bea; dA Tu TOLOGIA "GIORNALE. “ai SEL RI SCIENZE, uerrrar E ARTI E I R E N z Ci i dc pero SCIENTIFICO z LETTERARIO . 93 temi “dI G. Bi VIBUSSEUX. ; > Deairrone E Eprrona. 290 » | “ DI ua PIZZATI: ; Se. Msibziali a: Da ‘non Aa ancor | pagalo il dina cAmdare ’ ‘s0n0 PEG c4 Fiziano senza cnc ae r 8 — GABINETTO. SCIENTIFICO-LETTERARIO . G. P. VIFUSSEUX. | | | ° DI Pz Ps BIBLIOTECA CIRCOLANTE.. LU Te sizuzò del Gabinesta; sino sempre aperte al pubblico dalle | ere 8 della.-mattina fino. allé prepiò..di sera. i Cai * Citta a 75 giornali , tra scientifici, letterari e politici, vi si tro+!) vanò in letture, oltre ai libri d’ una bene scelta BisLioreca CONSULTA- | TIVA, ed ogni-associato ha la facoltà di ritenere in sua casa un volume. della BIBLIOTECA CIRCOLANTE:, . À ba LIRE Met —— Pel comodo di quelli che non hanno ili IReDo di frequentare “ili gabinetto , 0 che non\woglion farne;la'spasa } il Direttore: riceve delle associazioni per la sola BrisLIorEcA GIRGCOLANTE ai seguenti prezzi e COn= dizioni : PRA E, PP per un volume alla volta, Paoli 5, per un mese - 39.12; per tre mesi; s 5, 401; per un'anno: - per più volumi alla volta ‘+ ’‘.,, 10, per un mese, i 33 20, per tre mesi. E " 3» 60; per un anno da pagarsi anticipatamente. > dae sio HIS =: Glì abitanti delle provincie possono combinarsi col. Direttore del gabinetto letterario per ricevere:della suddetta biblioteca più opere alla | volta; e associandosi in :diversi, leggere, a condizioni discretissime', una | ragguardevole quantità dilibri Per'tali assogiazioni le spese di trasporto!| dovranno: essere a carico dei sigg. Associati. > : ACRI La Brsuiorica "GirtoantE: non ‘si. :compone: solamente: di':romanzi , | ma vi si trova eziandio una gran-varietà di libri; come di storia; ‘morale, : A di viaggi ec..il numeso dèi-quali.:va giornalmeftte; aumentandosi, :: IL BEN INTESO SPIRIPO(DIL-ASSOCIAZIONE,; senza del quale nissun gran risultato può ottenersi al giorno d’ oggi; ha prodotto dei miracoli in Isco=.| zia, ed anche in Inghilterra, riguardo:all’istruzione tiniversale: Con uesto |! potente mezzo ,i libri,elementati di religione ; di morale, di agricoltura, | d'arti e mestieri; di geografia , di storia naturale; di storia patria, penetranòy| non solamente nelle città le-più piccole; ma. anche nei villaggi ; e nelle} fattorie stesse. Ed è tale il numero‘di quelli che desiderano di leggere, ei petquali è unibisogno che ciaschedunoa di toro, membro ‘dell’'associtioi zione della.sua città,,.del:suo villaggio.o del suo distretto PRO trovà' avere)! letti molti libri nel decorso di ‘un ‘anno;--peruna tenvissimà tetribuzione;l: Tutto ciò è il risultato delle associazioni collettive alle Biblioteche circolanti. I medesimi risultati potrebbero ottenersi in Toscana, per le. piccole città almeno; quando più abitanti volessero unirsi, e combinarsi col Diret: tore del Gabinetto scientifico-letterario , il quale.sì presterà quanto per lui si Toe » purchè nno dei soci si faccia sempre mallevadlure per i compagnifi sn DO a valuta dei libri, e pel prezzo dell’ annua contribuzione; GLI EDITORI DELLA BIBLIOTECA STORICA DI TUTTI I TEMPI E DI TUTTE LE NAZIONI - Giunta al sessantesimottavo volume è la nostra Edizione, della quale per tal modo sono compiuti i due terzi, mentre i fogli pubblicati sono duemila 0 poco più; e quindi non man- cano che mille fogli circa, i quali saranno compresi in tren- tasei o trent’ otto volumi, giacchè , fedeli alle fatte promesse, l' Edizione non oltrepasserà i tremila fogli di stampa. Molte furono le difficoltà che attraversarono la nostra co- raggiosa impresa, ma abbiamo potuto tutte superarle, sagri- ficando alcune volte il nostro interesse al dovere di adempiere i patti convenuti verso i nostri Associati. E ne avran essì certe prove eziandio nelle edizioni in corso che ora si stanno com- piendo. Che se per il T. Livio ci siamo giovati della lodata traduzione del Nardi, molti essenziali perfezionamenti in essa S’ introdussero, e vi si aggiunse una novella iraduzione dei Supplimenti del Freinshemio, eseguita da uno fra i distinti no- stri Letterati, e per tal modo si sono riempite le lacune della Liviana Storia, per cui poteva essa dirsi imperfetta se le fos- sero mancati quei Supplimenti. Ma mentre lodar ci dobbiamo del numero maggiore fra gli Associati che furono fedeli agli obblighi assunti, dobbiamo d° al- tra parte esternare il nostro ben vivo rincrescimento, perchè alcuni, che pur si sono inscritti, dopo aver ricevuto un nu mero di volumi dell’ edizione, col fatto, e senza addurre la minima scusa o giustificazione, cessarono dal ricevere i sue- cessivi volumi, e si ricusarono di pagarne |’ importo. Vor. VOLUMI PUBBLICATI E LORO PREZZO DI ASSOCIAZIONE 5 BOTTA. Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti d’ America» +. Lir. 17. 54 i BRACKENRIDGE. Storia della Guerra. fra gli Stati Uniti d’ America e 1’ Inghilterra nel 1815-1815 . ... SUO 7 % II 33 6 CONE. Storia della Casa d Austria - » 28. 60 », 6 DE MULLER. Storia universale 375 %69 3, 1 FLORO e SALUSTIO . } 33/4 Gand 3» 9 GIANNONE. Storia civile del Regno di Na- poli . Amo Du sa ,y 45. 56 3, 13 GIBBON. Storia della Mia fiv e rovina dell'Impero romano . +. ++. +. +, 63. 66 », 3 STORIA D'INGHILTERRA lg 10be0 > 1 MACHIAVELLI. Delle Storie Fiorentine ,, 5. 64 » 2 MALLET. Storia degli Svizzeri o Elvezii ., 14. 80 ,, 3 ROBERTSON. Storia dell’ America 3514+!82 n 4 Storia di Carlo V. . . 4516. 96 » 3 SALABERRY. Storia dell’ Impero ottomano ,, 13.73 », 5 SISMONDI. Storia dei Francesi » 25. 88 » 2 TACITO. Le Opere storiche a da B. Davanzati, colle giunte e FTA di Gabriele Brotier 9. 80 s, 5 TITO LIVIO. Storia one (è sotto il torchio il vol. 6) . P sini 6 »ì 1 WILLEMAIN. Storia d?’ PIRAS Crom- WELL 33: 19» 48 Vox. 68 Lir. 525. 58 Tutte queste Opere si vendono ai sigg. Associati al prezzo di sedici centesimi italiani per ogni foglio di stampa, oltre centesimi trenta per la legatura di ciascun Volume. Milano, dalla Tipografia Bettoni. | ANTOLOGIA OTTOBRE, NOVEMBRE, DICEMBRE 1020. OMO VIGESIMOQUARTO. FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE TIPOGRAFIA & DI LUIGI PEZZATI, MDGCCXAVI, I pia aa "deg Bue gii Mb dirigiion è. ANI e N fare peo tario Miura: PORT TL pt ii iù Pi Gaga Vai d frsglaltonro 328 co ess Le Roi pi KS PRON ATE TODI MINI ia pr AIR Sjaio adatti Lin porcarià e PAR SE MEBI Dele ter CITE di ago * PIO BISI, + > ci i mr, ia earn ey je pisa A as ni SE 1 Ni * PET PERI ua Ha i vi ag pi) Re gle ita RIIATI,A La 7a) POS dI x "adr: Vtittae Malgli Adci si TRA pa per F n x n a PARI Aa su Ù ero è F ‘90 Dr it TU (a Vi; TE i, ARR MERI pe 3 Wii diunat Ha) . Ì 4 % È g ; HUDLI x caB: POMPEO see morra AAA RO, s : «da sia ME | FMI MRI. 6 ao È. Miao + î roi ù A Le xe € € A, ‘f ia Lo 4 he Serra “ L sind LT ‘ n; uc #3 defi Rate da; Mor SA uo? ina "Ara - MEDI ata bi font PI nb dii i è vi ÙL5 A, ai ì3* Lg riti. Pardsisnr fab: sean di o; a e . pf “pata »f dat, figo } ATE podi Dt, REL, Ratio di iena Sa ca Mia: PIC Pisano MARE” li » 7 e e VUMeRgarv tt AV ME ; e N sind Perto ZITTI > Largest dali De AINSI 0.79, ‘» Niola ni sa di sd cose gtene U- METTI ì arr ag (I DR?" > FRODI 2° } sali tv Lau ai bid : Sa "COSA è, n, v f i : i Mb es) ) de AMT f «RAI “PRI int DE PI ita Tra ni del ANTOLOGIA N.° LXX. Ottobre, 1826. I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA. Canti quindici di Tommaso ‘GROSSI. ARTICOLO SECONDO (*). N: più grave accusa nè meno giusta potevasi muovere contro quegli italiani che le lettere nostre a legittima libertà s’ ingegnano revocare, del gridar che taluni fanno, questa scuola novella es- sere d’ogni regola, d’ogni esemplare superba disprezzatrice. É nostra intenzione quì dimostrare il contrario; e con l’autorità di colui che siccome il primo e il più grande di tutti i precettori eleg- giamo , difendere dalle imputazioni degli EZ/enisti la dottrina de’ let- terati italiani. Così verremo anco indirettamente sponendo l’opinione nostra sui pregi e suoi difetti, in genere , del poema che ad esami- nare imprendemmo. ;, I. Le cose possono considerarsi, riguardo alla imitazion loro, o quali sono, o quali furono, o quali dovrebbono essere (1). Anche nell’ imitazione delle cose, quai sono, può essere vera poesia: ap- punto come l’arte del ritrarre può essere bella pittura. Assai volte, negli oggetti della natura, così com’ e’stanno, è tale e tanta bellezza, che volerci giungere dell’ ideale, sarebbe un menomarne la pura e nativa efficacia. Può, anzi addivenire che per esprimere una grande ideale bellezza, miglior mezzo non s’ abbia che di copiar fedelmente una bellezza tacco come fece il pittore, che per figurare l’ amica di Dante, ritrasse la figlia di Monti. *) Ved. Antologia Vol. XXII, A. p. 56, (1) Poetica. Cap. ;XXIV. 4 \ Il poter congiungere alle volattà della immaginazione quelle più profonde e più alte che vengono: dall’intelletto ; il potere nel bello stesso vagheggiare sicuramente l’ ignuda faccia del vero, è cosa ad ogni anima retta sì desiderabile, che sarebbe un far torto ai let- terati E//enisti il credere, che guardata da questo lato la quistione, e’ non vogliano rimettere un poco di quella severità che si mosse a gridare prosaica ogni rappresentazione delle cose quai sono. E chi- unque; a ciò dimostrare, cita Aristotele, costui mostra di non inten- derlo al tutto: chè a tale ingegno non potea certo sfuggire quel vero sì semplice e sì importante ch’ anche lo spositore de’ fatti può essere vero poeta (2). Factorum enim nonnulla nihil prohibet talia esse, qualia verisimile est fieri, E perchè non si creda che sola l’ autorità d’ Aristotele sia guida a’nostri ragionamenti, proporremo una brevissima considerazione su questo proposito , e pregheremo gli ellenisti di volgere per poco il pensiero al belio morale. Havvi fantasia sì possente che vaglia ad ag- giungere un attimo alla bellezza di quella morale , ch'è cognita a noi, e che gli antichi potevano, appena in parte , imaginando asse- guire ? Havvi ideale, che la verità di lei, non ch’ abbellire, non renda imperfetta ? II. Ma le poesie, se non le più frequenti, le più grandi almeno, versano nel passato. Or nasce questione , se l’imagine del vero, qual fa, possa dirsi poetica ; o se , per distinguere la poesia dalla storia, sia necessaria l’ invenzione. Incominceremo dal dire, che il poeta, prendendo a seguire, non la serie de’ tempi, siccome lo storico fa, ma sì quella di certi avvenimenti ed atti che ad un certo fine conducono, per ciò solo si scosta dal metodo istorico ; assai. L° osservazione non è mia, è di Aristotele (3). Ma perchè potrebb’ essere ch” anch’ uno storico imprendesse la- voro simile a questo che accennai, del poeta , a descrivere cioè sola un azione, scompagnata da tutte quelle cose ; che non hanno con lei stretto vincolo; e non ne seguirebbe pertanto, che questa istoria sì potesse chiamare poesia, perciò credo, doversi altra ragione additare, onde, attenendosi anche alla stretta verità , ‘possa dirsi dall’ istorico differire il poeta. Se poesia è imitazione (4), il suo pregio sarà tutto nel porre le imitate cose sott’ occhio del leggente e dell’ ascoltatore (5) per mo- (2) Cap. IX. (3) Cap. XXIII. (4) Poetica Aristotele Cap. I. (5) Delle parole Zeztore e ascoltante , per non affastidire con la ripetizione 5 do, ch’ ei creda esserci astante (6), e in sè medesimo propriamente sentirle. Questa semplice idea ci dà chiaro il divario ch’ è fra storia e poesia: quella accenna, questa descrive; una narra; l’altra dimostra; la prima dà le notizie , la seconda le imagini e i sentimenti. Il verò puossi esporre in due modi; l’ uno compendioso, e per termini gene- rali; I’ altro circostanziato e preciso: nè ‘1’ uno nè l’ altro tradisce la verità; ma il secondo la pon sott’occhio; per questo è più atto.a farla conoscere, a farla sentire. Dichiariam vie meglio la cosa. Nel metodo istorico, le cagioni men vicine de’ fatti sono accen- nate di volo, gli effetti il più delle volte taciuti ; le circostanze non essenziali , e quasi ausiliarie all’ integrità dell’azione, omesse ; le‘es= senziali medesime quasi sempre adombrate con vocaboli, altutto ge- nerici, e quasi astratti: l’ istorico in somma è un che prende il totale del fatto , e fissando al digrosso il luogo dell’azione) e delineando quasi a matita i caratteri più rilevati, tutto il resto neglige , siccome non necessario al suo scopo. Il poeta, non pago di questa esposizione generica, discende al particolare ; ogni’ circostanza, purch’atta a dare risalto all’ azione o al carattere principale , non tocca solo ma calca: e non potendosi senza le idee del luogo, del tempo, e del modo dipinger bene un’ azione qual ch’ ella sia, s'ingegna di porre gli ascol= tanti in quel luogo, in quel Tipo ove il fattosi narra avvenuto, e di far sì ch’ essi credano non già solo di comprenderla ma di vederla, e di sentire nell’ intima coscienza la verità della cosa narrata. Ma perchè nei fatti che furono, queste circostanze , a così dire; vitali dell’azione non si conoscono quasi ‘che mai , perciò è data’ al poeta la facoltà d’idearle: ecco come non ci abbia sì dura legge di poetica verità che non soffra anco un qualche ideale. E questo ideale si cerca dal poeta, pensando profondamente ‘l’azione ch’ è’ vuol de- scrivere; dalle circostanze note deducendo le ignote, e studiando’ la natara degli nomini e delle cose per modo di sciorre il seguente ‘pro- blema, che ad ogni narrazione poetica del passato è necessariamente congiunto: dato a descrivere un fatto, supplir le mancanze dell’isto- ria all’intera pittura della verità, con l’ espressione di tutte quelle circostanze che rendono il vero sensibile ed efficace. Questo problema non si può sciorre ‘senza risalire agli univer- sali; senza indagare quali sien le cagioni in genere che danno moto a certi effetti storici; quali gli effetti che scendono comunemente da continua , adoprerò or l’.una or l’altra ; pregando ‘il lettore d’ intenderle sem- pre unite. E così, quando dico : narrazione d'uù Fatto prego si sottintenda an- che. rappresentazione. APE (6) Poetica Cap. XVII. ai setti bre cata 6 certe istoriche cagioni; quali le circostanze che preparano e rendono più o meno grande, più o men degno di nota uno storico)fatto..Si tratta di descrivere un amore sventurato di donna, innocente, di cui dalla storia io non raccolgo che l’ occasione e l’ effetto ? Dovrò io con la mia imaginazione supplir tutto il resto? Sì, certamente, E sarà questo un ‘alterare la verità ? No: sarà un darle vita, integrità, ed fi ficacia. Ma come potrò io fare, che le fantasie (ch'io. ci aggiungo, alla istorica verità si concordino ? Primamente' studiando a fondo le circostanze dellùogo e del tempo, in cui il fatto addivenne; poi stu - diando l’ umana natura, che con la esperienza ne insegna, in gene, rale; gli effetti d’ un amore sventurato in cor di donna innocente; e questi generali dettami della umana natura applicando a quelle. cir- costanze, ch’ io già conosco , del fatto; e contemperandole .in guisa che n’esca non un caso fittizio (7), ma il vero, qual è. probabile; che sia propriamente avvenuto nel fatto da me tolto a cantare. III. Ecco come la. poesia, per essenza sua; differisca dallistogia. la qual tende a nuvciare il vero , non a. porlo, sott.occhio:, Per; asse, guire quest’ altro fine, è necessarissimo l'ideale; appunto perciò che la storia tutto non dice, nè, può dire, né dee: onde laddove essa tace, non puossi che per congettura supplire, la quale sarà, tanto;più vera, quanto,awrà più dell’ ideale, cioè dell’ universale , le cui regole sona tratte dall’ esperienza, cioè dal fondo dell’ umana natura, L' artificio, poi del vero. poeta sta tatto in iscegliere queste circostanze, ordinarle, non;crearne fuor d’ uopo, non ometterne ave bisognino, a far sensibile il vero; non ripeterle stucchevolmente ,.non dar lora, soperchia i im> portanza (8). ; non opprimere con quelle la storica verità ,, ma far sì i 6 i è fl TOY CE (7) Qui è tutto il nodo. della questione. Senza ideale , chi ’l1 [néga2; non ci ha! puesia, Ma se voi, per (cotesto ideale intendete, un'invenzione, non .hene fondata sulle circostanze del fatto che imprendete a cautare s questo ideale è è non solo inutile alla poesia , ma dannoso generalmente parlando , ma turpe. “Appli- cato alla pratica questo principio , vedrebbesi come il Tasso , l’Alfieri, e tan t'altri avrien potuto meglio assai profittare del loro geniò per darci un* ideale più vero; è men lontano dalla natura degli uomini:e delle cose }'ch’ei presero a rappresentare e descrivere» 4 (8) I moderni sono nel descrivere più prolissi assai che; gli antichi; comu- nemente. E perchè meno efficaci ? perchè prolissi. Questa soperchia esattezza dimostra una certa impotenza di rendere in pochi tratti l’imagine , un certo ti- more di non aver detto abbastanza , ovvero una-certa puerile smania di voler esaurire quel picciolo fonte di bello, e còr tutti i fiori che ci si porgon fra via, La vera potenza poetica si restringe in quelle due parole d’Orazio : ponere. to- tum. Il bello parziale è nulla , se non armonizza col tutto, se non forma una grande unità. Io cito volentieri i consigli degli antichi , per mostrare che que« sti niente hanno di contrario a’ principii che qui proponiamo. eh’essa per loro più netta risalti; non voler tutte le cosé circostan= ziare con pari sottilità; fare in somma a modo de’ pittori che l’;oim- bre adoprano a far vie meglio balzare.la luce, e gli oggetti da riguar- darsi in distanza fan piccioli e scuri, non. perchè tali essi sieno in sè stessi, ma perchè tali sono rispetto agli oggetti, che dobbiam riguar» dare siccome più. prossimi ‘a, noi. Che se' il poeta vorrà» troppo attenersi ora al generico della storia, ora al minuto delle: circostanze particolari, in amendue i casi farà lavoro fastidioso ed inetto :-molto più poi, se le cose importanti ei passerà di leggieri, e le più frivole vorrà esprimere in modo, quasi direi} frastagliato. In altro luogo osservammo che il bello è unità; il centro dunque della unità sia la stessa verità storica; tutto il resto non serva;che a \ dare a queto mag- giore pal/pabilità, se può dirsi, e rilievo. F, si Principalmente, ove trattasi della natara morale ; icui'atti la storia accenna da lungi pur per venire ai civili'e politici effettò che ne conseguettero ; è chiaro a vedere ; immenso ‘essere il campo di- schiuso al poeta:, che pur non voglia ‘tradité” ma solo far chiara ; ed utile; e.piacente l’ istorica verità. Quì ‘poi cade facilmente ‘1’ accon- cio d’ adempiere quel precetto d’ Aristotele (9), che vuole il poeta descriva i fatti, non quali furono , ma quali esser dennò,; ‘che. sa- rebbe assurdo , se a lettera s’intendesse.: Dee bene il poeta:narratore d’un fatto , quando giunge alle circostanze’ morali di quello, far sentire qual esser dovrebbe la bontà ; direi ‘quasi , ideale del fatto : ma non per questo invertere l’ ordine dell'a verità, eaccomodarla @ una morale sua propria , quasi che da‘ogni' grande fattoi istorico'non si potessero , anche senza travolgerlo , trarre e molte e ‘rilevanitissi- me conseguenze morali. E s’ anche Aristotele il contrario ‘dicesse, che non dice , ‘potrebbesi con qualche speranza d’assenso chieder li- cenza di pensare altrimenti. IV. Rimangansi dunque in pace costoro, e non temano che per le novelle dottrine si'venga la poesia ad appareggiare'alla storia. Oso dire, ch’anche voluto, cotesto sarebbe male impossibile : ‘ed‘espor-. ronne il perchè con le parole dello stesso ‘Aristotele (r0) Omnes' 24- dentes nunciant: Non si può quasi nè anche parlando narrare un fat- to, senza giunger qualcosa, non foss’ altro, di schiarimento : or pen- sate , se poetando, Nè io poi farei colpa al poeta, se, quasi indal- gendo a sè stesso , voless’egli , oltre al noto ,.. abbellire alcuna volta un carattere suo prediletto I poeti, .dice. Aristotele (11) in quale (9) Poet. Cap. IX. (10) Cap. XXIV. (10) Ivi, to, parte ch’ e’ sono buoni , vogliono che un personaggio superi tutti gli altri ; cioè si creano un carattere secondo il cuor loro, cui donano quelle affezioni che di loro son proprie: osservazione profonda , e quanto degna di quel sommo ingegno , tanto onorevole all’ animo di colui che ha saputo creare un Adelchi. Chi non perdonerebbe a Vir- gilio l’ anacronismo di Didone : ma che! Sarà vero perciò che non v’ abbia bellezza poetica senza anacronismi? Tutti, chi ben pensa; gli argomenti dei nostri ellenisti si riducono a questo precisamente. E parlando del poema epico , con più particolarità , l’ ottimo consiglio (12) che Aristotele dona al cantore d'una epopea, mostra come acconciamente si, possa, sul fondamento solido dell’istorica ve- rità, elevare. l’ edificio poetico «quanto si voglia sublime. Insegna egli (13), che.il poeta narrando; debba assai luogo lasciare alla parte drammatica , e a’ personaggi che mostra porre sul labbro parole al loro carattere convenienti ; sicchè quali essi sieno: sì raccolga non tanto dalle langherie del poeta , quanto da’ loro stessi discorsi. Que st’ arte da Omero adoprata', che gli meritò da..Platone la lode del primo fra i tragici , è.’ anima delle sue narrazioni : da’moderni ne- gletta, è la causa di quella prolissità, che ne’tratti anche più nobili il leggitore può rare volte ‘al. proprio senso. dissimulare. Codesto me- scere il narrativo al.drammatico,, spezza la monotonia d’ una grave cantilena ; induce varietà, affetto, e vita nel carme; congiunge all’ epiche bellezze le drammatiche, e talor anco, quando ?l si fac- cia con arte,, Je, liriche; finalmente , e quest’ è che più monta ; of= fre mezzi al poeta di far ben sentire quella passione ch'è 1’ anima del suo racconto , ma ch’egli narrando non potria, palesare senza tradir quasi l’epica gravità ; offre campo di far manifesta questa mo rale., ch’ anche da fatto non buono è possibile e tal; volta necessario. ritrarre ; offre infine |’ opportunità di trasfondere. nei caratteri tutto quell’ideale che può mai al fondamento istorico convenire. V. Dalle accennate cose consegue , doversi, due specie distin» guere d’ universali ; l'una senza cui non è vera, poesia ; l’altra che la poesia tutta annienta. Havyi , dico , una specie d’uriversale, che, in- serto nel particolare , lo innalza, lo estende ,. e. fa .che l’anima del- l’ascoltante per brevi gradi d’ idee, da cotesta particolarità passi a; (12) Non si offendano i retori se i detti d’Aristotele io ardisco chiamare consigli , e non come finora si è fatto precetti. Le parole di filosofia e di eterne regole della natura sono parole divine : ma non so poi se I’ applica- zione dì queste regole a’ casi particolari in poesia , spetti inappellabilmente ad nomini , i quali credono essenziale a ben giudicare di versi, il non avesne fatto mai uno. (23) Cap. XXIV. 9 vagheggiare l’ astratto, di cui essa è una prova , un’ applicazione, un emblema. Questo universale è da reputarsi 1’ essenza della poesia vera ; perocchè un singolo oggetto, quale il poeta lo pinge, nulla potrebbe sull’ animo , se non si legasse a una serie quasi infinita d’al- tri simili oggetti, d'altri corrispondenti pensieri, per cui spaziando la fantasia , rafforzata dall’ intelletto , si goda di esercitare la pro- pria potenza. Ognun vede però , che cotesto universale, o ideale che vogliam dirlo , è nullo in tatto , quanto all’ efficacia sua, se non è bene stretto e quasi immedesimato al particolare ; sicchè , per appa- rere sensibile, faccia sola una cosa con quello. Havvi poi l’ altra spe- cie d’ universale, che consiste o nella semplice esposizione d’un idea astratta non applicata ad oggetto veruno; ovvero nella ignuda an- nunciazione d’ un fatto , privato di tutte o di molte almeno di quelle circostanze , che in verità lo dovevano necessariamente precedere , e accompagnarlo , e seguirci. Il primo stile è il filosofico , il secondo l’istorico: onde del primo ben disse lo Stagirita (14): niehte han- no fra sè di commune Omero ed Empedocle, tranne ’l metro: sì che il primo è a chiamarsi poeta vero , l’ altro piuttosto fisiologo che poeta. E quanto al secondo stile, ch’ è l’ istorico , qui cade appunto la giusta condanna d’ Aristotele contro que’ poeti che niente dalla via degli storici si dipartono (15). Ma per dipartirsene, non è già neces- sario capovolgere a bizzarria l’istorica verità , e voler quasi creare una provvidenza suo senno, più sapiente di quella che regna nelle cose mondane, e più atta a dirigere l’ esperienza degli uomini, e a mostrar loro la vera bontà delle azioni, Ed appunto questo solo pen- siero che la smania d' un ideale continuo è quasi una presuntuosa credenza che dalle mondane vicende , quali elle sono , non possa ri- cogliere seme di bontà , ma che bisogni sempre correggere l’ ordine delle cose per renderlo tolerabile, questo solo pensiero, io dicea, ba- sterà ad assennare i meno ostinati. Ma sostenendo la teoria, non vogliamo già noi difensare come ottime certe applicazioni che alla pratica ne furon fatte finora tra noi, Qualche volta l’ istoria fa data senza quell’ universale poetico , che n° è quasi il commento morale; qualch’ altra senza quelle particola- ° rità che ne sono , #° è lecito dire, il commento sensibile. E questo se- condo difetto io credo provenga dal prendere a trattare subbietti, de’ quali il poeta non abbia sperienza verana nè scienza, Le circo- stanze di cose che mai non furono vedute da noi, come mai bene (14) Cap. I. (15) Cop. IX. Io determinarle ; come dipingerle al vivo ? Quand’ io veggo i deserti le battaglie descritte da chi non mosse mai piede fuori del chiostro d’ una molle ed oziosa città ; quando veggo le furie dell’ odio e della vendetta prese a dipingere da un ingegno che ad altra fiamma non fa irraggiato nè arso mai che a quelle dell’amore e dell’ amicizia, io compiango quasi il destino de’ più avventurati fra gli uomini, che ri- nunciano a’ propri diritti, che non voglion conoscere i propri beni, Sarebbe pur tempo oggimai di por modo a cotesta misera smania di trattare passioni non sentite, di dipingere oggetti non noti, di versare in un mondo diverso al tutto da quello che a ‘noi ed ai nostri con- temporanei sta in mente. Il poeta dee aver co’ propri occhi veduto il tipo di sue descrizioni : altrimenti , la narrazion sua sarà forse una, svariata ripetizione delle cose da altri narrate; ma non avrà mai l’ef- ficacia, l’ esattezza, il calore, e quella certa pienezza e libertà, senza cui tutti i carmi son prove più jo meno ingegnose di fanciulli ine- sperti. Sia questo il primo e degno frutto della. rigenerata scienza poetica : tutto ciò ch'è straniero alla cognizione del narratore e al- l’affetto, (sia parte o sia ’l tutto del carme) si lasci. La superiorità degli antichi nel genere descrittivo, in ciò, chi ben pensa, in ciò specialmente è riposta (16). IV. Fin qui del vero, considerato nel tempo passato : seguendo la divisione del greco, verrebbe ora a dire della verità, quale appare. Questa parte riguarda principalmente l’ espressione poetica. La lin- gua formata da uomini , i quali dalle apparenze dovevano giudicare e denominare le cose, per quanto filosofica sia, abbonda sempre di modi non troppo conformi a quelle verità che le fisiche scienze sco persero , volgendo gli anni. Siffatti modi volerli cancellare dalla lin- gua, sarebbe un rendere la favella poetica oscura affatto alla più parte degli uomini : altronde, quelle apparenze che diedero origine a tali espressioni , son quasi tutte nella natura, e però durano ancora ; € proseguono ancora ad illudere quelli che sono d’ una contraria teoria persuasi. Così , benchè 't fisico sappia che non il sole tramonta , ma sì piuttosto la città di Firenze , non vorrà dire perciò e durerà quasi fatica ad imaginare che Îa città di Firenze tramonti. La parte di lin- (16) Da ciò non segue che s’abbiano a rigettare tutte le narrazioni del passato , perciò che il passato non può essere ben conosciuto da noi. Io dissi che il poeta dee aver co’ propri occhi veduto il tipo di sue descrizioni. Questo tipo può esistere ancora. Se non fosse già più, segno che quel tale argomento non è più da trattarsi, perchè più mon si lega con Ie idee del presente. Del resto , a descrivere , p. e. , una battaglia del medio evo , basterebbe 1’ averne potuto vedere una simile ; ma chi di simili non ne vide , farebbe ottima cosa a lasciar di descrivere la battaglia del medio evo. fI gua pertanto, e non è picciola , che si fonda sulle apparenze del vero fisico , dovrà quasi sempre nella poesia ritenersi: appunto perciò che la poesia è imitazione delle cose sensibili , non correzione de?’ sensi, Ma le apparenze false del vero intellettuale e morale, quelle sì che dovranno dalla favella poetica espellersi e disdegnarsi. Quanto poi a quello che tortamente si reputa vero nell’opinio- ne degli uomini; qui cadrebbe a parlare della mitologia; di cui tanto fu detto; che il più ragionarne è un far troppo torto a’saggi, e troppo onore agli sciocchi. Qui solo diremo ciò che ne pensi Ari- stotele (17): De Diis neque dicere licet melius sic, neque vera: sunt. E vuol dire con ciò , che a cotesta miserabile mitologia nè può darsi un grande ideale, nè può congiungersi quella bellezza che viene dalla: semplice verità. La quale sentenza chiaramente dimo+ stra, come: nella verità, qual’ella è, riponesse il filosofo un vero bello. Rispetto all’opinion di coloro , che vogliono la mitologia rite- nuta come linguaggio poetico , e gridano che alla bellezza di que- sto ‘linguaggio -niente s’ è fino ad ora sostituito ; a costoro , poichè non pensano che il linguaggio del falso non può esser mai presso ad anime ragionevoli il degno ornamento del vero; poichè non veggo- no che il linguaggio del canto d’Ugolino e dell’inno a Maria è quel- lo solo che deesi omai al mitologico sustituire: a. costoro, io dico; non faremo più langa risposta. VII. Descrivere le cose possibili è l’altro genere di poesia, dal filosofo annoverato. Ma il suo possibile non è già tolto in quei senso ch’or molti.gli danno: sicchè ne consegua; ogni cosa, per quanto in- verisimigliante, e ridicolosamente meravigliosa ella sia , poter met- tersi in versi, purchè non paia fisicamente impossibile. I nostri poeti, accarezzando la benigna larva di questo ideale, passarono nel cin- quecento con quelle loro fantasiacce strane ogni limite di morale possibilità ; ed accozzando il vero id’opinione col vero possibile, ne fecero tutte qaelle bizzarrie di che l’Orlando Innamorato , il Fa- rioso , il Ricciardetto son pieni, e la stessa' Gerasalemme Liberata non manca. Maghe, stregoni, diavolerie, selve incantate, cavalli ali- geri.; ecco l’ infimo grado dell'opinione: fiere, mostri, avventure incredibilmente bizzarre, viaggi meravigliosi, battaglie di nuovo ge- nere , amori di genere ancor più nuovo, ecco l’ultimo grado della possibilità. Quella che da Aristotele s’intendea , non è altro che il soccorso di tuîte le circostanze da cui è reso credibile, cioè dimo- strato possibile @nfatto. La sua, è la prima e più prossima possibi - lità; non la estrema : questa estrema conduce appunto la smania (177 Cap. XXV, 12 d’un ideale che non ha termine, quando sul vero istorico fondato. non sia. E ardisco dire che la stranezza e la improbabilità diviene quasi carattere necessario a’ poeti, che il fondamento dello storico vero disdegnano: perocchè ad una narrazione tutta imaginaria, non possono eglino dare quella importanza, quella sicurezza, e quel di- rei quasi suggello che il vero storico porta in sè stesso: onde per intertenere il lettore nel vagheggiamento di quelle particolari ima- ginazioni, per distorlo dal senso di quella incertezza e generalità ch’è difetto congenito ai parti meri d’una fantasia, quant’'uom vo- glia possente , è necessario che il poeta ricorra a cotesto mirabile ultimo , che alla fin fine altro non è che lo strano. Così di poemi si fanno romanzi; e quel danno che viene agli animi dalle esagerate imagini, e dagli alterati affetti, viene anco da questo genere di poe- . sia che a null’altro intende che a scuotere senza regola e senza fine. Nè già con questo ideale, che batte gli ultimi limiti del possibile, hassi a confondere quel che così si, nomina ideale antico: che in altro non è riposto , fuorchè nell’ arte di raccogliere in un carattere quanto di simigliante in vari caratteri è sparso, e formarne una per- fezione parziale, la qual per lo più riducevasi alle doti esteriori del- l’uomo. Conviene avere perduto ogni buon lume di retta ragione per non avvedersi che lo splendore dell'antica epopea è tutto debito alla potenza d’ una descrizione creatrice, che a noi per la troppa complicazione delle idee nostre , e per la ritrosia della lingua , fatta omai troppo astratta ed artificiale, rare volte è concesso asseguire. Per mettere un termine a’ molti abusi della poetica creazione, non ci ha miglior mezzo che riguardare al fine vero dell’ arte, ch’ è l’utile morale , e politico ottenuto per lo diletto della imaginazio- ne (18). Posta pertanto ad iscopo de’carmi l’utilità, già son fisse e segnate le vie del diletto. Il vero astratto non dee rivestirsi del vero istorico, che per farlo sensibile; questo sia come il corpo di quello: ogni soggetto, per grande ch’e’ sia, se non porti il germe con sè di veri utili, sarà nulla, Il facitor d’ un poema non cerchi già solo il campo di belle descrizioni, di strane avventure; cerchi l’opportunità d’inculcare que’ veri ch'eternamente importano la felicità del gene- ‘ re umano, Ciò dimenticato, il suo verso, pel volgere degli anni e per l’ampliare della umana ragione, sarà da’più leggieri percorso come (18) Chi pone alla poesia per fine ultimo il diletto, porrebbe volentieri per fine all’ unione conjugale il piacere de’ sensi. L’uso primo dell’ arte, che appo tutti i popoli fu morale, religioso, e politico , indica abbastanza il suo fine. Ma da questa verità seguivebbe troppo chiaro che la più parte deilé mo- derne poesie sono mezzi senza scopo: e però torna bene dissimularla. 13 isteril trastallo, ma da’più saggi guardato con certa fredda stima, mista di sdegno e di compassione. Egli è perciò che a noi parve commendevolissimo il principio di questa rinnovellata letteratura che sorge in Italia; poichè pog- giata sul vero, ella tende per via più diritta e men fallibile a quella utilità che dà sola il vero pregio alle cose. Confessiamo per altro che dal fine vero della poesia, ne’ lor versi, taluno di que’che si son detti romantici vennero deviando, e speriamo che posto giù quel- l'equivoco nome, e preso quello che solo ad essi s’addice d'icaliani, vorranno tutti:concorrere alla vera dignità di quell’arte, che da Dante al Parini; fu quasi sempre ad un ignobile od anche sciocco diletto prostituita vilmente. VIII. E qui nasce questione sulla morale bontà dei caratteri drammatici ed epici; ch’altri li vorria buoni tutti, ed estima con- traria alla morale la rappresentazione del vizio: altri crede che il vizio, rappresentato qual’ è , serva tanto a fare amar la virtù, quan- to la virtù stessa, ritratta a’colori più belli. Siaci permesso scioglie- re la questione con la veneranda autorità d’Aristotele. Incomincia egli dal dire (19), che i grandi poeti le oneste azioni imitavàno, i minori le turpi, facendo questi satire e parodie, come quelli faceva- no inni ed encomii. — Ma pare che intenda qui della lirica , in cui il vituperio ba del vile, perchè passionato; ma non dell’epica, peroc- chè allora lo smentirebbe non foss’altri, il Tersite d’ Omero. Segue il filosofo, definendo l’ epopea (20) imitatio bonorum : e anche qui per salvare il Tersite dell’Iliade e 1’ Iro dell’ Odissea , dovrassi in- tendere che l’ epica imita il bene ed i buoni, in quanto che i prin- cipali caratteri debbono essere più buoni in lor genere che mal- vagi; e questo per onor della specie (21). L’intenzione del filoso- fo appare più chiara là dove dice (22): può essere retta riprensio- me de’ vizii, anche il mostrar pravità ed irragionevolezza: ch’ è un dire: puossi riprendere il vizio, descrivendolo. E ancora (23) : Quanto a ciò che alcun personaggio disse o fece non bene, bisogna badare non solo alla cosa da lui detta o fatta, ma anche a colui che la dice o la fa; quando, come, e perchè ciò dica egli e ciò faccia. Il quale consiglio con l’utilità del vero istorico da noi commendata pie- namente concorda : perchè,insegna le azioni e le parole degli uomini (19) Capi IV. (20) Cap. XV. (21) Buoni, dice il Metastasio , sono, secondo Aristotile, i caratteri o der cattivi 0 ben buoni ; e cattivi non sono che i mediocri. Ma questo filosofo che pone la tragedia per regola dell’ epopea , e che nella tragedia richiede caratteri misti di male e di bene , non potea certo intendere col Metastasio una bontà poetica posta, nell’ eccellenza del male, (22) Cap. XXV. (23) Ivi più sopra. 14 doversi rapportare non ad un vago ideale, ma al tempo ’ al luogo, al carattere di colui che favella o che adopera, t Qui cade anco da esaminare ciò che si dice interesse dramma- tico od epico: cioè, se sia lecito rendere interessante il carattere d’un malvagio, e se sia necessario che in ogni azione descritta ‘0 rappre- sentata si faccia precipuamente piegare l'interesse e l’attenzione per tale o tal personaggio: ch'è quanto dire, se in ogni azione sia essen- ziale l’avere un protagonista. Quanto alla prima dimanda, egli è fa- cile a vedere, che un carattere semplicemente malvagio non può as- solutamente essere interessante se non per l’odio ch’ egli eccita: il dubbio è in que’caratteri misti di bene e di male, onde avviene che questo appanni la luce di quello , o quello abbellisca la tarpezza di questo. Dovrem noi allora alterare il vero, tacendo , a cagione d’e- sempio, le qualità ree di tal personaggio , e pingendo sole le buone, o all’opposito? Ove si tratti di vizii accidentali all’azione e piccoli, di virtù essenziali e grandi; ovvero di virtù accidentali e piccole, di vizii grandi e essenziali , io credo bene che l’accidentale e il minuto si possa omettere, e dar del carattere ciò solo che più monta all'ao- po. Ma quando il misto del bene e del male sia così fatto ch’entri nella natura dell’uomo e nel corso delle azioni sue per modo indivi» sibile, allora non resta che o abbandonare il soggetto, e così chiu- dere quella fonte d’insegnamento che viene dalla conoscenza delle umane cose quali per ordinario elle sono, cioè miste di male e di bene, ovvero rispettare la storica verità , e tratteggiare un quadro difficile ma efficace. Quello che sopra ogni cosa io reputo rilevante, si è l’arte rara e sublimissima di temperare per modo le buone parti e leree di cotai personaggi , che dubbio non sorga nell’ animo del lettore sul giudizio da farsene, che le lor buone azioni non si cre- dano effetto delle ree loro qualità, e viceversa ; che questa mistura di male e di bene non induca indifferenza e. disprezzo; che da que- sto carattere così svariato esca chiara, facile, ed importante una con- seguenza di vero morale e pratico; senza che tutta l’arte sarà un va+ no sforzo d’ingegno , simile all’ opera di colui che cacciaya granella fuor per la cruna. Bisogna sopra tutto pensare che il poeta , per na- tura dell’ufficio suo, è l’interpetre de’bisogni communi, il consiglie» re delle azioni dei più (24) : orale menti de’più non son tali, che po- (24) Aristotele dice che la drammatica è fatta pel popolo, 1° epica per la parte più culta ( cap. ult. ). Omero è da credere che non la pensasse così. Il canto epico può divenire assai più popplate del tragico, in quanto che può appararsi e ripetersi dal popolo istesso, più facilmente , e eon più d' opportu- nità che non l’altroy 19 stà iù retta bilancia; quindi la virtù, quinci il vizio, sappiano far des gua ragione di quel chè soverchia, e. gli effetti tribuire alle giuste loro cagioni ; e gli atti'a’ veri lor fini. Il poeta dee pertanto supplire ‘al difetto; mostrando la cosa in modo che l’opinione dell’ ascoltante da sè medesima si faccia quasi naturalmente: dee insegnare morale, poetando , come Socrate , esemplificando, insegnava filosofia. Quel proporre audacemente un'azione od un carattere equivoco, e abban, donarne intero il giudicio all’ incerto lettore, parmi grave difetto dei drammi storici; ma facilmente evitabile: chè a determinare il giudi- cio non è già necessario che nella descrizione o nella rappresenta- ‘zione del fatto l’autore c’intruda le proprie opinioni, ed offenda così la natura e la convenienza: basta che dal contrasto delle forze ope- ranti, (contrasto senza cui non è nè poesià, nè attenzione, nè azione grande ), risulti evidente e distinto l’effetto e la causa del bene e del male operato. Così nell’ urto de’corpi le forze eguali s’elidono, e la maggiore sospinge il corpo nella sua direzione : la forza minore non fece che scemare il movimento di questa, non l’ha però annullato, e molto meno fatto ambiguo alla vista. Ed appunto, allorchè dal contrasto del bene e del male, l’effetto epico o tragico, sia d’ un ca- rattere, sia dell’intera azione , è annullato ; segno è che quello non era carattere, non era azione da scersi. Non si appongano dunque a colpa del principio le applicazioni non rette o i non prosperi eventi. IX. Si dimanda ancora se verso un carattere più malvagio che buono sia lecito far inclinare la pietà del leggente. Certo che l’ama- na debolezza n'è paga: e n’abbiam prova la Francesca, la Didone, il Saule. Pare in certa guisa che i buoni non abbian bisogno della no- stra pietà; che l’interna loro grandezza li renda inacessibili alla vera sventura; che sarebbe un offendere la virtù il compiangere gli effetti quasi necessarii di quella, e gli accrescimenti che a lei vengono dal dolore e dalla umiliazione: ne’ rei all’incontro, si divide il malvagio dall’ uomo; nell’ uomo si compiange sè stesso , nel malvagio non sen- tesi che la pena, la quale appar quasi sempre se non più grande, al- men più sensibile del Reosto: si gode quasi poter riposare il pensiero sopra una idea trista sì, ma che tempra’ il ribrezzo eccitato dalla contemplazione della reità nuda e inulta. Così l’animo si avvezza a guardare il male istesso con qualche parzialità: l’ affezione destata dal senso della sventura si porta sul reo sventurato: i giudicii a poco a poco si vengono-disordinando; e si cerca piuttosto lo spettacolo di colpa la qual mova le lacrime, che non di virtù la qual tenda l’animo ad una per lo più sterile e rade volte piacevole ammirazione. Ma il vero poeta disprezzerà questa specie illegitima d' interesse: farà me- ritevoli di compianto sole quelle colpe che sono coperte da maggiorà # 16 virtù , troverà l’ arte di mmovere la più profonda compassione in fa- vore della virtù medesima, ponendola o nèl pericolo di tradire sè stessa, o nel contatto del vizio trionfatore, ch’è sempre uno spetta- colo instrattivo, perchè non può non essere ributtante. E se il poeta non seppe renderlo tale, segno è che non volle o non potè dimostrar questo vizio co’ suoi veri colori , perocchè , certo , il vizio , dipinto qual’ è, non può destare nè pietà, benchè misero , nè invidia benchè fortunato. Sotto l’ aspetto del fine morale può anco riguardarsi il muta- mento d’uno stesso carattere nel corso dell’ azione: di che breve- mente diremo, che se’l mutamento sarà operato di modo che non giunga nè repugnante a ragione, nè al tutto inaspettato, nè rivolti, a dir quasi, l’anima dell’ ascoltante; ma che da principio se ne veggano i germi e si conoscano quasi in complesso tutte le tracce di quel di- segno che per la forza delle circostanze dovrassi poscia esplicare ; se in somma, dipingendo siffatti caratteri, si saprà seguir fedelmente il vero ordine della natura, che mai non procede per salti, cotesto ge- nere di catastrofi intermedie (25) sarà tollerabile , e fonte sincera di vero morale diletto. Ma egli è poi tanto difficile segnare tutti i passi che l’ animo umano fa per cangiar tempera e voglie ; tanto è difficile l’ entrare addentro nei penetrali dello spirito e far percettibili le me- nome gradazioni della volontà , che l'impresa non è da tentare che a vochi, e sommi, e assai rado. Nè anche allora si potrà mai asseguire l’ intento, se non se mostrando già molto avviata nell’animo la nuova disposizione contraria all’antica: chi facesse altrimenti potrebbe con altri pregi cuoprire il difetto, ma non certamente ammendarlo. X. Traendo dal fine vero dell’ arte le regole dell’ arte stessa, si sciolgono alcune questioni che la pedanteria ha complicate mirabil- mente. Rimane per noi quella dell’unico protagonista: quistione equi- voca, che non si solve se non dividesi in due. O per protagonista in- (25) Dico, catastrofi intermedie , adoprando il vocabolo nel suo senso origi- nale di rivo/gimento. L’ abuso della parola ha inserta nei più una falsissima idea della cosa. Le catastrofi sì voglion sempre alla fine del dramma o lì presso alla fine: quasi che un grande rivolgimento d’eventi e d' afletti non potesse farsi al bel mezzo del dramma , senza che l’azione perciò perda punto d'interesse e di for- za. Parmi che il poeta, facendosi quasi una legge di riservare la catastrofe all’ul- timo , e credendo così di servire alla curiosità , tolga affatto a sè medesimo quel ge» nere di profonda bellezza che viene dal poter calcare sopra un sentimento estremo , trattandolo da più lati , senza distruggerlo , uè menomarlo. Alla sanzione canonica della voce catastrofe , noi dobbiamo questo beneficio: e se tutte le voci canoniche si riducessero al vero lor senso , si vedria bene quanto d’ arbitrario e di falso si sia compiaciuto la pedanteria di cacciar nelle regole, col pretesto di porre un freno agli abusi della fantasia e dell'ingegno. \ 17 tendiamo quel personaggio da cui pende l’azione, o quello a cui ?1 leggente e lo spettatore rivolge l’attenzione e l’affezion sua special- mente. Il personaggio prediletto dall’ uditore può essere secondario nello sviluppo e nel riescimento del fatto; il personaggio, cui è come attaccato il destin dell’azione, può essere di nessuno interesse nel- l’ animo del lettore. Talvolta nel personaggio principale s'aduna e la somma azione e la somma affezione; ma allora avviene assai spesso che l’ uno interesse noccia all’ altro, perchè le affezioni più grandi sono passive, e non ben si convengono con la forza e con la vivacità del- l’azione. Ecco perchè tutti i drammi e i poemi di molto intreccio non vanno al core: ecco perchè, quando trattasi di eccitar passione, i più valenti poeti, e drammatici ed epici, non mostrano che l’umanità sof- ferente o già prossima a sofferire. Da questo ognun vede che i personaggi principali, in un azione, possono esser più d’ uno; e così vuole assai spesso la natura medesima delle cose. Ma puovvi esser uno che a tatti sovrasti, senza nuocere punto all’ interesse degli altri? Può certamente. È egli necessario quest’ uno? Non pare. L” unità dell’ azione non è certo attaccata al- l’unità personale: se io pingo le vicende d’un uomo, il protagonista l’ ho già dal subbietto ; se pingo un fatto , ove molti uomini ebbono parte principale , non potrò unizzare il soggetto senza smozzicare i fatti, sconvolgerlì , disnaturarli. In Achille, in Ulisse, in Enea, in Edipo , in Prometeo, in Medea, il protagonista è già chiesto e dato dal fatto; ma nella Crociata ? Ma nell’Adelchi (26) ? Mi si risponderà che soggetti non suscettivi di protagonista non sono nè tragici nè epi- ci: io dirò che son forse più tragici e più epici che tutt’ altri; perchè dalla varietà delle cose e delle persone, esce più vasta e più dilettosa l’ armonia della grande unità dell’azione. Questa è l’unità necessaria; ove questa manchi, o non sia dal poeta fatta sentire, ivi è guazzabu- glio e discordia; non consonanza e bellezza. Quello poi ch’oltre l’uni- tà dell’azione è ad ogni epico o tragico lavoro essenziale si è l’interesse dell’affetto, che deve spiegarsi per un degli attori e per una delle par- ti qualsia. Se il soggetto non soffre questo interesse spiegato, non è soggetto poetico, perchè non dà che caratteri dimezzati, caratteri am - bigui(27). » ‘ (26) Il Tasso ci ha dato un protagonista che gli aveva negato la storia; e in un’ azione , il cui principale carattere si era il non sofferire protagonista. Questa unità materiale è smentita dal modo stesso , con cui la pone in opera il Tasso. Al sommo duce Goffredo i crociati obbediscono , quando vogliono : non valeva la pe- ma di creare un duce per questo , e crearlo con l’intervento del Padre Eterno, del- l Angelo Gabrielle , e dello Spirito Santo. (27) Potrebbe avvenire che nessun personaggio ispirasse un affetto puro è pie« T. XXIV. Ottobre. 2 18 XI. L’indefinita licenza a che trasse l’ idea del possibile poetico alcuni de’ nostri,ciha naturalmente condottia parlare del fine dell’ar- te, siccome regolo dell’arte stessa. Quinci prendemmo occasione a risolvere, in passando, taluna di quelle quistioni che con la sola auto- rità si decisero insin ad ora. Ma taluno è che appunto dal fine del- l’arte prendendo a guardare l’ideale poetico , dice, che un animale perfettibile com' è l’ uomo, ama vedere in ciò che gli vien posto di- nanzi, forme il più possibile monde di vizi e perfette : dice che nei caratteri storici non essendo cotesta ideal perfezione , il poeta dovrà rimpastarli, appurarli, farne personaggi al tutto ideali: dice all’ ulti- mo che siffatto ideale non è ripugnante al vero , anzi è il tipo del vero stesso. 1 Havvi in questi ragionamenti assai cose d’ irrepugnabili; hav- vene altre che da retti principii non rettamente conseguono, Di- chiariamo. Il vero può riguardarsi materialmente in tale o tal fatto ; e può riguardarsi in sè stesso , cioè come vero assoluto ed astratto. Nel pri- mo caso ; limitato dalle circostanze , esso non è mai perfetto ; nel se- condo , è un’ imagine nobilissima sì , ma impossibile a vagheggiarsi aereamente da uomo mortale; imagine che non può farsi concreta senza che perda più o meno di sua sublimità primitiva. Il vero astratto è più perfetto del concreto , ma quello nun puossi esprimere dal poeta, se a questo non s’applica : ora io posso applicarlo in due modi : prendendo un fatto storico , in cui molto ei abbia di quel- l’ astratto ideale ch’ io ho nella mente , e riempiendo i vuoti che re- stano dalla storia con quell’istesso ideale: ovvero; imaginando da me medesimo un fatto , a cui possa convenir l’ ideale da me precon - cetto. Fra questi due modi, che sono gli estremi, havvene d’ inter- medii infiniti: vale a dire, il poeta può mescere l’imaginario allo storico in più o meno gradi secondochè il suo soggetto o il popolo el quale egli parla più ne abbisogna o meno. Per bene intendere questa dichiarazione, bisogna distendersi un poco nella considerazione di questo che noi diciam vero astratto e vero concreto. Noi dicemmo che il vero concreto è limitato sempre dalle cir- costanze e non può essere mai perfetto. Imaginiamo la perfezione più pura che sia , poi mettiamola in atto, o pure tentiamo d°’ espri- merla ; e vedremo che questa idea astratta di perfezione non si potrà interamente asseguire ; vedremo che la natura finita delle cose, più nu, e che da questo vuoto medesimo uscisse chiara una gran conseguenza morale © politica. Ma il caso è assai raro ; ed è difficile che alle menti dei più la conseguen- za sia chiara, 19 stretta deì limiti di nostra mente , la circoscriverà da ogni parte ; ve- dremo per conseguente che qualsiasi carattere per quanto eccellente 8’ imagivi, posto in azione, dovrà pur essere da qualche lato imper- fetto. Ciò posto, ognun sente, che questo ideale, di che si fa tanta pompa , quando sta nella mente dell’ uomo , è divino dono, e nobi- lissima dote dell’ umana ragione; ma quando voglia applicarsi agli oggetti, diventa relativo alla grandezza di quelli : qual più n’ è ca- pace , qual meno ; ma se a quello che n° è il men capace noi vorremo donarne di più , noi cadremo nell’ improbabile , nell’ assurdo , e più spesso assai nel ridicolo, ch'è il vendicatore d’ ogni affettata grandez- za. E questo non solo nell’ imitazione poetica, ma è nelle azioni pra- tiche della vita. XII. Rappresentando adunque le azioni umane come più o men capaci di questo sublime ideale, noi ne avremo di quelle che molto vi si avvicinano, ne avrem di quelle che se ne sco- stano assai. Quanto più dell’ ideale terranno, tanto elle saran più poetiche ; e così per contrario. Avanti adunque di creare un con- creto imaginario che s’ appressi al mio astratto ideale, sarà bene il cercare se ci abbia un concreto reale che ci si appressi, E sarà certo impossibile ch'io nol trovi (28). La storia presenta moltissime azioni, che vincono, direi quasi , il desiderio della umana perfettibilità : tratteggiando i caratteri corrispondenti a siffatte azioni, io avrò con- ciliato il vero astratto col vero concreto ; avrò dunque ottenuto due vantaggi ad un punto. Primamevte avrò risparmiata a me stesso la fatica inutile di creare un’ azione imaginaria , la quale all’altimo non sarebbe stata mai così férma , così precisa , così circostanziata, ch’ è quanto a dire così poetica, com'è il fatto che mi presenta la storia. Se- condamente , avrò aiutata la fantasia de’ miei leggitori con la memo- ria, avrò fondata la lezione morale ch’ io voglio poetando dar loro, l’avrò , dico , fondata su cosa già nota , o degna almen d’esserlo : e se la storia , come dovrebbe sempre essere, sarà storia patria , io li avrò doppiamente toccati e commossi. L’ errore di molti è nel cre- dere che ci sia una perfezione ideale, la qual possa darsi pratica- mente a un carattere, e la qual non sia nei caratteri che ci presenta la storia. Havvi , ripetiamolo , nella mente dell’ uomo un’ idea del perfetto , certamente maggiore che nelle azioni di lui; ma siffatta idea quando s’ applica a’ fatti non è punto maggiore di quella perfe- (28) Non è già che noi crediamo, dovere il poeta prima imaginare un modello di aziove, poi trovare un fatto a cui questo modello convenga. L' ispirazione del fatto dee essere quella che faccia salire l'ingegno poetico dal concreto all’astratto, dallo storico all’ideale : e ciò prova sempre più come il sistema della poesia istorica segua meglio la natura e i bisogni della poetiea inspirazione. 20 zione ; di cui la storia offre esempli non pochi. Io vo' dire ché non c’è atto d’ amore , di magnanimità , di pietà , d’ amicizia , di cui la sto- ria non dia tai modelli che agguagliano quanto di più grande può l’uomo imaginando creare. Or se ciò si concede, tutti questi argo- menti fondati sulla necessità d’an ideale, svaniscono : e tutto il di- fetto della poesia storica, consisterà o nell’ avere servilmente se- guito non solo i fatti, ma il metodo storico, o nell'aver male scelto il suo tema. Quell’ideale che voi cercate in carattere, è nella storica già in atto: basta che voi a quell’atto facciate cor- rispondente l’ intero carattere: ed ecco un personaggio tutto in- sieme , tutto storico ed ideale: storico, perchè tutti i fatti che si sanno di lui , li traeste voi già dalla storia : ideale, perchè tutto ciò che mancava per ispiegare, preparare, mostrare nella sua piena luce l’ azione di quel personaggio, voi l’avete supplito , ricorrendo per ciò fare a quel tipo astratto , che sotto di sè comprende tutti i fatti ‘possibili d’un genere stesso. Ancora una volta: un carattere tutto storico, e niente ideale , non è possibile a darsi; perchè la storia non rappresenta il carattere, solo ne annuncia gli effetti ; e per ispiega- ; preparare , render sensibili questi effetti, bisogna necessaria- mente ricorrere all’ideale. Tatta la questione pertanto riducesi a questo : gli uni sull’ esempio del Tasso vogliono tutto o quasi tutto ideale, e per servire a questo non temono inutilmente contraddire alla verità, od alterarla, od almeno , con l’ Alfieri non curano di profittarne: gli altri vogliono il più possibile storico, perchè la storia è verità ferma , e può essere verità nazionale. Omero il pit- tore delle greche memorie , Eschile il ‘guerriero che ha tragediata la propria vittoria , Pindaro il lirico narratore , con l’ autorità loro bi- lanciano i nomi dell’ Alfieri, e del Tasso. La mitologia stessa era tutta allora tradizione , cioè parte viva di storia popolare ; e chi nella mitologia riconosce quell’ ideale ch’ oggi è imaginato da molti , co- stui lasci di leggere classici , e non venga a ragionare di versi. - II. Nè per questo si niega che il mero storico non sia un vero, a dircosì, materiale: eche siccome a formare l’edificio bisogna saper be- ne scegliere i materiali, e scelti ordinarli, così non ogni soggetto sto- rico è degno de’ poetici adornamenti. Se ogni poesia , dice ottima- mente il Metastasio, è imitazione, non ogni imitazione è poesia, L’ utile vero e grande che dal materiale storico viene alla forma poe- tica , si è la solidità e l’ importanza ch’ ha in sè, non già solo la for- ma, ma anche ogni menoma particella della materia : dove per con- tro, nel sistema dell’ ideale , che come ora s’ intende , meglio direb - besi del fittizio, il poeta dee non solo creare la forma, ma la materia istessa , nè può crearla, se non ricogliendone in quà e in là quasi mi- 2I nati frastagli , che formano un tatto difficile ad esser uno. Nè si cre- da eludere l'argomento, concedendo che possa il poeta anzi debba trarre i subbietti suoi dalla storia. Non basta solo il soggetto, ma tutte quelle circostanze che al soggetto dan vita. Questo chieggiamo ; questo è che il Tasso, e l’ Alfieri e tanti altri hanno negato col fatto; questo concesso , la questione è finita, Ben veggo che la parola ideale induce in molti quella stessa il- fusione, che in altri la voce classico, Come, dirà taluno , come potrà esser mai tolerabile un principio che esclude dalla poesia il bello sommo ch' è il bello ideale ? Non lo esclude: lo rende anzi più solido, più coerente a sè stesso. Lasciamo i vantaggi che dalle circostanze istoriche può ritrarre il poeta, chieggiamo che a quelle diasi almen prezzo , siccome a mezzi d’ evitare i difetti dell’improbabile e dell’as- surdo. Bisogna bad are almeno che questo ideale, poichè l’ applicate ad un Fatta; non ripugni al reale, e che non si dipingano in un luogo, in un tempo caratteri a quel luogo, a quel tempo discon- venienti. { La grande obbiezione solita a farsi si trae dall’esempio dell’ideale pittorico, e si dice: essere tra la poesia ideale e la storica quella stessa differenza ch’ è tra il fare rafaellesco e ’1 fiammingo. S'anche igno- rassimo ; molte delle figure rafaellesche essere state ritratte dal ve- ro, basterebbe rispondere che ci ha e ci ebbe sempre tali bellezze reali da pareggiare le rafaellesche, che non potendo il pittore nel breve circuito d’ una città, nè talvolta d’un regno (29) trovare esemplari che l’appaghino , dee imaginarli, mettendo insieme le sparse bellezze, e accogliendole in una: ma del poeta èaltri- menti. Modelli del perfetto ne’varii generi di bontà e di grandezza, nella storia egli ne ha di soverchio. Non basta. Il reale della bellezza fisica è già dato intero dalla natura , onde il pittore che ritrarla vo- lesse dovrebbe ritrarla intera. E perché tutt’intera una bellezza per- fetta è impossibile a ritrovare /e sarebb’ impossibile a dipingere ), perciò l’ artista è costretto a raccogliere, come dicemmo, le bel- lezze disperse, non per toccare la perfezione , ‘ ma pure per appres- sarlesi. Non così del poeta. Un intero carattere dalla storia ei non 1’ ha : dalla storia non ha che azioni ; or volendo delineare un carat- tere corrispondente alla grandezza di queste azioni, bisogna bene che in massima parte lo' crei. Non si opponga più danque cotesto ideale pittorico, che la comparazione non regge ; e si hoti piuttosto quella parola : /a fisica bellezza perfette non solo è CAPOISiVAIE ari. (29) Della scarsezza di modelli lamientasi appuniò Raffaello, i in una” lettera che di lui ne rimane. ì 22 trovare , ma è impossibile ancora a dipingere. In questa sola parte il paragone s’accorda. Un carattere perfetto, qual'è nella mente dell’ uomo, non si troverà mai non solo nella storia , ma neppur nei poemi di que’ che seguirono questo beato raggio dell’ ideale : non si apponga adunque alla storia una colpa che a tutte le umane cose è comune. XIV. Già concedemmo che un qualche carattere dalla storia non dato possa talvolta esser lecito alla poesia: ma da ciò verrà forse che tutto il poema sia fondato nel vano ? Che tatti quasii personaggi, co- m' è nel Tasso , sieno alterati per amore del meglio? Chi vuol inse- gnare una perfezione più alta di quella che comporta il suo tema, scelga un tema più grande, ma non sacrifichi ad ogni tratto la verità ad un idea del perfetto, che non è sempre nè la più etica, nè la più estetica che creare si possa ; ma rispetti almeno la verisimiglianza; e fondi i suoi caratteri sulla stampa de’ luoghi e de’ tempi, non su quella della propria fantasia , vaga , incerta , e ch’ io direi più gene- rica che generale. Quest'ultimo cenno indicherà a’ben veggenti come l’ideale imagi- nario sovente possa nuocere a quel verisimile di ragione, in cui chiun- que offende , offende la cunvenienza e il buon senso. Aggiungerò che la storia, non che nuocere a questo che tante volte n’è forza nomare ideale poetico , n° è l’ampliatrice ela perfezionatrice più vera: L’idee che l’ umana mente si fa delle cose, son sempre proporzionate e con- formi alle sue cognizioni. Questa verità è già pur troppo dimostrata dall'esperienza : ond’è che anche i poeti sono naturalmente inclinati a imaginare le andate cose a quel modo ch’ei concepiscono le pre- senti ; e che questa perfezione ideale non è per lo più, specialmente ne' tempi moderni , che una misera enunciazione delle idee vaghe, improprie , imperfette dal poeta formate sull’eroismo, ovver sul- l’amore. Per attingere adunque la vera imagine del perfetto, per armonizzarla co’ tempi , per donare al tutto il carattere più evidente che sia possibile della credibilità , miglior mezzo non hassi che pro- fittare dei dati positivi che ci presenta la storia. Perocchè le idee generali, non essendo che l’aggregato delle particolari, trascelte secondo una loro relazione di simiglianza qual sia , quanto più cre- sce il numero delle particolari, tant'è più facile, e giusta e grande, la generale che viensi a comporre. Ond’ è che in una mente ignara ed inesperta di tutte le positive cognizioni, il perfetto ideale sarà men poetico dello storico positivo. Ci ha più. Tanto è lungi la storia dall’essere fonte di poesia pro- saica , che omai senza il materiale storico il più largo fonte di poesia si esaurisce. Il sommo ideale perfetto inogni genere è un solo. Que- 23 sto una volta adombrato, il tema non sarà più poetico, se non si venga a quelle graduazioni di caratteri che sola ci offre la storia; e che 1’ ingegno, oso dire, non potria imaginare. Sicchè , concessa anche indefinita la facoltà di cotesto ideale, non si verrebbe a concedere che la facoltà d’ una sola creazione in ogni carattere ; il resto sa- rebbe imitazione inetissima ; ed ecco come si spiega , perchè l’ Ita- lia, dal sorgere delle nuove lettere , sia stata sempre appestata da imitatori. Noi qui non citeremo la eccellente lettera di A. Manzoni, ove mostra come serva la storia alla poesia , senza punto soemare i diritti della fantasia creatrice ; non riporteremo l’ autorità del Gravina, il più filosofo de’ nostri precettisti, ove combatte il Castelvetro che vuole i caratteri epici tutti perfetti: non ripeteremo tutto ciò che della poesia del vero già disse il Marmontel, il quale ove parla di mi- tologia e di certa invenzione che non sa definire, per nostra buona ventura non fa che contraddire a sè stesso (30). Ma queste cose ci par- ve necessario preporre ad una più generale disamina del poema del Grossi , acciocchè non si volesse condannare il poema di lui, perciò solo ch’ è storico , ma piuttosto si conoscessero e i pregi che ei debbe al sistema adottato , e i difetti che vengono da una applicazione non sempre retta e felice di cosifatto sistema. Or veniamo a considerar più da presso questo grande lavoro ; e perchè la via meno incerta , meno inutile , e meno ingiusta di esporre il proprio sentimento intor- no ad un opera d’ ingegno , è il discendere ai particolari e additare segnatamente quel che sembra difetto, questa terremo , scorrendo i primi cinque canti per modo ch’ altri col metodo stesso possa far leg- germente ragione del resto. Canto I. Ogni spettacolo degli umani errori, per meritare l’ono- re slella poetica dipintura, dee portar seco una qualche grande le- zione, ed utile all’ uomo. Il poema del Grossi incomincia dalla de- serizion d’ un esercito che precipita giù da un’ altara più stupida- mente che;mandra di pecore. La descrizione è assai viva, e , tranne i difetti della elocuzione , bellissima; ma il soggetto tiene tanto del vile e del pecoresco, che ruba l’attenzion del lettore ai molti artificii del valente poeta. La narrazione medesima in qualchelnogo ci parve imperfetta. Il lettore dimanda a sè stesso , come mai tanto esercito, (30) Mi si opporrà forse l’ esempio della commedia. Ma quivi s’ inventa il fatto, perchè si tratta d’ imitazione di cose presenti. S' inventa il fatto, ma se non si sta nei confini del vero, la commedia riesce o d'un romanzesco ridicolo, o d’ una scurrilità insopportabile : s’inventa il fatto, ma in questa invenzione l’ ideale, quale or s’ intende, non entra: perchè nè il sommo-bene, nè il sommo male, e nemmeno , oso dire ; il sommo ridicolo., è comico. 24 giunto a un declivio che metta in un baratro, non ritrovi per sì gran tempo la forza nè 1’ arte di sostenersi: a sciorre questa dimanda , non basta il dire: x Nè volendo stornar da quella traccia La schiera che di fronte gli si mostra. Nè anche l’ aggiungere ; Ma vien la folla e sì li calca e preme Che tutti spinge al duro passo insieme. E così cessata la foga de’ precipitanti, non si sa come, il poeta accenna quest’ idea , che qui diventa importantissima , con un verso, che nulla dice : Finchè il lontano urtar non si contenne. Questi poveri Crociati ne si presentano nell’aspetto il più vile che imaginare si possa ; e il poco di scusa che lor verrebbe dal non aver saputo prevedere quel pecoresco capitombolo, ci è taciuto. Non è per altro chi non debba lodare la maestria con che quella caduta è descritta , e dapprincipio quel baratro : se non che i difetti, come altrove si notò, dello stile, distraggono il leggitore dall’ ammirar la bellezza , talvolta mirabile , della pittara. Quel cortèo di Giselda ha non so che di solenne che tien del ri- dicolo : l’impedimento di quel cammello è una disgrazia, o, a dir meglio , una goffaggine di più, che si poteva lasciare. La caduta di Gulfiero vel baratro , è vivissimamente descritta, ma pecca d’ inve- risimiglianza , accresciuta poi dal vedere che Gulfiero è nell’acque d’ un rovinoso torrente , e che Pagano frattanto corre di su di giù per le sabbie della Va'lea , poi si gitta nell'acqua , pone un nodo scorsojo al ramo cui Gulfiero si apprende; tira , e il ramo non cede; raddoppia lo sforzo , e il povero annegato obedisce. Troppo lungo lavoro ; cui poi non risponde quello che segue ; perchè Gulfiero dal- l’affogamento rinviene di per sè, senza cura che Pagano gli presti. L’ idea di tagliare il ramo che sta fra le dita rattratte dell’ anne- gato , è naturale e bella : naturale la gioja dell’ esule in vedere nel- l’antro suo un longobardo; quantunque ei s’ esageri la soavità del colloquio con parole un po troppo liriche: difetto in questo poema non raro. D'una dolcezza cui null’ altra è pari Il purissimo fonte gli fia schiuso. La descrizione dell’ antro e del rinvenir di Gulfiero ci pare assai bella: ma quell’ armeno è una brutta ed insignificante figura ; quella sua narrazione è mal fatta ; quel suo figlio ammazzato non importa niente al lettore. Voler rendere interessanti da qualche lato tutti i 25 personaggi che si mostrano nell’ azione, può essere talvolta affettato ed incomodo. La provvigione che Pagano destina a Galfiero per via, ci par co- sa naturale e non degna del riso che di qualche imbecille. Diremo in genere che questo primo canto non altro contenendo, fuorchè il ruinar dell’esercito , la caduta di Gulfiero, e il suo salvamento, è vuoto di cose; che l'amor del descrivere trae sem pre in lungo il no- stro poeta; e che le bellezze; fosser anche continue d’una narrazione prolissa e minuta, non difendono il lettore da certa sazietà che i men pratici fanno sorella alla noia. Canto II. Narra Gulfiero a Pagano il passaggio dell’armi crocia- te : comincia dal descrivere in quasi sessanta versi lo stato di Terra Santa, e il compianto che se ne faceva in Italia. Bello è quell’atte- stare d’aver veduto egli stesso Pier l’Eremita ; ma la parlata di que- sto poteva fors’essere più eloquente. Quello stracciare ch’ei fa il pro- prio sajo, facendolo in tante croci, la storia , se non erro, cel narra di san Bernardo : e così storiche sono le voci del popolo: Zddio lo vuole; Iddio lo vuole. La conversione di Reginaldo, fratel di Gulfie- ro, è poetica e bella: basso ci pare quel che segue: ma la partenza di Arvino, di Giselda, di Gulfiero ci pare cosa affettuosissima, e de- gna di somma lode. Il viaggio è descritto minutamente; e sebbene così voglia l’indole di viaggiatori inesperti, pure alcune circostanze si potevano omettere, come : Spleudea la notte prodigiosamente, Gli eccessi de’crociati in Grecia, la decadata autorità dell’eremi- ta si narrano in modo troppo generico per essere poesia, e troppo pre - ciso per non eccitare un disprezzo amaro ed imutile. L’apostasia di Re- ginaldo è troppo leggermente toccata, ed è troppo vicina alla sua con- versione. Goffredo ci è qui dipinto assai più vantaggiosamente d’Ar- vino, e questo è contrario al fine, o buono o no, del poeta. Lo sbarco degli scozzesi è vivamente descritto. La presa di Nicea è troppo sto- rica, e non fa sull’animo nè sulla fantasia del lettore, im pressione nessuna. Questo crediamo che sia difetto. i CanTO HI. Il principio di questo canto ci pare assai bello, e de- gno di qualsia grande poeta: non così quel dormire, quel sognare , quello scuotersi dell’armeno vil servo , e come il Grossi ne dice, ab - bietto e feroce. Le commissioni che dà Pagano a costui si poteano accorciare e nobilitar dello stile. Il nome di Gulfiero ch’esce a Paga- no di bocca, svelando parte del secreto, prepara lo scioglimento; ma la meraviglia di Galfiero in sentirsi nomato, non s’apre con nes- suna interrogazione: cosa che non par naturale. Entrati in via, l'armeno racconta quello che sa di Pagano: il 26 carattere di costui, commisto della pietà e della ferocia de’ tempi è tratteggiato assai bene: se non che qualcuno de’suoi pregiudicii si po- tea risparmiare od almeno espor meglio. I suoi viaggi paiono molti- plicati senza necessità, e la narrazione n'è arida. Dopo le cose che di lui si sanno non par troppo detto in sul serio: Che da madri, da vergini, e da spose Assediata ognor la grotta avea. Del fuggir ch'egli fa da codesta grotta per aver vedata una donna che gli rammentava colei ch’egli amò reamente, non è resa evidente ragione, e pochi sono che vogliano indovinarla. Coloro, che vedendolo andarsene, ferman d’ucciderlo, per tenersi le reliquie del ‘Santo, fanno atto degno de’tempi, ma che non ispira al lettore altro senso che di amara compassione o di più amaro disprezzo. Non son questi gli affetti che debba eccitare la poesia. Quel feroce odio di Pagano contro gl’ infedeli, que’ rimorsi , quel furto d’una ciocca del Santo, ritraggono il suo carattere al vivo ; ma per ritrarre un carat. tere non dovrebb’essere necessario spendere un canto. CANTO IV. La topografia d'Antiochia a taluno parrà troppo lan- ga. Il passaggio di Gulfiero pel campo è descrizione degna d’ingegno veramente poetico. Ma il rapimento di Giselda è toccato dal padre troppo leggermente. Bello è l’inviare che Arvino fa la sua spada all’ignoto liberatore del figlio. Ma la narrazione ch’ei fa poscia-al figlio dei disordini dell’esercito, è forse bassa. Una cosa importantissima dal poeta nostro è toccata in soli due versi: dice, esservi nel campo un luogo, ove i primi di coloro che sanno, s'adunano a stretto consiglio : Ed è legge che quanto vi sì assente Nessun del campo d’eseguir ricusi. Dopo essere instato tanto sulla disunion de’crociati, bisognava anche spiegare un po’ meglio quella meravigliosa forza d’unione, che in tanta diversità di costumi, e di voglie , li traeva ad un fine. Nel poema del Grossi l'impresa de’crociati non è dipinta che per metà, e dal lato più tristo e più vile: oserei dire, più vile che in effetto non fosse. A questo modo i quindici canti si debbono riguardare come una serie di quadri più o meno foschi , più o men fedelmente deli- neati; non come un’opera ch’abbia determinato fine morale, o poli- tico, o religioso, a cui tendere. Inspirare odio e disprezzo della su- perstizione non è certo il fine che si propose il poeta: e se fosse, sa- rebbe cosa vieta, ovvia, inutile ; e direi quasi perigliosa ed equivoca. La cavalcata de’legati turchi è descritta con molta vivezza; ma 2 la parlata d’un d’essi non è dell'efficacia del discorso d’Arvino (al I chiamar poi generose quelle voci de'turchi, è un aperta contraddi- zione. lo credo appunto che qualche parola scappata al Grossi di lo, de o d’encomio, là dove forse non dovea, ha fatto dire a taluno che i suoi earatteri sono in contradizione continova seco medesimi. Così quelle ingiurie scagliate contro Pier l’Eremita: L'ira del ciel sul capo dell’ infame ... ispirano una amarezza quasi velenosa in ogni cuore ben fatto. Non son queste le scene, non son questi gli affetti degni d’una poetica imitazione. Vero è, che la più ardita trista feccia del campo dice così: ma Tancredi, che pur non è della feccia ; si mette a seguir l’Eremita nella celata sua fuga. Lo confesso, che letto tutto il poema, di questo Piero non so qual giudicio far meco. Un uomo senza carattere, foss'anche nella storia, non dovrebb’essere nella poesia. Proseguiamo. Si passa improvvisamente alla descrizione d’ una pugna, e il passaggio non è spontaneo, nè ben preparato. La pugna è descritta come può essere pugna di que’tempi: ma il quadro del conflitto che segue sul ponte è bellissimo. Le madri turche che stan sulle mura , ta lor fecondità maladicendo, si potevano omettere. Gulfiero è bene dipinto. Reginaldo, fratel suo, che gli salva la vita, si darebbe a co- noscere meglio, se di lui fosse prima parlato un po’più. I crociati at- tribuiscono la salvazione di Gulfiero a miracolo : la cosa è nel carat- tere dell’età: ma la stupida credulità.d’un intera nazione non è sub- bietto assai degno di canto. Canto V. L’ esattezza della descrizione fruttò troppa lode al buon Grossi, perch’egli non l’ami. S’incomincia a parlar di Giselda dal descrivere il palazzo ov’ella abita, I caratteri di lei, di Sofia, di Saladino, i primi moti, e le tenue gradazioni dell’amore sono dipin- te con arte degna del celebre autore dell’Ildegonda. Narra Giselda a Sofia la ragione perchè sua madre abbia votato il viaggio di lei in Terra-Santa. Il carattere di Pagano qui del tutto apparisce debole e vile, disprezzabile affatto: anche la. narrazione poetica langue. Quel Pirro, che si mostrerà poi, non è bene dato a conoscere: si nomina una sua 0/fesa antica, e non si dice qual sia. (31) Arvino parla in nome di tutti i dieci crociati, Non è questo un’ atto di superiorità, se non quella che viene dalla facondia e dal senno. Ma per farlo degno aache di questo genere di preminenza , convenia dipingerlo meglio. E se la storia non offriva a ciò fondamento, vuol dire che non si potevano gli affari de' lombardi congiungere al destino degli altri crociati in modo distinto, senza offendere il vero. Questi quindici canti avrebbero bisogno d’un titolo che sì mostrasse piuttosto come una novella della famiglia d'Arvino, ché come una narrazione di ciò che i lombardi, quasi esclusivamente ‘operarono in Terra-Santa, 28 La notte del parricidio pare assai bene narrata; ma verseggiatà , po- trebbe esser meglio. Dobbiamo però somma lode al poeta per avere saputo le circostanze di questa novella della famiglia d’Arvino di- sporre in modo che tutto si chiarisca a suo luogo, Ut jam nunc dicat, jam nunc debentia dici Pleraque differat, et praesens in tempuo omittat. Il qual pregio ci pare comunemente notabile in tutto quanto il poema; chè da per tutto il filo della narrazione è condotto con gran- de artificio. 'Torna in iscena l’amor di Giselda, trattato con molta delicatez= za e maestria :'la parlata di lei è di dolcezza ineffabile; se non che sente troppo l’imitazione dell’Ermengarda quel passo Oh se doman destandomi. . è « Ode Giselda uno strepito, e va nel serraglio a vedere chi sia. Quelle femmine sono descritte assai voluttuosamente; ma gl’insulti che gittano contro Giselda si potean rispiarmare, o dir meglio: È della razza di quei sozzi cani, Che vomitò la rea terra latina, La vergine longobarda sale l’aguglia d’un minaretto per osser- vare la pugna* vede Saladino che stà per uccidere Gulfiero da lei creduto suo padre, e cade svenuta, sicchè non può scorgere il resto. Tratto naturale e bello. Le parole di lei al Saladino che viene e ch’ella crede uccisore del padre, sono natura. Il cinto di Gulfiero ch’egli le mostra è una bella invenzione; com'è bello il supporre che l’abbia lavorato ella stessa. Le istanze di Giselda per accertarsi se sia veramente Gaulfiero sono d’en patetico incomparabile : solo la ragione'non piace, perchè Saladino si ritenesse dall’uccider Gulfiero: perchè dice, escia del suo viso una virtù simigliante a Giselda. Bi- sognava'o calcar più |’ effetto di questa virtù sconosciuta , o trovare qualch’altro mezzo non diflicile di far a Saladino conoscere in quel- l’eroe un consanguineo di Giselda, Se non che quel dovere per mira- colo scappar due volte di mano alla morte , l’ una sotto Reginaldo, l’altra soîto Saladino, danno ‘a Gulfiero cert’aria d’eroismo ridicolo, perchè pare che tutte le sue battaglie finiscano col cascare per terra, e ricevere in dono dagli inimici la vita, Con questo metodo istesso potrà ciascuno da sè segaitare la di- .samina da noi cominciata. Conchiuderemo con dire che il Grossi ba scelto un tema forse non conveniente al suo genio, e che forse meri- tava essere trattato con più diligenza: che se non curando nè le in- 29 giurie dei vili nè l’inetta sentenziosità de’maligni, vorrà egli eserci- tare nel suo lavoro lunga ed infaticabile 1’ opera della lima, egli potrà certo condurre, se non la parte inventiva, almen quella della esecuzione ad una eccellenza invidiabile. T. dl Direttore dell’Antologia , l'Autore dell’articolo. Eccovi un lungo articolo, che non piacerà per intero nè agli amici del Grossi , nè agl’ inimici. Quanto al Grossi, egli può di leggieri consolarsi, ri- petendo a sè stesso: qu'il est difficile de produire des beautés, et facile de vemarquer des ‘fautes. Del suo poema io v' ho ragionato come di poesia ; a ragionarne come di poesia storica, mi resta ancora da dirvi qualcosa. Nessuno de’ tanti cronisti, contemporanei alla prima crociata, scrisse segna- tamente de’ crociati lombardi ; ma quasi tutti ne attestano, ch” essi ‘in quella impresa -ebber parte, che furono i primi che giungessero a Costantinopoli, ove doveano adunarsi tutti gli eserciti delle varie nazioni d'Europa , concorrenti al conquisto, Roberto Monaco , il quale scrisse la sua storia nel 1110, vale a dire dieci annìi dopo la presa di Gerusalemme, che fu presente alconcilio di Chiaramonte, che seguitò la crociata , Roberto, dopo narrato il viaggio e le sventure dell’eser- cito guidato da Pietro Eremita , dice : Primus igitur Petrus Eremita cum suis et magna gente Alamannorum Constantinopolim venit. et COPIOSAM LONGO- BARDORUM GENTEM invenit, L’ autore anonimo della cronica intitolata gesta francorum , et aliorum Hierosolymitanorum, anch’ egli contemporaneo , e che fu del seguito di Boe- mondo in Terra Santa , conferma questo medesimo fatto: Petrus vero supra- dictus , primus venit Constantinopolim kal. augusti , et cum eo mazima gens Alamannorum. Illic invenit romBARDOS et LoncosARDOSs s quibus im- perator jussit dari mercatum , sicuti erat in civitate, Baldrico arcivescovo , che assistette al concilio di Chiaramonte j nella sua storia gerosolimitana , ripete lo stesso, Zuverit multos LomeARDOS et LoNGORAR= Dos qui eum praecesserant, i Guiberdo abate , autore contemporaneo , che scrisse sotto il regno di Bal- dovino , fratel di Goffredo , parla de’ lombardi egli pure : /Vicomediam attin- gentes itali, longobardi , et alamanni ; francorum impatientes superbis, di- velluntur ab ipsis. Egli è certo dunque che i lombardi eran parte di questo passaggio ; ed è sciocchezza il dire , ch’ ei von formassero un corpo da sè, quasi la stessa natura nol renda, non che credibile , necessario. Ma non si sanno i nomi de’ capi: i cro- nisti, intenti a parlare minutamente de’ condottieri delle nazioni alle quali ap- partengono , non si danno pensieri degli altri, o non ne parlano che di fuga: E i lombardi nonfebbero alcuno storico contemporaneo alla cosa. Ciò posto, era lecito il far fondamento sul Fiamma, quantunque scrittore di poca auto- rità, non avendo bisogno il poeta di attingere dal Fiamma il fatto, ma solo que’ nomi che gli mancavano , e ch’ egli senz’ offesa del vero poetico, avreb- b'anche potuto inventare. Il Fiamma adunque; fra que’ lombardi che ritorna- rono di Terra Santa, novera Ottone Visconti, Giovanni da Ro, e gli altri 30 nominati dal Grossi, nel primo canto: se non che ’1 Grossi il nome di Gio- vanni commutò con Arvino. Ed il Fiamma, posteriore di due secoli all'impresa, ritrasse le dette notizie da due cronache , l’ una detta la cronaca calendaria , 1’ altra la ero- naca del S. Sepolcro, ov è detto altresì che Joannes de Rode, sive de Raude crucem recepit, et factus fuit capitaneus ognum militum de Mediola« no crucesignatorum. Altri storici contemporanei parlano quà e là de’ lombardi, e il poeta riunendo quel poco che ne raccolse , lo fece fondamento alla parte inventiva del suo lavoro . Trovò, per esempio, due nomi di lombardi: l’uno Regi- naldo , di cui marra le avventure nel canto secondo , avventure esattamente storiche; se non ch’ egli lo finge fratel di Gulfiero : 1’ altro è Pagano, che fu da Boemondo mandato alla terra d’Antiochia a trattare con Pirro. L' istoria familiare di questo Pagano è tutta invenzione : ed è tutto invenzione ciò che appartiene alla famiglia d’Arvino, Queste notizie , comunicate a me da persona erudita quant’ altra mai, del soggetto, io comunico a voi: sieno apposte all’ articolo, ve ne prego. ———mÉ__npk-r00CsCkksx}kknknsnocCpesss La lettera CXIV di Seneca a Lucio tradotta da Pierro GiorDANI- Pietro GiorpaniI al suo Vincenzo Monti. Eccoti, mio caro Monti, l’epistola di Seneca CXIV; siccome tu volevi, e come io non avrei voluto, tradotta in- teramente da me. Oltrecchè mi è ingratissima ogni fatica di scrivere, ed intolerabile quella di tradurre ; vedevo in Se- neca una speciale difficoltà ad esser bene tradotto. Percioc- chè è propria di costui un’affettazione (ch’ egli pur seppe in altri del suo tempo riprendere) di voler essere piuttosto in- dovinato che inteso ; e di accennare nelle ambigue parole più di un senso probabile. Altro vizio grave gli è quasi con- tinuo, di ripetere molte volte i medesimi pensieri, varian- done con palese sforzo l’espressioni; alle quali è ben di- sagevole trovare corrispondenza similmente variata in al- tra lingua : ond’ è quasi inevitabile al traduttore di far sen- tire con molto fastidio la ripetizione. La quale poi se non fosse in verun modo sentita, si mancherebbe al proprio ca- rattere ed alla effigie dell’ autore. Ma una traduzione dev’es- sere un ritratto : e com’è ritratto , se non rende vera simi- glianza? e come può renderla, se manca de’ più propri li- 31 neamenti e colori e atteggiamenti dell’ originale? Concios- siachè di uno scrittore autorevole non ci basta che ci sia- no riferite nudamente le sentenze $ ma vogliamo tutto quello che d’indole e d’arte sua propria in significarle e disporle adoperò : siccome da chi ci ripete i detti di persona la qua- le, o per sua dignità o per nostro affetto, ciè molto importan- te, non ci contentiamo di averne le semplici parole; ma desi- deriamo di conoscere qual volto, qual voce, qual gesto le ac- compagnava: parendoci (e non a torto) che secondo questi aggiunti le medesime parole abbiano molto diverso valore, Ma quanti sono i lettori di sottil giudizio a vedere nella copia la fatica e il pregio di chi ritrasse per arte i difetti dello innanzi? E la fatica non è piccola, nè poca arte ri- chiede, chi voglia ritrarre una bruttezza per tal modo che sia riconosciuta e non divenga intolerabile. Questi vizi e queste difficoltà a me, ehe naturalmente abborrisco il tra- durre , facevano più ingrato l’ abbracciarmi a costui che già mi dispiace. Si aggiungeva un’altra considerazione, parendomi più par- ticolarmente all’ uopo tuo convenirsi una traduzione non pur buona ma autorevole. E mi veniva alla memoria la vene- randa antichità e la beata lingua di colui che innanzi al 1313 italianizzò l’epistole di Seneca, e fù stampato in Fi- renze dal Tartini nel 1717. Ma il difetto, comune ai tra- duttori in quel secolo ottimamente parlante, di errare spesso e grossamente nello esprimere l’autore (sì per penuria di buoni testi, e per manco di facoltà o di abilità di correg- gerli confrontando gli uni agli altri; e sì per poca perizia della lingua e delle cose de’romani) è più grave in costui ; che non trasportò Seneca dal sno originale, ma da un vol. garizzamento francese. Dalla qual cagione avviene che non solamente sono spesso errati, più spesso confusi i sensi, e frequentemente turbato l’ordine della materia ; ma più cose vi sono del tutto ommesse : e questa centoquattordicesima specialmeute di molti e lunghi pezzi è tronca. Nè pure è compiuta , nè poche volte erra nel senso la traslazione fatta da Sebastiano Manilio romano: il quale parimenti volgarizzò tutte le lettere; e dedicate a Lodovico Sforza Sigrore (non 3a ancora Duca) di Milano , stampolle in Venexia nel 1494: Mi sarebbe dunque bisognato supplire all’una traduzione coll’ altra : e poi intrammettere non poco del mio, ogni volta che l’ una o l’altra o fanno dire a Seneca ciò che non dis- se, o tralasciano affatto ciò che disse. Di che usciva una di- versità sconcia deforme non tolerabile. Il secolo decimose- sto mi offeriva una traduzione col nome di Antonfrancesco Doni; dal quale non era da aspettarsi gran diligenza nè pu- rità: ma peggio fu che andato poco innanzi vidi manifesto uno svergognato furto, e null’altro che la versione propria del Manilio. Nel secolo seguente tradusse di Seneca l’epi- stole (ed altre opere) Angelo Niccolosi, secretario del con- siglio de’ Dieci in Venezia : la cui fatica mostra che fosse ne’suoi tempi approvata ; poichè dal 1677 in poi fu ristampata cinque volte. Chi voglia esaminarlo , troverà che meno di que’ due antichi è infedele al testo ; benchè non raro egli pure inciampi : lo vedrà sorpassare i luoghi più scabrosi ; come in questa 114 quegli esempi di stranezza nello stile di Mecenate, e d’imitazion servile in Arrunzio ; ch'egli ri- porta latini : vedrà una locuzione non del tutto sordida , ma nè splendida nè pura; una maniera pigra, diffusa ; un accozzare languidamente ciò che l’ autore spezza e separa: non potravvi raffigurare il volto del Cordovese ; nè in quel- l'italiano potrà nulla sentire la tanta e soverchia specia- lità dello scriver di Seneca , e la forte differenza da lui a tutti gli altri. È poi notabile nel dettato di quel venezia- no la frequenza di vocaboli e di modi francesi, a quella età non consueti; che sotrebbe farlo parere un italiano de’ tempi nostri. Sospettetei che anch'egli avesse avuto in- nanzi non il latino, ma qualche moderna traduzione di Francia. Parvemi dunque desiderarsi da te non senza ragione che Seneca ti fossé nuovamente tradotto : e se questo ca- rico non era nè delle mie forze nè del mio piacere; essere indegno a tanta nostra amicizia ch’io più ostinatamente ri» pugnassi ai preghi di chi può comandarmi. Però volendoti ubbidire , ho procurato di esprimere diligentemente (quanto seppi) i pensieri e le particolari forme, e gl’incerti o dop- 33 _pi sensi, e le spezzature e le durezze e le gonfiezze e le acutezze, inoltre il ricercato, il figurato, e le: positure delie parole , e il saltellare de’ suoni di quello stoico palatino ; i somma di conservare intera e viva l imagine del suo sh vere singolare. In tanta varietà e dubbietà di lezioni segui- tai, parutomi più ragionevole , iltesto che piacque a Giu- sto Lipsio. Tu giudicherai liberamente l’effetto ; e benevol- mente accoglierai la intenzione di compiacerti. Che se a taluno piacesse di schernirmi, quasi che per vanità fan- ciullesca io lasci andar fuori una traduzioncella di prosa latina ; lo ammonirai che io so benissimo non potersi ot- tener lode nè metitare da tali studi ; i quali non per osten- tazione , ma-per acquistar pratica di scrivere dee l’uomo nella prima gioventù esercitare ; ma che in qualunque età è bello (esclusa ogni stolta ambizione) ubbidire ai voleri non ingiusti di un grande amico. Ora poichè mi hai spinto mio malgrado a ripensare di traduzioni, concedimi che io prenda questa occasione di aprirti alcun mio pensiero in- torno ad esse; il quale, se per avventura gli si aggiungesse l’autorità del tuo assenso, potrebb’essere di qualche utile alle lettere italiane. La nostra letteratura cominciò in gran parte dalle tra- duzioni. (I più sublimi ingegni, che non voliero nè dovet- tero farsi traduttori, vollero e dovettero prender dai latini fe mosse e gli esempi.) Altrettanto è accaduto palesemente , ed accade, a tutte l’altre nazioni moderne ; tutte cominciarono e cominciano dal trasportare nella propria favella ciò che in altra lingua da un’altra gente si scrisse : alle antiche al- tresì apparisce manifesto, o per salde congetture si argo- menta avvenuto il somigliante. Che sarebbero le lettere de’la- tini senza le greche? e da Pacuvio sino a Cicerone che si fece altro che latinizzare greci ? Solo de’ greci non sappia- mo apertamente cui traducessero: ma è verisimile che pa- tissero anch'essi la condizione comune. Qual popolo fu pri» mo, e da niun altro imparò, dovette avere assai più lun- go e faticoso corso di civiltà e di studi. Nè 1’ uomo, co» mecchè nasca in mezzo ad una civiltà letterata, patisce con dizione (salvo certe proporzioni) diversa. A farsi perfetto in T. XXIV. Ottobre. à 34 un'arte (con risparmio di tempo e di vane fatiche’) gli è mestieri aiutarsi col meglio di ciò che fu fatto innanzi a lui. Perciò quando è venuto in quella età che , avendo ve- duto e sofferto assai del mondo , basta ad apprender l’arte di tragittare i pensieri, bisogna che per andar diritto e si- curo e ratto si metta sulle orme de’maestri eccellenti. L’ani- mo ansioso nella cura della composizione non potrebbe (su que dubbiosi principii) stare ugualmente intento alla espo- sizione : quindi gli è utile avere un modello che non la- sciandolo nè fallir nè dubitar della materia, lo scorga in- sieme nell’uso de’modi. Inoltre la cosa più importante, la quale potrebbe parer la più facile, e si prova la più ma- lagevole allo scrittore, è l’acquistar abito e facilità di sa- per dire per appunto (non più, non meno) ciò ch'egli vuol dire. Troppo spesso (or con riso, or con pietà) vediamo che l’uomo, non riuscendo a dir quel che vorrebbe, si gitta a dire quello che. può. (Lascio andare quelli che non sanno che cosa voglion dire ; sicchè niun vale ad intendere che cosa dicano). Ora con qual norma il principiante si farà si- curo di avere propriamente e precisamente prodotto il suo concepito pensiero? La coscienza letteraria non è men fa- cile ad infoscarsi ad illudersi che la morale : pigrizia o cu- pidità o l’ ammutiscono o la falsano. E perocchè il giudi- zio , cioè il paragone , si dee fare verso un modello che sta dentro la mente ; il quale , pognamo che sia bene circo- scritto e rilevato, certamente è mobile di leggieri e muta- bile, quanto è l’umana fantasia ; necessario accade che l’in- telletto anche sincero e severo declini ad ingannarsi. Ma quando pigli nn esatto e forte scrittore, al quale ti fai in- terprete ; lo hai sempre dinanzi costante incorruttibile ad ammonirti, se pronunziasti più o meno 0 altramente di quel che dettò. Al quale servigio anche un mezzano autore sa- rebbe sufficiente : ma poichè in ogni cosa importa eleggersi amici e consiglieri ed esempi all'ottimo ; io riputerei che per apprender l’ arte di scrivere , e per esercitarsi nel tra- durre si eleggessero i più antichi greci (da Omero a De- mostene) come più prossimi al vero naturale, cioè al per- fetto. I più famosi tra i romani, e quelli che in Grecia, 35 o nelle provincie parlanti greco vennero dopo la libertà Ate- niese ; quel di Megalopoli , quel d’Alicarnasso , quel d’Agi- rio, quel di Samosata, ed altri, ebbero veramente assai pregi, e apparvero ingegnosi e adorni; ma si scostarono da quell’ ammirabile e invidiabile purità e semplicità de’ più antichi, schiva d’ogni pompa, d’ogni superfluo ; la quale è cima vera di perfezione. Alla quale o non poterono o non vollero de’latini salire se non tre, il grande animo di Ce- sare, e quei candidi ingegni di Varrone e di Celso. Leg- gendo quel senato di romani scrittori a me par di vedere, che traendosi dal nobile intelletto nobili pensieri trovin loro prontamente la più acconcia veste tra le possibili: ma leg- gendo l’ antica Grecia mi sembra ch’ ella produca ad un tratto i suoi pensieri egregiamente vestiti. Dico di Cicero- ne e di Livio: chi saprebbe dir meglio? Dico di Erodoto e di Senofonte : come si potrebbe altramente? Ampio ma- gistero è ne’ latini; più alto esempio ne’ greci. Nè da ciò conchiudo che non sia esercizio molto utile tradurre da’la- tini ; artefici di stile forse men fino, ma ai gusti moderni più gradito ; necessari a chi non tiene familiarità coi gre- ci. Bene mi maraviglio che volendo studiare in quest'arte si cerchi dai romani quello che non poterono far meglio de’ loro maestri, le storie e le orazioni; e si trascuri quello di che Roma ci lasciò esempio perfetto ed unîco , non ope- rato dai greci : i quali (dirolla disavventura o felicità?) vis- sero con. poche leggi, senza leggisti. Tra le infelicità del mondo romano pose un grave filosofo francese in primo luo- go l’avere creata la giurisprudenza. Ma da leì nacquero i giu» reconsulti, generazion d’ uoraini nuova ammirabile ; intre- pidi incorrotti liberi sotto mostruosa tirannide; dotti e sa- pienti in molta ignoranza universale; virtuosi e magnani- mi in popolo abbietto e corrottissimo; conservando in tanta corruzione di monarchia il puro linguaggio e i costumi dei quiriti liberi ; scrivendo con sobrietà e schiettezza greca; pieni di sapienza morale e politica ; con diritto e fermo ra- ziocinio, con proprietà esattissima, brevi acuti efficaci, mostranti una severa ed elegante maestà. A noi, che ab- biamo (nè si può mutare) tanta copia di leggi e di liti, eer- 30 tamente non sarebbe vano l’ imparare in gioventù l’arti- ficio di circoscrivere con brevità e precisione un fatto ; di misurarlo col preveduto dalla legge; di paragonare le in- terpretazioni dei savi, e i giudicati precedenti ne’ fatti so- miglievoli; di dedurre la ragion comnne si casi speciali; di avvertire nella cosa privata il pubblico bene o male dell’ esempio: e tutto ciò con semplicità, con chiarezza, e con brevità maravigliosa. Ci sia conceduto lo sperare pos- sibile e futuro un tempo nel quale gl’insegnatori di la- tino ai giovani proporranno pezzi scelti delle Pandette : ne’ quali in belle parole apprenderanno cose cotidiana- mente utili: e praticamente vedranno che il primo e ne- cessario fondamento di ben ragionare è porre ben circo- scritto il fatto; e che il principio di bene scrivere è lo eleggere le voci precisamente proprie ; poi conoscere il se- coudo e mutabil valore ch elle acquistano dalla sede nella quale, verso le precedute e le seguenti, son collocate . Quanta abbondanza di vocaboli propri (massime per tutta la ‘cosa domestica ) troveranno nei due titoli de’ legati! E troveranno più di lingna latina nelle sole pandette, che in tutto il resto degli scrittori. E nelle cose e nelle opi- nioni sottilmente disputate da que’ filosofi pratici senti- ranno che il dettar con buon’ arte, anzicchè sia ozio- so ornamento, è continuo ‘e grave bisogno della vita civile . Ma que’ buoni insegnatori non caccieranno a queste traduzioni fanciulli inesperti, appena intendenti qualche poco di latino o di. greco, e della nativa lingua poveris- simi S’ intenderà in quel secolo migliore che 1’ eserci- zio di accompagnarsi come interprete a sublimi ed ele- ganti dettatori vuole un’ adolescenza vigorosa , e di espe- rienza di cose e di altri studi nudrita. 5° intenderà che richiede molto maggior copia di lingua il tradurre un’ot- tima scrittura, che l’ esporre i concetti propri : in quella guisa che potrai volere di un sol colore far visibile un tuo disegno; ma non senza molta varietà di colori co- piare un dipinto o del Correggio o di Paolo. E presu- m eresti colla favella del babbo o del pedante poter espri- De Si 1, 0 mere Cicerone 6-Livio? Quindi i degni guidatori de’veraci studi provvedemnno prima la mente de’ giovani., e la pre- pareranno alle traduzioni con molta lettura di quegl’ ita- liani che abbondano di voci pure , e di modi variamente efficaci; quali sono gli scrittori del secolo decimoquarto . E i giovani avendo prima appresa da que’ semplici la ve- ra linzua, cioè la facoltà di significar mettamente le cose; prenderanno, mediante lei, dai valenti latini (0 meglio dai greci) lo stile ; cioè la distribuzione delle idee principali, e la giuntura e ’1 colore delle subalterne. Allora sarà ces- sato il vano disputar nostro : sarà sentenza comunemente ricevuta che la lingua si fece in quel secolo , a tutti gli altri secoli italiani buona e bastante. Conciossiachè i voca- boli che il tempo va portando, segni nuovi di nuove cose che la nazione riceve , non possono mai esser tanti (quasi gocce, o al più rivoletti) che bastino a tramutare natura nè pur colore all’ampio mare della lingua : perocchè le cose nuove son poche verso le innumerabili che l’Italia in quel secolo, già non barbara, già fornita d’armi e di leggi (buo- ne o ree) e d’arti e di lontani commerci , meglio che al- tra gente del mondo , possedeva ; alle quali quel popolo (allora il primo di tutti) trovò i nomi. Che se pur le no- vità vere debbono ampliare la separata favella di scienziati ed artefici; quali acquisti nuovi vorranno giustamente mu- tare in estrania la nazional veste a tutte le cose comuni, alle operazioni della mente , agli affetti dell’animo,, che rimangono verso di sè quali per antico furono? Nè tutta la lingua sono i vocaboli, parte materiale e quasi morta, | e non la più numerosa: il vivo e il nazionale, e il più co+ pioso e bello, son le frasi; nelle quali la vita interiore e la pubblica si sentono ; le quali mostrano l'indole, mo- strano i costumi, e l’un popolo dagli altri (non come ar- ticolante suoni, ma come producente pensieri) distinguo: no. Ora qual bisogno o qual profitto o di abbandonarle 0 di mutarle? Tanto è vero che senza bisogno senza ‘profitto mutammo, che ognuno considefando potrebbe accorgersi co- me la lingua nostra bella non fa alterata col farla più ric» ca, ma coll’impoverirla. Il secolo decimoquinto la gittò al 38 volgo , disusando lo scriverla. Il decimosesto ripigliandola nelle scritture, e tentando (non molto feliceinente) di com- porre, per imitazione distorta, lo stile ; abbandonò gran- dissima parte delle parole , e quasi tutti i modi ch’ erano invidiabil ricchezza del trecento. Di che freddi e languidi, senza colore senza calore noiosi ci riescono il più di que- gli scrittori; non più per povertà di pensieri che per ma- grezza d’espressioni; i quali esser latini volendo non poterono, italiani potendo non vollero. Nel secolo seguente l’Italia fu tanto lontana dal trecento , quanto libertà e ricchezza da povertà e servitù : e s’ella non avesse allora creato tanto di nuova scienza a tutto il mondo, ella si rimarrebbe nella opinione degli uomini per quel secolo non meno ingloriosa che infelice. Quanto alle lettere mutò ancora dall’ età pre- cedente e stile e lingua. Nè meritò lode. Ma in quel se- colo sì variato e di governi e di fortuna e di usanze , sì accresciuto di sapere, quella potentissima testa del Barto- li, che in più di trenta volumi distese tanta materia, di terre di mari, di paci di guerre, di negozi, di religioni, di commer= ci, di arti, di scienze, di mestieri; che tanto fu diverso da sè stesso scrivendo, secondochè volle o con licenzioso stile compiacere al suo tempo, o dettando castigatissime storie meritare l'ammirazione della posterità , che sperò più sa- na; si propose di non usare altra lingua, non altre paro+ le, non altri modi che del trecento. E quella lingua, che si vorrebbe vecchia ed impotente, bastò negli ultimi tempi al più potente e vario scrittore che abbia avuto l’Italia ; il quale di forza e di abbondanza non teme il paragone di nessun altro in qualsivoglia nazione. E pur chi voglia leg- gere, e possa giudicare , vedrà esaminando il Bartoli che in tanti volumi stette lungi dal potere spender tutte le ric- chezze di quella lingua infinite ; la qual si vuole dir po- vera da chi ricusa la fatica di possederla. Queste cose, per sè chiare , ed ora oscnrate da una miserabil gara di con- tendere; o forse da mala pruova di alcuno, che da quel se- colo felice , lasciando il buon metallo, toglie pure la rug-, gine , più desideroso di apparire insolito che di esser va- lente ; saranno pianamente ricevute da un tempo che forse 3g non è lontano. Il quale si accorgerà che si può cercare la buona lingua de’trecentisti, senza timore di perder tempo, o durar troppa noia, per la meschinità delle materie. Con- ciossiachè si possono quegli scrittori distinguere in tre ge- nerazioni ; devoti, istorici, traduttori. La semplicità de’pri- mi oggi è derisa ; fastidiosi quando insegnano , incredibili quando raccontano. Ma pur in molti è tanta evidenza di narrare, tanta finezza di esprimere i più delicati affetti, ch'io riputerei fortunato un moderno romanziere che sa- pesse rassomigliarli. Meglio intendono il bisogno dell’arte loro i pittori; i quali dalle pitture sacre di Rafaello o di Andrea traggono insegnamento per dipinger cose profane. Ma agli studiosi di scrivere si condoni questo fastidio dei devoti: purchè sieno avvisati che l’ affettuoso nol troveran- no altrove. Certo a qualsivoglia più superba filosofia. non si debbono riputare inutili i molti istorici , che il buon Mu- ratori cavò dalla polvere e raccolse; i quali senz’ artificio senza presunzione ma con bella evidenza e cara schiettezza ci rappresentano fatti e costumi del loro tempo : de’quali fatti e costumi, più assai che degli Assiri e degli Egizi, più che de’greci e de’romani il tempo nostro (comecchè noi poco ci ponghiam l'animo) sente pur troppo gli effetti. Nè senza utilità sono, non ad intendere i latini, ma per eser- citarsi in traduzioni, coloro che nel trecento li fecero par- lare toscano; i quali sebbene errano spesso nel senso, pur sanno di quello che bene comprendono rappresentar l’ori- ginale con tale facilità spontanea che ci fa stupire. E molto più utili diverrebbono a chi studia, e alla storia delle let= nto Mirino son Joan N. B. Quì segue lungo discorso dell’ edizioni sinora fatte de’ traduttori trecentisti ; e viene prolissamente mostrando i molti e gravi falli degli editori ; e dice con quali avver- tenze si dovrebbono rifare quelle stampe , e pubblicare molte altre versioni, che tuttavia stanno ascose, Compiuto poi il ragionare delle traduzioni che si fanno (0, a dir meglio, si dovrebber fare) non per vantarsi scrittore , ma per impa- rare a scrivere, trapassa a quelle traduzioni che per appa» 40 rire letterato si fanno , 0 dal greco o dal latino. E consi- dera che siccome il tradurre giova all’ uom giovane , al vec- chio non giova; così nella gioventù delle nazioni è profit- tevole prendere scienza e stile da’ popoli che precedettero nel sapere: ma quando un popolo già adulto ha compiuta la sua educazione , e già nella sua letteratura trasse 'quel che dell’altrui poteva convenirgli e bastargli ; deve (a guisa di pittore già istruito) affaticarsi a dipingere del proprio, non a copiare. Esamina le versioni dal latino o dal greco più note, che per addietro 0 ne’ tempi nostri si fecero 5 e dimostra che quasi tutte niuna lode meritarono, come inu- tili: perciocchè la materia di quegli antichi autori non è più recondita, ma diffusa nella cognizione di molti. Rimane dunque per meritar lode che i traduttori raffigurino quell’ec- cellenti bellezze di stile che negli originali si ammirano. Il che si è fatto ( e appena in parte ) da pochissimi: nè da molti si può , perchè domanda felicità d’ ingegno e valor d’arte raro. E prega che di questo suo giudizio , come di troppo superbo, altri non si voglia adirare ; poichè infatti si mostra non essere di lui solo ma di molti. Chè ogni dì si veg-. gon sorgere nuovi traduttori di opere già più volte tradotte: î quali certamente sperano far meglio di ciò che innanzi a loro fu fatto ; e così palesano di credere non essersi fatto abbastanza bene. Riduce per ultimo il discorso intorno a quelli che voltano in nostra lingua le moderne cose de’ set- tentrionali, d° Inghilterra e di Germania ; nè parla di quelli che per guadagneria contemeraria e indecente neglicenza fanno quest’ opera ; ma pur di quelli.che studiosamente , per averne onore, vi si travagliano. E gli pare che rendano ingrato ser- vigio alla lingua e al gusto d’ Italia ; non potendosi confare a noi quelle imaginazioni tanto disformi Va ogni nostra in- dole e consuetudine. Ben. potremmo profittare di ciò in che ci avanzano que’ popoli nelle scienze naturali e politiche ; e questo, con rea pigrizia, da noi si trascura. Ma perchè di queste sue opinioni ( massimamente venendo ai partico- lari) si offenderebbe tal gente che delle opinioni fa materia di sdegni e di guerre, l’ autore ha voluto sopprimere tutta questa parte del ragionamento. + 4I Anche aveva fatto un altro discorso; quasi imitando più larsamente quello di Seneca ; che cercò le cagioni dello stile, ne’ costumi pubblici, nell’indole propria dello scrittore, nella imitazione d’ altri scrittori che siano piaciuti ; e ne fece esempio Mecenate, cervello guasto dalla soverchia fortuna; ed Arrunzio , seguace superstizioso di Sallustio. Così egli della maniera di scrivere odierna è venuto investigando le cause nello stato presente degl’ italiani. Poi ha mostrato come da alcuni si scriva male, per seguire mali esempi ; da altri, per male imitare esempi non cattivi. Soggiunse quale a lui sembri più diritta e sicura via di studiare in quest’ arte. Finì pregando gl’italiani che in quest’ ozio doloroso vogliano col- Pimpararla prepararsi all’ operare: di che talvolta la for- tuna porta improvvise ed inutili occasioni ai popoli , che nell’ avversità si abbandonano a servili piaceri, in vece di consolarsi con generose fatiche. Ma anche di questo ragio- namento gli è paruto prudente consiglio che non si pubblichi. Lettera CXI1V di SENECA a LuciLio. Tu domandi perchè a certi tem pi venisse in uso un parlare di corrotta maniera; e come gl’ ingegni si chinassero a certi vizi : co- sicché talvolta fosse.in vigore una dicitura gonfia; talvolta una molle, e condotta ad uso di cantilena; perchè alle volte siano piaciuti con- cetti arditi, e sorpassanti il credibile: altre volte le sentenze spez- zate, e sospette; nelle quali è da intendere più di quello che ascolti : perchè alcuna generazione usò senza modestia i traslati. La cagio- ne è quella che suoli udire comunemente; quella che passò appo i greci in proverbio; Tale il parlare degli uomini quale il vivere. E siccome gli atti di ciascuno somigliano il suo parlare; così la ma- niera del parlare talora imita i costumi publici. Se la disciplina della città è malsana , e si è data alle delizie; diviene argomento della lussuria publica il parlare lascivo : quando però non si trovi in pochissimi, ma ricevuto ed approvato comunemente. Non può essere d’altro colore l'ingegno, e d’altro l’animo. Se questo è sano, se ac- comodato, grave, temperante ; anche l’ingegno è asciutto e sobrio : qualora l’ animo infracida, ènne avvaporato l’ ingegno. Non vedi che se l’ animo languisce, si strascinano le membra , e’ piedi pigra- mente si muovono ? se l'animo è infeminito, apparisce pur nel cam- minare la tenerezza ? s’egli è vigoroso e veloce, si affrettano i passi? . 4a Infuria, o incollorisce? (che è pure infariare) ed anco sono tarbati i movimenti del corpo ; chè non cammina, ma è traportato. Quanto più crederai ciò accadere all’ingegno, che tutto è intrinsecato nel- l’animo? da lui è conformato, a lui ubbidisce, da lui piglia le mosse. In qual modo vivesse Mecenate è sì noto che ora non bisogna nar- rarlo: come camminasse, quanto fosse dilicato, come bramasse di apparire, come volesse non celare i suoi vizi. Dunque? non fa dun- que il suo parlare dinodato come il suo vestire ? non le sae parole così diverse, come e l’abito, e' compagni , e’ familiari, e la moglie? Era uomo di grande ingegno, se lo avesse guidato per via più dirit- ta; se non avesse faggito di essere inteso; se anche nel ragionare non si dispergesse. Però vedrai una eloquenza di briaco ; avviluppata, errante, licenziosa; Mecenate nelle sue gale. Ecci niente di più lai- do che — un fiume, e selve sulla riva chiomeggianti ? — vedi come arino la fossa con burchi; e rivoltato il fondo, i remi bastonino gli . orti — Colui colombeggia de’ labri con una donna increspata a ric- ci — Comincia sospirando , cosicchè sia portato a collo chino — La fuzione del tiranno irremediabile va spiando : colle vivande e co’fiaschi tentano le case, e spesso esiggono la morte — Il genio ap- pena testimonio alla sua festa — Fila di sottil cero, e crepitante cofaccia — La madre o la moglie vestono il focolare. — Qualora leggi queste cose non ti vien subito in mente, costuì esser quegli che sempre camminò per la città senza cintara? (Sai che facendo lui le veci di Cesare assente, si domandava il militare segno giornal- mente ad uno scinto). Non ti sovviene, costui esser quegli che in tri- bunale , sui pergami, in ogni publica adunanza si mostrò coperto il capo col mantello, e tenendo fuora le orecchie; a quella guisa che fanno è ricchi fuggitivi nella farsa ? Questi esser colui che nel mag- giore strepito delle guerre civili, piena di sospetto e di armi la città, andava tces:ni paonato in publico, da chi? da due eunuchi; e nondi- meno più maschi di lui 2 Lui esser quegli che mille volte prese mo- glie, e n’ebbe una sola? Quelle parole sì perversamente composte , sì trascuratamente gittate, tanto contra la comunale usanza colloca- te; mostrano che similmente i suoi costumi furono altrettanto in- soliti, e distorti, e singolari. Gli viene donata una lode grandissima di mansuetudine: sparmiò la spada, si astenne dal sangue; nè mostrò la sua molta possanza se non col vivere a suo modo. Questa mede- sima lode sua ei la guastò con quelle mostruosissime dilicatezze del parlare : si vede ch'ei fu molle, non benigno. Ciò manifesteranno ad ognuno questi viluppi della composizione; le parole traverse; le sen- tenze, spesso in verità magnifiche, ma snervate nello uscire. La so- verchia felicità gli aveva smosso il cervello: il che suol esser: vizio 43 talora privato, e talora comune. Quando la prosperità ha diffuso am- piamente il lusso; comincia dapprima esser più diligente la cura del corpo: quindi si spende nelle case; acciocchè si allarghino come cam- pi, acciocchè le pareti risplendano di marmi venuti d’oltramare ; acciocchè i tetti siano variati d’oro, acciocchéè i pavimenti non siano manco eleganti che le soffitte. Poi alle cene trapassa il fasto; e vuol essere lodato per novità, e per mutazione dall’ordine consueto : pri- ma vengano i messi che solevano chiudere la cena; e gli entranti sie- no serviti di que’ cibi che già si davano a coloro che uscivano. Qua- lora l’animo si è assuefatto a nauseare le cose usate, e tutto il solito gli viene a schifo; allora anche nel parlare cerca novità. Ora le pa- role antiche e dimenticate richiama e prodace : ora ne crea o ne de- duce di non mai più udite. Talora passa per eleganza (ciò che og- gidì è in voga) l’ardimento, e la frequenza de’ traslati. Alcuno moz- za i concetti; e spera esser gradito se la sentenza sta in aria, € si lascia indovinare: altri la slarga ed allunga : è chi'non vuol toc- care il vizio (cosa necessaria a chiunque tenta qualche grandezza) e nondimeno ama pure il vizio. Perciò dovunque vedrai gradirsi un corrotto parlare; ivi è certo che anche i costumi uscirono della di- ritta via. Come il lusso de’conviti e degli abiti è indizio di città malsana; così il parlare licenzioso (quando è di molti ) dimostra che anche gli animi, dai quali sgorgano le parole , vennero in bassezza. Nè ti devi maravigliare se il guasto piaccia non solamente alla mol- titudine sudicia, ma anche a’ signori azzimati. Tra costoro è diffe- renza di vesti, non di senno. Più avresti da maravigliarti che non pur si loda ciò che in parte è maculato di vizio, ma tutto intero lo stesso vizio. E così fu sempre: niuno ingegno senza diffetti piacque. Dammi qualunque sia uomo famoso: dirotti quanto gli perdonasse il suo secolo ; quanto delle sue magagne avvisatamente dissimulas- se. Darottene molti a” quali non nocquero i vizi; ed alcuni cui gio- varono. Darotti uomini di fama grandissima, proposti all’ ammira- zione; i quali se ta volessi correggerli , sarebbero disfatti. Tanto i vizi sono inviscerati alle virtù , che non se ne possono staccare. Ag- giagni che il favellare non ha regola certa: secondo la usanza del comune, la quale non istette mai ferma, si rivolge. Molti prendono le parole da un altro secolo; parlano le dodici tavole; Gracco, Cras- so, Curione, paion loro troppo lisciati, troppo moderni : si addietra- no sino ad Appio, sino a Coruncano. Altri per contrario, mentre non vogliono cosa che non sia usata e trita, cadono nell’abbietto. E l’ano e l’altro in diversa maniera è guasto # come se l’uom volesse unicamente adoperare parole splendide, risonanti, poetiche; fuggi- re le necessarie ed usuali. L’uno oltre il dovere si liscia; 1’ altro più ti del convenevole si trascura: quegli si dipela le gambe; costui nep- pure le ascelle. Passiamo alla struttura : quante maniere di peccare anche ini questa ! Certi la vogliono spezzata , aspra : se mei uscisse loro alcuna cosa quieta e ordinata , la scompigliano ad arte: non vo- gliono unione di dettato senza intoppi: quello tengono per maschio e forte, che percuota colle disugguaglianze l'orecchio, «In alcuni non è composizione, è modulazione : tanto vezzeggia , e sdracciola via teneramente. Che dirò di quella, nella quale i verbi sono ritar- dati, e fattisi molto aspettare appena raggiungono le clausule? che dirò di quella a finire lenta (com è in Cicerone) la quale sta in pen- dio, pianissima a discendere, sempre misurata e girata sul medesi- mo tornio? Nel genere delle sentenze non è solamente vizio se sia- no piccine e fanciullesche ; o sfaceiate, e di più audacia che non pa- tisce la verecondia : ma ancora se fiorite e troppo dolci; se finisco - no in nalla, senza effetto, mero suono. Questi vizi gl’introduce un qualcuno che al suo tempo signoreggia l’ eloquenza : gli altri lo imi- tano, e di altri si fanno maestri. Così quando era in vigore Sallustio, furono eleganze i concetti troncati, le parole cascanti all’improv- viso, una oscura brevità. Arrunzio, uomo di rara frugalità , che scrisse le storie della guerra cartaginese, fu Sallustiano ; e in quella maniera fa insigne. Si trova appo Sallustio — Creò esercito con argento, cioè, con danaro procacciò. Arrunzio lo prese in amore; quindi lo mise in tutte le pagine. Dice in un luogo — CREARONO fuga ai nostri — In un altro luogo — Zerone re de’ siracusani CREA guerra — E altrove — queste cose udite CREARONO lo arrendersi de’palermitani a'romani. — Volli dartene un saggio : tutto il libro è tessuto di questi modi. Ciò che in Sallustio fu raro, in costui è frequente, e quasi continuo: nè senza cagione, Sallustio in questi moli s’incontrava; ma Arrunzio li cercava. Vedi quel che sèguita quando l’uomo si propone ad esempio un vizio, Sallustio disse — in.- vernando le acque — Ed Arrunzio, nel primo della guerra Punica :; — d'improvviso invernò la stagione — Ed in altro luogo, volendo dire che l’anno fu freddo, dice — tutto l’anno invernò. — Ed altro- ve: — mandò sessanta navi da carico , senz’ altri che i soldati e’ necessari nocchieri, INVERNANDO l’aquilone. — Non cessa d’inzep- pare dappertutto questa parola. In un certo luogo Sallastio dice — Fra le armicivili cerca le Fame di giusto e di buono. — Arrunzio non potè ritenersi che subito non ponesse nel primaio libro, — £s- sere grosse Fame di Regolo. —Questi adunque e altrettali vizi, che ip alcuno impresse la imitazione, non sono argomento di morbidez- za, nè di corrotto animo; perocchè debbono essere propri e da co- lai medesimo nati del quale tu voglia giudicare gli affetti. Del col» 45 lerico la parlatura è collorosa ; del troppo commosso è agitata ; del dilicato è tenera, e non consistente. Quello che vedi usare da costo- ro che si strappano tutta o in parte la barba; tondono più dappresso le labbra, e radono, serbandone ed assettandone il resto; che pren- dono gabbani di sfacciato colore, toghe luccicanti; che non vogliono far niente che non arresti. gli occhi degli uomini; li provocano, li ti- rano a sè; vogliono anco essere biasimati, purchè siano mirati: tale è il parlare di Mecenate; e di tutti gli aitri, che non per caso er- rano; ma volontarii e deliberati. E ciò nasce da grande magagna dell'animo. Come nel vino la lingua non tituba,se prima la mente non cedette alla gravezza , ed è fiaccata o perduta: così questo favellare (vera ebbrezza ) non dà noia a nessuno, se l’animo non vacilla. Però l’animo si curi : da lui i concetti, da lui le parole escono; da lui ci viene l’atteggiamento, il volto , il portamento: sano lui, anche il parlare è robusto, forte, maschile: se l'animo stramazza, ogni cosa ruina con lui : \ (*) +. . «+. . un solvolere è in tutte Salvo il re ; spento lui, rompon la fede, Re nostro è l’ animo: salvo lui, stanno in dovere le altre cose ; lo ubbidiscono, lo secondano : quando egli un poco tentenna, seco balena- no. Quando poi cede al piacere , anche le arti sue e le azioni marciscu- no; ognisuo sforzo è languido e floscio. Poichè presi questa similitadi - ne, continuerò. L’animo nostro ora è re, ora tiranno. Re, quaudo mira all’onesto; cura la salute dell’ affidatogli corpo; niente di turpe nè di vile comanda: ma qualora è smodato, cupido, dilica- to; passa ad un crudele e detestabil nome; è diviene tiranno. Allora lo pigliana e lo spingono sbrigliati affetti : ed egli dapprincipio gode ; come popolo indarno pieno di cuccagna nocitura: e quinto nou può inghiottire, maneggia. Quando poi la malattia ha corrose più e più le forze ; quando le morbidezze entrarono nelle midolle e nei nervi: lieto all’aspetto de’ piaceri, a’ quali per troppa avidità si fece inabile ; si piglia per sua porzione il vedere ; l’ essere te- stimonio alle altrui libidini, che a lui per soverchio uso diven- nero inutili. Nè a lui tanto giova l’abondare di cose gradevoli, quanto lo molesta non potersi cacciare nella gola e nel ventre tutto quell’apparecchio di tavola; non voltolarsi con tutta quella tarba di fanciulli e di femmine: si cruccia che gran parte di sua feli- cità manchi, perchè l’angustie del corpo non la capiscono. E non è verissima frenesia , o mio Lucilio , che niuno di noi ripensa all’es- sere mortale ? debole :? anzi niuno di noi considera di essere un (*) Queste parole di Virgilio sono tradotte dal cav: Monti, solo ? Guarda le nostre cucine; e i cucinieri scorazzanti per mezzo a tanti fuochi: ti pare che si pensi essere un solo il ventre al quale con tanto strepito si prepara da mangiare? Guarda i no- stri granai; li cellieri pieni delle vendemmie di molti secoli: ti pare che si pensi essere solo uno il ventre al quale i vini di tanti paesi e di tanti cousulati si serbano ? Vedi in quanti luoghi si volge sossopra la terra: quante migliaia di villani arano e zappano : credi tu che si stimi essere pur uno ventre , al quale si semina in Si- , cilia ed in Affrica? Saremo di sana mente, e di moderati deside- rii, se ciascheduno si computa. Misuri ciascuno il suo corpo: e sappia che non di molto, nè per assai tempo, è capevole. Sopra- tutto gioveratti alla temperanza in ogni cosa lo spesso ripensare che la vita è breve; ed oltracciò incerta. Qualunque cosa tu faccia, guarda alla morte. rr mme n 0 [1 DELL’ ORDINAMENTO DELLA SCIENZA DELLA COSA PUBLICA. Lettere del Professore Gio. DOMENICO ROMAGNOSI a GIOVANNI VALERI Professore di Diritto Criminale nella Università di Siena. LETTERA QUARTA. Quando posi mano alla Introduzione mia allo studio del diritto publico universale, io valutava pur troppo tutte le considerazioni espostevi nelle mie antecedenti lettere. Io quindi dovetti associarle al mio lavoro, benchè io fossi angustiato nel tracciare i primordii della scienza. Quanto poi alla trattazione principale di questi pri- mordii, io mi accorsi di non poter procedere a dovere se prima io non comprendeva il campo intiero di tutta la dottrina. Per la qual cosa mi convenne, nel secreto della mia mente, architettare tutto il grande disegno della scienza della cosa publica e privata, per poter indi prendere le mosse dal vero punto originario di tutta la deduzio- ne. Fui dunque obbligato, prima di tessere il mio lavoro, a fissare i due estremi della scienza. Allora io vidi nella prima estremità della lunga carriera dell’ incivilimento d’ una nazione la più amata dal cielo, spuntare l’uomo individuo dotato delle sue naturali prerogative, e quasi re infante aspettare l’avvenimento della sua fatura grandezza. Nell’ altra estremità vidi grandeggiare una nazione dotata di tutta la naturale sua potenza di popolazione, di governo e di territorio, 47 conforme ai segnali stampati sulla faccia della terra, giovata dal com. mercio e dai lumi delle altre nazioni, Il più alto punto di civiltà non escogitabile ma sperabile si presentò allora alla nente mia. Allora fatto mi venne di configurare un modello ideale di civiltà. Allora, li- mitando l’opinione di una indefinita perfettibilità , io potei fissare il puoto del più alto ottenibile nostro incivilimento. In conseguenza di ciò io deliberai d’ incominciare dal primo estremo, e però prima di tutto dall'esaminare le prerogative dell’ uomo individuo, perocchè questo è il punto dal quale escono ed al quale ritornano tutti i raggi della scienza. La società difatti non è per ognuno che una macchina d’ aiuto, e la vita sociale fuorchè lo stato nel quale ognuno domanda di essere aiutato, onde conseguire la propria conservazione mediante il proprio e l'altrui perfezionamento, Fermato questo primo punto di vista , io sentii tantosto che, trattando di una disciplina di diritto , l'argomento mio primo e mas- simo esser doveva quello dell’ ORIGINARIA PADRONANZA NATURALE di ogni individuo, onde poi contemperarne l’esercizio in società e per mezzo della società e secondo le esigenze dei Juoghi e dei tempi. Senza di questo primo dato fondamentale, mancava la prima nota idea, la quale a guisa di modello, di limite o di punto critico, serva di norma onde misurare le successive restrizioni e modificazioni che subir doveva in forza di una prepotente necessità. Togliete l’ idea limpida , circostanziata e ben estesa della padronanza originaria naturale, e voi mancate d’ognì lume , di ogui direzione, ed involgete vin an caos tenebroso tutta la scienza della cosa pablica e privata. Allora difatti non avete più un punto fisso a cui riferire i vostri giu- dizii, nè avete norma alcuna onde porre limiti alle pretese ed alle passioni degli uomini conviventi. Quelli che venner appellati diritti dell’uomo formano appunto il complesso di questa originaria padro- nanza. L’ indipendenza , la libertà , l’eguale inviolabilità e il di- ritto di difesa e di farsi render ragione, sono tutte condizioni di que - sta originaria padronanza. La proprietà reale , la morale, la perso- nale, e la podestà domestica sono parti integranti di questa pa- dronanza. Iv quindi dovetti incominciare da un soggetto per altro trattato e ribattuto. Ma siccome egli non era mai stato possentemente e di- ligentemente squittiniato , così io credetti di doverlo avvalorare con una deduzione analitica e sottoporlo alla più rigorosa unità, non dimenticando di risolvere le idee complesse nei loro primi elementi, Qui dunque dovetti occuparmi di proposito a definire le idee di do- vere, di moralità , di diritto ec. [o mi accorsi che questa cura era tanto più indispensabile quanto più lo scambio delle idee diveniva 48 nocivo per la pratica. Io ne riscontrai esempii nell’idea di libertà scambiata comunemente coll’ originaria padronanza , e nell’ idea‘del diritto di godimento tramutata in quella di comunanza ec. ec. Con queste cautele io putei spiegare le condizioni dell’individuale pa- @ronanza originaria ($. 182, 183, 192, 225 al 240) e mi presi cura di ben raffigurare la prima parte di questa padronanza, cioè il domi- nio delle cose godevoli ($. 300 al 350). ‘Parve a molti alquanto confusa e straordinaria la forma del mio libro, specialmente per le varie analisi dei vocaboli che ad ogni tratto interrompono il progresso della trattazione, e le non rare escursioni sul metodo. Confesso che egli poteva esser meglio ordinato. Ma cir - costanze imperiose non me lo permisero. Quanto alle cose che egli contiene, voi vedrete essere tutte necessarie, specialmente a fronte delle quattro scuole predominanti sopra mentovate. Assunto l’ inca- rico d’ analizzare per quanto si poteva gli elementi di questa prima dottrina, e di purgarla da opinioni disastrose al vivere civile, e sen- tendo nello stesso tempo la necessità di creare |’ addentellato della scienza che doveva susseguire, dovetti appigliarmi a tutt’ altra ma- niera di quella usitata fin quì, e che per una abituale imitazione si prosegue ancora (vedi il $. 49 in fine della detta introdazione). Siccome però io mi accorsi che esistono certe nozioni direttrici, le quali regolar debbono ogni parte di una scienza operativa , così sottoposi il mio lavoro a queste norme. Ed affinchè voi ne rileviate lo spirito, permettetemi che io ve le segni distintamente. LEGGE DELLA NECESSITA NATURALE. L'uomo pròpone e Dio dispone , dice un volgare proverbio ita- liano. Con questo proverbio si vuole significare che l’ uomo quanto è da sè fa quello che può; ma che la riuscita dipende dall’ ordine per lai necessario delle cose. Siccome però l’uomo non crea nalla , ma solo contempla il creato , agisce sul creato ed opera colle forze del creato , così dir si può “che l’uomo propone su quello che Dio preparò , e che Dio a suo grado dispone su quello che l’ uomo propose. ; Sotto di questo proverbio cadono tutte le pratiche dottrine, per ciò stesso che dirigono le opere libere umane, e quindi tanto la dot- trina che insegna a zappare la terra, quanto quella che insegna a go- vernare gli imperii. Sotto di questo proverbio cadrà eziandio la dot- trina delle leggi, ossia meglio la civile filosofia. Educato 1’ uomo dalla natura, egli crea l’arte di ragionare, e l’arte di operare. Privo d’istinto egli si vale delle cognizioni e dei poteri acquisiti per sodi ._ 49 fare a’ suoi intenti. Egli fissa l'oggetto e i mezzi che crede acconci ad ottenerlo ($. 148). Così l’wonzo propone. Ma la riuscita dipende dal concorso delle cause stabilite dall’ economia della natura, e pro- priamente da quel complesso di circostanze proprie di un dato tempo e di un dato luogo. Così Dio dispone ; cioè fa nascere glieffetti buo- ni o tristi provocati dall’ vpera umana , benchè |’ uomo si pro ponesse di ottenere soltanto effetti utili. Ecco la legge suprema della NECES- SITÀ NATURALE fonte di ogni DOVERE anche meccanico ($. 117, 131 al 135). Ognuno intende che la necessità della quale si parla qui è necessità di MEZZO e non di coazione , necessità morale e non fisica (5-81). Vuoi tu la tal cosa? Sappiche tu non potrai conseguirla che col tal mezzo. La necessità della quale si parla deve derivare, nona da causa imputabile e procurata dall'uomo, ma da causa naturale e non imputabile a lui ($. 273). Qui si tratta di effetti utili che te vuoi ottenere colla tua limi- tata potenza nella situazione tua sulla terra. Devi dunque dipendere dall’ ordine delle cose se vuoi ottenerli ($. 80,81 , 82). ORDINE DI RAGIONE CONSEGUENTE. Ma quando accader può che l’uomo ottenga effetti utili? Cer- tamente quando la proposta winana corrisponda ad una data disposi- zione divina. Ma quando avverrà che l’uomo proponga giusta questa disposizione? Sol quando giunga a conoscere l’INTENZIONE dell’ordi- ne divino, e preferisca di conformare la sua proposta giusta questa intenzione, Ma dove e per quali mezzi l’uomo può procacciarsi la cognizione dell’intenzione divina? Fuorchè studiando l’opera di Dio, In quest’ opera entra l’ uomo stesso , cioè la sua costituzione, i suoi. bisogni, le sue affezioni e le sue tendenze , siano indivi- duali, siano sociali, siano presenti, siano future, siano d’una età, siano di molte. Dico anche di molte, perchè sappiamo che l’ uomo può dallo stato selvaggio degli irrochesi e degli ottentotti passare alla civiltà europea. In questa guisa ci forniamo l’idea ARCHETIPA della legge naturale, ossia dell’ordine necessario dei beni e dei nali, onde estrarne poi i modelli che imitar si debbono dall’umana poten- za. Posti questi modelli, e paragonandoli colle azioni di fatto degli uomini, sorge l’idea di giusto e d’ingiusto ( $.80. 125 ) la quate ridu- cesi ad identità o diversità ( $. 121). Questi modelli sono opera della ragione nostra ($. 109). In natara non esistono che beni o nali con- creti, i quali a nostra insaputa o nostro malgrado agiscono su di noi, Opinato è dunque l’ordine di ragione: e noi quando giudichiamo delle azioni morali ci riferiamo sempre a questo ordine opiuato T. XXIV. Oitobre. 50 (S. 157.63 al 66). Con ciò si spiega come in natara il bene o il male siano per tutti di legge indeclinabile, e le idee di giusto e d’ingiusto possano variare presso diversi popoli o in diverse età. Questi modelli non debbono essere ridotti ad una cifra algebrica trascendentale , come fecero gli scolastici, nè essere trattati diversamente dalle altre leggi natarali conosciute ($. 12/4), perocchè sotto l'educazione della Provvidenza, se dobbiamo osservare l’unITA’, dobbiamo consultare an- che le varietà necessarie ($. 22. 23 ). Questi modelli sono le leggi di RAGIONE che ci servono di norma per agire ($. 80 al g0). Fermata questa prima idea, che cosa abbiamo fatto ? Fuorchè configurare un ORDINE cui non sappiamo ancora come vada eseguito, perché ivi non leggiamo altro che una serie di esigenze da soddisfarsi in mira al fine astratto di star meno male che si può sulla terra (S. 15. 80). Resta dunque a sapere come queste esigenze si possano soddisfare, e quando e dove essere lo potranno ($. 16. 92.93. 94). Or qui siamo costretti a discendere a considerazioni di un altro ordine, e domandare prima di tutto quali siano i POTERI e quali i MOTORI umani adatti all’ordine finale da noi posto come norma della vita degli aomini e delle società ($. go 91). Io scorro i libri di diritto e di morale, ed altro non trovo che l’aZfadeto per leggere il libro del- l’economia divina riguardante l'umana natura. Quanto ai POTERI, in niun luogo mi è dato di scoprire la legge progressiva colla quale si vanno coi secoli aumentando i mezzi di conservazione e d’instruzione, e a pari passo scomponendo ed armonizzando i poteri compatti ori- ginali degli uomini in società. Quanto poi ai MOTORI, io altro non veggo che serie sgranate di passioni e nomenclature dislogate di vizii e di virtù, senza considerare che un’ energia indefinita era necessa- ria all’ umana natura nelle diverse età e vicissitudini , e che sol per un armonica riazione d' interessi altrai rattener si doveva un essere tatto fatto per la convivenza ($. 395 al 399). Per la qual cosa in niun luogo io trovo la teoria onde dirigere la tendenza del cuore umano, che ama di spaziare in un indefinito libero, e la tendenza dello spirito urvano che vuole riposare su un finito certo. Riunendo quindi i poteri ed i motori , in niun libro mi venne in- segnato come coll’ incivilimento sociale le cognizioni, gli affetti e le opere si vanno via via sviluppando e conformando ad un ordine più equo, più concorde e più proficuo all’universale. Eppure le leggi colle quali tuttociò si va operando entro il mondo delle nazioni, erano palesi per poco che si ponesse attenzione all’ andamento delle cose. Difatti si vede tantosto la tendenza perpetua ad alterare l’equilibrio dei po- teri e delle utilità, e ad un tempo si vede l’azione incessante della na- tura a ristabilirlo per far regnare l’eguaglianza ($. 294). Di qua wi. ì i SI vede l’attività umana stimolata ad agire per equilibrare con nuovi ‘modi le soddisfazioni coi bisogni, ma di là nello stesso tempo si ve- de l’inerzia che rattiene il tutto entro i confini della continuità (6.350). Queste ed altretali leggi padroneggiano necessariamente l’an- damento dell’umanità nel corso dei secoli. ki Ma senza la storia di questo andamento, senza la cognizione delle leggi che egli esprime , potremo noi forse assicurare che l’ or- dine di ragione da noi proposto in mira soltanto dell’atile universale sia eseguibile (v.i $$. 28. 108, 171 al 174: 418)? Ed anche nel caso che quest’ordine non presentasse ripugnanza alcuna colle leggi note dell'umanità, potremmo mai decidere come e quando possa essere eseguito ? Indipendentemente poi da tutto quanto io domando, dove trovar si potrà una solida sanzione, la quale non può risultare fuor- chè dal solo vero naturale? La morale, la politica ed il diritto debbono riposare sulle leggi certe e solide della natura umana, come l’agricoltura, la meccanica ri- posano su le leggi della natura fisica ($. 18 ). Folle od impostore è colui che pretende di sostituire le sue fantasie ai fatti imperiosi della ‘Provvidenza. Tempo è omai di abbandonare le favole o di una impa- ziente e superficiale filosofia, o di un cieco ed arrogante misticismo. Niuno dev’esser creduto sulla sua parola, ma deve addurre prove chiare e convincenti; e tanto più convincenti quanto più gravi sono gl’interessi di cui si tratta ed aspra è la lotta che debbono sostenere. SCOPO ESSENZIALE E PROPRIO DELLE DOTTRINE MORALI E POLITICHE. Il principio fondamentale della legge della NECESSITA', e l’idea dell’ORDINE teoretico e del pratico, quale fu presentato fin qui, non esprime veramente che alcuni caratteri generalissimi, e non fanno ri- saltare l’indole dello scopo proprio, ed i caratteri dell'ordine speciale delle dottrine morali e ‘politiche. Discendiamo dunque da questa somma generalità, ed avviciniamoci al nostro soggetto. Che cosa ci resta a vedere? Quale sia la specie di necessità propria da assumersi come argomento della civile filosofia , considerata tanto rispetto al- l'individuo quanto rispetto alle società. Questa necessità non è che relativa allo scopo proprio di questi uomini, di queste società ($. 87). Resta dunque a vedere quale sia questo scopo. Esso forma propria- mente il principio fondamentale del naturale diritto. Qui non mi estenderò a spiegare in che consista per fatto di natura questo prin- pio, e quanto egli sia predominante ed .indeclinabile. Su di ciò mi rimetto al mio libro (6. 79al 89, 273, 274). Io non ignoro le molte dispute eccitate fra gli scrittori su di 5a questo principio: ma nello stesso tempo fo osservare che fra le opi- nioni non avvi vera opposizione ma sol differenza nell’assumere lo stesso oggetto, e che però tali opinioni si possono tutte conciliare, e dimostrare che sotto diversi punti graduati di vista suppongono uno stesso fatto. Questo fatto fondamentale sì è che “ gli uomini e le genti sparse sulla faccia della terra e nel corso dei secoli implorano pace, equità e salute, ed agiscono senza posa per conseguire questi beni ,,. Il voler pace equità e salute è forse una domanda che si. possa condannare? L'azione incessante degli uomini e delle genti per conseguire questi beni è forse tentativa che si possa «tspiagane) Chi sarà poi da tanto da respingere tutto il mondo ? Chi sarà da tanto da proscrivere il grido universale della natura? Qui Dio dispone, e di- spone in una maniera costante ed irrefragabile. Or ben, questa voce, questa tendenza e quest’azione dev'essere posta e fermata come SCO- PO inassimo ed ultimo di tutta la dottrina. Potrà mai cader dubbio sulla sua verità ? Putremo noi diffidare della sua costanza? Potremo noi temere della sua attività? Non mai, anzi abbiamo qui uno scopo attivo ed un centro motore che non può fallir mai, Assicurato questo universale scopo natarale,ingenito, indeclina- bile fra gli uomini, resta a vedere per quale MEZZO iadispensabile fissa- to dalla necessità stessa delle cose ossia dalla natura del fine e dalla co- stituzione generale dell’umanità ,si possa e debba ottenere.Questo mez- zo forina appunto loscopo caRATTERISTICO della doctrina; dico della "dottrina, perocchè se il desiderio della pace, dell'equità e della salute è un fatto di natura, noi non potiamo alterarlo, ma sol conoscerlo come stà, ed altro non ci rimane ad insegnare fuorchè la MANIERA colla quale questo desiderio possa e debba essere da noi soddisfatto. Colle dottrine pratiche si deve insegnare a fare qualche cosa, e non sem. plicemente a contemplare i fatti esistenti. Ciò posto, domando quale sia il mezzo indispensabile onde soddisfare al ricordato desiderio? Questo mezzo si è ‘ la più felice conservazione mediante un adatto perfezionamento ,, Annunziare la conservazione nuda non qualifi- cherebbe lo scopo caratteristico dell’umanità, perocchè è comune an- che alle bestie ($. 67 al 71). Rammentiamoci che noi parliamo di un essere nudo, debole e privo di un uniforme istinto, e che per conseguenza non puòutilmente agire che con forze e lumi acquisiti e coll’educazione , e coi sussidii ricevuti dai suoi simili. Queste circostanze attribuiscono all’ ordine operativo dell’ umanità un carattere così proprio e così specifico, che non si può accomunare coll’ ordine degli altri esseri non umani. Più ancora! queste differenze fra la specie umana e le altre specie d’ ani- mali variano così per i luoghi e per i tempi, che le forme della con- 53 servazione e del perfezionamento non possono essere simili fra le di- verse popolazioni, e perfino nella stessa popolazione nelle diverse età del mondo. La personale debolezza ed originaria ignoranza poi, il bisogno di an potere e di un’ istruzione tradizionale , inducono una sanzione così prepotente per promovere fra gli uomini uno scambio equo di servigi, che o conviene alla langa distruggersi come i giganti di Cadmo, o conviene assoggettarsi alle leggi dell’equità. Questa maniera complessa di ravvisare l’ oggetto proprio finale della civile filosofia è così indispensabile, che sottraendone una qua- lunque benchè menoma parte, la dottrina mancherebbe di pienezza, di unità e di possanza, per non esibire che mutilati ed informi fram- menti sterili d’ altronde di civile sapienza. Che cosa dir dunque do- vremo di que’ scrittori i quali assumono l’ idea vaga e sfumatissima della: felicità , dell’ onesto , della sociabilità, ed altre simili, tutti in senso diviso e senza le dovute connessioni ? ORDINE ASSOLUTO DEI DOVERI MORALI. Determinato lo scopo massimo della dottrina, rimane a vedere quale sia l'ordine dei mezzi assoluti imposti dalla necessità naturale, in mira soltanto allo scopo proposto onde ottenerlo. Per soddisfare a questa domanda conviene cominciare coll’ esaminare l’uomo indivi- duo, per poi finire coll’esaminare la persona complessivadella socie- tà. Io dunque doveva ricercare che cosa importi la individuale conè servazione e perfezionamento considerati in sè stessi, ed avuto riguar- do soltanto alle esigenze supreme imposte dalla natura. Questo esa- me mi off:ì tantosto tutto il complesso delie prerogative originarie, e quindi l’ordine teoretico della PADRONANZA INDIVIDUALE, origina ria. [o quindi segnai le condizioni perpetue di questa padronanza, cioè l’indipendenza fra privato e privato , la libertà , l’ eguale inviolabili- tà dei diritti: oltreciò parlai delle parti integranti di questa padro- nanza,cioè della proprietà reale, della morale, della personale, non che della podestà domestica nell’ ordine della riproduzione, senza eccede- re per altro i primordii della scienza e i confini di una introduzione. Qui debbo parlando dell’ ordinamento raccomandare un’ avvertenza ca pitale nel trattare della padronanza originaria. Questa padronanza costituisce gli articoli fondamentali dei diritti dell’ uomo, ossia delle facoltà utili di lui. Ma queste facoltà, per essere ben comprese e va- lutate, nonsi debbono considerare in un senso assoluto ed isolato, co- me sogliono praticare i giareconsulti ed i publicisti , ma bensì in un senso relativo e subordinato allo scopo della conservazione mediante il perfezionamento praticabile. Danque ogni diritto, ogni condizione, 54 ogni parte di questa padronanza assumere ed ordinare si deve come » MEZZO NECESSARIO, ma sol praticabile colla forza delle circostanze. Se difatti ogni diritto si deve considerare come una forza utile, esso non si può considerare che come una forza regolata dalla necessità imperiosa delle circostanze concrete e pratiche. Allora cessa tutto l'immaginario , tatto |’ indefinito, tutto lo slegato nel trattare dei diritti originarii ed inalienabili degli uomini. Allora siamo forzati a seguire la catena dei mezzi , della conservazione e del perfeziona mento, così che ogni idea assoluta deve venire atteggiata e subordi- nata ad un solo centro, Volendo cogliere prima di tutto le nozioni che appartengono all’ ordine dei doveri , ho veduto necessario di soddisfare a due cure. La prima si è quella di definire la natura propria degli oggetti che esporre si dovevano, di discernerne le parti, e di coglierne i rapporti di diritto. La seconda poi si è di assegnare le fonti della necessità operante nel luogo e nel tempo, e quindi cogliere i veri dati onde raf- figurare l'ordine naturale teoretico proprio della civile filosofia. Queste fonti risultano da quelle circostanze create dalla natura, alle quali è forza di sottostare, e senza delle quali ogni nostro concepi- mento, o rimane falso, o almeno mancante della sua intiera realità ($. 22, 23). Queste circostanze formano parte dell’ opera divina , così che senza di esse non si può intendere nè fondare il soggetto ; di alcuna dottrina operativa. Come al Lappone non è possibile avere i sussidii delle zone temperate, così non si possono dappertutto stabilire gli ordini e le leggi delle zone temperate. Parimenti come il fanciullo non gode il senno e la robustezza della virilità , così le leggi della virilità non si possono applicare a tutte le età. Ecco il caso delle nazioni barbare e delle incivilite. Lo stato successivo è stato necessario ; e lo stato ne- cessario forma parte dell’ opera divina. Le circostanze della natura fisica esteriore; le circostanze dell’età morale dei popoli sono dunque parti integranti dell’ ordine teoretico della dottrina nostra, perocchè questo altro non esprime che le esigenze stesse della natura, onde ot- tenere la pace, l’equità e la salute im plorate dalle genti. Finalmente viddi la necessità di rispettare la legge delle GRADAZIONI, la quale presiede alle utili riforme e comanda la maturità dei poteri, degli interessi e delle opinioni, e la politica tolleranza nel correggere le abitudini. ($. 124,417). Io non saprei mai raccomandare abbastanza questo modo com- plessivo di raffigurare l’ordine teoretico della proposta dottrina, po- stochè questa vista capitale è sfuggita all’ attenzione dei publicisti. # 55 Col considerare l’uomo sprovveduto di un uniforme istinto, e quindi necessitato ad'agire con cognizioni acquisite: col considerarlo ignudo ed inerme gettato in mezzo alla gran selva della terra, e quindi. ne- cessitato a procacciarsi sul fondo della grezza natura i mezzi neces- sarii alla propria conservazione , ed a valersi della cooperazione al- trui: col considerare gli effetti tanto interni quanto esterni che de- rivano dalla sua energia individuale e sociale, per i quali si crea ef- fettivamente un mondo artificiale su quello della natura (6. 171 al 175) e in ogni età esister può un uomo morale diverso da quello de- gli antecedenti ($. 350) sorge un tale complesso di fatti necessarzi, di rapporti interessanti e di leggi indispensabili per la pace, l’ equità, la salute e la sicurezza delle genti, che tutte le dottrine fin qui inse- gnate riduconsi ad un alfabeto di limiti ristrettissimi e primordia- li. Dall'altra parte poi considerando tutto questo complesso, la scien- za della cosa publica e privata acquista un essere, un’ estenzione ed una forma così nuova e così grandiosa, che ci obbliga ad un corso di studii fino a qui sconosciato. O convien negare che la ragionevo- lezza sia il caratteristico essenziale dell’ aomo, per cui tanto può quanto sa , come diceva Bacone, e che l’uomo sia forte sol per P unione, e felice per la pace, 0 CONVIENE AGGREGARE AL DEMANIO DELLA SCIENZA TUTTO L’ ORDINE DEL PERFEZIONAMENTO , E QUINDI DAR FORMA, ESTENSIONE E VIGORE ALLA DOTTRINA MEDIANTE L'AS= SOCIAZIONE DI QUEST’ ORDINE. Ora scorrendo gli scritti dei publicisti, esaminando i dettami che ci consegnarono, troviamo noi forse aver essi praticata questa ag- | gregazione ? Ei accorgiamo noi che la teoria dei diritti e dei doveri della cosa publica e privata sia stata atteggiata su di questa aggre- gazione ? Nulla di tutto questo ; ed anzi troviamo una maniera di ve- dere, dirò così marmorea, che distragge da capo a fondo tutto il de- manio e tatta la pienezza della dottrina ($. 402). Forse che gli scrit- tori potevano prescindere da questa aggregazione o a dir meglio in- tegrazione della scienza ? No certamente , a meno che non amassero di trattare l’ uomo morale come l’ uomo bestia. Ho osservato poco fa che per tracciare l’ordine teoretico fonda- mentale della civile filosofia, convien cominciare coll’esaminare l’uo- mo individuo, per poi finire coll’ esaminare la persona complessiva della società. Quanto alla prima parte ne ho detto abbastanza, e voi vedete che io ne parlai nel mio lavoro entro per altro i confini di una nuova introduzione. Ora mi resta a dirvi per sommi capi ciò che credetti necessario di esporre rispetto alla seconda parte, cioè dello stato sociale, del che vi parlerò nella seguente lettera. 56 Primo elemento della forza commerciale di Grusepre pe Wetz. Napoli, Maggio 1826, un vol. in gran 4.° con 6 tavole. Quest’ opera sì speciosamente intitolata può dirsi l’ap- pendice di un altra più voluminosa dello stesso autore, pub- blicata due anni or sono con un titolo non meno specio- so. La magia del credito svelata fù la proposizione fonda- mentale: corollario di essa è il Primo elemento della forza commerciale. Nell’ aspettativa di vedere comparire col mezzo del- 1’ Antologia un analisi proporzionata all’importanza di quel- l’opera, ecco che uno dei più grandi economisti della nustra età già pronunciò sentenza sul merito della medesima. E tanto riescì lusinghevole per il De /elz il giudizio di Melchiore Gioja ch’ egli ha stimato bene d’inserirlo per intero in calce al suo nuovo lavoro. Noi pertanto , nel dare un breve sunto di questo, co- minceremo dal far parola di quello che può dirsi formare parte integrante della stessa opera. « L’A. dice Gioja, considerato come scrittore di eco- nomia, dimostra di conoscere a fondo le teorie del credito, e come negoziante di professione da prove di averne se- guito con discernimento la pratica ... Egli non si perde nelle nubi come Riccardo , mon argomenta sopra le sup> posizioni come Condillac, non dogmatizza come Say. A que- sti pregi fa d’ uopo aggiungere somma purità d’ intenzio= ne , ardentissimo zelo pel pubblico bene, sacrifizi per ri- muovere gli ostacoli che gli si sogliono opporre, costanza nell’illuminare i pubblici amministratori onde conoscano i vantaggi'di cui il suo piano è fecondo, e finalmente buona fede negli affari amministrativi e finanzieri raccomandata in tutte le pagine,,. Tutto in una parola tende alla dimostrazione di una verità negata dal maggior numero degli economisti france= si, che il credito cioè crea nuovi valori. Say e sopratutto Sismondi opinano , che il credito null’ altro faccia se non 57 che traslocare e non già aumentare. Così dicendo e conve- nendo nella:prima parte, si danno essi medesimi torto nella seconda che vogliono escludere, Il credito infatti non solo trasloca, per via di cambiali o Jettere di banco, capitali da uno in altro luogo con risparmio visibile di tempo e di spesa: ma anche li accresce traslocandoli da uno in altro individuo. Quando a convincere non bastassero gli esempi degli appaltatori, fornitori , fittnarii, capi di maestranza ec.; i quali per dar opera alle loro speculazioni prendono capi- tali in prestanza, ed attivando perciò la loro industria trag- gono un favorevole partito dal credito acquistato col porlo in azione, quando ciò non bastasse, gioverà rammentare quanto fra nui annualmente si fa da molti contadini e coloni. Pren- dono essi nella stagione invernale denaro ad imprestito' dai propri padroni o da altri proprietarii senza dar loro alcun ca- pitale pergnarentigia meno che la fiducia personale, la quale specialmente si fonda e si aumenta nella puntualità di pa- gare all’epoca convenuta il debito contratto. Ognuno di per sè comprende che dal caso attuale re- stano di loro natura esclusi quegli nomini inerti e viziosi, incapaci sempre di migliorare la condizione propria e quella del terreno alle loro cure affidato. Si tratta bensì di que’vil- lici esperti e operosi , i quali non ritraendo dal podere un frutto sufficiente per il loro annno sostentamento , si aiu- tano con tutti i mezzi a dar moto alla loro industria, sia nel migliorare con nuove opere lo stato del predio loro af- fidato , sia nella compra e vendita de’bestiami, sia nel la- voro vespertino delle loro donne: sicchè a fin d’anno per- vengono a rimborsare co' frutti il capitale preso ad impre- stito, e supplire anche al deficit delle fatte raccolte. Ecco un aumento di valori in questa traslocazione di ca- pitali, in ciò che si è consumato per vivere una parte del- l’anno, ne’ frutti pagati, e talvolta in qualche avanzo che rimanga a chi fece il debito. Niuno negherà che quel ca. pitale non fu solamente traslocato come pensa Sismondi , “ma che si aumentò per via di traslocazione. Cosicchè tutti” questi aumentati valori sono opera del credito. 58, È inutile il rilevare che avremmo li stessi risultati , sia che l’operazione si faccia in contanti sia che si effettui in generi, non essendo il denaro che la cifra con cui si càl- cola il valore de’prodottio sia de’ generi medesimi nel loro cambio. Beninteso che vi sia buona fede nel cambio e nei contratti, tanto chi prende quanto chi dà i generi lo fà sem- pre con intenzione e sicurezza di guadagno , sicchè lo stesso capitale passando, e traslocandosi per tre diverse mani di un negoziante di Livorno p. e. ad uno di Firenze, e da questo ad altro di un suburbano villaggio, vi sarà sempre accre- scimento di capitale ; e tutto ciò per via di credito, che il negoziante livornese ha nel suo corrispondente fiorenti- no, e questo con quello di campagna. . La qual teorica è tutta fondata sulla buonafede, sulla esattezza de’pagamenti, sulla fiducia che uno inspira: in una parola sulle virtà. personali ; poichè non trova credito co- lui ch'è screditato per vizi, per dappocaggine, per pessi- ma opinione, per impuntualità a pagare i debiti e per mala fede o fraude nelle contrattazioni. Quindi la teoria del credito strettamente annodasi alla scienza dell’ economia ci- vile e alla dottrina della morale sia pubblica che privata. L’uomo infatti, se vero fia il principio che nella pra- tica della sua etica fa meglio di ogni altro le sue faccen- de, perchè è sobrio ed economico , l’uomo dissi, che non sentesi il cuore concitato da fantastiche idee e da vitupe- revoli passioni, avrà sempremai l’intelletto libero e lucido a provvedere ed a migliorare i suoi negozi. Questi vantaggi che ogni individuo può ritrarre dal credito vengono dal sig. De Welz trasportati in una scala di assai più vasta dimensione applicandoli alle nazioni. Egli si appoggia sull’ esempio dell’ Inghilterra salita ad im- mensa prosperità fino da che inspirò credito ai suoi capi- talisti, e parve onerarsi di un debito che dovesse schiac- ciarla. Al quale documento il ch. a. aggiungere poteva l’al- tro delli Stati-Uniti, i quali, a fine di conquistare il som- mo capitale della propria indipendenza, aprirono un ere- dito tanto co’ propri cittadini, che con le Banche estere : cercarono d’ispirare loro fiducia, e seppero conservarsela | | | | 9 con l’esattezza e la buona fede dopo averla ii Con tali mezzi salirono essi non solo al grado di nazione indi- pendente , ma pur anche a florido e potente stato. Ora gli americani settentrionali vanno annualmente estinguendo i primi imprestiti, e fra 4o anni sì troveranno con capitali immensi senza un obolo di debito pubblico, Conchiude fi- nalmerte l’a. che una nazione può in grande ritrarre dal credito que’ medesimi vantaggi che in piccolo fanno i par- ticolari. Alla parte teorica dell’opera succede l’ applicata; os- sia quella che contiene lo scopo per cui fù scritta ; cioè di aprire un credito nella Sicilia , onde con le somme im- prontate dar vita e attività alle arti, all’agricoltura ed al commercio. Non sempre però, egli riflette, li stati hanno capi- tali disponibili da impiegarsi per opere pubbliche : e molto meno sono esse in grado da poter essere con nuovi tributi gravate per raccogliere le somme a sì fatte opere necessa- rie. In tali casi giova moltissimo la creazione di un debito nazionale, sia perchè una nazione può senza scapito tol- lerarne l’annuo interesse , nel mentre non sarebbe per reg- gere all’imposizione intiera del capitale, sia perchè estin- guendosi questo debito con certa e insensibile progressio- ne vengono a concorrere al pagamento anche le generazioni future ; ed è giusto che vi concorrano, tosto che anch’esse partecipano ai vantaggi delle opere, per le quali quel de- bito fù creato. Ma quali esser deggiono queste opere?... Quelle che facilitando il commercio faciliteranno l’industria, e per- ciò la produzione. Il segreto sta dunque nell’agevolare le comunicazioni fra i produttori. Quindi le strade rotabili, con le quali vi è sommo acquisto di mezzi comunicativi, e dei quali la Sicilia cotanto scarseggia , sariano per produrre un guadagno che sta sempre in ragione composta dell’in- versa del tempo e della diretta della quantità de’ generi da trasportarsi. Pel commercio però non è solamente ne- cessaria la circolazione e comunicazione de’ prodotti: deve circolare eziandio e comunicare ciò che rappresenta ì va- lori di queste produzioni : è uopo facilitare e far spedito pur anche il corso del denaro. E siccome questo è un cor- 60 po pesante , così vi sarà sempre guadagno commerciale a far circolare speditamente un essere , un segno che lo rap- presenti. Le carte dancali , quest’ ingegnosissimo compen- so, che cotanto contribuì cinque secoli fa ad accrescere le ricchezze e la potenza di Firenze, la quale prima di ogni altro stato lo mise in pratica, sono le più proprie a quest’ef- fetto, poichè con la celerità della posta e senza timore di furti dentro una semplice lettera possono trasportarsi. Quindi la necessità di una banca siciliana De’ vantaggi sì economici che finanzieri ed anche mo- rali de’ Banchi si discorre distesamente e con somma peri- zia dal n. a. in questa parte dell’opera Non così minutamente e parzialmente delle pubbliche strade. E forse egli il fece onde lasciarsi campo ad altro libro tutto tecnico sulle stra- de rotabili qual è quello che abbiamo fino da principio annunziato. ; Vi ha nella magia del credito, dice Gioja, qualche idea che noi non possiamo collaudare: tale si è quella che tutto il segreto di un utile commercio consista nel vendere all’e- stero un numero delle nostre produzioni maggiore di quello che riceviamo. All’opposto l’economista milanese è di parere che quel segreto consista nel dar meno e ricever più. Le quali opinioni, per quanto sembrino polarmente disparate, avriano un punto medio coincidente , in cui si potrebbero in qualche modo seco loro riconciliare. Ove sia permesso di entrare in arringo fra sì valorosi atleti, la questione , a quel che a noi sembra , è reducibile ne’seguenti termini : il sig. De Welz,tutto intento all'estrazione de’prodotti indigeni non cura, che molti di essi equivalghino il valore mer- cantile di poche produzioni straniere ; mentre, per lo con- trario, il sig. Gioja vorrebbe che sotto piccola dose un ge- nere nazionale pareggiasse coll'utilità di cui deriva sorgente, grandi partite di prodotti estranei. Il punto coincidente per- tanto delle due opinioni contrarie, è nel valore delle cose proprie che cambiansi con le altrui. De Yelz economizzando questo valore nella quantità par che dica a Gioja: ‘‘ La stessa cosa guadagniamo, voi con uno ed io con mille, sen- za che i miei mille mi costino più del vostro uno, e senza 6 che il vostro uno vi faccia spendere meno de’miei mille ,,. Lasciando però simil questione accessoria faremo ritor- no al libro dal sig. De /e/z ultimamente pubblicato , ove di proposito si tratta del modo più economico ed efficace di costrure e riparare le pubbliche strade, come l’ espedien- te più sicuro ad avvalorare ed estendere la consumazione de’ prodotti e dell'industria, e per conseguenza a far prospera- re uno stato. i ll sistema di Mac-Adam, tanto oggi giorno in Inghil- terra acclamato, pare che abbia offerto al n. a. una oppor- tunissima occasione per proporlo e renderlo applicabile alla Sicilia: talchè l'opera di questo può dirsi in sostanza l’argo- mento e la base su di che il sig. De J7elz ha innalzato il suo nuovo lavoro. Sino dalle prime pagine, nella dedica al principe di Campo-franco già luogotenente generale in Sicilia, ora mag- giordomo, Maggiore di S M. il re di Napoli, traluce un caldo zelo che l’A. sente per il pubblico bene in generale, e per la prosperità specialmente della Sicilia. sua patria di adozione. Egli eziandio non nasconde un tal quale sen- timento di afflizione nel vedere, con la sospensione de’la- vori per le decretate strade, ritardate le speranze di essere messi a prova i suoi filantropi e giudiziosi concetti. In nna dotta e ben forbita prefazione, dopo avere l’a. rammentato che l’uomo per sua nobile natura lungi da essere destinato a condurre una vita isolata e selvaggia, o un esistenza così concentrata come l’ostrica nella sua con- chiglia, questi per lo contrario viene dalla facoltà del suo spirito e del suo fisico spinto naturalmente a trionfare del tempo. e ad aprirsi sempre nuove sorgenti di prosperità. Un cotal posto eminente cui l’uomo si eleva prende origine da terrài principii, dall’associarsi che fa l’uomo con l’uomo. È solo per quest’associazione ch’egli s’istruisce, s'ingentilisce, e si sviluppa a segno che dalla sua istruzione, civiltà e svi- luppo emergono tutti i beni e i godimenti della vita. Là dove non sono comunicazioni, oppure là dove riescono difficili, gli uomini,dice De /7e/z,devono essere per necessità rozzi e mise- rabili. Per quanto inospitale e silvestre possa essere una con- 62 trada, il giorno incni vi aprite una comunicazione è il primo del suo incivilimento. Quindi egli reca ad esempio la Russia, _ dove per i sforzi degli Czar facilitandosi e moltiplicandosi le comunicazioni fra i diversi punti di quel vasto impero si è promossa l’industria, il commercio e la pubblica istruzio- ne a segno che, mentre quei popoli prima di Pietro il gran- de erano affatto barbari, oggi cominciano a rivalizzare con le nazioni più colte di Europa. Dopo aver passato in rapida rivista li stati dell’anti- co mondo, cominciando dai romani che superiormente agli altri si distinsero sotto il rapporto delle grandi strade, scende ai tempi moderni; e facendo rilevare come la cul- tura e la prosperità siano andate proporzionandosi alle co- municazioni di cui ciascun paese è fornito, contando tra que- ste specialmente l’interna navigazione de’canali, quale può dirsi il sistema di comunicazione perfezionato, il n. a. con- clade che sotto questo punto di vista nell'antico mondo l’In- ghilterra, e l'America settentrionale nel nuovo mondo, oc- cupano il primo posto : che la Francia e i Paesi-bassi, ven- gono d’appresso , che l’Italia le guarda da lontano (1), men- (1) Eppure i duchi di Milano diedero alle moderne nazioni il primo esempio de’ canali navigabili. Senza rammentare il Naviglio grande il quale scende dal Ticino alla capitale dell’ Insubria , e li cui primi lavori risalgono al secolo XII',. noi troviamo nei canali navigabili della Lombardia la priea applicazione de’so- stegni a doppie porte ; invenzione ingegnosissima del genio italiano , la quale hs aperto tanti sbocchi al commercio interno dei popoli. Ed essa eziandio precedè la celebre chiusa di Strà presso Padova, opera di due meccanici viter- besi non più antica del 1481, conciossiachè sino dal 1439 il Duca Filippo- Maria Visconti aveva fatto costruire un sostegno, o come dicono i milanesi una Conca nel Naviglio, che dal sito detto di Viarena estende la sua navigazione sino alla fossa dalla quale Milano era attorniata. ( Delle Antichità Longob. Milano Dissert. XII). E dalli rass. di Leonardo da Vinci sappiamo: che questo dotto e ingegnoso artista molto operò per congiungere il canale della Martesana con quello del Ticino, € ciò per via di sostegni disegnati coi portoni da girarsi nei cardini, e da chiudersi ad angolo-ettaso (mss. nell’Ambrosiana), E nella stessa guisa che la Francia fu debitrice al genio di questo sommo artefice fiorentino , del progetto di un canale che passare doveva per Romorentin, i toscani non hauno dimepticato che ai primi slanci giovanili di questo loro concittadino devono il disegno di rendere Firenze porto di mare , per mezzo di un canale, il quale staccandosi dall’Arno attraversare doveva le campagne di Prato, di Pi- stoja , di Seravalle e il Lago di Bientina sino a Pisa ( Venturi, Essai sur les CORE O VO n o 63 tre la Spagna ela Sicilia possono dirsi l’ ultime dell’im- mensa catena. In fine se si getta uno sguardo sulla Mace- donia , l’Epiro, la Turchia Europea, l’Asia minore , l’Af- frica ec. noi vedremo, dic’egli, immensi paesi, barbari, incolti, feroci e miserabili, perchè non hanno che balze a superare, precipizi a traghettare, inospiti boscaglie e deserti a percorrere. E dicasi pure senza tema di errare: quelle contrade che per la natura del suolo, e per l'indole de’loro abitanti escludono ogni sistema di comunicazioni facili, debbono giudicarsi come condannate ad una perpetua bar- barie, ad un eterna miseria, E siccome appunto da siffatte privazioni il sig. De Welz ripete la condizione stazionaria in cui trovasi l’ agricoltura in Sicilia, quindi il languore e la nullità del suo commer- cio, egli a buon diritto si lusingò di essere per rendere non lieve servigio alla sua patria, mettendo l’Italia non che la Sicilia, a portata di meglio conoscere l’opera inglese del sig. Mac-Adam sul sistema di costruire e di riparare le strade. Questo diligente osservatore, dopo molti lustri di espe- rienze e di minute indagini, per conoscere le cause che rendevano in varie parti d’Inghilterra difettose le strade po- stali, così dette di darriera, dopo avere nel distretto di Bri- stol diretto la costruzione e riparazione di molte prima in qualità di commissario poi d’ispettore generale, si i decise a pubblicare il suo metodo, dove senza far pompa di filo- ‘sofici ragionamenti e di teorie astratte, si limita semplice- mente alla pura esposizione de’fatti (mezzo il più sicuro di persuadere ) confermati dai lavori instituiti e dai ri- sultati costanti di venti e più anni di pratica. Il suo scritto è diviso in tre sezioni: 1.? sul modo di construire le stra- de ; 2° sugl’ impiegati per un tal. servigio ; 3 sull’ ammini- ouvrages de Leonard de Vinci, pag. 39). Ciò sia detto di passaggio per ri- spondere all'Autore di un recente opuscolo intitolato: Paris Port de mer, il quale non ha esitato di sentenziare, che il canale di Briare cominciato a co- struirsì sotto il regno di Enrico IV, fu le premier canal à point de partage qui ait été construit dans le monde connu, tout entier d’ invention fran- caise , et qui ensuite servit de modéle aux canaux de France et d' An- gleterre. ,, 64 strazione finanziera di questo ramo dî pubblici lavori. Ad esso tengono dietro due rapporti alla camera de’comuni, fatti dà due commissioni appositamente nominate nel 1811 e 1816, e più una relazione dallo stesso Mac-Adam inviata nel 1820 al comitato di agricoltura in Londra , vertenti pure sullo stesso oggetto. Tutto ciò ha prestato al De We/z materia di nuove in- vestigazioni e di erudite ricerche da esso ricapitolate in tre Appendici, alle quali fa succedere, come in un quadro si- nottico, il prospetto delle principali idee »dell’ opera ln glese da esso tradotta , ed i progressi che si fecero negli ultimi anni nella Gran Brettagna in questo ramo importan- tissimo di pubblica e privata economia. Per dar un idea del sistema di Mac-4dam, nella par- te 14 egli c’informa che in quanto ai materiali usati nel- la costruzione delle strade pubbliche dell’ Inghilterra; nei contorni di Londra s’ impiega la ghiaja: nelle contee di Essex e di Sussex si fa uso di selce: nelle contee di /îlts, Sommerset e Glocester è sopra tutto adoperata la pietra cab carea : nel nord dell’ Inghilterra e nella Scozia il materiale principale è il basalto, mentre nelle contee di Skropshire e Staffordshire si usano grosse pietre vive col sabbione. Con qualunque de’ nominati materiali si possono, dic’egli, costruire strade eccellenti, cioè, solide e compatte allo stesso grado , e mantenersi tali costantemente in tutte le stagio- ni. Non così però in quanto alla durata, stando questa in ragione diretta della resistenza de’ materiali di cui sono esse formate. La questione pertanto che potrebbe elevarsi sulla natura delle pietre, potrà, a sentimento di Mac Adam, ri- guardare il tempo e la spesa, non mai la qualità delle stra- de che ne risulta. Si deve necessariamente ammettere che la loro durata serba una proporzione col peso e la velocità de’carri e delle vetture, tirate sopra ruote di una regolare larghezza ; e quelle reputa migliori, le quali avendo i cerchi di forma cilindrica, larghi da cinque a sei pollici , e situate per- pendicolari , non possono produrre verun guasto in una strada ben fatta, atteso il lento passo con cui le vetture 65° pesanti vi sono trascinate. Almeno deve intendersi; dice l’A., che il danno non sia mai ‘superiore della tassa che pa= gano alle Barriere. Per lo contrario le diligenze, col sistema che attualmente si ha di sopraccaricarle e di farle: correre velocemente sopra ruote assai ‘strette, danneggiano le strade. molto al di là del compenso che danno col loro pedaggio. « Quando la legislazione inglese avrà provveduto ai mezzi di mettere tutte le strade in uno ‘stato il più con venevole al comodo dell’ agricoltura: e del commercio del paese , essa potrà naturalmente dedurre gli espedienti più, valevoli a preservarle dai guasti, e a provvedere ai fondi necessarii per riparare gli effetti inevitabili dell’ uso, lim- ponendo quei diritti di pedaggio che serberanno la più giu- sta proporzione ‘colle vetture che ne sono la causa ,,..Jn quanto al modo di riparare le pubbliche vie , le leggi nella, Gran Brettagna hanno sventuratamente preceduto ‘le mi- sure che si sono adottate per la costruzione di buone strade, e tali che meritassero di essere accuratamente conservate. H sig. Mac- Adam finalmente termina questa prima parte, col proporre l’ instituzione di un corpo di uffiziali d’in- gegno e di reputazione per sopraintendere e dirigere que: sta branca essenzialissima di pubblico servizio. I commissarii e gl’ impiegati subalterni sui quali verte la Parte II non sono, dice l’A. inglese; sufficienti ad assi- curare tutti gli oggetti che le-leggi avevano avnutoinmi- ra. Gl’impiegati al mantenimento delle strade rotabili. so-: gliono in Inghilterra. esser eletti dalle parrocchie } icui.in- combe 1’ obbligo di provvedere i fondi:necessari alla: co- struzione de’ cammini che attraversano il. loro.’ territorio. Cadauna parrocchia è rappresentata da. ‘un’ assemblea; di notabili , sotto il nome di curatele ; i quali notabili. sono tenuti per un anno a prestare un servigio gratuito. Essi fissano le tasse di pedaggio e di barriera, ne impiegano i prodotti , sorvegliano i lavori, e si Tendono responsabi- li dell’ impiego di questi mezzi , potendo essere perse- guitati personalmente davanti. i tribunali. Manca peraltro un potere scientifico; laborioso , esecutivo, al quale ‘non T. XXIV. Ottobre. | min do verbi 66 | può supplire un corpo d’ispettori ignari affatto de’ doveri annessi all’ incarico loro affidato. Molti per vero dire ed im- portanti miglioramenti sono stati in Inghilterra introdotti, dal buon senso e dallo zelo di alcuni commissarii, dalle, assemblee di qualche distretto; ma i buoni effetti, che ne, sono risultati, rimasero circoscritti. là. dove ebbero nasci- mento,'e spesse volte andarono perduti con la morte 0-1’ al- lontanamento de’ loro autori. Non potendosi ragionevolmente esigere da, persone im-, pegnate-in altri affari quella costante laboriosa attenzione che si richiede per sorvegliare l’esecuzione. de’lavori delle, strade da Barriera, il sig. Mac- Adam propone per cadauna contea un uffiziale di esecuzione bene istruito , sotto gli or- dini de'commissari. Ma.i servigi di questi uffiziali dovreb-. bero essere largamente ricompensati. Le servitù gratuite sono sempre temporanee ‘e locali , perchè dipendono dalla vita e dalla residenza della persona che le offre, ed esse. han sempre rese vane tutte le speranze. E avvegnachè lo stato. difettoso delle strade riesce evidentemente gravoso all’agri- coltura, ‘al commercio e alle manifatture, in grazia dell’au- mento di prezzo che producono i trasporti, della maggiore perdita di tempo,e del' consumo più vistoso di animali e di vetture; se questo importante oggetto venisse affidato ad un ‘dipartimento esecutivo:, efficace, responsabile, e diretto dalla:saviezza del governo, esso divenire potrebbe una ma- teria di esame e di provvedimenti, in guisa che molti miglio- ramenti locali sarebbero più conosciuti,.e con pubblico van. taggio generalmente adottati (2). I fondi posti dalla legge (Parte III) a disposizione dei commissarii. per la manutensione delle pubbliche strade, risultano in Inghilterra dall’imposizione del pedaggio, e da (2) Alli stessi e forse più gravi inconvenienti sembra che andasse soggetto il generoso provvedimento che fece detta re all' immortale Pietro Leopoldo I la legge. del 4 marzo 1776, iu ordine alla quale venne accordato a ciascuna co- munità della Toscana granducale il ‘divitto d’ imporsi e di fare le spese neces- sarie alla costruzione e .rmaantenimento delle'strade comprese mel loro distrettoz e; dal consiglio de’ Priori accampionate, giacchè la esecuzione di tai lavori sem- pre affidata veniva ad altrettanti subaccollatari , che non aveyano altro a pa- tire che la troppa condiscendenza de’ periti comunitativi. 67 una quantità di opere a cui sono tenute le parrocchie, L’im- posizione di un travaglio personale, poco adattata allo stato presente della società, non può essere mai vantaggiosa al servizio de’ lavori pubblici: e nel medesimo tempo essa va soggetta al grave inconveniente di servire d’istrumento di parzialità e di oppressione, perchè la direzione n’è data ad una classe d’ uomini, ai quali un potere di simil na- tura non dovrebbe esser mai confidato. Le cagioni, per le quali il parlamento inglese in al- tr’ epoca s’ indusse a sanzionare il servigio personale , es- sendo cessate , sarebbe più espediente di commutare il la- voro in natura in una imposizione moderata, come di già con gran vantaggio fu effettuato nella Scozia (3). La somma del denaro che in Inghilterra si esige an- nualmente per uso delle strade è grandissima, sebbene il governo non abbia fatto finora delle indagini sull’ammon- tare delle somme prelevate per il mantenimento delle stra, de da Barriera, nè sulla quantità del debito che si è con- tratto per quest’ oggetto. Questi fondi apparentemente si spendono sotto la di- rezione de’commissarii, ma in realtà sotto quella degl’ispet- tori, sopra de’ quali i commissari non hanno che de’mezzi. incertissimi da esercitare proficuamente un controlo. Ma nella serie di tali osservazioni sul materiale, l’am- ministrazione e l’ economia delle strade maestre .d’ Inghil- terra, non se ne trova alcuna diretta a prescrivere il meto- do praticato dal Mac- Adam nella costruzione delle mede. sime. Questo specialmente emerge dai diversi esami e de- posizioni che le commissioni della camera de’ comuni si (3) Il lavoro delle strade , che in Inghilterra si paga in gran parte con la prestazione dell’opera personale , sebbene rammenti un istituzione del romano impero, non si può negare che non sia un residuo di schiavità, di cui varii paesi conservano tuttora il costume nella così detta fra noi. comandata ,. 0. Corvée de’francesi, Le comandate in Toscana furono abolite dal gran Pietro Leopoldo, € fu per trovare un compenso più adeguato, che 1’ I. e R. Accademia de’Geor- gofili propose nell’ anno 1777 per premiarsi l’ argomento seguente: Si cerca che sia additato un metodo facile, e del minor dispendio possibile; per costruire; risarcire , e mantenere , tanto. in poggio che in piano , le strade di-Toscana, senza servirsi delle Comandate , che sono state riconosciute pregiudiciali all’agri- coltura , e perciò proibite dalle veglianti leggi ,;- 68 procurarono nel 1816, interpellando maestri e ispettori di. poste, proprietari di numerose vetture e diligenze, commis- sarii, edispettori delle strade, fra i quali specialmente l’au- tore del metodo proclamato. Dal complesso dei varj deposti risulta ad evidenza non solo delle antiche strade i difetti, mai vantaggi e le nor- me più esatte per la costruzione e riparazione di quelle formate secondo il nuovo metodo. Ecco le regole più es- senziali. Le strade non potranno divenire pienamente durevoli , solide ed incapaci di essere attaccate da qualunque cam- biamento/di stagione e dal peso delle vetture, sino a che non verranno ammessi e praticati i seguenti principii: 1.° Che essendo il suolo inferiore quello che realmente sopporta il peso de’ carri e vetture , è necessario che esso sia reso perfettamente secco, per quindi situarvi sopra uno strato impermeabile alla pioggia e capace di conservarsi tale. 2.° Che il solo metodo di rendere immobili le pietre di una strada rotabile è quello di adroprare MIRA di gran- dezza uniforme dal sotto in sù. 3.° Che la dimensione di queste pietre dee essere in una giusta proporzione con lo spazio che occupa una ruo- ta ordinaria sopra una superficie unita e {piana : il qual contatto si troverà essere di circa un pollice nel senso longitudinale ; cosicchè ogni pezzo di pietra che eccedesse un pollice per ogni lato riescirebbe dannoso . I massi di un’ estensione troppo larga sono slogati prima che consu- mati da’ carri che vi passano sopra. Le ruote non scorren- do liberamente sù di essi, uopo è che l’ostacolo che in contrano per via aumentando il trascino a proporzione del carico della vettura e della velocità con cui la ruota fa la sua rivoluzione intorno all’asse; o che quest’ostacolo venga spinto in avanti e rimosso, o che la vettura sia rialzata dalla forza de’cavalli sino a che lo sormonti. Nell’ uno e nell’al- tro caso la strada soffre del guasto, e il corso delle vetture viene ritardato in ragione diretta del numero e della gran- dezza di tali inciampi, 6 4.° Che tanto nella costruzione di una strada sn quanto nella riparazione delle vecchie, deve impiegarsi la pietra viva o di roccia, sia granitica, sia basaltica, sia si- licea , sia schistosa, sia arenaria, sia calcarea o altre, pur- chè si rifiutino le pietre argillose, gessose, tufacee, non che i ciottoli e la ghiaia. E un tal rifiuto è promosso dalla natura e dalla forma di quest’ ultime, stante che le pie- tre a base argillosa assorbono e ritengono facilmente l’acqua, mentre le pietre di trasporto presentando per la loro for- ma ritondeggiante minori punti di contatto, l’acqua delle pioggie s’introduce a traverso del pavimento o massicciato con esse formato, per cui la strada viene a slegarsi, e visi- bilmente si guasta nella stagione piovosa. Antico metodo di costruire le strade in Inghilterra. Nella costruzione di una strada la pratica che comu- nemente usavasi in Inghilterra ed in Scozia, era quella di scavare prima di tutto un fosso al di sotto della superfi- cie del terreno, dove situavasi una gran quantità di pie- tre di grossa dimensione: indi sopra di queste si aggiunge- va un altra quantità di sassi spezzati di più piccol volume delle prime, (ordinariamente di sette a otto libbre inglesi). Questi due strati di una spessezza variabile a volontà del costruttore, quale suol regolarsi a proporzione delle somme di denaro poste a sua disposizione, formavano ciò che chia- masi fondamento della strada. Sopra di esso ponevasi una . gran quantità di pietre spezzate e di ghiaja sino alla spessezza di un piede a 18 pollici , lasciando all’arbitrio delle vet= ture il distenderle verso i lati. A questa parte di costru- zione si è dato propriamente il nome di strada, e che pres- so noi suole specificarsi col titolo di massicciato. Una via in tal guisa fabbricata, dove i materiali si debbono muo- vere prima che divenghino di alcuna utilità, non ha mai col fatto giustificato lo scopo che ogni costruttore di stra- de deve costantemente prefiggersi , quello cioè di fare un . cammino solido e piano, sul quale le vetture possano 70 viaggiare con sicurtà e con egual speditezza in tutte le stagioni. 11 sistema di Mac- Adam è diametralmente opposto al- l’ antico. La strada, anzichè scavata , esser deve elevata al di sopra del livello naturale del suolo sottoposto (4). Dopo avere per mezzo di fogne sotterranee e canali sta- biliti alcuni pollici sotto il livello del terreno su di cui si ha in mente di fondare la strada , (5) preparato lo scolo alle acque inferiori, si avrà cura di preservarla da quelle piovane , coll’ impiegare nella costruzione della medesima pietre vive, nette e situate in modo che riunite per i loro angoli vivi, formino col mezzo di una conveniente compres- sione una massa dura , unita ed impermeabile. Le quali cose impreteribilmente si ottengono col seguente metodo. 1. Preparato nel modo divisato il terreno che servir dee di sotto strada, Mac-Adam usa di porre uno strato sino all'altezza di tre pollici circa di piccole pietre spezzate (del peso generalmente di sei once al più) crivellate e di- stribuite in una spessezza uniforme su tutta la superficie (6). (4) I romani che sopravanzarono tutti i popoli in genere strade , si accorsero di buou ora dell’ inconveniente di stabilire le strade pubbliche sotto il livello del circostante terreno, massimamente quando sì trattava di pianure e di luoghi palu- dosi. In quest’ultimo caso costumavano essi di rialzare di alcuni piedi il suolo, so- pra il quale dovevasi posare il massicciato , liberandolo dalle acque circostanti per mezzo di fogne e di acquedotti. Noi abbiamo un esempio parlante di questi cammiai aggerati, nella via Aurelia o Emilia di Scauro, lungo il littorale toscano, molti ‘tratti della quale sì mantengono tuttora al livello dell’odierno terreno , che trovasi visibilmente rialzato sopra ;l’ antico pe’ rifiuti ivi spinti delle acque terrestri e marine darante il periodo di quasi 15 secoli, cioè da Antonino Pio, ultimo restauratore di quella via militare. (5) Quindo si costruisce la strada sui fianchi di una montagna deve sca- varsi l'acquedotto verso la parte superiore di essa, onde raccogliervi tutta l’acqua che scende dall’erta, a fine di manvtenere la strada contrariamente asciutta. (6) Auche i ciottoli o le grosse ghiaje supplir possono a formare questi strati della strada , purchè essi siano stati precedentemente spezzati e crivellati, e di una grossezza non maggiore di un pollice per ogni latu. Alla pratica che da qualche anno si tiene per la costruzione dei stradoni delle I. e R. Cascine presso Firenze, di spezzare la ghiaia, non manca che quella di separarla dai tri- rumi e dalla creta che sempre iwbratta, pratica già da gran tempo ordinata col ZI 2. Fatto ciò; si passa sopra ‘a un tale strato con un pesantissimo cilindro di pietra fasciato di lamiera di ferro, di quattro piedi di diametro, il quale gira intorno a un asse parimerite di ferro, e tirato da uno o due paja di bovi. |. 3. {Appena raschiato il suolo:con un apposito rastrello a fineditor via gli avanzi prodotti dalla pressione del ru//o , si apre il passaggio alle vetture; procurando di attentamente riempire le buche ‘ed i solchi formati dalle ruote. 4. Allorchè la strada è divenuta solida-e ‘unita, vi si aggiunse un secondo strato di pietre egualmerite spezzate e di un eguale grossezza, e finalmente ‘un terzo, cadauno de’ quali di circa tre pollici di altezza in pari Lafara dispo sti e compressi dal cilindro; sicchè in tal guisa viene a formarsi una massa ‘solida, uniforme ed impermeabile: ciò che può verificarsi tutte le volte che si ponga a leva una parte di strada costruita con queste regole. 5. È dti che la strada sia fatta piana per quanto è possibile: un’ inclinazione di tre pollici dal centro verso î lati è ‘sufficiente per una strada di 18 piedi di larghez- za. Putchè il cammino sia tenuto netto e sgombro, ‘un tal pendio è sufficiente allo scolo delle acque, e le vettùre pos- sono per ogni dove egualmente, e senza i pericoli’ ‘che ap- porta una troppo ardita obliquità, praticarlo. tu ig:N Metodo per riparare le strade. Quando una pubblica via sia stata da principio in tal guisa costruita , potrà anche con facilità essere all’ uopo riparata. Essa non diviene mai nè scabra nè slegata, quan- tunque si vada gradatamente consumando. Ridotta meno | forte a proporzione dell’ uso al quale essa trovasi esposta, e della qualità de’ materiali impiegativi, potrà essere ri- stanrata nel modo che appresso. 1. Tutte le volte che sarà necessario di aggiungere delle pietre in una strada, dovrà per mezzo de’ picconi per la regolamento del 4 marzo 1776, ma sempre o quasi sempre gli accollatari la de- lusero. Nè mancherebbe all'adempimento del nuovo metodo se non ‘che la com! pressione di un pesantissimo rullo , come propone Mac-Adam. ) / . 72 grossezza di una a due pollici slegarsi l’antica superficie af- finchè (i nuovi materiali. possano riunirsi co’ vecchi. 2: Raschiata.allora la strada e nettata dalla polvere'e frantumi, vi.si spàrgeranno. sopra uniformemente le pietre rotte. del peso e. dimensione già accennata sino all’altezza di tre pollici. circa, e quindi vi si passa col solito cilindro per conyertire il tutto in una sola massa. 3. Per quello che riguarda il riattamento di una sienità costruita; secondo il sistema ‘antico , il sig. Mac-Adam fa osservare : che vanno. sollevati i pezzi di pietra che la com- pongono, e ciò a una profondità di quattro a cinque polli- ci;. e quindi levati i materiali ; fatti rompere i pezzi più grossi alla prescritta dimensione , e nettato il suolo, si ripongono egualmente distribuiti sul piano della strada, e compressi, al modo solito, in due diverse mandate. È questo un lavoro che si deve fare da uomini, da donne e daragazzi; gli uomini più forti sollevando le pietre, le don- ne,i ragazzi ei vecchi riducendole in pezzicon piccoli mar- telli, e jciò stando a sedere, e quindi rimettendole sulla sisaso. Vi sono però delle circostanze, nelle quali le vie non debbano sollevarsi, quando, esse specialmente sono formate di minute ghiaje.o di una pietra tenera e friabile: avvegna- chè in pan casi non resterebbe nulla da rimettere in ope- ra. Allora conviene limitarsi a sollevare alquanto le strade troppo convesse lungo, i lati per darle una forma convene- vole, ma nel colmo, dove suol essere, come dicono i cam- pagnoli inglesi, graticolata, cioè molto solcata, si fanno sem- plicemente 1 tagliare i labbri de’solchi ovvero orlicci delle ro- taje sino alla base, per quindi rimettere i materiali servibili precedentemente spezzati e crivellati, compressi poi sulla strada col cilindro, , 4: In ogni volta non si deve rinnovare o risarcire che un piccol tratto di strada di due o tre braccia di larghezza. Uopo è che le pietre siano poste tosto che il tratto di strada è preparato per riceverle, innanzi di cominciare a svolgere un altro tratto di vecchia strada. Cinque uomini ordina- riamente, bastano a tal lavoro, due a svolgere e preparare la.via; e tre a rompere le pietre, o viceversa. Per questi 73 lavori Mac- Adam preferisce sempre il tempo umido o pio- voso, purchè non sia nel rigore dell’ inverno, a causa dei ghiacci, come più propizio al collegamento de’pezzi in una sola massa. Inconveniente al quale non vanno soggette le provincie meridionali della nostra Italia. Pochissimi regolamenti sono necessari per la conser- vazione delle strade convenevolmente fatte ; fra i quali quello di farle nettare e di non lasciare sul cammino ostacoli ca- paci d”impedire un facile scolo alle acque, e campo libero alle vetture , come pure di portare rimedio a tempo alle in- giurie accidentali. La pratica di aggiungere alle strade maestre.i lastricati è, secondo Mac-Adam , una specie di rimedio disperato a cui l’ignoranza ebbe ricorso. La: cattiva qualità e la scarsezza di materiali non può considerarsi. come una scusa ragione- vole , perchè la stessa quantità di pietra ch'è necessaria per lastricare è più bastevole ‘a fare in qualsiasi luogo una strada eccellente. D'altronde egli è chiaro che i materiali della mi- glior qualità possono aversi a, minor prezzo delle pietre a lastricare. L’uso ulteriore de’lastricati dovrebbe perciò es- sere proscritto come un male effettivo , senza parlare della loro esorbitante spesa (7) e dell’impiego che altronde for- misse alla parte più miserabile e debole della popolazione, l’uso delle pietre minutamente spezzate. Il lastricato poi è precipuamente inconvenevole e pericoloso nelle salite, co- me sono quelle a piè de’ ponti. In conclusione niuna delle strade nuove, costrutte in Inghilterra secondo il metodo di Mac-Adam, eccede dieci pollici in spessezza, e pertanto esse resistono ad un traffico continuo, pesante, e all’intemperie delle stagioni più assai di quelle fabbricate con una grossa profonda massiccia ta. (7) Dall'esame istituito nel 1819 dalla commissione del parlamento resulta, che alcuni ingegneri ‘civili , e ispettori di strade mantenevano tuttora l’ uso di lastricare di granito la\ carreggiata delle grandi strade commerciali nelle vici. nanze di Londra, nella persuasione che il consumo e la spesa per Ja manuten- sione di una via, frequentata da carrì pesanti come quella p. es. de’cantieri della compaguia dell’ ludie , sia doppia se sì tolga il lastricato , che esse hanno , uel mezzo. 74 La spessezza di una via non è, dice l’A. inglese, nna qualità, dalla quale derivi la sua forza nel sopportare i pesi : que- sta forza si ottiene dalla sola superficie secca del suolo, su di cui la strada dev'essere situata , e collegata a guisa di una copertura, o tavolato per mantenerlo sempre nello stesso stato. I miglioramenti derivati in Inghilterra negli ultimi nove anni (dal 1812 al 1820 inclusive) per aver messo in pra- tica il metodo anzidetto, sono così manifesti , che le obie- zioni fondate sull'antico pregiudizio hanno ceduto il luogo all’ esperienza. Avvegnachè una commissione a ciò desti- nata dalla camera de’ comuni provò sino all’ evidenza, che col nuovo sistema di costruzione molte contee erano state in grado di minorare il pedaggio delle barriere, dalle tre lire sino a venticinque soldi, atteso che le spese annuali erano di un 60 per 100 minori di prima. Risulta poi dalla dichiarazione dei maestri ispettori di posta e grandi pro- prietarii di vetture che la forza dell’attiraglio era in que- ste strade agevolata di un buon quarto , vale a dire che tre cavalli disimpegnavano il servizio che quattro non facevano sulle antiche strade. All’opera di Mae-Adam mancano le dimostrazioni dei risultati degli ultimi cinque anni, che essere non debbo- no meno favorevoli al nuovo metodo . Ciò lo deduciamo da una relazione che una commissione a tal effetto crea- ta fece in quest'anno alla società centrale di agricoltura di Parigi. Avvegnachè il sig. I. Byar/ey, relatore della me- desima , per meglio giudicare sù ciò trasse partito da due viaggi per esso fatti in Inghilterra, attraversando in più sensi quell’isola , e dopo avere esaminate le nuove strade , inter= rogato i lavoranti , i vettarini , i postieri e tutte le persone a portata di dar qualche lume , conclude, che il metodo adottato da Mac-Adam per stabilire una buona strada è stato coronato da’ più brillanti successi, e nel corso degli ul- timi nove anni, sopra oltre mille leghe di strade, e fra tante variazioni di località e di materiali, lo scopo ha sem- pre corrisposto in un modo uniforme ed egnale. ‘« Da principio il sig. Mac-Adam non credeva il suo VE) metodo proprio sè non che alla costruzione delle strade di campagna , ma l’esperienza avendo provato ch’ esso rim- piazzava vantaggiosamente il lastricato nelle città, ne fe- ce ‘un saggio a piè del ponte di Westminster e di Bla- ckfriars a Londra; poi sulla strada del gran ponte, detto di Strand, e per il ponte stesso di Westminster. Tutte que- ste prove essendo perfettamente riescite , si è slastricata la gran piazza di S. James, davanti al palazzo del rè , per adottare il nuovo sistema: Nell’ultimo mio viaggio a Lon- dra , dice il relatore, nel mese di laglio (1825), io vidi che si era sulle mosse per macadamizare (come dice l’ in- glese per designare il nuovo sistema) la corte davanti il palazzo Guildhal nella città, e nell'ottobre ultimo si era tolto alla gran strada Porteland-Place il lastrico di grani- to, che numerosi operaii spezzavano per rifare la via se- condo il nuovo metodo, e da per tutto si vedevano pre- parativi di questa natura.,, Allequali cose noi aggiungeremo un osservazione di fat- to riguardante la Toscana, e che cadauno il quale frequenta la strada regia da Firenze a Pisa è in grado di verificare ; dove il tratto di cammino compreso nel vicariato di Pon- tadera , siccome quello che è costruito con pietre vive e minutamente spezzate, forma un'pavimento unito e solido a segno che appena dà luogo a distinguere l'impronta delle rotaje, mentre nel tratto compreso tra Empoli e Firenze formato di grosse pietre, di ciottoli e di ghiaja, la strada è continnamente scabra, ‘solcata ‘ed incommoda alle vettare, non che ai viandanti. Il qual'diversivo tanto sensibile sotto uno stesso regime ed in tanta piccola distanza non da altro dipende se non che dalla qualità migliore delle pietre ap- partenenti a rocce calcaree ferrifere , e dall’esattezza mag- giore degli accollatari nell’ obbedire al Motuproprio del 4 marzo 1776, rimesso in vigore dal Regolamento de’ 18 luglio 1815, il quale fra le altre provvide misure prescrive la se- guente : / sassi saranno spezzati e ridotti in piccoli pezzi di un volume presso a poco uguale ‘a quello di un uovo. Delle tre Appendici ghe il sig. De Welz ha aggiunto di Pri 76 suo all’ opera di Mac-Adam la prima verte sulla costruzione architettonica delle strade. Esso dopo aver fatto un rapido quadro del modo tenuto dai romani Nella costruzione$delle strade, di che Bergier aveva già raccolto le principali noti- zie, passa a descrivere un itinerario litologico per la scelta dei materiali più convenevoli alla costruzione delle vie de- cretate in Sicilia, a cui serve di corredo una carta topogra- fica di quest’ isola. 11 metodo, dic’ egli, dai romani tenuto in simil ge- nere di lavori, sia nel preparare alle strade un fondamento solido, sia nelscegliere e convenientemente disporre ì ma- teriali, sicchè ne risultasse un sol corpo, una sola massa im- permeabile e capace di resistere alle scosse e al peso di qualsiasi carro, non che all’intemperie delle stagioni, sia ‘nell’insensibile convessità che i romani davano all’ impian- ‘tito delle grandi vie, tutto ciò ha preceduto di gran lun- ga il sistema del sig. Mac-Adam,e sembra al De Welz che questo non sia che un elemento di quel metodo antico , mercè di cui la grandiosità delle vie consolari è passata co- me monumento di stupore ai secoli più remoti. Peraltro giova avvertire che i romani non proscrissero mai, come fa l'A. inglese, ogni impiego di grosse pietre e di lastroni, di che i primi facevano uso per il fondamento e il selciato delle grandi strade, nè egli fa, come questi facevano, va- rietà alcuna nella forma materiale di strati diversi che co- stituiscono il corpo di una strada. Inoltre niun uso di quel cemento, o smalto che i romani adopravano per tenace- mente legare insieme le pietre in una solida massa. Il sig. De Welz lungi dal costituirsi arbitro in ciò lascia agli architetti a pronunziare giudizio fra l’ uno e Valtro ine- todo, sebbene la solidità delle vie consolari, il cui fonda- mento ha saputo resistere alla lima di venti e più secoli, ne sia il più valido giudizio. Iromani, aggiunge egli, per avere buoni materiali, anche ne’luoghi dove questi mancava- no, li traevano da enormi distanze, non risparmiando spese nè sacrifizi,e impiegavano a quei lavori (senza sopportarne grave peso) soldati, schiavi e popoli vinti. Presso di noi vanno dit TERRORE: BriatiiiA/ a altrimenti le bisogne: e si suole , sia per mancanza sil zi, sia per un falso calcolo di economia, badar meno alla durata dell’opera che al risparmio ed alla sollecitudine. A questi riflessi tien dietro una descrizione sulla na- tura delle pietre che s'incontrano o presso le linee o a brevi distanze dalle strade rotaje da costruirsi in Sicilia. Sono nel nu- mero di queste 1.0 la strada da Palermo a Messina, 2.° quella di Trapani, 3.° la strada di Girgenti, 4.° l’altra di Sira- cusa, 5.° quella di Catania. Noi oltrepasseremo quest’iti- nerario ,, dove le pietre sono descritte con termini troppo generici, come quello che non può interessare che le ammi- nistrazioni locali, destinate a scegliere i materiali più con- venevoli alli progettati lavori. Terminate le osservazioni litologiche, cui avvi in ag- giunta uno squarcio dell’istoria di navigazione interna del sig. Cordier, riguardante le strade e canali delli Stati-Uniti , do- manda il N. A.‘ se si cercherà a’tempi nostri di rinnovare le opere de’ romani, o si adotteranno gl’insegnamenti di Mac-Adam, o si continuerà a fare quel che si è fatto? Il rifar ciò che non si conosce è una temerità, il rimanere stazionarii è un onta, il rinunciare ai frutti de’ progressi de’ lumi è un insensatezza. ,, Un luminoso esempio che mostra la superiorità dell’in- gegno italiano è, dice De 77 elz, la strada del Sempione, della quale indica in una mappa la direzione, e sul terminar della prima appendice, il metodo dall’ aftbfice tenuto, e le dif- ‘ficoltà da esso felicemente superate a segno che egli si è studiato di far quasi sparire la vestigia di tanti abtasoli che debbono averlo rattenuto nell’ esecuzione di quella gigan- tesca impresa. Eguale è dapertutto la larghezza della strada (8 metri): uniforme la curvatura della sua superficie per un facile scolo alle acque : sempre simile è il modo di soste- nere la strada ovunque essa sovrasti alle adiacenti cam- pagne : pari la norma di liberarla dalle acque delle sopra- stanti pendici, e tutte le volte che la strada varia d’in- clinazione ciò segue dopo lunghi intervalli, giacchè per ascon- dere all’ occhio questa varietà 1’ architetto incominciò le 8 val di pendenza sempre nel vertice delle parabole, per cui si ripiega la via. Per coloro poi che viaggiano a piedi havvi sull’ uno e l’altro lato della strada un libero sentiero, di un metro, separato dal cammino delle vetture per due file di pilastri collocati alla distanza di un metro uno dall’altro. Il metodo praticato nel costruire la strada del Sempio- ne fu vario a seconda delle località. Per modo d’ esempio nella valle dell’ Ossola, dove l’architetto trovò molti osta- coli delle paludi che in alcuni luoghi l’attraversano, egli. li superò gettandovi una considerevole quantità di grosse pietre per servire di fondamento stabile e capace di sostenere l’argine e il corpo della strada (8). Ma presso il Lago maggiore e nella valle Divedro, dove quasi sempre mancava il fondo su cui appoggiare il cam- mino, sono state edificate le fiancate di grosse pietre, lungo le sponde del lago con cemento, e a secco nella valle Di- vedro ya fine di preservare le muraglie dall’effetto de’ghiacci che in quest’ultimo luogo dominano nella rigida stagione, Riempiuto poi di sassi e di terra lo spazio interposto fra i. muri laterali, si è formato un piano orizzontale ricoperto di un strato di ghiaja alto tre decimetri e mezzo, con un inclinazione di due decimetri sopra una larghezza di quat- tro metri, dal colmo cioè della strada sino alla panchina. Nei monti onde impedire i guasti della gelata si è adottato l’uso di sottoporre alla ghiaja uno strato di selciato , come. molte volte praticarono i romani nelle strade da taluni chia- mate ferree o ferrate. Ma vi erano due minacciosi pericoli, contro i quali (8) Il sig. MZac-Adam assicura che si possano costruire, come egli più fiate eseguì, le sirade su di un suulo palustre coll’ istesso metodo praticato sopra un fondo duro, o una viva roccia , senza essere perciò necessitati a impiegare le pietre grosse per il fondamento delle medesime. Di più egli provò alla commis- sione del governo, con esempi visibili, che una strada stabilita sopra il masso vivo della montagna si consumava più presto di quella costruita su di un terreno molle ; e che la spesa stava in ragione di 5 a 7; vale a dire, che il mavutenimento delle strade fondate sulle rupi costava un 40 per 100 più che le altre basate iu un terreno umido e paludoso. 79 bisognava difendere i passeggieri e le vetture che attraversar solevano la via del Sempione, la rovina cioè, delle rocce soprastanti , e le Va/anghe. Al primo inconveniente si è procurato di riparare con restituire alla montagna per mezzo di un altr’ ordine di muri altrettanto sostegno quanto pri- ma se n’era tolto, e al secondo col cangiare la direzione della via in tutti i punti più pericolosi, e conosciuti sog- getti a un tal disordine, facendo in maniera che la curva dalla parte convessa s’ incontri col vertice nel luogo del pericolo , e più col collegare per via di sbarre di legno i pilastri posti sui due lati della strada, come un ritegno alla caduta delle valanghe. Tutte le volte che s’ incontrano nella medesima altezza di livello la strada e l’alveo di qualche torrente, per ot- tenere in questi luoghi un facile passaggio senza alterare la pendenza ordinaria, fu preso il partito di sostenere con muri proporzionati il torrente dalla parte superiore, quale poi si è ripreso con una discesa cicloidale in°un piano in- | feriore; sì chela strada senza elevarsi vi passi sopra. I ponti sono tutti magnifici ed elevati : ma quello cha stà sopra la Diveria a Crevola avanza di gran lunga gli altri del monte e del piano. L'ultima e la più Donsiderszolk fra le operazioni, ese- guite nella strada del Sempione, sono le ga/lerie. In quat- tro luoghi le roccie erigendosi a grandi altezze e sporgen- do contemporaneamente verso la Diveria, stringevano la valle in tanta angustia che sembravano volerne totalmente contendere il passaggio. Ma l’arte superando quivi la na- tura , ha saputo aprirselo per mezzo le balze stesse del più duro granito. Di queste gallerie, che mantengono tutte la stessa lar- ghezza di otto metri, e l’ altezza di sei, la prima s’incon- tra a Crevola, lunga 60 metri; succede l’altra d’/se//a che non sorpassa dieci metri ; la terza e la maggiore di tutte s'incontra a Gondo nel Vallese , di una lunghezza non meno di182 metri; finalmente la quarta, lunga 70 metri, trovasi pres- so al limite de’lavori italiani non lungi dal Gadio. Quest’ulti- ma secondando le ripiegature del monte è stata distribuita go in tre linee; operazione geometrica sommamente difficile ; ove manca del tutto il luogo per istabilire juna linea vi- suale di direzione. Uno sforzo dell’ arte così enorme non trova esempio , esclama De Welz,in nessuna delle più rino- mate vie de’romani!(g9) Sebbene la maggior parte di que- ste particolarità, riflette quindi il n. a. non siano applica- bili alle strade da costruirsi in Sicilia, pure faran cono» scere quali e quante vedute l’architetto debba abbracciare ad una volta per eseguire un impresa che onori il suo in- gegno, che faccia la gloria del governo , che procuri la maggiore utilità al pubblico col minore dispendio possibile, e che lasci a’ posteri un monumento de’lumi del secolo in cui fu eseguita. L’appendice seconda verte su//e persone incaricate dei lavori delle strade. Presso gli antichi popoli dic’egli l’eser- cizio di queste funzioni si affidava ai più distinti personag- gi dello stato, e i romani eredettero di far onore a Cesare Augusto quando:lo elessero curatore delle strade vicine alla città eterna ; e tale era l’importanza ch’essi attaccavano a questa magistratura , che ora davano alle strade il nome de’suoi curatori; ora decretavano a questi archi di trionfo e medaglie, Ma tali gloriose costumanze , caddero colla roma- na grandezza, e i tempi di barbarie e di oppressione, se- guiti dalla miseria e dall’avvilimento, ne cancellarono per- fino la memoria (10). (9) La società che ha intrapreso il colossale e difficile progetto di tracciare sotto il letto del Tamigi una grande strada, e che poco manca nel giungere a compimento dell’opera, avrà la gloria di aver fatto in questo genere un monu- mento, di cui a memoria di uomini non si conosce l'eguale. (10) La cura delle grandi strade consolari , che il governo di Roma aveva tracciato in tutte le parti del suo vasto impero , si dava ad ispettori o curatori, i quali si eleggevano 4 tempo , fino a che Cesare Augusto ordinò che tali im» pieghi fossero a vita. Nel progredire dei secoli, i viocuri presero il nome di Sca- bini, (Eschevins de’francesi) , titolo equivalente agli antichi decurioni o edili; fra gl’ inglesi ai giurati, o giudici assessori , e fra noi al magistrato comunitativo composto del Gonfaloniere e Priori. Col guasto e deperimento delle strade ro- mane andò anche ia disuso il corso delle poste, vehiculatio, riattivato dall'Imp.. Trajano o più verisimilmente da Nerva suo predecessore. (Vaillant in nummis Nerva). L'amministratore delle poste che appellavasi curiosus era incaricato di spedue i messi o corrieri, che d'ordine della Curia viaggiavano per la cosa pub- Bi € To non seguirò, dic’egli , le tracce della feudalità, che fu nel tempo stesso compagna e nemica della rinascente civiltà; essa è nota a tutto il mondo , perchè quantunque più volte attaccata e vinta dalla sua rivale, ebbe forza di rialzarsi e sotto nuove forme sostener nuovo cimento: sì che in qualche angolo dell'Europa si batie ancora alla scoper- ta, e in qualche altro luogo, troppo umiliata e troppo in- debolita da’colpi, con mano invisibile. Però durante que- st'epoca se molti codici dell’antico sapere ci han conser- vato in retaggio una parte della cultura de’ nostri avi, nel resto si è dovuto come dal nulla estrarre quella scienza che serve ai benefizi della vita. Ecco perchè ammiriamo i monumenti preziosi dell’opere antiche, ma sterili ammira- tori dobbiamo pur confessare l’impotenza d’imitarli ,,. “ Dov'è mai in Europa, cui l’importanza delle comu- cazioni è così giustamente valutata , una sola via che po- tesse somigliare la via Appia . .? Dove una via che lun- gi da offrire tanta grandezza e tanta magnificenza , avesse almeno la forza di resistere lungamente alle ingurie dei tempi e agli usi de’trafficanti? . . . Ecco perchè il meto- do introdotto dal sig. Mac-Adam avendo fatto sparire, ovun= que si. è avuto cura di applicar!o , le laboriose difficoltà di tragittare, e tntti i danni che n’erano le conseguenze, non solo ha richiamata l’attenzione generale, ma ha pure meritato il sostegro speciale del suo governo ,,. blico, e per il cui servizio li paesi situati lungo le strade consolari erano tenuti a somministrare carrette e cavalli ; sino a che sotio Y impero di Settimio Se- vero fu tolta questa gravezza municipale, applicandone l’ onere al fisco. Soggetti al Curioso erano i Sajoni, sorta di albergatori o postieri, i quali in certe deter- minate stazioni, luogo le vie militari, erano obbligati di dare alloggio e stal- laggio ai viandanti e loro cavalli contro il pagameoto delle spese. Dall’ inva- sione de’ barbari il corso delle poste non fu più ripristinato, se non che nel secolo XVI mercè di un illustre famiglia italiana traslocatasi in Germania, I conti Tassi già della Torre signori di Milano, nel XIII secolu, poi principi dell’ Impero Turri-Tazxis furono i primi che pensarono ed ottennero dall’ imp. Massimiliano I di poter a loro spese introdurre un corso regolare di poste in tutta l’Allemagna, quale fù poco dopo per loro. mezzo esteso nella Fiandra, Spagna, Borgogna ed Italia; e per la quale utile impresa la detta famiglia ebbe d' allora in poi l’amministrazione generale delle poste nell’im- pero germanico , eil capo di essa il grado di generalissimo delle medesime. T. XXIV. Ottobre. 6 82 ss E siccome l’opera delle strade pubbliche esige cono» scenze speciali e lunghe esperienze, il De Welz raccomanda prima di tutto lo studio della geologia topografica,come quello che porta a conoscere la natura del suolo, e le diverse spe- cie di materiali capaci di potersi impiegare , quindi una scuola di applicazione per mettere a effetto le conoscenze scientifiche in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Così la teorica e la pratica strettamente associate divengono comuni a coloro in mano de’ quali i lavori delle strade debbono esser confidati; e le scoperte , i miglioramenti , le perfe- zioni adottate in un angolo sono presto senza ostacolo per tutti gli angoli dello stato propagate ,,. Secondo il progetto descritto dal n. a. questa scuola di applicazione , alla quale egli pensa che si abbia a ri- durre la direzione de’ ponti e strade, dovrebbe essere or- dinata in modo che le funzioni de’ membri inearicati del- l'esecuzione de’travagli prescritti, fossero independenti poi- chè, dovunque esiste o un diritto amministrativo di oppo- sizione, o un concorso di varie autorità, non è possibile che un oggetto di bene universale non sia sovente o arrestato nella sua esecuzione, o distrutto ne’suoi effetti. Un corpo destinato ad esaminare i progetti de’ lavori pubblici, e dopo l'approvazione eseguirli, non è nè dev’es- sere, dice De Welz, che un corpo di pura istruzione, un cor- po facoltativo, i di cui membri cominciano dall’essere istrui- ti, e terminano per istruire gli altrui. Con questo conce- pimento egli divide 1’ istituzione delle scuole de’ ponti e strade in due rami principali: l’uno interno e tutto teorico, l’altro esterzo e tutto pratico ; quello destinato ad istruire, questo ad eseguire, e ad applicare le conoscenze acquistate. Tra questi ultimi stabilisce una gerarchia emulatrice , com- posta di varii gradi, a ciascuno de’ quali sarebbe per es- sere assegnato un emolumento proporzionato all’importan- za delle funzioni che vi sariano annesse. ll primo di tutti; e il solo indipendente sarebbe il capo della scuola. Ma, vuole pertanto che dalla medesima sia escluso ogni carattere ammi. nistrativo, perchè si lega al sistema delle concessioni, si- | i 4 83 stema di cui De Welz riservasi di trattare in altro lavoro che intende quanto prima di pubblicare. I lavori eseguiti in conformità del nominato sistema sono i più solidi i più eco- nomici: perchè fatti sotto la direzione e sorveglianza degli agenti del governo. Ea tal effetto il sig. De Welz ci dà un shibanio d’orga- nizzazione di una direzione di ponti e strade modellata su quella della Francia e di altri stati del continente euro- peo, con varie modificazioni ed aggiunte; nella quale or- ganizzazione ha riunito tutti gli elementi che possono con- venire ad un corpo facoltativo , e di applicazione, funzioni più o meno importanti, lueri, eccitamenti ed onori pro- porzionati a queste funzioni. Ma di questo corpo essenzial- mente istruttivo, i governi, soggiunge l’a. ne hanno fatto un amministrazione, Esso è incaricato a proporre i lavori sia d’utilità, sia di magnificenza, a formar disegni, a levar piani, a discuterli, ad approvarli o rigettarli, a fissare o re- golare le spese, ad abbracciare in somma non solo ciò che riguarda i progetti, ma ciò che si apporta alla loro esecu- zione ed economia. i « Sogliono è vero darsi i lavori per appalto; e allora il destino degli appaltatori dipende dal giudizio che sarà portato sulla natura e qualità de’travagli eseguiti. Essi adun- que nel concepire l’ appalto non perdono di vista che il loro interesse fondamentale è quello di procurarsi il favore degl’ingegneri, e di coloro che debbono giudicare sulla na- tura ed il valore de’lavori ,,. Suppongasi pure illibato il carattere degl’ingegneri, ed incorruttibili gl’incaricati a sorvegliare i travagli, non sarà men vero però che in questo sistema, dove la direzione dei ponti e strade diventa in faccia all’appaltatore giudice e parte, esista una tendenza alla corruzione , e di qual na- tura sia questa tendenza potrebbe facilmente decidersi da chiunque è alquanto iniziato nella storia aneddota degli ap- palti. Del rimanente a traverso de’risultati di travagli eseguiti con metodo sì fatto traspariscono quelle verità che, la delica- tezza fa tacere, ma che meritano tutta la vigilanza de’go- 84 | vetni. . . . Quindi è che molti fra questi preferiscono il sistema delle concessioni, per lo cui mezzo si ottengono le . migliori opere, Je più utili e sempre con la massima eco- nomia, e mercè del quale si evitano anche le apparenze della soperchieria e della dilapidazione, cosicchè il corpo de’ ponti e strade viene richiamato alla sua vera e nobile istituzione ,,. Non meno interessante è l’ ultima appendice , nella qual si discorre de’ fondi destinati pei lavori pubblici. 1 tributi assegnati alle opere di comune utifità dovrebbero essere ri- partiti fra i cittadini in proporzione del vantaggio che essi ne risentono. L’effetto immediato delle facili comunica- zioni essendo quello di animare la produzione e di portare l'abbondanza, ne deriva pur anche un accrescimento di con- sumo, e quindi uu aumento di valore de’fondi più prossimi a queste comunicazioni. Nell’imporre dunque una tassa sulle terre sarebbe ingiusto attignere egualmente le fertili, che le sterili , le vicine e le lontane , sul riflesso che tanto più grande sarà l’utilità che da quelle in confronto di que- ste se ne ritraggono. Di quanta importanza, nota De Ielz in simili occasioni, non sarebbe la formazione di un buon catasto! « Affinchè un tal reparto di contribuzione sia fatto con il maggior scrupolo e delicatezza possibile, un Amministra- zione illuminata instituirà un calcolo di proporzione tra l’uti- lità e l’imposizione. Quanto meno questa sarà insensibile al confronto di quella, tanto più la politica economica si avvicinerà alla sua meta. Quindi commendando il n. a. il piano di alcuni moderni amministratori , i quali preferi- scono le imposizioni indirette , come quelle che guidano naturalmente a stabilire sì fatta proporzione con più esat- tezza, egli crede che un diritto di barriera o di pedaggio sia il più coerente alla cosa e all’essenza de’varii rapporti che essa serba con gl’interessi generali e particolari. ,, Mercè di questo diritto i fondi impiegati nella costruzione delle strade vi verrebbero immediatamente produttivi in propor- zione del traffico che per queste si facesse; oltre di che, IE TE SS TETTO ngi i 85 il pedaggio cadendo sui generi che si consumano tanto da- gl’indigeni che dagli stranieri, ne avverrebbe che tutti più o meno concorrebbero a pagare una tassa per le opere di pubblica utilità ,,. ,3 È necessario poi che i diritti imposti per tal sorta di lavori non amortizzino i capitali impiegati, se non do- po un lungo numero di anni , essendo giusto che le gene- ‘ razioni future, alle quali simili imprese divengono sempre più vantaggiose , siano chiamate a rimborsare una parte delle spese; cosicchè restando il peso diviso tra molti, vie- ne esso a rendersi più sopportabile e quasi insensibile per cadauno ,,. Finalmente trattandosi di sapere, in qual modo si deb- ba operare per trovar mezzi di eseguire le pubbliche im- prese il sig. De IV7elz, von ammettendo l’espediente di prele- vare un imposizione proporzionata alla quantità de’lavori, come quella che anderebbe soggetta a molti inconvenienti, e specialmente a questi, o di gravare sino al punto d’in- taccare la riproduzione , o di rendere i lavori oltremodo lunghi, egli crede che non debba sortirsi dai due espedien- ti, ch’egl’indica come i più utili e i più opportuni; o di creare l’opere con capitali improntati a condizioni vantag- giose, o di effettuarle per mezzo delle concessioni. Nella ma- gia del credito svelata l’a. trattò a lungo del modo di for- mare prestiti con vantaggio, e di applicarli utilmente alla costruzione di opere di pubblica commodità. Allorchè lo stesso a, avrà reso di ragion pubblica il trattato delle con- cessioni, gli economisti potranno decidere quale de’due pro- getti meriti la preferenza. Serve di chiusa all’ opera un riassunto delle principali materie, nel quale si classifica 1.° la diversa qualità e co- struzione delle strade: 2.° il metodo amministrativo , giu ridico, ed economico che riguardo ad esse vien praticato in Inghilterra: 3.° gli sforzi fatti da questo governo per mi- gliorare il sistema de’ ponti e strade rotaje, sostituendo al- l’uopo alla pietra e al legno i ponti sospesi alle catene , le carreggiate di ferro massivo. Dopo aver egli con un col- po d'occhio delineato tutto ciò che su questo rapporto si 86 è fatto in mezzo secolo nel paese più industrioso del ‘glo- bo, riporta l’ estratto di un’opuscolo pubblicato in Edim- burgo nel 1825, sulle strade rotaje a ferro, paragonate ai canali e strade ordinarie, loro uso e respettive utilità; dal quale risulta che fra li grandi oggetti che occupano attual- mente il genio e l’ attenzione del popolo inglese , pochi ve ne hanno i quali promettano vantaggi più generali quanto lo stabilimento delle strade rotaje a ferro , e l’impiego delle macchine mobili a vapore , come il migliore istrumento di pronta comunicazione ; stabilimento che ogni cittadino il- Juminato dovrebbe desiderare (se fosse possibile) di vedere introdotto nel proprio paese, come un potente mezzo di pro- sperità che si offre in questo secolo all’industria commerciale. Si tolgano, scriveva 15 anni fa il catanese prof. Scuderi, gli ostacoli che si attraversano in Sicilia al commercio in- terno, consistenti ne’ privilegi accordati ad alcune città, nelle privative de’ diritti feudali, negli appalti ec., si ado- prino i mezzi che 1° avvalorano e lo accrescono assicurando e moltiplicando le vie di comunicazione, e si abbandoni il rimanente all’ andamento naturale delle cose, se vogliamo sperare un favorevole risultato. E. R. COLLANA DEGLI ANTICHI STORICI GRECI voLcARIZZATI. La Gre- cia descritta da Pausania. Volgarizzamento con note al testo , ed illustrazioni filologiche , antiquarie, e critiche di Sesasmano Ciampi. Tomo I.° Milano. Tipografia Son zogno 1820. | Nè in miglior tempo nè meglio accurata poteva uscire tra noi l’opera di Pausania. Alla terra del valore stann’ora intenti gli sguardi di quanti sentono in petto voce d’umanità: questa terra il cav. Ciampi ne invita a percorrere, e la sua eletta dottrina ci si fa duce alla via. Tutto ciò che ram- menta l’antica grandezza, l’antico amore della libertà che distingue un greco da un barbaro , chiamerà dapprima a if gina Leg » 87 sè l’attenzion de’lettori ; e noi mostreremo ch’ella non sarà certamente frustrata. { I. Que’loggiati d’Atene che dalle porte della città an- davano insino al Ceramico, e dinhanzi a cui erano in bron- zo i ritratti di quante donne ed uomini ebbero qualche me- rito d’esser famosi (cap. II.); quel Tolo , ove davasi il vitto pubblico a'benemeriti dello stato (Cap. V.) ; quella statua di che gli ateniesi, oltre a vari altri onori , ricompensarono Pindaro per averli lodati con un ode fatta a posta per loro (cap. VIII), indicano, è vero; un popolo singolare da tutti, che nel fondo del suo carattere porta innato e indelebile il suggello di certa semplice, e però più mirabile subli- mità; ma nè la statua di Pindaro , nè il premio d’uno sta- tere dato per ogni verso a quel Cherilo che cantò la vit- toria degli ateniesi contro i persiani, nè il decreto che i versi di costui fossero cantati a vicenda con quelli d’Ome- ro (cap. XIV) valgono per noi le duè statue di Giove EZew- terio, e di Giove Salvatore, erette in memoria della man» tenuta libertà d’ Atene ‘e della Grecia a tempo della invasio- ne de’ Medi (cap. III). Nè i monumenti innalzati a quanti ebbero qualche pregio di fama, valgono l’orgogliosa mo- destia d’Eschilo , il padre della tragedia, il guerriero della libertà, che “ avendo presentito avvicinarseli il fin della vita, non si curò di lasciare altra memoria di sè , ma fu contento di far solamente sapere il nome di famiglia , della patria, e di citare per testimonio del suo valore la selva Maratonia , ed i medi che vi sbarcarono ,, ( cap. XIV ). Quest’epitaffio non onora Eschilo, tanto, quant’onorano il carattere greco le seguenti parole dell’istorico nostro: ‘ Li- simaco sovvertì Colofone, da averne pianta in versi la ro- vina il poeta giambico Fenice , di quella città : L’ altro poeta elesiaco, Ermesianatte, non sarà stato più in vita, da quanto mi pare; altrimenti sarebbesi lamentato sicura- mente anch'esso del sovvertimento di Colofone ,, (cap. IX). Questo arsomentare la morte del poeta greco dal silenzio di lui nella morte della sua patria, è sublime. E poi che sopra toccammo di Maratona , non ispiac- cia vedere con Pausania la tavola di quella battaglia, là 88 nel Pecile (cap. XV), < Ultimi di tutta la dipintura sono quei che pugoarono a Maratona: de’ beoti, i plateesi , ‘e quanti verano attici, vengoao i primi alle mani co’bar- bari; in questo punto è uguale l’ardore da ambe le par- ti; ma inoltratasi la zuffa, i barbari fuggono, e spingonsi gli uni gli altri nel padule... Al fine della pittura di que- sto fatto, sono le navi fenicie , ed i greci trucidanti que’bar- bari che s’imbattevano in esse. È quì dipinto anche l’eroe Maratone, che diè il nome a quella pianura; Teseo pure in atto di sbucar dalla terra: Minerva ed Ercole; perchè gli abitanti di Maratona, a detta di loro, primi riconob- bero Ercole per un Dio. Al qual passo il dotto Ciampi eru- ditamente soggiunge:‘ Dipinsero nel Pecile Polignoto, Mi, cone (Plin. 25, 9, e 35, 8) e Paneno, Fratello di Fidia (Pausan. 53, 2). Plutarco nella vita di Cimone aggiunge esservi stata dipinta da Polignoto Laodice, in sembianza della Elpinice, sorella di Cimone, ed amica di Polignoto: esempio di dipingere le amiche in figura di Dee, di Madon- ne, di Sante, ed altre donne celebri, rinnovato in segnito da molti antichi e moderni pittori. Eliano (L. 7. C. 38. St. A.) tace di Milziade, e nomina le pitture rappresen- tanti il cane fedele, che seguitò il padrone sino alla bat- taglia di Maratona. Eliano stesso (.l. c.) attribaisce a Mi- cone la pittura del Pecile, rappresentante il combattimento co’ persiani a Maratona , ed aggiunge che , per aver fatto i persiani di statura maggiore dei greci , fu accusato da» vanti al popolo ,,. E tornando ad Atene , io non saprei donde spiri più aura di gloria , se da quel sacrato di Giove Olimpia ove | stavano in marmo frigio persiani sostenenti un tripode di bron- ze , 0 dal luogo dedicato ad Aglauro , vittima dell’ amor patrio, ove i giovani facevano giuramento d'esser pronti alla difesa della città (cap. XVIII). Ma, più che tutto, io vor- rei un frammento di quell’ altare della Misericordia che sorgea nella piazza d’Atene: “ nume più di qualunqu'al- tro e nella vita e nelle vicende umane soccorrevole. Fra i greci le tributano culto i soli ateniesi , come que’ che hanno pex istituto d’esser non solo più misericordiosi degli 39 altri verso gli uomini, ma più religiosi anche verso gli Dei ed iuvero hanno altari della Verecondia, della Fama, del» l’Alacrità ; manifestissimo essendo, che a’più religiosi toc- ca altrettanto di buona fortana ,, (cap. XVII).. Chi è che in queste parole non senta quel suono d’ine- fabile e più che filiale amor patrio , ch'era già l’elemento (a dir così) della vita d’un greco? Chi è che quindi non creda quanto di più grande gli antichi ne narrarono, e noi tutto di ne ascoltiamo? Ciò che scusa Ja tanto vituperata greca alterezza, e la volge quasi in virtù, si è ’1 vederla al tutto diversa dalla barbarica insana jattanza. Vicino al sacrato di Dionisio i7- nalzan essi un edificio fatto a similitudine della tenda di Ser- se, per eternar la memoria del barbarico vituperio, (cap. XX); ma nel sacrato d’Esculapio è appesa una corazza sar- matica ; acciò , chiunque la miri, vegga che que’barbari non sono niente da meno de’greci nell’esercizio dell’arti ,, (cap. XX). Ma la coscienza delle proprie forze, ove il sommo della virtù non insegnò a recarle alla liberalità d’ un supremo donatore , la coscienza, dich’io, delle forze proprie , sem- bra indivisibile da certa ardimentosa fiducia , che vince, nol curando , l’ ostacolo ed il periglio. Alla destra degli antiporti della rocca d’Atene era un tempio della vittoria senz’ ale ,, (cap. XXI1). Perchè la vittoria, soggiunge il dotto commentatore , non fosse alata, lo dichiara il n. a. nel lib. Il. c. XV; cioè perchè non volasse via d’Atene. E questo sentimento invingibile della propria eccellen- za pareva, nei tempi più miseri , ispirato alla Grecia dai numi stessi. ‘ Non rallentandosi punto lo sdegno di Silla contro gli ateniesi., alcane persone segretamente corrono a Delfo ad interrogare 1’ oracolo se ormai fosse destinato che Atene dovesse rimanere deserta? Ebbero dalla Pitia la nota risposta dell’otro. L’otro si Bagna, ma non può som- mergersi. ,, (cap. XX). Chi mai detto avrebbe , che dopo venti secoli di tirannide e di barbarie , quest’oracolo do- vess’oggi ad ogni anima greca ed italiana suonar sì sublime? Ma per uscire dell’Attica , e venire all’Argolide (lib. 90 II. cap. XIX ) noi ravvisiamo negli argivi il vero spirito greco all’udir da Pausania, che “ appassionatissimi ab an- tico per l’uguaglianza e la libertà, ridussero a tanto poco l’autorità regia, da non essere rimasto a Medone di Ciso e suoi discendenti niente altro che il puro nome di regno ; sino a che il popolo, sentenziato Melta di Lacide e discen- dente da Medone, non lo depose affatto anche da ogni ap- parenza di principato. ;, Ma il vero greco spirito appare via meglio nel passo seguente (cap. XXV) “ Chi d’Argo va ad Epidauria vede a mano destra un edifizio, somigliantissimo a piramide: ha degfi scudi fatti all’Argolica. Ivi nacque a Preto il combattimento contro Acrisio per ragione del prin- cipato. Affermano che la pugna avesse un fine uguale , e che ne seguisse poi anche la rappacificazione , come che nè l’ uno nè l’altro potesser mantenersi in una durevole indipendenza. Dicono gli Argivi, che in\quell’incontro si attaccarono armati di scudi per la prima volta , e i due pretendenti, e l’esercito loro ; ai morti dunque d’ ambe le parti ( concittadini quali erano, e d’un origine istessa) fu fatto lì un monumento in comune ,, Se veniamo a’ trezenii , che Pausania (cap. XXXI ) nomina abbellitori quant’altri mai delle patrie cose loro , troviamo (cap. XXXII) l’altare del Sole Eleuterio (libero ) eretto dopo che furono liberate dal pericolo della servitù di Serse e dei persiani, troviamo i simulacri “ di quelle don- ne co’figli, che gli ateniesi diedero in custodia a’trezeni per salvarle, stabilito che ebbero di abbandonare la città , e di non aspettare il medo che veniva addosso con forze pe- destri ,,, Queste gloriose memorie ravvicinate allo spetta» colo che ci stà di presente dinnanzi, non possono che infiam- mare il nostro affetto e la nostra speranza. Il. Dalle cose notate , ognun può conoscere in parte quale sia il dono all’Italia fatto dal Ciampi, quale il suo metodo di tradurre : ma ì pregi di questo lavoro meritano bene che noi vi ci soffermiamo anche un poco. Filologiche, antiquarie , critiche sono , come il titolo porta , le illustra- zioni e le note, nelle quali , dopo aver profittato delle edi- zioni del Clavier, o specialmente di quieta recente del dotto gt Siebelis ; delle illustrazioni di eruditi” pubblicate a’ par- te, come quelle del Person, uscite nel 1820; delle os- servazioni di Lipsia del 1804; degli itinerarii de’ sig. Guell, Walpoll, Cokerell, Wilkiris ; della topografia d’ Atene di L. C. W. M. Leake ; delle opere del Winkelmann , del » Creuzer, di Quatremère de Quincy : di vari luoghi d’En- nio Q. Visconti ; ci aggiunge egli del suo non poco, sì quanto ‘alla scelta’ della lezione , sì quanto alla concilia- zione de’ vari pareri che s’avvicinano ma non si toccano, sì quanto alla copia delle prove d’un fatto : di modo che la ricchezza con la parsimonia . e l’istruzione col diletto: si veggono in questo Pausania italiano per assai raro ar- tificio congiunte. Approfittare delle ricchezze passate , giun- gerne di novelle, porre insomma il proprio lavoro a livello del secolo, questo è il dovere d’ùn Allustratore, d’un au- tore qualsiasi , tanto difficile a compiersi, e tanto raro , che il vederlo fra noi, messo ad opera così maestrevolmente, può dirsi quasi una specie di letterario prodigio . E se di ciò che affermiamo , prove bisognassero , ec- cone. Narra Pausania , che nel Pireo è principalmente degno d’ attenzione , il terreno consacrato a Minerva ed a Giove. E il Ciampi: “ Questo terreno sacro con tem- pio fu dedicato in comune a Giove ed'a Minerva , per- chè, essendo essa figlia di Giove, ebbe tutto comune con lui ,,. E qui porta un bel passo di Callimaco , che ciò conferma. Noi dopo avere notato come filosofica sia | codesta comunanza della sapienza coll’ onnipotente , con- siglieremo i lettori veder tutto il resto di quella eruditis- sima nota (p. 259). Per poter bene’ apprezzare la nota che segue , reche- temo prima il passo del greco autore, che. dopo aver toccato della morte d’ Euripide, aggiunge : # Anche allora i poeti stavano co’re: anzi, sino di prima, con Poli- crate Samio, quand’era tiranno s dimorò Anacreonte ; a Siracusa, presso Gerone , andarono Eschilo e Simonide ; con Dionisio, che poi fu tiranno in Sicilia, visse Filos- seno ; con Antigono, principe dei macedoni , Artagora di 92 Rodi , ed Aratò È di Soli. Esiodo' ed ‘Omero, ‘0 tion; Ss’ ine” batterono a stare insieme con regi. #91) volontariamente non se, ne curatono , quegli per amore della vita campagnuola , e per infingardaggine di viaggiare; Omero all’opposto per essere ito vagando lontanissimo , e pér aver posposto l’ utile della ricchezza che ne vien dai potenti alla celebrità presso i popoli. Del resto, Omero stesso ‘ fa che Demodoco stia. con Alcinoo, e che Aganiennone lasci in casa della moglie». un poeta. ,, Ora il Ciampi : ‘ in que’tempi i poeti non erano gli adulatori (così vili), ed' i sollazzatori di chi li‘ teneva presso di sè , nia i maestri ed'i ininistri ‘del buon’ costume e «della sapienza . Infatti' Egisto, prima di tentar Clitennestra pensò ad. alloitanar da essa il savio: poeta, rilegandolo in un isola deserta. Alla corte di Tolomeo: Filadelfo vissero sette poeti chiamati le Pleiadi, e fu- rono Arato , Teocrito, Callimaco, Licofrone, Apollonio, Nicandro, Filico. Con Appollonio stette il poeta’ Cherilo di Samo, ed: anche il celebre Zoilo ; Il costume. di‘ tener; porti se corti fu in grand’ uso ne” secoli bassi, e ‘sino a' tempi nostri sono stati tenuti da alcuni principi i così detti poeti aulici, come il Metdstasio. alla corte di Vienna, "% (prabzi]oo felici prio SIENA St nel C. VII. narra ai T'iloniec: Filadelfo , € il Ciampi soggiunge: “ Alcuni vogliono che dall’ uccisione’ di due suoi fratelli fosse per itonia chiamato Filadelfo: ma’ è più verosimile che venissegli questo nome, dall’ essersi innaviorato della sorella, cosa contraria alle leggi macedoni, Non mancò, scrive il' Siebelis, un poeta adulatore, ché chiamasse questa unione sacro sposalizio degli dei (in Theo criteis XVII. 138). Al contrario un altro poeta ; Sotade , che lo motteggiò per questo matrimonio, dovette star lungo” tempo in prigione (Plut . Dell’ed, de’ Figli). i ignanì Alle parole : “ Tolomeo Cerauno .. .. abbandonati Î tesori alla rapina degl’insiliatori , tenne per sè il'regno dî Macedonia : ,, il Ciani aggiunge: Serse spogliò di molte” statne, ed ornanienti Atene, com’ è noto. Da Brattnone portò via il simulacro di Diana, da Mileto i tesori dell’ota+ 93 colo di Apollo Didimeo , custodito dalla famiglia de’Bran- chidi, che lo abbandonarono alla rapina di Serse, e fug- girono via con lui, il quale concedette loro di fabbricare una città nella Sogdiana, poi distrutta da Alessandro, per vendicare l’affronto recato‘ ad Apollo. (V. Plut, ser. num. vind. Strab. Lib. XI, e XIV.) Le rovine di questo tem- pio rifabbricato dai milesi furono scoperte dai viaggiatori inglesi, e ne fù pubblicata la descrizione in Londra nel- l’anno 1769 nel libro: Jonian antiquities peblished with permission of the society of diletante R. Chandler. Seleuco timandò l’Apollo Didimeo , perchè gli avea predetto la sua futura prosperità. L'esempio di Serse fu dato prima e dopo da altri conquistatori. Stenelo di Capaneo, portò via da Troia il simulacro di Giove Ercèo. Autifemo, che con- dusse una colonia in Sicilia, tolse da Onface, città dei siculi , un simulacro, lavoro di Dedalo. Gli argivi pre- sero da Titane alcuni simulacri; i ciziceni da Proconeso il simulacro di Cibele ; anche i romani portarono da Pe- sinunte a Roma il simulacro di Cibele : Cesare Augusto quello di Minerva Alea, e i denti del Cinghiale Caledo- nio. Moderni esempi rammentano più particolarmente la storia di Serse, di Alessandro, e di Seleuco, pe'molti pre- ziosi monumenti di pittura e di scultura, tolti a varie città d’Italia , che poi furono restituiti dopo la caduta dell’im- pero francese. ,, E qui reca due iscrizioni da lui per quella restituzione composte , che il mostrano esperto del vero latino. \ IV. Quest’ ultima nota ne chiama a considerare com’ab- bia bene saputo sovente il cav. Ciampi congiungere al pas- sato il presente , e rendere le illustrazioni sue doppiamente piacevoli. Trova egli, a cagione d’esempio , una imagine della Pace, portante in braccio Pluto bambino? soggiun- ge : “ la pace suol esssere favorevole al commercio , e la- scia coltivare l’ industria, ambedue sorgenti di ricchezza, ma a tal massima che pare debba sempre essere vera , pos- sono opporsi. non pochi esempi in contrario. Non è que- sto il luogo da cercarne la ragione ,, (p. 297.). Trova menzione della fontana d’ Atene , presso l’en- trata dell’Odeo? Ed egli aggiunge: ‘ questa sorgente: fu ri- trovata modernamente dal generale Odisseo; di muovo è chiusa per uso della fortezza di Atene , come mi ha detto il sig. Teseo , dotto greco , che si trovò al ritrovamento della medesima ,,. (p. 310, 369). Trova descritto il sacrato di Teseo? Ed egli : il tem- pio di Teseo sussiste tuttavia cangiato in tempio cristiano col titolo di San Giorgio (p. 230). Trova memoria de’ tumuli? L’uso di questi tumuli , donde presso i latini ne venne il iumulus per sepolcro, si vede tuttavia conservato da’ turchi. In Polonia, oltre ad alcuni d’antichissima memoria, n’è stato eretto moderna- mente uno altissimo in onore del celebre Kosciuszko a Cra- covia, dove si mostrano quelli di Kraco e della Vanda ,, (p. 430). Trova la statua di Lada nel tempio di Venere , nel- l’ Argolide? E nota. “ Lada o Lado era anche un Dio de- gli Slavi, o Sarmati. Nella Lituania e Samogizia il popolo celebrava in suo onore feste, che duravano dal 25 di mag- gio a’ 25 di giugno. Gli ammogliati le passavano nelle ta- verne : le donne e le donzelle per le contrade e in mezzo ai prati, e prese per mano danzavano cantando Lado! La- do! Didit Lado! cioè , Lado! Lado! grande Lado ! Que- st'uso dura tuttavia ne' villaggi di Russia, dove le giovani si raccolgono a sollazzo, cantando: Lada didi Lada. (Ka- ramsin. Stor. di Russ. p. 139, t. 1.) ll Lada de’ greci, fa- moso per la celerità della corsa a piedi, non potè essere lo stesso che veneravano i Sarmati per iddio della danza? (p. 444). - A proposito della torre d’ Acrisio , dopo una lunga e dotta discussione sopra gli arzichi tesori soggiunge :#* L’uso di questi tesori sacri passò anche nel cristianesimo. Ogni chiesa di qualche celebrità mostrava il tesoro : ed eran famosi quello di Loreto in Italia, descritto già dal P. Tor- sellini, quello della cattedrale di Magonza, descritto nel- l’ antica Cronaca Maguntina all’ anno 1105; quello della cattedrale di Canossa , 1072; (Murat. Ret. It. T. 5, p. 385); il tesoro di S. Jacopo di Pistoia, di cui parla Dante, chia- I | | 95 mandolo la sacrestia de’ belli arredi (Inf. 24); e molti altri (p. 448). Delle illustrazioni noi non citammo già le più dotte e erudite, ma quelle che a’ lettori dell’ Antologia più po- tessero venire in grado. Ne basti avvertire che a bene in- tendere Pausania, il libro del Ciampi è ormai necessario, e che, quanto facile è profittarne, tanto sarebbe difficile superarlo. Quella sola appendice, ov’egli distingue alcune voci che in greco paiono comunemente sinonime, è un pic- cic! tesoro: così lo chiamiamo, poichè veggiamo che i più valenti commentatori e traduttori scambiarono l’ uso di que’ vocaboli, e in vari luoghi travisarono il senso, e no- cquero al vero. V. Riman della lingua. La fedeltà, la proprietà, ed il decoro certo non mancano : potrebbe talvolta desiderarsi più studio del numero, talvolta più concisione, e talvolta qualche più grazia di stile. Ottimo e sapiente consiglio fu l’attenersi , il più possibile alla greca dizione, che quando sì possa trapiantare nel volgarizzamento senza barbarie o senza oscurità, è sempre bella. Dianne alcun saggio. C. VI. IroAspasov Mansdéves Pidittov TÙUda Uva Too "Apovrov Agyew dè Adyov vopuiTovoi. Thv yÀp oi perépa Eyov- Gav Evy vustpì dobijvas vuviuna Urd Pidirrov Adyo , che To- lomeo a fatti sia stato figliuolo di Filippo di Aminta , a parole poi di Lago, è opinione de’ Macedoni ; volendo es- si, che Filippo maritasse a Lago già bella e gravida la madre di Tolomeo. Torna elegante anche nell’italiano la frase @ parole, e Filippo di Aminta, ommesso il Figliuolo. Il volend’ essi è un poco equivoco, perocchè pare che quasi i macedoni volessero che Filippo maritasse a Lago la madre di Tolo- meo della e gravida. Ivi. Ei dè 6 IlroAspduos oùros LAUBEL Abyw PiMirrov rod ’Apbyrov Tate ju, Votw Tò Eriuaves ts Te yuviunas narà Tèy Tartpa ueutyatvos. Se questo Tolomeo sia stato veramente figliuolo di Filippo di Aminta, ne faccia fede il trasporto ‘che ebbe maniaco per le donne, come il padre. Kexrypé- 96 vos, è tradotto alla lettera; e bene : se non che in vece di come il padre, convenia forse dire ereditato dal padre. C.XXIX. “Ora pèv duv dpybpov Terompuéva ju nad ypo- ci, Adyapys roi TovTA eodAyoe Tupavvijoas TÀ dè citodopt- para xoi Es Upuds ET, ij 4 Ma tutto quel ch’ era d’ argento e d’oro fu preso da Lacari nel tempo della sua tirannide; le fab- briche sole rimangono fino ai dì nostri. Tutto quel ch'era d’ar- gento e d’oro , è fedele ed anco elegante, ma manca il ws- rompéva. Vorrei anche rilevato il ro) tedTE. Anche questo, dice Pausania, fu preda di Lacari, e vuol dire, che non questo solo. Direi preda di Lacari, piuitosto che preso da Lacari, per render meglio g#00vkos. N Ciampi in questo passo ha troppo rispettato il tiranno d’Atene. Cap. IX. Zové0ero Tpòs ApopuyetTyv Sepyvlv > Tie TE Go fi tile &uroù Tè mépav “Iorpov rapels THTÉTH. vos QuyaTspa cuvo:nione avkyni , tè vAcov. Patieggiò con Dromicheie, ri- lasciando a’ Geti il confine dell’ Istro, e dando in moglie a Dromichete la figlia più per necessità che per altro. 1l più per necessità che per altro, è tradotto parmi assai beue. : se non che vorrei che invece di patteggiò si dicesse, fer- mò o fece con Dromichete la pace. Cap. XIX. Tè dè Eriypaupo onudver tiv Odpaviav A@po- diryy Tav nedovpévwv Mosptv fiv rpeo Purépov. L'iscrizione di- chiara che Venere Urania è più antica delle Parche. Cioè di quelle che si chiamano Parche. Cap. XX. La Frine, chiesta a Prassitele un giorno in regalo quella delle opere sue che a lui stesso paresse la più bella, innamorato come che n° era, gliela promise; ma poi non volle mai dirle quale gli paresse la bellissima: quando eccoti di corsa un servo della Frine a portar la nuo- va ch’era perita a Prassitele la maggior parte de’ suoi Ja- vori, per essere caduto il fuoco nella sua officina : non sì per altro che fosse ito in cenere tutto. A questa nuova Prassitele corse subito fuori di casa , e protestò che non v'era più nulla da sperar per lui, infelice, se le fiamme avessero arrivato anche il satiro e l’amore. La Frine allora l’ esortò a trattenersi, a farsi animo , che non soffriva nulla di male; ma che solamente, vinto dall’ astuzia, aveva È 97 pur'.confessato, quali tra Te opere sue fossero le bellissime: e così la Frine si scelse l’amore. ,, Molte qui sono le greche eleganze . nell’ italiano trapiantate con arte ; se non che quanto alle parole: non v’ era più nulla da sperar per lui infelice confessiamo che il senso è ben colto; ma non reso del pari. Sarebbe il meglio tradurre liberamente : disse 0 gridò ch' egli avea tutto perduto il frutto dei suoi sudori, se.ec. ec. Il protestare e 1’ infelice, hanno qui un poco d’affettazione e di stento. Così le parole chie ron soffriva nulla. di male son traduzione letterale un pò troppo. E poichè abbiamo qui la Frine, ci farem sopra una breve fermata per notare il grande uso che fa degli arti- coli l’ottimo traduttore, quand’ abbia a tradurre nome di don- na. Ciò vale talvolta ad evitare l'equivoco; e allora solo ne pare che l’ articolo al nome proprio s’° addica; ma in- torno a ciò può leggersi quello che se ne dice nella prefa- zione da lui stesso, VI, Parrebbeci non avere a. pieno fornito l’officio no- stro, se non dicessimo- all’ ultimo della dedicatoria, indi» retta a G. G. Trivulzi, che non ha bisogno de’ suoi titoli per meritare tal dedica. Il Ciampi a lui sì rivolge con que- ste degne parole: Quando il nome di letterato fu presso tuttiin onore , quando il protegger lettere fece ornamento d’ogni dignità, erano le dediche ben accetto tributo di ri- ‘conoscenza, e scopo di landata ambizione, erano deposito di storiche e letterarie notizie. Ma poichè quelle idee si mutarono in contrario , far dediche fu quasi lo stesso che ’domandar del pane all’ avarizia , all’ignoraniza , al dispre- gio del sapere ... Voi assuefatto a far tesoro di libri del tempo felice pegli studii e pe’ letterati, vi rammentate vo- lentieri di tante dedicatorie piene di affetto, dettate. da onorati e non cortigianeschi motivi ; nè avete a sospetto eda vile l'amicizia d’ uomini, che immersi ne’ pacifici sta- dii, e nemici d’ogni infingimento , si tengonò lontani dai dorati alberghi , formicolanti d’ ambiziosi piaggiatori ... ,, Così parla il sapere non corrotto alla potenza non vile : poche di simili dediche può contare la nostra letteratura, ma cinquant’ anni sono , non ne aveyam forse nemmeno T. XXIV. Ottobre. 7 98 l’idea. La morale letteraria è forse in men basso grado ch'al tri non pensi: il giudizio terribile della postetità' sià è09 mincia a pesare sul capo di quegli abbîetti, che tutto prosti» tuirono ad una speranza più vile d’ogni timore: e già verrà tempo che l’Italia potrà credere appena le inoresi pa- tole di G. B. Niccolini, con cui ne piace, quasi a com- penso, conchiudere questo ‘già troppo lungo, e tropp’aridòo ragionamento: Voi vendete al potente l’ingegno e la co- scienza. Dalle date dei vostri libri s’ indovi nano le vostre opinioni; nè l’Egitto ebbe mai divinità così ridicola, al cui altare per isperanza di premio voi non veniste ‘bruciare il vostro incenso. Fautori della licenza o della tirannide, purchè 1’ una o l’altra vi paghi, or fate odiare il vero esa gerandolo , or divenite fautori di quella luce debole e ma- ligna; che, se fa traviar la ragione , è pur tanto cara all’in- finito numero degl’imbecilli, che il sole offende , e' così utile ai tanti furfanti che bramano di non esser vedati. Per voi vengono in onore certi miseri studi, che a coloro che si vuol ritenere in perpetua infanzia si permettono, come ba- locchi ai fanciulli. La sventura che suol placare gli animi " generosi, vi rende crudeli ; innalzate sempre la bandiera della vostra riputazione sulle altrui ruine ; andate dietro alla forza come l’iena al leone , cioè per divorarne gli avan- zi; nè mai arrossite di gettar la pietra della maledizione sopra la testa dei miseri caduti. ,, K. 2, ji PREDA PANZIS TORRE AIM dI IATA IE MI VR TR RR IA RIVISTA LETTERARIA. Operette scelte di PAoLO FRISI. Milano, Silvestri 1825 in 12° Comincio dal riparare un’ involontaria mancanza. Avviene di ciò che ne sta molto vicino al pensiero, come di ciò che ne sta molto vicino all'occhio : vi si passa sopra innayvertitamente per guardare a cose più lontane. Le operette scelte del Frisi furono da me oblia- te nell’ altre due riviste di quest’anno , appunto perch’ erano fra le prime di cui mi proponeva di far parola. Pare che l’editore, nel suo breve proemio, domandi in certo 99 modo a sè medesimo se colla buona scelta non avrebbe pototo con- ciliare una maggiore abbondanza. In simili imprese, non lo dissi- mulo , io sono piuttosto inclinato a lamentarmi della soverchia libe- ralità che della soverchia parsimonia. Trattandosi però dell’operette d’an Frisi, vale a dire d' uno de’ nostri più rari pensatori, credo che l’allargare la mano sarebbe stato senza inconvenienti. L’editore ci dice che le poche da lui scelte gli sembrano bastevoli a provare che il Frisi, come s’ esprime il Verri nella sua vita, era non solo gran matematico , ma scrittore valente in generi diversi. Ora , leg- gendo la vita che trovo loro premessa , m’accorgo che nol potranno se non in parte; di che mi duole per più ragioni, che si faranno ma- nifeste da quanto più sotto accennerò. Queste operette si dividono in due)classi, in scientifiche cioè ed ‘in oratorie. I titoli delle prime sono: delle influenze meteorologiche della luna; — de’ conduttori elettrici; — dell’azione dell’ olio sul- l’acqua; — del calore superficiale e centrale della terra; — dei fiu- mi sotterranei; — della navigazione dall’ Adda all’ Oglio per la Delmona , argomento trattato in due scritture differenti, la seconda delle quali giaceva inedita fra le carte dell’ Amoretti, divenute proprietà dell’ editore. I titoli dell’altre si riducono sotto quello di elogi varii , l’uno consecrato a Bonaventura Cavalieri, che l’ autore pone fra Archimede e Newton ; l’altro a Newton medesimo, a cui ogni aggiunto è superfluo ; e il terzo ad un saggio, degno d’essere proposto a modello, Donato Silva, de’cui molti meriti verso la pa- tria l’autore non potè indicare che leggermente il più grande , cioè l’averle salvato il talento del Frisi, } Giudichiro i periti se fra le sue operette scientifiche non ve ne fosse alcuna , oltre le scelte , atta egualmente a porgerci idea di quella profondità e di quella perspicuità , che tutta Europa si ac- cordò a lodare nelle sue opere maggiori. Le scienze da lui coltivate, lo veggo, hanno fatto dal suo tempo al nostro de’progressi, che sce- - mano più o meno l’importanza se non il pregio di quanto egli ne scrisse. Alcune parti della fisica , in ispecie , guardate ne’libri de’no- stri contemporanei, dopo averle guardate in queili de’suoi, più quasi non si riconoscono» Una sola scoperta del Voita, per esempio, applicata da Oersted ai fenomini magnetici , è stata bastante a can- giare interamente l’aspetto della più brillante fra esse. Anche in quelle, che ci appajono meno dissimili da ciò ch’erano a’giorni del Frisi, già saria vano aspettarci da lui un’istruzione che basti. Qain- di le sue operette scientifiche (e lo stesso pur dicasi delle grandi sue opere) non meritano tanto d’esserci proposte quai fonti di scienza , come d’esserci conservate, quai monumenti del pensiero o quai mo- 100 delli di buon ragionamento. Che se a questo rigaardo il loro merito comparativo è poco diverso, non è facile intendere il perchè dell’es sclusione o della preferenza data alle une piuttosto che alle altre. Ma di ciò , ripeto, lascio il giudizio a chi s’appartiene; e mi limito a due parole intorno all’operette oratorie ossia agli elogi. Il Frisi possedeva due mirabili disposizioni all’eloquenza: altez- za d’intelletto e larghezza di cuore. Quindi si sentì naturalmente portato ad emulare i suoi amici d’Alembert e Condorcet, che tratta- vano le scienze ed encomiavano gli scienziati o gli altri uomini bene- meriti con eguale felicità. Il primo saggio, ch’ei porse , di questa no- bile emulazione, l’elogio di Gabriello Manfredi, passò quasi inosser- vato. Il secondo , cioè l’elogio del Galileo , fissò fortemente la pub- blica attenzione, Quest’elogip è come un’introduzion necessaria a quello del Newton per ciò chè riguarda l’ astronomia e la fisica ge- nerale ; come l’altro del Cavalieri lo è per ciò che riguarda l’analisi. Perchè adunque nella scelta non li precede ambidue ? L’elogio del Newton è scritto, per avventura , con mano più ferma ; quello del Cavalieri col calore d’an uomo , che narra le proprie nelle altrui vi- cende. Non perciò il primo elogio è debole o freddo al loro confron- to. Quel quadro sì semplice e sì vero di ciò che erano la scienze pri- ma del Galileo, e di ciò che i on genio immortale fece e soffrì per esse , lascià nell'anima la più viva impressione, Ma se il Frisi, dice lo scrittore della sua vita , ‘° erasi tace nelle molte sue opere sublime geometra, astronomo, idraulico , meccanico profondo ; se cogli elogi del Galileo, del Cavalieri e del Newton, non senza altrai sorpresa , erasi fatto vedere eziandio eru- dito e colto uomo di lettere; con due altri elogi si palesò , quale egli era, uomo d’ eccellente morale, e quale avrebbe potuto essere, se le circostanze ve lo avessero condotto, cioè uomo di stato ,,. Il sag- gio, ch’ei porge dei due elogi, quelli cioè di Pomponio Attico e di Maria Teresa, giustifica pienamente le sue parole, e mi dà motivo di domandare perchè essi pare manchino alla scelta di cui si discor- re? Così ciò, ch'egli aggiunge, mi dà motivo di domandare perchè vi manchino gli elogi del D’Alembert di cui il Frisi fa tanto familiare, e del Perelli di cai fa collega nell'università pisana, ove tenne otto anni la cattedra del Galileo? L'elogio del Perelli, oltre all'essere pre* zioso per la storia, poichè vi si racchiude quanto potea conservarsi dell’ingegno d’an grand’uomo, che affidò tutta la sua fama al detto de'contemporanei , è un esempio di rara genérosità, sapendosi come; al tempo de’consalti sull’inalveazione del piccol Reno, l’encomiatore trovò un avversario nel suo encomiato. L’ elogio del D’Alembert, scritto dal letto in una malattia che fa l’ estrema, è, si può dire, il PA IOI testamento filosofico dell’autore , a cui ciò che debba l’Italia giova alcun poco il ricordarlo, Il Silva, come leggesi nell’elogio datocene dal Frisi; fa il primo ad introdurre in Milano le piante esotiche per uso della botanica ; e il Frisi, come leggesi nelle memorie della sua vita, dateci dal Ver- ri, fu il primo ad introdarvi i parafalmini per sicurezza degli edifi- ‘zii. Questo semplice fatto ci porge indizio dello stato delle scienze italiane alla loro epoca , e ci fa imaginare gli ostacoli che; secondo il solito destino dei veggenti fra i non veggenti, il buon Frisi dovette incontrare , per metterle in istato migliore, I capi supremi de’ nostri governi erano, generalmente parlando, assai inclinati a favorirle.Quel- li, almeno, con cui il Frisi ebbe immediate relazioni, Maria Teresa, Giuseppe secondo, il gran Leopoldo di Toscana, le incoraggivano con ogni potere. Ma è arduo ai regnanti non che ai sapienti il vincere i pregiudizi e l’inerzia, che loro si oppongono. Quindi è uopo agli uni e agli altri di grande coraggio e di grande costanza, e il Frisi certo non ne mancò. Quand’egli nell’elogio del Newton scrivea che gli stranieri noù renderanno mai piena giustizia al valore degl’ingegni italiani, sintwa» toché, giudicando delle loro scoperte e. de’loro scritti, non terranno conto delle loro circostanze, e delle opposizioni d’ ogni genere che hanno dovuto superare, si esprimeva pur troppo col vivo sentimento di quelle contro cui gli toccava di combattere. Le vite dei filosofi, dice il Verri, parlandoci appunto di questi combattimenti, sarebbe- ro la vera satira de’loro tempi, se potessero scriversi o si dovessero con cinica libertà ;,. Il solo desiderio ardentissimo di far nascere tempi migliori può sostenere questi uomini nella loro carriera; in cui, poco dissimili da quelli che viaggiano in terre selvaggie per conqui- starle alla siviltà, bisogna che pensino di continuo a presentare dei doni, e a difendersi dall’offese di quelli a cui li presentano. Il po- vero Frisi, finchè gli durò vigore di salute , mai non diede segno di stanchezza e, a rinfrancare l'animo che soffriva e quasi disperava del presente, anch'egli guardava l’avvenire e forse ripeteva a sé stesso ciò che il Verri dice a suo riguardo: “ gli uomini di lettere hanno maggiore influenza nel destino delle generazioni future che non gli stessi monarchi sugli uomini viventi: le loro idee, che si credereb- bero semi indarno gettati, determinano sempre quelle del secolo che viene dopo di loro ,,. Del resto ei raccolse pure vivendo qualche bel frutto del suo ardore generoso; tanta è la bontà del suolo italiano, che, malgrado le spine di cui l'hanno coperto più secoli sventurati, prodace sponta- neo ingegni di primo ordine e intorno ad essi fa crescere pronta- 102 mente e in gran numero quelli che corrispondono alla loro cultura. S'è vero ciò che dice il Verri, che all’epoca in cui il Frisi tornò da Pisa.a Milano “le nuove scoperte nelle scienze fisiche e matematiche erano ivi ignote; il pensare, nel voncetto dei più, era un vizio; lo stadio consisteva, nell’imparare le frasi e le sentenze altrui e nell’eser- citarsi a sostenere con animo imperterrito e contro qualunque evi- denza un’opinione di scuola ,,; il Frisi certo non ottenne poco giac- chè gli riuscì, come assicura.i-Verri medesimo, di sostituire nel pub- blico insegnamento alle opinioni scolastiche le verità dimostrate’, alle frivole questioni la cognizione del cielo e de’fenomeni terrestri, all’araba dialettica l’infallibile calcolo, onde fece rivolgere verso Mi- lano l’attenzione de’filosofi d'Europa ,;, Sì rapida mutazione in ogni parte del publico insegnamento în- dica una mutazione assai rapida nella comune maniera di pensare ; e a questa nonso dire se il Frisi giovasse maggiormente colle sue opere più famose o colle sue operette minori. La memoria del bene che queste produssero, la persuasione che vi si trovi impressa una gran forza di mente e di cuore, poteva ottener loro quasi indistinta- mente l’ onore d’una raccolta in un'età sì poco lontana da quella dell'autore. Ma se l’età sua , mercé gli sforzi di lui e de’sapienti suoi pari, cominciava a diventar filosofica; la nostra, grazie alle cure d’al- tri, è quasi ridiventata affatto gramaticale. Vedete come l’ editore delle sue operette scelte, impaurito dallo spirito di questa età, si scusi im certo modo se ardisce talvolta offerirci scritture interessanti per la materia, benchè per la lingua giudicate poco eleganti. To vorrei certamente che le cose più degne d’essere scritte lo fossero tutte nella forma più bella. Vorrei che quelle del Frisi , che hanno tanto valore intrinseco, ne avessero anche uno estrinseco più riguardevole. Ma; per la mancanza di ciò che meno importa, rigettare ciò che im- porta di più; ma pei difetti della lingua disprezzare i sentimenti e le idee , mi par consiglio più delicato che sano ,\e non ne veggo altro probabile effetto per la nostra letteratura, che il farla morire di sfinimento. Ho mostrato assai facilmente di convenire che le operette del - Frisi non abbiano in sè alcun pregio di lingua ; ma sono ben lungi dal convenire che non abbiano in sè alcun pregio di stile. Per quanto l'una sia essenziale all’altro , l’una però non è l’altro; e se avvi tra loro una necessaria dipendenza , avvi pure un’indipendenza non men necessaria. Molti libri infatti sono aure1 per la lingua e insoffribili per lo stile ; e molti sono buoni per lo stile che nol sono per la lingua . Condorcet, citato dal Verri, nel proemio alla versione francese dell’elogio di Maria ‘Teresa del Frisi, dice che questo scrittore fù 103 uno de’primi.in Italia ad adottare quello stile semplice e preciso, che piace tanto per la sua chiarezza, e può chiamarsi, parmi, lo stile della. maturità. Infatti noi lo vediamo adottato presso tutte la nazio- ni a misura che lo studio delle scienze, e il buon metodo , che s'introduce per esso in ogni specie di ragionamento , rende le menti -più esatte. Il tipo sovrano di questo stile noi lo abbiamo, se non m’in- inganno , in quel trattato immortale dei delitti e delle pene del Bec- _ caria , che il Frisi portò in Francia per conciliar riverenzarall’Ita- lia. Mi ricorda ilramore de’grammatici , quando il Foscolo, prelu- dendo a quel suo brevissimo e miemorabilissimo professorato nel- l’università di Pavia, propose il trattato , ch’io pur ora diceva, qual modello di stile. Ma i rumori si sarebbero potuti risparmiare, se i gramatici avessero potuto capire che non- parlavasi di stile armo- inioso, leggiadro, accademico, ma franco, virile e veramente logico, ‘di cui all'Italia non abbondano peranco gli esempi. Il Frisi, come gli altri filosofi del suo tempo ; che formavano ‘con lai una sacra coorte, destinata ‘a fondare ‘il regno del pensiero, scrivea secondo i principj che intorno allo ‘stile si era formati il Beccaria: È inutile ripetere ciò che già tante volte si è detto del «disprezzo di quasi tuiti questi filosofi per la proprietà della lingua e per l’eleganza. I parolai gli aveano tanto noiati , che credettero per un istante di doversi affatto separare da loro. In tutte le rivolu- zioni si corre sempre agli estremi e poi si viene ad un giusto mezzo. Se i filosofi avessero seguitato a prevalere ; questo giusto mezzo sa- rebbe ora determinato. Prevalsero invece i grammatici , e a che se- ‘gno ci abbiano condotti chi è in caso di giudicare e de’ filosofi e de’gramatici ben lo vede. Questi signori hanno fatto precisamente ciò che in politica si chiama oggi una reazione, Col loro fanatismo sono giunti fino ‘al ridicolo, ed hanno confermate tutte le preven- zioni de’filosofi. Intanto bisogna pur convenire che se i grainatici conoscono più o meno bene i particolari della lingua, i filosofi cono- scono assai meglio l’uso che potrebbe farsene , ossia le qualità ge- nerali d'un buono stile. Quindi, mentre gli uni balbettano o fanno logogrifi , gli altri parlano , e si fanno intendere facilmente dai na- zionali e dagli stranieri. Questo discorso mi ha strascinato più lungi ch'io non voleva dal nostro Frisi, della cui maniera di scrivere parmi di dover reca- ‘re qualche saggio. Non lo sceglierò dalle sue operette scientifiche nè dalle ‘parti, dirò così, analitiche de’suoi elogi, benchè queste siano forse le più mirabili. Non lo sceglierò neppure da quelle parti, in cui sembra ch'egli abbia voluto un poco brillare colle sentenze, benchè siano uno specchio delle brillanti qualità del suo ingegno. 104 Lo sceglierò più volentieri da quelle che tengono un di mezzo fra le une e le altre, e in cui'si manifesta indole del suo cuore. Ecco pochi versi dell'elogio del Cavalieri, nel quale già dissi; ch’ei più che altrove dipinse sè medesimo o espresse i suoi più intimi sentimenti, «“ La rivalità , il sospetto , l’invidia, iguobili passioni, non ar- rivano ordinariamente sino a quei geni primari che, avendo ben me- vitata la pubblica estimazione, non hanno bisogno alcuno di guada- guarla sugli altri. Essi rispettano ciò che devono, stimano ciò che possono ; e si rendono insiemé fra loro tutte le pubbliche testimo- nianze! del merito e della virtù. Il Galileo avea una maggiore ‘esten- sione di mente, avca applicato felicemente l’ antica geometria alla fisica; ‘avea data una nuova forma alla fisica, alla meccanica, ali’ ottica, all’ astronomia. Il Cavalieri avea una maggior forza d’ingegno, 8 era internato. fra tutti gli arcani della geometria di quel tempo, e ne avea formato una nuova.. Questo potea. forse comparire fra essi un motivo di qualche rivalità. Ma l’ uno e l’ altro erano.appanto geni del prim’ ordine. Il Cavalieri nel libro sopra, gli specchi ustorii rese tutti gli.onori dovuti alla scoperte e all’ ingegno ‘del Galileo; e il Galileo vi corrispose , scrivendo d’aver presagito da quel libro che l’autore sarebbe riuscito uno de’ principali matema- stieii del suo tempo. E un anno dopo la pubblicazione della geome- tria degli indivisibili ;' essendo, andato il giovane geometra a visitane l'afflitto:e.immortal vecchio nella sua rilegazione d’Arcetri, e aven- do.con lui passato una parte! dell’estate fra tutte le dolcezze dell’ami- cizia;, si sentì chiamare da Jui un secondo Archimede ,;. ]\: Frisi, scrivendo quest'ultime parole, avea forse il pensiero al quum ego in Africam venissem del Scipione ciceroniano;, e forse l’avea alla Francia, ove qualche illustre scienziato, accogliendolo e parlandogli delle maggiori sue opere, quelle della gravitazione e della, figura della terra, gli avrà date per avventura le lodi stesse dategli da Bailly nella storsa dell’astronomia, delle quali fu detto che Newton medesimo avrebbe potuto andar lieto. Notizie intorno alla vita e alle opere di MELCHIORRE CESAROTTI dettate da un suo Discepolo. Venezia,tip, d’ Alvisopoli 1826, in $.° Io ascolto sempre volentieri chi mi parla di questo buon Ce- sarotti; il quale ha copiati de’ versi che meritarono, dall’ Alfieri il posto ‘che tatti sanno ; ha scritte delle prose, che quasi, danno anima a quelli che non ne hanno; e bisogna pur dire che abbia fatto non poco bene , poichè ha lasciato in chi lo conobbe sì lungo 105 e vivo desiderio di sè. Nuovo pegno di questo desiderio sono le memorie dettate recentemente da un suo discepolo, e destinate, credo ; ‘a' precedere ina scelta dell’ opere del maestro. Non parmi veramente ch’ esse contengano cosa , che già non si sapesse di lui; ma ben contengono riflessioni che possono essere opportune a' fatci meglio giadicare e di lui e di quanto egli scrisse. Forse alcune si tro- ‘veranno ‘pesate sulle sole bilancie dell’affetto ; ma ]a maggior parte, se non m’illudo, reggeranno ‘alla prova anche di quelle della critica. Si domanderà peraltro se l’affetto non possa mostrarsi senz’ira; se nelle questioni letterarie non possa;mai. farsi una difesa, che non sia ac- compagnata da un’ accusa? Camillo Ugoni, scrivendo la sua storia de’ nostri letterati dello scorso secolo, fu col Cesarotti un poco severo; ciò che reca non so qual. meraviglia ; giacchè fra il cen. sore e il censurato avvi certa. conformità di principj, che dovea generare la simpatia. Secondando la. voce, che rimprovera al Ce- sarotti più innovazioni capricciose; che giustamente non ghi si pos- .sano rimproverare, ei le attribuisce all’ ambizione di farsi capo- scuola, che forse: non entrò. pur moinentaneamente nel suo. ani- mo. L'autore delle memorie, che ha conosciuto il Cesarotti assai ida vicino, ha ben dritto di protestare contro questa supposta am- -bizione , che mal si concilia coll’ingenuità in lui sempre ammirata. Ma chi è amico all’ Ugoni:e sa quant’egli pure sia ingenuo , ve- dendolo accusato d’ artificio perchè frammette le censure alle lodi, che a lui pajono giuste egualmente, non può forse ritorcere 1’ argo- mento, e protestare contro il supposto artificio ? Del resto se alcane di quelle censure sono! poco giuste; v è egli ragione dichiamarle irriverenti anzi indecenti ?. Io ammiro il Cesarotti quanto altri (e non l’ Ugoni sicuramente ) mostra d’ averlo in' dispregio ; ma stiamo a vedere che anch’ io sarò dall’ autore delle memorie accusato d’ir- riverenza o d’indecenza perchè non esprimo la mia ammirazione colle frasi dell’ idolatria. Per me il Cesarotti è un bell’ ingegno, che ha ben meritato delle nostre lettere., per ciò solo che ha cercato d’ aprir loro nuove strade, e ci ha mossi col suo esempio a esami- marne con franchezza le teorie. Che all’ ingresso delle nuove strade egli non siasi trovato or più or meno smarrito; che nell’ esame delle teorie egli non abbia preso degli equivoci nessuno vorrà sostenerlo. Il maggiore di tali equivoci è forse quello relativo alla questione della lingua. Ma il Cesarotti almeno ( e ciò prova. egualmente coe- renza nello spirito e ingenuità nel carattere ) adottando un prin- cipio non vero, ha fatto un ragionamento esatto , vale a dire sempre consentaneo al principio adottato. So bene che nella pratica era da desiderarsi ch’ ei fosse incoerente come lo sono tanti altri. Ma la sua 106 coerenza , pregindicevole alla sua elocuzione , non è forse inntile alla nostra istrazione. Egli ci ha mostrato per essa ciò che può riu- scire, anche sotto la penna de’ più ingegnosi, la così detta lingua co- mune , contrapposta alla toscana , da cui pure deriva. Se il Cesarotti adottava altro principio, o piuttosto se approfondiva meglio il prin- cipio della popolarità , ch’ è la vita d’ ogni lingua, chi sa dire qual sarebbe riuscita la sua maniera di scrivere; fra i cui molti difetti pur sì fanno ammirare tante brillanti qualità ? Le tre giornate del conte FoLcHINO ScHIZZI. Milano, tip. de Clas- sici italiani. 1824 in 8.° L’omne tulit punctum qui miscuit utile dulci pare che s+ vada sempre meglio intendendo. La nostra civiltà molto avanzata richiede sicuramente degli scritti che allettino ; ma, come è più che mai sen- tito il bisogno di nuovi avanzamenti , gli scritti, che allettano, sono oggi pochissimo apprezzati, se insieme non istruiscono. Gli autori, che non sono assolutamente stranieri al tempo in cui viviamo, si studiano, quanto loro il permettono l'ingegno e le circostanze, di soddisfare al bisogno che si accennava ; e a questa sola condizione possono ‘ottenere de’ lettori. Sembra però che se in passato, scriven- { do, si mancava spesso d’ accortezza , poichè si: preferiva il dilette- vole all’utile, oggi si manchi un poco di misura; poichè non si mescola in giusta proporzione l’ utile al dilettevole. Io non farei questa osservazione in proposito dell’ operetta del conte Schizzi', s' egli, invece di tre dialoghi drammatici alla maniera di Platone, avesse voluto darci tre discorsi o dissertazioni alla maniera comune de’ filosofi. Ma giacchè gli è piaciuto d’ adottare una forma di com posizione,iche sembra promettere molt9 diletto, non posso tacere che il diletto nelle sue giornate non è corrispondente all’utilità. Ciò provie- ne, parmi,da due cagioni : primieramente dal non aver l’autore pen- sato abbastanza agli abbellimenti che la sua composizione poteva am- mettere; secondariamente dal non avere distinte con molta preci- sione le particolarità ch’ essa ricusava. Anche filosofando alla ma- niera ordinaria, giova spesso il non cogliere che il fiore delle cose, presentandolo d’un modo ra pido; quasi per non disperderne la fragran- za. Ove poi si prenda posto, come fa il nostro giovane autore, tra ‘i filosofi e i poeti, è forza lasciare assolutamente tutte le minutezze è le lentezze dei dissertatori, e accontentarsi , ove occorrano schiari- menti; di fare a sè medesimo il commentatore. Che se manca alle tre giornate non poco di quel diletto che può venire dall’arte , non manca sicuramente quell'attrattiva che viene da argomenti ben 107 scelti e trattati con cuote, in somma dalla loro utilità. Perocchè, sebbene gli argomenti di queste giornate siano, come vedremo, privati o municipali, per le considerazioni e le applicazioni, a cui danno luogo ; possono pur chiamarsi nazionali. Î La prima delle giornate ba per titolo la fiera di Cremona. In que- sta fiera, per ciò che raccogliesi dalle parole dell’ autore, nulla di sin- golare fuorchè la sua eleganza e la sua novità. Quindi egli la celebra piuttosto in vista de’ vantaggi futuri che de’presenti, benchè anche i presenti non siano dispregevoli. Ei pone saviamente fra questi un poco di passatempo ai cittadini, il maggior numero de’quali, nella stagione autunnale specialmente, non ne avrebbe verun altro, mentre alcuni privilegiati ne hanno di rante specie. lo pongo fra essi, anzi a capo di essi, quell’accrescimento di socievolezza e quell’allargamento d’ idee, che deve nascere dalle moltiplicate relazioni cogli abitanti di provin- cie diverse. Pare che l’autore avesse qualche intenzione di mostrarci in atto di disputanti i fautori della fiera e quelli tra’ suoi contrarii, che non la disapprovano propriamente come cosa inopportuna ma come cosa nuova. A quelli, che la disapprovano come cosa inopportuna, egli dà, non volendolo, un poco di. vittoria, quando nel descriverci la fiera si trattiene moltissimo sugli accessorj e quasi nulla sul prin» cipale, ci fa per esempio la storia delle scimmie o dell’elefante esposti alla publica curiosità, e non ci dice che una breve parola delle merci e del loro traffico. Possibile che a questo riguardo nulla fosse degno della sua e della nostra attenzione ? L'industria lombarda ha fatto sicuramente da alcune decine d’ anni progressi notabilissimi. Una nuova fiera non offeriva per sorte l'occasione d’ enumerarli, di dare la debita parte di lode alle provincie che più li hanno promossi, d’in- dicare quelli che ancora si desiderano, di toccare le difficoltà che loro si oppongono o i mezzi che si avrebbero di facilitarli, e di aggiugnere forse qualche buona verità economica relativa al commercio ? “ Le presenti circostanze commerciali egli scrive sono assai sfavorevoli alla nuova fiera; ma essa è per così dire preparata per circostanze migliori ,,. Una di queste sarà , secondo luj; la libera navigazione del Po, di cuisi è più volte parlato fra i principi che vi hanno interesse. Questa libera navigazione infatti è oggi da sperarsi più che mai. Quella della Schelda già decisa, e quella del Reno, che sembra vicina a decretarsi, ce ne porgono un pegno, I popoli tanto più prospe- rano quanto sono più industriosi ; e tanto sono più industriosi , quanto più fanno tra loro de’ reciproci cambj. Chi per mezzo di questi non può procacciarsi ciò che gli manca, cessa di produrre ciò che sovrabbonda al proprio, bisogno, Così la prosperità di cia- scun popolo è strettamente legata a quella di tutti gli altri, poichè 108 non è ricco se non chi molto produce , nè molto produce chi non fa molti cambi; ch'è quanto‘dire non anima la produzione altrai; Que- ste verità, idea vanno diventando evidenti per tutto il mondo, debbo- no tosto o tardo far aprire al commercio ogni via possibile. La seconda giornata, ch’ è di tatte e tre la ‘più interessante , s'intitola dagli stabilimenti di pubblica beneficenza in Cremona. L’autore che ha, in diversi tempi, avuto parte nell’amministrazione di tutti 0 quasi tutti questi utili stabilimeoti, scrive di essi con mano sicara. Egli comincia dalla loro storia , ciò che gli porge occasione di pagare un tributo di gratitudine a quelli che ili fondarono o li am- pliarono ; pone a confronto l’ antica loro amministrazione eccessiva- mente suddivisa , quella dirò così più raccolta che fa introdotta dall’ imperadore Giuseppe quella del regno di Napoleone ‘modellata perfettamente sul suo famoso sistema di centralità, e la nuova che sembra tenere un di mezzo fra la giuseppiana ela vs pole pre- senta in sette tabelle i soccorsi da loro prestati, ‘e quella parte di spese ch’ è richiesta dai soccorsi medesimi , indipendentemente da quella ch’ è richiesta dalla manutenzione e dagli impieghi ; tocca talvolta qualche questione morale od economica degna di particolari considerazioni ; e fa sentire ad ogni istante un. amore dell'umanità e un desiderio di miglioramento ya cui, per diventare efficace, altro non manca se non che si commmunichi a molti. Mi duole invero di non poter qui raccogliere tutto ciò ch’ egli dice 0 fa dire d’importante in questa seconda giornata all'amico da cui:ci si presenta accompagnato, aggiugnendovi un po'di commento, il quale ben varrebbe le considera: stcsticitla retoriche, di cui dovrò mal mio grado occuparmi in altri ar- ticoli che seguiranno. Qui mi limiterò a'pregarlo che ; ‘dopo averci parlato con tanto sentimento della casa de’ pazzi d’Aversa, un? altra volta, se l'argomento gliene porge il destro , ci parli del villaggio de’ pazzi di Gheel ,.su cui ti giornale d’ agricoltura de’ Pàesi-Bassi ci ha dati nel marzo di quest'anno nuovi e sì toccanti ragguagli, Importa troppo a questa nostra Italia l’andarle ripetendo: e provando con con- tinui esempi ch’ ogni bene è possibile anzi è facile purchè non manchi la'buona volontà. Nè io dubiterò d’additare come esempio di bene questa stessa seconda giornata del nostro Schizzi , la quale fa nascere mille utili pensieri e ci riesce ben pregevole, massime al confronto di tanti scritti ispirati dalla frivolezza o dalla vanità, da cui siamo tut- tavia inondati. Supponghiamo che in ogni città d’Italia uno o più giovani signori raccogliessero su tutti gli stabilmenti di qualche uti- lità le notizie più precise; supponghiamo che in ogni città posta a capo d’una provincia una compagnia, mista di giovani e d’uomini ma- turi, unisse queste notizie, e ne formasse de’quadri comparativi ; - \ 199 supponghiamo che in ogni capitale un’altra compagnia facesse di tali quadri insieme raccolti un quadro generale, e ponesse questo a con- fronto cogli altri quadri-pur generali procuratisi dalle diverse capitali; supponghiamo che questi quadri divenissero soggetto di ricerche, base di esperienze, motive di proposte, onde migliorare tutte le parti della. vita socievole; chi sa dire qual direzione fra pochi anni pren- derebbe lo spirito pubblico o almeno il pensiero degli studiosi, che malgrado tutti i progressi fatti dalla ragione si va ancora così inutil- mente divagando? La terza giornata s'intitola 7/ cimitero comunale di Cremona, argomento pietoso ; cui se all’ autore non apparteneva di rendere più grande, giacché il cimitero è assai moderno, e non racchiude quasi nulla d’ insigne , apparteneva per altro di rendere più interes- sante. Ob! le virtà private, le virtù che meno risplendovo e più si sentono, poichè penetrano le più ordinarie e più intime relazioni della vita, anch'esse hanno diritto d'essere celebrate, avzi sono il sogget- to più proprio d’una toccante eloquenza. Se invece di raccogliere tutte le iscrizioni del cimitero l’autore avesse trascelte e illustrate quelle che ricordano i nomi più degni d'iscrizione, gli sarebbe forse stato facile di soddisfare al proprio e all’altrui cuore, e di rendere veramente a chi vive non di conforto sol ma scuola ancora — i monumenti tristi di chi disparve. Osservo che una buona metà di queste iscrizioni, fatte per toccar l’ animo della moltitudine, sono nella lingua che la mol- titudine può intendere ; e mi consolo d’ana cosa tanto ragionevole. Mi dolgo però che le più lunghe, cioè quelle che racchiudono l’elogio di qualche virtù più degna d’esser ramimemorata , sieno nella lingua che non può essere intesa che da pochissimi. Che giova mai la loro eleganza quando le rende quasi inutili la loro incomprensibilità! Una di queste inscrizioni misteriose è toccata alla degna madre dell’ au- tore , il quale ha sentito il bisogno di ripetere sulla di lei tomba î versi con cai già ne pianse la morte, così poco bastava alla sua. commozione un linguaggio epigrafico, buono forse per la lapide di un dotto sotto le logge d’un’accademia, ma inopportuno per quella d’una buona madre di famiglia in un pubblico cimitero. Questi versi, ‘la cui inserzione, forse un po’inattesa, nello scritto di cui parliamo è bastantemente giustificata dalla figliale pietà, sono preceduti da alcuni altri, le ottave cioè sulla disperazione di Giuda, attribuite al Tasso, e ‘qui rivendicate a Giulio Liliano udinese, che nessuno indovinerebbe perchè si trovino in questo scritto. L’ autore , ch'io non voglio dire che abbia imitata in esso una scena dell’ Amleto pel piacere di ren- derlo drammatico, si avviene, com’ei narra , allo scavarsi d’ una fossa, in una cassetta, che racchiude alcuni vecchidibri, e fra questi TIO un’ edizione oggi rara delle ottave indicate. La lettura di queste ot- tave , supposto il ritrovamento della cassetta , era naturalissima per un giovane caltore delle muse:; ma , dopo esserne venuto a fine, ei doveva accorgersi d’averne ricevuto una distrazione troppo lunga , per volerla dare anche ai lettori della sua terza giornata. Finisce que- sta con uncaldo voto, perchè il progetto d’ un nuovo camposanto, già presentato al consiglio comunalé patrio , venga approvato , onde le spoglie degli estinti abbiano un asilo, che attesti veramente la pietà de’superstiti , e i superstiti ritrovino in esso una dolcezza che gli inviti a visitarlo di frequente e a cercarvi insieme conforto, al do- lore e stimolo alla virtù. Un voto così saggio troverà oggi facilmente un'eco nel cuore degli abitanti di tutte le parti d’ Italia , ai quali se non bastasse ricordare le elette dimore cui l’ Anglo , che profondi e forti — non meno che i pensier vanta gli affetti, — alle più amate ceneri destina — nelle sue tanto celebrate ville , pregherei i nostri poeti di rammentare i sassi e i cipressi onde fin lo stupido Mussul- mano distingue ogni tomba ne’suvi cimiteri, cangiati dalla sua pietà in tanti funebri giardini. Collezione scelta de’ monumenti sepolcrali del comune cimitero di BOLOGNA. /vi presso Salvardi 1826 , fascicolo primo in f.* Denon, s'io bene mi ricordo, chiamò il nostro camposanto di Pisa museo funebre di tutte l’età e di tutte,le genti. Al cimitero co- munale di Bologna qual denominazione potrà darsi, che lo distin- gua dagli altri d’Italia, ove il culto della vita è sì raffinato, e quello della morte, generalmente parlando, è ancora sì rozzo? Anche ia questo cimitero si raccolgono, come nel camposanto pisano , alcuni antichi monumenti, che qualche accidente non antico trasse da’ luoghi ov’ erano prima collocati, minacciandoli, se nessuno vi provvedeva, d’imminente distruzione. Esso peraltro è visitato par- ticolarmente pei monumenti a noi contemporanei, che già occupano — molta parte della sua grandezza , e rendono , io non so dir bene, se più solenne o più commovente la sua mestizia. Nel camposanto | pisano la morte è poco altro che una rimembranza , non accoglien- dovisi che a rari intervalli qualche estinto illustre , il quale attesti ‘ ch’essa ha tuttavia impero sopra l’ umanità. Nel cimitero bolo- gnese il suo impero si manifesta ad ogni istante; e i monumenti, che vi si addensano, sembrano quasi togliere a chi, li ‘contempla ogni speranza della vita . Che se ciò per sè stesso è desolante, giova a . temperarne gli effetti l’ arte più o meno squisita che si ammira nei monumenti medesimi , e il pensiero della benevolenza de’ super- ìII stiti, a cui ci promettiamo che rimanga raccomandata la nostra memoria . Quindi ad un primo sentimento di terrore succede nel nostro animo una pietosa malinconia , favorevolissima alle rifles- sioni più saggie e alle affezioni più umane . Per chi abbia .più volte visitato il cimitero, di cui si favella, i cento monumenti, che il Salvardi si propone di darne incisi in rame finito , sceglien- doli fra i più cospicui, debbono sembrare un memoriale prezioso. Per gli altri, in cui non possono ridestare alcuna rimembranza, debbono almeno sembrare opportuni a destare in ogni parte d’Ita- lia una gara pietosa d’imitare Bologna , a cui rimarrà sempre la gloria d’aver dato ne'tempi nostri l'esempio d’una riverenza verso gli-estinti, che, per vergogna forse di chiamarla straniera, da molti di noi chiamavasi antica. De’ cento monumenti promessi il primo fascicolo, che qui si annuncia, non contiene che soli cinque ; numero che mai non sarà oltrepassato in alcuno de’ seguenti. Le incisioni sono e saranno sempreaccompagnate in un foglio distinto dalle epigrafi, di cui si fre- gia ciascan monumento (composizione quasi tutte dell’ aureo Schias- st) e da una breve notizia sul monumento medesimo e sulla per- sona a cui è consecrato. Ove però si tratti di persona famosa nelle scienze o nell’ arti, nelle magistrature o nell’ armi , alla breve notizia intorno al suo monumento se ne aggiugnerà , come sembra conveniente , una più lunga intorno alla sua vita. Così nel fascicolo, di cui ora si parla , alla notizia sul monuinento di Lo- dovico Savioli, che ci si presenta pel primo, ne troviamo annessa un’ altra, in cui ci è detto di lui quanto presso a poco può importarci di saperne. Questa seconda notizia, in cui la delicatezza de’riguardi è assai bene conciliata coll’imparzialità della storia , e la cultura dello stile potrebbe, parmi, conciliarsi assai facilmente con una mag- giore naturalezza, ci fa intendere una cosa ben dispiacevole , cioè che i manoscritti , confidati per testamento dal Savioli al Garat- toni, anch'esso già da più anni defunto , siano forse irremissibil- mente perdeti. Essi contenevano , fra altre cose, la continuazione degli Annali bolognesi, opera a cui l’autore della notizia tributa sì giuste lodi, e che meriterebbe d’ essere in Italia alquanto più conosciuta . Le canzoni sì celebri sono il monumento dell’ estro vivace del Savioli; e gli annali il sono della sua saggezza. Bisogna assolutamente averli letti per trovar ragione del maestoso monu- mento dipintogli nel cimitero, se non per far voti che gli si eriga un monumento marmoreo nel panteon bolognese , ove 1’ autore della notizia dichiara francamente che sarebbe ingiuria il non collocare le sue spoglie. Dipinti sono pure il secondo e il terzo monumento, 112 che qui si danno incisi, quello cioè di Giovanni Lambertini e quello di Rosalia Sanclemente Bevilacqua, che sembra ideato da un poeta. Gli altri due , quello cioè di Giacomo, Becadelli , graziosissimo fra quanti possano vedersi ,, e quello, di Petronio Buratti sono seol- piti, l’uno di mezzo rilievo e l'altro d’intero. Tutti questi mo- numenti , di cui lascio agli artisti la cura di notare i pregi distin- tivi, tendono più o meno al magnifico; il che non so dire se sia per tutti una lode. Lo stile d'un monumento come quello d’ un elogio si dovrebbe sempre adattare al carattere della persona a cui si consa- cra; e ad alcuni de’cinque monumenti bologoesi, di cui si parla, forse non manca se non d’essere meglio d’accordo colle iscrizioni in essi collocate. Al fascicolo, che ce li presenta molto lodevolmente inta- gliati, precede un (Wgtianizio pure intagliato con vignetta , la quale ci pone in prospetto il cimitero e le colline che gli servono di sfondo, fra cui il monte della Guardia co’ suoi portici e il suo tempio... Fe- lice combinazione , che fa delle. porte lugubri d’un asilo di morte quasi un ingresso ad una via, che conduce ad un celeste sog ggiorno! D’un’epigrafe latina scoperta in Egitto dal viaggiatore G. B. BEL. ZONI ec. dissertazione del dott. Gio. LApus. Milano, Sonzogno 1626 in 8.° Un’epigrafe latina scoperta dal Belzoni e inserita ne’suoi viaggi? Ecco per un antiquario ciò che in linguaggio galante si chiamereb- be una buona fortuna. Il valentuomo che, traducendo que’viaggi, ha richiesto il dott. Labus (v. la dedica della dissertazione al nostro Zaunoni ) d’esporre il suo avviso intorno all’ epigrafe , non potea fargli maggior piacere. L'avviso è esposto con vera abbondanza di cuore : potrebbe assomigliarsi ad una vena di fiume , che stava aspettando un'uscita , e si precipita a larghi fiotti per quella che le viene aperta. Chi ha comune col dott. Labus il trasporto per gli stu- dii archeologici deve battere le mani per contentezza alla sua disser- tazione. Chi si trova in quello stato medio fra 1l trasporto e l’indif- ferenza, in cui io confesso di trovarmi, può ancora leggerla con par- ticolare soddisfazione. L’epigrafe, di cui vi si ragiona, fu Prina dal povero Belzo- ni tra Filea e Siene poco lungi da Assuan, ov'era una gran cava di granito a’tempi di Severo e d’Antonino. Essa è relativa e questa ca- va, cui dichiara sotto la tutela di Giove Ammone Cnubide e di Giu- none regina. Letronne l’avea già illustrata nel giornale dei Savans e nelle sue ricerche per servire alla storia d'Egitto ; ma non sen- za lasciar luogo a qualche illustrazione ulteriore. Il Labus, associan- i i . | } 113 dosegli nella sua dotta fatica, par che voglia, a forza di precisione e di sagacia , compensarsi del vanto d’anterivrità che noe può rapir- gli. Il critico francese, a cagion d' esempio, o non s'era accorto v non ‘sera curato delle due iniziali , indicanti due aggiunti , che accompagnano il nome di Giove; non avea saputo o non avea cer- cato di supplire il nome del cesare, che già trovavasi scritto ed or lascia una lacuna dopo quelto dei due imperatori ; avea com- pito più per congettara improvvisa che per meditato consiglio l'epi- teto dato a questo cesare, di cui più non si legge che una par- te; avea lasciate senza spiegazione le due sigle che succedono al nome di Giulia Domna ricordata col cesare e cogli augu-ti ; non avea punto determinata l’epoca dell’epigrafe , che pareva importante a sapersi per diverse ragioni; avea aggiunta di suo arbitrio una sillaba al nome del prefetto d'Egitto, sotto cui l’epigrafe fu posta , e quin- di reso più difficile il trovar l’epoca, di cui si diceva ; avea final mente punteggiata l'ultima frase in mudo, che questo prefetto ap- parisce ad un teinpo ispettore della cava, e l’ispettor vero o pro- babile, noininaio dopo, un suo commesso. Il critico italiano dà a Giove gli aggiunti indicati dalle iniziali che si accennavano , quelli cioè d’ottiimo e di massimo ; supplisce il nome del cesare, ch’ è in- dubitatamente quello di Geta; compie il frammento del suo epiteto, sostituendo con molta verisimiglianza un invittissimo al supposto piis- simo; interpreta le sigle, con cui è indicata una qualifica di Giulia Domna, leggendo in esse il titolo datole anche in qua'ch’altra iscrizio- ne di4natri kastrorum; pone l'epoca sicura dell’epigrafe fra il 198 e il 209, ela probabile nel 207; toglie al nome del prefetto d’Egitto una superfetazione che ne fa un Subaziano introvabile nella storia, e lo ri- duce ad an Aziano, di cui trova una probabilissima derivazione; accomoda infine la punteggiatura in modo che un prefetto d'Egitto più non figura come ispettore d’una cava, ma ne apparisce ispet- tore l’ Eraclida comandante d’una compagnia di mauri, con cui ter- mina l’epigrafe. Quante indagini, quante considerazioni gli siano a quest’uopo state necessarie, bisogna vederlo nella dissertazione. Dvpo averci parlato in uno scritto, che l’Antologia fece a suo teinpo conoscere, della certezza a cui può giugnere la scienza antiquaria , egli ha im- posto a sè inedesimo l'obbligo di non proferire asserzioni che non siano fondate sopra saldi ragionamenti. Se nella dissertazione, di cui parliamo , egli siasi veramente mostrato fedele a quest’ obbligo , chiunque la legga potrà farne giudizio. Un dotto , la ‘cui autorità senza dubbio è gravissima , Cham cli gr Fi Lig MERERohi gran- T. XXIV. Ottobre. 1à 114 demente nel laglio del. Ballettino universale ;; per.la critica esatta.di, cui nella sua dissertazione ha fatto uso gli appone un poco d’inè consideratezza quanto alla punteggiatura della frase finale e all’of- ficio assegnato ad Eraclida, la terminazione genitiva, del coi nome vieta, al parer suo, di supporre fra lai e quell’ officio alcuna rela- zione. lo. non intendo pormi frammezzo ‘a Labus e Letronne , ma dico soltanto che. quella critica, per cui il.primo ha rigettato ico, me replica inutile d’un’antecedente preposizione ;la sillaba posta in- nanzi al nome del prefetto d'Egitto, dovea, parimenti fargli riget+ tare come erronea la lettera aggiunta. al nome del decarione dell’ala prima de’ mauri, lettera da cui Letronne è stato indotto a così di- versa interpretazione. Che se, come Cham pollion confessa, v'è ragion di temere che la copia dell’epigrafe, giunta alle mani de’due archeo- logi dissidenti, sia poco esatta ; in aspettazione d’ana, più autentica , sempre sarà meglio attenersi ad una spiegazione che sacrifica alla ves. rosimiglianza una lettera, la quale si può credere soverchia ;, che non ricorrere ad altra , che a questa lettera sacrifica la verosimi- glianza. dadi Ho paragonato più sopra il ragionamento del nostro. archeolo+ go ad una vena abbondante, che manda con impeto le sue acque ;, potrei anche paragonarlo ad un fiume ben pieno, che scendendo:si dirama e forma isolette colla sovrabbondanza delle terre ‘che seco strascina. Con ciò voglio alludere alle digressioni ‘erudite, di cui, il ragionamento è sparso, e da cui riceve sì piacevole varietà. Tale, per esempio, si è quella se i graniti egiziani si diversifichino.gli uni dagli altri a segno, che possa assegnarsene con sicurezza, la cava € l’età; qual fosse il numero degli, uomini che; Aurelio Eraclida , qua- lificato centurione d’un’ ala di mauri, aveva al proprio comando; in che grado il prefetto Aziano, secondo la desinenza di, questo co- gnome (la quale al suo tempo già più non indicava, adozione ma pa- rentela per parte di madre) potesse essere consanguineo al. centu- rione Azio Aquila. Ma come l’acque d’un fiume straripano talvolta nella loro abbondanza, o si versano ove meno bisogna, lasciando in secco alcuna parte di suolo che le riceverebbe più volentieri ;., co- sì il discorso del nostro archeologo si versa jtalvolta sowra; cose che meno il richieggono , mentre poteva, rivolgersi ad.altre o, più utili o più curiose, Invece ,, per esempio , di qualche.notizia non, punto rara sui cesari e i loro epiteti d’engomio,; mi sarebbe stata» più cara qualche digressioncella:sul graduale cangiamento degli epi-, teti d’enconio io titoli di palazzo, fino a che, compiuta affatto .la.ri*, volazione di Roma bellicosa in Roma:cortigiana; un magnifico: su»* perlativo precedette il nome d’ogni modesto impiegato. Invece di sini 115 alcune cose ormai comuni intorno al Giove Ammone,, al Giove Se- rapide e ad altri Dei, mi sarebbero ‘stati cari alcuni cenni intorno al Giove Cnubide in 'proposito del quale poteano forse toccarsi le dottrine teogoniche e cosmogoniche degli egiziani e della più alta an- tichità. Con questo Giove chi ami fare un poco di conoscenza, consulti il Panteon di Champollion il minore dalla tavola pritaa alla quinta, nelle quali è rappresentato sotto forme diverse , che possono ridursi a.tre principali, e Ja cui illustrazione completa potrebbe servire d’occasione ad' un nuovo trattato dì mitologia. Dopo Goerres e Creuzer, di cui Champollion colle sue scoperte non fa che eonfer- mare: le teorie , i trattati e i dizionari mitologici sono egualmente a rifarsi. Tutto, quello che ho accennato della dissertazione del dotto La- bus indica sicuramente un lavoro non breve. Pure non ho accennato se non ciò che si contiene nella parte più breve del lavoro medesi- mo. La più lunga, e forse la più importante , è quella che segue come appendice, a cui dà occasione ciò che dicesi di Aziano Aquila nell’antecedente. In questa seconda parte trattasi de’ prefetti d’Egit- to da Augusto a Caracalla , opera si può dire affatto nuova, che mancava allo studio delle romane antichità. Fra questi prefetti che nelle tavole del Labus giungono a 57, quindici erano già stati no- tati da Letronne; parecchi sono stati scoperti dal Labus medesimo; e più altri gli farono additati dal principe, com’egli dice, degli odier- ni cronografi Bartolommeo Borghesi. Quanto sia dotta , ragionata, piena di rare notizie questa seconda parte, appena saprei dirlo, Uhampollion Figeac, recandone quel giudizio che a lui competevasi, ha notato che l’autore poteva riguardo ai prenomi di due prefetti guardare opportunatamente a due obelischi geroglifici, il beneven- tano e il borgiano , di cui già avea fatto uso il suo minore fratello. Del resto, egli dice, M. Labus discute chaque nom et chaque époque avec une consciencieuse érudition ; quelques conjectures se rencon- trent par-ci par-là, mais ce travail nous a paru dans son ensem- ble digne de l’approbation du monde savant. È un gran piacere per noi il pensare che, mentre pur troppo in altri studii siamo assai sopravanzati dagli stranieri, in questi, non dico dell’erudizione ge- nerale ma della romana, abbiamo talvolta sopra lory qualche van- taggio. La seconda parte della dissertazione , di cui si parla, parmi che il mostri anche meglio della prima; e chiunque la legga vorrà sicuramente pregare l'aatore di condurre, secondo il desiderio del suo amico Borghesi, la serie de’ prefetti d'Egitto fino all'invasione dei saraceni o almeno sino alla dominazione di Porenfino ‘Non debbo ‘omettere che la dissertazione è adorna di due tavole 116 illustrative di quanto ei disse nella prima parte intorno al.nome di Geta e a qualche altra particolarità. Esse racchiudono due iscrizio= ni,scoperte non è gran tempo in Brescia, e da lui supplite con quella singolare abilità di cui abbiano avute altre prove. Ambidue ; per quanto ho pututo accorgermi scorrendo i giornali, sono state s0g? getto di dispute assui vive fra lui e qualch'altro dotto ; ma non es- sendone io che leggermente informato, lascierò che ne parli o in que- sto o in altro numero dell’Antologia uno de’nostri collaboratori, che sta leggendo le scritture, in cui la disputa è contenuta, La morale applicata alla politica opera di GrusePPE DROZ trad. da S. C. Firenze, Pezzati 1826 in 8.° Nè la maniera di filosofare del nostro autore ‘ uno di que’ saggi alle cui parole concilia gran riverenza la vita); nè |’ indole speciale . di questa sua operetta (di cui i giornali di Francia, e specialmente la Rivista enciclopedica, hanno assai bene discorso) può essere ignoto ai lettori dell’ Antologia. L’ottimo uomo, la cui anima non fu mai occupata che dal desiderio del bene , persuaso che questo si trovi in un giusto mezzo, volle , fra le due dottrine che sembrano divi- dere la politica , cercarne una terza, dalla cui moderazione potesse argomentarsene la bontà. La «dottrina dell’ arbitrio ,, o com' ei dice dell’ MBPERSGIONE già non poteva essere la sua. Quella, dei diritti, spingendo, com’ ei s’esprime , la moltitudine ad esercitare talvolta sul piccol numero qpael dispotismo che il piccol numero esercitava sovr’essa , gli parve incerta e violenta. Uua dottrina, eguali nte. lontana da ambidue, e perciò più sicura, gli parve quella dei doveri, che obbliga tutti gli uomini indistintamente gli uni verso gli altri, e dà il coraggio de’ grandi sagrifici , ed ei l’aduttò. È stato osseryato giustamente che non bia concepire doveri senza diritti, nè diritti senza doveri, la dottrina dei doveri viene in fondo ad essere quella stessa , che i più saggi moralisti hanno chiamata dottrina dei diritti. Non volendo qui disputar vanamente del suo nome, ci hasti, onde farne comprendere il vero spirito , l’avvertire come l’ autor medesimo non è alieno dal riconoscere in essa quella dottrina, che altri filosofi, egualmente alieni da tutti gli eccessi, oggi chiamano dell’ utilità generale. Questa utilità vuole , al dir suo, che in politica non meno che in ogni altra cosa TORBano secon.lati i progressi dello spirito umano, Passato attraverso la più violenta delle,rivoluzioni ei grida con un sentimento dì terrore: “era serbato al nostro secolo n nb di false dottrine lo spronare a rivoluzioni sotto governi pacifici , e il conside- TI7 rare epiiesti ‘sovvertimenti terribili come semplici mezzi d’incivilimen- to;;. Istraito dall'esperienza ei grida nel tempo medesimo: “il miglior mezzo di prevenire le rivoluzioni degli uomini è quello di seguire le rivoluzioni del tempo ,,. Egli è ben lungi dal partecipare a veruna illusione*sistematica intorno ‘al potere delle forme governative: ed è pur lungi dal credere che le forme governative sieno cosa indifferen- te. Egli è lungi'dal pretendere che l’ autorità abdichi per così dire sè stessa ; ed è lungi egualmente dal consigliare che nella virilità delle nazioni essa voglia condursi come nella loro infanzia. “ Se facciasi troppo o troppo poco , egli dice, in favore della libertà amministrativa'e politica , i popoli ne saranno ugualmente disgustati od agitati ,,.° ‘Impedire i progressi per conservare l'autorità gli sembra cosa non ineno: imprudente che riprovevole ; promoverli, onde poter favorire la libertà , gli s°mbra cosa non meno prudente che genero- sa. Potrei nominare qualehe monarca europeo, che ha proclamato recentemente questi medesimi princip). Voglio, per consolazione de” lettori filantropi, che s' interessano ‘al bene di tutta la terra, citar loro un monarca indiano, il quale gli ha proclamati col fatto. L'Antologia ha parlato altra volta dell’ istituzione del giurì nell’ isola di Ceylan, dovuta al saggio Iohnston, che ivi presede al consiglio del re d'Inghilterra e all’amministrazione della giustizia. Questa istituzione, la quale per sè medesima è pegno di più altre assai liberali, ha fatto dire che la civiltà si va riaccostando, arric- chita di quanto raccolse fra gli europei, a quella parte dell’Asia, ove forse ebbe la culla. Il vero però si è ch’ essa già vi si era intro- dotta sotto gli auspici di un saggio monarca ; e l’istituzione del giurì a Ceylan n'è per così dire una conseguenza, Iolnston infatti, vo- lendo preparare la strada ad una nuova civiltà, andò a prenderne le norme (v. un articolo dell’Orienta/-77erald riportato dal n°, 13 della Riv. Brit.) nella penisola al di là del Gange, in quella parte ove lo spi- rito umano era rimasto più immobile , il regno di Tanjore, e dove il senno d’ un grand'uomo, che vi impera, lo ha fatto in poco tempo avanzare mirabilmente. La publica istruzione , ecco il mezzo potente , con cui egli ha disposto quel vasto regno ad una nuova legislazione che ogni giorno si va migliorando, e che avrà presto una grande influenza sul rimanente dell’ Indie. La pubblica istruzione ( religiosa, morale e industriale) è il mezzo potente che raccomanda l'ottimo Droz onde favorire quell’in- civilimento progressivo, che può chiamarsi la gran legge dell’umane società. A questa istrazione , egli dice, debbono concorrere con tutti i mezzi e quelli che governano e quelli che sono governati; 118 poichè e gli uni e gli altri vi hanno eguale interesse. Egli vorrebbe di più che si formasse fra gli uni e gli altri una scuola’, «direi quasiy d’ insegnamento reciproco, la quale preverrebbe tutte le agitazioni e sarebbe fonte di gran bene. “ L’ Europa, egli dice, ha | bisogno che sorga nel suo seno una razza d’ uomini nuovi, che, vi si formino spi- riti pacifici e generosi , l’ influenza de’quali calmi i)partiti, arresti e ripari. i disastri cagionati da tante persone svegliatrici d’ opinioni, e passioni divergenti.,, Gli uomini di questa specie, com’egli ben.pensa; non ci mancano del tutto, e, per accrescerne il numero, forse altro non si richiederebbe, com’egli dice, se non che ogni governo li chiamasse a parte de’ suoi consigli e delle sue cure. Del resto ove pure.gli uo mini illuminati nulla possono direttamente pel publico bene; molto possono ancora indirettamente , se alla moderazione aggiungono il coraggio,che secondo il nostro autore è la prova più sicura dell'amore che portasi al bene ‘medesimo. € Non cercate mai, egli dice, di rove- sciare i governi ne’ quali vi trovate; ma, qualunque sia il governo, domandategli con Per nevErA nia n ARHea tema e scoraggimento i. mi- glioramenti ch’esso può fare ,,. Invero , se questo non è il linguaggio della probità e della sag- gezza , non so qual altro possa meritare un tal nome. La storia dei quindici canti di Tommaso GrossI predetta in al- cune novelle antiche scop. e pub. da NiccoLò Tommaseo. #la- no, Visaj 1826 in 8° Scherzo ingegnoso, che val bene un serio discorso. A dngento mi- glia dal luogo ov’è stato composto , non potendo sentire nè la forza nè la convenienza delle sue allusioni, io debbo appena far cenno della sua festizità. Del buon giudizio, che vi si manifesta, parmi di dover ire qualche parola di più. 4) “i Molte censure e molte apologie sono uscite a quest” ora. intorno a’ quindici canti del Grossi , i quali (come ben riflette il Poli nel suo . discorso intorno al necessario mutamento della nostra letteratura) non hanno dato motivo ad una diaputa speciale tanto viva, se non perchè qerila si associa ad'una disputa più generale e non punto leggiera che, com'era inevitabile, da apalche temposièrayvivata, E delle censure e delle apologie non m° è riuscito finora di vedere che una pic- colissima parte. Quanto alle prime però io penso di non andar lungi dal vero, imaginandomi che si riducano sostanzialmente a quella espressa nella terza novelletta: Zo mi credeva conspicere una matro- na,e voi mi date a conspicere una pulzella. Nè parmi improbabile che l’argato novellatore abbia raccolto lo spirito delle seconde in questa uit ente 119 risposta: Che colpa è di costui , se tu credei di basciare una vecchia matrona ? Or. sappi che‘'a Melano le pulzelle sono disidera- bile cosa. 0) «Lo pare, piso oniterni ; ho avuto occasione dti che certo disfavore , dirò così ,-magistrale:, con cui parlasi ‘de’ quindici cantidel Grossi viene dal riferirli a qualche antico modello con’ cui mon hanno alcuna essenziale relazione. Virgilio , il Tasso, mi sono sentito suonare nell’ orecchie più d’ una volta, fecero a questo o a quest'altro modo; però il Grossi (questa seconda parte del discorso è suttintesa) non avea dritto di fare altrimenti. Simile discorso , che warrebbe sì poco ove pure il Grossi $i fosse proposto di fare un poema alla maniera di Virgilio o del Tasso, qual valore: può mai avere, trattandosi d’an poema di natura affatto diversa? Persuaso che le prevenzioni della mente bastano per sè stesse a rendere ingiasti i'nostri'giudizii, io m' indaco mal volentieri ad ascrivere questi giudizi ingiusti alle passioni del cuore. Quindi mi fa pera il'‘solo sospetto che il Tommaseo abbia avato special ra- gione di ‘scrivere nella quarta novella» ue uno besso, che, per ispandere invidia sor lecose , faceva istrani paraggi, e diceva che beile femmine deggonsi appareggiare con belle statue, acciò ch’ogni piccolo vizio de la femina viva bastasse a calonnia e a mispregio di tuttà soa bellezza, E s’ altri dicieva; che biltà viva era da gioirne intra vivi, sanza paraggio di morti , que’ rispondeva neente , e ar- ruffava lo naso e mordeva le labbra, e diceva: 0i perfide cose ! oi cose perfide ! Obliamo il tristo motivo di spargere invidia (l'ottimo Grossi è degno di tanto amore, che l’ intenzione d’avvilire le cose sue sembra incredibile); e riflettiamo agli strani paraggi. Ma di qualunque modo si concepisca il. poema narrativo , qua- que nuova forma si adotti per esso ( parmi che taluno insista ) vi rà por sempre un tipo ideale di bellezza, al quale se un moderno poema corrisponde meno d’un antico direino che l’antico merita d’es- sere anteposto al moderno. — La sentenza espressa in questi termini generali non ammette sicuramente alcuna ragionevole ,obbiezione. Applicata ai quindici canti del Grossi chi sa a quante giuste ecce- zioni può aver dato luogo. Ho letti i due articoli molto dotti e molto ben seritti della Biblioteca italiana su questi quindici canti. Vi si trovanofdelle osser> vazioni massime sulle particolarità de’ concetti, dello stile ec., che non potrebbero essere più sagge. Vi s’ incontrano ad un tempo delle sentenze sull’ invenzione , sulla condotta, sui caratteri, che a me sembrano assai disputabili. Il loro autore si è sforzato ‘sicura- mente di distrarre il peusiero da ogui modello esistente; per riferire 120 i quindici canli ad an tipo ideale , 0 a delle norme di ragione (ilche è lo stesso) fondate sulla natura del poema narrativo. Pure non è difficile accorgersi che nella sua mente i modelli esistenti si sono spes- so fiapposti al suo buon giudizio e alle norme razionali del poema, e ch’ egli credendo paragonare a queste i canti de! Grossi gli ha real - mente paragonati ad altro. Chi, meno accorto di lui, avrà preso anche più spesso e più confidentemenie per tipo questo o quel poe- ma , ad ogni diversità incontrata ne’ quindici canti avrà creduto di trovare una prova d'inferiovità, li Cacciatore dell’ Eubea, racconto di DionE GRISOSIOMO, vol. da F. N. Venezia , Picotti 1824 in 8.° Volgarizzamento d° alcune epistole di SENECA, testo inedito, Wene- zia , tip. d' Alvisopoli 1826 in 8°. Tre NOVELLE inedite. Venezia , Picotti 1826 in 3. Tre doni per nozze , giusta il buon costume veneziano, di cui si parlò nella rivista di marzo. Il primo, cioè il cacciatore d'Eubea , a me sembra il più bello, com'è, per ciò che vi si narra d’ amori e di nozze, il più conveniente. Non tutti i lettori, peravventara, sanno qual grazioso scrittore sia Dione; ma possono argomevtarlo dal sopran- nome che gli fu dato di Grisostomo. Il traduttore del suo racconto è convsciato per altre versioni eleganti, e poco forse gli manca per me- ritare egli pure uu appellativo simile a quel gentile soprannome. În occasione tutta festiva, egli ha fatto bene a non darci che la parte più amena del racconto. In altre occasioni farà ancor bene a non darci che il meglio di quanto scrisse l’autore. Iv compassiono davvero. que’ dotti, che spenduno talvolta incredibile fatica per traslatarci cose, che probabilmeate non trovarono leitori nemmeno fra quelli, nelle cui lingue furono originalmente composte. Il traduttore del racconto è uomo di troppo avvedimento, per volersi affaticare seuza uva vera utilità. E molte parti degli scritti di Dione possono realimente riuscire ulilissime , o come lezioni di morale 0 come specchio delle idce e d-’ costumi de' greci sul principio dell’ era no- stra. Però quanto desidero che altre parti o sofistiche o declamatorie, malgrado tutti i vezzi di cui possono essere adorne, siano lasciate dal traduttore agli eruditi di professione ; tanto lo prego che le al. tre voglia renderle di ragion comune. E d’un’altra cosa lo prego , poich’egli sicuramente n’ è capace, di far cioè, traducendo, avanzare up poco quell’ arte che tende a conciliare la fedeltà e la libertà, o in altri teriwini a serbare la fisonomia degli scrittori antichi, senza nojare i lettori moderni. Fra il licenzioso e lo scolastico v'è sicura- ZI mente un vero punto: di mezzo , che fu e merita d’ essere diligente- mente cercato ; finchè per qualche esempio felice possa dirsi de- terminato. (... Le epistole di Seneca d’antico volgarizzamento (cui nessuno indovinerebbe come vengano sostituite ad ua epitalamio ; se l’ edi- tore non ci facesse comprendere che lo sposo, a cui le dedica, è un ‘igran raccoglitore di libri di Crusca) sono la diciannovesima e le due successive, e fanno seguita alle diciotto antecedenti , pubblicate ne- gli anni decorsi. L’ editore E. Cicogna (conosciuto abbastanza per le sue Zscrizioni veneziane) le ha tratte da un codice udinese , il quale è conforme a questo nostro guicciardiniavo, confrontandole sino alla quindicesima col testo di due altri , che trovansi nella Marciana, e dopo fa quindicesima con uno solo, poichè l’altro, com’ei dice, presenta una lezione del tutto diversa. ln che consista sì gran diversità , egli non ce lo fa sapere; e taluno potrebb’esserne molto curioso. Consiste- rebbe essa , per avventura, in una maggiore conformità col testo del codice laurenziano pubblicato dal Bottari? Questo brav’ uomo pensò che il testo da lui datoci e quello che ora si va pubblicando, cioè il teto del codice guicciardiniano , fossero due volgarizzamenti d’ una medesima età ma di scrittori differenti. Io per me, guardando alle tre. nuove lettere dateci dal Cicogna, inclino a credere che i due testi sienv la cosa stessa ; che quello del guicciardiniano sia rasset- tato e quasi rifatto dall’ altro , come già scrissero i deputati sopra il Decamerone, confrontandone due da loro veduti. Ciò peraltro non fa che il pubblicarlo sia inutile , e che l’ editore non possa cavarne osservazioni molto opportune allo stadio della lingua. Egli ci avvisa ‘ch’esiste 1n Rovigo nella libreria Torelli un bel codice ‘in pergame- ‘na, che contiene un testo conforme in tutto al guicciardiniano, e che, guardando alle belle miniature e ad altri ornamenti di cui è fregiato, può credersi quello del fiorentino Petri che ordinò il volgarizzamento, Voglio ben supporre ciò che i'editore non dice , che queste minia- ture cioè e questi ornamenti , e, ciò che più importa , la scrittura sieno del tempo del Petri, cioè del privcipio del secolo decimoquarto. A persuadermi però quel ch'egli vorrebbe avrei d’ uopo che mi fosse tolta una piccola difficoltà : lo stile del testo laurenziano è il più semplice, il più stretto, il meno lavorato ; quello del guicciardi- Diano è appunto il contrario; qual dei due testi può credersi il primo? L’ editore delle tre epistole è pur l’autore d’ una delle tre no- velle, cioè dell'ultima, in cui si racconta di certo podestà di campa- gna , che volendo schivare la spesa d’ un comparatico fu costretto di farne con molto suo scherno uo altra assai maggiore per la colezione d'un principe. Nella prima, scritta da un F, Culti, parlasi d'una beffa 122 ad un gran faccendiere, la quale per altro nontornò tutta a suo net In quella di mezzo; composta da un T. Grapputo, si parla d’un cuoce bizzarro, che diede una lezione piuttosto brutale che spiritosa ad un ricco spilorcio. Com'è impossibile trovare fra gli argomenti di queste novelle e le nozze, per cui sono pubblicate, la minima relazione, biso- gna supporre per motivo‘alla loro pabblicazione il'gusto dello sposo, il quale forse è raccoglitore di simili composizioni , come l’altro, di cui dicevasi più sopra, lo è di libri di Crusca. T'atte e tre sono scritte in quello che chiamasi bello stile che vuol dire stile assai stadiato , e lontano quanto si può dell’ aso comune , che»percerti‘letterati è cosa troppo dispregevole. Questo stile, come ciascuno può essersi ac- cortò , conponsi di vecchie frasi toscane‘, che mai‘non si trovarono insieme o mai non farono adoperàte all’ istesso modo, e di moderne; che per avventura: si credono toscane , e non sono (che singolari. Il vezzo più ricercato di siffatto stile è la trasposizione boccaccevole cioè latina , per cui il linguaggio de” barulli e delle‘treccole acquista certa dienita accademica e talvolta senatoria, ch’è veramente cosa da ridere. Manca , non debbo tacerlo , allo stile delle tre novelle un requisito, senza del quale certi'restauratori del’ gusto non possono chiamarlo perfetto; e questo requisito è l’oscutità. Scrivere per farsi intendere speditamente è ‘cosa troppo volgare; scrivere per mettere a tortura'l’altrai intelletto, questo è il sublime dell’ arte. Della Mitologia discorso cà NiccoLò TOMMASEO. Milano, n volta 1826. in'8.° In qualche suo scritto posteriore, s° io ben mi ricordo , il Tom. maseo domanda a sè medesimo e a quanti da un ‘anno si sono così vivamente dichiarati contro l’ uso della mitologia nelle moderne composizioni, se non debba chiamarsi col nome di bonarietà tan- ta loro agitazione per una causa già da un pezzo giudicata ? E in verità non ci volea niente meno che il sermone di un Monti, ili vale a ‘(dire non solo del frimo fra’ nostri poeti, ma del primo i P fra quelli che ci hanno avvezzati a gustare altra poesia che la mitologica , per produrre l’ agitazione di cui ora ci ridiamo. Ta- luno mi assicura che l’ illustre poeta ne ride egli medesimo di buon cuore, meravigliandosi che tale sia stato l’effetto di ciò ch’eg'i chiama uno scherzo. Questo scherzo però venne accolto dai zela- tori della vecchia letteratura con tanta serietà , che sembrano ben compatibili i partigiani della nuova , se mai si sono ingannati sulla vera sua indole. E poichè le parole di que’ zelatori hanno mo- strato ad evidenza chela causa; ch'io diceva da un pezzo giudi- 1193 ta ;, non lo è egualmente‘agli occhi di tutti, pare che gli scritti, inati a spargere sovr’essa qualche luce maggiore j non debbanò stimarsi affatto inutili. Questo, che annunciamo, del Tommaseo, mentre ne, richiama al pensiero varie idee assai giuste , che proba- bilmente erano già state intese da molti, ne, presenta pur altre che per alcani saranno forse ancor nuove:, 0 a cui gioverà loro aver di nuovo rivolta .l’ attenzione, e! Mad, Staél,, per esempio, avea. detto: nulla di più freddo o di più ricercato, che le tradizioni religiose trasportate in un paese, ove. non possono,venire: accolte; che eome ingegnose. me- tafore. Il Tommasea,, mostrando , coll’ autorità di Platone ; che le. tradizioni. della; greca. mitologia: erano per la Grecia stessa nella sua epoca, più, brillante. enigmi da più ‘parte indegni d’in- terpretazione, fa sentire vie più quanto sia oggi fuor ‘(di tempo il, riprodarle. Mad, Staél, avea pure ‘osservato che quanto ‘più felicemente il campo della. mitologia (fu percorso dagli antichi; tanto,,meno facilmente può esser. ripercorso da’ moderni; e che ove non è oramai più permessa alcuna invenzione ; viene ad essere impossibile. ogni vera poesia . Il Tommaseo osserva che: la vera poesia degli antichi è.dovuta assai meno alle favole, che all’univer- sale natura , e che il tornare alle une. trascurando l’altra è un prefe- rire, de’ rivi prosciugati ad una fonte. perenne . Altri scrittori avea- no, già, notato ,, che la mitologia, magazzino, comodissimo per gli ingegni mediocri, fomenta la frivolezza o l’ inerzia in quelli stessi che, usando le:forze loro date dalla natura; più si sarebbero distinti: Il Tommaseo pare che l’additi come una publica calamità ; e che a lei, attribuisca l’infinito, sciame di coloro. che da un latte sono chiamati sì dispettosamente saeculi incomoda pessimi poetae. Eccola sua sentenza , che stimo degna d’essere ponderata . ‘ Molti sono , dice la Benlisforgiolà, s che. non si. sarebbero. mai innamorati, se non avessero inteso parlar dell’Amore: molti sono, potrebbe ridirsi ,.che,. se non avessero mai, viste ne’ libri moderni le Muse e il Parnaso, non Sewebissro ardito mai di far versi ,,. Le due principali regole, ei dice altrove; che possano asse- gnarsi ad un poeta sono : scrivere come il cuore ti detta ; e scrivere a gianamenta, dei più ; nè a queste regole potrebbe imaginarsi nulla di più contrario che il risorgimento della mitologia. Che questa nulla abbia che fare col cuore, e sia lungi dal giovare alla plura- lità degli uomini, egli. non ha bisogno di provarlo dopo ciò che ha premesso nel, suo, discorso. Che le due regole indicate sieno pel poeta le più essenziali ei non cerca di mostrarlo, poichè ciò richie- derebbe troppo lunga digressione, ma fa un’annotazioncella, che 124 racchiude una dimostrazione | “ Potrebbesi, egli dice, stabilire în genere che un ingegno. naturalmente retto, e ispirato dall’ainor giovare piacendo, nell’atto stesso che infrangerà ; senza quasi vo- lerlo, tutte le regole fattizie dell’ arte, gisperteri! e, a così dire, col proprio esempio suggellerà le leggi semplici ed immutabili che la natura ha fissate all’ imitazione del bello ,,. Questo, parmi , è un vedere le cose dall’alto , e promette nel Tommaseo, ch'è molto giovane , e seguiterà sicuramente a riflettere e meditare, un piaga degno del tempo in cui viviamo, Del resto ( per raccogliere in uno le sue sparse sentenze intorno all’ argomeuto che ha dato motivo al suo discorso) , la mitologia è ai suoi occhi un complesso di finzioni, parte assurde, parte inintelligi- bili, e per noi tutte vane, onde se poco servivano! alla poesia degli antichi, nulla servono a quella de’ moderni. Credete voi) egli dice'ai fautori di tali finzioni, che il mondo sia pur sempre composto di fàn- ciulli? Ebbene io vi risponderò coll’ autore ‘dell’Emilio: ai fanciulli più ancora che agli adulti bisogna dire la verità. Questa si proposero d’ esprimere gli antichi , vestendola d’ un velo ‘che ‘la rendesse più amabile ; a questa debbono più speciale riguardo'i moderni, i quali, poichè quel velo più non serve, daranno prova di ben imitare gli antichi, cercandone un nuovo e più conveniente. Possesse@r fortuné d'une lyre divine (così un saggio poeta, il settuagenario Andriewx, interprete devoti del proprio secolo, parlava l’anno scorso în una so- lenne nccasione a Casimiro Delavigne) Ramine l'art des vers à leur sainte origine — Melpomene et Thalie ont couronné tes veillles, — D'Orphée et de Linus rajcunis les merveilles,=0u niéle è tes accords, sans remonter si loin,— Les noinbreuses legons doit notre dge a be- soin. — Gudris des préjugés la lépre héréditaire; — Rend la' sagesse almable et la raison vulgaire; — Et fidèle au bon goilt comme à la vérité — Charme, éclaire ton siòcle et la posé:rité. Alcune iscrizioni di Giuseppe MANUZZI. Forlì, Casali 1826 in 8.* Che quanilo il Mala costì da lato (mormorava tra me giorni sono, sboccando fuor di via de’Gulzaj»li con queste iscrizioni fra il sopra- bito e la sottoveste, e svoltando al canto della Misericordia ) serivea tra fronde e frasche sopra la sua botteguccia, di cui il Lippi ci canta, intus acquae dulces , le epigrafi de’ monumenti si facessero tutte in latino, qual meraviglia? Ma due secoli dopo che quell’Adamo de’no- stri acquacedratai riposa in pace, quando anche i volgari cocome- rai, che dividono per due mesi l’anno il posto riserbatò alla linea retta du’ suoi successori, vogliono leggere ed intendere, ho qual- sen ME E ( e = © - LTT quasi, tutte in sitatiflo; x Gredetemi, lettor mio, non parlo per p'invidia. albini a ine non aspiro a fama d'iscrizionista niente più nell’una lingua che nell’al- tra.E se il nostro Zannoni, per esempi»; o il nostro Bernardini com- pongono, come fanno spesso, qualche bell’epigrafe latina, io me V'as- saporo , pressappoco, come un latinista di professione , e do agli autori le deb:ie lodi. Ma che, volete ? Io mi metto ne’ panni della moltitudine, che di latività non può sapere, e nondimeno ha qual- che diritto di penetrare coll’inten liuento ciò ch'è posto dinanzi a' suoi occhii. H» veduta questi dì passati una lunga iscrizione del Muzzi pel cav. Valdrighi, scritta in baon italiano, e ho detto è i ino- donesi e i reggiani gliene saranno sicura:nente più obbligati che se l'avesse scritta in un latino più scelto che quello di Sallustio o di Ci- cerone. Ne ho pur vedata una più breve del Contrucci per mobsig. Conversini, ch’è stato due anni vescovo di Cortona e sarà pianto per molti, ed ho pensato: quest’iscrizione così semplice che elegante è la viva espressione del dolore d’ un intero popolo; se fosse latina non sarebbe che 1’ espressione del dolore di pochi, o non sarebbe se non per puchi l’espressione del dolore di molti. Io non cercherò col Manuzzi se la vostra sia lingaa epigrafica al pari della latina, problema che forse toccherebbe particolarmen- te al Giordani di risolvere. Foss’anche lingua antiepigrafica ) poi ch'è la nostra; poi ch'è la sola che il pubblico fra noi intenda, è giu- sto che al publico si parli con essa e non con altra. Del resto il Ma- nuzzi fa bene assoggettandola ad esperimenti diversi per vedere di cosa essa è capace. Egli ci dà iscrizioni originali italiane, e ce ne dà 1 tradotte dal latino , che ciascuno può. confrontare col loro testo. Il Cesari che , ricevendo quelle iscrizioni-originali italiane , si è data la briga di renderle latine , ha forse voluto fare così per suo diletto una specie di contresperiwuento , poichè non so ch'egli abbia com- . missione di far conoscere le nostre produzioni letterarie a P. Teren- zio di cui ci ha volgarizzate le commedie, o a M. Tullio di cui ora ci traduce logs, È notabile la ragione per cai il Manvasi ha dettate.in italiano le prime tra queste sue iscrizioni originali, che poi gli «diedero legge per l’altre, Egli fu pregato a ciò fare da.un amico, sicuramente non spr ovveduto di lettere latine, ma che,avendo perduta una sposa caris- sima, sentiva bisogno di renderle,un tributo di dolore in quella lingaa stessa, in cui le avea espresso. mille volte il proprio amore. E il: Manuzzi si è fatto interprete fedele dell'animo suo e ne. ha. presa certa inclinazione allo stile affettuoso, che si manifesta in tmtte le 126 scrizioni da lui finora. ‘composte ;. e apparirà. ‘probabilmiente ‘anche nelle future. Per IONGRA però secondare l’affetto; bisognerà ch’ egli si diparta ancor più che non ha fatto dai imodi latini; della cui poca pieghevolezza ei debb’essersi accotto particolarmente nelle sue tra- duzioni. Bisognerà pure, se non m’inganno, ch'eî rinunti a qualche supposta squisitezza della nostra lingua, che non si concilia molto colla chiarezza e colla naturalezza. Ma forse questo non sarà facile ad uttenersi da Ini, che consulta (v. le sué note) un gran letteratò per sapere se debba scrivere sozio o socio; e qualifica il'Cesari (il solo, io credo, che scriva sempre sozio benchè Toscana e Italia tutta dica socio ) colui che ci salvò dalla totale dissoluzione l' unico parte monio nostro ; l'italiana favella. Viaggi d’ANTENORE nella Grecia e nell’ Asia, traduz. Fieddita sull'ultima ediz. francese e corred. di note da E** L**. Mila- no, Sonzogno 1826 in 12.° finora tomi a. Grecia, immortale Grecia , tu eri da secoli poco altro che un nome ; ed ogni animo ben fatto, ogoi cuore elevato palpitava a questo nome saero, e nelle descrizioni della tua gloria passata si compiaceva a trovare un presagio della tua gloria futara. L'era di questa nuova gloria è cominciata; ciò che hai fatto in cinque anni già basta a darti una seconda immortalità ; e quelle deserizioni , di- venute un pruemio della nuova tua storia , sono oggi mita con nuova commozione. La ristampa sonzoniana del viaggio d’ Anacarsi , già tradotto e. quindi ricorretto , coincide ‘col priacipio della guerrà de’greci per la loro indipendenza. Questa del viaggio d'Antenore , anch'esso già tradotto ed or ricorretto; che forma seguito all’altro , avrà forse il suo termine col termine della guerra medesima , e servirà come di data al passaggio de’greci da una seconda età eroica ad un secondo incivilimento, che non'sarà meno prodigioso dell’antico. Molte parti di questo nuovo incivilimento saranno ben singolari e ben impreve- dute; molte sicaramente saranno un’imagine delle antiche; ondé pos- siamo fin d’ora contemplarle ne’due viaggi, di cuì si parla. dai Questo d’Antenore non è'‘così maestrevolmente composto come | quello d’Anacarsi; non si può chiamarcertamente come fu chiamato l’altro “ an quadro superbo, così ben dipinto che ben disegnato, dell'a storia; de’costumi, delle lettere, delle scienze; dell’arti belle nel secolo : più brillante della Grecia ,,. Supposta pure in Lantier l’istessa dottrina e l’istess’ arte ‘di scrivere clie in Barthelemy, non PE, n | È 127 rimanendogli. più intatta che una,parte del soggetto prescelto ,, gli era inevitabile certa: inferiorità nella composizione., . «Ad ogni modo il suo viaggio d’Antenore, può ancora, per..al - ‘cuni pregi che gli sono.propri, sostenere il confronto dell’ altro da cui fa preceduto. Un. critico di molta riputazione osservò che que- sto (il viaggio d’Anacarsi ) non era forse così, filosofico quanto era piacevole. ed erudito ; e. che ,, per ben giudicare de’greci, le ricer- che di Paw e alcuni altri libri gli erano. preferibili, Fra questi libri preferibili or possiamo annoverare il viaggio stesso d'Antenore, il quale racchiude , sotto forme leggiere vedute profonde ,.ed.é scritto con una, franchezza ed una indipendenza, che lo. distingue. Queste doti unite alle attrattive del soggetto, alla. vaghezza, degli inci- denti imaginati per abbellirlo, e alla graziosa facilità dello, stile, giustificano l’accoslimento che gli è stato fatto non solo in Frapcia; ma fra tutti i popoli più colti, ciascuno de’ quali ne, possede qualche traduzione. . pri Le bibliografie ne additano una tedesca di Maller, una inglese di Brand, una spagnuola di; Calzava, una portoghese di Vasconceles, una russa di Harow, Noi ne avevamo da un pezzo una italiana, e mon la trovo nominata, Perchè mai ciò? Sarebbe forse vero che quella traduzione, con’ho sentito dire più d’una volta, oltre all’esse- re assai scorretta, fosse mancante d’interi paragrafi ? Se ciò è, giusta - mente si è negato fin qui di annoverarla fra le traduzioni sincere. Or vedendola ricomparire, emendata da molte scorrezioni e riveduta sull’ ultima edizione originale per cura di F. Longhena (lo nomino perchè lo nominano gli editori in una nota alla prefazione ) penso che i bibliografi le daranno posto-volentieri coll’ altre che si sono indicate. «Della vita e degli scritti di DinAco;PiRRo commentario di Tom- Maso CHERSA. Firenze, Magheri 1826 in 8.° ... Didaco Pirro, altrimenti detto Jacopo Flavio, nacque.in Evora nel 1517 di genitori israeliti, fuggì assai giovane le religiose: perse+ cazioni che minacciavano in patria.il suo capo, visse il più de’ suoi giorni in Ragusa, e morì in, Castelnuovo presso la foce del.canale di Cattaro, non prima, per quello che pare, del 1607. Egli fu. poeta lati- no de’migliori del suo secolo, che pur n’ebbe molti eccellenti. Prima di fermarsi in Ragusa ei si trattenne alcun poco. anche in questa no- stra Italia, ove strinse amicizia coh alcuni uomini assai dotti ; come Giglio Gregorio Giraldi ; Paolo Manuzio ed: Aldo suo figlio, e pro- babilmente conobbe il giovane Torquato, a cui. indirizzò ‘un’ elegia } 128 sopra le donne e gli amori . Nessuno peraltro degli storici della no< stra letteratura fece menzione di lui. Non so nemesi che lo ramme- mori alcuno di quelli che scrissero della ‘letteratura portoghese o della israelitica. Il so'o forse, che n’abbia detta qualche cosa , è l’Ap-. pendini nella recente sua storia politica e letteraria de’ ragusei. Ma un breve cenno sopra un tal aomo non parve bastare all’ot- timo Chersa. Il Flavio , egli scrive, ispirato dalla musa della grati- tadine pagò a più doppi gli antichi nostri della cortese ospitalità con che esule dalla patria lo aveano accolto, Riinase dunque, par ch'egli prosegua , a Ragusa mia un debito verso di lui; ed io cercherò di pagarlo. Frutto di questo amorevole proponimento è il presente commenlario intorno alla sua vita e a’suoi scritti. Ogni poeta , che non sia un semplice ricantatore di vecchie favole, lascia ne'le proprie composizioni qualebe traccia della propria storia. Un poeta profugo, 0 in qualunque modo travagliaiò dalla fortuna , ve ia lascia più profonda che altri. Nelle composizioni del Flavio, parte stampate nel secolo decinosesto , parie nel nostro con quelle di vari ragusei che dobbiamo all’Appeudini , e parte ancora inedite , il Chersa ha trovato di ‘che supplire alle ntizie, che gli mancavano, e facendo parlare il poeta colle proprie "gi ci ha dati. ad un tempo saggi copiosi del suo poetare. Queste parole peraltro hanno nopo talvolta d’essere conci- liate fra loro, ‘ Nell’elegia de exilio suo , dice il Chersa, ei del suo dilungamento dalla patrio dà cagione a Ferdinando il cattolico mor- to nel 1519, alla regina Isabella morta nel 1504, agli inquisitori Melio e Parede , ed alla persecuzione da lor mossa contro gli ebrei, e nella nota appiccata al distico in lode di Giovanni terzo dice all'opposto che sotto questo re egli andò esule dalla patria per co- mandamento del proprio padre, Or come l’ una cosa coll’altra com- binare?,, Egli ha provato più sopra che il Flavio uscì di patria avendo già compito il diciottesimo anno cioè nel 1535 , e però mol- t'anni dopo la morte di Ferdinando e d'Isabella. Ma fossero pur stati vivi, egli dice, e il re d'Aragona e la regina di Castiglia. Come potevano essi e i fuso inquisitori nuocere ad un portoghese ? Ecco di che nodo egli scioglie il problema. “ Ferdinando all Isabella furono i-priini a stanziare con solenne editto , che coloro che la religion cattolica non professassero, dai lor reami fossero sterminati; ed i primi ad istitaire un tribunale con ampie commessioni, al quale solo stesse eseguire strettamente l’edit- to, e giudicare i delitti in fatto di religione. Indi a non molto segui. rono |’ eseinpio i re portoghesi , e ne' loro stati |’ editto, senza ‘farvi mutamento , introdussero. Nè più ci volle perchè quegl’ebrei (e non 1 È i i pr e 129 farono pochi') che tutto avrebbono ‘perdato; abbandonando la» pa- tria, facessero sembiante di scambiàr religione e di ‘farsi cris tianî, e divenissero ( secondo la spagnuola denominazione-) marrani , ch” è quanto dire cristiani finti , ai quali. ben può ciascuno imaginare quanto la dissimulazione e l’accortezza fossero méstieri a' nascondere le cose loro, per non essere colti in: contravvenzione ‘alle leggi; e doverne la colpa a grandi supplici scontare: Or tutto ne:conduce’a credere che il padre del poeta fosse di questi ebrei chiusi; ‘e che Pirro , giovane in età d’anni 18, franco nelle maniere , di spiriti ele- vati, d’un ingegno eminente, d’un alto sentire di sè stesso ; intolle- rante di quelle cautele, che a que’della sua setta erano cotanto ri- chieste per dissimulare le loro opinioniy si facesse in qualche modo conoscere per quello che veramente era ; desse così motivo a qual- che rumore nel popolo ; quindi a qualche disamina severa degli in- quisitori sulla sua credenza ; e quindi fosse cagione che suo padre, a fin che il giovane non pagasse le sue imprudenze il caro ‘prezzo che gli sarebbero costate; non che consigliargli, dovesse per lomeno inale comandargli |’ allontanamento dalla patria ,;. Era opinione invalsa che il FI avio avesse col tempo cangiata rei ligione, anzi fosse-investito in Ragusa di qualche'ecclesiastica dignità. Il Chersa distrugge quest’ opinione, la quale non ha altro fondamet- to che alquanti versi del. Flavio sopra soggetti cristiani, e partico= larmente quelli per cui scrive egli stesso. al senatore Michele Menze: cum ante aliquot annos divum Blasium sanctissimum libertatis ve: strae custodem atque vindicem heroico carmine utcumque celebras- sem; et rccitatum est carmen illud in frequentissimo senatu, et libeni tissimis omnium animis auditum gratiae praeterea mihi actaè et praemia de publico constituta. Il nostro Lampredi , inviando alcani mesi fà da Ragusa al suò amico Castelnuovo il manoscritto del commentario, e parlandogli in una lettera , che nella stampa vi si legge premessa , della familiarità del Flavio co'membri del senato raguseo, attestataci dal fatto chie si accennava, fa questa riflessione: “ il che mi sembra dimostrare sì per una parte il gran merito dell’ ospite portoghese , ma per l’altra ancora la general cultura di quel governo , ed un certo grado di sa- na ragione in tempi, ne’quali la vostra nazione (israelitica) trovavasi tra gli altri popoli, ora i più civili d’Europa, esposta agli insulti, agli odii e alle persecuzioni non della sola plebe ,,. Mi è dolce il pensare che i popoli d’Italià non siano stati degli ultimi a mostrare una ra- gione egualmente sana, come si conveniva alla loro civiltà. In proposito delle composizioni del Flavio, al buon Lampredi T. XXIV. Ottobre. 9 «so èsembrata cosa‘non meno corfese che opportana il ricordare gli essais sur la tittérature des Hébreux del dotto Montbron. Tn proposito di $ana ragione a me sembra non inopportuno il ricordare una memoria di Domenico Monga inserita nel torno 3 dell'istituto italiano, la quale enumera i meriti degli israeliti considerati quai membri della civile società , mostra che:i torti loro apposti , quando son.veri; debbono ascriversi,quasi tutti alle persecuzioni fatte loro soffrire, e separando i loro pregiudizi dalle loro credenze, addita nelle une il correttivo degli altri , e il fondamento, sesvogliasi, d’ ogni progresso morale. Questa; meinoria è anteriore di più anni ai migliori scritti stranieri nel medesimo argoraento,e può! rignardarsi conie uno specchio d' opi- nioni.già da lungo tempo fra. noi; padicate. :Pare che il Elavio (poeta latino di quel: mrerito:che i saggi re! cati dal Ghersa bastano va mostrare, evehessi | farebbe più evidente ove fossero; i insieme raccolte e ile: sue cose edite ,, da «un: pezzo assai rare, e le inedite or possedute dal.nostro; Lampredi);venisse allettato a fermare la sua.stanza in Ragusa-da quel; tanto amore: per: ‘le muse latine ch’ivi trovò , e che poi sempre.vi crebbe fino. alla: nostra età. Dell’ amore , ch’ ivi si. nutre per le ‘lettere italiane; ci è. prova suf- ficiente il pulito commentario! di cuisparliamo , era: questa ne. aggiu- gneranno fra poco un'altra per noi più lusinghiera']e memorie de'to- scani che professarono lettere in Ragusa , dettate:dall’ autor mede- simo, che noi, al pari de’ suoi concittadini; piangiarno da alcuni mesi immaturamente perduto. Il suo comnentario: riesce; interessante an- che per altre notizie che quelle rignardanti Ja: persona del Flavio. La lettera del. Lampredi è interessantissima specialmente peralcu- ne notizie intorno a quella ch’ei chiama statistica letteraria di'Ra- gusa, richiestegli dall’amico prof. Valeriani ;-studiosissimo delle. cose illiriche , a cui il Castelnuovo è pregato di.comunicarle. Sovr'esse avrò occasione di tornare, proseguendo quando: mi rsarà ‘possibile, il discorso cominciato lo scorso imese ‘in ; proposito delle favole di Kriloff. "ni nt enni, suite 131 La Secchia rapita d’ ALessANnDRO Tassoni. Milano, Soe. &p. dei io Classici ital. 1826 in 32.° . No no dottor. Barotti (suppongo ch’ io mi seontrassi eon lui in Ferrara od in Modena ottant’anni sono ) io non posso credere quello «Che dite che il Tassoni scrivesse d’ ayer composto il suo poema una -state\nella sua gioventù, perchè si, vergognasse d’averlo composto in età più matora. È per me più probabile ch’ ei volesse allontanare il «sospetto d’ aver preso idea d’ un poema eroicomico dal Bracciolini, il cui Scherno uscì in luce qualch’anno prima della Secchia. Lascia- mostare che la data della lettera, in cui trovansi le parole sovracitate, è controversa ; che la. parola gioventù si può interpretare in senso as- sai largo, come la parola composto si. può prendere in senso assai stretto. Al Tassoni era ben lecito pensare che si troverebbero degli uomini materjali, che, non assicurati cronologicamente in contrario 5 _prenderebbero la Secchia per una figliazione dello Scherno. Ma gli era forse possibile imaginarsi che qualche uomo avyeduto si persna- derebbe che ila sua Secchia fosse opera d’ un giovanotto ?. Non dico nulla de’ pregi poetici che la distinguono, e provano consumato esercizio e vera matarità. Lo scherzo; che vi domina, è lo scherzo ‘.d’un uomo che ba vedute già troppe cose a questo mondo,, e_non le valuta più nemmen tanto da farne la satira, benchè se ne mostri spesso amareggiato facendone la parodia. Quindi il suo porma, unico forse tra’nostri poemi eroicomici,non può essere nè inteso nè gustato che in quell’età , in cui gli AE ci venguno, a noja. La nuova edizione di questo poema, graziosa come tutte |’ "ite che compongono la raccolta portatile de’ nostri poeti classici, è fatta sulla famosa modenese del 1744. Nell'edizione in 8.°, che la società tipografica de’ classici italiani ciavea data antecedentemente, erano state introdotte le note di quella famosa , che fu procurata, dal Ba- rotti. Iu questa piccoletta s1 è dovuto ommetterle, tranne alcune po- chissime che riuscivano assolutamente necessarie, Così è stato forza omettere le varianti , raccolte nelle due edizioni indicate, eccetto « quelle sole, come dicono gli.editori, che contengono qualche nota- bile diversità d’ imagini o di pensiero, per rispetto alle quali, è chiaro che l’ autore fu indotto alla variazione da rigaardi:non interamente letterari. ,, Il Tassoni , voi lo vedete canta corbellerie passate, ma il suo pensiero sta, pur fisso in altre che gli sono, presenti, Voltaire ha avuto gran torto di porre nell’ infi;no grado un poema come quello della ih il quale per vivezza di fantasia e.franchezra d’eluquio sta sicuramente al primo, Non sì è però ingannato quando, ha posto il 132 suo principale interesse nelle allusioni agli uomini e alle cose fra cui il poeta vivea. Ma queste allusioni richiedevano da lui cautele infi- nite ; ond’ è forse che condannato a parer frivolo egli si vendicò più d’ una volta facendo il bisbetico. Ad uno scrittore non abbastanza libero non sì possono fare cevsure di gusto quali si farebbero a chi non è vincolato da altre leggi che quelle dei gusto. All’ autore della Secchia, esposto all’ ire dei\conci di Culagna e d'altri eroi , sarebbe ingiustizia il rimproverare concetti deboli, o imagini troppo leggie- re, come si potrebbe per esempio a chi faori d’Italia cantava pocanzi con piena sicurezza la guerra de’ ministeriali e della con- tropposizione. Storia dell’arte di G. B. SEROUX D’AGINCOURT (rad. ed illuò. da STEFANO Ticozzi. Prato, Giachetti 1826 in 8.° tomo primo con tavole. Questa bell’opera , cominciata sulle vicine rive del lago di Bol- sena , proseguita e compita nella capitale delle bell’ arti, che fu già quella del mondo, potea dirsi italiana anche prima d’essere tradotta in italiano. Essa, già il sapete, è Ja continuazione della storia di Winkelmann, come quella del Cicognara è il proseguimento d’una delle tre parti in cui questa continuazione si divide. Abbraccia essa la storia dell’ arti sorelle dall’ epoca di Costantino a quella di Leon , vale a dire dal loro decadimento al lor rinnovamento, che 1’ au- tore distingae dal semplice rinascimento. Questa storia, come dice il frontispizio , è tutta provata coi monumenti, raccolti d'oguì parte d' Europa , ove l’autore ha viaggiato prima d’ intraprenderla , e dall’ Italia specialmente , ov’ egli s° è fermato a comporla ed ‘ha finiti i suoi giorni. Treft' anni d’ incessanti stud} , egli scrive, e di attivissime indagini, e gli abbondanti sussidj ch'io debbo a tanti scrittori ed artisti, ai quali mi è sì grato di pubblicamente atte- stare il doveroso tributo della mia riconoscenza, appena basta. rono per adunare questi immensi materiali e per convenientemente ordinarli tra loro nelle stampe della mia opera. Sono queste 325, delle quali 53 appartengono all’ architettura, 48 alla scultura, e 204 alla pittura. I monumenti rappresentati , o interamente o nelle prin- cipali loro parti, sono più di 1400 , dei quali più di 700 inediti ,,. Egli si loda molto e di chi li disegnò e di chi li incise, usando, co- m’ egli dice , ogni diligenza per serbarne il carattere originale, cosa che per l'oggetto da lui propostosi era di somma importanza. Ai bravi Giachetti però , ben degni d’essere incoraggiti dai doviziosi che ne hanno i mezzi, questa diligenza non parve ancora abbastanza. ‘ Sen- 133 za detrarre al merito del disegnatore e dei benemeriti intagliatori dell’edizione parigina, dice il tradattore e illustratore Ticozzi, posso accertare il lettore che i rami della presente edizione italiana furono tutti nuovamente incisi da assai migliori bulini; oltrechè furono nuovamente disegnati alcuni monumenti, che nella stampa della prima edizione erano poco conformi agli originali. ,, Per conciliar fede a tale asserzione bastano le dieci tavole componenti la prima dispensa finor pubblicata ( dopo che l’ articolo è scritto sono uscite în luce anche la seconda e la terza) tre delle quali contengono i più bei monumenti delle tre arti nell’ antico loro stato di perfezione; e sette altre quelli che segnano il principio della loro decadenza sotto Settimio Severo , Diocleziano e Costantino nel secondo , terzo e quarto secolo. « Dispiegando , scrive l’autore , la storia generale de!le belle arti durante un lurigo periodo ; mi vidi necessariamente condotto a trattare una quantità di parziali argomenti, che appartengono non meno alle materie ed ai metodi delle stesse arti che alla destinazione che hanno avuto; e per conseguenza agli usi ed alle costumanze, alle opinioni ed ai bisogni della società nell’ intero periodo del medio evo. Nulla omisi per raccogliere in queste parti della mia opera, tal- volta soltanto accessorie, più spesso essenziali, ma sempre interes- santi, tutti i lumi che potevano somministrarci ed i monumenti che tuttavia esistono ed ieopiosi trattati com posti intorno a queste mate- rie. Mi è dolce il pensare che somiglianti episodi, in una narrazione necessariamente alquanto monotona, saranno favorevolmente accolti e potranno supplire al poco interesse che la stessa storia offre talvol- ta ne’ principali fatti ,,, Questa storia scritta, come-quella del nostro Cicognara, con molta varietà e ampiezza di vedute è una prova no- vella del lume che si prestano vicendevolmente le cognizioni di genere diverso; e della necessità di un sapere quasi enciclopedico per riuscire scrittori compiti in qualche genere particolare. D’Agincourt era stato il discepolo d’ alcuni grandi scienziati della sua epoca, e. 1’ amico intrinseco de’ più grandi letterati, come degli artisti più distinti. Avea avute lezioni da Jussiea e da Buffon, avea erborizzato con . Rousseau, e avea trattato familiarmente con Voltaire, come avea W# x conversato con Pigalle e con Vanloo, con Bouchardon e con Vernet. Non porrò fra le ultime ragioni della sua universalità e della sua superiorità di spirito l’essere stato. della conversazione di mad. Geof- frin, per la quale ei faceva di que’ graziosi versetti che chiamiamo di società, e dalla quale era ad onore fatto ritrarre per mano di Cochin. Hc Rime di Franerso PrrraRcAa. Milano, reg de'Classiei ne: liani' 1826, tomi a in 32.* tas Rime di FRANCESCO PeTRARCA coll'interpretazione del conte GIA=} como LEOPARDI. Milano, Stella 1826 parte prima in 16. © 3 le rta gs Anbidue queste ristampe meritano dagli'studiosi una partico- lare attenzione. 309% bel “ Volendo riprodurre, dicono gli editori della prima; nella no- stra collezione portatile de’poeti classici italiani le ritte del Petrar- ca ‘‘ non abbiamo dovuto esitare pur an momento sul' testo che fosse da seguirsi; dacchè il consenso universale ha proclamato per ogni riguardo compitissimo quello che nel 1819-20 venne pubblicato dal ch. sig. prof. Antonio Marsand co’torchi del seminario di Padova, facendo sì che lo squisito gusto e la peregrina erudizione dell’editore gareggiassero collo splendore tipografico e colla maestria del di» segno e del bulino per inalzare un monumento .d’ammirazione al soavissimo cigno di Valchiusa. La nostra piccola e modesta ristampa ba anch'essa il pregio della bontà della carta e de’ caratteri; ma quello'che dee renderla ancor più grata al publico si è d’essere stata riveduta e corretta dallo stesso sig. prof. Marsand, il'quale trovan- dosi in Milano ba voluto gentilmente prestarsi a questa fatica, Per tl modo, dopo la magnifica patavina, può questa riguardarsi come la sua seconda edizione ,,. Essendosi pero accorti, essi aggiungono, che le rime del Petrarca tante volte citate ne’vocabolarii e nell’al-. tr'opere, che trattano di lingua e di letteratura, lo erano secondo an ordine generalmente convenuto; e che, attenendosi alla riordinazione del Marsand, la loro ristampa non potrebbe servire all’uopo di chi’ bramasse riscontrare quelle citazioni, pensarono di segnare in fronte d’ogni componimento, oltre il numero della nuova edizione patavina da loro seguita, quello pure della volgata, e porre nell’indice questa doppia numerazione; della qual cura gli studiosi vorranno loro chia. marsi obbligati. Nella ristampa dello Stella, destinata a formar parte della sua biblioteca amena e istruttiva per le donne gentili, si è seguita in ogni cosa l’edizione del Marsand; eceetto che nella punteggiatura “ la quale, dice l’autore dell’interpretaziòne, non' si è voluto torre da nessuna: edizione ma farla in tutto naova ,.. Questi punteggiata ra così rinhovatà può dirsi ‘parte dell’ interpetrazione ‘medesima di cui non' si saprebbe ‘intaginure nè la più breve nè la più com pita. Ma giova farla conoscere colle parole stesse del suo autore, non perchè sia difficile usarne altre che loro equivalgano per la 135 sostanza , ima perchè mi pare più che, difficile trovarne, che loro equivalgano per lo spirito. “ Nessuno \oggi.in Italia , fuori dei letterati' (io voleva :dir fuori di pochissimi letterati) conosce nè può intendere: facilmente la lingua italiana antica., Nondimeno, anche le donne italiane; e oltre di ciò un gran numero di stranieri, voglio» no leggere il Petrarca, poeta molto difficile anche alle persone dotte ed esercitate nella lettara e nella lingaa dei nostri, scrittori classici, Or dunque poichè le donne e gli stranieri leggono il Petrarca, a. me ‘pare che non sarebbe mal fatto che l’intendessero: ma io so di certo che non l’intendono , perchè ne anche i letterati italiani lo possono intendere senza qualche comento , e i comenti che abbiamo sopra'il Petrarca sono parte più oscuri del testo, e però inutili alle donne e ad alcuni altri che non credono bene di spendere un’ ora intorno a un sonetto ; e finalmente tutti passano sotto silenzio, quale un buon terzo, quale una buona metà e quale almeno due terzi dei luogi os- curi, e però sono inutili, se non altro , agli stranieri, alle donne, e a tutti quegli uomini che hanno paura o non sono accostumati di an- dare al bujo. Di più, quantunque non tutti i comentatori del Petrar- ca conoscano la lingua italiana antica, nondimeno tutti presuppon. gono che i lettori la sappiano molto bene: di modo che anche per questa parte sono inutili agli stranieri, alle donne, e agli italiani di oggidì, generalmente parlando. « L’ intente di questa interpretazione si è di fare che chionque intende mediocremente la nostra lingua moderna, possa intendere il Petrarca, non mica leggendo spensieratamente, perchè in questo se- colo non si può far l’impossibile, ma ponendoci solamente quell’at- tenzione che si mette nel leggere l’articolo delle mode nei giornali. La chiamo interpretazione perch’ella non è un comento come gli al- tri, ma quasi una traduzione dal parlare antico e oscuro in un parlar moderno e chiaro, benchè non barbaro, e si rassomiglia un poco a quelle interpretazioni latine che si trovano nelle edizioni dei classi- cî dette in. usum delphini. Non entro mai a disputare: ma dove i. comentatori sono discordi, reco. solamente quella interpetrazione che mi par vera, o che io la tolga da qualcuno di loro, o che io la imma- gini da me. Quando due o più interpretazioni o d'altri o mie proprie, o.pur luna mia l'una altrui, mi pajono esser parimente verisimili in ua medesimo luogo, le reco brevemente.tutte. Talvolta seguo an co- mentatore, talvolta un altro, spesso: nessuno, sempre l'opinione mia. Nòin salto a piè pari nessuna difficoltà, quando anche tutti i comen- tatori la saltino. Porgo in ristretto, ma' chiaramente, tutte le notizie istoriche necessarie a intender bene il testo. Iniprincipio tevgo die- tro a spiegare certe ininuzie, che poi vengo tralasciando di mano in 136 mano ch’io credo che il lettore debba con questa lettura medesima. esser venuto acquistando un poco di conoscenza e di pratica della lingua antica e della maniera di dire del Petrarca. Intendo sempre di scrivere per le donue e per gli stranieri: se a caso avvenisse che gli uomini e i letterati italiani, per mezzo di questa interpretazioncella; arrivassero a intender bene e compiutamente qualche luogo fin qui o non inteso, o appena o anche male inteso, avranno occasione di ri- petere ex ore infantium et lactentium, o qualche altro detto di quel tenore ;;. i Opere di Q. OrAZIO FLACCO recate in versi italiani da TOMMA- sO GARGALLO, quinta edizione ricorretta. Siena, Porri 1826, finora tomi 2 in 8.° Il primo libro delle odi di Q. ORAZIO FLACCO , saggio di tradu- zione poetica. Milano Soc. tip. de’Classici italiani 1826 in 8,° Questo primo libro, nuovamente tradotto, parmi che sia presso a poco rispetto alla versione di tutte l’ odi d’Orazio, fatta dal Gargal- lo, ciò che sono le olimpiche tradotte dal Lucchesini rispetto alla versione di tatte l’odi di Pindaro fatta dal Borghi. Nella versione fatta dal Gargallo più fuoco, più vivacità, più armonia. In questo saggio di traduzione più severità, più costante inerenza al testo, più concisione. Vi si sente , per vero dire, non so che di faticoso, che mai non s’incontra nelle olimpiche tradotte dal Lucchesini. Ma vi si trovano pure a compenso alcuni bei partiti di lingua e di stile, che non sono ordinari nelle traduzioni. Chi vi cercasse molto piacere poetico , ne rimarrebbe poco soddisfatto. Chi vi cercasse un piacere; a così esprimermi, filologico, potrebbe forse rimanerne pago più che di tutte l’altre versioni, che lo hanno preceduto. lotorno alla versione del Gargallo , dopo il tanto che se n'è già detto ne’giornali, stimo affatto superfluo l’entrare in nuove partico- larità. Confesso ch’io sono un po’lontano dal partecipare all’ammira- zione che alcuni hanno mostrato per essa. Molte parti dell’ odi d’Orazio furono già tradotte meglio da altri che dal Gargallo: molte nol furono niente meglio da lui che da altri. E però vero chein complesso la sua versione prevale ad ogn’ altra fin qui conosciuta, ch' è quanto dire sembra rappresentarci più che nun faccia alcu- w'altra il carattere del lirico latino. Le illustrazioni, di cui è corredata, mentre ci attestano i molti studii, pressochè indispensabili ad un buon traduttore, che il Gargallo ha fatti, mostrano pure nonso qual brio, ancor più indispensabile ad un traduttore poetico, e che di rado s' accoppia con simili studii: 137 Spesso la lore lettura ci diletterebbe come la conversazione d’un uo- mo egualmente spiritoso che erudito , se non vi si opponesse certa ambizione o affettazione di stile , che in Italia è la morte d’un gran numero di dotte scritture. Ma più che nelle illustrazioni questo difetto si fa sentire. nel proemio, il quale potrebbe assomigliarsi ad un caos, in cui una mol- titudine d’elementi diversi è agitata e confusa da una specie di perio- dico ribollimento. Quanto mai certe locuzioni singolari, che taluni stimano gran bellezza del.discorsò , nuocciono all’ esattezza e alla precisione ! Quanto certe sintassi , in cui alcuni ripongono la forza e l'eleganza, sono contrarie alle prime fra tutte le doti, la na- turalezza e la perspicuità ! Il proemio, di cui si parla, dovrebbe a chi non è fanciullo far fare in proposito di stile considerazioni ben serie. Le cose , ch’ esso contiene , potrebbero dar motivo a parecchi articoli ; ma ci vorrebbe, per occuparsene, un tempo ch'io nov ho. Quando questo proemio fu ristampato (l’ anno scorso ) dal Silvestri con altre prose dell’autore, io mi trattenni alcun poco sulle questioni del romanticismo e della lingua , in esso toccate , e specialmente su quella dell’istruzione popolare, al cui confronto le due prime debbono sembrare ben lievi. Una tal questione, ch'io non potrò forse mai trat- tare di proposito ) vorrei qui poterla considerare incidentemente an- cora un poco ; ma sento il bisogno d’affrettarmi, sottoscrivendo per tutta dichiarazione a ciò che ne pensano le varie società dell’ istru- zione elementare ( compresa quella della morale cristiana ) che da alcuni anni si sono formate in Europa. Ciò che ne dice il nostro autore prova troppo ch’ei non l’ha me- nomamente approfondita. Sembra che nell’esaminarla egli siasi tenuto, per così dire; fra due secoli, come vi si è tenato riguardo a varie que- stioni di letteratura. Egli, per esempio, ha preso a fare nel proemio di.cui si parla un confronto fra la \lirica greca e la latina; ma non ha osservata la loro differenza che alla superficie, Ricercando nel lirico di sorte il poeta republicano ha dato cenno di voler esaminare quali fossero i veri effetti della mutazione di governo nella romana lettera- tura, ma ha ben presto abbandonato l’esame, lasciando noi e sè me- desimo nell’ incertezza. In questo suo proemio , il quale se non è pieno di giudizi ben precisi , è pur pieno d’atili notizie, ei tratta al solito delle condizioni richieste ad un buon traduttore. Ei poné per prima fra tali condi- zioni la somiglianza di cuore e d’ ingegno fra il traduttor medesimo e l’ autore delle composizioni tradotte. Come la tempera del cuore e dell’ ingegno dipende molto dalle circostanze de’ tempi, credo che. 138 nella, somiglianza da' lui accennata comprenda pure quella di sif- fatte.circostanze. Quindi ne verrebbe che il ‘miglior traduttore; al meno d’.ana parte dell’odi d’ Orazio , si sarebbe dovato trovare in Francia al cessare della repubblica e al cominciare dell’ impero; eil. più: perfetto di tutti sarebbe; forse stato un poeta già tribuno del po- polo divenuto ciamberlano di Napoleone. Del resto{(ciò'che ho detto dianzi è uno scherzo) se la somiglianza di cuore e d’ingegno fra un traduttore e un autore è la prima condizion ‘vera pet ben tradurre, dubito troppo che una buona traduzione possa ‘aversi mai ; perchè uno scrittore , che somigli veramente per cuore. e per ingegno ad un'altro, vorrà fare come l’altro, cioè non tradurre ma comporre come. quegli avrebbe fatto nelle circostanze in ‘cui egli si trova. Aggiungete che il cuore e l'ingegno non.è consertaneo a sè ‘stesso in tutti i momenti; che quello d’un autore , nell'atto che com» pone cose degne d’ essere tradotte , è nel suo massimo grado d’atti- vità ; e quello d’ un traduttore ,, massime nel corso d’ una lunga traduzione, si sente spesso all’ ultimo grado della stanchezza, Di questa circostanza non so. che i critici abbiano mai tenuto conto j e pure basterebbe essa sola a farci ‘credere quasi impossibili le vere traduzioni , specialmente poetiche. Storia della letteratura italiana di P.L. GINGUENÉ trad. ed ilius. daB. PEROTTI , nuova ediz. riveduta sull''originale. Firenze’) ‘Daddî 1826, tomo primoin 3. Pri ‘na di Ginguené (questa confessione ci costa} ma l’amoridel vero lalesige ) si erano raccolti con molta diligenza i > materiali della vostra storia letteraria, nessuno ancora l’ avea scritta. Altri: espone &+ se il erede opportuno ; le ragioni di questo fatto ; che già si pre<; sentano facilmente a chi abbia alcun poco riflettato sull’ andamento: de' nostri studi nel secolo scorso. A me basti notare chevil' fatto è:geb neralmente riconosciuto dagli italiani, come lo prova la sollecita» dine con cni hanno cercato la storia del Ginguené ,: originale e tradotta. e80Ì Io non posso dire ‘che sia essa la più bella storia possibile della! nostra letteratura, come ne è finora |’ unica storia ‘vera. Avvi, per avventura; una maniera di considerare le, vicende e imonumenti'della letteratara de’ popòli, più profonda e più larga, che non quella usata; da Ginguené. Chateaubriand; la;Staé1, Sisnondi, Scblegel, e, malgra- do la sua secchezza, anche Boutterwek ne rendono testimonianza: Le grandi questioni di critica mosse in questi ultimi tempi, i serii studi che si vanno facendo. intorno alla natura morale dell’ uomo; ei i dd avvertono abbastanze che il seeolo decimonono mal potrà acconten- tarsi delle storie letterarie scritte nel decimottavo. Questa del Gin- guené peraltro ha ciò di particolare , che mentre alcune , benchè scritte sul finîre di quel secolo, sono appena degne del sno comincia- mento, si può veramente chiamar degna del principio del nostro. Vi è in essa quello spirito d’ analisi , quell’ amore di verità , quella tendenza fi'osofica in somma , che va prendendo oggi una direzione più sicura, rta che reriderà per sempre memorabile l’età antecedente in cui è nata. La storia, di cui parliamo , ha avuto in Italia più d’ una trada- zione; Questa del Perotti , che! si riproduce, emendata da alcani di- fetti che le si rimproveravano , sembra la più approvata. Nella nuo- va edizione le è stato preposto 1’ elogio dell’autore scritto dal nostro SalG , il quale, sopra gli appunti da lui lasciati, ne ha , come tatti sanne, continuata la storia sino alla fine del secolo decimosesto. Qae- st" elogio ci presenta Ginguené così amico sincero degli italiani come conoscitore profondo della loro letteratura. Forse questa conoscenza produsse injlui quell’amicizia, che molti hanno sperimentata in giorni disastrosi, Il Salfi la ricorda con compiacebza, e ripara quasi a nome dell’ Italia un torto , sicuramente involontario , del nostro gran tra- gice verso uno degli stranieri, che hanno page meritato la nostra riconoscenza. E’ IrALIE poeme par J: Lovis BRAD } seconde édition: Saint Pe- tersbourg , imp. de l’ instruction pub. 1823, in 8.° Ecco un altro di que’ pochi stranieri che mostrano d’ amarci sinceramente. Egli viaggia una seconda volta. 1’ Italia , tenendo , quasi pegno di pace , il suo poema alla mano. Merita veramente d* esser ricevuto colle rame d’ olivo alle porte delle nostre città. Nel proemio atta prima edizione del poema fatta nel 1814, ‘ co- me visitare , ei diceva , senza sentirsi ispirato dal genio della poesia quel suolo famoso pei versi immortali di tanti iosigni poeti , quel Lazio sì celebre nelle favole pel regrio di Saturno e d’ Astrea; quelle rive del Tebro sì piene di gloriose memorie, quel campidoglio an- cor tutto circondato dall’ antica graîdezza, quella Roma sì mirabile, quolla Firenze sì bella, quelle mura di Ferrara, quelle rive del ‘Mincio , quell’ Italia insomma antica e moderna ; su cui passarono i grandi secoli degli Augusti e de’ Medici? ,; Il suo.poema, spontanea odarta, com’ ei s’esprime ,' fatta sugli altari delle muse e dell’ arti ell’‘aspetto “ di quel sacro paese che Virgilio, Qrazin, Dante, l’Ario- 140 sto , il Tasso, Michelangiolo , Raffaello , Pergolese hanno a vicenda illustrato ,, era piuttosto il prodotto d’ un ingenuo entusiasmo che d’ una pensata combinazione. Ù « In una critica ragionata , egli dice nel proemio della seconda edizione , che fu allor fatta dell’opera mia, le si rimproverò princi- palmente la mancanza d’azione e d'interesse drammatico ; mancanza inerente alla poesia descrittiva, e a cui male suppliscono gli episodii, con cai ho cercato di compensarla. Quanto a tale mancanza l’appro- fittare delle osservazioni di quella critica, sicuramente molto benevo . la, m’era affatto impossibile ; ma ho cercato d’approfittarne a più altri rigaardi, onde spero che il mio poema sia alquanto più degno della luce, a cui per la seconda volta lo espongo. ,, 7 Il primo canto di questo poema è consecrato alle bellezze natu- rali dell’ Italia , il secondo a’suoi fasti guerrieri, il terzo alle sue arli antiche ; il quarto alle moderne. Giudichi altri, come crede, di questo piabo , in cui non so quanto l’ autore sì compiaccia Del suo modo di verseggiare , o di vestire le idee che seguevdo un tal pia- no , gli si presentano, penso che si giudicherà favorevolmente ov'iv ne rechi qualche saggio. Il poeta ha percorse (canto secondo ) le rive del Ticino, Montenotte, Lodi, Mantova, Arcole, Rivoli , Marengo, celebri , com’ egli dice, per Ì’ inaudita fortuna d’un guer. riero , i cui passi erano piuttosto preceduti che seguiti dalla vitto . ria. A un tratto egli s’ arresta , e fa quest’ apostrofe : O toi , jeune guerrier , toi dans qui l’ Italie — Retrouve de César l’ audace et le génie , — Comme lui sois vainqueur; mais par ambition = Ne vas pas dépasser un autre Rubicon | — Plus grand que le vain.. queur des Gaules et de Rome, — Laissant le nom de roi pour celui d'un grand homme , — Poursuis avec orgueil le cours de tes suc- cès, — De douze ans de malheur dé‘ivre les Frangais. — Son généreux verigeur combat pour la patrie — Après l’ avoir sauvde aux champs de l’ Italie, Altrove (nel canto quarto) dopo aver celebrato i nostri grandi artisti fino a Canova, ei passa ai nostri poeti drammatici, volgendo al gran tragico italiano alcuni versi, che cito assai volentieri ,, come quelli che giustificano le parole con cui ho cominciato questo breye articolo. ‘* E toi nouvel honneur de ces belles contreés, — O chan- tre des héros, dont les cendres sacrées — Deviant nos yeux en pleurs sont fumantes encore s — Toi que le Pinde a vu par un su blime essor — Egaler, au thédgtre, et Sophocle et Corneille — Du siècle ou nous vivons toi 1’ auguste merveille ,,— Hlustre Alfieri, pardonne à ce Frangaisy — Qui , courant au hasard la terre ow'tie è) I4I vivois , — Ne fait sur sa tablette incorrecte et profane — Du peu- ple italien gu’ un pèuple imglomane , — Et qui lui refusant ct l’esprit et le got, — Hormis è frédonner , le croit, impropre à tout. Biblioteca portatile d' EpucazioNE, Milano , Sonzogno 1824-26, finora tomi 18 in 16.° * Collezione di manuali o ENcICLOPEDIA di scienze lettere e arti. Milano, Fontana 1826, finora toini 2 în 12." Due mesi fa capitò da me un giovane molto istruito, il quale ‘viaggiava per ajutare un suo amico nel commercio librario. Sono stato, egli mi disse, in parecchi magazzini. Montagne di libri poe- tici cento volte stampati e che tuttavia si ristampano, forse per rial- zare con essi i muriccioli di Lungarno o farne ballatoi al di fuori de’ palazzi e delle basiliche; montagne d’ altri libri di vario ge- nere, parte intesi da pochi iniziati, parte inutilissimi ad inten- ‘ dersi. Ho cercato libri utili alla moltitudine , la quale richiede | oggi più che mai un’ istruzione facile, piacevole , sicura , nè quasi ho trovata cosa che valesse la pena delle mie ricerche. Veramente la maggior parte delle stamperie italiane , stando a quello ch’ esce da’ loro torchi , si crederebbero piantate per servire ai secoli passati, Però, s’ io dovessi piantarne una nuova, vorrei intitolarla del secolo presente , onde s' intendesse che non vi si moltiplicherebbero edizio- ni di libri , di cui nulla c’importa o siamo già provveduti oltre il bisogno , ma vi si procurerebbero quelle de' libri che ancora ci mancano. Chi mi parlava di questa forma è quegli stesso che ha pubbli- cato pocanzi un manifesto per la stampa d’una traduzione dell’Enci- clopedia portatile (opera già inoltrata d’ una società di scienziati e letterati francesi), della quale ho veduto qualche trattatello as- sai ben fatto. Il suo manifesto ci spiega quali sono , a parer suo , i libri di cui si ha oggi un bisogno più urgente , e per la pubblicazio - ne de' quali ben potrebbero le nostre stamperie sospendere un poco le tante loro edizioni di poeti e d’ altri scrittori. E nel suo parere con- corre sicuramente gran numero d’uomini riflessivi, a cui , se i più degli stampatori , soliti tenersi nella circonferenza delle accademie poetiche e delle scuole retoriche, finora hanno poco badato, alcuni però cominciano a porgere orecchio. Eccone in prova due serie di libri, che hanno qualche relazione colla piccola enciclopedia, voglio dire la biblioteca portatile d’edu- cazione , e la raccolta de’ manuali di scienze lettere e arti qui sopra ’ ER E 142 annunciate. La biblioteca. portatile, propriamente , non . ha con | quell’ enciclopedia che una relazione alquanto lontana. Iofatti, den- chè giunta al suo diciottesimo volame a hon contiene sinora che. due soli trattati elementari, cioè il compendietto di fisica di Teyssedre, e la chimica insegnata iu 26 lezioni di Payen , intorno a cui possono leggersi i giudizi recati in altri giornali italiani. Essa pare destinata specialmente ai libri di morale pratica , 0. a quelli che porgono un istruzione varia per via indiretta e, se altro non fanno , serrono ad invogliare di maggiori studi. A. prova di che mi basti indicare i varii volumetti di novelle scelte e di racconti tratti dalla storia che la compongono , le curiose avventure de’viaggiatori avtichi e mo- derni di Blanchard, e il fiore della morale compilato da un aaorimo, a quest’ intendimento di provare col fatto che in tutte le condizio- ni della vita il più utile partito che possa prendersi è quello di se- guire la virtù. La collezione de’ manuali, di cui i abbiamo ricevuto finora due soli volumi, non dovrebbe differire dall’ enciclopedia portatile che per la Special delle materie trattate in ciascuno di, essi. Ma se non m’ inganno, argomentandone da un primo saggio, sì troverà fra ambidue un’altra notabile differenza, quella cioè del modo con coi le materie vi saranno trattate, I due voluwi, ch'io accennava pur ora, sono il primo del manuale di storia naturale di Blumenbach trad. dal prof. Malacarne sull’ ultima ediz. tedesca,e il primo parimenti d'un nuo- vo manuale di geografia composto da G. B. Carta, Il madaale di storia naturale è corredato di molte osservazioni del'traduttore abbastanza conosciuto pel suo sapere, e di varie aggiunte speditegli dall'autore medesimo, e da un altro dotto tedesco il prof. Hausmann, il ma- noale di geografia sembra il frutto di stndii molto diligenti, e se posso giudicarne da alcune particolarità, sa cui ho avuto agio di fer- imarmi un istante, è forse la miglior cosa del suo genere fatta sinora in Italia, Sebbene questi due manuali sieno distesi sopra piani dif- ferenti, come il saranno per avventura tutti quelli che debbono se- guirli, mi sembrano però e l’ano e l’altro d’una forma troppo scien - tifica per servire all’istrazione popolare. Il manuale di Blumenhach, in ispecie ; non è fatto che per gli stadiosi di professione, e mi fa comprendere che a questi è specialmente destinata la raccolta. L’ editore dell’ enciclopedia portatile tradotta non deve dun- que temere che questa raccolta renda, fra noi inutile una tale enciclopedia, come non la rende inutile i in Francia una raccolta dal- tri manuali, che già è presso al suo termine. L’ enciclopedia porta- tile, composta di trattati veramente elementari distesi sopra un'ani- co piano, avrà il yantaggio d’ essere adattata alla moltitudine, che Rn E a 143 i desidera in'ogni materia le cognizioni più essenziali; e nel liugaag- giotpiù intelligibile. Essa è tanto dungi dall'essere soverchia dopo la collezione dei manuali,.ch’io:temno anzi che' non basti. Sebbene adat- tata alla moltitudine, cioè al maggior namero, essa'è per ‘avventura superiore all’intelligenza di non pochi, i quali o per la tenerezza dell'età o per altre \taùse, hanhò! d'uopo di vcognizionivareoripiù éle- «webtari: Periservire ‘a quest’doporsi sono publicati da: più audi in Jughilterra tanti piccoli catechismi di scienze ‘e d'arti, di cui strsente oguigiorno più il vantaggio. Essi hanno servito ultimainente dì uno- dello ad altri composti in lingua \spagnuola ‘per 1’ America meridio- nale, e già fatti distribuire, dietro l'approvazione di Lancaster , in ctutte lescuole della! eBioritto; i rOve maiisi pensasse ;a qualche cosa di simile in Italia} jo vorrei oconsigliare che ad'ana società d’aùtori; scienziati ‘ed artisti, si aggiu- gnesse una ‘commissione di revisori verainente pratici della ‘lingua , ‘ poichè se mai questa ha d’uopo d’èssere facile; tersa e precisa è par- *ticolarmente ne’libri elementari. Pur'troppo; ‘a questo riguardo'della ‘lingua, e i due volumi della collezione:de’mmanuali, e una buona metà +diquelli.che compongono finora lapiccola biblioteca d’educazione la - « sciano molto a desiderare. L'editore dell’ enciclopedia portatile pensi in tempo a far sì che le versionide’trattati sommarii, che la compon- - gono, riescano ciò che di rado sogliono» riuscire le versioni, giacche “quanto! più sararno belle j:tanto più saranno chiare, e daranno a chi ilegge esatta ‘idea delle cose H dir ciò al comune degli editori sarebbe forse yano; mail dirlo ‘a lai!) che mostra)tanto zelo per la comune istruzione, lo credo molto opportuno/Questo zelo, che può argo:nén- ‘tarsi da varii segni) mi ‘sembra farsi manifesto ‘anche dalia modicità ‘del prezzo fissato a ciascun volumetto della ‘sua enciclopedia. Non è ‘ forse: bene; generalmente parlando‘; che la moltitudine benchè meno Lagiata riceva in donovilibri di'cui‘ha ‘bisogno; ma‘è par necessario ‘che’ possa:acquistarli con piccolissima spesa. A questo fine (‘poichè la generosità:d’ uno o di pochi editori non' basta )'si‘‘sono'forinate‘in Inghilterra ed in ‘Francia società filantropiche , le quali? procurano stampe economicissime d’ottimi libri, e li fanno vendere al, sempli- ce costo, o anche meno, secondo le classi di persone, tra cui giova diffonderli. E il loro eseinpio‘già comincia ad imitarsi in altri paesi; cosa degna d’essere notata e proposta anch'essa in esempio. In Olan- da, io leggeva ultimamente, la ‘società ‘d’ istruzione dell'a sola pro- vincia di Namur, con ‘piccolissimi sacrifici, ha fatte distribuire dal novembre dell’anno scorso al luglio di'questo 38,286 volumi, fra i quali 5000 esemplari della morale pratica di Dairesne, a cui è ‘aggiunta la scienza ‘del bonomo Riccardo di' Franklin, e ‘3000 del 144 Simone di Nantua di Jassieu; i quali ultimi, nelle sole campagne. I nostri doviziosi , che si sentono inclinati a far del bene, rifiettano a questa nuova maniera dì farlo, corrispondente ad an nuovo e gran- dissimo bisogno dell’umana società. Lettere ad una giovane Sposa. Milano, Stella 1826 in 38.° Degli offici della famiglia dialoghi del car. CowraGnomI. Mila- no, Stella 1826 in 18.° Vita di GiuLiA FRANCARDI scritta da GIUSEPPE BIANCHETTI. Venezia, tip. d’ Alvisopoli 1826 in 8.° Gran mercè a’ nostri editori, i quali raccolgono d'onde possono i libri opportuni alla generale istruzione; mercè grandissima a’no- stri scrittori, i quali alfine si adoperano a fornirceli. Non so s° io m'’inganni, ma parmi che all’efficacia dell’istruzione debba eontri- buire sopra tutto la nazionalità. Fra molte maniere egualmente buo- ne di parlare alla mente degli uomini, penso che ve ne siano per ciascun popolo alcune migliori, cai sceglie quasi per istieto chi na - cque e vive fra il popolo medesimo. Che se trattisi di parlare insie- me alla mente ed al cuore , non dubito che il secreto per ben riu- scirvi sia riposto in gran parte nella maniera di sentire , che si ha comune col popolo in mezzo al quale si parla. Quindi se mi fa pia- cere, a cagion d’esempio., un manuale italiano di geografia eome quello più sopra annunciato , è ben naturale che tre operette di morale domestica come quelle che qui si annunciano, mi cagionino, in mezzo a tanto nostro bisogno, una specie di gioja. Le lettere ad una giovane sposa sembrano anzi sono sicoramente dello scrittore medesimo, che ci diede pocavzi quelle sopra Napoli e Roma. Si fingono scritte da un’amica, la quale conosce per espe- rienza non breve lo stata in cui l’altra è appena entrata, e paò quindi esserle utile co'suoi consigli. È veramente essa ne porge di op- portunissimi, benchè non sempre in maniera da rimovere il sospetto di voler dare precetti. Ciò diminuisce un poco l’ illusione in chi legge, poichè discopre in chi scrive quel sesso che non pensa tanto a mostrare la sua premura, come la sua superiorità. E da notarsi peraltro che l’amica scrivente partecipa un poco alla superiorità di questo sesso, avendo potuto osservare la società sopra un piano assai largo, accompagnando il marito in lunghe peregrinazioni. Perchè però il suo linguaggio riuscisse più coerente e più verosimile, con- verrebbe spesso che le sue idee fossero più disinvolte, e le sue osser- vazioni più acute. Com'è natarale in donna, che ha viaggiato, ella fa de’ confronti 145 frequenti, i quali contribuiscono così all’atile come alla varietà delle sue lettere. Non oserei assicurare che in questi contronti le sue pre- ferenze sieno sempre muliebri; ma forse non potrebbero essere in- sieme e sempre muliebri e sempre saggie. Un po'di quel grazioso cin- guettio, che distingue lo scrivere come il parlare del sesso più espan- sivo, potrebbe rendere più amabile la saggezza dell’amica; e duolmi che non sia una delle qualità caratteristiche del suo carteggio. Una breve citazione darà idea e di quelle che lo adornano e di quelle che gli mancano. L' amica viaggiatrice ha. parlato delle conversazioni di Parigi e di Londra e della parte che yi hanno le donne, come cento libri ne parlano. Seguita a dire delle conversazioni e delle donne d’un’altra città, come non so che ne parlino molti libri, ma come è bene che s’intenda fra molte donne d’Italia. « A Givevra, l’Atene elvetica , predominano le costumanze in- glesi, moderate ed ingentilite dalle francesi. Non so d'aver mai pas- sate così bene le sere come in quella città, Essa è patria di molti uo- mini illustri nelle scienze e nelle lettere, i quali a sollievo degli altis- sioni studi convengono insieme, e colle attrattive della loro conver- sazione e la cortesia de’loro modi incantano ed istruiscono chi ha la sorte d’essere ammesso fra di loro. Le ginevrine sono poi tali, ch'io non cesserei dal lodartele, benchè sappia che taluno le accusò di pedanteria. Gli è vero che non ho mai trovato donne più colte; e che più non mi meravigliai, frequentandole, se tra esse madana Stael siasi alzata a tanta celebrità per ogni maniera di bello e forte scri- vere. Usasi di prendere il tè anche a Ginevra, ma non condito, come il britannico, di papaveri e d’oppio; non mai si giuoca; spesso si danza, ma con ammirabile decenza; spessissimo si canta e si fa mu- sica, e le fancialle, cui niuna parte è ignota di colta ed elegante edu- cazione , concorrono principalmente a procurare quel passatempo alla società, che si raccoglie in casa de’loro parenti ,,. Nella penultima lettera intitolata la campagna sì finge inchiuso un manoscritto, che, giusta le espressioni dell’amica, è un piccolo corso di studii pel sesso gentile. Cautamente l’autore finge che questo manoscritto sia cosa del marito dell’ amica , la quale non avrebbe troppo buon garbo presentandolo come cosa propria. Resta a vedere se come cosa d’ uomo letterato (chè tale ella dichiara il marito ) non sembrerà meschinuccio e bisognoso di più cangiamepnti come di più appendici. La sola, di cui si trovi corredato , è fatta dall’ editore per raccomandare i libri della sua Biblioteca amena e istrattiva, di cui , insieme a queste lettere, formano parte gli offici della famiglia , annunciati nel manoscritto come ancora ine- diti, benchè vicini ad uscire in luce, T. XXIV., Ottobre. 10 1/6 i Ciò che hanno di particolare questi offici è che non solo pre- sentano le regole della morale domestica, ma risalgono a’ principj onde queste regole son derivate. Il loro autore è de’ primi, che abbiano cercato in Italia di rendere popolare la filosofia, che appunto non è altro se non la scienza de’ principj. Gredo che sia abbastanza conosciuto il suo saggio di morale pubblicato nel 1819, quasi introduzione ad un trattato ch' egli stava componendo, e di cui gli offici della famiglia sono parte. Come in quel saggio, così in questi offici, egli si mostra campione deciso della dottrina dei diritti, sembrandogli questa la base più sicura d'ogni insegnamento che riguarda i doveri. Se un’ altra dottrina , la quale è pur sostenu- ta da filosofi di rettissime intenzioni, è fatta, come dice taluno, per dare agli uomini maggior tranquillità, questa è fatta per dar loro maggiore dignità. Ma le dottrine morali non ‘vanno tanto giu- dicate dagli effetti, che possono talvolta essere supposti o avere in- sieme altre cause, come dal loro intrinseco valore , ossia dalla loro esattezza logica e dalla loro evidenza. Ora la dottrina, che dà agli uomini maggiore dignità, si trova appunto esser quella che pro- duce maggior convinzione. Prendiamone un saggio dall’altimo dia, Jogo, il quale s'intitola degli offici dei padroni e dei domestici. L’au- tore mostra primieramente che la denominazione di servitori, im- proprissima in sé stessa, è fatta per produrre l’avvilimento in quelli a cui è data, e la superbia in quelli da cui è adoperata . Ciò lo conduce ad esaminare la vera natura di ciò che chiamasi servi. gio, e le relazioni reciproche di chi lo presta e di chi lo riceve. La somma di queste relazioni 0, come l’autore si esprime, dei rispettivi doveri de’ padroni e de’domestici è in questa parte del dialogo. 6 Uomini e donne, che non hanno miglior modo d’ occaparsi onde sussistere, vengono ricevuti in famiglie, le quali banno bi- sogno di servizio in uno od altro ramo delle cose domestiche. O tacito od espresso succede da ambe le parti egualmente libero un contratto , in virtù del quale il padrone della casa assume |’ im- pegno d’ una tale retribuzione , e chi n’ è ricevuto si obbliga ad un tale servizio. Negli altri contratti, soliti a stipularsi tutto dì tra gli uomini, generalmente non concorrono che gli elementi della cosa data od opera prestata e del prezzo della medesima. In questo per la singolare sua natura interviene una società, la quale, se- condo le cose dianzi dette, giustamente può chiamarsi società do- mestica. Imperocchè di estranea ch’ è la persona, la quale si ac- coglie in casa, essa vien fatta porzione della famiglia ; nè dalla prestazione dell’ opera , a cui è destinata , può disgiungersi la fi- è 147 ducia che le viene accordata ; tutta la casa del padrone essendole aperta, e la roba e la vita st.ssa di lui e de’suoi messa nelle mani della medesima, e talora i più importanti anzi i più secreti e più delicati suoi interessi. Vuolsi adunque per parte di chi in questa maniera viene accolto e fedeltà e discrezione e diligenza e cura zelante, onde corrispondere a tanta fiducia. Ma il padrone, che commette un atto di tanta fidocia, contraddirebbesi se nel tempo stesso non trattasse questa persona con amorevolezza. Della quale i primi effetti sono gli umani modi , non disgiunti dalla digvità che al suo grado conviene, e coi quali soli può temperare l’ acer- bità che non manca di farsi sentire a chi deve occupare Ja sua volontà e tutti i suoi momenti nel secondare la volontà ed eseguire i comavdi altrai : chè questo appunto è ciò, che più d’ogn’altra cosa fa dyro il servizio di cui parliamo, L’ amorevolezza poi del pa- drone , la quale, oltre gli umani modi accennati, quando vera- mente sussiste , si esprime per altri atti grati a chi lo serve, fa nascere in questo e divozione cordiale e sincero attaccamento. Così il padrone è protettore , benefattore e padre de’ suoi domestici; così i domestici sono rispettosi, ubbidienti , affezionatissimi, quasi al- trettanti figli di lui. , Fo non voglio asserire che nei dialoghi degli offici della famiglia non possano trovarsi delle proposizioni più o meno disputabili. Cre- do peraltro di poter asserire che il ragionamento è in essi molto ben ordinato e fatto per lasciare alle dispute il ininor luogo possibile. Il . loro stile è facile e piano , se non è sempre abbastanza lucido e pre- ciso; e il calore, che spesso li anima , ci compensa dell’ amenità che vi si lascia quasi sempre desiderare. Questa ha cercata il Bianchetti nella sua vita della Francardi , opera notabile per molti pregi e specialmente per l'intenzione con cui è dettata. “ Essendomi io proposto , dice l’autore nel suo proe- mio, di scrivere alcuni pensieri intorno alla virtù domestica, cioè in - torno al modo di regolare le passioni che conturbavo maggiorinente la quiete della famiglia , intorno all’ educazione de’ figliuoli, alla santità del matrimonio, ed in breve, intorno alle cose principali ehe compongono il governo di una casa ; mi parve che fosse ottimo par- tito a mettere in opera con buon effetto questo mio divisamento il raccontare la vita di Giulia Francardi, e qualche fatto di quella d’al- cuni altri personaggi, i quali abitavano un tempo in un piccolo vil- laggio situato a piè delle Alpi. Trovai che questa storia avrebbe po- tuto confortare d’ utili esempi il mio argomento, rompere il fastidio di troppo lunghe dicerie , e rendere più facile, più amabile e più evidente il precetto ;,. 148 Daolmi invero che il tempo mi manchi per rendere conto d un lavorò , che mostra nell’ autor suo e desiderio non ordinario del ;be- ne e non ordinaria cultura. S’ io avessi ad entrar qui in un discorso ‘ un po’ lungo, non potrei mostrare sicuramente che. il lavoro corri- sponda in tutto al fine che l’autore si è proposto. Dovrei forse no- tare nell’ invenzione varie prolissità e varie lacune; dovrei movere alcuni dubbii sulla verità di certe situazioni , sulla prudenza di certi personaggi , sulla opportunità di certe descrizioni , sulla conve- nienza di certo linguaggio; dovrei un poco rammaricarmi che l’au- tore siasi fatto dello stile altra idea che Fénélon , Rousseau e Saint- Pierre da lui presi in altré cose a modello , o che vinto dalla fazicne dominante de’ nostri fraseologi non abbia osato scrivere così natural- mente come il cuore gli suggeriva. Ma dovrei pur notare nel.suo la- voro molte parti distinte , rallegrarmi dell’ artificio ingegnoso con cui egli ba saputo ridurre in azione un pensiero filantropico , e augu- rare che molti vogliano mettersi per la via da lui in certo modo aperta , e darci narrazioni morali applicabili a tutti gli stati della vita, di che abbiamo oggi dall’ Inghilterra specialmente esempi sì belli. D'’ un’ iscrizione ficulense e dell’ antica Ficulea dissertazione di NiccoLa RATTI. Roma , Giunchi e Mordacchini 1826 in 8.° Dall’epoca di Tarquinio Prisco sino a quella di Cicerone, dice il dotto autore, saremmo privi di memorie sopra Ficulea senza l’ajuto di quest’ iscrizione, la quale ci dà notizia di un cli- vo nella regione ficulense, lastricato di nuovo a spese del liberto Cerinto , di due paghi e d’ un tempio di Marte fin oltre ai quali il clivo conduceva. Gli antiquari non aveano ancora potuto mettersi d’ accordo sopra la situazione della città pur ora nominata, benchè per le parole di Livio si sapesse con sicurezza che apparteneva. al Lazio antico. Il nostro autore prova con argomenti più che pro- babili, ch’ essa già sorse nel luogo stesso ove l’ iscrizione fu scavata, cioè sui colli della Cesarina , lungi sette miglia da Roma alla sini- stra della via Nomentana , da cui divergeva un miglio all’ incirca. Si disputava parimenti sulla durata di questa città, che taluno , ar- gomentando a modo suo da alcune parole di Dionisio e dal silenzio di Strabone, disse caduta verso la fine dell'impero d’ Augusto, L’ autore dopo aver ricordato ch’essa fioriva sotto quello di M. Au- relio (di che cita in testimonio una famosa iscrizione alimentaria di villa Albani) mostra come durò per lo meno fino a tutto il secolo quarto. Fra le parti episodiche della dissertazione merita d’ esser MR 149 notata quella che riguarda gli Accensi velati j7al cui numero a ppar- teneva chi pose l’iscrizione, e il cui officio, secondo il nostro aatore, era il medesimo dei Flamini minori, se pur non erano, com'egli dice, Flamini essi stessi, Il giorno , in cui 1’ accademia romana d’Archeo- logia sentì leggere questa interessante dissertazione , dovette sem- brarle veramente uno de’ suoi giorni di maggior piacere. Serie d’ autori d’opere risguardanti la famiglia MEDICI. Firenze, Magheri 1826 in 8.9 Il conte Litta , visitando mesi addietro Firenze , promise al no- stro Moreni che la prima delle famiglie illustri , di cui, a prosegui- mento della sua opera , pubblicherebbe le memorie , saria la Medi- cea. Il Moreni riconoscente gli manda un elenco di mille dagento e più opere fra edite e inedite , riguardanti la famiglia medesima, on- de all’ uopo ne tragga indirizzo nelle sue ricerche, avvisandolo che sta preparandone un’ appendice. Quest elenco è fornito d'annotazioni varie, che ne accrescono l’ atilità , e d’ un indice diligente che ne facilita |’ uso. L’ elenco , siccome ognuno s'imagina, è secondo l’ordine alfabetico degli autori; l’ indice è secondo quello delle persone di casa Medici, di cui parlano gli autori medesimi. AI nome di ciascuna di esse il premuroso bi- bliografo soggiunge nell’ indice stesso un cenno genealogico , il quale può in molte occasioni riuscire opportuno. Una seconda intitolazione preposta all’ elenco, quella cioè di glorie della casa Medici , indica abbastanza con che sentimento esso è composto. Ma non tutti gli autori, che vi si trovano registrati, scrissero col sentimento medesimo, nè tutte le cose notate dal biblio- grafo valgono ad ispirarlo. A pag. 184, per esempio, veggo indicato un libricciolo rarissimo, impresso nel 1575 sotto questo titolo: /egenda sanctae Catharinae Mediceae. Quai glorie di casa Medici esso racchiuda, il bibliogra fo ce lo fa intendere, dicendo ch’ è dello stesso tenore d’altra operetta pur rara, stampata nel 1578, e qui notata a pag. 125: Catharinae Medi- ceae reginae matris vitae , actorum et consilioruni, quibus univere sum regni gallici statum turbare conata est , stupenda eaque vera narratio , attribuita generalmente ad Enrico Stefano. È vero ch’ ei soggiunge che ‘ il Brantome ha provato che l’ autore di essa , ch’ è curiosissima , non era che un furbo. ,, Ma supposto pure che Bran- tome dica giusto , il nostro bibliografo non può dissimalare a sè stesso che la vita di Caterina, scritta anche dal più semplice degli uomini, sempre conterrà certe glorie che Dio ne scampi ogni po- 150 polo. Langlet Dufresnoy racconta, non so dir bene se della narrazio. ne, è della leggenda, che Caterina, sotto i cui occhi fu posta, non vi trovò nulla d’antistorico fuorchè le oinmissioni. A pag. 225 è segnato un altro libretto latino, impresso in Roma nel secolo decimosesto sotto il titolo d’orazione ai lucchesi, fatta scrivere da Ferdinando di Napoli contro Lorenzo il magnifico. Vo- glio ben credere che |’ autore (0 Cola Montani o Niccolò Capponi che si nominasse) fosse quell’ homo ferus, crudelis et inhumanus che dice il Fabbroni citato dal bibliografo. Ma pur domando se l’ averlo per rabbia fatto strangolare nell’ Alpi di Bologna , come racconta il bibliografo medesimo, sia una delle glorie del magnifico e della sua casa. Potrei fare altre domande non poche intorno ai diversi perso- paggi più illastri di questa casa, che molto operò per la Toscana , molto più per sè stessa , e la cui gloria sarebbe immensa se desse gloria tutto quello che dona celebrità. Ma come il dotto bibliogra - fo , pei lunghi studi fatti della patria istoria , sa molto più di me che può mettersi in problema , se più debba la Toscana ai Medici o più debbano i Medici alla Toscana, anzi, com’ altri s’esprimerebbe, se la Toscana abbia ricevuto dai Medici più bene o più male , non dirò davvantaggio. Frii molti manoscritti, indicati qua e là nell’elenco , alcuni, parmi , debbono contenere notizie che ne renderebbero preziosa la pubblicazione. V’ è una parte della storia fiorentina ( quella degli ul- timi tempi della repubblica e de’principii del nuovo governo) ch’ io non credo ancora illustrata abbastanza, e intorno a cui ogni nuova ri- velazione oggi interesserebbe i due mondi. Quanto ho desiderato che fossero fatte di pubblica ragione molte lettere stupende dei due Strozzi, del Nardi e d’altri di quei celebri repubbiicani loro contemporanei, che ho vedute già tempo nelle ma- ni d'uno di questi eruditi e che ora si trovano, credo, in quelle di lord Guilford, che deve averle portate a Corfù! Quanto bramerei che fossero stampati parecchi manoscrittti , di cui parla il Moreni, se pure il loro titolo o la mia curiosità non mi fa illusione! Altri si accontenterà di bramare p. e. che venga per sua opera in luce /a supplicazione d° Italia al cristianissimo re Francesco I del. l’ eccellente dottore m. Francesco Guicciardini, ch’ ei dice essergli pervenuta alle mani da poco tempo, e di cui reca la prima jterzina. Jo yorrei par vedere in istampa e 2/ parere inviato al duca Ales- sandro da Luigi fratello di quest’ eccellente dottore sopra il go- verno di Firenze; e il discorso di Baccio Valori mandato al duca medesimo sopra il modo di stabilire la repubblica; e l’ informazio- 15I ne di Roberto Acciajoli sopra /a maniera di governarsi in Firenze; e il ragionamento dell’ arcivescovo di Capua consigliere del duca del pigliare il verso d’ assicurare lo stato di Firenze dopo la guerra del 1530, che trovansi nella Magliabechiana, Vorrei insomina vedere altre cose non poche, alcune delle quali trovansi presso il nostro erudito bibliografo , a. cui prego che siano raccomandate le scienze storiche, quanto lo sono le cose patrie , e per amore di esse le glorie di casa Medici. x PELAGONI Veterinaria ex richardiano codice excerpta et a men- dis purgata ab JosEPHO SARCHIANIO, nunc primum edita cura C. Cionit: accedit SARCHIANII versio italica, Florentiae, Pezzati 1526 in 3.° « E pegno del suo amore (scrivea cinqu’ anni sono il Niccolini in una notizia sopra il Sarchiani inserita nell’Antologia) lasciava ai suoi colleghi (i georgofili) l’ inedito trattato di Veterinaria di Pela- gonio classico latino , ch’ egli sull’unico codice del Poliziano tra- scrisse , emendò e poi fece volgare ,,. Chi sia questo Pelagonio , di cui ora il bravo Cioni pubblica il trattato in pegno d’ amore e del Sarchiani guo , dum vixit, (parole della sua prefazione) usus est fa- miliarissime , e della classica letteratura con cui non ha minore fa- miliarità, per ora lo ignoriamo. Il suo nome veramente è piuttosto greco che latino, e parmi d' aver sentito che Sprengel nella storia della medicina lo dice greco espressamente, e cita qualch’ opera greca del nono secolo, in cui sono riportati de’passì della sua veteri- naria ch’ ei crede originali. Ma il nostro Cioni mi assicura che ha tanto in mano da provarlo scrittore latino del secolo quarto, il che farà appena le sue occupazioni gliene lascino agio. Quando sul principio dell’anno passò di qui il dotto Furlanetto, che viaggiava per arricchire il suo gran lessico forcelliniano , il Cio- nì , com'è naturale , gli parlò del suo Pelagonio , e mostrandogliene il trattato, gli domandò se per avventura conoscesse i personaggi ; a cui i diversi capitoli sono dedicati. Furlanetto rispose ciò che la me- moria gli suggeriva e , notati col lapis nel portafoglio i loro nomi, promise dj consultare intorno ad essi il babbo de’ nostri eruditi, vo- glio dire il Borghesi, che vedrebbe fra pochi giorni a Sanmarino. Ora l'opinione del Borghesi, il quale appena interrogato ne scrisse , per commissione dell’interrogatore, al nostro Cioni (v. la sua lettera in una nota alla prefazione) si è che se i personaggi, di cui si parla, come apparisce dai loro titoli, non sono anteriori a Costantino , gli sonò però o contemporanei 0 di poco posteriori, come può argoen- 159 tarsi dai nomi d’ alcuni di loro già conosciuti per le lapidi. È dun- que lecito presumere che il Cioni , nelle sue congetture intorno alla nazione e all’ età del Pelagonio , si trovi assai presso alla verità. Il codice riccardiano da lui pubblicato era, come già si accennò, del Poliziano , che lo fece trascrivere . come dice egli medesimo in una nota , da altro molto antico, di cui non sappiamo più nulla. E questo stesso , che ora è fatto pubblico, fu per così dire perduto fino alla metà del secolo scorso , quando il Lami lo discoprì e lo registrò nel suo catalogo della Riccardiana , ch’ è stampato. Il codice antico era mancante di quattro capitoli, ed è naturale che lo sia pure il riccardiano sua copia. Il codice antico era in più luoghi depravato ed informe , e non è del tutto naturale che lo sia anche il nuovo fatto trascrivere dal Poliziano. Che se la fatica del correggerlo sgo- mentò un sì gran dotto, quanto dobbiamo ammirare il buon Sarchiani che l’affrontò. Il corso della sua vita peraltro non gli fu bastante per condurla a termine. Egli non era ben sicuro di tutte le lezioni pre- scelte, a cui avea fatto corrispondere la sua versione, e si riserbava di fare sovr’ esse maggiori studii. Il bravo editore non solo ha publicati gli appunti che doveano servirgli per questi studii e per le opportu= ne illustrazioni , ma ha confrontato diligentemente il testo del suo manoscritto e quello del codice , recandone le varianti, onde altri più fortunato compia l’ opera che il valentuomo non lasciò del tutto perfetta. Che se domandasi, egli dice, di quale utilità sia oggi la pubblica- zione del trattato di Pelagonio, è facile rispondere che oltre al servire alla storia della medicina, di cui |’ ippiatria è una parte, serve pure alla storia e allo studio della lingua del Lazio, trovandovisi molte vo- ci che mai ne’lessici non furono registrate , e vedendosi per esso che molte altre, che credevansi d’ età molto bassa , farono usate più secoli innanzi. Quanto alla versione oserei asserire ch’essa, per la più parte almeno degli stadiosi , è d'importanza ancor maggiore del te- sto. Per indicarne il merito, scrive giustamente l’editore , basti dire ch’ è lavoro del Sarchiani. Suppongo che il nome di que- st’ uomo in più materie dottissimo non giunga nuovo ad alcuno. Che se avvi fra i lontani chi ignori il valor suo come scrittore , giovi ri- cordar qui col Niccolini “ch egli del pregio della lingua fa custode sollecito e mantenitore ostinato in tempi che, con solenne ignoranza del procedere del nostro intelletto, e con grave danno dell’ italiana letteratura , lo studio delle idee venne disgiunto da quello delle pa- role ; e tanto era nei più dei nostri scrittori verso gli antichi il di- spregio , quanto lo è adesso per avventura la superstizione. ;, 153 Omero innografo; traduzione d’ANTONIO DURANTI. Arezzo, Loddi e Bellotti 1826 in 8° Favole scelte di LA FONTAINE trad. del conte LurGi RiLLi OR- sini, Herona, Bisesti 1826, tomi 2 în 16.° La Rannocchieide poema ercicomico del conte LuiGi RILLI OR- SINI. Verona, Bisesti 1825 in 12° Per Lopovico LIPPARINI pittore stanze d'IGNAZIO BORZAGHI. Bo- logna, Nobili 1825 in 8.° ll cimitero di Romano visione di FuLvio MARIANI. Milano, Sil- vestri 1826, in 12.° Il passeggio di primavera versi di SANTI FABRI. Pesaro , Nobili 1826 in 12.9 La Primavera ode di DomeNIcO MissiRroLI. Rimini, Marsoner e Grandi 1826 in 12° | Scherzi anacreontici di DomeNIcO MissiROLI. Rimini, Marsoner e Grandi 1826, in 12:° Alla Pace inno di DomENIcO MissiRoLI. Rimini, Marsoner e Gran- di 1826 in 8.0 Lo SPETTATORE POETICO eprigrammi. Firenze, Molini 1826 in 82° Scherzi estemporneai latini di FAUSTINO GAGLIUFFI. Verona, Libanti 1826. in 8° Un sollievo nell’infermità sonetti di FRANCESCO BENEDETTI FO- RESTIERI, Bologna, Nobili 1826 in 8.° Saggio d’ idilli romantici di Giacomo NipoTE. Faenza Conti 1826 in 12.° Pel B. AngIOLO D’ACRI canzone del cav. BAccIO DEL BORGO; Fi- renze, Magheri 1826 in 82° Il Giubileo ode del march. G. C. di Nero? Genova , Ponthenier 1826 in 32.° In morte dî lord Byron ode del march. G. C. di NEGRO. Geno- va, Ponthenier 1825 in 12° ZuLMIRA o la donna di Missolongi versi di CARLO ANGIOLINI. Lugano, Vanelli e c. 1826 in 12.° La GRECIA ode a CHATEAUBRIAND. Lugano, Vanelli e c. 1826 in 82° Raccolgo tatti questi poeti in accademia, o piuttosto, per non usurparmi officio di presidente (il quale mi si competerebbe così bene come a Blucher il dottorato conferitogli anni fa nell’ univer- sità d’Oxford ) suppongo l’ accademia finita e fo da segretario, re- latore. Che se a taluno di quel'i, che più si dilettano di simili ac- 154 cademie , il mio rapporto dispiacesse come non scritto in buono stile d’officio , se ne consoli pensando che non sono segretario per- petuo. Omero innografo , traduzione d’ Antonio Duranti, cioè inni d’Onero o attributi ad O.nero tradotti ec. Forse la spiegazione è affatto inutile, e forse per qualcano è necessaria. In questo caso giu- vi riflettere quanto sia poco espediente il sacrificare la chiarezza alla singolarità. Degl’inoi, di cui si parla, non abbiamo qui se non quello ad Apollo e due brevissimi a Venere , che a me sembrano gli esordii d’uu inno due volte cominciato e due volte interrotto. La traduzione, come cosa di giovane che fa con essa i suoi primi esperimenti poe- tici, merita qualche lode. Non loderei però che il buon giovane pubblicasse quella d'altri inni, cwi dice d’avere apparecchiata , se anch'essa non è che un saggio di primi esperimenti. Vorrei pur chiamare di questo nome le due pagine di prosa da lui preposte ai tre inni; ma, per quanto il none sia modesto, sio qui l’adoperassi, parrebbe adulatorio. Il gusto della dedica (e ciò pu- re è bene che si noti) sembra fatto per giustificare quello della stam- pa; utraque enim obscurioris aevi. Da una traduzione degl’inni o veri o supposti d’Omero a quella delle favole scelte di La Fontaine deve sembrarci di fare un gran salto. La Fontaine peraltro è anch’egli un antico, è forse fra tutti i moderni quegli che più ritragga dalla semplicità de’prini poeti della Grecia. Ma la semplicità non è per così dire che una parte di quella naiveté, che distingue il suo genio, e per cui egli è così intraduci- bile com'è inimitabile. Persuaso di ciò il conte Rilli Orsini ha lascia - to (io suppongo) andar la penna come voleva, sperando più nel caso che nell’arte. E il caso qua!che volta lo ha favorito, come l’arte lo ha qualche volta secondato nelle Rannocchieide (poemetto eroicomi- coin otto canti e nel metro ordinario delle nostre epopee) cui pos- siamo riguardare come un lungo apologo. Essa è una larga imi- tazione della Batracomiomachia, e sembra contenere l’istessa mora- lità: “ spadaccini , che vi chiamate eroi, guardate bene : queste corbellerie , che fanno tanto ridere , sono lo specchio delle vostre gesta , che pur troppo fanno tanto piangere ,,. Le ottave o stanze del Borzaghi, consecrate per un buon ter- zo a narrare il combattimento degli Oraziee de’ Curiazi dipinto dal bravo Lipparini, possono, per questo terzo almeno, chiamarsi del ge- nere eroico più serio. Per gli altri due le chiameremo del genere lirico, giacchè non se ne indicherebbe l’indole, chiamandole} sem- plicemente del genere encomiastico, Si sente in esse facilità, cul. 155 tara, vivo amore di patria. — E Bologna è tal patria, che. vera- mente lo merita. — Il poeta non avrebbe forse mal provveduto a sè medesimo, invocandola auspice al canto invece della prole di Maja, ch’ei sa bene quanto porga orecchio alle nostre invocazioni. Un altro componimevto ispirato dall’amore di patria parmi la visione del Mariani. Esso è fatto per l'elezione d’an nuovo parroco di Romano, luogo del Bergamasco, di cui il famoso capitano Bar - tolommeo Colleone fu signore. Questo famoso capitano, dice una no- ta del componimento medesimo , avendo insignemente arricchita la chiesa del laogo, n’ebbe da Sisto IV il patronato per sè e pel popolo, ond’ è che il parroco oggi pure vi si elegge in una popolare assem- blea. Parve dunque al porta che una nuova elezione, che per le qua- lità dell’eletto è al dir suo delle più memorabili, meritasse un’appa- rizione di chi, se vivesse, sarebbe sempre il primo elettore. Diffi- dando però d’ un secolo un po’ incredulo, egli non s’arrischiò ad in- trodurre quest’apparizione nell’assemblea ; benchè forse potesse trar- ne un partito assai bello. S’imaginò un'apparizione solitaria nel ci- mitero ; e preferì di tingere d'un colore lagabre un argomento di letizia, anzi che mettere a troppo cimento la nostra fede poetica. Debbo io credere che il suo stile, veramente poco perspicuo, sia com- posto ad arte, per accrescere a quanto ei dice un’aria di mistero ? Il passeggio di primavera del Fabri è, per ciò che rigaarda lo stile, il vero contrapposto della visione. Vi si sente lo studio del- l’Aminta e dell’altre poesie pastorali del secolo decimosesto. Ma l’invenzione è poca, l’andamento è languido, il gusto è alquanto in- fantile. Che bel tema un passeggio di primavera! Ma per trattarlo, come questa nostra età richiederebbe, quante cose farebbero d’uopo al poeta ! Alcune reminiscenze di pastorali classiche non possono al più servire che d’intonazione al suo canto. Nell’ode sopra la primavera e nell’inno alla pace del Missiroli è forse un germe di poesia, ma nascosto fra gli avvolgimenti d’' un frasario semilatino , e i! solito frondeggiamento delle idee mitolo- giche. Taccio degli scherzi anacreontici (che pur mi piacciono più dell’altre due composiz'oni, come naturale espressione di naturali sentimenti) poiché li considero come un primo esercizio di gioven- tù. La versione latina loro posta a riscontro mi conferma in questa persuasione. Per accingersi a composizioni più dotte l’autore, sic- come possiamo accorgerci dalle note così dell’inno che dell’ode , ha fatto molto studio de’ poeti antichi. Ottimo consiglio, che gli gioverà anche più per l’ avvenire, ov’ egli da quegli antichi, più che le forme, prenda lo spirito del vero poetare, apprenda a ben parlare il linguaggio del nostro tempo, com’ essi parlarono quello del loro. 156 Lo spettatore poetico ha voluto, non che parlare il linguaggio, formare un ritratto di questo tempo nostro, il quale è forse tempo d’ epigrammi più che alcun altro de’ passati, Ci volea quest'inten- zione per uscire un poco da certi luoghi comuni epigrammatici , ove più nulla resta da raspollare, ed in cui sembra che molti non en- trino se non pet fare un lungo epigramma contro la propria preten- sione. A molte locuzioni, di cui l’autore fa uso, si dice con sicurezza ch’ egli non è toscano; a certi sali, di cui i suoi epigrammi sono conditi, quasi direbbesi ch’ei lo è. Questi suoi epigrammi si divi- dono in dodici libri. Scelti e ridotti anche a meno d’un terzo cor- risponderebbero vie meglio alla sua intenzione, e metterebbero in più viva luce il suo ingegno. Chi, al primo prendere in mano gli estemporanei latini del Gagliuffi, gettasse gli occhi p. e. su quelli pel cane del Sanbernar- do, che salvò la vita a quarantuno individui , ovvero su quelli pel tempio in Ferney eretto da Voltaire , sospetterebbe. che fossero anch'essi tanti epigrammi nel senso moderno. Il fatto è però che la maggior parte sono epigrammi nel senso antico, vale a dire pen- sieri ingegnosi ma non satirici espressi in linguaggio misurato, o semplici tributi d'ammirazione. Questi estemporanei, come leggesi nel loro titolo, venner dettati in occasione d’an viaggio per la Svizze- ra, Monaco e Verona, nella qual ultima città furono raccolti dal conte Della Riva, che in prosa assai tersa ne ba fatta per così dire la storia «Già si erano veduti in qualche giornale quelli pel giovane re di Baviera, che l’autore incontrò al passeggio con un suo figliuolino per mano,e credette persona del popolo. Essi ci aveano invaghiti di ve- der pure gli altri, ove trovasi, generalmente parlando, quella facilità d’espressione e quella prontezza di partiti, che il colto publico è solito ammirare in simili componimenti dell’autore. Ogni volta che questi (ne’suoi nuovi estemporanei) descrive oggetti dell’arte o scene della natura mi sembra assai felice. In altre occasioni, qual che ne sia il perchè, non mi sembra sempre felice egualmente. Confesso p- e. che nel partir da Ginevra, dinanzi al monumento del lago di Morat, nello stabilimento di Pestalozzi ad Yverdan, io mi aspet- tava che i suoi improvvisi direbbero pur altro che non dicono. È stato lodato molto l’epigramma per Rousseau nell’isola del lago di Bienne. Io, non so dir bene se pel fondo stesso del pensiero che rac- chiude, oper la mitologia che lo raffredda, mi sono sentito assai lon- tano dal trovar toccante com’ altri la sua originalità. In Verona (già ciascuno se l’imagina) posto fra il Pindemonte e la Vordoni, in faccia ad una schiera eletta di cultori e di cultrici degli studi poetici , il nostro autore ha dettati versi d'ogni specie e con insolita alacrità. 157 I sonetti del Benedetti Forestieri spirano una dolce mestizia, e riescono pei lettori come pel giovane autore un sollievo nell’infer- mità. Essi non oltrepassano il numero ditre, e s’intitolano: l'amicizia, le rimembranze, e la notte. Sono tersi e gentili quanto mai dir si possa; e se non vi sentite ad ogni verso la voce d’un poeta, vi sembra però di sentirvi quella d’un amico. Soave mestizia spira pure l’idi/lio, che il Nepote ci porge a saggio de’molti altri, ch’ei dice d’avere in pronto per la stampa. Taluno probabilmente lo biasimerà d’ averli intitolati romantici ch’è epiteto di setta, mentre la buona poesia è espressione dell’uni- versale natura. Ma l’autore forse dirà che quell’epiteto gli era ne- cessario per far intendere, che i suoi idilli differiscono dalle pasto- rali del vecchio stile, in cui non trovasi che una natura ideale o di convenzione. La versaggiatura di questo primo suo idillio è facile, e colta, I pensieri sono un po monotoni e ormai divenuti anch'essi un po'comuni.Ititoli deglialtri dieci idilli ci promettono maggior varietà, L’ode sacra del cav. Del Borgo ha il pregio di molta faci- lità e in alcuni luoghi di certa magnificenza. Umilissima è invece l’ode del march. Del Negro intitolata il Giubileo , ima a me sem- bra un modello di poesia devota, veramente popolare. Non dirò che mi sembri un modello nel suo genere l’ode in morte di lord Byron, ove il lettore troverà qualche reminiscenza d’un’altra fainosa in morte dell’uomo straordinario,a cui dicesi che Byron portasse non so quale invidia. Dirò solo che se in quest’ode taluno si avvisasse di tro- vare qualche reminiscenza di declamazioni d’altri poeti, vedrà come le declamazioni siano temperate dall’ eccellente carattere del rispet tabile autore. Il nome di Byron è nataralmente congiunto a quello di Misso - longi, di cui l’Angiolini celebra gli eroi in un poemetto di due can- ti. L'ode intitolata /a Grecia ci mostra l’ombra di Byron che esulta all'avvicinarsi di Cochrane. In questi soli nomi vi è già tanta poesia, che quasi non ne cerchiamo altra ai due, non dico periti , ma gene- rosi autori delle due com posizioni. Opuscoli varii intorno ai LOMBARDI alla prima crociata di 'Tom- MASO Grossi, Milano 1826 in 8.° Ho parlato più sopra d’ uno scherzo del Tommaseo, che forma parte di questa raccolta. Essa componsi di 18 opuscoli, quali in prosa e quali in verso, nè so dire se sia completa. Un terzo solo dei 18 opu- scoli è scritto a censura del poema del Grossi; gli altri due terzi sono in difesa. Dalla proporzione dei secondi ai primi, io non ardirò de- 158 durre che l’opinion generale nella patria del poeta sia molto ' favore- vole all’ opera sua. Dal numero collettivo, però , degli uni e degli altri apparisce che quest’ opera ha ivi ottenuta una straordinaria attenzione, Essa ne ha pure ottenuta non poca e in Firenze e nell’ al- tre città di Toscana. Però l'annuncio degli opuscoli indicati non sarà fra noi indifferente; e giacchè non si sarebbe potuto dare senza il ritardo, che questa volta ha sofferto la solita rivista trimestrale, desidero che, almeno dai più vagbi di simili cose, si accetti come una specie di compenso. Le critiche fatte al poema de’ Lombardi sono quali già dissi ch’io le imaginava, cioè fondate principalmente sulla sua dissomi- glianza dalle più celebri epopee. Le difese , generalimente parlando, si appoggiano a considerazioni indipendenti dagli esempi ossia a prin- cipii puramente razionali, ma lasciano più o meno a desiderare e per ciò che riguarda l’ esposizione di questi principi, e per ciò che ri- guarda la loro applicazione al poema censurato. Fra le critiche i ragionamenti di dun Libero colpiscono per certa vivezza e certo impeto , che duolini di dover chiamare impeto ostile. Questo ion L'bero in uno degli scritti di difesa è detto il ca- pitano della crociata contro il Grossi. Il suo ajutante maggiore mi sembra quel pocta., a cui è piaciuto di darsi il nome di mastro Sop- piattone per rendere dispregevole il titolo ch’ egli vi aggiunge di poeta romantico. Fra lui e il capitano mi pare che ci sia questa dif ferenza, che il capitano è più avverso al Grossi ed egli è ancor più av- verso al romanticisino. Veggo che contro i canti del Grossi ha scelto per sua arme la parodia , ed io non dirò ch'egli non la maneggi con certa destrezza , ma non dirò neppure che si curi di maneggiarla con molta giustizia. Don Libero, nel suo secondo ragionamento in ispe - cie , il quale è seritto e con più dottrina e con più moderazione del primo , fa alcune riflessioni, per le quali credo che possa riugra- ziarsi auche un nemico. Fra le difese, la rispostz di don Arcilibero parmi quella che tocchi più ’l segno, per ciò che riguarda i principii razionali da cui bisognerebbe partire per ben giudicare il poema del Grossi. Il car- tello di sfida d un imparziale prova, non dirò già, come leggo in es- so, la mala fede di certi giudizii, ma il pericolo delle prevenzioni, le quali o non ci lasciano vedere quello che è, oppure ci fanno vedere tutt'altro da quello che è. La lettera di don Ironico non è sicura men - te inutile per mostrare, che nulla è così bello, che non possa farsi - oggetto di parodia. Delle composizioni in verso , scritte a difesa , io non lodo volentieri che le più leggiere. Fra le serie avvene qual- cuna, come il don Libero all’inferno, che veramente è troppo seria. 159 Per vendicare uno scrittore da ingiuste censure veggo ciò che giovi una critica spiritosa ; ma quel che giovino le grife di Plutone m° è impossibile di capirlo. Mi dispiace veramente che, potendosi dal poema del Grossi trar- re occasione d’una disputa nobile e filosofica, siasi da parecchi pre- ferita una disputa di vecchio stile , cioè non punto dissimile da quel. le di cui leggiamo la storia con certa vergogna. Dall'una parte si è cercato di scoraggire un ottimo ingegno; dall'altra di nascondergli le obbligazioni che gli restano ad adempire in faccia all'arte; da ambi- due si è fatta piuttosto una guerra di passione che una disputa di ragione. Più tardo qualcuno 5’ è interposto fra i disputanti, e |’ au- tore dell’articolo, da cui comincia il presente numero del nostro gior- nale, ha ben meritato , parmi , degli amici della verità. Il suo arti- colo termina con un appendice eradita , che, se non ha l’nnportanza delle teorie generali antecedentemente spiegate, non è però da passarsi leggermente, poiché riguarda il fondo stesso del poema in- torno a cui si contende. Sento che il bravo Grossi stia preparando un discorso istor co sulla pritua crociata da premettere al poema me- desimo ove si ristampi. Questo discorso terminerà probabilmente ogni questione sui fatti che hanno servito di fondamento alla sua poe- tica invenzione. Alle questioni, che riguardano il gusto, egli risponderà sicuramente col migliorare ogni parte del suo lavoro, e darà un utile esempio così alla scuola classica, da cui si diparte , come alla romanti- ca, ch’ egli onora. Postille scelte d’ ALESSANDRO Tassoni alla Divina Commedia di DANTE ALIGHIERI. Reggio, Fiaccadori 1826 in 12.° Popolo venite a vedere ch’ i’ fo merenda : i’ mangio ’l cacio col popone e’l prosciutto co’ brogiotti. — Buon pro maestro dice un va- lentuomo che passa innanzi alla bottega del merendante: noi verre- mo a vedervi domani o dopo, quando già ben pasciuto vi metterete a qualche bel lavoro di cui si abbia bisogno. È curiosa l'ambizione d’alcunialtri raaestri di nostra conoscenza, i quali, ad ogni refezioncella letteraria che prendono , vogliono an- ch’ essi un popolo per spettatore. Come i versi di Dante non solo sono cibo che rinforza , ma sono propriamente cibo de'forti , chian- que ne mastica alcun poco cerca di farcelo, vedere, onde tutti lo ammiriamo, Quindi le tante chiose e chioserelle a que’versi, le quali si succedono senza interrazione , benchè non se ne mostri dal pub- blico verun desiderio. Io amo credere ch’ esse provino gran robu- stezza in chi ce le va presentando. Il pubblico però è inclinato a 160 trarne argomento di non so qual debolezza. Se i nostri stadiosi, egli dice, hanno stomaco fatto per nutrirsi veramente de’versi di Dante, ce lo mostrino con composiziom degne dell’ anima e dell’ingegno di Dante. Anche il Tassoni fece delle postille ai versi del poeta sacro ; ma non gli cadde mai in pensiero di dare al pubblico ciò che non dovea: servire che al suo stadio privato. [o non intendo biasimare quelli che hanno tratte queste postille del nascondiglio in cui giacevano , ima- ginandosi che il nome dell’ autore basterebbe a renderne il pubblico molto curioso. Lodo però l’ editore, il quale ce ne ha date meno che. ha. potato ;. pensando, bene che nessuna curiosità può sostenersi; quando non vi corrisponda molto diletto e molta utilità. Il vedere “ fin dove concordi il Tassoni con gli antichi e mo- derni espositori di Dante ,, non può importare, generalmente par- lando , che a quelli che il nostro editore chiama con bella frase ir- requieti investigatori di quanto si asconde sotto i velame degli versi strani. E poichè il,Tassoni , per detto dell’ editore medesimo, non ha postillato se non ciò che avea meno bisogno di schiarimento ; il piacere de’ confronti, che può cavarsi dalle stesse postille scelte ; si riduce a ben poco anzi a nulla , ove qualche accidentale circostanza. non lo avvivi. A quella terzina, per esempio, del 29 del Purgatorio; £ vidi le fiammelle andar avante—Lasciando dietro a se l’aer dipinto —E di tratti pennelli avean sembiante , io ho spalancati gli occhi per leggere la postilla che dice: “ le fiammelle pareano pennelli lanciati che pignesser l’aria del loro colore ;,; ma già ciascuno indovina il motivo di così straordinaria curiosità. Il passo del poeta è semplicissimo, nè pare che possa dar luogo a due differenti spiegazioni. Pure nella seconda parte del terzo vo- lume della Proposta ne vedemmo una inaspettata, che il Monti at- tribuisce al suo Perticari, e sostiene, come ognuno può rammentarsi, con argomenti tratti dal proprio ingegno. Secondo quella spiegazio- nei pennelli nominati nella terzina non sono già strumenti da di. pingere ma banderole di navi che indicano il vento; e ciò, dice il Monti, si fa chiarissimo dal primo verso d’ una delle terzine che se- guono ; ove i pennelli medesimi sono chiamati stendali. Ciò mi ha reso. più curioso che altrimenti non sarei stato della spiegazione del Tassoni, a cui avrei voluto aggiugnere quella che il Tasso ha forse data nelle sue postille, che presto. si pubbliche- ranno ; e quella che forse diede il contemporaneo di Dante in quel comento dell’ottimo, di cui si è recentemente proposta la stampa, e in cui è citata più volte la conversazione del poeta ad interpretrazio- 261 ne de’suoi versi. Ma in queste ferie antunnali la Laurenziana è chia- sa, e il commento all’ ottimo è impossibile vederlo ; i due esemplari , che racchiudono le postille del 'Tasso , trovansi a 50 miglia da glio ze e non mi é facile il consultarli. | Del resto , or che ci penso, il cousultarli non fa punto biso- gno. Qaando uscì in luce il volume pocanzi citato della Proposta , sovvieimi che, disputandosi fra vari amici intorno a varie cose ve- ramente disputabili che vi si es, venuti alla nuova spiega- zione del passo di Dante che si è détta , un poeta , ch’ oggi è de’pri- mi d’Italia, citò que’ versi dell’ottavo della Gerusalemme: Atlor vegg' io che dalla bella face — Anzi dal sol notturno un raggio scende — Che dritto là dove’! gran corpo giace — Coni aureo tratto di pennet si stende ; e notando coine quest’ultimo è nato dal- l’altro £ di tratti pennelli avean sembiante soggiunse ; ‘ e il Tasso per me è un grand’interprete di Dante ,,. Ma chi sirà l’Edipo, dice il cav. Monti, che sciolga l’enigma come un pennello divenga ad untratto stendale? — Ma ov'è que- t’enigima , può replicarsi, perchè ci sia bisogno d’un Edipo? Gli stendali, così chiamati dal poeta, non sono già le fiammelle che a gui- sa di tratti pennelli lasciano dietro a sè l’aere dipinto, ma sono il dipinto stesso ossia le sette liste, di cui egli parla nella terzina se- guente, assomigliandole per la diversità de’ colori all’ arcobaleno e a quel cerchio lunare ch'è detto l'alone. Le fiammelle o lampane po- ste sovra aurei candelabri, che dipingevano l’aere come tratti pen- nelli, andavano avante, ad ei le vedeva assai distintamente; le liste da loro dipinte venivano presso come stendali d’interinimabile tun- ghezza, ond’egli non potea scorgerne la fine; Questi stendali dietro eran inaggiori — Che la mia vista. Così un’ attenta considerazio- ve del passo ci fa preferire una spiegazione ovvia ed antica ad una Daroppo nuova e troppo ingegnosa. Fra le poche cose osservabili, che incontransi nelle postille del Tassoni, sarà per alcuni osservabilissima la cura con cmi egli va no- tando le voci non toscane adoperate dal nostro maggiore poeta. Il ‘Tassoni fu de’più grandi studiosi della lingua, che possano imagi- narsi; e di che occhio ei guardasse quelle voci è facile congetturar- lo, « E perchè Aristotele pur concede {così scriveva nella prefa- zione preparata per la prima stampa della Secchia, eh’ ei credeva si facesse in Padova) che il poeta epico possa servirsi di varie lin- gue, ha mostrato l’autore di volersi anch'egli valere di tai licenza ma per far ridere, e non come fece Dante, che si credé che fosse leeito all'Italia quello che privilegiava ta Grecia. sì ‘XXXIV. Ottobre; It 169 Prose e poesie campestri d'IPPOLITO PINDEMONTE, eidz. quarta con aggiunte. Pisa, Nistri 1826, in 12.° » Che dire di questo caro libretto ? Chi ’l legge ne’floridi giorni della sua gioventù brama di poterlo rileggere ne’suoi anni avanzati; chi ’l legge po la prima volta ne’suoi anni avanzati si duole di non l’aver letto ne’giorni della sua gioventù. Le aggiunte non sono tutte d’un genere molto affine alle prose € e poesie campestri, ma sono pur tutte di quel genere , che si gusta ‘principalmente nella campestre solitudine , ove si cerca riposo dalle passioni come dalle fatiche, e si gode aprir l’anima ad una dolce sag- gezza come l’organo del respiro ad un'aria più pura. Qaeste aggiunte consistono anch'esse in prose ed in poesie, pob- blicate in diversi tempi, ma tutte posteriormente all’altre per cui l’autore ha maggior fama, nè mai prima d’oggi raccolte. Può anzi dirsi che le prose si riducono ad una, la dissertazione sui giardini inglesi, poichè le due brevi appendici, da cui questa è seguita, appe- na se ne distinguono. Dopo i libri stampati anche in Italia sopra sì gentile argomento, essa non ha quasi altro pregio che quello d'una scrittura elegante, sparsa di pensieri ingegnosie d’affetti soavi. Ma non è da obliarsi che fu presentata all’accademia di Padova, assai pri- ma che que’libri venissero alla luce , e che ad essa forse dobbiamo i libri medesimi come dobbiamo probabilmente molti giardini. Parlo, ciascuno il sente, di giardini del nuovo genere da cui la dissertazione è intitolata. Tre soli dice l’autore d’averne veduti in Italia prima di comporla, uno a Caserta, un altro (quello delte Torri de’Picenardi) non lungi da Cremona, ed un terzo (quello de’ Lo- nellini) presso Genova. Fra essi, ove la memoria non m'’inganni, credo che il secondo sia l'anteriore. Ma anteriore a questo stesso debb’essere un giardino che trovasi in Cinisello ad alquante miglia sopra Milano, giacchè parmi d’avere udito che il suo possessore e autore, il conte Ercole Silva, fu qual maestro invitato dai marchesi Picenardi aj visitare e perfezionare il primo disegno dell’ altro. Questo conte Ercole (nepote di quel conic Donato, che fu il primo ad introdurre in Milano le piante esotiche per uso della bo- tanica, come si disse nel primo articolo di questa rivista) non poteva allora, cioè verso il 1790, essersi acquistata autorità di maestro se non coll’esempio. Co’precetti non l’ acquistò ma l’allargò una deci- na d’anni dopo all'incirca, pubblicando a Milano la sua arte de’giar- dini inglesi, che parecchi anni dopo si è poi ristampata in altra città di Lombardia , con molte aggiunte ma con minore eleganza, ,Con- 163 temporaneamente alla sua teoria, tratta in' parte dall’opera di Cham- bers sui giardini cinesi e dall’ altra d’ Hirschfeld sui giardini in ge- nerale , fu stampato a Bassano un compendio di questa seconda , fatto dal cav. Mabil, che o prima o dopo ha pur composto sui giar- dini qualche scritto originale. La teoria e il compendio sono i libri a cui 10 alludeva più sopra, e li addito qui volentieri, pensando che altri possa trovare in essi quel piacere che vi ho trovato io medesimo nella mia gioventù. A Il cav. Pindemonte, ricordando nella sua dissertazione ciò che leggesi nel saggio di lord Walpole sull’arte de’giardini moderni, che questi giardini cioè sono veramente dovuti agli inglesi , poichè Mit- ton il primo ne diede loro l’idea nel suo poema , ed essi di cosa fan- tastica ne fecero una cosa reale, soggiunge: ‘ ma ciò, che l’ingegnoso autore ha detto di Milton, a me pare che assai più convenevolmente si sarebbe pronunziato d'un nostro italiano cioè dell’immortale Tor- quato Tasso ,,.. Or dopo avere così scritto avvenne che gli fosse co- muvicata dal prof. Malacarne il seniore una lettera inedita del Tasso al Botero, nella quale il poeta favella del parco vecchio presso Tori- no come d’apera unica al mondo che gli avea servito di modello pel suo giardino d’Armida. Concordi a questa lettera, che il Pindemonte riporta, sono alcuni sonetti del Chiabrera, che pur trascrive, e do- po i quali conchiude: “ che se la gloria dell’invenzione non appar- tiene più, come vuolsi confessare, al poeta italiano, certo all’Italia ap- partiene e anche ineglio; poichè si vede da quella lettera principal- mevte, che il giardino inglese non solo fu descritto dalla penna di Torquato prima che da qualunque altro, ma che innanzi a tatti l’ideò e l'eseguì Carlo Emanuele I. duca di Savoja ;;» Questa conchiusione e il passo antecedentemente citato tro- vansi nella prima appendice. Nella seconda se ne legge un altro, ch'è per noi troppo lusinghevole, perch’io nol riporti almeno in parte. In esso, dopo aver citato Eustace , che nel suo viaggio classico per l’Italia, dice che il Tasso non solo sommipnistrò a Miiton alcuni dei principali lineamenti della sua descrizione dell’ Eden, ma piantò ve- ramente i primi fondamenti dell’arte de’giardini moderni con quel solo verso l’arte, che tutto fa, nulla si scopaè, il cav. Pindemonte esce in questa sentenza che conferma la conchiusione già indicata. « Se dunque gl’inglesi confessano finalmente che l’invenzione di tali giardini al ‘lasso appartiene, e se il ‘Tasso altro non fece che descri- vere, secondochè si è veduto, il parco di Torino, ne viene per con- seguenza che quel parco fosse un vero giardino su lo stile moderno; e, per un’altra conseguenza non meno giusta, che tal giardino non ‘più si debba chiamare inglese ma italico ,,. < 16 Sn e le aggiante poetiche i lettori saranno ben paghi di trovare il colpo di martello del campanile di S. Marco; i dodici sonetti per la morte dell’astronomo Cagnoli; le due canzoni per quella d’Al. fieri e di Canova; l’altra per l’infelice caso di madamigella Bathurst, che tanti fra noi hanno conosciata, e il cui ritratto non finito, che vedemmo due anni fa nell’ esposizione della nostra accademia di belle arti, destò in tatti sì gran pietà; l’altra non meno toccante pel primo ritorno del capitano Parry, che già s'appresta al quarto suo viaggio con nuovi legni, che gli serviranno all’uopo di slitte sui ghiacci po- lari; e finalmente il poemetto sul Teseo, di cui tutti ricordano il voto finale, augurandone all’eroica e sventurata Grecia il pronto adempi- mento. D’alcune di queste poesie l’arte non sarà forse pienamente contenta; ma il cuore lo è di tutte, poichè in tutte ritrova il cantor soave de’pietosi affetti e delle più care virtù. M. STPTIOAGERZIZZE TTI RONDA TI eZ A DRITITIO NI nere III I Di un’epigrafe latina scoperta in Egitto dal viaggiatore G. B. BELZONI , e in occasione di essa, dei prefetti di quella provin- cia da OTTAVIANO AUGUSTO 4 CARACALLA. Dissertazione del dott. Giro. Lasus. Milano 1826 in 8.° (*) La epigrafe latina fa ritrovata in una mootagna tra Filea e Siene a due leghe e mezzo di Assuan; e si intitola a Giove Ammone Chnubi, e a Giunone, nella tatela delle quali divinità era la detta montagna, affine di mostrar loro devoto e grato animo per essersi quivi scoperta una cava di granito al tempo di Severo e Caracalla Augusti, di Geta Cesare e di Giulia Domna Augusta: dalla qual ca- va furon tratti molti pilastri e grandi colonne. Questa iscrizione fu illustrata dal dotto Letronne nelle sue belle Ricerche per servire alla storia dell’ Egitto ; ma non riescono infruttuose le nuove cure del sig. Labus, il quale l’orna di altre erudizioni, corregge alcune sviste di quel rinomato antiquario , e talora va con ottima ragione in sentenze diverse da quelle di lui. Ne piace addurre esempio di que- stultimo nelle parole Sub Subaziano Aquila che sono nel marmo a indicare il nome del prefetto che di quei giorni governava )’ Egitto. (*) Era già stampato intorno a questa dissertazione 1’ articolo che si legge nell'antecedente sivista , quando il nostro regio antiquario sig. Zannoni ci mandò con altri il presente. Sebbene non sia nostro costume il dare più articoli sopra uno stesso libro, non potevamo però negar posto a questo por non negare agli studiosì delle cose archeologiche il giudizio d’ un dotto eh’ è da loro riguardato come maestroy Nota dell’ Editore, i | 165. Il sig. Labus legge correggendo il marmo Sub Atiano Aquila, av- vegna che, egli dice, l'oscuro vocabolo Subatianus è igrotissimo a tutta l’antichità; dove all’opposto sono celeberrimi gli Atiani, e gli Atii... e ognun sa, che la gente Atia ebbe varti senatori, e fu con- giunta colla famiglia di Pompeo magno, donde vennero il Marco Atio pretore che sposò la sorella di Giulio Cesare e molt’altri ricor- dati in parte dal sig. Labus, tra’quali è rinomato quel Publio Atio Aquila centurione della sesta coorte equestre dell’età di Traiano, a favore della cui figlia il giovane Plinio impetrò dall'imperatore la} romana cittadinanza. 1 nomi di lui, segue a dir VA. gran sos- petto mi danno, che sia un ascendente del nostro prefetto, il quale appellandosi Atiano Aquila, col primo cognome ci palesa che di- scendeva da un’Atia, che credo appunto la figlia del centurione, e col secondo cognome dimostra che aveva coll’Atio Aquila centu- rione alcun grado di affinità. Perchè non vorrem ravvisare in co- stui l’avolo o il bisavolo del nostro prefetto, dipoichè siamo in que’ tempi, ne’quali la terminazione in anus, non era più indizio di ado- zione, ma palesava lafamiglia materna? Nè già questa correzione è appoggiata unicamente all’oscurità del nome Subazianus; ma si avvalora eziandio per altre antiche lapidi, che danno esempi di simili errori. Magi magiana, è nella tavola alimentaria illustrata dal de Lama: dul dulcissimo e Lae Laelio sono appresso il Marini nella sua grand’opera de’ /racelli Arvali alla pag 389. Von veggo dunque dice conchiudendo il sig. Labus, perché parimente nella nostra iscrizione non ci possa essere sub Subatiano, per sub Atiano. Adun- que quell’Aguila nominato da Eusebio, e che successe a Mecio Leto nella prefettura dell’ Egitto l’anno 204 dopo Cristo chiamavasi Atza- no Aquilae non Subatiano Aquila. Questo prefetto d'Egitto dà occasione al sig. Labus di parlare di tutti quelli che trovò averlo nella carica preceduto; la qual carica ebbe principio al tempo d'Augusto e segnatamente dopo ia vittoria d’Azio, che il rendette signore del mondo romano, E qui sono da ri- portare le parole dell’A. colle quali dà contezza dei fonti onde ha sussidio questo suo lavoro, che forma la seconda parte della bella operetta. Quindici di questi prefetti (1) egli dice, notati furono dal ch. Letronne ; non poch’altri furono scoperti da me sui marmi e nei libri; ma li più di essi debboli al ch. amico Borghesi, che por- ger mi volle cortesemente la mano, e mi confortò a dar fuori que- (©) Sono ventuno; e lo stesso sig. Labus lo avverte alla pag. 144 del suo libro, ove pur confessa e corregge alcuni pochi errori, nei quali jin mezzo alla molta difficoltà della sua materia, era egli incorso. 166 sta fatica, affermandomi essere dell’onore italiano , che poichè gli antiquarii dell'altre nazioni sono tutti rivolti alla illustrazione delle cose egiziane, anche fra noi alcuno sorga a mostrare ,inòn esserci ramo di erudizione archeologica in cui non amiamo di esercitarci. Noi non possiamo qui tener dietro al sig. Labus; chè troppo al - langar ci dovremmo se nominar volessimo i prefetti d’Egitto da lui menzionati, e far compendio di tutto quello ch’ei dice d’ognuno di loro. Non ne tesse già egli il nudo catalogo, ma ne dà eziandio bre- vemente e con buon criterio le opportune notizie, traendole da anti- chi scrittori e da antiche lapi.li: il buon uso delle quali è ciò onde massimamente si raccomoda il libro, e onde più rifulge |’ ingegno dell’ autore, che mercè d’esse fa importanti scoperte nel suo su- bietto, e corregge errori di quelli che lo han precedato. G. B. ZANNONI. A_r—21112pP_TcP—12—_—___—TT7+2pòonpr—r Michaelis Ferrucci specimen inscriptionum ; hisce accedunt carmi - - na ejusdem nonnulla. Pisauri 1826 , 4. Qual giudizio, per nostro avviso, far debbasi di tali lette- rarii lavori l'abbiamo più volte esposto e ripetuto o direttamente, nel darne conto in questo giornale, o per incidenza, trattando d’ana- logo argomento. Perciò che all’ opera sopra annunziata appartiene, diremo che il sig. Ferrucci mostra di certo molta pratica del buon latino , ed in specialità di quello delle iscrizioni; ma impegnandosi a voler metter la vecchia latintià nel moderno letto di Procuste non ha potuto evitare di rendersi spesso , come gli altri , enimmatico nel voler dire con vocaboli antichi le cose dagli antichi non conosciute ; freddo ed arbitrario nell’adattare le frasi e gli epiteti delle deità gen- tilesche a Dio ed a’santi della religione cristiana, ed in una parola col voler far parlare all’ italiana i latini, ed alla latina gli italiani in cose o non uniformi nella maniera d’esser modernamente concepite ed usate, od ignorate affatto da quelli antichi. Nè possiamo dissimulare la no- stra sorpresa in riflettendo che mentre tante poche si trovano le anti- che buone iscrizioni si vedano a’ dì nostri uscir dalle stampe, come altre volte la farragine de’ sonetti , così ora le iscrizioni latine a josa , ed in'fogli volanti ed in tomi. Che alcuni letterati per servire alla circostanza si lascino uscir dalla penna di questi più o meno ibridi componimenti, alla buon’ ora ; ma che sene regalino al pubblico grossi tomi è questa una delle contradizioni del tempo nostro, in cui mentre si è dato bando a tante cose inette , vuote, e prive di buon 167 ° senso, come le puesie per nozze, per monacazioni e simili , siamo inondati d’ iscrizioni , le più non latine , ma d' an musaico di parole latine. Non neghiamo per questo che quando si tratti di cose alle quali possa totalmente adattarsi la lingua latina non se ne trovino delle lodevolissime nelle epigrafie del Morcelli, dello Schiassi, del Lanzi, e particolarmente in questa del sig. Ferrucci tra gli epitaffi puero- rum et puettarum ; laonde conchiuderemo al solito di non voler af- fatto biasimare lo scriver qualche volta in latino anche in tal genere, quando si tratti di argomenti che ne siano capaci, senza dover neces- sariamente incappare ne'vizii predetti; e ne concediamo sobriamente l’ esercizio a qualche letterato naris emunctae, ma non ci stanchia- mo d’esortare che si abbandoni un abuso che da veran’altro fonte non deriva (nel generale) che dalla smania di voler parere latinista va- lente agli occhii di chi 1’ ammira, leggendo delle parole e delle frasi latine undigue decerptae ec. ed accozzate nel modo che comunemente si vede ; ed agli occhj di loro che più ludan quello che intendon\me- no. Sinchè si preferì di scrivere universalmente un più o meno bar- baro latino, la lingua nostra rimase a vagire nelle fascie infantili; co- minciò poi a costola sui latini nelle traduzioni, e prese forme adul- te, ma non totalmente sue,in ispecie nell'oratoria; così sino a che vor- remo nell’ epigrafica tenerci alla lingua latina , non sapremo adat- | tarvi la italiana , e crederemo che in questa. parte sia inferiore alla latina ; e se incominciando, co:ne alcuni ne danno esempio, a scrig vere in italiano anche per tal’ uso , ci terremo al giro latino al con- cettoso ed al capriccio, faremo in italiano, un pendant a’ moderni bisticci latini. Si studi dunque il genio della lingua , e si cerchino gli ‘esempii de’ nostri antichi del buon tempo , i quali non mancano, ‘sebben rarissimi , e così mettasi in grado ciaschedun italiano che non sà di latino di poter sapere ed intendere quel che si dica nelle lapidi «scritte ad onore, a memoria, od a suffragio di chi ed amò, e praticò, e più o meno conobbe (a). (a) Tra i molti volumi d’ iscrizioni stampati a tempo nostro noteremo i seguenti. Stefani Autonii Morcelli inscriptiones commentariis subjectis. Romae ex of- ficina Giuochiana f, 1980. Ejusdem de stylo inscriptionum letfraran Tibri III. Romae apud eumidem f. 1780. Aloysii Lanzii Inscriptionum et carminum libri trer. Florentiae 1804. 4. lo. Baptistae Zannonii regii antiquitatum interpetris io museo florentiuo in- scriptionum liber singularis. Florentiàe 1815 (nella collezione d’opuscoli scientifi= ci e letterarii vol. XX presso Fran. Daddi.) Ejusdem Inscriptionom liber alter (nella nuova collezione d’opuscoli ec. 1821 dalla tipografia dell’Ioghirami T. a fasc. IV e V.) 168 Specimen inscriptionum C. latinarum adjectis nonnullis carminibus , auctere can. Silv. Prati rethore. Prati ex officia Fratrum Giachettorum 1821. Se vi si aggiungano quelle del sig. can. prof. Schiassi, delle quali non abbia- mo sott'occhio il titolo, e le innumerabili scritte dal Tesauto e le ratcolte da mon- sig. Galletti, non sene troverà tra tutte quasi una che sia conforme all'altra nel dire in latino gli usi i magistrati e tante altre cose moderne sconosciute ai latini» Alcuni seguaci del Morcelli o del Lanzi hanno servilmente ripetuto le frasi loro, A_Milano si stamperà il Lessico Morcelliano perchè ogni scuolaruccio possa fare iscrizioni non in lingua latina, ma in lingua morcelliana, e così invece di stu- diare gli antichi buoni esemplari , od almeno il libro Morcelliano de sty/o inscri- ptionum che insegna come si debbano studiare i monumenti e li scritti de’ latini per ravvicinarvisi il più che è possibile, quando si può; scartabelleranno come uva Mantissa Lapidaria il nuovo vocabolario per fare centoni e musaici Lapidarii e coll’adottare tutte le frasi Morcelliane per le cose moderne ,. molte delle. quali non sono state intese neppure dal compilatore del vocabolario, e per ciò le dovrà tra- lasciare o interpretarle.a caso, 0 per cougettura. Chiunque voglia giudicare senza sinistra prevenzione di questa nostra opinio- ne e di quanto abbiamo altre volte,scritto sul medesimo ‘proposito più diffusamen- te, vedrà che non dichiariamo guerra ‘alla lingua latina; ma invece esortiamo a studiarla indofessamente nei buoni scrittori ed a scriverla pura, servendocene nei soli argomenti pe'quali può essere adattata; evitando di preferire alla gentile, e compiuta lingua nativa i centoni di vocaboli latini necessariamente male ap- propriati a molte cose moderne senza utile del Iatino , ed a scapito dell’ita- liano, centoni che neppure giovano ad una lingua coovenzionale fra i dotti, perchè non vi è nulla di fisso nel modo di iudicare tanta moltitudine di nuo- we idee che arbitrariamente chi in un modo, chi in un'altro crede doverle esprimere in latino. Chi si volesse divertire a vedere lo sforzo d’ingegno de'più bravi scrittori latini del così detto Cinquecento per dire in latino tante cose mo- decne potrebbe , tra gli altri , leggere la storia de Bello Be/gico del gesuita Famiano Strada, e vi troverà di clie soddisfarsi, particolarmente nei vocaboli militari; come Baracche Castrensia tuguria, Cornetta Equestre Vexillum, Cortina Iuteriecti Muri Lorica, Le Gabbionate Loricae Viminae, Moschetti Majo- res Sclopi, o, Tubi Furcillis Librari Soliti, Pistola Fistula Ferrea, Rivellino Portae Munimevtum , Ronda Circitor, Sortite Cieche inopinatae eruptiones etc. Ma chi è che conoscendo le due lingue non veda che le frasi latine indicano appe- ma genericamente ciò che specificano le parole italiane? infatti fu creduto necessa- rio darne la spiegazione in fine del libro. A proposito ci vien trasmessa la seguente iscrizione, che volenpinii pub- blichiamo, fra le altre da noi riferite in questo giornale, e che tanto più di buona voglia abbiamo accolta perchè sospettiamo essere ben degna produzione. del nostro ch. sig. professor Niccolini. Qui Riposa Alamanno Da Filicaja Uomo Di Molte Lettere Ed Esquisite Che In Somma Nobiltà Di Sangue E D'Ingegno Ritenne Le Modeste Consuetudini Di Occulta. Vita Pure In Difficili Tempi Dall Odio Altrui Fu Trovato Delle Umane Cose Magnanimo Dispregiatore Rifiutò Quella Gloria Che Viene Dagli Scritti Ma Quando Coll’ Ultima Infermità Combatteva ” ran VE erre Acutamente L' Immortalità Dell’ Anima Dimestrando Ai Posteri Lasciava Di Sapere Di Religione Splendido Domemento Gio. Batista E Achille Niccolini Grasi Alla Liberalità Dell’ Ottimo Zio Materno RA! Autore Della Loro Fortuna Gli Posero Questa Memoria Visse An. LXV Si Addormentò Nel Signore Il VII Nov. MDCCCXXV. « Sopra i moderni falsificatori di medaglie greche antiche nei », tre metalli , e descrizione di tutte quelle prodotte dai medesi- »° mi nello spazio di pochi anni. Firenze, presso Attilio Tofani, » 1926. Il.celebre autore di tante e tante opere numismatiche, o per dir tutto in una parola il /estore della numismatica sig. profes- sor Domenico Sestini è l’autore di quest’ operetta, che può chia- marsi libro del disinganno. Si rifà dal mostrare che i falsificatori ‘delle medaglie antiche non dovrebber esser considerati come ar- tisti ma come igannatori e perciò meritevoli d’ esser soggetti a punizione. Quando l’arte giunge ad ingannare con danno altrui ad onta della cautela e della più ‘che sufficiente istruzione, è illecita, e nella società debbe riguardarsi per colpevole chiunque se ne ser- ve con la mira di lucrar suila frode. Ne vien poi una rassegna de’ più famosi falsificatori antichi e moderni; per facilitare la ri- cognizione delle più celebri medaglie false dà la descrizione dei conii falsi di Becker indicando i musei ove si trovano, e di mano in mano accennando nelle sue respettive provincie quei delle moderne fabbriche di Snuirne o di Sira ed altri luoghi. Una tavola del prezzo di 29 medaglie false rimesse da Costantinopoli ad un amatore della numismatica , ascendente a franchi 14204 precede tre tavole dei disegni de’ conii Beckeriani, e conchiade l’autore ‘ da questa nota 53 si potrà ben riflettere; che non è l’arte che fa od ha\ fatto » agire questi falsificatori , 1ma sibbene lo scopo d’ingannare or sì quello, or quell'altro; e perciò voi sommi legislatori fate uso ) della legge del dolo malo ed applicatela a quei che in avveni- > re tentassero di battere la stessa strada, S. C. 170 Vita e memorie di MessER Cino da Pistoja terza edizione ri- vista ed accresciuta dall’ autore SEBASTIANO CIAMPI. T. I. "T. II. Poesie di MessER Cino da Pistoja nuova edizione ec. con note ed illustrazioni di SEBASTIANO CIAMPI. Pistoja prynsa i Manfredini 1826, 8. Il merito di questa edizione consiste non solo nellé nuove cure adoperate dal professor Ciampi per renderla viepiù compiu- ta; ma nell’esservi riunito il supplimento delle rime dal mede- simé pubblicato dopo l’ edizione pisana del 1813 presso Niccolò Ca purro, i di —————_—m—_—_————mr—@—@—@@@—@—@@<@@@’.; Uno Tcrcca’.”tr. I‘ 9g Cuc\ spe um uses Inn sm pr ScoPERTA DI UN PUBBLICO SEPOLCRETO ETRUSCO. Sorge non molto di lungi da Sarteano un vasto colle di salita nè troppo dolce , nè troppo scoscesa, che sparso qua e là d’ alberi boscherecci e di tufi, vestesi nel resto di frutici e d’ erbe. Il caso, siccome spesso in sì fatte cose interviene, ne fece accorti, esser questo un luogo destinato già a sepol- tura gentilesca. Rendutosi ciò palese al sig. Brandimarte Fanelli, gonfaloniere del detto Sarteano, intraprese egli nella porzione sua del nominato colle quelli scavi, che ban fatto già tornare a luce un grandissimo nnmero di antiche terraglie, e che, se siano continuati , altrettanto ne da- ranno e fors’ anche maggiore. Tutta la parte del colle, la quale guarda il mezzo- giorno , è ingombra di sepolcri. Questa costante situazione di essi, e questo loro gran numero , sono certi argomenti, che dee tenersi quel luogo per un pubblico sepolcreto. Ed in vero mentre è certo da un lato, che una o poche as- sociate famiglie aver non poterono tanti sepolcri, certo è pure dall’ altro , che quei dei privati rivolti si trovano a qualunque punto del cielo, mentre i pubblici sono più spesso , siccome questo , ad un solo diretti, I popoli greco- italici, per addurne esempio, aveano il loro cimitero fuori delle mura delle città , e al settentrione di essè., Ciò è co- ‘ #71 stantissimo în Cuma, in Napoli, in Nola, in Pesto, e in altre città greche d’Italia (1). Il sepolereto dei dintorni di Sarteano (2) ha le tom- bel’ una distante dall’ altra del solo spazio di quattro o cinque braccia. Sono esse scavate nel tufo, ed in questo ° modo, Il taglio del luogo, ond’è accesso alla tomba , è pia- no od orizzontale; e si penetra in questa per mezzo d’una picciola ed arcunata porta a rottura , chiusa al di fuori o con sassi informi e murati l’ un sopr all’ altro, o con una rozza lastra ‘a cateratta , di quella pietra fissile, che tro- vasi, per quanto mi fu riferito , al di là del fiume Astro ne , che ivi presso ha il suo corso. : Queste tombe sono tutte scavate a volta , e di più di- mensioni. Ve n’ha alcuna di maggiore ; e retta è allora nel mezzo da: un ‘pilastro formato del tufo lasciatovi appunto ‘a sostegno, come usasi fare a sicurezza dei lavoranti nelle cave delle pietre e dei marmi. In siffatte tombe , che però sono assai poche, giacer si veggono più cadaveri, i quali appartengono certamente ad una stessa famiglia. In altre di minore capacità trovati si sono alcuna volta due cada- veri; ma più spesso uno solo. I cadaveri giacciono sempre colla testa a levante ed i piedi a ponente. Due vasi sono loro posti alle spalle, ed uno dietro al capo, il quale è sempre, o presso che sem- pre, di quella forma, che noi usiamo chiamar boccale. Lun- go le braccia stan le tazze 5; e gli unguentarii alle mani ed ai piedi. Certi vasetti poi che sono schiacciati e di fi- gura somigliante alla cipolla , sono perpetuamente posti nel mezzo, ove il torso dipartesi nelle due gambe. Le tombe però , che contengono cadaveri, sono men ovvie , che quelle , in cui si trovano accolte in vasi le ossa (1) De Jorio, Metodo per rinvenire e frugare i sepolcri degli antichi, pag. 53. (2) Lo chiamo così risguardando al tempo presente, e non perchè io creda , che sia antico sepolcreto di Sarteano 3 che è luogo, il quale non conta più che sette od otto secoli. Non appartenne.per avventura nemmeno a Chiusi, da cui è assai distante; ma fu piuttosto di alcuno dei borghi di questa città, dei quali incontransi i ruderi à in occasione di nuove fabbriche o di nuove col- tivazioni. 172 e le ceneri. Ciò, medesimo ossétvasi nei sepolcri.dei Greci; presso i quali, siccome pressoigli Etruschi!, più spesso che interi, soleansi, abbruciati riporre i morti nel sepolcro. In «questo caso sono ben piccole le tombe sarteanesi, Il Vaso) ,che contiene le) reliquie dell’arso defunto, è il più sovente di terra rozza ,'0 del suo colore, e collocato/sempre dalla parte d’oriente. Gli altri vasi star si veggono intorno, Ri- guardo al vaso, che contiene le ossa e le ceneri,, è/da 08- servare una particolarità 3 ed è questa,.che ha egli talvolta «una testa .mmana, fiittile: anch’ essa , inserita pel collo a guisa di coperchio ,;e due anse nell’ alto.; nelle quali in- filano talora due rozze braccia tenute già ferme dal perno, pel.cui uso si riscontrano oggi i fori nelle parti corrispon- denti delle anse e delle .braecia rammemorate. Vasi siffatti han sempre, servito a contener .ceneri di donne ; sio. mal non, giudico dalle teste soprapposte, che mi paiono femmi- nili. Tre di tali, e della stessa provenienza, sono già nella galleria di Firenze; senza però le braccia, che nemmeno in antico state vi:sono, mancando nelle anse i fori pel perno. È pur da rilevare ,, che talvolta si trovano due e an- che tre tombe insieme. Se sono tre, rivolta è la. princi- pale, e più ampia, al mezzo, giorno , e delle altre, l’una è scavata dalla parte d’oriente , e l’altra da quella d’oc- cidente. Se poi siano due , sempre è situata la minore nel lato d’ oriente. Nè idoli, nè monete di sorta trovate si sono finquì nel sepolereto sarteanese; quantunque,a manifestis- simi indizii sia. certo, che esso non è stato mai, com'i sepolcri più vicini a Chiusi, violato dai barbari, che nei tempi di mezzo varcaron l’Alpi al danno d’ Italia. Vasi, qualche ornato muliebre, lance di ferro ‘ossidato, frammenti di cinture , ed altri pezzi dello stesso metallo , ed in ugual deperimento , è tutto quello , che vi s'incontra. Sono però i vasi obietti di molta importanza , e divider si possono in due specie ; in rossi cioè, ed in neri. I primi, o sono al tutto del colore , che dà alla terra la cottura , od hanno semplici ornati lineari , e sono i più, o qualche volatile dipinto, o qualche meandro in incavo. Rarissimamente vi si \eggono bassirilievi. A quest'ordine appartengono tutbi i È © Lall'e?à = 173 gli unguentarii della collezione, che sono molti , di molta leggierezza?, e di variatissimaconfisurazione. Ripongo nel second’ ordine i vasi neri, nei quali sta veramente il pre- gio maggiore. Nera n° è anche la terra che gli compone , come ho potuto convincermi ; prendendo in esame ‘gli ab- bandonati frammenti , e rompendogli eziandio. Questa terra debbe essersi tinta nell’impasto col manganese, o con al- tro minerale. i Sono fatto certo da ‘persona abile nella cognizione dell’ antichità e degna di fede , qual è certamente il sig. Pasquini, canonico della cattedrale idi Chiusi e vicario ve- scovile di questa diogesi, che in un luogo prossimo alla nominata città , e in che nemmeno è oinbra di sepoleri, si trovano infiniti rottami di vasi di questa terra medesima: indizio certo dell’ essere ivi stata in antico una fabbrica di essi, come fu già in Arezzo di quei celebratissimi tinti e verniciati in rosso od in nero; dei quali e si trovaron le fornaci, e molti frammenti. Sono adunque questi vasi di fabbrica propriamente chiusina , della quale ne ho ora ri- conosciuti alcuni tra le figuline di questo R. Museo: Par da doversi affermare che fosse in Chiusi quest’ar- te ancor nei tempi suoi più antichi e più belli. Si fonda questo mio parere sull’ autorità di Marziale , che nell’ epi- gramma 98 del libro 14 dice : Lautus erat tuscis Porsena fictilibus. Il qual verso non è da credere che alluder voglia ‘ai ci- tati vasi del vicino Arezzo, i quali e dalle forme, che non cedono punto alle elegantissime dei Greci , e dalla bellezza delle figure e degli ornamenti, e dai nomi delle loro officine, che sono in bel carattere romano, si mani- festano per opere dei tempi d’Augusto , o di quel torno. Anzi è pur da sospettare, che fossero di Chiusi anche quei vasi neri adoperati da Numa, di cui Giovenale parla in questo passo della satira sesta: 174 Ecquis tunc hominum contemptor numinis? et quis Simpuvium ridere Numae, nigrumque catinum Ausus erat? Probabilmente in quel tempo serviansi i Romani per le arti dell'opera degli Etruschi. i Ma che che rispetto a ciò debba credersi, è ora da dir par- ticolarmente di queste nere stoviglie. Sono esse di varia gran- dezza e di varia forma, che talvolta dee dirsi unica e propria del paese; e tali sono leggiere, e tali assai gravi: la quale ulti- ma particolarità assegnò sola il Lanzi ai vasi chiusini, perchè l'hanno veramente i pochi , che potè eglii vederne. Sono poi alcune di maggiore eleganza nella lor sagoma ed altre di mi- nore. Niuna però ha paragone colle bellissime dei Greci. Variano pure negli ornamenti; consistendo questi in mean- dri, in maschere, in figure umane e di animali; e queste sì promiscuate e sì sole. Alcuni di siffatti ornamenti, che, tranne pochi in pessimo graffito, sono tutti in bassorilie- vo, appaiono di remotissima antichità, e omo mi nello stile ai lavori egiziani : ciò che pur 8’ incontra nei più antichi monumenti dei popoli greci, e già fu rilevato dai classici scrittori. Di stile un poco più avanzato, e da credersi forse del fine del già detto, mi sono parute alcune figure di soldati con lancia e di più alto rilievo, le quali ho veduto in al- cune anse di questi vasi , ed in certi come sostegni di tazze fornite di alto piede. Mi si domanderà adunque se io estimi , appartenere il sepolcreto agli antichissimi tempi dell’ Etruria. Rispondo che m’impediscono di ciò affermare i tanti vasi d’arte sca- duta (e sono i più di quei con maschere e di quelli con animali ) che vi si trovano coi mentovati di antichissimo stile. Avviene lo stesso in non poche tombe dei Greci; e già gli antiquari, massime i pratici, lo hanno avvertito, Alcune lettere solitarie od una sillaba sola , incise ‘a sgraffio, si veggono talora nei vasi sarteanesi. Indicano esse probabilmente il nome del defunto, come chiaramente il dinota la seguente iscrizione , incisa sotto il piede d'una i 175 tazza, e la sola che rinvenuta siasi in tanta copia di dis- sotterrate stoviglie. Mî Larta sono le due parole , che la compongono; e sarà )d’ essa parlato in altro articolo di que- sto giornale. i Mi resta ora a dire alcuna cosa su quattro piccioli vasi ritrovati soli in una delle tante tombe sarteanesi. Sono al tutto diversi dai già menzionati, uno in ispecie, ch'è di- pinto , e rappresenta un giovane seduto a mensa su del so- lito letto , e rallegrato dal suono d’ una tibicina. Questo argomento, or più or meno ticco di figure , comparisce in un grandissimo numero di vasi greci. E greco è da esti- mare ancor questo, siccome gli altri ritrovati insieme ; ri- conoscibili tutti per tali alla vernice , e a certa particolar grazia delle forme, delle anse in ispecie. Non ignoro, che. tutti i vasi dipinti, che in Etruria si scavano, sono da molti creduti etruschi. Ma io stimo , che in ciò andar si debba con molta circospezione. Non nego io vasi dipinti all’Etru- ria; anzi ne cito in esempio i molti siffatti che provengono da Volterra;i quali però si distinguon dai greci perlo smorto color della vernice, e la rozzezza delle figure e degli or- nati : affermo solo, che quando in Etruria si scavano va- si simili in tutto a quelli dei Greci, convien dire, che da greci paesi si siano qua recati, come si recan ora le ter- raglie dal Giappone, da Filadelfia e dalla Sassonia ; e co- me i vasi di Samo , di Tralli, di Arezzo, e d’altre cele- bri officine , si portavano per maria terrasque ‘ultro citro- que , siccome dice Plinio nel trentacinquesimo della sua storia naturale. Così le antiche medaglie coniate in un paese si trovano poscia in un altro. Appoggiato a questa regola, che a me par sicurissimma, io chiamo siculo il bel vasetto dipinto del R. Museo fiorentino che ha una Baccante se- duta sul terso di un toro, perchè , sebbene ritrovato in Arezzo , è somigliante nello stile e neila vernice ai tanti | vasi della Sicilia da me veduti nel Museo regio di Napo- li, ed in altri di questa città. Queste e più altre cose che qui tralascio, perchè do- vranno aver luogo in libretto che son per istendere a spie- gazione delle rappresentanze dei vasi sarteanesi, scriveva io 176 in ragguaglio dell’esame fattone in sul posto per ordine dî S. A. I. e R. il Granduca nostro Signore , cui il nominato sig. Fanelli offerti avevagli in dono. Piacque alla prefata Altezza Sua di accettargli: e destinatigli al maggior orna- mento del pubblico Museo, onorò il donatore d’ una com- menda dell’ ordine di S. Stefano. Così se esso museo non può ora mostrar che un saggio di vasi greci, che però sono bellissimi, arricchito dei sarteanesi, che sono intorno ad ot= tocento , avrà le ammirazioni degli eruditi per la copia e l’importanza di queste opere dell’ antica Etruria', che sono di vera gloria alla moderna, perchè lungi dallo star que- sta neghittosa all’ombra degli allori vetusti, di nuovi e più rigogliosi ha saputo piantarne, non solo col richiamare a vita novella le arti le lettere e le scienze, ma sì eziandìo col recarle a somma altezza e divenirne maestra alle vicine regioni e alle lontane. G. DB. ZANNUNI: 377 BULLETTINO SCIENTIFICO. N° XXXVII. Ottobre 1826. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. ‘Il sig. Brandes in uno scritto pubblicato recentemente, ed intitolato de repentinis variationibus in pressione atmosphoerae observatis, dopo avere rilevate le difficoltà che presenta lo stu- dio della meteorologia , indica i mezzi atti a farlo progredire, fra i quali riguarda come principale l’ osservazione simultanea in luo- ghi diversi d’uno stesso fenomeno importante, e specialmente delle grandi variazioni che avvengono nell’ altezza della colonna barometrica. Egli avea già pubblicato in tedesco delle osservazioni intorno allo stato dell’atmosfera in tutta l’Europa nell’anno 1733, notabile per il terremoto di Messina , che fù accompagnato da molti fenomeni meteorologici, ed aveva concluso che le perturba- zioni barometriche coincidevano con notabili agitazioni dell’atmo- sfera, estendendosi bensì a distanze molto maggiori, e che vi era un luogo in cui l’ abbassamento del barometro al di sotto della sua altezza media era più grande che in qualunqae altro, verso il quale, come centro di minor pressione, convergevano le dire- zioni delle tempeste. Ora nell’ opera annunziata l’autore si è proposto d’analizzare in egual modo tutte le circostanze del grande uragano accaduto il 25 dicembre 1821, che in alcuni luoghi fece discendere il mer- curio nel barometro 22 linee. Procuratosi un gran numero d’os- servazioni fatte in Francia, in Inghilterra, nel Belgio, in Ger- mania, in Svizzera, in Italia , in Islanda, in Norvegia, in Dani. marca , in Pollonia, ed in Russia, e facendo caso di tutte quelle che comparivano bastantemente precise, ha rappresentato in 4 tavole, o prospetti , l’ abbassamento. del barometro al di sotto dell'altezza media nei luoghi delle osservazioni fatte in quattro ore diverse ; cioè il 24 dicembre alle ore 6 della sera, ed il 25 alle 3 ed alle 10 della mattina , ed alle 8 della sera. La conclusione a cui discende è questa, che ana causa incognita ha operato sul- l’ oceano atlantico presso le coste di Brettagna una sottrazione alla massa atmosferica , per cui la pressione di questa è notabilmente di- minuita. La stessa causa , nel tempo stesso, nella prima delle quat- T. XXIV. Ottobre, 12 178 tro ore indicate, agiva a traverso della Manica , e del mare d’ Ale- maga, fin sulle coste della Norvegia, ma con moltò minore intensità. L’ interposizione delle Alpi, quasi d’un gran muro, ha lasciato sussistere notabili differenze nello stato dell’ atmosfera in Lombardia e nel Piemonte. La pressione atmosferica che era molto diminuita in cima del S. Bernardo, lo-era poco a Torino ed a Milano, Nell’ora a cui si riferisce il secondo prospetto, il centro di minor pressione era fra Londra e Dieppe ; le curve d’ egual pressione avevano lasciato la forina ellittica, ravvicinandosi alla circolare. AI’ epoca contemplata nel terzo prospetto, il centro era nel mar d’ Alemagna, l’equilibrio tendeva a ristabilirsi , l’ ostacolo delle Alpi era sormontato , e le 0s- servazioni corconvicine presentavano una certa continuità. Alla quarta epoca , il centro di minor pressione si andava avanzando presso le coste di Norvegia , ed una causa particolare di pertarba- zione sembrava agire nel sud-est dell'Inghilterra, per mantenervi la pressione minore di quella che avrebbe dovuto essere. i Il sig. Brandes non ha trovato eguale connessione quanto agli altri fenomeni atmosferici. Dei globi di fuoco si videro in Alema- gna, delle tempeste ebbero luogo a Nantes , e sulle coste d’ Inghil- terra; mentre nel nord della Francia, presso al centro di minor pres- sione, l’aria era tranquilla , si risentivano violenti colpi di vento nel mezzo giorno della Francia ed in Italia. x Avendo egualmente presi in esame i fenomeni atmosferici dei 2 e 3 febbraio 1823, il sig. Brandes ha trovato, riguardo ad essi, assai più complicata la legge delle variazioni di pressione. Nel num. 33 del giornale di scienze , lettere , ed arti per la Si- cilia si riferiscono le osservazioni fatte in Palermo dal sig. Miccol/ò Cacciatore , d’ uno straordinario abbassamento del barometro av- venuto fra il 27 ed il 28 dicembre 1825. L’ altezza media essendo ivi di pollici inglesi 29,702, nella matina del giorno 28 di detto mese a ore 8 discese fino a 28,975, indicando la diminuzione di circa un 4imo della pressione atmosferica , cosicchè per far discendere a quel grado stesso il mercurio in circostanze ordinarie , sarebbe bi- sognato elevare il barometro 656 piedi inglesi al di sopra del punto ‘in cai trovavasi. Piovve quasi continuamente per tutto il tempo in cui durò quell’ abbassamento , sicchè caddero sopra una superficie d’un piede quadrato inglese 340 pollici cubici d'acqua, quantità che rappresenta la nona parte di quella che suol cadere a Palermo nel corso d’ un anno intero. Si hanno da Odessa le seguenti notizie intorno ad an aerolito, d 179 pietra meteorica, caduta nei possessi della sig.ra Serbinoff russa, po- sti nel governo di Ekaterinoslaw , distretto di Pawlograd. Nel giorno tg del decorso maggio gli agricoltori che si trovava> no verso il mezzo giorno occupati a lavorare nei campi, sentirono un fragore che sembrava partire dalle nubi, e che dopo essere an- dato gradatamente crescendo , finì con una forte detonazione. Essi videro nel tempo stesso un corpo pesante discendere verso la terra con un moto rapido, tramandando una viva luce. Il luogo ove esso cadde era distante 140 piedi inglesi dagl’ indicati agricoltori. La nuovità dello spettacolo avendoli richiamati verso quel luogo, vi trovarono una pietra, che nel cadere aveva sollevato la terra al- l’ intorno fino all’ altezza di 7 piedi inglesi, facendo nel tempo stesso un escavazione profonda 2 piedi inglesi ed un terzo. Nel giorno in cui il fenomeno accadde il cielo era leggermente coperto, il tempo tranquillo , senza burrasca e senza pioggia. L’aerolito, o la pietra caduta è del peso di 92 libbre toscane; il suo colore è d’an tarchino cupissimo che si avvicina al nero ; la superficie presenta delle pic- cole cavità , e nell’ insieme il suo esteriore somiglia un ammasso di sabbia aglomerata. Nel num. 38 del sopra citato giornale siciliano si trova una me- moria del sig. abate Salvadore Li Volsi, intorno a ciò che egli chia- ma vulcano aereo o gassoso di Terrapilata in Catalnissetta. Verso il centro d’ un notabile tratto di terreno argilloso sterile si trovanò delle buche , dal fondo delle quali , ed a traverso dell’acqua ondè sono ripiene , si vede sollevarsi una sostanza aerea , o un gas. L’au- tore della memoria avendone raccolto coi mezzi appropriati, ed esa- minatolo , riconobbe essere gas idrogene carbonato. I caratteri che questo gas gli ha presentato sono quelli del gas idrogene carbonato , cioè dell'idrogene che tiene a sè unito, in chimica combinazione ed in stato aeriforme una certa quantità di carbonio. Bensì a quello di cui quì si tratta si trova vommisto un poco di gas acido carbonico ; reso evidente dall’ intorbidamento che cagiona nell’ acqua di calce, e dalla formazione del carbonato calcare. Per altro l’autore della memoria mostra credere che quello che i chimici chiamano gas idro- gene carbonato sia un mescuglio o una combinazione d’ idrogene è d’acido carbonico, ambedue allo stato aeriforme, e come tale rigaar- da quello di Terrapilata da sè raccolto ed esaminato, Ma sebbene l’ azione di questo gas sull’ acqua di calce dimostri che vi è commi: sto dell’ acido carbonico , pure la luce vivissima che si dice traman- dare bruciando non lascia alcun dubbio essere esso gas idrogene car- bonato , giacchè la fiamma del gas idrogene puro è poco luininosa 180 per sè stessa , e la divien meno per la mescolanza del gas acido "car- bonico. Ora la fiamma del gas di Terrapilata essendo vivacissima, sebbene esso contenga del gas acido carbonico , convien concludere che quest’ ultimo vi esista in piccola dose, e che sia commisto non al gas idrogene semplice , ma al vero gas idrogene carbonato. i L'acqua delle buche indicate difonddndani alquanto sulla su- perficie del terreno adiacente , ed ivi evaporandosi, vi lascia nella calda stagione una concrezione salina , che l’autore ha riconosciuto ianbiatate in sale ampioniaco. Egli propone una spiegazione dei fenomeni osservati, appog: giata alle circostanze che li accompagnano, ed alla natura dei mate. riali che il suolo presenta , specialmente del carbonato di calce , del- l’argilla ferruginosa , e dell’ ossido di ferro. Egli pensa che le acque incontrando nel seno della terra il ferro allo stato metallico, si scom- pongano a contatto di esso , e che mentre il suo ossigene converte il ferro in ossido , l° idrogene rimasto libero si esali in gas. L’ ossigene , che nell’ acqua faceva parte d’un composto liquido , nn nell'ossido di ferro allo stato solido , deve mettere in libertà del ca- lorico, À questo attribuisce egli non solo la temperatura alquanto elevata che si riscontra nelle buche, ma ancora la trasforma- zione dell’idrogene in gas, e la scomposizione del carbonato di calce, da cui crede provenire il gas acido carbonico, il qua'e unendosi ad una parte dell’idrogene, formerebbe ciò che egli chiama gas idrogene carbonato. Un altra parte dell' idrogene, incontrando sostanze con- tenenti azoto, si combinerebbe a questo formando l’ammoniaca , la quale unendosi all’acido idroclorico dell’acqua salsa , molto comune nel suolo di Terrapilata , costituirebbe il sale ammoniaco. Fisica e Chimica. Sotto il titolo di saggio di cosmologia è uscita alla luce in Pa- rigi una memoria del sig. conte Montlivault sulla causa e la natura dei movimenti celesti, sulla causa e la natura della luce. Altre volte abbiamo fatto conoscere le idee d’ alcuni fisici, che non appagandosi delle comuni dottrine, tentavano di spiegare i grandi fenomeni della natura indipendentemente dall’ attrazione , o facendo dipendere an- che gli effetti attribuiti a questa da un fluido etereo sparso nell’ im- mensità dello spazio. Nella memoria che comtempliamo si ammette questo e quella. L’ etere, fluido imponderabile, infinitamente sottile ed elastico, indefinito nella sua estensione, è aspirato dal sole per la po- tenza d’ attrazione di cui questo è dotato , come il fuoco aspira da ogni parte l’aria circonvicina. X pianeti fanno altrettanto, ma l’azio- 00.) IRE. è 181 ne più energica del sole li farebbe precipitare sulla sua superficie, se non fossero ritenuti alle respettive distanze ove si trovano da una forza opposta , che l’ autore chiama d’ espansione. Ecco come , se- condo esso , questa é generata. Il fluido etereo penetrando facil- mente la materia poco densa del sole, si precipita in ogni direzione verso il di lui centro. Dall’ urto dei raggi opposti che là s’ incontra- no, risulta una commozione generale , le di cui ondulazioni propa- gandosi in senso inverso , producono sopra i nostri occhi la sensazio- ne della luce. I pianeti attratti dal sole, e rispinti dall’ espansione , restano in equilibrio in quel punto in cui queste due forze si bilan- ciano. Il moto poi di traslazione è prodotto in quanto che il sole, gi- rando sopra sé stesso, dà alle ondulazioni che ne emanano un moto di torsione, da cui è prodotto un vortice , la forza del quale è reciproca alla radice quadrata della distanza dal sole. Non è l’ astro che per un moto spontaneo giri sopra sè stesso , ed imprima di mano in mano il moto ai diversi strati del fluido etereo, ma è questo che col proprio moto fa muover l’ astro , giacchè lo strato del fluido che è in con- tatto col sole gira più velocemente che i punti della superficie del sole stesso. Questo moto circolare del fluido è turbato in vicinanza del sole e dei pianeti dalla potenza attrattiva di questi corpi. Dal che risulta che le molecole eteree vi si precipitano secondo tali dire- zioni, che non tendendo precisamente verso il loro centro, vengono ad urtarli un poco obliquamente, e ad imprimer loro un moto di ro- tazione, ec. ec. Il sig. Ampere , il quale aveva già da qualche anno potato ri- produrre tutti gli effetti prodotti dalle calamite impiegando in luo- go di queste delle spirali di filo metallico comunicanti per le loro estremità coi due poli d'una pila Voltaica, e però percorse dalla cor- rente elettrica, ha recentemente tentato, sull’inyito del sig. Arago; di riprodurre col mezzo stesso quel nuovo genere d’azione che il detto sig. Arago ha scoperto fra le calamite ed i corpi riputati non ma- gnetici, Dopo alcuni tentativi infrattuosi, il sig. Ampere, aiutato dal sig. Colladon, è giunto al suo intento. La spirale elettrodinamica, op- portunamente disposta ed in quiete, ha benissimo risentito l’influen- za d’un disco di rame che ruotava rapidamente in vicinanza di essa. Questo metodo è stato dai due sperimentatori preferito a quello in cui si esplora l’influenza del disco di rame sull’ampiezza delle oscil- lazioni d’un ago magnetico , giacchè sostituita a questo la spirale percorsa dalla corrente Voltaica, l’incertezza della costante intensità di questa rendeva dubbio il risaltamento. 182 Quest’ importante esperimento comprova sempre più l’iden- tità degli effetti prodotti dalle calamite, e dai conduttori voltaici conformati in elice o spirale, e prova che l’ elettricità in movi- mento basta, senza le calamite , a produrre i fenomeni osservati dal sig, Arago. Dopochè il sig. Qersted ebbe scoperto che un ago magnatico li- brato in vicinanza d’una corrente voltaica devia dalla sua direzione, la riconosciuta identità dell’elettricità e del galvanismo fecero pre- sumere che la corrente eccitata dalla comune macchina elettrica produrrebbhe l’effetto siesso. Per altro l’ esperienza non aveva po- tato-fin qui confermare quest’induzione, e si era creduto poter spie- gare quest’anomalia dicendo che la confricazione del disco non dà un emissione continua d'’elettricità, ma un seguito di scariche succes- sive e separate da an intervallo, comunque piccolo. Ora il sig. Colladon sopra nominato è giunto ad operare la de- viazione dell’ago per la corrente della macchina elettrica comune, 1.° con impiegare quantità molto considerabili d’elettricità, 2.° mol- tiplicando assai i giri del galvanometro, e soprattutto avendo cura d’isolarli meglio di quello che siasi fatto fin quì. Così ha potuto ren- der sensibile l’effetto della corrente prodotta e da una semplice bot- tiglia di Leida, e da una macchina elettrica da cui si sottragga l’elettricità per mezzo di punte metalliche, o i di cui conduttori po- sitivo e negativo siano in contatto immediato coll’estremità del gal- vanometro. La deviazione costante era allora di 4o gradi almeno. È noto che l’elettricità atmosferica spesso produce delle stel- lette luminose all'estremità delle punte. Quindi era probabile che la corrente prodotta in qaesti casi dovesse far deviare l’ago magne- tico. Il sig. Colladon ha verificato questo fatto per mezzo d’una per- tica lunga 9 metri inalzata sull'osservatorio del collegio di Francia, terminata in una punta dalla quale discendeva un filo di rame rico- perto di seta, che era connesso ad una delle due estremità del gal- vanometro , mentre l’altra era attaccata a quella estremità della pertica che s’insinualva nel terreno. Essendo sopravvenati nei gior- ni 4 e 6 d’agosto due temporali, l'ago del galvanometro deviò dacchè cominciò a tuonare. La deviazione era eguale ed anche su- periore a quella prodotta dalla più forte batteria. Chi rompeva il filo conduttore ne riceveva forti scintille; ma appena ristabilito il circuito, i più sensibili elettrometri cessavano di divergere. Nella tempesta del dì 6, nei 20 minuti che durò l’esperimento, l’ elettricità sottratta dalle nubi si cangiò tre volte; lo che era indicato dall’ago del galvanometro, che deviava ora in un senso ora in un altro, Però 183 \ questo strumento, ove in esso le circonvoluzioni del filo metallico siano moltiplicate e bene isolate, potrà divenire utile nelle ricerche relative all’elettricità atmosferica. Il sig. Becquerel in una memoria importante letta avanti l’Ac- ‘cademia delle scienze di Parigi ha mostrato quale influenza ‘impor- tante eserciti l’elettricità nell’azione molecolare , provando che si effettuano delle scomposizioni chimiche per effetto d’ una tensione elettrica così debole, che non dimostra azione sensibile sopra i nervi d’una granocchia preparata. È cosa assai comune il vedere il carbonato di calce separarsi da alcune acque di sorgente , nelle quali era tenuto disciolto allo stato di sopracarbonato da un eccesso d’ acido carbonico. Siccome questa separazione dipende dall’esalarsi quest’acido in gas appena tali acque escono dal terreno al libero contatto dell’atmosfera , sembrerebbe , teoricamente ragionando, non dovere avvenire la separazione stessa ove le acque scorrano in canale chiuso. Lo che per altro accade an- che nei condotti di piombo, e specialmente in quelle parti. di essi ove sì trovano delle saldature, o che sono in contatto col ferro , coll’ot- tone; o con altri metalli. Il sig: Dumas riguarda questo come un fenomeno galvanico, nel quale il contatto di due metalli dissimili determina la scomposizione del sopracarbonato , e la separazione dell'acido carbonico dal carbo- nato neutro che si deposita. E dopo aver citato in appoggio di tal sua opinione varii esperimenti nei quali un metallo più elettronega- tivo, saldato o connesso ad un altro più elettropositivo , ha attirato unicamente sopra di sè il deposito ‘calcare separatosi dall'acqua in cui la coppia era immersa, suggerisce come un mezzo atto a preve- nire l’ostruzione dei canali di piombo per il deposito del carbonato di calce l’adattare ad essi di tratto in tratto perpendicolarmente al- tri pezzi di tubo, dentro i quali si potessero introdurre e ritrarre a volontà delle verghe di ferro o d’altro metallo più elettronegativo del piombo, su cui di preferenza si formerebbe il deposito, Il sig. DD’ Arcet poi, a liberare tali condotti dal deposito forma- tovisi, e conosciuto comunemente sotto il nome di #artaro, impiega l’acido idroclorico , che disciogliendo facilissimamente il carbonato di calce, li spoglia dell'incrostazione formatavisi. Il sig. Balard, farmacista molto istraito, e preparatore di chi- mica nell'istituto delle scienze a Montpellier, ha annunziato recen- 184 temente d’aver scoperto nell'acqua del mare una sostanza nuova, che ha molta analogia col cloro e coll’iodio. Facendo passare una corrente di gas cloro a traverso dell’acqua madre delle saline marittime, questa prende un color giallo , e scal- data fino all’ebollizione dà dei vapori rutilanti, i quali condensati per un freddo artificiale si convertono in un liquido rosso , che è ap- punto la nuova sostanza, che il sig. Balard riguarda come semplice, ed alla quale aveva dato in principio il nome di murido, cui ha poi sostituito quello di Bromo. Il peso specifico di questo liquido è di 2,966; il suo colore apparisce rosso cupo veduto per riflessione, e rosso giacinto veduto per trasmissione, Si conserva liquido fino alla temperatura di gradi 14 e mezzo sotto zero del termometro di Réau- mur, e bolle ai gradi 37 e mezzo; il suo vapore è rosso come quello dell’acido nitroso ; ha un sapore forte e disgustoso, un odore che so- miglia quello degli ossidi di cloro, e macchia la pelle in giallo come l’iodio. Una goccia di questo liquido introdotta nella bocca d’un ue> cello lo fa morire. Il suo vapore è incapace di mantenere la combu- stione, e rende verde la fiamma prima d’estinguerla, come fa il clo- ro. Sì discioglie nell’acqua, nell’alcool, e meglio nell’etere; non volta al rosso ma scolora la tintura di laccamuffa, ed anche quella d’inda» co. Discioglie l’oro, formando una soluzione gialla, che macchia la pelle di color violetto. Solo non ha azione sul platino, ma unito al- l’acido nitrico lo discioglie come l’acqua regia. Si combina al fosforo ed al solfo. Sebbene nonsi unisca direttamente all’idrogene, pure in molte circostanze la combinazione si effettua. Ne risulta un acido aeriforme analogo agli acidi idroclorico ed idriodico. Il miglior processo per ottener l’acido idrobromico consiste nel distillare il bromuro di fosforo umettato, nel modo stesso che si usa per ottener l’acido idriodico. r Vauquelin, Thénard, e Gay-Lussac, incaricati dall'Accademia delle Scienze d’esaminare il lavoro del sig. Balard, ela sostanza a cui si riferisce, hanno dichiarato sembrar probabilissimo che essa sia una sostanza semplice: ma che in ogni ipotesi è da riguardarsi come una sostanza molto interessante. Dopo l’annunzio del sig. Balart, e l’accennato rapporto della commissione accademica, il sig. Chevreu/ ha informato l'accademia in altra adunanza che il sig. Dumas ha scoperto una combinazione di cloro e d’iodio, la quaie ha tutte le proprietà del dromzo , il quale non sarebbe altrimenti un corpo semplice. Il sig. Dumas di sopra citato ha fatto conoscere il seguente nuo- 135 vo: processo per preparare il gas ossido di carbonio. Si mescola del sale d’acetosella puro con cinque o sei volte il suo peso d’acido sol- forico concentrato. La mescolanza scaldata in una storta fino all’ebol- lizione dà una quantità considerabile d’un gas composto di: parti eguali d’acido carbonico e d’ossido di carbonio. Assorbendo il pri- mo per mezzo della potassa, si ha per residuo il secondo purissimo. Impiegando il sal d’acetosella del commercio, si ha, oltre il prodotto indicato, dell'acido solforoso, ed il liquido nella storta, in vece di re- \ star limpido, divien nero, facendovisi un deposito di materia car- bonosa. y Lo stesso sig. Dumas ha osservato un fenomeno particolare che l’acido borico presenta allorchè, dopo aver provato la fusione ignea in un crogiolo di platino, si va raffreddando. Al momento in cui la contrazione che il platino e l’acido provano per il raffreddamento è divenuta troppo ineguale, l'acido borico si spezza in molte parti; tramandando una viva luce nella direzione delle fessure che si for- mano. Questa luce, dovuta probabilmente a quella stessa causa che sprigiona le elettricità di nomi contrarii nelle lame di mica che si separano una dall’ altra con rapidità, è bastantemente forte per esser veduta di ‘giorno. Facentlo ‘l’esperienza all'oscuro, l’ effetto è più sensibile , e ‘la direzione del solco luminoso più evidente. Il sig. ’ianchetti, farmacista a Domo d’ Ossola nel Piemonte, avendo ricevuto dal sig. dott. De Bonis due bottiglie del fango de- positato dalle acque termali di Zeuk, o Loeche, ed esaminatolo chimicamente , ha fatto le osservazioni ed è stato condotto alle conclusioni seguenti. Vedendo staccarsi di tempo in tempo dal fango delle bollicelle di gas, dispose un apparato atto a raccoglierlo , ed investigatine i caratteri , lo riconobbe per un mescuglio di gas acido carbonico e di gas idrogene solforato. i Separata dal fango per espressione quella maggior quantità d’ acqua che potè, saggiò successivamente diverse porzioni di essa coll’ idroclorato di barite, che formandovi un deposito insolubile nell’ acido nitrico, vi dimostrò la presenza di qualche solfato, col nitrato d’argento che vi scuoprì quaiche idroclorato , col sopra- cetato di piombo, che formandovi una polvere nera, mostrò con- tenervisi qualche idrosolfato (non acido idrosolforico libero , giac- chè l'acqua era figa bollita). Gli altri reagenti che seguono gli fecero riconoscere le basi di quei sali; cioè l’acido ossalico, la calce, l’ammoniaca e la magnesia, mentre l’evaporazione e la scompo- 186 ‘sizione per il fuoco discuoprirono la soda. Il sig. B. ha concluso che quell’ acqua contiene. i solfati di soda e di maguesia , gl’ idroclo- ‘rati di.calce e di soda, e l’idrosolfuro di calce. Una tinta ocracea, che il fango prendeva seccandosi , o veni fatto sospettare la presenza del ferro , il sig. B. lo ricercò nell’ acqua separata dal fango stesso; ma nè l’acido. gallico, nè l’idrocianato fer- ruginoso di potassa ve lo scuoprirono. Lo trovò bensì nel fango ; dal ‘che concluse essere originariamente il ferro nelle acque di Loeche ‘disciolto per mezzo d’un eccesso di acido carbonico , il quale esa= landosi in gas al contatto dell’ atmosfera , l’ ossido di ferro si deposi- ta, e resta nel fango. Quanto poi al fango stesso, lo ha trovato composto come ap- presso : Sottocarbonato di ferro. . . + . . parti 15 Protosolfita.di:calce.. iu. elit eno Sottocarbonato di magnesia . . .. ». » 8 Carbavato.di calce: . 0. 1. e ah cda SIC, care Muce io iicia A Pr Allamina ste LL de iii Spliata di calea. ina ela ao iho ei Beni caiali net lara i atri MER ein e e) IAA E Pramne. Lo rieio IENA aL Materia vepetebile: Li. i Sl aio ALAN: iui ei E PR ana dia Perchia. si Leb darne a LI VS parti 100 Il sig. Lassaigne ha analizzato delle concrezioni intestinali che erano state evacuate cogli escrementi da una fanciutta tisica all’ul- timo grado , e giunta al più completo marasmo. Il volume di queste concrezioni era eguale a quello d’ un pisello; all’esterno erano liscie e del colore della cera gialla, nell'interno erano bianche e granulose. Una mediocre percussione le riduceva facilmente in una polvere, che compressa colle dita sulla carta:, la macchiava. Cento parti in peso di queste concrezioni erano composte di 74 parti d’ un’ materia grassa acida, formata di molta stearina , d’ elaina, e d’un’ acido partico lare , di parti 21 d’ una materia analoga alla fibrina, di 4 parti di fosfato di calce , e d’una parte di cloruro di sodio. 187 Lo stesso sig. Lassaigne avendo analizzato un calcolo trovato nella vescichetta del fiele d' una troia , uccisa alla scuola veterinaria d'Alfort, lo ha trovato composto, sopra 100 parti in peso, di coleste- rina parti 6, resina. bianca parti 44, 95 , bile 3,60, materia animale e resina verde alterata parti 45,45. Siccome i calcoli biliari del bove, della vacca, e del cavallo esa- minati finora non avevano presentato che una materia gialla partico- lare , esistente anche nella bile degli animali stessi, la concrezione esaminata dal sig. Lassaigne deve riguardarsi come d'una specie par- ticolare , di cui potranno trovarsi in seguito nuovi esempi. Il sig. Zaugier ha analizzato un calcolo salivare d’asino , di forma cilindrica, lungo 3 pollici, e del diametro d’ un pollice e mezzo, che nella sua spezzatura è bianco ed opaco, come la porcel- lana , che è suscettibile d'an bel pulimento per esser più compatto dell’avorio, avendo il peso specifico di 2, 20, mentre quello del- l’avorio è soltanto 1,82. Sopra 100 parti in peso questo calcolo era composto di carbonato di calce parti 91,70, carbonato di magnesia 1,70; fosfato di calce 5,60, materia animale 1. Tali risultamenti mostrano questo calcolo diverso nel tempo stesso e dai calcoli vescicali degli animali erbivori, formati quasi in. teramente di carbonato di calce senza fosfati, e dai calcoli intestinali, composti interamente di fosfati e specialmente di fosfato ammoniaco- magnesiano, senza carbonati. Il sig. Laugier trovando i caratteri fisici e chimici di questo calcolo perfettamente simili a quelli d’ un calcolo salivare di vacca, ‘ di cui il sig. Lassaigne pubblicò l’ analisi fino dal 1818, conclude che i calcoli salivari degli animali erbivori differiscono essenzialmente dai loro calcoli o vescicali o intestinali, e ciò 1.° per un gran numero di caratteri fisici evidentissimi , 2.° per contenere i primi due sostanze saline , le quali non esistono che separatamente negli altri calcoli. Il sig. Dumas convinto che per far progredire la scienza sia ne- cessario sostituire dei fatti positivi ai dati arbitrarii sui quali riposa, secondo esso , quasi esclusivamente la teoria atomistica , ha intra- preso a determinare, in una maniera che nulla lasci a desiderare, la densità dei diversi corpi allo stato solido , liquido, ed aeriforme. Comunicati all’ accademia delle scienze i risultati che ha ottenuti ri- guardo ad alcuni, ha promesso di far conoscere il seguito del suo lavoro. È uscito alla luce il primo volume della Farmacopea generale 188 sulle basi della chimica farmacologica , o elementi di farmacolo- gia chimica del prof. Gioacchino Taddei, (*) opera ‘che si comporrà in tutto di quattro volumi. A formarsi un idea del merito di essa , basta considerarne il piano ragionato esposto nell’ introduzione, e riconoscere in questo primo volume il modo in cui il dotto autore lo ha posto in esecuzione. Il volumetè diviso in tre sezioni. Indicato nella prima l'oggetto dellà farmacologia, descritto il laboratorio chimico- farmaceutico , e l'officina, dati ottimi precetti per la provvista e scelta delle droghe esotiche , per la raccolta delle indigene , e per la conservazione delle une e delle altre , si descrive minutamente ed esattamente nella seconda la numerosa serie degli strumeuti mecca- nici, chimici , e fisici, che si usano in chimica ed in farmacia, o che possono avervi relazione , dandovisi chiara cogrizione , non solo di tutti i mezzi e processi ovvii, ma di molti altri ingegnosi ed atilissimi, poco noti o non usati fra noi, e d’ un certo numero dei quali si deve l’ invenzione all’autore stesso. Nella terza sezione, data una pre- cisa e chiara idea delle due attrazioni d’ aggregazione e di composi- zione, dell’ analisi e della sintesi, della nomenclatura chimico-far- maceutica per i corpi binarii, ternarii, per i sali, ec., si passa a trat- tare dei quattro corpi che diconsi imponderabili, cioè del calorico, della luce , dell’elettrico , e del magnetico, dei quali, e specialmente del calorico, si espone la dottrina e le importanti applicazioni. Per rilevare tuttii i pregi di quest’ opera bisognerebbe fermarsi quasi ad ogni pagina. Però ci ristringeremo a dire non esservi cognizio- ne necessaria o desiderabile in un chimico-farmacista dotto ed esper- to , che non si trovi in quest’ opera , e che non vi sia illustrata colla luce dei principii scientifici , e delle più sane teorie. Quindi non esi- tiamo a raccomandarla a tutti i farmacisti ; affermando che essi non potrebbero trovare in verun altra opera simile l'insieme dei fatti e delle cognizioni che questa contiene. Storia naturale. Negli annali marittimi e commerciali che si pubblicano in Fran- cia si trovano riferite alcune cariose ed interessanti esperienze che il sig. Artaud ha fatte nel 1820 alla Martinicca intorno alla fosforescen- za dell’acqua del mare, che egli osservò per un mese, ora più lan- guida ora più vivace , e talvolta con qualche intermittenza. In una sera in cui l’acqua era più luminosa egli ne fece attingere ad una buona distanza dalla riva , e distribuitala in più vasi in una (*) Vedi bull, bibliog. annesso all'Ant. N. XXXIV e 429: 189 stanza oscura , vide che stando in quiete non dava alcun segno di fosforescenza, ma che soffiando leggermente sulla sua superficie , si staccavano dalle pareti dei vasi delle particelle luminose, che traver- savano il liquido in ogni direzione. Soffiando più forte , il numero dei corpuscoli luminosi diveniva più grande, agitando violentemente con una bacchetta ; l’intera massa dell’ acqua diveniva luminosa. Fatta passare l’acqua per un filtro di carta, questo ritenne i corpi luminosi , e l’ acqua filtrata era affatto priva della facoltà di risplen- dere. Versato-sopra due eguali porzioni d’ acqua , una filtrata , l’al- tra non filtrata , dell’ acido idroclorico in quaotità esuale, non si 0s- servò alcun effetto visibile ne'l’ acqua non filtrata, mentre la filtrata presentava , anche senza agitazione, una luce viva e subitanea, che gradualmente s’ illanguidì e si estinse. Dopo ciò non si potè con ve- run mezzo riprodurre la fosforescenza in quest’ acqua. Altri aci- di, l’alcool, l’ammoniaca, ed alcune soluzioni saline agirono egualmente. Avendo filtrato dell’ acqua che per l’ azione di tali agenti faveva perduto la proprietà di risplendere , osservò con un buou microsco- pio ciò che il tiltro aveva separato da questa, come dall'acqua fo- sforescente , e riconobbe che l’ una e l’ altra avevano lasciato sul fil- tro dei veri animaletti, colla differenza che quelli provenienti dalla prima, estinti ed immobili, comparivano nel loro insieme una massa gelatinosa , da cui per altro ciascun animaletto poteva essere separato per mezzo d’ una punta finissima , mentre quelli separati dall’ acqua fosforescente si movevavo distintamente nella piccola porzione di li- quido che li circondava. Avendo posto in un vaso di terra cotta un poco d’acqua filtrata ed un poco d’ acqua non filtrata , immerse in ciascun vaso un termo- metro, ed applicatovi un moderato calore, vide (operando nell’oscu- rità completa) dopo alcuni minuti l’acqua non filtrata illuminarsi completamente. Quando la luce ebbe acquistato la maggior vivacità, introdotto nella stanza un lume, osservò il termometro che segnava gradi 28 R. Allontanato il lume, ed aumentato il calore, la luce di- venne grado a grado più languida, e finalmente si estinse, Allora osser- vando di nuovo la temperatura, la trovò di gradi 33. Portata l’acqua all’ ebollizione , e filtratala , i corpuscoli ritenuti dal filtro non erano più viscosi e trasparenti , ma opachi e biancastri, come allu- mina coagulata. L'acqua dell’altro vaso non filtrata non presentò alcuno di questi fenomeni. La notizia avutasi da Canton (*) d'una mostruosità riguardata co- (*) Vedi Antologia Vol. IX. N.° XXV. A p. 143, 190 me singolare, e consistente in un feto acefalo, o senza testa, sospeso alla regione epigastrica d'un uomo ‘dell’età d’ anni 21, e che godeva d’ una perfetta salute, indasse l'accademia delle scienze di Parigi ad incaricare una commissione speciale di esaminar la cosa, posta in dubbio da molti , e farne rapporto. Il relatore della commissione sig. Geoffroy S. Hilaire ba dichiarato il fatto autentico, non solo in forza delle prove raccoltene, ma ancora per trovarsi negli annali della scienza fino a 20 casi analoghi, Fra i quali, dopo aver citato quelli riferiti da Benivenio, Colombo, Montano, Ambrogio Parè, Schenk , Aldovrando, ed altri, e quello nato nel 1764 a Ondervillers in Svizzera , e da cui un chirurgo distaccò felicemente l'individuo acefalo , il sig. Geoffroy ricorda, come più istrattivo d’ogni altro, quello di cui si deve la cognizione a Winslow , verificatosi in una fanciulla che morì nel 1733 nel grande spedale di Parigi. Nell’ atto di doversele amministrare l’estrema anzione, la religiosa di guardia si accorse dell’ esistenza d’ un secondo corpo d’ un piccol figlio che sortiva. dallo stomaco della malata. Nata questione se dovessero quelli riguardarsi come due individui distinti , ed amministrare il sa- cramento ad ambedue, fù consultato intérno a ciò Winslow,il quale ebbe così cognizione certa del caso che poi descrisse. Considerato il numero notabile di casi consimili , il sig. Geof- froy riguarda questo come un genere particolare di mostruosità , dando agl’individui che ne sono affetti la denominazione di eteradelfi, cioè gemelli dissimili. Egli fa anche menzione di alqaante mostruosità eteradelfe osservate negli animali, e specialmente nei cani e nei gatti. Lo stesso sig. Geoffroy S. Hilaire ,in una memoria letta avanti l’accademia delle scienze di Parigi, imprendendo ad esporre e spie- gare i fenomeni della mostruosità , dopo aver ricordato tutto ciò che è stato detto in proposito nel decorso secolo dagli uomini più cele- bri, propone delle vedute nuove, le quali si accordano perfettamente colla dottrina recentemente proposta dal sig. dot. Serres, e nella quale si ammette chelo sviluppo dell’ organismo animale si faccia non dal centro alla circonferenza, come si è credato fin quì, ma dalla circon- ferenza al centro. Coglieremo occasione opportuna per dare ai nostri lettori un idea di questa dottrina. Lo stesso dotto naturalista ha presentato all'Accademia un mo- stro umano nato a Chaillot pochi giorni prima , nel quale |’ intera massa degl’ intestini era ritenuta fuori della cavità dell’addome per un’ aderenza accidentale, ed in cui mancavano affatto gli organi sessuali , e l’ orifizio inferiore del canale intestinale. 191 Nella mattina del dì 9 luglio decorso ‘verso le ore 10 si vide passare sopra la città d’ Arezzo un grandissimo numero di ‘far- falle. Erano tutte d’una stessa e sola specie, che fu riconosciuta essere il papilio cardui. Esse provenivano dall’ ovest , e si dirige- vano verso l’est. Il loro ‘andamento era regolarissimo, giacchè oc- cupando uno spazio .di circa tre braccia in larghezza , si contenevano costantemente in quello, dal quale se taluna deviava alcun poco, ben tosto vi rientrava. In periodi eguali di tempo ne passava ora un maggiore , ora un minor numero ; talvolta per alcuni momenti non ne passava alcuna, Se avveniva che nel loro tragitto s’ incontrassero con altre farfalle indigene , sì le une che le altre seguitavano Ja loro via, senza confondersi fra loro. Alcuni che s’ incontrarono ad os- servare questo passaggio stando sopra una piazza , riconobbero che una parte di esse si manteneva volando all'altezza di circa braccia 5 da terra, alcune poche si tenevano un poco più in basso, ed altre in' minor numero più in alto. Quando poi, percorsa |’ area della piazza , incontravano le muraglie delle fabbriche , si elevavano più in alto. L’ aria in quel tempo era perfettamente tranquilla , ed il cielo quasi sereno , con solo qualche nuvolo sparso. Il barometro segnava pollici 27, linee 3 e un terzo. Riportando quest’ articolo comunicatoci , dobbiamo aggiungere che il passaggio d’ un immenso numero delle indicate farfalle fu 0s- servato egualmente , e con circostanze presso a poco simili, e quì in Firenze ed in molte altre parti della Toscana, in alcune delle quali un gran numero di braci provenuti da quelle farfalle danneg- giò notabilmente Je piante dei carciofi. | Ilsig. Senormand ha fatto conoscere all’Accademia delle scienze di Parigi una tela d'una maravigliosa sottigliezza, fabbricata. da una specie di bruci, che sono le larve della farfalla detta finea pun- ctata, o finea padilla. Il sig. Habenstreet avendo osservato in questi animali |’ abitudine di costruire al di sopra di loro una specie di tenda estremamente sottile e nel tempo stesso molto solida, imper- meabile dall’aria, e che si distacca con facilità dai corpi sopra i quali è depositata, a forza di pazienza , ha trovato il modo di dirigere e dominare talmente il lavoro di questi animali, che egli racchiude in uno spazio determinato , da ottenere dei tessuti della forma e delle dimensioni che gli piace. Si citano specialmente delli Schall qua- drati di due braccia di lato , altri lunghi quattro braccia e larghi due, un pallone aerostatico alto due braccia e del diametro oriz- zontale d’un braccio , ed un vestito intero da donna, colle sue mani- che, senza alcuna cucitura. Per assegnare dei limiti ai movimenti dei 103 bruci i e determinar la forma è le diménisioni del loro lavoro; il sig. Habenstreet unge con olio le parti sulle quali non. vuole, che trascorrano, Il numero di quelli animali impiegati in un lavoro è pro- porzionato all’ estensione di questo. Uno o due bastano per formare un pollice quadrato di tela. Quanto alla natura ed alla qualità di questa , si è detto che essa è nel tempo stesso molto consistente ed estremamente sottile. Il pallone aerostatico sopra indicato pesa meno di 5 grani, ed è impermeabile dall’ aria, Il calor della mano basta a dilatarne notabilmente l’aria interna, e renderlo gonfio in un momen- to ; la fiamma d'’ an solo solfanello tenuto acceso sotto il pallone per alcuni minuti secondi è bastata a farlo elevare ad un'altezza consi-, derabile , donde non è ridisceso che dopo circa mezz'ora. Uno schall quadrato di due braccia di lato , ben disteso per il solo effetto d'un, soffio leggiero , si è sollevato in aria, ove sembrava un fumo tenue agitato dai movimenti dell’ aria stessa. Il brucio dell’evonymus euro- paeus, o fusaggine, forma una tela consimile a quella del brucio del prunus padus impiegato dal sig. Habenstreet. Il sig. Castries, in una memoria letta avanti l'Accademia, delle scienze di Parigi, ha preso a provare che la causa del ;torpore , cui soggiacciono nell’ inverno alcuni animali dei nostri climi, è pura- mente fisiologica, nè deve considerarsi come un risultato diretto dell’ azione del freddo. In appoggio della quale opinione cita , fra le altre prove, iltorpore che nelle regioni equatoriali provano, certi animali all’ epoca del più gran caldo. Egli conclude che l' assopi- mento è un modo d°’ azione vitale destinato a sottrarre per un tempo più o meno lungo gli animali che ne sono suscettibili all’ influenza d’ una temperatura che non convien loro. Mineralogia. La valle di Fassa, resa illustre per le osservazioni del sig. Brocchi e peri minerali che vi sono stati trovati, ha offerto al sig. Kobell un minerale che trovasi nel granito, e che è di color bianco grigiognolo, traslucido sui bordi, di un lustro grasso, che solca il vetro, che debol- mente scintilla coll’acciarino, e la di cui analisi, fatta dal sig. Fuchs, indica ch’esso sia una varietà di (reh/enite, A Sasebiihl, tra Dransfeld e Gottinga il sig. Breithaupt ha trovato un minerale in placche, sparso nel vacco e nel basalto, che molto s0- miglia l’ossidiana, che è di color nero vellutato,che fa fa raschiatura grigia ceneriva cupa, a differenza dell’ossidiana, che ha un maggior peso specifico di essa, e che pel suo lustro, colore e rottura si assomi- 193 glia alla gadolinite, AI cannello fondesi istantaneamente, pal dor in scoria brana talvolta bollosa. Per questa sua pronta fusibilità. il sig. Br. gli ba dato il nome di Tachiclite, Un nuovo idrosilicato di allumina è stato ritrovato a Firs nel- l’Allier dal sig. Gulliemin, simile nell’ aspetto alla litomarga o alla steatite, ma diversamente composto dagli altri idrosilicati. Il suo scopritore gli ha dato il nome di £v/erite. Parimente il sig. Levy ha riscontrato un fluato di allumina che accompagna in piccoli cristalli la vavellite di Cornovaglia, e che dal sig. Wollaston, che lo ha ana- lizzato è stato chiamat® Zue/lite. |. Le sostanze, cristallizzate che si trovano in alcune aereoliti cristal- line sono state esaminate dal sig. Rose, il quale nelle aereoliti di Ju- venas ha trovato che i cristalli neri erano di pirosseno, i bianchi pro- babilmente di albite, un minerale metallico gli è è paruto essere ferro sulfurato magnetico , forse mescolato col nidcolo sulflurato , nè ha potuto deterunnare ‘a qual sostanza. riferiscansi alcune lamine gialie piccolissime. che vi si ircontrano talvolta, L’aotimonio russo, che i tedeschi hanno chiamato Roi hspiesglan- zerz è stato nuovamente analizzato dello stesso sig. Rose, che lo ha trovato composto di un atomo di ossido di antimonio sopra due di sol- furo, analisi che differisce da quella del sig. Klaproth. Le analisi della lepidolite e della mica avevano or ravvicinato, or separato queste sostanze , e la scoperta della litina nella lepidolite sembrava autorizzare a rignardarle come due distinte specie : ma un'analisi del sig. Gmelin di una mica a grandi foglie, nella qaale egli ba pur, trovato la litina, fa credere che queste due specie dovran- no essere ricostituite in una sola. Le ricerche sui minerali Americani han fatto conoscere a quei mineralogisti , e particolarmente al sig. Troost, nuove forme d’ Ieni- te, di Amfibolo, di Apofillite, di Laumonite , e vi hanno scoperto a Capo Sable il succino , il resinasfalto , ed una sostanza consimile alla coppale fissile di Jameson. Il sig. E ha descritto varie for- me nuove della calce carbonata e dell’ argento solfurato trovato al Messico. Col nome di diploite il sig. Breithaupt ha denominato un mine- rale della costa di Labrador di color rosaceo o di fior di pesco , che perde il suo colore al cannello e vi diviene candido, e col borace vi rigonfia molto , dando un vetro incolore. Pare però che questo mi- nerale sia la DO di Brooke, il qual minerale esaminato dal sig. Gmelin , è stato da lui trovato composto di silice 44,653; allamina 38 3814; calce 8,261 ; ossido di manganese 3,160 ; potassa 6;575. T. XXIV. OQeobre. 13 194 Il sig. Vanquelin ha pure esaminato un minerale del dipartimento dell’ Alta Vienna, e che ha ricevuto dal sig. Allau sotto il nome di Etepozite, ed ha trovato che è costituito da un fosfato di ferro e di manganese. Paleontografia. Era stato annunziato che nella caverna di Adelsberg le ossa fossili di orso ec. non si cominciavano a trovare che a due leghe dall’ imboccatura , e solo in una specie di masso stallattitico com pat- tissimo, e di qualche piede cubico di grossezza. Pare il sig. Bertrand- Geslin vi ha trovato le ossa di animali , coperte dalla fanghiglia ar- gillosa rossa , come in tatte le caverne della Germania , e dopo una mezz’ ora di cammino, in un ripieno assai largo ed alto, egli trofò un’ ammasso conico di calcario compatto come quello della caverna, in pezzi di varie grossezze e taglienti , fra i quali era uno scheletro di orso giovane di cui egli potè raccogliere varie ossa. Se le ossa sparse ed immerse nel suolo argilloso non presentano nulla di particolare riguardo alle considerazioni geologiche, l’ammasso di sassi, alla metà del quale era lo scheletro dì orso, al contrario è un fatto singolare, e di un genere diverso dai fatti conosciuti sul proposito delle caverne ossifere. Forse tutta questa massa è stata di poco lungi trasportata dalla medesima corrente che vi ha depositato le altre ossa; forse con queste medesime correnti sono state trasportate le ossa dei grandi erbivori che vi s'incontrano, ed in tal caso il fatto delle caverne si connetterebbe assai bene con quello delle breccie ossee , per le relazioni geologiche. Il primo pensiero che viene in mente però riguardo allo scheletro di orso; si è che sia stato l’anirnale sorpreso e schiacciato da una frana superiore della volta , ed uc: ciso e sotterrato nel tempo medesimo da essa. Pare quando si con- sidera che le sue ossa non erano estese in uno spazio maggiore di due piedi quadrati, questa idea non è ammissibile, e la volta su- periore , ora coperta di stallattiti, non lascia traveder niente, se essa sia intatta o abbia franato. Anco nel Canadà superiore è stata trovata una caverna ossi- fera sulle sponde del Mississipi , ma le ossa erano grosse ed ap- partenenti ad un animale che non poteva esservi entrato da per sè. Il gran cervo fossile trovato nell’isola di Man, secondo le ri- cerche del sig. Hibbert, era alla superficie di una marna conchili- fera ricoperta di rena bianca, non collocate le ossa nella loro po- sizione ma fuor di luogo. In un terreno simile un'altro scheletro 195 di questo animale è stato trovato a Ballaugh, e con essi imac ossa di cervo e di un piccolissimo alce. Al monte De la Moliere . nel Fribarghese, a mezzogiorno di Estavager, vicino al lago di Neufchatel, il sig. Bourdet ha trovato negli strati dello psammite dei frammenti o pezzi di ossa d’iena differente dalle viventi , di elefante assai vicino all’ indiano , di ma- iale di statura maggiore del vivente , di rinoceronte, di antilope, ‘e di altri animali, fra i quali di gallinacei , di testaggine , con denti di gattaccio (sg. caculus ), di pesce cane, di ( sg. cornabicus), di pesce martello, di capo tondo, di razza, e di una nuova spe- cie di cestracione. Lo stesso sig. Bourdet ha descritto pure alcune ussa fossili dell’isola di Corsica. Il sig. Rasoumowky ha descritto alcune nuove trilobiti , sfag- gite alle ricerche del sig. Brongniart, ed asserisce che le trilobiti eieche appartengono ancora ai terreni più moderni che quei di tran- sizione antichissimi, e che al contrario la calimene di Blumenbach trovasi a Podol presso Praga in un terreno di transizione schistoso. A queste sue osservazioni egli ha aggiunto la descrizione di alcuni ‘fossili non peranco conosciuti. In un calcario, che il sig. Deslongchamps riguarda come oolite ferruginosa e non distiuta dal calcario polipifero, sono stati tro- vati due pezzi fossili dentellati a foggia di sega, che il sig. Del. crede essere l’aculeo di una razza, e questa idea tanto più sembra proba- bile, che in quel calcario stesso s'incontrano denti del genere di quei delle razze. Geologia» In una memoria sul cromio ossidato il sig. Zeschevin si era im- battuto a descrivere una roccia essenzialmente composta di quarzo e di feldspato , che poi è stata distinta da altri ed osservata in più luo- ghi, e chiamata arcosa. Il sig. Brongniart ne ha dato una completa de- scrizione,sì per i suoi caratteri mineralogici, che per i geologici, ed in in siffatto lavoro si può dire che egli abbia come dato 11 modello della descrizione di una roccia risguardata sotto tutti i punti di vista in- teressante la mineralogia e la geologia. L’arcosa ha per tanto il quarzo ialino in grossi grani , ed il feldspato o laminare, o compat- to , o argilloide, e queste due sostanze sono ordinariamente in quan- tità eguali, ma il quarzo per lo più vi predomina. Come parti co- stitaenti accessorie essa racchiude la mica , l’ argilla litornarga , ed il caolino , in quantità però minore ai due minerali costituenti ; molte però possono essere le sostanze sparse per mera accidentalità nella roccia. Non ha struttura in piccolo, eraramente in grande, ha un 196. tessuto essenzialmente granoso a grani angolosi almeno \milliarii, © pisarii ; la formazione è per via chimica o di cristallizzazione; la coesione è forte, essa è assai tenace, la rottura è diritta, talvolta grano- sa , talvolta scabra , e talvolta ancora unita. Qualche volta hanno le arcose la durezza del grès, ma per lo più essa è ineguale, né sono ca- paci di pulimento. Il loro colore è grigio pallido fino al bianco tur- chiniccio o puro , o fino al bruno, al rossastro , al giallastro sbiavati. Sono infusibili, non fanno effervescenza in tutta la loro massa: si disgregano talvolta; e talvolta passano alla quarsite , talvolta allo psammite comune, talvolta somigliano al granito. Sono adoperate le arcose per pietra da macina. L’arcosa comune è lo psammite quarzoso (Brogn. Classif.); la granitoide è lo psamm. granitoide (ibid.) e quindi il sig. Br. riconosce una terza varietà denominata miliare. Sono questi i caratteri mineralogici dell’ arcosa , pe’ quali dalle altre roccie essa si distingue: ma'essa ne ha degli egualmente certi per le sue particolarità geognostiche. Si trovano le arcose in due, e forse in tre sorte di terreno differente , alcune cioè sul granito immediata- mente : le altre fanno parte dei terreni a carbon fossile : le terze poi hanno una posizione più incerta, poichè non compariscono separate dal granito per un terreno caratterizzato, ma per alcune circostanze di positura sembrano appartenenti ad un e poca geognostica, molto più recente delle altre due, Le prime arcose sono come un granito rifor- mato non per cristallizzazione , ma per aggregazione, nè sono , com'è stato detto , nè un granito rigenerato , nè un granito secondario. Di questa sorte di arcosa il sig. Br. dà un’istoria su quella di Aubenas, di Avalon , di Remilly ec, Il tessuto delle seconde arcose è friabile, contengono esse gli stessi vegetabili dei.terreni a carbon fossile, e fanno parte di questi terreni, nè differiscono dagli psammiti dei carboni fossili, se non per i loro caratteri mineralogici- In quelle della terza divisione il quarzo predomina in grani iali- ni, ed alcune di esse sono fortemente, altre debolmente aggregate. Giacciono direttamente sopra il granito, contengono meno minerali, e sono coperte dal calcario di acqua dolce, le di cui conchiglie conten- gono esse nella parte superiore, come altre arcose superiormente contengono le grifee del calcario a grifiti. La difficoltà di assegnare con adequata precisione l’età relativa de’depositi de’terreni di Valognes, e soprattutto di quei terreni che sono detti a Baculiti, di Fahlun e di Tufi , ha fatto immaginare di- verse ipotesi affine di spiegare il modo col quale essi erano soprap- posti. Il sig. Desnoyers crede che il miglior modo di riguardar- gli geologicamente debba consistere nel suddividergli, mentre al 1 ‘contrario erano stati finora confusi fra loro,e perciò propone Pci sti terreni del Cotentinsi distinguano in 1.° Formazione marina di creta (craie)o calcario a Baculiti.2.° Formazione marina di calca- rio grossolano , 0 calcario a millioliti, ceriti, analoga al medesimo terreno del bacino della Senna. 3. Formazione di acqua dolce. 4.° Formazione marina , probabilmente più moderna del calcario grossolano e più analoga at terreni terziari dei bacini della Loira e del Rodano. 5.° Formazione diluviana. La Scozia, secondo le osservazioni del sig. Hisinger, ha i suoi terreni primitivi costituiti dal granito e dallo gnesiv contemporanei, e dallo schisto micace, che nelle regioni basse è subordinato allo gne- sio, ne’ luoghi alti forma le cime delle alpi, e contiene i letti dei mi- nerali metallici. Le altre roccie di quest'epoca sono subordinate allo gnesio, che contiene poi una grandissima varietà di minerali. I ter- reni di transizione si distinguono in questa regione dagli altri terreni d’Europa per la loro grande estensione in senso orizzontale, confron- tata alla loro grossezza, per la loro posizione, e la natura de’ fossili che contengono. Le rocce di questi terreni sono il grauvacco, il con- glomerato, il grès quarzoso, il porfido corneo, lo schisto novaculare, la diorite compatta e porfiroide, un grés grigiognolo a grana fine; e talvolta rossastra, senza spoglie organiche, lo schisto alluminoso , il calcario compatto che contiene ortoceratiti, lo schisto argilloso con fossili dello stesso genere ed insieme le graptoliti. Il diabaso, che a Vestgotha giace su queste rocce , non si può assicurare se sia inter- mediario , o vulcanico. Il terreno secondario è racchiuso solo frallo Schonen e la Scania. Una parte di questa formazione è costituita dal gréès, l’altra dal calcario: il primo contiene letti di carbon fossile, di schisto bituminoso, e di argilla schistosa, ed esiste lungo il Sund : l’altro ha le sue posizioni meno circoscritte, ed è di qualità più varia- ta. V'ha una formazione basaltica, che al Sund si trova solo erratica, che in Norvegia attraversa il calcario di transizione e lo schisto ar- gilloso ,- e si trovano pare filoni di trappo nei contorni di Rossan- Konga, e Andrarum. I terreni di alluvione nella Svezia sono com- posti di tritami delle rocce primitive, e nella Scania ia formazione della torba è molto sviluppata. ECONOMIA AGRARIA. Il prof. ScRoer di Wirtemberg prendendo a discutere la que- stione “ se convenga mietere il grano , la segale, e la spelda avanti la loro perfetta matarità ,, distingue gli usi ai quali queste biade sono 198 destinate. Egli crede necessario che la porzione da riserbarsi per la sementa sia perfettamente matura, ed afferma al contrario esser molto vantaggioso anticipare otto o nove giorni la raccolta di ciò che deve ridarsi in farina. L'esperienza , secondo esso, ha dimostrato che il miglior seme è quello che si distacca spontaneamente dalle spighe per esser giunto a perfetta maturità. Quanto al grano destinato al mulino deve mietersi allorquando i semi schiacciati tra le dita danno una materia viscosa. È necessario soltanto lasciarlo esposto all'aria un tempo più lungo che il grano ben maturo, specialmente se il granaio in cui deve riporsi sia poco ventilato. La farina che se ne ri- cava è più bianca, ed in maggior quantità. Egli afferma che questa pratica è in uso da tempo immemorabile in molte contrade della Ger- mania, dell'Ungheria , della Boemia, e che per lungo tempo n'è stato fatto quasi un segreto, essendo molto ricercata e venduta sem- pre a più caro prezzo la farina così preparata. La R. Società agraria di Torino propose fino dal 1824 come soggetto di un premio da conferirsi la miglior dissertazione sopra quella malattia funestissima alla pianta del riso, che viene indicata col vocabolo volgare di drusone. Furono presentate al concorso varie memorie , fra le quali l’Accademia giudicò degna di premio quella del dott. Rocco Ragazzoni. In essa si riguardano come sinonime della voce brusone le altre di ruggine , di carolo , 0 carie, considerando- visi come una stessa malattia le alterazioni del riso indicate con que- sti diversi nomi. L’ autore descrive i sintomi ed i fenomeni che que- sta malattia presenta, disputa sull’ indole della medesima , che ri- guarda come analoga alla flogosi ed alla cancrena, ne determina la sede nei nodi della pianta , discute la questione intorno alla sua na- tara contagiosa , inclinando per l’ afferinativa ; accenna in quali luo- ghi ed in quali terreni la pianta vi è più soggetta, e riportando le va- rie opinioni emesse da autori diversi intorno alla causa di questa ma- lattia , egli l’ attribuisce all’ eccesso dell’acqua e degl’ ingrassi. Contro alcune delle quali asserzioni è posteriormente insorto il prof. Re, e specialmente contro la supposta identità del brusone e della ruggine, dimostrandone la differenza, mediante il confronto dei caratteri e dei fenomeni rispettivi. Al prof. Ré ha fatto eco il dot. Prompeo, distingaendo anch'esso la raggine dal brasone, ed adducendo plausibili ragioni le quali non permettono di riguardare col dott. Ragazzoni il brusone del riso co- me un alterazione analoga alla flogosi ed alla cancrena dell’organismo animale. 1 La pratica che si segue in alcune parti della Selva nera (3. vero ciò che alcuni agronomi avevano affermato , cioè esser più utile e più economico alimentare i bestiami alla stalla che colla pastara libera , giacchè due vacche mantenate col primo metodo danno più profitto che tre vacche tenute in pastura, somministrando doppia quantità di latte, con un economia reale nel nutrimento. L’ evidente utilità di questo sistema lo ha fatto adottare molto estesamente. Nell’ estate del 1823 le pecore della tenuta di Czegled in Ua- gheria essendo andate soggette ad una mortalità doppia dell’ordinaria, e di quella cui soggiacevano le pecore d' altre tenute vicine , ed in- vestigandosene la cagione , farono osservati dei semi vegetabili , non solo sparsi fra la lana di quelle pecore, ma dei quali alcuni s’ insi- nuavano molto addentro nella loro pelle. Alcuni professori dell’Uni- versità d’ Ungheria incaricati superiormente di riconoscere la specie di pianta cui appartenessero quei semi, gli effetti della puntura da essi operata , ed i mezzi di prevenirli o di rimediarvi , trovarono che i semi dei quali si tratta appartenevano a due specie di graminacee , cioè alla stipa pennata , ed alla stipa capillata, che si trovavano in copia in una pastura di quella tenuta. In queste piante la-gluma superiore del fiore si termina in una resta o spina lunghissima e molto igrometrica , la quale ha la forma di piuma pella stipa pennata, ed è dritta e rigida nella stipa capillata. Questa gluma, che forma una specie di cartoccio o involucro coria- ceo in cui è racchiuso il seme , sembra destinata dalla natura a ser- vire nel tempo stesso come mezzo di trasporto e come strumento di piantazione ai semi , dei quali ciascuna pianta di stipa non produce che tre o quattro per anno. La gluma termina alla sua base in un cono acuto rovesciato , ispido per molti peli corti e rigidi diretti; di basso in alto. Quando questa gluma trasportata in aria col favore della sua re- sta che le serve di paracadute cade verso la terra, discende sempre colla punta in basso , e tutti i movimenti che l’ aria le imprime ser- vono a farla profondare di più nel terreno, ove il seme deve ger- mogliare. Cadendo in vece sopra animali lanuti, è evidente che i mo- vimenti di questi debbono far sì che i filamenti della lana at- tortigliandosi intorno al seme tendano a farlo insinuare sempre più fra la lana stessa, e quindi nella pelle. Desfontaines (Flo- ra atlantica) e Lamark riferiscono che gli abitanti del Portogallo, della Barbaria , e della Grecia , sono molto incomodati dalle sgraffiature che operano sopra il loro corpo le punte di questi semi, à00 le quali , senza che essi se ne accorgano, 5° insinnano nel tessuto dei loro abiti. Uno di questi semi internatosi affatto in un orecchio d’una pecora , anzichè un corpo estraneo introdottovisi, sembrava un callo della pelle. Gli effetti morbosi che la loro presenza produce sono va- rii; secondo la natura delle superficie nélle quali s’ insinuano. In generale si forma un tumore superficiale ed una piaga rossastra im- tornò al seme. L’incisione dei tumori ne fa ‘scaturire ua liquido giallo molto denso. Basta un piccolo numero di questi semi insinua- tisi nel corpo d’ una pecora per farle perdere l’ appetito ed il sonno, per farla dimagrare rapidamente, ed anche morire. La pelle staccata . dal corpo sembra talvolta traforata come un crivello per effetto dell’ intensa infiammazione prodotta dalla presenza di quei semi. Questa relazione è stata da qualcuno accusata d’ esagerazione , affermandosi che generalmente i semi della stipa agiscono sopra le pecore soltanto come ospiti incomodi, non conducendole a morte senza il concorso d' altre cagioni, e meno i casi nei quali giungano ad insinuarsi in visceri nobili, come può accadere, essendone stati trovati fino nella sostanza del fegato. Era stato da lungo tempo osservato che negl’ inverni mol- to rigidi le api assonnate consnmano poco miele, e che all’ op- posto negl’ inverni dolci facendo dell’ esercizio mangiano mol- to senza avere i mezzi di rinnuovare le loro provvisiori, suc- chiando il nettare dei fiori, Questa circostanza ha suggerito ad un ecclesiastico scozzese l'idea di sotterrare nel mese d’ ottobre i suoi alveari in un graude ammasso di torba, e di non ritrarneli fino al mese d’ aprile , epoca in cui molte piante sono in fiore. Quest' espe- rienza ebbe un successo completo. Si può dunque presumere, che riponendo li alveari in una cantina o altro luogo oscuro e freddo al sopravvenire dell'inverno, le api vi resteranno in stato d' assopi- mento e di torpore, senza bisogno di nutrimento , fino al ritorno della buona stagione. AI Malabar facendo bollire in acqua il fratto della /a/eria in- dica, albero chiamato nel paese Piney , ne ricavano una materia grassa, qualche volta gialla, più comunemente bianca , analoga alla cera, quasi insipida, d’odor piacevole, molto solida, e che per altro si fonde facilmente alla temperatura di 29 a 30 gradi R. Il suo peso spe- cifico è notabilmente minore di quello dell’acqua. A Mangalone si può comprare questa materia grassa ad un prezzo che equivale a 25 centesimi dì franco per ogni libbra. Il sig. Badingion analizzan» l] 4 201 dola l’ha trovata composta, sepra roo parti, di carbonio 77, atomi 10, idrogene 12,3 , atomi 9, ossigene 10, 7, atomi 1. Siccome in alcuni paesi si è grandemente estesa la coltura del cotone, e siccome questa pianta dà una grande quantità di seme, fin qui non impiegato in uso verano, eccetto quello destinato alla ripro- duzione, si è recentemente pensato a trarne profitto. Sperimentato prima come ingrasso del terreno, si è mosfrato grandemente attivo. Ora poi è stato proposto d’impiegarlo come materia oleaginosa, per ricavarne mediante la scomposizione per il fuoco del gas idrogene carbonato per illuminare. In fatti disseccato prima e quindi esposto all’azione di un forte calore in vasi appropriati, ha somministrato al sig. O/msted un ottimo gas, e di poco inferiore a quello dell’olio. Egli ha calcolato che da una libbra di questo seme si può ricavare 16,288 pollici cubici di gas. GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. Arrivo del maggiore Gordon Laing a Tombuctou. I dispacci inviati al dipartimento delle Colonie dal sig. Warrington, console in- glese a Tripoli, annunciano l’arrivo del maggior Laing a Tombuctou, gran centro del commercio dell’interno dell’Affrica. L’epoca del suo arrivo non è indicata, ma considerata quella della sua partenza da Twat, è probabile che egli vi sia arrivato verso il principio di febbraio. La prima caravana che arriverà da Tombactou a Tripoli ci porterà qualche notizia intorno ai movimenti faturi di quest’ardi - to viaggiatore. Se egli discende il Niger tanto prontamente quanto potrebbe, sarebbe sperabile di sentire fra poco il suo arrivo in In- ghilterra. Noi rileviamo con piacere da queste nuove che, sebbene pervenataci per una via rispettabile, era priva di fondamento la no- tizia della dispersione della caravana, colla quale egli viaggiava do- po la sua partenza da Twat. Abituato al clima dell’Affrica, ed arri- vando a Tombuctou al principio della stagione asciutta, il maggior Laing può riguardarsi come fuori affatto di pericolo. Il corso del Niger navigabile lo porterà rapidamente al mare atlantico, a traverso di paesi e di stati nei quali è penetrata la fama della Gran Brettagna, Dae viaggiatori britannici si trovano in questo momento nel centro dell’Affrica settentrionale, direttivisi da punti diversi, ed an- corchè si abbia intorno all’imboccatara ed al corso del Niger un opi- nione diversa da quelia del sig. Barrow , convien confessare che l'In- ghilterra deve ad esso, ed alla premura con cui le di lui viste son se- condate dal dipartimento delle colonie, queste spedizioni, e tutte le * 202 scoperte importanti in geografia che ne risulteranno: :Se il pensiero di queste scoperte fosse stato lasciato all’istituzione affricana , essa avrebbe errato senza frutto per unsecolo nei contornidi Sierra-Leona, nè avrebbe tampoco riconosciuto giammai il corso del Niger, sebbe - ve questa colonia stabilita da circa 40 anni sia tanto vicina alla sor- gente di questo fiume, quanto la città di Yorck è vicina a quella di Londra, Del Maggior Clapperton non si sono avute nuove più recenti di quelle che annunziavano il sno arrivo a Sakatou; ma per mezzo del bastimento da guerra il Despatch, che veniva dalla baia di Benin, si sono ricevuti alcuni dispacci anteriori di questo viaggiatore, i quali - sono estremamente importanti, in quanto che fanno conoscere da strada che egli ha tenuto per giungere a Sakatou. Il giorno 9 di marzo egli era a Katangah, capitale dell’Yarba, o Yatriba, paese frontiera di Nyffe, donde si disponeva a partire per Kiama, ed indi passarea Wanwa e Youké, situato a 4 giornate da Wanwa, passando così in quei luoghi nei quali perì l’infelice Mungo-Park. Katangah è a 3o miglia all’est del Niger, però il sig. Clapperton deve necessaria - mente avervi acquistato delle notizie importanti; ma altre più impor - tanti ancora egli deve averne ottenute andando verso Katangah, e nel suo ulterior cammino verso il nord, perchè in questo tragitto, e nell'ultimo spazio di esso deve aver traversato il Niger ed esser pas- sato a Nyffe, al punto in cui alcuni geografi vogliono che il Niger pie- gbi a levante verso il Nilo d'Egitto, ed in cui altri pretendono che si getti in un lago dell'interno. Là egli deve essersi assicurato positi- vamente se il Niger piega a levante verso il Nilo d'Egitto , o se , come sembra più probabile, continua il suo corso verso mezzo giorno, tra- yersando quella contrada non ancora esplorata , e che 20 grandi fiu- ii attraversano per sboccare in mare nella baia di Benin. Non è da dubitare che questi punti siano stati in gran parte determinati dal sig. Clapperton, ed è probabile che Ja prossima distribuzione della Quar- ter!y Review potrà in questo proposito sollevare un lembo di quel velo che si desidera con impazienza di vedere interamente alzato. (Articolo estratto dai giornali inglesi e francesi). n INVENZIONI E NOVITA. Il sig. Zicat, che ha molto stadiato la teoria e l’uso pratico dei cem.nti calcari, e specialmente la proprietà delle così dette calci idrauliche, atte a far presa , ‘0 acquistare pronta e grande solidità nell'acqua, nelle molte sue esperienze ha imaginato e praticato un ingegnoso ed util mezzo di riconoscere la bontà comparativa delle 203 diverse pozzolane, o arene ferruginose, sì naturali, che artificiali. Ec- co in che consiste questo mezzo. Si versa sopra Ja pozzolana da esa - miparsi una certa quantità d’acqua di caice, si agita alquanto la me- scolanza, e quindi, lasciata depositare per il riposo la materia concere- ta, si prende un poco dell’acqua che viene a soprannuotare, e vi si versa goccia a goccia d’una soluzione di sottocarbonato di potassa. Se per l’affusione di questo reagente la trasparenza dell’acqua non è tur- bata, è segno che tutta la calce che l’acqua teneva prima in soluzio- ne se n’è separata per combinarsi alla pozzolana, che si mostra così d’ottima qualità. Che se sia mediocre o cattiva, combinandosi poco, o non combinandosi punto alla calce, questa resta in maggiore 0 mai- nor quantità in soluzione neli’acqua, da cui si precipita in stato di carbonato insolubile, allorchè vi si affonde la soluzione del suttocar- bonato di potassa. Secondo un osservazione fatta alcani avni addietro dal sig. ‘ Proust, confermata in seguito dal sig. Valke di Lyun in Norfolk, ed ‘ora pubblicata da un giornale inglese come swcettibile d’utile jap- plicazione, bruciandosi delle candele di sego per produr luce, si ot - terrebbe un migliore effelto tenendole in posizione inclinata, che.in posizione verticale. Si avverte bensì che sono convenienti per usarne in questo modo soltanto quelle fatte per immersione , non quelle gettate nelle forme. Si suggeriscono in proposito le seguenti ayver- tenze, e si accennano le seguenti particolarità. Non deve situarsi la candela nella posizione inclinata se non dopo che il lucignolo. sia car- bonizzato per un trattu conveniente. L’inclinazione deve essere di 45 gradi. La combustione effettuandosi in un atmosfera tranquilla mon cola sego fuso, ed il lucignolo nonjha bisogno d'essere smoccolato , come dicesi volgarmente, giacchè la sua estremità carbonosa si rdu- ce in cenere a misura che oltrepassa la fiamma. Quest’effetto sembra dipendere dal libero accesso che ha l’aria presso la base della fiac- cola ed il centro della combustione, la quale esssendo assai viva , mon permette che si produca fumo, i} Ecco il metodo col quale il. sig. Ze Mormand compone ilsuo stucco legnoso, dicui forma poi qualunque specie d’ornameoto: 0,.di rapporto da applicarsi ai mobili ed altri oggetti per essere in! seguito dorati o coloriti opportunament:». Egli discioglie 5 parti di colla,:co- mune ed una di colla di pesce un tal quantità d’acqua, che la,soluzio- ne raffreddata formi una gelatina assai densa. Fusa questa , e scal- data ad un tal grado, da non potervisi comportare un dito, si forma una pasta iutridendovi della polvere fine di quel legno che 204 i wuolsi imitare. Questa polvere si ottiene o raspando il legno con um lima fine, o riducendo in polvere i trucioli di esso legno dopo averli seccati nel forno, o passando per un setaccio fitto la sua segatura. Si stende questa pasta formandone uno strato di due o tre linee in una forma di gesso, o di solfo, unta prima con olio di lino o altro. Mentre questo primo strato si secca, si compone un altra pasta con polvere di legno più grossolana, riempiendo interamente la forma con questa seconda pasta, che dà maggior consistenza alla prima. Allora si com- prime fortemente all’oggetto di far prendere alla pasta tutte le im- pressioni della forma lasciandovela finchè il pezzo formato sia dive- nuto bastantemente secco per potersi levare senza rischio di rom- persi. Si conosce essere il momento opportuno di levar dalla forma il pezzo allorchè questo si è ritirato. Bensì è necessario levar prima con un coltello tutta la composizione che eccede l’altezza della for- ma. Gli ornamenti così formati si applicano ai diversi mobili. Se de- vono essere dello stesso colore del legno, si cuoprono d'uno strato di vernice a spirito di vino, ma ordinariamente s’indorano, e restano so - lidissimi. Con paste di colori diversi possono farsi ornamenti d’otti. mo gusto; e d’un esecuzione molto più facile che per mezzo dell’in- taglio. Il sig. Lorilland , fabbro meccanico a Nuits ha inventato una macchina per preparare alla filatura il lino e la canapa senza previa macerazione. L’autore attribuisce alla sua macchina la proprietà di rendere quelle materie bianchissime ed estremamente docili senza l’aiuto di processi chimici, e ciò molto prontamente, e con formare una piccola quantità di stoppa, la quale dà un filo quasi tanto bello quanto quello della materia meglio preparata. Conoscendo bene la maciulla meccanica del sig. Laforest, il sig. Lorilland afferma che la sua macchina rimedia a tutti gl’inconvenienti che possono rimpro- verarsi a quella. Il sig. Agostino Coron, manifattore di seta a Lione, ha costruito un telaio, nel quale il moto di tutte le parti è prodotto dalla rota- zione continua d’un motore unico, che gira sempre nel senso stesso, Per altro è stato rilevato che l’invenzione o la prima idea d’un simil telaio si deve a Vaucanson, il quale ne costruì uno , che fu esatta - mente descritto nelle memorie dell’ accademia delle scienze per il 1775, e di cui si conserva tuttora un modello nel conservatorio delle arti e mestieri. Alcuni giornali hanno pubblicato il seguente processo per se- 205 gnare la biancheria ed ogni genere di panni e tessuti, con lettere ; numeri, o altre cifre assolutamente indelebili, processo che in sostan- za, sebbene non fosse comune, pure era conosciuto ed anche pratica- to da qualche tempo. Due sono i liquidi che vi s'impiegano. Il primo, cui danno il nome d'acqua preparatoria, sì compone di sottocarbo- nato di soda e di gomma arabica disciolti in acqua. Il secondo che è detto inchiostro, è una soluzione di nitrato d’argento fuso, o pietra in- fernale, e di somma arabica in acqua stillata. Questi liquidi, e spe- cialmente il secondo , devono conservarsi in boccia chiusa. Siccome sono senza colore, è atile colorare il secondo con un poco d’inchio- stro della China per render visibili i tratti che si formano con esso. H modo d’o perare è semplicissimo. Si bagna coll’acqua preparatoria quell’estremità o parte della tela o panno sopra cui voglicno farsi i segni indelebili. Ove la tela sia asciugata, vi si fanno sopra i segni voluti coll’inchiostro, lo che può farsi egualmente, o con una penna, o con un sigillo, o altra impronta, su cui siasi passato leggermente un pennello intinto in quell’inchiostro. Acciò l’impressione si facc a ieglio è opportuno porre sotto alla tela , al panno, o altro alcune carte poste sopra una superficie piana, I caratteri, i quali sono po- chissimo visibili , specialmente se non siasi aggiunto all’inchiostro composto un poco di quello della China, si colorano intensamente in nero, se si espongano per alcuni minuti alla viva luce solare. In vece di bagnare la tela coll’ acqua preparatoria, alcuni tro- vano più comodo soffregarla con una polvere composta di 4 parti di sottocarbonato di soda disseceato e d’ una parte di gomma arabica , imprimendovi poi sopra coli’ inchiostro. Il sig. Sennefelder , inventore della litografia, o arte di stam- pare in pietra, ha imaginato un nuovo metodo di stampa stereotipa. Sopra un foglio di carta comune da stampa si stende all’ altezza d’ una linea uno strato di materia terrosa (gesso o argilla fine) mescolata con sufficiente quantità d’acqua. Quando questo stra- to ha preso una consistenza pastosa, si mette sul torchio, ove sono le pagine composte al solito, senza inchiostro ; le lettere s’imprimono nella pasta formandovi altrettante cavità esalta- mente corrispondenti. Si solleva la lastra, e si pone sopra ‘una tavola di pietra o sopra altro piano colle cavità volte in alto; sì versa sopra queste il metallo fuso, e si ottiene una lastra sottile di metallo, sulla quale i caratteri son formati esattamente in rilievo, Le prove tirate con questa lastra non differiscono da quelle tirate coi caratteri mobili. L’ autore della scoperta ha intenzione di rivelare le partico- larità del suo processo quando avrà riunito 30 soscrizioni di 300 fiorini 206 ciascuna, La spesa per la lastra è stimata 100 fiorini di Germania, quella della carta preparata 6 Kreutzer, a 22 centesimi per foglio. Sebbene non sia ignoto ai chimici ed. anche ad alcuni artisti, pore un giornale inglese ba riputato utile render pubblico il modo di operar facilmente e prontamente la dissoluzione della coppale nello spirito di vino per la preparazione della vernice. Ecco questo mezzo semplicissimo. Si fa disciogliere un oncia di canfora in un quarter , misura inglese , d’ alcool; si aggiangono 8 once di coppale in piccoli frammenti , si pone il vaso che contiene queste materie sopra un ba- gno d’ arena, o anche a bagno- maria, regolando il calore in modo che le bolle le quali si sollevano dal fondo possano contarsi , fino alla completa solazione. Siccome operando così viene disciolta più cop- pale di quella che il liquido raffreddato possa ritenerne in soluzione, è opportuno mettere la soluzione da parte per alcuni giorni , e quando per la separazione della coppa!e eccedente la vernice è divenuta ben chiara , decavtarla , serbando il deposito per un altra operazione. I sigg. Herst, Heycock ,e Wilkinson inglesi hanno imaginato un facil mezzo d’impedire che le carrozze si rovescino lateralmente, o ribaltino, come si dice comunemente. Questo mezzo consiste in due quadri o telai di ferro , che si adattano a cerniera alla parte superiore di ciascuno dei portelli della carrozza , e che si muovono con essi. A!la parte inferiore di questi telai è un fusto di ferro solido e verticale, che porta in cima una rotella, e di tal lunghezza che nella posizione naturale della carrozza la rotella non tocca terra: ma se la carrozza s’ inclina da un lato , il telaio di quel lato gira in- torno al suo punto di sospensione, conservando la posizione verticale che la carrozza ha perduto, e se l'inclinazione di questa oltrepassi un certo punto , il telaio scostatosi inferiormente da lei, và a posare sul suolo e la sostiene, impedendola dal rovesciarsi, senza impedirla dal camminare, in.grazia della rotella. Vi è da ciascuno dei due lati un ferro talmente disposto, che limita il soverchio discostamento del telaio. Monaco 19 Agosto.—Il problema di far filare da una macchina il lino come il cotone, è stato finora uno de’ più ardui per i meccani- ci, ed a malgrado di vistosi premii a ciò proposti dai governi inglese e francese, non era stato finora sciolto se non imperfettamente. È riuscito adesso ad un distinto genio meccanico il sig. /7ofer di Meran nel Tirolo di risolvere il gran problema per mezzo d’ingegno- sissimo meccanismo che cagionerà non piccola rivoluzione nelle 207 manifatture di lino. Il sig. Hofer venne a Monaco, comunicò la sua invenzione al meccanico Ert/ celebre non meno per i proprii lavori che per quelli intrapresi per il sig. Reichemback; e questi secondo i principii dell’ inventore eseguì con pari ingegno ed abilità una tal macchina di filatura di 34 rocchetti , che or trovasi in Monaco , e che vien messa in moto da un solo uomo. Il sig. H. ha ottenuto per questa macchina una privativa dal re di Baviera, e cercherà ot- tenerne dall’Austria e dalla Prussia. Possono ancora costruirsi simili macchine per uso privato, di 4, 6 e 8 rocchetti, secondo i bisogni eco - nomici. Può ottenersi il filo d’ogui grossezza , secondo la situazione che si dà ad una ruota. SOCIETÀ SCIENTIFICHE. ) Società medico fisica fiorentina. —Nell’adunanza ordinaria del 8 ottobre il segretario delle corrispondenze comunicò alla società le lettere di ringraziamento di alcuni sigg. soci corrispondenti ; e quindi si passò alla lettura d’ una memoria inviata dal socio sig. Michelacci, e contenente una serie d' osservazioni ostetriche molto importanti. Figuravano in primo luogo fra queste, due casi da esso qualificati per idrometra congiunta alla gravidanza, nel primo dei quali si valutò il peso dell'aeque scolate all’epoca del parto a 50 libbre di nostra mi- sura ; il feto espulso emaciato, e fievolissimo non sopravvisse, e la madre ricuperò poco dopo la sua salute ad onta dell’ anasarca concomitante la sua gravidanza. Si distingueva poi il secondo di quei casi per la coincidenza di mola idatigena e di feto acefalico col- l’ aderenza della placenta alle pareti uterine, da cui staccossi in pez- zi pel processo della corruzione avvenuta nei primi dì del puerperio. Successe a questi la descrizione istorica di due parti forzati eseguiti dal med, per copiosa emoragia, proveniente «da attacco della placenta al collo dell’ utero ; ambedue tendenti a provare l’ utilità di siffatto espediente per la salvezza della madre, ed uno d’ essi provando l’in- sussistenza del volgare assioma , ch’un feto cioè ottimestre non sia suscettivo di vita ulteriore. Tre osservazioni furono addotte per comprovare l’efficacia della segale cornuta per rianimare le doglie del parto!sopite; e terminò la memoria coll’esposizione d’an estrazione a brani di feto settimestre putrefatto nell’ utero, per cui dovè l’ opera - tore ricorrere a dei particolari compensi per afferrare il dorso ‘privo dell’ estremità inferiori , che se ne erano staccate. Successe a questa lettura quella d’ altra memoria trasmessa alla società dal sig. dot. Thaon medico ad Orbetello vertente sull’attuale sistema delle condotte mediche , e chirurgiche, da cui fece l’autore 208 risaltare con sagacità un doppio fonte d’ inconvenienti, che parteg- giati dal condotto e dall’infermi, i quali però ricadono tutti sulla società in massa, ed i quali potrebbero a suo giudizio venire elimi- nati , o'minorati da alcune riforme da esso dettagliate nel suo scritto, e di cui sollecitava l’assenso della società ; la quale’ plaudendo al buon animo , e zelo di questo dotto medico, s’astenne però dal- l’emettere'alcun voto in prop»sito. i Esonerossi quindi il dot. del Greco del suo impegno di relatore sull’ operetta del socio corrispondente sig. dot. Cassan , intitolata ri- cerche anatomiche, e patologiche sa i casi d’ utero doppio e di super- fetazione , concorrendo pienamente coll’ autore nella parte più bella, ed estesa, cioè l’ anatomico-comparativa dell’ utero bilobato, ma ne discordò nelle conclusioni fisiologiche , cioè nella ammissione di su- perfetazione a utero bicorne soltanto secondo l’autore, sembrandogli, che il caso di superfetazione allegato da Eisenmarin, e da La Chaus- ‘se, in cuila necrossia mostrò l’ utero semplice, non fosse valida- mente infirmato dalla supposizione dell’ autore , che sì trattasse cioè in tal caso di nascita precoce e tardiva di due germi simultaneamente concepiti , e sviluppati. NECROLOGIA. La repubblica delle lettere ha sofferto una gravissima perdita , e Fermo ha pianto amaramente la morte di un suo illustre cittadino il canonico Ignazio de’ marchesi Guerrieri , mancato a’ vivi il di 7 dicembre del 18:25 nella età di anni sessantacinque. Apparteneva egli ad una delle più nobili, e cospicue famiglie di quella città ; percioc, chè fù figliuolo del balì Onorio Guerrieri , e fratello di monsignor Guerrieri segretario de’ vescovi , e regolari, non ha molti anni pas- sato di vita. Ricevette egli in patria l’ educazione giovanile ; quindi recossi nel celebre collegio Montalto di Bologna , ove percorse i primi studi letterari , e fin da piccolo presagì che uomo riuscirebbe. Continuò gli studii suoi in Roma ove fù eletto a canonico della chiesa di S. Maria in via lata , succedendo a Monsig. Regis. Sortì un ingegno al sommo pieghevole , e si distinse in ispezieltà nelle lettere latine dettando versi soavissimi con istraordinaria facilità, onde egli era da molti ricerco, e poichè aveva proprosto di non negare a chic- chessia l’opera sua , era presto a satisfare. fu acclamato in patria segretario perpetuo dell’ antichissima accademia degli Erranti , ed era socio di altre principali unioni letterarie d’Italia, fra cui del- l’ Arcadia. Si conosceva egli eziandio delle greche lettere; ma nella poesia 209 latina , e nella epigrafia era valentissimo. Splendea fra tutti quei che compongono i collegi della teologia , e del giure sì civile e sì ca- nonico nella fermana università. Era dotato il Guerrieri di una indole amena e piacevole , cotalchè formava la delizia degli amici, e de’cit- tadini suoi; e, avvegnachè oppresso dagli anni, e via più da malat- tie, conservò sino all’ultimo una’mente lucidissima , e una cotal le- pidezza ne’ suoi discorsi che il rendevano a tutti carissimo. ( Articolo comunicato.) Il giorno 26 del p.° p.° settembre l’I. R. conservatorio di musica di Milano perdette Vincenzo Federici che da 18 anni vi era profes- sore di composizione e da un anno censore. Undici opere teatrali (1) da lui composte pei teatri di Londra , di Torino e di Milano , il po- sero nella schiera degli egregi maestri, e quello di Castore e Polluce che si cantò sul nostro teatro alla Scala nel 1303 e 11805 confermò ed accrebbe la sua già distinta fama. Sicchè ben a ragione increbbe agli amatori del semplice ed elegante stile che da molt’anni limita- tosi all'insegnamento, il Federici più non pensasse ad arricchire le scene con nuovi lavori. Egli. nacque in Pesaro nel 1764, e di 16 anni uscito di patria , studiò e professò musica in Londra col solo sussidio di alcuni principii avuti in un collegio letterario ; onde può dirsi scolare di sè medesimo. Da Londra passò nell’ America setten- trionale; ma trovatala allora più curante d’ armi e dicommercio che d’arti belle , si restitu) a Londra ove fu maestro al cembalo del real teatro dell’ opera italiana , e scrisse con felice successo. Indi chiamato a Milano nel 1803, giustificò coi nuovi spartiti la fama che n’era percorsa , e si meritò poi d’essere eletto maestro di composizione nel conservatorio, apertosi nell’anno 1808. Chi l’ebbe a.maestro. ammirò in lui profondo sapere , chiarezza di. metodo e sicurezza di teoriche ; chi lo trattò come amico pregiò in lui la gentilezza di costumi, la schiettezza dell’animo e la non volgare letteratura in diverse. lingue : e gli uni e gli altri piangono amaramente la perdita del maestro e dell’ amico. (Est. dalla Gazz. di Mil.) (1) L' Olimpiade, il Demofoonte , la Zenobia , la Nitteti , la Didone, il (Giudizio di Numa , 1° Oreste in Tauride , la Sofonisba, l’ Idomeneo , la Conquista delle Indie , 1° Iligenia inAulide, 210 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*) N.° XXXVI. Ottobre 1826. N.°467. STORIA DELLA RIGENERAZIONE DELLA GRECIA, dal prin- cipio del 1825, fino all’aprile 1826, per servire di continuazione a quella di H. L. POUQUEVILLE, di STEFANO Ticozzi, Italia 1826. Tomo XI. — Si vende presso i Fratelli Giachetti di Prato. 468. BIBLIOTECA DEL MEDICO PRATICO , ovvero MANUALI delle diverse parti dell’ arte medica , in cui si contengono in ristretto le cognizioni pratiche, e le scoperte importanti dovute ai progressi delle scienze mediche nel XIX secolo. — Traduzione dal francese, presso i Fratelli Giachetti di Prato. — Questa Biblioteca si com - porrà dei seguenti manuali: — MANUALE di clinica medica — di clinica chirurgica — di Anatomia generale — di Anatomia descrit- tiva — di Anatomia comparata — di Terapeutica e materia me- dica — di Terapeutica chirurgica — di Ostetricia — di Medici- na legale e tossicologia — di Iginica — di Veterinaria. E pub- blicata la prima delle 3 dispense che formeranno il MANUALE DI CLINICA MEDICA, di L. MARTINET; 12.° di pag. 168, prezzo lire 6 per le tre dispense. 469. OPERE del padre PaoLo SEGNERI. Padova , 1826, pei tipi della Minerva. Vol. 1.° Quaresimale del Padre Paolo Segneri della Compagnia di Gesù. Vol. I.° di pag. 277. 470. OPERE di Pietro METASTASIO. Firenze 1826 presso G. Molini. Tomo quarto: e XXI.° della BIBLIOTECA ITALIANA POR- TATILE, prezzo paoli 9. 471. ROMANZI STORICI bI WALTER-SCOTT. Firenze 1826, tip. Cohen e c. Tomo I.° La promessa sposa di Lammermoor, o nuovi racconti del mio ostiere, raccolti e pubblicati da ledediah Cleishbo- tham, maestro di scuola , e sagrestano della parrocchia di Gander- cleugh, volgar, del prof. G. Barbieri. Tomo I, prezzo paoli 2 e mezzo pegli associati, e paoli 3 per i non associati. 472. PROTESTA contro i progetti di uno scolo generale della (*) I giudizi letterari , dati anticipatamente sulle opere annunziate nel + b DI) . d ib ORTO . d OLI 110) di L . Essi presente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori de'$ Antologia. Ls: vengono somministrati da'sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con liarticoli che si trovano sparsi nell'Antologia medesima, sia= no come estratti o analisi , siano come annunzi di opere. 2II campagna a destra del Reno , depositata negli atti della commissione del Reno; e Voro del sig. C. ASSALINI ispettor generale di acque, strade, ponti ec, , negli stati estensi a difesa della Romagna . Imola, 1826, presso Galeati e c. 4.° di pag. 45 con una carta topografica. 473. STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA di P. L. GINGUE- NÉ , traduzione del prof. D. Perotti, con nute ed illustrazioni. Edf- zione rivista sull’ originale francese. A/renze 1826, ip. Daddi Vol, terzo , prezzo paoli otto. — Si trova al Gabiveito Scientifico e lette- rario , e presso i principali librai. 474. DESCRIZIONE DEL VIAGGIO AEREO, fatto dal sig. FRAN- cesco OkLanpI, dalla piazza di S. M. Novella di Firenze sino alle Falle, con la succinta esposizione della parte più interessante della macchina aerobatica servita per tal viaggio. Firenze 1826, presso Luigi Pezzati, al prezzo di un paolo. 475. SOPRA I MODERNI FALSIFICATORI di medaglie greche anti. che nei tre etalli, nello spazio di pochi anni. Firenze 1826, Attilio Tofani, 4° di pag. go con tavole 4. 476. La MORALE APPLICATA ALLA POLITICA, del sig» DROZ, prima traduzione ital. di S. C., 8.° Firenze 1826, al Gabinetto scientifico e letterario, e presso. principali librai d’ Italia, prezzo paoli 3 e mezzo. 477. OSSERVAZIONI GEOLOGICHE, e memorie storiche di Accu- moli in Abbruzzo , di AGosTINO CAPPELLO , dott. in F. e M. Parte prima. Roma 1825, nella Stamp. del Giornale Arcadico,8.° di pag. 160. — Si vende presso l’ autore. 478. CronIcA di MATTEO VILLANI, a miglior lezione ridotta, coll’ aiuto di testi a penna. Firenze 1826, per il Magheri. Tomo VI. 8.° di pag. 240, prezzo lir. 5, e pegl’associati lir. 4 toscane. 479. BIBLIOTCA AMENA ED ISTRUTTIVA. Milano 1826, A. F. Stella e c. volumetti XXXIV, e XXXVI. Rime del Petrarca, Volu- metti VII e VIII. 480. COLLEZIONE SCELTA di cento monumenti sepolcrali nel co- mune cimitero di Bologna. — Bologna 1826 presso Mutale Salvar- di, fascicolo II — Contiene li seguenti monumenti. — Tavola VI. Bonfioli Alfonso n. Malvezzi. — VII. Pepoli Odoardo. — VIII. Amoretti Girolamo n. Bolognessi. — IX. Tatini Sebastiano. — X. Brunetti Carolina n. Caselli. — prezzo scudi 1. 20 romani, ossia franchi 6. 45. 481. BIBLIOTECA AGRARIA diretta dal sig. MORETTI. Milano 1826 A. F. Stella tom. Ie I{. — Elementi di agricoltara teorico pratica, compilati dal sig. dott. Moretti e Carlo Chiolio; vol. I e II. 482. DELLA VITA DI CARLO GOLDONI e della sua Commedia, 212 lezioni quattro di DomENICO GAVI. Milano 1826, A F. Stella e f. 8.° p. 208, prez. lir. 2. 5o ital. 483. FILOSOFIA DELLA STATISTICA esposta da MELCHIOR GIOIA. Milano 1825 presso G. Pirotta. — Tomo primo, 4.° di p. 308. 454. COLLEZIONE PORTATILE DI CLASSICI ITALIANI. Firenze 1826 P. Borghi e C. volumi XIV e XV. Tragedie di VITTORIO ALFIERI. Vol..IV, e V. Autori delle collezioni già pubblicate. Metastasio - drammi — 10 volumi. — Alfieri, tragedie 4 volumi. Sotto è torchi: Monti , tragedie vol. unico — Maffei , la Merope, e Tasso, l’ Aminta; vol. unico. ERRATA IMPORTANTE Pel fascicolo precedente , Settembre N.° 69. Pag: 163. lin. 18. s’intorbidò coll’ acido solforico , leggasi col nitrato di barite , 166. 1, esaltezza quasi assoluta , leggasi esattezza assoluta, OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare picdi 205. OTTOBRE 1826. 1} {h i N | ti î ce) Termo. & E [rp} N ga s © | Ora 5 5 DI i se. , Stato del cielo 3. CARO AC (LR AI E E a ò ono io | 7 mat. |28. 0,3 |17,4 |15,9 | 70 Gr. Leslser. con neb. Ventic. \1| mezzog. |28. 0,9 |17,6 [17,7 | 76 ‘Tr. Gr.!Ser. nuv. Ven, for. rt sera |28. 1,3 |17,6 |14,2] 75 Pon. [Sereno Ventic.|É 7 mat. [28. 1,4 [17,1 {14,2 | 75 [Sc. Le. |Ser. calig. Ven. for.|j 2| mezzog. |28. 1,5 |17,0 {12,1 | 54 Gr.Le .| Sereno ‘—Ventic.jj 11 sera |28. 0,6 [16,9 [15,9 | 69 Lib. Nuvolo Calma |i Ro 7 mat. |27. 10,6. {16,9 [15,3 nr 0,05 Scir. |Nuvolo Ven, for-|j 3| mezzog. |27. 10,9 [16,9 | 14,3] 86 | o,ro Gr. Le.|Nuvolo Ven. for.'} ri sera [27. 10,9 [16,4 112,1 | 96 | 0,62 Gr. Le.|Sereno Vento 7 mat. [27. 10,4 |1537 12,4 | 97 | o,11|Ostro [Pioggia Calma |l 4| mezzog. |27. 10,2 {15,6 |12,5 | 89 | 0,26 Gr. Le.|Nuvolo Vento ti sera |27. 9,8 |t5,1 |12,3 | 97 | 0,03|Grec. |Nuv. sereno Calma 7 mat. |27. 10,1 |14,8 |{11,6| 94 Ostro Ser. con neb. —Ventic 5| mezzog. |27. 10,2 [15,3 |14,2 | 79 | 0,16 Tr. Ma.|Nuvolo Ventic ri sera |27. 9,3 |14,6 |t1,8 | 99 | 0,31|Tram. |Pioggia Ventic |j 7 mat. j27. 7,5 [14,2 [11,5 | 93 | 0,28[Lib. [Piovoso Ventie || 6| mezzog. |27. 8,0 [14,1 |t1,9 | 97 | 0,13|Pon. |Pioggia Ve ntic [fl _|_1t sera |27. 9,0 13,8 |11,0 | go | o,15[Gr. Le.|Nuvolo Calma |f Ì | 7 mat. |27. 10,4 {13,3 {rr,xr | 89 Gr. Le.[Nuvolo =——— Vento \ g| mezzog. |27. 96 [13,3 | 8,9 | Lev. |Nuvoloso Vento Ir sera |27. 11,9 ‘13,3 !13,0 | 80 | Tram. |Nuvolo Vento > RZISAAR TA id E Termo i Hi > 1a 3 peo io 2 Ora 5 5: | Gi SF 3. Stato del cielo | = © ® (2) ® 3 Dr] 3 ni 5 5 5 Pi © | Ò ° o Ul co o Ù Ù I | | 7 mat. |27. 11,5 [13,3 {12,0 72 ti Nuvolo Vento ij Si mezzog.|27. 11,2 |13,3 {14,1 | 68 Gr. Tr.|Nuv. nebb. ven, fort ti QUAET, n 11,7 |13,3 |13,0 | 99 | 0,33 Tram. |Pioggia Vento | È 7 7 mat. ar. 9,8 [13,5 [13,0 89 o,1a| Tram. |Nuv. ser. Ventic : Q| mezzog. fn 10,0 |14,0 |15,6 | 71 Gr. Tr.|Ser. con nuv. Ven. for] i rr sera Ing, 10,3 114,4 |13,7} 83 Grec. |Nuv. ser. Ventici dI |7 mat. ia x0,3 |14,2 12,0, 93 Ostro !Ser. nuv. Ventic jiro, mezzog.|27. 10,4 {14,3 15,4] 79 Tram. |Ser. nuv. Ventic | cul ri sera ar. 110. 114,6 [11,3 | 95 [|{o,68|Gr.Le. Piasati Ventie Hi .|7mat. [27 11,9 (13, 3 [12,0 | 81 Grec. Ser. nuv, Vento È II| mezzog.|28. 0,5 (14,2 |14,9| 72 Gr. Tr.|Ser. nuv. Vento ri sera |28. 1,7 [14,2 [13,6] g5 Gr. Tr.|Ser. neb. Ventici 7mat. |28. 1,8 [14,0 [12,4] 77 |Ostro |Sereno Calma :112| mezzog.|28. 1,9 {14,3 |15,3| 62 Tram. {Ser. neb. Ven. fort | ri sera |28. 2,5 19, 1_ 14;9 | 72 [ram |Sereno Vento 7. mat. 28. 2,6 114,8. 14,0 70 wii Tr.|Sereno Ventic LEA mezzog. [23. 2,5 {15,1 |17,2| 60 ‘Tram. Sereno . Ven. for i | rr sera |28. 24 15,7 |14,5 | 67 Gr. Tr.jSereno Ventic | i | 7 mat. ad 2,3 |15,3 |10,0 | go |Gr. Le.|Ser. con nebbie Ventic pi mezzog.!28. 2,1 |r5,4 |17,t | 66 (Gr. Le.!Ser. con nuv. V entic : | 11 sera 128. 2,0 |16,8 |15,5 71 .|Coperto Calma | sr 7 mat. (28. 10; {Eroi 72 Vs Le.{Nuv. rotto Vento, 15 mezzog. 28. 1,8 [15,8 |16,5 74 ‘Grec. Nuvolo / Vento. i! rr sera |28: 1,7 115,5 5 |13,5 95 | o,10 Grec. |Ser.con nu.all’oriz. Calm ti | 7 mat. [28. 1,6 [15,313 13,5] gi gi Gr. Le.|Ser. con nuv. —Ventic 516 mezzog. 28. 19 Haei 115,8 | 91 | 0,05) Tram. |Nuvolo rotto Ventic ti 11 sera (28. 2,2 (15,5. 114,5 96 Po. Lib|Coperta Calma | hl | 7 mat. |28. 2,2 si, 3. ma 5 - 0,01 (Gr. Le.|Nuvolo Calma 17 mezzog.|28. 2, 53 115,5 [16,8 |. 73 Ostro .!Nuvolo Ventic ri sera |28. 2,7 ‘15,7 13,7]. 02 iGr.Le. Ser. con nebb. Ventici ì 7 inat. |28. 2.6 [15,3 [12;1| 94 Scir. .[Ser. couù neb. Ventie | 18| mezzog. 23. 42,9 {15,3 |15,9 | 82 Gr. Le.|Sereno Calma II sera 128. 2, 6 16,0 13,9. | gr Gr. Le.|Velato Ventie 7 mat. (28. 24 115,6 | ‘(12,8 | | 90 seen [1 Nuvolo Venticdi] [9 mezzog. 28. 4 115,8! 116,8 | 73 'Gr, Le; Ser. calig. Calma fl fi. pinrsera. 28....2,3..16,2 FIL 93 Sc. Le. Sereno Ventic { | i lo ai s S| __® i Lava) |e| Ora 3 Er È 3 |Si|E8 Stato del cielo È SOSIO le S| | ACRI J do nai I 7 mat. |28. 2,3 {15,8 |11,9| 95 [0stro Ser. con neb. —Ventic. 20] mezzog. |28. 2,2 [16,0 |16,8 | 83 Gr. Le.| Se. connu.all’oriz. Calma 11 sera |28. 2,5 [16,5 |13,7 | 94 Ostro | Ser. con neb. Ventic. sn 7 mat. |28. 2,7 {16,2 13,0 93 Gr. Le'| Ser. con nebb. Ventic.!? 21] mezzog. |28. 3,1 {16,6 |16,3| 69 Grec. |Sereno Calma i | rrsera [28. 3,0 [16,7 |13,6| 87 Ostro |Sereno Calma ” - LI I e A EN I TN I RE fi | 7 mat. |28. 3,0 |16,2 {11,8 | 93 Sc. Le.| Ser. con neb, Vent 22| mezzog. [28 3,0 [16,2 {15,9 | 78 Ostro |Sereno Calma 4 | rr sera |28. 2,9 [16,6 [12,7 | 95 Gr. Le.|Ser.con neb.all’oriz. Ventic 7 mat. |28. 3,0 [16,2 |12,6| 98 Tr. Ma.| Nuv. nebb. Ventic. |23|mezzog. |28. 3,0 [16,2 |16,8 | 78 Ostro |Ser. nuv. Calma 4 | rt sera (28. 3,2 [16,4 |14;0| 94 Ostro | Sereno Calma | | 7 mat. (28. 3,3 |15,8 [12,2] 94 Gr. Le.| Nuv. nebb. , Ventic. 24| mezzog. |28. 3,2 |16,2 |15,7 | 83 Maes, | Nuv. rotto Ventic. | rrsera |28. 3,0 [16,4 |14,9 | 93 Ostro |Nuvolo Calma | | 7 mat 28. 2,0 |16,2 [14,0 94 |0,02 | Lev. | Pioviggine Calma |25| mezzog. |28. 1,4 [26,3 [16,9| 77 Lev. |Nuvolo Ventie. | 11 sera ‘27. 11,6 |16,1 |14,0 | 93 [0,36 |Ostro | Pioggia Calma! i | 7 mat. |27. 10,2 |158 :13,0 | 92 [0,02 |Ostro | Nuvolo Calma 26|mezzog. |27. 94 15,8 [15,0 | 86 (0,01 |Gr. Le. Nuv, ser. Ventic, _| 11 sera |27. 27- 7,8 15,1 !12,0| 95 {0,33 |Gr Le.| Nuvolo Calma |; || 7 mat. [27. 27. 5,5 144 |t1,0 | 90 |0,34 | Scir.. Nuvolo Veli |27\mezzog. |27. 7,0 |r3,8 [15,0 | 92 Tram. | Sereno Vento fi ci sera |27. 8,2 [13,9 [13,5] 78 lo,ot |Gr. Tr.] Ser.con nebb. Ven. for. {| 7 mat. |27. 10,0 [13,3 |12,2 | 79 Gr. Tr.| Ser. con nebb. Vento [28 mezzog. |27. 10,7 |13;7 |t5,1| 73 Gr. Tr.{Ser. nuv. Ven fort. 8 11 sera |28. 0,7 {14,0 [12,7 | 78 Tram. |Ser. nebb. Vento k7 matt. |28. 0,9 13,8 12,2 75 Tram. |Ser. con nebb. Ven. for. P, mezzog. |28. 0,7 |13,7 |15,0,] 49 Tram. | Sereno Ven.for.! | 1t sera |28. 0,6 14,0 |12,0 | 66 Gr. Tr.| Sereno Vento | 7 matt. |27. 11,9 ]13,3 | 9,4| 83 Sc. Le.|Sereno Ventic. vo] mezzog. |27. 11,4 {13,7 |12,0 | 77 . Pon. |Ser. bellissimo —Ventic. SÙ prsera |27. 11,5 |13,9 [10,5 | QI Gr..Le. Sereno Ventic | MW7 matt. {28. 0,3 |13,2 { m,1|fgr |. Lev. © Ser. ragn. — — Ventio 3I mezzog. |28. 0;9 {13,1 |ir,g| 58. Gr. Tr.|Ser. neb. i Ventic.* 11 sera |28. 0,3 [13,3 [10,9 | 80 IGrec, |Sereno Ventic.|{" CISA TESORI È RCN TINZANNGINELE CHA i la n TI x ME STI nos 1 Òi pat ny det TINO, 3 1. ad "Bhegs rando pe Mera UA ; È nile PRTCNIORE O TA MO | METTE EOLO) È i ppt Green “ i sen fari ni «Str “ Moaapa. 101 dh at 1) i ITVA tIRO È AIR da at! (ata < ri tnit | ‘onto | si toa 109 ssd. Pai xpRi s î drei vo ian ‘ox TINO Îe Sris pe 3 i rai 4 vai La Di | VAR ap! ad amaot 24% A Mico a, | ciel Oi pr pia LI rigimeiiim der tei noi è è ima fi darte «au perg: Dal MEO) % laid DLL LONDA MITRA soit i A dI sia | "04 don! Parto >. wai i ; 13 Mea 3 abagtncieila vierie ie! di ay Se1 sioieni 10 SIRIA at ta MN.) EE gi gini) d'a x) SRI ira i "A va ij ISU Ka NI Liu inline» i Ru; Meter P Y 3 ast te ne PRO PISTE na sp re 107 £ itidiai | x ; Oi DVIO. 1,060) ECLta Î ue «de O T6% eg Ka co' big, ot x N U x PEA ar TO SANT d II od DUE dub Spera 46 a her ali 1 è fa 1. | Lr e LAU > A e vi: Ria di! | Rob Micia MOTRMCA È celti Ata 034 vt. psroiione vi dl È NOE ang aa ora don gi Lapp ani g LP AbA peo 16 NI; Vr cu ge. | Len TI. VETRI desti. di. lg » P, o del Y TUTeae Pià x i : i hi Reit A dea «0° +9 #4 orme # i Tei: medina cp cron iii af Po £ i 14 2051 Pa AI E Di Lee rota ag ) 'r DELI: Ma) x "% (* % DI nd 7. VASARI ù » ni Ù PA cea i È | i 5 d ANTOLOGIA « si SE ogii mete per ‘fasciolo non minere di. 10. fogli: e fascicoli compungono un volume ed ‘ogni. volume , è sotomipaguato, dh: un stai delle materie. . |} Ri Le associazioni si i prendono met; ‘dat Direttore Editore G. FP. Zieusseux." si î per. tutto il regnò. dalla Spedizione’ delle Gazzette. I “—‘ Lombardo Veneto $ presso #1. ‘e. R: Direz. delle Poste. > per totti li Stati Sardi, , alle respettive Direzioni ‘delle Spedizi delle % Sa Cazzette presso ta R. Direz. delle Poste. ER presso Gemi Vincenzi e C.0 libr. i ‘|. presso. ‘il sig. Derviè direttore delle Poste. Rom pet ‘tatto. lo stato Pontificio y presso il sig. Pietro Capobianchi”, impieg. GESSA z4; i Aa gen. delle Poste br - presso! il sig E, Guia, via Toledo N.* y. ; ) E presso la Direzione delle Gazzette. presso J. J. Paschoud, 680 Barrois l'ainé lib. Rue de Seihe N. 10. pre i presso C..F. Molini N. 41 Paternoster Row ‘Jr PHEZZO d'ASSOCIAZIONE da pagarsi anticipatamente. a Toscana, td 36 toscatie dea ge?” n; franco di porto per la ‘posta pi: ), ] tutto” il Regno vs DISSE: : franca th ei 7 vi a Cane | va RAP SII porto fino rdo ?) 1 ci de Da 00 2° per la posta ‘ franco alle frontiere per;la posta franco di porto per la ‘posta a CA di li Napoli t la Sicilia, posto gi * compreso il porto Piler no ia mo ieta 3% i sino a Palermo | k daiere ’ _ franchi ‘ag | ‘ franco Torine va gr o Milano do. 3 Pa £ I) trave 5a. HOA fo «3046, franco Parigi + CR AAA 3 ° (per la posta A; te separate CBA $ Vi °. peer trovano \più “daniele; era Sollezione completà di Filiegie. a meno di: L. ‘190. = É 3, fi 1@ À de gli anni a 25, ho sé 17 | OTTODRE,. 1836. I TASTI alla ee siria Citati 15.di ‘Com Losi arl. IL IA % F. yi ‘pag. ‘’’La lettera CXIV di Seneca a Lucilio; tradotta da rici Giordani) 5A il Dell'ordinamento delle Scienza della CRE publica Lett, IV. al profi Valeri}; if del IE {prof Romagnosi) # 1 Primo elemento della forza E di Gia; De Wela. CA Repetti.) d | La Grecia descritta-da Pausania, volgarizzata da Seb. Giampiù (£ X. F) Ya Ù nio LETTERARIA. rist operette scelté, p. 98. — Zendrini notizie intor=. a | ‘no al Cesarotti, p. 104 — Schizzi le tre giornate; P 106: — “Monumenti # |. sepolerali del.cimitero di Bologna, p..110, — Labus d’ub ‘epigrafeftrovata .morale applicata alla politica trad, da $. Cip. 116 Tommaseo la storia \ li ide quindici canti del: Grossi predetta.i in'‘alcune novelle avtiche, P 118» es di I Diune Grisostomo-il. cacciatore d’ Eubea trad, dal N.**, p. 120. —' Sene. RR ca alcune epistole volgarizzate, p. 120. — Tre novelle inedite, p. 20, cn” È Tommasco discorso. intorno alla mitologia, pi122:— Manuzzi alcane. "A i na iscrizioni, p. 124- — Zantier viaggi d’ Antenore trad. dal L. di P. 126, - nti Chersadella vita e degli scritti di Didaco Pirro, p..129. — Tassoni la Al rosecchia rapita, -p; 131. — D' ‘Agincouri storia dell’arte trad. e. illus.- ‘dal Ticozzi , p: 132. Petrarca rime secondo la lezione del Marsand, pi (134: di = Petrarca rime. colla‘interpretazione del: Leopardi, p. 134: — Gar-. È -gallo traduzione d'Orzzi0; pi 136. —= Colonnetti saggio di: trad, @ Ora-° i d «gio; ps 136. — Ginguenè storia della letteratura italiana trad. dal Perotti: | A P. 138. — Brard poème sur |’ Italie, p. 139. — Biblioteca portatile .-- d'edueazione, pigri - Gollezione. di manuali di scienze, lettere é: Ieri; offici della famiglia, p id — Bianchetti vita si “Giulia Peire p.144- — Ratti dna iserizione figalew, p. 148. — Morenî glorie. delta famiglia Medici, p. 149: —Pelagonio càlla trad. del Sarchiani, pi n = Duranti, Rilli-Orsini, Borzay ghi, Mariani; Fabri, Missiroli, ‘Gagliuf- fi, Benedetti: Forestieri; Nipote, Del Borso; Di Negro, Angiolini és, an - sie varie; p; 153. — Opascoli varii intorio ai: Lombardi alla prima ciata del Grossi, pr157.— Tasoni postille scelte ‘a Dante p: 159. - Cna? tai elio | Pindemonte: prvse e poesie campetri con aggiunte, p.162. pesi MI D'ov epigrafe latina scoperta.in Fato dal Belzoni, dissertazione del D. La- Sa bus È G B. Zannoni): a {nscriptionem Specimien. pe ite o. S +} + So pra i moderni falsificatori delle medaglie. il Nuoya edizione delle opere di Seb, Cispiplo= api nt er Scoperta d’un sepolcro etrusco. sai “G. B. i | Bullettinò scientifico, Bullettino bibliografico. Tayole meteorologiche. BICI PI i Wat site 5 » aa °, Ì n, ie . ì z LI Li x; dP° RA | ANTOLOGIA ‘GIORNALE îE: DI n ongilignr È Si | renali i DI F I R ENZE. Ab ; GABINETTO SCIENTIFICO x LEPTERARIO ri VIEUSSEUX Diserrore ‘= Epiror® "TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. Anno Vin ivo LIV ni DINT n RT, AVVISO = fi Siog. Aa Cote non NERO : sas pagato il secondo semestre del pre- sente anno , si rinnova la preghiera. di farlo ‘senza ritardo. . s NET LEN | “Gal CIRO «SODA, E". } p x =" ( ETA :% N î x darci aa 30 tdi; LA LÉGISLATION ‘orvice, COMMERCIALE ET CRIMINELLE | DELA FRANCE, n OU COMMENTAIRE ET COMPLÉMENT DES CODES FRANCAIS, TIRÉS, SAVOIR: ) + AAER , de la conference avec letexte des Codes, et, entre eux, des | Procès-verbaux en partie inédits du Conseil d’État qui contiennent la dis- cussionduCope Civit; des Procès-verbaux ertiérement inédits de la discus- .. sion du Cope pe Commerce, du Cope pe Procépure, du Cope D’InstRUETION CRIMINELLE et du Cope PéwaL; des observations, également inédites , de la section de législation du Tribunat sur les projets des trois premiers Codes, et de celles des commissions du Corps Législatif sur les deux derniers ; en- ‘fin, des Exposés de motifs, Rapports et Discours faitsou prononcés ; tant . dans l’Assemblée générale du Tribunat, que devant le Corps Législatif; CompLemenT , des lois antérieures auxquelles les Codes se réfèrent; des ois postérieures qui les étendent , les modifient; des discussions dont ces lois sont le’ résultat; des Ordonnances, Décrets, Avis du Conseil, et autres Actes du pouvoir exécutif et réglémentaire destinés à en procurer | l’exécution. Le tout précédé de ProLécomenes, où l’on expose, dans une première | partie, le mode de porter la loi qui étoiten usage lors de la confection des Codes, et quels travaux préparatoires il a produits; où, dans une grotte , on trace l’Histoire générale de chaque Code. Par M. LE Baron LOCRÉ, +4 2, ncien Secrétaire général du Conseil d’Etat, Avocat à la Cour Royale de Paris, Officier . de la Légion d’Honneur, auteur de l’Esprit du Code Civil, de V'Esprit du Code de Com- | merce, de Esprit du Code de Pracédure civile , etc., etc. NÉ i Dr + 20 è 24 volumes in-8°, dont il paroitra au moins un volume tous les mois, à dater d’octobre 1826. ( Les premiers volumes sont publiés.) ——-s>@ «= __m& CL rofpectus. Lr livre que nous annoncons, et dont nous sommes les éditeurs, contient tout à la fois le Commentaire et le Complement des Codes francais. | Le commentaire est incontestablement le plus str de tous, puis quil est fait par le Législateur lui-mème : son autorité n'est donc n SR i i) ale È iae dI: i | EE di pas inférieure à celle de la loi, de laquelle il révèle l’esprit et la véritable intention. . pro Le complément n'est que l’exécution de l’ordonnance du 17 juillet. 1816, qui veut que les lois accessoires soient placées à la suite des Codes. pra Si le nom sous lequel paroît un ouvrage entièrement composé d'élémens officiels, pouvoit ajouter quelque chose à son mérite, il en est peu qui se recommanderoient plus que celui-ci à l’atten- tion publique. pel Il se compose en grande partie des propres travaux de M. le baron Locré; c'est-à-dire des discussions du Conseil d’Etat, que les devoirs de sa charge l’obligeoit de recueillir et de rédiger. La _ révision qu'ont faite de leurs opinions les membres qui ont parlé,. garantit la fidélité de ces actes. Les arrétés du Conseil, lequel pendant le cours de la discussion s'est plus d’une fois reposé sur. eux du soin d'empécher qu'on ne saisît mal le sens de la loi, et les arrétés du Gouvernement leur ont imprimé le cachet de l’au- thenticite. Beaucoup de monumens de la jurisprudence attesteroient, au besoin, leur autorité officielle. Mais il suffira de rappeler le célèbre arrét rendu le 1° février 1819 par la première Cour du royaume, par la Cour de Cassation , sur l’une des plus importantes questions que le régime dotal puisse faire naître. On y dit: Atfendu quitL RESULTE DES PROcES-vERBAUX Du Cope Civit que les auteurs de ce Code ont voulu maintenir le régime dotal tel qui! existoit dans les pays de droit écrit, sauf les modifications qu'ils ont formellement exprimées , et qu'ils n’ont nullement dérogé à la prohibition qui étoit faite à la femme mariée sous le régime dotal, d’aliéner, par des obligations ou autrement , sa dot mobilière ;.... et cette considération est devenue le motif déterminant de l’arrèt. Le public verra sans doute avec plaisir paroître au grand jour ces procès-verbaux du Conseil d’Etat qu'il a tant d'intérét à con- noître. Ceux du Code Civil n’ont été publiés qu'en partie, et la partie qui manque n'est assurément pas la moins intéressante sous plus d’un rapport. Ceux des autres Codes sont entièrement inédits. Et quand, aux lumières que donnent les procès-verbaux du Con- seil, viendront se réunir celles qui jaillissent des autres travaux préparatoires , il ne sera plus possible de se tromper sur l’esprit de la loi. Voilà les élémens du commentaire : reste à dire de quelle manière ils sont employés. Rien n'est morcelé, tout est entier; et néanmoins, par un procédé très ingénieux, M. Locré place dans la main de son lee- teur un fil qui lui sert à se retrouver dans ce vaste dédale. È roi im (3) | Ce procédé consiste dans deux opérations: .‘L’auteur, disciple et grand admirateur de Domat, fait, è sori exemple, précéder les divers travaux préparatoires, de sommaires analytiques qui en contiennent la substance et en font saisir le plan lorsqu’on veut les lire de suite, et retrouver facilement les détails lorsqu'on ne veut les interroger que sur quelque point particulier. A chaque article, ou plutòt à chaque disposition d’un article, sont attachées des notes, également analytiques et rai- sonnées, où l’on fait ressortir les doutes et les questions qui nais- sent de la disposition, les explications et les développemens dont la disposition peut avoir besoin, et qui renvoient par des chiffres correspondans à ceux du sommaire, précisément aux passages où es solutions et les éclaircissemens se trouvent. A ce moyen, M. Locré concilie deux avantages qui, au premier aspect, semblent s'exclure mutuellement:d’un còté, il conserve le drame des dis- cussions, drame des plus intéressans, méme pour l'homme du monde, et il laisse également subsister dans leur entier les exposés de motifs, les rapports , les discours, dont plusieurs sont des modèles de raisonnement, de méthode, d’éloquence , ce qui facilite les études suivies; d’autre part, il dispense de lon- gues et laborieuses recherches les personnes qui n’ont besoin de connoître que l’esprit et la portée d’une seule disposition : sous ce second rapport, son livre devient un commode répertoire. Des notices historiques d’un grand intérét sont placées à la tète de chacune des lois dont la réunion forme chaque Code. A l’égard du complement, il est formé par l’addition et la con- lois postérieures ou des actes législatifs qui étendent, déve- i ference des lois antérieures auxquelles il se réfère; par celles des — er PCN TIE loppent, interprètent, modifient ou abrogent quelqu’une de leurs dispositions, et qui, par cette raison, en sont les unes et les autres des parties intégrantes ; enfin, par le rapprochement des ordon- nances, des décrets et desautres actes du Gouvernement destinés à fixer l’exécution des articles qui nécessitent des réglemens. M. Loeré se trouvoit naturellement appelé à ce dernier travail. Il avoit, en 1816, préparé, par les ordres et sous la direction de Monseigneur le Chancelier de France, les nouvelles éditions des Codes que prescrivoit l’ordonnance du 17 juillet, et à la suite desquelles la mème ordonnance vouloit qu'on réunît les lois accessoires. Il eùt été également chargé de préparer cette addition aux Codes, si les circonstances avoient permis de s'’en occuper. Mais ce n'est pas en compilateur qu'il l’exécute aujourd’hui ; ce n'est pas une simple collection qu'il offre au public : il com- mente , il explique les lois additionnelles par les discussions dont d3. (4) elles sont le produit ; savoir : les lois antérieures à la Charte, par celles qui ont eu lieu dans le sein des autorités, alors investies de la puissance législative ; les lois postérieures, par les discus- sions dans les deux Chambres. i Les Prolégomènes, qui précèdent l’ouvrage, en donnent en quelque sorte la clef, en rappelant la manière, qui n'est plus universellement connue , dont, sous le consulat et sous le régime impérial, on procédoit à la formation de la loi, et qu'il est abso- lument nécessaire de connoître pour étudier avec fruit les élé- mens du commentaire, pour éviter ou pour combattre l’abus qu'il est possible d’en faire. dans la pratique. Les Prolégomènes retracent ensuite l’histoire raisonnée et très piquante de chaque Code. On rencontre là des anecdotes et des détails qu'on ignore, et qui cependant sont très instructifs et très curieux. Au reste, M. Locré a lui-mème rendu compte de son ouvrage daris l’éerit par lequel il le commence, et auquelil donne le titre de: Idée de ce Livre(1). C'est de là que nous avons extraitle peu que nous venons.d’en dire. TreurTEL ET WiurTz. . (©) Nous en avons faît titer séparément un petit nombre d’exemplaires pour les per- sonnes qui voudront prendre une connoissance plus parfaite de l’ouvrage. L’ouvrage sus-mentionné formera 20 à 24 volumes in-8. de 500 à 600 pages d’impression , caractère neuf, interligné. Sa publication, déjà annoncée par un premier Prospectus, a été retardée par une maladie grave survenue à l’auteur', et qui a duré plus de huit mois : au retour de la santé , il a entièrement revu son travail, qui, aujourd’hui terminé, paroîtra sans interruption. Le premier volume de l’ouvrage a paru en octobre 1826, le second en novembre; et les volumes suivans seront publiés exactement de mois en mois; le prix de chaque volumeest fixé à 7 fr. pour MM. les Souscripteurs , et à g fr. pour les personnes qui n’auroient pas souscrit d’ici au 31 décem- bre 1826, époque invariablement fixée pour la clòture de la souscription. Le seul engagement qu'on prend en souscrivant, est de payer d’avance le dernier volume de l’ouvrage, et de retirer les autres volumes au fur et è mesure qu’ils paroîtront. On souscrit, A PARIS, Chez TaeurreL et Wirrz, libraires, rue de Bourbon, n° 17; A STRASBOURG et à LONDRES , méme Maison de commerce. On peut également s’adresser à toutes les bonnes maisons de Librairie de la France et des pays étrangers. eee ee” DE L'IMPRIMERIE DE CRAPELET; rue de Vangirard, n° 9. VV e ANTOLOGIA. N.° LXXI e LXXII. Novembre e Dicembre 1826. DELL’ ORDINAMENTO DELLA SCIENZA DELLA COSA PUBLICA. Lettere del Professore Gio. DOMENICO ROMAGNOSI a GIOVANNI VALERI Professore di Diritto Criminale nella Università di Siena. LETTERA QUINTA ED ULTIMA. A torchè divisai di volgere le mie ricerche sullo stato sociale in quanto dipende dalle umane disposizioni , e ritenendo sempre che nel rimanente sottostar debba all’impero delle circostanze ester- ne ed interne necessarie ($. 291), mi si presentarono le condizioni imposte ad uno scrittore nel moveve i primi passi in una scienza che si voleva rigorosa e dimostrativa. La prima di queste condizioni consisteva nel fissare gli argomenti capitali delle disquisizioni. Essi si riducono ai seguenti cioè : ; I. Posto che si vuole la conservazione mediante il perfeziona- mento degli umani individui, si domanda , se lo stato di sociale aggregazione sia assolutamente necessario onde ottenere la detta conservazione col perfezionamento? II. In caso affermativo, qual è per ogni membro il titolo di ragione dell’atto di aggregazione, e quali ne sono i l2r25t2 di diritto? III. Quale sarà la forma della società voluta dalla legge di fatto e di ragione della natura ? IV. In conseguenza di tutto questo, quale sarà 1’ indole e quale la competenza della ragion politica interna? 2 Ecco le quistioni fondamentali e massime che appartengono al- l’ ordine costitutivo della socialità. FONDAZIONE NECESSARIA DELL’ AGGREGAZIONE SOCIALE. Rispetto alla prima domanda fa dimostrato che lo stato sociale è di una così assoluta necessità, tanto per conservare la vita quanto per attivare l’umana ragionevolezza (6. 167, 369), che senza di lui l’umana specie sarebbe non solo di condizione peggiore delle bestie , ma essa perirebbe in molta parte, o almeno (come le storie dimostra- rono) abbandonata a tatti gli orrori della fame e della nudità, divore- rebbe gli altri suoi simili. Senza dunque perdersi in una perplessa teoria di cause finali per dimostrare che l’ uomo è nato, fatto per la società, e che la società è lo stato unico naturale dell’uomo, basta far constare essere lo stato sociale di ASSOLUTA NECESSITA' per la conser- vazione e ragionevolezza della specie umana, onde erigere l’aggrega- zione sociale in primario ed assorbente dovere indeclinabile di na- tura. Da ciò nasce un assoluto, ‘perpetuo ed irrefragabile DIRITTO DI SOCIALITA' (6. 213) ossia di vivere in società, dal quale poi discen- dono i più solidi doveri e diritti per la conservazione e per l’ ordine di questo stato ($. 249 al 256). Tolto questo principio, tutta la scienza e tutta l’ arte sociale ri- mane senza dimostrazione, senza vigore e senza sanzione. (6. 252 al 256). ‘Tutti i diritti publici e privati, tutte le obbligazioni civili , civiche e di stato mancano di solido fondamento. Senza di questo principio non si potrebbe nemmeno in fatto spiegare come le umane società si conservino in onta dei flagelli descritti dalla storia ($. 151). Per lo contrario, assicurato il dogma fondamentale di questa necessità, si comunica a tutte le condizioni costituenti lo stato sociale ed a tutti i mezzi necessarii alla di lui vita un carattere così pieno e così irre- fragabile di diritto, che ogni dettame vien consacrato col titolo mede- simo della instituzione di questo stato ($. 370). Io non saprei mai raccomandare abbastanza il concatenamento di queste idee, perocchè senza di lui ogni nostra teoria manca di guida , di ‘nesso necessario e di sanzione. Dall’ altra parte poi, fermato a dovere questo primo punto, si esclude così ogni atto arbitrario ed erroneo, che tolta la ne- cessità di soddisfare all'oggetto della sociale fondazione, ogni sacrifi- cio imposto alla padronanza originaria dell’uomo, non solo diviene senza titolo, ma riesce positivamente criminoso, Che cosa dunque rimane? Fuorchè tessere la teoria dei mezzi necessarii a soddisfare allo scopo della sociale colleganza in modo che si escluda l’erroneo e l’arbitrario. In questo magistero appunto \ 3 consiste l’arte di associare la politica colla giustizia, ed il diritto co- mune coll’ utilità individuale ($ 367, 368, 376)). Per la qual cosa anche qui voi vedete che l’opera del'a pace dell’ equità della salute e della sicurezza delle genti risulta soltanto dalla ferma dimostrazio> ne della necessità dei mezzi di cui parliamo. Io ho credato conveniente di accennarvi non solo come dimo- strar si doveva la legge necessaria dell’ associazione , ma eziandio la successiva ed ulteriore sua influenza su tutta la dottrina, perocchè negli scritti dei publicisti non troviamo quell’impero, quel vigore e quella coerenza che attribuire si dovea a questo principio. Non basta annunziare in astratto il principio della sociabdilità: non ba- sta disegnare i rapporti di una spirituale convenienza , ma fa d’uopo eziandio dimostrare che esistono i tali assoluti ed urgenti bisogni, e quindi occorrono i tali poteri, i tali motori, le tali forze e le tali opere, volute così da una imperiosa necessità, che l’uomo senza di loro sarebbe vittima della più orrenda degradazione, e sarebbe posto fuori della sua sfera. Ecco come io intendo che dar si doveva vigore e coerenza alle leggi di diritto dell’ associazione. Un grande e ‘sommo interesse, anzi tutta la sanzione che avvalora la giustizia, risalta dalla dimostrazione di questo principio e dalla sua conseguente e dimo- strata applicazione. A che giova assumere la linea specolativa del- l’eguaglianza se alla di lei violazione nonsi dimostra annessa la san- zione dell’ interesse ? Ora questo interesse da che risulta se non che dall’ assorbente e massima necessità personale della sociale convi- venza ? Può forse esistere dovere morale senza interesse e senza le sanzioni del bene e del male annessi o all’ osservanza o alla trasgres- sione ? ($. 77). Se noi non comunichiamo alle teorie di diritto tutta la forza delle teorie di meccanica e di dinamica, per cui si vegga o di dover ubbidire all’ interesse comune o di naufragare , si potranno mai contenere le passioni e gli arbitrii? Predicare la giustizia e la virtù senza far giocare l’ interessante è forse cosa che possa avere un esito felice od almeno durabile ? Consultate tutta la storia nota del genere umano e rispondete. In vista di questi motivi io mi sono occupato nelle analisi che voi vedete nell’opera mia ($. 208, 213, 216, 370). TITOLO DI RAGIONE DELLA SOCIALE COLLEGANZA. Io domandai in'secondo luogo (nel caso della dimostrata neces- sità della sociale aggregazione) quale sia per ogni membro il TITOLO DI RAGIONE di questo atto, e quali ne siano i LIMITI DI DIRITTO. To avrei lasciato di promuovere questa quistione se gli scritti che ab- 4 biamo dei publicisti non mi avessero obbligato ad occuparmene. Rammentate di grazia le quattro scuole di cai vi ho parlato nella ‘prima lettera ; richiamate pure le volgari idee di contratto di rinun- . cie di depositi di diritto ed altre simili, e voi vi convincerete della ne- cessità di occuparmi della proposta questione. Essa come ben vedete ha due parti. Nella prima si tratta del i- tolo di ragione,e nella seconda dei limiti di diritto. Parlando in pri- ma del titolo, e seguendo le analogie delle aggregazioni che si fanno nella vita civile, parve a molti che il titolo dell’aggregazione sociale sia convenzionale. Ma io domando se quando io prendo cibo per non morire, 0 miricovero in un’ abitazione per ripararmi dalle ingiurie delle stagioni , io pratichi un atto convenzionale o non piuttosto un dovere necessario di natura verso me stesso ? Tale è appunto l' atto di sociale aggregazione. Nel concetto comune l’ atto convenzionale involge il supposto di una cosa che si può fare od accordare o non accordare a piacere. Forse che quest'idea riscontrare si può nel- l’atto di sociale aggregazione ? Altro è che a voi sia libero di unirvi piuttosto con un dato uomo o con'una data compagnia che con un altro uomo ed un’altra corapagnia , ed altro è che possiate far senza di qualunque compagnia e non volere l’ atto di associazione. Altro è poi che voi fisicamente possiate rifiutare quest’ atto , ed altro è che possiate rifiatarlo senza violare un dovere necessario di natura. Un suicida può fisicamente privarsi di vita ; ma che perciò? Il titolo a vivere è forse titolo convenzionale? Sapete voi il convenzionale dove sta ? Nella scelta della compagnia e nella facoltà di abbandonarla per entrare in un’ altra più conforme alla ragione ed ai giusti no- stri interessi. /bi patria ubi bonum, Siamo una volta coerenti a noi stessi. Dimostrata la necessità assorbente della sociale aggregazione, risulta per i termini stessi della cosa essere questo non affare con- venzionale ma esecuzione di un dovere assoluto o necessario di na- tura , e quindi un diritto inviolabile attribuito dalla medesima. Questo modo semplice, unico e convincente di vedere e di va- lutare l’ atto di sociale aggregazione , bastava a troncare dalla radice tutte le penose e raggirate dottrine sul titolo di diritto di quest’ at- to. Egli è perciò che io mi sono studiato di presentarlo sotto di questo aspetto , e di rilevare quanto chimeriche siano le rinuncie ad una primitiva naturale indipendenza, che realmente non era che as- soluta impotenza ($. 213, 370); e quanto contradittoria fosse la pretesa di voler far valere per l’ atto costituente la società una pro- messa arbitraria, Questa pretesa involge una viziosa petizion di principio, stantechè l’ obbligazione a mantenere le promesse non può derivare se non dopo la società, formata e supposta la necessità 5 di coriservare l’ ordine della socialità ($. 214, 252 , al 257). Havvi ancor di più. Allorchè il titolo della sociale convivenza non venga presentato come di diritto necessario, egli è impossibile di dare soli- dità ai diritti veramente publici , specialmente coattivi e penali, Con un titolo convenzionale ed arbitrario è impossibile santificare le pe- ne e la coazione. O convien dunque spogliare le leggi della loro au- torità di ragione, o conviene appoggiarsì al principio da me usato. E qui io vi prego a porre attenzione alla concatenata deduzione di cui mi occupai ($. 249 al 252, 369, 370). - LIMITI DI DIRITTO DELLA SOCIALE COLLEGANZA. Fu detto che il secondo oggetto della proposta quistione riguar- da i limiti di diritto dell’atto di aggregazione. Qui sotto la locu- zione di limiti di diritto si vogliono esprimere le rispettive compe- tenze di ogni socio rispetto all’altro e di ognuno rispetto a tutto il corpo, e viceversa. Voi non ignorate quanto siasi fatta valere l’ idea di rinuncia ad una parte della padronanza originaria individuale, senza peraltro specificarla e limitarla. Anzi voi sapete che ROUSSEAU ri- dusse la cosa ad uno spoglio intiero di tutto il fatto proprio nel ma- gazzino comune, per essere poi distribuito di nuovo dall’autorità pu- blica ai membri congregati, Ciò stante; voi vedete quanto importante fosse la quistione dei limiti di diritto dell’atto di aggregazione. Io posi cura nell’esaminare questa quistione, e trovai che le suddette ri- nuncie, cessioni, spogli e successiva distribuzione erano del tutto im- maginarie, incoerenti ed assurde, ammessa la necessità dello stato so- ciale suddetto ($. 213 al 215, 370; 371). Per lo contrario poi si dimo- stra in una maniera visibile che non solamente non accade nell’atto di aggregazione veruna rinuncia, veruna cessione, e molto meno ab- dicazione di diritti, ma all’opposto viene operata una vera am:plia- zione di poteri ($. 291), e che veramente in società e per la sola società l’ uomo acquista quell’utile indipendenza che acquistar può in faccia della natura, onde procacciare la propria conservazione e perfezione ($. 173,213, 216, 291, 370). FORMA DELLA COLLEGANZA. Ho domandato in terzo luogo quale sia la forma della società volata dalla legge di fatto e di ragione della natura, Questione massima e sopra modo importante è questa , perchè qui risiede tutto il nerbo della potenza ; della bontà e del lume del mondo delle nazioni. Qui appunto s’incomincia a render visibile e 6 dimostrabile per gua/ mezzo la sociale colleganza possa racchiudere la somma ed il valore dei diritti umani, Qui si vede in qual modo sia un mezzo di POTENZA utile per tutti. Qui si vede d'onde sorga la SANZIONE massima dei beni e dei mali della vita terrestre. Io ho ten- tato quindi di dimostrare che questa società dev’ essere atteggiata giusta il fine per cui fa fatta, altrimenti non si verifica lo stato con- sacrato dalla necessità e dal diritto. Non ogni società dunque si è quella che viene invocata dalla natura e dalla ragione, ma ‘ quella sola in cui esista cospirazione di forze mediante la cospirazione degli in- teressi, e quindi utilità mediante l’equità (6. 151. 216. 217) ,» Qui spunta l’ORDINAMENTO FONDAMENTALE della società , del quale vi ho parlato nella seconda lettera. Qui non si può consacrare una par- te senza provvedere all’altra (5. 369). Ma da questa cospirazione di forze mediante quella degli interessi risulta che la società di conser- vazione e di perfezionamento non è società di comunione e di azienza; ma solamente società di necessario AIUTO e di libero commercio. Per la qual cosa mai l’uomo servir deve all’uomo ma alla necessità della natura ed al proprio meglio come comporta la scambievole egua- glisnza (6. 229. 230). Ogni uomo per lo contrario è signore indipen- dente e puramente confederato, (6. 268.) talchè accadendo il casus faederis si presta al soccorso necessario dove e quando fa bisogno e dentro i limiti del bisogno ($. 24t al 246, 288 al 295). Convien guardarsi dal considerare la forma del mondo delle nazioni come quella del mondo fisico , e però non dobbiamo pensare che tutto quello che fu necessario un tempo o che formava il casus faederis lo possa formare in un altro. Queste forme e questi casi riescono ne- cessariamente vari , e in generale meno gravosi nell’ incivilimento ($. 169 al 175). Da ciò ne viene che il tenore effettivo e pratico della forma concreta della società, e quindi dei diritti e doveri relativi, varia necessariamente coi luoghi e coi tempi ($. 173 ). La linea però dei LIMITI è sempre tracciata dalla necessità concreta del soccorso da una parte e della inviolabile padronanza dail’altra; ma la sua ap- plicazione è varia e pieghevole ai luoghi e ai tempi. Spingendo l’attenzione più oltre, noi troviamo che l’atto di ag- gregazione è atto di tutti i giorni, è atto sempre nuovo, sempre re- cente in tutte le età, perchè sempre concordato dagli uomini compo- nenti l’attuale e vivente società. Puerile e ridicolo sarebbe frugare negli archivi per rintracciare la carta originaria dell’atto della so- ciale aggregazione. Vano sarebbe dissotterrare qualche atto positi- vamente celebrato dai nostri antenati. Folle e contraddittoria è l’idea che i morti possano comandare ai vivi, e assai più di quello che i vivi comandino agli altri vivi; perocchè se uomini sono i morti come uo- 7 mini sono i vivi, e se par in parem non habet imperium, ogni uomo che nasce e che porta con sè il titolo di assoluta necessità naturale della colleganza e della propria padronanza originaria, reca pure con sè stesso la carta ossia il titolo di ragione e dei limiti dell’ atto di aggregazione,e quindi le leggi organiche che danno forma alla società, INDOLE E COMPETENZA DELLA POLITICA RAGIONE. Jo domandai in quarto luogo quale sia l’indole e quale la com- petenza della ragion politica in conseguenza del titolo e dei limiti dell’atto fondamentale di associazione. Colla locuzione in conseguen- za non fo una restrizione, ma indico soltanto l'unica fonte, l’unico titolo , l’unico fondamento del politico diritto, Senza ricorrere ad un tal titolo, noi non avremmo che pura forza e violenza, A questa inchiesta fu soddisfatto in generale, per quanto una dottrina primordiale lo permetteva (6.'241 al 247; 250 al 270). Non ho dimenticato di segnare i vincoli di connessione della ragion poli- tica colle idee e coi principii antecedentemente esposti ($ 270 al 276, 365 al 369, 376). Da queste considerazioni anteriori ed indipendenti da qualunque supposizione d’un governo esistente, la ragion publica apparisce come parte della ragion sociale primitiva ed essenziale , e propriamente abbraccia le competenze tutte del ,PUBLICO ossia della comunanza, tanto per l’interno quanto per l’esterno di uno stato, e rappresenta uno scopo ed an ordine di diritti e di doveri determinati dall’atto fondamentale della colleganza. Primo mezzo onde rendere la società capace a soddisfare all’oggetto della sua fondazione. Governo. Condotta la mente allo stato veramente naturale dell’ uomo, e trovato essere questo .lo stato sociale ed uno stato sociale colle ri- spettive competenze , lo scrittore si trova obbligato a domandare: quale sia il MEZZO primo ed indispensabile per rendere costante- mente operativa la legge fondamentale della sociale agg TO 2 ‘ Qui si parla del primo mezzo da irapiegarsi dall'opera umana. A que- sta domanda oguuno risponde, che attesi i difetti insuperabili degli uomini, questo primo mezzo si è l’ institazione del governo ossia di ana direzione del poter. publico onde stabilire e mantenere l’ unità d'azione necessaria e prescritta dalla legge fondamentale della socia- le aggregazione. Questa necessità non esisterebbe con uomini illumi- nati e probi,e però dessa non è primaria come quella della collegan- za, ma pubsmente secondaria e di rimedio ($: 369 ). Quando scrissi 8 sopra di questa parte ebbi sott'occhio un paradosso, col quale taluno si sognò di dimostrare non esistere titolo naturale di ragione nei di- ritti umani onde costituire un governo, facendo valere in generale gli argomenti impiegati da talani per mostrare che il poter publico della società non può infliggere la pena di morte. Il sofisma consisteva nell'asserire che nessuno potendo dare ciò che non ha e niuno aven- do impero sul suo simile, non si poteva in vista delle facoltà origina- rie degli uomini stabilire un potere costringente i membri della so- ciale congregazione. Voi vedete che quest’argomentazione poggiando sul supposto delle rinuncie e delle cessioni, non poteva reggere a fronte del principio della necessità naturale del quale io faceva uso , e però con una concatenata deduzione mi pare di aver dimostrato la nullità dell'opposta argomentazione ($. 369). Stabilito il titolo di ra- gione naturale necessaria del governo, io indicai le condizioni ossia i requisiti necessarii del potere governativo, i quali si riducono all’uri- tà , al vigore ed alla stabilità politica. Questi tre caratteri debbono così esistere ed agire nello stesso senso, che mancandone o torcendo- ve qualcheduno, il governo non solo non serve più alla sua instita- zione, ma diviene pernicioso (ivi). 1 tre requisiti suddetti poi deb- bonsi assumere non in senso materiale ma in senso morale e politico (S. 369, 371, al 376). Oggetto proprio delle genti e dei governi tutti. Incivilimento. Consacrata la fondazione del governo come primo mezzo indi- spensabile onde rendere operativa la legge fondamentale dell’associa- zione, e considerandolo investito della direzione dei poteri publici dei quali si parlò poco fa e colle norme gia segnate (6.241 al 247, 256 al 276), passar si doveva a domandare quale sia l’ OGGETTO co- so Stante della società e dei governi da procacciarsi colle condi- ,» zioni della legge fondamentale della società ? ,,. Fino a qui ab- biamo parlato dell’ordine costitutivo. Ora si passa al direttivo, Su questo la prima ricerca volger si deve sull’oggetto immediato delle funzioni dello stato sociale, perocchè per lui si determina la dire- zione di queste funzioni. Domando dunque quale sia questo oggetto? A questa domanda era già preparata la risposta dalle cose antece- denti. Posto che l'oggetto finale dell’aggregazione sociale si è la con- servazione col perfezionamento degli individui da eseguirsi entro i limiti della legge fondamentale, ne segue che l’opera del governo ri- ducesi ad una grande TUTELA della padronanza originaria di ognuno e ad una grande EDUCAZIONE (g. 169, 365 ) per promovere entro le competenze del publico potere il triplice perfezionamento economi- 9 co, morale e politico, ossia l’INCIVILIMENTO cui ho largamente spie- gato ($. 371), La formula di diritto di questo mcivilimento riducesi ‘ad “ elevare gradualmente i poteri di un popolo mediante l’azione -3 competente delle leggi e della publica amministrazione fino al 3» punto di equilibrare la soddisfazione coi bisogni, rispettando e pro- ,» teggendo le prerogative della padronanza originaria, e contempe- »» randola colle esigenze dimostrate necessarie della convivenza ,; (6- 365. 371 ). Io ho accennato non solo la santità di questa formula nella sua massima, ma eziandio nel suo modo opportuno e graduale di agire ($. 371, 372, 374, 375). Le sei cause dell’incivilmento an- noverate nella lettera seconda, operanti colla legge della vita degli stati ivi espressa, stanno in questa teoria. Dal dovere di elevare gradualmente un popolo al grado di po- tenza necessaria colla sua sicurezza e prosperità, nasce il diritto alle opportune riforme ($. 169, 243), e quindi quello di obbligare ogni cittadino a prestarvisi. Delicato è quest'articolo per il m2040, ma in- dubitato quanto alla massima. Spesso un popolo grida viva la mia morte e muoia la mia vita nell'atto che invoca pace, equità e sicu- rezza e salute. Quindi la storia tutta comprova che le utili e neces- sarie riforme, si sono dovute quasi sempre eseguire colla forza. Ai buoni ed illuminati principi non fa quasi mai resa giustizia dai loro contemporanei. La posterità sola assegna il posto dovuto ad ognuno, e come revoca le lodi mal tributate, così ripara le sconoscenze ma- lamente praticate, Il diritto delle riforme prima di.giungere all’apice della civiltà, come forma una delle capitali attribuzioni del poter publico sociale, così esige una vasta teoria di diritto e di politica, fino a qui non tes- suta, e sol toccata in qualche'articolo di ragione civile. Perfezionamiento economico. Da questa vista complessa conveniva incominciare a discendere alle grandi parti. E-qui distinguendo il perfezionamento ECONOMICO, io domandai a me stesso che cosa importi prima di tutto questa spe- cie di perfezionamento? Tutto considerato vidi che se la vita caccia- trice e pastorale servì da principio a disseminare la specie umana sulla faccia della terra ($. 369 ), per lo contrario la sola vita agricola può fondare il perfezionamento economico. Ciò non mi bastò. Io sentii la necessità di erigere la vita agricola e commerciale in rigo- roso e necessario dovere naturale, lo che prima dagli scrittori non fu fatto, anzi fu fatto il contrario ($. 345, al 350). In questa operazione altro ravvisare non si deve che un’applicazione del principio della 10 necessità di conservare la società giusta il motivo della sua fondazione. Per tal modo il dovere generale massimo della vita sociale autentica con tutta la sua possanza anche la forma ulteriore di questa vita, e per tale maniera consacra lo stato ultimo delle popolazioni. To non ignora- va chealcuni nomini altronde celebri, parte inconsiderati e parte inor- riditi da tatti gli eccessi dell'avarizia, i quali specialmente in una di- sordinata società deturpanoed affliggono la vita civile, hanno riguar- date le proprietà stabili come sorgenti di tuttii mali, in vece di acca- gionarne le cattive leggi ed i poteri male ordinati, e però concedendo la necessità della vita agricola hanno negato di riconoscere un vero naturale diritto di stabile proprietà, ed invece figurarono come di ra- gion naturale la sola comunanza dei beni. Contro di queste pretese mi sono studiato di provare l'illusione e lo scambio di questo diritto di comunione primitiva ($. 308 al 316.) e quanto sia fatale all’interna ed esterna sicurezza degli stati ($. 345 al 349.), ed all’op- posto mi sono trattenuto a dimostrare che le stabili proprietà sono di ragion naturale quanto lo sono le industriali ($. 310, 338 al 345). Prescindendo da queste dimostrazioni, vano riuscirebbe il consacra- re l'introduzione della vita agricola. Senza estendere il principio della padronanza originaria all’occupazione ed al dominio. esclusivo dei beni stabili, tutte le leggi civili e tutti gli stabilimenti territoriali dei popoli divengono precarii, Senza di questo nodo la scienza delle leggi nostre apparisce come teoria [di un grande spoglio, od almeno come stabilimento tutto arbitrario fondato più dal caso che dalla natura, e più sostenuto dai potenti che raccomandato dalla necessità suprema delle cose. Senza di questo nodo l’introduzione delle priva- te stabili proprietà ed il divieto del farto non si possono dire di or- dinazione divina, perchè non si dimostrano di ordinazione naturale necessaria. Senza di questo mezzo adunque non ci potremo approfit- tare dell'opinione nè vincolare le coscienze. Stabilito questo fondamento del perfezionamento economico, col quale viene realmeote costituita la persona degli stati, si presen- tavano le seguenti quistioni cioè : I. Qual è lo scopo utile , giusto e sempre implorato dalle genti del perfezionamento economico ? II. Qual' è il principio fondamentale direttivo , il quale rispet- tando tutte le competenze publiche e private, deve presiedere a que- sto perfezionamento ? III. Qual è l'ultimo e più alto punto utile, giusto e doveroso di questo perfezionamento ? Alla prima quistione fa soddisfatto; dimostrando che lo scopo desiderabile e giusto, e quindi per necessità di natura sempre ricer- II cato si è “ il procurare col mezzo dell'impero dell’ eguaglianza di »» diritto il possesso delle cose godevoli in una quantità propor- 3» zionata ai bisogni della vita , in guisa che esse cose godevoli ven- »; gano diffuse per quanto si può equabilmente e facilmente sul 3) massimo numero degli individui sociali ($. 351 ). Circa la seconda quistione conveniva aver presente tanto la legge fondamentale di puro fatto naturale dei movimenti economici, quanto i dogmi irrefragabili della privata padronanza. [n questo conveniva associare la doppia vista delle spinte della natura nel giro degli affari economici; e le regole della giustizia nel proteggerne il movimento. Quanto alla legge naturale di fatto dei movimenti economici fu segnata la. curva che essi percorrono e le vicende naturali di questi movimenti ( g. 352, 361). Quanto poi alle regole di ragione, fu fissato il canone politico e di diritto direttivo delle operazioni della publica autorità 1g. 356 al 358) , e ne furono segnati i doveri conseguenti (g. 359). Da ciò nascono alcuni principii fonda- mentali onde tissare 1 (imzi6 del poter publico in fatto d’ industria, di commercio e di tutte le altre transazioni economiche. In vista di una grande regola anteriore a quella degli economisti e dei giurecon- ulti ($. 352 ) mi sono creduto in dovere di erigere in dogma irrefra- gabile di publico e di privato diritto la libertà commerciale, salvo all’autorità publica il potere di tutelare la parità d’ intelligenza e libertà nelle reciproche contrattazioni (. 359 al 362). Così un prin- cipio di semplice utilità, raccomandato dagli economisti e dai politici, viene couvertito in dogma di diritto e rispettivo dovere publico e privato (6.360). Così si verifica in particolare la legge fondamen- tale della sociale colleganza, la quale cesserebbe di essere vera se non si riscontrasse nel trattare gli argomenti speciali, e sopra tutto nel perfezionamento economico che occupa il primo posto nella scienza | della cosa publica ($. 350). Qui poi veggiamo la natura venire in soc- corso della ragione politica mediante l’azione e riazione con cui si altera e ristabilisce l'eguaglianza, talchè dir possiamo Dio è con noi. Un oggetto di eguale importanza si era quello delle alienazioni e dei tributi in caso di publica necessità. I canoni in questa materia sono determinati dalla più rigorosa necessità, sì per il titolo che per il modo della contribuzione. Il titolo si è un reale servigio che pre- star non si può senza una data spesa, e il modo viene determinato dai rapporti della padronanza (S$. 320,321, 322 combinati coi g$. 241 e 242, 260 al 264). Imporre il meno possibile ; ripartirlo nella più equa misura possibile; esigerlo nella maniera la meno gravosa possi- bile; erogarlo unicamente nella causa per cui fu imposto, sono tutte condizioni di dovere così assoluto, che ogni violazione loro è un vero 1 delitto, I confini del mio lavoro non mi permettevano ulteriori speci» ficazioni su di questo proposito. Col perfezionamento economico pipi nasce la divisione del personale della società nelle classi dei possidenti, degli indu- strianti , dei commercianti e dei dotti, e queste diverse forme di per- sonale sono realmente uno svilappamento del corpo sociale operato dal progressivo incivilimento, di modo che più o meno immaturo 0 più o meno barbaro si è quel popolo nel quale questi diversi rami o non esistono, o successivamente non vadano via via scomponendo e dividendo in altri rami subalterni ($. 170 , 171). Venendo alla terza quistione riguardante il più alto punto del- l’ economico perfezionamento , io osservo doversi ricercare due co- se : la prima si è 72 che debba propriamente consistere : la seconda poi: in quale maniera debba essere contemperato cogli altri ordini della ragion sociale e colle varietà necessarie dei luoghi e dei tempi. Rispetto al primo punto, vale a dire în che debba consistere , la ri- sposta è fatta dalla formola stessa dello scopo della politica economia supra ricordato. La distribuzione equa e comoda estesa sopra il massimo numero possibile da chi deve essere operata? Forse che il governo deve caricarsi della cura di distribuire il pane quotidiano dei cittadini? No certamente. Per lo contrario ognuno deve procu- rarselo per quanto può coll’opera propria, conforme anche ai termini deli’atto di aggregazione ($. 289, 290). Che cosa dunque resta ? Che l’ azione sociale del perfezionamento riducesi a procurare per quanto spettar può alle leggi la capacità estesa sopra il maggior numero ad ottenere le cose godevoli ($. 352 al 355). Questa capacità appel- lasi VALOR SOCIALE pel quale ognuno lavorando per sè stesso reca vantaggio e ricambia la sua industria con altri. “ Il valor dunque so- »» ciale diffaso sopra il maggior numero possibile di cittadini forma » il più alto panto del perfezionamento economico. ;, lo prego di por mente a questo carattere capitale del vero inci- vilimento, non solo economico, ma eziandio morale e politico. Forse che il lusso e la magnificenza di alcuni pochi o gli scrigni ridondanti d’oro di una sola classe costituiscono lo stato migliore di una nazio- ne ? Forse che nelle arche pesanti e nelle vesti sontuose de’ pochi sta la potenza ? Forse che le officine nelle quali una moltitu- dine degradata romoreggia e quà e là si move in penosi lavori e trasporti forma questo alto punto di perfezione? Non mai. Come la perfezione individuale consiste nel poter fare il proprio meglio per quanto è possibile col minimo di dispendio e di fatica, così la perfe- zione di un popolo consiste nella capacità del massimo numero a produrre questo stesso proprio bene con un lavoro non opprimente, 13 ‘valevole a soddisfare ai bisogni della vita. Senza di questa condizio- ne non si ottiene l’incivilimento, e quind' non si crea la potenza ve- ra ; solida e durevole degli stati. Non ci lasciamo illudere dallo spet- tacolo di masse pecuniarie e di manifatture ridondanti in un paese. L'unico criterio conforme non solo alla prosperità nazionale ma alla potenza degli stati, consisterà sempre nel sopradetto valor sociale diffuso sopra il maggior numero ($. 373). E qui non posso trattenermi da ‘una giusta osservazione già fatta da uno scrittore giudizioso. ‘ Sogliono gli economisti ricercar (dice egli) solamente il più gran prodotto e la più grande consuma- zione possibile, senza dimandare giammai se il prodotto derivi da an facile lavoro che mantenga fra la popolazione la sanità e l’allegria, o se per lo contrario tale prodotto sia dovuto ad un lavoro eccessivo che distrugge il ben essere e la vita. Essi invece solamente si occu- pano a considerare se la distruzione più.o meno rapida delle loro macchine animate o inanimate aumentino il prezzo della fabbrica- cazione dei prodotti. Quanto alla loro consumazione, essi non s’ in- formano niente più se i prodotti dei lavori degli uomini diffondano l'abbondanza e l'allegria sopra di tatta la popolazione, o se tali pro- dotti siano destinati a soddisfare i capricci di un piccolo numero di ricchi viventi in palagi, e che sempre sazii di godimenti dimandano invano alla varietà di svegliare i loro sensi addormentati ed i loro gu- sti logorati ,,. (1). Con questo modo usato dagli economisti si perde certamente di vista lo scopo fondamentale, dal quale viene raccomandata la sociale economia, ossia meglio la crisologia. Questa dimenticanza non acca- de allorchè si associno le vedute di diritto con quelle della ben in- tesa protezione all’industria ed al commercio. Avvi ancora qualche cosa di più forte. Credete voi che |’ au- torità publica avrebbe diritto d’imporre tasse per i poveri‘, od ac- correre nei tempi di carestia se gl’ indigenti in forza della legge fon- damentale della socialità non avessero come hanno di fatti un per- fetto diritto di essere soccorsi nei casi d’incolpabile necessità ? ($. 279 , 280, 344). Ciò posto, nel caso che essi offrano l’ opera loro utile, domando se possano essere trattati come tanti schiavi d’officina e ridotti ad un lavoro somigliante ad un graduale suicidio per. sod- disfare all’ illimitato guadagno dei loro capi ($. 348). So essere cosa imprudente il mescolarsi 1n private contrattazioni , ma so pur anche, che coll’ aspetto di. una vita che assomiglia ad un castigo si molti- (1) Tompson, ricerche sui principii della distribuzione delle ricchezze , le quali contribuiscono maggiormente al ben essere degli uomini, 11824, 14 plicano necéssariametrite gli oziosi ed i vagabondi, e quindi si aumenta la sentina di tutti idelitti. Come nelle compre e vendite havvi il con- fine dell’ enormissima lesione indotta molte volte da luttuose circo- stanze, e perchè mai essere non vi dovrebbe nei contratti nei quali si tratta delle opere personali ? Od almeno non esistere un surrogato che soddisfi ai diritti della socialità ? Venendo alla seconda ricerca, nella quale si trattava di sapere in quale maniera |’ economico perfezionamento debba essere contem- perato cogli altri ordini della ragion sociale e colle varietà necessa- rie deì luoghi e dei tempi, io per brevità debbo rimettermi a ciò che ne ho detto nei $$. 371, e 373. Un oggetto speciale richiamò la mia attenzione. Io vedeva che alla industria ed alle aspettative è cosa fa- tale e criminosa impor limiti e frappor ostacoli. Ma vedeva nello stesso tempo che dove non esiste un salutare conflitto d’interessi, ogni privato cittadino suole far prevalere le sole mire private ($. 352). Cer- cai dunque dove e quando l’autorità publica , senza violare la pa- dronanza originara privata, possa intervenire nella distribuzione delle ricchezze ($. 354). Voi vi accorgete tantosto che qui io aveva in mira le successioni ereditarie, oggetto massimo della ragioncivile e di stato, e che prendono norma dalla natura dei governi diversi. Io non potei trattare di questo oggetto, perchè mi trovava ancor ristretto ai pri- mordii della scienza, ma lo segnai solamente per tenerne conto'a luo- go opportuno. Qui in anticipazione vi farò osservare ad una particolarità alla quale gli scrittori non posero attenzione, ed alla quale io feci allu- sione nel mio libro allorchè accennai un diritto della posterità (6. 7)» Benchè la somma di tatti i diritti sì privati che publici non si possa riscontrare fuorchè nella generazione attualmente vivente, ciò nono- stante voi sapete che conviene incessantemente provvedere alla ge- nerazione che nasce in mezzo a noi, Ma questo è ancor poco; pe- rocchè ciò non ci renderebbe punto superiori agli altri animali che provveggono alla loro riproduzione. Havvi qualche cosa di più : e questo è /’ ulteriore incivilimento che porta un miglior essere dell’at- tuale e futura età, così che prima di giungere all’apice esige la gran- de tutela ed educazione politica, e quindi le successive riforme ed un azione incessante nei governi, i quali in questa parte sembrano sor- tire dall’ attuale caducità per uniformarsi all’ esistenza immortale delle umane società (169; 173). In questo punto di vista ravvisate o no il destino della posterità; ed un vero diritto e dovere dei presenti ad avvicinarsi per quanto possono a questo destino? Or ecco le ve- date sulle successioni ereditarie: ecco le discipline contro la prodiga- lità: ecco le instituzioni graduali : ecco le riforme ec. ec. 15 PERFEZIONAMENTO MORALE. La seconda parte dell’incivilimento abbraccia tutto il pefezio- namento morale. Or qui sì presenta tantosto la domanda: ). In che consista questa specie di perfezionamento? Risposta. « Nel procacciare cognizioni , nell’ avvalorare affezioni, e nel con- », trarre abitudini valevoli a produrre la migliore conservazione de- »» gli uomini insocietà e per mezzo della società ,, (S. 148, 149, 157; 165, 167 al 170). II. Con questa formola che cosa si suppone in fatto ? Che in na- tura esistano capacità e tendenze a questa specie di perfezionamen- to. Ecco ciò che dimostrar si doveva in una dottrina primordiale, e che io ho conpendiosamente eseguito , tanto rispetto alla mente (6. 170 al 175, 409 al 414) quanto rispetto al cuore ($. 389 al 397). III. In che in ultima analisi consiste il maggiore morale perfe- zionamento degli uomini e delle società , in quanto solo concerne alle competenze della cosa publica? Risposta. Se parliamo dei cit- tadini, questo punto consiste nell’essere generalmente operosi, rispet- tosi e cordiali , e nel possedere la conveniente moralità publica. Se poi parliamo dei direttori dello stato, questo grado di perfeziona- mento consiste nel possedere una politica illuminata dalla civile fi- losofia , e nell'essere costantemente spinti a far prevalere la cosa pu- blica al loro privato interesse. Quando parlo della moralità publica dei cittadini, io intendo di dinotare la cognizione ed il sentimento giuridico circa i doveri e i diritti relativi (6. 170, 171, 174, 196, 197 ; 270, 271, 274). Quanto ciò sia necessario, fa provato largamente (6. 207 , 243, 244, 279, 271,272, 283 al 287 ; 415). Se poi parliamo dei direttori dello stato , e poniamo mente al primo requisito di possedere la civile filosofia, credo di averne di- mostrata la necessità ($. 169 al 1795, 207 al 214, 283 al 287,402, 425 al 429). Se poi poniamo mente alla volontà di far prevalere la cosa publica alla loro privata, noi veggiamo ciò essere di essenza del loro stesso ufficio ($. 369). Ridotta dunque questa mira in pratica, la cosa si risolve nel far sì che certamente e stabilmente l’ ammninistra- zione publica sia affidata al merito civile ($. 369). IV. Da che può essere in ultimo compiuta ed assicurata la maggiore moralita? — Risposta. Dall’ ottima ordinazione dello stato ($. 216,217 , 37 al 400) convalidata dall’ opinione ($. 285). V. Quali sono le prime cause assegnabili del perfezionamento morale spettante alla vita civile ?— Risposta. Gli appetiti e le afte- 16 zioni natarali ($. 389 al 397). L'educazione domestica ($. 168). La necessità di difendersi dalle altrui ingiurie (6. 441): la forza della religione ($. 441, 442): la civile convivenza ($. 167 al 172, 207, 208). Ho creduto necessario di assegnare l’origine naturale dei sentimenti religiosi , dalla quale risulta derivare essi da una delle leggi fonda» mentali dello spirito umano (6. 430 al 434). Oltreciò di dimostrare in una maniera coartata l’ intervento necessario della religione nel pro- movere l’ incivilimento (S$. 441, 442). \ Nalla mi resta a riferire delle cose discorse intorno al perfezio- namento politico considerato per sè solo, perocchè ne’primordii delle società egli è compenetrato col morale. Finchè non è ordinato ed as- sodato il potere civile, vano è parlare in particolare di questa specie di perfezionamento. Ma ordinare originariamente il potere politico dipende dall’ordinare il morale, perocchè se molti occorrono per co- stituire la forza sociale, è necessario che volontariamente si accordino e stabiliscano il modo di far agire la loro forza. Un principio dun- que anteriore distinto e indipendente agisce, il quale per lunga pez- za opera più spontaneamente che colla forza. Tutta la vita sociale allora non si può dire obbligata. La storia tutta attesta questo pe- riodo. Per la qual cosa ciò che scrissi dal g. 430 fino al fine si ap- plica indistintamente tanto al perfezionamento morale quanto al politico. In tutto questo lavoro che cosa ravvisate voi? Fuorchè una teoria incominciata della potenza politica di uno stato agricola e commerciale, e propriamente un abbozzo dell’ordine fondamentale di questa potenza. Le condizioni per altro del perfezionamento mo- rale e politico risultano così dall’adempimento di quelle dell’ordi- ne economico, che quelle non si possono Parpe come eseguibili sen- za l'adempimento di queste ($. 350 ). Qual è la ragione di questa dipendenza ? L'ordine stesso fisico su cui il morale, è fondato ed at- teggiato, e sul quale il morale riagisce per quello che spetta all’uma- na potenza ($ 89, 306). Così si ritorna al punto dal quale siamo partiti. Così il principio della necessità incomincia, prosegue e compie la teoria. Così la vera potenza degli stati (che non può ri- sultare fuorchè dal triplice perfezionamento ) in ultima analisi è dimostrabile come qualunque altra teoria. Egli trae la sua prima forma dall’ ordine fisico morale dell’universo. La seconda poi dal- l’opera stessa umana mediante l’ ordine politico dell’incolumità, e quindi dalle sanzioni, senza le quali le leggi sono nulle. Voi sa- pete essere questo il ramo più importante del diritto publico. Egli si estende ad ogni ordine dell’ amministrazione dello stato, ed è in- carnato con tutte le leggi per dar loro vigore e consistenza. È im. a possibile il trattare dell’ordine, della sicurezza, senza verificare le condizioni del politico perfezionamento. Così la forza stessa delle co- se conferma quasi per riverbero i principii esposti ($. 385. al 400) Lo che chiaro si vede nella Genesi del diritto penale. L’ordine dell’in- columità si ritrova in contatto con quelli della conservazione e del per- fezionamento. Ora il diritto penale forma unramo dell’incolumità. ‘Eccovi o amico accennate le idee capitali della mia INTRODU- ZIONE ALLO STUDIO DEL DIRITTO PUBLICO UNIVERSALE. Voi riguar. dar le dovete come l’embrione di una scienza, il modello della quale stà ancor risposta nella mente mia. Se il destino non mi concedesse di fare un trattato di civile filosofia, bramo almeno che taluno più amato dal cielo possa eseguire il mio disegno. Forse le poche trac- ce ora comunicatevi potranno agevolare un tanto lavoro. NB. A/cune copie tirate a parte delle cinque lettere del sig. D. Romagnosi, si trovano vendibili al Gabinetto scientifico e let- terario. Vedi il bullettino bibliografico del presente fascicolo. ———————+——+—+ +—"—+ +_—T F—mm-_——————6_—_——@m__1_1_1_uttwonccmmux:, LETTERE DALLA GERMANIA, DIRETTE ALL’ACCADEMIA LABRONICA DAL socio corrisronpENnTE E. M. LerrERA XI. Considerazioni sopra G. E. Voss, con alcuni frammenti del suo poemetto idillico intitolato Luisa. Stetten 25 Agosto 1826. Durante la felice dimora che ho tra voi fatta, orna- tissimi socii, la Germania ha dovuto pianger la morte di alcuni grandi uomini, i cui nomi suonavano celebri anche al di là de’suoi confini, che pur sì di rado varca la fama. Essi debbono or primi occuparmi, perchè è dovere che do- ve giunse la gloria della vita, ivi pur giunga il dolor délla morte. Noi già compiangemmo insieme quella del Voss, onde non è certo per annunziarvela ch'io prendo la pettmia; e neppur voglio mandarvi un articolo necrologico , siculo T. XXIV. Movemb. e Dicemb, 2 1 che già più d’uno ne avrete letti in varii giornali. Le sue notizie biografiche sono assai note, ed egli stesso le ha di- stese pochi anni addietro per il corversations lexicon, ove sarà facile ad ognuno il cercarle. Il mio pensiero è soltanto di comunicarvi alcune considerazioni che mi vengono sug- gerite: 1.° dal complesso delle sue opere ; 2.° dalle sue più celebri traduzioni ; 3.° da alcune sue poesie originali. I, Se tutti abbracciamo col guardo i numerosi lavori della sua lunga vita, dobbiamo esser colpiti della loro va- rietà, e dirò. pure del bizarro contrasto che ci offrono. Ora scorgiamo in essi il tenero poeta tutto dolcezza, che non par capace di nutrire nel cuore che i sentimenti di pace e di affetto, inspirato dalla: natura ch'egli sì ben descrive; ora il contenzioso filologo, che abbandonandosi a personale polemica, si fa dar taccia d’ingrato verso il suo primo pro- rettore e maestro il celebre Heyne; ora tutto dato allo stu- dio de’greci e de’latini vivendo con gli antichi, ne inve- stiga la geografia, ne spiegai miti, ne assume il linguag- gio, e fa sentire alla Germania da una parte i canti d’Ome- ro, di Esiodo, di Teocrito, dall’altra quelli di Virgilio, di Orazio e di Tibullo. Già par tutto classico, e si scatena an- che contro la romantica in occasione delle poesie di Biir- ger, che pur gli è compagno e amico nella carriera poetica; ma ecco poi che cede alla grandezza del genio di Shake- speare, e non arrestato dalla fama di precedenti traduzio- ni tedesche, consacra allo studio del poeta inglese lo stesso ardore che lo aveva acceso per Omero. Ora con lo stile di Gessner canta la tranquilla esistenza di un parroco di vil. laggio, ora con quello di Lutero si abbandona a contese di religione e di filosofia. Ora con aride grammaticali minu- zie emenda antichi testi, ed ora con Varmonia della mu- sica stabilisce con ammirabili leggi e più ammirabili esem- pii la versificazione tedesca. Tutti in somma abbraccia il suo spirito i più distinti rami della filologica erudizione e della poesia, e ben mostra che un grande ingegno sa in sè stesso riunire quanto ad altri sembra non poter insieme sus- sistere, ricongiungendo così lo studio di que’varii oggetti, che dove siano separatamente ed esclusivamente da taluni 19 abbracciati, divengono causa di parziali giudizii e di ma- laugurate contese. Ma, dirà alcuno, in tali contese si trovò pure il Voss impegnato. Sì, ma non si attribuisca alla dottrina, ciò che è colpa dell’ indole. Il poeta tedesco non andò libero da quella irritabilità di carattere che secondo il detto orazia- no è proprio de’ cultori delle muse, e che è un tristo tri- buto che pagar debbon sovente all’ umana natura coloro che per tante prerogative sembran su di quella innalzarsi. Poteva il Voss combattere contro l’Heyne senza uscire dai termini della filologia ; poteva opporsi alle dottrine sim- boliche del Creuzer senza uscire dalla dignità filosofica ; poteva finalmente compiangere il fatto del conte di Stolberg senza pubblicamente rompere i nodi di una stretta amici- zia. Così avrebbe meglio servito la scienza , e quella causa di religiosa indipendenza per cui combatteva ; nè sarebbesi attirato quell’ odio che il suo dir mordace e le sue perso- nali invettive dovevano suscitargli. Ma a questo facil con- siglio di prudente moderazione si opponeva quell’indole im- petuosa di cui si doleva egli stesso , ma che pur non po- teva domare ; e non è molto tempo che con modi poco cortesi e ragioni poco buone volle confutare certe opinioni del ch. prof. Schorn rispetto ad alcuni monumenti omeri- ci , solo cred’io, perchè il nome di questo dotto conosci- tore delle arti, a lui d’altronde ignoto, trovavasi in quelle illustrazioni unito a quello del Creuzer. Il Voss avea forse per lunga intimità preso in ciò le maniere de’combattenti di Omero, i quali non contenti d’incalzare colle armi i lo- ro avversarii , li mordevano ancora con ingiuriose parole. Non però lane credersi îch’ egli fosse insensibile alle dol- cezze di amichevol consorzio ; egli anzi ebbe amici i più grandi uomini della Germania, e ‘° trovò nella felicità do- mestica , come padre e come marito, la più bella ricom- pensa per le sue rappresentazioni idilliche ,,: son queste le sue parole, e ben le confermano quelle che qual tributo di sincero affetto pronunziarono sulla sua tomba alcuni de’ più distinti prof. di Heidelberga. II. Or venendo a parlare delle sue traduzioni , io mi 20 limiterò a quelle di Omero che tanto lo hanno reso celé- bre anche fra gli stranieri, ai quali parrebbe che poco do- vesse importarne. Ma tutta l'Europa sa che per esse può la Germania godere Omero quanto più lo possa una na- zione moderna , e agli italiani basti il sapere che il Voss ha fatto solo pe’ suoi concittadini , ciò che il Monti e il Pindemonte riuniti hanno fatto per l’ Italia. La Staél ha tuttavia asserito ‘ che per quanto merito avesse la traduzio- ne del Voss, essa faceva dell’Iliade e dell’Odissea, de’ poe- mi lo stile de’quali è greco, benchè le parole sieno tede- sche ,,. Or io non mi tratterrò a farvi notare che se in que- ste parole la voce stile è usata in quel significato che le è proprio, trattandosi di belle arti, ciò che fu detto per biasimo si cangia nel più grande elogio ; ma la Staél in- tende qui per lo stile, l’uso delle locuzioni proprie ad una lingua, e tedioso sarebbe l’ entrare su questo proposito in una discussione che non può interessare che i tedeschi, Ma basti a mostrar falsa quella sentenza , il vedere come il Voss con quel suo stile greco anzichè snaturare il carattere proprio della poesia tedesca, abbia saputo arricchirla di va- ghi originali componimenti , e sopra tutto di quella Lwi- sa della quale farò più sotto parola , e che è di forma greca perchè è di forma naturale e gentile. Tornando alla traduzione di Omero, due cose mi hanno più in essa col- pito, cioè la fedeltà e la versificazione. Molte volte ristam- pata, l’autore ha saputo in ogni nuova edizione renderla più e più perfetta , ed ora non credo che più vi resti a desiderar cosa alcuna, Ma non tutti ne giudicheranno ugual. mente , e però deve esaminarsi qual giudice possa in ciò riguardarsi per competente. Se si eccettuino alcuni squarci di sacra poesia, i canti di Omero sono i primi che rompessero il solenne silenzio della natura, o piuttosto che rilevassero agli uomini la sa- era sua voce. Allora per la prima volta appresero gli no- mini il potere della parola, e stupirono nel sentire il pro- prio linguaggio, figlio fino allor del bisogno, farsi gl’inter. prete degli dei , agitarli, dilettarli, commoverli , e muo- vendosi in misurati ed armonici giri, esprimere i più alti pen» SI sieri, è scolpirsi con ignota forza negli animi. Felicemente pel mondo quel linguaggio era quello de’ greci, ed era stato ispirato da fatti degni di eterna memoria. Qual doveva es- ser l'entusiasmo destato ne’primi che udirono quei canti , se tanto ne eccitarono quando poi vennero a brani a bra- ni ritrovati e raccolti? Noi non possiam gindicarne , ma forse un giorno il potrà alcuno de’nostri figli, che gli udirà cantare da labro greco innanzi a un consesso di liberi greci, e allora penserà fra sè stesso che i padri suoi le conosceva- no appena. Ed infatti noi di lingua, di patria , di costu- mi, di religione diversi, non vi troviamo celebrate le ge- sta de’ nostri maggiori, nè consacrate le nostre più gloriose memorie. Noi non possiam per gustarli che far forza a noi stessi , e procurare il più che possiamo di fingerci nella situazione de’greci, studiando se non la loro lingua, alme- no il genio della loro poesia, adottandone le idee, accet= tandone i miti, e rendendocene famigliari e quasi proprie le memorie locali e tradizionali. Con questi studii trove- rem gusto in una traduzione qual’è quella del Voss; sen- za di essi potrem dilettarci nelle parafrasi del Pope , o nelle riforme del Cesarotti, e creder ingenuamente che esiste un Iliade inglese o italiana? No certo; sarà piccolo quel diletto, ed anzi per i più sarà molto maggiore di quello che esige tanti studii; ma neppur dovrà dirsi in tal caso che si conosca Omero, il quale essenzialmente è greco, e inalterabile nella sua forma. Ma, dirà alcuno, se già tanti studii abbisognano per gustare il Voss, è meglio aggiungervi ancor quello della lingua greca, e leggere Omero stesso: e così pur venisse ciascuno a simil risoluzione ; e mirabile ajuto troverebbe nella traduzione tedesca , che non solo è fatta verso per verso, ma ancora parola per parola, e conservando insie- me il metro originale. Or se alcuno mi opponesse, che a colui che avesse fatto questo studio , riuscirebbe poi inu- tile qualsiasi traduzione , risponderei che colui che giunto in parte almeno a conoscere le bellezze della lingua gre- ca, conservi amore per la propria , deve godere di ricer- care quanto questa a quella si accosti, quanto ne aggua- gli il vigore, quanto si pieghi alla sua semplicità , quanto 22 s'innalzi agli arditi suoi voli. E se questo esame riesca se- condo i suoi voti, se ne rallegrerà colla sua nazione , nè riguarderà più qual semplice traduzione quel capo-lavoro, che gli avrà fatto scuoprir tante nuove bellezze nella pro- pria sua lingua. A pochissimi è vero, limito in tal guisa i lettori di Omero , e de’suoi buoni traduttori: ma lo ri- peto, io fermamente credo che fralle nazioni moderne , i soli greci son quelli fra i quali i canti di Omero possano mai divenir popolari (*). Oltre la fedelta, ho detto che era da ammirarsi in Voss la bella versificazione. Gli esametri tedeschi non cedono in dignità e in armonia a quelli degli antichi, benchè composti dietro regole assai diverse ; e se il Klopstock aveane già fatto il metro eroico de’tedeschi, pur seppe il Voss aggiun- gere ad essi nuova grazia, e dopo averne usato con tanto successo , divise ancora con 1’ Ermanno e coll’ Apel la glo- ria di stabilire con profonde e ingegnose ricerche la teoria del ritmo ; tantocchè la Germania partecipa insieme dei vantaggi dell'antica e della moderna poesia , vantaggi che varie altre lingue tentarono invano di appropriarsi. Infatti è noto che vani riuscirono in ciò gli sforzi de’ primi poeti francesi, nè più vi si provarono i loro successori 5 in Inghil- terra non credo che siano per allignare gli esametri dopo il saggio infelice di Southey nella sua visione dell’ ulti- mo giudizio; e in Italia gli sforzi di Leon Battista Alber- ti e di Claudio Tolomei non furono tali da lasciar spe- ranza di prospero successo; ma felicemente la nostra lin- gua non abbisogna di vincoli onde colpire armonicamente l'orecchio; dove ogni parola è un suono che diletta, deve quasi ogni combinazione di voci formare un verso, e La- bindo non tanto ha arricchito la nostra poesia di metri oraziani, quanto ci ha fatto con nuovi esempii sentire che (*) Ho letto alcuni squarci di una traduzione dell’ Iliade in versi greci mo- derni. Alcuni di questi erano assai felici, ma, siccome non seguono la prosodia ed esigono la rima, molti riuscivano sforzati nella dizione e infedeli nelle espres- sioni. I greci o non dovrebbero soflvire che la lingua d’ Omero diventasse loro straniera , o per ajutarne l'intelligenza dovrebbero contentarsi di qualche buona traduzione in prosa, qual è quella pubblicata in Firenze col testo a fronte, 23 con qualunque ritmo o rapido o prolungato si dividesse il nostro discorso , ne riusciva sempre una soave armonia ; onde vorrei quasi dire che la nostra lingua poetica, può as- somigliarsi a una sfera, che perfettissima per sè stessa, of= fre ancora in ogni sua sezione una figura perfetta. IIl. Come poeta appartiene il Voss a quella distinta schiera di giovinetti, che animati soprattutto dall’esempio di Klopstock si riunirono in Gottinga, e contribuirono a gara a far rivivere in Germania lo spirito della vera poe- sia. Ho già fatto cenno nell’analisi delle memorie di Goe- the di questa società, che forma un epoca sì interessante nella storia della letteratura tedesca , e il Voss medesimo ne ha stampato un lungo ragguaglio pubblicando nel 1804 le poesie del suo amico Holty. Già da’primi suoi anni ave- va provato in sè quella disposizione a un meditar profon- do sopra sè stesso e sulla natura , che è già quasi per sè un muto poetar della mente , e questa disposizione creb- be cogli anni, e si sviluppò con la lettura della Biblia, di Omero, di Klopstock, di Gessner e di alcuni altri poeti tedeschi. Frutti della sua gioventù sono molte odi e canzoni, e sopra tutto quegli idilli scritti quasi tutti fra il vigesi- mo e il trigesimo anno, e la cui serie fu coronata dal poe- metto intitolato Luisa. Volendo a quest’ultimo limitare il mio discorso, nè d’ altronde essendomi note tutte le altre sue poesie , mi contenterò di citare riguardo a questo il giudizio del celebre Wieland: ‘° Un gusto classico unito a umor lepido e geniale ; una vivacità negli slanci della fan- tasia congiunta a fermezza di mano nel dare ad ogni og- getto la più illudente verità di contorno, di colorito e di espressione; una dizione piena di forza e di calore in cui mostrasi il pieno comando di tutte le ricchezze della lin- gua; e finalmente una verseggiatura sempre egualmente bella negli antichi e nei moderni metri, sono proprietà comu- ni a tutte le sue poesie ,,. La Luisa venne alla luce nel 1795, e da quel momen- to in poi è stata riguardata come un vero gioiello di cui si è arricchita la poesia de’tedeschi. E questa una di quel- le composizioni di cui l’analisi riesce impossibile , perchè 24 tentandola si giungerebbe all’argsomento, che è semplicis- simo, e quasi nullo in paragone di quelle bellezze poeti- che che vedrebbonsi l’una dopo l’altra svanire. Infatti, di- cendo che trattasi unicamente delle nozze di Luisa figlia di un buon parroco di campagna, l’analisi ha già detto tutto, o piuttosto ha lasciato dir tutto alla poesia. Questa .-poi ora ci dipinge l’interno della casa parrocchiale di Gruna, e la felice esistenza de’suoi abitatori che celebrano il 18.° anniversario della nascita di Luisa : ora conduce i due sposi al passeggio, mettendoci a parte d’ogni sentimento che fpro- vano o all’aspetto della natura descritta con grazia impa- reggiabile , o all’incontrar di un buon vecchio che li bene- dice piangendo. E poi ecco la famigliuola raccolta a me- renda ; la madre tutta affaccendata, mentre il padre o tranquillamente conversa con lo sposo, o versa pianto di te- nerezza insieme e di dolore pensando alla prossima sua se- parazione dall’unica sua figlia. Ma la religione lo confor-, ta, e lo vediamo persino affrettare quel momento deside- rato e temuto, Nella bella Luisa tutto è grazia e festosa innocenza , e alla tenerezza di figlia e di amante si uni- sce in lei quella della più viva amicizia per una giovine contessa Amalia, che tutti divide i suoi sentimenti e tutti l’intende fuorchè quel dell'amore che ancor le è ignoto. Lo .sposo Arnoldo è un ottimo giovine che è pur parroco di villaggio, e degno ben di Luisa, benchè a lui meno s’in- teressi il lettore. Queste sono le principali persone del poe- metto o piuttosto dell’idillio, chè così piacque al Voss di nominare la sua composizione ; e ciò rettamente, perchè eroi d’Idillio sono veramente questi personaggi per la sem- plicità della loro vita, per la purità de’loro sentimenti, per la dolce armonia che: li lega con la natura ; e fù un bel pensiero del poeta il mostrare quanto alla vita pastorale sia simile quella d’un sacro ministro evangelico. Nel leggere la Luisa , l’animo non è mai agitato da alenna forte emozione, ma si compone in quella soave quiete che sì ben si accorda con gli oggetti descritti, Talora vie- ne il sorriso sui labri come davantia un quadretto fiammin- go, e talora cade spontanea una lagrima come quando o iva 25 Te due amiche trattengonsi insieme , o quando il padre be- nedice la figlia. Ma un sorriso e una lagrima non bastano a’nostri giorni, e però non credo che una traduzione di Luisa verrebbe favorevolmente accolta in Italia. Più che le sue bellezze ci colpirebbero i suoi difetti, che consistono in so- verchia lunghezza e minutezza di descrizioni, e in circo- stanze con poco gusto introdotte. Molti pregi poi ci sfug- girebbono perchè relativi ad oggetti che ci sono stranieri, ed a costumanze puramente nazionali ; e alcuni forse non . troverebbero senza scandalo il cuore d’un parroco sensibile ai dolci affetti di padre e di sposo. Pure se la traduzio- ne italiana del poemetto di Goethe Ermanno e Dorotea fatta dal sig. Jagemann (*), si sparge in Italia, e vi trova aggradimento , bisognerà tradurre ancora Luisa , essendo questo poemetto il contrapposto di quello. Vorrei allora raccomandare questo lavoro a una donna, ma a una don- na che non solo amasse le arti e la natura, il che è sino- nimo con italiana , ma che fosse pure tenera figlia o te- nera sposa. Voglio intanto mandarvene alcuni frammenti che ho procurato di tradurre con fedeltà, conservando insieme quel- la semplicità dell’originale, la quale non tutti spero tro- veranno soverchia. La sera della vigilia delle nozze , la contessina Amalia è venuta colla madre a starsi con Luisa, e le due amiche ascendono insieme nella stanza della giovine sposa: Tenendosi per man, nella fidata Camera entraro della luna al raggio ; Là dove avean sovente insiem gioito Per grato libro ; 0 per comun lavoro , O in virginale placido colloquio. Ora Luisa incominciò ; rivolta All'amata compagna: — Quì t’assidi, « Su questo seggio, Amalia, ov” io sì spesso ‘‘ Mi sedei teco ; Ah! ci divide in breve n « L’amaro istante dell’Addio! ,, — Quì tacque (*) E stata pubblicata in Lipsia nell’anno scorso. Non l'ho ancora veduta, ma la trovo lodata nella gazzetta letteraria di Jen 2, maggio 1826. 26 Mesta la fidanzata , e con affetto Strinse l’ amica mano. — Alla finestra Amalia si appressò ; guardò la luna, Guardò le nuvolette , che veloci Le si avvolgeano innanzi , e con alterna Luce , ora il volto le scopriano ed ora La velavan più fosche ; e intanto il vento Dagli alberi scuotea l’ aride foglie, E in turbin le muovea con spaventoso Stridor; — Penosa ella si stava e muta, E al chiaror della luna tremolava L’umida stilla sulla rosea guancia. Si ritenne però ; nell’ombra il volto Converse e disse con mentito scherzo : « Parla di gioia qual conviensi a sposa ‘ Non dell’ addio, cara fanciulla! ormai Che il lieto dì si appressa, e per le nozze »» È già il talamo adorno; — Oh inver peccato « Per la mia Luisuccia , che or saltella »» Qual tenera ragazza, e fia sì tosto », Madre di famigliuola , e all’ uom soggetta. 3» Non più modesti e verecondi un bacio ;, Danno i mariti; imperioso abbraccia s La consorte il consorte, e con pungente » Bacio talor la tenerella guancia ,, Le strazia a suo capriccio ; e tutto è legge », E dover, finchè ancora un pargoletto »» Vè da cullar ; — Dì!, come al giogo il collo « Piegasti ta volonterosa tanto , ,; Tu leggiadra così ? ,, — Con minaccioso Vezzo rispose la gentil Luisa : « Non tanta tracotanza , o schern itrice! 33 Non risplendono invan que’ farbi occhietti , ,» E sento io quì con quanta forza hatte »» L’ ardente cor nel palpitante seno. »» Qual più , qual men, ritrosa ogni donzella ,» Resiste in pria , poi lieta cede ognuna, ,, Perchè, altrimenti , assisteriano a gara ,» Tutte la sposa a preparar le vesti ,s E la ghirlanda nuzial , giulive ,» Fra il dolce canto, e i sospiretti e il riso ? ,» Ma dei tu pur veder, come risalti > x Sovra il lacido raso, il vago fregio »» Di vivo musco e di purpuree rose: 3» Stamane di nascoso , anzi che Arnoldo » Mi potesse turbar, quì lo compiei,,. Tacque; e dalla cassetta alzò la candida Veste di sposa , rilucente; e al pallido Raggio lunar l’ espose, Amalia a lungo La contemplò spiegandola, poi disse : « Cara! t’ invidio tanta pompa , ed ora » Ch’iol’ideai ringraziami ; ma invero »» Ben si dovria provar, come domani », Ti adornerà, quando verrai sposata » Dal padre tuo nei venerandi avvolto 3, Vestimenti festivi. — Oh ! non è quello »» Alla finestra un arboscel di mirto 3 Atto a ghirlanda nuzial? — Rispose La verginella dalle rosee guancie Con un sorriso : ‘ Qual desio di scherzo 3» Ti prende o maliziosa ? E deggio ancora 3» Come fanciulla semplicetta , teco 3) Amalia mia giuocar ? — Sia pur; ma chiudi » La porta ; chè cercar potriami Arnoldo ,,. Disse , e tolse dal capo il ben formato Cappel di feltro , bianco , qual velluto Morbido , e orlato di scuretta frangia. Poi sciolse il crin castagno che in lucenti Annella giù per gli omeri si sparse. Stavasi Amalia intenta , e lieve lieve Con pettin rado le strisciava il crine, Lieta in vederlo arricciolarsi ; e in treccie Poi lo compose e l’ ordinò nell’uso Dell’ attiche donzelle;; in quella guisa Che un dì scolpiano e Prassitèle e Fidia Le vergini celesti , o qual sè stessa Pinge la musa angelica (*). Formata Avea così la molle treccia Amalia Che ondeggiando slargavasi , e sul capo Si rivolgeva con negletto moto. Sulla bianca cervice morbidetti Sfuggiti crini svolazzar pareano (*) Allude alla pittrice Angelica ‘Kaufmann, 28 Ricciutelli ; e dal collo e dalle spalle Giù serpeggiando discendean due ciocche Sal palpitante sen. — Quindi un germoglio Troncò dal mirto e con un fil di seta Lo avvinse in cerchio, e te gentil donzella Te degna incorotò , per sè pur degna Del serto ; ei iieve nell’ ondosa chioma Si avvolse, e dietro lo celò la treccia. Dolce inchinossi Amalia , e alla donzella Parlò : “ Sposina! or hai ta adorno il capo Come le Grazie ed Ebe , allorchè unite Muovonsi in danza ad Afradite intorno ,,. Poi segue il resto della toe/ette con ugual grazia de- scritta, ma in guisa tale che , core a me giovinotto non avrebbe convenuto l’ assistervi , neppur mi conviene il tra- durla. Terminato il suo donnesco lavoro, Amalia con dolci vezzi ammira la ben adorna compagna , e finisce con le seguenti parole : « Diletta mia dal petto dell’ amica 3» Tepido ancor questo monil ricevi 3) In memoria di me. Col proprio crine sì V' è davanti intrecciato il nome mio, 3; E dietro un riccio ben tessuto; oh! sempre »; Nel fregiartene il sen pensa ad Amalia ,,. Ciò detto, dell’ amica al collo intorno Avvinse il bel monil, che in aureo cerchio -E di perle fregiato , difendea Sotto cristal forbito il crine e il nome. Poi si abbracciàr le vergini concordi Con lungo bacio, ardentemente , eterna Giurandosi amistà ; caldo sul ciglio Spuntava il pianto, e discendea confuso... In questo momento sono sorprese da Arnoldo , e di- scendono insieme nella stanza ov’ era il padre . Entrati appena ; Ratta lasciò la mano dello sposo La vergine vezzosa , e saltellando pc; Ambo gettò le braccia al collo intorno Del genitore, e gli baciò la bocca E le gote, e la fronte , e con affetto Indicibil posò l’ accesa guancia Di lagrime rigata sulla guancia Dell’ attonito vecchio. — Il vecchio strinse Senza far motto al palpitante seno L’amata figlia ; Indi esclamò con voce Dalla piena del giubilo interrotta : € Teco di Dio la pace , o dolce o cara » Figlia! di Dio la pace in terra e in cielo !... »» Dagli anni tuoi alla vecchiezza , molte so Nel variar della vita ebbi da Dio 3» E gioie e pene, e grazie a lui rendei 3, Pari per ambo ! Or volentier consento », Presso a’ miei padri la canuta testa > Nella tomba adagiar, poich’ è felice »» La figlia mia, felice nella fede »» Che Iddio qual padre de’ suoi figli ha cura ») E con la gioia e col dolor del pari 3) Ci benedisce! .. Oh mi si muove il core 3, Vedendo adorna e giovinetta sposa »» Retta per man dal suo diletto, in dolce 3) Fanciullesca innocenza , della vita a, Con agil passo incominciar la via ; » Tutto disposta a sostener concorde » Quanto s’ incontri , e a lui con pari affetto »» Accrescere il piacer, scemar la doglia, 1 E se lo vuole Iddio, terger l’ estremo », Sudor dalla sua fronte!... In me batteva » Presago il cor così, quando menava 3 Nel giorno delle nozze in questo tetto », La mia giovine sposa ; io lieto e serio » La pietra del confin del nostro campo »» Presso allo stagno or le additava , ed ora 3, Il campanile e gli abituri , e or questo » £resbiterio in cui tanto ci attendeva »» Di gaudio e di dolor. — Tu figlia mia » Unica! ( poiché agli altri il cor dolente 3, Pensa, quando alla chiesa il piè muovend »» Passo d' appresso alla fiorita tomba ) » Unica tu! per quell’istessa via », Ond' io qui venni ta ne andrai fra breve ; » Vedrò fra breve della figlia mia 2, Vuota la cameretta, e vuoto il posto 3» Ove a mensa sedeva; e invan da lunge »» Alla sua voce presterò |’ orecchio »» O al suon d’ un passo che si appressa ! — Oh quando ) Col tuo sposo ne andrai per quella via , 3» Io lunge fra singulti e caldo pianto »» Ti seguirò col guardo !... che pur uomo > Son’ io e padre, e ben di cuor la figlia » Amo , di cuore! e pari amor mi rende , La figlia mia ;... Ma consolato al cielo > Quindi la fronte innalzerò , dal volto », Tergerò il pianto, e con le palme giunte 3» Mi umilierò pregando innanzi a Dio 3 Che come padre de’ suoi figli ha cura, 3» Econ la gioia e col dolor del pari 3» Ci benedice! E pur di Lui che ci ama 53 È quel commando: e genitore e madre »r Lasci la donna per seguir lo sposo. 3; Va dunque in pace o tigliuoletta! obblia », La tua famiglia e la paterna casa; 3 Là segui il giovinetto , che diviene 3» Per te da questo istante e padre e madre. »» Siita per lui come feconda vite; sy La vostra mensa faccian lieta i figli 3 Qual germogli d’alivo ; In questa guisa » E benedetto chi si affida in Dio! ... Poi segue il rito nuziale con una semplicità solenne che tocca il cuore. Permettetemi ancora un unica riflessione : se alcuno leggendo la Luisa penserà a quel detto di Orazio: difficile est proprie communia dicere, riconoscerà che in molti luoghi il Voss ha saputo pienamente vincere la difficoltà di cui parla il poeta latino, ed esaminando que’luoghi, si convin- cerà che quell’esprimersi con proprietà non è già chiamar in aiuto ornamenti che forse per gli antichi univansi al sog- getto e lo nobilitavano in forza di qualche allusione o di qualche favola; ma per noi consiste in una perfetta imita- zione della natura , tantochè l'animo senta il diletto della SI pura verità, senza che la fantasia venga riempita d’imma- gini atte soltanto a snaturarla. Lerrera XII. Notizie sul gran cannocchiale diottrico di FrAvENBOFER che trovasi nell’ osservatorio dell’ I. università di Dorpat. Stetten 10 Settembre 1826. La morte del Reichenbach e del Franenhofer è una scia- gura non solo per la Germania ma per tutto il mondo scien- tifico. Ognuno de’grandi osservatorii dell'Europa vantavasi di possedere alcuni de’ loro eccellenti stromenti, e la co- gnizione de’ cieli facevasi per essi ogni dì più completa. Il secondo sopratutto aveva portata 1’ arte di preparare i vetri a un grado di perfezione creduto fino allora immagi- nario , e però la sua perdita riescirà ancor più sensibile di quella del suo celebre maestro. Aggiungasi che il Reichen- bach già da più anni non si occupava egli stesso che di grandi lavori meccanici e idraulici. Creato direttore del- l’ uffizio de’ ponti e strade nel regno di Baviera, egli ese- guiva opere stupende in vero, ma utili alla sola sua pa- tria , mentre aveva abbandonata l’ esecuzione degli stru- menti mattematici all’ eccellente meccanico di Monaco sig. Ertl, presso al quale vidi quella gran macchina da divi- dere, per cui ottengono la loro prodigiosa esattezza , e il cui meccanismo è così semplice e così sicuro, che a segnare quelle lineette quasi impercettibili che tanto ammiriamo, basta la pazienza di una figlia del prelodato meccanico . In questi dunque avrà il Reichenbach un degno successore per gli strumenti, pe’ quali non si richiedono vetri di quella prodigiosa grandezza che il solo Franenhofer ha saputo fi- nora render sì perfetti, e per purità di massa, e per esatta curvatura , e per finissimo pulimento. Inoltre il Reichen- bach già da qualche tempo infermo termina non immatu- ramente la sua gloriosa carriera, mentre il Frauenhofer è rapito alle scienze nella tenera età di 39 anni, 32 Più cresce il desiderio di un tanto uomo, quando vedesi come ogni suo nuovo lavoro vincesse in perfezione il pre- cedente, e ne abbiamo una bella prova nell’ultimo suo gran cannocchiale diottrico eseguito l’anno scorso per l’uni- versità di Dorpat, e del quale voglio mandarvi alcune no- tizie , stimando ornatissimi socii , che non possa pagarsi mi- glior tributo alla memoria di un grande artefice che spar- gendo la fama di una sua bell’opera; tanto più dove que- sta segni il termine d’una vita troppo breve, onde ognuno spinto a esclamare: oh! quanta speranza perdono l’arti e le scienze e con esse la patria e la società ,,/ promunzi spontaneo il più bell’elogio cui uomo mai possa morendo aspirare. Quando fui l’anno scorso in Monaco quello strumento era poc'anzi partito, e quantunque il Frauenhofer con ogni compiacenza mel descrivesse , e me ne mostrasse la costru- zione mediante altro simile ma di minori dimensioni, pu- re non avrò la presunzione di darvene una deserizione propria, dopo che una completa ne ha pubblicata il sig. Struve direttore dell’ osservatorio di Dorpat, sulla quale trovasi il seguente articolo nella Gazzetta letteraria univer- sale di Jena, “ Il sig. Struve avendo avuto la fortuna di ottenere dall’ instituto ottico de’sigg. Utzschneider e Frauenhofer un cannocchiale che occupa finora il primo posto fra tutti i telescopi diottrici, ed essendo come è ben noto un astro- nomo nelle cui mani un tale stromento sarà per la scienza di tutta quella utilità che mai possa aspettarsi, commu- nica in questo scritto non solamente una descrizione dello stromento, ma al tempo stesso già le prime osservazioni per le quali si è convinto del suo gran valore ,,. «< Il sig. Frauenhofer aveva già prima costruito un can- nocchiale, ora esistente in Napoli, con un obbiettivo di 78 linee di apertura, e reso comodo per le osservazioni me- diante un apparato parallattico e un orologio ; tuttavia que- sto secondo stromento ha sul primo di nuovi e grandi van- taggi, non solo riguardo all’ottica, ma anche per la mon» tatura e pel meccanismo ,,. ì è k 33 Non potendo seguitare minuziosamente la descrizio- ne dell’ autore che tratta separatamente di ciascuna parte dello stromento, basteranno alcune notizie. Il cannocchiale ha 13 piedi e 7 pollici parigini di lunghezza ; l’ apertura libera dell’ obbiettivo è di 108 linee ; la sua lunghezza fo- ‘cale è di 160 pollici. La costruzione del tubo, i varii pezzi ‘che ‘incassano l’obbietto , le viti applicate in modo che nis- suna pressione inuguale! alteri 1’ esatta sua forma; questi ed'altri oggetti che trovansi partitamente descritti, mostra» no fino nella menoma parte la cura di un artista, che ave vertendo ‘ad ogni circostanza , mette in opera tutte le co- gnizioni della fisica e. tutte le risorse della meccanica, per eseguire un lavoro ‘sott’ ogni riguardo perfetto. L’istrumento è montato parallatticamente , e si volge intorno a un asse lungo ‘39 pollici. Per trovare le stelle che si vogliono osservare , vi è addattato un circolo ora- rio di'13 pollici di diametro: questo segna ogni minuto di tempo, e coll’ aiuto del zorio ogni secondo; il circolo di declinazione di 20 pollici è diviso di ro in 10 minuti, ma con l’ aiuto del zonzo segna 10 secondi, cosiechè quando T asse è esattamente collocato, si può con gran precisione portare ‘ogni stella nel. mezzo del campo del cannocchia- le. L’oggetto poi trovasi fino a 000 volte ingrandito. La montatura. parallattica è ordinata in modo, che il cannocchiale può situarsi in ogni direzione, e fissarlo nella medesima; e poi senza essere ‘interrotto nell’osservazione, variarne dolcemente per mezzo di viti la situazione in de- clinazione ein ascensione retta. In secondo luogo ancora si può mettere il. carinochiale in communicazione con un orologio che lo fa muovere in modo, che una stella che si «trovi. una volta in mezzo al. suo campo, continua a restarvi mentre il cannocchiale. lì accompagna nel suo moto diurs no. Quest’ orologio va. per mezzo di pesi ed è regolato ida un bilanciere centrifugo. Questo bilanciere è composto di un braccio orizzontale, ad ogni estremità del quale trovasi ‘un corpo lenticolare applicato in tal modo per mezzo. di ‘molle, che può variare un poco la sua distàtiza dall’asse uu T. XXIV. Novemb. Dicemb. 3 34 verticale di rotazione del bilanciere. Or quando l’orologio è in moto, e que’corpi lenticolari toccano le pareti del ca- stello nel quale è racchiuso il bilanciere, l’attrito che ne risulta è il regolatore del. moto dell’orologio, che è tanto più rapido quanto l’attrito è minore; e viceversa. Stà nel potere dell’ osservatore di aumentare o diminuire un poco quest’attrito; imperocchè una piccola vite innalza o ab- bassa il braccio del bilanciere, il quale trovandosi in un castello che diventa più. stretto nella sua parte inferiore, ne risulta che quando sil braccio scende l’ attrito aumenta, e testa però moderata la celerità dell’orologio; e per un movi- mento opposto facilitandola si accresce. Questa variazione che si opera dall’ osservatore con gran facilità , offre an- cora. il vantaggio , che ove l’oggetto non si mostri preci- samente nel mezzo del cannocchiale si può condurvelo ac- cellerando o ritardando il moto dell’ orologio, che allora poi si mette in perfetto accordo col movimento diurno de- gli astri. L’orologio cammina per più d’ un ora, il che è sufficiente per poter continuare tranquillamente l’osserva- zione di un oggetto. Il cannocchiale è inoltre fornito di un apparato mi- crometrico, di varii micrometri: 1.° il micrometro a filo, in cui un filo si mette in un moto continuato per mez- zo di una vite. Questa vite ha 83,29 spire per pollice, e siccome può distinguersi ancora Ja decima parte d’ ognu- na delle cento divisioni della spira, l’esattezza va fino. a 2 di secondo (1). La posizione dell’ oculare si cangia se- condo quella de’ fili onde ottener sempre la massima chia» rezza; e i fili s'illuminano per vederli nel campo oscuro : 2° il micrometro a graticola, in cui linee parallele sono intersecate da altre parallele sotto un angolo di 76°. Il sig. Frauenhofer ha già parlato dell’uso di questo micrometro nel n.° 43 delle Notizie Astronomiche di Schumacher. L’autore fa parte ancora delle sue sperienze sopra gli (1) È noto tuttavia che per ragioni che mi sembran difficili a confutarsi, il prof: Amici contende al sig. Struve la possibilità di giungere a un tal grado di precisione. (Vedasi la sua lettera al barone di Zach dell'ottobre 1823, e più ancora la sua memoria sopra il limite di visibilità ec. dell’ Aprile 1825. 39 effetti dello stromento. Egli lo stima superiore per la chia- rezza delle immagini a qualunque telescopio catadiottrico, e neppure per l'intensità della luce sembra inferiore ad alcuno di essi. Per provar ciò, istituisce alcuni confronti, fra i quali.i seguenti: Schròter col suo cannocchiale cata- diottrico di 25 piedi potè distinguere con chiarezza nella edi Orione solamente 12 stelluccie, e rimase incerto sul- l’esistenza della 13. Questo cannocchiale la mostra come composta di 16 stelle ; w del Leone una delle stelle dop- pie che Herschell osservò con la massima difficoltà; si mo- strò così bene da poterne determinar la distanza e l’angolo di posizione. Ma sopra tutto attestano la forza dello stro- mento le molte nuove stelle doppie che il sig. Struve ha già con quello scoperte. In una zona di 25 in declinazio- ' nee 225 in ascensione retta, che già Herschell aveva esplo- rata, questi trovò 68 stelle doppie delle prime quattro clas- si, alle quali il catalogo di Struve ne aveva già prima d’ora aggiunte 40; ma una nuova rivista con questo cannocchiale ha offerto 334 nuove stelle doppie appartenenti a quelle quattro prime classi, e fra queste 111 della prima classe, tali cioè che la loro distanza reciproca non arriva a 4 secondi. Con queste sperienze resta evidentemente dimostrata la gran perfezione dello stromento; pure la questione : qual sia il rapporto della forza in questo cannocchiale e in quelli adoprati dal Herschel, esige tuttora un più accurato esa- me. Il giovine Herschel ha dato sopra di ciò alcuni cenni nel n. 85 delle Notizie Astronomiche di Schumacher, dalle quali ricaviamo alcune osservazioni che non sono da tra- scurarsi in tal paragone. Herschel cioè osserva in primo luo- go che la quantità della luce riflessa dagli specchi metal- lici non è così piccola come sembra considerarla il sig. Fra- uenhofer in un articolo inserito nelle notizie astronomi- che. Basti mostrare a un osservatore lo splendore del Sirio o della Lira in un cannocchiale catadriottico di Herschel di 20 piedi, e l’ osservatore abbagliato da quello splendo- re, non si lagnerà più della mancanza di luce. Il cannoc- chiale di Herschel di 7 piedi mostrò già doppia la stella 6 del Lieone ; talchè potè prendersene l'angolo di posizio- 36 ne ; e se varie stelle doppie sono state'‘o non ossetvate o non avvertite dal Herschel , non bisogna passar sotto» si* lenzio l’influenza dei tempi contrarii «e d'una posizione molto meno favorevole, etc. Del resto la decisione ,'se il cannocchiale catadriottico di Herschel o il diottrico di Fra wenhofer sia il migliore; non può più restare lungamente’ incerta } se il sig. Struve presceglie per le sue osservazioni quegli oggetti medesimi, ai quali Herschel consacrò un as- sidua attenzione (2). (09 La montatura dello Labnitadito è come dice il sig. Str ve un vero capo d’opera. L’attrito è sì leggiero, l’equi+ librio sì completo, che: mediante una lieve pressione essenza la menoma agitazione nel tubo o nel piede dello stromen» o, la stella cercata vien'condotta in mezzo all’ interse= zione» de’ fili. L’ orologio ha un moto così dolce e così uni- forme, che quando il bilanciere è ben situato ; la stella apparisce perfettamente inquiete nel campo del cannoe- chiale , e però possono prendersi le misure col. micromes tro a fili come se il cielo restasse immobile; il che è evi dentemente d’inapprezzabile vantaggio: L’ esettezza che si ottiene nelle misure micrometriche; con i micrometri adattati dal sig. Frauenhofer a questo stro- mento ; apparisce da varii esempii che cita l’autore. Frà questi ne indicheremo uno solo che è al tempo stessò: in- teressante sotto ‘altri rapporti. La stella y nella Vergine è una stella doppia, e la determinazione della distanza fralle due stelle e del loro angolo di posizione fu uno degli 0g- getti scelti per provare i micrometri. Di 14 misure di di- stanza ve n’è una sola che differisca di + di secondo dal risultato medio , e l’ angolo di posizione che nelle stelle la cui distanza è solamente di 2.1 secondi è difficilissimo a determinarsi esattamente , fu trovato di 7,96 gradi, e con tanta coincidenza di. osservazioni, che quattro solamente (2), E neppur lo saranno le riflessioni fatte a questo proposito dal prof: Amicì in occasione delle sue “° osservazioni sopra i satelliti di Giove in pieno gior= no,, (maggio 1825) se non che secondo l’ illustre ingegnere di Modena non vi avrebbe più luogo a contesa , avendo egli dichiarato che il maggior telescopio di Herschel non potrà esser uguagliato se non che da un obbiettivo acromatico, di 4o pollici inglesi di diametro! 2 37 differiscono più d’un grado da questo termine medio. L’os- servazione di questa stella è interessante ancora in ciò che le due stelle mostrano un movimento dell’ una intorno al- T V’ altra. Cassini nel 1720 trovò la loro distanza di 7° & e l’angolo di posizione di 50°; Herschel verso il 1780 trovò queste due quantità di 5”% e 41°; e nel 1803 trovò per l’angolo di posizione 30.° Finalmente Struve trovò : nel 1819 per la distanza 3" 5 e per l’angolo di posizione 15° mol 1025; ui lA e per corseguenza verificò la loro continua approssimazione apparente, che fra poco renderà difficile il riconoscere che le ‘due stelle sono divise. ,, Dopo aver fatto cenno di quanto il sig. Struve nell’ul- tima parte del suo scritto dice intorno al luogo in cui è stato stabilito lo stromento, e dopo aver indicato ciò che contengono le belle tavole che vi sono aggiunte , 1’ arti- colo vien terminato con le seguenti parole: «“ Nulla più abbiamo da aggiungere, se non il voto che il sig. Struve possa per molti anni aver la fortuna di osservare il cielo con questo eccellente stromento , e di ar- ricchire Ia scienza come già da una serie di anni lo ha fatto. hafig, di ad antierente Mistat 087 E possa ancora la Germania ayer presto la fortuna di pos- sedere uno stromento eguale, o come il sig. Frauenhofer ci fa sperare, ancor più perfetto! ma sappia ancor la Germa- nia apprezzar pienamente il merito di un artista, il quale eseguisce ciò che sembra impossibile, e sa dare ai suoi stro- menti una perfezione che supera ogni speranza!,, Non senza dolore possono leggersi queste parole scritte quando. già la morte stava per rapire quell’ illustre mec- canico ; ma lo stromento a cui alludono, verrà, giova spe- rarlo, posseduto dalla Germania. Sarà questo un cannoc- chiale in cui l’ obbiettivo supererà di 36 linee quello di Dorpat. Ne vidi già l’anno scorso alenni pezzi sbozzati , e il Frauenhofer doveva allora recarsi a Benedictbeuern per ul- timarne i vetri maravigliosi. Or mi viene assicurato che questi son pronti; onde non vi è ragione di dubitare che i distinti meccanici che lavoravano sotto la direzione del Frauenhofer non sappiano condurre a termine il resto del- 38 l’opera. Questa poi già ordinata dal defunto re di Baviera è felicemente destinata a rimanere in Monaco , o piutto- sto nel vicino osservatorio, che situato in luogo ove tuttò intorno è pianura, ha, con l’eccezione delle lontane mon- tagne del Tirolo, libera da ogni parte fin quasi all’ oriz- zonte la vista del cielo. A quali speranze non dovranno esser dunque autorizzati gli astronomi in forza di questo nuovo stromento, se già sì grandi sono gli effetti di quello poc’ anzi descritto! E. Mayer. Lettres à M. le Duc pe Bricas d’Aulps relatives au Mu- sée Royal Egyptien de Turin, par M. Cnampottion . LE Jeune, 2.%e /ettre. Suite des monuments historiques. Paris, chez Firmin Didot. 1 vol. in 8° di p. 167 con un Atlante. Dacchè in Europa levò romore di sè la bella scoperta di Champollion il giovane , per la quale possiamo final- mente sperare di leggere la scrittura geroglifica degli egi- zi, che ci resta sopra innumerabili monumenti a rendere testimonio d’ antichissimi tempi, sorse ad alquanti nell’ani- mo un panico timore che questa scoperta potesse pregiudi- care alla fede cristiana, conducendo a trovare storie che non siano in accordo colle narrazioni della santa Bibbia. Ben vide la irragionevolezza di questo timore il Su- premo Capo della chiesa cattolira , il quale volle anzi mo- strare il suo desiderio di promuovere i nuovi studi egizi, comandando non ha guari , che nelle due principali uni- versità de’ suoi stati s’ insegnassero pubblicamente le anti- chità dell’ Egitto ; e accolse con benignissimo volto l’autor francese della mentovata scoperta ; e con munificenza pari a quella di tanti suoi predecessori fa, siccome udiamo , che ora si pubblichino in Roma spiegati nelnuovo modo i grandi obelischi di che si adornano le piazze e le ville di quel- l’antica metropoli del mondo . Così nella sede stessa del cristianesimo una siffatta opera, dando degno complemento 39 al bel saggio del celebre Monsignor Mai, col quale furono esposte nel volgar nostro le prime interpretazioni che dei monumenti egizi del Vaticano lasciò il lodato Champollion, varrà a distruggere tutte le paure, le quali nate in alcuni per poca scienza, potrebbero di leggieri ad altri propagarsi per uguale motivo. Dico che queste paure provengono da poca scienza, e lo proverò : ma prima è d’uopo far considerare ch’ elle sono ingiuriose alla nostra fede, e poco meno da cosa ere- tica, o almeno sapiens heresim, et piarum aurium offensiva. Ed invero chi ben rifletta non può non vedere che le ve- rità bibliche, appunto perchè sono verità non possono te- mere alcuna nuova scoperta di qualsivoglia genere. Se la scoperta francese è vera , ella non può distruggere le ve- rità bibliche , perchè una verità non può distruggerne un altra. Se è falsa, ella s’aggira sopra tale argomento , che la sua falsità non può non essere scoperta dopo il più pic- colo esame: avvegnachè insomma si hanno già in Europa pressochè innumerabili pagine di scritto geroglifico ; e sarà facile vedere se col nuovo modo si comincia a leggerla in effetto o non si comincia ; e se lette fanno un senso de- terminato ed acconcio. Ma già essa fu sottoposta a questo cimento, e n°è uscita vincitrice. Dopo la pubblicazione del famoso Précis du sy- stèéme Hiéroglyphique nel 1824; anzi della famosa /ettre à M. Dacier nel 1822, si sa che già ella resiste a diffi- cili maniere di prova. Sono venute di Levante a Parigi, a Torino, a Londra mummie con doppia iscrizione gerogli- fica e greca. Si ebbero tavole bilingui , e copie d’ iscrizioni dedicatorie greche e geroglifiche : e s'è mirabilmente po- tuto scorgere che letta col nuovo metodo la parte gerogli- fica, non pure dava costantemente discorso di senso con- tinuato ed opportuno; ma dava di più il senso stesso che la scrittura già cognita esprimeva. Di quì è che si sono a viso alto dichiarati fautori della scoperta nuova insieme col già commendato Monsig. Mai, dottissimi e piissimi eccle- siastici in Italia, un Peyror a Torino, uno Zannoni a Fi- renze, un Mezzofante a Bologna, senza qui nominare molti 4o > altri, od ugualmente ascritti al venerando sacedotale or- dine, o laici ma già conosciuti per soda pietà e per esqui- sita dottrina. Ora posciachè parve loro evidente la verità e la cer- tezza del nuovo metodo, chiaro è. che per altra parte ben videro di non poter temere che questa umana verità po- tesse far nascere dubbi contra le divine verità contenute nella Bibbia, avvegnachè non dubitarono applicare la mente a questi studi. E per vero che persone male istrutte e mal di- sposte possano abusare delle nuove dottrine , come s’è sem» pre abusato di tante altre, per muovere guerra inutile alla eterna parola, ciò forse può essere: ma nessun savio dirà che bisogni proscrivere il nuovo studio, da cui mille bel- lissime cognizioni storiche possono cavarsi , 0 in generale, che bisogni proibire uno studio quale che siasi di umane ye- rità, solo perchè gli sciocchi e malvagi possono farne bre- ve abuso ; e dico breve , perchè presto i dotti arrivereb- bero a mettere in chiaro la fraude, ed a torle ogni credito. Ma io torno ad affermare, conforme da principio dis- si, che le paniche paure di certuni provengono da poca scienza ; e perchè la cosa merita d’esser provata, m’accingo a qualche dimostrazione del mio detto. Il massimo timore di que’ che alto levano la voce pro- cede dalle date cronologiche. Si sapeva prima della com» parsa nel mondo del francese Champollion, anzi prima della comparsa del cristianesimo, che gli egizi pretendevano di risalire colla loro storia a’ tempi antichissimi , ed affatto anteriori alla creazione delle cose giusta la Bibbia. Erodo- to, e Diodoro di Sicilia; Manetone , e la vecchia cronica conservatici per estratto presso autori cristiani , comecchè non siano in accordo tra loro ne’ numeri, ci dan però tutti una lunga serie di re , che lasciatine anche fuori que’che confessano eglino stessi aver appartenuto alla classe mito= logica, pur empiono qualche migliajo d'anni più di ciò che si può concedere. Ma questa vecchia e screditata dif- ficoltà mossa contro alla Bibbia non veggo come per le sco= perte di Champollion possa procacciarsi quella forza che non ebbe in passato. titti I 4r Poniamo che si siano trovate le carte originali , alle quali si riferivano i sacerdoti egizi che queste cose narra- vano a Erodoto quasi verso i 500 anni prima della nostra Era. Concediamo che questi vecchi papiri, contenenti le liste di Manetone e della vecchia cronaca, possa provarsi che furono scritti al tempo di Misphragmuthosis , cioè pri= ma di Mosè , non che nel tempo d’ alcuno de’ suoi suc= cessori. Invero io non so come queste liste possano essere temute più che il discorso d’Erodoto, di Diodoro, di Ma- netone , e degli altri che presso a poco le citano : e re- sterà sempre da vedere qual grado di confidenza elle me- ritano , niente altro essendo che nude liste di nomi ; 0 po- sto ancora che fossero accompagnate da racconti quanto si vuole prolissi e circostanziati , i quali però riguarderebbero pur sempre un tempo tanto più vecchio. Insino ad ora, se parliamo di papiri, niente è anteriore alla Dinastia XVIII: cioè niente è anteriore al XIX secolo prima di Cristo ; e per conseguenza niente è posteriore di men di qualche migliaio d’ anni ai fatti più antichi i quali ci si vantano. Se parliamo di altri monumenti, ve ne ha taluni pochissimi che portano nomi e date di Faraoni , i quali si credono contemporanei d’ Abramo , o appena an- teriori o posteriori ad esso ;. ma la scrittura stessa ci to- glie intorno a ciò qualunque apprensione, giacchè a’tempi di quel patriarca già ricorda i re d’Egitto. Si vuole con buoni argomenti che le piramidi di Memfi provengano da Faraoni della 4.2 Dinastia e dalla regina Ni- tocris della 6.3 ma questa asserzione non è confermata da scritti geroglifici che rimangano. Fondata principalmente sulla già conosciuta testimonianza di Manetone, e contra detta da Eredoto e da Diodoro, potrebbe tuttavia esser sog- getta a dispute così bene come in passato. Per altra parte nessun nuovo documento abbiamo per credere meglio che nell’ andato tempo , che delle tante dinastie precedenti al- l’ invasione de’ pastori , alcune , almeno non fossero con- temporanee , ciocchè considerabilmente scemerebbe la lun- ghezza de’ tempi rispetto alle prime, e per conseguenza ri- spetto alla 4.à ed alla 6. Quest’ ultima opinione ; difesa 42 da quasi tutti i cronologi moderni, oltrechè da nessun nuovo monumento che si sappia è contraddetta, ha pur l’appog- gio d’antiche testimonianze , siccome quella d’Artabano citato nel cronico Alessandrino ed altrove. Certo la scienza stessa degli antichi preti egizi era rispetto a ciò molto in- trigata, giacchè , tutti citando i vecchi monumenti e i vec- chi papiri, altre cose raccontarono a Erodoto , altre a Dio- doro ; ed altre ne cavò Eratostene, altre Manetone, 1’ au- tore della vecchia cronaca, Artabano, e ciascuno di que’che venner dopo. Si confessa pure che la lunga tirannide dei re pastori messe tutto a soqquadro, e di tutto fece man base sa. Ci si dice che ne’ primi tempi non v'era grand’uso di tutto cuoprire con geroglifica scrittura, e che il poco scritto era infinitamente laconico e rozzo. Dunque, tra per l’una ragione, tra per l’altra, le tradizioni più che veramente i monumenti servirono ai sacerdoti per compilare le loro cronache. Intanto l’orgoglio nazionale comandava di dare al popolo un’alta idea della propria antichità, e più fa- cile riusciva di fargli credere le nuove esagerazioni, quando al finire del lungo dominare de’ barbari, già mancavano, o estremamente s’eran fatti scarsi imonumenti originali ch® smentissero le favole. Per verità molti de’ monumenti venuti d’Egitto e por- tanti iscrizioni che li fan credere fuori d’ ogni dubbio for- mati in un tempo antichissimo, hanno una perfezione di lavoro , per la quale siam costretti a supporre che lunghis- simo tempo abbia dovuto scorrere in Egitto prima che si potesse arrivare a tanta perizia d’ arti. Per esempio la sta- tua d’ Osimandia del museo di Torino , che si vuol con- temporanea d’Abramo, o fatta verso quel torno, fa supporre certamente già civile per lunga civiltà il popolo in mezzo al quale si seppe scolpirla: ma questa difficoltà per chi ben l’esamini non ha guari maggior forza dell’altre. Niente ci fa supporre che presso gli antediluviani già non avesse l’umana industria inventato infiniti raffinamenti d’arte e di civiltà , i quali conservati dalla famiglia di Noè, passarono e si accrebbero presso alcuni almeno de’suoi po- steri, cioè presso quelli che, trovato un suolo più fe- 43 liee, poterono meglio applicarsi a mantenere le tradizioni delle arti di lusso ricevute dailoro padri. Per contrario la stessa costruttura dell’arca per la sua parte umana, e quella poco dopo non meno ardita della torre di Babel, prove- rebbero anche sole il mio detto. Intanto la santa scrittu- ra, comecchè eccessivamente laconica, ci ricorda però la nascita di molte arti innanzi il diluvio ; e questa può es- sere una prima fonte di risposte alle difficoltà. Se il set- tentrione e l’ ‘occidente abbrutirono , potè l’ oriente e il mezzogiorno custodir meglio il deposito Noetico, e frutto di questa custodia in Egitto furono forse i bei lavori del tempo di Osimandias, come furono nelle Indie le belle sculture degl’idolatri addetti al culto di Brahma, e degli Dei che da Brahma discesero. Ma un'altra risposta si può trarre dalla stessa incer- tezza in che la Chiesa ha lasciato la vera età del mondo e del diluvio. Insomma, tuttochè la Bibbia sia libro d’in- fallibile verità come principale deposito d’ ogni nostro dom- ma e d’ogni insegnamento morale, e tuttochè abbia sem- pre vegliato la divina provvidenza a custodire intemerato il sacro testo in quel che riguarda la necessità della fede; non fu però assolutamente necessario che succedesse altret- tanto perciò che riguarda alcune cose di scienza puramente umana. Così accadde che v’ ha qualche differenza ne’ nu- meri degli anni corsi dalla creazione al diluvio, e dal di- luvio fino a noi, tra la nostra volgata ed il testo ebreo dall’una parte, e la versione greca dei 70 dall’ altra, co- mecchè i tre testi sieno ugualmente riconosciuti autentici per tutto quel che concerne l’ essenza e il bisogno della nostra relisione. E la differenza non è piccola: avvegna- chè secondo la chiesa latina, la quale seguita la volgata e il testo ebraico, dalla creazione al diluvio corsero anni circa 1656; e secondo la greca, ossia secondo i 70, anni circa 2202. Parimente secondo la prima dal diluvio ad Abra- mo vuolsi presso a poco essere corsi anni 292 ; e secondo l’altra se ne vogliono contare circa 1172. Dunque potreb- be anche senza empietà , chi al secondo più che al primo calcolo s’attenesse, collocare in questo nltimo intervallo 4i di tempo computato alla greca le 15 dinastie precedenti, la ‘nascita d’Abramo, in che'seguiterebbe l’esempio venerabile di molta parte de’ padri di santa chiesa, i quali appunto così fecéro, E basti di questa discussione accessoria, alla quale ven- ni per solo desiderio che la \indiscreta ed ignorante pietà d’alcuni non noccia all’incremento di.studitche cominciati appena già promettono larghissimi frutti storici. Ora per ‘venire al principale obbietto che mi mosse a scrivervi, sap- ;piate ,, caro Vieusseux, che mio principale. intendimento nel prendere in mano la penna fu di rendervi conto della seconda lettera scritta al duca di Blacas dal celebre. au- tore nostro amico, la cui scoperta ho fin qui cercato di di- fendere contra gli serupoli d’ alcuni pochissimi. Bella e dotta letterainvero! la quale contiene più te- soro d’antica verissima istoria che molti libri di volume .maggiore, I due fratelli Champollion, dico il Giovine, ed il Figeac, scrissero le due parti di che si compone: la pri- ma il primo , la seconda il secondo , siccome avevano pur fatto nella lettera precedente. Il Figeac trattò le determi- nazioni cronologiche , l’altro i monumenti e quel.che si cava leggendoli ed esaminandoli. Il tempo illustrato è quello che si comprende dal fi- nire della XV dinastia manetoniana, o dal cominciare della XVI fino al terminare della XXI; e v'è pure qualche bre- ve corsa a tempi anteriori, ma senza gran fatto fermarvi il passo. La lettera è accompagnata d’ un piccolo Az/ante, tra le cui figure spicca l’apografo della celebre tavola d'Abi- do, come il criterio principale che ci resta, per ordinare cronologicamente almeno 27 Faraoni ‘anteriori al gran Se- sostri, capo della dinastia XIX.a È già noto a qualunque lesse il Précis etc. nelle p. 245 e segu., cosa sia questo singolare e prezioso monumento. Vedendolo rappresentato agli occhi se ne impara adesso qual- che cosa di più, Contiene a quel che sembra l’invocazione d’ una se- rie di re, si direbbe quasi in forma di litania, a pro di Ramses Sesostri, il cui nome , e il cui prenome è alter- PE O Meli e di 45 nativamente replicato dentro il solito cartello egizio per tutta la 3 linea ‘orizzontale inferiore, ‘sotto i cartelli dei re in- vocati nelle due linee superiori. Questi re si' vede che un tempo furono in maggior mi- mero, avvegnachè Ìa parete sulla quale ne fu scolpita la se- fie' perdette per ‘corrosione una parte del suo lato sinistro. ‘Nello ‘stato attuale la seconda' linea contiene 18: car- telli,) e non ‘21, come per inavvertenza fu stampato nel Précis ; e la prima ne lascia intendere ora soli 9, mamo: stra le vestigia più o meno danneggiate di tre altri i Tutti i cartelli, eccetto l’ultimo (e im’ intendò .il 1.° a sinistra di) chi legge nella 2.2 linea) non altro contengo= no che il nudo prenome : ma' si sa che in questò spezials mente consisteva la caratteristica monumentale d’ ogni Fa- raone') giacchè ipel nome proprio’ molti. potevano »rassomi» gliarsi tra loro ; mentre nel solo prenome tutti differivano. A quest'ultima regola io non conosco che tre. sole ec» cezioni.; La ‘18 ci viene offerta dalla 18.à dinastia; nella quale i due fratelli Achencheres, Ousirei,, e Manduei, por- tano ambidue'lo stesso cartello prenome, chesi:spiega sole stabilito dellà regione ‘mferiore ; che iè dire il disco simbolo del sole l’immagine della Dea Sazè (la quale ora, sicco- me imparo ‘dal. imio valente ‘amico: sig. professore Ippo- lito' Rosellini molto bene ‘iniziato ‘negli studi: :geroglifici , non più è detta Satè , ma Smè (1) dal sommo .ed. unico interprete Champollion); e il parallelosrammo merlato. La ava eccezione \mi:dà luogo ad osservare il nostro Gabinetto d’antichità annesso all’archiginnasio , dove: un gran fram- mento d’antica tavola contiene le preghiere, secondochè qui lesse lo Jerogramme francese, del Faraone /ecztanebo (forse il 1.° delia 294 Dinastia) ; e dove il cartello del.suo nome ha la'compagnia dello stesso cartello prenome (sole stabilito sull’ universo (2) che già ebbe il re Osortasen II° (1) Questa variazione deriva dall’essersi accorto il dotto francese che il :2.° c rattere geroglifico del nome della Dea non è già un Z, ma un 72; € però nell’ da faheto fonetico supe. gp in fine del précis è d’aopo trasportare sotto lo m cofto l’ultima figura che ora si trovi sotto il d o £. (2) Altre volte spiegava Champollion devoto del sole dell'universo, Oggi 46 re della dinastia 26.2 espresso nell’ Atlante annesso al Pré- cis sotto il n.° 119: siccome questi aveva innanzi tolto il prenome medesimo al Ramses IX. Amenmè, o Ammenemes, 5.° della 19%, di guisachè in tal caso fino a tre Faraoni usur- parono uno stesso cartello. Il terzo lo rilevo dal confronto delle tavole di questa seconda lettera con quelle ugualmente del Précis, giacchè vi si scorge il prenome di Ramses VII.® figliuolo di Sesostri, uguale a quello di Osorcor, e inter- petrabile al pari: Sole guardiano della regione inferiore ap- provato da Ammone. ‘E forse ne’casi non molti (almeno fino al, presente gior- no), ne’quali questa usurpazione dell’altrui prenome av- venne, le altre differenze negl’interi protocolli reali di- stinsuevano bastantemente re da re : ma, checchè sia di questo , è certa cosa che nel generale siffatta confusione era prevenuta col dare ad ognuno , siccome da principio dissi, un prenome diverso, il quale si poneva le più volte nei monumenti:senza la compagnia del nome, e così posto già differenziava quanto basta persona da persona. È dunque preziosa, conforme già notammo , la serie di cartelli della tavola o a dir meglio della rupe d’Abido, tuttochè contenenti i soli prenomi; e tanto. più preziosa in perchè si riferisce a. Faraoni d’ un tempo remoto , ri- spetto a’ quali di necessità debbono essere più scarsi i mo- numenti. E già l’ipotesi più naturale che potesse farsi è che la loro serie sia disposta cronologicamente senza salti e senza interruzioni ( tranne quelle provenienti dalle fratture del sasso): ma fortunatamente questo , di che qualche serupo- loso avrebbe potuto dubitare, è ora fatto certo dal con- fronto della tavola con altri monumenti , spezialmente re- lativi alla XVIIIL® Dinastia , e già richiamati in parte ad esame nella lettera 1.8 giacchè in quelli si trovarono col- l’ordine stesso collocati alcuni de’Faraoni posti di seguito sul registro d’ Abido. Possiamo dunque omai con piena si- cangia parere, probabilmente per buove ragioni. V. prima lettera a Blacas pag, 20 24. 47 curezza, quando ‘incontreremo uno. di que’ tanti preno- mi pur solo, conoscere subito il posto che conviene al re il quale lo portava; e per induzione anche la dinastia du- rante la quale fiorì: e vedremo più volte nel progresso di questo. estratto quanto spesso tale specie d’ajuto giovò a ri- stabilire le liste reali nell’ordine vero; e quasi a far che rinasca dalle sue ceneri una parte già disperata e quasi per- duta della storia dei re d’Egitto.. Tutte le altre tavole dell'Atlante son elle pure di grande importanza ; e avremo nel seguito più d' una occasione di ricordarle. Ora egli è tempo di conoscere le illustrazioni storiche e cronologiche le quali nella lettera qui esaminata si contengono; ed in un secondo articolo ci occuperemo di proposito della loro rivista, l FrANcEsco OrIOLI. (Sarà continuato) FEE: “Perri e" e zione reale dell'ago era al porto Bowen lo stesso di quella a Wolwic; lo che può far supporre che lungo il meridiano di questi due luoghi percorra una linea magnetica sul glo- bo fino al polo. La medesima osservazione fu verificata circa la variazione massima. In que’ climi propagasi il ‘suono con tanta facilità +» a distanze tali, che un giorno potè il luogotenente Foster fd » ei dall’osservatorio parlare con un marinaro, il quale trova- vasi distante 6696 piedi, ossia quasi un miglio e due de- cimi. Il tempo era placido e serenissimo. Del pari che nélle navigazioni antecedeuti furono in \questa osservate molte aurore boreali. Ecco in qual modo il capitan Parry ne descrive una, che fu più delle altre no- tabili, perchè apparsa con circostanze più speciali. “ Cominciò essa a mezzanotte del 27 gennaio con una -densa massa di luce gialla, che si elevò al sud-est , eda quel che ne parea , a picciola distanza dalla terra. Non ostante l’omogeneità della sua sostanza luminosa, apparia di tratto in tratto quella luce, come formata da innumerevoli raggi foltissimi e visibili. Il fenomeno però variava quando a quando nella sua intensità con alcuni spicchi di lume più vivace. E mentre io stava dall’osservatorio con i luo- gotenenti, Ross e Shener contemplando un così vago spet- tacolo, un grido di ammirazione ne sfuggì contemporanea- mente a tutti tre, Un raggio brillantissimo spiccato da quella lucida meteora venne a cadere forse tremila braccia innanzi di noi. ,, Afferma il navigatore che traguardavansi le stelle in quella sfera luminosa, come vedrebbonsi a traverso di un velo tenuissimo. Non si udia fragore non che il menomo suono, tutto che si ascoltasse con la massima attenzione e silenzio. Durante l’inverno, e sopra ogni altro nel corso di dicembre, fu anche vista spesso l’altra meteora delle così dette stelle cadenti; e si notò che mentre avveniva , alte- ravasi sempre lo stato della temperatura. La rifrazione sfi- gurò una volta in un modo sì strano l’aspetto della luna, che ove si vedesse qualche cosa di simile in Europa , il volgo già ginrerebbe sull’ imminente fine del mondo, Nelle stampe, che fan corredo all’ opera, veggonsi le forme se- lenografiche apparse agli osservatori in quel momento, Son esse molto varie e bizzarre. Parry narra un altro fenome- no non men specioso, “ Il 20 marzo alle 9 ore 30 minuti pomeridiane ap- parve il sole circuito da ‘un aureola, e da un falso pare- lio intorno intorno. L’aureola parea tagliata da una por- 36 «lione di cerchio aeeotaate ‘colorata : Fap quale cerchio erà attorniato da un altro arco luminoso lontano 46.° 4a' dal disco solare , in cui brillavano vivacissimamente tutti i co-' lori dell’iride. Scorgévasi quindi per tutta l’estensione del- l’ atmosfera ùnà zona di luce che passando fra l’astro e il parelid era parallela all’ orizzonte. Nell’ interno di questa circonferenza lucidissima, ed Allà distanza di 114 è mezzo dal sole, appariva una nebulosità biarica e tenuissima. Nel tempo di questo pagina ai cadeéa folta neve a fioc- chi minuti. ,, “Non va tralasciato che dutante l’intero nostro soggiot- no'al portò Bovveny il barometro not ‘fu Idi uffiziò veruno ad indicare i i possibili ‘cangiamenti di temperatura. Il mer- curio seguiva ftrnii ‘prededesse le variazioni dell’ atmo- sfera. ’» «Noi 'vidimò pochi animali , rate il ‘capitano Pat- Ty ; i nostri ‘cacciatori ‘ecisero dodici orsi; alcuni ‘altri non' si lasciaron. colpire. Ei mancò poco che una di que- ste bestie non camisasse ‘Ta ‘morte di ‘un'‘marinato della Fu- ria, il quale stando solo e senza armi sovra di una colli: Ha; ‘ved'ondola dpprossimatglisi, prese la fuga | se precipitò per ùunà 'scoscesa ‘costa alta quasi cento piedi. Fu raccolto assai maldoridio e ferito ; nè fu' presto a guarire non ostante tutti gli ajoti dell’arte. ‘© Un’otsa ché venne uccisa ‘nientre andava a nuoto ci diede ‘un sorprendente fe a d”amor materno. Avrebbe ella' ben potuto sfuggire ‘a’ colpi della barca che le dava caccia; però' non mai volle abbandonare due suoi orsac- chini che nuotando portava ‘sul suo dorso, tuttochè questi la imb&razzassero ‘al'nuotare: Di un fatto quasi simile fum- mo testimonii durante la primavera. Due orsotti eran ca- duti ‘in’una fessura sopravvenuta nel ghiaccio. La madre, la quale si ostinò a volerli difendere contro a’nostri cac- ciatoti; fh‘ammazzata mentre che le era facilissimo di sal- varsi fuggendo. La carne di questi animali! né era di som- ino ajuto per l’ alimento de’ cani eskimiesi ché impiegava- mo a tirar le slitte. ,, ‘ Uctcidemmo ancora due volpi ( canis Vagopus ); 7 quattro altre caddero nel lacciuolo. Una di esse fu ser- bata in vita a bordo della Furia, e si pervenne ad addi- mesticarla. Il pelo della sua pelle si conservò bianchissi- mo finchè durò l’ inverno ; ma quindi verso maggio tra- smutossi in color di cioccolata con macchie più brune. La caccia ne procurò di più tre lepri (/epus wariabdilis), che avean la pelle folta morbida e di una lucida bianchezza. Ma non vidimo nè daini e molto meno lupi. Un solo armellino, ed alcuni sorci (Mus Hudsonius ) completano la lista de- gli animali da noi visti in quella trista e gelida regione. ,, ‘“ Circa a’volatili fu osservato fino al 3 ottobre qualche stormo d’anitre ne’ luoghi ove. il mare non era ancora con- gelato ; ma poi disparirono; nè più comparvero se non a giugno. Arrivando al porto Bovven trovammo alcune oche, delle quali ne riuscì di ucciderne una il 23 dicembre , ed un’altra il 18 febbraio. Quindi si moltiplicarono a nume- - rosì stuoli verso il finir di marzo , talchè in men di un mese ne uccidemmo più di ducento. Ma scomparvero di bel nuovo ; e noi presumemmo; che era quello il tempo del loro perse gio al nord, lasciando porto Bovven come luogo in sè troppo sterile a nutrirvisi più lungamente. Il chiurlo col suo acuto grido venne finalmente , e fu il primo ad annun- ziarci la primavera. Vidimo in ultimo qualche gabbiano e cornacchia ; volatili non veduti nell'inverno de’ precedenti viaggi. ,, Dopo nove in di mesi di prigionia fra que’ ghiacci poterono alla fine le navi rimettersi in cammino, facendo vela allo stretto del Regsgente. Disegnava il capitan Parry di costeggiar tutto il lido della terra indicata nelle carte col nome di Nord Sommerset, e di inoltrarsi il più che fosse possibile ad occidente , verso ove sperava di arrivare fino al 95 di longitudine. Però le nebbie e le congelazioni lo impedirono. Si volse allora prua a borea, e si perven- ne alle isole Leopoldine. Quivi si trovarono ghiacci simili a quelli rinvenutivi nel 1819. Parevan quasi per forza d’at- trazione aderenti alle coste im modo a vietarne ogni avvi- cinamento. Ma dopo alcuni giorni un forte vento fresco stac- candoli, vi aprì un passaggio , e permise a’ navigatori di to) Soli fino al capo Leppings. Colà trovarono un braccio di mare navigabile largo quasi due miglia; era benanche sghiacciato tutto lo stretto di Barrow ; ed avvisa Party che questa parte del mar polare non è mai ingowbera da molte congelazioni. Conformemente al suo disegno, percorse egli intorno al lido occidentale del Reggente veleggiando al sud; e siccome era quella la prima volta che navigavasi per que’ma- i, diede, in testimonianza di memuria e di stima, i no- mi degli ufficiali di marina suoi amici a’golfi e seni che vi scoperse. Finchè gli ghiacci permisero di penetrare , si trovaron sempre coste alte, e molto fondo d° acqua ; però il 28 luglio, al grado 72.° 51’, 51° longitudinale ogni ul- teriore inoltramento divenne impossibile. Vi erano sulle spiagge adjacenti alcune capanne di Esckimiesi, probabil- mente da yran tempo abbandonate , aa vedevansi co- perte da molta erba e musco. Quì incominciarono le sventure del viaggio. Un con- tinuo vento boreale sospigneva enormissinte masse di ghiac- cio contro alle navi, le quali il 1 agosto ne erano sì com- presse e circuite, che fu ineseguibile ogni manovra. L’Ecla urtò più volte alla sponda , e poi vi rimase immobilmente stretta dalle compressioni esterne ; e la Furia, da un col. po di mare projettata sovra un ghiaccio appoggiato alla ter- ra, fu talmente danneggiata che incominciò a far molta acqua. L’ alta marea ripose a galla la prima; però la se- conda non era più valida a navigare ove non venisse rim- palmata. Si saggiò di alleggerirle il suo carico; ciò non ostante la scossa le avea recato troppo danno perchè ella mai più potesse reggere in mare. Fu dunque risoluto di abbandonarla. La sola sua marineria passò a bordo dell’Ecla; mentre non vi era spazio capace a ricevervi il restante del suo corredo e delle sue provvisioni. Aggiugnevansi a questi crudeli frangenti la stagione già non poco inoltrata, e la diminuzione delle vittuaglie, appena sufficienti fino all’autunno. Non rimaneva altro espe- diente se non il ritorno il più possibilmente celere in In- ghilterra. La Furia era destinata a perdersi inevitabilmente in que’ mari. Fu questo un evento nuovo oprato dalla forza ear _—— pr —_ 79 degli ghiacci, e non avvenuto negli altri due viaggi ante- riori. “Quantunque le nostre navi, dice il navigatore, fos- sero internamente del pari che esternamente foderate, e tali a presumerle non peribili per qualunque accidente ,ì ciò non pertanto imparammo noi dall’esperienza, che quando un masso di ghiaccio galleggiante percuote un bastimento appoggiato alla spouda, non v’ha costruzione, la più munita di legno non che di ferro, che basti a salvarlo. Una nave è come tutte le altre opere dell’ uomo, un nulla a petto delle prodigiose formidabili forze della natura. Anche il vascello più grande solido e robusto deve essere schiac- ciato come un guscio di noce, allorquando da un lato tocca l’immobile resistenza della costa, mentre che dall’altro vien percosso da una vasta mole ghiacciata. ,, Lo stretto del Reggente fu nel ritorno trovato interamente libero da’ ghiacci. Vi si scoperse un eccellente porto al sud di quello di Bowen, ed assai migliore. Il capitano Parry lo descrive accuratamente , perchè crede egli che quando la pesca delle balene non più si farà nella baja di Baffin, potranno i pescatori estendersi fino al mentovato stretto del Reggente. L'Ecla quindi passò per quello di Barrow, e poi per l’altro di Lancastro ove galleggiavano pochi ghiacci so- spinti da venti orientali, e imboccativi sortendo dalla baja di Baffin. La libera navigazione nel ritorno per acque nelle quali eransi incontrati cotanti ostacoli andando, fa supporre che la state del 1825 fu'assai più calda della precedente. A mezzo settembre fu attraversato lo stretto di Davis: e finalmente non senza aver corse varie fortune nell’Atlan- tico, girando il ro ottobre la boreale punta delle Orcadi, i viaggiatori buttarono l’ ancora il dì 20 a Sheerness. Noi menzionammo che il capitano Parry osservò non poche volte correre gli ghiacci verso occidente, tuttochè da quivi spirassero venti fortissimi. Egli ritorna sovra questo subjetto nel conchiudere la relazione del suo viaggio; e ci- ‘tando in appoggio molte osservazioni di simil genere fatte ‘megli stretti di Davis, Fox, e del Reggente, aggiugne: “ Debbe esservi in que’ mari qualche movimento che sospinga da levante a tramonto gli ghiacci galleggianti , 80 i quali sempre in una tale direzione procedono; a meno che non vengano:trattenuti da fortissimi venti o correnti. Quelle masse non si soffermano se non quando incontrano le co- ste ;, e queste ne stanno ognora insombere. Sarà facile a rammentare, che nel viaggio fatto fra il 1821 e il 1823 feci menzione speciale, che le navi declinavano ad occidente verso l'isola Southampton invece di andare a deriva all’oriente, ove. avrebbe dovuto sospignerle una! forte tramontana che soffiava in! quel punto. Accumulavansi gli ghiacci intorno alle ripe di. quell’isola ; e durante la nostra dimora nella baja di Baffin l’anno 1824, notammo la medesima decli- nazione tuttochè contro vento ; la quale osservazione ebbe anche luogo nel passaggio al nostro ritorno. ,, ‘ E possibile che provenga questo fenomeno dalla tem- peratura delle terre occidentali assai men fredde che ‘le op- poste. 0. forse è un effetto della ruotazione del globo. Non ardirei asserirne la ragione vera. A me basta il riferire i fatti ,,. « Ecco un'altro fenomeno, di cui fummo sovente te- stimonii, e del quale non è finora facile il dar spiegazio- ne esatta. Il vento costantemente perde forza e intensità allorchè travalica non solo sovra alte congerie di ghiacci, ma benanche sovra quelle che abbiano appena un piede di elevazione sul pelo dell’acque. Quando esso avviene , non si nota cangiamento veruno nella temperatura atmosferica ;,. L’intrepido navigatore è tuttavia convinto eirca la reale esistenza d'un passaggio da que’ mari al Pacifico; e si mo- stra vago di nuovi cimenti per realizzarne la scoperta. « La quistione, dice egli, se realmente esista. o non esista un tal passaggio, è tuttora quale era anteriormente all’ultimo nostro viaggio ; ed io posso poco aggiugnere a ciò che fu scoperto nel penultimo. Le mie idee sul camino a presciegliersi, e su’mezzi adottabili pel buon esito , son sempre le medesime. Intanto la quasi certezza di trovar navigabile il mare all’estremità S. O. dello Stretto del Reg- gente, deve accrescere le compitè speranze di riuscita. In- viterò sempre i navigatori commessi a, questa impresa per chè essi rivolgano a quel punto tutti i loro tentativi .,,» 8r « Fo l’intima persuasione che con nuovi sforzi si per- verrà presto o tardi alla meta desiderata. Nulla essa oppo- ne di impossibile ; e se noi vi fallimmo, ciò avvenne per un concorso di accidenti fortuiti e disgraziati, non preve- dibilinè impedibili da ogni prudenza umana. Più di un ten- tativo può forse ancora andar fallito; ma finalmente ver- tà l’esito coronato da buon successo. A malgrado di una costruzione nautica, la di cui eccellenza e perfezione era superiore a quanto videsi di meglio ne’nostri cantieri, e non ostante tutti i nostri sudori per degnamente adempire l’im- presa affidataci, noi fummo colpiti da una sventura impos- sibilmente schivabile. Questo evento è una pruova di più delle cure e precauzioni necessarie a prendersi in simili na- vigazioni. Rimarrei ben deluso dalle mie congetture se al passaggio si pervenisse nel solo corso di una state. Credo al contrario che vi abbisognerebbe un concorso di parti- colari favorevoli circostanze, perchè l’impresa riuscisse pas- sando una sola invernata in quelle regioni. Però ciò nulla fa contro albuon successo. Noi sappiamo attualmente che si può sveroare in quel clima , ed anche godervi ottima salute. Conchiuderò infine scongiurando coloro a’ quali si affideranno ulteriori viaggi per que’ mari, a non negliger nulla di tutto ciò che può contribuire alla robustezza delle navi, alla conservazione delle vittovaglie, alla nettezza, di- sciplina ed attività delle ciurme ,,. «« Ei fora stato assai dolce e lusinghiero per me il ri- solvere la quistione che è tuttavia indecisa. Me felice in- tanto se col poco da me fatto posso somministrar utili lu- mi a colui che il governo sceglierà in seguito per riten= tar l’ impresa. Me più felice se questa mi venisse di bel nuovo affidata. Possa l’Inghilterra proseguire a spandere i lumi e i beneficii della civiltà con simili viaggi. Tali ope- re fanno onore alla nazione che le esegue, anche ove non vengano coronate da buon esito. La posterità le giudicherà degne di un popolo colto e possente ,,. ‘7. XXIV. NVovemb. Dicemb. 6 8a Appendice. Si apparecchia ora in Inghilterra un nuovo viaggio del capitano Parry. Trattasi di pervenire al polo artico per de= terminarvi il punto interiore di quel cerchio circuito da ghiacci. Il cap. Franklin si era offerto di intraprenderlo partendo dallo Spitzberg ; e il suo disegno venne adottato dal cap. Parry, il quale animato dalle speranze le più fe- lici, vi è stato anche incoraggito dall’opinione della Socie- tà Reale, la quale avvisa non impraticabile questa im- presa. A’principii di primavera sara dunque l’Ecla messa di bel nuovo a disposizione di questo ardito navigatore, il quale si porterà a Clowen Cliff sulle coste dello Spitzberg. situato sotto il 79° 52' di latitudine; a dugento leghe cioè dal polo. Spera egli di esservi verso il finir di maggio. Di là quindi partirà con due legni piccoli, idonei a navigare quando il mare è libero, e adesser tirati come slitte ove sia conge- lato. Saranno essi costruiti con materiali leggieri tenaci e flessibili; oltracciò verranno foderati con cuoi e tele ingras- sate, servibili anche per vele. Due officiali e dodici mari- nari monteranno a bordo di queste due barche provviste di vittovaglie pel bisogno di tre mesi. Un siffatto tempo, anche supponendo che i viaggiatori non facciano se non 13 miglia al giorno, sarà sufficiente per giugnere al tanto desiderato polo , e quindi far ritorno a Clowen Cliff. I viaggiatori avranno seco loro molti cani e molte ren- ne: quelli per tirar le slitte; questi per vettovaglia in ca- so di necessità. È noto che la temperatura di que’mari è moderata durante la state, e che la luce vi è continua, non. mai tramontando il sole : fra le quali circostanze si pro- vò coll’esperienza che i viaggiatori son sempre più sani. Durante l’assenza del capitano Parry, quelli che reste- ranno a bordo dell’Ecla, si occuperanno ad esplorar le co- ste orientali dello Spitzberg; ed i dotti faranno esperienze sul pendolo, sul magnetismo, sulla meteorologia, l’istoria naturale ec, ec. In caso di buon successo vi è, oltre alla 83 gloria degli scopritori, anche la ricompensa di 5000 sterlini, Si spera molto in Londra che Parry e i suoi prodi com- pagni saranno di ritorno fra un anno. (Dal Bull. della Società di Geografia.) G. P. I) SOCIETA PER LA DIFFUSIONE DEL METODO DI RECIPROCO INSEGNAMENTO. Adunanza dei 27 Febbraio 1826. Il sig. march. Luigi Tempi presidente della società in- cominciò colla lettura della seguente prolusione. Giunto al termine del triennal ministero, al quale vi degnaste, o Sigoori per vostra compiacenza inalzarmi, uno solo sarebbe lo scopo , al quale potrebbe esser diretto il mio dire in questo giorno, se ben non mi sovvenisse d’essere stato in tal carriera preceduto dal degno mio antecessore, quello che il primo ha con tanto zelo, e con tanta nostra soddisfazione occupato questo onorevole scanno . E in- fatti, sopra quale più conveniente argomento potrei io trattenervi che sell’ utilità dello spirito d’ associazione ? e come potrei io farlo nè più opportunamente , nè con più acconci modi , che Egli nol fe- ce? Il rammentarvi che il solo sforzo delle nostre volontà riunite può condurre a una robusta maturità la nascente istituzione, battuta sovente da tante tempeste, inopportano sarebbe per voi, e anco di troppo presontuoso ardimento per la mia tenuità, che dai vostri lumi, e dalla vostra cooperazione animata, ha osato , solo in questi appoggi fidando , assumere la Presidenza della società nostra. Moutivo di lu- sioghevoli speranze al mio cuore, è il vedere oggi compito il se- condo triennio della nostra istituzione: l’ invidia e il pregiudizio, che insidiavano quali serpenti la sua culla, sono stati da essa , qual nuovo e più vero Alcide, soffocati e spenti. Le nostre scuole plausibilmente dirette dalli attuali istitatori nen fanno, come altre volte temere per la loro esistenza : una saggia economia intro.lottavi da quel socio ; al quale dobbiamo pur questo essenzialissimo beneficio , metterà in bilancia i bisogni delle scuole, colle ristrette nostre rendite, Gran numero dei primi alunni da noi 34 formati, sono oggi robusti giovinetti, i quali distinguendosi fra i loro compagni di età, meno di essi favoriti nell'educazione, dimo- strano fin d’ ora quanta sia la cura che si adopera per la loro morale cultura. Nè asserzioni gratuite sono queste, o Signori : voi stessi nel- l’occasione delle distribuzioni dei premi alle Scuole avete potuto esser testimoni della premura colla quale accorrono a cotali solennità i padri, e le madri dei nostri alanni , quali testimonianze di gratita- dine ci esternano , ora per esser noi giunti a vincere l'indole ribel- le e ostinata di un figlio, ora per aver moderata la sua eccessiva vivacità, non con i gastighi, ma coll’ ispirarli il genio di dilettevoli occupazioni apparate alla scuola, e proseguite poi con ardore nelle domestiche pareti, Io quì mi arresto , o Signori , ponendo fine al mio dire, perchè non voglio usurpare ai miei degni colleghi la soddisfa- zione di esporvi , e lo stato attuale delle nostre scuole , e le altre notizie concernenti il nostro istituto, La gratitudine che io alta- mente professo alla bontà e indulgenza, colle quali mi avete ono- rato , o Signori, eguaglia soltanto il mio invariabile attaccamento alla nostra cara istituzione. Successivamente il sig. march. ‘Cosimo Ridolfi rese conto dei lavori della società per il decorso anno nel mo- do che segue. Giacchè felicemente il settimo periodo ritorna da che riuniti facciamo scopo delle nostre premure la mutua ed elementare istruzione del popolo, eccomi secondo che il dovere m'impone a porvi sott'occhio un rapido quadro dei vostri atti o Signori, nello spirato anno accademico. Semplice narratore ed estimatore del- l’opere altrui sarò in queste pagine, giacchè l’attual mia situazione particolare vuole che d'altro incarico sociale occupar non mi possa se non di quello d’istorico vostro , incarico che premuroso di tanto onore mantenni allorchè dovei renunziare a quello di soprintendere ai vostri stabilimenti , che nati non senza qualche mia particolare fatica avrei voluto per elezione e per impegno accompagnare col- l’opra nella prosperosa loro virilità. Ma appunto da quel distacca che a fortunato cambio diè luogo d’ assiduità d’ingegno e di zelo nel nuovo soprintendente, mi è duopo di prender data e mostrarvi quanto a lui debba la società nostra per l’ avanzata perfezione delle sue scuole. Reduce il mio successore da lungo ed illuminato viaggio per quelle contrade d'Europa ove la primaria istruzione del po. polo occupò i più bei talenti e mosse i cuori i più ben fatti, egli vi rese minuto conto nelle vostre mensuali adunanze delle prati. che e degli effetti che nelle scuole d’Italia , di Francia, del Belgio, I n e | 85 é dell'Inghilterra osservavansi , e vi diè così prova ben chiara del molto che egli avrebbe potuto fare , applicando al nvstro sistema ‘d’insegnamento le sue cognizioni. Ed in fatti i registri aperti nelle scuole, onde ricevere le osservazioni dei visitanti: le osservazioni di questi meditate dai maestri, dai comitati della Società intera re- sero dei segnalati servigi, e tanto più numerosi in quanto che si estese per le dimostrazioni del March. Pucci il numero di coloro, che a registrare le proprie idee avevan diritto, poichè mostrò come i semplici soscrittori al mantenimento delle nostre istituzioni aves- sero acquistato un giusto titolo a divenire nostri soci corrisponden- ti. Osservando poi che non è mai da dirsi superflua ogni cura per la quale si possano imprimere nell’ animo dei fanciulli dei sentimenti di venerazione per il Greatore, ed assuefarli di buon ora a porgere ad Esso convenientemente le loro preghiere, encomiando il sistema di far cantare ai nostri alunni degl’ inni di lode e di giubbilo, e men lodando l’altro di accompagnar col canto le quotidiane preghie- re , quello per queste , e col maggior effetto di raccoglimento e di devozione, soppresse. Non io citerò poi minutamente ogni parzial correzione fatta ai respeltivi processi d’ insegnamento, che lungo la- voro sarebbe ed inutil ripetizione per voi tutti riuscirebbe in quanto che scrupoloso ragguaglio ne aveste nelle ordinarie e mensuali adu- nanze; bensì ricorderò ancora una volta come sulla proposizione del vostro soprintendente alle scuole ottenessero i respettivi mae- stri qualche ristoro dalle assidue loro fatiche, senza diminuzione di utilità per la parte del pubblico, e vedessero provveduto a quel pre- mio che nella tarda vecchiezza sembra meritato dalle cure indefesse della loro carriera. Invaderei., scemandone la compiacenza , le attri- buzioni d’ altri colleghi se io quì facessi parola delle nostre relazioni colle scuole nazionali e straniere, e pur anche se della popola- zione e della consolante salute dei frequentanti le da noi mante - nute vi ragguagliassi; talchè cedendone ad altri l’ ambita sodisfa- zione io sarò pago di chiudere il mio breve rapporto col rammen- tarvi esser qui tutti raccolti per l’ oggetto importante di provve- «dere per quanto da noi si puote al futuro, non che di udire ciò .che al passato sebbene consolante concerne . Io voglio dirvi che del rinnovamento di alcuni dei vostri ufficiali si tratta, e fra que- sti del presidente. Al qual uffizio con quanta cautela di scelta , con quanta maturità di consiglio dobbiate procedere, vel dica una rapida reminiscenza di quanto dovete a chi tuttora ne esercita le funzioni, ed al quale il succedere felicemente sarà sempre glorioso quanto difficile. 85 Il sig- march. Carlo Pucci nella sna qualità di soprin- tendente interino delle scuole presentò di esse un ben or- dinato;ragguaglio, rattenendosi principalmente a mostrare. che il numero degli alunni che vi concorrono gradatamente aumentasi, mentre d'altronde è sempre più grande il nu- mero ancora di quelli che si trattengono fino al termine del corso d’istruzione determinato per le scuole medesime. Fece menzione il sig. march. Pucci di alcuni esperi- menti già fatti sotto la sua ispezione nella scuola di S. Chiara, all’oggetto di regolare l’esercizio di lettura secondo un nuovo metodo proposto dal sig. Hamilton. Questo me- todo, il quale procura alle scuole una disciplina superiore a quella prodotta da ogni altro sistema finquì sperimentato, riuniscè ad una grande economia una celerità sorprendente nell’insegnamento della lettura. Questa disciplina, econo- mia e celerità sono il frutto dell’attenzione ognor mante- nuta degli alunni, dei pochissimi materiali che si richieg- gono per l’insegnamento, e delle frequenti ripetizioni che “occorrono e che producono l’effetto di fissar così facilmente le idee di relazione fra i segni ed i suoni. L'attenzione , e le ripetizioni son conseguenza l’una delle altre, ed ecco come ad esse si connette l’ economia ed il profitto. In ciascana classe un monitore seduto al cen- tro di un semicerchio di alunni che stanno in piedi , mostra loro col dito sopra una cartella la lettera da nominarsi, o le parole da compitarsi o da leggersi correntemente se- «condo a qual classe l’esercizio si compie. Al tempo stesso egli articola i suoni convenienti e gli alunni si ripetono uno dopo l’altro a vicenda ; ed allorquando il monitore crede le ripetizioni abbastanza protratte per aver prodotto un sufficiente effetto passa avanti col metodo stesso. Tace- remo qui gli ulteriori dettagli come estranei a questo rap- porto, e solo diremo che dal risultato dei sopra espressi esperimenti sembrava potersi già dedurre esser quel meto- do vantaggiosissimo; e per questo da adottarsi definitivamen-» te nelle scuole della società. Vi fu intanto luogo di ren» dere le debite grazie al viaggiatore inglese sig. Skene, il | cisti alza ld 37 quale per. tutto il tempo della sua permanenza in Firenze si prestò efficacemente a ben dirigere i sopra, espressi espe- rimenti, mentre d’altronde riuniva presso di/sè. una nu- merosa società di studiosi , i quali col metodo» medesimo d’Hamilton eransi proposti d’apprendere l’inglese idioma. Dietro le conclusioni del sig. march. Pùcci la società incaricò il suo comitato del metodo di prendere in esame i principii ai quali appoggiavasi il nuovo sistema, e di pro- porre l’ adozione di esso quando lo avesse giudicato utile, non meno che i mezzi necessarii per ridurlo ‘alla pratica. Aveva il sig. march. Tempi annunziato nella sua pro- lusione che in forza dei regolamenti dovevansi in quell’adu- nenza rinnuovare gli uffiziali della società. Dessa in con- seguenza uniformandosi ‘alle ordinarie pratiche nominò nuc- vo Presidente il sig. comm. Lapo de’Ricci, tesoriere il sig. cav. priore Amerigo Degl’Albizzi, membri del comitato del metodo i sigg. march. Giuseppe Pucci ed avv. Leopoldo Fabbroni, e di quello d’economia i sigg. conte Ferdinando Del Benino, e Girolamo dei marchesi Guasconi, Adunanza dei 22 marzo 1826, Il sig. comm. Lapo de’Ricci presentato alla società in qualità di nuovo presidente dal sig. march. Tempi che ces- sava di esercitare quel medesimo uffizio , fece lettura del seguente discorso, Solevano gli ateniesi quando riunivano le loro assemblee far gridare da un araldo che salisse alla tribana solo colui che fosse in grado di proporre qualche cosa di utile per la patria, onde se io do- vessi obbedire a questo consiglio dovrei per certo , colleghi e socii ornatissimi, tacermi, come quello che nulla sarei abile a proporre per lo avvantaggiamento delle vostre istitazioni , delle quali fui presso. chè ignaro fino agli ultimi giorni, facendo parte solamente della folla di quel popolo desideroso del bene, ma che non conosce i mezzi cer* per conseguirlo. i Ma poichè ha voluto la bontà vostra accordandomi spontanea È suffragio per presiedere alle radunanze di questa filantropica so - 30 cietà, che' io o ‘bbandonato ogni rossore re parli a voi, eccomi a eseguirà quanto il dovete e la riconoscenza ‘m’impongono, esternandovi senti? menti profondi di gratitadine per la%confidenza:che' mostraste inme, ed alla quale (per la debolezza ;delle forze mie.male posso corrispon: dere, E questa debolezza mia,, figlia jpur troppo d’.invalido ingegno, mi si, fa sentire più forte considerando quanto io dovrei fare per cor- rispondere degimnente alla fidacia della società, tanto , più, che io succedo a due dei Al distinti e zelanti fra voi, .che nè tempo, né cu- ra, né ingegno, nè spesa risparmiarono per lo utile, ed il progresso del vostro liberale istituto. | i LE dire del mio predecessòre il march. Luigi Tempi nell’oéea! parsi égli stesso dei mezzi di elementare educazione , pubblicando a sue spese la traduzione ida .lui-fatta del corso di disegno /lineare: di Froncoeur, saranno sempre di,grata ed utile ricordauza non:.soloz ma, di nobile emalazione per,coloro,che; vorrebbero seguire le. di lui tracce; e la società nostra deveressergli riconoscente del cortese asilo del quale gode nelle di lui domestiche mura, asilo che la rende libera alle proprie occupazioni , e che egli con generosa e nobilé fa cilità spontaneo continua ad accordarle. Nè solo di questo occorre qui far menzione , ma pur anche dello zelo costante ed indefesso i De promaovere' questa felice istituzione chè ‘la società nostra dirige, oe cupandosene non solo per il bene di questa città, ma anche digit terre, di quei luoghi dove può spingere la:sna benèfica influenza, ed ora ultimamente fondando una scuola in Poggibonsi. Ma sapendo che la:modestia della qual.e..è fregiatol nòn celiscliba dire! di lui quanto occorrerebbe mi taccio, giacchè i fatti che, voi conoscete parz lano più di quanto popesti io dirvi... i init: Non posso però ; nè devo dispensarmi dal rammentorvi quanto per la diffusione del metodo di Reciproco insegnamento oprò il nostro primo presidente marchese ca valiere Orazio Carlo Pucci. A lui deb- bonsi render grazie per lo i impegno che pose in sostenere questa no bile istitazione , ad onta di tatti gli ostacoli frapposti dalle ride, ze; e dee Liiniersi lode a lui come quegli che il primo vincendo quelli ostacoli che le nuove istituzioni incontrano hà saputo sostener.. lo, ed in un momento difficile, onde può dirsi che non sia 1’ anima: sua da viltade offesa: : Sii : n] ; vst | : La qual molte fiate l’ uomo ingombra Sicchè d’ onorata impresa lo rivolve. Né desiste fin qui il nostro rispettabile collega da sì nobile im- 89 pegno, esercitando con molta soddisfazione la soprintendenza delle nostre scuole. Ed ora siami permesso di osservare quanto sia glorioso per la società tutta di aver promosso questo elementare soccorso, del quale profitta specialmente quella classe che altra volta a in'aestro prez- zolato doveva ricorrere, quando ne avesse avuti i înezzi , oppure abbandonata a sè stessa perdeva nell’ ozio , ed anche vel vizio quel tempo che ora occupa utilmente, e che serve a formarla ben di- sposta per la successiva educazione sociale. E qui è giusto debito alla verità il rammentare, come i benemeriti PP. delle Scuole Pie, i quali animati da paro zelo si addossano |’ incarico dell’ammae- stramento e dell’ educazione del pubblico con tanto prospero suc- cesso , vedendo ogni anno aumentare il numero dei loro alunni’, parte dei quali ricevono dalle nostre scuole, avran potuto giudi- care, se il nostro modo d’ insegnamento venga a diffondere facil- mente ed utilmente l’imparare a leggere e scrivere. Era una volta retaggio esclusivo degli Ecclesiastici il dirigere le scuole dei fanciulli , e questa opera santa filantropica e pia , era da loro ritenuta per procurarsi maggior merito*nella società, ed an- che per la vita futara. Ma familiarizzate con i più le scienze e le lettere, si trovò questa direzione anche fra quelli che non appartene- vano allo stato Ecclesiastico, ed oggi deve riuscire consolante per noi il vedere che in quella casta privilegiata , e favorita dalla fortu- na fin dal suo pascere, e che appunto per questo riguardava inutile l’apprendere, ora in quella stessa casta io dico siano sorti uomini di filantropico e liberale ingegno, persuasi non solo della utilità di apprendere essi stessi, quanto di comunicare la scienza agli altri. Grati saranno a voi i giovani dell’ età nostra se paragoneranno la sorte loro a quella dei loro maggiori, ed il potranno fare perchè non alle sole tradizioni , non alle novelle delle donnicciole si atfide- ranno, ma potranno con facilità essi stessi leggendo le storie. confron- tarle con quelle dei tempi preseoti. Morali e sottomessi, impare- rann0 ben presto a conoscere quanto,sia utile il rispetto alle autorità superiori, e quanto sia necessario per il mantenimento dell’ ordine lo stare uniti a qaella catena sociale che lega tutti coloro che at- tengono al medesimo paese, al medesimo stato, che obbediscono alle stesse leggi , rispetto che non la cieca ignoranza , nor il servile timore, ma una ben regolata ed istruita educazione può imprimere nelle tenere menti; tanto più che grazie ai lumi del secolo i governi si arrecano a maggiore onore il persuaderne gli uomini istruiti , che il soggiogare la stupida ignoranza . Augurandoci dunque colla novella età migliorata la condizione 90 umana, e vedendo facilitati i modi d’istrazione per le persone che più ne abbisognano, e che prima non erano in grado di ottenerlo , non potrà l’età fatura a meno di render plauso a voi che promove- ste il nuovo metodo d’ insegnamento , e continuate a sostenerlo. Fe- lice me se potrò , dai vostri lumi soccorso , dalle vostre forze assisti- to , giungere all’ onore di avervi in qualche piccola parte contribui- to. E siccome parmi che deva tenersi conto di quelle che in prò della società nostra si adoprarono, quali maggiori titoli per ottenerlo vi sono di quelli che ha meritato il nostro Collega che mi ha prece- duto nell’ incarico del quale avete voluto onorarmi, e però nell'atto di rendere a lui in nome della Società le dovute grazie per tante cose fatte in di lei favore, sarei a proporvi che la società deliberasse rendimeuto di grazie al medesimo incaricando il suo segretario di esprimerglielo per lettera . E successivamente dovendosi devenire alla nomina dei due nuovi vice-presidenti, furono a quella carica eletti per maggiorità di suffragi i sigg. march: Luigi Tempi, e cav. Vincenzo Antinori. Ir SeeRrETARIO. Al Direttore dell’ Antologia, E. Mayer. © Stetten, a dì 5 novembre 1826. Voi mi rallegrate, caro Vieusseux, con la nuova che sta per aprirsi in Firenze una terza scuola di reciproco inse- gnamento . Lode al nobil uomo cui è dovuta sì benefica istituzione ; lode al governo che incoraggisce la popolare istruzione; lode ai cittadini che ne sentono il bisogno. E quest’ultima lode, che a molti parrà inopportuna , è agli oc- chi miei la maggiore : imperocchè dove non esistono leggi che obblighino i padri a fare istruire i loro figli , ivi quella voce di natura che dovrebbe tener luogo di tali leggi, vien pur troppo soffocata negli animi da molte interne ed ester- ne cagioni. Rappresentatevi fralle prime quella ignoranza che rende l’uomo indifferente per ciò che non può apprez- zare, quella presunzione che non gli lascia soffrire che il figlio debba saperne più di lui, quel torpore per così dire Lipu gi ereditario, per cui si oppone ad ogni movimento progres- sivo con quelle parole: così fecero gli avi!.. Ponete fralle seconde, l’influenza delle altre classi della società, che mal soffrono di veder diminuire la differenza del relativo li- vello, e più di tutte le perfide insinuazioni di coloro che fanno traffico della popolare ignoranza, e vedrete che non pochi ostacoli ha da vincere contro sè stesso e contro altri quel padre, che manda il suo figlio a una scuola. Felicemente una di queste cause almeno , e intendo dir la penultima, non esiste in Toscana. Anzi ivi gli uo- mini i più distinti per nobiltà e per fortuna sono quelli che col lume della scienza tanto si sono innalzati al disopra di queste prerogative del caso, che hanno vedato le medesi- me cangiarsi in doveri verso i loro inferiori. E con quanto ardore essi adempiano a questi doveri, voi meglio di me lo sapete, e ne avete sot’ occhio le prove, onde non fa me- stieri di più ragionarne. Ma non la sola Firenze va lieta di benefiche istituzioni che promettino al popolo miglior condizione ; con dolce sorpresa, tornando dopo tre anni a riveder Livorno, ho travata in quesia cara terra ove nacqui alcuni nuovi stabilimenti, de’ quali tanta mi sem- bra esser l’utilità , che non posso resistere al desiderio di farvene un breve cenno; non per parlarvi di cose a voi certamente ben note, ma nella speranza che queste mie poche parole, cadendo sott'occhio di alcuno de’ miei con- cittadini , lo induca a mandarvene più ordinato discorso ; onde si adempia quel desiderio che vi anima, di far noto ai vostri lettori non solamente ciò che si fa dagli stranieri, ma più ancora ciò che si opera a voi d’ intorno. Non occorre che vi parli di quel Gabinetto scientifico e letterario istituito per cura dell’ ottimo mio maestro ed amico sig: prof. Doveri, congiuntamente al sig. Dot. Gordini. Il vostro ha servito loro di modello , ed hanno cercato di accostarvisi quanto lo concedevano le circostanze locali ; ciò basti in lode dell’istituto; e solamente aggiungerò in onore de’ livornesi, che questi cooperano a sostenerlo più di quello che fosse lecito sperarlo in una città commercia- le, ove sì ristretto è il numero di quelle persone culte che 92 abbiano ozio bastante da dare opera alla lettura. Giova spe- rare che non solo questo stabilimento continui a prosperare, ma che altri simili se ne formino nelle varie città della To- scana ; e vorrei dir dell’ Italia, se non che il non averne trovato nélla stessa città di Milano toglie ardire al mio voto. In una delle stanze del Gabinetto tiene le sue sedute ordinarie la nuova Società medica, la quale oltre lo scopo generale di simili istituti, di contribuire cioè con dotti la+ vori al progresso della scienza, riunisce il filantropico o0g- getto di prestarsi gratuitamente alla cura de’ poveri amma- lati. A questo fine due medici e un chirutgo , che setti- manalmente si succedono a turno, sono ogni giorno repé- ribili nella detta stanza ; pronti a soccorrere que'bisognosi che ad essi ricorrano. Le più difficili operazioni chirurgi- che vengono pure gratuitamente eseguite , e distribuiti gli opportuni rimedii da varii farmacisti, che volontariamente sonosi riuniti a tal società. Un altro scopo della medesi- ma è di vincere nella bassa classe del popolo ogni restante pregiùdizio contro la vaccina, e di spargere anche fra gli abitanti della campagna le più necessarie notizie di medi- cina popolare per mezzo di un giornale che in piccoli fa- scicoli pubblicasi ogni mese a discretissimo prezzo. Vedete quanti oggetti tutti utilissimi alla umanità abbia preso di mira la Società medica livornese ; e quanto già sia stato operato dalla medesima nel primo anno della sua istituzio- ne, lo ha udito non senza sorpresa e vi ha fatto plauso un numeroso concorso di ascoltatori, in una pubblica adunanza del mese di maggio, in cui ne fu tenuto discorso dal sig. dott. Dufoar, allora presidente, al quale è ora succeduto il sig. Cav. Palloni. In proposito del giornaletto medico or ora menzionato, io non posso trattenermi dal parteciparvi una penosa os- servazione, che abitando la campagna, mi è avvenuto di far più volte , e che più o meno deve essere applicabile anche ai nostri contadini. Essi abitano in varii paesetti più o meno distanti da qualche città , e solo in questa. risie- dono il medico, il chirurgo, e lo speziale ; ne avviene che in molti casi in cui è necessario un pronto soccorso, non 03 rimane a que’ miseri via di salute, ed anche in casi ordinariî malagevole riesce la comunicazione fra il medico e l’am- malato, onde questi languisce abbandonato a sè stesso. Più volte ho riscontrato un padre o una madre che portando, sulle braccia un fanciullo infermo, andavano a più miglia di distanza a consultare un medico; più volte ancora entran- do in una stanza ove era un contadino ammalato ho ve- duto questo giacere sopra squallido letto , comune per lo più ad altri individui della sua famiglia, e aspettarvi senza prendere alcun rimedio l’ esito felice 0 infelice della sua malattia ; cosicchè dovea dirsi effetto di benefica Provvi- denza, se il morbo non imperversava, divenendo ancora ad altri fatale. E° mi sembra talvolta veder i tempi di quegli antichi romani, che esponevano gli ammalati sulla publi- ca via aspettando da’ passeggieri consiglio ; se non che forse allora Ja buona fede compagna di que’rozzi costumi face- va sì che soltanto colui consigliasse il quale avesse fatto in sè stesso esperienza e del male e del rimedio, mentre qui se taluno, mancando il medico, si appressa al letto. del contadino , sapete voi chi egli è? Egli è o il barbiere del paese, il quale perchè ha licenza dal governo di attac- car qualche mignatta , si crede medico di professione , o qualche vagabondo che sfuggito alla vigilanza delle leggi raccoglie infame mercede dalla eredulità del volgo , o fi- nalmente qualche donnicciuola del vicinato il cui rime- dio infallibile consiste in qualche atto superstizioso. Giu - dicate quali beni fisici e morali possano risultare da tali cure. Ma grazie al cielo alcuni villaggi ( e quello dal quale vi scrivo è di questo numero ) hanno ne’ loro parrochi de- gli esseri venerabili, che stimano appartenere alla loro sa- era vocazione quanto può contribuire al sollievo di coloro ai quali sono preposti, e che apportano agli ammalati non solamente i conforti della religione, ma ancora il rimedio ai mali che li affliggono. Nelle università medesime si danno ai teologi Jezioni elementari di medicina, la quale dall’og- getto particolare che si propone chiamasi medicina pasto= rale i e con ciò non si vuol già farne de’ medici, ma met- terli in caso di poter almeno tranquillizzare l’ infermo. Or 94 pensate come a simili persone , che non saranno rare fra noi, debba riuscir utile e caro il giornaletto che in Livor- no si pubblica. Ma è ben tempo ch'io taccia di cose medi- che, delle quali non posso parlare che come il cieco dei colori, per discorrere invece di alcune altre utili istituzioni livornesi. Ai tanti pregi che già benemerito della patria aveano reso il sig. cav. Carlo Michon, egli ne ha recentemente ag- giunto uno nuovo fondando a sue spese una scuola di ar- chitettura, nella quale quindici giovinetti vengono gratui- tamente istruiti. Il locale è una spaziosa sala di un edifi- zio detto il Rifugio, nel quale la pubblica pietà prende cura di quegl’infelici fanciulli ai quali immatura morte tolse il sostegno de’ genitori. Provai dolce emozione ‘nel vedere am- messi fra gli alunni alcuni di que’ sfortunati , pe’ quali , per paterno provvedimento del fondatore , non solo l’ in- segnamento è gratuito, ma essi vengono ancora dal mede- simo completamente mantenuti, finchè possano per sè stessi provvedere onestamente alla propria sussistenza. La scelta dell’istruzione non poteva al mio credere farsi migliore; e ciò per due motivi : il primo, perchè abbiamo penuria di buoni architetti ; e il secondo , perchè delle arti sorelle l’ar- chitettura è la sola della quale sia buona anche la medio- crità. Imperocchè lo scultore e il pittore se non hanno da riuscir sommi è meglio che gettino scalpello e pennelli; ma l’architetto ove ancora non giunga a tanto da innalzar tem- pii e palazzi, si rende non di meno utile fabbricando case ed altri edifizi ; cosicchè l’arte sua o nella sua altezza è sublime , o nella sua umiltà è giovevole alla vita comu- ne. Quando fui a visitare questa scuola ne ammirai l’ or- dine e la disciplina, e fui sorpreso di trovare con quanta esattezza già dopo pochi mesi disegnavano alcuni giovani; del che hanno poi dato , siccome mi fu scritto , pubblico saggio nel passato mese di settembre, ricevendo per sè stessi incoraggimeuti e premi dal loro generoso protettore, e pro= cacciando non poca lode al loro istitutore sig. Ghelardi , persona quanto abile , tanto gentile. Nè mal figura accanto a questa scuola quella di disegno 95 diretta dal sig. De Bonis distinto allievo dell’ Accademia delle Belle Arti , e della cui abilità come istruttore ho fatto io stesso per più anni esperienza. Nello scorso mese di ot- tobre ebbe luogo una esposizione de’ migliori lavori, e vi sì distinsero quel di varie amabili signorine. Di queste tacerò il nome, accrescendo ad esse lode il silenzio; ma vi farò noto quello d’ un giovinetto sig. Bonaini, il quale nella tenera età di dieci anni ha dato tali prove di talento da doversi concepirne le più belle speranze , e dargliene lode e incoraggimento. Passo da questi istituti ad altri più elementari e spet- tanti alla nazione ebrea, la quale con sommo suo onore ha preso l’iniziativa nella riforma delle sue scuole popo- lari introducendovi il metodo di reciproco insegnamento . Quella de’ ragazzi conta più di cento scolari; l’ istruzione è presso a poco la stessa che ricevesi nella bella scuola nor- male in S. Chiara, se non che poco opportunamente è ri- tenuto l’ uso di segnare col dito nella sabbia i segni ele- mentari della scrittura , il che rende poi più difficile il ser- virsi della penna. Per contro degna d’imitazione è la ta- vola sulla quale si eseguiscono le operazioni dell’aritmeti- ca, e vorrei vederne una simile in ogni scuola elementa= re : tanto è semplice e ingegnoso il modo con il quale si variano gli esempi de’ vari calcoli ne’ quali debbono eser- citarsi i fanciulli; anche al disegno lineare e di ornato è data maggior attenzione che non si suole comunemente , benchè sia questa una parte sì utile d’istruzione, e sì ne- necessaria per ben apprendere qualsiasi mestiere. Nè lasce- rò senza menzione l’ esservi agsinnta una classe nella quale si perfezionano nella calligriti e s'istruiscono nell’arit- metica ragionata, e nella scrittura doppia, que’ giovani più facoltosi che si destinano al commercio , mentre dall’altra parte è provveduto alla sorte di dodici de’più poveri scelti per diligenza e per buona condotta, a’quali si fa appren- dere qualche mestiero. La scuola delle fanciulle è meno assai numerosa, ma meglio montata tanto per il locale, che per l’istruzione che abbraccia. Imperocchè oltre la lettu- ra , lo scritto, l’aritmetica e gli elementi delle due lingue 96 i italiana ed ebraica; sono le ragazze istruite ne’varii lavori donneschi, non escluso il far la treccia de’cappelli di pa- glia ; cosicchè questo istituto racchiude in sè una scuola d’ industria, simile a quelle che in tanto numero trovansi in questi paesi d’oltramonte, e che tanto contribuiscono al sollievo delle classi indigenti. Non ho bisogno di dirvi che questi benefici istituti sono dovuti a una società di persone zelanti del publico bene, fra i quali, senza toglier merito agli altri, nominerò come a me noti i sig. fratelli Uzielli e il sig. cancelliere D. Ba- sevi. — Oh così par potesse altra simile società imprende- re a stabilir nuove scuole per il rimanente della popola- zione, peri bisogni della quale non sono sufficienti le scuole primarie. E so che varie persone meritissime sarebbero di- sposte a formarne, e ne feci esperienza ne’ tenui sforzi da me tentati a tal oggetto prima che lasciassi l’Italia; ma non so per qual fatalità avvenga fra noi sì sovente, che mentre siamo ardentissimi ad abbracciare un bel peusiero, siamo poi tanto tardi a metterlo in opra! Pure non abbandono ogni speranza, benchè una di quelle persoue nelle quali la ri- ponevo maggiore abbia cessato di vivere, Io vi parlo, mio caro Vieusseux, del nostro comure amico, dell’ottimo Ca- stinelli , del quale mi annuziate l’ immatura morte ! Io piango. quell’ animo sincero , ardente , pieno di generosi sensi, costante nell’amicizia, tenero nelle affezioni di figlio e di fratello; quell’animo che erasi acquistato il diritto di occuparsi del bene dell’umana famiglia, perchè avea co- minciato dal render felice la sua. Funeste nuove mi giun- gono ogni di dall’Italia; Piazzi, Vaccà, sono nomi che in- scritti sopra sepolcri , mostrano esser discesa nella tomba non poca parte delle nostre glorie: pure quando il dolor di ciascano confondesi in quello d’una intera nazione , non soffre pianto, nè lascia muover lamento che turbi il pro- fondo gemito della patria. Ma quando un amico ci è tolto, quando una famiglia è in pianto, sono libere le nostre la- grime, è nostra per così dire la proprietà del dolore , e ci è quasi un conforto il dividerlo con pochi, perchè sentia- mo allora di consacrarlo non all’uom publico , ma all’ami- co privato. E 97 ‘Più cose .avrei ancora da rispondere alla vostra lettera, e particolarmente intorno a ciò che mi dite della mancan- za in cui siamo di libri elementari, ma non ho più core di occuparmi di sì importante materia, e ad altro tempo mi è forza il rimetterla. Per oggi cesso di scrivere, e pre- gandovi di ossequiare gli amici che in sì bella società si riuniscono presso di voi, mi dico qual sempre Vostro affezionatissimo E. MariR. ADUNANZA SOLENNE DELL’I. E R. ACCADEMIA DELLA CRUSCA. _ Tennesinel dì 1a dello scorso settembre dall’ Accademia I. e R. della Crusca la consueta sua solenne adunanza, ed il sig. Ab. Vincenzio Follini arciconsolo della medesima, cui per l'ordine del ruolo toccava la volta del leggere, disse una sua prosa atta a destare il più vivo interessamento , rife- rendosi il suo tema a scrittura, della cui autorità molto si valse una parte nelle moderne controversie sulla nostra lin- gua. Egli dunque dopo avere stabilito che le opinioni dan- no incitamento alle opere, e queste seambievolmente alle opinioni; e dopo avere con brevità, ed erudizione dato un cenno storico delle letterarie imposture, dichiarò che alcune di queste, specialmente le fatte ne’secoli di rozzezza, non in- chiudevano malizia veruna : altre poi , e particolarmente quelle fatte ne’secoli illuminati , furono inventate con raf- finato artifizio, e fraude per più facilmente illudere, e per so- stenere una qualche vagheggiata opinione. Tenendo. per indubitato che Dante scrivesse un’opera Ie vulgari eloquio, credè di annoverar fra quest'ultime quella che col mede- simo titolo or va sotto nome di Dante, condotto da parec- chie e gravi ragioni, Per allora contentossi d’analizzare , e commentare ciò, che sopra opera siffatta scrissero e Gio. Villani, e il Boccaccio; concludendo, che il primo nel dire riprovò tutti i dialetti d° Italia volle ‘certamente escludere il suo proprio, nella stessa guisa che quando un pittore, T. XXfV. MNovemb. e Dicemb. 7 98 o un architetto biasima tutte le dipinture., o. gli édifizii fatti antecedentemente, intende di escludere i propri lavo» ri, offrendoli altrui come per ogni riguardo perfetti. ;Dab l’aver poi il secondo considerata tal opera unicamente co4 me una poetica , e dal suo silenzio intorno ai dialetti de=, dusse una conseguenza favorevole. al suo tema } \imperoc- chè se fra i ‘dialetti riprovati fosse stato compreso an- co il natìo, in cui il novellatore riponeva la ‘sua maggior gloria, non è credibile , che volesse tacere per eccesso di connivenza ai divisamenti dell’ amico poeta. Raffermò in fine questi dabbi sopra l’ autenticità dell’ opera di che si tratta, ricordando che Gio. Mario Filelfo nella vita di Dante, manoscritto della Biblioteca Laurenziana, allorchè dà conto delle opere del medesimo, e segnatamente di questa, ne riporta il principio , qual principio è al tutto diverso da quello dell’ edizione dal Trissino procurata. Ma ben altre ragioni si leggeranno nel lavoro compiuto che si attende con pubblico desiderio sopra tale interessante argomento dalla nota diligenza , e perizia del sig. Follini, del cui lavoro questa memoria non è che un saggio. Noi dunque dopo la pubblicazione di questa operetta dall’ autore ‘promessa in fine del suo discorso ci daremo premura di estesamente par= larne nel nostro giornale. Cominciò quindi il segretario il suo rapporto annuale dall’avvertire che allo spuntar della luce filosofica, che ‘ora ampiamente risplende, lo studio delle parole parve cosa meno che puerile, ma la stessa filosofia, fatta signora eziandio delle favelle, ripose poscia in onore i derisi studiosi della proprietà delle voci, e rivelò verità fino allora occulte circa le dot- trine grammaticali, e discoperse errori ideologici in ogni li- bro pertinente a grammatica. Annunziando che 1’ accade- mia pure gli vide nel tesoro di nostra lingua, e diè opera a correggerli negli antichi compilatori, oltre all’aggiunte che in copia si continuò a raccogliere, mostrò desiderio che si ricredessero quei che me dicono gli accademici veneratori. idolatri dell’opera de’ loro maggiori. Con ciò si fè strada ‘ a render conto delle memorie lette nel corso dell’anno ac- Lo 99 cademico , incominciando da una che avea relazione alle sue riflessioni. ‘ Lesse difatti l’accademico Poggi una sua prosa intorno alle definizioni grammaticali. Diventò i vocabolari conte» nere i termini della grammatica , e questa essendo giunta aî nostri tempî al grado di scienza sublime, conviene che pur le definizioni partecipino delle ragioni ideologiche di questa, onde sotto tale aspetto quelle Tel vocabolario han bisogno d’emendazione. Mostrati adunque dal collega nella prima parte i caratteri dì verità delle moderne dottrine emi- nentemente confermate dall’ istruzione de'sordo-muti, scese nella seconda a mostrare per via d’esempi come in conformità dei recenti principj alcune definizioni del nostro vocabola- rio ‘erano errate, e ne propose la correzione, vu” Gode l'accademia che l’ ufficio suo sia grandemente aîutato dai lavori di tutta Italia; ma spesso è mossa a più altà riverenza de’suoi maggiori. Tale la destò l’accademico Del Furia, cui fu tema quel passo di Dante: pai E vidi le fiammelle andare avanti Lasciando dietro a sè ‘l’ aer dipinto ; E di tratti pennelli avean sembiante. Il cav. Biondi , e il celebre Monti, pretesero che la voce pennello valesse quì dandiera, o stendardo, e ripresero d’èrrore gli antichi vocabolaristi che la citarono come esem- pio della medesima voce significante lo strumento dei di- pintori. Non consente l’accademico alla recente interpreta= zione, che fu però anco del Daniello, Infatti, se in Dante mon manca mai concordia di idee, e concatenazione di sen- timenti, e se nel passo si succedon per ordine le idee di pittura, di colori, di pennelli , di liste di luce ; la voce pertielli convien che abbia il senso dato dagli accademici. Di più la frase tratti pennelli è propria dell’arte pittorica, D' altronde se fossero bandiere, ondeggiando sempre, non posson prender la forma dantesca di spiegate liste, Nè sten dali che segue è dichiarazione di pennelli , perchè si rife- risce' piuttosto ‘alle liste, e perchè significa bandiera gran- 100 de, mentre pennello dinota bandiera piccola. Finalmente, al verbo trarre non può darsi il valore di spiegare , o di- stendere, ma anzi il contrario ; e il passo, dell’ Orl. innam. non già del Furioso tirava dieci braccia ogni ala aperta non favorisce l’ interpretazione suddetta , perchè non dinota lo spiegamento dell’ ale, ma sì lo spazio che ognuna di esse abbracciava quando erano aperte. Sopra un altro passo di Dante, cioè sul verso: Poscia più che il dolor potè il digiuno intertenne l’ accademia, il collega Gazzeri. Alcuni videro in quello Ugolino spinto da fame addentare i cadaveri dei proprii figlinoli; l’accademico coi più tenne avere il digiuno , e non il dolore cagionata la morte al misero conte. Dimostrò il suo assunto coll’as- serire che quel modo si adopera unicamente quando si parla di due cagioni che atte del pari a produrre il medesimo effetto, l’ una il produca, e ne sia l’altra riuscita insuf. ficiente; e quando tendendo due cagioni ad effetti diversi, o contrari, l’una quell’ effetto produce , che l’ altra sfor- zavasi d’impedire. È il primo senso nel concetto dell’Ali» ghieri; ed invero tostochè vogliasi avere il digiuno spinto Ugolino a far pasto de’figli, non può attribuirsi al dolore, ma sì il respignerlo s lo che sarebbe piuttosto ufficio del- l’amore. Nè è credibile che vi sia stato sostituito per me- tonimia, venendo oscurità, e serbandosi meglio la decenza dicendo: Poscia più che l'amor potè il digiuno. Ma era pur necessario sostituire fame a digiuno ; e d’ altronde non è da pensare che Ugolino fino all'ottavo, o nono giorno conser- vasse l’ appetenza del cibo. E quando ciò si supponesse, Dante avrebbe recato gran danno a quell’ episodio, Nè vale il dire che Ugolino avea perduto l’ impero della ragione, perchè ciò pure diminuisce la compassione, desta orrore, ed è contrario al buon criterio, perchè questo medesimo effetto non si scorge in Gaddo che afflitto dalla stessa pena muore in pienissima cognizione. Fece tema di una sua prosa l’accademico Nesti il vol- garizzamento delle favole di Esopo testo citato , e da lui considerato sull’ edizione padovana del Berti. Riprovò il collega il divisamento dell’editore di valersi di un sol co- 101 dice del sec. XV sparso di mende, di cni niuno va esente per l’ignoranza de’copisti, e che si sarebbero potute correg- gere dalla stampa procurata dal Manni sopra un codice del secolo precedente. Di questo però non gli piacque far uso, veggendo che gli esempi registrati nel vocabolario corrispon- deano pressochè esattamente al suo esemplare, sebbene gli accademici tal codice non citassero. Avendo i] collega esami- nati vari altri codici di siffatto volgarizzamento esistenti nelle nostre biblioteche, scese ad affermare che coll’edizione del Berti, e con i codici Gaddiano, e Magliabechiano da lui ram- mentati, far si può una stampa tutta di emendata lezione, Promesso quindi il confronto del codice magliabechiano ci- tato dall’ accademia, dette egli un saggio di correzioni ad esso testo del Berti togliendole dall’edizione del Manni di sopra rammemorata. Seguitando il collega Gelli la materia di una sua pre- cedente prosa, parlò dei diversi volgarizzamenti del trattato dell’elocuzione poco criticamente, come altrove dimostrò l’ac- cademico, attribuito a Demetrio Falereo, e specialmente diè conto di quello inedito di Lorenzo Giacomini. Fecero versieni di questo trattato Pier Segni, e Marcello Adriani il giovane, al certo più disinvolte, ed eleganti di quella del Giacomini; nondimeno essa essendo inerente assai alla lettera, e ser- bando molta proprietà d’espressione , servir può d’ ottimo accrescimento al codice di nostra lingua. Disse ancora del vol- garizzamento della stessa opera fatto da Giovanni da Fal- gano, ma poichè fu eseguito sulla versione latina, e riuscì per soverchi ornamenti snervato, pensa che rimarrà sempre inedito nella magliabechiana : chiuse la sua prosa con una discussione grammaticale sopra un passo, che dallo stesso sommo grecista Pier Vettori di oscurità fu notato. Fin qui memorie pertinenti al vocabolario, ma gli acs cademici han libera la scelta dell’ argomento, Profittando di ciò il segretario tolse ad illustrare un’ antica iscrizione riguardante la colonia di Pozzuoli, in cui prescritte sono le condizioni, che osservar dovea chiunque avesse preso in appalto i lavori da farsi nell’ grand’ area situata sulla via pubblica, e rimpetto al gran tempio di Serapide , di che 102 ancor si veggono i maestevoli avanzi. Provò che J’epoca del- l’origine della colonia s’ accorda con quella assegnata da T. Livio, e che i nomi di prefettura, e di municipio coi quali Pozzuoli appellata si trova dai classici non contradi- cono al marmo. Sciolse le obiezioni contra la sua auten- ticità; e prese a spiegarlo parola per parola dando non di rado interpretazioni contrarie a quelle conosciute, e scuo- prendo in alcune parole novelli significati. Disse poi l’accademico Baldelli della discesa di Fede- rigo Barbarossa in Italia, pezzo, ch’ei cavò dal libro XIV della sua storia delle relazioni vicendevoli dell'Europa, e dell'Asia. Eletto Federigo re dei romani, e di Lamagna,, volea rintegrare la corona ne’perduti dritti, massime in quelli d’Italia, ove le città erano sollecite di mantenersi nella in- dipendenza , e nel possedimento delle regalie. Tentò me- diante la divisione fra gli italiani di farsi via all’impero , e perciò rappesi coi. milanesi, però non perseguitandoli sempre a viso scoperto. Recossi poscia a Roma, ov’ebbe la corona imperiale , e ritornò in Germania. Scese quindi, più potente in Italia, ed ottenuti non poehi successi , commise violenze nelle terre della Chiesa. Ritornato in Lamagna,, col pretesto delle vicende di Roma, spinse per la terza volta il suo esercito in Italia con felice fortuna, ma e la pesti- lenza, e più la lega delle città lombarde , dalla quale fu rotto , lo costrinsero a fuggire. Ai nuovi suoi tentativi la lega seppe geuerosa resistere , e lo costrinse a chieder so- spensione d'armi, e pace alla Chiesa con molta gloria de- gl’italianì. Nell’analizzar queste prose il segretario mostrò il con- sueto acume passando dall’ una all’altra con naturale, ed ingegnosa transizione, e traendo partito da questa per far menzione sparsamente dei non pochi spogli fatti dagli ac- cademici, dai quali venne notabile accrescimento al voca- bolario per correzioni, e giunte tratte dagli scrittori citati sì antichi, che moderni. Avrebbe egli dovuto render conto di due elogi; il primo dell’accademico Fiacchi fatto dal col- lega Targioni, e il secondo del mattematico Ferroni detto dall’accademico Nesti, ma egli se ne astenne per aver lau- 103 dato il Fiacchi nel rapporto dell’anno precedente , e per dover encomiare in questo il Ferroni dopo aver pagato.lo stesso ‘tributo alla memoria di Ottaviano Morali accademi. co e tt | Notati dal segretario alcuni particolari della sua vita (1) prese a dire “ Se a que’soli, che usi siamo chiamar di ge- nio, riserbato fosse iletributo di scritte lodi, non oserei ora ornar d’esse il Morali, che in vero non può tra quelli an- noverarsi. Ma ne conforta la consuetudine d’ogni luogo, e d’ogni tempo, per cui non rimangono inonorate le ombre di quelli che tennero nelle varie dottrine il secondo seg- gio: consuetudine di umanità piena, e di sapienza, perchè sorsendo/rarissimi i sommi ingegni, non mancan per essa di eccitamento ad utili opere i minori, su i quali, peroc- ‘chè sono in maggior numero , forza è che riposino le co- muni speranze. ,, Lodò quindi il Morali pei suoi scritti , specialmente ‘per quei che riguardano la greca lingna, cioè la sua gram- matica, e la Crestomazia, nelle quali encomia l’ accorgi- mento suo nella graduata di lui istruzione, e nel non ca- ricar di regole le menti tenere dei giovinetti, ‘ che Quin- tiliano con saviezza d’ ingegno paragonava ai vasellini di stretta bocca che rigettan l’umore, se in abbondanza. su lo- ro si versi, e d’esso s'empiono se a poco a poco ed a stille vi si infonda, ,, Parlando dell’ indice delle voci aiuto dichiarate nel volgar nostro annesso alla Crestomazia, disse essere doloroso argomento della perdita del Morali che tolse all’Italia l’uti- lità di possedere un dizionario greco-italiano, perchè, sog- giunse “ le lingue morte vogliono interpretarsi con le viven- ti, che meglio si sanno, e perchè un lessico greco-volgare di esatta compilazione riesce opportunissimo a’giovani che non sempre hanno forza di trovar la voce italiana corrispon- dente o prossima alla greca. Che se si valgono di un les- sico greco-latino , ricevono come di seconda manovi signi- (1) Queste particolarità sì possono leggere nel di Ha elogio scritto dal- l’Ambrosoli: (Vedi Antol, 1826 :febb. p. 170)i (| rato | 104 ficati delle parole , e però gli hanno ‘più scaduti , e più languidi.,, Il Morali avrebbe certamente col suo lessico provve- duto al proprio decoro, e all’utilità delle lettere greche , perchè la parte greca del suo vocabolario toglieva dai mo- derni lessici più accreditati, e la italiana dai migliori vo- cabolarii, del che era ottimo giudice per i lunghi suoi stu». di su gli scrittori classici di nostra lingua. De’quali studi era argomento la sua edizione del Fu- rioso di Lodovico Ariosto, il quale benchè nel 1532 l’avesse dato a nuova luce da lui proprio corretto; pure gli editori successivi parvero scendere nella gara vituperosa dell’arre- cargli tal danno, da ridurlo al miserevole stato dell’Ache- menide Virgiliano. “ Se alterate, riflettè il segretario, so- no a noi giunte le opere degli antichi, che divolgandosi per iscritto soffrir dovettero ingiurie gravi dalla imperizia dei copiatori, e gravissime dall’audace intemperanza dei criti- ci, non è da farne le maraviglie. Ma che al duro fato va- dan pur quelle soggette che dagli autori medesimi si pro- pagano per istampa, è cosa, in che ragion si confonde, e cede solo perchè è vinta dal fatto ,,. Pur così disgraziata» mente avvenne, ma il Morali restituì intieramente alle na- tive forme dell’autentica dettatura il Furioso dell’Ariosto, e unendovi la storia delle ristampe, afforzò le sincere le- zioni col vigor del ragionamento, e la copia degli esempi. Chiuse 1 elogio facendo menzione del di lui glossario consistente di più che ottomila articoli, di cui il Morali avea promesso copia per l’uopo del vocabolario all’ acca- demia della Crusca, Ma inviati appena i primi quattro fa- scicoli , ai quali unir volle lo spoglio dei moti locali del Galileo, colpito da apoplessia cessò di vivere il dì 13 feb= braio del presente anno, seguendo di poco intervallo il Fer- roni, che vide l’ultima ora il dì 4 novembre del prossima- mente, decorso. Pietro Ferroni nacque in Firenze il 22 febbraio del 1744, da Gio. Ferroni, e dalla Teresa Stefanelli, ottimi coniugi, che furon solleciti d’instillar nella prole la probità, e d’ or- narne l’animo di dottrine per mezzo d’abili precettori, Con- 105 segnato il nostro Pietro ancor giovinetto alla disciplina dei Calasanziani, fece nelle lettere umane grandi progressi. In- viatosi quindi alla celebre università di Pisa per laurearsi in giurisprudenza, tentò invece di coglier la sacra fronda da più verdeggianti allori, e da più sublimi, cioè si diè tutto all’amenità delle lettere , e alla severità delle filo- sofiche discipline, ein special modo alla mattematica. Ebbe delle sue cure bel guiderdone dal Granduca Pietro Leopol- do, che il dichiarò matematico regio non uscito ancora dal lustro quinto dell’ età sua. ‘ L’idea altissima, nè appresasi indarno a quel Prin- cipe veramente grande, e d’animo in tuttè cose paterno, d’innalzare a felicissimo stato la sua Toscana, porse bella occasione, siccome ad altri, così pure al Ferroni di dar ma- no al sublime edificio, sì in quello che concerneva l’ ufi= zio suo, e sì in ogni altra cosa, che all’ uopo si giudicasse opportuna ; perocchè il non chiesto consiglio , ugualmente che il chiesto, salìia facile alle benigne orecchie del pro- vido sovrano , che ad ottenere il nobile, ed umanissimo fine sceglier volea con sincero animo tutti i mezzi che al medesimo e più e meglio vedesse acconciarsi. Libertà, e incoraggiamento all’ agricoltura, e libero esercizio alle arti delle mani, e del commercio ; ecco i fondamenti sal- dissimi, e massime il primo che non teme urto d’ emu- lazione straniera, su cui stabiliva il saggio monarca quella nazionale prosperità , che, seguendo le belle norme, tanto accresceva il figlio di ricordanza a noi cara, ed agli este- ri, e tanto accresce l’Augusto nipote nella invidiata tran- quillità di questa bella, e al ciel diletta regione. ,, Pertanto ad impresa di sì gran mole richiedeansi e nuo- ve vie, e disseccamenti di paludosi terreni, e altre opere idrauliche, assai delle quali affidate furono allora, e quindi pur s’affidarono al Ferroni, e circa alle leggi afferma egli d’aver a disegno d’alcune umiliato al trono i propri divi- samenti. Favellò quindi del suo zelo, per cui procacciava l’uti- lità dei collegi scientifici, e letterari, cui peri suoi meriti apparteneva, ed accennò i.temi da lui trattati nell’acca» 196 demia fiorentina, ed in quella de’ georgofili. Di ciò pure sono splendidissima testimonianza e' la sì rinomata società dei quaranta scienziati: d’Italia, e l’ Accademia della Cru* sca. Questa lo elesse per quattro fiate a suo presidente, e ‘a deputato ai,vocaboli delle scienze; e a quest’ultimo uf- ficio corrispose,.co’ suoi spogli, e colle sue osservazioni nelle memorie inserite negli atti, e specialmente in quella che -concerne l’alfabetico., e ragionato catalogo delle voci per- tinenti al catasto, tra'cui chiarissimi deputati éra ascritto il Ferroni. A quella de’ quaranta poi inviò assai scritti , de’quali il segretario fece breve menzione, come pure di quelli separatamente pubblicati, “Dopo i quali cenni dell’opere, continuò il medesimo; voi mi dareste meritata taccia di laudatore ingannevole ; se in voi volessi io persuaso, dover esso collocarsi nell’or= din primo degli scienziati. Quei che di giusto diritto vi son posti incominciaron lor corso dal punto che altrui fu me» ‘ta, ma il Ferroni ritornò sugli altrui passi per esplorarne la mossa, il processo ; i traviamenti ,,. Del che questa è l’apertissima cagione: “ Era il Ferroni nei verdi anni, e alle mattematiche recati eransi di recente bellissimi accre» scimenti I grandi, e subitanei progressi delle umane di- scipline, se a taluno servono di sprone affine di correre più animosamente l’arduo arringo , sono per altri quasi repen- tino scoppio di fulmine che spaventa , ed agghiaccia. Po- sto tra questi il Ferroni non pur si avvisò che nulla omai a quelle grandi scoperte potesse aggiugnersi ; ma eziandio riputò pericoloso il solo tentarlo: opinione timidissima smen- tita dal fatto, e dalla ragione. Ed invero se tutto ciò che ha fondamento nella imitazione della natura collocato è tra non vastissimi termini , le indagini di nostra mente al contrario solo han confine coi venerandi misteri , in che rintuzzasi ‘ogni acutezza di creato intelletto, nè mai potrà definirsi ove, correndo i secoli, sian esse per giugnere. ,, Ma a questi sublimissimi voli le penne abbisognano dell’aquì- la, e se queste non ebbe il Ferroni, fu però egli nondi- meno grandemente acceso del desiderio di fama come si pare in presso che ogni pagina de’ suoi libri, e quella sete | 107 spense tentando di più appianar le vie battute da’ sommi ingegni e col rinvenire gli errori altrui. Ebbe difatti ono- revoli testimonianze di matematici illustri, sebbene ne’suoi scritti sia aleuna volta da far plauso più all’intenzione che al successo forse per aver con troppa fiducia abbracciate le prime idee, o per ansia soverchia del proprio intento. Alcun Viuiuia ei pur trasse dall’ uso della molta erudi- zione , di cui fornitissimo era. ‘* La erudizione che spesso è Mita del. pensiero , le divien serva allorchè questo sia preso ad esporre. Erudizione che basti, orna , ed ‘afforza il discorso , ch’ ei va dritto, e pieno di persuasione alla mente di chi legga , ed ascolti. La soverchia al contrario così il distempera, che per sopravvegnenza di noia entra egli fiacco e poco apprezzato nell’ animo d’ altrui, Dee ogni serittore affrettarsi all’esito, nè.gli si concede di fermarsi ad ogni passo affine di cogliere tutti i fiori che incontra. So io bene che lo scialacquo della ‘erudizione desta in molti la maraviglia, sicchè fa loro in applausi scioglier la voce ; ma so altresì che questi nulla rilevano , siccome fatti da quei che d’essa ‘erudizione ignorano i serbatoi. ,, A questi applausi attri- buì quindi le. molte digressioni, e sinonimie che affaticava- no gli scritti dell’ accademico. Che per sola pubblica utilità, dopo averne mostrati i meri- ti, notassei difetti, da cui l’umana debolezza a veruno concede interamente guardarsi, il palesava ilsegretario reputando “che . i funebri elogi aver debbano un doppio fine; quello cioè di mostrar gratitudine alla memoria di chi ne giovò col sapere; e quello altresi d’infiammare i viventi alla nobile imitazione. La quale imitazione non può estendersi a tutte parti, perchè umana opera mai non va libera da errori; e questi errori debbono farsi manifesti ad utile di quelli che segnano delle prime , e titubanti orme le difficili vie del sapere.,, Chiuse finalmente il rapporto con questa energica apo- strofe alla gioventù : ‘“ giovani studiosi che mi ascoltate , e ne’ cui fervidi petti si fecondano i germi delle pubbliche speranze, voi or conoscete quale intendimento io m’avessi in parlar del Ferroni. Il molto adunque ne imitate, in che egli seppe rendersi degno di lode ; e schifate quello, in 108 che ei pagò tributo all’ umana fralezza. Se cresciuti in età ad opera mai ponete mano, rammentate ch’ è perpetuo do- vere d’ognun che scriva il far procedere la sua materia, e che alla carta perdonar dee chi atti non abbia gli omeri a tan- to peso. Sentite profondamente il vostro subietto; e segga prima nell’animo vostro ciò che accolto bramate in quello d’altrui. Vi consigli, e giudichi alcuno di quei pochi che il retto veggono , e il vero francamente palesano ; nè mai v’inebrii l’ applauso dei molti; chè v’ha tra’ molti chi ta- lora in lodare altrui sè ai veri sapienti mostra imbecille, e chi sempre per bassezza d’ animo parla a grazia; nè sa esporsi ad odio partorito da verità, cui a sua gran vergo- gna preferisce amicizia ingenerata da non debito ossequio.,, Vivissima impressione destarono queste energiche pa- role; e fra la numerosa, e colta udienza s’ udirono risuo- nare ripetuti applausi dal segretario ben meritati, il quale con tanto decoro, e lode avea all’ ufficio suo sodisfatto. Fe --È-=*—*—*—w—;E.E--i-Ò.-é;é;ii.iÈ-ÈÉ*.é.éé.;.é.iieicl | I--*-M@|M@@**--»-**..éé.-éÉÉiEEl|LZlEZA Memorie della SOCIETA" ITALIANA DELLE SCIENZE RESIDENTE IN MopeENA. T. XIX. Fisica, parte I. e II. Modena 1823-25. Questa preziosa collezione, che dignitosa progredendo fa ognora bella mostra del sapere italiano, contiene nelle presenti distribuzioni oltre gli elogj storici de' tre soc] Leopoldo Caldani di Bologna, Vin- cenzo Malacarne di Milano, e Michele Araldi di Modena, dieci me- morie mandate dai respettivi accademici fra il novembre 1821/e il 22 marzo 1822. I. Sopra alcuni edifizi muniti di parafulmini frankliniani stati dal fulmine danneggiati, del sig. prof. GIUSEPPE RACAGNI. L’A. dopo aver rammentato un altra sua memoria inserita nel "T. XVIII. della stessa ‘società, sulla storia di alcuni parafalmini co- struiti in Milano o ne” suoi contorni , i quali colpiti dal fulmine pre- servarono da ogni danno gli edifizii, cui erano applicati, viene a par- lare di due casi nei quali per la prima volta i conduttori frankliniani, mancando al loro scopo , furono percossi dalla materia falminante con guasto della fabbrica alla quale erano affidati. Uno di questi sgraziati accidenti accadde il 19. giugno del 1819. al duomo di Mi- lano, allorchè in occasione di uno spaventoso temporale, la elettricità ri LL 109 fulminante attraversò il più alto fra i conduttori piantato sopra la statua dell’aguglione maggiore di quel magnifico tempio , e che an- dava a seppellirsi in una gran cisterna creduta di fondo libero ed equivalente ad un pozzo. Mediante però una più esatta ispezione, eseguita dopo un tal evento dietro anche i consigli del conte Volta , fu verificato che quella cisterna era tutta contornata di grossi muri, ed il suo fondo perfettamente lastricato , Per la qual cosa il parafuline dell’ aguglione non potendo co- municare con l’acque sotterranee, non serviva se non che malamente di conduttore al fluido elettrico, sicchè nel summentovato tempo- rale non fu da maravigliare , se una parte di materia fulminante si gettasse dalla maggiore sulla più prossima guglia, e con la quale il conduttore principale aveva un’ ampia comunicazione; dove poi dissi pandosi arrecò danni notabili . A fine d’ impedire che un simile accidente ivi si rinnovasse, l'A. a cui dai fabbricieri del duomo erano state affidate simili di- fese , diede nuove direzioni alle due traccie discendenti dalla punta dell’aguglione , e di altra guglia minore, facendole profondamente conficcare in un pozzo. 11 L'altro caso seguì nello stesso anno e mese presso il villaggio di Koppingen non lungi da Berna , di che ci diede la storia la Biblio- teca universale (vol, XI. e XII. ). La casa del sig. Anderegg,; seb- bene munita di due conduttori, fu in meno di due ore consumata dalle fiamme per un incendio eccitatovi da un fulmine; mentre era cominciata la pioggia per un temporale, I due parafulmini distavano l’ano dall’altro di piedi trentotto , uniti per un nastro comune di ferro che passava sopra un terzo palo posto a qualche distanza dalla casa ye che entrava per tre in quattro piedi sotto una terra pesante ed umida . Alle dotte riflessioni del sig. Trechsel, che ne diede una lunga storia, per tentare di spiegare un siffatto accidente, il sig. Ra- cagni aggiunge come una causa più probabile quella che. i dae con- duttori della casa Anderegg, invece di penetrare in un qualche pozzo o all'acqua corrente, si perdevano nel terreno, il quale per quanto sia buon deferente dell’ elettricità, non è molte volte tale in una stagione costantemente asciutta. II. Crittogame Brasiliane raccolte e descritte dal sig. GIU- sePPE RADDI. La presente memoria non suscettibile di estratto forma parte del breve ma fruttifero viaggio di questo zelante cultore. delle scienze naturali. La maggior parte delle go crittogame ivi descritte furono dall’A. raccolte nei contorni di Rio Gianeiro , nelle vici- nanze di Mandiocca,, e più che altrove nelle ombrose selve delle montagne d’ Estrelal . miO Alle medesime fa seguito la descrizione de’ rettili brasiliani in compimento di quelli indicati in altra sua memoria già stata inserita nel fascicolo secondo ; parte fisica’, del Vol. XVIII. della stessa società . 1 III. Descrizione di un metodo per la legatura de’ polipi , che dalle nari posteriori scendono in' gola , del sig. conte Pietro Mo- SCATI. Questo celebre scienziato dopo aver dato una esatta definizio- ne del polipo ; della sua indole, e del inodo come questa morbosa escrescenza ha origine e incremento sulle cavità del corpo umano, scende a parlare de’ varj metodi finora praticati per estirpare i po- lipi che risiedono nelle cavità posteriori nasali. Quello di Dessault, giudicato da Boyer sopra tutti gli altri metodi il migliore , più degli altri si accosta a quello del nostro A,, nel quale però sembra esservi maggior vantaggio sia per il minor numero ‘d’istrumenti, sia per la più pronta e facile applicazione, sia per non esservi necessario un assistente. Tutto l'apparecchio si riduce, 1.° ad una specie di cuc- chiajo; di argento col tazzino vuoto nel mezzo, di figura elittica , allungato verso i due lati, e che porta in giro una scannellatura per ricevere un robusto filo di refe incerato. Questo s’ inerocicchia in modo da averne lungo il manico le due estremità che rimangono li- bere ; 2.° in un serranodo simile a quello generalmente adottato in simili casi; 3.° nello strumento inventato dal Bellocq per portare dalle nari in bocca un filo; a cui si attacca an turacciolo molle , destinato a turare le aperture che dal naso mettono nel palato ; ed arrestarne le forti emorragie. Munito di questo piccolo apparato, il chirurgo potrà eseguire la sua operazione nel modo da esso pre- seritto ; il che avviene con facilità e con una sollecitudine prodi- giosa tenendo il paziente comodamente assiso, senza il caso di dover mai ricominciare l'operazione . IV. Nuove considerazioni sulle affinità de' corpi pel calorico, calcolate per mezzo de’ loro calori specifici e dei loro poteri refrin- genti allo stato gazoso ; del cav. AMADEO AvoGADRO. Può dirsi questo lavoro una continuazione di una rettificazione di altro pub- blicato in tre precedenti memorie, che una nella Biblioteca Italiana ( dicembre 1816. gennajo 1817.) e due nel Tomo XVIII. ‘della So- cietà Italiana. Richiama lA. i principj già da lui stabiliti nella prima di esse sulla refrazione dei calori specifici de’gas composti, e quelli de’loro gas componenti, la qual relazione condusse quel dotto fisico a determinare l’ affinità de’ corpi pel calorico, dedacendola dai loro calori specifici allo stato gasoso; mentre nelle due altre, s0- stenuto dai calcoli geometrici, cercò di stabilire puranco una rela- zione fra le affinità de’ corpi pel calorico ed i loro poteri refringenti sie enti. IT allò stato gasoso; e quindi indirettamente tra ‘i calori specifici dei corpi gasosi e i medesimi poteri refringenti ; così che data l’osserva- zione della prima di queste qualità se ne putesse pur ariche conchiu- dere Ja misura per la seconda , e viceversa . Ma: siccome l'accordo fra le osservazioni di questi due generi per mezzo delle formole dedotte da alcune di esse , non era intiera- inente esatto, l'A. li aveva indicati come due sistemi diversi di affini- tà , uno risultante dalle osservazioni de’calori specifici, l’altro da quella de’ poteri refringenti, serbando alle ulteriori osservazioni la decisione della. preferenza da accordarsi ail’ uno anzi che all’altro, o piuttosto la riunione di questi due sistemi in un solo mediante le correzioni, chele nuove osservazioni fossero per apportare ai resul- tati dell’ uno e' dell’ altro. Intavto essendo state-in questi anni intermedii ‘da sommi fisici determinate più esattamente le densità de’corpi gasosi, parve tempo al Cav. Avogadro che dovessero aver luogo alcune correzioni , le quali vengono esposte rella presente memoria insieme con la revi- sione ‘de’ primi calcoli: talchè per un siffilto procedere viene ad: &bergere quell’ urico sistéma che sembra ‘il Lc probabile a sta bi- lire le'affinità 4e’ corpi per il calorico. Non'è tiostro scopo segui- tare ‘le analisi de’ calcoli per tal fine intrapresi dall'A., il quale. basa” le sue teorie sull’ ipotesi dell'uguaglianza: di distanza delle molecole di tutti i cari pressione e temperatura uguale , dietro .il riflesso che senza di ciò non vi'satebbe mezzo alcunò di spiegare la semplicità de’rapporti de’ volumi nella combinazione de'fluidi aeriformi . Fermina l'A. le sue dotte considerazioni con una riflessione sullo svolgimento’ apparente di calorico e di luée che accompagna la rapida scomposizione di alcuni composti , che a forma di quanto scrisse nella ‘prima memoria , ‘egli lo attribuiva all’urto della me- scolanza prodotta dalla ‘ scomposizione contro l’aria ambiente, e che ‘ora senza violare lò stesso principio ne'varia solamente l’ap- plicazione , coll’attribùiréiquello svolgimento, non alla scomposizio- ne medesima considerata ne’còrpi allo stato gasoso, ma alla con- densazione che potesse aver luogo ne’ nuovi prodotti dell’esplosione, che dallo stato aeriforme passassero allo stato liquido o solido ; o se il composto era già'in àno di questi due stati, che i nuovi prodotti subissero un’ ulteriore avvicinamento delle loro molècole. V. Memoria sopra un agnello mostruoso con alcune osserva- zioni sopra la midolla'spinale, del prof. FLORIANO CALDANI, Ecco ùn ‘animale che senza il cervello giunse ‘al naturale suo ingrandi- mento." Il capo' di questo’ mostro , estratto morto dall’utero della madré) era privo del’ mùso, della bocca } del naso, degli occhi e tI2 delle ossa cui queste parti aderiscono, e aveva in luogo del muso due auricole insieme unite alla base e senza verun forame. In vece di cranio aveva un informe tubercolo ossoso che circondava l'estremità superiore del collo: il qual tubercolo vedevasi diviso quasi tra- sversalmente da una fossa coperta di membrana senza che orma al- cuna vi fosse delle ossa della calvaria. ( Spezzato l'osso, o per dir meglio quella massa che tenea il luogo del cranio , vi si trovò la midolla allungata col continuo cor- done spinale che discendea pel canale formato dalla serie delle ver- tebre. Dalla faccia anteriore o inferiore della midolla allungata avea- no principio parecchi filamenti nervosi. Non avea quest'agnello altra sostanza in quella ristrettissima cavità , che potesse dirsi cerebrale, e la midolta allungata era superiormente rotondeggiante , ed ab- bracciata tutto all’ intorno dalla meninge. Tutte le altre parti del corpo presentavano l’ ordinaria forma e volume. VI. Considerazioni medico pratiche sull’uso dell’ Aconito Na- pello, del prof. VALERIO LUIGI BRERA. Non vi è estratto che richie- da tanta cautela per usarlo, quanto quello di aconito . Se si prepara con la pianta coltivata negli orti, riesce di azione di gran lunga infe- riore di quello che si cava dall’ aconito che cresce spontaneo sui monti. Appena preparato possiede una proprietà più virulenta che medicamentosa , ed all’upposto quando conta un anno riesce affatto inefficace; come del pari inefficace è l’estratto che si prepara a gran fuoco . Le quali considerazioni ci rendono ragione delle opinioni ora dominanti fra i clinici sul conto delle dosi, alle quali dev’ essere somministrato. L'esperienza costante pertanto ha reso avvertito l’A. che |’ estratto di aconito napello vuol essere impiegato circa un mese dopo la sua preparazione, e che ben conservato mantiene le sue medicamentose facoltà per lo spazio di otto in dieci mesi. Dev’ essere prescritto , da principio alla dose di uno a due grani, gradatamente portandolo sino a uno scropolo, due , tre e quattro volte il giorno. Non sono d’ accordo i medici sulla proprietà di que- sto preparato, sebbene il ch. Autore per propria esperienza restò convinto che egli agisce con successo nelle affezioni sifilittiche, massime quando sono di recente data . Qualora infatti si rifletta che somministrato l’ aconito agli animali, suscita in essi una morte vio. lenta, preceduta da vomito, da singhiozzo , difficoltà d’inghiottire e da convalsioni ; qualora si ponga mente all’analisi chimica intra- presa su questa pianta da Reinbold, il quale ottenne da essa del vero e pretto fosfuro di calce , sostanza cotanto distinta nella materia, d’onde risulta l'umano organismo , non sarà difficile di accorgersi, dn e I - E E de calata 113 che gli effettirdinamici di tal medicamento consistono in una viru- lenta. azione irritativa. Al che combinando il modo e la celerità somma come, per testimonianza di Stoerck, l’aconito agisce sulla cu- te, il modo come lo prescrisse Arnemann nelle affezioni cutanee, ché sotto l’impero di alcune circostanze acquistano il carattere delle malattie contagiose, ne conseguita che la fisico-chimica azione di questo rimedio consiste negli effetti irritativi di alcune potenze virose che vi si riscontrano , le quali principalmente agiscono nelle pertinenze del tessuto dermoideo. VII. / tre regni della natura nella provincia Bergamasca, del prof.GiovANNI MAIRONI DAPONTE. Di questa memoria non sono ri- portati nel presente fascicolo che i due regni, minerale e vegetabile, Nel capo I, che sta in luogo d’introdazione, l’A. indica lo scopo di questa memoria, il quale consiste nel fornirci i cataloghi dei tre regni esistenti nella provincia bergamasca, come lavoro atilissimo ad indi. care nello studio della natara i rapporti di quella contrada col resto del globo . !l capo II, sebbene intitolato regno minerale, non com- prende che la classe I. delle terre e pietre semplici , divise in pietre silicee , argillose , magnesiache, calcari, barite, e stronziana. Fra queste però si promiscuano delle pietre assai complicate purchè in esse domini una delle suddette terre; avendo fra le altre notato i diaspri nella specie delle argille, mentre a miglior diritto quelle appartengono alla serie silicea. Nel capo III. o appendice I. s' in- cludono 4, pietre composte, granito, gneis, porfido e schisto- mi- caceo. [l capo IV. o classe II. comprende i sa/i solubili , giacchè i così detti terrosi fanno parte della classe prima . Sono l’allume na- tivo ; il solfato di soda , il solfato di magnesia, e il solfato di ferro misto a un poco di zinco . I combustibili fossili entrano nel capo V. o classe lII. Non vi è che il 20//0, e il legno dituminoso. Il capo VI. o classe IV. porta il catalogo de’ metalli fra i quali vi segna l’oro, l’argento , il rame, il zinco, il piombo , il molibdeno, il manga- nese , l’antimonio ; l’arsenico; ma quello che forma un articolo in- teressante di commercio nella provincia bergamasca , e un mezzo di sussistenza alla popolazione specialmente della montagna , sono le miniere di ferro che in dovizia esistono nelle valli Seriana, Camo nica, Sclave e Brembana, Fra le diverse specie che ivi si trovano, là più comunemente adoprata è quella del ferro ocraceo spatiforme, della quale specie qui si reputano i resultati dell’analisi che l’A. già consegnò nel tomo XVII. della Società Italiana. Il capo VII. o appendice II. contiene i petrefatti , tra i quali varj ammoniti, po- che delenite , esistenti nel monte Misma , e qualche conchiglia bi- T. XXIV. Movemb. e Dicemb. 8 II4 valva sparsa in molta copia specialmente nel monte di Dossena . n capo VIII, che appartiene al regno vegetabile, consiste in an suc- cinto catalogo ordinato per classi secondo il sistema sessuale, dove sono numerate circa 1300 piante, compreso in questo numero tatte le varietà , distinguendovisi Je piante che crescono naturalmente da quelle che esigono più o meno delicata coltura. VIII. Decrizione di una nuova Orchidea Brasiliana del sig. GIU- SEPPE RADDI. Questo singolare vegetabile di cui il Brasile abbonda viene dagl’indigeni appellato pianta da colla, perchè dal suo tronco, essi traggono per espressione un glutine, di cui,specialmenteicalzolari fanno uso in vece di colla. Fu vedata per la prima volta fiorire nella primavera del 1822 a Firenze nell’I. e R. Giardino di Boboli, dove fino dal 1819. redace dal suo viaggio ei la recò. Non avendo alcun altro viaggiatore parlato di questa specie nuova appartenente al genere Cyrtopodium stabilito da Brown per alcune specie di cymbidium , osserva il} Sig. Raddi che la pianta brasiliana conviene esattamente col cymbium andersonii di Andreu (cyrtopodium andersonii' Br.); dal quale però differisce per la grandezza de’suoi fiori, e per la figura de’ petali superiori. Dovendo pertanto assegnare alla pianta brasi- liana una denominazione specifica , per distinguerla dall’altre specie di questo medesimo genere , il sig. Raddi ha preferito quella di glutiniferum, come la più adattata a indicare la particolare pro- prietà di sopra mentovata. Eccone i caratteri : CYRTOPODIUM GLU- TINIFERUM: caule elongato crasso , foliis vaginatis lanceolatis ner- vosis , floribus spicato-subramosis , petalis rotundatis apiculatis. La pianta è una delle poche che hanno il pregio di riunire in an tempo economia e bellezza, sia per l'uso che ne traggono i brasiliani, sia ancora per il pregio che ha di conservare lungamente sopra il loro stelo i suoi bei fiori, dei quali ivi si rappresenta in tavola la figura. IX. Osservazioni fisiche sulla costruzione di varie lampane an- tiche e moderne, del cav. GIOVANNI ALDINI. Riguardando l’A. come priva di fondamento la supposta esistenza delle lampane perpetue, crede solo che presso gli antichi vi fosse un qualche artifizio idoneo a protrarre straordinariamente la durata delle fiamme, sal supposto che ciò seguisse per mezzo di vasti recipienti pieni di olio ;comuni- canti per via di tubi con la lampada ardente , e coll’ introdarvi del- l’acqua mano a mano che l’ olio si consumava ; o con lucerne di va- rie cavità fornite , parte piene di olio , altre di acqua , altre di aria, in guisa che l’aria condensata per la caduta dell’acqua andasse a premere la superficie dell’ olio per obbligarlo di alimentare il luci- gnolo. Il quale artificio reso più semplice da Galileo si vede oggi messo in pratica dai francesi in varie lucerne a olio. RETTO OI, EL n 115 L’ autore passa quindi a descrivere alcune lampane "per varii rapporti fisici reputate le più pregiabili , specialmente una ricchissi- ma d’intaglio e di piccolissime figure mobili, opera di Gioan Giorgio Capobianco vicentino , usata la prima volta a Milano a’ tempi di Carlo V, e della quale non si sà cosa poi ne avvenisse; l’ altra co- strutta nel 1587 da Vincenzo Possenti pisano, e che vedesi tuttora pendente nel duomo di Pisa. Il cav. Aldini non è dell’opinione di co- loro i quali vollero che questa lampada servisse alla grande scoperta di Galileo; avvegnachè un tal fatto, a parere dei biografi di lui, deve riportarsi a qualche anno prima , quando cioè nel 1583 quel sommo ingegno in età de’ circa quattro lustri dedicavasi in Pisa agli studi di medicina e di matematica, e sei anni avanti l’esperienza , ch’ ei fe- ce , già professore della pisana università , nella torre pendente del duomo rapporto alla caduta de’ gravi. Ricapitolando poi colla storia le proprietà intrinseche sulla co- struzione delle lucerne antiche e moderne, per applicarle agli usi della pubblica e privata economia , l’A. fa osservare che riescirebbe della massima utilità 1’ uso dell'amianto per la lunga durata de’luci- gnoli , che rivestendo le lampane invece di vetro , di lamine di mi- ca, si verrebbe ad evitare gl’ inconvenienti che risultano per la fra- gilità del primo ; che l’ accendi lume comunicante con semplici or- dinghi meccanici potrebbe eccitare ancora il suono ; (che trattandosi di pochi lumi a olio raccolti in angusto spazio , per l’ estinzione loro si potrebbe ricorrere ad un artificio analogo a quello della lampana pisana, facendo discendere mediante un peso tutti ad un tratto i lu- cignoli nel combustibile che gli alimenta. X. Osservazioni microscopiche sopra varie piante, del prof. Gio. BATTISTA Amici, Considerando che la fisiologia vegetale non può giungere ad un certo grado di certezza, sinchè non venga fondata sopra principj incontrastabili, e che la disparità delle opinioni in- torno ad alcune parti essenziali dell’ organizzazione dipendono dalla difficoltà che principalmente deriva dall'estrema picciolezza degli oggetti , e dall’imperfezione de’ mezzi per osservarli ; il dotto A. in vista di tuttociò si è determinato a proseguire le sue diligenti osser- vazioni, delle quali già pubblicato aveva luminosi esempi, nella bra- mosia di rendere più importante servigio alla scienza botanica. E prendendo egli ad esaminare nell’ art. 1. l’organizzazione della Cau- linea fragilis, e il modo come il succhio circoli ne’suoi tubi fibrosi e mel tessuto cellulare, si confermò sempre più che la circolazione si fa continua , sempre diretta per lo stesso verso ,e che la causa motrice, lungi da dipendere dalla irritabilità delle membrane, come alcuni opinarono, risiede nelle coroncine de’ grani verdi che tapezzano l’in- x16 terna membrana de’tubi , e a guisa di tante pile voltaiche spingono il flaido alcorso , i quali grani o globetti da cui trae origine il co- lore della Caulinia sono di un bellissimo verde nelle parti esterne, ed un poco più sbiadite nelle interne parti di quel vegetabile. Nell’art. II. egli indaga l'anatomia della Chara flexilis , il cui color verde particolare dipende pure da una serie di coroncine a grani verdi, che sono fissate alla interna parete dei suoi tubi come nella Chara vulgaris già descritta nel T. XVIII della Società italia» na. La trasparenza di tuttii vasi, la semplicità della loro struttura , e la mancanza di quell’ incrostamento di carbonato di calce che cuo- pre iràmi della vu/garis , prestarono all’ A. le più favorevoli condi- zioni per osservare nella Chara flexilis la circolazione del succhio tanto nei rami, che nelle gemme, nel pistillo, e nei fiori senza alcana operazione preparatoria. In qaanto alle bacche, simili per la struttura a quelle della Chara vulgaris, non potè l’ A. eseguirne |’ anatomia stante la loro totale opacità e piccolezza. L’ articolo III verte sulla organizzazione del Polline, i di cui piccoli corpiccioli non prestandosi ad alcuna dissezione, diede origine a varie congetture , sicchè noi eravamo all’ oscuro intorno alla vera struttura del pulviscolo, sino a che il prof. Amici ha resoîdi pubblico diritto un fenomeno singolare da esso vedato nel polline della Portu- laca oleracea’, nel mentre che invita i naturalisti forniti di buoni istrumenti , dei quali egli è so:nmo maestro, a proseguire un tal ge- nere di ricerche cotanto importanti alla vegetazione. Esaminando con un microscopio , che ingrandiva non meno di 300 volte il vola- me , l’ estremità dello stimma di detta pianta , vide che i finissimi peli che la rivestono erano coperti di corpiccioli solidi sugosi, i quali passavano dalla base all’ estremità de’ peli medesimi, e di qui len- » tamente retrocedendo alla base riprendevano di nuovo lo stesso giro. Darante simili indagini l’A. s'imbattè ad osservare un pelo a capo del quale stava attaccato un grano del pulviscolo, che tutto ad un tratto dopo qualche tempo scoppiò, mandando faori una specie di budello assai trasparente , il quale distendendosi si unì lateralmente lungo il pelo. Questo nuovo organo era ripieno di piccoli corpi, una parte dei quali usciva dal grano del pulviscolo e l’altra entrava, dopo aver fatto il giro lungo il budello medesimo, nel mentre che nell’ interno del grano del polline,come anche entro i vasi dello stimma, si vedeva an movimento confuso di un innamerabile quantità di globetti! Tale fenomeno, che durò per circa tre ore, ebbe termine colla sparizione de’ corpiccioli del budello , senza che il diligente osservatore potesse avvedersi se rientrassero nel polline, ossivvero trovassero adito nelle cellale dello stimma, o piuttosto se disciolti passassero pei pori delle 117 membrane a confondersi coll’umore del pelo , entro il quale per più lungo tempo continuò la circolazione. L’ art. IV tratta dell’ Epidermide delle foglie di molte piante da esso lui esaminate ; per le quali osservazioni ne inferisce una opinio- ne contraria a quella di coloro che, considerandola una continuità del tessuto membranoso , credono che non possa separarsi dal resto del tessuto senza lacerazione. Si aggira l'art. V. sopra un punto importantissimo che forma la base di ogni.teoria dell’organizzazione , cioè sull’ unione del tessuto vegetalg. Dall’ antecedente articolo si può preventivamente giudicare da qual lato penda l’ opinione del N. A. Infatti qui egli per nuove esperienze potè assicurarsi che, la membrana del diafragma della. Chara vulgaris, da lui altra volta credata indivisibile, fu staccata me- diante l’acqua bollente in due tubi , a ognuno de’ quali rimaneva il proprio diafragma; soggiungendo, che con questo processo è permesso di separare ad uno ad uno tutti i tubi della pianta, senza che il fluido rinchiuso in ciascuno trovi passaggio da alcun lato} della membrana, essendo le pareti de’vasi della Chara tutte doppie, sicchè l’unione loro si fa per semplice contatto, oppure col mezzo di qaalche glutine od al- tro legame che sfugge alla vista,quantunque armata de’ più forti mezzi d'ingrandimento, Oltre detta pianta, moltissime altre anche terrestri osservate furono dall'A, aventi la stessa conformazione organica: fra le quali si limita a citare i tubi del picciolo delle foglie del Rannuncu- : lus repens ; che si dividono senza il soccorso: dell’acqua bollente : dove vide che tra un tubo e l’altro vi erano degl’ intervalli, e che quelli non si toccavano che nelle parti più gonfie. Ma, se in ciò trovasi l’A. perfettamente d’ accordo cogli Hedwig, coi Treviranus, coi Link ec. i quali ammettono è meati intercellutari, egli si allontana da loro rispetto all’ ufficio de’ medesimi canali ; avvegnachéè egli opina che nessun fluido vi penetri ad eccezione dell’aria. Parla nell’art, VI dei vasi aeriferi, dove un esteso esame, instituito sopra una gran quantità di vegetabili di varie famiglie, lo ha convinto che li organi di forma tubulosa o cellulosa, fra i quali sono da contarsi i vasi spi- rali, le false trachee , i tubi porosi , i vasi a falsi tramezzi , a coron- cine, a false cellule, e tante altre varietà non ancor definite , servono tutti al medesimo uso, e non ricevono altro che aria o gas, a diffe- revza degli altri vasi fibrosi o delle cellule che si mostrano pregni dei loro respettivi succhi. E poichè tali tubi e trachee hanno situazione, ‘grandezza e forma affatto diversa dagli altri organi, ed anche molte volte mancano in alcune piante, egli tiene per indubitato.che non se- gua trasformazione tra questi e quelli come alcuni naturalisti imma» 118 ginarono,e che non cambino natura dalla nascita all’ultima vecchiez- za della pianta , alla quale essi appartengono. Il fascicolo II del tomo XIX delle memorie di fisica , stato pub- Llicato sul terminare dell’anno ultimo decorso, porta in fronte lo sta-: tuto della società, il catalogo de’socii, e gli annali della medesima dal gennaio 1 819 tutto dicembre 1825. Agli elogii storici di tre membri mancati alla sucietà , il primo del cav. Sebastiano Canterzani di Bologna , il secondo del cav. Teodoro Massimo Bonati ferrarese; e il terzo del prof. Vincenzo Brunacci di Firenze, succedono dieci me- morie a completare il tomo della parte fisica. I. GCompimento della memoria intitolata : i tre Regni della Na- tura della provincia Bergamasca, del prof. GIO. MAIRONI DaPON- TE. Essa comprende il regno minerale diviso dall’ A. in sei classi, cioè: in mammiferi, uccelli, anfibii, pesci, insetti ed in vermi, ove ge=- neralmente si seguita il sistema di Linneo con le riforme introdotte da Blumembach e da Leske ; e ivi si considera in appendice come al- terazione il inodo straordinario con cai si riproducono specialmente i seguenti animali: Rana , Coluber Derus , Torpedo, Squallus, Ae- glofinus , Murerna Helena , Blerius, Concinella, Oriscue, i mam- miferi della specie de’ Didelfi, la Rana Pipa fra gli anfibii, gli Aphis fra gl’ insetti, oltre molti altri animali che hanno una maniera di riprodursi affatto singolare , fra i quali è sorprendente |’ Ermafro- dismo comune segnatamente a varie razze di vermi; per cui un in- dividuo accoppiandosi col suo simile , il quale è fornito com’ egli di doppio sesso, feconda altrai, e viene da questo reciprocamente fe- condato. II. Descrizione di una vitella singolarmente mostruosa, del prof. Vincenzo GAETANO MALACARNE. Fra tante specie di mostruo- sità, delle quali si è tenuto conto dalli scrittori, niuna per verità può dirsi più particolare di quella che forma il soggetto della presente memoria. Una vacca non potendo con tutti li sforzi del parto sgravarsi del suo feto, fu uccisa per estrarlo dalla cavità dell’utero. Era un uo- vo protuberante carnoso dell’ altezza di centimetri 49, largo centi. metri 43, di un metro di circonferenza trasversale, e un metro e 20 centesimi di circonferenza longitudinale. Aveva esternamente un aspetto analogo alle membrane sierose , a cu jserpeggiavano intorno molte ramificazioni vascolari sanguigne. Sentivansi attraverso. ad un denso integumento tre estremità di quadrupede postate sulla porzione superiore dell’ uovo , ,in mezzo alle quali estremità giaceva la testa an poco schiacciata per difetto di tr ace ne 119 Spazio , e che dopo un apposita incisione comparve insieme con la coda e le gambe coperta del suo integumento peloso. Alla regione inferiore vedevasi una colonna vertebrale stranamente contorta, ed a’ lati erano le costole tutte avvicinate, e spinte l’una contro l’altra senza lasciare verano spazio intercostale. Da tutta la porzione saliente della stessa colonna vertebrale, pendevano le viscere del feto ravvolte in una duplicata membrana. sierosa , la quale sembrava un prolunga» mento di quella che vestiva l’ intiero uovo, come meglio viene di- mostrato per queste ed altre mostruosità nelle tavole annesse alla memoria, * III. Descrizione di un nuovo Atmidometro per misurare l’ eva- porazione dell’ acqua, del ghiaccio e di altri corpi a varie tempera- ture, del prof. ANTON-MARIA VASSALLI-EANDI. Questo dotto fisico; di cui l’ Italia scieutifica rammenta con rammarico la recente perdi- ta, aveva pochi anni addietro esibito un consimile apparecchio (Mem; della soc. Ital. T. XVII), ma non avendolo trovato abbastanza co- modo , ne fece costruire un altro , del quale dà la figara, capace di misurare esattamente la temperatura de’ corpi evaporanti. Il quale istramento si compone di una bilancia mobilissima ; alle di cui braccia si appendono per mezzo di fili due vasi metallici cavi e di forma regolare, che uno di essi porta nel centro un termometro s0- stenuto da un cilindretto di metallo e rinchiuso in tabo pure di me- tallo, dal quale sporge una scala graduata. . A seconda delle varie sperienze da istituirsi si può mutare il termometro come anche la base. Lungo il rovescio della scala me tallica del medesimo si muove la piccola asta di un galleggiante, la quale segna i gradi di abbassamento dell’acqua sopra altra scala divisa ip millimetri. L'altro vaso, appeso all’opposto bacino della bilancia, ha un coperchio che col suo peso fa equilibrio al termometro,al galleggiante ed all'acqua contenuta nell’anzidescritto vaso , il quale coperchio è fornito nel centro di un globo cavo da aprirsi a vite, entro cui si mettono diversi pesi, che si levano qualora non si voglia aggiungere liquido nel vaso evaporante. Il braccio della bilancia che sostiene il vaso evaporabte è diviso in cento parti eguali , le quali per mezzo di due vomani o contrappesi di due diverse grandezze, segnano l’eva- porazione in due qualità di pesi , il maggiore in grammi, in ceuti- grammi il minore, La bilancia è sostenata da una piramide, che ha nel mezzo un apertura, la quale discende sino verso la metà del sostegno. In que- st’ apertura si muove l'ago unito all’ asta della bilancia, il qual ago, quando la bilancia è in equilibrio, corrisponde col suo apice ad una 120 punta fissata inferiormente sul mezzo della piramide, talchè la più piccola declinazione di detta punta indica da qual parte devia il bili- co. Dovendo misurare l’evaporazione di liquidi corrodenti il metallo, fa d’uopo intonacare la superficie con uno strato capace d’impedire la loro azione, oppure sostituire vasi di cristallo o di porcellana. ©’ Con l’uso di quest’ istruinento i fisici potranno decidere molte questioni tuttora sospese, come quella p. e. se i raggi lunari accre-" scono veramente l’ evaporazione. Possono per esso in pari modo ve- rificarsi i rapporti che hanno tra dj loro le evaporazioni di vari liquidi di natura e di densità diversa, e se |’ evaporazione sia in ragione della superficie liquida in covtatto dell’ aria, o in ragione dell’altezza del * vaso ; st questa è prodotta unicamente dal calorico secondo che pen- sano con Dalton i più de’ fisici moderni, od all’azione del medesimo unita a quella dell’affinità dell’aria con l’acqua, non meno che per l’in- flusso dell’elettricità, avendo questa, come prova l’A. una grandissima parte all’evaporazione. Se questa sia maggiore nei vasi'più ampj o nei più piccoli, e se sia dieci volte maggiore della terra umida, come crede 77a/es; o se quest’ ultima svapori più prontamente che l’acqua come osserva il Bazin ; se vi è finalmente differenza per effetto del calorico raggiante nell’ evaporazione dell’ acqua contenuta in vaso di metallo lucido e di metallo variamente colorito, mettendo anche in faccia de’ medesimi diversi corpi di vario raggiamento di calorico. IV. Dell’apparecchio idrostatico più semplice ed universale, Memoria dell’ Abate GiusePPE ZAMBONI . Si sa che un ffaido con- tenuto in vasi tra loro comunicanti, somministra il mezzo di provare non solo l’ugual pressione reciproca delle molecole fluide in qualun- que direzione , ma un ugual altezza de’ fluidi omogenei , e l’altezza altresì reciprocamente proporzionale alla gravità specifica de fluidi eterogenei. Ora su queste basi il dotto abate ha imaginato uno stru- mento semplicissimo , da preferirsi per la sua facilità ad ogni altra bilancia idrostatica finora conosciuta . Consiste esso in un vaso di figura cilindrica comunicante con un tubo di piccolo diametro, che forina con la parete del vaso un angolo molto ottuso , sicchè, versandosi dell’acqua , ogni variazione di livello , insensibile nel vaso , appare visibilissiima nel tubo, a cui si annette una scala graduata. Per esattamente misurare le successive variazioni si procede nel modo che appresso. L’ acqua del vaso dev’ essere tanta che, soste- nendo a galla il recipiente tocchi col suo livello il principio delitubo, Poscia lasciando cadere l’ an dopo l’ altro dentro il galleggiante dei piccioli pezzi metallici eguali in peso, all’aggiunta di ognuno di essi crescerà nel tubo il livello egualmente, in guisà che il di lui ° 12I successivo rialzamento darà esattamente tutti i gradi della scala ri- cercata. Quest’apparecchio che servir può a pesar tutti que’ corpi che possono allogarsi dentro il recipiente,senza affondarlo tutto sott'acqua, è senza fallo assai più comodo e più sicuro delle solite bilance ; nelle quali si è obbligati ripetate volte di levare o di aggiunger pesi per trovare il giusto equilibrio ; potendo esso solo servire a dimostrare tatte le leggi fondamentali dell’ idrostatica , e supplire con maggiore speditezza e facilità non solo ai gravimetri finora conosciuti , ma an- che agli aerometri , potendo sostituire varii fluidi all’ acqua parago- “mandone la diversità della loro gravità specifica. Dopo aver rammentato alcune avvertenze per fare l’esperimenti con la maggiore esattezza possibile , l’ A. passa a descrivere un al- tro istrumento atto a far conoscere la pressione de’ fluidi contro il fondo de’ vasi. V. Considerazioni geometriche e pratiche sopra le macchine aereostatiche a gas idrogene, del prof. Gio, BATTISTA MAGISTRINI, Con questo laborioso quanto dotto scritto, l’ A. offre ar naviga- tori aerei nuove speranze sulla possibilità di direzione. Ripigliando egli sulle orme di Eulero e del Saladini il problema del inoto verti- cale di un pallone ripieno di puro gas idrogeno, appianando le dif- ficoltà del calcolo, ha con particolare diligenza esaminato alcune delle più necessarie modificazioni , da potere frenare all’aopo la forza elevatrice, e dominare a piacimento la discesa senza il gravis- simo inconveniente di dover comprare ciascun ritorno in terra con perdita indeterminata del più necessario e prezioso elemento della macchina. Dimostra infine la struttara e il modo di applicare gli or- digni creduti i più opportuni al delicato intento della direzione e del moto orizzontale, tanto di traslazione che di conversione. Per chi, dopo il terzo invito, vide non ha molto in Firenze alzarsi in aria la macchina aereostatica del sig. Francesco Orlandi, e la dire- zione che prese « piacere della corrente, ad onta che la medesima armata fosse di due larghi ventagli, coll’intenzione di servirsene come in un idraulica navigazione, non sgradirà di tener dietro agl’ingegnosi mezzi proposti e calcolati dal dotto mateinatico di Bologna. La memoria si divide in tre sezioni; verte la prima sul cal- colo della manovra verticale giusta il metodo presentemente pra- ticato ; la seconda propone dei miglioramenti del metodo preceden- te ; la terza si occupa a dimostrare possibile il moto orizzontale con un meccanismo di sua invenzione. Parte I. La pratica , die’ egli, riconosce l’importanza che il globo aereostatico sia ripieno per sette ottavi di puro gas idrogeno, 122 e ciò sul riflesso che si ammetta la proprietà di questo gas di seguire, nelle sue espansioni la stessa legge dell’aria comune , sicchè span- dendosi col decrescere della pressione atmosferica , possa occupare l’intiera capacità, giunto che sarà il globo alla sua più elevata corsa. Coloro che intraprendono le ascensioni con dosi d’idrogeno notabil- mente minori della capacità del globo, o terminano innanzi tempo, o restituiscono a terra il volatore malconcio. Con lunghi processi di calcoli, basati sulle leggi della meccanica; e rappresentati da formule convenute , si risponde dall’ A. a varii in- teressanti quesiti, tendenti a far conoscere: 1. Il diametro de’ globi di un dato peso atti ad equilibrare in terra con cinque ottavi, o con sei ottavi, oppure con sette ottavi del loro volume di gas idrogeno ; 2.° quanto potranno equilibrare in terra di carico totale, e quale sarà l’ altezza del punto del loro dis- tendimento ; 3.° in quanto tempo arriverranno a questa altezza colla sottrazione di un terzo del loro carico equilibrante, e di quanta velocità saranno dotati all’ arrivo in questo punto ; 4.° dove e quando avrà fine la forza acceleratrice , e quale dovrà essere la forza del loro tessuto , onde possano compiere senza pericolo l’intiero viaggio; 5.° quale altezza di viaggio atmosferico potrebbesi intraprendere senza timore con un globo del diametro di piedi 30 ne’ due casi, 1-° che la carica di gas sia a quindici sedicesimi della sua capacità, 2.° che la carica sia a capacità intera, astenendosi però il volatore dal dimettere tutta intera in una sola volta la quantità assegnata di zavorra ; 6.° quale sarebbe sotto lo scarico primitivo di tutto. que- sto peso la velocità massima di salita nelli stessi due casi: e volendo limitare nel secondo caso la salita a 1200 piedi (ripartendola in quat- tro stazioni equidistanti), quale sarebbe il peso da scaricarsi in ciascuna corsa parziale , e quale in ciascuna la velocità massima; 7.° quale sarà il tenore di moto discensionale di detto globo partito da terra a tulta capacità di carica, e che incominci all’altezza di 500 piedi il ritorno in terra mediante la dispersione di un ventesimo della sua carica ; 8.° quale sarà la durata, e la quantità dell’efflusso del- l'idrogeno necessaria, calcolando un circolo di un oncia di diametro l'apertura media procurata dalla valvola all’esito del fluido del globo, allorchè il volatore intraprende il ritorno in terra; nel caso del quesito precedente, e nel caso del quesito quarto ? Progettando nella seconda parte i miglioramenti da farsi al metodo precedente de’ globi ad aria infiammabile } 1" A. fa riflettere che se coi progressi della chimica potesse arrivarsi a sostituire al- l’idrogene un altro gas anche meno leggero , ma più pacifico nel contatto dell’aria comune e del fluido elettrico, ne ridonderebbe 123 all’arte della navigazione aerea non lieve giovamento. Nè minore studio meriterebbe la scelta e composizione della vernice indispen- sabile per l'involucro del globo, come pure converrebbe che il tessuto di questo potesse costruirsi senza giunture , tutto di un sol pezzo. Ma quello che più interessa è di perfezionare il servigio della macchina aereostatica , e di supplire coi mezzi che in sè stessa con- Liene , col minore soccorso possibile di altri accessorii, la parte an- cora intatta della loro destinazione. La qual cosa non è sperabile di ottenere, finchè si sarà obbligati di servirsi nel modo solito di estra- nea irreparabile zavorra ; e di metter mano ciecamente alla massa del gas idrogeno per discendere; e fino a tanto che non si perverrà a rintracciare un orizzontale manovra atta a supplire alla mancanza di favorevole corrente, che sia scevra dagl’inconvenienti dell’inefficacia dei remi, o de’ventagli stati finora impiegati. Per rimediare a questo triplice difetto, l’altimo de’quali pertiene alla terza sezione, l’A. fonda- to sulle teorie agomelziche e meccaniche da doversi soggettare ad ogni possibile confronto, e più che altro (aggiungeremo noi) alla sanzio= ne dell'esperienza maestra di tutto, mettendole in opra nell’in- costante fluido dell’ atmosfera , propone in primo luogo: l’ aggiunta di un minore pallone nel luogo dell’ antica mongolfiera , il quale ri- pieno di aria condensata si vada scaricando nella salita per ura tromba pneumatica inferiormente annessavi, e ripigli poi 1’ aria nella discesa , a fine di supplire con quest’ otre sussidiario al soprac- carico della zavorra, di risparmiare il fluido del globo, e di dominare a piacimento tanto la salita quanto la discesa. L’anemometro orizzontale , e due barometri muniti della me- desima scala , l’ uno libero, 1’ altro annesso alla tromba, saranno gl’ istrumenti dalla cui sola ispezione il volatore prenderà norma si - cura di sua salita e discesa. Il calcolo della salita colla presente modificazione del globo ca- pace di ricevere un peso disponibile di libbre 20, come sufficiente ai bisogni di una ben regolata ascensione, è quello stesso praticato nella parte prima pel metodo comune, ommesso bensì l’ aumento di resistenza esterna derivatale dal volume dell’aggiunto otre. È bensì diverso il calcolo della discesa a varie stazioni, dei quali l’ A. dimo- stra i principali elementi, Appresso suggerisce un altro più facile compenso da sostituire ) al serbatojo sussidiario e suoi annessi, ad oggetto di liberare il vola- tore dall’ incommodo che presenta il suo non picciolo volume, e dalla grave occupazione che esige il servigio della tromba, la sorve- glianza e il confronto de’ due barometri, Per tal’ effetto l’ A. ricorre 124 ad un'altro provvedimento, sostituendo invece un numero di più piccioli globi ripieni pur essi di gas idrogeno e legati ‘a corona per altrettante funicelle alla galleria. Con questa rificolona amplissima l’aereonauta potrà più agevolmente eseguire la sua discesa, o conti- nuata , o divisa a stazioni, vuotando di mano in mano o pure met- tendo in libertà sì fatti palloncini. Deve però oltre a questi esser provvisto di zavorra , poichè nel caso che il volatore, giunto a vista della terra , si trovi disturbato da vento o esposto a cadere in luogo svantaggioso, non può come nel sistema precedente ridonare forza ascensionale alla sua macchina col ritogliere al condensatore il prevalente peso di aria innanzi accumu- latavi, ma invece dimette subito un misurato sacchetto di zavorra equivalente in peso alla forza dispersa col primo palloncino , per cui risale in alto per ritornare poi verso terra mediante l’emissione di un secondo palloncino ; e per rinnovare mediante altrettanta zavorra Ja stessa alternativa, se l’accesso a terra venisse di nuovo impedito , o per afferrarla prontamente in caso di circostanze favorevoli, ver- sando un altra misura di gas, e calando |’ ancora. i Corredata la macchina di sufficienti mezzi di una sicura e bene ordinata salita e discesa, l’ A. nella parte ultima tenta di fornire al navigatore con un nuovo ordigno un mezzo impellente, l’esercizio del quale senza essere laborioso , nulla costi al gtobo maggiore di mate- riale consumo, niente comprometta la sicurezza e l’ integrità, anzi fedele la serbi all’unica direzione primitivamente impressa immune da ondeggiamenti e deviazioni sul debolissimo sostegno della via dei ‘venti !!! i Dopo i tentativi fatti sinora per conseguire sì magnifico intento, l’A. fa con fidanza sperare , che quest’ unico da esso proposto possa decidere la questione sulla non ancora smentita nè realizzata aerea direzione, Nella parte superiore di una galleria aereostatica più capace e più alta dell’ usato, si adattino mediante solide particolari armature due coppie di volanti , dei quali egli dà un esatta descrizione con ap- posita tavola. Questi sono armati ciascuno di due ali a spirale, dispo- sti paralleli e orizzontali, fermando gli assi di ciascuna coppia late- rale in un medesimo piano verticale, e le due coppie a uguali di- stanze dall’ asse primario verticale della macchina. I quattro volanti sieno interrotti sal mezzo della loro lunghezza da quattro rocchetti che contrastino con una ruota interposta mobile sopra appoggi particolari, congiuntamente a unito tamburo nel senso del moto dei rocchetti , e separatamente nel senso contrario, La ruota infine ab- biù moto in forza di un peso pendente da robusta funicella avvolta al ue saint ttt i 125 tamburo ; cosicchè l’ aereonauta altra cura non abbia che quella ‘di ’ rimontare questo peso girando separatamente il tamburo , come negli orologia pendolo. L’ asse cilindrico de’ volanti ; a ciascuno de’ quali, volendo, si possono applicare altre due ale simili alle prime, è situato sopra due perni, i quali soggettati a rapida rotazione agire devono come l’acqua nella coclea di Archimede, esercitando una pressione che di- viene forza operativa di moto orizzontale di tutto il sistema, abban- donata che sarà la macchina all’ atmosfera. Fatto il calcolo del gioco e dell’effetto delle quattro coclee volanti a quattro ale ciascuna , esposto il processo di analisi de’ due moti orizzontali, progressivo e di conversione intorno all’asse primario, descritto il modo di governare lo stesso moto orizzontale, l'A. si mo- stra pienamente rassicurato dell’ effetto immancabile del nuovo non troppo semplice meccanismo da aggiungersi all’ ordinario apparec- chio de’globi aereostatici. E ritornando al divisamento della pratica esecuzione, egli raccomanda specialmente fra le condizioni indispen- sabili, oltre |’ esattezza del lavoro, che l’aggiunto meccanismo si ac- costi il più che sia possibile al centro di resistenza dell’aria sopra l’intero sistema , e che librato esattamente e stabilmente d’ intorno all’ asse comune del globo e della galleria , serbi con questa Ja più ‘perfetta uniformità e simmetria di volumi e di pesi parziali d’in- torno a'l'asse medesimo. Non trascura di descrivere il metodo di ma- neggiare una ventola verticale affidata a interno registro e da do- versi spiegare e ammainare con comodità dal volatore per farne uso t.° quando nell’ atto di sciogliere la macchina al moto orizzontale ne trova le coclee motrici rivolte coi loro assi in direzione diversa da quella , ver dove vuole incamminarsi ; 2.° quando dopo d’ aver pro- gredito sopra una data direzione o per sua scelta, o per declinare da obliqua o oneri a sopravvenuta, abbia a indirizzare il suo viaggio altrove. E siccome per il vofatore , in ambi i casi attento alla bussola, quando vedrà per essa la macchina vicina alla richiesta direzione, non basterà per conservarvela che ritiri la ventola, sarà perciò indispen- sabile una seconda ventola simile da situarsi sul fanco opposto della galleria, la quale al ritirarsi della prima , sorta subito ad ammorzare coll’ inversa sua resistenza il moto residuo di conversione dell’ aereo. “stato. Ma basti il poco che abbiamo quì accennato di volo su i mol- ti punti analiticamente discussi dall’ autore, al proposito di que- sta memoria , destinata a servire, com’egli si lusinga, alla realtà te al puro bisogno della pratica , onde trarre d’ inganno tanti’, che 126 dietro l’ opinione del fisico Pignotti, credono tuttora pei una compiuta e stabile navigazione atmosferica. VI. Saggio di macchine relative alla luce intermittente dei Fari tanto ad olio che a ga», del cav. GIOVANNI ALDINI. All’oggetto di ottenere un rapido passaggio dalla piena luce ad una totale oscu- rità, a fine di rendere agli occhi de’ naviganti meno equivoca l’ indi- cazione de’ fari, l’ A. esibisce nuove macchine capaci di pienamente soddisfare all’ intento. E prima di tatto, rilevando gl’inconvenienti de’ metodi finora a tal effetto proposti , egli passa a descrivere la macchina la più atta a produrre una lace intermittente e decisa, È questa una specie di orologio, di cui fino dal 156g esibì la costruzione Domenico Martinelli, mosso mediante l’ aria rarefatta dalle fiamme di due lacerne d’ Argand a due o tre lacignoli concentrici. Queste | pongono in movimento un ventilatore portante una zona divisa in quattro spazii eguali, due de’ quali opposti l’uno all’ altro sono fa- sciati da due occultatori , il terzo «operto da un velo rosso ; e l’ul- timo di fronte a questo libero e vuoto; per tal modo che aggirandosi il ventilatore intorno alle fiamme, queste compariscono alternativa - mente ora a o::chio nudo , ora vengono ecclissate , per mostrarsi poi di color rosso , poi di nuovo coperte , e così successivamente. Per quel che sia i fanali illuminati a gas, dopo essere rimasto i convinto dall’ esperienze di non potere con l'apparecchio descritto nel suo saggio sopra i fanali di mare , dare all’ intermittenza della luce quella precisione che si era proposta , sostituisce al medesimo — la leva idraulica , e designando il modo in cui deve usarsi, rileva { eziandio che in alcani casi si può ad essa sostituire la ruota idraulica, | la quale occupando minore spazio , può anche più facilmente collo- carsi nelle cupole dei fanali. È VII. Notizie geologiche sulle due Puglie della provincia del principato ulteriore nel regno di Napoli, del cav. D. GrusEPPE MA- RIA GIOVENE. Serve quest’ opuscolo idi continuazione alla lettera scritta dallo stesso scienziato all’ Ah. Amòoretti sulle notizie geolo- giche e meteorologiche della Japigia (provincia di Otranto, o di Lec- ce) inserita nel T. XV della Società Italiana. Il presente scritto, do- ve si parla precipuamente de’terreni di terza formazione, è diviso in quattro articoli ; nel primo si dà un prospetto generale delle nomi- nate provincie , compresa anche la Japigia ; nel secondo si specifica- no le varie materie terziarie ivi più generalmente sparse ; nel terzo, in qual modo vi siano disposte, riserbando |’ ultimo a delle partico- lari osservazioni. Passeremo sotto silenzio la parte topografica, come È quella che è poco suscettibile di riduzione, e dove l’A. unisce a molta|{ 12 chiarezza copia scelta di erudizione. Una è quella per conto dalietti mologia del vento Volturno che nubes pulveris vehit nella Puglia , e per il quale i romani perdettero la famosa battaglia di Canne. Impe- rocchè non fa ; dice il dotto autore , il Volturno preso nel suo senso usato generalmente , ma il vento così chiamato dai pugliesi , quer incolae regionis Volturnum appellant come avverte Livio, comec: ché soffiasse dal monte Vulture, valcano da gran tempo estinto, che Orazio chiamò Pugliese , posto al s. o. di Canne ; ed è appunto quel vento d’estate di un caldo ed asciuttore sì soffocante, ed in inverno freddissimo, che alza un immensa polvere, ed arreca aila Paglia i più funesti temporali. Havvi dic’egli analogia e somiglianza fra la provincia di Otran- to, e la terra di Bari o antica Peucezia, ed entrambe giacciono egualmente sulle pendici e la base prolungata degli appennini, o piuttosto sopra una serie di basse colline, che in alcune parti scom- pariscono quasi che affatto. Il calcareo appennino stratiforme ser- ve ad esse di base, e nell’ultima di esse regioni vi sono frequenti caver- ne posteriori al terreno terziario, il quale sovrasta in molti luoghi all’anzidetto calcareo, e più profondamente nella Terra di Otranto, se si eccettua il Capo di Lecce, dove le materie di terza forma- zione si mostrano assai rare. Le due già nominate regioni mancano affatto di fiami, o fiu- micelli, nov meritando altro nome che di ruscello 1’ Jero, il quale do- po sole due miglia di corso va a finire nel mare sotto le mura di Otranto (1). Tutt’altro è della Puglia Daunia o Capitanata, nel cui esteso ba- cino vi corrono ì'°O/anto, la Carapella, il Servaro ed il Candelaro, tutti fiumi, se non grandi, almeno perenni. Sebbene | O/@nto qualifi- cato da Orazio una volta Acer, altra volta Yauriformis, e anche longe sonans, ed il Cervaro dichiarato da Plinio navigabile, mostrano che in altri tempi esser dovevano più che oggi non sono, sicchè la quan- tità delle pioggie dev'essere d’allora in poi sensibilmente diminuita. In quanto alle materie terziarie della Daunia, avverte l'A. che sono d'indole diversa da quelle della Japigia e della Peucezia. Par- lando del monte Gargano, che nella Daunia forma come lo spero- ne dello stivale della nostra penisola, ed ebbe nome nell’antichità e più ancora ne’secoli di mezzo, sia per la parte politica che reli- (1) Anche il tedesco naturalista Popowitsck , nelle sue Ricerche intorno al mare , vegistrando varie osservazioni da esso fatte nelle Puglie intorno al 1740 , avvertito avea la mancanza di sorgenti‘ e di ruscelli per la deficienza di monti , talchè generalmente vi si beve l’acqua piovana delle cisterne, molte delle quali sono state formate dalla natura in terreni di macigno calcario. 128 giosa, lo crede un ramo ed un prolungamento dell'Appennino; per quanto da esso per {molte miglia staccato , dicendolo del tutto ad esso simile, cioè calcareo e stratificato (2). Dalla parte che guarda il mezzo giorno, ossia verso il golfo di Manfredonia, è dirupato e sco- sceso, dovecchè dal lato di settentrione si china dolcemente al mare. Il bacino della Daunia, detto volgarmente Tavoliere di Pu- glia, è in alcuni siti inferiore al livello del mare, a segno che sulla spiaggia vi abbondano laghi ed acque stagnanti, donde avviene che l’aria non sia molto salubre. Entrando dalla Daunia negl’/rpini, un qualche cambiamento si riconosce nell’indole e natura del suolo; ciò diviene anche più sen- sibile ne’ contorni d’ Aniano , posto quasi nel centro degli Ap- pennini, dove appunto la catena de’monti torcendo in direzione man- da rami alla Calabria, ed al contado di Molise. È questo il punto do- ve tutto cambia di aspetto nella cultura, nelie erbe e nei fruttici spontanei; e dove per qualche tratto si scuopre il terreno primitivo, il quale inabissandosi di nuovo, ci mostra il calcario appennino, a cui sovrastano materie vulcaniche, che vanno aumentando quanto più il viaggiatore si accosta a Napoli. Le sostanze terziarie ( Art. 2.) le quali cuoprono il suolo delle quattro provincie in questione , consistono in tufi di varie maniere , in marne argillose , in sabbioni di più specie, in ghiare, nelle così dette croste, ed in ciottoli qua e là sparsi. Fra tutte quelle però, più abbondantemente depositate sulle due provincie di Otranto e di Bari, sono tre varietà di tufi; una chiamata volgarmente pietra lec- cese, in quanto che usitatissima nella città di Lecce che deve a questa pietra le sue grandiose fabbriche.E tenera, molle e giallastra; quando si trae dalla cava si fa a forza di accetta ; asciugandosi imbianca , e acquista durezza. Vi sono altre due specie di tufi meno compatti e al- quanto buccherati , che uno denominato puramente ufo , e l’altro carpora. Sono essi composti di ghiara, di sabbia nella massima parte calcarea, di rottami di conchiglie , e altri prodotti marini. Ora que- ste due maniere di tufi, e più assai la prima, sovrappongono nelle anzidette provincie il calcario stratiforme , il quale però in vari luo- ghi si mostra all’ aperto, e massime al capo di Leuca e nella (2) Non sò perchè lA. non abbia avvertito una circostanza geologica che sì osserva sul monte Gargano , la quale non s'incontra nella struttura del- l'Appennino , quella cioè di trovarsi in gran parte coperto da una roccia ges- sosa, non molto dissimile dai nostri alabastri , sebbene più opaca e buccherata. Gli abitanti di quella montagna ne traggono partito per fare statuine rappre- sentanti l’ Arcangelo S. Michele , ed altrì lavori per regalare ai numerosi de- voti che accorrono a quel santuario. 12gG Terra di Bari, per cui le derivò il nome di Puglia pietrosa. Infine tutti li surriferiti tafi sono disposti alla nitrificazione. La così nominata crosta , la quale trovasi in banchi per tutta la Daunia piana, è formata di sottili sedimenti gli uni agli altri soprap- posti, e che come una crosta veste il suolo reso per essa sterile co- mecchè da poca terra vegetabile coperto. Tralascia l'A. di parlare, come di cose ovvie, della marna, delle ghiare, e delle sabbie, materie di trasporto che ora isolate ora miste trovansi più o meno sparse in quelle regioni. Dando nell’art. 3.° an rapido conto del modo come le già nomi. nate rocce siano colà disposte , avverte l’A., che dal Capo di Leuca sino quasi alle rive dell'Ofanto, tufi ed eternamente tufi delle qua- lità nominate sono per ogni dove sparsi, e per una buona metà cor- rono il terreno secondario (calcareo stratiforme) che vi giace al di sotto. Di marna argillacea se ne incontra ben poca, e sabbia appena sefne vede, come non anche appena pietre rotolate. AI contrario nella Daunia, ossia Capitanata quasi punto tafi, ma generalmente crosta o marna argillosa compatta, e ciottolijcalcari, dove non v’ è crosta. La marna conchigliacea per modo d’ esempio s'incontra in Acquaviva; ; di marna, di ciottoli ed altre tali materie confusamente ammassate è costruito il monticellosu cui giace l’anti- ca Luceria; di ciottoli misti a ghiara e a sabbione calcario tinto d’os- sido di ferro, è la collina su cui posa Monte Calvello. Subito che si entra nel paese degl’Irpini il suolo che cuopre il calcareo appevnino si cambia. Il monte sopra il quale siede Ariano , posto gnagiché nel mezzo della catena a 446 tese sopra il livello del mare, è formato di una specie di tufo tatto differente da quelli già descritti, sebbene adattato ad uso di fabbriche. È di color giallo- gnolo, composto di sabbia silicea e d’argilla con alcune squammette di mica, sparso raramente di conchiglie terrestri; il tatto insieme le- gato da un glatine calcario. Non lungi da Ariano giace la famosa valle di Amsanto posta da Virgilio nel mezzo dell’Italia, e ciò forse con ragione più fisica che poetica (3). Non si occupa a descrivere il (3) © Zatendendosi come va inteso Italia per la parte Cistiberina, la valle di Amsanto si trova appunto essere nel mezzo dell’Italia ,, (Nota dell'autore ). -- Ma se vogliamo considerare l Italia all’età di Virgilio, essa non già col Tevere terminava, ma l’Arno e il Rubicone avea per coufini pri- ma che per disposizione dell’ imperatore Augusto 1° [talia politica venisse re- stituita a quell’antica naturale periferia ,îche i! mar circonda e l’ alpe. Si al- lontand , a creder nostro , meno dal vero Gluverio, allorchè interpetrando quel T. XXV. Movenib. e Dicemb. 9 130 » Flago mofetico, avendo ciò fatto l’ab. Fortis, e più di corto l'illustre Brocchi (4) la quale sembra essere l'anello intermedio fra il Vulture, vulcano estinto, e il Vesuvio, e solo avverte che la provincia Irpina è sparsa come i contorni della valle di Amsanto non solo di moje e pozzi da sale, ma ancora di gessi, di zolfi, ed altre simili cose. Fi- passo dell’ Eneide, considerò che il poeta allorchè disse Jtaliae in medio, avesse riguardo solamente alla sua larghezza, essendo la valle di Amsanto presso che equidistante dall’ uno all’ altro mare. (4) Le osservazioni da questi due celebri naturalisti restituite intorno alla de» cantata valle di A.nsanto, meritano di essere qui rammentate in grazia della di- sparità delle loro opinioni. L’ab. Fortis, il quale visitò quei bulicami nell'agosto del 1780, suppone che i vapori soffocanti che spirauo da una falgosa brodiglia carica di allume, di sal ma» rino, di fegato di solfo e di petrolio, siano leggermente acidi. Non sono micidiali che ai piccoli animali, infettano l’aria ambientè di un odor bituminoso, e divengo» no talvolta infiammabili senza che l’arte ci metta mavo , ed in conclusione li cre- de analoghi a quelli dell’acqua Buja presso Pietramala, e delle fonti volgarmente dette infiammabili (saggi scientifici e letterarii dell’Accademia di Padova, T. IL pag. 154 e seg.). All'incontro Brocchi, che esaminò li stessi luoghi nel novembre del 1819, dopo ayere notato che il terreno costitueute le eminenze di quella valle appartiene a una calcaria piuttosto di transizione che secondaria , di un aspetto rugginoso, che si fende naturalmerite e si risolve iv frammenti angolari, nel quale stato si trova ne’colli che fiancheggiano la valle di Amsanto, circostanza che fu pa» rimeate dal Brocchi avvertita nei contorni de’ Lagoni di Volterra. Dopo aver detto che oltre alla mentovata roccia ivi si rinvengono grandi massi di un’are- naria solida, soggiunge che nel fondo e nel pendio della valle di Amsanto appajono quà e là terre argillose e marnose di varii colori, senza impronta di resti organici marini, ma sivvero alcuni Suoghi in mezzo a de’strati di litantrace. Quindi e’ infor- mache il gas de'bulicami è gas idrogeno solfurato misto al gas acido carbonico, l’ulti- mo de’ quali sembra innalzarsi per circa due braccia sopra le pozzanghere mofe- tiche, giacchè al di sotto di ua taljlivello non ha più luogo la respirazione, e cessa la combustione ; ed è questa micidiale proprietà dei freddi bulicami di Amsanto, che il Brocchi riguarda come le più funeste mofete d’Italia, che mosse gli antichi a riguardare con orrore questo luogo, e a dedicare un tempio alla Dea Mofeta, di cui il Fortis dice aver veduto alcuni avanzi. Passando alle cause che fomentano tali mofete, considerando Je geognostiche circostanze de’terreni, il lodato Brocchi opina che ciò avvenga sotterra per la sì- multanea decomposizione di una gran massa di piriti pel concorso dell’acqua , la quale decomponendosi essa stessa dia origine al gas idrogeno solforato; e che l’os- sigeno lentamente acidificando porzione di solfo, si combini con le rocce allumi- nose e calcarie, dando origine al solfato di allumina e di calce non rari in quei dintorni, scacciandone l’acico carbanico, che svolgesi da quel fomite mofetico in= sieme col gas idrogeno solforato. Il sig. Brocchi non fa parola nè dell’odor bitu- minoso nè del petrolio, sospettato in quei vapori dal Fortis, nè anche all’occasio- ne che ivi rammenta altro lago mofetico da lui visitato in Sicilia, e dagli an- tichi consacrato alli Dei Palici, che oggi si appella IVaftia , perchè manda odor di Petrolio (Bibl. italiana ‘T. XVII. p. 52€ seg.). 131 nalmente al di là del monte Serra, che mostra le sue creste di gra- nito, apparisce un’altra specie di tufo, il quale può dirsi di passaggio fra il tufo di Ariano e il tufo vulcamco de’ contorni di Napoli, che comincia a comparire prima di giungere ad Avellino, cioè a circa venti miglia da Ariano, Le osservazioni comprese nelì’ Art. 4 vertono specialmente sul vario stato in cui si trovano le sostanze fossili nei tulì e marne delle due provincie Japigia e Peucezia, cioè quasichè intierì nelia pietra di Lecce , e nella marna argillacea ; per lo contrario sminaz- zati nelle altre due qualità di tufi, ove solo i gu»ci d’ostriche ri- masero intieri, benchè ne’ margini smussati, In tutti quei tufi però, come pure in altre materie terziarie, non furono riscontrati finora né litofiti nè zoofiti , ad eccezione di un tufo arenoso pieno di friabilissime madrepore in luogo di picciola estensione , poco di- stante dal lido nelle vicinanze di Bisuglie. Non lungi da Manduria nella Japigia abbendano pure i dentali e gli operacli di nerite , come anche nel mezzo all’ istmo fra Taranto e Brindisi havvi un esteso banco di ostriche qua e là interrotto dal sottoposto calca- reo stratiforme. Da tutto ciò l’A. conclude che le varie maniere di tufi ed altri depositi terziari che cuoprono le due ultime provincie , fra le quali havvi analogia , lungi dall’essere stati prodotti da un mare permanente di cui il sig. Giovene non trova vestigio, devono ri- guardarsi se non che un fango marino indurato e colà trascinato da una qualche convulsione , comunque fosse originata , la quale mettendo sossopra il mare fino al fondo, abbia obbligato le acque a rovesciarsi sul continente , trascinandovi e deponendovi le mate- rie descritte (5). (5) Sei anni prima che comparisse la memoria del sig. proposto Giovene furono pubblicate nella Biblioteca italiana (T, XVIII) le osservazioni geolo- giche , fatte nella terra di Otranto dallo stesso sig. Brocchi, dove nou solo sì dà conto della giacitura di varie rocce ivi apparenti, ma anche si esami- nano e si confrontano le specie dei testacei racchiusi nella pietra leccese, ch’ei trovò stratificata orizzontalmente sopra alla calcaria appeanina. Sul qual pro- posito egli proprende a credere che questa sorta di tufo più coerente degli altri esser possa di origine intermedia fra il periodo secondario terziario, e tale da potersi annodare all'uno de’due estremi con la calcaria appennina,. e all’ altro coi terreni sabbionosi e marnosi, Nella classe di questi ultimi egli include le due qualità di tufi conchi- gliacei descrittti dall’ ab. Giovene, che uno chiamato propriamente tufo e V’al- tro carparo. Il primo più solido della pietra leccese , che il Brocchi crede piuttosto impasto concrezionato , si adopra con essa per le fabbriche, ma è di grana ru- 132 VilI. Considerazioni sul metodo di studiare e dirigersi in me- dicina, proposto da un dotto medico di Lione, il sig.Amand nel 1821, del prof. STEFANO GALLINI, La presente memoria tende a dimo- strare che alcune proposizioni del medico lionese possono ricevere una maggior precisione dai principj fisiologici , che formano la base di un opera dal sig. Gallini pubblicata nel 1810, e con aggiunte nel 1820 sotto il titolo di Nuovi elementi della fisica del corpo umano, E per lo contrario che alcune proposizioni del sig. Amand possono dare maggior precisione ai principj patologici esposti dal N. A. nel suo Saggio di proposizioni elementari di patologia dedotte dalle fi- siologiche ec. che forma seguito agli elementi di fisiologia pubbli- cati nel 1817. Alle quali opere è d’uopo che si rivolghino coloro i quali bramassero d’istituire un tale confronto. IX. Della necessità di osservare le parti della fruttificazione avanti e dopo la florescenza, del sig. prof. OTTAVIANO TARGIONI TOZZETTI. ‘ Se dobbiamo, dice l’A., a Cesa/pino il primo buon me- todo classico fondato sul frutto, a Tournefort il più patente stabilito sulla corolla , non dovrà negarsi il primato a /nneo per il più pre- ciso e filosofico sistema fondato sugli sponsali delle piante; e per ave- re il primo preso le caratteristiche dei generi da tutte le parti del fiore e del frutto, riserbando le altre della pianta a determinare la specie. Peraltro la piccola differenza ne’ caratteri di alcuni generi, anzi di alcuni ordini ‘e famiglie, segnatamente fra le monocotiledoni, ha fatto sì che si vedono divisi i generi, e confuse le specie in un gran numero di piante conosciute presentemente , essendo qualche volta una tale dissomiglianza cagionata dall' alterata vegetazione , e pro- dotta dal suolo o dal clima. E d’altronde egli avvisa che l’abito non è il più sicuro metodo di riconoscere le piante, avvegnachè la rassomi- glianza loro, o delle foglie, o di altra parte adoperata dagli antichi botanici per definirle, non ha servito che a confondere le specie, Che però quanto maggiore sarà il numero de’dati per poter ri- vida e grossolana, zeppo di minuti rottami di conchiglie, parecchie delle quali sì ravvisano ne’terreni terziari subappennini, e in alcuni luoghi contenenti, de’ ricci marini e valve di ostriche. Esso tufo trovasi specialmente da Gallipoli sino a Manduria, e neì contorni di Taranto, dove si mostra con gran copia di gusci di pinne. Il tufo carparo , che anche più evidentemente ha l’aspetto di concrezione, eche per essere più dell’ altro leggero e poroso si adopra nella costruzione delle volte , trovasi poco lungi da Castro presso la spiaggia del mare, e fu dal- PA. incontrato in tutta la pianura che dal paesetto di Depresso stendesi fin pelle vicinanze di Leuca: 134 levar le differenze generiche e specifiche, e quanto più costanti e in- variabili essi saranno, tanto più sicara addiverrà l'individuale cogni+ zione, più giuste le definizioni, meno equivoche le descrizioni delle piante. Quindi l’A. suggerisce il metodo, il tempo, e le circostanze più importanti per stabilire con precisione i caratteri generici nel- l’ esame di tutte le parti della fruttificazione. E..h. Lettera del prof. SezAsrrano Crampr, sulla scoperta del- Isole Canarie, fatta l’anno 1341, dai navigatori Fio- rentini, Genovesi e Spagnuoli. Al Direttore dell’Antologià. Frequenti lagnanze mi son fatte da molti per aver io rivolte ad altro scopo quelle cure che impiegava un tempo a prò del bel paese, che Appennin parte e’l mar circonda e l'Alpe, quasi dimentico del bel nido natio. Rispondo non esser mia la colpa 3 ma di fortuna. Eppure la stessa for- tuna, come in ammenda del suo piato, mi presenta in mezzo alle mie ricerche sarmatiche di che appagare in qualche parte i desiderj de’ querelanti , ed i miei : dico le molte importanti notizie sconosciute agli italiani delle comunica- zioni colla Polonia risguardanti la storia ecclesiastica, ci- vile, militare, politica, delle lettere , delle belle arti , e del commercio , non che delle scienze ; ed inoltre il ritro- vamento di non pochi documenti, che appartengono esclu- sivamente all’Italia. Tra questi eccovene uno de’ più im- portanti. Voi sapete che la scoperta, o per dir meglio, il riconoscimento dell’isole già Ze Forturate degli antichi, ora le Canarie, viene attribuito generalmente agli spagnuoli nel- l’anno 1395. (V. Dictionnaire géographique universel, Pa- ris 1825). Ma io vi inostrerò che i navigatori fiorentini, uniti ai genovesi ed alli spagnuoli a spese del re di Portogallo, partirono espressamente in cerca di esse, e le trovarono l’anno 1341, cioè anni 54 prima dell’epoca sin qui cono sciuta, 134 Questa mia asserzione è fondata sulla relazione che vi trasmetto da me trovata nel codice cartaceo magliabechia= no n. 122 classe 23 palch. 5, scritto la maggior parte pri- madella metà del secolo XIV com’ è manifesto , oltre ad altri indizi, dalla carta e dal carattere della scrittura , che non è quella de’calligrafi de’libri, ma l’usuale delle private scrit- ture. Molte osservazioni potrei fare a conferma dell ’auten- ticità di quanto in esso è contenuto, e particolarmente di questa relazione , ma le rimetto ad un’ altra mia, nella «quale vi manderò una lettera latina di Giovanni Boccac- cio a Zenobi da Strada. Tenendo dietro alle memorie istoriche, sembra doversi conchiudere che la notizia di quest’isole in occidente non fu mai perduta. Dopo i tempi romani sene ripeterono le favole, o l’incerte notizie che ne”latini scrittori ‘si ritro- vavano. Tralasciando ciò che de’ vandali e de’ goti da qual- cuno fu scritto , aver cioè nel venire in Italia approdato prima colà , il che giustamente rigettasi da Bory de St. Vincent (1) la più antica notizia dopo il mille 1’ abbiamo da uno storico genovese, il Foglietta, (2) che assicura come due capitani genovesi, Tedice Doria ed Ugolino Vivaldi an- darono in traccia di esse; ma trent'anni dopo, quando Pie- tro d’Abano scrivea, non sen’era saputo l’esito, e credevasi che fosser periti. La loro partenza vien fissata circa l’an- no 1291. Anche Pietro d’Abano ne dà il merito ai geno- vesi nel medesimo tempo (3). Il Petrarca (4) ne parla chia- ramente esprimendosi così:,, eo (ad insulas fortunatas) et patrum memoria genuensium armata classis penetravit , et nuper Clemens VI. illi patriae principem dedit. La spedizione che dice fatta patrum memoria dovette esser quella de’genovesi l’anno 1291, e giustamente il Pe- trarca nato nel 1304 la chiama fatta patrum memoria ; le parole che seguitano Nuper Clemens VI illi patriae princi (1) Essais sur les Isles Fortuages etc. Paris 1811. (2) Historia Genuens, lib. V. (3) Conciliat. Dissert. LXVII. (4) Vit. Solit. lib. Il, sez. VI, cap. II. 135 pem dedit, "SON molto probabilmente intendersi della spedizione de’ fiorentini ,, genovesi, e spagnuoli dell’ anno 1341; giacchè appunto nel 1344 Clemente sesto conferì la sovranità di quell’ isole al principe Luigi di Spagna che non potè mai conseguirne il possesso (5). Il Tiraboschi non conobbe questa seconda spedizione , e l’ investitura data da Clemente VI la fondò sulla prima spedizione de’genovesi; ma più propriamente fu prodotta da questa del 1341. Per convalidare la narrazione che produco serve an- che il seguente articolo di lettera scrittami su questo pro- posito dal ch. sig. conte cav. Gio. Batt. Baldelli il dì 4 decembre 1826. “ In un portolano preziosissimo della medicea, di cui dò sommaria notizia nella storia del Milione (cap. 42, no- ta) che fu terminato nel 1351, veggonsi segnate molte delle Canarie coi nomi che tuttora conservano. Ivi è segnato pu- re il gruppo delle isole di Madera col nome de /o /egna- me ,, Questo portolano fu posteriore di anni 10 al tempo del viaggio di cui si tratta, onde poteronsi avere assai precise notizie, non tanto da quei navigatori, come da altri che in die- ci anni consecutivi poterono ritentar quel sentiero ; quantun- que,dopo il 1341 qualche anno dipoi, sembra che se ne ab- bandonasse ogni ulterior tentativo sino al secolo seguente ; perchè il Ramusio (Parte III lib. 2. p. 66) scrivea: “ que- st’ isole stettero gran tempo che non vi si navigò , nè vi si sapea navigare , sinchè a tempo poi del re Don Giovan- niIl (di Spagna nel 1402,1406) stando in Castiglia fanciullo et sotto la tutela della reina donna Caterina sua madre fu- rono ritrovate , et vi si ritornò a navigare ; perchè con or- dine et con licenza di questi principi si conquistassero, co- me a lungo si scrive nella cronica di questo istesso prin- (5) Tiraboschi St. della letterat. Italiana T, IV, lib. I, cap. V, $. VX.. È anche di non lieve momento che questa narrazione si troyi in uu co- dice scritto nei tempi di cui si tratta, e quando il Petrarca potea aver quarant'anni in circa , dicendosi nella intitolazione della lettera che erano roviter repertae; espressione da doversi riferire a chi la trascrisse nel codice o l’anna stesso 13/1 o poco dopo. A 136 cipe ,,. In quel tempo Bethencourt scuoprì, o per dir meglio riconobbe l’isole di Madera ; anche Pietro Martire d’Angle- ria descrivendo lo sbarco fatto alle Canarie da Pietro d’ Aria l’anno 1514 ne parla come d’una scoperta (6); medesima- mente Luigi Cadamosto che ne’ medesimi tempi scrisse il libro intitolato “ Navigatio sive novus orbis regionum ac insularum veteribus incognitarum. Basileae apud Joannem Hervagium an. 1532,, tratta dell’ Isole Canarie come d’una nuova scoperta. Merita speciale attenzione quel che rac- conta al capitolo 8 Usuvenit aliquando ut e nostris cor- ripiantur aliqui, quos canarii ad contumelias servant, et ut publico sint ludibrio lanii officio fungi eos cogunt, eisque exenterandis bobus et suibus addictis , quod apud*eos igno-, miniae specimen, et dedecoris ducitur magnum,,. Egli è ben da maravigliarsi all’ udire che gente selvag- gia, senza l’uso de’ vestimenti , e senza verun incivilimento avesse per azione ignominiosa , e disonorevole 1’ uccidere e sventrare i bovi ed i porci; mentre all’opposto in paesi che pretendono alla più fina civiltà vedonsi con indifferen- za tutto dì, ed a tutte l’ore fare in pubblico queste ope- razioni coll’ assistenza di chi sene diletta, ed in ispecie de’ fanciulli che vi si attruppano . Ciò conferma sempre più che l’eccesso o l’abuso dell’incivilimento in cui si tro- vano alcune nazioni conducono alla barbarie, e tolgono agli uomini quella sensibilità e quel ribrezzo, che i selvaggi man- tengono, perchè son meno snaturati dalle male abitudini, e dai pregiudizii. Quantunque siano tanti gli antichi scrittori italiani che parlano delle isole Fortunate o Canarie; ciò non di meno il citato Bory de St-Vincent, dichiarò non conoscere scrit= tore più antico del Cadamosto (Bory de St Vincent essais sur les isles fortunées pag. 6) ed invece di citare il Fo- glietta, si contenta di citar Gomar (Istoria dell’Indie) al- l’occasione di dire \che un Doria et un Viraldo (cioè Vi- valdo) genovesi l’ anno 1291 viaggiarono sulle coste occi- x (6) Petri Martyris ab Angleria mediolanensis etc. de rebus Oceanicis et orbe novo decades tres. Basileae apud Joaunem Bebelium 1533, l 137 dentali dell’ Affrica. Con ragione anche il Tiraboschi ri- prende e smentisce l’affermato dal sig. Ab. Lampillas quando scrisse che “ gli scrittori Italiani attribuiscono così franca- mante ai genovesi, questo scuoprimento ( delle Canarie ) mentre appena si trova autore di que’ che ci narrano que- sti viaggi, il quale faccia menzione de’genovesi ,,. (Saggio parte II, T.I, pag. 232.) Ma se poco fosse stato quel che se ne seppe sino al tempo del Tiraboschi, anzi dirò sin’ ad ora, ecco un nuo- vo documento , che per la data certa, e per li particolari che vi si trovano dello stato di quell’isole, sì riguardo al- l’interno, che alla situazione loro geografica, può dirsi il primo ed il più antico di quanti n’esistono, Io non mi diffondo nel farne confronto con quanto se ne è scritto posteriormente ; ma per ciò che ho veduto quasi tutto vi corrisponde ; e quantunque si nomini la Ca- naria e le altre isole si prendano in generale senza chia- marle a nome, ciò fa credere che vi si comprendessero anche quelle di Madera ; onde ne concludo che li Italiani ( ed in particolare i genovesi ) sono stati i primi che ab- biano dato lumi per lo scuoprimento delle terre oceaniche non conosciute ; e sebbene alla spedizione loro fossero ag- gregati gli spagnuoli ( quantunque alla prima non sappiamo che fosservi altri che genovesi) ciò non dimeno è manife- sto che i soli spagnuoli non si credettero in istato d’esporsi all’ impresa da per sè soli, e che s’ unirono ai genovesi, come pretendenti al possesso di quelle scoperte e di quelli acquisti che far si potevano. In secondo luogo io ne deduco che siccome i geno- vesi andarono in cerca delle Canarie, ed altre isole espres- samente , e non condotti dal caso, perchè vi erano tradi- zioni e memorie d’ altri navigatori più antichi, così non bisogna credere che il Colombo fosse mosso a tanta impresa da semplici congetture sue proprie; ma dovette conosce- re, ed avere dei lumi d’altri navigatori genovesi che gli tenevano con gelosia , e quasi con mistero , e forse trovo- gli in memorie e scritture dopo la morte d’ alcuno di quelli. E che mistero facessero di più cose è ben chiaro dal dirsi 138 in questa relazione che Niccoloso da Recco cupitene geno- vese d’una parte delle navi, interrogato ron volle rispon- dere su molte altre cose. Nè ciò dico per iscemare la glo- ria del gran Colombo ; chè senza il suo coraggio , ed il suo sapere poco apiabibezli giovato l’aver notizia di terre inco- gnite; ma voglio da un lato far vedere che la conoscenza di terre incognite oceaniche fu in Italia molto probabil- mente più antica di quel che si pensa; dall’altro che la risoluzione di Colombo non fu da progettista, o da sem- plice calcolatore cosmografico ; ma dovette avere de’ fon- damenti di fatto che servivano ad alimentare le sue spe- tanze in mezzo agli ostacoli, ed ai patimenti che dovette soffrire prima di giungere allo scopo che s’ era proposto. Eccovi dunque la detta relazione pregandovi di pubbli- carla ad onore d’Italia nel vostro giornale applauditissimo dovunque il sapere è in pregio. Per comodo di chi amasse leg- gerla in volgare ne ho fatta la traduzione ; e perchè tutto il racconto è piuttosto rozzo, e risentesi de’ pregiudizj po- polari di quell'età, perciò mantenni il colore d' antico sti- le, non per ricondurre indietro la lingua , e perchè io ere- da un’ eleganza scriver così , ma bensì perchè uno stile tinto d’artico sarà più in armonia con l'andamento , ed i pen- sieri di quella narrazione ; stimando io che i traduttori non abbiano da dimenticarsi del tempo , delle idee , e della lin- gua dell’autore; dovendo possibilmente sostituirvi un ca- rattere uguale, come fanno i pittori nel copiar gli antichi, che non adattano la composizione ed il soggetto allo stile proprio, ma cercano di presentar tutto in uno stile che all’autore s’ addica. De Canariaet de insulis ultra Hispaniam in Oceano noviter repertis. Anno ab incarnato verbo MCCCXLI a mercatoribus florenti- nis (7) apud Sibiliam Hispaniae ulterioris civitatem morantibus Florentiam literae allatae sunt ibidem clausae (8) XVII. Kal. Decem- (7) In margine è scritto della stessa mano F/orentinus qui cum his na- vibus praefuit est Angelinus del Tegghia de Corbizzis Consobrinus filiorum Gherardini Gianis. (8) Si avverte il lettore, che nel codice non sono dittonghi secondo l’uso di quell’ età più comune. 139 bris anno iamdicto , in quibus quae disseremusinferius continentar. Ajant quidem primo de mense Julii hujas anni duas naves , im- positis in iisdem a rege Portogalli opportunis ad transfretandum commeatibus, et cum his navicula ana munita , homines florentino- rum, januensium , et hispanorum castrensium et ‘aliorum hispano- ram a Lisbona civitate datis velis in altum abiisse, ferentes insuper equos et arma , et machinamenta belloram varia ad civitates et ca- stra capienda , quacrentes ad eas insulas, quas vulgo repertas dici- mus , et ad has favente vento secundo post diem quintum pervenisse omnes: et demum mense novembris ad propria remeasse , se- cum haec pariter afferentes: primo quidem III homines ex in- colis illaram insularum duxere; pelles praeterea plurimas hirco- rum, atque caprarum , sepuni, oleum piscis et phocarum exu- vias, ligoa rubra tingentia, fere ut verzinium . ... dicant experti talium, illa non esse verzinium. Insuper et arborum cortices aequo modo in rubrum tingentes, sic et terram rabram, et hujusmodi. Verum Niccolosus de Recco (9) Januensis alter ex ducibus na- vium illaram rogatus ajebat a Sibilia civitate usque ad praedictas in- sulas esse millia passuum fere nongenta. A loco vero cni hodie nomen est caput sancti Vincenti longe minus a continenti distare; et primam ex compertis insulis fere cL. millia passuum habere circuitas, lapi- deam omnem, et sylvestrem abundantem tamen capreis et bestiis aliis, atque nudis hominibus, et mulieribus asperis cultu et ritu; et in hac dicebat se cum sotiis majorem partem pelliam .., sumpsisse, non ausi nimiuminsulam infra ingredi. Inde ad aliam insulam fere majorem praedicta transeuntes quantitatem gentium maximam adse venientem in littore viderant, homines pariter et mulieres, fere nudi omnes. Esse aliquos qui videbantur aliis prominere , tegebantur pellibus caprinis pictis croceo et rubro colore , et, ut poterat a longe com- prebendi , delicatissimis et mollibus ; sutis satis artificiose ex _ visce- ribus; et ut in eorum actibus poterat comprehendi videbatar eos habere hbominem principem , cui omnes reverentiam et obsequium exhiberent. Quae gentium multitudo ostendebat se cupere cum his qui in navibus erant habere commercium , et moram trahere ; sa- ne cum ex navibus naviculae quaedam magis littori propinquas- sent, non intelligentes aliquo modo illorum linguam minime de- scendere ausi sunt. Erat quidem, ut referunt, idioma eorum sane politum, et more italico expeditum ; qui tamen videntes quod nulli ex navibas descendebant, aliqui natantes ad eos pervenire conati (9) Niccoloso , e Niccolosa erano nomi proprii d’ uomini e di donne in quell’ età. Tra le lettere del Petrarca ve ne sono alcune ad un Niccoloso. 140 sunt, ex quibus quosdam cepere, et ex iis sunt quos adduxerant. Demum cum nihil'ibi utilitatis cernerent nautae, discessere. Circum- dantes vero insalam invenere eam longe melius a septemtrione, quam ab austro cultam , videntes ibidem casas plurimas, ficus et arbores et palmas datilo steriles, palmas et hortos et caules et olera; et ob id ibidem ex navibus xxV deposuere cum armis , qui perscrutan- tes, qui in domibus illis essent, in eis invenere circa xxx homines, nudi (sic) omnes, qui perterriti visis armatis , illico aufugere , hi vero intrantes doinos eas videre ex lapidibus quadris compositas mi- rabili artificio, et lignis ingentibus ac pulcerrimis tectas; et cum ostia clausa invenissent cupientes introrsum videre, lapidibus in- fringere ostia caepere, quam ob rem in ‘iram versi qui abierant, altissimis clamoribus complere loca caeperunt. Tandem ostii fra- ctis clausuris fere per omnes illas domos intravere, nec aliud in eis- dem invenere praeter ficus siccas in sportulis palmeis bonas, uti'cese- nates cernimus,et framentum longe pulchrius nostro; habebat quippe grana longiora et grossiora nostro , album valde. Sic et hordeum, et segetes alias, ex quibus, ut rati sunt, juvabantur incolae. Domus vero cum essent pulcerrimae et lignis pulcerrimis contectae in- trorsum omnes erant albissimae ; tamquam ex gypso viderentur al- batae.;Invenerunt insuper oratorium unum seu templum, in quo peni- tus nulla erat pictura, nec aliud adornamentum praeter statuam unam ex lapide sculptam , imaginem hominis habentem, manuque pilam tenentem , nudam , femoralibus palmeis, more suo, obscoena tegentem , quam abstulerant, et imposita navibus Lisbonam tran. sportarunt redeuntes. Haec quidem insula habitatoribus plena est et colitur , et ab incolis granum , segetes, fructus, et potissime ficus colliguntur. Frumentam autem et segetes aut more avium comedunt, aut farinam copficiunt, quam et absque panis confectione aliqua manducant , aquam potantes. Ab hac vero insula discedentes nantae cum multas distantes ab hac per V millia, vel X aut XX aut XL passuum cernerent, ad tertiam navigarunt, in qua nil «liud praeter proceras arbores , plurimum atque directas in coelum invenerunt.Inde ad aliam navigantes etrivis et aquis optimis copiosam invenerant , et in eadem ligna plurima et palumbos, quos baculis et lapidibus capiebant et comedebant , inve- nerunt. Hos dicunt minores nostris, et gustui tales aut meliores. Ibidem etiam viderunt esse falcones plurimos, et aves alias ex ra- ptu viventes. Hanc autem non maultum perambularunt cum deserta videretur omnino. Interim tamen ante se viderunt insulam aliam, in qua lapidei montes apparent excelsi nimis, et pro majori tempo- ris parte nubibus tecti, et in ea pluviae crebrae ; quae tamen sereno I t4I tempore apparet pulcerrima , et a piscatoribus videtur habitata. Inde ad alias p'ures insulas , alias habitatas , alias vero desertas adiere numero XUI, et quantum ulterius incedebant, tanto plures videbant, apud quas mare tranquillam longe magis, quam apud nos sit; et repererunt fundum anchoris aptam, et admodum por- tuosae sunt, fertiles tamen aquaram omnes. Et apparent quoquejinsu- lae V numero habitataeex xHI ad quasiverant; invenerunt sine habita- toribus plurimas; non tamen aequaliter babitantur, nam una plus altera incolas babet. Et ultra hoc eas dicunt idiomatibus adeo in- ter se esse diversas, ut invicem nullo modo intelligantur, et insu- per nullum navigium, aut nullum instramentum esse per quod possint de una insula ad aliam pertransire , nisi natatu facerent. Invenerunt insuper et aliam insulam, in qua non descenderunt, nam ex ea mirabile quoddam apparuit. Dicunt enim in bac mon- tem esse extremae altitudinis, pro existimatione XXX millia passuum, seu plurium, qui valde a longe videtur, et apparet in ejus ver- tice quoddam album; et cum omnis lapideus monssit, album illad videtur formam arcis cujasdam habere ; attamen non arcem sed lapidem unum acutissimum arbitrantur, cujas apparet in sam- mitate malus magnitadinis in modum mali cujusdam navis, ad quem appensa pendet antenna cum velo magnae latinae navis in modum scuti retracto, quod in altitudinem tractam tumescit vento, et ex- tenditur plarimum; dein paulatim videtur deponi, et similiter malus in morem longae navis; demum erigitur, et sic continue agitur; quod undique circumdantes insulam fieri advertere. Quod monstram cantatis fieri carminibus arbitrantes in eamdem insulam descendere ausi non sunt. Ceterum et multas alias res invenere , quas hic Nic- colosus noluit recitare. Tamen apparet eas non jdites insulas, nam- que nautae vix expensas viatici exportati resumpsere. Quatuor vero homines, qui portatì sunt aetate imberbes , decora facie , nudi ince- dunt, habent tamen hujasmodi femoralia, cingant autem lumbos cor- da, ex qua fila pendent palmae, seu unicordae in multitudine grandi, longitadine palmi cum dimidio, seu duorum ad plus; his quidem te- gunt pubem et obscoena ex anteriori et posteriori parte ni vento , vel casu alio eleventur. Sunt autem incircumcisi, et crines habent longos et flavos usque ad ambilicum ; fere , et cam his teguntar, nudis pedibus incedentes. e Insula autem ex qua sublati sunt Canaria dicitar, magis ceteris habitata. Hi nihil penitus ex idiomate aliquo intelligunt; cum ex va- riis et plurimiseis locutum sit; magnitadinem vero nostram non exce- dunt; membrati, satis audaces et fortes et magni intellectus, ut com- prebendi potest. Nutibus loquuntur eis , et nutibus ipsi respondent , 14% seni more. Honorant se invicem , verum alterum eorum magis quam reliquos , et hic femoralia palmae habet, reliqui vero tres eorum picta croceo et rufo. Cantant dulciter , et/ fere more gal- lico tripudiant, ridentes sunt et alacres, et satis domestici, ultra quam siot multi ex hispanis. Hi postquam in navi positi sunt panem et fitus comederunt, et eis sapit panis, cum antea numquam com- medissent ; vinum omnino renunciant , aquam potantes. Comedant frumentum, et hordeum plenis manibus , et caseam et carnes ; qua- rum eis, et bonarum permagna copia est; boves autem, aut camelos vel asinos non habent , sed capras plurimas et pecudes, et sylvestres apros. Onerosa sunt eis aurea et argentea numismata, omnino eis incognita ; similiter et aromata nullius materiei cognoscunt. Monilia aurea, vasa coelata , enses , gladii omnes eis, non apparet ut vi- derint unquam, vel se penes habeant: fidei et legalitatis viden- tur per maximae; nil eis esibile datur uni, quin ante quam gustet , aequis portionibus diviserit ceteris, qui portionem suam dederit. Mu- lieres eorum nubunt, et quae homines noverant more virorum femoralia gerunt. Virgines autem emnes nudae incedunt ; nullam verecundiam ducentes sic incedere. Hi autem habent, prout nos, numerorum unitates , decinis praeponentes hoc modo 1. Nait 2 Smetti 3. Amelotti 4. Acodetti 5. Simusetti 6. Sesetti 7. Satti 8. Tamatti. 9g. Aldamorana ro. Marava tr. Nait-Marava 12. Smatta-Marava 13. Amierat-Marava 14. Acodat- Marava 15. Si- musat-Marava 16 Sesatti-Marava ec. ,, Sin quì arriva la relazione; ma sembra che non fosse trascritta per l’ intiero , essendovi la pagina di dietro bianca, come per conti- nuarne la scrittara. Della Canaria e dell’altre isole oltre Ispania nell'Oceano novamente ritrovate. Gorrendo anni Domini MCCCXLI vennono a Fiorenza lettere de'mercadanti fiorentini, (10) che erano in Sivilia città de la Spagna ulteriore, et quivi sugiellate a' XV di novem- bre, dove era scritto quanto disotto racconteremo. Dicono dunque come a dì primo luglio di questo an- no sopradetto, dua navi provedute per lo re di Portogallo (10) Nel margine è scritto dalla stessa mano: il fiorentino che fu ca- pitano in queste navi è chiamato Angiolino del Tegghia de’ Corbizzi Con- sobrino de’ figliuoli di Gherardino di Gianni ., 243 d’ogna bisognevile per lo passaggio, et con esse un’altra navicella bene guernita, con giente de’fiorentini, genovesi, et spanioli catalani, et altra giente d° Ispania sciolte le vele dalla città di Lisbona presono l’alto, conducendo con se cavalli, armi et macchine di guerra per isforzare cittadi et castella , et andaro a cercare quelle isole che vulgar- mente è voce essere state trovate. Tutte le dette navi con favore di vento in capo al quinto dì arrivate colà, venno- no in dietro , et alle case di loro giunsono in novembre riportando le prede che ora diremo; et primieramente con- dussono quattro huomini degli habitatori di quelle isole, et anchora pelli di becchi et di capre in buondato , et sevo , olio di pesce, et spoglie di foche, et anche lignami rossi, che tingono quasi fussono verzino , e fatti a simile del verzino ; ma que’ che di tali cose hanno cognosci- mento dicono non essere verzino; et anco portonno delle buccie degli alberi buone similemente a tignere in rosso et della terra rossa et simili, Uno poi dei capitani delle navi chiamato Niccoloso da Reccho da Gienova addiman- dato dicea essere circa miglia novecento da Siviglia a quelle isole, ma dal luogo che ora Capo di San Vincentio è detto essere distanti meno dal Continente : che la iso- la prima ad essere trovata ha miglia quasi CL di circui- to; sassosa tutta , et selvosa et abondante di capre, et al- tri bestiami; gli huomini et le donne andare nude et es- sere salvatiche per li costumi et li riti, Dicea se con li sua compagni aver in quest'isola preso la parte maggiore delle pelli; et non havere havuto arditanza d’entrare molto dentro a quella. Da quivi trapassati in altra isola quasi maggiore vi- dono venirsi all’ incontro sul lido moltitudine grande, ho- mini et donne, che quasi tutti erano nudi. Alcuni che pa- reano più alti vestivano pelli caprine tinte di giallo, et di rosso, e, secondo parea di lungi, morbidissime e delicatissime, cucite con assai artificio di corde de’budelli;e come poteasi co- gooscere dagli atti di loro mostravano avere un principe, che riverito era da tutti et honorato. Quella moltitudine di giente mostrava desiderio d avere abboccamento et commercio, et trattenersi con que’di sopra le navi. Allora le più piccole 244 di quelle navi andate più di vicino al lido, nè potendo in maniera veruna capire l’idioma di quelli non ebbono ani- mo di scendere. Avea, secondo che dissono , quell’ idioma molta polizia, et a modo dello italiano era spedito assai. Ma veggiendo coloro come niuno delle navi scendesse, vene fu- ro alcuni ehesi sforzaro d’arrivare a quelli notando; sì che ne presono certi, e sono li condutti da loro, Finalmente veduto i marinai che non veniane loro utile nessuno, dipartironsi da quel luogo, e fatto il giro di fuori dell’isola, conobbero quella essere molto meglio coltivata nelle parti del settentrione che in quelle del mezzodì. Vidervi case molte, fichi, et albori, et palme et ortaglie, et cavoli et altri erbaggi buoni da es- sere mangiati; per che sbarcaronvi XXV de’loro con armi i quali cercando chi dentro fosse di quelle case , trovorno esservi circa XXX persone tutte ignude:le quali spaurite in vedere quelli armati, se ne diero alcune a fuggire, et empiero di alti gridori que’luoghi. Entrati dentro nelle case viderle fabricate di pietre quadre con arte maravigliosa, e con legni grandissimi et bellissimi ricoperte; et perchè tro» vorno le porte serate , e vollono vedere come dentro fos- sono, quelle infransono eo’sassi et aprironle ; per che gli abitatori che erano iti via, sdegnatisi empiero di grandissi- me grida que’ luoghi ; all’ultimo rotte le porte quante n°’eb- bono trovate, entraro per la case, dove non altro era che fichi secchi, buoni che pareano di que’da Cesena, entro a sporte di palma, et frumento assai più bello che ’1 nostro havendo li grani più lunghi et grossi, et sendo anche più bianco; et similmente dell’ orzo , et altre biade che quelli habitatori cibavano. Le case fatte, com’erano, di pietrami bellissimi, et di bellissimi legni erano dentro imbiancate che pareano di giesso. Vidono anche una chiesuola, dove pit- tura non era, nè altro adornamento, fuori di una statua di pietra avente la imagine d’homo con una palla in mano; coperte le vergogne con brache di palma secondo l’uso de- gli habitatori di n; paese, e la tolsono, e caricatala sulle navi la portaro a Lisbona. È questa isola ripiena d’habita- tori, et benissimo coltivata, et vi ricolgono grano , biade, frutta, e più di qualunch’altra cesa, fichi. Il grano et le 175 biade sono manucate da loro od a modo degli necelli, od in farina, che mangiano senza pane farne, et beono acqua. Partendo i marinai da questa isola, et vedutene altre in lontananza, quale di V miglia, quali di X, o di XX, o di XL, andaro ad una terza isola, dove non trovaro altro che alberi altissimi e diritti inverso del cielo; di quivi pas- sati in altra viderla abondare di rii et acque bonissime , et di lignami et di palombi che uccideanli con sassate o con bastonate, et poi mangiavanli; dicono quelli essere più piccoli de’nostri , ma uguali al gusto , o migliori ; et tro- varonvi ugualmente de’falconi, et altri uccelli che vivono di rapina. Ma per queste isole non molto vagarono, vedu- tele affatto diserte; niente dimeno vidono dirimpetto un’al- tra. isola dove pareano grandi montagne petrose e la mag- gior parte di nugoli sempre coperte con ispesse pioggie, ma che a tempo sereno mostrava d’essere bellissima, e da pe- scatori habitata; e dopo quella passorno ad altre sot mol- te, quali habitate, quali nò, XIH di numero; et quanto più innanzi andavano tante di più ne vedeano, presso delle quali era. il mare tranquillo più che non è tra noi; trovaronvi un fondo molto adatto per le ancore, et erano piene di cale, et abondanti d’uccelli marini. Cinque di quelle isole vi= derle habitate; delle altre XIII alle quali giunsono ne tro- varo molte non havere habitatori, nè ugualmente le altre sono habitate; ma quali più, quali meno. Et oltra di ciò essere infra loro per li idiomi diverse sì che non intendonsi le une coll’altre, et non hanno le navi, od altro arnese per far lo passaggio d’una in un’altra isola, ma vannovi a nuoto. Trovorno anche un’altra isola, dove non vollero ca- lare, perchè agli occhi di loro apparve una certa maravi- glia. Dicono che vi sono de’monti altissimi, a stima XXX miglia, et anco di più, che vedonsi molto di lungi, et sulla vetta vi appare un certo biancore ; e tutto il monte è sas- soso, quello biancore ha sembiante d’una rocca, nè è roc- ca; ma lo credono un sasso acutissimo, di cui sulla vetta sia un albero della grandezza dell’albero di qualche rave, cui stia appesa un'antenna con vela di grande nave latina TT. XXIV. MVovemb. e Dicemb. 10 146 x a simile d’uno scudo spianata che tratta in aria per li venti distendesi molto; e quindi sembra poco a poco ribassarsi , e poi di nuovo rialzarsi l’albero simigliante a quello di una grossa nave, et così continuamente si muove. Girando attorno dell’isola'da ogni lato vedeano acca- dere lo stesso; lo che stimando essere per virtù d’incante- simo, non ebbono ardire di scendere in quella isola. Molte altre cose trovorno che il detto Niccoloso non volle raccontare. Pare solo quelle isole non essere ricche, imperciocchè i marinaj appena poterono ripigliare le spese dello viatico. Erano i quattro homini che condussono, della etade senza barba, et di bello sembiante, portavano brache, et haveano ricinta a’lombi una corda, dalla quale pendea- no fila di palma spesse et lunghe da uno a due palmi; et per esse cuopriansi le vergogne di innanzi et di dietro, se non che il vento od altro le inalsasse; non sono tonduti, et hanno lunghi et biondi i capelli sino quasi all’ombeli- co: cuopronsi di questi , et camminano a piedi nudi. La isola d’onde furono tolti ha nome Canaria, la più abitata delle altre; nè ponno essere intesi da idioma nessuno , es- sendo stato parlato loro con diversi; in statura non passano la nostra; sono membruti, animosi et forti, et d’intendimento grande, come sene può fare giudicio. Parlano con loro per accenni, et essi per accenni rispondono a maniera de’mu- toli; hannosi rispetto tra loro, ma particolarmente verso di uno de’loro ; et ha questi brache di palma, et i tre rima- nenti hannole tinte di giallo e di rosso. Cantano dolcemente e ballano a maniera quasi fussono franciuosi; sono giulivi et svelti, etassai dimestici più che molti spaniuoli non sono. Poichè entraro nella nave si misono a manucare de’fi- chi et del pane, che pare loro buono assai, non avendone per l’innanzi mangiato mai; il vino ricusanlo affatto, e beo- no acqua sola. Mangiano bensì frumento et orzo a giumel- late, cascio, et carne, che ne hanno delle buone, et in buondato; bovi, cammelli, asini non ne hanno, ma capre molte et pecore et cinghiali. Sono loro di peso inutile et grave i danari d’oro et argiento ; che non li cognoscono , come ne anche gli aromati di qualunche natura, Collane 147 d’oro , vasi intagliati , sciabole , spade d’ogna sorta par che non habbianne vedute mai; mostrano anche di havere fi- danza, et lealtà infra di loro, per quanto si può far conget- tura, principalmente perchè niuna cosa manucabile dassi ad alcuno di loro, senza che prima di manucarla non siano divise uguali porzioni agli altri da colui che dettegli la por- zione, Le donne di loro maritansi, et le già maritate portano brache a modo di homini ; le tuttavia fanciulle vanno af- fatto nude, non stimando vergogna di andare così. Hanno co- me noi le unità de’ numeri et mettonle dinanzi alle die- cine così: i 1 Nait. 2 Smetti. 3 Amelotti. 4 Acodetti. 5 Simuset- ti. 6 Sesetti. 7 Satti. 8 Tamatti. 9 Aldamorana. 10 Mara- va. 11 Nait-Marava. 12 Smatta-Marava. 13 Amierat-Mara- va.' 14 Acodat-Marava, 15 Simusat-Marava. 16 Sesatti-Ma- rava. ec. NB. Dove sono i punti non si è potuto o affatto , o chiaramente intendere la scrittura dell’originale, Il citato Cadamosto al cap. 8. afferma egli pure degli abitanti delle isole Canarie che “ idiomate differunt adeo ut alter alterum haud intelligat ,,, Tr "t_t_’'E<--s---.meE-me-memeee n TO Principj d’° Economia Politica— Opera di J. R. Mac-Cut- Loca. Articolo estratto dalla Rivista edimburghese (*). L’uomo sente per le voci della sua propria natura due specie di bisogni; i morali cioè ed i fisici. Indi due sorte di godimenti nell’ appagarli, e assai fra loro diversi non solo per la differente loro origine, ma benanche per la va- ria influenza, che hanno alla ventura sia degli individui, sia del genere umano. Però nelle società civili non vi è uo- mo ben costituito, cui non sia noto quanto i piaceri del (*) Abbiamo creduto far cosa grata ai nostri lettori fucerido tradurre quest’ar- ticolo, tanto più importante uelle circostauze economiche in cui trovasi iu- volta 1’ Inghilterra. (Ncta dell'Editore). 148 l’animo sieno più deliziosi di quelli de’sensi. Ma ciò non ostante le fisiche necessità son sempre le prime a farsi sen- tire ; son esse importune , imperiose, e ognor rinascenti ; pericolerebbe l’ esistenza ove si trascurasse di sodisfarle fino a un certo punto. Il grato senso, che ne procurano allor- chè son paghe, è dunque il primo godimento provato dal. l’uomo ; è il primo e il più necessario, tuttochè non sia il più nobile. Ad aver quest’ultimo , onde solo formasi il ben esistere degno degli uomini, è duopo un convenevole concorso sì de’ morali diletti che delle fruizioni corporee. Però non a tutti gli uomini la natura concede il sen- tirlo e gustarlo. I piaceri infatti dell’intelletto , dell’ima- ginazione, del gusto , l’ effusione di cuore , le delizie del- l’ amicizia, il soave amor di patria, e infine tutti quegli altri affetti, che il Verulamese chiama passioni eroiche , e che son proprj sol delle anime generose e perfezionate, rimangono ignoti al volgo. I bisogni fisici, ed i piaceri che essi procurano, sono adunque il mobile ed il fine dell’ operar de’ molti. In ra- gion della loro importanza vengono ad esser classificati or come di necessità, or come d’agio , e infine come di lus- so. L’ alimento, a cagione d’ esempio , il vestire, 1’ abita- zione , il fuoco, ec. ec. appartengono esclusivamente alla prima categoria, benchè in molti casi estendansi alla se- conda, ed anche alla terza. Uopo è poi che l’ uomo li ab- bia ed usi con sicurezza; il quale sentimento fa anche esso parte del necessario. Ma oltre a tutto ciò , se l’ uomo istesso ha bisogno del riposo indispensabile a rinfrancar le sue for- ze spossate dal lavoro , può dall’altro canto far a meno di que’ momenti d’ozio , che senza scapito può volontaria- mente godere a suo piacimento. Il libero possesso di tali momenti è quello che costituisce 1’ agiatezza ; e questa nel mentre è uno de’favori della fortuna, seco ne attira molti altri; fra’quali il più commendevole è quello di meritar la personale considerazione coltivando le virtù, e il proprio in- gegno . Lo scopo e primo ufficio dell'economia politica è quello di moltiplicare e spandere i godimenti della seconda classe, 149 ossia dell’ agio. Essa è la scienza della ricchezza nazionale, del commercio, ed anche della popolazione. Essa è quella, che si applica al che utilmente e con minori fatiche la so- cietà tragga profitto dall’industria , dalle produzioni del suolo, dall’opera delle arti , e procuri la maggior somma de’diletti cosparsi di comodo e riposo. | Se mai vi è una scienza siffatta; se le verità onde è formata non sono generalmente note e praticate; se que- ste infine sono i frutti delle profonde meditazioni de’pen- satori, devesi senza esitazione annoverar l’economia poli- tica fra le scienze prime. Infatti niuna altra havvene , le di cui applicazioni sien di mole maggiore della sua. Nè va messo in dubbio che , vista l’odierna divisione delle idee relative a tale dottrina, non sia necessario di riunirle for- mandone un corpo , il più che mai si possà, e che finora non si ebbe, completo. Intanto non fu ancora presentata che per un lato solo ; e ciò, nel mentre che essa non si limita a regolar l’ industria e il commercio , all'aumento delle ricchezze e de’godimenti procurabili dalle arti mec- caniche ; ma è la Scienza sociale nel più ampio signifi- cato di questo titolo. Essa può salire a perfezione seguen- do i suoi precetti veri; e sol così operando si potrà otte- nere, che l’ordine, la giustizia e la libertà regnino fra gli uomini. Allora solo potrà aversi che i miglioramenti mo- rali, un gusto puro, i costumi ingentiliti, e il sentimento universale della civiltà, ne possino far sperare tutta quella prosperità che è conseguibile sulla terra. Egli è nel solo grembo dell’agiatezza che l’uomo può perfezionarsi. Imperocchè se esso non ha intervalli di riposo e comodo, in qual modo coltiverà la propria intelligenza? In qual modo, se è perpetuamente assediato da’bisogni in- dispensabili', potrà aver tempo ed energia ad elevarsi alla nozione della propria dignità? La sfera de’suoi pensamenti non si estenderà al di là delle sole sue necessità. Ma ove abbia momenti di agiato ristoro , allora solo si svilup- peranno i germi dell’intelletto, degli affetti morali, e delle altre nobili facolta ond’è degno. In siffatto modo 1’ arte , la quale tende a mettere tutti i membri della società a parte 150 della convenevole dose di comodo, è insiememente la più valevole a favorire i progressi de’numeri ‘intellettuali, non che a raccoglierne i frutti. Coltivisi dunque con zelo la scien- za, la quale rivela l’ alto arcano di cospargere la vita di un maggior numero di godimenti al prezzo di minori fati- che, lasciando a cadauno libera quella porzione di tempo non assorbito dalle preparazioni necessarie a’godimenti istessi. L’uomo ha bisogno di attività. Il pane, che quasi sem- pre ei mangia condito da’sudori della sua fronte, è spesso amaro; ma più sovente, e più amaro gli parrebbe, ove ei fosse dannato a mangiarlo in un ozio assoluto, che gli in- interdicesse ogni qualunque esercizio sia di corpo, e sia di spirito. Noi vediamo giornalmente gli opulenti, i quali di- spensati dal bisogno di lavorar per vivere , vanno intanto . procurandosi occupazioni e svagamenti. Vediamo altri, che dopo di aver accumulati.alcuni prodotti superiori alla quan- tità necessaria per loro uso , li cambiano con altri oggetti di utilità o di piacere. Indi si fan sentire nuovi bisogni , e nuove arti si inventano. L’ intelligenza si corrobora ed ingrandisce in ragion che è messa in vigoroso esercizio. Ri- gogliano allora lo spirito inventivo, i talenti, e l’industria. Ogni nuovo sviluppo seco trae altri sviluppiimportanti. Ogni passo che si inoltra in questa carriera, invece di spossar le forze, le invigorisce; e addoppia il desiderio di percorrerla tutta per misurarne l’intera estensione. i Allorchè Watt imprese a perfezionar le macchine a va- pore, non altro divisava se non inventare un mezzo men dispendioso a trombar le acque dalle mine di carbon fos- sile, sostituendo un motore inanimato a’cavalli, che fino al- lora impiegavansi pel moto della tromba. Ma se si pone mente alle tante scoperte e combinazioni ingegnose, venute dietro a questo prodigio dell’ umana industria, vorrebbesi credere che i benefizi ottenuti si limitano al solo sbassa- mento del prezzo del carbone o delle tele di cotone? L'eco- nomista vi mette anche a computo il.piacere, che lo spet- tacolo de’grandi effetti di tali macchine produce nell’ ani- mo di coloro, che sono idonei a sentirlo ; Y impulsione data allo spirito d’indagine ; l’attività eccitata nel pensiero , e 15i ì nuovi germi fecondati nell’ingegno umano. Egli non la- scia di computarvi anche le peregrine cognizioni acquisite dall’illustre inventore, e da coloro che andarono sull’orme ‘sue. Nè va di più taciuto il nobile godimento della co- scienza sì delle proprie forze, che de’beneficii fatti a’ suoi simili. Spesso ne accade di indignarci contro all’ imperti- nente orgoglio dell’ uomo opadbato; il quale senza gusto ‘nelle helle arti, credesi protettore de’sommi artisti, sol per- chè acquista a modico prezzo le loro belle opere. Noi ci indigniamo ancora vedendo una ingiusta sproporzione fra il prezzo ed il valor reale d’un lavoro. Però l’artista sen- tesi al disopra del volgo, e trova in sè medesimo la degna ricompensa del suo talento. Egli solo prova i piaceri della propria intelligenza ed imaginazione ; egli solo gusta il di- letto del perfezionamento delle sue facoltà mentre lavora, Nulla quasi a lui monta, che il bisogno lo costringa a se- pararsi dall’opera sua per una modica somma ; l’opera è sempre sua per la reminiscenza che ne ha, e la gloria che gliene viene come autore. Egli solo sa apprezzarla, e go- derne assai più di colui che ne fece acquisto. Oltre a ciò sente esso, che il modello ideale di quel suo parto d’inge- gno è sempre suo, e gli è inalienabile; sente che è capace di produrne altri, e migliori. Egli solo adunque gusta sif- fatti godimenti e può gustarli. Un’anima che così pensi non discende al degradante confronto fra un mirabile prodotto d’arte e una vile somma di denaro. Questi esempii invero non son comuni, perchè appar- tengono solo agli uomini di alto sentire ; ma i talenti ne- gli altri ordini della società danno proporzionatamente luo- go alle medesime riflessioni. Non appena l’industria fa pro- vare i suoi vantaggi, la società si sbranca subito in due ra- i, Quelli che sondall’agiatezza esentati dall’obbligo di la- dali meccanici, addiconsi alle occupazioni intellettive, ed a que’diletti sociali, che nel mentre ingentiliscono i costu- mi, avverano i progressi dell’incivilimento. Fra coloro poi che non hanno tali agi, trovansi molti i quali pel buono esercizio delle arti raffinate han bisogno, che l’opera ma- nuale venga diretta da un più colto intendimento. Le idee x5a di questi prendono allora una maggiore ampiezza je fami loro travedere più facilmente il bene di una' vita meno da- boriosa. Questo cambiamento d’opinioni, e. sviluppo intel» lettuale nelle classi addette alle opere manuali, è del più alto momento per la miglioria generale della società ; pers chè quantunque la necessità di lavorare graviti tuttavia sul maggior numero, ciò non ostante il lavoro non è allora ‘tutto materiale. Lo spirito vi prende molta parte ; favorisce lo sviluppo delle facoltà morali; e procura un tal quale godi- mento , affatto negato a chi materialmente usa le proprie forze solo a procurarsi una grossolana, e spesso insufficiente sussistenza. Negli stati ne’quali è non sol ben intera, ma anche favorita la buona economia politica , l’operaio intelligente possiede molti vantaggi, che non avrebbe ne’ paesi meno inciviliti. Anche esso al pari dell’ artista nobile si compiace dell’opera sua. Un tal sentimento gli eccita quello della propria dignità, e gli giova a migliorar la sua morale. Co nosce allora meglio il valor delle cose, e quindi si inganna meno nella scelta de’ mezzi idonei a far migliorare l’ esi- stenza sua. Nè v’ha stimolo, che più di questo sia efficace sulla popolazione intera, all’avanzamento morale non che civile. Questo mezzo, che al primo aspetto sembra volgare e dettato dall’ egoismo di poter godere con poca (spesa, è anzi il più valido a far buoni saggi e capaci di tutte le virtù gli uomini. Manoducendolo perseverantemente con la buona istruzione, si spanderà l’ erudimento sociale ; ed al- lora si avranno sommi dotti, grandi artisti, musei, ed ac- cademie. Senza le debite preparazioni del suolo ove voglionsi cogliere questi frutti, è inutile il seminarvi i preziosi ger- mi. La terra rimarrà sterile; o sarà sol feconda di vegeta- zione inservibile. Oggigiorno in Europa, ed anche nelle più incivilite nazioni di essa, non è già per difetto d’insegnamento che indietreggia tuttora la morale pubblica,e che impedisce al basso popolo d’ esser sensibile più a’ diletti nobili; che a’ sensuali; ma perchè il popolo istesso non è peranco abi- tuato ad una lunga e riposata pace ; nè ancor conosce tutto 153 il prezzo e il buon uso dell’ economia del tempo addetto al lavoro. Non ancora si formarono il gusto e 1’ intelligenza generale ; nè la coscienza e il raziocinio sono ancor tali a padroneggiar le passioni ; nè imperio sufficiente ha finora la morale. Non vi è popolo in cui non vi sia qualche cosa a riformarè circa la sua amministrazione pubblica. I go- verni, egualmente che gli individai, fanno maggior male coloro errori che per le loro passioni. Spesso l’ ignorante imprevidenza di quelli, che timoneggiano la nave dello sta- to, anche volendo ‘incoraggiar l’industria, la sospinsero per falso cammino, e giunsero a risultati più assai funesti degli effetti dell’ odio ‘di libertà, de’ trascorrimenti d’ambi- zione, e dell’avidità fiscale. La tirannia costerna ed infe- licita solo individui; ma la mala amministrazione secca ogni vena di prosperità sociale deviandone ogni miglioria, e spargendo la miseria con tutti i suoi flagelli. Nè teme- rem di dirlo: l’ignavia di governare è assai più della ti- rannide colpevole appo l’ umanità. Se st iti errati, la scienza, la quale inse- gna a ben amministrare i popoli, e che ove fosse ben se- guita ne’ suoi precetti verserebbe sulle nazioni la maggior prosperità possibile elevando graduatamente 1’ uomo da’sensi all’intelletto, non è mai abbastanza laudata. E frattanto non le mancano detrattori, anche nel novero di coloro che confessano le verità da noi testè enunciate. Pretendono essi che l’economia politica non consista in altro, che nel fa- stosamente enunciare alcuni assiomi di senso comune , e alcuni veri già noti; che ognuno ne sa più di quello che essa ostenta d’insegnare ; e che infine le sue grandi massi- me riduconsi ad un semplicissimo consiglio “ lasciate che gli artieri ed i mercanti facciano a modo loto ; e che ognu- no regoli i propri interessi come gli è meglio a grado, acciò l’ equilibrio si stabilisca da per sè solo ec. Non vi éra, ag- giungono , bisogno nè di ingegno superiore nè di abilità per far queste scoperte; molto meno di dottrine e di dotti per propagarle. Ma questo ragionamento , che hà Tuna plausi- bile apparenza di verità, è una insidia capace a trappolar gli inesperti. Non fia dunque inutile il dissipar queste il- 154 lusioni, e dimostrare che l’ economia politica merita quel entra che gli si vorrebbe contendere. . rsa dà Questa scienza non poggiandosi nè sovra fatti mate- riali, nè sulle leggi cosmologiche , non può venir conside» rata che come una dottrina morale. Quindi non può salire al di sopra del grado di certezza dato da’ metodi che essa impiega . Poco aiuto le presta l’esperienza, perchè i fatti che raccoglie dall’istoria o dalle narrazioni de’viaggiatori, vanno sottomessi ad una severa discussione innanzi di ser- virsene per norma. Essa non ha, al pari delle scienze spe- rimentali, la possibilità di confortar i ragionamenti con le pruove materiali; o il poter citare in testimonio la natu- tura, edaverne documenti idonei all’intima convinzione dello spirito. Senza essere limitata al solo raziocinio , come le teo- rie pure, è di una indole quasi simile alla scienza morale, a quella della legislazione e del governo. Accessibile per un lato solo dalla verità, vi sono e più frequenti gli er- rori , e men ovvii i mezzi di evitarli . La ragione vi può traviare, senza che vi sia chi l’avvertisca del suo travia- mento, e la riconduca sul buon sentiero. Allora la certez- za è vacillante ; un solo dubbio sospende le decisioni le più importanti, e non si va che con estrema e timida di- screzione. Ma con tutto ciò, quando ben esposte vengono le quistioni; quando una logica esatta le ha discusse € riso- lute; quando infine le verità con siffatta cura desunte, non solo non son contradette da un fatto qualunque, ma si mo- strano evidenti, e sono d’ alta mole pel bene degli uomi- ni, allora non v’ ha certamente chi rifiuti il titolo di scienza al complesso di tali discipline; e loro va dato il primo po= sto nella serie delle nostre cognizioni. Ecco ciò che divie- ne l’economia politica allo sguardo del pensatore dopo che questi l’ha beni appresa e meditata. Ei viene allora colpito dalla ingenuità de’suoi principii, non che dalla loro fecon- dità e carattere imponente nell’applicarli. Si rimprovera ordinariamente agli economisti di suda- re essi più a demolire che a riedificare il demolito 5 cioè di segnalar gli errori senza indicar le verità che loro deb- bonsi sostituire. Ma tale è l’andamento dello spirito uma- Mii 155 no nella formazione delle morali dottrine. Vi è necessità di distruggere gli ostacoli che impediscono le buone inda- gini; e questi ostacoli son gli errori sanciti da un generale e lungo dominio. Dalla loro distruzione presero mossa igran- di avanzamenti fatti nella società. L’imperio di quelli er- rori era tale, che quantunque visibilmente essi nuocessero agli interessi di tutti, non furono però aggrediti senza aver difensori anche fra gli uomini i più colti. É dunque non sol possibile , ma utilissimo il sostituir loro le debite ve- rità, Queste verità nel mentre non appartengono nè al nu- ero delle inintelligibili, nè a quello delle volgari, son poi beneficentissime, a giudicar dal saggio che si è fatto di qual- cuna di esse. Siffatti titoli le raccomandano caldamente alle meditazioni de’pensatori, ed alle indagini di tutti gli amici dell’umanità. Vi son molte massime d’ economia politica già dive- nute popolari ; lo che non mai può essere un male. Niu- no più oserebbe combatterle ; e ciò è un gran bene. Non più messe in controversia, già servono di regola a molti, che le avrebbero ignorate, ove non si fossero innanzi dile- guati gli errori che le velavano. Così, a ragion d'esempio, non v'ha oggi chi più dubiti de’vantaggi del commercio li- bero; niuno più censura il lusso e i bisogni fattizi. Il pos- sesso del numerario non è più considerato come preferibile ad ogni altro valore di cambio. E intanto queste verità , già comuni nel nostro secolo , riputavansi errori pel pas- sato. Gli uomini, che non san sortire dal cerchio delle pra- tiche abituali, le denigravano; vi furono anche filosofi che le condannarono; e i governanti le proscrissero. Anche at- tualmente in alcuni paesi son tuttavia considerate come va- ne o nocive teorie : e nell’istessa Inghilterra, ove vennero alla luce, trovan tuttora eccezioni. E siane esempio il com- mercio de’ grani, che ha speciali principii amministrativi ; e i privilegi concessi a’coloni delle Americhe o delle isole. L’ errore non cede che passo a passo , e non senza resis » tere. Quelli che ancora oggi il difendono, hanno almeno la buona fede di confessare che essi il sostengono pe’ soli loro interessi, non già per opporsi a quelli della verità. In » 156 tal modo può dirsi ché presso le nazioni illuminate, i fon- damentali principii economici non più hanne avversarii. La publica opinione li ha adottati, se ne fa mallevadrite, nè soffrirà che vengano alterati. Si è anche già d’accordo sovra altri punti non men essenziali, e non men per l’in- nanzi oppugnati. Tali sono la carta-moneta , per esempio; le leggi circa i poveri; i trattati di commercio fra nazioni presso le quali è diverso il valore de’salari ec. ec. V’hanno certamente ‘alcune quistioni di alto momento sulle quali l’opinione publica è tuttora indecisa, sol per- chè ‘quella degli uomini istruiti non è peranco unanime, essendosi fino a questo momento sostenuto il prò e il con- tro con uguale ingegno. Finchè queste discussioni non sa- ran condotte a termine sì procederà sempre con diffidenza € circospezione ; altrimenti facendo, si crederebbe di agir con poca prudenza. Questi oggetti tuttavia oscuri e con- troversi sono la natura de’valori, il loro carattere ; le no- zioni sul reddito; l’effetto reale de’tributi e del debito pu- blico ec. ec. Ma anche ove i principii dell’ economia politica fos- sero stati sospinti fino all’ ultimo grado di evidenza e sem- plicità, non perciò altro si avrebbe che una pura teoria . Rimarrebbe , e ciò è il più importante , sempre la diffi- coltà di ben applicarli alla pratica. Non sarebbe nullamente arduo il segnar la buona via al commercio ed all’ industria in una nazione muova, vergine di inveterati pregiudizii,; ma è poi difficoltosissimo il farlo dove quest’ ultimi domi- nano, perchè sostenuti da particolari interessi e da’vizii del- l'ordine sociale; dove sanno che verrebbero a perdere tutti i vantaggi se i governi si restaurassero sopra i principii veri, ossia sopra quelli dell’utilità generale. Senza essere un abilissimo idraulico si può con certezza asserire che immense ricchezze possono aversi in una provincia ricca di acque. Però se alcuni le rivolsero a solo loro beneficio già da gran tempo, e con speciose ragioni cercano onestare quell’ im- piego dipignendolo utile a tutti, vi bisognerà prudenza ed abilità per dileguare il prestigio de’ loro sofismi. Allora so» x prattutto è necessaria la pruova di molti calcoli ed espe- O a I 157 rienze per ristabilire la verità in tutti i suoi dritti; poichè ove il menomo saggio fallisca , 1’ errore si riconferma. Ed anche ottenuto che siasi il disinganno altrui, si dee pro- cedere sempre col timore di poterne noi stessi ingannare. Son queste le inevitabili conseguenze di massime erronee, seguendo le quali si è per molto tempo creduto d’ esser sul buon sentiero, Certamente non v'è cosa più facile che l’in- dicare un metodo di vita proprio a vivere in buona salute. Un siffatto principio non presuppone alte dottrine medici- nali. Ma allorchè poi trattasi di guarire un uomo infermo per cronico e abituato morbo, vi è bisogno di tutta 1’ abi- lità di un medico esperimentato e dotto. La figura di questo infermo è la vera imagine della situazione di quasi tutti gli stati europei. E sopra ogni al- tro è quella dell’ Inghilterra nell’inestrigabile labirinto dei suoi debiti, tributi, trattati commerciali, lotte interne per interessi esterni, colonie, corporazioni , e infine gli enor, mi capitali azzardati in un commercio non sicuro di con- tinuazione, ove si stabilisse la libertà de’ canbii. Non è facile neppure all’ uom di stato il più sperimentato e pe- rito di preparar migliorie sicure fra elementi sì ripulsivi e diversi. Un riformatore di questa vecchia Inghilterra tro- verebbesi imbarazzato al pari di quel navigatore, che non conosce venti e correnti navigando per mari incogniti. E ad addurre una comparazione più adeguata , avrebbe esso a sormontare difficoltà maggiori di quelle , che incontre- .rebbe nn chimico, cui si commettesse di comporre un me. scuglio complessivo con materie ripellenti , e che queste diventassero sempre più tali ove vi si aggiugnesse un nuovo elemento , o se ne togliesse uno di quelli che già vi sono, Non vi è scienza bastevole a prevedere l’esito certo d’un tal operare. La sola esperienza può dar effetti sicuri. L’economia politica dunque ha pur essa i suoi miste- ri: ne’quali non si può venir iniziato senza prepararvisi con studii e meditazione. In questa scienza , del pari che in molte altre, non si conosce se non quello che si volle e potè imparare. Giornalmente udiamo la presuntuosa igno- ranza, la quale, citando alcune massime di Smith, o altre 158 nozioni volgari, nemmen più ora esaminate, osa decidere le più alte e difficili quistioni dell’ amministrazione inter> na, e parlare in modo a farsi venerar dall’opinione publica. Ma queste impudenze non deggiono discreditar la vera dot- trina. Essa conduce in economia politica, assai più che nelle altre scienze morali, alla certezza: e gli elementi, de’quali sì compone , sono i fatti dell’ amministrazione , i loro ef- fetti, le norme, e gli esempi della loro applicazione. Ha essa per iscopo i più grandi interessi dell’uomo. Una dot- trina che sia la vera non può avere se non un andamento luminoso e sicuro. L’istoria guida i suoi passi; e perciò non possono essere nè aride le sue discussioni , nè noiose le sue indagini. L’istruirvisi costa poca spesa, ma dà molti lueri. L'uomo dunque che la negliye, perde nel tempo istesso e i piaceri dello studio, e le utilità delle conoscenze appli- eabili a tutte le situazioni sociali, da’ semplici negozi pri- vati alle più alte funzioni pubbliche. Da mezzo secolo in qua 1’ economia politica salì sem- pre più in istima. Ma la sua importanza è oggigiorno più che mai sentita, massime nella nostra Inghilterra. Le ri- Valità guerriere cessero il posto alle commerciali ambizio- ni; si parla oggi di finanze assai più che di eserciti. Non mai tanto come oggi si cercò di far valere tutte le ricchez- ze dell'industria: niun mezzo vien negletto: e mentre tutte le teste lavoran specolando, poche braccia poltriscono. Una lunga accanita guerra teneva in armi tutta Europa 5; ma tutt’insieme ecco la pace; ed una rivoluzione sì rapida, non men che inattesa, sbalordisce ed imbarazza tutti. Ognuno sente la necessità di riforme interne indispensabili a que- sta nuova situazione sociale. Altre nazioni incominciano que’spacci di mercanzie che un tempo erano sol nostri. Nuo- ve concorrenze sorgono da ogni banda. L’audacia delle in- trapese può dunque sugli altri popoli attirar tutti i favori della fortuna. Perciò è tempo ed obbligo di esaminar se i nostri capitali e lavori sono ben impiegati a nostro vantag- gio, onde fissare, ove ciò sia possibile, i principii che debbo- no dirigere le massime conservatrici della nostra prosperità. L’ ultima magna guerra fu una larga vena di scuola 1 TO), ed istruzioni per gli economisti; e le conseguenze commer- ciali non ‘sfuggirono alle meditazioni di essi. Si ebbe, dice Mac Culloch, nel breve intervallo di 30 anni l’esperienza di più secoli, Vi furono occasioni proprizie, e totalmente nuo- ve non solo a verificar le teorie già cognite, ma benanche a rivelar verità tuttora ignote. Ciò fece oltremodo ampliar lascienza. Le discussioni, a cagion d’esempio, su’ limiti impo- nibili a’pagamenti in contante, hanno sparso molto lume sulla teoria del numerario e del credito, Con non minore buon successo si trattò ancora la tanto delicata quistione del com- mercio de’ grani. Alcuni sotti, stimati da tutta la Gran Brettagna, indagarono le cause del subito rinvilio de’ va- lori non appena fu conchiusa la pace. Altri presero in esa- me le leggi regolatrici de’ prezzi de’ prodotti grezzi, delle rendite delle terre, de’beneficii del' commercio ; e nuovi lu- mi di più ampia sfera si ebbero da un’opera non meno im- portante che profonda ed originale, dalla Ricchezza delle Nazioni (*). I grandi e irresistibili motivi che costrinsero il nostro governo a correggere la sua politica, addurranno ulteriori mutazioni e miglioramenti. A ben valutar le conseguenze del nuovo ordine che si va preparando, non bastano le no- zioni volgari ; vi è bisogno di tutto l’aiuto della scienza. I governi, i quali si dispongano anche alle imprese che sem- brano le più facili, come a cagion d’esempio sarebbe quella di menomare i tributi, avranno uopo di chiamare in soc- corso l’economia politica. Sono essi in una via tutta nuo- va, in cui nulla orma trovasi , che tracciata dall’esperien- za del passato, possa servir di guida, ) tempi e le circostan« ze scorse non hanno sufficiente analogia con la situazione attuale della società. Così, per esempio , sotto il regno pre- cedente il gezio delle finanze non ad altro era intento che alla soluzione del problema di aumentare i dazii senza sgo- mentar l’industria: e Dio sa come esso fa risoluto! Ora trat- tasi di risolvere il problema inverso; di incoraggir l'industria, cioè , col mezzo della diminuzion de’dazii. (©) Quella di Riccardo. 160 Faccian dunque seria attenzione coloro che seggono ne’posti sublimi della società. Non impunemente rimarreb- bero essi ignari de’nuovi lumi sparsi dall’economia politi- ca, e dalle altre utili cognizioni. Ormai la dottrina si dif- fuse da per ogni dove, ed anche nelle classi inferiori. 11 solo talento ampiamente e variatamente addottrinato è oggi il primo titolo alla considerazione publica dopo le eminenti virtù e i distinti servigii resi allo stato. L’ uomo fregiato di colto ingegno è oggi una specie d’autorità , qualunque sia la sua condizione. L’amministrazione troverebbesi im- barazzata e pericolante se la classe operosa divenisse più intelligente ed istruita di quella che la impiega o la coman- da. Un tale cangiamento annunzierebbe infallibilmente la trasposizione di tutti gli elementi sociali ; 1’ alternamento cioè de’ posti rispettivi , e il sostituire in essi una classe all’altra. Tuttociò avverrebbe fra disordini e calamità in- separabili da simili rivoluzioni. Il ceto opulento in somma è fortemente interessato a conservarsi riella sua superio- rità intellettuale. Deve esso istruirsi nelle scienze proprie a mantener l’armonia nella società ; deve esso saper diri- gere verso una utile meta l’ impiego delle umane facoltà ; deve saper prevenire le scosse perigliose, senza tarpar le ali a’voli del pensiero , della curiosità , dell' industria. Deve infine saper ripartire i giusti salarii, e dare le più sicure guarentigie all’ ordine sociale. Sia ognuno ben informato de’suoi veri interessi, e di tutto quello che può migliorar lo stato suo senza che nuoccia ad altri. Allora i mutui rap- porti saran fondati sovra basi giuste e solide. Ma ove man- chino queste cognizioni, è impossibile sperar moderazione e saviezza fra le due parti. Nè i tribunali nè i legislatori, supposti anche essi ignoranti e preoccupati da talune idee, non potranno apportar rimedio a’mali della società: che an- zi vi è a temere che li aggraveranno, Ecco l’ indispensabile a sapersi da uomini di stato e da privati, se vogliono essi mostrarsi d’ omeri validi a me- nar bene le cose attuali. In ogni momento accadono casi di quistioni sovra punti capitali , che vanno risoluti con prontezza e senza errore. A questa sola condizione potran- 161 no ? governanti conservar la stima publica, ed i particolari cittadini non compromettere i loro interessi. Noi non sia- mo più in quel tempo in cui bastava una eloquente arringa ed il saper accarezzarsi il favore di una fazione , per salire a’ publici impieghi, Il popolo è ora troppo occupato dalle sue cose proprie perch’ei non perda tempo ad informarsi degli intrighi di corte , o a sentir le declamazioni vane con- tro al governo . Anzi vi è a temere, che questa generale apatia pe’ sociali bisogni, non alteri la costituzione politi- ca , e porti pregiudizio a’dritti de’ cittadini. Nel picciolo numero di coloro, i quali non perderono l’abitudine di esa- minar il modo con cui si vien governati , l’ opinione do- minante è che una assemblea legislativa e meglio provve- derebbe agli interessi publici, e adempirebbe meglio a’pro- pri doveri , se aiutasse con saggi avvisi l’ amministrazio- ne, invece di spender tempo e fatiche a combattere le per- sone degli amministratori. Oggi per poco che i custodi del potere vogliano esigere moderati tributi e mostrar liberali disposizioni, son sicuri di non trovar alcuna opposizione. Ne’ tempi di calma, e allorchè non si ha sembianza di por- tare innovazioni nell’ ordine abituato , la vigilanza politica suole assopirsi; però l’interesse privato è ognor desto , e non mai disattento. L’arte di far paghi gli interessi di tutti, che costituisce quella di saper provvedere alla prosperità generale , assicura ed attira a chi la possiede il rispetto de’ suoi concittadini, il dominio sulle opinioni, e la supe- tiorità sociale. Questi vantaggi non sono conseguibili se non mercè profondi studi in economia politica. Di alto momento è infatti la meta di questa dottri- na; poichè mira essa al maggior bene di tutti, ed a’mezzi come ottenerlo. Però ‘negli stati ne’ quali assai complicato è il sociale organismo , ed ove in conseguenza vari ed op- posti son gli interessi peculiari , è difficile l’avere idea chiara e precisa de’ generali. A ben averla uopo è presupporre am- pia e giusta conoscenza di tutti i particolari interessi su- detti; uopo è conoscere tutte le pretenzioni e tutti i dritti che v' ha o crede avervi cadauno ; uopo è infine saper con- T. XXV. Movemb. e Dicemb, 11 162 i frontare tutti questi dati, e scegliere il mezzo idoneo a *sot- tometterli ad una valuta comune. Se fra questo conflitto di privati elementi , alcune parti vanno a trovarsene male; non potranno incolparne che loro stesse. Hanno esse; non già per poco zelo , ma bensì per. propria ignoranza , mal fatta la causa propria ; nè vanno riprovati i giudici ove non siensi loro dati tutti i documenti necessari a ben. giudica: re. Noi dunque il ripeteremo. Affinchè non temansi questi nocivi errori è mestieri, che ognuno sia ben istruito, onde dar lumi valevoli perchè gli venga fatta. giustizia; e se vi è classe, la quale ha più delle altre bisogno che giustizia le sia fatta, è precisamente quella che ha maggior necessità di istruzione. L'ignoranza, al pari che il caos, non mai pro- duce bene alcuno. Sol dove ognuno è. istruito, e sa, ciò che saper deve, nasce l’ordine , si esegue e stabilisce l’ organi- smo, si ottiene l’equilibrio, si consolida la stabilità. Allora solamente si fonda sulle buone basi la publica prosperità. Non pochi nè tenui sono i motivi che impongono alle alte classi il dovere di istruirsi ne’raccomandati studii; gli uomini a’quali stanno affidati gli interessi nazionali, non si disonoreranno certamente con una vergognosa ignavia, in ciò che essi han l’incarico di difendere. Per la classe infe- riore vi son poi talune momentose verità, le quali non le debbono esser rivelate che mediante moltissima istruzione, I mali che gravitano sulle società moderne , ed i pericoli onde son minacciate ,vengono in gran; parte, dall’eccessivo aumento. di una caterva d’individui, i quali si gareggiano una sussistenza che è insufficiente per tutti. Questi impre, veggenti aumentano, essi medesimi. la loro miseria, metten- do al mondo altri esseri infelici, che vengono in tal modo a sempre più diminuire porzioni di alimento già in sè stesse assaiscarse. Una verità siffatta può venire annunziata a tut- ti, e soprattutto a coloro che hanno maggior bisogno di co- noscerla. Essa può dar regola di condotta per l’avvenire , e contribuire al tolleramento de’mali presenti con più pa- zienza. Sol ne sorprende co me per lungo tempo sia stata igno- ta anche a’più colti ingegni. A dimostrarla con evidenza, ei basta soltanto ammettere un fatto innegabile; cioè, che in 163 ogni società incivilita tutte le ricchezze e sussistenze sono in mano di un picciol numero di possessori, i quali ne con- sumano la porzione necessaria a’loro bisogni. L’ eccedente di questa consumazione forma ciò che dicesi capitale, ed è quello che serve a pagar salari ed anticipazioni. -: Questo capitale ha i suoi limiti; e perciò limitati so- mo anche i sa/ari. In ragione dunque che crescerà il nu- mero di coloro i quali vi sussistono lavorando , decresce- ranno i salari istessi. Nè può altrimenti avvenire a meno ‘che non crescano in ugual proporzione i capitali. Ma se «questi van diminuendo in ragion inversa dell’aumento de- gli operai, il male diviene estremo, e ta società è in pe- ricolo. È necessario dunque il fissare i giusti termini di que- stì due elementi, e di far variare l’uno secondo le varia- zioni che non si potranno evitar. nell’ altro. Quando una macchina mal muovesi,.vi è il falso uso di rianimar di tempo in tempo il suo movimento con qualche scossa, la qual sovente ripetuta finisce presto o tardi coll’indebolirne ‘sempre più l’effetto, e far inservibile la macchina stessa. Di- casi lo stesso del subietto in discorso. Il meglio fora-di sof- fermar l’esagerato aumento della classe che vive‘col lavoro; e di far in modo che i capitalisti andassero cercando ope- rai; anzichè questi fossero superflui a quelli. Non sarebbero certamente inutili ulteriori dimostra- zioni di questa verità, cui fa duopo portar la massima ‘attenzione, ove vogliansi evitare agli operai inglesi ed al- Inghilterra le più grandi calamità. Ma essa è chiara; sem- plice e intendibile da ogni operaio intelligente. Tutto) al più gioverebbe il dileguar qualche obiezione, affinchè scom- parsa ogni menoma oscurità, più convincente rimanesse il ‘raziocinio. Fra le nozioni necessarie agli operai ve n°ha al certo alcune più difficili e teoriche di quella della qua- Je è quistione; però niuna è quanto essa importante a sa- persi dagli artigiani. Facciam dunque voti perchè le buo- ne idee circa la popolazione e i salari vengano insegnate negli istituti, ove gli artieri imparanogli'elementi delle scien- ze applicabili alle loro arti. Un siffatto insegnamento non tarderebbe a produr buoni frutti. Mac-Culloch espone ‘sì 164 chiaramente questa teoria nella sua opera, che ci crediamo in debito di allegare i suoi proprii argomenti , fosse anche a costo di ripetere ciò che già dicemmo. «I legislatori, antichi e moderni, videro nell’aumen- to di popolazione un segno certo di prosperità nazionale. Quindi incoraggiarono i matrimoni e premiarono la fecon- dità. Ma Malthus svelò gli errori di queste opinioni gene- ralmente ricevute , ed accreditate da nomi ben a ragione illustri e venerati. Fece egli conoscere i pericoli di questo stimolo da’governi dato a’progressi naturali della popolazio- ne ; e l’opinione publica. venne ricondotta sul buon sen» tiero. Malthus ha dimostro che i mezzi artificiali di accre- scere le. generazioni , se non vanno accompagnati da un proporzionale aumento di modi di sussistenza, non altro possono essere se non se cause di miseria, e perciò di spo- polamento; che non basta solo il procrear uomini ; il più difficile è l’alimentarli., vestirli, educarli; ®infine che la forza propagativa, onde la natura dotò Yuman genere, va imbrigliata con prudenza , anzichè stimolata a sviluppar tutta la sua energia ,,. i i <« Basterà un cenno a convincere i più increduli, che la prosperità sociale dipende dall’abile saviezza, con cui si sa dirigere il giusto aumento del popolo. Non vi è più alcuno il quale ignori, che il prezzo de’ salari prende norma sem- pre dal rapporto che vi è fra il numero degli operai e la quantità delle opere. Ciò posto, l’ unico mezzo che si ab- bia a migliorar lo stato della più numerosa classe sociale, è quello di far alto il più che sia possibile un tale rap- porto. Ove vi si riesca, crescerà il numero degli operai in ragion de’ capitali; ma ove non si ottenga ; l’ effetto sarà immediatamente disastroso per coloro che vivon col lavo- ro, e pe capitali che diminuiranno, Infelicemente questa classe non. può che debolissimamente influire all’ aumento di questi ultimi, e non mai li aumenta a suo beneficio + Ciò di cui può solo essa disporre, è di ridurre entro al- cuni giusti limiti il numero de’ lavoratori, Se un siffatto ceto ha intelligenza e buon senso a mantenersi nel debito echi. librio con quelli che lo impiegano al lavoro , farà allora 165 alzare i salari anche se scarse sieno le domande d’operai; ma se poi si accresce oltre la conveniente proporzione , i salarii diminuiranno anche nel caso di molto lavoro a farsi. La felicità o infelicità di questa classe è dunque tutta nelle proprie mani di essa; e Malthus ha ragione di dire , che tutti i soccorsi che le possono venire da quella de’ capita- listi, non sono se non un grano di sabbia messo in bilan- cia, în proporzione del peso di suo proprio conto che vi può mettere essa medesima. Si spererebbe indarno che gli ope- rai si adoprassero essi stessi a migliorar la loro sorte, fin- chè non sieno istruiti in modo a ben comprendere la vera dottrina de’ salarii. Soltanto con una baona istruzione po- tranno convincersi, che tutta loro è la colpa ove manchi- no, non che del superfluo, del necessario. Alta ed impor- tante verità ; la quale se fosse ben sentita ed applicata , produrrebbe un bene maggiore assai di quello, che si spera da’ decreti, dalle severe polizie, ed anche da’ larghi istitu- ti,; (A). Siccome discorremmo lungamente sul subietto di Mac» Culloch, così possiamo ora ristringerci sovra ciò che he ri- mane a dire della sua opera. Non è questa invero che il compendio di un trattato d’economia politica, o tutto al più una introduzione allo studio di essa, L’ autore volle darne un saggio che facesse conoscere il metodo adoprato (*) Questo sunto , tuttochè rapido ed incompleto , basterà a far cono- scere, che i principii del Saggio sulla popolazione del sig. Maltbus non sono così contrari al bene dell’ umanità , come gli avversarii alle sue dottrine vor- rebbero far credere. I critici se gli lanciarono cortro, certamente in buona fede; ma con più passione che con vera scienza. Ciò non fece altro se non ritardare il trionfo delle sue utili idee. Però l’economia politica già diffonde la sua luce, e i pregiudizi perdono il predominio. I fatti meglio ora cono- ; sciuti vengono più sovente citati in prova nelle discussioni. Non lontano è il tempo, in cui ognuno assentirà che la prosperità di una nazione non viene misurata dalla sua forza numerica , bensì dalla sua agiatezza e da’ mezzi che tutti i membri vi hanno a procurarsi non solo il necessario , ma anche i godimenti. Si converrà pure in un altro punto essenziale ; che il ben-essere cioè della classe laboriosa dipende dal grado di preveggenza che essa avrà nella sua condotta; e ne’ mezzi che adotterà onde non mai sia troppo nu- merosa. Così facendo , le offerte di lavoro non saranno oltremodo ‘moltiplicate, nè vi sarà quella superflua concorrenza, buona solo a far abbassare i salari. 166 nel trattarla, l'origine e i progressi della scienza suddetta 3 e le risposte alle obiezioni contro studii siffatti, Questa parte istorica del libro addita in Mac-Culloch uno serittore non volgare, e può servire a modello per un tal genere di ope. re. Oltre alle migliori idee di Petty Child e Dudley-North, vi si ha pur un sunto delle dottrine di Quesnay, non che d’altri economisti francesi e stranieri. Nota egli con molta sagacità e precisione ciò che non è perfetto nel libro di Adamo Smith, e quanto gli sono superiori Malthus e Ric- cardo , tuttochè nell’esporre le di costoro teoriche, non ne ammetta tutte le opinioni. Noi , perchè possano i lettori giudicar de’suoi principii economici, cenneremo sol quelli che ci sembrano più importanti ed applicabili. L’autore incomincia antivenendo, che non ostante il progresso e lo spandimento delia scienza in discorso, non bisogna però attendersi a cambiamenti immediati rapidi ed ampii nelle civili amministrazioni. L'ignoranza fu per molto tempo molta e generale; e il peggio è che quella la quale riputavasi istruzione, fu più nociva di ciò che fora stata la mancanza d’ ogni sapere qualunque. Uopo -è dunque che l’antico ordine delle cose stia tuttora per qualche tempo in presenza de’ nuovi lumi, affinchè questi ne mettano in piena luce tutti i gravi difetti ed inconvenienti. Chiama egli in testimonio la nostra istoria, e quella delle altre na- zioni, onde documentare le pruove de’ mali innumerevoli ap- portati da’ falsi principii sugli interessi sociali. E adduce in esempio i non rari disastri delle carestie, fatti più gravi da’tumulti contro a’mercanti di cereali, e dalle leggi proi- bitive sollecitate e promosse da que’medesimi, a’quali ingi- gantivano esse la miseria. E che diremo ora, aggiugne, delle ostilità sì sovente mosse e ripetute contro alle macchine, le quali vengono considerate mortali nemiche dagli ope- rai, mentrechè da essi soli dipende il saperne cavare un maggior profitto ? È forse necessario ripetere il già detto su’danni causati dall’ illimitata moltiplicazione degli indi- genti, e dallo scemamento de’ salariz? E siccome l’ errore sulla causa di un male mena sempre a prescegliere un. no- civo rimedio, così ne addivenne che la carità o beneficenza ’ INVII 167 publica si addossò il carico di sovvenire alla publica mi- seria. Il tributo proposto da Walpole nel 1733 non avea già per iscopo di stabilir diritti fiscali sovra tutti i generi di consumo , ma mirava a favorire il commercio. Si volea far di Londra un porto franco e l’emporio del globo. Però il timore di vedersi legislata quella proposizione, mosse un quasi generale tumulto nel popolo ; e l’ entusiasmo publi- co fu al colmo allorchè seppesi che il governo rinunciava a quell’utile disegno. I pregiudizi popolari dunque erano allora tali che appena nel 1803 poterono incominciarsi le im- periose riforme necessarie nel ramo finanziero e commerciale. “ Fatti di tal natura son tanto nùmerosi e notabili , che è supefluo citar altri esempii. Aggiugnerò sol quelli delle guerre del 1756, e della rivoluzione ; guerre mosse a solo fine di conservar le commerciali preeminenze. Idee chimeriche trascinarono il governo a dissipare inutilmente l’oro della nazione, e il sangue de’ popoli. Si ignorava che è impossibile ad un popolo il far esso solo un generale mo- nopolio; nè punto vedevasi che, agendo qual si agiva, si per- verrebhe al tristissimo risultato di impoverir sè stesso am- miserendo gli altri. Se questa verità verrà adottata e messa in pratica come principio cardinale nella condotta gover- nativa, non più si avrà nè la pace rotta da guerre inutili, nè il commercio inceppato da nocivi ostacoli. Le nazioni non più seguiranno i consigli di una cupidigia di corto ve- dere ; nè diverranno il tristo giuoco sia della cieca ambi- zione, sia delle basse passioni de’loro governi. Allora non più si dubiterà che l’economia politica, la quale altamente proclamò queste verità, rese grandi servigii alla umanità; e nel mentre si godrà de’ beni che ella produsse, non in- gratamente si sconoscerà la causa da cui fur prodotti. ,, Nell’assegnar le speciali attribuzioni delle dottrine eco- nomiche , onde distinguerie dalle altre politiche discipli- ne, l’autore osserva che “ è indubitabile esser gli stati li- beri quelli ne’ quali più rapidamente aumentansi le ric- chezze. Ma questo vantaggio non è una conseguenza diretta della loro. politica costituzione; bensì deriva essa dal perchè ne'governi così costituiti, la proprietà ha maggiori guaren- 168 tigie, più indipendenza e minori ostacoli l’ industria. Po- co monta che più ampii sieno i politici dritti, o che un maggior numero di cittadini li possegga; se una monarchia assoluta dasse guarentigie eguali, salirebbe anche essa ad eguale prosperità. L'industria non necessita d’incoraggia- mento che le venga da fuori; ma ha in sè medesima il prin- cipio della sua attività, e i germi de’proprii perfezionamenti. L’agiatezza che essa procura, fu in ogni tempo e paese un motivo di emulazione sufficiente a lasciarla andar sola. Ei vuolsi soltanto che moderati sieno i tributi, protetto il la- voro , e tutto intero de’ produttori il prodotto. Allora la car- riera delle migliorie è aperta e larga. Oltre a ciò è anche chiaro, che assai più della forma di governo, hanno influenza alla publica prosperità i lumi e talenti di que’ che sono al timone dello stato. Si videro monarchie salire al più alw tro grado di ricchezza nazionale e privata, come sì videro stati liberi ammiserire al segno di pericolar nella loro esi- stenza per l’estrema miseria. Ciò sol venia, perchè le pri- me erano amministrate con saggezza e liberalità, quando- chè i secondi deperivano perchè in mano d’ uomini inabili, intolleranti; e tanto più ostinati, quanto maggiormente era= no schiavi di pregiudizii , ed immersi nell’ ignoranza ,,. Ciò che siegue merita anche molta attenzione : “ In Inghilterra nacque l'economia politica; ma non perciò eb- be molto favore nella sua terra nativa, finchè non crebbe essa adulta. Prima di noi gli esteri conobbero la sua felice influenza sulla opinione e condotta degli uomini di stato non che de’privati, ove riuscisse di propagarla mediante un popolare insegnamento. Tampoco inglese ma straniero fu colui al quale si deve l’ onore d’ averne il primo fondata una publica senola. Il fiorentino Bartolomeo Intieri fu il benemerito filantropo, il quale ne istituiva a proprie spe- se la prima cattedra in Napoli nel 1754. Prescelsevi egli a professore il suo dotto amico Antonio Genovesi, che vi dettò le lezioni di economia civile. Nè sono a tacersi le due condizioni associate alla fondazione; 1.° che l’insegnamento cioè si facesse in italiano idioma; 2.° e che dopo la morte del Genovesi niun’altro ecclesiastico non potesse occupar 16g la cattedra che egli fondava . Nel 1769 anche l’ Augusta Maria Teresa istituì una simile scuola nell’ università di Milano, nominandovi a lettore l’illustre Beccaria ,,. « Devesi elogio all’imperadore Alessandro per gli in- coraggiamenti dati alla nostra scienza. Diede egli l’ inca- rico a Storch di comporne un trattato per istruirne i gran-duchi Nicola e Michele. Questa opera ispira alte idee non solo de’talenti dell’autore, ma bensì delle larghe intenzioni del governo russo che la fece publicare a sue spese (*). Chiari ed ottimi vi sono i principii della produ- zione delle ricchezze, della libertà di commercio, e d’ altri subietti non egualmente esaminati a fondo nè da inglesi nè da francesi economisti. Le sue osservazioni sugli schiavi di Roma antica, e su’servi della Russia moderna, sono ol- tremodo giudiziose. Al pari pregevoli e commendabili son le idee sulla carta-moneta de’diversi stati europei. Senza voler discreditare il merito degli altri scrittori , confesso che ascrivo l’opera del sig. Storch fra le migliori di tutte quelle, che sull’ economia politica furono scritte nel con- tinente ,,. ‘Or mentre i monarchi del continente la incoraggiano , e fanno insegnarla a’loro sudditi, questa scienza che è la prima nella serie de’sociali bisogni , vien poi in Inghilterra lasciata sola a lottare contro i pregiudizii dell’ignoranza e le pretenzioni dell’ autorità. Quel popolo , il quale più d'ogni altro ha bisogno che si perfezioni il sno sistema eco- nomico commérciale e finanziero ; quel popolo , il quale con l’ opinione esercita non poca influenza sul governo, è intanto precisamente il solo in Europa , cui non si prese cura alcuna di spandere la riconosciuta utilità di un sif-. fatto insegnamento. Non ha questo alcun posto nelle scuole publiche, mediante le quali sarebbe cotanto efficace a da- re allo stato istruiti amministratori e legislatori. Se coloro, che attualmente ne governano , avessero a tempo debito saggiate le utili lezioni delle dottrine in discorso , avreb- bero proseguito a coltivarle: e le gravi deliberazioni verreb- (*) Quest'opera è vendibile al Gabinetto scientifico e letterario. 170 bero guidate con istruzione maggiore di quella, ehe ‘oggi | le ibplindona a prevenzioni ed Guifiattza d’interessi non na- zionali. I nostri amministratori sono escusabili; essi agisco: no come vennero istituiti ed addottrinati : nè si può loro chieder ragione perchè mai “ plerigue ad honores adipiscen dos et ad rempublicam gerendam nudi venirent et inermes; nulla cognitione rerum, nullà scientià ornati ,,. L'Inghilterra però non più merita i rimproveri di Mac- Culloch dopo che fu publicata l’opera di questo autore. Un privato, il sig. Drummond, fondò già una cattedra di econo* mia nell'università di Oxford; e la publica gratitudine va! mostrando quanto si apprezza una sì generosa munificen< za. l libri di Riccardo vengono insegnati con molto buon snccesso nella capitale. Dobbialnò ancora far menzione de’ studii economici professati per molti anni da Malthus nel collegio della compagnia delle Indie. In Iscozia Milne, pro- fessore di filosofia morale nell’ università di Glasgow, li in= segna anche esso, e con mon minor successo di quello con cui li insegnava il suo antecessore Dugald-Stewart. Ne è noto infine che individui rispettabilissimi , fra” quali con tansi anche molti professori edimburghesi , han proposto di istituirsi in Edimburgo una cattedra speciale di politi- ca economia. Se non che ci si dice che l’università si rifia- tò a consentirvi, pretendendo che una tale scienza è com- presa fra le attribuzioni del lettore di filosofia morale; e che questo adempirà al disegnato nuovo ufficio incominciando fra non molto le sue lezioni economiche. Noi non esamineremo se legittimo o nò sia il dritto che l’università si arroga nel far monopolio dell’ insegna- mento; nè vorrem parlare dell’influenza che l’emulazione fra’professori può avere a’ progressi dell’ istruzione. Molto stimiamo la persona e i talenti di colui che ora insegna filosofia morale ; solo ci permetteremo di osservare che il tempo è appena sufficiente alle sue molte occupazioni ; e' che una ragionevole ambizione può farsi paga nel ramo che ora va insegnando. Forse fuori di Scozia si ignorano tutte le scienze , che nell’ università nostra , son comprese in quella della filosofia morale. Oltre alle dottrine di morale, e 171 ed alle metafisiche, ed a quelle che oggi dicansi filosofia dello spirito umano, vi si annoverano anche i principii delle leggi civili e politiche. È probabilmente alquanto difficile il ben trattare subietti cotanti in un posto illustrato da Fergussan, Stewart e Brown; e forse anche vi è impruden- za voler aggiugnere un nuovo peso ad un carico già sì gra- ve. La scienza, cui si divisava istituire una cattedra spe- ciale, è molto ampia. Il lavoro continuo di molti anni non bastò ad Adamo Smith per trattarla completamente; Mal- thus vi consacrò tutta la sna vita; nè Riccardo, tuttochè sì laborioso, avea tempo ad altro studio. Noi non abbiam letto il diploma del dotto professore onde argomentare se gli venne o no conferito il titolo esclu- sivo all’ insegnamento di tutte le scienze comprese nella sua cattedra. Ma posto anche vero un tal conferimento, ne sembra che colui il quale ha un certo dritto a valersene, non l’abbia in tutti i casi; e che non sarebbe biasimevole se in considerazione di publica utilità si decidesse a rinun- ziarlo. Saprà ben egli che la divisione del lavoro è indispen- sabile ne’metodi d’insegnare, non men che nelle arti mec- caniche; e l’istoria della nostra università è ricca d’esempii circa i vantaggi avuti suddividendo le scuole. Non vi era- no un tempo che due soli professori di scienze mediche ; oggi ve n’hanno nove; perchè l’avanzamento delle scienze suddette seco addusse quello di maestri. Non è dunque a sostenersi , che la costituzione dell’ università nostra si oppone ad un analogo ripartimento nel ramo delle morali discipline; e che queste esigano, che colui il quale le in- segna, insegni pure l’economia politica. Furono ultimamen- te suddivise le cattedre di /egislazione e delle cessioni, già prima affidate ad una sola persona. Lo stesso avvenne alla notomia staccata da quella di chirurgia. In ragion che le scienze si ampliano, sentesi il bisogno di ulteriori suddi- visioni. Ad eccezione di Dugald-Stewart , niun professore di scienze morali non trattò delle economiche. L’economia va insegnata a parte, ove vogliasi ben insegnarla; e il pro- fessore in discorso è troppo giudizioso per non mai credersi che egli non convenga di questa verità. 172 Il sig. Mac.Culloch è il maestro, che converrebbe al- l’università nostra di chiamar nel suo seno. Ebbe egli in Londra due volte l’ incarico di insegnar le istituzioni di Riccardo ; e perciò fu in posizione di ben istruirsi in quella commerciale metropoli circa fatti, dati, ed osservazioni utili non solo alle buone teorie ma benanche alla buona pra- tica. Tuttavia ove si presentasse un altro concorrente ,.il quale avesse titoli maggiori di Mac-Culloch alla disegnata scuola , noi non persisteremmo nel voto per questo illu- stre professore. La stima e l’impegno pe’publici istituti insegnanti ci fa desiderare che venga ad essi affidata l’istruzione dell’eco- nomiche dottrine. Nelle loro mani queste prospererebbero: e lo studio vi sarebbe assai più regolare più universale di quel che possa essere nelle scuole private. Se vuolsi che le nozioni elementari di una siffatta scienza giungano a far parte dell’ educazione publica , le sole università sono il mezzo atto a spanderle. Però questi stabilimenti rari e di- spendiosi non bastano. Fora necessario che l’insegnamento fosse in grado di poter giovare a tutti; bisognerebbe che ogni città, ogni terra popolosa avesse un professore di eco- nomia politica. Facciamo intanto voti perchè il nobile esem- pio dato da Drummond abbia molti imitatori. Nelle scuole delle arti meccaniche potrebbonsi anche insegnare i prin- cipii economici ; e l’esperienza non tarderebbe a dimostrar l’utilità delle loro lezioni nella classe laboriosa. GP: 9 VA ANI ZIE AO TROIA ALENIA LIZA ILL NENTI I Opere DI Cicerone. Tomo primo delle lettere; traduzione del P. A. Cesari. Note del S. V. Soncini. Revisione del testo per cura dell’ab. BenrIvooLio. Edizione di A. F. Stella, 1826. Due cred’io essere le ragioni del diletto che porge la lettura delle epistole familiari degli uomini insigni: la pri- ma, l’amore innato della umana mente per tutte le parti- colarità che conducono più o men dirittamente a conseguen- 173 ze aleun po’ generali: perocchè "quella verità, che guarda- ta divisamente dal resto, par piccola e di nullo rilievo, si lega per anella più o meno sensibili con infinite verità di ; più alto ordine e di più immediata importanza a tutto ciò che costituisce o rappresenta il ben essere della nostra na- tura. Ora, scoperti che sieno codesti vincoli, l’animo gode percorrere d’anello in anello la lunga catena , e dalle in- fime cose, senza pur quasi avvedersene, risalire alle som- me. La seconda ragione è più estrinseca e sarà però me- glio sentita. Leggendo le lettere familiari degli uomini in- signi , noi li riguardiam da due lati ; nell’ uno ci si pre- seutano in alcuna parte simili a noi; i lor difetti, i loro pregi, i loro bisogni, i lor casi hanno pur qualche cosa che noi sperimentammo, che troviamo in noi stessi: e que- sto naturalmente ne alletta. Basta una relazione vera di simiglianza , perchè l’amor proprio ne vegga cent’altre ; noi ci crediam grandi, almeno in parte anche noi, senza ‘quasi saperlo; senza volercelo , forse : e il sentimento del. l’essere occupati alle cose nostre nell’ atto. che; osserviamo le altrui, rende molto piacevole la lettura. ‘) L’altro lato , da che si riguardano allora gli uomini grandi è quello in che più dissomigliano a noi. L’ amor proprio in cotesta dissimiglianza vorrebbe pure veder dello strano ; vorrebbe anche ne’ sommi pregi scoprire la parte ridicola e abbietta, vorrebbe giudicare di quel che non sa: perchè tutta la parte del carattere altrui ch’è diversa af- fatto dal nostro, è'da noi per jnecessità interamente igno- rata (1). Questa malignità è naturale a ogni specie d’infe- riorità: l’uomo grande (ch'è però sempre in alcuna parte inferiore ad ‘un altro grande suo pari) anch’ egli ne sente l'influenza nascosa, e non se n’avvede che tardi; se pur se n’avvede. Quest’ esercizio pertanto è piacevolissimo: e il po- ter ‘chiamare ad esame le azioni, le parole, gli affetti d’un _. (2) Noi crediamo di conoscerla , ci. vantiamo d'averla indovinata; ma in- vano. Non s'indoviua dell’ animo altrui, se non quello che si è più o men con- fassmeote sentito hel proprio. Ogui altra specie di raziocinio è temerità, spesso wolte: funesta: al’ proprio bene e all’ altrui. 174 uomo straordinario , il: poter coglierlo in contradizione «e strappare dal suo labbro la confession de’suoi falli, è sod- disfazione tanto più saporosa quanto appar, più legittima) cioè quanto maggiore è l’ingegno e l’attenzion del leggente. II. Venendo al nostro soggetto ; chi dalle lettere di M. Tullio volesse prendere argomento a. giudicare di lui, pare ‘a noi che dovrebbe trovarsi un po'invilupputo tra i varii elementi di che sembra composto quel carattere mul- tiforme nella unità , e, quasi dissi, nella, monotonia del- l’esprimer sè stesso. Ma se a cotesti elementi si giunga.cò- me inseparabilmente conglutinata una dose d’ orgoglio, cessa la confusione, e si spiegano alcuni enimmi. Un no- mo di buon cuore e orgoglioso amerà passionatamente gli amici, ma si darà troppo vanto dell’amicizia ; come di qua- lunque altro pregio più estrinseco e meno insofferente d’es- sere ‘mostrato con vanto: amerà svisceratamente la patria, ma qualunque servigio a lei reso sarà rimeritato , a (dir quasi, dalla ostentazione che lo accompagna e lo segue : amerà la famiglia, ma sempre vagheggiandone sè come cen- tro e nobilitatore; amerà Ja beneficenza, ma purchè sia. per- messo, il parlarne, e il rinfacciarla, ove vccorra, più che sinceramente, agli ingrati: amerà la virtù, ma nel modo me- desimo che i letterati dicono d’ amare quella verità che faloro piacere. Un uomo di nobile ingegno e orgoglioso, vor- rà ora gustare a sorsi , or tracannare, a dir così, la sua gloria. ; saprà talvolta abbassare il proprio carattere per estollere il proprio mome ; saprà volger,tutto a sua lode, anco le debolezze e i disastri; saprà vestire le sue imagini di così, vivo splendore, che il leggitore più accorto sia so- vente costretto a confessare che quella magnificenza di tuo- no è vera grandezza di spirito. Sempre gran luce d° ingegno , sempre, qualche calo- re d’ affetto, ma sempre assai fumo d’orgoglio; ecco il ca- rattere degli scritti di Cicerone. Questa delle contradizio- ni moltissime che v’appaiono, sembra la conciliazione più retta, e forse la più onorevole all’animo suo, Quel vuoto d’ un cuore , nato all'amore, e d’ un ingegno nato alla ve, rità, bisognava ricompierlo a qualche modo: l’amicizia, la 175 patria, la famiglia , le ‘lettere, tutto ‘era. poco; il più vi- cino e più comodo empitore d’un vuoto così molesto. era quel vuoto istesso, col nome d’ amore di gloria. Togliamo l’orgoglio, e il carattere di Tullio non è più. INI. Chi leggesse quell’epistolario a fine di cogliere un grand’uomo in difetto o in contradizione , saria ben con- tento di sè ; chi, per ammirare le belle qualità d’un gran- d’uomo, saria ben cortese; chi per istudiarvi la storia di quella età., saria bene impacciato: tanto son vaghi i giu- dicii;, e varii e sempre sotto vedute passionate ed anguste. Chi lo leggesse all’ultimo per apprendere, come sappiamo che da molti fu fatto, a scriver bene una lettera, costui sarebbe uomo da non desiderarne molto la corrispondenza, almen finattanto che durano le sue, esercitazioni. A che dunque percorrere ‘quelle nove centinaia di lettere ? Per conoscere un zomo. Un uomo: con. le sue virtù e co’ suoi vizi, con la sua veracità, e con la sua doppiezza , co’suoi odii e con le sue amicizie, con le sue gioie e co’suoi do- lori, con le sue circostanze e co’suoi desiderii, con la sua anima e col suo stile, co’suoi sali e con le sue melensag- gini, co’suoi passati e co’suoi contemporanei, con ciò ch'egli ha di comune e .con.ciò ch’ha di singolar dagli altri uo- ni; un uomo insomma, Non dovrebbe esser poco. | Converria peraltro guardarsi da,prendere le rivelazioni dell’uomo alla, lettera, dal. credere che, quand’egli s'accusa o si.difende,o quando s’apreagli amici più stretti nell’ atto di quel che parrebbe il maggiore abbandono, egli dica precisa» riente quello che sente o quel ch’è..I sotterfugi dell’amor pro- pio sono e più varii e più ingegnosi, che lo stesso paziente (mi si permetta un vocabolo forse non isconvenevole al.caso) non se ne. possa, avvedere : molto più. se l’amor proprio abbia qualche o secreta o palese od antica 0 novella o continua alleanza con la volontà e ‘(con.gli affetti dominanti dell’uo- mo. Come nelle più sincere espansioni dell'animo, cosìne’più manifestiinfingimenti di quel variabilissimo elemento dell’u-, mano potere, c’è parte di vero e c'è: parte di falso: anche quando l'orgoglio contraddice.a sè stesso (0 se ne. avvegga egli, ono), pronuncia sempre un minuzzolo di verità: gio- 176 va il coglierla, ma è difficile assai. Tra i due più diver- genti sentimenti dell’uomo medesimo, havvi un medio, in cui consiste il secreto dell’abitual suo carattere; secreto igno- to e agli altri, e a lui stesso. Chi più s’avvicina a questo punto di mezzo con le sue scoperte, co’suoi studii, e so- prattutto con que’certi atti della volontà che son Vale del- l'intelletto , quegli vè il più saggio e però il più felice, è il meno ingiusto in giudicare degli uomini , il men losco in iscernere la vera dalla falsa grandezza; è anche il più umano fra i letterati, sommo de’pregi, appunto perchè così male inteso che sembra comune. Applicando al soggetto questa verità , deduciamo che tra i molti dati (a dir così) e tanto opposti che Cicerone ci porge del carattere suo, non è a prendere assolutamente per vero nè questo nè quello , ma un po’d’ambo gli estre- mi: non è a credergli per intero nè ciò ch’egli tace nè ciò che confessa, e rabbattere sempre qualcosa e nel bene e nel male. Questo che diciamo di Tultio e delle sue let- tere s'applica a tutti gli uomini, ai loro discorsi, e talo- ranche ai loro atti: se non fosse ciò, non ne avremmo parlato. IV. La difficoltà del recare codeste lettere in altra lin- gua sarà forse sentita più facilmente che quella d’inten- derle. Bisogna trasfondere in sè lo spirito d’un uomo che ha troppi difetti per essere indovinato , e troppi pregi per essere , a dir così, contenuto in un uomo moderno : bi- sogna cingersi di innumerabili circostanze , parte ignote del tutto’, parte , che è peggio , mal note ; bisogna far- lo parlare ad uomini che noi non conosciam quasi in nul- la, e co’ quali avea egli vincoli tali da rendere significa- tive tante di quelle parole che ne’ casi ordinarii non di- cono quasi nulla : bisogna intendere una lingua che non è facile tante volte nemmeno a spiegare ; bisogna distin= guere in essa il tuono umile dall’ eletto , il familiare dal consolare , il personale , se è lecito dire, dal pubbli- co ; bisogna insomma trasportarsi in un mondo a cui co- noscere non vi ha miglior mezzo che quella erudizione medesima , la qual serve così spesso a confondere le più semplici idee delle cose. Bisogna trascorrere uno stile con- ul. forme a tutte le condizioni accennate, cioè fondare un inuo- o problema difficilissimo sopra. tanti altri problemi quasi losclnbili; bisogna oltre allo stile scegliere un tuono che senta del romano, del console di Cicerone, ma che. non ne senta un po'troppo; bisogna render possibile quello! che il traduttore medesimo , quando comincia a sentire , trova ineffabile; bisogna tentare una lingua ch’esprima idee così fisse, spiccate, e a rilievo, com’è la lingua da cui sì tra- duce: bisogna rabbassare un po’la grandezza romana al ca- rattere italiano moderno, ma non senza tentar d’elevare il carattere moderno alla parte vera dell’antica grandezza: bi- sogna saper copiare i difetti; bisogna notomizzare, a dir così , un uomo vivo ; dar la, parola ad un morto: e tutto questo perchè? — La quistione è un po’dura; ma quando javrem detto esser meglio tradur!Cicerone, che far tante e tante di quelle cose che pure si fanno, ripiglieremo tran- quillamente il discorso. Il nome del padre Cesari pare che non abbia bisogno ormai nè di critiche nè di lodi: il suo zelo è giovato a ri- storare in Italia l’amore di quella lingua, che, comunque s’appelli, deesi però sempre nella massima parte appren- dere da’toscani: e questo merito è un fatto. Egli ha veduto i suoi libri spacciati con una rapidità singolare ; e questa specie di gloria indubitabile, è un fatto anch’essa; Dir che il suo stile non abbia difetti, sarebbe una critica:villana ed ingiusta: quali sien’ essi, anche troppi cel dissero, e con troppa acerbezza. Noi qui non:potremo che qualche osserva- ‘zione, affatto generale, ma forse'non inutile all’uopo. V. La lingua italiana da tutti si dice ricchissima: ma se mai per ricchezza si intendesse il potere esprimere con molte voci diverse una medesima idea , ciò sarebbe impac- cio assai più che ricchezza. Le idee in unasocietà; che proce- da nell’incivilimento, si vengono a.poco a poco suddividen- do, ch'è quanto a dire , rettificando; ampliando. Laddove l’occhio ignudo non vede che una via lattea, l’astronomo rico- nosce una quantità innumerata di stelle: laddove l’ uomo rozzo non iscorge che un punto , l’uom culto discerne mol- TC. XXIV. Novemb. e Dicemb. 12 178 tiplicità, varietà, discontinuità, opposizione. Questi gradì novelli della medesima idea, formano novelle scienze, mon- di novelli, novelli vocabolarii: quando ogni anello della lunga catena d’enti o di relazioni fisiche , intellettuali, mo= rali, ha il nome suo fermo, proprio ,-incomunicabile , la lingua è ricca. Ma che m'importa «ch'io possa esprimere un’idea in dieci modi , intantochè dieci altre idee mi man- cano di un nome lor proprio , ed è forza significarle con uno di que’dieci modi medesimi, che servivano ad espri- mer quell’una? Quando un popolo non siasi veramente im- bevuto della verità che pronuncia , quando la sua cultura ‘sia accattata , superficiale , costretta a poca gente divisa tra sè e dal resto del popolo per autorità , per affetti , per: interessi, per tutto; allora avviene questa ricchezza che noi italiani vantiamo (2). Ad esprimere le comuni idee della vita noi abbiamo dovizia di frasi tutte vestite di certa se- rena vivacità , ch’è inviolabile privilegio di questo cielo e di questo terreno: anche la lingua delle arti vecchie è ‘quasi fissata , in quanto la attingemmo in gran parte da un popolo che, dopo la civiltà rinnovata, fu il primo a fiorire nelle opere della mano : ma le arti moderne , e le scienze? A parlarne con proprietà, noi dobbiamo fare a ogni tratto quello che dicesi imbarbarire la lingua, cioè accat- tar ‘modi e voci da’ popoli convicini. Se questa è ricchezza, io non saprei dire che sia povertà. Ma persino nell’ enunciare le più comunali idee della vita, la lingua degl’italiani scritta è indeterminata , ep- però spesso impropria e impotente. Perchè finattanto che due idee sì potranno esprimere con due nomi promiscua- mente;s' avrà sempre un linguaggio pieno d’equivoci: non dico di parole equivoci , ma di cose. Presentatemi due idee con due nomi promiscui : io erederò d’avere trè idee ; le due de'due nomi, e la terza della promiscuità delle idee medesime espresse con nomi promiscui. L’idea terza sarà, (2) Non è un toscano che parla, come si scorge da quello che segue. N dell’Ed. 179 come ognun vede, un errore: l’errore scorrerà nella lin- gua , la renderà ognor più falsa , ognor più inabile alla trattazione efficace di quelle materie nelle quali un equi- ‘voco costa troppo. Non è lingua ricca se non se una lingua fissata: l’uo- mo del volgo che ha necessariamente fissata la sua, ha idee, nel suo cerchio, più chiare, che non la testa di moltis- simi letterati; la ricchezza del loro parlare è confusione e barbarie, perchè scambiare i segni alle cose, nell’ordine intellettuale, è lo stesso che scambiare le cose medesime: egli è perciò che i toscani avran sempre, volendo, un van- taggio, perchè la lor lingua scritta , se non è sempre tut- t'una con la parlata, è almen più prossima all’uso di quella: ora la. parlata deve da sè necessariamente fissarsi. L’uomo ha una filosofia che gli è innata, essenziale: ch'è, a dir così, l’uomo stesso: ed è un terribile allazo il dover con- fntara chi la disprezza. Non è quì luogo a fare nè l’apologia nè la critica dello scrivere d’aleuni moderni di questa o di quella provincia. Stabilire un principio utile, è il vero mezzo di censurare: e quando avrem detto che una proprietà disadorna val più che una eleganza affettata, ch’ è quanto a dir più che barba- ra, crederemo ‘aver detto abbastanza. A. conoscere le pro- prietà della lingua , è necessario, chi ‘1 nega? lo studio di quegli scrittori che noi chiamiam classici: ma raccoz- zare le frasi trovate negli scrittori eleganti non è lo stesso che scrivere con eleganza. Era pure elegante Montaigne: ma Rousseau che ne ha tolto lo spirito , come ne ha egli imitato lo stile? O è forse barbaro scrittore Bousseau ? VI. Questa digressione non tocca il P. Cesari, lo di- ciamo di buona fede , se non in quanto egli partecipa di quel difetto, di che molti, che paiono pure dell’ opposto sistema, verrebbono incolpare lui solo, e nonne vanno essi medesimi esenti. Se alla sua traduzione, per altro pre- gevole , manca talvolta la proprietà, o la brevità, od il decoro , è da incolparne forse la fretta del suo comporre, più ch’altro. Ascoltiamo : = 180 Metello a Cicerone.. JM» Se sei sano, stà bene (3). Io credea già che per:lo ‘no- stro amor (4) vicendevole (5), e per la riconciliazione no- .stra, tu mon dovessi così fare strazio: (6) di me lontano ; nè il fratel mio, Metello (7), per una sua parola (8) do- ver essere (9) nella vita e nelle fortune da te oppugna- to (10): e se la bontà di lui (11) poco poteva fargli scu- do (12), certo (13) la dignità della casa nostra (14) , e l’ope- ra mia per te (15) posta (16) e per la repubblica, dovea metterti in buon riguardo (17). Or eccoli inconvenuto, e me diserto da, cui meno si conveniva. Io dunque (18) tt I i PROSE (3) Se sei sano, stà bene: ognua sente l*equivoeo;che nella lingua; «moderna genera lo stà Bene a quel luogo. RI (4) Metello dice animo e non amore. Da tutta la lettera si comprende che amore non ci doveva entrar molto. (5) Tra vicendevole e mutuo è differenza ; egli scrittori, come il Cesari, la dovrieno insegnare. (6) Fare strazio d'un lontano è figura non propria. Oltrechè il laesumiri non è il fare strazio. (7) Dice: Metellum fratrem. La lingua mostra voleva' il miò ,' ma fratello doveasi posporre: a Metello per dare al costrutto, la, forza, e il senso! legittimo., (8) Il sua c' è di più. Questo aggiungere nella,traduzion delle Epistole f fa- miliari, parole non necessarie , guasta la familiarità , e dona suo stile il ttiono di un commento o di cosa più ‘noiosa ; sè é’è. (9) Prima abbiamo il che , e poi il dover essere: questi mutamenti. tal- volta son pur necessarii , ma spesso non fanuo che, contorcere il costrutto ,, e scemare chiarezza. ) (10) Oppugnare è qui strano? dagl’ italiani s’adopera in senso proprio di . guerra, (11) Dice pudor; che si tradurrebbe contegno, Si trattava bai d’altro che di bontà. ; (12) Fargli scudo ? Perche questa figura ? Perchè non' difendere ? | l (13) Il certo guasta la forza) di. ciò che segue. (14) Casa per famiglia è comune : ma poiendo senza offesa dell’ usu, mo- derno ritener le vestigia romane , lo si dovrebbe far sempre. La dignità, della nostra famiglia : sarebbe più nobile. (15) Non, opera ma studium , ch'è altra cosa. (16) Non te ma voi. (179) Sublevare non è mettere in buon riguardo. La frase è labguida e lunga. (18) Zo dunque ha tropp’aria d’ argomentazione : non è naturale. ‘Il Cesari scrivendo in suo nome non l’userebbe, 181 vivo in lutto e in tristezza (19); standomi al governo d’una provincia ed un esercito , e tuttavia (20) in guerre. Nel che essendo tu uscito dalla ragione (21), e dalla clemenza de’ nostri maggiori (22): non maraviglia (23) se te ne penti= rai (24). Io non mi aspettava di te un animo tanto volu- bile, verso di me e’ miei: tuttavia nè questo dolor di fa- miglia (25) nè ingiuria di chicchesia, non mi storrà (26) dalla repubblica: A Dio. (27). VII. Le note italiane son quasi tutte del Mongault, con alcune del Le-Clerc, tradotte dal sig. Virginio Son- cini, che poteva correggerci qualche errore, e nella prefa- zione ad un’ opera del P. Cesari poteva rispettare un pò più il P. Cesari, come nella prefazione a certa appendi- ce poteva un pò rispettare la Crusca : giacchè certi insulti di bocca a certuni non provano che una cosa : e il sig. Son- cini sa quale. Le note illustrano quasi pienamente la parte istorica, e basta. La revisione del testo e le note latine sono opera del- l’Ab. Bentivoglio, uomo di sano gusto, siccome dimostra la scelta delle varie lezioni, sebbene la sua prefazione la- tina (e il diciamo senza tema d’offenderlo) nol mostri del paro. Sopra alcuna lezione v’avrebbe che dire; ma questo è uno de’moltissimi casi ne’ quali il giornalista è costret- to affermare senza dar prova. La buona fede de’ giorna- listi non è presso a certi lettori mai salva abbastanza. A non parlar delle lodi, le quali, per verità, si perdo= nano più facilmente ; le critiche , o sono ignude asser- zioni senza prova, o sono dettate da passione, o da spi- rito di partito, o sono l’espressione del voto d’un solo uo- (19) Squalore non é tristezza: tanto più che tristezza è meno di lutto. (20) Il tuttavia non c’è nel testo: è superchio» disturba il numero» (21) Uscito dalla ragione ? (22) Perchè nostri ? (23) Micandum non erit , qui vale non paia strano. Chi sa di latino , sel vede. di (24) Ze ne pentirete , diceva Metello. (25) Dolor di famiglia è frase sciacquata. (27) Storre dalla republica , non par chiaro: (28) A. Dio. Specialmente diviso , non conviene a un pagano. 182 mo, laddove ’ autore si appella al giudicio del publico illuminato, la cui voce non è pegli autori mai chiara ab- bastanza se non quando è abbastanza benigna. Io non dirò che i giornalisti non abbiano fatto assai per provare come le grida degli autori sien giuste : ma converrebbe anche dire che i cattivi giornali non vengono se non che dopo una Innghissima serie di libri cattivi. Quel dell’ Ab. Bentivoglio non è certo tale : tranne assai pochi luoghi, la sua lezione è la retta : onde chi cerca una buona e bella edizione di Tullio , potrà ricorrere con fiducia allo Stella. Avremmo soltanto desiderato che le let- tere non fossero pedantescamente divise a paragrafi (perchè all’esattezza delle citazioni può ben provvedersi altrimen- ti); nè che ad ogni lettera fosse apposto un argomento , che spesso non è molto breve ; e che l’ ortografia fosse me- glio accurata nel punteggiare: che talvolta laddove il senso proseguita si fa punto, e dove termina, si va innanzi. Ma uesto è difetto leggieri, se non toglie chiarezza. VIII. [1 nobile amore posto dal Bentivoglio, dallo Stel- la, e dal Cesari, a render pregiabile la edizione d’un clas- sico, ci richiama a pensieri un po’serii sull’uso che di si- miglianti libri si fece in Italia da cinque secoli; e si farà, Dio sa quanto. La nostra educazione , fu già detto da tanti, comin- cia dalla lingua di Cicerone e d’Ovidio. Vissuti in un mon- slo non nostro , ne riportiamo quell’inerzia morale che na- sce dal contatto di oggetti che non possono esercitar tutto l’uomo; e ne riportiamo di più quell’ orgoglio che inspira ogni grandezza estrinseca a ciò che riguarda propriamente l umana natura. S'avrà dunque a torre di rano a’fanciulli ogni classico? E riservarne la lettura a una età più degna di così nobile e difficil diletto? Io non eredo. La letteratura è parte anch’essa di sto- ria : una s'illumina e si spiega con l’ altra ; quella in- chiude e giustifica i monumenti di questa: e gli errori mo- rali e politici sono così strettamente legati co’ letterari, che guardate da questo lato , le stesse bellezze talvolta potreb- bero diventare difetti; e per contrario. Or siccome sareb- 183 be errore il seguire la massima di Rousseau che riserba la storia ad una età più matura, perchè la giovinetta non può sentirne tutta l’utilità e l’ importanza ( quasi che quella età sia capace di sentir tutta l’utilità e l’importanza delle più semplici cose che fa); così appunto crederei che sareb. be errore l’indugiar troppo a’fanciulli la conoscenza di quelle forme di Bello, che, per la natura de’ tempi, non sarebbe concesso trovar altrove sì pure. Ma questa conoscenza dee essere poco più che istorica;l’imitazione non ha da entrarci per nulla ; perocchè i fiori antichi sono monumenti del- l’ umano iabohe degnissimi d’ emulazione , non già origi- nali abbisognanti di copia : e la età iene non avrà na- turalmente la stolta prurigine d’imitarli, purchè non la vi si curvi, a così dire, sopra, e non la si distragga da quelle cose che toccano vicinamente il suo cuore , che cingono» l’ esser suo come quell’ atmosfera fuor di cui non si può respirare. Per emulare la gloria degli antichi eroi, non s’in- dossa il manto, non s° arresta la lancia, non si rigetta il cannone. Considerata la letteratura , siccome viva parte di storia, dovrebbe naturalmente precederle la conoscenza esatta de’ popoli, de’quali essa è la gloria; de’fatti, de’luo- ghi, de’tempi che accenna: senza la qual conoscenza ogni ammirazione ha un pocolino del fatuo e del pedantesco. - Ma se i classici greci e latini non sonoi primi da porsi fra mano alla nostra gioventù , quali adunque saranno ? Donde cominciare l’ educazion letteraria? Come non sepa- rarla dalla morale, cioè dalla religiosa e politica? Come fare che l’idea di educazione politica non paia a tanti im- becilli associata all’idea di turbolenza e d’ orgoglio? Come provedere ai bisogni d’ una generazione che non si sente più in voglia di star sette anni, o dieci, a tradurre le vite di Cornelio, e le favolette di Fedro? Troppe dimande. Io parlava delle lettere di Cicerone tradotte dal Cesari, e non faceva un trattato d’ educazione. K. X. Y, 184 SOCIETA' TOSCANA DI GEOGRAFIA , STATISTICA E STORIA NATURALE PATRIA. ud Il mio desiderio sarebbe. stato di poter visitare a palmo a palmo , in più anni, tutta quanta la Toscana, ., pro» varmi dipoi a scriverne la Storia Naturale : ma troppo tardi ebbi la comodità di principiare \e mie ricerche, » + Mi giova adunque sperare , che ingegni più felici eso» guiranoo un disegno sì vasto, e sì utile per la mia Pa- tria, e lo eseguiranno con più dottrina, con maggiori aiuti, e con migliore fortuna, lasciando ‘a me, se non altro, la gloria d'avere scavati, ed acumassati alquanti materiali per una fabbrica importantissima ; la quale io non sareì stato abile ad alzare, Tarcioni. Viaggi in diverse parti della Toscana, Int. p. XXIII, Seduta inaugurale del dì 26 novembre 1826. Fare acquisto d’ utili cognizioni, propagarle , e far go: dere i suoi simili dei vantaggi che esse procurano , è lo scopo che ogni uomo di grande animo deve proporsi: riunirsi , fortificarsi mediante lo spirito d’associazione sono i mezzi per arrivarvi. Ma quanto più la sfera delle umane cognizioni si esten- de, tanto più si sente la necessità di non occuparsi in spe- cial modo che d’uno o due alla volta fra'i molti rami del sapere , e di dirigere li sforzi di più individui verso un og- getto stesso. Ecco l’origine delle società scientifiche e let- terarie , ecco quella d'ogni genere d’associazioni industriali e commerciali. Di tutte le scienze alle quali i dotti hanno assegnato un grado, non ve n'è alcuna più importante per gli uo- mini riuniti in società e retti da istituzioni, che quella nata modernamente sotto il nome di statistica; e la geografia e la storia naturale, antiche quanto la civilizzazione, ma ringiovanite ogni giorno per un gran numero di scoperte, La statistica soprattutto ci somministra gli elementi più certi per giudicare della forza e delle ricchezze, dei mezzi e delle speranze di tutte le società umane ; e per conse 185 guenza essa sola ci mette in grado d’ inoltrarci con passo. sicuro nello studio dell’ economia politica , sola base certa delle migliori disposizioni legislative. Le scienze economiche sono state da lungo tempo col- tivate con successo in Italia, e particolarmente in Tosca- na : ed il mondo intero è debitore a LroroLno I. d’avere avanti ogni altro fatta l’ applicazione dei principii fecondi della libertà industriale, agricola, e commerciale, secondato efficacemente dalla Società veramente patriottica dei Geor- gofili. Il florido aspetto della nostra bella patria n’è la prova più luminosa. Ma cosa mai non avrebbe fatto Leopoldo, cosa non avrebbe fatto a quell’epoca gloriosa l'Accademia dei Georgofili, se e quegli e questa fossero stati secondati da quella istruzione più positiva, e da quel felice. spirito d’investigazione e d’associazione, che al giorno d’ oggi agi- scono così potentemente sopra tanti punti del mondo ci- vilizzato? In Italia , bisogna convenirne , le scienze naturali e geografiche non sono state fin qui coltivate che dai dotti; esse non vi sono ancora di diritto comune , nè vi fanno parte, come altrove, d’un accurata educazione. Per questo lato noi siamo rimasti indietro. Quanto alla statistica, non la cono- sciamo quasi che di nome , benchè si contino fra gl’ ita- liani due maestri in questa materia (Gioia e Balbi), e ben- chè per il corso di non pochi anni i bisogni amministra- tivi d’un armata conquistatrice ci abbiano costretti a rac- cogliere gli elementi di quei prospetti o quadri, che s’in- viavano ai ministri del grande impero. Grazie siano rese allo spirito del secolo , che comincia a penetrare fra noi con fausti auspicii; per esso abbiamo sentito il bisogno di dare ai nostri studii ed alle nostre idee questa nuova ed utile direzione, e da questo bisogno è nato il progetto d’ una Società di geografia , di statistica e di storia naturale, che si è annunziata al pubblico mediante la sua radunanza del 26 novembre. Noi stimiamo far cosa grata ai nostri lettori entrando a questo proposito in qual- che particolarità. Già verso la fine dell’ anno 1824 alcuni amici della 186 scienza e dell’umanità (1), animati da un medesimo spirì- to; si erano riuniti per comunicarsi le loro idee, e per con- certare una petizione ed il progetto del regolamento per i lavori d’ una simile società, da sottoporsi a S. A. I. e R. il Granduca. Questo progetto presentato all’A. S. (2) non tardò ad essere approvato (3), e fino dal 16 maggio 1825 un Rescritto sovrano lo sanzionò, e ne autorizzò J’ esecuzione. Fu inol- tre concesso un locale nel palazzo Riccardi per la residenza e per i lavori della società, ed una certa somma per mo- biliarlo. I restauri che esigeva il locale , la morte d’ ano dei fondatori della società (il geografo Pagnozzi) la lunga ma- lattia d’uno de’ più cari frai nostri colleghi, ed altre cir- costanze impreviste , che ne aveva cognizione. e però indipendenti dalla volontà dei fondatori , ritardarono per molto tempo le sedute prepara- torie per l’organizzazione definitiva della società , Final- mente la sua installazione ha avuto luogo, con grande so- disfazione dei suoi membri, e di quella parte del pubblico Siano rese grazie al degno nipote di LeoPoLpo, a cui siamo debitori d’ aver potuto riunirci ed organizzarci. Ci è grato ricordare la benevolenza con cui il progetto fu accolto da S. A. L e R., la munificenza che fè dono del locale e dei mobili necessarii, e soprattutto l’interesse il- (1) I fondatori della società furono i seguenti : Sigg. Cav. V. Antinori. Conte Girolamo de’ Bardi. Dott. Pietro Betti. March. Gino Capponi. Dott. Gaetano Cioni. Avv. Leopoldo Fabbroni. Cav. Giuliano Frullani. Prof. Giuseppe Gazzeri. Prof. Padre Inghirami. Prof. Guglielmo Libri. (2) Da’ sigg. Cav. V. Autinori, Conte Girolamo de’ Bardi, Gazzeri. + (3) Vedi il regolamento quì appresso, Prof. Filippo Nesti. G. P. Pagnozzi. Sa Dott. Carlo Passeripi. March. Cosimo Ridolfi. Prof. Gioacchino Taldei. Prof. Autonio Targioni Tozzetti. Prof. Ottaviano Targioni Tozzetti. Dott. F. Tartini Salvatici. G. P. Vieussenx. Dott. Attilio Zuccagni Orlandini. Prof. Gius. 187 laminato che in ogni occasione l’A. S. ha mostrato di pren» dere ai futuri successi della società. Uno fra i primi bisogni dei fondatori nelle loro riu- nioni preparatorie fu di associarsi alquanti uomini di me- rito i quali, o perchè abitano la provincia, o perchè erano assenti dalla capitale, non avevano potuto prender parte a quanto era già stato fatto. Essi vedono sul diploma che è stato trasmesso loro il ritratto dei due uomini che in Toscana si sono più illu- strati per lo studio delle scienze naturali (Micheli e Tar- gioni ). Era comune nostra intenzione rendere un giusto omaggio alla memoria di questi nomini distinti ; nè pote- vamo farlo più degnamente che riproducendo la loro effi- gie sui nostri diplomi , e riportando le ultime parole del Targioni, le quali esprimono quel voto d’un uomo stima- bile che è nostra brama ed intenzione di render compiuto (4). Nel formare questa società, non ce ne mancavano gli esempi in Inghilterra, in Francia, in Germania, in Sviz= zera; e mentre maturavamo il nostro progetto, la città di Catania in Sicilia vedeva sorgere la Gioeria delle scienze naturali, che già in piena attività ha prodotto dei lavori degni d’elogi. Ma fu più particolare intenzione nostra prendere a modello la Società elvetica delle scienze natura- lî, che da alcuni anni ha acquistato tanti diritti all’ inte- resse dei filantropi e dei dotti di tutti i paesi. Tuttavia pen- sammo che limitando i nostri lavori e le nostre ricerche alla sola Toscana, dalla Magra fino al Tevere, dal monte Ci- mone fino al monte Argentaro, ed all’ isola dell'Elba, i loro risultamenti sarebbero tanto più sicuri, e conseguen- temente più utili, lasciando le altre provincie italiane se- guire il nostro esempio , ciascuna in ciò che la riguardi, Ma considerammo nel tempo stesso che restando rin- chiusi nelle mura di Firenze non potremmo imparare a ben conoscere la Toscana e le sue produzioni, nè ispirare ai nostri compatriotti del gusto per le scienze naturali e per le ricerche statistiche : che al contrario ci sarebbe neces- (4) Vedi l’ epigrafe del presente articolo. 188 sario percorrerne successivamente i diversi distretti, alter nando per le nostre riunioni solenni tra Firenze, Livorno, Pisa, Siena, Volterra, Pistoia, Arezzo, Grosseto, Orbe- tello; ec. ed altre città ancora, che particolari circostan- ze, possono rendere interessanti ; ed è questo il più im- portante punto di contatto che abbia la nostra colla società elvetica (5). S. A. I e R. lasciandoci questa facoltà ci ha dato la più certa prova delle sue viste eminentemente filosofiche, e delle sue intenzioni paterne. Noi sapremo giustificare la sria confidenza. Niuna delle nostre sedute preparatorie poteva esser pub- blica , nè potremo; secondo i nostri statuti, riaprire le no- stre porte al pubblico, i di cui suffragi sono lusinghieri per noi, se non l’anno prossimo allorchè avremo alcuni risulta- menti da offrirgli (6). Questa seconda seduta pubblica, che sarà la prima solenne, avrà luogo, com’ è naturale, in Fi- renze, ed allora avremo, senza dubbio, la sodisfazione di vederviintervenire molti dei nostri colleghi e corrispondenti che abitano le provincie ; ma egli è da desiderare che a quel- l’epoca possiamo determinare in quale fra le città di pro- vincia l’assemblea sarà convocata nell’anno seguente. Que- sta osservazione non sarà trovata superflua ove si voglia riflettere quanto è necessario rammentar fino dal principio a noi stessi ed a quel pubblico, tante frazioni del quale saranno invitate a prerder parte ai nostri lavori, la natura ed il vero scopo della nostra società, che non può prospe- rare ed ottenere il suo intento, se non per mezzo della più grande pubblicità. Noi abbiamo in mira di potere dentro alcuni anni riunire tutti gli elementi d’ una buona deseri- zione geografica, statistica , e fisica della Toscana, di for- (5) Vedi per la Società Elvetica Ant. Vol. I, p. 54. XII G p. 41. XXIII B p. 168. XX B p. 157. (6) L’ Anno accademico avrà sempre principio la terza domenica del mese di novembre e terminerà coll’ agosto. Le sedute miensuali private avranno luogo regolarmente la terza domenica d’ ogni mese. In settembre, poi , suc- cederà la seduta pubblica e solenne, sia che debba tenersi in Firenze, sia che venga convocata in altra città della Toscana, 189 mare un imuseò speciale dei suoi prodotti naturali, e di ‘propagare in tutte le classi il gusto di quelle scienze che possono più solidamente contribuire al loro ben essere. Noi dobbiamo far conoscere questo scopo con tuttii mezzi pos- sibili, medianti i nostri corrispondenti attuali; e forman- done dei nuovi su tutti i punti della Toscana. Li preghe- remo istantemente di secondarci., «i comunicarci il frutto delle loro ricerche, delle loro osservazioni, dei loro viaggi, e perfino delle loro. passeggiate ; perchè il naturalista, spe- cialmente in Toscana, ha molto da vedere e da imparare anche in ùn estensione limitatà;; Altronde, dal non doversi, la società riunire in, seduta «pubblica e solenne se noniuna volta.l’anno sopra.un, punto qualunque della Toscana, non bisogna; concludere che non possano esservi fraisuoi membri; anche i più lontani, fre- quenti comunicazioni , sia medianti le loro corse. a.Firen- ze, ove la società terrà regolarmente le sue sedute. men- suali, ed ove in ogni tempo potranno stabilirsi, le comu- nicazioni più amichevoli fra essi ed i segretari della, s0- cietà ,ed.i capi delle sezioni ; sia per mezzo d'una icorri- sspondenza attiva. Queste corse, che anche i inembri fioren- tini. isarannoi;dal ‘canto loro chiamati frequentemente a fare nelle provincie, sonuministreranno sempre le occasioni agli uni:ed'agli altri di moltiplicare le osservazioni ed i rapporti «nell’interesse della scienza. Ed allora fedeli agl’; impegni che ‘abbiamo contratti fondando la società,, non .traverse- remo mai un angolo della Toscana senza informarei degli omini e delle cose, e specialmente se ivi esistano di quelli esseri modesti. e. quasi. ignoti, ma istruiti e zelanti per il ben pubblico , che meriterebbero d’ essere eccitati , inco- raggiti, attratti nel nostro seno. Qualche persona, che fin quì non ha avuto occasione di farsi conoscere, s’ infiammerà d'una nobile emulazione sapendo l’ esistenza della nostra società, e si occuperà con ardore a meritare di appartenerle. Se tali risultamenti possono provenire dalle, semplici comunicazioni ‘individuali , che non dovremo noi sperare dai felici effetti che, deve produrre un assemblea solenne tenuta fuori. di Firenze, e nella quale il professore, lo studente, 190 ed il proprietario fiorentino anderanno ad assidersi al fianco del degno magistrato, dell’ onorevole proprietario, del ri- spettabile curato , dei semplici ma stimabili coltivatori delle provincie , i quali per le loro cure, per il loro zelo, per la loro sollecitudine abbiano contribuito ad arricchire i no- stri archivii ed il nostro museo colle loro memorie e col- l’ invio di produzioni naturali! Abbiamo in vista che per lungo tempo i mezzi debbono essere nostro scopo egualmente che il fine medesimo; perchè , non bisogna dissimularcelo, i nostri principii sono deboli, noi siamo in piccol numero, ed abbiamo bisogno di rinforzatci con quanto la Toscana racchiude d’uomini istruiti o capaci di divenir tali. Mi sem- bra impossibile che in mezzo ad una natura così variata, così ricca , così pittoresca alcuno possa restare più lunga- mente spettatore indifferente ed inattivo. Possano i nostri voti essere esauditi: non solo le scienze naturali, ma le scienze morali, ed in una parola l’intera civilizzazione, non potranno che profittare immensamente d’una simil direzio- ne data fra noi allo spirito d’associazione. Del resto se alcuna cosa era capace d’ispirarci un nuovo ardore, e di dare al pubblico la più vantaggiosa idea dello spirito che anima quelli fra i suoi membri ai qualida so- cietà ha confidato la sua rappresentanza , lo fa il discorso eloquente e sensato , con cui il sig. cav. Frullani segreta- rio degli atti occupò l’intera seduta del 26 del passato no- vembre ; col qual discorso avremmo ben volentieri finito quest’ articolo , se esso non fosse destinato a venire in luce nel primo volume d’atti che la società sarà per pubblicare. G. P. V. uno dei fondatori della società. Regolamento per la SociETA' ToscANA di Geografia, Statistica e Storia naturale patria. I. La società ha per oggetto lo studio della geografia fisico sta- tistica e della storia naturale patria , e la formazione di una biblio - teca corrispondente e di un museo di prodotti naturali della Toscana. Il. Essa si compone di soci ordinari e di corrispondenti. III. La società avrà un presidente, due segretari, uno degli atti, 19I uno delle corrispondenze; e successivamente, secondo l’ opportunità, un bibliotecario, un tesoriere ed un conservatore del museo. IV. Il presidente per le adunanze ordinarie sarà estratto a sorte volta per volta dal numero dei soci ordinari presenti al principio della seduta. i V. Sarà confidata al presidente la direzione disciplinare della società, durante la seduta, VI. Qualora le discussioni della società sopra lo stesso argo- mento vengano protratte per due o più sedute consecutive, il presi- dente eletto nella prima dovrà presiedere nelle successive: e ciò fino a tanto che non siano quelle discussioni esaurite. VII Il segretario degli atti e quello pure delle corrispondenze saranno eletti annualmente (1); non potendo esser confermati se non dopo l’ intervallo di un anno dall’ epoca della loro remozione. VIII. Il bibliotecario, il conservatore del museo ed il tesorie- re (2) saranno ogni tre anni rinnuovati ; non potendo veruno di essi restar confermato, se non spirato un biennio dopo compito l’ eserci- zio delle loro incumbenze. IX. Per l’ elezione dei soci ordinari e corrispondenti sarà prece- duto per la via di squittinio ; e dovran concorrere favorevoli, per 1’ ammissione dei soci ordinari, oltre ai due terzi dei voti; mentre perl’ ammissione dei corrispondenti sarà sufficiente la maggiorità as- soluta dei voti favorevoli, X. Le elezioni dei soci ordinari saran comunicate dal segretario degli atti; quelle dei corrispondenti si parteciperanno dal segretario delle corrispondenze con lettera in stampa, nella quale sarà riferita la data della deliberazione accademica in cui l’ elezione ebbe luogo. XI. Saran proclamati soci ordinari tutti gli autori di memorie giudicate ad unaninità meritevoli della stampa dalle commissioni de- stinate ad esaminarle. XII. I corrispondenti sono scelti fra le persone studiose, le quali si occupano più particolarmente delle scienze suddette. Potranno aspirare a divenirlo tutti quelli che mapifesteranno zelo e abilità nel raccogliere campioni di prodotti naturali e ne faranno dono alla so0- cietà. XIII. I soci ordinari non meno che i corrispondenti possono in- tervenire alle sessioni, ima i primi soli hanno il diritto di deliberare. XIV. La società si divide in due classi principali; 1.2 di Geo- (1) Presentemente sono — Segretario degli atti, il Sig. Cav. Giuliano Frul- lani. — Segretario della corrispondenza, Sig. Cav. V. Antinori. (2) L' attua] tesoriere è il Sig. Avv. Pelli Fabbroni. 192 grafia e Statistica Patria ; 2.a di Storia Naturale Patria. La me- desima persona può appartenere alle due classi. ‘XV. Sarà poi affidata l’illustrazione di ciascun ramo particolare delle due scienze a uno o più individui della società ; per il che le due classi principali di essa rimarranno suddivise in sezioni (3), cia- scuna delle quali dovrà costantemente occuparsi del genere " ricer- che assegnatole in principio. XVI. La società intende pubblicare con sollecitudine, nel modo che stimerà più conveniente, in intero o per estratto, i processi ver- bali delle sue sedate ; e quegli scritti che giudicherà. meritevoli di siffatta ‘distinzione, come più atti a far progredire lo studio della geografia o della storia naturale della ‘Toscana. XVII. Ogni scritto; del quale sia fatta lettura in una seduta della società, dovrà sottoporsi all’ esame di una cominissione specia- le, da nominarsi volta per volta dal presidente. Questa indicherà poi se quello scritto sia meritevole o no dell’ onore della stampa , e se debba essere pubblicato per intiero o per estratto. In ambidue i casi, alla pubblicazione dello scritto giudicato favorevolmente andrà unita quella del voto della commissione. XVIII. Previa la proposizione del segretario degli atti, il presi- dente nominerà le commissioni di cui sopra, destinate all’ esame di memorie 0 lette o presentate. Nè verun socio chiamato a formar parte di tali commissioni potrà ricusarne l’ incarico, tosto che la memoria o letta o presentata versi sopra argomento spettante al titolo della | sezione cui trovisi ascritto il socio commissionato, in ordine al dispo- sto dell’ articolo 15. XIX. Nell'ultima sedata di ogni trimestre, il segretario delle corrispondenze produrrà la nota delle commissioni elette nell’ inter - vallo trimestrale anteriore al mese ultimo del trimestre corrente, ma- nifestando nell’ occasione stessa quali siano tra le citate commissioni che. dll’ incarico lor confidato abbian reso conto, e quali ne riman- gano debitrici tattora. Il segretario delle corrispondenze richiederà queste ultime, ed immediatamente dopo da seduta, della cagione di tale ‘indugio; e nella seduta susseguente farà partecipe la società delle risposte giustificative. XX. Coloro che, inviando alla società un loro scritto, volessero rimanere occulti; dovranno apporvi un’epigrafe, la quale dovrà es- ser ripetuta sopra un biglietto sigillato, e che contenga il nome del- l’autore. Ove la società approvi lo scritto, il biglietto sarà aperto, e (3) Sezioni di Geografia , Statistica, Geologia, Bottanica , Mineralogia , Geologia. 193 il nome pubblicato. In caso contrario lo scritto ed il biglietto non aperto saranno restituiti a chi gli trasmise. . XXI. La società, oltre le sedute ordinarie e private, alle quali sa- ranno invitati tutti i membri ordinari e corrispondenti che si trove- ranno in Firenze, terrà ogni anno una seduta solenne e pubblica, alla quale saranno invitati anche i domiciliati nel resto della Toscana. In quest’adunanza i segretari daranno un ragguaglio dei lavori fatti . dalla società nel decorso dell’anno. XXII. Il presidente per l’ adunanza solenne sarà eletto per la via di squittinio nell’adunanza ordinaria precedente. XXIII. L’ adunanza solenne potrà esser continuata per più gior- ni, allorchè l’ abbondanza delle materie lo esiga. XXIV. Siccome una società, che si proponga di studiare la geo- grafia e la storia naturale patria, non può ottener bene il suo intento se non visitando tutto lo stato, e osservando sul luogo i vari prodotti che formano l’ oggetto delle sue ricerche, la società potrà trasferire Je sue sedute pubbliche in altra città di Toscana, ogni volta che ciò possa conferire ai suoi studi, e con l’ intendimento di dare ai soci fio- rentini opportunità di fare osservazioni in tutte le parti della Tosca- na , e agli altri più comodo di annunziare i loro lavori in adunanza solenne. Le pubbliche autorità saranno sempre invitate ad assistervi, ve ad esse sarà fatta la domanda di un locale conveniente per le se- dute medesime. Dalla residenza della Società di geografia, statistica e storia naturale patria, li 30. marzo 1826. Il Segretario degli atti G. FRULLANI. Il Segretario delle corrispondenze V. ANTINORI. T. XXV. Movensb. e Dicemb, 13 194 : t* CENNI SULLA MAREMMA SENESE *). Nelle dottrine operative l’ errore non solamente , ma soverchia generalità riesce disastrosa, sia perchè non si provvede dove, e quando,e come fà bisogno, sia perchè usando di fatto delle generalità si trattano gli interessi umani sul letto di Procu- ste, vale a dire si commettono violenze sistematiche distrut- tive di ogni utile potenza: un grosso buon senso allora vale meglio delle viste dei filosofi , e l’ empirismo è preferibile alla teoria. Romacnosi , dell’ ordinazione della cosa pubblica. Lettera al professore Vaueri, Antologia N.° 68. Up abitante le rive dell’ Arno fece -pubblicare nel fascicolo 52 dell’ Antologia una lettera in difesa del ch. Cavaliere Giovanni Fa- (*) L’articolo anonimo , che qui publichiamo , racchiude una proposizione arrischiata , che abbiamo creduto di dover distinguere con carattere corsivo, € contro la quale noi protestiamo. Esso contiene pure alcune espressioni meno che benevoli per il nustro giornale, ed è naturalissimo che dichiariamo di non es- serne punto soddisfatti. Già questi articoli anonimi , in argomenti di nazio» nale interesse, ci piacciono per sè medesimi assai poco. Essi ispirano la dif- fidenza, quand’importerebbe sommamente che ispirassero la maggior fiducia possibile. Se i loro autori, dice il lettore, hanno veramente per iscopo il ben pubblico, se scrivono dopo mataro esame e con sincera coscienza, perchè te- mono di mominarsi ? Quindi, sebbene l’ articolo di cui si tratta ci venga da mano rispettabile , e contenga più cose assai buone, dubitammo se ci convenisse d’ammetterlo nell’ Antologia , ove l’ autore non si risolvesse a sotto- scriverlo. Che se lo ammettiamo si è per cogliere l’occasiune di far sentire all’anonimo , ed a chiunque s'imagina com’ egli che l'accademia de’ Georgo- fili eserciti un’ autorità qualunque sul redattore dell’ Antologia medesima , che s' iogannano grandemente. Certo il redattore accetta volentieri i consigli de’ suoi colloboratori membri di quell’ accademia, de’ quali ha continuo bisogno. Ma, ed essi sono troppo saggi per dare consigli che tendano menomamente a scemare la lì- bertà delle altrui opinioni, e il redattore rispetta troppo sè stesso per poter «are la sua confidenza a persone che cercassero di rivolgere a mire private un giornale consecrato al bene generale. Qualunque sia la nostra particolare opinione sulle questioni d’ economia publica, le quali sono oggi sì vive in Toscana , brameremo sempre che si trattino colla maggior possibile indipen- denza , ed accoglierem con piacere nel nostro giornale tutti gli articoli favore- voli, o contrari alla nostra opinione medesima, che ci sembreranno degni della pubblica attenzione. Ma, lo ripetiamo, articoli anonimi non più; massime in argomenti , in cuì la condizione dell’ autore, cioè a. dire la sue qualità di dotto, di maanifattore , di proprietario ne può essere di tanto peso. Nota del Direttore. 199 broni, per l’accusa datagli dal sig. avvocato Mugnai di non avere nell’ opera dei provvedimenti annonarj fatta menzione del Bandini, scrittore esso pure di cose economiche. Altro scritto, non si sà se dello stesso autore , sul medesimo ar- gomento, leggesi nel fascicolo 62. 'Tanto zelo ostentato per cosa di sì poca importanza fa credere, che provenga dal desiderio di persua- dere , che quei due. celebri economisti opinassero , dalla libertà del commercio cereale derivare ne dovesse la prosperità della Maremma senese, come dai vincoli il suo più deplorabile stato. Abitaate io le rive dell’Ombrone, e possidente in quella infelice provincia, non restai pago di quelle sentenze troncamente riportate, e i libri lessi dai quali erano estratte. Mi accertai essere stato in vero il Fabroni di opinione favorevole alla libertà del commercio fromen- tario, ma perchè nelle circostanze in cui trovavasi allora l’ Earopa credeva dovesse resultarne per la Toscana uno attivissimo di espor- tazione, da produrvi la maggiore possibile prosperità di agricoltura, che egli appellò la base della ricchezza, e felicità nazionale: nè pensò egli mai, che questi effetti potessero ottenersi da una soverchiante importazione di grano estero: che anzi diceva egli ‘‘ se il coltivatore » è costretto a cedere a basso prezzo il proprio grano. ....e viene 3; sottoposto poi ad una svantaggiosa lotta con i grani forestieri, ab- » bandonerà l’ agricoltura del grano . . ...la sussistenza della po- »» polazione diventerà precaria. ....e lo stato sarà ridotto senza » viveri, e senza danaro. ,, E parlando della Maremma : “ non è che s; per opera della vendita del grano all’ estero, se la Maremma to- 3 scana puo vedere entrare annualmente nel suo seno, anco nel suo »» degradamento attuale, non meno di due millioni di lire per il solo »» grano. ( Dei provvedimenti annonari, a pag. 51. 53. 54. edizione di Firenze 1804). I vincoli, contro i quali tanto inveiva il Bandini, erano quelli , che impedivano più o meno le esportazioni col sistema delle tratte. « Senza la libera vendita all’ estero , scriveva egli, la cultura del »; grano in Maremma non può sussistere, perchè altrimenti non »» si può ottenere un prezzo equilibrato con le gravi spese che vi si » richiedono per la mancanza di coltivatori indigeni; che la perdita ;; del grano si trae dietro la rovina di quella intera provincia, come- » chè le altre poche rendite nello stato di insalubrità dell’aria vi », siano dependenti da quel principale prodotto.,, E parlando dei mezzi atti a facilitare le vendite onde ottenerne prezzi proporzio- nati alle spese di cultura, conclude:‘‘ non vedo altro modo, che il », restituire l’antieo vigore alle rigorose proibizioni che l’uso del , grano forestiero escludevano onninamente, non permettendo, che 196 , il puro traffico nel porto di Livorno: altrimenti è più che evidente che questo vantaggio, che trovasi nella compra dei grani navigati, facendo che noi abbandoniamo le semente, ci metterà in necessità di comprarne quantità sempre maggiore, e spogliandoci a poco a poco di denaro ci renderà impossibile di provedercene anche a prezzi vilissimi, non che a quelli rigorosi, che sperimentiamo es- sere qualche volta di ritorno , e ci costringerà dopo avere deva- ;» state le campagne, e perduto il denaro, a perdere ancora la vita.,, (Discorso economico sula Maremma, dell’ Arcidiacono Sallustio Bandini, Firenze, per Gaetano Cambiagi 1775). Così, e non altrimenti, pensarono e scrissero queidue sommi eco- nomisti. Non pretendo io già ad esempio del difensore del Fabroni imporre con la loro autorità, né giuro su la parola di quei maestri ; ma ammettendo la massima della libertà del commercio fromentario, ed elevandola ancora al rango delle leggiinalterabili di natura , con escluderne ogni eccezione e modificazione, non credo che la gabella sul grano forestiero fosse per essere un ostacolo o vincolo a questa pienissima libertà di commercio : giacchè non impedirebbe la libera concorrenza, nella quale consiste tutta la libertà. Diceva su questo proposito Pietro Verri: non sono vincoli ed » Ostacoli i tributi, poichè tosto una merce è esposta alla concor- » renza di tutti i venditori possibili con tutti i possibili compratori, »» è merce di libera contrattazione e commercio,,. Altrimenti pensando converrebbe credere, che eccettuato quello del grano, niun libero commercio fosse permesso in Toscana, mentre tutte le altre merci , e manifatture forestiere e nazionali sono più o meno gravate di gabella. L’ effetto di questa sci grani esteri sarebbe di aumentarne il prezzo, ed ancora tanto, che nella sempre pur libera concorrenza non potessero mai soverchiare il nazionale, Protetta ed incoraggita così la nostra agricoltura, cesserebbe o si renderebbe minore in Toscana un commercio passivo di tal genere. Se altri e funestissimi effetti si temono da alcuni scrittori di eco- nomia pubblica, è perchè confondono la franchigia con la libertà commerciale, e suppongono fra le nazioni una uniformità di regola- menti fromentari, una eguaglianza di relazioni, una proporzione di prodotti, un equilibrio di cambi e di prezzi, che in fatto non mai si combinano (1). (1) La gazzetta fiorentina n.? 60, 61, e 62 del corrente anno narra es- sere in Inghilterra talmente rincarato il prezzo del grano per effetto della proibitavi importazione , che essendosi sperimentato eccessivo , il governo ha dovuto permettere per una determinata quantità l’ introduzione del grano estero. 197 Si crede pure, che in una _merce voluminosa e pesante come il grano, basti la distanza onde impedire ai fromenti forestieri una van- taggiosa lotta su i nazionali. Ma dopochè la cultura dei cereali è stata tanto estesa in quelle immense regioni situate fra il Danubio ed il Volga, per la fertilità incredibile di quelle nuove terre, per l’ enorme sproporzione fra i prodotti e l’ interno consumo, i grani della Russia, se franchi, possono nei mercati di Europa abbassarsi a prezzi sempre vittoriosamente minori. I nostri hanno ancora su quelli il vantaggio della migliore qualità; ma se l’arte agraria fa in quei luoghi sì ra- pidi progressi, non è da sperare che lo conservino lungo tempo. Così le importazioni possono essere spinte all’ ultimo eccesso, e per la con- seguente diminuzione della nostra cultura cereale, prepararci una carestia per quando guerra marittima o altri imprevedati accidenti sopravvengano ad impedirle. Se altre produzioni potessero mai compensare la perdita, che la nostra agricoltara fa del grano, e dare ai proprietari dei terreni un utile proporzionato ai gravami che su questi posano; se la Toscana giungesse a formare un commercio di permute, e così se non attivo, almeno equilibrato con le nazioni che vi mandano il loro grano, in- vece di quello, che ora fa a denaro e tutto passivo ; se tutti i governi d’ Europa adottassero il sistema di libertà e franchigia fromentaria, e gli stati limitrofi permettessero ancora ad esempio di noi l’ intro- duzione libera e franca dei nostri bestiami; e così parificandosi le relazioni commerciali cessassero tanti nostri svantaggi, la straniera abbondanza, sebbene incerta, si spanderebbe fra noi benefica, Ma il grano è il genere di prima necessità, il prodotto principale della To- scana, ed il più adattato al di lei clima e suolo, nè sarà mai da qual siasi altro bastevolmente supplito. Nostra sventura frattanto è che alcuni signori accademici Geor- gofili con tanto ingegno, facondia ‘e calore abbiano particolarizzata al grano la massima antidoganale (la quale non ha la sua ragione se non che applicata a tutte le merci, e adottata da tutti i popoli ) in- vece di rilevare l’ ingiustizia, e l’inconvenienti di tale eccezione : e non potendo pure dissimularli, siansi tratti d’impaccio, prover- biando, non essere per quelli soluto l’ argomento, e sentenziando es- sere giusto compenso a favore del fabbricante, dell’ artefice, dell’ im- Questo esempio basta a dimostrare quanto siano in pratica erronee alcune mas- sime generali astratte , e la chimera del livello generale dei prezzi, impe- dito sempre dai diversi regolamenti e dai sistemi doganali che sono in vigore negli stati d'Europa. 198 piegato la trista sorte dei possidenti : come se la loro rovina, e il de- perimento dell'agricoltura possano produrre la fortuna delle altre classi di persone, e così una prosperità nazionale , la quale sempre male si giudica dalle capitali, essendo gli stati tatti più o meno idro- cefali. Aborriva il Say ogni vincolo e dazio al commercio ; imparziale non pertanto e giusto, scriveva: “On ne peut se dissimuler cependant ;; qu'il y ait des inconvéuients graves à ruiner dans un pays (mme ,»» dans celui où les approvisionnemens du commerce sont faciles) la ,; culture des céréales: la nourriture est le premier besoin des peu- ;» ples, et il n’ y est pas prudent de se mettre dans la nécessité de la. ;, tirer de trop loin: les lois qui prohibent |’ entrée des blés pour ,; protéger les intéréts du fermier aux dépens des manufacturiers ,» sont des lois fàcheuses , j'en conviens; mais des emprunts, une di- »» plomatie, une cour, et des armées ruineuses , sont des circonstan- ,; ces fàcheuses aussi, et qui pèsent sur le cultivateur plus que sur ,; le manufactarier : il faut bien rétablir par an abus l° équilibre naturel rompa par d’ autres abus ,,. Questo equilibrio è pure rotto se la franchigia fromentaria non sia adottata da tutti i governi d’ Europa; e la piena cereale, dal Bo- ristene e dal Nilo , deve traboccare in quello stato che solo si trovi a permetterla : e quando sia vero , che in niana parte d’ Europa si trovi grano in troppo eccessiva abbondanza, come si assicara in un articolo di economia pubblica inserito nell’Antologia N. 69. {lo che è contrario a quanto tanti scrittori di cose economiche, e tutti i gior- nali e gazzette da dieci e più anni ci dicono, ed i fatti ci fanno cre- dere delle provincie meridionali della Russia, ) tanto pur non ostante ve ne sarà importato, da cagionarvi quell’ abbondanza dannosa ai coltivatori, e prepararvi con la decadenza dell’agrico!tura le cala - mità di una carestia, che nel citato articolo si minacciano quando non si tolgano tutti (e dovevasi aggiungere da tutti ) gli ostacoli che si oppongono alla libertà del commercio. Ma i nostri economisti avendo la mente tutta rivolta a teoreti- che dottrine, hanno trascurato di bene considerarne gli effetti in re- lazione con le circostanze, e lo stato attuale delle cose. Lodevole non pertanto è il loro zelo per il pubblico bene ; ma in un soggetto che vi ha tanta relazione, se altri espongono sentimenti ai loro con- trari non sono meno di essi utili e benemeriti, perchè nella diversità e nel liberoj conflitto delle opinioni si scopre o resta più chiaro il vero. Mal si avvisano pertanto i censori dell’ accademia Georgofila E 199 di far pubblicare nel giornale fiorentino tutti e interi gli derit soltanto di un partito, e dî sopprimere 0 mutilare quelli dell'altro, o sivvero darne notizia con epitomi , che non sono sufficienti a fare ben conoscere i pensieri, e riportare con esattezza le espressioni degli autori. Di ciò è una, ma non sola prova, il ristretto di una memoria del sig. dottore Giov. Batista Thaon su la Maremma, riportato nell’ An- tologia al N. 54, ove si dice “ che egli provocherà l’adozione di altre ,» industrie utili... . , di oliveti di vigne di bigattiere di alveari e di »3 tante altre risorse facili, e di sicura riuscita ; e che in argomento 3» Cita gli esempi luminosi di due distinti agronomi maremmabvi , » i quali così operando, oltre all’andare immuni dal generale danno, »» hanno assicurato a sè e ai suoi un vistoso aumento di patrimonio, »» qualunque siano le circostanze che possano nascere ,,- Tal favola , che avrà trovato fede presso coloro i quali cono- scono la Maremma senese quanto l’ interno dell’Affrica , deve essere il resultato dell’ inesattezza dell’ epitome, mentre è improbabile che abbia voluto spacciarla il Sig. Thaon, persona incapace di mentire , tanto pratica della Maremma, e sì zelante per il bene della medesi- ma. Volle egli forse dire, che a circostanze preparate dal migliora- mento dell’aria mediante gli opportuni lavori, potrebbero avervi fe- lice riuscita quelle industrie. Ed è vero che questa provincia, per la meridionale sua esposizione, per le alte e ripide colline che la cin- gono al nord e all’est, per la fertilità del suo terreno, per la differen- te temperatara del clima , fresco su quelle, caldissimo nella pianura, per l'abbondanza delle acque che vi colano , sarebbe più che ogni altra parte del Granducato suscettiva di variata e moltiplice agricol- tura, e potrebbero prosperarvi piante straniere, e di climi differenti da offrire all’ industria moltissimi mezzi d’incoraggimento e di lu- cro. Ma fivtantocliè non si tolga l' insalabrità dell’aria con dar ‘corso alle acque stagnanti , fintantochè per questa vi sarà impedito l'aumento della popolazione , fintartochè quella poca e malsana che vi esiste dovrà a carissimi prezzi servirsi di braccia straniere pe’ lavori dell’ agricoltura ed esulare l’ estate, impossibile non che vano sarà ogni tentativo d’iodustria in campagne, nelle quali appena si sosteneva la coltivazione del grano quando il prezzo ne compen- sava le gravissime spese (2). (2) Il sig. colonnello Pepe proponendo a noi maremmani la cultura della canape , ci descrive una macchina di sua idea con la quale sì risparmia la macerazione : gli saremo oltre modo grati se saprà inventarne ancora delle 200 Le operazioni occorrenti per la fisica riduzione di questa Ma- remma ideate già dal Ximenes (3) e da altri insigni mattematici non importerebbero una spesa sì grave da scoraggire, e sarebbe questa ampiamente ricompensata dall’ utile (4) : ma che senza |’ intervento del governo siano eseguibili da cei poveri possidenti con associa- zioni e colonie, è tanto possibile quanto vero il fatto riferito dall’ab- breviatore della citata memoria del Sig. Thaon. So che sono state premiate dall’accademia georgofila dae me- morie in replica al programma dalla stessa pubblicato a favore della Maremma. Queste non mi sono note: ma se i loro autori non am- mettono per principio l’ esecuzione con sovrana impresa dei lavori occorrenti, onde ottenere il miglioramento dell’ aria, hanno basato dei colossi, a guisa di quello di Nabucco, sulla creta , o per meglio dire sul vuoto. semoventi per le operazioni della raccolta, essendoci queste pure necessarie , perchè a quel tempo le nostre campagne sono deserte. (3) Se idraulicamente o economicamente si credesse impossibile il pro- sciugamento del padule di Grosseto , principale fomite di nocive esalazioni , potrebbero queste minorarsi d’ assai adottando il facile compenso progettato dal sunnominato Ximenes; di far cioè in detto padule sgorgare dal fiume Ombrone una corrente di acqua perenne, e con iucanalarvi bene addentro la Bruna, Ia Sovata, ed altri torrenti e fossi che ora si spandono alle sue rive, i quali verrebbero con gli interramenti a ricolmarne i bassi fondi. Altri minori paduli, e pantani che impestano essi pure quell’atmosfera, sarebbero ancora di più facile riduzione. (4) Non potrebbero sussistere in Toscana tante greggi senza i pascoli della Maremma : quecti vanno a deperire; perchè per l'abbandono dell’agricoltura venendo a riempirsi nelle pianure le fosse di scolo, piante palustri succederanno a quella abbondante vegetazione di erbe, che si alternava con le messì, LA PRIMA AFFLIZIONE D'UN CUORE INNOCENTE, ossia una PsicHE di Pietro TENERANI. Frammento di lettera di Pierro Giorpani a Madama A. C. B. In casa della signora Carlotta de’ Medici Lenzoni ho conosciuta, ed ho più volte veduta, una giovinetta di quat- tordici anni, bellissima; che proprio è fatta per essere con- 201 templata. Nè altro si può che mirarla , con ammirazione, con affezione , con desiderio di rivederla : ma non potete sperare ch’ella v’ascolti; molto meno che vi risponda; tutta occupata da una malinconia, che per verità in quel grazio- so e caro volto par bella e cara. Noi parliamo di lei molto: niuno oserebbe parlarle; perchè niuno presume di saperla consolare. Tanto bella e tanto giovinetta aver già gustato l’amaro della vita! Or quali speranze debbe avere dell’av- venire ? Possiamo prometterle che s’ella non sarà felice , ne dolerà a molti: ma chi può rassicurarla che prospero e lieto continuamente le correrà il lungo viaggio che le ri- mane ; se già sui primieri passi la colse l’avversità; e non fu punto pietosa a così nuove bellezze, che ogni uom vor- rebbe adorare? Quante volte ho desiderato che voi la ve- ‘deste, buona e bella Adelaide ; certissimo che voi, gentile tanto ed egregiamente buona , le diverreste pietosa e ami- ca subito. E’l desiderio mi si è rinnovato in questi giorni più forte; poichè per cortesia ed amicizia della medesima dama , ho potuto conoscere , venuto di Roma , il padre della fanciulla:il quale ho.trovato (come già e un mio ra- gionevole imaginare e ’1 dire di molti me lo figuravano ) degno veramente di gloriarsi di tanto maravigliosa e ama- bile figliuola. Eccellente uomo d’ingegno e d’animo Pietro Tenerani, che diede al mondo quest’ angioletta col nome di Psiche. Nè crediate , cara Adelaide , ch'io abbia cominciato per giuoco parlandovi di lei, non come di statua , ma co- me di persona viva. Perchè io vi giuro ch’ella parrebbe a voi, come a noi pare, creatura vera e non simulacro: nè per aspettare, o certo bramare da lei le parole vive chie- dereste ch’ella si animasse (che mostra non bisognarle); ma solo che da lei partisse, cagione manifesta del silenzio, la malinconia. Pochi veramente sono gli scultori che, discac- ciato dalle figure il rigor freddo del sasso, sappiano por- vi una molle e tiepida carne, con quelle delicate apparen- ze del moto interiore le quali certificano presente la vita. Che una eccellenza d’ingegno e d’arte lo possa, lo mostrò il divino Canova. Nè voi avrete dimenticato uno stupendo 202 esempio che ne vedeste meco in Ginevra; quando invidiava» mo il nobile uso della ricchezza al generoso, e dotto signor Fabre: il quale, per avere quel gruppo di Adone e. Vene- re, da ornarne la patria , fu allo spendere più animoso che l’imperatore Alessandro, Ora credereste viver l’anima del. Ga- nova in questo successor suo giovane: così anch’ egli non ci mette innanzi marmi figurati, ma persone; che mostran= dosi partecipi di senso, e però tragittando più efficacemente in noi gli affetti che rappresentano , c’ invoglian quasi di esprimer loro quel che ci fanno sentire. Ei lavorò a lume notturno questa Psiche : e l’amoroso ricercare della raspa, facendo disparire ogni intaccatura di scarpello e ’1 salino luccicare del marmo, indusse la pelle rugiadosa d’una don- zelletta. Ella è dunque vera e vivente agli occhi nostri, com’ella era nella creatrice fantasia del Tenerani : al quale appariva così smarrita e dolorosa come allora che da Amore (ch’ella ama- va tanto, e che mostrava d’averla tanto cara) si trovò d’improv- viso abbandonata. Siede la sconsolata, fra dolente e stupita che il suo amico (senza niuna offesa nè colpa di lei) abbia potuto aver cuore di fuggirla. Le bellezze , delle quali fu gelosa Venere, e Amore fu innamorato, come uscirono del falla- ce letto sono ignude; se non quanto le coscie e la destra gamba ricuopre il regal peplo. Fatta dal dolore paurosa in tanta solitudine (poichè , perduto il suo unico bene, ella si sente sola nel mondo) come è proprio delle afflitte e te- menti restringendosi tutta in sè , piega la destra gamba dietro la sinistra; la quale dal ginocchio a tutto il piede è nuda: delle mani è abbandonatamente distesa sulla de- stra coscia la mancina, e sovra lei posa la diritta. La te- sta è mollemente piegata a quella parte ove sospetta che fuggisse l’ ingrato. Ingrato ; e assai ingiustamente crudele. Potè sprezzare tal bellezza! Potè offendere tanta innocen- za' Oh veramente, se accade spesso che troppo e male ve- da il desiderio , è pur da dire che si acceca la sazietà. Ben sapete, ingegnosa giovane, quanto vanamente l’uom presuma di rappresentare la bellezza con parole: nè io vo- glio darvi di tale vanità fastidio, col discorrervi quanto è 203 delicato e squisito ed avvenente ogni cosa, dai capegli al- l’unghie de’piedi, in questa Psiche. Voi, tanto esperta del disegno e tanto bene esercitata al dipingere , conoscete qual finezza di parti, e quale concordia di tutte insieme è ri- chiesto ad una perfetta formosità: di che potete con sicuro giudicio figurarvi, quel che anche i rozzi delle arti soglio- no (secondo sua indole e sue consuetudini ciascuno ad un suo modo) imaginare del bello che non vedono, Per avven- tura sarà men vano a dirvi degli affetti che appaiono in questa bellissima , e quelli che da lei s incuorano in chi la guarda. Qui è dolore, o buona Adelaide; dolore di amori sfortunati : ma non di Arianna disperata , non di Medea furiosa, non di Fedra tiranna ; bellezze arroganti, che dalla vita impararono l’offendere, e non il sopportare le offese. Timido e tenero è il dolore di costei; bellezza tanto non insidiosa o superba, e tanto semplice, quanto è tenera l’età: non saprebbe ancora d’esser bella , se primieramente nol credeva all’ unico amato , che poi la tradì. Ella viene in questo affanno fiero novissima; poichè era tanto inesperta di patire quanto di offendere: e nella mente confusa da que- sta prima e improvvisa percossa , va cercando trasognata come e perchè tante care dolcezze fuggirono. Ella tacitur- na, e a capo chino pensosa, e di tanto apparendo mesta quanto non si vede (come dovrebbe) splendere d’ allegrezza quell’angelico volto; nè al cielo nè agli uomini chiede ven- detta, neppure aiuto o pietà. E però maggiore pietà ne in- cuora la rea fortuna di questa cara innocente. Oh veramen- te nati al dolore povera generazione umana ! chi presumerà di dover essere dalla natara e dagli uomini privilegiato; se costei, degna d’esser delizia degl’immortali , è così presto offesa ed infelice? Tremendo mistero di dolore è la vita : ed invano è volerlo intendere ; invano volere scansarlo : Dunque comporterò il destinato comune , senza querele inutili: e a confortarmi nel cammin cieco e ‘affannoso al- zerò la mente alle idee del bello. A queste mi chiama l’ani- mo, che senza viltà è paziente ; e continuo mi avvisa di contrapporre alla malignità di natura e alla iniquità degli uomini la non domabile potenza del mio pensiero: a que- 204 ste mi richiama spesso l’ufficio pietoso e santo degli arti. sti ; veri benefattori, verissimi e consolatori e maestri del genere umano. Essi non mi annoiano con precetti , nè de- clamazioni : mi fanno ammonitore di me stesso , creando uno spettacolo che mi attragga, e dal quale mi discenda al cuore un affetto , che per entro dilatandosi e durando vi faccia germinare savi ed operabili pensieri. Essi m’in- segnarono a compormi d’ idee un mondo migliore ; nel quale colla miglior parte dell’animo posso ripararmi , e go- dere una vita interiore, separata al possibile da questo mon- do miseramente stolto ; il quale flagella di me cotidiana- mente la vita esterna , che io per necessità ma senza resi- stenza gli abbandono. Oh quanto odioso e da non tolerare ci diverrebbe il vivere, se mai le arti del bello ci fuggis- sero! E sarà credibile, sarà possibile viver oggi in Europa chi vorrebbe sterminarle? Non vi turbate virtuosa e cara Adelaide, fior delle gio- vani di Lombardia, se a voi giunse notizia ec. ec. Di Firenze 1 Novembre 1826. Notizie intorno alla vita e gli scritti di Tommaso CHeRrsA cittadino di Ragusa. Tommaso Chersa nacque in Ragusa, a’°3 di aprile del- l’anno 1782, di Maria Boscovich e Stefano Chersa, civica ed onorata famiglia. Fec' egli i primi studi sotto privato mae- stro, l’ab. Luca Bianchi ; grammatico tra i suoi di chiaro nome ; e sin da principio fè manifesto , che l’ingegno suo era docilissimo ed opportuno a qualunque buona discipli- na. Studiò le belle lettere sotto gli auspicj dell’ eruditissi- mo P. Francesco Maria Appendini delle Scuole Pie, che ne’ quattro anni ch’ ebbelo a discepolo, non mai cessò di annoverarlo tra i migliori, anzi a dirlo di tutti l’ottimo; La filosofia e le matematiche furongli insegnate dal dottis- simo P. Urbano Appendini , il quale, vedut’i rapidi e fe- 205 lici progressi che in siffatte scienze .faceva il suo allievo, prese grandemente a stimarlo e ad amarlo ; nè poi mai si ristette di commendarlo e di dire aver egli procurato con la eccellente riuscita che fatt’ aveva in ogni maniera di di- scipline, onore e lustro singolare all’istituto del Calasan- zio. E così avvenne ch’egli fosse discepolo del primo mae- stro del celebre Faustino Gagliuffi, qual fu l’ anzidetto ab. Bianchi, e poi di due de’ migliori e più rinomati scolari dello stesso Gagliuffi, quali sono i due fratelli Appendini. Nè minori plausi gli furono fatti dall’avv. Luigi Cosinti , già deputato per pubblica provvisione ad erudire la gio- ventù ragusina nelle scienze legali e nel diritto pubblico, di cui esso aveagli insegnato gli elementi. Giunto alla età di 21 anni, e fatta doviziosissima provvigione di cognizioni in fatto di lettere e di gentilezza, ed apparate egregiamente le lingue latina, italiana, francese ed inglese , per le quali potesse conversare con gli uomini colti di tutte le nazioni, e dati be’ saggi di poetica facoltà, salpò di Ragusa nel mese d’aprile dell’anno 1803 per viaggiare l’Italia. Di Ancona condottosi tosto in Roma, mostrò ivi di averla conosciuta prima di vederla : tanto la lettura avealo reso pratico delle belle e maravigliose cose che sì all’occhio che all’ animo in gran copia presenta quella eterna città. L’Arcadia lo disse suo socio coì nome di Damiro Calcidense , siccome dipoi suo socio lo disse l'Accademia Latina di Roma. Monsig. Giu- seppe Marotti e Monsig. Gaetano Marini, di sempre acerba ed onorata rimembranza, gli consentirono con ogni maggiore affetto la loro amicizia e lo presentarono delle loro opere. Il ch. ab. Francesco Cancellieri, amantissimo de’dotti e spe- cialmente de’ ragusei che tali sieno , siccome quello, che a maestro aveva avuto l’immortale concittadino loro, R. Cu- nich, lo volle sempre con sè; e fattogli buona compagnia in visitare le antichità, i musei, le biblioteche di Roma, lo fece conoscere a varj letterati amici suoi, e sopra tutti alla virtuosissima signora Maria Pizzelli, nelle cui conver- sazioni vespertine potè egli vedere e rendersi benevoli i pri= mi lumi delle Romane lettere, che in lui giovanissimo ri- conosciuto avevano un maturo letterato e degno concitta- 206 dino di que’sommi che questa patria resero famosa. Strin- se particolare amicizia con Quirino Candelori, bello e colto ingegno, nella cui casa conobbe quel par nobile di lette- rati, il cay. L. Biondi ed il Co. Giulio Perticari, dai quali poi, fin che fu in Roma, non andò mai diviso. Il celebre improvvisatore e poeta ab. Berardi , travagliato allora da cocentissima podagra , dicevalo sua medicina ; ed il buon Filippo Van-Strip, che fu de’primi a render culto a Dante, chiamavalo degnissimo, cui quel divino arridesse. Passato quindi in Toscana trovò purivi la più onesta e lieta acco- glienza ; ma non fattovi che breve soggiorno, dappoi che contemplato ebbe i capi d’opera dell’arti che ivi sì ammi- rano , siccome quello che chiamato era in Genova dal fra- tel suo maggiore , A. Chersa , che lo vi aveva preceduto e cui ogni momento senza di lui facevasi lunghissimo, non fece particolari amicizie , a stringere e coltivare le quali non poco tempo avrebbegli abbisognato , siccome è ivi ed è sempre stata dovizia di persone culte e dottissime e som» mamente gentili. È incredibile l’ entusiasmo , con cui in Genova fu egli accolto e sempre dipoi festeggiato e carez= zato dai molti amici di suo fratello , tra i quali a cagion di onore vuolsi per noi qui nominare l’illustre av. Niccolò Ardizzoni , il P. Luigi Serra , ed il cav. G. C. Dinegro, cultissimi letterati , i fratelli Mojon, insigni chimici, il bo- tanico Viviani, il matematico Pezzi, il soprallodato Gagliuf- fi, e, qui mihi unus instar est omnium, 0 come letterato e poeta, o come matematico , o come filosofo il consideri, il P. Giuseppe Solari. Delle molte cospicue case che ivi egli frequentò, gli fu per avventura la carissima quella della marchesa Anna Brignole , cultissima dama genovese, presso la quale riunivasi il fiore della nobiltà e del sapere di Genova, e quanti da altri paesi vi si conduceano cultori delle buone lettere e degli umani studi. Nè meno cara gli fu quella della marchesa Antonietta Costa , altra dama geno- vese, e per rara bellezza e per ingegno non méno raro no- tissima ; tra le cui domestiche pareti veduto rappresentarsi il Filippo di Alfieri, e lei, che con singolare dignità face- va le parti d’Isabella, non cessò mai di parlarne, datasi nina 20 l’occasione ; coi maggiori encomj. Ivi conobbe e lungamen> te e familiarmente trattò il celebre letterato lombardo, cav. L. Lamberti. Questi in Milano lo presentò al principe dei letterati e poeti viventi, Cav. V. Monti, cui grandemente dal canto loro aveanlo raccomandato gli amicissimi dell'ano e dell’ altro Solari e Gagliuffi. E così fù egli sempre a casa sua : lo che poi diceva e ripetè più volte a me medesimo, essergli stato argomento di perpetuo diletto ; sì rapito avealo l'ingegno, la facondia e la gentilezza somma di quel pre- claro ; il quale altresì, scorto in lui bello e svegliato in-- gegno e grandi cognizioni in opera di lettere , e squisite parti di animo e di mente, aveagli donato tutta la sua ami- cizia, e regalato vari opuscoli suoi, e dipoi anche , sepa- ratosi da lui, dato prove di amore e di stima permanente, scrivendogli. Tra le persone illustri ch’ egli conobbe in Mi- lano , deesi specialmente mentovare il Co. P. Moscati, che allora infermo lo volle ogni giorno da sè, siccome quello, della cui compagnia scriveva egli al ch. dott. L. Stulli , che poche cose erangli mai state più care e deliziose. E da quel che si è detto, parlandosi di tali, si giudichi del co- me fu egli poi accolto dalle persoae culte e dotte de’paesi che percorse dipoi andando in Venezia per rimpatriarsi. Di là giunse egli in Ragusa nel mese di Giugno dell’an. 1805 insieme col fratel suo ; dal quale siccome non mai di animo, non erasi pur di presenza ne’ suoi viaggi disgiunto, se non che in questo corso di più di due anni continui egli era stato una volta per alcun tempo in Ragusa a rivedere i ge- nitori, cui mal sapeva il restare lunga stagione senza l’uno e senza' l’ altro di tali figli. Diessi egli allora più che mai allo studiare, dal quale in fuori non vi era divertimento per lui, che perciò non pur frequentava gli stessi teatri. Abolito nel 1808 il governo repubblicano in Ragusa, fu- . gli affidata nel 1810 l’agenzia del consolato di Francia nelle provincie illiriche, e poi anche quella del consolato d’Ita= lia. Integerrimo , dotato di singolare avvedutezza, pruden= te, moderato in ogni suo desiderio , in ogni sua azione, so- stenne egli sì fattamente tali pubblici uffici che potè pia- cere ed a chi lo vi aveva chiamato, ed a chiunque dovette 208 trattare con lui di negozi da tali uffici dipendenti. Cessa: rono questi con la venuta in Ragusa delle vittoriose armi di S. M. l'Imperatore di Austria, ed egli tosto si restituì alle sue antiche occupazioni che non mai o abbandonate o ne- glette, ma non poche volte gli vennero interrotte. Se non che conosciuto ben presto le rare doti di quel petto san- tissimo , volle l’attuale provvido Governo a nuovi pubblici carichi richiamarlo ; ed in ispezialità saputo , quanto egli fosse amico del povero , quanto benefico verso il bisogno- so, quanto desideroso di giovare alla umanità sofferente , lo nominò direttore ed economo degli ospicii riuniti di Ra- gusa con generosa provvisione ed onorevolissimi decreti; Ed in tal posto con grandissima lode si mantenne in fin che visse. Delle amene lettere, delle gravi discipline , delle an- tichità fu amatore studiosissimo , siccome dimostrano i suoi scritti stampati e da stamparsi. Fu sopra tutto della Ita- liana letteratura tenerissimo ; ed i nostri classici furono mai sempre i suoi libri prediletti, da cui io tolsi (poteva egli con tutta verità dire) Lo bello stile che m'ha fatto onore. Trascrisse, a meglio comprendersene , di suo pugno la Di- vina Commedia, la quale tutta sapeva a memoria, e, quanto pochi altri altrove e nella stessa Italia, intendeva : la quale anzi, letto , disaminato e discusso tutto quel che ne fu sposto e scritto in tutt’ i tempi e specialmente in questi ultimi, acconciamente e con molta sagacità e dottrina a pro- pria erudizione in più luoghi commentò. Fugli Dante per- petuamente in bocca, e così anche l’invitto apologista suo, il Co. Giulio Perticari, le cui opere gli vedemmo tra mani tre giorni prima che di questa si tramutasse in altra vita. Scriveva egli con la maggiore eleganza e con tutto quel ni- tore che è proprio della lingua nostra. Il suo discorso in- torno alla vita e gli scritti del valoroso letterato Raguseo Mons. Ferrich , che in Ragusa fu stampato nel 1824, egre- giamente e con moltissima purità di locuzione e venustà di stile e gravità di sentenze tessuto e condito, gli meritò 20 gli applausi dei primi letterati italiani (e per tutti basti il nominare le due insigni cime di sapienti, il Cav. Ip- polito Pindemonte ed il P. Antonio Cesari) che per lettere o a lui o al fratello suo indirette, largamente ne lo felici- tarono, ed eccitaronlo a non ristarsi di far nuovi regali alla loro letteratura. E bella fama procurò al suo nome il suo commentario intorno al prestantissimo poeta Portoghese Di- daco Pirro, che noi a fare onore al valentissimo scrittore, di cui ragioniamo, e grata cosa all’ Italia ed ai dotti di tut- te le nazioni, demmo opera, che fosse pubblicato co’ tor- chii di Firenze , sfortunati in questo, che non gliel po- temmo presentare stampato , avendolo tolto all’ amor no= stro la. morte alcuni giorni prima che uscisse alla luce quell’ elegantissimo suo scritto. Le sue poesie stampate , tutte in istil grave , sono piene di nerbo e di leggiadria veramente Italiana: e inedite ne lasciò non poche , tra le quali specialmente segnalansi alcuni sciolti su la ri- forma dell’ Arcadia, ch’ egli dalle cure dell’attual custode , amico e collega di studi del suo Perticari, promettevasi e certa e vicina. Scrisse ma non compiè al tutto l’elogio di Michel Sorgo suo concittadino, nome noto a chiunque ap- prezzi il sapere e la gentilezza. Ma noi conogni maggior de- siderio aspettiamo che sia fatta cosa del publico un suo com= mentario che a’nostri conforti scrisse, e poco tempo prima che morisse , terminò, intorno agl’illustri uomini e special- mente toscani , che dappoi il risorgimento delle lettere in Italia vennero e stanziarono in Ragnsa; essendo in ogni sua parte e ‘per la materia e per l’ordine e per lo stile e per la lingua e per l’erudizione di ogni specie che vi ha per entro , bello , finito , squisitissimo tale suo lavoro. La sola ricreazione che volesse ed anche avesse in conto di caris- sima, fu la sera nella casa del cav. R., Androvich cognato suo. Ivi da molti anni esisteva, nè per cosa al mondo ve- niva interrotta una conversazione che accademia potrebbe dirsi. Essa componevasi del cavaliere anzidetto, esimio gius reperito ed uomo di molto ingegno e scrittore di buoni versi italiani ; di Francesca Chersa sua moglie e donna che a ‘T. XXIV. Novemb. e Dicemb. 14 210 tutt’i pregi del suo sesso accoppia eccellente gusto, e fine. criterio e cognizioni di ogni maniera di letteratura Italia-. na e francese, del fratel suo Antonio e del dott. L. Stulli, nomi carissimi a Minerva ed alle Muse. Ivi ogni discorso che di letteratura non fosse, era sconosciuto; si leggevano i loro scritti, si comunicavano i loro pensieri , si conten- deva con candore, si parlava di ogni cosa con verità, si de- cideva senza studio o amor di parte; nè altre gare vi erano che quelle di reciproca stima ed amicizia; del che io me- desimo fni infinite volte e testimonio e parte. Cresceva ivi il giovane Niccolò Androvich, suo nipote ; nè guari stette ad occupare tra questi, che ben poteano dirsi Exigui nu- mero , sed bello vivida virtus, un bel posto d’onore per l’acu- tezza del suo ingegno , per la moltiplicità delle lingue che sa, per l’universalità delle sue cognizioni letterarie, e per la greca sapienza, della quale in pochissimo tempo (narro cosa maravigliosa) senza guida che pur le prime vie ne gl’in- segnasse, senza alcun soccorso d’altrui, con le sole sue forze fece bella e gloriosa conquista. Fu d’ ingegno acutissimo, di molta dottrina, di non credibile modestia e di modi na- turalmente soavi e cortesissimo e gentile. Oltre ogni dire e con l’aspetto e col parlare raccomandavasi , e gli animi si gratificava. Verso i genitori fu specchio di osservanza; ver- so i fratelli e le sorelle tutto cuore, tutto amore le tene- rezza; verso gli amici tutto bontà, e zelo e schiettezza. Alla religione ed alla filosofia crebbe lustro con la sua vita. Così | con tante virtù gli fosse toccata eguale temperatura di cor- po! Ma egli era gracile; e la vita sedentaria e studiosissi= ma che menava, doveva anche a peggior condizione ridnr- lo. E la più crudele scossa gli venne dall’aver veduto tor- glisi dalla morte nel primo fiore degli anni in sul princi. pio del 1819 Giuseppe Chersa suo fratello minore e giova- ne di eccellentissima espettazione. Stette di fatto lunga- mente a riaversene. Micidiale poi veramente gli fu la per- dita della egregia madre sua, la quale accadde a’26 di lu- glio dell'anno 1825. Non vi fu dappoi allora consolazione per lui, che anzi vicina si pronosticò la morte in un au- 2I1 reo sonetto che fu stampato in Ragusa e che noi qui ripro- duciamo (1). Ed infatti di pochi mesi le sopravvisse, mor- to essendo dope breve malattia d’idropericardio nel dì 11 di giugno dell’anno in cui scriviamo. Compì egli la sua car- riera con la costanza del saggio e con la serenità dell’uo- mo dabbene. La religione lo munì di tutt’i suoi soccorsi. Qual pubblica calamità i suoi concittadini la morte sua ri- guardarono. Lo piansero gli amici e lungamente e sempre lo piangeranno. Ed a perpetuità immersa nel più tristo do- lore e desolatissima lui dì e notte ricorda la famiglia sua, che nobilitò egli con le più rare virtù, Di Ragusa a’24 di settembre 1826. U. Lamprepr. (1) Sonetto di Tommaso Carasa alla madre sua. Poichè quel che di questa ingrata vita A vivere m’avanza , o madre mia, Senza te trar i’deggio, ah! corto fia Il pianger mio la tua mesta partita; Chè di te senza, o già la più gradita] Pavte di questo core, è a me sì ria Del dì la luce, che invoco la pia Gloto , che voglia l’ora mia fornita, Pur vorrei qualche triegua avere al pianto Ed al duol che di me fa crudo scempio; Per poter (se di forza avesser tanto I miei carmi) alle tue virtà dar fama, Onde fosti alle madri un raro esempio, Onde chi ti perdè la morte brama, RIVISTA LETTERARIA. Intorno al pubblico macello di Roma, osservazioni di Lui Po- LETTI, Roma 1826. Uno de’ più utili provvedimenti riguardante la pubblica nettezza delle grandi città, la conservazione della comune salubrità e la sicu- rezza de’passeggieri, fu senza dubbio l’espediente ordinato e messo ad effetto dal Governo Romano) costruendo nell’ eterna città un Macello magno in luogo il più adattato. Questo grandioso edifizio, opera del- l’architetto Gio, Batista Martinetti, è in tal località; che senza sortire di Roma trovasi prossimo alle mura urbane, senza essere molto lungi dall’ abitato, e nel tempo stesso in luogo ventilato sulla sponda del Tevere che ne riceve le brutture. Per tal savio provvedimento non si è più in Roma, come per lo innanzi, esposti all’inconveniente che arrecavano le bestie cornute, allorchè guidate da ragazzi, o da gente trascurata scorrevano forì e strade con pericolo e spavento delle per- sone. Consiste tutta l’ opera in tre vaste fabbriche, di cui il Sig. Po- letti a maggior chiarezza de’ lontani presenta nel suo opuscolo la pianta e l’ alzato , due delle quali destinate alla macellazione, che si eseguisce in N. 63. piazze partite a destra e a sinistra dalle vie per i carri: e dove, per una ben ordinata disposizione, le acque che scor- rono perenni per le corsie, allagando il'piano circostante con apposite cateratte, spurgano il suolo da oghi immondizia, per non lasciare om- bra dilezzo o fetore. La terza fabbrica serve agl’impiegati della finan- za, ai corpi di guardia e alle stalle per deposito dei bestiami. L’ar- chitettura esterna di tutto l’edifizio è di st:le grave, semplice e mae- stoso, che bene annunzia a prima vista |’ ufficio a cui è destinato. Sebbene di forma varia sono tatti e tre d’uniforme altezza e di mira. bile aspetto, nè mancano di comode piazze e larghe strade, che vi gi- rano intorno a maggiormente facilitare il trasporto delle carni ma- cellate, le quali in carri uniformi e coperti si trasportano ai diversi depositi della città. Presiede poi alla macellazione un magistrato di sanità che visita gli animali innanzi di essere macellati; e questo è bellissimo provvedimento che fa sicuri i cittadini di non mangiar carni di bestie infette o malate. Per la qual cosa tale opera non solo accresce all’ alma città un nuovo ornamento , ma viene resa lode grandissima al principe che la ordinò ! E. R. 213 Del trattamenio degli annegati. Istruzione alla medica gioventù e ad ogni culto cittadino, del Dott. Pietro MANNI. Roma 1826. vol 1. in 4.° p. 107. All’ istituzione di un provedimento , non meno del preceden- te salutevole , tende questo opuscolo, di cui lo scopo è di ri- chiamare dal limitar della morte gli annegati. Ad una concisa ed erudita esposizione di tutti quanti i metodi dai medici e dal- le filantropiche società per tal fine proposti ; seguono più speciali istruzioni da doversi praticare appena il sommerso viene estratto dalle acque. E prendendo per scorta come dall’A. credute migliori quelle saggerite da Yoderé , da Portal e da Gorcy , egli consiglia in primo luogo di usare la più scrupo!osa diligenza nel trasportare al più presto possibile l'annegato in luogo atto ad essere soccorso: sgom- brato preventivamente il cavo della bocca dalla spuma e da qualun- que altra sostanza che possa esservisi introdotta; di non capovolgere mai il sommerso, ma di farlo giacere dal lato destro con la testa un poco elevata; di allontanare |’ affluenza della gente, come capace di disturbare gli operanti, e di viziare l'aria della camera; di rasciugare il corpo dell’annegato, appena tagliati e tolti i panni di dosso; di si- tuarlo in un letto moderatamente riscaldato; e di porre sotto le di lui ascelle agl’ inguini e alle parti sessuali de’ panni lani discretamevte scaldati. In seguito prescrive di fare immediatamente delle frizioni continue sulle gambe, le cosce, le braccia, il petto e la colonna verte- brale con la palma della mano o con pezzi di lana, alla circostanza im- bevuti anche di spirito di vino canforato. Se l’ annegato dopo mez- z’ora non dà alcun segno di vita, suggerisce di sottoporre al naso una bottiglia di ammoniaca fluida, e di eccitare la gola ele narici con una piuma di penna leggermente bagnata in detto liquore. Però ri- flettendo che tali tentativi, se addivengono utili a vincere ana leggera asfissia, sono inefficaci ne’casi più gravi, allora |’ A, propone l’ insuf- flazione polmonare, la quale si eseguisce chiudendo il naso dell’asfit- tico, e soffiandogli direttamente nella bocca con il tubo laringeo a tal’uopo immaginato dal Gorcy, il quale si compone di due soffietti | insieme riuniti con due aperture e doppie valvole, per poter insi- nuare l’ aria con uno di essi nel polmone, e cov l'altro ritirarla in- sieme colla spuma esistente nella trachea , senza però tralasciare le frizioni, e comprimendo nel tempo stesso leggermente e a riprese il petto e il basso ventre. Dopo pochi minati d’ insufflazione bisogna ricorrere alle iniezioni di fumo di tabacco, che una terza persona sarà sollecita di preparare e porre in istato d’agire per mezzo di una sca- 214 tola fumigatoria esposta al suo fornello con entro mezz’ oncia di ta- bacco di Virginia alquanto umettatò, introducendo nell’ano dell’ an- negato il cannello ricurvo con punta di avorio annestato alla scatola, e proseguendo in quel mentre tanto le frizioni sul basso ventre, quanto la insufflazione polmonare, Se succede dilatazione di polmone, o un leggero movimento al cuore, deve sospendersi ogni introduzione di aria al torace, e conti- nuare solamente le iniezioni e le frizioni. I borborigmi sono un segno precursore della vitalità che va a riprendere il suo impero. Non biso- gna in questo stato infondere nella bocca dell’annegato alcun liquido, poichè potrebbe essergli fatale, ma sì bene attendere che la respira- zione sia completamente ristabilita. Allora un blando emetico riesce assai opportuno per riordinare le viscere della digestione. — Se vi siano nel corpo sommerso contusioni, e dubbi di commo- zione al cervello, questo è il caso di torgli sangue. Dove mancano gli ordigni superiormente accennati , l° industria non deve omettere alcuno sforzo per tentare di far rivivere quell’infe- lice su di cui la morte sembra aver acquistato quasiil possesso. Situato il sommerso sul lato destro, dopo averlo denudato, si asciughiin man- canza di panno con fieno, con paglia o cose simili, quindi si facciano delle fregazioni; e se è presso al lido qualora la sabbia sia secca e calda si potrà con essa coprire tutto il tronco e l’ estremità. In seguito con la bocca armata di una canna palustre si proceda all’ insufflazione polmonare. Con simili grossolani presidii prestati a tempo fu richia- mato in vita un nipote di un vivente prelato, mentre all’incontro i soccorsi più bene immaginat i, ma distanti troppo di spazio dalla se- guita sommersione, sono tornati frustranei. Passa quindi l’A. a descri- vert i sintomi che distinguono la morte apparente dalla reale, e le prudenti precauzioni state a tal’ uopo prese dai più colti governi antichi e moderni per assicurarne la realtà; come pure l’ utile istitu- zione delle scuole natatorie per rendere meno frequente possibile il caso di annegarsi; faceudo osservare che tali sagge provvidenze, rese sacre dalla religione, dovrebbero più che mai adottarsi dai popoli che professano col vangelo la carità cristiana e il vero spirito di filan- tropia. Che se i sommi pontefici farono i primi a stabilire in Europa asili di pubblico soccorso all’ umanità languente, non saranno spera |’ A. tampoco gli ultimi ad adottare per Roma e per lo stato papalino provvedimenti capaci di prontamente soccorrere gli annegati. Un indice esattissimo, di N. 85 opere fino ad ora in vari paesi di Europa pubblicate su tale argoménto, serve di appendice alle istru- zioni del D. Manni, sicchè oghyno che il voglia possa a suo maggiore ‘ lan$ vantaggio consultarle. Di tali scritti il più recente è quello stampato in Pisa, nel 1819, per le cure del dotto filantropo pr. Giacomo Barzel- lotti. Dopo la qual epoca noi ascoltammo due non meno interessanti memorie sullo stesso argomento, lette in Firenze all’I. e R. Acca- demia dei Georgofili, che una del Prof. di fisica Padre Giorgi, sco - lopio, e l’altra del D. Pietro Betti , il quale già da qualche anno in- caricato dal Governo, non cessa di prestarsi con zelo a prò degli an- negati. E. R. Scelta storica in forma di Cronica Toscana, compilata sopra RI- CORDANO MALESPINI, Dino COMPAGNI, GIOVANNI, MATTEO e FiLipPo VILLANI; ad uso delle scuole. Tom. due. Pistoia pei Bracali; 1826 in 12.° Benemerito de’ giovani studiosi le lettere umane ci sembra il sig. G. S. addetto ad istruire gli alunni del seminario pistoiese , per aver formato il proposito di riprodurre colle stampe scritti dettati nel- l’aureo secolo della nostra favella. Egli già diede il Decamerone espurgato con molta cura , e tale che mentre ai giovanetti si faceva conoscere la nostra lingua nella sua purezza e proprietà, non meno che la leggiadria , la forza e la maestà dell’italiana eloquenza, non si esponesse al più lieve pericolo la loro costumatezza. Ora egli esi- bisce in due tometti questa scelta istorica, che ci sembra fatta con molta avvedutezza e giudizio. Essa è formata .da vari capitoli e pezzi tratti da’ cinque cronisti sopra nominati, ma ordinati in modo da formare una specie di Cronica continuata, incominciando dalla di- sfatta di Fiesole , e scendendo fino all'anno 1364. Così nell’offrire un libro, nel quale lo studioso scolare possa ap- prendere la proprietà delle voci, la grazia e la forza di certi costrutti, la semplicità e naturalezza dello stile, viene a procurar la lettura d’un compendio di storia patria agli alunni toscani , a’ quali gioverà certo conoscere le condizioni di nostra gente in quei tempi più a noi vicini, quanto può giovar loro conoscere i fatti degli antichi greci e romani. Il compilatore esige però che , avendo destinato questa sua scelta alle scuole di lettere umane, i maestri vadano sottilmente facendo osservar ciò che debbasi evitare o imitare in fatto di lingua e di voci disusate o rancide per antichità , di certe noiose repetizioni e di certi periodi sconnessi e troppo arpa L’ editore ha preposto ad ogni tomo una breve prefazione nella quale, pieno di zelo per la restaurazione del buono scrivere italiano, mostra in qual conto tener si debbano gli scrittori del trecento ; nel che pare ch'egli abbia avuto o tema d’ avere dei contradittori. A 216 i malgrado di ciò egli è fermo nel suo proposito di compilare per uso delle scuole una serie di testi di lingua, la quale possa chiamarsi Antologia trecentista , confidando che le sue premure non solo saranno di giovamento ai giovani alunni , ma approvate ancora dai buoni maestri. Alla finedella prefazione al primo volume egli ha apposte brevi notizie storiche deì cinque cronisti toscani dai quali ha tratta la sua scelta,indicando ancora sommariamente il merito di ciascuno di essi secondo quello che di loro scrisse il Tiraboschi nella sua storia let- teraria. In tal guisa il benemerito G. S. ha procurato a’giovanetti alunni . un saggio di scrittare dettate dalla metà del XIII, fino oltre due terzi del secolo seguente, onde veder possano come dallo stato di una certa rusticità in Ricordano, passasse la nostra lingua a farsi più gentile specialmente in Dino Compagni, lo stile del quale è grave, ra- pido, elegante più che in qualunque altro dei quattro altri cronisti , quasi suoi contemporanei. In piè di pagina ha il compilatore apposte varie note, e sempre ove il bisogno di dichiarare il significato di qualche voce lo ri- chiedeva. S. Degli ufficj del Medico, Prolusione accademica del D. E. BA- sEVI. Milano 1826. Prima di fare l’ apologia dei seguaci di Esculapio, accennando l’ importanza e l’utilità del loro ministero, si prende in questo scritto a difendere la medicina contro l’opinione di quelli, i quali reputan- dola un arte incerta ed inefficace sdegnano, e quasi vorrebbero esi- liati coloro che 1’ amministrano. L’ A. per altro conviene con loro in quanto che, con tutto il progredire dello spirito umano in ogni ramo di scibile , la medicina è rimasta presso che stazionaria. Sicchè se a’giorni nostri potessero ricomparire Ipocrate, Galeno, Celso o Aver- roè, essi senza pompa di cpeculative sottigliezz: , portiamo ferma opinione, che al letto del paziente figurerebbero nei loro prognostici al pari dei più grandi barbassori della nostra età. Checchè ne sia re- putiamo giustissima riflessione quella del Sig. Basevi, cioè, che ad autorizzare il disprezzo de’medici non basta la immorale e bassa condotta di alcuni laureati nell’ arte difficile di guarire, i quali sia per ignorauza sia per viltà di animo, invece di procurare il sollievo o la salate de’malati che loro si affidarono, di lunga e dispendiosa cura, di nuovi malie spesso di morte si rendono artefici. AI qual proposito per avventura potrebbe essere in qualche modo proficuo l'espediente 217 proposto dall’A. di obbligare i medici esercenti, come per le cose po- litiche i Manderini nella China , a subire di tanto in tanto degli esami tem porari e successivi, tendenti a render conto de’ progressi teorici del- la scienza, e del modo con che si comportano mettendoli in pratica. Al- meno vi saria da sperare di vedere per tal remora una porzione di quel- la ognor crescente turba di candidati affollarsi con più prudenza e ri- serva intorno alle panche delle università, e per le corsie de’spedali, forzata, o a stadiare di proposito, o a retrocedere dall’intrapreso ma- lagevole cammino, per non mietere impunemente nel prezioso campo della vita. E. R. Saggio intorno a’confini del territorio Veronese e Trentino a'tem- pi romani, con parecchi monumenti, del prof. GIUSEPPE STOF- \FELLA. Milano 1826. Tip. Bonfanti. Checché ve glia altri pensare della importanza degli stadii ar- cheologici, senza i quali la storia è assembraglia di vaghe notizie , è edificio , a dir così , senza base ; pare a noi che quell’ infima parte d’erudite indagini che, in picciole cose versando, non ha d’ altronde alcun suggello di sincera certezza , e va per congetture e induzioni quasi tentone nella via del passato, sola quella non sia troppo me- ritevole che l’ uomo vi spenda la sofferenza e l’ ingegno. Nelle muni- cipali ricerche sarà buono il procedere fino all’ ultimo termine deila evidenza, comechè picciole e tenui sien le scoperte (perch’ogni verità, tosto o tardi , entra nel grande commercio delle idee e fassi impor- tante pel vincolo che stringe con quelle): ma giunto a tal termine, trovata la certezza , se lecito è dire dell’ incertezza , l’ archeologo dee arrestarsi e rivolgere a miglior terreno i suoi passi. Il saggio del P. Stoffella è fiorito d’ erudizione sì arguta, sì ricca, sì varia, di sì amena facondia, che gli stranieri alla scienza possono anch’ essi percorrerlo senza noia. Ma che? Conghietture in- torno a’ confini di due provincie! E ne’ tempi romani! Egli è bene a dolersi che tale ingegno in tali opere si consumi. Noi già sappiamo lui essere attento a più grande e più utile e vario lavoro , intorno alle patrie antichità; lo preghiamo che quivi ancora il deserto delle congetture non sia da lui battuto più spesso che il fertile campo ed ameno delle istoriche verità. Le quistioni dal nostro prof. agitate col Co. Giovanetti, esito Trentino, senza molto giovare al vero, nocciono forse un poco a quella concordia che fra le due vicine città si potrebbe desiderare più stret- ta. Nè la moderazione de’ combattenti è valevole a tutte cancellar le 218 parole, cui l’ avversario potrebbe attaccare un mal senso; e la stessa delicatezza della moderazione può essere talvolta un’ offesa. Noi rammenteremo al nostro giovine professore la sorte del suo Tartarotti , cui per l’ ingegno e tra poco forse per l’eradizione meri- terà egli d’ essere appareggiato. Quell’ uomo che seppe gareggiar di dottrina co’ Maffei, che potè stare a fianco de’ Maratori , or non si cita più quasi, ora, fuori del suo municipio quasi più non si nomi- na: e mentrechè i men discreti si adontano di udire ancora memo- rato talvolta il nome di lui che quasi nulla fece per l’ utile degli uo- mini avvenire; i più saggi si dolgono che tale ingegno siasi da sè me- desimo avviluppato e costretto infra le misere municipali battaglie. K.X.Y. Elementi , ossiano istituzioni civili di GIUSTINIANO IMPERATORE illustrate e commentate da PretRo VERMIGLIOLI ; Perugia 1825 volume primo. Ottimo consiglio giudicammo sempre il dettare le opere scien- tifiche nell’eloquio volgare. La lingua in tal modo si perfeziona, e la scienza tanto più si diffonde quanto maggiore è il numero delle per- sone che hanno a comune il linguaggio coll’ autore. Vi possono es- ser forse nel vasto campo dello scibile, delle discipline per cui sia più utile l’ uso di una lingua universale de’ letterati ; ma la giari- spradenza , come tutte le scienze o morali o politiche, non può esser mai compresa in questo numero . Infatti il cittadino che lungi dal foro , e dagli studii profondi di una minuta erudizione si occupa dell’ agricoltura , e della domestica economia, ha pur troppo bisogno di conoscere i primi principii del dritto , e le materie le più usuali di giurisprudenza, per non esser ad ogni momento ridotto alla trista necessità di ricorrere al non sempre sincero consiglio dei giu- risconsulti. Alcune nazioni compilando nuovi codici hanno credato provvedere a questo vero bisogno della gran massa dei padri di fami- glia. Forse, come una celebre scuola tedesca sembra voler insinuare , noi siam tuttora troppo immatari nella gran scienza della legislazione, per lusingarci che un nuovo codice sodisfar possa pienamente ai voti dei veri filantropi. Intanto che la più grande , e fors’anco la miglio- re parte delle leggi, sia scritta in un idioma che non è più il co- mune , ci sembran rendersi benemeriti della patria coloro che ne fanno conoscer gli elementi in volgare. Siamo ancor di parere che i buoni libri d’ istituzioni , e di trat- tati elementari debban precedere qualunque gran lavoro legislativo. 219 In una scienza che ha per solo criterio l’ esperienza, conoscer bene ciocché è stato fatto, gli effetti buoni o tristi che ne son resultati, è una preparazione necessaria ogni qualvolta si voglia edificare su so- lide basi, Per unaltrocapo dobbiamo elogio al ch. pr. Vermiglioli per aver scritto in volgare. Se utilissima cosa è richiamar gli studiosi ai fonti ori - ginali della giurispradenza, niun dubbio che un istituta volgare sia il inezzo più valido per sì lodevole intento. La lingua e la stampa spesse volte hanno scoraggiato anco i meglio intenzionati dalla lettura di molte opere classiche d’ istituzioni. Certamente senza familiarizzarsi coll’ idioma del Lazio sarebbe vano consiglio pretendere al grado di culto e giudizioso giurisconsulto ; ma un opera volgare che appiani la via , che additi con precisione i testi più celebri edi migliori au- tori che gli hanno illustrati, è forse necessaria per far superare le prime difficoltà di uno studio penoso finchè non se ne conosca ap- pieno l’ importanza. Sarebbe desiderabile che l’autore di una tal opera procurasse di coordinarla in modo da servire ai primi bisogni della filosofia del diritto, della erudizione legale, e del foro. Un professore che dà lu- stro alla prima università di "Toscana ci ha fornito |’ esempio degli elementi di Diritto Criminale stesi su così vasto piano. E sebbene il Diritto Civile comprenda maggior numero di materie del Criminale, potrebbe trattarsi collo stesso metodo. Ma il prof. Vermiglioli di- stinto fra i filologi d’Italia ha limitate le sue vedute alla mera erudizione. Saremmo ingiusti nel nostro giudizio se gli rimproverassimo d’ aver trascurate molte cose ‘che giust’ alla ristrettezza del piano non potevano aver luogo nell'opera. Dobbiam piuttosto congratu- larci seco lui per il dono che ha fatto al pubblico di un libro che quinci innanzi dovrà far parte della ristretta libreria degli studiosi di università, Seguendo il metodo già praticato dal ch. Leopoldo Andrea Gua- dagni, l’autor nostro ha posto nel testo i principii generali, destinan- do nelle note le illustrazioni che richiedono maggior maturità nel lettore. Fare che l’ autore abbia voluto che i novizi riservasser le note ad una seconda lettura. Alcuni rami diretti ad illustrare i primi rudimenti dell’antichità romane rendon sempre più utile |’ opera per il fine che l’autore si era proposto, Una storia forse troppo rapida della romana giurisprudenza serve d’ introduzione all’ opera. L'autore riservandosi a meglio di- chiarar questa parte nelle sue lezioni orali, non ci ha voluto co- municare le sue idee sulle cause che influirono nei gran cangiamenti 220 della legislazione romana; nè ha voluto, secondo l’ esempio già for- nito dall’ illustre Gravina , caratterizzarne l’ epoche principali. In generale si può osservare che l’ autore ha. trascurato d’ esa- minare le opinioni nuove sulla storia del (Diritto che da qualche tempo ci vengono di Germania. Nè noi crediamo doversi compren- dere delle lunghe dissertazioni negli elementi di diritto , ma desi- reremmo che vi si accennassero i principali problemi , si fornisse il principio critico per risolverli, e si indicassero i mezzi secondari che ne posson faci!itare lo stadio. Le opinioni qualunque esse sieno di uomini distintissimi in una scienza, meritan sempre che se ne faccia almeno parola nelle istitu- zioni, affin di rivolgervi l’attenzione e l’ esame dei lettori. Senza di questo le istituzioni non adempiono pienamente alla loro naturale destinazione ; qual è di iniziare i novizi in tutti i rami della scienza che si tratta , secondo lo stato in cui attualmente si trova. F.S. Essai sur les nielles, gravures des Orfèvres florentins du XV sièà.le par DUCHESNE AINÉ, Paris, Merlin 1826. Utile, diligente, e nuova per la riunione delle molte notizie che sparse si trovano sui /Vie/li, merita d’ esser applaudita quest'opera specialmente in Italia. In varii luoghi l’autore esterna il suo parere diverso da quello d’altri scrittori, e spesso con lode. Ci permettere- mo solo di notare lo sbaglio che fa alla pag. 144 dicendo che la pro- . va d’un Niello dell’adorazione de’ magi mostratagli dal celebre inci- sore M. Vendramini a Parigi, e dal medesimo acquistata a Milano, è la stessa che quella veduta dall’ab. Zani presso del sig. Senatore Martelli a Firenze. L’acquistata dal Vendramini a Milano sarà sta- ta un’ altra prova, del medesimo Niello e del medesimo soggetto di quella del senator Martelli, ma non già la stessa, perchè la veduta dal Zani si conserva sin’ora gelosamente in casa dei sigg. Martelli ; ed in tal caso invece di quattro prove, quante ne cita il sig. Dache- sne, dovranno dirsi cinque. Fra i Nielli degni d’essere rammentati, e che non sembra d’aver conosciuto il sig. Dachesne, sono de’più antichi quelli dell’altare di S. Iacopo di Pistoja, e de’quali parla il prof. Ciampi (nelle /otizie inedite della sacrestia pistoiese, de’ belli arredi, del campo santo pi- sano, ed altre opere di disegno dal secolo XII al XV.Firenze presso Molini ec. 1810; 4. con figare ) dove a pag. 71 e seguenti descrive l’artificio del Niellare, e ne fa risalire l’uso sino ai tempi degli anti- chi greci. 22I Anche quando si dice sull' autorità del Lanzi che il nome di Niello derivò dall'uso della mestara nera impiegata a riempire l’in- tagli d’alcani lavori sul metallo, dovea dirsi che il /Viello è una cor- ruzione od abbreviatura della voce /ige/lus; e così più chiaramente s'intende la denominazione di /Viello dalla mestura nera che s’ ado- prava in principio. n S. G. Il Paroco istruito nella medicina per utilità spirituale e tempo- rale de’ suoi popolani; Dialoghi del dott. Giacomo BARZEL- LOTTI prof. di medicina pratica nell’ I. e R. Università di Pisa. Pisa, presso Niccolò Capurro 1825 vol. 2 in 8.° L’A. di questa opera , dietro l’esempio di molti celebri scrit- tori che hanno reso facile e a portata d’ ognuno anco i soggetti più sublimi, prendendo di mira i parochi di campagna, ha voluto questi istruire con il presente suo lavoro di medicina, sotto for- ma di dialogo. È vero che la maggior parte di essi, per il van- taggio proprio e dei suoi popolani , sono per lo più ‘provvisti di qualche libro medico di tal genere, come gli avvertimenti al popolo di Tissot, la medicina domestica di Bachan ec. per non poter sem- pre aver pronto il soccorso del medico ; ma ha voluto il ch. pro- fessi ridurre alla più facile intelligenza e in giorno le idee mediche, conformi alla buona pratica. i La prima parte dell’opera, compresa nel 1.° volume, si aggira sui mali acuti; ma prima d’entrare in dettaglio ha trattato di ciò chi’ è necessario per. conservare la salute con prevenire e sfug- gire le malattie, dando gli opportuni consigli d’igiene. Passa quindi a.far distinguere le febbri più semplici, poi le febbri o malattie inflammatorie ; le febbri esantematico-contagiose , e finalmente le periodiche , con indicare in ogni caso 1 rimedii e i compensi ‘adat- tati, e tutto ciò che spetta al buon ordine e pulizzia che si richie dono dai poveri infermi. La seconda parte che occupa il 2.° volume è destinata alle malattie croniche. Considera in primo luogo quelle che attacca- no i sistemi più semplici ,- poi le malattie esantematico-contagiose croniche, quindi le cerebrali e nervose, e finalmente i varii flussi morbosi. Termina il suo lavoro sulle affezioni che accadono nei principali strumenti o organi della macchina; con aggiungere tatto quello che spetta ‘alla diagnosi, e al prognostico delle ‘medesime. Un indice copioso. in forma alfabetica delle materie contenute in tutta. l’opera la rende assai comoda per trovare tutto ciò che può interessare all’occorrenza. 222 Non può abbastanza raccomandarsi questo utilissimo lavoro del dotto professore , ed è desiderabile che pervenga nelle mani non solo di tutti que’parochi che hanno a cuore il bene e la sa- lute dei suoi popolani, ma ancora di quelli che praticano |’ arte salutare, potendo loro servire di un ottimo mannale nel loro eser- cizio. Se l'A. non avesse tenuto il sistema di dialogo, sarebbe stato 1l suo libro più conciso, e in conseguenza meno voluminoso almeno di un quarto; ma nell’imitare tanti celebri trattatisti di scienze che hanno fatto l’istesso, ha creduto che con le domande che fa il paroco al medico spiccassero meglio la difficoltà della cosa , e la prontezza di spirito nel rispondere ai dubbi degni di un sog- getto, che dee d’altronde supporsi bene istruito. F.G. Sull’attuale stato della medicina. Discorso letto alla società me- dica di Livorno nell’ adunanza del dì 11 dicembre 1825 , dal dott. G. PALLONI cav. dell'ordine di S. Giuseppe, medico cons. del dipartimento ec, Livorno , nella stamperia degli eredi Gior< gi, 1826. Questo dotto ragionamento, che può servire come di prolu- sione ai lavori da farsi dalla medica società di Livorno, è molto opportuno ai tempi presenti, nei quali ovunque si vantano delle riforme nuove di medicina. L’A., dopo un quadro esatto della sto- ria e dello stato attaale di questa scienza nei principali paesi del- l'Europa , specialmente in Italia , rileva che già abbiamo molto per fissare dei principii sicuri per una pratica uniforme, e tale da risvegliare maggiore stima e fiducia per un vantaggio più grande all'umanità inferma, piuttosto che lasciarsi sedarre dall’idra sem- pre rinascente, e sempre fatale dei sistemi. Osserva bene a pro- posito che quello che domina al presente ha inebriato la mente degli inesperti, e che la classazione delle malattie di stimolo e di contrastimolo, nella stessa guisa che si dividevano i medicamenti in stimolanti e contrastimolanti, Aa in sé gli stessi dfetti, i mede- simi errori rimproverati a Brown in opposto senso e sotto veste di+ versa. Così la confusione e le contradizioni nella pratica nacquero da quel fonte stesso d'onde dovea scaturire la verità. Perciò presso i neoterici si riguarda quasi tutto erroneo quel che si era fatto e pensato fin'ora: la maggior parte delle sostanze medicamentose che in ogni tempo erano state adoprate come toniche e stimolanti, di- venute adesso deprimenti: in quasi tutte le malattie, ed in qualun- que epvca del loro corso, il bisogno di contrastimolare: spiegazioni metafisiche ed oscure per conciliare ogni opposto fenomeno : ed un 223 continuo estorcere dalla natura delle risposte vantate per favore- voli alle premeditate loro opinioni, Converrebbe poi riportare per esteso' l’intera memoria per ri- levarne tutte le bellezze, le verità e la profonda e vasta dottrina che l’adornano. E nel mentre che il ch. A. deplora la meschinità della così detta medicina italiana, fa osservare d’altronde i preziosi materiali che si vanno attualmente preparando da sommi genii per forinare sui fondamenti ippocratici il grandioso edifizio della me- dicina, nei paesi più colti dell'Inghilterra, della Germania , della Francia e della nostra Italia. Termina questo interessante lavoro del dottissimo professore , (che fra i sommi pregii che l’adornano lo rende benemerito all’uma- nità quello di essere stato il primo ad introdurre in Toscana nel 1800 la vaccinazione, e per le sue opere sulla febbre gialla, e sui contagii) con diverse annotazioni, che sono della più grande impor - tanza per |’ erudizione medica , per la dimostrazione dell’ argo- mento che sostiene nella sua memoria, e per la storia di alcune pratiche salutari dell’arte. F.G. Indirizzo del DoTTOR GIOVANNI STRAMBIO ai Medici dell’Italia. | Milano, presso la società tipografica de’ Classici italiani 1825. L'oggetto di questo indirizzo è di annunziare all’ Italia un nuo- vo giornale sotto il titolo di Giornale critico di Medicina italiana, di cui ne promette la redazione il suddetto Strambio , in concam- ‘bio dell'altro suo colla denominazione d’ Annali della Medicina fisico- patologica. Per quanto egli dice, non prosegue questo a motivo di una certa persecuzione che provò fino dal suo principio per essere imputato di smania di novità , di un certo fanatismo per le cose oltramontane , dî poco amor patrio , e d’ invidiosa rabbia dell’ al- trui fama. Sarebbero , per vero dire , cose da non soddisfare molto, ma comunque sia sotto questo titolo variato gli desideriamo maggior fortuna , tanto più che si sente animato dal filantropico oggetto di togliere l’ anarchia dalla quale, egli suppone , trovasi attualmente sconvolta l'italiana medicina , a motivo della dottrina dello stimolo e del contrastimolo, F. G. Sulla Ottalmia pustolar contagiosa. Ragionamento del chirurgo GAETANO Buzzi. Prato , per i frat. Giachetti 1525. Il ch. Autore di questa memoria, che ha tolto le malattie dei denti dall’ empirismo e dal dominio dei ciarlatani, elevandola al 234 grado di un’ arte scientifica , con esercitarla nobilmente come uno dei rami più importanti della chirargia , dalla quale finquì ne pare- va come distaccata , non meno eccellente si è reso nelle affezioni de- gli occhi, sulle quali può dirsi aver fatta un’applicazione particolare. Il lavoroche annunziamo è del inassimo interesse, per aver trattato con precisione di una specie d’ottalmia che ha afflitto specialmente i mi. litari , dandole un nome conveniente, con spiegarne con chiarezza l'indole contagiosa , e con indicare un valevole metodo di cura. La patologia degli occhi riceve certamente un compimento maggiore per la cognizione esatta di questa malattia. F.G. Sull° ottalimia che hanno sofferto i nailitari di Livorno, Osserva- zioni di Lopovico PAOLI Chirurgo maggiore di Reggimento, consultore de’ RR. Spedali civili di detta città. Livorno 1824. Per gli eredi Giorgi 182/. L'A. di queste osservazioni parla dell’ istesso soggetto annun- ziato nella memoria sopra indicata del sig. Pr. Buzzi, sebbene non abbia dato alla malattia la stessa denominazione, Merita pure questo lavoro,sonmmo plaaso per la precisione con la quale viene trattata la materia ; sì per la diagnosi, sì per l’ indicazione dei rimedii da pren- dersi. Ambedue sono degni dell’ attenzione pubblica, benchè indi- pendenti l’uno dall’ altro, essendo da loro fatica fondata sulla propria osservazione, e sul fatto. F. G. La Igiene degli occhi , ovvero consigli per preservare la vista., Milano , presso Ant. Fortunato Stella e Figli 1825. Asonimo è l'A. di questa operetta sopra un soggetto così im- portante. Dopo varie considerazioni riguardo alla negligenza che ge- neralmente si ha perla conservazione degli occhi, accenna le cure op- portane che debbonsi avere per conservarli sani, e le cause per le quali si possono ammalare. Tutte l’età richiedono delle diligenze spe- ciali per gli occhi. Espone quindi i principii relativi all’ uso dei ve- tri, Interessa poi quello che dice intorno ai lumi artificiali, tanto per ciò che spetta al danno che recano quando sono mal diretti , quanto per il modo di farne il migliore uso. Ottime riflessioni sulle cause della Miopia terminano questo trattato che, per quanto di piccolo vo- lume, merita di essere bene accolto. F.G. 225 Il Boa di PLINIO. Congetture sulla storia della Vaccinazione, Discorso letto all'accademia dei Lincei di Roma dal cav. Tom- Maso PrELA’, Archiatro di Pio VII. P. M. Firenze, presso Luigi Pezzati 1826. Ediz. 2.a Per quanto molto sia stato scritto su questa utilissima operazio- ne, niun'altro ha impreso a dimostrare con la più scelta e giudiziosa erudizione che la Vaccina fu riconosciuta fino dai tempi i più remo- ti, e che precisamente nasceva dal contagio pustoloso delle poppe delle vacche, col nome di Boa, come ben si descrive da Plinio. Que- sta memoria è sommamente pregievole, essendo corredata di prove ’ di dottrine, e di citazioni, onorando nel tempo stesso i romani, mentre quei grandi nomini, che tanto figurarono nel loro paese sotto tanti rapporti, conoscevano la Vaccina. L’ A. trasportato con ragio- ne per la propagazione del di lei innesto dà un nuovo impulso ai go- verni di proteggerla, e ai medici e ai chirurghi di viepiù sostenerla , onde preservare con questo mezzo sicuro ed innbcuo le generazioni dalla peste del vajolo arabo. F. G. Biografia medica piemontese. Vol. 2, in 8.° Torino dalla Tipografia Bianco 1825, Il ch. dott. G. G. Bonino ha intrapreso questo arduo lavoro che tanto onora la storia medica della sua patria. Oltre le opere dei me- dici che hanno onorato non solo il paese, ma ancora l'antica uni- versità di Torino , si riportano i tratti i più interessanti della loro vita. Dai tempi i più remoti, giunge fino al 1750. Il magistrato della riforma ha bene accolta questa opera dell’ A., e lo incoraggi- sce alla continuazione , mentre fino al tempo presente vi sono molti altri scrittori piemontesi che meritano di essere palesati ai cultori della medica erudizione. Se ogni provincia dell’ Italia imitasse il di lui esempio , avrebbe ella un’ evidente prova per gloriarsi presso le altre nazioni dell’ Europa di quanto ancora a lei le deve l’ arte salutare. F. G. Esperimento di melodie liriche. Milano, 1826. Splendono in questi versi molti lampi di vera poesia. Lasciando da parte la prefazione che potea esser più semplice, prima la ode in- titolata , (a Patria, è come di luogo, così di bellezza la prima. Non è lecito parlarne senza offerirne alcun saggio. 'T. XXIV. /ovemb. e Dicemb. 15 226 Una selva, un suon di vento, Ua sepolero; un rito, un cantico, Up castello, un casolar, ù Una voce, un portamento Di quegli anni la memoria Bastan spesso a richiamar, Se la luna passeggera Tra le nuvole purpuree Di ponente sorgerà, Nel pensare, che la sera Sulle alture dell’Italia La vedea, sì turberà. Non potendo qui tutte recare le stanze di quest’ode più bella ne basti citarle , e sono, oltre le notate, la xX1IT, la XXi1l, la XXVI, la XXVII, la XXXIII, la XXXVIH fino alla XLHI , la XLVI fino al fine. In queste stanze è grande bellezza ; ed è ben duro chi non la sente. La seconda ode , la Gelosia, è la descrizione d’ un fatto vivissi- ma sì; ma ci porta in un tempo che più non è, in un mondo che noi non veggiamo. E questo è il difetto di tutte quasi le Melodie del- l’ Anonimo nostro. Coloro che posero parte del romanticismo nella sposizione di pregiudicii dell’ età più barbariche dopo Cristo, fecero alla causa loro gravissimo torto. Il romanticismo in ogni età , sia criastiana o no, cerca il vero : suoi sono tutti i soggetti ; ma egli li tratta 1n modo che possano piacere ai più, e piacendo giovare. Ogni altra specie di romanticismo è stoltezza ; e di tali stoltezze già ne abbiamo pur troppe. Anche di questa Gelosia diamo un saggio. Appena fissando quel bujo col raggio D’un’orba lanterna, col padre sen vanno Per strade deserte facendo viaggio, Fin dove torrito castello apparì: I bravi, la scolta, la voce si danno; 11 ponte calossi, la porta sapri. Il difetto dello stile si fa qui sentire più che nella prima canzo- ne. A molta evidenza , franchezza, efficacia, semplicità e splendore poetico si congiunge assai spesso qualche inesattezza, qualche inve- nustà , qualche abuso di gerundii , contrario all’ indole della poesia e della lingua. La Fidanzata del coscritto è bell’ argomento, trattato con una semplicità e tenerezza che movono il cuore. Le varietà del metro in cui quasi sempre il P. è felice ci donano un nuovo affetto.—Parla la fidanzata : Veggo il sol che riconduce Porporina la mattina e 227 Nel tripudio di sua luce: Ma che prò, se chi partì Or non vien sulla collina Augurandomi buon dì? Era lieta allor, sì l’era Che il sorriso del tuo viso Salutandomi la sera, Al mio vigile pensier Dischiudeva il paradiso ln un soguo lusinghier. ù Dopo avere ancora citato di questa canzone le strofe — Ion schernite il dolor mio — Ti dirò, che se fremea — Ti dirò che in suo cammino — Ite pure , o lieti augelli — Secondando avventurie= ra — Quando l’ uom è fuoruscito — diremo : questa è vera poesia, questo è il tuono della natura: così scelga i suoi temi l’egregio poeta, così li eseguisca ; corregga il suo stile ; e s’ aspetti, in com- penso di qualche inetta censura , una fama darevole. Guidobaldo il cacciatore ci porta in un mondo non nostro. L’ode è lunga : senz’ affetto , ma non senza poesia ; Io sovente, oh, lo vidi quell’empio, Già canuto, ne’giorni sacrati A dilungo le soglie del tempio; Tracotante co’veltri passar! Oh! l’adii tra i fedeli affollati I suoi veltri fischiando chiamar. La Serenata non ci par degna della cetra che ha cantata la Patria. Niente ci ha che la renda poesia vera ; e quella parola Tro- vatore è una parola classica come zrenere , perchè non significa men che un’ erudizione poetica. Caterina Cornaro , sposa di Giacomo re di Cipro, comincia con un frammento di sciolto, che parmi proceda troppo piano ed istorico , comecchéè nella elocuzione adornato di molti lumi poetici. Il tratto, ove parla di Venezia degenerata , è notabile + + » « «E quale, abi, lo vid’io, Qual l’udii per i piani inseminati Della maremma, fra i funerei cippi D’Israello, il suo popolo festoso In tripudi frenetici danzante Cantar, ebro, insultando ai propri guai, Quanto mutato da que’dì famosi, Che all’aure sue di Candia e di Morea Gli stendardi spiegò! che i trionfati Da Dandolo cavalli, i marmi, i bronzi, J monumenti di Bisanzio ergeva Di conquisto trofei nelle sue piazze! 228 li canto del Bardo a Caterina non pare abbia punto del pere- grino . Il Contrabbandiere si rappresenta dal nostro poeta in una vita ideale , che foss' anche più vera, mon varrebbe la pena d’ essere ‘così bene descritta. lo compiango quest’ ode , ch'è troppo bella per essere sposata a sì tristo subbietto. Questa sola dimostra un in- gegno veramente poetico, a cui non manca per salire a maggior gra- do che più meditazione, e più lima, Quale il respir di zefiro Erra di colle in colle, Lieve suggendo i balsami Dalle fiorenti zolle Nella stagion giuliva Che i vegetanti avviva ll mattutin calor; Guizza sul lago, e suscita Le limpid’acque in onde; Ma le ridenti imagini Che il saolo, il ciel v’infonde, Turba per poco; e torna La sua pianura adorna Di cerulo color; Tale col fervid’alito Dì giovinetta vita Vola l’umano spirito Per l'universo; e incita Col nettare d’amore Una dolcezza in core Che inebria la virtù, Le ultime cinque stanze sarebber degne d’ un più felice argo- mento. La lunghezza è , dopo l’ inconvenienza de’ temi, .il precipuo difetto di questi versi. Lo si sente nell’ode che segue , ch’ ha per ti- tolo l'abbandono : vi si canta il dolore di fanciulla tradita da un ca- pitano di nave. La debolezza del tema par si faccia sentire nel canto. Que’ versi Questa è l’ora iu cui le larve Van sui nugoli raminghe non sono romantici. Giova avvertirlo a disinganno de” parvoli. Altro tema del medio evo : la caccia feudale. Malgrado l’inu- tilità del soggetto, e la leggerezza del metro , ci ha una strofa che meriterebbe forse d’ esser qui recata. Lucia de’ Castellani di Pizzino è la storia d’un altro abban- dono , che noi sorvoliamo. Sorvoliamo anche il Ranz de-Vaches ; ma non pria d’ averne recata una stanza : n 229 Rammenta le sere Degli erti falò, Il colmo bicchiere Che a Tello libò. Dell’ ultimo canto d’Ulrico, Bardo della Regina Teodelinda , nulla abbiamo che dire : così del Monte degli Stampi in Tremezzi- na ; così della Promessa nuziale, che non è (giova ripeterlo a disin- ganno de’ parvoli), non è canzone romantica. Così del voto del Pala- dino ; così del voto del Crociato ; ma con così della Vo/uttà , che dopo la Patria è con la Fidanzata , la canzone più bella. Nella ebbrezza de’suoi canti, Al tepor d’estiva sera, Esultante è l’usignol; Ma trapassano gl’istanti Della vita lusinghiera, E del verno è lungo il duol. Sinchè l’animo ricrea Una lucciola vagante, Un tintinno d’arpeggiar, D'ogni palpito si bea, Dietro gl’idoli anelante Del suo lieto immaginar. Nè l’ arpa di Tebaldo; nè la Melanconia, nè Vl Ospitalità , nè la Fedeltà , nè il Trovatore ci paion degne di quell’ ingegno che ha cantato la Patria, e che ba dettato nella Voluttà le tre stanze che cominciano £ quand’ abbia il passo incerto — Chè lo spirito avan- zato — Chè ferale monumento. Noi confortiamo il poeta a non lasciare la sua bella impresa: e crediam lodarlo abbastanza, raccomandandogli la meditazione, e la lima. Ad un ingegno mediocre un uomo onesto non oserebbe dir tanto. K. X. Y. La Speranza. Poemetti due. Rovereto. Tip. Marchesani. 1826. Da una picciola terra che nell’amore de’buoni studi, nel fer- vore delle arti adornatrici della vita , e nella gloria di qualche in- gegno sovrano il cui nome è commendazione eterna della patria ond’ei nacque , ha di che pareggiarsi a non poche di quelle città che rendono troppo infaustamente invidiabile e desiderata l’Italia, da quest’umile terra , io diceva , esce un carme che nella presente abbiezione d’un’arte ch’è fiore dell’umano ingegno, dee giungere tanto più caro quanto manco aspettato. Credi a me, le promesse inadempite Dì speranza, son mali: e mal più grave 230 È ne'suoi doni; chè l'orgoglio umano Se ne alimenta, pallido furore Che il mondo abbraccia, conquassando; e al cielo Gl’incensi usurpa. — Non. s'appaga il Corso Del trono, a cui fur grado i trucidati Regi; non del congiunto italo regno : La catena gli basta : ognor più vaga A nuove palme il chiama l’ingannosa Promettitrice. Ei va. Trema la terra Sotto i piè del Possente, e del gran pondo, Quasi di lei maggior, si sdegna, e a mille Gli caccia contro i suoi figli gagliardì Invida. Ahi quante colpe! Ahi qual d’immense Colpe fatal conflitto! — Ed egli? In breve Scoglio racchiuso dell’atlantic'onda, Scuotesi alfin dal suo cruento sogno, Vede che fumo è la vittoria, e ch’ ombre D’altera e:steril pianta eran le molte Geste di sangue.}Le speranze i) vento Da radice ne strappa, e ne dilegua Le sparse aride foglie... Il carme del signor Lupatini, cui questo del conte Pompeati è risposta, non è certamente povero di bellezze; ma senza l’opera della lima ogni lavoro, e sia pure eminentemente poetico, è manco, La prolissità dello stile e la improprietà della frase sono i due vizi che sola la lima può torre: quindi e la falsità delle imagini dalla negghienza della dizione svisate e guaste , e la soverchia fluidità che fa quasi sfuggevoli sì l’idee sì gli affetti. Ma non si creda che questa verità nel suo pieno rigore possa alla poesia del signor Lu- patini applicarsi. K. Loi ALTRA RIVISTA. Lettere familiari del conte LORENZO MAGALOTTI contro l’ateismo. Milano, Silvestri 1825 t.2.in 12.° A sedici o diciott'anni, quando l’imaginazione è sì viva e il cuore sì ardente, poche pagine di Saint Pierre o di Chateaubriand sulle meraviglie della natura e i segreti delle nostre intime affezio- ni vagliono per noi, contro le dottrine dell’ateismo , più che i ra- gionamenti di tutt i metafisici, Viene poi il giorno in cui Clarke. e Leibnitz acquistano presso noi l’autorità che loro compete ; ma io non so come, fra la geometria delle loro proposizioni e delle loro prove, di cui il nostro intelletto sente il bisogno , noi sospiriamo di continuo quelle pitture del mondo esteriore e quelle testimo- nianze dell’interiore , che ci teneano luogo d'ogni dimostrazione. 231 Boutterweck in uno scritto ancor nuovo (die religion der ver- nunft) pone la sorgente dell’idee religiose , e però di qaella d’un es- sere la cui esistenza spiega tutte l’altre, nel riflettere che fa la ra- gione sopra sè stessa e le proprie leggi , esclusa la cooperazione d’ogn’altra facoltà del nostro spirito. Quand’io non fossi affezionato come sono ai principii della filosofia sperimentale, che molti buo- ni tedeschi, da razionalisti puri, chiamano empirismo, ciò che ac- cennava poco sopra basterebbe ad impedirmi di pensare come il dotto pur ora nominato. E già, senza ch’io m’impegni in Jungo di- scorso , ciascuno comprende, che un’idea, la quale è per così dire il complemento di tutte le cognizioni, deve nascere dall’esercizio di tutte le facoltà, e che la sua piena dimostrazione debb” essere il resultato di quest’ esercizio simultaneo , allorché le facoltà del nostro spirito sono egualmente matare. Quindi giunti ad un certo punto della vita noi più non ci accontentiamo di quelle che chia- mansi prove fisiche e sentimentali dell’esistenza di Dio; ma non possiamo pure accontentarci di quelle che chiamansi metafisiche , ove siano separate dall’altre. Noi abbiamo bisogno di vederle fuse e contemperate insieme in un’ argomentazione piena d’ evidenza e di vita; e chi meglio saprà soddisfarci a questo riguardo, avrà da noi il primo luogo tra i filosofi religiosi, | Se il Magalotti, invece d’essere vissuto a’giorni del Bellini e del Redi, fosse vissuto a quelli del Mascagni e del Vaccà; se inve- ce d'essere stato segretario dell'accademia del cimento lo fosse og- gi della nostra società di geografia e storia naturale patria; insom- ma se, invece d’aver assistito al nascimento delle scienze, avesse veduto il loro attuale incremento , forse quel luogo, che si diceva pur dianzi, sarebbe suo. Raziocinio , sentimento , imaginazione tutto si univa in lui, come in alcuni filosofi dell’antichità , perch'egli riuscisse scrittore in sommo grado convincente e persuasivo, Ma il secolo, in cai vivea, non glielo permise; e le sue lettere contro l’atei- smo attestano , più che altro, la lotta del suo spirito colle diffi - coltà oppostegli dallo stato ancora più che imperfetto dell’umane cognizioni, Nell’avvertimento premesso alla prima edizione di queste let- tere, e riportato nella presente , si trova un passo , che sebbene dettato dalla più alta ammirazione , ci fa sentire abbastanza che il Magalotti filosofo sarebbe oggi poco altro che un nome, se non seguitasse a dargli vita qualche cosa di estraneo alla sua filosofia. « Ha questo profondo intelletto nella sublimità delle cose seguitato la maniera del trismegista Mercurio, dell’ altissimo Platone e del principe de platonici, Plotino; ma nella chiarezza delle forme di di- 232 re e di spiegare cose astrusissime è solo simile a sè, perchè , essen- do creatore del suo concetto , non rubatore dell’altrui , l’ha fatto intendere in forme sì chiare , come allo splendore di sua mente si conveniva ; ed alcuna volta si è tanto abbassato nel dire, senza però partirsi dall’onorato stile filosofico, che quasi pare che voglia pren- dere di peso da terra ogni qualsivoglia intelletto per portarlo a viva forza nelle sue altissime contemplazioni ,,. In mezzo alla metafisica di queste contemplazioni il Magalotti non ba trascurata la più grande fra le prove morali dell’esistenza di Dio, già toccata con brevi ma sublimi parole da Cicerone, voglio dire il consenso universale delle genti. Stadiosissimo, com'era, delle storie, de’viaggi, delle lingue, chi sa di quanta luce ei potreb- be vestire una tale prova se oggi vivesse ! Ma la storia , i viaggi, le lingue non insegnavano allora che ben poco, o almeno che ben po- co di certo. Però il consenso universale , che si disse, fu negato do- po di lui da parecchi filosofi; di che mi ricordo che mad. Stael fa in qualche luogo dei terzo volume dell’Alemagna un’ eloquente doglianza. A me però non fa meraviglia che [acobi, da lei posto a capo de’ filosofi religiosi del paese di cui favella, siasi incontrato ‘ soltanto nell’epoca d’Humboldt, d’Adelung, e di Klaproth: e che il suo amico B. Constant, il quale ha trasportato in Francia le idee di que’filosofi, non siasi incontrato che in quella di Calliaud , di Champoillon e di Remusat. L’imperfezione delle cognizioni, che ha pregiudicato al merito intrinseco delle lettere del Magalotti , ha sicuramente pregiudicato anche all’estrinseco. In una dedicatoria al march. Teodoli, ch’ei loro premette, dichiara che gli sarebbero bisognate altre cure per “ rile- gare meglio le-materie e, con far nascere più naturalmente un ar- gomento dall’altro, mettere un po'di miglior ordine in tutta la se- rie ,,, Il brav uomo, come può comprendersi da queste parole, era tormentato dal bisogno d’ una miglior forma di ragionamento ; ma egli illudeva sè stesso, pensando che qualche cura di più gliel’avreb- be fatta ritrovare. Quest’ottima forma non poteva essere che il frut- to d'un miglior metodo, e il miglior metodo non potea trovarsi pri- ina d’un miglior fondo d'idee su cui adoperarlo. Come non si tratta dagli scrittori alcun grave argomento, a cui non corrisponda qualche bisogno del publico, ho domandato più volte a me medesimo, qual bisogno a’giorni del Magalotti potesse aversi in Italia delle sue lettere contro l’ ateismo, Se a questa dottrina aveano inclinato (il che è molto dubbio) alcuni filosofi del decimo- sesto secolo, come il Campanella e il Vanini, m’è ignoto che altri, per lunga serie d’anni, manifestassero simile inclinazione. Il Ma- 233 galotti in quella sua dedicatoria al Teodoli, che già si è citata, vuol far credere di non avere scritto che per certo suo amico oltramon- tano “ il quale gli si era allargato bastantemente per lasciarlo ac- corgere d’una somma disinvoltura in materia di religione ,,, Quindi le sue lettere portano il titolo di familiari, anzi, nelle prime edi- zioni, quando ancora non erano publicate le altre da cui fa necessa- rio distinguerle, portavano questo solo. È però facile avvedersi che sono scritte pel publico; o almeno che il publico era più presente al pensiero dell’ autore che non l’amico a cui le dirigeva. Da ciò è derivata loro non so quale disuguaglianza , e direi anche non so qual falsità di tuono; ma da ciò pure è loro venuta in più ,luo- ghi maggiore eloquenza. Lo stile, che inesse può studiarsi , è del più ricco e più industrioso che il Magalotti abbia mai adoperato. Vi abbondano forse più che nello stile d’altre sue composizioni que’ mo- di che il suo Ottavio Falconieri gli rimproverava come esotici. Ma chi oggi saprebbe discernerli; o chi sapendolo vorrehbe rimproverar- glieli? Essi (e ciò merita d’essere notato ) appartengono principal. mente alla filosofia del pensiero, avanzata fin d’allora più altrove che fra noi. Quindi l’ adottarli fu pel nostro Magalotti piuttesto necessità che elezione. Fors’anche a lui parve di vedere in assi una prova dell’immaterialità dell’essere pensante contro le dottrine che combatteva, giacchè qual cosa più incompatibile coll’idea della ma- terialità che la formazione d’un linguaggio sempre più razionale? La scienza della legislazione e gli opuscoli scelti di GAETANO FI- LANGIERI. Livorno , Masi e C. 1826, tomo primo in 8.° Commentario alla scienza della legislazione di G. FILANGIERI scritto da BENIAMINO CONSTANT , pr. trad. Italia 1826 in 8.° In un giornale, non dico italiano, ma stampato pur troppo in Italia, davasi mesi fa al buon Filangieri più d' un epiteto, che avrà afflitto sicuramente molti cuori onesti. Non è a farsi meraviglia, lo so , che da alcuni scrittori si paghi in ingiurie il tributo della pub- blica ammirazione. Ad ogni modo questo veder oltraggiato , mol- t’ anni dopo che la morte lo ha reso sacro , 1l nome d’un saggio, «he meritò in singolar maniera la nostra riconoscenza, è cosa tanto rivol- tante » che deve quasi riuscirci inaspettata. Sarebbe però indebito il timore , che qualche parola sfaggita allo spirito di parte , per non dire scagliata da chi fa professione di odiare tutti gli amici dell’uma- nità , potesse diminuire verso il Filangieri quella riverenza e quel- l'affetto che la nazione gli serba. La nuova edizione, che or sì fa, dopo le tante che già ne abbiamo, della maggiore sua opera, a cui 234 si aggiungono le più scelte fra le minori, ci è pegno sicuro ch’ egli è sempre per gl’ italiani quel ch’ era , quando agli applausi, onde il ricolmavano Verri, De Felice, Spannocchi , rispondevano da varie parti del mondo quelli di Pastoret , di Munter e di Franklin. Ho detto ch’ egli è sempre per gl’italiani quel ch’ era , e do- vrei dire ch’ egli è molto di più , se non qual maestro della scienza legislativa , certo qual modello di chiunque si faccia a parlare ai le- gislatori. Appunto perchè nella grande sua opera oggi più non cre- ‘diamo di trovare un’ istruzione perfetta, ogni nuova edizione, che se ne procuri, prova evidentemente che sappiamo trovarvi qualche cosa di più bello e di più immanchevole che la semplice istruzione. Qual . forza ci riconduce pur sempre, malgrado tutti i progressi delle nostre idee, allo spirito delle leggi di Montesquieu ? La sua energia , rispondiamo , e la sua profondità. Quale attrattiva ci fa oggi ricer- care la scienza della legislazione del Filangieri? Quel calore d' un anima pura, quell’ amor vivo dell’umavità , che vi esala da ogni parola. Montesquieu è per noi il genio forte della scienza regola- trice del viver sociale; Filangieri il genio soave ; e, quando dalle loro opere più non si aspetta una vera istrazione , sì aspettano an- cora le più belle ispirazioni. Del resto l’istruzione che anch’oggi può trarsi dall’una e dall’al- tra, massime coll’»jato d’un buon comento, non è sì scarsa, che l’una e l’altra non meritino d’ occupare tuttavia i primi posti fra le opere di no tro studio. Non è piccola prova dell’istruzione che ancor trova- si nello spirito delle leggi l’aver esso avuto per comentatore Destutt Tracy; e non è piccola prova di quella che trovasi nella scienza della legislazione l’aver essa avuto per comentatore Beniamino Cunstant. Quest’ illustre pablicista , ch’ è ad un tempo uno degli nomini più eloquenti, di cui si onori la tribuna popolare di Francia, di- chiara d'essere stato indotto ad aggiugnere un comento (0 commen- tario come scrive il suo traduttore, ma forse con minore esattezza ) all'opera del Filangieri da due motivi. Primo perché trovò piacere nel rendere omaggio alla memoria d’uno scrittore benemerito del suo paese e del suo secolo; secondo perchè gli stessi difetti della sua opera gli diedero occasione di svilupparne o rettificarne le idee, Questi difetti adunque sono agli occhi di lui piuttosto accidentali che sostanziali, altrimenti mai non avrebbe creduto che un comento potesse emendarli. Infatti, egli aggiunge “ ove pure mi trovo in op- posizione diretta col Filangieri , la mia opposizione mai non riguar- da il fine da lui propostosi , ma solo i mezzi ch’ egli crede più atti a conseguirlo. ,, E, quanto al fine propostosi, egli non dubita d’ ante- porre l’ autore della scienza della legislazione a quello dello spirito 235 delle leggi, che pur gli era, al parer suo, tanto superiore per le for- ze dell’ ingegno. « Non può dirsi di lui (ciò si legge sul bel principio del comento) come di Movntesquieu, che, osservatore ingegnoso e profondo di quanto esisteva , sia divenuto sovente \’ apologista sottile di quanto aveva osservato. L’immortale autore dello spirito delle leggi mo- strossi di frequente zelante partigiano delle inegualità e dei privilegi. Egli riguardava quelle cose, che un tempo immemorabile avea consecrate , come altrettante parti costituenti l’ ordine sociale ; e nella sua qualità d’ istoriografo più che di riformatore delle istitu- zioni, non altro ei domandava col descriverle che di conservarle, Il suo genio però , ed una certa acrimonia inseparabile dal genio , gli dettavano talvolta delle espressioni, con cui falminava gli abusi medesimi , per i quali le sue abitudini e la sua posizione sociale ispiravangli della parzialità e dell’indulgenza. Filangieri, all'opposto, più libero di Montesquieu da’ pregiudizii di nobiltà , non ebbe alcuna ripugnanza a dichiararsi riformatore. Egli non opinava che una cosa dovesse essere rispettata perchè esisteva, e tutti gli abusi sarebbero caduti , se la sua volontà fosse bastata a distruggerli. Ma Filangieri non avea il genio di Montesquieu. Una specie di dolcezza o di ritegno nel carattere lo strascinava a concessioni contrarie a'suoi principi, mentre la veemenza inseparabile da una gran forza intel- lettaale costringeva Montesquieu, malgrado la sua moderazione, a profferir sentenze incompatibili colle sue concessioni 1n favore dei sistemi stabiliti. ,, Da queste parole si raccoglie che se a Tracy bisoguò farsi inter- prete del genio di Montesquizu per dare allo spirito delle leggi una nuova atilità, bastò a Constant di secondare il cuore di Filangieri , per dare alla scienza della legislazione quella luce ehe potea man- carle. E il secondarlo dovea riuscirgli ben dolce , poichè la natura sembra avergli donato un cuore a molti riguardi somigliante, Quindi se dimenticando un istante le circostanze dell’autore, gli rimprovera talvolta qualche mancanza , investendosi tosto di queste circostanze, si affretta a giustificarlo, e mostra che forse egli non avrebbe scritto in maniera diversa dalla sua. S' egli osserva, a cagion d’ eseinpio , che “ avvi nella sua opera un’ umile e dolorosa rassegnazione che tende a impietosire il potere cui disarmare non spera ,, ; tosto sog- giunge: “ ma forse prima della formidabile rivoluzione, che ha scosso e minaccia tuttavia il mondo, questa stessa rassegnazione non era priva di qualche merito, quello cioè della prudenza,,. Se altrove egli nota che il buon Filangieri si abbandona spesso all’enfasi e alla declamazione ,,; subito riflette: “ ma com’ egli scriveva in 236 presenza degli abusi, ciò deve ben perdonarsi ad uno sdegno , che parte dall’ intirna convinzione. ,, Del resto qual prova maggiore di ciò ch’ io pocanzi asseriva , che l’abbandonarsi che fa il commenta- tore medesimo, non dico all’enfasi o alla declamazione, ma alla viva espressione di quel dolore, che desta in lui pure la presenza di qnal- che gran male? Vedete , per esempio, ov’ egli parla della tratta dei negri , e delle orribili arti, con cui si cerca di eludere le leggi che da alcuni anni la vietano. Se la data istorica di queste nuove indegnità cel permettesse, non crederemmo noi di leggere una grave doglianza del nostro autore , leggendo quella del suo commentatore ? Altri biasimi, se ne ha cuore, questa preziosa facilità di commo- versi negli scrittori di cose legislative. Io per me la trovo così necessa - ria per valutare esattamente i mali di cui vuol proporsi il rimedio, co« me per procedere cautamente in tale proposta. E il commentatore del Filangieri me ne dà prova in più luoghi ; ciò ch’ io noto con tanta maggiore soddisfazione, poichè ne risulta una maggior concordanza fra lui e il Filangieri medesimo, che non potrebbe pensarsi. Il filosofo italiano, per esempio, ha manifestato in proposito della popolazione quelle idee che al suo tempo erano comuni, e che oggi pure non sono impugnate se non da pochi. A capo di questi, come ognun sa, è il celebre Malthus, i cui ragionamenti hanno fatto so- pra la mente del commentatore una gagliarda impressione. Egli quindi li riproduce, li loda, ma all’ atto di adottarne le conseguenze si ritrae, e torna verso il Filangieri più che non se n’era allontanato. 6 Il sistema di Malthus (cito queste parole perchè sono uno specchio il più terso del cuore, dirò così, filangieriano del commentatore) mi ripugna più che non mi piace , ed allorchè mi decisi ad esaminarlo attentamente per poterne giudicare con coguizione di causa , mi ci avvicinai con uno sforzo penoso, quale ne abbisogna per sottomet- tersi ad un’ operazione dolorosa, o per fissare lungamente lo sguardo sopra un oggetto che disgusta. ,, Così il buon Sismondi , annuncian- do nel settembre della rivista enciclopedica, una seconda edizione de’ suoi nuovi principii d’economia , e dichiarando che quanto ha veduto quest’ anno in Inghilterra gli ha fatto adottare intorno al. l’ industria idee troppo diverse da quelle de’ suoi più cari amici , ne mostra un rincrescimento, di cui importa che si tenga conto. Nè egli nè il nostro commentatore sono fatti per disprezzare gli avvertimenti del cuore ; anzi non possono ingannarsi che per non saperli tal- volta conciliare quando loro sembrano opposti. B. Constant, dopo aver detto “ ch’ è pienamente d'accordo con Malthus quanto al prin- cipio, perchè non si può contrastarlo ,, si arresta prudentemente e dichiara “ che ha poca fiducia ne’ rimedii da lui proposti ,,, 237 L'egregio Sismondi , senza rinunziare a’suoi nuovi principii, potreb- be anch’ egli non venire ad alcune conseguenze che sembrano de- rivarne ; e contro le quali il benemerito Say s’ è affrettato di prote - stare nell’ ultimo numero della rivista già indicata. L’ equilibrio fra la prodazione e le ricerche è il principio vagheggiato da Sismondi : come l’equilibrio fra la popolazione e la sussistenza è il principio vagheggiato da Constant. I mezzi per ottenerlo meritano bene le loro indagini; ma io non so persuadermi che l’uno possa trovarli negli impedimenti benchè indiretti della produzione, più che |’ altro abbia saputo trovarli negli impedimenti della popolazione. E qui è dov’ io diceva che Constant torna verso il Filangieri più che non se ne fosse allontanato, Perchè il Filangieri, in fondo, non considera la popo- lazione come un bene , se non perchè crede anch’ egli, come il suo commentatore , che la natura abbia provveduto che quanta ne può capire sulla terra, vi trovi la sua sussistenza ; e raccomandando l’in- coraggimento della popolazione, viene a raccomandare quelle saggie istituzioni sociali che possono farla comodamente sussistere. Leggeva ultimamente di non so qual libro scritto da un cittadi- no degli Stati uniti d'America, ove sembrano trovarsi nuove e più decisive risposte che quelle date fin quì al sistema di Malthus. Que- sto libro sicuramente avrà fatto molto piacere al commentatore del Filangieri. Un cittadino della repubblica di Ginevra ha proposto un premio pel migliore discorso , che sarà presentato nel prossimo gen- naio ad un giurì da lui eletto , intorno all'abolizione della pena di morte. Non dubito che il commentatore non aspetti con impa- zienza e questo discorso e quanti dopo di esso potranno meri- tare più speciale attenzione. Il Filangieri, com*è noto, opinava intorno alla pena di morte diversamente dal nostro illustre Beccaria; e il commentatore non sa contradirgli. Egli anzi aggiunge ‘‘ ai suoi ragionamenti metafisici varie considerazioni pratiche ,, le quali con- fermano la sua opinione. Ma egli ba tanta cura di limitare le conse- guenze di queste considerazioni, ha tanto bisogno di persuadere a sè stesso che non cede se non alle più umane fra esse, che sarà ben lieto , come lo sarebbe stato il buon Filangieri, di poter cedere all’ evidenza d’ altre ancora più umane , e di liberarsi in certo modo da una terribile responsabilità. S’io mi fossi proposto di fare un’analisi del suo comento, avrei dovuto, anzichè trattenermi sopra alcuni particolari, indicarne la divisione generale e metterne in vista le idee dominanti. Ma ciò era già stato fatto , e con altra perizia che quella ch’iv avrei saputo mo- strare, in un articolo del numero 51 di questo giornale, a cui i ostri 1 ettori potranno ricorrere con vantaggio, L'autore di tale ar- 238 ticolo , scritto per la prima edizione originale del comento, si mostra sicuramente assai tenero del Filangieri , a cui deve , com’ ei s' espri- me, quel primo impulso, che lo portò a cercare nello studio delle leggi il mezzo più efficace di contribuire al bene de’ suoi simili. Il suo affetto però non lo rende parziale, e si divide facilmente fra l’autore e il commentatore , di cui talora impugna, talora conferma le osservazioni. Quid leges sine morbus? diceano gli antichi. Un moderno, di cui ora non rammento il nome, ha saggiamente riflettuto che quanto si aspettava dai costumi ora si aspetta dalle istituzioni, rigeneratrici e mapntenitrici dei costumi. Filangieri avea indicato il rapporto , che deve cercarsi fra le istituzioni e leggi ; e il suo commentatore lo ha sviluppato. Distinguendo però le leggi in positive e speculative ( di- stinzione dovuta , come ognun sa , al vecchio Mirabeau) non trova conciliabili colle buone istituzioni se non le prime , e rigetta affatto le altre in cai il Filangieri mostra di avere una grande fiducia. L’au» tore dell’ articolo , s'interpone fra loro , sembrandogli di vedere nel progressivo incivilimento de’ popoli più casi, in cui la legislazione mancherebbe al proprio scopo, se oltre al reprimere gli atti lesivi dei comuni diritti, non ne dirigesse pur altri ad uno scopo di publica utilità. Del resto egli osserva che Filangieri medesimo avea detto « che l’ amministrazione dovrebbe adottare per regola generale quel gran principio : ingerirsi quanto meno si può , lasciar fare quanto più si può ,,; principio molto prossimo a quello di lasciar fare e lasciar correre ,, che in proposito d’educazione, d’industria e di qual- ch’ altro oggetto è proclamato dal commentatore. Fra le migliori applicazioni che il Filangieri abbia fatte d’ un principio ,in forza del quale ei pensava che ci fosse più bisogno di disfare le vecchie leggi che di farne di nuove , è sicuramente quella che riguarda il commercio de’ grani. Ciò che aggiunge il commenti» tore è d’una solidità e d’ un’ evidenza a cui non sembra che si possa resistere. Pure a che non resiste il pregiudizio o il privato interesse? Quindi l’autore dell’ articolo, mentre si applaude che la sapienza delle leggi leopoldine in Toscana assicuri al commercio che si diceva una felice libertà, crede di dover opporre nuovi argomenti a chi non cessa di mettere in dubbio se questa libertà sia un bene. Ma io ricordando, per la loro opportunità , siffatte cose, vengo a provare piuttosto i suoi lumi che la sua imparzialità. Or debbo dare di questa una prova più convincente. Ove trattasi della difesa de’ diritti del cittadino egli osserva che il commentatore, imbevuto delle dottrine di Montesquieu, di Mably e d' altri filosofi, mostra di credere che la proprietà stabile, come la. libertà, non esista per 239 legge di natura ma per beneficio della società. Non essendo quello il luogo, com’egli dice, di trattenersi sopra un’articolo fonda- mentale della ragion publica , altronde già egregiamente trat- tato dal Romagnosi nel suo Diritto universale, si accontenta di far riflettere che la società colle sue leggi può ben difendere in modo più o meno efficace la proprietà e la libertà, ma non crear- la , per questa gran ragione “ che nulla vi può essere d’ artificiale o convenzionale , se prima non vi sia l’ elemento del naturale ,,. L’ er- rore contrario , egli aggiunge , ha forse contribuito con altre cause «a dar vita alla pena della confiscazione de’ beri , che il codice cri - minale leopoldino di Toscana chiama vera violenza e appropriazione illegittima che fa il governo delle sostanze altrui. ,, Io peraltro mi sarei astenuto dal ricordarla , egli prosegue, giacchè nè il Constant. ne fa parola , nè avvi quasi pubblicista ; anzi nè avvi quasi governo che: oggi non.la stimi abbominevole , se non avessi voluto notare ‘ come Filangieri, quando la propose in aggiunta alla pena di morte pei delitti di lesa maestà in primo capo ; non solo la difese con ra- gioni al tutto insassistenti, ciò che da altri fu osservato, ma si pose in contradizione manifestissima con sè medesimo , ciò che ignoria- mo se da altri.sia stato avvertito ,,. Ciò basti per rammentare a chi ne avesse perduto memoria, o avvertire chi per caso non ne avesse ancor fatta lettura ; ché l’articolo dell’Antologia è in parte un'analisi critica del comento, di cui si parla, ein parte un'appendice, che ne adempie lo scopo. Or debbo indicare alcuna fra le idee più luminose di questo comen- to , quasi per adempire io medesimo lo scopo di quell’articolo. .« Nel mio saggio sullo spirito di conquista, dice l'illustre com- mentatore, ho cercato di provare che lo stato del genere umano ne- gli antichi tempi differiva talmente dall’attuale nostro , che nulla di ciò ch'è applicabile all’ano di questi stati è ammissibile nell’al- tro ,;. Quindi rimprovera spesso al nostro pubblicista un’eccessiva ammirazione per gli antichi, la quale, al di dir suo, è causa che ragionando ei non tenga verun conto di simile differenza. Io amo credere che il Filangieri, come osserva l'autore dell’articolo già lo- dato, citi l'esempio degli antichi piuttosto a stimolo che a direzio- ne de’moderni, consigliando che dai secondi si operi quarto dai pri- mi, non che si operi all’istesso moddî } pero vero che il più delle volte, ove agli uni conveniva l’azione, agli altri conviene il contra- rio, onde l’esempio, che si diceva, a qualunque fine sia proposto', riesce inopportuno. Ma io qui non voglio nè sostenere nè contra- stare la difesa del Filangieri. Voglio indicare soltanto, come il suo ‘ commentatore, ‘coliocandosi in un punto di veduta così elevato che ) 240 giusto, si apre dinanzi spazii vasti per giugnere alla verità. Filan- gieri, che quasi non iscorge differenza fra lo stato degli antichi e quello de’ moderni, volendo a questi dissuadere la guerra, crede aver fatto un gran colpo lanciando un piccolo epigramma contro i perfezionamenti dell’arte militare. Il suo comentatore, dopo aver notato che l’epigramma per maggior disgrazia del ragionamento col- pisce in falso, ecco dice come questo ragionamento dovrebb'essere condotto. “ Vi sono nello stato sociale dell’epoche, nelle quali la guerra è nella natura dell’uomo e nel novero delle necessità de’ po- poli. Allora quanto può renderla terribile e con ciò appunto abbre - viarla è buono ed utile. . + +... Ma vi sono anche dell’epoche, in cui la civiltà avendo creato pell’uomo de’nuovi rapporti co’suoi si- mili, e con ciò una nuova natura, la gaerra cessa d’essere una neces- sità nazionale. Non bisogna allora applicarsi a renderla meno mici» diale, ma bensì ad impedire ogni guerra inutile . . . . . Resta ora a sapere in quale delle due epoche noi ci troviamo, ed è evidente: che ci troviamo nella seconda ,;. Quest’epoca è da lui denominata l’epoca commerciale, e il suo discorso, per non toccarne che le somme proposizioni, procede così. « La guerra e il commercio non sono che due differenti mezzi d’ ot- tenere il medesimo scopo , quello di possedere ciò che si brama. .... Un uomo, che fosse sempre il più forte, non avrebbe mai l’idea del, commercio, L’esperienza sola provandogli che la guerra, l’impiego cioè della sua forza contro la forza altrui, è esposta a molte resi- stenze e a molte disfatte , lo sprona a darsi al commercio, vale a dire a scegliere un mezzo più dolce e più sicuro d’impegnare l’inte- resse altrui ad acconsentire a ciò che conviene al suo proprio . » + La guerra diviene ogni giorno più un mezzo inefficace ad ottenere questo scopo. Le sue vicende non offrono più nè agli individui nè ai popoli vantaggi corrispondenti a quelli de’lavori pacifici e delle permute regolari, Presso gli antichi una guerra felice aumentava le ricchezze publiche e private dei vincitori: presso i moderni una guer- ra felice è certo più costosa che fruttuosa ,,, Non credo che nessuno dei lettori dubiti della verità di quest’ultima asserzione. Ma se mai gli bisognasse una prova di fatto, ne ho in pronto una che non gli sembrerà certamente di piccola forza. Il dotto Rau in un libretto sull’economia politica, stamato l’anno scorso ad Heidelberg a com- pimento d’un’opera ivi pubblicata nel 1822, osserva che “ giusta i bilanci del 1811 tutte le conquiste non davano alla Francia che 30 milioni, mentre le trappe di terra e di mare gliene costavano Goo. L'epoca del commercio è l’epoca dell’industria, che lo alimenta, nel tempo medesimo ch’ è da esso incoraggita, Ora l’ epoca dell’ in- 241 dustria è l’ epoca della divisione delle proprietà ; e questa, secondo il saggio comentatore, è l’ epoca del buon ordine , e della maggiore stabilità de’ governi. Indarno |’ interesse de’ grandi proprietarii , spaventato degli effetti d’un’indastria ognor crescente, cerca d’oscu- rare una tal verità, “ Non è egli evidente, dice il nostro commenta- tore , che quanto è più grande il numero di quelli che sono interes. sati a sostenere il governo, tanto più questo è difeso con zelo? Quafi- «do adunque si ripete che i proprietari sono amici dell’ ordine , non se ne deve forse conchiudere che per conservar l’ ordine convien ac- crescere il numero de’ suoi amici ? Inoltre egli è facile il dimostrare ‘che ;anche individualmente, i piccoli proprietarii sono più interessati dei grandi a prevenire il disordine.,, Ed egli infatti il dimostra e con ‘tal luce di ragionamento , che non basta , parmi, chiudere gli occhi della mente per non esserne penetrati. E in appoggio de’ ragiona= menti, parte de’ quali ei prende in prestito dell’ egregio Sismondi (cui dice di non aver mai confatato senza dispiacere e di approvar sempre con gioja ) ei reca fatti ben convincenti, a cui non mi sarebbe difficile, se ne avessi tempo , d’ aggiugnerne parecchi altri. Così ove parla d’educazione avess’ egli esteso i suoi principii, relativi alla distribuzione delle proprietà o de’beni materiali, anche alla distribu- zione de’ lumi o de’ beni intellettuali ! Molte specie d’ interessi par- ticolari si uniscono a condannarla come contraria al buon ordine gene- rale , e giova il ripetere quanto sia assurda questa condanna. In un articolo dell’ Eremita dell’Alemagna, giornale che stampasi a Lipsia dal principio di quest'anno , trovasi un pajo di periodi, che fa qui a proposito il riportare. Napoleone dice in qualche luogo (credo in una sua lettera al Direttorio di Francia a’ tempi delle prime campagne d’ Italia) che i soldati del suo esercito erano giunti a tal grado d’ intelligenza militare, che talvolta ei sentì rivelarsi da una bocca oscura i piani che avea ideati ma non ancora manifestati ad alcuno. Egli è ben certo che i sudditi tanto meno si troveranno discordanti da’ rispettivi governi , quanto più sapranno apprezzarli, e convincersi che 1lor regolamenti sono giusti e necessari. ,, Quest’ ultima idea mi fa pensare ad una delle più belle parti del comento di cui parliamo , la quale tratta appunto de’più urgenti come de’più scabrosi fra tutti i regolamenti. Parlo di quelli che ri- guardando le imposizioni, intorno a cui si sono dette anche da econo- misti perspicacissimi (potrei citare fra i più recenti l’illastre Ricardo) cose assai confuse e assai arrischiate. Non so s’io m’ inganni, ma par- mi che quanto ne scrive il nostro comentatore sia di tanta chiarezza e aggiustatezza, che non potrebbe desiderarsi la maggiore. E quando T. XXIV. MNovemb. e Dicemb. 16 242 | giunti a metà del discorso c’ incontriamo in questo periodo : té mo: streremo ora che l’ interesse dello stato, in fatto d’ imposizioni . trovasi d’ accordo co’ diritti degli individui, poichè infelicemente non basta indicare ciò ch’ è giusto, ma fa d’ uopo inoltre provare che ciò ch'è giusto è anche utile,, ; noi proseguiamo a leggere con un sentimento misto di rispetto e di gioia, come sempre ci avviene ad ogni nuovo ragionamento che leghi alla morale la direzione delle pubbliche cose. Quelli che meditano sulle costituzioni degli stati ritroveranno al principio di questo discorso una discussione sensa- tissima , in cui è esaminato se il diritto d’acconsentire le imposizioni sia un limite al potere , quale alcuni se l’imaginano, o non piattosto un semplice mezzo d’economia ; e ammireranno |’ acume dello scrit- tore, che avvezzo alla realtà delle cose va dritto al vero attraver- so quelle brillanti apparenze, che spesso ne disviano i meglio ine tenzionati. Io mi distacco mal volentieri da un libro , la cui lettura è stata per me una fonte d’ istruzione e però di soddisfazione ‘straordinaria, Avrei voluto poter dare qualche saggio della forza singolare con cui in molte parti è scritto, e che si fa sentire abbastanza malgrado qualche imbarazzo della traduzione. Avrei pur voluto poter dare qualche idea dell’ erudizione profonda, che nell’ultime parti special- mente vi si ammira. Ma i confini d’una rivista non mi permettevano di condiscendere ad un desiderio, che mi pareva sì giusto. La conchiusione del libro è un pezzo d’eloquenza demostenica, degno d’ essere applaadito dal grande oratore , che la Francia l’ an- no scorso ha perduto. Fatta per rispondere ad on’aringa veemente contro lo spirito del secolo, ha tutto l’ impeto che conviene ail’ elo-, quenza della tribuna. È il linguaggio d’ un’alta ragione, a cui la coscienza offesa presta un insolito accento. Il buon Filangieri, se vi- vesse, ne sarebbe profondamente commosso, e direbbe : or sì che deve camminare intrepida la scievza della legislazione. Storia di Milano del conte Pret®ko VERRI. Milano, Destefanis, 1825, tomo quarto in 3. Più d’ ana volta l’Antologia , facendo parola di questa storia, e ricordando ciò che ne dice il barone Custodi nelle notizie intorno alla vita dell’autore poste innanzi alle sue opere economiche , espresse il publico desiderio di vederla reintegrata sui manoscritti originali, a cui verso la fine della prima edizione si ebbe assai poco rispetto, Questo desiderio dovea , come ciascun sente , riuscir lusinghiero al savio erede di que’ manoscritti e del nome di chi li lasciò. A me- 243 glio dimostrarsene riconoscente, egli credette opportuno di affidarne l’ adempimento al biografo stesso del suo illustre genitore. « Condusse il conte. Verri il suo lavoro (così il biografo nel proemio di questo quarto volume in cui ha poste le proprie cure) con sobria erudizione ,. con fina critica e con moderata filosofia, quale si conveniva allo scopo da lui propostosi d’ammaestrare dilet- tando. Sprezzò le assurde e magnifiche favole delle origini munici- pali, oggetto di comune ridicolo, compensato e reso muto in ciascun municipio dal pericolo di un eguale ricambio; svolse dalle tenebre de’ primi e de’ bassi tempi ie istituzioni, le sorti, i costumi che die- dero luogo allo sviluppamento della successiva nostra civiltà , tal- volta nei fatti peggiore della prisca barbarie ; chiarì 16 prepotenza dei pochi a rendere sottomessa la massa della nazione, e la reazione di questa, resa forte per l’ industria , il commercio, l'unione, onde ri- stabilire l’ egualità delle condizioni, siccome è il voto della natura nella egualità della specie. Dimostrò le vicende del clero , prima fa- voreggiato dai popoli come mediatore di pace, di concordia ; di consolazione ; poi accarezzato dai sovrani come stromento per. ab- bassare l’ orgoglio e contenere il soverchiar de’ magnati ; qaindi co- stituitosi difensore de’ popoli contro le pretese e le vessazioni del par- tito imperiale ; reso in seguito audace per l’acquistato ascendente, gianto a riclamare per sè maggiori prerogative di quelle contrastate ai nobili e agli imperatori ; e infine, nella lotta tra esso e i sovrani d’accordo coi popoli, sceso a moderare l’esorbitanza delle sue prete- se, ea limitarsi per gradi ad una preminenza*di considerazione che sola gli è dovuta. Narrò come lo stato di Milano , primo tra gli altri d’ Italia, per la libera scelta , per i compri voti, per l’ aperta forza passò alla piena obbedienza di coloro , che a riguardo de’propri me- riti e della dignità del casato erano stati promossi ai consigli ed alla direzione delle forze del comune; come i popoli furono per lungo tempo zimbello dell’ ambizione , de’ raggiri e de’ tradimenti de’ loro nuovi tiranni ; e come questi furono successivamente con meritata vicenda traditi e sottomessi da tiranni maggiori , e per ultimo tutti assorbiti nel confine delle grandi monarchie , che avrebbero pur recato ai popoli la pace da tanto tempo sospirata, se mon avessero scelta l’ Italia a teatro delle loro interminabili querele, non che dei capricci e della rapacità de’ loro generali e governatori. Era entrato l’ illustre autore a svolgere gli accidenti di quest’ infausto periodo della nostra storia, quando la morte, che lo sorprese , fu causa che al can. Frisi e a me toccasse l’ incarico d’ un proseguimento ingrato e difficile per il soggetto , e assai più pericoloso per il confronto. ,, Il Frisi (fratello del celebre matematico) non pubblicò se non 244 parte del suo lavoro , cioè quanto bastava ‘al compimento del se- condo volume della prima edizione della storia del Verri, già im- presso per metà, vivente quest’ uomo egregio , e lasciò mano- scritto un terzo volume, nel quale condusse la storia medesima fino al 1750. Il Castodi, rifacendo un tal lavoro , per renderlo più con- forme alla mente del Verri, «he ne avea apparecchiati quasi tatti i materiali, giugne colla narrazione sino al 1792 inoltrato, cioè sino alla morte dell’ imperatore Leopoldo s\ a cui il Verri non so- pravvisse che cinque anni. Quindi egli dice che 1’ opera da lui impiegata fu di due ma- niere, l’una, per così esprimerci, di ristauro, l’ altra di campo- sizione, o almeno di compilazione. ‘‘ Per l' epoca dal 1525 al 1565, intorno alla quale esisteva la stampa del Frisi , mi circoscrissi a ri- stabilire nella loro integrità le parti spettanti al Verri col confronto delle minute da lui lasciateci; e dove mi trovai mancante di que- sta scorta (egli si lagna che di vari lunghi frammenti , già mostra- tigli dal Verri medesimo e certo non ignoti al Frisi, non esista più traccia ) ridussi il testo alla dicitara che mi è sembrata più naturale e più conveniente, ,, Dal 1565 alla fine egli operò da sè, raccogliendo e connettendo insieme le note dell’ autore per formarne una seguita narrazione. In questa fatica, però, per cui gli fa d’uopo “ riscontrare quasi tutti i fatti alle loro fonti, e dar loro quello sviluppamento che l’autore soleasi riserbare nel dar forma alle successive parti della sua opera ,, egli non solo ha conservato scrapolosamente il fondo delle idee dell’ autore , ma per quanto gli era possibile anche le parole. Molte cose, egli dice, avrei potuto qua e là aggiun- gere a maggior pienezza dell’opera ; avrei a cagion d’esempio po- tuto parlare ‘ dei tributi straordinari imposti allo stato di Milano nei regni infausti e tarbolenti di Carlo V e di Filippo II, per cui il solo mensuale fa quadruplicato sotto diversi nomi ; mostrare che in que’ sovrani l'ambizione e l’ alterigia erano pareggiate dall’ indif- ferenza sulla sorte de’ popoli , sicchè le guerre erano per sistema intraprese e condotte senza alcuna predisposizione per gli ‘appro- vigionamenti e per le paghe, e gli eserciti vivevano di rapina a carico de’ miseri sudditi; estendermi in maggiori prove dell’ an- nichilamento di tutte le sorgenti della prosperità publica, allorchè i flagelli fisici, la fame e la peste si collegarono coll'inerzia e coll’in- solenza quasi asiatica de’re successivi o colla brutale prepotenza de’ governatori ec. ec. ;, Ma egli si è astenuto , almeno sino alla metà del secolo decimosettimo , da ogni aggiunta , sembrandogli forse im- modestia il gareggiar d’ erudizione col suo autore , quando i fatti da quello indicati poteano bastare allo scopo ch’ egli s’ era proposto. 245 Questa riservatezza; parmi, ci è pegno della sua esattezza in tutto il rimanente; come la franchezza delle parole citate ci ass cura che ovunque ha dovato supplire al buon Verri lo ha fatto in manie - ra che ciascuno vorrà chiamarlo suo vero interprete. Così alfine sarà scemato il dispiacere che il Verri stesso non conducesse a fine l’opera sua ; colpa forse l’indifferenza de’suoi contemporanei, per cui fu in procinto di dare alle fiammeil primo volume, e non si sentì animo d’af- frontare la fatica del secondo se non verso il termine della sua vita. Di questo scoraggimento , oltre alcune testimonianze de’ suoi più intimi , abbiamo quella d’ una sua nota riportata dal continuatore, e di cui basti citare le ultime parole, che ci ricordano altre doglianze non rare ne'suoi scritti, ‘£ Noi viviamo languendo in umbra mortis. Non si sapeva il nome di Cavalieri, l’Agnesi è all'ospedale , Frisi (il matematico) e,Beccaria non hanno trovato in Milano che ostacoli ed amarezze. Il sommo bene di chi ardisce di far onore alla patria è se ottiene la dimenticanza di lei. Io forse l’ho ottenuta. ,;. Poco più d’un quarto di secolo, peraltro, ha prodotto nella sua patria come altrove gran cangiamenti. Alla dimenticanza, di cui egli si doleva, è succeduta una specie di culto verso il suo nome; e la presente ristampa della sua storia, fatta veramente per condiscendere al publico desiderio, ne è una prova. Si sa bene da tutti che questa storia non è scritta con veruna squisitezza d’arte, nè quanto alla di- stribuzione delle cose nè quanto allo stile; ma si sà pure ch’ è scritta con coscienza, con larghezza di vedute, con vivo amore del bene; e tanto basta perchè sia ricercata e tenuta cara. Ciò incoraggisca i saggi nelle loro utili fatiche. I popoli un dì o l’altro riconoscono i loro veri amici, e si mostrano riconoscenti de’beneficii che ne hanno ricevati. " Commedie di GIOvAN GHERARDO DE Rossi. Prato, Giachetti 1826 tomi 4 in 8.° Alla ristampa delle commedie del Goldoni era assai natarale che gl’intelligenti Giachetti facessero succedere questa delle comme- die del De Rossi, E le une e le altre sono scritte secondo i medesimi principii, che ciascuno può vedere esposti nel ragionamento premes- so alle seconde, e in alcuni discorsi del loro autore intorno al nostro gran comico. L'essere però scritte co’medesimi prineipii o col mede- simo gusto non vuol dire che sieno scritte coll’ istessa vena. Quindi le une, benchè da un pezzo invecchiate, ancor si bramano sulle scene ; le altre, benchè più fresche, sembrano ormai riservate alla sola lettura. 246 Il De Rossi ( dice Sismondi in un capitolo della sua Zitterature | du midi de l'Europe) fedele alla vera commedia ha cercato piuttosto la festività che il sentimento. Ma la festività comica si compone di due parti fra loro ben distinte, quella cioè delle situazioni e quella del linguaggio. Ora il De Rossi, pieno com’è di spirito e di talento, ha conseguito la prima assai facilmente, ma non può dirsi che abbia del pari conseguita la seconda. Mettete le sue commedie in racconto, e vi sembreranno piacevolissime. Caratteri originali, che si manifesta- no senza sforzo a misura che progredisce l’azione; avvenimenti inat- tesi e ad un tempo naturali; scioglimenti condotti in modo, che l’ef- fetto di tutta la composizione riesce vie più piccante. Quando siete al fine della rappresentazione vi sembra che avreste dovuto ridere non poco ; e domandate a voi stessi con sorpresa perchè ciò non vi sia avvenuto. La risposta è pronta: sono mancate all’ autore quelle espressioni felici, che sole hanno virtù di destare il riso: la sua festi- vità è tutta, a così esprimerci , di riflessione , o almeno non è abba- stanza spontanea, perchè si communichi agli spettatori. Io non conosco il cav. De Rossi personalmente , per poter dire, in conferma di queste ultime parole del Sismondi , se l’ indole sua lo inclini piuttosto alla serietà che alla festività, Ma penso ch'egli è celebrato in Italia per varii generi di composizioni e di studii, in cui la festività non sembra avere la minima parte. Ora il suo Goldoni , perch’ebbe l’umore veramente comico, fu impaziente d’ogn’altra co- sa che del far commedie; Moliere} in cui il suo buon gusto lo ha por- tato a specchiarsi, fu anche più del Goldoni tutto rivolto all’arte delle commedie; Aristofane e Plauto, per quello ch'io mi sappia, non s’intesero d' altre arti , che quanto loro bisognava a dirne qual- che motto in commedia. L’umor comico non obbliga sicuramente alla scioperatezza o all’ignoranza; ma non credo neppure che si con- cilii colla vita dell'artista e dell’erudito, Del resto la mancanza di quelle felici espressioni, di coi parla il Sismondi, può bene attribuirsi in parte a quelle difficoltà della lingua, di cui il nostro autore si lagna nel ragionamento più sopra in- dicato. Io non leggo quasi mai composizioni di comici italiani, che non mi tornino a mente queste sentenze del Machiavello nel dialogo della lingua. ‘“ Dico ancora come si scrivono molte cose, che, senza scrivere i motti ed i termini proprii patrii, non sono belle, e di que- sta sorte sono le commedie; perchè, ancorachè il fine d’una comme- dia sia proporre uno specchio d’una vita privata, nondimeno il suo modo del farlo è una certa urbanità, e con termini che muovono a riso ...Iquali termini, se non sono proprii e patrii, dove sieno soli, interi e noti, non muovono nè possono muovere; d'onde nasce che 247 uno, che non sia toscano; non farà mai questa parte bene , perchè se vorrà direi motti della patria sua, sarà una veste rattoppata, facen- do una composizione mezza toscana e mezza forestiera ,,. S’io fossi nato sull'Arno, molte cose , che vo dicendo o ricor- dando in questo proposito della lingua , forse per pudore le tacerei. Ma poichè son nato in una parte d’Italia, ov’oggi più si strepita con- tro le pretensioni di quelli dell’Arno; e dopotanto scartabellare di libri classici mi trovo qui, e non da ieri soltanto , povero scolaretto d’ogni monnelluccio che grida e d’ogni fraschetta che ciancia, credo che sia bene ch'io ripeta quello di cui l’esperienza m°ha persuaso. Lo specchio della vita privata non si presenta vivamente se non colle parole di quelli che ci presentano ad ogni istante il tipo della vita medesima. Goldoni è impareggiabile quando fa parlare le persone che gli erano più familiari, perchè lo fa col linguaggio che parimenti gli era più familiare. In ogu’altra occasione la sua vena festevole (e bisogna as- sistere qui in Firenze alla rappresentazione delle sue commedie per meglio accorgersene) è più o meno mal secondata dall’espressione. Però non fa meraviglia che l’ingegnoso De Rossi, in grazia appunto .dell’espressione, mostri minor vena di quella che forse possiede. Egli dice (v.il ragionamento ) d’ aver cercato di schivare del pari la lingua scorretta e la studiata eleganza, le maniere troppo. con- cise de'francesi e le troppo prolisse de’ nostri. Or che significa ciò se non che, avendo innanzi persone e costumi imitabili, non aveva in pronto egualmente un linguaggio imitabile? Se gli fosse stato possibile attenersi in ogni cosa alla natura e alla verità, sarebbe pro- babilmente stata maggiore la sua festività. Qai dove la lingua che si parla è elegante senza studio; dove le scorrezioni stesse hanno grazia e talvolta più grazia della rigorosa correzione ; dove le maniere o le frasi, che s’usano comunemente , non solo riflettono il pensiero come in ano specchio il più terso, ma danno colla loro misura la misura vera dall’ affetto con cui sono proferite ; uno scrittore di commedie, a cui non venga meno la fonte dell’invenzione, è certo che non gli può venir meno la.più bella fonte dell’ espressione. Sentiva sere sono il commendatore Lapo De Ricci leggere alcuni suoi daloghi , preparati per quel giornale prezioso , che, dopo la lettera del bravo Lambruschini, si è stabilito di chiamare agrario, e non poteva che far atti d’ammirazione e d’ invidia. Cosa costarono a lui tante espressioni felici (gli altri pregi appartengono al suo talento e non ne parlo ) che rendono que’ suoi dialoghi così vivi e così piacevoli ? Nient'altro che la fatica di porgere orecchio ai contadini de’ suoi' poderi. S’ egli ha schivate, per ragioni che non conosco , varie loro metatesi, 0, come qui si direbbe più intelli- 248 gibilmente, spostatare di lettere, ha serbate esattamente tutte le elissî e le altre figure del loro discorso , che sono grazie aggiante a grazie, nome di cui veramente mi sembrano degne tutte le locuzioni che ha prese da loro, Fra la gente della città (eccettuatane a qualche ri- guardo quella che parlando o leggendo più conversa cogli esteri) che non troverebbe un poeta comico , il quale oltre, al saper osservare sapesse ascoltare? Qui, ove la festività delle situazioni imitabili e quella del linguaggio parimenti imitabile sono una cosa sola , qui, dico, dovrebb'’essere la sede della commedia nazionale, Gli Aristofani sieno pure di Corinto o di Chio ; ma , se bramano vanto di perfezio- ne, vengano ad esercitare l’ arte loro fra il popolo d’Atene. Poesie d’ AncELO PoLIZIANO . Milano , tip. de’ Classici it. 1826 in 32.° Poesie di GrusEePPE PARINI. Milano , tip. de’ Classici it. 1826 in 32.° Pare che gli editori, pubblicando le une presso le altre queste composizioni di due peregrini ingegni (esse formano i volumi 44 e 45 della loro collezione portatile ) abbiamo volato avvicinare il co- minciamento e la fine d’ una lunga era poetica, L'era prima, quella che chiameremo nazionaie, durò ben poco; l’era seconda, quella che può chiamarsi grecolatina , è durata fin quasi al cadere dello scorso secolo ; e, come tatte le cose che durano a lungo, ba lasciato dopo di sè abitudini e reminiscenze, per cai si direbbe che ancora non è terminata. La prima di queste due ere potea forse prolungar- si, dacchè il vigore della nazione verso la metà del secolo decimo- quinto era piuttosto combattuto che compresso; ma straordinarie circostanze condussero la seconda. Un secolo d’ammirazione pei mo- numenti poetici della Grecia e del Lazio, che si andavano discopren- do, |’ avea preparata. La presenza improvvisa della Grecia in Italia la tese inevitabile. Dobbia:no noi dolercene ? Dobbiamo noi rallegrarcene ? A que- ste due interrogazioni, lo veggo bene, si avranno pronte da due classi diverse di letterati due differenti risposte. !o confesso di non averne in pronto alcuna, perchè non ho ancora appreso dalla storia quaoto basti per dire con qualche sicurezza ciò che il nostro incivili- mento abbandonato a sè medesimo avrebbe prodotto. Ora la risposta dipende tutta dalla soluzione di questo problema, perchè se noi non avevamo bisogno di Grecia o di Lazio per levarci di dosso quel resto di ruggine gotica , di cui eravamo tuttavia incrostati, o per non ca- 249 dere in nuove tenebre, di cui eravamo forse minacciati, molto meno avevamo bisogno che fa nostra poesia divenisse grecolatina. Ciò che mi par chiaro si è che , quando lo divenne, essa mostrò piuttosto una giovanile vaghezza che un sentimento di bisogno, un’e- suberanza di forze che una mancanza. Quello spirito d’ imitazione, che alfine riuscì così freddo e la rese ridicola, fu a principio uno spirito di conquista e quasi dissi di creazione. Come mai, si è domandato, vedendo la poesia degli americani del settentrione ancor tutta inglese ; fra tante cause politiche e naturali d’ originalità, non ha dessa un carattere proprio ? La comunanza della lingua fra quegli americani e gl’inglesi, la loro inclinazione generale per le cose d’im- mediata utilità , onde si sono piuttosto dedicati agli studi della ra- . gione che a quelli dell’ imaginazione , spiegano fino ad un certo se- gno il fatto che si accenna. Chi, guardando al volo novello , cui in Inghilterra si è slanciata la poesia fino dal principio di questo secolo , ha detto che l’ imitazione d’una poesia sì nuova è quasi sembrata negli Stati uniti d’ America an’ ispirazione simultanea”, parmi aver toccato ciò che bisogna a compire quella spiegazione. In Italia la poesia della Grecia e del Lazio si presentò ad un tempo e come nuova e come spenta. Quindi 11 piacere d’ imitarla si confuse negli spiriti più svegliati e gentili colla gloria di risuscitarla. Quand’io m’aggiro talvolta sotto le logge o per le sale dell'antica abitazione dei Medici, primo sacrario dell’arti belle nell’Italia nostra, e asilo di que’profughi illustri, che ne portarono dalla Grecia i pre- ziosi avanzi , penso al giovinetto di quattordic’anni, ch’ivi si fece a cantare /e gloriose pompe e i fieri ludi, e sento tutta la dolcezza e la meraviglia che dovea destare il suo canto. Molti da quel giorno, poe- tando nella nostra lingua, sì compiacquero a crearsi, com’ egli, un mondo fantastico , simile a quello che si erano creato gli antichi, e a collocare in esso le cose che aveano più presenti. Era questo un giuo- co dello spirito, che non potea continuare felicemente se non quanto continuerebbe la prima sopresa e il primo entusiasmo ch’esso destò. Anzi, come giuoco , esso non potea produrre nulla di caratteri- stico e d’insigne; e, poichè avea per essenzial principio l’imitazione, dovea piuttosto circoscrivere gli ingegni che allingià. loro intorno i campi della poesia. È notabile infatti come i due più gran monu- menti poetici dell’ era che ho chiamata grecolatina , il Furioso cioè e il Goffredo, sieno per l’ invenzione e in gran parte per la. composi - zione estranei all’ epoca medesima, la cui durata divenne ben presto tutta artificiale. Quando il cav, Marino scrivea un lungo poema mitologico, que- t’ epoca già era sul finire ; com’ era sul finire 1’ epoca della mitolo- 250 gia, quando il prefetto Simmaco scrivea in Roma quel suo lungo pa- negirico degli Dei. La mitologia scomparve presto dopo di lui dal mondo romano, perchè un culto più paro e più conforme ai bisogni degli uomini attrasse a sè i loro animi e i loro studii. La poesia mito- logica visse ancora dopo il Marino, benché d’una vita languida, perchè i tempi non concedevano di sositituirgliene una migliore. I maggiori ingegni , accorsi tuttiintorno al Galileo, si erano dati allo studio delle verità fisiche o matematiche , da cui dovea nascere col tempo il totale rinnovamento della filosofia. Questo stadio servi alla rifor- ma dell’ espressione poetica , facendo sentire la ridicolezza de’ falsi ornamenti che vi si erano introdotti; ma non potea servire imme- diatamente alla riforma della poetica invenzione, perchè aquest’uopo non bastava il far sentire che quella de’ greci e de’ latini non era più in armonia colle idee de’ moderni. I greci e ì latini d'altronde fa- rono universalmente chiamati in ajuto della prima di queste due riforme, e avvenne, com’ era naturale , che accelerando l’ una ri- tardassero l’altra. Come però Ja ragione fece d’indi in poi rapidissimi progressi , l’ epoca di questa riforma si andò sempre più avvicipan- do. Il mondo reale cominciò ad apparire niente meno mirabile del mondo fantastico de’ greci, ricopiato con poche differenze dai latini. Gli spiriti più seri o più acuti, colpiti dallo strano contrasto di ciò che presentava loro la società e di ciò che avrebbe dovuto presentare, trovarono in questo contrasto medesimo una fonte poetica non cono- sciuta agli antichi. Ed eccovi l’ironico precertore d’ amabil rito accostarsi pel primo a questa fonte, e segnare un passaggio universal- mente avvertito fra una poesia , a cui più non potea darsi che il no- me d’ accademica o di scolastica , ed una poesia a cui si diede tosto il nome di filosofica. ji L’ironia del Parini è cosa apparentemente assai meno vivace , che la vena mitologica del Poliziano. Pare vi è nascosto un ca- lor di passione che vi prepara ad ascoltare una lirica , da cai sa- rete non leggermente commosso. Nelle stunze famose per la gio- stra di Giuliano de’Medici voi sentite l’amabile poeta che modulava scherzando : Za brunettina mia , o domandava sorridendo : Vaghe le montanine e pastorelle — Donde venite sì leggiadre e belle ? Nel poemetto che s'intitola dalle re parti in cui si parte il giorno vi è facile sentire il grave cantore , ch’ or intuona altamente: O genovese ove ne vai? or narra pateticamente: Quando Orion dal cielo — De- clinando imperversa; or ripiglia sè stesso gridando con accento ancor più patetico: Sdegnosa anima prendi — Prendi nuovo consiglio. Ho attribuito in gran parte la diversa maniera di poetare del Parini e del Poliziano ai tempi e alle circostanze diverse in cui si asi trovò ciascuno di loro. I carattere speciale però dell’ una e del- l'altra di queste due maniere è dovuto alla diversa indole dei due scrittori. Posto fra l’Argiropalo e Andronico di Tessalonica il Poliziano dovea naturalmente poetare alla maniera degli an- tichi. Posto fra il Verrie il Beccaria il Parini dovea pensare ad uscire ‘dalla via comune de’ poeti e a rendere più utile |’ arte sua. Ma il Poliziano si mise a capo della propria era poetica , e il Parini segnò profondamente il passaggio ad un’ era novella. Or ciò , come ognun vede, fù l’ effetto delle rispettive qualità de’ loro ingegni, l’ uno elegantissimo , l’ altro sommamente elevato. Queste diverse qualità spiegano in parte i pregi diversi del loro stile sl naturale e sì florido nelle rime del Poliziano , sì jpensato e sì au- stero in quelle del Parini. Dico in parte, perchè a compire la spiega - zione bisogna non dimenticare la lingua, che l’uno usava con sicu- rezza, l’altro con timidezza, com’era pur degno di lui che s'era fatta un'idea tanto squisita del bello. Tiraboschi e i critici generalmente fanno le meraviglie che , in mezzo a tanto abbandono in cui era ca - dota l’italiana poesia, non avendo ormai più favore che la greca e la latina, il Poliziano uscisse fuori con versi così dolci ed adorni, come quelli che leggiamo di lui. Ma sei poeti aveano cessato di ver- seggiare nel nostro idioma, non avea già cessato di parlare in esso, e però d’arricchirlo e ripulirlo, questo popolo toscano, fra cui l’autore delle stanze e dell’Orfeo era nato, Il Parini avea dovuto apprendere | quest’idioma come il greco e il latino cioè da’ libri, poco ajatandolo la conversazione de’ suoi dotti contemporanei, fra quali anzi i più stimati si dichiaravano avversi ad ogni studio d’eleganza o di pro- prietà. Quindi è gran vanto per lui l’ avere verseggiato in idioma assai terso; e non è meraviglia che un tal vanto gli sia costato qualche sacrificio della spontaneità. Ho collocato questo poeta piuttosto al termine’ dell’era grecola- tina, che al principio della nuova, sì perchè le reminiscenze di quel- l'era sono frequenti ne’suoi versi, e sì perchè il carattere della nuova non è ancora nè forse può essere determinato. Quando noi udivamo Agita in riva dell’ Isonzo il fato — Italia le tue sorti, parve a più d’uno di potersi imaginare qual nuova poesia prenderebbe fra noi il luogo dell’ antica. Indi si tornò, così volendo la mutabilità de’tempi, a nuova incertezza, da cui peraltro si comincia ad uscire, “ La lette- ratura, ba detto pocanzi Brault nella prefazione delle sue poesie poli- tiche, deve oggi esser grave, deve almeno allontanarsi dalla frivolez- za, elevarsi, quant'è possibile, all’altezza delle grandi idee del secolo, propagare il culto della verità, della ragione, della giustizia, ispirare l’amore dell’ amanità. ,, Gli sforzi di molti poeti italiani de’ nostri 253 giorni sembrano provare che questa persuasione del poeta francese va diventando comune anche fra noi. Za poesie , egli aggiunge, rerd aussi témoignage: Juvenal fortifia Tacite ,,. Parini, anche noi pos- siamo dire, fortificò i saggi del suo tempo. Altri, inoltrandosi per la via su cui egli avea posto un piede, possano fortificare quelli di cui il nostro tempo non manca: i M. ViTRUvII PoLLIONIS architectura ex rec. codicum emendata cum notis variorum et exercit. JOANNIS POLENI et SIMONIS STRATIcO. Utini apud F. Mattiuzzi 1825-26 , vol. 1 p.1 et 2, in 4, fig. Quello cheibravi Mattiuzzi hanno promesso veggo ton gran pia- cere che lo mantengono. Il loro Vitruvio sarà propriamente, come dissi un’altra volta, il Vitruvio de’ Vitruvii. Lo sarà perchè fra tutti i Vi- truvii il più emendato e il'meglio illustrato; e lo sarà perchè, in tanta varietà di cose che lo compongono, il più industriosamente stampato. Esso non oltrepasserà i quattro volumi in gran quarto; ma divisi ciascuno in più parti, a cui certo non mancherà la grossezza della mole, perch’ esse pure si chiamino volumi. Per ora abbiamo il pri- mo, ossia la prima e laseconda parte di esso, che suppongo ma non son certo lo racchiudano intero. L’ una contiene il discorso proemiale del Peruzzi , di cui già si diede conto quando fu impresso per tener luogo di manifesto colla tradazione e le note del Viviani ; e le tre esercitazioni del Poleni, che videro la luce prima della metà del secolo scorso. L'altra contiene una prima esercitazione dello Stratico ancor inedita, e i primi due libri del testo colle note dei due autori delle esercitazioni , a cui se ne frammischiano molte del Pon- tedera genero del Poleni, e filologo assai riputato. Ne’ volumi se- guenti si avrà il compimento del testo colle note dei tre illustratori pur or nominati sino alla metà, e poi del solo Stratico sino alla fine ; tutto il comento conosciutissimo del Filandro, di cui non si ometterà la dissertazione sui pesi e le misure degli antichi; una scelta delle osservazioni pur conosciute degli altri più pregiati commentatori, come il Barbaro ,.H Salmasio , il Perault, il Galiani, l’ Ortiz, chio- sate a luogo a luogo dal Poleni e dallo Stratico; le altre esercitazioni di questi dae valentuomini egualmente inedite ; il lessico vitruviano del Baldi arricchito da loro e da altri, ma dal Poleni specialmente che pose in ciò cure incredibili; un indice generale delle parole e delle cose che si contengono e nel testo e nelle varie illustrazioni ; e infine il carteggio dei due principali autori di queste con altri dotti in pro- posito delle illastrazioni medesime. Tutta l’ opera, la quale, come 253 vedete, riuscirà una vera biblioteca vitraviana , debb’ essere cor- redata di trecento e più tavole, un terzo circa in rame e due terzi in legno ; e già ne abbiamo nel primo volume tre diecine, ov’ è molto da lodare, benchè l’occhio non trovi molto da dilettarsi. Quando l’ edizione sia un poco più inoltrata, 1’ Antologia con - sacrerà sicuramente a quest’ opera , tanto onorevole per l’ odierna Italia, un articolo proporzionato. Per ora basti qualche ragguaglio intorno a ciò che abbiamo detto contenersi nelle prime due parti , onde i lettori comincino a formarsene un’ idea. Il discorso proe- miale del Peruzzi , scritto a nome degli editori, dà in ristretto la storia degli studii fatti sin qui ad illustrazione di Vitravio, e spe- cialmente di quelli del Poleni e dello Stratico, di cui si è destato nel pubblico sì gran desiderio. La prima delle tre prime esercitazioni del Poleni , or ristampate dopo ottantacinqu’ anni, consiste in un commentario critico sulle edizioni e illustrazioni del gran maestro dell’ architettura venute in luce fino al 1730 , a cui segue un’appen- dice dello Stratico, la qual giugne fino al 1812. Le due esercitazioni seguenti racchiadono fra altre cose la vita di Vitruvio composta dal Baldi e comentata dal Poleni, che la ripublica ; vari scritti d’uomini dottissimi sopra i passi più controversi de’ libri di Vitruvio medesi- mo , quello per esempio che riguarda gli scamilli impari, intorno a cui il Baldi già nominato diede una sua particolare spiegazione, quello che riguarda la voluta jonica , e fa interpretato variamente dal Goldman'e da altri, quello che riguarda i vasi teatrali o foni- smi, e fu soggetto di sapienti indagini al Cavalieri ed al K.irker, un’ epistola del nostro Morgagni de qguodam Vitruvii loco ad rem medicam attinente ; un compendio de’ libri vitruviani di scrittore anonimo ; che il Poleni, fattoglisi commentatore, crede appartenere al settimo secolo ; e gli elementi d’ architettura del Watton tradotti - d’inglese in latino dal Laet , che possono dirsi an altro compendio. Questi due ultimi scritti, come ciascano intende, sono posti dal Poleni fra le sue esercitazioni perchè abbreviando i pensieri di Vitruvio spesso li rendono più lucidi. Ma l’ oscurità, de’ pensieri di quel maestro , quando non è cagionata da errori o da interpolazioni de’ codici, proviene quasi sempre da molta brevità d’ espressione, sicchè a dilucidarli giovano particolarmente le parafrasi. Lo Stra- tico nella prima delle sue esercitazioni, che precede i due primi li- bri del testo, ne pone alcune del nostro Leon Batista Alberti, a prova- re che, oltre le cose che questo scrittore gli ha tolte scopertamente, molte gliene ha pur mutate quasi di nascosto, rivestendole d’uno stile più largo ed elegante che appena ci permette d’accorgercene. Ciò tor- na, secondo l’intendimento dell’egregio illustratore, a singolare enco- 254 mio dell'autore da lui illustrato; e racchiude ad un tempo un prezioso avvertimento per quelli che vogliono studiarlo. Il più grande inter- prete d’ Omero, ha detto Platone , è l'ingegno più altamente ispi- rato dalle muse. Il più sicuro interprete del Vitruvio latino, potrebbe dirsi, è quello a cui si è dato il nome di Vitruvio toscano. I codici, ch’ egli avea sott’ occhio, non poteano ispirargli molta fiducia nel- l’ interpretazione delle sue parole ; ma l’ingegno lo avvertiva ch’ ei ne interpretava sicuramente il pensiero. Ho detto Vitruvio latino, ed altri crederà ch’io l'abbia detto sem- plicissimamente, altri ch’ 10 1’ abbia detto per ischivare la questione s’ei fosse fundano o formiano , veronese o romano. Il Baldi nella sua vita, il Poleni nelle note aggiuntevi, e lo Stratico stesso in questa prima esercitazione , si mostrano così dubbii intorno alla vera sua patria, che già non so chi volesse arrischiarsi a dargli un appellativo tratto da qualche città o provincia particolare. Io però, chiamandolo latino, ho avato riguardo soltanto alla lingua in cur egli ha scritto , giacchè, se mi trovo affatto all’oscuro intorno alla sua patria, non mi trovo neppure al chiaro intorno alla sua nazione. Tempo fa il Gior- dani mi disse ch’egli inclinava a crederlo nativo di Grecia, e ciò perchè , esaminandone bene la dicitura , gli parea di scorgere in essa un fondo greco , mal ricoperto da parole latine. Proposi, egli aggiunse, questa mia opinione al conte Stratico , il quale se ne mo- strò nuovo ; lariproposi a mons. Maj, il quale non mostrò punto che gli riuscisse strana ; ed io ho voglia di spiegare in iscritto un po’ più largamente che non feci con loro favellando le ragioni che me la rendono probabile. In occasione di questo discorso egli mi parlò anche d’ alcuni passi del compendio storico di Giustino , diffe- rentissimi per lo stile dal rimanente, e forse estratti letteralmente, come a lui sembra di poter congetturare, dalle storie di Trogo Pom- peo. [o amerei che, trattando il primo, egli trattasse pure il secondo argomento o in un medesimo scritto o in dae scritti assai vicini di tempo. Se con quel raro discernimento che lo distingne ei giugne fe- licemente a smentire rigaardo a Trogo l’ ipsae periere ruinae; ci sarà men duro il rinunciare per le sue parole ad una vecchia e gra- dita persuasione, che Vitruvio fosse nato sotto il cielo d° Italia. Dopo la disputa intorno alla sua patria, cui sarebbe più che vano il voler continuare, quando ci si fa dubbia la sua nazione, e dopo l’ altra del suo prenome e del suo cognome, che sembra da un pezzo terminata , viene quella nè ancor terminata nè forse vicina a terminarsi del tempo in cui egli visse. Lo Stratico , poco soddi. sfatto di ciò che ne dice il Poleni, la rinnova con calore, come uomo che speri di non lasciare più in essa veruna oscurità, Ei reca per di- 255 steso gli argomenti di chi vuole che Vitravio fiorisse a’ giorni d’Au- gusto , e di chi crede che fiorisse a quelli di Tito e Vespasiano. Indi fattosi ad esaminarli mostra d’inclinare alla prima delle due opi- nioni, in favor della quale aggiunge argomenti novelli. Tutta questa parte della sua prima esercitazione può essere letta con molto piacere da quavti si dilettano della storia dell’arti belle, o della ge- nerale letteratura. Non è forse difficile il resistere alla sua forza lo- gica; ma è pur difficile il non sentirsi invaghiti della sua dottrina e della sua critica. A questa parte ne precede un’altra non meno riguardevole intorno all’ utilità dello studio di Vitruvio e alle dif- ficoltà che vi s’ incontrano , e ne segue una terza, ove , dopo essersi discorso de’ suoi primi illustratori, fra cui, oltre 1’ Alberti è rico1- dato e confrontato con lui il Polifilo ( Francesco Colonna ) autore dell’ Aypnerotomachia, si riproducono e si svilappano le belle idee di Claudio Tolomei (trovansi nelle vecchie esercitazioni poleniane) intorno alla miglior maniera d’ illustrarlo. Il solo elenco dell’ opere consultate dallo Stratico per questa sua prima esercitazione mostra ch’essa è il frutto di stadii infiniti. L’ elenco de’ codici consultati e confrontati dal Pontedera special- mente colle prime edizioni del testo , onde fornirci la presente, mo- stra quanta cura siasi posta per renderla sopra tutte émendata, Il Poleni , ajatato dal Pontedera, spese trentacingu’ anni della labo- riosa sua vita nell’ emendare insieme ed illustrare quel testo scabro- so; ma oltre le esercitazioni ei non compose che il comento de’primi cinque libri. Lo Stratico ne spese trenta altri a rivedere ed arric- chire questa sua parte di comento , e a scrivere quello che mancava ai cinque libri seguenti , nè potè compire quanto si era proposto. Ad ogni modo, come poco mancava alla perfezione di così lunghe fatiche, e il trovare chi si assumesse di compirle interamente non era facile, si è creduto di non doverne ormai più ritardare la pubblicazione, il che sarebbe stato un ritardare agli studiosi un grande utile e al- l’Italia un grande onore. Vorrei potere dar qui un breve saggio delle note più rimarchevoli de’ dae primi libri del testo ; ma oltre- chè i confini d' una rivista non me lo permettono , sento di non‘ do- vermi usurpare l’ officio di chi scriverà l’ articolo che più sopra si è promesso. Si può per altro esser certi senz’altre assicarazioni, che le note che riguardano i punti, in cui 1’ architettara si lega alle scienze matematiche, sono degne del Poleni; e quelle che riguardano i punti, in cui l’architettura si lega alle scienze fisiche, sono degne dello Strati- co. Delle note eradite, quantunque dottissime, appena mi sembra di dovere dar lode a due uomini della loro sfera. Le tavole, che servono parte al testo, parte alle note, furono parte preparate dal Poleni e par- 256 te dallo Stratico. Quelle destinate, per così dire, alla mente; poichè non contengono che misure, sono in legno; quelle destinate a compia- cer l’ occhio sono quasi tutte in rame. Le più moderne, com’ è naturale , sono le meglio eseguite , e per quanto possa dispiacerci che anche le prime non siano state rinnovate, e tutte insieme più elegantemente eseguite, sarebbe ingiusto il dolercene coi benemeriti editori. Essi hanno mostrato abbastanza che nessuna splendidezza sarebbe stata soverchia al loro animo , quando non fosse stata sover- chia alle loro fortune. Grazie intanto al loro coraggio e al loro pa- triottismo, giacchè senza tali virtù non avrebbero, in tanta incertez- za di rimborso, potuto intraprendere un’ edizione così dispendiosa come questa del loro Vitruvio. E grazie ad un tempo al governo della repubblica di Venèzia, che erede dei manoscritti vitruviani del Poleni li confidò allo Stratico, perchè compisse l’ opera di quell’ uomo egregio, e già presso al cadere ordinò un vero monu- mento d’onore per la nazione italiana. Parnaso italiano novissimo raccolto da U. E. Vapoli. Stamperia francese 1826, finora tomi 2. in 32.° In morte del conte GIOVANNI PARADISI canzone d’ANTONIO CAS- SOLI. Firenze, Ciardetti 1826 in 8.° n Versi in morte di Tommaso GHERSA. Ragusa , Martecchini 1826 in 8. L'ombra d’OviDIO poemetto illirico d'IenAZIO GiorGI trad. da L. STULLI. Ragusa, Martecchini 1826 in 8.° Versi per le nozze GAGUITSCH-LucicH. Ragusa, Martecchini 1826 in 8.° Le quattro parti del giorno per NOZZE ILLUSTRI. Pisa, coi carat. di Didot 1826 in 8.° Cantodi GrusEPPE BORGHI per le nozze CORSINI-ScOTTO. Firenze, Piatti 1826 in8.° Epitalamio di CLAUDIANO per gli sponsali d’OnorIO e MARIA trad. da DONATO SALVI per le nozze CorsINI-ScoTTO. Firenze, Ciardetti, 1826 in 4.° Alcuni idilli di TeocriTo, Mosco e BIONE trad. da DOMENICO MissinoLI. Rimini, Marsoner e Grandi 1826 in 8.9 Poesie inedite di Quirico Rossi. Venezia, Picotti 1826 in 8.° Il viaggio d’un giorno o la passeggiata da Napoli ad Ischia sulla barca a vapore, sestine di Vito M. DE GRANDIS. Firenze, Gal. letti 1326 in 12.° La passeggiata per la via de’'Calzajoli , sestine di Viro M. DE GRANDIS. Firenze, Galletti 1826 in 12.° i 267 Rime di GiusePPE MARCO CALVINO. Trapani, Mannone e Molina 1826 £. 2 in 16.° Le stagioni di Tompson trad. da Giovanni BOTTI, Prato, Gia- chetti 1826 in 8.° Ode a GIUDITTA PASTA. Mapoli, Stamperia francese 1826 in 32.* Il parnaso novissimo è una raccoltina graziosa de!le più belle fra le piccole composizioni poetiche uscite in luce nel corso di ven- t’anni in varie parti d’Italia. Vi è premesso un dialogo , scritto con molta cura d’eleganza, da cui raccogliesi questa ragionevole senten- za, che dove si ha poca abitudine di leggere giova invogliarne le per- sone con libri piacevoli, dopo i quali è sperabile che si cerchino gl’i- struttivi. Ciò dicesi dall’editore in risposta ad un matematico, il quale si sdegna ch’egli dia fuori una raccolta di poesie, quando bisognereb- be al parer suo una raccolta d’operette elementari intorno alle scienze. È veramente se, come pare che voglia far intendere l’editore, una rac- colta scientifica nel paese ov’egli scrive sarebbe oggi assai meno op- portuna della sua raccolta poetica, lo sdegno del matematico è affat- to intempestivo. Anzi, supposta pure l’opportunità della raccolta che il matematico desidera, il suo sdegno contro l’altra ch’ei non sa se sia bene o mal fatta, e che essendo ben fatta può servir sempre a qual- che bisogno dello spirito, è uno sdegno affatto stravagante. L’ editore dovea farglielo sentire in quel modo che avesse creduto più acconcio, e accontentarsi d’una modesta vittoria, che nessuno gli avrebbe ne- gata. Quel ch'egli ci guadagni dipingendoci il matematico come un gran scioperone, e per più inverosimiglianza come un gran bietolone, che abbandona la disputa per raccontare tutte le sue scioperataggini, e terminare il dialogo con una conversione da scena, lo dica altri per me. Un contrapposto vero di questo matematico imaginario noi l'avevamo nel nostro Paradisi, che , dopo aver cercato fra la poesia ed il calcolo de’nobili piaceri nella prospera fortuna, trovò fra ambi- due de’preziosi conforti nella contraria, La canzone del Cassolì per la sua morte è scritta con dignità degna dell’ argomento. Se non è scritta con pari larghezza e calore, noi penseremo che qualche cir- costanza estranea al talento e all’animo del poeta ne sia cagione. Un fuoco assai vivo investe quel liquido sul fornello del chimico ; ma una forza contraria, o di qualche corpo frapposto o della sovrastante atmosfera ; gl’ impedisce di dilatarne maggiormente le parti elevan- done a più alto grado la temperatura. I versi in morte del buon Chersa, che amava tanto l’Italia, so- T. XXIV. Movemnb. e Dicemb, 17 258 no fatti per interessare gli italiani egualmente che i suoi ragusei. Nel- l’ultima rivista io indicava il suo commentario sopra Iacopo Flavio qual prova del buon successo, con cui nella capitale antica della Dal- mazia si coltiva la lingua, che fiorisce spontanea in questa della To- scana. Un'altra prova l'abbiamo ora in una parte di questi versi, che non cede sicuramente per pulitezza a quelli d’ alcuno de’ nostri poeti che vi sono frammisti. Una seconda parte ma piccola componsi di versi greci ed illirici cui sento lodar molto da chi può giudicarne, Gli altri in maggior numero che compongono la terza , e fra cui si trovano tre elegie assai tenere d’Antonio Chersa fratello del defunto, mi sembrano degni quasi tutti della reputazione che hanno i ragusei pel loro valore nella poesia latina, Fra quelli che oggi più si distinguono in Ragusa pel loro valore nell’italiana è il dott. Stulli; e ciò ne si fa manifesto abbastanza leg- gendo la raccolta, di cui dianzi si parlava. A mostrarcelo ancor meglio viene opportuna la sua versione dell’ ombra d’ Ovidio del Giorgi, poemetto ingegnosissimo, in cui l’esule cantore delle tristezze (gui didicit getice sarmaticeque loqui) è fatto encomiatore d’un idioina che suona dall’Adriatico all’ultima Zembla, e a cui forse si prepara- no straordinarii destini. Questa versione è dedicata al nostro Lam- predi, che trovasi da qualche tempo in Ragusa, ove, dopo aver pian» to cogli altri poeti il suo Chersa, ha fatto temere di dare egli stesso a questi poeti nuova cagione di pianto. Un epigramma greco del gio- vane Androvich, tradotto dallo Stulli e posto in seguito alla versione del poemetto , celebra in gentil modo il riaquisto della sua salute, Nella piccola raccolta per /e nozze Gaguitsch-Lucich trovansi altri saggi della perizia de’ ragusei nelle quattro lingue poetiche della Grecia e del Lazio, dell'Itlirio e dell’Italia, Il Lampredi, qual ospite grato, ba di nuovo fatti versi in loro compagnia. Il velo dell’anonimo copre l’autore delle quattro parti del giorno per nozze illustri e noi non ci faremo lecito di alzarlo. Es- so altronde è così trasparente che non può lasciar delusa nessuna cu- riosità. Ai versetti gai, e spesso fin troppo facili, delle quattro parti del giorno formano contrapposto le terze rime gravi, e qualche volta non facili abbastanza, di cui si compone il canto del nostro Borghi. Esse racchiudono de’nobili consigli in nobile stile , i quali onorano egualmente e il poeta che li porge e la coppia illustre a cui sono di- retti. L’epitalamio di Claudiano, assoggettato, come s’esprime il bra- vo Salvi nella sua epistola dedicatoria, a//e severe leggi del risonan- te epico metro, è cosa per ogni riguardo assai leggiadra. La dedicato- ria in isciolti al suo in prima alunno or dolce decoro, di cui festeggia i 259 le nozze, è cosa insieme leggiadra e toccante, Quanto è dolce il pot= scrivere e quanto è ancor più dolce il poter dire a sè stesso : ho me- ritato questi versi! E come non goder de’tuoî contenti Potria chi t'ama? e come non amarti Chi ti conosce appien? chi fu custode A tua novella etade e, per due lustri, Della tua dulce compagnia beato, Gemer ti vide di pietade ai casì Degl' infelici, e d'una man tergendo Le mal represse lacrime sul ciglio Correr coll’altra alla segreta aita? Od infiammarsi, ed esclamar per grata Meraviglia in udir di valor vero, E d’alto amor di patria antichi esempi , E palpitar di generosa invidia? Chi è degno del tributo di simili versi è pur degno che la patria, non che un poeta amico , prenda parte a’suoi contenti, Loderei alcun poco il volgarizzamento d’a/cuni idilli de’tre buc- colici greci (altra offerta nuziale) se la versione dell’epitalamio lati- no, e più ancora l’epistola che la precede, non mì facessero sentir troppo quante gli manchi di vaghezza e d’amabilità. Parmi però che fra gli esperimenti poetici, finor veduti , del Missiroli esso porti il vanto della schiettezza e della facilità. Le poesie inedite (italiane e latine) di Q. Rossî sono anch’ esse pubblicate per nozze, ma nessuna è d’argomento nuziale. Tutte han- no qualche pregio d’eleganza ; una sola, per avventura, ha qualche pregio maggiore. Parlo dell’ elegia sui premi de’ fanciulli, ov’è toc- cata una questione , intorno alla quale nè Rousseau nè Saint-Pierre hanno potuto farsi intendere. Scritta però senza molta cura di con- dotta o elevatezza d’idee appena si distingue dalle poesie che la precedono. L’autore, che le avea tutte condannate all’ oblio in un tempo, in cui un po’d’eleganza avrebbe bastato a fare la loro fortu- na, saria ben dolente di vederle rese pubbliche nel nostro. La barca a vapore è per sè stessa un bellissimo argomento di poesia. Ma questa , che il De Grandis nel frontespizio delle sue se- stine anacreontiche chiama pacchetto, bisogna lasciarla passare senza guardarla, perchè è barca, la quale porta altro vapore che di carbon fossile nel regno delle Muse. Anche la via de Calzajoli, oggi antepo- sta dalle nostre belle e dai nostri eleganti alle comode e pulite Jogge degli Ufizii, sarebbe tema, di cui un bello spirito potrebbe trarre il più grazioso partito. Sgraziatamente le sestine, in cui questo tema è trattato, non valgono i versi, che sere sono, appunto sotto gli Ufizi, ‘“ov'io mi riparai da una pioggia dirotta , m'avvenne di udire da ua 260 piccolo improvvisatore in giubberello e grembiule, che rallegrava alquanti giovani compagni ,i quali stavano aspettando con lui di po- . ter tornare alle loro botteghe. Poco di più lusinghiero m'è permesso dire intorno alle rime del Calvino. Taccio di quelle d’argomento elevato e gentile, che si con- tengono nel primo volume: l’autore, scrivendole , non ha ,menoma- mente consultato la propria indole e le proprie forze. Nelle scherze- voli, di cui si compone l’altro volume, si trova talvolta un’intenzione poetica, siccome nell’ Amore in Liceo e nel Teatro comico di provin- cia. Ma all’intenzione poetica è troppo lungi dal corrispondere la vi- vezza della fantasia o la piacevolezza dell’espressione. Cosa più infelice della eraduzione italiana in versi d’una tra- duzione francese in prosa delle stagioni di Tumpson , che il Botti or ci regala, è difficile imaginarla. Sapposto pure ch’egli ignorasse, co- me leggo nel suo avviso ai lettori, se quelle stagioni veramente in- comparabili fossero mai state Respiro nella nc stra lingua postiga, ancora non si sa intendere com’ abbia avuto il coraggio di farne ciò che ne ha fatto. Ci dà gran pena il vedere ad ogni momento versi e versucci di chi sembra aver presa l’arte de’ poeti per l’arte degli sci- muniti o de’cantambanchi. Il veder così travisato uno de’ più bei poe- mi, di cui possa vantarsi l’ingegno umano, ci dà una pena indicibile. Dopo aver sofferto di queste due pene quanto basta al coraggio d'un povero giornalista, io avrei avuto bisogno d’ an largo ristoro. Ne ho truvato un poco nell’ode a mad. Pasta, che reduce dalla Francia cantava pocanzi a Napoli nella Medea di Mayr; e ne fo i miei ringraziamenti all’antore. Sono assicurato da chi può saperlo ch'egli sia l’autor medesimo del dialogo premesso al parnaso novis- simo, di cui ho dette due parole al principiare di quest'articolo. Go- do nel terminarlo di poterne aggiugnere due altre, poichè l’ode mi fa ripensare a quel dialogo. Notai in esso una sentenza che mi parve assai ragionevole ; ed or m’avveggo che ne obliai una assai bella e assai delicata. Essa equivale (non avendo più il dialogo sotto gli oc- chi, non posso Fiportarla testualmente) a questa che lega oggi in un giornale: « la poésie est une maniere d’aller au bien tout comme le travail et l’industrie: on y arrive méme un peu mieux par la produ- ction du beau que par celle de l'utile. ,, Tutta l’ode sembra un co- mento o una prova di tale sentenza. Il canto di mad. Pasta , seconda - to da una forza e dignità d’azione, di cui sulla scena lirica non sì è forse ancor veduta |’ eguale , merita d° essere annoverato fra quelle specie più sablimi di bello, a cui possano giugnere le arti imi- tative. E un canto che emula ogni più bella poesia, anzi è esso me- desimo una poesia mirabile, poichè crea fantasmi ed affetti superiori afc a quanti può crearne la semplice parola, benchè animata dal più vi- vo sentimento e dalla più viva imaginazione. L'autore dell’ode, ascol- tandolo, è trasportato coll’anima in una regione elevata, ove dimen- tica tutto ciò che ha di basso o dispiacevole questa, ove più non posa che colla parte inferiore di sè stesso; e tanta elevazione è certamente ciò che avvi di più vicino alla virtà o alla bontà. Il poeta poteva forse allargarsi in questa idea , anche senza dare alla sua ode un co- lore metafisico ; ma forse conoscendo di non possedere ancora una verseggiatura abbastanza arrendevole , non si è voluto avventurare. Io ho indicato, per così esprimermi, lo spirito della sua ode, e indi - candolo mi è sembrato di lodarla. Quello, che può chiamarsi il corpo dell’ode medesima ; ossia ciò che avvi in essa di più apparente, ri- chiederebbe qualche considerazione, che non sarebbe sempre uva lode, Ma io non posso permettermi niente di minuto, e l’ autore, ne son certo, supplisce a tutte le considerazioni altrui colla propria ri- flessione. Mi è dolce intanto di poter dire che se la sua ode non mi dà la precisa misura del suo estro o della sua arte, mi dà la prova più sicura del suo nobile sentire. Gli ltaliani in Russia; memorie d’ un UFIZIALE ITALIANO ec; ltalia 1826; finora tomi 2 in 8.° e in 12.° con carta geozr. : < To non sono an letterato (comincia il nostro storico militare le sue brevi avvertenze al lettore), sono un soldato, amante del suo paese, che scosso dalla voce di quest’ amore prende la penna per narrare le gesta de’ suoi commilitoni obliate o neglette. dagli autori stranieri. Coloro pertanto, che trovar credessero nitidezza di stile , purità di lingua, bellezza di frasi nelle scritto d’un soldato, s’ingau- nerebbero a partito. La verità , l’imparzialità , la franchezza, ecco ì soli fregi che possano raccomandare il mio lavoro ,,. È Questo linguaggio della modestia, che potrebbe sembrare quello dell’ accorgimento , non era forse del tutto necessario , poichè se le memorie del nostro ufiziale non mostrano ch'egli siasi esercitàto colla penna egualmente che colla spada, mostrano però ch'egli ha occvpato colle lettere i suoi ozi guerrieri, e prestato orecchio vo- lonteroso alla schietta loquela., che qui intorno gli suona. Esse in fatti nè sono scritte senz’ arte, nè scarseggiano di locuzioni assai proprie, e difficili ad aversi pronte langi da questo suolo che gli è divenuto seconda patria. Al qual pregio si aggiunge molto calore di narrazione, che spesso o ci fa sembrare meno soverchia la mi- nutezza delle cose narrate, o ci fa sentire più vivamente la loro importanza. Ma quando pure mancasse alle memorie , di cui si par- la, ogni pregio secondario ; /a verità, l’imparzialità ) la fran- 26. chezza , che propriamente le distinguono , fanno di esse un’ opera abbastanza notabile, perchè sia con molto desiderio ricercata, Che se la verità, l’imparzialità, la franchezza sono le doti caratteristi - che dello scrivere d’ un so/dato ; chi , leggendo , vorrà lagnarsi che queste memorie non sieno l’ opera d’ un letterato? Pare che, secondo il primo disegno dell'autore, esse non do- vessero contenere che il giornale da lui composto, si può dire, mar- ciando, prima di vittoria in vittoria sino all’ antica metropoli della Russia, poi di disastro in disastro sino al panto onde s’ era inosso col più agguerrito degli eserciti. In seguito egli ha creduto oppor- tuno d’ intrecciare le cose da lui notate a quelle già descritte da non pochi stranieri, anch’ essi la più parte militari, confermando o rettificando le une colle altre, e presentandoci così una narra- zione più piena. Il suo giornale basterebbe sicuramente a chi può attingere a tutte o a quasi tutte le fonti, a cui attinse egli mede- simo la storia contemporanea. Agli altri, vale a dire alla maggior parte , il soprappiù di quel giornale è difficile che sembri superfluo. Se le notizie riguardanti i vari paesi europei, per tacere di quelle che riguardano il nostro, fossero a tutti molto familiari, io non vorrei lodare l’autore d'aver impiegati due lunghi libri al prin- cipio delle sue memorie per farci conoscere la Polonia e la Russia, dalla loro origine all’epoca della guerra, che là condusse tanti italia- ni. Ma giacchè tali notizie sicuramente non sono familiari che a pochi, io non dirò che i due libri indicati sieno troppo lunghi. Ben dirò che potrebbero un po’ meglio corrispondere l’ uno all’altro nelle loro parti, e che ciascuna di queste si sarebbe dovuta proporzionare non tanto all’importanza delle cose speciali intorno a cui s’ aggira, - quanto allo scopo generale dell’opera. Ad ogni modo i due libri quali pure ci sì presentano, sono per la mente ciò ch'è per l’occhio la bella carta del Chodzko che accompagna l’opera medesima. Il terzo libro , assai più breve degli antecedenti, è un quadro, dirò così, dell’Italia militare, che l’autore ba pur creduto di do- ver premettere alle sue memorie, ampliando ciò che ne avea scritto in altra occasione. Ei tocca rapidamente le cose più antiche già nar- rate da molti storici per venire alle più moderne , che gli scrittori, a cui apparteneva di farle conoscere, hanno lasciate , secondo lui, pressochè intatte, “ La storia del sig. Botta (trascrivo le sue pa- role) quantunque presenti di molte lacune; quantunque in alcuni punti trasfigurata , ha per altro somministrata un’ idea quasi esatta degli ultimi fatti concernenti |’ Italia dal 1789 al 1814. Ov’ essa om- mise ciò che si riferiva all’ amministrazione del cessato regno d'Italia vi supplì anticipatamente con sagacità e con ingegno il sig. Coraccini. 253 Ma scordando ambedue che all'ombra soltanto dell’ armi fioriscono le arti della pace, che le ricchezze non essendo mai state l’assegno del militare, bisogna ricompensare una tal mancanza con la consi- derazione ed i rigaardi, poco o punto si trattennero sulia gloria acquistata dall’ armi italiane. Essi per certo non ignoravano che il rispetto usato verso i difensori dello stato conserva la purità del punto d’ onore , vera e principal forza delle nazioni. ,, Queste e alcune delle antecedenti parole, a cui consuonano , o per meglio dire servono di spiegazione più altre sparse pei due primi volumi delle memorie , mi fanno pensare ad un libro assai recente del luogotenente generale Lamarque sullo spirito militare in Francia , e ad una lettera pur recentissima del già militare conte Franclieu al general Sebastiani sull’ ordinamento di quella ch’ei chiama forza materiale . È detto in quel libro che i progressi del viver civile sono contrarj allo spirito milita= re; ed è detto assai beve , poichè supposta una perfetta civiltà non vi sarebbe più bisogno di milizie. Ma lo spirito militare , secondo l’ autore del libro, è necessarissimo alla sicurezza dello stato; dunque bisogna ravvivarlo , cioè renderlo più forte de’pro- gressi del viver civile , il che non può ottenersi, che separando affatto e per istituzioni e per interessi le milizie dai cittadini. Il conte di Franclieu invece, aderendo ad una proposta del general Sebastiani, fatta alla camera dei deputati nella seduta del primo giugno di quest'anno, vorrebbe che, secondandosi i progressi del- l’incivilimento, le milizie non fosse più un corpo separato da quello de’ cittadini , e che allo spirito militare succedesse lo spirito nazio- nale, in cui, egli dice, è la vera e grandissima forza degli stati. Jo penso che l’autore degli Ilaliani in Russia non sia punto lon- tano da questa persuasione, benchè alcune sue frasi ce ne facciano talvolta dubitare. Del resto ; com’ egli si riferisce ad un tempo di guerre continue, in cui la società parea ricondotta a’ suoi primor- dj, ciò ch'egli dice dello spirito militare poò avere un senso re- lativo e non assoluto , onde sarebbe forse inopportuna ogni ulteriore osservazione. Egli schiva di farsi giudice de’ motivi di tali guerre, benchè esponga da storico quelli dell’ ultima da lui descritta. Com- pagno di tanti prodi che in essa combatterono, egli altro non si propone che di rendere testimonianza al loro merito , e di mostrare come sotto un capo sempre armato sostennero coll’armi l’ onore della patria comune. « La bravara degli italiani, ha detto poco innanzi al morire questo giudice supremo del valore, le cui parole il nostro istorico ripete , si è manifestata in ogni tempo. Basta rammentar Roma, i 264 condottieri del medio evo , e nel diciottesimo e diciu nio se= colo le truppe della repubblica Cisalpina e del regno d’Italia.,, Que- sto solenne encomio è come un testo ch’ egli commenta nel terzo suo libro, pieno de’ nomi de’ nostri valorosi , ch’ebbero parte a tutte le imprese del gran capitano, e provarono che i guerrieri di Roma e i condottieri del medio evo aveano de’ legittimi discendenti. Le abi- tudini della nazione , com’ egli s’ esprime , erano da lungo tempo divenute pacifiche, e la moltitudine fra noi non era sicuramente bellicosa. Ma il coraggio , l’intelligenza , il desiderio d’ onore eranio doti ad essa comuni; e quando la carriera dell’armi le fu aperta di- nanzi, si manifestarono d’ una maniera così pronta che inaspettata. «I giovani ( ciò si riferisce al 1806 ) chiamati a formar parte delle le- gioni non attendevano più come per lo passato la voce reiterata della legge. Visti i progressi, le distinzioni, le glorie de’loro amici e con- cittadini, troncata l'abitudine dell’ozio e della neghittosità, stimo- lati dal nobile sentimento dell’ onor nazionale, accorrevano di buon animo sotto le bandiere. Le più brillanti coscrizioni furono certo quelle dell’ 11 gennajo e 30 ottobre 1807: ventimila uomini rinfor- zarono i diversi corpi, e furono seguiti da una quantità di volontarii, L’allegria ch’ essi recarono accrebbe il fondo buono ed agguerrito dell’armata già esistente, e così si composero quelle brave divisio - ni, che con i dodici mila coscritti chiamati 1’ 11 novembre 1808, i dodici mila del 1809, gli altri dodici mila del 6 gennajo 1810, e i quindici mila del 10 gennajo 1811 illustrarono sommamente le armi italiane in Spagna , in Germania ed in Russia ,;. Mi vien detto che il nostro bravo ufiziale, che militò sulle rive del Manzanares come su quelle della Moscowa, abbia nel suo por- tafoglio anche un giornale delle gesta de’ nostri nella guerra spa- gnuola, di cui forse ci diede saggio in una lettera agli autori dell’ef- femeridi militari di Francia scritta nel 1819. L’opera del maggiore Vaccani , uscita in luce da poco, ma da lango tempo annunciata , gli fece probabilmente creder superflua la pubblicazione dell’ intero giornale , o almeno stimare più necessaria quella dette presenti me- morie, di cui perora non abbiamo che la metà. In essa noi seguiamo Je truppe italiane dalle prime loro marcie per 1° Alpi e |’ Alemagna fin presso alla città fatale, il cui incendio salvò i vintiabbandonando ai rigori d’un clima indomabile i vincitori. Speranze, incertezze , combattimenti, riposi, tutto vi è descritto con quel vivo sentimento, ch’ è tanto naturale a chi può dire zo fui. Un pensiero sopra gli altri domina lo scrittore, ed è quello, come ciascuno s’imagina, della glo- ria delle nostre armi. Quindi non v'è cosa che gli sembri indifferen- te, ove possa in qualche modo servire a manifestarla, Lungi però 205 dall’ osare alcun artifizio per accreseerla, ei non teme di narrare talvolta ciò che potrebbe diminuirla ; e questa sincerità, che forse ad un letterato parrebbe soverchia , nelle sue memorie militari produce un ottimo effetto, [o vorrei poter qui recare per serie le cose più memorabili , ad illustrazione delle quali specialmente sembra ch'egli abbia dettate queste memorie. Costretto di restringermi a poche, sceglierò alcune di quelle in cui il lettore può maggiormente compiacersi, o da cui può fare più sicuro giudizio dello scrivere dell’ autore. Tutto fin oltre al Niemen era stato, per così dire, una festa 0 un diporto. Le difficoltà della guerra cominciarono quindi a farsi sentire, e andarono poi sempre crescendo. Il coraggio nell’affrontarle era certo di gran momento , per meno soffrirne ; ma la saggezza nel prevenirne o ripararne prontamente gli effetti era forse ancor più utile del coraggio. Questa saggezza , che torna specialmente a lo- ‘ de de’capi, parve molto notabile nelle truppe italiane. Lo stato dell’ esercito giunto a Witepsko provava troppo le sue gravi soffe- renze , che l’ autore descrive. Queste peraltro, egli dice ‘ furono assai meno sensibili nell’ armata d'Italia e soprattutto nella guardia reale. Degna essa del suo nome si distingueva per la costante disci- plina , tenuta , rassegnazione e fermezza. Lo spirito di corpo , ori- gine dell’ eroismo, derivato dalfe ottime istituzioni lasciate dalla previdente sagacità dei Pino, dei Fontanelli , dei Lechi , dei Zucchi c di tanti altri superiori altrettanto prodi che intelligenti , ì quali comandarono o comandavano quella goàrdia , produssero tali ono- revoli resultati. ,, Già fino della partenza da Troki i soldati italiani s'erano tro- vati a dari scontri e fra mille disagi. Pure quando Eugenio li ‘pre- seutò per la prima volta a Napoleone nel campo di Kamien, essi apparvero così brillanti, come avrebbero potuto apparire in una sclenne parata sulla piazza d’ armi in Milano. Il loro brio non. fu oscurato che dall’ indifferenza del gran capitano, onde tornarono malinconici, dice l’ autore , ar loro bivacchi, ripetendo per altro con nobile fierezza: “ noi gli mostreremo nella prima occasione, se al pari de’ suoi francesi meritavamo i sudì riguardi; e se dobbiamo o no essere apprezzati al par di loro. ,, Nel campo d’Agaponow- szchyzna oltre Witepsko , quando già s° erano trovati ad altri scon- tri e fra più gravi disagi, quelli fra essi, che gli fuorono di nuovo presentati, gli provarono il buono stato del rimanente, e ottennero largo compenso dell’ offesa di Kemien. Napoleone, dice l’autore, avea la sua tenda in mezzo alla guardia reale italiana. Uscitone sul mattino dei 29 giagno 1812, e salutato da essa coi soliti applausi, in-- 266 dirizzò varie domande ai due veliti che stavano in sentinella all’ in- gresso della tenda medesima. “ Rivolto ‘poi ad un affiziale dei sud- detti veliti , it quale per caso trovavasi più vicino, lo richiese qual fosse la forza del suo reggimento , quanti uomini avesse perduto nelle marcie , e se vi erano molti malati, E quando si udì rispondere : sire, abbiamo delle compagnie, che non hanno peranco perduto unuomo dall’ Italia fin quì, senza mostrarsene punto sorpreso , re-_ plicò: come! sono sempre della stessa forza con cui partirono da Milano? Maestà sì farono le parole dell’ ufiziale — Allora dopo una breve pausa Napoleone riprese : il vostro reggimento non si è per anco misurato coi russi ? — No sire , ma lo desidera vivamen- te. — Lo so, interruppe l’imperatore : egli si è coperto di gloria in Spagna, in Dalmazia , in Germania , dovunque È SCALO è + 0000 Ah! Ah! ecco laàivecchi mostacci d’ Austerlitz (additando con compiacenza i graniateri della guardia) . .. gl'italiani sono bravi... non può essere a meno «. . . hanno tante belle memorie . . * é il san- gue de’ romani che vi scorre per le vene .. ... possiate non mai obliarlo! , Nè l’obliarono difatti in tutta la guerra, in cui non si operò quasi nulla di memorabile senza di loro, e ogni grandissima cosa si sarebbe potuta operare, ove non fosse bisognato che il loro ardore. Già prima di giagnere a Witepsko essi avrebbero vinta la battaglia di Ostrowno , se loro si permetteva di prendere il' posto de’ francesi che l’ abbandonavano. Benchè stanchi da sforzatissime marcie e quasi estenuati dallafame: “si corra, gridavano unanimemente , noi perderemo anch’ oggi l’occasione di batterci,,. Un tal grido, ripetato da loro in tanti incontri, era questa volta l’ espressione e del solito loro ardore e della brama di vendicarsi d’ una crudele offesa pocanzi ricevuta a Dokszyce dal mal consigliato Eugenio. L’ indifferenza di Napoleone, che già si disse , fu per loro tanto più dolorosa, quanto pareva loro più umiliante. L’ offesa d’ Eugenio, che sarebbe qui troppo lungo il rammentare , era per loro tanto più insopportabile , quanto più sembrava loro l’ effetto d’ un’ingiusta parzialità. Del re- sto essi ne aveano già presa nobilissima vendetta, dando prove straor- dinarie di zelo e di fedeltà, cui solo un tristo destino potè impedire ad Eugenio di ammirare. Dopo tali prove fu veramente dignitoso l’atto di Pino, che depose innanzi a lui la sua spada, dicendogli con fermezza : ebbene, poichè v. a. non vuol rendere agli italiani la giustizia che meritano , volo ad ottenerla dall’imperatore.,, Era Pino (conchiude il nostro autore questo racconto, che per le riflessioni di cui abbonda è de’ più interessanti di tutta l’opera) un prode milita. re, di genio intraprendente, splendido oltre misura , € si era sopra 267 d’ ogn’altro cattivato il cuore dell’ armata italiana. Possano queste belle qualità precedenti scemar forza alla soverchiante opinione; possano coprire una sola pagina della sua storia , il 20 aprile 1814! Benemerito della patria avrebbe recato alla tomba il di lei amore, la di lei gratitadine, e la stima universale dell’Europa e del mondo.,, I nostri italiani , trattati con sì poca giustizia da chi più dovea apprezzarli , erano però sempre alla vanguardia, e quindi i primi o fra i primi ad affrontare il pericolo, che loro non recò mai il minimo sgomento. Ormai giunti presso Witepsko essi desiderarono una se- «onda volta di venir a giornata col nemico; e ciò una seconda volta fu loro negato dalla sorte! Il nemico , per ragioni che lo storico espone, preso nuovo consiglio, malgrado le provocazioni degli italiani, si ritira, abbandonando Witepsko all’esercito napoleonico, Si esita al- - cun tergo ad inseguirlo. Il re di Napoli , già diretto verso Smolen- sko e poi retrocesso , ne avea raggiunta la retroguardia con alcuni squadroni di cavalleria francesi, ed un battaglione di fanteria del 2.* leggiero italiano. Ma quando sperava troncarle la ritirata, essa per rinforzi ricevuti gli si rivolse contro improvvisamente, e pose lui me- desimo in gran dubbio della propria sorte. “ In questa circostanza , dice il nostro ufiziale, la fermezza e l’intrepidezza del battaglione leggero salvò li squadroni francesi di vanguardia rovesciati da Pahlen, e permise di riprendere l’ offensiva con vantaggio. Il re di Napoli dimostrogli con le più lusinghiere espressioni sul campo me- desimo la sua soddisfazione, facendo i maggiori elogi del valore italiano, e dicendo che in quella circostanza si era quel battaglio- ne coperto di gloria, ,, Ciò avvenne ad Agapanowszchyna , cioè nel campo stesso ove il maggior de’ guerrieri , non ignorandolo , pronunziò le parole che abbiamo più sopra riportate e che risuoneranno nella posterità. Non era in quel campo , come dicemmo , se nun porzione delle truppe italiane. Il resto era a Suraz , ove Eugenio accompagnato da Pino , cui stando ancora in Dokszyce si stadiò di placare, avea stabilito il suo quartier generale. Da Suraz, poi che si trovarono insieme rac- colte , furono distribuite ai posti avanzati dal settentrione della Rus- sia, ove si distinsero per fatti brillanti, fra cui mi parrebbe di negar troppo al piacere de' lettori, se non ricordassi almeno quello di Wieliz. Mentre il colonnello Narboni, con un distaccamento della ca- valleria della guardia, scendeva ad Uswiata come il fulmine, e rapiva ai nemici 200 carri di vettovaglie necessarissime ai nostri , Eugenio avvisato che un numeroso convoglio rasso era diretto alla volta di 268 Wieliz mandava il colonnellò Banco suo ajutante di campo con 2060 cacciatori per inseguirlo. Dopo nove leghe di marcia per vie disa- strosissime il raggiunsero questi mentre si preparava a traversare il ponte della Dzwina. Era esso forte di 4 battaglioni di fanti e di 300 uomini a cavallo. All’apparire degli italiani, gli uni si collocarono al di là del fiume, facendosi una trincea de’ loro carri e d’ un largo fosso; gli altri si piantarono alla imboccatura del ponte onde proteg- gerli. Agliitaliani parve un giuoco il porre in faga i secondi; ma giunti sotto le archibugiate de’ primi e trovando distrutto ogni buon pas- saggio al loro vallo , dopo alcuni tentativi di assalto, furono gostretti ad arrestarsi. I cavalleggieri nemici frattanto raccoltisi venivano con gran minaccia , e la posizione de’ nostri diventava assai perigliosa. Un solo stretto sentiero , ove capivano al più due persone di fronte, dava qualche speranza di giugnere al vallo; ma la speranza era sì piccola, che Banco esitava a proporlo. I suoi cacciatori impazienti lo traggono co'loro voti d'ogni dubbiezza; e il rischioso sentiero è ten- tato. Il maresciallo d’ alloggio Grassini già vi ba posto il piede ed è seguito da altri de’ più coraggiosi. Se non che lungi dal poter offen- dere il nemico essi a mala pena se ne possono difendere, minacciati ad un tempo e dal fuoco dal vallo, e da quello de’ bersaglieri appiattati. Intanto l’ ajatante maggiore Viani, trovato un passaggio migliore , ne avvisa Banco, il quale, staccata buona parte del drappello che tiene in freno i cavalleggieri de’russi, accorre seco in ajuto degli as- salitori. Cinque volte tentano questi di superare il vallo, e ciu- que volte sono cacciati a fondo. Ma la difficoltà dell’impresa ac- cresce non diminuisce il loro ardvre. ‘ Banco , Rossi, Giovio, Eb- dinger, i due Viani, il Grassini e tanti altri bravi volteggiano at- torno a quella fortezza micidiale per riconoscerne il più debole lato come altrettanti leoni affamati. Si volgono essi in fine alla loro trup- pa e gridano : e che? bravi cacciatori! torneremo al vicerè senza aver adempito al nostro incarico ? A. noi. Chi ha cuore italiano ci segua. Ciò detto , gridando viva l’ Italia, si precipitano serrati e a testa bassa ad affrontare quel fuoco , passano ad uno ad uno per gli intervalli, che separavano i timoni dai carri, rovesciano , abbattono tutto ciò che loro si oppone, e penetrano nel terribile e doppio qua- drato , ov’ è tutto confasione e spavento. I russi atorditi da simile audacia gettano le armi , fuggono o si nascondono per ischivare il primo impeto del furore. Altrettanto umani che bravi, apprezzando 7 inoltre la prode ed onorevole resistenza dei loro nemici , i cacciatori cessarono ben tosto da ogni vendetta. Cinquecento prigionieri, 150 vetture cariche di viveri e di munizioni, non che il terreno coperto 269 di morti e di feriti (fra gli uni e gli altri gli italiani non perdettero che 40 uomini) faronoi trofei di questa brillante e gloriosa giornata, ove non vi fu un solo che non si segnalasse. ,, A questa giornata gloriosa venne appresso una notte non meno memorabile , in cui 1’ avvedimento degli italiani fu messo ad egual prova che il loro coraggio. Ma io sarei troppo lungo se volessi anche sulo accennare tutti i loro nobili fatti sino alla Moscowa , a cui si apersero la via, combattendo valorosamente contro i corpi di Konnownitzin e di Platow, e presso alla quale ci lascia il secondo volume delle memorie. Già penso che ciscuno vorrà vederli in esse descritti, e perdonerà volentieri all’ autore qualche minutezza e qualche prolissità. La sua scusa è in queste parole relative alla gior- nata di Wieliz , ma applicabili a più altre. ‘ Mentre |’ esercita nar- rava ed encomiava i bei fatti d’ arme dei cacciatori italiani, non che quello dei dragoni della guardia ; mentre |° imperatore nel suo di- spaccio ad un suo luogotenente citavagli per modello questi bravi ; mentre i medesimi bullettini francesi, prodighi raramente di lodi agli altri , ne davano un rapido accenno; quando infine non vi era una potenza per quanto piccola della. confederazione renana, che non recasse a pubblica notizia ogni minimo passo, ogui benchè lieve impresa de’ suoi reggimenti, la sola Italia sventurata ignoràva quanto i suoi figli |’ illustrassero colle loro azioni. Ho invano cercato. nelle pagine del giornale italiano il nome di coloro che conferivano gloria. al paese natale , e che n’erano stati ricompensati dall’ imperatore; quei fogli , che le azioni di tutti additavano, tacevano intorno alle nostre !,, Egli nota in seguito come queste azioni meritavano tanto meno d'essere condannate all'oblio quanto più contribuirono alla somma , com'ei s' esprime, delle cose susseguenti. Mentre le truppe italiane raccoglievansi in Suraz sotto la condotta d’Eugenio, i due gran corpi componenti l’esercito russo raccoglievansi e Smolensko sotto quella di Barklay. Ivi avrebbero facilmente potuto mantenersi , quando il lor generale con bella e ardita deliberazione li mosse, onde aggredire l’ e- sercito napoleonico fin nel suo centro. A un tratto gli giugne avviso che Wieliz è preso, e che la cavalleria italiana è giunta a Porgecze. Combinando un fatto coll’altro egli non dubita che la vanguardia di Napoleone si avanzi verso Smolensko, e si affretta ad ordinare altri movimenti, onde afforzarsi in salla destra ove s’imagina d’essere mi- nacciato, Indi le divisioni e le esitazioni de’capi del suo esercito: indi il pronto avanzamento del napoleonico: indi il passaggio del Boristene meno contrastato: indi forse il buon esito della battaglia di Smolen- sko, e quello non del tutto infelice del combattimento di Walatina- 270 Gora. Dopo questo combattimento , che fu sanguinosissimo, il 127° di linea, composto in gran parte d'italiani , riceve l’ aquila in premio della sua nobile condotta. Alla testa di tali soldati; disse Napoleone passandolo a rassegna con alcuni altri reggimenti, si va in capo al mondo .,,. Dopo la battaglia di Gorodeczna € di Polok le truppe italiane sono passate a rassegna presso l’arsa Smolensko. “ Coloro, scrive il nostro ufiziale, che dipingono queste truppe abbattute, avvilite, ri- dotte a pochi individui per ciascuna compagnia, dovrebbero rammen- tarsi l’aspetto imponente che presentavano schierate sulle alture di Smolensko e con quali grida d’esultanza accogliessero l’ imperatore. Queste grida nonerano suggerite o provocate dai colonnelli, ma par- tivano dall’animo avido di gloria di quei soldati invecchiati sui cam- pi. Egli scorse il brio sutia fronte di tutti , diresse a diversi ufiziali, e non pochi soldati delle dimande, chiedendo loro ‘ se erano conten- ti, se soffrivano dele marcie ec.,,. Ed è un fatto che si udì più d’una volta rispondere: “ l’unico dispiacere che abbiamo , sire, è quello di non aver visto il nemico così spesso come gli altri corpi ;, ; al che egli replicava contento; lo vedrete.Nè le loro parole erano già parole d’adu- lazione: il soldato non le conosceva. Erano i sentimenti veri dell’eser- cito, ben differenti da quelli che si è preteso far credere ch’egli nu- trisse. Alle parole lusioghiere che Napoleone rivolse alle truppe successero le ricompense. Il secondo reggimento de’cacciatori italiani fa da lui sopra ogn’altro distinto. Trattenendosi naturalmente assai più presso a quei corpi, che si erano trovati in maggiori cimenti di guerra, destava una generosa invidia negli altri , i quali ardevano di desiderio d’essere essi pure un giorno a vicenda i preferiti ,,. Una langa nota, per far conoscere il vero stato dell’esercito, così spesso, com’egli dice, calunniato , è da lui aggiunta a quanto narra della rassegna di Walutina- Gora che già si accennò, e giova l’indi- carla come una delle più rimarchevoli che corredano le sue memo- rie. La descrizione della rassegna egli ama farla colle parole di Gour- gaud, onde ciò ch'egli aggiunge sia accolto con maggiore fiducia. Re- cherò la parte di questa descrizione , che riguarda il reggimento , ch’ebbe, come si disse, i primi onori della rassegna. “ Fino allora il 127.° di linea, il quale era di nuova formazione e composto per la massima parte de’coscritti dell’Alpi (cioè italiani) avea marciato sen- 2’ aquila, poichè bisognava averla meritata sul campo di battaglia, onde provare che in appresso si saprebbe conservare. L'imperatore gliene consegnò una di sua mano; Non mai campo vittorioso offrì spettacolo più proprio a destare negli animi un vivo entusiasmo, Il — donodi quell’aquila cotanto meritata, la pompa delle promozioni, le 271 giubilanti grida, la gloria dei guerrieri ricom pensata sul campo stesso ov’essi l’aveano acquistata, il loro valore proclamato da una voce di cui ogni accentorimbombava allora nell’attenta Europa, da quel gran capitano i cui bullettini andavano a portare 1 loro nomi nell’intero mondo, e singolarmente fra i loro concittadini e le loro famiglie ras- sicurate ad un tempo ed insuperbite; quanti beni in una volta! ,,. Queste parole, in cui è tutta l’anima di un prode militare, e che il nostro bravo ufiziale ripete con trasporto, già ci fanno sentire ab- bastanza con che colori egli ci presenti nel corso dellesue memorie il capo supremo dell’esercito. E invero a tatt’altri che a chi lo vide sul campo di battaglia è possibile parlarne con mediocre ammirazione. Ma il Napoleone della campagna di Russia era egli il Napoleone delle campagne d’Italia , dell’ Egitto, di Germania , di Spagna, l'aquila, come disse un poeta, che misura d’uno sguardo il più vasto degli spazii e piomba sicura e irresistibile sulla sua preda? Questo problema, che ha grandemente interessato i suoi contemporanei, e in- teresserà per un pezzo sicuramente anche i suoi posteri, è nelle me- morie del nostro uffiziale-esaminato con una diligenza che si appres- sima all’esattezza del calcolo, sicchè se rimane quàlche dabbio è se- gno che il dubbio non poteva esser tolto. Pel nostro autore “ è certo che tutti coloro, i quali hanno appressato Napoleone , non lo hanno punto riconosciuto al ritratto che ne fecero alcuni, scrivendo intorno alla spedizione di Russia ,,. Napoleone, egli aggiunge, ci è mostrato nel suo vero aspetto dal sig. di Segur “ allorchè reduce dal bivacco d’Agapanowszchyzna a Witepsko, esclama posando bruscamente la sua spada sopra una tavola ingombra di carte: io mi fermo qui; vo- glio esaminare le mie cose, ricomporre e riposare il mio esercito, e organizzare la Polonia; la campagna del 1812 è finita, quella del 1813 farà il resto. E in cotal guisa, giusta l’osservazione d’un autore stimabile, ch’egli esprimeva la sua volontà. Niuno di quelli che lo conobbero da vicino seppero mai scorgere in lui l’indecisione o la ti- tubanza. Egli potea talvolta variare le sue determinazioni; ma la va- riazione stessa , lungi dal derogare alla sua volontà , ne era il com- pimento, poichè da lui già preveduta e stabilita ,,. Avvi sicuramente in questa proposizione qualche cosa di trop- po assoluto; ma quasi non si ardisce chiamarla un’ esagerazione . Sia che la previdenza del gran capitano di rado lasciasse luogo ad un cangiamento di volontà ; sia che il cangiamento si operasse con tanta calma e sicurezza da farsi credere un effetto della volontà antecedente , è certo che nel concetto generale degli uomini e de’mi- litari specialmente il nome di Napoleone era quasi divenuto sino- nimò del destino, I falli però e le sciagure della campagna di Russia 272 Joe diminuire di molte il prestigio di questo nome. Le seia- gure, è vero, furono ben strane ; i falli parziali, che le aggrava- rono, non furono i falli del supremo capitano; ma il loro germe non era in un gran fallo ben suo, la mal calcolata invasione del territorio nemico? Questa questione, per così dire fondamentale, non poteva essere trascurata dall’autore delle memorie; ed io non posso negare ai lettori un breve cenno sul modo con cui egli la scioglie. Due scrittori militari, tanto più autorevoli quanto meno so- spetti di parzialità, il russo Bouturlin e l’inglese Ker Porter, hanno lodato , egli dice, il piano di quell’invasione sotto 1’ aspetto del. l’ arte, ma lo hanno trovato vizioso in politica per la disposizione data alle trappe diverse che doveano eseguirlo. O Napoleone, essi scrivono , sperò troppo da’ suoi primi movimenti, o fu vincolato da segrete convenzioni , che gl’impedirono una disposizione mi. gliore. Il gen. Gourgaud , senza impugnare la prima di queste due supposizioni, nega la seconda, e dice che l’errore della distribu= zione di cui si parla, fu l'errore della fiducia e della generosità. Il nostro ufiziale esamina in prima la natura di quest’ errore e mo- stra che, anche indipendentemente dalla saggezza del piano che dovea minorarne gli inconvenienti, appena merita il nome di ev-, rore, Indi, senza farsi ad esaminare se Napoleone sperasse troppo de’ suoi primi movimenti, colla sola esposizione: de'movimenti me- desimi; quali furono da lui ordinati, prova ad evidenza che “ il piano d’ invasione, di cui si tratta , fu degno della mente del gran capitano che lo avea immaginato. ,, Nell’ atich opera di De Pradt sulla Grecia è detto con enfasi: Napoleone fa abbandonato dal suo secolo, poichè nel suo secolo egli era solo. Io non credo che questa sentenza vada presa alla lettera; ma è certo che leggendo le memorie del nostro ufiziale viene spesso voglia di domandare se i provvidi ed arditi concepimenti del suo genio militare fossero intesi? Nalla pe- raltro fu più fatale all’esito della campagna di Russia, che l’abbando- no in cui egli fu lasciato al cominciamento. Gli ozii di Grodno , così funesti come quelli di Capua, e tanto più dolorosi al nuovo Annibale che non furono ozi suoi, prolungarono una guerra che, secondo ogui probabilità, dovea essere cortissima e coronata d’inaudito successo. Io non posso qui trascrivere le prove che l’autore ne reca «distesamen- te nelle sue memorie. Noterò solo come cosa che piacerà all’ autore d’intendere, e che accrescerà la fiducia dei lettori, che queste prove medesime trovansi per così dire epilogate nell’ ottava sezione del giornale d'un inglese, prigionero di guerra a Parigi ne’primi quattro mesi del 1814 , inserito nel London Magazine e nella Rivista Bri- 273 tannica. “ L'imperatore, dice quest’iuglese, nell’atto di ea» col grosso dell’esercito alla volta di Witepsko ordinò che ilre di Vest- falia, il quale avea passato il Niemmen e Grodno, inseguisse il corpo del principe Bagration , il cui nerbo trovavasi in quella parte della Lituania, mentreil principe d’ Eckmthl si porterebbe sopra Mohi- low con 80,000 uomini per chiudergli il cammino. In virtà di questi movimenti concordi Bagration dovea finire col trovarsi rinserrato fra due corpi tanto superiori di forze, che i suoi 60.000 uomini (il nostro autore dice 40,000) sarebbero stati costretti d’ abbassare le armi ; ciò che avrebbe affrettata la conchiusione della pace a quelle condizioni che detterebbe 1l vincitore. Mai il genio di Napoleone non avea con- cepita una combinazione strategica più stupenda.,, Dopo avere ammirato in tanti incontri la forza di questo ge- nio, che pur troppo ci apparirebbe terribile se non fosse cinto di sì grande splendore , quanto è dolce vederlo fra.i pensieri di guerra e nell’ebbrezza stessa della vittoria occupato, come dice il nostro autore , ad alleviare i mali, che la guerra ha cagionati. Gourgaad, ch’ egli cita, avea scritto potersi asserire senza tema d’ essere smentiti, che fra tutti i generali antichi e moderni Napoleone fa quegli che dimostrò la sollecitadine più tenera per i feriti e per gli infermi; e questa sollecitadine , di cui nelle memorie del no- stro ufiziale si ha più d’ una prova, ci consola alquanto delle scene lugubri, di cui esse fin d’ora son piene. Sembra che l’autore avesse bisogno di riposare il proprio pensiero in quello che chiameremo genio umano dell’ eroe , per abbandonarsi più volentieri all’ am- mirazione del suo genio guerriero. Nè debbo tacere che uno dei maggiori piaceri ch’ ei trova nell’ esprimere quest’ ammirazione è quello di farne un omaggio all’ Italia , che produsse un genio sì prodigioso. Ei confessa di buon grado che la moderna educazione guerriera degli italiani è dovuta principalmente ai francesi; ma ricorda con giusto orgoglio che il gran mastro di guerra, innanzi a cui rimasero stupefatti i discendenti dei Condè e dei Turenne, usciva dalla patria dei Ferrucci e dei Giacomini. Il qual vanto , che non può essere contrastato, non deve ormai pei francesi aver più nulla di spiacevole, quando i loro scrittori più popolari vi fanno eco, Notava pur ieri che l’ egregio Malte-Brune in un articolo sull’atlante etnografico del nostro Balbi (è nel primo decembre dei Debats) lodando /a nobile fermezza de’ toscani per la conser- vazione della propria lingua, quando il potente guerriero l’avea proscritta dai loro atti pubblici, li chiama francamente suoi com- patriotti. Ma io ho qui toccata una particolarità che risveglia più T. XXIV. MVovemb. e Dicemb. 18 274 rimembranze atte a sospendere il sentimento dell’ ammirazione. Il genio guerriero dell’ uomo straordinario fa spesso a contrasto col genio della civiltà; e il nostro bravo ufiziale è ben lungi dal dis- simularselo. Vedete più parti delle sue memorie, e fra |’ altre la risposta d’ un ufiziale polacco alla domanda ch’ei gli avea fatta, perchè i lituani si mostrassero freddi agli inviti di Napoleone che li chiamava sotto le sue bandiere. Napoleone, ivi è detto, ebbe contrario a’ suoi disegni il patriottismo di Rosciuszko.. Il nostro autore non potea più delicatamente manifestarci il suo intimo sen- tunento che mettendo a fronte dell’ eroe conquistatore l’ eroe cit- tadino. M. Sul Veltro allegorico , G. P. al sig. EMANUELE REPETTI. La letteratura, mio onorevole sig. Repetti, già imprese a citare al foro della critica il libro del nostro amico sig. Troja, il Zeltro allegorico, Nè ciò sia sgradevole all’ autore; poichè ognuno che ab- bia fior di senno non è vago del cieco ammirar da volgo; ma ama laude , e non è punto da biasimo , che emani da esame maturo. Ol- tre a ciò l’azione del criterio letterario porta seco un balsamo anche là ove morde, avendo sempre una indole di affinità alle cose buone. Un uomo che per ingegno , non men che per sociale eminenza, fu superiore agli altri uomini , l’ insigne Federico prussiano , avvisava che la lima della critica addenta le sole opere degne; non essere le indegne da tanto a meritar tale pruova (3). E si addiceva al vero quel sommo. In alcuni pensamenti sulla Divina Commedia , inscritti nel. l’ Hermes dal Breslavese professore sig. Carlo Witte, leggevasi tra altre singolari opinioni anche il dubbio circa la lettera di Frate Ila- rio ad Uguccione. Parve al nostro amico , che troppo spontaneo contro a’ documenti istorici fosse un siffatto dubitare; ed opinò di non assentirvi nel suo 7eltro. Torna oggi Witte a propugnar leidee sue (2); nè va censurato , essendo ognor laudevole la difesa de’ con- cetti proprii , finchè la verità non detti la sua sentenza. E in questo ritorno sul controverso argomento muove egli altre objezioni a’ pa- reri del signor Troja. Il maggior numero di esse parrà di nullo peso nella bilancia del giudizio. La logica non ammette fi supposti di supposti; e tale è (1) Reflexions sur Charles XII. (2) V. Antologia N.° 69. 5 quella oppugnata all’ itinerario pel quale l’ autor del Pia orma Dante, mentre questi peregrinava esulando e scrivendo le sue canti- che. Il critico alemanno la fonda sovra una ude attribuita da tutti a Sennuccio , dal solo Witte all’ Alighieri. Premetteremo che sarà malagevolissima impresa il dimostrar dantesca una poesia , in cui non si sente nè il nervo nè lo stile del poema sacro; e degli altri carmi lirici dello stesso poeta. Ma di ciò uon cale. Vuolsi pria dimo- strata la presunta autenticità d’ autore ; e quindi se ne faccia argo- mento objettivo a checchéè si voglia. Però se fievolissimo è questo, di non poco momento è poi quello che lo stesso critico desume dal XIX canto dell’Inferno. Avvisa l’au- tor del Veltro che questa cantica fu nel 1308 compiuta, e pel Frate del Corvo inviata al Fagiolano. Ma vi si oppone Witte ; sottilmente argomentando per induzioni istoriche posteriori all’ anno indicato. .Eccole: Dante finge nel 1300 il suo viaggio alle sedi della seconda vita. Aggirandosi per quella de’ tormenti eterni, arriva egli alla bolgia foracchiata ove son suppliziati i Simoniaci. In uno di quei fori vede un dannato, che atrocemente capovolto Forte spingava con ambo le piote Era Nicolò III.° ; il quale udendo l’ insolita voce d’ anima viva crede giunto Bonifazio VIII.°, cui lo stesso peccato dannava allo stesso supplizio , ed esclama Sei tu già costi ritto Bonifazio ? Malo sganna il viaggiatore col dirgli ‘ non son colui,,; e allora l’ombra dopo aver cennati coloro, che simoneggiando il precedettero in quell’ arto pozzo , soggiungne Laggiù cascherò io altresi quando Verrà colui, che io credea che tu fossi Allor che feci il subito dimando. Ma più è il tempo già che î- piè micossi, E che io son stato così sotto sopra, Che ei non starà piantato co' piè rossi; Che dopo lui verrà di più laida opra Di ver ponente un pastor senza legge Tal che convien che lui e me ricopra. In quest’ ultimo personaggio alludeva il poeta a Glemente V.° Qui poggia la sua opposizione il professor di Breslavia. Nicolò III.° era morto nel 1281. Va dunque supposto che nel 1300 parli egli come colui che è là martoriato da 19 anni ; e che Dante il quale il fa così parlare fosse certo , che non per tanto tem- po vi martorirebbe Bonifazio ; ossia che Clemente V morrebbe in- nanzi del 1319. Moriva infatti nel 1314. Indi l’ Alighieri non potè 276 . compiere l’ Inferno ‘se non posteriormente a questo ultimo anno; e perciò è erroneo il sistema cronologico del sig. Troja che il suppone compiuto nel 1308. L’obiettare un tale anacronismo ha molta specie di ragione. Nè sel dissimulava il nostro amico. Mi rammento anzi che sovente ne facevamo subjetto di esame; ed in particolare allorchè egli rim- patriando , io andai seco fino a Siena, Parlavasi della morte del V.° Clemente quale unico fatto posteriore al 1308, che si trovi memorato nella prima delle tre cantiche, Ciò essere robusto argomento contro al tema assunto nel Veltro ; ed in nall’altro modo dileguabile se non supponendo che l’ Alighieri avesse congettaralmente così parlato circa il giorno supremo di quel pontefice. Clemente salì al pontificato nel 1306. Ei basta leggere in Gio- vanni Villani (coevo e non sospetto testimonio perchè guelfo) le sot- tilissime male pratiche che vel sollevarono, onde essere già chiaro ad un uomo sì acuto qual era Dante, che il novello Gerarca sarebbe avverso a’ desiderii pe’ quali parteggiava il nostro gran poeta, Nè ciò basta. Uno degli atti primi dal papa emanati circa i publici moti d’Italia fa l’interdire al cardinal Orsini la legazione in Toscana , sol onde far cosa grata a Filippo il Bello ed a’ fiorentini. Eccolo dunque acerbo nemico agli occhi dell’ esule ; ed ecco la certezza che un esule non men acerbo ed iroso gli imprecasse prossima morte. La foga di fantasia in chi poeteggia suole spesso attuar l’ avvenire, Se ciò av- viene ne’ poeti laucatori circa futuri possibili che essi non sentono nè bramano mentre li salmeggiano , a ragion più forte poteva av. venire in Dante, attuando un futuro certo (la morte del Papa) da lui sì ardentemente sentito e bramato. V’ ha inoltre che il poeta ‘potea tanto più plausibilmente im- precargli o sperare che presto andasse a cacciar più giù Bonifazio, in quanto che Clemente assai grave infermava poco dopa |’ esaltazione sua. E qui il nostro autore si confortava con molti documenti; e con quell' immenso suo possesso di materia istorica mi allegava non sò quale lettera di esso pontefice scritta ad escusarsi, se pel suo stato cagionevole non andava a trattar la proposta concordia fra il IV.° Fi- lippo di Francia ed il 1I.° Odoardo d’Inghbilterra. Mi allegava anche testimonianza di quell’ infermità trasmessaci da Bernardo Guidoni e Tolomeo da Lucca , mon che d’ altri che ora non rarrimento. Voi, non men del nostro amico , dottissimo in istoria, sarete in grado di verificar siffatti asserti. L’ Alighieri dunque appreudendo così tra- vagliato da fiero morbo il papa, potea molto innanzi del 1314 preve- dere che questi non pontificherebbe per 19 anni. Un sì lungo pontificato che anche oggi supera le ordinarie misure di durata in STI quel sublime seggio, cui non suol salirsi se non verso l’ ultima età, era poi rarissimo in quell’ epoca di reo volger di tempo fra le parti civili, fra l'impero e la Chiesa. Da Carlo il Magno infatti fino a Dante , fra cento e più papi, non si ebbero che i soli casi di Adria- no I Pasquale II ed Alessandro III, per quattro lustri vissuti sulla somma sede. I cento altri esempii di coloro i quali non tennero oltre il secondo le sacre chiavi; favorivan le acri-passinni del poeta. Arde- va esso al certo perchè Clemente presto morisse; e potè farlo morto anche innanzi al suo morire. Nulla osta insomma che egli così scri- vesse circa il 1307 ; o 1308. | Questo lieve cenno sarà a nostro avviso bastevole a sfumare la più forte obiezione del signor Witte. Del rimanente il Veltro fa da- to in luce come precursore ed epilogo di più ampia istoria sovra quel secolo. In essa l’autore potrà levigare, e levigherà certamente, ogni addentellato non solo al dubbio già mossogli, ma anche a qualunque altro che se gli potrò muovere. E maggiormente convergerà l’atten- zione sua a premunirsene ora che vi fu adizzato da un critico inge- gnoso. Nell’annunzio di opinioni nuove il dubitar di dotti è pungen- tissimo sprone perchè il dotto inventore conforti con la maggior luce possibile l’ asserto novello ; nè i prodi mai si ristanno a raccorre il guanto buttato in arena da altri prodi. Sia però che vuolsi; e sia, oppur nò falso quell’ itinerario con la eronologica composizione del poema sacro che Troja asserisce, e cui Witte non consente, ciò nulla defrauda al pregio del libro in discorso, Noi vorremmo laudarlo ; ed il potremmo senza codardia o du- plicità d’animo ; ed il faremmo ove non sospetto suffragio sempre fosse la laude dell’ amicizia. Ne vieta inoltre a farlo il riflesso, che oggidì ne’ giudizi d’arti o di lettere, poco amasi udir sentenze di elogio o biasimo. Ognuno vuol giudicare ei stesso; e, grazie allo spandimento del. criterio, ognun può farlo. Nella repubblica dell’eru- dimento non più vi è cattedra da cui si precetti, ma sol bigoncia sulla quale uopo è ragionare e persuadere. Passò stagione al mal vezzo di sentenziare; oggi vuolsi ben esporre gli elementi, onde tutti giudichino, Nè altrimenti faceva il critico sovrano (3); e non senza ragione meritò la sua grande fama, tostochè senza mai nè det- tare nè ispirare il proprio giudizio e pensiero , manoduce i lettori a profondamente pensare e giudicar essi. Analogo a questo avviso sarà ciò che aggiugneremo. Caldissimo è da qualche lustro in qua lo studio filologico salla Divina Commedia. E dico filologico nel senso del Vico, il quale così (3) Bayle. 278 epiteta la dottrina di investigare il certo nelle opere umane. Troja tentò una nuova guida all’ indagine del certo in quelle di Dante. Quale è essa mai? Quella di cercar nell’istoria del secolo e nella vi- ta del poeta la vera chiave alla lucida intelligenza del poema. Il So- Jari ideava pressa poco lo stesso disegno, mentre l’autore del Veltro il raminava ed eseguiva. Unica finzione nella Divina Comedia è il viaggio di un vivente alle tre regioni de’morti. Il resto è visibilmente tutto istorico, Il fin- to viaggiatore fu anche esso un personaggio legato all’ istoria dalle sue vicende, che ei va sapientemente intrecciando alle memorie de- gli eventi publici. Da egli i supplizii le espiazioni o le beatitodini più a tenore della fama universa, che delle sue individue passioni, come è lecito accertarsene confrontando le cantiche con le croniche coeve. E perchè meglio pertarbi o covsoli l'animo dello spettatore con esempii di vizii o di virtà, tanto maggiormente puniti o premia- te quanto più socialmente eminenti son gli uomini , trasceglie i suoi eroi fra’più famigerati personaggi di quell’età, tratteggiandoli con tocchi archetipi. I men conti rimangono ombreggiati nel fondo di qoe'terribili quadri dramatici. Fedele al suo titolo la Divina com- media è l’istoria del 13.° secolo scenegiiata nel mondo delle anime. Coerente a questo principio l’autore del Z'eltro andò spigolando tutte le infime notizie dell’età e del vivere del poeta, tostochè prese a sua scorta che vero ed unico interpetre del poema è sol l’istoria. E pare certamente che questa oltremodo cooperì non solo a leggere il vero ma bensì a rafforzare il bello di quello, Infatti incliti e commo- ventissimi si osservino quegli episodii che ne giunsero più lameggiati dalla face istorica, Alla patetica magia che proviamo, e crediamo tutta maestria dell’artista nelle tremende scene di’ Farinata ed Ugolino, o nelie lagrimose di Francesca, Manfredi, e Montefeltro, han magno concorso la pietà e il terrore che gli annali o la tradizione tramanda - rono associata alla memoria di que’ miseri. Nè ciò è solo in Dante ma avviene nelle opere di tutti gli artisti. Un quadro o dramma di su- bietto ideale è assai men attuoso di un dramina 0 quadro di subietto realmen'e avvenuto, Imperocchè quando nota è la fama di un even- to, essa è già una protasi per ogni spettatore , nel di cui animo l’ef- fetto è già per metà eccitato. Il vero della cosa allora porta seco la condizione onde meglio si intenda, e più si gusti il vero dell’imagine. Ed è questo e non altro il gran segreto delle arti. Ond’ è che esse prendono somma vita colorito e calore là solo ove assumono a vestir fatti cogniti o sentiti con passione, Nè altrimenti saprebbesi spiegare perchè i magni prodigi d’opere degli artisti si avverano in qualanque secolo d’arti sol ne’venerati subietti delle religioni; nè perchè Miche- mi, Jlangelo, onnipossentissimo nel Giudizio e nel Moisè, fu ineguaie a sè stesso nel Bacco e nell’Adone. Oltrechè.in tal caso il cuore esalta la fantasia in chi opera del pari che in chi contempla, è poi chiara al secondo tutta Ja idea del primo. Ognuno sa i proprii numi e li raffi- gura subito. Qgnuno al cospetto del terribilissimo dipinto del Bonar- roti legge quella formidabile azione, perchè sà quel predicato mi- stero. Ognuno riconosce il Sapremo Giudice ; ode lo squillo della .tromba finale : ‘e intende chie la terra si sommove fendendosi perchè be. risorgano i sepolti. All’Alighieri non al certo era ignoto questo momentosissimo arcano delle arti. Quindi non pago di sceneggiar og- getti di viva e fervidissima fede religiosa, ne ingigantiva l’ inte- resse mostrandovi eventi e personaggi nazionali di calda e recente ‘memoria. Però tornando al subietto, tenghiamo per ferino che tutti i versi della Divina Commedia ci parrebbero assai più belli di ciò che ‘Oggi ne paiono, ove a somiglianza de’ testè citati e pisodj, sapremmo i : fatti a’quali si riferiscono , e fossero questi patetici al par di quelli degli episodj istessi. Ma l’ istoria.o non trasmise, o appena cennò molte gesta, nen narrando essa che le memorande. Piacque inoltre anche al poeta di velare alcune fiate con allegorie or le cose, or le persone; ed or i propri concetti. E forse il facea perchè riputasse o non ancora alimento del volgo qualche alto vero , o periglioso in que’ tempi rei l’ accendere il menomo sospetto fra tante passioni concitabilissime, Certo è che Dante ardea per un momentoso fine politico fra le tante miserie italiche ; e ne è lecito credere che egli poetasse più puntato allo scopo di qualche arcano disegno, .in que’ giorni burrascosi ma virili e magvanimi, che per quel diletto pe! quale suolsi poetar dagli altri nomini. Oltre che campeggia visi» bilmente un siffatto fervido suo divisamento per tutto il poema, vi si ha che il poeta istesso chiaramente.il dice : Oh voi. che avete gli ‘intelletti sani Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame degli accenti strani. Indi quel misterioso e sibillino dire con cui infoscò vari luoghi delle sue cantiche. Indi gli studi le veglie ed i comenti degli interpetri. Il mistero massimo par che sia circa il, personaggio simboleg- giato nel Ye/tro. Chi mai vi disegnava esso ? Una analogia di voca- bolo fece traguardarvi Cane Scaligero; e questa interpetrazione ebbe maggior fortuna; poichè ideata da commentatori coevi,o,poco, poste - riori al poeta, portò seco quel documento di tradizione , che ha au- torità veneranda anche nelle lettere. Ma non ne è paga,)ne, vi si acqueta la sottile critica. Non senza stento infatti si' può animettere 280 che in an carme consacrato ad invittissimo capitano , ad Uguccione, volesse il poeta salmeggiare un imberbe che non ancora trattava le armi, ed un magnate estraneo a’ Fagiolani. Sembra anzi, che quando ad un forte italico si predice un italico forte , faturo salvator d’ Ita- lia e Roma, vogliasi con finissima arte far intendere che l’ eroe, cai ciò si vaticina , sia l’ eroe vaticinato.' E questa è l’ privindo del signor Troja. Uguccione è il Veltro. n Troja adunque discorre l’intera istoria di questo: piglio con- dottiero. Contro al sentimento di tutti gli istorici, che il fannodi vol- gare nazione, il crede egli nato da’Carpignesi. Quindi lasciando.levipo- tesi, ed esplorando i fatti documentati, lo accompagna per tutta la sua vita; dal momento cioè in cui saggiò per la prima volta le armi, e imprese a salire in fama fra le montagne Feltrie , fino alla morte sulle rive della Brenta. Con immensa cura ed indagine ne enumera le gesta ,i maestrati supremi ottenuti nelle più cospicue città ghi- belline , le guerre , le paci, i parentadi, le alleanze , i trionfi, edi rabbuffi di fortana. Ma sovra ogni altro va notando nel suo eroe tutto ciò , che in esso può far innegabilmente discernere colui, che Dante simboleggiava nel Veltro, e nel Dux ; ossia nell’ Un cinquecento cinque e diece Messo di. Dio (4). Con molta maestria geografica gli adatta il versò E sua nazion sarà tra feltro e feltro ; (5) dimostrandolo nativo tra le due feltrie. Però mi ‘avviso che tralasciò di prendere da due versi antecedenti tutto il partito che poteva es- sere vantagiosissimo all’ opinione sua. L' Allighieri dice Questi non ciberà terra nè peltro Ma sapienza amore e virtude .. : Rammentiamoci che il Fagiolano non nacque in grande stato, ma vi pervenne. I molti anzi il fanno nato tra la plebe come il pritno Sforzesco. Opera di sè solo fu il suo salire, e la sua grandezza ; non educato fra dominii e dovizie ereditarie , salì a potenza e celebrità col suo senno e col suo braccio. ‘Indi ecco ampia lucidezza a’ due versi indicati ; ne’ quali chi non vede che Dante non intendea parlare di qualche italico ottimate , nativo, alimentato, e cresciato in si- gnoria ; ma'bensì di uno che se ne facea degno col possesso ed eser- cizio di quelle maschie doti intese nel senso antico delle voci di vir- tù , d'amore, e di sapienza ; ossia con gli eroici numeri della mente del cuore e della mano ? -(4) Pargatorio XXXII. (5) Inferno 1.* 2891 Tralasceremo gli altri documenti onde l’autore conforta l’ipotesi sua. E diremmo salita questa a dimostrazione ove circa il senso am- biguamente detto da un uomo spento da cinque secoli, e per cinque secoli controverso , si potesse arrivare alla certezza morale . Ne piace però di aggiungnere che se falla il nostro interpetre, è un gen- til fallo il suo, Nell'età nostra, in cui per l'aumento scientifico profetato dal Verulamese , si è cotanto scritto e pensato , corrono gli scrittori le medesime sorti de’ navigatori commessi ad esplorar nuove terre. I grandi continenti furon scoperti ; null’ altra gloria non rimane agli esploratori moderni se non quella di rinvenir qualche ignota isoletta nell’ immensità de’ navigati mari, o di addentrarsi in qualche regione non anco viaggiata. Così oggi chi pubblica nuovi volami è fortunato ove dia nuove idee. Nel Ze/tro leggonsi: molte, peregrine cose istori- che stacciate dalla polvere degli archivi delle biblioteche, e de” do- icumenti di famiglie. Miller chiamò secoli del merito ignorato quelli del medio evo; e innanzi di lui il Vico avea detto che per la, mole e pel pregio delle materie, l’ epoca della barbarie ricorsa era non ‘sol più ricca ma anche più oscura di quella della mitologica. Merita laude adunque ognuno che la irraggia; e laudeyole e il nostro autore pe'nuovi raggi di luce che vi dardeggiò col 7e/tro, non che gli altri che vi anderà vibrando nelle sue istorie. O!traciò scoprì egli e resti- toì all’italica letteratura un altro parto dell’ingegno di Dante, l’epi- ‘stola cioè. a’ cardinali italiani, che memorata da Giovanni Villani come scritta con a/(0 dittato , credevasi perduta: Questi titoli rac - comandano il libro alla benemerenza letteraria. 289 BULLETTINO SCIENTIFICO. ilo N.° XXXVIII-IX. Novembre e Dicembre 1826. ScIENZE NATURALI. Meteorologia. Uno straordinario fenomeno meteorologito fa ‘osservato; non ‘ha guari , nel circondario di Carcassona. Eccone'i particolari. Dominava un vento del sud con un caldo soffocante, e le nuvole si addensavano all’ ovest. Bentosto verso il mezzodì' il vento'di- venne impetuoso a segno ‘da far presentire il più spaventevole ura- gano . Un nuvolo buio e densissimo sembrò allora arrestarsi mi- natcioso sopra un territorio situato a cento tese ‘dal castello ‘di Lucanette. Scorgevasi chiaramente nella direzione di Fromboise l’urtarsi delle. nuvole ed il loro rapido abbassamento verso lasu- perficie della terra, corne se da questa fossero attratte: il'tnono rimbombava in tutti i punti dell’ orizzonte , è pureva anche ac- compagnato da certo cupo muggito che facilmente potevasi distin- guere ; gli animali domestici fuggivano atterriti ‘alle loro dimore, quando all’ improvviso si sentì un fragore dalla parte dell’ ovest. L’ aria violentemente agitata spingeasi con moto vorticoso verso quel fosco nuvolo che allora ‘soprastava al ‘laogo' detto Champ- rouge. L’ istante del fenomeno fa indicato da un forte scoppio e dall’ apparizione d’un enorme colonna di fuoco , la quale striscian- do sulla campagna , distrusse tutto nel suo passaggio. Un giovane di 17 anni che trovavasi nella direzione seguita da questa meteora, fu avvolto nel turbine, elevato in aria , e poi balzato contro una rupe ove si fracassò il capo; 14 montoni furono pure inviluppati dalla vorticosa corrente d’aria , e caddero poscia in asfissia, Quella colonna di fuoco intanto , spintasi verso il castello , rovesciò le mara dal lato occidentale del parco, ingolfossi in alcune caver- ne , dove scavando pietre , atterrando immense rupi, e sradican- do gli alberi più annosi , penetrò nel castello da due parti, ab- battendo parecchie mura, porte e finestre ; ed entrata nella gran galleria, ne ruppe il soffitto, ascese nel secondo piano, e quindi sul tetto , facendo in quel punto crollare con fracasso orribile |’ in - tero edifizio. Le signore di Belfortis trovavansi nella galleria , e in mezzo a tanta rovina andarono debitrici della loro salvezza alla caduta d'una trave, che arrestatasi trasversalmente fra i rottami, nB$ formò su di quelli una specie di votta, e ritenne le altre macerie ; ma elleno rimasero orribilinente ferite e piene di contusioni. A questo primo disastro ne saccedette subito un altro non meno spaventevole: la tromba che seguiva la colonna’ compiè la totale distruzione del castello e della campagna circonvicina; una quercia di oltre a cinque piedi di circonferenza fu svelta, e rovesciò nel cadere due piccole case rurali situate presso al castello. Carri, attrezzi campestri d’ogni sorta , viti , alberi, tutto venne dalla furia della tromba portato via, precipitato nelle valli, lasciando in molti luoghi il suolo profonda- mente aperto. Durante il fenomeno l’aria era impregnata d’ un forte odore di zolfo. La meteora andò a sparire verso Fournas , e fù se- guita da dirottissima pioggia , dopo la quale il vento di est rasserenò nuovamente il cielo, Il più terribile fra i fenomeni elettrici, il falmine, che destando spavento in un gran numero d’ individui, ordinariamente niuno ne offende , e solo qualche rara volta uno o pochi che incontri nel suo angusto tragitto; pure in alcuni casi, fortunatamente più rari an- cora, può offendere ed anche uccidere individui notabilmente lon- tani da lui. Chiamano i fisici italiani colpo di ritorno ed'i francesi choc en retour questo singolar fenomeno , che è stato specialmente illustrato da un fisico inglese, Lord Mahon. Eccone in poche parole la spiegazione , per maggior facilità nella teoria dei due fluidi vitreo ‘e resinoso. Se mentre una nube fortemente elettrizzata d’ elettricità vitrea sta per scaricarsi o lanciare un fulmine sopra un oggetto o un punto terrestre , avvenga che un individuo sia compreso nella sfera d’ attività di quella nube, e che per l’inffuenza di essa si trovi. elet- trizato d’ elettricità resinosa , al momento della scarica , 0 itnmedia- tamente dopo , il fluido vitrèo rientrando dalla terra nel corpo’ di quell’ individuo per ristabilirvi l'equilibrio elettrico prima turbato, gli farà provare una commozione più o meno violenta, e che potreb- be anche cagionarne la morte. Un accidente di questo genere si è verificato nel di 24 settem- bre ultirmo sopra un uomo di 72 anni , a Versailles ; nel momento ia cui il fulmine cadeva alla distanza d’una inezza lega sopra Ja tenuta di Gally. Nella casa stessa in cui trovavasi l’ individao che fù per- ‘cosso , erano più altre persone , niuna delle quali provò danno o ‘in- coinodo alcuno. Quell’individao, ùn momento prima dell’ esplo- sione si era appressato ad un muro a poca distanza da ‘un tubo di ferro fuso ch'e discendeva dall'alto della casa, e ‘che sembra essere stato il condattare della scarica. Nell' istante in cui questa avvenne, quell’ individuo provò una sensazione che egli espresse dicendo es- 284 sergli sembrato che tutta la parte diritta del suo corpo fosse spinta violentemente verso la sinistra, ove trovavasi il tubo conduttore. Nel tempo stesso risentì dell’ oppressione e delle vertigini, e provò uno stato in qualche modo simile all’ebrietà, Le sue membra del lato diritto erano come istupidite o assiderate, nè poteva servirsene se non con molta pena ; anche la lingua era impedita nei suoi liberi movimenti. Tutti questi accidenti si dissiparono ben presto, ma (cosa molto singolare) ricomparvero periodicamente all’ ora stessa nel giorno seguente ed in altri successivi. Fisica e Chimica. Il sig. Stefano Marianini ; professore di fisica e matematiche applicate nel liceo di Venezia , diede in luce lo scorso anno un sag- gio d° esperienze elettrometriche. Aspettandone da un nostro collaboratore un estratto ragionato ; che ci proponiamo d'’ inserire nell’ Antologia, non vogliamo lasciar trascorrere il cadente anno senza dirne due parole, Quest’ opera può esser considerata come una collezione d’ ec- cellenti memorie intorno ai più interessanti e più delicati fenomeni elettrici. L'autore occupatosi da qualche anno di questo soggetto , aveva fino dal mese di marzo 1823 comanicato all’ Ateneo veneto la più gran parte dei risultamevti ottenuti, diversi dei quali furono pubblicati nei giornali italiani, e specialmente in quello di fisica , chimica, ec. di Pavia, L’opera è divisa in tre parti, e ciascuna di queste in più se- zioni. La prima sezione della prima parte ha per oggetto il ricono- scere e fissare il rapporto che esiste fra l’ energia degli apparati elet- tromotori , e la deviazione dell’ ago magnetico che ne risulta ; la se- conda il rapporto che si osserva fra la deviazione stessa e la tensione elettrica, La seconda parte contiene le ricerche intraprese dall’ autore intorno alla facoltà elettromotrice comparativa dei conduttori della seconda classe. Nelle prime 4 sezioni si esamina l’influenza che eser- cita per alterare o modificare la forza elottromotrice dei corpi, 1.° l'ossidazione, 2.° le correnti, 3:° i liquidi conduttori, 4.° la tem- peratura, La 5a sezione riferisce l’ esperienze per le quali |’ autore ha cercato di determinare la forza elettromotrice relativa dei con- duttori d’ una stessa classe. Seguono alcune osservazioni sopra il po- tere elettromotore di varie sostanze particolari, come il carburo di ferro , il mercurio, il ferro, il carbonio. Compie questa seconda parte un elenco nel quale i condattori di seconda classe sono ordinati 285 secondo il rapporto della respettiva loro facoltà elettromotrice ,; cominciando dal carbone ossigenatissimo ; che la possiede al più alto grado, e terminando collo zinco , che n° è dotato al grado minimo. ; La terza parte si raggira intorno alla facoltà conduttrice dei li- quidi. Nella prima sezione si esamina |’ influenza che esercita sopra questa facoltà Ja temperatura. Nella seconda, premesso il fatto che ‘una pila di molti dischi separati da un liquido mediocremente con- dattore fa deviar l’ ago meno che una sola coppia isolata , l’ autore riferisce l’esperienze da sè intraprese per riconoscere 1’ inflaenza della grande estensione dei conduttori liquidi. Segue una digressione intorno alle cause, che rendono maggiore |’ energia degli apparati costruiti secondo il metodo dei signori Novellucci e Wollaston. La terza sezione tratta della facoltà conduttrice dei diversi liquidi, e termina con un prospetto nel quale è espresso in numeri il rapporto - del vario grado in cui posseggono questa facoltà in confronto del- I acqua pura presa per unità. Quest’operetta, che porta molta luce in questa nuova parte delia fisica, fa molto onore al suo autore sti- mabile. ‘ In una memoria letta nell’ Ateneo veneto il giorno 16 marzo di quest’ anno 1826, lo stesso sig. prof. Marianini fece conoscere i risul- tamenti d’ alcune sue esperienze, per le quali sembra dimostrato che i fenomeni delle pile secondarie dipendono dalle alterazioni che l’ elettricità produce nella relativa facoltà elettromotrice dei metalli. Il sig. Auguste ha imaginato un nuovo barometro da lui detto differenziale , di cui ecco la costruzione. Una palla di vetro connessa ad un tubo è piena d’ aria egualmente che la più gran parte del tabo stesso , il quale posto verticalmente colla palla in alto s’ immerge coll’ éstremità aperta in un bagno di mercurio. Un altro tubo verti- cale aperto in ambedue |’ estremità s'immerge nel bagno stesso , il quale è coperto in modo che l’ aria non può esercitare la sua pres- sione sulla superficie del mercurio che per mezzo di questo secondo tubo. Una scala divisa in gradi serve a misurare le altezze del mer. curio nei due tubi , ed a mostrar la differenza fra la pressione ester- na e quella dell’aria contenuta nella palla. Quest’ultima pressione potendo dedursi dal volume primitivo e dalla temperatura attuale , e potendosi in questo, barometro come in quello di Fortin dilatare o ristringere il serbatoio in modo da render costante il volume del- l’aria imprigionatavi, è-possibile concludere da tutto ciò la pres- sione esatta dell’ aria esterna, notando soltanto la temperatura e 285 l'altezza del mercurio nel secondo tubo. Volendo rendere questo stramento portatile, si può con molto comodo ridurlo ad una piccola langhezza. Fra le diverse teoriche ammesse dai chimici, non ve n’ è forse alcuna intorno alla quale essi fossero più concordi che quella relati- va alla formazione del salnitro, e conseguentemente dell’ acido ni- trico che costituisce questo sale importante, formazione attribuita alla scomposizione delle sostanze organiche, e specialmente delle ani- mali, l’azoto delle quali, al momento in cui si sprigiona da esse ; 0 allo stato nascente di gas, come dicono i chimici, combinandosi all’os- sigene dell’atmosfera, concorrendovi la presenza di qualche base salificabile, e specialmente della potassa , e della calce, costituisce l'acido nitrico , che unendosi a queste basi forma i nitrati. A questa teorica generalmente ricevata il sig. Longchamp pro- pone ora di sostitairne un altra, nella quale , esclusa la necessaria presenza delle sostanze animali , si ripete la formazione dell’ acido nitrico dalla combinazione delle due sostanze che essenzialmente co- stituiscono l’aria atmosferica, cioè l’ossigene e l'azoto, combinazione determinata per affinità predisponente dalla presenza di materie atte ad assorbire quel!’ acido, e specialmente del carbonato di calce. Il sig. Longchamp appoggia la sua nuova teorica ad un fatto non solo vero ma notorio, quale è la formazione dei nitrati in materie ed in luoghi che non contengono sostanze organiche, e che non sono mai stati esposti alle emanazioni degli animali. Analizzato questo ed altri simili fatti, egli trova che le circo- stanze essenziali ed indispensabili alla formazione dei nitrati sono l’aria, l’acqua, ed il carbonato di calce, in uno stato di grande poro- sità, come si trova nel tafo e nella creta, che si nitrificano facil - mente, lo che non avviene del marmo, sebbene abbia una stessa composizione chimica, Lo stato di porosità delle materie calcari le rende eminente- mente assorbenti ; esse assorbono avidamente l’acqua. A questa si trova costantemente unita dell’aria, la di cui composizione diversifica un poco da quella dell’aria comune o atmosferica per una maggior proporzione d’ossigene. Separando qaest’ aria dall’ acqua mediante l'ebollizione, e raccogliendola successivamente in frazioni distinte , i sigg. Gay-Lussac ed Humbold hanno verificato che mentre la prima porzione contiene 24 per 100 d’ossigene, l’ultima ne contiene 34,9, proporzione molto prossima a quella di 36,7 da cui risulta il gas 0s - sido d’azoto. All’azione che l’ acqua esercita sull’ossigene e l’ azoto per determinarne o prepararne la combinazione, aggiungendosi quel- 287 la della calce contenuta nella creta o nel tufo, e che ha molta affini- tà per l’acido nitrico, questo si formerà come avviene giornalmente, Passando il sig. Gay-Zussac per una piccola città della Fran- cia , un fabbricanteigli diede per esaminarsi un acido che somigliava moltissimo l’acido tartarico, non solo per le sue proprietà fisiche, ma anche per alcuni caratteri chimici. Esaminatolo diligentemente, il lo- dato chimico ha riconosciuto differire quest’acido essenzialmente dal tartarico, e da qualunque altro cognito, ed essere però un’acido nuo- vo, al quale sì è astenuto per ora dal dare un nome, aspettando d’ot- tenere più esatte informazioni sulla di lui origine, o sul modo della sua formazione, Il sig. Stromeyer ha dedotto da alcune sue ricerche esser soli due gli ossidi di ferro veramente distinti, cioè l’ossidulo nero-azzur- ro, e l’ossido rosso, ed esser mescolanze di essi in proporzioni varia- te tutti gli altri. Jl gas idrogene secco venendo a contatto coll’ ossido rosso rovente, lo riduce a metallo se ad una temperatura molto ele- vata, ad ossidulo turchino se minore. Il metallo così revivificato s’in- fuoca al semplice contatto dell’aria , purchè prima sia scaldato alla temperatura che fonde il cadmio ; arde vivacemente e diviene ossi- do nero, o una mescolanza dei due ossidi indicati. L’ossidulo ottenu- to egualmente per il gas idrogene si accende appena viene a contatto dell’aria, e si converte interamente in ossido rosso. Se si è ottenuto un mescuglio di metallo e di ossidulo, questo si accende tosto, quin- di comunica l’accensione al metallo- L’ossidalo azzurro in stato d’idrato, preparato recentemente , è | secondo il sig. Stromeyer il più delicato reagente per scuoprire l’os- sigene nelle mescolanze aeriformi. Anche una parte d’ ossigene in mille d'azoto, può con questo mezzo riconoscersi. Si agita nel me- scuglio l’ossidulo , il quale divien giallo ocraceo. Si può preparare quest’ossidulo scomponendo la soluzione del solfato verde di ferro con ammoniaca caustica, e procurando che non tocchi l’aria prima d’essere impiegato. Il prof. cav. Sementini di Napoli, il quale aveva già scoperto la formazione dell’acido iodoso per mezzo del clorato di potassa, è giunto posteriormente a produrre un ossido d’iodio facendo incon- trare in un tubo di rame infuocato l’iodio in vapore ed il gas ossige- ne, Seguitando ad amministrare di quest’ultimo si forma l’acido io- doso. L’ ossido cangia in verde smeraldo la tintura di laccamuffa (tournesol) l’acido iodoso la volta al rosso. Si può anche ottener l’os- 268 sido scaldando lungamente l’iodio in vasi nei qaali l’aria possa avere accesso. Gli autori di chimica hanno fin qui pensato e scritto che il sodio non si accende ed arde a contatto dell’acqua , come fa il potassio. Il suddetto sig. prof. Sementini ha riconosciuto che anche il sodio, ove sia scaldato fino alla temperatura di gradi 70, si accende e brucia co- me il potassio toccando l’acqua scaldata egualmente. La luce che esso tramanda è gialla chiara, mentre quella del potassio è violetta. Il sig. P/eischl ha confermato ed esteso le osservazioni del prof. Silliman quanto all’utilità deli’ acido idriodico per scuoprire la presenza del platino. L’acido idriodico versato nella soluzione d’ un sale di platino mediocremente allungata, la colora immediatamente in rosso cupo; dopo alcuni minuti si forma un precipitato nero , ed in capo a 4 ore circa comparisce alla superficie un bel. velo metalli- co. Se i due liquidi siano allungatissimi, si forma il precipitato, ma non comparisce il velo metallico. I sigg. Darcet e Gauthier de Claubry, avendo intrapreso delle ricerche per riconoscere il modo d’azione del cloraro di calce nel disinfettare l’aria, hanno creduto poter concludere che quest’ azione dipende essenzialinente dalla presenza di quella piccola porzione d’acido carbonico che si trova costantemente nell’atmosfera. Secon- do essi quest’acido tendendo ad unirsi alla calce, determina lo spri- gionamento del cloro. Essi afferinano che un aria infetta, privata prima del suo acido carbonico, quindi trattata coi cloruri di calce e di soda, non ha potuto esser disinfettata. Il sig. Zaugier informando la società filomatica di Parigi di quest’ opinione dei sigg. Darcet e Gauthier de Claubry, ha mostrato non esserne molto persuaso. Similmente il sig. Thénard ha colto l’occasione di esporre avan- ti l'accademia delle scienze i suoi dubbi intorno a quella spiegazione. Egli osserva che l’acido carbonico non trovandosi nell'aria atmosfe- rica che nella proporzione di un 1200.mo0 circa , è in troppo piccola quantità per operar l’effetto che se gli attribuisce, Altronde quel- l'ipotesi è smentita dal fatto delle cloache o latrine, le quali sono di- sinfettate dal clorato di calce, sebbene l’ammoniaca che n’emana sia più che sufficiente a saturar l’acido carbonico dell’aria atmosferica ambiente. Il sig. Bartolommeo Bizio all’ occasione d’ alcune ricerche da lui intraprese intorno agli olii volatili, e specialmente intorno all’aci- I 28g dificazione a cui talvolta soggiacciono , dalla circostanza che alcuni di tali olii si congelano per raffreddamento, fu indotto a sospettare che nel modo stesso che gli olii fissi sono composti di due sostanze distinte, delle quali una solida è stata chiamata stearina , l’ altra liquida elaina , potrebbero anche gli olii volatili esser composti di due diverse sostanze. I risultamenti delle sue esperienze conferma- rono questa congettura , ed egli giunse a ricavare da alcuni olii volatili due materie distinte , una delle quali solida , l’altra liquida. Egli ha dato alla prima il nome di sereusina, o essenza solida, alla seconda quello di igrusina , o essenza liquida. Ambedue queste so- stanze sono solubili nell’ alcool. Il sig. Zassaigne ha annanziato avere egli trovato dei pro- cessi, per mezzo dei quali può scuoprire la presenza dell’ acido idrocianico nel corpo dell’ uomo o degli animali uccisi con que- sto veleno violento, anche alcuni giorni dopo la morte, e finchè non si sia stabilita Ja putrefazione. Questa scoperta è molto interes- sante per la medicina legale. Alcune esperienze del sig. Bischof sembrano provare , contro le asserzioni di Gmelin, Wolff, Murray , Thenard, Thompson, che non esiste un vero idrato di solfo o una combinazione di puro solfo coll’ acqua. Il sig. Faraday avendo una sera lasciato sopra un bagno d’are- na caldo una boccia contenente del solfo , la mattina dopo trovò il bagno freddo e spezzata la boccia , da cui si era versato quasi tutto il solfo. Esaminando attentamente i frammenti del vaso, si accorse che erano coperti d’una specie di rugiada di ‘solfo, com- posta d’ un gran numero di gocce grosse e piccole mescolate fra loro , due terzi delle quali erano solide ed opache, mentre le altre erano rimaste fluide, benchè da più ore la temperatura loro fosse quella stessa dell’ atmosfera. Toccandole, esse divenivano so- lide e cristalline con tal prontezza , che era quasi impossibile cam- biarne la forma . La solidificazione si effettuava con egual pron- tezza , sia che fossero toccate col dito , o con qualunque altro cor- po, come una bacchetta di vetro , di legno , o di metallo ; ma sembrava indispensabile un contatto qualunque, Qualsivoglia mo- vimento di vibrazione comunicato al vetro su cui le gocce ripo- savano, non faceva loro perdere la liquidità ; aleune di esse resta - rono in questo stato per una settimana intera. Il sig. Faraday pa- T. XXIV. Movemb. e Dicemb, 19 290 ragona questo fenomeno a. quello dell'acqua, che raffreddandosi lentamente e senza scosse fino a qualche grado sotto zero si con- serva liquida ; ma quì si tratta d’ un piccol numero di gradi, mentre il solfo nell’esperienza riferita è rimasto liquido fino a gradi 58 R. sotto il grado ordinario della sua solidificazione, Il sig. Guglielmo Nicol ha osservato un altro fatto molto cu» rioso. Avendo egli potuto procurarsi un cristallo di solfato di ba- rite in cui si trovava una cavità proporzionatamente grande, si pose a consumarlo da una parte mediante il fregamento sopra una pietra liscia ed asciutta ; dopo non molto la ‘cavità scoppiò, ed il liquido contenuto in essa uscì fuori dall ‘apertura in piccole gocce, e si sparse sopra la faccia consumata. Ventiquattro ore dopo, ciascuna goccia era divenuta un cristallo di solfato di barite, che aveva la forma pri- mitiva di questo minerale , ed un volume che sembrava eguale a quello del liquido da cui proveniva. Il sig. Brewster ha riconosciuto l’esistenza di due nuovi fluidi nelle cavità d’ alcunì minerali, e specialmente nei topazi e negli ametisti, ed ha determinata la rispettiva forza di rifrazione di cui sono dotati. Di questi flaidi ano è un poco più denso, l’altro più espansibile e volatile. Essi sono contenuti in cavità così piccole, che in alcuni minerali un buon microscopio ne discuopre più migliaia, Sembra che il fluido espansibile talvolta eserciti una forte. pres- sione sulle pareti delle cavità nelle quali è contenuto. Ciò risulta dal seguente disgraziato avvenimento. Un figlio del sig. Sanderson aven- ‘ do posto nella sua bocca un cristallo di quarzo di Quebec, il riscal- damento che questo provò fece che si spezzasse con impeto, e ferisse molto gravemente il fanciullo, Il liquido escito della cavità aveva un gusto spiacevolissimo, Applicando un forte calore ad un altro pezzo di quarzo, fu ve- duto lo stesso liquido farsi gradatamente strada a traverso della so» stanza del cristallo, e dissiparsi interamente nell’aria, senza lasciare alcuna traccia del sao passaggio. Nell'inverno 1825, essendo un freddo molto grande, lo stesso sig. Brewster scuoprì per mezzo del microscopio in alcune masse di ghiaccio un gran numero di cavità le quali contenevano dell’ acqua allo stato liquido è dell’aria. Quando alcuna di queste cavità è vici- nissima alla superficie esterna del ghiaccio , l’aria sfugge a traverso della sostanza solida per la parte che presenta minor resistenza , 291 e subito dopo lo spazio che quell’aria occupava si trova pieno di ghiaccio. | Il sig. Brewster è d’opinione che il solfato di ,barite nel mine- rale sopra indicato del sig. Nicol, e l’acqua nel pezzo di ghiaccio da sè esaminato restassero allo stato liquido per l’ostacolo che oppone- va alla loro cristallizzazione la gran pressione che questi liquidi sof- frivano avanti la rottura delle cavità nelle quali erano racchiusi. Geologia. Nella diversità , colla quale i geologi riguardano l’ antichità re- spettiva delle rocce , il sig. Bowè, versatissimo in questa materia, ha presentato al pubblico la classificazione , che gli sembra più proba- ‘bile, dietro alle molte osservazioni che egli ha fatte pér i luoghi più importanti d’ Europa. Egli ammette due formazioni, una aquea, ed una ignea , la prima riconoscibile alla stratificazione dei depositi, l’altra all'essere essi non stratificati, ed ammette una terza forma- zione igneo ‘nettunia , o mista, per alcuni aggregati ed alcuni tufi. Riguarda i filoni metallici , come una dipendenza della formazione ignea , e stabilisce quali sieno le rocce , i minerali, ed i generi di fossili di ciascuna divisione della massa esteriore del globo ter- restre, come pure la presenza, e l’ assenza dei fossili, e dei mi- nerali in ciascuna sorta di terreno. Non ammette fralli schisti cri- stallini, o rocce impropriamente dette primitive, se non che. gli gnesii , e gli schisti micacei ; ed i terreni intermediari, secondo il di lui modo di vedere, sono un terreno talcoso, un terreno di grauvacco, il grès rosso intermediario ed il calcario encrinitifero. Per i terreni secondari, egli ha distribuito le rocce di una medesima formazione in differenti colonne , secondo i paesi , e per |’ epoca terziaria , ciascun bacino dell’ Europa occupa una colonna , e di questi egli ne distin- gue dieci. Il suolo alluviale comprende le antiche e le nuove allu- ‘vioni, e colloca fra i primi depositi il calcario mediterraneo di Risso. I signori Oeynhausen, e Dechen hanno pubblicato una circo- stanziata descrizione del Bleyberg nella Carintia , e dei suoi con- torni. Vi distinguono cinque terreni ; il grauvacco , il calcario in- termediario , il grès varicolore, il calcario conchilifero (muschelkalk) ed il terreno colla lignite : assegnano le località ed i limiti di cia- scun terreno, e dimostrano che il grès rosso e biancastro appartiene al grès varicolore. Le rocce quarzose d’Inverness, secondo le osservazioni del sig. G. 2093 pdl , sono situate fra ’] granito , ed il grès stratificato. In qual- che luogo trovasi il granito associato allo schisto micaceo; talvolta di- vien rosso compatto, e talvolta riprendendo gli elementi co’quali è so- stanzialmente unito nella formazione del suo terreno, ritorna al gra- pito, ed è tagliato da filoni di granito, e di amfibolite; la prima sostanza delle quali, ov'è associato colla roccia quarzosa; passa in alcuni luo- ghi al granito porfirico , in altri al grafico. A. Foyers nelle rocce quarzose vi sono soltanto dei banchi calcarii , ed il calcario abbonda nello gnesio di Glen Vrquart , ove racchiude la grammatite , e l’at- tinoto, Sulle rive del Loch Arkeg si trovano dei massi di bronzite. Alla parte settentrionale delle contee di Norfolk, e di Suffolk il calcario palveralento (craze) è ricoperto da un considerabile ter- reno di alluvione argilloso , che contiene dei fossili appartenenti a terreni differentissimi fra loro , lo che prova, essere recente questa formazione. Infatti nelle argille dell’ alto Suffolk si veggono riunite grandi belemmiti, serpule, grifee dilatate, ostree delodi, frammenti di ammoniti , delle plagiostome ec. con denti di elefante, e vertebre di grandi animali, e questi depositi di argilla sono spesso framezzati da st rati assai regolari e grossi di rena o ghiaia. î " A Conzacoli nel Tirolo il sig. 77. Herschel ha osservato che la dolomia riposa orizzontalmente sopra una roccia granitoide composta di feldspato , mica, e probabilmente di amfibolite , e di quarzo, e la dolomia stessa è mescolata di parti talcose, e verdi, ed è molto cristallina : mentre la roccia sienitica contiene il cabasio, e i gra- nati. Fralla Dolomia , e la Sienite si veggono delle laminette di ser- pentino , e la sienite ov è in contatto, è traversata da piccgli filetti di ana materia pulverulenta ; che in parte fà effervescenza, in parte fa gelatina nell’ acido nitrico. Il passaggio della sienite al serpentino occupa una grossezza da 18 pollici a 2 piedi. Queste relazioni geolo- giche sono analoghe a ciò che si vede nella Scozia , ove il trappo si unisce al calcario. i Il sig. Crawford ci informa, che la catena di Malaya che si dirige da settentrione a mezzogiorno , e che finisce verso l’estremità della penisola di questo nome è composta di rocce antiche , come granito, schisto micaceo ec. che la costa occidentale abbonda di sta- gno, soprattatto a Junk Ceylan, mentre l’ oro è sparso sulla costa orientale , e più di tutto abbonda a Pahang. La costa orientale del golfo di Siam contiene degli zaffiri , e dei rubini, ma in poca quan- tità, ma vi abbondano l’ oro , il rame, e più di tutti il ferro. Il 293 calcario alla costa della Concincina riposa sul granito , e fornisce di bei marmi. Il terreno vicino a Mascata, alla costa di Levante del Golfo per- sico, è secondo il sig. Fraser, di polzevera , nella quale si trova anco l’ asbesto ed il diallaggio, e questa roccia , che continua per una lunghezza considerabile, alterna con schisti verdastri, talvolta anfibolici. Alla parte di mezzogiorno la polzevera finice presto , e la costa è di calcario con gli strati inclinati di 30.° a 60. a N. E. Il calcario , ed il serpentino pare che costituiscano tutta la Costa del Golfo persico. Il sig. Guglielmo Jach ci informa, che il suolo dell’ isola di Su- matra è poco elevato sul livello del mare, e che i depositi di allu- vione , che si van formando , si accrescono di continuo , e tendono a restringere gli spazii inondati , talchè Palembang è ora discosta 60 miglia dall’ imboccatura del fiume, mentre è tradizione, che sia stata questa città un porto di mare. All’ occidente vi è una catena di montagne alte , probabilmente primitive, e sebbene in alcuni luoghi si trovi il granito , pure le rocce trappiche paiono le più abbondanti, e le montagne vulcaniche sono come isolate e molto elevate. Nella provincia di Mandheling vi sono molte miniere d’oro. Le montagne, che fiancheggiano la costa di Ayer. Bangy, sono alte, estese, e grani- tiche, e la montagna detta Mont Ofir ha 13000 piedi di altezza. Da quella catena, per la parte del N. E. ne discendono diversi gran fiami, fra i quali il Soumpour, o Rukan , che traversa l'isola , ed in essa vedesi la montagna di Berapi, che continuamente esala fuoco, e che s’ inalza 13 a 14000 piedi. L’ isola nella parte meridionale ha varie montagne trappiche confusamente riunite , che vanno discen- dendo verso il mare , e formano varie isole, e baie; e che sembrano prolungarsi fino all’ isola di Giava ; e la roccia che costituisce que- ste montagne è per lo più amigdaloide , dara , e sonora. Il sig. /Voeggerath pare che sia stato il primo a credere , ed as- serire che il sale in roccia sia stato sublimato dal fuoco, e non de- positato dall’ acqua, ed aggiunge, che siccome il sale, ed il gesso formano degli aggregati isolati, così sono queste due sostanze di origine ignea, e l’effetto dei valcani , sicchè per la stessa ragione anco lo zolfo riguardar si dee non come causa, ma come effetto dei vulcani medesimi. Questa istessa idea sull’origine ignea del sale vien sostenuta dal sig. Charpentier in una memoria relativa al sale di Bex ; la quale asserzione vien fiancheggiata dall' essersi al Vesuvio 294 raccolto nell’ anno 1822 una gran quantità di sale. Le rocce di Lo- rena parimente mostrano , che in quei terreni secondarii il gesso è l’effetto di una compenetrazione posteriore , ed ignea. A Forfarshire il grès rosso riposa sul grauvacco, sullo schisto, e sugli agglomerati. Questi agglomerati, e questo grès si ritrovano so- pra il porfido a West-Balloch lungo il fiume Parity, ed il grès vi è tagliato a 35° da un piano di serpentino; sui fianchi la roccia è dara, ed offre un miscuglio di serpentino, e di disp ed il mezzo è oc- cupato dal serpentino coll’asbesto. Il sig. Pasini, allievo del defantoAb. Maraschini, va continuando le ricerche di questo dotto geologo riguardo alle rocce del Vicentino. All’ Enna il sig. Maraschini aveva fatto conoscere le rocce, che oltre i monti vengono denominate grès rosso , zechstein , grès varicolore , muschelkalk, keuper, e calcario giurassico. Questi depositi secondarj all’Enna sono collocati orizzontalmente sullo steaschisto, ed a piè di questa montagna verso S. Giorgio v'ha il grès verde, ed il calcario cretoso corallifero, che và per tre miglia fino a S. Orso, e la scaglia (craie dure) così chiamata in quel luogo ricuopre quel terreno. Al settentrione di Schio una massa di porfido pirossenico metallifero ricuopre da una parte il grès verde, e la creta (craze), e dall’altra il calcario giurassico; la qual massa ricuopre il calcario conchilifero (muschelkalk) al fianco orizzontale del monte; mentre a Coroboli il porfido diviene una specie di caolino, che più oltre ritorna pirosse- nico, avente forse un poco di amfibolo. Il quarzo, che in questo lao- go comincia a comparire in cristalli, ed in piccoli ammassi, và cre- scendo in modo, che a Grumoriondo costituisce la metà della pasta del porfido, e talvolta quegli ammassi si uniscono colla pasta della roccia, talvolta ne sono distinti. Il quarzo incontrasi pure al monte Manozzo presso Vall’Ortigara, al monte Castello di Pieve, a monte Frisa, a Vallarsa in un porfido addossato al calcario giurassico, ed a Tongara. Il porfido pirossenico di Gramoriondo cuopre orizzontal- mente il calcario conchilifero, ma vi è intercetto un banco di ro piedi di una roccia steatitosa mescolata di piccoli letti di calcario cri- stallino. Lungo il fianco del monte Enna pertanto fino alla cima si veggono dei filoni porfirici nelle marne , e nei calcarii, come pure si veggono delle rocce modificate, le quali essendo le medesime di quelle che sono conosciute nel Tirolo, sono perciò anch’esse poste- riori alla creta. Le Trachiti degli Euganei sono contemporanee di questi porfidi pirossenici e granitoidi, secondo il sig. Pasini. Il sig. Gio. Barnaba La Via, seguitando il suo lavoro geologico I | 295 dei contorni dì Caltanisetta ha preso in esame la parte meridionale, che è verso il villaggio di Sommatino, andando al quale da Caltasi- netta si traversa una pianura sparsa di collinette marnose e di calca- rio intermediario semicristallino grigio turchiniccio , compatto, 0 terroso, spesso fetido. Il monte Grande è formato di gesso spatico , mescolato di zolfo, e che alla sua base ha uno strato sulfureo. Lo spazio di lia Sommatino è occupato dal calcario intermediario, che è verde a Craparia, eda Bruca. La cima di Craparia, Mintina, e Bruca sono di gesso, lo zolfo è pur terziario, e può vedersi alla solfa- tara grande. L’abbondanza dello zolfo in questo luogo è provata da un incendio, che incominciò in uno spacco di questa montagna, e che durato due anni, fa estinto in parte da una corrente di zolfo liquido, che uscì dalla base, e che dette luogo agli abitanti di racco- glierne più di 800 mila quintali, nè la corrente si fermò fuorchè in- contrando l’acqua del fiume salato, che separa le valli di Noto e di Mazzara. sb Mineralogia. La causa che opera il galleggiamento nel feldspato della pietra di luna , sembra al sig. Mac/ure una infiltrazione di acqua fra le sue lamine. Una sostanza, che ha l'apparenza di una varietà di calce carbo- nata, esaminata al cannello dal sig. Brassingault; se gli è fuso in un globetto opaco infusibile tosto che è formato ; che sulla lin- gua fa sentire un sapore alcalino assai forte. Questa sostanza con- tiene molta acqua, poichè decrepita alla fiamma, e in un matraccio esposto al fuoco , nel qual caso diviene opaca. È costituita infatti da un atomo di calce carbonata, uno di carbonato di soda anidro ed undici di acqua, che è quanto dire da un’ atomo di calce carbonata, e da uno di soda carbonata cristallizzata , poichè questa in tale stato ne contiene undici di acqua. Il sig. Cordier, che ha esaminato questa sostanza per il lato cristallografico , ha stabilito che la di lei forma è l’ ottaedro irregolare , nel quale l’ incidenza delle due facce MM è di 70° e mezzo, e le sostituisce per nucleo ipotetico un prisma romboidale a base obliqua. A questa sostanza è stato dato il nome di Gay lussite , e più propriamente dovrebbe chiamarsi bicarbonato idrato di soda e di calce. È stata ‘essa trovata nell’America del sud in un’ argilla che cuopre il carbonato di soda in cristalli trasparenti, e talvolta annebbiati o sporcati da un poca di argilla in particelle impalpabili. Gode di una forte refrazione doppia , solca il gesso ed è solcata dalla calce carbonata. È magra e fredda al tatto, tenera e facile a rompersi, ba la rottura Rae che degenera nella ine- 296 guale, ma di un lustro vivo vetroso, che passa all‘ adamantino. La polvere, che è bianca-grigiognola , non divien fosforica sui carboni accesi, i Un'altra nuova specie minerale è ‘stata osservata , alla quale è stato dato il nome di Edingtonite, perchè osservata nella collezione mineralogica del sig. Edington. Trovasi essa nella Thomsonite di Hillpatrick accompagnata dallo spato calcario e da una varietà di armotomo in cristalli 2 maclo, ed è semitrasparente, vetrina, bianca- grigiognola, di peso specifico 2,710; esposta al calore esala dell’acqua, e diviene nel tempo medesimo opaca e bianca. Al cannello si fonde in vetro incoloro, ed affondendo sopra di essa l'acido muriatico, ne separa la silice in forma di gelatina. È composta di silice 35,09 ; allamina 27,69; calce 12,68; acqua 13,32, e forse di un poco di alcali. La Zeasite di M. Lariviere è il fever. opal di Zimapan al Mes- sico, o guarzo resinite melato di Hauy . Trovasi in una roccia perlitica e ripiena di sferuliti, e l’opale sembra essere in filone in un porfido trachitico. Nel comune di Egeos nella Norvegia , sotto la forma di prismi romboidali a spigoli troncati colle giunture parallele alle 4 facce longitud nali, più duro del vetro; di peso specifico 3,24; bruno nero che va al rossastro, ma verdiccio nella rottura, ed appena traslucido; v’'ha un minerale, che è stato trovato sui nodi di quarzo contenuti nel granito di transizione. L’ analisi ne ba fornito al sig, Berzelius silice 55,25 ; ossido di ferro 31,25 ; ossido di man- gavese 1,08; calce 0,72 ; soda 10,40, e perciò egli ha trovato che questo minerale viene per la sua composizione a costituire una specie nuova, ed è stato chiamato Acknite per l’acutezza dei suoi cristalli. Il sig. Brevester ha dato il nome Hopeite ad un minerale che somiglia la stilbite nei caratteri più esterni, ma che ne differisce essenzialmente per i caratteri fisici e cristallografici, Nel dipartimento dell’alta Vienna è stata trovata |’ a/bite man- ganesifera nera, che si trova nell’ albite sablaminare bianca rossa- stra. Così pure vi s° incontra lo scellino ferro manganesato, nel quale il sig. Vauquelin ha trovato perossido di ferro 15,2; perossido di manganese 14,6 ; acido 70,2, Questo minerale agisce sensibilmente sull’ ago magnetico, ha un peso minore dello scellino ferraginoso, ed ha meno lucido metallico di questo ; inoltre la polvere del mine- 297 rale è bruna rossastra o di violetto poco distinto, ma nel resto sono concordi i caratteri dello scellino ferrugineo con questo. Parimente vi è stato trovato il ferro idrosottofosfato in un terreno primitivo , un poco differente nella tinta del colore dal ferro fosfafo di Baviera e della N. Jersey; come pure un sottofosfato di ferro manganesifero, che ha per carattere di essere fusibilissimo, e di essere più bruno del ferro idrosottofosfato blù; e finalmente vi è stato trovato un fosfato di ferro e di manganese idrato , alla qual sostanza, dal paese ov’ è stata trovata , è stato dato il nome di Yreaulite, Un nuovo idrosilicato di allumina, che trovasi in piccole squame bianche e convesse, saponacee al tatto e friabili, è stato trovato nei terreni di carbon fossile di Fins e di Mons, e da M. Guillemin, che l’ha esaminato , gli è stato dato il nome di Folerite. Il sig. Bustamente, mineralogista distinto’ del Messico , avendo indicato un minerale grigio verdastro giallastro e cenerino tendente al rosso, e talvolta brunastro , a rottura trasversale quasi con- coide, di lustro un poco sericeo , che solca il feldspato tenace, e riguardatolo come atto a costituire una specie nuova, il sig. Da- mas ne ha esaminati più ulteriormente i suoi caratteri , ed ana- lizzatolo ha trovato che egli è un bisilicato di manganese e di calce distinto dagli altri bisilicati e per lo stato in cui si trova il manga- nese, e per le proporzioni della calce e del manganese. Perciò il sig. Al. Brongniart, ha dato un nome a questo minerale, e lo ha chiamato Bustanite, in omaggio al mineralogista che lo ha osservato nella collezione della scuola delle miniere del Messico , e lo ha quin- di descritto. I dubbi insorti sulla identità di specie della zolite del Capo di Gates e della cordierite di Arendal nella Norvegia , sono stati dissipati da un’ analisi di M. /augier , che ha trovato nella cor- dierite di Arendal gli stessi principj che nel minerale del C. di Gates, salve alcune non sostanziali differenze nelle proporzioni, lo che viene a corrispondere colla somiglianza, per non dire identità, dei principali caratteri dei due minerali. Alcune osservazioni del sig. Leman sulla calce fluata fosfori- ca o Clorofana di Odontscholon in Siberia ci mostrano che alla temperatura di zero la fosforescenza è appena sensibile ; che nel LI l’acqua bollente la luce è molta , e che in contatto col mercu- rio scaldato a 300° la luce è forte in modo da poter leggere a 298 2 decimetri di distanza dal foco della luce , ma che però l’aver so- stenuto questa temperatura indebolisce momentaneamente la' fosfo+ .. rescenza della clorofana , al che si ripara agevolmente coll’espor » questo sale alla fuce del sole per qualche ora. Il sig. Rose prendendo in esame le differenti varietà del feld- spato , ne ha separate alcune, erigendole in specie per vari carat- teri importanti. Riserva alla specie del feldspato 1’ adalaria , il feld= spato vetroso, quello di Norvegia e di Baveno, e la pietra delle Amaz- zoni. La seconda specie è l’a/bdite costituita dalla varietà raggiante e saccaroide di Fimbo, del Kieselspath di Hausmann, dai cristalli del Delfinato detti scorli bianchi, da quei del Salzburgo e del Tirolo, che differiscono dal feldspato per esser la potassa rappresentata dalla soda, ma che però sono simili nella composizione atomistica. Secondo il sig. Rose la forma primitiva è differente fra queste due specie. Il feldspato di Baveno è spesso accompagnato da cristalli bianchi, i quali appartengono all’ albite. La terza specie è il feld- spato di Labrador, già smembrato dai feldspati da Klaproth colla denominazione specifica di Labrador. La quarta specie trovasi in un carbonato di calce del Vesuvio , contenutovi in cristalli aggrup- pati, che hanno per forma primitiva un parallelepipedo irregolare, alla quale specie egli dà il nome di ortoso o di amortite , stati già proposti per il feldspato. Il sig. Soret ha osservato un minerale del Piemonte, che ha molta somiglianza collo sfeno, e che ha per forma primitiva un prisma retto romboidale di 94’, 34” e di 85’,30”. Dalla Persia meridionale il sig. Colonnello ZYîrght ha portato una terra acida della quale i paesani fanno uso nei loro sorbetti, e che contiene dell’ acido solforico libero. Fisica organica. Sebbene molte ipotesi e fisiche e fisiologiche siano state propo- ste; per spiegare il movimento e l ascensione dei liquidi nei vegeta - bili, e generalmente nei corpi organizzati viventi, pure bisogna con- fessare che la vera causa di quest’ importante fenomeno non è fin quì nota o almen dimostrata. Il sig. Qutrochet in una sua memoria letta recentemente avanti l’Accademia delle scienze di Parigi ha esposto i risultamenti d’alcune » 140 » 144 > 33 29» È t ” 148 » ISÌ 39153 ; 162 » 17 333 ARCHEOLOGIA. Sopra i moderni falsificatori delle medaglie, ec. (S8. C.) A. ,;. 3, 169 Scoperta di un pubblico sepolcreto etrusco ( G. B. Zan- noni.) ,, 3, 170 Lettres à M. le Duc de Blacas relatives au Musée Royal Egyptien de Turin, par M. Champollion le Jeune. (Fo Dridli) Bi +01; 143188 Real museo borbonico. Galleria de’vasi, del Canonico An- drea de Jorio. (G. B.Zannoni.) x; » 47 Real museo borbonico. Officina dei papiri descritta dal ca- nonico Andrea de Jorio. 7” 33 3» 53 Metodo per rinvenire e frugare i sepolcri degli antichi, del canonico Andrea de Jorio. ” 3» 0 56 Il fascino, e l’ amuleto contro del fascino presso gli anti- chi. Illustrazione di un antico basso rilievo rinvenuto in un forno della città di Pompei , distesa dal cav. Arditi, DE) » 39 60 De tribus basilidianis gemmis Josephis Marchionis Tacco- ‘ nii, etc. » > 63 Lettera a S. E. Duca di Serradifaleo , del dot. Panofka 3 sopra una iscrizione del teatro siracusano. 5 MERINIPPITTI (15) Venere Proserpina illustrata da Odoardo Gerhard.,, sorga :68 ‘ Saggio intorno a’confini del territorio Veronese e Trentino a’ tempi romani, del prof. Giuseppe Stoftella. (K. X. Y.),, ,, 217 \ INVENZIONI E NOVITA. ) 202 ti, 313 Bullettino scientifico N.° 37. » 38-39. vi 2) SciENZE NATURALI. Meteorologia. Baullettino scientifico 37. A.) 177 ”» 38- ‘39. B ,, 282 Fisica e shimsca: Bullettino scientifico 37. ip D 5 38-39. LP :1A Storia iaia Bullettino scientifico 37. A» 188 ” ” 38-39. B ,, 305 Mineralogia. Bullettino scientifico 37. A ,) 192 » » 38-39. B ,; 295 (334 Paleontografia. Ballettino scientifico 37. A Geologia. Bullettino scientifico 37. si ” ” 38-39. B Fisica organica. Bullettino scientif. 38-39. v } SociETÀ sCIENTICHE. Società medico fisica fiorentina. À ’) B Adunanza solenne dell’Accademia della Crusca. (Pod Memorie della società italiana delle scienze residente in Modena. (E. Repetti.) » Società toscana di geografia, statistiea e storia neturale patria. (Gi I. e R. Accademia de’Georgofili. » » Programma per il concorso del 1828. ,, NecroLOGIA. Canonico Ignazio de’ Marchesi Guerrieri. A Vincenzio Federici. 5» Tommaso Chersa di Ragusa (U. Lampredi.) B Giovanni Ferrari ‘forretti di Venezia. Francesco Zacchiroli. d Rosa Mezzera, (Melchior Missirini.) ;, ” BuULLETTINO sIBLIO@RAFICO. N.° XXXVI. Ottobre 1826. A XXXVII-XXXVIII. Novembre e Dicembre. B SciENZE AGRARIE. Bullettino scientifico n. 37. N° SciENZE MEDICHE Intorno al pubblico macello di Roma, osservazioni di L. Poletti. (E. R.) B. Del trattamento degli annegati : del dot. P. Manni. ,, |,» Degli ufficii del medico , prolusione del dott. Basevi ,, ; ”» 194 9 195 » 29! »» 298 »» 207 pi dle » 97 ‘> 108 gw 184 » 314 poi DIS 3» 208 ’» 209 » 204 » 319 sp dl dda n 923 » 197 so 212 SE STA 13 217 Il Paroco istruito nella medicina, del dott. Barzellotti. (PF. G) Sull’ attuale stato della medicina, discorso del dott. Pal- i loni, "ano Indirizzo del dottore Giovanni Strambio ai medici del- 1’ Italia. i Sulla ottalmia pustolar contagiosa. Rag. di G. Buzzi ,, » Sall’ ottalmia che hanno sofferto i militari di Livorno, di L. Paoli. » »” La Igiene degli occhi. » Il Boa di Plinio , del cav. Tom. Prelà. ds Biografia medica piemontese. » »” Bullettino scientifico n° 38-39. » » Fine dell'Anno VI, e Tomo XXIV. 335 23 2) . ERRATA, CORRIGE.‘ Pag. 135. V. a4 perchè il Ramusio | perchè Gonzalo d’Oviedo presso il Ra- | : ‘. musio Pag. 136. V. 6. Iavigatio sive novu Il libro Navigatio ad Terras ignotas ERROR orbis ec. — Stampato nell’opera intitolata Vo- vus orbis ec. NB. L'originale del Cadamosto è in italiano, e fu tradotto in latino da Arcan- gelo Madrignano, OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare picdi 205. NOVEMBRE 1826. e) Termo. & N°) > { e E e [Is 3.| È del ciel | Loud 5 v Pesi sz d . È Ora È E 3 A s o 53 Stato del cielo | “a ki 5315] | ° [i i Î | | | 7 mat. |27. 11,3 [12,4 Ra 90 ‘Pon. Iijuvolo Calma i | I] mezzog. |a7. 10,4 |12,4 |11,4| 75 Lev. ‘Nuvolo Ventic. | rt.sera |27. 8,3 |t2,4 |10,2] 99 | 0,03;Tr. Ma. Nuvalo Calma | i 7 mat. |27. 7,0 |12,0 [10,4 | 81 | 0,02[Gr.Le. Nuvoli gonti Ventic,!i \2| mezzog. |27. 6,4 [12,3 [11,5 79 | 0,01 Lev. '!Nuv. Ser. Vento 11 sera |27. 5, 9,7 11,7 |10,0 90 0,40 Os. Li | Pioggia Calma 7 niat. |27. 7,1 [11,1 | 8,0 9h 0,22|Maest. | Nuvolo Calina 3| mezzog. li 7,9 |11,3 [11,2] 74 [Lev. Navolo Vento II sera 9,6 lin,r i 8,8] 87 1Gr. Le.|Ser. con nebbie Ventic», 7 mat. |27. 10,7 |10,7 | 8,0| 95 | 0,06[Po. Li.[Nuvolo Calma 4| mezzog. |27. 11,0 |10,7 | 9,9 | 86 Pon. |Ser.con nuvoli Ventic. _.| Hr sera |27. 11,9 [10,4 | 7,8 | 87 Sc. Le.|Sereno nuvolo _ Ventic (| 7 mat. 28. 0,0 [10,0 7,2| 93 Poo. |Nuv.e ser. neb, Ventic. 5] mezzog. |28. 0,0 [12,2 111,2 | 78 Lib. |\Ser. neb. Calma | 11 sera a 11,9 10,2 | 8,0 |100 | 0,07 Gr. Le.|Caliginoso Calma 7 mat. . 11,4 |10,0 | 5,5 ]1oo |-0;02|Ostro |Ser. e neb. in bas. Galma i6|: mezzog. ua 11,1 | 9,8 | 9,2| 88|* |Os. Li.|Ser. belliss. Calma _|_1t sera |27. 10,2 {10,2 8,5 | 89 Ostro |Sereno Calma pg mat. |27+ 8,4 [10,0 | 8,6 | 94 0,04 Gr. Le,|Nuv, rot, Ventic. .7| mezzog. |27.. .7,7 {10,3 | 9,4 | 98 |.0,02|Po. Li.{Nuvolo f Calma rr sera . plant. mioe: bui mola de ata mal re e rn ope le dagli rt pig e tri fra E SN Siemanio pe srt; Lair dad ant) sorogi a OI | 00 Patt, 30 i,î pirkcna 7 ) Movbli di | Pe: DI Se 200 UM Nb «tas part pri | pi. i re, PI porter doni cen iii da persero ioprsag Bi; CAIRO | Qipoa W ole Wusti sd 92) i } nitàst “cndorili. Letti fg, 0 SNO gn tin cid ioni prize VEPIULAI olivi: . UO: ef Sete T pi low | estati Hr post ti 011198 | sui Oi se perirono + 00 capi) ia magi tt plot È 1 Pane!) hl satana E DLE i ty da ot‘ bi are 0a e 4 stati gno bari SUORA aio RESI > TI Ratto PD — . = >N IA. E Prrrarcini: ali Zranarzime ti Rn DA go È Pi Por n ri we: EA REATI SUI p. Udi V \ da “ 208. | I” n ’ I A È ti PA : ' PA é Cw . ) N n d tn 4 è, fi A A sd » wi won Lt ” ie cio k Pa PIA D h, 70/4 n, Pal 4 Ma Le è led ( sentire Dar ratto IE Io NE ALI Me I TREIORON È Ly ANTOLOGIA si pubbfica ogni mese ; per fasciolo non minore di 10 fogli, e fascicoli compongono un volume ed ogni volume, è accompagnato da un lice e generale delle materie. 3 Le associazioni si prendono E I ZE, dal Direttore Editore G.P. Vieusseux. chan , per tatto il régno dalla Spedizione delle Gazzette. Lombardo Veneto $ presso /’1 e R. Direz. delle Poste. ! Porino | per tutti li tati Sardi , alle; respettive Direzioni delle Spediz. delle velati cà Cazzeue presso la R. Direz. delle Poste, E i presso Gem. Vincenzi e C.0 \ibr. - «presso il sig; Dervié direttore delle. Poste. Roma A per tatto lo stato Pontificio 3 presso.il:sig. Pietro-Capobianchi ; impieg. (bi 3 Care gen. delle Paste. Pontif. i WiroLi PALERMO » n tatta la Sicilia.» presto il sig. F. Guilia ‘via n Toledo 1 N° y. sta pica gi pessoa Direzione delle Gazzette. i presso JJ. Paschoud. | presso Barrois l’ ainé lib. Rus de Seine N. 10. vm. presso C. F. Molini N, 41 Paternoster Row È TL Prezzo D ASSOCIAZIONE da pagarsi anticipatamente. la D'scana , n Lire. 36 ca anno. ER, ir porto “gala STAI per la posta sà i da ‘ "franéo‘di porto: mb ardo ) SI nno 36: 5 ra \‘porto 1 90008 ‘= do s ‘per la posta , Wadi franchi :36. eri ti ‘ franco ‘alle frontiere deb SE ascnileift ratori 4 Ibn La posta ie; 10 Bentificio scudi 8 SENTII ‘franco di porto LIVRE ade 731 du batadsii n perla posta Regno di Napoli—. ci ao Sign ta LP i. a renna olo esa d3 UV. 'eompreso il. porto lin Palermo .. SE cia oo e sino. a Palermo ! Estero franchi. $ anca franco Torino È pata i o.Milano sù ‘0 franchi hai RO franco Parigi Dolnvrsi i i ‘per la posta Mmpate.separa did: alal ‘mon. sì brano più mia la collezione completa ‘degli anni 1821-25.x non.sì rilaseia g meno di L. 150. D) 3°