; A YTOLOGI na GIORNALE o io SCIENZE, LETTERE E ARTI Me (0 Ouobre db «Anno VII. Vol XXXII, CITATI eri -.. «LFRENZE AL GABINETTO: SCIENTIFICO » LETTERARIO: pi.G..P. VIEUS SEUX Direrrore 8 Eprirora “TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI SARAI ci IS e aree TI - i AFFRICA SETTENTRIONALE: C RRSSERA RAI ARCO] IT LINEAR I wr È d he Di oa ja ò é 1A I 1, RIT a ui ; GIROLAMO SEGATO.. |. mente. una delle ‘più desiderate dagli studiosi della ‘geografia. , Quella che ora si annuncia; e che vedrà la luce nel. marzo del prossimo. 1829; sodisferà, speriamo, al loro desiderio: Essa è il frutto del con- è fronto accurato delle carte antecedenti e delle relazioni. varie de'viags. Uk carta esatta é tbihpita dell'Aftica settentrionale è oggi. certa 6. rea cati nella carta , e spiegando in calce il valore de'.segni , ha fatto in! modo ch’ essa riescissè egualribente chiara che compita. Adoperando: .it ; ‘essa l’idioma francese, quello tioè in-cui sono scritti i libri di viaggi e’ “di geografia ‘più conosciuti , ha. cercato che riescisse di comodo ni. versale. i ì, a ; 3 Kina di La carta sarà stampata in. foglio stragraide , e si darà al prezzo. diffranchi venti o fiorini 14,40 fiorentini, rimanendo a carìco de’ si: gnori associati le spese di portu: Le associazioni si ricevono dai distribu= ‘. tori del presente manifesto. fc a "0 “DA — ANTOLOGIA OTTOBRE/NOVEMBRE, sig ga 1028. TOMO TRIGESIMOSECONDO. FIRENZP AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO Di G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE, TIPOGRAFIA DI: EULGI PEZZATI MDCCCXXFIII È f ANTOLOGIA N.° XCIV Ottobre 1828. (en \ LEGGI EGIZIANE. — PAPIRI GRECI ILLUSTRATI o DAL PROFESSoRE AmeDEO PerRron. Al chiarissimo signor Gruseppe GRASSI socio e segretario della classe di scienze morali , storiche, é filologiche della reale accademia di Torino (*). Lerrera I. Non è fatto di memoria, nè difetto di volontà quello che sinor mi ritrasse dall’ adempiere la promessa che io (*) Sin dal momento che per la mumificenza di S. M. il Re di Sardegna , la città di Torino si trovò possedere un Museo egizia- no, fu nostro pensiero di far noto all'Europa le ricchezze lettera- rie in esso radunate , non che i lavori, coi quali aleuni di quegli accademici aveano preso ad illustrarlo ; quindi ci dirigemmo all’e- gregio nosttòo amico il sig. G. Grassi segretario della classe lettera- ria della R. Accademia, per averne quegli aiuti che ci occorrevano, ed Egli intanto gentilmente ci ha soddisfatto , mercè delle cure de’ suoi dotti colleghi , ed in particolare del sig. Peyron, che diede _ 4 le aveva fatta, chiarissimo mio signore ed amico, di stendere un sunto dei papiri greci contenuti nel regio museo egizio di Torino, e stati così egregiamente illustrati dal nostro dottissimo professore Peyron. La causa dell’ indugio frap- posto Ella vorrà dedurla da quelle incessanti brighe fo- rensi, dalle quali io mi vivo attorniato e che tanto di rado mi consentono il ritornare a’ miei antichi esercizi di lettere. Ora per altro , che alcuni brevi giorni d’ ozio mi s0- no conceduti io vengo a lei, signor mio, e le parlerò nel miglior modo , ch'io posso di quei documenti che rag- guardano agli ordini giudiziari, ed alle regole di governo pubblico statuite in Egitto ai tempi de’ Tolommei. Seguirò per quanto il comportano i termini di una lettera le illustrazioni del Peyron, e lo farò tanto più vo- Jentieri perchè la mente di quel dottissimo mirabilmente acconcia ad ogni maniera di studi seppe svariare di così peregrine notizie e di tanto gravi considerazioni questo sno lavoro, da renderlo utile non meno ai tranquilli filologi che agli affaccendati giureconsulti. Quei papiri scritti in lingua greca posson veramente liberalmente alcuni lavori non ancora pubblicati, e del sig. consigl. Sclopis, che sottentrò alla fatica di ridurre in breve e sugoso sunto quanto d’ importante offrono i preziosi papiri greco-egiziani. — Questo è 1° oggetto delle due lettere che stampiamo, a compimento delle quali ce ne vien promessa una terza ed ultima, che tratterà delle scoperte geografiche desunte da essi papiri, non che dei due papiri di Vienna pubblicati ultimamente dal sig. Petrettini, ed interpretati dai sigg. Peyron e Letronne.—A questo non si limiterà, lo speriamo , lo zelo e la gentilezza degli eruditi torinesi ; e ci lu- singhiamo di poter col tempo dare un’esatta descrizione dei monu- menti letterari e figurati di quel R. Museo , accompagnata da un cenno sopra i lavori già fatti intorno alcuni di essi dal sig. Cham- pollion, dal conte Balbo, dal prof. di mineralogia Borson , dal- l’ab. Gazzera , e dal cav. S. Quintino , tutti membri di quella R. Accademia delle scienze, alla quale fu affidato il primo stabili- mento del grandioso Musedì (Nota del Dirett, dell’ Antol.) 5 chiamarsi rarissimi, giacchè facendo testimonianza delle regole del governo pubblico presso gli egiziani, ci scopre no in parte l’antica polizia di quel popolo costantissimo, e risalendo ai primi regni de’ Tolommei ci additano le prin- cipali mutazioni operate dai conquistatori nel reggimento di quella vasta dominazione. L’istoria dei Lagidi non ci pervenne compiuta. A chi vuole meno imperfettamente conoscerla è forza raccapez- zarne molte parti divise presso diversi scrittori, che ne toccarono solamente quanto il richiedeva il corso d’ altre narrazioni, alle quali di proposito essi attendevano. Nè finora ben si sapeva con quali provvedimenti fossero giunti i Tolommei a rassodare il loro impero su que’popoli vinti dall’armi , ma per nulla accomunati colle usanze dei vin- citori, E veramente non si potrebbe ideare maggior diffe- renza d’ opinioni e di consuetudini di quella, che allor divideva gli egiziani dai soldati di Alessandro il Macedo- ne. Questi raccolti da diverse regioni, pochi greci , per la maggior parte asiatici erano feroci pe’ pericoli sostenu- ti, imbaldanziti per le vittorie , discordi nei costumi, ma guidati da un solo e medesimo desiderio, vale a dire l’am- bizione del dominio. Quelli all’ incontro , ai quali per gl’ istituti religiosi dei loro maggiori erasi tolta ogni liber- tà d’ operare, si mostravano tenacissimi di quelle leggi ch’ églino riputavano antiche quanto il mondo e perfette come il detiato d’ [ddio. Molto bene pertanto ‘s° apposero i Tolommei non po: tersi sperare nè pace, nè obbedienza dagli egiziani se non coll’ amicarsi i sacerdoti, principali anzi dapprima soli ministri d’ ogni pubblica autorità. Ma saviamente pure credettero non doversi col favoreggiar troppo i nuovi sud- diti allontanare poi l'animo degli antichi soci delle loro vittorie. Perciò non cercarono di tosto raccogliere in un sol popolo due generazioni di genti tanto diverse, ma la- sciarono che le due nazioni s’ attenessero ciascuna agli usi propri, purchè amendue fossero loro fedeli. Vezzeg- giarono i sacerdoti, nè li tarbarono nell’ esercizio di gran 6 parte della primiera loro autorità ; manfennero le veéchie leggi civili, e i riti arcani d’ Egitto. Ai greci poi, sotto il qual nome intendo la stirpe di que’soldati raunaticci che militarono sotto Alessandro, con- servarono intatte le regole del governo guerriero, sotto cui erano nati e cresciuti, e lasciando in mano ad essi le ar- mi raccomandarono loro la difesa del regno. Da queste due leggi diverse nacquero due qualità di giudizi , l’ una propria agli egiziani l’ altra particolare ai greci . Ma per questo temperamento d’ ordini pubblici non avevano i Lagidi dismesso il pensiero di ravvicinare col tempo i vincitori ai vinti. Diedero pertanto licenza ai no- velli sudditi di dipartirsi quando il volessero dalla antica legge per ridursi a quella dei greci. Ed affinchè più vo- lentieri cedessero all’ invito andavano via via ristrignen- do l’ autorità degli antichi ordinamenti, o ne incagliava- no a bello studio l’esecuzione, così che quello che si por- geva sotto specie d’elezione e di benefizio divenisse poscia necessità. Ma sempre si vietava che non mai per alcun caso nè per atto qualunque s’ avessero a confondere i pre- cetti delle due legislazioni. Principalissima cura tennero finalmente quei te delle cose spettanti alla religione, e quando furono sicuri del- l' alleanza dei sacerdoti , i quali non potendo riacquista- re per la forza la somma degli antichi diritti , cercavano mercè dell’ adulazione di conservarne almeno gli avanzi, seppero adoperare arti nascoste, ed inserire nei dommi pri- mitivi d’Egitto alcune parti della Greca Teogonia. Di là surse un ordine mezzano d’ idee teologiche , le quali poi trasformate in metafisiche specolazioni per opera singolar- mente dei discepoli della scuola Alessandrina diedero tanti anni dopo origine a quella setta dei Gnostici, di cui al- cuni moderni non so per quale curiosità d’ ingegno o va- ghezza di novità posero tanto studio in risuscitar le dot- trine. I papiri, di che si ragiona, appartengono al regno dei due fratelli Filometore ed Evergete II. Tredici sono di numero. Si aggirano tutti sopra materie legali. n Il primo racchiude gli atti di una lite intorno ad una casa posta in Tebe, che si agitò tra Ermia cittadino Te- bano , ed Oro congiuntamente ad altri Colchiti di Tebe, Ermia narra in questi atti d’ avere già più volte chiesto da’ suoi magistrati ‘che i Colchiti si cacciassero di quella casa indebitamente oecupata, Ed il papiro secondo ci rap- presenta il libello , con cui s' istituì quel giudizio , Nel terzo Apollonio , chiamato altresì Psemmonte , figlinolo di Ermia denunzia l’ ingiuria sofferta dai Colchiti Tebani che ritenevano quella casa, e nel quarto egli stesso si compone co’ suoi avversari. Il quinto , il sesto e ’1 settimo papiro sono altrettante copie, poco tra loro dissimili d’ un libello dato dai Pa- stofori d’ Amenofi nella Memnonie contro Isidoro procu- ratore delle rendite argentarie in quella parte della pre- fettura di Tebe, che si stendeva sulla sponda occidentale del Nilo, e chiamavasi Patirite. L’ottavo papiro ci appresenta una supplica, nella quale Petenefote , un Paraschista , si lagna di Amenote altro Paraschista che violava i patti di divisione tra loro seguiti, e nel nono si vede la sentenza che pose termine a quel piato. Il decimo dee credersi un frammento di registri pub- blici della città chiamata Diospoli-la-Grande. Nell’ undecimo papiro Tasemi , una donna Colchiti- ca accusa una sua zia d’ averle invaso l’eredità paterna, Il duodecimo contiene una lettera indiritta ad Ame- note Paraschista della provincia di Tebe. L’ ultimo finalmente è 1’ esemplare di una sentenza proferita in Menfi. Dei soli due primi tra gli accennati papiri si è pub- blicato colle stampe nella raccolta degli atti della R. ac- cademia delle scienze di Torino il testo , la traduzione , e l’ illustrazione in latino ; ma come a lei pure è noto , signor mio pregiatissimo, già siamo certi che fra non molto il professore Peyron pubblicherà il compimento dell’opera. E se l’autore di queste illustrazioni non gs’ attentò di dar l’ intiero prospetto del reggimento politico dell’Egitto 8 ai tempi dei Tolommei, ciò fu solamente perchè non gli pareva di tenere peranco in mano tutte le fila di quelle minnte e particolari relazioni per le quali le parti di una repubblica si collegano insieme. Ma ciò non toglie che quanto si è di già da lui pubblicato non sia scoperta im- portantissima anche per rispetto ai commentari che egli vi aggiunse , dove s’ incontrano tutte le testimonianze dell’ antichità concernenti all’ Egitto. Questo serupolo di letteraria coscienza , questo sincero amor di schiettezza vogliono essere tenuti in gran pregio nei giorni che cor- rono , nei quali molti studiano non per diventar dotti ma per parere, e s’affaticano non a meritarsi ma a procacciarsi la fama. I due nomi di Colchiti e di Paraschisti , di che si è parlato , diedero occasione all’ illustratore di accertarne il significato , spiegando e distinguendo i riti degli egiziani nello sparare ed imbalsamare i cadaveri. Tutto il popolo dell’ Egitto stava diviso in classi che avevano ereditarie e precise incumbenze da adempiere. E tra gli uffizi e le ‘arti assegnate era pure un ordine di per- sone legittimamente commesse alla cura di acconciare i cadaveri , onde renderne, come anche oggidì si vedono in- corruttibili le sembianze. Questa classe aveva parecchi gradi secondo le varie operazioni che si dovevano eseguire a quello scopo. Dapprima il cervello si estraeva pel canale delle na- ri, poi s’ incideva colla pietra d’ Etiopia il cadavere nei fianchi , onde cavarne tutti i visceri, ed introdurvi in ve- ce mirra , cassia ed altri aromi d’ ogni maniera ; lascia- vasi quindi per settanta giorni nel nitro , dopo , lavatolo dilisentemente, lo ravvolgevano tutto di bende di tela sottilissima intinta di gomma perchè stessero le une alle altre aderenti, e finalmente lo riponevano in una cassa che nella forma esteriore raffigurasse la persona del morto, siccome apparisce dalle molte che anche oggidì si con- servano. Seguitando le tracce e l’ autorità di Diodoro Siculo il Peyron ragiona distesamente delle differenze dei mini- 9 stri di queste diverse operazioni , e dei precetti legali se- condo i quali ogni ufficio doveva compirsi. Adduce poi le varie denominazioni colle quali si differenziavano i mini- stri. Paraschisti si chiamavano gl’incisori , Taricheuti quelli che imbalsamavano , lavavano e spargevano di ni- tro i cadaveri. Il nome di Co/chitî non era conosciuto ai moderni prima che il chiarissimo Tommaso Young lo trovasse in uno dei papiri greci posseduti dal cavaliere Grey. Ma ed il Young interpretandolo in genere degli Yerostolisti ov- vero preposti all'addobbo dei templi, ed il Butmanno cre- dendolo indicativo di una regione o di una tribù non sem- brano aver colpito nel segno. Perciò il Peyron facendo ragione in singolar modo della etimologia della parola la crede propria di quell’ordine di persone che ravvolgevano nelle bende e nei veli i cada- veri, dopo che mercè delle abluzioni, e dei balsami quelli erano passati dallo stato d’ impurità a quello di cosa ve- nerabile e sagra. E tale spiegazione viene altresì confer- mata col testo del papiro torinese, dal quale si scorge come la dignità di Colchiti si tenesse uguale a quella di sacerdoti, mentre l’ ufficio dei Taricheuti si riputava mec- canico e vile. Così pure si crede che i Colchiti fossero iniziati ne- gli arcani misteri d’ Egitto, poichè cert’ ordine misterioso si vede sempre osservato nella collocazione in varie linee delle bende sovrapposte ai cadaveri, le quali ci fanno supporre essere una imitazione di quanto si era operato nella sepoltura di Osiride; insieme colle bende essi ag- giustavano gli scarabei, il papiro funebre , la rete simbo- lica quadrangolare , ed ogn’ altra cosa che dovesse accom- pagnare quei cadaveri nel sepolcro. Da tali premesse il nostro professore si fa strada a di- scorrere le varie incumbenze dei sacerdoti e le pompe della religione egizia , fralle quali ricorda le feste di Ammone padre degli Iddii e degli uomini, e di Giunone moglie ed amica di lui. Ma se tali indagini possono dirsi, pregevoli , ben al- T. XXXII. Ottobre. a 10 trimenti rare son quelle che da queste illustrazioni si rica- vano circa l’ordine dei giudizi stabiliti in Egitto sotto la dinastia dei Lagidi. Ne costa dai nuovi papiri che la forma di quel go- verno essendo tutta militare, anche i giudici ordinari delle liti erano spesse volte scelti fra coloro che erano ascritti alla milizia ; ciò peraltro s’ intenda dei tribunali eretti dai greci, chè le antiche giurisdizioni egiziane sempre come per lo avanti, si tenevano da’ giudici particolari. Il costume di eleggere i giudici tra le armi fu pure presso i barbari d’ origine settentrionale che vennero nel medio evo a soggiogare la parte occidentale d’ Europa, ed è consentaneo all’ indole di quelle nazioni le quali ogni potere riponevano nell’ armi perchè da esse sole desume- vano ogni diritto. Osservandosi come si disse da ciascun dei due popoli le particolari sue leggi, noi vediamo che per i greci fu- rono creati dai Tolommei i tribunali detti delle prefettu. re, nei quali gli assessori in numero maggiore di sette sentenziavano collegialmente sopra le controversie civili. Nel che bene a ragione ravvisò il Peyron grande argo- mento della sapienza di quei principi, ai quali era noto abbastanza essere il concorso di più persone chiamate a conoscere di una causa l’ unica via di meglio allontanare dai giudici ogni sepetto di parzialità , e di accrescerne la maturità del giudizio nella disamina delle quistioni. Questi assessori erano greci di nazione e fregiati di titoli militari , forse perchè già erano stati agli stipendi neila milizia del principe. Alla classe dei giudici si aggiungevano i Crematisti, ai quali era commesso di andar girando nelle varie regio- ni per ascoltare e decidere le controversie levatesi tra que- gli abitanti, che troppo danno avrebbero sofferto se fos- sero stati costretti a dipartirsi dalla coltivazione delle ter- re per recarsi a piatire davanti ai tribunali lontani. Siffatta istituzione si reputa dal Peyron molto anti- ca , ed opportunamente si paragona con quei. quaranta eletti che scorrevano il territorio d’ Atene per tener ra- rI gione agli uomini del contado , e con'quei Messi regali, che dagli Imperadori di stirpe franca o tedesca si soleva. no talvolta mandare a far le giustizie nelle varie -provin- ce dei mal connessi loro regni. Egli è però curioso il vedere come quegli ordini che aricora oggidì si trovano dagli inglesi osservati perchè de- rivati dalle consuetudini settentrionali si scorgano già sta- biliti in tanta lontananza di tempi, di regioni e di co- stumi. I Crematisti compivano il loro giro in certi tempi pre- fissi, dentro i quali dovevano avere visitata l’ intiera epi- strategia , in guisa non dissimile da quella in cui oggi pure in quei paesi dove si mantengono cotali cognizioni ambu- latorie si fanno le visite indicate col nome d’ Assisie. Dai monumenti che abbiamo non si può peranco de- finire se i crematisti fossero giudici d’ appellazione ' ‘ovve- ro di prima istanza, ma quel che ora s'impara si è il modo col quale davanti a loro solevansi istituire le cause. Come prima adunque un crematista era giuuto in un luogo per udire i litiganti , collocava un’ urna 0 vaso che dir si voglia, nel quale tutti coloro ‘che intendevano di ricorrere alla ai di lui riponevanoi libelli e for- se anche ogn’ altro istromento ragguardante alla lite (1). Tale tough di procedimento diversa da quelle usitate presso gli altri tribunali egiziani dà luogo a supporre al Peyron che si fosse introdotta per lasciare agio ai sudditi di scoprire celatamente le ingiurie da essi sofferte per ope- ra dei giudici inferiori, E tal conghiettura si conferma col- l’esempo degli ateniesi , presso i quali era in uso , che al- lora quando i litiganti non si fossero acquetati al giudi- zio degli arbitri, che colà esercitavano il primo grado di giurisdizione, ogni documento che concernesse alla lite si gettasse in un vaso, che suggellato poi rimettevasi ai giudici superiori. Sarebbe questa la Tamburagione dei nostri antichi (») Da queste illustrazioni si ritrae quanto comune -sia stata presso, ì pò- poli d'Oriente la cousuctadine di valersi dì vasi di creta ad uso di ripostigli di documenti preziosi. ra fiorentini ? Ma vieppiù intetnandosi .il commentatore nel modo di trattare le cause gli si muove dubbio da un luo- go di Diodoro di Sicilia (lib. T, p. 75) il quale discorre di questa materia assai diversamente da quel che ne danno i nostri papiri. Narra Diodoro essere stato costume degli egiziani che l’ attore nel libello sponesse la qualità della causa e della sua petizione . Ciò si comunicava col convenuto onde facesse le sue difese . Davasi poscia luogo a replica per amendue le parti , ed in ultimo senza ministerio di avvocati , senza apparato di dispute si proferivano le sen- tenze . Che tale fosse l’ antica pratica forense in Egitto pri- ma della venuta dei greci non sembra dubbio al Peyron, e ne deduce la ragione così dalla severità di quei primieri abitatori male accomodata ai lenocinii della eloquenza, come più precipnamente ancora dall’ indole propria della loro lingua , la quale , egli osserva, sembra creazione di matematici, tanto ella è disposta a semplicità e lontana da ogni potere d’ arbitrio. In essa tutto si compone per ana- logia , tutto si stringe per regole ; le radici primitive delle parole sono tutte monosillabiche, le forme dei nomi si dif- ferenziano soltanto mercè delle particelle, e non si am- mette altra sintassi se non quella che seguita l’ordine na- turale dei pensieri. Fra somiglianti strettezze non poteva essere adito alla poesia ed alla eloquenza, ma poichè l’ Egitto venne in mano dei greci , questi per quel genio loro proprio di di- lettarsi nelle eleganze del dire , non impedirono l’ eserci- zio della avvocazione , e forse tanto più volentieri , per- chè da siffatte innocue disputazioni sapevano non potersi accendere gli animi a desiderii più audaci. Anzi sappiamo che i Lagidi per isviare gl’ingegni dalle meditazioni politi- che volentieri ascoltavano le elucubrazioni rettoriche , e per iscansare gli oratori proteggevano i sofisti. In questi atti di lite seguiti, come si disse, dopo 1» sta- bilimento del regno dei Tolommei , leggiamo essersi dagli avvocati nel giorno deputato tenuto ragionamento in fa- 13 vore de’ respettivi loro clienti; avere quindi il prefetto sottoposta la somma degli argomenti allegati agli altri giudici, insieme coi quali egli per ultimo proferì la sen- tenza . Nè alle sole forme dei giudizi civili s° arresta il no- stro illustre commentatore, ma toccando alcun poco dei meriti di quella causa, s' innoltra in varie considerazioni sopra la giurisprudenza greco-egiziana. E primieramente ci spiega quanta fosse la diligenza di' que’ notai che negli atti che rogavano non erano con» tenti all’ esprimere la genealogia dei contraenti ,,,ma cer- cavano di descriverne la figura del corpo, qua] contrasse- gno per riconoscerli al primo apparire. Di più ciraccenna siccome nei contratti delle vendite' gli egiziani dovevano far menzione speciale dell'obbligo dell’evizione assunto dal venditore , e delle cautele che per essa si proponevano. Ed è probabile che il difetto di questi particolari viziasse il contratto, d’onde si può inferire che que’ giureconsulti variamente sentissero dai romani, dai quali l’evizione si riputava fra le qualità naturali della vendita, ma se ta. citamente si presumeva, espressamente peraltro potevasi escludere. di Da certe parole che in questi papiri s’ incontrano di termini e d’interstizi legali trae ingegnosamente il Peyron occasione di ragionare dell’usucapione, e con ogni fonda- mento di dottrina si fa a credere essere stato colà ristretto il termine per compirla a due od al più a tre anni. S’av- valora egli poi in questa sua conghiettura dell’ esempio degli ordini sopra la usucapione stabiliti presso gli antichi greci e presso ii romani, i quali secondo il parere di al- cuni gli ebbero ad imitazione degli attici. Savia molto ed opportuna ella è quindi l'illustrazione colla quale il no- stro professore s° adopera nel dimostrare come i popoli ad- detti alla agricoltura e meno lontani dalla semplicità pri- mitiva si studiavano di riparare ai funesti effetti della tra- scuraggine dei coltivatori, e lasciavano che il. più dili- gente ottenesse in breve anche ad altrui discapito il pre- mio della sua industria. 14 E quì non le dispiaccia , signor mio chiarissimo ,, se io servendo all’ indole della mia professione metterò una parola per riprendere 1’ opinione di coloro che nelle usu- capioni ravvisano soltanto un rimedio estraordinario ed estremo introdotto dalle leggi civili non senza sospezione , d’iniquità. Ma bene all’ incontro a me sembra ‘che 1’ ori. gine vera di questo modo d’ acquistare il dominiò si possa trarre dalla legge naturale , la quale non può riconoscere altra ragion di dominio nel’ uomo sopra certi terreni se non' per quanto quegli impiegando l’industria sua nel ren- derli fruttiferi ha diritto di goderne tranquillamente il possesso , perocchè non dalle cose', ma dagli uomini si de- ducono le fonti dei diritti primitivi. Nè io per conseguen- za m’accomoderei a quell’ argomentazione dei dottori, che insegnano non avére il tempo in sè forza effettuosa , nè però il corso di:esso potere giammai servire di titolo, bensi le leggi civili avere scelto l’ usucapione come rimedio al maggior male che sorgerebbe dall’incertezza delle posses- sioni. All'incontro direi, che nell’ usucapione le leggi ci- vili permettono il Abbi allo stato primiero di natura, nel quale non eta dominio proprio, ma solo possesso , nè possesso si dava se non per quanto l'uomo coll’ opera sua procurava la produzione dei frutti, Cessando pertanto l’uo- mo ‘dal rispondere al destinato dalla natura le leggi civili sospendono quella finzione di occupazione perpetua dalla quale nasce propriamente il dominio. Agli egizi ‘si erano conservati dai re novelli gli anti- chi ordini giudiziari, e le loro liti si giudicavano dai Laoctiti ovvero giudici popolari , forse così chiamati per- chè erano preposti alla decisione delle sole controversie private. Quei giudici s’ attenevano unicamente all’ antica legge egiziana , ed il procedimento che segnivasi davanti al loro tribunale non si sgombrava da molte formole se- condo l’ uso antico di quel popolo. Ma io di già m’avvedo che il sunto che intendeva di porgerle di queste illustrazioni si venne rallargando ol- tre i confini che ad una lettera si convengono. Eppure non ho accennato se non una parte di quelle gravissime 15 considerazioni che abbondano nei commentari , ed ho do- vuto tralasciare tutte le avvertenze filologiche dal Peyron addotte con sì gran lume di critica e tanto corredo di dot- trina. Anzi incominciando dal notare le cose prettamente forensi, ho dovuto lasciare addietro tuito ciò che rag- guarda alle forme di governo politico , e ad alcuni de’più solenni provvedimenti fattisi sopra l’ amministrazione del regno dai Tolommei. Cercherò in un’ altra lettera di dare sula di ciò un breve rassuaglio onde si possa vieppiù diffondere la notizia di queste scoperte , le quali toccano alla parte vitale , se così è lecito dire, dell’ archeologia e della storia dei popoli d’ Egitto. Piacciale frattanto , chiarissimo mio signore e colle- ga , di tenermi sempre pronto a servirla, e di credere agli atti di quell’ingenua amicizia, e di quella sincera gratitudine che per tanti titoli io le serbo, Di Villa , nei colli di Torino, il 15 d’agosto 1828. FEDERICO ScLoPis. Lerrera II. Quell’ amorevole indulgenza con che le piacque, chia- rissimo signor mio, ricevere la prima mia lettera sui pa- piri greco-egizi illustrati dal professore Peyron mi fa sol- lecito a ripigliar la penna per compiere il sunto che ho incominciato. E a dirle il vero io mi rivolgo a lei con più fiducia ora che per tratto di cortesia del lodato professore ho avuto notizia delle altre illustrazioni da lui aggiunte, e già stampate, ma non ancor fatte pubbliche , le quali si estendono a tutti i papiri, che nella prima mia lettera le ho accennato; Anzi un altro papiro s’ aggiunge scoverto non ha guari e che sarà il decimoquarto della collezione torinese, In esso è scritta una supplica porta da quell’istes- so Amenote figliuolo d’ Oro Paraschista di Diospoli , di che parla l’ottavo dei già accennati, col quale anzi per tal modo riscontra che vana ne sarebbe una particolare illu- strazione. i In questo modo almeno io mi confido di soddisfare 16 più prontamente la curiosità di quegli eruditi che hanno in cuore questi studi di archeologia. E senza più mi farò a narrare siccome anche ai tempi de’”Tolommei l'Egitto sta- va diviso in tre grandi province, cioè la bassa chiamata Delta , la media ovvero Menfitica, l’ alta detta Tebaide; e queste province si spartivano in molte prefetture , le quali grecamente dicevansi [Nomi che tanto suonava quanto da noi giurisdizioni o prefetture. Il supremo governatore della provincia aveva nome d’ Epistratègo , cioè di capitano generale e supremo , d’on- de il territorio sottoposto al suo governo appellavasi Epi- strategìa. L’ epistratègo coll’ autorità militare accoppiava pure la giuridica, ed è in tal qualità che s’ appresenta nei no- stri papiri; ma si crede che egli essendo preposto a tutte le parti della polizia nella sua provincia tenesse 1’ ufficio di giudice supremo soltanto nelle cause d' uomini militari, Dopo gli epistratèégi venivano gli stratèégi, cioè i Capitani che avevano il governo d’un nomo, e di vario grado si riputavano secondo le diverse parti d’ autorità loro concedute. Interpretando accuratamente l’ iscrizione dell’obelisco di File il chiarissimo commentatore ci mostra non esserne stato piccolo il numero, e dice che ai tempi de’'Tolommei un solo stratègo teneva sotto i suoi ordini varie prefetture , come quel di Tebe che sembra essere stato assoluto vicario all’ epistratègo , appunto come il Letronne osservò essersi praticato sotto il dominio de’ romani in Egitto. Il quinto , il sesto e’l settimo dei sovradescritti papiri ci dichiarano quale fosse la giurisdizione sopra le liti af- fidata a questi uffiziali. Doppio grado "di cognizione si esercitava sopra le concussioni ed i delitti commessi per mal governo delle pubbliche sostanze . Perocchè lo stra- tègo prima dava udienza a que’che si querelavano e ne riceveva i libelli, dichiarava il prescritto della legge sta- tagli a quel proposito indicata dal re, poi quando si ve- niva alle esamine del fatto per ridurlo sotto l' ordine della legge, rimetteva la causa al prefetto ovvero giudice ordi- 87 nario, Ma si può credere che quando l’ una o l’altra delle parti litiganti fosse ascritta alla milizia, tutta la causa in virtù del privilegio summentovato rimanesse devoluta allo stratègo. Tale prerogativa era conforme alle inteu- zioni de'Tolommei, che tenevano gran conto degli nomi. ni d’arme, ed anzi mi pare che il privilegio del foro, distinzione gravissima , e non di rado pericolosa, possa ravvisarsi peraltro: necessario per la milizia stanziale, la quale dee riguardarsi nello stato qual ordine diverso af- fatto da ogni altra classe di cittadini. Gli stratègi si distinguevano in due classi, di mili- tari cioè e di civili. Quelli sopravvedevano la milizia , comandavano ai presidi, definivano le cause dei militari: questi che più esattamente chiameremo nomarchi riceve- vano dai re gli ordini che poscia trasmettevano ai prefetti. Ma convien altresì avvertire che oltre agli stratègi gene- rali come quello dell’intiera epistrategìa della Tebaide si univano talvolta nei minori stratègi tutte le varie qua- lità qui sopra distinte. Dopo gli stratàgi nella serie delle cariche pubbliche erano i prefetti detti grecamente Epistàti, dei quali ho fatto parola nella prima mia lettera. A ciascun nomo era preposto un prefetto , il cui principale ufficio era di ren- dere ragione in compagnia degli assessori sopra le liti, che , o gli venivano rimesse dagli strategi, o per altra via di legittima giurisdizione appartenevano al loro tri- bunale, Inferiori in dignità ai prefetti erano gli Agoranòmi , sotto il cui nome sappiamo essere stata già pure in Atene la carica di coloro che facevano le parti di edili, di con- ciliatori nel foro, e di abbondanzieri. Ed ora dai nostri papiri si scorge aver essi atteso eziandio a rogare i con- tratti secondo la legge dei greci, per cui erano singolar- mente stati creati, portando di più il titolo di Agoranòmi degli stranieri, tuttochè non fossero secondo che pensa il Peyron a guisa del Pretor peregrino di Roma, ma sibbene giudici di cittadini avventizi quali appunto in questi casi volevano i greci essere riputati in Egitto. T. XXXII. Ottobre. 3 18 I principali uffiziali del regno, come quelli che ab« biamo nominato , si fregiavano ancora di titoli pomposi, che a significazione d’ onore il re loro concedeva ; il primo di essi era quello di cognato del re, vi succedevano gli altri di capitani delle guardie del corpo suo, di primi amici di lui, ovvero solamente di amici. Siffatti titoli si premet- tevano a quelli del vero uffizio e servivano a definire il grado d’altezza al quale chi ne godeva era venuto, Nè sarà meraviglia che i greci, popolo orgoglioso ed incivilito serbassero quei titoli, quando ne troviamo di simili nelle monarchie semplici e rozze dei popoli setten- trionali. Così i longobardi ebbero i Gasindi ed i deliziosci, e delle tre classi in che si divideva il popolo salico la prima si onorava del titolo di commensali del re. Nè qui sarebbe possibile il dimenticare quelle celebri parole del Montesquieu consistere il principio del vero governo mo- narchico nell’ onore, e questo per sua natura ricercare le distinzioni ed i privilegi. Altri minori uffizi erano stabiliti dai Tolommei sulla amministrazione del pubblico come ‘i procuratori delle rendite di ciascun nomo, ed i vari ordini degli scribi cioè i regi, quei dei borghi e quei delle ville. La distinzione di tali uffizi mi guida ad accennarle, chiarissimo signor mio, la divisione del territorio egiziano, che si partiva in prefetture o nomi, dei quali il numero e le denominazioni sono oggidì tanto controverse tra gli eruditi. Ciascun nomo comprendeva i borghi o come , le ville o luoghi detti copi, ed altre minori porzioni di terre, la cui estrema frazione chiamavasi arura. Siffatta divisione di terreni venne consigliata agli egizi dalla qualità del suolo su cui vivevano , poichè al dir di Strabone ( lib. XVII ) egli fu d’ uopo di così dili- gente e sottile divisione di terreni per le continue confusioni dei limiti che erano cogionate dal Nilo , il quale cresciuto, agli uni aggiungeva , agli altri toglieva i terreni, e ne can- giava le figure , ed i segni dei termini ricopriva; epperò sovente era necessità il misurarli. Da ciò deduce il dotto nostro commentatore l’origine 19 di que’ pubblici registri, nei quali si trovavano descritti tutti i fondi colle loro misure e co’ nomi dei possessori , non altrimenti che nei nostri catasti. I vari seribi mento- vati di sopra attendevano singolarmente a questa parte di pubblico governo ; anzi nella iscrizione oasitica si legge , che gli scribi del re , gli scribi dei borghi, e que’ dei luo- ghi dovessero in ciascun nomo notare a lbro tutto ciò che dal nomo si spendesse e sé qualche indebita riscossione per ingiustizia o in altro modo si fosse fatta. D’ onde appaiono aggiustatissime le conghietture del Peyron che lo scriba reale, oltre all'autorità di censura sugli scribi inferiori , tenesse anche cura particolare delle possessioni del fisco , o come altri chiamano demaniali , che in Egitto si raggua- gliavano alla terza parte dell'intiero territorio 3 e che gli uffizi di tutti questi scribi fossero disposti in guisa che l’ uno dovesse rivedere le ragioni dell’ altro ; ed esercitare così uno scambievole sindacato, Tutti i fondi in Egitto erano soggetti ai tributi, dei quali si dava appalto ai Trapeziti, e dell’ammontare di quelle tasse si può forse far ragione da quel che si vede nell’ iscrizione di Rosetta, cioè che una arura di terreno popolato di viti doveva dare un’ anfora di vino a titolo di tributo, E l’arura, elemento di misura égiziana , era di cento cubiti egizi in quadrato. In generale peraltro le rendite dello stato erano di due specie, le une che in frumento, le altre che in ar- gento si davano. Ma quantunque la moneta corrente in Egitto fosse per lo più di rame, quella che si pagava al- l’ erario del re doveva essere in sagre dramme d’ argento. Per tale doppia qualità di tributi erano preposti due procuratori che separatamente le riscuote\ano: e quell’ Isi- doro che ho nominato nella prima mia lettera era procu- ratore delle rendite argentarie nel nomo Patirite. Ma tornando a parlare delle leggi principali d’ Egitto in questi commentari illustrate, non tralascerò quelle rag- guardanti alle successioni, le quali, come ognun sa s’an- noverano tra i vincoli più stretti d’ ogni comunanza civile. Le leggi adunque d’Egitto confermate dai Tolommei or- 20 dinavano , che nell’adire le eredità i sudditi adoperassero nel seguente modo ; dichiarassero cioè primieramente il nome e la cognazione loro e quelli dei genitori o degli avi, se si trattava di successione avita. Poscia prefiggessero il tributo delle primizie da pagarsi al fisco per occupare l’e- redità; per ultimo descrivessero l’inventario di tutto quanto era caduto nell’ eredità stessa , e lo consegnassero nei re- gistri pabblici. L’ommessione di questa solennità , oltre al render nullo ogni atto ereditario si puniva con una multa di dieci mille dramme d’argento, Non son ben note le regole colle quali in Egitto si dividessero le successioni tra i vari fratelli; ma egli è certo essere colà invalsa l’ istituzione delle primogeniture. Im- perocchè nel terzo papiro si legge, che Apollonio Psem- monte volendo ricuperare parte di una casa posta in Dio- spoli allegava essere stato il padre di lui primogenito . Se sì procede per ragione d’analogia da cui nè si mostra alie- no il Peyron nè troppo si dilungherebbe il testo del citato papiro, si può credere il metodo di divisione essere stato presso gli egizi non altrimenti che appo gli ebrei, che il primogenito ritenesse il doppio della porzione che agli al- tri fratelli avveniva. Degniss ma di considerazione è veramente l’ antichità di questo istituto di divisione ineguale tra i figli, che al dire di un illustre Pari di Francia la sapienza delle na- zioni avrebbe introdotto contro l’ apparente dettame della giustizia (2). La prerogativa di un maggior lascito a quello tra i figli che aveva avuto la sorte di nascer primo, fu stabi- lita nelle regioni orientali, d’onde la trassero poi anche gli occidentali nelle loro leggi. Variamente si disputò della utilità di questo istituto, l'origine del quale più che ad ogni altra causa parmi potersi ascrivere alle dottrine re- ligiose. Ma a colui che s'udia la storia dei popoli e so- pratutto degli antichi accade spesso di trovare certe tra- (2) Discorso del duca di Levis sulla proposta di legge per crear maggiora- schi, detto nella Camera de' Pari di Francia, 22 aprile 1819. 21 dizioni tenute a modo di fondamento del governo pub- blico , e delle quali non si potrebbe coll’ acume della lo- gica dimostrare la ragione, ma che ci si tramandano rac- comandate da una esperienza, di cui è ignoto il princi- pio . Questa forza d’ autorità che talvolta discorda dalle regole più semplici di una astratta filosofia fu venerata dalla più severa antichità , la quale nelle faccende pub- bliche s’ affidava singolarmente alle cose vecchie e pro- vate, benchè confessasse non potersi di tutti gli ordina- menti fatti dai maggiori, rendere adeguatamente ragione, L’austera diligenza delle leggi egiziane richiedeva, che tutti i contratti celebrati all’ uso antico di quel paese per aver pronta esecuzione dovessero essere inscritti nei regi- stri pubblici, E se mi valgo di questa locuzione plurale, egli è perchè venne dal professore dimostrato esservi stato un doppio registro ; l’ uno nel quale dovevano accennarsi tutti i contratti celebrati secondo gli antichi usi egiziani, mentre il conservatore di tal registro era obbligato di cer- tificare la fatta copia e di apporvi la data del giorno, in cui gli si era presentato l’atto originale ; l’altro che si teneva dagli appaltatori dei pubblici tributi, ai quali pure dovevansi denunciare tutti gli atti per i quali si variava- no le ragioni di dominio tra i sudditi, onde fossero in grado di sapere qual parte di tasse venisse a carico di cia- scheduno. I censori dell’ erario pubblico sopravvedevano questi registri, l'esibizione dei quali faceva fede in giu- dizio . Indagando la causa di queste leggi , delle quali quella che ho indicato la prima fu fatta da Filometore , e 1’ altra non è di certo anteriore ad Epifane , il dottis- simo commentatore la deduce con molta probabilità d’ar- ‘ gomenti dal desiderio che nudrivano quei re d’aver no- tizia di tutte le transazioni civili operate dagli egiziani , senza dover loro togliere la facoltà di valersi pel rogito di tali atti del ministero dei loro sagri scribi. Perciò accu- mulando le solennità , venivano nel loro intento, e spin- gevano gli egiziani a voltarsi alle forme greche , ed a ce- lebrare più speditamente, e con maggior sicurtà i loro con- tratti davanti agli agoranòmi. La necessità di tale doppia 22 registrazione spiega inoltre ampiamente il perchè nèi pa- piri di questo genere s’ incontrino varietà di copie e di date d’ un atto medesimo. i Ma insieme coi documenti della scaltrita politica dei Lagidi questi papiri ci serbarono alcuni segni della loro clemenza . In fatti si fa in essi menzione di certo editto delle indulgenze promulgato da Tolommeo Evergete, giusta l'opinione del Peyron sul finire del mese detto Thoyt o sul principio del successivo Paofi dell’anno suo cinquanta treesimo , col quale si sanarono anche i vizi di forme nei contratti dianzi rogati contro il disposto delle leggi in vi- gore. Quell’ editto si chiamò filantropo, anzi dello stesso nome ad indicare simili concessioni si valsero i giuristi greci sino al tempo dei successori di Costantino. E in que- sta parte, se pur m'avessi un po’ di quella finissima cri- tica, e di quell’ elegantissimo metodo con che Ella, mio sisnore ed amico, seppe notare la differenza delle parole in quel suo tanto giustamente lodato saggio sopra i sino- nimi , io vorrei provarmi a distinguere il senso di questa filantropia legale dalla significazione che i giureconsaulti assegnano alla parola amnistia , la quale porta pure con sè l’idea di remissione di pene . E direi che la prima di quelle voci spiega l’ atto della clemenza del principe mosso dall’amor verso i suoi sudditi, laddove la seconda senza indicare Ja causa per cui si esercita, denota solo la di- menticanza di fatti trascorsi. Perciò anche ai nostri giorni si chiama indulto quell’ editto, col quale il principe per- dona i delitti de’suoi sudditi, mentre della parola amni- stia non si fa uso se non a significare la promessa di non più riandare i fatti passati che si dà allo scopo precipuo di porre un termine alle discordie civili (3). Ma senza in- noltrarmi in queste acute distinzioni ne dedurrò unicamen- te la conseguenza che le indagini dei significati delle pa- role non che utili, necessarie sono ai giureconsulti per applicar rettamente le leggi ai casi che occorrono. (3) L'etimologia delle due parole greche basta a discernere il vario loro senso ; la prima ha origine da filanzropia , vocabolo assai ben noto , l’altra ba signilicato negativo di memoria. 6 [o ps 23 Ora conviene che alcun poco si ragioni anche dell’e- sercito dei Tolommei, i quali dapprincipio avevano fondato sulle armi il loro regno in Egitto. Come prima adunque essi diventarono signori di questa regione non ammisero nella loro milizia secondo che ho accennato nella prima mia lettera, altro che i greci loro compagni e que’ fore- stieri che a servizio loro si raccoglievano pur dalla Grecia e dalle provincie vicine. Degli egiziani non si valevano che a modo di servi per portar l’ armi, e gli arnesi di guerra. Crescendo poi dopo molti anni le relazioni tra vin- citori e vinti gli uni e gli altri si accomunarono anche negli uffizi guerreschi, Nel principio pertanto la vera mi- lizia dei Tolommei si divideva in due parti, dei macedoni, soldati antichi d’Alessandro , e dei mistofori ovvero bande di mercenari forestieri. Ma quando gli egizi militavano al paro dei greci, questi ebbero nome di inquilini od abitanti in domicilio stabile per non perdere il segno dell’origine loro , e quelli si chiamavano indigeni. Coll’andar del tempo si venne a confondere eziandio il senso delle due denomi- nazioni, e probabilmente molti egiziani entrarono a far parte di quelle legioni tutte composte prima di forestieri, chè così richiedeva la perpetua politica dei Lagidi. Avendo già più volte dovuto toccare di queste divi- sioni di popoli sarà bene l’agsiungere che la servitù fu conosciuta in Egitto, poichè fino dai tempi dei Faraoni vi si trovano i servi dei sacerdoti. Ma il Peyron pensa che i soli forestieri colà potessero essere ridotti a stato servile. Così divennero schiavi gli ebrei nell’ età di Giuseppe, ebrei parimenti eran quei servi manomessi da Tolommeo ai tempi d’Aristea. Questa opinione fa ammessa anche dall’ illustre au- tore della storia della legislazione (4) il quale pensa es- sere colà stata la schiavitù un effetto di sofferta condan- na, una specie di servitù pubblica. E così doveva essere presso un popolo che fu maestro di civiltà alle altre na- zioni. (4) Pastoret, de la legislation. Tom. 2 Paris 1817. 24 Oltre alle dignità saummentovate che ragguarlavano al- l’ amministrazione del regno altre se ne incontrano accen- nate in questi papiri delle quali meno esatta contezza dar sì potrebbe perchè di esse poco più rimane che il nome. Era fra questi l' Epistolografo o scrittore delle lettere reali, il quale trovandosi talvolta fregiato del titolo di cognato del re si vede aver tenuto seggio tra i primi uf- fiziali del regno. Erano i Ginnasiarchi, a cui è da credersi essere stato conferito l’ onore di apprestare a proprie spese i pubblici giuochi o certanie. L° origine di questi giuochi sembra al Peyron antichissima tra gli egizi, perocchè nei monumenti più antichi di quel popolo si vedono raffigurate alcune scene di giuochi ginnastici. Il titolo di di&dorgos porge occasione al commentatore di venir discorrendo i vari sensi in che quella parola si adoperò dagli alessandrini interpreti della ‘Bibbia, e da Filone , e fatta ragione del modo in che trovasi adoperata nel primo papiro la interpreta per cortigiano di seconda classe, Un medico regio si nomina in questi papiri che tra- smetteva i comandi del principe agli stratègi, ed il Pey- ron lo annovera tra i ministri del regno, mentre il Le- tronne (5) vorrebbe che fosse un semplice uffiziale depu- tato in ciascun nomo per vegliare alla pubblica salubrità. Ma veramente se molti fossero stati questi uffiziali della sanità, come oggi si chiamano, sembra che qualche par- ticolare indicazione s’ aggiungerebbe per distinguerli, e non si sa come avrebbero potuto direttamente comunicare i sovrani comandi anche alle prime cariche dello stato , quali erano gli stratègi. L’enumerazione sin quì fatta delle cariche principali del regno de’ Tolommei basta a dare un saggio del modo d’amministrazione tenuto allora in Egitto; ma speriamo che le notizie che ancor ci mancano ad averne un intiero (5) Nell'articolo relativo a questi papiri inserto nel Journal des Savans fa- scicolo di febbraio 1898. 95 prospetto verranno forse a scoprirsi, se gli nomini dotti nella lingua e nella scrittura antica dei greci vorranno continuare i loro studi sopra i papiri venuti d’ Egitto, dei quali vi è già certa copia ne’ musei più illustri d’ Europa, E ne sia augurio il sapere che nel regio museo di Parigi fu non ha guari dal Letronne scoperto un papiro spezzato in parti, il quale racchiude la decisione pronunziata da un prefetto predecessore di quello avanti cui si trattò la causa cousegnata nei papiri torinesi, che in essi appunto sì trova citata dall’ avvocato dei Colchiti a sostegno delle ragioni di questi (6). Ora che ho parlato delle leggi greco-egizie e degli uffizi pubblici sotto il regno de’ Tolommei, sarebbe forse opportuno che qualche cosa aggiugnessi intorno alle in- dicazioni delle misure egiziane ed alle osservazioni geo grafiche che accrescono il pregio ai commentari dell’ ac- cademico nostro collega. Ma ho giudicato miglior partito il serbar questo ad una terza lettera, nella quale farò anche cenno della illustrazione datasi novellamente dal lodato nostro professore dei papiri di Zoide dell’ I. R. Mu- seo di Vienna, la eni lezione egli accertò emendando gli sbagli in che era caduto il professore Giovanni Petrettini che il primo imprese a spiegarli. Nè prenderò commiato da lei, signor mio e collega chiarissimo , se prima non le dichiaro essermi io proposto in questi estratti di far noto al pubblico il risultamento anzichè il progresso di tali egregi studi sopra i papiri greco-egiziani . Quindi mi son rimasto dal riferire le di- scussioni , ho evitato di ripetere le citazioni , le emenda- zioni dei testi, e tutto quel corredo d’immensa erudizione filologica di che s”adornano le illustrazioni del nostro pro- fessore. Son certo che tutti coloro i quali sentono adden- tro in queste dottrine non si contenteranno a semplici sunti , ma vorranno ricorrere ai commen'ari, che come dissi, stanno nella collezione degli atti della nostra reale (6) Journal des Savana asticolo citato, T, XXXII. Ottobre. 4 26 accademia , ed il loro desiderio non andrà certamente de- luso , anzi vi troveranno trattate con inestimabile diligenza le cose minute, e con non minore acume le grandi. Ma forse non dispiacerà a taluno che se ne pubblichi un sunto dal quale sia sbandita ogni traccia di troppo ardue inve- stigazioni, Io poi stimerò d’ avere benissimo collocata l’o- pera mia se questa non tornerà misgradita a lei, pregia- tissimo signore, al quale senza fine mi raccomando. Torino il dì 22 di settembre 1828. FepERIGO ScLoprs, Considerazioni sulla Morale della Storia. — Case pie Israelitiche di Mantova. Lettera al Direttore dell’ Antologia. Peaebete iter, auferte offendicula de via populi. Issa LVII. Io non so se in quel magnifico e sentenzioso elogio, che ci ha lasciato della Storia il sommo oratore romano , e specialmente nelle prime parole , dov’ei la chiama gestis remporum , (1) debba credersi che sia compreso il maggior de’ suoi vanti, quello di render palesi per via di fatti e di prove le conseguenze generali delle pubbliche istitu- zioni sulla morale, e la felicità degli uomini. Forse gli avvenimenti dei secoli non erano suscettibili di sommini- strare questa lezione, quando Ja fortuna romana , dividen- do il mondo in popoli vinti, ed in genti barbare, sovver- tiva le leggi, e cambiava il viver civile di quelli , e trop- po spregiava fino il nome di queste per desiderare di co- noscerle, e per darsi cura d’apprezzarle. Ma le nazioni sono come gl’ individui : quando la sventura le colpisce rinnegano la fiducia delle cose proprie, e nello studio delle altrui cercano se non vi fosse riparo agli errori ed (1) De Oratore. d7 alle colpe commesse, se una differenza di principii e di costumi non promettesse una più nobile, e più lodata esi- stenza, Il Jibro sui Germani di Tacito sembra lo sfogo d’un animo virtuoso , che rifusge dalla contemplazione dell’av- vilita patria, e dal pensiero de’ suoi turpi dominatori, per consolarsi come può nell’ aspetto d’ una società piuttosto non corrotta che bene ordinata, (2) ammirabile per la novità di costumi semplici e forti, ma incapace a servir d’ esempio ad un popolo avanzato nella carriera della ci- vilizzazione. Io chiamerei questo uno dei pochi libri di Storia filosofica , che ci ha tramandato l’'antichità ; e mi sembra che l'intenzione con cui è scritto prenunzi le idee dei moderni , i quali ragionando sulle vicende politiche e civili non d’ una nazione, ma di molte , possono confron- tare l’ effetto delle buone e delle cattive istituzioni , per trarne una luce, che scenda a rischiarare tutte le questioni che più interessano il genere umano. Pure questo modo di considerare la Storia , e di renderla feconda di gran- dissime verità, ha ricevuto maggior ampliazione come scienza politica che come scienza morale. Come scienza politica oguun rammenta i lavori sulla storia romana di Machiavelli, di Montesquieu, e di Gibbon, tre nomi che si collegano in perpetuo col soggetto che ban preso ad il- lustrare ; ma come Scienza morale la filosofia della Storia non vanta sin ora cultori, che reggano senza scorno a così alto paragone. Forse le lezioni del sig. Guizot, che de- stano tant’entusiasmo in Parigi, cominciano a soddisfare il desiderio (credo universalmente sentito) d’ una qualità d’ istruzione, che mostri visibilmente la dipendenza dei costumi dalle istituzioni, Ja forza onnipotente delle leggi ad affrettare o ritardare il progresso morale dei popoli. Senza escludere la narrazione dei fatti , e senza tor pregio all’ opere che li espongono , io vorrei , carissimo Vieusseux, dei l'bri, dove si cercassero le fonti della virtù delle na- zioni in certe epoche , e della lor corruttela in certe ‘al: (2) Plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges. ( Tucitì Ger mania ). 28 tre, dove venisse indagata e svolta la causa, per cui in tal paese la società sembra farsi fondamento della morale privata , e dei legami domestici, mentre sott’ altro clima l'influenza di questi è sconosciuta , e il cittadino consi- dera la patria piuttosto come matrigna che come madre. Vorrei che si facesse manifesto in che maniera gli ordini pubblici , ossia l'educazione nazionale, hanno favorito o coutrariato la buona educazione degl’ individui, insuffi- ciente a produrre grandi e permanenti effetti, quando quegli ordini non cooperano allo stesso fine, e non pren- don di mira lo stesso intento. Se a me spettasse di dare qualche consiglio allo scrittore illuminato , che si facesse a secondare il mio voto, io proporrei ehe l’arsomento fosse così trattato da poterne dedurre questo corollario , che 4 proporzione che gli uomini sono stati sollevati al senti- mento della loro dignità morale , e della loro capacità a fare il bene come parte della famiglia e della città , sono pure divenuti realmente migliori , ed aumentata la felicità loro, hanno eziandio contribuito alla prosperità, e al decoro universale. Non credete che questa verità conterrebbe in sè molte lezioni e molte consolazioni ? E se il conforto ci rendesse men tristo il pensiero dei danni passati, e l’am- maestiamento servisse a tutti per cospirare insieme ai van- taggi avvenire, non vi pare che un libro come quello che io mi figuro sarebbe un dei migliori, di ‘cui .la filosofia potesse far dono all’ umanità? Il merito più eminente, che distinzue la moderna istoria della conquista d’ Inghilterra del sig. Thierry (3) è l’ intenzione filantropica che vi domina da cima a fondo, Vir bonus per eccellenza può dirsi lo storico quando ab- braccia il partito degli oppressi malgrado i loro torti, svela le colpe degli vppressori nonostante lo splendore della loro fortuna , fa considerare la conquista (non quella sola, ma ogni altra) come una grande ingiustizia, e le sue conseguenze come il profitto di pochi stranieri potenti (8) Zisrcire de la conguète d’Angleterre par les Normands, par M. Augustin Thierry. Paris 1426, 4 Vol. 8. 29 a scapito d'una intiera nazione, onora coi sentimenti d'una virtuosa pietà le ultime resistenze di lei, e si accompagna agli estremi sospiri della sua indipendenza ; infine descrive un grande avvenimento senza quel disordine di fantasia, che vede la ragione nel buon successo ,| e la gloria nel dominio. Fosse al cielo piaciuto che invece di far campo delle sne dotte ricerche uno stato di società così diverso da quello fra cui viviamo, il sig. Thierry avesse scelto un argomento d’ istoria a noi più vicino , nel quale l’abbon- danza dei documenti, e delle notizie, gli avesse ampiamente dichiarato gli effetti delle sciagure politiche sul carattere nazionale , il modo onde i legislatori e i dominanti pos- sono inalzarlo , 0 sanno deprimerlo. Il suo disegno sarebbe stato forse più vasto, l’ istruzione pei lettori più varia e più piena. Per quanta diligenza si usi rivolgendosi tra gli avvenimenti già parecchi secoli accaduti , mancano troppi dati per giudicare della condizione intrinseca delle popolazioni , ed ha qualche scusa quell’ illusione , che confonde le vinte battaglie , e l’ ampliato territorio , col. l’aumento di ben essere sociale , e colla migliorata esi- stenza civile. Secondo lord Bolingbroke (4) l’uomo di stato deve /eggere la storia di Europa sino al secolo XV, e stu- diarla da quel secolo in poi. A più forte ragione chi cerca nelle sue rivelazioni altri fatti che quelli meramente po- litici, ed altre verità che quelle che interessano i poten- ti, farà più il suo vantaggio a interrogare le memorie de- gli avi, che non a spingersi indietro fra. gli annali dei remotissimi antenati, ove gli sarebbe d’ uopo aiutarsi colle congetture dell’ antiquario , e colle finzioni del romanzie- re. È facile, per esempio, allegare tutte le cause , e sco- prire tutte le fonti della prosperità attuale dei popoli «che compongono gli Stati Uniti di America, ma come si po- trebbe rimontare sino all’ antica origine delle miserie del- I’ Irlanda, e seguitarne il lungo e complicato progresso , senza che qualche cosa rimanesse di men chiaro e di men dimostrato , senza che agli apologisti dell’intolleranza fosse (4) Letters on che use and study of history. 30 dato talvolta di poter attribuire la colpa a chi patisce il danno ? Per questo, a coloro che si propongono nella ‘sto- ria il fine morale io insinuo di ‘avvicinarsi ai contempo- ranei, anzichè d’allontanarsene ; ma non è già debole in me il convincimento che tutti i secoli presenterebbero la medesima lezione, se potessero conoscersi in modo da far tacere per sempre ogni genere di sofismi. Non bisogna dissimularlo: i sofismi che si son fatti sopra gli avvenimenti storici male interpetrati, la completa igno- ranza delle cause, e l’ostinato sentenziar dagli effetti hanno perpetuato quell’ opinione funesta, che distingu» nei po- poli maggior 0 minor attitudine a godere i vantaggi so- ciali, per condannare alcuni di essi alla. privazione di certi diritti, dei quali altri sono in possesso . L' inegua- glianza originaria di qualità morali, che la natura ha vo- luto nelle creature umane, si è preteso di trasferirla alle masse ; e da un falso principio traendo una più falsa con- seguenza , mentre si è riconosciuto il potere. dell’ educa- zione a rendere migliore ciascun uomo, si è negato che ogni nazione fosse capace d’ entrare in una via di perfe- zionamenti, che l’esperienza nondimeno ha dimostrato pos- sibili . Amplificando le differenze che esistono nel carat- tere generale dei popoli, senza tener conto di tutto quanto essi hanno di comune, e senza pensare sino.a che segno la diffusione dei lumi abbia contribuito, nella moderna Europa, ad avvicinare gli abitatori d’ un paese al livello di quelli d’ un altro, si è osato sostener massime , che diramate in tutte le loro deduzioni giungerebbero ad offendere la giu- stizia dell’ Onnipotente! Voi non vi maraviglierete , carissimo Vieusseux, delle osservazioni che precedono , e seguitando la lettura di questo foglio non stimerete , io spero, che desse siano senza relazione col soggetto per cui vi scrivo . A voi si- curamente è manifesto come certe leggi derivanti dalla natura stressa dell’uomo, sono ad un tempo proprie del- l’ individuo , e della società di eui forma parte ; ed a voiglajbontà dell’ animo , congiunta alla rettitudine del- l’ intelletto, non permette di sospettare che quelle leggi dI non siano applicabili alle ristrette comunità come ‘alle grandi nazioni. Anzi so ben io per lunga consuetudine come accogliete la nuova d’ ogni guadagno nella condi- zione civile dei vostri simili con quel sentimento di be- nevolenza universale che non esclude niuno ; ed in ogni fatto, comunque speciale a pochi, che vi conferma a do- ver bene sperare dell’ avvenire di tutti, ravvisate una circostanza da notare, ed un argomento da opporre ai de- trattori della nostra specie. Voi lo diceste meco più volte. Sono Essi prin cipal- mente , che per difetto di raziocinio , o per animo mal- vagio, hanno sempre sostenuto l’impero delle prevenzioni contro una porzione o l’ altra deli’ umanità sofferente . Finchè i loro consigli furon seguitati più che adesso nol sono, se ne dolsero sopratutti le popolazioni israelitiche sparse in diverse parti di Europa. Se meritan qualche fede le riflessioni dei più profondi moralisti sul cuore dell’uo- mo , e se i principii della più sana filosofia, e le massi- me fondamentali d’ogni buona legislazione non si voglion tenere per sogni, è d’ uopo convenire che gli annali dei secoli scorsi presentano a questo riguardo una serie di colpe e d’errori, la cui durata deve sembrare uno strano fenomeno a chi non conosce la forza unita dell’ignoranza e della superstizione. Ma, com'io diceva poc’ anzi. non è possibile nella lontananza dei tempi porre a confronto, anno per anno, e giorno per giorno , le cattive leggi colla loro pessima figlinolanza ; altrimenti apparirebbe chiaro che tutte le ragioni che si sono addotte, in epoche a noi più prossime, per impugnare la giustizia, e la convenien- za di render migliore la condizione sociale degl’ israeliti, sono nna lunga e perpetua amplificazione di discorso, che enumera e valuta gli effetti come se fossero cause, o nega l’azione delle cause, per non dover convenire che, quelle cambiate , cambierebbero anche gli effetti. Eppure quat. trocento leggi crudeli ed oppressive, quante ne sommava Grégoire nel 1789 (5), possono fare un gran cammino per (5) Motion è l'assemblée nationale en faveur des Israélites. 32 degradare , ed avvilire esseri umani. Supponetemi delle statistiche morali, particolareggiate quanto l’immagina- zione può fingerle , e poi ditemi se non dovrete Pin gliarvi più del bene rimasto che del male accaduto . In questo caso, come in tanti altri, chi ragionasse a priori sulle conseguenze d’ una legislazione , che non sia filan- tropica, ne trarrebbe un grand’ argomento favorevole alla natura umana, la quale non divien mai tanto prava quanto le cattive leggi si adoprano a farla. Viceversa il benefizio delle buone è proporzionato alla loro azione ; e gl’ israe- liti, da mezzo secolo e più a questa parte, ne porgono una testimonianza non inutile a ricordarsi. Chi non volea ri- conoscere che i torti a loro imputati provenivano dall’ani- mosità che una lunga barbarie avea sanzionata contro di essi, dovrà confessare, in presenza dei fatti , che il loro miglioramento attuale sorge dalla benevolenza di migliori codici inspirati da più miti sentimenti e da più sani prin- cipii. Nel 1753, quando fecesi nel Parlamento d’ Inghil. terra la proposta d’ ammetterli al godimento dei dritti di cittadino , si citavano dai loro amici la Toscana grandu- cale, e la repubblicana Olanda; come esempi solenni di paesi, ove il favore delle leggi a loro riguardo aveva por- tato quel buon frutto che non manca di produrre il buon seme; ma allora i dettami della filosofia non si erano con. ciliata universalmente l’ opinione degli uomini, e dovea- no tacere innanzi a ogni vil pregiudizio , e a qualunque ignobile interesse. Allora la proposta, come tutti sanno , non ebbe quel buon successo che sulle prime parea sicu- ro; e come questo si andasse, assai poco onorevolmente pel Ministero che la ritirò , e pel partito che volle che si ritirasse, può ognuno vederlo nella storia inglese di quei tempi (6). Al giorno d’oggi, se gli scritti pubblicati sul- l'argomento (7) non avessero rimosso ogni dubbio nell’a- nimo delle persone eque ed imparziali, non due, ma molti (6) Smollets History of England, — V, anche Mirabesu sur Ja réforme politique des Juifs, (7) Dohm, Mirabeau, @régoire , ec. 33 esempi potrebbero addursi, nei quali 1’ esperienza confer- ma ciò che la ragione avea proclamato . Si parla di ciò partitamente , e con assai diligenza in un libro pubblicato a Parigi nel 1816 (8), a cui mi riferisco se foste curioso di più estese notizie sui vantaggi sociali concessi agl’israe- liti dalle leggi recenti di parecchi stati d’ Europa. In Fran- cia, è ivi detto, ove prima dei Decreti dell’ Assemblea nazionale , (24 dicembre 1789, 28 gennaio, 21 febbraio 1790 ) Essi, Somila in circa, non contavano che pochis- simi possidenti e artigiani , presentano oggi, quantunque non aumentati di numero , 374 possidenti, 207 fabbri- canti, 630 militari, e 1257 fanciulli, dediti alle utili occupazioni, alle arti e alle scienze, ovvero educati nelle pubbliche scuole. In questi ultimi dodici anni non dap- pertutto il legislatore li ha riguardati con lo stesso occhio di giustizia, ma dove la giustizia è prevalsa, ed ha ta. ciuto l’intolleranza, emerse universalmente la verità di quel corollario anzidetto , che a proporzione che gli uo- mini sono stati inalzati al sentimento della loro dignità morale , e della loro capacità a fare il bene come. parte della famiglia, e della città, sono pi divenuti realmente migliori , ed aumentata la felicità loro, hanno eziandio contribuito alla prosperità , e al decoro universale. Neila fondazione , e successiva ampliazione delle case pie d’ industria, e di ricovero degl’ Israeliti di Mantova si è avuto di ciò qualche prova, e si potè veramente distin- guere come basta un cenno di regia simpatia, un indizio che il potente sul trono guarda con amore i sottoposti mortali, per svegliare in questi il desiderio di rendersene degni, e corrispondere al bene che loro vuol farsi, in mo- do onorevole a sè stessi ed utile alla società. È di ciò che io ho in animo di darvi ragguaglio ; e se voi crederete, cortese amico, di far parte di questa lettera, tal quale familiarmente vi è scritta, agli associati dell’Antologia, mi addosserò volentieri la censura di coloro, che negano al- l’espositore d’ un fatto la facoltà d’ abbandonarsi a quelle (8) Dea Juifs 2u 19. Siècle par M. Bail. TT. X XXIL. Ottobre. 5 34 considerazioni troppo generali , a cui arriva la mente pase sando da uno in un altro pensiero. Erano scorsi mesi, e non anni, dacchè 1’ Imperator d’Austria interpellò officialmente le sue diverse delegazio ni del Regno Lombardo Veneto sullo stato degl’ Israeliti della stesso regna , e sui mezzi di migliorare la. loro con- dizione, quando la società israelitica di Mantova, per non aspettare oziosamente gli effetti di quella benefica do- manda , considerò se non avesse modo in sè stessa di pro- curarsi uno di quei vantaggi municipali, che non rife- rendosi punto alle relazioni che passano tra principe e sudditi, possono conseguirsi senza il concorso dell’ auto- rità sua, e preparano la via al maggior bene che da essa dipende. Uno stabilimento di beneficenza , che sovvenisse ai bisogni delle classi indigenti, e le rendesse parte: me- no miserabile , e pianta meno parasitica della città, par- ve a tutti cosa necessaria ed espediente. Il principe medi. tava di ridurre a sanità tutto il corpo, ed essi comincia- rono a rinvisorire le membra meno capaci d’ azione e di movimento. Perciò , dice il dott. Susani a nome dei suoi correligionarii (in un discorso, del quale accennerò più avanti l’ occasione e il motivo) “ avidi noi di ristorarci dalle passate gravezze , col decoro di corrispondere all’am- bito mutamento delle nostre sorti, trai molti capi di pres- sante riforma, quello di sollevare a meglio i nostri po- veri dovea di preferenza occuparci. ,, (p. 16) E veramente se ne occuparono, liberali dell’ opera e degli averi, poi- chè nei primi mesi del 1325 era in piena attività la casa d' industria e di ricovero , e il 1 maggio dell’ anno stesso Ja maestà di Francesco I. onoravala di sua presenza. Gl’Israe- liti mantovani, ascendenti appena a duemila anime, ave- vano eseguito il loro proponimento, con una spesa supe- riore anche all’ ordinaria generosità degli animi benefici, e in un tempo più breve di quello che sia necessario alla fondazione di simili istituti. Se ne allegrò il Sovrano, e si espresse che volendogli dimostrar gratitudine della concessa visita , niente di meglio potea farsi che renderla memo- rabile con qualche risoluzione , la quale riuscisse di pub- 35 blica e durevole utilità. Fu allora statuito d’ ampliare il locale delle case pie, per destinare in ispecialità alcune stanze all’ insegnamento dell’arti meccaniche , e d’aumen- tare il numero di ragazzi poveri, che in quelle arti si edu- cavano. Si volle che questa risoluzione fosse scolpita s0- pra piedistallo di marmo a cui sovrastasse il busto del- l’ Imperatore. Fu il monumento inaugurato, e il nuovo locale solennemente aperto ili maggio 1828, tre anni do- po fatto il voto; ed è in tale circostanza che il dott. Su- sani pronunziò un suo discorso, (9) del quale, a compie- re l’ istoria delle anzidette case pie, si può dire colle frasi del celebre Gioja, “ che è dettato dal caldo sentimento d’ umanità , che ridonda più d’ idee che di parole, e di- mostra che nella società israelitica si coltivano i principii d’ una saggia economia , si conoscono i vantaggi de? pi) stabilimenti , i limiti entro cui debbono esser ritenuti , e i modi con cui vogliono esser diretti, acciò siano sollie- vo alla debolezza, e non stimolo all’indolenza ,;. (Annali universali di statistica. Milano, fascicolo di Giugno 188, p- 313.) (10). In questo discorso l’ oratore } parlando ‘al cospetto delle autorità civili e militari , e rivolgendosi anche agl’in- felici raccolti fra quelle mura , ed ai benefattori che ne han resa più dolce e più proficua la vita, non dovea ram- mentare (e d'altronde la circostanza rifintavasi ad ogni digressione didattica) le discipline d'interna organizzazio- ne, che più o meno erano note a tutti gli astanti, e me- glio fece cercando di muovere gli affetti d’ ognuno con fervide insinuazioni, con pietosi couforti, con massime d’utile applicazione, con verità sempre belle a ridirsi. A me è assai piaciuto il sarcasmo a p. 13 contro gli anta- gonisti d'ogni novità, e contro gli oppugnatori d’ ogni (9) Delle pie Case Israelitiche d’ industria e di ricovero di Mauîtova. — Mantova Tipografia Virgiliana 1828. : (10) Con dispaccio del ag Agosto passato, la delegazione provinciale di Mantova ha partecipato officialmente alla Società Israelitica di colà un ordi we partito dalla Cancelleria Aulica, che fa conoscere alla società stessa il Sovrano aggradimanto , per le sue premure nel promuovere il comun Bene , ec. ce. 36 proposizione che abbia per sè l’ opinion pubblica del pre- sente secolo (11). V’è tanta patetica dolcezza in alcune linee della p. 4 (12) ed in altre della p. 6 (13) che l’ani- mo può dirsi preparato da quei sentimenti , e disposto alla nobile ed eloquente apostrofe da p. 22 a 25 (14). Ma io passo a riferirvi in succinto ciò che seppi intorno ai regolamenti dell’ istituto ed al presente suo stato , volen- do comunicarvi notizie che servano di supplemento al di- scorso del dot Susani , anzichè farne la critica letteraria, e ricever forse da alcuno taccia di parzialità verso uno scrittore , di, cui l'ingegno mi sembra così buono, e l’in- dole così elevata, che non posso fermarmi a desiderare qual- che cosa di più limpido nelle forme del dire. Lo stabilimento è destinato a mantenere gl’ indigen- ti, a cui l’età o le malattie non permettono di procurarsi onesti mezzi di sussistenza, e a far imparare le arti mec- caniche ai giovanetti, che non potrebbero per loro stessi dirigersi a qualche industria. Esso è composto di due case contigue, ed accoglie presentemente circa 40 individui , adulti e giovinetti, che ivi hanno vitto, vestiario , ed al- loggio. Gli adulti sono 24 fra uomini e donne, alcuni dei quali vecchi e impotenti ; gli altri si rendono utili con qualche ufficio , secondo la loro capacità e la loro atti- tudine. Quale fa da primo commesso , quale da guarda- roba, alcuni sono incaricati della polizia interna dello stabilimento , questi invigila alla buona condotta dei ra- gazzi, un altro li istruisce nei doveri di religione, li ac- compagna nell’ oratorio , ec. ec. Le donne si occupano a cucire tutta la biancheria occorrente , a rassettare il bu- cato, e ad altre giornaliere faccende ; e due o tre di esse sono impiegate come infermiere , essendovi fra i ricoverati due pazze e tre ciechi. I giovani, in numero di dodici a quindici , attenduno tutto il giorno ad imparare qualche mestiere, o a ricevere l’ educazione elementare che loro (11) Hannovi uomini , ec. (12) £ chi guarda mai, ec. (13) O voi che siete ; ec. (14) Ok! Giovanetti, ec. 37 vien data. I mestieri, ciascuno dei quali ha particolar of- ficina , sono sinora quelli di calzolaio, sarto, tessitore , falegname, tornitore, fabbro, e calderaio. L'istruzione: co- mincia coi principii di religione, e di morale, a cui sup- plisce un maestro ; ed un altro insegna la lettura italia- na , il carattere, e l’aritmetica , coi primi elementi di grammatica e dell’arte di comporre. Si ha l'intenzione d’ aggiungere il disegno lineare , per rendere più proficuo 1’ esercizio dei mestieri, nei quali è necessario saperlo, I giovani sono tenuti separati dagli adulti , sia d' alloggio, come di tavola; ed hanno infermeria , ed altri comodi de- stinati a loro uso speciale. Forse la miglior conseguenza della recente ampliazione è stata appunto questa , di, sol- lecitare cioè i benefizi della buona educazione dei giova: ni, non facendoli convivere con gl’infelici, a cui Vl’ in- differenza , e l’ apatia d’ altri tempi avevano lasciato man- care ogni sussidio morale , ed ogni stimolo alle buone abi- tudini. A titolo d’incoraggimento si tiene in serbo ‘una piccola rimunerazione settimanale , a favore dei giovani che si distinguono: per profitto e buona condotta ; € per- fezionati che siano nell’ imparato mestiere, dietro accurato esame , si unirà questa gratificazione ad altro peculio per munirli degli arnesi necessarii al mestiere medesimo. Per ora i maestri delle arti ricevono paga, ma in progresso gli allievi essendo di soccorso ai maestri, e potendo farne essi stessi le veci; l’ annuo bilancio sarà sgravato da que- st’ onere. Indipendentemente dai 4o ricoverati è concessa gratuita ammissione a 12 giovani per imparare i mestieri nelle ore a ciò prefisse , e di più essi godono d’ una par: ticolar retribuzione giornaliera ; quando i maestri attesta- no la loro buona volontà , e la loro morale condotta. Nel resto sono sottoposti alle discipline degli altri alunni. Non so il motivo per cui gli anzidetti dodici giovani non vi- vono nello stabilimento, ma forse saranno stati renitenti a sacrificare la loro libertà : anzi la maggior gratificazione erogata a favor loro, per indurli a conoscere qualche in - dustria , mi convince che non vado errato nella mia sup- posizione. Finalmente, i fondatori esibiscono 12 posti ad 38 altrettanti Israeliti del Regno Lombardo Veneto, mediante modica retribuzione pagabile da essi, o dalle comunità a cui appartengono . Lo statuto organico delle case pie, e l’ interno regolamento di disciplina comprendono troppi capi per esservi ripetuti ; ma vi piacerà forse sentire un articolo , che riguarda le beneficenze di cui furon quelle, e possono essere in avvenire l’ oggetto. ‘ Tutti prodotti delle questue , dei legati , e delle offerte vengono messi in una cassa d’ ampliazione, la quale è amministrata a, parte, e la rendita delle somme impiegate a frutto debbe servire al mantenimento di quel maggior numero di rico- verati compatibile coll’ ammontare di tal rendita, I nomi dei benefattori dalle lire 100 alle 2000 saranno inscritti in un elenco esposto nello stabilimento ; a quelli dalle lire 2000 in su sarà consacrata una lapida in marmo ; ed. a tutti indistintamente i benefattori defunti, compresi an- che quelli che non oltrepassarono le lire 100 , sarà cele- brato uffizio di requie nell’ oratorio dello stabilimento, e negli altri tempi israelitici della città , in certi giorni fe- stivi. ;, È da aggiungersi che questa cassa d’ ampli azione ha già un fondo di lire tredicimila austriache. Le cose che precedono vi faran credere meco che lo stabilimento sarà fecondo di grandi, e permanenti 'van- taggi , se il progresso corrisponde al principio. Sin quì i fondatori si mostrarono generosi e perseveranti, quantun- que non mancassero alla loro impresa opposizioni nascoste, e censure non dissimulate. Andando innanzi la generosità non sarà tanto messa alla prova, ma la perseveranza do- vrà crescere in proporzione moltiplice, se si vuole che l'evidenza dei fatti riduca al silenzio quegli avversari, che le ragioni non giunsero a persuadere. Essi intanto, dopo aver combattuto il pensiero della fondazione colla solita logica del pregiudizio , che chiama il passato a nor- ma invariabile del presente, e si fa nume dell’ uso posi- tivo come negativo, mettono in campo nuovi argomenti di biasimo, ed ora asseriscono la spesa essere stata esorbitante e il benefizio limitato a pochi, ora domandano ironica- mente quali vantaggi han prodotto le case pie da tre anni 39 che furono la prima volta aperte. Non.s° avvedono che in quell’accusa se v' è carico pei fondatori di non aver pro- ceduto con tutta la possibile economia, (e in questo può giustificarli la novità per essi dell’ esperimento ) si concede loro senza volerlo anche il vanto di non essersi fermati a mezza strada perchè il sacrifizio superò 1’ intenzione. Facendo poi quella domanda così speciosa in apparenza , e tuttavia così irragionevole, sembra che ignorino cotesti censori potersi redarguire il lor detto con risposte sugge- rite dalla più vera cognizione della natura umana. Costa tempo e cure l’ educazione d’ un fanciullino , vergine di pensieri e d’affetti, e diretto alla virtù dall’ esempio e dall’ amore paterno, e si pretende che da un giorno al- l’altro sian cambiate le abitudini dei più negletti, e dei più avviliti fra gli uomini, quando una serie di secoli non ha saputo o non ha voluto far nulla per renderli buoni, virtuosi, e felici? Tre, quattro, 0 sei anni di sforzi ben intesi posson dunque riparare il danno prodotto dall’ incuria e dal maltalento di parecchie generazioni ? Chi ne ha provato gli effetti più degl’ indigenti israeliti? Anche la pietà dei loro confratelli non ha forse contribuito a peggiorare il loro stato , finchè era rivolta ad alleviare a mano a mano ogni nuova individuale sciagura , senza mai proporsi d’ antivenire le sciagure di tutti ? (15) Quì il mio discorso si avvicina alla conclusione , tanto più che ho di molto oltrepassato i limiti ordinari d’una lettera. Feci motto di coloro che disapprovano la fondazione delle case pie, per contraddire i loro ingan- nevoli raziocini, e non già perchè abbia fondamento la supposizione che l’utilità di quelle sia stata fino ad' og- gi minore dell’aspettativa . Anzi ho notizia che alcuni degli allievi sono prossimi a divenire abili artisti, ed a poter esercitare il loro mestiere; e pare eziandio che il desiderio d’ entrare nello stabilimento si faccia ogni giorno più spontaneo e più generale. Ma quand’ anche si to) dovesse parlare altrimenti dell’ Istituto di Mantova , sa- (15) V. Susani , discorso suddetto p. 12. 4o rebbe sempre vero, in tesi generale , che la fondazione d’ altri istituti, non diversi da : quello, è l’oggetto più desvno che possa occupar l’attenzione , e muovere lo zelo d’ ogni società d’ Israeliti. Perchè , se essi vogliono non solo godere , ma anche meritare i vantaggi, che loro promet- tono le opinioni di giustizia e d’ equità universale pene- trate finalmente nelle leggi, devono cooperare anche dal canto loro coi più veri mezzi, ed i più efficaci, a _can- cellare dall’animo dei loro concittadini d’altri culti le impressioni sinistre, che un errore dei tempi vi avea te- nacemente mantenuto. Essi, che furon vittima del pre- giudizio , devon combattere con la fermezza della volontà, e con l’ energia dell’ azione, ogni pregiudizio, nato fra loro stessi, che si opponesse al loto interno miglioramen- to, ed al loro progresso sociale. Tutto ciò che prende di mira il loro avvenire sia per essi oggetto costante di stu- dio , e scopo delle loro sollecitudini private non men che pubbliche. La loro carità si consigli colla ragione , e sia illuminata come la filosofia di questo secolo. Imitando el’ israeliti di Mantova , che nòn tanto vollero sovvenire le presenti urgenze del povero, quanto riparare alla sua ulterior degradazione, e adoprarsi onde la sua discendenza fosse meno sventurata di lui, cerchi ogni comunità israe- litica di rompere il corso alle tradizioni d’ozio e d’abbie- zione, che fra i suoi indigenti passarono di padre in fi- glio piuttosto fomentate che represse , e faccia concorrere ad un solo centro d’utilità comune e stabile i sussidi par- ticolari, che ogni giorno divengono più insufficienti, per- chè la loro stessa azione aumenta il numero di coloro, che ne vogliono essere oggetto. Ad esempio degl’ israeliti di Livorno, che in quella città non furono ultimi ad intro- durre l’ insegnamento mutuo per estendere 1’ educazione dei poveri, (16) abbian l’occhio i loro correligionari ad (16) L’ Antologia (aprile 1828 p. 74) accenna due scuole israelitiche d’ia- segnamento mutuo a Livorno. Credo però che in quella sola dei maschi, ove ne hanuo circa 120, siasi introdotto il suddetto metodo. L'altra delle femmine, ove ne sono raccolte circa 60, non lo ha adottato che in parte, Almeno era così quandu chi scrive questa lettera le visitò alcuni mesi sono. 41 ogni nuovo metodo che facilita l'istruzione elementare , e non credano che le premure sian mai troppe per pro- pagarla fra quegl’ infelici ; a cui l'oscurità della mente sarebbe ragione e scusa dell’ illandevole condotta. L’edu- cazione dei poveri, lo ripeto, è il fine principale ,-a cui devono tendere gl’ israeliti. Dove ancora vivono inquieti, e malsicuri sulla loro esistenza civile, può mancar loro il coraggio di cercare un bene qualunque , che abbia per ter- mine l'avvenire, ma per tutro altrove, se non amano che sia tardo e lontano l’effetto delle leggi a loro favorevoli , agiscano anch’ essi con l'intenzione che le ha dettate, in- tenzione che vuol render migliori gli uomini suscitando in essi il sentimento della loro dignità, e della capacità loro morale ed intellettuale. S’udrà allora una voce universale, che ripetendo a lode degl’ israeliti tutti le parole del ba- ron Dupin , dirette specialmente a quelli che dimorano in una parte di Francia , potrà dire giustamente : Zsraé- lites! votre civilisation fait l’éloge de nos lois bienveillantes T ct de l’excellent esprit qui vous anime. Continuez è suivre cette noble carrière, et votre prospérité portera témoignage en l’honneur de notre juste tolérance (17). Bella ad allegarsi è 1’ autorità del baron Dupin , e questi suoi pensieri mi riconducono naturalmente alle rifles- sioni onde presi le mosse scrivendovi. Quando la benevo- lenza è impressa nelle leggi , la civilizzazione degli uo- mini riceve un impulso che la spinge a termine indefini- to , ed essi si animano d’ uno spirito, che merita d’esser chiamato eccellente . Guidati costantemente dalle sue iu- sinuazioni , in breve la prosperità loro porta ampia testi- monianza in onore delle cause che la promossero . Nello stesso tempo il loro miglioramento morale dà una solenne mentita alle lunghe calunnie onde furono gravate le al. tre generazioni ; e se allora si raccolgono i fatti generali (17) Discours prononcé dans la séance d’ouverture du cours normal de géo- métrie et de mécanique appliquées , le 29 novembre 1826, au conservatoire des artr et métiers ( V. Revue Encyclopédique, Janvier 1827). T. XXXII. Ottobre. 6 42 e speciali che di codesto. miglioramento son prova, un avvenire che togliesse agli uomini ciò che le buone leggi cominciavano a fare per essi è condannato anticipatamen- te, @ l'umanità prepara a sè stessa un’ eterna giustifica- zione . i Abbiatemi per vostro affezionatissimo amico, Tu. Elogi di letterati scritti da Irroriro Prwpemonre. Verona tip. Labanti , 1825-26. Tom. 2, in 8.° Sebbene gli elogi sieno stati usati da tutti i più grandi po- poli della terra, s'incontra ai nostri giorni qualche bell’ umore, il quale si avvisa di dover biasimarli , e vorrebbe sbandirli dal mondo , stimandoli un falso genere di scrittura. Un grande in- gegno , una gran virtude, egli dice, mon ha mestieri dell’ al- trui lodi per farsi valere ; una virtù mediocre non le merita , ed in tal caso gli elogi diventano esagerazioni uffiziose , ed abba- glianti menzogne di pestifero esempio. La prima proposizione non è punto vera , conciosiachè non tutti gli uomini atti sono a di- scernere e valutare appieno una virtù ‘somma e straordinaria , senza poi dire che le virtà singolari vanno sovente accompagnate da tante e tali circostanze che le nascondono agli occhi altrui . La seconda asserzione non si riferisce che all’ abuso degli elogi, o alla goffezza dell’ arte dello scrittore. Per la qual cosa opera meritoria e benefica ci sembrerà sempre quella d’ un uomo di lettere , che il suo ingegno rivolge a porre in piena luce le al- trui virtà, remunerando della dovuta mercè i trapassati, ed ec- citando i contemporanei ed i posteri ad imitarli; anzi noi non vorremmo onorare di elogi il merito straordinario soltanto, ma il mediocre eziandio, e meglio questo per avventura che quello , sì perchè questo va più oscuro e negletto pel mondo, sì per- chè ci offre un esempio più di leggieri imitabile, intanto che quello abbaglia, direi quasi, e sbigottisce chi vi si approssima; è a ben pochi lascia la speranza di poterlo emulare. Si arroge, che il talento mediocre è di un uso più comune e più pronto nelle civili compagnie. La lode, come dice quell’ anima generosa del Thomas ; non può esser cosa di picciol momento., siccome quella ch’è sempre o utile, o sommamente pregiudizievole ; or la più no- 43 bile, or la più abbietta cosa del mondo, secondo ch’essa è dall’adu- lazione, o dal timore, o dalla schietta ammirazione, o dalla gratitu- dine, o dalla imparziale giustizia dettata ; ed in questo ultimo caso convien pur confessare, ch’élla è una delle cose più grandi che il ciel abbia donato alla terra. Vi sono varié maniere di laudi ; laudi scolpite , laudi dipinte, laudi allegoriche od emblematiche, laudi parlate o scritte , ec. secondo 1’ arte e lo strumento onde altri si prevale a preconizzare le umane virtudi. Quelle laudi od elogi, che si fanno coll’ arte della parola si dividono d’ ordina- rio in due specie ciò sono elogi storici, ed elogi oratorii, tacen- do per ora degli elogi poetici, che in versi d’ uno o d° altro me- tro si sogliono tessere. Gli elogi storici, i quali si accostano alle vite ini guisa che sembrano una cosa medesima, andrebbono pre- scelti sì. per la verità e schiettezza del dire , sì per la maggiore * fiducia che inspirano ; gli elogi oratorii menano vampo d’eloquenza e d’ingegno, e più che alla realtà mirano ad una certa perfezione ideale, che lasciar dovrehbono all’ arte de’ poeti: il che non di rado li rende pericolosi tanto per la parte del buon gusto, che per quella della morale. Una terza specie di elogi potrebbesi ag- giungere , che partecipa dell’ una e dell’altra, ma dov’entra più il cuore che l'ingegno, e dove qualche aspra benchè utile ve- rità viene sempre rattemperata dai modi del dire, ed anche in quell’ apparente acerbezza traspira un certo spirito «di benevo- lenza verso il nostro prossimo, che ben la scusa ed @ noi cara la rende. I quali elogi, se pure, com’ io penso , si trovano, sa- rebbero acconciamente appellati elogi morali o filosofici. Gli elogi del cav. Pindemonte, per quanto a noi sembra, appartengono parte alla prima, parte a quest’ ultima specie, in guisa però che quando ancora alla prima appartengono, tu vi trovi sparsa qua e là qualche ombra che l’ ultima ti rammen- ta. Quindi si scorge quanto colgano nel segno colero , che una più viva eloquenza oratoria , o per dir meglio rettorica, in essi mostrano di desiderare. Che se quivi non trova un vasto campo da correre 1’ eloquenza oratoria , quante occasioni non s’aprono ad ora ad ora alla filosofia de’ costumi, alla storia s all’ erudi- zione , alla critica? Îl nostro autore , in questi suoi elogi, non solamente non si lascia mai tali occasioni sfuggire, ma ei se le viene qua e là procacciando, è sa infino con maestria somma farle nascere ov’ elle non souo. Le sue introduzioni , le sne di- gressioni , i suoi epiloghi , sono sempre rivolti o a sradicare un errore antico, o ad abbatterne un nuovo: nessuna opinione pericolosa , o politica , o morale , o letteraria , ed infino scien- (4 tifica, passano non osservate , nè combattute da lui: amatore schietto e sincero della verità, della sana religione, del buon costume , e del buon gusto , egli sorge a difenderli tosto che li vegga da qualche parte assaliti; ed un amaro sarcasmo, dove non si richiegga una nobile indegnazione, è l’arme ch'egli usa d’ ordinario contra i loro avversarii : nè alcuno si desse a cre- dere , che il cav. Pindemonte si mostri avverso a tutte insiemé le novità , senza discernere 1’ una dall’ altra , e perciò solo ap- punto che novità sono ; anzi tutto il contrario in lui si vede avvenire. Imperciocchè nessuno veramente utile trovato , nes- suna splendida impresa, comechè ardita e pericolosa, nessuna operazione straordinaria, che non sia stata da lui celebrata o nelle sue prose , o ne’ suoi versi, o almeno a voce : egli fau- tore e promulgatore dell’ innesto vaccino in Italia ; egli cantore de’ viaggi d° un Parry ; egli lodatore perpetuo d’ un Canova, d’ un Alfieri; egli difensore e consolatore , se non della greca rivoluzione , sì del destino e della necessità funesta in cui si trovarono i miseri Greci; e se non temessimo d'’ increscergli rammentando le scritture, da lui non approvate , della sua lo- devole gioventù, noi mostreremmo com’ egli, benchè nobile ricco e patrizio veneto, non fu neppure alieno da quelle politiche novità che andavano succedendo nel mondo: finalmente, in quanto spetta a letteratura, noi rammenteremo , affinchè ta- luno non s’attentasse di attribuire a preoccupazioni di scuola e d’età provetta alcune sue severe sentenze , che il cav. Pin- demonte è conoscitore. profondo ed ammiratore imparziale non solo degli autori greci, latini, italiani, ma degl’ inglesi e francesi eziandio 5 ma il cav. Pindemonte, da quel gran letterato filosofo ch’ egli è, sa ben discernere i limiti, che dividono una dal- l’ altra tutte queste letterature, e ciò in che l’ una può fran- camente valersi dell’ altra, senza condurre una tela a grotte- sche , osservando sempre quelle differenze notabili che fram- mettono in esse le varie condizioni fisiche, morali, politiche, intellettuali delle diverse nazioni; e sopra tutto guardandosi bene di non confondere i farnetichi e gli errori d’ uno scrit- tore , d’ una scuola, o d’ un secolo , colla natura e 1’ indole generale e costante d’ una letteratura e d’ una nazione. Due altri pregi campeggiano in questi elogi, e generalmente in tutte le opere del cav. Pindemonte, dove il soggetto ed il genere del componimento il comporti; ciò sono quelle narrazioni e que’ fatterelli curiosi, or antichi or moderni, allegati a pro- posito ; e co’ più cari modi della nostra favella: nè mai vi 45 mancan le orme (ch’è l’ altro pregio) ed il distintivo de’tempi in cui furono scritte" accennando sempre allo stato attuale del mondo , dell’ Europa , e dell’Italia singolarmente j e quindi i tanti tratti or amari .e satirici , ora passionati, mesti , lugubri; i tanti lampi di nobile sdegno, e quel libero sfogo d° un cuore gentile caldo di vero amor patrio, e della più sublime virtù. Vers rebbesi a formare un prezioso volume, sopra tutto per la gio- ventù , chi si facesse a trascegliere ed a mettere insieme i passi di simil natura che risplendono nelle opere del cav. Pin- demonte ; se per altro non si corresse il pericolo di far loro perdere, così smembrandoli, gran parte del loro pregio, di- pendente assai spesso dalla loro opportunità. Noi ne verremo notando alcuni in questi elogi , ai quali ora è rivolto particolar- mente il nostro ragionamento. Questi elogi, in numero di dodici, sono quelli del marche- se Maffei, di Leonardo Targa, di Lodovico Salvi, di Antonio Tirabosco , di Filippo Rosa Morando, di Girolamo Pompei, di Gasparo Gozzi , di G. B. da San Martino, due di Giuseppe To- relli (un lungo e un breve) e due di G. B. Spolverini. Dai tanti passi curiosi ed importantissimi che s’ incontrano in questi elo- gi, noi trasceglieremo solo alcuni pochi, che vagliano a prova di quanto abbiamo asserito. Del secento, del Ghedini, e della maniera del Maggi . € .. +++ + Molti si conservaron sani in mezzo il contagio . >», Ricordami avere udito nella mia giovinezza, che il Ghedini in »» Bologna si lasciava ridere in faccia nell’ accademie poetiche, e sì tollerava pazientemente quella vergogna , non dubitando, che 33 presto , o tardi se gli farebbe ragione. La Toscana poi si man- sy tenne pressochè intatta : che non fu l’ ultima certo delle sue »» lodi. Del rimanente, se il Maffei non comparve tra i primi a »» condannar le punte, il falso lustro, e le iperboli , si scagliò il >» primo contra una nuova depravazione, che, sorta in Milano , »» già dilatavasi per l’Italia. Gran turba di seguaci avea il Mag- »» gi, uom certo di mente vasta, e di dottrina non ordinaria , » ma il cui stile manca di quella dote necessarissima , che il » poetico linguaggio , dal prosastico distinguendolo, constituisce. - >> Se molti dall’ una parte si mettono a scrivere in poesia , che 3, non han nulla da dire, vero è dall'altra , che non basta l’a- 3» ver cose da dire , ove dirle non si sappia convenevolmente : »» anzi l’idea, e l’espressione formano un tutfo, non essendo lo 3 DJ » 2» 3» 23 39 33 bb} b») 2) 23 23 23 25 23 25 29 23 53 2) 23 53 23 29 3) 25 29 bb) 23 29 25 23 2) 46 stile al pensiero, come affermano alcuni, quel ch’ è la veste al corpo, che resta il corpo medesimo senza la veste, ma ciò, che la pelle , la fisonomia, il colorito. Senonchè i pensieri del Maggi altresì, o i sentimenti, che voglian chiamarsi, non approva generalmente il Maffei , a cni sembrano acuti, sen- tenziosi , e riflessivi troppo , e per isfrenato amor di filosofia profondi soverchiamente , o remoti, onde anche molta oscuri- tà : la quale io penso aver conferito non poco alla fama di quell’ autore , perchè d’un autore , in cui ammiransi alcune cose, che intendonsi, molti quelle, che non intendono, am- mirano ancora. Il Maggi a quel tempo era sull’ orlo della vi- ta, o già morto. Muover le sue ceneri? assalire chi non può difendersi? Così pur troppo si suol ragionare; quasi criticar solo si potesse un poeta , finch° egli vive, e non fosse anzi cortesia il non isfrondargli in capo , mentre cammina tra gli uomini, quella corona, che una gran parte forma per avven- tura della terrena sua contentezza ,» — Elogio del Maffei. Gusto oltramontano nel nostro teatro. € ....... Il Maffei rattiepidito non poco vedrebbe questo amore , ( delle tragedie francesi ) in Italia, dappoi che spira sì grato a molti, e di cui non so quant’ei si ricreerebbe, un vento di tramontana , che turbò non poco, e confuse le idee, che regnavano intorno alla scena. Il più bello è, che nel tempo stesso , che ridesi d’ ogni regola , si venera l’Alfieri , che le seguì tutte con tanto scrupolo, e cui poverissimo d’ ingegno dovremmo stimare , se libero d’ animo, come apparve ; e ne- mico di schiavitù, pur credea necessario piegare il collo ad un giogo , che per sì vano si reputa, e sì puerile. .. . «+ « ..... In questi ultimi tempi l’ orrore, entrando da per tutto, e in persona, entrò anche nella commedia, e accom- gnato v° entrò da una certa metafisica, da cui guardimi il Cielo, e pazienza , se detto io sarò non solamente /audator temporis acti, ch’ è difetto dell’ età, ma un amico dell’oscw- rantismo, ma un uomo , che ferma, quanto è da sè, il moto del secolo, e 1’ avanzamento ritarda della civiltà ,,. Ibid. Gloria del Principe e del letterato. « E di vero, quando si considera, che il viaggio del Maf- fei per l’ Europa una spegie fu di trionfo , corre necessaria 5) 25 i) 25 29 25 25 bb) DI bb) 23 dr) 2) 23 23 >E) Di bb) 2? 23 93 2? >») 22 99 5? 2) 2) 29 29 29 25 bb) 29 2) DI 2) 47 mente all’animo la preminenza, di cui gode naturalmente so- pra gli altri uomini il grande scrittore. Un monarca, un con- quistatore, un qualunque abbia in man la forza, empierà del suo nome la tromba della Fama'; ma tanta parte nelle lodi hanno spesso il timore , 1’ adulazion , 1’ interesse , che il lo- dato medesimo ciò, ch’ ei dee alla virtù sua, da quello, che alla possanza; pena molto a distinguere. Il nostro Maffei fece parlar di sè nulla meno, che un potente del secolo j e tutto veniva da quella maraviglia , e da quell’ amore, ch’ egli di sè in altrui avea saputo eccitare. Senzachè tutti veggion più, o meno , che quanto s° opera dal potente, con l’aiuto s’opera di molti , ed anco , massime nelle battaglie , dal caso; e lo scrittore meno è dagli altri, e nulla dalla fortuna soccorso . Però gli Spartani, conforme narra Plutarco , alle Muse prima di combattere, non a Marte, sagrificavano; quasi volessero as- sicnrarsi del più difficile, cioè che le vittorie, che non te- mean di non riportare , degnamente fosser celebrate. Al qual proposito Federico secondo di Prussia profferì alcune parole ; che mi s’ infissero nella mente. Quand je lui ai parlé, scrive il d’Alembert da Sans-souci alla Du Deffant dopo la guerra de’ sette anni , de la gloire, qu'il s’est acquise, il m’a dit avec la plus grande simplicité, qu'il y avoit furieusement è rabat- tre de cette gloire , que le hasard y étoit presque pour tout , et qu’ il aimeroit mieux avoir fait Athalie , que toute cette guerre . Altri conquistatori conosceran forse tal verità , ma niuno probabilmente confesseralla ; e tuttavia il confessarla è tal vittoria sopra sè stesso , ch’ io ne disgrado quelle d’Ales- sandro , e di Napoleone ,,. Ibid. Chi pensa all’ utilità pubblica acquista più vera gloria. «..... Io non ignoro, che o s”accettino , o si ricusin gli onori, ci muove sempre un certo amor di noi stessi: ma non è forse 1’ amar sè stesso più , o men saggiamente, che gli uo- mini l'un dall’ altro distingue ? Se il Maffei decorava d’ una raccolta di lapide il suo palagio, s’ accingea, chi non sallo ? a impresa bellissima ; e contuttociò molto meno alla gloria sua provvedea. Tuttavia quanto pochi calcolano di tal guisa! Que- sto saper vedere il proprio nell’ interesse di tutti, sollevando il pensiero, e al comun bene mirando , è dote pur troppo rara ne’ miseri nostri tempi: ma quella è appunto, per cui sì grandi ” 2 48 e immortali cose operavansi nelle repubbliche di Grecia,, e di Roma ,,. Ibid. Del sistema Brawniano , e de’ medici. « .... Dopo tutto ciò, ch’ io toccai sin quì; ciascuno in- dovinerà , come il nostro Leonardo dovea reggersi a quella stagione , che una nuova terapeutica settentrionale , passato il mare, e le alpi, calò nella nostra Italia. Parlo della teoria Brown, alla quale sì i dottori d’° Edimburgo, ove nacque, sì i dottori di Londra, vista che 1’ ebbero comparir sul Ta- migi, voltaron le spalle. Gli Italiani al contrario, dietro l’e- sempio de’Tedeschi, se le inchinarono prontamente, e per al- cun tempo seguironla con quel danno dell’umanità, che tutti sappiamo. Anche la poesia del britannico Shakspeare imparam- mo noi dagli Alemanni ad avere in grandissimo pregio , ma con danno del buon gusto soltanto, e però con infortunio mi- nore : che per questa non si piange in alcuna famiglia come si lagrimò in parecchie per quella, e al tempo segnatamente, che l’ odiosissimo tifo nelle pròvincie nostre infuriava. Nè io già voglio , che i medici tutti d° Italia invaghissero di quella scozzese , di cui spaventata è ancor l’ età nostra: ma certo moltissimi, e de’ più illustri, e non i giovani solo, che la novità suol più facilmente sedurre. Credendo con l’autore de- gli Elementi di medicina , che siccome si vince per mezzo de- gli stimolanti la debolezza, in cui non di rado cadono i corpi sani, la debolezza parimente de’ corpi infermi si vincerebbe , misero mano ai tonici, e ai calefacienti senz’alcuna moderazio- ne: quindi l’ oppio , il muschio , l’ etere solforico , gli aromi, 1’ alcool , e il vino più ardente ; che , avvezzo a girare in botti- glia intorno alle mense più liete, si maravigliò , son per dire , d’ entrar tutto quanto nella tacita bocca de’ moribondi. Leo- nardo vedea ogni cosa, parte ridendo , e parte commiserando: nè, perchè avesse in Germania, ove si commentava, e alle stelle portavasi la nuova patologia, dotti corrispondenti, si torse punto dalla sua strada , o dimenticò sè medesimo. Fu ac- cusato di troppa cautela , di soverchia timidità : si bisbigtiò , che il lasciar morire torna allo stesso , che 1’ ammazzare , quasi fosse proprio de’ medici pavidi il primo 4 e il secondo degli ani- mosi. Comunque sia , non trascorse un venti anni, che la più parte si ravvisò. È vero, che alcuni la cara dottrina non ab- bb) 29 29 eb 5) 2) be) 49 bandonarono interamente , simili a quegli amanti, a cni qual- che passo falso fecero far le lor belle, e che non però sanna affatto staccarne il cuore. Ma io udii non pochi confessar ge- nerosamente d’essersi lasciati abbagliare a una terapeutica sem- plice , ingegnosa , e proposta da ‘un intelletto, in cui minor dell’ audacia non era; chi potrebbe negarlo ? la vigoria. « M°'è noto, nutrire alcuni speculativi questa opinione, che, quale il modo sia di curare, la mortalità non iscema per ciò, o non cresce: che, sebbene regnino modi diversi secondo i tempi, i risultamenti sono a un bel circa gli stessi, conforme dai re- gistri s'impara: che la stessa inoculazione sì del vaiuolo naturale, sì del vaccino, non pare aver cagionato, o dover cagionare gran differenza: che gran differenza non appariria nè tampoco, ove si bandissero i medicanti , all’ esempio di Roma, che seicento anni ne restò senza , stante che se dall’una parte morrebbero alcuni per mancanza di soccorso , altri dall’ altra , che il soc- corso involontariamente uccide , risanerebbero . Laonde con- chiudono , esiger morte , e ottenere d’ una, o d’ altra guisa , e quali ostacoli vi si frappongano , un numero destinato di vittime , ed esser questa una legge occulta, e tremenda del nostro mondo. Viceversa fu più volte, dicono ancora , osser= vato , che per lunghe e sanguinose guerre in alcun paese , 0 per malvage ed ostinate infezioni, la popolazione non dimi- nuì : come se quella forza nascosta, che si chiama natura , avesse mezzi di riparazione, e di compenso fortissimi, che noi punto non conosciamo. Ma ciò lasciando, io risponderei ai sud- detti speculativi, che i metodi, fuor del caso d’ una subita ebbrezza, che poco dura, si disferenziano da un tempo all’ al- tro men, che non pare; che vi son rimedi , rispetto ai quali egli è indifferente, che 1’ uno sia più in voga dell’ altro ; e che molti medici troverai, i quali, benchè ne’ ragionamenti , e ne’ libri loro , si mostrino teneri di certi sistemi , tuttavol- ta , quando ricettano , dall’ uso non s’ allontanan gran fatto da’ lor, venerandi predecessori . Quanto poi al bando da darsi ai professori dell’ arte salutare , io per verità anzi, che un poco avveduto , niuno bramerei averne ; ma più presto , che niuno , un medico mi piacerebbe al mio letto , che più solle- cito fosse d’ osservar tutto, che di tutto spiegare; che non solo sapesse , occorrendo , ir prontamente al riparo, ma eziandio, ponderata ogni cosa , indugiarsi; che talvolta non si vergo- gnasse di nulla operare, e non invidiasse alle affezioni morbose il merito di curarsi , come fan sovente, da sè : in una parola I. ARAII: Otdodre. VI 50 », un medico Targa. Finalmente, ove si parli di quella legge oc- »» culta , e tremenda del nostro Mondo , io vorrei vedere se, >» quando gli uomini si desser meno alla voluttà , all’ intempe- » ranza , all’infingardaggine, alla collera, alla tristezza, all’am- »» bizione , all’ invidia , a tutte le passioni , la medesima strage »» continuasse : chè certo il mal fisico è le più volte figlio del 3» morale , e per la trista union di ambidne io penso scrivesse >> Ippocrate quelle parole notabilissime, che 9A06 &vIpwros v8r06, »; che 7’ uomo intiero è una malattia. È vero, che le infermità, », entrate una volta ne” corpi , si trasfondon dagli uni negli al- » tri per molte generazioni , sicchè 1’ uom porta non di rado la »» pena d’un eccesso un secolo e più perpetrato innanzi: ma il >» tempo correggerebbe a poco a poco questo disordine, e non ri- »» marrian quasi per cagioni di morte, che gli accidenti fortuiti, le » cadute, i naufragi, gli incendi, e alcuna fiata la stesse nobili \»» azioni , perchè tanto 1’ un può morire per salvare il suo simi= 3» le, quanto l’ altro per assassinarlo; e al fine rimarria la insa- », nabile decrepitezza. In tali circostanze ; che desiderar si pos », sono. più, che sperare, i professori, molti de’quali sono uomini », ingegnosi e scienziati, io non bandirei: ma, come medicatori, so sarebber forse di più nella società ,,. Elogio di L. Targa. » Ni Dei sistemi medici. “ Possa l’esempio del Targa serbare in quelli , che il seguono, 3, e insinuare negli altri, che ne van lungi, l’uso, e anche »» parco , de’ rimedi più semplici , e 1’ arte d’ ingannar l’infermo, ») che spesso domanda lattovari, confezioni , sciloppi, e simili galanterie , e disprezza il medico , che non iscrive, quasi che scrivere non sapesse. Possa sopra tutto sbandir l’ amor de’ si- stemi , o almen fare, che coloro, che ne carezzano alcuno , il »» lascino alla porta, quando nella stanza entrano del malato , », e all’ uscirne il riprendano , se lor piace. Vero è, che la teoria di Brown quelli eziandio , che più n’eran caldi, 1’ abbando- narono : ma vero è altresì, che dalla medesima un’altra ne nacque , al cui apparire nel mondo, O matre pulchra filia pulchrior , molti, io credo , ad alta voce avran detto , o taci- tamente. Videsi allora una maraviglia grandissima ; e delle più incredibili senza dubbio: impercioechè le malattie , che prima tutte quasi erano asteniche, cioè di debolezza per diminuito ,» eccitamento , steniche detto fatto la più parte divennero , o sia »» di forza per eccitamento aumentato; e però dove prima davasi be) 23 23 23 bb) 29 23 23 29 2) 5I mano agli stimolanti, ed ai tonici , secondo ch’ io, parlando di Brown , già toccai, or si dà ai controstimolariti, e deprimenti, come li chiamano, alla digitale purpurea , all’ atropa bella don- na , al lauro ceraso, alla noce vomica , e a molti altri veleni o nostrali, o forestieri, ed anche a tutti gli amari, al ferro, e ad altri minerali, che di corroborariti, ché furon sempre , debilitanti improvvisamente si fecero, per tacer de’ salassi il cui numero, massime in alcune città , stanca le lancette. Con- verrà dire per tanto, che la natura dell’ uomo siasi da un momento all’ altro cangiata, benchè possano alcuni a questo mio detto trasecolare. Clie so io? Parmi, che a mutare or si pensi la letteratura, o sia l’oratoria , e la poesia, che rie son le parti principali, e su la natura certamente si fondano . Se ‘avvisano adunque, che si debban mutare, avviseranno altresì, che la natura dell’uomo; su la quale si fondano, abbia sof- ferto una mutazione ; e, per modo d’ esempio , non esser più necessario , che nella varietà regni l’ unità, in che un giorno credeasi bonariamente star la bellezza. Volete voi vedere, se alcuni della mutazione suddetta van persuasi? Ora, dicono, ab- biam bisogno del vero. Come? Non sentì sempre l’uomo' questo bisogno ? Non cercò sempre la verità ? E quando trovò l’ er- rore , la verità non cercava forse? E questa verità non ascon- desi ella per entro alle stesse favole ? Concedo che la religione, il governo, i costumi, tina maggiore , o minor civiltà , e al- tre circostanze, influiscono su la sciolta, e la legata eloquenza, e però Cicerone non è Demostene , Virgilio non è Omero : ma l’arte, quanto all’ essenza sua, è ne’ due oratori, e ne’ due poeti, la stessa, e la stessa rimane ne’ primari oratori, e poeti, che posteriormente fiorirono. Non altrimenti la terapeutica ri- cevette, 0 riceverà, secondo i tempi, e i paesi alcune modifi- cazioni, ma rimarrà ne’ principj suoi la medesima , quale Ip- pocrate la stabilì, e quale non si vergognarono di maneggiarla i maestri più solenni in ogni tempo, e in ogni paese. La na- tura bene osservata: sì fisicamente, sì moralmente, indicò i veri precetti, come in ordine alle belle arti, così rispetto al- l’ arte salutare ; e i precetti sono in questa non men , che in quelle ,.invariabili , perchè invariabile, nè alcuno negare il può , è la natura ;y- Ibid. In fine. Studio delle lingue straniere e degli autori di tutti i secoli. € + «+ + Si può dunque conoscere le lingue straniere , senza » discapitar nella propria , ove in questa s’ abbia studiato prima: »».di che penano a persuadersi certi amanti troppo fedeli della », patria favella , che non toccherebbero per cosa del mondo un > libro di Francia , o Inghilterra, e che per tal modo confessan » quasi di posseder male ciò , che temon di perdere sì facilmente. »» Vi son poi degli altri, che sprezzano per soverchia dilicatezza », un autore, quando del secolo d’ Augusto non sià ; e da questi », altresì discordava il Torelli, che nella sua edizione del Psex- », dolo non dubitò di chiamar gran poeta Stazio, cui Dante ebbe >» In tanto pregio , che lo fece sua scorta dopo Virgilio. Io ag- »» giungerei, che d’ un poeta grande insegnano ancora i difetti. 3, E però non si metta in man de’ giovani, se si vuole, altro , che », l'oro Augustano: ma perchè, giunto a una certa età , dovrà s» l’uomo ..la soddisfazione invidiarsi di esaminar ciò , che ogni », secolo partorì di più ragguardevole , notar gli autori differeuti , », contrapporne le invenzioni , e gli stili, e, filosofandovi sopra, »» la sua critica perfezionare , e il suo gusto ? ,,. Elogio di G. To- relli. É malagevole il dar giudizio fra V Italia e la Francia in fatto di poesia e d’ eloquenza. « . +. + I Francesi, quando bene si confessassero inferiori 3, a noi nella poesia, non so, se farebber lo stesso in ordine al- 39 l’eloquenza. Chi giudicherà ? La Francia , o l'Italia ? Nè l’una, sì nè l’altra, perchè o luna, o l’altra sarebbe giudice, e parte. s» Queste gare tra nazione e nazione sono un viluppo grande , e da »» non uscirne sì agevolmente. Se un popolo abbia matematici , a- 5, stronomi, chimici, o ministri di stato , e generali d’ armata più »» prestanti d’ un altro, non sarà così arduo il determinare ; e i s» due popoli potran forse convenire tra loro. Lo stesso avverrà ss per riguardo ai pittori , scultori, e a quanti lavorano nella ma= ss teria. Ma dove si tratta di mera letteratura , il caso è diverso: attesochè le scritture non parlano una lingua ugualmente co- mune a tutti, come le statue; ed in oltre le opere di mera let- teratura rappresentano in certo modo la nazione, in cui nacque- ro, è l’esiger che l'una agli scritti suoi, che le son come uno specchio, in cui sè medesima vede , preferisca quelli d’ un’ al- 53 », tra, è quasi un esiger che ami, cosa troppo forte , più un” altra, ,; che sè medesima ,,. Elogio di Filippo Rosa Morando. A questi passi noi aggiungeremmo volentieri anche i paralleli tra il Maffei ed il Muratori, tra lo Spolverini e 1° Alamanni; il dotto esame della Verona Illustrata ; quanto egli dice del: vero e. del reale poetico nell’ elogio del Tirabosco ; e sull’ imitazione , ed intorno all’ errore del perfezionamento progressivo dell’ arti belle, nell’ elogio del Pompei; e cento altri' passi, se non fossero alcuni troppo lunghi per questo luogo , ed altri brevissimi ; e.tali, che mal soffrono di esser levati dal contesto ; Lane lampi, che si di- sperdon per l’ aere. L’ elogio del Targa ; quello del Torelli, e. quello del P. da San Martino, hanno il pregio non comune in Italia di tratta- re con chiarezza ed eleganza le materie ritrose delle scienze 5 e bene avverasi nel nostro autore quanto insegnano. Cicerone e Quintiliano , cioè che. il valente oratore, e forse meglio il valente scrittore , vanno ad attignere in tutte le umane discipline. Si narra che l’ egregio Thomas accostumasse di studiare a fondo, innanzi di porsi al lavoro, le facoltà in cui eransi, segnalati que’ valentuo- mini , ch'egli volea farci conoscere. Tale noi crediamo veramente. che sia stato il costume del cav. Pindemonte, conciosiachè ila maestria e franchezza con! cui svolge ogni cosa , che a’ suoi lodati appartiene, ce lo fanno ben credere. Egli poi avviva ed illumina le sue narrazioni e le sue dottrine di quelle comparazioni, e di quelle altre figure bene appropriate e .vaghissime ,;;che animano la poe- sia di Virgilio; e fa inoltre circolare per tutto una vena. di af- fetto, che quasi mai non inaridisce ., giacchè l’uomo che ha cuor sensitivo e gentile non può fare che non ne versi una stilla ezian- dio là dove altri meno si aspetterebbe, e talvolta pure senza ch’ egli medesimo se’ n° avvegga .. . Una pianta straniera ( così » egli parla del tabacco) divulgata prima sotto il nome di Nico- » ziana , o d’ erba della Regina, poi sotto quel di Tabacco, due 3, secoli fa nota appena, e negletta, da molti Sovrani proscritta », in Europa ;, e fuori, ed all’ uomo, di cui deturpa la faccia , 33 più assai dannosa , che utile , per varie ragioni riconosciuta , 3, salì nondimeno col tempo in pregio sì grande universalmente, », ed ora tra i bisogni immaginari , o. piaceri artifiziali, che di- »» cansi , tiene un tal posto, che non, v’ ha esempio forse più 33 luminoso d’ una usurpata riputazione ,, 0 d’ una fortuna non » meritata ;). . « «+ |S6.Egli andava crescendo a modo di quelle 3» piante , che son di fibra tanto più forte , quanto crescono , e 55 s’ infrondano più lentamente ,, . +... ° Conveniva pensar d’un 54 3» mezzo con cui ammaestrare i contadini così radicati nelle an- », tiche loro abitudini, che non sono più nel terreno le querce, »» € gli.olmi, tra i quali vivono ,,. ... Gli alberi son troppo >> vicini un dell’altro, non senza lamento delle sottoposte pian- » te; che defraudate rimangono-in parte della cara luce sola- o Te sy» — Elogio del P. da San Martino. Ora chi sarà mai, dopo quanto s'è quì da noi citato , che s’ attenti di dire, che in questi elogi si desideri 1’ eloquenza , quell” eloquenza , s° intende , che il genere comporta ? Concetti alti , nuovi , filosofici; pitture di costumi, narrazioni e digres- sioni opportune e sollazzevoli, discussioni piene di buon gusto e di sana e libera critica, calde e frequenti allusioni ai tempi at- tuali , affetti varii ; figure vive e bene appropriate , eleganza e forza di stile , e che altro richiede la vera eloquenza ?_ E. se a taluno rimanesse ancora. nell’ animo qualche dubbiezza , eccogli l’ epilogo dell’ elogio del P. da San Martino ; che di gran parte dei sopramentovati pregi, se noi non c’ inganniamo a partito; ri- splende: « Ma quantunque stata sia per noi la carriera sua troppo ss breve; non so; se non sarebbe stata soverchia per lui, e non 3; punto desiderabile, una più lunga carriera. Visse, è vero, ab- > bastanza; per esser testimonio di molti mali, e veder disseccate », in parte quelle sorgenti di nazionale ricchezza, alle quali 3 consecrato avea tanti studii. Ma testimonio non fu di quanto. », avvenne subito dopo la morte sua , quando più fatale ci riuscì »> forse una guerra di pochi giorni, che quella non ci tornò di »» parecchi anni: non vide due nemici eserciti passar l’ un dopo »» 1 altro su i campi stessi , e l’ un devastar ciò , che potè all’ altro » sfuggire: non udì tra le tenebre della notte misti ai. gemiti », ed alle grida de’ fuggitivi coloni i colpi di quelle scuri; che », degli alberi ancor più utili spogliavano le campagne, e con »» quelli la speme ancora de’ futuri dì recidevano. Nè gran con- o forto avrebbe poi destato in lui quella pace, che appena un »» poco d’ ulivo mostrare ardiva, mentre con l’ armi in mano pur s, rimaneano nazioni così potenti, e finchè, quantunque la terra ss cominciasse ad esser tranquilla , pieno tuttavia di guerra e non s, men dall’ ire degli uomini, che da quelle de’ venti, turbato », veniva il mare. Felice te dunque, che tosto al soggiorno della » vera pace salisti, di quella, che nè l’ ambizion de’ mortali , nè »» l’ avarizia , nè l’ odio, nè la vendetta giunge mai ad interrom- »» pere ! Felice , che potesti subito contemplare. nella sua divina ,; sorgente quel vero, di cui andasti in traccia tra noi con ansietà 3» sì lodevole , scorgere quelle cagioni ; alle quali ti studiasti per 95 »» la scala degli scoperti effetti con tant'alacrità di montare, e »» soddisfare ancor meglio a quel desiderio:, che ‘ti scaldò tanto » tra gli nomini , al desiderio bellissimo di beneficarli! Io spero, » che nella faccia di quell’ Ente sommo, in cui tutto vedi , vedrai pure, anima santa e Dbeata, questi pochi fiori da me sparsi su » quell’umile pietra, che le spoglie cuopre già tue, e ch’ esser »» dee così nuda, quando i monumenti più grandi, e per incisà »» lode più ragguardevoli, si veggono spesso innalzati ai nemici », dell'umanità, e ai distrattori del mondo ,,» Non so in qual parte iv abbiami letto essere stato costume di alcuni oratori sì sacri, sì profani di apprestarsi una selva di lnoghi commi, di esordi, e di epiloghi, di perorazioni e de- serizioni , di argomenti d’ ogni maniera , onde averla pronta al bi- sogno ; nè lo stesso gran Tullio essere stato alieno da costume sì fatto. Erano queste, come disse taluno, tante selle da cavallo, che in qualunque dosso si adattavano. Andrebbe per altro ben lunge dal vero chi sospettasse un momento che il nostro auto- re abbia quel costume seguito. Di fatti, e chi non vede come ciasenna parte del suo discorso è legata coll’ altra, ciascuna na- sce dall’ altra, ed infino le sue digressioni medesime escono naturalmente dall’ argomento , ed all’ argomento rientrano? Tra- scorrasi per tutti snoi esordii , per tutt’ i suoi epiloghi , e poi mi si dica se ad alcuno basterebbe l’ animo di tramutarli da uno ad altro componimento ? Anzi alenni sono talmente inerenti al soggetto , che senza di quello sembrar potrebbono per avventura gratuite asserzioni, quando con quello giusti ragionamenti , e sane dottrine appariscono. Nvi, per es. sarenuno tentati di dissentire ;dall’ illustre autore, là dove egli benedice (ved. 1’ introduzione all’ elogio di G. B. da San Martino ) quelle arti ed i loro cultori, che si studiano di accrescere gli agi ed i commodi della vita, mentre noi stimiamo , che il procacciar di accrescere tali commodi, quando le nazioni son già salite ed un certo grado di civiltà, è un voler accrescere i nostri bisugni fittizi, e così renderci più viziosi, e meno felici. L’amore ai commodi della vita genera l’amo- re del danaro, il solo mezzo onde si procaccian que’ comodi, e quindi il lusso , e quella corruzione de’ costumi , ch” è la necessa- ria conseguenza di lui, e finalmente quella freddezza verso il ben essere universale della nazione, e quella smania quell’ ardente passione verso il ben essere privato e inlividuale, ch’ è la vera peste dei popoli, ed il più efficace strumento della Tirannide. Per la qual cosa io riputerò sempre un uomo pregindizievole al vero progresso , ed alla felicità vera dell’ umana generazione colui, che 56 co’ suoi trovati accresce gli agi ed i comodi, e quindi i bisogni, e le noie , e le corruzioni della vita. Vero cittadino , vero amico degli momini sarebbe colui, ch’ educasse i suoi nazionali a compiangere, anzichè invidiare que’fpopoli, che sono maestri nelle arti del lusso, ed a dire come quel filosofo, aggirandosi pei loro mercati, o” quante cose di cui io so far senza! Il gran generale Arnold tradi la sua patria, per amore appunto del lusso ; e vendè , per quanto stava în lui, alla nemica Inghilterra la indipendenza americana. Ma gli esempi sono infiniti , e noti a tutti , senza che vi sia d’ wopo di qui recarli. Pure quando il nostro autore prende quindi oecasione di lodare il P. da San Martino , e ledalo ancora più pel suo subli- me disinteresse che per le industrie del suo ingegno , noi troviamo Ja lode sì bella e sì ben meritata , che quasi dimentichiamo que gl’ inconvenienti , che da quelle arti procedono. Odasi ora com’egli a ciò si fa strada. Dopo aver benedette quelle arti, e ringraziatine i loro eultori, e detto altresì, che quelle cose che utili tornano agli altri , tornano per altro utili ancora a chi le inventò: « Ma ,3 che direbbesi , egli aggiunge , di colui, che , passando volonta- ,, riamente i suoi giorni nell’ austerità, e nella privazion quasi :3 totale di quanto i sensi lusinga , pur si studiasse di accrescere », e méltiplicare i piaceri onesti degli uomini; che s’ occupasse », nel farli più doviziosi, benchè consapevole di non dovere uscir » mai della povertà ; che s’ ingegnasse di abbellire un soggiorno, 33 di cui egli non gode, che parchissimamente ?. Non meriterebbe 3 forse d’ esser rassomigliato a un celeste spirito, che la terra s degnasse abitare, promovendo tra noi quella felicità , che non s» priò per la diversa natura sua divider con noi, e però altro »3 compenso meù ricevendo, che la nobile compiacenza di porre in », miglior condizione , che nol trovò , il nostro Mondo ? Tale agli », occhi miei si presenta Giovambatista da S. Martino , ec. ,,. Fra tanti passi citati o allegati finora non si troverà nes- suno che sia tratto dagli elogi del Gozzi e dello Spolverini, i quali noi stimiamo di dover distinguere dagli altri, come quelli che ci sembrano singolarmente due monumenti insigni di stile e di critica. Nè alcuno si maravigli , che noi non annoveria- mo per terzo il laboriosissimo elogio del gran Maffei, concio- siachè ivi a noi pare che il nostro autore siasi lasciato sedurre alla grandezza del suo soggetto, a segno di credersi obbligato di dover ragionare minutissimamente sopra tutte quante le opere piccole e grandi del suo illustre concittadino: dal che ne av- venne ; ch’ egli, discorrendo per gran folla di scritture, e so- pra ciascuna dimorando più che non era mestieri alla gloria di 214 lui, non potè sempre le osservazioni , i trapassi, ed il tuono e color del suo stile variare, e quindi necessariamente ne nac- que talvolta una monotonia, ed un po'di torpore, che pene- rrano tratto tratto nell’ animo di chi legge: e ben sembra averlo presentito il senso delicato dell’ autor nostro, quando ei finisce con queste ultime parole: ed i0 abuso, allungando questo elo- gio soverchiamente , la pazienza cortese de’ miei lettori. L’uso poi da lui preso di sfuggire le note, e di porre qualunque no- tizia , e qualunque documento nel corpo dell’ elogio , e nella sua lingua originale , rende scabrosa e quasi a mosaico la tela del discorso , e pregiudica a quella finezza ed eleganza di stile, ed armonia delle parti, tutte proprie del nostro autore. Egli pub- hlicò nella sua gioventù un altro elogio del Maffei , da lui cor- redato di note curiose e importanti, le quali furono quasi tutte rifuse e sparse nel contesto in questa nuova edizione , o nnovo elogio che vogliam dirlo. Noi questa yolta la sentiamo come il giovane cav. Pindemonte, e vorremmo veder riprodotto in que- sto dottissimo componimento l’ ordine primiero , se non le parole e le sentenze medesime. In ogni modo , sarà sempre utile e pre- ziosa un’ opera simile , come quella, che , oltre i passi e le os- servazioni importanti di cui fatto abbiamo menzione , abbraccia una quantità grande di utili e peregrine notizie intorno al seco- lo XVIII, e ad uno de’ suoi più grandi uomini , e perciò anco- ra che ogni diligenza adopera, e con felice riuscita, a porre nel pieno lor lume i tanti benemeriti , ed il valore reale d’ un uo- mo sì fatto. Nè noi temiamo che sappia dura all’illustre autore la nostra franchezza a proferire intorno a ciò la nostra qualun- que siasi opinione , nella. quale noi cercato abbiamo di appros- simarci, quanto stava in noi, a quel modello dell’ottimo Gior- nalis ta, ch’ egli ci tratteggiò con tanto senno in queste parole, dicendo che un intelletto non ordinario si richiede in lui fuor >> di dubbio (e da ciò noi ci veggiamo ben lontani pur troppo !) 3» ma che nulla vale la dottrina ; e il giudicio senza la virtù, »» ed il candore; ch’ egli dee, mentre scrive, non aver, per » quanto è possibile , nè patria, nè parenti, nè amici, o ne- 3, mici ; che il primo suo scopo non sarà di piantar nelle menti », un concetto grande del proprio criterio , abbassando gli an- sì tori più accreditati, e i meno accreditati innalzando ; ehe non s; si terrà dal lodare , o biasimare un antore, perchè di tal bia- »» simo ; 0 lode,, offenderebbesi un altro o più irritabile , o più » potente; che non darà nell’assurdo di favellare a lungo dell’ope- >, re men pregevoli, e le più importanti, e gradite , nè regi- T. XXXII. Ottobre. 8 $5 » strar pure ; e finalmente , che parer non gli farà più , o men »» bella un’ idea , o un’ espressione, il convenire , o il dissentire »» da lui nelle credenze politiche , e religiose; dalle quati tutte » cose vedrebbesi, che non si disapproverebbe l’ adoperar giu- ,» stamente così le censure , gome gli encomii, condizion neces- ;; saria, per non mancare al principale suo uffizio, ch'è di pro- » muovere la critica nella sua nazione ed il gusto. ,, Elogio del Maffei. Per la qual cosa ci sarà lecito di notare altresì una frase,, che incontrammo presso più d’ un autore veneziano moderno , ed ultimamente presso il nostro eziandio. Abitare su Ze salse onde, a solamente su Ze salse, per contrassegnare Venezia , pare mi un modo di dire poco lodevole siccome quello , che non può essere inteso fuorchè dai veneziawi. Oltre di che , altri potrebbe credere ancora , che con tal modo intendasi favellar di coloro, , i quali vivono su le navi, a cui sarebbe per avventura meglio egiroiiai che agli abitangi di Venezia. Ora tornando ai due elogi sopralodati , e cominciando da quello di Giovambatista Spolverini, che viene il primo, e ch° è il più bello di tutti; osservate come da capo a fondo lo stile vi è puro , evidente , ed elegantissimo ; osservate qual buon gu- sto , e qual finezza di critica, e qual filosofia luminosa spira in tutte le sue sentenze, in tutte le sue dottrine , nuove non di rado e tutte originali dell’ autore , ma sempre vere, e tratte dalla natura delle cose , e fondate sulle inconcusse ragioni del- Y arte. Il marchese Spolverini dovea riuscire un valent’ nomo e pei tempi in cui nacque , e per l’ educazion ricevuta , e perchè di condizione independente ed illustre : “ Perduto avean già la », riputazione i concetti lambiccati , le acutezze, e le punte, ss che per un secolo intero avean dominato ;° e quando egli co- ») Tainciò a pensare, ed a scrivere , tanto più sano e più se- », vero era il gusto, quanto più recente ancora e più giovane so la riforma. Bologna poi, oltre } eleganza domestica delle Ge- ss suitiche scuole , non solo albergava le scienze tutte , ma con- 33 ferì molto alla riforma suddetta ; poichè la famosa Canzone , »» che nell’ aprirsi del nuovo secolo il Manfredi pubblicò per >» la Vandi, fu quasi un raggio di pura luce tra Y ombre non », ancor dileguate affatto di quella barbarie d’ artifizio , che ss della stessa barbarie di natura è più difficile a vincersi. Ed 3, io so bene che possa , anco a dispetto delle circostanze con- s) trarie , una felice indole , qual sortilla lo Spolverini. Tutta- », via non vorrei riposàrmivi tanto , ch'io non facessi gran Sa 5. ) sy conto , massimamente nelle belle lettere, della disciplina 3 »» cioè d’ un latte rispetto alle medesime () buono, o reo, che s, in succo e sangue convértesi; ove nelle scienze può dirsi »» una spezie di cibo, clie non si assimila veramente, e però 33 Gi lascia d’ una nuova instituzione , se dobbiam riceverla, più » Capaci ,;. Lo Spolverini non mostravasi tanto atto ai brevi compo- nimenti, quanto 4i lunghi: “ Se v° ha di quelli, cui riescon s» bene i componimenti brevi, e che indarno i lunghi intra- ss prenterebbero ; v’ ha di coloro altresì, che fatti per le opere so grandi; felici ugualmente non si mostrano nelle picciole . Sembrano abbisognare , a muoversi comodamente, d’un gran- de spazio è come l’ aquila, che vola sopra le nubi, e rade la terra con un’ala men rapida, che la rondine. Sentiva ei pure questo illustre bisogno , e già qualche cosa di alto ») rivolgea in mente: tanto più, che ignorar non potea , co- me da chi coltiva le lettere per diletto , non altrimenti che » da un volontario nella milizia, gli uomini rettamente pen- »; santi esigono più , che non da chi trae da quelle il sostenta- » mento. Perchè , oltre gli aiuti, che dalla ricchezza, dall’edu- sy cazione ; dalla conversazione derivano, conserva il primo so quella felice independenza s di cui non gode il secondo , e sy senza cui l’ uomo difficilmente 0 non avvilisce , o non me- sy noma almeno; se stesso ,,. Lo Spolverini, amantissimo della campagna , volle com- porre un poema che ad essa si riferisse, e prese un soggetto non ancora trattato , e lo svolsee adsinollo in guisa che non iscordossi. giammai, come sogliono fare altri poeti didascalici , il suo bel ministero di poeta, ch'è di render amene co’ fiori della fantasia, e scaldare del soffio degli affetti anche le più aride e fredde provincie delle scienze; nè si creda che tali poemi, per- chè detti didascalici, non abbiano per loro scopo il diletto, che a ciò appunto , checchè se ne sia pensato findrà , èssi mirano principalmente , e più ancora che gli altri generi di poesia. Or odasi coine: il cav. Pindemonte si fa a stabilire la sua nuova dot- trina, dando quasi vista di attribuirla al suo Spolverini. “ Ben- Di chè l’autore , egli dice , conoscesse a fondo la sua materia , »» Scorgesi tuttavia , che prima esser volle poeta, e poi agrico]- ss tore. Reputava egli contrario alla ragione d’un’arte il renderla », serva di qualche altra facoltà , o disciplina ; parendogli , che »» l’artefice allora uscisse fuor della propria, e un’arte straniera ss andasse, quasi non accorgendosene , ad esercitare. Così ado- >) 60 peran tutti coloro, che, stando intorno a una scienza, ne par- lano , eccetto il metro, di quella stessa maniera, che suole il prosator grave e tranquillo ; ma del solo metro non forman- dosi poesia , coloro si traggon di capo volontariamente l’allo- ro, e son botanici , chimici, astronomi in versi, poeti non sono. Tra le nuove opinioni, che nel Mondo letterario levano il capo di tempo in tempo , brutta fu quella , che indarno si volle con un passo male interpretato d’ Aristotele rimbellire , cioè potersi dar puesia senza metro : ma più deforme ancora mi sembra l’altra, che il solo metro possa formar poesia. Poe- mi a questo modo sarebbero altresì i precetti di grammatica , e i sommari di geografia , che si mettono in versi , affinchè nella memoria de’ fanciulli meglio s’impiantino; a quella guisa che anticamente si fece della religione; delle leggi, ed ezian- dio della scienza più astrnsa } quando nnlla d’importante alla semplice prosa per anco si consegnava. Che se Orazio venne, tuttochè di rimbalzo , a collocar tra i poeti Empedocle, il sud- detto Aristotele non gli assegnò altro luogo, che fra i fisiologi. Cantore nella Teogoria, non è Esiodo, che un agricoltore nel suo lavoro intorno alla villa. E quantunque Lucrezio salga sul Par- naso con gli episodi, nondimeno , perchè nella trattazione ri- mane abbasso, di poca luce d’ ingegno parve sparso il poema suo a Cicerone. Poeta , dir mi sembra lo Spolverini, è colui, che tutto vede , concepisce , dichiara poeticamente , che la scienza medesima veste d’ un corpo , la colora , l’ atteggia, e d’immagini l’ orna, e d' affetti, non che d’armonia; ed a cui ciò ancora non basta, ove tratto tratto non iscappi in digres- sioni, saltando fuori dell’ argomento , e al più vivo estro, che il prende, non obbedisca. Se nel tempo medesimo mostrasi ricco di belle e recondite cognizioni, salirà presso molti in maggiore stima: ma, poeta com'è, dovrà risplendere per quelle gemme massimamente , che proprie sono dell’ arte sna. Queste, o simili cose dicendo per avventura , il mostro autore parlava già di se stesso; conforme che avvenne a Tullio , ed al Castiglione, quando la forma descrissero quegli dell’ oratore ottimo, questi dell’ottimo cortigiano. Sarà dunque fine di questi poemi , benchè didascalici si chiamino , il diletto , e non già l’ ammaestramento, come vuolsi comunemente. Perciocchè se lo scrittore dee colorire , animare , illuminar tutto, e servirsi d’ un parlar figurato , che spesso mal può accordarsi con la precision filosofica (ond’ebbe a dire quel gran maestro delle cose rustiche Filippo Re, che la poesia sfigura nelle Georgiche di 6i Virgilio , 0 rende men vera qualche regola, o qualche futto , il che più ancora di altri poemi didattici dir si potrebbe); se quelle parti, che lo scrittore non si confida di ornare abba- stanza , 0 gli conviene lasciarle affatto , o solo toccarle, quan- ‘ tunque importanti; se non. curerà quella partizione severa , e quell’ ordine religioso è che tanto si rigercano ‘in un trattato prosastico, ma che ne’ versi indurrebbero uniformità , è fred- dezza; e se talvolta , in vece di cercar pazientemente la ca- gione di alcun fenomeno, si farà tosto a spiegarlo con una fa- vola, o con qualche invenzione sua , o altro artifizio suo pro- prio ; con qual coscienza, potremo: noi ,affermare , che ‘abbia per fine 1’ ammaestramento,P_Ed io già non sostengo, che nulla s'impari in tali opere: sostengo ,.che: tanto, è lungi , che un lettore possa addottrinarsi in ciò , di cui. trattano, che poco anzi le intenderà, se in ciò, di cui trattano , non si sarà; ad= dottrinato prima. E scarso diletto eziandio ne trarrà. Concio- siachè come potrebb’ egli ammirar la difficoltà, che lo scrit- tore valorosamente vinse , in vestir gli oggetti., se questi .0g- getti medesimi e’non ha prima nella lor nativa nudità , co- noscinti ?_ Tutto ciò posto ; io veramente non so vedere , per- che didascaliche , cioè instruttive, si chiamino tali opere, quan- do assai meno insegnano di alcune altre ,, cui non dassi un no- me così superbo ; dell’ epiche per cagion . d’ esempio , e delle drammatiche , che, dipingendo la. virtù, e il vizio , le azioni belle ; e le turpi, e tutta la vita umana , quasiin uno spec- chio , parandoti innanzi , s’ aggirano intorno a cose , le qua- li, oltre che sono ancora più utili, di tal natura sono, che a gustarle ; non che! ad intenderle, non è punto necessario uno studio anteriore. Aggiungasi, che non variando le passioni, e i doveri dell’ uomo; chi ne parla, in qualunque tempo seri- va, scrive per tutti i tempi: ciò, di cui non possono assicu- rarsi coloro , che in man prendono materie scientifiche , col- pa della varietà de’sistemi, alla quale, spezialmente nella, fisi- ca, quelle materie vanno soggette. Ma non saran dunque utili i poemi didascalici ? Saranno: prima perchè utile chiamar, si dee tutto quello, che produce un piacere onesto j e poi perchè se anche uno scherzo non è letto ; ove bello sia , senza frutto , con molto più frutto si leggerà un componimento grave, in cui si trat- ta di cose d’uso non picciolo nella vita, e più rilevanti, che non è il trasportamento d’un littorile, o il rapimento d’ una secchia, o d’ un riccio. Parmi per tanto, che siccome si potrà dire, che i poemi epico , e drammatico insegnano ; o insegnar deggiono, 64 »» dilettando , al contrario dir si potrà del poema didascafico 4 5, che; insegnando , diletta ; o sia, che dove quelli han per fine so l’ insegnamento , e per mezzo il diletto, questo ha il diletto »» per fine , e per mezzo l’ insegnamento. Ma d’ un altro van- »» taggio appresso sarà cagione , mercecchè avrà il potere di ecci- », tar gli uomini all’ acquisto di qualche scienza, o arte prege- 3» vole ; e ben mostrò d’ accorgersene il celebre Mecenate, quan- 33 do a cantare l’apricoltara; di cui volea riaccendere ne’ Roma- sì ni l’ amore , invitò il più dotto é soave cigno, che s’ udisse ,, allora nel Mondo. 4; ‘ Il nostro autore ‘fa poscià un diffuso e finissimo esame della Coltivazione del riso', spargendo qua e là , secondo l’occasione ; i più utili e non vulgari avvertimenti sulla natura del poema didascalico , ‘sull’ arte poetica , sul magistero dello stile, ec. sen- za che vi manchino a quando a quando quelle nozioni morali ; che costituiscono 1’ anima ; e quasi l’ essenza della vera poesia. Il qual esame andrebbe letto e studiato attentamente dai nostri Giornalisti italiani, onde imparassero una volta il vero modo di fat conoscere altrui lè ess de’valenti scrittori, e si persuades- sero finalmente che ur’ alidace gioventà ed inesperta , benchè vnita con un ingegno peregririo , @ la conoscenza di tre o quat- fro illustri e forse non illustri contemporanei ; e di tre o quat- tro città d’ un gran paese $ non bastano a farci sedere pro tri bunali, e a spacciar sentenze sullo stato della letteratura nazio- nale, è su gli autori'passati o presenti, che la fecero, o la fanno fiorire. Noi, chè non possiamo dimorar tanto quanto vorremmo, e quanto il meriterebbe 1’ argomento , su i pregi di questo elo- gio ; ci contenteremo di raccomandare ai lettori, dopo tante al- tre cose‘, da noi menzionate in parte, quell’importantissimo passo sopra gli ornamenti del poema didascalico , le digressioni , l’uso della mitologia , e sopra alcune opinioni del Batteux e del Mar- montel confutate ; e qtiella narrazione singolarmente affettuosa e moralissima, in cui ci si rappresenta lo Spolverini in seno alla sua famiglia , tenero sopra modo de’ suoi figliuoli , ch’ egli cere- sceva con somma cura; e la perdita de’quali recava inestimabile afflizione all’ animo suo: Perchè qual maggior diletto , dice leg- giadramente il nostro autore; che riszare il pensiero ancor tene- ro de’ suoi figliuoli, insegnare alle lor giovinette idee, se il dirlo m’ è lecito, a pullulare; spargere, quasi pioggetta benefica, V’in- struzione nelle lor menti , e introdurre negli animi loro il caldo raggio della virtù ? L’ introduzione all’ elogio di Gasparo Gozzi arresta a prima 63 giunta la nostra attenzione, ed è come la porta o la faceiata d’un bell’ edifizio del Palladio , o del Sanmicheli : “ Vi son di quel- bb) be) 5) 23 2) »b) 29 29 23 29 bl 2) 53 29 29 bb) bb) 5) 25 bb) be) 29 22 >») 29 bb) 25 23 29 b») 29 bb) 29 23 e li che parlano della corruzione del gusto con quell’aria di gra- vità, e di dolore, onde ragionerebbero della corruttela del costume , o della rovina dello Stato. Io non accrescerò il loro numero: ma confesserò, che dopo il bene operare viene il ben dire, e che se in conto grandissimo la purità della morale tener si dee, qualche pensiero è da prendersi della purità della lingua. Veggiamo in Virgilio, che Giunone, non potendo difender più i suoi Latini contra i Trojani, di nulla tanto si briga, quanto che nè mutino il lor vestimento, nè guastino la favella: del che Giove, pregatone, la compiace. Di fatti quella nazione, che non ha nè l’ uno , nè 1’ altra di proprio , appena che il nome non dime- riti di nazione : è, dirò così, senza fisonomia. L’Italia abban- donò il suo abito sin dalla fine del secolo decimoquinto, quando alcuni invaghirono chi dello spagnuolo, chi del francese, e al- tri del tedesco , nè mancò chi vestisse , scrive il. Castiglione nel secondo del Cortigiano , alla foggia de’Turchi; ma ritenne il linguaggio suo, che poi, verso il mezzo secolo decimotta- vo , cominciò a trasformare , gentilezza sembrandole ciò, ch'è, a detta di Tacito , una spezie di vassallaggio,. Se tanto fosse accaduto in un popolo d’ infelice indole , e rozzo , pur pure: ma in una gente, ch’ è la più antica di tutte l’ altre d’ Eu- ropa in materia d’ arti, di lettere , e di ripulimento , e che parlava una lingua ricca, varia, espressiva, pittoresca , ar- moniosa , son cinque secoli e più, mentre gli altri popoli bal- bettavano , pare una maraviglia. E pare una certa maraviglia eziandio , che molti fra noi aspirassero, senz’alcuno studio del loro idioma, alla lode dell’ eloquenza. Per verità Cicerone non vide,, come potesse saper dire chi non sa parlare, come orna- tamente spiegarsi chi non si spiega latinamente, e non dubitò d’ asserire , che costui ron solo non si può chiamarlo oratore, ma nè anche uomo. Così opinarono sempre i più savi; e così la intendeva il felice ingegno, di cui vorrei scrivere in modo, che almen non sia per quella trascuraggine, ch’io sin quì con- dannai , se non mi risponde bene la penna ,,. Gasparo Gozzi, come ognun dee sapere, è un elegantissimo forte scrittore , ed il suo panegirista sembra che abbia voluto emularlo. In fatti, lo stile di questo elogio è in tutte le sue parti perfetto : nè lo stile soltanto ivi splende, ma le osservazioni criti- tiche o morali , le sentenze , i concetti sono d’ una squisitezza, e d’ un’ aggiustatezza maravigliosa. Vuol egli ragionare del Mondo 64 Morale , e dell’ Osservatore , due delle più insigni opere del Gozzi? Osserva qual modo elegante e vivo egli adopra ?_« È una spezie di ” » 37 5? 35 bel 33 Pbi 35 23 >bi 2) be) 37 25 bei bb) 2 2) bb) 35 23 53 29 25 be) > 25 5 29 59 25 29 23 29 be) 23 dI 29 b2) romanzo allegorico , in cui egli espone, come la natura numana uscì di cammino, ed insegna l’ arte sottile, e non facile, di ravviarla. Certamente osservator finissimo appare de’ costumi degli uomini in tutti i suoi scritti, e segnatamente in que’ pe- riodici fogli , che appunto col titolo d’ Osservatore , a imitazione dello Spettatore , e d’ altre somiglianti opere di quell’ acuta e profonda nazione , ei metteva in luce; dopo aver già le sue forze con la Gazzetta Veneta , che precedetteli , sperimentate. E poi- chè mi venne fatta menzione dell’ Inghilterra , non so s° io abbia da aggiugnere , che il legger questi fogli Gozziani è un passeg- giar per alcuno di que’ celebri suoi giardini, ove una cara scena , che ti s’ apre davanti, e che tu vagheggi, a scoprirne t’ invoglia , procedendo , una nuova , dalla qual passi ad un’ al- tra tutta diversa, e senza stancarti mai, anzi con tal diletto, che poi non desideri altro vedere al Mondo. Conciosiachè, ei non usava già stendere lunghi e gravi trattati, ma il più an- dava al suo fine con l’aiuto d’ un Dialogo, d’una Favola, d’ una Novella, d’ un’ Allegoria, d’un Sogno, ed avea sempre alle mani qualche capriccio, 0 fantasia sua, con cui ghiribiz- zare giocondamente: che di leggieri si dice, ma il farlo do- manda una facoltà d’ inventare a pochissimi data, un fior d’ingegno, ch'è raro, ed anche un dominio maggiore del pro- prio soggetto , che se altri a maneggiarlo prenda seriamente , e con metodo. È incredibile quanto spesso travesgan gli no- mini su tal punto. Quell’ arte finissima, che il «nostro Gozzi eccellentemente possiede, di ridurre al materiale 1’ astratto , una cert’ aria popolare, e disinvolta, una difficile facilità è cagione del sembrar loro frivole quelle dottrine, che massicce parrebbero , e sode, quando le scorgessero di vocaboli scien- tifici rivestite, corredate di citazioni Greche, e Latine, ar- mate di sillogismi, e di calcoli, e coperte anco d’ una certa oscurità , che sublimità chiamano: nè sanno avyvedersi, o vo- gliono , che non si tende per vie distorte, e secrete alla meta, senza una fiducia magnanima di ginnger comunque a toccarla; che più, che l’ innalzar noi sino all'argomento , costa sovente il tirarlo giù sino a noi; e che sempre quella fatica riesce più grande, che meglio è saputa nascondere. La qual maniera di scrivere, se non approvasi al tutto in alcune scienze, come nella fisica, e in altre, ove col piacere malagevolmente nel- l’uomo introdurrai più, che una cognizione superficiale e im- 65 3) perfetta, conviene alla morale, che non abbisogna nè di fi- »» gure geometriche , nè di supputazioni algebraiche, e tanto più s; volentieri ornata si mostra , e corporea , che di tal guisa può 3) farsi conoseere a tutti, andando per li sensi all’immaginazio- »» ne, e rovesciandosi da questa sul cuore ,,. Una delle qualità particolari dello stile Gozziano si è d’esser amato da quelli, che amano l’ antico , ed inteso , e gustato dai meno eruditi eziandio . Il nostro autore, nel far ciò avvertire, dando vista di non saperne la causa, si fa strada assai bellamente onde gittare di volo i suoi sentimenti su la lingua italiana , su i Trecentisti , e su lo stile a ciascun secolo conveniente ; nè io mi so trovare fra gli antichi e i moderni chi abbia meglio svolte in tutti gli aspetti, benchè con brevi parole , sì fatte quistio- ni. Il passo è troppo bello , è troppo importante; per lasciarlo andare , ed io sono certo , che i miei lettori mi sapranno grado di trovarlo quì tutto intero : “ Qual cognizione si richieda, e qual » senso, non sol dello scrivere de’ migliori, ma del parlare , e »» pensare della gente culta e leggiadra del tempo suo, e quale 33 squisitezza di giudicio, e di gusto, tali voci a scegliere, e frasi, », e a collocarle per forma , che paiano antiche agli uni, e mo- o derne agli altri, e quindi gradiscan a tutti, è assai più fa- >) cile immaginare , che dichiarare . Nè avvisi alcuno, che ne- », cessaria non sia una tale industria, e che a coloro, che si la- »» gnano di non intendere, risponder si voglia , studiate : che tutti » han diritto a leggere i libri del loro secolo; ma non posson 3) tutti, e non deggion nè anche, tanto studiar nella lingua , »» che familiari lor tornino gli stili di tutti i tempi. La lingua, »» è vero , riceverà in ogni secolo un certo colore particolare, ma »» non si guasterà, nè diverrà un’ altra per questo: a modo della »» luce , che or rossa riflettesi, or gialla, e quando azzurra dai 3, corpi diversi , sovra cui cade, ma è sempre la stessa luce. Co- » tal qualità , o dote delle scritture, che vogliam dirla, di por- so tare in sè medesime impresso il carattere del tempo , che vis- », sero i loro autori, non la ravvisiam noi forse nelle più celebri »; Opere sì presso le antiche, sì presso le moderne nazioni ? Quindi s) a me parve sempre , che quando bene si potesse imitare per- »» fettamente lo stile de’ trecentisti, sarebbe oggidì da tenersene: » non perchè quella semplicità, e quel candore non piacciano »» Oggidì ancora ne’ trecentisti ; ma perchè tanta è la forza de’co- »» stumi su gli idiomi, che ciò stesso , che in un secolo era na- » turalezza , ed ingenuità , può in un altro tornare ad affetta- 7. XXXII Ottobre. 9 65 »» zione, e ammanieramento. Lascio , che la favella Toscana ; cre- ») sciuta in paese libero, ma in tempi più rozzi, che altro; aver 3» potea subito nervi abbastanza, ma non tutto forse il decoro , s e la nobiltà, che or non meno, che all’altre lingue dell’ Eu- », ropa ingentilita, ricercasi senza dubbio anco all’ Italiana. ,, L’ elogio del Gozzi distinguesi dagli altri anco per una certa festività , che si conface mirabilmente colla natura dello scrittore, e dell’ uomo ; che vi si loda, e che muoverebbe talvolta il sor- riso nella faecia più malinconica. Leggasi, per dirne una, laddove si ragiona della disordinata ecomomia domestica di lui, e della letterata e bizzarra sua donna (la celebre Luisa Bergalli ) che, per ristabilirla, avvisossi di condurre il teatro di Sant” Angelo, quasi ciò dovesse farle scorrere in casa il Pattélo. Il co. Gasparo Gozzi era uomo affatto ignaro , sì per natura, e sì per volontà, delle cure domestiche. Il perchè , a malgrado de’ soccorsi ed ‘aiuti del Governo, e degli amici, cadeva spesso in tanta penuria , che gli convenne anco alle officine attignere de’ librai , e a questi ser- vire ; di che si lagna egli stesso ne’ suoi sermoni sì miserabilmente, e con poesia sè bella ad un tempo (nota finissima osservazione del nostro autore) ch’ è difficile l’ esprimere ciò , che tu provi nel cuore in leggendolo : perchè dall’ una parte non puoi non gran demente compassionarlo , e dall’ altra , veggendo tanta grazia di modi , tanta evidenza d’ espressioni , tanta nobiltà di concetti ed elevatezza , infelice non sai più credere un uomo, che sente, pensa, e parla di quella guisa, e la compassione si converte tutta in ammirazione. E della spensierataggine domestica del Gozzi noi possiamo aggiungere un tratto molto curioso, che sfuggì al no- stro autore , o che gli parve forse troppo triviale per un elogio. Venne un giorno che il co. Gasparo lo passò tutto intero fuori di casa , nè vi tornò che a notte inoltrata per gittarsi a dormire. Picchia , e ripicchia , e torna a picchiare . . .. Oibò. Parea la casa abitata dalle ombre, e diserta da tutti i viventi. Finalmente, affacciatosi alcuno del vicinato, desto al rumor grande che il Gozzi faceva in quell’ uscio, domandagli chi è, e chi va cer- cando a quell’ ora .,... Oh bella! son io che voglio entrare a casa mia .... E che? nonsa ella che questa mattina la famiglia sua 8° è tramutata di casa ? Egli ignorava ogni cosa , ed ebbe bi- sogno di farsi insegnare da quel vicino la contrada ed il posto preciso della sua novella abitazione , se voleva entrar nel sno letto quella notte. Nè a lui dava noia soltanto la frequente scar- sità de’ quattrini; ma il non trovare ne’critici, e negli autori 67 de’ suoi tempi un gusto migliore il faceva salire in grand’ ira . 3» Ed in ciò parve mex filosofo ; che non era: ei conoscitor del 3» 2) 23 Mondo , e che sapea, non poter essere , che molto rara quella sottile temperatura di spirito raffinata dalla riflessione ancor più , quella fiammella data dal cielo , e dall’ uomo diligente- mente nodrita , onde si scrivon le ottime cose, e ottimamente si giudica delle scritte. ,, Noi venimmo queste cose notando colle stesse parole dell’au- tore , perchè appunto comprendasi fino a qual grado in lui sale la facoltà del buon gindice , e del valente scrittore ; e perciò pure concluderemo il nostro discorso intorno a tale insigne com- ponimento colla conclusione dell’ avitore medesimo , ov’ egli tira, per così dire, la somma de’ pregi di quel degno uomo e letterato immortale : “ Egli può asserirsi di lui con tutta veracità, che in- 23 23 3) 23 dI 23 2) 23 35 23 29 33 dI 23) 33 23 Li 23 A. DI 3) DI 23) DI segnò a scriver bene, e a bene operare. Sortito avendo da na- tura un bellissimo ingegno , e una indole maravigliosa, e con- cepito una grande idea del potere della parola , si propose di far con questa , o almen di tentarlo , men riprensibili gli uo- mini, e più felici; e però lo studio suo principale furon le latebre , e i nascondigli dell’ uman cuore. S’accorse , che più agevolmente conseguirebbe il suo desiderio , se recando a im- magine le astrazioni , popolesca rendesse e piacevole la sua. filosofia , e addottrinasse i lettori per forma, che non paresse altro volere al Mondo , che diléttarli. Quindi si riempiè il ca- po, non pur di cognizioni, e d’osservazioni d’ ogni maniera , ma di storiette , favoluzze , novelle , capricciose inventive e strane ; si provvide di esempli , di caratteri , di proverbi , e d’ altra simile merce ; e s’armò di lepidezze, di motti saporiti e piccanti , di sentenze, comparazioni, allusioni, e sopratutto d’uno stile chiaro al possibile , nativo , accostevole, castiga- tissimo , e in un disinvolto. Versi , o prosa, secondo che me- glio tornava , ma sempre ad un fine. Benchè nella poesia se- ria fosse meno eccellente, che nella burlesca ,e meno, che ne’Sermoni , che stanno mezzani tra 1’ una; e 1’ altra, grande non pertanto in quella eziandio è la copia de’ suoi pensieri , e sommo il talento d° esprimer le cose più difficili , più ritro- se , più ribellanti. E forse Y eccellenza minore nasce da que- sto in gran parte, che dove nella burlesca , e ne’ Sermnoni A l'impulso era interno, nella seria dal di fuori le più volte, e più debole per conseguenza , la inspirazione veniva. Quanto poi alla prosa , chi seppe meglio di lui accomodar Je parole 68 ad ogni argomento , e diversamente colorare secondo la mate- ria il discorso? Chi meglio que’ confini conobbe, che l’aggraz- ziato dividono dall’ ammanierato , e 1’ arguto dal concettoso ? O chi vide meglio , che altro è 1’ ornare, e il fiorir le scrit- ture , altro il lisciarle, e l’imbellettarle ? Venga chiunqué, e mi dica, s’ egli è di molti quel trovar le facezie sempre che un vuole , e non mostrar mai d’ averle cercate ; quel non dir più, che bisogna, o meno , e meritar lode anche col silenzio; quel procedere naturalmente, e rimessamente senza cader mai nel basso, e nel freddo , nobilmente, e altamente senza dar nel turgido, e nel gigantesco. Nè gli mancava quell’ arte fina e sottile di tutte non impiegar talvolta le proprie forze, avan- zandosi con timidità , e de’ suoi pensieri non iscoprendosi af- fatto ; e poi, gettata la maschera , assalire impetuosamente la opinion falsa, che si combatte , atterrarla e struggerla con un trionfo , quanto aspettato meno, tanto più bello. Tatto ciò sarebbe lodevolissimo per sè stesso , e independentemente da ogni mira particolare. Ma se colui, che ha un intelletto il più nobile, e più fornito, e una locuzione , ch’ è d’ oro in oro , s° affatica con quello , e con questa in migliorar la sua spezie, e de’suoi doveri in ammaestrarla; se a ir.formar guarda la mente, ed il cuore de’ giovanetti, e a moltiplicar nel Mondo le donne saggiamente instrutte, ed amabilmente virtuose; se scrive per l’ ignorante insieme, e pel dotto , convertendo nel sensibile 1° intellettuale , e parlando a quelle facoltà, che non abbisognan di tanta coltura, di quanta è mestieri alla lenta ragione umana; se veste le gravi lezioni di sì buon garbo!, e condisce di sì cara grazia i precetti austeri, che i più svogliati adesca , e i più nemici della scuola incatena, così contrario alla licenza, e alle dottrine più sconsolanti , come da ogni pe- danteria , e da quanto di santocchieria sentisse, lontano : chi è, che non corra subito a mettergli una corona di fiori in capo , e a ricondurlo a casa tra le acclamazioni e gli applausi, chiamau- dolo ottimo cittadino , ed egregio uomo , non che sommo autore, e confessando , che se molto a lui deggion le lettere , molto dee la patria, la società tutta, la religione ? Tal fu il conte Gasparo Gozzi, della cui penna non è men proprio eccitare alla virtù gli nomini , che rettificar loro il giudicio, e il gusto perfeziona- re; e però quella penna si terrà in gran pregio , finchè il retto giudicio s’ apprezzerà , e il sano gusto, e un nome vano non sarà la virtù, che va a rischio sempre, allorchè il falso entra 69 » nelle scuole, e domina nella letteraria repubblica la disra- ») gione ,,. Chiunque a scorrere si fa le opere del cav. Pindemonte in- contra ora versi ora prose di vario genere , di vario argomento, di varia importanza , che tutti lo indirizzano nelle vie del buon gusto , e della buona morale , e della vera religione ad un tempo: sempre tu vi trovi unito insieme il precetto all’ esempio , sempre abbracciato il cuore coll’intelletto ; sempre tu vi sei dalle più alte verità illuminato , dai più gentili affetti commosso. Noi non sappiamo lettura alcuna, che sia più acconcia a pascere d’ un più nobil cibo la mente de’ giovani , più acconcia a ritener nella giusta via l’età matura, più fatta le noie e le trepidazioni del- l’ età cadente a cessare. Quivi non si cantano mai nè i Grandi della terra, nè gli avvenimenti inutili o scandalosi della Quona società ; ma coloro bensì, che insegnarono , o dilettarono , 0 fe- licitarono il mondo veracemente; nè timore, nè speranza, nè vanità , nè adulazione quivi dettano i versi o le prose; ma un alto e disinteressato amore di gloria, un puro amore della vir- tude , e del vero; nè avvien mai che l’autore smentisca quanto ei lasciò scritto alla posterità in que’ bellissimi versi del prologo dell’ Arminio, pronto a rinunziare alla gloria medesima , ch’ egli amar confessa , conciosiachè »» Se un dì, per acquistarla, ei mai dovesse », Frodarne altrui, se lusingar 1’ ingiusto »» Fortunato valor; se al vizio in trono, 3; 0 col pileo sul capo, offrir l'incenso: »» Cantare illustri, o ver plebei Tiranni; 3» E contra il ciel, contra i paterni altari »» Vibrar non riverente un solo accento: s» Più tosto vuole, che in tenèbre eterne 3, Il nome suo resti sepolto ; vuole 3» Con fronte nuda ir sempre, o che la cinga, 5, Se d’allor non è indegna, un puro alloro. La sua Odissea, letta e celebrata e ristampata più volte per tutta Italia, offrirà sempre, a malgrado delle magistrali senten- ze di qualche Giornalista, un modello dell’ arte difficilissima di tradurre, e del come tramutar si possano da una in altra favella le eccellenze poetiche senza guastarle : 1° Arminio , co’ discorsi che 1° accompagnano , un esempio di alta poesia , e di vera cri- tica insieme. E chi or non conosce 1’ Arminio ? Il solo sig. Am- 70 brosoli mostra di non conoscerlo ; che altrimenti egli non avrebbe dimenticati i suoi bellissimi Cori in quel dotto discorso , che pre- cede la Sposa di Messina dello Schiller, tradotta con tanta mae- stria dal cav. Maffei. Le sue Poesie varie , i suoi Sermoni , ec. sono una scuola degli affetti e delle virtù più'gentili, e della più squisita eleganza poetica : e dopo aver letto e riletto e tornato a leggere le suddette opere , e le altre di tanto autore , noi ci ar- resteremo sempre con vera delizia in quelle due , che noi sti- miamo i capi lavori di lui, e nelle quali tutta l’anima sua, tutto il suo ingegno , tutto il suo gusto si spande , e prende il volo più alto, intendo Ze Prose e Poesie Campestri, e le dodici Epistole in versi, a cui poscia si sono aggiunte le altre due ad Omero, e a Virgilio, degne in tutto di stare con quelle: opere son esse ove trovasi il bello di tutte e letterature d’ Europa, con- temperato insieme e artatamente confuso, a formare un tutto armonico e peregrino oltre modo; opere che insegnano in guisa luminosa come un ingegno felice e ben dirizzato profittar può dello studio degli autori antichi e moderni , e nazionali e stranie- ri, e frammischiare insieme le loro diverse qualità ne’ suoi serit- ti, senza che n’ escano que’ mostri dell’ arte , che vanno pur troppo trovando accoglienza presso taluni de’ nostri contempo- ranei , i quali si sognano di crederli un bisogno (oh tristo bi sogno ! ) del nostro secolo. L’ autore nel fine del secondo volume di questa collezione dei suoi elogi raccolse parecchi componimenti poetici, parte editi parte inediti , tra’ quali si trovano le canzoni per lo ritorno del capitano Parry , per madamigella Bathurst che morì annegata nel Teve- re, quella in morte di Antonio Canova ; ma vi manca l’altra forse più bella canzone in morte di Vittorio Alfieri, e vi mancano pa- rimenti que’ pittoreschi versi sciolti sopra il Teseo del Canova , ove si favella con sì nobil pietade de’ Greci, e di cui ragionam- mo altre volte (1) in questo giornale. E perchè mai sì fatta om- missione? noi domanderemo all’ autore o forse meglio allo stam- patore , o meglio ancora a qualeun altro. Ha chi opina, che l’au- tore avrebbe fatto miglior senno a pubblicar le sue opere nella beata Toscana. Questi versi, quasi tutti, furono già stampati e ristampati , ed ultimamente raccolti in gran parte , e pubblicati a Pisa in un volume colle Prose e Poesie Campestri, tranne, per quanto ci è noto, le terzine passionate per la morte di Car- (1) An. VI, Vol. XXI. N.° 66. Giugno 1826. Fac. 154. 71 lo Marioni, i sonetti per Marietta Landi, per la co. Albrizzi , per madamigella Haller, e quello al commendatore di Chateau- neuf ; e due frammenti, che doveano entrare nel componi- mento sopra i Sepo/cri. Ai dodici famosi sonetti intitolati, Tri- buto alla memoria dell’ Astronomo A. Cagnoli, si aggiunse una elegante versione latina del Raguseo Chersa; la quale fa in noi un effetto contrario a quello che far sogliono le; belle ver- sioni , cioè ch’ ella ci piace quando la trascorriamo senza gittar l’ occhio sull’ originale, ma quando la raffrontiamo con questo, il nostro piacere a poco a poco dileguasi, e convertesi talvolta direi quasi in disgusto. E così dee succedere sempre che trattisi d’ uno scrittore dell’ indole del Pindemonte. Egli è certo che gran- dissima parte della poesia nello stile consiste. Ora noi non cono- sciamo nessuno de’moderni, che posseda in più alto grado tutto il fiore della favella poetica. Sotto la sua penna qualunque concetto , qualunque oggetto anche vulgare trasformasi in oro. Ei fa l’effetto del sole, che sa illuminar del suo raggio infino il più buio chiassuolo. I versi latini del cav. Pindemonte non sono sì noti a gran pezza come i volgari, benchè in essi pur veggasi quanto egli sarebbe stato accarezzato dalla madre, se non avesse amato me- glio (e in ciò fece bene) dar tutte le sue cure alla figlia . È il vero , ch’ eglino sono in numero sì pochi, benchè in istile sì ra- ri, che quasi si perdono tra la folla. Fra quelli che ivi si tro- vano , noi sceglieremo per saggio il componimento in morte di Benedetto del Bene, e perchè finora inedito (per quanto sap- piamo) e perchè passionato e soave , e perchè si riferisce ad un illustre italiano de’ nostri giorni. In fatti noi sentimmo su le prime maraviglia di non vedere fra tanti elogi quello di B. del Bene, uomo d’ antichi costumi, e di squisita letteratura latina e italiana , ed amico e concittadino dell’ autore. Ma sembra ap- punto che il Pindemonte abbia voluto lodare 1’ amico in quella favella , nella quale fu questi considerato per uno de’più cospi- cni scrittori del tempo suo. Ecco i versi : Quis te felicem non dixerit , et bene natum, Defunctumque bono , candide Amice , die ? Qui ; cum pars agitat.seram sine crimine vitam, Postquam est non paucis fracta cupidinibus , Pars , postquam virides traduxit fortiter annos , Non timet heu canos dedecorare suos ; 72 : Servasti aequalem semper |, BENEDICTE , tenorem , Sive aetas ageret ver tua , sive hiemem. Quid memorem ut virtutem animi, roburque virile Ingenuis ornasti artibus ac studiis ? Quin etiam agrorum tetigit te cura , tuamque , Quam seripsti , sensit pulchrior arbor opem. Sed magis o felix , qui nune spatiaris Olympo ! 4h, quicquam de me si tibi dulce fuit, Occidua quum luce tibi comes ire solebam , Miscens innocuis seria multa jocis , Qua nos usque novam ducebat semita portam : Sancta , quo frueris , voce precare Deum , Ut pariter , quando hane liceat mihi linquere terram , Sit conferre datum summa per astra pedem. Se questi versi sono gustati e sentiti da tutti gli: animi culti e gentili, come noi non ne possiam dubitare, oh quale im- pressione non fanno essi sull’ animo nostro ; siccome quelli che ei ridestano nella mente mille memorie una volta care e s0a- vî, ed ora, per tante ragioni non ignote all’autore, amare ed acerbe! E come leggere qnel distico sul passeggio di Porta Nuo- va, e non rammentarmi chio più volte fui terzo itra. cotanto senno ; e poi non rammentarmi insieme , e non lagrimare, la perdita fatta in sì pochi anni di tanti amici e conoscenti co- muni , del Guilford , del Foscolo ,, di B. del Bene, del Ridol- fi, dell’Avanzini, del Negri, del Rosmini... 0 anima buona del Rosmini! oh quale altro cordoglio mi risveglia la tua me- moria! È ben dolorosa, sì certo, la perdita d’ un amico ra- pitoci dalla morte; ma non è cosa men erudele , che un no- stro amico , spirando ancora quest’ aere , e formando la delizia degli altri suoi amiei , sia spento solo per noi. Le perdute amicizie degli uomini volgari si riparano di leggieri, ma chi ebbe la sventura di perder l’ amore d’° un uomo , in cui le virtà dell’ animo e dell’ ingegno fecero ogni lor prova , invano spera di trovare un compenso nel Mondo , e un deserto per lui tutta la terra diventa. M. P. 73 DerL’ EpuoAzIone DEL FoPOLO NE’ 6U0I RAPPORTI COLLA BOCIETÀ. Discorso letto dal sig. E. Mayer nella seduta dell’Ac- cademia Labronica de’ 25 settembre 1828, Fia gli oggetti più meritevoli di richiamare a sè la nostra attenzione, parmi o Signori ,- doversi assegnare un posto distinto a quel giro misterioso, che nella storia dello spirito umano fanno certe idee e opinioni, che ora predo- minanti , poi soggiogate , tornano più tardî ad acquistar nuovo splendore. — Felice l’uomo se queste opinioni po- tessero sempre esser tali da non venir fra loro a conflitto, ma da conseguitarsi in armonica successione! Allora i pro gressi morali non incontrerebbero inciampo, allora l'uomo sarebbe condotto per facile via alla scoperta del vero, per- chè dalla pianta del vero sarebbero nate allora quelle me- desime idee, pianta simile a quella che il settentrione in- vidia al beato cielo d’Italia, e sulla quale come canta Torquato : Co’ fiorì eterni , eterno il frutto dura, E mentre spunta l’un l’ altro matura. Ma se non possiamo sperare che cessi mai l’ errore di far ombra a quella pianta divina: se fatali illusioni ci fanno sovente coltivare in sua vece quel falso che al dir dell’Ali-. ghieri, le nasce accanto a guisa di rampollo ; pure pos- siam confortarci col dolce pensiero , che una filosofia re- ligiosa ce ne ha lasciati cogliere alcuni fiori , quali nes- suna forza potrà ritoglierci mai. Sì , o Signori, io ferma- mente credo che il cielo ha fatto dono all’ uomo di molte verità importantissime, anzi di tutte quelle che sono essen- ziali alla sua felicità; ma credo ancora che l’ uomo non sempre ha saputo riconoscer quel dono , e che stolto am- ministratore di prezioso tesoro , egli troppo sovente lo ha seppellito , invece di fargli portare quel frutto che ne at- tendeva colui che glielo aveva affidato. Felicemente non tutti gli uomini si sono fatti colpevoli di tal negligenza, T. XXXII. Ottobre. 10 4 e però se vediamo che di alcune verità è ancor chiuso ed inerte il germe, vediamo! ancora che altre si sono svilup- pate, e che applicate alla vita, hanno resa questa più lieta, e la società più felice. I1 vario grado di sviluppo che trovansi aver acquistato fra gli uomini alcune verità, è quello che deve assegnare a coloro che hanno il desio di promuo\erle, le varie parti da assumere nell’ alta impresa alla quale concorrono. Per rintracciare una verità nel sno germe è necessario il ge- nio; per accrescer vigore a quella che già si sviluppa, ri- chiedesi nno spirito retto e perseverante; per ispargere fra gli uomini i risultati di quelle ormai sviluppate, basta un animo reso coraggioso dall’ amore de’ suoi simili. — Oh! quante volte i più ardenti fautori del vero hanno recato più danno che utile alla lor santissima causa , per aver confuse tra loro queste tre parti distinte! — Quante volte il genio ha creduto poter far brillare ad un tratto agli oc- chi degli uomini quella verità ch'egli solo vedeva , e gli nomini non lo hanno inteso !... Quante volte tali verità sovo tornate per secoli ad oscurarsi, perchè que? pochi che le avevano intravedute in quel momentaneo splendore dato loro dal genio, non hanno avuto la perseveranza di promuoverne lo sviluppo!... Quante volte, finalmente, già maturo si è disseccato il frutto, per colpa di quelli che non hanno avuto il coraggio di coglierlo e farne parte alltrmiial aid È Signori! io non credo necessario il mostrarvi quale intima relazione abbiano queste considerazioni coll’ argo- mento del mio discorso. Non ho bisogno di farvi, presente come la necessità dell’ Educazione del popolo riconosciuta da’ popoli antichi nell’ epoche della loro.gloria, è stata trae seurata in quelle della loro corruzione ; è svanita nelle tenebre de’ secoli barbari, ed è tornata a rivivere con tem- pi migliori. Non è mia intenzione di, seguitarne le. varie vicende. fino a’ nostri giorni, in cui questa verità è giunta al suo più alto sviluppo; ma ben gioisco in annunziarvi che un nuovo bel frutto. spera di. coglierne in breve la nostra città. E tanto più mi è grato il parlarne in questo 75 consesso , perchè fra voi per la prima volta già espressi la speranza di quello che or vedo vicino a realizzarsi. Già più di cinque anni trascorsero dacchè in una pub- blica vostra adunanza diressi su tale oggetto la vostra at- tenzione. Lasciata poco dopo la patria, ho veduto paesi ove la pubblica educazione ha fatto non pochi progressi, e dove tutto sempre più mi ha convinto che sommi sono i vantaggi che ne risultano. Tornato fra voi, mi è stato dolce il trovare quanto in questo frattempo siasi qui an- cora sparsa generalmente una tal convinzione, e come persone benefiche siano animate dal desiderio di sempre più soddisfare ai bisogni morali della nostra popolazione. Onde se tratto ancora di questa materia, non è tanto per considerarla teoricamente , quanto per generalizzarne la pratica. Non tanto per convalidarla con nuovi argomenti, quanto per sempre più sottometterla a quell’ ultima prova per la quale se felice è l’ esito 1’ idea cangiasi in realtà, e la scoperta d’un principio morale convertesi in utile istituzione sociale. Ho detto che poco mi tratterrei nella pura specn- lazione di questa materia, perchè ormai è stata da in- nnmerevoli scritti basata su tanti argomenti tratti dalla relisione , dalla filosofia , e dalla storia, che sarebbe so- verchio il farne più soggetto di regolar discussione ; ma voglio ancora per un momento mostrarvela sotto il punto di vista il più generale; e sotto il quale tuttavia non “è stata a mio credere bastantemente considerata finora, qua- le è quello di dimostrare che |’ Educazione del popolo è parte integrante dell’ essenza medesima della società , il che se farò che chiaramente apparisca ne risulterà per sè stesso l’ obbligo di promuoverla, e non avrò che da aggiungere alcune considerazioni sulla natura di simile obbligo per gli abitanti di una popolosa città commerciante. I. Dico che l'Educazione del popolo è parte integrante. dell’ essenza medesima della società; ed infatti, che è mai, quale ora esiste l’ umana società ? Ben se ne vedon deli- neati bellissimi quadri da filosofi e da legislatori antichi e moderni; ben negli anni più lieti se ne finge immagini 76 seducenti la giovanil fantasia; e pur dolce allora è il far eco alla voce di que’ filantropi, che esaltano la felicità del- l’umana famiglia. Umana famiglia! soave voce che presta all’unione di tutti gli uomini quelle dolcezze, che accom- pagnano i teneri nodi della vita privata ! idea che sì bella arride un tempo nell’ anima, ma poi vi lascia indicibil tristezza, quando l’immagine che le va unita svanisce a guisa di sogno, Dov'è l’ umana famiglia? Abbracciamo in un tutto i popoli della terra, sono essi elementi che com- pongono una famiglia?... Quelli che immersi nella barba- rie, e superiori appena alle belve, non vengono l’un col- l’altro a contatto, che per vicendevolmente distruggersi ; quelli che sotto l’impero della superstizione e d’una falsa civiltà hanno veduto trascorrere migliaia d'anni senza fare un sol passo progressivo ; quelli che non obbedendo che alla cieca voce del fanatismo , vorrebbero, spegnendo nel sangue i lumi degli altri popoli , spargere sa tutta la terra le proprie tenebre; quelli che erranti fralle sabbie dell’ e- quatore o fra i ghiacci del polo , sembran tenere i più bassi gradi nel mondo morale, come tengono gli estremi punti del fisicu ;... formano questi una società, possono essi qual famiglia apparire ad altri occhi che a quelli di Colui che a tutti è Padre? — Lasciamo ( dirà forse taluno) lasciam da parte queste nazioni , e limitiamoci ai popoli incivili- ti..... Ebbene! consentiamo pure a trascurare i tre quarti del mondo , ristringiamo lo sguardo nel circolo angusto della nostra civiltà, non passiamo neppure i confini del- } Europa.... E dove? (il domando ancora ) dov’ è l’umana famiglia ? Dispensatemi, o Signori, dal tristo ufficio di di- mostrarvi che non esiste — che non esiste in Europa — non in una qualunque delle sue parti — non in una pro- vincia — non in una città. — Strappiamoci dagli occhi ogni benda; rinunziamo , per quanto ci sia doloroso , ad ogni lusinghiera illusione, che per mancanza di una gin- sta e gradata distribuzione de’ lumi, l’umana famiglia non è che un vano nome ; la società stessa , quale ora esiste non è che una forma, una creazione fattizia , soggetta ad ogni momento o a scomporsi per l’ inerzia de’ suoi elemen- 77 ti, o a sconvolgersì per l'interno conflitto di questi elementi medesimi. Degg io tutto dischiudervi il mio pensiero? ... Fra questi elementi io ne ritrovo alcuni, che mi rappresentano l’indole di que’ medesimi popoli or ora esclusi dalla nostra considerazione. Ogni città mostra al ‘mio sguardo raccolti e accozzati ne’ suoi cittadini tutti i gradi dalla barbarie alla civiltà ; in ognuna vedo il più lamentevole contrasto fra i lumi e l’ignoranza , fra la virtù e il vizio; e quanto più queste città sono popolose, quanto più da una parte vi si accumulano lumi, ricchezze , e. piaceri, tanto più vedo dall’altra regnarvi la miseria e l’ignoranza. Per que- st’ ultima parte dura ancora la notte de’ secoli barbari, e coloro che richiamano que’secoli possono pur troppo senza richiederli dal passato , senza invocarli dall’ avvenire, ve- derne l’immagine e gli effetti in un gran numero de’loro contemporanei, Il trionfo della civiltà è ancor lontano dal compiersi ; l’ ordine, l’ unione sono lontane ancora dal ri- trovarsi anche nelle parti più incivilite della nostra socie- tà. Questa si regge , non per interna armonia, ma per l’impero più o meno vigoroso delle leggi che la governa- no. — Ma quale è il primo assioma che proclama la leg- ge? — La /egge non ammette ignoranza. — Come! la legge è il gran vincolo della società , la legge non soffre che al- cuno ignori i propri doveri, e intanto si lasciano i più privi de’mezzi di apprenderli // La legge stende la mano punitrice su colui che la infranse, nè si arresta alle grida del misero, che protesta non aver saputo d’ infrangerla ;$ anzi a colui che fin dall’ infanzia abbandonato a sè stesso , e senza il freno di alcuna salutare istruzione ha seguitato il sentiero del tacito vizio ove Ja legge non guarda per entrare poi su quello del delitto, ove la legge il coglie e punisce, a questo infelice, cui tolse dal petto ignoranza ogni sentimento di morale , ogni distinzione del giusto e dell’ ingiusto , dice la legge : io non ammetto ignoranza !... Eh/ chi non trova che queste parole suonano in simil caso come feroce iro- nia?... Eppure la legge dee proferirle , perchè altrimenti, chi più le andrebbe soggetto?... Ma d’ altra parte la sen- 78 tenza che cade su quell’infelice e sn tante altre vittime della propria ignoranza , ricade col tempo su quelli fra i loro simili che trascurarono di educarli. — E tremenda è questa sentenza. Sentenza di sangne che colpisce le intere nazioni, che ne sconvolge gli ordini, che alla voce di pochi faziusi fa uscire ad un tratto dai tenebrosi. ridotti della miseria e dell’ ignoranza migliaia di nomini , che in- capaci di freno, si scagliano sulle altre classi della socie- tà, e su queste atrocemente si vendicano di quell’avvili» mento nel quale ne vennero sì lungamente lasciati. Allora il delitto alza la fronte , allora la legge è muta, e nel generale sconvolgimento si riconosce, ma; tardi, che le leggi senza i costumi non valgono, che vana senza di que- sti è ogni forma di società , che finalmente di questa so- cietà è parte integrante l’ educazione del popolo. II. Fissato questo principio, resta da esaminare qual possa e debba essere l’ educazione del popolo, e quale: il rapporto fra l’ educazione e l’ istruzione. Questo esame , o Signori, per esser ridotto ne’suoi più stretti confini, esige che io prima determini in qual senso voglio usare questa voce educazione, di cui tanto abuso si è fatto. In quella guisa che considerata in un individuo , educazione non è già quella a mio credere che cominciata in un tempo determinato , in altro tempo determinato fi- nisce, ma è quella che già da’primi anni agisce sulla mente e sul cuore , e progredendo col progredir dell’ età, non cessa che col cessar della vita, così in un popolo l’edn- cazione non è quella che vi s’ imprime per l’ influenza di passeggiere istituzioni, ma è quella che risalendo ai se- coli più antichi osserva come le prime disposizioni di un popolo andarono sviluppandosi nelle varie epoche della sua storia, A queste epoche rispondono i varii periodi della sua civiltà, e la serie di questi periodi segna la traccia all’e- ducazione progressiva del popolo. Considerata in tal guisa, manifesto si fa per sè stesso che vario secondo i varii gradi di civiltà secondo le varie disposizioni di un popolo , de- ve essere il rapporto fralla sua educazione e la sua istru- zione . 79 Se muovete il passo in una valle delle Alpi, i cui felici abitanti non abbiano ancora veduti tanti viaggiatori che mentre si vantano ammiratori delle bellezze della na- tura, vengono in mezzo alle più sublimi sue scene a con- taminare coll’ oro la più bella sua opera: se osservate que’ semplici abitatori, che mai non hanno veduta l’ agi- tazione di una città, dispersi sulle falde de’ loro monti non curarsi del resto della terra, e vegliare alla cura di quegli armenti che suli formano pgni loro ricchezza, di quale istruzione vorreste arricchire quelle semplici menti? Eppure non crediate voi già che la loro intelligenza ri- stretta nell’ angustissimo circolo de’ loro bisogni non sia capace di sviluppo maggiore . Quando nel giorno in cui riposa il lavoro, li chiama lo squillo d’ una campana , e che da cento tugurii muovansi dove li spinge un istesso devoto pensiero , di qual ricercata istruzione credete voi che abbian d’uopo per sollevarsi alle più alte idee ? Ogni oggetto che li circonda ha per essi una voce : i raggi del sole nascente che illuminano con varie tinte le nevi eter- ne delle loro movtagne, quelle ridenti pasture sostenute da bruni ciglioni che sporgono sulli abissi, dove il torrente pre- cipita in cateratte maravigliose, quel cielo che fra il bian- cheggiar delle nevi par doppiamente tinto di azzurro , e dove sola innalzasi l’acquila : sono questi gli oggetti che viva mantengono in essi l’immagine d’un Creatore, e ren- dono i loro animi tanto accessibili a quelle sublimi verità contro le quali sì spesso l’ umano orgoglio ricalcitra. E quegli oggetti medesimi che lor manifestano un Dio, fan- no pure ad essi sentire ciò che sia patria, ciò che sia li- bertà. Ognuno ha un cuore e un arme per difendere la sua famiglia, e il luogo dove vuol vivere e morire libero come i suoi. padri, e l’invasore straniero non ha osato an- cora a quelle balze affacciarsi, Così quegli uomini rozzi pur comprendono che sia natura, religione, patria libertà , . . Educatori de’ popoli , dite qual più sublime istruzione po- treste ad essi promettere? . . . Ma convien confessarlo una tal condizione di un po-. polo non può essere che una eccezione nello stato presente 80 della società, e forse non passeranno molti anni che que- sta eccezione aneora awrà cessato di esistere. Una tal con- dizione è quel misto ideale frallo stato di natura, e quello di civiltà, in cuì si ritiene quanto il primo ha di puro, e si liba quanto di bene ha il secondo, conservando del- l’ uno la semplicità senza la barbarie, e ricevendo dal- l altro senza la corruttela de’ costumi la santità delle isti- tuzioni. Ma un tale ideale non deve illuderci, e a Dio non piaccia che più sollevi alcuno la questione, da quale de’ due stati di civiltà o di natura derivino all'uomo van- taggi maggiori. Cadde la gran questione col cadere del se- colo scorso , e 1’ ha decisa il nostro con tal vincitrice pos- sanza , l’ha illuminata di tanto splendore, che questo sol distintivo, ove ogni altro mancasse , servirebbe a mostrare l'immenso passo fatto dal nostro secolo, in paragone del precedente. La causa della civiltà è vinta ; con nobile ar- dore dispiega l’ uomo ogni energia per promuoverla ; le nazioni sono emule ; ognuna tien l’occhio sull’ altra ; ogni sforzo di questa eccita in quella altro sferzo , ogni movi- mento è un progresso ; ogni passo una vittoria , ogni tem- poreggiare una perdita... Da questo punto di vista, in questo stato di cose contempliamo l’ educazione di un po- polo . Un gran principio ei si presenta spontaneo. Una na- zione progredisce? Dunque si opera in essa un interno svi- luppo di forze ; dunque sono in moto i suoi mezzi di azio» ne. Che altro resta da fare se non di esaminare se tutti i suoi elementi sono da quel moto proporzionatamente ani- mati? Se non resta in questa gran massî qualche parte inoperosa che possa ritardare il moto delle altre , che possa anche un giorno tutto arrestarlo. Se vi resta bisogna an- che ad essa dar vita; e che vi resti, e dove , ho dovuto pur troppo precedentemente mostrarvelo. Questo principio che tutte le parti devono essere impresse di analogo mo- vimento per non generare disequilibrio nel tutto, è reso talmente palpabile da ogni fenomeno del mondo fisico co» me del mondo morale , che credo doverlo considerare non altrimenti che come incontestabile assioma. Or questo as- 81 sioma, e questo solo basta a dimostrare la necessità asso- luta di non lasciare ineducata alcuna fialle parti. d’ una nazione. Bisogna ravvicinare queste parti, bisogna che tutte si trovino in quel rapporto che è segno non equivoco di vera civiltà. Quando un popolo è ancora sugli infimi gra- di di questa , allora ben possono a distanze maggiori starsi le varie sue classi. Dove da una parte è un tiranno, dal- l’altra un gregge di schiavi, è un bene per questi la nul- lità morale onde sentino meno il proprio avvilimento ; do- ve sono non classi, ma caste, è pure nn bene per quelle condannate a perpetua abiezione il non esser capaci. di tutto comprendere 1’ orrore del loro destivo ; ma tolte ap- pena queste scellerate barriere, allora i varii progressi di un popolo devono appunto misnrarsi in ragione delle di- stanze che fralle varie classi rimangono. Se dapprima le superiori tengono le altre in servitù, pure comincian col tempo a sentir vergogna come uomini di sì degradante di- versità ; preparano poco a poco alle inferiori la via di sorte migliore ; e in queste ridestasi il sentimento della dignità della propria natura. Alla fatica dello schiavo succede I’ opera dell’ artigiano , al pane concesso per mantenere un braccio servile succede il premio dovuto all’ impiego di libera mano, e l’ orgoglio della ricchezza e del sangue soffre la nobil fierezza dell’industria e del merito. Il pri- mo passo è allor fatto, ed ogni passo successivo più e più consolida la dipendenza reciproca delle classi ; con ogni vicendevol bisogno formasi un nuovo nodo ; a questa unio- ne fondata sull’ interesse altra ne vien dietro appoggiata su più nobili basi, e che stabilisce fra di esse rapporti mu- rali : imperocchè col progredir dell’ industria si sviluppa nelle inferiori l' intelligenza che comincia a sentire biso- gni morali quali devono soddisfarsi con opportuna istru- zione. Questa ben diretta reagisce sui varii rami della pub- blica prosperità; tutti sentono che hanno in questa un punto comune di contatto , e così stringesi finalmente il gran legame morale nella massa dell’ intera nazione. Felice il popolo che giuuge a sì bella unione ! Feli- T. XXXI, Ottobre. II 82 ce quando la generosa voce di quelli che ne reggon le sorti può esser intesa da tutti, e da tutta seguita la via che essi accennano. Felice quando in tutti sviluppasi chia- ra l’idea del pubblico bene, e che tutti nelle varie loro condizioni sentono lo stimolo e il potere di contribuirvi . Allora tutto si avanza; allora ogni elemento partecipa al comune sviluppo ; allora risoluto è il problema dell’edu- cazione di un popolo. Ma sventuratamente sono molti gli ostacoli che a sì felice risultato si oppongono. E quì mi vedo costretto a ridurmi in più angusti con- fini, Se le cose dette fin qui, hanno potuto ugnalmente ad ogni nazione applicarsi, egli è stato perchè la via della civiltà è una sola, una sola la felicità verso la quale con vari mezzi tutti i popoli tendono. Ma moltiforme è il ma- le, ed ogni ostacolo ha la sua causa , che deve studiarsi onde rimuover quello. Tutti allora ci si presentano innan- zi gli oggetti che costituiscono la condizione fisica e .mo- rale d’ un popolo ; tutto ci si offre da investigare; e la mente che si tracciava nel bene sì facile e uniforme la via, or nel male è costretta a perdersi in oscuri e tortuosi sentieri. Ingrata fatica per investigazione tristissima se non la sostenesse speranza di dileguare quelle tenebre , e spa- ziar nuovamente in campi di luce più pura! Ma come mai le mie deboli forze potrebbero esser ba- stanti a istituire per sogni popolo simili investigazioni ? Immenso tema , degno di esercitare le forze riunite di tutti coloro che sospirano il bene de’ loro simili, e che in que- sto momento occupa i governi più illuminati di Europa |.. Già forse ancor troppo di me stesso presumo , se in un secondo discorso intendo volsere i miei pensieri alla sfera che mi circonda, consacrardoli al popolo di una città com- merciante, Ma in quell’ amore di patria, in cui trovo co- raggio , cercherò pur con fiducia una valida scusa. 83 Histoire modérne de la Grèce depuis la chute de l’Empire d’ Orient par Jacovaxy Rizo Néroulos, Ancien pre- mier ministre des Hospodars grecs de Valachie et de Mol- davie. Genève 1828. Le tenebre che s’ addensano sugl’infelici , tolsero a noi l’aspetto di quanto la Grecia schiava racchiudeva di grande o di deplorabile; sicchè, al suo risorgere, parve al- l’ Europa ignara ; che il germe di tanta rigenerazione spun. - tasse dal nulla. E questo sublime avvenimento si venia da più secoli maturando sotto le lente e onnipotenti influen- ze del tempo, della ragione, e della sventura. Tutto è legato nell’ universo , con anella insolubili ; tutto proce- de per gradi ; tutto ha sua spiegazione nella natura e nel- 1’ ordine immutabile delle cose. Queste anella, questi gra- di, quest’ ordine, primo percorre e svolge ai nostr’ occhi lo Storico , il cui eccellente lavoro annangiamo. Percor- riamli con esso. Come colni che fuggendo da luogo infetto , porta se- co le vesti tocche dal veleno mortale, Costantino trasportò seco a Bisanzio ì vizi intrinseci di quella tirannide impe- ratoria, a cui Roma dovea tanti mostri , l’ Italia tanta vergogna. L’ impero d’ Occidente fu primo a crollare, per- chè ’1 nome di Roma tirava a sè più fortemente l’ invi- dia, la cupidigia, la vendetta de’ Barbari. Com?” albero già corroso e incavato dagli anni , lì’ impero d’ Oriente , fu mutilato dal ferro fratricida de’ Crociati , prima che lo sterpasse il torrente Ottomanno. Sparwe l’ impero ; ma la nazione rimase : e la religione le conservò i suoi costumi, gli usi suoi, la sua lingua. Maometto , ammettendo fra’ profeti Gesù Cristo e S. Gio. Batista, concedendo un onore alla Vergine, a San De- metrio , a San Giorgio , scrivendo di sua mano ai monaci del Sinai parecchi privilegi importanti, pose il princi. pio di quel poco beu essere che. il greco oppresso potè godere a quando a quando sotto i suoi successori. Omar, altri 84 privilegi concesse al patriarca di Gerusalemme : altri mo- nasteri non pochi vennero favoriti del pari, Ma intanto la spada del Maomettano mieteva i cris- tiani a migliaia , e tanti solo ne lasciava quanti bastassero al servigio delle officine e de’ campi. Dall’ Egitto , dalla Siria, dalla Mesopotomia correvano profughi a ripararsi nelle città marittime del Ponto Eussino , della Paflagonia, della Bitinia , della Frisia , dell’ Asia minore , paesi an- cora sottomessi agl’' imperatori di Costantinopoli e di Tre- bisonda. Ma i Saraceni spingevano le incursioni fin sotto Costantinopoli; dominavano le isole della Grecia, la Sicilia, la Spagna ; minacciavano terribilmente ta Francia. Final- mente, Maometto II siede sul trono di Costantino: e Bi. sanzio, prima di cedere, resiste bene un mese a trecento mila uomini, comandati da tal capitano. Mentre che 1) inumana tirannide de’ Latini snervava nella schiavità le provincie greche che ancora eran sue , Maometto Il , nel trattato co’ Veneti fatto, dopo la presa di Costantinopoli, richiedeva che il Patriarca serbasse su quella parte del territorio greco ch’ era ancora de Veneti, le sue rendite e il più de’ suoi privilegi. Era politica il man:enere fra la chiesa latina e la greca sempre viva la discordia : ed egli la mantenne, facendo della Grecia wr monastero , € il Patriarca di Costantinopoli creandone ab- bate supremo. I Latini frattanto fomentavano gli odi, te- nendo nell’ ignoranza e nell’oppressione il greco alla loro potenza soggetto. Da Maometto II in poi, all’ elezione del Patriarca ebbe parte il Governo, accompagnandola con dimostrazio- ni solenni, La cassa del patriarcato paga ogni anno al Sultano 15,000 piastre : e a questa cassa, ch’ è insieme un banco ove i Turchi, gli orfani spezialmente, portano dena:i a interesse, è dovuta in parte dai greci quella qualunque protezione del loro tiranno. Il Patriarca giudi- cava innoltre d’ alcuni affari civili; aveva a’ suoi ordini de’ giannizzeri ; e di loro si serviva per mandare in esilio, in carcere , alla galera,i cristiani colpevoli, da lui giudi- 85 cati : con l’ approvazione però del Sultano. Se il carce- rato si dava all’ islamismo, era libero : ma il condannato all’ esilio o alla galera, l’apostasia non valeva a proscio- glier]o. Questi privilegi , ed altri minori di mera cerimonia, sebbene o cincischiati o frustrati dalla tirannide, pur man- tennero alla nazione certa unità e certa vita. E giovava all’ oppressore l’ allettare a sè così gli altri greci non sog- getti al suo impero; giovava il farli tutti per religione di- pendere da un patriarca suo snddito. I patriarchi conciliandosi co’doni i giannizzeri , facean rispettare nelle provincie il potere ecclesiastico. I Turchi, d’ altronde, rispettano i monaci ; ben sapendo che Molla- Hunkiar, un de’santi più classici dell’ islamismo , era grande amico d’ un monaco cristiano , e lasciò per testa- mento che il sepolero di questo fosse accanto al suo in un celebre monastero d’ Iconio. Anche i Turchi hanno i lor monaci, de’ quali alcuni onorano G. C. e gli Apostoli , altri la Vergine; tutti hanno dottrine molto diverse dalla comune credenza. Pure il volgo li onora. Anche i conventi di monache erano a qualche modo rispettati da’ Turchi, Il nostro Autore, nel 1818, quand’era a’ servigi del ministero ottomanno , ebbe a tradurre una petizione al Sultano diretta da certe monache del Geno- vesato , le quali esponendo i danni fatti al convento da- gl’ invasori francesi, pregavano S. A. di mandar loro tre tappeti di Turchia per ornarne la loro chiesa, prometten- do di pregar Dio perla gloria e il ben essere del Gran Si- gnore : e li ottennero. Tanto è’1 rispetto de’Turchi per le istituzioni monas- tiche, che nelle amene isolette della Propontide a due miglia da Costantinopoli , parecchi conventi possono sonar le campane : e di quel suono i Turchi non si scandalez- zano punto. Molti monasteri magnifici e forti sul monte Ato godono la protezione del Governo, mediante un arinuo tributo: e quivi si nudrì, difesa dal turbine della devasta- zione , l’ ultima scintilla della greca civiltà. Il clero laico giovò non poco all’istituzione della gio- 86 ventù e a certa quasi tradizione di rimembranze ; se non d’ idee , letterarie. Al carattere greco poi giovarono som- mamente quegli armatolî o capitani, d’ onde sursero i clefti famosi. Mal conoscerebbe la storia della Grecia mo- derna , colui che ignorasse l'origine e la natura di cosif- fatta milizia. Giorgo Castriota, principe d’ Epiro, soprannomato dai Turchi Skender-Bey, per trent’ anni lottò contro le forze d’ Amurat e di Maometto Il ; le schiacciò più volte; e morì lasciando in retaggio all’ Epiro e all’Albania il disprezzo del nome ottomanno . D’ allora cominciarono gli armatoli cristiani: a’ qualii primi Sultani, conquistatori dell’Acar- nania, dell’ Albania, dell’Epiro, dovettero, per assicurarsi il nuovo dominio, concedere de’notabili privilegi. Il monte Agrafa, primo ottenne per capitolazione il diritto d’ un capitano e d’ un numero di soldati da difendere i paesi dappiede e di costa, e di due voti sopra tre nella deli- berazione dei loro affari civili. Il medesimo diritto otten- nero poi le provincie del continente dall’ Albania alla Macedonia ; il Peloponneso , e l’Eubèa. Gli armatoli avevano dal governo un diploma : altri, non autorizzati , percorrevano armati le montagne, e chia- mavansi clefti : tutti facevano all’ uopo causa comune . Molti di loro resistettero vittoriosamente ai pascià : e quì basterà nominare il capitano Andrutzo padre d’ Odisseo , che con dugento pallicari scorse a mano armata il Pelo- ponneso da Maina a Vostitza, combattendo, sin tre volte al giorno, co’Turchi, che a squadre a squadre gli veni- vano attraversando il cammiuvo. Fatta la conquista dell’ Albania e dell’ Epiro , il Go- verno per conservarla, vi lasciò delle truppe; e loro distri- buì possessioni a titolo di feudo militare, nelle coste, nelle pianure, accanto alle città principali. I vincitori, misti co’ vinti, ne presero la lingua e i costumi ; e mentre che i Sultani, occupati delle guerre con l’ Austria, con l’Un- gheria, con Venezia, coi cavalieri di San Giovanni, pen- savano o ad ingrandire o a difendersi; quello spirito d'in- dipendenza ch’è necessario effetto de’feudi militari, si dif- 8° fondeva nei pascià dell'Albania e dell'Epiro. Intanto Soda ti fra i lor dirupi , i greci, può dirsi, liberi a mezzo, vi- vevano maturando le generazioni avvenire alla vita della libertà e della gloria. Il Governo stesso abbisogno dell’ opera loro per sog- giogar de’ ribelli: gli Ospodari di Moldavia e di Valachia composero di codesti pallicari la guardia loro. Frattanto nell’ Acarnania, nell’ Albania , nell’ Epiro , il commercio diffondeva il suo spirito animatore. Vicini al dominio ve- neto , que’della Grecia occidentale frequentavano le uni- versità dell’ Italia ; ne riportavano l’amore delle utili di- scipline. Jannina , Moscopoli, Arta videro le prime scuo- le: dipoi Missolonghi; Missolonghi fondata già da tre se- coli, colonia di Parga. Panajotaky, discendente d’una delle famiglie emigrate di Trebisonda, dopo studiata la filosofia e la medicina in Italia , tornò sul principio del XVII secolo a Costantino- poli ; v’ ebbe fama ; divenne accetto al gran Visir: e 0sò un giorno , in presenza di molti ulema , disputare della verità della religione cristiana. Così, mentre che l’Europa rizzava i suoi roghi agli eretici, nella capitale dell’islami» smo eran sofferte le dispute di uno schiavo in favore della propria credenza. Panajotaky, uomo culto e molt’abi- le , ottenne, primo tra’ greci, il posto di grand’interprete della Porta: e d’ allora la nazione greca entrò, a qualche modo, a immischiarsi negli affari politici del. Governo. Panajotaky accompagnò il gran Visir nella spedizione di Candia, e salvò quell’ isola dalla rabbia maomettana , irritata per lunga e terribile resistenza. Maurocordato, suo successore nel posto di grand’interprete, fu ministro ple- nipotenziario nel trattato di Carlovitz, e tanto benemerito della Porta , che ottenne il titolo di confidente de’ segreti dell'impero , titolo poi serbato a tutti gl’ interpreti. Co- desta carica era propria de’greci, espressamente interdetti gli ebrei e gli armeni; faceva parte del ministero; aveva per privilegio l'andare in pompa sopra un cavallo ben guar- nito , con quattro paggi in livrea, come sogliono i mi- 88 nistri turchi; con altri diritti più solidi, benchè meno ap- parenti , L’ uffizio del dragomanno, era interpretare nelle udien- ze e nelle conferenze i discorsi de’ ministri turchi e degli ambasciatori; tradurre le note dirette al Governo da’mini- stri esteri, o le lettere de’sovrani‘al Sultano ; ma questo era il meno. Per mezzo dell’interprete greco si trattavano alla Porta tutti gli affari di qualche rilievo: e se un dra- gomanno de’ ministri esteri intavolava un affare, il Reis- Effendi, prima di rispondere, dimandava se 1’ interprete della Porta n° era stato informato : se non era, andate, di- ceva , «a informarnelo, Ecco alcuni effetti del molto potere del gran drage- manno. Maurocordato impedì la distruzione di Scio : Nic- colo , suo figlio, fece passare in man de’ greci il dominio della Moldavia e della Valachia ; ed egli ne fu il primo ospodaro : Gregorio Ghika fece torre ai visir 1’ isola di Rodi , da loro saccheggiata ed oppressa, e la fece ascri- vere a’ dominii imperiali : Nicolaky Sutzo spinse Mu- stafà III alla guerra contro la Russia: Costantino Ipsilanti facilitò l’ alleanza degl’ inglesi e de’russi co” turchi contro i francesi, allora invasori dell’ Egitto; e n ebbe in premio il principato della Moldavia : Alessandro Sutzo , e Carlo Kal- limaki strinsero la concordia di Napoleone con Selim II : Alessandro Chantzeri , dal colloquio avuto con l’ ammi- raglio inglese Duckworth, già venuto con la flotta ia- nanzi a Costantinopoli , dedusse che non erano da temere le sue minacce , e ne fece rigettare le superbe proposte. I dragomanni insomma , informati di tutti gli affari e in- terni ed esterni, infiammavano , moderavano, dirigevano la volontà de’ Pascià e del Sultano. Greci erano innoltre assai spesso gl’incaricati d'affari presso le potenze europee; giacchè ’l turco , ignorante e superbo , aborriva da simile uffizio , e con la sua inerzia lo rendeva inutile affatto, Greci erano i consoli e i.vice con» soli; cosa al commercio greco utilissima: e tenevano col grand’int rprete corrispondenza continua. 89 Tanto potevano i dragomanni alla Porta , principal: mente come candidati ai prineipati di Moldavia e di Va- lachia : principati, i cui Ospodari a ogni ‘tratto , per avi- dità di ricchezze , mutatî,, dovevano al Sultano e a’mini- stri suoi rendere somme enormi. I dragomanni a vicenda, divenuti Ospodari, quel poco tempo che duravano nel lor dominio, molto potevano appresso i ministri lor protettori, rispetto agli affari più notabili della Grecia, I loro agenti a Costantinopoli, uomini ‘bene scelti, vegliavano su tutte le relazioni civili de’crislîani posti sotto il giogo ottomanno; tenevano corrispondenza non solo co’ ministri e col clero, ma con tutti i pascià; sicchè quando questi vessavano gli areivescovi , gli arcivescovi ricorrevano ai detti agenti, e con frutto. Aly-Pascià stesso ‘accarezzava gli Ospodari, i loro agenti, e l'interprete della Porta ; i quali sovente s’° oppo- sero alla sua prepotenza. Or vediam più dappresso lo stato della nazione sotto sì lunga tirannide. I sudditi cristiani della Porta, essi e i lor beni; erano proprietà del Sultano; non de’prìivati, come gli antichi schiavi ed i negri: potevano dunque passare d’una in altra provincia. I pascià e gli altri uffiziali li condannava- no, ma in nome del sovrano;egli stesso non potea condanna- re, se una legge espressa non era perlui. Mustafà.III, volendo condannare a morte il principe di Valachia , lo inearcerò e volle dal gran Muftì la sentenza dell’ estremo supplzio. Il Mufti ne dichiarò l'innocenza, ed aggiunse che it Sultano poteva deporlo, non forzarlo a commettere un’ingiustizia. Il Sultano irritato abolì da quel punto il diritto de’ Muftì sopra tali giudizii; e d’allora solamente, il tiranno potè far senza la legge. In guerra, î maomettani potevano uccidere, vendere, tenere in servitù il nemico preso; ma poi, diventava pro- prietà del sovrano : e l’annuo tributo pagato dai Raya è un attestato di sommissione , non un solenne riscatto. Oltre alle autorità turche , i cristiani dipendevano da? loi capi-luogo , e dall’ arcivescovo , il qual giudicava in pri- F. XXXII. Ottobre. 12 90 ma istanza secondo il codice Giustiniano, redatto dal ce- lebre Costantino Armenopulo nel quattrocento. I capi-luogo, reggevano col vescovo quel poco che loro spettava d’ am- ministrazione civile; ad-ogni bisogno o querela ricorreva- no uffizialmente al sultano. In Tracia, in gran parte della Macedonia , della Tessaglia , del Peloponneso , dell’ Eu- bea, dell'Epiro, in Rodi, in Cipro, in Candia, in Coo, in Mitilene, dov’ era la residenza d’un governatore mao- mettano, i Demogeronti cedevano ogni potere civile agli arci- vescovi: ma in Scio, in Samo, in tutte quasi le Cicladi e le Sporadi,i Demogeronti conservarono autorità. In generale parlando, o spirito di libertà si mantenne più vivo ne’monti, dove al Turco indolente poco importava il dominio. Spe- zialmente le Cicladi e le Sporadi, sin dalla prima. capito- lazione che li assoggettò agli ottomanni, ebbero sempre il diritto di non essere funestate dall’ aspetto de’ Turchi, e molto meno d’ averli per giudici o per magistrati, di reg- gersi ciascuna secondo le proprie abitudini, a. patto sol- tanto di contare al Capudan-Pascià un’annua somma, Altre parti del greco continente erano proprietà dei membri della famiglia imperante , de’ministri, delle. mos- chee ; ed erano da’lor signori particolarmente protette. Ma ciò non toglieva che le oppressioni, le estorsioni, le guerre, non vi fosser frequenti. E se tanto era ne’ luoghi privile giati, or chè nel restante? Pure i Greci cercavano nel com- mercio, quale esser poteva il commercio nell’interno di tale dominio, un rimedio ai lor mali: e tanto valeva lo spirito vivifico infuso nel carattere della nazione, che in tutta, Gre- cia tu non avresti trovato prima dell’insurrezione un villag- gio disabitato; dove nell’ Asia minore, la turca. stupidità lasciava incolti e deserti spazi di terra grandissimi , Pre- vesa , sopratutte, Parga, Vonitza e Butrintò, col commer- cio e con la scarsa istruzione che attingevano dall’Italia,, sotto il sospettoso e gretto dominio de’ Veneti , furono le benefattrici della nazione , e le insegnarono a respingere di forza gli assalti di quegli ottomanni che le circondava» no. Altre cause non meno contribuirono a conservare l’u- Q1 nità e la vita di questo popolo sventurato ; io voglio dire l’ assenza di molti di que’ pregiudizi tirannici , che nelle colte nazioni introduce e moltiplica, una civiltà , mi si perdoni il vocabolo, pedantesca, Intanto l'impero ottomanno cominciava a dar segni di sua decadenza: le sconfitte del Zante, di Belgrado, di Pe- tervaradino. Tuttavia la lunga pace goduta da’sudditi sotto Mahmoud I, fete tanto prosperare le fertili provincie tur- che , che quando Mustafà III dichiarò la guerra alla Rus- sia, entrò in campo con 766,000 uomini. Ma Caterina di- struggeva questi eserciti immensi, occupava le fortezze del barbaro ; passava il Dniester , il Pruth , il Danubio ; in- cendiava le flotte di lui sull’ Egeo , minacciava i Darda- nelli. Quel sultano che aveva promesso di far mangiare la vena al suo cavallo sull’ altare di S. Pietro in Roma, fu da una donna umiliato e confuso. E tanto fu d’ allora il terrore del rome russo , che in una rissa sanguinosa at- taccata tra due reggimenti di giannizzeri , e durata tre giorni , l’unico modo di acchetare la pugna fu gettare în mezzo un cappello russo, alla cui vista si dispersero spa- ventati, E il celebre Ismail Bey, reis-effendi, solea dire: da un secolo la potenza ottomanna somiglia una tabacchiera guernita di gioie , la qual non contiene che immondizie: e la Russia ne ha levato il coperchio. Le vittorie di Caterina diffusero speranze di libertà nella Grecia. Alla nuova dell'incendio della flotta otto- manna tutti corsero all’armi, gridarono libertà: ma i Russi fidavano nell’ aiuto de’ Greci, e i Gieci richiedevano forze pari a tant’nopo. I pochi Russì entrati nel Peloponneso fu- rono ben presto sconfitti dagli Albanesi ; e il paese con devastazione orribile desolato. Il trattato di pace concluso dal Sultano per vani ter- rori nel 1774, condusse in Costantinopoli l'ambasciatore rus- so, scortato da un reggimento di granatieri spirante mi- naccia ; e concedente a qualunque le dimandasse, lettere patenti, e la protezion della Russia. I consoli e ì viceconsoli, con l’autorità e con l'orgoglio 92 che dà la vittoria si stabilirono nell’impero ottomanro,e man- darono a Pietroburgo dugento fanciulli de’ Greci, da edu- carsi in un collegio , a ciò eretto da Caterina. La naviga- zione del mar Nero e il porto di Taiganroch, favoriva gran- demente il commercio de’Greci, E finalmente la conquista da’Russi fatta della Crimea, dove un battaglione de’ Greci emigrati fece prodigi di valore , raffermò le loro antiche speranze. Nè la catastrofe del Peloponneso nocque loro, quanto forse potea: sì perchè gli Albanesi che li sconfissero, sta- bilitisi nel paese a malgrado del Sultano, chiamarono tutta a sè l’ira e le arme di lui; sì perchè in questa spedizione contro gli Albanesi, compagno all’ammiraglio era un gre- co, che poi fu Ospodaro di Valachia, e che molto inter- cesse pe’ ribelli ; sì perchè nelle stragi del Peloponneso , fra le schiave serbate al Sultano , si trovò la figlia d’ un prete , bellissima; che Abdul-Hamid innamorato fece sua sposa, e che molto potè nell’ animo di lui a favore dei Greci . Dopo la pace di Cainardza , Hassan-Pacha pensò a creare una flotta; e sentita la necessità di marinai greci, dovette darsi a proteggere le isole dell’ Arcipelago, donde potea venire all’impero la sua potenza navale : tanto più che dopo le strasi del Peloponneso , era a temere che la Russia tentasse col mezzo de’ suoi consoli far emigrare tutti î greci dalle isole. Di quì la forza nautica d' [dra, di Spezia, d’Ipsara. Maurojeny, l’amico d’Hassan Pacha, divenuto Ospo- daro dj Valachia, protesse più direttamente le Cicladi. Il Peloponneso, distribuito alla famiglia del sultano e ai mi- nistri, riebbe il privilegio di tenere a Costantinopoli dei deputati permanenti, e d’avere un ministro per intendente degli affari suoi più importanti, I Mainoti pagavano un tributo, col patto di non veder turchi nelle loro montagne. Il posto di guardiano alle gole dell’istmo di Corinto, era già sin da’ primi tempi affidato ad un greco; e fu carica ereditaria . E con tutto ciò lo stato del Peloponneso era 93 ben misero, per le estorsioni continue de’ Pascià : sicchè molti emigrarono , molti si ritirarono a Costantinopoli ; i pochi più forti si rarcolsero nelle montagne. Nel 1783 fu ceduta alla Russia la Crimea : tre anni dopo , fu dichiarata di nuovo la guerra alla Russia, non già per le mire de’ ministri d’ Europa , ma per gl’intrighi del gran-visir, che voleva spacciarsi de’ favoriti del Sul- tano, e non lo potendo che in guerra, perchè in guerra la potestà sua era più forte od almeno più libera, fece di- chiarare la guerra. L’ambasciatore russo Buchalof, fu rin- chiuso, secondo l'antica consuetudine nella prigione delle sette torri; ma trattatovi bene, oltre il costume: tanto più for- tunato che la figlia del comandante del castello, innamo- rata di lui, gl’intercesse dal padre di tenere corrisponden- za coi ministri di Pera ; sicch’ egli nulla ignorava delle cose che si venivano surcedendo. L’Austria intanto fece dal suo ambasciatore dichiarar la guerra alla Porta. Invece di chiudere 1’ ambasciatore in segrete, come si faceva sempre a que” d’Austria, fu lasciato andare, I Turchi, tutti baldanzosi innanzi di scon- trare il nemico, promettevano di condurre Caterina al Sul. tano con la sua conocchia ; ma quando, invece di conoc-= chie incontrarono baionette , fu ben altro il linguaggio. Di que’tanti giannizzeri che partivano la primavera alla guer- ra, ne tornava l’autunno la decima parte , cenciosi, sen- z’ arme, Caterina intanto faceva per la Grecia diffondere ma- nifesti, dove infiammava gli animi a nuove speranze di libertà. Ma il Peloponneso era troppo avvilito. Covavano però le scintille sotto la cenere : i Zaccaria, i Colocotro- niì, i Mauromicali si stavano sull’ erte rocce della peni- sola, come nuvole che ricuoprono il sommo de’ monti, e già paion preste a distendersi sulla pianura. Il continente della Grecia fu primo a sommoversi. I capitani tutti dalla Bassa Albania al monte Olimpo e alla Macedonia, strinsero una confederazione militare; a cui non mancava che un capo, e le munizioni di guerra. Alla nuova 94 che Psaro era da Caterina mandato a raccoglier pe’ Greci munizioni e denaro , si adunò tosto un esercito in Suli: sconfisse tosto il Pascià di Iannina ; e per trofeo di vitto- ria, mandò a Caterina l’arme del figlio di lui, morto nel bollor della zuffa. Una soscrizione volontaria de’ greci ba- stò ad armar dodici legni, comandati dal valoroso Catzo- ny . Ma i sussidii apprestati da Caterina furono spersi da perfidi agenti. Catzony sparse il terrore sulle coste dell'Asia minore e della Macedonia : diede, nell’ istoria delle battaglie na- vali, il primo esempio di legni mercantili posti a fronte a vascelli di linea. In un combattimento presso all’ iso- la di Zea, la flotta greca già già vincente, fu ‘da una squadra algerina improvvisamente sopravvenuta , dopo lun- go resistere, spersa tutta. I confederati del continente, ab- bandonati dalla Russia, inceppati dalla politica veneziana, ristettero. Leopoldo conchiuse la pace con la Porta ; e le rese Belgrado e tutte le altre fortezze, già su lei conqui- state . Se non che la pace nel 1792, conchiusa con la Rus- sia, sempre vittoriosa , assicurò qualche nuovo vantaggio ai Moldavi ed a’Greci, In tutte quasi le isole e le città com- merciali, si stabilivano de’consoli russi; e si faceva ciascun d’essi temere come un vincitore di Rimnik. Tobassar prima e poi Odessa, videro i Greci concorrere ad animare il lor nascente commercio . Il Sultano , sperando che la Russia entrerebbe nelle nuove dissensioni eccitate dalla rivolu- zione di Francia , non volea darle soggetto a discordia , e soffriva le mosse commerciali de’Greci, che di quel tram- busto europeo profittarono a grande vantaggio. Jussuf e i ministri di Mustafà ]ll per mantenere il lor credito, s’avvisarono di consigliare al Sultano l’istita- zione di truppe regolari. Per bilanciare il soverchio poter de’giannizzeri, Mustafà che ben conosceva la necessità som- ma di tali truppe nel caso di guerra con le potenze europee, consentì; e trovata fra’libri del tesoro imperiale l’opera di Vauban , la fece tradurre da Costantino I]psilanti , stam- bd pare, e mandarne una copia a tutti i comandanti delle fortezze: fece insieme ordinare l’istituzione di truppe edu- cate alla tattica militare. Intanto l'ammiraglio Hussein-Pacha guerniva la flotta di marinai tutti greci ; proteggeva le isole, segnatamente Idra, Spezia, ed Ipsara; facea concedere il titol di prin- cipe a uno de’ primi cittadini d’Idra ; dava in perpetuo l’uffizio di primo piloto del vascello ammiraglio al migliore de’ marinai di quell’isola. Quindi l’Arcipelago parve ri- fiorire ; incivilirsi quelle isole : mentre il continente .di Grecia , la Servia, la Bulgaria , gemevano sotto 1’ avara tirannia de’ pascià . Se non che la grande fertilità delle terre, l’ avarizia stessa de’ pascià che voleva essere unica spogliatrice, il commercio interno, rendevano meno intol- lerabile quella miseria. E la Moldavia e la Valachia eran piene di Greci, che protetti da’consoli russi ed austriaci, facevano con la Germania, e con Lipsia specialmente, un pingue commercio. L’impero turco frattanto ogni dì più venia meno. L’ Asia minore , la Siria, l’Egitto ogni dì più si disuniva di spirito dal sultano e dal sno governo : i pascià e gli altri soprintendenti alle province pensavano ad arricchire più sè stessi che ’1 fisco; sicchè il ministro delle finanze ebbe a confessare ad un greco, cugino di Rizo, che le rendite dell’impero non bastavano a tenere in campo 40,000 uomini d’ esercito regolare. La Bulgaria , la Misia, la Tracia, parte della Mace. donia , erano infestate da ladroni maomettani che taglieg- giavano le città , incendiavano i villaggi, uccidevano gli: abitanti, E il governo li proteggeva. Tanto è ciò vero, che nella scuderia d’ un de’primi ministri della Porta, furon trovati de’ cavalli rubati da costoro, e mandati in dono al Ministro. Questa: orribile dissoluzione dell’ impero, posta a contatto con gli avvenimenti della rivoluzione di Francia, fece nascere in mente al celebre Riga l’idea di. liberare la Grecia... Riga, fornito di qualche cognizione: scien- 96 tifica, versato nella letteratura della Grecia antica’, pa- drone delle lingue francese e tedesca , lasciò nel 1796 il servizio dell’ospodaro di Valachia, corse a Vienna , s’as- sociò con altri Greci letterati e negozianti; e tutto pieno d’idee di vendetta , stava per imbarcarsi pel Peloponneso; quando fu arrestato a Trieste: e per non tradire i compagni, si ferì d’un pugnale. Ma la ferita non fu sì profonda che non lo serbasse alla prigionia di Semlin, con altri otto de’ congiurati , e all'estremo supplizio in Belgrado, Il mi- nistro dell’interno , per la mediazione de’ Greci potenti più autorevoli , era già disposto a riguardar l’ affare co- me un ridicolo sforzo di visionarii impotenti ; ma voleva 150,000 franchi di riscatto: intanto che la somma tardava, Riga e i compagni furono condotti alla morte . Condotto con le mani legate, ruppe i suoi ferri, e disperatamente adoperando la sua gran forza, ferì mortalmente due de’car- néfici . i Il Sultano non pensò punto alla Grecia: ma. tutto rivolto alla invasione de’ Francesi in Egitto, cacciò l’am- basciatore «in segrete , esiliò. nelle fortezze del mar nero i Francesi che si trovavano ne’ suoi stati, confiscò i loro averi; dichiarò guerra alla Francia. Ebbe alleati 1l'In- ghilterra e la Russia. E Ta flotta tarca , fornita di marinai tutti greci, parve non indegna di star accanto all’inglese. L’ ammiraglio ne godeva ; e badava intanto a proteggere il commercio greco. Ma chi crederebbe che al più terribile nemico del nome :cristiano e dell’ umanità si dovesse un de’ più forti impulsi alla rigenerazione della Grecia ? Io dico od’Alì , Pascià di Iannina, Celebre è la sua lunga tirannide ; sì che offuscò quasi l’infamia di tanti altri nomi, ben degni d’ essergli noverati compagni + Tale fu quel visir, sopran- nominato strangolatore; tale il Pascià soprannominato Coj - oudy dai tanti ch’ e’fece affogare ne’ pozzi; tale Haki- Pascià, che all’ora della colazione soleva sempre dalle finestre del suo palazzo seder spettatore. alla morte «dei tanti da sè condannati : tale il Pascià di Viddin , che scon- Z fitti de’ maomettani ribelli, e postene le teste in un 540 ) le mandava al sultano con una lettera che ne segnava il numero; poi accortosi che per isbaglio il numero nella Jet- tera segnato era maggiore, fece trucidare quaranta cristiani de’primi che s’ incontrassero, per ricompier la somma, Alì Pascià, conosciuto ch'ebbe dappresso il disprezzabile stato del governo turco, si dispose ben tosto a corromperlo con le frodi. Profittò de’bisogni della Porta per farsi merito de’suoi militari servigi : profitto dell’amicizia di Napoleone per ‘assaltare due città dell’ Albania ed occuparvi due por- ti: e nel 1799, l'alleanza de’ Turchi, degli Inglesi; de’ Russi, gli fruttò l’ invasione di quattro fiorenti città, Prevesa , Parga, Vonitza, e Butrinto. I principi cristiani, armatisi per difendere il sepolcro di Maometto , lasciaro> no .in. preda alla rabbia maomettana quattro città di:cris tiani. Alì, scelto esecutore del trattato , prese d’ assalto Prevesa , la metà degli abitanti trucido, la metà. vendè come pecore. Vonitza e Butrinto s’ arresero. Parga 0. ognun sa il destino di Parga. Noi non parleremo di Suliz la cui, storia mirabile fu degnamente narrata da C. Clau- dio Fauriel (1). Le isole Ionie nel 1798 passate da’ Veneti ui nel 1800 formarono una repubblica, soggetta in vassal- laggio alla Porta, protetta dalla Russia e dall’ Inghilterra. Nella guerra seguente, la Turchia. e la Russia le riebbe di nuovo ; il trattato di Tilsitt le ridiede alla Francia; il 1812 all’ Inghilterra. Alì Pascià, dopo tentato indarno di distruggere que- gli armatoli che da tre secoli occupavano le montagne dell’ Albania e dell’ Epiro , terribili ai tiranni del piano ; se li volle guadagnare con gli stipendi, e servirsene per distruggere in quella vece i signori maomettani , ‘di cui potea sospettare. Temeva inoltre. l’ira del Sultano, il (1) Merita quì nuovamente menzione 1° opera del nosiro Ciampolini, della quale fu fatto nell’Antologia ( Vol, XXV. B. p. 118) parola a suo tempo. T. XXXI. Ottobre. 13 98 quale, dal 1812, ‘reso inaccessibile all’ usato solletico de’ ricchi presenti , meditava di sterminare i Pascià più potenti e i feudatarii più riguardevoli dell'impero. Dirò a un dipresso le forze degli armatoli negli anni che precedettero l'insurrezione. Ne’monti acroceraunii, Gustrato con 500 pallicari : la provincia può dare 1000 soldati greci; e il re di Napoli n’ ha al suo servizio tuttora 1500 + Nella provincia d’ Arta, Gogo con 200 soldati : nell’Acar- nania; Varnakioti, che fu de’ primi ad insorgere, e poi disertò . Nella provincia di Lepanto, Makri con 300: nel territorio di Pieveza, Riguiossa , e Loutraki, Giorgio Tzonga con 150 ; nella Locride Nicola Stournari , l’ eroe di Missolonghi; nel monte Agrafa , l’ intrepido Caraiskaki, con 800 : questi lottò con Aly per sett’ anni. In Carpenisi, provincia della Locride, Saphaka con 200; sul Parnaso, Mizo Condojanni con 250: nella Livadia, Panouryas con 200 :' nell’ Attica, Calzodemo con 400: nell’ Eubea, Me- nestopulo con 200: nell’ Olimpo, Caratasso con x000; in tutto , presso a dodici mila. Giova ora rifarsi indietro, e raccogliere le altre fila ancor non tocche , per cui questo mirabile fatto della greca insurrezione si rannoda al gran corso delle cose eu- ropee . i Conquistate che furono le sette isole dalla Francia, alla. Francia rivolsero i Greci vive più ‘che mai le speranze di libertà : tutti.i suoi capitani «strinsero \ben. tosto una lega; e non s’attendeva alla sommossa che un segno. Emissarii Francesi scorrevan la Grecia, ai maomettani. pro- mettevano aiuto contro Alì Pascià ; ai Greci proponevano, di attaccare la Turchia nel Peloponneso , di sbarcar truppe francesi a Agi-Sararda rimpetto a Corfà ; di approdare a Volo per sollevare i guerrieri del monte Olimpo, a Parga per eccitar l’ Albania e Montenegro. Quest’ era il progetto; ma la sognata conquista dell’ Egitto ne stolse la Francia. Cadde la Grecia dalle sue premature speranze; al vede- re le quattro città venete che dicemmo , daté preda a’ suoi tiranni ; e le sette isole soggette al Sultano. Se non' che et rn————csm 99 l'alleanza della Turchia con la Russià fgiovava ad alle- viare il giogo de’ greci, risparmiati alquanto per riguardo ai loro fratelli di religione , e resi alquanto più liberi nel- l’ esterno commercio. Dopo la pace d’Amiéns, Napoleone, rtaccostatosi a Paolo I, gl’ispirò l'amore di combattere 1’ antico al- leato. La Grecia n’ eblle ben tosto novelle : ma la morte ‘di Paolo troncò ogni disegno; e Alessandro rinnovò l’al- leanza. I ministri Turchi erano, quasi tutti, dati alla Rus- sia; il ministro degli affari esterì all’ Inghilterra : al be- ne dell'impero nessuno avea mente. Gli Ospodari di Valachia e di Moldavia, protetti in secreto dalla Rus- sia, ditigevano in loro favore la politica della Porta , mercè l’ accortezza di Demetrio Muruzi, agente e fra- tello dell’ Ospodaro, è di Alessandro Mano, agente e cu- gino dell’ Ospodaro Ipsilanti. Muruzi, uomo accottò ed istrutto, ottimo cittadino , fece grand’ uso della molta au- torità che godeva presso a’ Ministri, protesse la nazione dalla barbarie ingorda de’pascià, procacciò che le elezioni de’ vescovi fossero le migliori, fondò a Costantinopoli ric- chi ospedali pe’ Greci infermi o appestati ; ottenne un di- ploma autografo del Sultano, dov’ è riconosciuta l’ istitu- zione de’ licei a istruzione de’ Greci. Muruzi introdusse nel 1803 la vaccina, e fece al sinodo scrivere circolari per diffonderne 1’ uso. Muruzi infine fece a Selim III creare la compagnia di negozianti europei , la qual comprendea tutti i Greci ; con privilegi grandi , con esenzione da ava- nie, con gli stessi diritti che godevano , mercè de” trattati, i negozianti esteri. Quattro deputati della compagnia co- noscevano in prima istanza : l'appello era al gran visir : e così durò fino al 1824. Il fratello di Muruzi, interprete dell’ ammiraglio , profittò dell’inflenza sua per proteggere le isole dell’ Ar- cipelago , e le coste dell’ Asia minore dalla rapacità de’go- vernatori e degli uffiziali di mare. [n questo mentre, i primati maomettani , irritati dalle innovazioni tentate da Selim , strinsero lega , radunaro- ‘no armati. Tzorlu , città della Tracia ,insorse, sconfisse 100 l’esercito di 20,000 uomini, mandato dal Sultano : onde questi dovette umiliarsi e chieder primo la pace. La Russia, l'Inghilterra, la Prussia vegliavano sulle mosse della Porta a riguardo della Francia: e la Porta le carezzava .tutte, la Prussia principalmente, dove aveva mandato ambasciatore il Greco Argiropulo. Ma caduto il vecchio ministero contrario alla Francia, il nuovo, consi- gliato da tre Greci potenti, e mosso dalle negoziazioni del colonnello Sebastiani, cangiò principiie condotta. Seba- stiani, sapendo che il ministero era sempre diretto da’Greci, dragomani della Porta, e dagli ospodari di Moldavia e di Valachia, ottenne che ai principi, Ipsilanti e Muruzi, che tenevano per l’ Inghilterra e per la Russia , si sostituissero Callimaki e Sutzo, dati alla Francia. La Russia finse d’of- fendersi dell’insulto fatto ai due suoi ospodari : e Selim, pure all’ udir le minacce, li rifè principi. Nondimeno la Russia ,-colto il pretesto, passò il Dniester nel 1806 : oc- cupò la Moldavia, la Valachia; e minacciava ben peggio. Ma Napoleune, entrato a Berlino, dopo la battaglia di Jena, manda il greco ambasciatore Argiropulo a Costantinopoli, per assicurare il Sultano delle sue buone disposizioni in favor della«Porta. E il Sultano, di queste ambascerie e delle dolci parole del generale Sebastiani si pasceva, a con- forto delle pro\iticie perdute. Perchè già i Russi avevano invasa la Bessarabia, e aiutati da una sommossa de’ Ser- viani, avean più volte sconfitte le armate Turche, l gian- nizzeri, maleontenti , avevano trucidato il gran-visir. La flotta inglese frattanto comparve sotto Costantinopoli; e se nun erano i consigli di Sebastiani, e soprattutto l’ av- vedutezza del greco dragomanno Chantzeri, il quale, ne- goziando col nemico , s' accorse che l'ammiraglio non ave- va il potere necessario per bombardare la città } Selim sa- rebbe sceso a vergognosissimi patti. In mezzo al comune spavento , il Patriarca Gregorio , quegli che quindici anni poi, fu impiccato davanti alla porta del suo palazzo, conduceva, col pastorale in ma- no, mille operai greci a fortificare le mura e le batterie ; concorreva all'opera egli medesimo: e così salvava i Greci 101 tutti , e forse tutti i cristiani della città dalla rabbia dei barbari inferociti al vedere per la prima volta le loro case, le lor moschee, minacciate dagl’ infedeli. Partita la squadra inglese, uscì la flotta turca; e rin- contrati i Russi, combattè con valorè, tutto dovuto ai marinai greci ond’ ell’ ‘era guetnita. L'ammiraglio russo , non potend’ altro , corse sull’isola di Tenedo; prese d’as- salto la fortezza, vi sbarcò un battaglione russo, e un corpo di Greci, tra’ quali Haido , la celebre guerriera di Suli. Era già la Porta in trattato con la Russia, di cedere la Bessarabia , la Moldavia, la Valachia, quando la ri- voluzione de’giannizzeri tolse a Selim il trono. Mustafà IV, quasi imbecille , lasciò Costantinopoli nell’ anarchia e nel terrore : nemico del suo predecessore e cugino, epperò de’ francesi , fece troncar la testa all’ interprete Sutzo ; ma pur si lasciava alquanto dirigere dal nuovo dragoma- no Caradza , la cui intercessione giovo molto a’ greci. Ca- radza dimostrava alla Porta, non essere prudente in mez- zo a tanti pericoli irritar nuovi ribelli; i 3ooo guer- rieri greci , ritirati nelle isole Ionie, non poter nulla a suo danno. Questi fuggitivi eran tutti di Suli, di Prevesa , Peloponnesiaci , Acarnani; comandati da Ciistaki, da Co- locotroni, da Nikita, e da altri valorosi lor pari. Ed ecco che Mustapha-Bayrak-Dar, governatore di Rustkuck , con altri governatori d’altre provincie , e con 20,000 s’ avanza verso Costantinopoli, per cacciare dal tro- no il crudele Sultano; il qual s’ uccide, e' lascia l'impero a Mahmud. Così que’ governatori che s° erano collegati contro Selim per aver lui nociuto al poter de’ giannizzeri;; s°armarono contro Mustafà per aver questi ristabiliti i gian - nizzeri. Gli era uno spirito di dissoluzione , e non altro , che spingeva alla guerra i sudditi tutti di quella vasta ti- rannide, Mahmud, nemico in suo cuore e ai giannizzeri e ai governatori , si lasciò dapprima regolare da Bairak-Dar , e dagli altri, a cui doveva la sua inopinata grandezza . Bairak-Dar poi, era tutto ligio al suo banchiere Armeno Munuk: onde allora furon visti i banchieri Armeni e Giu- It dei, con due o tre greci di Sciò, entrar nel maneggio dei pubblici affari. I Fanarioti se ne ritirarono , prevedendo la fine. Le cose della Grecia pareano sospese : solo il suo commercio fioriva protetto da Napoleone, che avea le set- t'isole, e dall’ Inghilterra che amava farsi amica la Porta. I giannizzeri , mal repressi, cospirano contro i nuovi ministri, è li uccidono o scacciano ; Costantinopoli è in fiamme : il Sultano deve la vita al non aver più successori all’ impero. Ma tutto occupato della guerra di Russia serba la vendetta desiderata contro i giannizzeri ad altro tempo. I russi passano il Danubio; e dovuniqe scorrono , portan vittoria. Queste guerre, terrestri e navali , raccendono le speranze de’ greci ; e il loro commercio ne divien più fio- rente . Muoiono tutti quasi i Pascià collegati contro la Porta : onde Mahmud, rincorato, fa passare alle sue truppe il Danubio : è sconfitto ; costretto alla pace; e premia con la morte due de’ greci che la negoziarono , quasi fosser essi colpevoli della suà vergognosa insolenza. Le somme che il tiranno richiede da’ suoi pascià, e dagli Ospodari di Moldavia e Valachia, sono immense . Egli pensava A distruggere ogni potere che gli facess’om- bra. Uccise fra gli altri Ramiz-Pascià ; che già cospirava per prender le redini dell’ impero , come discendente dei Kan di Crimea che discendono da Gengiscano. Vedute le vittore della Francia sui Russi, Mahmud s’avvisò di rom- pere i trattati, d° invader la Servia; e guai, se non erano i consigli dell’Ospodaro Caradza, che lo persuase d’aspettare almen l’ esito di quella guerra. Alle estorsioni, alle uccisioni di Mahmud , s’ aggiunse la peste che durò ben sei anni ; e mietè quasi il terzo della popolazione della Turchia Europea e dell’Asia minore. Do- po la peste il vainolo. Lo sterminio si diffuse anche nella Moldavia e nella Valachia: delle quali provincie, siccome di quelle che videro nascere l’ insurrezione , giova il dir brevemente. Sottomessesi ai turchi per capitolazione nel XV seco- lo, furono sempre rette da Ospodari indigeni , e quindi da | ! 103 greci :; di dignità superiori ai Pascià di tre code , uguali al governatore di Bagdad, Il popolo era loro schiavo: ed essi medesimi , soggetti sempre alle invasioni de’ vicini, alle estorsioni della Porta, a morte violenta. Nel 1716 ottenuto da un greco quel principato, i:boiardi del paese, che non lo riguardavano come un lor pari, come un rivale, ne furono più contenti. Nicola Maurocordato, primo Ospodaro, diede- si il primo a incivilire quella gente rozzissima ; fondò in Valachia una stamperia, ed una scuola pubblica dove s’ insegnava lo slavo; il greco letterale, il latino. It fra- tello di luîì liberò dalla servitù i contadini ; introdusse la cultura del granturco , che diventò l’unico loro alimento. I lor successori fecero tradurre nel dialetto natio la Bib- bia, la Liturgia: sotto l’ Ospodaro Ipsilanti se ne compilò una grammatica. Ipsilanti, Ghika , Callimachi , Caradza, diedero loro un codice, ancora vigente. Per sospetto o calunnia di tradimento , gli ospodari venivano leggermente deposti: e anche quando i trattati di Cainardza , Jassy, e Bucharest, li posero sotto la pro- tezione della Russia, e li liberarono dalla trista infiuenza de’ potenti vicini, dico il Kan di Crimea, i sultani tartari di Budzak , e di Caruchan, i pascià d’Ismailow, ed altri; pur molto avevano ancora a soffrire dalle angherie delle guarnigioni al Danubio, e dall’ avidità de’ negozianti tur- chi che su tutte le derrate delle due provincie esercitava» no un monopolio tristissimo. iIl principato durava sette: an- ni: ma molti od erano forzati a rinunziare, o deposti, od uccisi, Il peggior. flagello di quel popolo infelice era la tiran- nia. dei signori che si gravava sopr’esso, lo caricava di tutto il peso delle imposte ; gl’imponea, o per contratti recenti o per antiche abitudini, fazioni gravi e lunghissime , che li stoglievano dai lavori necessari alla vita. Ciò nondimeno, tutti i Greci perseguitati da’Turchi, quivi si rifaggivano da tutte le parti dell'impero ottomanno; quivi esercitavano le arti loro, o arricchivano come affitaiuoli delle terre di quei doviziosi boiardi. Nei licei delle due capitali, Bucharest e Jassy, s' in- 104 segnava il greco, il latino, il tedesco, il francese, scienze vaturali , filosofia. I capi luoghi di eiasciùn distretto ave- vano scuole. «A Jassi una buona stamperia; a Bucharest «un teatro, dove si davano tradotte in greco , dello com- medie e tragedie franeesi. La lingua greca intesa da tutti, fuorchè dall’ infima plebe , e da’ signori parlata con molta purezza ; da parecchi letterati bene scritta: la letteratura antica conosciuta e apprezzata. l boiardi sposavano donne di famiglia greca, nobile o principesca: i Greci sposavano le figlie de’ signori Moldavi e Valachi. Così s’ incivilivano i costumi e la lingua: intanto che!le invasioni russe ed austriache diffondevano il lusso e l’amore dell’ arti. l si- gnori studiarono il tedesco e il francese: la danza, la mu- sica fecero parte della educazione più scelta :.e nelle case de’ boiardi più ricchi, si trovavan fino delle istitatrici francesi o alemanne. Se non che, quella nuova urbanità cominciava a parere alquanto frivola e scostumata. Ed eccoci alla grand’epoca della insurrezione. ll ch, A., che noi abbiam fino a quì fedelmente seguito, ne narra l’origine ed i progressi; e termina con la misera fine di Missolonghi. Noi nol seguiremo nella, narrazione di eose notissime, ma da lui presentate sovente sotto nuovo aspetto, o con l’artifizio della esposizione , 0 col. ravvicinamento di quelle. menome. circostanze che avvivano i fatti, li spiegano, li fecondano. ll suo però non è che un compea- dio : e nella storia, a cagion d’esempio , dell’ assedio di Missolonghi scritta da A. Fabre , negli stessi documenti officiali, l'ammirazione e l’ avidità del lettore ha pascolo più abbondante. Codesto pregio della maggior copia di fat- ti, e del corredo dei documenti, l’ha la storia del Pou- queville continuata quì dal Ticogzi. K db. E. O EIA 105 Della suprema economia dell’ umano sapere in relazione alla mente sana ; di Gio. Domenico Romaswosi — Milano , coi tipi di Felice Rusconi, 1828, Deve riuscire di un vero conforto a tuttii cultori della scienza dell’ uomo il vedere come il Romagnosi, mente vasta , ed acuta, siasi in questi ultimi tempi rivolto a trattare espressamente li studi della razionale filosofia. Nel tempo che universale è il la- mento per la mancanza di una dottrina psicologica , che sì trovi d’ accordo tanto colle verità tutte interessanti, quanto colle leggi conosciute della natura , è stata vera fortuna per l’Italia, che un tanto suo figlio facesse dono al pubblico delle alte sne meditazioni su questo soggetto. E noi fummo lieti , quando comparve alla luce quel sno libretto sulla Mente sana; nè restarono deluse le speranze, che anticipatamente ce ne avean fatto concepire le altre opere del sapientissimo autore, che in Italia ha fondato la vera scuola filo- sofica delle morali e politiche discipline. Più giornali italiani ne dieder ragguaglio , e 1’ Antologia non mancò di render conto di una opera , che nella parvità della mole racchiude una grandiosa serie di nuove vedute utilissime. La Biblioteca italiana fu la prima a parlarne , ma in modo, che a noi non parve troppo degno di quel- 1’ accreditato giornale. L’ autore dell’ articolo prese due sostan- zialissimi abbagli , che qui vogliamo notare, facendo avvertito , che questa nostra escursione non è inopportuna nell’ articolo , che destiniamo a dar conto dell’ altra opera del Romagnosi di sopra an- nunziata, poichè è necessario l’ aver bene inteso il libro della Mente sana, se vuolsi bene intendere quest’ altro della suprema economia dell’ umano sapere. Nel 6. IV del discorso sulla Mente sana si ricerca se possa provarsi, che esista qualehe cosa di reale fuori di noi, e ciò a persuadere 1’ idealista , che trova impossibile questa prova. L° au- tore dell’ articolo asserì, che dal Tracy è stato chiaramente dimo- strato come possiamo giungere ad ottenerla. E in ciò pare a noi, che egli andasse lungi dal vero ; perchè il Tracy non ha fatto che mostrare la genesi della credenza , che esista una qualche realità fuori di noi; ma questa genesi non deve confondersi colla provata verità della realità dei corpi, lo che è ciò che si cerca. Quindi la dimostrazione vittoriosa , che recò in mezzo il Romagnosi , era ne- cessarissima a persuadere l’ idealista, che dal ragionamento di Tracy non può rimaner persuaso. Quindi la jdimostrazione del T. XXXII. Ottobre: 14 106 Romagnosi può dirsi una necessaria continuazione di quel ragiona- mento , che senza di essa sarebbe incompleto. In una maniera poi anche meno ragionata l’ autore di quel- I’ articolo confuse il senso logico colla coscienza. Ha detto il Roma- gnosi in quel discorso della Mente Sana , che l’ atto proprio del l’intendere appartiene ad. una potenza attiva, a cui fu dato il nome di senso comune , e cha fu appellato serso logico , fonde in- dicare il di lui proprio carattere , e distinguerlo ( scriviamo parole del Romagnosi) dal senso fisico , e dall’estetico anch’ essi comuni. Ora contro questo vero l’ autore di quell’ articolo oppose , che non il seriso logieo , quale è inteso dal Romagnosi, mai dettati del- I intimo senso della coscienza, sono il fondamento capitale della scienza eminentemente suggeritrice dei mezzi, pei quali soli può conservarsi l’ ordine delle cose umane. Ma che intende egli per intimo senso della coscienza? Forse quella potenza attiva , che forma i verbi interiori ? E in questo caso non è una stessa cosa coll’ intimo senso , che da Romagnosi è chiamato senso logico? Q piuttosto intende la consapevolezza , quella funzione cioè , per cui avvertiamo di fare la tale operazione , e però sentiamo di pensare, o di operare una data cosa ? Ma in tal caso il Romagnosi aveva già combattuta, e distrutta la obiezione, quando aveva riflettuto , che la detta funzione è diversa , e posteriore alla formazione attiva di un verbo interiore ; quando aveva detto , che nella consapevolezza noi siamo contemplatori, e non operatori di alcun fenomeno. E infatti è molto facile a riflettere , che 1’ uomo fino dai primi istanti della sua vita, fino da quando è assolutamente incapace a rivol- gersi avvertitamente sopra sè stesso , egli a sua insaputa, e per una insita forza svegliata dal commercio cogli oggetti esteriori , pronunzia sull’ essere, e sul fare ideabile delle cose i verbi inte- riori. È facile a riflettere , che l’uomo impresta la propria esisten- za, ela propria energia alle cose esteriori non per una avvertita finzione dell’ anima , ma bensì per una necessaria, e costante legge del mondo intellettuale ; che soltanto tardi si rivolge Vanima sopra sè stessa, e studia i fenomeni della propria energia ; e che infine se dallo studio soltanto di questi fenomeni incominciar dovesse la intelligenza dell’uomo, noi non sapremmo spiegare come mai s’ intendano le cose prima di questo studio. E quella scuola di filosofia , che oggi ad alta voce raccomanda lo studio dei fatti, e dei fenomeni della coscienza , e alla quale forse volle far eco 1’ autore di quell’ articolo , non intende certamente di confon= dere quella interna energia, che produce i fenomeni ; colla deli- } 107 berata , ed avvertita attenzione, che si ha da porre ad essi. Ora se il Romagnosi a quella interiore energia pose il nome di senso logico , riservando il nome di consapevolezza a quella attenzione avvertita, non fece egli una necessaria distinzione del produttore del fenomeno dal contemplatore ? Se un orologio , oltre al bat- tere le ore; fosse anche capace di avvertire a quel suo battere, perchè mai questa sua ultima funzione vorrebbesi scambiar cotla prima? E qui, perchè. sempre meglio siano comprese le funzioni del senso logico; non possiamo trattenerci di riportare alcune parole del Romagnosi. “ Quando leggendo un libro in vece di > uno volto due fogli, mi accorgo che la frase seguente non lega » coll’ antecedente, e non intendo più il periodo. Forse che il 3 legame necessario si fa colla coscienza? La coscienza non è ss che vina avvertita sperienza. Essa non opera nulla, ma è un , testimonio passivo, e nulla più ,,. Noi non avremmo speso queste parole a notare gli abbagli, che a senso nostre sì contengono. nell’ articolo della Biblioteca italiana, se non avessimo sentito talumi; ‘che mai non furono ini- ziati alle rivelazioni della filosofia; far eco ciecamente a quel- l’articolo. D’altronde non crediamo inutile opera l’insistere ripe- tutamente sopra alciine idee, che alla comune non sono per anco molto famigliari, e che pure sono necessarissime per bene cono- scere la economia dell’ umano sapere ; alla quale il Romagnosi ha consétrato il libro, che abbiamo annunziato in capo di que- to articolo . Tanto il discorso sulla mente sana; quanto questo Della su- prema economia dell’umano sapere in relazione alla mente sana, formano , al dive dell'autore, un sol corpo di una sominaria pro- posta della scienza fondamentale del pensiero, offerta alla medi- tazione di questo secolo. Nel primo discorso sulla mente sana furono indicate compendiosamente le leggi della composizione di lei. In questo si accennano le leggi del di lei movimento, quale viene eseguito in natura. Importante dunque è il soggetto di questo ultimo libro, e di una influenza iassima in tutto l’uma- no sapere; esso è una sommaria proposta di una vita ‘dello sci- bile delle società, di cui mancò fino ad oggi la razionale filoso= fia. Perciò è libro y che non saprebbe abbastanza raccomandarsi ‘alla meditazione del secolo. «Ci duole però, che esso non sia suscettibile di un comodo estratto , e però dobbiamo limitarci quasi al solo ufficio di tra- scrivere i titoli dei paragrafi , che lo compon gono, e a rilevarne 108 lo spirito, e il metodo . Però dal poco, che diremo, vogliamo sperare , che non possa a meno di esser provocata la curiosità dei nostri lettori a procacciarsi il libro annunziato, e a fare una let- tura, che si compie in poche ore, e che può loro con non molta fatica di mente riuscire di grande vantaggio. Il libro incomineia dall’ annunziare la occasione dell’ ope- ra. Nel fascicolo 86 di questo giornale, nel rendersi conto del Discorso del Romagnosi sulla mente sana, lo stimabile au- tore dell’ articolo, eccitò uno scrupolo logico contro la dimostra- zione data dal Romagnosi a provare la dipendenza delle sen- sazioni dalle cose esteriori. Quantunque noi pensiamo col Roma- gnosi, che quello scrupolo non abbia una grande imponenza ; quantunque noi pensiamo , che la dimostrazione del Romagnosi: sia assoluta, e che il nodo massimo sia stato da lui sciolto non “tanto contro l’ idealista, quanto a più forte ragione contro il Pir- ronista , il quale dubita soltanto di ciò, che 1’ altro nega, pure a quel bravo scrittore, che promosse quel dubbio, e a cui noi ci professiamo amici sinceri, stimiamo doversi porgere i più vivi ringraziamenti per aver dato occasione al Romagnosi di pubbli- care un preziosissimo libro , che senza quel dubbio sarebbe re- stato forse nella mente del suo sapientissimo autore. Tanto è ve- ro , che la libertà della discussione è madre feconda di verità , è occasione inesauribile all’ avanzamento delle scienze. Prima di far conoscere quale sia la partizione delle materie trattate dall’ autore in questo suo libro, non sarà inopportuno il riferir parte del $. XVIIlI, in cui si discorre come l’ antica filo- sofia abbia agito nella moderna Europa. Ci sarà dato ad un tempo di conoscere le canse del carattere della filosofia europea, e l’alta sapienza, con che ragiona l’ autore. « Dopo gli ardimenti, e le fasi della greca e romana filoso- 33 fia un torpore fatale , ed obbligato invade la più colta parte 3» del mondo. Nell’ estinguersi del romano impero, e nel sorgere so del greco il genio del male armato di tutto il suo potere spande »» sul mondo più incivilito una lunga, e tenebrosa invernata resa », ancor più desolante dalla barbarie delle nordiche invasioni . 3) Allora la pianta la più preziosa , ma la più delicata della col- 3» tivata filosofia perisce. Il secolo decimo pone il colmo alla di- »» struzione dell’ anteriore cultura . Col finir di questo secolo il ss mondo idolatra con tutti i suoi accessori finisce, e non ne ri- ss mane più che il fantasma. Ma per quella legge suprema e mi- » steriosa della natura, per la quale alla distruzione fa succe- MET e ene TIA E TIZI SIE 23 29 23 99 bb) 39 23 È) » 93 25 59 59 bb) 29 5) 29 e») 55 23 59 59 59 bbi Phi 2? 9) 5) 25 2 bb) 3) 33 bb) 29 > 3) 3) bb) 35 rog dere la riproduzione, essa fa sorgere il secolo decimoterzo, che prepara l’attività del decimosesto , come questo prepara la fe- condità del decimonono. « În questa riproduzione non furono ricominciate le cose ab ovo, ma furono riassunte per quegli addentellati lasciati dalla fortuna, e giusta le nuove attitudini indotte dal tempo, e dalle conservate tradlizioni. Come nella primitiva barbarie la civiltà fu fomentata dalla religione, cementata dall’ agricoltura , e sviluppata col vivere politico, così nella ritornata barbarie la ci- viltà, e la filosofia rifugiate nei recinti religiosi uscirono collegate colle sacre cose ad illuminare, e governare di nuovo il mondo europeo. Doppio dovette dunque essere l’impero della autorità, e continuare durante la fanciullezza e l’ adolescenza ritorna- ta. Ma nell’ istesso tempo le dottrine di un Senofane , di un Empedocle, di un Epicuro, di un Democrito dovettero giacer negli archivi dimenticate, e risorgere solamente le più omoge- nee di un Aristotile, e di un Platone. Così si preparò all’Eu- ropa quella tempra di spirito filosofico ; che la distinse , e la distingue ancora dalle altre parti della terra. Se sterile per la naturale filosofia fu Vl’ impulso dato allora agli Europei, egli ciò non ostante giovò per dar lena, ed acume alla mente de- gli studiosi , e combattere quella ritrosia alla meditazione spi- rituale, che domina pur troppo la specie umana . Oltre ciò servi ad attenuare la corpulenza di una rozza, e compatta fantasia, che investe naturalmente la bassa età intellettuale, la quale prima di essere capace di una stretta, ed accurata analisi non è suscettibile nè di intendere , nè di scuoprire le genuine lezioni della sapienza ,,. « Ma questo stato di tirocinio doveva pur finire una volta. ‘Esso non era che uno stato di passaggio; una educazione, dirò così , delle scuole predominanti ; dunque doveva produrre fi- nalmente 1’ emancipazione degli studi filosofici. Ardua , e di- rem quasi violenta, doveva muscire questa emancipazione, at- tesa la tenacità delle abitudini degli addottrinati, e la presun- zione, e il predominio dei maestri. L’ acquisto della verità patisce di forza , e solo i violenti giungono ad impossessarse- ne. Le genti pertanto abbisognano di genii arditi, robusti, e risoluti ; i quali affrontino la corrente , e facciano strada ai più rispettosi, e di buona volontà. E siccome il vero delle cose sensibili è il più agevole a presentarsi, e il più vittorioso a persuadere, perchè avvalorato dalla esperienza oculare, e spesso tio ;5 fiancheggiato dal calcolo ; così î primi assalti, e le prime vit- storie sui vecchi pregiudizi dovevano compiersi appunto sugli » oggetti della fisica. Ecco pertanto le imprese , e le vittorie di s, un Galilei, di un Bacone, e di un Cartesio ; ecco la indigna- »» zione , e le diatribe contro la vecchia scuola, che combatteva s»» per il suo antito predominio, ed eccoci purè all’era moderna ,,: In due parti è diviso il libro del Romagnosi. La prima è in- titolata: Procedimento naturale del sapere umano. La seconda : Stato moderno della filosofia mentale, è della protologia.I paragrafi che compongono la prima parte, lianno i segiienti titoli: $. I. Età, e forme del sapere umano. $. 2. Metodi respettivi degli studi uma- ni. $. 3. Continuità , ed effetto di questo procedimento. S. 4. Simi= latità delle diverse età, e del relativo procedimento nelle famiglie ; e nelle nazioni. $. 5. Economia della “natura nel far nascere, e conservare le dottrine. $. 6. Similarità, e connessione fra il mondo esteriore , e l’ interiore. $. 7. Dei fattori esterni , e dei loro impulsi alla scoperta del vero. $. 8. Espressione ultima dello scibile umano secondo il suo naturale procedimento. $. 9. Legge di opportunità nelle opinioni umane. $. 10. Attitudini , produzioni , e conserva= zione del sapere umano nella più alta civiltà. $. it. Come ven gano regolati naturalmente gli studi, e ripartitone il frutto nella più alta civiltà . $. 12. Studio dei fondamenti della ragione , e dell’ autorità. $. 13 Della protologia. $. 14. Frutti dello studio della protologia nella più alta civiltà. $. 15. Articolo primario per la guarentigia di tutto l’umano sapere. I paragrafi , che compongono la seconda parte sono intitolati come appresso: $. 16. Confini odierni della filosofia del pensiero. 6. 17. Indicazione storica delle più celebri dottrine nell’ era mo- derna intorno le basi del sapére umano. $. x8. Come V’ antica filoso- fia abbia agito nella moderna Europa. $. 19. Questioni capitali in- sorte nello studio"della filosofia del pensiero. $ 20. Discordie vigenti in oggi. $. 21. Conciliazione possibile. $. 29. Temerità dialettica trascendentale. $. 23. Viziosa maniera di studiare i fatti. $. 24. Ul- timo eccesso trascendentale. Circolo illusorio. $. 25. Causa natu- rale di questo eccesso. $. 26. Nodo capitale di tutte le quistioni. 6. 27. Soluzione fondamentale di tutti 1 sommi problemi. $. 28. Gra- ve omissione anche in oggi praticata nello studio della filosofia del pensiero. $. 29. Di una filosofia del sapere umano positivo. $. 30. Sua alleanza colle psicologie. $. 31. Istanza fattane dal pubblico. S$. 32. Come si debba, e possa sodisfare a questa istanza. $. 33. Con- dizioni conseguenti di questa filosofia. III Dalla semplice enunciazione di questi titoli apparisce mani- festo , che fu mente del ch. autore di tener discorso del proce» dimento naturale del sapere umano ; e delle guarentigie dottri- nali della filosofia del pensiero. Al primo oggetto sono consa- crati i primi undici paragrafi della prima parte ; al secondo tutto il rimanente dell’ opera. E quanto al procedimento naturale del sapere umano, per- chè non manchi ai nostri lettori almeno una compendiosa idea del modo con che la natura nel mondo intellettuale conduce le cose ai suoi grandi fini, noi stimiamo utile il riferire una parte del $. 1 che è tratta da altra opera 'del ‘Romagnosi, la quale vorremmo un poco più studiata, e che ha per titolo: Dell* în- segnamento primitivo delle mattematiche. “ L'immagine del tem- 3» po , che guida per mano la verità, e ne stabilisce 1’ impero , >» forma il più bello, ed il più significante simbolo; cui la »» pittura , e la poesia configurar potessero per rappresentare la. », economia universale , colla quale le dottrine tutte entro il 3, mondo delle nazioni nascono, crescono, si propagano, ‘e si », consolidano. Se l’ uomo non è gratuitamente inventivo , non è s3 nemmeno gratuitamente portato all’ errore. Se la verità è una ss sola in tutti i secoli, non è però una sola la maniera di rav- >» visarla , nè la forma di annunziarla. Grezze, corpulente , e so ravvolte in nube sono le forme della prima età. Fantastiche , 3) emblematiche , e quindi ad un sol tratto materiali, e sfumate ,» sono quelle della seconda. Più reali, ma sconnesse, troncate, »» insufficienti , ed arrischiate sono quelle della terza. Piene, lu- ») cide, connesse, e naturalmente generate sono finalmente quelle »; della quarta età. Qui è finalmente dove gettate le spoglie stra- », niere, sotto le quali dalle antecedenti generazioni fu travisata »» la verità , essa si mostra allo sguardo nostro colle forme sue »» genuine. Allora ella apparisee piena, luminosa; e trionfante. so Allora collo scoprirci la sua naturale generazione, ella assicura »» eziandio la sua possanza. Ecco in breve le diverse forme, e le 3» vicende dello scibile umano. Noi saremmo tentati di pronun= », ziare , che in tutto questo corso si effettua veramente una se- »» rie di metamorfosi, nelle quali lo spirito umano, sospinto da- ss gli stimoli, rattenuto dall’inerzia, e guidato dall’ analogia , 3) tende per una legge unica, e graduale a sodisfare alla sua »» tendenza ,, . . +... Ma questa legge si effettua, e si modifica »» collo stato di fatto geografico, economico , morale , e politico 3 delle società, esistenti in un dato tempo, e in un dato luo- ;; go, e con date tradizioni ,,. 119 Veggasi nel libro del Romagnosi come questa generale teo- ria si dispieghi , e si faccia aperta nelle applicazioni , che Vau- tore ne fa alle civili società, e ai metodi scientifici. Resuita in ultima analisi, che in questo magistero della natura , come as- sennatamente riflette 1’ autore “ da un tutto compatto, confuso, »> € fantastico si passa sempre gradualmente a divisioni svilup- » pate ; distinte, e razionali, le quali venendo indi ricapitolate, 3» compendiate , e tradotte in certi simboli formano la ricchezza »» depurata ad uso dello spirito umano. Quanto poi alle guarentigie dottrinali della filosofia del pen siero pare, che il Romagnosi abbia preso di mira tre oggetti, cioè 1.° /l tema intiero, e naturale di essa filosofia. 2.° Il modo di studiare , ed esporre questo tema. 3.° Il possesso certo , ed in dubitabile della realtà. : I. Al tema intiero, e naturale della filosofia del pensiero si riferiscono i $$. 16, 28, 29, 30 e 3r. Il Romagnosi persuaso in- timamente di quella grande sentenza, che nisi utile est quod fucimus , stulta est gloria, pensa a ragione , che noi abbisogna- mo di conoscere non l’ uomo speculativo , ma l’ uomo di fatto , lo che non potendosi eseguire se non collo studio delle produ- zioni, e delle leggi, colle quali visse, e vive sulla terra , viene lo studio limitato all’ nomo sociale , perchè fuori di questo stato l’uomo è al di sotto dei bruti. “ Ricordiamoci, ne avverte l’au4 ss tore, che la filosofia della menta umana altro non è, che una », grande storia ragionata della coltura intellettuale dei popoli 3» operata dalla natura. Stimabili, ed anzi necessarii sono li studi > della potenza occulta , ed individuale operante in questa sto- ») ria. Ma la veduta della potenza non è quella delle leggi po- s3 sitive ; la cognizione della potenza non insegna come si svi» > luppi, e come operi in mezzo al grande ordine universale. ,» Quindi a far sì, che lo studio della filosofia del pensiero si ren da commendevole nella opinione dei popoli, ed inviti molti va- lenti ingegni ad occuparsene , è d’ uopo , che ormai si passi a studiare 1’ uomo nella storia sociale , in quella storia; la quale ci deve insegnare come nelle diverse età della società si genera= no le cognizioni, e si modificano le passioni. Quanto fu fatto fin quì dai filosofi per analizzare la teorica di fatto della generazio- ne delle nostre idee, dei nostri sentimenti , e delle nostre pas- sioni può bastare ) dice 1’ autore, onde intraprendere la storia naturale dell’ nomo interiore, quale viene realmente effettuata in natura. Frattanto i maestri di filosofia, se vogliono meritarsi que- sto nome, abbiano sempre presente , che nello studio della scien- 113 za dell’ uomo “si tratta, dice 1’ autore, di tessere la storia na- >, turale ragionata delle menti individuali per compiere quella »» dell’ uomo collettivo ; e coll’ una, e coll’altra conoscere la vita >» individuale , e sociale della umanità in tutti gli stadi suoi. ,, E qui il Romagnosi proclama come fondatori di questa ci- vile filosofia due sommi pensatori italiani, il Vico, e lo Stelli- ni. “< È cosa mirabile » dice egli, il vedere, come ambidne alle- > vati fra le secche , e digiune dottrine degli scolastici abbiano », spinto il volo verso di una parte non per anco avvertita, e per », una inspirazione di un genio indipendente abbiano segnato al- » meno un tema alla futura generazione. Più speculativo Stel- »» lini, e più positivo il Vico, ambidue mirano ad uno scopo di >» pratica utilità, perocchè lo Stellini consecrò le sue vedute alla 3» filosofia dei costumi, e il Vico a quella delle leggi. ,, Gli stu- di di questi due grandi italiani sopra alcune parti della civile filosofia invocavano altri tentativi, onde i loro pensamenti venis- sero annodati ad un gran tuttò ancora occulto , il quale, dice »» 1 autore, in se abbracciando quello di vero, e di luminoso , »» che fu da loro scoperto , svelasse allo sguardo dei sapienti un »» campo non ancora esplorato , e loro ne facesse avvertire le »» parti, ed il mirabil complesso. ,, E noi giudichiamo , che il Romagnosi in tutte le opere sue, ed in talune più segnatamen- te, abbia a ciò contribuito potentemente ; e se è vero , che sol- tanto la veduta piena, e completa del soggetto forma la cogni- zione della scienza , non ingiustamente potremmo chiamar lui il vero , e proprio fondatore della civile filosofia. Ma anch’ egli il Romagnosi confessa , che molto ancora ri- mane a farsi, perchè molto ancora resta a scuoprirsi dal filosofo in questo mondo delle nazioni, dal quale viene invocata la più impor- tante delle filosofie. Ond’egli invita gli italiani, fra i quali questa filosofia spuntò, perchè vogliano coltivarla. Ma saranno molti, che si accingano ad accettare l’invito? Noi riportiamo la risposta, che fa a sè stesso il Romagnosi ; perchè essa ne porge occasione di so- disfare a un sentito bisogno del cuor nostro , onorando la memoria di un caro maestro , pel quale le lodi di un uomo come il Roma- gnosi sono il maggior degli elogii, e perchè ci giova di far conoscere le speranze del Romagnosi negli ingegni toscani, onde ciò serva loro di un nobile stimolo a far sì, che quelle speranze non vadan perdute. Pochissimi, io temo , dice 1’ autore , saranno coloro , » che si accingeranno alla desiderata impresa, e ciò tanto più mi fa » Sentiré il perenne rammarico per la perdita di un nomo raro , al T. XXX. H. Ottobre. 15 ris 3» quale la più viva, e rispettosa amicizia, e somma stima cordial- ‘ »» mente mi annodava (Giovanni Valeri professore della ragion cri- >» minale nella università di Siena). Egli profondo conoscitore degli » scritti del Vico, dello Stellini, e di altri sommi nostri maggio- 3, ri, sembrava aver ricevuto dalla natura i talenti, ed il cuo- ») re il più atto per gli studi della sopradetta filosofia . Amator 9 del vero fino allo scrupolo religioso ; di un senso solido, pe- », netrante, ed esatto , egli improntava tutti i detti suoi coi ca- »» ratteri della sagacità , e della coscienza. Chiamato al santo mi- »» nistero di instruire una generosa gioventù, io desiderava di non >» incontrare una invincibile modestia accresciuta in lui dalla gran- :» dezza di quel sapere , che gli mostrava un campo immenso an- », cora non coltivato. La perdita di un tanto uomo può solo essere 3» in qualche modo compensata dallo zelo di qualche valoroso vi- » vente , il quale volga il suo ingegno agli studi di quella filoso- » fia; e niun paese certamente lo promette di più della patria del- » l’estinto amico.,, y Tutto ciò , che il Romagnosi discorre nei citati paragrfi 16,,28, 29 ,30 e 31 riguarda la funzione prima di ogni studio , che è 1° as- sumere. Le cose indicate in quella parte dell’ opera , che ci esibi- sce il procedimento naturale del sapere umano ; sono altrettanti punti del tema proposto a studiarsi, sono un primo assunto di quella storia naturale, di cui sopra abbiam fatta parola , e dalla quale sola può venire anima , e vita ad ogni maniera di studi im- portanti alla umanità. JI. A] modo di studiare , ed esporre il tema della filosofia del pensiero sono consecrati i $$. 22, 23, 24, 25 e 32. Nei primi quattro dei citati paragrafi si occupa il Romagnosi di notare la cat- tiva maniera trascendentale, e di mostrare in che ne consista il di- fetto ; e con ciò ha fatto cosa utilissima alla scienza della razio- nale filosofia. Nè meglio può riuscirsi a impedire i progressi, e a respingere indietro quel tenebroso trascendentalismo , che reca la dissoluzione , e le tenebre nelle razionali , e morali discipline, se non col mostrare ai trascendentalisti quali sono le illusioni del loro metodo, e col farli capaci, che per mezzo di una accurata analisi si giunge a spiegare la generazione dei prodotti trascendentali , e delle tanto vantate nozioni a priori. Mostratii vizi del trascen- dentalismo , il Romagnosi fermo in quel grande principio , che ogni vera scienza doverido riposare su i fatti, noi dobbiamo por- tare nello studio del mondo interiore lo stesso spirito di ricerca , e d’ induzione , che impieghiamo sul mondo esteriore , passa a in- dicare nel $. 32 quale sia il vero metodo da tenersi in ciò. Ivi ha ire, 115 mostrato la necessità di appigliarsi alle vedute medie , praticando così il metodo comune a tutti li studi di naturale osservazione, dei quali la economia consiste nel porsi ad osservare da quel punto, in cui si veggano più cose , e nella più distinta maniera. Così il Romagnosi si fa seguace di due sommi uomini, di Platone fra gli antichi, e di Bacone fra i moderni , i quali negli assiomi medi riposero il maggior valore scientifico. “ Quando si tratta, dice il »» Romagnosi, di architettare le scienze naturali del mondo sia ») esteriore , sia interiore, deve prendersi una posizione contem- »» plativa nè troppo vicina, dalla quale non si possa abbracciare il 3, complesso delle cose , nè troppo lontana, dalla quale spariscano 3» le particolarità necessarie a costituire la scienza, e a regolare le », arti. Nella vita reale havvi una unità sistematica, la quale non 3; viené raggiunta tanto col cogliere soltanto alcuri particolari, > quanto col sorpassarli. Una sfera dunque esiste, la quale respin- 3» ge le nozioni , che peccano o per difetto » 0 per eccesso. ,, E qui non ci pare inopportuno il fare avvertire, come il metodo incul- cato dal Romagnseszi per lo studio della psicologia coincide coll’ar- te di trattare le cose di diritto , e di politica , come egli ha mo- strato nell’introduzione allo studio del diritto pubblico universale, $. 48, e 280 al 283; e coll’ arte di concepire, e redigere le leggi , come ha insegnato nell’operà sulla condotta delle acque , par. 1, lib. 1, cap.r, f. 25. «IM. Ma le umane cognizioni hanno una base reale ferma e dimostrabile , oppure è per fatale destino Ja mente umana condan- nata a subire sempre le vicende di sempre mutabili opinioni ? Di questo grande problema , dal quale dipende tutta la legittimità dell’ umano sapere , si occupa il Romagnosi nei 66. 12, 13, 14, 15, 19 ) 20, 21, 26, 27 e nell’ occasione dell’ opera. Lungo sarebbe quì il riportare anche in compendio le giustissime , e profonde osservazioni dell’ antore in pièposito. Luiigà il riferire, come fatta la distinzione tra il certo , che è da lui definito un sì od un nò indubitato, ed il vero , che definisce per un sè od un nò indubitabile , egli dimostri , che quando le cose sono ridotte ad un fatto immediato di coscienza , ed al principio di contradizio- ne , si ottiene la immutabilità logica, e per ciò stesso la verità assoluta , e la dimostrazione assoluta. Assicurando egli alla mente umana il possesso certo ed indubitabile della realità , viene a stabilire su ferme basi la forza , direm così, materiale, ed irre- fragabile della civile filosofia, e ad accertare la possanza umana sulla natura mediante il vero. A quanto dal ch. autore è ragio- nato sulla protologia nei citati paragrafi, è necessario , che il 116 leggitore supplisca colla prima parte del Discorso sulla mente sa- na, onde ottenere la soluzione completa del gran problema. Il Romagnosi ha dimostrato in motlo vittorioso ; che la sen- sazione è una vera legge reale di natura operata da quella azio- ne, e riazione misteriosa, che si esercita fra 1’ essere senziente, e le cose esterne ; come pure ha dimostrato, che conseguente alla sensazione, ove sia vivace, esplicita , e discernibile, si è la umana intelligenza , e quindi lo sviluppo della umana ragione- volezza. E noi andiamo pienamente d’accordo col Romagnosi. Ma ci è venuto fatto di domandare a noi medesimi : la soluzione del gran problema sulla esistenza di un che reale fuori di noi, quanto è vero , che serva a stabilire la legittimità, e la certezza del- l'umano sapere, ha poi una reale influenza nelle cose pratiche umane? Se il voto supremo degli uomini in società radunati invoca pace , equità , sicurezza , e salute , come può essere que- sto, voto contrariato dalla opinione di coloro , i quali non cre- dono alla esistenza di un che reale fuori di noi, da cui sia la nostra facoltà senziente continuamente. atteggiata;, e modificata ? E così essendo, non potrà dirsi , che sia bene scarsa la utilità; che deriva da una discussione così imponente ? Però a noi, dopo | attenta riflessione , pare che sostanzialissima sia la prova, della quale si occupò il Romagnosi, e che influisca direttamente in tutti i casi pratici del viver civile, e che senza di essa può man- care alla sociale convivenza la desiderata pace ; equità , e sicu- rezza. Noi riflettiamo infatti, che officio massimo di ogni gover- no si è una grande tutela accoppiata ad una grande educazione. Pensiamo , che per questa educazione sociale deve la politica di- rigere le sue cure a far cospirare le cognizioni, gli interessi , e le azioni dei cittadini, e ad allontanare tutto ciò , che riesce ad impedire la detta cospirazione. Ma tutto questo artificio uma- no a che varrebbe, qualora si provasse, che non agiscono sulle anime umane le cose esteriori? A che tentare la direzione dei poteri di un vivente, onde fargli contrarre certe abitudini, se i di lui anima essendo unica indipendente ed esclusiva autrice delle. apparenze di tutti i fenomeni ideali non offrisse alcun mez- zo esteriore capace di comunicare efficamente con lei? E perciò con quali argomenti potremmo noi dimostrare , che a conseguire fa felice conservazione delle società si rende necessario il pro- muovere il triplice perfezionamento morale , politico , ‘ed eco- nomico ? La teoria dunque dell’ idealismo ; secondo la quale la natura esteriore non solo non agisce sopra di noi, ma è una di- pendenza da noi, potrebbe riuscir cagione della più sfrenata ti- 119 rannia: Quindi giudichiamo , che non fosse detto con troppa ve- ‘rità da un grandissimo ‘poeta di Germania , che. la filosofia di Kant sia un sistema di umanità , e di tolleranza} perchè , per quanto ottime fossero le intenzioni di quel. filosofo , pare a noi, che la di lui teoria possa riuscire un forte ‘istromento della più abbietta servitù , di cui non.vi ha cosa più contraria alla uma- nità. In questo aspetto considerata la cosa , ognun vede quanto sia ragionevole il non privare delle dovute lodi chi si occupò di combattere l’ idealismo assoluto , e di stabilire il sistema della compotenza causale , nel quale il sentire viene operato mediante la provocazione dei sensi attivamente corrisposta dalla potenza senziente, Questi ci parvero i punti capitali, che il Romagnosi ha preso di mira nel libro della suprema economia dell’ umano sapere. A noi non sarebbe stato possibile il dare di quel libro una ‘piena idea, se non che trascrivendolo per intiero. Noi con questo no- stro articolo non abbiamo voluto fare altro che provocare una utile curiosità. Ad oggetto però , che si possa scorgere 1’ indole, e il metodo della civile filosofia, che dai suoi fondatori deve chia- marsi italiana, ed apparisca chiaramente’ la ultima intenzione del lavoro del Romagnosi, crediamo di far cosa grata ai nostri lettori, offrendo loro trascritto per l’ intiero 1’ ultimo paragrafo della di lui. opera. « Ora esaminando lo scopo , lo spirito ; 1° esigenza , 1’ an- s; damento ; e le maniere della nostra filosofia, è per se chiaro, s» che in esse si assumono appunto quegli assiomi medii, i quali + da se stessi si raccomandano, e sono pieni di virtù induttiva ; ,,.€ però nell’ atto che non esigono ‘uno sforzo di astrazione , > sodisfanno la mente; che vuol sapere la ragione dello stato 5 intiero e positivo del sapere umano, quale si effettua nel vol- s»» gere dei tempi, e delle società . Il cielo mi guardi che io sia s; per detrarre nulla al merito dei fisiologi , e degli psicologisti, »» e sia per sconoscere i loro servigii resi alla filosofia del pen- »» siero. Come una buona: chimica: serve di lume e di sussidio a 3, tutte le scienze ed a tutte le arti fisiche, così una buona ana- i, lisi delle operazioni mentali serve di lume e di sussidio alle » scienze, ed alle arti intellettuali e morali. Ma come il saper »» fisico non debb’ essere confinato nella chimica, ma deve pro- |» cedere a narrare, ed a spiegare i fenomeni positivi, valendosi 3» dove conviene della chimica, così pure il saper morale non deb- sy b’ essere confinato alle dette analisi, ma si debbono far ser- »» vire alla storia naturale dell’ umano sapere. Qui sta lo scopo 118 » della italiana filosofia , di cui intendo di parlare. Quì si tratta »» del metodo necessario allo studio di lei. Qui si deve determi- s» nare lo spirito universale , che deve condurla. Qui si deve sì prevedere il frutto inestimabile , che deve apportare al mondo > delle nazioni. i « Lungi dal volere erigersi sopra la natura, questa filosofia 3, vuol secondarla per valersi indi della di lei possanza: Lungi s» dal volere sprezzàre 1’ autorità del senso comune, ella vuol »» farne un punto di appoggio dei suoi dettami. Lungi dal volere »» 0 ‘esaltare, o umiliare, o postergare la mente sana, essa vuo- »» le anzi considerarla come opera della natura , e dal comples- 3» s0 , e dalle condizioni delle sue leggi dedurre un nesso colla s» occulta realità rivelata solamente da lei e per lei. Per la qual s» cosa allorchè si tratta di definire alcuni concetti usitati } que- ») sta filosofia non pretende di arrogarsi quella petulante indi- » pendenza, colla quale taluni sottraendosi dalla autorità dell’uso ,; universale aprono il varco ad una sbrigliata agitazione di dot- »o trine $ ma invece vuole interrogare il senso comune, autore so della parola , e dei significati, onde farne escire 1’ intimo ed, », essenziale concetto , cui poi traduce nel senso verificato dalla sì ragione, la quale somministra le nozioni dirette; esprimenti la 3; filosofica spiegazione senza alterare il linguaggio usitato. Pari- 3 mente questa filosofia non contentandosi delle singolari divi- ss nazioni psicologiche (allorchè si tratta di spiegare le leggi po » sitive del sapere umano) essa si studia di abbracciare per quan- ,; to si può tutte le circostanze influenti nelle diverse età sulla s» produzione dei fenomeni e delle vicende positive di questo sa= »» pere, talchè i dettami sia profologici , sia analitici particolari, 3; stiano dietro la scena per dare ulteriore sodisfazione ad. una so più irrequieta curiosità. Finalmente questa filosofia assume il » suo punto di prospettiva ; ed il suo linguaggio proporzionato agli ,; assiomi medii, i quali in sostanza altro non sono fuorchè l’espres- » sione delle leggi plenarie , che si debbono studiare , e ad altri 3» dimostrare. « Ma in tutto questo contegno un pensatore ed espositore di _ s» dottrine non assume un oggetto o una mira indefinita, nè 33 propone stazioni ipotetiche , ma tiene sempre rivolto l’ animo ,s alla mente sana. Si tratta fotse d’ interpretare le sue parole ? so Il filosofo ne implora da lei la spiegazione. Si tratta forse di > mostrarle uno spettacolo interessante? Il filosofo pone l’ oggetto ;; in quella distanza , dalla quale possa essere da lei tutto com- ;; preso e facilmente distinto. Si tratta finalmente di sodisfare 119 ‘alla di lei curiosità ? Il filosofo le manifesta le cagioni assegna- bili le più..vicine , le più complete , e le più sodisfacienti. « Allorchè poi il filosofo prende lo specchio , e lo affaccia alla. mente sana, e la invita a rimirare se stessa , egli allora col più religioso raccoglimento le fa notare i suoi lineamenti, i suoi atteggiamenti, e i tratti visibili del suo vigore e della sua digni- tà.. Dopo ciò le fa vedere la propria immagine in movimento per i luoghi e per i tempi condotta da una mano invisibile per ripo* sare finalmente in seno della pace, dell’equità, e della sicurezza sempre da lei invocate. Là egli la mostra associata a quel vero che irradiandola qual sole purissimo le assicura il suo possesso, e la circonda della sua gloria. « Ecco in qual senso si verifica la relazione della mente sana apposta a questi cenni, e come la iniziata filosofia aspiri a so- disfarvi. Le guarentigie dell’umano sapere debbon essere verifi- cate non solamente nelle radici, ma eziandio nelle produzioni , nei possessi , e nella aspettativa. Che importa a me avere un pe- gno di sicurezza, quando non ne venga fatto uso? Le leggi son; ma chi pon mano ad esse? dirò con Dante. Ora colla italiana filosofia si tratta appunto di porvi mano a benefizio della mente sana , rispettando la di lei autorità naturale, consultando i suoi bisogni, seguendo le sue tendenze, ed assicurando le sue acqui- sizioni. Essa con voce imperiosa nè mai prima udita, invoca in oggi tutte queste cose come bisogni del secolo , ed ognuno entro la propria sfera deve ubbidire a questo comando ,,. E noi invitiamo tutti i veri amici degli utili studi a secondare le intenzioni dell’ illustre autore , meditando dapprima questo suo libro della suprema economia dell’ umano sapere , e discutendo poi con pienezza di cognizioni, non con superficialità di dottrina , e con pedanteria magistrale , i principii segnati da lui, e quasi tutti proclamati fino da quando fu da lui pubblicata nel 1805 la Zntro- duzione allo studio del diritto pubblico universale. In quanto a noi non oseremo asserire , che una discussione fatta di buona fede possa confermare per vere indistintamente tutte le cose pensate , ed osservate dal Romagnosi , benchè ci sentiremmo inclinati più al sì, che al nò ; mentre egli ragiona per noi di tal maniera , che quasi sempre ci costringe ad aderirci a lui. Che se pure in alcuna cosa credessimo di doverci fare a lui oppositori, noi non lo ardirem- mo fare che dopo aver meditato il suo libro molto di più,” perchè , per usare le parole da quel tale adoperate a riguardo del Vico, noi diremo francamente , che le cose pensate dal Romagnosi ci pongo- no in soggezione. Siccome però la verità non può fruttificare se T2) , oasi I Ì non è discussa , perchè soltanto la discussione può recare ali” ani= ma la convinzione , e cattivare l’assenso dello spirito umano, è per questo che il Romagnosi stesso ha proposto questo suo lavoro non alla fede cieca dei pensatori, ma alla loro meditazione ; ed è per questo che noi invitiamo i sapienti a discuterlo dopo averlo ben meditato. E qui vogliamo andare incontro ad una domanda , che non mancherà chi ci faccia, se il libro , del quale abbiamo reso conto, e del quale caldamente raccomandiamo come utilissima la lettura , sia libro intelligibile. Non è senza ragione che noi ci aspet- tiamo questa domanda, poichè ci è occorso frequentemente di sen-. tir ripetere da molti , scrivere il Romagnosi per sè , e non per gli. altri, e non è gran tempo , che ci accadde di sentire da qualcuno, che avendo letto per l’ intiero il libro della mente sana era giunto alla fine senza intender niente. Ora a chi ci facesse quella doman- da noi rispondiamo, che per coloro, che sono iniziati alli studii della filosofia , che sono avvezzi a pensare, che sono assuefatti alla precisione del linguaggio , ed alla ginnastica mentale , il libro sarà facilmente intelligibile. Per chi non uscì dai banchi della ret- torica , e non intese il libro della mente sana , forse sarà poco ‘in- telligibile anche questo ultimo lavoro del Romagnosi, benchè noi; riguardandolo come opera non elementare, lo teniamo per cosa seritta con molta chiarezza. Noi andiamo però convinti , che ben pochi fra i lettori del Romagnosi oserebbero tacciare di oscurità le di lui opere , se prima ‘di proferire un inconsiderato giudizio cia- scuno di essi rientrasse nella propria coscienza onde decidere se il male della oscurità viene dall’ autore , o da chi legge, perchè molti si trovano nel caso del cieco , che si lamenta della oscurità, e ne dà colpa alla mancanza di luce al di fuori, non alla incapacità sua di vedere. Ora questi ciechi di mente operino in modo da rendersi atti a fruire la luce , e ogni oscurità sarà per essi sparita. Noi tradiremmo il nostro dovere se tralasciassimo di fare os- servare ciò , che nello spirito, e nel metodo dell’ opera del Ro- magnosi più ci parve meritevole di attenzione. Quel grande prin- cipio, che in natura nulla si fa in senso generale, astratto , e diviso, ma tutto accade in senso particolare , unito, e complesso, principio, che forma il carattere distintivo di tutte le opere del Romagnosi , domina sovranamente quest’ ultimo suo lavoro , come domina quel libretto suo della Mente Sana. “ La teoria della »» Mente Sana, dice l’autore, se è teoria semplice , ed originaria »» per l’ uomo, che brama conoscere se stesso , essa, rispetto alla »; natura , è una teoria complessa, e di un ordine collettivo , nel t2I , quale l umano viene distaccato solo per mna astrazione , pe- »» rocchè le leggi di quest’ ordine formano una parte integrante »» del grande ordine dell’ inniverso , e da questo traggono le loro »» forme, il loro vigore, e la loro stabilità. ,, Onde con giustis- simo vocabolo può dirsi filosofia romita quella, che si appiglia al contrario sistema. Non si raccomanderebbe mai, quanto basti, alli studiosi, ed alli scrittori di non abbandonare il metodo del nostro autore. Pensino , che con esso possono giungere a conoscere la natura; ma senza di esso non possiederanno mai una scienza naturale , e però avranno un patrimonio scientifico inutile, se non vuolsi dire dafinoso. A che oggetto infatti si studiano le scien- Ze, se ciò non è per procurare quella certezza di cognizioni , che è uno inestinguibile bisogno dello spirito umano, il quale vuol riposare su di un finito certo ; 0, come dice Beccaria , vuol cre dere per operare ? Quanto più questa credenza sarà conforme ai rapporti reali umanamente conoscibili della natura, tanto più saranno in grado gli uomini di operare dirittamente. L’ uomo non può essere felice se non operando a norma delle leggi della na- tura , ma se questa natura è male studiata , è frustrato 1’ umano bisogno , e l’ uomo che non può vincerla se non secondandola , ove non sappia come secondarla , è ridotto a dovere essere ne- cessariamente infelice. E in forza di quel sapiente metodo tenuto dal Romagnosi si fa manifesta quella immensa unità ; che risplende, e primeggia in tutta la civile filosofia. Noi preghiamo i nostri lettori a voler richiamare alla mente le cose contenute nelle lettere sull’ ord& namento della scienza della cosa pubblica, che dal Romagnosi furo- no inserite in questo giornale nell’anno 1826 n. 68 e segg. Dalla lettura di esse, e specialmente della seconda, risulta , che le condizioni, e le leggi comuni a tutto l’incivilimento ( del quale il perfezionamento intellettuale forma un ramo) si riscontrano esattamente nella economia del sapere umano, talchè la filosofia del pensiero riesce necessariamente un ramo della civile filosofia sottoposto alle stesse condizioni , ed alle stesse leggi. Quindi ci pare, che per la dritta via siansi incaminati quei tre bravi in> gegni di Villemain, Guizot, Cousin, i quali con tanto plauso di tutta Francia accorsa a sentirli dettarono in questo anno dalle onorate cattedre le lezioni dei respettivi loro corsi. Essi in questo ci sembrano degni di lode , perchè pare , che intendessero la. ne- cessità di trattare i loro argomenti siccome rami dell’ incivili- mento. Per questo noi ci uniamo di cuore ai loro concittadini per applaudirli, e li esortiamo a procedere oltre nell’intrapreso camis T. XXXT. Ottobre. 16 1922 no (*). Intanto vogliamo avvertito, che furono citate da noi quelle lettere del Romagnosi, non perchè in esse sole siano inculcati questi principii, i quali anzi si riscontrano in tutte le opere sue, ma unicamente per comodo dei nostri lettori, che ne possono in questo giornale medesimo nei fascicoli del 1826 fare 1’ opportuno riscontro, e consultare all’ uopo anche la Introduzione al Diritto Pubblico, della quale sono i paragrafi in essa lettere richiamati. Ora non vuolsi lasciar di notare una cosa, che torna a gran vanto degli italiani. Fu l’Italia, che dopo la ritornata barbarie fu prima a coltivare la razionale filosofia in occidente. La Italia fu, che insieme con il commercio portò di là dai mari, e dai monti la scienza. Fu poi in Italia, e in un periodo più avanzato di cultura, che si diè nuova forma allo studio della filosofia del pensiero. Furono infatti due Italiani, Vico , e Stellini, che la rivolsero i primi al suo pieno oggetto , onde costituirla come parte della filosofia dell’ incivilimento individuale e sociale. Un altro Italiano; il Romagnosi, fu quello, che procurò di completarne i lineamenti appena abbozzati da quei due primi, e di presen- tarci Vintiero tema di questa nuova filosofia , acerescendo di mol- to, e molto rettificando il patrimonio scientifico lasciatogli dai suoi maggiori, e col fatto mostrando vera quella sua teoria , che la mente umana dal presentimento fantastico della verità passa a conoscerla nelle sue piene ; lucide, e connesse forme. Par dun- que un debito proprio degli italiani quello di correre sulle tracce segnate da questi grandi maestri ed applicare quella filosofia ad ogni ramo, dell’ umano sapere. E questo nostro povero articolo noi vogliamò chiudere con una preghiera diretta al sapientissimo autore del libro , che ne ha for- mato il soggetto. In una nota da esso apposta in piè della ultima pagina di questo suo libro egli dice di credere , che ad intrapren- dere con discernimento , e con sicurezza lo studio della scienza fondamentale del pensiero sia necessaria ancora un’ opera, che aver dovrebbe per titolo: Definizioni , e principii per servire alle teoria intiera della mente sana. Se egli sente; che la scienza ha (*) L’ amor del vero non ci permette quì di tacere, che mentre a, noi pa- re, che nellasapplicazione di quel comune pensiero, di quel sentito bisogno della scienza quasi pienamente riuscissero Villemaic , e Guizot, giudichiamo che: non di radoFaberrasse Cousin, del quale è veramente un peccato il vedere la imente acutissiora smarrirsi spesso per le vie tenebrose,del trascevdentalismo. Ciò serva a dichiarare la troppa generalità che alcuno potrebbe credere di tro- vare nelle nostre lodi. . 123. bisogno di questo lavoro } di caldamente lo preghiamo a volerle far presto questo altro dono: noi lo preghiamo a gettar sulla carta sollecitamente quest'altro sistema di idee, che nella sua mente già siamo certi, che stassi ordinato. Nè lo sconfotti se forse il secolo alquanto svogliato muoverà pochi plausi a questi suoi lavori. Egli sa meglio di noi, che ir natura nulla si fa di salto > ma tutto suc- cede per gradi , è sa ancora; che la pianta, la quale più tarda a Spiegare all’ aura i suoi ranii, è quella, che più proforide miette le sue radici , ‘e che poi sorge più rigogliosa a disfidare l’ insulto dei secoli. Abbenchè noi sentiamo, non avér d’ uopo il Romagiiosi di questi nostri conforti. Tutta la sia vita scientifica ci è testimone, che la sua ménte compresa da ogni sorta di vero sente un bisogno infrenabile di palesarlo, e con una fermezza singolare, che lo fa distinto tra gli apostoli della verità, a quel modo, che questa dentro gli detta, la va significando in tutti i suoi scritti. Intanto noi a nome di tutti i buoni gli siam grati dell’ avét voluto dirigere con questo suo ultimé libro ad uno scopo di tanta utilità lo studio della razionale filosofia. G. Marzuccut. CARA I e nen INI ID mg AI Memorie romane di antichità , e di belle arti. Volame IV. Pe- sàrò 1827, in 8.° con 13 tavéle. Diremo con somma brevità degli scritti contenuti it questo volume , venuto a luce nel corrente anno s senza eccettuarne la prefazione , in iti si pirla delle così che in esso volume han luogo e di quelle altresì, onde il dotto editore ha dovuto astenersi. - Sono tra le seconde le odierne opinioni su’ geroglifici egiziani ; “ Ancora mi era obbligato , egli dice, a dare quella migliore ra- 3» gione , la quale per me si potrebbe della famosa discoperta iri- » torno a le scritture peroglifiche degli Egiziani: Quando ecco >, accendersi una nuova querela} già troppo più grave che non 3» portano i termini di una prefazione , in tra lo Champollion e lo »° Klaproth, uomini chiarissimi: e il commercio librario del rostro . 3) paese è troppo più infingardo che non bisogna per averci lascia- 3» to faccesd il desiderio di leggere, non gin ravvolte in parte- >» giane frasi di giornalisti, ma originali come furono dettate »» pe’ loro autori, le ragioni allegate a rincontro ». La nuova grave querela concerne i geroglifici acrologici ritrovati dal Goulia- noff, difesi dal Klaproth e impugnati dal Champollion. Ne fu vos \ tenuto discorso al N.° 85 di questo stesso giornale dopo 1’ attenta lettura delle operette dei tre dotti uomini rammemorati ; e fu ade- rito al Champollion colla tranquillità del ragionamento e non 'col cieco ardore del partito (1). E se non grave questione , ma più presto di scherzo, veduta fu nella nuova sentenza, ne è confortato oggi il divisamento dal traduttor francese del bel libretto dell’ in- glese Brown Sur les hiéroglyphes d’Esypte et les progrès faits” jusqu’à présent dans leur déchifrement , il quale così scrive nel- l’avviso al suo lettore: “ L’auteur anglais (Brown) a cru ne pas » devoir parler de la découverte des hiéroglyphies acrologiques an- » noncés par le chevalier Gou/ianoff, découverte, que nous ne » connoissons , en effet , que par la lettre adressée par M. Kla- » proth à ce savant. Le ton ironique, qui rèégne dans cet écrit » nous fait croire que l’auteur a plutòt voulu plaisanter son cor- s» respondant , que montrer une franche adhésion à ce système » burlesque , qui ne repose que sur les explications hiéroglyphi- » ques données par Horus Apollon , tandis que jusqu’à présent » on n’a rien découvert sur les monumens qui en constate la » réalité , ou qui ressemble à une acrologie. Que penser d’ail- » leurs d’ un système d’écriture, d’ après le quel on pourrait » désigner un dieu par un diable, et exprimer l’ idée de nature » par un nin, un néz, ou une néfle? » Ne confortò pure il ce- lebre Letronne scrivendo che il Goulianoff ha voluto « grati » fier les Egyptiens d’ un système absurde d’ écriture, que M. » de Klaproth appelle hiéroglyphes acrologiques et d’après le- » quel le meme signe peut représenter également bien tous les » objets, dont le nom commence par la mème lettre , comme » chien, chat, cheval, cabane etc. Je ne sais quel sort est de- » stiné à cette nouvelle découverte ; mais il me paràit clair , en » tout cas, qu'on doit renoncer à en trouver le moindre vestige » dans le passage de Clément d’ Alexandrie (2). Anzi è necessario che nelle parole di lui, in che vorrebbero vedersi i geroglifici acrologici, si estimino indicati i fonetici; e chi rilegga la nota (2) Quel che da noi allor fu detto non ebhe disapprovazione nel “ Baullet- tino di scienze istoriche antichità e filologia ,, del Barone di Ferussac. V. n. 5 maggio 1828 p. 347. segg. (2) V. pag. 363 della nuova edizione del Précis du système hiéroglyphique des Anciens Egyptiens , del sig. Champollion: edizioae, in che sono utili ag- giuate , ed ottimi schiarimenti, onde e più larga, e più agevole è resa Ja via a'la persuasione di quelle massime, cui già han fatto plauso i Sacy, i Peyron, ed altri uomini eruditissimi. 125 da noi apposta alla pag. 132 del citato num. 85 di questo gior- nale dovrà certo rimanerne convinto. Ma vengasi agli scritti raccolti nel volume. V’ ha il primo luogo il viaggio antiquario alla villa di Orazio, a Subiaco, a Trevi, presso le sorgenti dell’ Aniene, lavoro del signor Nibby ; che noi crediamo degno di lode. Ogni antico luogo, ogni mo- derno, e ogni rudere altresì è fatto osservare al viaggiatore. Sono pronte le autorità dei classici greci e latini, le carte del medio , evo e le opere dei recenti scrittori ove 1° uopo le addimandi. Si correggono errori d’ altrui , si fan scoperte che appagano : e tutto con quella rapidità che a buon diritto oggi sì piace. Prendiamo speranza che sian per farci eco i colti viaggiatori i quali con la scorta del libretto osserveranno i luoghi e le cose di che in esso è parola. Seguita un medaglione d’argento illustrato dal sig. Kohler direttore del gabinetto d’ antichità di Piettoburgo , nome assai ri- verito da que’ che si conoscono dell’ Archeologia ; ed è tradu- zione dell’ opuscolo , che l’autore scrisse in francese e pubblicò a S. Petersbourg nel 1823 intitolandolo : Supplément à la Suite des médailles des Rois de la Bactriane. Nel diritto di questo me- daglione è in profilo la testa di un re cinta di diadema e coperta dall’ iato dell’ elefante. BAZIAEOX AHMHTPIOY Regis De- metrii scritto è nel rovescio, in che vedesi Ercole stante che s’ incorona delle foglie del pioppo, ovvero lo stesso Demetrio sotto le forme dell’Eroe, siccome opina il sig. Kéhler. “ La fabbrica » della medaglia , dice questi, è affatto differente da quella dei » re d’ Assiria. Il gusto , con che è operato il busto della spoglia » elefantina, ed il tipo del rovescio, servono ugualmente a pro- »» vare , che la medaglia non è stata coniata in Siria, che spetta » alla Battriana, o che è una imitazione delle medaglie battriane. »» Il re Demetrio , ricordato al rovescio nella leggenda , principe , » del quale più volte è menzione presso gli antichi storici, non » però qualificato mai del titolo di re battriano , nacque figliuolo » al re Eutidemo. Siamo dunque debitori a questa medaglia della » prova, che Demetrio fosse investito della dignità regia. » Dalla scoperta di un tempio con monumenti che appartengono a Mitra, fatta, sono scorsi due anni, in Hedderuheim ( 1’ antico castrum Hadriani ) ha giusta fiducia il consiglier Dorow , in darne ragguaglio al sig. cav. Luigi Cardinali, che sia per venire alcuna luce agli oscnri misteri di questo Dio. Un elegante, savio, e sobriamente erudito discorso latino tenuto l’anno 1756 nell’ Istituto di Bologna dal valente profes- 126 | soré Gaetano Monti, in cui s° illustra un’ antica iscrizione rela tiva ai pubblici Lari, mandato è a luce per la prima volta dal ch. prof. Schiassi è da lii indritto con lettera di purissima.lati= . nità al sig. Clemente Cardinali, che sì bene ha meritato degli studi antiquarii, è cui vien pur lode da uno scritto inserito in questo volume. Contiene esso un fentamento di correzioni ne’ fasti Z - consolari dell’ Almeloveen. Questo tentamento abbraccia lo spazio di venticinque anni , che incominciand dal 151 di G. C. si di- stende fino al 175 dell’ era medesima, di è prodromo, ad esplo- rarne il giudizio del pubblico, di un’ opera già compiuta dal l’autore e intitolata: fasti consulares. Romanorum ex antiquis marmoribus. ll saggio fa desiderar sollecita la pubblicazione del= l’ intero lavoro. i Sono da render grazie al dotto archeologo e valente archi- tetto sig. ab. Angiolo Uggeri, il quale mercè dello scritto che se- guita , ha posto fine alle questioni sull’arco trionfale, che fa- ceva bella sopra ogni dire la grande nave della basilica bstierise e la divideva dalla nave traversa. In autentico documento detto è opera del Pontefice S. Leone : e poichè compiuta vuolsi la ba- silica dall’ Imp. Onorio, e star non potea d’ altra parte /a im- mensa contignazione della nave traversa senza quell’ arco în fab- brica ; così per isciogliere il nodo di questa contradizione sono iti i dotti in varie sentenze; Ma dopo il lacrimevole incendio della basilica spogliato l’ arco del suo intonaco riella parete che guarda l’abside, fu scoperto un sotto-arco alto sei palmi di costruzione, per il quale la luce dell’ arco venne ristretta di 19 palmi nella corda e 6 palmi nell’ altezza. Ecco l’ opera del nominato Papa Leoné , cui diè motivo o il troppo peso della sovrastante conti- gnazione , o un fulmine che 1° arco squarciasse ; come sembra ar- guirsi da alcuni codici di Anastasio bibliotecario. Nulla è da dire dell’operetta del ch. R. antiquario sig. Do- menico Sestini su’ moderni falsificatori delle medaglie antiche, di che si fa estratto nel volume, essendosene dato ragguaglio nel fascicolo 70 di questo giornale. Alcun poco è da trattenersi sulla notizia di alcuni vasi etru- schi di terra non cotta con bassirilievi impressivi per via di stam- pa, scritto del mentovato sig. Dorow, e da lui indirizzato as suoi amicissimi Francesco Inghirami in Fiesole , e Francesco Orioli in Bologna. Di questi vasi detti io già notizia al numero 70 di questo giornale (3) , e della lor materia darà in esso medesimo (3) Se io non pretendo d’essere stato il primo a dar notizia di questo ge- 127 contezza esatta il sig. professor Gazzeri che ha preso ad analiz- zarla. Io ne preparo la dichiarazione, che insiem con altre an- tichità degli Etruschi, e ragionamenti su loro, formerà un volume da aggiungersi ai quattro già da me pubblicati in illustrazione dei monumenti della R. Galleria di Firenze (4). Le mie opinioni sono assai diverse da quelle del sig. Dorow; ma non oso dire che sian le vere. Tra lui e me dovrà giudicare il pubblico, cui qui farei noti i miei pensamenti., se il potessi con brevità. Ma nol potendo , il prego a voler ora star solo contento al conciso rag guaglio di quelli d’ esso sig. Dorow. Pertanto nelle rappresentanze di questi vasi ei vede favole bacchiche, iniziazioni ai misteri e riti funebri. Afferma, che gli Etruschi tutto trassero dall’ oriente; e sicuro di sua opinione scrive: « conseguentemente è di bisogno » che noi non ricerchiamo nella Grecia il significato di molte » rappresentanze , e miti degli Etruschi, i quali ci appaiono an- » cora oscuri, ma principalmente nell’ oriente. Allo stesso modo » non mi sembra esser sufficiente sapere ed intendere solamente » la lingua greca per far indagini sulla lingua etrusca ; una pre- » cisa cognizione nelle lingue semitiche fa pure di bisogno; » altrimenti si corre rischio di sviarsi, come succedette a diversi » rinomati filologi nelle loro ricerche sulla lingua etrusca ». Fa- cendo tutt’ un mazzo di questi rinomati filologi, è chiaro che vi pone anche il Lanzi, ehe su gli altri certo si segnalò . Io ho più volte letto l’opera di lui, e letto ho pure i libri di quelli che per ispiegar le cose etrusche ricorrono o all’ oriente o al set- tentrione; ed assicuro di avervi portato quella freddezza d’ ani- mo che è necessaria per udir le voci della ragione . In verità le ingegnose ed erudite indagini dei secondi non m’han po- tuto persuadere, perchè appoggiate a ravvicinamenti di voci che in tanta limitazione dei suoni umani nulla vagliono di per sè soli, e a speciosi ragionamenti che non si fondano sulla sto- ria. Anzi con quelli si è fin questa voluto distruggere: e non è molto tempo passato, che un dotto oltramontano scrisse che piglia mosche con Erodoto quegli che crede con lui la. venuta dei Lidi in Etruria. Ma io più volentieri piglio mosche con quel- l’antico storico, che granchi co’ moderni. Il Lanzi all’ opposto venir m’ha fatto nella sua sentenza afforzata da ogni parte con nere di vasi, molto meno potrà preteuderlo il sig. Dorow., il quale pure sem- bra darsene vauto. (4) Manderò a luce contemporaneamente , se non forse innanzi , un secondo tomo di spiegazioni di gemme , che ho quasi finito di scrivere. 138 ogni maniera d’ argomenti. Greca la forma "delle lettere , greca l'indole della lingua , greca la mitologia, greca la storia : e tutto ciò largamente e chiaramente provato , è impossibile che il sistema ne inganni. Di ciò medesimo restò sì convinto il dottissimo e sa- gacissimo inglese Payne Knight (5) che scrisse: In'iîs autem Ita- liae antiquae linguis principia ac primordia vetustissimae linguae graecae, inquinata scilicet et corrupta, latuisse nemo, qui acu- tissimi Lanzii de hac doctissimum opus inspexerit , dubitare poterit, Del resto, ritornando al sig. Dorow ; io dubito anche che, se non sempre , almen talvolta , il figurato in questi vasi non possa neppur per ombra prestarsi alle sue interpretazioni. Nem- meno mi sodisfa la sua molta erudizione , la quale egli sparge nell’ operetta in maniera assai vaga e battendo l’ aria, e non fa- cendola servire a filato ragionamento, che l’assenso guadagni del lettore. Si mostra poi mal contento della collocazione di questi vasi e degli altri che ornano in separato luogo la R. Galleria di Fi- renze. “ Non sono ancora , egli dice , tali opere (i vasi etruschi) > giustamente apprezzate dagli archeologi; e se pure la Galleria >» di Firenze riconosce bastevolmente il molto pregio di questo »» lavoro ; tuttavia lascìa ancora sì fatti vasi mescolati coi vasi » greci cotti di terra nera , e con quelli, che furono trovati in 3) Arezzo , i quali ultimi non rimontano ad epoca più antica del- >» l'impero d’Augusto. Nè la divisione riuscirebbe difficile, men- s, tre quelli vasi che riconoscono per patria la Grecia o Arezzo 3» sono di un nero lucido , di terra assai fina, di molto leggier »» peso , cotti fortemente , e quindi appaiono rossi nella rottu- »» ra (6); dove al contrario i vasi etruschi ora discoperti , sono (5° Proleg. homer. p.41. 83. (6) Ci duole di nonZpoter ringraziare il sig. Dorow , di sua premura in dare a noi tali notizie, perchè le avevamo innanzi a lui. Anzi gli facciamo sa- pere di aver posto nel fuoco alcuni frammevti di que’ vasi chiusini che furon formati di terra tinta di nero neil’impasto, e che in questa operazione gli ab- biam veduti diventar rossi : e così ci siamo accertati che non erano mai stati cotti, N° abbiam’anche tenuti dei siffatti nell’ acqua per quindici giorni, e gli abbiam tratti tutti, come ve gli avevamo posti : indizio certo che poterono , sebben non cotti, contenere materie liquide , e perciò servire agli usi della vita. Il leggiero intenerimento , in che noi stessi gli vedemmo estrar dai sepolcri, è opera dell’umido penetratovi di mezzo ai tufi che gli ricoprivano , nello spa- zio di molti secoli. Ma di questo ne parlerà meglio , che noi, il lodato sig. Gazzeti. - nti 129 >» più inerti della massa, viepiù di quelli pesanti, di una terra 3» più grossolana, per la più parte asciugati all’ aria ed al sole, » e però bigio-neri nella rottura ,, (7). Soggiunge poi in nota il nostro autore , esser desiderabile che negli armarii della Galleria Granducale i vasi fossero ordinati secondo la loro patria : opera che attualmente potrebbe farsi con poco , ma più tardi sarà diffi- cile da eseguirsi. E perchè mai queste difficoltà ? I. varii caratteri di questi vasi, se or son atti a far ben distinguere gli uni da- gli altri, il saran meno nel tempo avvenire ?_ Crede poi il sig. Dorow , che la Galleria di Firenze sia il disordinato magazzino d’un rigattiere, che getta là alla rinfusa gli svariati ogget- ti che acquista; eosiechè andati all’ altra vita quei che oggi han cura delle preziosissime cose che vi si custodiscono (e con- verrebbe anche supporre che tutti per morbo epidemico moris- sero nello stesso giorno ) , entrar debbano i successori nelle ta- volleggiate tenebre delle grotte cimmerie, o nelle portentose del- V Egitto ? V’ ha archivio, e v’ hanno inventarii, nei quali tutto è descritto, ed anche in ogni suo più minuto particolare: del che dovea pur farlo accorto il numerato cartellino affisso per l’oppor- tuno richiamo ad ogni vaso , il quale egli non potè non vedere. Con questo metodo è sanato l’apparente disordine della colloca- zione degli obietti nella Galeria nostra e in tutte le altre; nei quali luoghi se appartar si possono i generi, non già si posson le specie, se vogliasi aver cura della simetria e appagar l’occhio dei riguardanti. E quando mai in una ricca quadreria si vedran l’ una accanto all’altra le opere tutte di ciascun pittore che l’or- ni , in ispecie se siano, come i vasi, di mole diversa ? Di un altr’ errore , dee riprendersi il sig. Dorow ; e questo potrebbe indurre a pensare ch’ egli non abbia occhio abbastanza esperto pei monumenti dell’ arte antica. “ La famosa fabbrica di »» pietre dure di Firenze , egli dice, ha dato anche a questo »» riguardo prove di somma intelligenza nell’ arte del restaurare; »» giacchè essendole quei vasi venuti alle mani ridotti in piccoli »» pezzi , sono stati ritornati al loro pristino stato a grande soddi » sfazione di tutti gli amatori delle belle arti e delle antichità ,,. A buon diritto si dà lode alla notra Galleria dei lavori in pietre (7) Rispetto al peso e al colore interno di questi vasi non è da accettare il general giudizio del sig. Dorow. Se alcuoi d’ essi sono gravi, se ne incon- trano altri leggerissimì come i greci e gli aretini : e se altresì appaiono alcuni Nero-bigi nella rottura, sono altri in essa perfettamente neri. T. XXXII. Ottobre. 17 130 dure ; ma non si parla con la necessaria esattezza , quando si dice , che i vasi chiusini si recarono ad essa ridotti in piccoli pezzi. Ciò è vero di alenni pochi, che non si vollero lasciar tra i rottami del magazzino perchè ne parve d’ alcuna importanza o la forma ; o ciò che v° era rappresentato ; dei rimanenti il nus mero maggiore è saldissimo, e gli altri han racconciatura in una, due , o poche più parti. Ma altro nun dicasi dello scritto del sig. Dorow , con che si chiude la sezione prima, e facciasi cenno di quelli, onde componesi la seconda, che tutta consiste delle belle arti. Se prevalgon nel numero gli articoli riguardanti la pittura; non ne mancano però degli altri rami principali di esse arti; ciò sono l’ architettura , la scoltura., la incisione in medaglie e quella in rame: e se di questi articoli sono varii gli autori, uno solo n° è il metodo , ed assai commendevole. Noi abbiam trovato in tutti conoscenza d’ arte, saviezza, ingegno, rapidità , e amor del vero. Ci rallegriamo in ispecial modo col sig. Geronimo Romani , che ci pare avere in brevissimo discorso spiegato con tanta felicità i sì disputati scamilli impares di Vitruvio, che difficil sia potergli oppor con profitto sentenza diversa. Siamo costretti di rimandare il lettore al ragionamento del sig. Romani: ragionamento fondato sul rigoroso esame degli opportuni passi di Vitruvio e afforzato da tavole in rame; perchè se volessimo tenergli dietro, saremmo tratti a soverchia lunghezza. G. B. ZANNONI. L’ Atlas historique des littératures etc. par A. Jarry De Maw- cr. — L’Atlante cronologico della letteratura italiana di G.*** T.*** — L’ Iconographie instructive d’après les desseins de Dr verza avec des textes par Dr Mancy et Borer. (Conchiusione.) Mi rimane ancora a dir qualche cosa de’ quattro altri qua- dri (17, 18, 21 e 24) fiuor pervenutici dell’ Atlante di De Mancy , dopo di che l’ ampiezza e l’ utilità dell’ Atlante mede- simo sarà pienamente manifesta. Il primo di questi quattro quadri s’intitola dalla storia della filosofia e del diritto. Sebbene i primi filosofi, dice 1’ autore, sieno stati ad un tempo i primi legislatori; 1’ istoria della filo- sofia e quella del diritto sono due cose affatto separate, e il solo | 131 piano di quest’ Atlante potea qui farmele unire in un sol qua- dro. Malgrado però un tal piano, egli verosimilmente non avreb- be ciò fatto , se un pensiero segreto non lo avesse avvertito che il diritto, considerato come scienza, è pur sempre o dovrebb’es- sere parte della filosofia. Ma giovava forse non guardare a que sto vincolo naturale niente più che al piano già detto, e fare delle due storie due quadri distinti. Così l’ autore non sarebbe stato costretto a limitarsi, com’ ei s’ esprime ; a de’cenni crono- logici e bibliografici i più sommari, e a studiarne una distribu- zione più per lui laboriosa che per noi gradita , ove non si ri- guardi come un simbolo quello spiccarsi della storia del diritto dal bel mezzo della storia della filosofia, che le iorma intorno larga cornice. Di questa parte del quadro, che a nié sembra molto inte ressante, ma che veggo aver d’ uopo di certa ampliazione per- chè lo riesca a tutti egualmente, parlerò forse in un articolo di supplemento, che posso quasi dire d’ aver preparato. Darò qui intanto un'idea dell’altra , che avrà forse per alcuni il pre- gio d’ una maggior novità. Se la filosofia non è tutta d’ origine greca ; qual sembra ri- guardarla l" autor dell’Atlante; la scienza del diritto è pur tutta d’ origine romana ; e, com’egli osserva, ne porta l’ impronta. Se- guendo lo Schoéll, ei divide la storia di questa scienza (o piut- tosto del diritto romano , il qual ne forma la base, e pel qual solo rimaneva spazio nel quadro di cui si parla) in tre epoche primitive: dalla fondazione di Roma alla morte di Silla; — da questa al regno di Giustiniano ; + è dal regno di Giustiniano al secolo duodecimo ; ossia al risorgimento della scienza medesima in occidente. La prima epoca è da lui suddivisa in due periodi , ‘il regio e il repubblicano. Nel primo periodo , che dura dal 753 al 509 innanzi all’ era nostra , ci si presenta Romolo colle sue leggi in- torno alla podestà paterna e maritale , al patronato e alla clien- tela, ec. ; Numa colle sue leggi religiose; Anco Marzio col di- ritto feciale preso dai Falisci; e finalmente , sotto Tarquinio su- perbo , il primo de’ giureconsulti conosciuti, Caio Papirio , an- tore del diritto o corpo di leggi, dal suo nome detto papiriano. — Nel secondo, che dura sino all’ anno 78 in. all’ e. n., ci si pre- sentano Sp. Cassio Viscellino console , autore della prima leg- ge agraria; i tribuni del popolo imptignatori dell’ arbitrio legisla- tivo de’ patrizi, e 1 deputati spediti in Grecia a loro istanza per raccoglierne le leggij i decemviri promulgatori delle dodici ta- 132 vole, ossia delle leggi greche adattate ai costumi romani (ne re- stano ancora de’ frammenti) e il loro collaboratore Ermodoro d’ Efeso a cui fu eretta una statua ; i vari autori de’senatocon- sulti e de’ plebisciti del tempo ; Appio Claudio , nipote del de- cemviro , che raccoglie sotto il titolo d’ azioni legali le formole della procedura , di cui i patrizi (soli consulenti de jure), che ‘ le hanno inventate, fanno un mistero; Caio Flavio suo segre- tario che le pubblica, onde prendono da lui il nome di diritto flaviano; Tiberio Coruncanio , che , per togliere a’patrizi il mo- nopolio della giurisprudenza, apre il primo corso pubblico di questa facoltà , e vi ammette i plebei ; Sesto Elio Cato, che raccoglie e pubblica sotto il titolo di note le nuove formole, che i gelosi patrizi sostituiscono alle prime , e che prendono da lui il nome di diritto eliano. La seconda epoca è dall’ autore suddivisa in periodo repub- blicano , continuazione dell’ antecedente , e in periodo imperia- le. Il primo , che dura dal 78 al 29 in. all’ e. n., è per così dire l’età d’ oro della scienza di cui si parla. I più sapienti fra i Romani concorrono ad illustrarla, e gettano le basi delle legi- slazioni che oggi reggono gran parte d’ Europa. Fra essi ci si presentano Giulio Cesare colle sue leggi ancor dette giulie , ma la cu raccolta ne comprende alcune emanate da Augusto; Q. Muzio Scevola , ch’ ebbe fra più chiari discepoli G. Aquilio Gallo collega di. Cicerone nella pretura, e Cicerone medesimo ; Servio Sulpizio Rufo , il più celebre de’ giureconsulti suoi contempora- nei, e quegli propriamente ch’ elevò il diritto al grado di scien- za; C. Aulo Ofillio e P. Alfeno Varo suvi discepoli; Aulo Ga- scellio uscito dalla scuola di Muzio e famoso pel suo carattere indipendente; Q. Elio Tuberone, che vinto dal sommo degli ora- tori nell’ eloquenza pare che si proponesse di vincer lui nella scienza del diritto; C. Trebazio Testa, amico di Cicerone e di Cesare , e spesso per la sua autorità consultato da Augusto. — Il secondo periodo , che giugne sino al 527 dell’ e. n., si riparte in due semiperiodi , il primo de’ quali dura sino al 117, cioè sino ad Adriano. In esso ci si presenta primamente Augusto , il quale ; sostituendo spesso alle leggi la propria volontà, comincia quella serie di editti o ragolamenti d’ amministrazion generale’, ì di sanzioni prammatiche o regolamenti per l’amministrazion par- ticolare delle provincie, di rescritti o decisioni ne’ casi dubbii de’ privati, di decreti o decisioni ne’ casi straordinari d’ ogni natura , che continuata dai successori venne a formare una nuo- va specie di diritto , conosciuta sotto il nome di costituzioni ra 1 133 de’ principi. I ginreconsulti divennero sotto il suo impero l’ cra- colo de’ giudici , obbligati di conformarsi alle lor risposte, le quali, come già s’ intende, dovevano esser conformi alla volontà del principe, ch’ eleggeva a darle i suoi più fidati. Fra i molti che si segnalarono nel semiperiodo, di cui egli è a capo, ci si presentano Q. Antistio Labeone ; figlio d’ un amico di M. Bru- to, di cui serba i principii inflessibili , e allievo di Trebazio, di cui onora l’ insegnamento con un gran mumero di scritti pregiati ; C. Ateio Capitone , uomo assai più pieghevole ;, il qual merita da Augusto il consolato ; Sempronio Proculo; poco ambizioso per quel che sembra di simili onori , il qual fonda una scuola di ri- gidi interpreti dell’ antica giurisprudenza , dal suo nome detti proculejani; Masurio Sabino fondatore d’ una scuola contraria , detta de’ sabiniani, antore d’ un trattato di diritto civile , com- mentato da Aristone , Pomponio ; Ulpiano e Paolo, e il primo che ; per decreto di Tiberio a cui è molto accetto , segni i propri consulti; Coccejo Nerva , eletto console benchè discepolo di La- beone , indi stato a Capri con Tiberio , ma punitosi di questa vergogna colla morte ; C. Cassio Longino, che dà ai sabiniani il proprio nome ; ottiene anch’ egli il consolato, poi è da Nerone relegato in Sardegna per aver posta fra le imagini degli avi quella di Cassio uccisore di Cesare ; P. Iuvenzio Celso padre, che co- spira contro Domiziano , è da Traiano onorato d’una statua, e messo a morte da Adriano ; Celio Sabino console , Pegaso; Rufi- dio, Nauzio , Ottaveno , Valerio Severo, che gli sono contem- poranei; P. luvenzio Celso figlio, console sotto Trajano, e noto pel suo digesto e le sue istitute; Prisco Iavoleno suo discepolo , T. Aristone lodatissimo dal giovane Plinio, Minucio Natale ; Lelio Felice , Arriano , Servilio ; Viviano ed altri dell’età stessa, tra i quali Nerazio Prisco , anch’ egli console sotto Traiano (che il volea , dicesi, nominare suo successore ) e alfine divenuto uno de’ consiglieri d’ Adriano. — Questo principe $ con cui comincia I’ altro semiperiodo che si è detto, produce un nuovo cangia mento nella giurisprudenza , limitando il ‘poter de’ pretori e degli altri magistrati , e sostituendo agli editti annui l’editto perpe- tuo (inserito a frammenti nel digesto di Giustiniano ) a cui poi succede l’editto provinciale di Marcaurelio (quasi affatto perduto) che finisce di por termine alle incertezze e alle dispute de’ giure- consulti. Redattore dell’ editto perpetuo è Salvio Giuliano , il più celebre giureconsulto del regno d’ Adriano , sotto cui fioriscono pure Alburno Valente.e Vinidio Vero, consiglieri in seguito d'An- tonino il pio, Tusciano , Cecilio Africano, Terenzio Clemente e 134 Giunio Mauriciano. Sotto Marcaurelio ci si presentano fra gli al- tri Sesto Pomponio, autore di due mannali del diritto ; l’ uno dei quali , che ancor si conserva , è preceduto da un sommario della storia del diritto medesimo ; T. Gajo , le cui istituzioni , mal co- nosciute per un informe compendio sono alfine state scoperte a , Verona nel 1816, e pubblicate a Berlino nel 1820; M. Tarunteno Paterno , autore d’ un’ opera sul diritto militare ; e fatto uccidere da Commodo ; Volusio Meciano maestro a Marcaurelio , e truci= dato in Alessandria da’ soldati come complice d’ Avidio Cassio ; Q. Cervio Scevola , consigliere di Marcaurelio medesimo ;$ e maestro all’ imperadore Settimio Severo e a Papiniano ; Papio Giusto ; L. Ulpio Marcello , che fiorì anch’ egli sotto Commodo ; e il greco Dositeo appellato il maestro , ne’ cui frammenti grecolatini si trovano lettere ed altri scritti d’ Adriano. Sotto Settimo Severo , oltre Papiniano , ch’ ei lasciò tutore de’ suoi figli, e che fu messo a morte da Caracalla, fiori Domizio Ulpiano , che compose un di- gesto , delle regole di diritto, un commento sull’ editto perpe- tuo, ec. ; e Giulio Paolo il più fecondo de’ romani giureconsulti , del quale più non ci rimangono che alcuni libri delle sentenze ri- cevute , che racchiudono gli elementi del diritto in brevi proposi- zioni secondo l’ ordine dell’ editto perpetuo. Sotto Caracalla, oltre Ulpiano e Paolo , fiorirono Claudio Trifonio consigliere dell’ impe- radore , ed Arrio Menandro altro suo consigliere e autore d’un’ opera sulle leggi militari. Sotto Alessandro Severo , il qual fece molte leggi, consigliandosi co’ più dotti giureconsulti , segui- tò a fiorir Paolo già detto , e fra più altri si distinse Callistrato professor pubblico di diritto , ed Erennio Modestino rinomato per la sua equità ) de’ cui scritti ci rimane qualche frammento . Indi, venuta meno l’ autorità delle leggi, nè più parlando- si che di editti de’ principi , i giureconsulti vanno mancando , e loro succedono de’ pratici indotti che fanno della giurispru- denza un vil mestiere. Sotto Costantino peraltro, il quale, sopprimendo le antiche formole e solennità , e sostituendovi le proprie costituzioni, fece nella giurisprudenza un altro gran cangiamento s si formò la prima scuola non romana di giuri- sprudenza , quella di Berito in Fenicia ; la qual diede Gregoria- no ed Emorgene, autori ciascuno d’un codice che fu accettato an- che in occidente , ed indi altri chiari giureconsulti sino a’tempi di Giustiniano , quando Berito fu distrutta da un tremuoto. Valenti- nianò terzo , volendo rimediare alla confusione in cui, giugnendo all'impero , trovò la giafisprudenza, determinò le costituzioni , leggi e rescritti de’ principi , risposte e decisioni degli antichi giu- 135 reconsulti (Gajo , cioè , Papiniano ; Ulpiano , Paolo e Modestino) a cui indi innanzi si avrebbe riguardo nei tribunali. Nel tempo stesso Teodosio secondo , che regnava in oriente, e sotto cuisi formò la seconda scuola estera di giurisprudenza, quella di Co- stantinopoli , ch’ ebbe fra’ suoi primi professori Leonzio , ordinò ad otto giureconsulti (Antioco , Massimo , Martirio, Speranzio , Apollodoro , Teodoro , Epigenio e Procopio) la raccolta di tutte le costituzioni imperiali, che porta il titolo di codice teodosiano. Do- po la promulgazione di questo codice , Teodosio e i suoi successori pubblicarono altre costituzioni , che raccolte dai moderni si ag- giungono alle prime sotto il titolo di novelle. Quando i barbari in- vasero le provincie occidentali dell’ impero , lasciarono a queste l’ uso del loro diritto, cioè del codice teodosiano in esse ricevuto, e l’adottarono in parte eglino stessi. Il codice di Teodorico re degli Ostrogoti , che fu in vigore sino alla fine del lor dominio , è tratto dal teodosiano. Compendio di questo, non che del grego- riano , dell’ ermogeniano e delle novelle, è il breviario delle leggi romane pubblicato sotto Alarico secondo re de’ Visigoti, e quell’ altro breviario che fu compilato per dedina di Gonde- baldo re de’ Borgognoni. La terza epoca è celeberrima pel totale rinnovamento della giurisprudenza operato da Giustiniano imperadore , che ordinò a Triboniano e ad altri giureconsulti di formare un corpo completo di diritto, Triboniano , assistito da Giovanni prefetto del pretorio , che fu poi esule con lui, da Leonzio , Foca, Basilide, Tom- maso , Costantino , Teofilo , Dioscuro e Presentino , quasi tutti insigniti de’ primi onori dello stato, fece da prima una nuova raccolta delle costituzioni imperiali da Adriano sino all’ attual regnante , ed è questa che ‘porta il titolo di codice giustinianeo. Indi, aiutato da Giovanni, Costantino e Leonzio già detti, da Doroteo , Anatolio, Cratino, Stefano, Mena , Prosdocio; Eutol- mio, Timoteo , Leonide , Platone e Jacopo, passò tre anni ad estrarre da ben 300 volumi le decisioni degli antichi giurecon- sulti (quelle , già s’ intende , ch’ erano più conformi a’ principii del governo monarchico); e quest” estratto , che fece dimentica re gli originali , oggi quasi affatto perduti , ebbe il titolo di pan- dette o digesto , che riprodotto due volte con aggiunte fu di- stinto prima coll’ epiteto d° inforzato, poi con quello di nuovo. Dopo tal lavoro, Triboniano, coll’ assistenza di Teodosio e ' Doro- teo già nominati , stese le famose istituzioni o elementi di dirit- to, prendendo a modello le istituzioni di Gajo. Alfine raccolse le diverse costituzioni di Giustiniano posteriori al codice , e ap- 136 ‘RS pellate promiscuamente autentiche o novelle , col qual secondo nome suol pur chiamarsi un compendio di costituzioni imperiali, fatto da Cjuliano professore di diritto a Costantinopoli sotto il . medesimo Giustiniano. Verso il tempo della compilazione del co- dice nacque il diritto canonico ; il qual solo sembra occupare un posto distinto nella storia fino al risorgimento del romano ; eioè sino alla famosa scuola bolognese, ove ci si presentano primi Irnerio co° suoi discepoli e Pepo sno antagonista , indi Azzo bo- lognese,, Jacopo Baldovino suo allievo , Accursio e i suoi figli, de’ quali è contemporaneo Cino da Pistoja maestro di Bartolo, e alfine Bartolo stesso e Baldo suo alunno. Con questi due nomi illustri termina il prospetto della storia del diritto romano , ch’ indi ebbe cultori distinti in ogni parte d’ Europa , e donde poi vennero più o meno direttamente le va- rie legislazioni che ancor la reggono , @ tutta la scienza del di- ritto qual oggi la intendiamo . A tale prospetto ; di cui ho qui raccolti i tratti principali, 1’ autore ne aggiugne uno brevis- simo dello stato della scienza medesima in Francia e in Germa- nia specialmente , ove fiorisce più che altrove , di che si avranno altre prove nel quadro della letteratura alemanna. Dopo la Ger- mania ben meritava d’esser nominata 1’ Olanda, la qual si ricor- da d’ esser la patria di Grozio , di Vinnio , di Voet; e guarda con bella emulazione a quella d’ Hugo e di Savigny. Ma già lo studio del diritto è per ravvivarsi in ogni paese , come possiamo argomentare dalla tendenza quasi generale alla riforma delle leg- gi, comprese quelle, che il celebre romanziere, il quale ha seritta la vita di Napoleone , trova tanto migliori del migliore de’codici conosciuti . Questa tendenza deve favorire i progressi della filo- sofia del diritto , introveduta da’Romani del tempo di Cicerone ; poi quasi obliata sino a Cujacio, e non apparsa veramente agli occhi del mondo che con Montesquieu. La sua apparizione ; la parte ch’ essa ebbe in seguito nelle varie legislazioni , le nuove divisioni che per essa furono introdotte nella scienza del dirit- te, ec. sarebbero ‘spettacolo assai bello in un quadro compito dell’istoria della scienza medesima. E la sola continuazione della cronologia di tale storia verrebbe a presentarcelo, quasi senza biso- gno d’avvertenze o d’osservazioni. Ma noi, come già accennai, non abbiamo nell’Atlante che un frammento di quadro, consecrato pro- priamente alle origini della scienza. Per supplire però in qualche modo a ciò ch’ esso lascia desiderare , il diligente autore ci ad- dita in alcune caselle apposite, oltre le fonti storiche più copiose a cui possiamo ricorrere, le legislazioni moderne più conosciute, 137 e le diverse parti, in cui oggi si divide la scienza del diritto ; al che aggiunge un elenco cronologico de’ principali pubblicisti e giureconsulti dal secolo decimosesto sin a noi. Quest’ elenco comincia coi nomi di Machiavello e di Budeo, a eni succede quello d’Andrea e poi di Francesco Alciato. Altri nomi d’italiani illustri ( Sarpi, Vico, Gravina, Beccaria » Filangeri , ec.) si me- scolan quindi di frequente ad altri nomi d’illustri stranieri. Poi- chè 1’ elenco non racchiude che nomi, i quali appartengono al passato , sieno grazie al cielo che non leggiamo in fine di esso quello dell’ antore della Genesi del diritto penale e dell’ altre opere sorelle, come vi leggiamo pur troppo quello del giovane Jourdan (il fondator della Temide) nel quale la scienza del diritto avea poste sì grandi speranze. Fra i pubblicisti, di cuni quest’ elenco racchiude i nomi, si annoverano più matematici, come si annoverano tra i filosofi no- minati nell’ altra parte del quadro, della quale mi riserbo a par- lare in altra occasione. L’ alleanza tra le matematiche e la filo- sofia, nella quale oggi più che mai giova comprendere la scienza del diritto, è assaì naturale ; e que’ matematici, filosofi insieme o pubblicisti , lo mostrano . In loro compagnia possiamo senza sforzo passare al secondo de’quattro quadri annunciati, nel quale ci si presenta la storia delle matematiche ( pure e applicate) di- visa, come nel compendio storico di Bossnt , che 1’ autor del l'Atlante ha preso a norma, in quattro periodi : delle matemati- che presso gli antichi, «— delle matematiche nel medio evo, — poi sino all’ invenzione del calcolo infinitesimale, — indi sino a noi. Questo quadro è de’ più notabili pel gran numero di fatti che contiene , la loro distribuzione ingegnosa , e la precisione con cui generalmente sono annunziati. In esso, cominciando da Leo- nardo da Pisa grande algebrista, Campano' di Novara geometra e astronomo, Gherardo di Cremona, a cui Federigo secondo fece tradurre 1’ Almagesto di Tolomeo, Alessandro Spina, 1 inventor degli occhiali , vissuti tutti e quattro nel secolo decimoterzo , e quindi primi fra i matematici delle nazioni moderne, ci si pre senta una serie sempre più numerosa d’ italiani rinomati, Pietro d’Abano, Cecco d’Ascoli, Luca Paciolo, Ferrei, Bombelli, Tar- taglia, Ferrari, Maurolico, Comandino, Cardano, il card. di Cusa, e alfine Galileo, Cavalieri, Torricelli , ec. ec. fino a Lagrange e a Piazzi , al quale, poichè il quadro di cui si parla non esclude i viventi, poteva almeno aggiugnersi il Nestore de” nostri astro- nomi , Orian degli astri indagetor sovrano , come cantava il po- Y. XXEII. Ottobre. 18 138 vero Monti, ch’ oggi piangiamo perduto. Ma la mancanza di spazio, come dice l’ autore in una noterella con cui chiude. il suo quadro, gli ha tolto di poter menzionare un .gran numero d' illustri contemporanei, non che d’ opere e di scoperte impor- tanti; al che egli promette di supplire con un saggio di biblio- grafia scientifica in appendice ai due altri quadri che consacrerà alle scienze, l’uno alla fisica e alla chimica, 1’ altro alla geo- logia , alla botanica e alla mineralogia. Può riguardarsi intanto come una specie di supplemento la lista dell’ opere e memorie premiate dalla prima classe dell’ Isti- tuto francese, o Accademia. delle scienze che vogliamo dire , fra il 1816 e 1828, secondo i lasci di Lalande , Alhumbert, Mon- tyon , ed altri uomini benemeriti. In esse trovasi qualche indizio dello stato delle scienze matematiche a’ nostri giorni; benchè quello , che se ne accenna, scompagnato da’suoi antecedenti, non riesca sempre abbastagza chiaro. All’anno 1825, per esempio, si nota come il gran premio d’astronomia, già fondato da Lalande, fu ottenuto da Herschel figlio e dal suo collega South per le loro osservazioni sopra 280 stelle. Questa notizia, degna fra molt’al- tre di fissare la nostra attenzione, non essendo ‘preceduta nel quadro che dal nudo annunzio del telescopio d’ Herschel padre, quasi non significa nulla per ‘chi non sia in grado di farle per così dire una specie di comento. Al che si aggiunga ch’ essa non è data in termini abbastanza precisi, giacchè le osservazioni dei due premiati si riferiscono, non a stelle di qualanque specie, ma a. stelle doppie, triple, eo. e quindi si legano ad una delle più gran- di scoperte fatte in astronomia e ad una delle più belle conget- ture che potrebbe divenir presto un’incontrastabile verità. Kant e Lambert (un articolo del Quaterly Review inserito nel n.° 30 della Bib. Brit. mi dà mezzo di spiegarmi su questo particolare ) snpposero già che tutti i corpi celesti sieno riuniti in varie nebulose, e quindi tante stelle, che sembrano isolate , formino parte di quella a cui appartiene il nostro sistema. Se- guendo quest’ idea, Herschel padre, armato del suo teloscopio famoso, esaminò non meno di 2,500 nebulose, e trovò che la via lattea era la projezione della nostra propria nebulosa, di cui giunse a determinare la forma probabile e il posto che vi occupa il nostro sistema, cui vide avanzarsi di continuo verso la costel- lazione d’ Ercole. Osservando intanto le stelle isolate, che ap- partengono a questa nebulosa, comprese che quelle , che chia- mansi stelle doppie; formano de’sistemi binari, cioè a dire de'si- stemi, in cui due stelle si aggirano intorno ad un centro comune 139 di gravità, scoperta che applicò poi ad altri sistemi di tre o d'un maggior numero di stelle. Quattr’ anni innanzi alla sua morte, avvenuta sgraziatamente nel 1822 , suo figlio e 1’ astronomo South ‘si unirono per fare in compagnia nuove osservazioni su tali stelle, e nel 1824 presentarono all’ Accademia delle scienze di-Parigi quelle, che già dissi premiate, e in cui si determinano la posi- zione e le distanze apparenti di 280 stelle, quali doppie, quali triple, ec.; osservazioni che South nell’anno seguente estese ad altre. 160 stelle non ancora esaminate. Quasi contemporaneamente l’ astronomo Struve , armato del telescopio : di Franenhofer ( ma- gnifico strumento di 13 piedi di lunghezza e 9 pollici d’ apertura, fatto costruire dall’imperador delle Russie , che spese per esso 32,900 franchi, e a imitazion del quale ne fu poi costruito uno maggiore pel re di Baviera e un altro ancor più grande pel re di Francia) faceva anch’ egli a Dorpat simili osservazioni, che pro- dussero un catalogo di 3,000,063 stelle doppie , triple ec. pre- miato dalla Società reale di Londra. Risulta dalle fatiche di questi astronomi, che vi hanno 16 sistemi di stelle binarie ben consciuti, e almeno 14, il cui movimento annuo non è ancora abbastanza determinato. In tali sistemi (Herschel ha fatta quest’ osservazione sull’ Orsa maggiore, Struve sul Serpentario , ed altri in seguito su ‘altre stelle ) gli astri minori si aggirano intorno a’ più grandi, come fanno intorno a’ pianeti del nostro quelli che noi chiamiamo satelliti. Or come que’ minori astri differiscono spesso da’ maggiori a più altri riguardi che per la loro dimensione, alcuni inclinano a crederli tanti pianeti d’ altri sistemi solari. Nuove osservazioni , che non debbono riuscire troppo difficili, giacchè questi supposti pianeti, sebbene splendano d’ una luce reflessa , sono accessibili a’ nostri strumenti per la loro prodigiosa grandezza, assai mag- giore di quella del nostro sole, convertiranno forse tra poco in un fatto sicuro un'ipotesi brillante , la qual non parve che poe- sia nella Plurità de’mondi di Fontenelle. x Al quadro storico delle matematiche si associa assai bene quello, che gli vien presso, della geografia, la quale ha con esse così strette relazioni. La storia di questa scienza è dall’ autore dell’ Atlante divisa in tre epoche: della geografia antica, a cui si assegna uno spazio di venti secoli, dal 1550 in. all’ era nostra sino al 400 dopo quest’era; — della geografia nel medio evo, a cui sì assegna uno spazio d’ undici secoli, dal 400 al 1492; — e della geografia moderna, a cui si assegnano tre periodi distinti: dal 1492 al 1598; — da quell’ anno al 1722; — ed indi sino al momento in cui l’ autore compone il suo quadro. t.io Della geografia anteriore al 1550 (raccolgo i tratti princi- pali con cui le tre epoche ci vengono presentate) cioè al tempo del passaggio di varie colonie egizie , italiche e fenicie nell’Asia occidentale e nella Grecia meridionale , appena si ha qualche indizio ne’ libri di Mosè e ne’ poemi omerici. Dopo quel tempo, altre colonie fenicie passano sugcesivamente in Sicilia ,, in Sar= degna , in Ispagna , nell’ Africa ; gli Argonauti, partendo dalla Tessaglia , approdano nella Colehide pel Ponto Eusino ; Bacco conquista l’ Indie ; Ercole percorre 1° Europa sino allo stretto di Gade; Sesostri, come taluno suppone, penetra 1’ alta Asia ; Enea viene in Italia; gl’ Jonii passano nell’ Asia minore. Già siamo all’ età d’ Omero ; e le relazioni fra i popoli vanno sem- pre più allargandosi. Alenne colonie greche passano in Sicilia, nella Cirenaica, nella Magnagrecia e sulle rive del Ponto Eusi- no. I Fenici, stando ad alcune tradizioni, tentano il giro dell’A- frica , per ordine di Neco re d’Egitto. Coleo di Samo visita i Tirreni, i Liguri e parte della Spagna meridionale , il paese del Tartesso (oggi Guadalquivir) che fu chiamato il Peru degli anti- chi. I Focesi d° Asia vengono a fondar Marsiglia. Le guerre dei Persi cominciano a far conoscere 1’ alta Asia. Serse ordina un viaggio intorno all’Africa, il qual riesce infruttuoso. Dario man= da ad esplorare gran parte delle coste d’ Asia Scilace di Carian= da , a cui si attribuisce l’ invenzione delle carte geografiche, da altri attribuita ad Anassimandro . La scienza geografica peraltro appena può dirsi nata. I geografi, posteriori ad Anassimandro , ancor figurano la terra presso a poco qua! la descrisse Omero , cioè un gran disco bagnato dall’ Oceano , e le loro cognizioni son tutte miste di favole. Erodoto intraprende viaggi (1° autor dell’ Atlante li ha dimenticati ) per raccoglierne di più sicure , penetra fra i Peoni, che abitavano, per quel che pare , la Ser- via attuale, visita le colonie greche del Ponto Eusino, percorre l’ interno de’ paesi posti fra il Boristene e 1° Ipani, i quali fan- no parte della Russia meridionale, passa verosimilmente dalla Palude Meotide al Fasi, e percorre le rive del Caspio, giugne a Babilonia e a Suza capitale della monarchia persiana, corre sino alle estremità dell’ Egitto , ritorna per la Cirenaica, per lustra tutta la Grecia d’ Europa, e termina la sua carriera nell’ Italia meridionale e nella Magnagrecia . Nell’ età stessa d’ Erodoto , secondo le più probabili congetture, Annone , spe- dito da’ Cartaginesi, scopre le coste occidentali dell’ Africa fi- no al Capo Bianco, o com’ altri vogliono fino alla Senegambia ; Iraileone, dopo di lui, trova Albione o la Gran Brettagna ; e 41 qualch’ altro cartaginese forse tocca le Canarie , 1’ Isole Fortu- nate o l’Atlantide d’ alcuni degli antichi. Un altro Scilace , in- tanto (al tempo della guerra del Peloponneso) raccoglie le rela- zioni de’ navigatori del suo tempo , Eudosso di Gnido (il primo che abbia sostenuto la sfericità della terra) compone un itinera- rio universale , e Ippocrate scrive un libro che può riguardarsi come il primo trattato di geografia fisica. Quanto però la scienza geografica sia finora poco avanzata può giudicarsi dall’ opporre ch’ ei fa di continuo l’ Europa all’ Asia, dividendo il mondo in queste sole due parti, secondo il sistema omerico. La famosa ri- tirata dei diecimila, frattanto, frutta molte notizie sull’ interno dell’ alta Asia; e la spedizione d’ Alessandro (a cui Aristotele chiede i prodotti naturali di quel paese) serve ad accrescerle vie più. Poco innanzi a questo conquistatore , Pitea di Marsiglia vi- sita Albione e giugne fino a Tule ossia al Iutland meridionale. Poco dopo , Dicearco scende per l’ Indo nell’ Eritreo , ove i suoi marinai osservano per la prima volta il flusso e il riflusso, e giu- gne alla foce dell’ Eufrate. Seleuco Nicatore penetra in seguito sino al Gange ; e le flotte de’ Tolomei giungono alle coste del- l’Indostan. La scienza geografica y;la quale ha fatto qualche nuo- vo progresso con Aristotele e i suoi discepoli, si va sempre più avanzando. Eratostene crea alfine un sistema di geografia fon- dato sovra basi matematiche , Ipparco determina astronomica- mente le longitudini e le latitudini, Posidonio misura la super- ficie della terra. Quattro secoli dopo Alessandro , cioè al princi- pio dell’ era nostra, ci si presenta Strabone ; che si riguarda ge- nmeralmente come il padre della geografia, e a cui poi vengono appresso Dionisio Periegete; Pomponio Mela , Plinio, Pausania, l’ autore della tavola che chiamiamo pentingariana , Antonino col suo itinerario, e finalmente Marin di Tiro e Tolomeo , coi quali comincia propriamente la geografia matematica. Strabone , rac- cogliendo tutta la scienza geografica de’Greci fino a’ suoi giorni, mostra troppo quanto ancor sia limitata. Il vasto continente, che noi abitiamo, loro sembra terminarsi al settentrione verso la foce dell’ Elba e al mezzodì nelle regioni bagnate dal Nigro, e non avere altra maggior estensione d’ occidente in oriente che dal Capo oggi chiamato di S. Vincenzio alle foci del Gange. Ec- co, per servirmi delle frasi di Malte-Brun, quell’ universo che l’ eroe macedone prese a soggiogare, e di cui i Romani si credo- no i signori. Le scoperte geografiche di questi signori gelosi, che fanno delle carte un segreto di stato, sono assai piccole. Prima dell’ era nostra si riducono ad alcune notizie sulle coste occi- 172 dentali dell’ Africa, sui paesi caucasii, sulle Gallie e Ja Bretta- gna, e sull’ interno dell’ Arabia, le prime dovute alle loro spe- dizioni contro Cartagine e Numanzia , le seconde alle guerre di Pompeo contro Mitridate , le altre alle conquiste di Cesare, e le ultime alle escursioni d' Elio Gallo. Dopo il principio dell’ era nostra si ristringono a poche altre sull’interno dell’Africa dovute | alle spedizioni di Svetonio Paolino e di Cornelio Balbo, su qual- che isola del mare settentrionale dovute alla navigazione di Ger- manico, sulla Brèttagna ancor pochissimo conosciuta , che Agri= cola prova essere un’ isola , e sulla Dacia conquistata da Traja- no. Al di là del Boristene, del Baltico, dell’Atlante , dell’Indo non pare ch’ essi portino neppure il pensiero. Le vaste contra- | de, onde già sono usciti popoli bellicosi, che presto inonderanno — il mezzogiorno , strascinandone seco come un torrente più altri | incontrati per via, non sono loro neppur note di nome. ‘ L’ invasione di que’ popoli verso la fine del quarto secolo le | fa conoscere; ma fra le rovine ch° essi cagionano chi pensa a i coltivare la geografia? La sola opera, che in capo a cento e più.. anni ne attesti lo studio, è la topografia del mondo cristiano d’un | mercante d’ Alessandria, Cosma, detto l’ Indopleuste pe’ suoi viaggi nell’ Etiopia , a cui si è dato spesso il nome d’India. Nel, sesto secolo ci si presenta un Jornande goto, che in un’ opera sulle emigrazioni de’ Goti e degli Unni porge de’ragguagli importanti sul settentrione e 1’ oriente dell’ Europa al suo tempo. Nell’ ot- tavo secolo un altro goto , appellato comunemente il geografo di Ravenna , fa una descrizione generale del mondo , a cui Malte. Brun dice che può servir di spiegazione una carta curiosissima. ch’ è nella biblioteca di Torino , e in cui la terra è rappresenta= ta come un planisfero composto di tre parti ineguali , Europa, Asia, ed Africa, dalla qual ultima 1’ Oceano ne separa una. quarta ; ivi detta il soggiorno degli Antipodi , inaccessibile per | 1’ eccessivo calore. Un nuovo impulso intanto riceve la geo- grafia fuori d’ Europa. Gli Arabi inondano f Asia occidentale, si estendono in Affrica , conquistano la Spagna , e descrivono tutti. i paesi nuovi per loro. Mentre aleuni avventurieri della loro na- zione, partiti di Lisbona, vanno in traccia di non so quai terre vcci- i dentali al di là dell'Atlantico, due osservatori eccellenti (sulla finé del nono secolo) Wahad e Abuzeid fanno vere scoperte ne’mari dell'India e della Cina. Poco prima o poco dopo di essi il califo Mamoun fa misurare dai tre fratelli Ben Schaker un grado di latitudine nel deserto di Sanggiar e quindi presso la città di Ku- fa , perchè serva a determinare la grandezza della terra. In que- 143 sto tempo gli Scandinavi, percorrendo il mare all’occidente della «loro patria, scoprono. quasi tutte l’isole situtate al settentrione della Scozia. Quindi approdano in Islanda, d’ onde le lor colo- nie passano al Groénland , ch’ è quanto dire scoprono l’ Ameri- ‘ca sei secoli prima di Colombo. Gli Arabi frattgnto, avanzan- dosi sempre più lungo le coste dell’ Africa, alfine passano la linea. Più tardi le relazioni de’ crociati cominciano a far sospet- tare l'immensa estensione del continente asiatico, d’ onde sem- brano uscite tutte le genti, tutte le favelle , tutte le opinioni, che poi si sono diviso 1’ impero della terra. Carpino, Rubriquis, Ascelino lo visitano a piccolo intervallo 1 uno dall’ altro. Indi | Marco Polo, 1’ Humboldt del medio evo, impiega 23 anni a per- correrlo , e ne riporta colla bussola (perfezionata poi da Flavio Gioia) un tesoro di notizie geografiche. Dichiarando che 1’ Asia non si attiene all’Africa se non per l’ ismo di Suez, fa concepir l’idea d’ andar di Spagna all’ Indie , oltrepassando la punta me- ridionale dell’ Africa medesima. Quest’ idea è alfin mandata ad effetto dai Portoghesi, che avanzandosi di continuno lungo le co- ste di questa parte del mondo, e volgendosi a mezzogiorno, arri- vano al Capo delle Tempeste detto poi il Capo di Buona Spe- ranza. Nel frattempo i due fratelli Zeni visitano molte delle ter- re scoperte dagli Scandinavi, e par che abbiano qualche notizia delle Floride ; Oderico di Pordenone viaggia con Mandeville nel- i l’interno dell’ Africa; Marco Cornaro visita la Persia; Cadamo- sto passa l’ isole del Capo Verde , e arriva al Senegal, alla Gam- bia e al Rio Grande; altri italiani s'internano specialmente nelle ‘regioni orientali, e Mauro Camaldolese (per tacer di Sanudo, di Bianco , di Benincasa, le cui carte sono ancor piene di cose ima- ginarie) indica nel suo mappamondo la vera sorgente del Nilo e | la forma approssimativa dell’ Africa. a I Alfine un genio potente, nato anch'esso in Italia, (primo pe- riodo della geografia moderna) medita un viaggio che aggiugnerà \ all’ antico un mondo novello. Cristoforo Colombo, unendo in- sieme , per quello che sembra, le congetture de’ Greci, per cui | I° estremità orientali dell’ Indie dovevano essere. poco lontane | dalla Spagna, e le tradizioni confuse delle scoperte degli Scan= | dinavi al settentrione dell’ Islanda , pensa che andando sempre | werso occidente o arriverà all’ Indie (oggi alcuni, e fra gli altri il suo ultimo biografo W. Irving, pretendono che limitasse ad esse il sno pensiero) o si troverà arrestato da un nuovo continente. | Infatti partito da Palos nel 1492 approda in 33 giorni alle Lucaje 144 più tardi alla terra ferma; a cui la fortuna ha voluto ehe rimanesse il nome d’ Amerigo Vespucci, approdatovi probabil- mente un anno innanzi, ma che mai non vi sarebbe giunto se Colombo non gliene apriva la via. Nell’ anno stesso (1597) in cui il Vespuecè lo precorre all’ America meridionale , due altri italiani, Giovanni e Sebastiano Caboti , partiti d'Inghilterra per discoprire un passaggio nord-ovest alla Cina, scoprono 1’ Ame rica settentrionale, e la costeggiano per un tratto assai lungo. Nell’ anno seguente , mentre Colombo penetra sino alle foci del- Y Orenoco, Vasco de Gama , seguendo le indicazioni di Covilham stato pocanzi all’ Indie per la via dell’ Egitto , e titornato per 1° Abissinia , oltrepassa finalmente la punta meridionale dell’A- frica, e approda a Calicut sulla costa del Malabar. Da quel punto molti celebri viaggiatori corrono alle più belle scoperte. Magellano , uno de’ più illustrì, esegunisce il primo viaggio in- torno al mondo (è in sua compagnia l’italiano Pigafetta , il fon- datore della scienza etnografica ) passa lo stretto terribile che porta il suo nome, e conduce il primo['bastimento enropeo sul I’ immenso Oceano Pacifico. Cortez e Pizzarro (per tacere di Car- val gettato più anni innanzi dalla tempesta sulle coste del Bra- sile, che poi il Vespucci rivisita conaltre parti dell'America) per- corrono quasi nel medesimo tempo l’ uno il Messico, 1’ altro il Perù. Cortereal, seguendo le tracce de° due Caboti, costeggia il continente settentrionale (tutta quella parte che chiamasi terra di Labrador) sino alla baja che oggi porta il nome d’ Hudson . Si cerca, sotto il nome di terra d’Anian , un passaggio dall’ Eu- ropa nel grande Oceano, per l'interno dell’ America . L’ inglese Drake , uno de’ più arditi navigatori, scopre la parte occiden- tale della Terra del Fuoco , e giugne fino al Capo ch’ oggi di- cesi Horn. La vecchia e la nuova California dall’ una parte ; le Floride, la Virginia, il Canadà , la terra degli Esquimesi dall’al- Y altra sono successivamente visitate. Sembra pure che a que st’ epoca alcune dell’ isole innumerabili, che formano oggi una. quinta parte del mondo , sieno costeggiate o introvedute da na- vigatori spagnuoli e portoghesi. Queste ed altre nuove scoperte (a cui vari italiani, Verazzani, Balbi, ec. prendono parte) fanno che le vecchie carte si riformino e sì muti affatto 1° aspetto della‘ geografia. Indi i mappamondi di Ribeiro e di Frisio, i primi che rappresentino 1’ emisfero nuovamente scoperto. Indi le dotte fa- tiche di Munster, chiamato da’ contemporanei un nuovo $Stra- bone, e d’ Ortelio, che può chiamarsi il d’ Anville del suo tem- 145 po, e a cui è contemporaneo Sansovino, il padre della geogra- fia statistica. Indi finalmente la riforma dell’antica geografia fatta da Mercatore , con cui comincia la geografia moderna. Il periodo seguente (ora, trattandosi di cose più note, deb- ho esser più breve ) è per così dire un periodo di transizione . In esso vediamo la scienza pocanzi sì incompleta passare dallo stato d’ infanzia ;} d’ onde appena è uscita per la scoperta del- I America , ad uno stato di vero progresso. L’ Olanda ; la Fran- cia, l'Inghilterra moltiplicano le spedizioni marittime, creano al di là de’ mari delle compagnie che. servono ad un tempo agli in- teressi del commercio e a quelli della geografia, mandano uo- mini periti a far osservazioni astronomiche e geografiche (il se- nato di Venezia ne avea loro dato l’ esempio nel periodo an- tecedente inviando uno de’ suoi matematici in Egitto) e veggono sorgere nel proprio seno alcune dottè società, che riuniscono in corpo di scienza le notizie sparse nelle relazioni; de’ viaggiatori. Intanto si va aggiugnendo sempre muova materia a relazioni novelle. L’Indostan, il Tibet, il Giappone, la Gina, le Kurili, il Kamtchatka, sono ogni giorno meglio conosciuti. Il Brasile apre le sue miniere d’oro d’ argento ; 1’ Amazone e 1° Orellana ricevono bastimenti europei; il Paraguay , la Terra del Fuoco e 1’ interno dell’ America set- tentrionale sono visitati per ogni lato. Hudson, Baffin,, Lemaire, Munk, De la Barbinais solcano i mari; scoprono i golfi, le baje, gli stretti che portano il loro nome , e mentre fanno. progredire la geografia arrichiscono le scienze naturali di fatti e d’osservazio» ni importanti. Alfine (terzo periodo) par che. si pensi di re alla geografia quel compimento che solo può meritarle il nome di scienza. S'in- traprendono nuovi viaggi lungo le coste per correggere e perfe- zionare le carte marittime, e nell’interno delle terre, particolar- mente dell’Africa, per empire le immense lacune che lascia nella scienza la descrizione delle coste. Si misura la terra per 1’ arco del suo meridiano con un’ esattezza fino allor sconosciuta. Le catene de’ monti , i loro picchi, i loro dorsi, le linee di divi ‘sione formate dall’ acque , il parallelismo e 1° obliquità de’mari , le altezze , le inclinazioni , la successione de’ piani ; divengono oggetto d’ osservazioni rigorose, onde cominciano a, vedersi carte di mirabile precisione. Nè men rigorose son le ricerche, le quali si fanno per arricchire le scienze che si legano in qualche modo alla geografia , per raccogliere notizie esatte sui prodotti , la ric- T. XXXII. Ottobre. 19 146 chezza , la popolazione di ciascuna parte del globo secondo le sue divisioni politiche; ciò ch° è d’ un gran soccorso per farci ben conoscere il passato o introveder l’ avvenire. Si compie in- tanto la scoperta di quella moltitudine d’:sole ch’empiono il Mar Pacifico ; e questa scoperta, che aggiugne al mondo un altro mon= do novello , il marittimo , è di grande iuteresse per gli scienziati e pei geologi specialmente 5 a cui fa presumere l’esistenza d’un continente antico fra 1° Africa e Y America ; siccome 1° Azore il fecero presumere fra 1’ America e I Europa. Molti sono gli uo- mini illustri che concorrono alla gloria del periodo di cui si par- la. Fra i navigatori sono da ricordarsi specialmente Anson, Ellis, Cook ; Carteret , Wallis, Vancouver, Salm Ross e Parry inglesi; Roggeween olandese; D’ Ayala, Francis, Arteaga e Quadra spa- gnuoli ; Behring, Wrangel, Krusenstern, Kotzebue spediti dalla Russia; e i francesi Kergueleh, Buoganville, La Peyrouse, D’En- trecasteanx , La Billardiére, Bandin, Freycinet, Duperroy e Daurville ; fra gli altri viaggiatori Ulloa, Snelgrave, Pooke, Rochon, Norden ;, Voluey, Damberger, Mungo-Park , Bruce, Niebuhr, Brown, Humboldt , Bonplandt , Klaproth,, Rennel, Laing, Pa- cho ; Clapperton ; Belzoni, Calliaud ; e fra i geografi di profes- sione , Varenio il vero fondatore della scienza geografica, D’An- ville, Cassini, Arrowsmith , Lichtenstein, Busching, De Van- goudy , Mentel , Sprengel , Barbiè du Bocage, Hassel, Letronne, Eyriès , Walckenaer , Brué , Lapie , Malte-Brun , di cui la geo- grafia piangerà a lungo la perdita. Questa scienza , come ciascun s’avvede , è ormai vicina alla sua perfezione. Tutte le scienze , che vi si legano e da cui essa può trarre sussidio, la mineralo- gia , la botanica, l’ astronomia ; la statistica, la geologia ; la lin- guistica le danno e ne ricevono ingrandimento. Quasi tutti i punti della superficie del globo , eccetto i ghiacci de’ circoli polari , l’ interno della nuova Olanda e gli arsi deserti dell’ Africa cen= trale, sono conosciuti. Grazie all’ emancipazione delle colonie spa= gnuole ; bentosto 1’ America meridionale, coperta di città e d’ahi= tazioni fiorenti, sarà anch’ essa conosciuta in tutte le sue par= ticolarità. Frattanto i viaggi, che le nazioni d'Europa intrapren= dono a gara per uno scopo scientifico , ci sono altrettanti pe- gni di continuo avanzamento. La Spagna, il Portogallo, l'Olanda, non bisogna obliarlo, hanno precedute le altre in questa car riera , in cui ora cammina a capo di tutte l’ Inghilterra, che per la sua posizione , la sua potenza marittima , le sue relazio- ni commerciali vi è singolarmente adattata. La Francia vien 137 oggi immediatamente dopo di essa. Da nno de’snoi porti è uscita, sotto gli ordini del capitano Durville, l’ultima spedizione europea, destinata a visitare le terre australi, e da otto anni la società geografica, formata in seno alla sua capitale, iliffonde e rende popolari in Europa le cognizioni di cui 8’ arricchisce ogni giorno la scienza della geografia. L'ultimo de’ quadri annunciati , il qual 8’ intitola dalla storia dell’ Accademia di Bell’ Arti in Francia, non è senza interesse anche per noi. Ai nomi degli artisti francesi più distinti vi si trovano mescolati troppi nomi italiani, quelli di Canova e d’Ap- piani, di Benvenuti e di Camuccini, di Morghen e di Longhi, di Zingarelli è di Rossini, ec. ec., perchè non lo riguardiamo come cosa che in qualche modo ci appartenga. Anche senza di essi, però , il gran numero di notizie che racchiude su’ libri ed opere d’arte basterebbe a rendercelo poco meno interessante clie a’com- patriotti dell’ autore. A questo quadro, datoci a così esprimerci per tornagusto, ne succederanno altri, destinati a ciascuna del- l’ arti del disegno e alla musica, dopo i quali verrà una tavola generale alfabetica di nomi e di cose, per la quale 1’ Atlante somiglierà in qualche modo ad un dizionario enciclopedico. L’ Iconografia istruttiva, annunciata nel titolo di questo e dei due antecedenti articoli, può considerarsi come una specie d’ atlante delle biografie più celebri, e quindi come un’ appen- dice a quello, di cui finora si è parlato. Si comporrà; dicono gli editori, di 6 serie , ciascuna di 24 tavole; e ogni serie sarà di- visa in sei dispense d’ un numero di tavole semipre, eguale. In queste tavole i ritratti, destinati per così dire adar vita alle biogra- fie che li accompagnano, occupano il posto principale. Abbiamo già da qualche tempo i 24 della prima serie. Essi fanno onore alla ma- tita di chi li disegnò e al bulino di chi fece il resto, massime gli ultimi, incisi in acciaio, secondo il metodo usato da qualche tempo in Inghilterra (ove pel gran numero d’esemplari, che spesso s’ im- primono d'un libro con ritratti o vignette, è un’ etbnomia ) ma ancor nuovo in Francia. E al merito dell’ esecuzione essi ne ag- giungono un’ altro, ugualmente raro che prezioso in un’opera bio- grafica, quello dell’ autenticità. Per dar idea dello scrupolo de- gli editori a questo riguardo, basti dire che hanno ricusato di ri- produrre il ritratto di Camoens disegnato da Gérard per la ce- lebre edizione de’ Luisiadi procurata pochi anni sono da De Souza, ed hanno preferito il meno bello, ma più sicuro (poichè fatto, vivente Camones medesimo) e posto in fronte alla prima edizione 148 del suo poema Per l’ istessa ragione, eredo , essi han preferito agli altri ritratti che abbiamo del nostro grand’ epico quello ca- vato dalla nota sua maschera, e ben fatto per accrescere la no- stra commozione al racconto delle sue sciagure e della sua fine immatura. A ciascuno de’ ritratti incisi, che occupa l’alto della colonna di mezzo di ciascuna delle tavole , succede il ritratto let- terario del personaggio in quello rappresentato , la cronologia de’ principali fatti della sua vita e delle principali sue opere se appartiene alla classe degli scrittori, e l'indicazione delle fonti storiche a cui si può ricorrere con più sicurezza , onde attingerne maggiori particolarità. Così in una sola colonna si trovano riuniti i tratti più caratteristici e le cose più importanti, che possiamo de- siderar di conoscere intorno ad un celebre personaggio. Queste rose frattanto ricevono nuovo lume dalla notizia ch’ empie le altre due colonne poste a’ lati di quella ora descritta, e nelle quali glf autori hanno veramente fatto prova di rara esattezza e precisione. Così è assai ben giustificato il titolo d’ istruttiva, dato all’ opera che qui si annuncia, e di cui mi resta ancora a notare un pregio. Ai quattro lati di ciascuna tavola si trovano indicati il secolo in cui il personaggio viveva colla data della sua nascita e della sua morte, il paese a cui appartiene , la carriera gene- rale e speciale in cui si è illustrato, e 1’ iniziale del suo nome. Per mezzo di queste indicazioni i vari quadri dell’ Iconografia possono essere classati a piacere in quattro anzi otto ordini differenti, secolo, nascita, morte de’ personaggi, loro periodo cronologico, genere o specie, de’loro studii ec., paese, ordine alfabetico. Esse , eome ciascun vede, debbono riuscire molto comode per le ricerche sto- riche e letterarie. Col loro ajuto specialmente verrà a guadagnarsi tempo, si supplirà alla mancanza di libri, che non è sempre fa- cile avere alla mano, e si avrà una veduta più ampia degli og- getti (ciò solo basterebbe all’ elogio dell’ Iconografia istruttiva) onde potranno evitarsi molte ipotesi arrischiate e molti vani ra- gionamenti. Quest’ Iconografia , ideata secondo lo spirito dell’ A- tlante delle letterature , è anch’essa caratteristica dell’ epoca in cui viviamo. Ù. 169 SULLE GAS8E DI RISPARMIO. Lettera de’ Compilatori del Giornale Agrario Toscano al Direttore dell’Antologia. Per beneficare il popolo e rialzarlo alla sua morale dignità, bisogna parlare e parlar sovente al popolo me- desimoò , bisogna insieme parlar di lui alle classi più culté e più elevate della società. Il povero, l’ignorante dee certamente far molto da sè medesimo in suo vantaggio, ma non può far tutto. Ci vuole chi gli porga una mano, chi gli rimuova dinnanzi gli ostacoli , chi gli additi /do- v'è il bene ch’egli comincia a desiderare , chi lo ecciti, chi lo adeschi, per dir così, a voler sempre più il suo bene ed a conquistarlo. Il popolo insomma è un pupillo, e i bennati, i ricchi, i dotti, i potsnti sono i suoi natu- rali tutori. Voi lo sapete: il nostro giornale Agrario è principal- mente indirizzato ad istruire, per quanto è da noi,/i campagnuoli ed a migliorarli. Là noi diciamo al popolo quel ch’ egli deve sapere, quel ch'egli deve fare per di- venire industrioso, per vivere comodamente e per esser dabbene ; concedeteci sig. Direttore, qualche pagina del- l’ Antologia, per dire ad un’altra classe di lettori quello che lor tocca di fare pel popolo. Non è nostra intenzione di entrare in un lungo e profondo esame dei doveri delle persone illuminate e benestanti verso gli idioti e i biso- gnosi; vogliamo solamente richiamar l’attenzione dei saggi e dei buoni sopra un’istituzione , che da sè sola può sup- plire a molti ammaestramenti e a molte limosine , cioè lo stabilimento delle così dette casse di risparmio. Noi erediamo che sia giunto il momento di offrire al nostro popolo della campagna e delle città quest’ aiuto , e inter- preti de’suoi bisogni, non sappiamo contenerci dall’ invo- care per lui la bontà i lumi e lo zelo delle classi supe- riori della società. Non è sicuramente necessario di destare in loro la volontà del bene, che tra noi come altrove va 150 nascendo o crescendo quell’ umile benevolenza che avvi- cina i grandi e i felici ai bassi ed ai miseri. Ma potrebbe ben essere che non tutti sentissero così fortemente, come noi la sentiamo , l’importanza delle casse di risparmio per operare in poco tempo una vera rigenerazione del po- polo; potrebbe essere che molti si esagerassero le difficoltà che forse si oppongono a stabilirle, e ponessero un tai pro- getto tra quei che si chiamano i sogni dell’uomo dabbene. Noi ci prefiggiamo perciò di mettere prima in qualche liice l’influenza salutare delle casse di risparmio , e poi di far vedere com’è possibite di fondarle in Toscana. Il popolo vive del frutto dei suoi sudori, ed è ba- stantemente provveduto, è tranquillo e felice , finchè la salute e le forze, che sono il suo capitale, non lo abban- donano, finchè non gli manca il lavoro, e finchè il suo lavoro è dovutamente retribuito. Ma una morte impensata. rapisca ad un tratto il capo e il sostegno della famiglia; anche solamente una malattia lo renda inoperoso , ‘ed ac- cresca i bisogni nel mentre che distrugge i guadagni; l’in- caglio improvviso d'una manifattura, d’un ramo qua- lunque di comniercio arresti le ricerche d’ un dato lavoro, o lo renda troppo poco fruttuoso , ecco i lavoranti ridotti alla miseria , etco mogli e figlivoli mal nutriti , mal co- perti , sbandati. I giorni della prosperità sono scomparsi , e non hanvo lasciato al povero nessun aiuto pei giorni della sciagura. Egli non ha allora altro scampo che la pubblica e privata carità. Ed è ben giusto che questo scampo vi sia, e meritano certamente la stima e la rico- noscenza di tutti i buoni le persone pietose clie versano il superfluo della ricchezza nel seno dell’ indigenza. Ma questi soccorsi gratuiti, sempre lodevoli per l’ intenzione di chi li porge, spesso utilissimi, e molte volte indispen- sabili, sono anche non di rado occasione e motivo di gravissimi inconvenienti, . Destinati al vero bisognoso , cadono ben sovente nelle mani del pigro e dello sfacciato , e incoraggiscono l’ ozio il vagabondare e i vizi che ne sono la conseguenza. Of- ferti anche con discernimento ai soli meritevoli, addormen- 151 tano l’ingegno e l’attività del miserabile, che non sente più il pericolo della sua situazione, e non si sforza o si sforza debolmente d’ uscirne ; spengono in lui lo spirito di pre- visione ; sfrontano a poco a poco il suo nativo pudore, e di un artista industrioso eostumato indipendente, lò riducono adagio adagio uno stupido e abietto accattone. Dato così, in certa maniera, un premio d' incoraggi- mento alla mendicità, eccitata una fatale emulazione nel- l’arte di vivere dell’ altrui , i soccorsi della carità la più generosa divengono insufficienti , e la sproporzione cresce d’anno in anno con una rapidità spaventosa. I ricchi sono assediati, e il loro cuore pende incerto fra il timore di fo- mentare l’ infingardaggine o la ribalderia, e fra 1’ appren- sione ancora più viva di abbandonare e di scoraggire jla miseria vereconda, Molti e fatali pericoli stan dunque accanto ai bene- fizi della limosina, e la carità ha dovuto frenare gli slanci della sua compassione , dirigere con un occhio penetrante e circospetto le liberalità della sua mano , e creare, per dir così, una scienza del far bene ai poveri. Questa scienza ba due parti. La prima insegna a di- spensare con tal arte i soccorsi, quando divengono neces- sarj, che essi giungano sicuramente al povero vero, e lo sovvengano in modo da non allettarlo a mendicare, e da non impedire il suo morale e intellettuale miglioramento. La seconda ha uno scopo ancora più elevato e più conforme ai grandi disegni della Provvidenza, quello cioè di prov- vedere nel medesimo tempo ai bisogni materiali del povero e ai bisogni del suo spirito e del suo cuore, ammaestran- dolo a soccorrere sè da sè stesso. Raffinamento ingegnoso d’ una carità diretta e sostenuta dalla Religione, del quale può gloriarsi più che di qualunque altra scoperta , la no- stra età. A questa seconda classe di sussidii i più salutari , appartengono appunto le casse di risparmio. Torniamo al lavorante che vive coi frutti della sua fatica. Questo mezzo di sostentamento, lo abbiamo visto , è in molte circostanze manchevole , Converrebbe dunque 152 che l’ operaio , per poter sempre bastare a sè medesimo, ritraesse dalla sua opera tanto da sostentarsi nel tempo ch’ egli lavora e da serbare il sostentamento per quaudo mon Potrà alvorare. Ma come vi riuscirà egli? Raddoppierà di attività e di fatica? Ma continuando lungamente un tale sforzo cadrebbe presto e con sicurezza in quello stato d’ impotenza che appunto egli teme. Esigerà una doppia o almeno una maggiore merceda ? Ma non dipende solamente da lui, dipende anzi da lui per la minor parte , il fissarne la misura ; egli non, può dettare , deve il più delle volte ricevere la legge e dalle persone che comandano i lavori, e dalle circostanze che ne determinano lo smercio ed il prezzo. Volendo egli lot- tare con questi ostacoli resterebbe spesso inoperoso, cesse- rebbe di guadagnare. Si ‘sottometterà dunque, lavorerà quanto può:, e per quella mercède che trova; e così fa- cendo guadagnerà quasi sempre da. vivere pel presente , avanzerà non di rado qualche piccolissima somma per l'avvenire. — Ma la serberà egli per l'avvenire? Con qual coraggio? con quale speranza ? Egli medita un poco su questo suo avvenire, si schiera dinanzi al pensiero i suoi bisogni futuri e quelli della sua famiglia : prevede l'epoca non lontana in cui dovrà dotare la figliuola o dare ai maschi un qualche stabilimento, prevede le. spese d’ ua parto , quelle più gravi e più rinerescevoli d’una malattia, i bisogni e l'impotenza della vecchiaia, l’ arresto de’ la- vori cagionati dall’intemperie delle stagioni, o da altre cause non materiali, prevede in somma .(ed è già molto sti- mabile e molto vicino al suo scampo quando appunto prevede) se non tutte, molte almeno delle sue imminenti necessità, E che farò io, dic’egli a sè stesso, con questo paolo, con questa lira che mi trovo ora d’ avanzo? Come ;mi riuscirà di custodirla fino a quel tempo ? E custodita pure, che sarà ella a tanto-bisogno t— Due risoluzioni diverse , ma tutte due funeste, si presentano allora al suo spirito; e si può ben affermare ch’ egli abbraccerà una di loro. Q dirà egli : questo:poco ch’ io ho, e che serbato non. mi 253 varrebbe a nulla, è meglio ch'io me lo goda; oppure dirà — è meglio ch’io procuri di moltiplicarlo. Nel primo caso egli cercherà compagnoni di bel tempo e andrà in brigata all’ osteria ; nel secondo si lascerà allettare dalle seduttrici promesse dei giuochi di sorte, e s’avvierà al botteghino del lotto. Infelice ! Egli è perduto nell’ uno e néll’ altro caso. Fino a questo momento sarà forse stato meno abbon- dante o meno scelto il suo cibo; ma diviso con la fa- miglia, mangiato nella pace domestica , tra le parole e gli sguardi affettuosi della moglie, in mezzo alle feste e alle .ca:e importunità dei suoi piccoli figli , era un cibo deli- zioso , di cui si riconfortava il suo cuore quasi più che le sue membra. L’ occupazione assidua, questa grande scuola di morale , la fiducia la ritiratezza l’amore , alle cui espan- sioni il nostro cuore si educa da sè medesimo alla virtà, l’ ordine in somma e la bontà regnavano nella casa di quell’ artigiano , di quel campagnuolo, di quell’operante, di quel servitore. Ma dalla prima volta ch’ egli ha assa- porato un piacere senza la sua famiglia, dacchè egli ha gustato le lusinghe della dissipazione, egli non è più quello di prima, Il suo cuore non è più nella sua casa. Il lavoro eo- mincia a parergli un peso; la calma, i miti diletti dome- stici che sono un balsamo per un’ anima raccolta e con- sapevole d’ aver adempito a’suoi obblighi, cominciano a riuscire insipidi alla sua anima svagata, e che già può farsi un rimprovero, La moglie non ha già più grazie per lui ; i difetti che egli prima le perdonava sì facilmente, sono ora colpe che lo indispongono e lo fan rompere in villanie. Ifigliuoli non sono più ammoniti, sono brutalmente gridati, sono percossi. Altri affetti già sottentrano al casto amore di marito e di padre; nuovi desiderj si suscitano, nasco- no nuovi bisogni , e mentre crescono perciò le spese, sce- mano intanto il tempo e l’attenzione data al lavoro, sce- mano perciò iguadagni. Le privazioni della famiglia prov- vedono per poco ai godimenti disordinati del capo di lei ; e la moglie e i figli gemono nello stento , mentre il pa- F. XXIII. Ottolva, 20 ; Rof.A dre è ben pasciuto e tripudia ; la casa cade nello scom- piglio, nello squallore e nell’abbandono. Ma ben presto il capo medesimo non ha più che sottrarre ai bisogni dei suoi, non ha più nulla da soddisfare ai proprii bisogni ; non rimane a lui ed a loro altro scampo che la mendi- cità o il delitto. 1 medesimi mali sono gen diversi mezzi prodotti dal- l’errore di gettare il primo avanzo nel giuoco di sorte — Con un paolo cento scudi! — Qual seduzione per chi ha pochi lumi e sente poco la forza del nudo raziocinio!'— La prima volta, è vero, il paolo andò perduto, ma non av- verrà così la seconda , o la terza o un’altra volta:qualun- que. L’ importante è di seguitare , e lasciar la porta aperta alla fortuna. I numeri non sono stati ben trovati; biso- gna sceglieruli meglio —Ecco il discorso del popolo, ed'eceo Je false e fatali persnasioni che a poco a poco gli si for- mano in mente. La prima è, che esiste per Jui un mezzo di guadagno differente dal lavoro ; ed egli comincia a di- samorarsi del lavoro e si rivolge sempre più avidamente al nuovo modo di far denaru senza fatica. Quindi tutti i disordini morali e tutte le necessità che sono la conse- guenza della scivperaggine, gli piombano sopra e lo con- ducono alla rovina. Si persuade in secondo luogo che vi è una scienza de’ numeri, di cui chi è ammaestrato, vin- ce con sicurezza ai giuochi ‘di sorte ; di quì le interpre- tazioni de’ sogni, le apparizioni dei morti, le combinazioni delle cabale e altre simili scipitaggini, che accreditando agli occhi degli ignoranti gli impostori , e degradando il loro intelletto, creano due forti ostacoli all’ammaestramento e all’incivilimento del popolo, e diminuiscono presso di lui l’influenza delle persone saggie spogliate di misteriosa ciar- lataneria. Una terza funesta conseguenza è il pertinace sa- crifizio che gli uomini così illusi. van facendo nel gioco dei pochi e sempre decrescenti lor mezzi di sostentamen- to. Nè solamente questi sacrificano, ma impegnano le gioie della moglie, gli utensili di casa e gli arnesi del lor.me- stiere; li vendono anco ; si indebitano, e adagio adagio 0 per servire alla lor, passione o per soddisfare alle proprie 159 necessità , si riducono ad accattare, a frodare, a rubare e a darsi alla disperazione. Ecco dove per una o per altra via è condotto l’ope- raio da un primo avanzo che lo disanimò con la sua in- sufficienza, e che egli non seppe come cautamente e frut- tuosamente collocare. Toglietegli voi di mano quel mezzo di seduzione, fatelo divenire ‘nelle mani wostre non il talento che irrugginisce sotterra , ‘ma il talento che si raddoppia; e l’ operaio è salvo, è rassicurato, è rigene- rato. A ciò appunto son destinate le casse di risparmio. Le anime elevate e pietose che ne concepirono la pri - ma idea, si collocarono appunto nella critica situazione del- l’uomo che vive del suo lavoro , a cui per la prima volta avviene di possedere un chè di soprappiù a’ suoi pririci- pali bisogni. Questa nascente ricchezza deve servire ai bi. sogni futuri; si dee dunque custodirla perchè non man- » chi nel giorno della necessità, si deve accrescerla perchè sia meno sproporzionata al suo fine, e perchè alletti chi la risparmiò , a risparmiarne altre e maggiori. i Le casse di risparmio offrono al povero industrioso tutti questi aiuti. In quelle si ricevono i più piccoli de- positi , che sono devutamente assicurati da tali garanzie materiali e morali , che ispirino la più intiera fiducia. A tutte le somme depositate (quando giungono ad una quan- tità determinata, ma la più piccola possibile) si accorda fin dal giotno del deposito o dal giorno di poi un frutto del 4 o del 5 per cento secondo i luoghi, pagabile di 6 in 6 mesi, Al primo semestre il frutto scadato , se non è ri- scosso ; si aggiunge al capitale, e diviene perciò anch’esso fruttifero : e alla fine di tutti i semestri successivi si ac- creditano sempre al depositante e si capita'izzano i frutti del primo deposito e i frutti de’ fratti. In forza di que- sta accumulazione avviene che piccolissime somme rispar- miate a mano a mano dal lavorante e per sè sole insi- gnificanti, divengono in capo a un certo tempo un capi- tale notabile atto a provvedere ai bisogni straordinarii d'una povera famiglia. Gli avanzi dell’ operaio mutano da que sto punto d'aspetto : di miscee disprezzabili e perciò get- 166 tate, finchè restavano in sua mano, si trasformano ora in un piccolo tesoro : erano prima le scarse granella che si mangia in pochi giorni un agricoltore ingordo o scon- siderato; sono ora un seme, che l’ agricoltore indu- strioso consegna alla terra, e le ripiglia poi divenute alimento di tutto un anno. Questa moltiplicazione del soldo e del picciolo ha qualche cosa non solo di rassicu- rante, ma di seducente pel povero; essa piglia a’suoi oc- chi tutta la lusinga d’ un favore della sorte, con di meno i rischi della perdita , e con di più la soddisfazione vir- tuosa che quei guadagno è un frutto del proprio sudore. Quindi il gioco comincia a perdere per lui le sue magiche attrattive, quindi i propri avanzi cominciano ad essere da lui apprezzati, quindi il lavoro si accredita nel suo ani- mo come un mezzo di far fortuna, quindi l’ interesse è d’accordo col dovere, e l’ agiatezza progredisce con la morale. Ma i bisogni del povero non sono periodici, sono spesso istantanei, non si posson sottoporre ad un calcolo di pre- visione. Affinchè dunque i sussidj preparati dal risparmio sì trovassero pronti a soddisfare al bisogno, era neces- sario che la somma accumulata coi piccoli avanzi fosse a disposizione del depositate nel medesimo modo come se egli l’avesse presso di sè. E le casse di risparinio hanno adempito anche questa inevitabile condizione; offrendo al povero di pagargli la somma dei suoi crediti tutte le volte che egli la domanderà. Condizione vitale, non solo perchè da un lato dà ai visparmii una vera efficacia, ma perchè dall’ altro invita ai risparmi con na nuovo e po- tentissimo allettamento, quello della libertà. Nulla dunque più manca, perchè il primo avanzo dell’ operaio salga veramente al grado di nun principio di ricchezza, e perchè in conseguenza l’ operaio abbia il suo conto e la sua soddisfazione ad avanzaie , e perciò a la- vorare. L’ operaio dunque trova la salvezza in ciò in cni altrimenti troverebbe una occasione di rovina; l’operaio è trattenuto e incoraggito nella carriera assegnatagli dalla Provvidenza ; egli adempie la sua "missione; si applica in- 157 defessamente , evita le dissipazioni e i pericoli, si affe- ziona ogni giorno più alla famiglia, prende sempre mag- gior piacere al buon ordine alle comodità alla decenza domestica , prevede, aguzza 1’ intendimento, sente il suo proprio decoro, si forma una riputazione da custodire , acquista dei beni da conservare , s’ interessa alla quiete e alla prosperità pubblica , diviene fiel medesimo tempo tranquillo, agiato e virtuoso, buon marito, buon padre e buon cittadino, Una cattiva direzione lo doveva perdere, una direzione giusta gli ha data una nuova vita. Tanto si ottiene quan- do s’indovinano i bisogni; della nostra natura, quando si sa dare l’ impulso, e favorire l’ azione di forze che Dio ha ereato, e che noi possiamo secondare, ma non pos- siamo supplire. Per questo riguardo le casse di risparmio sono una vera ispirazione, una direi quasi rivelazione della carità. Dovunque si stabiliscono, mutano la situazione industriale e orale dei popoli; e il cambiamento è così grande, così rapido , che ha del miracoloso a chi non considera que- sto soccorso sotto il suo vero aspetto, cioè come un mezz» che stimola e sviluppa le facoltà dell’ intelletto e del cuo- re, che richiama il povero ai suoi veri destini facendogli trovare la sua ricchezza nel suo lavoro. Bisogna dunque o non conoscere le casse di risparmio o non aver mai me- ditato la natura della loro inflnenza, per non sentirne la necessità, per non ardere di desiderio di stabilirle per tutto i eda qualunque costo. | E questo desiderio nasce forse non di rado nell’ ani- me caritatevoli ed illuminate, Ma una riflessione scorag- I giante arresta ad un tratto questo nobile movimento. Tali | ti stabilimenti possono bene erigersi nelle grandi cit- | tà, negli stati di molta industria e di molto commercio, | dove i capitali abbondano, e le speculazioni gli impiegano, dove tutto è vita, dove tutto riesce, Ma che si può fare da | moi? — Che si può fare quando si tratta di carità? si può | far tutto; basta volerlo. Noi che abbiamo un orgoglio così | Mlicabile. quando si tratta di preminenze letterarie rispetto 158 alle altre nazioni; non arrossiremo noiîdi esser tanto da menò in opere di beneficenza? Lo straniero passa in atto di vene- razione e di meraviglia davanti ai nostri ospedali, e a mille altri stabilimenti di carità. Egli si commuove di rispetto e di tenerezza al veder volar in soccorso desuli infetmi i membri d’ unà confraternita che si onora ed ha diritto d’intito- larsi della Misericordia ; egli dice allora a sè medesimo : quì la pietà è larga e pronta ai bisogni degl’infelici. Ma se egli poi domanda : dove si aiuta quì il povero a non ca- dere in bisogno? soffriremo noi che gli sia risposto: la no- stra carità aspetta le disgrazie dell’operaio, non le pre- viene? se lo straniero domanda: dove il lavorante, |’ in- dustrioso, deposita i frutti del sno sudore? non ci vergo- gneremo noi, che gli sia mostrata la bettola o la botte- ga del gioco? Nò nò: un magnanimo sentimento di digni- tà nazionale deve fremere in noi al pensiero di sì umi- liante risposta. Quando ancora mille ostacoli si attraver- sassero allo stabilimento delle casse di risparmio , noi do- vremmo dire: le casse di risparmio saranno stabilite. Il sangue di chi ha fondato S. Maria Nuova, i Buon Uomi- ni, la Misericordia, scorre ancora nelle ‘nostre vene; noi emuleremo i nostri avi, noi li sorpasseremo. Ma vi è egli poi bisogno di insoliti sforzi; siamo noinel caso di prepararci ai grandi sacrifizii che pur non temereb- be la nostra carità? Nò, noi non siamo nel caso. Per ista- bilire le casse di risparmio, non occorrono nè grandi sa- ‘ crifizii, nè grandi sforzi; noi le stabiliremo appena vor- remo + Esaminiamo freddamente quali ostacoli vi si oppon- gono. La vera difficoltà è una sola; e consiste nel con- ciliare insieme due considerazioni che paiono ripugnanti; cioè di accordare i frutti alle somme depositate e i frutti. de’ frutti non riscossi, e nello stesso tempo esser pronti a pagare ai depositanti l’ intiero lor credito ad ogni loro richiesta.— Come render fruttifero il danaro senza impiegar- lo? Come impiegarlo e averio nel medesimo tempo in cassa per esser pagato a chi lo domanda? L'impiego stesso quanto è difficile , quanto rischioso? Un fallimento, un 159 concorso , una lite, un’ inavvertenza nell'esame delle ga- ranzie possono compromettere la sicurezza ‘d’ una somma imprestata ad un possidente , o impiegata in un traffico. Se non altro ne può essere ritardata moltissimo la riscos- sione, e può lafcassa trovarsi impotente a soddisfare le richieste dei depositanti, e quindi non ottenere il suo sco- po e cadere in un fatale discredito. Ecco i timori che ragionevolmente possono nascere. E noi lungi dal dissimulare tali difficoltà le esponiamo anticipatamente. Esse però non sono tali da sgoamentare. Facciamo prima una considerazione, la quale è atta: ad attenuarle di molto. Tutti i depositanti possono a lor pia- cere richiedere il danaro che è loro dovuto; ma non tutti lo vorranno richiedere. È possibile che tutti abbiano bisogno del loro, ma non tutti ne avranno bisogno; e sebbene di ciascheduno in particolare non possa dirsi: egli non sarà nel caso di ricorrere ai suoi risparmi j si può , riguardo alla massa di tutti i depositanti , prevedere che molti di loro, anzi la maggior parte lasceranno i loro risparmi in accumulazione. L’ esperienza ha anche somministrato dei dati per calcolare con molta probabilità qual somma ba- sta aver pronta a mano a mano per soddisfare ai paga- menti che occorrono. Dalla tavola sinottica pubblicata nel 1826. dalla Cassa di risparmio di Parigi, risulta che i rim- borsi fatti tanto in danaro come in cartelle di rendite pub- bliche, presa una media di 9 anni, non arrivano alla terza parte dell’intiero credito dei depositanti fra capitali e frutti accumulati ; e il numero delle persone che do- mandarono il rimborso sta a quelli che nol domandarono, a un incirca come g a 75 cioè qualche cosa meno d’un ot- tava parte. Non è dunque necessario ad una cassa di ri- sparmio di aver in pronto in tutto il corso d’ un, anno, fuorchè tutt’ al più la terza parte dell’intiero suo debi- to; e nè anco importa di aver sempre all’ ordine tutta questa somma, ma basta averla successivamente di mese in mese , più o meno, secondo le stagioni e a norma di quello che 1’ esperienza dimostrerà, Così che una somma sempre disponibile che sia la trentesima o tutt'al più la 60 ventesima parte dell’ intiero debito della cassa, potrà ba- stare , A questa considerazione che ha già molto peso, se ne aggiunge un’altra. Non si tratta quì di una speculazione lucrosa, di un’intrapresa d’ industria o di commercio , in cui sì tratti di evitar prima le perdite, e poi di procu= rare dei guadagni a chi la fa. Si tratta invece d’un’opera disinteressata e caritatevole , in cui non solamente biso- gna rinunziare ad ogni profitto, ma bisogna prepararsi a qualche sacrifizio, che si ha da considerare come la più u'ile ‘e la più meritevole di tutte le limosine. Quei soc- corsi che ci strappano di mano gli importuni, i vagabon- di, gli sfaccendati, non saran meglio spesi ad incoraggire il lavoro, lo spirito di previsione e d'economia, a fomen- tare i sentimenti i più morali, ad assicurare il riposo, la decenza e la virtù di molte famiglie? Questi sussidj che è ben facile di ottenere dalla conosciuta carità dei nostri benestanti, saranno insieme un ben piccolo peso, ripar- tito che sia fra i molti che si onoreranno e si compiace- ranno di associarsi ad un’opera tanto umana , tanto pa- triottica, tanto religiosa. Non dobbiam dunque sbigottirci se conosceremo, che o per supplire alle poche spese d’am- ministrazione , o per pagare i frutti delle somme che oc- corresse pure di tener pronte in cassa, bisogni di ricor- rere alle contribuzioni di pie e generose persone. Tutti i cuori risponderanno a quest’invito della carità: si formi oggi una società , si apra oggi un registro ; e le azioni di quest’impresa , i cui scapiti materiali sono guadagni d’un ordine così elevato, saranno tutte prese domani. Questo mezzo , che certamente non va trascurato, se non altro perchè gli aiuti somministrati ai poveri siano nello stesso tempo una grande educazione morale delle classi agiate , questo mezzo non è l’unico a cui si siano appigliati i fondatori delle casse di risparmio. Ve n'è ‘un altro che tronca da sè solo tutte le difficoltà, e che a carità ingegnosa ha saputo togliere a imprestito dall’av- veduto e fecondo spirito d’interesse. Nei bisogni del com- mercio e degli stati si è saputo trovare un supplemento nt gene cei fe di n di e rl Gir fatine” n 161 al danaro, e si è potutovcosì far compre , pagar debiti, rappresentare qualunque capitale senza un soldo effettivo nelle mani. Questo supplemento è il credito. I grandi av- wenimenti politici, di cui siamo stati testimoni, sforzan- do una gran parte dei governi e soprattutto quello di Fran- cia a ricorrere a questo mezzo, gli hanno dato uno svi- luppo e una forza maravigliosa, Ciò che fu da principio un segno di necessità, è riuscito poi un rivale della ric- chezza. Le cartelle rappresentanti il debito pubblico, per la puntualità dei governi nel soddisfare agli impegni as- sunti, sono divenute un oggetto di ricerca, una materia continua di compre e vendite, un articolo di commercio; e quel che importa al nostro proposito, un equivalente del denaro, e un equivalente di tal natura, che mentre dà diritto ad una rendita, e per conseguenza rappresenta un capitale impiegato, è spendibile in piazza pel valore della sorte, e perciò fa le veci d’un capitale libero. I saggi ammi- nistratori delle casse di risparmio han trovato in questi così detti fondi pubblici il modo d’ uscire da ogni imbarazzo, Impiegando a mano a mano nella compra di queste car- telle le somme depositate, hanno nel medesimo tempo procurato a tali somme un frutto conveniente ora un poco maggiore, ora nn poco minore secondo le circostanze , e si sono messi in grado di soddisfare ad ogni richiesta i crediti di ciascuno, o consegnandogli le cartelle medesime fruttifere, se così gli piacesse, o vendendole in piazza, e passandogliene il ritratto. Ogni timore di mancanza mo- mentanea di danaro è allora svanito ; e la solidità delle casse di risparmio quando ancora non fosse garantita da ‘una cospicua dote come lo è a Parigi, è già uguale alla so- lidità dei rispettivi governi. In Inghilterra in luogo dei fondi pubblici si impiegano delle cartelle particolari che il pubblico tesoro mette fuori a bella posta, a mano a mano che riceve dalle casse di risparmio le somme che esse sono autorizzate a versarvi : e queste cartelle speciali por- tano un frutto determinato e costante . Ma l’effetto è il medesimo ; quello cioè di sostituire il credito al danaro. T. XXXII. Ottobre. 20 102 Non tocca a noi ad indicare con quali modificazioni potrebbero le nostre casse di risparmio ‘essere. messe in grado di valersi dei medesimi mezzi, o quali altri si po- trebbero sostituire a questi. Noi non abbiamo voluto che esporre delle idee generali, e accennare per quali diverse vie si possono evitare gli ostacoli che. pajono opporsi a questa benefica istituzione. Le particolarità pratiche, i compensi richiesti dalle circostanze locali si presenteranno facilmente appena si vorrà seriamente pensarvi, Quello che importa è di volere, è di non credere la cosa impossibile, di non impaurire in faccia alle difficol- tà, e di metterci per un’opera santa e gloriosa in quel movimento , in cui ci metteremmo per ùna speculazione di privato interesse. Le più distinte persone diano l’esem- pio , i più ferventi spronino i meno coraggiosi , si formi una società per far del bene', come se ne formano tante per l avanzamento delle lettere e delle scienze ; si medi- ti, si discuta, si cominci ad operare, e l'esito è certo. Le casse di risparmio si stabiliranno , e il popolo toscano sarà soccorso. Gradite sig. Direttore Vostri dev. serv. Rarr. LaMmBRUSCHINI | Lapo De Ricci \ Compilatori del Gior- c R nale Agrario Tuscano. USIMO 1DOLFI ) “ 163 VINCENZO MONTI (*). La gloria che gli uomini insigni lasciano in retaggio alla nazione di cui la civiltà o maturarono od illustraro- no con le opere loro, si crea, come ognun sa, troppo spesso due nemici a-sùo danno egualmente potenti ; la eieca ammirazione , ve l’ invidia superba . Questa , a nul- l’ altro intesa che & riguardare e l’ uomo e le opere sue dal lato mien nobile ; a contrapporre ad vin bel nome un nome più celebre, 0, al suo parere, più degno di celebrità; a rovesciare sull’ uomo le colpe de’ tempi; a ‘giudicarlo con le idee più recenti e più rette d’una generazione che senza lui non sarebbe qual è j infine, palliando od oscurando il meritodi ciò ch'egli fece, condannarlo di ciò ch'egli, omise. Quella, pronta sempre a far idolo un nome, a rigettare ogni giudizio dedotto dalla serie de’fatti piuttosto che da’sogni d’un entusiasmo fantastico ; a pervertire ( e quest’ è] peggior danno ) il retto senso comune, dando ‘a’ credere non pur lecito ma onorevole e sacro ciò che nel venerato ‘modello , se pur non merita biasimo , abbisogna certa - mente di scusa, — Il più giusto conciliatore de’ partiti, il men falso giudice de’ sommi uomini, è il sentimento ; il quale cercando nella opinione dei più quel fondo d' equità che nella voce comune è più o meno, ma è sem- pre , e raffrontandolo con 1’ impressione che sullo spirito non preoccupato lasciano i più grandi lavori dell’ ingegno e le azioni più notabili del carattere, ricerca il vero since- ramente, schiettamente lo espone, e dà nel suo tuono bene a conoscere, che le sue parole non vengono nè da smania d’or- namenti rettorici, nè da ambizione di setta, nè da animo- sità di partito. E il sentimento detterà le parole che noi (*) Il dì 13 del presente mese è cessato di vivere Vincenzo Monti. — Per pagar provto ed iutero il tributo d’ ammirazione e di gratitudine che l’An- tologia e la Toscana deve aì Poeta, la cui gloria ha di sè illuminati due se- colì, rimettiamo al seguente quaderno il Bullettino Scient fico. N. del Dir. 104 consacriamo alla memoria di Vincenzo Monti, la cui per: dita in ogni animo retto venne a ravvivare il pensiero e l’ affetto di tutte insieme le sue glorie passate, e de’titoli che l'ingegno suo gli ha acquistati alla gratitudine della patria, alla riverenza de’ posteri. II. Per conoscere veramente ciò che valea quest’ inge- gno e ciò che noi gli dobbiamo, giova! collocarci con esso nel tempo e nel paese che lo vide sorgere ed. elevarsi ; giova misurare col pensiero l’ ampia via ch’egli aprì e che percorse : poich’una delle più gravi ingiustizie che soglian farsi ai grand’uomini, ell’è, ripeto, il collocarli nella luce d’ un’età che senz’ essi non sarebbe forse mai sorta, e del benefizio di questa luce servirsi per mettere in chiaro non altro che le lor macchie ; e così Ja. irragionevolezza col- mare con la sconoscenza. Certo sarebbe importante a. sa- pere , donde, in un tempo alla virile coltura delle italia- ne lettere sì nemico , venissero al Monti le prime ispira- zioni che gli rivelarono il sentimento di quel Bello più sem- plice, più universale , più forte, da lui con tanta sicu- rezza indovinato, con tanta efficacia e spontaneità posto in atto.. Fiorivano nella prima gioventù del Monti , fiori- vano, è vero, il Varano, il Minzoni. e il Parini: ma, intanto che della nuova via da questi tre benemeriti aperta, l’Italia non parea quasi accorgersi, tutta invaghita di smancerie pue» rili, d’ ampollosità grossolane , di stracche imitazioni; chi è che insegnò al Monti sentire quant’era di nervoso nello scrittore di pochi sonetti mal noti , di franco nell’Autore delle Visioni , di pensato e di sentito nel Poeta del Gior- no? Chi è ch’ ha insegnato al Monti distinguere nel Va- rano ciò che quel fare avea di vivo e di maschio da quel ch'era 0 sparuto 0 contorto, o mancante di carattere pro- prio 3 nel Minzoni, la forza vera, da certa-affettazione di nerbo e di originalità ; nel Parini, la grazia e l’ affetto, dal vezzo delle perifrasi, dalla perplessità de’ costrutti , dall’ ingombro de’ latinismi , e da quel continuo artifizio che per ingentilire o ringagliardire la frase, vela ed impe- disce il concetto? Chi è ch'ha insegnato al Monti da questi tre cogliere il nuovo ed il bello, lasciando quant’era in loro 165 di men che degno del secolo; io vo” dire l’affettazione , il lan- guore, l’impopolarità; e crearsi quindi quello stile sì limpido, sì dignitoso, sì franco, che lungi dall’ appannare il pen- siero, dal raffreddare l’ affetto, riscalda sovente le imma- gini morte, e simula il linguaggio del sentimento laddove sentimento non è ? Le vie per le quali un ingegno singo- lare viene educando sè stesso, sono laberinti inesplicabili, arcani al suo medesimo sentimento: egli cammina conscio , è vero , a sè dell'altezza del suo scopo, ma dubbio del dove : l’ ultimo confine dell’ orizzonte che gli si dipinge davanti, è a’suoi occhi la lontanissima delle mete. Più egli procede , più scopre il secreto della sua vocazione ; più si fan nobili i suoi desideri, ma più timide insieme le sue speranze : egli conosce a poco a poco l’ immensità dello spazio che gli si. vien dilatando allo sguardo; ed allora svaniscono in gran parte le dolci illusioni del giovanile orgoglio; allora l’ansio affetto del meglio succede a quella vaga e curiosa ispirazione che lo spingeva innanzi , igna- ro delle sue forze ma pur confidente, incerto ma pure a- nimoso. Spetta a coloro che più davvicino conobbero il Mon- ti fornirci della prima sua gioventù, alcuna di quelle no- tizie che son preziose alla coltura dell’ arte. Io quì posso citare un documento che dell’ ingegno di lui , in quella età, ci rimane : dico l’ unica poesia latina che di lui co- nosciamo; la quale, se meno notabil fosse, non oserei ram- mentare. Ma tanta in Au 1°RI è la franchezza dello stile, della lingua, del numero ; così chiaro v’ appare quella sprezzatura maestra , quel far largo e sicuro, che poi do- veva essere il dare della sua musa italiana ; tanto , e \per singolarità di pensiero e per vivezza di tuono, questa elegia sconosciuta sovrasta alla fredda eleganza e all’ im- potente fecondità dei più fra gl’innumerabili latinisti del cinquecento, che da una collezione completa delle opere del Monti, sarebbe irriverenza escludere questo lavoro de’ suoi più verd’ anni. III. Ma un ingegno tale non potea certamente contenersi più a lungo nell’angusto campo delle latine eleganze: di 166 | più vivi fiori e di più olezzanti doveva egli ben presto ri- volgersi ad intrecciare ghirlande. E non è maraviglia che fin dalle prime sue mosse nella nuova via più battuta e men facile, egli promettesse che il suo canto, ancor chioc- cio , dovrebbe un dì togliere ad altri il vanto . Si sentiva egli già gagliarde alla mente /e penne : sentiva dentro di sè un ispiratore che gli uomini tutti credon sentire, ma che veramente ad altri non par!a che a’ pochi di mente retta e di cuore buono: l’affetto. Sarebbe puerilità romanzesca il credere che nelle«ghime giovanili 1’ unica chiave delle impressioni poetiche sia 1’ amore : ma certo , se non mo- tore, indizio almeno della vocazione poetica è un affetto non vile, non accattato , ma gentile, fervente , involon- tario, e quasi fatale, o sia d’amore o sia d’ amicizia. — Zo ho amato , scriveva il Monti mezzo secolo fa, io ho amato per passione, ed ho amato per capriccio; ed in tutte due le circostanze ho composto de’ versi. Queste parole rechiamò, non solo perch’ esse ci spiegano il Poeta , ma perchè ci ri- velano l’uomo, ci dipingono il secolo. In un tempo, quando certa frivola gentilezza , effetto parte de’ nazionali costu- mi, parte delle straniere influenze, sostituiva negli animi più bennati la capricciosa galanteria al vero amore; quando e l’amore più inetto e la più ridicola galanteria, e tutti i menomi avvenimenti della privata e della pubblica vi- ta, richiedevano, comandavano alla poesia sempre nuovi tri- buti d’ umiliazione ; sorge un uomo che sente profondo, che signoreggia il suo ingegno a segno da vivamente espri- mere il proprio sentire; e che trova (esempio se non unico, almen singolare ) un linguaggio per la fatua galanteria ed un linguaggio pel vero amore ; uno per l’adulazione e pei più, un altro per la verità e per sè stesso. Educato a tras- correre così leggermente dalla faceta leggiadria dei ga- lanti ottonarii, leggiadria fin allora sconosciuta in Italia e forse nuova tuttora, al sincero lamento della mesta elegia, non è maraviglia s’ egli in questi esercizi acquistasse una certa flessibilità d’ingegno e di tuono, che in soggetti più gravi doveva poi essergli imputata a colpa dai più severi de’ suoi ammiratori ed amici. Il suo carattere s’ era già Î | | | | | 167 formato in un tempo , nel quale , al dire di lui stesso , i poeti non solevano di sodezza piccarsi gran fatto : e le prime impressioni della gioventù troppo spesso danno e forma e colore alle opinioni più vitali , ai sentimenti più intrinseci che dovran poi dirigere tutta la vita; e con la forza dell’abitudine vincono sovente e le resistenze della ragione più adulta e le naturali ripugnanze del cuore. Non si può senza un vivo senso d’ammirazione pen- sare come in quell’ età ch’ altri appena incomincia a for- marsi io non dico lo stile, ma una ceita idea, una cer- ta forma di stile , il Monti avesse il suo già condotto a tanta maturità, che rimpetto a lai, la più parte de’ poe- ti provetti potevano chiamarsi fanciulli. Quest’ Arcade pastorelio , quest’'Autonide Saturniano aveva già nel Par- rasio portata invece di zampogna , una cetra, il cui toc- co doveva fargli tra poco dileguare d’ intorno le pive de’ pastori , e i pastori, e gli armenti. Si pensi che la Be/- | lezza dell’ Universo, quell’ inno ben più che pindari- co, fu recitato in Arcadia : si pensi che questo lavoro , ch’ apre alla nostra poesia un secol nuovo , fu composto per nozze. — E poichè nella Bellezza dell’ Universo son | già tutti svolti e quasi in fiore i germi d’un genio che dovea poi fruttare così fecondo, del carattere appunto i e delle proprietà più originali di questo genio toccherò bre- veemente, IV. Havvi una poesia, nella quale l’ anima rivolgen- dosi in sè medesima, e dal proprio affetto traendo alimento al pensiero , e dal pensiero all’ affetto , nell’angusto spa- zio dell’ uomo interiore, anzi nel punto divizibulà della coscienza , si crea un universo : poesia essenzialmente at- ‘tiva, che cerca il sublime nel profondo, lo spirituale nel sensibile il più importante , vale a dire il più malinco- nico nel più frivolo ; e tutto riferendo all’ uomo , sparge | Sopra tutte le cose un affetto, monutono e vago, se vuol- sì, ma quanto più vago, tanto più partecipante dell’ invi- sibile e dell'infinito. A siffatta poesia naturalmente con- ducono il raffinamento della intelligenza, l’acerescimento 168 delle cognizioni e de’ bisogni , il corso delle pubbliche e delle private sventure. Havvene un’altra più estrinseca , più varia, più gaia, che affacciandosi quasi sul limitare dello spirito, assiste vivacissima ed ilare spettatrice al gran tea- tro dell’ universale Bellezza; e contenta sovente delle ap- parenze, dalle più sensibili relazioni degli oggetti, ravvwi- cinate con leggiadra agevolezza , coglie un’ armonia fran- ca, scorrevole, dilettosa. Congiungere i fiori dell’una poe- sia co’ frutti dell'altra ; toccare le corde più intime del- } umana natura senza premervi sopra con tenace auste- rezza, e rivenir tosto alla melodia degli affetti più estrin- seci, più universali, più gai; cogliere il commovente sen- z° affettare il malinconico , il pensato seaza trascendere nel contemplativo, il profondo senza dar nel pesante; ques- t è il sommo secreto del Genio , e richiede una mente sempre aperta alle impressioni dell’ affetto poetico e sem-. pre signora di quello; libera da ogni vincolo dell’arte fat- tizia, ma sempre attenta a discernere e rannodare quel vincolo delicatissimo, per cui le bellezze dell’ arte umana sì connettono, quasi anella intermedie, alle eterne bellezze della natura. Posta quasi conciliatrice fra il gusto de’ se- ‘colî passati e quel della nuova generazione, la poesia del Monti partecipa d’ambedue gli accennati generi ; ma ben più del secondo. Non rifugge essa nè dalla delicatezza del nascente ed appena percettibile sentimento, nè dalla gra- zia dell’ affetto adulto, nè dalla profondità della passione vigorosa, nè dal serio e solenne spettacolo della grande realità, nè dalla elevatezza d’ un pensiero generoso e gen- tile : ma questa parte spirituale del canto è leggermente vestita de’ veli corporei : e per timore di soverchia o se- verità o imprecisione , tutto è quivi ridotto ad imagine + Le forme della meditazione , gl’impulsi dell’ affetto , per lui si trasformano in idoli della fantasia: nella fantasia paion piovere al Monti e sentimenti e pensieri, senza quasi sua cooperazione ;$ come le melodie di Rossini. Quindi la va- rietà del suo fare : varietà evidentissima a chi, oltre a quelle frequenti apparizioni di spettri, di cherubini , di 169 deità mitologiche , bada al tuono dominante del canto , all’istimo spirito. Quindi lo splendore e l’evidenza di quella ‘poesia, della quale par ch’abbia egli stesso voluto modesta- mente offrirci l’ immagine , quando scrisse : Se Pronta il Ciel mi donò mente serena. Quindi in lui l’arte, l'istinto, il bisogno di cogliere sem. pre ne’ soggetti più nobili e ne’ più dimessi , ne’ più pe- regrini non meno che ne’piu triti, quelle particolarità che valessero a disesnarli ‘nettamevte , a colorarli , se non sempre con sincera fedeltà , quasi sempre con elegante vivezza. V. E questo amore di quanto negli oggetti è di par- ticolare e di proprio , doveva, quand’ altre cagioni non fossero state, necessariamente condurlo al vero scopo della Poesia, da più secoli miseramente smarrito , a quella poe- sia, dico, che dipinge ed esprime: » + + » È costumi, e le dottrine, E gli affetti, e i bisogni, e le vicende Dell'uom cui nodo social costringe. Se il Monti non può propriamente chiamarsi il poeta della civilizzazione, quello cioè ch’ abbia osato nella Poesia tras- fondere il tesoro e delle maraviglie che nel campo immenso della natura scoperse la fisica rinovellata, e delle verità che pel corso de' secoli venne con |’ esperienza aceumulando la scienza dei costumi e la scienza degli Stati, egli certamente può dirsi il primo ch’ abbia, con originale franchezza e con incredibile felicità , tentata questa preziosa e necessaria al- leanza, per la quale la Bellezza ; non più nemica e cor- ruitiice delia verità, ma viene a farsene interprete e ador- matrice. Doviebb' essere, patmi, d’augurio faustissimo e d’ efficace esempio ai Poeti avvenire , il veder come i toc- chi scientifici, morali, politici, non che violare 1’inte- grità verginale della Bellezza poetica , le agginngano e vita e vigore e modestia . Oserei dire che se questo nuovo e gran campo non si fosse aperto all’ingegno del Monti, noi non avremmo in lui che un Poeta poco al disopra di T. XXXII. Ottobre. 29, 170 quella elegante ed artifiziosa loquacità che a tanti verseggia- tori italiani conservò per più secoli una languida e non invidiabile rinomanza. Io non citerò que’ poemi, dove la politica verità è , a comune giudizio, o esagerata o ve- lata per cagioni estrinseche affatto allo scopo dell’ arte; ma citerò la Mascheroniana, dove sì bella e sì poetica mostra fa di sè làamor patrio , dove ‘sì dolci suonano i nomi di Fontana, d' Oriani, di Spallanzani, di Verri , di Beccaria, di Parini: citerò la sovrana pittura del Parini là in cielo, dove il Monti ha degnamente emulato quel suo degno ispiratore di maschia e pittrice poesia , l’Alighieri . Egii è veramente a dolersi che le circostanze de’tempi gli ab- biano interdetto un più coraggioso e più costante esercizio di questo genere nobilissimo , dove il poeta sorge quasi con- sigliere delle nazioni, giudice degli avvenimenti e degli uo- mini, re della opinione. Ed è a dolersi non meno , che la lena gli sia mancata e gli stimoli a ynel genere di poesia morale ed eterna, della quale egli avea dato un saggio sì nobile in quel giovenile sonetto alla Morte. Senonchè da questa poesia di meditazione lo stolse, al creder nostro , non solo l’ indole del secolo nel quale son corsi i suoi più begli anni, ma la natura dell’ingegno suo stesso , che nell’ oggetto poetico ricercava più sovente il più estrin- seco e il più sensibile ; e potè così , fino nella vecchiezza ultima, serbare la freschezza e la vivacità giovanile. E di questa maniera poetica, tanta è in lui l’efficacia , così be- ne ella serve a’ suoi fini, che quand’ anche la tenuità o la indegnità del soggetto lasci il lettore o indifferente o mal pago, sempre però lo splendore dell’ imaginazio- ne lo attrae, e l’ impeto quasi dell’ onda poetica lo tras- porta . Quella dignità semplice e familiare , quelle con: cezioni schiette , la cui franchezza fa così vivo contrasto con le delicate fantasie smorfiose de’ suoi gretti contempo- ranei, quell’ andamento disinvolto ed eguale, che i voli lirici non affetta co’ troncamenti delle idee intermedie , ma le idee intermedie nobilita con l’arte della elocuzione; quella naturalezza unica che strappo di bocca al Parini il notissimo e troppo ingenuo giudizio , che il Monti mi- 17€ naccia di cader sempre e non cade mai, sono i pregi che la poesia di lui rendon classica veramente . Si potrebbe negargli l’ originalità del pensiero , si potrebbe forse con- tendergli la profondità dell’affetto; ma la poesia dello sti- le è sua , tuttà. — quale argomento giova insistere ancora, VI. To dico che de’pregi di quel sto stile conviene saper grado al Monti:non solo come d’ una originalità; ma come d’una originalità innovatrice. Ognun sa qual fosse, a mezzo circa il passato secolo, lo stato della poesia italiana , ris- petto allo stile . L’ incolta negligenza del quattrocento, ringentilita dalle eleganze petrarchesche è dal gusto de- licato, sebbene imitativo , del secolo che venne poi, tras- mutatasi nel secento in goffaggine di concetto , che la- sciando allo stile una certa dignità ed evidenza, rendeva tauto più sensibile e strana la sconcezza del tuono ; tornò verso la metà del secolo passato , à riapparire sotto nuove forme, ancor meno nazionali, se non più grossolane, ‘Dal- lun lato, 1’ ampollosità più sguaiata, la prolissità più ne- gletia, dall’ altro una eleganzuecia leziosa , uno ‘stile d’eti- chetta, bene atto ad indicare l’estrema degradazione dello spirito e del costume, rendevan simile tutta quasi la nostra poesia a quella selva d’erbacce parasite che spunta intorno alle fracide radici d’ una gran pianta già sfatta tagli ari- ni. ll Parini , dalla forza mirabile dell’ ingegno e più da certa energia di carattere lombarda, fu spinto sopra una Via ‘nuova affatto ; ma per separarsi dal volgo degli scri- venti , ‘credette doversi separare dall’ intellisenza de’ più ; creò uno stile , dignitoso al certo ed eletto , ma soverchia- mente peregrino;, e, direi quasi, superbo. Così la miseria de’ tempi condusse l’uomo di cuoté sincero, d’ anima sem- plice, di retta mente, a cercare il legygiadro nel contorto, il nobile nell’insolito, a far dello stile non il colore è la forma della Bellezza, ma l'involucro ed il velo . Non è già che, dove la poesia del Parini è più vera poesia , non sia semplice, schietta, spedita; ma non conviene dis- simulare , anzi giova ripetere, che il più sovente i lati- ‘nismi , le trasposizioni, le perifrasi, ed altri simili arti. 172 fizii, rendono inaccessibili ai più tanti di que’ sentimenti, che certo impossibile non sarebbe ed è troppo necessario far con le lusinghe della poesia penetrare in tutti gli animi, in tutte le menti. E l'inganno appunto che da tale maniera poetica nacque e “dura tuttora nella opinione e nella pra: tica di molti, certo non ispregevoli, e giudici e artisti , si è il credere che poesia vera non s’ abbia se non se al- lontanando affatto la lingua poetica dalla lingna della pro. sa, creando per quella un dizionario, una grammatica, un uditorio particolare : quasi che 1’ esempio e il successo di V. Monti non sia già da cinquant’ anni venuto a smen- tire gloriosamente questo dannevolissimo inganno. Uno stile ricercato , io cito le parole proprie del celebre arti- sta, uno stile ricercato è sempre cattivo. E chi potrebbe negare che nello, stile dell’ Alfieri, nello stile del Parini, certamente mirabili secondo il sistema da questi due som» mi uomini concepito, non si senta appunto troppo frequente lo spirito di sistema, ch’è quanto a dire un’aria di ricerca- tezza, di stanchezza, di stento? Egli è notabilissimo in una delle prose del Monti quel passo, dove, dell’Alfieri parlando e di certe sue trasposizioni , insegna come le trasposizioni, male | adoprate, wecidano il verso e la sentenza, come debban sem- pre essere razurali e spontanee, come Dante ne faccia ra- rissim’ uso , e tanta sia in lui nondimeno la forza e la precisione . Al qual proposito della precisione, giova re- care un bel passo di codesta medesima prosa, dove mae- strevolmente insegna, come l’arte, invece {d° affannarsi a velare il pensiero, dee tutta porre la sua cura a farlo più semplice, più schietto, più vivo. —- ‘ Una sentenza, ss dic’egli, un pensiero qualunque siasi, è come la gemma 3» di Golconda e di Visapur, a cui va tolta la scorza e ap- s» plicata la rota, perchè sfolgori, ed avyerta subito del sa suo valore l’ occhio di chi la mira, Nè parmi sano giu- s» dizio il legarla nel ferro, nè il portarla grezza nel dito, ,, aspettando che il riguardante pigli la lente e la trutina »» per apprezzarla. Odo obbiettarmisi il detto, già divul- » gato, d’un grande ingegno: pensar li fò. Con la fronte » per terre rispondo : il Filosofo fa pensare, il Poeta fa 173 » sentire. Adunque ogni nostro scrittore che ben intenda 39 1 indole della sua lingua (di questa lingua che nata di- ,» vina nella gran mente dell’ Alighieri, e poscia educata , da cento e dugento altri sommi maestri del buono stile, ,», non ha bisogno nè di puntelli, nè di conati, nè di ca- », ricature ond’ essere concisa , forte, e magnifica , e che s» ben maneggiata da chi ben la conosca e abbondi di gus- ,s to , non cede. a veruna delle moderne nè di vigore nè 33 di precisione, e mille volte le supera di dolcezza, di s»» splendore , di colorito, e di maravigliosa flessibilità a ,s tutti i caratteri delle passioni), ogni Italiano , io dico, »s che non voglia rendersi traditore della sua lingua, sen- ss tirà l’importanza di dare al pensiero la più lucida e ss libera veste che sia possibile, onde corra spedito , e sì s, apra la via nel santuario dell'animo, senza farne stri- » der le porte; intendo dire senza lacerazione d’ orecchi, ,» La lingua italiana (e parlo precipuamente della poetica ) ss è la Giunone d’ Omero, Grandi occhi , forme maestose, ,, incesso regale, e paludamento di porpora. La degrade- s; rebbe il velo lascivo di Taide, ma la deturperebbe l’ ispi- sv do saio di Diogene : e i nostri padri ci hanno lasciata ss immensa ricchezza di, finissime lane per ben ; stirla, s» Basta aver ratto ; e saperle scegliere ; e sempre bene si s» sceglierà se la passione verrà dal cuore, non dalla tes- ta. ,» Queste parole ho recate, e perchè inchiudono una verità troppo spesso da’ moderni poeti e troppo dannosa: mente negletta, e perchè davno il secreto vero della ori- ginalità dello stile del Monti. Lo splendore a’ suoi occhi non è riposto nella oscurità ; 1’ eleganza per lui è barbarie, ee von serve al primo pregio, al primo scopo dell’ arte dello scrivere : 1’ evidenza. Non è perciò ch'egli sprezzi i sussidii dell’arte, egli ehe, quant’ altri mai , se ne mostra padrone : ma padrone appunto vuol egli essere dell’ arte propria, non servo. Il latino è, al suo parere, il primo elemento del linguaggio poetico. E certo que’giovanili esercizii di stile latino saranno notabilmente giovati a tale ingegno: giacchè, mentre i più, dallo studio d’una lingua morta non colgono che pedantesco 174 spirito d’imitazione, smania puerile di tutto riferire, è gusto e costumi e pensieri ed affetti , ad un tipo che ignorano , che non possono pienamente conoscere ; i forti ingegni in quella vece ne traggono l’ abitudine del meditare sulla corrispon- denza arcana , ammirabile, altamente filosofica della parola al pensiero ; ne traggonò quel far sicuro , elevato , quella parsimonia sapiente, nella quale l’italiana letteratura non ha certamente da contrapporre rivali a que’ pochi Latini che veramente son sommi, ll latino, io ripeto, era nel- l’opinione del Monti il primo elemento del linguaggio poetico : ma pure con quanto accorgimento , con quarta moderazione , sa egli i suoi latinismi adattare all’ indole della lingua, renderli con l’arte della collocazione , con la chiarezza delle parole circostanti, non pure evidenti e gentili , ma quasi domestici e popolari ! Con ehe dignitosa franchezza la lingua degli Dei per lui si presenta non più nemica, ma quasi sorella alla lingua degli uomini 5 e, non che perderne grazia e maestà , ne acquista splendore e bellezza! Si ponga dall’un lato quel lento, penoso, in- determinato linguaggio di convenzione , che si stimava il linguaggio poetico per eccellenza ; e dall’altro questa ignu- da semtplicità, cuesta scelta di modi comuni e non plebei, famigliari e non sordidi, di costrutti evidenti, di parole tratte da’tesori Ginallora alla poésia inaccessibili delle scienze più gravi, parole che il Monti seppe con grand’arte nel suo canto trasfondere; e si riconoscerà, in quell’ingegno l'originalità del sentimento poetico essere straordinariamente sostenuta dalla sicurezza del gusto. Perchè, tanto più mirabile è da sti- mare la franca familiarità del suo stile , quanto più si” conosce aver cooperato a rinfiancarlo la finezza dell’arte. Nel suo discorso intorno alla Protasi Omerica , e in altre sue prose possiam riconoscere come la delicatezza del gus- to in lui fosse inseparabile dalla energia dell’ ingegno . «“ Hae nugae,grida egli con Orazio, hae nugae seria ducent ,», în mala, se si trascurano » e queste sono le ciance che ,, han fatto i versi divini di Virgilio. Havvi un giudice ;s ignorato dall’ armento poetico , un giudice inesorabile , ‘,, che chiamasi Gusto; il quale condannò un tempo il i 175 si padre della romana eloquenza a stillarsi per più giorni il cervello snlla scelta d’un solo vocabolo, e il più per- fetto di tutti i poeti, a lambire more atque ritu ursino i suoi versi ,, VII. Codesta qualità dello stile si trasfonde nel nu- mero ; e dona al suo verso ‘una flessibilità sostenuta, una 2? 29 23 nervosa snodevolezza, una semplicità dignitosa, ch’è tanto lontana dalla rigida erezione del verso Alfieriano , e da certa invenustà «di soverchio ‘artifizio che sovente s’‘aggra- va sulla poesia del Parini, quanto dalla scorrevolezza sci- pita, dalla leziosa dolcezza, dalla tronfia sonorità, che tolsono polso al numero , al tuono dignità , e che ren- dono per opposto, difetto peccanti lo Zappi , il Cesarot- ti, il Frugoni. Quel temperamento bene acconcio de’ bre- vi vocaboli co’ più lunghi, quell’ arte delle poggiature opportune e al numero e al senso, che rendono le ot- tave più giovenili del Monti sì belle, riescon poi am- mirabili negli Sciolti al Principe Ghigi, in quelli del- l’ Aristodemo , in que’ del Prometeo. — l’ Iliade io qui non nomino , dove il gusto della collocazione e del ver- so, è sovente, al parer mio, come lo stile , o affetta- to v negletto. E nel numero pure , in mezzo alla mol- t' arte , riesce soprattutto piacevole la molta franchezza ; quella varietà , quasi diresti , sbadata ; quella sprezzatura del finire il verso con uno sdrucciolo , con un tronco, del poggiar sulla settima quando ne cada il destro, quando l’arte lo chiesga. Ma questo medesimo, all’ armonia del- l’intero non nuoce, anzi par che consuoni: chè l’ armo- nia non tralascia il nostro Poeta mai , per tener dietro a certa energia appositiccia, che non è ne’ concetti o nelle imagini, ma ne’ suoni. — Zirgilio, dic’ egli, m° ha ispirato un odio mortale contro il verso privo di numero. E queste parole scrivendo, egli avea certamente in pensiero Vitto- rio Alfieri, e Uso Foscolo . VIH. Al Monti non nocque , come a molt’ altri rag- guardevoli ingegni, 1’ essere entrato in un campo da tanti con lode percorso nello spazio di ben cinque se- coli: non la stanchezza d’ un’ arte decrepita, ma in lui 176 riconosei la freschezza , la vigoria, l’ardimento d’ una giovinezza matura. E se v'ha cosa che ne’ suoi versi ‘an- nunzi la tarda età a cui le sorti della Poesia destinarono il Monti, gli è ’1 frutto ch” egli raccolse dall’ esperieuza de’ migliori che lo precedettero; gli è quello spirito d’eclet- tismo estetico , che gl’ insegnò porre a profitto te bellezze di tutti i secoli, di ttti i climi , di tutte le lingue. Omero e la Bibbia, Ossian e Dante, Virgilio e Sakspeare, Ana- creonte e Schiller, Persio e Goethe , Klopstoch e Apol- Jonio, Kriloff e Aristotele, Nonno e Pyrker, a lui porgone tutti insieme materia o di traduzioni esemplari , o d’imi- tazioni felici. Non è già che talvolta lo spirito d’ imita- zione nol predomini più che a tal uomo non si convenis- se, e che le immagini altrui or con troppa frequenza, ora con troppa fedeltà , or senza } nsata sicurezza di gusto , si vengano ne’ versi suoi ritraendo + ma nelle deviazioni stesse , ritorna ad ora ad ora a brillare o il raggio puris- simo del gusto antico o il lampo del genio: e quando, ab- bandonate quelle a luî sì mal convenienti fantasie della Spada di Federico e del Bardo (troppo inegual cantore della gloria di Napoleone ) , il Poeta nostro ritorna alle splendide rimembranze della poesia greca e latina, allora egli pare, quasi ravvivato, muoversi a suo grand’agio co- me nel proprio elemento. Ed è forse non inutile ad osser- vare come quelle smaecate lodi che dal suo labbro strap- pava parte l’ ebbrezza dell’ istante , parte l’ importunità di servitori troppo zelanti del partito che vince, nella sua intenzione acquistassero uno scopo quasi meramente lette- rario ; e com’ egli quelle lodi credess’ utili non a diffon- dere il sentimento della giustizia civile e della morale verità, ma a promovere l’ amore de’ latini e de’ greci. Nè certamente miglior mezzo poteva egli scegliere ad ispirarne l’amore, che questo d’insegnare a emularli ; poichè non imitazione, ma emulazione originale dell’ antica poesia , può chiamarsi, oltre a tanti altri saggi, la traduzione di Persio, e il Prometeo : il Prometeo , ch'io oserei dire più omerico della stessa traduzione d’ Omero. Ma l’ispiratore più costante , l’educatore, a dir qua- Lr si, dell’ ingegno e dello stile del Monti , chi 1’ ignora ? egli è Dante: Dante, dal quale egli tolse l’idea madre delle due elegie consacrate al Mascheronie a Baswille; dal quale egli tolse e l’ uso troppo frequente ma quasi sempre sag- gio , delle apparizioni infernali e celesti; e l’accorgimento d’alternare in tempo i quadri foschi co’gai; e l’arte di ben fissare la fantasia del lettore sul luogo «della scena, verseg- giando la Geografia, spesse volte assai più maestrevolmente che Dante stesso non faccia; e l’arte più notabile ancora, che in Dante stimava Rousseau, di chiamare le cose coi nomi lor propri. Egli è il Monti che dalle leziosaggini petrarchesche, alla sciacquata facilità della scuola gesuitica, richiamò gl’in- gegni alla conoscenza di Dante; e non pago d’aver ritemprato in quel vivo foco il suo stile, con l’esempio e coi consiglio ne diffuse in altrui così rapido e così vivo l’ amore , che il eulto di Dante , a detta di lui, trascorse ben presto in entusiasmo ridicolo , — Dante, soggiungev’ egli, non è fatto per temperamenti gracili e delicati: ed è appunto ques- ra medesima gracilità la cagione , come dell’insolente dis- prezzo , così della servile imitazione, con la qual Dante fu miseramente profanato da quegl’ ingegni ehe credono essersi creata una opinione , un metodo proprio, quand’ hanno spinte all’ eccesso le conseguenze delle opinioni e de’ metodi altrui, Non è però Dante solo, quegli fra gl’italiani Poeti, il cui spirito riviva nel Monti. Una delle singolarità più nota. bili di quest’ingegno, gli è l’istinto dell’ adattare a sè me- desimo le varie maniere de’ varii uomini, de’ varii tempi, e tutte fonderle nella sua. In alcuna delle sue Canzoni più gravi, tu senti non so che del Petrarca; nelle Ottave più giovenili, l’Ariosto ; nelle Terzine il Varano, il Min- zoni ; negli Sciolti , ora il Cesarotti , ora il Caro ; nelle Anacreontiche, nelle, Odi, il Mazza, il Savioli, il Parini, Labindo; nelle ultime, fino un non so che d’Ugo Foscolo: da quel Sonetto d’Orizia, tu t’accorgi ch’egli ha voluto, seb- bene con poco successo , tentare anco il genere del Cas- siani, incomparabilmente superato pvi nell’ ultimo dei T. XXXII. Okobre. 23 178 quattro Sonetti di Giuda , composti forse per gelosia di quell’ uno sì lodato del Gianni. Questa mistione di tante maviere diverse, quest’ accordo di tante diverse armonie 4 non potevano certamente operarsi in uno spirito angusto: e dovevano alla sua volta dilatarlo viepiù , renderlo sem- pre più universale e più vero. IX. I dur generi dove più risalta codesta unità di maniera , quelli dove il Monti può dirsi più originale, so- no , al creder mio, la tragedia e la lirica; giacchè quel- le opere, che parrebbero piuttosto appartenenti al genere dell’ epopea , riguardate attentamente , si riducono , nelle parti più belle , ora al tuono dell’ ode , ora a quello del dramma . L'arte di narrare, propriamente ; l’arte di con- siderare con quella imparzialità ch’è sublime gli uomi. ni, gli avvenimenti, e le cose, senza troppo abbandonarsi all’ affetto sempre franco a molto biasimare e a lodar molto o all’ ingegno vago delle fioriture , e impaziente d’una esposizione magnifica della sua stessa semplicità; co. dest’arte non si riconosce, al mio vedere, nè nella Baswil- liana, nè nella Mascheroniana, nè nel Prometeo , nè nella Musogonia, né nel Bardo. Chi vi cerca la piena e fedele pittura de’ fatti , lo svolgimento de’ caratteri, puòd restare ingannato : nè questo è forse difetto del Poeta ; chè al genere epico, quale lo concepivano gli Antichi, la natura de’ tempi, forse più che taluno non crede , ripu- gna. La Feroniade, tanto desiderata dall’Italia, e dal Poeta con tanto amore corretta , verrà , speriamo, ad ornare an- che degli epici onori la sua memoria: ma frattanto , poi- chè quel disegno qualunque , ch’è nelle epopee suddette del Monti, quel disegno anch’ esso è troppo evidentemen- te modellato sui tipi di Dante, d’Ossian , de’ Greci ; non ci s imputi a colpa, se noi, cercand’ ora quanto nell’ in- gegno del Monti è di più originale, di più fecondo, pren - diamo a considerarlo peculiarmente come poeta lirico e co- me poeta drammatico. Non era certamente che un atto di rara modestia la confessione che il nostro Poeta facea al Metastasio: ‘ d’ave- 179 ,» re sbagliata la strada quand’ha voluto tentar la dramma ,» tica ,,. Attestano il contrario que’ due memorabili versi ch'egli, in un de’ giovanili sonetti, rivolgeva all’Amata: Ben di tragiche forme pellegrine Spesso il pensier Melpomene mi stampa. E veramente peregrine in Italia erano le forme che il Monti osò imprimere nella poesia della scena: ed è vera- mente a dolersi che nella età più fervida e nella più ma- tura, egli: non abbia pensato ad offrirci di questo diffi- cile ed efficacissimo genere ancor più peregrini modelli, I tempi forse contrastarono all’ impulso della sua vocazione, e costrinsero un tanto ingegno a consumare le proprie forze in soggetti che, libero di sè medesimo, egli non avrebbe certamente prescelti, Quelia varietà che nello spirito di tutte le opere sue nei abbiamo ammirata, apparisce non meno mirabile nelle tragiche : tre sono le già note all'Italia; e tutte e tre va- rie così di soggetto come di stile : l’ un fatto è tolto dalle storie di Grecia, l’altro da quelle di Roma, dalle italiane il terzo: la prima s’ adorna d’ uno stile ampio, armonico, giovanile, tragicamente lirico; la seconda corre d’uno stil rapido e riciso, sebben forse meno poetico e più negletto; la terza si veste di modi più familiari e più semplici. L’ affetto di padre, l’amore , la gelosia, la disperazione del rimorso, sono nell’Aristodemo, nel Gracco, nel Man- fredi, delineati con colori che mostrano la conoscenza del cuore : e quanto ad arte, tu la vedi nel Monti più avanzata già, che non poi nell’ Alfieri : già ne’ prim’ atti l’ azione 8’ annoda , 1’ affetto e la curiosità si risvegliano , e vengono mano mano crescendo. Non quell’enfasi decla- matoria, il più delle volte inconveniente alle circostanze, sempre alla passione sincera $ non quel perpetuo artifizio di preparare lo scoppio del quint’ atto coll’ impoverire d’ azione i quattro che precedono ; non quell’ energia con- vulsa, quell’aridità, quello stento . L’Aristodemo princi- palmente è, siccome altrove da noi fu notato, una crea- zione vera. Nell’Aristodemo , il Poeta si lasciò tutto ispi- 150 rare dal tema , nelle altre si lasciò quasi trasportar dal sistema : nell’Aristodemo , il costume de’ luoghi e de’tem- pi, la natura de’ fatti e de’ caratteri è men che nell’altre violata per amore d’ inserir nell’ azione i sentimenti e le idee dell’Autore : nell'Aristodemo , molti più sono, e molto più profondi i tocchi del cuore ; più bello il verso; il genio più riposato , più sicuro, più limpido. Quanta, in questa concezione, quanta semplicità e quanta forza ! Nelle parti subalterne è l’ intreccio che mena innanzi 1’ azio= ne 5 ma il carattere principale si svolge a tutt’ agio nella sua terribile unità, senzachè le picciole scosse dell’intrigo drammatico vengano a perturbarlo. Sulla testa del Re par- ricida, erra, fin dal primo, alta ed inarrivabile la fatalità della celeste vendetta ; gli si abbassa a poco a poco sul capo , lo comprende, lo serra : non è d’ attivo nell’anima sua , che il rimorso. Il mirabile effetto di questa tragedia mi prova, io non dico che i fatti nel dramma debbano dar luogo agli affetti (perchè ciò sarebbe un contraddire al senso della parola, allo scopo dell’ arte ; e perchè senza lo spettacolo de’ fatti riescon languidi e quasi stanchi gli affetti) ma sì che l’azione , aggirandosi nella parte infe- riore del quadro, dev’ essere sovrastata, illuminata da un carattere signoreggiatore , da un pensiero potente , che sulle vicende formanti l’ intreccio , diffonda luce d’ intel- ligenza e calore d’affetto. Il Manfredi, al dire del Poeta medesimo , è soggetto non degno dell’alta tragedia ; e tale fors’ anco diventa per la indeterminazione del fatto, e per le licenze in ciò pre- sesi dal Poeta. Ma la scena politica riguardante le impos- te , vale un dramma essa sola; e ben prova come sotto le apparenze d’ una docilità sempre lesta ad inchinare il più forte, l’anima del Monti restasse consacrata all’amo- re dell'ottima causa. N°’ è prova ancor più splendida il Gracco : dove il popolo fatto attore , il cadavere portato in iscena , e il quarto e il quint’ atto interi , dimostrano e la potenza di quella mente , e la rettitudine di quel cuore. Raccogliendo in una parola il carattere dei tre dram- | 18i mi, si potrebbe affermare che il Manfredi è umo schizzo di tragedia classica; il Gracco un primo saggio di tragedia romantica; l’Aristodemo, al di sopra d’ogni classificazione e d’ogni sistema, una vera tragedia. Speriamo che il Co- riolano, una delle opere sue postume , vorrà somigliare, piuttosto che al Manfredi, all’Aristodemo od al Gracco: e che l’Italiano Poeta avrà saputo, quant’era in lui, degna- mente sostenere la rivalità terribile di Sakspeare. X Ma il genere più proprio ancora del Monti , quello che investe e abbellisce le parti più notabili di tutte le poesie di lui, quello al quale egli dovrà forse, nel giudizio de’posteri, la più durevole delle sue corone, egli è il lirico. E quì pure, per apprezzar giustamente tutto ciò che a lui deve il secol nostro, si pensi al secolo nel quale egli sorse; si pensi a quella deplorabile nullità d’ogni sentimento di pu- dore poetico, che ai più comuni, ai più triviali soggetti prus- tituiva in Italia quest’ arte sovrana. Per lauree , per noz- ze, per mascherate, per monache, per magistrati ch’ en- trano in uffizio o che n’escono, noi troviam versi del Monti; troviamo in versi scritte fino alcune dediche d’ altri suoi versi : e quando si pensa che taluna di siffatte poesie è degna ancora della sua fama; quando si pensa che, stret- to fra tali angustie , quell’ ingegno non perse ‘della natia libertà; non si può senza irriverenza comprimere l’espres- sione della maraviglia. In alcune di codeste poesie , egli medesimo prende a gioco graziosamente il suo tema : in tutte adotta certa familiarità disinvolta , che scema il ri- dicolo della lode, e la fa quasi parere sincera. E certo ad un ingegno sì vero, la facezia doveva in certi argomenti essere assolutamente necessaria : ed egli ne porta così ab- bondante la vena, che non lascia per vero a desiderare più forza o più brio, ma talvolta più dignità e parsimonia. Con quanta rettitudine riguardass’egli e sentisse la va- ria natura de’ suoi argomenti , cel mostra la scelta stessa de’ metri : della quale al Monti si dee saper grado, come d’ innovazione più feconda che forse non paia . La Can- zone, il Sonetto, la Sestina, la Ballata, durarono per tutto il cinquecento a dominare la lirica nostra: dico dominare, 182 perchè dal metro diverso le idee ricevono, come ognun sente, un torno, una stampa diversa, e diversa risvegliano . impressione negli animi. Ora , la lirica italiana , per più di tre secoli, può dirsi tiranneggiata da un metro obbli- gato. Successero nel secento le odi, d’ un movimento più lirico : alle quali, convenisse o no, fu dato il titolo di pin- dariche. L’ esempio del Chiabrera, saggio amatore de’me- tri vari, fu quasi negletto ; le licenze, forse non troppo esemplari, del Guidi, non ebbero imitatori ; e le Odi pin- dariche parvero cedere il campo all’ invasione delle Can- zoni , tornate in onore col Manfredi e co’ suoi. Il Frugo- ni innovò con molt’ estro, ma senza gusto : il Parini con più di gusto che d’ estro. Spettava al Monti accoppiare questi due pregi troppo spesso disgiunti , e rendere l’ in- novazione più feconda , più esemplare, più varia. Si tratta egli d' un amor famigliare e quasi pedestre ? Settenarii ri- mati a coppie — D’ un amor famigliare , ma un po’ più vispo ? Ottonarii — D’ un affetto ancor più vivace? Set- tenarii alternati di sdruccioli e tronchi. — Si tratta d’un pensieruzzo leggiadro , d’ un capriccioso consiglio? Qui- narii sdruccioli e piani: settenarii con quinario alla fine — D’ un amor vero e forte? Terzine — D’una passione pro- fonda ? Sciolti , Quest’ ultima principalmente è una scelta d’ ispirazione : e i brevi Sciolti amorosi di dodici, di venti versi , che nel bollore della passione sfuggirono al Monti, resteranno , io spero, immortali, Che se al più de’Poeti, dal quattrocento in poi, si fosse imposto di liberare il loro affetto dal vincolo della rima , sì comodo alla mediocrità, sì bene atto a palliare l’ imbecillità dell'idea, la freddezza del sentimento, a sostituire i suoni alle cose, a portare l’attenzion del lettore tutta sull’ultima sillaba di ciascun verso, a ridurre il pregio dell’arte al valore d’un eco, men versi si sarebbero certamente veduti fra noi; meno inezie, Non è già ch’ anche nelle Canzoni e ne’ Sonetti, e in tutti i metri, per lungo uso ed attrito fatti quasi cas- canti, il Monti non infonda uno spirito di sicurezza, un movimento di vita, che li ringiovanisce e ricrea. Uno de'suoi più notabili artifizii lirici, quasi nuovo a’moderni, 183 fra gli antichi noto ad Anacreonte , a Callimaco , a Ca- tullo, ad Ovidio, egli è mutare la lirica in dramma, porre in bocca agli enti personificati tutto ciò che con monotona gravità, o con lo slancio balzellone di certi vo- li pesanti suol dire in proprio nome il Poeta. Tali sono le prosopopee dell’Amor peregrino , della Fecondità, di Peri- cle, delle Api Panacridi; ed altre, qual più qual meno , animate e gentili. L’istinto d’agsiunser sempre all’ altrui, si ricono- sce fin nelle Canzonette , nelle Cantate , ne’ Drammi musicali ; dove il Monti di necessità venne a lotta col Metastasio. Non poteva egli vincerlo di facilità, di natu- ralezza , d’ affetto : lo vinse all’ nopo di dignità e di ca- lore. Osò a qualche modo nel dramma le forme ditiram- biche , per poter quasi con la vaghezza della poesia con- solarsi della violenza ch’ egli dovea fare a sè stesso , lo- dando coloro che avea conculcati. Osò nuove forme, io diceva : tentò porgere nuove ispirazioni alla Musica ; e se non ottenne l’ intento , non è di lui certamente la colpa. Quella nuova maniera di strofe, que’versi senza rima che trovan poi ciascuno Ja sua nella strofa seguente; quell’ul- timo verso del recitativo, rimato col primo del Coro ; que- gli ottonarii alternati cogli endecasillabi, sono tentativi di mano maestra. Il finale del prim’ atto del Teseo, è un modello mirabile di poesia musicale. L’ epoca più luminosa della lirica sloria del Monti , convien pur dirlo, gli è ’1 suo soggiorno di Roma. In Ro- ma egli scrisse il più di que’ versi ch’ egli ha veramente sentiti ; e quella sua maniera è di tutte la più sicura, la più semplice, }a più robusta. In Roma, io credo, egli scrisse l'ode a Mongolfier, ch’ è, per lo spirito lirico , la' più so- vrana forse delle odi, da Pindaro a noi. Nè in Pindaro stesso io troverei nulla d’ esuale. A dovere scegliere tra questa e la Baswilliana, c’ è chi vorrebbe piuttosto essere an- tor di quest’ ode, questa presceglierebbe come il più bello de’ titoli alla immortalità. E in ciò parmi consistere l’elo- gio sommo di Vincenzo Monti: che distribuite le opere 184 di lui a dieci autori diversi, basterebbero a ricoprirli tmtti e dieci di gloria: così vario n'è il carattere, e così rilevato. XI. L’istinto del Poeta non è mai, se mon ne- gl’ingegni mediocri, disgiunto dalla sapienza del Critico: non è maraviglia pertanto che il Monti, artefice esperto del Bello, fosse insieme del Bello giudice saggiamente ri- gido e saggiamente indulgente, che sono le due qualità inseparabili della critica delicata ed onesta: non è mara- viglia se nelle note alle sue proprie poesie, nelle illustra- zioni di qualche passo de’ classici , nelle interpretazioni di Dante, egli facesse mostra d’una erudizione la cui pe- regrinità è il minor pregio , congiunta a tanta finezza di gusto, quanta doveva essere effetto d’una esperienza lun- ghissima , d’una coscienza profonda. Si vegga nella bre- ve lettera a Clementino Vannetti , con che acume, fino a que’ tempi sconosciuto , e in Italia tuttor quasi nuovo, egli giudichi gli Elegiaci latini : si vegga nella lettera a M. Ferri di Fano, con quanta grazia e quanta conoscenza del soggetto egli faccia le parti giuste alla poesia anacreontica de’ francesi : si vegga in una nota alle lettere sul cavallo alato d’Arsinoe, come la scuola classica de’ tre gran tra- giei francesi sia da lui posta alla dovuta distanza dalla scuola di Sofocle e di Shakspeare : si vegga nel discorso indiritto ad Ennio Quirino Visconti, con che esemplare franchezza il nostro Poeta, dopo collocata la poesia Bi- blica al di sopra d’ogni altra poesia, lodi altamente il gran Tragico inglese, s' intertenga a ragionare, come di suoi famigliari, di Klopstoch , di Milton: si veggano in- fine nella lettera ad Onofrio Minzoni, apertamente di- chiarati i principii del romantieismo, quale, (poste da un canto le vane questioni del nome) i più saggi di tutte le moderne nazioni lo intendono , e l’ otterranno. Di codes- ta lettera % chieggo che quì mi sia lecito recare un pas» so, come non ultimo de’ titoli alla gloria di quest’ uomo benemerito : Voi ben sapete che in Parnaso , come dap- » pertutto , quot capita tot sententiae ; e che fra! la tur- ss ba de’Poeti, persuadonsi molti d’aver ottenuto essi soli 1,85 »» per chirografo del Sant’ Apollo la privativa della buona 3» poesia. Pen-ano costoro in conseguenza che tutto sia de- »» testabile se non è secondo le regole della lor maniera » di scrivere. Poveri, come sono, d’ idee, e corti d’intel- » letto, dansi a credere costoro che il regno delle Muse »» Sia tutto circoscritto dentro gli angusti confini del loro » cervello : e stolti mi sembrano, a questo riguardo, come »ì quel geografo Cinese che , fanatico per la sua nazione, »» disegnò un mappamondo , la superficie di cui era, pres- sochè interamente, coperta dall'impero della Cina ; ai confini della quale si scoprivano per un piccolo schizzo l’ Asia, I’ Europa, l’ America. . .. Compianga la po vertà della propria fantasia chi si nausea d’ una ima- ginazione disinvolta e calorosa, chi ama imbellettati gli oggetti , e si appaga l’occhio alla vista d’uno sfarzoso girasole piuttosto che di una rosa circondata di spine ; che brama di sentire gli zeffiri batter le penne e sospirar colle regole dei tuoni musicali, piuttosto che d’ ascoltare »» un vento che libero vola per la campagna, e fischia quand’ entra in un bosco, e mugghia quando incontra »s una rupe ,,. Libera insomma dai vincoli d’ uv’ arte pe- dantesca voleva il Monti la Poesia : somigliante , io ripeto ì suoi versi bellissimi + Somigliante alle prime di natura Vergini fantasie , che in piante e în fiori Scherzano senza legge, e son più belle. XII. Io non so per quale fatalità, questo ingegno mi- rabile dovesse, quasi a conforto della mediocrità maledica ed invida, parere condannato, anche in letteratura, a con- traddire a sè stesso. Egli che in un secolo di servitù let- teraria, aveva, un de'primi, innalzata l’ insegna della le- gittima libertà , doveva , egli medesimo , in un secolo di rigenerazione, uscire in campo sventolando la vecchia la- cerata bandiera. Egli che con l’ esempio suo, e quale esem- pio !, aveva indirizzata la Poesia sulle vie d’ una popola- lità, e per conseguente d’ una gloria per lei già da gran tempo smarrita, doveva , prima nella maturità della mente, T. XXXII. Ottobre. ad 189 e poi sul declinare degli anni, difendere e con l’ esem- pio e col consiglio e fin quasi con l’ acrimonia della satira, prima la convenienza, poi la necessità del co- prire di veli all’ occhio dei più o impenetrabili o sordidi per età , quest’ arte ispirata del Vero, fislia della credenza e del cuore, Il celebrato Sermone contro al tribunale de’'no- velli maestri , ha già dato in questo giornale soggetto al discorso d’ un Collaboratore a me caro; discorso dove la gentilezza e la generosità non è punto minore della dot- trina e del senno, E a codesto Sermone aveva già il Mon. ti risposto da sè, mezzo secolo prima, quando scriveva di Venere : Son tanti anni e tante età Che famosa è sua beltà, Fin da quan4o il pomo ell’ebbe, Ch? esser vecchia ormai dovrebbe. E fin nell'atto medesimo ch’egli in alcuno de’ noti la- vori , la mitologia rende complice delle sue lodi , s° af- fretta nelle Note a burlarsi di quelle favolose fantasie , così spesso ridicole, indecenti , e selvagge. Io non so poi, come l’uomo il qual ci aveva insegnato , lo scopo della Poesia essere il far sentire non il far pensare, potesse af- fermar poi che la mitologia è bella appunto perciò che porge ai wersi quella cert’ aria d’arcano che fissa subito l’at- tenzione, e li rende tanto maravigliosi. Non so come il ge- nio romantico potess’ essere condannato od anche con gins- tizia accusato d’ abitar ne’ sepolcri, da un Poeta il quale nella sua lettera al Bettinelli altamente professa d' amare tuttociò che appartiene a sepolcri ed a spettri. Non so come di stregheria potesse il Monti incolpare il Romanti- cismo italiano, il quale, a quel ch'io sappia, non ri- corse mai finora alle streghe, sebbene abbia prodotta qualche poesia da Energumeno ; il Monti, io dico , che in una giovenile versione di certa moderna Elegia latina, dice d’ avere intonato un carme insegnatogli da una maga. A chi le streghe non piacciano, può nella voesia del Monti contentarsi de’Silfi , genii non classici : nè certo la pittura 187 de’Silfi posti al servigio di bella donna, parrà più incon- veniente che la rimembranza delle Scalde Nereidi, e il vezzo di ravvicinare in uno stesso sonetto i nomi di Ca- ronte, di Radamanto, di Minosse, di Plutone, e di Cristo; o di mandar Bonaparte a libare il nettare fra’ Numi con Giove e con Ercole. Ma se, lasciando da un canto le teorie del vecchio Poeta, si venga a considerarne ne’ suoi più virili lavori la pratica ; se si osservi quale incredibile e vita e vigoria egli rinfonda in quelle immagini antiche, sparute e labili; come della. favola egli prescelga non già le parti più vezzeggiate da’ vecchi, ma le più intatte, le più significative, le più ar- due, talchè, se tanto egli avesse studiati i lati poetici della sto- ria quanto i simboli della mitologia, l’Italia forse conterebbe un Epico da contrapporre ad Omero, e forse un Tragico da collocare secondo a Shakespeare ; se si pensi com’egli le allegorie della favola adatti maravigliosamente al suo tema, sicchè da lui paiono a bella posta create, o da’re- motissimi tempi serbate per lui; come in somma da questo fondo di poesia tragga il Monti un sì ricco partito, che più ricco appena la fantasia stessa d’ Omero avrebbe potuto a’ dì nostri ritrarne ; non si può non temperare i lamenti , non si può non conchiudere che questa mente sovrana era nata non solo per far.di sè bello e splendido il nascimento | d’una letteratura novella, ma per rendere insieme ono- revole e quasi dolorosa la fine d’ una letteratura che già non gli potea sopravvivere , e che in lui ebbe, degno delle glorie sopr’ essa da venticinque secoli accumulate, 1’ ul- timo de’ suoi sacerdoti. XII. Agli ultimi anni del Monti è dovuta la nota Proposta di Correzioni e d’ Aggiunte al Vocabolario della Crusca : opera il cui vero pregio da que’ medesimi che l'hanno lodata con più di liberalità, al nostro credere, non . fu colto. Noi ne parleremo brevemente non come d’ una questione ma come d' un fatto : ch’ è la miglior via di ren- dere onore alla fama del Monti senz’ offendere i diritti ‘del vero. Ben riguardando, si conosce quest’ opera penosa es- 188 sere stata diretta da un’intenzione meno òstile che a molti. non paia. Un ingegno siffatto che s' abbas:a alle misere disquisizioni di lingua, ha in modo solenne di- mostrata l’importanza di simili studi, dai più begl’ inge- gni della nazione rigettati finora come pedantevia del par noiosa che inutile. Convien pur credere che letteratura efficace sulla pubblica opinione, in Italia non s’avrà mai, se la lingua degli sciiventi non si rinnovelli a forme più determinate, più schiette; non rimpasti in sè stessa que’tre pregi sommi che rendono ogni lingua popolare insieme e filosofica : uniformità , proprietà , parsimonia. Da questo lato considerata, la questione della lingua è d’ altissima importanza , e morale e politica ; e il Monti ben la sentì; e il fine da lui propostosi era ben degno di lui: ma egli forse non colse giusto ne’mezzi. Fgli ha creduto potersi e doversi migliorare la lingua scritta, allontanandola il più possibile dalla lingua parlata ; e questa distinzione superba si è ap- punto che tenne per tanti secoli innalzato tra la nazione e la letteratura nostra un muro di divisione, del par nocevole e alla gloria dell’una e all’ incivilimento del- l’altra. Troppo potè sul Monti il timore di veder nella lingna de’ dotti trasfusa la feccia del gergo plebeo ; peri- colo lontano , impossibile ad avverarsi : e tanto men atto a destar timore , in quanto che il male della letteratura era appunto nell’ estremo contrario. Checchè sia di ciò, l'avere, da questa parte rivolta l’ attenzione de’ più rag. guardevoli ingegni, l’aver promossa una disputa, 1’ avere con. l’.autorità del suo nome nobilitati argomenti finora reputa'ti sì miseri, è un benefizio del quale l'Italia gli renderà ancor!più viva la sua gratitudine, quando ne avrà pienamente .sentiti gli effetti. Convien distinguere gli er- rori del metodo, le esagerazioni d’ una opinione o passio- nata o fantastica, dalla intenzione primaria dell’ autore, che quasi sempre si viene intorbidando per via, od anche perdendo affatto, traviata dallo spirito di partito, dalle opposizioni animose od insufficienti, dalla stessa. vanità del trionfo. La questione si verrà ogni dl più rischiarandoz i fatti la risolveranno ben meglio che le citazioni e gl’in- 189 sulti; la risolveranno d'un modo in' gran parte contrario a quel che il Monti sperava : ma il merito del Monti non sarà per questo , all’occhio de’ veggenti, men vero; nè gli ultimi risultati a’ quali avrà data occasione l’opera sua, men benefici. Quest’ è il primo vantaggio : l’altro, e più diretto, si è d’avere congiunte alle proprie fatiche quelle de'suni coo- peratori , contribuito alla ‘correzione ed all’ arricchimento del nostro Vocabolario , con osservazioni , interpretazioni ed aggiunte, spesso ingegnose e vere, talvolta peregrine e importanti ; d’aver nettamente proposta l’importantissima distinzione della lingua viva dalla morta; d’ avere efficace- mente raccomandata alla critica 1’ arte semplicissima , ma troppo negletta , di scoprire ed’ emendare i molti errori de’ codici che rendevano e il Vocabolario scorretto e le edizioni de’Testi non degne del nome di tanti illus- tri Editori. Giacchè i destmi della letteratura e della na- zione italiana ci obbligano ancora a ricercare la più forte e la più originale impronta dello stile in libri la più parte scipiti e indegnissimi della presente civiltà, giova almeno che gli errori de’ codici non s’ aggiungano alla scipitezza de’ testi , per rendere sempre più pedantesco uno studio che al Gusto è sì caro, ch'è sì utile al Genio. Il Monti ha sovente spinti tropp’oltre i diritti della critica corret- trice; chè una fantasia ‘così viva. non potea certamente venirsene, in sì lungo corso , di pari passo aggiogata con quella diligenza che nella sua lentezza è sicura del. par che robusta. Ma i buoni effetti, in questo riguardo , del l’opera sua, son già fatti sensibili; e le edizioni che, dopo uscita la Proposta, si son venute procurando de’testi, sono certamente con assai più di senno emendate, Ma un’intenzione ancora più nobile, un'idea più fe- conda presiedette, a mio credere, alla compilazione di quest'Opera ; ed è appunto codesta idea, che ne sostenne la vita. — “ Delle vostre glorie (così con la sua Propos- ta tacitamente diceva il Monti ai Toscani ) delle. vostre glorie l’Italia tutta e otto secoli quasi son pieni. Voi avete affrettata, maturata, abbellita la civiltà dell’Italia, la civiltà 100 dell'Europa: la lingua a voi deve i suoi padri:.i più genti- li scrittori di tutta Italia sono alunni de’ vostri: noi lo concediamo , e chi potrebbe negarlo ? Il vostro dialetto è il bellissimo degl’ italiani dialetti; è, tranne poche eccezioni , la lingua scritta d’ Italia: il fatto °1’ attesta ; sarebbe insensataggine il dubitarne , il moverne questio- ne sarebbe pazzia. Ma basta egli codesto alla gloria vo- stra ? Basta alla riverenza che. voi forse non esigete dall'Italia, ma che l’Italia ha bisogno di rendervi? La vostra grandezza passata non è già un diritto ; è un, do- vere. Voi avete in retaggio la gloria di coloro che furo- no all’ Italia maestri del bello stile : ma il bello stile dal più de’ vostri è troppo spiacevolmente negletto . Voi succedete all’ uffizio dei fondatori d’ un Vocabolario che fu il primo d’ Europa , che fu pel suo tempo una mara- viglia, ch'è ancora la necessaria guida degl’ Italiani nella conoscenza e nell’ uso della lingua loro; ma quan- to avete voi fatto per condurre codesto Vocabolario a quella perfezione, da cui troppo ancora è lontano ? Nella vostra lingua parlata è un tesoro di voci, di mo- di, necessari alle nuove idee già diffuse nella nazione, necessari ai bisogni della favella propria alle scienze ed alle arti: perchè non ci fate voi partecipi di tanto teso- ro? Spigolare ne’ libri antichi un qualche vocabolo sfug- gito alla diligenza de’ vostri antecessori , è facile uffizio , è picciol bene : noi possiam farlo da noi. Ma le voci, ma i modi che voi possedete tuttor vivi, e che a noi man- cano, perchè privarcene ancora? Fate (e il potete, ed ora n’è il tempo ) fate cose degne delle passate vostre glorie, degne della gratitudine nostra ; e noi vi onoreremo rico- scenti come la giustizia richiede , come il nostro affetto de- sidera ,,. Questo può credersi il pensiero animatore della lunga opera del paziente Poeta: nè , se questo fosse , i Toscani potrebbero rigettarlo come irriverente, o calunnioso, o im- portuno. E i Toscani s’affretteranno, io spero, a smentire il rimprovero , a splendidamente smentirlo , non già con vane dispute d’ erudizione o di teoria, ma co’ fatti. Con- 19I vien però confessare che nel lavoro del Monti, questo buon fine , è sopraccaricato e , a dir così, soffogato da molte questioni accessorie , parte inutili, parte frivole, parte false. Il Monti s'è accanitamente rivoltato a notare nel Vocabolario Toscano ogni vizio o de’particolari o di mas- sima , come se questi vizi non fossero già dall'Accademia stessa sentiti, e in teoria già pubblicamente emendati. Il Monti, per errore al certo innocente, ha addossati alla Ac- cademia gli sbagli d’un’edizione, in cui la To:cana non ebbe parte. Il Monti assai volte si contentò di gridar contro il male senza pensare a correggerlo ; non poche volte corresse in falso. Il Monti pose in bocca a tutti i toscani quella strana idea che fuor del loro paese sia cosa impossibile scriver bene e conoscer la lingua: e i toscani, fra i testi di lingua, fra i membri dell’Accademia, adottarono e adottan tuttora scrit- tori di tutte parti d’Italia. Il Monti dipinse la preminenza del dialetto toscano come una ingiuriosa tirannide; e ognun sa che la Prefazione al Vocabolario ; che tanti altri fatti smentiscono sì improbabile accusa, non da altro sostenuta che dalle ormai viete declamazioni contro i censori del Tasso; quasichè, se le censure accanite e pedantesche po- tessero chiamarsi atti d’ambizione tirannica, non sieno stati e non sieno ancor troppi in Italia i pedanti tiranni. Venne per giunta il Perticari con la sua gravità ad imbrogliare la questione, e a deviarla sempre più dal suo centro: venne a ripetere con molta bontà cose notissime intorno agli scrit- tori del trecento, quasichè non se ne sapesse abbastanza; venne a farci un’ apologia di quel Dante , del quale un sol passo, come abbiamo altrove notato, basta a distruggere il suo sistema, quasichè poi le opinioni di Dante potessero giovare a sciorre una questione riguardante la lingua del secolo decimonono ; venne a dimostrarci l’amor patrio di Dante, quasichè questo amore che lo spinse armato in com- pagnia dello straniero fin sotto Firenze, non fosse a suf- ficienza riscaldato e d’ira e d’orgoglio ; venne con alcune citazioni a decidere la questione tuttor nuova delle origini della lingua, quasichè, sciolta ancora che questa fosse, al- tro se ne potesse al nostr’ uopo dedurre che una misera e 192 puerile e già dedotta conseguenza intorno al titolo della lingua; italiana o toscana: venne infine a ripetere la dis- tinzione della lingua plebea dalla illustre , senza almeno accennare in che la lingua scritta debba allontanarsi dalla parlata , in che attingere a quella ; senza spiegare come della lingua illustre. sien propri tanti idiotismi, tante eccezioni alle regole grammaticali , tante vestigia insom- ma della lingua plebea ; senza pur sospettare se , trop» po separando la lingua scritta dalla parlata , si corra rise chio a poco a poco di scrivere una lingua che mal sì po- trebbe dir viva. I lavori del Monti riguardano almeno una pratica utilità: nè ad ingegno sì forte poteva certo riuscire di compilar quattro tomi senza dir nulla al pro- posito della questione. Se, per abbellire il suo tema , egli s'è talvolta abbassato a facezie che ai più severi son parse scurrili, si può ben perdonargliele in mezzo a tanta viva- cità di stile, a tanta grazia d’ allusioni, a tanta forza di facondia, a tant’ estro. L’estro brilla e si spande caloroso in tutte le prose del Msnti : în tutte, dalle prime lettere al Metastasio e al Minzoni fino all’ ultimo tomo della Pro- posta, tu senti diffusa l’anima d’ un Poeta. Non nella ri- dicola peregrinità della frase, non nello sforzo di certi ampollosi traslati, o nell’ ampiezza d'un periodo fatto armonico a danno della precisione e della proprietà , cerca il Monti la forza del dire : egli la trova, la indovina, la crea nell’ estrema semplicità delle forme e de’ suoni , nella famigliarità franca e schietta. ]l suo tuono insomma non è di dissertazione penosa, ma di discorso ispirato ; tu non leggi lo scritto d’ un retore che suda a ingemmare il suo dire di pensieruzzi o di frasi poetiche ; tu senti la voce d’un grand’ uomo che parla col cuore. XIV. E così non fosse lo splendore di quelle calde sue prose troppo spesso offuscato da un difetto, che pare appunto venir dal cuore, e non viene che da una fanta- sia troppo viva, da un amor proprio troppo delicato a suo danno. Il Monti, conviene ch’io’l dica, ha senza vo- lerlo, ‘con l’ esempio suo autorizzata in Italia una pole- mica passionata , provocatrice , villana. Certo il veleno 193 di quelle acri parole ch'egli gettava contro i suoi troppo coraggiosi nemici, non gli veniva dal cuore; era lo sfogo d’un uomo che si temeva offeso nella parte più viva del- l’onore , che si credea calunniato. Ciò basta a scolparlo, ma a giustificarlo non basta. Al più vile degli uomini, è tal- volta utile, è dovere il rispondere , per onore del vero : ma rispondere con un linguaggio che appena converrebbe sulla bocca del vile che sente il suo torto e ;ne freme, non dee esser lecito mai. Fossero stati e Gianni e Coureil, e gli altri censori suoi, cento volte meno stimabili ch’e’non erano , conveniva egli chiamarli rettili, salapuzii, bes- tie da ingrassarsi con la semola, da mandarsi dalla man- giatoia al macello ? Queste von sono nè ragioni , né face- zie, nè risposte insomma che facciano disonore a chi n° è l’ oggetto , od onore a chi le pronunzia. Egli è duro, dice il Monti , venir sospettato un codardo: ma son queste forse le maniere che mostrino l’ uom coraggioso ? L'Italia, dic e- gli, è il paese maestro delle buone creanze : ma se ciò è, convien dire che la letteratura italiana non abbia da gran tempo con l’ Italia nulla più di comune, Il cuore del Monti era buono ; e re’ cuori onesti, son sue parole , le dis- sensioni non possono essere che passeggere : ma passeggeri non ne sono gli effetti; ma eterni ne rimangono i monu- menti; ma le parole d’un grand’ uomo lasciano nella mente de’ suoi contemporanei una traccia di foco, che, se- condo la natura loro, è o raggio di sole benefico , o scin- tilla d’incendio divoratore. Uomini che non avranno nè l'ingegno nè il cuore del Monti , afferreranno quelle pa- role avvelenate come un retaggio d’onore ; le getteranno in faccia e ai magnanimi e ai vili; si terranno più grandi del loro modello, allorchè si saranno mostrati tanto insolenti ed abbietti, quant’egli fu debole e insofferente. E i nemici di lui potranno ancora insultare alla sua memoria; e dire che, quasi l’ Italia non fosse abbastanza divisa , egli s' è com- piaciuto a raccendere tra provincia e provincia gli odi già spenti; ch’ egli li ha rattizzati col soffio potente della sa- tira, del ridicolo ; ch'egli di questa dolorosa vpera ha fatto quasi la delizia e la gloria de’ suoi giorni cadenti; T. XXXII. Ottobre. 29 i94 ch’ egli ha potuto esultare della sua passeggera vittoria come d'un degno trionfo. Ed è notissima cosa, ma pur degna quì di menzione, co- me il Monti nella collera della sua fantasia, gl’ improperii che lanciava contro i suoi privati memici, ad altra cote temprati, li vibrasse contro le intere nazioni nemiche al- l’ idolo da lui celebrato. Io non citerò quelle gravi e san- guinose imprecazioni che tutti han già lette: ma non pos- so a meno ch’io quì non rammenti i due versi ch’ or fan- no singolarmente al proposito delle presenti vicende; do- v'egli vitupera L’irto Russo che anela il freddo polo Col bel cielo cangiar di Costantino. E quest irto Russo doveva un giorno mandar legato con nodi indissolubili il suo divino Prometeo : e quest’ irto Russo , se fosse calato in Italia , avrebbe forse ottenuto dal Monti il saluto de’ prodi , il cantico del trionfo, XV. Ell’è quasi un’espiazione umiliante, ma esemplare, alla qual parve condannato quell’altissimo ingegno, codesta, di dover cingereè l’ alloro poetico a quelle fronti ch’ egli avea fulminate de’ suoi vituperii. Così l’orrenda Babilonia francese, doveva per lui diventare il primo governo del- l’ Universo ; così il pazzo furore de’ sollevati di Francia do- veva fare agl’ Italiani ricuperare la lor perduta ragione ; così la Celtica putta doveva dar vita alla Cisalpina fan- ciulla, e dall’ osceno berretto di quella uscire influsso di pudore a colorare di nuova vita le oneste gote d' Italia. Così quella stessa Musogonia, dedicata al guerriero salvato- re che doveva difendere Ausonia dalle ugne dell’ Aquila , fu, mutati i tempi, indiritta al germanico eroe , che do- veva difendere Ausonia dal Gallo fellone. E poi, quan- do la madre d'eroi , ossia | idra della libertà cesse il luo- go alla spada d’ un solo, allora quest’ uno diventò non pure il Cirzeo Sesostri, non pure il verace Enosigéo, ma il Re della gloria, ma il Signore del fulmine , Colui che può ciò che vuole, sulle cui opre sta scritto : adora e taci; in somma il Giove terreno. Quindi, rimutati i tempi, quel 105 ch’ era prima un Centauro, doveva anch'egli alla sua volta esser Giove. — Bene aveva ragione il Poeta di sospettare nella sua Palingenesi , che coloro che il mostro tempo di- ranno antico, lo dovranno ancora chiamar menzognero. Troppo franco , a dir vero, il pensier di lui » «+ «+ s fra tumulti vola D’ Europa , e arcani investigar s’ affida Su cui muta del Saggio è la parola. Di che provenne alla poesia del Monti e alla gloria d’Ita- lia un gravissimo danno : ed è che tutti i poemi di lui, la Baswilliana , la Mascheroniana , la Musogonia , il Pro- meteo , ed il Bardo, son tutti rimasti imperfetti ; nè , vo- lend’ anche , si sarebbero dall’ Autore potuti condurre a fine. Il vero in essi era così francamente posposto agli affetti o ai riguardi del Poeta, che i fatti seguenti veni- vano ben tosto a smentire i suoi biasimi, le sue lodi, i suoi presagi , fin quasi le narrazioni sue stesse . Quando nell’ ultimo della Baswilliana, 1° Ombra dimanda all’ An- gelo conduttore : E a chi propizie volgeran le sorti ? Quanti pensieri non desta questa semplice interrogazione, alla quale i fatti così terribilmente risposero ! Quando ne- gli ultimi versi della Palingenesi, egli si fa dire dalla fida Pieride : +. + + Vate, in quel bujo Bolle il vaso dell’ ira , e le negre ali Spiega già l’Ora del final gastigo; non ti par di sentire una lontana ma terribile profezia della finale giornata di Waterloo ? Così delle sue politiche esa- gerazioni può dirsi quel ch'egli medesimo in altro sogget- to, quasi scherzando cantava : E trasformata in biasimo La pronta lode uscìo. Taccio contraddizioni ben più deplorabili: chè ingius- 196 to sarebbe moverne accusa al trapassato, al pentito . E troppo già m’ intertenni in contronti , ne’ quali il tristo solo può fermare il pensiero senza rammarico: giacchè non può non essere argomento di riflessioni dolorose e profonde lo spettacolo dell’ umana natura, così gravemente umiliata in que’ pochi che paion nati per meglio onorarne la li- bertà e la grandezza. Ma questi confronti eran pur neces- sarii. Il nostro discorso , che nel genio e nelle opere del Monti non prese a considerare le macchie speciali e i di- fetti ( che non era qui luogo da ciò ), ma solo quanto v'avea d’innovatore e d’ efficace sul secolo nel quale egli visse, doveva di necessità , dopo toccati i benefizi dallo scrittore renduti alla patria letteratura, toccar del male che può averle recato l’ autorità del suo troppo splendido esempio. Se non che, maligno sarebbe porre in mostra i torti dell’uomo, e tacerne le scuse. La posterità, nel ri- legsere i versi del Monti, e nel trovarvi contraddizioni sì frequenti , sì strane , le crederà imperdonabili , se la voce de’ contemporanei non s’ alza a scolparne , quant’ è pos- sibile, 1’ uomo ch’ essi conobbero franco, leale, amico ar- dente e sincero della patria e del retto. Spetta ai con- temporanei l'avvertire in sua scusa, qual fosse la natura de’ tempi e de’luoghi ne’ quali 1’ educazione letteraria di quest’ uomo fu incominciata e compiuta; come fin da’suoi primi e più leggeri componimenti, fino nelle private let- tere, con le piccole adulazioni, egli s’avvezzasse, senz’av- vedersene, e quasi s’incallisse alle grandi. ‘* Dappertutto; », son sue parole, dappertutto i sentimenti degli scrittori », prendono qualità dal Governo sotto cui vivono; e certe ss caratteristiche distintive le quali paiono impresse dalla sì natura, non sono sovente che puro effetto delle circos- ,, tanze politiche. La temperata dominazione d’ Augusto ,, escludeva dagli scritti quella collera e virulenza che vediam regnare nelle opere posteriori: e Giovenale, alla corte di quel munifico protettor degl’ ingegni , sarebbe s» stato ancor esso nulla più che un polito e subdolo cor- ») tigiano ,,. Non è già che l’istinto della coscienza, la forza natia del carattere sieno inutile riparo contro alla >» PE) 197 corruzione de’ tempi: ma nei più pur troppo questa sen- tenza s’ avvera, che le cose signoreggiano 1’ uomo, e non l’uomo le cose. — Di troppi e troppo celebri esempi po: teva il Monti difendere la sua debolezza. Quello però che distingue le debolezze del. Nostro , dalle umiliazioni de’tanti che ognuno rammenta, si è che, vissuti sotto la dominazione d’ un solo, essi non dovette- ro, adulando , contraddire a sè stessi, e cangiare in vitu- perii sanguinosi le lodi più strane; o se pure a talun d’essi fu forza ritrattarsi , nol fecero com’ uomini repentinamente invasati da una passione contraria affatto a quella di prima, e non men veemente, Ma questa, conviene avvertirlo , è colpa forse non tanto dell’uomo, quanto de’tempi in cui nacque. Il letterato, il poeta, si credeva allora, per la na- tura del proprio uffizio , diviso affatto dal resto della so- cietà , e collocato in una sfera d’ idee più generose , più pure. Onde nelle Rime giovanili del Nostro quella singo- lare professione politica ; Non mi cal che di Francia o di Bretagna | Sul lido American prevaglia il fato , i Nè che tutta di guerre arda Lamagna. Da un’ indifferenza tanto miseramente avversa alla sin- cerità delle ispirazioni poetiche, doveva un’ anima così fervida trascorrere ben di leggieri all'estremo contrario: e docile sì com'era, e imprevidente dei grandi effetti che menan seco le grandi cause politiche , doveva quasi ine- vitabilmente tenere per ottimo il partito più prossimo, e per detestabile il più lontano e men noto. Nel quale er- rore caddero di que’tempi, e non sola una volta, uomini di mente ben più riposata; indotti dalla novità delle vicende, dallo strepito delle vittorie, dalla fama bugiarda, Il Monti inoltre s’ era dell’ arte sua formato un con- cetto tropp alto : e credeva “ che l’ opinione dipendesse s» dalla penna taciturna e romita de?’ letterati, e che la | » posterità, ricevendo come sacre le sentenze dello storico di * », e del poeta, istituisse il suo rigoroso giudizio secondo il I sì processo che da questi le vien consegnato ;,. Ma le adu- | 2 93 lazioni di Virgilio ‘e d’ Orazio, non valsero a coprire di gloria i delitti d’Augusto: e.solo allora che la Poesia con la pubblica opinione concorda per lamentarsi dell’ oppres- sione e dell’ ingiustizia, o per rimeritare di lodi la rara virtù della beneficenza politica, solo allora diventa grande la potenza de’ versi : Sulla reina opinion , che a nullo De’ viventi comanda , e a tutti impera. Ma la maestria della penna non salverà mai dal disprezzo e dall’ infamia una causa vile ; nè i canti d’un uomo sof. fogheranno il grido immortale d’ un popolo. A questi errori d’opinione s’aggiunga quel sentimento di riconoscenza che in anima bennata può molto , e che dal labbro del Monti traea sensi e parole non tutte con- formi all’affetto dell’anin:o suo.E ben cel dice egli stesso ta- citamente, allorchè ragionando de’conforti dell’ arte propria, loda in essa “quel riposo della nostr’ anima sulle imma- » gini del passato, onde non contristarci negli strepiti del ss presente, nè palpitare sull’ avvenire ,,: allorchè , con sentenza che non può meritar lode, ma che non può non ispirare un senso di compassione, parlando d’Orazio e del- l’Epicureismo de’ tempi d’ Augusto, “ quando, dice , le »» profonde e calde commozioni dell’ animo vengono con- ,3 Siderate come attentati contro l’ assoluto comando, non 3, rimane agl’ ingegni altro miglior partito che quello della ,, prudente ed onnipotente necessità ; tacere e godere. ,, Con più nobile pensiero, se non con più giusto, riguarda- va egli negli ultimi suoi anni l’irrequieto arcano giro delle mondane vicende : e collocandosi sul trono della sua fantasia più alto ancora di ‘que’ medesimi ch’ egli aveva esaltati , cantava : Così mi spazio , dal furor sicuro Delle umane follie } così governo Il mondo a senzo mio , re del futuro. Poi sull’ abisso dell’ oblio m’ assido ; E al solversi che fa nel nulla eterno Tutto il fasto mortal, guardo e sorrido. 199 Egli è facile accorgersi al tuono, quali sien l’opere che a lui il sentimento ispirava ; quali quelle che gli venia quasi dettando l’opinione pubblica, anch' essa, forse più di lui, sedotta ed illusa, Altre, io ripeto, delle opere sue vengono dal fondo dell’anima; e l’ orror del delitto , 1’ amore del Bello e del Buono, la speranza improvvisa d’un bene uni- versale e grandissimo , l’ entusiasmo d’una gloria insolita, maravigliosa , le vibra, le infiamma : altre son frutto di quell’ ingegno pieghevole che nel Prometeo seppe tessere un sì magnifico elogio de’bruti, e che in certi sogget- ti pareva, come i filosofi dell’Accademia, cercar non altro che il trionfo della difficoltà superata ; frutto di quella fantasia viva e feconda che le impressioni aitrui facea pro- prie , che di tutti gli oggetti riguardava il lato più bello o fosse di bellezza reale o fosse di bellezza rettorica; frutto infine di quell’ arte, passiva insieme e creatrice , indiffe- rente e fervidissima, che s'ispirava per commissione come l’arte di Tiziano e di Canova, e con la medesima diligen- za ti rappresentava una Vergine ed una Venere, un Napo- leone ed un Whasington. Ma gli urti delle esterne vicende non toccavano , io credo, il fondo dell’ anima sua: quivi immobile e puro riposava , cred’ io, il sentimento del Retto. L° attesta la Prefazione al Benefizio 5 Ja Mascheroniana l’attesta ; e il Gracco , ed il Teseo: e molti passi potrebbero trarsi dalle opere sue più sospette, per comprovare come a quell’animo non fosse nè ignota nè terribile La veneranda libertà del Vero. Egli insomma ha biasimato, ha lodato più che non dovea; ma i suoi biasimi non vennero mai da un cuore perverso, nè le sue lodi da un’ anima vile : egli ha biasimato e lo- dato ; ma i suoi biasimi non gli han tolta la stima e la protezione di coloro che n’ erano stati l’oggetto, e che ne sentiron bene la forza poichè o l’ invitarono o lo costrin- sero a ritrattarli; ma le sue lodi non gli hanno fruttato abbastanza da riposare la lunga e travagliata vecchiezza in quegli agi ch’ altri seppe mercarsi con arti ben più for- 200 tunate: egli infine ha troppo biasimato e lodato. troppo ; ma la fredda calunnia, ma la venalità sfacciata, ma ella disprezzabile arroganza che viene dal sapersi protetto da un’ autorità non men disprezzabile, non hanno mai contami- nata la sua penna, non hanno amareggiato, avvilito il suo cuore. Eppure, nè le più calde espressioni di sincero amor patrio , nè la nota lealtà de’ suoi sentimenti è bastata a salvare il suo gran nome da una taccia, che, tutto ponde- rato, egli forse non ha meritata; eppure l’ altissima ammi- razione concessa al suo talento poetico, ha potuto in tutti i suoi contemporanei accoppiarsi ad un senso quasi di rossore per la sua civile condotta: e la regina opinione ch’ egli credea dominare , l’ha giudicato. Così severo è il giudi- zio, che ogni spirito retto e gentile, piuttostochè rag- gravarlo , cerca ragioni e scuse per temperarne il rigore. Cosa singolare! Quell’ uomo che primo , dopo un sì lun- go obblio , richiamò 1’ arte al linguaggio che può sulla mente dei più, per non aver bene usato di questo linguag- gio, doveva essere dell’ istesso suo benefizio severamente punito? La ragione non giova dissimularla © egli è lecito, ‘anzi, egli è dovere congratularsene alla nazione ed al se- colo, Un sentimento morale è già penetrato nella nostra letteratura : onde ciò che poc’ anzi si tenea indifferente , fors’ anco onorevole , oggidì comincia a parere, com’ è, deplorabile o vile. Forza di cuore e di senno vuolsi a con- servare nel movimento universal delle cose il proprio ge- nio inconcusso , Vergin di servo encomio — E di codardo oltraggio: ma priva di questo fregio, ogni fama, quan- ‘tè più splendida, tanto meno distà dall’ infamia. La ve- rità libera: ecco ormai il vero scopo dell’arte; l’unica via della gloria (1) K, XX} (1) Abbiamo omesse le citazioni, siccome inutili: a tutti suonano ancora nella mente le parole del Monti. La più compiuta edizione che delle opere sue ab- biam finora , è la Bolognese del Brighenti , fornita quest’ anno. Speriamo che in taluna delle nuove che sì stan preparando , si vorranno tutte comprendere le 291 opave, che sone in questa «el Bri:henti, e quello avco & lui tralasciare. \Wnet- terne alcuna; foss'auco delle nen pregevoli, sarebbe au» più irriverente che pis II pubblico già le cono ce: e le deidera come ilocumenti storicì ; come mo- numenti d' ingegno; come una lezione aî poeti avvenire, dolorosa sì, ma sensr” ètile.— Godiamo in sentire che nella edizione la qual sì stà preparando in Mi- lano dalia-ch. erede del nome e degli scritti di.V. Moutiì, sì voglimo inserto snche le lettere di lui, quante più si potrà raccoglierne da’suoi corrispondesti ed amici, À tal fihe noi crediamo ‘ntile it dare per mezzo del nosurò giaruale pubbiicità ad una lettera, dalla ch. Editrice difetta ad un Dotto toscano. Lettera diretta dalla sig. Trresa PixLer MonTI al prof. Domenico VarerIANI, e da lui comunicata al Diret- tore dell' Antologia. Egregio Signore. Nel profondo dolore, in cuì mi ha gettata la perdita irreparabile da me in questi giorni sofferta, non ho altra consolazione , che d’ impiegare ogni mia cura ad. onorare la memoria dell’ Uomo eccellente, che mì visse per tanti’ anni compagno. Divenuta pertanto erede d’ ogni suo ma- noscritto, io mi occupo a raccogliere quanto possa un gior- no mettermi in grado di pubblicare una edizione delle opere sue, meno imperfetta di quelle, che, con vergogna dell’Italia , vennero sinora alla luce : e soprattutto desi- dero unire le lettere di lui, sì perchè molte ne credo de- gnissime di escire in istampa, e sì perchè, conoscen- dosi 1’ intenzione mia di offrirne l’ epistolario , sia messo un freno all’ingordigia di coloro, che volendo farne una speculazione commerciale, preferissero aila gloria di Vin- cenzo Monti il loro privato guadagno. La prego quindi , quanto so e posso, a volermi man- dare, in originale o in copia autentica, le lettere che an- cora possedesse dell’ Uomo che le fu amico, e che certo nel soggiorno della sua pace aspetta quest’ ultimo pegno di una lunga e provata amicizia : siccome la prego otte- T. XXXII. Ottobre. 26 202 nermi lo stesso favore da quegli amici suoi , ch’ Ella sa- pesse possessori di. tali scritti. Oye le piaccia di significar- mi con un cenno ch’Ella aderisce alla pietosa inchiesta, avrò l’onore di farle conoscere come possa farmi arrivare sicuro il suo piego colla certezza d’avey pronta restituzio- ne delle lettere originali , che mi avesse comunicate. Que- sto beneficio sarà da me riposto nella parte più viva del cuore , e mi darà maggior animo a professarmi per sem- pre , quale ora mi dichiaro Sua Umiliss. Obbligatiss. Serv. TrnesA PixLER MONTI. CORREZIONE IMPORTANTE. A facce 152 del Quaderno antecedente , in un articolo sulle Lettere d’ etrusca erudizione pubbl. dal cav. Inghirami, è stato stampato tre volte Myran per Myean, nome dato a Giunone in un disco manubriato , di cui allora si parlò, e derivato da pw secondo le dotte congetture del cav. Zannoni. Questo sbaglio è di tal natura (Myran dal Visconti s’ interpreta Parca) ch’ io do= vea farmi debito d’ emendarlo al più presto. M. 203 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’Antologià (*). TOSCANA. Riccotta completa delle commedie di Canto Gotvoni. Firenze, 1828, Passigli, Borghi ec.Volumi VIII e 1X. e X. BietiotECA portatile del viaggiatore. Firenze , 1828, Passigli, Borghi ec. fascicolo II di p. 168; contiene il Pur- gatorio. Le sragioni del prof Gru. BARBIERI di Bassano. Libri quattro con vari componimenti relativi. Firenze , 1928, tip. Chiari. Discorso del sig. Baron Cuvier su le rivoluzioni della superficie del Glo- ho. Traduzione con note del sacerdote ]enazio Parapisi. Firenze , 1828, N. Conti. Tomo I.° $.° di p. 300; prezzo paoli 7. Virtà pi NarocLeone BubonAPARTE imperatore dei francesi , preceduta da un quadro preliminare della rivoluzio- ne francese , da Sir Watrseh Scorr, traduzion= italiana. — Mrerze, 1828, L Ciardetti , 8.° Tomo XIL LerterE di etrusca erudizione , pubblicate dal cav. l'rancesco ÎncHI- Rami. Firenze , 1828, Poligrafia fie- solana , pag. 47 con 3 tavole. Comwepir di Ateerto Nota } edi. zione umdecima , accresciuta e corretta dall’ autore, Firenze, 1828, stamp. Granducale. Vol. I, che contiene, il Filosofo Celibe; il Benefuttore e | sin 4.’ gr. paoli 20, | Ottobre 1828. P Orfana , Alessino ossia. Costanza rara» Romanzi srorier di WaLter Scott. Firenze , 1528 , tip. Coen ec. VIII. distribuizione. Il Pirata, Tomo 3.° Vira vr NapoLeone BoowapaRTE imperatore de’ francesi , ‘ preceduta da un quadro preliminare della rivoluzio - ne fraucese , da Sir Wacrrek Scott, prima versione italiana , dall’ inglese, di V. FeccHioti. Firenze, 1828, Coen ec. Tomi XVI, XVII e XVIII. Opere nomismatiche), del prof. Dow. Sestint, recentemente pubblicate, le quali si trovano vendibiti in Firenze pressa l’autore ; . È 1.0 Dissertazione sopta 4 moderni falsificatori di medaglie antiche greche nei tre metalli ec- Firenze 1826 in 4° gr. con 4 tavole, paoli 5. 2.° Descrizione delle medaglie gre- che del museo” Fogtana di Prieste p. I. Firenze , 1822 iu 4° gr. cou 6 tavole; paoli 12. i i 3.0 — Iter p. Il Firenze , 1827, in 4.° gr. cov 12 tavole, paoli 15 4.° Descrizione della serie. conso- lare de museo Fontana ec. Firenze , 1829, in 4.° gr. con 3 tavole in rame, con più tua lettera critica numismali ca del 'SesTINI; paoli 20: ; 5.° Descrizione di molte: medaglie avtiche di più musen P. li Firenze , 1828, in 4 ge. con tav, XII in ra- me. Ziem. In Catalogi musei Hederva- ° riani, parterh piimàm, rumos. graecos Pa Apa dana amplectentem Casticase Firenze; 1838, ù (*) Ì giudizi leiterai ; dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell'Antologia» Essi vengono somministrati da'sige librai e editori delle opere;stesse, e non di sogna confonderli con gli articoli chè si trovano sparsi nell’Antologia medesima, sia: no come estratti 0 analisi , stano come annunzi di opere. 204 60.° — Item P. II, Firenze, 1898, im .{.° grande con 24 figure, paoli So. Farmacopea generale sulle basi della chîmica farmacologica , 0 elementi «i farmacologi:,del prof. Giorccaino T'avi | pei. firenze , tip. Luigi Pizzati , 1528. Volume IV , ed ultimo. Prezzi del presente volume di fogh Gora 8.9 «on 10 tav l. 11 per glì associati e per 1 non associati I. 13 toscane 1 Due Garzoni, storia del sig. MER VILLE , prima versiune fra; cese del dui. Giuseree Gicuori. Firenze j (828, Coen ec Volume Le 11; facendo par- te della Collezione di opere morali e dilettevoli premiate dalla reale acca- demia di Francia. Prezzo di ugm vo- lume paoli 3. Storia antica e romana di Carto RoLLIN , prima edizione italiana cor- redata delle osservazioni e degli schia- menti stor ci del sig. LetRonnE» /% renze s 1828, Giuseppe Galletti. 8°° Tomi V, VLe VII. Commepie di ALsetto Nota, edi- zione undecima , accresciuta è corretta dall’ autore. Firenze , 1828 , Stamp. Granducale . Vol. IV che covtiene ; la Duchessa de lu Valliere, l'Ospite francese, IL Bibliomano, Storia dell’arte dimostrata coi mo mumenti dalla sua decadenza nel quarto secolu sivo al su risorgimento nel XVI, da G. B, L. G. Srrovx d’AgiscourT. Prima traduzione italiana, Prato, 1828, frutelti Giachetti, Dispense 22 e 23 delle ‘tavole. Avviso agli amatori dell’ arte agra- ria. Firenze , 1828 , G, Ricci. L’Ocivo mantenuto simbolo di pace, contro chi lo voglia far segno di guerra, risposta di PaoLo Cesare PamAnTi a uno scritto del sig. Francesco Macna- n. Fireuze 1828, St. Piatti 8° L’]mp. e R. Patazzo Pirti, descritto < dal cay Fancrsco IncHiRaMmi, 1828, Poligrafia fiesolana. 8° di p. 152 cun f tavole. Raccorta storica degli avvenimenti più importanti tratti dai classici autori della storta della decadenza dell'impero romeno, cowplilata dal fu avtocato Luci Picco Veronese , professore di glurisprudeuza nell’ Imp Reg. oniver- sità di Pavla,: Tomo primo. Firenze , 1828 I volumi di questa nuova opera i& sedicesimo non oltepasseranno i do- dici, Non n° esce al pubblico men d’uno al mese; lì prezzo per gli associati è di due franchi per ogni tomo. Per i non associati sarà di franchi trentasei tutta |” opera. Al compire del terzo volume si ehiu- derà |’ associazione, che si ricevo dai dispensatori dell’ opera, Le spedizioni sono a carico degli acquirenti, Saccio di una. Biblioteca scelta di educ.z:one. I fanciulli o i ‘loro curat- teri, pruna traduzione italiana. Firenze, 1898, Mugheri. Vol. unico in 16" di pace 250. Si vende presso G. Piutti , Pussigli, Borghi ec. Gius. ppe Bi ecker, nl prezzi di paoli 6. STATO LOMBARDO VENETO. BisLioTEcA storica di tutte le nazio- ni, Milano , 1828, per Aatonio Fon= tana , 8:% Tomo 84.9 della collezione. Storia del regno di Scozia sotto Muria Stuarda e Giacomo VI, da C. Rosertson. Vol. 2... Tomo 85.° Commentarii di ‘C. Grumo Cesare antica versione riveduta da FrANCcB»CO AmprosoLI; volume unico. Conuezione di manuali componenti una enciclopedia di scienze, lettere ed arti. Milano , 1828, per Antonio Fontana. Manuale di cronologia uni- versale, «di RampoLpi. 2.a e 3.a di- stribuzione.. Manuale di polizia medi- ca di Lorenzo Martini Vol. unico» BiscioTeca portatile latina, italia- na e francese. Milano, 1828, per Antonio Fontana. CLasse 1TALANA, le Metamorfosi d' Qvipio ridotte da G. dell’Ancuinrara iv ottava rima, Volu- mi 4 Storia della letteratura ita- liana di Giroramo Tirasoscnr. Tomi 16, 17, 18, 19. — Prose scelte dalle vite de’ Santi Papri, Vol. uuico,— CLasse FrANCE “rio dell’ Ateneo di Venezia, | membro de' consiglio accademico ,:e della. com- missione farmaceutica. Venezia, 1827, tip. Arsonelli, 8.9 fascicolo 1a 3, prezzo 1. 1, 50 per fascicolo, Nuovo ritratto di Milano in rignar- do alle belle arti, dell’ab Giuserpe Casetri. Milano, 1827; Sonzoguo, 1827 in 16° È l'opera d'uno scrittore diligente chie volendo veder tutto co'proprti oc- chi ha pututo aggiungere molle cost ai ritratti antecedenti y e molte retti | ficarne | Ben ch’eglì stasi studiato di ridurre ‘questo nuovo ritratto a \ali proporzioni, che senza toglier nulla ‘alla compitezza e alla somiglianza; riv. | scissero commiode anche. al viaggiatori più frettolosi;; per servir meglio al commodo di chicchessia ha segnato nel- indice le cose più degne d'esser, ve ‘dute; ciò che avea’ già fatto il Quadrio «mella sua Guida di Venezia, e do- | vrebbe farsì an tutte le Guide, Cottezione di opere scelte di auto ri friulani Udine , 1826, pei fratelli *Mattiuzzi: Vol. 1Il. Sroria dei fat dei longobardi di PAoLo Diacono del Friuli, tradotta ed illustrata dal prof. G Viviani. Vol. unico, parte Le Il. Discorsi. sulla storia Veneta , cioè rettificazione di alcuni equivuci riscon- trati nella storia «di Venezia del sig. i Danv, del conte Domenico Tieporo pa- itrizio veneto, sucio onorario dell’ Ate- neo di Venezia. Udine, 1828, fra- tell Muttiuzzi. Vol. 2 in 18° prezzo h7,g9Git .. Nuovo pizionario geografico porta- | tile, per Matr*sRUN, aumentato di N 120.090 articoli che non sì. trovano ‘ip A unaredizione di «dizionari detti da La Vosgien s dei sig. FRIEVILLE fi Lacue- $ mens. Traduzione sl fra ucese' suli*ed. di Parigi del 1827 con ape”Mite , amplia- | MOI, reitificazioni , tratte dalle opere 205 maggiori del mede:tmo Matresrun. e “da quelle’ degli altri più celebri geo- grafi' moderni, -peiveni diventa opera intieramente nuova, di A.F. FALCONETTI socio , corrispondente dell’ Ateveo di Treviso. Zenezia , 1829. G B Mis staglia , 8° fascicolo 10 ed ulumo , pag 12172 1380 (SPI ZYZ). BiograFiA bniv:rsale antica e_mo- derna , ec Venzia, 1828, G. B. Missiaglia. Volune ALV. (PL-PO). Volume XLVI (PO RA.) Isrorta della letteratura greta pro- fana di F. ScHoELL, recata in italiano con note ed osservazioni critiche dal dot. Eminio Tipatvo , CeFALENO, prof. nel'R, collegio de Marini, Venezia , 1828, G. Antonelli. Volume 1V.° p. 111. ELementi di conchiologia linneana, illustrati da XXVII tavole in rame , dal sig. C. J. Bunrow, a M. membro i della soc. linneana, della soc. riale € della soc. geologica di Lovdra ; opera volgarizzata sulla seconda edizione in- ylese , dal marchese, Francesco Batpas- sint di Pesaro, coll’ aggiunta di copio- se ed erudite note. Miluzio , 1828 È presso G. P. Giegler , 8° di p. XXXI e..3683. Prezzo f: 8 ,pit. Sopra LA VETERINARIA DI PeLaGONIO pubblicata in Firenze nel 1826 qual opera originalmente latina Memoria del dott. Giroramo Moris ; professore di medicina comparata nell’ I. e R. università di Padova , membro della società medica d' Emulazione di Pa- rici, socio del R. Istituto d'incorug- giamento alle scienze naturali del regno delle Due Sicilie , dell’ acca- demia agraria di Udiue, dell’ Ateneo di Treviso , ec. Padova nella Up. del Seminario 1828. In questa memoria prova il ch: profi Motiy che questa. veterinaria essendo d’ autor greco , non: può essere scritta in latino, e che l'edizione fattane dal dott. Cioni è una traduzione dal greco del XIII secolo o dettata poco anterior - mente ; e quindi aver torto e l'editore e gli altri letterati Jiorentini a crederè che potesse essere spogliato per nuove voci latine da ammiettersi nella nuova edizione. del lessico forcelliniano , che sta preparando il ch. FURLANETTI ; co- me ne erano state fatte 1accumiandazio- 206 ni ed istafize a questo ch. latinista dal suo amico dot. Cioni e da altri. STATI SARDI. ConsipERATIONS sur un nouveau mo- yen propose par le docteur Moion pour l'extetiun cu Placenta , par le doci. PascaL Cauperoni , chirurgien de la Mariue royale de Genes et de i ho- pital, secoude édiuon corrigeé et augmentée. GCenes, 1828, tip., Pon- thenier , 12° di p. 4o. Lezioni di fisiologia. di Lorenzo Martini Torino , 1828; G. Pomba. è Tomo VI. STATI PONTIFICI. DEI DELITTI E DELLE PENE , trattato di Carto Contoti cancelliere del tri- buuale d’ appello per le quattro lega- zioni sedevte a Bologua Bologna , 1828, Cardinali e Frulli. Volume WI. (Classe seconda , delitto di Stato, e contro ‘il diritto delle genti.) Osservazioni e rilievi fatti sull'opera di Lopovico M. BatkieRt, medico imo- lese, stampata iv Bologua l’ anno 1680, la quale sendo di sommo pregio, e l’ edi- Zione rarissima , la determinato a pro- curarne la ristampa il suo concittadino cav. Luici Ance Imola, 1828, Ignazio Galeali , 8.° di p. 100. Opere del. cav. Vincenzo Monri. Bologna , 1828, St. delle Muse. Voi. Vlil, Prezzo 1. 3; 20 Inni di Carerina Franceschi Fer- rucci. Bologne:, 1828, St. delle Mu- se. Prezzo baj. 10. A Craupia BorzacHi, nella letizia delle sue nuzze col dottor Giuseppe Vest, versi del dott- Ienazio Burza cui. Bologna, 1828, Stam. delle luse, Per Le FAUSTISSIME NOZZE de) prof. Lvier Giusti colla Emiria PEDRIN? , vevsi del dott. lenazio: BorzagHni Bo- lognu , 1828, St. delle Muse. Li Farsactia di M. Anneo Lucano volgarizzata dal conte Francesco CASSI. Pesaro, 1828, Nobili, 4° fasc. Ill: NetL'aArRRrIvo IN Faenza del celeber- rimo Antonio Cesari veronese, prete dell’ oratorio, accaduto (a dì 15 set- tembre 1828 per |’ aspettata venuta di lu il giorno 28. detto. in compagnia dei chiarissimi signori cav. DioniGi StRoccHi: faentinpo ; ed abate Pervegui- no Farini de’ Russ: , a Ballaria cam. Piga del territorio di Lugo; e iv morte del medesimo seguita a S, Mi- chele villa delli signori ‘collegiali di Ravenna , il dd 1 vuobre dell’ auuo stesso, SonETTG del conte, FERDINANDO Parotini faentino. Faenza , 1828 per Montanari e Marabini, PeR LE FAUSTE sPofsaLizie. della si- gnora Anna Busam col sig. Giacomo Muaeci:. 4idillio di Domenico Vacco- Ln Lugo , 1828, presso Melandri . ParziaLe amputazione della mascella inferiore. Storia letta alla società we- dico-chirurgia di Bologna } del. dott. Luiti Mataconi socio residente; ed: 1n- serita megli opuscoli della società sud- detta, Bologna , 1828, Nobili ec. AL Contk Santo MattEvce: di Forli che conduce in moglie la nobile duu- zella Feuicira Manerenì; Carme di Domenico Ricci Puoi. Imola , 1828, Ignazio Galeali 8.° di p. 30. IL vaticano deseritto ed illustrato da Erasmo PistoLesi. Roma; 1828, Dalla tipografia di Crispino Pucci- nelli. Mavyiresro. Roma mai sempre grande nell’ is stesse ruine in ogni tempo fu scopo de’letterari sudori. Mille penne scris- ser di lei, nè mai appieno fu. com- preso il suo bello. Non vi ha monu- mento dell’ antica romana grandezza di cui non sianvi illustrazioni e com- plete memorie j eppure il Vaticano , che a buon diritto può dirsi l’opra diviga, abbracciando le cose più il- lustri) di nostra religione; i monumenti singolari delle arti più belle , gli ob- bietti sublimi delle scienze. più pro fonde, i doni più rari. della bella natura , i voli più eccelsi de’ più uo- bili ingegni, la storia di molti pre- clari pontefici, e cento e cento altri prodigiosi portenti, non ha ancora chi ne abbia tutte insieme raccolte le infinite bellezze. Polrà per avven tura la vastità dell’ impresa averne rattenuto i più lervidi ingegni, ma nou essendo egli giusto che torni a danno di questo Colle superbo Ja singolar copia degli ‘stessì suoi pre- gii, Roma von dee più attendere un opera , che tanto le può accrescere a decoro e splendore. Animzto da tali:considerazioni, e ponderati i vantaggi d’ un’ opera nuo- va , Che tanti illustri argomevti rac- chiude, Erasmo Pistotesi , già scril- tore di altri letterari volumi, si ac cinuge a dare una completa, ed esatta iliustrazione del Vaticano , copiosa- mente corredata di rami indicanti l’ opere de’ più famosi pennelli, e de- gli scarpelli più chiari : e siccume un’ opera di tanta mole non può .; an- dare disgiunta da un artista che ne assuma la direzione , questa verrà af- fidata all’ esimio pittore. Cammitto Guerra , figlio della bella Partenope , onore ed ornamento delle arti sorelle di cui Roma fu mai sempre educatri- ce indefessa i — In sì vasta collezione figureranno in singolar modo i capolavori d’ ar- chitettura , Fittura, Scultura esistenti nell’ augustissimo Tempio, nel pa- lazzo pontificio , nelle cappelle, nei loggiati, nella biblioteca , ne’ musei, nelle gallerie ec. che sempre rapisco- no l’ attenzione dell’ avveduto e colto osservatore. Nello sciegliere i miglio- ri lavori non saranno talvolta trascu- rati anche i mediocri ,. qualora serva a dar lume al confronto che farà d’ uopo rilevare fra un’ epoca e, 1’ al- tra, e talora nell’epoca stessa. E vero cue alcune parti del grandioso edifizio furono di già con somma laude pub- blicate da valenti scrittori, ma altre ve ne sono che non furono descritte, o per lo meno rinvengonsi . mancanti di quel tocco di penna, di quell’ ar- tistica esattezza , che forma il carat- tere de’ nostri dì , e che solo può ra- gionevolmevte stabilirne il tempo a cui esse appartengono. Quindi è che le illustrazioni saranno precedute dal- la storia, che a buon diritto fu da- gli eraditi annunziata qual lume del tempo, e sì la artistica sarà regolata dalla più esatta circospezione , essendo particolare in- tendimento dell’ autore d’ instruire parte descrittiva che 207 più , che intralciare il lettore in fi- lologiche discussioni. L’ opera sarà corredata di rami a contorni , cme. più alti a precisare il carattere, ed indicare le dimensio- ni e le forme, e qualora sia di me- stieri se re produrrà taluno anche a mezza macchia. Per la felice esecu- zione de’ meilesimi verranno impie- gali sotto la direzione del precitato Camizco Guerra i più abili disegna- tori, i più accurati balini, non solo di quest’ alma città, ma eziandio di altre, dove il distinto merito in tal genere primeggia. L’editore è persuaso che tal ope- ra possa riuscire quanto nuova, altret- tanto utile, spezialmente per gli stra- nieri , che lunghe e dispendiose pere- grinazioni intravrendono , a fiv di visitare il Vaticano, da Baronio chia- mato ornamento di Roma , prodigio e complesso di tutte le maraviglie. E onde abbiano i sig. associati una mo- rale certezza che quest’ opera non sia per arrestarsi nel svo bel comincia- mento , siccome talvolta nelle grandi imprese addiviene, si fa loro noto ch’ è dessa favorita della società di chiare persone, che possono, e in- tendono coll’ eficacia de’ loro mezzi, di fedelmente condurla all’ ultima sua . perfezione. Questa interessantissima opera, che per la rarità e vastità degli og= getti sarà degna di Roma, si pubbli- cherà in foglio detto reale vantug. giata , di pisto sopraffino , ed il te- sto e le note verranno fimpresse con nuovissimi caratteri provenienti dalla fonderia di Antonio Ponthenier. Essa si produrrà per associazione ed a fa- «circoli, ogni fascicolo conterrà circa dieci fogli di stampa , ‘e circa rami sette. ln ciascun mese incominciando dal prossimo ottobre si puhblicherà un fascicolo il numero de’quali ascen- derà circa gli ottanta, ed ogni sei di esi formeranno un volume. Il prezzo d’ associazione è stabilito per cadaun foglio di stampa a baj. ciuque , e per ciascun rame baj. dieci non compresa la coperta, e la lega- tura. Le sottoscrizioni si faranno nei registri appositamente aperti ne’luoghi sotto, nominati, cioè presso i signori Scudellari negoziante di stampe in via Condotti n.° 19, Franzetti via del Corso n.° 170, ed Agazzi via 208 : del Caravita n.° 172. Sî concederà la tredicesima copia gratis. a chiunque. procaccierà douici socii garantiti, 0 piglierà viceversa dodici esem, lari in una +0!a volta Le spese di posta, porto , dazio ec. rimangono a carico de signori associati. Gli esteri rinverranno il presente manifesto presso i. principali. librai di Europa. DUCATO DI MODENA. I.mituzioni. logico metafisiche del vof. 4). Garramo Lusverti y dedicate al?’ ill. e rey. monsignor Fiuiepo CaT- vani patrizio reggiano, vescovo di Reg- gio ec Modena , 1828, Eredi $0- tiani , 8.9 dip. 1, e 212. Ù Ì LIPRI ITALIANI STAMPATI | ALL’ ESTERO. ; La viterta 0 il Campo Santo di | Parma, Carme. Zugano , 1828, Rug- | gia cc. Vita civile , politica e mulitare di ' Napotrone Buonaparte , scritta da un auliteré. Secunda ed. Lugano , 18285; | C Ruggia ec. Un volumetto di pag. | 256. Storta di NapoLense compilata sulle diclur proprie memorie di Lrsonsrpo GALLI, primo volgarizzameuto ita- liano sulla terza edizione francese. Zu gauo , 1828, C. Ruggia ec. Pare proma. Pi vinir sortetà e. instituzioni di beneficenza n {Londra. Lugano , 1828, G. Ituggia co. 12.9 è p. 291 Fine del Fr aseicolo XCIV. - OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FA TTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare picdi 205. OTTOBRE 1828. Stato del cielo 0479W101eg 037 -QUIOIAN]q ord -09S0w12UY | 7 mat. |[28. 0,8 (17,1 {119! 97 (Scir. |Sereno Ventic. lt] mezzog. |18. 0,6 |17,2 (17,7! o) Ponen.'Ser: con nuv. Ventie .. ti sera |23. 0,2 |18,0 |16,0° Ponen. Ser. con nuv. Ventic. i a MR cdi SOL EA | 7 mat. [28. 0,3 [17,3 [13,5 | 97 Scir, |Nuv. ser. Ventic. 2 mezzog. |28. 0,4 Tr. M. Sereno Ventic «| rr sera |28. 0,0 Ustro |Ser. con nuv. Ventic 7 mat. 28. o,1 i) Scir. |Nuv, ser. Calma 3| mezzog. aB. 053 Sc. Le. |Nuvolo Ventic. | rr sera |28. 0,9 98 | 0,07j0s. Sc. ! Pioggia Calma 7 mat. 05, ls 0,4 0,53|Lev. \Proggia Ventic. mezzog. |25. 0,5 o ; 0,04|0Os. Li. Nuvolo Ventic. 0,2 35 pd PE Lev. ‘Nuvolo Calia l 7 mat. 27. 11,4 |Lew. — Nuvolo Vento 9 mezzog. |27. 11,4 Bo | 0,15Os. Li. Pioggia Vento 0 sera 27. 11,3 16 0,02;Gr. Le. Ser. con nuv. Ventic. | 7 mat. 27: 11,3 |16 Scir. |Ser. nuv. Vento 0) mezzog. (27. 11,9 7 | 0,o8|Sc. Le.|Pioggia Ventic. | | 1° sera |27. 10,7 {16,0 14,0 0,99 Ponen. |Nuvolo Ventic. . 10,6 [15,8 113,8. 199. 0,06 > Li. SE . Calma 7| mezzog, |27. 11,5 |16,0 |16,6 | 87 ! Se. con nuv. Ventic. _l_tt sera |28, o; 057. 16, Si FARO Sereno Calma Ì ééE—I..————————————m—mhÉ_É_@_ui . Do) = | >» (Of ORTI E Y LELE DENSE Le. - 5 SETA 3 a) ò Lilia A Cia ? PA i I | 7 mat. |28. 06 |r5.9 {12,2 | 95 'Scir. |Ser. nuv, 8: mezzog.|28. 0,5 |15,9 |r5,0 | 96 Lib. |Piovoso 11 sera ‘27. 11,9 {15,8 |15,0o | 80 i 0, 03 Liv. |Nuvolo 7 mat. |27. 11,7 |15,;3 [12,1 | 96 Sc. Le. Ser. nuv. 9 mezzog. |27. 11,7 |15,5 {15,8 | 74 Lib. Ser, nuv. rr sera ‘28. o,1 {15,8 |12;1 | 80 Sc. Le. Se. con nuv. | 7 mat. 28. 0,9 |15,2 12,1] 79 ([ram. {Sereno 10° mezzog.|28. 1,9 [15,3 |16,0 | 55 Tram. |Sereno rrsera |28. 3,3 nia 12,5] 75! Gr. Le.|Sereno ‘7 mat. 28: 41° 4,1 114,5 9,5 ‘88 Scir. < {Sereno 11! mezzog. 28. 4,3 i4,9 (14,1! 68 | Scir. Sereno rI sera a 128. 4,3 - 15,1 li159 | 96 | Scir,, |Sereno 7mat. |28. 4,2 28. 4,2 |14,9 10,0 |Scir. ‘Ser, ragn. 12] mezzog.|28. 4,0 {14,8 |14:9 | 87 Ponen. Sereno 11 sera |28. 8. 4,0 15,9 |14,9 | 65 |Sc. Le. Sereno | ymat. [28.42 |14,3 | 9,5 |-83 Scir. Sereno t3 mezzog. |28. 4,2 143 |14,g9| 58 Sc. Le. Sereno ! ri sera [28. 3,6 1437. 11,0] 89 |Scir. -. Sereno | 7 mat. 28. 1,0 14,2 10,3 | 90 !Scir., |Nuvolo 14. mezzog.|27. 11,5 [14,1 |13,t | 94 Os, Li.|Nuvolo ri sera (27. 10,7 |13,8 {10,0.| 99 0,08 Sc. Le.|Sereno | | 7 mat. |27. 10,8 13,2 8,9 gi de. Scir. |Nebbfa 15 mezzog.|27. t0,2 |13,0 |[13,0.| 89 (e Sc.{Ser, con neb. rr sera |27. 11,4 113,0 11,0 | 61 Gr. Le.|Sereno 7 mat. |28. 1,0 (12,2; 73 | 7 |Maest. |Sereno 16| mezzog.|28. 1,7 |12,3 11,0 | 48 Pò. M.|Sereno rt sera |28. 2,3 12,7: | 8,7.| 77 Scir, Ser. con neb. “|-7 mat. |28. 2,3 !12;0 16,8 |:83 Scir. |Ser. ragn. 171 mezzog.|28. 2,6 |12,0 |12,1| 70 Os. Sc. Ser. nuv. rr sera |28. 1,3 12,7 |12,5 | 95 | 0,or|Os. Li. Nuvolo 7 mat. |27. 11,9 |11,9 |12,0 | 88 | 0,04 Ostro ;Nuvolo 18| mezzog.|27. 11.7 |13,1 |14,5| 86 Os. Li.| Nuvoloso ti sera 28. 0,1 {13,2 {13,0| 78 Tram. {Sereno 7 mat. 128. 2,3 13,0 |10,0 79 Lev. \Sereno ragn. 19] mezzog. 28. 3,3 12,9 [13,2] 51 Tram. !Sereno 11 sera |28. 4,0 13,1 | 9,5 75 |Gr. Le. Sereno Stato del cielo he ' Ventic. Vevtic, Vento , Ventie® Ventic» Ventie Ventie, Vento , Ventic, Ventic | Ventic: Ventie, Ventic, Ventic, Calma Ventic. Calma; Calma) Ventici Ventie Calma - Calma Vento Vento Vento Vento Vento Ventici Stato del cielo 01391015] 017 = QUOIAN]KT od -09$0 WU Y 87 IScir. Sereno Calma 60 Scir. |Sereno Calma |a: sera [28. 4,9 [12,8 |10,0 | 92 Scir. |Sereno Ventic. | 7 mat. |25. 4,9 |12,5 | 8,0 | 99 Scir. |Sereno i Calma bi'mezzog. |28. 48 |r2,6 [13,3 | 77 Ponen, | Sereno Ventic' i | 11 sera |28. 4,5 |t2;0 |10,0 | 95 IScir. |Sereno Ventic' È 7 mat. [28. 44 |12,7| 7,8| 98; Scir. |Sereno Ventie, tz\mezzog. |28. 3,9 |12,8 {12,9 | 76 Scir. |Sereno con calig. Ventic, it sera {28. 3,7 |12,2 10,8 96 Lev. |Ser. calig. - Ventic, i 7 mat. |28 3,7 {12,9 8,8 97 Scir. |Ser. rag. Ventic- 3\mezzog. |28. 3,6 [12,9 |13,9 | 83 Tram. |Sereno Ventic. | rt sera |28. 3,0 j13,5 |11,0 | 80} Scir. Ser.fcon neb. Ventic. | 7 mat. [28. 3,0 |13,t | 9,9] 90 Scir. |Nuvolo Calma 4 mezzog. (28. 2,9 [13,0 |14,4 | 72 Lev. |Ser connuv.bassi Ventic. T| 11 sera |28. 2,8 [13,2 |[1t,0o | 92 {Sc. Le. Sereno Ventic. (| > mat. |28. 2,8 [13,0 | 8,8 | 98 Scir. |Sereno Ventic id mezzog. |28. 2,8 [13,0 ‘14.1 | 69 Sciz. |Sereno Calma N] .: sera ;28. 2,9 |13,5 112,8 80 ram. !Ser. con nuv. Ventic | 7 mat. j25. 2,8 [13,2 | g1 | 95 Î Sc. Le.|Ser. con neb. Ventic- 26:mezzog. |28. 2,6 {13.7 Una | 70 Gr- Tr.|Se. cou:nuv. all’or. Vento i 11 sera |28. 2,6 |13,5 lie, 72 | Lev. |Se. vaporoso Calma di 7 mat. |28. 26 43,0 lego 88. Scir. |Ser. neb. Calma 7 mezzog. 28. 1,2 113,1 [15,0 56 | Gr. Le.|Sereno ragn. Vento rt sera |28. 2,0 {13,0 ‘12.0 | 75 Tram. |Navolo Vento 7} 7 mat. [28. 2,1 {12,7 |11,5 | 76 Gr. Tr.}Nevolo Vento d mezzog. |28. 3,4 [12,9 |12,6| 65 Gr. Cr.{Nuvolo Vento | rr sera |28. 3,$ |22,3 98 8| 68 Gr. Tr.'Sereno .. Vento | 7 mat. |28. 2,6 {11,7 79 ah Tram. [Sereno Ventic. mezzog. |28. 2,8 [11,6 [12,3 | 59 Gr. Le-{Sereno Ventiec. it sera |28. 2,6 '11,0 | 7,9] 78 |o,o1|Tram. |Nuvoio . Vento | 7 mat. [28. 0,1 {10,5 | 7,0 | 90 Tr. M.'Nuvolo Vento mezzog. |27. 0,3 | 9,8 | 6,1 | 58 | 0,02[Tram. |Nuvolo Vento re sera dB. OE 8,8 Gi i 90 Gr. Tr.|Nuvolo Vento 7 mat. |27. 11,6 | 8,7 | 7,0 | 86 | 0,08[Gr. Tr.|Nuvolo Vento l|mezzog. |27. 11 6 8,6 | 7,8| 66 Tram. |Sereno Vento forte aper \a7: 1i7-j 8,2 | 6,5| 57, ‘Tram. |Sereno Vento Sonia pare im inte DIE I IS DLE rt r' P) ART DE ii, % dI ni "I dl ja », è È À Ì NS, Ei ‘ i 43 ! Da ì î } ty 4 rgle neRo atti armati iii a 4 È AVATI ; e" ; » ® 6 i | A i { i | | Re o 1 si i 1 PI le pa 4 è, tan $i i* Î È p o | dh. vIONT E Ie | E DI i i ì ì P. d ’ b ui fa IR PR | : o, : Vi $i: ri é bi i: | n'a i 4 + è | Te pron 9" 4 agi “ bi, Giù i nie aut PIRO RR RE ’ L x K ME 4 c 5 ia . » ; } 4 ” ‘ Yi ce } ir DI MY) LI cia nr ci volume è è ascom pagato o du RE e dal Direttore: Editore G. P. Pictisseuzr, OE Si 0 ; per tutto il regno {dalla Spedizione delle SARA, DO si ‘Lombardo Veneto -$-pre sol’ Ze R. Direz. delle Poste. INO . Le totti li Stati pato 3 alle respettive Direzioni delle Spediz. delle Ù; - Garzelte presso la R. ‘Direz. delle Poste È; i n ba gi © presso Gem. Vincenzi e C.0 libr. HA RA to | presso il sig. Derviè direttore delle Poste, A, per totto lo stato » Pontificio, presso il sig. Pietro Capobianchi, impiegato nell'ammivistras, gen. delle Poste Pontif.. | presso -Raff. Trani, largo del palazzas do il 5g. F, Gruis, via "Toledo Ne Ta I doge DELI > presso. la Direzione delle Gazzette. LA e dai presso LY, Paschoud. vida I. foi Rue de Tournon N.6G unt n Molini N. 4r aimarancier Row: ct Puszo D D ASSOCIAZIONE da pagarsi anticipatamente: la Toscana , Lire 36 Li per enna... © s ‘franeò di porto SISI II AO 200. -$ perla posta bt I Regno (no ee "gato di prio di Pineto) basi 36. ROSE per la posta ‘Ducato: di Parma as franchi 36 FARI ; i ‘franco alle frontiere sà IR perla posta i lè Pontificio; ini META dr {franco di porto Si it: $ ERA TIN 2% S SEE: | per la posta Estero , :—franchi36.. GG. (\, . lirahvo Torino CM a SOA (0 Milado. > 9 fanchi f3x Sa VOTE E eo LEE FERRO Pefigi: Ia RT SD ‘per la posta ntera solaio da. 7 anni, FINI Ne 1a 18, in 18 v lumi braché può rilasciare a meno di 4 SE See L. 250 1825-26-27 separati in.ciascun anno... > Ì 1-39 830 8 colo sciolto, puede, sia Vanoise Re Sd I | I Si Egieiane . fi (© Peyron. - 24 È . Considerazioni sulla favi della Giur Case se iera iti © di Mantova... È, I “Elogi di letterati soritti da Ippolito Pralina I. Dell Educazione cri a ne’ suoì cito colla - Jocietà 666 " Misotie romane "di ‘airbiohid: e SG belle. anti. Atlante storico liaggo IR Art, DL Vincenzo Li Bullettino Bibliografico, ‘Tavole meteorologiche. È NOA L ec sr Ric ET sE ‘EprroREk PEZZATI. ; co. SE S FI US Gi Ria da : 3 si agi ot “Ri A O, De Ra s ro NET | RIDLIOTEGA POPOLARE, 0s Italiane, non che Lati tute per universale COM di buone lettere $ compr Lu; 100. 7 ola DA scabile , ciascuno non maggiore “di “peg gine ‘minore di: Us DI Lo tenuissimo Ldupai E, co cadauno. VERI RE SIA AI RO SOS 3 d, a CRE COPREON: CES I SÉ Zire del Manifesto di GIUSEPPE PoMBA ART I eo di Torìnio del 1. Novembre. 1 1-98. ì Yi Sei Ade I Biblioteca popolare ab dala pala di ‘cento volu in 32 grande, stampati in bella ‘carta. e nitidi caratteri, “Ogn 3 ot distribuirà uno pulitamente legato alla rustica con-coper'a sti CIR i prezzo ite Reni, volume è invariabilmente stabilito a 80 dani 50, i A 8.0Per ‘godere di un tanto vantaggio , dovranno perdi gti po: obbligarsi a venire } o manidar-a ritirare i volumi alla mia ipa gandone immediatamente l'importo. - 4.9 Trascotsi due: ‘inesi senza che, l'Amiogieto shbra ria ‘di sua associazione , gli. verratino. recati alla propria ‘abitazione , ‘pagarli al prezzo. di ‘soldi dodici invece di: dieci cadauno...‘ All' egnal prezzo pagheranno tutti. i volumi coloro: i quali the dall’ Editore si mandino alle proprie case appena pabblicati 5.0 L obbligazione dell’ assuciazione è ferma ‘per l’intera Collezi «di cento volumi 3 e RE non sì riceveranno ‘associazioni per. pi parate, ITA ii 6.° Ai librai. o distabatori di quest opera si. sccorderà in ‘propio 3 . zione del numero delle copie-chè me prenderanno, quando non sia ped ‘minore di*dieci , un vistoso, ribasso ; non, già. sul prezzo del libro. ‘risultante da copie dell’ vpera stessa che si daranno in dono; epp ne comprerà dieci ne avrà due di più in dono "chine comprei copie, nefavrà. cinque di più; ciò ch equivale al. venti, e al wentiélì | que per cento, E in tal modo ‘quel libraigrche si assvcii per cento ‘copii ticevendone centoventicinque; avià soprafiquest’ opera ‘sola. il profivi ‘muo di lire 625; ‘e di 1250 sopra tutta: lezione.-. q:9 Inoltrata alcun poco la ‘stampa SALSO pera ; iu darà stami eletico de’ signori Associati. A li eno Sg le n IT T vers = Le ANTOLOGIA N.° XCV. Novembre 1828. Statistica della Svizzera, di SrerAno Franscimi Ticinese, con carta geografica. Lugano 1827 , pei.tipi di Gius. Ruggia e Comp. Vol. unico in 8.° di pag. xx e 464. I lettori dell'Aatologia rieordevoli tuttora delle lettere ‘ del chiarissimo Antonio Benci intorno alla Svizzera , non han bisogno di essere allettati di più con altri preamboli perchè si degnino rivolgere l’attenzione ad un’ opera che espone con quella esattezza che per l’autore potevasi mag- giore lo stato civile, morale ed economico della Confede- rezione elvetica. Le osservazioni del dotto viaggiatore det- tate «con amor sincero del bello e del buono ; devono es- ser riguardate, o come un supplemento a ciò che può man- care nella statistica , o come una prima veduta del sog- getto rivolta a destar bramosia di studi maggiori . Peroc- chè quell’ analisi delle forze e dei guai della civiltà che lo statistico può offrire , non è mai dato ad alcun viag- giatore condurre a perfezione . La sola parte meramente morale della civiltà che non può esser ridotta a calcoli statistici ha bisogno di esser conosciuta per le testimonian- ze de’ viaggiatori , le quali quanto più sono moltiplicate 2 tanto più facilmente apron l’adito alla critica di trovare il vero. Perciò noi confortiamo i lettori ad unire alla lettura del Franscini le lettere del Benci {*), il viaggio di Simond, le opere di Depping e di Zschokke, e gli articoli del Globo e della Rivista Inglese relativi alla Svizzera, che dall’in- sieme di queste letture sarà dato loro formare un’idea del carattere morale della civiltà nella Confederazione Elveti- ca. Quelli avvezzi a figurarsi in mente il bello ideale sparso da Schiller nel Guglielmo Tell si dorranno di non ritrovarlo sempre vero nei costumi di tutta la Svizzera, ma se faranno senno dovran bene rimaner contenti nell’osservare quanto vi sia di storico in quella tragedia, e come gli stessi sen- timenti sì manifestassero nei cantoni di Schwitz , Uri ed Unterwalden nelle sventure del 1798. Un bell'esempio poi sarà dato a tutti di osservare nell’ opera del Franscini, il quale spogliandosi dei molti pregiudizi municipali che tut- tora regnano nella sna patria, parla collo stesso amore di tutta la Svizzera, non teme di svelarne i guai, di mostrarne le cagioni, e di additarne i rimedii. Se questa franca con- dotta lo ha esposto ad amare critiche per parte di quelli che della patria vorrebbero sentir parlare soltanto in lode, per noi essa è un titolo di più per accordargli maggiore quella stima di valent’ uomo ed utile cittadino, che pur sempre si deve a chi fa opera giovevole alla patria. La parte centrale ed occidentale della Svizzera d’oggidì portò in altri tempi il nome di E/vezia. La porzione orientale e parti- colarmente il territorio de’Grigioni appellossi Rezia sino da tempi assai remoti. Ginevra veniva ascritta al paese degli Allobrogi. Anche il Vallese ed i distretti formanti l’attuale Cantone-Ticino, e Sciaffusa e Basilea ed altre parti della presente Confederazione Svizzera non appartenevano al paese elvezio. Il nome degli Elvezj scomparve dopo che questi ebbero per- duto lajlibertà, e che il loro paese fu saccheggiato e guasto da genti straniere. ‘ Le successive invasioni degli Alemanni, de’Goti « e dei Borgognoni disperdettero in Elvezia tutte le tracce del- « l’ antichità , delle arti e dell’ industria , le leggi e gli usi, i (*) V. Antologia Vol, XII e segg. | Ì 3 @ costumi ed i linguaggi preesistenti. Lo stesso nome dell’Elve- « zia $i perdè ». Così Zéchokke (p. 3.). Ma gli abitatori di montagne e valli elvetiche, state lunga- mente sconosciute in Europa , formarono in tempi assai remoti e molto oscuri una lega offensiva fra di loro , ricusarono di por- tare giogo straniero &i alcuna sorta ; e vollero essere liberi. Sif- fatta lega fu poi conosciuta e rinomata sotto il nome di Confe- derazione ( Eidgenossenschaft ), è i popoli ; ond’ella formiavasi, denominaronsi Confederati ( Eidgenossen ). Questi vocaboli tro- vavansi già nel patto di federazione conchiuso nel 1315, e con questi venne la Svizzera nominata nel trattato di Westfalia l’an- no 1648. Non è ben certo quando lé parole Svizzeri è Svizzera. Sieno state primieramente in uso. Par molto probabile l’opinione di Bullingher , giusta la quale il nome Svizzero î( Schweyzer ) fu per la prima volta udito nella più antica guerra fatta contro la repubblica di Zurigo da’Confederati; fra i quali primeggiando allora per entusiasmo è forse anche per bravura le genti di Svitto ( Schwyz );} meritarono che il particolare nomé loro divenisse quello di tutti gli uomini della lega. Ma tal nome fu in sulle prime un vocabolo di spregio, dato a’Confederati da’ loro nemici a qualificarli gente di vil razza; e forse continuò; come più scrit- tori. affermano , ad essere parola disprezzativa sino dopo la guerra di Svevia (1500). In seguito il nome dato per contumelia divenne nome illustre presso gli stessi discendenti di que’ primi che ne facevano uso in via di sprezzo. Attualmente la Confederazione Svizzera consta di ventidue Cantoni , che sono: Zurigo , Berna, Lucerna, Uri; Svitto, Unterwald, Glarona, Zug, Friborgo, So- letta , Basilea , Sciaffusa , Apppenzell, San Gallo, Grigioni, Aar- govia, Thiirgovia, Ticino, Vaud, Vallese, Neuchatel e Ginevra. Il paese detto Svizzera annoverasi tra i più centrali di Eu- ropa. Posta quasi in mezzo alla zona temperata del nostro emi- sfero , si stende la Svizzera da 23° 50° a728° e 5° di longitudine est dall’ Iscla del Ferro e da 45° 50° a 47° 50° di latitudine bo- reale. Il monte Gran San-Bernardo nel Vallese ed il distretto di Mendrisio nel cantone Ticino sono i punti più meridionali della Svizzera : : il Cantone di Sciaffusa è il più settentrionale; quello de Grigioni il più orientale , e quello di Ginèvra il più occi- dentale. La Svizzera è la più elevata regione d’»Europa . La di lei più bassa parte si è quel tanto di piano che ci si trova di qua dalle Alpi. E consiste nel distretto di Mendrisio ; nella maggior porzione di que’ di Locarno , Lugano , Bellinzona e Riviera, in 4 piccola parte di Leventina , Blenio e Vallemaggia ed anche di Val-Mesolcina. L’ elevazione di tali contrade sopra il livello ma- rino è da’ 700 a’ 1200 piedi. Di là dell’Alpi 1’ infima regione è quella bagnata dal Reno nel suo corso dal Lago-di-Costanza sino a Basilea ed anche dal Basso-Aar e dalla Bassa-Reuss . La ele- vazione è tra i 1000 , i 1100 ed i 1500 piedi sopra il Mediter- raneo. Del resto quasi tutto il paese è in continuo pendio, ed è abitatissimo sino è 2006 piedi di elevazione. In questa zona trovi ‘in copia , villaggi, borghi e città. Ma più in alto si scompaiono e città e borghi, benchè non siano infrequenti i villaggi sino all’ altezza di 3600 piedi. Più in là vanno divenendo rare le abi- tazioni umane e non trovi quasi più che piccoli villaggi o caso- lari. Appartengono a questa elevazione le capanne de’pascoli mon- tani, dove si manipola il latte de’ bestiami che passano l’estate sulle montagne svizzere. La situazione della Svizzera è dunque molto elevata , e in pendio , perciò anche sana. Ma quanto a quelle nostre contrade che sono situate ‘in pianura”si deve notare che s’ elle giacciono in valle angusta e dominata da eccelse montagne , la posizione è poco favorovole alla salute. In tale circostanza vediamo trovarsi non pochi luoghi del Cantone-Ticino, di quello del Vallese e d’altri (pag. 1-3). Secondo i calcoli più probabili può valutarsi l’estensione della Svizzera 14,000 miglia quadrate geografiche italiane, pa- ri a 2,200 leghe svizzere. Diacciaie perpetue coprono per 130 leghe di terreno; quanto al rimanente sarebbe difficile fis- sare con calcoli approssimativi le proporzioni delle diverse condizioni del suolo. Chi ne volesse prendere una qualche idea dovrebbe seguire l’autore nell’accurata descrizione to- pografica che ci dà della Svizzera. I professori delle scien- ze naturali ne potranno ricavare qualche utile notizia , e per quelli che hanno visitatt i luoghi la lettura non rie- scirà senza diletto; ma per la maggioranza de’ nostri let- tori convien passar ad altro. Onde è che noi taceremo dei fiumi, dei laghi, de’ monti e delle valanghe della Sviz- zera , sì per non ripetere cose notissime dove ce ne voles- simo stare ne’confini di brevità, sì per non esser fastidiosi dove fosse pur d’uopo scendere ai particolari . Le stesse ragioni ci impegnano a disbrigarci con poche parole di ciò che concerne il regno minerale, che nella Svizzera è più 5 importante per la scienza che per la pubblica economia. Marmi , cristallizzazioni , petrificazioni di sostantè anima- li, ed alcune scarsissime vene metalliche si incontrano nella parte più settentrionale della Svizzera, massime nel cantone di Sciaffusa ; di saline vi è in attività soltanto quella di Bex , dalla quale il cantone di Vaud ritrae un profitto dintorno a 5omila franchi l’anno ; le miniere del ferro tengono occupati 800 operai e danno 12,600 quintali metrici, molto meno del bisognevole per la Svizzera: quanto poi alle acque minerali e medicinali pochi paesi posson vantarsi siccome meglio forniti. La pastorizia , l’ agricoltura, le manifatture, il com- mercio a minuto , »d il servizio militare all’ estero, sono i mezzi che forniscono la sussistenza ai popoli della Sviz- zera. La caccia ® la pesca son libere ma non gran cosa produttive. Non son rare le lepri, le pernici, le trote nella Svizzera, ma l’assoluta mancanza o almeno l’ inosservan- za de’ regolamenti che prescrivano un certo modo alla li- bertà di caccia e di pesca, ‘contribuisce ad una dannosa di- miviuzione delle specie. Si suol considerare la pastorizia (usiamo parole dell’A.) siccome ramo dell’agricoltura. Ma pure in parecchie contrade svizzerè è dessa tanto importante e tanto principale, che noi crediamo ben fatto considerarla a parte e prima dell’ agricoltura propriamente detta. Là dove le biade e le viti e gli alberi fruttiferi non prospe- rano, ed in compenso spuntano in copia le erbe acconce all’alimento del bestiame, ivi la popolazione si dà più alla pastorizia che alla coltivazione dei campi. Le regioni svizzere delle alpi che sono a più di 1800 piedi d’ elevazione sopra il livello del mare, rico- noscono il meglio dei loro lucri dal bestiame e da’ prodotti di esso. Soprattutto però hanno cura di allevare e guardar bestiami e manipolare il prodotto di questo, le genti svizzere che si tro- vano abitare luoghi alti più di 3000 piedi. Ora elle non sono poche nel Ticino, ne’ Grigioni, nel Vallese e nelle repubbliche di Uri, Svitto, Underwald, Berna, Glarona, Appenzell e San Gallo. . Il grosso bestiame cornuto della Svizzera si riconosce di più razze, molto differenti fra loro per grandezza, figura e colore. In tutti i cantoni dove i pascoli alpini sono erti assai e di molto so- 6 pra il limite degli albeti, il bestiame bovino è di grandezza nulla più che mediocre , ed anche è piccolo atfatto. Ma in quei luoghi , dove i pascoli di monte sono meno ineguali e non ec- cedono una elevazione di 2 a 5000 piedi, le vacche ed i buoi crescono a non ordinaria grandezza (pag. 137-38). Si puo calcolare che il bestiame bovino nell’ estate ascenda d 870,000 capi, nel verno a 550,000; così la mes dia proporzionale di tutto l’ anno sarebbe 715,000 , nella quale quantità van comprese intorno a 250,000 vacchie. Vi è pure abbandanza di pecore e di capre. La Svizzera, prosegue l’A., presa tutt’insieme ha meno pecore di quello che converrebbe. Ma ne’luoghi dove si conosce 1” importanza di queste bestie per rispetto alla lana, e sonosi calcolati gli estremi danni che dalle capre sono cagionati alle piantagioni , agli orti ed alle campagne, va diminuendo il nùmero delle ultime, au- mentando quello delle prime. Il iniale si è che in più paesi, l’uo- mo ignorante non usando alle pecore quelle cure che questi anî- mali richiederebbero, le ha perciò troppo piccole, di corta e cat- tiva lana, e di complessione debole ; sicchè rie trae poco utile , e le vede perire di malattie sovente attaccaticce. Pel che impu- tando a tutt’altro che alla propria negligenza la poco buona riu- scita del bestiame lanuto, gli preferisce le capre. Queste vogliono minori cure , è verb. Queste pascolano luoghi impraticabili alle vacche ed anche alle pecore. Ma i guasti che cagionano in ogni sorta di poderi sono sì gravi e sì spessi, che soltanto le popola- zioni più ostinate nelle pessime e sciocche abitudini possono ge- neralmente parlando preferirle alle pecoré. Intanto nel Vallese!, nei Grigioni, nel Cantone Ticino ed in alcuni altri luoghi della Svizzera il numero delle pecore trovasi inferiore a quello delle capre. Ma in altri la bisogna cammina ben altramente. Così nello stato di Soletta le pecore stanno alle capre come 3 ad 1, in quello di Neuchatel come 4, in quello di Vaud come 5. Ci ha distretti dove s’è compresa così bene la incompatibilità del gregge caprino con una buona agricoltura, che n’è stato del tutto sbandito. Que- sto accadde pure in alcune comuni del Cantone Ticino. La razza delle pecore svizzere è quasi dappertutto così trista come n'è bella quellasdelle vacche. Le nostre pecore son picco- le. Danno latte in quantità così tenue che non se ne tiene cunto. La lana è corta e poco fina. In alcuni siti si procacciò di miglio- rare le pecore indigene con l’ introduzione di quelle di Spagna. Ma la cosa non riuscì dappertutto. Qui non lo comportava la ri- : Z gidezza ‘e incostanza delle stagioni ; là non erano bastanti negli nomini le cure e le ‘cognizioni. Con tuttociò ne’ Cantoni di Gi- nevra, Vaud, Neuchatel ed in qualc e altro , il tentativo non sortì cattivo esito (pag. 145-46). Pari alla cura che pongon gli Svizzeri nell’allevare il bestiame si è l’ industria loro nel manipolarne i prodotti. I formaggi, i butirri, e Ie altre specie di latticini servono ad alimentare buona parte della popolazione, e forniscona alcuni articoli di esportazione all’ estera. I prati della Svizzera nutriscono de’ cavalli nè belli, nè vivaci , ma forti ed atti a sostenere la fatica. ‘Quelli del cantone di Glarona di due o tre anni si vendono tre in quattrocento franchi, e sono aneo assai ricercati per la loro forza i cavalli friburghesi . Gli asini ed i muli son scarsi pel rigore del clima; di maiali ve n’è piuttosto ab- bondanza; di api e di pollame non può dirsi che vi sia dovizia. Da quanto s’è ricordato intorno al clima del territorio svizzero (così l’ Autore entra a parlare dell’ agricoltura ) 'tor- na chiaro a chiunque, in alcune parti di esso doversi dir nul- la l'agricoltura, in altre poco importante , in altre mediocre- mente. Ci ha più e più regioni abitate della Svizzera dove il più industrioso abitatore suderebbe e faticherebbe indarno lavorando il terreno. Sono pressochè tutte quelle che giacciono a più di 4000 piedi di elevazione. Ma ve n’ha poi troppe altre le quali per es- sere produttive non richiedono altro che lavori ed industriosi abitanti . Di queste n’ ha il Vallese, n’ha il Ticino, ne hanno in grande estensione i Grigioni, ne ha Glarona, ne ha l’Unter- wald, e ne hanno più distretti di altri cantoni. Ma perchè le si lasciano a pascolo , o si godono in comune , si vede che non danno poi la quinta parte dei prodotti che certamente somministrereb- bero quando fossero coltivate. Quantunque adunque abbia l’agri- coltura fatto di molti progressi in Isvizzera e aumentato di molto i prodotti del terreno , egli è fuor di dubbio che potrebbe farne ancora di più considerevoli, e dare ancora più. I luoghi dove essa trovasi maggiormente avanzata sono i nove cantoni di Zurigo, Soletta, Sciaffusa , Basilea, Argovia, Thurgovia, Vaud , Neuf- chitel e Ginevra, ed alcune parti del Bernese, del Lucernese , del Ticinese , del San Gallese e del Friborghese. Non potendo noi affermar nulla di preciso intorno ai varii 8 metodi di coltivazione che sono in uso nelle varie contrade sviz- zere, ci asterremo dal farne parola. Passeremo dunque subito a’ prodotti dell’agricoltura. Il riso non è grano che possa reggere al clima svizzero. Il granturco viene in più di un sito, a cagion d’esempio nelle più basse valli del eantone Ticino, in qualche distretto de’ Grigioni e di San Gallo, in qualche luogo del Fri- borghese. Il frumento fa dappertutto dove prospera il gran turco, e di più nell’ Argovia, nel Zurigano , nel Ginevrino, nella por- zione meno montuosa del Vodese e del Bernese, e per ultimo ne’ territorii di Basilea, di Sciaffusa e Thurgovia. Ma in varii piani della Svizzera tedesca , si coltiva invece del frumento la spelta , specie di grano manco pregiata, ma che dà pane bian- chissimo. Là: dove il terreno si alza e diviene troppo inclinato e troppo ventilato e più freddo ; la coltivazione del frumento cede il posto a quella della segale. Questa prospera sino alla elevazione d’intorno a 4000 piedi. Egli è vero che quivi riesce di grano minuto, ma circa 1000 piedi più sotto le raccolte della segale sono sott’ ogni aspetto bellissime. In Isvizzera è molto conside- revole la coltivazione dell’ orzo e in piano e in monte. Alcunî ne fanno pane insieme con segale, od aîtro , ma non riesce bene. I più lo adoperano a fare una minestra ch’ è sana e nutritiva. I grani minuti, siccome il miglio; il panico, ec. ‘non si raccolgono in quantità considerevole nella Svizzera, dove sono poche le con- trade che hanno il bene di poter fare le «loppie raccolte. Si è già detto più d’ una volta, che il territorio Svizzero è in generale poco acconcio alla produzione de’ cereali , e che una tale qualità deve attribuirsi non tanto alla lunghezza de’ ver- ni, la quale sebbene sia di sei, sette ed anche otto mesi in più vallate del nostro paese , non eguaglia però quella degl’ inverni di Svezia e d’ altre terre boreali, peraltro copiosissime di biade. È Yinstabilità del caldo durante la bella stagione quella che debb'essere principalmente accusata della poca attitudine di molte regioni svizzere a dare buone messi. Ora vengono le brinate , ora ci sorprendono le pioggie lunghe e dirotte in giugno , ora la gran- dine devasta i seminati, ora la stessa neve discende ne?’ più ele- vati luoghi ne’campi di biade, avanti che ne sia fatta la rac- colta, e fa enormi guasti. In una regione, com’ è gran parte della Svizzera, dove si semina il grano in agosto , in settembre ed in ottobre, e non si miete che nove, ‘dieci ed anche undici mesi dopo , a quanti mali eventi non rimane egli esposto! Non ostante tutte queste cose la coltivazione dei cereali in Isvizzera è ben lontana dall’essere giunta a quel termine che le 9 ha circoscritto fra noi il clima o la natura. La bontà de’ pascoli, la vita pastorale, i pregiudizii degli abitatori di molte contrade contribuiscono a ciò. Vedendo i nostri maggiori che coll’ allevare buon bestiame , condurlo su gli eccellenti pascoli alpini, mani- polarne diligentemente i prodotti , traevano di che vivere, furono contenti di questo e non si curarono de’ faticosi lavori campestri. Crebbe la popolazione coll’ andar del tempo : il prodotto dei pa- scoli non crebbe. Bisognava dunque che si mettesse mano alla marra e all’ aratro. Ma in più e più luoghi non se ne vuol sa- pere. In più altri si fa, ma di mal animo e non quanto si con- verrebbe. I due cantoni di Lucerna e di Soletta sono i soli che pro= ducono biade in copia tale, che non solo basta al consumo degli abitatori, ma ne avanza. I cinque di Sciaffusa , Basilea, Argovia, Thurgovia e Vaud non comprano quasi più grani nelle buone annate. Gli altri quindici mancano qual più, qual meno di ce- reali , quantunque alcuni di essi, come Zurigo , Berna , Friborgo, San Gallo e Ginevra coltivino molto bene i loro campi. Anche i Grigioni , il Ticino ed il Vallese :hanno parecchie comuni che vivono del grano ottenuto da’ loro terreni, ed anche ne hanno di quelle a cui ne avanza; ma in generale i grani vi sono troppo scarsi. E si vuole che un terzo della popolazione Svizzera coltivi biade solo per quanto le bisogna in otto mesi dell’anno, un terzo ancora meno , cioè in sei mesi o poco più (pag. 154-57). Suppliscono al difetto de’ cereali i legumi, le frutte, i latticini, e soprattutto le patate. La carestia del 1770 ; le disgrazie del 1799, e la fame del 1817 fecero aumentar di molto la coltivazione delle patate. Notisi poi che ciò fu quasi dappertutto senza recar diminuzione del grano che dapprima si otteneva. Perciocchè furono le patate poste in vecchi e meschini prati che vennero a tale effetto dissodati. Intanto sono cresciute a dismisura in tutta Svizzera le famiglie che più non comperano grani. E la Svizzera intiera con tutto l’aumento di popolazione avvenutovi da circa 70 anni in poi è ben lontana dal comperare ora fuor del paese tutto quel grano onde bisognava molti anni addietro. Oltre di che giova sperare che una migliore maniera di coltivare i terreni di piano e di monte, particolarmente nel Vallese , nel Ticino, ne’ Grigioni ed in tutti cantoni piccoli delle Alpi, contribuirà a scemare ancora di più la nostra dependenza dall’ estero per questo importantis- simo oggetto (pag. 158 59). T. XXXII. Novembre. 2 ro Ho riferito volentieri quest’ ultimo squarcio intorno alle patate, perchè mi parrebbe degno della considerazio- ne di quelli che posson influire sull’ animo dei nostri mon- tanari. Le patate, molto coltivate presso di noi negli anni di carestia, oggimai si valutano poco o niente, e moltissimi sono quelli che più non si curano di seminarle. Sul mer- cato non sì vendon quasi niente; e gli stessi montanari preferiscono comprare il gran turco al nutrimento egual- mente sano delle patate, che potrebbero raccogliere nelle terre che non son buone alla produzione de’cereali. Que- sta trascuratezza, che potrebbe riescir sommamente danno- sa, muove dal non essersi introdotto appo di noi l’uso di valersi delle patate per ingrassare il bestiame bovino ed i maiali, siccome da tempo antichissimo si pratica nella Svizzera. Se qualche padrone illuminato, col suo esempio contribuisse ad accreditare quest’uso fra noi, ne seguirebbe un grande aumento di produzione nel regno animale; ed i montanari si riserberebbero sempre una gran risorsa per le annate di carestia. La cosa meriterebbe di essere tanto più considerata in quanto che è raro che rello stesso anno si combini il pieno del gran turco e della farina, comec- chè Ia stagione che giova all’ uno spesso nuoce all’altro. Ma molti contadini oppongono che l’ ingrassare le bestie a patate dà loro un grasso floscio , e che la coltivazione delle patate nuoce alla farina; non so peraltro che queste obiezioni si appoggino sopra alcuna ben diretta esperien- za, o sopra alcuni ragionamenti a priori. Comunque la cosa sia, meriterebbe di esser ben esaminata in un tempo in cui tutto sembra annunziare un imminente rincaro de’ prezzi de’ commestibili, Ma torniamo alla Svizera. Nelle arti e ne’mestieri come nella agricoltura si scor- ge gran differenza da un cantone all’ altro ; in un luogo tu vedi abbondanza ed in un altro somma penuria, Fa- vorevolissimo all’avanzamento dell’ industria svizzera si fu il XVI secolo. { protestanti che fuggivano la persecuzione portavano in quella terra d’asilo le arti della Francia e dell’ Italia, ed i nazionali pieni di nuovo vigore a tutta possa si davano a render prosperosa la patria. Dannosi in 11 vero all’ industria svizzera riescivano i regolamenti proi- bitivi adottati dalle potenze limitrofe, ma la perseveranza della nazione seppe vincere gl’ impedimenti che venivan di fuori. La Svizzera dà tele di diverso genere, carta , se. ta, stampe, cappelli di paglia, lavori d’ oro e d’ argen- to, e gli stessi contadini spendono il tempo che sopravanza all’ agricoltura in qualche specie d’ industria. Ginevra, Neufchatel , Basilea e Zurigo portano il vanto su tutti gli altri cantoni ; Berna è rinomata per la sua polvere da schioppo superiore ad ogni altra ; un avviamento ai pro- gressi dell’ industria si scorge nei cantoni di Schiaffusa , San Gallo, Glarona, Appenzello ( Rhodes Esteriori) Aar- govia e Thurgovia ; di un importanza men che mediocre sono le manifatture di Zug, di Friburgo, di Soletta, dei Grigioni , del Ticino, di Vaud , e del Vallese ; mancan quasi dei mestieri necessari Lucerna, Svitto, Unterwald. Prima della rivoluzione francese l’arte tipografica era un ramo d’ industria importantissimo per Ginevra e per Basi- lea; ma poichè la Francia ha acquistato la libertà della stampa, è convenuto rivolgersi ad altri mezzi di guada- gnare , e questi non sono mancati alle popolazioni intel- ligenti ed industriose de’ rammentati cantoni. Si fabbricano annualmente a Ginevra, (secondo il Dep- ping), circa 70,000 orologi, de’ quali, 65,000 in oro. Di que- sti ultimi poi la metà sono da donna, il quarto. a ripetizione . Vi ha fabbriche di quadranti d’ orioli, di elastici, di spirali, di catenelle. I quadranti sopratutto hanno grande smercio al- l estero. L’arte del gioielliere, antica essa pure e florida in Ginevra ; vi accrebbe del triplo le sue produzioni dopo il 1789 e portò i suoi lavori ad un altissimo grado di perfezione . Co- mecchè il numero degli oriolai, de’ gioiellieri e degli orefici non arrivi più che a 2800, mentre eccedè ‘altre fiate i 4000 j pure la mano d’opera vi s'è talmente raffinata per l’ invenzione delle maechine , che i lavori d’ oggidì sono maggiori di quelli d’altra volta. Gli operaii ginevrini impiegano annualmente circa 57,000 once d’oro, 5000 marchi d’ argento , pietre fine e perle pel va- lore di 240,000 franchi. Dall’ arte dell’ oriwolaio e del gioielliere in fuori, non erano mestieri liberi in Ginevra prima della rivo- luzione. Posciachè tutti vi sono diventati liberi ; il numero degli 12 operaii s'è moltiplicato , la mercanzia divenuta migliore. Vi si è stabilito gran numero di lavoratori di latta , ombrellai, ec. L’an- tica concia di pelli è andata in decadenza, ma la fabbricazione dei panni e quella d’ indiane vi sono prospere. Dopo introdotti li merinos , la manifattura delle stoffe di questo nome e degli scialli arricchì Ginevra di novello fonte di lucri (pag. 193/. La libertà d’industria generalmente vincolata nei can- toni di Svizzera avanti Ja rivoluzion francese, al presente è quasi per tutto riconosciuta. Peraltro il Cantone di Ba- silea conserva tutt'ora i corpi d’arti e mestieri e l’uso an- tico delle matricole. Un altro miglioramento economico , portato dalla ri- voluzione francese nella Svizzera, si è la libertà del com- mercio interno fra i diversi cantoni. Prima di quel tempo non era raro vedere un cantone proibire l’ esportazione de’ cereali dal proprio territorio, o proibire l’ introduzione delle merci degli altri cantoni, secondo che credeva più conveniente alle sue vedute strettamente municipali. L’at- to di federazione del 18,4 che unisce al presente gli Sviz- zeri contiene la stipulazione della libertà del commercio interno della Svizzera, ma alcune piccole infrazioni si son già fatte sentire; tanto è difficile sradicare a pieno pre- giudizi inveterati | L’ importazione delle ‘merci straniere in Svizzera è gravata di piccolissimi dazi, abbenchè le potenze limitrofe non trattino gli svizzeri colla stessa equità. Su di che giova assai riferire quanto ne dice l’autore, . + « + Esorbitanti dazi equivalenti le più volte a reali proi- bizioni, i cantoni svizzeri non imposero quasi mai. Ma le potenze limitrofe operano ben diversamente colla Svizzera. Quasi tutte chiudono l'ingresso alle nostre manifatture. Alcune, l’ Austria particolarmente, impongono gravissimi dazi anche ai formaggi , ai bestiami, ec. Si vogliono costringere i sudditi a far venire molti oggetti da lontane parti della monarchia piuttosto che lasciare ch’ei li comprino a miglior mercato e di miglior qualità dagli svizzeri. In fine dei conti però di chi è il danno maggiore ? De'po- veri sudditi, risponde chi sa. — Sentiamo il sig. Zellwegher , che in un passaggio del ‘suo rapporto dell’ anno scorso al Cantone Direttore della Svizzera si esprime così: « Intantochè tutti gli 13 » sforzi dei governi limitrofi tendono ‘ad escludere i prodotti » stranieri al fine di proteggere le loro manifatture , in veruno » dei vicini paesi ha l’ industria fatto progressi tanto sensibili ed 3) in proporzione tanto grandi come nella Svizzera. Tali fatti pro- »» vano meglio che non le teorie, la sola libertà del commercio , » più estesa che sia possibile, favorire la ricerca e l’impiego di »» nuove maniere di spaccio, e così dover la Svizzera stabilire » per massima statuale di non lasciarsi mai strascinare a rappre- » saglie contro le proibizioni de’ suoi vicini. ...... La miglior » vendetta che noi possiamo fare delle loro vessazioni si è di » accordare tutte le possibili facilità al commercio, e di tor via » tutti gli ostacoli, di scemare le spese di produzione, e di per- » fezionare i nostri prodotti in guisa di poter reggere a qualun- » que concorrenza. » — Sinora gli svizzeri che , veduti gl’ im- pacci frapposti al loro commercio dalle vicine potenze , seppero meglio porsi in relazione con lontane e mantener più viva la loro industria sono stati quelli di Zurigo, di Glarona, di Basilea, d’ Appenzell-Rhodes-Esteriori , di San Gallo, d’ Argovia, di Neufchàtel e di Ginevra (pag. 211-:2). Restaci a pregare i buoni Svizzeri perchè non gridino tanto contro le importazioni crescenti, non si sfiatino a raccomandare l’ aumento delle esportazioni, non si adirino troppo contro quelli che comperano dal forestiero piuttosto che dal nazionale, nè per ultimo s’ affatichino a formare associazioni per impedire l’ introdu- zione di questa o di quella merce straniera. Quello ch’ ei non de- vono mai perdere di vista si è di contribuire a far sì che i nostri producano più di quello che consumano. Così la nazione prospe- rerà. Così appunto arricchiscono le famiglie: così arricchirà la grande famiglia svizzera. Cacciamo in bando l’ozio e ciò che porta ad esso, siamo laboriosi e temperanti, e tutta la bilancia sarà in nostro favore, ed in proporzione di ciò saremo superiori ad altre nazioni sommamente favorite dalla natura (pag. 219). Non starò qui a diffondermi molto sugli articoli di ‘importazione e di esportazione del commercio svizzero , . perchè il lettore gli può facilmente raccogliere dalle cose che sono andato discorrendo di sopra. Noterò piuttosto ron esser disprezzabili i vantaggi che gli svizzeri ritraggono pel transito delle mercanzie straniere pel loro territorio , e pei servigi e per gli alloggi che prestano al gran numero di fore- stieri che vanno a visitare quel tanto celebrato paese. Questi profitti che per una nazione ricca e grande sarebbero di 14 poco momento , non son da tenersi a vile da una popola- zione laboriosa sì, ma che occupa un suolo che corrispoa- de alle cure dell’ uomo men largamente che nella maggior parte d’ Europa. Potrei qui terminare l’articolo in poche parole sé, ol- tre le condizioni economiche della Svizzera, non inten- dessi porre sott'occhio ai lettori i dati per argomentarne lo stato morale. L’opera del Franscini ci conduce anco in questo punto di ricerca ; ma poichè abbiamo maggiori dati per discorrerne ci prenderemo un poco. più di libertà. Le osservazioni intorno alla statistica della popolazione servono naturalmente di termine di connessione fra le no- tizie risguardanti la pubblica economia e quelle che diret- tamente servono a comporre il quadro dello stato morale di una nazione. Diversi di origine , di lingua e di religione, i popoli che abitano la Svizzera ci offrono delle varietà singolari meritevoli di attenzione. Qua vedi cultura d'animo , pu- litezza della persona, coraggio, industria, e là superstizione, scioperatezza, ed una stolta resistenza ai miglioramenti del vivere che i lumi del secolo additano a tutte le classi della società. Uno scrittore che volesse appoggiare un sistema o politico o religioso coi fatti che somministra la Svizzera, il potrebbe facilmente se, limitandosi a considerare la po- polazione di un luogo o di un altro, ne volesse trarre il ca- rattere generale, Tale era il procedimento di molti che nel passato secolo o esaltaron troppo , o troppo depressero il carattere morale degli svizzeri. Però giudizi inconciliabili fra loro si pronunziarono intorno a quella nazione. Molti che per esaltazione di mente eran partigiani delle forme repubblicane, figurandosi che dei cittadini liberi dovessero essere degli eroi, ed oltre 1’ incanto della libertà poc’altro dovessero stimare , rimanevano offesi nel vedere tanta fa- cilità di emigrazioni fra gli svizzeri , tanta docilità a sot- tomettersi a chi comanda in nome della legge, tanta avi dità di guadagno, e nel tempo stesso tanta ostinazione nel mantener gli antichi pregiudizi. Quelli per lo contrario che, poco o nulla curandosi dell’ ordine pubblico, tutte le 15 loro mire rivolgevano all’interesse privato, citavano i fre- quenti tumulti di alcune città della Svizzera o collegate con essa, per provare gli ordini repubblicani esser contrari alla felicità degli individui; mettevano in ridicolo certo far democratico che agli uomini avvezzi alla corte parea un far grossolano ; e traendo argomento dai falli d’aleune poche donne che all’ esterno pareano di morale severa, ne inducevano il rigore de’ costumi in Svizzera anzichè natu- rale onestà esser piuttosto l’ arte di parere onesti. Ognuno giudicava del tutto secondo le poche parti, che avea ve- duto , ed ognuno vedeva quelle parti soltanto che favorir potevano le opinioni già fissate @ priori; pochissimi poi tenevano a scorta de’ loro giudizi quell’ osservazione pro- fonda del Machiavelli che gli uomini non sanno essere nè in tutto buoni nè in tutto cattivi. Da che il tempo di esperimentare le teorie è giunto a disingannare il mondo, le scienze morali si son cominciate a ridurre ai loro veri metodi, vale a dire all’ osservazione ed al calcolo razio» nale de’ fatti ; ed oggimai la statistica può adoperarsi a dissipare i giudizi precipitati ed incompleti sul morale di una nazione. ro; La dieta del 1812 valutò sommariamente la popola- zione svizzera 1,687,000 abitanti; ma dai ceasimenti poste- riori si può argomentare che al presente ascenda a 1,916,000 individui. Prendendo la Svizzera in massa avressimo 40 abitanti per kilometro, il che equivale a 130 per miglio italiano, Ma da un cantone all’ altro vi è una grandissima differenza. Nel cantone di Ginevra, a cagion d’esempio, la popolazione è di 180 individui per kilometro , mentre nel cantone di Uri se ne contano undici soltanto . Il diverso grado di fertilità dei due territori , e l’ attività d’ indu- stria nel secondo , spiegano facilmente 1’ enorme differen- za » Enormi differenze da un cantone all’ altro si scor- gono nelle proporzioni della popolazione cittadina , de- gl’ impiegati e degli ecclesiastici colla massa totale della popolazione. Ma riflettendo quali grandi differenze esista- no fra i cantoni sì nel governo civile o religioso sì ne’ mezzi di sussistenza , si capisce esser inutile cercare su que- 16 sto proposito una media proporzionale, Le proporzioni delle nascite e delle morti sono in generale le stesse che in Francia; solo è da osservare che la mortalità degli infanti in Svizzera suol esser maggiore, perchè in molti luoghi non ha ancora gran credito l’ innesto vaccino, e lontana dal livello del secolo si mantiene 1’ ostetricia, Il che , se non fosse compensato dai cantoni ne’ quali si pon maggior cura che nel resto d’Europa a queste pratiche salutari, da- rebbe una mortalità d’infanti e di puerpere maggiore che in ogni altra nazione incivilita. Volendo descrivere l’ esser fisico-morale della popola- zione Svizzera di campagna, conviene distinguere i monta- nari dagli abitanti delle valli. Ne' montanari e ne’ pastori tu yedi degli uomini ro- busti , capaci di portare 100 e 120 kilogrammi di peso, di belle carni , alti cinque in sei piedi, e prolifici molto. Alla forza del corpo va congiunta una certa svegliatezza di mente, una certa accortezza che suole esser quasi sem- pre caratteristica delle popolazioni di montagna. Delle montanine giova intender ripetuto quello che si dice de- gli uomini, e son frequenti fra loro gli esempi di quelle che per ben 25 anni durano ad esser capaci di generar figli sani e robusti. Ma gli abitatori delle valli umide e poco rischia- rate dal sole sono fiacchi e brutti della persona , tardi di intendimento , e spesso afflitti dal. gozzo e dalla sordo» mutità, Nel cantone di Berna si stima che sopra trecen- to persone vi sia un sordo-muto. Peggio si è nel Basso Valese. « + « + + Ivi scorgi enormi ed orridi gozzi, fattezze sconce , apatia ed imbecillità quasi estreme. Ivi miri gozzuti che appena sanno articolare de’ suoni confusi e dispiacevoli. Le loro fattezze sono pressochè senza vita, gli occhi appannati, le carni fiacche e scolorite , lo sguardo stupido , l’uso della ragione nullo o quasi nullo: per giunta di miseria sono la più parte sordi-muti. Amano il calore, e soprattutto quello del sole. Ond’ è che durante il bel tempo si vedono rannicchiati senza moto fuori delle case la più parte del dì. Sono quasi tutti incapaci di guadagnarsi il pane colle loro mani, e vengono sostentati dalle altrui carità. Esistono I degradazioni nella ‘stupidità e nella miseria di tali Pat ma quelli in cui queste sono nel massimo grado ; possono chiamarsi inferiori agli stessi bruti. Tu non li puoi guardare senza sentirti commovere da ribrezzo e da pietà. Anche nel Vallese gli uomini hanno fatto ben poco per alleggerire le calamità di tali creature. Vi ha per sino luoghi dove 1’ nomo superstizioso si guarderebbe dal fare il minimo che per mutar la sorte di cotali persone. Ma pure da qualche tempo in qua il numero di queste va sceman- do. A ciò contribuisce la maggior nettezza delle case, la vita più attiva, ed il costume introdottosi qua e colà di far allevare i fi- glinoli in luoghi di montagna e di aria sana. A ciò gioverebbe pure non poco il non permettere sì di leggeri il matrimonio a persone , la cui fisica costituzione appare viziata (pag. 100-1). I governi di Berna e di Ginevra hanno fondato in questi ultimi tempi degli stabilimenti per i sordo-muti, Zurigo ne ha uno più antico , e nel cantone di Vaud il signor Nàf si prende una special cura di quest’infelici, pei quali ha fondato un istituto che stà sempre sotto la sua direzione. Dopo questi primi tratti sulle condizioni morali dei popoli della Svizzera dipendenti in gran parte da cause fi- siche, è d’uopo discorrer più a lungo della morale della nazione. Havvi un certo spirito di economia, di libertà e d’industria che sembra esser carattere comune dei popoli della Svizzera. Le diversità che si scorgono nell’ intensio- ne di queste abitudini morali fra le popolazioni de’diversi cantoni movono dal diverso grado di educazione, dalla diversa forma di governo, e dalle diversità nei mezzi di sussistenza. Nei cantoni ne’ quali la popolazione vive prin- cipalmente dell’ industria delle manifatture, coteste abitu- dini sono più forti e più sviluppate che in quelli ne’quali prevale l’ agricoltura o la pastorizia. Il viaggiatore Simond (Voyage en Suisse et en Savoye) su questo proposito ha raccolte molte osservazioni meritevoli di attenzione ; esso sembra inclinato ad attribuire a cotesta cagione quel mo- vimento morale che si scorge in Ginevra maggiore che in tutti gli altri cantoni, e l’irrequietezza de’ ginevrini nel passato secolo che in tempi di pace dette molto a discor- rere ai novellisti di Francia. T. XXXII. Novembre. 3 18 Si loda generalmente negli svizzeri un certo fare se- condo coscienza, una certa lealtà nell’ osservare la data fede , molto valor personale nei pericoli della guerra, e } amor di patria che conservano grandissimo quando anco per ragioni di commcrcio ne sieno lontani. Son buoni ge- neralmente i costumi, raro il celibato, osservata la fede coniugale , e forte la sanzione dell’opinione pubblica su tutti i punti di morale condotta che risguardano l’ordine delle famiglie. Ma i lettori ngn si dieno a credere che man- chino prostitute, che manchino donne adultere; noi non abbiamo voluto dir questo, diciamo bensì esser gli adulterii assai rari perchè non lodati, perchè sono ignote quelle pratiche che tendono a fomentarli. Perocchè lo stato del- l’ opinione pubblica , siccome quello che molto influisce sull’ immaginazione, può servire a temperare ed accresce- re quei desideri che trascinano un sesso a voler godere de’ piaceri che può 1’ altro somministrare, Siechè se l’opi- nione pubblica colla sua sanzione reprime i trascorsi con- tro il buon ordine delle famiglie , essi si riducono a quel minimo possibile che a forza umana non è dato impedire; se poi essa si mostra o favorevole o indifferente l’ imma- ginazione affretta il corso della natura, ed anticipatamente si disperdono le forze degli individui perchè è stata semn- pre iguota l’ economia del piacere. So che il modo con cui i matrimonii si fanno, molto influisce sulla felicità che gli uomini ritrovano in seno della famiglia . Dove gli interessi pecuniari o un abuso di potestà domestica li stabiliscono, ivi è raro che si mantenga fedeltà coniugale, e perchè minori sono i rimproveri della coscienza per la rottura di un legame a formare il quale non concorse la libera scelta , e perchè il matrimonio in tal modo fer- mato non sodisfà ancora pienamente a quel bisogno di amore che o più presto o più tardi si fa sentire prepoten- temente in tutte le persone. Felici sono i paesi ne?’ quali può esser praticata la libertà de’ matrimonii, disgraziati quelli come il nostro ne’ quali con tutta ‘la buona volon- tà possibile sarebbe difficilissimo e per lo più pericoloso mettere in pratica cotali dottrine ! La Svizzera generalmente La6) parlando è nel novero dei paesi ne’ quali i matrimoni si fanno per amore, e l’amore trattiene il corso della sco- stumatezza nella gioventù , siccome è gravissimo ostacolo all’ infedeltà nel matrimonio, Pure nèi cantoni aristocra- tici cotesta osservazione patisce molte eccezioni. Le con- venienze politiche e di famiglia han molta parte nell’ | accordare i matrimonii, e per gli stessi motivi non è ra- ro colà il celibato. Ma vi è una tal furza nell’ opinione pubblica, che ad onta di cotèste cagioni di vizio, mantiene i costumi buoni quanto nei cantoni democratici, Mà quali sono gli argomenti che rinforzano la pub- blica opinione? l’istruzione delle donne, e la parte che han- fio nel governo della casa maggiorè che presso di noi non siamo soliti accordare. Con cotesti due mezzi l’attività na- turale del sesso è rivolta ad un fine vitile, e dalla stessa vanità femminile si trae un mezzo alla prosperità delle fa- miglie. Sarebbe da desiderare che i padri ed i mariti anco in Italia sì persuadessero di queste verità, comprova- te ormai dall’ esperienza della Svizzera ‘e della Germania, perchè questa è forse l’ unica via che ci testa apertà al miglioramento de’ costumi, Se a rincalzare Ja mia opinio- ne ‘dovessi citare un’ autorità rammenterei 1’ immortale Goldoni, che in molti luoghi delle sue commedie mostra essernè persuaso. Ma già questa persuasione comincia a farsi generale, ed a lei dobbiam forse in gran parte attri- buire quel notabile miglioramento ne’costumi che dai tem- pi del Goldoni ai nostri appar mani festo. Dalla morale che risguarda le relazioni civili o do- inestiche delle persone , fa mestieri passare alla morale religiosa. Essa è dove più dove meno rigida, secondo le diverse forme di culto che si sono adottate, e secondo il grado della civiltà che più volte abbiam notato differire assai da un cantone all’altro della Svizzera. In generale peraltro può dirsi, esser gli svizzeri osservantissimi della religione che professano, sino a tal punto di serupolosità che appo gli altri popoli moverebbe talvolta il riso di molti poco avvezzi a considerare le cause segrete che determinano la convinzione degli uomini. S’itluminino se si può gli svizzeri so rozzamente superstiziosi, si ammoniscano quelli inchine- voli al misticismo che toglie la tranquillità dell'animo e turba la quiete delle famiglie, si prevengano i semplici contro le seduzioni dell’ intolleranza e del fanatismo, ma un sentimento dettato dalla coscienza non si derida giammai, Conciossiachè quelle ragioni stesse che persuadono non doversi adoperare i supplizi per propagare o per difendere un’ opinione, convincono esser contrario alla giustizia ed alla prudenza offender coll’ armi del ridicolo quell’ uomo che seguendo i dettami della propria coscienza può per av- ventura errare, ma per certo non ci toglie alcuno de’ no- stri diritti. Lode sia agli svizzeri che divisi essendo da re- ligioni nemiche han saputo conservare la pace ed il vin- colo di carità. Non voglio dire per questo che nel XVI secolo e nel XVII non fossero anco colà guerre di religione, ed atti di disumana intolleranza; ma confrontando la loro sto- ria con quella di Francia, di Spagna o di Fiandra, sarà facile rilevare dove i vincoli di carità fosser men violati. Al presente poi in alcuni Cantoni fra’quali Ginevra havvi libertà di coscienza, in tutti tolleranza, A° nostri giorni , che la tolleranza religiosa ha molto guada- gnato con altrettanto vantaggio per la Confederazione , si è tentato più fiate di conchiudere un concordato , che abolisca la perdita della cittadinanza comunale e politica per cambiamento di religione. Ora quantunque la intolleranza venga così di spesso rimproverata a noi Cattolici, pure non è nostra colpa se la bramata convenzione non si ottiene , essendo il Cantone di Berna quello che s’ ostina a ricusarla. Giova però sperare non lontano il tempo in che vedremo sparire ogni resto di quell’ amarezza , onde sono stati lunga pezza animati per loro comune sciagura e Cattolici e Riformati ( p. 443). Si calcola che 770,000 sieno i cattolici ed 1,156,000 i riformati nella Svizzera, e così che la chiesa romana abbia due quinti della popolazione , e tre quinti appar- tengano alle chiese protestanti. Confrontando la ricchezza delle popolazioni delle due comunioni, la riformata si tro- va molto superiore. Ciò si rileva patentemente osservando la tavola nella quale si espone qual sia la paga giornaliera che i diversi cantoni devon dare ai soldali dell’ esercito 2I federale, la quale è stata fissata dalla dieta avuto riguar- do. alle condizioni economiche de’ cantoni che la doveano somministrare, Son poi molti che muovon gran rumore contro le capitola- zioni colle quali i governi svizzeri son soliti mandare reggi- menti a servir potenze straniere.Un cittadino libero, dicon essi, non si dovrebbe vedere al servizio dei re assolati armato contro la libertà de’popoli, nè un uomo che abbia patria dovrebbe vender la propria vita pel servizio di una potenza stranie- ra. Contro queste obiezioni, che forse hanno più del poe- tico che del politico, rispondono i prudenti, provvedersi in tal modo alla sussistenza di una sopetchiante popolazione, mantenersi delle buone relazioni di amicizia colle poten- ze vicine, addestrarsi i cittadini alle armi senza dispendio . della patria. Queste ed altre ragioni si son sempre addotte dagli svizzeri per giustificare il loro inveterato costume j; pure sino dai tempi della riforma religiosa non si è cessato di declamare. Zwinglio corse pericolo d'esser messo prigione per aver detto esser cosa singolare , che gli svizzeri i quali riguardavano come peccato il mangiat carne la quaresima si permettessero poi vender la carne umana ai principi stranieri. Ma poco tempo dopo il cantone di Berna nel ce- lebre editto col quale professò la religione riformata si ‘espresse in questa sentenza. ‘ Gli stipendi dei principi e 33 de’ potentati nel modo con cui sono stati finora conse- »» guiti sono abominevoli al cospetto di Dio, ed affascina- a no È cuore degli uomini in modo che le loro sentenze PE i loro consigli si rendono sospetti, e la magistratura », eccita la diffidenza del popolo , dal che spesso ne è de- », rivata la ruina di regni di città e di paesi. In vista di », Ciò e per allontanare sì fatte sventure, per serbarci nello 3» Stato di pacifici cristiani, per evitare le perdite sofferte », ed i rimproveri meritati in passato nell’incontro de’quali LI » è stato l’enor nostro malmenato, e per evitare ancora la »; collera divina, noi abbiamo renduto perpetuo il pre- »» sente editto giurando a Dio di mantenerlo eternamen- » te. ,, Posteriormente in una dieta tenuta se non sbaglio 22 nèl 1545 il cantone di Berna fece intendere ai swioi col- legati ‘ che siccome i signori di Berna avevano per la »» grazia di Dio abolito questo traffico vergognoso, deside- ss ravano che gli altri cantoni facessero altrettanto per la » gloria di Dio e pel bene di tutto l’Elvetico corpo.,;, La proposta fu accettata dai protestanti e rigettata dai cattolici, forse in odio di chi proponeva. L’abolizione delle capitolazioni non comprese però mai i soccorsi da prestarsi alle potenze ini forza dei trattati di lega difensiva (*). Ma queste leggi fatte per entusiasmo religioso rimaser poi in- osservate tostochè venne meno la cagione , e basta leg- gere il dritto pubblico europeo di Mably o la storia della diplomazia francese di Du Flassan, per vedere quanto le ca- pitolazioni degli svizzeri fosser frequenti colla Francia e coll’ Italia sino ai tempi della rivoluzione, Dipoi il per- fezionamento degli ordini civili e militari ha fatto cono- scere a molti stati esser contrario alla sana politica 1’ as- soldar truppe straniere ; ciò non pertanto anco al presente gli svizzeri che servono all’ estero ammontano a 15 mila. Se ad onta di tanti discorsi dei filantropi l’uso delle ca- pitolazioni persevera pur sempre, convien ricercare se vi sia realmente una ragione di utilità che lo manitengaà. Il perchè ne pare degno di lode il Franscini che ha saputo afferrare questo punto della discussione . Facile si è oggi mai il convenire esser di ben poco momento il vantaggio, che pur molto valutavasi una volta, di tenersi eare con questo mezzo le potenze vicine. Pereiò l’utilità economica, e morale , e militare-sonv i soli punti di vista ne’ quali va considerata la questione. E sotto questi diversi aspetti sembra al Franscini potere asserire esservi danno econo- mico per la Svizzera nelle capitolazioni, perchè i soldati se ne ritornano in patria dopo cinque o sei anni di servizio senza pensione, disadatti al lavoro , e gli uffiziali nel tem- po che servono han bisogno di esser sovvenuti di buoni sussidii dalle loro case per mantenersi con decoro; esser-/ (1) Vedi Mallet Du Pan, Storia delli Svizzeri, parte IlI cap. III, IV e VI p- 244, 257 e 371. 23 wi poi danno morale, perchè 1’ amore della libertà vien meno , e molti riportano nelle repubbliche dei pregiudizi che mal si convengono alle foggie di reggimento civile adottate in Svizzera. Ma sia siel punto di vista morale , sia nel punto di vista economico, si richiederebbero mag- giori dati per potere assentire intieramente all’ opinione dell’autore. Perocchè mi sembra difficile, a cagion d'esem- pio, che gli uffiziali, che soglion esser nobili de’ cantoni aristocratici riportino nella loro patria maggiori pregiudizi che non avessero quando ne partirono: quanto poi ai sol- dati capisco che nel servire continuamente si avvezzino al rigore della disciplina, ma che debbano acquistare abi- tudini morali contrarie al governo repubblicano mal sa- prei adattarmi a crederlo. Pel lato economico essendo ma- nifesto, non tanto per l’uso delle capitolazioni che per le frequenti emigrazioni, che la popolazione svizzera suole eccedere i mezzi di sussistenza , non mi par poi tanto mal fondato il ragionamento de’ più che risguardano le capito- lazioni come uno de’ mezzi di sgravare la patria. Per ri- spondere a questa osservazione converrebbe conoscere in che proporzione stiano quelli che escono pel servizio, col numero di quelli che se ne ritornano in patria inetti al la- voro, e sprovvisti di paga. Finchè il rigore de’calcoli sta- tistici non sarà applicato a questo punto di ricerca , troppo facilmente un filantropo potrà rimanere illuso dagli esem- pi particolari che per avventura gli son eaduti sott'occhio. Frattanto un uso antichissimo della nazione, contro del quale le voci più generose dell’ entusiasmo scliciani sono state impotenti, non si vuol troppo Pon condan- nare. Forse il tempo in cui più non si vogliano soldati stranieri da alcuna potenza non è da noi lontano , ed al- | lora converrà agli svizzeri porre ogni arte per accrescere le fonti della pubblica ricchezza , e trovare a casa propria il mezzo di sostentare la popolazione. Peraltro se la scien- za potesse prevenire il caso della necessità , ne goderebbe il cuore ad ogni persona; ma chi sa che al nostro A. non sia riserbato il render quest’altro benefizio alla patria. L’ e- ducazione primaria del popolo sarebbe senza dubbio uno dei 24 miglior mezzi per giungere all’intento ; ma disgraziata» mente in molte parti della Svizzera su questo proposito . vi è tuttora da desiderare, mentre certe altre potrebbero offrirsi a modello alle più culte città d'Europa. Lo stesso potrebbe dirsi dell’ insegnamento letterario e scientifico che in molti cantoni è assai trascurato , in tutti imperfet- to in alcuni de’suoi rami principali, Il nostro autore mol- to si diffonde su questo argomento, ed il capitolo che ne tratta meriterebbe di esser riferito per intiero, siccome pie- no di bellissime vedute di un interesse generale. Ma per- chè conviene serbare certi confini in un artieolo di gior- nale , mi limiterò a riferire ciocchè esso dice intorno al mutuo insegnamento, I lettori potranno poi meglio sodi- sfarsi leggendo l’opera, unitamente alle lettere del Benci di sopra già rammentate. Egli è qualche tempo che si ricerca con particolare premura quale sia il metodo da preferire nella prima istruzione de’ fan- ciulti. Chiunque ha visto in più luoghi i grandi effetti del mutuo insegnamento non cessa di gridare a tutta voce, doversi abbrac- ciar questo. Con esso l’ istruzione è più spedita: è migliore : la si comparte nel tempo medesimo ad un molto maggior numero d’individui che non altramente. È vero che non fece dapper- tutto la miglior riuscita; ma fu difetto o di chi dirigeva la scuola, o di chi doveva secondarne 1’ andamento. Cosa nuova, si trasse addosso le critiche di molti, siccome appunto accadde in altri tempi a scoperte scientifiche, e non è guari all’ innesto del va- izolo vaccino. Ma voi, dirà taluno; voi paragonate la faccenda del mutuo insegnamento a cose troppo più rilevate. Può essere; ma siccome l’adottamento di un tal metodo è nelle presenti cir- costanze il solo mezzo di procacciare la convenevole istruzione a tutti gl’individui anche più poveri della nazione, così non puol aversi in vil conto. Ognuno sa che stando a’ metodi comuni , con qualunque nome si chiamino essi, un numero di 70 ovvero 80 scolari riesce eccessivo, e che quando gli allievi sono sì numerosi, la più parte di essi giungono alla fine dell’anno scolastico sen- z’ aver fatto notabile profitto. Ma col mutuo insegnamento s’istrui- scono non solo 100, ma 200, ma 300 fanciulli , ed ancora molti più se fa mestieri; e non ostante sì gran numero tutti gli allievi imparano , data eguale abilità e diligenza del maestro , più che nelle altre composte anche solo di quaranta o cinquanta ragazzi. n pri = | 25 Atteniamoci alla vecchia maniera , e le comuni dovranno o avere un maestro ogni 70 od 8o figlioli, o lasciare un gran numero di questi senza istruzione con. grave danno pubblico e privato , sic- come vediamo avvenir tuttodì , perchè la faccenda di pagare più maestri è dispendiosa e poco seguita. Ma abbracciamo il nuovo metodo, e per grossa che sia la comune, mediante un capace locale ed un solo ma abile maestro, tutti quanti i figlinoli di ambi i sessi riceveranno l'istruzione opportuna. Quest’ è una ben grande economia: ma ce n’ha pure un’altra non dispregevole , la quale viene dal risparmio annuo di 4 o 5 franchi per fanciullo in quanto ai libri, alle penne ed altri oggetti scolastici , rispar- mio che pe’ 250,000 ragazzi e ragazze della Svizzera sarebbe mag- giore di un milione di franchi all’ anno, e pe’ 12,000 del cantone Ticino sommerebbe a franchi 50,000 (pag 337). Riman per ultimo che si discorra del governo , delle leggi, e della pubblica amministrazione. Sotto questi tre ‘ aspetti la Svizzera ha guadagnato assai per la scossa ar- recatale dalla rivoluzione francese. Mi studierò di far ri- saltare le mutazioni che sono seguite, perchè dopo il ge- nerale sconvolgimento che ha agitata tutta |’ Europa. per venti anni, naturale si è la domanda quali effetti ne ab- bia risentiti la ‘civiltà. Il sodisfare a questa inchiesta è forse di maggiore importanza che altri per avventura non crede. Mi conviene supporre noto ad ognuno costare la Sviz- zera di tanti piccoli stati sovrani governati a forma di re- pubblica , i quali poi sono uniti fra loro per vincolo di federazione. Ognuno ha i propri magistrati , le proprie leggi, e quella forma particolare di governo che gli è pia- ciuta adottare; ma tutti poi sono uniti per l’esterna difesa siccome per tutti gli interessi che risguardar possono l’in- \ tiera confederazione . Quest’ ordine di cose cominciò nel XIV secolo fia i cantoni di Svitto, Uri ed Undervvalden, allorchè Alberto imperatore opprimeva quei buoni paesani per staccarli dall'impero e ridurli soggetti alla casa d’Au- stria. Una generosa cospirazione, e poi una valida resistenza colle armi, liberarono quei popoli dall’oppressione. Allora diverse potenti città imperiali, fra le quali Berna e Zurigo, T. XXXII. Novembre. 4 26 accedettero alla lega, e salve le ragioni dell’ Imperatore pei consueti omaggi e pei soccorsi militari , confermarono solennemente la loro libertà. Bella era a vedersi in quei tempi la concordia fra i cantoni, e forte per quanto si dice dagli storici il vincolo di federazione, Ma nel sesto- decimo secolo la riforma venne a porre la discordia , si corse alle armi con varia sorte, e benchè la necessità po- litica impedisse che rimanesse disciolta la lega, pure la nazione rimase in due parti divisa, e le diete si ridussero di poco momento. Peraltro , i cantoni provvedevano alla maggior sicurezza con trattati particolari di colleganza , e nel movimento generale dei paesi elvetici alcune nuove città si aggiunsero alla lega comunque non prendessero parte alla Dieta , e la Svizzera intera a poco per volta si emancipò del tutto da ogni soggezione all’ imperio. Non- dimeno la verità vuole che si‘confessi la riforma aver di- minuito di molto l’importanza della Svizzera nelle rela- zioni coll’ altre potenze. Poichè spesso gli Svizzeri di una religione davan mano a quelli che opprimevano i popoli soccorsi dai loro confederati, eran lenti ai soccorsi fra lo- ro, e macchinavano sempre, anco in danno «lel Corpo Elvetico, per acquistare nella Dieta la preponderanza alla propria parte. Sicchè la rivoluzione francese trovò il le- game federale degli Svizzeri molto indebolito. Ma vi erano degli altri guai politici che doveano mettere in pericolo l’indipendenza politica della Svizzera, 1l governo in molti cantoni ristretto nelle mani di poche famiglie privilegia- te, per tutto inclinava agli ordini dell’ aristocrazia; i che mal conveniva colle idee che da trenta anni serpeggiava- no per l'Europa ; vi era poi nei cantoni detti democratici un numeroso ordine di persone, le quali benchè nate e do- mieiliate nello stato non partecipavano della cittadinanza agli effetti politici; finalmente molti cantoni aveano delle intere comunità che tenevano a forma di provincie sog- gette. Ad onta di queste interne piaghe gli stati della Svizzera stavano in piedi perchè paterna ne era l’ ammi- nistrazione , pochissime le imposte, e molti i privilegi mu- 27 nicipali che agli stessi sudditi erano accordati. Ma sicco- me allo scoppiare della rivoluzione non si seppe nè usar rigore nè piegarsi alle necessità de’tempi, fu facile ai fran- cesi e colle seduzioni , e colle minaccie , ed infine colle armi di sconvolgere tutta la Svizzera. La fiducia di molti nella sicurezza de’ luoghi e hél valore militare. della na- zione, fece i governi scioperatamente irresoluti , Contro gente così mal preparata fu facile ai francesi la. vittoria. La quale fu seguita da persecuzioni e supplizi, ed offese nella roba e nell’ onore; castigo che parrebbe ben me- ritato da un popolo che avendo potuto non avea vo- luto difendersi, se non si sapesse che i governi ne aveano la colpa maggiore. L’onore della Svizzere vuol peraltro che si rammenti l’ eroica resistenza dei cantoni più poveri , dei cantoni che erano stati fondatori dell’ Elvetica libertà . Riescì al più forte di dettar la legge, potè dare alla Sviz- zera una costituzione simile a quella dell’anno terzo della Repubblica francese, ma perchè questa era contraria al voto de’ popoli non si ottenne mai di farla intieramente osservare. Il perchè Napoleone Bonaparte , nell'anno 1803, volendo por termine alle querele, coll’atto che si disse di mediazione ristabili le antiche forme di governo, ma rese più. forte il vincolo federale. Contuttociò, il far prepotente di Napoleone , quel suo continuo violar l’ indipendenza degli altri stati non piaceva agli Svizzeri, ed esso stesso, che non ignorava d’averli contrari, non rimase maravigliato vedendoseli nemici nel rovescio del 1813 e del 1814. Ri- tornate le cose pubbliche sotto gli antichi principi, 8Ì Vos leano ristabilire anco in Svizzera tutti gli antichi sistemi. Ma il voto de’ popoli avvalorato dall’ intervento delle po: tenze che dettevano la legge fece sì che gli antichi sud- diti fosser ridotti cittadini, e gli antichi alleati fosser parte integrale della confederazione Elvetica /1). Per tal modo, (1) V. Mallet Dupan St. degli Svizzeri. Part. IV. Cap. 3. 4. — Simond. Essni bist, Ch. XXV-XXIX. — Tschokke! Hist. de la destruction des Pepab. de Schwitz , Uri et Unterwalden (1802). \ 28 il numero de’ cantoni, da 13 che erano, è salito a 22; e 3oomila sudditi, e 5ocomila alleati si son fatti cittadini, la confederazione si è fa‘ta più forte, e molte cause di mal contento son rimaste distrutte. Alcune concessioni si son fatte eziandio alla parte popolare nei cantoni aristo- cratici, Ma queste son sempre di poco momento. Sicchè le particolari costituzioni della Svizzera son di tre specie, aristocratiche, democratiche pure, e democratiche rap- presentative, Domina l’aristocrazia ne’ cantoni di Berna , Lucerna, Friburgo e Soletta. La democrazia pura, vale a dire quella forma di governo nella quale i cittadini esercitano da sè senza il ministero di rappresentanti il diritto di far le leggi o di conoscere delle cose di stato, sino da’ più antichi tempi è in vigore ne’ cantoni di Uri, Svitto , Untervalden, Glarona, Zug ed Appenzell. In questi sei Cantoni sussiste ancora la democrazia , incompa- tibile cogli stati che siano alquanto estesi, ed in cui abbia fatto considerabili progressi la civiltà e l’ineguaglianza. Ei sono per av- ventura i soli in Isvizzera, dove una tal forma governativa possa trovarsi compatibile col buon ordine. Certo che un governo rap- presentativo stabilito nella guisa più conforme a’ diritti del popolo potrebbe procacciar loro troppo maggior somma di beni; ma es- sendo quegli uotnini avvezzi sino da una serie di secoli a riporre e felicità e gloria nel regime democratico , e avendo la più forte av- versione ad ogni altro , sarebbe imprudente il favellar loro di mu- tazione (pag. 263). La Democrazia rappresentativa è la forma di governo adottato ne’ cantoni di San Gallo, Argovia, Turgovia, Ti- cino, Vaud, e Ginevra. Ma le leggi intorno alle elezioni sono complicate in modo , che in cotesti cantoni demo- cratici si va sempre formando un’ aristocrazia che i nos- tri Fiorentini avrebbero detto de’ popolani grassi. De- mocratico-rappresentative sono le costituzioni di Basilea , Zurigo , e Sciaffusa, se nonchè gli abitanti delle città sono privilegiati al disopra degli abitanti delle campa- gne . Neufchatel può dirsi un principato costituzionale | | | 29 appartenente al re di Prussia, ma chè fa parte della con- federazione elvetica, I Grigioni ed il Vallese sono in pic- colo ciocchè la Svizzera è in grande; perocchè si dividono in leghe e decurie, ognuna delle quali ha il suo governo ed i suoi usi particolari, e vi è un misto di democrazia assoluta e di governo rappresentativo, che troppo lungo sa- rebbe a descrivere. In tutti i governi della Svizzera son mal distinti i poteri ;Ztroppo numerosi i consigli ch’ eser- citano il potere esecutivo, grande l’ influenza del potere esecutivo sul giudiziario, e troppo difficile alla camera de’ rappresentanti il sindacato de’ ministri del potere ese- cutivo, comecchè questi pel loro numero abbian troppi voti nel consiglio sovrano. Manca poi alla discussione delle lesgi e de’ provvedimenti governativi la necessaria pub- blicità , la libertà della stampa in molti luoghi è vinco- lata; ma una certa antica probità nelle cose di governo impedisce che questi difetti di politica producano tutto il male che parrebbe dovessero generare. In alcuni cantoni si è adottato l’uso di tener ogni anno una seduta solenne, nella quale si dà pubblicità al rendi-conto della pubblica amministrazione ; altri hanno permesso ai giornali d’ in- formare il pubblico delle sedute segrete ; molti altri han talvolta pubblicati i progetti delle leggi che doveano esser discusse nel consiglio rappresentativo. Chi sa che per le leggi le sedute delle camere di Inghilterra non ammet- terebbero la presenza del pubblico, ma che pure la mas- sima pubblicità si è colà introdotta gradatamente dai co- stumi costituzionali, non deve diffidare che a questo fine sì giunga pure una volta anco in Svizzera. Dagli ordini politici passando al poter giudiciario , non sono da fare grandi elogi alla Svizzera. In molti luo- ghi vige tuttora il processo inquisitorio con tutta la sua barbarie , in altri vi ba pubblicità di processo o di dibat- timento, ma in niuno si è ancora adottato il Giurì. Le leggi penali sono egualmente indietro ai lumi del secolo. Convien peraltro notare che la prigionia currezionale si è sostituita ai pubblici lavori nei cantoni di Ginevra e 30 di Losanna, e fotse in qualche altro cantone; ma a Berna si vedon sempre i forzati girare per la città. La legislazione civile anch’essa abbisogna di grandissime riforme; ma già in molti cantoni si lavora alla compilazione de’ codici ed ‘in alcuni un nuovo codice civile si è già pubblicato, Non dovrebber poi tanto dispiacere gli abusi che sono in alcuni de’cantoni aristocratici, se le persone che gli conoscono non si udissero talvolta addurre la. sciocca giustificazione che ne’ cantoni vicini le cose procedono assai peggio. Ma il mondo è così fatto, che le scuse le più stolte son quelle che si odono più di frequente ripetere. L’ amministrazione suol essere in generale complicata pel gran numero di giunte , e di pubblici uffiziali, ma almeno non è costosa, perchè o gratuiti sono gli uffizi o pochissimo pagati. Nondimeno, si potrebbe dire a ragione che gli impiegati in Svizzera son pagati troppo per quel che vi fanno, niente per quel che dovrebbero fare. Ma questo x è uno de’ mali cui è difficile il rimedio nelle piccole re- pubbliche. : In una repubblica poi dove l’amministrazione dello stato costa poco, e dove non vi è la spesa di truppe per manenti da mantenere, i popoli non devon per certo es- sere aggravati di imposte, Tale è appunto il caso della Svizzera. Vuolsi poi anco notare che molti stati hanno delle forti entrate indipen- dentemente dalle imposte , però non deve far maraviglia se vi sono gran mezzi di sovvenire i bisognosi , e se ab» bondano gli stabilimenti di carità. Qualunque poi sieno l’ entrate e le fspese, con scrnpolosa probità si ammini- strano , e su questo non occorre distinguere i cantoni de- mocratici dagli aristocratici , perchè per tutto avvi la stessa | virtù. Per la difesa militare della Svizzera havvi un esercito federale di 33,788 uomini di prima leva, non compreso lo stato maggiore, e di altrettanti di riserva, Sono già fatti i quadri, fissate le paghe, nominati gli uffiziali, formate le artiglierie, ed al bisogno presto sarebbero sull’armi. Frat- 31 tanto ogni due anni si tiene un mpo d'esercizio d’armi, e si mantengono continuamente delle scuole militari per gli uffiziali. Al bisogno poi tutti gli Svizzeri sono soldati, e la le-. va in massa non darebbe meno di 260,000 uomini. Le cose militari, adesso molto meglio regolate che avanti la rivolu- zione, dipendono dalla Dieta. Con questo provvedimento possono sperare gli svizzeri, che sia osservata la neutralità della loro patria, stipulata dalle potenze nel congresso di Vienna. Raccogliendo in breve i progressi fatti dalla Svizzera, dal 1798 ai tempi nostri, diremo il vincolo federale esser rinvigorito , le cose militari ridotte a miglior governo , molti comuni per l’avanti sudditi avere acquistata un’esi- stenza politica , alcune parti di legislazione migliorate, V’in- dustria cresciuta e liberata dalle assurde catene. Restan però molti pregiudizi da distruggere , si sente il bisogno di diffondere l'istruzione elementare nelle campagne ; e soprattutto conviene stabilire la separazione completa dello spirituale e del temporale, se si vuole troncar per sempre uno de’ principali ostacoli all’ unione sincera de’ confe- derati Dissraziatamente però su quest’ ultimo punto non abbiam sufficienti argomenti per concepire speranze, ma piuttosto se dovessimo guardare a quello che è stato fatto di recente avressimo ben ragione di temere. La buona fede delle transazioni mercantili richiederebbe d’ esser aiutata da un buon sistema che riducesse ad unità i pesi, le mi- sure e le monete per tutti gli stati della confederazione; ma questo miglioramento per ora è vano sperare. La irestitu- zione dei delinquenti e de’ prevenuti incontra anch’ essa molte difficoltà da un cantone all’ altro, con grave danno della buona amministrazione della giustizia; ma finchè un codice umano, ed una procedura che non offenda il senso comune, non saranno comuni a tutti i cantoni, sarà dif- ficile ridurre i più civili a consegnar de’miseri alla tortura o all’ insidie del [processo inquisitorio . Questi necessari avanzamenti nella civiltà si faranno in breve, o pure ri- chiederanno lunghissimo tempo? Sarebbe difficile rispon- 33 dere @ priori a quest'ultima domanda. Se la Svizzera fosse tutta come Ginevra, Vaud, Neufchatel o anco Zurigo, si potrebbe molto sperare; ma il lentissimo procedere di Berna, l’ andamento quasi retrogrado di Friborgo , e l’ ostinazione de’ cantoni di Uri, Svitto, Undervalden, Appenzello, Zug e Glarona, per rimaner sempre quali erano nell’ età di mezzo, persuadono pur troppo esser da noi lontanissima quel- l’epoca felice nella quale si potrà parlare degli Svizzeri come di una sola nazione che cammina concorde nella via della civiltà , appress’a poco come uno esercito che si dispone a battagli . Adonta per altro di tante discordanze nella civiltà de’diversi cantoni, hanno potuto rilevare i lettori godersi nella Svizzera una maggior somma di felicità che in molte altre parti d’ Europa, E poichè colà l’ ordine sociale è co- stituito pel vantaggio de’ più, e qualunque sia la forma de’particolari governi, essi son sempre amministrazioni piene di probità, ne segue che molta morale si mantenga nel popolo, e la pubblica opinione vigorosa perchè avvalorata dal fatto, ritenga quelli che per natura sarebbero men pa- zienti di fseno. Possano i voti di perfezionamento essere un giorno esauditi, e sia dato una volta alla patria di tanti uomini che han nome in tutta Europa, servir di scuo- la e d’esempio alle altre nazioni. Francesco Forti. (*) (*) Firmando l’ articolo col proprio mio nome, mi credo in debito di dichiarare che riconosco per miei tutti glì articoli contrassegnati colle ini- iali F. S. e che sono stati inseriti neli’ Antologia dal novembre 1826 sino | presente giorno. Dovea dapprincipio aspettare il giudizio del pubblico sot- "l velo di una cifta ; ma poichè questo ormai era stato alzato da molti, seduto meglio far cessare on anonimo inn!‘ Ra Fio DA ih Cat 33 DeL VANTAGGIO DELLA PUBBLICITÀ NELLE PROCEDURE CRIMINALI Discorso di ParRorILo. Fine della seconda parte. (V. Antol. num. 93 , p. 137) G. IV Egli è un avvilire la dignità della giustizia sotto- ponendola alle opinioni del popolo : le quali opinioni provengono sempre dall’ ignoranza , dai capricci , dalle superstizioni , dalle passioni. Traduco parola per parola la riposta di Bentham ; « Convengo , dic’ egli , che il fatto a cui si appoggia que- sta obbiezione non è che troppo vero nel massimo numero degli stati. La parte del pubblico capace a giudicare è piccolissima in confronto della parte che non lo è; ma la conseguenza che si dovrebbe dedurne per la pratica è affatto opposta a quella che se ne cava. Il tribunale del pubblico è privo di cognizioni a ragionare giusto ; dunque conviene nascondergli quanto lo metterebbe a portata di ragionar meglio. Si trae motivo dalla sua inezia per di- sprezzarlo ; e si trae motivo da tale disprezzo per eternare la sua inezia. Questo è il cerchio sopra cui si aggira: cerchio vizioso in logica del pari che in morale; perchè si opera in tal modo con una nazione come quel tutore che volendo salire sul trono del suo pupillo, gli fece ca- vare gli occhi, affine di fondare sopra tale infermità una causa legittima di esclusione ,,. Questa risposta è con- vincente , e nulla può essere più giusto di quel confronto col scellerato tutore. Mi par proprio di vedere uno di quei tiranni dell’ Asia ( poichè è costume di nominare sempre in questo proposito l’ Asia ) a darsi ogni briga possibile d’imbestiare i suoi popoli, affine di poter dire che sono bestie ed aver il piacere di soggiogarli come bestie. Non posso per altro accordarmi affatto con Bentham, e concedergli che il popolo sia naturalmente tanto inetto a crearsi un’ opinione T. XXXII. Novembre, 5 3 { huona e ragionevole sopra ciò ch'è accaduto o non accaduto; il che forma sempre il soggetto delle discussioni criminali. Molti avranno oss-*rvato che gl’ individui del popolo tolti separatamente mostrano una cosa ; quando sono congregati in assemblea ne mostrano un’altra, Se il loro discorso è capriccioso, strano, appassionato a ridicolo nel primo caso ; raro è che lo sia nel secondo, specialmente , ripeto , se si tratta di conoscere di ciò che fu o non fu, e dicid ch'è giusto od ingiusto secondo il senso dell’ equità naturale. Sembra che le menti popolari sieno come i rami spiceati di fresco dall’ albero : soli o pochi non ardono , o ardono male: ad accendere un buon fuoco è necessario che sieno molti ed uniti aiutantisi gli uni cogli altri. Non importa ora d’in- vestigare le cagioni (non difficili a trovarsi ) di questo accidente morale ; come non importa di contendere sulla maggiore 0 minore attitudine originaria, dirò così, del popolo a giudicare dei giudizi criminali. Quello ch’ è certo ed incontrastabile è che quest’ attitudine egli l’ acquista non tanto colle istruzioni quanto colle istituzioni ; e che prontamente e grandemente l’ acquista. Onde mi ha sem- pre fatto maravigliare quella ragione che davano i Fran- eesi del non avere introdotto i giurati in Italia , allegando che il popolo italiano non era abbastanza maturo a rice- verli. Io avrei avuto una gran voglia di domandar loro, che maturità era dunque nel popolo francese quando per la prima volta li ebbe. Ma io ben so il vero motivo di questa cosa; ed anche voglio dirlo. Il popolo francese tante maturo allora quant’era l’italiano in fatto di giu- diziarie istituzioni, ricevette la legge dei giurati dai suvi rappresentanti : noi invece dovevamo aspettarla da Napo- leone ; e Napoleone non amava i giurati. Egli che ne aveva rovinata l’ istituzione in Francia, che l’ aveva abbattuta in Corsica, si consideri se avrebbe poi voluto introdurla nel resto d’Italia. Ho ben voluto qui toccare 1’ argomento dei giurati (che forse tratterò un’altra volta di proposi- to) , perchè, vedendo come si è renduto in Inghilterra ed in Francia in brevissimo tempo capace il popolo a farsi partecipe de! giudicare ; si vegga altresì che non sarebbe 35 poi impresa tanto difficile a formar abili questi poveri italiani di essere non altro che spettatori dei giudizi sen- z avvilire la dignità dei giudici e delle loro sentenze. Ma che dico di formarli abili? e mon lo furono forse per molti anni? e non lo sono forse ancora in alcune parti di Italia? Ed è forsè avvilità o disprezzata la magistratura nel regno di Napoli , perchè è permesso al popolo di farsi testimonio de’suoi procedimenti? E discorso per lo meno sofistico di pretendere che il popolo cominci non dai fatti, ma dai ragionamenti a conoscere e ad amare le savie leggi ; ed è argomento iniquo di voler perpetuare il male , perchè esi- ste il male. I dotti che hanno molti pregiudizi ed una gran dose di orgoglio difficilissimamente si cambiano. Ma il popolo che sopra certe materie non lia pregiudizio alcuno e che non mette la dignità nell’ostinazione, presto si muta e s° ammigliora. Ed a miitarlo e miglioraflo (lo ripeterò sempre ) non vi vogliono nè discorsi, nè libri, ma le isti- tuzioni : le quali quando sono buone in sè ‘stesse, benchè sul principio, come cose nuove, possano incontrare qualche difficoltà , di leggeri la sormoatano e prendono piede e pas- sano nell’ amore delle moltitudine. Io il so che sento ogni giorno con quanto desiderio si parli fra la gente del volgo tei publici giudizi ; e mi ricordo che quando li avevamo ho tiditò più volte fra questa gente medesima tenere sif- fatti discorsi intorno ad un tale o tal altro fatto formante il soggetto di un dibattimento, che ora @ miala pena si udirebbero uscire dalle classi p'ù elevate della società. E son certo che ai giudici non poteva dispiacere la presenza del po polo perchè quasi non mai l’opinione di esso era diversa dalla loro. E così doveva essere : perchè , giudi- candosi coll’ intimo corivincimento , il giudice non portava nel comporre la sentenza 'stuidi od istruzioni diverse da quelle della moltitudine; ma solo quel giusto criterio e quel retto buon senso , dei quali è capacissima la mol- titudine medesima quando li abbia un poco esercitati. Questo accordo tra le opinioni volgari e le sentenze dei giudici, mi pareva il più bell’ onore che si potesse rendere 36 alla giustizia ; mi pareva un’ immagine di quegli anticbis- simi tempi, quando tutta la città interveniva a giudicare; mi pareva il vincolo più sicuro con cui si potesse unire il cittadino alla legge , e questa al magistrato. Per quanto secretissima vogliate supporre la procedura, molte persone e dalla parte dell’accusato e dalla parte del- l’accusatore e di quelle del tribunale devono esserne ne- cessariamente informate. Non è però fra i possibili delle cose umane che non se ne diffonda più o meno la novella secondo la qualità della colpa e dell’ incolpato. Dee im- portare molto e per l'interesse dell’incolpato stesso e per. quello della giustizia, che la opinione delle genti si formi in questo proposito quanto meno lontana dal vero. può essere. Or questo non è sperabile se non venga diretta in modo forte e conveniente ; perchè abbandonata a sè me- desima,, essa va alla pazza come tutte le cose che sono lasciate nell’ arbitrio delle fantasie e delle passioni vol- gari. Credere che il solo manifestar della sentenza basti a fermare questa opinione s° è vaga, o a raddirizzarla 5° è distorta, è credere ciò che non è nella natura dell’ uomo, il quale non cederà mai al nudo asserto altrui i pensieri da esso crsati ‘e coltivati. La pubblicità dei dibattimenti giova gesndemente a questo effetto ; perchè in tale pre. cedura ° uomo non è obbligato a dar fede ad una carta che afferma o nega, ma si accerta da sè medesimo e può formare giudizio nel suo proprio intelletto sopra quanto è materia delle criminali discussioni. Tuttavia il modo che si pratica in Inghilterra è molto più efficace: perchè ivi l’istruzione del processo, come ho detto, è pubblica, ed oltre a ciò i giornali si affaccendano' di ;spargerla subit» da per tutto: onde gli uomini conoscono subito ciò a cui debbano tenersi: e le opinioni non hanno il tempo di nascere e cresce- re diverse da quello che richiede la verità dei fatti, È bene che in Italia , nou ostante la secretezza delle procedure, si parli ancora, almeno nel paese dove si commettono, dei delitti e dei loro autori: è bene che il popolo anticipi nella sua mente il giudizio dei tribunali. Dico è bene: perchè 37 miseri a noi se ciò non si facesse! miseri a noi sé cadessimo in quella totale indifferenza per le cose pubbliche ch'è il segno infallibile dell’ estrema sciagura / Ma come mai si parla di queste cose, e come mai se ne può parlare nella massima parte d’ Italia ? Che regola può avere il discorso degli uomini fra tanto secreto delle procedure , ed agitato di continuo da tanti e sì diversi motivi? Io lascio dire ciò che si vuole: ma crederò sempre che la magistratura sarà avvilita e disprezzata dove l’opinione pubblica può essere ed è sovente contraria ai suoi giudizi : crederò sem- pre per contrario che la magistratura sia in onore in tutti quei luoghi, dove l’ opinione pubblica può accordarsi, ed è sovente d’ accordo coi giudicati : perchè 1’ avvilimento o da stima, il disprezzo o l’ onore non dipendono tanto dalle cose considerate in sé stesse, quanto dai modi con cui sono vedute dagli uomini. 6. V. La pubblicità dei giudizi potrebbe distogliere molte persone dal dire il vero, o pel timore dei complici e dell’ accusato , o per non volere fare una parte odiosa în pubblico: potrebbe anche indurre alcuni di quelli che conoscono il delitto a starsene celati per la ripugnanza che hanno molti di comparire in un’ assemblea ;. 0 per non esporsi a. qualche danno nei loro affari , dovendo assistere a dibattimenti che durano sovente molti giorni, e non essendo proporzionata la retribuzione che rice- gono. Non posso tenermi che non dica qui una cosa degnis- sima di essere notata da chiunque creda utile di spendere qualche ora a meditare sopra questo argomento, Osservate lo scopo di tutte le opposizioni che si fanno contro la pub- blicità : esse battono tutte a ciò che il reo non si salvi, Ascoltateli o leggeteli quanto volete questi oppositori, non sarà mai ch’esca dalla loro bocca o dalla loro penna una s0la parola che riguardi la sicurezza dell’ innocente accu- sato, Che il malfattore non si sottragga al rigore delle leggi, è utile , è giusto, è necessario: ma più utile, più 38 giusto, più necessario è che l’innocente non incorra in un castigo che non ha meritato. La ragione dice , l’ espe- rienza di molti secoli e di molti luoghi prova che le pub- bliche procedure non impediscono, anzi favoriscono il riè trovamento del reo. Ma fosse pur vero ch’ esse ne abbia- no salvato qualcheduno : e ch’ è mai ciò in confronto dei tanti innocenti che furono condannati e che sono esposti tutto il giorno ad esserlo per taluna di quelle tante cau- se, le quali possono rendere erronei od iniqui i processi secreti? Io mi stimerei più che pazzo se osassi fare que- sto paragone. Ben dico che ottimo è quel sistema di pro- cedura in cui sia difficilissima la salvezza del colpevole, impossibile la condanna dell’innocente. Veniamo alle? s6- pradette opposizioni intorno ai testimoni. Chiunque sia anche mezzanamente erudito iri queste materie , non può ignorare, che la prima radice del reo costume di udire in secreto le deposizioni testimoniali , dobbiamo andarla a cercare nella tirannide di alcuni imperatori romani. Essi coi loro irenarchi , curiosi e stazionari cominciarono a dar forma alla procedura inquisitoria; e vi diedero pri ncipio per le cose di stato, vale a dire per quelle che potevano impinguare l’erario di multe , o togliere dal mondò co- loro a’ quali appiccavano sospetti di movimenti e di con- giure. Vero è che sotto il nome di delitti di stato quasi tutti li comprendevano ; ma è vero altresì che non ebbero il coraggio di andare più in là : poichè terminata 1’ inqui- sizione, si portava l’ accusa al Preside; e da quel punto, se togli i giudici del fatto che non esistevano più, se muti il foro nell’aula a cui erasi ristretto il giudizio , le cose procedevano presso a poco come nei tempi della repub- blica. Certo i testimoni erano interrogati di nuovo pub- blicamente , e potevano esserlo dall’ accusato tanto quanto dall’ irenarca accusatore. Vennero i barbari, Eglino porta- rono'con essi quelle pubblicissime e sommarie forme di gindicare che ognuno sa e che andavano o furono poi ac- compagnate da molti errori e supertigioni ; ed il modo del giudizio romano scomparve da ogni luogo. Tuttavia qualche leggiero studio del diritto di questo popolo e qual. 39 che memoria delle sue procedure giudiziarie erano rima- sti qua e là fra’ chierici; ma tanto goffo il primo e tanto scema la seconda che intedevano le parole della legge 14 del codice, testes intrare judicii secretum, etc. per un comando di esaminare secretamente i testimoni. Onde avevano nelle cose loro adottata la procedura inquisitoria, che poi per altri motivi e credendosi sostenuti da altre autorità , spinsero in progresso dei tempi all’ ultimo estre- mo possibile. A questo modo di procedere acconsentì Fe- derico secondo colla tremenda costituzione : Hi qui per inquisitiones generales etc. ; nella quale , avvisandosi di ri- mettere in piede i giudizi colle forme dell’impero romano, secondo lo stolto pensiero di quei dottori che di tali giu- dizi non vedevano o non volevano vedere che la prima parte ; pensando di obbedire al diritto canonico molto au- torevole in quei tempi; avendo forse l'intenzione di dare } nJtimo colpo alla barbarie dei duelli e dei giudizi di- vini; e forse ruminando nella mente altri pensieri, diede pur egli il braccio al terribile mostro del sistema inqui- sitorio ; il quale sostenuto in tal modo da ambedue le po- tenze che si dividevano per poco l’ imperio di questa parte del mondo, crebbe rapidissimamente e s’împadronì di quasi tutta l’ Europa, Ho voluto toccare , con brevità e con quei colori che poteva , l’ origine del raccogliere in secreto le deposizioni testimoniali ; perchè ognuno, anche lontano da tali studi, considerandola un poco questa origine , possa vedere su- bito quale e quanto sia il fondamento delle opposizioni sopranotate. Certamente chi volesse dar retta a quelli che le fanno, sembrerebbe che i testimoni abbiano dovuto man- care ai giudizi dei Greci e dei Romani, che ne manchino a quelli dei Francesi , degli Inylesi, degli Olandesi, che ne mancassero ai nostri quando avevamo i pubblici dibatti- menti , e che in conseguenza il sistema della pubblicità salvi la maggior parte dei rei per mancanza di prove testi- moniali. Ma ognuno che il sappia può dire se la cosa vada o sia andata a questo modo. Considerate che niun maggior ko timore dee ricevere il testimonio dall’accusato o dai complici facendo pubblicamente la sua deposizione ; perchè se non si vogliano sopprimere i confronti, ( alla qual cosa non siamo ancor giunti ) è impossibile che il suo nome e la sua deposizione restino celati all’ accusato ed ai complici anche nelle secrete procedure . Considerate anzi che la pubblicità per contrario dee togliere o assai diminuire quel timore nel testimonio.se pure lo avesse; perchè 1’ aspetto del pubblico serve molto a confortarlo. Avrete forse osser- vato , ed io l'ho certo osservato più volte, che molti uo- mini pusillanimi non hanno coraggio di sostenere il vero in faccia a quel solo che il nega ; e che poi lo acquistano questo coraggio allorchè si trovano in mezzo della gente ; quantunque anche nel primo, come nel secondo caso, non abbiano a temere per allora alcun danno : ma tale è la natura dell'uomo ch’egli è fatto sempre più animoso dalla lInce e dalla presenza degli altri. Non voglio negare che il comparire in un’ assemblea dove tutti gli occhi sono rivolti a chi entra come testimonio, non debba valere un poco di fatica a più di qualcheduno in quei paesi dove gli uomini sono allevati cogli usi dei servi e fra quel si- lenzio misterioso che accompagna sempre la servitù . Ma voi non mi negherete che ciò non accade mai dov'è con- cesso all'uomo di prendere gli andamenti di un essere li- bero , non soggetto che alla legge, non pauroso che della colpa ; e dove le abitudini hanno rese consuete agli uo- mini tali od altre simili comparse. All’obbiezione di que- sta repugnanza di deporre in pubblicojnon avrebbero dato per risposta che un gran ridere i Romani ; colle risa vi si risponderebbe in Inghilterra ed in Francia; e colle risa potevamo rispondere noi stessi che , quantunque appena usciti dal laberinto de’ secreti procedimenti , pure abbia- mo veduto, non è guari, andar a testimoniare pubblica- mente e uomini e donne , e vecchi e fanciulli, e nobili e villici , e ricchi e poveri , e artigiani e dotti, e dame e fantesche, ed in breve ogni condizione di genti, senza che apparisca in alcuno neppure un indizio di quel tanto Ai spavento che ci vorrebbero far credere i nostri avversari . I quali divenuti in questa materia di una mirabile sotti- gliezza pensano, che debba anche repugnare molto a più di qualcheduno di andar a rappresentare come dieono una parte odiosa in pubblico. Una parte odiosa! se vi fosse un paese in cui dire il vero intorno a quanto 1’ uomo è in- terrozato da chi può e deve farlo pel bene comnne, ed in cui l’ accordarsi alla giustizia per la scoperta e la puni- zione dei colpevoli , si considerasse come opera di cattivo e maligno spirito ; io direi che questo sarebbe il peggior paese del mondo: e direi che il legislatore invece di fa- vorire ivi e perpetuare una tale perversa disposizione de- gli animi mantenendo secrete le deposizioni dei testimo. ni; dovrebbe anzi darsi ogni cura possibile di correggerla e di vincerla, circondando la magistratura di tutte quelle apparenze che la fanno venerabile agli occhi delle genti, e rendendo pubbliche con onore le parole dell’onesto eît- tadino che non ha taciuto il vero per salvare un malfat- tore e portare danno a tutta la società. Questo direi: per- chè veggo che dove la giustizia è onorata dal popolo, egli onora pure tutti quelli che la soccorrono nelle opere sue; e per lo contrario dov’ essa è disprezzata , egli disprezza del pari quanti le prestano aiuto. Oppongono infine il dauno nell’interesse che dee spesso sopportare il testimo- nio comparendo ai pubblici giudizi. Ma, buon Dio / qua- l'è dunque mai il pensiero di questi oppositori? Certo pensano che vi debbano essere dei giudici , mon perchè stimino il rendere giustizia e renderla beve, il primo de- bito de’ governi, ma perchè di giudici mon si può fare a meno nè pure in Turchia : pensano che si possa trovar fa- cilmente il modo di profondere molto danaro o nelle mi- lizie o nelle arti o forse nel lusso , nelle feste ed in al- tre ciancie, e credono poi impossibile di avere quel poco che vi vorrebbe a retribuire convenevolmente i testimoni, Ma ciò che più mi dispiace è che questi oppositori mo- strano di essere di quegli uomini che si concentrano in loro stessi, che non badano se non alle cose loro , e non si danno la più piccola premura del bene generale. Ri- T. XXXII. Novembre. 6 4a tornando da un paese dove vi ha l’istituzione dei giurati; non mi è avvenuto quasi mai di far parola di tale insti- tuzione , senza che qualcheduno degli ascoltanti m’ inter- rogasse sul quanto della paga che ricevevano, non aven- do del riceverla neppure il dubbio . Quelle sole persone che possono fare tali domande , possono anche fare tali opposizioni, 6. VI. I pubblici giudizi espongono al disprezzo della gente un uomo che può essere ingiustamente accusato, Io ho detto, nen è guari, che gli oppositori alla pubblicità pon pensano mai agl’innocenti caluniati, Pare che questa opposizione mi contraddica; pare , ma non è. Recati un istante o lettore in te medesimo, e fa con te quel discorso che io ho fatto meco tante volte, Se tu fossi accusato di un delitto, e gettato nel fondo di un carcere; quanto non ti attristerebbe l’immaginare quelle varie pa- role che si farebbero sul conto tuo nella città, e che tu non potresti giammai smentire! quanto non ti avvilivebbe }’ idea che anche uscendone assolto, rimarria pur sempre fra la gente il dabbio , accresciuto da’ maligni, che la sentenza ti fosse stata donata dalle protezioni, dal favore o da qualunque altra di quelle malvagie cause che ope- rano con tanta facilità nella secretezza dei giudizi! Per contrario , quale conforto poter dire : Verrà un giorno in cui posto nel mezzo de’ miei concittadini , io potrò alzare liberamente la voce, potrò giustificare la mia condotta, soffocare la invidia , far tacere la malignità , impallidire la calunnia : la mia difesa sarà udita dai giudici e dalla moltitudine; e questa s’' accorderà a quelli per sentenzia- re e rendere pubblica e solenne la mia innocenza. Or di questa grande consolazione vorrebbero privarti coloro che combattono la pubblicità. Vedi come pensino agl’ inno- centi accusati! e per qual motivo? Pel motivo del disprezzo del pubblico. Ma eterno Iddio! dov'è in tutta la superficie del globo , dov’ è questo pubblico sì disumarato che si goda di congiungere il suo disprezzo all’immensa sciagura 43 di un uomo che portò il peso e tollerò i termbili effetti di un’aceusa calunniosa? Quanto più vi penso, tanto più trogo questa opposisione fuori di tutti i termini del ra- gionevole. Che la secretezza sia utile al prevenuto in col- pa , il veggo chiaro ; poichè quanto meno si diffonde la notizia del sno delitto, tafito meno egli soffre nella pub. blica opinione. Ma che la secretezza possa essere utile a chi è accusato innocente, non so come concepirlo; poichè anzi nel maggiore possibile divulgamento del processo, io | veggo l’unica retribuzione che questo possa ricevere e che la società sia capace a dargli nella sua disgrazia. Osser- viamo gli uomini nelle cose più leggere , nelle cose che sono ‘accadute a tutti, o che facilmente possono accadere a tutti. Appiccasi addosso a taluno una qualche novella che sia tutta o in parte falsa a suo disavvantaggio! Che cerca egli di far subito? radunare gli amici i conoscenti; mostrare le lettere ed altre carte che prima teneva vipo. ste ; andare raccontando la cosa anche a quelli a cui non importerebbe di ascoltarla ; nominare i testimoni se ne ha; pregarli a dire il fatto come fu; ed in breve darsi ogni briga possibile, perchè tutti conoscano la sua giu- stificazione, Tale è la natura dell'uomo: il colpevole cerca le tenebre ed il silenzio ; la luce non è mai abbastanza per l’ innocente. E però quella stessa gran luce che si dif- fonde sulle procedure coll’ opera dei giormali in America, in Francia e specialmente in Inghilterra, può bene avere abbagliati e confusi gli occhi d’ infiniti malfattorti ; ma giammai , che io creda , offesi quelli di un uomo falsa- mente accusato, E qui, poichè mi lasciai andare a far an- cora un cenno di questi giornali, non voglio tacere una curiosa opinione nella quale sono entrati alcuni, che leg- gendo spesso di delitti commessi in quei paesi da cui esco- no i detti giornali , si avvisano che le azioni criminose sieno molto frequenti fra quei popoli e le credono per contrario molto rare tra di noi, Non farei motto di questa opinione, se io stesso non l'avessi più volte udita; come pure mi è avvenuto di udirne più volte un’altra, che i giudicî in Francia ed altrove caderono in tali errori di cui 44 non vi ha esempio in Italia. Le quali opinioni, veramente maravigliose , le potrebbero con altrettanta logica e con pochissima fatica (e forse con qualche successo nelle menti degli sciocchi) voltare in un solenne argomento contro alla pubblicità. Ma il pensiero di costoro non è in nulla diverso da quello che si racconta di un pazzo , il quale stimava che un uomo da lui fieramente battuto non sentisse dolore, perchè avendogli turata la bocca non poteva gridare . Io più che ogni altro vorrei che i delitti in Italia fossero mi- nori di numero e d’ importanza a quelli che si commet- tono fra le nazioni di cui parliamo. Ma so pur troppo che così non è, e che così non può essere. In Italia non si diffondono colle stampe le notizie delle azioni criminose: in Italia generalmente non se ne parla che qualche giorno in quel paese dove furono effettuate: nella maggior parte d’Italia , fra tanto mistero dei tribunali, non è possibile sapere gli errori dei giudici + sapendosene pure qualche- duno per un accidente singolarissimo , chi avrebbe il co- raggio di renderlo pubblico? ed avendolo, questo coraggio, quali sarebbero i mezzi di farlo ? Ecco tutto. S. VII. La pubblicità dei giudizi non conviene alla qualità del popolo quand'esso sia troppo corrotto: non conviene alla quelità del governo quand’esso sia monarchico: non conviene alla qualità della materia quando l’udirla possa essere con offesa del pubblico costume. Quel primo non conviene è troppo generale . Vorrei che mi dicessero di qual popolo parlino , e di qual sorta di corruzione intendano di parlare. Risponderò intanto an- ch’ io in generale , che quanto più il popolo è corrotto, tanto più e’ bisogna far presto a donargli le buone istitu- zioni » perchè con queste e non con altro si può educare efficacemente il popolo. Che se restringono quella parola di popolo troppo corrotto a ciò che riguarda specialmente l’amministrazione della giustizia ; credo per certo che que- sti nostri oppositori non abbiano mai pensato allo strambo discorso che fanno. Esso è il segnente : noi siamo in sm md | | 45 luogo , dove oli uomini ‘non badano alle cose giudiziarie ; dunque cerchiamo di toglierne sempre più dai loro occhi. Noi siamo fra gente che con grande indifferenza vengono a dire a’giudici tanto il vero come il falso, secondo i vari movimenti degli animi; dunque tiriamo una cortina impene- trabile sulle loro deposizioni, affinchè non abbiamo mai a sopportare neppure la vergogna del mendacio. Questo popolo non si cura dei giudizi, non si cura delle pene inflitte a’colpe- voli; dunque nascondiamogli affatto i primi, e non gli faccia- mo mai saper nulla o pochissimo delle altre. Questo popolo conosce appena ciò ch’è giusto, non sa niente affatto di leggi criminali, non ha alcuna idea del pubblico bene; dun- que non prendiamoci alcuna briga d’istruirlo sul primo, non gli parliamo mai delle seconde , e molto meno del terzo. Fra noi è raro di trovare giudici incorrotti ; molto più raro è di trovare tali i loro subalterni; dunque fidia- moci intieramente di essi, chiudiamoli tutti in una stanza e circondiamoli da tanto mistero che niente mai delle loro operazioni si sappia al di fuori, Fra noi tanto i giudicanti come i giudicati e tutti gli altri danno pochissima o niuna importanza alla pubblica opinione; dunque spegniamola affatto questa pubblica opinione, proibiamo che di nulla si parli e comandiamo che tutto si faccia nelle tenebre e nel silenzio. Questo è il discorso che fanno; e niun’al- tra che questa sarà la mia risposta. Che se riferiscono quelle parole di popolo troppo corrotto a noi italiani; io tanto più mi maraviglio di questi oppositori. Mi maravi- glio prima di tutto, perchè ci facciano così per gusto di contraddire, un popolo corrottissimo. E poi mi maraviglio, perchè reputino incapace della pubblicità una nazione, qual è l’italiana , che la conserva tuttavia in qualche luogo , che l’ aveva l’ altro ieri da per tutto, e da per tutto con buonissimo effetto ; della qual cosa chiamo in testimonio l’Italia intiera. Al secondo nor conviene è stato risposto nel N. 87 di questo giornale medesimo da tale ingegno che difficilmente lascia alcun desiderio quando tocca una di queste materie. Prego di leggere quell’ articolo; e si vedrà con qual cu- 46 s mulo di fatti, con quanta forza di ragioni sia ivi com@ battuta e vinta quell’ assurda e cortigiana opinione , che la pubblicità dei giudizi non possa stare col principato di un solo: quasi che un modo di giudicare dimostrato il migliore in sè medesimo e l’ unico capace di produrre gli effetti che si domandano, non debba poter convenire ad ogni tempo, ad ogni luogo, ad ogni forma di governo; e quasi che le storie non dieno in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni forma di governo esempi solennissimi del giudicare in pubblico. Romagnosi (ch'è quell’ingegno di cui parlava) distrugge il vano detto dell’ oppositore che l’ Inghilterra non abbia di monarchico che il nome. Ma poteva altresì domandargli s’e- gli stima che l’ Inghilterra (essendovi allora pure in qual- che modo la pubblicità) si regolasse colle forme repub- blicane anche avanti il pieno vigore della Costituzione , anche sotto i regni del primo , del secondo, del settimo, dell’ ottavo Enrico, anche sotto quello del secondo Carlo. Poteva domandargli se egli pensa che la Francia fosse una repubblica da Carlomagno sino a poco più di tre secoli fa ; cioè sino a quando si cominciò ad introdurre ivi il se- creto nei tribunali. Poteva domandargli e° egli crede che la Francia medesima sia una repubblica dal 1805 in poi. Poteva domandargli se immagina che Napoleone intendesse di donarci una forma repubblicana quando decretò è dif- fese per tutta Italia la pubblicità nei dibattimenti crimi» nali. Poteva domandargli s’egli stima che si reggano a po- polo i Paesi Bassi , la Baviera , qualche altra parte della Germania e le provincie di Napoli. Certo nelle monarchie non è sperabile di potersi affidare unicamente alle accuse dei cittadini per cominciare e continuare le procedure con tro i colpevoli. Se quell’ oppositore avesse detto questo , forse niuno glielo avrebbe conteso ; perchè si sa che il de- siderio del mantenimento dello stato e del bene pubblico non può essere tanto forte dove regha un solo, come do- ve tutti o molti partecipano al comando ; si sa che gl’im- peratori romani dovettero creare i pubblici accusatori per supplire al difetto delle accuse; si sa che accusatori pub- blici vi sono in Inghilterra, in Francia ed altrove. Ma qui 47 il discorso non è del modo delle accuse che concediamo poter essere ed anche doyer essere diverso tra le repub- bliche e le monarchie. Qui si parla soltanto della pub- blicità dei giudizi ; e si dice che niun principe, per quanto geloso conservatore egli ne voglia essere, può credere di- minuita la sua autorità se permette che i sudditi ascoltino con le loro proprie orecchie e vedano cogli occhi loro pro- pri l’imparziale giustizia che si rende a tutti in nome suo. Anzi si aggiunge ch’ egli dee fare così se ama di essere giusto ; perchè non vi ha dubbio che questo è il modo mi- gliore di amministrare la giustizia: molto più deve fare così se ama di parere giusto; perchè questo è l’ unico partito .. da prendere se vuol levare di mezzo ogni dubbio ed ogni ;» discorso ; i quali dubbi e discorsi non sono nè rari nè po- chi dove le sentenze si danno in secreto. Di questa verità voglio notare una solenne prova che ci diede, or sono due anni, un monarca verso cui tutta l’Europa tiene volto lo sguardo. L’ imperatore delle Russie comando che i giu- dizi dei congiurati del 1826 si facessero in pubblico , af- fine (tolgo le parole dai giornali di quel tempo ) di ac- certarsi con maggiore fondamento dei colpevoli e di to- gliere al mondo ogni sospetto di parzialità. Si consideri che l’imperatore volle che si deviasse dalla regola per questi motivi: si consideri che lo volle in un caso gravis- simo; si consideri che lo volle, dove più che d’altro , si trattava degl’ interessi del suo principato : tutto questo si consideri ; io non vado più oltre, Il terzo non conviene rigùarda non la pubblicità in generale ; ma soltanto quei casi, nei quali può essere bene di non usarla. Ed io concedo che questi casi vi sieno ; e sono quelli appunto che formano l’eccezioni; le quali già si ammettono da per tutto dove i giudizi sono pubblici; e quando avvengono si dice fare il dibattimento a porte chiuse. Io mi era proposto da principio di entrare alquanto bei particolari di questa materia : perchè parmi molto de- gna di essere meditata ; e mi sembra che non lo sia stata abbastanza ; ed assai cose credo che si potessero dire in- torno all’ arbitrio generalmente lasciato a’ presidenti di or- 48 di nare i giudizi a porte aperte o chiuse , come meglio è in grado loro. Ma mi aecorgo di aver tanto tirato in lungo questa seconda parte che non potrei più oltre distenderla, specialmente in un libro a cuî si domanda con ragione una certa varietà di argomenti. Mi contenterò dunque di far considerare per adesso che quando diciamo giudizio a porte chiuse, non intendiamo già un giudizio secreto ; ma bensì che non vi possano entrare che quelle persone che sono ammesse ad entrarvi. E persone ammesse ad entrarvi vi debbono essere sempre; perchè il pubblico dee sempre avere una sicurtà di ciò che si è detto ed operato nell’in- terno dell’ anla : la quale sicurtà non può essergli data , nè egli riceverla che da uomini imparziali ed affatto stra- nieri al giudizio. Per ciò mi sono grandemente stupito di vedere a Parigi che nel dibattimento di Contrafatto , il presidente delle sedute comandasse di mandar fuori rigo- rosamente tutto il mondo , non eccettuato neppure l’or- dine degli avvocati, cuansunque da questi si allegasse il diritto di rimanersene che possedevano sino dal tempo dei parlamenti. Onde ho potuto così accertarmi cogli occhi miei propri della verità di quella solenne sentenza di Platone , il quale dice nel nono delle leggi ‘ che là dove i giudizi sono muti , e le opinioni dei giudici restano tra loro occulte e di nascosto danno sentenza ,, suol nascere una passione crudele a tutta la città ,, E pure quel caso fu unico o uno dei pochissimi ; e pure molte cose di quel giudizio si sparsero, anche colle stampe , fra gli uomini; e pure esso procedette colle forme abbastanza liberali di giudicare che si accostumano in Francia. Che s’immagini dunque qual debba essere la passione e quanto orudele in quei luoghi, dove tutti i giudizi si fanno a porte chiu- se, e senza nuovo esame di testimoni , e senza che l’ ac- cusato e i testimoni stessi sieno uditi da tutti i giudici , e senza intervento de’difensori, e con tanta secretezza che appena si può sapere di fuori il tenore della sentenza! Con la quale considerazione accompagnata dal detto di quel grande filosofo io pongo fine alla presente fatica. ————k1k1zdqz2k@@Tt——=— 49 6. VIII. Lettore! ti prego a non darmi taccia, se per acci- dente avessi omesso qualche opposizione che a te paresse importante contro la pubblicità dei giudizi. Ti giuro che ho fatto ogni studio, non solo per trovarle tutte queste opposi- zioni, ma per indovinarle e per crearle. Dimmela se tn la conosci. Non ho mai risposto, nè risponderò mai a chi m°in- sulta o mi rimprovera di aver fatto male un qualche la- voro letterario; perchè disprezzo gl’ insulti, del falso non mi curo e al vero cerco, di rispondere coll’ approfittarmi: ma non sarà mai che mi stanchi di tornar ad agitare, fosse anche cento volte, un argomento che conosco di tanta importanza al ben essere degl’italiani, Ti prego ancora, o lettore, di non incolparmi se ti sembrasse per avventura che io avessi potuto trattare questa materia. più calda- mente e con maggior eloquenza. Con maggiore eloquenza non oso dirlo, ma più caldamente eerto avrei potuto trat- tarla. Già più e più volte il sentimento commosso mi tiaboccava, e adoperai una grande fatica a ritenerlo. L’adoperai; perchè ho preferito di avere da te questa taccia, da te che puoi supplire al mio difetto; piuttostochè averne una contraria da quelli, i quali non sapendo come si possa appassionarsi per la verità, sono pronti a dar il nome di vano declamatorea chi la predica con passione, e di ciò si fabbricano un motivo per non ascoltarla, e fors’anche un pretesto per coprire l’odio furibondo in cui la tengono. { Saggio dei risultamenti storici della scoperta dell’ alfabeto ' ge- roglifico egiziano , per il sig. Caanrortion il giovane (*). Tutti coloro che si sono presa la pena di leggere le diverse opere nelle quali ho esposto la serie de’ miei risultamenti sul si- {*) La spedizione franco-toscana incaricata di perlustrare l'Egitto, della quale sappiamo il f+lice arrivo in Alessandria ( ved. il Bullettmo scien- tifico del presente fascicolo ) ci fornirà lo speriamo dei materiali pel no- Stro giornale in buon numero, e interessanti. Frattanto , all’ oggetto di render più ‘facile ai nostri lettori l’ intelligenza di ciò che avremo a par- T. XXXII. Novembre. 7 Lo stema grafico degli antichi egiziani , conoscono bene i mezzi , in tutto conformi alle più strette regole della critica filologica; i quali hanno condotto alla riunione di molto importanti sceperte in un soggetto , sul quale non osavano sperar più nulla. Io dunque non rammenterò qui gli onorevoli incoraggiamenti, che ho ricevuti da tutte le parti ; e posso dare questo nome anv che alla premura di alcuni dotti stranieri, d’ associarsi ai risul+ tamenti di queste ricerche ; poichè una tal premura per parte di uomini d’ altronde illuminatissimi, non può essere che una testimonianza di più in favore della certezza di questi risulta= menti, Il defunto re trovò nei suoi lumi il motivo della protezione dì cuì la Maestà sua si degnà d’ onorarmi ; e quando fu ri- conosciuto che il solo studio dei monumenti originali, poteva estendere e completare questi dati fondamentali, allora (mi compiaccio di ripeterlo in questa occasione) trovai dei preziosi ec- citamenti nell'amore illuminato per le arti e pei monumenti del l’ antichità ; che distingue il signor duca di Blacas, in quell’ap- poggio sempre efficace , che egli ha loro costantemente prestato, ed in singolar modo nella collezione egiziana ch’ egli volle for= mare nel solo interesse de’ miei lavori. Oggi la reale munificenza non lascia quasi più voti a formare: per le cure del signor duca di Doudeauville, e del signor Vi- sconte de La-Rochefoucault, degni interpetri delle generose ve dute del re, sì sono stabiliti al Louvre un magnifico Museo egiziano , ed una cattedra di archeologia parimente egiziana ; le lettere riconoscenti sapranno apprezzare questo nuovo benefizio del Monarca; per queste sue importanti fondazioni l’antico Egitto dei Faraoni , è divenuto come un’ aggiunta di dominio della co- rona di Francia. Non resta dunque ai dotti francesi che esplorare e far frut- tare coi loro travagli questo campo istorico sì vasto e sì fertile, che la reale sollecitudine ha commesso alle loro cure, sempre tecipar loro a suo tempo, abbiamo stimato conveniente di dar qui la tradu- zione di un importante articolo che il prefato sig. Champollion fina dell’an- no scorso fece inserire nel Bullettino, universale del sig. Ferussac., n.° 5 e 6 della sezione delle scienze storiche e archeologiche. A questa tradazione ab- biamo unito l’ estratto di un processo verbale, statoci trasmesso dalla società accademica d’Aix in Provenza: Tanto della traduzione che dell’ estratto , siamo debitori alla penna del nostro amico sig. prof Domenico Valeriani. Nota del Dir. dell’ Aut. i gelosa di mantenere l'alto grado e la giusta rinomanza della Francia fra le nazioni letterate. La rapida esposizione dei principali risultamenti ottenuti con alcuni anni soltanto di studio , basterà per convincere tutti gli uomini illuminati di quanti questo prezioso campo ne prometta , e ne possa produrre ancora. L’ intiero sistema dell’ alfabeto geroglifico ha avuto per fon- damento l’ analisi comparativa dei nomi proprii dei sovrani greci e romani, iscritti sui grandi edifizi dell’ Egitto : egli è dunque naturale di cominciare 1’ epilogo delle rimembranze storiche sparse sulle vaste roviné che coprono le due sponde del Nilo, racco gliendo primieramente quelle che ci corisefvano i monumenti co- strutti da mani egiziane, sempre dietro Îe regole dell’ arte pu- ramente egiziana, benchè il suolo che le vedeva innalzare fosse allora soggetto alla dominazione straniera , a quella cioè dei te greci, e degl’imperatori romani. Sotto lo scettro dei discendenti di Totomeo Lagò , come sotto la spada dei successori d’ Augusto , privato 1’ Egitto della sua politica libertà, conservò tutte le sue istituzioni religiose. L’at- taccamento del popolo per le antiche costumanze nazionali , lot= tava con una vittoriosa perseveranza , contro le imprese di uri potere usurpato , chie non si msnifestò s troppo spesso , che pet mezzo di atti violenti, o di esigenze crudeli. Dei magnifici tem=> pli furono fabbricati, o decorati di ricche sculture, nel corso di quei lunghi anni di servitù; e benchè quelle immense »costru= zioni fossero intieramente dovute alla pietà dei cittadini ; il nome del sovrano regnante fu costantemente scolpito su tutte le por= zioni di quegli edifizii, dei quali compievasi la decorazione: Vi si scolpiva pure l’ immagirie stessa del re greco, o quella del- l imperatore sotto il governo del quale erasi termiviata quella porzione di tempio ; così volevano le vecchie abitudini dell’Egitto, che nei secoli della sua libertà , aveva sempre considerate le famiglie dei suoi principi, tome dei rami di uno stipite celeste, ed ognora confusi in unì solo culto i suoi Dei , ed il suo re, che doveva rappreseritarli sulla terra. Così studiando i bassi rilievi e le iscrizioni colossali che co- prono le colonne , gli architravi ; i fregi, le soffitte , le cornici, in una parola le superfici intetne ., ed esterne di un tempio egi- fiano , si leggono successivamente le leggende reali dei sovrani, sotto il regno dei quali sono stati eseguiti questi diversi membri d’ architettura; ognuno dei grandi edifizi è dunque in qualche modo un libro istorico che conserva i nomi ; e la successione dei se re, ed ovunque è tracciata l’ immagine dei principi con tanta ricercatezza, che non v'è più da dubitare che quelle sculture ce ne offrano dei veri ritratti. Non si tratta qui che dei bassi rilievi rappresentanti dei Faraoni, cioè dei re di razza egiziana; poichè gl’ innumerabili quadri che si rapportano a dei sovrani stranieri , agl’ imperatori romani , per esempio , non rammentano nè la loro fisionomia particolare, nè il loro vero costume: i Cesari egualmente che i Tolomei sono tutti senza eccezione , vestiti al- l’ egiziana, abbelliti così delle insegne come dei titoli degli an= tichi re del paese , ed i loro soli nomi possono scoprire una ori- gine straniera: sembra che l’arte egiziana cercasse di dissimulare così agli occhi del popolo la servitù della sua patria. Il nome storico più recente, fra tutti quelli che abbiamo letti, tanto sui monumenti originali, che su dei disegni fedel- mente copiati dai viaggiatori, è quello dell’imperatore Commodo, scolpito sul piccolo tempio di Contra-Lato. Questo edifizio di un pessimo stile, porta in sè i contrassegni della decadenza dell’arte egiziana. Il nome dell’ indegno figlio di Marco Aurelio , si legge altresì quattro volte sulle leggende -di un monumento, che ta luno compiacevasi non ha guari di far rimontare sistematicamente ad un’ epoca sì recondita, che oltrepassava tutti i limiti dei tempi storici. Noi vogliamo parlar qui dello Zodiaco di Esnè , che con- sideravasi come anteriore -di molti secoli a quello di Dendera, la cui epoca era pure assai leggermente determinata. Così dun- que uno dei primi risultamenti dell’ impiego del nostro alfabeto geroglifico, è stato di stabilire che il più moderno nome impe- riale si legge precisamente nelle dediche del monumento del- l'Egitto che riguardavasi come il più antico. Le leggende dei predecessori immediati di Commdo, Marco Aurelio, ed il suo collega Lucio Vero, decorano la cornice di uno dei piccoli templi che danno all’ isola di File, snlla fron= tiera dell’antica Etiopia, un aspetto sì pittoresco , per la pre- senza inaspettata dei prodigi dell’arte, misti alle produzioni della natura sù di un suolo arso !ai calori del tropico. Uno dei pro- pili di questa medesima isola sopraccaricata di monumenti , con- serva altresì la memoria del virtnoso Antonino, il cui venerato nome orna pure il propilo orientale a Dendera. Altre iscrizioni geroglifiche provano che sotto quell’imperatore furono ristaurate alcune parti del palazzo Medinet-Abù a Tebe, mentre che in mezzo al deserto , nell’ Oasi di El-Kardgeh ; dedicavansi al Die Ammone, a nome d’ Antonino Pio, i templi di Kassr-Zayyan , e di Dusc-el-Kalà, 53 Il soggiorno dell’imperatore Adriano in Egitto, per tutto l’anno. tredicesimo del suo regno, dovette essere consacrato da una folla di monumenti; ma se si eccettui la città d’Antinoe 3 tutta di architettura greco-romana, ed i cui edifizii sono stati demoliti da dei barbari speculatori , 1° Egitto non conserva la memotia di Adriano che per mezzo di alcuni bassi-rilievi dei templi di Dendera , o del piècolo tempio d’ Esnà. Ma Roma con- serva ancora un. obelisco, quello del Monte Pincio, le cui gero= glifiche iscrizioni ce ne fanno conoscere la destinazione. Fu inal- zato in onore del celebre favorito Anitinoo, a nòme di Adriano, e dell’imperatrice Sabina, sì disgraziata per il credito di cui godeva quel giovane greco presso il figlio adottivo di Î'raiano. L’ antichità dava a quest’ultimo il soprannome di Parietario, perchè il nome di questo imperatore leggevasi in tutti i monu- menti costrutti o ristaurati sotto il suo regno. L’ Egitto stesso at- testa questa leggiera debolezza di un principe sì eccellente, perchè la sua leggenda , ed i suoi diversi titoli sono scolpiti in caratteri geroglifici nei bassi-rilievi e nelle decorazioni architettoniche d’un gran numero di edifizii, fra i quali citereimo i templi di File, di Ombi, di Esnè, e di Dendera. Nessun monumento di stile egiziano , porta ch’ io mi sappia il nome di Neroa; ma quelli dei due imperatori. della famiglia Flavia, soprattutto quello di Domiziano, sono riprodotti sugli edifizii di File, di Siène, di Esnè, di Dendera, e nelle iscrizio- mi dell’ obelisco che decora la piazza Navona a Roma. Altri due obelischi eretti in onore di Domiziano; hànno esistito nella città di Benevento: il solo che sia oggi in piedi, non è composto che di rottami; ma nel mio soggiorno in quella città , pervenni a ritrovare dei grandi frammenti, che ravvicinati a quelli di cui si compone l’ obelisco attuale, mi hanno permesso di re- gtituire i due antichi obelischi quasi in tutta la loro integrità. Questi monumenti, come attestano le loro leggende geroglifiche , sono stati eseguiti in Egitto per ordine del Prefetto romano Luci- lio Rufo Beneventano , per essere collocati davanti ad un tempio dedicato alla Dea Iside , nella città di Benevento, per la salute dell’ imperatore Domiziano / amico del genere umano , il Dio Mondano , e il cui nome è graziosissimo , dice il testo originale. I titoli onorifici di Tito sono assai meno fastosi, e più sem- plici, per ciò solo forse, perchè egli li meritava di più , e biso- gna andare nel fondo dei deserti, nell’ Oasi di Dakhkel, ove pe- netrò pure la sua beneficenza, a cercare un monumento in cui 54 sia consacrata la memoria di questo modello degl’ imperatori. Si ritroverà forse il suo niome in seguito alle leggende di Vespasiano suo padre; scolpite niel portico del grani tempio di Esnè. I regni sì agitati, e sì rapidi di Vitellio, di Ottone, e di Galba non hanno lasciato che poche traceè sui monumenti di Egitto; ma una folla di bassi-rilievi dei templi di File, e di Asch- munein, provano che la loro decorazione è stata terminata sotto il regno di Nerone; come pure delle porzioni molto importanti del gran tempio di Derdera , fra le quali noi designeremo par- ticolarmente il piccolo edifizio costrutto sulla piatta-forma ; edi- fizio divenuto troppo celebre per lo Zodiaco circolare scolpitovi sulla soffitta. Ma questo Zodiaco contiene la leggenda imperiale di Nerone, sotto il regno del quale fu eseguito, egualmente che i bassi rilievi all’ intorno ; questo Zodiaco nion è dunque anteriore all’anno 37.° dell’era nostra, e quello di Esnè che supponevasi più antico di molte centinaia d’ anni, è al contrario più recente di un secolo e mezzo, non avendo Commodo, al nome del quale è dedicato, rivestita la porpora imperiale che l’anno îdo di Gesù Cristo. Leggonsi altresì sugli edfizîì di Esnè, di Dendera, di File e simili, i nomi ed i titoli dei predecessori di Nerone, Claudio , Cajo, e Tiberio; ma le porzioni le più sintiche di alcuni di quei templi, non meno che molte costruzioni della Nubia, portano la leggenda imperiale di Augustà, che sottomise l'Egitto alla do- minazione romana. Risulta da questo saggio sommario, che sotto 1’ impero dei Cesari , il culto egiziano fu esercitato pubblicamente, e ch’ egli conservò tutto il suo esterno splendore , poichè degli edifizii del- l’importanza di quelli di Esnè , di Dendera, di File, di Ombi, e simili, furono costrutti, o almeno decorati di quegl’ immensi bassi-rilievi che divengono oggi dei veri repertori iistorici. Tali fatti condannano così , in una maniera definitiva, una opinione troppo leggermente enunciata, che voleva non ha guari assegnare all'insieme delle costruzioni egiziane , ornate d°’ iscrizioni gero= glifiche, una data anteriore alla conquista dei Persiani. Questo sistema di caratteri fu sempre la scrittura monumentale dell'Egit- to fino all’ intiera conversione degli Egiziani al cristianesimo. So- disfatti di dare in una maniera certa , per mezzo della lettura delle dediche imperiali, incise su quei monumenti), l’epoea pre- cisa di ciascuna delle loro parti, lasceremo ai dotti architetti Huyot, e Gau, la eura di mostrare quanto l’influenza romana 55 divenisse funesta all’arte egiziana, che sotto il giogo straniero , perdè a poco a poco la sua purità, e la sua originalità primitive. Di già la dominazione dei Greci, che precedè quella dei Ro= mani aveva agito, ed in un medesimo senso, sulle arti dell’Egitto. L’ esame delle costruzioni e delle sculture di quell’ epoca , sta- bilisce, senza replica , contro l’opinione di Winckelmann, e della sua scuola, che lungi dal ravvicinare l’arte egiziana alle forme convenzionali del bello ideale concepito dai greci , la presenza dei gapi d’ opera dell’ arte ellenica , supponendo che siano mai dive- nuti un oggetto di studio , e di emulazione per gli artisti egiziani, non ebbe altro effetto che d’ allontanare la scultura egizia da quella semplice imitazione della natura locale, che fa distin- guere sì eminentemente tutti i prodotti d’antico stile, ben al- trimenti che delle decorazioni architettoniche. Aggiungiamo tut- tavia che degli occhi attenti paragonanda i monumenti egiziani dell’ epoca romana con quelli dell’ epoca greca, riconoscono in questi ultimi un grado assai meno marcato di decadenza , sopra tutto se questi edifizii rimontano al secolo dei primi Lagidi. Il numero , e l’ importanza dei monumenti fondati, o deco- rati sotto i diseendenti di Tolomeo-Lago ; uno dei generali che si divisero l’impero d’ Alessandro, fanno fede dell’ accorta e sag- gia politica di quei re greci, che per consolidare il loro trono e renderlo popolare in una terra così straniera come lo era l’Egitto ai costumi ellenici , lasciarono una intiera libertà alla credenza, al culto pubblico ; ed alle costumanze di un popolo ; che i casi . della guerra avevano posto sotto il loro dominio. Come le immagini degl’ imperatori, così riconogconsi ancora quelle dei re Lagidi frammischiate alle immagini degli Dei, nei bassi-rilievi che decorano molti templi dell’ Egitto ; e l’istoria ha un interesse tanto più reale a raccogliere le iscrizioni egiziane datate dal regno di questi re greci, in quanto che gli annali di quella dinastia , incerti in alcuni punti , hanno bisogno di essere appoggiati dalla testimonianza la più decisiva, quella dei pubblici monumenti. La scoperta dei titoli, e dei nomi de’Cesari sui templi dell’ Egitto, bench’ ella abbia troncate delle discussioni molto importanti , non poteva essere in effetto così profittevole agli studii Storici , come la fruttuosa applicazione dell’ alfabeto geroglifico alle dediche delle costruzioni anteriori al Senatus consulto, che riunisce l’ Egitto al dominio romano. Uno dei primi frutti di questa applicazione è stata di rista- bilire sul canone dei re egiziani, il nome di un giovane principe 55 ì crudelmente punito della disgraziata illustrazione del suo nasci- mento. Si tratta quì d’ un figlio del Dittatore Giulio Cesare, e della celebre Cleopatra: questo fanciullo, l’ultimo rampollo della schiatta reale di Lago , e che riconosceva per padre il primo im- peratore romano , portò il nome di Tolomeo-Cesare , come per annunziare al disgraziato Egitto il suo passaggio dal greco do- minio alla dominazione romana. Una stela bilingue , del Museo di Turino, è venuta a confermare ciò che mostravarici già le sole iscrizioni geroglifiche , il regno , cioè, di Tolomeo-Cesare , sotto la tutela di Cleopatra sua madre. Questi due nomi congiunti, si leggono in fatti in mezzo alle decorazioni del gran tempio di Den- dera; e siccome sì trovano nelle dediche più antiche , così non è troppo avanzarsi l’'attribuire la fondazione di quel magnifico edifizio, consacrato alla Dea Athyr, o alla Venere egiziana, ad una regina abituata a mascherare la sua destra politica sotto l’in- canto delle seduzioni, e le attrattive dell’ amore. Non s’ incontrano che raramente sulle grandi costruzioni egi- ziane i nomi dei Lagidi contemporanei od associati di questa Cleopatra , fino a Tolomeo-Dionisio, suo padre. La troppo breve durata di questi regni , ed i torbidi inseparabili da una tale ista- bilità nel capo del governo, non gli permisero infatti d’ intra= prendere delle grandi opere pubbliche: ma le leggende dei due Tolomei soprannominati Alessandro , si leggono nel gran tempio di Ombi, e sopra tutto in quello di E4fù, ove ritroviamo egual mente .delle dediche fatte a nome di, una regina ancora ignota alla storia, Berenice moglie di Tolomeo-Alessandro I.° , ciò, che confermano due contratti demotici del Museo di Turino, datati dell’ anno 116:° del regno di Tolomeo Alessandro ; e della regina Berenice , dei Filometori. Due manoscritti simili appartenenti al Museo reale di Parigi, confermano la tutela sotto la quale pas» sarono i primi anni del medesimo prineipe, e che egli terminò con un matricidio. Questi contratti portano la data dell’anno XV.° della regina Cleopatra-Ervegete-Filometore ; madre di Tolomeo- Alessandro-Filometore , che contava allora l’anno 12.° del suo regno. Il monumento di E4fù presenta pure le leggende reali di Tolomeo Sotere IF.° predecessore di Alessandro I.°, e come lui re schiavo di una madre ambiziosa, che fece iscrivere il suo nome negli atti pubblici, avanti a quelli dei suoi figli che il suo ca- priccio chiamava al trono, e ne li scacciava a vicenda: ciò che prova anche un contratto conservato nel Museo reale, ed ese- guito l’anno IV.° di questa regina, e di Tolomeo-Sotere II° 57 Altri due contratti egiziani debbono essere riferiti a circa quest’ istessa epoca di rivoluzioni; eglino sono datati dell’ an- no VIII. di un Tolomeo, e di una regina Cleopatra sopranno- minata Trifene , la cui esistenza è un nuovo fatto da spiegarsi negli annali dei Lagidi. I monumenti di stile egiziano che sì rapportano al regno di Ervegete IT.° è successivamente alle sue due mogli, Cleopatra sua nipote, e Cleopatra sua sorella, sono pure in grandissimo numero. Tali sono, a File, il tempio di Athyr o Venere, dedicato a nome di Evergete II.° e della sua seconda moglie , Cleopatra , che si mostrò in seguito piuttosto il tiranno , che la madre dei re So- tere II.° ed Alessandro 1.°; ad Ombi, e ad Edfù , diverse por- zioni dei templi cominciati sotto i re precedenti. Si trovano infine nel palazzo di Karnac » monumento della magnificenza faraonica, delle ristaurazioni di Evergete II°; ma i lavori del re Lagide si fanno riconoseere facilmente per lo stile TOZZo e pesante, in mezzo a delle sculture di un’ epoca più an- tica. Superstizioso al pari che erudele, Evergete II.” credette sen- za dubbio di espiare i suoi delitti con degli atti di pietà religiosa. Si legge ancora sopra una vasta tavola di granito collocata contro il pilone orientale del gran tempio di File, una lunga iscrizione geroglifica dell’anno XXIV.° del suo regno, e contenente la do- nazione fatta a questo tempio d’un vasto terreno coltivato, posto nei contorni di Siène , in riconoscenza dei benefizii ch’ egli ha, com’ei dice, ricevuti dal suo padre, il Dio Osiride, e dalla sua madre, la Dea Iside , signori sovrani di File. I contratti datati dal regno di Filometore si sono quasi tan- to moltiplicati nelle collezioni d’ Europa, quanto quelli del re- gno di Evergete IT.° suo fratello, e suo successore 3 @ per mezzo dì questi ultimi è stato confermato il regno efimero di un fan- ciullo, Tolomeo-Eupatore , figlio del re Filometore , assassinato dal suo zio quand’ egli s’ impadronì del trono. Data da Filometore la dedica del gran tempio di Ombi agli Dei Aroeri e Serek, l’ Apollo, ed il Saturno egiziani. Tolomeo-Epifane , il padre dei due re dei quali abbiamo par- lato , e la regina sua moglie, Cleopatra di Siria, dedicarono uno dei templi di File al Dio Imuth » figlio di Phthà, deità assimilata dall’ iscrizione greca al Dio Asclepio , l’ Esculapio dei Latini. La dedica del tempio d’ E4fù al Dio Aroeri è pure del regno di que- sto principe , al quale appartengono molti contratti del Museo reale di Parigi, che riproducono l’intiero protocollo della celebre T. XXXII. Novembre. 8 58 iscrizione di Rosetta, primo fondamento di tutte le cognizioni acquistate sul sistema grafico dell’antico Egitto, Il tempio d’ Anteopoli data dal regno di T'olomeo-Filopatare, e d’ Arsinoe sua moglie $ madre di Epifane: gli antichi palazzi di Karnac e Lugsor a Tebe, furono allora ristaurati; e si rapportano al suo predecessore Evergete I° i basssi-rilievi della gran porta trionfale, che si ammira anche in mezzo ai monumenti di quell’an- tica capitale dell’ Egitto. Evergete I.° si rese celebre per delle grandi spedizioni mili- tari nell’ Asia, e nell’ Affrica, e per delle conquiste , la cui fa- stosa enumerazione ci è stata conservata dal monumento greco di Adulis. Una tale iscrizione prova che quel Tolomeo estese la dominazione dell’ Egitto dalla parte del mezzo giorno; ed è in fatti il primo nome di re Lagide che si trovi al di là della pri- ma cataratta, sui monumenti della Nubia. Lo si legge, fra gli altri luoghi, nelle sculture del tempio di Dakkè, che era 1° an- tica Pselcis. Ma molti bassi-rilievi di questo edificio sono stati eseguiti anteriormente a quelli che portano il nome di Everge= te I.° e della sua moglie Berenice, di quella che associando i suoi voti ai travagli militari del suo sposo, vide la sua chioma collocata fra le costellazioni, dall’adulazione degli astronomi greci di Alessandria. I quadri che precedono immediatamente quelli ov’ è figurato il re Lagide, rappresentano degli omaggi fatti agli Dei del tempio da un re del tutto estraneo alla famiglia dei To- lomei ; e frattanto lo stile di quelle sculture non offre il carattere di un’° epoca molto più antica. Èjquesto re incognito , il cui nome geroglifico non può pronunziarsi che ERKAMEN , oppure ERKA- MON, che ha dedicato il santuario più antico del tempio al Dio Thoth, soprannominato Arkncefis, come portano due iscri= zioni, in caratteri sacri, nelle quali questo ERKAMEN è quali- ficato coi titoli di Re, Dio benefico , figlio del Dio Chnufi , nata dalla dea Satè, e germe della dea Anukis, il Giove, la Giunone, e la Vesta degli Egiziani, divinità speciali di tuttii paesi vicini alla prima cataratta. Tutte queste circostanze riunite ci provano, dopo un maturo esame, che quel re ignoto non è altro che quello dei re etiopi, ) che osò il primo di scuotere il giogo teocratico , imposto dai sa- cerdoti ai sovrani d’ Etiopia, e che operò quella grande rivolu- zione con un mezzo che la politica affricana impiega troppo spes- so , vale a dire con un massacro generale. Diodoro di Sicilia , che racconta un tale avvenimento, dà in fatti a questo re_il_ nome 59 di Frgamenes, e dice positivamente che questo principe, imbe- vuto della letteratura, e della filosofia dei Greci, era coritempo- taneo di Tolomeo Filadelfo , padre di Evergete I°. Diviene dun- que evidente che la Nubia, una delle dipendenze del regno degli Ergameni , passò sotto la dominazione dei re greci di Egitto, per il successo dell’armi di Evergete I°, il cui nome fu iscritto nel tempio di Dakkè , dietro il nome dell’ Etiope suo predecessore. La buona amministrazione di cui godè l’ Egitto sotto i due piimi re Lagidi, Tolomeo-Fladelfo , ed il suo padre Tolomeo= Sotere, il capo della dinastia greca, spiega benissimo , ed il nu- iero , e l’importanza dei monumenti eseguiti sotto il loro regno: n tempio di Bohbait , nel Basso-Egitto , costrutto intieramente di granito rosso, data certamente dalla loro epoca, del pari che molte porzioni degli edifizii di File, di Qus, e di Tebe. Uno dei generali più segnalati di Alessandro il Grande; Tolomeo; cognominato Sotere, qiiando si mise in testa la corona di Egitto, era di fatto il sovrano di quella ricca contrada avanti di prendere i titoli, é le insegne reali. Nell’ intervallo che passò fra la morte del conquistatore macedone, e 1’ anno in cui i suoi Luogotenenti consumaroro la loro usurpazione coll’ assassinio del- l’intiera famiglia di Alessandro, Tolomeo fece riconoscere suc= cessivamente all’Egitto due re , dei quali le iscrizioni geroglifiche certificano i regni, e che la sforia deve ormai 4mmettere riella lista dei sovrani egiziani. L’ uno, rammentato nelle sculture del primo, e del secondo santuario del palazzo di Karnac; a Tebe, è sulle colonne del portico di Ascmuneim , è lo stesso fratello di Alessandro il Grande, Filippo, più conosciuto dagli storici sotto il nome di Arideo ; e l’altro re che Tolomeo diede per successore a Filippo s fu Ales- sandfo ; il figlio stesso d’ Alessandro il Grande, e di Rossane, figlia d’un Satrapa o re battriano. Alcune leggende geroglifiche incise sul propilo di granito, ad Elefantina; su d’alcuni punti dei palazzi di Lugsor; e di Karnac ; infine un foglio di papiro del Museo reale, che è un semplice contratto ; sono oggi i soli testimoni , che attestano che il figlio del conquistatore del- l’Asia godè, per alcuni giorni, del vano titolo di erede di suo padre . L° ambizioso Cassandro lo fece scannare; è dunque 1’ assassinio di un fanciullo, nato dal Greco conquistatore, e da una madre Persiana, che in Egitto segnò il fine della do- minazione dei Persiani, ed il principio della dominazione greca, nella stessa maniera che , tre secoli dopo , l’ assassinio del giovane 60 figlio di Giulio Cesare, e della regina Cleopatra, terminò la do- minazione dei Greci, ed annunziò quella dei Romani. Si accrescono pure dall’ epoca di Alessandro il Grande ,; o in altri termini, partendo dagli ultimi anni del IV.° secolo di Gesù Cristo, il disordine, e l'incertezza negli annali egiziani , per il cronologista che volesse risalire con qualche sicurezza il corso dei tempi anteriori. I documenti fornitici dagli scritti dei Greci son vaghi, poco legati fra loro, e troppo spesso in contradi- zione , quando si tratta dell’istoria dell’ Egitto godente della sua indipendenza politica , e governato da re nazionali. Gli avveni- menti che si successero in quella lunga serie di secoli, furono infatti talmente stranieri alla Grecia, e sì lontani dai suoi tempi letterarii , che bisognerebbe rinunziare ad ottenere dei lumi po- sitivi su quelle antiche epoche, se i monumenti inalzati sotto il regno dei re che decidevano allora dei destini dei popoli, non sussistessero ancora ai giorni nostri, ed in grandissimo numero , sul suolo stesso dell’ Egitto. Applicandole a quest’ ordine di mo= numenti , le nuove cognizioni sul sistema geroglifico hanno ri- cevuto, da una parte una piena conferma , e dall’ altra hanno acquistato alla storia una massa di certezza, e di documenti af fatto inaspettati. Si raccoglie, infatti, in primo luogo , dalle iscrizioni con temporanee della maggior parte di questi re di razza egiziana, che per quaranta anni combatterono senza interruzione per la libertà della loro patria, contro la potenza dei Persiani, il cui giogo fu spezzato dai re egiziani Amirteo, e Nefereo. Due sfin= gi del museo del Louvre portano le leggende di quest’ ultimo re, e quelle del suo successore Achoris, che rammentano altresì le sculture del tempio di Zlethya, le iscrizioni di Tura, ed una stela del museo di Turino. Esiste all’istituto di Bologna una sta- tua del mendesiano Neferite ; e i nomi dei re che gli successero nella guerra nazionale , i due Nectanebo , si leggono su diversi edifizii di File, di Karnac, di Kurna e di Saft. ll nome di Dario-Ocho , che col ferro , e col fuoco , e mal- grado gli sforzi dei re che abbiamo nominati , assoggettò di nuo- vo l’ Egitto alla dominazione persiana, non si è finquì ritrovato in nessuna parte; ma contro ogni speranza esistono ancora dei monumenti che rammentano i regni dei primi successori di Cam- bise. La statua di un sacerdote Saita, nel museo del Vaticano, offre nelle sue iscrizioni il nome del feroce Cambise' (KAMBOTH). Quello di Dario (NTARIOUSCH) è scolpito sulle colonne del gran I Gi tempio dell’ oasi d’El-Kardgèh ; ed i musei reali di Parigi, e di Turino posseggono nove contratti originali passati sotto il lungo regno di questo monarca. Finalmente in Egitto si leggono an- cora delle iscrizioni datate di diversi anni dei regni di Xerse (KHSCHÉARSCHA) e di Artasetse (ARTAKHSCHESSCH). Come egli è naturale di aspettarselo, i monumenti delle dinastie egiziane anteriori alla conquista dei Persiani, vale a dire alla fine del VI secolo avanti l’era nostra , sono molto più mol= tiplicati ) e d’ una importanza più rilevante. I re della famiglia dei Saiti, il cui trono fu rovesciato dai Persi, hanno tutti, tranne l’ultimo, il disgraziato Psammenite , menzionato nell’iscri- zione della preziosa statua del Vaticano , lasciato dei testimoni irrecusabili dello splendore del loro regno. La maggior parte de- gli avanzi delle sculture di Sais, portano la leggenda reale del celebre Amasi, ed è questo Faraone che fece alla Minerva egi- ziana, Neith , la dedica della cappella monolita di granito ros- so ; esistente nel real museo del Louvre. L’ Obelisco della Mi- nerva a Roma, ed aleune porzioni degli edifici di File, datano dal regno del suo predecessore Apriès. S° incontrano egualmente in quell’ isola sacra delle costruzioni di Psammatico -II. Molte stele ed iscrizioni di statue riproducono la leggenda di Nechao II che s° impadronì di Gerusalemme, e condusse il re Joachaz pri- gioniero in Egitto. Il bello Obelisco di Monte-Citorio, a Roma; le enormi colonne della prima corte del palazzo di Karnac a Te- be, sono dei monumenti della magnificenza di Psammetico I; il pacificatore delle discordie civili che desolarono l’Egitto quand’eb+ be cessato la dominazione degli Etiopi. Il giogo di questa dinastia straniera non ebbe però un carat= tere oppressore: la causa ne fu senza dubbio la comunità d’ori> gine , di religione ; e di linguaggio, esisterite fra i vincitori ed i vinti. La prova diretta della dolcezza dei conquistatori Etiopi, esiste nel numero considerabile dei monumenti ; che in Etiopia non meno che in Egitto, portano delle dediche fatte a nome dei re padroni di quei due paesi ad un tempo, Scabak, Sévekothph Tahrak, ed Amenaso : il Sabacon , il Sevechus , il Tharaca , e l’ Ammeris, menzionati dai libri santi , o dalle storie greche. Nelle rovine di Eliopoli, e sopra tutto a Tanis, si trovano diverse costruzioni del regno dei Faraoni della dinastia egiziana Tanite , che precedè l’invasione etiopica. Vi si leggono ancora i nomi dei tre re di questa famiglia, Petubastes, Osorthos, e Psammus. 62 Le rovine di Bubaste offrono dal canto loro dei monumenti dei re Bubastiti; predecessori dei Taniti. Il capo di questa di- nastia , il vincitore di Roboamo figlio di Salomone ; e lo spoglia= tore del tempio di Gerusalemme, e dei tesori di Davide, Seson= chis , fece costruire il gran tempio di Bubaste descritto da Ero- doto , come pure il primo cortile del palazzo di Karnac a Tebe. Il suo figlio Osorchon, che condusse pure un’ armata in Siria ; continuò le importanti opere intraprese da suo padre. Ma il suo successore Tatellothis, non è ancora conosciuto che per un pic- colo quadro funerario consacrato alla memoria di uno de’ suoî figli, dipintura di cui una metà è conservata nel museo del Va= ticanò, mentre che l’altra metà fa parte del real museo di Turino. Delle sculture rammentano anche la memoria della dinastia precedente, quella cioè dei primi Taniti, il cui capo Mandudthph ; chiamato Mendès dai greci, costrusse quel vasto palazzo , co- nosciuto nell’ antichità sotto il nome di Labirinto, e chie diviso in corpi di fabbriche, eguali in numero ai nomi, o prefetture del- l'Egitto , riuniva, a delle epoche determinate , delle deputazio- ni di ciascuna provincia per decidervi i più importanti affari dello stato. Aristotele , Bossuet, e Montesquieu consideravano diinque, con tutta ragione, l’antico governo dell’ Egitto come temperato e costituito in una maniera stabile. I nomi deì XII re di famiglia diospolitana che occuparono il trono prima dei Tariti, esistono ancora sui templi e sui pa- lazzi dell’ Egitto; ma nè gli estratti dei libri di Manetone , nè alcuno istorico , avendoci trasmessa l’ intiera serie di quei prin- cipi , egli non sarà possibile di fissarne la vera successione, che studiando sui luoghi stessi l’ordine nel quale sono tracciati que- sti nomi reali nelle decorazioni dei monumenti terminati sotto il loro regno. Questa dinastia si conta pet la XX.* nel sistema cro= nologico egiziano : ella ebbe per suo capo Rhampsinit ; Faraone celebre per le sue immense richezze. Si riconosce nell’ ortografia greca di questo nome dell’ evi- denti tracce di quello di Rhamsès , che portarono tutti i prin- cipi della precedente dinastia, detta la XIX.* diospolitana , i quali in numero di sei, hanno coperto l’Egitto di magnifiche co- struzioni, benchè il meno antico di quei principi, Ramsés XI. sia contemporaneo della guerra di Troja. Il suo nome è iscritto, fra gli altri luoghi, sulle piccole colonne della sala Ipostilia di Karnac. Il museo di Turino possiede degli atti pubblici datati 63 dal regno del suo predecessore Ramsès X, sopranominato Am- mènèmè : si ammirano ancora a Biban-elmoluk la tomba reale di Rhamsès IX. Il suo predecessore Rhamsès VIII detto Ume- nothph , è menzionato nei papiri di Turino, e sopra un. fram- mento di statua del museo britannico. La tomba del secondo re di questa potente dinastia, Rhamsès VII esiste tuttora a Tebe, e si legge la sua leggenda reale a Karnac, ad Elefantina, e sur un gran numero di “monumenti trasportati in Europa. In fine l'Egitto , e la la Nubia offrano poche costruzioni notabili , dal mediterraneo fino alla seconda cataratta, che non rammentino nelle loro decorazioni il regno del capo di questa dinastia, Rham- sès VI, più conosciuto in occidente sotto i diversi nomi di Rham- sès, e di Sethos, di Sesoosis, e di Sesostri. Questo gran re fu degno di tutta la sua celebrità, tanto per le savie leggi ch’ egli diede alla sua patria, che per le vastissime sue imprese. I templi che tuttavia esistono a Derry, a /bsam- bul, a Ghirschè, ad Uadi-Essebuè in Nubia ; il palazzo detto d’ Osymandias ; una porzione dell'immenso edifizio di Karnac ; il primo cortile , il pilone e le colonne del palazzo di Lugsor a Tebe, sono tutti monumenti della gloria di Sesostri; ed il risul- tamento delle ricchezze conquistate , e consacrate da quell’illu- stre monarca al benessere del suo paese, ch'egli intersecò di ca- nali e coperse di nuove città," o di utili stabilimenti, durante un regno felice di 55 anni. Possessore legittimo d’ un trono che aveva occupato avanti di lui una serie di re, fra i quali 1’ Egitto contava già molti dei suoi Faraoni più illustri, fu Rhamsès, o Sesostri, vissuto nel XV secolo avanti l’era cristiana. È quella un’epoca alla quale rimonta la ‘storia di pochissime nazioni con una intiera certezza. Per tutto altrove non si citano che delle tradizioni, l’Egitto solo può mo- strare una massa di monumenti contemporanei, ed è precisamente per la gran dinastia diospolitana, che precedè quella di Sesostri , che questi monumenti , contemporanei di ciascun regno senza eccezione , sussistono ancora , ed in maggior numero che per le epoche posteriori. Sono dei templi, de’ palazzi, delle tombe, dei colossi, degli obelischi, delle iscrizioni incise sulla pietra, e fino degli atti pubblici originali , scritti su delle fragili pelli- cole di papiro, che hanno resistito a più di trenta secoli. L’ applicazione dell’ alfabeto geroglifico, ai testi incisi su quei diversi generi di monumenti , assegna ai re di questa dina- stia, detta la XVIII.*, la fondazione degli edifizii più antichi di 64 Tebe , e dell’intiero Egitto. Questa applicazione dimostra, da un lato , l’ alto splendore della nazione egiziana nei tempi in cui la maggior parte degli altri popoli non empiono che di favole ma- ravigliose , e prova dall’ altro 1’ esistenza reale di re che lo scet- ticismo dei critici aveva posti nel numero di quelle finzioni che sogliono propagarsi dall’ amor proprio nazionale. In fatti molte parti del palazzo di Karnac sono state deco- rate sotto il regno di Rhkamsès V detto Amenofi , padre di Se- sostri. L’avo di quel conquistatore Rhamsès IV detto Mei-Amun, fece costruire il vasto palazzo di Medinet-Abù , ed il tempio si- tuato verso la porta meridionale di Karnac. Il magnifico sarco- fago che già racchiuse il corpo di questo Faraone , è stato tra- sportato dalle catacombe di Biban-el-Molùk , al museo reale del Louvre. Delle dediche di Rhamsès III leggonsi anche nel secon= do cortile del palazzo di Karnac , e la tomba di questo’ 14.° re della gran dinastia diospolitana esiste tuttora a Tebe, nella valle sepolcrale dei re. Il sno predecessore, RAamsès II, fece erigere i due superbi obelischi di Lugsor. I fratelli Mandwuei, ed Usiret, che regnarono avanti di lui ; hanno lasciato per testimonii della loro esistenza , uno , il grande obelisco della piazza del popolo a Roma, tolto dalle rovine di Eliopoli da Augusto sedici secoli dopo 1’ erezione di quel monolito j 1° altro, il bel palazzo di Kurnà, e la sua maravigliosa tomba scoperta a Tebe dall’infe- lice Belzoni , non meno che il magnifico sarcofago d° alabastro ; oggi in Inghilterra. Il loro padre Rhamsès I, inalzò le masse della sala Ipostilia di Karnac , e scavò la sua sepoltura a Bi- ban-el-Molùk . Una iscrizione del museo di Turino richiama la memoria della regina Achenchersès , e quella del suo padre il re Oro, sotto il regno del quale si costrusse il gran colonnato del palazzo di Lugsor. Le più antiche parti di questo edifizio , il tempio sì elegante di Senufi ad Elefantina, il palazzo già cono- sciuto sotto il nome di Memronio, e quello di Sohle sulle fron= tiere dell’ Etiopia , sono dei monumenti della pietà, e della son- tuosità di Amenofi II , la cui statua colossale parlante attraeva nelle rovine di Tebe la superstiziosa curiosità dei romani. T'out- most IV suo padre , terminò i templi di Vadi-Alfà, e di Amadà in Nubia, cominciati dal suo predecessere Amenofi I, le cui leggende leggonsi ancora sugli edifizii di Karnac ; e d’ Ibrim. I pilastri , e gli appartamenti di granito del palazzo di Karnac, molti templi della Nubia, la grande sfinge delle piramidi, e l’ obelisco sì colossale di San Giovanni Laterano , attestano la 65 possanza del Faraone Toutmosi III detto Meri. È questi il Meris dei greci, sì famoso per la creazione di un lago importantissi= mo per la prosperità agricola dell’ Egitto. Il più enorme degli obelischi di Karnac è stato eretto da sua madre, la regina Amen- sè , che per ventun anno governò l’ impero. Quel monolito è de- dicato , a nome di questa principessa , al Dio Ammone, ed alla memoria di suo padre outmosi II, del quale portano le leg- gende reali le più antiche parti del palazzo, ripetute in fondo della Nubia nei bassi-rilievi del tempio del Nilo a Semnè . Il museo di Turino possiede un colosso di Toutmosi I, padre del pre- cedente, Infine, il nome del capo di questa illustre dinastia tebana: è riprodotto in una folla d’iscrizioni religiose ove adorasi quel Fa- raone Amènothph come un Dio, perchè egli liberò l'Egitto dalla lunga tirannia dei barbari , di eui tutto ci dimostra 1’ origine seitica , e che da due secoli e mezzo , opprimevano, e devasta- vano quella disgraziata contrada. ; Altri monumenti egizianî, ma tutti di piccola proporzione , portano delle date del regno dei re diospolitani predecessori del liberatore Amènothph. Ma questa dinastia, confinata, durante 1’oc= cupazione dei Pastori, nelle parti meridionali dell’ impero; e' sempre in guerra contro i barbari, non divenne realmente pa- drona del suclo dell’ Egitto , che per il coraggio dell’ ultimo dei suoi re Amosi, che rispinse gli KyKschos fino alle frontiere della Siria , e lasciò al suo figlio Amènothph la gloria di forzarli nell’ ultimo loro trincieramento» A datare dall’ invasione dei barbari, vale a dire eircea verso I’ anno 2082 avanti Gesù Cristo, la serie sì continua dei monu- menti storici dell’ Egitto è tutto ad un tratto interrotta , ed ar- restata; alcuni avanzi soltanto di architettura offrendo le leggende di un Faraone Manduei , che pare essere T' Osymandias di Dio- doro di Sicilia , sussistono ancora per attestare dello stato avan- zato della civiltà egizianà nei tempi che hanno preceduto imme- diatamente 1’ arrivo delle orde devastatrici dei barbari. L’anna- lista di Egitto; Manetone, affermando che gli HyXkschos ave- vano intieramente distrutto i templi , i palazzi, ed ogni genere di monumenti che trovarono in piedi sulla superficie dell’Egit- to , ci toglie con ciò stesso ogni speranza di raccogliere nelle ro- vine sparse sulle due rive del Nilo, dei documenti positivi sul periodo storico anteriore ai Pastori. I monumenti di cui si am= T. XXXII. Novembre. 9 66 mirano ancora le masse imponenti , sono tutti posteriori a quel- l’ istessa epoca. Così 1° applicazione delle nostre nuove cognizioni sul sistema grafico egiziano, sia ai monumenti originali , sia alle iscrizioni monumentali fedelmente disegnate dai viaggiatori; ha già avuto per risultamento di rendere quindici intieri secoli di certezza agli annali di Egitto, dimostrando che su quella antica terra, sus- sistono ancora ai nostri giorni dei monumenti contemporanei di quasi tutti i principi che l’ hanno governato per più di ventidue secoli consecutivi. Si può osservare, intorno ai principali fatti che sono stati annunziati ; e che non fanno ; per così dire, che piantar basto- ni da livellare lo spazio, un vuoto di particolari ; che 1’ istoria. avrebbe un sì alto interesse di riempire. Il rammarico da noi espresso qui a questo riguardo ; non è nuovo: se /” istorico, di- ceva ; son già dodici anni, uno dei dotti più rinomati dell’Ale- magna (il signor Hèeren) esamina de’ bassi-rilievi (egiziani) isto- rici ed etnografici $ delle scene domestiche che dipingono i costu- mi della nazione, e quelli dei sovrani, egli domanda preci- samente gli oggetti che sono meno rischiarati. Disgraziatamente la questione resta ancora oggi quasi tutta intiera , e tutto ciò che n’ è stato pubblicato , lungi da riempire questa importante laguna ;, non ha potuto che aumentare ancora i rammarichi dei dotti che imparano solamente per mezzo di disegni (presi a caso in mezzo alle immense serie di bassi-rilievi) che i grandi edifizii dell’ Egitto offrono tuttavia scolpita , in tutti i suoi partieolari , l’ intiera storia dei più celebri Faraoni ; e che delle composizio- ni di una immensa estensione vi ritracciano le epoche più gloriose della storia degli egiziani ; poichè quel popolo ha voluto che la si potesse leggere sulle mura de’ suoi palazzi , ed è la sola nazione che abbia osato scolpire sulla pietra degli oggetti sì grandi , e dei quadri sì vasti. La dotta Europa conosce 1’ esistenza di quegli ammassi di ricchezze storiche: l'ardente suo desiderio sarebbe d’esserne messa in possesso ; ella ha giudicato che i nostri progressi negli studi egi- ziani, domandino che un governo illuminato si affretti ad inviare in Egitto delle persone consacrate alla scienza e convenevolmente preparate per raccogliere , in quanto eglino sussistono ancora , gl’ innumerevoli , e preziosi documenti che la magnificenza egi- ziana iscrisse già sugli edifizii, la cui massa imponente eccita la ‘nostra ammirazione. Sapendo altresì 1’ Europa che la barbarie , n sempre attiva, distrugge sistematicamente quei venerabili testi- moni d’ una antica civiltà, affretta con tuttii suoi voti il momento in cui delle fedeli copie di quelle iscrizioni e di quei bassi-rilievi storici, le daranno la certezza di riempire le più antiche pagine degli annali del mondo. Ma non alla sola storia d’ Egitto un tal viaggio deve fornire dei lumi , che si cercherebbero vanamente in altra parte che nei palazzi di Tebe ; esistono colà delle nozioni tanto desiderabili che. inaspettate su tutti i popoli che dai primi tempi dell’ umana civil- tà, rappresentavano una parte importante nell’ Affrica, e nel- l° Asia occidentale. Le principali spedizioni dei Faraoni contro le nazioni che potevano lottare allora per potenza coll’ Egitto, o ispi- rargli dei timori , sono scolpite sui monumenti eretti dai trionfa tori ; vi si legge il nome di quei popoli , il numero dei soldati , i nomi delle città assediate, i nomi dei fiumi traversati, e quelli dei paesi sottomessi : la quantità dei tributi imposti ai vinti , ed i nomi degli oggetti preziosi rapiti al nemico , sono incisi sui quadri che rappresentano questi trofei della vittoria. Questi bassi-rilievi, frammisti a lunghe iscrizioni esplicative $ divengono altrettanto più curiosi a conoscersi , in quanto che gli artisti egiziani hanno reso con una maravigliosa fedeltà , la fisionomia , il costume, e tutte le abitudini dei popoli stranieri contro i quali hanno avuto a combattere. Si potrà dunque finalmente imparare collo studio di- retto di quest’ immensa galleria storica, quali nazioni potevano bilanciare , in epoche sulle quali la storia resta ancora muta, il potere dei Faraoni , disputando all’ Egitto 1’ impero di quell’anti- co mondo che noi non vediamo finquì, se non se attraverso a mille incertezze , ma di cui la realtà, già dimostrata, non è meno sorprendente , riferendo tuttavia il tempo di quelle grandi scene ad un’ epoca molto più prossima a noi, di quello che voleva uno spirito di sistema più ardito che ragionato. Un viaggio letterario in Egitto è dunque oggi uno dei più utili che si possano intraprendere nell’ interesse delle scien- ze storiche. Il piano ne è decretato, e per eseguirlo io stesso , non mi resta che da sollecitare, ed attendere gli ordini del re. CHAMPOLLION IL GIOVANE. 68 Estratto del processo verbale della seduta della Società accademica di Aix. Seduta del a Agosto 1828. : Abbiamo ricevuto dalla società accademica di Aix in Proven« za , un estratto stampato, dei processi verbali di quel corpo scientifico , e letterario , dal quale ricavansi le seguenti notizie. Nella seduta del 2 agosto già decorso , aperta sotto la pre- sidenza del generale conte d’ Arbaud-Jouques , domandò la pa- rola il signor Sallier, per leggere al corpo accademico ivi raccolto, il rapporto di una scoperta della più alta importanza, fatta nei suoi Papiri egiziani dal sig. Champollion il Giovine, prima di ab- bandonare la Francia , per recarsi ad istituire nuove archeo- logiche indagini intorno ai geroglifici , sulle rive del Nilo. Dice pertanto l’ estratto che abbiamo sott’ occhio , che i Pa- piri del signor Sallier, che ne formano il soggetto , furono sotto- posti all’ esame del prelodato signore Champollion , e del nostro toscano professore Ippolito Rosellini (suo allievo nella scienza dei geroglifici , e che lo accompagna in Egitto ) soltanto la vigilia della loro partenza : per cui ebbero appena il tempo di scorrerli di volo , e prendervi sopra qualche nota. Questi Papiri al numero di 10, 0 12, furono comprati, al- cuni anni sono , dal signor Sallier con una collezione di antichità provenienti dall’ Egitto , da un marinaio originario di quel pae- se. Eglino contengono per la maggior parte di quelle preghiere , 0 di quei rituali, più o meno estesi, che solevano gli egiziani de- porre nelle casse delle loro mummie. Vi si vede pure un contratto di compra e vendita di 'una casa , fatto sotto il regno dei Tolomei ; ed anche tre rotoli riu- niti, scritti in bellissimi caratteri demotict, che sono come ognun sà i caratteri consacrati agli usi civili nell’ antico Egit- to (1). Si legge pure nell’ estratto pag. 2 , che il signor Champol- lion manifestò la sua maraviglia ad un tempo, e la sua gioia, all’ ispezione del primo di quei rotolî assai voluminosi, quando (1) Sarebbe stato bene clie l’ estratto ne indicasse i nomi del venditore e del compratore, come pure sotto qual Tolomeo fu fatto il precitato contratto, in qual anno del suo regno , ed in qual mese, poichè î ‘Tolomei son tanti, e ognuno troverà indispensabili queste condizioni; ma dobbiamo attribuire questa mancanza alla fretta colla quale dovette il sig. Champollion visitare tali papiri. 69 .eredette di riconoscere ch’ei tontenesse la storia delle campa- gne di Sesostri Rhamsès, chiamato anche Sethos, o Sethosis; e Sesvosis j e che vi si trovassero i ragguagli i più circostanziati | sulle sue conquiste, sui paesi da lui traversati, sulle forze, e | sulla composizione delle sue armate. Termina questo manoscritto , (prosegue l’ estratto) colla di- chiarazione dell’ istorico, il quale dopo aver fatto conoscere i suoi nomi, e i suoi titoli, certifica di avere scritto rell’ anno nono del regno di Sesostri Rhamsès , re dei re , lione nelle bat- taglie, il braccio a cui Dio ha dato la forza, e con altre perifrasi nello stile orientale. E qui è da notare, (dice sempre l’ estratto) che il nono ant no del regno di Sesostri indicato dal surriferito scrittore , è quello che Diodoro Siculo disegna come 1’ epoca del ritorno di quel gran conquistatore in Egitto. Pel corso di nove anni, dac- chè egli era salito sul trono, non aveva mai cessato di percor- rere il mondo conquistando , e lasciando per ogni dove dietro a sè, dei monumenti singolari delle sue vittorie, alcuni dei quali esistevano ancora ai tempi di Erodoto, vale a dire mille an- ni dopo. Tuttavia però malgrado questi monumenti, ed i numerosi quadri geroglifici, dei quali sono , per così dire , coperte le ri ve del Nilo , e che paiono consacrati in gran parte alla gloria di quel famoso monarca , noi non conoscevamo finora niente più che il. nome di Sesostri. Il suo genio, le sue virtù, le sne con- quiste , erano per noi sempre un problema. E finalmente que- sto eroe, rimarrebbe ancora un personaggio quasi favoloso agli occhi nostri, se tre mila trecento anni dopo la sua morte, non si fosse tentato; e non si tentasse con ogni sforzo , e per ogni ‘via , di rendere la parola a quelle emblematiche figure (2). Ha promesso il signor Champollion al possessore del mano- scritto , di cui abbiamo parlato qui sopra; che al suo ritorno dall’ Egitto, si porterà espressamente presso il medesimo per fis- sar sulla tela un così prezioso monumento , onde sottrarlo alla ‘distruzione, e per darne una traduzione completa; la quale ri- (2) Voglia secondare la propizia sorte, e rendere compiute le giuste brame, | le ricompensate le lunghe fatiche , e le dotte indagini di tanti studiosi del- l’antichità scritta e figurata , che si dedicano presentemente con tanto zelo , i ed ‘in varie maniere a questa importantissima parte di archeologia ! Sicchè sÎ possa un giorno con tutta verità asserire, e non prematuramente cone ‘altri già fece, che il velo ‘al capo del Nilo é alfin tolto, e che poco o nulla resta più a fare sui geroglifici . . .. ro schiarerà finalmente (posto vero ciò che si dice) quell’importante periodo dell’ antica storia ! L’ epoca di cui parliamo , tocca i tempi mosaici (dice sempre I’ estratto) e verosimilmente il gran Sesostri era figlio di quel Faraone ; che perseguitò gl’ israeliti fino alle sponde del mare Eritreo; e forse ancora lo stesso Egitto, il quale obbligò il suo fratello Darao , o Armais , a rifugiarsi in Grecia, perchè aveva tentato nella sua assenza d’ impadronirsi del trono. Sullo stesso manoscritto , del qua!e abbiamo parlato , dopo un margine non scritto , (prosegue il più volte citato estratto), incomincia un’ altra composizione intolata: Lodi del gran re Amemnengone. Alcuni fogli solamente , che sono separati da intervalli , e contrassegnati con numeri, terminano quel rotolo, e formano il principio dell’ istoria contenuta nel secondo Papiro del signor Sallier. Pare che si possa congetturare da ciò (dice ancora l’estrat- to) che Amemnengone regnasse avanti Sesostri , poichè l’ autore scriveva nell’ anno 9.° del regno di quest’ ultimo. Si può trarre ancora questa presunzione dall’ uso omai ben riconosciuto di rap- presentare nei monumenti egiziani, dopo il principal personag- gio , la figura di suo padre, e qualche volta ancora dell’ avo. E finalmente in Erodoto , il successore di Sesostri porta il nome di Pheron, in Diodoro quello di Sesostri secondo, ed in Manetone quello di Rhkapsace, o Rhapses, mentre che suo padre è chi- mato Amenophis , o Amenoph, nome che si ravvicina molto a quello che si è creduto di leggere nel manoscritto . Un più pro- fondo esame toglierà egni incertezza su questo punto (3). Il terzo rotolo della collezione del signor Sallier tratta d’astro- nomia, o più verisimilmente d’astrologia, od anche dell’ una e dell’ altra di queste scienze. Esso non è stato ancora svolto (prosegue l’ estratto) , ma è facile a presumere che debba essere ancor questo di un grande interesse. Imperocchè dovrà farci co- noscere un tal manoscritto , le osservazioni che erano già state (3) Tutte queste congetture , e tutte queste presunzioni sul re Amen» nengone , andrebbero bene , se non vi fossero lo'tissime ragioni per dubitare che questo re sia un re immaginario , e prodotto dalla mala, 0 non intel- ligenza dei vocaboli egiziani . Ma conviene aspettare , prima di esercitare la critica su questo come su tanti altri puuti ancora incerti , i risultamenti delle nuove indagini del celeb. prof. Parigino intorno al sistema geroglifico egiziano. 74 fatte in quei reconditi tempi, ed il sistema celeste, quale era stato immaginato dagli egiziani, e dai Caldei; i primi popoli che probabilmente si occupassero di questa scienza ;, dopo gl’in- diani, aggiungo io (4). Dopo i rotoli surriferiti , aggiunge l’estratto la descrizione di una piccola figura di basalto ; che era pure compresa negli oggetti comprati dal signor Sallier dal marinaio egiziano ; e che pare essere stata trovata coi tre rotoli stessi. Ella rappresenta un uomo inginocchioni, la cui altezza , se la figura fosse dritta, sarebbe di undici pollici, avendone la testa uno e tre linee. Egli è appoggiato su di una specie di ta- vola, la cui altezza è in forma di leggio. Le mani collocate al di sopra, ma che sono state rotte, dovevano essere nella posi zione di scrivere. Sul davanti del leggio è scolpito il così detto cartello di Sesostri , e nel dorso della figura , si legge sopra una fascia in caratteri geroglifici , il nome del personaggio col titolo di Can- tore, ed amico di Sesostri. Questa figura era stata disegnata per il signor Champollion , prima che egli avesse veduto il Papiro. Non si sa dall’estratto, se siano conformi i nomi scolpiti sulla figura , a quelli menzionati nel rotolo ; ma tutto porta a credere che sia lo stesso scrittore, sulla cui tomba si sarà trovato il suo ritratto , e le sue opere. Ora di quale importanza non sarebbero mai questi scritti, se il loro autore contemporaneo di Sesostri, non avrebbe potuto adempire le funzioni della sua carica , senza se- guitare quel gran conquistatore nelle vittoriose sue corse ? . » Raccogliendo ora le nostre idee su quanto si è riferito di so- pra ; diremo che quantunque convenga essere molto guardinghi, e bisogni andare molto a rilento nell’ ammettere subito per vere le scoperte di questa sorta , per le grandi oscurità nelle quali sono tuttavia involte , la lingua , e le antichità egiziane ; e benchè il tempo impiegato dal signor Champollion per esaminare i Papiri (4) Potrebbe darsi ancora che un tal manoscritto , quando tratti di astro- nomia, non sia poi di 'tutta quella importanza che da altri si crede; ed è fra i possibili che a null'altro ci possa condurre che ad una spiegazione degli zodiaci antichi di quel paese, che hanno dato tanto da fare agli astronomi moderni, ad alcuni dei quali hanno fatto pur dire cose da non dirsi. Se potesse servire a ciò , non sarebbe poco il guadagno da noi fatto con una tale scoperta. 72 del signor Sallier sembri troppo breve ; per poter decidere, ‘se con- tengano veramente a puntino ciò che ad esso è paruto ; e che rife- risce l’ estratto da noi tante volte citato in questo articolo; pur tuttavia , il lungo ed esclusivo esercizio , fatto da quel dotto ar= cheologo in questo genere di anticaglie , la pratica maggiore ad ogni altro ch’ egli deve avervi acquistata , e la riputazione, di cui gode per tutta Europa negli studii egiziani , ci autorizzano a ere- dere, e ad annunziarlo anche ai dotti antiquarii , che quando an- cora i Papiri in quistione, (e particolarmente il primo), non conten- gano alla lettera quello ch’ ei vuole farci sperare ; non può essere per questo , che essi non sieno di un grande interesse, e tali da eccitare il puù vivo desiderio di conoscerne il vero contenuto, in tutti gli studiosi , ed in tutti gli amatori dell’ antichità egiziane. E noi facciamo voti perchè le ricerche di quest’Edipo francese nel- la terra dei Faraoni abbiano un pronto e pieno successo , onde possa reduce sollecitamente dal paese delle Piramidi, compire la suna promessa. E dato che si verifichi quanto se ne dice, lo studio di un tal manoscritto non potrà fare a meno di confermare le inve- stigazioni ch’ei va ad istituire nello stesso Egitto , inviatovi a tale effetto dal re di Francia. E qui ci crediamo in dovere di applaudire, e di render grazie ad un tempo alle mire magnanime , e liberali dell’ amatissimo no- stro Sovrano , che proteggitore illuminato ; quale egli è ; di ogni maniera di utili discipline, ha voluto associare alla scientifica spe=- dizione del monarca francese , il signor Ippolito Rosellinî profes- sore delle lingue orientali nell’ università di Pisa, unitamente a più altri dotti e scienziati toscani. E ci gode 1’ animo di veder no- minato fra quelli il nostro benemerito e valentissimo botanico , e natùralista signor Raddi ; il quale non mancherà certo di far pre- murosamente tesoro d’ ogni maniera di rari animali ed utili pro dotti sulle rive del Nilo , ond’ arricchirne il nostro museo di sto= . ria naturale, come già fece altra volta di quelli delle brasiliane regioni. Domenico VALERIANI. 73 NavarrerE. — Relazione de’ quattro viaggi di Crisro- Foro Coromzo. Volumi IV, Madrid; 1826 , Parigi e Ge- mova, 1827, 1828. : s BW. {eb hi Wasuineron Irvine. Vita di Crisrororo Coromzo. Vo- lumi II. Londra!, Parigi, Genova.1827, 1828. (*): ‘Vil è nel cuore un nervo iche. soavemente!. vibra ‘al pensiero delle gesta belle ed. egregie. Ve ne è un! altro che fremita non!men soavemente in onorar con (la. pietà la virtà infelice. I quali due. sensi sono i. possentissimi. ar- cani dell’ istoria e della ‘tragedia alla: miglioria. morale. Ma poderosissima: è ‘poi: 1’ efficacia loro. ove ?si, cumulino sul ‘medesimo subjetto ; cioè quando.agli \incliti per. ma- gnitudine d’ opere tocca anche. la tazza degli umani. ama- rori. Allora mutuamente si ingigantiscono;la meraviglia e la misericordia onde meglio eommendar 1’ Eroe;alla' me- moria e benevolenza degli uomini, Viva! Aristide, felice come: Policrate; e sarà riell’istoria pallidissimo.quanto. Pom- ponio Attico ; e la sua virtù, cheioggi è modello.a tutte le virtà', sarà inonorata , forse anche incognita, .® con, ciò infeconda, Finisca «il moderno Cesare 9 Ercole; benavven- turoso come Carlo Magno; e assai, memo; giganteggerebbe l'ombra sua, Tale è pure il caso di, Colombo, cui; l’immen- sità dell’ingegno e. dell’ azione fa.rimunerata, e pareggiata. da iniquità acerbissime. » Lo; Indi' di :lui cotanto: si :serisse. e sì scrive, mon. cessan- dosi di ridire ciò che sempre piace.a. riudirsi. Primo .suo storico ‘era’ il: proprio figlio Fernando, Ultimo, finora, fu l americano Irwing; il! quale pingendo in bel. quadro di Vita tutto il'già cognito di tanto. uomo, lo impreziosia con le ‘peregrine notizie che lo. spagnuolo. Navarrete andò per quaranta anni compulsando dagli archivii della monarchia. ‘0 Certo, l’ istoria è il. maggior monumento che mai pos- PIT LI (*) La traduzione italiana di queste duè'òpere si pubblica a, Genova, per cura dello stavipatore)Carniglia. T. XXXII. Novembre. cl 10 74 san gli uomini ergere a’loro simili. Ma forse ad eternare i nome di taluni illustri è la sensuale età della fantasia assai più. abile di quella che leva! dietro negli anni dei popoli : ossia dell’ intellettiva. Le nazioni adolescenti il fanno»sacro con.’ apoteosi, e mercè il culto gli accerta- no ricordanza indelebile. L’ istoria allora di chi ne meri- ta una è una religione. E noi avvisiamo che se mai fra’ mille laudati eventioterreni vi fu caso ‘meritorio ‘di deifi- cazione al'suo autore; ei fu senza dubbio la scoperta delle Americhe. !Tre. secoli fa il mondo fisico :civile \e amorale finia ‘al primo meridiano ; ‘(oggi sì è triplicato . Jl fiat di questa ‘seconda creazione fu tutt’ intero nello smisurato ingegno! concetto: e cardire di un italiano ; nè v'ha chi iguori che' Colonibo fu quest’ italico di eterna meraviglia. Onde è'che nell’ attuale ‘ufficio a parlar di Ini ; invece di cris tiche ‘anfanie: sullo »storiografo ;: futili. ormai che. ogni let- tore ha troppo criterio da: sè solo per. non: aver bisogno dell'al:rui, meglio ‘ci apporremo intendendo al che si me- diti sulle ‘vicende di tanta vita. E perciò ne andremo lu» meggiando' que’ momenti più contemplabili non che ‘più at. tuòsi sulla. ‘simpatia che le belle anime hanno a? bei fatti generosi . Lieti ove ne bastino le forze a farlo in. quelle de' gentili nostri lettori ! Per Colombo‘, "come già per Omero , varie:città no- bilmente \gareggiarono all’ onore d’ essergli patria. Geno- va intanto ha i titoli maggiori e .più autentici perchè le altre le'‘cedano in questa carità. municipica!; la sola in- nocenté fra le ‘mille ‘municipiche. gare. sì letali all’ Italia nostra ! Non'minore gara ‘arse fra varie famiglie a preten- dérne parentado. Molte ‘case ‘poichè il. videro, salito a sì famosa celebrità, ambiziose di ingemmare con un , nome chiarissimo le fosche quanto lunghe genealogie loro, ago- gharono a' chi più potesse provare affinità 0. consangui- ‘neità con la gente onde ebbe i giorni, Sul quale argomento non dovendosi da noi notare se non quello che è degno di ‘noi e de’ lettori nostri. .ammireremo, e, celebreremo la dignitosa altezza e coscienza di Fernando Colombo. Fa- cendo egli nell’ istoria del padre suoi cenno della sud- STIA mami mm me” _T——_—0_tp00e0—e— = seems ”:)?r.:;1(.. 5 detta boria gentilizia, se ne dimostrava degnissimo ffiatio fieramente rinunziando alle agognate attegnenze , e con maggior fierezza aggiugnendo : ‘ Non v’hanno avi, comun- », que magnatizii essi mai fossero, de’ quali potrei essere » orgolioso più di quello che il sono come figlio di un s» tal padre. ,, Detto veramente nobilissimo; e che in di- gnità pareggia all’altro di colui, che in casi pressochè si- mili, disenfiava l'orgoglio altrui dicendo: “ la nobiltà del mio lignaggio ha data da Montenotte.,, Fatto è che mentre così ardeano a nobilitarsi i ma- gnati , Colombo avea sortito i natali da onesto stardassie- re. Ed uopo era.che ei così nascesse per essere ciò che fu. A possedere virtù somme , vuolsi incarmarle nori già nelle sfibtate sonimità sociali, bensì nel nervoso vivaio che ne conserva i germi vigorosi col non sciuiparli ; che restaura le necessatie a’ freni della società ; che infine alza quando a quando alcuni nomini di elezione a specchio di coloro che il noman plebe. Vuolsi inoltre mover dal più basso perchè più mirabile sia }' altezza cui si trascende. Un coetaneo straordinario giganteggiò appo Cesare ed A- lessandro, e perchè più sublime trascese; e petehè spiccò la sua mossa da vn grado assai inferiore a quello dell’an- tichissima stirpe Giulia e di un Trono, donde moveano il Latino e il Macedone. Mal magnificherebbe Colombo chi hon facessè fortemente sentirlo Eroe popolano ; poi- chè così facendo toglierebbegli la maggiore e miglior parte delle sue dimensioni. Ma nuoce il chiarit l’ evidenza ;$ e perciò seguiremo l’ orme del nostro Eroe, che sì basso sorgea sul mondo seco portando un altro mondo nella mente e nell’ animo. Se- nonchè molto interrotta è la notizia de’ suoi quaranta an- ni primi; e la scienza delle umane facoltà è fraudata dal non potersi seguire l’ adultiva anima fortissima di un tanto uomo per gli stadii della prima vita. Sol quà e la comparisce egli per lampo; or fanciullo in Genova alla | scuola in que’ momenti che potea togliere. al lavoro nel lanifizio del padre; or giovinetto agli studii in Pavia. Quindi là e quà il veggiamo già lanciato sul proprio ele- 76. mento ;..in mare .cioè., or. agli. stipendii. genovesi .nelle acque di Scio di.Cipro di Tunisi, ed ora a. quelli del- l’ Angioino pretendente alla corona di Napoli contro l’Ara- gonese. E infine quasichè sdegnando il Mediterraneo, trop- po angusto ‘agone alla sua mole alle sue forze, uscisse a spaziar nell’ Oceano , vedesi apparire or nel Golfo di Gui- nea e alle Canarie , ora in Lisbona e in Inghilterra. Si menziona anche un suo viaggio fino all’ Islanda, e di là ad una terra cento leghe più oltre. Se ciò è,. mentre fu questo il primo saggio del suo immenso ardire, toccò la Groenlandia, e pervenne al. continente americano venti anni innanzi alla sua magna imipresa. Certo è che da venti anni ne volgeva e maturava in: mente il disegno ,' come si scorge da una sua lettera scritta nel 1474 al mat- tematico fiorentino Paolo Toscanelli. Vi. si abilitava .in- tanto con queste navigazioni, che son pruove degli impeti ed esperimenti del suo genio irresistibile . Però fin dagli incerti primi anni suoi ispira con la meraviglia la pietà; essendochè miserrimo di fortuna quanto traricco d’intelletto coraggio e volontà, traea sostegno di vita projettando map- pamondi e componendo sfere ad uso de’navigatori. È fama anzi che più fiate, nonchè venderle, le dasse solo in prezzo dell’ alimento di un giorno. Inclita povertà appo cui tutte le dovizie de’favori immeriti son fango, e sanie. E noi tosto il vedremo nel grado più duro di sì crude miserie. Attendiamo adunque che ricomparisca là ove l’istoria non più lo smar- risce ; e per meglio predisporci a ben vagheggiarlo nel gran cimento, contempliamo alquanto il secolo in cui visse . Imperocchè 1’ occhio di chi sa leggere l’istoria non può non scorgere lo stimolo, e con ciò l’influentissima parte, che i tempi hanno alle grandi gesta, a’grandi caratteri. Mille Cesari mille Maometti mille Naopoleoni forse furo- no sono e saranno potenziali fra le infinite anime del ge nere umano ; mentrechè poi un solo Napoleone un solo Maometto un solo Cesare vennero al mondo fra eventi tali ad attuarli sì famigerati. Indi comunque eccelso ed inven- tivo fosse l’intendimento di Colombo , non và isolato dal Jp gn + _- SIR i Dit ito 77 genio predominante dell'età sua. f anzi in questo .che vuolsi investigar Vanra vivifica di quello. ‘Colombo visse nella seconda metà del secolo XV, 0s- sia nella seconda metà del XV secolo del riso: ‘gimento. Quì i moltissimi inarcheranno le ciglia 0 scoppieranno in ismo- dati cachinni. Noi rispettando le opinioni altrui. non vo- gliam tacere la nostra ; ed è che l’ era positiva della mo- x derna restaurazione è sincrona alla volgare. Non la com- putiamo infatti dal primo vagire delle muse moderne; siv- vero dall’ intima cardinale e piena riforma morale dome- stica e civile, che man mano andò avvenendo nelle genti europee, fin da quando la parte popolana, saggiata l' im- perfezione della società greco-latina, in. cui non era che la schiava di una setta di famiglie, incominciò a comporsi in società novella intorno all’ara di un Nume, che predi- cato padre comune di tutti gli uomini era con ciò legi- slatore di universa egualità sociale. Questo lampo comunque stranamente episodico basterà ‘al sagace lettore perchè ei vegga ardita forse e paradossa, ma non alcerto assurda la balenata idea. Fu quello il ger- me dell’ albero di cui le moderne arti lettere. e scienze sono i rami. Fu quello il primo alito della nuova vita delle nazioni. Chi parte da tal punto vede nelle sue vere scaturigini tutta la riordinazione dell’ umanità, Vedrà la plebe pria pugnare poi vincere; e vincitrice. conquistare nella città la stessa comunione che avea nel tempio; nè con altro mezzo risolversi un sì momentoso preblema so- ciale se non col sublimar la Chiesa a nozze solenni quello stato che le leggi della società antica dichiaravan contu- berni nelle classi plebee. Se la plebe istessa non tutta e im- mediatamente salì all’ equalità assoluta, avanzava però il passo immenso della schiavitù al vassallaggio, da cosa a persona. Vedrà che essa, nonchè opporsi all’intervento de’ barbari, favorirli anzi come quelli che finian di sovvertire le ultime reliquie degli ordini vetusti. Vedralla innalzare a suprema riverenza e venerazione il Vicario della Divinità istitutrice di un culto sì ‘benefico al popolo. Vedrà natural- mente avvenir le tenebre; perchè il ceto vincitore, già per sè stesso sempre inerudito , e perseverante in quella virtù del 78 nuovo culto per cui vincea, trascurò lo spirito, sola neces- sità avendo che la fede animasse il cuore. Ma intanto a malgrado delle incolte menti, formavansi i nuovi popoli le nuove lingne, che non altrimenti adottano gli uomini se non quando, cangiata con nuova religione lo strumento al cuore, che è il senso dell’ intelletto, uopo è che can- gino strumento al pensiero che è .l’ ufficio dell’ intelletto istesso. Vedrà dopo il riposo nella notte dello spirito de- starsi esso con freschissimo vigore, e dover passare lo sta- dio della fantasia onde giungnere a quello della ragione. Vedrà le imprese dell’ entusiasmo ognor anteriori a quelle del calcolato interesse. Vedrà 1’ età eroica o cavalleresca pria dell’ istorica, Cusì progredendo entrerà in quella di Colombo ; in cui il genere umano era nel. periodo della sua maggiore yagliardia, ritenendo ancora molto del nervo fisico della barbarie, ma temperandolo col. primo vigore della civiltà ; ritenendo tuttavia tutto Pimpeto della fede e della fantasia, ma temperandolo col freno della ragione. Tale era il secolo XV, il più operoso ed inventivo fra tutti i secoli. Operoso , perchè robustissimo lo spirito nel pensiero nella volontà nell’ azione. Inventivo, perchè vede e trova chi non torpe ma infaticabilmente intende e cerea. Schietto e ingenuo è inoltre il forte che non ha bisogno di simulare con artifiziose imposture i veri dittati della natura. Indi il vergineo candore delle arti, e l’ani» moso ardire degli europei, che non paghi del Mediterraneo incominciarono a cimentar navigazioni per l'Oceano con estro cavalleresco pari a quello con cui per l’innanzi cor- revano i Paladini audacissime avventure in onor delle Belle. Nondimeno tutte le gesta umane hanno il primo ed unico motore negli winani affetti ed interessi. Quali eran dun- que questi interessi ed affetti ne’ cimenti per l'Atlantico? Irwing , seguendo Voltaire, non attribuisce il costeg- giar de’ Portoghesi intorno all’ Africa, che ad un fervore per la geografia ; studio acceso ed animato con ogni pre- mio dal principe Enrico, Nè negheremo che molto vi cone corresse e questo mecenate e quella predilezione scienti- fica; però come mezzi non già come cause, Il teorico zelo per una scienza sospinge invero ad opere audaci gli in- 19 dividui, ma non mai le nazioni. Ove si veggan popoli so- spinti ad imprese cimentose, uopo è dire che vi sien mossi da’ bisogni. Uno sguardo a quel secolo dimostrerà i bisogni di esplorar 1° Oceano. È noto che finallora gli italici, commerciando_ con gli arabi, e ritornando.loro lucri. grandissimi, fornivano a tutta Europa le peregrine, e ambite merci delle Indie. Se- nonchè l’araba signoria del Levante, ove faceansi que’com- mercii, cadde sotto il giogo de’Turchi. Sa ognuno. il pro- gresso di questa nuova.gente, dal 1300 al 1453; ossia da Ottomano al secondo, Mavmetto, che spense l’imperio gre- co ; stirpe mongolese. che. stipendiaria del Califfato. per venne ad assoggettare i suoi stipendiatori; stirpe insensibile a’ seducenti vezzi. delle. vergini, Muse e incorrigibilmente agreste, tostochè furono impotenti ad incivilirla sì la col- tura. araba, durante la quale salì da tribù a mazio- ne, come l’ europea ; stirpe: d’ indule feroce e di costu- mi più inferociti dall’ intollerante sua religione ,, chiuse es- sa con la sua insocievole agrestezza con le sne :cupidigie ed avanie, aggiugneremo suola con. le sne devastazioni , tutte. le. porte dell’ Oriente agli usati traffichi degli Italia- ni. Laonde 1’ Europa sentia la necessità di esplorarsi qual- che altra via alle Indie ; ed ecco perchè le menti si ri- volsero agli studi geografici, In Ispagna più, che altrove avevasi idoneità a coltivarli, essendochè gli avabi, i quali molto coltivarono la suddetta scienza. necessarissima al vasto loro dominio dall’ Eufrate alle colonne dd’ Ercole, vi fecero, quasi comune, la. cognizione delle opere di Straho- ne , Plinio, Pomponio Mela, Tolomeo ed altri. Ne’ quali geografi sughi leggonsi riferite le tradizioni de’ viaggi d’ Eudossio da Cizico e d’Annune il cartaginese ; ; entrambi navigatori che circuirono tutta l’Affrica, il primo, dall’Eri- tieo al Gaditano , e il secondo dal Gaditano all’ Eritreo, Possibilità adunque d’inoltrarsi a’ mari d’ Asia ognvr co- steggiando i lidi africani; e «quindi pria disegni, poi ten- tativi a volgere l’ ipotesi in certezza. Ecco la naturale e chiara origine de’ nautici esperimenti di quel secolo. I Lusitani furono i primi a tentarli sol perchè favoriti dalla propinquità de’ Inoghi; nè altro era il principe Enrico se 80° non l’ initerpetre poterite dello sp in predominio’ nel: i l'età sua. Queste ‘navigazioni de’portoghesi, cotanta allora ardite)” ed alzate a dolo erano per Colombo ‘ciò che le vittorie di Milziade' furono per Temistocle. Le udia ‘celebrare fin. dalla sua ‘prima infanzia; e che ‘nom possono le prime: impres- sioni dell'infanzia, sovrattutto quando son consentanee al- 1’ indole signoreggiante ‘dell’ animo ?! Che non può inoltre in un petto ‘generoso 1’ acuto pungolo dell’emulazione? Assai più che fulmine saettato sovra ‘accendibilissimo vol- cano . Perciò volgeva in mente'‘un' pensiero fisso che tutti ammutia gli altri pensieri ; un pensiero ‘non imitativo, ma aùdacissimamente originale, Altri navigava per andare alle Indie tentone e timido non mai perdendo di vista la terra; egli vi‘ navigherebbe cacciandosi innanzi nell’ immensità dell Oceano ; e continuamente ne farneticava. il ‘cimento i travagli i rischi il trionfo. Aveva òltre a ‘ciò la tempra dello spirito pari a quello ‘di Socrate, in cui lucidamente albergando tutte le più recondite verità, eran però sentite con estro pari alla visioneria. Per lui il metter ‘capo ad una terra navigando per 1’ Atlantico ognora a ponente, era, non già certezza ed evidenza quale 'è-oggi, bensì un grado supremo a questi gradi del ‘giudizio; una fede in- somma viva fervida inconcutibile. Ma qui è tempo alfine di condurlo in iscena , onde parli ei stesso con le sue opere. V’era,e vi è tuttora, sulla spiaggia ‘di Palos, marit: tima città andalusa , il monastero di S. Maria de la Rabi- da. Quivi in un giorno del gennaio 1486, mentrechè: ter- ribile procella socquadrava il mare, udissi picchiare. al- l’ uscio. Accorso il vecchio portinaio e apertolo , vede un uomo naufrago malandato abbattuto in lacete vesti, e che sostenendo un fancinllo‘semivivo, chiede in carità un tozzo di pane ed un po’d’ acqua quanto rianimi il suo figliuolo. Era Colombo col suo piccolo Diego quel mendico / Pate- tico e sublime tema di quadro! Mendico il maggior uomo de’ secoli! Quello che offria e quinei dava al vecchio mon- do tanti e tutti i tesori del nuovo! Ma invano avéa corso mezz’ Europa offrendo il sio ardite ed ‘opera’ a Genova alla Franc.a all’ ìnghilterra al Portogallo, non altro chie 81 dendo che una nave quanto ei, navighi a sua voglia. In- ‘vano . .. Che anzi non avea colto nelle anle se, non lu- dibrii come stolido visionario, e bene spessu vituperii come avventuriere impostore , talchè . +. + Lunga stagion per modi indegni Europa dispregiò l° inclita speme, Schernendo il vulgo e seco i Regi insieme Nudo Nocchier promettitor di Regni. (1) Ora infine nel colmo delle sventure miserie ed ama- rezze limosina un pane all’uscio di un convento. Il letto- re respira udendo un chiostro assai più ospitale che nol fossero le reggie verso un tanto uomo. il capo di que’ce- nobiti dolcemente lo accoglie alberga consola e conforta ; quindi uditi i casi e disegni, dopo averlo inanimito a ten- tare miglior fortuna presso i sovrani spagnoli , alleviando- gli inoltre le cure col ritenere in quel Cenobio il suo bambino, 1’ accomiatava con una lettera commendatizia al confessore della Regina. Vuolsi notare il nome di sì buon frate. Era un tale Giovanni Perez da Marcena. Reggeano allora le riunite Spagne Fernando l’'arago- nese e la castigliana Isabella ; coniugi sol di letto ; in ogni altro principi mutuamente gelosi dell’autorità che cadauno esercitava sul proprio reame. Irving allorchè scrisse nella sua istoria che la Regina ‘ effettuava l’idea di quegli ao- ,» geli custodi prescelti dal cielo a vegliar su’ felici desti- ss ni degli imperii,, non rammentò alcerto che parlava della istitutrice della Santa Hermandad. Non men largo di laudi è col Re, forse onde non parer pedissequo degli istorici francesi. Sul quale principe sì variamente dipinto, noi diremo , che l’ istorico più veridico fu il swo ritrattista nell’ effigiarlo come uomo che non guardava in. viso (2). Il tristo senso che spontaneo si desta alla vista di volti sì malaugurosi , è il segno con cui la natura ci, ammonisce (1) Chiabrera, (2) Il ritratto in quistione. esiste nella Galle:ia fiorentina. T. XXXII. Novernbre. LI ‘ 82 che siamo al cospetto di un perfido. E come tale, nonchè spergiuro nelle sue perfidie , 1’ accusano i fatti della sua vita. Infido parente, spogliava il suo cugino del trono di Napoli alleandosi al Re di Francia, onde poi infido alleato tradire Luigi XIl. Non pagò che d°’atroci ingratitudini Consalvo e Colombo, i quali tanta gloria e signoria aggiu- gnevano al suo diadema. Quasichè predileggesse l’imperio deserto , alla guisa di quelle belve che non imperano se non ne’ deserti, spopolà la Spagna bandendone gli Israeliti e scacciando i Mauri, che uopo era saper volgere in pro- prii e buoni sudditi. E infine segnalavasi all’ esecrazione della posterità con due altre opere immanissime, Tre fla- gelli, equivalenti a mille pesti carestie tremuoti e catacli- smi, disastrarono nel fiore nella gioventù del risorgimenta la zona meridionale, la più alacre la più intellettiva, di tutta Europa ; i Turchi cioè in Grecia ; un governo vice- regnale peggio che colonario nell’]talia inferiore ; ed in Ispagna un tremendo tribunale. Fernando fu l’autore dei due ultimi. Presso questi principi andava Colombo a cimentare sorti migliori. Però nonchè propizio era improprio il mo- mento. Ardea più che mai la guerra a’ Mauri ; nè in Cor- dova, ove stanziava allora la Corte per attendere più da- presso all'impresa , si dava ascolto ad altro pensiero che non fosse bellico. Non fu adunque neanche ammesso alla presenza de’ Sovraniî, I quali sospendendo in quella sta- gione l’ espugnazione di Granata, per correre a debellare la rivolta del Lemos in Gallicia , svernarono poi in Sala- manca , ove egli seguilli. Quivi, dopo mille stenti istanze e rifiuti, otteneva alla fine udienza, concessagli non per- chè si volesse far senno all’ offerta , bensì per togliersi la molestia d’ ulteriori importunità ; forse anco per ridere a spese di un riputato vaneggiante. Ma fosse la sua modestia dignitosa , o l’ età già quasi quinquagenaria , o la persua- siva facondia con cui ragionò il suo disegno, ebbe atten- zione più che ei non sperasse. Toccata inutilmente la cor- da della gloria nell’ animo del Re, da abilissimo oratore toccò l’ altra delle ricchezze rinvenibili nelle Indie. Non 83 meno abilmente toccò quella dello zelo réligioso in pro- pagar la fede fra gli idolatri, onde favoreggiarsi la divo- tissima Isabella. Fu questà insomma la prittia volta che gli sorridea la fortuna. I monarchi ordiriavano che avesse unà conferenza all’ uopo co’ professori dell’ università Sa- lamanchese pet udirhe il parete se fattibile oppur nò fosse ì’ esperimento. Aaa sì drammatico consesso. Da rina ban- da un’ incognito uno straniero un semplice piloto , pre- sunto ignorante e tenuto più furbo che visionario helle sue idee di navigazione; dall’altra i più riputati dotti delle Spagne. Quinci teoriche ‘cosmografiche verieratissimè pet antichità e per concordia con le locuzioni de’ libri sacri ; quindi una teorica nuova arditissima; e quel che è più, ‘ tale a sentir d’eretita empietà con l’ ipotesi degli antipo- di. In breve e in soma gli errori alle prese cori la veri- tà, e di questa giudici quelli. In un collegio sì indisposto da prevenziohi scolastiche ; e sovratutto da borie dottora- li, comparia Colombo. Con vn globo in mano, ir cui era disegnato l’ emisfero tolomaico accresciuto delle notizie di Marco Polo circa la Cina ec. ec. ec. espose in semplicis- simo argomento il sno proposito. * Il nostro piarieta è » sferico. Chi adunque navighi per l’ Oceano inolttandosi s, Ognora a ponente, dee per necessità metter capo a’ter- 3, mini orientali dell’ Asia ove non incontri terre interme- ss die. ,, Ma non avea neppur finito sì breve é ingenuo raziociuio, che ndissi tempestar d’ogni intorno testi biblici e de’SS. padri, a’ quali stranissimamente si commesceva pur un passo di Epicuro. Al fremito mosso nell’actademia, ed alla specie di santo sdegno con cui gli si vibravano le tiprovazionì ;} sariesi creduto che si giudicasse un empio bestemmiatore : sariesi giurato che la causa del nuovo mondo fora irrevocabilmente condannata con anatema. In sì mal punto non si smarrisce Colombo; ma attendendo che passi cotanta tempesta , medita come uomo che race coglie i suoi spiriti. per consultar la coscienza delle sue forze. Quindi lanciando a terra quella sfera, dice animo- 54 samente d’ esser. pronto a discettare non. più in cosmogra- fia , sibbene in interpetrazione de’ librò sacri. E qui ap= parve quanto egli nel maturare l’opinione sua, l’avea messa alla pruova con tutte le scienze idonee ad afforzarla 0 svigorirla; e quanto egli vedesse addentro anche in dot- trine, che parean dovessero essere ignote pur di nome ad un mariniere. Las Casas pinse con ogni amore un sì bel- l’ istante, e l’arringa e l’eloquenza e il trionfo. L'oratore esordì protestando innanzi a Dio , alto testimonio non in- gannevole, niuno non esservi che più di lui fosse cieco adoratore dell’autorità della Bibbia. Dopo la quale pro- testa, abilissimamente premessa a molcire gli animi irosi de’suoi giudici, ed a levigare ogni appicco a’ benchè menomi sospetti d’empietà , entrò in materia. E dimostrò con acuti raziocinii conditi da mirabile maestà di sermone, come i parlari della genesi e del salmista e de’profeti non erano le- zioni cosmografiche, ma locvzioni scelte ad essere intelligibi » li da tutti circa le opere del Creatore. Dimostrava egualmente le interpetrazioni de'SS. Padri pie omelie e comenti, not già scientifiche pruove. Procedendo inoltre a ribattere i passi de’ filosofi antichi, seppe con ogni efficacia e maestria ma- neggiare una ironia tanto fina ed ingegnusa, quanto goffa e da trivio è quella onde Lattanzio (che gli si obbiettava) derideva i settatori degli antipodi, E infine man mano infervorandosi in un estro fatidico, non pago di provare che la Bibbia non gli desse torto, provar volle che gli dava ragione. Al quale uopo con incantevole dire andò volgendo tutte le più magnifiche figure de’ profeti che gli parvero opportune , dimostrandole altreitante predizioni dell'impresa che ei disegnava, ed applicandole a sè stesso come l’uomo dalla Providenza prescelto a strumento de’ suoi disegni e destini. Così dicea non mendace ; che così cre- dea ed era infatti. Tanta inattesa gagliardia d’argomentare, tanta dottrina impreziosita »da seducentissima facondia ; destando istupore universale , debellarono gli animi più profondamente impressi delle idee contrarie , e convinsero se non persuasero anche i più indocili. Sar e i A CIO, E n n 85 Trionfato sì arduo cimento parrebbe che egli tosto ot- tener dovesse navi e dar le vele al vento. Nondimeno do- vea sudare cinque altri anni di incerto indugio ; è perciò a lui laboriosissimo , nonchè ulteriori repulse o difficoltà. Rinfieria la guerra moresca che assorbiva tutta la mente de’ monarchi spagnoli. Colombo; che non mai ‘stancavasi di seguirli, volse l’animo a ‘segnalarvisi onde rimembrasse col suo nome il suo progetto; è fece miracoli di valore nell’ espugnazione di Siviglia. Cadde alfine anche Granata, ultimo baloardo del dominio mauro nella penisola. Allora incominciò quell’universa festività nazionale che durante un anno intero fu celebrata ‘in Ispagna. Ferdinando ed Isabella cavalcarono in trionfo tutto il reame, onorati con ogni pubblica letizia politica e religiosa ; perchè vittoriosi sovrani e vittoriosicampioni di Cristo. Indi continue lu- minarie , lizze , giostre; tornei , spettacoli , canti, inni e ogni ‘altra dimostrazione’ di gioia. Facevan treno innume- revole pomposo lussureggiante a’principi i maggiori ‘ma- guati capitani e magistrati della monarchia. La quale tur- ba era viepiù affollata dalla ‘greggia' de’ cortigiani .degli ambiziosi de’gaudenti, e infin di coloro che in quell’ età avean franco ingresso nelle resgie mercè ‘il mestiere del buffoneggiare.. In mezzo ‘a tanta ‘caterva e! tanto strepito ‘< vedevasi , dice un autore coetanco (4), un uomo inco- ss ‘gnito che negletto e confuso» nella: calca, era il solo me- 33 sto nel gaudio universale; era «il solo che sempre medi- ; toso non ‘prendea' parte alla comuhe' allegria , e parea ;» quasi spregiasse quel conquisto appo un conquisto assai s3 più glorioso icon cui pasceva la sua imaginazione ,, «Il lettore indovinerà chi mai fosse costui che tollerava e gli orsogli de’ grandi e i motteggi de’ giullari,, sol onde i so- yrani il vedessero, ed al vederlo rimembrassero la sua im- presa] 15 STOTLIT i pi Passate: finalmente: le caldezze ‘di que’ festeggiamenti rintentè la volontà ‘de’ monarchi ‘a dargliene i mezzi. Ma | vacuo era l’ erario per la guerra: testè finita se ‘il Catto- | | | | | ra [REY ' lo: Clemercia + Elogio de la Reyna Catolica. 86 lico discese alla viltà di tapinàre che a’ dispendi bisogne= voli alla navigazione contribuisse anche il navigatore. Per= lochè questi aspreggiato da sì vile sordidezza, partia bru- scamente alla volta di Francia ; allorquando la regina u- dendo la sua partenza, e risollecitata dagli amici di lui, poichè vide invincibili le avare freddezze del consorte all'in- trapresa, disse accesa tutt’insieme da nobilissimo ;entusia- smo: “ Darò sola a spese del fisco di Castiglia l’occorren- »» te: ed ove mancassero le somme all’uopo, impegnerò i » gioielli della corotia ,,.,. Fu questo il più glorioso gior- no della vita d’Isabella. Colombo era richiamato ed eletto ammiraglio dell’armata commiessa ad esplorat l’ignoto seno dell’ Oceano. Eccolo alfine esaudito ne’ suoi voti. fervidissimi. Ec- colo al gran cimento. Sosterrà ora 1’ immensa espettazione mossa nel chiederlo con tante istanze ie nell’ impetrarlo dopo tanti ostacoli? Imperocchè ovvio è il caso di chi de- luda nel possesso degli ambiti uffici le alte speranze che ne dava come candidato. A ben scorgerlo nella prova mas- sima, e quanto ei fosse, va dato uno sguardo alla sua età, a’ mezzi che gli si concedeano, ed agli ostacoli che nuovi imprevisti e più formidabili debellar doveà. Colombo era nel suo cinquantunesimo anno allorchè si arrischiava sul pelago immenso ed incognito. Non molto ammirevole è il giovine che spregi e sfidi i somtni. peri- gli, poichè non ancora o li prevede o li assaggiò. Le im- petuose pulsazioni del sangue inoltre il. fanno inconside- tato, o sovente il sospingono pria che deliberi. Ma ove li affronti tomo il quale già brinato dagli anni, hon che traguardarli con la lente della gioventù , alla cui ottica menomansi o spariscono , li traguarda anzi con quella di un’ età che suole ingigantirli ; ove un tale uomo li affronti spontaneo e non coatto dal dovere o dal timore di parer vile : allora più che certezza , è evidenza di suprema ga- gliardia d’animo e di mente, che tutte antivide le proba- bili eventualità più funeste. Altra evidenza di gagliardia suprema nel cimentar l'impresa con caravelle!!! con navi cioè senza ponte ! !! 87 Con tali navi oggi niun nocchiero, comunque arditissimo non osa navigare che costeggiando, onde sarparle in li- do al menomo indizio di tempesta. Colombo, cui tutte le umane facoltà erano in dimensioni smisurate , non sbigot- tito inoltre dall’ esempio de’genovesi Doria e Vivaldi (5) che precursori suoi nel suo disegno partirono e non più tornarono , non punto esitò ad imbarcarsi in quelle fragili galeotte per trappassar l’Atlantico. Ultimo ostacolo nella reale ignoranza del volgo, assai più formidabile di quello che gli convenne debellare nella pretesa scienza de’ dotti; lo spavento cioè de’ nocchieri . Quanto fosse terrifica la popolare opinione circa l’oceano, può sol dirlo quella che prevalea nello stesso spirito degli uomini colti. Xerif-el Edrisi, soprannomato il Nubico, così ne parla (6): “ L’ Oceano è il finimondo, e circonda gli », ultimi termini della terra. Tutto ciò che è al di là , è » ignoto. Niun navigatore non osò internarvisi temendone 2, le tenebre, le bufere e i mostri che vi signoreggiana . 3, I suoi marosi alzansi come montagne , e rimangono al- ,, cun tempo così sollevati, rovesciandosi quindi con som- ,, mersioni ec. ec. ,,. Or quando così pensava un geogra- fo , è agevole divinare in qual modo e grado pensar do- vesse il volgo ignorante e superstizioso ; è agevole conce- pire in qual mai grado e modo la volgare immaginazione , cui il mistero dell’ignoto dà spazio a tutti i fantasmi, po- polar dovesse l’ Oceano di tutti i portenti più tremendi. E noi teniam per fermo che l'immenso spettro, sì subli- memente poetato dal ‘Camoens come emerso dal mare e apparso minacciosamente a Gama presso al capo delle tem- peste , nonchè esser parto della fantasia del poeta , era anzi una delle tante chimere popolari sulle mille mostruosità oceaniche. Checchè sia, tale era il terrore , anche ne’ma- rinari più intrepidi , quando si udia la destinazione di quel naviglio, che non valse stipendio o premio veruno ad as- soldarne ; e fu mestieri impiegar la forza delle armi per (5) Questo viaggio fu tentato nel 1462. (6) Xerif-el-Edrisi. — Descrizione della Spagna. 88 imbarcarvi la ciurma. Con sì costernati colleghi dovea Co» lombo rischiare. l'esperimento che è la prova massima del coraggio e ardire mmano. Ma non apparirebbero i sommi sulla terra ove loro il cielo non largisse superiorità invitta sugli altri mortali . Bastò a Cesare la sola voce Quiriti /?f per ridisciplinare infellonite legioni ; e l’età nostra vide duci veterani, che mentre incanutiti sotto l'armatura .e superbi di gesta glo- riose, parean dovessero essere impotenti ad obbedire ad un giovine capitano , obbedirlo intanto con ogni ossequio al suo primo ‘apparire e innanzi che ei documentasse che era degno di comandare, Ciò parrebbe prodigio ove prodigi oc- corressero alla natura sì opulenta di mezzi poderosissimi . Nè qui è luogo a scrutare se fatti di tal sorta addivengano perchè il comune senso degli uomini, assai più acuto che altri non crede, apprende subito 1’ entità di chi ‘molto grandeggi sulle solite umane misure, e l’ onora con rive- renza: che pare istintiva . Sia che vuolsi ; al comparir di Colombo impazientissimo a sarpar l’ ancora Qual uom che torni alla gentil consorte (7), ripigliavan animo quegli smarriti marini, nè niuno più non osava mormorare. | I popoli più intervallati per spazio e tempo si imitano senza che perciò sieno imitatori. La favola, che è l’ isto- ria delle genti incivili, pompeggiò l'impresa l'apparecchio e il propiziatorio sacrifizio fatto dagli Argonauti pria di sciorre le vele. La greca Musa poi sì fittiva e vivifica, vi aggiunse che Giove 1’ accomiatava benaugurosamente col tuono. Nondimeno tanta magnitudine mitologica uopo è che ceda al sublime incantesimo poetico che la partenza di Colombo porge alle, due maggiori arti ; all’ istoria ed. al poema. Non mai azione umana, comunque momentosa, fu auspicata con riti più solenni gravi venerandi,, nè fra ac- cessori più attuosi, commoventi patetici. Immenso stuolo di gente cupida di ammirare , forse anche di compiange- re, lo sfidatore del sì formidato Oceano , era accorso in (7) Chiabrera. 89 Palos. I nocchieri;dopo ravervassistito alla celebrazione del maggiore ufficio divino, passavano con ogni solennità e rac- coglimento a. prendere i sacramenti supremi. Quindi erano processionalmente corteggiati dal clero dagli officiali eivili e militari e da popolo infinito. fino al ‘porto;..Ill menomo ronzio del menomo insetto sarebbe parso striepito, cotanto profondo era il silenzio delle, turbe ammutite più dalla.com- mozione e dallo stupore, che dall’augusta sacra cerimonia. Ma poichè imbarcati, il vescovo, invocato.l' Eterno; dava loro con autorevolissimo apparato la,benedizione finale, [era quel silenzio, già si cupo tutt’ insieme, rotto da singulti so- spiri. gemiti e dolorosi addio , che mutuamente, udiansi dalle. navi: el da’ moli. Scena tanto. più lacerante quanto- chè non. dava luogo neanche,alla consolazione almeno, de- gli auguri. Niuno osava, darli, o riceverli,;; che. tutti, ec- cetto l'ammiraglio , teneano. que’ viaggiatori come , desti nati a, morte, certissima. Con siffatti auspici, tali a parere infaustissimi presagi, partia Colombo -pel nuovo mondo. i L'armata veleggiò.di, conserva alponente,. Ma nel terzo giorno ‘voltò, prua ;alle..Canatie,, perchè ;la-Pinta (8) fe'se- gnale che il timone (guasto, (forse .da’.marinari onde avere un pretesto a tornare. indietto.)).,non più governava» Du- rante la fermata \per.questa bisogna, udiasi da; un legno mercantile che. navi portoghesi correanoil. mare con Vin- carico di‘ sommergere.le spagnuole, destinate, a scoprir, nuo» va,via.alle-Indie. Indi fu necessità ,accelerar.la partenza. lvi finiano igli ultimi termini del moado|cognito,; ;ed ivi con gli spaventi. che si. ingigantiano ‘ne’ marinieri;, ineo- ‘ minciavano «i maggiori sforzi di perseveranza longanimità ed ‘arti ‘d’impetio nel navareo. Li. rianimiva egli con’ pro- messe di. riechezze; d’onori, di uffici ; con tutto ciò infine che è idoneo ad accendere nel: cuore 1° onnipotente ambi. zione» Egli solo non ambiva che gloria. Diariamente nota- valil.èammino, però vin due registri; in uno, che. scrivea ‘!(8) Una delle tre caravelle di ‘quella navigazione: La Sanità Matia èr montata ‘dall’ ammiraglio 5 la ‘Pinta la Nizza da. due fratelli, Pinzon, T. XXXII. Novembre. 12 90 celatamente , il vero spazio percorso; in un altro, che era il libro deil’ itinerario giornaliero visibile da tutti, un computo di distanze assai minore del vero, onde non sbi- gottir le sue genti con l’idea ‘d’ essersi inutilmente navi- gato sì addentro. Però ‘tante precauzioni non erano suffi- cienti. contro lo spavento che crescea in ragione ‘che si progredia. Incontrossi un tronco galleggiante ; l’Ammira- glio finse vedervi un indizio di terra vicina ; ma le turbe ravvisandovi ,\0 immaginando di riconoscervi, un pezzà d’ albero nautico , vi videro un documento di nave nau- frayata . A calmar questo terrore comparvero opportuna - mente ‘in ‘tempo ‘alcuni uccelli ; altro segno di prossima terra ; questa intanto non comparve } e 1 abbattimento si’ tramutò in costernazione ‘al vedersi variar la bussola. Il volgo sì estimò perduto tostochè perdeasi quella unica ‘gui- da per l'infinito mare ignotissimo. Dava indarno Colombo tutte le ragioni ‘astronomiche ‘che seppe ideare ed ihven- tare perchè ‘apparisse maturalè il fenomeno. Fortunatamenè te si videro molte alghe, e'cid'fu' molto all’uopo' per ria- nimar la speranza in'@ue’cuori ‘costernati. Sennonchè scom- parvero anche esse queste erbe riconfortatrici, e senza che si fosse vista terra. Ed eecovla sedizione ‘che pria ’mormo: ra, quindi freme cupa, e‘infine scoppia con immensa fe- rocia. Ognun corre ‘alle armi; ognun prorompe in inginrie e ‘minacce al condottiero ; voler esso ‘sfidare la Provviden> za “ostimandosi ‘a vtrovar terre ‘che la! Provwideriza non avea create; meritevole perciò «li essere lanciato in mare ove non consenta a rivolgere la prua verso Europa. E già tra- scorreano dalle voci alle mani, dalle minacce a’fatti; già costringevano il piloto a voltar la nave ad-oriente; allor- chè Colombo , preso avendo a governare ei stesso il timo- ne, più impavido del giusto oraziano, e immobile come scoglio a’ flutti della tempesta , così favella con voce alta maestosa ‘imperturbata: « Invano sperate che io ‘ceda alle ,» vostre insanie rubelle, invano ; e troppo voi me cono- ,, scete per non;attendere che io scenda a’ preghi onde in- durvi a proseguir cammino. Mio è quì l’imperio, e tutto mio; nè ad altro voi vi siete che per ubbidire./ Voî ben 29 te) gI 3; potete lantiarmi in mae ; ed io nonchè cedere per viltà 3, à° vostri vili terrori, sono anzi pronto a morte. Ma ben 3, apponetevi a ciò che farete; e ine morto sappiate trovar chi 3; sappia ricondurvi in Ispagna. Voi già vedeste la bussola cangiar natura; nè altri che io, sa il segreto di averla a guida or che è così cangiata. Sappiate inoltre che tri- », plo di quello che voi credete è lo spazio percorso ; ec- cone il vero itinerario clie vi celai per non sconfortar- vi. Ora compiuto ho il dover mio $ miorrò senza colpa ed anche senza il rimorso di non avyervi avvertiti dello »» stremo. Ma voi morrete poco indi a me , sol perchè il vile e reo vostro provvedimento al vivere vi salà certa 3; Via al morire ,,. Non v'ha alcetto un senso che più dello sdegno no- bile giusto e generoso ispiri maschia onnipossente s0- vrumana facondia. Ma sublime possesso d’ ogni arte orato- ria fu quel profetare mali e calamità ; stordérido civè nei cuori de’ sediziosi lo spavento col destarvi lo spavento più fotte. E infatti se ite vide imm@diatamente l'efficacia, po- sando tutt’ insieme la sedizione al primo udire che unica speranza di chi sapesse ricondurli in Europa era nel solo Ammiraglio. Il quale abilissimo conoscitore del cuore uma- 2'0, poichè vide quetata la rivolta imprese a scorrere per la nave; e con dolci parole quà riconforta lo smarrito , là incoraggia il timido, quinci lauda chi si mostra men esa- nimato ; altrove ammenda l’orgoglioso ; parlando infine a tutti con profetica sicurtà e dell’arrivo alle terre indiane, e del ritorno in Europa carchi di ricchèzze. Così leggiamo nel poeta che il Nume del tridente, dopochè ebbe con ter- ribili minacce fugato i feroci aquiloni, mandava i molli zeffiretti ad Appianaré le onde scosse e sconvolte. Finalmente dopo settantadue lunghi angosciosi mor- tali giorni di navigazione per la ciurma, e dopo che per tre dì e tre notti non chiudea palpebra l’ Ammiraglio , nella notte dell’ undici ottobre 1492, mentre vegliava fia’ pal- piti di chiunque è presso a sommo trionfo, quasi tutt’in- sieme ispirato esclama : ‘ tu sei là alfine ,, ed annunzia la terra. L’argomentò egli ad un lume scorto fra le tene 92 bre ;5 ed all’ alba wudissi salutata la: terra con giubbiloin- finito dal grido de” marinai e dal cannone delle ‘navi. Era una delle isole Lucaje; detta Guanahami dagli indiani, e che poi ebbe il nome di S. Salvadore . Qui vuolsi che .i lettori istessi imaginino e concepiscano quali mai; fossero i sentimenti e le mozioni nell’ animo. dello. scopritore L’Oceano gli rivelava alfine i misteri de’suoi penetrali ar- cani; gli rivelava il globo la sua vera forma. Alta vendetta ‘alto rimerito a’ patiti scherni ludibri e oltraggi! Salta egli il primo sul non mai approdato lido } un poeta disse: E di grande orma il nuovo mondo imprime. (9) e Omero che fa udire lo scricchiolare del carro di Diome- deo all’ ascendervi di Pallade , farebbe qui udire il rim- bombo del nuovo mondo al salto dell’Eroe sul suolo ana namehese. Il suo trionfo è pieno è immenso ; ‘pura e celeste la sua gioia. Che ei la gusti nel bearsene, perchè sarà l’unica gioia nella sua vita. Noi vedemmo come la impetrasse con aàcri amarori e travagli ; ora vedremo come pare che non l’ottenesse, se non per provar più acri i seguenti tra- vagli ed amarori. Noi il vedemmo fiero bersaglio di quel« l’avversità del dispregio che è retaggio della virtù inco- gnita. Ora il vedremo fieramente Isera lnlty dall’avversità più acerba , che l'invidia e la gelosia fulminano sulla virtù evidente. E infatti parve che l’ Oceano, quasi volesse ritorgli la preda de’ segreti strappatigli, fosse il primo ad iratsi con formidabile procella nel ritorno. Durante la quale or- renda fortuna Colombe, provvedendo alla salvezza della sua scopetta , ne imbottava le carte in impegolati barili, onde nel naufragio potessero i flutti galleggiarli e sospingerli in qualche lido europeo. Scampato lo stremo e 1’ ira del mare, ecco che in mare istesso incomincia ad assaggiar i. livori delle passioni più inique più laide più atti Pinzon suo sottomiraglio , e che governava una delle caravelle , pren- (g) Chiabrera. | 93 dendo buon vento lo disertava per giugnere il primo in Ispagna , ed usurparsi'la gloria del trovato. Quindi ‘buttata l’ ancora in Lisbona, a rifugio d’altra tempesta , ne dovea fuggire in fretta a malgrado della burrasca ; perchè i pronti sempre al delitto come merito alla grazia, proponeano a Giovauni II. l’assassinio. di un navigatore emulo e no- cente alle navigazioni portoghesi... E in ultimo pervenuto in Ispagna, il solo popolo ebbro d’ogni giubilo l’accoglieva con onori presso. che divini, con entusiasmo meraviglioso e stupore qual se vedesse rivivere ‘un carissimo uomo già morto. Ma la corte, cui presentava ei nuovi uomini. e le nuove spezie aromatiche e il nuovo. oro in testimonio della scoperta ; lo infielava. col sospetto come or ora vedremo. Nè.si ristavano gli altri aspidi della malvagità. Quel suo disegno già deriso qual chimera e giurato impossibile pria dell'esperimento, divenia cosa nota e facilissima nell’ esser riuscito a lieto fine. Quegli \istessi dotti, che già tortàraron= si lo spirito in ispigolar testi biblici agostineschi e lattan- ziani contro alla possibilità dell’opera , si volsero. co non minor calore e studio a :rintracciar viete. notizie o a fog- giarne , onde, asserir cognite e vecchie le annunziate nuove ed incognite terre. E noi non sappiamo persuaderci in qual mai modo non arrossisse Maltebran a ripetere con gravità ‘dopo tre secoli quelle calunnie della gelosia coetanea ; le mentite cioè tradizioni fo cronache degli Scandinavi del Saga d’Olao Magno sul S. Bandran, sulle sette città, su’ viaggi de’ due. Zeno al Drogeo ec. ec. E non pur paga di queste fole l'invidia aggiugneva accusa assai più atro- ce ; esser stato un tale Alonzo Sanchez Huelva quello che, naufrago sulle coste del Portogallo, rivelava l’esistenza delle terre atlantiche a Colombo; e che questi, onde solo e tutto arrogarsi il merito dello scoprimento , l’avea te- nuto prigione in sua casa, forse anche morto, acciò nol rivelasse a veruno altro. In tal maniera, di un uomo mi- steriorissimamente imprigionato , 0 custodito , o ucciso , 0 che sappiam noi... +, se ne sa nome casato età e na- zione, 1! Ma quanto mai larga e indulgente non è l’arte critica de’ nequitosi? E se Irwing mal si appose a spen- 94 dere il suo tempo e lussureggiat d’ingegno, fu ismentendo con prolisso argomentare i latrati de’ perfidi conviziatori. L’istoria , li raccolse non già come macchie , ma bensì quai prove di virtù; che massimo documento di virtù è séitipte il livore de’ malvagi. Si apparecchiava intanto un secondo viaggio , che oltre a sì tristi forieri, era impreso sotto auspici assai diversi da quelli del primo. In questo si eredea di andare a morte sicura ; ora si accorre a sicure e immense ricchezze Nel primo fu duopo impiegar la forza per aver compagni : ora è necessità adoprarla» a fine di alleggerir le navi da una turba di avventurieri &upidissimi bramosissimi avidissimi. Con ciò commilitoni importuni e perigliosi. Ma più peri- gliosi ed importuni erano un vescovo ed un frate, che in apparenza imbarcati come apostoli alle terre infedeli , avevano in sostanza il segreto ufficio di proconsoli ispet- tori sulla condotta dell’ ammiraglio. Al quale mai sempre vile e perverso assunto cumulavane animo basso livoroso malefico ; e noi potevamo far a meno di dirlo: poichè ove è il probo che accetti malvagio incarico? Indi Colombo partia col cuore amareggiato e totbido di neri presagi. Avea la coscienza d’ esser già malvoluto ; ed ecco la prima rimunerazione a’ suoi servigi a’suoi meriti ; nè ciò bastando, era conscio di condurre seco ei stesso le sue spie i suoi delatori. E ne avea ben onde ; che immediate furono agli indizi le pruove, e le malavventure a’ malauguri. Imperocchè mentre esso sudava ad arricchir la geografia e la Spagna scoprendo la Guadaluppa le Antille le Caraibi ec. ec. , i due ecclesiastici, molto più addati agli interessi mondani che agli spirituali, il contrariavano in tutti gli espedienti îdo- nei ad ordinare le nuove colonie. Gli avventarieri inoltre, sbrigliati ad ogni concussìone peculato e rapina sugli In- diani e su’ Cacicchi, erano rubbelli a qualunque disciplina. Colombo vista l’inutilità e delle ammonizioni e delle pene , vedendo oltreacciò qua e là insorgere per colpa loro fra mille risse cittadine anche le rivolte de’Selvaggi , si appigliava al partito di rinviare in Ispagna que’ perturba- 05 tori. Poco poi fu costretto a rinviare anche il monaco Boyle. Il lettore immaginerà subito che casì facendo, mandava presso i sovrani spagnoli i suoi propri accusatori; i quali non ristando da ogni accusa comunque più acerba menti- trice e infame, eran tanto più accaniti quanto delusi nel- l’ insazievole cupidità degli illeciti guadagni ;.e.tanto più audaci quantochè scorgeano in Cortei orecchia. disposte ad udire le imputazioni, Le maestà cattoliche infatti delega- vano un tale Aguado a prender conto e provvedere alle cose sulla faccia del luogo. Aguado avea navigato con lo scopritore nel primo viag- gio,;ed era quello fra’navigatori, di cui ad onta delle perdo- nategli improbità, fece l'ammiraglio maggiori ‘elogi nel ri- totno. Ma chi non si sconosce per favoreggiarsi i potenti ? Nonchè ‘il benefattore, il fratello anzi ‘ed il padre istesso. Dava un duca di Genzano , in quell’istesso giorno .ed. ora in cui il proprio figlio era suppliziato per opinioni, lauto pranzo a’ giudici che l’aveano dannato ia /Imorte;; e tutto ciò ad unico fine di migliore cortigianeria. Appo questa empietà disumana nefandissima immensa qual meraviglia fia ogni altra benchè più nera ingratitudine onde meritarsi grazia e favore? Nel tempo che venia questo nuovo nemico;attendeva Colombo. a verificar la notizia delle ricche miniere d’ oro in Haina ; notizia avuta per un aneddoto che ne piace ri- ferire. Un tale Diaz, giovine aragonese. e bellissimo. della persona , uno de’ tanti avventurieri là ‘corsi a tesautizzare, non amando d’essere rinviato in Ispagna per pena delle concussioni , disertava la colonia, e rifugiavasi in una-tribù indiana governata dall’ ereditiera di un Cacicco, La giovine principessa se ne invaghisce., lo sposa, il fa Cacicco ;;e.o temendolo incostante, o sapendo quanto eran avidi d’ oro i bianchi , crede sicuro mezzo di averlo ognorfedele con discoprirgli i pozzi dell’ ambito metallo . Ma ‘forse ne. ac- celerò l’ infedeltà ; poichè Diaz non così»tosto ebbe sentore di «que’tesori, che correva in Isabella ‘a rivelarli al gover= nadore; ammendando con tal merito le sue colpe, ed otte- nendone la grazia. Gli istorici son discordi sul'destino del- 9€ l’indiana. Alcuni dicono. che ‘essa fu battezzata col nome di Caterina e'che insieme col suo ‘sposo restò Cacicca di quel- la provincia; altri'che il'traditore non più pensò a dei: e non è male spons al. vero: l’adottare la seconda opi= nione.. Giungeva eli Agualdo! con tutta P alterigia si uni favorito nénchè ‘con. tutto l’ insolente sussiego di chi salta: ad aver comando sovra colui’ al quale già ubbidì ; ed in- timava a Colombo l'ordine di partire immediatamente. per le Spagne, Al quale ordine obbedia con ogni dignità il grande ‘uomo premendo:0in: core le sue amarezze ; è con dignità più' mobile! ricusavasi; ad ogni giustificazione arri- vando‘‘a Madrid; null’altra discolpa offrendo che quella di'‘esibirsi ad {ulteriori servigi. con un terzo viaggio. Pa hinga pezza ifaudito; come sempre ‘avviene a chiunque’ cade în isfavore: Dopo due anni di sdegno gli si concedeva alla fine di navisare‘ad' altre scoperte; ma la concessione éra ‘più amaradella' ripulsa. Gli si davano i condannati al' rémo per nocchieri e compagni all’ impresa. Nè di ciò pazoil'suo potente inimico, il vescovo Fonseca che era. il sovrdintertdente generale: alle Indie, davagli per tesoriere e provvisore della flotta, la malvagissima ra le sue ‘orea- ture s'un'talerXimeno di Briviesca ; stramalvagio più che sicario ; che forse era qualche apostata mauro o0ebreo , come il fa supporre la» locuzione del buon Las Casas; cioè che ‘non era! cristiano: E infatti simulava sì poco sia la nequizia propria; sia la caldezza di ben secondare:la nimistà del suo protettore; che non si ritenne-di insiiltare: con crix miriose contumelie l'ammiraglio nell’ istante dell’imbarco. E fu questo il solo istante in cui il/nostro eroe , non più padronedi sè, irrompea precipitato dall’indignazione a calci e ceffate' contro quel ribaldo.. Rapido oblio del. proprio! decoro ! verso.vun. vilissimo farfante : meritevole . solo. del dispregio Put questi. momenti dell’imperfetta mmanità ne’ sommi! .consolano gli altri uomini. Un quasi adoratore di Newton] nònchè:intiepidirsi si esaltò anzi in tale: affetto, allorchè il divinatore delle leggi con cui Dio ordinava il creato , volle ‘comentar 1’ Apocalisse. “ Il credea , disse , 97 + tan angelo sceso in terra ; ora veggo che è un uomo an- 1» gelicato ; è ciò assai consola me suo simile ,,. -: Il 30 maggio 1498 intanto si sciolsero le vele al vento per la terza volta, governando alcun poco più meridiana- ‘mente delle due altre, onde incontrare altre .terre inco- gnite. In quelle latitudini equatoriali 1’ ardenza del clima scopria i guasti da’ travagli. e dall'età predisposti nella | salute del navigatore. Già presso al sessagesimo: anno, consunto inoltre dalle primitive miserie, dagli amarori che beveva a lunghi sorsi, e dalle perpetue vigilie indispen- sabili in mari ignoti, ove uopo era che ei fosse e navarco e piloto e mozzo ad un tempo, fu assalito da gagliarde febbri e da feroci parosismi di podagra. Ma benchè sì.tra- vagliosamente infermo, non intermettea però il menomo de’ suoi doveri. Fosse ispirazione o computo di trovar terra ad un dato spazio , non avea ordinato provvisione di acqua che per soli due mesi. Senonchè l’acqua già mancava , e non apparia la terra ; perlochè insorgono que’ galeoti ; e furono ingenerosi ad insevire fin quasi agli ultimi eccessi contro uno che spasimava fra’ dolori. La vista di un isola calmò quel furore. Era la Trinità ove si buttò l'ancora il 31 luglio. Di là navigando ognor più a mezzogiorno toccò quella parte del continente , che tre secoli più tardi doveva adot- tare il nome del suo scopritore , in picciola ammenda del- l’ immensa ingiustizia che questi patia vedendo altri no- minar col proprio un mondo da lui divinato e scoperto. Intento ad esplorare le coste della Colombia entrava nella foce dell’ Orenocco. Qui giova soffermarsi alquanto seco per patrocinarne la memoria da taluni pregiudizi ed errori che la posterità ereditò dalle calunnie de’ coetanei ; errori e pregiudizi a’ quali, in un secolo tutto di ragione come è il nostro, volle non si sa perchè Maltebrun ridonar vita e Colombo, è vero, non conobbe la grandezza vera della scoperta sua ; l’idea d’ aver trovato nn continente inter- medio fra l’Enropa e l'Asia non mai gli lampeggio perla T. XXXII. Novembre. 13 98 mente; ed egli morì nella persuasione d'esser giunto alle orientali coste asiatiche. La sua grande opera adunque , dissero e ridicono i critici, non devesi che al grande -er- rore în cui era circa il volume del Globo terraqueo, sup- ponendolo minore del reale di quanto è l'arco dell’equatore che eomprende le longitudini del Pacifico. Noi diremo che l'uno errore non dà dritto a prein- tender l’altro. Egli avea su’limiti orientali dell’ Asia le ilee e notizie geografiche di Marco Polo; il quale, illuso anche esso dalle notizie e idee ricevute ne’ suoi viaggi, ne graduava i termini assai più a levante del meridiano cui realmente sottostanno, ed oltracciò ponea a mille e cin- quecento leghe ancor più orientalmente il Cipango_( il Giappone ). Computato adunque un siffatto intervallo, ben vedesi che Colombo avea quasi il’ esatta misura del dia- metro terrestre , e che nol credea punto minore di ciò che è. Divinava inoltre anche l’ esistenza dell’ Oceano Pacifica, tostochè nel terzo e quarto viaggio andava con tanta di- ligenza esplorando ed investigando fra quelie terre da lui credute Cipango e Katai, uno stretto un transito al mare delle Indie. Oltracciò la malevolenza coetanea o postera opinò non ingiustizia il nome dato all’ America dal Geografò fio- rentino e non dallo scopritore , tostochè questi la eredea prolungamento delle regioni asiatiche, mentre quello la riconobbe per un altro continente interposto fra le estre- mità dell’antico. Quì gioverà riferire la causa vera di tanta ingiustizia ; causa che l’ Antologia sarà la prima a dire, Da’documenti originali, testè da Navarrete rinvenuti negli archivi spagnoli, si sa che Vespucci fu collega di Colombo nel primo viaggio. Quindi verso il 1500 capitanò una armata spa- guuola al nuovo mondo, mentre il Ligure erain prigione dopo il terzo viaggio. Or vuolsi sapere che tutte le notizie sulle fatte scoperte eran gelosamente taciute all’ Europa dal so- spettosissimo governo e carattere del Cattolico. Firenze al contrario , cui Americo dava contezza di quel mondo nuovo, nonchè celarne l’ avviso, il propalava anzi onde onorare e glorificarne il suo concittadino. Con ciò I’ Europa seppe 99 da' Toscani e non già dagli Spagnoli quel trevato ; ed in- nocentemente sì i Fiorentini come gli Europei il nomarono col nome di colui che era il primo a darne la nuova. Co- lombo insomma non può accagionar della patità massima ‘usnrtpazione di gloria nè tiiropei nè fiorentini ; bensì il solo Fernando. Chi paventa l’ altrui celebrità non attende ad altro che ad infoschire il nome del celebre ; e ciò facea quel principe. Ora torniamo al nostro navigatore, Laonde esplorate con diligenza grandissima quasi tutte le coste dell’attuale golfo messicano, e scoperte tutte quelle isole , rimettea prua verso S. Domirigo ove trovava la colonia travagliata da partiti discordie e sedizioni. Par che fosse suo destino quello d’aver perfidie e ingratitudini da coloro che ei più avea beneficati. Noi già memorammo la nera sconoscenza di Aguado. Ma di rierissima lordavasi wr tale Roldano, già uno de’ suoi domestici, e cui avea dato uno dei mizkoni uffici colonari. Il quale immemore di tanto beneficio , si éra messo alla testa de’ coloni inalviventi in aperta ribellione contro il fratello del benefattore , che eta governadore della Colonia. În uri siffatto stato di disordini vi giunge l'ammiraglio , che non si perdonò verun sudore per ristabilirvi l’ ordine. Bisogriò veniré alle armi e vin- cere. Schivo del sangue e de’ supplizi s naturalmente ge- neroso , era pago di rinviare que’ perturbatori indomabili ed incorrigibili alla madre patria, a malgrado d’ aver già saggiato a sè funesto un simile espediente col mandare i propri accusatori. E infatti essendo essi per lo più sécondoge- niti di case magnatizie là corsi a tesaurizzaré, erano in corte favoriti e protetti da’ Grandi. Perloche il re, ognor meno dissimulando il suo livore , spediva un tale Bobadiglia con piena autorità di provvedere alle cose ed alle persone come meglio avvisasse. Il resto del potere era tacitamente sot- tinteso in quell’arbitrio che ‘ogni accorto inquisitore sa as- sumersi allorchè scorge malvoluta la persona che va ad in- quisire, Adunque giunge Bobadiglia; e con incomportabilissima superbia , dopo aver bandito i suoi diplomi, prende con ogni insolenza possesso della sua carica, cita al suo co?- 200 à spetto l’ ammiraglio, il dichiara degradato da tutte le sue dignità ed uffici , pone il seguestro a’ di lui averi , eil or- _ dina che sia ineatenato. Il rispetto lesava le mani a tutti, e niuno non ardia prestarle a tanto oltraggio. Ma fu pronto un altro benefirato domestico di Colombo, il quale il fece come se mangiasse una’ saporosa vivanda dice l’ingenno Las Casas; quindi soggiunge: î0 conoscea questo ribaldo al servizio dello scopritore , e credo avesse nome Espinosa. Nè qui ristavansi gli insulti. Il nuovo governadore inventivo in sevizie spignea la crudeltà fino alla bassezza di disporre che i tre fratelli Colombo fossero cacciati in tre diverse secrete, onde non avessero tampoco il sollievo del mutuo conforto . Così incatenato ed infossato in quel mondo che ei diè al mondo, l’Erce durava con animo fortissimo tante ini-. quità del destino e degli uomini; nè mai rifulse di ma:giore magnanimità quanto nel patire sì brutali amaritndini. Scorso mezzo anno in quel nero carcere , vede di notte entrarvi un drappello di sgherri. Non dubitò che non venissero per menarlo al patibolo 5 e più che mai invitto sol chiese po- chi istanti di indugio per commendarsi a ben morire. Ma disciogliea un profondo e doloroso sospiro udendo, che uscia da quell’ oscura onde essere tradotto prigione in Ispagna. Imbarcato sopra una nave pronta a far vela, il capitano Andrea Martino voleva toglierli le catene. ‘ Nò, rispose » con fierezza ; le porterò finchè vorrà chi rimunerò con », i ferri i miei servigi, e quindi le conserverò come do- », cumenti delle avute ricompense ,,. E tenne parola. IT sno figlio Ferdinando dice: “ io le vidi sempre sospese a capo », del suo letto ; e morendo ordinò che fossero messe col »» suo cadavere nel feretro. ,, Un generale fremito e grido di riprovazione scoppiò in Cadice al giungere di quella nave , ed al vedervi tratto come infame malfattore un uomo illustre famigerato me- ritissimo ; grido e fremito che propalandosi pel reame in- tero , e ognor più invigorendosi , risuonò nelle sale del- l’Alambra ove stanziavano allora i sovrani. E quanto fosse altamente indignato può sol comprenderlo chi ben ponga to1 mente allo spirito di quell’età, in cni riverito e venerato quasi come oracolo celeste età ogni ordine che emanava dalla reggia. E infatti vinse quella unita potestà ultrice contro coloro a’ quali non arriva la giustizia sociale; l’opi- nione pubblica. Cadeano le ritorte all’ egregio prigioniero; però non gli si restitniva la libertà ; era confinato in un chiostro, Ì 3 Da quivi niuna altra discolpa non discese a fare se non nna lettera scritta ad una dama sua amica e molto confidente con la regina. Noi ne riferiremo i brani più idonei a manifestare l'intensità della doglia che gli squarciava il cuore, ‘ Le calunnie di nomini spregevolissimi furon po- » tenti a nuocermi assai più che non mi fossero di scher- » mo i miei servigi. Tale è l’insano livore de’miei nemici » che se fondassi chiese conventi ed ospedali, direbbero » e farebbero credere che fabbrito ricettacoli di assassini »s e asili di ladri. La causa de’miei infortuni è che la per- ,. sona preposta ad inquisirmi, sapea d’esser certo di suc- », cedermi nella carica, se pervenisse a farmi parer colpe- » vole. Non punto rammenterò o rimbrotterò i servigi da s me prestati; sol dico che mentre io rimasi povero pre- » standoli , essi di giorno in giorno crescono vantaggiosi »» profittevoli e ricchissimi alla monarchia ,,. È Isabella, cui fu letta questa lettera, impietosì alle a- cerbe calamità dell’Ammiraglio, ed imprese ad intercedere in suo favore presso il marito. Allora lo strepito dell’ in- dignazione pubblica contro l’ingratitudine del monarca e la malvagità de’calunniatori, suonò più aperto, perchè fatto più audace dalla protezione della sovrana ; e Fernando , comunque malvolentieri , dovè cedere al favore universa- le. Onde palliare e l’ atrocità dell’ offesa e 1° onta di con fessarla con la riparazione , si ricorse alla vieta astuzia di scaricarne tutta la colpa sovra Fonseca Bubadiglia ed al- tri ministri. Colombo fu riammesso alla presenza de'principi. Ma non men vieto è il vero che gli aulici ritorni in grazia sono, non già paci sincere, sibbene simulate tregue, finchè non giunga opportuna congiuntura a deporre la for- zosa maschera della benevolenza. E questa occasione giunse 102 tosto. Colombo, esaltato d’ animo dall’ impresa di Vasco Gama , che avea finalmente sormontato l’inaccesso Capo delle Tempeste, e si era sospinto fino a’ mari delle Indie, esibissi ad un quarto viaggio . Riardea sempre più fervido nella speranza di trovar fra le terre da lui scoperte un varco per veleggiar direttamente alle spiagge indiane, Onde è che caldissimamente insisteva ad aver navi. Consentia la corte e gliele dava , però con. un nerissimo disegno oc- culto che da qui a poco scorgeremo. Fece adlunque vela pre San Domingo più che mai infervorato; allorchè giun- tovi, e necessitoso di rivittuagliarsi per proseguire la na- vigazione , ode con sorpresa che Ovando , il successore di Bobadiglia nel governo delle colonie, gli ricusa l’ingresso nel porto , Las Gasas dice senza alcun velo che quel ri- fiuto era preciso ordine del Cattolico , e non già arbitrio del governadore. A questo primo indizio degli espedienti ordinati dal Gabinetto per contrariarlo, seguirono ben to- | sto ptove evidenti dell’intenzione che ei perisse in quel- l’ ultimo cimento. E si fu in punto di ottenere ivi stesso la tramata mac- chinazione iniquissima. Uno di que’ terrifichi uragani pro- pri sol di que’ mari , scoppia furibondissimamente e in- ghiotte l’ armata , che allestita a ricondurre Bobadiglia. Roldano ed altri ribaldi con tesori infiniti in Ispagna, sar pava l’ ancora nell’ istesso momento in cii lo scopritore vi arrivava per buttarvela. Colombo impedito a ripararsi nel porto, e costretto a bordeggiare per la spiaggia, non dovè la salvezza che alla sua nautica abilità nel governar la nave con indicibili stenti travagli e pericoli tra’ flutti infuriati, Non che gioire commiserò anzi la tragica fine de suoi persecutori. Superata si terribile fortuna, e rinfre- scatosi come meglio potè in un altro punto dell’isola; ri- dava le vele al vento. E andava esplorarido pria la coste dell’ Ondurias poi quelle de’ Mosquites, allorchè riassalito da altra feroce tempesta perdeva una delle sue caravelle Più tardi, poi- chè ebbe esplorato Costa Ricca , Porto Bello, el-Retrete Veragua, e si fu di bel nuovo rivolto verso S. Domingo, 103 approdava di passaggio alla Giammaica; ove una terza burrasca ferocissima , e tale che egli ‘la dipinse ‘con le frasi “* come se il mondo volesse dissolversi e finire ,, ina- bilitando ad ogni navigazione le sue galere , fu costretto ‘ad arrenarle, attendendo che il caso sospignesse colà qual- che nave onde esserne riportato con la sua gente alla Co- lonia. Intanto i giorni scorreano senza vedersi vela, e l’uso quotidiano consumava le vittuaglie. Provvedeva ad evitar I° inedia intavolando co’ Regoli di quelle tribù accordi di vitto giornaliero mediante margheritine e sonagli . Però l'importante era di uscire da quello stremo. Ma come far- pa navi? Unico tentativo ad averle era ove si potesse dare al governadore di S. Domingo avviso di quella sì dura situazione. Seco era un Fieschi, giovane genovese di gran cuore; aveva anche scorto in un tale Dieso Mendez un altro giovane molto animoso. Colombo seppe inanimirli a cimentare sovra una piroga indiana il rischiosissimo tra- gitto di quaranta leghe di mare procelloso ; e vi sì arri- schiavano con eroica ilarità gli intrepidi giovani. Non mai oratore o poeta scrisse pezzo che fosse più patetico della lettera scritta in questa occasione dall’ ammiraglio ai so- vrani. “ Ho più di una volta compianto gli uomini ; ora 3 che gli uomini la terra e il cielo compiangan me. Me »» quì buttato sovra una spiaggia inospita ; me disperata- ,, mente derelitto ; ne” bisogni temporali senza un mara- fr: vedis (9), senza pane, infermo, vecchio, e attendendo ss in palpiti da un momento all’ altro la morte per man »s di selvaggi fierissimi ; negli spirituali poi senza i riti e », isacramenti di nostra santa Madre Chiesa , talchè la mia », anima avrà dannazione, se è destino che ella quì lasci il »» mio corpo. E intanto quali colpe o delitti mai commisi io ? 1: Non ho intrapreso i viaggi nè per onori mondani ; molto ,», meno per ricchezze; bensì come campion di Dio ‘fra ,»‘gli idolatri , e pel servigio delle M. V. ec. ec.,, (6) Moneta spagnola equivalente ad un quattrino. 104 Queste acerbità non. erano che preludii di durezze. acerbissime . Fieschi e Mendez. con strenuità indicibile trionfando di perigli formidabilissimi, che fora lungo a narrare , arrivano a S, Domingo, Ovando spedisce subito una nave capitanata da un tale Escobar, che di sommi benefici era debitore a Colombo. Ognun giurerebbe che Escobar andasse a salvare il suo benefattore da quel sì duro stato; e così giuravano con gioia quegli spagnoli là quasi naufraghi nel veder quella nave venirne a loro. Ma era ben altro ; era sol peraccertarsi se le cose fossero quali le avean descritte i due arditissimi messaggieri . Escobar poichè si fu di ciò accertato, volta prua, e torna con giu» bilo in S. Domingo ad annunziare al Ovando, che Co- lombo privo affatto di mezzi a rimettersi in mare, e viven- do cogli alimenti forniti da’selvaggi, perirebbe immanca- bilmente un giorno o l’altro in quel deserto lido. Non pertanto erano queste acri vicende rose e fiori appo le vicende esiziali che sempre più ferocemente in- calzarono . Fosse malsania del clima o la penuria , in- cominciò il contagio a far strage sulle arrenate navi. In- fermava gravemente anche Colombo. In siffatto cumulo di fiagelli un tale Porraz ammutina i marinari sani, e di- serta , atrocemente abbandonando il suo capo il suo be- nefattore i suoi compagni in quella miseranda situazione. Sperava egli di riuscire nel medesimo tentativo riuscito a Mendez e Fieschi: Ma supponendo conservato molto oro nelle caravelle, aggiunse all’ efferata atrocità della diser- zione l’ efferatissima di andare ad assaltarle per manomet- terle pria d’ imbarcarsi sulle piroghe. Ed ecco che quei moribondi infermi si videro aggrediti e in punto d’essere sgozzati da’ loro commilitoni. Fortunatamente eransi al- quanto rimessi in salute il fratello dell’ Ammiraglio eon alcuni mozzi; e poteron questi rispingere con le armi l’as- salto di quegli stramalvagi. I quali, fallito il disegno, im- presero a scorrer l’isola irrompendo in ogni genere di for- fatti turpitudini e nefarietà sugli indiani. Perlochè esaspe- rati i Cacicchi, si vendicavano sugli innocenti ricusando di 105 più somministrare le pattuite vittnaglie giornaliere. Allora si fa al colmo della calamità; la fame facea lenta cruda atroce agonia foriera di morte certissima. Quì lasciamo alla imaginazione del lettore 1’ idea di quel quadro , poichè ogni penna è impotente, nonchè a dipignerne, anche a schizzarne l’ orridezza. Eppure l’animo invittissimo dell’Eroe non piegava a tanti fulmini dell’in- fortunio , che anzi dell’ esizio. Là componeva egli quella meditazione che l’istoria conservò perchè degna di primeg- giare apvo a’ teneri omei di Geremia o al cupo tetro e sublime lamento di Giobbe. Nè dir sapresti se mai vi sia più alta poesia che cumuli e la persuasione religiosa , e la coscienza delle proprie grandi opere, e l’abilità di far nobilissima vendetta dell’ ingratitudine che patia. ‘ Oppresso da’ travagli e da’ mali, dice egli, io son- ,» nacchiava 5 quando ecco una voce consolatriee più della materna al bambino , mi risuona nell’anima. Oh insen- 35 sato sì tepido a confidar nel Dio di tutti gli uomini! s» Che mai potea esso fare di più perte? E che fece esso s» di più per Moisè e per Davide ? Fin dalla tua nascita ti ss prese per mano, e con ogni cura ti guidò all’età in cui, s, vedendoti maturo a compire i suoi grandi fini, fece rim- s» bombare il tuo nome per tutta la terra. Egli ti diè le ss chiavi delle barriere dell’ Oceano, già stangate con sì forti catene. Egli ti diè le Indie perchè tu le dassi a chi ss meglio ti piacerebbe. Tu vedesti obbediti i tuoi ordini » per immense regioni, ed acquistasti gloria immortale » fra’ cristiani. Fu forse ei mai più largo de’favori col suo Israello? Adoralo adunque; ringrazialo, e non essere ingrato, come altri, al tuo benefattore. Dì, rispondi? Chi . è che sovente e sì acerbamente ti afflisse? Fu forse il Nume o il Mondo? Nò ; Dio non mai viola le sue pro- messe ; nè mai dopo che ebbe il serviyio lo sconosce di- cendo che altra era la sua intenzione; e non mai fa soffrire il martirio per palliare l’arbitrio. Dio promette e mantiene, I disastri che oggi soffri ti vengono sol per- chè rendesti agli uomini que’ servigii che dovevi al tuo T. XXXII. Novembre. 14 » » 106 ,3 Signore. Ma intanto non disperare ; fa core ; tutte que- ,; ste tribolazioni sono seritte sul marrno, e non senza ra- 3) gione ec. ec. ,ie it Se egli è vero, come dice Seneda s che Vesempio di magnanima invitta costanza al cruccio fierissimo de? fati , è uno spettacolo che costringe alla meraviglia le stesse di- vinità , tutte le potenze celesti al certo eran intente a quel lido giammaichese onde ammirarvi l’eroe, che mentre imperturbato lottava contro alla ferocia di tutti i disastri, portava a sè stesso consolazioni , e sfogava con quell’ al. legoria delle bontà divine opposte alle nequizie umane, il suo dolore contro alla perfidia del Cattolico. Non men in- trepido nel conservar quella serenità di mente indispensa- bile a salvarsi negli stremi, poneva a partito la sua dottrina in astronomia onde campar dalla morte per inedia. Prevista nna ecclissi lunare , la predicea agli indiani come segno dell’ ira celeste contro alla loro ferità. Ridevano que?” sel- vaggi; ma poichè fu notte, e videsi l’astro pria man mano infoschire il suo lembo e quindi trasmutare l’ argenteo disco in globo sanguigno , ecco una costernazione terribile invade quelle tribù ;° ecco ovunque risuonar per 1’ isola gridi gemiti e ululati di perdizione. Convulsi inoltre da spavento accorreano frettolosi i Caciechi portando abbon-. devolissime vittuaglie, e prosternandosi a’ piedi del navi- satore perchè loro impetrasse il perdono del Cielo, Si pro- mettea ; e il passaggio del fenomeno il facea credere im- petrato . Fra tanti accidenti e tanti palpiti passavasi un lun- go anno mortalissimo : quando alla fine in un bel mat- tino si videro due vele sull’ orizzonte del mare. Erano i non men prodi che generosi Fieschi e Mendez ; i quali vi- sta infruttuosa ogni ulteriore insistenza presso Ovando perchè mandasse a salvar l'ammiraglio, accertatisi anzi col fatto dell’Escobar, che il governadore nonchè salvarlo volea che perisse, avean noleggiate ed attrezzate due navi a proprie spese, e andavano ad imbarcarlo. E infatti il ri- condussero con i superstiti a S. Domingo. Nella Colonia intanto inferociano i tristi effetti della 107 tirannica amministrazione di Bobadiglia imperversata da Ovando. Guerra civile fra’coloni ; rivolte degli indiani ; nefarie concussioni per sbramar insazievoli cupidigie. Indi e rapine e devastazioni e massacri ed esterminii per le iso- le; precursori presagii delle immanità che Cortez e Pizarro faranno più tardi sulla terra ferma. Fatta invano qualche mite rimostranza al govetnadore perchè ridisciplinasse al- quanto le sue genti sì sbrigliate a” peculati e alle rnbbe- rie e alle uccisioni ed a’taglieggiametiti, nè altro ottenu- tone che superba risposta di non immescersi a daî con- sigli, si rimbarcava Colombo alla volta di Spagna, onde non più essere infielato sì acremente nel mordo da lui scoperto. Una continua terribile tempesta e un. continuo violento parosismo di podagra il travagliarono agli estremi per tutto l’ Atlantico. Giunto alla Metropoli trovò morta Isabella, e Ferbando non più infrenato da'tiguardi al- } augusta protettrice, simulava assai meno ne’ suoi livori nella sua ingratitudine . Invece di restituitgli i confiscati averi, e i ritolti titoli, e i sospesi salarii, scendeva anzi al- , l’ indicibile viltà di esigere che ] Ammiraglio rendesse i diplomi de’ gradi e onori e privilegii già concessigli. Tali e tanti veleni attossicando i suoi giorni estremi, e mali. gnando i guasti degli anni delle infermità de’travagli, ‘ac- celerarono il suo finire. Accoratissimo per cotante iniquità, spasimante irioltre fra ferocissimi eruciati di gotta, parve trasmutarsi di letizia e gioia udendo intimarsi che ei prov- vedesse co’ riti religiosi al suo morire. Presi i quali con- forti con magnanima rassegnazione , è ritenendo la con- sueta fortezza nonché il medesimo giudizio, non altro indizio diede di sentire affetti. privati se non quelli ba ùna onestà àssai più sernpolosa ; dittando cioè al suo ficlio Diego il novero di colote a' quali era debitore pecuniario. E finchè ebbe memoria non ristdò di andar rimembrando chiunque cri dovesse qualche somma qualunque ; talchè non obliò neppur quella di mezzo marco (10), improntato nel tempo delle sue maggiori miserie da un povero israe- (10) Mezza lira. 108 lita lisbonese. Alla vigilia di conoscere l’ ultimo gran se- greto l’ ultimo mistero nel moinilo morale, era più .trion- fante che nol fosse allorchè strappava all’ Oceano tutti i misteri e segreti dell’ orbe fisico. Pari a Tito col rimor- dersi di una sola colpa, non però come Tito la tacea ; ed era quella delle sue seconde nozze insacramentate pei tanti e travagliosi everti del viver sno. Finalmente sen- tendo il momento supremo «lisse le ultime parole: “ Vissi, ss spero , non iniquo ; e intanto ebbi iniquissimi gli uo- mini. Ma spero che avrò misericordioso Iddio. Sian meco tumulate le mie catene. Signore io affido il mio spirito 5, nelle tue mani.,, E il cielo ispalancò le porte alla sua grande anima ; che in preferenza le apre evi accoglie le anime cui fu largita maggior copia dell'immagine e lena divina, Che il quadro del martirio di cotanta virtù non sco- raggisca i virtuosi. Ogni martirio è una testimonianza non solo di verità altezza ed eccelletiza ," ma ancora dell’im- mensa perfezione ed entità nobilissima dell’ uomo, tostochè il tristo retaggio annesso al possedimento di questa forza divina è seme che frutta seguaci e campioni; tostochè questa è sì pregiata che non v' ha più vile neghittoso il quale oserebbe dire di voler essere Fernando e non Co- lombo . Altri magni potranno in intelletto e gesta lasciar mi- nori appo essi Omero, Dante, Michelangelo, Machiavelli, Galileo, Newton, Cesare, Napoleone. Altri potrà far scen- dere dal cielo in terra nuovo Vero e nuovo Bello. Ma Co- lombo rimarrà unico gigante fra gli ingegni umani . Per lui fu completata la notizia della greazione fisica. Per lui fu impresa una nuova creazione morale ; la restaurazione ecumenica dell’ umanità. ” 23 G. P. 109 Elogio del Presidente Gro. pEeGLI ALessanDRI, scritto dal Segretario Gro. BarisrA Niccorrni ; e 1 0 da esso. nella R. Accademia delle Belle Arti di Firenze per la solenne distribuzione dei premj maggiori nel dì 5 otto- bre 1828. In questo giorno destinato alla solennità dell’arti gli occhi vostri, egregj professori , si rivolgono con mesto desiderio al Inogo da' cui vi parlo ; e il dolore generoso di questi giovani in mezzo ai loro trionfi , direbbe, anche senza il pubblico grido, chi manca fra nei, e quanto ab- biamo perduto. Fredda è quella mano che stringeva la vo» stra colla tenerezza d’un amico, più non palpita quel core acceso in pensieri magnanimi, e gentili, e quelle labbra onde uscivano così benigne parole chiuse il silenzio della morte, Il Presidente di questa Accademia, Gio. degli Ales- sandri più non esiste. i Io qui non reco un ieditato discorso , che la brevità del tempo, e l'animo‘oppresso dalla sventura non lo con- sentono : ma i meriti dell’ estinto verso la patria, e le virtù delle quali fu adorno, ricorderò colla semplice effi- cacia del vero. Non esser corrotto dagli agj, e dalla for» tuna , ma più il fare, è gran lode colà dove l’ ozio è in- vido, e superbo. La vita dell’Alessandri (1) fu. sempre nelle lettere, nell’ arti, e nei pubblici ufizj: non cercò gli alti, e i più umili non isdegnava perchè in tutti vi è luogo alla bontà nella quale ei fu grande. Intese ai vostri studj non vago di professargli, ma di conoscergli, e per quell’ occulta virtù che trae all’ arte del bello tutti gli animi gentili. A lui bastò d’avere in queste discipline squisito giudicio, ed occhi eruditi : altri esercitandole senza esservi disposto dalla natura le avrebbe oppresse simulan» do proteggerle, fattosi fautore dei piccoli, e nemico dei (1) Nacque nel dì 8 settembre dell’anno 1765 da Cosimio degli Alessan- dri e Virginia Capponi patrizj fiorentini. 110 grandi per basso livore di mediocrità sdegnata. Ma le virtù vereconde del nostro amico non poteano rimanere nascose alla sapienza di Ferbivtanno III di gloriosa ricordanzà. Fi> no dal 1796 ei volle che qui sostenesse le veci di Presi- dente, e tre anni dopo providamente gli affidava da Vienna la tutela di quelli studj i quali fino dal principio del suo regno cotanto promosse. Etagli noto che mentre la violenza nemica lo rapiva da questa dolce terra , 1’ Alessandri nel- l’inopia del pubblico erario all’arti vostre del proprio sovveune . Stette per lui che l’oscurità, e il silenzio non regnasse. in queste sale, o non risuonassero d’ armi stra- niere. Mercè sua nella patria di Michelangiolo, in questo tempio dell’atti , il ftioco sàéro non s’ estinse : restò almeno il pennello alle mani dimentiche del ferro. Così in tanta vicenda d’imperj, e di fortune, l’ arti sono sempre il suo primo pensiero, e preso di grande amore per esse non teme d’accostarsi in mezzo alle pubbliche ruine allo straniero dominatore , quell’ uomo così timido e modesto . Ma sente appena la Toscana i benefizj della pace, che la nostra Accademia cui diè sede e legge Pierro LeofoLno solenne legislatore , e filosofo, ha per le cure dell’ Alessandri quanto di nuovo richiede il sapere che cresce, la civiltà che non s’arresta . Ecco altre scuole , migliori statuti, e nell’insegnare quel metodo che fa la gloria e la potenza dei modetni. Ma non si dimentica per questo che gli esempj hanno virtù di granile ammaestra- mento : viene pei consigli dall’ Alessandri ‘chiamato da Roma quel sommo pittore ch'io nominerò quantunque presente, Pietro Benvenuti, al quale chi sarà tanto ifigrato da negare che il suo ritorno fra noi segni un’epoca da cui principiano a noverarsi in Toscana le glorie della risorta Pittura ? L’Alessandri dopo avet procurato alla nostra scuo la tanto maestro, 'e impedito ché l’ arti non cessassero in Firenze d’ essere italiané:, ebbe in animo di farne donò ancora più grande. Egli s’ adoprò perchè stanza avesse in questa città Antonio Canova , dell’italia, e dell'età no- stra singolare ornamento : lodiamolo di così alto disegrio al quale contrastava insuperabil fortuna : guai per noi se miI non fosse gloria l* aver voluto le cose grandi! Dalla ‘pre-. senza di tanto ospite fu nobilitata la casa dell’Alessandri, e per l’amicizia di quel’grande gli crebbe la fama. Si mu- tano nuovamente le sorti della nostra patria, e l’Alessan- dri è sempre nei consigli di chi la reggeva: quindi l’arti toscane , e l’accademia non sono l’ ultimo pensiero di quella mente che fece per molti anni i destini del mon- do. A lui s° affida quel loco ov’ è adunato quanto baste- rebbe ad illusttare molte città : egli siede coi più grandi uomini di Francia e d’ Italia in quel'consesso, che coi suoi consigli svolgendo gl’intendimenti del più gran codice. moderno, ne fondò le basi colla forza, affinchè dopo l’im- pero dell’ armi se n° impadronisse ‘il senno dei popoli in- civiliti, e facesse frutto di pace ciò che fu donodi guerra. Là vide ricomporsi dalle rovine un antico reame, partire colla celerità del fulmine ordini nuovi; che furono pensie- ro e brama di molti, ma che niuno ebhe forza bastante ad ottenere. Certo alla sua mente toscana non giungea nuovo ciò che ad altri sembrò maraviglioso ; e in quel- aula di sapienti gli si affacciò al ‘pensiero l’ombra. del gran LeoroLpo. Ma un gran destino è compito ; un altro ancor più grande comincia; la vittoria, la giustizia, la pace ci rendono chi fu sempre de’nostri cori il sospiro segreto, quello che i padri lacrimando ricordavano ai loro figli. Uditori non avrei mestieri di nominarvelo. . . FERDINAN- no III. Oh come lieto l’Alessandri andò incontro a quel giusto per offrirgli gli omaggi dell’ arti, e tornato dal cospetto del principe disse agli amici: ‘ Finalmente dopo tanti anni io piansi di gioia.,, Voi sapete, artisti, qual con- cetto facesse dell’ Alessandri quell’ ottimo che alle pareti della sua reggia volle consegrati i fasti della pittura mo- derna, e vi chiamava a fare sotto i suoi occhi gran parago- ne d’ ingegno. Ma egli splendidamente manifestò all’ Italia e all’ Europa quanta fiducia riponesse nel senno dell’Ales- sandri , commettendogli di ricuperare quegli eterni modelli dell’arte che sono invidia degli stranieri, e nostra grane dezza. Un italiano conquistati avea. per la Francia i por- tenti della greca scultura, le tele che animò l’ italiano î12 pennello ; e stavano.in. Parigi nuovo premio “di vittoria insolente. Nondimeno sia Jode alla non mai vinta da nes- sun furore civiltà dei nostri tempi; i più sapienti del po polo dominatore, nei quali potea l’amor del vero più che quello della patria, erano d’avviso che solo con frutto quei capilavori studiar si. potessero nell’aere dolce di quel bel cielo sotto il quale nacquero , e che fra i rigori e le nebbie della Senna. stessero come divinità fuori del loro tempio . Un conquistatore poco generoso gli avea tolti a popoli inermi: nella mente di vincitori magnanimi nacque il nobil pensiero di, restituirgli. Ma quanto non s’adoperarono il Canova , 1’ Alessan- dri, il Benvenuti perchè questo nobil divisamento fosse recato ad effetto! Gran giustizia sembra talvolta grand’offesa, si vuole che. non sia dritto il ritorre quello che contro ogni dritto fu tolto, s'invocano i patti quando nell’ infide bilancie fu posta mai sempre la spada di Brenno, Ma in- darno la vanità dei vinti s’ adira, e un tardo orgoglio vor- rebbe difendere l’antiche rapine, Oh! qual gioia buon’Ales- sandri fu la tua, quando in compagnia dell’illustre amico che qui m‘ascolta, tu, intrepido in mezzo ai fremiti del popolo circostante, dalle pareti del Museo francese staccasti il primo quadro ! Non sel pensi soltanto chi è artista, ma qualunque nacque italiano. Eccovi i meriti principali dell’ Alessandri verso la patria, ch’io non voglio dir di lui quello che degli altri può dirsi: debitamente ei visse caro a FerbinanDo III, caro all'’augusto figlio che n’ebbe il trono , e retaggio mi- gliore , tutte le virtù paterne. Quindi non gli mancarono quelli onori chei sapienti reggitori dei popoli hanno sempre ai buoni apparecchiato. Or 1’ ordine del mio dire mi chiama a ricordarvi le qualità del suo animo, e della sua mente. Ebbe sopratutte la misericordia nella quale dimora ogni virtù, e che rende felice il povero che riceve, ma' più felice il pietoso che dona. La sua benignità precorse al di- mandare , ebbe in orrore la pietà superba dei nuovi fari sei, che pur sempre vogliono il popolo in testimone dei loro doni , e delle loro preghiere. Gli piacque quell’ umiltà che 113 non è codardia, ma frutto degli anni e del sapere, ed ultima figlia dell’ umana coscienza. Fu lontan da ogni spirito di parte, dote singolare nell’ età nostra , e credette nelia virtù come nell’ ingegno. Negli anni maturi amò l’ utili novità, e fu ad un tempo degli antichi monumenti geloso custode. Collo zelo d’ artista, e colla carità di cit- tadino agitò pensieri al di sopra della privata fortuna. Dolevasi che noi i quali osiamo chiamar barbare quelle genti fralle quali molti varcano le Alpi per ammirare le | fabbriche erette dai nostri maggiori, non ci vergogniamo di contaminarle : stà sulle loro glorie solamente la nostra soz- zura. Giovanni degli Alessandri ebbe finalmente tutte quelle virtù dalle quali nasce quando siamo presso al morire (2) la fiducia in Dio, e che agli uomini» facendoci cari e desiderati creano in loro questo raro consenso di dolore e di lode. Voi acquistate fede al mio dire, o giovinetti, che come se un nero velo coprisse le vostre corone , oggi dalla pietà di recenti esequie venite mesti al trionfo. Voi colla mano stancata sulle tele e sui marmi portaste la face e seguiste il vessillo della morte. Vi piacque che per la via della sua gloria andasse alla tomba: (3) presso questa accademia a lui tanto diletta raddoppiossi il vostro affan- no, e parve soffermarsi la bara funebre. Ma considerate ch’egli v’amò anche in morte : non lungi di qui volle che il suo frale giacesse ,/4) e voi da quest’aula veder potete quel luogo dov' ei riposa: Ahi sempre la gloria umana abita vicino ai sepolcri! Io non bramo che ‘sulla polvere del giusto sorgano marmi preziosi, orgoglio talvolta di ceneri esecrate : ad ogni passo che quì si mova noi ricordiamo l’ Alessandri : chi cerca il suo monumento guardi all’ intorno. Qui vive il suo spirito, quì sarà memoria, e dolore di molti; il gio- vine rammenta le care parole della speranza che udì da (2) Egli cessà di vivere nei 20 settembre del 1828. (3) I pietosì giovani passarono a bella posta col feretro per via del Co- comero ov’ è 1’ Accademia delle Belle Arti. (4) Ordinò nel suo testamento d’ esser sepolto nella Chiesa di S. Marco vicina all’ Accademia predetta, T. XXXII. Novembre 15 114 quel mansueto , e il vecchio dice ; ‘ Oh egli era meco quando dalle mie mani nascevano quelle lodate figure , e nel giorno del mio applauso gli si diffondeva sul volto la benigna letizia d’una compiacenza paterna.,,. Altro queste più dolci parole ragiona col suo core: “ Io nacqui d’umil coudizione , perdei fanciullo i miei genitori, restai privo di tutto : ei colla sua pronta carità mi tolse il rossore della dimanda , nutrì in segreto la mia giovinezza, mi crebbe agli studi, da lui ebbi stato e fortuna : mi comandò ch’io tacessi il benefizio. Ma quando lo vidi scendere nella tom- ba, io lo raccontava piangendo agli amici, 3 Uditori, al grado ch’io tengo è imposto di fare di quanti a questa Accademia rapisce Ja morte, e memoria, e commendazione. Ma ora mi fa cara la pietà di quest’uf- ficio, perchè potei lodare 1’ amico senza offendere il vero, Nondimeno allor ch'io vo considerando che nella viltà del secolo venale ogni fede , ed ogni valore venne mena alla parola tante volte disonorata , dico a me stesso : che giova ai trapassati le vanità dell’ elogio? Fortunato chi può come Gio. degli Alessandri sperare morendo quelli af- fetti che non v'è il tempo, nè la volontà di fingere , avere dai giovani lacrime vere , e generose. ADUNANZA SOLENNE DELL’ ACCADEMIA DELLA Crusca. Pensieri filosofici intorno al linguaggio somministrarono il tema alla pubblica lezione che fu detta nella solenne adunanza dell’ Accademia della Crusca, caduta in que- st’ anno il dì g settembre. A norma delle costituzioni venne la volta del leggere al sig. prof. can. F. Pacchiani, che nella consueta sala disse la sua prosa. Pose egli per fon- damento che ogni linguaggio è un artificioso metedo di segni analitici, quindi anco ogni favella popolare necessa- riamente è metodo analitico, e popolare. Essendo correlazione naturale fra l’intelligenza di un popolo ela sua lingua, e l’in- telligenza stessa andando per varie cause suggetta a diversi r15 gradi, diviene essa medesima il termometro de’diversi gradi della lingua del popolo ; e per naturale vicenda anco i varii gradi della perfezione del linguaggio sono l’infallibile in- dizio della popolare intelligenza. Quando poi il metodo ana- litico della favella è giunto a perfezione, quello è il tempo, in cui posson sorgere buoni scrittori. Non è verisimile però che subito apparisca uno scrittor grande, ed eccellente, laonde un piccol numero di buoni scrittori lo precedono , e quasi gli digrossan la via. Ma se quel grande primo com- parisce colle divise d' altissimo poeta , ciò è somma ventura della nazione , cui vien dal vate precoce ricchezza di voci, e di modi sublimi. Quantunque la lingua per sua intrin- seca natura inclini all'analisi, e dal popolo creatore riceva indole analitica, pure gli scrittori le arrecano tutti quei pregi, che dalla sintesi possono alla lingua stessa derivare. Difatti per essi scrittori le si aggiunge la dote di rappre= sentare le idee a gruppi, ed in masse ordinate. In forza di questa rappresentazione le forme della lingua divengono, mediante l’eloquenza sublime e la poesia, un quadro vi- vace , una pittuta , o di poco da quella si dilungano. Quin= di negli scritti splendon del pari i pregi che da entrambi; cioè dall’ arialisi, e dalla sintesi procedono. Arrivate a que- sto punto di perfezione le lingue, la denominazione di classiche può a loro indubitabilmente competere. L’esposi- zione di questi principii offre adunque il modo di spiegare. le massime enunziate da Dante in fatto di lingua ; e il sig. Prof. chiuse il suo ragionamento collo sgravare il di- vino poeta dall’ accusa che egli tentasse di togliere alla sua patria per vendetta dell'esilio il bel fregio d’invenzion della lingita. Se lieve ed arida cccupaziorie, diceva quindi il segr, cav. G. B. Zannoni principiando dopo l’ accennata lezione il suo annuale rapporto, se lieve, ed arida occupazione, anzi impe- dimento agl’ingegni furon detti più volte gli studii di lin- gua, surse in antico un Quintiliano a ricordar che e Ci- cerone , e Caio Cesare, e Messala non crederono degradarsi nelle loro opere grammaticali , e più modernamente non menomaron lor giusta fama di filologi sommi e un Vossio, . 116 e un ,Salmasio, e un Barthelemy , e un Villoison, e cento altri famosi, i quali per ricerche grammaticali resero di facile intelligenza antichi, e difficoltosi documenti, Minor forza ha poi la censura ai nostri tempi, ne’ quali siffatti studii furon trattati con metodo filosofico, per lo che dalla loro sebben utile aridezza , al sublime grado di scienza profonda bentosto salirono. L’ Accademia lungi dal chiu- dere gli occhi al fulgor di tanta luce, di essa come di face a’ suoi lavori si valse, e di ciò fan fede anco i nove quesiti dati a sciogliere per concorso, a’ quali finor non essendosi appien soddisfatto gli ha essa per la terza volta proposti. Fra questi ha luogo primo quello che dell’ ori- gine della lingua schiarimenti richiede , la quale origine bramoso il segretario stesso di porre in chiara luce, raccolse a ciò copiosi materiali, e ne diè un saggio allorchè disse sua prosa secondo l’ordine del ruolo. La lingua itsliana deriva dalla latina, ma per ciò piena- mente dimostrare , esaminar si debbono tutti i particolari dell’indole del latino idioma, e tutte le sue vicende. Nato, e mantenutosi rozzo per alcun tempo, venne a non lieve splendore ai giorni di Ennio e di Catone, come si ha dalle loro opere, per le quali è chiaro differenziarsi assai la lingua scritta dalla parlata. Splendida pure mostrasi la lingua nelle commedie di Plauto, che fiorì poco di poi, dal quale la nostra lingua prese vocaboli, e modi, come ne prese dal latino rustico, e da quel della plebe. Passò quindi il segretario a mostrare per esempi i varii modi di corrompimento del latino, cioè come in questo materiale latino mancasse spesso fraseggio, (difetto che andò cre- scendo al declinar della lingua ) come le parole prendes- sero significati lontani da’ primitivi, come s’ introducessero vocaboli di cui avean già gli equivalenti, e come si fa- cesse abuso d’analogia, e di ellissi, e si cominciasse ad unire le preposizioni agli avverbi, e ad usare le pre- posizioni stesse per contrassegnare i casi. Or da tutti questi corrompimenti di latino prese in abbondanza la lingua ita- liana il suo materiale, Trattennesì poscia a rilevare i motivi della differenza 117 delle terminazioni in ambedue le lingue , che tutti ripose nella pronunzia. E ben gli ripose, perocchè, come egli pro- vò cogli esempi, alcune consonanti erano di leggiera prof- ferenza, o non si esprimevano pienamente , ed alcune vo- cali si cangiavano in altre , o affatto sparivano ; per queste modificazioni soltanto si formarono le finali de’ nostri nomi, e de’ nostri verbi, giacchè i vizii della pronunzia passan di facile nella scrittura. Il pieno effetto poi di tali muta- menti sembra che si debba ascrivere al secolo VIII. come apparisce da alcune carte di cattivo latino di quel tempo (che sono in fine una mental traduzione del già nato idio- ma volgare) e dall’uso degli articoli allora incomincia- to, senza i quali nè sta il toscano, nè gli altri parlari d’ Italia. Queste ultime parole gli apriron la strada a render conto delle lezioni degli altri colleghi, e specialmente di quella di Gino Capponi , il quale volendo nel seguito par- lare delle condizioni dell’idioma ‘d’Italia fece suo tema di quelle della lingua greca, Ma poichè in questo giornale fu impressa per intero la sua lezione , (1) opera superflua sarebbe il compendiarla sulle tracce del segretario come per me si fa delle altre. Solo dirò che il segretario chiuse il rapporto di questa lezione coll’ asserire che la vera, e buona lingua greca fu in prima sol negli Ionii, e di poi negli Ateniesi. Somigliante vicenda, seguitò egli, non ebbe la nostra , chè essa nacque, crebbe, e affinossi in questa beata regione, e da questa trasfusesi nelle altre d’Ita- lia. Ed affermando poscia che quei fortunati dei secoli decimoterzo , e decimoquarto sono sempre così primi di tempo come d’onore, passò a riferire che questi scrittori formano sempre l’oggetto degli studii degli accademici. Di essi continuano a dare gli spogli in augumento del Voca- bolario, e qui nominò i colleghi, e citò i testi da loro studiati, e parlò delle edizioni, che de’trecentisti per alcuni di essi son prossime a darsi alla luce. Fra queste è da porsi la ristampa dello specchio de’pec- (1) Vedi Antologia N.° LXXXIX, pag. 85. 118 cati del celebre P. Cavalca, (2) la di cui prefazione porse tema di lettura al collega del Furia quando dal ruolo glie- ne venne la volta. Fu quest'opera composta da quel pio religioso nell’ ultimo tempo della sua vita, di cui uscì nel 1342; e fu tenuta da tutti inedita fuorchè dal cav. Mo- relli, che disse esser quella pubblicata sebben scorrettissima in Venezia nel 1503. come attestavalo l’ esemplare ch’ eì possedeva, e l'altro della collezione del Tomitano, gli unici di cui s’abbia notizia . La nuova edizione tien die- tro principalmente alla dettatura d’ un codice Laurenzia- no, ma altri tre manoscritti han servito d’aiuto a ren- derla più perfetta, senza seguirli però ciecamente ove l’avean guasta i copiatori; e senza aduttare un metodo uniforme in iscrivere le stesse parole; poichè quando nel 1300 le parole piegavano dalla forma antica a più mo- derna si ritenne e l’una e l’altra , come è esempio nello stesso Alighieri. I prolegomeni pure alla prima edizione del viaggio al monte Sinai di Simone Siîgoli dieron subietto alla lezione del collega Poggi. Questo e non quello del Frescobaldi è il testo citato fino dalla prima impressione del Vocabolario; l’altro MS. citato col titolo di Zibro de’ viaggi è probabil- mente smarrito , non combinando gli esempi co’ molti viag- giatori del trecento che si sono dall’ accademico confron- tati. Del resto diverso è il metodo del narrare fra il Fre- scobaldi, e il Sigoli sebbene uniforme sia la materia , la quale fu universalmente illustrata dal medesimo collega mediante la comparazione co’ geografi e viaggiatori mo= derni . Fra’ viaggi antichi però il più interessante è quello famoso di Marco Polo , che fu dato già in luce dall’ ac-. cademico Baldelli con dovizioso apparato di annotazioni , e di prolegomeni, e col corredo dell’istoria delle relazioni vicendevoli fra l’ Asia e l’ Europa. Questi lavori dier già materia a sue lezioni negli anni trascorsi, ed in questo l’accademico intertenne i colleghi colla vita dello stesso - (2) Quest’ opera è stata già pubblicata. 119 viaggiatore. Espose egli i particolari biografici di quest'uomo straordinario con maggiore estensione e diligenza di quello che fossesi fatto per l’innanzi, e lo pose nel più chiaro lume sotto.i diversi aspetti di guerriero , di acuto osser- vatore , e di politico, non tanto alla corte di Cublai, ai di cui servigi fu addetto per lungo tempo, quanto a pro della patria dopo esservi tornato ricolmo di oneste ricchezze. L’ origine, e il metodo della interessante relazione del Polo compierono il quadro, che egli fece del celebre Ve- | neziano, su cui non mi trattengo lungamente essendo pur questa vita pubblicata nel primo volume dell’ Opera ac- cennatae La storia patria poi porse argomento per la sua lezione all’ accademico Follini. Un passo di Dino Compagni rela- tivo ad Antonio d’ Orso vescovo Fiorentino succeduto a Lottieri della Tosa che morì nel 1309. presenta non poche difficultà comparandolo con altre storiche testimonianze . Dice il Compagni che fu egli di vili natali, di non santa vita, molto popolare e animoso in parte guelfa, e che fat- tisi maneggi nella corte del Papa ebbe egli il vescovado di Firenze sebbene il capitolo fiorentino ne avesse eletto un altro del suo collegio. Quanto alla cuna vile d’An- tonio , poichè era stato in prìa vescovo di Fiesole, e il di lui padre avea sposata la figlinola di Lamberto Bel- fradelli nobilissima prosapia, non può giustificarsi il sin- crono Compagni se non col supporre che Antonio non fosse di nascita legittima, o ché il padre potesse aspi- rare alle cospicue nozze per copia di ricchezze , o per effetto di reciproca passione, che trionfasse d’ogni osta- colo. Rispetto poi alla di lui non santa vita, quantunque un decreto della Repubblica lodi i di lui costumi, pure il detto di Dino vien confermato da una novella del Boc- caccio che lo caratterizza uomo di mondo. Conferma pur riceve il medesimo storico nell’ altra particolarità, perocchè la gagliarda resistenza del vescovo ad Arrigo VII. e la pro- tezione a lui mostrata dalla repubblica, prova vittoriosa- mente che egli fù popolare, ed animoso in parte guelfa, Il Sacchetti altresì rafferma la simonia d’ Antonio, che 120 per oro concesse sepoltura ad un usuraio della famiglia Pazzi, cui aveala negata per le costituzioni della Chiesa. Si toglie in ultimo l’ apparente contradizione che si scorge nell’ elezione di un altro fatta dal Capitolo, con quella del precitato Antonio d’ Orso, perocchè escluso dal Pon- tefice quello chei canonici fiorentini aveano eletto, si ac- cordarono forse ad eleggere anch'essi quello prescelto dal Papa. Se la storia però di questi tempi è macchiata di crudeli fatti, e di esempi scandalosi, riconforta l’animo la memoria che in quei tempi stessi esisterono uomini virtuosi, i quali non solo la virtù praticarono in sommo grado , o l’incul- carono col diretto sermone, ma altresì col rivolgere a mo- rale i profani argomenti. Tale può dirsi il libro sul gioco degli scacchi di Iacopo da Cessole , del di cui volgarizza- mento prese a. parlare 1’ accademico Gelli. Questi. nella prima parte della prosa parlò dell’ autore dell’opera aè- certando che nacque sul fine del secolo XIIl1 in Cessole villaggio della Piccardia, e corregendo chi fu di contrario avviso. Intese sempre quel pio religioso a migliorare i co- stumi, e con questo scopo compose l’opera di che si tratta, assai divulgata in originale, e nelle molte traduzioni. Nella seconda diè ragguaglio dell’ opera stessa facendo chiara- mente palese il metodo da lui tenuto nello sviluppo dei quattro trattati in che si divide. Nella terza finalmente favellò del codice. Magliabechiano che contiene la genuina lezione, e forse egli è quello che fu citato dagli accade- miei nel Vocabolario, non senza ragionare degli altri, che ben sovente si dilungano dalla retta dettatura, che sarà presto pubblicata. Gli studii però sopra gli autori del trecento non trat- tengono gli accademici dall’occuparsi degli scritti de'tempi moderni, che anzi il segretario diè contezza degli spogli che sì fecero sopra di questi da alcuni de’ colleghi per sup- plire autorevolmente nel Vocabolario a quella parte mo- derna di linguaggio che ne manca, e specialmente a quella pertinente alle scienze, e alle belle arti. Attendono essi pure a riempiere quel vuoto che potrebbe psservi della 121 lingua dell’uso, e che non tutta si rinviene negli scrittori. Ma qual metodo seguire onde non accada di tralasciarne ? A ciò procurava rispondere 1’ Arciconsolo Gazzeri con la sua lezione diretta a porger correzioni , 0 supplementi al Dizionario. Perciò inculcava: egli di investigare le scam- bievoli relazioni che hanno fra loro le voci, e di ridur- le a serie ordinate, per lo che facile si rende di di- scuoprire quali sian quelle che non hanno avuto il debito luogo nel tesoro di nostra lingua, Applicato difatti. dal collega il proposto metodo venneg'i fatto di ritrovare al- cune omissioni nella serie numerica , ed in quella de’ co- lori . Di questo lavoro, continuava il segretario , ci sapran grado tutti quelli che della lingua tra noi parlata fan te- soro per le loro scritture , tra’ quali è primo l’ autore dei promessi sposi. Ci reputan essi i testi viventi della buona lingua italiana (3) sciogliendo così la malaugurata que- stione , che ha diviso i dotti della penisola. Ma sarem noi sempre i testi viventi della buona lingua italiana? A questo dubbio da lui proposto rispondea esser cagione a bene' spe rare le voci leggiadre, i modi vivacissimi, e { detti spiritosi de’ plebei; ma questi son sapienti per consuetudine e non per conoscimento, e perciò in pericolo d’uscir di via. Quan- to poi agli ordini superiori del popolo , sebbene la italica gara gli abbia fatti solleciti del bel retaggio degli avi, pure parve al segretario che lo studio della lingua tra noi non ferva, quanto l’uopo addimanda. Perocchè mal go- verno fann’ oggi pur troppo alcuni de’ nostri del dovizioso patrimonio della favella , alchimiandola coi falsi ornameuti d’oltramontano , e men copioso idioma. E grandemente ac- cuora l’udir trametter ne’discorsi vocaboli, e modi franzesi, perchè anco i Romani quando erano in ismania di tutto dir grecamente correan più rapidi alla corruzion della lin- gua, in che poscia vennero a cadere. Deh! della nostra, chiuse il segretario, non piangano i posteri somigliante (3) Goldoni Memorie cap. 47 della prima parte. T. XXXII. Novembre. 16 122 infortuniv! e prese speranza che il caro nome di patria ri- trarrà tosto i pochi dal traviamento, e renderà vani i suoi timori. Mostrossi costantemente sollecita attenzione ai detti del segretario, e udironsi più volte durante il rapporto apertissimi segni d’approvazione per parte della colta u- dienza ivi copiosamente accorsa, ma questi ultimi nobili sentimenti, e il caldo affetto pel materno idioma incon- taminato fecer prorompere in vivissimi applausi, e fu di consolazione e di conforto che ella comunemente ne par» tecipasse. FT. R SocretÀà FiLoDRAMMATICA DI FIRENZE. Ogni cosa a suo tempo, Il nome della nuova società , che qui si annuncia, le è comune con più altre anteceden= temente stabilite in varie parti del del paese ; il suo scopo le è per ora tutto proprio, e tanto proprio, che, malgrado il programma da essa pubblicato in settembre , non è an- cora stato da tutti ben inteso, Le altre società del medesimo nome son nate in generale dal bisogno di qualche cosa di più scelto che non sogliano offrire le compagnie teatrali ordinarie; la nostra dal bisogno di qualche cosa di più scelto e insieme di più nuovo. Le une si sono proposto comunemente di sodisfare un gusto delicato ; Ja nostra vorrebbe sodisfare un gusto delicato in- sieme ed ardito, il quale aspira a de’ piaceri drammatici più varii, più intensi e più veri che le compagnie ordina» rie non possano prometterci. Tale scopo , prescritto in qualche modo dal tempo in cui viviamo, fa della nuova società filodrammatica una società essenzialmente sperimentatrice. Se mai essa è de- stinata a conseguirlo, nol potrà che a grado a grado, per mezzo di prove coraggiose che destino gl’ingegni e gli ec- citino a secondarla. Uno de’ suoi membri , in un rapporto 125 recente a chi la presede, le ha molto opportunamente ap- plicato il provando e \riprovando della nostr' accademia del Cimento. Con eguale oppottunità le si potrebbe applicare fl motto notissimo della nostr' accademia degli Arrischiati, di cui ha scelto il teatro pei propri esperimenti. Questi, s’ ella non declina dal proprio scopo, avranno un doppio carattere, corrispondente allo scopo medesimo, il quale è ad un tempo é scenico e letterario. Quindi è stato provveduto , come leggesi nel suo programma, che fossero diretti da due deputazioni , l’una delle quali ha nome dalle scene , l’altra dalle lettere. Come esperimenti scenici essi, giusta il programma, debbono almeno distinguersi per un grande studio di verità ; come letterari, per un tentativo almeno d’universalità. È detto infatti nel programma stesso, che la società intende mettere in iscena le più celebri com- posizioni drammatiche di tutti i tempi e di tutti i paesi, e aggiugnervi le migliori fra le inedite, che le fossero tra- smesse dagli scrittori più abili, di cui desidera la corri- spondenza , come desidera quella degli attori distinti e di quanti hanno particolar perizia della rappreseatazione teatrale, La sua corrispondenza con questi uomini periti e cogli attori in ispecie risponde a quella voce, che non so come si è sparsa, ch’ essa confidando unicamente nella natura disprezzi e proscriva l’arte. Certo essa non ama quell’ arte che contradice alla natura, che divide affatto l’imitazione scenica dalla vita reale, e che pur troppo è l’arte che re. gna nella maggior parte de’ nostri teatri, Contro quest’arte, vero supplizio degli uomini di gusto, protestano di conti- nuo col loro esempio gli attori più giustamente applauditi. La società che, cercandoli a corrispondenti, addita que- st’ esempio a’ suoi dilettanti, mostra d’ essere anch'essa ben convinta che virtù non è caso anzi è bell’ arte. Varie circostanze, non comuni alle compagnie ordinarie, le danno speranza di contribuire in ispecial maniera a pro- muovere l’ arte be/fa del recitare : il numero sempre cre- scente de’ suoi dilettanti, onde le diverrà ogni giorno men difficile l’adattar le parti all’indole e all’abilità dî ciascuno, 124 finchè , per adattarle ancor meglio; possa dividerli , come il programma promette , in dilettanti per la tragedia e di- lettanti per la commedia , salvo il ‘diritto di riunirli in drammi di genere misto : la loro perfettibilità., agevolata dal loro genio comune, dalla reciproca emulazione , dal- I’ intelligenza speciale di non pochi, dalla pieghevolezza di quasi tutti, dalla fortuna di non aver contratto brutte abitudini di mestiere, e da quest'altra incomparabile fe- licità d’esser nati nell’ Attica italiana : finalmente il gusto ‘ d’un’ udienza scelta , che, compartendo saggiamente le 0s- servazioni e le lodi, può divenire verso di loro assai be- nemerita. Quanto allo scopo letterario della società, certo sarebbe stato vano il proporselo senza un corpo di dilettanti , gio- vani la più parte, e immuni da quelle prevenzioni , ché fanno spesso ‘anche degli attori più distinti i più fieri av- versari d'ogni bel tentativo. L'uomo, al cui cenno, fin- chè la fortuna gli arrise, si operavano i prodigi non che le cose insolite, non potè ottenere che fosse recitato sulle scene di Parigi l’Edipo di Sofocle, di cui tanto era vago: Talma, il principe delle scene, vi si oppose costantemen- te. Una società filodrammatica all’ incontro lo ha due o tre anni sono fatto recitare a Bologna senza difficoltà, valen- dosi dell’ aurea versione del sno Angelelli ; e già un’altra società , che fra il 15 e il 18 diede qui degli spettacoli drammatici nel teatro oggi prescelto dalla nostra, s'era apparecchiata negli ultimi suoi giorni a simile sperimento, valendosi della nobile versione del Bellotti, di cui il mae- stro Ugolini le avea messi in musica i cori. Tentativi più arditi e sistematici sembrerebbero an- cor più ineseguibili ad attori di professione ; e per vero dire non a torto. Il pubblico in generale è ben lungi dal concorrere alle lor rappresentanze per una curiosità lette- raria. Esso vuol essere divertito , e divertito a suo modo, cioè secondo le sue abitudini. Queste sicrramente possono modificarsi, ma per vie lente e piene di ostacoli. Però nes- suna delle nostre compagnie teatrali nè ambulanti nè sta- bili potrebbe mai divenire una compagnia veramente spe- 125 rimentatrice . La nuova società , che sceglie gli spettatori dal fiore d’ una delle più culte città ; che chiamandoli ad un divertimento scenico li chiama insieme \ad una specie di giudizio letterario, può e deve fare ciò che ancora non si è fatto nè da altri si farebbe, ma che in mezzo all’at- tuale movimento degli spiriti è pur divenuto necessario. Il corso annuo delle sue rappresentanze dovrebb’essere ( per usare d’una bella frase del nostro tragico fiorentino) un vero corso di letteratura drammatica , un saggio ben ordinato della poesia teatrale d’ ogni tempo e d’ogni po- polo, un mezzo di ben confrontare scrittori e sistemi , di decidere insomma con vera cognizione di causa le questioni teatrali, che oggi s’agitano in tutta Europa , e forse di creare nuove attitudini a dare e a ricevere per mezzo delle scene nuovi piaceri. E giò, fin da quando la società si disponeva a dar se- gno della sua esistenza , fuvvi chi avrebbe voluto che , per indicare quello a che tendeva, essa cominciasse coi Sette a Tebe d’Eschilo, tradotti dal tragico pur dianzi ri- cordato , e facesse loro succedere, dopo un breve saggio del valore de’ filarmonici, che le sono aggregati, uno scherzo comico inedito d’ altro scrittore fiorentino , unen- do così ciò che di più antico e di più moderno le potea per quel momento fornir la drammatica, e facendo indiretta- mente del suo primo esperimento un ‘omaggio alla patria . Varie considerazioni, parte assai giuste, poichè riguardanti ì mezzi d’esecuzione; parte assai timide, poichè provenienti dalle solite prevenzioni , resero la proposta senza effetto. Altri allora, poichè credeasi intempestivo il parlare d’ universalità, bramòd che almeno si mostrasse di tendere alla novità. A quest’ uopo sembrò opportunissima una delle più belle commedie del Moliere delle Spagne (che ancor era fra’ vivi ) non mai veduta sulle scene d’ Italia, e man- data pocanzi tradotta alla nostra società. Ne furono infatti distribuite le parti e cominciate le prove, quando piacque al traduttore di ritirarla, forse per ispendervi intorno nuo: ve cure da lui stimate necessarie, e bisognò pensare a supplirvi. 126 Si sperava di farlo con una nuova produzione del più lodato de’ commediografi italiani viventi, da lui promessa alla società, ad una delle cui prime adunanze intervenne qual auspice, trovandosi in Firenze. Ma stringendoci il tempo , si ebbe ricorso ad altra sua produzione in qualche modo rinnovata , i Litiganti, con cui si apr) il teatro della società verso la fine di settembre, Essa, in generale, non parve abbastanza comica, nè però molto conveniente per una prima rappresentanza. Da alcuni pochi fu trovata pie- na di sale ed egregiamente condotta, del quale avviso , come seppi dappoi, era il conte Gio. Paradisi, che può citarsi come una bella autorità. Ai Litiganti, perchè l’ a- primento del teatro nun fosse senza il buon augurio d’ un nome , che qui suona gratissimo , si aggiunse l’Osteria della Posta del Goldoni. Ma questa, o perchè già troppe volte ‘veduta, o perchè più seria che non si vorrebbe una farsa, fu accolta assai men volentieri della commedia. Malgrado però la poca sodisfazione degli spettatori per la scelta delle composizioni , i dilettanti , che le rappresentavano , furo- no lietamente applauditi. Piacque negli uni il buon garbo (un giovinetto in ispecie fu lodato qual modello di genti- lezza); in altri la vivacità (questa dote fu trovata particola= rissima in una fanciulla); in quasi tutti la naturalezza, cosa veramente rara. Altra cosa pur rara parve nella commedia una scena di pantomima assai bene eseguita, e a cui pre- sero parte vari deputati della società, il che riuscì lusin- ghiero e pel corpo de’ dilettanti e per l’ assemblea degli spettatori. La musica peregrina , con cui si distinse ne- gl’intermezzi il corpo de’ filarmonici , parve dar aria di solennità ad un primo esperimento per sè stesso assai fa- migliare , ed accrescere l’ aspettazione degli esperimenti successivi. Ma la stagione della willeggiatura interposta fra il primo e il secondo fu causa di certa distrazione. Si riaprì il teatro della società verso il mezzo novembre col Tutore del Goldoni, scelto come per gioco, repartito un po’a caso e trascurato in varie sue parti. Quindi, malgrado l’impe- gno di qualche attore, e in generale delle attrici , fra le 127 quali la più giovinetta fu veramente degna d’applauso, si udirono parole di doglianza ed anche d’ eccessiva severità. Ciò che particolarmente afflisse e quasi alienò l’animo dei più affezionati fu il timore che taluno degli attori fece lor concepire, che il manierismo comico s’ impadronirebbe pre- sto anche di quelle scene, ov’ era stato promesso che re- gnerebbe il gusto della naturaleaza e della, verità. Questo timore fortunatamente si dissipò al terzo espe- rimento, dato sul principio di decembre colla recita del Medico Olandese. In esso fu veduto quasi costantemente non so s’io dica il medico vero o uno de’ suoi più abili imitatori ; un giovanetto di lieta indole, che indovinò più volte lo stato d'animo e i modi d'un ipocondriaco ; un giovane uomo, che rappresentò molto al vivo l’ orgogliosa fatuità di certi esseri che si credono privilegiati ; altri at- tori che colorirono assai bene le parti secondarie d’ una bella ma quasi abbandonata commedia, che pel suo me- tro specialmente riesce piena di difficoltà. Le attrici, ben- chè taluna pel contrasto dell’indole e della parte assegna- tale non si trovasse al suo posto, gareggiarono tutte di sentimento e d'intelligenza; e qual si distinse per maniere gentili, qual per maniere vivaci, quale per senno amabi- le, quale per graziosissima ingenuità. Quindi si rianima- rono anzi si accrebbero le speranze già concepite al primo esperimento , e la gioia de’ soci fu generale, A farla più viva si aggiunsero i segni di sodisfazio- ne , che dal palco del Presidente della società dava spesso un’ insigne maestra dell’ arte, madamigella Carlotta Mar- chionni ,.a cui dopo l’esperimento furono presentate le no- stre attrici sue concittadine, ch’ella accolse non senza com- mozione , pensando forse alla sera in cui giovinetta come la più giovinetta fra loro cominciò la sua carriera su quelle scene medesime ov’esse oggi si esercitano. Si sarebbero voluti presentare i nostri attori ad un grandissimo maestro, parimenti loro concittadino, Luigi Vestri, venuto di Roma a Firenze per dare il suo nome alla celebre compagnia reale di Torino, che possede da un pezzo l’ egregia Marchionni, ma ben- ch’ egli assistesse all'esperimento, non ci riuscì di trovar- 128 lo. Alcuni di essi però già gli erano stati presentati sin dalla fine d’ agosto, quand’ egli chiese alla società ‘appe- na formata vari dilettanti pel coro del Carmagnola, da lui fatto recitare al Goldoni , ond’ avvenne ch’ egli il primo annunciasse al pubblico l'esistenza di questa società. ]l felice esito del terzo esperimento fece desiderare prontissimo il quarto. Ma invincibili ragioni, addotte dalla deputazione economica. della società , obbligano a differirlo oltre il carnevale., che non è per la società stagione di esperimenti. Il primo quadrimestre del piccolo contributo de’ soci (i quali d’altronde per la ristrettezza del teatro non sono in gran numero.) fu in buona parte esaurito da spese straordinarie che a principio erano inevitabili, Quindi non solo è mancata la somma necessaria \per ‘un quarto esperimento innanzi, al carnevale, ma non è abbondata nemmeno pei, primi, sicchè il buon gusto degli abiti ebbe talvolta a soffrirvi, e bisognò qualche industria a schivare almeno que’ grossolani anacronismi, che sono sì ordinari sulle scene. Il secondo quadrimestre, speso con giusta economia, basterà. senza dubbio ad un maggior numero di sperimen- ti, ne’ quali si comincerà , speriamo, a tendere diretta- mente allo scopo, che la società si è proposto. È tempo, vanno dicendo alcuni uomini degni d’essere ascoltati, ch’es- sa pensi a dar fisonomia a sè medesima . A quest’ uopo , e quasi per compensare ad un tratto il tempo perduto e quello che ancora potrebbe perdersi , è stata proposta la recita dell’ A4elchi, da farsi verso primavera o al Goldoni, ove fu dato il Carmagnola, o all’Alfieri recentemente inau- gurato , o in altro teatro che a ciò. si creda più opportu- no. Giovani dilettanti pieni d’ardore promettono per essa tutto il loro impegno. I soci non negheranno sicuramente di contribuire alle spese straordinarie , ch’ essa può ri- chiedere. Alcuni molto cauti oppongono che l’esito del Carma- gnola non incoraggisce punto a mettere in iscena 1’ Ade/- chi; e che, tutto considerato, è ancor troppo presto per un simile tentativo. 129 Quanto al Carmagnola, è pur forza ricordarsi ch’ esso appena fu sostenuto da un attore e da un'attrice (anzi fino a tutto il quart’atto da un attore) e più o méno orribilmente trattato dagli altri, ove si eccettuino i giovani clie recitarono il coro, di cui si fece una specie d’ episodio drammatico, E nondimeno , senza lo spirito di parte, che ; dopo avere con epigrammi, biglietti anonimi ec. cercato di sgomentare gli attori, si mostrò così deciso di turbare con risa è bi- sbigli il pacifico giudizio degli spettatori, esso avrebbe avuto un esito abbastanza felice. La seconda rappresen- tanza riuscita così tranquilla al confronto della prima; gli applausi, che non mancarono nè all’una nè altra, mi fanno dir ciò con piena fidanza, L’Adelchi, non dico più interessante ma più drammatico del Carmagnola (a cui manca non so qual movimento fino al sublime quint’atto che lasciò in tutti un’ impressione sì inusitata e sì pro- fonda ) ; 1’ Adelchi rappresentato da giovani, che ne co- noscono e sentono in sè medesimi la forea di vincerne le difficoltà ; 1’ Adelchi offerto da una società sperimentatrice ( giova ripetere quest’ idea) ad un' udienza scelta, convo- cata ad una specie di giudizio letterario, non può avere altr’ esito che quello de’ nobili e generosi tentativi fra per- sone eapaci d' apprezzarli. Che se si teme d’ avventurarsi eon una composizione per così dire di genere medio, ardita insieme e temperata nella sua novità, e più conforme ele lontana dal nostro gusto comune, quanto mai si vertà a quegli sperimenti di drammatica universale di cui più sopra si è fatto cenno? A me e a molti pare che la rappresentanza dell' Adelchi (di cui, per parentesi, si brama è si spera che i cori sieno cantati, come il dovrebbero essere tutte le parti li- riche in ogni rappresentanza tragica ) possa servire di pre- parazione a tali esperimenti, che in un secondo anno do- vrebbero pure ordinarsi secondo il pensiero del tragico fio- rentino già citato. Intanto non sarebbe forse male aggiugnere a tal pre- parazione ‘magnifica alcune preparazioni più modeste e non T. XXXII. Novembre 17 130 meno utili, la recita per esempîo d'aleuni atti o semiatti bellissimi di composizioni famose, ma per la maggior parte “egl’ italiani affatto esotiche, i quali framezzati ai saggi musicali de’nostri filarmanici, vergebbero a comporre un divertimento accademico assai nuovo, e desterebbero ab-. bastanza curiosità, perchè poi quelle composizioui si pre- sentassero sul nostro teatro aspettate e desiderate, Vari uomini periti delle straniere letterature antiche, e moderne, già eletti corrispondenti della società in com- pagnia de’ nostri autori drammatici più riputati, le. for- niranno., speriamo, le versioni che di mano in mano pa- tran bisognarle per de’ veri corsi di letteratura drammatica. Gli autori anch'essi, eccitati dallo scopo, ch’ella si pra- pone , non le lascieranno mancare cal tempo vere e belle novità. Così nella patria de” creatori della nostra commedia e del primo competitore di chi in Italia creò la tragedia; nell’ albergo prediletto di quel grande, che più tardi la riformò , e che se oggi vivesse chi sa per quali nuove vie la spingerebbe con quella sna mano potente , si vedrà forse tra alcuni anni ciò che nella prima capitale d’ Europa si è appena accennato (mettendo a fronte sopra scene rivali Shakespear Racine , e Sheridan e Moliére) un vero tea, tro universale , un’ accademia del Cimento per la lettera- tura drammatica ,' la qual forse le dovrà un giorno ciò che le scienze naturali debbono a quella che sotto un tal no- ine fondarone i discepoli di Galileo. M. ì3i BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’Antologia (*). Novembre 1828. DELLA PROCEDURA PENALE hel Regno delle Due Sicilie, esposta da Nrccora Nicorini ; con le formole corrispondenti. +— Napoli, 1828, nella Tipografia di Michele Criscuolo. | Oggetto dell’ opera. — È il comento della quarta parte del codice per lo regno delle Due Sicilie e delle altre leggi che vi son relative: si estende a tutti i giudizi penali , e ad ogni grado e specie di procedimento anche di eccezione , e particolarmentè ai giudizi militari. Divisione. — L’ opera è di- visa in tre parti. La prima sta- bilisce i principii; la seconda dà le regole per la instruzione delle pruove ; la terza le dà per la ppenneziazione de’giudizi pena- ì di ogni sorta. . La prima parte sotto nome di principii contiene tutte le norme generali con l’ organiz zazione delle autorità e le re- gole di ogni competenza. La se- conda parte espone le norme articolari contenute nel primo ibro delle lì. di pr. pei secon- do l’ ordine stesso de’suoi titoli, eapitoli , sezioni ed articoli. La terza espone. nello stesso modo il libro secondo. Il libro terzé , non altrimenti che ogni proce- dimento di eccezione , è ne’ luo- ghi proprii distribuito fra la pri- ma, seconda, @ terza parte del= l’ opera. i Metodo. — Il testo delle leg: gi è riportato letteralmente. comentò ne vien distinto in isfo* rico, teoretico; e pratico. — La parte storica comincia dalla sto+ ria della significazione delle vo- ci, portata dal senso fisico è primitivo , a tutta la successio+ ne de’ traslati. Col seguirvi pe- rò più l’andamento progressivo delle idee, che i mutamenti at - cidentali del suono matérialé della parola , se ne ha la stori& ideale. Le tien dietro la storia reale, partendo dalle antiche leggi, e con la guida degli or= dinamenti de’ nostri Re Car- lo III e Ferdinando si viene di grado in grado fino all’ ultimo sistema. Con questa duplice stò ria, nel perpetuo confronto del- l’antico col nuovo , si dimostra il bisogno o sia 1’ occasione delle ultime leggi. — La parte teore= tica non consiste che nel deter- minare la forza e la estensione di ogni art. nella corrisponden= (*) I giudizi letteravìî, dati anticipatamente sulle opere annunziate hel presente bullettino,, non déveno attribuirsi ai redattori dell’Antologia. Essi ‘ vengono somministrati La'sigg librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli &rtieoli che si trovano sparsi hell’ Antologia medesima, six» no come estratti o analisi ; siano come annunzi di opere. 132 za delle sue parole con la mente e con la volontà del legislatore. Questo è ciò che diciamo ragio= ne e filosofia del dritto. Si ese- gue ciò prima per via del sum- mentovato duplice confronto del- le significanze progressive delle paroie, e della progressione delle leggi; e poscia per via de’ con- fronti d° identità, simiglianza , analogia, o contrarietà fra tut- te le parti dell’ attuale legisla- zione , o sia per paratiili. — La parte pratica è riposta in primo luogo nell’ uso di giudicare e nelle più importanti quistioni di giurisprudenza ; e quindi nelle formole. Nasce da ciò che 1 ordine dell’opera nella sua parte stori- ‘ca e teoretica è per lo più pro- gressivo ed analitico, nella pra- tica è unitivo e sintetico. Ogni formola poi, divisa nelle sue parti , offre il risultamento del- l’ uno e dell’ altro metodo . — Tutto è distinto per $$ nume- rati, onde non solo ne sia facile il rinvio a quello che già si è trattato , € se ne risparmi la ri- pete s ma diventi sensibile a connessione di tutte le parti. Quello che, dopo 1° ultime leg- gi, è rimasto di atile nell'altra opera dello : ‘esso autore intito- lata : instruzione per gli atti giudiziarii ad uso dei giudici di pace , tutto si è avuto cura di rifondere in questa. Gli autori de’ quali si fa uso sono principalmente nostri, o tali che per la loro altezza ap- tina a tutte le nazioni. no de’ principali oggetti del- l’opera è il rivendicare a noi ciò ch’ è nostro , scrivere per il nostro paese e per i nostri tribu- nali , e mettere in ordine i prin- cipii del nostro dritto pubblico e della nostra giurisprudenza. Prospetto delia prima parte. — Il diritto pubblico del regno , per quanto può riguardare l’ap- plicazione delle leggi, è tutto compendiato in questa prima parte. Ella vien divisa in quat tro titoli. Il I°, compresa la in- troduzione , contiene la storia del nostro dritto penale , e di- pendente da essa 1’ occasione , l’importanza, e la divisione del» l’ opera ; il II°, le distinzioni e diffinizioni fondamentali; il III°, l’ organizzazione di tutte le au= torità , e la differenza delle giu- risdizioni , base di ogni proce- dura; il JV°, le disposizioni ge nerali. i Il primo titolo adempie al suo scopo con la spiegazione del- l’epigrafe della parte del codice che si è presa a commentare : Quarta parte del codice ; leggi di procedura ne’giudizi penali. Ciascuna di queste parole dà un articolo fondamentale di tutto il lavoro. Il secondo titolo porge le di- stinzioni e le diffinizioni più ge= nerali risultanti dalla triplice distinzione della giustizia pena= le; 1, per quantità , da cui la giustizia criminale, correzionale, e di polizia; 2, per qualità, da cui la giustizia ordinaria, la mi- litare , e la straordinaria; 3, per gradi di procedimento , da cui la giustizia preventrice, la inve- stigatrice , e la giudicatrice. Il terzo titolo è importante più che ogni altro. Esso è diviso in quattro parti . — La prima è quasi tutta astratta , e contiene la storia ideale di ogni giurisdi» zione. Ella è ordinata in tre cap. Il primo cap. è una specie di vo- cabolario delle voci ‘giurisdizio» nali : dal senso loro originario si va alle significazioni progressive secondo ii corso naturale delle idee e della rimana civiltà ; e partendo dal principio di ogni giurisdizione , si discende alla giurisprudenza sua ausiliaria : questo può dlirsi il trattato delle forze motrici di ogni giurisdi- zione. Appendice n° è il II , ove si spiegano i tristi effetti del troppo vigore o nella forza mo- trice originaria, o nell’ausilia- ria; specialmente allor che que- sta , o sia la gi@risprudenza, si eleva senza freno, e da forza ausiliatrice diventa principale e regolatrice. Il cap. terzo guarda la giurisdizione nel suo campo di azione, e distinguendo gli sta- dii del suo procedimento , mo- stra il disordine che nasce dal saltarli senza misura e confon- derli. — La seconda parte di questo tif. contiene la storia reale delle nostre giurisdizioni. Ella è anche distinta in tre ca- pitoli ; 1, storia della organiz- zazione di Federico ; a, storia delle giurisdizioni ‘di qua del Faro , e 3 , di quelle di là , dopo la divisione delle due Sicilie. In tutti e tre questi cap. si dimo- strano nel fatto le conseguenze tanto della ignoranza e confu- sione della forza motrice delle giurisdizioni, quanto della in- certezza degli stadii del loro pro- cedimento. — La terza parte è dedicata alla sapienza sovrana che. co’ nuovi ordinamenti accor- re a questo duplice disordine. Ella è divisa innove cap. Rimos- se le antiche sottigliezze , essi mostrano presso noi tutta l’ am- ministrazione pubblica partire dal Trono per tre grandi ra- mi, amministrazione propria- mente detta, giustizia propria» mente detta , e forza pubblica; tutti distinti per ragion di ge- rarchia, per ragion di territorio, per ragion di materia. Dell’ am- 133 ministrazione e della forza pubs . | blica quì si ragiona tanto, quan+ to bastia svelarne i rapporti con la giustizia» ed è perciò che gli or- dinamenti principali dell’ ammi nistrazione civile e la instituzio- ne della gendarmeria sono qui indicati con più cura che le al- tre parti di que’ due primi rami. La giustizia poi si distingue in contenzioso amministrativo, giu» stizia civile , è giustizia penale il contenzioso amministrativo, è uno degli anelli che lega l’ amo ministrazione con la giustizia ; e di esso, come della giustizia civile , si ragiona pure per quan* to basti a svelarne i rapporti con la giustizia penale , oggetto del- l opera. L’ ordinamento della giustizia penale si distingue I, per la quantità o sia peso del reato ; gran corti criminali , tri+ bunali correzionali, tribunali di polizia: II, per la qualità del reato ; tribunali ordinarii comu» ni, tribunali ordinarii militari, tribunali straordinarii così co muni che militari: III, per i gradi di procedimento ; autorità preventrici, atttorità investiga= trici, autorità giudicatrici. Per tutti questi rami scorre con va= ria significazione la voce polizia, altro anello che lega l’ ammini strazione alla giustizia; e qui se ne determinano i sensi e le ramificazioni. — Le autorità giu diziarie sone attaccate tutte, co+ me al punto da cui dependono, alla corte-suprema di giustizia. Ma più dalle nostre antiche leg- gi, che dalle straniere si dimo- strano le attribuzioni di questo collegio. Si svela il fine della sua instituzione : custodire i confini delle facoltà delle autorià gus- diziarie, 1, nello sviluppo, 2, i nell’ applicazione; 3, ne’ modi di esecuzione delle leggi. Ciò. 134 determina la linea che divide la interpetrazione forense dalla legi- slativa; e per conseguente segna i gradi della forza motrice delle giurisdizioni, e ne conserva il re- golare andamento nel loro campo di azione.. Questo trattato della corte-suprema è la pietra fonda- mentale di tutta l’opera ; poichè il comento e le spiegazioni par- ticolari di ogni legge qui prò> vengono , come dal loro fonté , dalla instituzione della corte su- prema , regolatrice di ogni giu- risprudenza ; e tutte vi tornano. Ciò dà unità al lavoro e lo ripor- ta incessantemente a’ principii. — La quarta parte del tit. III contiene le regole di competen- za. È divisa in quattro cap. Il rimo dà i priricipii più generali. 1 secondo dà le regole secondo la ragione delle gerarchie , con- siderandole prima l’ una dirim- petto all’ altra, e poi ciasciuna in sè stessa e ne’ suoi gradi. Il terzo dà le regole secondo la divisione territoriale, prima cioè considerando il regno in rappor= to all’ estero, poi l'una Sicilia in rapporto all’altra, quindi pro- vincia ton provincia, circondario con circondario, comune con co- mune , Quartiere con quartiere. Il quarto dà le regole di compe- tenza per ragion di materia: qui si fissano i principii e si disegna- no i particolari delle competenze eccezionali, & particolarmente della competenza militare. + Così questo titolo assolve il trat- tato della forza motrice delle giurisdizioni e del vario suo gra- do e direzione. Si scende poi nel campo di azione delle varie giurisdizioni. Il quarto titolo di questa prima parte ne spiega le regole genera» li, sotto la rubrica , delle azioni nascenti da reato. Quante e qua li sonò queste azioni? A chi è dato esercitarle? Qual è il lord corso e la scambievole influenza? Come si estinguono ?_ Come si ravvivano ? — Le regole partico- lari sono l’ oggetto della seconda e terza parte dell’ opera. Della prima parte sono già pubblicati in due volumi i primi tre titolì ; il quarto titolo occu- perà il terzo volume, il tiale è sotto il torchio. Il prezzo , fino alla pubblica» zione di tutta la prima parte, è di gr. 43 al foglio in carta rea- lella, di gr. 5 3 in carta reale, di gr. 7 in carta velina, oltre dune gr. al vol. per legatura. Il porto è a carito de’ com» pratori. : Si vende in Napoli presso il tipografo D. Michele Crisciio= lo, largo delle pigne n. 60} e presso D. Pietro Billi, strada infrascata n. 353. NoTIZIA. Pruoposra di alcune correzio= ni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca, prossima edizione coi tipi di Antonio Fontana în Milano. Le poesie del Montr saran» no , speriamo . raccomandate al- l’ imitazione dei giovani da chi- ungqne avrà conosciuta la neces- sità di segnare una linea oltre la quale non è permesso scostarsi dai primi grandi esemplari poe= tando : le sue prose saranno in- vece proposte ad esempio, per insegnare fino a qual punto si debba, e non più, venerare l’au- torità degli antichi, o di chi si è redicato maestro e dittatore in datto di lingua. Perocchè quel grande scrittore con incredibile forza d’ ingegno ha saputo mo- strarci e fin dove convenga al poeta abbandonare gli antichi | per seguitare l’immaginativa sua propria inspirata dagli oggetti ond’è circondato, e fin dove sia debito al prosatore di ubbidire all’autorità degli antichi, o la- sciarsi frenare dai precetti di coloro che primi cercarono in quegli sario, gli esempi e le regole dello scrivere italiano. A questo secondo fine ha mirato il Monti nella sua celebre Propo- sta di alcune aggiunte e corre- zioni al Vocabo'ario della Cru- sca; e poichè l’età nostra avea bisogno di prosatori più che di poeti, quell’opera fu senza dub- bio un gran beneficio alle let- tere italiane, e il Cifonderla più ampiamente fra i giovani stu- diosi non debb?’ esser disgiunto da molto profitto. Laonde an- nunciamo molto di buon grado, che il tipografo Antonio Fonta- na , avendone ottenuta licenza dalla gentile za della Vedova erede del grande Autore, si è accinto a riprodurre quest’ope- ra tanto fruttuosa, e già è pro- ceduto sì oltre, che verso la me- tà del corrente mese ne darà fuori il primo volume. L’edizio- ue, a giudicarne dai fogli che 135 già ne vedemmo stampati, non sarà di bellezza inferiore a quel- la che ne ha data l’Autore, è di cui riesce ormai malagevole il rinvenire esemplari: la forma sarà forse più comoda, e modico il prezzo. Il Monti nel quale andaron del pari l’ ingegna, la diligenza e la modestia, scrisse un volume di Appendice, in cui pose alcune utilissime correzio- ni al Vocabolario che prima gli erano sfuggite, non che alcune emendazioni alla sua Proposta , dove o il suo proprio giudizio 0 quello d’alcuni dotti Italiani lo fecero accorto di esser caduto in errore. Quest’A ppeudice che nel- la prima edizione presentasi di necessità come cosa quasi stac- cata dall’ opera , tornerà molto più fruttuosa a chi leggerà la ristampa che annunciamo, per= chè le emendazioni saranno con opportuni richiami indicate ai luoghi convenienti. L’ indice poi (che non è opera del Monti) sarà compilato di nuovo per modo che serva più utilmente a questa seconda edizione ; e sia notabilmente più breve. Estratto dell’ Appendice critico-lettcraria della Gazzetta di Milano del 6 novembre 1858, Fine del Fascicole XCY. La i Abb pra 5 sp | -asdertà MR A Ga PIZZO ir lrplat erat 4 deg GEIE 1 LE ARIAL » (ad 100 sip attriin DIL DSi NITPrASSAI È x; Pre: pria AA pesi b i [FERRE CA CIELI) 190 ar Fatta fanale, og] Bb n dira RA TATE n Sprint A Pla si tig so FIA yi.) cage cn vati cé SI H DR E 2 vr win ce PIù st GOTICI Rappr ALARE è: a eta r purpr a fast inci Rise, mr P SEN starei SUL Lui MMI ‘ui ide via perte VW 4 Cia dea aoiviatee ini ste ve Noa te... ER Gi sonico una ito da VS OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE SATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO fi. | DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE i) è 3 Termo. | Hal a |a] s © S D Di Ai DI "3.8 Stato del cielo o 5 e Tele 5) Si (01 to Pe | 7 mat. |27. 11,7 | 7,9 | 5;0! 70 . [Maest.°| Sereno Ventic. T|mezzog. |27. 119 | 8,0 959 | 50 Gr. Tr. Sereno Vento wi sera [28. 0,3 | 8,0. | 6,81 66 Tram. Sereno Vento 17 mat. |28. 0,5 | 8,0 | 7,2 | 70 ‘Tram. |Sereno : Vento 2| mezzog. |28. 1,0 | 8,5.| 9,3 | 57 Tram. |Sereno Vento Wir sera |28. 1,8.|:8,3.| 6,2 | 70 | Tram. Sereno Ventic. i 7 mat. |28. 1,8 | 8,0 6,1 70° |Tram. |Sér. con nuv. Ventic 3| mezzog. |28.. 2,1.| 8,6 | 9,4 | 60 Tram. |Sereno Vento forte rv sera |28.. 1,9. 1 8,3 1 7,9 | 69 Maest. ‘Sereno Ventic. 7 mat. (28. 1,8. 82 | 8,0 63 Lev. .|Ser. con neb. Vento | &| mezzog. |28. 2,0 | 8,6 | g,o| 60 Gr. Tr. ii con nuv. Vento | irsera |28. 2,0 8,95 | 7,5 | 65 Gr. Tr.! Nuv. ser. Vento [|o7 mat. |28. 2,4. 8,2 6,9 64 Tram. |Nuvolo Ventic. Îs mezzog. |23...3,4. | 8,2! 7,3 64 Tram. | Nuvolo Vento ul at sera |28. 4,0 | 7,8 5,9 | 65 | Tram. :Nuvolo Vento || 7 mat. 28. 4,0.| 7,1 | 4,5 70 Po. M.|Sereno Ventic. | 6 pprsz0s- 128. .42.| 733 |-7,0 | 59 Tr. Gr.|Sereno Vento | | =® sera \28. 4,1 | 7,0 ;33 | 65 Lev. |Sereno Ventic. | {7 mat. [98. 36 | 6,3 ! 1,1 | 80 Scir. {Sereno Ventic. 7) mezzog. |28.. 3,0 | 6,3.| 6,0 | 64 Lev. |Sereno Calma Lol atisera |28. 2,0 17,0 165 | 70 Ponen.|Nuvolo Calma icone NOVEMBRE 1828. Alto sabna il livello del mare picdi 205. 19| mezzog. 28. 1,8 10,8 I Micsera_ 28. #5'"t1,3'"Yo;jd go sn LIM: e nen rsa e 2 "gli So È ° 4 =) 3 $ Ora : | 2 3 |< 5 SÈ Stato del cielo (ei la ka] lac] er (el ca dt Ri; -__——————————————_——___—ÉÉT———————_€____—_—__Ty5ÉÈmhÉ@É6PÉ@@tD aree | 7 mat. |28. 0,7 | 7,0 { 5,5| 98 |0,17|Lib. |Pioggia Calma 8| mezzog.[27. 11,9 |_7,0 {-5,5| 98 | 0,06 | Ponen.] Nuvolo piovoso Calma | 11 sera 127. 11,4 | 7,5 | 8,8 | 99 0,09|Sc. Le. |Nuvolo Calma | 7 mat. (27. 11,1 [11,0 | 8,0 | 99 Lev. |Nuvolo Calina | 9| mezzog. 27. 10,45] 8,8 {13,2 | 85 Sc. Le, Nuvolo Ventic. 11 sera 27. 8,7 | 9,0 |10,0 | 99 1 0,64 Scir. ‘Pioggia Ventic. | 7 mat. (27. 9,4 | 9,8 | 9,g [100 | 0,18 Scir. Pioggia Ventic. 10 mezzog./27. 9,0 | 9,8 [11,1| 97 | 0,47 Sc. Le.|Pioggia Ventic. tr sera |27. 9,5 | 9,6 | 8,8] 98 |t0,34 Sc. Le.|Ser. nuv. Ventici. 7 mat. 27. 10,6 | 9,3 8a 98° Po. Li.|Nuv, ser. Ventici 11} mezzog. 27. 11,2 | 9,8 [10,9! 98 Po M.|Nuvolo Calma Itrsera 27. 11,0 } 9,8 [12,1 | 92 Ustro |Nuvolo Calma 7mat. |27. 11,0 |t0,1 {12,0 | 92 Scir. {Nuvoloj Ventic 12| mezzog.{27. t1,3 {10,5 [13,4 | 95 Lev. |Nuvolo Calma 11 sera |27. II,1 {10,9 |12,9| 95 Scir. 'Ser nuv, Calma | 7 mat. 27. 11,0 |tt,1 |12,5 96 “| Seir |Nuvolo. Calma ;t3 mezzog. |27. 11,t {11,8 |13,9 | 97 | 0,02 Lev. |Nuvolo Calma i nr sera {27. 11,1 |rt,8 |1t,0 | 98 |0,08 Maest. |Nuvolo Calma î 7 mat. pr 11,2 {11,5 {10,6 99 | 0,13 Ponen.|Nuvolo Ventic, 14 mezzog./27. 11,95|11,8 |14,0| 94 Tr. M.|Nuvolo Calma: pi ri sera e 0;3 {12,1 [11,9] 98 Tram. |Nuyolo Calma 7 mat. |28. 0,1 {12,0 [10,5 | 98° Sc. Le.|Ser.; ineb, Calma 5 mezzog. 28. 0,35 1,2 15,0 | 82 Lev. {Ser. ragn. Calma i rr sera 28. 0,3 |12,3 |11,0| 82 Scir, |Ser. con neb, Calma 2] 7 mate 7 mat. di 0,3 [f2,2 11,9 | 86 Scir. |Nuvolo Calma 16) mezz4og. o,4 112,4 14,1 | 60 Se. Le.| Nuvolo Vento li sera 18 0,0 12,5 11,0 | 99 | 0,37 [Lev. Pioggia Ventie. 7 mat. lar. 11,6 ‘12,2 11,2 | 95 | o,u LE Nuvolo Vento. 17 mezzog. 28. 0,0 12,4 112,6] 91 | 0,04 Li.|Ser. nuv, Calma I vi sera (28. v,t ‘12,0'10,8 | 95 beata Ser. nuv. Ventic | 7 mat. j28. 1,2 [11,7 | 9,9 96 { 0,01/Scir. |Nuv. ser, i Ventie 18) mezzog.|28. 2.55 [11,0 j12,3| 95 Scir. |Ser. nuv. Calma rr serà ,38. 2,3 11,7 [10,9 98 0,24 Ostro iNuv. ser, Calma vi ‘mat. In8, 1,8 11,8 [10,2 | 99 |. 0,43 Seir. | Pioggia dirotta Calma | 1,3 99 ‘0,69 Sc. Le.'Nuvoloso Ventic.|. Tram. ‘Sereno Ventic.i | © Termo, | = > | D go = 3 Q sé "pi ta [e] E mi o È Ora 3 LE agi VIE RO i ra Stato del cielo 3 a DIA: e: DA = 3 E3 dal = 5 35 le. (o) =) \ ° ° ° ° ' ì ' ATE OT }{l | 7 mat. |25. 1,6 [10,9 6,5 | 98° Scir. |Sereno Calma o|mezzog. |28. 1,8 [10,8 |10,9 | 69 Grecal.! Sereno Venti. | 13 sera |28. 2,3 [10,3 | 7,0 | 91 Scir. |Sereno Ventic. @ ” mat. |28. 2,5 | 9,0 4,9 95 Scir. |Sereno Ventic. a1{mezzog. |28. 2,5 | 9,5 | 8,0| 82 Scir. |Ser neb. Calma 11 sera [28, 2,4 9,5 6,7 | 97 |Scir. Ser. neb. Calma | 7 mat. 128. 2,4 8,9! 4,01 97 | Scir. |Ser. neb. Ventic. i | | i lig. Calma 22|mezzog. |28, 2,3 | 8,7 | 7,3| 96 Scir. {Sereno calig | | rt sera |28, 2,3 9,0 | 6,3| 96 Scir. |Ser. calig. Ventic. | ——_T__|-|[——-|[-|[—_|[-=afee=ee=-r-rr eee, 7 Il 7 mat. |28 2,3 | 8,2 | 5,0 | 90 Scir. |Sereno Ventic. |23|mezzog. |28. 2,1 | 8,2 | 7,3| 95 Scir. Sereno calig. Calma | 11 sera |28. 2,0 | 8,1 | 6,0 | 96 |Scir. Sereno Ventic. j 7 mat. 28. 2,0 | 79|4,3| 97 Scir. |Sereno Ventic. lag mezzog. 128. 2,0 | 7,8 | 8,6| gi |Scir. Sereno Calma 4 11 sera 28, 2,1 | 7,8 | 6,1 | 97 Scie. Sereno _ Ventie. | n mat, 28, 2,0 75 4,2 | 97 © (Scir. |Nav, ser. Ventic. 25 mezzog. |28. 2,7 | 7,6 7,3 | 95 Scir. |Nuvolo Ventic. Il I 11 sera ‘28. 2,8 | 7,7 | 6,6 | 459 IScir. |Navolo ser. Ventic | | 7 mat. ag» 3, | 939 | 5,5 | 97 | Scir. {|Nuv. neb. Calna la6 mezzog. |28. 3,4 | 7,5 | 8,2 | 95! Os. Sc.|Ser- neb. Calma iL 1i sera |28, 3,5 | 7,9! 7,7 | 98 8 | O.tro |Nuvolo Calma | | 7 mat. 28. 3,3 | 7,5 7,8 di [0,01 Scir, |Nuvolo: Calma \27 mezzog. |28. 3,0 | 7.9 | 9,6| 96 Scir. |Navolo Calma i rt sera |28. 2,7 | 5,0 | 8,1 | 98 Ponen. | Nuvolo Calma i 7 mat. |[28. 2,6 | 8,0 | 8,1 | 88 Greco |Se. con nuv. —Ventic. 128 mezzog. |28. 2,8 | 8,4 [10,4| 69 "Tram. |Sereno Vento ì | rrsera|28. 3,2 | 8,7 | 6,7] 83 Scir. {Sereno Vento V| 7 mat.|28. 3,2|8:|41 96 Scir. |Ser. con neb, —Ventic. (29 mezzog. |28. 3,2 | 8,3 | 7,8] di Scir. |Ser. neb. Calma i itsera 28. 3,2)! 8,1 | 6,2 | 95 Scir. |Ser. nuv. Calma n | | 7 mat. [28. 49 | 98 ‘ Nuvolo ser. Calma i30|mezzog. {28. 9 93 Sereno Calma i {rr sera |28. 8 97 Nuvolo Vento _—__u———T—_—mÉmes anda Aia RETE Tit. \' dl ì : stia | dpuattal sagre ì iter aut) ag air, LITIZI slo ul) sue bio vati bambine vertici agli o vali o SULA spariti di i, dol bi rasa porse x t) î A tu: { tornai vin] fi i forati! sno) Ù e o miti e aroitatì. gas «Mi od 19% tiri bleo fer: i curot94) ont P|} pi od | go: otegVeere ali. —muote@to vinili O. | 8% 484 97 Dati entita

rsvrrreosvopasIossenteg e e] N. XCVI Dicerabre 1828 _—_—_—_——— un. 22CCAMNTAE TUVISTA BETTERARIA. Sulla intelligenza di alcuni passi di T. Livro relativi alla si- tuazione dell’ antica Savona. Osservazioni dell’ uvv. Gio. Ba- ristAa Brrroro. Savona 1827. Fino dalla prima pagina si comprende quale spirito ha dato vita a questo libretto. L’ ab. Spotorno nel volume quarto della sua storia letteraria della Liguria accrescendo i dubbi emessi dal Cellario sull’ ubicazione di quel Sevore oppido alpino di T. Livio (1. 28, c. 46) diede a quel passo tale interpetrazione da far credere che il questionato oppido alpino esistesse al di là de’Liguri Ingauni; e perciò da non doversi confondere con la città di Savona. Appog- giava egli il suo ragionamento sul supposto, che Magone appena tragittato dalle isole Baleari in Italia uon avrebbe depositato le prede fatte in Genova, nè fissata la stazione dei suoi navigli fra due città nemiche (Genova e Albenga), tanto più che lo stesso Livio soggiunge, (lib. 29, c. 5) che il comandante cartaginese stanziava con la sua armata navale suò angulo Alpium, e che fu solo per caso se i legati di Cartagine lo trovarono fra Genova e Albenga. Contro i quali argomenti stanno le osservazioni del sig. avv. Belloro. Svanisce , dice egli, il primo sospetto che la città di 2 Savona rimanesse situata in mezzo a due capitali nemiche, quan= do si riflette che Genova fn presa e disfatta da Magone, per non aver da essa più nulla a temere ; e che in quanto agli In- gauni essi si fecero ben presto del cartaginese alleati. Per quello poi che spetta al punto della stazione avverte il sig. Belloro, che quella stabilita a Savona non consisteva che in dieci navi lun- ghe lasciatevi di presidio, mentre Magone con il resto della squa- dra se ne andò ad Albenga sino a che terminata la guerra de’Li- guri montani tornò con l’armata in Savona , dove lo trovarono. le navi venute insieme coi legati da Cartagine. Altronde che fra gl’ Ingauni e Genova fosse 1’ angolo delle Alpi stanza di Magone , e conseguentemente che a Savona con- venisse l'epiteto di oppido alpino lo danno a conoscere, oltre T. Livio , molti altri scrittori di quella età. Il n. a. si giova unicamente del geografo Strabone, il quale lasciò scritto che, Ze Alpi hanno origine non già dal porto di Mo- naco , come molti riferirono, ma da quei medesimi luoghi donde co- minciano i monti Appennini, cioè a Genova emporio dei Liguri, e ai vadi Sabazii. L’ Appennino per vero dire comincia da Geno- va , ele Alpi dai Sabazii. Tra Genova poi e i Sabazii si con- tano 260 stadii, (26 miglia italiane) di distanza. In ciò ben di» verso da Polibio, il quale situò sopra Marsilia la riunione del 1° Appennino coll’Alpe. Che però la sentenza del geografo greco fosse la più comu- nemente adottata dagli autori romani ce lo manifesta , oltre T. Livio, D. Bruto Prefetto della Gallia Cisalpina in quella episto- la a Cicerone , dove scusa la sua lentezza nel perseguitare l’e- sercito di Antonio,il quale constitit nusquam prius quam ad Vada venit: quem locum volo tibi esse notum . Jacet inter Appenninum et Alpes impeditissimus ad iter faciendum , ( Cicer. Epist. lib. XI, 13.) In sussidio della storia geografica sembra che a far credere ciò vero concorra anche lo studio della natura del suolo. Peroc= chè se si considerano i rapporti di analogia esistenti tra la costi- tuzione geognostiea dei monti che dall’ alto Monferrato scendono verso Savona e l’ indole del terreno delle alpi di Savoia 1’ as- serto di Livio, di Strabone e di Bruto comparirà meno strano di quello che volgarmente si crede. Avvegnachè non è difficile che i monti preaccennati , invece di far parte della catena dell’ Appennino, siano 1’ estremo con- trafforte orientale delle Alpi marittime staccatosi dalle sorgenti del Tanaro , là dove per più meridionale direzione si parte l’al- i) | | | | | 3 tro contrafforte che per il Colle di Tenda si precipita sulla spiaggia di Nizza , già un dì attinente al territorio dei Marsi- liesi. Finalmente il sig. ‘ab. Spotorno distingue Savona dal Vada Sabatia, mentre il suo oppositore vuole che questa sia deriomi- nazione del distretto, quella del capo luogo ; fidato quest’ultimo nell’ autorità di Strabone che disse chiamarsi Vada perchè erano paludi, e nell’asserzione di Ascanio Persio, scrittore per verità nè tanto insigne nè tanto antico da poter fare in ciò valida testimo= nianza + Per la stessa ragione non saprei qual fede si vorrà prestare a un MS. compilato da un prete savonese nel 1530 e del qualé si giova 1’ ab. Spotorno (1) per dimostrare che Vado fu città e sede vescovile sino dall’anno 990; epoca in cui ad istanza del suo vescovo Bernardo il pontefice trasferì la cattedrale in Savona. Imperocchè,.a volere con sana critica appoggiare un tale raé- conto ignorato dall’ Ughelli e dagli scrittori della storia civile ed ecclesiastica della Liguria , stava a carico del sig. Spotorno di rintracciare la bolla pontificia o una sua copia autentica, della quale non dovrebbe esser privo (se ciò pure avvenne) 1° arthi- vio vescovile savonese. Altronde non saprei quanto fosse per ac- crescere celebrità a Vada o a Savona la via tracciata da Emilio Scauro , stantechè al dire di Strabone essa giungeva sino ai Sa- bazii, cioè sino ai confini di quella tribù de’ Liguri, e nòn come interpetra il n: a. sinò a Vada. (2). Ma ciò che più d’ogn’ altra osservazione avventa alla ‘mente di chicchesia è la strana indagine messa in campo dal sig. Bel- loro onde provare l’ esistenza di una strada militare attraverso i monti di Savona anche innanzi della via Emilia. Alla quale inda- gine diede un immaginario peso la scoperta fatta da pochi anni nelle miniere di carbon fossile a Cadibona di ossa di animali, Ze quali (dic’egli) si riconobbero appertenere a quegli elefanti che fe- cero parte delle spedizioni militari dei Cartaginesi in Italia , e attestano per conseguenza il passaggio di Magone da Savona alla Gallia Cisalpina. Noi non domanderemo quali contrassegni avessero i residui di quei supposti elefanti per assicurarne essere appartenuti per l’ appunto al numero di quei quadrupedi affricani che accom- pagnavano l’ armata di Magone; diremo solamente che a dimo- 7) (1) Giorn. Ligust. Anno 2.° fase. 1 (2) Vedasi l' Antologia fasc. di Giugno 1823. 4 strare onninamente erronea una tal novella, quando non bastasse la lettera già citata di D. Bruto che dichiara malagevole e impe- ditissimo il passaggio dai Liguri Statielli alla marina di Vada; quando pure T. Livio non ci avesse avvertito che 1’ esercito di Magone dopo la disfatta avuta dai romani nel contado di Pavia, ritirandosi frettolosamente come fece, invece di prendere la più cor- ta via, quale sarebbe stata quella lungo la valle della Bormida di Millesimo, per giungere alla stazione di Savona, si diresse per più lungo cammino (itineribus extentis) verso le sorgenti del Tana- ro onde penetrare per il collo di Nava o per altra vicina foce; sino alla spiaggia di Albenga / Lio. lib. XXX); quando tutto ciò, dico io, non bastasse, distrugge l’enunciato supposto il sapere da fonte non dubbia che i carcami dei mammiferi sepolti nelle miniere di Cadibona, anzi che agli elefanti di Magone, appartengono a una specie di animali designata da Cuvier col nome di antro- potherium, e la di cui razza cessò di esistere anteriormente ad ogni epoca storica. E. R. Notizie intorno ad Esopo , dettate dal cav. Anprr4 Musroxini Corcirese. Venezia Picotti 1828. Abbiamo un opuscolo degno della dottrina e della eleganza del cav. A. Mustoxidi. Alle favole sotto il nome di Planude spac- ciate intorno al greco favolatore , quì troviamo sostituite le po- che ma preziose testimonianze che di lui ci lasciarono i greci scrit- tori e i latini, da Erodoto a Suida, da Fedro ad Avieno. Abbiam così un fondamento sul quale innalzare qualche ragionevole con- gettura ; abbiamo almeno una serie di opinioni vaghe e varie, quali suol darle la fama d’ una verità travisata presso un popolo ima- ginoso ; opinioni da cui dedurre, conseguenza non inutile, l’im- possibilità di attingere il vero. Dalla cieca credulità che adottava per vere tutte le fiabe della mostruosa figura , della malignità servile d’Esopo, s’ è pas= sato negli ultimi tempi ( cosa ben naturale ) all’ eccesso contra rio : s' è dubitato della esistenza d’ Esopo , lo si è voluto con- fondere con Lokman, con Bidpai; e Boullanger, con un meto- do strano di etimologie storpiate, dopo averlo immedesimato con Lokmar. ;) gli adattò tutti i fatti che narra la Bibbia di Giusep- pe ; figlinol di Giacohbe. Allora , convien dire che la moglie di Putifarre fosse d’ un gusto bene corrotto in fatto di bellezza vi- rile ; 0 che si fosse innamorata d’Esopo da quel ritratto che tro- viam conservato nella Iconografia del Visconti. 5 Il Mustoxidi confessa ch” Esopo non può tenersi pet l’ in- ventore del genere. E infatti la favola, a chiari segni par che si debba stimare d’ origine tutta orientale . Nè da. ciò segue che Lokman e Bidpai se ne possano a miglior diritto credere gl’inven= tori. Questo attribuire ad un uomo l’invenzione d’un’arte, d’uno strumento ; d’ un genere qualunque sia, è credenza quasi sem- pre favolosa ; perchè le invenzioni, specialmente nella prima età, si vengon facendo a piccioli passi ; e il perfezionatore più originale , od il più ingegnoso, od il più fecondo , od il più fortunato è colui che s’ usurpa la gloria; forse meglio meritata da taluno de’ molti che lo precedettero. Dalla semplice personificazione degli oggetti naturali (personificazione comune a tutti i popoli, a tutti gli no- mini, anche i più castigati dalla civilizzazione), si venne a po- co a poco a dare una specie d’intelligenza anche agli enti senza ragione o senz’ anima. La saggezza di qualcuno più accorto ap- profittò dell’ error popolare , non lo creò ; chè sarebbe stata cosa impossibile , 0, se possibile, inefficace e ridicola i. Così la favola stessa non divenne invenzione, se non dopo essere; stata. cre- denza. Nella mente di quegli womini fantastici ; e semplici, e ri- boccanti di vita, alle bestie, alle piante non mancava che. la pa- rola per esprimere il secreto della loro esistenza: e. questa parola il poeta favoleggiatore la donò alla natura: e così quell’istinto di personificazione che dall’ un lato ha composta la mitologia , ci ha dall’ altro donata la favola. Ch’ Esopo non ne fosse l’inventore proprio, cel mostrano an- che le tradizioni de’ Greci: perch’ altri ne danno il vanto ad un Gilice , altri ad un Lidio , altri, cosa singolarissima, ad un Si- barita. Se il Cuoco avesse notata questa particolarità, non avrebbe mancato di far Esopo italiano , come Omero e tant’ altri. E chi sa che le comunicazioni di civiltà, più dirette e più antiche, ch’ebbe 1’ Italia con l’ Oriente , non abbiano fatto passare questo genere appunto d° Italia in Grecia ? Il singolare si è che tra le molte tra- dizioni, dal dotto Mustoxidi recate, intorno alla patria d’ Esopo, havvi quella dello Scoliaste d’ Aristofane , che lo faì Trace. Di Tracia dunque , se ciò fosse, verrebbe in Grecia la favola, insieme con gli altri generi di Poesia. Posto un progresso , e ben lento, in questa , come in tut- te le altre invenzioni, parrebbe potersi dedurre, che prima l’apologo si fosse cominciato ad usare; e poi la favola: pri- ma cioè quelle favole dove parlano le bestie e le piante fra lo- ro; poi quelle dove parlano bestie con uomini; od uomini con uomini, ch'è la propriamente detta parabola.» A prima vista 6 parrà forse a taluno che sia l'opposto : ma basta pensarci per ac corgersi che la favola, propriamente detta , quella d’ uomini par- lanti con bestie ; o d’ uomini fra loro, essendo la più ragionevo- le, la meno fantastica , la più semplice , dovette esser l’ultima. Questa differenza che il ch. Mustoxidi non notò, perch’estranea al suo tema,ci è comprovata dal senso delle greche voci doyos € pubos: dal senso delle latine , fadella e fabula , fabula e apologus. Lo- gos e fabella indicano propriamente gli apologhi , il genere eso= piano , onde Seneca (Consol. ad Polyb. c. 27): Fabellas quoque et Esopaeos (1) logos solita tibi venustate connectas. E così Plauto usa logi, per cose ridicole ; come Fedro intendeva 1’ apologo esser fatto per ridere (Prol. L. 1.), esser cosa giocosa: (Lib. IV , f. 6). All’incontro, degli altri due, mithos e fabula, questo ha senso gra- ve ; e s’ applica alla stessa tragedia , quello ha senso religioso ed arcano (2). Codeste differenze son anche rispettate dall’ uso degli scrittori : e però in Cicerone leggiamo : vel apologum vel fabulam: e in Fedro : si riec fabellae te juvant nec fabulae. Ci si perdo- ni se in questa minuzia insistiamo ; giacchè questa ci spiega od almeno ci fa sospettare le gradazioni per le quali è passata l’inven- zione del genere. Del resto , che Esopo sia il nome ideale al qual venne attaccato tutto ciò che apparteneva a varii tempi e soggetti, cel indica la distinzione delle favole, in carie ; cilicie, sibaritiche, ciprie, libiche, frigie ed esopiche ; e il vezzo noto d’ intitolar da un autore principale tutti gli scritti del genere ; come facevano i greci de’ poemi omerici : chè certo nessuno vorrà credere la Batracomio- machia ‘opera dell’ autor dell’ Iliade; quand’ anche gli voless’ es- sere liberale dell’ Odissea. Così narra Cicerone che le Poesie d’Or- feo eran lavoro d’ un Pitagorico : e chi sa mai se pur una delle fa- vole esopiche che abbiam noi , sia veramente d’ Esopo ? Fedro nel Prologo primo del L. V, chiama le sue favole Esopaeas, non Eso- pi ; e nel secondo protesta che, se nomina Esopo, lo fa auctoritatis gratia, come fanno quegli artisti che le proprie statue attribuisco- no a Mironeoo a Prassitele. (1) Altri leggono Zsopios , con la penultima lunga; ch” è troppo greco, Quando s’ ha ad allungare la penultima , io scriverei. Esopaeos; quando s'ha ad abbreviare, Esopios con Ausonio p. 16 v. 74. (2) Noterò , giacchè me ne viene il destro , un errore sfuggito al For- cellini, e che potrebbe emendarsi nella nuova ediziono di Padova. Orazio nell’ Ode IV del I, dice: Jam te premet nox fabulacque manes. Il preù- dere per sustantivò quel fadulae, non ha senso. Fadulae adunque stia per fabulosae, come per. nubilosus sta nubilus. Avremmo così nel dizionario un er- rore di meno, e una parola di più, ; 7 Quando il dotto Mustoxidi, con l’autorità della II favola del I libro di Fedro conferma la gita d° Esopo in Atene, non intende già di prendere per buona la testimonianza d’ un poeta che nomi- na Esopo sovente per celia ; intende di notare e porre insieme tutte le memorie , o storiche , o poetiche, o quali che sieno ; che d’ Esopo ci restano. Che Fedro citasse Esopo così a caso, ne ab- biamo due indizii non dubbi nella fav. XIX e nella V del terzo li- bro, delle quali la prima attribuisce ad Esopo l’hominem quaero di Diogene, la seconda narra una strana vendetta da Esopo otte- nuta d’ un tale che gli avea scagliata una sassata ; vendetta ;, che il popolo fiorentino tutto giorno attribuisce al Machiavelli, del qual dice che mandò a donare sei fiaschi di vino al beccaio che aveva schiaffeggiato il suo domestico , acciocchè l’ offensore, inor- goglito della sua protezione , commettesse peggio , e ne fosse pu- nito, come seguì. E poichè siamo a Fedro; mi sia qui lecito eonfermar brevemente il dubbio del Cannegieter , che da un passo di Seneca deduce, Fe- dro esser vissuto ai tempi di Claudio e anche dopo, giacchè Seneca dice che le favole erano ancora intentatum Romanis ingeniis opus. Questo potea forse dire perchè Fedro era trace : ma io deduco piut- tosto la prima congettura dal tuono d’alcune favole, dalla soverchia finezza d’alcune altre, da certa soverchia ricercatezza di stile, ch’Her- der ha rettissimamente osservata in quel Fedro, che i maestri d’umanità tengon per aureo più che Cesare, giacchè lo pongono in mano a’ fanciulli prima ancora di Cesare e di Virgilio. Basta leg- gere il prologo , e la favola prima. Libelli dos: vitam monet : fau- ce improba incitatus : a te decurrit ad meos haustus liquor : frasi affettate, che nel secol d’oro non trovi, se non forse talvolta in Ora- zio e più sovente in Properzio. Ma checchè sia dello stile, non so se la prevenzione m’inganni, quand’io nella favola delle rane che non vogliono un tronco per re , e ricevono invece un dragone, trovo epilogata la storia di Nerone e di Claudio ; quando in molte altre ravviso la satira d’ una violenta’ ingiustizia , d’una inge- gnosa tirannide che ne’ tempi d’ Augusto e di Tiberio non era ancor nota. Io son peraltro certissimo di non m'ingannare, quan- do in moltissime favole riconosco il germe d’ una immoralità pe- ricolosa ed inetta, che dovrebbe allontanar questo libro dalle man dei fanciulli. Non citerò che le favole VIMI , IX, XIII , XVIII, XXVII, XXIX, del libro primo. Prima di finire, osserviamo come la favola con tanti altri generi di poesia sia venuta miseramente degenerando fra noi. I saggi l’ado- prarono dapprima per parlare alla mente degli uomini ancor fan- % » ciulla ; ed ora i nostri poeti rinfanciulliscono per parlar col. Jin- guaggio della favola ai saggi. Il popolo non è più in tale stato d’ intelletto da prender piacere ai discorsi dell’ agnello e del lu- po: resterebbe che il favolista, sollevandosi più alto, parlasse a’più colti, e nascondesse sotto il velo della favola una verità vas- ta, profonda, la cui importanza facesse piacevol contrasto con la leggerezza del tnono. Questa sarebbe, parmi, l’unica via di dar vita ad un genere ch’ha ormai perduto il suo scopo. Ma a tutt’al- tro si pensa. Anche la ristretta morale delle favole moderne è guastata dalla smania di spiattellarla in quello che i greci chia- mavano epimithion, che non era certamente usato dai primi in- ventori, e che toglie ogni gentilezza all’allegoria collo strap- parle quel legger velo che la rende modesta. Lasciando che il lettore o l’ uditore trovi da sè la morale dalla favola, oltre all’ aguzzarne l’ ingegno , si rende la favola stessa feconda di più applicazioni , tutte vere, e tutte aiutantisi a vicenda con la lor varietà. Ma gli è quasi un destino che la Poesia, e la storia, e la legislazione , per la smania di tutto dire , si riduca a dir nulla. Guai al Poeta , allo Storico , al Romanziere , al Legislatore che commenta sè stesso ! K.X. Y. Sopra le Lettere di Prrwro il giovane tradotte dall’ Ab. Gro. Tepescni, Lettera di P. A. Paravia a S. E. il Sig. Co. G. F. Garrani Naprone. Treviso. Tip. Andreola 1828. Il ch. A. dimostra che la traduzione dell’ Ab. Tedeschi è mirabilmente slombata ; che pecca di continua infedeltà , onde fa dire a Plinio quel ch’ e’ non disse , o gli fa tacer ciò che dice, o gli fa dire il contrario di quel ch’e’ dice; che infine ell’ è una traduzione piuttosto che di Plinio, del Sacy, cui ciecamente sì attiene, e non se ne allontana che in peggio. Tutto questo è provato con sovrabbondanza, e serve a mostrare che il lavoro dell’ Ab. Tedeschi è misera cosa. Certo il sig. Paravia adem- pierà molto meglio l’ uffizio, e saprà congiungere la brevità alla chiarezza , la fedeltà all’ eleganza. Una sola osservazione ci sia permessa sopra le osservazioni da lui fatte al Tedeschi. Plinio , parlando di Demostene e di Calvo, dice che pochi possono conse- guire vim tantorum virorum. Il sig. Paravia vorrebbe tradotto : la forza di sì grandi uomini. E non sarebbe più proprio ? la forza di tali scrittori. La correzione parrà minuziosa ; ma è impor- tantissima, in quanto ha sua ragione in un metodo di tradurre, 9 che , a mio credere , è l’ottimo. Avviene spesso che , traducendo alla lettera, n’ esce un sentimento chiaro e naturale, una frase apparentemente incolpabile : eppure a quella chiarezza manche- rà l’evidenza, a quella naturalezza la proprietà e l’ energia. I Francesi intendono , rettamente questo principio : ed. è perciò che le loro traduzioni paion opere originali. Snaturano il testo ; si dirà: lo raffazzonano, è vero, talvolta troppo, perchè .così porta l’ indole della lingua: ma ne rendono però netta ed. evi- dente l’idea. Che importa al lettore l’ apparente languor della frase ; se il concetto ne riesce limpido e franco ? Gl’ Italiani pos- sono,e debbono , certamente, congiungere meglio la brevità al- l’evidenza: ma non debbono dimenticar mai, come fanno so- vente , questa principal dote dello stile; da cui. distà. tanto. la semplice chiarezza , quanto l’ ingegno mediocre ‘dal sommo. A. tal fine giova sovente tradurre con sola una parola un inciso ; talvolta il senso d’una parola svolgere con. intera una frase: secondo la legge del gusto e dell’ uso: Giacchè ; nelle traduzioni principalmente, egli è facile a riconoscere la grande importanza dell’ assoggettare la lingua morta alle modificazioni della viva ; modificazioni che non son solo di vocaboli o di frasi; ma sì d’idee e di prinacipit; ond’ è che le medesime parole in tempi diversi, esprimono: veramente: diverse idee. Il più difficile a rendere nello stile di Plinio si è quella certa finezza sua propria: riposta non già nell’ energia del con- cetto, ch’ è.sovente affettato o falso, ma nella delicatezza del tuono. Cotesta delicatezza dimostra un secolo più incivilito che l’ aurea età di Pompeo e d’ Augusto: incivilito non solo quanto alla esterna gentilezza, ma e nella diffusione di certe. verità im- portantissime ; e, ciò che più monta, nella raffinatezza del sen- timento morale. Si paragonino i vanti continui che fa Cicerone del proprio merito; della propria grandezza , e quella goffaggine strana di rimproverare altrui i fatti-benefizii, con la delicatezza che adopera nella beneficenza , nell'amicizia, nell orgoglio ‘me- desimo , Plinio nostro. Una lettera di lui, come modello della riverenza che dee accompagnare il benefizio, cita l’Addison nello spettatore : lettera, a cui nulla di simile troverai certamente nelle novecento di Marco Tullio Cicerone. K.X. Y. T. XXXII. Dicembre. i 2 10 Epitome Juris et Lezum Romanarum Frequentioris usus, Jurta Seriem Digestorum Cum brevissimis additionibus et notis , tam ex Pragmaticis, quam ex usw Forensi Selectis Accedit Index Locupletissimus Auctore D. AvprrA Barrica D. Dr Monnua- row in suprema Aquansi Curia senatore honorario. Florentiae ex Typografia Formigli MDCCCXXVIH. Tomi II, il primo di pagine 350 , ed il secondo di pagine 329. Poi che le continue ristampe dei tradotti meschinissimi cen- toni del Fierli e del Montelatici imbrattarono tanta carta e di- sonorarono î nostri torchi, ecco finalmente una ristampa di un opera certamente buona quando è una compendiosa collezione delle migliori leggi romane, ben’ augurata precorritrice di quella del Domat ; e dell’ altra ammiranda del Pothier . Io lascio ad altri di me più esperto il confrontare questa opera con quelle nominate e con diverse altre simili e in specie con quella di Ama- deo Eckolt, e forse così discuoprire un furto magno fatto alla Germania. Mi si conceda elevarmi ad una generale considerazione. La ristampa in Firenze di quest’opera annunziata, la ristampa in Pisa dell’ ultima parte delle pandette parigine de’diversis regulis juris, i molti associati toscani alla ristampa dell’intiera opera del Pothier con la versione a fronte, i molti associati alla. ristampa de’ commentari del Donello, e del Richeri sono prove indubi- tabili dell’universale bisogno di uscire dalle sozzure de’ Prati= ci, putridi puntelli di una giurisprudenza consuetudinaria. Or- mai puzza a tutti questo barbaro dominio de’ repertori , e ane- liamo a splendido e vero tesoro di leggi civili fuggendo gli om- brosi e oseurissimi tesori dell’ arbitrio collegato all’ errore ed alla ignoranza. A conseguire tanto bene è forza risalire alle pure fonti del dritto che pur son tutte Italiane, e dietro la filosofia poli= tica scendere pel cammino istorico fino alle moderne legislazioni costituite e costituibili. Così veramente ci prepariamo a sbramare l’ antico desiderio e la presente necessità schernita crudelmente dalla fortuna, che come dà e ritoglie, così promette e non man tiene . Infatti o le riforme nelle leggi siano progressive o siano istan- tanee, sempre è necessaria una preparata alleanza tra la scuola ed il foro, non tanto per ordinarle quanto per eseguirle. Fa d’ uopo che la istruzione legale dall’ alto dell’ ordine teorico sia condotta all’ applicabilità nell’ ordine pratico. In altre parole la scienza ri della legislazione dev'essere compagna alla scienza delle leggi ed all’ arte giusprudenziale , onde si possa ben procedere a co- dicifare e giudicare. AIl’infuori di questo sistema la legislatura è simile alla me- dicina empirica, che tenta curare i mali senza conoscerne le cause. L’ impeto dell’ingegno disgiunto dal contrappeso di tutte le cognizioni relative all’oggetto cui si dirige non è che un gioco di azzardo, e qualche volta un coraggio catilinari : omai il se- colo non tollera più gl’ improvvisatori neppure in poesia: Del pari il sistema accennato è indispensabile per quelli che devono, dirò , dat corpo reale al pensiero scritto del legislatore applicando i suoi precetti all’ esigenze occorrenti. Questa verità non fu ignota agli antichi quando un solenne giurisperito e uomo di stato denominò proprissimamente i magistrati leggi-parlanti. E di lei ne abbiamo una conferma da Geremia Bentham quando par una condizione necessaria ad un corpo di leggi esige la giustificabilità di esse, ossia un commentario dei motivi on- d’elle emanarono: lo che in altre parole suona la esposizione analitica dei ragionamenti che danno per ultimo risultato le varie disposizioni sintetiche. Come dunque profittare di questo rendi- mento di conti ideologico-legale fatto dal legislatore, se la mente de’ Magistrati ron ha penne per elevarsi con lui alle sublimità teoriche onde si mosse, e se arte non ha di rettamente procedere dal punto ove la guida sovrana la lascia fino al punto ove le oc- correnze pratiche la chiamano? Altre parole intorno alla necessità della uguaglianza intellettuale fra il potere legislativo ed il po- tere giudiziario sarebbero soverchie fra noi, mentre sventurata- mente a noi parla alto l’esempio sulla esecuzione della legge stu- penda del 23 Febbraio 1789. Non ben’ intesa fu incompletamente ubbidita; e benchè maestra agli stranieri ebbe bisogno che gli stranieri discepoli le togliessero le pastoie in cui la strinse è lun> gamente la travagliò una ribelle interpetrazione. Malgrado però la forza assoluta della nuova legge le menti giudicatrici erano sem+ pre sì addietro alle vedute legislative che non rapirono la felice occasione , e si astennero da compire la grand’ opera Leopoldina. E al ciel piacesse che anco dopo quarant’ arini il lume di quel sole non fosse troppo forte a tanti debili occhi sì che il piè non in- ciampasse o forse non giungesse alla meta giammai! Ma quanto più la necessità costringe, maggior lode e ricono- scenza è dovuta a chi ci ritrae con buoni libri ai principii eterni della legislazione civile , scolpiti in porfido dalla romana sapienza. 12 Ivi apprendano color che sanno e color che non sanno , che al ben fare non basta il potere di fare; che la giustizia non si misura dalla giurisdizione , e non cospira mai con l’arbitrio. V. S. M. Dell’ antico corso de’ fiumi Pò, Oglio e Adda negli Agri Cremo- nese, Parmigiano , Casalasco e Basso mantovano. Memoria Sto- rico-critica dell’abate Grovanwi Romani, seconda edizione. Milano, presso Silvestri 1520 in 8,5 L'amor patrio, quel dolce salutare istinto che annidato nel cuore dell’ uomo ben nato è capace di muoverlo a imprese magnanime e portentose, potè nel sig. Romani tanto da dar vita a una storia fisica, civile ed ecclesiastica di Casal maggiore sua patria. Di qual paese il sig. Romani sia cittadino, chi nol sapesse per altri indizi tardi e non senza equivoco lo arguirebbe dal contesto della enunciata memoria, che il tipografo Silvestri dopo dieci anni ha riprodotto alle stampe, con nuove osservazioni geologiche sul fiume Adda dello stesso autore. Precede la dissertazione una dotta ed erudita introduzione sul- I’ antico stato della regione lombarda percorsa dai fiumi Pò, Adda, Brembo e Serio, negli Agri Cremonese e Parmense, Casalense e Man- tovano. | Se è indubitata teoria quella su cuì l’A. si posa per dimostrare }’ emersione dei piani più depressi stante le materie trasportate dalle acque correnti, le quali per la rapida loro discesa approfondando progressivamente i respettivi loro alvei lasciarono allo scoperto le più basse campagne, altrettanto equivoca a noi sembra l’altra teoria che la formazione di quelle pianure si debba alle materie terree de - componibili dalle pioggie , e dalle quali materie l’A.suppone che ir origine fosse ricoperta la superficie dei monti. Perocchè se per ori gine egli intese significare lo stato del globo dopo il totale ritiro del mare dal continente attuale , noi ci accorderemo con lui nell’ as- serire che la corteccia del nostro pianeta essendo in gran parte ri- coperta da formazioni tutt’ altro che primitive, potesse contenere delle rocce facilmente decomponibili dagli agenti meteoricij; ma se con quel significato volle esprimere lo'stato più antico del globo, pro- penderemo piuttosto nel parere dell’ illustre G. Brocchi, il quale o- pinò che le balze appennine quando rimasero scoperte dalle acque del mare, non presentassero che nudi e sterili scogli, vaste moli pie= trose, scarnate e logorate dalle onde, le quali col tratto del tempo si vestirono di piante ed in appresso si popolarono di animali. 13. Infatti, le molte osservazioni instituite da sommi geologi in varie contrade non lasciano più dubitare che non una sola ma molte volte il mare ripetè le sue irruzioni e ritirate sul continente, € queste sempre mai accompagnate e seguitate da cangiamenti fisici, sia nella natura del liquido, sia nelle materie tenute in dissoluzione, sia anche nella variata specie di viventi, siccome lo provano le ripetute so- pra pposizioni di aggregati pietrosi di natura diversa contenenti fram= menti di terreni più vetasti, e avanzi di corpi organici che ap- partennero a specie da gran tempo perdute. Fra le paludi più rinomate che cuoprivano alla destra de! Pò un esteso tratto di paese, lA. annovera specialmente quella per la quale a gran stento potè 1’ armata di Annibale aprirsi un varco alla ‘Toscana, e che un secolo dopo prosciugata fu in gran parte dal Con- sole Emilio Scauro mercè di fosse navigabili: mentre alla sinistra dello stesso fiume tra l'Adda e il Serio il sig. Romani con la scorta di documenti del medio evo parla di un lago denominato Gerondio, di tale vastità ( circa 40 miglia di lunghezza, e di una larghezza assai variabile ) cui alcuni eruditi applicarono il nome di mare. Il sig. Ro- nani previe molte osservazioni geologiche da esso istitaite sopra l'al- veo attuale dell’Adda e del Brembo, sembrò convinto che le acque dell'Adda dopo maritate al Brembo anticamente scorressero a un livello di circa 20 braccia (1) più elevato dell’ attuale: ragione per cui i piani più depressi di quelle campagne, e dei quali fa parte prin- cipale |’ estesa pianura sassosa detta la Giera d’Adda , dovevano ser. vire di bacino al lago suddivisato. Per altro, stante il silenzio assoluto di antichi scrittori su questo rapporto, e l’asserto del naturalista di Como, il quale nel libro 13.° cart. 16 della sua Storia, parlando del Pò dice: che oltre i molti fiumi navigabili degli Appenvini e delle Alpi che in esso influivano, eranvi Zacus quoque immensos in eum se se exonerantes , rendesi assai problematica l’estensione di un lago di tanta ampiezza. Quindi è che sembra assai più preferibile l’opinio- ne del cb. Breislak,il quale reputò più probabile che in vece del solo lago Gerondio vi fossero lungo il basso Adda più laghi, forse comu- nicanti fra loro, come veggiamo anche al presente l’Adda, prima di correre in un alveo unito e continuato, formare i laghi di Pescareni- co, di Oliginate e di Brivio ( Descr. geolog. della province. di Milano 545). Premesse queste ed altre generali osservazioni sullo stato delle (1) Nelle Osservazioni postume aggiunte in appendice sì legge che proba- bilmente il suddetto fiume, in tempi più remoti, scorreva un piano 3o braccia al l’iocirca più alto di, quello decorso nei tempi moderni. 14 p anzidette regioni lombarde nei tempi trascorsi, il sig. Romani scende alla particolare descrizione dell’ antico corso de’ fiumi Pò, Adda, ed Oglio per le provincie di Cremona, di Parma, di Gasalmaggiore e di Mantova. Lo che viene eseguito in tre separati capitoli. {l Capo I. è destinato a rintracciare |’ antico corso del Pò negli Agri cremonese, parmense; casalasco, e mantovano, Dopo una lunga esposizione del progressivo allontanamento di quel fiume dall’agro parmense l’A. con argomenti storici dimostra la continuata sua inva- sione a danno del territorio casalasco, di dove nei secoli intorno al mille sono spariti borghi e villagi, tra i quali Castoro + Volturnia, il primo accennato da Tacito, il secondo da Paolo Warnefrido . Del qual fisico fenomeno egli dà per più verosimili le due seguenti cause: 1. la natorale inclinazione del piano parmense da ponente a levante, il quale percorso dai torrenti Taro, Braganza, Parra ed Enza ha dovuto indubitatamente rialzarsi è di mano in mano esten- dersi con le perenni deposizioni delle materie trasportate dai tor- renti preaccennati; il che non poteva accadere nel suolo di Casal- maggiore inclinato di sua natura verso l'Oglio alla plaga di levante e privo di fiumi decorrenti sulla sua superficie, sì che riparare potes- sero con le materie di trasporto le perdite dell' agro che venivagli costantemente rapito dalle corrosioni del Pò. a La diretta impulsione dei nominati torrenti contto le acque del fiume in cui sboccano, ond’ è che spinte con violenza contro la sinistra ripa dovevano na- turalmente recare continue corrosioni al territorio casalasco. Delle quali devastazioni il sig. Romani riferisce le più calamitose ivi acca- dute dal secolo XV sino ai dì nostri. Nel Capo Il dove si esamina l’ antico corso dell'Adda nell’Agro cremonese, l’A. fa osservare che questo fiume, la di cui foce attuale nel Pò è sette miglia al di sopra di Cremona, nei tempi antichi flaiva assai più dappresso a questa città, siccome si deduce da Tacito e da Plutarco, nonchè dai vestigi che riscontrò patenti dell’antico alveo abbandonato dall’Adda nelle vicinanze ed anche per entro alla attuale Cremona. Alle quali prove positive il sig. Romani ne aggiunge altre desunte da argomenti negativi, sufficienti per sè sole a far credere vana |’ opinione di chi suppose che anticamente l’Adda tenesse un assai più lungo corso sopra le alture di Cremona per scaricarsi quin- dì nel Pò dalla parte orientale di questa città. Il Capo III. verte sull’antico corso dell’Oglio negli Agri cremo- nese , casalasco e mantovano, il qual fiume fluiva già come |’ Ad- da in un piano molto più elevato dell’ attuale, per cui la maggior parte delle campagne dell’ inferiore casalense e mantovano doveva anticamente rimaner coperta dalle acque straripate dallo stesso fiume. 1à Ciò che la ragione fisica addita come fatto non equivoco, le geologiche osservazioni istituite ivi dal sigg Romani lo confermano in un modo il più sicuro, Alle quali indagini 1’ erudito autore volle pure accoppiare una serie di fatti rintracciati nella storia, nell’ origi - ne e nella denominazione dei paesi sorti dopo il prosciugamento di quelle paludi. Servono di Appendice alla Dissertazione varie osservazioni geo- logiche intraprese dall’Autore sino dal 1799 sopra un tratto del fiu- me Adda, da Trezzo sino a Vaprio, finora inedite, e le quali cor- roborano viemmaggiormente la teoria da lui emessa nel Capo pri- mo. Imperocchè egli osservò che il fiume lungo quel tratto di cam- mino ha solcato il suolo ad una profondità di 4o e più braccia facen- dosi strada fra un potente banco di pudirga , sorta di conglomerato di cui si fa in quelle contrade un uso estesissimo, sotto Ja denomi- nazione volgare di Ceppo Il sig. Romani nel farne la descrizione si limita a dire che Ceppi sono un composto di ciottoli più o meno grossi legati insieme da una arena impietrita, senza indagare a quali rocce queijframmenti fluitati appartenessero. A ciò ha magistralmente supplito il ch. Brei- slak nella già citata sua opera , nella quale esaminò la natura delle pietre componenti i vari ceppi costituenti l’ alveo e le sponde di quel tratto dell'Adda, e che sogliono distinguersi, a seconda della loro compattezza e della mole dei frammenti che racchiudono, in ceppo gentile, mezzano e rustico.A questo insigne geologo dobbiamo pure la cognizione che queste pudingbe sono composte di ghiaia e di ciottoli di granito, di gneis, di porfido, di quarzo e di alcune varietà di carbonati calcari aventi i caratteri esterni ora di calcari di tran- sizione, ora di secondari. Ma ciò che risvegliò la sorpresa nel testè lodato scrittore fa di ri- scontrare colà tra le masse di aggregati più antichi un conglome- rato composto di pezzi di quarzo , di anfibolo e di schisto siliceo uniti insieme da un cemento argillo=ferraginoso, nel quale essi giac- ciono isolati ed in modo che non si toccano. Oltre le pudinghe composte di rocce primitive ne esiste pure una di calcaria recente, nella quale si racchiudono piccole masse rotondate di un calcario nero, racchiuse in un calcario compatto di colore grigio-giallastro con vene spatose. Lo che dimostra che quan do queste si formarono erano di già accadute in quelle parti della Lombardia altre riunioni di conglomerati più antichi. I menzionati ceppi, ripiglia il sig. Romani, sono disposti in strati orizzontali adagiati sopra letti di creta pura o mista, di arena, od anche di semplice sabbia. Egli però non specifica |’ estensione del 16 suolo che occupano, nè la profondità alla quale esse terminano , e conseguentemente a che punto comincia il letto argillo siliceo. Chi bramasse su tal proposito indagini più scientifiche e accurate le troverà nel Capitolo 1V. della descrizione geologica della Pro- vincia di Milano, opera meritevole per più rapporti di essere con- sultata. E.R. Delle Pietre antiche libri quattro di Favsrino Corsr Romano. Roma, da’ torchi di Giuseppe Salviucci e Figlio 1828 in 8. di pag. 224. Se ai litologi non mancavano trattati,in cui le pietre e i marmi più conosciuti trovansi classificati con metodi scientifici, mancava però agli artisti, e ai marmorai dell’ Italia un libro come quello che annunziamo. Perocchè sebbene molti sieno li serittori che delle pietre antiche hanno più o meno estesamente parlato nessuno an- cora, ch’io sappia, si era di proposito occupato della sinonimia dei nomi latini con quelli che li scarpellini di Roma, moderna de- signano le pietre e i marmi, più celebri dell’ antichità. La quale impresa per quanto malagevole può dirsi assai felicemente dal sig. Corsi adempita,, mercè della estesa perizia da esso lui acquistata nel far raccolta di mille marmi diversi di che precedentemente aveva pubblicato un Catalogo ragionato. L’opera è divisa in quattro libri, Nel primo si comprendono le pietre da costruzione che più specialmente adopravansi in Ro- ma; tratta il secondo delle pietre di decorazione e di ornato o sia de’ marmi antichi: il terzo delle pietre fine, e l’ ultimo delle gemme o pietre preziose . Precede a questi nna breve prefazione in cui lA. espone i motivi e il piano della sua opera, ed al quale tiene dietro un eru- ditissimo ragionamento sull’ uso che i romani fecero delle pietre e dei marni, sui mezzi di procurarseli, sui pubblici ufticrali incaricati di sopraintendere alle scavazioni ed ai trasporti , e fi- nalmente sui vari collegi degli artefici in marmi e in pietre dure, e sulle varie leggi a ciò relative state pubblicate da alcuni Cesari sino ad Arcadio ed Onoria. Nel primo libro non sono prese in considerazione che sei spe- cie di pietre Je più usitate per le fabbriche di Roma, e sono il lapis Albanus ( peperino tenero) I. Gadinus ( peperino duro ) |. Ruber (tufo rosso ) |. Anitianus ( manziana ) sile Tusculanus ( selce } ed il 1. Tydurtinus (travertino ). Per conseguenza sono 37 state omesse dal n. A. tante altre pietre da costruzione raminentate da Varrone, da Vitruvio e da Plinio , perchè poco o puvto usi- tate nella capitale, Più ricco in materiali il libro secondo comprende i più fa- migerati marmi adoperati dai Romani, e dai popoli da essi con- quistati. L’ autore ha giudiato cosa più convenevole il dividerli per classi, e queste secondo le sostanze terrose che più vi abbondano ed i loro corpi costituenti, con la mira di seguire in questa sola parte i precetti di quei mineralogisti che fondarono i sistemi litolo- gici sulla natura e la composizione delle pietre. Per altro il sig. Corsi non sempre si è attenuto al faito proposito, tosto che ha col- locato le breccie antiche in una classe diversa dalle così dette pu- dinghe, per quanto egli convenga che queste da quelle diversificano solamente nella forma dei frammenti che racchiudono ; e tuîte le volte che egli pose le serpentine insieme coi porfidi convien dire che egli abbia preferito talvolta la consuetudine dei marmi- sti di Roma ad un metodico sistema di litologia. Del resto le descrizioni non mancano per la maggior parte di quel- la precisione necessaria a distinguere le pietre fra di loro, e lo stesso dicasi della sinonomia voigare; solamente non ci parve esatta quella di chiamare marmi argillosi i marmi pisani di Strabone , i quali supponendo come egli ha ragione di credere esser di quelli che anche ai dì nostri si scavano al monte di S. Giuliano, hanno ca- ratteri ben diversi dalla litomarga a cui il n. A. gli assomiglia (pag. 67). Lo stesso dicasi dei marmi lunensi , che li suppone una specie diversa dai ligustici, e dalla silice lunense rammentata da Varrone. Nè può ammettersi la sinonimia di serpentine per i marmi di Luni, non essendovi di questa pietra alcuna cava antica o mo- derna nella provincia della Lunigiana. In quanto ai marmi ligustici , dei quali fece menzione oltre Papinio Stazio Giovenale , il sig. Corsi interpetra che essi {deb- bansi riferire alle serpentine della Liguria e a quella pietra dello stesso genere ch’egli chiama impropriamente granito bianco e verde ( pag. 66 ). Ma qualora si ponga mente che il territorio di Luni an- che dopo la divisione geografica dell’ Italia designata da Augusto dai Romapi scrittori consideravasi nella Ligustica regione , e che la scoperta dei marmi di Polcevera non sembra contare una così antica data, nè le sue cave aver forniti giammai massi di quella immensa mole, come quelli ligustici che comunemente ai tempi di Giovenale trascinavansi per le vie di Roma (Satyr. III.) con imminente pericolo dei passeggieri, il lodato autore dovrà con- T. XXXII. Dicembre. 3 18 venire con noi che erano per i Romani una cosa identica i marmi lunensi e quelli ligustici, come identiche debbono: credersi le cave di Luni e di Carrara, Saggiamente peraltro il sig. Corsi riferisce al bardiglio ca rra- rese il marmo macchiato tendente al ceruleo descritto da Strabone, e di cui a tempo di questo scrittore facevasi insieme con il marmo bianco un uso estesissimo nelle opere più sontuose di Roma e di altre città ( Strab. Geograph. lib: V.) La quale sentenza trovasi assai più giusta di quelle due pronunziate poco innanzi, che una dal celebre mineralogo Hausmann,;it quale applicò quel passo del geo- grafo greco alle breccie di Stazzema (1) mentre il cav. Cordero di S. Quintino interpetrò doversi quei marmi macchiati di bigio ce- ruleo riferire a quelli di Portovenere 2), perocchè tanto gli uni che gli altri oltre alle tinte assai diverse dalle designate non furono scoperti nè adoprati prima del secolo XVI. Il terzo libro destinato alle pietre fine è diviso in tre classi, le quali sono ripartite in più specie. La prima abbraccia le pietra quarzose , la seconda le fridepatiche, mentre nell’ ultima si com- prendono alcune sostanze fossili pregevoli e di apparenza pietrosu. Tra queste si notano 1’ obsidianus di Plinio (vetro vulcanico ) il callais (o turchina ) il corallo , ì' ambra, la malachite ec. Ji libro quarto destinato alle pietre preziose contiene le se-. guenti 13 specie: diamante, zaffiro, rubino , smeraldo, acqua marina , crisolito , topazio , giacinto , amatista, granato , opale, girasole, e avventurina orientale (Zapis sapphirus di Plinio). E’ qui dove l’Autore scostandosi totalmente dai metodi litolo- gici e minerologici ne ha immaginato uno tatto suo, al quale diede norma il credito delle gamme e non le loro parti costituenti. Donde avviene che i crisoliti, le acque marine , i topazi , le amatiste ec. le quali altro non sono che altrettante varietà di quarzi diversamente colorati da alcuni ossidi metallini, avrebbero dovuto collocarsi fra le pietre quarzose , di cui l’A. fece una classe apposita nel terzo libro. Finalmente chiudono l'opera tre indici, nel primo de’ quali si notano gli autori e i luoghi citati nell’ opera con altrettanti numeri progressivi; nel secondo si indicano i nomi latini delle pietre antiche coi loro sinonimi italiani secondo |’ ordine dell’ope- (1) De Apenninorum constitutione geognostica. Commentatio, (Nuovi Atti della R. Società delle scienze di Gottinga. Vol. V. 1823 ). (2) Due Lezioni sui marmilunensi lette alla R. Accademia di scienze in Torino nel 1823. 19 ra; mentre il terzo è destinato alla divisione dei libri. secondo le materie colle loro suddivisioni in classi, in sezioni, in specie, e in paragrafi. E.R. Esercitazioni scientifiche e letterarie dell’Ateneo di Venezia. T. I. Venezia 1827 presso Giuseppe Picotti in gran 4.° di pag- 408. Dai Ricordi Storici del Vice Presidente sig. Dott. Gaetano Ruggeri, posti in fronte al libro, apparisce che le rianioni in un solo Ateveo di tutti i consessi di scienze e lettere ordinate nel 1810 da chi reggeva |’ italia, produsse in Venezia come in qualche al- tra città uneffetto contrario a quello che si sperava. Imperotchè,; per quanto sia dimostrato che più facoltà insieme raccolte oftrano risaltamenti più estesi e di maggiore entità di quandé siensi sole e isolate, non di rado accade di osservare che uomini stadiosi ; dove abbiano l’ abitudine di communicare le proprie indagini con gente di parziale e)più confacente dottrina; malamente si aggiusta no a dover far parte di un’ accademia che abbraccia una più am- pià sfera dello scibilé umano. Si credé talvolta che il germe det male potesse |accovac- ciarti nel nuovo statuto dato ‘all'Ateneo j onde avvenve che ben tre volte nel breve giro di doe lustri o poco più faroro riformate le sue costituzioni, l’ultima.delle quali.trovasi pubblicata nel pre- sente volume. Ma le molte oscillazioni da cui fu agitato il Veneto Ateneo, se pur talvolta o per colpa de’tempi o per quella degli uomini rallentandosi lo stimolo ;agli studi non giovarono come avrebbesi. potuto al suo incremento, a ravvivarne il languore so- pravennero opportuni i favori di Cesare e le raddoppiate forze dei suoi accademici. Lo che ampiamente manifestasi dai rapporti dei segretari pet le scienze e per de lettere letti nell’edunanza pubblica del giorno otto di giugno, anno 1823, nella quale circostanza il cav. Carlo An- tonio conte Gambara allora presidente lesse una lunga Prolusione sulle humerose società scientifiche e letterarie che fiorito avevano nella città, di. Venezia, madre feconda di colti e peregrini ivigegni in ogni sorta di discipline. A questi preliminari seguono le memorie di vario argomento lette da illustri soci (non si. sa in qual epoca. precisa ) la prima delle quali è del sig. Francesco Negri membro onorario. È dessa una lezione di argomento favoloso un poco antiquato, poi- chè si tratta di spiegare cosa i Greci intendessero per l’Ziugemagica 20 in cui dalle pazze femmine si credeva risiedere dovesse una virtù con- ciliatrice di amore, anzi una non più udita specie di attrazione invin- cibile per richiamare un perduto amante, fosse pur egli andato nel mondo della luna. Così non è difficile che fra dieci o venti secoli qualche curioso erudito si strabilierà il cervello a fine di rintrac- ciar qual specie di fattucchieria era mai quella della pentola am- maliatrice , di cui le vecchie furbe più che superstiziose allo stesso scopo di lar riacquistare un amante perduto usavano, e forse usa- no tuttora, nella bassa Italia, dove la genìa delle streghe ad onta del buon senso trovò sempre conigli da pelare. La Memoria II. di tema chirurgico è del ch. cav. Gio. Battista Palletta membro onorario. Tratta essa di quelle morbose espansioni delle vene le quali portano il nome di varici. Dopo un’esatta de- scrizione della struttura delle ilue taniche costituenti le vene, l'a. con isquisito giudizio s1 fa a considerare le cause concorrenti alla forma- zione degli enunziati ingorghi sanguigni; discorre quindi del modo migliore di estirparli , a seconda dei casi, dei temperamenti ec. Ed avvalorando gl’ insegnamenti con nuovi e svariati esempi pratici , l’Autore ha con le presenti considerazioni giovato assaissimo ad il- lustrare la difficile teorica delle varici. La IIl. Esercitazione del Commendatore Lispolito co- Cico- gnara membro onorario si aggira sull'origine, composizione e decom- posizione dei nielli. + , Non vi è duopo di raccomandare questo eruditissimo opuscolo storico- critico ai studiosi delle belle arti, tosto che è opera del co. Gi - cognara, dalla di cui elegante penna non sortì cosa che non sia degua di passare alla posterità. E poichè dall’Antologia del luglio e ago- sto1328 fu già discorso di questa Esercitazione, noi ci dispeuseremo dal firne qui nuovamente un transunto. La IV. Memoria dell’ab. Antonio prof. Meneghelli verte sopra il passo dell’ Eneide Orabunt causas melius. Che il cantore del Mincio dasse il primato alle altre nazioni sopra Rumani nelle arti del bello imitatrici, come pure nelle descrittive che alla metrica eloquenza appartengono, non che nelle scienze esatte e razionali, a ciò dice l’ A. arride in gran parte quel vero, che non fallisce ai poeti avvedutamente presaghi del passato non dell’av- venire: ma che anche nel magistero della parola agli altri popoli si accordi da Virgilio 1l primato quando i rostri di Roma risuonavano della magniloquenza degli Ortensi, degli Antoni, dei Cesari, e soprà tutto dei 'Tullii, non sembra un tale asserto molto conforme alla ve- rità. Indagando la cagione di questa preminenza o falsa, o per lo meno non assentita da tatti, il prof. Meneghelli credè di trovarla 2I nell’intima persuasione in cui era Virgilio di una decisa preminenza che i Greci ebbero non solamente in tanti rami svariati di arti , di scienze e di lettere, ma che a niuno tampoco essi la cedessero nella eloquenza. Alla qual persuasione potè probabilmente determinarlo più il proprio gusto che l’ opinione dominante , piegando l’epicu insigne a favore della rapida e veemente dizione di Demostene, come a lai più accetta di quella ricca e maestosa dell’ oratore d'Arpino, La V. Esercitazione consiste in un bel Saggio sopra lo Zoope- dia appresso gli antichi Greci e Romani, dell’Ab. Pietro Bettio prefetto della Marciana, membro onorario. L’ abilità dei moderni nell’ addestrare gli animali mentre nel più variato modo si manifesta con larghi cartelli, ora per invitare a godere lo spettacolo di un elefante docile e bene ammaestrato, ora di un asino indovino, ora di un cane maraviglioso, ora di un cana- rino ciarliero , ora di piccioni soldati, ora di generosi desirieri vol- teggiatori o di altre simili rarità sorte per adescare i nostri borselli, forse fu quella che solleticò l’eruditissimo ab. Bettio a far conoscertè 1’ educazione che dai Greci e dai Romani si dava agli animali tanto se all’ utile quanto se al solo diletto avere si voglia riguardo. Alieno egli dal far vivere la già vecchia questione sul merito d’ inven= zione degli antichi a preferenza dei moderni, ha scelto per sag- gio alcuni fatti sorprendenti, depurati però da ogni sospetto, di favolosi dalla concorde asserzione di scrittori contemporanei, che egli con felice spirito d’indagine riproduce onde mostrare la valentia di quei popoli nell’ arte della Zoopedia; tanto nel genere di anima- li volatili, che di pesci, di rettili, e di quadrupedi anche i più feroci, sino a che preso da poetico entusiasmo termina la sua esercitazione esclamando con Marziale: Quis spectacula non putet Deorum! . La VI. Memoria del co. Leonardo Manina membro onorario è un Esame ragionato sul libro delle monete de’ Veneziani dal principio al fine della loro repubblica, la di cui prima parte fu dal dott. Me- nizzi pubblicata nel 1818 per le stampe del Picotti. L'A. di questo Ragioramento ha dimostrato che le 140 monete, e le tavolette di piombo contemplate in quel libro sono fallaci spoglie di una poco ac- corta impostura. La VII. Esercitazione è una Pistola in endecassibili sugli avari di Luigi Pezzoli membro del Consiglio accademico indiritta al co. Leopoldo Cicognara. In essa la scelta e la ricchezza dei concetti trovansi accopiate alla forbitezza delle espressioni e all’ armonia del metro. 22 La VIII. è un Saggio sopra la Vita e i Dipinti di fra Sebastianò Luciani soprannominato del Piombo, dell’ avv. Pietro Biagi mem: bro onorario e presidente dell’Ateneo. Del quale Saggio fu reso con- to nell’Antologia ; Fasc. di Luglio 1828 p. 134. La IX. intitolata Considerazioni Vroregione sul Senso DEL Berrò e sul modo direnderlo più sicuro e più sans è lavoro del prof. Stefano Gallini membro onorario. In altra memoria pubblicata nel 1809 tra quelle dell’accademia di Scienze, Lettere, e Arti di Padova sull'educazione dellé facoltà intellettuali suggerita. dalla costituzione fisica del cervello; lo stesso A. avendo esaminato l’influenza dell'attenzione dell'anima in quantò alle impressioni fatte dagli oggetti sui sensorii esterni, e da questi trasmesse al centro massimo dei nervi ed al cervello ov'essa vuol che risieda, mostrò come avvenga che si possa alle volte giudicare rettà- mente ed operare conseguentemente senza saper èsprimere con pa- role tutte le serie d’idee e di circostanze che ci conducono a’ quei giudizii e detérininazioni. Ora prendendo occasione da! Ragionamento sul Bello pubbli- cato nel 1808 dal co. Cicognara, si è fatto egli a investigare, se’ fra le circostanze che concorrono d produrre la sensazione e i giudizii sul Bello assoluto, relativo, capriccioso ec.' possa avervi parte la umana fisiologia.Lo che da esso lui con metafisici argomenti dimostrato; in. dica in seguito alcune ‘applicazioni utili a rendere più sicaro'e più energico il senso del Bello, confermando in questo nuovo lavoro la sentenza;che il' fisuologo possa penetrare e render'ragione delle azioni delle facoltà intellettuali senza cadere in proposizioni presagone riprovate. La X. Esercitazione si raggira Intorno al più utile modo di ap- plicare lo studio della greca filologia all’ interpretazione di Omero, dell’ ab. Gio. Luigi prof. Bellomo, Segretario della classe per le Lertere. Scopo del presente discorso è quello di accennare 1 mezzi che YA. si prefigge adoperare onde nella spiegazione dei passi scelti e più pregevoli dell’ Iliade di Omero far gustare ai stadiosi in un corso di lezioni. diverse la greca filologia, annodando questa allo studio delle lettere, delle scienze, e delle arti. Metodo lodevolissimo per il quale rimarrebbe sbandita la noia ela sterilità state sinora compagne indivisibili nell’insegnamento delia greca filologia , che si è voluta contemplare semplicemente come'stadio di lingua. Il qual nuovo metodo è viemeglio dall'A. dimostrato con l'esempio nel quale prende a spiegare il celebre passo; in cui Omero dipinge A pollo saet- tante il campo de’ Greci. La XI. Esercitazione verte Sulla perifità di tensione che sof- 23 frono gli apparati Voltiani quando si tiene chiuso il circolo, e sul riacquistare ch’essi fanno la tensione primitiva quando si sospende la comunicazione fra i poli, Memoria del prof. Stefano Marianini membro del Consiglio accademico. Di questo pregevolissimo lavoro hanno già da qualche tempo parlato con lode vari giornali scientifici d’Italia e di oltremonte per non aver d’ wopo d’ invitare i studiosi della fisica a consultarlo. La XII. Esercitazione comprende la descrizione di un ru0vo Gal- vanometro dello stesso prof. Marianini. La XIII. Memoria dell’ab. prof. Francesco Maria cav. France- schinis tratta di un sogetto arduo e malagevole, qual è quello dell’ Zn- finito metafisicamente e matematicamente considerato. Se la importanza di formarsi dell’ îrfizito uv giusto concetto operò che i più chiari ingegni lungamente sopra di esso meditas- sero, la difficoltà di ben afferrarne la essenza e la proprietà di esso fece sì che quelli in varie sentenze sopra alcuni punti si dividessero, e non abbastanza esattamente sopra molti altri si spiegassero. In tale stato di idee credè il prof. Franceschinis, che non sarebbe opera perduta il tentare di rischiararne maggiormente non solo la idea principale, ma tutte quelle che in qualche modo le sono affini e sem- brano partecipare dell’ esser suo. H quale argomento vien discusso nella presente memoria e in una seconda che l'A, promette , onde nulla lasci, dic’ egli, a desiderare discorrendo dell’ infinito e come piace ai metafisici, e come usano i matematici. Ed acciocchè le no- zioni che vengono determinate dall'A. abbiano dalle applicazioni nuova dilucidazione e conferma, si propone anche di esaminare il li- bro Dell’infinito creato, e l’altro Del calcolo delle probabilità, ope- re entrambe che uscirono dalla penna di profondi pensatori, ma det- tate da uno spirito tra loro intieramente opposto. La XIV. Esercitazione, la quale tratta Dell’ Analisi del Loglio, e del Lolino e Gloiololino è una lunga dissertazione del sig. Bart. Bizio membro del Consiglio: accademico. Essa è divisa in otto paragrafi ; nel primo si esaminano gli effetti dell’ alcool sopra la farina del lo- | glio ; nel secondo la materia resinosa separatasi dall’alcool; nel terzo la soluzione acquosa restata dopo distillato 1’ alcool; nel quarto Vale zione dell’ acqua fredda sopra la farina del loglio ; nel quinto quella dell’ acqua bollente ed eziandio dell’ acido idroclorico allungato so- pra la stessa farina; nel sesto si esamina la natura del Zol/ir0,; nel set. timo quella del GZoiololino e della materia grassa, sostanze trovate dall'A. nella semenza del loglio; finalmente nell’ottavo ed ultimo si espongono gli effetti che operano le varie sostanze tratte dal loglio nell'uomo sano. 24 La XV. Esercitazione è un Esame medico delle acque termali di - Monte Ortone del dott. Eusebio Valli membro ordinario esterno. Incaricato l'A. pel corso di due anni del servizio medico all’ospi- tale di Monte Ortone, potè agevolmente ( a detta di lu») scoprire la impostura e la mala fede di que’ medesimi che hanno scritto dei grossi volumi sopra le terme dei monti Euganei, per cui accertandole qual rimedio universale i medici da ogui parte v' inviano ammalati d'ogni maniera. Secondo l’analisi del sig. Mandruzzato riportata nell’ esame in questione, 24 libbre di acqua minerale di monte Ortone contengono: di gas idrogeno forse carbonizzato una minima ed incerta dose, di gas ossigeno una picciola dose egualmente incerta, di carbonato di calce gr. 93 } ; di solfato di calce gr. 157; di muriato di soda gr. 439; di muriato di sala gr. 23. « Si può egli fare ( domanda il dett. Valli ), on’ applicazione » felice delle acque termali, allorchè non si determini la quantità »» dei gas che la mineralizzano , nè la natura dei principii cui esse 37 contengono? ,, Noi concluderemo coll’A. di nò; ma non ci uniremo giammai con lai per dedurre da un’ imperfetissima analisi chimica, come quella di sopra riportata, la ragione che un tal lavoro non sia necessario. Quindi è che egli si fida unicamente all’ esame medico come quello che fornisce sempre risultamenti più sicuri. Dall'esposizione di alcuni fatti, ai quali l'A. si appoggia, mostrasi indubitatamebte convinto che le acque termali di Monte Ortone non hanno alcuna azione sul veleno venereo, nè sopra le acrimonie, che 8’ ingenerano alla pelle , o che sono il prodotto di glandole lin-. fatiche. La XVI. ed ultima Esercitazione è un Saggio di traduzione ed illustrazione di Plinio il giovine, del dott. Pier Alessandro Paravia membro ordinario. Occupato l’A, da qualche tempo a traslatare ed illustrare le o- pere di Plinio il giovane, ha offerto all'Ateneo Veneto un saggio del suo lavoro, deliberando intanto di cavar fuori dai dieci libri delle lettere Pliniane quelle poche , che il sig. di Noel recò per esemplari nelle sue Legons Zatines de littérature et de morale. È certo che esse oltre |’ essere fedelmente e con ottimo stile tradotte , ren- donsi anche più raccomandabili per la erudizione e sapore delle note di cui trovansi corredate. Ha in oltre l'A. avuto cura di seguire le migliori lezioni, onde spiegare meglio alcuni passi controversi dai fi- lologi. Tale sarebbe quello del primo giorno dell’ eruzione del? Ve- suvio, ove egli crede debba leggersi Mov. Chal. e non già Non. Kal; ( lib. VI. ep. XVI. ) Così quella Rectinae rammentata nell’ epistola ; 25 medesima invece di un borgo di Ercolano, siccome interpetrano gli accademici ercolanesi, l’A. ha seguitato il parere del Gierigo che la diede per donna. Chiude il volume un sunto generale delle osservazioni meteoro- logiche fatte in Venezia dall’anno 18it al 1822 per le cere del dott. Antonio canonico Traversi membro onorario , a cui segue il Catalogo de’ membri componenti l'Ateneo. E.R. La Storia dell’ Algebra e de’ suoi principali scrittori sino al seco- lo XIX ,rettificata, illustrata ed estesa col mezzo degli originali documenti , dal prof. Prerro Francaini, onde serva di supple- mento al suo Saggio sulla Storia delle Matematiche.Lucca 1827, dalla Tipografia Bertini, in 8.° di pag. 112. Il chiarissimo autore della Scienza del Calcolo il sig. prof. Pietro Franchini nel 1821 presentò fa gioventù italiana di un molto prege- vole Saggio sulla Storia delle matematiche (1). In esso, come ra- gione voleva, fu detto anche dell’istoria dell’algebra, ma ne fu detto quanto dire se ne poteva in un Saggio che riguardava tutte general- mente le matematiche. Ora è piaciuto al sig. Franchini di darci in particolare l’istoria dell'algebra nel libro che noi annunciamo: libro piccolo di mole in vero , ma di pregio, per quanto ci pare, non pic- ciolo. Incomincia il .N. A. dal’dimostrare qual fu il primo passo che avviò l’umano ingegno allo studio del calcolo algebraico, e ne reca un (1) Saggio sulla storia delle matematiche corredato di scelte notizie bio- grafiche ad uso della gioventù, opera del prof, Pietro Franchini. Lucca1821, ti- pografia Bertini, in 8. di pag. 341. — Su quest'opera è un esteso articolo nella Biblioteca Italiana N. CV. p. 332-351, ove se ne mostra il pregio e la utilità. Anche la Rivista Enciclopedica ve fece onorevole ricordo. “ Ci occuperemo, disse il sig. Franchini nella prefazione a quel Saggio per avvicinarlo alla sua perfezione ,s. La storia dell'algebra or pubblicata dimostra quanto l’A. sia premu- roso di mantenere le sue parole. E già lo avea dimostrato ancora ne’suoi $up- plementi al saggio sulla storia delle matematiche ec. Lucca dalla tipograf. Bertini 1824, ove narrando, fra le altre, la storia della gnomonica, geografia e nautica, scioglie la promessa che ne avea fatta nel detto saggio pag. 127. Quei Supplementi sono veramente pregevoli, e nell’ istoria della nautica la sola spie- gazione delle antiche poliremi, con sommo studio inutilmente rintracciata da tanti nomini dotti, basterebbe per accreditare quel libro. Anche il sig. march. Cesare Lucchesini commendolla in”questo giornale nel suo articolo sopra il bel volgarizzamento di Polibio fatto dal sig. Coen. T. XXXII. Dicembre. 4 26 esempio che trovasi presso i Greci in uno scritto di Aristotele, e che è il più antico fra quelli conservatici dall’gistoria. Non già che il professore Franchini creda |’ algebra nata primieramente fra’Greci; che anzi, parlando di questi, egli accenna chiaramente di tenere opi- nione diversa là dove dice, che |’ analisi numerica da Talete, Pita- gora, Democrito, Platone probabilmente fu appresa nei ginnasii di Bagdad e di Benàres; e ia sua opinione sull’ origine dell’ algebra manifesta e prova in altro luogo: ma i più antichi esempi di cal- colo algebraico che ci sieno stati dal tempo lasciati, ritrovansi pres- so gli scrittori della Grecia: quasi che essa, anche in questo come presso che in ogni altra cosai, esser dovesse la sovrana maestra delle moderne nazioni. Indi si dimostra che cosa la"scienza debba ad Eaclide, che cosa a Claudio Tolomeo, e il molto più che deve a Diofanto, delle cui opere si parla molto dottamente, mostrandone le vicende, nominan- done i commentatori ed i traduttori, e dando conto con esatezza di tutto quello che in esse riguarda gli avanzamenti dell'algebra. Dopo aver detto della mancanza d'’ illastri opere algebraiche pel corso di otto secoli, e mostratane la cagione, passa l’A. a far parola degli Arabi, Quali sovrani favoreggiarono questa maniera di studi presso quella nazione, quali uomini vi si distinsero, quali opere ci rimangono, chi le ha illustrate, quali cose sono in esse più considerevoli, ed altretali notizie si danno con molta accura- tezza a questo luogo; e si termina esaminando a chi debbasi attri- buire Îa prima invenzione dell’analisi namerica limitata alle equa- zioni del primo e del secondo grado. Le più comuni sentenze riguar- do a sì fatta questione, sono tre. I- Gli Arabi impararono l’algebra nell’ opera di Diofanto o negli altri scritti de’Greci. II. L’invenzione dell’algebra devesi al persiano Moamed. ben-Musa il Khuaretzimita. IHl. L’algebra fu inventata dagli Arabi. Il prof. Franchini chiama ad esame e giudica con molto senno queste opinioni; poi ci mani- festa la sua, confortandola colle ragioni e colle autorità, AI cominciare del secolo XIII da Leonardo Fibonacci pisano fa composto quell’aureo libro dell’Abbaco: ZiBro che fu il primo do- vizioso fonte da cui la scienza del calcolo aritmetico ed algebrico lentamente si diffuse per l’Europa. Così il nostro istorico, E nella nota ne reva le prove ; e poi aggiunge» Tralasciamo di notare gli equivoci che il Montucla, il Wallis, il Gua-de-Mulves e il DA lembert presero per rispetto alla prima introduzione dell’algebra in Italia e nell'Europa, perchè tali osservazioni, d’altronde mole- ste, potrebbero sembrare anche indiscrete, attesa la difficoltà che i citati autori debbono avere incontrata nella ricerca degli antichi li- 27 bri degl? Italiani, e perchè più difficile dovea riuscir loro V’ inten= derli che il trovarli. Le più belle e principali cose in fatto di algebra che si ritrovano in queli’ opera del Fibonacci, sono dal sig. Franchini indicate; e si recano saggi de’vari problemi sciolti con elegante analisi da quel valente Pisano, e delle principali proposizioni pertinenti alla somma de’ numeri quadrati e de’ numeri cubi, L’ ordine de’ tempi fa qui per poco digredire il nostro istorico per dirci alcuna cosa di Khogia-Nassir-eddin di Thus nella Persia. Indi segue a favellare de’coltivatori dell’algebra che furono dal Fi- bonacci sino a Luca Paccioli, autore, fra le altre opere della celebre Somma di aritmetica, geometria ec. Quantunque, dice il nostro istorico parlando di tale opera, non avesse egli attinte le sue cogni- zioni algebriche nell’Arabia, come il Montucla s° immaginò, è pro- fonda e fregiata di utili novità in confronto di quella del Fibonacci ,,. E lo dimostra, recando esempi di quelle utili novità di che tale opera è bella. Poi favellasi del Sacrobosco , del Giordano e degli altri che facevano fiorire lo studio dell’algebra nelle principali città italia- ne, mentre Giovanni Muller detto il Regiomontano deva qualche saggio d’algebrica dottrina in Germania. Sovo parole del N. A. il quale aticora indica quali furono que’ saggi; e prova che egli do- vette all’ Italia ciò che conosceva dell’algebra. Onore all’ Italia fanno parimenti Scipione Ferri Bolognese , primo scropritore della general soluzione delle equazioni cubiche; Francesco Maurolico da Messina, che occupossi intorno alla somma delle serie numeriche; e molto più il celebre Nicolò Tartaglia. Il Montucla rimprovera quest’ illustre matematico di essere stato al- quanto vano. Ma risponde bene l’ autore de’ Secolî della lettera ratura italiana: “ Questa passione era compatibile per avventara in un uomo che dovea tatto a sè solo ,, era una superbia quae sita meritis. E fra questi meriti che il sig. Franchini dimostra, e an- che quello di poter ismentire ciò che il nominato Moptucla, par- lando di lui e di altri de’ quali è più falso che di lui, dice: i/ ne paroit pas qu’ aucun d’ eux ait songé à construire géométrique- ment la valeur trouvée. Poi di Girolamo Cardano. Parlando dell’ insigne opera di lui De Arte Magna i\ N. A. si propone di toccarne solamente le princi. pali cose. Pure ne dice tanto da far palese non solo quanto la scienza debba al Cardano, ma ancora quanto ingiustamente alcuni storici stranieri attribuissero ai loro connazionali 1’ idea di una e- quazione col secondo membro nullo, di cui egli il primo diede 28 l'esempio; il metodo ingegnoso da lui prim amente inventato per l’approssimata soluzione delle equazioni; l'applicazione della geome- tria trascendente alla costruzione delle equazioni del terzo grado, ed altri bellissimi trovamenti di quel valente italiano. Il n. A, dà fine al ragionamento su quest'uomo (detto da Leibnizio veramente grande) facendo le sue considerazioni sul così detto caso irreduttibile, dal Car= dano scoperto e profondamente scandagliato nell’ insigne libro de Regula Aliza; cioè irresolubili; libro che solo basterebbe a conferir- gli il diritto ad una perpetua celebrità, e che disgraziatamente sfuggì alla osservazione dello storico lionese il Montucla. Indi si tiene discorso di Luigi Ferrari che si acquistò il nome di valente nell’Algebra per le felici sue prove nella soluzione delle equazioni del quarto grado, anche nel caso (che che ne dica il Gua-de- Malves ) che contenessero il secondo e il terzo termine. Poi di Raf- faele Bombelli anch’esso bolognese, il quale perfezionò il ritrovamento del suo concitadino Ferrari, sciogliendo quindici complete equazioni del quarto grado, e tredici equazioni quadrinomie del grado stesso, tutte col secondo termine, come sostiene il N. A. rivendicando a questo illustre matematico una porzione di gloria che ingiustamente gli veniva defraudata dal sopra nominato Gua-de Malves. Dopo aver detto delle altre invenzioni pregevolissime di questo illustre bolo- gnese, il nostro istorico si ferma alquanto per dimostrare come più secoli di studio avessero avvicinato per gradi impercettibili il calco- lo numerico al letterale. Indi proseguendo suo cammino tiene ragio- namento di que’geometri fra’ quali èdivisa la gloria di quel calcolo letterale. Il Vieta, il Cartesio, il Wallis, ! Harriot stabilirono le leggi del generale algoritmo; il Nepero ed il Briggs agevolarono il calcolo: il sopro lodato Harriot estese la teorica della scienza: il Fermat diede alcune fondamentali nozioni pel calcolo delle probabilità, accennò vari teoremi sottilissimi relativi alla teorica de’ numeri, aprì la stra- da alla dimostrazione di moltissimi teoremi negativi nella detta teo- rica, trovò il metodo delle eguaglianze duplicate e triplicate; e per questa e più altre analitiche invenzioni, e pe’ suoi eccellenti lavori su Diofanto si rese benemerito quant’ altri mai di questa specie di studi. Delle quali cose tatte con molta esattezza e colla necessaria estensione tratta il N- A. Indi abbiamo un lungo e interessante articolo sul Cartesio. Dopo ona viva pittura del carattere di quell’uomo straordinario, si tiene ragionamento della geometria di Ini con una sufficiente esten- sione, perchè dessa è una produzione celebre e rara, strettamente connessa in diversi punti coi progressi dell’algebra e dagli storici 29 indebitamente trascurata. Di questa geometria il nostro autore dà prima un’ accurata analisi libro per libro: indi pronuncia un savio giudizio su totta l’opera: poi considera alcune prove che il geometra turenese in varie occasioni diede del suo studio nell’ analisi alge- braica. Si passa poi a favellare con sugosa brevità de’passi che l’algebra fece per opera del Girad, del Wallis, del Erounker, dello Slusio, del Giacinto, dell’Hudde, e specialmente di quel divino ingegno del Neu- tono, Indi tralasciati i progressi nel calcolo delle probabilità, che sulle tracce del Galileo e dell’ Ugenio successivamente fecero il Pa- scal ed il Fermat, Giacomo Bernoulli, Abramo Moivre ed altri, per- chè su questo insigne argomento è nei supplementi al Saggio sulla storia delle matematiche (2) un intero e lungo capitolo, si passa all’ inesausta sorgente della scienza analitica Leonardo Eulero per osservare in parte almeno i sommi capi de’ suoi luminosi ri= trovamenti. Dopo l’Eulero si fa parola del D’Alembert, del Waring, del Mal- fatti e del Canterzani. Quindi del Vandermonde, del Lorgna, e del Fontana. Poi del Lagrangia e del Ruffini, i quali, dice l’A., introdus- sero i più raffinati ed insigni ornamenti in una scienza che i dotti riguardavano come magistralmente compiuta. Finalmente del Bret, del Poisson, del Cagnoli, e del Cossali. AI’ istoria dell’algebra segue an'annotazione, nella quale in po- che linee viene con eleganza esibita la generica equazione delle con- coidi, da cui discendono come casi particolari la concoide di Nico- mede, e quella dal Cartesio adoperata nella sua così detta geo. metria. Chiudono il libro le Notizie biografiche intorno al Cartesio. Anche il Saggio sulla storia delle matematiche avea dopo sè una col- lezione di pregevoli notizie intorno alla vita de’ valent’ uomini no- minati nell’ opera. Degno di molta lode, se io non erro, è questo co- stume del sig. Franchini di fare alle sue opere istoriche tali ap- pendici. Se i principali avvenimenti della vita di coloro che si di- stinsero nel coltivare una scienza, non trovano sempre luogo oppor- tuno nell’ istoria della scienza medesima, non si vogliono però tra- scurare. Chi non sa che coloro i quali salirono alle cime del sapere in qualanque facoltà e disciplina, dovettero questo non solamente (2) Questa è l’opera accennata ancora nella prima nota a questo mio articolo; eil Saggio storico sul calcolo delle probabilità tiene in detto libro le pagg. 9-34. Nella medesima opera gli studiosi delle matematiche troveranno la Storia de’luo- ghi piani e solidi ( pagg.1—12) e quella dell’ interpolazione delle serie ( pagg. 34-4h1 ). 20 all’ ingegno e allo studio, ma ancora ( e in grandissima parte ) alle circostanze della lor vita, e talvolta a quelle che sembrano a pri- ma vista le più indifferenti e del più tenue momento? Or l’ igno- rare tali circostanze è ignorare le cagioni per cui essi diven- nero grandi: quindi è ignorare in qualche modo le cause de’ progressi delle scienze lettere od arti cui essi dettero opera. Per queste ragioni io perdono ben volentieri a Girolamo Tiraboschi quello di che altri lo accasano, di avere cioè troppo spesso scritta l' istoria de’ letterati italiani anzi che quella della letteratura italiana. E per gli stessi motivi credo di moltissima utilità le scelte notizie dbiogra- fiche di che il sig. Franchini ha corredato il suo Saggio sulla storia delle matematiche, e il libro di cui parliamo. L’amore di patria ha. guidato costantemente la penna del N. A. nella compilazione di quest'opera. Egli tutte le volte che gli si presenta il bello, ora nel testo, ora nelle note, risarcisce gl’ italia- ni de’gravi torti lor fatti dagli scrittori stranieri. Ma l’amore della patria non spegue in lui l’amore più santo della verità, Si distin- guono per veri pregi gli estranei? Esso non li dissimula , non gl’im- picciolisce, ma gli fa pienamente conoscere, e lora è largo di lodi. Fallano gl’ italiani? Egli ne confessa e ne condanna gli errori: Un altro pregio non tenue di questo libro è l’ essere, non un compendio delle storie dell’algebra di già scritte, ma, come con ve- rità dicesi nel frontispizio, una Storia dell’algebra .... rettificata, il- lustrata ed estesa col mezzo degli originali documenti. Della rettifi- cazione abbiamo esempi quasi in ogni facciata; così che a conoscere sanamente e dirittamente l’ istoria di questa scienza, a quanto già se n'è scritto in Italia e fuori,vuolsi necessariamente congiungere que- st’ opera del professore Franchini. Illustrato di calcoli e di figure è, come ragione voleva, tutto il lavoro, ma la scelta n'è sobria, gia- diziosa, varia. L'analisi della così detta geometria del Cartesio, la quale manca nella storia delle matematiche ed in quella dell’astro- nomia del De Lambre, di cui il Montucla non ha dato che un i forme elogio, e della quale nel Saggio del Bossut trovasi unicamente un leggerissimo schizzo, è una delle più pregevoli aggiunte all’isto- ria dell'algebra che adornino questo libro. L’erudizione è sempre spontanea, sempre scelta, sempre opportuna. Le riflessioni, che se farono dette l’anima d’ogni storia, principalmente sono delle storie scientifiche e letterarie, non mancano in quest’opera. L’ordine è lu- cidissimo; ed è peccato che non si abbia una divisione in capitoli, forse dall’A. creduta non necessaria in un’opera di così poco vola- lume. Finalmente quello stile conciso e chiaro che l’Oriani (3) lodò (3) Lettera del sig. cav. Oriani al sig. conte Scopoli, riguardante la Me- 31 in altre opere del nostro scrittore, è dote ancora di questa. Mi sem- bra che possa terminarsi di ragionare su questo libro colle parole medesime con cui la Biblioteca Italiana terminò di parlare del sag- gio sulla storia delle matematiche: Z7 Javoro del sig. Franchini sarà sempre tenuto in pregio da chi ama una scienza in cui gl’ italiani si sono tanto distinti 4). LUIGI FORNACIARI. Balance politique du Globe en 1828, ovvero, Saggio sulla statistica generale della terra, secondo le presenti politiche divisioni di questa , e dietro le norme delle più recenti scoperte. Opera di Apriano Basi. Quadro colorato in foglio grande. Parigi 1828. Prezzo, 6 franchi. Ad un lavoro ch’ ha già ottenuta l’approvazione e le lodi di tutta Europa, giungerebbero ormai tarde le nostre. Era però nos- tro debito non tacerle, per soggiungere'almeno che il signor Balbi è italiano . Possa il nobile esempio di quell’ardore perseverante con ch'egli si consacra ai geografici stadii, e sa fecondarli, non es- sere così raro fra gli Italiani, come pare che sia ! Possa l’ Italia nel proprio seno raccogliere, conservare , ed accrescere i molti e non piccoli mezzi che al buon riuscimento di simili studii, quant’ utili tanto laboriosi, conducono! Questa bilancia politica del Globo, ognuno intenderà essere la- voro importantissimo e agli uomini di stato, e agli amministratori , e a’viaggiatori, e alla studiosa gioventù , quando sappia che in un sol foglio comprende e segna la superficie, la popolazione, le ren- dite, il debito pubblico, le forze terrestri e navali, la divisione degli abitanti secondo le religioni e le lingue, il nome del principe re- moria del sig. Francbini sulla triplice spinta di una trave inclinata; Detta Me- moria é inserita nel tom: XVI della Società Italiana. La lettera è pubblicata nell’ ultima facciata del Saggio sulla storia delle matematiche. (4) Anche :/ Giornale di Fisica, Chimica, Storia naturale ed arti che si pubblica a Pavia dai professori Configliachi e Brugnatelli ha fatto sempre conto delle opere del sig: Franchini. In un tometto che ho sul mio tavolino è un ar- ticolo sull’ opera intitolata Scienza del calcolo sublime, Opera del prof. Pietro Franchini, Lucca 1826 dalla tipografia Bertini, 3 vol. in 8. In quell'articolo si toccano alcune particolarità che 1’ estensore crede degne di essere rimarcate in questa, dic'egli, dotta opera ;...che per la scelta de’ metodi, per le appli- cazioni e per la dovizia delle dottrine meritevole è di lode, e nuovo onore procaccia all'Autore ed alla sua patria, 32 gnante o del capo, qual ch' egli sia, del governo, con l’ indicazione del tempo che ciascuno di questi incominciò il suo comando, della religione che professa , la dinastia alla quale appartiene; i nomi in fine e la popolazione della capitale e dell’altre città primarie di tutti gli stati d’Earopa, ede’ principali delle altre parti del mondo. Uno spettacolo più vasto, più importante , e oserei dir più sublime, sarebbe difficile poterlo presentare in un foglio . Egli ‘è ben vero che i caratteri di questo foglio son così fitti e minuti da stancare in breve l’occhio più acuto e più fermo:ma il difetto è ben lieve in pa- ragone del merito; nè poi questo è lavoro da percorrersi velocemente e di seguito, ma da riguardarsi posatamente per la prima istruzione, o da consultarsi all’ uopo, a sussidio della memoria e a richiamo de” fatti. E perchè gli elementi di questo gran quadro vengono ogni anno, qual più qual meno, variando o per guerra, o per rivoluzioni, o per nuovi trattati, o pel progresso e decremento continuo della po- polazione, dell’ industria, del ben essere de'vari stati, o per le nuove scoperte, o per le rettificazioni che sempre importantissime si fanno alle vecchie notizie; perciò il signor Balbi promette di raccogliere tutte le indicazioni di simil genere, sparse o ne’giornali o ne’libri di viaggi, o negli atti uffiziali, per rinnovare il suo quadro di tre in tre, oppur di cinqoe in cinqu’ anni, secondo il favore del Pubblico. E come non augurarglielo, non predirglielo pienissimo ed efficace, in lavoro sì bello e di sì facile acquisto ? Nè questo gran quadro , frutto di lunghe e difficili indagini di ben vent'anni, e della cooperazione de’dotti più celebri, e di parecchi illastri uomini di Stato, e d’Earopa e d’ America, è da confondere con le informi compilazioni che in simili materie escono tutto gior- no. Tutte quì le indicazioni s° appoggiano sopr’ atti uffiziali, o sopra calcoli fatti dietro alle notizie consegnate ne’libri più celebri. I docu- menti che riguardano le superficie, furon presi dalle carte migliori, e poi raffrontati con ciò che ne dicono gli autori più stimati e più dotti. Quanto alla popolazione, alle rendite, alle forze di guerra, agli stati dell’Asia, dell’Africa, dell’Oceanica, il ch. A. dee sovente contentarsi di semplici congetture,ma pensate, ma fondate sopra ragioni che egli si duole di non aver potuto nel quadro medesimo tutte svolgere ed accennare. Quanto a certe notizie spettanti o l’estensione del paese o il numero degli abitanti, e che si troveranno diverse dall’opinio- ne comune, esse poggiano sopra documenti recentissimi e degni di tutta fede; parecchie vennero adottate dal celebre Humboldt, parec- chie altre il dotto Maltebrun aveva disegnato voler inserire nell’ulti- mo tomo della grand' opera sua. 33 Son dodici le colonne in cui questo prospetto è diviso: noi quì noo accennerem che la quinta, dove gli abitanti di ciascuno Stato so- no classificati secondo la religione che professano: e questa colonna è l’estratto d’un quadro dellereligioni, che il sig. Balbi pubblicherà tra non molto, come la undecima; dove si ripartiscono gli abitanti secondo la lingua che parlano, è quasi un estratto del grande Atlante etno- grafico del nostro Autore. Queste dodici colonne insomma , prese insieme , compongono un vero trattato di geografia statistica ele- mentare. Per intendere poi, come possa dirsi non solamente vasto ma in certa guisa sublime questo Prospetto, basta saper ravvicinare le notizie in una colonna comprese alle notizie comprese nell’ altra, e da siffatti confronti trarre taluna di quelle conseguenze,che spontanee discendo- no e molte. Comparando, a cagione d'esempio, la superficie delle cin= que parti del mondo col numero degli abitanti, si trova chel’Asia ha più superficie e più abitanti di numero, ma che l'Europa, la qua- le in superficie è appena il quarto dell'Asia, è realmente più abitata dell’Asia'e dell’altre parti tatte; che l’America intera conta tanta po- polazione quanta la, Francia e i Paesi Bassi insieme, i quali due Stati non formano che la sessantottesima parte del nuovo Continente; che l'Impero russo, il più vasto di tutti, occupa più della settima parte della saperficie terrestre; che il più vasto, dipoi, è l'Impero britan= nico, poi la China, quindi il Brasile, e che la Francia per esten- sione di terreno viene ad essere la ventesimaseconda Potenza ; che quanto a popolazione, la più abitata di tutte è la China; poi la monarchia Britannica, poi l’ impero russo, poi la Francia, poì l'Au- stria; che quanto a rendite publiche, prima viene 1’ Inghilterra, se- conda la Francia, terza la China. Così le colonne della religione de’po- poli danno in un’ occhiata a vedere quali sieno gli stati composti di più diversi elementi, quale la religione professata dai più; in che re- lazione di numero stia il popolo della religione dominante col popolo delle religioni soggette ; e cento altre simili conseguenze politiche e morali e filosofiche e fisiche, tutte svariatissime e tatte importanti, può il lettore dedurre , secondo che rivolge l’occhio ora all’ una or all’altra colonna , ora in linea diritta orizzontale, ora in per pendi- colare ; or ai nomi, ora ai numeri. Per conoscere poi le fonti alle quali attinse il ch. A.,c la sicurezza de’ ragionamenti e delle deduzioni che viene all’ uopo suo con- nettendo e intrecciando, giova leggere nel vol. XXXVIII. della Rev. Encycl. p. 303-561, due articoli da lai medesimo scritti col titolo di Saggio Statistico sul nusvo mondo, che sono un Esame ragionato T. XXXII. Dicembre. 5 34 della popolazione d’America, quale la conosciamo oggidì. Sassmilck la portava a cencinquanta milioni; Lalande a cent’ottanta, quindi a sessanta, quindi ad ottanta; Maltebrun a cinquanta; Mellish a qua- ranta; Basching nel 1778 la abbassava a 13,441,678; Pinkerton a quindici milioni; Volney a venti; il dott. Calender a 25,500,000; Humboldt, al principio del secolo, la fissava a 25,670,000; Fabri nel 1805 a ventiquattro milioni; i sigg. HasseleStein nel 1818 a trentuno, Il sig. Balbi nel 1819 la riduceva a trentasei milioni: ma nuove inda- gini ora gl’impongono modificazioni non piccole. Già le ricerche d’ Humboldt ridussero il numero de’selvaggi d'America da due milio- ni e cinquecentomila, alla metà, Le nuove scoperte ottenute, le ri- cerche tentate, le relazioni stese, intorno alle regioni dell'America in- civilita, facevano, tutto compreso, ascendere, nel 1826, la popolazione intera del nuovo Continente a trentanove milioni, Le difficoltà di simili calcoli appariranno in tutta la loro gravezza quando si pensa che gli stessi censimenti uffiziali già fatti in variejparti d’America,debbono non rade volte stimarsi imperfetti e fallaci. Nello Stato, a cagion d’esempio, di Kilaragua, dal 1800 al 1813 la popola- zione si trovò scemata di 10,751 abitanti; eppure nè guerra nè peste nè altra pubblica calamità aveva sopr’essi infierito. Nella città d’An- guerra ad Oaxaca, nel 1794, si trovavano 19272 anime; e nelg1815 non più di 15,704; intanto che un viaggiatore tedesco nel 1826 ne conta quarantamila. Perciò non sia maraviglia se il sig. Balbi ne’suoi calcoli s’allontana da certe inesatte o false notizie, dietro a que’com- puti uffiziali diffuse. Queste cose ci piacque notare e per offrire un saggio dell’esattezza esemplare dell'A., e per raccomandare ai lettori una prudente diffidenza intorno a tutto ciò che riguarda noti- zie non bene accertate di regioni lontane. Un modello di critica geografica e statistica, e di logica argata insieme e diligente, minuziosa insieme e feconda, pare a noi la via tenuta dal sig. Balbi per determinare a un dipresso la vera popola- zione del Brasile nell’anno 1826, da Raynal ridotta nel 1780 a \797:960; e da Freyreis spinta agli otto milioni. Egli la riduce a cin- que: come a 1,400,000 riduce quella del Chilì, da altri abbassata a trecento mila, da altri portata a due milioni. Che tatti i suoi calcoli sieno infallibili, sarebbe ridicolo il volerlo esigere; ma che sieno mol- to prossimi al vero, i ragionamenti e i documenti ch’egli v’annette lo mostrano anche ai nuovi della scienza. Questo lavoro pertanto può con sicurezza aggiungersi all'Atlante universale di Le Sage, e all’Atlante delle due Americhe, pubblicato da Buchon come neces- sario complemento di quello; può infine servir come di testo agli ot- \ 35 timi Atlanti universali di Braè e di Lapie , le migliori collezioni di carte elementari che sieno uscite alla luce. K. X. Y. Prose di Sarvarore Berti, emendate dall’ A. medesimo. Milano, Silvestri 1827. Altri Critici con esemplare moderazione e imparzialità ragiona- rono della principal parte di queste prose, l’ apologia de’ Classicisti e la condanna de'Romantici: sicchè a noi non resta in questo pro- posito altro da aggiungere, se non che, quando il ch. sig. Betti de- ride quel trecentista secondo cui Catilina stava la mattina di Pasqua di Pentecoste alla Chiesa nella Calonaca di Fiesole alla messa; egli, il sig. Betti, viene a deridere tatti gli anacronismi inu- tili della mitologia: che quando condanna gli abusi della imitazione da’Latini fatta de’ Greci, e da’ cinquecentisti del Petrarca, viene insieme a condannare ogni genere d’imitazione che riguardi le parti della letteratura inimitabili cioè quelle venenti dal cuore: che fi- nalmente, quando cita col Lucchesini i passi di Virgilio e di Servio, dove chiaramente si attesta il cangiamento di scena mel dramma viene a confessare nel teatro classico un chiaro esempio della violazione di quelle che diconsi unità Aristoteliche. Ma di questa e di simili confessioni non c’è bisogno alla causa. Le prose dell’annuoziato volume che non riguardano il romanti- cismo, non posseno, parmi, sott’altro aspetto considerarsi che sotto quel dello stile. E quì ci sia perdonato, se l’amore sincero delle let- tere Italiane, e una lunga esperienza della necessità dell’avviso che siam per dare, ci fa troppo arditi. Lo stile del sig. Betti, lo dimostra seguace di quelle dottrine, per le quali la lingua parlata si considera come merce indegna d’ essere affidata allo scritto, anzi come grandemente diversa dalla lingua pensata de’dotti scriventi, Se codesto è vero fuor di Toscana, quì certamente nov è; nè migliaia di volumi che si balestrassero con- tro una verità sì evidente e sì semplice, varrebbero a smentir la luce del fatto, e la testimonianza continua degli orecchi. L’ errore non meriterebbe,a dir vero, confutazione, se all’arte dello scrivere, e per conseguente alla civiltà nazionale, non ne venisse un gran danno. Prendiamo in mano il volume del sig. Betti; leggiamone il primo periodo: “ Tutto il sonno di questa notte m’ è andato in un vivo » sognare del nostro Giulio; il quale così parevami di vedere, 3» che ancor me ne trema il cuore di compassione ,, = In sonno che va in un sognare; un sognar vivo; un cuore che trema di com- 36 passione, un' affetto di compassione provato alla vista d'un amico morto; saran tutte frasi nobilissime e molto lontane dal parlar della plebe ignorante, ma son anche frasi improprie, e, riguardata la lingua dal lato filosofico, false. Ecco appunto quel danno, che noi volevamo accennar quì, di codesto sistema della lingua aulica e cortigiana. Sotto pretesto d’ ‘ evitare qualche solecismo del volgo, si rinunzia al tesoro di quelle vive cleganze che sono la vera filosofia della lingua, perchè son l’opera della natura, della ispirazione, del consenso comune degli uomini, dell'esperienza matura, dello spirito nazionale: si sostituisco- no in lor vece certi traslati la cui singolarità è ben tutt’ altro che originale, certe frasi poetiche tolte in prestito alla lingua non già de’viventi ma degli antichissimi; certi giri di parole che paiono rin- volgere d’un manto amplissimo un'idea squallida e vieta: si sostituis- ce insomma il luccicante allo splendido , il vezzoso al bello, l'ampio al grande, il peregrino al semplice, il decoroso al convemente, il mo- notono al vario, il sazievole al naturale. Certo lo stile del sig. Betti ha tanti elementi di bontà , ch’ anche senza l’affettazione d’un tuono più. magnifico dell’argomento, potrebbe meritar lode somma. Ela cerchi: e scriva pel popolo: ed ami di piacere ai più; ciò che per certo noa s’ottiene con quella gravità ricercata, e con quel brillare d’or- pello. Chi volesse un esempio ben chiaro fra mille, della erroneità del principio, legga nel Perticari, laddove e’condanna il Salviati, d’aver voluto chiamare Dei Casalinghi i Penati: quasichè ( sog- giunge il Perticari ) quasichè quegli Dei fussero dell’ Ordine dei colombi. Ordine quì pone in luogo di specie ! Io non so se sia più ridicolo associare all'idea de’Penati quella de’colombi , o all’ idea de’colombi quella de’ frati. K. X. Y. Aringhe di Drmosrenx volgarizzate e illustrate dal P. F. Vino. Barcovica. Milano, Silvestri 1828. La verginità della Bellezza : ecco il carattere della greca lette- ratura. Fresca, pura , raccolta, ridente, modesta. Ond’ è de’ Gre- ci scrittori come de? pittori più celebri; che se molti ne vedessero le opere senza saper di chi sono, non le ammirerebbero come fanno. Vuolsi esercizio di pensiero, d’ affetto , di stile , e naturale rettitu- dine di sentimento e d’ ingegno , a godere degnamente di quella grazia pudica. La forza vera: ecco il carattere della eloquenza di Demostene: quindi somma semplicità , evidenza , schiettezza di pensieri e di 3 movimenti; quindi pensata energia di frase e di numero. A A durre Demostene, oltre alle qualità della mente, vuolsi grande pe- rizia della lingua, per non isciacquare con circonlocuzioni quella po- tente brevità, per non inviluppare di strani ornamenti quella ignuda franchezza; per dare al periodo un numero compresso, rotato, e con somma semplicità artifizioso; per rischiarare (e questo è il difficile) per rischiarare, senza nuocere alla parsimonia, quelle allusioni che ad uomini già pieni dell’argomento l’oratore lanciava in un concetto, in un cenno, Il Cesarotti non pratico della lingua, volle nel suo la- voro affettare certa eleganza posticcia , ch’ è una continua peri- frasi: difetto tanto più notabile, in quanto appar manifesto che quel valent’uomo, dottissimo certamente di greco, pure, per far presto, si dilettava a tradurre Demostene dal francese. La traduzione del P. Barcovich è rozza, e prolissa; pure perchè non si rabbellisce d’una gentilezza accattata, tradisce forse un po’me- nolo spirito della greca eloquenza. Ciò non toglie, io ripeto, che non sia anch’essa un meschino lavoro. Almeno il Cesarotti ornò il suo con la bella Prefazione del Toureil, con le note di varii: dove il Barcovich non fece che copiare le illustrazioni francesi, togliendo loro quello spirito d’evidenza che le anima. Ma il Padovano av- velenò poi la fonte della sua erudizione con quel perpetuo quasi . disprezzo dell’Autore da lui preso a tradurre. Al che giova rispon- dere con le parole del buon frate Dalmata, parole la cui semplicità fa uno strano contrasto con la verità che vorebbero esprimere.( p.17.) « La libertà ha, per dire così, le idee sue proprie e il suo proprio linguaggio, la cui forza non può essere sentita sempre, e il cui significato non può essere dirittamente e interamente inteso da chi trovasi in nicchia diversa ,,. E p. 21.‘ Chi non concepisce e non sente la rapida armonia del nostro Oratore, adattata esat- tamente al senso, il veemente suo raziocinio senz? alcun’ apparen- za di arte, la sua indignazione, la sua collera, la sua intrepidezza, la sua disinvoltura , stemperate , per dir così, in una corrente »» perenne di argomenti, può a ragion sospettare d’esser man- 3» cante di gusto ,,. Stimiam. pure i Classici: ammiriamoli pure: e prima di tatto intendiamoli (cosa che i citatori d’Aristotele e d’ Eschilo non isti- mano necessaria ): ma crediamo d’altronde essere “ assai difficile »» che un autor classico trovi un emulo generoso in un idolatra » scolastico ,,. Cesarotti Demost. T. IV. Lett. ai Rif. K. X. Y. 38 Ervina o l’Amor Materno. Trad. dal Tedesco , del Prof. G: M. = Lugano. Ruggia e Comp. 1828. Sentite una storia vera , seguita a me proprio: diceva un Colonnello Inglese a°suoi ospiti indiani» e raccontava taluna delle sue straordinarie vicende. Ascoltavano; e poi: oh codesto non è vero; soggiungevano tra il sospetto e il disprezzo.— Sentite, ripigliava egli allora, una favola, — Raccontate, raccontate: rispondevano ansiosi; e pendeano dalla sua bocca. Io non so se i lettori delle società incivilite differiscano poco o troppo da que” poveri abitatori delle valli selvagge. Non so donde avvenga che il Vero non paia agli uomini vero abbastanza per destare negli animi un vero affetto. Certo, io non credo che questo disprezzo della verità sia un’ innata proprietà dell’ umana natura, od un effetto dell’ incivilimento dei popoli. A vedere che le fiabe più piacciono a chi meno sa, che le finte) passioni più vivamente commovono chi meno pensa e men sente, il dabbio parrebbe non difficile a sciogliere. La narrazione tradotta dal ch. Prof: s’avvicina di molto a quelle fiabe che potrebbero piacere agli ospiti del Colonnello. Si tratta di nullamen che d’incanti.— E pare a me inevitabile conseguenza di codesto vantato ideale il portare la fantasia nell’estremo confine del verisimile e del possibile, se non forse al di là: giacchè, quando ci siamo allargati dal vero, non c’ è più limite da potersi ragione- volmente prefiggere all’invenzione del falso. Ch'anzi, quanto più va innanzi nell’ inverisimile , tanto più conseguente è l’Auto- re al suo superbo sistema. Quell’ importanza che non può più venire alle cose rappresentate dal suggello del vero, egli è for- za cercarla nella straordinarietà de’ caratteri e degli affetti ; straordinarietà che non è riposta soltanto nell’ affettazione del mirabile e del favoloso; ma ben anche ( ed allora è più pericolosa che mai ) nella falsificazione de’ fatti, che si vogliono, a dispetto della storia e dell’ ordine naturale, magnificare e abbellire. Ci dolse, a dir vero, leggere in uno de’recenti fogli del G/obo: 3» l’idéal est de ce monde, puisqu’ il entre dans |’ esprit hu- », main ,,. Anche l’errore entra nello spirito umano.— Giova sem- pre tener fitto in mente che |’ ideale è nell’ uomo non già co. me imagine, ma come indefinibile sentimento: ch'egli è il tipo del meglio, "sopra cui giudicare i fatti, non già trasformarli. Ci duole altresì che il sig. Prof. abbia voluto sopra un meschino lavoro esercitar la sua penna. Traducendo opere oltramontane giova 39 scegliere le ottime , non foss’ altro per non rinnovare gli scan- dali che seguirono alla traduzione della EZeorora e del Caccia- tore ; che da certuni faron prese come i modelli del roman- ticismo italiano. Fa allora che nacque scommessa tra una dama Pavese e un celebre Professore, se la lettera di Grisostomo fosse ironica o no . Il Professore, com'è ben da credere, sosteneva il secondo. K. X.Y. Elogi storici di Frn. Commanpino, di G. Us4LDo peL Monre, e di Givs. Carro Facnani ; letti all’Acc. Pesarese dal Co. GiusePPE Manrani, Vice Segr. della Sez. Scientifica. Con tre ritratti. Pesaro, Tip. Nobili 1828. Con piena dottrina, con rara saggissima sobrietà, con mo- desta eleganza encomia il ch. A. questi tre Matematici , suoi ce- lebri concittadini, approfittando e del proprio sapere e degli inediti documenti per aggiungere alcun chè di notabile alle cose di loro già dette dagli Storici della scienza. Di notizie particolari è ricco spezialmente |’ elogio del Fagnani: quello d’ Ubaldo del Monte è più pieno di cose: quello del Commandino è notabile per 1’a- nalisi esatta delle opere originali di questo insigne maestro del Baldi e del Tasso; analisi dalla quale risulta non essere affatto vero il giudizio del Ginguené (VII. 154) il qual ripete il giudizio del Ti- raboschi (P. IT. L. 2. c. 1.) il qual cita il Montucla; il giudizio , io volea dir del Montucla, che afferma il Commandino essere originale nei commenti apposti alle opere antiche, ma non così nelle crea zioni sue proprie. Il n, A. dimostra anche in questa parte i debiti che ha verso il Commandino la scienza: sebben poi nell’ Elogio di G. Ubaldo ( p. 32. 54. 56. ) ristringa un poco i meriti del maestro per esaltare il discepolo: difetto del resto appena percettibile, e altrove sempre accortamente dal ch. Pesarese evitato, come troppo frequente e troppo ridicolo in ogni specie d’elogio. Avrei desiderato , a dir vero, ch’ egli si fosse un po’ più disteso sulle circostanze della vita e sul carattere de’ suoi lo- dati: avesse, a cagion d’ esempio , nell’ elogio del Commandino notato col Tiraboschi e col Baldi, com*egli finì la sua vita tra' li- bri della sua scienza diletta; avesse toccato della sua taciturnità e gran lentezza a parlare, cosa che non so se io abbia letta nel Baldi od altrove: e che a me pare tanto più degna: di nota, 4o inquantochè il ritratto suo stesso par che vivamente |’ accenni , la comprovi, e, sto per dire, la spieghi (1). La lettura di questo elogio mi rinnovò, (e io ne debbo al sig. co. Mamiani i miei ringraziamenti ) il piacere cl’ io provai, già molt’ anni, quando nel Giornale de’ Letterati d’ Italia, lessi la vita di Federico, stesa così degnamente da quel bellissimo in- gegno del Baldi ; teologo, matematico, storico, antiquario pe’suoi tempi distinto; poeta, il cui Celeo non è la sola Egloga che dimostri in lui quella rara verità d’osservazione e d’ affetto ch'è il ca- rattere degl’ intelletti potenti. E certamente io. credo che una edizione delle sue opere scelte, in un solo volume raccolte o în due al più, tornerebbe in onore e in vantaggio al tipografo che la imprendesse, non già per restaurare ( come con la sua solita affettazione il Perticari affermò ) iZ senno umano con la beata sapienza degli antichi; ma perchè e dagli antichi e da’mo- derni è sempre necessario , sempr’ utile , cogliere il bello vero, e porgerlo a vagheggiare. Noi ci congratuliamo con Pesaro del nuovo lume che dagli elogi del sig. co. Mamiani viene alla gloria di lei, già sì bella 1, pei nomi italici di un Angeli, di un Norsini, di un Macigni, di 3, un Bellazzi, d’un Soperchi, d’ un Tommasi, d’ un Sentinelli, 3» d'un Olivieri, di G. Andrea Lazzarini; e dei nomi Europei »» degli Acci, dei Collenucci, degli Arduini, dei Postumi, dei Si- 3, moni , dei Diplovatazii, dei Leonardi, di G. B. Zanchi, di 5, Omero Tortora, di G. B. Passeri, di Gio. Paolucci, K. X. Y. Biografia degli scrittori Perugini, e notizie delle opere loro, or- dinate e pubblicate da G. B. Vermictiori. Tom. I. Part. 1 (Ac-Baxr.) Perugia Tip. Baduel. Presso Bartelli e Costantini. 1828. Molti banno trattata la storia letteraria di Perugia; ma parte per difetto di critica, parte per essere le opere loro rimaste imper- fette , lasciarono al dotto prof. Vermiglioli materia di più com- (1) Lo Schoell nella storia della letteratura greca afferma francamente, non so dietro a quali indizi, che il Commandino nella edizione d’un trattato di Geodesia si è lasciato ingannare dall'inglese Gio. Dee. Poichè questa circostanza non è accennata nè dal co. Mamiani, nè da altri, io credo utile quì notarla, ;acciocchè il Pesarese Biografo pensi 0 a confermarla o a ribatterla, 4i piuto lavoro, Egli nomina il Mazzacchelli fra gli altri, la cai grand’ opera, se non fosse stata dalla morte troncata in sul nascere, po- eo lascerebbe a desiderare e a Perugia e a tutte le altre città. E poichè di quell’opera giacciono inediti in Brescia ben nove to- mi, a’ quali non manca che l’ultima cura della compilazione , egli è a desiderare che codesto Ateneo così bene disposto a’solidi stu- di, se ne occupi, e faccia dono all’ Italia d’ un lavoro di cui forse sarebbe vano sperare altro più ampio e più diligente. Il dotto A. nostro, in questa biografia ci offre nuovo saggio del suo molto sapere; le notizie inesatte degli storici anteriori corregge; molte ne aggiunge di nuove; con raro senno ed impar- zialità , dalla Biografia di Perugia esclude molti? nomi che pro- priamente non le appartengono; molti che non sì possono chia- mare autori d’altro che di qualche misero scritto, o tace, od accenna di fuga, pur per farli conoscere immeritevoli di commemorazione accurata. Speriam poi, che per rendere viepiù vantaggioso alla critica letteraria il suo lavoro, egli vorrà alla fine del Diziona- rio, raccogliere in due indici i nomi di tutti coloro che dall’Ol- doino e dagli altri vennero a torto contati fra’ Perugini, e di que’ Perugini ch’egli per amore di brevità nomina semplicemente nel corpo d’articoli destinati ad autori più degni. Così si compren- derà la ragione dell’ aver egli omessi certi nomi accennati dagli altri ; e gli sbagli degli antecessori suoi si potranno più facilmente conoscere ed emendare. Non già che anche tra gli scrittori de‘quali il ch. A. ci dà le notizie, non ve n’abbia di mediocrissimi, e degni appena d’un cenno: ma questo è l'inevitabile difetto di tutte le Biografie municipali, che si ridurrebbero a ben poche pagine s’altro non con- tassero che i nomi di fama veramente Italiana, o Europea. Pur nel primo fascicolo ne abbiam tre di sì fatti nomi: Bartolo, Baldo, e Ja- copo degli Antiquarii. Il terzo, a dir vero, è men noto; ma meri- terebbe ben d'essere per la dignità del suo carattere, e per la giusta ammirazione di cui venne onorato da’letterati più celebri del suo secolo. Egli è per altro a dolersi che il dotto Profess. abbia sovente ristrette le sue più belle Biografie nelle angaste e pressochè ste- rili discussioni cronologiche , senza porre gran cura a farvi risaltare que’ fatti che danno quasi in rilievo, in compendio , il carattere intero dell’uomo, della nazione, del tempo: e che non abbia mai degnato fiorire un poco le aridità Bibliografiche coll’ ammetterci ad una più immediata e più viva conoscenza delle Opere stesse, Io so bene esser questo l’uffizio della storia letteraria, non della T. XXXII. Dicembre. 6 42 Biografia; pur mi sembra che il miglior modo di conoscere l’uo- mo sia lasciarlo parlare. E poichè il diligentissimo A. si prese più volte pensiero di registrare i favorevoli giudizii che d’un Autore o d’un’ opera diedero i critici contemporanei od i posteri, non veggo perchè si dovess’ egli frodare del diritto di giudicarla egli stesso. O se codesto ripugnava a quella modestia ch’ è sempre compagna della vera dottrina , potevano almeno i giodizii altrui od inesatti, o falsi, od esagerati, essere omessi, per evitare 00. casione d’ inganno al lettore inesperto. Se, a cagion d' esempio, il chiarissimo A. , invece d’ accennare in confuso le lodi date alla musa di Filippo Alberti, ne avesse recato quel madrigale che il Muratori nella Perfetta poesia loda tanto, l’avrebbe fatto ben me- glio conoscere. Se dalle lettere dell’ 0t#720 Antiquario avesse es- tratto talun di que’ passi ne’quali egli dipinge sè stesso , avrebbe meglio servito alla gloria di quell’uomo aureo; le cui lettere me- riterebbero, forse più che quelle di Plinio, d’ essere tradotte oggidì, che della lealtà letteraria incomincia a sentirsi con effica- cia la necessità e la bellezza. Quanto candore , quanta sincera mo- destia in queste parole! Sed conditionem peto ut me bonum ho- minem potius, quam doctum aut eloquentem existimes: in altero enim te decipiam nunquam: in altero tibi imposturam facies, me invito. Ed altrove : Erit aequitatis tuae animum perpendisse erga te meum; constantem, planum, apertum, tuorum ornamentorum cu- pientissimum. Quest’ è il tuono ben degno dell’uomo che il Po- liziano, come sappiamo dal Vibio, e Pico della Mirandola were- ravano; che fa benefattore de’ letterati indigenti, conciliatore delle pazze discordie che quel secolo agitarono più vergognosamente che il nostro. Siffatte notizie , oltre al dipingere |’ uomo il più fede'mente che si possa, servono insieme a variare la narrazione, e a spargere di qualche fiore le noiose discussioni Biografiche. La vita, a cagione d’ esempio, d’Alfano Alfani potea rallegrarsi con qualche periodo di quella pazza lettera che l'Aretino gli seri- ve: “ Sicchè andatevi pure intertenendo con gli agi, che manten- ;) gono gli alberi della vita carichi de’maturissimi frutti degli ,, anni + .. Ma perchè io tengo ce:ta speranza d’ aver tanta gra- »» zia da Cristo di rivedervi nel proprio nido natio . . . ec. ec. ,,. D'un più gaio modo di stendere le Biografie ci offre il n. A. l’ esempio nelle notizie di Jacopo Maria Baglioni, estratte da un sno poema inedito , dov' egli narra come il suo corpicciuolo ancor tenero dalle malie d’ una strega fu deformato; come bambino ancora, egli precipitò da una scala; come d’anni quattordici vestì l’ abito Domenicano ; come in Pozzuolo una donna di teatro lo 43 accasò di cattive intenzioni verso di essa, e trovandosi egli nel medesimo albergo di. colei, l’accusò inoltre come seco stessa vo- lea fuggire. I domestici di F. Jacopo , ascoltando sì gravi ca- lunnie, battono a morte la donna; di che per altro rimase in- colpato l’ innocente Religioso. Finisce insomma con essere rin- chiuso nelle carceri del Convento in Roma, dove un frate gli dice» ++... contro di voi, Padre , si trova Delitto fral, ma non a voi decente. Però il General con altri, in prova Han posto il tutto, e ognuno unitamente V’ han condannato con final decreto AI serraglio crudel posto in Corneto. Uno de’servigi più importanti, al mio credere, resi con ques- to lavoro dal ch. Prof. alle Lettere , si è la notizia ch'egli ci porge di molte opere manoscritte , poco importanti forse in sè stesse, ma utilissime alla storia scientifica, letteraria, politica non di Peragia soltanto, ma d’Italia tutta. E quì mi sia lecito deside- rare alla mostra avvilita letteratura il risorgimento di quello spi- rito che nel passato secolo animò l’ ottimo Muratori alla grande impresa dell’ edizione di tanti preziosi monumenti de’ tempi men noti. Se i librai e i letterati d’Italia conoscessero meglio gl’ in- teressi della loro utilità e della gloria loro, entrerebbero di miglior animo in questo campo, non intatto , ma certo ancora fecondo. Quanti tesori giacciono ancora racchiusi nelle nostre biblioteche, ne’privati e ne’pubblici archivi! Il rimetterli in luce, o per intero od in parte sarebbe servigio importantissimo reso alla italiana ci- viltà , e all'Earopea. Lo studio delle scienze storiche ormai tanto diffaso, parte dalla curiosità, parte dalla dottrina, parte dall’ es- sersi gli uomini accorti che la cognizione del passato è un gran germe di pratici miglioramenti avvenire, assicurerebbe agli edi- tori di simili opere, non leggero el |’ onore e il vantaggio. Che se i Principi volessero anch’ essi aiutarle della loro protezio- ne e de’ loro sussidii, l’effetto sarebbe più sicuro e più pronto. Noterò qui taluno de’manoseritti che il professor Vermiglioli accenna, e che a me parrebbero, dati per intero o per estratto, utili non poco alla storia. Acerbi Bartolommeo, Memorie della sua patria. Il MS. è nel convento de’ Domenicani in Perugia —. Alberti Filippo. Elogi degl’ illustri Perugini. L’Autografo era nella Bibl. Mariotti —. Alessi Cesare. Compendio delle storie Perugine cavate da quelle di ) Pompeo Pellini ed altri. IV. vol. in 12. I due primi sono presso 4 il sig. prof' Vermiglioli, gli altri dae nella Bibl. Genziani di Tor- sciano. — Lo stesso con altri autori. Selva di varie lezioni sulla città di Peragia. — Lo stesso. Mercurio Italiano , ovvero rela- zione delle cose più notabili occorse in Earopa dal 1628 al 1647. Volumi XVIII nella Bibl. di Perugia. — Niccolò Alessi , Elogia virorum illustrium familiae s. Dominici, heroico carmine scripta. Era presso i pp. di s. Domenico. Un altro esemplare era nella ‘: Bibliot. Isoldiana. — Ansidei Gius. Giornale di vari fatti seguiti in Perugia ed altrove, dal 1701 al 1705; proseguito da Filippo suo figliuolo fino al 1728. — Lo stesso, Simboli morali e caval- lereschi. — Lo stesso, Risposte e dicisioni cavalleresche. — Ansidei Marc” Antonio. Vera relazione di lettere e brevi scritti, e di congregazioni deputate colle loro risoluzioni sotto il Pont. di P. Benedetto XIII, concernenti l'accettazione della sostituzione Un®& genitus e sua formola. — Antiquari Jacopo. Altre lettere oltre le già stampate. Devono essere negli archivii di Milano. — Aureli Lo- dovico, Selectiora quaedam exempla ex veteri iuxta ac recentiori historia promiscue petita , Autografo in 4 presso il sig. Avv. Se- nesi — Baglioni Carlo, Peragia Sacra. Era nella famiglia Floramenti: ora non si sa dove. Lo stesso, Memorie auguste di Perugia. — Lo stesso. Storia dei Vescovi Perugini. — Baglioni Malatesta, Let- tere alla corte Papale riguardanti la dieta di Ratisbona nel 1634. Nella Riccardiana. — Baglioni Pietro. Lezione sopra l'origine e i pro - gressi della corte Romana. — Baldo, Consigli sullo scisma avvenuto ai tempi d’ Urbano VI. Nella Feliniana di Lucca, nella publica di Perugia, nella Reg. di Torino, nell'Albernoziana di Bologna, nel- la Barberina di Roma , e nella O:iveriana di Pesaro. — Lo stesso, Ordo judiciarius. Nella Feliniana di Lucca. — Baldeschi Matteo, Sermo ad Imp. Sygismundum Constantiae habitus. — Baldeschi Pietro. Consilia, con curiose notizie intorno all’ elezione dell’ Antipapa Clemente VII, e con un lungo discorso dei Cardinali ribelli ad Urbano VI. Nella Bibl. publ. di Perugia. — Ballot- toli Gasparo, Introduzione all’Architettara militare. Introd. alla pratica delle fortificazioni, Nella Bibl. publica di Perugia. Certo , sei diligenti editori della Biografia universale in Ve- nezia avessero potuto approfittare di questo dotto lavoro del ch. Vermiglioli, avrebbero aggiunto nuovo ornamento ad un’ opera, migliorata particolarmente dalle notizie Bibliografiche dell’ottimo Gamba. K. X. Y. 45 Feperico, ossia Lodi riedificata. Poema Eroico di Firrserro Vi zan. Nobile Lodigiano. Tom, II. Lodi, Tip. Orcesi, 1828. Ecco dunque una giunta di ben venti canti alla già ricca Biblioteca de’ Poemi eroici italian! — Se si riguardi al fine no- bilissimo che fece dopo due secoli uscir dalle tenebre questo la- voro; se si riguardi alla rara modestia con cuil’Autore medesimo in una assennatissima Prefazione ne viene schiettamente accennando i difetti; se si riguardi infine al lavoro stesso, in alcune parti no- tabilmente superiore al secolo nel qual nacque , non si può non sentire, che il gravarsi, come taluno farebbe, con la censura sulla parte più debole di quello, trascurando quanto v’ ha d’ importante, sarebbe rigore importuno ed ingiusto, Io diceva nobilissimo il fine di questa edizione; e tutti lo di- ranno meco, allorchè sapranno che il frutto da ritrarsene è de- stinato ad arricchire la Biblioteca municipale di Lodi. Noi cre- diam debita non solo la nostra commendazione, ma la gratitudine a chi primo seppe e volle offerire alle Italiane città un sì bello ed' imitabile esempio. E vorremmo che con la edizione delle più importanti fra le opere MSS. di ciascuna Biblioteca, si pen- sasse dappertutto ad accrescere la ricchezza de' libri, e con quella i mezzi d’ un incivilimento più solido e più efficace. Egli è bello intanto ed onorevole ai Lodigiani l’ aver primi concepito questo pensiero, e, quant’era in loro, eseguitolo coraggiosamente. Io diceva inoltre che la Prefazione dal Poeta medesimo pos- ta in fronte al suo MS. , spira la modestia sincera, epperò bel- ° la e gentile , d’ un uomo di senno. Le più forti e meglio ragio- nate critiche che una censura diligente potrebbe contro il lavoro di lui accumulare, egli le ha totte, e chiaramente e talor anche con profondità, prevenute. “ Egli vide, son sue parole, esser molto 7, malagevole il favoleggiare con la dovuta discretezza le cose sa- »; pute da tutti com'erano infatti ,,: vide cioè, che parlando ad una nazione non barbara di cose ch’ella già conosce, o deve conoscere, l’ inframischiare la narrazione di favole, era cosa per un uom del secento malagevole: di quella malagevolezza che per un uomo dell’ottocento è steril pompa di fantasia giovanile. Perciò l’autore S'attenne interamente alla storia; qualche episodio inventò di suo; e degli episodii stessi a più d’ uno pose una notizia storica per addentellato , appunto come farebbe un assennato Poeta del secolo 46 decimonono, E se negli ultimi canti diede luogo alle operazioni magiche, il fece perchè nel suo secolo la magia era ancora sog- getto d’ universale credenza, e di vivo terrore in Italia . Basta rammentare, con l’egregio Editore, che la composizione del Poema cade appunto nel tempo così sovranamente descritto nel Romanzo del nostro Manzoni. Questo dunque è un poema quasi tutto sto- rico , e noi osiam dire che i suoi difetti non vengono dall’essere questo un poema storico; ch’anzi laddove la narrazione è più fe- dele, quivi insieme è più viva. Ora l’avere , due secoli innanzi alla diffusione di quelle dottrine che il vero tengono come emi- nentemente poetico, l’aver, dico, osato ispirarsi del vero, dimostra, s'io non erro, un raro senno, una rettitudine singolare di mente e d’ animo : giacchè in tali cose anche l’animo ha la sua parte ; e non piccola. Un' altra difficoltà, segue a dire nella Prefazione l’A., era in questo; che quì si trattava di raccontare “ non un'azione fatta 3» da un esercito cristiano contro un infedele, come sono i sog- » getti di tutti i poemi italiani sinora pervenuti alle mani dell’A ; ,3 nella quale fosse lecito e facile l’ introdurre un mirabile ve- »» risimile coll’aiuto dato alle parti dal Cielo e dall’ Inferno ,,. For- tanata difficoltà, rispondiam roi; e tale la troverebbe l'A. stesso a’ dì nostri; fortunata difficoltà che lo liberò dalla noia di un macchinismo inconveniente e ridicolo , dalla ripetizione di que” messaggi angelici , di que’ concilii diabolici, di quel fiacco so- prannaturale , che toglie ai fatti storici il lor vero carattere , e degrada insieme le creature celesti, terrestri , e infernali. « Molto meno, prosegue, si è potuto, come han fatto gli altri, dir »» liberamente male de’ nemici del suo Eroe, essendo popoli vicini, 3» e che vivono ne’ loro discendenti , e fra’ quali 1’ A. professa a », tutti venerazione, ed a molti servitù ed amicizia ,,. Questa, a dir vero, è una difficoltà d’altro genere, Non già che sia un gran sollievo al Poeta epico il poter dire liberamente male dei nemici del suo Eroe: gli è che una guerra fra Italiani e italiani, dove l’ Eroe del poema , ch’ è il ‘Tedesco Barbarossa , entra , è vero per riedificar Lodi, ma insieme per opprimere e Lodi e Milano e la Lombardia, e Italia tutta, una guerra tale non pare adattata a mostrarci il Principe Alemanno come la migliore delle barbe regali da Nino a noi. Questa difficoltà i’ ba sentita, (ed è ciò che merita la nostra lode), il Poeta egli stesso; e 1’ ha espressa con parole sì forti che non si posson leggere senza un misto di piacere e di maraviglia, quando si pensa quant’elle mostrino un uomo su- 47 periore al suo secolo. “ Infine era atterrata la speranza di ve- sì der questo componimento, non dico aggradito, ma compatito »» per la persona dell’Eroe. Il nome di Federico, per i danni », recati dall’armi sue alla Lombardia, e per lo scisma da lui man- » tenuto per lo spazio di vent’anni, è di sì mal odore in questi » paesi, che parea più soggetto di satire che eroe di Poema. Que- » st’ ultima difficoltà parve tanto insuperabile che gli servì di », motivo presso gli amici, che /o stimolavano a proseguire, di non » pensarci più ,s Gl” incoraggimenti degli amici, (e del Lemene fra gli altri, che fece poi gli argomenti a ciacun Canto) i libri da lui letti poscia, dove le azioni di Federico erano quasi tutte 0 difese o scusate, lo sospinsero innanzi nel suo lavoro. Ma ch'egli ben s’avvedesse, la riedificazione di Lodi non essere che il prim' atto del gran dram- ma che finì con la lega Lombarda, anzi quel benefizio partico- lare non essere che un pretesto a malefizii più universali e più gravi, cel prova l’aver lui, per palliare il difetto, fatta contem- poranea la distruzione di Milano alla riedificazione di Lodi, qua- sichè nel ristabilimento della patria sua, non credesse l’A. poter ben conchiudere un’azione, per tanti anni dipoi continuata e con sì terribili effetti. Di questo difetto e d’ altri simili non è da tanto incolpare il Poeta quanto il suo secolo: ma è da lodarlo piuttosto, ch'egli non si sia creduto lecito d’alterare in tutto e in modi più gravi la storica verità. Sarebbe adunque non men facile che pedantesco rigore , l’ assaltare con la Storia alla mano un uomo senza pre- tensione, vissuto ducent’anni fa; per dirgli; la storia vi offriva que- sti elementi di Poesia, e voi li avete negletti; voi ci avete sosti- tuite delle invenzioni prosaiche. — Simile cose giova notarle so- vr® opere d’autori viventi, che possono o profittarne o disingan- nare il critico troppo severo ; ovvero sovr’ opere di passati già celebri, per mostrare come le loro bellezze non vengono dalla menzogna, nè i loro difetti dalla verità. Il nostro Autore, io ri- peto, dalla critica discreta non può in questo rignardo meritare che lodi. E chi, non credendo a quelle singolari e veramente sincere proteste che fa il Poeta della mediocrità dell’ opera sua , vorrà leggerla , vi troverà da lodare ben più che la fedele ra ppresen- tazione d’alcuni tra gli storici monumenti del tempo. Vissuto in quel secolo di delirii poetici, l'A. se ne sa quasi sempre serbare illeso. Certa facondia ne’ discorsi, non ciarliera ma calda e abon- dante : certe situazioni quasi drammatiche, nuove nell’idea, sebben sorpassate con troppa rapidità, e però inefficaci; son pregi che a me 48 par di vedere nel Poema, e che perciò non debbo tacere. Certi sentimenti poi, certi tocchi paiono appartenere ad età ben più matura che non era per l’ Italia il secento. E ognor si crede il più crudel più prode, Chè par bello il faror quando è felice. AI nemico rigore è gioia e lode Il pianto e il duol del popolo infelice. Fremendo ei serve; e del nemico è vanto D’ impotenza che freme e l’odio e il pianto. Perchè la rabbia ognor sicura offenda , Imbelli fe le genti addolorate Chè par che il dominante odio tiranno Non ricerchi l’error, ma che 1° inventi. E mentre i pianti nega a chi si duole Disumanar fin la miseria ei vuole. Altri tocchi simili a questi potremmo recare, ma i limiti al nostro articolo definiti, cel vietano. Quand’anche nulla ci fosse nel Poema di ciò che a noi par di trovarvi, il fine, giova ripe- terlo, il fine della edizione è sì gentile, sì peregrino, che me- rita intera la nostra riconoscenza. E noi speriamo che le città italiane vorranno dimostrarla nel modo più diretto e più vero, con l’ emulazione d' un sì nobile esempio. Ko Opere Dommatiche, Storiche, e Morali di Mons. Anr. Martini Arciv. di Firenze. Prima Edizione Milanese. Per G. Silvestri. 1827-28. Semplicità e chiarezza : ecco i soli pregi notabili di quest’ opere; almen di quelle che si contengono ne’ quattro primi Vo- lumi: e sono le Istruzioni sul Decalogo , e le Istruzioni sul Simbolo. Non novità d’ idee , non evidenza d’ immagini, non ca- lore d’ affetto , non sceltezza d’ erudizione, non grazia di stile. La lingua, che avrebbe potuto dall’ uso vivo acquistare e pro- prietà, e varietà, ed efficacia, è generica, come è sempre la lingua cortigiana vd illustre; languida, senza colore. Queste opere in- somma sono un nuovo documento della povertà oratoria di tatta quant’ è l’ italiana letteratura. Noi vantiamo, 0, per dir meglio, contiamo un gran numero d’ oratori mediocri; ma un solo da paragovarsi alla virile e feconda eloquenza dei francesi scrit- 49 tori, e profani esacri, io credo che ancora ci manchi. ll Segneri stesso, in mezzo ai molti suoi pregi, lascia molto a desiderare, da cen- surare, non poco. Ognun sa come la smania d’ostentare gli oratorii artifizi lo conduca sovente a maneggi da retore, da avvocato; lo metta al punto di duellare con l’uditore piuttosto che di commoverlo; gli renda familiari certe ritrattazioni da scuola , certe esclamazioni, certe ripetizioni giovenilissime. Ognun sa quale in lui sia |’ a- buso di que’ che con nome troppo famoso si chiaman concetti, degli esempi, delle similitudini, delle narrazioni profane , delle allusioni mitologiche: le quali affettazioni non possono non con. durre a qualche goffaggine d’ assunto, a qualche inconvenienza di tuono. Se non chè i pregi della eloquenza del Segneri si debbono all’ ingegno di lui; i difetti in gran parte al suo se- colo . Può ben l’ domo di mente mettersi alla testa del secolo a cui inaturare fu scelto ; ma non può tanto allontanarsi da quello , che gli altri non l’ osino in qualche distanza seguire : può con l’ esempio insegnare la vera bellezza, di cui fin l’idea s'è smarrita, e che perciò acquista grazia dalla stessa sua novità; ma non può mostrare apertamente di volere dar bando a tutti que’ difetti del tempo, che son creduti bellezze. Non è già che la forza d’un grande ingegno, per molte arcane, e, potrei di- re, terribili cagioni non soglia talvolta di per sè stessa ab- bassarsi per modo che i suoi deviamenti facciano co’suoi voli un contrasto inesplicabile: ma del Segneri non pare che ciò sia: par che ad occhio veggente e’ sia, il più delle volte, incorso in que’difetti che con l’energia d’una sana eloquenza egli medesimo in modo tacito ma solenne condannava : par ch’egli credesse non poter, non «dico piacere, ma giovare col Bello, presentandolo tutto li- bero dalla maschera secentistica. Tornando al Martini, no1 non gli vorremo far colpa d’alcune interpretazioni scrittarali alquanto stiracchiate , d’ alcune cita- zioni forse inopportune; ma solo domanderemo se non avrebbe meglio provvisto alla gloria di lui, chi, nel secolo decimonono, avesse troncato dalle opere sue il seguente periodo, scritto ( chi’l crederebbe ? ) sulla fine del’ decimottavo. ( Volum. II. p. 35): « Il sole è posto quasi nel centro del mondo de? pianeti: sup-= sì ponendo ch’ egli si ruoti intorno alla terra, verrebbe a fare in »; un’ ora più di 24,000,000 di miglia nostrali» K. X. Y. T. XXXII. Dicembre. 7 50 Orazioni scelte di M. T. Cicerone, recate in lingua Italiana a riscontro del Testo, e corredate di note da G. A. Cantova. Milano. Silvestri, 1028. Ci duole il dirlo; ma questa tradazione, già celebre al tempo della educazione gesuitica, ora dagl’ intendenti è tenuta per misera cosa. Il numero, parte viva della Ciceroniana elo- quenza, è quì, non men che la forza, la concisione, e la pro- prietà , miseramente negletto. Eppure al numero sogliono gli scrittori Gesuiti sacrificare sovente e la proprietà e la conci= sione e la forza (*). La scelta stessa delle Orazioni , non pare a noi l’ ottima. Quella per Archia, nelle scuole sì celebrata, non è forse così magnifica come i più la tenevano un tempo; e sa un po’ del rettorico. Le quattro contro Catilina, certo eloquentissime , paiono scritte alquanto diverse da quelle che Cicerone avrà pronun- ziate in faccia al senato od al popolo, perchè troppo aper to vi. si scorge la cura di difendersi da que’ sospetti, o, se vuolsi, calunnie, le quali poi procacciarono all’ oratore un esi- glio che lo fece piangere tanto. L’orazione per Marcello non fa, per dir vero, grand’onore al carattere d’un uomo, che poco appresso, ebbe ad invidiare coloro i quali s’ eran trovati presenti al banchetto della morte di Cesare. Voglio bene che con le lodi egli sperasse ri» chiamare il Dittatore alla via da sè tennta più vera; ma quelle lodi ad ogni modo son troppe, e sentono |’ adulazione, la paura, la si- mualazione anzichè 1? amor della patria. Le due Orazioni infine contro la legge Agraria, se si crede a un recente ingegnoso scritto del sig. Durean de la Malle, onorerebbero ancora meno le inten- zioni del salvatore di Roma: ma quando si pensa che la legge pro= posta da Rullo era più insidiosa che popolare, e che il popolo romano dd’ allora era piuttosto propenso alla eguaglianza della soggezione monarchica che alla eguaglianza repubblicana, si com= (*) E talvolta anche il senso. Io ne traggo due esempi dal Segnerì, il più grande di tutti gli oratori gesuiti: e li traggo amendue dalla prima predica: ss C. IV. Non è il digiuno quello che fa venir la morte sì rapida, non sono Je » discipline, non sono i letti assai duri ,,, E C. X. “ E per sì poco vi con- ;s tentate d’andarvene mai trescando intorno a tanti vostri terribili insidiatori ,,. Dove il mai e V’assai stanno come le riempiture che aiutano i principianti a far l’ endecasillabo giusto. Si prenderà come Cicerone, combattendo cotesta legge; potesse cre- dere sinceramente di giovare alla patria. L’ edizione dei Silvestri formicola d’ errori e nella punteg- giatura e nella ortografia; sì che a’giovani ai quali par destinata, ell’è ‘ peggio che inutile. Commetta questo diligente e benemerito Tipografo, di quì innanzi, a mano più esperta siffatti lavori. Del resto, finchè gli editori de’ Classici si contenteranno d’ accompagnarli con languide traduzioni, e con noiosi commenti filo- logici, ben poco possono sperare e di lode e di lucro. Il nostro secolo ha bisogno di lavori più solidi, più morali, Il bello ed il buono dee ormai avere l’accesso anche nelle anime de’ pazienti commentatori; a cui s’apre una via di-gloria e d’originalità forse più durevole ed utile che non jagli stessi scrittori. Finchè sarà riguardato co- me sacrilegio il notare ne’ Classici ciò che alla critica moderna sembra una violazione del sentimento del bello, del vero, del buono', la nostra letteratura sarà sempre pedante. Un buon com- mento dovrebbe abbracciare i due estremi: le più semplici e più comuni notizie storiche, necessarie all’ intelligenza del testo, e le più pellegrine e più acute osservazioni estetiche, morali, e po- litiche , necessarie al retto giudizio dello spirito d’ un autore’, e del tempo nel quale egli visse. Gli è ridicolo, per non dir peggio, quel rispondere che taluni fanno a chi propone od accenna l’u- tilità di simili osservazioni più che filologiche , quel rispondere : cotesto già si sapeva: credete voi dir qualcosa di nuovo?— E se lo si sapeva, perché si taceva egli dunque? Perchè non lo s° insegnava alla gioventù ? Perchè s’ educavano totti gli ingegni in quella cieca e sterile ammirazione di bellezze, che non si degnava nem meno spiegare, paragonare, Quest'è la spada a due tagli, con cui ci perseguitano coloro che soglion chiamarsi ammiratori de' Clas= sici. O le sono sottigliezze, stravaganze , astruserie : o le son cose vecchie, che tatto il mondo sapeva. E ciò che è più singo= lare, quelle verità medesime che prima si tacciavano di strava- ganze , di lì a poco, per vergogna di quella prima accusa; si fa mostra di disprezzarle, come cose notissime: per tornar poi , quando gli spiriti sono altrimenti disposti, a rigettar queste cose notissime come astruserie e stravaganze. Così si spiega, come ad un valente collaboratore dell’Antologia possa parere che i progressi della civiltà non sien punto giovati alla letteratura, che è quel che Guizot sosteneva.Certo, fin:bè si ripudia tuttociò che appartiene alla nostra crescente civiltà, finchè dagli antichi s’attinge non solo l’idea esclasiva del Bello, ma la morale, la religione, e fin l’estro e la lingua, certo la moderna lettera» 52 tura sarà sempre men viva, meno efficace, men libera dell’antica. Tuttavia l’ opinione di Guizot non resta d’essere vera. Se tanti scritti degli antichi ci fossero a noi restati, quanti ce ne restano de’ moderni, si vedrebbe che in que’tempi beati non erano minori le inezie, nè la mediocrità men feconda. E tra quelli stessi ch» noi chiamiam classici, quanti non ve n’ ha che se fossero a moi più vicini, si terrebbero, come sono, per ingegni nulla più che mediocri? Quante, ne’Classici stessi più sommi, non son le cose, che se un moderno ne dicesse di simili, ne avrebbe il biasimo da’più saggi? Finalmente i progressi della civiltà, quali li intende Gui- zot, non istanno nè nel numero delle opere belle, nè nella veste della bellezza; stanno nell’essenza sua, nelle cose. E certo la let= teratura moderna, quanto a profondità, a moralità, a sublimità di bellezza, è da preferire all’antica. Una scena di Shakspeare, due versi di Dante, una strofa di Manzoni, bastano a provare siffatto progresso: quì nè la quantità delle opere, nè la loro estrinseca leg- giadria non ha parte nessuna. K. X. Y. Faliero, Tragedia di Tommaso Zauri SAzANI, Bastia. Tip. Fabiani. 1828. La congiura del Faliero è, ( al dire d'un celebre contempo. raneo , il Petrarca ) il più grande avvenimento che fosse di que” tempi seguito in Italia. Varia, soggiunge egli, ed ambigua v'è la fama: ma nessuno lo scusa. Egli stesso, il Petrarca, gli compatisce in- sieme e s’adira; attesta che il Faliero mostrò nelle imprese sue più coraggio che senno; e non solo misero il dice, ma insano e demente, che con vane arti s'era per tanti anni usurpata e serbata non giusta fama di sapienza. Il Petrarca, che voleva i dogi, non signori ma duci, anzi non duci ma onorati servi, non potea certo parlare altrimenti: e questa testimonianza, se fa disonore al Faliero, non onora gran fatto l’ imparzialità di Monsignor Francesco, for- tunatissimo amico de’ grandi. Non già che noi vogliamo tacciarlo di falso: poich’ abbiamo il Sanado, scrittore patrio ma pur rispet- tabile, il quale attesta che il Faliero era di tanta superbia e ar= roganza che diede un buffetto al Vescovo di Treviso, perchè tar - dava d’ uscire alla processione col Sacramento. Quest’ atto , per tutti i rispetti insolente, ci mostra nel carattere del Faliero un non so che di brutale ; e c’ indica insieme a che tempi lontani risalga I’ onnipotenza e l’orgoglio della veneta; nobiltà. Gli altri partico. lari di questo memorabile avvenimento, dimostrano , parini, an- 53 ch’essi come que'difetti e que’vizi che si credono propri soltanto della repubblica degenerata, avessero fin ne’tempi antichissimi la sua ra- dice: conseguente necessario e d’una civiltà più avanzata, e di certe istituzioni che sarà lecito chiamare pericolose quando se ne riguarda l’ effetto. Non parrebbero eglino concepiti sulla fine del secolo decimot- tavo que” due versi, i quali Michele Steno, per vendicarsi d' un’onta ben meritata che ricevette in casa del Faliero, scrisse sul trono stes- so ducale ? Marin Faliero dalla bella moglie: Altri la gode, ed egli la mantiene. Non parrebbero negli ultimi anni della repubblica pronunziate quelle. parole d’ Israele Bertaccio ? €“ Se voi volete farvi Signore, e far tagliare tutti questi becchi gentiluomini a pezzi ,, .... Code- sto assalire l’ umana natura dal lato più delicato insieme e più ab- bietto, codesto riguardare le cose umane nel più basso aspetto che mai si possa, è un terribile effetto di certe istituzioni: e guai se diventa il carattere dominante della nazione tutta quant’ è. Una delle dif- ferenze più notabili che a me par di scorgere fra taluno de’popoli an- tichi e talun de’ moderni, si è il diverso modo di riguardare le me- desime cose. Nel vizio stesso, nell’ingiustizia, nella barbarie romana e greca, voi troverete lo sforzo della immaginazione e del cuore a sco= prir qualche cosa di elevato, di legittimo, di gentile: nella stessa virtù, nella gentilezza stessa troverete lo spirito moderno affannarsi a sco= prire il lato ridicolo, il debole; affannarsi a calunniare non l’uomo soltanto ma l’umana natura, e calunniarla con le parole (mi sia per- messo un vocabolo straniero che rendela mia idea meglio che qualun- que altro italiano ) più fletrissartes. Io non intendo e non credo che questo sia un particolare difetto ed esclusivo del carattere Veneto : chè sarebbe un conoscer ben male gli uomini, e un calanniare ciò che s’ ignora; ma credo ch’ anche ne' tempi moderni, anche ne’ va- rii paesi d’ Italia nostra, il modo di sentire e considerare le cose varii con le razze e co’ dialetti, Certo è che le istituzioni vengono a poco a poco alterando il carattere nazionale, per modo da ap- pianare le naturali dissomiglianze e da crearne di fattizie , da cor- rompere negli spiriti, anche rîteglio disposti , le idee più comuni del conveniente e del retto. Chi potrebbe, a cagione d’esempio, im- maginare che un uomo di senno potesse mai giungere a credere le spie necessarie alla vera politica ? E codesto principio noi lo troviamo inculeato con tutta chiarezza e semplicità in un discorso di Marco Foscarini, stampato (chè il più singolare) per far onore alla politica veneta. Queste cose osserviamo per dimostrare a che conseguenze 54 conducano le istituzioni politiche non fondate sui principii di quella naturale lealtà ch’è l’essenza come de’privati doveri, così de’ pob- blici: non per calunniare un Governo, le cui massime sono e in bene e in male da ogni vero politico , ormai giudicate. La congiura del Faliero dimostra anch’ essa quella perpetua e naturale tendenza ch’ ha ’l popolo a resistere ad ogni invasione della potestà aristocratica. Codesta resistenza, al dire del Machia- velli, è stata cagione della grandezza di Roma: onde, finattanto , dic’ egli, che visse la lotta, fra la plebe e i patrizii, visse e forì la repubblica. Certo, il fatto è in parte saviamente notato; ima giova aggiungere che il fatto stesso di codesta resistenza non è di per sè la ragione della potenza di Roma. Egli è che quella lotta tra il se- nato ed il popolo, teneva i grandi alquanto in freno a non invadere di colpo i popolari diritti ; egli è che la gelosia di mostrarsi degni del comando, rendeva il comando stesso ( quanto le idee del tem- po portavano ) meno ingiusto, Tant’ è vero esser questa Ja vera cagione della grandezza di Roma, che la repubblica era già declina- ta, mentr’ancora viveva una certa gara tra plebe e patrizi : ma non vivea più il mutuo rispetto morale dell’ un coll’ altro par- tito ; era perduto il pudore dell’ ingiustizia ; e da ambe le par- ti non si rercava che il potere, qualunque poi ne fossero i mezzi. Nella repubblica veneta questa gara tra i due grand’ ordini sociali cessò ben presto ; parte per l’ astuzia de’ potenti , parte per la na- tura delle occupazioni alle quali il popolo quasi tutto era dato ; marittime e mercantili. Quindi la prepotenza del più forte, e la cieca obbedienza del debole; quindi una politica fondata sulla delazione , amica delle tenebre e del silenzio. Il signor Zauli Sajani s’incontrò per caso col Byron e nella scelta deltema, e in molte parti dell’ orditura; fino in molti con- cetti, in molte frasi, nell’ andamento del dialogo. Aggiunse però molte cose, molte cose mutò: come fa chi per mero caso s’ abbatte nella medesima idea. Convien però confessare che la tragedia del Byron ; sebbene nelle parti offra ad ammirare molta poesia e di pensiero e di sentimento, nel suo tutto è cosa, né drammatica , nè verisimile. Quest’ insigne Poeta , per evitare la taccia d’ 1rre- golarità, da’Francesi data alle più fra le opere drammatiche in- glesi , altera a suo capriccio la storia , e toglie agli avvenimenti quella sublime impronta di moralità e di grandezza che lor viene dal vero, Il Doge con Israele Bertuccio furono i primi che mac- chinarono e ordirono la congiura: e Byron, per ridarre |’ azione all’ unità di tempo, suppone la congiura già ordita, e fa che il Doge vi sia ammesso nel giorno medesimo che ha ricevato dal Senato 55 l’oltraggio. Questo cangiamento serv a guastare ogni cosa, In una repubblica, come la veneta, de’miserabili ordire da sè una congiura, e sì grande, senza un capo, senza an fine, per cieco odio della nobiltà; senza poi sapere in che mani porre il governo; senza nemmeno pen- sarci? E il principale de’congiurati, ordita già tutta la trama, avrà l’im- prudenza di confidarla al principe della repubblica, al Doge, con la lontana inverisimile speranza, ch’ egli per privata vendetta possa non solo approvarla, ma farsene capo? E il Doge accetterà su due piedi il partito; e si lascerà condurre, come un imbecille, nel sotterraneo, per farsi vedere a’ congiurati che non lo conoscono, e che potrebbero anche, prima di lasciarlo parlare, freddarlo 2? Un'impresa meditata da tanto tempo, una vendetta preparata con tanta costanza , una congiara non solo adottata ma creata dal vecchio Principe dello stato, cangiarla in una improvvisa risoluzione, che la vendetta potea det- tare in un momento di collera anche al più abbietto de’ vili? Tut- to questo è prosaico, misero, puerile. Se per ottener simili effetti è necessario alterare la storia, meglio sarebbe non avere nè poesia drammatica nè teatro. Io non accenno che il vizio principale: ma troppo si vorrebbe a percorrere tutti i difetti e generali e parziali di quella tragedia, dove Byron pare non abbia avuto altro fine che di parere originale facendo diversamente da Shakspeare. E il voler cercare l’originalità non in altro che nel fare diversamente, è il peccato troppo frequente degli ingegoi moderni ; da cui rado si guardano i Tedeschi; e da cui dovranno d’ora innanzi guardarsi specialmente i Romantici. Il sig. Zauli Sajani suppone la congiura già ordita al cominciar dell’ azione, ed in ciò si mostra più accorto di Brron: ma molti altri difetti prende dal Poeta inglese, molti ne aggiunge di suo: come, a cagione d'esempio, quello strano delirio del Doge nell’ atto quarto, e quel fingere la moglie di lui figlinola al Sanudo, un de’capi del Consiglio de’Dieci, che fa la spia e manda a morte il genero; mentre la storia ci dice che il Sanudo per malattia non ebbe nemmen parte nell’ esame e nella condanna. Nor dirò dello stile: ma conveniva egli ad an Ita- liano , in una tragedia stampata in Corsica , ripetere la frase del poeta Inglese , e chiamar Napoleone il nuovo Attila ? K., X. Y. Elegie di Trsvrro volgarizzate dal March. Anrownro CaraztI,con Testo e Note. Bologna. Tip. Nobili e Comp. 1827. Se non ci fosse restato Tibullo e Virgilio, noi non avremmo della Poesia de’Latini che un’ idea imperfetta, anzi falsa: ci man- 56 cherebbero i due Poeti del cuore. Chè nè ad Orazio, nè a Catullo, nè a Properzio , nè ad Ovidio, nè a Stazio si può propriamente concedere questa lode, Tibullo non ha la profondità di Virgilio nè nel pensiero , nè nell’ affetto, nè nell’ artifizio della elocuzione; ma ne ha l’ armonia, la grazia della collocazione, la proprietà della frase, l’ ingenuità del sentimento , la delicatezza delle imagini , e quella rosea fantasia quasi timida di spiegare le picciole ale più in su del cuore, In tutti i tempi, in tutte le nazioni, l° amore trovò degl’interpreti eloquenti, vivaci, profondi, eleganti: ma se dall’un lato poniamo la semplicltà di quella Poesia tutta vergine degli sforzi del pensiero, e candida per natural colore, non luccicante per lisciatura e belletto dell’arte; dall’ altro quella tanta affettazione di cui, dal trecento in giù, in tutti quasi i moderni popoli, la passione poetica volle infardarsi, aftettazione, dico, o di filosofia, o d’ amor patrio, o di tenerezza, o d’ingegno, o di malinconia, o di vivacità , od anche d’ estrema disperazione , noi troverem forse ne’ moderni, quà e là de’ pensieri più delicati, più profondi, più vasti; ma il tutto riusci- rà per troppo sforzo pesante; e per troppa esagerazione di carat- tere, inefficace. Tibullo è un poeta sincero che confessa d’ essere un amante infelice, nè cela le sue disgrazie, nè tenta di mos= trarsene immeritevole con esclamazioni patetiche contro il ses- so infedele, con lanci di disperato dolore , con protestazioni di cordiale tristezza. Egli o piauge il suo stato, o concepisce desiderii e disegni d’ uno stato migliore , s° imagina di trovare un’ amica degna del suo bel cuore: e con la speranza dell’avvenire tem- pera non meno il dolor del presente che l’ amarezza della sua vena poetica: ond’esce un canto ben modalato, di due strumenti e quasi di due cuori diversi. La lirica amorosa de’moderni sarà cento volte più profonda, proverà un intelletto molto più elevato e gentile; ma non sarà perciò più leggiadra, più degna del nome di poesia. Esprimere quello che si sente, e come si sente, non simulare nè amore, nè dot- trina, nè virtù ; e non solo non simularla , ma non l’ esagerare in nulla, non ne fare mai pompa; ecco il vero secreto del Genio; ecco il pregio de’ più sommi tra’ Classici: ecco ciò che talun de’ Romantici finse d’ ignorare; ond’ è che affettando un linguaggio più strano an- cora del linguaggio solito, la cui stranezza è fatta men sensibile dal- l’ uso, il romanticismo di costoro è infinitamente più goffo del più ridicolo classicisino. Se la poesia non ha a essere rispettata come un’ispirazione; se si crede di poter affettare i gran sentimenti; se con l’ abolizione della mitologia e delle unità aristoteliche si crede già essere rifatti poeti, tanto fa restar classici. Si risparmia almeno la briga e il pericolo di mutar titolo e insegna. 57 Venendo alla tradazione che diede occasione al discorso , noi certo non intendiamo deprimerel lavoro sempre stimabile d’ un valent’uomo: ma in generale affermiamo che le traduzioni in versi nvn possono assolutamente servire al vero fine per cui le traduzio- ni son fatte. Cangiatemi insieme con la lingua, il metro; cangiatemi insieme con la massima parte delle frasi e de’modi la collocazione delle voci; per servire alla rima, quà levate un concettino racchiuso in una parola, di là aggiungetene un altro; sostituite talvolta all’ima- give dell’ originale una vostra o per pudore, o per capriccio, o. per gusto, 0 per troppa forza o per troppa debolezza d’ingegno : e che cosa mi resta più a me dell’ Autore che voi traducete? Se a voi pia- ce far pompa di linguafpoetica ovver d’ ingegno, se a voi piace di= lettare le orecchie moderne con la dolcezza de’ suoni s dateci pure de’versi vostri, de’ versi che parlino agli uomini presenti, e di cose di cui tutti possiam giudicare perchè le sentiamo, perchè le abbiam sotto gli occhi : ma se traducete per far a chi non conosce la lingua dell” originale sentire il vero sapore delfgusto straniero od antico, come potete voi mettervi di buona fede a tradurre d’ un modo, che per assoluta necessità dee essere , o in male o in bene, quasi sem- pre infedele? La prosa , io lo so, distrugge l’incanto del dire , e le più vivide idee ci presenta langaide e scolorate. Ma sien pur lan. guide e scolorate, purchè non sieno contorte, purchè non sien con- traffatte. Sarà il pensier dell’ autore, spogliato se vuolsi, de’ suoi ornamenti; ma sarà sempre il pensier dell’ Autore. Più: nella prosa abbiamo il vantaggio di poter rendere quasi sempre non solamente il pensiero, ma la frase ancora e la stessa collocazione de’ vocaboli; sicchè , oltre all’ offrire un ritratto il più fedele che si possa del ca- rattere dell’Autore, la tradazione in prosa offre ancora un tesoro di frasi da potersi con saggia avvedutezza trasportare nella lingua vi- vente, e animarla di que’ colori vitali, di cui, più dell’ italiana, van belle (checchè ne dica talano) la lingua latina e la greca, Con questo fine , l’autore del presente articolo avea già tentata una traduzione, in prosa appunto, delle Elegie di Tibullo, e ardisce quì darne un saggio, non come esempio, ma come espressione del suo desiderio. Aggiunge anche qualche breve nota, la qual sarebbe diretta a far meglio conoscere agl’ ignari del latino il vero Spirito del poeta , a farne sentir le bellezze, a rendere ancor più letteralmente certe frasi, che all’indole della nostra lingua non paiono convenire. I T. XXXII. Dicembre. 8 58 Dalla Elegia I. Del Libro I. Dal Distico XIX. “ Un picciol ricolto mi basta: mi basta potermi riposar sul mio ,3 letto, e alleviare le membra stanche sulle solite piume ,, (7). « Come giova l’ udire gl’ immiti venti , giacendo ; e stringere » la sua donna al tenero seno! (2) ,3 « © quando l’ invernale austro spande le gelid’ acque, tran- » quillo seguitare i suoi sonni al mormorar della pioggia ! ,, (3). « Oh sì: io già posso vivere contento del poco : senza mettermi », sempre in lunghi viaggi. ,; (4) « Ma cansare l’ estivo ascendente della Canicola sotto l’ ombra 33,d' un arbore, al rivo d’ un acqua corrente. ,, (9) « Oh pera quanto ci ha d’ oro al mondo e di smeraldo , piutto- » sto che pianga una fanciulla per la mia dipartita. ,, (6) « Ate guerreggiare conviensi , Messala, per terra e per mare, ,» acciocchè la tua casa sia bella delle ostili spoglie ,, (7). (1) Quel solito mi pare assai bello: nelle cose che 1° abitudine ha consacrate, per picciole che sieno , è non s0 che di soave, e quasi d’arcano. — Si noti la frase: alleviare le membra. La fatica le aggrava; il riposo le alleggerisce. (2) Giova. L'idea del giovare presso i Latini ‘noa era chel’ idea del piacere. L’ utile, come dimostra l’origine sua;( uso ) era materiale; il giovare, più intimo. — Immiti, è più che il contrario di miti. La negazione è sempre più che la sem- plice privazione, (3) Gelide fa contrasto con 1’ idea del letto e con le altre; non è dunque un epiteto comune. — Spande. Sì osservi 1’ energia di quel modo. Non son le acque che piovono: è 1’ austro che le spande.— .4/ mormorar della pioggia. E’ dolce il dormire ‘al suon della pioggia; sì pel suono, e sì pel rilassameoto che quella tem- peratura produce. Queste minute osservazioni, poste senza dar loro soverchia im- portanza, come fanno i moderni sovente, sovo tanto più poetiche quanto più sem- plici. (4) La traduzione letterale del secondo verso é: posso non essere sempre dedito a lunga via, (5) Anche quì il cansare é retto dal posso. Posso cansare: cioè, so trovare un piacere nella vita semplice della natura, — Invece d’ acqua corrente, il testo dice un’ acqua che passa. L'idea è più bella, e ha non so che di profondo; ma l’ italiano non pare che la comporti. (6) Quanto è bella, e affettuosa, e inaspettata questa esclamazione! Vale ben molti de’ voli lirici d’ Orazio Flacco — Smeraldo. Una gemma per tutte. Son di quelle figure che non pajon più lecite omai. Buon per noi che la Poesia non istà tutta in quelle. — Puella era in latino la parola comune per indicare la giovine a- mica» l’italiano non ne ha una così delicata. (7) Messala era, a ciò che pare, il protettor del Poeta. Dopo due versi con- cessi alla potenza, ritorna all'amore — dAcciocchè . Bella ragione di guerrege 5 « Me ritengono avvinto Je catene d' una vezzosa fanciulla: 0 go quasi custode, dinanzi alle dare porte ,, {8). « Non bramo io no esser lodato, mia Delia: purch’io sia teco, i, ch’ altri mi chiami pur molle ed inerte ,, (9). «Io stesso, purchè teco, mia Delia : saprei giangere i bovi, e », in solitaria montagna pascere il gregge ,, (10). « E parch’io potessi stringerti nelle tenere braccia, molle sareb- 3» Demi il sonno sulla nuda terra ,,. < Che giova giacere in Tirio letto senza la gioja d'amore ? quan- do la notte passa vegliata edin lagrime ,,. ‘ Chè allora nè piume nè coltri dipinte possono indurre il son- » Ne; nè il suono di placid’ acque ,,. « Ferreo colui che potendo aver te, scegliesse, stolto , di segui- », tare le prede e l’armi; ,, « Potess’anche cacciarsi innanzi in trionfo le vinte caterve de’Ci- lici, e porre gli accampamenti nel conquistato suolo; ,; « E tutto contesto d’argento, e tutto d’ oro, far disè mostra su » celere corridore ,,. “ Oh che in te io posi gli occhi quando verrà l’ ultima mia ora! oh ch’ io stringa , moriente, la tua con la mia langaida mano! ,,. € Mi piangerai, Delia, disteso sul letto ; vicino ad ardere , ») e darai misti ad amare lacrime i baci ,,. € Mi piangerai : no , non son le tue viscere cinte di duro ferro: 33 NÈ sta nel tuo petto un cuor di selce ,,. « Da qaelle esequie, non un giovane, non una vergine potrà y» rivenire con occhi asciatti ,,. ‘ ‘Ta non turbar 1’ ombra mia; ma risparmia gli sciolti crini ; so risparmia , Delia , le tenere guance ,,. >» »”? giare ! Per mostrar le spoglie nemiche. I: questi difetti di morale poetica non ha colpa il P., ma il secolo. Anche in quella bassezza peraltro è un sentimento non vile: l’ amore della famiglia; quindi 1’ amore domestico, che a qualche modo, almen come pretesto, ci sì sottintende. (8) Zezzosa, Il latino dice formosa, che, come ognun sente, tien più della forma che del vezzo, Ma della fanciulla, rendeva ancor meno — Custode ! il Lat. dice portinajo. — S' osservi la tenerezza di quella frase /e dure porte. (9) Il primo verso massimamente spira la tenerezza ineffabile dell’ affetto — Ch’ altri mi chiami — Il testo aggiunge: prego ch' altri mi chiami (quaeso). Par che voglia dire: sarebbe per me quasi un vanto,l’esser creduto momo dappoco, purch’ io sia con te. (10) Ripete in parte 1’ idea del dist. V. : ma l’abbellisce e rinnova con 1’ idea dell’amore.— Solitaria. L’idea della solitudine accresce all'idea di montagna ec. 60 « Frattanto, mentre i fati permettono, giugniamo gli amori : ss già verrà la morte , coperta di tenebre il capo: ,» « Già sottentrerà furtiva l’inerte età : nè converrà più d’ ama- », re, nè dir vezzi a testa canuta ,,. “ Ora è da trattare la leggiera Venere, che il franger le impo- , ste non è vergogna , nè danno attaccare le risse ,y- « Quì sarò io baon duce e soldato : voi bandiere e trombe, ite » lungi, e portate ferite agli uomini che vi desiderano ;y. « Portate anche ricchezze ; io sicuro del composto ricolto , sa- 3» prò sprezzare i ricchi e sprezzare la fame ,» K. X. Y. Collezione degli Atti delle solenni distribuzioni de’ premi d’ in- dustria fatte in Milano ed in Venezia dal 1806 è in avanti. Vol. III. Milano, 1827. I. R. Stamperia. In questo volume, oltre agli atti dell’anno :826, si comprende il catalogo di tutte le opere d’ industria, dal sei in poi, distinte con premio o con menzione onorevole . Catalogo utile e agli artisti che tendano a migliorare i propri lavori, 0 a inventar nuovi mezzi di per- fezionamento , d’ abbreviazione, di diffusione; ed a’giudici a cui spet- ta distribuir l’ annuo premio , che quì troveranno le cose già fatte o tentate o proposte ; e a’ commettenti che sapranno con questa in- dirazione rivolgersi al vero autore del premiato lavoro; e a’ go- vernanti.che di qui scerneranno lo stato della nazionale industria, e dove questa abbisogni di direzione , dove d’ ajuto, dove di stimolo; ea tutti finalmente gli amici della pubblica civiltà che di questi in- dizii potranno far base a paragoni, a induzioni , le quali sovente equivalgono ad altrettante scoperte. Considerata la cosa in quest’ulti= mo aspetto, esaminando attentamente l’annunziato Catalogo, e trado» cendolo in numeri, noi ci ritroviamo non poco da apprendere e da pensare. Il lavoro, di cui parte abbiam noi quì fatto, potrebbe, per agevolare la fatica ai lettori, farlo 1’ editore medesimo di notizie simili : e ridurre in cifre la morale , nascosta nelle colonne della lista ch’ egli offre. Le opere nel Regno Lombardo veneto, dal 1806 al 1826, pre- miate con medaglia d’ oro o d’ argento , o con menzione onorevole, son circa ottocento: del primo premio 84; 394 del secondo; 353 del terzo. Il numero non è grande; ma quando si pensi all’im pulso che dalla concorrenza riceve |’ intero esercizio dell’arte, non si può sentir l’animo confortato da vicine speranze, 61 Giova peraltro vedere di qual genere sieno i lavori onorati del premio; perchè se versassero tatti sopr’ arti di mero lusso, e di poco utile alle necessità della vita o al commercio; vacua e stolta, anzi corrattrice sarebbe la gloria dell’arti. Ecco adunque in che classi dividonsi gli ottocento premii riscossi in; vent’ anni, Lavori meccanici di varie specie 257.( Di questi lavori i men utili possono ridursi a 50). Lavori di mero lusso, oppur frivoli affatto, 108. Più direttamente spettanti al commercio 55. Alla navigazione 1g. All’agricoltura 32. Alle arti belle 44. Alle scienze fisiche 57. Alla medicina in particolare 27. Alla chimica 68. Lavori più direttamente spettanti alla materia © alla forma de’ vestiti gr. Alla preparazione od al condimento de’ comestibili 29. — Da que» sta divisione ognun vede che se ne’ lavori meccanici più sensibile è il perfezionamento; la navigazione, l'agricoltura, il commercio, si sono men risentiti di quella vita che dovrebbe tatti animare i ra- mi della civiltà in questo secolo. Molte sono, a dir vero, le cure date ai lavori dell’arte : ma troppe forse quelle concesse a’trastulli di mero lusso. Le scienze naturali, anche da questa somma apparisce essere coltivate con certo amore in Italia ; e lo prova anche lo spac- cio non difficile de’ libri a quelle spettanti. In un solo lato abbiam noi riguardato il Catalogo di que’ pre- mii. Ma chi, più particolarmente esaminando, volesse conoscere, se i lavori premiati cadan tutti sopra oggetti diversi, oppure non sieno che modificazioni, o perfezionamenti, o diffusioni de’ medesimi metodi , troverebbe che di quegli ottocento premii trecento ne vanno a miglioramenti ben tenui; e di nuove costruzioni, d’ inven- zioni , anche piccole, non ne novererebbe che cento. Gioverebbe inoltre sommare gli artisti premiati nel regao Lom- bardo , e quelli del Veneto; e vedere qual vinca; sommare gli arti- sti delle due capitali, e quelli delle città di provincia, o delle cam- pagne ; escludere tutti gli stranieri premiati ; indagare quanti pre- mii sieno stati distribuiti a lavori d’ invenzione o di esecuzione tutta italiana, quanti non sien che una copia, o una lieve modificazione d* invenzioni e di costruzioni straniere. Gioverebbe finalmente notare que’ perfezionamenti dalle altre nazioni operati, che in Italia sono ancora intentati od incogpiti ; e diffonderne la conoscenza, e agevolarne l’ imitazione, e l’emulazio- ne ispirarne. A ciò gioverebbe il Giornale di Tecnologia, che si com- pila in Milano, se più fosse diffuso nelle mani di chi più ne abbisogna, K. X. Y. 62, Manuale di Tecnologia Generale: ossia esposizione de’ principii ragionati dell’ applicazione de’ prodotti della natura agli ust della vita. Di D. Giuseppe pe Vorri direttore dell’I. R. Accade- mia Reale di, Nautica , Professore delle scienze fisico-tecniche in Trieste. Milano. Per A. Fontana 1828. Vol. II. Il secondo titolo circoscrive, parmi, l’idea ben più vasta , ch’ è annunziata nel primo. Un trattato di Tecnologia generale dovrebbe comprendere non soli i principit dell’ applicazione de’ prodotti na- turali agli usi della vita; ma i metodi e i imodi co’quali i prodotti na- turali , già modificati dall’ arte, si assoggettano al magistrato d’ al- tre arti, per farli servire a nuovi usi. Queste arti, se così posso dire, di seconda mano, non son trattaîe nel libro se non di volo: e |’ Au- tore medesimo già nella prefazione avea detto non solo di non voler dir cose nuove, ma di non potere nè anche delle note dir tutto. Chi volesse di ciascun’arte un trattato compiuto , desidererebbe per cia- scun'arte un manuale distinto. Questo non è che un compendio e- lementare che dimostra nell’ A. molta conoscenza di molte e sva- riatissime cose; e che, fatte certe correzioni al metodo, grandemente gioverebbe diffondere, non meno ne’ più alti ordiri della società che negli umili. Se invece di tante notizie od inutili o inconvenienti alla tenera età, che aggravando la memoria rintuzzano l’intelletto, perchè gli tolgono l’abitudine di pensare da sè, se invece, io dico, di quelle tan- te notizie, si offerissero alla gioventù, cogli esempi e co’fatti, le teorie delle arti, e quindi insensibilmente i principii delle scienze da cui quel. le teorie direttamente dipendono, oltre al diletto che alla gioventù ne verrebbe dallo svariato spettacolo di tante industrie, ne seguireb- b’anco un’amore alle cognizioni più pratiche, alle occupazioni più solide ; e comprendendosi che non v' ha mestiero sì abbietto il qual non sia dalle idee a cui si lega, dagli effetti che può bene esercitato produrre, dalle scoperte a cui può ancora dar luogo, nobilitato, lo stolto pregiudizio che dalle arti allontana non i nobili solo , ma fin coloro che non vogliono affatto esser plebe, svanirebbe finalmente, con utile sommo e della civiltà e del costume. Coltivata da’ricchi un arte meccanica per amore d’ occupazione, per amore dell’arte stessa, per desiderio di miglioramento, acquisterebbe in pochi anni quella per- fezione che dalla fatica necessaria e continua e dall’oppresso intelletto del povero artigiano volgare non verrebbe a toccar forse mai, E così l’orgoglio del ricco ozioso diventerebbe legittima ambizione di distin- guersi dal comune degli uomini con opere utili al comune degli uomini: così quel pregiudizio che crede beneficare il povero oc- 603 cupandolo in lavori di pompa vana e di lusso perniciosissimo, si can- gerebbe insincero desiderio di render migliore la condizione di lui migliorando i lavori suoi stessi: così un nuovo vincolo di fratellanza, di nobile emulazione si stringerebbe fra il grande ed il piccolo , e gli uomini si avvezzerebbero a voler essere. giudicati da’fatti, Ma questo parrà un sogno a molti: e la mano d'un marchese profanata da una lima, da un torno, da uno scalpello , è idea che farà fremere tutti coloro che non avranno lo spirito di sorriderne per pietà. Gioverà intanto che i principii teorici delle arti vengano istillati e diffusi in chi dee esercitarle; e che quel fine che gl’inglesi e i fran- cesi vengono conseguendo coa le, enciclopedie popolari, co’ manua- li, co’ libri elementari, con le lezioni tecnologiche, con le biblioteche particolarmente aperte agli artisti (1), moi c’ ingegniamo di conse- guirlo o con eguali o con simili mezzi. E già la scuola a ciò stabilita in Firenze con unico eseinpio, da un ottimo cittadino, degno della nostra ammirazione e riconoscenza, scuola in sul primo aprire frequentata da ben quarantacinque artigiani; è un ottimo indizio e un felicissimo augurio pe’ miglioramenti avvenire. In altro articolo ; a. ciò. special- mente destinato, noteremo alcani mezzi d°’ istrazione e di incorag- giamento che potrebbero offrirsi e alle arti ed a” loro coltivatori; in- dicheremo le conseguenze che naturalmente provengono dal legame della tecnologia con le scienze fisiche.e con le morali; accenneremo le vie per le quali indirizzandosi gl’ ingegni potrebbero anzi dovreb- bero quasi necessariamente condursi a nuove ed importanti scoperte. } Ki X. Y. La Solitudine. Discorso del P. Lurcr Pasquari Prof. d’ Estetica nella I. R. Università di Padova. Crescini 1826, Ciò che sopratatto rende agli occhi dell’ Autore preziosa la solitudine, si è la gentilezza del, cuore; dote essenziale al degno culto ‘delle arti, e che nel sociale commercio, più che non si eser- citi, al creder suo, si rintuzza. Ed è bene turpe cosa, dic’ egli, se volessimo ispirare negli animi altrui miti e nobili affetti, intanto che il nostro mancasse d’onestà, di rettitudine (p. 25). € Ci sforze= ,, remo d’indurre a sobrietà , a giustizia, a modestia, a sentimenti s, umani, docili, ragionevoli, gli altrui cuori; ma la voce, ma le s espressioni saranno fredde, o ammanierate, poichè non ne avremo (1) Una biblioteca popolare a tal fine s'è aperta in Reims (Mercure de France): e una scuola Tecnologica pei direttori delle grandi manifatture e degli artisti del Governo, s' è istituita in Parigi ( Glode). 64 »» în noi stessi il modello, dietro a cui conformarle secondo quella 3» forza, quel tuono, quelle gradazioni che son della loro indole, » @ della loro ingenua natura( p.26) ,,. Fin quì dal lettore non possono essere giudicati che i sen. timenti del ch. Prot. di Padova. Perch’ egli ne giudichi 1° elo= quenza, recheremo un passo , che farà maraviglia ancor più che piacere. < Se il villico e l’ agricoltore si cuoce e si macera s0- » pra il campo e le aie; se il nocchiero perde lena e robus. »» tezza , affaticato dallo sbattimento dei flutti e dalla incle- », menza delle procelle; se il fabbro suda, incurva il dorso, si », abbrevia i giorni del vivere tra il fumo, le faville, 1’ incendio, »» e sotto il peso de’ martelli che suonano sopra le incudini : » il genio delle arti si macera, si flagella, suda, e s’incurva ,» sotto il peso delle favorite sue opere; chè queste pure in- , contrano fremere di procelle, minacce di flutti, ardore di sole, ») colpi e strepito di martelli, e fumo, e faville, e incendio, che »» insidiano e attentano al guasto, alla ruina , al disfacimento di chi 3) è inteso a formarle. E già io reputo non essere menoma- ,) mente necessario che io tolga il velo di cotesti tropi o me- »» tafore. Il genio e l’estro, che ora divampa, ora soffre mor. », tali languori, le sue idee, i suoi concetti, le sue espressioni, ,» le sue immagini, che contrastano nel cervello per uscire quale » prima, quale dopo, e che vorrebbero e non vorrebbero go- ,» der di vita e di lace; la tenebria che ora le ravvolge, ed ,»» ora si dirada per cedere il campo alla serenità, alla chiarez- », za; e finalmente il pensiero tristo e gravissimo di cader tra »» le ugne rapaci della invidia, della censura, della malevolenza, della ,», mordacità , del sarcasmo, di abbattersi nel ceffo di queste furie s» orribili, lorde sempre e immonde d’atro sangue la bocca, e ,» alle quali è duopo lanciare il colpo di morte, onde aprirsi ,) un sentiero a traverso dei secoli, e stabilirsi nome, riputazione, ,, e fama onorata; ecco le procelle e i flutti; ecco il sole ar- ,» dente; ecco il fumo, le faville, l’ incendio ;ecco ciò che mar- ») tella il genio, che lo affatica, che ne insidia alla sanità, alla robustezza, alla vita, allorchè adopera di conservare e di ac- ., crescere coi suoi lavori lo splendore e la gloria delle arti »» liberali e delle lettere umane ,,, Così il Professore di Padova. Senza questo documento sot- t' occhio , il lettore potrebbe sospettare d’ esagerazione le nos- tre parole: con questo alla mano, tutti i commenti diventano inutili. . LI K. X. Y. 65 Edvige e Walstein, Episodio tratto dal Roporro d’Havesroure. Poema epico di Mons. G. L. Pyraxer Trad. di P. A. Paravia. Padova Tip. Crescini. 1828. In quest’ ultimo sno lavoro poetico, il ch. Trad. ha rinfran- cata di molto la sua maniera: ba posta nel tuono e nel numero più varietà e più vigore. Troppo sovente ne’ Poeti moderni, il gusto s'incontra scompagnato dalla forza, o la forza dal gusto: con- giungerli è il sommo pregio dell’arte, o, a dir meglio, il più raro dono della natura. ll difetto, non ancora ben superato, del n. A. , era certo languore, che col rinforzarsi delle idee può venire scemando. Molti versi potremmo noi citare di questo episodio, eleganti e bene torniti. Bastino questi del C, II. O fera, o spaventosa, e pur celeste Imago! A me sul capo, a me d’ intorno Giri e rigiri senza posa, e m’ empi Di vertigine i sensi, E questi dell’ ottavo: ‘ A/lorchè declinando in su' la chiusa — Convulsa mano il mento, in giù guardava ,,. Non già che lo stile talvolta non pecchi d' improprietà. Come il dire d'un uomo che parte rapidamente: precipite dalla tenda pro- ruppe: è d’ un ruscello, che in mezzo l’odorosa vallea volve gli argenti. Un’altra osservazione, da applicarsi a moltissimi de’'mo- derni, anche più ingegnosi versificatori, giova quì ripetere: ed è quel vezzo di riporre l'eleganza e la forza nella peregrinità di certe frasi o parole, ormai disusate: come suase, invenne, convicii. Que- sta straordinarietà di linguaggio par che doni allo stilo non so qual dignità ed energia: ma son pregi di convenzione, che non giungono a compensare il difetto di pregi più necessari e più veri Molti si cre- dono di non essere più poeti comuni quando sanno ricoprire un'idea comune d’un abito straordinario: ed è direttamente l’opposto.Conver- rebb’anzi, sotto forme il più possibile comuni e note, render sensibile insieme ed accettabile la stroordinarietà dell’ idea. La sceltezza e l’originalità della ‘frase da molti si confonde con la singolarità; ed è perciò che tanti si stiman poeti. Ma se all’ incontro, la lingua poetica fosse costretta ad avvicinarsi il più possibile alla lingua comune , allora tutta Ja forza, la grazia e la nobiltà si T. XXXII. Dicembre. 9 66 dovrebbe necessariamente riporre nella semplice e viva espressione d’ un forte, nobile, ed elegante concetto. La poesia si farebbe allor bella non d'ornamenti posticci, ma della vergine sua nu- dità. Questionando io, èr fa qualch’apno, della necessità di lasciare alla lingua poetica alcune voci e frasi sue proprie, m°’ udii da un gran Poeta rispondere: “ Non conviene che la Poesia: venga a disturbare le cose di questo mondo ,,. E questa risposta che a molti parrà strane, valse ron poco a trarmi d’errore; e a mostrarmi che, a cagione d’esempio, aiuto, affrettare, consolidare, non erano niente più prosaici d’ gita, assolidare, avacciare. Quanto poi al disturbare le cose di questo mondo; la parrà forse un’ esagerazione, ma ell’è una yerità troppo facile a dimostrarsi. Con questo sistema d’ una lingua poetica a parte, non solo la poesia diventò quasi un gergo non intelligibile ai più; ma la prosa stessa ebbe a raccattarne il contagio, e cominciò ad affettare certi modi poetici, che, se fossimo men prevenuti da qualche istituzione pedantesca, ci moverebbero a riso. E codesta manla, che, per grazia del cielo, è lodata sì ma non seguitata fra noi, di cacciar nella prosa le frasi di Dante, è l’ ultimo e più deplorabile sforzo della pedanteria tracotante. Egli sarebbe ormai tempo d’ accorgersi, che il vero pregio dello stile è riposto non già nell’allontanarsi dall’uso, ma nel con- formarvisi, e prima di signoreggiarlc, obbelirgli; che la grande effi- cacia degli scrittori Francesi è appunto dovuta a questo rispetto delle forme comuni, al disprezzo d’ ogni puerile smania di singo- larità : che una lingua la cui ricchezza consiste nella indetermi= nazione, non può essere il vanto d’una società incivilita. E di questa riverenza dell’uso ci sieno esempi i tre scrittori più sommi di Roma: Cesare, Cicerone, Virgilio ; ci sieno esempio le acerbe e non ingiuste censure da'critici antichi fatte agli arcaismi di Tu- cidide e di Sallustio. K. X. Yi Le Vite di Corw. Nirore. Trad. da Prer Domnzn. Soresi, col testo a fronte e con note. (Altra edizione senza testo). Milano, Silvestri 1826. ( V. il T, XII. della Bibl. scelta d'Op. gr. e lat. tradotte ). Doctis, Jupiter! et laboriosis: chiamava Catullo le carte di C. Nipote: e ben lo potea, egli che il titolo di dotto avea ricevuto da Tibullo e da Ovidio. Io credo che molte altre storie, e anti- che e moderne, possano , per la profondità della scienza politica 07 e storica, chiamarsi dotte al modo stesso che quelle del nostro Cornelio ; se pure di Cornelio son le vite che abbiamo, « Varii difetti; dice la Prefazione del Silvestri, gli vetigono 3; apposti: aridità, incoerenza, disordine ne’racconti, studio di parte; 3, inopportanità e leggerezza di sentenze; imperizia di lingua greca 3; @ di storia; inesattezza di locuzioni: difetti de’quali in alcuna parte 3) accagionar si # uole l’ ignoranza degli amanuensi e le ingiurie dei »» secoli: in altra parte forse pon è sì agevole impresa il giustificarlo;,. Che diremmo noi di uno Storico, il quale, dopo aver notato che Mil- ziade nel Chersoneso aveva dignità di re, ma non titolo; soggiuu= gesse che Milziade nel Chersoneso ebbe per tatto il tempo «che vi dimorò, dominazione perpetua, e vi fu chiamiato tiranno? Omnes autem et habentur et dicuntur tyranni qui potestate sunt perpe- tua în ea civitate quae libertate usa ést. Questo periodo; vitre al provare là tenacità di memoria ch’era nello Storico nostro , ci prova anche quella sua , tanto dai grammatici moderni ammirata eleganza. in generale può dirsi, ché i latini scrittori, nativi di Roma stessa, evidentemente sovrastano agli scrittori d’altre parti d’Italia, e segnatamente à quelli che in Roma non passarono gran parte di lor vita: sovrastano , dico , per naturalezza di stile, proprietà di frase, dolcezza di numero. Virgilio solo s’eccettui, il cui stile è un con- tinuo miracolo: conie l’anima sua. Ma quand’anche il nostro Cornelio fosse, specialmente nell' artifizio della collocazibhe e del numero, fissai più commendevole che fotse non è, converrebbe tuttavia allontanariò dille mani de’ t<- neri giovanetti, per la falsità delle massime sue politiche, civili, e morali. Egli è doloroso a vedere diffuso in tutte quasi le scuole un libro, neila cui prima pagina s’ insegne # che tion presso a tutti le 1) medesime cose sono oneste 0 vergognose, ma che d’ ogni cosa »» si giudica secondo gli usi che hoi abbiamo ricevuto dai nostri an- ;; tenati ,,, E questo, non annunziato già come un semplice fatt», ( che pur troppo è frequente), ma come una verità generale. Per giustificar tali abusi non resta a dire, se non che i fanciulli non in- tendono punto quel che rileggono e traducono e apprendono a me- moria ; perchè, guai se intendessero simili indegtiità / La traduz. del Soresi non è certo barbara, ma nemmeno elegan- te. L'edizione del Silvestri è riuscita scorretta e nell'ortografia (p.20. I. rt. p. 22. 1. 7. 15. 22. p. 18. 1. 22. 31), e sopratutto nella pun- teggiatura. Voglia il cielo che questa Biblioteca di traduzioni frutti luero ed onore a codesto tipografo infaticabile ! , K. X.Y. 68 Incisioni del sig. Vincenzo Gavassi, rappresentanti alcuni quadri del S. BemepErro, Poema del Cav. A. M. Ricer. Roma 1828. Egli è forse un de’ più delicati e profondi tocchì che rendano originale la poesia di Virgilio , laddove Enea, penetrando nel tem- pio di Cartagine, trova dipinte le estreme vicende della distratta sua patria ; ed esclama piangendo: Sunt hic etiam suo praemia laudi, Sunt lacrimae rerum, et mentem mortalia tangunt. In questo passo, ch’io oserei dire imitato da Shakspeare ; in un lavoro della prima, suaj gioventù, il poemetto di Lucrezia", a me par vedere adombrata una innata disposizione del cuore umano al piacer di trovare ravvivate dalle due arti animatrici non tanto le forme delle persone venerate o dilette, quanto i fatti che più toc- cano l’immaginazione od il cuore. Innanzi al ritratto di personaggio anche celebre, innanzi alla rappresentazione d’avvenimento anche illustre, ma che non importi alla fantasia od all’affetto, l’anima ri- iman fredda, o contenta d’un’osservazione tranquilla, d’ una placida meraviglia. Ma quel sentimento vivace, ineftabile che alla vista d'un lavoro dell’arte ti rapisce quasi al riconoscimento improvviso d’ un amico indarno aspettato, non viene che dalla rappresentazione d° oggetti che una ignota simpatia, o un lungo studi0 rese a noi fami- liari. E quest’affezione simpatica, io debbo protestarlo , ha destata in me la lettura de’ Poemi d’ Angelo Maria Riccis sicchè il ritro- vare ora quelle sue geniali concezioni rese sensibili dalla potenza d’ una mano franca ed ardita, mi colmò di diletto. Ell'è cosa naturalissima e ordinaria alle arti del bello esteriore, codesto attingere l’ ispirazion Joro dalla abbondanza del genio poe- tico; e ce l’attesta quella lunga e fors’anche soverchia traduzione che della poesia omerica fece l’antichità nelle tele, nei bronzi, nelle gemme , ne' marmi: onde al dotto Inghirami venne il pensiero di quella Galleria ch'egli sta pubblicando. Così Michelangelo fece del- l’ arte sua tributo al genio di Dante; così vorremmo che dalle più forti , più feconde, e più morali creazioni de’nostri Poeti, piuttosto= chè dalle favole Greche, e dalle storie Romane traessero i nostri art s- ti, e l'argomento e l’intenziore delle opere loro. I Promessi Sposi, han già data, non ostante la tenuità del soggetto, materia a inci- sioni, a pittore, ed anche a quadri animati, eseguite quelle da ar- tisti valenti, questi da persone regali. Venendo all’egregio signor Gavassi , noi dobbiamo sinceramer- $ te congratularci seco di questo suo vivace lavoro; da cui, in ) mezzo a certa irregolarità!e negligenza , traspare una gran forza e franchezza di concezione e di stile; an non so ‘chè di spiritoso, di piccante, diî vispo. E siccome tra il genio di Michelangelo e quel di Dante, così tra quello del cav. Ricci e del. sig: Gavassi, a me par di notare una certa armonia. Quella stessa sicurezza di tocchi; quella stessa indeterminazione; quel certo effetto totale che invano cerche- resti nella finitezza delle parti; quel fosco che invece d’ attristare l’ animo , lo rasserena. Il ch. poeta dee certamente compiacersi dell’avere ispirato, e tanto felicemente, an sì vivido ingegno. Ma se il S. Benedetto ha ispirato il Gavassi , chi sa che l’ Italiade non abbia ispirato il Manzoni ? Chi sa che alla lettara di questo poema noi non dobbiamo l’idea dell’Adelchi? Certo a me par di riscontrare una bella conformità tra due versi del canto undecimo del sig. Ricci; e questi del Coro tragico del Manzoni E quivi, deposta l’usata minaccia; Le donne superbe con paliida faccia I figli pensosi pensose guatar. K.X. Y. Collezione dei progetti d’ Architettura premiati ne’ grandî. con- corsi triennali dall’I.R. Accademia delle Belle Arti in Firenze, pubblicati per cura degli Archit.. Lrororno Paseur, Camino Lari, Pierro Passeri, ed incisi dall’ Arch. AyceLo apPIARDI» Firenze 1828. Presso gli Editori. Fasc. 1I- Noi dobbiam lode e gratitudine .al nobile amore, alla splendida diligenza che gli egregi editori pongono in quest’utilissima iropresa. Utilissima Ja stimiamo’, specialmente avuto riguardo al tempo nos- tro, che le pubbliche e private opere d’archittettura non paiono, in generale parlando, volersi elevare a quella elegante maestà, a quella semplicità originale di cui tanti ci si porgono in Italia. gli esempi. Egli è forse perché l'architettura, più che tutte le altr’arti, pare essere l’espressione dello spirito pubblico: ond’è che siccome ne’nostri pub- blici e. privati costumi più si bada a certo nitore estrinseco, a cer= to luccicare d’apparato, che non alla giusta ed armonica proporzione delle cose tra loro, così nelle grandi concezioni architettoniche , certa materiale decenza di costruzione si suole spesso scambiare con quell’intrinseco decoro, ci cui l'armonia non:risulta che dall’ins- pirazione d’ un raro sentimento di convenienza, ed è però imper- cettibile ad altr’occhio che a quello del genio. Questa, dipendenza dell’arte dai sociali costumi, toglie all’architettura moderna grao 7° parte di qie' vantaggi, che dai sotiali costumia appunto veniva all'antica. Per tacete de’palazzi e de’tempii, e per non dire che de’teatri, l’abitadine dello spettacolo notturno, adottata da tutte; a quel ch'io sappia, le colte nazioni moderne, dee necessaria- mente imprimer è. nel disegno interiore de’nostri teatri un carattere di malinconia e di grettezza, che a me non pare molt? utile alla morale. efficacia dello spettacolo intero. Ma checchè sia di ciò, noteremo che non lieve e non troppo osservato uffizio dell’architettura moderna , sia il ricercare oltre all'eleganza e alla comodità , la salubrità degli edifizi, e la mag= gior possibile attezza al fine a cui son destinati. Cosi ne’teatri mo= derni, alla parte acustica, all’ottica ; ed alla igienica non è forse pensato quanto la cosa richiedè. Sarebbe a vedete quali sieno le proporzioni architettoniche fra il palco e la platea, fra il palco e la totale misura dell’edifizio, fta le parti varie di quello, che più giovino alla facile, equabile, e melodica diffusione de'suoni; quali sien gli artifizii da riparare gli inevitabili difetti acustici di certe parti più nobili dell’edifizio; quali i mezzi di agevolare special= mente agli ordini de’ palchi inferiori un libero e innocuo rinnova- mento d’aria, e di conservare a ciascun ordine interi, quant'è pos= sibile, gli effetti dell’ottica illusione. Giova intanto che le opere migliori, finor Conosciute , sieno esposte allo studio; all’ imitazione, alla critica: e certo della bon= tà di queste, premiate dalla nostra Accademia di Firenze, non può cader dubbio. Nel secondo fascicolo troviamo ciò che si desi derava nel primo, la descrizione degli usi di ciascuna parte dell? edifizio delineato, E se i ch. Editori omisero nel lor lavoro i di- segni di quelle figure , delle quali le fabbriche possono e talora debbono ornarsi, egli è che il lor tine era d' offerirci solo il di- segno geometrico. Così, se non notarono il calcolo della spesa oc= corente a ciascuno edifizio, egli è che gli elementi della spesa ven- gono sempre variando secondo i luoghi, i tempi; le menome cir» costanze. E l'una e l’altra cosa avrebbe accresciuto alla loro col4 lezione ornamento; ma quella non entrava nel loro progetto, ques- ta non poteva entrare in una collezione di disegni non mai ese- guiti . Noi desideriamo frattanto che o i diligenti editori, dopo com- piuta la presente intrapresa, od altri in lor vecé, ci faccian do- no di disegni più facili ad essere in più luoghi eseguiti; dise- gni, dico, d’edifizii da servire all’uso ed alle comodità de’ priva- ti .E se l’amore del pubblico bene unisse a questo fine i più dotti ed esperti de’nostri artisti, potrebber questi trattare i loro hi x F I soggetti non solo perciò che spetta alla decorazione, stat buzione, alla statica, ma ancora per quel che riguarda all’econo- mia del fabbricare: al che molto gioverebbe produrre i risultati delle loro operazioni nel pratico esercizio dell’ arte , esponendo e particolareggiando le spese delle fabbriche sotto la loro dire= zione eseguite; giacchè più sicure sono le conseguenze, allorchè si deduce la teoria del fatto, che non quando il fatto dalla teoria. Nè di questo soltanto potrebber essi occupa rsi. Quant’ onore alla nazione ed all’ arte, se uno spirito d’associazione congiungesse fi. nalmente gl’ italiani artisti; e le opere, le ricerche, le esperienze Joro dirigesse concordi ad un fine! — Questi ultimi consigli det- tati da un uomo dell’arte, ci piacque trascrivere quasi letteral- mente , sebbene troppo ne renda disperata l’esecuzione , la stessa loro importanza. K. Xx. > dI Algiso. Novella di Crs. Cano’. Como 1828. Da'Figli di C. A, Ostinelli, Al sig. Dott. V. Sarracworr. Cantare le cose patrie ( io mi rammento ancora le idee, che in un de? nostri brevi colloquii voi mi venivate esponendo ) can- tare le cose patrie è ben ‘più degno della Poesia, che non inventare azioni e caratteri ch’altra autorità non hanno fuor quella che loro viene dall’ ingegno e dal senno del poeta: e il poeta,-rinunziando alla profondità e all’utilità del bello istorico, già comincia a dar tristo augurio del proprio ingegno e del senno. E poichè ( voi seguitavate ), poichè il nostro secolo non pare molt’ avido di lunghi poemi,ben provvede e al bisogno della nazione, e allo scopo dell’arte, chi ci presenta di brevi novelle, dove il fondo sia storico, e le cose dal Poeta aggiunte non sieno che lo svolgimento di quel germe poetico, che la storia ci porge affatto nudo , e percettibi- le appena. Nell’ esposizione del fatto , si può prendere il colore del tempo, la lingua, lo stile, il tuono ; tutto insomma rendere il più possibile diverso dagli usi del tempo nostro: ma questo, voi saggiamente osservavate, esser cosa impossibile a bene eseguirsi; e ‘ di più, puerile. Meglio adunque ritrarre i costumi, i caratteri, i fatti, e ritrarli con colori vivi e recenti; ma non tali però che vengano ad alterare e lo spirito dell’ azione che si rappresen- ta. Ma questo (voi soggiungevate ) non basta: convieve che la Poesia serva a un fine; conviene che i quadri storici del pas- sato giovino alla istruzione intellettuale e morale degli uomini 72 : presenti ; conviene adunque che il Poeta ravvicini alle idee de’ lettori le idee storiche , in modo ch’ essì vengano a trar- ne più o meno direttamente qualch’ utile conseguenza , appli- cabile al loro stato , a’ loro bisogni. Quì la vostra opinio- ne si trovava discorde da quella di un uomo insigne che a- mendue conosciamo, e amendue (spero } onoriamo del pari ; il qual crede che la fedele rappresentazione del vero, qualunque esso sia, può per sè stessa essere scopo degnissimo della vera poesia. Pare a me che le due opinioni si possano facilmente con- ciliare, raccomandando la rappresentazione 'del vero , non solo fedele ma piena. S'’ io dipingo un fatto nella interezza sua; ol- tre ai caratteri particolari che lo distinguono da tatti i simili fatti d’altre età, d’altri luoghi, d’altri nomini, io debbo necessariamente dar a conoscere in esso alcuni di que’caratteri universali che lo fan- no appartenere ad una e non ad altra specie di fatti» e cotesti ca- ratteri universali, che dall’un lato non guastano punto |’ indi vidualità dell’azione, anzi servono a farla risaltare vie meglio , giovan dall’altro a rendere il linguaggio della poesia intelligi- bile a tutti gli spiriti, e le rappresentazione poetica feconda di conseguenze applicabili a tutti i cast. Non pare dunque ne- cessario che il poeta s’ eriga a giudice delle cose che narra , che s’ interponga quasi tra esse e il lettore , che con digressioni od esclamazioni o parlate poste in bocca a questo od .a quel personaggio, s’ ingegni di far sentire nel passato le allusioni al presente: basta ch’egli sappia narrare; e le allusioni verranno in folla da sé: tanto più abbondanti verranno quanto meno cer= cate. Giacché, se il poeta fissa l’attenzione dei lettori sopra un sol punto, e calca sempre su quello; il fatto allora non presenta che sola una conseguenza, vale a dire che è rappresentato im= perfettamente , è falsato. Quest’è il difetto della tragedia alfie- riana: dove tatti i personaggi non parlano che d’una cosa, da tutte le passioni esce l’espressione forzata d’una passione sola; e per cercar le allusioni si smarrisce la convenienza del vero, che ormai comincia a vedersi non essere cosa diversa dalla con- venienza del bello. Da ciò non segue che indifferentemente' e alla cieca si possa por mano ad ogni specie di fatti, che non ve n’abbia di più e di men degui della rappresentazione poetica. Da questa scelta dipende certamente il destino delle opere: nè in questa, pare a me ch’abbia errato il poeta di cui v' offro ‘a leggere la Novel. la. Quì la franchezza dello stile e del verso, la verità dell’os- servazione, il religioso rispetto della sapienza storica sono pregi 73 che degnamente ornano il vasto soggetto, pregi non oscurati al certo da qualche aridità o affettazione o languore ch’alîri avrebbe a notarci. Egli è a dolere che i fatti gravissimi della lega Lom- barda, il poeta abbia voluto o dovuto restringerli in picciol qua- dro; e gli. sia così mancato lo spazio a tutte quelle gradazioni, a tutte quelle particolarità, che rendono le azioni verisimili , la poesia viva, e morale la storia. Ildegarde figliuola di Vitano, cittadino di Como, allor ne- mica a Milano, è invaghita d’ Algiso giovine Milanese, che le avea. salvato il fratello Aldighiero. Algiso nella battaglia soste nuta. all'Arco Romano {1), è fatto prigione e rinchiuso in Castel Baradello, donde lo liberano Aldighiero e Hdegarde. Quindi egli torna a Milano: e quì comincia la parte politica dell’azione, vale a dire alla St. 52 del Canto secondo. Tornando adunque a Milano, egli trova la campagna de- vastata dall’armi nemiche ; Tronchi è filari dal tedesco brando; tutto squallore e silenzio. Incontra venticinque villani , che ave- vano portati a Milano alimenti, e a cui Federico in pèna aveva tagliate le mani (2); entra nella città e Ja' trova in tumalto, per- ch’altri voleva arrendersi, altri durare la. fame e sostener |’ im- peto ' del nemico. Quì l’Autore, commentando un bel passa del Sismondi (3), pone in bocca ad Algiso queste parole: II. 64. Oh moriam pur: ma non invendicati, Ma sovra mucchi d°avversari uccisi. Bello in campo cadere, e spaurati Mirarsi intorno gl’ inimici visi ; E a’ patrii tetti, tua mercé salvati , Morendo aver gli altimi sguardi fisi; E liberi pensarli, e la fidanza Portar, che alcuno a vendicarti avanza. In questo mezzo vengono cinque 'patrizii, quattro da Fe- derigo acciecati , col quinto a cui il barbaro aveva lasciato un occhio per guidare i compagni (4). A quell? aspelto atterriti i (1) Arnulph — Sen, Arcum Romanum, propugnaculum urbis nostrae vali- dissimum. Tutti gli storici rammentano distintamente la resistenza durata a quest'arco. (2) Circostanza storica, (3) C. IX. p. 108. T, 2. Questa dissensione però ci parve lafguidamente dipinta. Il buon Raul ne parla con grande vivezza. V. Murat. T. VI. (4) Gircostanza storica: ma non pare, se ben mi rammento, che questo fatto precedesse la resa di Milano tanto da esserue l’urgente motivo. T. XXXII. Dicembre. 10 74 Milanesi risolvono la resa, mandano al vineitore il carroccia, e con esso Otto Consoli avean le spade ignude Sovra il collo, in segpal di servitude. St. 70. Si china dinanzi al tiranno il vermiglio gonfalone del earroc- cio; ed eeco atterrati Del vincitore al piè cento stendardi, Dianzi terror de* popoli Lombardi ($). Federico, dopo tenutili lungamente nell’ ansia della dispera- zione, ordina l’intera ruina della città: e i popoli Lombardi ubbi- dirono con esultazione al comando (6) » nè vedevano nella caduta di Mi sno D' Italia tutta il barbaro servaggio. Fedr.go intanto di lontan godea Del fratrie:dio altroi maturo il frutto; E nel gaudio di sua mente proterva Pago sclamava: oggi l’Italia è serva. St. 93. I Comaschi alleati di lui, j Vengon Fedrigo a salutar che parte , E vella sua Pavia dell'altrui cieca Rabbia.i trionfi a festeggiar si reca. Egli li accoglie con orgoglioso disdegno , e promette di mandare i suoi Pretori a governo della loro città, Parton essi già seontenti, e già si matura il lor animo alla futura vendetta, (5) Caffari I. a. Personas, et civitatem, et immobile sine ullo tenore in potestate Imp. posuerunt. Questa degli stendardi è circostanza storica. (6) La Chron. Var. Pis. dice al contrario che di questa distruzione: tota Lombardia doluit; ma non è vero. Il vero si è che i Comaschi, i Lodigiani, i Cremonesi, i Pavesi, i Novaresi, quelli del Seprio e della Martesana coo pe- rarono all’eccidio di Milano , ciascuno prendendo a distruggere quel quartiere, la cui porta metteva ia’ loro rispettivi paesi o città. Sicque factum est , dice la Cronaca Salernitana, quod Lombardi, qui inter alias nationes libertatis singou- laritate gaudebant, pro Mediolani invidia, cum Mediolano pariter corruerunt , et se Teutonicorum servituti misere subdiderunt.. Certo pare che Milano si fosse di soverchio alzata io superbia: ma non può non destare un sorriso 1” accusa che le dà un certo Goflredo di Viterbo , nel suo Panteon di versi leo- mini; che: Ipsa sibi dominans tune quasi Caesar erat. Codesto , al buon Goffredo pareva il più orribile dei delitti.— Più strano ancora è il rimprovero che fa a’mi- lanesi resistenti al Barbarossa, Ottone di Frisingen, dicendo: che antiquae nobi- litatis immemores, barbaricae faegis retinent vestigia. Secondo lui era barbarie resistere ai barbari. Checchè di ciò sia , dice Raoul che tota Lombardia Sfere laboravit ad explananda fossata. “ Fu il diroccamento dì Milano, dice 1» il ch. St. della battaglia di Benevento, operata da mani italiane; nè più cru- ,3 delmente avrebbero fatto gli stessi nemici. Questa era la carità della patria s» dei nostri padri! Nè ciò dico per dimostrare che noiî siamo migliori ,,- 79 Milano tiranneggiata da! governatore del Barbarossa , Cuuino, pensa alla sua liberazione: alcuni de” più valenti si dispongono a cor- rer l’ Italia, e diffondere il sentimento che gl’ ispira e gli 4ceètidi : Pietade è stlegho del procace impero Verran destando ove sia cuore umano. Algiso anch'esso visita con questo fine Lodi, Cremona, Pavia, Tortona, Piacenza: poi viene a Roncaglia: C. III. St. 32. Dove a compor s’accoglie i gran litigi Italia tatta, e ai re novelli giura Fedeltade, trì buti, armi, servigi. Quì, fa poc’anni, cori solerte eura Gioristi ei wide al Barbarossà li gi Sillogizzando un tirannesco werò Sul popol conculcato alzar l’impero (7): Quinci a Mantova, a Padova, a Venezia: À Treviso, alla fertile Vicenza Faron d’Algiso i passi indi rivolti; Trovò poscia ini Verotia alla semenza (8) Di libertà fecondo il cuor di molti. St. 42. Quindi al lago di Garda, a Brescia, a Bergamo: Betgdmo con lor piange, e il destro aspettà D'aguzzat i pugnali allé vendetta (9) Passa Ghiatadadda, scende a Cassano, ed a Tretzo; Ch”ora i tesori di Fedrigo accoglie, Della predata Italia opime spoglie. Alla lega sticcede la riedificazione di Milano , la battaglia di Legnano, la pace: e, per tornare all’ intreccio della novella, Je nozze d’ Ildegarde e d’Algiso. Lango sarebbe notare le mol te bellezze sparse in questa narrazione semplice , animata , ef- ficace : quando rammento la visita d’lidegarde alla tottiba di (7) Quando fu disputato se 1’ Imperatoré fosse padrone fel mondo , e fu conchiuso che sì, (8) I Veronesi aveano sin da principio mostrato avversione al nemico della concordia italiana. (9) Card. di Aragona. Murat. n. 1: T. IM. p. 459. Communi deliberatione firmarunt, ut de tota eum Lombardia deberent espellere. P. 460. èt tran- salpinare eompellerent. Chron. Salero. Mardi. T. VII. pi 199. Theutonicorum stper biam pati nequeutites, cacperunt resistere. E così Federico (dice Sicardo Chrom. Crem. ivi p- 598) pestiferum sibi melleum propriò malleo reincudit. Giac chè , come WMederieo medesimo confessò pubblicamente nella Chiesa di S. Marco a Venezia: ignorantiae vitium majestas imperialis non excludit. 76 fra Jacopo (C.1V. St. 70. 74), posso ‘anche dire, profonda. Se- gua Poeta la nobile via ch'egli ha presa; chè l'ingegno suo è tale da non ingattiare fe nostre speranze. K. X. Y. Commedie di ALserro Nora. Firenze, 1828. Cambiagi. Vol. 3.° Questo terzo volume comprende i! filosofo celibe ; il benefattore e l’orfana; e \ Alessina, ossia costanza rara. Nelle commedie semplici e piane, ove gli accidenti nascono dal solo contrasto de’ caratteri, ed ove si ammira l’ atticismo del dialogo senza alcun altro prestigio, corrono rischio gli autori di non piacere alla moltitudine, la quale non può gustar le bellezze che non cono- sce, e non sente se non quando è violentemente scossa. Nelle com- medie poi, nelle quali domina il così chiamato sentimentò, altro pe- ricolo e più grave s’incontra , cioè di non ottenere l'approvazione delle dotte e sensate persone: e questo per la grave ragione, che tutti gli uomini qual più, qual meno, banno un cuore che si commaove , pochi un intelletto educato a discernere. Felicissimo dunque dovrà reputarsi quell’ingegno che sa conciliarsi l’ animo d’ogni classe di spettatori. Al primo genere appartiene il Filosofo celibe il cui argo- mento è semplice, regolare la condotta, naturali i caratteri e gli ac- cidenti, il dialogo vivo, spiritoso e disinvolto. Eccone un breve cenno. Un giovane letterato (Dorvalli) si ostina in non voler prender moglie sul timore di non trovar donna di tali doti fornita che possano felici- tare 1 suoi giorni. Un suo zio Francone ) gli propone la figliuola di un suo caro amico {Carolina)comeil modello delle zittelle innocenti; edu- cata con severissime massime, e chea detta dello zio il quale si crede gran conoscitore degli nomini e del mondo, non sa ancora che voglia dire amore, sebbene sia in età di vent'anni; e tutte le cure impiega in allevare tortorelle e coltivar fiori indigeni ed esotici: di che è così persuaso Francone che è pronto a perdere e pagare tremila zecchini ove e’ 5° inganni nel fatto giudizio. Dorvalli, così stimolato consen- te di vedere una zittella sì rara, la quale trovasi col padre in un de- lizioso casino presso Milano : anzi promette sposarla ove ella sia quale gli vien dipinta; ma vuole che lozio paghi veramente i tremila zec- chini in evento che la' Carolina ami od abbia già amato un altro. Questo caso si verifica appunto con gran meraviglia dello zio, e_con gran dolore d' Ippolito padre della fancialla , uomo pieno di opi- nioni pregiudicate suli’antichità dei natali e sulle prerogative de- gli stemmi gentilizj, giacchè l’innocentina ha un segreto amante nel- 77 la persona di Alberto amico e commensale di Dorwalli e venuto cob questo e con Francsne al “casino d’|ppolito. Di più Alberto non è nobile di fatto, benchè a binegujl ine l'animo del rigido padre e ad ottenervi l’ assenso ( il che tutto è maestrevolmerite con - dotto dallo stesso Dorvalli ) si profferisca di dare autentiche prove che un suo avolo o bisavolo militò con onore neila marina. Que- sta commedia, una delle prime del sig. Nota, fu recitata la prima volta in Milano nel 1811 e vi destò un vero entasiasmo. Ne fece- ro l’analisi, e ve tessero l'elogio e la critica 11 Giorrale italiano, ‘e il Corriere milanese; il che indusse alcuni nemici dell’ autore a sfogarsi nel giornale di Padova con amarissitne censure, e se ne istituì una viva polemica tra i giornalisti stessi. Ma in mezzo a questi contrasti trionfò la commedia e in Italia e fuori, giacché tra- dotta in francese e stampata a Parigi (*; ed altrove in altre lingue, viene recitata anche nelle città da noi più lontane, III Benefattore e \° Orfana appartiene all’altro genere accen- pato di 8op'a e che si direbbe sentimentale, genere che certi rigo- risti vorrebbero proscrivere dat teatro : nel che noi non corisentia— mo punto, pensando che tous les genres sont bons, hors le genre ennuyeux. In questo dramma suno pure i pregi del dialogo, de’ca- ratteri e de’ punti scenici. E sond posti in così bella luce la rico. noscenza e gli altri virtuosi affetti dell’amabile Z/ena verso il suo benefattore Zord Sufold, che ne derivano qua e là dei momeoti pas- sionati e commoveutissimi. L’ orfana cerca a tutto potere di na- scondere l’ amore di cui è presa per Edoardo figliuolo di Milord, benchè egli siasele profferito con la più tenera dichiarazione. Ma l’amore viene scoperto con l’opera di Zadì Favers donna orgogliosis- sima, e di un certo Hebeston cattivo soggetto, la prima sorella di milord, |’ altro di lui dipendente. La giovatietta Elena si dispo- ne ad abbandonare la casa dove fa con tanto affetto allevata; e tutto è ordinato per questa separazione crudele pei due amanti; e dolososa per milord e per la famiglia; peraltro così richiede una pro - messa. preventiva data da Edoardo ad un’altra zittella: quando nella persona di un officiale degli Stati uniti, e che Edoardo è riusci- toa salvare dal naufragio, si ricorosce il padre di Elena. E viene così premiata la virtò di lei con la mano del suo amante , giac- chè la zittella a questo fidanzata se n'è fuggita con un giovane scapestrato. Il difetto principale notato in questa commedia, sta appunto nello scioglimento per non essere nuovo, inoltre per piz- zicar troppo di romanzo. (*) Chefs d' oeuvre des théatres étrangers. Paris; 1823. Ladvocati 78 L' Alessina è una fra le moderne produzioni che inspira mag- giore ititeresse , sì per la màhiera con cui è tràttata è condotta l’ azione , sì perchè ne presenta un fatto vero e accaduto non è molto. Belral, capitano ingegnere e figliuolo d'tn negoziante lio- nese, era riuscito a salvar la sua vita nel terribile passaggio della Beresina. Vinto dalla fame e dal freddo, perdati i compagni, vol- gendo qua e là gl’incerti passi , il caso lo condusse alle porte d'un avtico castello. Ma il signore di questo ricusava di dargli ricovero, ahzi lo faceva allontanare crudelmente, quando a pie- garne l’ animo giùnse opportuna la figliuola di lui Alessina, e l’ infelice francese fu accolto e sotvenuto. E quì si deè avvertirè che questi per trovar più facile accoglienza aveva preso il nome d’un marchese Eugenio suo amico e morto poco prima sul ponte stesso della Beresina. Essendo Belral giovane pieno di brio e d’ in- gegno, Alessina tenera ed affettuosa, divennero ben presto l’ uno dell’ altro fervidissimi amanti. Ma fa breve questa corrispondenza, giacchè sorpresi dal padre in un tenero colloquio furono subito divisi . Alessina venne rinchiusa in una torre, Belval trascinato i una lontana terra. Dopo un anno e più restituito alla Francia, tornossene questi in Lione nella tasa di M. Nicolle suo zio, dal quale era stato allevato; ma vi tornò con l’ animo e col cuore pieni sempre del- l’immagine della pietosa sua liberatrice. Micolle privo di suc- cessione e amando teneramente il nipote, e volendone divertir l’ani- mo dalla forte passione da cui è preoccapatò, gli propone in isposa Eufrosina nipote di sua moglie. Resiste Belval per lungo tempo, ina finalmente cede alle circostànze della famiglia, alle brame, al voler dello zio, all’impalso de’ parenti, e, suo malgrado, aderisce al trattato. Quì comincia l' azione scenica: e il racconto degli an- tecedenti con modo nuovo è originale affatto, si fa per mezzo d' al- cuni disegni che rappresentano quanto È necessario a sapersi da- gli spettatori, e che Belval va spiegando a’ suoi parenti. Alessina intanto, divenuta per la morte del padre signora di sè e ricchissima; lasciata la Russia, viene con un suo cameriere a Lione in abito virile per far ricerca del suo amante e per offerirgli la mano. Fra le varie commendatizie una ne reca a Micolle, chiede quindi del- l’ amico : ingannata dal nome lo crede estinto. Peraltro BelvaZ non tarda a farsi vedere. Ma la gioia e il tehero commovimento a cui si abbandonano i due amanti al primo incontro, son ben presto co vertiti in amarissimo duolo all’ apparir d' Eufrosina cui dee Belval condurre all’ altare. S'inasprisce maggiorine@te la russa zittella nel riconoscere che questi avea mentito nome e natali. La scoperta del- 79 ’ amante, e tutti gli accidenti che ne derivano, e con cui termina }” atto quarto , sono d'un mirabile effetto drammatico. Nell’ atto quinto M. Nicolle giustifica la condotta del nipote. Si scopre che Eufrosina ama Guglielmo giovane onesto sì ma di scarse facoltà : e la generosa Alessina fa a questo un conveniente assegnamenta , facilita l’ unione de’ due amanti, perdona il lieve errore di Belval , e gli dà la mano. Non vi è scena che languisca un solo {istante in tutta la commedia, Ja quale viene di quando in quando, e molta opportanamente rallegrata da un personaggio origiaa (isa M. Sassò ) uomo che in ogni mapiera di negozii e di cose è Iepaainna tissimo degl’ indug], il che dà movimento all’azione ed è cagione di punti scenici animatissimi. E. Notizie della vita di Aodsiarizd GuIRL4NDA, pittore del secolo XVI. Scritte da Canzo Freprans. Massa 1828, Stamperia Ducale, in 8 Pochi fra i lettori di sì fatti opuscoli sono in grado di ri- conoscere di quanta utilità, per la storia in generale e partico- larme pte per le arti, siano le memorie che vengono poste alla lace dopo essere state celate per tanti anni fra la polvere degli archivi. ‘Pochissimi riconoscono la noia e la fatica, che riuniti a pazienza e perseveranza esemplari hanno accompagnato |’ auto- re, nel raccogliere in un corpo cotali sparse memorie. Di più un titolo mvdesto cuopre un’ abbondante messe di eradizioni stori- che. Però siamo in dovere di avvertire il pubblico, essere questo libretto piccolo di mole, ma grande per le nuove notizie che con- tiene, non solo del Ghirlanda, ma di altri uomini celebri del tem- po; e lodiamo molto lo scopo del sig. Frediani di contribuire quanto più può ad arricchire e completare la storia patria. Ci faremo anzi lecito di pregare coloro che sono in caso d’ imitarlo, a volere seguire le, sue orme: essendo persuasi che non solo le grandi città, ma anche ogni piccolo luogo della nostra bella contrada, cela memorie interessantissime a schiarimento della storia preziosa degli uomini illustri. L. M. 80 Storia della Letteratura Italiana di P. L. Givevent , membro dell’Istituto di Francia , ec. Trad. del prof. B. Perorrr con note ed illustrazioni. Ed. rivista sull’originale francese. Firen- ze, 1827. Tip. Daddi. Avremmo dovuto , anche prima d' ora, annanciare che è giunta al suo compimento questa bella e nitida ristampa ; e far plauso ai fiorentini editori della medesima, i quali, tratti ‘da’ puri e generosi motivi, hanno collegato, per eseguirla migliore delle precedenti , spese non lievi, e cure diligentissime, Tocca 1° Italia a renderne loro il meritato cambio» E questo intendiamo che debba essere una ami- ca accoglienza, wna diffusa lettara di tale opera per tanti titoli com- mendevolissima , e degna d’ entrare nella biblioteca d’ogni cutta e gentile persona. Sono jin essa pure dei difetti : ma il buono e l’utile superano di lunga-mano:; ma non-iè sorto finora tra noi chi ab. bia spiegata in così bel campo la pompa delle nostre lettere; e ciò con parì amore, giadizio, buon gusto, fiolesofia, Perchè mai queste doti si veggano più eminentemente risplendere nei forestieri, che appli- cano l ingegno all’ esame dell? Italiana Filologia, non è facile proble+ ma a risolversi. Ma il fatto ci sembra vero. A chi lo contrasti fac= ciamo preghiera di leggere negli atti dell’ Accademia di Berlino ( an- ni 1784, 1786. ) le due classiche serittare del sig. Mérian, sopra Dante l’una, sopra il Petrarca | altra. Confidiamo che tale lettara debba convertirlo alla nostra opinione. L. B. Viaggio per l’alta Italia del ser. principe di Toscana poi gran- duca Cosimo ITI scritto da Ficrpro Pizzicai. Firenze , Magheri 1828. in 8.° E’ un po’ difficile provar simpatia per questo Cosimo, il quale introdusse a Boboli molti bei fiori, arriechì il Gabinetto fisico di molte rarità naturali, ec. ec., ma fece scappar di Toscana chi sa quanti brav uomini, la impoverì, la intristi, e quasi vi spense af- fatto l’avtico spirito, Quindi è pur difficile partecipare allo sde- gno dell'editore del viaggio ( il nostro erudito Moreni ) contro quelle ch’eì chiama pevve scioperate e maldicenti de’ tempi no- stri ( Galluzzi, mi figuro, Lastri, Pignotti, Sismondi) da cui gli pare che il principe sia indegnamente trattato. Le penne un po’ franche de’tempi, in cui egli visse, non lo trattarono meglio. E, quando mancassero altri riscontri, al distico del Salvini pel suo 81 ritratto, e ad altre simili officiosità citate dall’editore, basterebbe opporre la pittura del suo regno ch'è nelle satire del Menzini; Juvenal aussi rend témoignage. Chi, lasciando i suoi dritti alla storia, si limitasse a dire che Cosimo sarebbe stato men funesto al proprio paese, se fosse stato meno infelice , troverebbe forse chi si accorderebbe facilmente: a tale sentenza. La prima grande infelicità di questo principe. ( dopo quella, già s’ intende, delle sue naturali disposizioni ) fu d’essere per riguardi domestici abbandonato all’ educazione d’una madre, con cui uno de’ più buoni e brav' uomini, come il padre suo, non potea vivere. Gli effetti di tale educazione resero ancor più grande l’altra sua infelicità d'essere maritato a tal donna ; ch’a- vea pur d’uopo , se così posso esprimermi , di trovare in lui. il genio stesso dell’ amabilità, per non diventare ben presto la sua furia tormentatrice. Due anni d’ unione con essa bastarono, com’è noto, perchè la separazione sì rendesse inevitabile. A_palliarla in qualche modo agli occhi del publico, il quale per avversione a Cosimo non vedeva nella sua sposa che una vittima, o a scemarne per que- sto principe la pena, fu ideato il viaggio, che il Pizzichi ha descritto, e che, dopo momentanea riconciliazione, fu poi seguito da altri per l'Olanda, la Germania, la Spagna, l’ Inghilterra, la Francia, i quali ebbero altri descrittori. Questo viaggio ( da Firenze a Venezia per Bologna e Fer- rara, da Venezia a Milano per Padova, Vicenza, Verona, Man- tova e Brescia, e da Milano a casa per Parma, Modena e di nuovo Bologna ) ha, malgrado le feste di cui è pieno, un non- sochè di grave e di monotono, che non lascia dubitare un istante del carattere e dello stato d’ animo del viaggiatore. Quand’ egli visitò l'Olanda, fosse capriccio, fosse influenza del paese, fosse condi - scendenza a qualche parola del padre,illuminatissimo e popolarissimo fra i principi, fosse ripugnanza per que’ borgomastri datigli per ciamberlani , ricusò ogni corteggio, e volle esser accompagna- to così alla buona ora dall’ erudito Daniele Einsio, ora dallo stampatore Pietro Bleau. In Italia, già tutta molto bene inspagno- lata , stette sempre in contegno ; non visse che fra cavalieri e dame (chè dame erano pure, come il Pizzichi ha cura di notare, quelle 100 madri di non so che monastero di Venezia , vestite leggiadrissimamente e quasi da ninfe, da cuì ricevette particolari onori; dame quelle altre 120 d'altro monastero di Mi'ano, peritissime nella musica, fra le quali udì cantare con tanta grazia le più belle T. XXXII. Dicembre. II 82 ariette di teatro; dame quell’altre 126 d’altro monastero di Man.. tova, sulla cui porta tenne la più Junga fra le conversazioni clau- ‘strali di cui molto si dilettava ec, ec. ); insomma si condusse ia modo da far contenta la dignitosa sua madre, e provar ch’ era de- gno d’ una sposa, allevata, cam’è noto, pel trono allora più maestoso della terra. Il nome di questa sposa non fa probabilmente da luj pronunciato pna sola volta per via; ma il pensiero del suo odio e del suo disprezzo gli stava pur sempre, come può ar= gomentarsi , molto fitto in cuore, nè in mezzo alle tante feste , con coi per tutto era gccolto, quasi gli permetteva che un pia- cere di vanità. | Le feste, che gli diedero i Veneziani, sebben egli viaggiasse incognito, furono quali si convenivano al figlio d’an alleato, con cui aveano molti interessi comuni, e il discendente d’ una fami- glia verso di loro assai benemerita. Quelle dategli in Milano furono quai poteva aspettarsele l’erede d’un regnante, cui vec- chi trattati ‘obbligavano a sostenere il dominio spagnuolo nel ducato che si denomina da quella capitale, e il pronipote del decano del sacro collegio incaricato della protezione degli affari di Spagna. Le più cordiali e delicate furono quelle detegli in Mantova dai Gonzaghi, assistiti, credo, pocanzi da suo padre nella guerra della successione, e il cui gusto ereditario era molto conforme al gusto mediceo. Un saggio , per così dire, di si- mili feste lo avea pocanzi avuto al Catajo , villa del marchese Obizzi, il quale ve lo condasse dalla vicina Padova. In Bolo- gna , al ritorno, gli fa riserbato il divertimento più lusinghie- ro di tutto il viaggio, ana mascherata che fecero per lui non so che accademici, e nella quale simboleggiarono le arti e le scienze protette da casa Medici. L’ ammirazione e la gratitudine per sì nobile protettorato ebbero sicuramente gran parte negli omaggi ch'ei ricevette da valentuomini in questo e più ancora ne’viaggi successivi , come le dediche fattegli dal Grevio e dall’Hobbes d’ alcuni loro. libri ec., d'onde |’ editore cava argomento di trattar da malevolo chi dubita un poco del merito personale del principe. Come questi non era affatto privo d’jngegno, non potea nemmeno in una casa come la sua rimanere affatto privo d’ istruzione. Affidato, benchè un po’ tardi, a Carlo Dati, il Varrone de’ suoi tempi, ei prese tanta cognizione di lettere da non trovarsi cogli eraditi d’ Olanda costretto a serbar le parti di semplice ascoltatore. Fra un padre come Ferdinando secondo , e uno zio come il principe poi cardinal Leopoldo, i quali viveano familiarmente e lavora» 83 vano spesso col Torricelli, il Redi, il Viviani, egli avea dovuto avere tali saggi di naturali esperienze da poter pui assistere ron. immerito oculo a quelle dello Swamerdamio che 1° editore ci rammenta. Come avvenne però , s’ ei non era assai degenere da’ suoi, che al suo giungere al trono i saggi si mostraforio tanto impauriti, e il Viviani credette di dover nascondere in una can- tina gli scritti di Galileo?... che morto ii card. Leopoldo , il ri- spetto alla cui persona lo obbligava a certo ‘rispetto verso le scienze; imortò il Redi, a cui deve l’onore d’aver favorita la bo- tanica e il Mi cheli, mentre d’altra parte vessava il Bellini; morto " qualch’altro degno uomo della corte paterna, per qualche riguar- do non allontanato dalla nuova, ei più non ascoltò che i nes mici della luce ( il Salvini n’ebbe qualche prova speciale ) è finì — coll’intimare minacciosamente ai professori di Pisa che non si di- partissero in nulla da Aristotele; con che intimò alla nuova filosofia di partirsene dalla Toscana, ove Ferdinando avea fondato il suo regno ? Queste cose veramente farebbero credere ciò che fu scritto da alcuni, che in que’ suoi viaggi d’ Bièremere e d’ oltremoiiti e i non si distinguesse alcun poco, che come eco del Magalotti e di qualch’ altro egregio uomo ch’erà con lui, Nel viaggio d’ Ita- lia, ove non aveva al fianco alcun genio ispiratore , non sem- bra punto ch’ei pensasse a' distinguersi, anzi par quasi che si as- tenesse dall’usar la favella. Il Pizzichi alineno in tutta la sua re- lazione hol fa parlare che una sola volta, mettendogli in bocca un verso molto spirituale ma non molto peeticà , pronanziato a certo giuoco de’ proverbi che usavano al rorso, aecostandosi ‘co’ loro cocchi, aleune dame di Vicenza piene di brio. Con gente, che ficesse professione di lettere o di scienze, mon weggo ch’ egli amas- se di trovarsi fuorchè in occasioni inevitabili. Fece le solite vi- site alle biblioteche, agli stadi pubblici , ec., parte obbligata delle solennità del suo viaggio. Privatamente e per proptio geni® &i non onorò di sua presenza che il museo d’ un prelato milanese , Manfredo Settala, e la conchiusione d’ana damigella reggiana, Ve- ronica Maleguzzi, la qual difese teologia tomistica e scotistica” è pes soprappiù filosofia scolastica nel linguaggio sacro delle stuole cioè in buoni sillogismi latini, che in tal bocta doveano pur essere anche allora una cosa curiosa, dì a Venezia tre avvocati di collegio, e ne ammirò la facondia; ma nè a Venezia nè altrove si tr&tténne con uomini che, gli potessero fornir lumi sul governo politico o civile. Vi- sitò varie celebri mabifatture, e in qualcuna par che si divertisse, in qual ch’ altra che prestasse a ciò che vedeva particolare attenzio- 84 né; ma non leggo ch’ ei s’affiatasse co’ manifattori , o cercasse di raetoglierne notizie che gli fossero di qualche uso. Visitò un gran numero di luoghi adorni dell’ opere più insigni dell’arti; ma non. pare che mostrasse per l’ arti stesse alcun vero trasporto, chè altri- menti fra tanti doni (di commestibili la più parte) ch’ei ricevette per via; si troverebbe qualche tela d'pinta o qualche disegno; nè che molto carezzasse gli artisti, giacché , tranne la giovane Sirani ; da coi fu condotto la prima volta che passò per Bologna, e il vecchio Guer- cino, di cui gli fu mostrato lo studio passandovi la seconda, non ne vide alcuno. Il Pizzichi vorrebbe farci credere ch’ ei fosse molto intendente d’arti belle e di pittura in ispecie, che in seguito protesse, come pro- tesse la poesia o piuttosto l’ arte de’ versi, anch’ essa facile ministra di lusirghe o strumento di fasto. Io crederò, poichè il Redi lo dice, e la relazione del viaggio lo comprova, che ne fosse assai inten- dente il Pizzichi medesimo; il quale doveva pur intendersi dell’ar- te dello scrivere, poichè questa relazione, dettata com'è currenti calamo e a modo di giornale, può stare fra le buone scritture to- scane del suo tempo. Ciò ch’egli dice dell’ opere d’ arte, vedute in compagnia del principe, è la maggior parte del libro ; e quella in cui l’ editore, amantissimo della patria, dovette maggiormente compiacersi , poichè in fatto d° arti specialmente fu vero per più secoli ciò che diceva papa Bonifazio , che i Fiorentini erano il quinto elemento. Ad essa in ispecie l'editore ha aggianto un am- pio commento, ove si trovano molte particolarità fornite dalle gui- de più recenti , e si trattano per incidlenza interessanti questioni , a cui talvolta danno luogo peregrine notizie, Trovandosi Cosimo in Verona fu un giorno a visitare la gallt— ria Curtoni, di cui pochi forse hanno udito parlare, ma che stando alla relaziune del Pizzichi doveva essere e sarebbe tuttavia, se ancora esistesse, una delle più mirabili del mondo, poichè fra un gran nu- mero di quadri scelti ne conteneva dodici di ‘Tiziano, cinque del Coreggio, otto del Bassano, dieci di Raffaello, vari di Paolo, wari del Tintoretto, alcuni di Leonardo, e diversi del Caravaggio, del Par- migiano, d’ Andrea, di Rabens, e dae bellissimi del Buonarroti. ‘ La pittura, però, più ragguardevole di tutte, dice il Pizzichi, è la dama di Raffaello di sua mano finita con tanta diligenza, e così ben conservata, che supera di gran lunga tutte l’ altre ,,. La dama di Raffaello, secondo che ciascuno interpreta, non può si- gnificare che la sua bella Fornarina.Il Vasari avea detto formalmente che il ritratto di questa era ‘a’suoi giorni in Firenze presso Matteo Botti, il qual la teneva come reliquia ec. ec. Quindi il cav. Puccini, 95 avendo sentito due secoli dopo parlar dal Galluzzi d’ un documento, per cui si scopriva che il figlio di Matteo ; fatto guardaroba di Cosimo I, lasciò morendo al sèo signore metà della propria st- pellettile , non dubitò che la bella donna, dipinta da Raffaello , la quale è oggi nella tribuna della nostra galleria, non fosse quella stessa di cui scriveva il Vasari. La sua opinione, espressa in una lettera , che l’ editor del viaggio riporta, fu accolta da molti con piena fidacia, ma fu pure da altri seriamente impugnata . Alla bella donna della nostra tribuna si oppose quella non meno leg- giadra della galleria de’ Barberini di Roma, i quali, come s’ espri- me l’editore, potrebbero averla aquistata qui dalla casa Botti quando non aveano ancora affatto spatriato. Che la bella donna di casa Botti non passasse nella galleria granducale nè al tempo che il Puccini ha supposto , nè per lungo tratto appresso, già poteva accertarsi ; dice l’ editor medesimo ; colla testimonianza del Bocchi nelle sue Bellezze di Firenze, stampate la prima volta nel 1591; diciasett’an- ni ticè dopo la morte di Cosimo I, e poi ristampate nel 1677 con note del Cinelli. E’ da notarsi intanto che nè il Bocchi nè il Cinelli, parlando di questa donna, dipinta da Ruffuetlo , la chiamano col . l’appellativo di Fornarina, o coll’antonomistico di sua dama. Ora ciò che leggiamo nella relazione del Pizzichi dell’altra donna della galleria Curtoni, passata poi in casa Lafranchini*{ | editore ce ne presenta il disegno ) parrebbe non salo confermare che fino al 1664 (epoca del primo viaggio di Cosimo IIl ) in casa Medici non vi fu Fornarina, ma che neppur. credevasi che fosse in Firenze. Nuovi documenti faranno forse decidere col tempo a quale delle tre donne si convenga propriamente il nome che oggi loro si dà a gara; chè qui non basta dire alla più bella. Il Puccini potria benissimo aver colto nel segno, ed io ne sarei assai lieto. E’ però verissimo ch'egli ha usa- to d’una logica poco rigorosa (di quella logica Ja quale ordinariamente è suggerita dal desiderio) affrettandosi a conchiadere dal discorso del Galluzzi ciò che non si poteva. Questi non gli parlò d'un documento in cui si asserisse che la donna di casa Botti fosse passata in casa Medici, ma da cui soltanto ciò poteva argomentarsi con qualche probabilità. Che questo documenfo, che il Puccini non vide, esista realmente, o sia, come crede l’ editore del viaggio, una favola del Galluzzi, io non posso accertarlo. Suppostolo però una favola (detta per avventura in aria di scherzo, e presa sal serio dal buon Paccini che aveva interesse a prestarle fede) non veggo come pos- sa trarsene argomento per sospettare la poca lealtà del Galluzzi nella soa storia in generale e in quel che riguarda Cosimo III in particolare. 86 Una gran tenerezza pei Medici, la cui causa setnbra all’edi> tore del viaggio la causa stessa della patria, lo ha portato a pre- diligere anche questo Cosimo, che ‘fù alla patria così fatale , e ad adirarsi contro il Galluzzi e quanti strissero altrimenti che i suoi panegiristi ch’ei cita. Ed io per rispetto ad un sentimento ché nell’ animo dell’ editore si confonde coll’ amor patrio , volentieri mi sarei astenuto dal contradirgli. Ma d°’ altrà parte mi parea pure ( per non dir nulla de’diritti del vero ) che dovesse esser fatta giu= stizia a scrittori benemeriti, ch’egli, dopo averli tacciati di sciopera- tezza e di maldicenza, chiama venduti all’adulazione e alla menzogna, Venduti all’ attulazione gli stotici severi del terzo Cosimo 2 Questa frase è veramente singolare. Volendo cercarle unsignificato, non pare che se non possa trovar altro, se non che, biasimando Cosimo; vol- lero indirettamente lodare quelli che più tatdlo fecero il rovescio di quel principe , cioè tercirono di rimediare ai mali da lui opera- ti. Ora d’un simil genere d’ adulazione credo che oghi saggio potrebbe sempre gloriarsi. Chi oggi in fatti, parlando degli in. comportabili tributi onde Cosiinò aggravò i soggetti pel comodo proprio, non si compiacerebbe di lodare indirettamente l’ ottimo principe, che non ha cuore d’imporne nemmen di leggieri pel comodo pubblico, siccome vediamo nell’ immortale motuproprio, che richia- ma a nuova vita le dasulate maremme? Certo the per lodaré cose anche providissime sarebbe assai peggio che menzogna l’attribuirne di contrarie a chi non le ha comiesse. Questo pet altro non è il caso degli crittori, di cui si parla, è ai quali non so s# l’editore itt-. tenda di contrapporre anche il Pizzichi, siccome ha contrapposto il Salvini e qualch’ altro. Gli ultimi anni del regno di Cosimo finirono di scoprire questo principe; ma essi già sono accennati ne’ primi; e forse tra il famoso gazgettino del Gigli e la relazione del viaggio fatta dal Pizzichi vi è meno differenza che non sì crederebbe. li Pizzichi, siccome apparisce da varie, testimopiatize recate dall’ editore, era uomo assai accorto. Scrisse per piacere al principe e più di tatto alla granduchessa madre, a cui dedicò la sua rela- zione qual monumento di gloria per lei e pel figlio. Malgrado però quest’ intenzion di piacere , gli sfuggirono qua e là alcune frasuc- ce , che non doveano piacere menomamevte, e che ben considerate sembrano indicare in lui una segreta inclinazione a beffarsi dell’ uo- mo, ogni moto del quale è da lui descritto con tanta gravità. Questo forse fu uno de’motivi, per cui la relazione quantunque scritta pet esser data in luce, come apparisce dalla dedicatoria, nol fosse poi mai. Un altro motivo sarà stato il buon senno di Ferdinando, meno inclinato d’ ogn’ altro a trovar gloriosi i modi d’ un figlio, che anè 87 che secondo le idee del tempo ngn avea di glorioso che la ma- guificenza, degenerata poi come ognun sa in ‘fasto smodato e in prodigalità irragionevoli, che costarono al popolo toscano soffe- renze infinite. Comunque sia di ciò, la relazione del Pizzichi messa da parte fu poi col tempo quasi obliata, e forse 1’ autografo n'è di- strutto o smarrito. L’ editore l’ha pobblicata sopra una copia ma- noscritta , non correttissima , ch’ egli possiede, tenuta a riscontro d'altra della Magliabechiana, anch'essa, com’egli dice, non troppo corretta . Senza dare a questa relazione grandissima importanza per le notizie che racchiude ( benchè ne racchiude di curiosissi- me) si può ancora chiamarla preziosa pel suo colorito, veramente caratteristico del soggetto, e saperne assai grado all’editore. Se ad essa ei vorrà aggiugnere le relazioni dei viaggi susseguenti, scritte, come credesi, dal marchese Filippo Corsini colla cooperazione del Magalotti, e tuttora inedite nella Laurenziana, benchè già tradotte in inglese, renderà un vero servigio alla letteratura. M. Inno a Venere Urania di Viwcenzo Encore Emizrani. Forlì, Bordandini, 1828, in 8.° Versi leggiadri , ma che ricordano forse troppo spesso altri versi moderni assai divulgati. La parte episodica » m’edbe i Mes- sapio mar; e |’ altra sulle piagge Partenopee, le rovine d’ Ercolano ec., che termina sì grandiosamente insieme e sì malinconicamente: e piansi — le ruine de’ secoli futuri, mostrano, parmi, ciò che possa il giovane autore, quando anch’ egli si volga a cantare il ve ro, dando tregua a’versi mitologici. M. I Fanciulli o ì loro caratteri di miss Epcrworra, prima trad. ital. Firenze, Magheri 1828 in 12° Quanto è difficile il far de' libri per i fancialli! Le donne vi sembrano particolarmente adattate, e fra le donne, che hanno il vanto di meglio riuscirvi, è certamente miss Edgeworth. Alcuni de'saoi libri, pieni di una dolce morale e d’ una graziosa imma- ginazione, erano già stati tradotti nella nostra lingua. I caratteri de’ fanciulli ( libro consecrato più particolarmente degli altri al- l'istraziove della prima età) ancor non lo erano, forse perchè parve assai difficile il serbar loro, traducendoli, quella veste sì semplice e insieme sì vaga che hanno nell’ originale. Un uomo di lettere, 88 sh volendo aderire. alle istanze d’un amico, vi si è provato ; e come la sua fatica è stata trovata molto opportuna da aleunì eda- catori e padri di famiglia, l’amico se ne è fatto editore, pubbli- candola qual primo saggio d’ una biblioteca scelta d’educazione. Ei la intitola con fiducia ai genitori amorosi e a’ figlioletti loro tenera cura, mentre ne fa omaggio a miss E.lgeworih, per mezzo d’una graziosa incisione esegaita sul disegno del giovane Sabatelli e posta innanzi al frontespizio. Essa rappresenta il basto della benemerita inglese coronato da alcune fanciulle, a cui sede vicina la loro istitatrice. Possa qualche nostra italiana meritar presto un simile tributo di riconoscenza ! M. L’ imp. e real Palazzo Pitti descritto dal cav. Frawcesco Incar- _ rami. Poligrafia Fiesolana 1828 in 8.° Non tatte le Guide di Firenze contengono una descrizione par- ticolareggiata del Palazzo Pitti, ch’ è parte sì mirabile d° una città, la qual può dirsi nn tempio dell’arti; e nessuna delle descrizioni più particolareggiate è certo da paragonarsi a questa nuova che ne ha fatta il cav. Inghirami. In essa voi avete per così dire la storia d’ ogni parte del palazzo medesimo fino a' nostri giorni ; e questa storia, la quel ridesta tante e sì diverse memorie, ciascun vede quanto debba riescire interessante. Che se amate e studiate le arti, voi trovate in essa una specie di scuola, non solo per |’ esat - tezza delle notizie, e la bontà de’ giudizi, che vi sono frammisti , ma altresì per la cora che l'autore si è data d’ indicarvi, poten- do, l’età e la patria degli artefici, di cui nel palazzo da lui de- seritto si ammirano l’opere, sicchè tenendo il suo libro a fronte dell’ opere medesime, voi comprendete le vicende del gusto. . M, Osservazioni sull’ Italia riguardanti principalmente le belle arti. Opera postuma di Grovawwni Bert, trasportata dalla lingua in- glese nella italiana , con note del truduttore. Siena, dai torchi di P. Rossi 1828, 8.° Delle Osservazioni sull’ Italia di Gio. Bell pubblicate dalla amorevole sua veduva correndo l’anno 1815, già ne rendem mo conto nel quaderno 67 di questo istesso giornale (luglio 1826 pag. 23-37) Parlammo allora dei tanti pregi di quest’ opera veramente egregia, e da’ lievi errori, anacronismi ec, occorsi nella edizione : ed oggi ci 89 è cosa veramente grata potere annunziare , come , {per cura pari- menti dell’ ottima vedova dell?illustre autore) così beli’opera venve poco tempo fà fedelmente voltata nella nostra lingua, e ripurgata di quasi ogni sua pecca a somma utilità di tatti quegl’ italiani , i quali non appresero l’ idioma inglese, massime poi di coloro che amano, coltivano e professano le belle arti. E” la traduziòne corredata ezian- dio di alcune pregevolissime note del traduttore e della editrice ; ma non sappiamo lodare che siasi colta opportunità di svelarci in due di quelle tatto l’ orrore del supplizio della ruota, sempre dovendosi, direm con Tacito nella sua Germania, nascondere i vituperi (flagitia abscondi) e non palesare: P. C. Visitatore del povero, del Barone Dx GrraRDO; opera premiata dall’ accad. di Lione ec. Prima trad. italiana del Conte Fox- cuino ScHIZZI ; €C. ( ved. bull. bibliogr. ) Eravamo ansiosi di poter annunziare al pubblico quest’ opera importante, alla traduzione della quale sapevamo che si stava lavo- rando; la lettera quì appresso, che riceviamo dal nostro buon amico sig. Lambraschini, giustifica la nostra premura. € Ricevo in questo momento i due volumi che avete avuto la bontà di trasmettermi, della traduzione che il benemerito sig. Conte Schizzi ha fatta, del Visiteur du pauvre del sig. De Gerando. Oh come gioisco che l’ Italia abbia acquistato quest’ opera ispirata dalla sapienza e dalla carità. Io vi domando fin d'ora alcane pagine della vostra Antologia per render conto di questo libro prezioso , a cui il valente traduttore ha saputo aggiungere nuovi pregi. Pussano tutti conoscerlo, e tutti possederlo. Egliè il manuale dell’ uomo dabbene ,,. Credetemi V. Affezionatis. Amico R. LAMBRUSCHINI. T. XXXII. Dicembre. 13 VARIETÀ. PITTURA A FRESCO. — Lettera al Direttore dell’ Antologia. Sebbene io non sia un professore di belle arti, voi sapete con quanta passione io le ami, e quindi non vi debbe recar meraviglia se mi mossi dàlla mia patria espressamente invitato a fare un viag- gio in Toseana dalla celebrità dei dipinti eseguiti al vostro palazzo dei Pitti, e alla Villa dell’Imperiale da’ spmmi artisti fiorentini. Alla vista dei quali dipinti io rimasi così colpito di ammirazione, che non potei trattenermi dal considerare codesta città non secon- da a verun'altra in cui abbia fiorito e fiorisca tuttavia l’ arte pit- torica. E di cio darà nuovo documepto la grandiosa. dipiotore af- fidata al cav. Benvenuti a fine di ornare la cupola della così detta cappella de’ principi in S. Lorenzo. NEO Non mi fa però benigna la fortuna come avrei desiderato; nè mi riuscì vedere nè i bozzetti, nè i cartoni di quell’ insigne lavo- ro: ma per quel che bo sentito dagli artisti, e dagl’ intendenti, l’opera risponderà pienamente all' aspettativa ed al merito del- l’ abilissimo artista, e sarà certamente un nuovo motivo perché a suo tempo io mi riconduca a Firenze, Dopo il mio soggiorno in codesta Metropoli, cegsati un poco gli eccessivi calori dell’ estate, mi restituii alla patria, e volli scri- vervi la presente per testimonio dell’ affetto che porto alla bella e felice Toscana. Era ben ragioneyole che nel mio soggiorno costà io mi com- piacessi a rivedere quei capo lavori, specialmente a fresco , degli artisti del buon tempo passato , dei quali è copiosamente adorna la città, e che pubblicamente sono esposti per le contrade e. per le piazze. Ma dopo più di trent’ anni che io non era stato a Fi- renze, trovai molte di quelle dipinture a fresea degradate e anco affatto deperite, perchè esposte all’intemperie dell’atmosfera, o per avervi trascurata buona gustadia o conveniente ed opportuno re- stauro. Ma quello che più m’ afflisse ’ animo, e che mi fa temere per le dipinture superstiti,"fu il vedere che alle offese indotte dal. l' intemperie, dall’età, e dalla negligenza ad averne cura, a'danni di quei dipinti erasi ancora talvolta aggiunta la distruggitrice ma- no dell’ uomo. Il famosissimo capo-lavoro di Giovanni da S. Giovanni, di- piuto a fresco nella facciata d’ una modesta casetta di contro alla 1 porta romana , trenta o quaranta anni fa era ben altra sn che non è al presente, e certo era tale che avrebbe meritato d’ essere - accuratamente difeso e anzi restaurato da abile artista. Che se alcu- ne figure in tutto o in parte rhaticavano, potevano esservi supplite mediante la stampa che serve di frontespizid alle vedate di Firenze pubblitate dal Gerini, e che fu iticisa è data iti lace in tempi; iti cui quel dipinto era nella sua integrità, Altro a fresco, sebbene di merito secondo a quello qui. men- tovato, mi sembrerebbe che meritasse restauro ; ed è quello che adorna la factiata di una casa posta sulla piazza di $. Croce: Senza numero poi sono altre pitture, e tabernacoli cbe s’ incontranò per le vie di Firenze, cominciando da_Giotto e steridendo a grado 4 grado sino agli ultimi tempi in cui là pittura si mantenne iu fiore in Firenze. Cosa dirò dei dodici dipinti in chiaréscuro del cortile dello scal- zo, opera veramente imaravigliosa d'Andrea del Sarto? cosa di tante altre celebri dipinture che ho trovate se non affatto deperite, in peggiore stato di quando le vidi altra volta? E mi fece meraviglia è dolbfe grandissimo il vederè perdersi tanti preèiosi monamenti dell’ arte in Firenze, ove abbondano dirò così ottimi artisti 4’quali si potrebbe commettere il rinfrescarli, E mi godè |’ animo quando recatomi a rivedere l’ a fresco di Giovanni Manzuoli , chè serve di tavola ad an altare della chiesa di S. Felice, meritevole di diligente ripulitura e di qualche ritocco, un inserviente della chiesa tiii disse che era mente d’ alcuno di farlo tipulire e ristaurare. Mi fece pure piacere |’ aver sentito che un bel tabernacolo sulla piazza del Carmine; dipinto sopra una parete del soppresso convento di S. Monica, verrebbe probabilmente restaurato per cura del possessore di quello stabile. Così io desidererei che tali disegni venissero mandati ad effetto e che servissero di/aprome ad altri per segiiire esempio così lodevole; giacché nom mancano nè le occa- -sion1, nè i soggetti, nè i pittori. In fatti nell’ oceasione d’aii secondo trasporto fatto tiel 1818 di una intera volta dipinta dal Rosselli, in conseguenza di nuovo fabbricato eseguito alla Villa dell’ Impe- riale, ebbi luoge di vedere una lunetta dipinta in quell’ occasione per accompagnare le altre lunette dipinte dal Rosselli; la quale io tion Avrei saputa distinguere èe non ne fossi stato avteftito , tanto quella emuiava le altre, Ma mi riempì l’ animo d' amarezza il vedere che anco la mano dell’ uomo aveva cospirato alla distrazione. Un tabernacolo di Do menico Venegiano sul canto de’ Carnesecchi, citato dal Vasati, fu per quel che udii raccontarmi disfatto due o tre anni sono. Una fac- 93 x ciata tutta dipinta sulla piazza di S. Spirito fu stonacata ed inbian- cata: cosicchè io mi’partii da Firenze coll’ animo veramente amareg- giato, e in preda alle più triste considerazioni; facendo voti perchè questi esempi fossero gli unici in avvenire. Passando di Pisa ragion voleva che per l’ oggetto del mio viaggio rivedessi il celebre Camposanto di quella città, per infrescar- mi la memoria delle opere che vi furono eseguite pel corso di quasi un secolo e mezzo da Giotto fino a BenozzoGozzoli. Ed ivi pure tro- vai infinito il guasto fattovi dal tempo e dall’ atmosfera, e rinno- vai i miei desideri ( se non per i restauri, che mi parvero cosa quasi impossibile } almeno per qualche compenso onde salvar quei dipinti da una ulteriore e prossima totale deperizione. Mi giunse però pia- cevolmente nuovo il vederlo arricchito d’ opere più darevoli dispo- ste con bell’ ordine, e ridotte ad una vera galleria di preziosi monu- menti di belle arti ‘per opera del conservatore cav. Carlo Lasinio. Frattanto mi fu detto che eransi eseguiti alcuni restauri ai fre- schi del coro del Duomo, il quale trovai chiaso pei lavori che tat- t’ ora vi s1 facevano; ma ciò non mi tolse che io potessi avervi 1° ac- cesso. Vidi con soddisfazione la maestria con cui fu eseguita la ri- pulitura e i restauri ai guasti sofferti; e sebbene fossero eseguiti su dipinti d'artisti di merito secondario, pure ammitai come erasi se- guito lo stile sì nel disegno che hel tolorito di quei pittori che vi avevano tla prima lavorato, e tanto più ebbi ragione di ammirare in quanto che molto vi era stato fatto di nuovo per supplire a ciò che vi mancava, venendomi detto che l’intonaco caduto, rifatto e dipioto di nuovo ascendeva a più di settecento braccia quadre. Il primo sen- timento che mi :orse nell’ animo fu di ammirazione e di stima. per la persona cui è affidato il governo economico di quell’ insigne edi - fizio, il quale mostra un vero amor patrio. Potei salire sul palco ove tuttavia restavano alcuni restauri da farsi al musaico e all’ arco della tribuna danneggiati singolarmente dall’incendìo del 1596 (1). Vidi da vicino quel gran musaico , al qua- le lavoraruno fra Iacopo da Turrita, Cimabue, Gaddo Gaddi, Fran- cesco da Pisa, il Vicino ed altri, restaurato in gran parte, essendo l’opera di quella chiesa ricca d’un assortimento copioso di vetri colorati per detto uso. Il già restaurato era ripulito e rawvivato in modo da sembrare uscito allora allora dalle mani dell’ artista. V’er (1) Vari pezzi del musaico erano staccati, e minacciavano di cadere; Lo stesso era di varie parti dell’ intonaco dipiuto nell'arco, dietro al quale si vide esser. penetrato il fumo per alcune fessure quasi impercettibili, 3 la bellezza dell’ esecuzione e del disegno è certamente uno delie Suni musalci. Ì Ma il'restauro più insigne fatto a questa basilica si è quello del 1” imbotte del grand’ arco della tribuna. Era questo decorato di sei gruppi d’ angioli in numero di 14. figure maggiori del.vero , dipinte da Domenico Ghirlandaio soprà un:campo.a scacchi d’oro, e;chiuso da un ornato e da una cornice di cui rimaneva qualche reliquia an- tica, secondo il disegno della quale l’ ornato è stato ridipinto. - Non tattii sei grappi esigevanougualristaaro; come vididaldist= gno che aveva prima fatto esegaire esattamente l’artista cui era stato affidato questo lavoro. Ma il da farsi era moltissimo, e singolarmente nelle parti più difficili, poichè vi mancavano sette teste , d’ alcuna delle quali si distingueva appena la mossa per mezzo di debolissime tracce : in altre sei o sette figare vi mancava la metà superiore o in- feriore, e totalmente ventiquattro estremità. fra mani e piedi ; ed un gruppo di tre figure mancava quasi totalmente , ed ‘eravi qua e là © molte più piccole scalcinatore d’an palmo o due di superficie. Trovai il sig. Antonio Marini, che è il pittore che ha intrapreso questo lavoro difficilissimo, il quale con somma urbanità e modestia mi accolse. Mi mostrò il disegno del dipinto quale era prima ch’ ei vi ponesse mano, e tutti gli studi tratti dal vero, da lui fatti per supplire a ciò che non esisteva. In quel tempo non gli rimaneva da dipingere che l’ estremità inferiori e una testa del gràppo più basso che è a destra, delle quali pure mi fece vedere gli studi: cosicchè io posso dire d’ aver vedata la sua opera compita, Conosciuto il mio amore per l’ arte, e specialmente. pei dipinti a fresco, mi pregò modestamente che io gli dicessi qualche cosa dell’ opera sua, ‘Egli stava allora dipibgendo alcuni pezzetti d° intonaco fresco ne’ pabneggiati di quel gruppo: il luogo ove doveva dipingere. la te- sta ei piedi non era neppure arricciato, e mi disse che aspettava a far |’ arriccio e l’intonaco nell’ istesso tempo per potere in ‘quella stagione dipingere sul fresco, giacchè in quella stagione si.asciugava troppo presto l'intonaco. Osservato il disegno da lui fatto eseguire di ciò che prima es'» ‘steva , vidi ciò che tuttavia gli restava a dipingere: e..confrontato quel che già esisteva con ciò che il sig. Marini aveva supplito non seppi trovare la più piccola differenza fra il nuovo e l'antico. Lo stile, la correzione del disegno, il colorito, la maniera di condurre e di finire, e perfino la superfice levigata deli’ intonaco era la stessa; cosicchè nel complesso quel dipinto pare o tutto antico, o tutto fat - to di nuovo. Avrei creduto che per accompagnare le nuove tinte colle «antiche avesse avuto bisogno di ripassare in qualche luogo il colore 94 anco sull’antico; se in due ore che mi trattetini a vede lavorare non avessi vedùto che egli scrupolosamente si limitava soltanto a rifare ciò che mancava , sènza passar per nientè il pennello sulla Vecchia dipintàra,srispettandonè sempre le più piccole parti, notan- doini che altrimenti facendo il colore sul vetehio non sarebbe stato così solido come nel buoa fresco. Io mi feci ardito a domandargli quali norme avesse egli avutè per avvicinarsi tanto al vecchio dipinto in ciò che egli viaveva sep» plito; ed egli mi fece singolarmente osservare sul disegno della di- piotara che esisteva, che nel gruppo di mezzo dalla parte sinistra vi erano due piccoli segni di mestura che indicavano essere ivi stato messo dell’ oro: mi aggiunse che. dalla figura litiedre dell’ uno, e ro- tonda dell’ altro, dopo avervi molto raminato sopra, suppose che l'uno fosse l’ estremità o ordo di una manica della veste della figura che vi mancava, l’altro il bottone dell’ altra. estremità della manica: e che si, confermò ifì questa supposizione. per avere veduto un piccolo pezzetto d’intonàco vecchio che accennava essere stato dicolor grigio; che gli diede indizio essere uno dei buffio sgonfi d’an gomito, sgonfi che si vedono pure ne’gomiti delle altre figufe, e che allora fece arricciare alla meglio il muro, e vi schiizzò con car- bone il pensiero delle dae braccia. Ma la vicinanza ove era necessa- rio porre i polsi delle mani, essendo, i suddetti segni vicinissimi fra loro; gli diede. moltò da pensare; e siccome la figura per accom- pagnar |’ altre doveva tenere. un istromento musicale, suppose che ella dovesse avere un flauto o tibia; e dietro questo. pensiero fete ii sto studio dal vero, che mi mostrò nuovamente e che. eseguì iti pittara, Mi disse poi che considerazioni di simil genere aveva fatté in tutto ciò che aveva dovuto supplire: e che questo fu quel che gli costò maggiore studio; oltre la difficoltà di condurre a buon fresco il colorito alla forza grandissima dell’ antico dipinto, e le tante prove per riuscire a dare all’ intonaco e al dipinto la levigatenta dell’ into- naco] vecchio, in modo che non si sentisse la più piccola asprezza non solo dei grani di sabbia, ma neppure dei tratti di colore lasciati dal pennello. Jo ho voluto scrivervi tatto ciò per sfogo del piacere che pros vai nel conoscere il sig. Marini, che mi espose tutto quel che io vi accenno colla modestia d’uno scolaretto, mentre ageva avanti gli occhî una sua opera da maestro. Voi so che lo conoscete, giacchè mi parlò di voi come uno di quelli che frequentano le vostre conversazioni. Congratulatevi seco lui; e salatatelo distintamente per mia parte, giacchè rammentandogli le cose che discorremmo nel nostro lungo 95 ‘eolloguio, spn certo che si ricorderà di me come del più minuto, sec- cante, ed importuno interrogatore. Voi. amatemi e credetemi inva- riabilmente Vostro ec. Genova 10 Settembre 1828. P. S. Sentii parlare in Pisa che forse avrebbe dovuto eseguire altri lavori di nuovo nello stesso Duomo. Se è vero mi farete piacere - dirmene qualche cosa più particolarizzata che potrete. Escavazione d'un Edifizio Romano presso Voorburgo. Estratto di lettera del prof. C. J. C. Rxuwens di Leyda. Egli è generalmente noto quanto le nazioni a noi circonvi- : cine, già da molti anni, s’occupino a rintracciare gli avanzi delle case antiche, tanto di romana, quanto d’ogn’ altra origine, le quali comecchè di tanta importanza siano per la conoscenza della storia dei più rimoti popoli, sona state primieramente trasandate dalla ferocia ed ignoranza de’secoli di mezzo, e poscia dietro l’aumenta della popolazione, o adoperate nell’ erezione di nuove città, o di- strutte per la coltivazione del terreno. In Alemagna sono state fatte, e si vanno ognor facendo dell'escavazioni a spese dei diffe- renti governi; cioè per l’Austria a Salsburgo; per la Prussia nelle vicinanze di Bonva ; e per il Governo di Neufid nei dintorni di quella città } alle quali cure non mavcano di cooperare coi loro lumi le molte società di dotti archeologi , fra le quali primeggia- no quelle di Taringia, di Sassonia, e di Westfalia. In Francia i prefetti sono incaricati, ognuno nel loro dipartimento , di racco- gliere notizie sulle antichità che possono nascondervisi, mentrechè nello stesso tempo i guwerni sì dipartimertali, che comunali pro- teggono ed incoraggiscono gli scavi degli antichi monumenti , come per esempio de’bagni dell’ Imperatore Giuliano a Parigi, della Maison Carrée a Nimes, ed altri. In Inghilterra i ricchi pos- sidenti fanno fare essi stessi nelle proprie terre delle ricerche ar- cheologiche, per cui da un secolo in qua , si è notabilmente ac- cresciuto l'interesse, mercè ancora le indefesse premurefe?lej dotte illastrazioni delle due società erette a tal fine, cioè quella degli Antiquari, e quella de’ Dilettanti. La numerosa, e quasi calcata popolazione del nostro paese , la sua pronta floridezza , ed in parte anche la natwra del suolo, vi hanno fatto sparire, specialmente nell’ Olanda meridionale” settentrionale, quasi tutte le traccie dei primitivi suoi abitatori. La terra di Arentsburgo presso Voorburgo, essa sola sein: 96 Rie, brava. contenere ancora degli avanzi de’ Romani non del tutto distratti. La sua alta situazione in paragone di altre circorvicine terre, il rinvenirvi romane antichità (fra le quali segnatamente nell’anno 1791, quella di una mano di bronzo appartenente ad una statua colossale, e descritta. con tanta premura dal sig. Van Wyn, ridestò l’ attenzione universale) scoperte che tuttavia con- .tinuando dimostravano che uno scavo nella precitata terra , non sarebbe riescito senza qualche esito. Venendo questa terra nel 1826, dopo d’essere stata per molti anni in solide mani, offerta a pubblica subasta; $. M, il Re benignamente permise che se ne facesse l'acquisto per lo stato.a fine di farvi delle ricerche ar- cheologiche, alle quali si diè tosto principio sotto la dpr del sottoscritto incaricato a ciò dalla Maestà Sua, Gli scavi sonosi effettuati nel corso di quest’ anno dal mese di giugno fino ad ora quasi sempre con numero considerevole di lavoranti:, ed il loro resultato, sia per l'istoria antica del paese, sia per la scienza dell’ antichità in generale, è già altrettanto instrut- tivo, quanto interessante. Sonosi scoperte le fondamenta di un esteso edilizio romano, le cui tracce, quantunque la” maggior parte siano tanto chiare, che si è potuto distiotamente scorgerne l’andamento,sono in taluni luoghi più, ed.in altri meno visibili, poiclaè awvi degli spazi in cui non vi sono che deboli segni che li distinguano dal terreno, essendo probabilmente in altri tempi già stati disotterati ; altri all’ oppo- sto offrono dei. pezzi di muro dell'altezza di circa un’ auna (2 braccia) dei Paesi Bassi. E cosa notoria che la terra di Arentsburgo ed il suo cir- condario hanno conservato il nome di Der Burg (anticamente paese d’alto castello ) e che questo era traversato da un comune sen- tiero che conduceva da Voorburgo a Ryswyh), e dilatavasi da levante a ponente. La parte principale dell’edificio già escavata giace rasente a quel sentiero, cioè verso tramontana trovansi i fondamenti più bassi sopra un terreno di sabbia bianca, e verso meriggio quelli più alti, quali giacenti sopra terra creta, sono stati trovati co- perti fino ad una certa altezza di carbone, di ceneri, di tegoli, e cocci, parte polverizzati , e parte in pezzi, d’ossa di animali, ed infine di conchiglia, di ostrichéè, ed altri frutti marini, Da questo lato meridionale si sono rinvenuti i sopraccenati così detti muri, e due appartameoti a qualche distanza l’uno dal - l’altro, che per la loro situazione più bassa di tutte le altre stan- ze, fanno conoscere essere state due cantine. E osservabile che en- 97 trambi queste dae cantine sieno provvedute di un pozzo; quella più: orientale ha il suo di forma quadrata entro le mura , ove il pozzo dell’ altra fabbricato sopra palafitte, ed in forma ovale, trovasi al di fuori pochi passi distante dal muro. La parte già descritta dell’escavazione, che fino ad ora è la- più considerabile, comprende un estensione dal nord al sud di circa 160 braccia , e dall’est all’ ovest di braccia 120. Quindi esaminando parzialmente il suolo più verso tramoutana per circa brac. 110, si è rinvenuto un altro pezzo alquanto esteso di pavimento; e circa braccia 140 più in là (.lo che forma insieme una distanza di braccia 250 dalle sopra descritte escavazioni ) si è scoperto il fondamento di un lungo muro , che estendendosi a levante e ponente prende tutta la larghezza di Arentsburgo (circa brac. 160 ). Fin qui apparisce che questo muro) ove non appartenesse ad altro edifizio, servisse di recinto a. quello di- sopra menzionato. Circa braccia 4o più verso il sud, cioè all'e- stremità orientale del supposto recinto, deve esservi stato un altro edifizio di minore estensione ( e forse collegato col recinto istesso ) i cui fondamenti sono quasi del tutto distrutti, e del quale nulla sin ora si è potuto rinvenire, se non che molti frammenti di colonne di una specie di pietra bianca calcaria, In quanto ai materiali in generale, questi consistono in una pietra detta di Germania, in tegoli, mattoni romani, ed in la- vagne per coprire i tetti, Fra i mattoni ed altre terre cotte, se ne sono trovati molti colla marca XXX legione, ed alcuni con quella della XXI e X legioni, e molti portano l’ inscri- zione Ex. Ger. Inf. cioè Esercito della Germania Inferiore, Da molti e grossissimi pezzi di calcinaccio trovativi si è potuto vedere che le muraglie erano colorite, e dipinte d’or- nati a fiori. Gli avanzi dei pavimenti sono di calcina mesco- lata di mattoni polverizzati; ma di quei pavimenti a mosaico, dei quali alcuni antichi scritti fanno menzione, non se-ne sono trovati nessuni. Le muraglie del già scavato edifizio essendo ro- vinate quasi fino ai fondamenti , non si è rinvenuto ancora al- cun grande oggetto d’arte, nè alcun arnese, o utensile do- mestico. Ciò non ostante sonosi scavati innumerevoli pezzi di quelle stoviglie fine romane a figure, conosciute sotto il no- me di terra sigillata, o di terrà samia, delle quali se ne sono potuti meltere insieme circa quaranta intieri vasi, e porne molti altri in stato da potervisi facilmente distinguere i disegni. Que- sti soli formanti un .assortimento intiero di vasi antichi, che T. XXXII. Dicembre. i 13 "98 non si trovan quasi mai se non molto danneggiati, offrono una bella ed ipstruttiva collezione di opere d’arte dei tempi degli Imperatori romani. Un’ altra raccolta delle medesime stoviglie forma una serie in numero 130 a 140 portando il nome dei pentolai. i 'l'anto numerosi sono poi i trovativi cocci di varie altre sorte di vasi di terra, che se ne contano più di 2000 fra fondi e manichi, e fra questi trovansi di quelle brocch= da vino, e da olio terminate al disotto in punta, che sono probabilmente le amphore , o dolia de’ Romani, talune delle quali portano il nome della fabbrica; altre un segno indicante fa loro misura. I frammenti di vetro, che pure non pochi vi si trovano, di- mostrano dalla loro figora essere stati vasi di mediocre gran. dezza. Gli arnesi ‘ed oggetti d’ ornamento consistono in bronzi, fra” quali è osservabile un cane da caccia sdraiato ; in oltre alcune fibbie, tre anelli, alcuni stili da scrivere, diverse chiavi di bronzo e ferro. In uno dei due pozzi nelle cantine si’ sono trovati due trepiedi di ferro, un scaldavivande, un gotto da bere, ed una pietra da dare il filo ai ferri; arme offensive, o difen- sive non se ne sono peranche rinvenute di sorta alcuna. D'inscrizioni altro fin ad ora nonsi è potuto scuoprire che frammenti, e queste sopra i pezzi di colonne, trovati vicino al sup- posto muro di recinto; un altro pezzo di pietra porta due lettere del medio evo , rassomiglianti alle gotiche. Quantanque il Nestore dei letterati olandesi abbia parlato di monete coniate sotto l’ imperatore Costantino, ed anche sotto Va- lentiniano, come ritrovate ad Arentsburgo, pure nella presente esca- vazione non se ne sono rinvenate delle posteriori a Massimino Pio. Nella cantina con il pozzo si è trovato un notabil numero di monete d’argento riunite insieme di quest’ultimo imperatore, come altresì dei suoi predecessori, cioè di Settimio Severo, di Caracalla, di Ales» sandro Severo, e di Giulia Mamea. Si è pure ritrovato in altro laogo dell’altre monete, ma in generale le medaglie che vi si sono tro- vate sparse, qua e là, sono di bronzo della prima e seconda gran. dezza, e dei primi imperatori. Si sono inoltre ritrovate due monete d’argento di tempi molto più recenti, una cioè di Giovanni I conte d’Olanda, e l’altra di Massimiliano e Filippo d’Austria , e così del XIII, e XV. secolo. Giudicando da quel che fino ad ora si è scoperta di questo edi- fizio romano , pare che esso più rassembri alle villè , o case di campagna de’romani in Inghilterra, delle quali diverse forono di- sotterrate e fattone il disegno pubblicato in raine ; ma che poco co- nosciute sono dalla maggior parte degli antiquari del continente. Non si riconosce in esso rassomiglianza alcuna col campo romano presso Nenvid, il cui disegno 'è stato poco fa nuovamente pubbli- cato dai signori Vorow e Handeshagen, ove i due edifizii di mezzo, non ancora intieramente conosciuti, non diano di una tale rassomi» glianza indizii più chiari. Nè può dirsi che il presente edifizio abbia alcun rapporto col Forte Romano alla bocca del Reno chiama- to la casa Ze Britten che ora inghiottito dal mare, era d’ altronde molto più piccolo del nostro, imperciocchéè ciò che di questo fino ad ora è stato rinvenuto, unitamente a tutto il terreno d’Arentsburgo, non deve formare che una piccola parte del romano edifizio, mentre i fondamenti proseguono sotto le terre adiacenti ad Arentsburgo. E’ da compiangersi che un fosso scavato nel 1771 lungo il sentiero di sopra citato, attraversando la terra d’Arentsburgo, passa pure per l’antica fabbrica, e così distruggendo i fondamenti, interrompe l’anione delle due parti alta e bassa, al che è cosa molto difficile poter rimediare in disegno. Si spera però che nel caso che l’escavazioni. si proseguano, si troveranno i mezzi per renderlo più chiaro. La Maestà Sua ha approvato, e benignamente concesso che la descrizione di questa interessante scoperta archeologica venisse pub- blicata con rami a spese dello stato. Intorno allo studio della pubblica economia in Sicilia. Lettera del sacerd. Gasraro GrassertINI al Direttore dell’ Antologia. Firenze 25 Settembre 18285 Se fu dolce cosa al mio animo dopo lunga peregrinazione per varie italiche città il fermare il piede e riposarmi su questo to- scano suolo, ove dalla nitidezza del cielo e dal ridente aspetto delle fiorite colline non son disformi l’ indole gentilissima ei soavi modi come la incantevole favella de’ felici suoi abitatori, dolcis= simo sopra ogni altra cosa mi fu il vedermi sott’ occhio al primo mio giungere un elogio della mia Sicilia , e de’ Siciliani ; e de’lo- devoli ed onorati sforzi di quelli tra essi che il vero amore del natìo suolo ripongono come è dovere nell’ istruirla e farla chiara de’ loro tranquilli ed utili studi. Elogio proturatoci solo da quello amor di scienza che tosto vi riscalda il petto in prò di coloro che la coltivano sian " da monti e da mari lungamenti discosti ; elogio non di st roci e di volgari lodi ma di fatti certi con- 100 gegnato e di urbanissimi modi condito. E di tale elogio e di tanta urbanità sono io lietissimo di potere per quanto è in me rendervi i più sinceri ringraziamenti a nome de? Siciliani tutti, mè mi sarà leggier vanto l’aver soddisfatto ad un sì nobile e ad un sì dolee dovere. So per altro che se a uno sterile suono di lode finisse il mio ringraziamento voi ne restereste mal pago e forse sdegnoso , onde al mio ringraziamento pensai aggiungere cosa che tendesse a confermare ciò che da voi in quel numero gr. dell’ Antologia fu scritto ed asserito, poichè a colui che suda solo per promuovere il vero non fu più dolce lode che l’ ascoltar de’ fatti che confer- mano il vero da lui predicato. L’ economia politica che nelle università di Palermo e Ca- tania da pubblici professori si detta fu tra noi conosciuta fin dopo la metà dello scorso secolo, e il dotto ab. Scinà nel Prospetto della storia letteraria di Sicilia di quel secolo recentemente messo alla luce, ha benissimo co’fatti mostrato che i primi adoperaronsi per traspiantarla tra noi, e quali dottrine essi seguissero , e come mano mano da peregrina merce di dotti divenne di pubblica ra- gione. E di pubblica ragione può veramente oggi dirsi che in due cospicue città e da valenti professori se ne danno pubbliche le- zioni. Posso farvi fede di quella di Palermo in particolare essere ascoltata giornalmente da numeroso concorso di giovani che con avidità direi con entusiasmo vi assistono. Alcuno quasi non v” ha tra que’ moltissimi che in quella città si consacrano a’ studi di giurisprudenza che uno o più anni non ispenda nell’ economia politica ; que’ tanti che ivi son veramente molti i quali aspirano a un qualche impiego nelle amministrazioni civili vi sono spe- diti da’ loro genitori; molti ancora di tali impieghi non si con- cedono dal governo ottimo promotore di tali studi che a colui che in severo cimento avesse riportato la palma, e più di tale scienza si fosse mostrato istrutto tra i giovani contendenti; moltissimi anche tra i giovani nobili e ricchi ne intraprendono il corso delle lezioni, cui l’ignorare i nomi di Smith o di Say sembrerebbe se non altro un mal garbo. Onde il degnissimo professore S. Filippo gode giornalmente di potere dettare le eloquenti sue lezioni cir- condato da una folla di ascoltatori di ogni età e di ogni ceto. Ch se egli è poi certo che la politica economia si giova de’ calcoli della scienza numerica, e stende la sua mano ne’ tesori delle scienze naturali per trarne all’ uopo tutto quanto ad esse può servire nel promuovere la ricchezza di uno stato, e ciò specialmente in quella parte che l’ agricoltura riguarda ; credo che da questo lato non picciol vanto potrebbe tirare la Sicilia , nè ziputarsi 1’ ultima in TOI Italia nel coltivamento di siffatte scienze. Le cattedre di aritmetica ed algebra sono a valentissimi professori affidate; la scuola della fisica risuona ancora della voce e delle dottrine dell’ ab. Scinà che per la sua eloquenza. e vivace immaginazione la mise tra noi alla moda, e per la robustezza del suo ingegno la eresse in quel tanto pregiato suo corso d’ istituzioni su le sue vere basi l’ esperienza e il calcolo; la storia naturale fu non è guari affidata all’ab. Ferrara, a colui che per la sua Istoria dell'Etna e per le sue mineralogiche fatiche ebbe nome e lode in tutta Europa ; la nostra pubblica Bi- blioteca mercè i generosi sforzi della comunità si fa doviziosa delle migliori recenti opere specialmente in agricoltura e in naturali scienze, e può dirsi messa a livello del sapere europeo per la gran copia di atti accademici e giornali letterari che giornalmente rice- ve; la scienza delle piante ha sua splendida sede in vasto e ric- chissimo orto botanico, che può dirsi forse e da taluno degli oltra- montani viaggiatori fu detto il primo d’Italia, dato in cura al chia- riss. sig. Tinco degno erede del paterno sapere e della paterna fama, che vive sua vìta circondato ogni ora da’ suoi vegetabili e da’ suoi scolari; sorgono quà e là ne’ridenti dintorni della città sotto quel dolcissimo cielo altri giardini botanici quanto eleganti e vaghi.a vedersi , altrettanto doviziosi di peregrine e costose piante che i zelanti e dotti loro fondatori han saputo a proprie spese accogliervi, tra i quali quello soprattutti è doviziosissimo che fu piantato e fu sempre particolare cura e delizia dell’ attuale nostro sovrano Fran- cesco I di tale genere di studi come di ogni altro caldissimo colti- vatore e fautor generosissimo. E sorgerebbe a quest'ora e forse sorgerà in breve se il ciel consente , bello e finito uno stabilimento agrario cui il principe di Castelnuovo ha consecrato una sua splendida e ridentissima villa, in cui accogliere de’giovani alunni che fossero ivi istruiti nella teoria \e nella pratica dell’ agricoltura. giusta i migliori metodi dalle più colte nazioni messi in onore e al nostro clima e al nostro suolo adattati, ed indi potessero un dì propagarsi a render fertili o volgere a migliore coltivamento i nostri monti e i nostri campi e colla fertilità moltiplicare la popolazione e la nazionale ricchezza. Finalmente i miglioramenti introdotti tra i in tutte le civili amministrazioni , la nuova forma che i saggi provvedimenti del governo già danno alla proprietà ; le strade che oramai larghe e*comode solcano il dorso de’ nostri monti e hanno già messo in comunicazione i due punti estremi dell’ isola , i nostri ospedali rinnovati abbelliti, le arti e le manifatture introdotte negli asili pictosi de’ mendici e degli esposti, i regolamenti di man-. 102 suetudine e di dolcezza messi in opera in prò de’ pazzi in uno stabilimento che può veramente non invidiarne alcun’ altro di que- to genere , sono tutti fatti che mostrano benissimo che le dottrine dell’ economia politica non furono sterili tra noi nè valsero solo a risuonar per le scuole; e che se non si è fatto ancor tutto ; e se il da farsi non si conosce da tutti, di molte e grandi cose andiam però debitori al savio e generoso Sovrano che ha voluto, e allo zelo di que’ sudditi che ne han procurato l’ adempimento. Delle quali cose tutte spero potervi un giorno porgere più ampio e particolare ragguaglio $ a voi che così ardente estimatore delle cose nostre vi mostrate , e a questa città che come per la sua posizione geografica così per la sua favella e pel aper de’ suoi dotti il centro può dirsi dell’ Italica civiltà. Chè italiani siamo ancor noi, e noi i primi cantammo in volgare favella, e se il frapposto mare ci slontana dal suolo di questa bella penisola, non farà sì che meno cari ci sieno i frutti o più stranieri dell’ italiano sapere. Sono con particolare stima ec. Osservazioni del Canonico G10. Barrisra Pasquini Teologo della Cattedrale di Causi, e Vicario Generale, sull’articolo della stessa Città nel Vracc1o Prrrorico peLLA Toscana , pubbl cato in Fi- renze da Vincenzo Batelli, 1527. Non può negarsi che il Viaggio Pittorico della Toscana del defunto ch. sig. abate Francesco Fontani Bibliotecario della Ric- cardiana, non sia opera eradita e dilettevole. Essa per la prima volta venne alla luce in Firenze nell'anno 1801 in tre tomi in foglio cor- redati di rami opportuni. Ma bisogna altresì convenire, che non va immune da certi sbagli e gratuite asserzioni quando parla dei luo- ghi lontani dalla ca pitale. Tal disgrazia è toccata a Chiusi, che trovasi all’estremità del Granducato, ingannato il dotto autore da quelli, cui dette l’ inca- rico d’ informarlo dello stato delle cose. Il peggio si è che, fattasi una seconda edizione dell’opera pa- riniente in Firenze in sei volumetti” con altri due di vedutine nel 1817; riprodotti poi in diversi anni fino al (827 a cura di Vin- cenzo Batelli, cambiando per una delle solite speculazioni mer- cantili il solo frontespizio , sonosi ricantate le stesse patetiche cose sulla condizione di Chiusi, quasichè dopo il Gran Leo. poldo I. non avesse risentito miglioramento alcuno, 103 L'amore della verità ed un giusto sentimento di gratitu- dine agli austriaci Sovrani, m’ invitano rettificare quanto in detto viaggio Pittorico si dice di Chiusi, e del suo contado, esponen- do con fedeltà il presente suo stato, Ma prima di tlire delle continue sollecitadini e libera- lità del Real Governo a vantaggio di questa città e suo ter- ritorio, prendo ad emendare alcune sviste dell’autore sulla nostra antichissima Cattedrale, E’ un errore che Essa a Dio sia dedicata in memoria di S. Secondino Vescovo. La Cattedrale è inalzata in onore di S. Secondiano martire, e il culto di questo illustre Campione di Cristo si estese subito alla Chiesa di Chiusi dall'antica Tarquene, oggi Corneto. Ne abbiamo una riprova nelle Sacre Reliquie spe» dite alla Cattedrale nostra dalla pietà dei Cornitani. Verissimo poi che nel capitello della terza colonna della na- vata della stessa Cattedrale a mano sinitra di chi entra, vi è la memoria di un S. Vescovo che o eresse la Chiesa, o l’abbellì; ma non è per niente un Secondino; è un Florentino. Ecco come vi sta l'iscrizione, riferita pure dal celebre Proposto Gori nel suo museo Etrusco. SCS EPCS FLO RENTINVS FICIT. L’ epigrafe è contornata da un tralcio di vite con grappoli e foglie, emblemi cristiani, come ha di recente mostrato dopo altri scrittori il dotto Federigo Munter Vescovo Protestante di Selandia. Non si potrebbe decifrare per mancanza di memorie, se que- sto S. Vescovo Fiorentino sia quel Florenzo, che trovossi al Concilio ‘tenuto in Roma l’anno 465 dal Pontefice Ilario, o sia qualche altro Vescovo di Chiusi forse più antico. Due Arialdi hanno occupato la cattedra vescovile di questa Chiesa. Il primo è del VIII. secolo, e si conosce ancora sotto . il nome di Arcadio. L’autore del viaggio pittorico attribuisce a questo (equivocando il secolo, mentre lo pone circa il 680) i restauri della Cattedrale col nuovo tetto e pavimento , quando dalla lapide che egli cita, e che sempre esiste nello stesso luo - go, chiaro apparisce che detti lavori furono fatti sotto il secondo Arialdo detto ancora. Esualdo, che lungamente sedette a Ve- 104 scovo di Chiusi verso la fine del X., e nel principio del XI. secolo. i i Merita altresì d’esser corretto ciò che dice il sig. ab. Fon- tani in fine dell’articolo di Pienza. Pio ll. Romano Pontefice nell’erigere in Vescovado Corsignano, dove aveva sortito i natali, e nel dare alla nuova città il suo nome, non la ‘dichiarò Con- cattedrale di Chiusi, ma di Montalcino. Solo in tempi a noi vicini, vale a dire sotto Clemente XIV, il Vescovado di Pienza; già distaccato da qualche secolo da Montalcino, fu riunito a quello di Chiusi. 1 Dopo queste poche emende ecclesiastiche, passo allo scopo principale del mio discorso, al quadro cioè che l’autore fa della condizione di Chiusi e suo contado, « Se l’aria, dice egli, vi fosse di quella purità, di cui forse 3) vi si godè né più remoti secoli, non sarebbe sì scarsa dì abi- ss tatori, come lo è al presente, potendosi quasi dire che essa si ri- 3» manga quasi non curata, e posta come in un certo abbandono. 3 Parve questa alleviarsi alquanto e risorgere mercè le premure 3» del Granduca Leopoldo I, il quale intento alla salute e felicità »» dei suoi popoli, le procurò de’vantaggi assai considerabili aprendo m le opportane communicazioni al commercio, disseccando la vicina », nociva palude , ed animanda la coltura degli adiacenti terreni; ma l'industria che parea cominciasse a rendersi attiva (qual che ne sia stata la vera cagione) poco dopo il di lui governo s’illan- guidì, ei gran vantaggi che parea si potesse ripromettere questa » città e suo contado mediante tali paterne sollecitudini, vennero s) meno in gran parte (I) ,» I colori di questo quadro sono troppo foschi pel tempo eziane dio in cui pubblicavasi l'opera per la prima volta cioè nel 1801, sebbene fossimo allora in tanta variazione e oscillazione del Real Go- verno. Divengono poi insoffribili ripetuti in una pretesa terza edi- zione colla data del 1827. Leggendosi tali cose da chi non sia venuto nella faccia del luogo , si crederà facilmente che giaccia ancor oggi Chiusi spopolata e in misero stato; come se i succes- sori di Leopoldo I. fossero stati indifferenti, tagliandolo fuori dal rimanente della Valdichiana, a migliorarne la sorte; mentre per la verità non avvi paese dell’abertosa valle, che debba più di Chiusi lodarsi delle generose cure de’suoi Augusti Sovrani, e che maggiormente siasi risentita dei.provvidi regolamenti addottati » ” 3” (1) Vol: V. Edizione Ill» 1827. Pag. 127. e 128. 105 sul sistema delle colmate, e per la nuova commissione idraulica stabilita in Arezzo, la quale ha dato ai lavori un immediato im. pulso, e in ispecie fra di noi, che nella memoranda spartizione, e retrocessione del fiume Chiana, siamo ora a capo della fortunata provincia, Succeduto al trono della Toscana Ferdinando III. secondò e seguitò le tracce paterne a favore di Chiusi, mettendo in attività per condurre con sicurezza a florido stato la Valdicbiana i lumi, lesquisito giudizio, e il profondo sapere di S. E. il sig. Commen- dator Fossombroni. Restituito questo buon Principe a’ fervidi voti dei suoi po- poli, confermò alla nostra comunità la donazione fatta dall’ au- gusto Padre di tutti i terreni già colmati a spese del regio erario, e da colmarsi alle così dette Lozze chiusine. Fa ancora benefizio di Ferdinando Ill. la strada che dalla parte di Siena, come da quella di Arezzo porta comodamente a Chiusi, concorrendo con la comunità nostra alla metà delle spe- se. Questa magnifica strada, che ha dato al commercio una vita novella , è stata protratta fino al confine della Toscana , e continuerà per Orvieto fino a Roma. E se l’abbandono della via Cassia che toccava Chiusi fa una delle funeste cause della sua de- cadenza, può con fondamento sperarsi, che la nuova strada di comunicazione con Roma possa in parte ristorarla delle fatte perdite, mentre è in una linea deliziosa e comoda , scansando da un Jato la montagna di Radicofani » € dall'altro quella di Somma, Ma come tacere cosa che grandemente onora la memoria dello stesso Ferdinando III. , e il paterno zelo fa conoscere che egli avea pel nostro paese, assicurandoci i preziosi vantaggi che ebbe in vista l’augusto Padre ? Mentre che in esecuzione del concordato del 1780 fra il Pontefice Pio VI, e il Granduca Leopoldo I. si facevano nei ter- reni al di qua del così detto argine di separazione, nell’andamento cioè delle acque verso Arno, rimarchevoli acquisti, cominciava dall’altra parte, cioè al di là del detto argine nell’andamento verso il Tevere a scorgersi dei piccoli ristagni d’acqua nel piano della Biffa, ossia delle Cardese, di cui davasi per causa la non eseguita scavazione degli scoli destinati a portar le acque nel fosso canale, egualmente che la non troppa assistenza a questo fosso che tal- volta vedevasi riempito a livello dei terreni laterali. Le acque stagnanti nella detta pianura comparivano ogni anno in maggior T. XXXII. Dicembre. 14 106 copia , dimodochè gli abitanti di Chiusi, e di Città della Pieve ; dopo aver risentito del danno notabile per là privazione dei pro- dotti del suolo, dovettero temere che tornassero quei tempi ca- lamitosi che afflissero la Valdichiana nel suo impaludamento. Umiliarono ben tosto e gli uni e gli altri le loro preci a* respettivi troni , onde ottener pronto riparo a sì gran male che poteva aver tristissime conseguenze. Le corti Toscana e Romana propense al benessere dei loro popoli, spedirono dei commissarii per l'esame della cosa , i quali radunati, e trattenutisi quasi due mesi in Città della Pieve, combinarono con un atto sottoscritto nel 22 Giugno 1820 nuoyi lavori a carico dei respettivi Governi, e dei particolari, mediante i quali sembra definitivamente assicu- rato un permanente miglioramento della fertile pianara della Bif- fa, come pure la salubrità dell’aria. Il nuovo regnante Leopoldo II- mostra per Chiusi la stessa predilezione del Avo, e del Padre. Nella primavera del 1827 es- sendosi portato coll’augusta Consorte alla Real tenuta di Dol- ciano, e quindi a Chiusi che ne è distante due sole miglia, men- tre la Sovrana trattenevasi ad osservare con geniale interesse le raccolte di Etrusche antichità presso i nobili signori Paolozzi, e Casuscini, ed a visitare il Regio Conservatorio, Sua A. I. e R. il Granduca scese in compagnia opportunissima del prelodato egregio ministro S. E. Fossombroni a visitare i lavori idraulici già eseguiti, e quelli che restano a compiersi, percorrendo tutte i luoghi dal grand’ argine che divide la Chiana in Pontificia e Toscana fino alle Torri, dove incomincia il lago , volendo esser di tutto con ispecial premura informato per condurre sollecita- mente tutto a lieto termine; lasciando i chiusini penetrati dalla più. viva e riverente gratitudine pel real padrone che tanto pen- siero benignamente prendesi per la loro prosperità. Di più quest’ottimo Principe, con suo venerato resgritto del 25 Aprile 1828, si compiacque di ordinare, che la metà della spesa rimasta sempre accesa a carico dei possessori chiusini adia= centi gi lavori eseguiti nel piano della Biffa in conformità del detto concordato di Città della Pieve, si voltasse tatta al regio Erario in sollievo degli stessi possessori; mentre |’ altra metà era stata graziosamente condonata dal suo augusto Padre con rescrit- to del 4 gennaio 1823. Dalle sollecitadini, e liberalità degli Austriaci Regnanti ne è derivato il notabilissimo miglioramento dell'aria. La cosa chiaro resulta dal non conoscersi più malattie provenienti da insalubrità della medesima, e dalla popolazione cresciuta progressivamente iù di due terzi dopo la grand’ opera del prosciugamento dei vicini paludosi terreni. L’agricoltara ancora nella purità dell’aria ha fatto i più graBdi avanzamenti, e sono state providamente migliorate ed am- pliate le fabbriche dei poveri contadini, che tutto meritano da i loro padroni, dandone splendidò esempio il regio serittoio di Val - dichiana. I voti che fa injultimo dell’ articolo di Chiusi il sig. Ab. Fon- tani sono stati in parte compiuti in questi ultimi anni. I nobili sigà. ‘ Pietro Casuccini, e Cap. Fed. Sozzi bannò intrapreso degli scavi, e rinvenuto a gran profundità nel tufo Sepolereti Etruschi, î quali sebben in altri secoli scoperti e spogliati delle cose le più prezio- se, vi lasciarono pure monumenti oggi pregievolissimi, come Urne di marmo, di Travertito, di Coccio, Patere, o Dischi mavubriati con vari altri utensili di bronzo, moltissimi vasi di officina nostr:= le, copiosi frammenti di vasi dipinti bellissimi, alcuni anelli, ed altri lavori in oro fortunatamente sfuggiti ai derabatori, come può vedersi nelle collégioni di detti signori, e presso il sig. Canonico Mazzetti. Vi sono inoltre quattro Ipogei conservati a bella posta con lè loto urne nelle colline stesse della Città, Quello detto della Pac - cianese , podere della real tenuta di Dolciano, merita particolare attenzione per la sua architettura, come ha fatto vedere il Ch. sig. professore Giuseppe del Rosso in una dissertazione trasmessa alla celebre Accademia Etrusca di Cortona, mia patria. Le stanze sepolcrali poi della tiobile casa Dei sono ifiteressanitissime per. an- tiche pitture nel semplice tufo, le quali compariranno nel copioso Atlante di corredo alla nuova opera che è per darci il sig. Micali, ‘tanto benemerito della storia, e delle arti Etrusche. Il Maseo del nobil sig. Flavio Paolozzi in conseguenza di tali scavi si è non poco aumentato, ed è rimarcabile sopra ogni altra rarità per una numerosa e scelta raccolta di pietre 4&ntiche incise, che sono appunto i lavori pe’ quali avevano tanto grido gli Etruschi Chiusini. Quindi non vi ba forse casa che not possa mo strare qualche bella corniola, e due &orone di Scarabei si posseg- gono una dal sig. Canonico Carducci, l’ altra dallo scrivente. Ora non ho comodo di passare a critica rassegna tutto ciò che dice l’autore del viaggio pittorico intorno a Chiusi nel medio evo. Forse un giorno sarà pubblictito an mio discorso intitolato ; Cen- ni sulla storia di Chiusi, nel quale mostransi rapidamente le di- sgaziate sue vicende nei secoli barbari , e nelle successive fazioni che fieramente agitarono non meno Chiusi che la Toscana tutta fino 108 al governo mediceo, in cui ebbe pace, e cominciò a respirare da tanti disastri, mentre ll’ austriaco politico reggimento debbe ogni sua felicità. Monumento d’ Arriso DA SETTIMELLO. Quegli aomini, che per la forza del proprio genio si eleva- rono dalla comune eondiziove dti tempi , meritano al certo di esser proposti all’imitazione de’ concittadini , e dell’ universale genera- zione : e ciò tanto più, quanto cotitrarie furono al distinguersi le circostanze del loro secolo. È fra questi senza dubbio ragguardevo- le Arrigo da Settimello, poeta che fiorì verso il fine del secolo X[. vale a dire un secolo innanzi all’ Alighieri, come fu chiaramente dimostrato prima dal Leysero , e poscia dal Manni. Può egli repu- tarsi in quel tempo incolto qual ristoratore della poesia latina , essendosi sollevato fra la comune rozzezza a scrivere con molta ele- gauza un poema, cui furon subietto le proprie disavveuture, Il villaggio però, che gli diè cana, e cui fece sì grande onore, non avea un monumento , che lo ricordasse ai suoi compatriotti, ed a chiunque tiene in prezzo le lettere, e i suoi cultori. Di molta lode è perciò degno lo zelo del sig. Priore Gio: Maria Pupilli, il quale mosso da riverenza verso un uomo sì benetnerito, fino dal primo tempo, in cui venne al possesso della chiesa di S. Lucia, titolo della Parrocchia di quel villaggio concepì l’idea d’innalzare alla di Jui memofia un decoroso monumento. Egli ba finalmente posto in esecuzione sì lodevol pensiero, giacchè, dopo il suo compimento, il 18. dello scorso Settembre fu situato ad uno de’ lati interni della porta del sacro Tempio. E desso formato di marmo bianco, e con- siste in un medaglione, nel di cui spazio cittolare vedesi a mezzo rilievo scolpita la testa d’ Arrigo di natarale grandezza. Questo me- daglione cinto da una cornice parimente marinorea, e da semplici adornamenti decorato posa sopra ana tavola di marmo circondata da ogni parte da simile cornice, ed in essa si legge questa ele- gante iscrizione , parto della dotta penna del sig. Vincenzio Fol- lini bibliotecario dell’ I. e R. Libreria Magliabechiena, che molto adoperossi pel felice riuscimento di tutta questa impresa : ‘100 7 Hrnrico-: SxkzPITIMELLENSI Qui - saecolo * Christi * XJI - :Calentianensis + plebis Sacerdotio - fonctos Eodemqoe è per « sommam * inivriam * orbatos + pavperrimae * vitae - incommoda Flegiaco -* vehementissimo * carmine + deflens * Latiom + melos - sito * obsitom Ad + priscae + venvstatis* normam erexit « et* obscvrom* patriae: nomen illustravit Ioannes * Maria - Pvpillios * hvios è aedis » Sacerdos - prior Ex - veterum * procerom : Popilii . castri . familia Ne * praestantis * ingenii * fama - apvd * mvnicipes * et * inqoilinos - obsolesceret Hon + M + P- Ann» Pobl - Sal- CIO 19 CCC- XXVIII. Sim licet * agresti - tenviqve - propagine + natos Non *- caret - omnimoda - nobilitate» genos Non * praesigne - genvs * nec - clarom : nomen - avorem Sed » probitas * vera» nobilitate * viget - Henricus * de * seipso Il disegno originale in piccola forma, modello al ritratto mar- moreo con molta perizia scolpito dal sig. Francesco Corsi, è opera dell’ abilissimo, ed accuratissimo sig. Luigi Scotti noto pittor fioren- tino , il quale portato dal suo genio alla conservazione della pa- vole intrapresa. Egli è invero un oggetto di consolazione il vedere che mentre si prepara iti Roma un grandioso mausoleo. all’ im- ri, e.con altri si pensa ad onorare il merito degli uomini famosi. Possa adunque anco il bell’ esempiv del sig. Prior Pupilli, cui pia- cque far nella patria rivivere a proprie spese il nome di questo tria istoria ha volato gratuitamente concorrere a questa commende- mortal ‘Torquato; anco in Toscana e col monumento dell’ Alighie- 119 antico autore, svegliar in altri l'emulazione, per riaccender ne’ cittattini la rimembranza di chi per qualsivoglia modo si tese il. lustre , ben consapevoli che siinile impegno è a un tempo indizio non dubbio di tima per la virtù, e torte incentivo a praticarla. F. Pi MortE runestA DEL Maggior HAUSER. Noi dobbiamo alla gentilezza del sig. cav. maggior Vacawi , le seguenti comunicazioni in data di Vienna, il 30 novembre 1828. I progressi della chimica avendo offerto un più convenevole modo di metter fuoco ai fornelli di mina che non era l'antico metodo d’una stradicella di polvere; la cuì combustione rendeva le gallerie inabitabili per troppo tempo ( difetto grave nella già troppo spinosa direzione della guerra sotterranea) era stato proposto dai postri ingegneri un saggio servendosi delle antiche gallerie di questa capitale nella parte che debb’ essere appianata ih seguito degli ab- bellimenti successivi al di fuori. Il 27 del corrente mese, questo saggio fatto alle estremità di due tami normali a una galleria principale che presenta 42 tese di lunghezza, e tutte le difficoltà di ana via sotterranea, ebbé sulle prime l’esito il più fortunato. L’ apparecchio chimico aven. do supplito al salsiccione atcese la polvere nell’ istante volato ; gli imbuti o crateri di esplosione ebbero precisamente il diametro che era stato tracciato sulla superficie del terreno, e non ecce- dettero i confini indicati da prima ; la galleria finalmente ap- parve affatto libera e praticabile, essendosi evitato |’ ordinario in- conveniente dei salsiccioni di ingombrarle di fumo; i lumi accesi di, distanza in distanza rischiaravano perfettamente la Galleria sino all’ estremità, e tutto aveva sino a quell’ istante raggiunto lo sco- po è meritato gli elogi di più alti personaggi presenti , quando un eccesso di zelo cagionò un infortunio, a cui presero il più vivo interesse i nostri principi avvezzi a dividere la gloria ed i rischii delle imprese dirette al bene dello stato. I signor Barone di Hauser maggiore nel Genio, uomo di una riputazione distinta, autore di più opere, tra le qtiali sopra le mine, che gli hanno assegnato un posto onorevole fra gli scrit- tori militari, era stato incaricato di avverare l’ importanza del nuovo metodo. Egli erane impaziente trovandosi egli stesso nel caso di introdurlo innanzi tutti nel suo corso per gli allievi III del genio che con tanta sollecitudine, zelo e intelligenza legge- ya nella accademia degli ingegneri. Egli adunque non sì tosto ebbe veduto |’ effetto della. mina compito a seconda de? calcoli anteriori, che discese nel fosso per tentare l’ ingresso nella gal- leria , vi si introdusse senza ostacolo, e preceduto dal tenente del genio Reuter giovine affiziale pieno d’ardore e di ingegno, pervenae. sino al fondo della galleria seguito dal tenente del ge- nio Kerastury, giovine uffiziale pieno di speranze, e da due mi- natori. Ma colà appunto si sviluppò in un baleno a traverso al doppio. intasamento quel fumo spesso, che cagionato dall’accen.. sione della polvere dei due fornelli carichi a 3oo libbre cia- scuno aveva dovuto quasi tutto rientrare negli imbuti per la subita ricaduta del terreno sollevato : il che non aveva potuto essere bastantemente visto da quelli che si erano affrettati a discendere nel fondo del fosso per osservare l’interno della gal- leria. Gli è adunque a questa grossa massa di fumo dei due for- nelli, quasi per nulla evaporata al di fuori, e tutta riagglome- rata di dentro, che que’ zelanti osservatori dovettero il loro sve- nimento e la loro morte. Questa massa di fumo guadagnava sem- pre terreno verso l’ingresso della galleria, e gli sforzi fatti. per trarli dall’abisso impreveduto in cui eransi slanciati per un illi- mitato zelo furono lungamente inutili, giacchè i prodi che dentro si gettavano animosamente per sottrarre i camerati loro o. iloro capi da quel luogo mortale nel quale tutti i lami si spensero l’un dopo l’altro, eran essi medesimi presi da svenimento innanzi di raggiungerli; e due uffiziali del genio e dei minatori come pure più soldati dovettero essere strascinati semivivi di fuori per avere ivatilmente tentato sotto l’ eloquente voce dell’ amicizia. o del- l’onore; e alla presenza di augusti principi di sottrarre i più lon- tani alla morte cui si erano dedicati per quell’ amore delle scien- N ze e dell’arte militare che è sì potente sul cuore di uomini ben edacati. Sua Maestà l’ Imperatore vero Padre de’ suoi sudditi degnò esprimere i sentimenti più affettuosi e i più onorevoli per gli-in- dividai sacrificati. Il maggiore Hauser era stato appunto nomi- nato in quel giorno Tenente-Colonnello. Egli lascia un rammarico incancellabile nell'esercito, alle cui brillanti operazioni aveva presa parte nelle ultime guerre. Sua Maestà lo riguarda {come morto sopra un campo di battaglia, ed estende i suoi alti benefizii sulla vedova inconsolabile. Possa il pubblico apprezzare nel loro vero valore un saggio -sì importante e una devozione sì generosa , come egli sa sì giu- 112 ntamente apprezzare il grazioso interessamento de’ nostri principi e dell’ angusto nostro sovrano per tatto ciò che spetta ai nobili progressi delle scienze e dell’ industria! Monumento a Vincenzo Monri. Appena la marte ebbe tolto all’ Italia il suo grande poeta e celebratissimo letterato Vincenzo Monti, sorsero nell’ animo di molti amici ed ammiratori di lui il pensiero ed il desiderio di ren- dergli solenne e durevole testimonianza di onore con degno mo- nomento da innalzarsi in uno de’ più cospicui luoghi di questa città , la quale, sebbene non gli fosse natural madre, lo amò nondimeno di grandissimo amore, siccome suo figlio, ed altamente sì pregia di averlo possedato nel proprio seno pel seguito di tren- t’ anni, e fino al raccogliere l’ estremo di lui respiro. I sottoscritti pertanto , compresi di amicizia non ‘meno che di ammirazione per l’ inclito trapassato ,. e compiacendosi nella persuasione di aver compagni nel lor sentimento tutti quegl’ ita- liani, ne’ quali la venerazione de’ grandi ingegni volentieri si fa manifesta , non che quelli fra gli stranieri, che la patria del ge- nio reputano ‘sol’ una e a tatti comune : propongono un’ associa - zione di contribuenti alle spese di tale opera monumentale, il cui disegno e lavoro saranno commessi ad artisti de’ più rinomati. Per tale oggetto e per ogni altro occorrente alla collocazione del mo- numento , una commissione si eleggerà dall’adunanza de’ contri- baenti stessi, che verra convocata tosto che si sarà raccolto un buon numero di soscrizioni. L’ importo di ciascuna oblazione è di ro franchi ; il pagamento sî fa presso i seguenti banchieri. — MiLano Mylius Enrico e C. — GENOVA , Mylius Enrico e C.— FirENZE, Bellini Cesare e C. — VENEZIA, Papadopoli Angelo. — BOLOGNA ; Bignami Pao= «Io. — Torino , Migra Fratelli. — PARMA, Laurent Ludovico. — BresciA, Manziana Carlo. — BERGAMO, Steiner e Pestaloz= za. — Per Roma , NAPOLI e FERRARA, si notificheranno in ap-. presso. Miiano 26 novembre 1828. Giuseppe LONGHI. ANTONIO PAPADOPOLI. ANDREA MUSTOXIDI. FELICE BELLOTTI. 113 Menumento A Torquato Tasso. Al sig. G. P. Vizvussevx Direttore dell’ Antologia. Ornatissimo Signore, Ella ebbe cura di annunziare al N.° 82 del suo applaudi- tissimo Giornale il Programma di associazione per un monumento în Roma di Torquato Tasso. Credo, che la Commissione deputata ‘ ad esso sarà a Lei gratissima di quest’ atto cortese. Io certo, che altro non sono che contributore, ne sentii in me molto conten- to ; il quale or anche provo maggiore, potendole dire che molte é ragguardevoli persone han già dato il lor nome per concorrere a questa impresa, che sarà di gran decoro all’ età nostra. Anche sua Maestà Reale Imperiale Apostolica si è degnata onorarla; e i pubblici fogli han dato contezza di questa sua somma munifi- _cenza. Ho fiducia che anche i bravi Toscani ambiranno di aver ‘ parte in quest'opera. Più d’una volta fu dei Toscani ospite il ‘Tasso; € il principe colle beneficenze, i letterati colle riverenti proteste di specialissima stima, e tutti con la strao»dinaria am- ‘mirazione gli rendettero omaggio di giusta osservanza. L’Accade- mia della Crusca , spenti i due od i tre, che per cieca gara gli erano ‘avversi , diè autorità di lingua alla Divina Gerusalemme ‘ le ad altri scritti di questo altissimo ingegno. Dura ancora, e du- rerà la memoria del solenne apparato; con che in Firenze si rap presentò l’Aminta; e mai non saran poste in dimenticanza le due ‘toscane edizioni del nominato Poema ; l'una di Pisa ; splendida ed elegantissima ; l’ altra di Firenze ; di ottima e purgata lezio- ne , e pregevole per le savie annotazioni del ch. D. Michele Co- lombo . Nè tali cose io rammento per crescere ardore nei To- scani a voler favorire questa impresa: chè di ciò essi non han mestieri; ma le rammento solo a più confortar la speranza, ch° io riposi in loro fino dal tempo, in che venne a luee il progetto. Sono intanto con vera stima Roma 20 novembre 1828. Suo Dev. Serv. N. N. T. XXXII. Dicembre, 19 14 Al Ch. Sig. N. Graxic#, Peeciero dell’I. R. Governo di Zara. Dall’ottimo e bravo nostro RIA Ell’avrà già ricevata'la copia d'un articolo del Globo, dove, nell'atto d’offrire tradotto un saggio di poesie Boeme, si tocca de’lavori riguardanti le nazioni slave , e del carattere particolare di questa grande famiglia, fa cui lingua , sotto varie forme , è parlata dal mar glaciale all’ Adria- tico, Ella avrà trovato rettamente accennata quella differenza tra i popoli d’ origine germanica e i popoli d’ origine slava , nelle cui vene scorre un sangue plus vif, plus chaud, plus léger. E chi sa quali destini si vengano, ne! presente e ne’ venturi secoli maturan» do a questa malnota e avvilita generazione , i cui due nomi, (l’uno di nazione , di gloria I’ altro (1) ), dovevano nelle lingue più culta d’ Europa esprimere i malaugurati titoli di servo e di schiavo ? Chi sa da qual parte volgerà per lei quella che il Foscolo con tre vocaboli contraddittori, come il suo sistema , chiamava +000+* l’ alterna Onnipotenza delle uinane sorti. Certo , in alcuni rami di questo grand' albero incomincia già ad innestarsi il germe fecondo della civiltà ; e la Boemia stessa , giusta i calcoli del Barone Dapin, se la civiltà si giudicasse dal numero delle persone che si vengono nelle scuole istruendo, verrebbe ad essere nella via dell’incivilimento più innanzi d’assai che la Francia, Ma la- sciando da un lato tutto ciò che può avere d'|inesatto o di falso una conseguenza tratta da un solo elemento, e venendo a cose più note, ognun sa come nella via dell’ incivilimento proceda sicura e forte una delle più grandi, e ancora, oserei dire , più arcane potenze d'Europa, Che se il soverchio amore della. lingua e della lettera. tura francese, dai Russi possedute in modo mirabile, non li con- duce a quello spirito d' imitazione ch’ è causa insieme e indizio ed «ffetto del deterioramento sociale ; se 1’ esempio di Alessandro Pou- ckine , il poeta della nazione , il prediletto del giovine imperatore, sarà con più coraggio seguito; se invece di pigliare i costumi ed il gusto dello straniero, gli spiriti più potenti si daranno a ripulire, a (1) Serbi , popoli dalle rive del Volga venuti ad abitar nella Dacia; con la nota varietà di pronunzia, detti poi Servi. — Schiavoni , Schiavi , non da Slova, gloria, come credevano i più, ma da slovo, parola , come avverte l’ Hereau ; come a dite , popoli parlanti , per distinguersi dai popoli vicini, de' quali essi non intendevan la lingua, e che però chiamavano Nemi, o Nemsi , come anche oggi certi popoli son chiamati da’russi. 115 perfezionare i costumi ed il gusto proprio al loro governo , al lor clima, alle loro abitudini, ai lor bisogni , lo splendore di giorno in giorno crescente che a noi si diffonde da quelle gelide regioni, non sarà bagliore vano, ma raggic vitale e fecondo. E lasciando le lontane speranze , ottimo augurio per l’avve- nire più prossimo sembra a me quest'ardore, già diffuso, di scoprire , indagare, porre in luce i monumenti storici e lette- rarii delle nazioni tutte d’ origine slava ; questa diligenza nuova, con cui.se ne studian le ‘lingue, e le si vengono raftrontando alle più note, e se ne traggono importantissime , imprevedute ‘consegoenze intorno alla cognazione deile stirpi, e alla storia de’ popoli. Il Malte-Brun, che nella Pannonia, wvella "Tracia, nella Carnia, colloca lo slavo primitivo, non nega peraltro ciò che l’An- toine (2) da certi indizii probabilissimi congettura, che parte delle generazioni slave vengano originariamente dall’ Asia ; poich' egli stesso, quel dotto geografo, trova visibile la fratellanza dello slavo, non solo col greco, col pelasgico , col latino, con lo scandinavo islandese e col moderno, con l’alemanno, col Belgo-Batavo, ma col Sanscrito, col Perso-Battriano : onde il dottissimo Kla- proth contro le derisioni dello Schlozer, sostiene che dall’ Asia, si potran trarre notizie preziose riguardanti la Russia ; e Alessane dio Murray, fra i dialetti d’ Asia e gli siavi d'Europa, a buon diritto amerebbe istituiti paragoni più accurati e più varii. Lo slavo primitivo, il germanico-slavo, il romano-slavo, non son che rivi della medesima fonte; tra’quali se così notabile appare la differenza, n'è cagione in gran parte la gran variazione, dal Dobrowshi notata, del tuono nella pronunzia, e per consrguente della prosodia, le cui diversità ognuno ch’abbia alquanto med «. tato salle deviazioni delle lingue , sente come vengono a poco a poco creando favelle e idiomi diversi. Egli è perciò che il dotto lessicografo Linde, osserva, la differenza delle favelle slave es- sere in gran parte riposta nell’ ortografia ; sicchè non impossibil cosa, dic’egli, sarebbe ridurle tutte a una lingua universale, com'è 1’ italiana, Jo godo in sentire che la letteratura rossa non sia da questi importantissimi stadii aliena; che 1’ accademia delle scienze, per la nuova munificenza. di Niccolò, conti de’ soci particolarmente dediti allo studio della lingua e delle antichità patrie; e che dal giovine imperatore sia degnamente seguito |’ esempio di Caterina, la quale di per sè medesima si godeva in simili indagini, e coi (2) Essaî sur l’ origine des anciens Slaves. ridi © propri favori contribuì alla grand’ opera del Pa!las , siccome rac- cogliamo da una relazione di Francesco Adelang , e da una lettera di lei stessa allo Zimmermann. E già, in Germania ed in Francia sif- ffatti studii gettan sempre più forti e più feconde radici: e godo ch’ anche in Italia (3) si sia, con un saggio almeno, voluto mostrare che il huon volere non manca. Che se il dotto e benemerito nostro padre Fr. Appendini vorrà trarre a fine il suo grande lavoro del Varrone Illirico, Ragusi e la Dalmazia potranno vantarsi d'avere ‘in un Italiano acquistato a sè un egregio e zelantissimo amatore ed in- terprete dei monamenti filosofici e storici, che nella lingua loro da tante età stan riposti. Ed è bene a dotersi che l’amore delle cose patrie , che il desi- derio della gloria e della civiltà nazionale non condacano i Dalmati ingegni, se non a questi, ad altri ben più serii lavori d’utilità letteraria e sociale. Pochi sono, che in mezzo alla intellettual solitudine che li circonda, possano, al pat di Leiconservare per tutta la vita quel pri- mo ardore che ne’ bennati ingegni. risveglia il soggiorno di regioni più colte , l'esempio d’ una civiltà più matura. AI traduttore del- I’ Osmanide , al magistrato eloquente , io posso con fiducia rivolger- mi per deplorare quella quasi inevitabile inerzia che occupa i me. glio disposti intelletti della povera patria nostra, allorchè dagli studii italiani ritornano a quelle consuetudini che avrebbero. così volentieri dimenticate. De’ molti alunni che dalla scuola del bene- merito Bicego uscirono sì bene nutriti a non ignobili speranze ; quanti sono che, tornati in patria, abbian, per altro che per mero diletto e per necessità d’ u(fizio , continuati quegli studi letterarii e scientifici da cui forse s° aspettavano così bella e ridente la vita ? Nè di loro è la colpa : tutto ciò che li circonda , non può.che scoraggia -- re le lor generose intenzioni , comprimere i benefici loro sforzi; chè vane tornano le ‘intenzioni e li sforzi, contro alle antiche abitudini dei più , contro agli effetti funesti d’una educazione , uni- versalmente o prava o negletta, E da questa fonte appunto l’educa- zione , io dico, siccome già i mali, così dovran sorgere un giorno le vere speranze di codesta provincia . Che se molti avessimo , in bontà di cuore, in generosità d’ animo , in fermezza di risoluzio. ne , in eleganza d’ ingegno, pari a quell’ottimo Direttore di codesto Liceo , il padre Urbano Appendini, ben più vicine e più liete sa- rebbero le speranze. Io non posso rammentare senza un senso di com- piacenza e di gratitudine le poche ore ch'io ho potute passare in (3) Dell’ analogia della lingua russa con la latina. Libre stampato a Milano, di cui m'è ignota la mole e l’importanza, t1g compagnia di quell'uomo aureo , e di Lei, ottimo sig. Consigliete s nè senza un grato rossore ricorrere con_ n _memoria a que’ versi , ch'egli a Lei rivolgeva accennando Pai me ; è è quali s sebben indi e ineguale, io voglio quì, come pegno a lui di riconoscenza , e a Lei di riverenza affettuosa, trascrivere la mia latina risposta. E non solo come significazione dell’animo mio verso persone della mia patria be- nemerite, io intendo di pubblicar questi versi; ta come indizio, che se contro l’abuso dello scrivere latino io dissi alcuna cosa o dirò, ciò non viene da superbo disprezzo d’ uom che vitupera ciò che ignora, ma da desiderio sincero che a stud'i più solidi, più efficaci si i rivolgano ; dopo” nutriti delle classiche eleganze:, gl’ingegni. Urbanum laudaturus', teque inclyte Jara, ‘‘ Desidis audebam tendere fila lyrae + Sed me Pieriae Pindo pepulere puellae , Increpuitque gravi maesta Thalia sono : Tu qui sacrilego nostram pede protéris aram, Laurigeroque negas debita serta Deo, Nec jam Castalio dubitas praeponere fonti Quod Jaxae facilis dat tibi mensa merum ; Nune . sìone Permessi Iympha , sine numine nostro, Illepidum tremulo gutture carmen hia Quid faciam invisus Musis ? Tenui ore sonabo Urbanium et Jaram: sat mihi nomen erit. Che direbbe di questa profana irristone dell’ arcana ‘sapienza mitologica un altro Urbano, ben diverso dal nostro ;'un Urbano, che con tutta serietà è venuto non ha molto a correggere la barbarie di quella formola storica che io per celia' adoprai: sic’ quod moria- tur, sostituendo il sic ut, frase, com’Ella ‘bensente , latina pretta ; un Urbano il qual +’ è terribilmente adirito meco per 'averio. dabi- tato se.il nome di' Tommaso Chersa vivrà in aeternitate temporum, fama rerum: egregio giudice d'italiano, non men che di latino; il qual c’ insegna a ripetere che quel buon Chersa a tutti facea copia di sè; amava d’ amore il Fratello ; era il cappio ed. il concio della famiglia . Egli è a dolersi che quell’ottimo vecchio d’ U. Lam- predi, si sia dalla gratitudine e dall’amicizia lasciato trasportare a parole che non onorano nè la sua dottrina nè la sua gentilezza; e abbia offerto così, tdi ceva! un | uovo esempio del mi- stioni letterarie in Italia. Ma non più ‘dî simile inézia. — Mi conservi Ella la sua benevo- lenza, mi ricordi'all’ottimoP. Appendini, al sig. Cons. Ghetaldi, al sig. conte Zamagna, a quel dotto ed .aureozprof. Botturi; e mi cre- da ec.....U@G La. 4 agg i. N. Tommaseo, tuB SRD SONO > BULLETTINO SCIENTIFICO. Dicembre 1828. Scienze NATURALI. Meteorologia. Era stato già osservato dal De Buck, che paragonando mese per mese le differenze fra lo stato più clevato ed il più basso del barometro, si ottengono dei valori. molto più piccoli per |’ estate che per l'inverno. Questa estensione media delle oscillazioni baro- metriche , quasi costante per ogni luogo , egualmente che la tem- peratura media, varia; come è noto, da un luogo all’altro. secondo che variano le' latitadini, essendo di 2 linee presso l’eqaatore, di 10 all’ ovest della Francia, di 15 in Scozia. Ora il sig. Koemtz ba riconosciuto che, anche a latitudine eguale , la media oscillazione barometrica varia secondo le diverse longitudini. Così l’ estensione delle oscillazioni barometriche è molto più grande alla costa orien- tale dell’ America che alla costa occidentale dell’ Europa ; sebbene sotto una stessa latitudine, e va sempre diminuendo a misura che si penetra di più nell’ interno dell’antico continente. Il sig. Koemtz chiama isobarometriche le linee medianti le quali si rianiscono i diversi punti'ove questa estensione media è la stessa. Queste linee si dirigono verso il nord della costa d’ America, continuando in que- sta direzione fino nell’ interno dell’ Asia, ed alla costa orientale del- l’ Asia sembrano declinare verso il sad. Le osservazioni fatte dal sig. Koemtz in alcuni luoghi che si ravvicinano ad una stessa linea isobarometrica gli hanno mostrato: la seguente estensione nelle oscillazioni del barometro. Nomi dei luoghi Latit. Long. Esten. delle oscil, in lin.” Forte Churchill; baia d’ Hudson . 58° 47’. N. 94° 4’ O. ri 09 Cambridge vicino a Boston ’. . . 42 23 72 17 11, 37 Brpsellesi..:.vod ont 1 0 DÌ 4 22 E. li, 37 Mosca. è è + 000, 0 00000 55 46 » 37 33 to, 74 Vomsk +. 0000000 4 +99 89 83 10 tr, 53 Jakatabi wi Wil 7 RG A 129 42 11,49 Nell'emisfero del sud l’ estensione delle oscillazioni; baro» metriche è più grande , ad una stessa latitudine, che nell’ emisfero »:9 del nord; ma è presso a poco la stessa che alla. costa orientale ‘’ del nuovo continente: eccone l’ indicazione per l’ emisfero del sud, Città del Capo . 33’ 55’ S. 18° 29 E... 6, 02 Paramatta . . . 33 49 151 1 7, 50 i E per l'emisfero del nord: Charlestown (sud . della Carolina) . 32° 50' N. , 80° 10° O. 6,99 Funchal (Madera ) 32,37 16 56 4, 4t Bagdad pi Melges 97 44 25 E. 4, 64 ‘ Dal che risulta evidentemente che le linee isobarometriche non hanno nulla di comune colle linee isoterme del sig. de Humboldt, poichè esse declinano verso il polo nord nell’ interno dei continenti ; mentre avvienz il contrario per le linee isoterme. Ma ciò che è de- gno d' attenzione in queste osservazioni si è che le linee isobarome- triche hanno molta analogia colle linee che il sig. Hansteen ha chia- mate isocline, e che riuniscono quei diversi punti nei quali l’ ago magnetico presenta una stessa inclinazione. Dalle molte sue osservazioni il sig. Schouw ha dedotto che i venti d'occidente son più frequenti che quelli d'oriente; questa regola non ha eccezione. Ma i venti occidentali vanno a grado a grado diminuendo , secondochè ci si ravvicina al centro del conti- nente; essi sono più frequenti in Inghilterra, in Olanda, ed in Francia, che in Danimarca e nella più gran parte della Germania ; si osservano anco più spesso in queste ultime contrade che nella Svezia e nella Russia. A Londra i venti d’est ( NE. , E. , SE, ) stan- no ai venti d’ ovest ( NO.,0.,SO.) come sta a 1, 7; ad Amster- dam come 1a 1, 6;a Soendmoer come ra 1, 6; a Coppenaghen come.1 a 1 5; a Stockolm come 1 a 1, 4; a Pietroburgo come 1 a,t,3. I venti d’ovest si ravvicinano tanto più alla direzione di quel- li d’ est, quanto si va più vicini al mare atlantico ; verso l'interno del continente si ravvicinano più alla direzione ovest o nord-ovest. 1 venti del nord aumentano verso l’ est. Fra i venti che vengono dall’occidente, quello di sud-ovest predomina in Inghilterra, in Olan- da, ed in Francia; quello d’ovest predomina in Danimarca e nella maggior parte della Germania; a Mosca predomina quello di nord- ovest; a Pietroburgo ed a Stockolm il vento del nord è più frequente che nelle parti più occidentali dell’ Europa. Nelle parti occidentali e medie del Nord dell’ Europa, come I’ Ingbilterra, la Francia, la Danimarca, la Germania, la Norvegia, i venti d’ ovest sono molto più frequenti nell’ estate che nell’ inverno e nella primavera. Nun sembra che sia lo stesso nella Svezia e nella | dî È Slip E2%5%8 RI NN0f possa 5 tt Fota tal, Russia, Nell’inwerno.i venti,.d’ ovest sono più. meridionali ; nell’e. state sono più diretti-o più settentrionali, Questa regola non sem= bra che si estenda all’ Europa orientale. E' stata scoperta o piuttosto riconosciuta una gran massa di ferro meteorico in Francia vicino a Grasse., nel dipartimento del Varo. Le ricerche intraprese intorno ad essa dal sig. Brard a richie- sta del sig. Hericart de Thury, lo hanno condotto a sapere che questa massa, la quale si trova da due anni presso la porta , ed al piede della torre della chiesa di Caille, esisteva in questo villaggio da circa 150 anni, Essa fu scoperta sulla montagna di Audebert di» stante di là una lega, e trascinata con quattro bovi in una corte o in un orto del villaggio, ove era rimasta come obliata. Ma uno degli abitanti avendola impiegata nella costruzione d’un muro, fa recla- mata come un oggetto avuto quasi in venerazione; e |’ autorità fece demolire il muro, e depositare quella gran massa nella principale strada del villaggio, donde è stata trasportata nel luogo in cui si ‘ vede attualmente. - . —. HIS i MITO La sua forma è irregolarissima; il suo colore, esterno ; «brano nerastro leggermente piombato, presenta soltanto quà e là alcune macchie gialle di ruggine; la sua lucentezza interna è più bianea , che quella del ferro ordinario. L'intera massa può pesare da cinque a sei cento chilogrammi, o da 1000 a 1200 libbre francesi. La montagna su cai è stata trovata è molto elevata , e della stessa composizione di tutte le altre all’ intorno. Né ivi nè in vici- nanza è cosa alcuna che indichi l’esistenza di quelle antiche fonde- rie intorno alle quali sogliono vedersi grandi ammassi di scorie o di minerale torrefatto. Non vi è pregiudizio o tradizione veruna re- lativa a questa massa di ferro; pure è stato detto più volte al sig. Brard che potrebbe essere stata portata da una nuvola, ed i più,an- .tichi fra gli abitatori del villaggio dicono d° avere udito dire lo stes- so. Il più vecchio d’essi tutti ha aggiunto che il suo avo gli aveva detto essere stati trovati accanto alla inassa grande due altri pezzi di ferro più piccoli, che erano stati lavorati, e ridotti in ferri da cavallo, chiodi ec. Il imanescalco attuale del villaggio , che con mol. ta fatica ha potuto staccare alcuni frammenti dalla gran massa , ne ha trovata la qualità perfetta e dolcissima ; bensì ha affermato che questo ferro allorchè è infuocato spande odore di solfo. Alcuni tentativi fatti per impiegare il ferro di questa massa con dividerla, essendo riusciti inutili per la sua gran mole, essa è rimasta senza danno notabile, e gli agricoltori se ne servovo come d'un tas- »0) su cui vengono a fissare i manichi ai loro arnesi 121 Il volume enorme di questa massa ferrea , e l’assenza d’ ogni vestigio d’ antiche fabbricazioni in prossimità , non permettono di riguardarla come un prodotto dell’arte. Il sig. Brard avendo os- servato nelle sue parti più interne una specie di cristallizzazione molto analoga a quella che ha presentato il ferro nativo nelle pietre meteoriche , ed il sig. Laugier avendovi riconosciuta la presenza del nickel , sembra non potersi dubitare dell’ origine meteorica di que- sta massa, che passerà ad arricchire il museo di Parigi. Il dì 21 maggio del presente anno 1828 cadde nel dipartimento del Gard in Francia della grandine d’ una grossezza straordinaria. Essa incominciò vicino a Sauve, e si diresse verso il nord-est fino a Lussan. La larghezza della superficie grandinata è da otto a nove cento metri; la sua larghezza di 41, 75 chilometri. I danni cagionati da questa grandine sono stati considerabili, spe- cialmente nelle vigne. Molti pezzi di grandine erano della grossezza del pugno chiuso. Pesatine due pezzi presi a caso, furono trovati, uno di 5 once, l’altro di quattro e mezzo, Erano rieoperti di taber- coli o punte ottuse della grossezza ehe ha nella sua estremità il dito minimo, e somigliavano quelle cristallizzazioni calcari che i mine- ralogisti chiamano a denti di porco. Erano trasparenti verso l’estre- mità, e mostravano nel mezzo un noeciolo biancastro del diametro di dae centimetri. I pezzi della grandine erano duri ed elastici: quelli che ca- devano sopra delle pietre piane saltavano spesso alla distanza di più metri senza spezzarsi. Per altro se ne spezzavano e ne cadevano dei meno voluminosi, i quali erano irregolari ed angolosi, e sembrava- no esser rottami d’ altri più grossi she in aria sì urtassero fra loro. Alcuni altri pezzi grossi some noei sembrava che avessero i loro noccioli centrali particolari; na più grande quantità erano della grossezza d’ una piccola nocciuola , i quali verisimilmente avevano un origine diversa, se pure è vero , come è stato detto, che tutti quelli iquali provengono da una stessa nuvola sono presso a poco d’ una stessa forma, e d’ uno stesso volume. Tutti gli uomini e gli animali avendo avuto il tempo di ricoverarsi avanti la caduta di questa grandine enorme, niuno di essi è perito, Fisica e Chimica. Dalle osservazioni del sig. Planiava risulta che in un liquido il quale contiene tutti gli elementi d’ una cristallizzazione , com- pariscono da principio dei cristalli di forma primitiva , i quali sì T. XXXII. Dicembre. i 16 122 muovono in ogni senso ed aggrandiscono ; ma arriva un tempo in cui si fissano alle pareti del vaso, e da quel momento comincia a comparire la forma secondaria della cristallizzazione, Il sig. abate Rendz dotto professore di fisica al colleggio reale di Chambery, in una sua memoria letta avanti la Società reale di Savoia, ha preso a provare che la cristallizzazione dei diversi corpi che ne sono suscettibili è un fenomeno elettrico. Egli si appoggia a non pochi fatti, i quali sembrano dimostrare non solo che i fe- nomeni dell’affinità e quelli dell’elettricità possono essere effetti d'una stessa causa, ma ancora che essi non sono se non la ripetizione d’una stesso fenomeno con accidenti, la maggior parte dei quali tro- vano la loro spiegazione nelle teoriche conosciute sull’elettricità. Egli afferma che se fino dai primi passi che le scienze hanno fatto si fossero indicati questi due segni colio stesso nome, non sarebbe venuto in mente ad alcuno di riporli in classi diverse. Si vedono da un lato le parti della materia unirsi, e formare dei carpi solidi; dall’altro si vedono le parti della materia attirarsi e ravvicinarsi ; convien danque concludere che la loro unione si è operata in virtù diquesto ravvicinamento ; e chela forza che ha operata il ravvicinamento è quella stessa che mantiene le parti vi= cine fra loro, o, ciò che è lo stesso , in stato di solidità. Limitandoci ad indicare il soggetto e le conclusioni di questa memoria, ed astenendoci da portar giudizio intorno alle conclusioni dell’ autore, non sappiamo astenerci da riferire alcane di lui con- siderazioni filosofiche, le quali abbiamo lette con molta sodisfam zione, anche perchè qualche cosa di simile era più volte passato per la mente a noi stessi. Nella teorica o ipotesi dell’ autore, l’elettricità essendo la causa della solidità dei corpi , egli all’oggetto di provare che il non rendersi l’ elettricità a noi sensibile in tutti i corpi solidi nov è ragione sufficiente a concludere che non vi esista, dice quanto appresso : « I nostri mezzi d'osservazione sono affatto nulli quando si trat- ta d'apprezzar cose piccole in qualunque genere. Nella scala ma- ravigliosa degli esseri noi siamo posti ad una certa elevazione che non ci permette di vedere nè i primi nè gli ultimi gradi; noi li vediamo troppo da lontano, e li giudichiamo infiniti perchè sfug- gono ai nostri sguardi ,,. « Per abitudine non meno che per necessità noi rapportiamo tutto a noi; giadichiamo piccolo tutto ciò che è al di sotto di noij, grande tutto ciò che è al di sopra; giudichiamo rapidissimi quei movimentii quali eccedono quelli che noi possiamo esegaire, 123 lenti quelli ehe sono meno rapidi. La forza dei nostri nervi e quella dei nostri mezzi meccanici è una spetie di ttiisura a cu rapportiamo tutte le forze che conosciamo. Per altro nulla è grande o piccolo nella natura, e queste parole , che prendiamo troppo assolutamente , dovrebbero non indicare che delle relazioni. Io non citerò che un solo esempio preso nella durata, o nel tempo. Noi non abbiamo che un idea vaga dell’eternità, o della durata continua , e non abbiamo vertina idea della durata infinitamente piccola, perchè nello stato attuale delle cose siamo posti egual mente lungi dall’ una che dall’ altra. Si può bensì dimostrare col calcolo che delle durate le quali non sono apprezzabili per noi lo diverrebbero per degli esseri, ai quali il Creatore avesse dato delle facoltà proprie a misurarle. Io prendo il minuto secondo di tempo per la minima delle durate apprezzabili per noi , poi. chè la minima delle nostre azioni , il minimo dei nostri movimenti durano, presso a poco , un secondo. Ebbene; questo secondo è tut- tavia una durata la quale contiene un numero quasi infinito di parti. La luce percorre 70' mila leghe per secondo; io poso dun- que dividere un secondo in altrettante parti quanti punti diversi si trovano in uha lunghezza di 70 mila leghe, perchè 1’ istante in cui la luce percorre il primo punto non è lo stessa che quello in cui percorre il secondo, e così degli altri. Ora riducendo 70 mila leghe soltanto in linee, o dodicesime parti d’ un pollice , se ne trovano più di 183 milliardi ; vi sono dunque in an secondo più di 183 milliardi di momenti apprezzabili, mentre nell’ intera vita d'un uomo che abbia vivato t00 anni non vi sono che 3 mil- liardi di minuti secondi ,,. ‘‘ Così supponiamo che esista un insetto, il quale possa fare in uno degl’ istanti che abbiamo distinti nel secondo ciò che noi stessi facciamo nello spazio di circa un secondo, per esempio il respi- rare; ne seguirebbe che dopo aver vissuto per un secondo, avreb- be vissuto 60 volte più che un uomo di rooanni, poichè la sua vita avrebbe compreso 183 milliardi di momenti apprezzabili, mentre la vita d'un uomo di 100 anni non ne contà réalmenté che tre miliardi ,,. « Mi sarebbe facile ( soggititge lo”stesso sig. Rendo) portar più langi queste considerazioni filosofiche, applicando questa specie d’analisi ai movimenti ed alle forze motrici; ma io penso che il già detto basti a provare che nell’ esame della natura non bisogna avanzarsi che con precauzione, e soprattutto guardarsi dai pre- giudizi che ci lascia l'impotenza in cui siamo di pervenire aì suoi limiti ,- 124 Lo stesso sig. abate Rerdu avendo per mezzo di lettere co- municato all’ illustre sig. Biot i risultamenti d’ alcune sue espe- rienze, delle quali questo dotto ha dato cognizione all'Accademia delle scienze di Parigi, ne daremo quì un cenno, Se in un tubo di vetro doppiamente curvato, e pieno d’una tintura di cavolo rosso s° immergano, uno per lato, due fili di ferro sospesi respettivamente ai due poli d’ una calamita , la tintura passa in un quarto d’ ora dal turchino al verde cupo, egualmente in ambedue i lati del tubo , i magnetismi sviluppati in ciascuno dei due fili di ferro siano fra loro di nomi contrarii. Lo stesso ri= sultamento si produce quanilo sì sostituiscono a questi fili degli aghi d'acciaio ben temperati e puliti. Se si toglie uno dei fili, l’effetto non ha più luogo che in quel solo lato del tubo in cui il filo è restato. Finalmente si ottengono gli stessi effetti benchè i fili di ferro non siano in comunicazione con una calamita; ma se dopo si estraggono dal liquido e si asciugano si riconosce che son divenuti magnetici. La tintura di laccamuffa subisce una simile colorazione , ma molto più lenta, ed il colore non passa al verde che nel solo lato del tubo che si trova in relazione col polo boreale, Il sig. Biot, sapponendo che l’ ossidazione dei fili di ferro po- trebbe in questo caso prodarre gli effetti ordinarii della pila voltai- ca, mentre è della natara delle influenze magnetiche d'’ esercitarsi nonostante l’interposizione d’un corpo estraneo, ha suggerito al sig. Revdu l’ isolare i suoi fili di ferro dalla tintara , racchiadendoli in tubi di vetro chiusi inferiormente. In questa disposizione li stessi effetti sono stati egualmente prodotti, ma molto più lentamente; la tintura di cavolo rosso non si è cangiata interamente in verde se non dopo due giorni. Un nuovo processo , che può essere utilissimo nelle ricerche medico-legali , è stato suggerito dal sig. Berzelius per rendere evi- dente l’arsenico riducendolo allo stato metallico dal suo solfuro, seb= bene in quantità piccolissime. Ecco questo processo , altrettanto fa- cile , quanto certo nei suoi risultamenti. Si prende un tubo di vetro comune , che in una delle sue estremità si stira, infuocandolo alla fiaccola d' una lucerna avvivata dal soffio, fino al punto che il suo calibro sia divenuto così sottile come un ago. Il tubo è aperto in ambedue le estremità. Dopo avere impastato il solfaro d’arsenico con un poco di carbonato di soda e d’ acqua , s’ introduce nell’ estremità larga del tubo , per mezzo d’ un altro tubo di vetro più piccolo , e sì porta fino ad un pollice circa di distanza dal ristringimento. Al- 125 lora si riscalda in modo da far fondere la mescolanza: quiadi si fa passar nel tubo una debole correvte di gas idrogene, privato prima d'umidità per mezzo dell’ idroclorato di calce ; ed allorquando il gas idrogene ha seacciato l’aria dal tubo, si scalda la massa fino al color rosso-ciriegia. L’idrogene riduce allo stato metallico l’ arsenico , il quale si deposita nella parte fredda del tubo., ove si fa vedere sotto il suo aspetto brillante. Gosì quantità quasi impercettibili d’ arsenico possono esser ridotte allo stato metallico e rendersi evidenti. Si deve al sig. Brande il seguente processo per preparare l’acido idriodico. Si disciolgono 60 grani d'iodio in sufficiente quantità d’ alcool , e vi si aggiungono , goccia a goccia 4. once d’ acqua in cui sia stata stemprata un oncia d’amido sottilmente polverizzato. Si aspetta che siasi depositato l’ iodaro d’ amido, poi si decanta una parte del liquido che soprasta. Allora si fa passare a traverso del de posito una corrente di gas acido idrosolforico; ben presto si mani. festa un colore giallo aranciato , dovato alla formazione d’un solfuro d’iodio ; in seguito questo colore passa al giallo puro , e finisce con sparire completamente , in modo che l’ amido ritorna bianco, Si fel- tra il liquido, si lava con piccole quantità d’acqua l’amido rimasto sul feltro ; si scalda dolcemente tutto il liquido riunito , per scac= ciarne 1’ acido idrosolforico; dopo di che si può , mediante l’ evapo- razione, condurlo alla densità di 1, 5. In tal modo si ottiene del- l’ acido idriodico puro. E’ non solo un curioso fenomeno , ma presenta un sorprendentè e quasi maraviglioso spettacolo, la varia colorazione che assumono quasi ad un tratto le foglie di molti vegetabili al sopravvenire del= l’ autunno, i Varie opinioni, ma non molto sodisfacienti erano state emesse ina torno alla causa di questo fenomeno.Così il sig. Lamark lo attribuiva ad uno stato di malattia delle foglie; il sig. Senebier ad una alterazio- ne o diminuzione nei loro sughi natritivi, la quale non fa che pre- pararne la caduta, paralizzando la sottil reticella o tessuto che si trova presso la lor superficie, Generalmente i due fenomeni della co- lorazione delle foglie e della loro caduta erano riguardati come cor- nessi e dipendenti uno dall’ altro e dalle medesime cause. Ora il sig. Macaire Princep, in segaito di diligenti ed ingegnose ricerche è disceso a conclusioni diverse. Egli riguarda la colorazio- ne e la caduta delle foglie come dae fenomeni distinti ed indipendenti uno dall’ altro ; di che gli sembra bastante argomento |’ osservarsi che, sebbene in molti casi la caduta delle foglie sia preceduta dalla 126 loro colorazione, ve ne son pure alquanti ni quali le foglie cadono verdi , ed altri nei quali cangiano di colore senza cadere. Anzi l'an tore riguarda come impoftante questa distinzione , giacchè se îl cangiamento di colore della foglia non fosse che una preparazione alla sua caduta , dovrebbe considerarsi come un principio di morte, come lo hanno considerato la maggior parte dei fisiologi, mentre i fatti riportati da esso nella sua memoria sembrano atti a dimostrarlo un fenomeno della vita vegetativa, una conseguenza dell’ azione con- tinua degli stessi agenti che presiedono alle altre fanzioni della pianta. Quanto alla causa del fenomeno della colorazione delle foglie , il sig. Macaire-Princep |’ ha riconosciuta nell’azione ed influenza della luce e dell’aria atmosferica. Difendendo artificialmente dal= l’ azione della luce dei rami, delle foglie intere , e delle parti di fo- glie , egli ha veduto costantemente colorarsi d’ una stessa pianta le foglie o parti di foglie esposte, e restare inalterate le foglie o parti di foglie che eran difese. E quanto all’aria, egli ha osservato ciò che Senebier aveva veduto prima di lui , ma che pure egli ignorava , cioè che, mentre le foglie ben verdi immerse nell’ acqua ed esposte al sole esalano del gas ossigene , cessano d’esalarlo dal momento che comincia in esse la colorazione autunnale. Però la fissazione nella foglia di quest’ ossigene non più esalato è riguardata dall’ autore come la causa prossima della colorazione. Egli ha poi riconosciuto che 1’ effetto chimico ,0 la modificazione che ne risulta nella materia colorante delle foglie , quella che i sigg. Pelletier e Caventou chiamarono clorofilla, e che è naturalmente colorata in verde, consiste in una specie d’acidificazione che essa prova colorandosi per la fissazione dell’ ossigene. Egli ha riprodotto il color verde in foglie ingiallite o arrossite naturalmente, con im= mergerle in un liquore alcalino; come ha potuto far divenire artifi= cialmente gialle le foglie verdi immergendole in un acido. Non sem- brandogli conveniente conservare il nome di clorofilla ( che significa verde delle foglie) ad una materia che non solo non è sempre verde, ma che egli ha trovata anche in altre parti delle piante diverse dalle foglie, le ha dato il nome di cromula , suggeritogli dal sig. Decab- dolle , ed allusivo alla sua attitadine a prendere diversi colori. Il sig. Arago ha comunicato all'Accademia delle scienze di Pa- rigi una lettera del sig. Becquerel relativa ad un fatto importante di fisica. E’ noto che quando si stabilisce la comunicazione fra i due poli d’ una pila voltaica per mezzo d' un filo metallico poco lungo, questo filo, se la pila sia d’ una discreta forza, s'infuoca verso la sua 127 metà. l fisici hanno'spiegato questo fatto ammettendo che la'tempe- ratura sia la stessa in tatti i panti , ma che le estremità provando l’effetto del raffreddamento in conseguenza del loro contatto colla pila, il solo mezzo deva manifestare una temperatura più elevata. Il sig. Becquerel avendo intrapreso da Jlango tempo delle ricerche in= torno alla natura del principio elettrico, si è proposto di determinare la temperatura dei diversi punti d’ un filo metallico { molto lungo, per non dover temere l’effetto del raffreddamento nelle estremità ) allorchè passa per esso una corrente elettrica. L’ esperienza gli ha dimostrato che la temperatura va elevandosi a partire da ciascuna delle due estremità verso il mezzo, e che in conseguenza la causa che fa nascere una corrente elettrica , l' intensità della quale è co- stante in ciascun punto del filo, agisce come forza acceleratrice per sviluppare del calore. Da che i chimici riconobbero null’ altro essere il diamante che puro carbonio, cioè la stessa cosa che la pura parte combustibile del carbone comune, il quale ne diversifica così grandemente nell’ ap- parenza, e per la varia disposizione ed aggregazione delle sue par- ticelle, e per essere in esso il principio combustibile commisto a quella piccola quantità di materie estranee che si ritrovano nella cenere che il carbone lascia dopo la sua combustione ; da che una tal verità fu riconosciuta, fu anche concepita la speranza di paisizi produrre artificialmente il diamante. Diversi saggi intrapresi fin quì avevano dato dei risultamenti poco sodisfacienti. Ora ne vengono annunziati dei più importanti. Il sig. Gannal, in una sua lettera diretta all’ Accademia delle scienze di Parigiedivi letta nell’adananza dei 3. novembre decorso, fa note le seguenti esperienze ed i risultamenti che ne ha ottenuti. Avendo introdotto diversi cilindri di fosforo in un matraccio che conteneva del carburo di solfo puro, ricoperto d’ uno strato d’acqua, osservò che il fosforo al momento in cui veniva a con- tatto del carburo si fondeva come se fosse immerso in acqua scal- data a 50, 0 55 gradi R, e che divenuto liquido si precipitava nella parte inferiore del matraccio. Allora tatta la massa si trovò divisa in tre strati distinti, dei quali il primo o superiore era formato d’ace qua pura, il secondo di carburo di solfo, ed il terzo di fosforo liquido, Allora, agitato il vasoin modo da operar la mescolanza delle di- verse sostanze, il liquido si turbò, divenne latteo, e dopo qual- che tempo di riposo si separò di nuovo, bensì in due soli strati, dei quali il superinre era formato d’acqua pura , l’altro inferiore di fosfuro di solfo, restando fra i due liquidi un sottilissimo strato 128 d' nna polvere bianca, che esponendo il matraccio ai raggi del sole presentava gli effetti del prisma, ed appariva consistere in una mol- titadine di minutissimi cristalli, Incoraggito da questo risultamento, e studiando il modo d’ ot- tener cristalli di maggior volume, introdusse in un matraccio po- sto in un luogo perfettamente tranquillo, prima 8 once d’acqua, poi 8 once di carburo di solfo, ed un egual quantità di fosforo. Si offer- sero i fenomeni stessi indicati di sopra, se non chè il sottile strato di polvere biancastra presentava qua e là diverse bolle d’aria, e di= versi centri di cristallizzazione, formati, alcani d’ aghi o lame sot- tilissime, altri di stelle. Dopo alcuni giorni il sottile strato cristal. lino si era gradualmente ingrossato. Nel tempo stesso la separazio- ne dei dae liquidi inferiori era divenuta meno esatta , e dopo tre mesi sembravano formare una sola e stessa sostanza. Il lasso d’ an altro mese non avendo offerto alcun nuovo risultamento , il sig. Gannel pensò ad un modo di separare la sostanza cristallizzata dal carburo di solfo, lo chè presentava grande difficoltà per l’in- fiammabilità della mescolanza. Dopo varii tentativi, egli si deter- minò a feltrare il tutto per una pelle di camoscio che pose sotto una campana di vetro, di cui andava rinnuovando di tempo in tempo l’aria. Dopo un mese questa pelle potendo esser maneggiata senza inconveniente, fu lavata ed asciugata, dopo di chè il sig. Gannal potè esaminare la sostanza cristallizzata che era rimasta ‘sulla di lei superficie. Esposta ai raggi del sole, gli presentò molti cristalli che riffettevano tutti i colori delliride. Venti d' essi erano bastan- temente grossi per potere esser distaccati colla panta del temperino; tre altri erano grossi come un grano di miglio. Questi ultimi esami- nati dal sig: Champigny abile gioielliere gli sembrarono, veri dia- manti. L’ indicato annunzio ha dato luogo ad a!cani altri. Il sig- Ca- gnarte Delatour in una sua lettera diretta alla stessa Accademia delle scienze, annunzia che il deposito da essa accettato nel 19 gen- naio 1824 aveva per oggetto la fabbricazione del diamante. Le ri- cerche nelle quali egli sì è impegnato per dare ai suoi prodotti delle grandi dimensioni non gli permettono presentemente di far conoscere il suo metodo. Però si limita a far sapere che esso è interamente diverso da quello che è stato esposto dal sig. Gannal. Il sig. Cagnarte Delatour ha unito alla sua lettera dei tubi pieni di polvere di dia- mante, cioè di carbonio cristallizzato. I suoi saggi, che sono diversi, non sono stati ottenuti con un metodo stesso , e quello che è degno di attenzione si è, che sebbene le proprietà chimiche dei diversi sag- 120 gi sieno, le stesse, pure nell’ aspetto. e. nella durezza presentano del- le differenze notabili. Uno dei tubi contiene un piccolo cristallo ben diafano, ed im cui è evidente la forma piramidale, I cristalli presentati ora dal sig. Cagnart Delatour non sono che 1 risultamen» ti dei suoi primi saggi, ed egli spera esser presto in. grado di pre- sentare all’ Accademia dei cristalli di tre.a quattro linee di diametro. Egli annuvzia che alcune piccole corone contenute in uno dei tubi sono della silice cristallizzata per mezzo d' uno dei suoì processi. Nell’ occasione stessa il sig. Arago ha fatto note.che una per- sona di sua conoscenza, la quale pure si è occupata della fabbsica- zione del diamante, aveva sperato di giungervi decomponendo il car- baro di solfo colla pila voltaica. H difetto di facoltà conduttrice nel carburo di solfo si è finora opposto alla riuscita di quest espe- rienza. Ma lo sperimentatore non dispera assolutamente di vincere questa difficoltà, Storia Naturale. E' stato dispatato fra i naturalisti fino da tempi assai rimoti se la talpa veda, o non veda, Aristotile e tutti i filosofi greci la cre- derono cieca. All’ opposto Galeno affermò che la talpa vede, ed ha tatti i mezzi cogniti della visione . Riprodotta modernamente una tal questione, i naturalisti hanno trovato l’ cechio della, talpa , oc- chio piccolissimo, non maggiore d' un grano di miglio, di colore ne- rissimo, duro al tatto, e che difficilmente si lascia com.primere fra le diga. Oltre la palpebra che lo rieuopre , esso è difeso da lunghi peli, i quali inerociandosi gli uni sugli altri, formano una tenda den- sa e serrata. Sebbene sembrasse ragionevole il pensare che nn tale occhio sia destinato a vedere, pure gli anatomici non avendo tro- vato il nervo ottico, nè sapendosi comprendere a che potesse ser- vire un occhio.mancante del mezzo per cui in tutti gli altrr animali le sensazioni visuali son trasmesse al cervello, si fece ritorno all’opi- nione d” Aristotele e dei greci, e si eredè che la talpa , benchè prov. vista d'occhio, pur non vedesse. Frattanto alcune esperienze dirette, intraprese ad insinuazione del sig. Geoffroy-Saint-Hilairé, dimostrarono ineontrastabilmente che la talpa si serve dei suoi occhi, evitando ella gli ostacoli che si frappongono al suo,cammino. A conciliare quest’ effetto colla mancanza del nervo ottico, il sig Serres aveva pensato che nella tal- pa vi sapplisse un ramo superiore del quinto paio, quello che può riguardarsi come l’ analogo della branca oftalmica del Willis. Il sig Geoffroy-Saint-Hulaire non ammette questo trasporto T. XXXII. Dicembre. 7 130 di funzione sopra an neryo non destinato ‘natnralmente ad eser- ‘ citarla. Secondo esso , la talpa vede per mezzo d’un nervo parti- colare, il quale non si trova che in essa: ma questo nervo non potendo, per la troppo grande estensione dell’apparato olfatorio, seguitare il tragitto, lungo il quale si porta negli altri animali ai tubercoli quadrigemelli ( lobi ottici del sig. Serres), segue un altra direzione, e va ad anastomizzarsi in grande prossimità col ner- vo del quipto paio. L' osservazione d' alcune mostruosità somministra esempi d'a ana- malie affatto analoghe. E'un fatto noto nella scienza ( prosegue il sig. Opolrio Re che ogni organo dei sensi è necessariamente fornito di due sorte di sistemi nervei, un nervo speciale e principale che dà e mantiene la vita dell’ apparato, ed un altro nervo accessorio. Questi nervi sono ) per l’odorato, |’ olfattorio ed il nasale; per la vista, l’ot- tico e l’oftalmico; per l'udito, l’acustico e la branca. della chioc- ciola. Aoche la talpa possiede i suoi due nervi oculari , il prinei- pale e l'accessorio, cigè l’ottico e l’ oftalmico. Le due azioni ner- vose attribuite a questi \due nervi essendo contrarie di direzione e tattavia simultanee, non . \possoro essere eseguite da ana sola bran- ca, Nella talpa, indipendentemente dal nervo che occupa il fondo del. l’occhio, e che questa posizione deve far considerare come nervo : attico, ve n'è un altro che alla sua origine occupa una punto del contorno del globo dell’ occhio ; questo sembra derivare da unstes-. suto muccoso o glanduloso,se pur non esce da una vera glandula la- crimale. 1. due nervi dell’ occhio della talpa sono contenuti in una guaina comune, nello stesso nevrilema. I sigg. Quoy e Gaymart hanno reso nuovamente dubbioso un punto disputato già da lungo tempo fra i naturalisti , e che sembrava oramai deciso. Il nautilio, o l'Argorauta argo di Linn., era conosciuto dai tempi più rimoti, e si trova descritta in Aristotele la maniera in cui egli na- viga alla superficie del mare nei tempi di calma. Una singolare op'» nione era stata emessa intorno a questo animale, ed adottata da qual= che naturalista di gran merito, cioè che il guscio o nicchio abitato dall’Argonauta non gli appartiene originariamente, ma appartiene ad un altro mollusco ( ad un gasteropodo ). Quest’opinione combattuta prima dal sig. barone di Ferussac sembrava interamente rovesciata in' seguito delle ricerche del celebre conchigliologista Poli, il quale avendo osservato l’ animale vivo , e le curiose particolarità della 131 sua riproduzione; credè scuoprire che le nova ; espulse dall’ utero, fossero attaccate. immediatamente al guscio. Shia giorno per «giorno lo sviluppà dell'animale; egli vide ché il gusci esisteva fin idalla nascita, perlochè concluse che il guscio abitato dall’ Argo- nauta nasce e cresce ‘con lui, Contrarie a questa conclusione ed alle cose che il Poli affer- «ima avere osservate, sono le notizie che i sigg. Quoy e Gaymart hanno raccolte sui luoghi stessi ove si trova |’ Argonauta. Essi narrano come, trovandosi ad Amboine in compagnia del sig: Halstkamp, segretario del governo, un Malese portò loro. an -Argonauta, che conteneva un animale vivo. Il sig. Halstkamp; ve- dendo che essi lo guardavano con molta attenzione , disse loro , senza esserne richiesto, che l’animale clié avevano sotto gli cechi non era quello cai il guscio apparteneva originariamente, ma che egli se ne impadroniva qUatido, il proprietafio paturalé essendo morto, il guscio veniva a galla. Egli soggiunse d'avere incontrato più volte il vero animale che si strascinava sulla. sabbia presso la riva. Pregato dai sigg. Quoy e Gaymart egli ne abbozzà una figura, che questi hanno presentata all’ Accademia delle scienze di Parigi. Sebbene manchi in essa qualchè cosa ( giacchè il sig. Hulstkamp, benchè osservatore giudizioso non è naturalista }, ba- sta per altro a tai conoscere che questo mollusco è uri gastero- podo. E sigg. Quoy e (3aymart credono che si avvicini al genere atlante di Lesueur, che essi banno trovato alla. Nuova Ghinea ; e ad Amboine. Botanica. Plantae rariores, quas in itinere per oras Fgniì ac diiriatici mnaris, et per regiones Sammii ac Aprutii collegit. Toanwes Gussone ec. Neapolis. Ex regia typographia, 1826 in 4° ‘Sono scorsi pochi mesi , dacchè l’illustre dott. Giovanni Gus- soné nubblicò colle stampe l’insigne sua opera intitolata Prodro- mus Florae Siculae; della quale già parlò l' Antologia; ed.ora egli turtra in campo, e mette alla lace la nuova produzione, di che io imprendo a favellares Questa invero era stata per la maggior parte stampata sino dell’anno 1826, epoca in cui iò ne ricevetti i fogli impressi ; ma alcune accideotali ‘cireostanze ne hanno titardata la pubblicazione sino al giorno d' oggi. L'anno 1824 il, Gussane, mercè della protezione sovrana dell’ augusto Francesco I ora re delle due Sicilie; intraprese .îl giro della sponda d’Italia da Reggiò di Calabria sino a Bari , indi viaggiò per gli Abruzzi, e per le terre del Sannio , 232 affine di esaminare e raccogliere i vegetabili indigeni di tatti questi luoghi. La dovizia di piante rare ie muove ) che in tale circostanza egli rinvenne , fa affidata al libro, che‘ora per me si annunzia, e fu anche meto gentilmente divisa. E per dare un saggio di lei, non che di quelle piante, che congiungono la Flora nostra ‘colla Flora della Grecia, dell’ Africa , della Sicilia, e della Sardegna mi fia permesso rammentare alcune delle piante descrittevi, quali sono la Salicornia amplexicaulis, la Salvia triloba, ‘a Fedia sphaerocarpa, il Lygeum Spartum, >» Panicum cruciforme , il Bromus lanceo= latus., \a Stipa Lagùscae , \' Avena villosa, e puberula, il Saccha= rum Teneriffaè , la Scabiosa silenaefolia , pilosa , brachiata, e cre- tica, \-Asperula neglecta,, e nitens, \a Plantago amplezicaulis , I’ Hypecoum glaucescens, \' Echium arenarium, il Convolvulus pentapetaloides, \a Campanula versicolor, e nutabunda, il Phy= teuma collinum , il Verbascum viminale., la Mandragora officina= rum, \a Periploca Graeca, \l Tragium Gussonii, la Cachrys sicula, il Capnophyllum dichotomum, il Daucus aureus, \a Myrrhis tyna- pioides», \- Ammi crinitum , ‘Heracleum Orsinii,'il Laserpitium meoides, ì\ Galanthus plicatus, \° Allium Cupani , \a Fritillarià messanensis., i Muscari commutatum, \a Saponaria calabrica, il Dianthus welutinus, il Sedum littoreum , \V' Euphorbia cuneifolia, e biglandulosa , il Pyrus cuneîfolia, ! Aizoon hispanicum , ‘a Spi» raea habellata, \'‘Helianthemum arabicum , la‘Wlematis cirrhosa ; la-Satureia graeca,'è canescens, la Lavandula multifida, il Thymus micranthus , \a Linaria stricta, \a Celsia cretica, ‘a Scrophularia lucida, \V Alyssum leucadaeum-.‘e‘vrientale , la Matthiola corono- pifolia, \' Erodium Gussoni , la Malva cretica , \o Spartium infe- stiîm», ‘\'-Orobus ‘atropurpureus., ‘il Latliyrus ciliatus, \ Trifolium praetutianum,, ‘il Lotus pusillus, ‘la ‘Scorzonera Columnae , \l Ci- chortium divaricatum ; o Scolymus grandiflorus , !a-Carlina sicula, il Carduns affinis, \a Santolina alpina, \a Centaurea ambigua ; il Quercus ‘pseudo-coecifera, il Fraxinus rostrata, l’ Acer marsicum, lAsplenium obovatum , ta Salvia candidissima, \ Arabis nivalis ; la Medicago ‘olivaeformis. Che'se io ivolessi ridire tutto ‘il ‘bello ‘e l’ utile , che'‘si rinviene in quest’ opera, bisognerebbe, che enume- rassi tutte:quante le:specie ‘che wi ‘sono‘contenute. Grazie adunque si rendanb ‘al bravo Gussone , e grazie segnalate all’augusto re Fran. cesco I, che:colla‘valevole:sua protezione ha creato per :così dire'un Gussorre:; acciocchè questi ‘corredasse la Flora nostra de’più preziosi ornamenti. ANTONIO BERTOLONI. 133 SCIENZE MEDICHE. Nel Bullettino del decorso mese di settembre annunziammo che avendo il sig. Tommaso Biancini, attual dissettore nello spe- dale di Pisa , riprodotta quell’ antica opinione anatomica in cui si ammetteva fra la madre ed'il feto una circolazione diretta , il sig. Massimiliano Rigacci in una sua lettera ad un amico aveva preso a confutare quell’ opinione ;, fondandosi sopra alcune sue osservazioni anatomico-fisiologiche appoggiate ad esperimenti di- retti. Ma avendo egli vedute in seguito in quel bullettino stesso riportate Je conclusioni che il sig. Daliso Casubianca aveva de- dotte da alcune sue esperienze, conclusioni favorevoli all’opinione del sig. Biancini , lo stesso sig. Rigacci ha dato in luce una se conda sua lettera, nella quale oppone a ijuell’ opinione muove esperien ze e muovi argomenti, che ci sembrano concludentissimi, e dei quali ecco i principali. Il feto soppravvive alla madre morta per amorraggia , ed in cui sia cessata l’ azione del cuore e dei vasi sì arteriosi che venosi; e vive pur anco diviso affatto dalla madre ed immerso coi suoi involucri in un fluido acquoso portato alla tem- perie riscontrata nell’ utero della madre vivente. Non si osserva veruna lacerazione ‘di vasi nè emorragia sulla superficie esterna della placenta distaccata dall’utero, lo che dovrebbe avvenire se vi fosse fra questo e quella comunicazione diretta di vasi, che dovrebbero rompetsi'‘hel'distàcco. Vi è notabilissima differenza fra il numero delle pulsazioni ''del figlio, in cui se ne contano 150, e quello delle pulsazioni della madre , in cui sono presso a poco la metà. Confermano l’ opinione del sig. Rigacci, che è comune agli anatomici ed ai fisiologi più distinti, i risultamenti delle ingegnose ricerche del diligentissimo ed ingegnosissimo sperimentatore sig. Prevost, riferite nella Biblioteca Universale dì Ginevra, fascicolo di settembre 1828 pag. 72. 1: RIGIDI > e a SCIENZE ECONOMICHE, STATISTICA, GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. Motuproprio di S. A. I. e R. il Granduca di Toscana, per il risanamento della provincia Grossetana. L’Antologia mette sotto gli occhi de’suoi lettori il seguente Motuproprio sovrano, come l’annunzio d’una delle più gran di operazioni scientifiche ed economiche di. quest’ età , il quale merita l'applauso d’ Europa non che la gratitudine del popolo toscano. Moruproprro. SUA ALTEZ IMPERIALE; E REALE restò profondamente com- mossa dallo squallore ed insalubrità; che desolando tuttora le Maremme Toscane scoraggivano con l’idea de’ tentativi praticati senza conseguirne lo sperato meglioramento. Volle (A ALTEZZA IMPERIALE, E REALE sull’esempio dei suoi Augusti Predecessori con assidua paterna. cura riscontrare ocu= - larmente 1 estensione dei mali, e riunì quanti lumi emergevano dalla storia , dalla teoria, e dalla esperienza. Potè allora convincersi che tutte le risorse della natura, e dell’ arte non erano esaurite, e fissando intanto la Sovrana: Sua considerazione sopra la Pianura di Grosseto la sottrasse in pochi mesi a quell’ elemento d’infezione che. può emanare dalla mesco- lanza dell’acque marine colle pluviatili. Ponendo poi mente alla giacitura di quel terreno , e al pingue- limo , che trasportano i suoi influenti trovò condizioni le più fa- vorevoli ad un sistema di colmate fino al presente ivi sconosciuto, dal qual sistema in altre Provincie del Granducato si ottennero i più felici risultamenti. In sequela pertanto di maturo consiglio SUA ALTEZZA IMPE- RIALE E REALE determinò di dar opera ad una impresa di manifesto interesse pel Territorio Grossetano, e di sommo vantaggio pel- l’intiero Granducato, essendo altronde prezioso per il suo Cuòre & ; 396, »;Îl considerare che questo nuovo benefizio per tutti i suoi amatissi» . mi:sudditi non imporrà loro veruno aggravio ulteriore. . dn « Avuto riguardo alla natura, e vastità dell'impresa, e alla rapidità necessaria’ nell’esecuzione come nei provvedimenti, ‘che di tempo in tempo può essere urgente'di adottare ; S. A. I., e R. non ha giudicato conciliabile di commettere la eura, e le opera- zioni della bonificazione della Grossetana agli ordinarii mezzi am- ministrativi, e d’arte che offre l’instituzione in ‘quella provincia di una Camera di Soprintendenza Comunitativa, e di un Inspe- zione di acque, e strade , ed è rimasta all’incontro pienamente convinta, che la condotta delle operazioni idrauliche deve esser libera nella sua azione, ed indipendente dagli ordinarii rapporti, che convengono alle Amministrazioni non transitorie , ma per- ‘ manenti. Quindi SUA ALTEZZA IMPERIALE E REALE dispone, ed ordina quanto appresso : ‘I Sarà intrapresa la buonificazione della Pianura Grossetana ritenuto in genere il progetto approvato da S. A. I., e R.: Le spese a ciò necessarie si faranno:dalla. Camera di Soprintendenza Comunitativa di Grosseto, che verrà opportunamente sussidiata :.dall’I. e R. Depositeria. II, I lavori da eseguirsi nell’ interesse della buonificazione | predetta saranno a tutti gli effetti considerati opere riguardanti la causa pubblica. III. L’ esecuzione dell’indicato progetto di buonificamento è - affidata ‘alle cure di una Commissione Idraulico-Economica; che viene a tal uopo espressamente , e specialmente instituita. IV. Questa Commissione sarà composta di un Direttore della buonificazione, di un Ministro Economo, e di un Architetto Idraulico. Ad essa saranno addetti un Commesso, un Sorvegliante di lavori , ed un Copista tutti alle facoltà del Direttore della buo= nificazione, V. Saranno di competenza del Direttore della buonificazione tutte le misure di esecuzione della medesima : Esso ordinerà il pagamento delle spese occorrenti, e ‘corrisponderà direttamente con l’I. e R. Segreteria di Finanze per quanto concerne l’ eser= cizio delle relative di lui attribuzioni. di VI. Il Ministro Economo apporrà il Visto agli Ordini di pa- gamento , che verranno estinti per mezzo della Cassa della Ca- mera di Soprintendenza Comunitativa, dopo essere stati nelle solite forme regolari registrati dal Computista di detta Camera, dirigerà la scrittura; e i relativi conteggi , e sarà particolarmente affidata 136 al medesimo la trattativa delle indennità da prestarsi ai terzi per occupazione di suolo, o. per altro titolo. qualunque. VH .L° Architetto Idraulico fermerà i progetti, e le perizie dei lavori ; e secondo le diverse circostanze, e natura delle lo calità , e dei lavori stessi ne proporrà il meglior. modo di esecu- zione sotto i rapporti tanto d’ arte, che d’ economia. VIH. Il Direttore della buonificazione sottoporrà alla Su- prema Approvazione i progetti dei lavori formati dall’ Architetto Idraulico , e destinati a dare esecuzione alle varie parti del pia no di buonificamento. Sarà bensì nelle sue facoltà 1’ esecuzione dei lavori di dettaglio necessari a portare ad effetto gl’ indicati progetti, dopo rivestiti della Suprema Approvazione, ma qualora cirea i lavori e modi necessari per l’esecuzione di tali progetti vi fosse discordanza d’opinione tra Esso, e 1° Architetto Idrau- lico, ne sarà reso conto per attendere la Suprema Resoluzione. EX. Dì concerto con l’ Architetto Idraulico il Direttore della bwonificazione presceglierà i caporali conduttori dei lavori, e sta- bilirà Je mercedì giornaliere di essi. X. Se ì lavori diretti al conseguimento della buonificazione avessero rapporti con quelli ordinari, e comunitativi, e con le circostanze economiche delle diverse Comunità della Provincia, il Direttore della buonificazione si combinerà opportunamente con la Camera di Soprintendenza Comunitativa per la conveniente cooperazione. XI. Le questioni tra 1’ Uffizio della buonif.scazione, e ì cot- timanti, aceollatari dei lavori, e. giornalieri, come quelle che per causa dell’ esecuzione dell’ Impresa potessero insorgere con le Comunità, e i Luoghi Pii dependenti dalle medesime , e altre pubbliche Amministrazioni senza mistura d’ interesse individuale di Particolari, saranno amministrativamente resolute dal Provve- ditore della Camera di Soprintendenza Comunitativa di Grosseto, salvo il ricorso al Trono per chi si sentisse aggravato, XII. Le questioni poi che insorgessero tra l’ Uffizio suddetto della buonificazione, e i Particolari, 0 con mistura d’interesse in= dividuale di Particolari saranno. di privativa competenza del Vica- rîo Regio di Grosseto. Esso deciderà inappellabilmente , se la causa non oltrepasserà in merito Scudi cento , e nelle cause di merito, superiore della somma predetta l’ Appello sarà portato alla Ruota di Grosseto. Il Giudizio della Ruota sarà definitivo escluso ogni ulteriore rimedio ordinario. XIII. All’ effetto che non si frappongano ostacoli al progresso delle operazioni concernenti l’ intrapresa buonificazione della Pro- 137 vincia non saranno dai Tribunali ricevute ;'niè ammesse opposizio- ni, o inibitorie dirette‘a sospendere ilavori, qualunque ne fosse la causa, e solamente. ad istanza degl’ Interessati potranno i Tri- bunali procedere a verificare nei modi legîittimi lo stato delle cose per quelle indennità che saranno di ragione. XIV. Comunque le cure della Commissione 1a}oudiePiicoho+ mica siano per ora principalmente dirette al. prosciugamento del Lago di Castiglione; dovrà. nientedimeno la Commissione predetta prendere di mira tutti gli altri oggetti che abbiano relazione alla buonificazione della Provincia, e rassegnerà le'sue proposizioni circa ai provvedimenti che Essa giteliaiae opportuni per meglio- rarne le condizioni. Datoli ventisette Novembre stillocttaccutprientitio: LEOPOLDO . V. FossomBRoNI G. BAEDASSERONI. Viaggio del sig. CarLLé a Tombouctou, e suo ritorno in Francia Si è sparsa unagran nuova, che interessa ‘il mondo dotto; e spe- cialme nte le persone che sioceupano di geografia. Un europeo, par- tito dalla costa occidentale d’ Affrica , è ‘penetrato nell’interno di quel continente; egli è igianto fino ‘a ‘Fombonetou, e'più' fe- lice di tanti altri viaggiatori che ai nostri giorni hanno tentato la stessa intrapresa, egli è di ritorno nella sna patria. Questo europeo è un francese, per none sig. Caillé, it quale non' temendo né le fatiehe, nè i pericolt, nè le privazioni, ha ter- minato coraggiosamente, e con quella perseveranza che viene da una ferma risolazione, l’ impresa che egli sì era proposta. Essendo egli al Senegal nel 1824, concepì il progetto d’ esplo= rare |’ Affrica centrale senza altro aiuto che i suoi propri mezzi. Per tre anni percorse quella parte della Senegambia che è com- presa fra il Senegal ed il Rio Nunez; poi nel 1327 si riunì ad una caravana di mercanti Mandinghi. Egli aveva preso l'abito degli Arabi, e praticava le cereimonie della loro. religione. Egli potè così passare senza ostacolo le montagne che separano la, Senegambia ed il Fouta-Diallon dal Bambara. Arrivato a Timè; villaggio della T. XXXII. Dicembre. 118 138 parte meridionale di quest’ ultimo'paese, vi fu assalito da una ma>, \«ttia grave, che ve lo ritenne cinque mesi. ‘ Scampato da questa fanesta malattia , il sig. Caillè riprese: i spo ‘viaggio il giorno g gennaio 1828. Egli andò per terra fino a Jenné, ove s’ imbarcò ; sul Dialiba, sopra un gran bastimento destinato per Tombouctou. La sua navigazione durò un mese, e fu! pengsissima; sbarcò al..porto di Kabra, sitnato alla distanza di cinque miglia. al. sud da Tombouctou ; soggiornò quindici giorni in questa città, e si occupò nel procurarsi delle informazioni intor= uo.a tatto ciò che concerneva al paese ed ai suoi abitanti. In se- guito. viaggiò verso il nord, vide El-Arawan, città in cui si fa-an gran commercia di sale, e situata sotto un clima ardente. Dopo essersi fermato al pozzo di Teligue!, la caravana traversò: il Sa- hara, ed in capo a due mesi di cammino, durantei quali fu esposta alle più penose privazione entrò nelle mura di Tàfilet. Il sig. Caillé evitò di passare per la capitate dell’ impero di Marocco, per non eccitare i sospetti d’ un despota , che natural- mente vede con inquietadine degli stranieri che si avanzano nel- l'interno dell’ Affrica. Tanger fu il luogo ove il sig. Gaillé ebbe finalmente la sodisfazione di parlare ad uno dei suoi compatriot= ti, 1 quale fu il sig De la Porte, Viceconsole di Francia, che lo accolse. coll’ interesse che ispira un uomo coraggioso, che. niun ostacolo può trattenere dal contribuire ai progressi delle scienze, Il sig..Caillé s° imbarcò tosto sopra una goletta dello stato yi che la condusse a Tolone, ove fece quarantina. Da questa città il sig. Caillè scrisse il 10 attobre al sig. Pre- sidente della, commissione, centrale della ‘società di geografia, per annanziargli il guo arrivo in Europa. La commission centrale decise, nella sua seduta del 17 otto» bre che sarebbe inyiata immediatamente al sig. Caillé una. prima somma di danaro, ed il suo presidente infarinà il ministro dell’in- terno dell’ arrivo di questo viaggiatore. Il ministro dell’ interno e quello della marina_banno dichia- rato al presidente della commission centrale che si affretterehbero a provocare i benefizi del re a favore del sig. Caillé, e colla pre- mura che hanno impiegata, interessandosi vivamente per quest’ar- dito viaggiatore, hanno mostrato che ascrivono a loro fortuna il trovare occasione di far conoscere la sodisfazione che il governo prova nel dare degl’incoraggiamenti a chiunqae contribuisce «ai progressi delle scienze. In quest’ occasione ciascuno ha'rivaleggiato di zelo; il sig. bi rone Beniamino Delessert, il di cui nome si trova sempre associato 139 ad atti onorevoli, ha fatto pervenire senza spesa al sig. Cail'é la somma, destinatagli dalla Società di geografia; il sig. ammira- glio Jacob, comandante di marina a Tolone, si è affrettato a pr.- digare a questo viaggiatore i segni della sua benevolenza. Il sig. Caillé è già arrivato a Parigi. Speriamo clié la sua salute, sufficientemente ristabilità dopo #ì aspre fatiche, gli. pet- metterà d’ occhparsi nella descrizione del suo viàggio, di cui l’ Eu- ropa attende con impazienza i risultamenti. Nel suo soggiorno a Tombonctoa il sig. Caillé avrà sicuramente raccolto delle particolarità intorno all’ infelice fine del maggior Laing, il quale prima di lui aveva soggiornato in quella città fa- mosa, e che n’ era già partito indirizzandosi verso la costa occi- dentale d’ Affrica, e che è perito vittima delle insidie che. gli aveva fatto tendere uti principe del paese. Laing, Glapperton, ed altri viaggiatori avevano eccitato la diffidenza dei mercanti arabi. Questi non. hanno veduto, in essi che dei nemici che volevano toglier loro il profitto d’ uti commercio che essi facevano esclusivamente. Colle loro macchinazioni è riuscito loro di disfarsene. Il sig. Gaillé viaggiava come un povero pellegrino; in vete di svegliare fa gelosia, non ha potuto far nascere nel cuore degl’ indigeni che il sentimento della pietà, ed è molto raro che per questo mezzo un uomo non riceva dai suoi simili aiuto e soccorso. Del resto ;.il.sig. Caillé non è il primo:francese che sia andato a Tornbouctou. Giovanni Armand Mustafà, massulmatnio convertito alla fede cristiana, accompagnò, come interprete, il commendatore di Razilly, il quale, nel 1632, fu mandato a Salè per 4rattare col. l’imperatore di Marocco del riscatto degli schiavi francesi, ma lu zelo del quale fu deluso dalla mala fede di quel despota. Musta- fà racconta nella relazione stampata di quel viaggio che fra gl’in- felici francesi ritenuti schiavi si trovava Paolo Imbert nativo delle sabbie: d’ Olonhe. La schiavità di quest’ infelice durò langamente, giacchè un viaggiatore il quale aveva soggiornato 25 anni nella Mauritania , ci fa sapere in una sua lettera, pubblicata nel 1670 di aver veduto Paolo Imbert, il quale, dic’ egli, ci faceva spesso il racconto del suo viaggio a Tonmbouctou , come d’un viaggio di grandi fatiche, e di grandi conseguenze. Questo è tutto ciò che si s4 di questo Paolo Imbert, îl quale inorì lungi dal suo paese senza poter far conoscere il risultato del suo viaggio. Il sig. Cail!é, più felice di fui, rivede la sua patria, ove lo attende la ricompensa dovuta alla sua intrepidità ed al suo zelo. ( Estratto dai Nuovi Annali dei viaggi e delle scienze geogra- fiche, novembre 1828 ). ifo , Carta geografico-storica dell’ Africa Settentrionale di Grr. Sa- earo. Firenze 1828 Non poteva in miglior tempo il ch. A. intraprendere il lavoro , che pel Marzo prossimo ci promette, d’ una carta esatta e com- pita dell'.Africa Settentrionale. I nuovi progressi che vengon tutto giorno facendo le geografiche indagini in quelle sin ad ora incognite regioni , attraggono ogni dì più l’attenzione de’ dotti e degli amatori di cosiffatte notizie. Il recente ritorno da Tombactu del sig. Caillé , il qual primo, dopo tanti che caddero vittime del loro zelo e d’una barbarie sospettosa e crudele , riviene in Francia apportatore di notizie al certo importanti e desideratis- sime, confermerà , non solo |’ opportunità del lavoro del nostro egregio italiano, ma ben anche l’esattezza e l’autorità del medesi- mo: siccome quello ch'è frutto e dell’accurato confronto delle carte finora uscite, e delle relazioni de’viaggiatori più degni di fede, e delle cognizioni raccolte o da persone intelligenti al cui giadizio |’ A. ha di mano in mano sottoposto il proprio lavoro , o da’ viaggi ch'egli medesimo ha fatti in alcune parti del paese descritto. Cadesta carta comprenderà dal 7 grado di longitudine occi= dentale di Parigi al 52 di longitadine orientale , e dal 2 al'34 di latitudine settentrionale ; e la sua superficie sta a quella del terreno come 1=6,700,000. Oltre tutto ciò che appartiene alla forma o agli accidenti del terreno medesimo , alle sue divisioni fisiche o politiche ec., vi si trovano indicati i luoghi celebri per qualche avvenimento antico o moderno , i monumenti, le rovine, le strade percorse da’ viaggiatori più insigni, le loro scoperte, le loro congettare. L’ autore , il quale n’ è ad un tempo l’ incisore, impiegando segnì e caratteri distinti pei vari generi di cose indi- cati nella carta e spiegando in calce il valore de’ segni , ha fatto in modo ch’ essa riescisse egualmente chiara che compita. Ado- perando in essa l’idioma francese , quello cioè in cui sono scritti i libri di viaggi e di geografia più conosciati, ha cercato che rie- scisse di comodo universale. La carta sarà stampata in foglio stragrande, e si darà al prezzo di franchi venti o fiorini 14.4o fiorentini, rimanendo a carico dei signori associati le spese di porto. Le associazioni si ricevono dai distributori del manifesto. 1g Spedizione scentifica toscana in Egitto. L’Antologia ha già annunziata la partenza di questa spedi- zione, tanto onorevole e alla Toscana e al generosò Governo che la protegge, Ora siamo ben lieti d’anvunziarne il felice arrivo ia Alessandria. Si darà'a miglior tempo più particolare notizia de’)ri- mi passi scientifici de’nostri dotti su quella terra coperta di così venerande ruine, Frattanto , crediamo util cosa trascrivere parte di una lettera dal sig. dott. Ricci scritta al sig. co. Girolamo Bardi, e da questo graziosamente communicataci. LI Alessandria 26 agosto 1828. « E’ impossibile imaginare una traversata più felice della no- 3 stra.— Non abbiamo avuto neppure un giorno di cattivo tempo », nei diciannove che abbiamo impiegati da Tolone in questo porto : ,»» e saremmo arrivati anche prima , se non ci fossimo trattenuti i, ‘circa trent’ ore a Girgenti in Sicilia, colla veduta d’ esaminare »» due tempii antichi che ivi esistono. Ma la Sanità , dopo averci », Jusingati , non ci ha permesso lo sbarco, considerandoci come s) infetti, provenienti da Tolone , porto vicino a Marsilia, ove 33 8° è detto senza nessun fondamento esistere una specie di morbo » epidemico. ,, “Il terzo giorno del nostro arrivo sia mo stati presentati al Pa. scià, il quale ci ba ricevati decorosamente; ci ha fatto sentire che 3» la nostra venuta gli ha fatto piacere, che coglierà questa occasione per rendere qualanque servigio al Granduca ed alla Toscana ; », e che fin dal momento del nostro sbarco, ci considerassimo », come in paese proprio, padroni d’ andare dove ci faceva pia- 3) cere, è raccogliere tutto quello che credevamo necessario per y, i nostri studii. ,, « Noi ci tratterremo qualche giorno in Alessandria , atteso- » chè in questo momento regna in Cairo il tifo, che fa gran stra- » ge, soprattutto nel quartier franco , e le ultime lettere annun- », ziano la morte di 12 individui in pochissimo spazio di tempo. « La mutazione del clima non ha prodotto in noi nessun ef- »» fetto sinistro. Di quattordici che siamo, uno solo è stato mi- » Bacciato d’ un attacco ottalmico , il quale ha ceduto al mio ». Sistema di cura , praticato fin dal tempo passato , ed il terzo » giorno era perfettamente guarito . ... Come in generale la co- 2 » mitiva è giovine e d’ aspetto sano, così mi fusingo che poco », avrò da occuparmi dellà medicina , se pure ‘eseguiranno quelle », regole salutari che dopo sei anni di pratica io credo le migliori » € le più ‘convenienti in questo clima, ;;; © } “ Frattanto che ci tratteniamo ‘in Alessandria , le nostre oc- -” cupazioni sono agli obelischi, per correggere gli errori com- » messi ne’ geroglifici; giacchè di tanti disegni che sono stati »» fatti, non ve n’è uno esatto; nemmeno per metà ec. . + ASTRONOMIA. Della costruzione di unà catta celeste proposta dall’ Accademia delle Scienze di Berlino, ed eseguita in Firenze dal prof. Pad. Giovanxr Incurrsnr Astronomo dell’Osservatorio delle Scuole Pie. I mezzi per l’esplorazione dei corpi celesti , più scarsi e più deboli una volta:che ora non siano, impedivano agli astronomi dei tempi decorsi la scoperta di un grandissimo numero dei più piccoli di quei corpi, dei quali è dato ai viventi il conoscere l’esistenza e la posizione. Quindi il catalogo. delle stelle riportate in numero di 3000 da Flamsteed, uno dei più antichi atlanti celesti che abbiausi , è stato gradatamente aùmentato e in modo che trovansene 50,000 nell’istoria celeste di Lalande e nel catalogo di Piazzi, inserite tatte nel moderno Atlante di Harding. Non ostante le carte celesti non contengono ancora .tatte le stelle visibili coi telescopi, delle. quali il numero grandissimo digià aumentasi illimitatamente a. misura che rendesi maggiore la forza dei mezzi di esplorazione. Egli è per questo appunto. che sarebbe opera ineseguibile la costruzione di carte celesti complete propriamente parlando: ma eseguibile ed utilissimo, sebbene arduo lavoro, sarebbe la costruzione di Atlanti completi relativamente ai mezzi coi quali possono isti- tairsi le osservazioni celesti , cosicchè dal loro confroato con. alcuna porzione del cielo in essi rappresentata, potesse immediatamente conoscersi la sopravvenienza di qualsiasi nuovo corpo; o la presenza di altri non osservata precedentemente.' Ripetuti tentativi son stati fatti per la. costruzione di. carte di simil genere, sebben con poco successo, per la. mancanza special- mente di direzione ‘nel lavoro, e di mezzi d’esecuzione, Si. è ora pensato che per ottenere carte celesti complete , almeno nei limiti 143: ‘di sopra;indicati, la. prima e. principale operazione da. farsi sia il determinare con osservazioni meridiane quel maggior. numero, che sia possibile di stelle, per riportare quindi alle loro puizion quelle ancora di tutte le altre, Ma ‘le. osservazioni meridiane. non possono, anche ‘dopo molte ripetizioni, assicurare che siano determinate tutte le stelle da comprendersi nell'indicato limite della forza dei mezzi di visione artificiale, Anche l’istoria celeste contiene troppo piccol numero di stelle per servir di base a carte che volessero dirsi complete, anche soltanto in riguardo dei mezzi di esplorazione di cui possiamo ora far uso. Quindi è sembrato risultare la necessità di una nuova e più numerosa serie di osservazioni meridiane : la! quale recentemente intrapresa nell’ Osservatorio di K6nigsherg scipra una zona che si estende da — 15 a fe 15 di declinazione, ha già servito a determi- nare la posizione di 32000 stelle. Con questi materiali l' Accademia di Berlino fece nel i.° No- vembre 1825 invito a. tutti gli astronomi onde concorressero al- l’ esecuzione di un Atlante celeste completo da dividersi in 24 fogli, e di'cui la base doveva essere la zona di 30 in declinazione di cui sopra è stato parlato. Ogni foglio doveva comprendere un ora. di ascensione retta , e più i.4 minuti antecedenti e i 4 minuti seguenti, onde meglio collegare l’ intiero lavoro, Vorrebbe con ciò l'Accademia di Berlino procurare una. co- gnizione del cielo tanto perfetta quanto lo: comporta lo stato at- tuale degli istrumenti destinati alla osservazione. Che se Flamsteed dovè contentarsi di costruir carte contenenti soltanto. stelle non minori della 5. e 6 grandezza , devesi ora poter giungere alla ge anche alla 10, specialmente ove questi piccoli astri non si.trovino in troppa prossimità con altri maggiori di loro. Colla scorta delle carte come sopra proposte essendo sommi. nistrato il mezzo di vedere a colpo d’ occhio, se in una data re- gione del cielo esista un astro che non sia stato avanti osservato, può sperarsi ancora la scoperta, più. frequente delle comete , e di altri: pianeti, seppure nel nostro sistema solare ne esistono ancora degli ignoti: e inoltre più esattamente essendo determinata la po- sizione di tutte le stelle visibili coi telescopi, ben più facilmente potranno in avvenire riconoscersi i luoghi d’ogni cometa che si mostrasse nella parte del cielo sottoposta a sì diligente esplora= zione. Tale importante lavoro, stato diviso dall’ Accademia di Ber- lino fra .i più insigni astronomi dell'epoca attuale, dovrebbe essere compito al 1.9 gennaio 1829. 154 H chiarissimo Astronomo Fiorentino P. Giovanni Inghirami, Provinciale delle Scuole Pie in Toscana, e notissimo al mondo scien- tifico per tanti importantissimi lavori, e principalmente agli astro- nomi per l'Effemeride che egli annualmente pabblica delle occul= tazioni delle stelle, dovea necessariamente esser chiamato a ‘con- correre alla formazione dell’ Atlante celeste richiesto dall? Accade- mia. Essa volle ouorevolinente distinguere lo zelo e conosciutissi- ma attività di detto Astronono’ assegnandogli l’ora XVIIF: la più difficile detla proposta gigantesca impresa, perchè in questa ‘ora sì contiene la massima parte della via lattea compresa trà la zona + 159,6 — 15° in declinazione: per osservare la quale riescivano opportunissimi mezzi la chiarezza del cielo d’ [talia e la perfezione degli istramenti che formano Ja suppellettile dell’osservatorio delle Scuole Pie. Ebbe il P. Inghirami ultimo fra tutti gli astronomi ? indicazione dell’ assegnatagli parte di lavoro : e sì tardi che: giudicò di dover subito impetrare, come ottenne; dall’ Accademia wua dilazione al termine di tempo prescritto per: compirlo. Non ostante egli è stato il primo a giungere al termine della sua impra- sa con sollecitudine assai maggiore di quanto egli stesso mon potesse presagire; al che non poco contribuì la fortunata combinazione di trovare nel P. Tanzini suo allievo un'ottima disposizione alle os- servazioni celesti che furono ad esso intieramente affidate, e una somma attività negli altri alanni per eseguire La ciicalazioni assai complicate e moltissime dì numero, Ci duole di non poter dar notizia del metode che con tanta rapidità lo ha condotto ad un successso brillantissimo. Noi non lo conosciamo, e ansiosamente atterdiamo che il P, Inghirami me- desimo o direttamente o per gli atti dell’Accademia di ‘Berlino lo faccia pubblico. Unicamente accenneremo che nella carta in- viata da Firenze si contengono n.° 7500 stelle in cirea, delle quali solamente 1500 circa; si trovavano nei cataloghi di Bradley, di Piazzi, di Lalande , o di Bessel. L’altre 6000 sono nuovamente aggiunte dal P. Inghirami e nella maggior parte riscontrate con regolari osservazioni. Sappiamo ancora che egli ha corrette le po- sizioni di non ‘poche stelle che erroneamente erano somministrate daì sud. cataloghi’ per difetto di stampa, se non per difetto di cal- colo o di osservazione: il che'dee par riguardarsi come frutto pre- ziosissimo delle sue' ricerche. Harding cui era stata affidata l'ora XV ha il secondo. com- pita l’operà sua. Ma ta di lai carta contiene soltanto 3000 stelle? neppur la metà di quelle osservate dal P. Inghirami, il quale era 145 nuovo nell’ esecuzione di simil lavoro, mentre Harding doveva es- servi preparato dopo la pubblicazione già fatta del suo notissimo Atlante. Ignoriamo finquì il numero delle stelle osservate dagli astro- nomi che si occupano delle rimanenti 22 ore, nè siamo perora in grado di paragonar la mole del loro lavoro con quello eseguito dal P. Inghirami. ‘Ma il confronto già fatto fra le due carte che contengono l'ora XV e la XVIII ci dà diritto di sperare che l’Astro - nomo Fiorentino, come si è distinto per la sollecitudine, così debba essere ammirato ancora per l’importanza del suo lavoro. Molto potremmo sicuramente aggiungere in elogio del P. Inghirami: e qui l'elogio sarebbe non più che tributo di gratitudine dovutagli dal paese che tanto egli onora : ma come potrebbesi temere in noi parzialità o troppo amore di patria, giadichiamo meglio riportare per intiero la seguente lettera scritta dall’ immortale Astronomo sig. Encke, segretario dell’Accademia di Berlino, al P. Inghirami al- lorchè gli pervenne la carta celeste da esso lui costruita, Berlino 7 novembre 1828. Signore. To non so dirle il piacere da me provato nel ricevimento del pre- zioso di lei lavoro, giorni fa pervenutoci. Ella fa l’ultimo a ricevere l' indicazione intorno alla zona assegnatale dall’ accademia ; ed è il primo a mandar l’opera già compiuta. Dopo pochi giorni il si- guor Harding ci ha mandata l’ora quindicesima , di stelle tremila circa; e la sua , o signore , ne eontien più del doppio. Siamo tut- tora nelle vacanze dell’ accademia; ond’ è eh’ io non ho ancora potato presentar la sua carta , come un modello : pure non potei a meno di non communicare a quanti soci si trovan ora in Ber- lino, (che i più son fuori) questo saggio d’ uno zelo sì raro, Il sig. Ideler segnatamente , il celebre autore della eronologia, mem- bro della nostra commissione , mi prega di farlane nota |’ ammi- razion sua vivissima. Il metodo da lei tenato è tanto difficile che appena uno può credere agli occhi propri, vedendo il lavoro fi- nito, e finito con una perfezione, che può chiamarsi esemplare. Mi mancano l’ espressioni a dirlene quel eh’ io sento , e dirlo in una lingua che è poco a me familiare , e alquanto ritrosa a ren- dere le mie idee, L’ esemplare che deve, a quel ch’ella ne dice, servir per originale , non c’ è ancora arrivato ; non possiam dunque affret- T. XXXII. Dicembre. 19 i] cd 140 tarci atta pubblicazione , se prima non l’® abbiam nelle mani. Si ranno intanto i ‘preparativi necessarii per appianare le piccole «iifficoltà che si potessero opporre : ed io mi farò un pregio di dar- ene avviso, il prù spesso possibile ; spero che di schiarimenti da lej, non avremo bisogno s tante sono le precauzioni già prese dalla sua diligenza. Ardisco soggiungere una preghiera; la qual. però se il la- voro dovesse per soddisfarla , ricominciarsi, sia per non detta, L’ accademia amerebbe poter annettere alle carte un compiuto catalogo delle stelle tutte osservate dai sigg. Piazzi, Lalande, e Bessel; giacchè si suppone che ciascun astronomo avrà fatti i cal- coli necessarii per collocare codeste stelle.a luogo debito nella carta toccatagli. Oserei pertanto pregarla di farci pervenire una copia di questi numeri , ridotti al 1800. Questo però, se il lavoro è già fatto , e se le carte sono in mano di lei , sì che non s’abbia che a trarne una copia, All’ importanza dell’ inchiesta, ella ne perdo- nerà, spero, l’ ardire. I) sig. Pons, di tutti gli astronomi è stato il primo a rive- dere la sua cometa :'il sig. Struve |’ ha veduta il 6 d’ottobre, ma non l’ ha potuta osservare. La prima osservazione, da lui fat- ta, è del 13. Il sig. Kunowski, che ha quì un canocchiale ec- cellente di Fravenhofer , ben migliore di quelli dell’ osservatorio nostro, non me l’ ha mostrata che il dì 7 d’ottobre ; né l’abbiam potuta asservare che il 13; col dubbio che la nostra posizione non fosse da tenersi per sicura (1). Dalle di lei osservazioni, riunite alle altre fatte quì e a Dorpat, e che vengono fino al dì cinque di novembre , parrebbe che la mia Efemeride fa l'ascensione retta , minore di due minuti circa e le declinazioni minori di circa un mi- nuto, Questa variazione è la medesima sempre. Io le inchiudo , o Signore, un’ esatta efemeride de’ calcoli dell’ anno scorso, che potrà forse servirle a determinare più nettamente l’ importanza:, la misura e il progresso delle deviazioni. Agli allievi che , sotto la direzione di lei, hanno cooperato al capo d’opera, di eb’ ella ci fa prezioso dono, io la prego di si- gnificare la riconoscenza sincera dell’ accademia. E di credere., o Signore , all’ altissima stima, con cui mi protesto ec. F.T. 8. (1) Alle Scuole Pie di Firenze riescì di lar la prima osservazione fino dal dì 10 d’ ottobre. Quelle di cui quì parla il sig. Encke spettano. appunto ai giorni 10, 11, € 12; e precedono in anteriorità tutte, le, altre, 147 SocreTÀ SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia de’ Georgofili. Adunanza ordinaria del 7 dicembre 1828. + Aprì e presedè questa tornata il Vi P. sig. marchese Cosimo Ridolfi. Il segre- tario degli atti letto che ebbe il processo verbale dell’ adunanza ordinaria del 3 agosto e della solenne del 21 settembre p. p. annunziò imminente la pabblicazione del T. VI della continua- zione degli Atti, nel quale si troveranno inserite le memorie ul- timamente coronate, e la parte storica dell’ accademia, rimasta interrotta dopo il 1818. Poscia il segretario per la corrispondenza presentò il fratto topioso di questa durante le ferie autunnali. Fra le opere perio - diche donate dai loro compilatori o editori vi eranio i fasticoli del luglio, agosto e settembre degli annali di statistica univet- sale, che si pubblicano a Milano ;i fascicoli pel luglio , agosto e settembre degli annali di agricoltara ec, pure di Milano'; quat- tro distribuzioni del repertorio di agricoltura pratica redatto dal sig. dott. Ragazzoni di Torino ; li num. gi, gi, 93, e 94 dell’An- tologia di Firenze, edil quaderno 8.° del giornale agrario tosca- no , dono dell’ editore di entrambi i giornali sig. G. Pi Vieus- seux ; due articoli inviati dal direttore della Rivista Enciclope- dica di Farigi; edi fascicoli pei mesi di luglio, agosto e settem- bre del Mercurio delle scienze mediche che pubblicasi a Li- vorno . Fra le opere complete fu esibito un digionario di medicina e chirorgia veterinaria del sigs Sturtrel d’Arborel, pubblicato a Caen, volumi 4 in 8.° Un trattato sulla rogna e la vaccinazione degli animali lanuti, del medesimo. Istruzione sommaria dell’epi- zootia contagiosa sviluppatasi fraj le bestie cornute nel diparti- mento del passo di Calais, dello stesso. Sua coltivazione del lino manzuo!o, e sulla riproduzione delle uova delle farfalle dei meli, due opuscoli del sig. Treccò di Verona inviati dal sig. conte Leonardo Trissino socio corrispondente. Storia di @na par- ziale amputazione della mascella inferiore , del sig. Luigi Mala- godi di Bologna. O servazioni sopra la Sphyrx atthopos, » far. falla a testa di morto; dell’ accademico sig. Carlo Passerini. Sulla maniera di conservare i denti, memoria del sig. Pompeo Grifoni di Siena. Unica tra le memorie manoscritte fu quella del'sig. Gio. Batista 148 Pandolfini Barberi, sulla possibilità di' estrarre in grande il sale catartico , o inglese contemporaneamente a quello marino o co. mune dalle saline dell’ isola dell’ Elba , con? i risultati delle e- sperienze da esso fatte. Ad oggetto di esaminare questo scritto il V. P. nominò una commissione speciale composta dei socii prof. Giuseppe Gazzeri, e prof. Antonio Targioni-Tozzetti per farne quindi rapporto al- l’ Accadeinia. In seguito il segretario degli atti Emanuele Repetti tratten= ne l’ udienza con una sua memoria di turno , nella quale prese a dimostrare i funesti \effetti dei vincoli commerciali derivati alla città di Firenze dai provvedimenti annonari e dalle leggi son- tuarie ivi bandite fra ilj 1328 e il 1330. Giovandosi per ciò dei documenti forniti dalla storia patria e da un prezioso codice di quel tempo, posseduto dal sig. mar= chese Tempi, confutò con essi l’asserto di Giovanni Villani , che non già ai forni normali, come quest’ ultimo lasciò seritto , si dovesse il rimedio _di somministrare vittuaglia sufficente al popolo nella calamitosa carestia dell’ epoca divisata, ma sivvero al compenso cui la Signoria di Firenze ricorrer dovè nei casi estremi , lasciando a chiunque il libero arbitrio di commereiare le gra- naglie, e di vendere pane. Mercè della quale libertà ricompariva costantemente l’ abbondanza il giorno stesso della più angosciosa penuria. E in quanto agli ordini sontuari, riguardanti specialmente il ve- stiario e gli ornamenti delle donne, egli dimostrò che senza produrre il desiderato intento, reso vano dall’ arguzia delle femmine, essi re- carono invece un colpo mortale all’ industria del paese, e segnarono la prima sentenza di ostracismo contro quelle arti mercè delle quali la città di Firenze erasi resa per opere pubbliche e potenza insigne e famosa, Finalmente |’ accademico dott. Giuseppe Gherardi comunicò alcuni cenni del dott. Pietro Bruni Aretino , medico a Pescia, sui vantaggi che la popolazione manifatturiera di detta eittà si procura dalle acque del fiume Pescia. Dai quali cenni appariva che questo piccolo finme prima di scendere ad irrigare la pia- nura pesciatina , la quale per tal benefizio è al caso di fornire cirea un quarto di tatti quelli ortaggi che produconsi nella Toscana , (1) ha già prestato il suo servigio a due ferriere, a ventisei cartiere ,' a una grandiosa filanda , a diversi valichi da seta, a una fabbri- (1) Sismondi, Tableau dé l’agricolture toscane. Genève 1801, pag. 2$. 249 ca di pelli conciate all’aso di Francia, liquali edifizi tutt' insie= me danno da vivere a circa 2300 lavoranti, e introducono an- nualmente di prodotto 2,326,156 lire toscane. Dopo di ciò l’ adunanza pubblica ebbe termine. E. R. Società medico-fisica fiorentina. Adunanza ordinaria del 28 settembre. — Letto ed approvato nelle solite forme il processo verbale della seduta antecedente furono dal segretario delle corrispondenze annunziate le seguenti opere perveuute in dono alla società. i Storia d’aneurisma femorale, del sig. dott. Giovanni Poggi di Pavia. Necrotomia di una donna morta per tetano traumatico , del medesimo. Descrizione anatomica di un muscolo particolare annesso al- l’ occhio umano , del medesimo. Sull’ uso medico del cloruro di calce, amministrato inter namente!, del medesimo. Sulla necessità, e la maniera di ben custodire , e conservare i denti, memoria di Gio. Pompeo Grifoni di Siena. Sall'amputazione di un utero scirroso , idropico , ed invi- lappato colla vescica orinaria , lettera alla società medico-fisica fiorentina di Gio. Batista Bellini socio corrispondente a Rovigo. Dipoi il sig. dott. Tambellini trattenne la società colla sua lettura di turno , la quale si aggirò sulla morbosa diffusione di malattie per lo più inflammatorie. E di {questa discorrendo fece riflettere come in suo favore stia l’ affinità degli organi, delle viscere, e delle parti; come l’ attitudine di queste a ri- sentire il cattivo influsso di taluna, o tal altra favorisca l’irra- diamento del morbo; come abbiano a differenziarsi le vere dif- fasioni di stato morboso dalle apparenti, o per simpatia : come la diffusione di una malattia si effettui sollecitamente da una parte all’ altra lasciando illese le intermedie; e come infine, al- lorchè una malattia si diffonde, specialmente sopra un’ apparato membranoso , essa lasci spesso libera affatto la parte , nella quale primitivamente esisteva. Dal quale stato di vera diffusione di malattia, andò aggiungendo il nostro socio , come siano diverse quelle simpatiche commozioni di nervi, o que’ risentimenti con- sensuali, che si suscitano in parte più o meno lontana, da quella ove la malattia si accese, e che senza avere i caratteri della 150 vera diffusione spaventano non di rado n medico, ed angastiano 1’ infermo. Quindi il sig. Gamberai, premesse alcune considerazioni sulla necessità pel medico , e pel chirurgo dell’ anatomia fisiologica e della patologica, riferì l'osservazione di ana completa trasposizione dei visceri toracici, ed addominali, che egli ebbe a vedere in compa- gnia del dott. Betti, ed in un soggetto sano, robusto, e dell’età di 27 anni. Il cuore era situato nella parte media del torace, ed inclinato a destra: dei tre tronchi che si spiccavano dall’arco aortico, l’innomina= ta era la prima, e portavasi a sinistra; e poi nascevano la destra carotide , e la destra succlavia in seguito la grande arteria si ap- poggiava sulla colonna vertebrale , e discendeva sì nel petto che nel ventre lungo il di lei destro segmento. La vena azygos, e la cava erano a sinistra. L’ esofago scendeva a sinistra dell’aorta , e passato il diaframma si voltava a destra ove era il cardias, mentre il piloro era a sinistra. A sinistra era pure il fegato colla vena porta : il duodeno scendeva da sinistra a destra: ed a destra’ era la milza . L’intestino cieco nella fossa iliaca sinistra ; e la flessura sigmoidea del colon a destra. Il dutto toracico scor- reva a destra dell’ esofago , ed andava a scaricarsi nell’ angolo di concorrenza della destra vena giugulare colla succlavia. I polmotti pure erano trasposti giacchè il destro era diviso in due lobi, il sinistro in tre. Finalmente il socio dott. Bettazzi narrando in una sua dot- ta lezione l’ istoria funesta di un’aortite, 0 angina di petto ; prese occasione di riflettere come le malattie degli organi pri- mari della circolazione ; che oggi dalla maggior parte de’medici si riguardano come più frequenti che ne’ tempi andati; e come possano noverarsi fra le cagioni di questo tristo fenomeno le vicende politiche, che agitarono, e travagliarono nel principio di questo secolo, l’ intiera Europa» la mutazione, e variabilità nei costumi degli uomini; e la decadenza nel materiale de’ tempe- ramenti, e delle costituzioni della specie umana. Discorrendo i fenomeni morbosi che si mostrarono nell’ infermo di cui andava tessendo la storia, ed avendo notato che in lui non comparve giammai l’edema dell’estremità inferiori, avvertì che questa man. canza di edema , altronde frequentissimo ne’vizi venosi, stà per lui come segno delle affezioni angioitiche ; avendo egli più volte osservato, che ove trattasi di vizi strumentali arteriosi le gambe non divengono edematose , ma si sviluppa bensì la cancrena spon- tanea, che per quanto potè osservare , invade più di frequente 15I il destro che il sinistro articolo ,;Non omettendo di notare che, quando accade |’ edema nell’ aortite , ciò avviene in caso di vo- luminosi aneurismi dell’arteria magna, che comprimendo il dutto toracico interrompono il corso al fluido in lui contenuto. Dopo di che la seduta fu sciolta. Adunanza ordinaria del 10 ottobre. = Letto ed approvato nelle solite forme il processo verbale della seduta antecedente il dott. Betti trattenne la società con una sua lettura in supplemento a quella d’ altro socio impedito per assenza. In essa dando conto di una voluminosa cisti da esso lui esaminata in un feto nonime= stre, di sesso mascolino, perfettamente sviluppato, nato sano, e morto otto giorni dopo la nascita, fece avvertire che questa cisti occupava tatta la parte laterale destra del collo, estendendosi po- steriormente fino al ligamento cervicale , anteriormente fino alla linea mediana del collo, interposto fra il mento e lo sterno, supe- riormente fino all’ altezza del meato auditorio esterno , ed infe- riormente fino all’ aeromion, ed alla spina della.scapola : che que- sta cisti era nel suo interno ripiena di un umore simile alla fec- cia del vino bianco; e che comunque appoggiasse a nudo su tutto il segmento destro delle vertebre cervicali, pure essa non aveva weruna comunicazione coll’ interno dello speco vertebrale. E pre- messe alcune considerazioni sopra altre particolarità di questo caso andò concludendo, come a spiegare la formazione primitiva di questa cisti durante la vita uterina del feto, che la portava, non si presti né la teorica recentemente emessa dal Meckel, nè quella imaginata dall’Otto,, onde render ragione del meccanismo iniziale che -presede allo sviluppo delle. cisti ,.altronde più frequeoti di quella in discorso, che alcuni feti portano dall’ utero materno , o attorno alla nuca , o nella regione dell’ osso sacro. In segaito fu fatta lettura alla società di una lettera a. lei diretta dal socio corrispondente sig. Gio. Batista Bellini chirurgo a Rovigo , e vertente sopra la parziale amputazione di un utero scirrito,, idropico, ed inviluppato colla vescica orinaria. In una donna quadragenaria , affetta da prolasso di utero, e da scirro del collo di questa viscera , vedendo il nostro socio non potersi ristringere l’ operazione alla sola amputazione del collo medesi- mo , si determinò , dice egli, a portare il coltello ove niun’altro era giunto , ed a recidere quasi due terzi del corpo di lui, desi- derando di fare avanzare così di un passo ardito la chirurgia. Quindi egli asportò , con non piccol travaglio ciò che vi era di malato in quel viscere; ed a malgrado che insorgessero sconcerti \ 152 non lievi nella paziente, pare fa essa in breve tempo, e com- pietamente sanata. Su di che fece osservare il sig. dott. Del Greco non potersi concedere all’ operazione del sig. Bellini quel grado di novità , che egli le reclama, in vista che non solo vi hanno altri esempi, e non scarsi di parziati amputazioni deli’ utero prolassato , ma che altri pure ne esistono già ; ne’ quali si tien proposito della totale estirpazione di questo viscere con tutto che esso non si trovasse in istato di prolasso. Al qual proposito riferì gli esempi di par- ziale asportazione del collo dell’ utero eseguita dal Dapuytren a Parigi, e della ablazione di questo viscere in sito praticata dal Palletta a Milano , dal Siebold a Berlino, dal Sauter, dall’Holt- scher a Brunsvick , dal Lisfranc a Parigi, e dal Langenbeck a Gottinga. Dopo di che l’ adunanza fa sciolta. P. B. R. Accademia delle scienze di Torino. Nell'adunanza tenata dalla classe fisico-matematica îl dì 15 dì Giugno, il prof. Bidone, a nome d’una gianta, lesse il parere in- torno alla domanda di privilegio fatta da un negoziante per fabbr'= care certa tromba idraulica chiamata di Dietz , propria ad innal- zar acqua per lo spegnimento degli incendii , per irrigazioni , ma» nifatture e simili. Il cavaliere professore Plaza , a nome pure di una giunta, fece rapporto intorno ad una memoria intitolata: De Za forme de la ter- re, et de l’ influence de cette forme sur le système ostronomique. Il professore Giobert fece un compendioso ragguaglio di una nuova maniera di lanciare proietti, inventata da on inglese, il sig. Sievier, intorno alla quale sono stati fatti sperimenti che sembrano soddisfacenti , riferiti dal sig. Brackedon alla Istituzione Reale dî Londra il 29 dello scorso maggio. Il prof. Rolando fece pure una compendiosa relazione dell’au- tossia cadaverica, e delle osservazioni anatomiche e patologiche fatte d'ordine superiore da lui e dal dottore Ga//o , assistente in questo spedale di S. Giovanni, sul cadavere di Anna Garbero, mor- ta nubile in Racconiggi nello scorso maggio in età di 48 anni , dopo un’astinenza da ogni cibo e bevanda per lo spazio di due anni, otto mesi , e undici giorni. Dalle fatte osservazioni risulta che per certo strignimento dell’ intestino retto le materie fecali si erano fermate nel colon, la cui porzione che dicesi trasversa fu costretta dal peso 153 di esse a discendere sino alla regione ipogastrica ; e trascinò. seco il wentricolo, per cui stirato l’esofago e la laringe, venne così impedita la deglutizione di ogni alimento liquido o solido che esso si fosse. . Le intestina ‘intanto, pel lungo soggiorno delle materie escremen- | tizie, caddero.in lenta infiammazione, degeneratà poi in gangrena, la quale fu l’ immediata cagione della morte. 'L’accademico prof. Plana lesse quindi: Meéthode élémentaire «pour découvrir et démontrer la possibilité des nouveaux théorèmes sur la théorie des transcendentes elliptiques, publiées par M. Jacobi dans le N.° 123 du Journal allemand intitulé: astronomische Na- chrichten. Il signor conte Ba/bo, presidente , lesse: Osservazione della differenza tra i due sessi nella mortalità dell’ infanzia, la qual differenza serve di compenso a quella delle nascite. Nell’ adunanza tenuta dalla sudietta Classe il6 di luglio , i se- «guenti. Accademici , a nome di altrettante giunte, hanno fatte RI le relazioni seguenti; Il Cavaliere Avogadro , sopra un’ opera manoscritta , intitolata: Za Keraunofilacia , ossia Scienza dei Pa- rafulmini , compilata dal sig. A. Verani , Capitano nel Corpo Rea- le degli Ingegneri Militari. Il Professore Borson, sopra alcunì lavori fatti dall’'Artiere Giambatista Verdini con amianto filato , tessuto , e lavorato a maglia. Il Professore Bidone," sopra la fab- bricazione delle trombe idrauliche dette di Dietz , alla quale mo. strano di voler attendere parecchie. persone. R. Società agraria di Torino. La Reale Società Agraria tenne un’a dunanzaj negli ultimi di luglio, di cui l’oggetto fu principalmente |’ esame} degli ef- fetti di una macchina per sollevare masse di acqua, presentata dal sig. Direttore Marchese Lasearis, la quale, tutta di inven- zione piemontese, si va propagando col nome di Pompa di Dietz, intorno a cui il sig. Professore Bidone aveva fatto un fa- vorevole rapporto, Gli*effetti hanno corrisposto piemamente alla espettazione. Questa macchina, di cui si trova una deserizione con fisure nel giornale 2 Industriel dell’ anno 1826 ,2è adjaltri attri- buita; ma per l’onore di questo nostro paese è stato osservato che I’ invenzione e della macchina, e de’principii su cui è fou. data, tutta è dovuta a un nostro abile orologiaro di Alessandria, il fu sig. Caldani, il quale la mise in pratica nel giardino T. XXXII. Dicembre. 20 154 Ghilini, dove si crede che fu copiata per essere, come fu, intro dotta in. Francia, A questo riguardo il sig. Conte Ponte, che varie già ne aveva fatte eseguire, ha riferiti alcuni risultamenti. che danno lusinghiera speranza che anco in Piemonte sarà essa perfezionata, principalmente dal verso dell’economia, Il sig. Conte ne ha presentato una piccola, che fece ‘ese- guire ip legno, la quale se va tuttora soggetta ad alcune dif- ficoltà, mostra pertanto ‘che possono faci]mente venir superata. Il Professore Giobert ha renduto conto de’successi ottenuti nella coltivazione della cocciniglia a Malta , ed ha trattato la quistione della possibilità d’ introdurla in Sardegna, e de’ mezzi di riaseirvi, NecRotocia. Irrorrro Pinprmonte. Lettera al Direttore dell’ Antologia Mio caro Vieussenx. — Vai mi chiedete un articolo necrologi- co sopra Ippolito Pindemonte rapito all’ Italia ai 18 di questo mese. I» procurerò di appagare, per quanto sta in me, il vostro'desiderio *ì per compiacere alla vostra amicizia, e sì per sacro dovere di gra- titudine verso quell’anima grande e benedetta, che fa il mio maestro, il mio padre, il mio benefattore, e la guida della mia inesperta e solitaria gioventù, quando l’ amor delle lettere mi costringeva ad andar esule dalla patria. Vorrei solo che mi concedeste qualohe giorno per raccogliere a'cune notizie sparse nella farragine delle mie carte e delle mie memorie, e in un carteggio-ch’ io ebbi con lui di più centinaja di'lettere. La qual cosa io non potea fare sì tosto, oppresso dal dolore di tanto grave ed inaspettata sciagura , a.me sopravvenuta dopo"ana serie di altre simili. Or io vi prometto di ac- cingermi all’ opera senza porre altro tempo in mezzo, e spero di po- tervi servire opportunamente per un vostro prossimo fascicolo. In- tanto vi abbraccio, e sono con tutto |’ animo. Firenze 30 Novembre 1828. L'amico vostra MARIO PIERI 155 Awrorio Cxsunt. Avremmo desiderato poter dare in quest’ ultimo fascicolo del- l’anno un ragionato articolo intorno alla vita ed agli scritti di. Anton. Cesari veronese, mancato ai vivi nella notte avanti il prio Ottobre p- pi Una: notizia accurata delle opere di quest’ uomo dovrebbe contenere in sè buona parte della storia delle lettere italiane:nel no- stro secolo, comé che il Cesati nell'ordine dei tempi sia stato il'pri- ‘mo a por mano al ristoramento della lingua, e pef?la moltiplicità e per la varietà delle opere non sia stato avanzato da alcuno. Ma poit! è abbiam stimato cotal ufficio doversi compire da persona famigliare col Cesari e coi suoi scritti, ci è convenuto frapporre un nuovo indr= gio al giusto tributo di lode , di che andiamo debitori all' ono- rata memoria di quell'insigne filologo, che tiene ‘un de’primi luoghi fra gli scrittori dell’età nostra. Frattanto godiamo di' potere annun:= riare che in breve sortirà alla luce una specie di testamento letterario del Cesari, nel quale l'a. chiarissimo va esponendo la sua teoria ‘it: torno allo scrivere italiano, e si scolpa dalle accuse indirizzate da molti contro le opere sue. Xi Dorrore Lica Sricit. Luca Stalli Dottore in Filosofia e Medicina, Membro della T. È. Deputazione di Sanità, e medico dell'Ospedale Givile, degli Ospizj; e della città di Ragusa, nacqae nella detta città a’ sx di Settembre dell’anno 1773. Suo padre era capitano del porto di Ragusa. Compì egli con moltissima lode il corso delle belle lettere, é delle scienze in patria nel collegio dei P. P. delle scuole Pie. In età di 20 anni si ‘condusse in Bologna, dove chbbe a Maestri i celebri professori Uttini, Mondini, e Galvani per la medicina, l’amatomia , e le altre scienze ausiliarie del'’arte di guarire. H Senato di Bologna ricompensò con una medaglia il merito ch’ egli si acquistò colle dispate nel ‘teatro Anatomico. Nel 1795, in quel tempo che sosteneva la carica di priore degli scolari, ricevette la laurea dottorale, e stava per-ottene- te una cattedra onoraria, allora che per cagioni politiche di quei tempi abbandonò quella città. Ciò avrenne in sul fine dell’anno 1996. Mella sua dimora in Firenze procacciossi la tima del cav. Felice Fontana, che il confottò negli ‘studj della natura, iquali egli poi coltivò sempre com ardore. Dopo aver-vicitato le scuole , egli ospedali di Roma, passò a Rapoli, ove lungamente dimorò ed attese «alla Clinica in que” grandi spedali sotto' la scorta di Cottanio e ‘di 156 Cirillo. A quest’ ultimo dovette la profonda cognizione della Sfig- mica, ch’ egli estese dipoi collè proprie osservaz.oni. Egli fu il pri- mo a ripetere gli esperimenti Galvanici in quella capitale , richie- stone!da) professore Mestia. Tornato in patria, fa nominato dal go- verno, che allora reggevala, uno dei quattro medici della repubbli- ca; carica che in quel tempo non si dava, che al merito. Egli v°in- trodusse la vatcina, e trionfò delle inoltiplici difficoltà , che si op- ponevano alla sua impresa. Ad agevolarne la propagazione , pub- blicò colle stampe nel 1804 in Ragusa un catechismo vaccinico in Italiano, ed in Illirico, che sparse gratuitamente per la provincia; ed allora anche celebrò con,un dotto Carme Elegiaco latino la sco- perta dell’ Ienner, il quale in quell’anno medesimo fu stampato in Pest. Per dodici anvi diresse la, vaccinazione, mandando anzi a sper se,proprie. vaccinatorì per le campagne. Non volle mai ricevere al- cuna rimuperazione dai suoi vaccinati, nè chiese mai da verun go- verno alcuna maniera di ricompensa di tanto zelo, e di tante fati- che. Uoì ai severi studj l’amena letteratura. Si hanno molti. suoi componimenti in versi sì latini, sì italiani, che gli assicurarono ua bel seggio tra i poeti viventi. Ma meglio, che in ogni altro compo . nimento di questo genere, vivrà glorioso il suo nome nelle sue eccel- lenti versioni, 0, a più esattamente parlare , parafrasi , che or sì stanno stampando in Venezia, edjegli dedicò al valoroso, ed erudito Ellenista, e suo amico carissimo, il giovane signor Niccolò Androvich, delle descrizioni; che ci lasciarono il Gradi, il Rogacci, e lo Stay, di quell’ orribile, terremoto,.che nel 1667. distrusse Ragusa : alle quali Parafrasi stanno aggiunti que’ bellissimi Sciolti, che scrisse ad onorare la memoria del suo dotto, e dilettissimo amico il sig. Tom- maso Chersa, e faruno stampati in Ragusa nel 1826, e che da lui stesso li mati acquistarono dipoi miglior forma, e più belli colori. E stava dand» l’ ultima mano a due opere di medicina , frutto di 30 anni di osservazioni da lui fatte nello spedale civile, e nelle sue mol- te pratiche per la città, Scrisse anche qualche Apologo;; e due bel- lissime favole, che ne lasciò, e saranno quandochesia pubblicate , mostrano anch’ esse il suo felicissimo ingegno; E così tentò le arti di Talia, E piacquero e furono con molto applauso accolte una sua commedia di carattere, ed una farsa; la prima nominata Eugenia e Riccardo; la seconda la caccia di Enrico IV; ,fattole egli rappre- sentare nel teatro di Ragusa da una compagnia comica nel 1626 ‘e 1827. Era pietoso verso i celesti, amorevole verso i congiunti, ottimo amico, esimio cittadino, indefesso benefattore, e consolatore del po- vero. Grave, serio, autorevole nelle trattazioni delle cose scientifi= che; era gajo, ilare, facetissimo nelle brigate, e pien di modi da usci» gi 157 re con garbo di ogni quiatane e bel dicitore. Ogni ceto di persone si compianse della sua morte. Morì di sivcope in età di 56 anni non anche compiuti li 12 di settembre del 1828 iù quel che dopo il pranzo, durante il quale fa giovialissimo , avutovi a commensale il suo buon amico sig. Antonio Chersa, stava all’ usato;dormendo. O! tre le cose qui sopra nominate! si ha di suo alle stampe: De Peste quae inexitu anni 1816 in circulum Ragusinum irrepserat Ra- gusae 1818 apud Ant. Martecchini — Lettere sulle detonazioni di Meleda. Ragusa 1824; e 1825 presso Ant. Martecchini —. Varie Elegie stampate in Parigi ed in Roma + Vari articoli riguardanti scienze, ed antichità nell’ Antologia di Firenze. Tra le inedite, oltre le qai supra accerinate , sì hanno le se- guenti operette — Due Elogj non compiuti del Matematico Marino Chetaldi Ragusino,— e del dott. Utini di Bologna — Alcune Zlegie, e minori coraposizioni italiane e latine — Un Trattato sulla febbre scarlattina, { Articolo comunicato. ) Conte Lurer PomprarI & nano. Lettera di K. X. r. al sig. dott. 5 miti Louparinî. Vi rammentate voi , pregiatissimo, mio Lupatini , quelle ada- nanze amichevoli di Rovereto in casa Rosmini, dove il dotto fisico Zamboni, e quel benemerito linguista del P. Cesari, e il noto biografo di Francesco Filelfo edi G. G. Trivulzi, e il Pederzani , diligente accrescitore delìnostro vocabolario, rallegravano di loro presenza ‘e inanimavano del loro esempio noi giovani di buona volontà ; do- ve il nostro Pompeati ci leggeva i suoi versi sulla Speranza, e voi i vostri che avevano data occasione a quel Carme? lo me ne rammento ancora; e rammento come nella vostra epistola voi toccavate gen- tilmente la parte erotica e romanzesca della vita del vostr’ otti- mo amico; e quegli affetti che lui italiano cresciuto in Germa- nia , animarono così vivamente che chiunque ignorasse il luogo della sua educazione non l’ avrebbe al certo indovinato così di leg- gieri : tanta era inzlui e la conoscenza della lingua e la speditezza della pronunzia francese:, e-la grazia de’ modi, e la vivacità della mente. Senonchè: sotto quella apparente leggerezza di maniere si nascondeva un fondo di sentimenti , e una sodezza ben rara anche ip uomini più-maturi. E 1’ esser egli stato vostro amico m' è prova. Io vorrei, ottimo Lupatini, che quanto voi dite in que’ versi “ 158 consacrati alla memoria del nostro Pompeati, non fosse che l’illu- sione d’una fantasia addolorata Bella per fatua luce abbacinante , Bella di gloria nunzia e di piaceri, L’ alba sorride della vita all’ uomo. Avido di tant’ esca egli s’ affanna, Agghiaccia , suda: lo ferma la serà Vinto e deluso .. To vorrei anco che fosse una verità destituta di tutte prove quel. la che voi soggiungete , che più l' uomo sorge sitigolare dagli al- tri uomini, più gli va incontro Latrando Invidia ; più certa lo coglie ‘La sventura , e l’ estrema ora più ratta. Ma la vita e la perdita di qaesto giovane amabile, pur troppo com- provano i vostri lamenti.-Egli parea nato a gastare i rari frutti «della lode pura , della vera amicizia : ‘egli aveva ingegno non pur da pensare virilmente , ma da rendere con dignità i generosi pen sieri : egli avea cuore da delicatamente sentire , da conoscere quan- t’ è di delicato, d’ arcano’ nel cuore de'pochi che gli somigliassero e nel momento che l’esperienza incominciava ad operare nel suo spi- rito quella educazione ch’ è sola efficace $ egli ci ha lasciati per sempre. Io conservo e conserverò le poche “sue lettere, come la me- moria d’un uomo, il quale prevenato contro di me da quegli uomini che credono sospetto tutto ciò che non si conforma alle misere idee ch’ essi concepirono della società , seppe leggere nel cuor mio , seppe indovinare il mio carattere, e amarlo. Nell’ al- tima lettera , egli mi mandava una sua traduzione dell’ Ode di Schiller: gli Dei della Grecia; donde il Monti anch’ egli ba quasi tradotto il passo più poetico del suo celebrato sermone. Ecco coine rendeva iv italiano quel passo , il giovine amico nostro. Quando a te , bella Venere , i profumi Puri salien delle votive rose ; Com’ era vivo allor, come giocondo D’ esuberante giovinezza il mondo! Dal poetico arcano adombramento Fuor tralucea viepiù potente il Vero. Dov’ or Sofia ne mostra inanimato: Globo di fiamme , allor di gemme adorno 159 L’ altivolante suo carro dorato i Febo spingea , generator del giorno. Vivea pieno di ninfe il colle e il prato ; Driadi tenean negli alberi soggiorno ». E le vezzose Najadi sui monti Facean dall’ urna gorgogliar le fontk Tenera Ninfa in quell’ allor s° accolse ; Niobe è quel sasso di candida vena : “Siringa entro quel calamo , e si dolse In quel bosco la triste Filomena. Ciane per Proserpina discialse Giuso in quel rio del suo dolor la piena: E Citerea d’ in su quel colle aprico Chiamava indarno il suo fedele amico. Quando nell’ ormai noto Romanzo della Fidanzata Ligure, io leggeva posta in fronte ad un capitolo quella sentenza del nostro Pompeati , tratta dal Carme sulla speranza : Credi a me, le promesse inadempite Di speranza , son mali . .. .° Io diceva: questa specie di lode gli giungerà certo più grata che gli elogi d'un giornalista buono ; e più onorevole che le villanie d’ un giornalista malvagio. « Ma egli non era più! Eppure, tanto rettamente ‘pensava egli di quella gloria che può venire dalla poesia a’ giorni nostri, che nell’ ultimo tempo del viver suo s' era tutto già dato alla prosa. “ Le tue critiche , », mi scriveva egli con modestia pari all’ ingegno, le tue critiche 1, m' hanno disanimato dal far più versi sciolti ; ora mi disani- »» mano al tutto dal fare più versi. ,, E questo diceva, con un? anima naturalmente poetica ; e dopo un lungo e continuo e non infelice esercizio dell’arte, Al qual proposito io rammenterò quello ch' egli godeva di raccontare , come, dopo pubblicato in Vienna un suo poemetto d’ uccellagione (poemetto composto nelle are rubate al: sonno, per puro amore della poesia e della caccia 5 la- voro giovenile atfatto, ma pure indicante quà e là quel prezioso istinto d’ infondere nella natura fisica il senso della natura mo- rale, ch’ è l’anima della poesia Virgiliana ) dopo pubblicato , io diceva , codesto suo poemetto , un libraio di Vienna venne ad of- frirsegli compratore di tutti gli esemplari che gli rimanevano, per- chè, diceva costui, dalla parte del Reno, le cose italiane sono avî- damente cercate. Questo fatto io riporto non tanto per far onore alla memoria dell’ amico nostro , ma per mostrare come dai no- 1£0 stri letterati e da’ nostri librai s' intendano male s' interessi del- l'utile e della gloria loro... = Egli è vero quel che voi dite ne” goetri versi, che il prode sorride alla morte ; ch’ ella gli è sacra al par dell’ esistenza : Dè un’ è maraviglia il sentire ch’ egli con questi, seutimenti nu- risse. Ma il vedersi rapiti o da morte o da lontananza que’pochi pel cui consorzio. Ja. natura pareva averci creati , ristringe |’ ani- ma più e più sempre in sè stessa , e le rende terribili. si quegli affetti ch’eran l’unico pascolo delle sue pure speranze , il sogno generoso della sua gioventà. Confortiamoci almeno della memoria de'pochi che di memoria son degni , e della coscienza d’averne meritato l’affetto, Confortiamoci di quegli studii che'ci furono comuni con essi, e a’ quali l’ami- cizia loro ci ba con insensibile influsso edacati, inspirati. Voi, mio caro Lupatini, can I’ amenità delle lettere , e col più solido e sicuro diletto della filosofia che tanto v’è cara, temperate l’ aridità degli altri vostri studi, e quella, più grave, della solitudine intel» lettuale e morale che vi circonda. 101 BULLETTINO BIBLIOGRAFIGO Annesso all’ Antologia (*). Dicembre 1828. TOSCANA. Osservazioni sopra la Sphinx athro- pos s 0 farfalla a testa di morto, del dottor Carro Passerini aggrega.u all’I. e R. museo di Firenze. Pisa , 1828, tip. Nistri , 8.° di p. 8. Vira vr Napoteone BuonaAPARTE imperatore de’ francesi, preceduta da un quadro preliminare della rivoluzio- ne francese , da Sir Water Scott, prima versione italiana , dall’ inglese, di V. Peccuioti. Firenze, 1838, Coen ec. Tomo XIX. Romanzi storigi di Waxrer-ScoTT, Firenze, 1828, Coen ec. Tomo XXIX. Cronache delle Canongate, trad. di G. Giomoni. Tomo il. Le pur soreLLE DI MAngIELD, Ssto- ria morale per le fanciulle, scritta dall’ autore dei Racconti det vecchio Daniele. Prima traduziome italiana dall'inglese. Pisa, 1828, cip. Nistri 2 volumi in 32. Viaggio per 1’ alta; Italia del ser. rincipe di Toscana, poi Granduca Cosimo III, descritto da Fierppo Piazi- chi. Ed. can. Dom. Morem. Firenze, pa » St. Magheri. 8.° di p. XX, e 100 Corneziona portatile di classiei ita liani. Firenze , 1827, Passigli Bor ghi ec. Vol. XXI. Dante, la Divina Commedia , con nuovi argomenti , e note. Vol. II. Raccorta completa delle commedie di Canto Gounoni Firenze, 1828, Passigli, Borghi ec.Volume XI. Storia antica e romana ‘di Carro Ronin. Prima edizione italiana, cor- redata delle osservazioni e degli schia- rimenti storici del G. L. LETRONNE. Firenze , 1828 , G. Galletti. Volumi VIlI e IX. "l'AvoLA GEOGRAFICA fisica e storica della Val di Sieve, seconda dell’atlante pubblicato per le cure del dot. AT- TiLto Zuccacni OrLanDINI. Firenze , 1828, presso È’ autore e editore. StonmA dell’arte dimostrata coi mo- numenti, dalla sua decadenza nel 1V secolo, sino al suo risorgimento nel XVI, di G.A L. Serovx d’AcincoURT, Prato , 1828 , fratelli Giachetti. Di- spensa 2/ e 25 delle tavole. Possia di Mario Preri corcirese. Firenze , 1038, tip. all'insegna di Dante Voi. i. Poesie varie con un estraito deli’ arie poetica di FRANCESCO M. Zawoxti, Vo, IH Élegie di Pro- PERZiIO vagale in terza rima, Prezzo dei due volumi Ì. &, fior. Gramyatica r.gionata della lingua italiana di Carro Ant. Vanzon. Li- vorno , 1823 , cip. Sardi. Dizionasra voiversale jdella lingua italiana ed insieme di geografia, antica e moderna ; mitologia $ storia sacra, politica ed ecclesiastica ;3 biografia ; an- | tiquaria ; storia naturale ; e di tutti i (*) I giudizi letterari s dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’Antologia. Essi vengono somministrati da'sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi , siano come annunzi di opere. T. XXXII. Dicembre. 2l 162 vocaboli d’ origine greca , usati pella medicina , chirurgia ,, farmacia , chi. mica , fisica, astronomia, teologia e giurisprudenza , di Carto Ant. Van- ZON. i 34 iL y Di questo dizionario/, al quale si è creduto dover dare un titolo più ana- logo, e più esprimente la natura del- , l’opera che quello sotto cui fu anuun- ziato ne’ mau fe.ti dell’ 11 maggio e 25 ottone 1826, e in quello del 3 mazgio dell’ anno decorso , sono già. pubblicati quattordici fascicoli , dei quali tredici formano il primo tomo ,. che è preceduto da una esposizione grammaticale rogionata. —_—_—_ La distribuz:one si fa oghi 40’ gior. ni, a fascicoli di 5 fog di stampa di pagine 16 per foglio. Il prezzo, rag- quagliato a soldi 6 e denari 8 per fo- ‘elio, è dì lire 1, soldi 13 e danari 4 per fascicolo. Tutta 1’ opera. sarà contenuta in 35 fascicoli circa, che formeranno quattro volumi. Si ricevono le associazioni if Li- vorno dagli editori Gio. Sardi e figlio, da G. P. Pozzolivi , e da Bertani, An- tovelli e C.; e fuori di Livorno dai principali libraii. Le spese di porto , | gabella ec, sono a carico de' sig. asso- ciati, Livorno 24 dicembre 1828. STATO LOMBARDO VENETO. OrerE varie italiane e francesi d'Exmo Quirino Visconti. Milano , 1828, Società editrice, fascicolo V11 in 8.° fig. Meptre gli editori attendevano che pervenissero loro da Parigi e da Roma alcune scritture inedite del Visconti , hanno dovuto sospendere la pubblica- zione del VI fascicolo, che dee com- piere la parte italiana , ond’è che gli fanno precedere questo VII che dà co- miuciamento alla parte francese. BiounaFia universale antica e mo- derna , cpera affatto nuova compilata in Francia da una società di dotti , ed ora per la} prima volta recata in îtaliano con aggiunte e correziuni, /e- nezia , 1828, Missiuglia, Volume 49° (HLA RI.) AnticHita romantiche d’ Italia. Epoca prima «+ Della condizione econo- mica, morale e politica degli italiani, Saggio primo : intorno, all’ architet- tura simbolica civile e militare, usata in fraba nel secolo VI, VII, e VIII; e intorno all'origine dei longobardi, alla loro dominazione in Italia, alle divisioni dei due-popoli s: ed ai loro usi, culto e costumi , opera di De- FENpENTE, Saccur e Giuseppe SaccHI, che ottenne 1° onorev:le menzione dal- l’ Ateneo di Brescia nel concorso bien- vale dell'anno 1828. Miano , 1828;, A. F. Stella e f. 8° di 267 pagine j prezzo 1. 3, 50, it. L’ ArTE di comporre i libri, rac- conto di un americano, da Bar- ToLOMMEO GamBa : letto: nell’ Ateneo dì Treviso , il di 26 giugno 1828. Las- sano } 1828, tip. Balleggio, “p. 22° Esopo, poema giocosa in canti XII. Venezia, 1828, Picotti ed. tipogr, Volumi lI,con tavole in rame, prezzo lir, 6 austr, Monumenti di pittura ‘e scultura trascelti in Mantova , o, nel suo terri- torio. Mantova, 1828, tip.-all'Apollo, di F. Bianchi , fascicoli IV e V, che contengono |’ anvunciata di Ben- venuto Tisi di Garofolo s il \monu- mento dei conjugi Andreali i la S. Maigherita del Caracci y il monu- mento a Virgilio. Grocnaria universale di tutte. le parti del mondo, di MaLteRRUN, per cura di Gruseppe BetLoni antico mili- tare itzliano, coupendiata ad uso dei giovanetti , delle donne e d’ogni per- sona che ami d’instruirsi in ogni ge- nere di cugnizioni senza rmpegnarsi in lunghi e faticosi studii. Milano, 1828, Lor. Sonzogno. Volume VII. Compenpio di uranografia elementare per servire d’ introduzione allo studio lella geografia di PieTRo: SPADA; con tavole iù rame. Miluno , 1828} Lor. Sonzogno. Volume unico 1,2,.50.it, IL visitatore del povero jdel Ba- rone De (}EnanDo membro dell’istitàto di Francia ; opera premiata dall’acca- demia di Lione nel 1821 , e dall’ ac- cademia francese che li decretò il pre- mio instituito dal sigoor De Montyon per l’ opera riconosciuta la più utile ai costumi, Terza edizione francese riveduta ed ‘aumentata. Prima tradu- zione italiana, premessi. alcuni cevni sullo stato della pubblica beneficenza nel Regno Lombardo veneto, del conte Foucmxno ScHizzi, cav. del S, A. la ordine Costautiniano di S. Giorgio di 103 Parma. Milano, 1828, Gasparo Truf- | e 280 col ritratto dell’ autore, Prerz» fi; 89, volumi II di p. CXIII e 221, 1. 6, 20 italiane. —_—_—_ 149 Del vantaggio della pubblicità nelle procedure cri- minali. (Art. III.) (Patrofilo) B. ,, 33 Navarrete. Relazione de’ quattro viaggi di Cristoforo Colombo. — Washington Irving. Vita di Colom- bo. (Gi Pojirzzorzgi 98 Epitome juris e legum Romanorum, etc., di Andrea Barriga di Montualon. (V. S. M.) C. ;, 10 165 Collezione degli Atti delle solenni distribuzioni dei premi d’ industria in Milano. (K. X. Y.) G. Pag. Manmale di Tecnologia generale, del D. G. Volpi. 3 » >» I fanciulli o i lor caratteri, di Miss Edgeworth. (M.) » » Visitatore del povero, Si bar. De G@rando. (R_Lam- bruschini) >» » Iritorno allo studio della pubblica ecomomia in Si- cilia , lettera del (Sac. G. Grassellini) >)» Motuproprio di S. A. I. e R. il Granduca di Tosca- na perilrisanamento della provincia grossetana. 33. > GrocRAFIA , STATISTICA , VIAGGI, EG. Statistica della Svizzera, di Stef. Franscini. (Fr. Forti) B. »» Saggio sulla statistica generale della terra, di Adriano Balbi. (K. X.Y.) G.,, Osservazioni sul Vinegio pittorico della Toscana . Art. Chiusi.: (Can. Pasquini) ;) %» Viaggio del sig. Caillé a Tombuctu. s » Carta geografica dell’Affrica settentr. del sig. Segato. agi Î) 39 Spedizione scientifica toscana in Egitto. x » >» LETTERATURA ; FILOLOGIA, CRITICA LETTERARIA ; POESIA , Elogi di letterati scritti da Ipp. Pindemonte. (M.P.) A..,s Atlante storico delle letterature di Iarry De Mancy. — Atlante storico della. letteratura italiana di G. C. — Iconografia di De Mancy e Boyer. ( Gonchiusio- ne ). (M.) x » Vincenzo Monti. Articolo necrologico. (Ri X Fe) ss Elogio del presidente Giovanni degli Alessandri, /G. 8. Niccolini) B. ,, Adunanza solenne dell’Accademia della Crusca. {F. P.) 3 » Società filodrammatica in Firenze. (e is » Gio. Batt. Belloro ; sull’ intelligenza di alcuni passi di Tito Livio. (K. X. F.)Gas Mustoxidi. Notizie intorno ad Esopo. 412 slipb s3 G. A. Paravia. Sulle lettere di Plinio il giovane i trad. da G. Tedeschi. » » Esercitazioni acientifico-letterarie dell’ Atenoo di Ve- nezia. (E Re)'osio» 166 Prose di Salvator Betti.» Aringhe' di Demostene ven da Vi Barobriet, dti 4 Eroina o l’ amor materno, " sono. G. Mamiani; elogi storici... . Vermiglioli. Biografia degli scrittori perugini. sara Filiberto Villani. — Federico , poema eroico. %” sa Monsignor Martmi. Opere varie... |. » ” M.T. Cicerone. suina scelte»; vol. di Can- tova. »” » Faliero ; Grapelii di T. Zauli'Sajani. . LITRO PER PRE TTI Tibullo. Elogi , volg. da A. Cavalli. ” » La solitudine , discorso del P. Lwigî Pasquali: :..3; :0 » Edvige e Walstein, poema di Di L. Pirker, Lu ‘da G. A. Paravia. © ag (alia Le vite di Corn. Nipote, trad da ‘G. D. Soresi. 3) > #% Algiso , novelle di Ces. Cantu. » Commedie di Alberto ‘Nota. ‘Vol. IIt;0: (APRI Notizie della vita di Ag. Ghirlanda , di C. Frediani. (EM): Storia della. letteratura uil di Ginguené. Ediz. di Firenze. ee. (L.:B.} 4 Viaggio per l’ alta Italia del G. D. Cosimo III, scritto da F. Pizzichia #5 (DM.).G. Inno a Venere Urania, di Ercole Emiliani. A Lettera..al sig. Giaxich ; di pf Raormaseni 4ì ARCHEOLOGIA, EG. Leggi egiziane. — Papiri greci illustrati dal prof. Ame= deo Peyron. Lett. I. e II. (Conte F. Sclopis) A. Memorie romane di antichità e belle arti. (G. B. Zan- noni) 33 Saggio dei risultamenti storici delle scoperte dell’ al- fabeto geroglifico egiziano , per il sig. Champollion giovane. (Traduzione) B. Seduta della Società accademica. di Aix ; del 2 agosto 1828. (D. Valeriani) ;, Giovanni Romani. Dell’antico corso dei fiumi Po Oglio e Adda negli agri cremonesi + ec. ‘.(Z. Repetti) G. Delle pietre antiche , libri quattro di Faust. Corsi. ,, » 29 ‘99 29 5) ((K.:X: Y.) C. Pag. mo 114 12 - 16 n n, a e reni “07 Escavazioni d’ un edifizio romano presso Voorburgo. b fI:C. Reuwens) C. Pag. 95 Montimeato (ii da Settimello. | (F.P.)» » 100 BELLE ‘ARTI. Incisione del sig. Vincenzo Gavassi; pel 'S. Benedetto. ; (K. X. Y.)C. » 68 Collezione dei progetti d’ architettura premiati in : Firenze. i i DE, » » 69 Je R. palazzo Pitti, del cav. Fr. Inghirami. ‘’ (M.);3 33 88 | Osservazioni sull’ Italia di Giovanni Bell. (PC); 5° ‘88 - Pittura a fresco del sig. Marini. (Anonimo) ;, ‘33:90 Monumento a Vincenzo Monti. 23 3 TI3 Monumento a Torquato Tasso. ra th) | VARIETÀ. | Molta funesta del maggior Hauser. (Magg. Vacani) C. pd t10 SCIENZE MATEMATICHE. La storia dell’algebra, del prof. Franchini. (Fornaciari) C. ,, 25 sv ASTRONOMIA. Della costruzione di una carta:celeste proposta dall’Ac- cademia delle scienze di Berlino , ed eseguita in Fi- renze dal prof. Pad. G. Inghirami. (F. T. S.) C. ;, 142 SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Bullettino scientifico. C. ,, 118 Fisica e chimica. ” 39 ‘93I9DI Storia naturale. pr » 3» 129 Botanica. Pe 39. 20 I9I SCIENZE MEDICHE. Bullettino scientifico. C. ,, 133 368 SecIETÀ SCIENTIGHE. I. e R. Accad. de’ Geogofili. Ad. del 7 dicemb. 1828. C. Pag. 147 Società medico-fisica fiorentina. » R. Accademia delle scienze di Torino. » R. Società agraria di Torino. » NecRoLOGIA. Vincenzo Manti. (K. X. Y.) A. Giovanni degli Alessandri. (G. B. Niccolini) B. Ippolito Pindemonte. (Mario Pieri) ©. Antonio Cesari. (X.) > Dottor Luca Stulli. (Art. comunicato) ,, Conte Luigi Pompeati. (K.X.Y.}» BULLETTINO BIBLIOGRAPICO, Ottobre 1828. A. Novembre B. Dicembre. C. Fine del Fasgicolo XCVI, e dell'Anno VIITE® 149 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE PATYE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alte sopra il livello del mare piedi 205. DICEMBRE 1828. Do l’ermo. Dai Pol > 9 E igm i sua S| Ora 3 3 || 8a [FSB Stato del cielo 3, E PIE MBLCOO] Pgi- EU E- i i: 10 i WE Rig | aa oi 7 mat. n 1,8 | 8,0 | 6,9! 97 Ostro £ Nuvolo Calma 1| mezzog. 63 | Bo | 99 0,02 Os. Li. Nuvolo Calina ri sera eg 10,9 | 8,9 8.7 È 0,03 Scir. . Nuvolo Calma 1 7 mat. 27 9.4 | 8,3 | 8,5 | 97 [{0,02/Scir. |Nuv. ser. Calma 2 mezzog. RA 10,3 | 8,6 | 8,7 | 80 Tr. Gr.'Ser. con nuv. Vento | ri sera 2,9) 19 3,5 | 5a Tram Ser. nuv. Vento cea mat. A 3 6 5,0 o 0,9 47 Tram. Se. con. nuv. Vento fier 3 mezzog. à 38.|.4,3 | 1,8) 38 Tram. Sereno Vento fortis. 11 sera x 4g104.2:9 (ta dol 46 |__| {Gr.Le. Sereno Vento 7 mat. [28 4,9 | ‘7 mat. |28. 4,0 | 3,0 | 1,0 Ta AT Tram. [Serena Vento 4| mezzog. 128, da 3,6 | 5,3 | 29 Tram. ‘Sereno Vento iv sera |28. 3,4 | 4,0 | 2,2 | 42 Scir. ‘Sereno Ventic 7 mat. |28. 16 3,6. 0,5 | 75 Scir. Sereno Ventic 5| mezzog. |28. 3,6 | 3,8! 5,4| 60 Scir. ;Sereno Ventic. 11 sera |28. 330 14,4 | 2,9 | 85 Scir. .Sereno Calma 7 mat. . ,287 gior 4,0 | 0,7 95 Scir. }Sereno Calma 6) mezzog. !28 Afbiu4,2.|, 4,0 |-93 Scir. {Sereno Calma _| 33 sera [28. 40 | 4&t | 2,5 | 83 Scir. |Sereno Calma 7 mat. 28. 3 9 | 3,9! 0,8 | 98 Scir. |Sereno Calma | 7| mezzog. |23. 39 | 3,9 | 4,1 | go Se. Le. Nuvolo ser. Calma rt sera |28. 3,3 | 4,0 | 5,8 | 93 IScir. |Nuvolo __ Ga lots 28. 8| mezzog.|28 Ir sera |28. 7 mat. 7 mat. le Q| mezzog. II sera Wi 2,9 | 4,1 [74,5 | 98 | 0;06| Ponen.|Pioggia Calma 2,6 | 4,3 | 6,7|.99 0,07| Po. Li.|Nuv. neb. Calina * 1,6 | 4,3 | 7,0 | 97 | 0,02 Ponen. | Nebbia Calma 0,2 |. 5,5. [10,5 Os, Li. Nuvclo Vento 0,0 | 6,4 |[10,9| 96 ‘'O;tro [Nuvolo Ventic. 0,0 | 7,5 |1t,1 | 99 Ostro Nuvolo Calma e e ——e———————— rr tere _"—___——P——P_—______—__ | 7 mat. |28. 1,2 | 8,0 | &0| 87 biagi n 10, mezzog./28. 2,0 | 8,3 | g.1| 78 l'Tram. softt sera, |28.,.3,5 | 8,71 6,71 75 Tram. 7 mat. |28. 4,4 | 7,0 | 5,6| 76 Tram. ri mezzog. 28. 4,9 | gi 8,5 | 57 Greco | rr sera |28. 4,9 17 4,0] 7 Scir. 7 mat. |28. 4,8 “na 1,5] 94 Scir. 12} mezzog.|28.. 47 16,6 |44| 81 Scir. 11 sera |28. 4,7 | 6,0 | 3,3 | 85 Scir. 7. mat. |28. 4,7 5,50 0,9 | 93 | ‘iScir. è ir3 mezzog. |28. 4,3 | 5,5 | 6,1 | 70° ‘Scir. | |a sera |28, 8. 4,1 5,5 | 5,1] 44. :Ponen, “| 7 mat. 28, 4,2 | 5,5 | 47 | 75 Po. Li. ° mezzog.[28. 4.1 | 5,8 | 8,5 | 60 Tram. ri sera_|28. 3,9.| 6,0 | 4,1| 74 | Lev. - “7 mat. |28. 3,4 | 5,7 | 2,0| 90 TI 0l6dr) 15. mezzog.|28. 2,9 | 5,6 | 5,3 | 78 Scir. rr sera. |28.. 2,6 | 5,8 | 5,0 | 75 |Scir. 7 mat. |28. 3,7 { 5,2 | 1,8] 88 Scir. 16| mezzog.|28. 4,2 | 5,6 1 7,0] 63 Tram." ri sera |28. STI 5,2 1_5,0 85 Sc. Le. 7 mat. |28. 4,2 | 0,5 | 0,2| 96 Scir. 17| mezzog.|28. 5,0 | 4,8 | 3,4 | 87. Scir. rt sera 128. 5,0 4,8 | 2,01 90 Scir. 7 mat. |28. 46 | 4,2 [ 2,8 | 95 Ustro 18 mezzog.|28. 44 | 4-0 |'2,8| 92 Ostro LE sera 28. 3,3 | 4,0 { 3,8 98 9,05. Ostro 7 | mat. 128. 1,6 4,0 6,0 98 [007 0,07 Scir, 19| mezzog.!28. 1,0.| 4.6 i 7,7 | 96 | 0,01 Scir. 1) sera ‘28. 0,9 49 | 5,1 97 Greco 017 QUIOLE Termo ne, Mm > = S Ss 5|P|lo]jr<| 38 n 5 mr [eri ie | 8 ]o.5| 0° PICS. le 8 È (S) © ij | Ù Di Stato del cielo Nuvolo Vento Nuvolo Vento Sereno Calma Sereno Ventic! Sereno Vento Sereno Calma Sereno Vevtic.|B Sereno calig. Calma Sereno Calma lSereno Calma | ‘Ser. calig. Ventic. ‘Seréro * Calma. Sereno i Calma. Sereno ‘ Vento. | Sereno Calma” | [Sereno Calma Sereno Calma: Sereno Calma | Sereno Calma |M Sereno Veoto | ! Sereno Ventie Sereno Ve ntic: Sereno Calma | Nuv. neb. Calma Nuvolo Venticef Nuvolo Calma INuvolo Calma ‘Navolo Calma Nuvolo Ventic Calmà Nebbia pren e Ia 3 |{=|t9|3]|53|-35 Ora 3 5 |a |g]|35]| 38 Stato del cielo CI Ri NERO CIS ER ROS AA DA ri FFLF‘£‘’'’‘|—TJ“EEWON | g mat. 28. 1,5 | 5,0 | 3,5 Ice. Le.|Nuvolo Calma ‘20|meszog. |28. 1,6 | 5,3 | 5,2! 96 { 0,02 Sc. Le.{Nuvolo Calma | | x: sera [28. 1,6.| 5,0 | 4,0 | 96 Sc, Le. |Nuvolo Calma 7 mat, 28. 1,61 5,0 | 4,6 "96 VAI Os. Li.! Nuvolo Calma al|mezzog. |28. 1,6 | 5,0 | 6,3 | 96 los. Li. Nuvolo » Calma | 11 serà |28. 2,0 | 5,0 | 7,0 | 96 |Ostro ;Nuvolo Calma 7.mat. |28. 2,0 | 5,5 | 6,2] 96 Ostro |Nuvolo Calma 22|mnezzog. |a8, 3,0 | 5,8 | 8,6| 96 Ostro !Nuvolo Calma Ì rt sera (28. 3,0 30 | 7,9 Maest. | Nuvolo Calma cn e PI _Ll _ ___— _ _—+ 7 mat. (28 2,9 | 6,2 | 7,4 | 93 Lev. {Nuvolo Calma 123|mezzog. |28. 2,5 | 6,9 | 8,0 | 96 Lev. Nuvolo Galina ru.sera |28. 1,2 | 6,7 | 7,5 | 97 |Sc. Le. Nebbia Calma 7 mat. |28. 0,1 | 6,7 | 7,0| 97 | 0,04 Scir. |Nuvolo Calma | 24 mezzog. |27. 10,6 | 7,9) 85.4| 97 \Sc. Le.' Navolo Calma 11 sera |27. 11,5 | 7,0 | 9,9 | 96 Ostro |Nuvolo Calma Le tace ST | _________ <*k n mat. 27. 11,0. DI 7,0 | 97 Ostro |Pioggia Calma 25 mezzog. |27. 10,6 | 7,5! 8.4| 97 | 0,13 Ostro |Nuvolo Calma Mj-{ 11 sera (27. 10,2. | 15.{,7,6] 97 | 0,04 Ostro |Nuvolo Calma | 7: mat. 27. 9,3 | 7,5 | 61. 96 Ostro |Nuvolo ser. Calma | Ri mezzog. |27. 9:3 | 7,5 | 8,3: 88 Sc. Le,| Nuvolo Calma (tr sera 27. 950° 9;0 ‘117,5 17,6 | g7 | 0,06|Sc. Le. Nuvolo Calma 7 mat. 27.91 | 7,5 | 6,5 07 Ostro |Pioviggine Calma ros: 27. 9,6 | 7,6 | 7,8) 97 | 0,03|Os. Li. |Pioggia Calma 1t sera |27. 10,5 | 7,3 | 7.6] 97 | n,12|Ostro ' Nuvolo Calma | | 7 mat. |27. 109 | 7,2 | 772] 97 0,04] Ostro Nuvolo Calma ({28 mezzog. {27. 11,4 | 7,7 | 8,9| 97 | 002/Ostro |Nuvolo Calma ) lat sera |27. 11,5 | 7,6 | 8,0 | 80 Tram. |Nuv. ser, Calma cl 7 mat. |27. i1,9 | 7,3 | 8,0 | 83 Gr. Le.|Ser. con neb. Ventic ifPp9 mezzog. 28. 1,8. | 8,0 | 8,0] 79 ‘Tram. |Ser. con neb. Vento ;W | 1t sera |28. 1,8! 8,0 si 79 Tram. |Ser. con neb. Vento Bo|mezzog. 28. 2,8 i È 7 mat, Tram. Sereno Vento n 8,4 { 53 Tram. Sereno Vento i It sera 28. 2,7 | 7,0 | 5,01 66 Gr. Tr. «Sereno Vento || GN]? mat. |28. 2,5 | 6,5 | 3,8] 76 Tram. (Ser, con puv. Ventic (Prjmezzog. |28. 2,0 | 6,3 | 44 | 64 Tram. |Se. con nuv. Vento Il sera 6,0 2,0 Ser. con nuv. Ventic. 66 Tram. ——_T——Tr PROSPETTO DELL'ANNO 1828. METEOROLOGIGO n "naif ——IeL© cone VSS ra er __ ped i Barometro | Termom.medio EA al Giorni ‘ 4 mensuale ua z la Vento ij Mesi medio E TS | mensuale Esterno. È 2 8 Sereni | Piovosi dominante 1 genere ESTESE TANTE ZERI sii TRE | PERITI ha - , poll. O ? Gennajo 28. 2,9 5,0 91,6 1,67 5 14 | Scir. Lev. } Febbrajo | 27. 1030 5,2 80,0] 3,76| 12 12 Tramontano |f £ Marzo arali.tigl 8,3 81,6] 3,07| 3 Il Os. Lib.Tram. | A prile 27. 1136 10,9 84,7|2,91| 8 II Ostro Maggio | 28. 03° 15,3 82,71 4,53] $ 11 Libeccio | Giugno 28, 130 15,7 74,2] 0,07) 29 I Gr. Lev. iL Luglio 28. 0)l 19,9 73,5| 0,03] 17 2 Libeccio LE Agosto 28. 0,2 18,9 75,0] 0,22 24 2 Libeccio f Se sttemb. | 28. 1,3 16,4 78,2| 3,08 13 5 | Scirocco } Ottobre 25. 16 12,0 82,2) 2,13] 19 7 Scirocco p No ovemb. | 28. 1,4 8,0 8751] 4,10] 15 6 | Scirocco Dicembre 28. . 2,9. 5,4 81,0] o,g4| 1° 8 Scirocco ‘Termom. mass: 27,8 il di 8 Luglio. pr. 28. 7. 6. il 19 Gennajo a org 3 if pomer cid. a ore ro di mattina poll. minimo 27. 4-3 il 6 Marzo Baron. massimo minimo—1,3 it 17 Febbraié er i a mezzo giorno a7dì mattina 1oll. Medio dituttol’anno 28. 0,9 medio 12,0 Totale dei giorni piovosi 90 ; dei sereni 167; della pioggia poll. 26,71. ° . CONTENUTE NEL PRESENTE QUADERNO. petite Ponti ce DIL NE Ra idee Pa LI : SPIA £ dna E BR : i ti i £x N E » Ro. ; Ù ; ui > © MESEYDI NOVEMBRE. © Statistica della di di Staino eni (Prancesoo Poni) Peg. Dei vantaggi dellà pubblicità nelle procedure criminali. -; (Conclusione). ;- (Patrofilo) ‘» Sun dei risultamenti storici; delle. scoperte dell alfabeto geroglifico ‘ D; segiziano 3 Pet. il sig. Chiampollion. il giovane ; estr. dal Bullett..-. no ‘ del sig. De Ferrussac , volg. da PROLE SIR > SI Lp Valeriani} » 49 “Nevarrete s Relazione dé’ quattro viaggi di Cristoforo Colombo, Sa "mae Washington: Irving: Vita di Cristoforo Colombo. > (G.-P.). Elogio. del Presidente Gio. degli Alessandri; scritto da.f G. B: Niccolini} ,, 109 ‘Adunanza solenne dell’Accademia della Crusca. (ERRO ET So liet i filodrammatica in Firenze: PRBORI *, (4), 122 > null Luna a) Hi dr RIRA Ì Ty È. 13Ì MESE DI DICEMBRE. | Rivera LETTERARIA, jrbee - Batista Belloro; Sulla situazione dell’ antica. Savona , p..1. — Mustoxidi , Notizie intorno ad’ Esopo ; pi 4. Sh Paravia ; Sul, Plinio. trad. da Gio. Tedeschi, p. 8. — Barriga de. sa 4 ATTI g TfrEeTa.tì G._ De Volpi; Manuale di Tecnologia , p. 6a. — L' Pasquali ; La solitudine ;_p. 63. — Monsi L. Pyrher . Edvige e Walstein s/ poema; p. 69. — De Soresi, Corn, Nipote volga p.166. — V. . Gar < passi , incisione pel 8. Benedetto ; p. 68. — Pasqui ;. Lapi e Cop- S : piardî, Collez. di ‘progetti di architettura premiati, p.. 6g: + Can #ù ;-Algisa, novella, p. 71. — Nota, Commediey Volume HI 5 ‘— p. 76. — Frediani, Vita.di Ag. Ghirlanda, p. 79. =. Ginguené | Lett. italiana ; édiz. di Firenze, pi 80. — F. Pizziohi,, Niaggi di. - Cosimo 11I;-p. 80. — Eniliani, Inno a Venere, pi 87. — Miss Ed- — geworth x I fanciulli 0 i léro. caratteri jp. 87. — F.-Inghirami; Il ‘| palazzo Pitti descritto; pi 88. — G. Bell, Os:;erve sull’Italia; p. 88. + — De Gerando Il visitatore ilel povero , p. 8g Sita” alert Vanrerì. = Pittura a fresco del sig. Marini ; p. go. — Escavazioni di nu edifizio romano presso Voorburgo;; p. 95. — Intornò allo stu- AT = -p-402. — Monum «funesta del Magg- Hauser;;p.110.— Monumento. ne p. 112::— Monumento a Torquato Tasso ,-p.1 N. Tommaseo al Cons. N. Giazioh ; ps 114. -Bnllettino scientifica» CARS > Iata A «Della costruzione di una carta celeste eseguita dal prof. Pad.:Giovan= —. nì Inghirami. i Ae a e EA > Necrologia. =Iprr Pindemoute,, .p. 154. — Antonio Cesati spad — e D: Luca Stulli.; p. 199, — Conte Luigi Pompeati , p. 197. >» — Ballettino bibliografico. SAR ni a, 2 RARE oe Yavole meteorologiche: { va SPIRALI ar AE Rate 29 È t fi } Ù ‘ GA 29) da : ai Lt CA