig. Lucchesini faticoso raccoglitore di cose patrie, opera più grandiosa aveva in- trapreso col titolo di Letteraiz Lucchesi, e ne lasciò manoscrit- ti più volumi; ma è un’opera indigesta , e ridondante d’ ine- sattezze. Mario Fiorentini intraprese a scrivere in latino una Biblioteca lucchese, o indice degli autori lucchesi, ma poi non pubblicò che il solo titolo dell’ opera sua. Il P. Errico Bur- lamacchi fece un breve catalogo de’ scrittori lucchesi , esatto ed elegantemente scritto, che pure rimase inedito. Il P. A/es- sandro Pompeo Berti, uomo di grandissimo ingegno, compilò in due grossi volumi le vite degli scrittori lucchesi , la quale opera Bernardino Baroni , autor della bella vita di Niccolò Tegrini, prese a correggere e a ordinar per la stampa, ma poi non la pubblicò. Il Tiraboschi adunque era il solo dal quale potevasi aver contezza della letteratura de’ lucchesi, come di quella de- gli altri popoli dell’Italia; ma per quanto egli dica molto, vi mancava però moltissimo perchè fosse abbastanza. Mentre da tutti si rende omaggio all’ erudizione, all’ imparzialità, alla critica di quel sommo ingegno, non si nega da chiunque sia un poco avanzato nell’ erudizione , trovarsi nella sua storia dell’ ita- liana letteratura grandi mancanze; molti uomini omessi che ave- vano diritto di avervi un luogo distinto, molte opere passate sotto silenzio, e cose simili, talchè la sola Toscana aveva som- ministrato ad un fiorentino un supplemento di due volumi fino alla metà del secolo XIV, che poi gli saltò in testa il capric- cio di dare alle fiamme. La storia del sig. Lucchesini di cui parliamo, riempie mae- stevolmente il vuoto che vi era in riguardo alla provincia luc- chese. Essa è raccomandata abbastanza dal nome del suo Autore, cui niuno nega uno dei seggi più distinti tra i viventi letterati che fanno onore all’ Italia, per dover roi commendarne i pregi ed esaltarne il merito; diremo solo, che tale |’ abbiam trovata, quale da tanto uomo si poteva aspettare: ci riserbiamo però a tempo opportuno il darne accuratamente un ragionato giudizio. Frattanto non sia discaro ai lettori di osservare il piano dell’ o- pera disegnato dall’ autore medesimo, che nel fine della prefa- zione così discorre. ‘‘ Ho divisa la mia storia in sette libri, dando un libro 127 ad ogni secolo, tranne i secoli più remoti che tutti ho racchiusi in un libro solo. Divido ogni libro in più capi , secondo le scien- ze o facoltà, delle quali si hanno scrittori. De’ letterati, che per le cose scritte od operate sono più ragguardevoli , do le prin- cipali notizie della vita, ma brevemente, e sono più largo favellando delle loro opere. Ove però anche per queste bastino poche parole a darne giudizio, ho cura di non recar noia inutile ai leggi- tori con lunghe dicerie. Altresì, per evitare la noia a chi leg- ge , ho posto le più volte nelle annotazioni i titoli delle ope- re, affinchè altri, se così gli è in grado, tralasci di leggerli. Sono stato alquanto dubbioso ed incerto, se dovessi nella mia storia dar luogo agli scrittori ascetici, nei quali, se si loda la pietà, avviene spesso che se ne desideri la dottrina. Ma ho deliberato che sì. In fatti se in ogni storia letteraria fanno bella comparsa gli scrittori di morale filosofia, i quali col solo presidiodel- l’ umana ragione ci mostrano |’ indole, e la natura delle virtù e de’ vizi, e c’insegnano la via per conseguire le prime e faggir li secondi, dovremo noi reputar disdicevole il porvi gli ascetici i quali, se ben si considera, tendono ad uno scopo simile, ma io parte ancora più sublime e più puro, unendo al presidio dell’ umana ragione spesso ingannevole, quello certissimo delle sacre carte? Arroge a ciò, che gli scrittori di cose ascetiche, che saranno da me ricordati debbano ancora per altri motivi es- sere mentovati. Sta innanzi alla storia un ragionamento preli- minare, nel quale parlo delle scuole e delle accademie luc- chesi. La storia delle scuole cessa allora che cessano d’ essere sostenute da stranieri maestri, perchè de’ lucchesi parlerò poi nel secolo in cui vissero. Nè piacevole molto o molto utile sa- rebbe il tenerne più lungo discorso, conciossiachè, dopo quel tempo, tranne il Vannini e il Beverini, niuno ebber maestro , che salisse a qualche fama. ,, A. A. Elementi d’ aritmetica pura, di CAMMILLO MINARELLI Bolo- gnese. Bologna, 1825. vol. primo. Tip. Nobili C. Uno de’ massimi difetti di che il moderno insegnamento non seppe ancora farsi libero, è di seguitare sempre il metodo pre- cettivo e dommatico più presto che il critico e dimostrativo. Po- chi sono i maestri ch: di tutte le cose vogliono rendere buona e valida ragione a’ discepoli loro, affinchè le imparino persuasi d’ imparare la verità. Si danno le regole , lasciando a ciascuno 123 che di per sè ne cerchi il fondamento: e forse tra le scienze le matematiche sole banno privilegio di essere quasi in ogni paese insegnate oggi con modo filosofico. Tuttavia si trascurava tra le molte parti di esse l’aritmetica, la quale tra noi s’in- segnava per solito da ignoranti maestri, i quali non potevano dire ad altrui le ragioni ch’ eglino medesimi ignoravano. E non sod- disfacevano i libri a questo mancamento, perchè i libri stessi erano composti da persone che o non sapevano o non voleva- no trovare la lunga schiera della dimostrazioni, e de’ nuovi ra- gionamenti di che si aveva bisogno a fine di rinnovare questa parte della pubblica istruzione ; e così tutti seguitavano l’ an- tica carriera, aspettando che un più coraggioso e dotto si facesse benemerito della gioventà rendendole questo segnalato servigio Or ecco che il sig. professor Francesco Minarelti di Bologna , già ripe- titore della cattedra di matematiche elementari, ha bravamente ri- volto l’ animo a sì fatta impresa , e godiamo di poter dire ch’ egli è riuscito appieno nel suo divisamento. Sapranno in avvenire i gio» vani dal libro di questo nuovo maestro la teorica della nostra numerazione , ed il perchè delle tante regole che si osservano nel sommare , nel sottrarre , nel moltiplicare, e nel dividere le quan- tità intere o fratte. Fino ad ora non è alla stampa che un primo volume, dove appunto ciò solo s’insegna, ma ci s’ insegna d’ un modo che niente lascia a desiderare dal lato del rigore e della precisione, se il nostro credere non c’ inganna. Molte delle cose ch’ egli dice parranno supeflue agli spiriti superficiali; tediose e minute ad altri; ma non saranno di questo avviso tutti coloro , che stimano non potersi dare vera scienza in chi o di per sè 0 . ® è» . . . . . coll’altrai mezzo non entra in questi minuti particolari. Ott L’ Ibisco-Ode di mos’ susanni. Mantova , dalla tipografia Virgiliana del Caranenti, 1825. È verità della quale nessuno a’ dì nostri muove dubbiezze, che le cose umane a tale oggimai sono condotte da non poter du- rare alcun popolo in fama ed in fortuna senza un grande accre- scimento della propria industria. Guai per la gente che si lascia sorprendere dal sonno , mentre le altre stanno vigilanti! e guai per la Italia, se malmenate omai le sorti dell’ agricoltura , non istende la mano a quelle arti, in che ora è tributaria della Fran cia, dell’ Inghilterra, e della Germania! Noi fummo industriosi un tempo più di quello che oggi nol 129 siamo; ed assai produzioni delle nostre fabbriche, passavano al di;là de’ monti e de’ mari. Si pregiavano i lavori delle nostre sele e delle lane, le nostre ferramenta, e le supellettili d’ ogni maniera, non meno de’ nostri quadri e delle statue. Fra le altre cose tenute in onore ed in prezzo , avevamo le carte, che noi fabbri- cavamo bellissime, quando i forestieri o non le facevano, o le facevano tali da essere agevolmente superate nel paragone ; e dura ancora la memoria onorata di quelle del Tusculano, delle fa- brianesi, delle folignati, delle sublacensi.... per non ricordare qui le altre numerose che avevano uguale celebrità. Oggi invece le carte nostre cedono alle superbe d'Inghilterra e di Francia , e del modo ch’ elle sono, pur vendonsi a caro contante, Nondi- meno mi gode l'animo in vedere, che l’ ingegno di molti si è voltato tra noi da qualche tempo a questo degnissimo obbieto di speculazione. Delle due cose a che l'industria può recare il pen- siero congiuntamente o separatamente (e sono migliorare la qua- lità, o minorare il prezzo ), a questa ultima di preferenza ap- plicarono alcuni l'ingegno, e con buono accorgimento, secondo che io penso; perchè importa ancor più avere la carta di suffi- cente apparenza a buon patto, che d’ averne altra per lusso a caro prezzo. Ed importa per la ragione, che col diminuire il costo di questa, si fa cosa la quale potentemente ajuta la diffa- sione del sapere nel popolo; avvegnachè l’alto prezzo de’ libri nasce in parte da quello appunto delle carte ; e scemato l’uno, l’altro di necessità sarà scemato ; e il povero più facilmente si procaccerà le opere nelle quali gli bisogna istruirsi; e anco il mediocremente ricco potrà crescere la privata biblioteca, e l’ istru- zione con ciò si renderà più popolàre, più facile e più vasta. Ora uno de’ modi per far che la carta costi meno è impa- rare a comporla con materie, le quali men valgano che lo strac- cio: e veramente è grande vergogna , che in mezzo alla odierna perfezione delle arti, tanto illuminate dalla luce delle scienze fi- siche ed esatte, non si fosse quasi avuto nel pensiero il migliora- mento di che parliamo, Per verità fin dall'anno 1765 e segu. aveva lo Scheffer pub- blicato in Ratisbona tre suoi grossi volumi intorno questo im- portantissimo subbietto ; ma i suggerimenti dello Scheffer si erano rimasi pressochè inutili e dimenticati, ed appresso a qual tempo lo studio botanico e chimico si è tanto perfezionato, che v'è luogo a sperare di vedere accresciuti d’assui que’ suoi cataloghi delle piante indigene , capaci di alimentare le cartiere con buon ma- teriale.. Così restavamo sempre colla nostra carta di straccio; T. XIX. Serstembre. 9 130 quando parecchi sorsero in Italia e fuori ad operare più presto che a far progetti; e fu allora che noi vedemmo le carte nuove della corteccia di Daphne laureola , fabbricate a suggerimento del Prof. di Modena Giovanni Brignole , e i saggi di quelle pre- parate da Carlo Campioni romano colla stessa Daphne, colla pa- glia di frumento ; colla foglia e co’ filamenti della pannocchia di maiz, coll’alga palustre, colle silique del fagiolo , colle radici della malva sylvestris e dell’ alcea, colle scorze del moro gelso, e finalmente col fogliame della canna. Si sono aggiunti a questi di fresco gli esperimenti cominciati in Francia, e rinnovati po- scia in più italiane città, co’ rimasugli della lavorazione del ca- nape, e co’ fusti privati del tiglio; e per ultimo viene ora il sig. Barbieri di Mantova a commendarci l’ /disco cannabino , in- torno il quale ha istituito felicissime prove. Noi ci rallegriamo pertanto di questo generale movimento verso un utile trovato, e non possiamo astenerci dal consigliare, che in ogni luogo si moltiplichino i saggi, non pure sulle varie parti delle mentovate piante, ma su quelle di tutte le altre tigliose, tomentose , pap- pose e membranose, e specialmente delle spontanee , delle quali considerabilissimo è il numero. Io non istarò qui a ricordare come meritevoli di particolare attenzione certe piante de’ generi ‘gave, Althaea, Apocynum, Artemisia, Arundo, Asclepias, Carex , Eu- patoriun , Genista, Humulus, Hybiscus, Juncus, Linum, Lu- pinus, Lychnis, Malva, Morus, Phormium, Ricinus, Salix, Scirpus, Sida, Sparganium, Sterculia, Typha, Urtica, Rostera... e altri senza numero. Finirò solo dicendo , che sarebbe ora che la scienza botanica venisse più che non fece per lo passato in soccorso della industria, e che stringendo alleanza colla mecanica e colla chimica fosse liberale degli utili suoi documenti ai fabbricatori, i quali per solito esercitano l’arte loro per cieco empirismo senza nè manco sospettare, che qualche vantaggiosa emendazione possa recarsi alle pratiche ricevute dagli avi, ch’essi poscia trasmette- ranno a’ figli loro senza mutamento. Ma per dir pure alcuna cosa, prima di chiudere questo ar- ticolo, del libro dal quale mosse il mio discorso , io non dubi- terò d’asserire che il sig. Moisè Susani colla ode sua, nella quale canta l’Ibisco, diede a’ nostri poeti italiani un'utile lezione , mo- strando loro che le baie delle muse a niente rilevano, dove i loro versi non abbiano per iscopo di celebrare cose degne di essere celebrate, e d’invogliare il popolo alla virtù ed alle utili intra prese. Al sig. Susani piacque ora d’incitare gl’italiani a far carta dell’ Ibisco , ed egli così dice su tale proposito : » i, L'Ibisco, Italia mia, Altro ufficio desia, Come che tien dal cielo altra virtute. Strutto in logori lembi Rieda alle fonti in congegnati grembi, E dall’arte rimacero, ne provi Sì la possanza, che per vagli emerso, Del nuovo essere altero, In candido ministro del pensiero, Fia che al retto converso E cori e menti giovi!... Certo in leggendo tale utile desiderio o preghiera non si può non far plauso al poeta, qualunque sia per altra parte l’ opinione che si ba de’ suoi versi. E noi non gli saremo avari di questo meritato plauso, e non dubitiamo che in egual modo gliel con- cederanno tutti coloro che leggeranno nel libriccino di lui le no- bili sentenze, le quali in poco spazio vi ha raccolte. O+*#** BULLETTINO SCIENTIFICO N.° XXIV. Sestembre 1825. SCIENZE NATURALI. Meteorologia, Diversi giornali hanno annunziato che nei giorni 19 e 20 di luglio, ad Avignone, il termometro è salito a 32 gradi Rèaum. nel giorno ed all'ombra, e si è sostenuto fra i 26 e i 27 nella notte. Quest’ ultima temperatura corrisponde a 34 centigradi, la prima a 4o. Senza pretendere di qualificare come inesatte queste osserva- zioni, ci limiteremo a rilevare che questa temperatura sorpassa quella delle regioni più ardenti del globo , giacchè, per quanto riferisce il celebre sig. De Humboldt, il termometro non sale nemmeno sotto l'equatore al di là di 38 gradi centigradi. Altri osservatori meno esatti dicono d’averlo veduto elevarsi di più a Pondichery , a Manilla , ed'a Filoe in Egitto. Il celebre Herschel pensava che l’apparizione d’an gran nu- mero di macchie sul disco del sole annunziasse stagioni caldissime alla superficie della terra , essendo quelle macchie indizio d’ un rad- doppiamento d’ attività nella combustione della materia gazosa , che egli credeva ricuoprire il corpo solido ed oscuro di quest’astro. Il 132 gran numero di macchie osservate nel decorso mese di luglio, mese che è stato caldissimo in molti: paesi d’ Europa, sembra prestare appoggio a quell’ opinione. La gazzetta letteraria di Londra contiene il seguente bullettino astronomico. * « L’ammasso di macchie solari ha presentato in questa setti- ,; mana uno spettacolo interessante: nel dì 12 luglio si vide la », prima volta ; esso era composto di sette macchie , la superiore delle quali era più larga delle altre , e circondata da una penom- » bra fortissima ; nei giorni 13 e 14 il numero delle macchie si ,» accrebbe di una o due per giorno , nel giorno 15 erano divenute numerosissime, ed occupavano sul disco del sole uno spazio eguale a 111, 386 miglia (quasi 14 volte il diametro della terra ), dalla macchia più elevata fino alla più bassa. In questi ultimi tre giorni vi sono stati Pigi cangiamenti ,,. Questo bullettino è dato da Edmonston, sotto dì 19 luglio, ed è sottoscritto dal sig. J. H. Adams. Viene annanziato essere stata scoperta presso Clinton sulla costa del Canadà una sorgente d’ acqua dotata di proprietà straordi- narie. Ecco in che queste consistono. La sorgente scaturisce in tutto il corso dell’anno da uno scoglio, e forma dei grandì bacini, i quali nei mesì d’ estate si cuoprono di ghiaccio, mentre all’ opposto nell’ inverno non ne presentano traccia alcuna. Questo fatto, credibile non solo ma noto , perchè già osservato altrove, non è l’effetto, come si annunzia, di proprietà straordinarie dell’ acqua di questa sorgente, ma deve dipendere dalle circostanze locali dei bacini , nei quali accade la congelazione in estate, non nell'inverno. (Si veda ciò che si disse intorno ad un simil fenomeno nel n. 46 di questo giornale , ottobre 1824, pag. 170). Il sig. Thénard ha fatto all’ Accademia delle scienze di Parigi un rapporto favorevole intorno all’ analisi che il sig. Longchamp ba fatto delle acque minerali di Vichy. fra le conclusioni del sig. Longchamp è notabile questa, che le acque termali vanno progressi- vamente raffreddandosi. La temperatura delle acque del gran ba- cino di Vichy era già di 48 Rèaum.; nel 1777 era alquanto abbas- sata, nel 1820 era di 45 , finalmente il sig. Longchamp l’ha recente- mente trovata di 44, 60. Fisica e Chimica. Vl sig. Aene ha osservato il fatto seguente, Scomposta la luce i 133 per mezzo del prisma, e quindi separati uno dall’altro i raggi diversamente colorati, con farli passare uno alla volta per un foro formato in un corpo opaco, su cui cadeva l’intero spettro prisma- tico, osservò che ciascuno spettro parziale variamente colorato$ ricevuto sopra una carta, mentre compariva distintissimo stando la carta in quiete, scompariva affatto appena sì faceva concepire a questa un moto rapido di rotazione. Questo fatto , che viene annunziato come molto curioso e sin- golare, senza darsene spiegazione, ci ha richiamato alla mente quello ben note ai fisici, per cui, fatto ruotare rapidamente un disco di cartone , sul quale siano i sette colori del prisma , occupan- dovi ciascuno uno spazio proporzionato all'estensione relativa di ciascun colore nello spettro prismatico , l'occhio non vi percepisce più alcuna apparenza di colore distinto, venendo a rigenerarsi in certo modo la luce bianca per la mescolanza dei varii colori. Intanto poi la rotazione del disco rappresenta l’effetto di questa mescolanza, in quanto che la sensazione o l'impressione , che desta nell’ occhio ciascun colore da un punto dato dello spazio occupato dal disco, durando un tempo, comunque brevissimo , non è ancora distrutta quando il disco ritorna a quel punto stesso, sicchè la causa di quella sensazione si rende permanente per ciascun colore su tutto il disco , come se di ciascun colore fosse tinto il disco intero, e però come se i sette colori fossero intimamente mescolati fra loro. Quest’ effetto è per ciascun punto quello stesso d’un tizzo acceso in una sua estre- mità che ruotato rapidamente nell’aria , mentisce la figura d’un cerchio luminoso. Nell’ esperimento del sig. Kent, lo spettro parziale d'un raggio d’un dato colore , occupando verisimilmente una piccola parte del disco , e pur rappresentando nel ruotar di questo un intero cerchio, il suo colore, venendo in certo modo a-mischiarsi con una propor- zione di luce bianca tanto maggiore della sua, quanto è il rap- porto dell’ estensione del piccolo spettro colorato a quella dell'in- tero cerchio che egli rappresenta ruotando, deve grandemente illan- guidirsi, ed anche divenire insensibile, specialmente se il raggio cada sopra un punto del disco molto lontano dal centro, e vicino alla circonferenza, Sembrandoci questa la vera spiegazione del fenomeno , ne ab- biamo cercato e trovato la conferma in un esperimento analogo. Fissato sopra un disco di bianco marmo un piccolo ‘pezzo di carta tinta di color turchino cupo , e fatto ruotare rapidamente il disco, compariva sopra di questo un cerchio di color celeste tanto più chiaro , quanto il pezzo della carta era più piccolo, e quanto per 134 Ja sua maggior distanza dal centro era più grande il cerchio da lai rappresentato. Un pezzetto di carta di color celeste rappresentava un cerchio di color languidissimo, ed appena percettibile, una carta più sbiadita non lasciava più distinguere nella rotazione colore alcano. Carte tinte d’ altri colori hanno presentato gli stessi effetti, o piuttosto le stesse apparenze. Un pezzetto di carta colorata , che posto presso la circonferenza non mostrava ruotando alcun colore, ne mostrava uno gradatamente più sensibile , quanto più si avvici- nava al centro, e fatto giungere con una sua estremità fino a questo, rappresentava nella rotazione un disco colorato in mezzo ad un cerchio bianco. Fatto di carta colorata un triangolo equilatero , che rappresentava circa un sessantesimo dell’area del disco , ed appli- catolo a questo coll’apice al centro , il disco ruotando presentava un aspetto uniforme in ogni sua parte, più o meno colorato, 0 affatto senza colore, secondochè la carta era intensamente o lan- guidamente colorata. Invertendo la posizione del triangolo, con far corrispondere il mezzo della sua base al centro del disco di marmo, e l'apice alla circonferenza , appariva nella rotazione in mezzo ad un cerchio bianco un disco colorato, con una regolare degradazione o sfumatura di colore dal centro alla circonferenza. Il sig. Pouillet , continuando le sue ricerche intorno all’origine dell’ elettricità atmosferica , ha riconosciuto che nell’ evaporazione dell’acqua perfettamente pura non ha mai luogo sviluppo alcuno d’ elettricità, ma che quando l’ acqua tiene in dissoluzione ub alcali, l’evaporazione produce dell’ elettricità , la quale si manifesta vitrea nell’ apparato quando l’ alcali è fisso , resinosa quando l’ alcali è volatile, come l’ammoniaca, Essendo in alcune miniere di carbon fossile accadute infiam- mazioni di gas idrogene carbonato , nonostante l’uso della lanterna di sicurezza del cav. Davy, si sono attribuiti questi disgraziati avvenimenti a negligenza dei minatori. Ora il sig. Li//on li crede cagionati da correnti di gas idrogene condensato , provenienti da qualche nuova fessura formatasi nell’ interno della miniera. Egli crede che |’ effetto utile della lanterna di sicurezza dipenda unica- mente dal suo calore interno, che rarefacendo il gas lo allontana dalla fiamma. Egli non concede alla rete metallica la proprietà raffreddante attribuitale dal sig. Davy. Se una verga di ferro infuo- cata a rosso può essere immersa nel gas idrogene o nel suo mescuglio coll’ossigene senza produrne infiammazione o detonazione , egli è, secondo il sig. Dillon , perchè il calorico della verga rarefà pronta- 135 mente il gas. Così nella lanterna di sicurezza la fiaccola interna } dopo aver scaldata la rete metallica , rarefà 1’ aria che la circonda. Se s'immerga , prosegue egli, in un vaso di gas idrogene mescolato all’ossigene la lanterna appena accesa e non ancora riscaldata, 1’ esplosione accade dentro e fuori della lanterna; ma quando questa è stata accesa un tempo bastante per scaldar la rete metallica , può essere immersa nel mescuglio detonante senza che accada esplosione. Se comprimendo una vescica piena di gas idrogene, se ne diriga il getto sopra la fiaccola della lanterna, il gas si accende dentro e fuori. Il sig. Dillon conclude consigliando di accrescere la fiamma per accrescere il calore ,, e conseguentemente la rarefazione, e di tingere di nero la rete metallica per accrescere il raggiamento. I Il sig. Fischer, professore a Breslau, ha confermato con nuove esperienze ciò che egli aveva osservato da qualche tem- po ; cioè che l’acido arsenioso , o arsenico bianco del commer- cio, non si discioglie completamente se non ad una tempera- tura alquanto elevata, e che alla temperatura ordinaria , e fino a quella di 14 Rèaum. in qualunque quantità s’ impieghi l’acqua, essa ne lascia sempre indisciolta una parte, la cui proporzione colla totalità dell’arsenico è variabile. Per spiegare questo fenomeno, il sig. Fischer ammette che la parte disciolta sia soprossidata , © a spese dell’ ossido che resta, e che diviene meno solubile , se la temperatura sia inferiore a 14., o a spese dell’acqua, a tem- perature più elevate . Il sig. Dumas ha mostrato che si può ottenere il protoa- cetato di mercurio usato in medicina, versando una soluzione concentrata d’ acetato di potassa o di soda in una soluzione egual - mente concentrata di protonitrato di mercurio . Il protoacetato di quest’ ultimo metallo si separa in cristalli . Il sig. Dumas ot- tiene egualmente l’ acetato d’ argento versando una soluzione con- centrata d’acetato di soda in una egualmente concentrata di nitrato d’ argento prima cristallizzato . Alla polvere composta col clorato di potassa , modernamen- te impiegata nella nuova specie di fucili detti a percussione o falminanti , polvere che danneggia notabilmente queste armi per l'ossidazione che produce nelle parti di esse che vi si trova- no esposte , è stato utilmente sostituito il mercurio fulminante , che può prepararsi così . Si pongono in un matraccio , o in una boccetta , 6. denari di mercurio e ‘2. denari d’ acido nitrico 136 puro, scaldando fino a che il metallo sia intieramente disciolto . Quando il liquido è quasi freddo si versa in un oncia d’ alcool, o spirito di vino rettificato , e si fa scaldare finchè i vapori prendano un color rosso . Si deposita una materia bianca, che separata dal liquore per filtrazione, lavata con poca acqua, ed asciugata , si conserva con diligenza per evitare gli accidenti ai quali potrebbe esporre . I signori Bussy e Lecanu, esaminando quel deposito che si forma in fondo delle storte nelle quali si concentra l’ acido sol- forico, e che era riputato solfato di piombo , lo hanno trovato essere persolfato di ferro anidro , o privo d’ acqua. Molte espe- rienze relative da essi intraprese li hanno condotti a riconoscere che l’ acido solforico a 66. del pesaliquori discioglie il protosol- fato di ferro colorandosi in rosso ; che il protosolfato così dis- ciolto passa facilmente allo stato di persolfato per 1° azione del- l’ acido nitrico , o per quella del calorico, che l’ acido solforico concentrato non scioglie punto il persolfato di ferro , benchè al- quanto allungato con acqua possa discioglierlo . I quali fatti ser- vono loro a spiegare la formazione di quel deposito, e il non trovarsi ferro nell’ acido solforico del commercio . In fatti il sol- fo comune e non distillato , che s° impiega nella fabbricazione dell’ acido solforico, contiene ordinariamente un poco di ferro allo stato di solfuro, che nella combustione del solfo è conver- tito in solfato , e trasportato col prodotto aeriforme o vaporoso della combustione stessa , e disciolto dall’ acido solforico debole, da cui poi si separa per la concentrazione. Nel Caucaso , non lungi dalla riva dritta della Cuma, è stata trovata una sorgente d’acqua termale sulfureo-salina , la cui temperatura è di 24 gradi, quella dell’ atmosfera essendo 15, e che sebbene esali un forte odore d’ acido idrosolforico , pur si conserva talmente limpida, che può distinguersi uno spillo in fondo al bacino che la riceve, e che è molto profondo . Il sig. Brandes annunzia una nuova specie d’alcali vegeta- bile diverso da molti altri stati scoperti da alcuni anni in quà . Gli alcali della nuova specie si distinguono dai già conosciuti , in quanto sono solubili nell’ acqua e nell’alcool anche a freddo, mentre quelli non lo sono. Esistono nell’ Angustura , nella Casca- rilla, ed in generale nelle piante narcotiche. Hanno tutti un odore piacevolissimo , che si rende particolarmente sensibile eva- i 137 porando l’ etere che si è fatto digerire sulle piante di Cicuta , di Conio , di Belladonna , di Giusquiamo , di Lattuga virosa , e che ne tiene in soluzione i diversi alcali, o basi narcotiche. Ma quell’ odore sparisce combinando tali basi agli acidi . Il va- pore della Cicutina , anche in piccola dose, produce una fortissi- ma dilatazione della pupilla, che dura più giorni. il sig. Bran- des afferma che la sostanza indicata dal sig. Runge ( An. dì fis. e di chim.) come la base alcalina della Belladonna, è una me- scolanza complicatissima. Anche la digitalina del sig. Lenoyer non è dal sig. Brandes creduta pura . Il Sig. F. Marcet di Ginevra ha intrapreso una serie di es- perienze importanti per riconoscere Ì’ azione che esercitano di- versi veleni sopra i vegetabili viventi. E noto che la maggior parte dei veleni minerali agiscono sull’ organismo animale irri- tando , infiammando , corrodendo il tessuto delle parti che toc- cano, sicchè giungono a distruggere la vita, ove siano ammini- strati in quanltà sufficiente ; che all’ opposto alcuni veleni d’ori- gine vegetabile, e specialmente quelli detti narcotici , senza la- sciar traccia d'azione irritante o corrosiva nello stomaco e ne- gl’ intestini degli animali che gli hanno ingeriti , sono assorbiti , e portati nel torrente della circolazione, cagionano la morte col- l’ agire ‘unicamente sul sistema nervoso , talvolta direttamente sulla midolla spinale, tal’ altra sul cervello . Quanto ai veleni della prima specie , o minerali, era da presu- mere, o almeno non doveva sorprendere, che essi riescissero dannosi ai vegetabili come agli animali, e cagionassero la morte di quelli come di questi. Così il sig. Marcet, sperimentando sopra piante di fagiolo volgare, da lui riconosciute come piante molto robuste, le vide prima soffrire, quindi perire più o meno prontamente , per l’ azio ne del- l’ arsenico, del mercurio metallico e dei suoi sali, del muriato di stagno, del solfato di rame , dell’ acetato di piombo, del muriato di barite , dell’ acido solforico , della potassa. All’ op- posto non risentirono alcun danno dall’ applicazione del solfato di magnesia e del sal comune, sali innocui anche agli animali. Quanto poi ai veleni vegetabili non irritativi o narcotici, e che offendono direttamente il sistema nervoso , il sig. Marcet imprese ad indagare se riuscissero nocivi ai vegetabili , i quali vengono considerati quasi generalmente come sprovvisti d’ organi corrispondenti al sistema nervoso degli animali, sebbene nor sia mancato alcuno che abbia tenuto opinione contraria , come fra i moderni il sig. Dutrochet , il quale in un’ opera recente- 138 mente pubblicata ha riprodotto l’ idea dell’ esistenza di un si- stema nervoso nei vegetabili , attribuendo questa funzione a certi corpuscoli globulosi , che si trovano in quantità molto grande nelle cellule midollari di un gran numero di piante. Però , dopo essersi assicurato per mezzo di esperienze pre- liminari che le piante di fagiolo svelte dal terreno ed immerse colle radici in un bicchiere contenente acqua comune) vi resta- vano costantemente in stato di buona salute per il corso di sei o otto giorni, continuando a vegetare come se fossero rimaste nella terra , espose così altrettante di dette piante all’ azione di alcuni dei più noti veleni del genere indicato. Questi furono 1° Op- pio , la Noce vomica, la Galla di levante, o frutto del Menz- spermum cocculus , l’ acqua di lauro ceraso , l' acido prussico , la Belladonna , l’ Alcool, l’ Acido ossalico , la Cicuta , la Digitale purparea ; ciascuna delle quali sostanze impiegate a dosi piccolis- sime, e disciolte in 100 parti d’ acqua esercitarono più o meno prontamente un’ azione malefica sopra le piante, e finirono con ucciderle , la maggior parte in 12 ore, alcune in 24, € sola nel più lungo lasso di 4 giorni la Belladonna. Il sig. Marcet, non potendo concepire che questi veleni, i quali non attaccano in alcun modo il tessuto organico degli ani- mali , possano alterar quello dei vegetabili al punto di uccider- li in poche ore, riguarda come probabilissimo , che esista in questi un sistema d’ organi , su cui certi veleni vegetabili agiscano presso a poco nel modo stesso che sul sistema nervoso . Sapendosi che le piante svelte dal terreno , ed immerse in un recipiente d’aria non secca , vi formano dell’ acido carbonico , supposto provenire da una parte di carbonio abbandonato dalle radici all’ ossigene dell’ aria , lo stesso sig. Marcet volle ricono- scere se immergendo delle piante in gas diversi dall’ ossigene vi perirebbero più prontamente. I gas da lui impiegati furono , l’ a- ria atmosferica come termine di confronto , il gas idrogene, il gas acido carbonico, il gas ossido nitrico , ed il gas azoto. La pianta le cui radici erano immerse nell’ aria atmosferica vi si mantenne prospera per 4 giorni, quella del gas idrogene co- minciò a soffrire dopo 6 ore, e perì dopo 16, quella del gas acido carbonico cominciò ad appassirsi dopo un’ ora, ed era mor- ta dopo 10, quella del gas ossido nitroso cominciò a soffrire sol- tanto dopo gore, e morì dopo 12, in fine quella del gas azoto diede immediati segni di deperimento , ed era morta dopo cin- que ore, 139 SCIENZE MORALI ECONOMICHE ED AGRARIE. Incoraggiamento dato agli studii legislativi ed economici. Il Re di Svezia ha fatto noto per l’organo del Principe Oscar suo figlio, come Cancelliere delle Università di Svezia, che due studenti dell’ Università d’ Upsal, ed uno deil’Università di Lunden, scelti fra quelli che avranno fatto maggiori progressi nella cognizione delle leggi fondamentali , nella statistica, e nell’ economia pubblica della patria, goderanno per due anni consecutivi d’un assegnamento di 200 scudi di banca per ciascuno , che darà loro i mezzi di consa- crasi interamente a questi studii. Ella è una cosa consolante il vedere un governo illuminato animare in tal guisa lo studio delle scienze morali e politiche , per formare dei pubblicisti, degli economisti , degli amministratori, dei veri uomini di stato , consiglieri e sostegni del trono, e dei cittadini capaci di rappresentare degnamente ed utilmente il sovrano e la nazione in qualunque circostanza. Società d’ incoraggiamento per l’ insegnamento reciproco in Stockolm. Questa società hu tenuto la sua grande assemblea annua mercoledì 18 maggio. Il rapporto della direzione, che vi è stato letto , prova che il numero delle scuole d’ insegnamento reciproco seguita ad accrescersi , e che dopo jla pubblicazione dell’ ordinanza del Re che ingiange di preferire nella scelta degli operai delle par- rocchie quelli che provino d'avere acquistato una profonda cogni- zione di questo metodo , il numero degl’ individui che si presentano nelle scuole è talmente accresciuto, che la direzione riconosceva il bisogno di stabilire una scuola centrale per formare dei maestri di scuole esperti di questo metodo, implorando l’aiuto del Re per la formazione di questo nuovo stabilimento, L’adunanza è terminata con un discorso del sig. colonnello Lefrern , governatore della scuola militare . Nella prima parte di questo discorso l’ oratore dimostra- va ad evidenza la necessità d’ estendere quanto è possibile, nel- l’ interesse dei particolari e del governo, l’ istruzione e la cultu- ra dello spirito in tutte le classi della società ; nella seconda parte imprendeva a provare che l’ insegnamento reciproco è egual- mente applicabile all’ insegnamento delle scienze; nella quale ultima opinione forse molti non converranno interamente. Sotto il nome di Società dccomandataria dell'industria , si forma a Parigi un’associazione, la quale si propone l’utilissimo scopo di provvedere a due grandi bisogni dell’epoca attuale; cioè di far 140 sì che i capitali trovino utile impiego nelle arti ed imprese inda- striali, e che queste trovino opportuno e valido appoggio nei capitali. Essendo cosa rara che negli stessi individui si trovi congiunto alle ricchezze lo spirito inventivo ed il genio delle arti, ne consegue che spesso le più ingegnose e più pregevoli invenzioni rimangano inutili, nè siano mandate ad esecuzione per mancanza di capitali; come avviene egualmente che capitali ragguardevoli restino oziosi ed improduttivi per difetto d’ utile impiego. Quanto pregevole ed utile è questo progetto , altrettanto bene inteso è il piano adottato per mandarlo ad esecuzione. Concepito e rettificato da uomini di raro merito, ba facilmente conquistato universale fiducia. Le soscrizioni già raccolte assicurano un capi- tale di 50 milioni di franchi, che potrà in seguito esser portato a 100 , e che è diviso in 50 mila azioni , ciascuna di mille franchi. La numerosa lista dei fondatori, alcuvi dei quali inglesi, e d’ altre ricche ed industriose nazioni , tutti soggetti distinti per copia di mezzi pecuviarii, intellettuali, ed industriali, rendono certo che questa rispettabile associazione eserciterà sopra quelle industrie, alle quali prenderà interesse , una tutela efficacissima. Niuna cosa vuole ella intraprendere da sè stessa, ma bensì prendere interesse nelle intraprese degli altri, a titolo d’ accoman- dita, e però senza impegnarsi al di là d’ un interesse convenuto. Nè si propone ella di venire a soccorso d’ industrie già stabilite , ovvie, ed in certo modo stazionarie, ma soltanto d’industrie nuove, o di grandi ed importanti perfezionamenti. Così, mirando non solo a render produttivi i suoi capitali, ma a conquistare ancora all’umana specie nuovi vantaggi , ella è nel tempo stesso un” istituzione filan- tropica , ed una speculazione commerciale. Purchè vi sia novità , 0 d’oggetto , o di mezzi , 0 di processi , e però acquisto o perfeziona- mento , qualunque intrapresa potrà ottenere il concorso e l’ appog- gio della nuova società. Ella darà mano all’ agricoltara ove voglia procurarsi comunicazioni più numerose e più facili , ove imprenda coltivazioni più variate, metodi più ragionati e più produttivi, asciugamenti di marazzi, lavori di terre incolte. Soccorrerà le ma- nifatture che vogliono adottare processi più facili, più economici, più sicuri , più produttivi, meccanismi più vantaggiosi, e special- mente motori più potenti. Concorrerà ad estendere il commercio e la navigazione , aiutavdoli a prendere nuove vie, a formar nuove combinazioni , ad esplorare nuovi paraggi. In somma quella società si propone come oggetto delle sue intraprese, e come sorgente dei suoi profitti tutto ciò che rimane ancora da fare in qualunque ramo d’ indastria, | r4t Prendendo interesse per somme determinate con diverse società d’ accomandita , o anonime, la nuova società ha sempre il suo capi- tale rappresentato dalle azioni che ella riceve da quelle società particolari. Queste azioni le produrranno probabilmente un inte- resse fisso di 5 per 100, ed una parte convenuta negli utili o bene- fizi, lo che la pone in grado d’ assicurare 4 per 100 d'interesse ai suoi proprii azionarii per le somme da essi sborsate, non compreso il reparto da farsi degli utili generali della società. Però essa non esige dai suoi azionarii il capitale, per cui ciascuno di essi sì è impe- gnato , se non a misura degl’impieghi, cosicchè non avrà bisogno di domandarne loro successivamente che deboli porzioni, e non avrà qaasi mai capitali stagnanti nella sua cassa. Premurosa di non mettere in rischio la riuscita d’ una sì bella istituzione , la società procederà con estrema prudenza , preferendo di restare inattiva ed in osservazione, anzichè sbagliare per preci- pitazione i primi suoi passi, senza però mancare di risoluzione e d'energia, ove si tratti di sostenere imprese veramente utili. Un Consiglio generale d’amministrazione esamina e giudica tutte le proposizioni che vengono fatte; un comitato di direzione riceve e fa eseguire quelle che sono ammesse ; cinque censori esercitano una sorveglianza generale sull’ insieme e sulle particolarità dell’ammini- strazione. Il consiglio d’ amministrazione è composto di 3o direttori nominati dall'assemblea generale degli azionarii , e che si dividono in tanti comitati, quanti possono esservi affari da esaminarsi e da sorve- gliarsi. Dei direttori aggiunti, scelti fra le persone che hanno la scienza e la pratica dei respettivi oggetti da esaminarsi, sono chiamati ad as- sistere alle sedute del Consigiio e dei Comitati,ove hanno voto con- sultivo. Un temporario ristagno nel commercio delle telerie di cotone, ed il conseguente temporario sconcerto d’ alcuni operai inglesi, ai quali erano stati diminuiti i salari, o che erano rimasti senza lavoro, avevano indotto alcuni economisti a riguardare come dannoso l’ uso di quelle macchine, che suppliscono l’ opera di molti uomini. In vece di produrre nuovi argomenti contro questa singolare dottrina, conforteremo la filantropica apprensione di quelli che la professano col seguente articolo estratto da un giornale inglese Very Monthly magazine. ‘ Si va raccogliendo un capitale di tre milioni di lire sterline A destinato a provvedere allo stabilimento di nuove manifatture di cotone in Irlanda. Questo progetto ci dà la speranza di veder l’In- gbilterra concorrere a migliorar la situazione di quest’interessante 142 porzione del Regno-Unito. L’introdazione dei battelli a vapore e delle strade di ferro è forse più propria di qualunque legge politica ad operare una rivoluzione salutare in questo paese. Vi sono attual- mente tali richieste di mercanzie di cotone, che tutte le manifatture inglesi e scozzesi prese insieme , a malgrado dei vantaggi che danno loro |’ uso delle macchine, |’ esperienza , ed immensi capitali, non potrebbero bastare a soddisfarvi, e si congettura con ragione che questo commercio riceverà ura più grande estensione dall’essere state riconosciute le repubbliche dell’ America meridionale ,,. E’ stata recentemente portata a Savannah negli Stati-Uniti » una specie particolare di cotone , che si raccoglie sopra alberi altissimi nei contorni di Bogota. Esso è corto di fibra e di co- lor bruno, ma dolcissimo, lucido , e setòoso. Si trova intorno al seme in un guscio o follicolo della forma di una pina , sic- chè nel raccoglierlo non vi è molta pena a nettarlo. Gl’ indiani ne fabbricano degli Scha//s ed altri oggetti. Una quantità di que- sto cotone è stata portata in Francia, per tentare d’impiegarlo nella fabbricazione dei drappi di seta . Il sig. Stolker , curato di Gundlingen, raccomanda la cul- tura dell’/Wolicus lanatus , da sostituirsi con successo al trifoglio e ad altri foraggi. I pregi che gli attribusce sono di risentire dalla siccità minor danno che le altre piante, di prevalere ad esse quando sia seminato promiscuamente con loro, arrivando dentro tre anni a soffogarle , di far che le vacche le quali se ne alimentano producano una maggior quantità di latte , e d’ in. grassare i bestiami più di qualunque altro foraggio impiegato da- gli agricoltori. Un agronomo di Hippebach in Moravia ha inventato un nuo- vo aratro , il quale tirato da un sol cavallo forma quattro solchi alla volta. Noi non conosciamo ancora la struttura di quest’ ara- tro, ma sappiamo che la società delle scienze di Vienna ha de- cretato al suo autore una medaglia d’ oro. Nel fare uso dell’ erpice accade facilmente che questo stra- mento devii dalla voluta strada, allorchè si rivolta indietro al ter- mine d’ un solco. Per impedirlo , viene proposto d’ attaccare al collo dei due animali che lo tirano un bastone lungo circa due braccia. Per questo mezzo l’animale che si trova dalla parte opposta a quella verso dove convien piegare voltando , e che 143 ordinariamente tende a tagliar corto stringendosi addosso all’ al- tro, se ne trova impedito, ed è obbligato a descrivere un arco più esteso , dal che resulta che le estremità di ciascun solco so- no meglio erpicate di quello che sogliono , e che gli animali faticano meno . Vi è una macchina d’ invenzione inglese , non conosciuta presso di noi, e che serve ad asciugare il grano mediante una ventilazione artificiale. Ora il sig. Lobdolef abile meccanico rus- so ne ha inventata una nuova molto più attiva, e nel tempo stesso molto più economica della macchina inglese. Quest’ ul- tima, messa in azione per la forza di due cavalli e l’ opera di sei uomini, asciuga in un giorno intiero 6 misure di grano, mentre la macchina russa, mossa e fatta agire da due soli uo- mini, aspira una quantità d’aria doppia , asciuga 12 misure di grano in sole tre ore, e costa soli 638 franchi, oltre |’ onora- rio del meccanico . I danni non lievi che cagionano agli alberi fruttiferi ed a molte altre piante le formiche , hanno fatto desiderare e ricer- care un mezzo atto a distruggere o allontanare questi insetti . Fra i molti proposti, i più sono riconosciuti o insufficienti o im- praticabili. Si propone ora il seguente come sicuro nel suo effet- to . Si stempera della fuliggine nell’ olio di semi di lino o di ca- napa, e si applica questo mescuglio all’ albero o alla pianta che si vuol preservare. L’ odore di esso è talmente insopportabile al- le formiche, che esse non visi avvicinano. Si afferma che que- sta proprietà repulsiva è stata comprovata da numerose espe- rienze , non solo sopra molte piante , ma anche sopra diversi al- veari , che prima infestati dalle formiche , ne sono stati con que- sto mezzo liberati . SCIENZE MEDICHE. Il sig. Moreau de Jonnes, in una nota letta nel dì 16 agosto avanti l'Accademia delle scienze di Parigi, ha provato che la que- stione intorno alla natura contagiosa o non contagiosa della feb- bre gialla, questione che vuolsi da alcuni riguardare come nuo- va, è stata risoluta affermativamente dopo un indagine, un esame, un rapporto, ed una discussione profonda nel 1802 dalla facoltà di Montpellier, che aveva per relatore il celebre fisiologo Da- mas; nel 1817 dalla fucoltà di medicina di Parigi, chejaveva 144 per relatore il dotto ed illustre dott. Hallé ; nello stesso anna dal Giurì di sanità, sotto la presidenza del ministro dell’ inter- no sig. Lainé ; nel 1817 dalla commissione delle colonie; nel 1820 dalla commissione sanitaria centrale, composta di 2/4 mem. bri presi in tutta l’ estensione della Francia ; nel 1822 dal consi- glio superiore di sanità ; e finalmente nello stesso anno da una legge dello stato, e da due ordinanze del re, deliberate ciascana in tre consigli. Il sig. Moreau de Jonnes ha rammentato che la stessa questione è stata giudicata nel modo stesso in tutti gli stati dell’ Europa e dell’America , ed ha annunziato che in una pros- sima seduta farà conoscere i risultamenti identici ai quali sono stati condotti dall’ esperienza i popoli situati alle due estremità della civilizzazione europea , gli abitanti dell’isole britanniche , e quelli dell'impero ottomanno. Tremenda infermità è l’asma! Spesso ella è sintoma di malat- tia, siccome dicono, strumentale, che nessuna medicina può di- struggere; e quando ancora proviene da una profonda lesione pa- tologita , pure è difficilissimo sempre il dissiparla. Soprattutto dolse finora ai miseri infermi che non si fosse trovato per anche un mezzo almeno per porre pronto termine alle improvvise e fiere minaccie di soffogamento , e rendere tollerabile il parossismo. Bisognava a fare questa scoperta che un medico infermasse di sì brutto morbo , e ciò avvenne appunto al chiariss. sig. dott. Francesco Chiarenti. O felix morbus ! diranno in avvenire gli asmatici , avvegnachè per esso il lodato sig. Chiarenti si trovò costretto a pensare al non ancora trovato rimedio con quel grande studio che ognuno pone volentieri quando si tratta la necessità propria. Considerò egli ertanto che di niuna cosa tanto si giova chi dall’ asma è afflitto quanto della pronta e libera esposizione all’ aria fresca, e dove lo si possa, di contro al vento. O perchè dunque non si provoca questo salutare soffio coll’ arte, e perchè non si applica al polmone tanto più da vicino quanto è più possibile? Tal fu il semplice e naturale pensiero del Chiarenti; e l’ animo gli corse immantinente all'uso del soffietto, strumento facile ad aversi a mano in tutte le case. Introdotta la cannula nella bocca , ci fece insufflare con forza e per tempo convenientemente lungo aria comune, e l’ ef- fetto mostrò che la speranza collocata nell’ esperimento non era vana, Infatti ei potè vincere a questo modo in brevissimo spazio i più ostinati parossismi, dapprima in sè, e poscia vegli altri ; ed ora ha in pronto una sua dissertazione , dove ha raccolto insieme colla storia della sua felice ed ingegnosa scoperta i molti casi che 145 dimostrano la efficacia del nuovo suo mezzo a far cessare i pa- rossismi con grande prontezza, e qualche volta a guarire ancora la malattia , se ella ha radice poco profonda , e men difficilmente estirpabile. E di queste cose tutte già da due anni ha fatto pub- bliche parole in una medica società in Firenze, ma nondimeno per la sua molta modestia egli s’ era fino al jpresente astenuto dallo stamparle. Ora noi godiamo di farle note al pubblico, al- meno in quel compendioso modo che per noi si poteva , e ci piace sperare che vinto dalle istanze degli amici, e dall’amore del pub- blieo bene, il ch. autore dia finalmente alla luce la sua bella ope- retta, della quale, come siam certi, gli sapranno grado del pari [O ) e medici, ed infermi. nai I giornali inglesi fanno menzione d’una osservazione, che essendo esatta, sarebbe veramente singolare. Si tratta d’un’idatide posta nella sostanza stessa del cuore d’un giovane morto improvvisamente senza essere stato sensibilmente indisposto. Brezser nella sua opera impor- tante sui vermi intestinali , dopo aver detto che questi esseri sì svi- luppano in tutte le parti dell’ organismo animale , ha segnalato la sostanza del cuore come un' eccezione presso a poco unica a questo riguardo, Se il fatto indicato è esatto , questa pretesa eccezione non esiste più. Del rimanente diversi osservatori, fra i quali possono citarsi Morgagni , Bonnet, e Portal, avevano già veduto delle ida- tidi aderenti alla superficie del cuore, ma giammai nella sua stessa sostanza. Il sig. Barry, medico inglese , ha comunicato all'Accademia di medicina di Parigi un fatto interessantissimo di fisiologia. Meditando sulle cause del moto del sangue nelle vene , egli è stato condotto a pensare che facendo il vuoto sopra una piaga, nella quale fosse depositata una materia velenosa qualunque , s' impedirebbe l’assor- bimento di questa materia. "Alcune esperienze sugli animali fatte con questa veduta hanno dato il risultamento presagito. Dopo avere scoperto una porzione di muscolo , il sig. Barry vi deposita della stricnina , ovvero dell’ acido idrocianico o prussico, e l'applicazione d’una ventosa sul posto avvelenato impedisce l’ assorbimento, ed arresta l’ influenza del veleno , ancorchè siensi manifestate le con- vulsioni tetaniche. Questo mezzo , che ricorda i succiamenti lunghi e ripetuti, im- piegati dai tempi più rimoti in casi simili, presentato così sotto un aspetto nuovo e luminoso, può avere importanti conseguenze e prestarsi a felici applicazioni. T. XIX. Seccembre. a 146 GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. L’ Accademia di Ginevra ha deciso recentemente che d’ora in poi la geografia moderna debba far parte dell’ insegnamento delle classi inferiori di quel collegio. {Questa felice innovazione, che il pubblico e li stessi rettori del collegio sollecitavano, vien conside- rata come il primo atto d’ una riforma , che probabilmente non tar- derà ad estendersi ad altre parti dell'istruzione pubblica. Si comin- cia a riconoscere che il seminario fondato da Calvino non corri- sponde più ai bisogni della generazione attuale. Il sig. Villemain, rettore della terza classe, ha pubblicato a quest’ oggetto un eccel- lente ristretto di geografia, che è stato adottato dall'Accademia per l’ uso del collegio. Georama. — Fra le invenzioni ed i processi nuovi, destinati a rendere più facilmente accessibile l’ intelligenza della geografia , si deve distinguere la bella macchina , della quale imprendiàmo a dare una descrizione sommaria. Il georama, nome che significa veduta della terra, è una macchina vuota del diametro di 4o piedi , formata dalla riunione di 36 verghe di ferro verticali che rappresentano i paralleli ed i meri- - diani, e ricoperta d’una tela di color celeste destinata a lasciar passare la luce , ed a rappresentare i mari ed i laghi. Le terre, le montagne, i fiumi sono dipinti con molta esattezza sopra della carta attaccata a questa tela. I due poli vi si trovano situati, come nei mappamondi, all'estremità del diametro verticale della sfera. Intorno a questo diametro si avvolgono due scale spirali, o 4 chiocciola, come diconsi volgarmente, le quali fanno capo a tre piccole gallerie circolari, poste le une sopra le altre , in modo che lo spettatore può a suo talento avvicinarsi ai punti che vuole esaminare. Questa di- sposizione altrettanto comoda quanto ingegnosa fa a prima vista un impressione sorprendente : l’ imponente grandezza del velo celeste che rappresenta i mari , l’ irregolarità delle masse terrestri che ne interrompono la monotonia , la novità della situazione, tatto con- corre a far sì che lo spettatore si trovi immerso in una specie di stupore e d’ esitazione, dalla quale non tarda ad uscire a misura che egli riconosce, sebbene in una situazione rovesciata, le parti del mondo , che egli vede abitualmente sui globi. Non parleremo del lavoro che ìl sig. Delanglard , autore di questa bella invenzione , ha dovuto fare per ridurre ad una sola e stessa scala le carte di tutti i paesi, nè della premura che egli sì è 147 data d° indicare, per quanto gli è stato possibile, le più moderne scoperte. Ma non possiamo passare sotto silenzio l’attenzione del- l’autore nell’ esecuzione dei suoi disegni: il rilievo delle montagne vi è espresso per mezzo d’ombre più o meno prolungate, i fiumi per mezzo di linee d’un colore più pallido, i vulcani in combu- stione per mezzo d’un colore rosso di fuoco. Tutte le divisioni analoghe (e si può imaginare quanto elleno siano numerose , giac- chè la Francia presenta i nomi di tutti i suoi dipartimenti, e dei loro capi luoghi) sono indicate da lettere simili. È stata evitata ogni confusione che potesse derivare dalle interruzioni delle parole, per mezzo della varia grandezza delle lettere , ed a lettere eguali per la varia foggia delle grossezze e finezze. Viaggio dei sig. Ruppell in Affrica, Lettera al direttore del- l’Antologia. Livorno, 12 settem. 1825. — ,, Ho il piacere di an- nanziarvi che abbiamo buonissime nuove del nostro amico sig. Eduardo Ruppell , il quale ci scrive dal Cairo sotto dì 27 luglio passato ,,. » Egli era penetrato nel Kordofan, e soggiornandovi due mesi, aveva scorso la contrada fino a poca distanza da Darfour, ed era tor- nato a Dongola, ed indi al Cairo con una ricca collezione d’ oggetti di storia naturale , fra i quali 5 Giraffe, e con molte osservazioni astronomiche. Ma egli aveva sofferto molto nel viaggio, correndo rischio di soccombere a due forti malattie. Era sua intenzione di ri- storarsi un poco in Egitto, e poi passare l’ anno 1826 in escursioni lungo il mar rosso ,,. x INVENZIONI E VARIETÀ. Il sig. Burridge inglese , riproducendo un processo propo- sto già da Seguin, e quindi abbandonato , concia le pelli, non colla scorza di querce in natura , ma col suo estratto’. Egli af- ferma che con questo processo sono perfettamente conciati in tre mesi i cuoi per suolo , che nel processo ordinario richiedono sun anno, e che impiegando lo stesso peso di scorza che gli al- tri conciatori , cioé libbre 4. per ogni libbra di cuoio , pure i cuoi preparati col suo metodo pesano un quinto di più. Vorrebbe poi il sig. Burridge che nella concia delle pelli si sostituisse alla scorza di querce la così detta terra japonica 0 catechu, materia ricchissima di tannino , o principio concian- te, che ne contiene otto o dieci volte più che la seorza . Ma se 148 si rifletta che i resultati delle ricerche del sig. Banks, il quale riconobbe nel catechu. un'attività 10. volte maggiore che in un egual peso di scorza di quercia per la concia delle pelli, ed i susseguenti sforzi della compagnia dell’ Indie per incoraggirne l’uso non hanno potuto indurre i conciatori ad adottarla , no- nostante i vantaggi che promette , bisognerà concludere che que- st’ uso presenti nella pratica qualche difficoltà. \ Si assicura che mediante il seguente processo si può ese- guire ogni sorta d’impressioni nell’ acciaio . Preparata d’ una sabbia molto fine e molto grassa la forma del busto, del meda- glione , o dell’ oggetto qualunque da rappresentarsi, vi si get- ta ben fusa una lega composta d’ una libbra di rame giallo , o ottone , e di 5 once di stagno. Allora presa la lastra o massa d'acciaio , sulla quale si vuol fare l’ impressione , si stende sulla sua superficie uno strato di terebintina , e quindi, involtatala in una carta emporetica , si ricuopre d’ uno strato di terra gras- sa per difender l’ acciaio dal contatto dell’aria, e prevenire l’ os- sidazione. Dopo ciò, si pone in mezzo ai carboni ardenti , ed allorchè sia bene infuocata, si mette allo scoperto l’ acciaio, e per mezzo di una forte pressione si fa entrare in esso il rilievo della lega indicata , che vi s' imprime come un sigillo nella cera, È, stato dispensato in Londra un prospetto o manifesto , nel quale viene annunziata la prossima pubblicazione d’ un gicrna- le, che sarà pubblicato ogni settimana sotto il nome di Parte- none ,e che sarà stampato per mezzo di pietre, con un proces- so detto dipolitografia. Per |’ operazione del torchio lo stesso foglio esibirà dei caratteri di stampa, delle incisioni, dei dise- gni, ed altri ornamenti. Questo giornale sarà consacrato alla musica , al disegno , ed alle belle arti. Il sig. R. C. Hoare cavaliere inglese ha fatto dono al mu- seo di Londra della sua bella collezione d’ opere relative alla storia ed alla topografia d’ Italia , collezione che egli aveva for- mata dal 1785 al 1791, in due escarsioni fatte in questa pe- nisola . La collezione è composta di 1733 articoli, classati se- condo le antiche divisioni dell’ Italia. Lo stesso museo ha rice- vuto due altri doni non meno importanti , consistenti in una col- lezione di monete , di medaglie , di bronzi ,. di pietre preziose, 149 edi disegni , stimata più di 50. mila lire sterline ( circa 1,200,000 franchi ) ed una galleria di"quadri di grandissimo prezzo, regala- ta al museo del sig. Giorgio Bammont. Dopo il celebre Montgolfier , che riduceva ad atto con po- ca varietà |’ ingegnoso divisamento del Padre Lana , più recen- temente cantato dal Gesuita Zamagna , moltissimi per tutta l’ Europa ebbero desiderio di viaggiare per gli spazii dell’aria, fidati al pericoloso congegno del’ pallone volante; ma egli è giusto il dire che sonosi veduti ai nostri giorni più Icari che Dedali. Tut- ti conoscono , per cagione d’ esempio, i disgraziati casi dell’ ae- reo navigatore Zambeccari. Ora un concittadino di lui (il sig. Orlandi ) ha voluto in Bologna sua patria tentare di nuovo i me- todi stessi, comecchè non al tutto approvati dall’ esperienza , e combinando insieme un aerostato a gas idrogene , con una mongolfiera ad aria dilatata per mezzo d’ una lampada, ha vo- lato dare spettacolo di sè, e cercare se potea dirigere il’suo corso nell’ atmosfera , o sforzandosi di restare in quella zona in che tro- vava opportuno vento , o maneggiando certo suo remo. Per tale effetto il giorno 3o di agosto tentò la sua prima ascensione, la quale però andò a vuoto, perchè l’aerostato ricusò di riempirsi al grado ch’ era d’ uopo. Pur non iscoraggiato da questa prima sconfitta , volle in altro giorno , e precisamente nel dì 7 di set- tembre cimentarsi di nuovo, e ripieno pur finalmente il \glo- bo della quantità di gas che bastava per l’elevazione d’ un uomo , salì in barca, si elevò maestosamente a grande altez- za , descrivendo quasi una spirale, restò in vista per più lun- go tempo che un’ ora, ed in ultimo disparve occultato tra le nubi. Per grande disavventara, si erano restate chiuse le, ma- niche dell’ aerostato , e a proporzione che s° innalzava di più, crescendo per la minor pressione atmosferica il volume del- l’aria chiusa, avvenne che ad un tratto il globo crepò , e il volatore tombolando, e trattenuto appena alcun poco dalla mongolfiera e da un insufficiente paracadute, giunse a ter. ra, dove fortuna fece sì che non altro danno riportasse che qualche graffiatura ad una gamba, prodotta pel salutare in- contro d’un pioppo , il quale per altra parte intrattenne al. cun poco la massa cadente. Tale calata egli fece in luogo di Romagna lungo il Santerno, chiamato San Bernardino e di- stante da Bologna circa 35. miglia, e subito per la cortesia del sig. Conte Trotti si ricondusse alla patria in eurribus et in equis ,e piovve in mezzo del teatro , fra gli applausi delle turhe , 130 che salutarono il loro concittadino con reiterate salve d’ ogni maniera ; dopo delle quali tornò a casa in ora ben tarda a riposare sui propri allori. O... Era noto che le mosche affogate , o in altro modo asfisse, tornano talvolta in vita anche dopo un tempo notabile. Ora al- cuni giornali hanno riferito il seguente passo del celebre Fran- klin relativo a questo curioso fenomeno. ,, Avendo sentito dire » (son parole di Fravklin ) che le mosche affogate si rianima- 3» vano al sole , io mi proposi di farne esperimento sopra alcu - », ne trovate in una bottiglia di vino di Madera , nel quale do- 3» vevano esser rimaste sommerse da lungo tempo , giacchè quel vino era stato portato prima da Madera in Virginia, quindi da Virginia a Londra. Le mosche furono dunque esposte al sole sopra un setaccio , a traverso del quale era stato passato il vino per separarle da esso , ed in meno di due ore ve ne furono due che tornarono a poco a poco in vita. Esse cominciarono a fare al- cuni movimenti convulsivi colle coscie, finalmente si alzarono in piedi, asciugarono i propri occhi colle zampe posteriori , finalmente volarono , trovandosi nell’ antica Inghilterra, sen- za sapere come vi fossero venute. Io desidererei ( aggiunge Fran- klin con quel tuono scherzevole che gli era familiare ) che si po- tesse dedurne un arte d’ imbalsamare le persone affogate, in modo da poterle richiamare alla vita quando si volesse , e do- po qualunque tempo, perchè avendo un grandissimo deside- rio di vedere e conoscere l’ America quale sarà da quì a 100. anni , io preferirei ad una morte ordinaria! l’ esser rinchiuso con alcuni amici in botti di vino di Madera fino a quel tempo, per essere allora restituiti in vita per il calore del sole della mia cara patria; ma disgraziatamente noi viviamo in un se- colo troppo poco avanzato ,,. G. GAZZERI. » n ASTRONOMIA. Seguito di notizie sulle tre nuove comete. Firenze 25 settembre 1825. La gloria del primo ritrovamento della cometa d’ Enche non appartiene più al sig. 2/2. Egli fu prevenuto nella nostra Italia dal sig. Del-Re allievo dell’ osservatorio di Napoli , che il primo la vide ed osservò fino dalla notte del 10 dello scorso luglio. 151 In Germania non venne scoperta che la notte del 26 luglio dal celeberrimo astronomo sig. Harding professore a Gottinga. Di Francia non conosciamo per ora altre osservazioni che quelle già da noi annunziate del sig. 7/2. Niuna ce ne è pervenuta da Parigi nè da Marsilia. Lo stesso sig. Harding s’ imbattè pure la notte del 24 agosto nella seconda cometa , che il sig. Pons aveva già trovata 12 giorni avanti nella costellazione del cocchiere. All'epoca in cui il sig. Har- ding la scoprì , era già passata nella costellazione d’ orione. Sembra che questa cometa non sia stata osservata che dal sig. Harding e da noi, E’ certo che nessun’ altro astronomo dell’ Italia ha potuto tro- varla nel brevissimo periodo di tempo in cui si mantenne visibile. Ec in assai scarso numero sono pure le nostre osservazioni , ma for - tunamente terminano presso a poco nel tempo stesso in cui quelle del sig. Zarding cominciano. Laonde è sperabile che il periodo di tempo compreso dall’ une insieme e dall’ altre sia per essere suffi- cientissimo a determinarne gli elementi, e mettere i calcolatori a portata di distinguere se questa cometa debba annoverarsi fra le già comparse , oppure sia nuova del tutto. Quanto poi alla cometa del toro, la prima delle tre di cui si fece menzione nel numero precedente, non è /stata osservata che ben tardi in Germania. Il sig. Bze/2, capitano dei granatieri in Praga, fu il primo a vederla nella notte del 18 d’agosto, cioè 22 giorni dopo che si era cominciato ad osservarla da noi. Questo valente uf- ficiale è già noto per la scoperta di molte altre comete. Il sig. Ca pocci astronomo aggiunto dell’osservatorio di Napoli ne ha di già calcolata l'orbita, e sembra inclinato a crederla identica a quella del 1792 ; il che le darebbe un periodo di circa 33 anni. Son molti giorni che vediamo questa cometa ad occhio nudo; ed è adesso sì bella , e tanto ha guadagnato di grandezza e di luce, che neppure l’attuale splendore della luna è giunto ad offuscarla : e questo suo accrescimento sì di splendore che di grandezza si reri- derà sempre maggiore fino alla metà d’ ottobre, dopo di che anderà insensibilmente diminuendo. Il di lei presente movimento è retro- grado , e quanto era lento in principio altrettanto è veloce adesso percorrendo quasi un grado il giorno in A. R., e più d’ un grado in Declinazione. Dopo essersi trattenuta circa due mesi nella costella- zione del coro, dalla quale ha preso il nome che le si è fin quì con- cordemente attribuito, finalmente la scorsa notte è passata in quella dell’ arpa che presto attraverserà per discendere nell’ altra dell'Eri. dano. Ecco intanto il seguito delle osservazioni fatte nella mia spe- cola tanto su questa, che sulle altre due comete già da qualche 152 tenipo perdute, Queste osservazioni appartengono come le prece- denti al Padre Tanzini, eccettuate quelle del 23 24 che in assenza del prelodato Padre T'anzini faròno eseguite dal giovine alunno sig. Orazio Bosi. \l sig. Antonio Cioci ha continuato ad occuparsi della riduzione dei Sach E poca. 2/ agosto 25 - 6 settembre 24. agosto agosto | 5 Tempo medio in Firenze. r4,0r 9. 22. r4. 47. 30. tr. 46. 21. livio daro! Tina agg: Ila DE. dì AR LIE VOGA. it. 52. 15. II 6. 59. L18098 "I dati ble 34 II 2 55-07 ro. 58. 55. a OR retta. gi. 36. 39. {r6. 29. 45. gQ2. 22. Ig. 10. 26. {9.02 FERLAMIRATO O 60 Se 58. [13. 57 D7», fl di IO dd 7. 40. 29. |10. 33 7. 39. 59. |10. 32 7. 7.14. | 9. 46. 5g. 6. 54. | 9 46, 16. 30. 30. | S. 54, 30-20, dd: ad 59. 45. 44. | 7. 56. dI GIO: | de ri Pond + «Dio: Pali Ga, di» SUO (ARR 6 a 53 37. 38. | 4 5g. 52. 44. 53 5 : 504 52. 42. 42 Bach ti 7: | 2400 DE 40, 591 de od Prima Cometa , ossia Cometa del Toro. Ascensione {Declinazione Boreale. 63.° 48'48."[a1. 28. 51." ba: "Agen anta 61:85: Si Masa. 21. Seconda Cometa, ossia Cometa del Cocchiere. Terza Cometa , ossia Cometa d’Encke. Nome della stella di confronto. y' Toro ' Toro ' Toro ‘Toro Y Toro 8 h Toro 5 ) 30 e Toro 220 Toro \ 220 Toro mr 55. r.0 Tor, ) 46. Toro u. 1. Toro u. 1. Toro ' > Balena Î, t.Balen, F. Orione 3 Orione k.1.Orion. | 15. 33. 40. 1124. 20. 45. [25. 53. 50. | d Cancro. P. INGHIKAMI. 153 [__—_———T_—_—r—r—r—cr—r—c—r—r—r_tr__—___——r_r__r_rrr_—__Pr r________t—@- BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). N.* XXIII. Settembre 1825: N.° 164. Memoria su di alcuni costumi degli antichi greci, tut- tora esistenti nell’ isola di Leucade , nel mare Jonio. Di ANDREA PAPADOPULO PRETÒ, dott. in medicina, seconda edizione. /Vapoli 1825. Stamperia Francese 8.° di p. 64. Prezzo carlini 3. 165. L’ Ibisco, ode di Moisè Susani, Mantova 1825. Tip. Virgiliana 8.° di pag. 16. 166. Motizie Storiche spettanti la vita e le opere di LOREN- zo LEONBRUNO insinge pittore Mantovano del secolo XIV, scrit- te da GiroLAMO PiANDI, professore emerito dell’ università di Bologna. Mantova 1825. Tipog. Virgiliana, 8.° di p. 85. con 3. tavole in rame. 167. Elementi di aritmetica pura di CAMMILLO MINARELLI bolognese. Bologna 1825. Mobili, parte prima 8.° di pag. 284. Bajocchi 70. 168. Spiegazione d’una gemma etrusca del Museo reale di Parigi, e in occasione di essa, breve discorso intorno il sistema della namerazione presso gli antichi toscani, di F. ORIOLI. Bo- logna 1825. Mobili, 8.° di pag. 12 con tavola. 169. Una state a Varese e nei suoi dintorni. Lettere ad Er- minia. Lugano 1825. per Vanelli, GC. 32.° di 200. p. 170. Sovra il teatro tragico italiano , considerazioni di G. À. Pagani Cesa. Zzrenze 1825. presso il Magheri, un vol. 8.° di pag. 288. prezzo paoli 7. 171. Scelta collezione di poesie del genere romantico. Mirenze 1825. presso Pasquale Caselli — per dispense a paoli a l’ una — prima dispensa, L’I/degonda e la Fuggitiva di Tommaso Grossi. 172. Saggio di esperienze elettrometriche del dottor STEFANO MARIANINI; professore di fisica e di matematica applicata nel R, Liceo Convitto di Venezia. Venezia 1825 tip. Alvisopoli 8.° di pag. 206. 173. Estratto del manifesto d’associazione dell’ opera del sig. LALLEBASQUE, intitolata principii della genealogia del pensiero. LUGANO 1.° settembre per G. VANLLLI, C. Cinque libri, che tutti 154 insieme comprendono un trattato vasto e completo di nuova Ideolo- gia, compariranno in tre volami. Il primo di sì fatti volumi verrà alla luce nel decorso del prossimo novembre, e sarà indi a poco seguito dal secondo e dal terzo. La importanza delle scoperte di cui quest’ opera è piena, la moltiplicità delle osservazioni rare e curiose che ad ogni passo vi s'incontrano , e che l’autore o ha fatte da sè, o ha improntate da’più esperti e più accurati an- tropologi , il metodo, la chiarezza, la precisione e la facilità con cui è scritta , fanno sperarci a ragione che il pubblico vorrà farle quell’ accoglienza medesima; di cui ha onorata la Introduzione alla filosofia del pensiero del pig» LALLEBASQUE. Incoraggerà in tal maniera e renderà felice un’ impresa, da cuì ci auguriamo che la Italia debba ritrarre molto utile e non piccola gloria. 1.° Il sesto il carattere e la carta saranno simili al pani 2. Ogni volume monterà ad un di presso a 15. fogli di stampa. 3.° Per gli associati, che si sottoscriveranno avanti la pubblicazione del primo volume, il prezzo sarà di sole lire 4. Italiane per ogni volume. 4.° Alli stessi si concederà per l’egual prezzo l’ /ntro- duzione alla Filosofia naturale del pensiero già stata pubblica- ta, che si vendea lire 5. 5.° Dopo che si sarà publicato il primo volume il prezzo verrà portato a lire 5. Italiane. 6.° Solo al rice- vere di ciascun volume gli associati pagheranno l’ importo. 174. Storia di Sardegna del cav: Don. GiusePPE MANNO, primo ufficiale nella R. Segreteria di stato per gli affari dell’ in- terno , Consigliere nel supremo R. Consiglio di Sardegna , e Se- gretario privato di S. M. Torino 1825. per Alliana e Paravia, Tomo primo , 8.° di 23. fogli, prezzo franchi 4. 51. 175. Collezione portatile di classici italiani. Firenze presso P. Borghi, e C. vol. secondo. Drammi di Metastasio. 176. I due contratti di mutuo e locazione di valori. — Con- siderazioni analitiche del MARCHESE DI BRUNO, appoggiate al- l’autorità dell’ enciclica di Benedetto XIV- del 1.° Novembre 1745. Milano 1825. nella Tipografia Motta, ora di Marsilio Carrara , in 18. prezzo lire 2. Italiane, 177. D' una paraplegia curata felicemente coll’ ago-punta, Ragguaglio storico di Gio. B. BELLINI toscano, dottore in me- dicina e chirurgia, chirurgo maggiore dello spedale civile e della R. città di Rovigo, Socio di più Atenei e Accademie scentifico- letterarie ; ec. Venezia 1825. per Francesco Andreola, di p. 16. 178. Almeone, tragedia di CosTANTINO PiccOLI. Torino presso PieTRO MARIETTI, libraio in via di Po. 179. Cronica di Matteo Villani, a miglior lezione ridotta \ \ 15ò coll’ aiuto di testi a penna. Firenze, 1825, per il Magheri, 8.° di p. 305, prezzo lire 5. toscane. 180. Storia dell’ arte dimostrata coi monumenti, dalla sua decadenza nel IV. secolo fino al XVI. di G. B. L. LEROUX D’AGIN- coURT. Prima traduzione italiana, in 8,° vol. 6. di testo, e 3. vol. in foglio di 325. stampe, lire. 300. — Za stessa, in 6. vol. in foglio, edizione di soli 50. esemplari, lire 600. — Prato , per i FRATELLI GIACRETTI. Comincia questa importante storia dove termina quella di Win- ckelmann, e s’ inoltra poco più in %à dell’epoca in cui principia la Storia della scultura del Conte Cicognara, con cui forma, per così dire, un solo corpo di storia. Il Sig. d’Agincourt scorrendo il lungo periodo di XII. secoli, con circa 1400. monumenti crono- logicamente disposti, rende ragione della progressiva decadenza e del rinnuovamento delle arti, conducendoci sino al limitare di quella gloriosa epoca, in cui l’Italia vide riprodursi nel suo seno i prodigi dell’ età di Pericle e di Augusto. Premette ai monumenti un prospetto storico dello stato civile e politico della Grecia e del- l’ Italia da Costantino sino al sovvertimento dell’impero orientale ; indi tratta separatamente la storia dell’ architettura, scultura e pittura, aggingendovi un ampia illustrazione analitica dei monu- menti. I dotti avevano vantaggiosamente giudicata quest’ opera avanti che vedessero la luce gli ultimi quaderni; e gli artisti il- luminati, i dilettanti, gli archeologi seppero tutti buon grado all’ illustre autore, che loro schiuse la via allo studio delle arti nel medio evo, Era cosa decorosa che l’ Italia loro madre e nutrice avesse nel proprio idioma , nato e cresciuto in compagnia delle arti, un’opera che le appartiene più che ad ogni altra nazione; e perciò ci siamo determinati a riprodurla co’ nostri tipi, in volgar lingua fedelmente tradotta , nel formato, carta e caratteri simili a quelli della nostra edizione della Storia della scultura. 181. Saggio sopra l’uomo di ALESSANDRO POPE. — Lettera d’Eloisa ad Abelardo del medesimo autore. — E/egia sopra un cimitero campestre di Tommaso Gray, traduzioni di LORENZO MancinI fiorentino. Firenze, 1825. tipografia di Luigi Ciardetti. 182. Corso teorico-pratico della lingua tedesca, di A. G. FoR- NASARI nob. di Verce, pubblico professore di lingua e letteratura italiana nell’I. e R. università , e nell’ I. e R. accademia teresiana in Vienna. Vienna , presso P. G. Heubuer, libraio, 1825. Questa grammatica è raccomandata agl’italiani studiosi della lingua tedesca, come ad essi utilissima, 183. Peregrinazioni ed avventure del nobile ROMEO DE 156 Provenza. — Torino 1824. tipografia Chirio e Mina. vol. 2. in 12.Ino, 184. TEODORO CALLIMACHI Greco in Italia. Torino, 1825. tipografia Chirio e Mina. vol. 2. in 12.mo. 185, AVVISO DI SOSCRIZIONE Monumenta historica Germaniae inde ab anno Christi 500. usque ad annum 1500. auspiciis Societatis aperiendis fon- tibus rerum Germanicarum medii aevi edidit Georgius Hen- ricus Pertz. Tomus I. fol. Dopo i laboriosi preparativi continuati per sei anni e più, la Direzione centrale della Società di Storia antica Germanica si trova in istato, di annunziare agli amatori della Storia del Medio evo europeo il primo Tomo dell’ Opera da lei creata. Tanto le protezioni di parecchi Governi della Germania, quanto i sagrifici di più particolari, i quali riguardavano la causa della scienza germanica come loro propria, e finalmente la sin- cerità e cooperazione dei possessori e custodi di Biblioteche ed Archivi delle più distinte Città, e stabilimenti che sono ia Ger- mania, Svizzera, Italia, Sicilia, Francia, Inghilterra, Danimar- ca, Russia ed Ungheria, furono, insieme coll’attività dei Let- terati, a questo fine inviati nelle diverse parti, i mezzi, onde formare una raccolta di notizie sopra i convenevoli mapostritti e documenti, in una estensione sin'ora non veduta, e per ottenere una serie di confronti e copie, che guarantissero lo stabile pre- gio dell’ intera Opera. Eruditi Letterati, il nome dei quali basterà per fondare la piena fidanza dei paesi interni ed esteri, stanno trattando i di- versi occorrenti Scrittori, secondo il piano ad essi prescritto nel senso dell’ Opera; ed il Sig. Dottore Pertz, Segretario dei Reali Archivi in Hannover, il quale ha viaggiato per la Società nello spazio di quattro anni, sarà a capo dell’ edizione. Nel primo Tomo degli Scrittori Storici saranno contenute le fonti le più antiche Germaniche , delle quali |’ edizione pareva essere più urgente; e ie medesime sono state ristorate col soc- corso dei più distinti manoscritti sin’ ora ignoti o non conside- rati; cioè i piccoli Annali autentici, gli Annales Loiseliani ; Eginhardi, Jiliani, Poeta Saxo, Annales Laureshamenses , Fuldenses, Bertiniani, Vedastini, Mettenses, Chronicon Mois- siacense , Regino ; e di Biografie: Eginhardi Vita Caroli Ma- \ 157 gni, Thegani et anonymi vita Illudovici Pii, Ermoldus, Ni- gellus, Monacus Sangallensis, tutti quanti illustrati dall’ Edi- tore. A questi faran seguito gli Srittori di S. Ga//en, i quali dal Sig. Ildefonso di Arx sono reintegrati , illustrati e ristorati per additamenti, sin’ ora inediti. Serviranno di ornamento all’ Opera i Facsimili della Scrit- tura dei Codici, ed il ritratto in stampa di Car/o Crasso, copiato dalla splendida Bibbia del Convento di S. Calisto in Roma; si provederà della buona carta, ed il Tipografo sarà risponsabile di una decente ed accurata impressione. Tal esteriore corri- sponderà alla dignità dell'oggetto, e il prezzo moderato promo» verà la propagazione dell’ Opera. Si è proposto di far uscire ogni anno un Tomo, disponendo in tal modo le materie che ognun d’ essi possa stare isolato senza alcuna dipendenza dagli altri, onde i Suscrittori, i quali non si obbligano che ad un Tomo solo, restino sempre liberi intorno la continuazione. Francoforto sul Meno. 15. Febbraio 1825. LA DIREZIONE CENTRALE DELLA SOCIETA' DI STORIA ANTICA GERMANICA. Aggiunta della libreria di corte in Hannover. Onorati dalla rispettabile Direzione centrale anzidetta di as. sumer l'impresa di quest’ Opera interessante per tutta l’Europa erudita, e singolarmente per la Germania e l’Italia, con la quale la medesima va a fondare uno stabile monumento agli estesi suoi meriti ed alle profonde sue ricerche, adopereremoanche da nostra parte la massima diligenza, per dotarla d’ un degno esteriore, e per rispondere alla fiducia, messa in noi. L’ Opera apparirà in due diverse edizioni, stampate in carta ottima e formate, con nuovi .caratteri e tinta di Francia, am- bedue in foglio grande. Il primo Tomo uscirà dal Torchio per la Fiera di S. Michele del corrente anno. Non potendosi calcolare la grossezza di ciaschedun Tomo (cal- coliamo per ora che il primo sarà di 125. fogli incirca) e doven- dosi assegnare convenienti vantaggi ai Signori Suscrittori, fissiamo prevetivamente il prezzo di suscrizione per foglio della Edizione Num. I. in carta velina forte a 2 Buoni grossi ( corrispondenti a 6 Bajocchi rom.) Di quella N. II. in carta velina svizzera di stampa, a 1 e un terzo Buono grosso (equivalente a Bajochi 4.) Valuta di convenzione. Il pagamento non sarà anticipato , ma si affettuerà dopo la consegna di ogni Tomo o Parte. E per soddisfare ai desideri di 158 que'li che si interessano soltanto per certe epoche , e certi autori, li Signori Suscrittori , di cui la lista sarà pubblicata, a capo del Libro , non si obbligheranno che per ciascun Tomo separatamente, Nel caso sperato che riuscirà presto una numerosa Suseri- zione, cercheremo, quanto mai si potrà, di abbassare i sud- detti prezzi d’ associazione , e chiusa la Suscrizione il prezzo sarà molto più considerabile. Tutte le rinomate Librerie riceveranno la suscrizione sotto le condizioni indicate ; si riceverà in Roma nella Libreria di Luigi de Romanis sul Corso Num. 250. Libreria di corte dei fratelli Hahn. Hannover. 186. AVVISO DI SOSCRIZIONE Il PERFETTO CAVALIERE con stampe miniate. Milano, Son- zogno 1825. in 4.° L’opera annunciata sotto questo titolo com- prende in breve quanto è stato scritto di più bello e di più impor- tante intorno a’ cavalli e alla cavallerizza, non esclusa quella par- ticolare al sesso gentile. Si publica per fascicoli (saranno 12 in tutto ) tre de’ quali sono già usciti e nove si succederanno a piccoli intervalli. Ogni fascicolo fino all’undecimo inclusivamente si com- porrà di due fogli di testo adorni di due incisioni rappresentanti le specie più pregevoli di cavalli, disegnate sopra originali famosi e miniate sul vero. L’ ultimo racchiuderà un maggior numero di fogli ed oltre a 4o incisioni, parte miniate, parte a chiaroscuro, relative al tipo ideale della bellezza de’ cavalli, alla loro miologia esteriore, alla ipposteologia , alla ippometria ec. Pei primi 200. associati nessun fascicolo costerà più di 5. franchi; per gli altri il costo di ciascuno sarà di 7. 50. Le associazioni si prendono in Milano così dal valente incisore sig. Antonio Locatelli editore dell’opera come dai fratelli Sonzogno che la stampano, e per tutto altrove dai libraj prineipali. (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’ sigg. librai e editori delle opere stesse , e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia me- desima, siano come estratti o analisi, siano come annuntò di opere. ) i î se RADI VIT. CONTRE fed \ASER mt { é DR SORATTE dI - cadi i) È ue) Mot A bid "i dr at i Sai Fota RENI ATI De Tot e DELA AK x RAT MT ro ce Ai # HM fo DI LAS a Mp RA DTS ATRR i oa? A SLI LR s Lo figa. Li Ae Ù È p Lo Pow di BN Mt Pila d| nd mu PASTE SA TT, MTA ASTA, UE DI Ni TRITATI bk (AIR? INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL DECIMONONO VOLUME SCIENZE MORALI » POLITICHE, ECONOMICHE ED AGRARIE, ' SOGERORA sugli effetti della libera concorrenza. (F. Tartini Salvatici ) A. Pag. 31 Baullettino scientifico. Lettere dalla Germania. (E.M.) L'Italia e gl’ italiani del secolo XIX. opera di A. Vieus- seux. ( A. Benci) Opinione dell’ Ab. Guillon sul metodo di reciproco inse- gnamento. (L. T.) GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI, Viaggi del Cap. A. Gordon Laing in Affrica. CP) Viaggio degli inglesi nel Soadan. (P.) Viaggio nelle alte latitudini australi. Viaggio del Cap. Duperrey. Partenza del vascello il Blossom. Viaggio del Cap. Kotzbue. Memoria della Società di geografia. Viaggio di Marco Polo. Lettera sui viaggi nell’interno dell’Affrica, scritta da Tripoli. ” B C B 3) ») ”» 3) 33 160 148 139 I 167 164 165 166 166 92 151 FILOLOGIA CRITICA LETTERARIA , POESIE, EC. Opere in verso e in prosa del dottor Filippo Pananti. (M.) A. Pag. Lettera al direttor dell’Antologia, intorno ad una memo- ria dell'avv. Mugnai, (S.) » Istoria della letteratura greco-profana di. F. Schoell, recata in italiano da Emilio Tipaldo. ( C. Lucchesini.) B. Carteggio inedito di Bartolommeo Lorenzi. (M.) Tragedie ed altre opere d’Alessando Manzoni. PI), Le Odi di Anacreonte e di Saffo, traduzione di G. Ca- selli. (C. Lucchesini.) I bevitori d’acqua. Sermone del March. Antinori. ( Lam- predi.) C Notizie intorno ad un volgarizzamento inedito delle isto- rie di Giovanni Ducas. (A. Mustoxidi.) ,, Lezioni di lingua toscana di Domenico M, Manni. (M.) Rime gravi d’Antonio Cesari con pochi versi latini. (,,) » Lezione sopra ciò che compete all’ intelletto e all’ima- ginativa nelle diverse produzioni dell’ ingegno. s» Lettere sopra le belle arti raccolte da G. Bottari e St. Ti- cozzi. ” Alcune Memorie di Michelangelo Buonarroti. >> Iscrizioni veneziane raccolte e illustrate da A. Cigogna. ,, Prose e poesie del March. Gargallo. » Alcune immagini di Filostrato, traduz. di Maria Petret- tini. PA Novelle di Saverio Scrofani. na Rime di Cecilia de Luna Folliero. » Opere di Michele Colombo. Pr Le nozze di Cadmo ed Ermione, idillio del cav. Vincenzo Monti. Di Lettere di Francesco Redi. si Versione di alcuni salmi, di G. B. Spina. » Storia cronologica dei Romani, compilata da F. Crivelli. ,, In morte di Antonio Onofri, canzone d’Ignazio Bel- zoppi. PA Vita di Dante Alighieri, scritta da Gio. Boccaccio, testo emendato da Bartolommeo Gamba. di Della storia letteraria del ducato lucchese, di C. Luc- chesini. (ALASSIO, Elementi d° aritmetica , di Cammillo Minarelli. (O***) ,, L' Ibisco, ode di Mosè Susanni. di d 2 » BELLE ARTI. Storia della Scultura , del Conte L. Cicognara. (M.) A.Pag. 3° La pittura Cremonese descritta dal Conte Bartolommeo Vidoni. (P. Giordani. ) Osservazioni sulla pittura in maiolica. (dal Kunstblatt.) ») > Dell’antica scuola di pittura in Colonia. (E.M.) G Lettera intorno ad alcune nuove scoperte e pratiche ap- plicate all’ arte dell’ intaglio, e dell’ impressione. (LZ. Cicognara.) ARCHEOLOGIA, Nuove scoperte intorno ai geroglifici d'Egitto ( d4/ tede- sco del sig. Kosegarten.) Il sig. Champollion le jeune in Firenze. (G. 5. Zannoni.) Antichità egiziane arrivate in Livorno. Illustrazione di un Kilanaglifo copiato in Egitto, fatta dall’Ab. Lanci. ( Ipp. Rosellini.) SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE. Notizie intorno al sig. Luigi Pons. (P. Inghirami.,) Meteorologia ( Bullettino scientifico. ) Fisica e chimica ( Bullettino scientifico, ) Flora veronese del sig. Pollini. (7.) Geologia. ( Bullettino scientifico. ) Paleontografia. Zoologia. ( Bullettino scientifico. ) Botanica. Lettera del cav Nobili al profes. Gazzeri. Scoperta di tre comete. ( P. Inghirami) x SOCIETA SCIENTIFICHE. I.eR. Accademia dei Georgofili. Seduta del 3 luglio 1825. Seduta del 7 agosto 1825. 2) HAdP-OtE: » » OqgbPu dpi wp 2») 2) >») 2) 3I 140 I 34 148 152 130 131 153 132 132 4 138 140 156 IAI 145 175 159 152 169 162 4 Accademia labronica di Livorno. A. Pag. 169 Istituto di scienze , fettere e arti a Milano. LI VARIETA ; SCOPERTE ; INVENZIONI >» ARTI INDUSTRIALI , EC. Bullettino scientifico. A B C BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. N. XXI. Luglio 1825. A XXII. Agosto 1825. B XXIII, Settembre 1825. Cc NECROLOGIA. Anton-Maria Vassalli Eandi. A a ” ” 2) 23 ‘Th 163 155 139 179 162 153 04 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. AGOSTO 1825. | Termo. |&; o > i = me EE CI 5 T Ora 9 5 |a] Stato del cielo 3 © © o |° 3 o 9 Prob agio La 7 mat. |28. 2,0 {21 RRSLIBNDE | 45 i 'Nebbioso Ventic. mezzog. |28. 1,2 | 21,5 23,5 | I 43 | 0,02 Lib. |Nuvolo Ventie. rt sera |28. 2 21 8 19,0! 75 | Tram. |Nuvolo Ventic. 7 mat. |28. 21 33| 19,0 | 80 Sci. Le.|Ser.neb. Ventic. mezzog. |28. 1, ; 21,6;22,8 | 63 i Tram. | Nuvoloso Calma 11 sera |28. 1 6 19,1 18,3 gu 0,25 Lib. Nebbioso Galma Lib. |Nebbiosissimo Ventic. 7 tuat. 28. 1,4 | 20,9/17,0 94 Po. Li.|Ser. con nuv. bas. Ventic. mezzog. |28. 1,1 20,9 21,8 | 64 SS ri sera [28. 1,2 22,0: 20,0 | 77 Po. Li.|Sereno Calma 7 mat. iginat. 0;6 21,3] 18,5 | 85 Scir. | |Sereno Calma mezzog. 0,8 , 21,8.23,0| 50 Lib. |Ser. rag. Vento I sera. (28. 0;5 22,6 20,1 | 83 |Po, Li. Sereno Calma 7 mat. |28. 0,4 22,2!20,0 | 75 ISci. |Ser. neb. Ventic. mezzog. |28. o,1. 22,4 23,0 | 57 Lib. |Ser. con nuv. Ventic. | ti sera |28. 0,1, 23, 1,21,0 | 70 Po. Li.|Ser. con. neb. Ventic. 7 mat. 27. 11,4 | 22,2 19,0 | 86 TRISTE Lib. |Nebbioso Ventic. mezzog. 27. 11,2 | 22,2 23,0 | 55 | Po. Lì. Nuvolo Ventic. It sera 27. 11,5 ; 22,0 19,1 | 69 | Lib. Sereno Ventic. 7 mat. ;27- 11,6 20,6 17,2 | 81 NIE Le. Sc. Sereno nebb. Ventic, mezzog. j27. 11,2 24,1 21,9| 50 | Lib. ‘Ser. con nuv. Vento tI sera lan, 11,9 21,8 19,6 78 Po. Li. Sereno nebb Ventic.] fiesta 27: 11,0, ano 19,0) 75 __ Ito. Li: Sereno nebb-- |. Vertici] 125. g. 28. 128. 28. }- Spe 27. 0,2 | 19,5|16,5 | 0,3 | 19,3|20;9 0,0 | 20,6|13,5, 0,0 | 19,5 15,1 11,3 | 19,8 20,3 10,0 |! 20,0 16,8 Sc. Lev|Sereno Po.Lib|Nebbioso Po.Lib'Sereno Stato del cielo - Vento Ventic. Vento |: Ventic.|j Ventic.|{ Ventic. Ventic.|i Ventic. Vento Ventic. ven. for. Ventic. Ventic. Ventic. Ventic. Galma Ventic..|f] Ventic. Ventic. Vento Ventic. Vento |gl Ven. for.|ll Ventic. Ventic. Ventic. Ventic.]] Ventic. Ventic. Ventic. Termo. 2{ 9 È Si a pi SR © SÌ Ora Slan eci Bale Dee DI (Lh I ni pat 8 Ò i FIVE 3 Pe cr TE e e 7 mat. ‘28. 03" | 21;4|18, 6! $0 Lib. (Sereno 8| mezzog. 28. 0,0 |21,5|23,0 | 36 Sereno 11 sera 28. «9A ni, ‘6 20,1 | iù __|Lib. [Baton {7 mat. 28. 0,4 | 21,8 7,4 Os. s. Lib Ser. ragn. g| mezzog. 27. 11,8 | 22,1|22,3 % \Ponen. Sereno 11 sera 28. 0,0 | 22,6|20,4 'Lib. |Sereno mat.. 7. 11,9 | 22,0 19,074. Sci. Sere. ragn. 10 Susa si. II 3 22,2 i i 50 | Po. Ma. Nuvoloso Ii sera ne pur 21,8 19,1 97 i (Po. Li. Sereno | mat. 11,6 121,1 20,0 53, Po. Li.|Nebbiosissimo 11| mezzog. na 11,2 | 21,3 21,3, 42 | [pa Li. Se. con nuv. 11 sera 27. 11,9 20,9 17,0, € 65 | Lib. Sereno 7 mat. 27. 11,9 | 20,4 17,9 | 51 Gr. Tr. r.|Ser. rag: 12! mezzog. |28. 0,5 | 20,0 20,9 | 32 Sci. |Ser. rag. ri sera 28. 1,2 204 18,9 | 38 Gr. Tr.|Sereno iL. 7” mat. |28. 1,2 | 19,5 16;5 Fog i) Sei Le. Ser. rag. 13) mezzog. |28. 1,0 | 20,0 20,9 | 32 ‘Lev. Ser. rag. | 11 sera |28. 0,3 | 21,1 18,2| 40 o |' ev! Sci. | Sereno | | 7 mat. (28. . 033:| 19,5|16,0 | 61 | 1 || of|Sci {Ser. con neb. 14 mezzog. |28. 0,2 | 20,0|20,8 | 46 Po. Li. Nuvolo sere. 11 Sera |27. 10,6 20,9 |19;2 68. ‘Po, Li. «I Nuvolo ti” 7 mat. 27. 95 20,2 18,5) 80 0,04 Os.Lib; Nu: olo 15 mezzog. 127. 9;1 | 20,0|20,7 | 52 | 0,07 Lib Ser. nuvy. | | axsera (27. . 94 | 1 20,4] 18,2 2 | 70 (Os.Lib Sereno 7 mat. |27. 10,2 | 19,1 16,0 80 Scir. [Sereno neb. 16| mezzog. |27. 10,5 19,7 20;9 | 57 Po.Lib|Nuvoloso 11 sera |27. 11,5 | 20,2 377 66 98 Lib. Sereno i, "7 mat 28. 0,2 191 16, 81 80 Sc.Lev Sereno 17| mezzog. 128. 0,3 | 195 20,0 | 57 Pon. |Sereno 128.. 0,2. 20;2 18.0 | 70 Lib. !Sereno Ventic.ill Ventic.]Mi Ventic. | È Gr. Tr. Sere. nuv, ‘Cram. Nuvolo neb. Gr.Tr. Ser. con nuv Calma Ventic.|f Ventic. i (Sì 0u193ST | c È Hi o] omowoseg È 0u197U] 19,5 tei 65 82 52 62 52 ord -o0sow2uY |f Stato del cielo 017 -QuorAn]gq |} omawo48f | Sc. Lev Sere. nuvolo Gr. Le.' Nuvoloso Gr. Tr.|Sereno - Tram. |Ser. neb. Tram. |Nuvo. rotti 66 |o,o1 | Tram. |Nuvolo 25. mezzog. 28. 19,5 18,0! 65 | 19,7 21,3 | 49 20,9 18,8 Gr 19,7 17,8 62° 205 k AGILI | 2g 3 19,3 55 | Pie Sereno > | 195 io 60 20,4 22,0 | 42 21,5 19,0! 60 e. u 54 20;413,0 | 87 | i 37 21,8 19,5. SI se 17,3 | 68 49 46! 11,5|17,0 63,5| 1:8229 | do n8 | 85 60 69 22, 2! 16, 2| 92 21 18 ‘18,4! 65 1 20:6 16,9 57,5 Tram. |Ser. con nnv. Tr. Ma. !Ser. con nuy. Tram. Sereno Calma - Ventic. ___|Os-Lib Sereno VISO Lev|Sereno Sc. Lev n; connuv. Po. Lib Ion Tr. Ma. o ve: 0,08 |Gr. Le.| Nuvoloso Tram. |Sereno Ventic, Ventic. Ventic. Vento Vento Calma Vento Vento Calma Ventic. Vento | Calma | Ventic. Ventic,.' | Ventic.! Ventic.! Ventic. Ventic.| Ventic.| Ventic.! Calma Ventie. Ventic.' Calma Ventic. Ventic. mo Ae Atp dt i ni id d oh VALI ASTA SITA a 173 pren i Varie pi Ot tà » cadr ITA | s 364 gut miei, o — “— 4 bros dii «tx, I, bevi POE] Ù ( Ù T| \ 4° du l| a Ca” oo mt ta et 1À furs toe n 4 o . 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