MI tl A N TOLOGIA. o | "GIORNALE. le DI SCIENZE; LETTERE E ARTI -, n si Pa w-S Li Ò a % Anno IX. Vol. XXXHI. F 1 R E N ZE. x AL GABINETTO SCIENTIFICO s LETTERARIO de go pi.G. P. VIEUSSEUX °— Direrrore » Eprrore I 0 1 TIMOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI:. . ANTOLOGIA GENNAIO, FEBBRAIO, MARZO 1029. TOMO TRIGESIMOTERZO. FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE. TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXXTX+. Ì 1 FE TTT e ANTOLOGIA A ea N.° XCVII Gennaio 1828. ____6m6m6mtet.<_——..l Corso storico dell’ Antica Grecia, ridotto in lezioni ele- mentari dai tempi suoi più certi fino alla conquista che ne fecero i Romani. Dall’ Ab. Onoraro Otcese , già pubblico Lettore di Filosofia. Quarta edizione T. Il. Mi- lano Silvestri 1827. | Istoria della Letteratura greca profana dalla sua origine alla presa di Costantinopoli fatta dai Turchi, con un Compen- dio Istorico del trasportamento della Letteratura greca in Occidente. Opera di F. Scuostr. Recata in Italiano pir la prima volta, con giunte ed osservazioni critiche, dal dott. Emizro TrraLpo CrraLeno. Prof. nel Collegio di Marina in Venezia. Tip. Antonelli 1823-28. Collana degli antichi Storici Greci volgarizzati . Milano Francesco Sonzogno. Biblioteca Greca wolgarizzata. Milano, Francesco. Son- zogno. T, Li Grecia ! — Quante memorie, quanta speranze , quanti esempi si presentano al pensiero, fatti già indi- visibili da questo nome! La libertà e la sapienza posson forse vantare presso altri popoli un culto più antico , ma non più solenné, Sott’ altri soli nacque, è vero, e vagì l’ umana civiltà , nutrita del latte della religione , ser- 4 bata in vita dallo spirito della libertà ; ma in Grecia creb- be, in Grecia fu vergine e bella : dì lì fece sonar la sua voce potente sino a que’ lidi stessi che ne avevano sentito un giorno i vagiti, Senza la greca civiltà, la romana gran- dezza avrebbe imbarbarita la terra ; senz’ essa , anche quel poco che di tante forti nazioni c’ è noto , giacerebbe rav. volto in tenebre non vincibili ; senz’ essa la filosofia non avrebbe forse mai appreso il linguaggio del cuore, non sa- rebbe mai apparita, qual ella è, un ispirato amore del Vero. La religione anch’ ella , pur fiorente di sua gioventù , non islegnò gli ornamenti della greca Bellezza già languida ; e la lingua di Platone e d’Omero non si spense se non dopo aver echeggiato l’ accento d’ una verità universale e sicura, d’ un amore profondo ed alto, d’una libertà umana e mite. Dall’ Italia e dall’ Oriente raccolse la Grecia le prime scin- tille della vita civile ; nell’ Italia e nell’ Oriente rifuse , prima di spegnerla, la sua fiamma. Ed ora la ravviva più bella che mai : e la fiaccola riaccesa dalla libertà è già forse presso a ravvivare il lume di quelle altr’ arti , che dalla libertà vera si figliano. Nè l’ amore delle cose greche fu mai , cred’io, sì efficace e sì profondo com’ ora, La politica rassodata dall’ esperienza, assennata dagli anni, cerca ora nelle greche memorie non già il nome vano e il fatuo vanto d’una libertà perigliosa , ma le leggi eterne con che la libertà si fa sentire alle nazioni, quasi Ta loro grand’ anima, e l’abnuso de’ suoi doni punisce col ritrar- si e sparire. L’erudizione , ormai sciolta in parte dalle fasce della filologia, corre spedita a cercare ne’Greci mo- numenti la conferma di qualche grande verità, di qualche fatto cardinale, ch’ è una teoria per sè stesso » la lettera- tura , ormai scaltrita a discernere l’ osservazione degna del- l’uomo dalla imitazione propria del bruto, e a sentire come la prima equivalga di per sè sola a una lunga serie di laboriose esperienze, dove la seconda ben lungi dal crescer la messe delle glorie passate, le infracida , e così spegne il germe delle avvenire, la letteratura, io dico, incomincia a vagheggiare ne’ Greci quello spirito delicato di Bellezza verginale , la cui contemplazione è tanto nobile 5 quant’ è profano il contatto, spirito che voler trasportare nel corpo d’ una civiltà non più vergine ma matura e quasi stanca per gli anni, è affettazione non meno insensata che goffa. Nella Grecia insomma la colta Europa comincia a conoscere quel ch’è veramente di mirabile; e alla servili- tà dell’ammirazione cieca , sostituisce la sapiente libertà dell’ affetto , ch’ è il tributo più degno che render si possa al grande ed al bello. I. In mal punto adunque esce la quarta edizione della Storia annunziata: Storia, convien dirlo , indegna dell’im- portante soggetto, Non intendo de’ fatti notabilissimi che all’ A. è pia- ciuto d’ omettere: intendo di quelli ch'egli ha mozzati o alterati, or col tuono della narrazione, ora co’suoi giudizii, non sempre rettissimi, ora colla improprietà dello stile. Egli ci parla d’un Tirteo, generale degli Spartani (p. 16), e non dice se fosse Spartano o straniero: ci narra il dialogo di Solone con Creso, e lo tronca a mezzo (p. 18): ci dà per vera l’etimologia favolosa dell’ Ellesponto (p. 30): racconta che Temistocle imparava da. Aristide la probità (p. 37): racconta che gli Ateniesi nel tempo dell’ invasione Persiana s’imbarcarono tutti sulla flotta. (p. 45): parla delle Termopili, e tace il perchè Leonida vi rimanesse con soli trecento (p. 47): afferma che dopo il consiglio secreto di Temistocle con Aristide fu allora che il popolo decretò ad Aristide il nome di Giusto (p. 57): tace dell’Ostracismo di questo grand’uomo (p. 63): tace di tutta la guerra Pelopon- nesiaca (p. 67), e poi ne tocca qua e là in modo confuso e non intelligibile (p. 74): tocca dell’ Aspasia di Pericle , e non manifesta che donna ell’era (p. 116): tocca della morte d’Alcibiade, e non dice in che compagnia moriss’egli (p. 122) : dice che Socrate fu tradito da’ sofisti che ave- vano con l’ eloquenza sedotta tutta la Grecia (p. 1 35). Ba- stano questi saggi a far giudizio del resto. III. Non si può pensare alla storia greca senza pensare a ciò che ancor&manca per averla compiuta, Ecco in que- sto proposito alcune idee , che saranno forse trovate molto strane , ma spero, non false del tutto. (0) Parlando del governo Romano, dice il Gravina, ( della Trag. XVIM) ‘ che le fibre sue più interne e i linea- ,, menti più fini di quel costume, senza la giurispruden- ,, za, per entro la sola erudizione assai grossolanamente ,, e confusamente si raccolgono. ,, — In tutte le cose uma- ne, e più chiaramente nelle istoriche , le questioni di fatto non possono separarsi dalle questioni di diritto , nè quelle di diritto da quelle di fatto. Il più degli storici non ha forse sufficientemente pensato a questa difficile unione ; e al rincontrarsi in un fatto, secondo le loro idee, luminoso e magnifico , lo lodarono senza cercarne le ragioni , le in- tenzioni , gli effetti; come i Politici al rincontrarsi in un sistema , al parer loro, utile o bello, o neglessero i fatti che su quella teoria potevano gettare un lume troppo pe- sitivo , o ve li adattarono contorcendoli. Così la politica sistematica 'somigliò sovente a un romanzo, e la storia romanzesca a un sistema. Tutto quello che tiene alla greca e alla romana gran- dezza, fu per lungo volger di secoli da gran parte del mondo esaltato , non dico a torto, ma senza che la moltitudine de’ parlanti e degli scriventi rendesse a sè stessa una ra- gione chiara di tanta ammirazione . L'ideale del bello , del buono , del vero, del grande si volle trovare in que’ costumi , in que” governi , in que” caratteri, ig, quelle opinioni, in que’ libri. L’ arte nativa e incantatrice , dif- fusa negli scritti e poetici e storici di coteste due singolari nazioni; l'antica abitudine di conformare dai prim’anni lo spirito a quelle idee , d’ imitarle , di copiarle negli scritti nostri, di trasfonderle insomma negli animi ancor più addentro che le stesse nostre idee religiose ; la pre- senza e la memoria immortale de’ monumenti da quelle lasciati ; quell’ aria d’ amenità e di gaiezza che sparsa in tutte quasi le parole e le opere loro , vestia di forme brillanti la strage stessa e il delitto ; l’ antichità che con la sua lontananza rende tutto desiderabile a certi uomini stanchi del presente ; 1’ ignoranza di certi fatti e di certi costumi ; certa conformità di caratteri ; l’ orgoglio quasi nazionale che ci facea riguardare come qualche cosa di 7 proprio i destini d’ Atene e di Roma, tutto insieme val- se ad inculcare negli animi codesta venerazione, code- sto affetto non sempre meditato e però talvolta eccessi- vo. Se qualch’ uomo di bnone intenzioni sorse a con- dannare la stupida ammirazione ed imitazione de’ Greci e de’ Latini modelli (la quale par da certuni vietata. in parole, ma col fatto è inenlcata , poichè que’ modelli sono i primi e gli unici in cui la gioventù per dieei an- nî si specchia) ; se qualcuno 0sò dire che più largo cam- po ormai conveniva sin dal principio aprire alle menti , fu gridato alla bestemmia; e si sarebbe gridato ancor più, se si fosse compreso che questo mutamento della educazio- ne letteraria portava seco di necessità un mutamento e ben più notabile nella morale. Le false idee sulla libertà , sullo spirito di conquista, sulla fortezza, sull’ amor della gloria, che dominarono e dominano ancora nelle menti di molti, non come teorie (che troppo ci sarebbe da arrossire), ma come sentimenti , ch'è peggio; si debbono in gran par. te, a mio credere, non solo a certa natural debolezza del- l’ umano orgoglio, ma in buona parte alla lettura e allo studio continuo de' greci e de’ latini modelli. Al vedere certe idee arbitrarie e fattizie di valore, di grandezza, di gloria poste in sì vivo lume, l’uomo che dalle sue massi- me religiose fiaccamente insegnate , ne riceve una confu- tazione sì languida, non può non se ne invaghire a poco a poco , non può non n’ essere , talor anche senza saperlo , imbevuto . Con questi principii fu scritta la storia greca dai più : si condannarono, è vero, certe azioni apertamente detestabili; ma lo spirito ch’ era il più condannabile , lo spirito che serviva a quelle di spiegazione insieme e di scusa, fu riverito ed amato. IV. Egli è però facile, per fuggire un eccesso , get- tarsi, quì come sempre, all’eccesso contrario ; e al vedere in tanti de’Greci antichi quelle virtù senza fondo, quella politica senza giustizia, quella vivacità senza freno, quel- l’amore di gloria senza scopo, disconfessare quant’ è nel carattere loro di vera grandezza. In tutte le cose gio- verebbe sempre cercare ne’ pregi il difetto e ne’ difetti il 8 pregio ; diffidare non solo della cieca ammirazione , ma del cieco disprezzo: e ciò sarebbe da raccomandare segna- tamente a taluno di quegli oltramontani, che giudicarono la politica e le conquiste di Roma. Ci lamentiamo che qualche popolo conquistatore abbia del suo peso com- presse le forze vive e resistenti di governi che già fu- ron grandi ; ci lamentiamo che ne abbia distrutte fin le memorie , ch’ abbia tentato di stritolare il rilievo di quel carattere ch’ una nazione indipendente porta impresso in ogni opera sua. Ma nelle vicende storiche, se non sì voglia donar tutto al caso, convien pur credere che qualche gran legge, regolatrice de’grandi mutamenti, ci sia; che quanda un popole non ha più forza di reggersi da sè, allora solo viene una estrania forza a comprimerlo ; che i conquista- tori non rompono un ordine, un’armonia, se non per la- sciare a una mano più forte della loro l’uffizio di ricom- porre un ordine più vasto, un’ armonia più sublime; ehe il bene può talvolta esser puro di male, ma il male non può mai essere al tutto privo di bene. Non è necessario, a dir vero, difender lo spirito di conquista, perchè la venera- zione del nome romano è ancor fresca ; perchè 1’ Europa sente ancora l’ orgoglio di possedere milioni di soldati , pronti a spargere il sangue ad ogni occorrenza ; e perchè passeranno ancora molti secoli prima che l’ammazzire uo- mini a migliaia , prender città , e riscuotere più tributi del solito , cessi di parere una onorevolissima cosa. Ma quando questi secoli saranno passati, quando gli uomini si annoieranno di sentir parlare d’ Atene e di Roma come di due governi esemplari , allora un filosofo spassionato avrà forse licenza di dire che Sesostri, Alessandro , Ce- sare, Attila, Carlomagno, non nascono se non quanilo ci ha dei principi nati per istrascinare il carro del vinci- tore e far le veci di buoi, quando ci ha de’ re che vanno alla guerra con qualche migliaio di concubine; quando ci ha degli uomini liberi che gettano gli uomini servi in pre- da ai pesci ; quando in tutta l’ Italia non ci ha che un Romano ch’ abbia delle minacce e delle promesse da fare ; quando ia nazione ha perduto il carattere , la lingua , la Î 9 coscienza di sè medesima : quando.... Ma lasciamo lim. paceio di finire il periodo al filosofo spassionato che na- scerà di quì forse a trenta secoli: e seguitiamo. V. Atene e Sparta : eceo dove vien quasi tutta a re- stringersi la parte più luminosa della Storia Greca : ce lebrità , direbbe taluno, dovuta alla maggior prepotenza di quelle due città, o, direbb’altri, ai più gravi errori da loro commessi. Io non dirò nè questo nè quello , poi- chè ne’ governi riputati i più giusti, io veggo quasi sempre una o poche città dar la storia dell’intera nazione, Le memorie che delle altre parti di Grecia ci ha conser- | vate il tempo , dimostrano che il carattere greco teneva dell’ Ateniese o dello Spartano giusta certe leggi di clima e d’ origine. Il clima e l’origine paiono i due punti fcar- dinali di tutte le storie, e di quelle principalmente de’ popoli italiani e de’ greci : senza ciò non si spiega la tanta diversità di caratteri, di costumi, d’ingegni, di lingue in un popolo stesso. Il suolo calcato, l’aere spirato dall’ uomo, ha i germi in sè del costume publico, è quasi il commento della patria storia: e una descrizione geogra- fica della Grecia, premessa alla narrazione delle vicende che s’ alternarono in quella terra beata , sarebbe , sapien- temente fatta , viva parte di storia (1). L’ altra chiave, se così può dirsi, de’ fatti, è l’ origine primitiva de’ popoli ; con la ‘qual cosa si spiega la differenza del carattere At- tico dallo Spartano , differenza che il terreno comune per tanti anni abitato aveva poiin certi punti sensibilmente scemata; sicchè nell’essenziale e nello spirito di quelle due (1) Egli è un pensiero utile e bello del sig. Augusto Fabre , che consiglia i greci moderni a rifondare le loro città ne’ luoghi stessì che le antiche memorie ci attestano più salubri al corpo e allo spirito. — ‘ Les sites choisis par les -, anciens pour les fondemens de leurs villes , seront les guides les plus sùrs que 39 les Hellenes puiesent choisir pour la reconsiruetion de la Gràce : l’état où se 33 trouvait Jeur pays lorsqu’ il était vivifié par l’ indépendance , pourrait seul leur «> faire présumer ce qu’ il sera quand les ruines , les marais , les fanges fétrides, so et lex cxhalaisons meurtrières qu’y répandit le despotisme , auront dispasu ;» avec lui. ,, T. XXXIII. Gennaio. PN 10 repubbliche , troverebbesi, ben riguardando, più conformi» tà che non paia (2). VI. E dall’ unione appunto di coteste due cause , po- trebbe ritrarsi la forma generale del carattere greco. La clemenza del cielo, la bellezza del suolo, e la ben com- mista varietà delle stirpi straniere ed indigene , diedero alla greca bellezza il suggello d’ una perfezione , non grave, nè, come il Manzoni chiama la bellezza lombarda, molle e maestosa, ma svelta, animosa , e piacente. Que- st’ armonia delle parti esteriori non è che un indizio del- l’armonica struttura dell’ uomo intero: e la perfezione della macchina fisica è il simbolo della proporzione che regna o potrebbe regnare nei movimenti della forza inte- riore. Ora, l’armonia de’ movimenti o dell’ animo o dell’in - gegno ha sempre compagne la facilità de’ mezzi e l’ unità dello scopo. La facilità genera franchezza; l’unità è in- divisibile dalla dirittura , e dirittura è il medesimo che fi- nezza. — Franchezza e finezza: ecco il carattere’ greco. Questo carattere spira e nella virtù e nel laconismo di Sparta , e nel coraggio e nell’ arguzia d’ Atene : questo ha dati alla Grecia i grandi eroi, i gran poeti; ha ispirato Leonida ed Eschilo , Tirteo e Senofonte : sue figlie sono la battaglia di Salamina e l’Iliade. Quest’ è che colloca il bello greco in mezzo alla sublimità orientale e alla“gravità italiana: quest’ è che rende originale Anacreonte più del Petrarca, e Saffo più di Tibullo. Quest’è che rende il Greco talvolta superbo, disprezzatore dello straniero, ciarliero, men- dace; ma valoroso , amorevole, pietoso, magnanimo. Que- st'è che creandosi con agilità portentosa e con precisione unica, un mondo ideale, è bastato a formar la più bril- lante di tutte le mitologie : quest’ è che troppo spingendosi nell’ ideale, e sdegnando anche ne’ doveri più sacri i vin- (2) La distribuzione delle razze è il principio che dà vita e colore all’istoria de’Galli recentemente scritta da Amedeo Thierry , duve qualche ornamento rettori» co è bene da perdonarsi all’amor patrio; ma lo spirito dominante ben mostra la mol- ta distanza ch'è tra la scuola storica del secolo decimottavo e quella del nostro, 11 coli della realtà, ha rovesciati i suoi propri edifizii, e con- vertita in leggerezza funesta la salutare costanza dell’amor patrio, in furor del piacere la grazia dell’amabilità, in bassa frode l’ ardire dell’invenzione e l’ originalità delle imprese. La vera grandezza politica della Grecia è contempo- ranea di Serse : in tutto il resto , bisogna cercare il difetto misto al pregio, come il pregio al difetto. E verrà tempo, che la storia dovrà di nuovo narrare un popolo non già fio- rente della prima gioventù, ma fiaccato dagli anni, dalle catene, e dalla barbarie, risorgente dalle sue ceneri al nuovo sole della europea civiltà; narrare poche migliaia d’uomini degni di sfidar, come un tempo, la molle crudeltà d’un tiran- no orgoglioso di sua barbarie, e con l’arme sola dell’ingegno e dell'animo trionfare : narrar come in mezzo al pericolo e alla sventura la virtù s’affini, s'aggrandisca; come fin l'ombra della virtù paia splendida e augusta. E voglia il cielo che non abbia a soggiungere, come, passato il pericolo, la Grecia ringiovenita , parte ritenendo de’ vizii dell’ antico despotismo, parte assorbendone dalle moderne civiltà, ebbe a poco a poco a dimenticare quel carattere d’ originalità libera e di natia gentilezza, che îrende così esemplare ed amabile ogni movimento dell'ingegno e dello spirito greco. VII. La storia letteraria di questa nazione essendo per tante ragioni inseparabile dalla storia politica, io credetti dovere anche in queste generali considerazioni, ravvicinarle a vicenda. Non parrà dunque forzato il passaggio ch’ io fo ora alla storia della letteratura greca profana, scritta dallo Schoell, e tradotta e illustrata dal profess. Emilio Tipaldo. Non vorrei però che il lettore credesse esser mia intenzione di mettere a paro codesto secondo Javoro, con quello già annunziato del prof. Olcese : poichè l’opera dello Schoell, sebbene , a detta del Letronne, debba sti- marsi più storica che letteraria , o piuttosto, come il dotto Lucchesini accennò, più bibliografica ch’ altro, pure anche dal lato letterario non fascia d’ avere molta più utilità”ed importanza, che non abbia , dallo storico, l’opera dell’O|- 12 cese. Si può rimproverare allo Schoell di non aver data una vera storia della Greca letteratura ; ma non si può non gli saper grado d’ aver dato un libro utile, non fos- s’ altro a’ bibliografi. E il sig. Tipaldo , accingendosi a tra- durlo, non intese certamente di volerlo rifondere; ma d’ offrire ai lettori italiani 1’ unico libro che meno noiosa- mente e con miglior ordine del Fabricio potesse fornire delle opere dell’ ingegno greco un'idea, Le correzioni poi che il ch. Traduttore v’ aggiunse, dimostrano la sua eru- dizione e il suo senno, dimandano la gratitudine de?’ let- tori, ma non impongono a lui stesso il dovere di coniare un’ opera propria nell’ atto d’ offrirci 1’ altrui, Si condan- nino que’ traduttori , che potendo scegliere fra molte opere d’ un genere la migliore, nol fanno : ma chi non avendo ad offrire di meglio , ci dona un libro, in mezzo a’ snoi molti difetti, pregevole, non può meritarsi da’ saggi che gratitudine e lode. Ho detto : in mezzo a’ suoi molti difetti : nè giova dis- simularli. Già ne toccò il Lucchesini in un suo dotto ar- ticolo (Ant. num. LVI). Il Letronne ‘Journ. des Sav. 1824) si mostrò più indulgente , fino a lodare quella troppo leg- gera critica che fa il n. A. (V. II. P. IV. p. 60) de’ dia. loghi di Platone : che è una delle parti più deboli di que- sto lavoro ; giacchè a ben compirla, troppo era necessaria una cognizione positiva delle dottrine filosofiche e finoderne ed antiche. Si raffrontino i superficiali o falsi giudizii che dà l’A. del Teeieto, del Cratilo, del Fedro (p. 12 62 65), con la ingegnosa analisi che offre del Filebo nel Journ. des Savans quello splendido ingegno di Vittore Cousin. VII. Se in molte parti il giudizio dell’ A. non pare abbastanza profondo , in altre non parrà forse vero. Che lo stile del Ficino nella traduzion di Platone, sia barbaro (V. II p. IV p. 102); che le sette arti liberali nascessero in Alessandria (V. III p.I. p. 12); non parrà vero a tutti.— “ Raccontasi, (dice l’A. p. 74) che Fileta fosse così maghero, »» che portasse i calzari di piombo, per non essere portato ;s via dal vento ,,. Questa, piuttosto che verità storica , 13 pare una piacevole esagerazione, qual conveniva al carat- tere greco. Abbiamo nell’Anzologia più epigrammi , dove cotesta troppa finezza di corpo è graziosamente derisa: co- me quello, ove dice che un tale s’impiccò ad una spiga, e che, dimenato dal vento, il sospeso cadavere dondolava: pensiero (sia detto in passando) che in bocca d’un roman- tico, sarebbe , a giudizio de’classicisti , una ridicolaggine vera; ma che, al parere di qualche romantico, non lascia d’ aver la sua grazia. Che Dafni, figlinol di Mercurio e d’una ninfa, fosse, egli propriamente , 1’ inventore della poesia ‘pastorale (p. 128) ; che il Ciris sia opera di Virgilio (V. II, p. 11 p. 19); che Evemero non sia da credere che un insensato ed un furbo , perchè voleva distruggere la pagana teolo- gia con argomenti che allo Schoell paion falsi ( p. 81.) ; che Teofrasto abbia avuto tal nome dalla divinità della sua facondia (p. 1540), son cose poste in dubbio da’ dotti. Tutto ciò che l’A. afferma delle mutazioni a cui sog- giacque col tempo la religione giudea (V. III, P. III p. 78), è contrario non solo alle nostre credenze religiose, ma al fatto; giacchè non conviene confondere le opinioni d’ al- cune sette con lo spirito della nazione e cun la fede dei più . E similmente , che nel terzo secolo Roma , più che Alessandria, fosse la sede dei lumi (V:'IV..P. Lp 9); che l’epigramma del poeta Eliodoro (p. 74) sia tanto eleyante da dover collocarne l’autore nel primo o secondo secolo del- l’ era di Cristo; che Val. Flacco abbia superato Apollonio (V. II, P.I. p. 101) ; il ch. A. lo dice senz’ addurne le prove. IX. Parecchi di simili giudizi non abbastanza pensati, il valentissimo Trad. corregge nelle erudite sue nute. Così poteva egli, a cagion d'esempio, notare che la questione del Doriforo , ch’ altri vogliono diverso dal Canone di Policleto ( V. II. P. IV. p. 126} sarebbe ancor meglio sciolta , se nel passo di Plinio si leggesse: ‘‘ idem et doriphorum viri- liter puerum fecit , quem et canona artifices vocant ,, in luogo di ef quem, che in buon latino , è frase indicante una statua diversa; e se si osservasse che il chiamare as- 14 solutamente canone, regola , modello una statua, senz’ al- tro nome, sarebbe stato ridicolo, giacchè questo cano- ne doveva pure rappresentar qualche cosa. Poteva no- tare che non nella quinta ma nella terza egloga di Vir- gilio è imitato il quarto Idillio di Teocrito (V. III P. I. p. 140); aggiungere che Archia , a'quel che pare da Ci- cerone , era poeta improvvisatore ( V. IV. P. I. p. 50); osservare che l’iscrizione Peiresciana porta nel primo ver- so il nome di Teofilo, non l’aggiunto di caro agli Dei ; sì perchè , se questo fosse, mancherebbe il nome; sì per- chè la prosodia richiede ©eg@rAo7, non Oew@rAos . Ma al- cune di queste correzioni riguardano il quarto volume , del quale il ch. Trad. non ha pubblicate ancora le note. E in quelle vedremo resa col Lucchesini giustizia al ch. Del Furia, il quale a torto è accusato d’aver pigliati per prosa de’versi greci (V. IV. P. Lsp. 72); vedremo temperata quella troppo cruda proposizione, che i Greci, quasi invidi della gloria romana, le opponevano quella d’Alessandro , e af- fermavano che s’ egli avesse piegato contro Roma piutto- sto che contro la Persia , l'impero italiano non sarebbe più stato. La opinione de’ Greci, a dir vero, non è inve- risimile: e, ad ogni modo, l’attribuir questa idea ad una generale invidia de’Greci, mi par troppo ardito, e contrario ai fatti. Così potrà l’erudito illustratore comprovare che uno non è l’autore della Pesca e della Caccia, poemi attribuiti ad Oppiano (p. 77) , osservando come nel principio del primo il poeta c’'insegni di dare alla Pesca importanza sopra la caccia. Non è senza pregio quel passo; che noi così traduciamo : i Orsi e cinghiali il cacciator montano Avventarsegli incontro ascolta e mira; Può ferirli dappresso e da lontano, E in fermo campo esercitar può l’ira. Del padron l’occhio regge , il piè, la mano Il fido can che fiutando s’ aggira , E fin dentro al covil segue la traccia , E regge infaticabile alla caccia. 15 Iberno gel non tema o foco estivo Chi ne’monti asta adopra o dardo o rete: Natura a lui non toglie antri di vivo Sasso , e colline di fresc’ ombra liete ; E giù di rupe in*rupe argenteo rivo Ove asterga il sudor, spenga la sete; E lungo il rio l’umil tenera erbetta Che il corpo lasso a’ brevi sonni alletta. DI . D . . . . . . . Ma del buon pescator duro è 1’ agone , E la speme, qual sogno, è mal sicura. ec. X. Qualche inavvertenza ci sia quì lecito notare del- ’ annotatore medesimo, per altro sì saggio . Non tutti, red’ io , gli concederanno che Euclide il filosofo si fosse rivolto al genere contenzioso e alla dialettica , sic- 3, Come efficacissimo stromento per procacciarsi nell’anar- 3, chia democratica da cui era la Grecia a’ suoi dì tor- »» mentata, grandissimi vantaggi ,,, — Dominare il popolo con la dialettica, sarebbe pure stata una strana speranza, Dicasi piuttosto che il molto esercizio, e in parte anche l’abuso d’ un ingegno sottile doveva naturalmente con- durre a simili artifizii e quasi stratagemmi di logica . MP IV p. 167 ). In lode d’Archita, cita il dott. Tipaldo, il’noto passo d’ Orazio: ( P. 75 ): ma non pare che possa citarsi in sul serio un elogio dove Archita si spaccia, misuratore del- l'arena che è priva di numero ; uomo che ha tentate le case dell’ aria, e percorso coll’ animo il rotondo polo : nu- meroque carentis arenae mensorem — aerias tentasse domos, animoque rotundum percurrisse polum. Dice il signor Tipaldo: “ che nel secolo di Platone 3 lo spirito umano ha fatto maggiori e più rapidi pro- »» gressi che non avea fatto per lo innanzi , e che forse », non sarà per fare più mai ,, (p. 175). Questa ‘seconda parte della proposizione, con altre che seguono, parranno forse alquanto ardite a talun de’ moderni. Paragona il sig. Tipaldo le mutazioni portate dalle armi d° Alessandro , con quelle prodotte dagli eserciti di 16 Napoleone ; paragona l’invito fatto da’ Greci a’ Romani , con 1’ invito fatto dagl’ Italiani ai Francesi nel tempo di Pipino e di Carlo. Ma gli accennati avvenimenti in ciò differiscono, che le conquiste d’Alessandro più direttamente giovarono alla civiltà che non quelle di Napoleone , il quale trovò già l’ Europa troppo più incivilita che non si convenisse agl’ interessi d'un semplice conquistatore :. e quanto ai Franchi e ai Romani, può ben vedersi che la tirannide longobarda rendeva in parte scusabile negl’ita- liani il desiderio d’ una nuova straniera invasione ; dove la Grecia, reggentesi fin allora da sè, non aveva ragione alcuna legittima di chiamar nel suo seno le armi dello straniero. XI. Queste, nei cinque ultimi volumi da noi presi ad esame, sono le sole inesattezze che abbiam trovate nelle annotazioni del chiariss. Traduttore. La traduzione stessa è semplice , franca , elegante, italiana . E non t’ accorgi ch’ ella sia dal francese se non quando t’ incontri a quel mythe (V. 111. P. IV. p. 66) per mito, o emblema mitolo-. gico; a quel Luigi per Lodovico Castelvetro (V. 11. P. H. p. 108 ), e Paolo Berio per Beni (p. 109); e invece di Frontone, Tirone, Bianore, Fronto, Bianoro, Tiro (V. 1V. P. 1. p. 56 60 69). Rarissime volte poi, per affettazione di parere italiano , il Trad. si lascia andare a que’ modi che son pur sì frequenti ne’traduttori inesperti; come : Diodoro non è uno scrittore di tal fatta il quale racconti (p. 97): costui aveva disposato una donna di Roma (p. 41). Dalle cose dette possiamo , io credo , conchiudere, che l’opera dello Schoell, in alcune parti pregevole , dee però sempre lasciarci il desiderio d’ una vera storia della greca letteratura. Se il ch. A. non si fosse disteso a voler dare gli estratti e i giudizi di certe opere; a numerar fino le iscrizioni greche che-, a sua notizia, rimangono , avrebbe, limitando i suoi doveri , scemate le pretese del lettore ; il qual ama di vedere attenuto anzi più che meno di quanto gli vien promesso. Ì E qui noi volevamo appunto toccare dello spiri- to e delle intenzioni che dovrebbero animare e diri- n gere una: vera storia delle lettere greche; volevamo nel carattere della greca civiltà dimostrare i germi ed i frutti di quella forza di libertà , di perfettibilità, e d’innova- zione che è la vera cagione della franchezza, della energia, della spontaneità che s’ ammira ne’ fasti del greco ingegno. Ma desiderando noi a ciò più largo spazio, e la mente del lettore meno stanca e più libera , serbiamo quest’ uffizio al termine dell’edizione veneta, che ormai procede d'un corso più regolare e spedito. Quì, dopo aver richiamate le cose dette nel N.° 83-84 p. 224 e seg. e nell'86 p. 153.e seg. di questo giornale, porremo alcune generali osservazioni sul- l'argomento ; ovvie forse, ma sempre necessarie a incul- carsì . ù XH. Finchè col titolo di storia d’ una letteratura s’ab- braccerà tutta intera la storia delle lettere e delle scienze , oso dire che non s’avrà mai storia letteraria compiuta. Come mai un solo uomo leggere , intendere , giudicare con vera cognizione di causa; tutte quante sono le opere da un’ intera nazione prodotte nello spazio di venti e più se- coli? Come essere tutt’insieme , e archeologo, e medico, e politico, e astronomo , e matematico , e fisico, e me- tafisico , e giudice d’eloquenza, di poesia, d’arti belle ? Lasciamo a ciaseuna scienza che vive e sta di per sè, le materie della storia sua propria s delle quali parte è stata già sufficientemente trattata , come la matematica , la me- dicina, l’astronomia, le bell’arti; parte sarà, quando cresciuto lo studio ed il numero de’ monumenti , erescerà insieme il bisogno di sostituire alle ipotesi coraggiose le induzioni eircospette della vera dottrina. Noi già vediamo nel Tiraboschi e nel Ginguenè , che sia voler parlare an- che di ciò che s’ ignora. Lo storico allora è costretto a tra- scrivere i giudizi altrui;ge anche codesto con certa timidità, quasi uomo che sente di non ne avere il diritto. Così ristretta la storia della letteratura alle lettere amene , gioverebbe ancora distinguerla dalla storia de’ let- terati : le vite de’ quali, dovrebbero in tanto solo essere quivi accennate, in quanto servono a spiegare il carattere T. XXXIII. Gennaio. 3 18 letterario dello scrittore. Oltrechè codesta. parte biografica. con le sue minuziose indagini (indagini necessarie alla e- satta determinazione della verità) ‘viene a fare uno strano contrasto con la parte critica del lavoro ; io ‘(dico che. un uomo solo a ben compiere tutti e due insieme questi. uffizi non basta, i XII, Una restrizione ancora. —. Sogliono gli storici della letteratura occuparsi. con molta. degnazione anche di tutti quegli scrittorelli mediocri, che il tempo ci ha lasciati; e di quelli perfino di cui più non resta che. il nome. Anche dalle opere mediocri, italor anche dalle meniorie di quelle che più non sono , si possono, io. nol nego, dedurre utili conseguenze generali sull’ intero spirito della letteratura, Ma quel fermarvisi con tanto amore, par- mi un torto fatto alla gloria de’sommi, e al buon giudi- zio del lettore, Finalmente {ultima restrizione), quel credere d’aver bene giudicata una grand’opera col darne l’estratto, come il Gingue- nè suol fare, e spargerlo qua e là di critiche osservazioni, è metodo , al mio parere, alquanto pedantesco, ormai non più perdonabile quasi nè anco ad un semplice giornalista. La storia d’una letteratura non dovrebbe avere per fine il dispensare i ouriosi dal piacere di leggere le opere più mi- rabili di che una nazione abbia onorato 1° umano inge- gno ; ma sì dirigerne, renderne utile la lettura, mostrare il legame che ha o pare avere l’ una opera con l'altre della nazione e del secolo stesso, delle nazioni e de’secoli passati e seguenti. Non si tratta dell’ analisi:d’ un autore; sì tratta dell’ analisi di quello spirito che ha tutta animata una generazione d'autori. Ristretta in questi limiti, la sto- ria letteraria parrà forse a taluno ridotta a nulla: ed è più ingrandita che mai. XIV. Se non che la migliore storia che d’una lette- ratura offrir si possa, è, cred’io, una buona serie d’edizioni de’ classici, con note filosofiche , quali le accennavamo nel N.° 87 dell’ Antologia a p. 88 e seg. Ma nè le note filo- sofiche nè le storie letterarie potranno giovat veramente a 19 chi non legge gli autori nella originale lor lingua: è non sarebbe pedanteria a chi ci. parla delle bellezzesosdei "di- fetti d'Omero e di Sofocle, senza saperne la lingna, ri. spondere : voi non conoscete il greco. Così dicasi del latino: così delle lingue moderne j sebbene la maggiore conformità e delle idee e delle favelle permetta d’indovinare più fa- cilmente nella traduzione ilivero senso delle #spressioni , lo spirito vero dell’opera. Ma tornando agli antichi; egli è così stretto il legame della parola col pensiero, e d’un pensiero con tutte le relazioni civili, morali, domestiche dell’ autore, che il credere di poter giudicare rettamente un artico senza conoscerne la lingua , senza studiare la storia della sua nazione è del suo tempo, è follia. Nella critica de’classici, oltre ai due estremi di voler tutto am- mirare o tutto riprendere , havvene altri due più perico- losi , comechè men sensibili: dico la smania di voler giu- dicare gli antichi secondo le idee moderne; e la pretesa che nelle opinioni, ne’ costumi, nelle lingue moderne, nulla ci sia d’utile a spiegare, a scusare, a giudicare gli antichi. XV. Ciò non toglie che le traduzioni non sieno gran- demente utili : e soprattutto di quegli autori, il cui merito resiste alla prova della traduzione , e, per usare la frase d’un critico oltramontano , le sopravvive. Tali sono gli storici : onde l'impresa del benemerito nostro Sonzogno, che ormai procede al suo termine, la Collana degli Sto- rici Greci; è cosa commendevolissima ; è una delle poche imprese, eseguite in Italia, che si possano Onorare di stima. La nuova impresa poi della intera Biblioteca Greca volgarizzata, è molto più difficile a condursi, e tanto più merita d’ essere incoraggiata e sostenuta e da' lerterati e da’ lettori italiani. Se il diligente editore potesse darci i principali tra’ Classici, forniti di note veramente critiche, se avesse il coraggio di non ci offerire deyli scrittori non sommi altro che le parti più scelte, pur per diffondere ia conoscenza e l’amore della greca bellezza in chi non può attingerne idea d’altronde, farebbe cosa degna del suo ze- 20 log degua:del secolo in cui viviamo, meritevole della ri- conòsbenza di quanti prendon parte o interesse a’veri in- crementi della italiana civiltà. K. X. Y. —r———————————————————————_—— —————_———___ ___——tkèktl+©EG Geschichte des Rimischen Rechi: im mittel alter, ec. — Storia del Diritto Romano nel medio evo , di FeperIco Carro DEI S4- viewr. Vol. I-IV. Heidelberga, presso Mohr è Zimmer 1815-27. (Vedi Antologia N.° 91) AaticoLo II sul vol. II pag. XXXII, 443, ed aggiunte e correzioni. Vol. III e IV. Rappresentate nel primo volume le comuni condizioni che sortirono le fonti del gius, la costituzione degli stati e 1° inse- gnamento del diritto dalla caduta dell’ imperio d° occidente infi- no ai tempi d’ Irnerio, avea così poste il chiarissimo autore le vere fondamenta per dimostrare la durata del Romano Diritto presso ciascheduno in particolare dei nuovi popoli germanici ; le cui riprove sono consegnate nel secondo volume di questa istoria che or seguo ad esporre. Due furono le guise ( Prefazione ) onde il Romano Diritto potè durare e spandersi nei nuovi regni; per le fonti scritte, e per la tradizione conservata dalla pratica e dall’ arte del nota- riato. Ben è verissimo che certe e complete notizie di questa du- rata non d'altronde si ricaverebbero che dalle fonti scritte ; il perchè fecesi il Savigny a tutte ricercarne e presentarne le ve- stigia che se ne incontrano nel medio evo, e sono di due spe- cie ; cioè , frammenti del gius nostro talvolta riferiti parola per parola, tale altra conservati soltanto nel fondo della lorodispo- sizione . Trovansi principalmente nei nuovi lavori legislativi or- dinati pei romani sudditi ; secondariamente nei libri delle leggi proprie a ciaschedun popolo vincitore; terzo nei contemporanei documenti e nelle notizie istoriche di contratti, testamenti , li- ti, ec.: quarto finalmente nelle opere intorno al Romano Diritto condotte in que” secoli. Capo VIII. DrrrrTo ROMANO NEL REGNO DEI BURGUNDI. — Ve- demmo a suo luogo che fra i Burgundi la legge fu personale, e 2I che i Romani ritennersì l’ antico lore Diritto, della cui scienza ed uso serbansi non poche tracce sparse nella collezione delle stesse leggi Burgundiche, non che nel codice ordinato pei romani sudditi di quel regno e che nelle edizioni comunemente s’intitola da Pa- piano + I. Leggi Burgundiche. — Di queste leggi arrivò sino ai dì nostri una collezione , preceduta da due prefazioni, partita per titoli e compilata in due diversi tempi, sempre però sotto la sì- gnoria dei veri Re Borgognoni che furono avanti al conquisto dei Franchi . Nel silenzio dell’ istoria intorno alla loro compilazione pensa il Savigny che una raccolta di leggi, composta della mas- sima parte di quelle a noi pervenute, venisse pubblicata da Gun- debaldo re , il quale ci avrebbe apposta la prima prefazione ; e che il re Sigismondo , fattovi poi nuove aggiunte, correndo il secondo anno del suo regno (an. 514) le pubblicasse con 1’ altra prefazione sottoscritta da 32 Conti. Anche le due appendici che dietro traggono alla raccolta sarebbero state pubblicate dal re Sigismondo, se non forse da Godemaro ultimo che fu della vera stirpe dei Re Borgognoni. Trovansi in queste leggi alcune evi- denti vestigia della conoscenza ed uso del Romano Diritto , che per certa consomiglianza d’espressioni sembra attinto al Brevia- rio Visigotico, e sua interpetrazione , già stato pubblicato pochi anni prima (an. 506 ). Le particolari disposizioni di gius romano passate nelle Burgundiche Jeggi, governano: 1. La donazione nuziale di cui non resta che l’usufrutto alla donna borgognona, la quale passi alle seconde nozze. 2.° Il repudio. 3.° I liberti, ai quali niegasi facoltà di chiamare in gius il patrono per le pic- cole offese. 4.° Le donazioni e i testamenti da farsi alla presenza di cinque e sette testimoni. Del resto, vissero i Borgognoni anche dopo il conquisto dei Franchi, con le proprie leggi, come lo attestano Carlo Magno in un suo Capitolare (1), Marculfo, Agobardo (an. 840) ed Ja- conaro (2). II. Legge Romana de’ Burgundi o Papiano. — Circa la metà del XVI secolo pubblicò il Cuiacio una operetta (3) che indi in poi venne in tutte le edizioni intitolata : Papiani lider respon- (1) V Savigny, Vol. I, pag. 101. Nute 20, 21. (2) Agobard. Ep. ad Lui. Pind. Bonquet T. VI, ‘p. 356. ST de Divort. Lothar. er Tetbergae Interrog. 5, T. 1. Opp. pag. 598 e Opusc. n. 136. T. 2. Opp. p. 234. (3) Sotto il GC. Th, Lugd. 1566 fol. = 22 sotum , 0 ; Papiani Responsum. Questa operetta è appunto quella legge che nella seconda prefazione delle Burgundiche venne da quei re promessa ai loro romani sudditi. Ne fà riprova.il vedersi che i titoli e materie della medesima ricorrono quali appunto nella compilazione delle Burgundiche (4), che non altrove se non ‘fra quelle se ne rinnovassero de’ simili, e, che o nell’ una o nell’ altra collezione giammai non manca il titolo o la materia corrispondente , se non quando sarebbe disconvennuto o all’ uno o all’ altro dei popoli , onde formavasi il regno. Dipiù, perfetta- mente simile nelle due leggi è il modo di punire o di comporre gli omicidi ; e diversa affatto da quella d’ ogni altro germanico popolo. Quanto al tempo in cui venne condotta l’ opera si vede manifestamente avere la raccolta delle Burgundiche preceduto a Papiano ed esserne stata come l’originale, poichè Papiano spesso allega per fonte la legge del re. Ma per contrario sembra aver Papiano preceduto alle appendici, giacchè nella prima delle me- desime leggonsi alcuni titoli di Papiano d’ alcunchè variati, ove citasi per fonte la legge di Teodosio, che in quel libro ritrovasi ‘ assai più completa e meglio insieme ordinata. Primo di tutti ad avvisare l’ origine burgundica del nostra libro fu il Cuiacio , il quale si contentò di darne solamente un cenno , ma il Lindenbrog, avendolo confermato con buone ragio- ni , fece che s’abbracciasse dai più questa opinione , la quale venne finalmente dall’Eineccio collocata nella più salda ed evi- dente dimostrazione. Che l’autore suo fosse chiamato Pàpiano può essere , ma questo nome dell’Autore aderendo unicamente al ti- tolo di libro dei responsi che non’ conviene all’ opera , manca ogni autorità per crederlo. Oltracciò , nel migliore dei MSS. ella è intitolata semplicemente Lex Romana così al principio come alla fine ; e il MS. parigino mutilato da principio non ha il no- me di Papiano alla fine. Onde la conoscenza del nome dell’Au- tore dee riferirsi alla prima edizione che di quest’ opera fu fatta dal Cuiacio correndo 1’ anno 1566; ed ecco al dire del Savigny per qual modo quell’ illustre giureconsulto 1’ avrebbe per isba- glio attribuita a un Papiano. È da sapersi che nei MSS. per l’or- dinario il nostro libro trae dietro al breviario Visigotico ; e il Bre- viario finisce con un frammento del primo libro de’ Responsi di Papiniano , ivi corrottamente chiamato Papiano. Ora non è im- probabile che il Cuiacio. s’ ebbe tra mano un Breviario completo (4) Vedine la tabella dimostrativa in questo vol. del Savigny p. 13. E in Iteinecc. Antig. German. T. 1, p. 310-319 123 sotto cui senz’ altro titolo e seniza seguo che incominciasse, una nuova opera ;, veniva quella di cui parliamo ,. e che da lui fù ritenuta per la prosecuzione o riempimento del. primo, libro dei Responsi di Papiano; e’, poichè 1’ opera doveva attribuirsi ad un ignoto Giureconsulto, non consentendo la cronologia od altro d’as- segnarla al celebre Papiniano , quindi la intitolò da \Papiano. In fatti nella edizione del 1566 il piccolo passo del vero Papiniano., forma il primo titolo della nostra opera. Coll’ andare, del, tempo ravvisò il Cuiacio l’ errore, e l’emendò tacitamente restituendo a Papiniano il suo passo, e incominciando la seconda edizione della nostra opera dal vero primo suo titolo : sennonchè le mantenne | senza ragione quel vecchio suo titolo Pepiani liber Responsorum che in guisa alcuna nen le si addice. La qual conghiettura circa I’ errore del Cuiacio si rende assai verosimile. dal vedere , come gli stessi Padri Maurini, che tanti mezzi avevano; per. evitarlo , yi ricaddero anch” essi nel secolo passato. È repartita l’opera in quarantasette titoli. La derivano alcuni dal solo Breviario Visigotico ; ma s’ ingannano: che ne derivi in qualche parte lo persuadono l’:epoca della sua compilazione, l’uso del Breviario precedentemente fatto arche per le Burgundiche , e specialm ente poi quel vedersi che in più luoghi della medesima ri- petesi quasi a parola la gotica intrepetrazione. Ma non per questo si rende meno evidente essere stata l’opera ‘per la più. parte tratta da pure ed immediate romane fonti; essendochè alcune, volte sia la sola che di quelle ci offra una traccia; nel che consiste il mas- simo suo pregio pei legisti. E poi ‘così mal condotta che a stento vi si riconoscono quei passi di gius romano che d’altra parte, giun- sero insino a noi: ciò nondimeno, ove seriamente si dasse mano a farvi sopra un lavoro critico (5) crede il Savigny che se. ne ri- trarrebbe egregio partito, come confermasi per prova da esso fattane sur una bella conghiettura dell’illustre erede del Vico sig. B., G. Niebuhr (6). (5) Lo ha tentato in parte il sig Barkow nel suo « Specimen editionis legis Romanae Bargundioram (vulgo Papiani liber Responsorum) et fon:ibus I. R. illustratae Berolini 18179. Cf. Savigoy vol.<{Il/aggiuote e correzivvi a questo seconilo volume, pag. 660. (6) Aveva conghietturato il Niebubr (Storia Romana P. II, pag. 392) che ogni terra limitata dee venire considerata come ristretta in ‘certi confini , e indivisi- bile quiudi come reale, Onde tra le altre si, spiega il perchè nella pratica dei ro- mani le parti ideali s' incontrino assai più spesso che nella nostra. Ora if titolo 17 di Papiano dice: ‘ Agri quoque commuuis) nullis terminis limitati exae- quationem inter consortes nullo tempore devegandam, (Ezequatiosignifica par- 24 Questa Romana Legge dei Burgundi perdè probabilmente vi- gore in pratica quando il regno loro fu conquistato dai Franchi, presso i quali si usava il Breviario assai più copioso e meglio ac- comodato ai bisogni de’ tempi. Capo VIII. DRITTO ROMANO TRA 1 VISIGOTI. Anche tra'î Visi- goti serbansi le vestigia del gius nostro sì nella raccolta delle leggi proprie a quella nazione, come nel codice particolare ai Ro- mani. Da questo come più antico incomincia 1’ Autore le sue ri- cerche. I. Codice dei Romani o Breviario. Dal Rescritto o Avvertie mento (Commonitorium) preposto a questo libro sappiamo che la sua origine fu la seguente. Alarico secondo (regnò dal 484 al 507) per mezzo di Gojarieo conte del palazzo, convocò un eollegio di giureconsulti naturalmente Romani ; che compì l° opera nella città d’Aire(Aduris) in Guascogna corrende l’anno 22 del suo regno (506). , Compiuta' l’opera venne presentata ad una assemblea di romani veseovi e nobili laici che 1’ approvarono . Ad ogni eonte ne fu spedita copîa (a noi giunse memoria di quella diretta a Timoteo) firmata da Aniano Referendario del re, perchè quei soli esem- plari da lui firmati doveano avere pubblica autorità. A ciasche- duna copia andava unito quel rescritto (Commoritorigm) èm cui narravasi l’ origine dell’ opera e n° era prescritta 1° applicazione sotto gravissime pene: reseritto che leggesi in ben .poche copie de MSS. a noîì giunti, perchè in quelle eseguite per privati dovè consîderarsì come inutil pena il trascriverlo . Non ebbe questo libro nome suo proprio. Alcuni scrittori lo chiamarono Lex Ro- mana ed altri Zer Theodosii dal suo contenuto. Nel XVI secalo tolse nome di Breviario 0 Breviario Alariciano. Deriva da’ fonti ! di due specie, cioè dalle costituzioni e dalle opere dei legisti; quelle han nome di leggi, queste di gius; e il più singolare si è tizione reale; Ducange T. lII, p. 195) cioè» ‘‘ Dei comuni appezzamenti pus eiascheduno dei proprîetariî in ogni tempo e senza tema di prescrizione do- snandarne la real divisione, bene inteso per altro che non sieno terre limitate ,y. Tale spiegazione del nostro passo conferma ciò che per molte intime prove avea conghietturato il Niebuhr, E infatti, ove altramente lo si spiegasse, cioé dei comuvi appezzamenti finchè non siano realmente divisi ec. la dizione commu- nis ìn primo luogo sarebbe tauto-logica dell'altra nullis serminis limitati taoto, quanto non lo consente lo scrittore delle medesime; e inoltre bisognerebbe ri- vunziare Alla certa significazione che dell’ ager limitatus danno gli antichi le- gisti nelle Pandette /eg. 1, $ 9 D, deflumm (43, 12) leg. 16 D. de Adquir. rer. dom. (41, 1) Saviguy pag. 33, et seg. 25 che le costituzioni tratte dai codici Gregoriano ed Ermogeniano vengono collocate fra il giuse non fra le leggi, sicuramente per- chè quei codici furono per privata autorità compilati. Nè quelle fonti sono come nelle Leggi Romane dei Burgundi o nelle Pan- dette troncate per ordinarle a materia , ma sibben furono lasciate in modo, che ciascheduna forma di per sè sola un insieme. Per numero ed ordine sono come appresso disposte : 1 C. Th. libri XVI. a Novelle di Teodosio, Valentiniano 3 Marciano Maggioriano , e Severo. 3 Gajo, le instituzioni. . 4 Paolo, le sentenze libri V. 5 Codice Gregoriano titoli XIII. 6 Codice Ermogeniano titoli II. 7 Papiniano lib. 1 dei responsi (un solo passo). _ Nè questo numero e quest’ ordine è da riputarsi come ca- suale o proprio dei privati MSS. poichè per lmone ragioni ar- gomentasi dal Savigny che in detta guisa venisse originariamente concepita e disposta l’ opera; senonchè coll’ andare del tempo alcuni passi, ed în ispecie del testo , sarebbero stati qua e là re- secati, onde per questo- unico lato, e lo si è fatto in parte, po- trebbe pel confronto di molti MSS. sperarsi un arricchimento del- 1’ altronde eccellente edizione fattane dal Sichard (7). Gli autori del Breviario estrassero ed interpetrarono, ma non alterarono le fonti onde attinsero , lo che si rende chiaro pel confronto col genuino codice Teodosiano. Non che peraltro quà e là non s’in- contrino alcune leggiere mutazioni, ed una grandissima ne fu ope rata certo dal legista cui toccò lavorare su Gajo , che lo rifuse tutto in guisa da risparmiarsi poi la fatica di aggiungervi quella interpetrazione che trae dietro a tutte le altre parti di questo codice, eccetto i luoghi di per sè manifesti. Fu detta interpe- trazione fatta contemporaneamente dagli stessi autori , ed è tal- volta una parafrasi, tale altra un’ampliazione, e ben dì rado un cangiamento del testo giusta le consuetudini locali o le muove leggi. Quantunque questo libro sia per noi di un pregio indici- bile, avvegnachè solo ci abbia conservate alcune delle fonti del gius nostro più rilevanti, come le sentenze di Paolo e i primi V libri del codice Th. (8) ciò nondimeno se avvertasi al gran nu- (7) C. Th. libri XVI ee. Basileae Henric. Petrns mense Martio , anno 1528 fol. min, (8: Che una buona parte di questi cinque libri venisse ritrovata contem- T. XXXIII. Gennaio. 4 26 mero d’ opere dei legisti che quei compilatori avevano a mano , molto magro e stentato ce ne comparirà il lavoro; infatti, di Papiniano un solo passo , di Ulpiano nè il nome pur vi s’incon- tra, e le instituzioni di Gajo (9) tanto furono trasfigurite che a poco varrebbero quali ivi sono , ed anche i libri delle sentenze di Paolo non vennero , com’ è probabile , niente meglio trattati. Molti e di rilievo grande sono i lavori fatti sul Breviario , di cui non forse due soli MSS. trovansi perfettamente uguali fra loro. Ed anco le difformità sono di variatissima guisa. Il più delle volte veggonsi omessi infiniti passi del testo e della interpetra- zione, ma più spesso di quello che non di questa più conveniente ai bisogni e alla pratica: il tutto a capriccio e senz’ombra di le- gittimo divisamento. Bene spesso nei luoghi particolari occorrono nuove interpetrazioni , talvolta in luogo dell’antica; tal’ altra accanto, 0 infine come glossa alla vecchia interpetrazione. Con- sistono queste glosse (che trovansi in due MSS. parigini) in luo- ghi di Festo, Nonio Marcello ed Isidoro, e ci s’ incontra anche un passo della Topica di Cicerone. Ma la maggiore attenzione meritansi alcuni altri scientifici lavori così condotti da doversi in certo modo avere per nuove opere, quantunque anco fra loro re- gnino proprietà tutte diverse; poichè alcune sono un compendio ed una scelta del già fatto, altre una composizione intieramente nuova. Appartengono a questa classe : 1. Le summae legum stampate nell’anno 1517, e di cui veggonsi tuttora parecchi MSS. Sono per la più parte un compendio della interpetrazione ; ma quanto a Paolo non solo è com- pendiato, ma il testo è in un confuso colla interpetrazione. Mancano le iscrizioni e le sottoscrizioni, il luogo di Pa- piniano e tutti i passi che toccano la storia della sua com- pilazione. E non è poco strano il vedere in un luogo so= stituita alla originale una massima di Diritto giustinianeo. 2. L’ estratto di un MS. di Wolfenbuttel, che a giudicarne dal breve conosciuto suo principio saria di una indole tutta sua propria e assai più breve del precedente. 8, Altro estratto col Prologo del Monaco che lo compose per ordine del suo abate. poraneamente dal Peyron a Torino , dal Clossius a Milano nell’anno (1824 fu da me detto alua volta in questo stesso Gioruale dell’ Antologia, Quader- no 75. (9) Che anco queste venissero ritrovate nel 1816 dal Niebubr a Verona ebbero i lettori dell’ Antologia luogo di rammentarselo per l° articolo sopra= citato. - 7 4. Il codice Udinense: lavoro longobardico su questa collezio- ne da riporsi circa l’ anno 900 , di cui parlammo nel primo articolo e torneremo a ragionarne a suo luogo. 5. L’ estratto non impresso lavorato da Guglielmo di Malme- > sbury (an. 1142). Il quale avendo compendiata l’istoria di Haimo Floriacenée , la proseguì poi sino a’suoi tempi, e vi aggiunse come appendice un prospetto di Gius Romano ricavato dal Breviario. Di tutti questi lavori intorno al Breviario sappiamo di certo che il quarto appartiene all’ Italia, il quinto all’ Inghilterra. Tutti gli altri furono , secondo la probabile conghiettura del Sa- vigny, condotti in Francia, essendochè l’uso del Breviario vi si spargesse e vi durasse assai più che altrove. Nè è da tacersi come riprova , che in una delle suddette glosse occorre un motto tutto proprio al regno dei Franchi (10). II. Codice Visigotico. Delle leggi particolari ai Visigoti ne abbiamo una collezione stampata. È l’ opera partita in XII libri ordinata a materie scritte in latino : eccone l’ istoria. Eurico fu il primo Re (an. 482) sotto il quale il gius gotico venne conse- gnato allo scritto. Ma non si sa bene se un vero corpo di leggi fosse ordinato o sotto Eurico o sotto i suoi successori ‘avanti la metà del VII secolo. Nella collezione stampata stanno alla rinfusa due parti d’ indole molto diversa: si compone 1’ una di quelle leggi , le quali nella inscrizione vengono attribuite a un Re certo ; le più antiche a Gondemaro le più recenti ad Egica Re (an. 700); l’al- tra porta ne’ varii suoi frammenti la generica iscrizione di An- tiqua.Delle leggi la più parte sono di Chindeswindo e del suo figlio e Co-reggente Receswindo. Ambidue questi Re (forse nel tempo del comune imperio) si ravvisano autori della nostra collezione ; avvegnachè in di molte loro leggi sia menzione di un codice a guisa d’ opera ordinata, e in alcuni passi si citino altri testi a nu- mero di libro e titoli, che corrispondono nella collezione stam- pata. Onde ciò che appartiene ai loro successori vuolsi riguardare come un aggiunta. Appellasi poi in quel volume Antigua ogni disposizione che non potè ascriversi a un Re certo , o che muove- va dalle antiche usanze Gotiche ; non meno che dal gius dei ro- mani o fors’ anco degli altri germanici popoli. Tanto quei Re cu- rarono la diffusione del codice loro che comandarono non si ven- desse più di 12 solidi Îa copia, è sotto pena, in caso di trasgressio- (10) MS, Parigin. n.9 4409 Gl. Int L. 8 cod. Th, de contr. Empt. (1II, 1.) v. g. si in rallo non fuerit vilis persona, Su 28 ne , che roo bastonate fossero indistintamente applicate al vendi- tore e al compratore (11). Se ne fece fin da principio una traduzio- ne in lingua gotica che non ci pervenne : al contrario ne possedia» mo una versione nel moderno spagnuolo , che si vuole del secolo XI, ma forse è un po’ più recente. Non perderono le leggi dei Visigoti tutta considerazione nè in quelle provincie che furono soggiogate dai Franchi, e nemmeno nella Spagna poichè distrutto quel regno. Nè ciò deesi attribuire al credito loro. “ Les lois des »» Wisigoths (dice il Montesquieu XXVIII, 1) celles de Rece- so swinde, de Chindaswinde , et d’ Egica sont puériles ; gauches, » idiotes : elles n’atteignent point le but; pleines de rhétorique > et vides de sens , frivoles dans le fond et gigantesques dans »> le style. ,, La parte che a compilarla v’ebbero i preti romani, e l'imitazione del C. Th. saltano agli occhi di tutti. Accennammo che in questo codice stanno molte disposizioni di gius romano : alcune furono evidentemente prese dal Brevia- rio , ed altre o da quello o dal codice Giustinianeo ; i più credono ed a buon dritto, che il Breviario fu il testo dei compilatori, al- tri poi vogliono che fosse il C. Giustinianeo , fondati sulla forse casuale partizione del codice Visigotico in XII libri, e sulla non vera asserzione che i concilii spagnuoli di quel tempo conoscessero il gius Giustinianeo. Di tre specie finalmente sono i passi di Ro- mano Diritto che vi ricorrono. I primi sono tolti parola per pa- rola, e riguardano l’ affinità , la propria difesa e l’ usura. I se- condi sono dettati di gius romano circoscritti, alterati o anche de- rogati, come per esempio la legge del Breviario che proibisce i ma- trimonii tra°Goti e Romani, qui, nel codice Visigotico, li permette con la licenza del conte, ec. Gli ultimi poi sono quelli i quali, dal più al meno coincidono coi passi di gius romano ricevuti nelle leggi Bavariche, d’onde, come vedremo , passarono nelle Visigotiche . La massima parte di questi luoghi va sotto l’accennata generica de- nominazione di Antiqua. Circa il fato del Romano Diritto trai Visigoti, pensa il Sa- vigny che vi durasse in un col Breviario Alariciano insino alla metà del VII secolo, quando gli autori del codice Visigotico bramo- si della maggiore osservanza delle loro leggi e di fondere eziandio Goti e Romani in un sol popolo , vietarono l’ uso pratico sì del ro- mano come d°’ ogni estero gius , che indi in poi si studiarono uni- camente per esercitare l’ ingegno. Per cotal guisa il gius non fu più personale nel Regno dei Visigoti e il codise loro ebbe vigore di (11) Vedi che apologia dei secoli barbari ! 29 legge territoriale. Nè infino ad Alfonso X , circa la metà del seco= lo XIII, cangiò lo stato delle cose. 1l quale incoraggì lo studio del corpo giustinianeo e fece compilare per la più parte sul Gius Romano un nuovo codice (Partidas). Ma nel frattempo è certo che (quantunque restino documenti , i quali ne fanno credere che non cadde affatto in disuso) la forza di quel dritto cessò: il perchè rad- doppiasi la maraviglia in vedere come Pietro de Granon monaco spagnuolo ; il quale fiorì circa l’anno 1000 lavorasse un opera non sol di gotico , ma eziandio di Romano Diritto, che sembra esse- re giunta sino ai dì nostri, e cui ritrovare sarebbe desiderevo- lissima cosa (12). Capo IX. DirIirTo ROMANO NEL REGNO DEI FRANCHI. Il Romano Diritto non prese alcuna forma particolare nel Regno dei Franchi: perchè quando eglino si estesero per le Gallie già vi erano libri di gius bastanti ai bisogni de’ tempi , onde le traccie del nostro è mestieri ricercarle ; nelle germaniche leggi di questo Regno ; nei documenti giuridici; e nelle notizie dello studio e degli serittori. I. Leggi Germaniche. Sono queste di due specie: leggi dei due popoli, e capitolari. Delle prime fra le sole Bavariche, Ale- manniche e Ripuarie (poichè nella salica ve n° è appena un pas- so) (13) trovansi vestigie di gius Romano; e di queste, non meno che dei capitolari, tratta l’ illustre autore. A. Leggi dei Bavari. La presente collezione delle Bavariche, per quanto anco prima elle possano essere state consegnate allo scritto , e poi ci siano state fatte delle aggiunte , vuolsi attri- buire a Dagoberto Re (an. 638). Pochi luoghi ivi si trovano tolti a parola dal gius Romano , come il divieto ai preti di trattar colle donne e un prescritto sul crimen lesae: altri però ne furo- no evidentemente tolti quanto al contenuto, vale a dire l’ enu- (12) Ante annum millesimum aut circiter D, Petrus de Granon Cenolita erat in S. Aemiliani, ut vocant, monasterio ... Reliquisse hune Petrum in eo monasterio nunciatum nobis fuit volumina duo leges Gothorum et Recun inscripta, quorum primus LXIII , posterius vero LXVIIL capitibus absolvitur, tn principio elogium posiut auctor Legum XII tabularum , quas omues c:r- mine' latino comprehendit ; deinde Imperatorum Romanorum, tandemque Gothorum Regum leges quod “Forum Judicum,, vulgo appellant adjecit. Co. dex prae nimia vetustate aliquot jam foliis non legitur... Habemus id totum ex relationibus adnos missis ab eodera monasterio. Nicolai Antonii Bibl. \Hispana vetus. Lib. 6 cap. 14, $ 350 T. 1, pag. 533. Madriti 1758 fol. (13) Trovasi nell’ antica ed è tolto quasi a parola dalla Int. C. TI. De iacestis nupt. (3 , 12) Savigny Vol. IH, aggiunte e correzioni al cap. IX. 30 merazione dei gradi di parentela , nei quali il matrimonio è proi- bito (dentro il 4° grado come nel Breviario); chi ruba in occasio- ne d’ incendio è punito del quadruplo ec. Infiniti poi quelli nei quali s» ne ravvisa la conoscenza e l’imitazione, abbenchè venga diversamente applicato ; così per esempio se la cosa depositata o consegnata per vendersi perisce d’ incendio non dee restituirsi il valore (14). Per qual modo questi elementi di gius romano siano passati nel Bavarico, tanto è più malagevole a spiegarsi in quan- tochè sembra essere stato tratto partito non solo del Breviario ma eziandio dei libri di Giustiniano. Bene peraltro avverte il Sa- vigny che dci quattro autori del codice Bavarico (Claudio, Ca- drindo , Magno e Agilulfo) Claudio sembra essere quegli il quale appo Fredegario (15) si decanta come un dotto Romano, ed Agi- lulfo è chiaramente detto vescovo di Valenza, onde conclude che questi due possano avere introdotto nel codice Bavarico quan- to vi è di romano : opinione che si conferma per la vicinanza di Valenza all’ Italia, ove si conosceva a quei tempi , come vedre- mo ; il gius giustinianeo. Del resto occorre qui di ripetere , che il codice Bavarico (an. 630) coincide in alcuni luoghi così perfet= tamente col Visigotico (an. 672) da non dover dubitarsi che nel comporre l’ uno abbiasi avuto presente l’ altro : ora la cronologia, la più semplice compilazione del Bavarico , il numero più grande di luoghi del Romano Diritto che vi si rinvengono mostrano che questo precedette a quello dei Visigoti, ai quali piacque gio- varsene. B. Leggi degli Alamanni. Il solo passo di gius Romano che trovisiin questo codice e che muove dal Breviario, è riferito parola per parola anche nel Bavarico, ed è appunto quello circa la proibi- zione delle nozze onde parlammo più sopra. C. Leggi dei Ripuarii. Riconoscono per valida la manumis- sione degli schiavi in chiesa a imitazione del Romano Diritto. D. Capitolari. Sono i capitolari quelle leggi che i Re Franchi ordinarono per tutto un regno e non per una sola gente in partico- lare ; dei quali alcuni ci giunsero contrassegnati del nome del Re e dell’ anno, e in parte alla rinfusa in collezioni, nelle quali sono eziandio capitolari della prima specie. Di questi, la costituzione di Clotario primo , che ordinò (an. 560) pei sudditi romani 1’ osser- vanza del romano diritto , la costituzione di Childeberto dell’anno (14) Nel Breviario ciò è prescritto pel comodato. Paul. IT, 4,62 e pel deposito. C. Hermog. XII, I. ( 15) Pallbausen , Garibaldo, Monaco 1810 nota 13. ) 31 595, un capitolare di Carlo il Calvo dell’ anno 865 ec. ridondano di massime del gius romano specialmente intorno alla prescrizione. Le collezioni poi che in tutto formano sette libri seguitati da ‘quattro appendici e disposti come una sola opera, appartengono pei primi quattro ad Ansegi , il quale radunò capitolari da Carlo Magno infino a Lodovico Pio, ove occorrono due soli passi del gius romano tolti da Giuliano (16). Ricchissimi poi ne sono i tre seguenti compilati da Benedetto Levita ad inchiesta di Otgaro ar- civescovo di Magonza, ove, racchiudonsi capitolari non solo , ma non poco ancora e delle leggi particolari ai germanici popoli e del gius nostro : poichè traluce eziandio dalla prefazione essere stato divisamento di Benedetto comporre un libro di giu$ universale ove preti e laici d’ ogni nazione tutti potessero attingere ; onde il no- me di capitolari lo usò soltanto perchè condusse il suo lavoro come a proseguimento dell’ opera di Ansegi , e perchè la parte più rag- guardevole n° erano i capitolari; come avvenne appunto del Bre- viario sovente intitolato Lex Teodosiana perchè per la più parte tratto dal codice di Teodosio. Quantunque l’ opera non meriti troppa lode all’ autore , il quale la condusse senza piano , senza critica e senza discernere il vero dal falso ( puta le false Decretali del sedicente Isidoro) e confondendo mai sempre il gius delle va- rie genti, grande però al.o scopo del Savigny era l’ importanza di questi libri, i quali oltre 1’ uso del gius nostro nei capitolari dimo- strano eziandio nel IX secolo la conoscenza ; lo studio e la pratica delle sue fonti, onde il Breviario , il vero codice Teodosiano, il Giustinianeo e principalmente Giuliano servirono a Benedetto Le- vita ; il Breviario (e segnatamente Paolo) pel dritto civile, le al- tre fonti per l’ ecclesiastico. Ed è curioso trovarvi quella legge Vi- sigotica , la quale proibì il romano come ogni altro estero gius , benchè la riferisca in modo da far meno sentire la proibizione del Romano Diritto. Delle quattro appendici alla collezione dei capito- lari le ultime due soltanto offrono alcuni passi del Breviario , del genuino GC. Th. e di Giuliano. II. Documenti. È pervenuto a noi dal Regno dei Franchi non picciol numero di documenti (testamenti , matrimonii, dona- zioni sn) riferiti dal nostro autore per attestarvi la pratica del Romano Diritto. Con molto accorgimento furono per lui classati secondo le varie regioni onde si compose quel regno cioè : A. Le provincie Visigotiche (1’ Aquitania e parte della Provenza) addive- nute Franche per la prima conquista sotto Clodoveo Re al princi- (16) Cap. lib. 2 cap. 29 , 30 Julian const, 7 c. 1, 2. 32 pio del secolo VI.— B. I paesi Visigotici (la Settimania o Gotia) di+ ventati Franchi per la seconda conquista nelPVIII secolo.— C. Le provincie Burgundiche.— D.Ipaesi dai Franchi direttamente vinti ai romani. Conciossiachè la precedente loro particolar condizione avanti al dominio dei Franchi dovette introdurre alcune varietà nei legami , nelle forme e nel destino che ciascheduno subì quanto al Romano Diritto, lochè sebbene non si dimostri dall’uso pratico 5 non può peraltro dimenticarsi come scopo delle ricerche istoriche. III. Studio e scrittori. Fu detto più sopra che in questa prima parte del medio Evo non furono particolari scuole di Romano Di- ritto, il quale apprendevasi come parte della dialettica o per prati- ca ed in ispecie per l’ arte del notariato. Degli uomini di que’tem- pi dotti in quel gius, la storia serbò il nome di Andarchio , il quale a tempo di Sigeberto Re (VI Sec.) studiò Virgilio , il codice Teodosiano e l’Aritmetica; di San Bonito (VII secolo verso la fine) dotto nella grammatica e nelle costituziohi di Teodosio ; di Desi- derio vescovo di Cahors , del quale si narra in genere che seppe la legge romana ec. Ne provano poi lo studio quelle glosse e inter- petrazioni che, in parlare del Breviario, dicemmo essere state con- dotte nel Regno de’Franchi, alle quali si denno aggiungere le notae juris a Magnone collectae (17). Le formole publicate dal Mabil- lon, e verosimilmente scritte in Angieri intorno al VI secolo; le for- mole di Marculfo (c. 660) e 1’ appendice del medesimo; quelle rac- colte dal Sirmondo , dal Balnzio e Lindenbrog, tutte di epoca in- certa e forse di varii tempi , non che quella assai ristretta colle- zione venutaci dall’Auvergne. Più che d’ altronde il gius romano delle formole è preso dal Breviario : ma non pochi passi riferitî dal Savigny sono evidentemente tolti dai libri di Giustiniano e ne comprovano la conoscenza nel Regno dei Franchi. Ma la dimostrazione di tutt’ altra più piena è un opera che per la sua tanta rarità come pel suo sì grande rilievo , venne dal- 1’ autore posta in calce del suo secondo volume e che s° intitola : Petri Exceptiones (18) Legum Romanorum (19). Di quest’ opera stampata a Strasburgo nel 1500 (20) ne sono conosciuti sette mano- scritti, dei quali il più antico può collocarsi circa la metà del XIE secolo (21). Fu scritta in Francia nei contorni di Valenza, che dai (17) Ed. p. Lugdun. post GC. Th. 1566 in fol, (18) Exceptio nel modo di parlare del medio evo significa Estratto, (19) Alcuvi correggono Romanarum,ma inutilmente, (20) V. Panzer I, 65. (21) Di cinque di questi MSS. se ue ragiona in questo capo dell’opera, degli 33 cano CAR passò nel Regno dei Franchi, sicuramente dopo l’an. 878, giacchè l’opera ha un passo del Sinodo di Troia tenuto in quell’an- ‘no. I suoi parlari e una infinità di ragioni col più fino discernimento avvisate dal Savigny, gliela fanno riporre: nel secolo XI. Chi siasi quel Pietro Autore dell’ estratto non può ragionevolmente dirsi. È l’ opera una composizione sistematica di gius per la più parte Ro- mano, ordinata in IV libri. Ragionasi nel primo delle persone , nel secondo dei contratti , nel terzo dei delitti, nel quarto del processo o delle azioni , ma non sempre con ordine rigoroso. Distinguesi non solo per-una grande conoscenza delle fonti, ma specialmente per l’ originalità del modo in che vennero collegate e trattate ; e se ne togli quà e la qualche non giusta intelligenza non puoi che dar lode di acume e precisione all’ autore ; è diversa in tutto dai lavori d’Ir- nerio e sua scuola ; i quali si trattennero a unicamente rischiarare le fonti , lasciandole tali quali sistavano. Usò Pietro come si enu- mera in un luogo della sua opera (22) le Instituzioni, il codice, i di- gesti e le novelle (23) e ne fa riprova il libro medesimo.Niuna trac- cia ivi è nè del c. Th. nè del Breviario , poichè 1’ unica da riferir= visi, muove più probabilmente dalle fonti canoniche, ed è la falsa costituzione di Costantino intorno la giurisdizione dei vescovi, la quale trovasi in molti MSS. del c. Th.; epperò fu ricevuta nel medio evo come legge teodosiana , e con una singolarità di cui non havvi altro esempio viene qui attribuita all’ imperatore Marciano nel concilio Calcedonense. Questo uso esclusivo del dritto giustinianeo in un opera condotta in Francia avanti che vi fosse stato diffuso dalla scuola di Bologna,spiegasi per la prossimità di Valenza patria di Pietro all’Italia, paesi che tanto più allora comunicarono insie- me in quantochè 1’ uno el’ altro , cioè Valenza e l’Italia facevano ambedue parte del germanico imperio. I molti luoghi delle Pandette riferiti in quest’ opera ven- nero con tutta precisione copiati colle loro inscrizioni , e perciò meritansi la più grande attenzione , conciossiachè il testo dei me- desimi è così vario dalla fiorentina non meno che dalla volgata lezione, da doversi reputare al confronto insignificante la diver- altri due osservati”, l’ uno dal Niebubr nella Vaticana MS. 441; e l’altro dallo Schrader nella R. Bibl. di Torino MS. n. 19 fol. 49-66 nelle agg. e correz. a questo capo 1X vol. II, pag. 662 et seg. (22) I. 66. Et hoc in institutionibus, in codice et in digestis et in novellis multiotiens invenitur. (23) Giuliano e non le vere, T. XXXIII. Gennaio. 5 34 sità che corre tra quelle (24). È questa una riprova che l’opera di Pietro è anteriore alla scuola di Bologna, essendochè tutti i MSS. delle Pandette diffusi da questa scuola sieno fra loro pres- sochè similissimi (25). Molto è quindi il giovamento che potrebbe trarsi da Pietro per la correzione delle Pandette , di che forni sce l’autore alcuni esempi onde promuovere cosiffatte investiga= zioni. Dell’ istoria di quest’ opera è da dire che ben di ra!o se ne parlò. Il Panzer ne accenna appena l’ edizione. Il Ducange e il Fabricio che n’ ebbero notizia da un MS. la rammentarono col nome dell’ autore. Un letterato francese (rara generosità !) at- tribuisce a Pier Damiani italiano quest'opera che è, da non du- bitarne, di un Pietro francese. Recapitolando in breve le cose dette snl fato del gius ro- mano nelle varie provincie del regno dei Franchi avremo : che di Papiano non restò l’orme neanche in quei luoghi ov’ebbe ori- ginariamente vigore : il Breviario non solo durò nelle già gotiche provincie , ma si diffuse eziandio per tutto il Regno e diventò fonte principalissima di gius pei romani. Alcuni pochi passi di- mostrano la conoscenza e 1’ uso del genuino codice Teodosiano , moltissimi poi, tratti specialmente da Giuliano, la conoscenza e l’ uso dei libri di Giustiniano. E finalmente Pietro scrisse un libro singolare in quanto che non punto si giovò del Breviario , ma sol del dritto giustinianeo in tutte parti della sua opera. Cap. X. Diritto Romano nELL'INGHILTERRA. Anche nell’In- ghilterra incontransi , poichè distrutto il Romano impero, alcuni indizi di conoseenza del Romano Diritto. In una legge d’ Enri- co I (an. 1100-1135) citasi un passo: De libro Theodosianae legis che stà nel Breviario. Nelle leggi di Wallis (c. 940) si ordina , che ad imitazione della Romana Legge un solo testimone non (24) Il Savigny ba notate nella sua edizione tutte queste varianti colla fio- rentina lezione e colla volzata: (25) Coglie in questo luogo opportunità 1° autor nostro di esporre una sua belli sima conghiettura circa la volgata edizione delle Pandette , ed è; che la scuola di Bologna avesse sott’ occhio il testo fiorentino con altri molti: che del fiorentino fosse fatta base alla nuova recensione , restaurandolo correggendolo e variandolo secondo gli altri testi, i quali sarebbero tutti spariti (eccetto il fio= rentino per la sua maggiore celebrità), per dar luogo alla nuova emendata le- zione, Onde sì fà a dire che se oggi si ritrovasse un MS, delle Pandette del. l'XI secolo , troverebbesi, come Pietro , diversissimo dalla Volgata. 35 faccia prova in giudizio ec. (26). Documenti che ne attestino l’ uso pratico non s° incontrano : e infatti il genio distruggitore degli Anglo Sassoni non potè consentir loro di mantenerlo. Al- l’incontro non mancano notizie che anco in Inghilterra si studiasse il nostro gius in un colle altre arti, siccome parte di buona edu- cazione. Lo si narra di S. Anselmo il quale vi avrebbe speso molti anni, non menochè nella metrica e nella musica . Varie altre testimonianze le riferimmo esponendo il VI capitolo. Capo XI. Diritto ROMANO NEL REGNO DEGLI ostrocoTI. La dominazione d’ Odoacre in Italia fu così passeggiera che non v'in- trodusse alcun sensibile cangiamento nella ragion civile. Ma non pochi documenti e un codice ci dimostrano che uno grandissimo ve l’ operarono gli Ostrogoti; e siccome dei documenti gli cadea più in acconcio il ragionarne altrove, quivi tratta il Savigny soltanto di quel codice ossia dell’Editto di Teodorico. Fu tale Editto pub- blicato in Roma correndo 1’ anno 500 di nostra salute all’ occa- sione che quel Re vi si trovò di passaggio (27) e quantunque fondato unicamente sul gius nostro governò ugualmente Goti e Romani , poichè Teodorico riserbando le armi ai soli Goti aggua- gliò in ogni resto Goti e Romani (28) sennonchè nei casi omessi di ragion civile e pubblica vissero i Goti secondo le antiche loro leggi e costumanze particolari : onde molto veniva a ristringersi que sta comunanza di ragion civile , essendochè l’Editto concer- nendo più ch’altro gli affari criminali lasciava pei civili campo larghissimo al dritto dei Goti. Le fonti tutte romane dell’Editto sono, come nel Breviario Visigotico, le costituzioni (/eges) e le ope- re dei grandi legisti (7us). Quanto alle costituzioni adoperossi il c. Th. e principalmente le sue novelle: vi si veggono ancora molti rescritti che dipoi passarono nel codice di Giustiniano , si- curamente attinti dai codici Gregoriano ed Ermogeniano. Delle opere dei Giuristi si usarono principalmente le sentenze di Pao- lo, libro a quei tempi moltissimo in voga (29). Cosa poi fosse at- tinto dagli altri Giureconsulti] ignorasi per essersi perdute le opere loro , ed è veramente degno d’ ossrvazione che i due soli (26) Vedine altre riprove nelle correzioni e aggiunte a quesio capo del If volume nel t. il, pag. 664. (27) Ritter C. Th, T. dI, (28) Ed. Theodor. Prolog. Qua barbari Romanique sequi debe;nt. ,, Cas. siodor. Var. III, 13, VIII, 3 (29) V. Hugo, Geschichte ec. Storia dei D. R. P. ZZZ, pag. 733 Ediz. di Berlino 1824). 36 luoghi dell’editto che si ritrovano ancora nelle Pandette, appar= tengono anch’ essi a un altra opera di Paolo. Il lavoro apparisce condotto con ben poca critica, con dimolta licenza , senza unità di piano , e senza accennare la provenienza dei testi; di modo- chè; in nissun altra delle collezioni dell’epoca tanto è lo strazio, siccome in questa del Romano Diritto. Errerebbe peraltro chi quindi si formasse 1° idea della scienza a quei tempi: poichè gli scritti di Brozio e documenti sebben posteriori dimostrano aper- tamente che l’ intelligenza e la pratica n°erano d’ assai migliori, ogn’ incapacità di quei giureconsulti stando unicamente nell’arte di lavorare dei codici (30). Cap. XII. DIRITTO ROMANO NELL’ITALIA SOTTO L'IMPERO GRECO Correndo 1’ anno 554 ed oramai compito il conquisto dell’Italia, N promulgò Giustiniano una sua pragmatica sanzione onde riordi- nare questa provincia, e comandò che i libri del codice e delle Pandette da lui precedentemente inviati in Italia vi avessero forza di legge. Andò allora in disuso 1’ Editto di Teodorico ; se non forse si mantenne pei soli Goti, e i libri di Giustiniano tanto più rapidamente si diffusero per l’Italia in quantochè meglio corri- spondevano ai bisogni de’ tempi. Preziosissimi, onde conoscere lo stato del gius nostro in questi e nei precedenti gotici tempi, sono i documenti Ravegnani su papiro raccolti dal Marini e dei quali si fece parola al proposito della costituzione delle città , poichè non solo attestano ; come quelli de’Franchi e dei Longo- bardi la conoscenza e 1’ uso delle già conosciute fonti, ma ci eru- discono eziandio della forma in che trattavansi gli affari, e del gius degli antichi tempi. Così per esempio ritrovasi fatta men- zione del dritto d’ ingenuità dato agli schiavi in un colla liber- tà , della tradizione, della mancipazione , della fiducia, quan- tunque nel generico senso d’ obbligazione o pegno. A questi medesimi tempi della dominazione dei Greci in {Italia sembra che debbansi riferire alcuni minori lavori scientifici, cioè gli scolii a Giuliano per la prima volta pubblicati dal Mireo : il così detto Dictatum de consiliariis e la collectio de Tutoribus falsa= mente attribuiti a Giuliano e per la prima volta pubblicati dal Pithou ; la collezione per gli agrimensori per la più parte com- posta di assiomi di gius; e finalmente la Glossa alle instituzioni testè osservata dall’ ab. Bessone nella R. Biblioteca di Torino (30) Per |’ editto col rinvio alle sue fonti Cf. G. F. Rbon commentatio ad Ediet. Theodor. Reg. Ostrogoth., Halae 1816, 4. è; (MS. n.° 13, VI, 4) il quale ne comunicò notizia al prof. Schra- der di Tubinga, e da questi venne partecipata al Savigny (31). In quel MS. che , secondo il Kopp, è per lo meno del secolo X con- tiensi circa una metà delle Instituzioni. Ivi sono pure due glosse, una delle quali antica quanto il testo e della stessa mano, stà tutta in margine , l’ altra ben più recente e di mano diversa, parte stà in margine e parte interlineata, ed è del XII e del XIII secolo. Ha quella vecchia glossa di molta somiglianza col dictatum de con- siliariis,e pel rinvio che fa al liber de constitutionum in un luogo appunto che appartiene alle cinquanta costituzioni , accerta ciò che alcuni pensarono, averle cioè Giustiniano pubblicate in un li- bro a parte. Che questa glossa sia stata scritta ai tempi di quello imperatore, argomenterebbesi dal vedere che una costituzione del medesimo s’intitola: Constitutio Domini nostri: e certo doversi as- segnare all’ Italia lo convince il vedervisi quelle due parole della odierna nostra favella e che qui riportiamo per delizia degli in- dagatori delle sue origini, per le quali la frase u/tro citroque si spiega: wltro idest de là, citro de cià. Ragguardevolissima è poi questa glossa ancora per le cose ivi contenute , avvegnachè dimo- stri conoscenza grande delle antiche fonti: così circa il furtum conceptum (32) dice ciò ch’è posto fuori di dubbio da Gaio ; do» ver cioè il derubato ricercar nudo la cosa furtiva; pei giudizii della tutela riferisce massime di gius a noi sconosciute , e infine ci si ravvisano quattro luoghi dell’Inforziato, parte delle Pandette che si credeva non essere stata sconosciuta in questa prima metà del medio evo , e che ful’ ultima a ritrovarsi da Irnerio. Onde molte grazie si debbono al Savigny che la fece stampare in calce al suo terzo volume per servir d’° aggiunta al secondo. . Cap. XIII. DiRITTO ROMANO NELL’ÎITALIA SOTTO IL PAPA E L'IM- PERATORE. Una legge di Carlo Magno dell’anno 8or con la quale condannò a morte in conformità del gius nostro i rei di lesa maestà contro il Papa, e quella costituzione di Lotario dell’anno 824 per cui fu libera agli abitanti di Roma la scelta della legge , con che .volean vivere ec. dimostrano la durata in Roma del Romano Dirit- to. E che durasse ancora in Ravenna ne fanno provai documenti (3:) V. Vel. INT. Aggiunte e correzioni al vol. II, pag. 665, 666 667, pag. 671 et seg. (32) V. Festo in verbo lance. 38 raccolti dal Fantuzzi (X, XII sec.) non che altri due di ga tanti appresso il Marini (33). Cap. XIV. Diritto RomANO NEL REGNO DE'LONGORARDI. Ac- cadde trai Longobardi ciò ch’ era avvenuto trai Franchi; ove pei romani sudditi non si diè mano a un nuovo codice perchè ba- stava il Breviario ; ora per la stessa ragione se ne ritennero anche i Longobardi, iquali videro che il dritto giustinianeo bastava ai bisogni del tempo ; sicchè le ricerche intorno al gius nostro trai Longobardi cadono unicamente sulle leggi ad essi proprie; sui donerà , lo studio e gli scrittori. I. Leggi Longobardiche. Le leggi de’ tgolnià giunsero sini a noi in due collezioni di variatissima guisa, essendo l’una istorica e l’altra sistematica. Hannosi d’ ambedue MSS. e stampe. La col- lezione istorica corre per l’ ordine dei re legislatori, ma non an- cora delle leggi che ivi stanno di cinque re longobardi, Rotari ( an. 643) Grimvoldo (an. 668) Luitprando (VI. libri 713-724) Rachi (an. 746) Astolfo (an. 754) e, dopo il conquisto dei Franchi, di Carlo Magno, Pipino d’ Italia, Lodovico Pio, Lotario I, Lo- dovico II, Guido, Ottone II, Ottone III, Enrico I (in Germa- nia II ) Conrado I, Enrico II (in Germania III ) e Lotario II. La collezione sistematica detta eziandio la Lombarda contiene a un dipresso le cose medesime , sennonchè diversifica nella di- sposizione , quivi essendo le leggi accomodate ad apparato scien- tifico. Dividesi in III libri (34). È sicuramente posteriore a Lo- tario II, poichè ne contiene alcune leggi, ma dee essere stata condotta avanti la metà del XII secolo, sì perchè la glossò Carlo di Tocco, il quale fiorì circa il 1200, e perchè si trova citata nella collezione del gius feudale fatta circa la metà del XII secolo (35). L’ autore della Lombarda sistematica fu ignoto ancora a Carlo di Tocco (36) e falsa è la fama che l’attribuisce a Pietro Diacono o Cassinense. Ebbe questo libro gran voga per la sua pratica uti- lità e per essere disposto con certa somiglianza al Corpo Civile; ma per lo scopo vale assai più la collezione istorica che è quella esaminata dal Savigny. Che poi le leggi dei longobardi ricono= (33) N.° 99 e l’altro di Rimini pag. 320 n. 6. (34) Il libro | ha tit. 37, il secondo 59 (60) il terzo 40. (35) Lib. Feud. I, 10. Et hoc colligatar per legein quae est in Tic. de Aquisitione actoram Regis in Lombarde et II, 22 e 58. (36) Ad Lombard, init, “ Compositores hujus libri quorum nomine igno- ramus. 3) scessero. come vigente il romano diritto già lo dicemmo , espo- nendo il primo volume di quest’ opera. Aggiungeremo adesso che molti luoghi delle medesime ve lo dimostrano raccolto ; essendo- chè vi,si parli di peculio castrense e quasi castrense , di libertà data agli schiavi in chiesa, della prescrizione trentennale ec. Niune leggi di germanico popolo tanto durarono in uso quanto le longobarde: poichè, quantunque dopo il XII secolo venissero | per ogni dove incalzate e strette dagli statuti, ciò nondimeno se ne trova fatta professione, in Crema nell’anno 1334, ed in Ber- gamo nell’ anno 1451. Oltracciò noi sappiamo che nel XIV secolo la lombarda con sua glossa era uno dei libri i quali dovean ri- trovarsi vendibili ad uso degli scuolari presso ai librai di Bolo- gna. E nel regno di Napoli Federico II per usare un riguardo aisuoi sudditi di Benevento, volle che le leggi longobarde avessero vigore non menochè le romane, onde se ne rinviene poi qualche traccia infino alla metà del secolo XVI, e sembra avessero forza di legge comune e non personale , superiore perfino a quella del romano diritto (37). II. Documenti numerosissimi provano la conoscenza e l’ uso tra i longobardi del gius nostro, i quali vengono dal Savigny re- partiti fs due classi, la prima ‘ordinata cronologicamente, e con- tiene que’ monumenti de’ tempi che ad esso parvero i più impor- tanti; la seconda a materia, e ne riferisce le massime e le for- mole più usitate. Stà nella prima il documento di quella lite agi- tata nell’anno 752 tra i vescovi di Arezzo e di Siena, ove si al- legano a prò di quello dimolti luoghi delle Pandette e del Co- dice (38) ed il maraviglioso placito dell’ anno 1075 così bene or- dinato e pieno di sana dottrina del gius nostro, in cui trattasi del seguente. caso. Una chiesa rivendicava alcuni appezzamenti di terra, ma 1 possessore opponeva (‘secondo il gius novissimo) la prescrizione quadragenaria : la chiesa replicò di avere intentata l’azione dentro quel tempo : sentenziò il giudice in favore della chiesa , e la restituì , fondandosi sur un passo delle Pandet- te (39) in intiero (40) . Han poi nella seconda come dissi delle (37) Andreas de Barulo Comm. in leges Longob. Proaem. © Et per quandam inveteratam consuetudinem in regno isto Siciliae deroga ipsi juri romano. ss (38) Trovasi questo documento nell’arclivio capitolare Aretino ed è stampato pres:o el Muratori Aut. Ital. 888, 890. (V. l’ Appendice del presente articolo). (39) L. 26 6 4 D. Ex quib. causs. maj. (40) Questo placito dei tempi della contessa Beatrice stà nell'archivio no- do massime o formole di gius romano e le più notabili sono la pro- messa delle dupla , in caso di evizione (41) la mancipazione e la fiducia nel generico senso di pegno. Reca poi stupore la regela- rità con la quale nei testamenti viene rispettato il numero dei testimoni, quantunque sembri regnare infra quei documenti la dissomiglianza più grande (42). IH. Studio e Scrittori. Occorrono nel regno dei Longobardi non meno che nei precedenti molte notizie della conoscenza del stro Granducale ed è stampato appresso il Fossi. (Congettere sopra una carta pa- piracea). Firenze t9SN prefaz. pag. LI, LIV. (41) Tiraboschi n° 27, 29, 64, 70,92; 96, 103,125, 181. (sec. IX; X, XI) Lupi pag. 605, 695. (42) Ecco la guisa in cui spiegasi da} Savigny tanta dissimiglianza. In primo luogo rammenta eglî che per antico romano gina 7 testimonii oecorre- vano pel testamento civile e 5 pel pretorio. E quantunque tolta tale differenza dei testamenti, Giustiniano riordìnasse ancora la presevza di sette testimonit, egli peraltro dichiarò validi i codicilli formati da soli 5 testimonii. Onde o fra i Longobardi si mantenne quell’ antica divisione dei testamenti , o (ciò ch” è più probabile) si confusero le forme del testamento con. quelle del Codicillo. In secondo luogo avverte che per la medesima confusione ora sì contano in quei testamenti tutti quei testimonii ed ora soltanto quelli che poteroso sotto- seriverli ; ìl primo dei qualî modi era Jegittimo nei testamenti fi: a viva voce quantunque contemporameamente scritti , il secondo nei stestamenti scrittì e dei quali i testimonii ignoravano: il contenuto. Oltrechè per la diffe- renza de’testimoni può benissimo darsi come terza causa il privilegio da quel- VImp. attribuito al testamento dei rustici. Terzo infiue, che talora il notajo è contato fra i testimonii, tale altra nò, mentre nel gius romano poteva sempre contarsi, se non forse che ciò non praticavasi nei testamenti ai quali volevasi dare una maggiore solennità. Ora tenuto conto della ragione di queste diflerenze, si ravviseranno regolarissimi i seguenti tredici testamesiti , dieci dei quali ven» . gono riferiti dal Fumagalli e tre dal Lupi. Testimonti che scrivono. Ion scrivono. —’—Notaro. Somma. Fumagalli n.° 66 3 3 I v) / 69 1 3 1 5 i Lupi pag. 71 _ 4 L: 5 Fumagallin.® 15 4 1 (1) 6 32 I 6 ) 7 49 3 2 (1) 5 100 4 3 (+) 7 js 4 (1) 5 126 (127) 5 — (1) 5 Lupi pag. 527 5 Re” 2 (1) 7 627 2 3 (1) 5 Fumagalli n.° 70 6 (2) 1 7 +16 6 (3) 1 7 41 gius nostro la voce scientifica. Paolo Diacono descrive con tutta accuratezza i libri di Giustiniano; in un indice dei MSS. di Bob- bio del secolo X stà segnato un Liber pandectarum ; e che ne- gli studi di San Lanfranco avesse parte il romano gius ne tenem- mo altrove proposito. Principalissimo poi fra i lavori scientifici è il codice (Lex Romana) Udinense , che già dicemmo essere il Breviario ridotto circa l’anno 900 in una forma utile pei Longobar- di, e dove occorrono molte massime del gius nostro quantunque, per ignoranza dell’ autore , corrotte. Degne di grande attenzione so- no eziandio le Longobardiche Questiones ac Monita tratte da due MSS. milanesi e stampate per cura del Muratori (43) racchiu- dendo osservazioni di varia guisa sul gius romano e germanico . Sono da riporsi verso l’ anno 1000 dopo Ottone II e non già En- rico II , primieramente perchè riferiscono 24 cause di giudiciale, duello, molte delle quali sono tolte parola per parola dalle leggi del secondo Ottone; secondariamente perchè i MSS. ove stanno debbono giudicarsi di quel tempo, come dimostrò il Muratori, in parte per l'indole dei caratteri, in parte perchè non vi si con- tengono leggi posteriori a quelle di Enrico II. Grande è il rilievo loro pel nostro scopo , abbenchè sentano di barbarie quanto alla lingua e alle idee, poichè dimostrano la conoscenza e 1’ uso del dritto giustinianeo in tutte le sue parti ad esclusione di tutt’ al- tra legge romana. Anche le Glosse che occorrono nei MSS. delle Longobardiche leggi mostrano la conoscenza del gius romano ; e quantunque per la più parte muovano dalla scuola Bolognese, ciò nondimanco havvi un MS. in Verona che ne contiene delle più vecchie, cioè de’ tempi di Enrico II, e dove si fa uso del solo dirit- to giustinianeo ; ed in un luogo sembra si sia voluto alludere alla Topica di Cicerone (44). Dee finalmente attribuirsi a questi tempi e a questo paese il così detto Brachi/ogo, del quale si hanno più MSS. l’ uno in pergamena e sta senza titolo nella Biblioteca della Università di Konisberga (sec. XIII); un’altro parimenti in perga- mena (sec. XII e XIII) nella Biblioteca di Vienna intitolato: Sum- ma novellarum constitutionum Justiniani . Un terzo in Roma nella Vaticana descritta dal Niebuhr; e un quarto finalmente a Breslavia ma non completo, poichè contiene soltanto il primo libro (43) Script. Rer. Hal. P. HU; pag. 163, 165; Canciani. Volume 1, pag. 221, 224 (44) Carciani vol. 1, p. 464. Nobiles suot quorum majcram. parentum suorum nemo servitutem senierit. E Cic. Top. $ 6. Geutiles sunt, .. quorum majorum nemo servitutem servivit. T. XXXIII. Gennaio. 6 42 e due titoli del secondo (45). Parecchie ne sono eziandio 1’ edi= zioni (46) di cui sole due cioè la prima (47) e la nona (48), so- no originali, onde a chi volesse tentarne una nuova basterebbe fondarsi su queste due , ponendo in margine le buone correzioni che per avventura ritrovansene sparse nelle altre e nei MSS. Notizia del Brachilogo s’ebbe vari anni avanti la sua prima edi- zione nella seguente maniera. Giovanni Appel di Norimberga, il quale visse lungamente in Konisberga ma tornò a morire in pa- tria nell’ anno 1536, rinvenne in Komisberga un MS. che lo giu- dicò del XII secolo , lo intitolò: Zibellus Institutionum, e lo descrisse in modo da ravvisarvi subito il nostro Brachilogo, quan- tunque non sia precisamente quello che oggi serbasi in Konisberga, non essendo questo partito in libri siccome quello veduto dall’Ap- pell. Che questo libro venisse lavorato nell’Italia longobarda lo fa credere una longobardica legge di Lodovico Pio , riportata in ogni conosciuto testo del medesimo , onde si accerta la sua au= tenticità. È dunque 1’ opera posteriore a Lodovico Pio, e, a ben riguardare, di lungo tratto. Ove paragonisi infatti al codice udi+ nense (an. 900) ed alle lombarde questioni (an. 1000) grandissi- ma è la differenza che vi si scorge, avvegnachè ne sia di gran lunga migliore e per linguaggio e per la cognizione delle cose e pel modo di trattare le fonti; e poichè dee dirsi d’altronde più antica delle scuole dei glossatori pet essere stata scritta in una guisa affatto diversa da quella per essi introdotta, viene quindi a col- locarsi di per sè stessa verso l’anno 1100 ai tempi d Irnerio, di attribuirla al quale non parrebbe il Savigny troppo schivo (49). Esibisce l’opera un sistema del romano diritto. Tutti i libri di Giustiniano ed in ispecie le Instituzioni a guisa delle quali è foggiato ne sono le fonti. Da un luogo del quarto libro sembra (45) Vol. 11. Aggiunte e correzioni p. 669. (46) Oltre le citate quivi a pag. 239 e seg. ve ne sono delle altre citate al vol. 111, p. 669. (47) Stampata in Lione e dopu le i.tituzioni 1549 apud Sennetonios sotto il titolo : Corpus Legum per modum institutionum in fol. (48) Enchiridiom Jaris instar Imper Inst. cura praefat, lo. Boniati Heidelberg. excud. lo. Majer 1570 8.° (49) Il Senckenberg la riputò dei tempì di Giustiniano o poco dopo: anzi per una ]Jegge di Giustiniano medesimo per l’Affrica e per l’Italia. Le ragioni su cui si appoggia vagliono quanto questa strana opinione. II Saxe la credè del secolo XV], ma questa opinione è confutata dall'esistenza di MSS, an- teriori a quel secolo. 43 che 1’ autore conoscesse la guerra Giuguftina di Sallustio (50) . Tiensi il Brachilogo in poco conto e; insino a un certo punto; non senza ragione, giacchè non vi s'impara niente più di quello che stà in altre opere più recenti. Ma se riflettasi che verine con- dotto tra 1’ undecimo e il XII secolo avanti i glossatori verremo a farci una non bassa idea delle coudizioni del gius nostrò a que’tem- pi. Ed una esatta ricerca sul Brachilogo porterebbe forse alla di- imostrazione che molte cose della moderna giurisprudenza, le quali si reputano immediatamente discese dai glossatori vennero a noi dal Brachilogo. Non vuolsi però tacere che l’ importanza di que- st’ opera per la storia dogmatica della giutisprudenza rion è di sua natura tanta come in Pietro per le massime del diritto pra- tico , quanta pel favore della scienza ossia per le definizioni ; partizioni e terminologie. Raccogliendo insieme le conseguenze che discendono da que- sto capo, conclude il Savigny essere stato il dritto giustinianeo benissimo conosciuto nell’ Italia longobarda , ignoto il Breviario primo di Carlo Magno, ma conosciutovi dopo il conquisto dei Franchi, siccome attesta il codice Udinense. Serinonchè il diritto giustinianeo vi dominò mai sempre come rilevasi da tante prove, e più dal fatto che i glossatori lavorarono sino dapprincip:ò su tal gius senza nulla mescervi del Breviario, lo chè non satia po- tuto accadere se questo avesse predominato. Cap. XV. Diritto ROMANO NEL cLERO. Essendochè la chiesa formasse nel medio evo uno stato independente, il quale abbrac- ciava tutti i preti diffusi pei vari paesi d’ Europa ; indi & che il Savigny tratta a parte in questo capo della durata del gius no- stro nel clero. Massime poi perchè, sebbene ogni prete conside- rato nel suo particolare avesse due rapporti l’ uno di origine , l’altro di stato, il pensiero d’altronde che il secondo trionfò mai sempre, che la chiesa e gli ecclesiastici dovevano senza distirizio- ne di nascita venir giudicati secondo il gius nostro, e infine l’im- possibilità di ravvisare il paese, al quale attribuire le opere la- vorate dagli ecclesiastici, gliene facevano forza. Divide egli in due classi le testimonianze di questa durata: collocando nella prima quelle che si rinvengono alla spicciolata; nella seconda quelle che stanno nelle collezioni. I. Riprove isolate. Debbonsi annoverare fra queste isolate ri- (50) Lib. 4 cap. g Metellus Judex Jugurthae notum sit tibi Adherbalem questum mihi de te fuisse ec. 44 prove quelle che ne offrono come vedemmo le lettere di S. Gre- gorio Magno , il quale morì nell’ anno 604. Nel concilio di Si- viglia (an. 619) occorrono due luoghi del gius nostro che egnal- mente ritrovansi nel Breviario e nel codice Ginstinianeo. Anche Agobardo sembra essersi giovato in una sna opera (51) di un luogo delle Pandette. Nelle lettere di Papa Giovanni VIII si ri= portano bene spesso massime di dritto giustinianeo , e nel sino- do di Troia stà una Costituzione di quel codice che fissa la pena del sagrilegio. Ricchissime poi ne sono le opere d’ Hinemaro Ar- civescovo di Rheims (an. 882) il quale usò del Breviario, del ve- ro GC. Th. e di Giuliano. Nel concilio di Pavia dell’anno 1023 - tenuto sotto Papa Benedetto VITI, non che nella conferma di En- rico II è parola della Legge Giustinianea e della Curia e vi si cita una costituzione di quell’ Imperatore che non si trova nelle novelle e nemmeno in Giuliano, ma fu ritrovata e pubblicata a’ suoi tempi dal Cuiacio. Infine in una lettera di Papa Alessan- dro II (an. 1073) si riferisce un passo delle Instituzioni. II. Collezioni di gius canonico. Sono queste collezioni di due specie. Le più vecchie che seguono 1’ ordine delle loro fonti ed in ispecie dei concilii quasi nulla contengono del gius nostro. Assai però ne sono ricche le altre che sono ordinate a materia. In- cominciano al IX e si moltiplicano in guisa mirabile nel seco- lo XI. Fra le collezioni delle prime specie il solo Codex vetus Canonum, se veramente sia più recente del V secolo, gioverebbe al nostro proposito, perchè vi stanno parecchi rescritti imperiali sopra le cose della ehiesa , parte de’ quali non occorrono altro- ve, e parte nel C. Teodosiano. Fra quelle poi della seconda è per noi preziosissima ]’ inedita collezione di Anselmo Arciprete, fatta visibilmente in Italia e da riferirsi secondo il Savigny al secondo dei tre Anselmi che furono arcivescovi di Milano, il quale avrebbe dovuto lavorarvi dall’ anno 883 all’ anno 897. Si giovò egli di tutte le parti del corpo giustinianeo meno che le Instituzioni. Anche le collezioni di Reginone (an. 915) e di Abbo Abate di Fleury riferiscono massime di gius romano tolte dal Breviario e da Giuliano . Anche una collezione dal IX o X se- colo non anche stampata e partita in nove libri contiene qual- (51) De dispens. rer. Eccles. c. 18. “ Nam cum alicui homini de proprio thesauro a'iquid furari procul dubio reatus sit multo major de publico quodet leges saeculi sacrilegium vocaverunt (in Bibl. Max. Patr. Lugdum. 1697 f. T. 14, p. 298) e appuato dicesi nella legge 9, $ 1 ad leg Jul. Peculat. (48, 13) sunt autem sacrilegi qui publica sacra compilaverunt. 45 che dettato di gius giustinianeo (52). Infinite poi sono le colle- zioni del secolo XI dal Savigny riferite per attestare la medesima verità. Giovi indicare la collezione stampata di Buchard di Worms (an. 1025); la non impressa d’Anselmo da Lucca partita in tredici libri (an. 1086); altre due d’incerto autore che l’una partita in do- dici e l’altra in cinque libri (53); quella del card. Deusdedit par- tita in quattro libri; e la Collectio Caesaraugustina in quindici libri (54); e l’altra infine veramente singolare partita in tre se- zioni , nella quale vengono secondo 1° antico ordine prima le de- cretali cronologicamente, quindi i Canoni de’concilii e i dettati del gius nostro ond’è, più che tutt'altra, ricchissima (55). Nè è da trapassare sotto silenzio Ivone Vescovo di Chartres (an. r1x5), il quale nelle sue collezioni Canoniche intitolate: Pannormia e De- cretum (56) non che nelle dotte sue lettere riferisce infiniti luoghi del gius nostro tolti dal Breviario e dai libri di Giustiniano. E quì credo non sia male a proposito di raccontarey come nella nostra Bi- blioteca Laurenziana fra i MSS. ivi provenienti dalla già Libreria di Santa Croce (Pluteo V, Cod. 7) infra una Collectanea d’ opere dei SS. Padri da riporsi alla fine del secolo XI o al principiare del XII (52) MS. Vatican. n.° 1349. (53) Citate dal Ba/lerin. P. 4, cap: 18 $$ 4 ey. (54) Ballerini .P. 4, c. 18 $ n. (55) Ballerini P. 4, c. 186 2. (56) Gli studiosi delle leggi canoniche vedranno. con piacere riportata la giusta e singolare opinione del Savigny, îl quale crede essere il decreto un nuovo lavoro più ricco ed ampliato della Parnormia per la seguente ragione: Si è descritta quella collezione canonica partita in tre sezioni , alla quale è da dirsi ad esso che somiglia molto il decreto: poichè lunghe serie di passi cel gius romano vi si succedono nella medesima guisa. E molta è la consimiglian- za che tengono ancora nell’ ordine. La prima citata collezione tratta verso la fine di cose affitto legali, tutte insieme gettate in un paragrafo intitolato de Offic. et Causs. Laicorum. Ora la stessa cosa e lo stesso titolo s'incontra nel XVI libro del decreto d’ Ivone, Onde è .da dirsi che 1’ una delle collezioni é stata adoperata per l’altra. Crede però il Savigny che Ivone scrivesse prima la sua Pannormia (tanto più che questa poco:ha che non sia nel Decreto d'altronde assai meglio condotto e più ricco a luoghi di gius romano) e poi dopo gli .ca- pitasse a mano l’ anzidetta collezione scritta forse verso il medesimo tempo , la quale gli fece nascere volontà di lavorare il decreto , ove trapassò in parte la Pannormia e in gran parte queli’ altra collezione. Così si capisce perchè Ivone faticasse 1n due collezioni; che il decreto poi precedesse l’altra collezione partita a sezioni, lo perswade ancora il vedersi che questa è ordinata secondo le funti e in modo semplice e rozzo ; mentre il decreto è un opera sistematica ed ela- borata, si riferiscono infiniti luoghi di gius, in ispecie giustiniatteo (57) che in tutte le sue parti ivi si scorge benissimo conosciuto. : Con le irrefragabili prove della conoscenza e dell’ uso del gins nostro anche nel clero; conclude il Savigny nel secondo volume la prima parte della sua ‘Istoria del Romano Diritto nel medio evo. In calce a questo secondo volume viene, come già dissi; 1° Opera di Pietro che s’ intitola Exceptiones Legum Romanorum. Il piano della edizione è il seguente. Il testo è con fino discernimento libe= ramente compilato sulla vecchia edizione e sul MS. parigino ; in alcuni luoghi havvi anche il paragone degli altri MSS. I palpabili errori o di scritto o di stampa furono levati via senza dirlo. Ad ogni passo del testo che discende dal gius romano se ne riferiscono in nota le fonti, contraddistinguendo per asterischi quando le si riportarono a parola e quando unicamente nel fondo della dispo- sizione (58); se occorron luoghi delle Pandette si adducono le va rianti della fiorentina e, della volgata lezione. Per le Novelle si allega sempre Giuliano , essendo che di questo e non di quelle si giovasse l’ autore. Dietro all’ opera di Pietro trarrebbero in ap- pendice le Glosse Torinesi , se troppo tardi scuoperte e conosciute dal Savigny , non si fosse dovuto contentare di collocarle, come fu detto, in fondo al terzo volume. Presentemente vengono dopo Pietro due indici copiosissimi, nei quali si esibisce il confronto di quanta parte del Romano Diritto trapassò nelle leggi e nelle varie collezioni di gius de’ nuovi stati del medio evo, ond’è quì parola. Corre il primo Indice per l’ ordine delle fonti del medio evo rappresentate in questo secondo volume (59) come il secon- do giusta l’ ordine delle romane . Per cotal guisa basta unica- mente percorrere questi indici, onde sapere quanta parte o tutti o ciascheduno in! particolare dei libri del gius nostro avessero (57) Del codice per esempio vi sono dieci leggi; cioè: La 1. f1 pr. lib. V. Tit. 17. E le leggi 2, 4,6, t1. Tit. 43. Leg. 3 vers. \Sententia etc. Tit. 44. Leg.1, 2 Tit. 49. Leg. 1, Tit. 5o tutte del libro VII. Leg. 7, Tit. 4, lb. 8. (58) Quelli di primo genere ne hanno due **,° le seconde uno * gli altri nulla. ; (59) Ove peraltro era chiaro in guisa da won dubitarne che 8° era lavorato sul gius Romano come in Papiano , il Breviario, la più parte di Pietro, gli Scolii a Giuliano, il Dictatum de Consiliariis, la collectio de tutoribus, il Corpus finium regundorum, la lex Utinensis s e il Brachilogo, non vi è con- fronto. dr parte nella legislazione e nella giurisprudenza di que’popoli (60). In questo penosissimo lavoro non ebbe il Savigny. verun fsussi- dio senonchè pei capitolari ip Baluzio, e Reginone. Ogni resto può quasi intieramente dirsi opera sua (61). Sicchè quand’ anche non fosse riuscita completa non per ciò scemerebbe la menoma parte di sua lode. Non derida il filosofo le umili fatiche e le pene tante che nell’ingrato lavoro dovè patire l’ illustre filologo : e se nel rintracciare le cause di quelli oscuri eventi , onde al dire del Vico è più tenebrosa l’età di mezzo che non l’antichità più re- mota , verrà talvolta a consultare le dotte carte del Savigny, certo sia di vedersi sfolgorare dinanzi agli occhi tanta luce e verità di fatti, quanta basterà forse a salvarlo dal cadere in vergognose , e , della ragione de’ nostri tempi , indegne utopie, Avv. P. CAPEI. (50) Se le fonti sono riferite parola per parola non vi è segno. Se unica- mente nel fondo della disposizione lo accennano gli Uncini, (61) Fu aiutato in parce dal Barkow prof. a Greifswald. APPENDICE, Il ch. sig. professore Carlo Witte di Breslavia, avendo os- servato nel Quaderno gir dell’ Antologia (luglio 1828 ) che io mi era proposto di render conto dell’Istoria ec. del Savigny , ha vo- luto rendere più utile questo mio lavoro coll’ inviarmi una copia del Documento Aretino da me citato alla rota 38 pag. 3 9, e dal medesimo diligentemente esaminato nel passar che fece per Arezzo nell’anno 1820: copia assai più corretta che non quella già pubbli- cata dal Muratori Antig. Ital. Vol. III. an. 752. Ed io mi faccio un vero piacere di darla in luce quì separata; tale quale egli me la invia con gli errori notati della edizione Muratoriana e i luoghi paralelli, persuaso che pel dono di un così prezioso cimelio saranno in un con me gratissimi all’illustre profess. di Breslavia il Savigny e i lettori tutti del nostro Giornale. t « Sagrilegio proximum esse , nedum Sanctorum, verum etiam quorum libet hominum sepuleroram violationem nemini iurispe- non est tatum s (deest) e rito venit in dubitum (sic); potestatemque eius loci, si hoc vin- dicare neglexerint (sic) infamia laborare . Est in Codicis libro L. 3 nono ; titulo De sepulcro violato: Si quis sepulerum laesurus at- 4ò tigerit locorum iudices si hoc vindicare neglexerint, non minus pocnae nomine (lezione notrvolissima, vedi Cod. Teod. IX 15 2 e Gotofr ivi nota infamiae, quam xx librarum auri in sepulcrorum violatores p. 150); in quo sepulcrum statuta damnari. — Praeterea locus ipse, quo res sepulcri repo- (L. 2) nitur pilota s ut in eodem titulo : Et si forte detractum ali aspurtasse quid de sepulcro ad domum eius villamque vectum reperierur , villa , sive domus, aut aedificium quodcumque erit, fisci juribus vendicetur. — Ergo Senensis episcopus non potest petere jura Ecclesiae non suae, praesertim cum neglexisset dare vindectam, et ob hoc infamia laboraret cum etiam in eo aos ratum habuit, (L.12$ 4 De solut), mandasse lutbligitàr; ut in Digestis : Ratihabitio mandato aequi- Cum paratur. — Item ratihabitionem etiam in maleficiis locum habere; valet ergo idem, jubere maleficium, et ratum habere post quam factum est. Satis autem habet ratum, qui in Ecclesia cui praeest, sacrilegio rem ablatam tenet. Item in VIII libro Codicis legitur: (L. 7 C. Unde vi) ta nevit cia Si quis in tantam furoris pervenit audaciam ut possessionem «on rerum apud fisecum, vel apud quoslibef homines costitutarum feosì il Cod. Teo; IV 12 3.) ante eventum judicialis arbitrii violenter invaserit, dominus qui- dem constitutus possessionem quam abstulit restituwat possessori, et dominium eiusdem rei amittat. Sin vero alienarum rerum pos- ea sessionem invasit , non solum eam possidentibus reddat, verum s etiam extimationem earundem rerum restituere compellatur. — Quod autem haec quaestio procedere debeat, nonus codicis liber testatur , titulo Ad Legem Juliam de vi publica et privata: Si et quis ad se fundum vel quod libet alium (sic) asserit pertinere , a ac restitutionem sibi competere possessionis putet — inter. cete- ra: — Quod si omissa appellatione vim possidenti intulerit, ante calamniae omnia violentiae causam examinari praecipimus. — Liber quoque (lu. 37 De vi) cet nando Digestorum concordat, ut prius de criminali disceptetar. Quod habet autem inscriptum habetur , datam fuisse sententiam , ut sacra- 49 6 tha mentis pars ista se tueretur , et per Senenses remansisse, habe- (L. 12 $. 2.) tur in quarto libro Codicis , Titulo De rebus creditis, generali 4 cetera IS ter de omnibus juramentis intercedere, si jadex appellationi prae- eì a parte ante sidens bene quidem illatum jusjarandum,; non recte autem recu- a satum pronunciaverit, res secundum quod judicatum est, per- manebit ,- Lirta. Famiglie Celebri Italiane. Milano, La grande e splendida impresa del conte Litta, della quale non si era ancora tenuto discorso in questo giornale, potrebbe offrirsi ai lettori o ‘come un bel monumento sto- rico o come un'occasione di meditar le teorie sociali che dal cumulo de’ fatti naturalmente derivano. Ma avanti di cimentarsi o nella prima parte che è della critica , o nella seconda che dovrebbe essere di prudenza civile , reputiamo pregio dell’ opera esporre l’ ordine e Io scopo morale del lavoro , facendo anco in qualehe modo presentire le que- stioni che si offrono alla mente a chi si volga a conside- rarlo con qualche poco di filosofia civile. Se poi avrò tempo ed abilità da ciò, in altri articoli prenderò ad esaminare in particolare qualcuno de’ fascicoli del Litta; ma frattanto non intendo addossarmi alcun obbligo per l’ avvenire. Due specie di pregiudizi si sono opposti a mio credere alla maggior considerazione, che mi parrebbe dover meri- tare l’opera del Litta, dalle persone che hanno a cuore lo studio delle cose italiane. Difatti sono alcuni i quali, pren- dendo regola dal passato, reputano le opere genealogiche argomenti di aristocratica vanità, e però secondo la diver- sità dell’affezioni o le spregiano anco avanti di esaminarle, o esaminatele si dolgono di non trovarle servili. Altri poi vi sono i quali valutando soltanto un certo modo moder- T. XXXIII. Gennaio. 7 5o no di ridurre la storia a forme astratte, son portati piutto- sto a considerare il movimento generale delle nazioni che le notizie particolari della vita degli individui. A persua- dere i primi basterebbe il far loro conoscere il metodo e lo scopa dell’opera ; bisognerebbe poi far capaci ì secondi di qual peso sia neila storia l'aristocrazia italiana, e per quali caratteri propri essa vada distinta dalle aristocrazie delle al- tre nazioni, Sarebbe anco questa l’ occasione naturale di dimostrare , che mal si presume conoscere la storia mora- le del mondo per formole generali senza lo studio dei par- ticolari ; poichè l’ indole propria delle astrazioni porta che sieno sempre vaghe, incerte, inesatte, talchè allora soltanto riescano utili segni quando si conoscono i particolari onde sono estratte. Ma cotesto argomento , che dispiacerebbe a molti, si vuol tralasciare per attenersi soltanto alle due prime parti. L’opera del Litta è composta di una serie di fascicoli, in ognuno de’ quali si prende ad illustrare una delle fa- miglie celebri d’ Italia. Contengono questi fascicoli gli al- beri genealogici, le medaglie, i ritratti , le monete , ed i più importanti monumenti d’ arte che servono alla storia delle famiglie. La curiosità dell’erudito può cavarsi molti gusti nelle tavole e nei rami che accompagnano ogni fa- scicolo , e mi pare che anco il buon uomo ci si possa di- vertire. I fascicoli sino ad ora pubblicati ascendono a 19 e costano in tutto 350 franchi, ma chiunque voglia avere ì fascicoli di una o due famiglie soltanto, senza dare il nome all'opera, il puo liberamente. Il perchè ho creduto far cosa grata ai lettori riportando in fine del presente articolo la lista de’fascicoli pubblicati coll’indicazione del prezzo di ciascuno di essi, Da quella i lettori rileveranno eziandio non essersi legato l’autore all’obbligo di seguire alcun ordine alfabetico nelle sue dispense. Il che vuolsi creder fatto per ottime ragioni Negli alberi genealogici sotto al nome di ciascun in- dividuo lA. pone succintamente la biografia, e ne dà quel giudizio che ogni uomo dabbene dopo la cognizione de’fatti vorrebbe pronunziare. Potrei riferire i gindizi intorno ai = 51 Visconti agli Sforza ai Medici al Magno Trivulzio jed a Baldassar Castiglione per rincalzare ciò che dico della no- biltà de'principii del Litta, e dell'ottima intenzione morale e civile che mi sembra scorgere nell’opera sna. Ma se come avrei intenzione tornerò a parlare in particolare dei fascicoli del Litta, farò allora quello che di presente tra- scuro per studio di brevità. Frattanto dirò solo che la gra- vità dello storico e la carità del cittadino appariscono tal- mente ne’ rammentati luoghi, che chiunque voglia aver tanta fiducia da muoversi a riscontrarli, metterà giù il sospetto che il Litta abbia voluto erigere un monumento di vanità. Da un altro difetto in che sono spesso caduti i genea- logisti il nestro autore si è saputo guardare , vo’ dire dal fidar troppo nelle analogie de’ nomi, nelle tradizioni vol» gari , o in certi documenti domestici che non han sincero carattere di autenticità. Esso la saviamente stimato, che il bravo uomo che intende servire alla storia non dee am- mettere altre testimonianze se non quelle che secondo la: sana critica si reputerebbero sufficienti a stabilire la moral certezza di un fatto in un pubblico giudizio, senza pre- sumere di far chiaro ciò che per mancanza di documenti sembra destinato a rimanere involuto nelle tenebre. Il qual metodo, se da un canto fa malcontenti quelli che vorreb- bero i genealogisti o visionarii o adulatori, dovrebbe però riconciliare coll’ opera del Litta coloro che stomacati della servilità degli antichi nutrono un certo disprezzo per le opere genealogiche. Avrebbe poi arrecato confusione in fan” pera simottica il porre le citazioni delle autorità ad ogni momento; però autore ha meglio divisato di indicare nella prima pagina di ciascun fascicolo i libri da lui consultati , dicendo qual fede storica gli son sembrati dover meritare. Dove pvi gli accade citare degli atti autentici, il fa brevemente al luogo preciso in cui si vale della loro antorità. Le ricerche ch'esso ha fatte per rinvenire il vero sono state grandissime , ma è da dolersi per l’Italia ch'e’ sia stato secondato raramente da quelli cui si è rivolto per aver notizie e comunicazione 59 di documenti . Rimetto alla prudenza de’lettori i commenti che si potrebbero fare su questa trascuratezza. Ma già mi par quasi intendere alcuno che mi dica ami- chevolinente all’orecchio: se le persone che avrebbero avuto maggiore interesse al successo dell’ opera si son mostrate per quanto dicesi quasi indifferenti, cosa volete che im- porti a noi sapere come tali o tali altre famiglie celebri d’Italia abbiano acquistato rinomanza? Noi vogliamo bensì conoscere la storia generale d’Italia, ma in tanta molti- plicità di libri che ci occorre leggere per starcene al comun livello del sapere, ci manca proprio il tempo per consu- marlo in legger semplici biografie. — A questa naturale obiezione, che sino ad un certo segno spiega come nel se- colo presente l’opera del Litta non possa avere l’ istesso numero di lettori che avrebbe avuti in altri tempi , si vuol peraltro rispondere, esser la storia delle famiglie celebri d’ Italia argorrento degno dell’ età nostra , come quello che offre molte quistioni non peranco abbastanza chiarite dagli storici, e per le quali crederei che l’opera del Litta potesse esser di giovamento a chi si ponesse a studiar di proposito la storia morale e civile d’Italia ne’ tempi di mezzo, Con- ciossiachè nella moltiplicità delle quistioni che si affollano alla mente di chi legge i nostri storici italiani, giova as- sai aver delle opere o cronologiche o genealogiche che ri- chiamino l'attenzione, sempre facile a divagarsi, a quella precisione de’ particolari che ad ogni modo si richiede nelle opere sturiche, qualunque sia poi lo scopo primario dello scrittore. Non saranno dunque gli eruditi quelli che avran ragione di disprezzare le fatiche del Litta, e per me credo che in tutte le pubbliche biblioteche dovrebbe trovarsi un esemplare dell’opera sua, essendo una di quelle che molti possono aver bisogno di riscontrare. Ma da che gli è per- messo comprare un fascicolo o due senza astringersi ad acquistare il resto, parrebbe che certi fascicoli dovessero trovarsi anco nelle librerie le più ristrette de’ privati , es- sendo frequenti le occasioni nelle quali anco chi non fa professione di lettere, brama saper con sicurezza la storia particolare delle famiglie che han retto i destini dello stato 53 a cui appartiene: Tanto più desidererei questo sùecesso al. l’opera del nostro A., in quanto che molti pregiudizi vol- gari , accreditati anco dai più noti scrittori , sono da lui egregiamente combattuti. Per le quali cose, benchè capi- sca che un’opera tanto costosa e di un oggetto speciale non possa esser comprata da molti , rimango maravigliato che abbia ‘tanti pochi assowiati quanto al presente ne conta in Italia. Il perchè giungo petsino a sospettare che. sieno molti i quali ne ignorin tuttora l’esistenza , ed altri che l’ abbian giudicata dal titolo secondo i pregiudizi che ho indicati in principio, senza degnarsi di leggerne parte al- cuna. Perocchè non potrei senza gravissimo dolore confes- sare che gli studi delle cose italiane richiamati in onore, dopo cento cinquanta anni di vergognosa non curanza dal Maffei e dal Muratori, continuati da quelli che sono a noi maggiori di senno e di età , sembrassero negletti dalla ge- nerazione crescente, nella quale sta il bene ed il male fu- turo d’Italia. Confessione siffatta ci esporrebbe al ludibrio. degli stranieri, spezialmente francesi e tedeschi, senza che ingegno di retore magnificando le nostre miserie potesse bastare alle nostre discolpe , e giustificherebbe poi a pieno i rimproveri che con modi più o meno gentili, ma sempre con amor sincero del pubblico bene, i nostri maggiori ri- ‘wolgono contro di noi, siccome contro una gioventù intenta più a far chiasso con massime generali e icon astrazioni non meno inutili che intolleranti, che a.studiar con fon damento i principii della prudenza civile, ed.a procacciare i mezzi che favorir debbono in ogni parte il perfeziona- mento sociale. Ma dando un’ occhiata ai cataloghi. delle, opere o originali o tradotte che sortono continuamente la luce e si vendono, e perciò bisogna suppor lette da qual- cuno , possiamo rimanere in qualche modo assoluti da co; tali accuse, che forse non sono senza alcun fondamento di verità. Però tengo per fermo, che se l’opera del Litta è sta- ta curata men del dovere, ciò dipende o dall’esser poco nota ( un solo giornale iufatti ne avea parlato in Italia ) o dal- l’esservi stati pochi che abbian voluto. riflettere. all'im- portanza dell’argumento. Prendendo a parlare di quest’ul- 54 timo punto, mi rivolgerò più alla volontà che all’intellet- to, perchè le osservazioni che sono per fare mi sembrano così ovvie, che chiunque. voglia pur un momento riflet- tere possa fare altrettanto e molto più. Premetto pertanto una cosa notissima, che, non tutte le famiglie che godono in Italia un gtado privilegiato di civile onoranza son da reputarsi celebri, ma che per lo con- trario non sono famiglie celebri o per civili magistrati o per gloria militare o per onore di lettere, le quali non fac. cian parte di quella che al presente con abuso di parola direbbesi aristocrazia italiana; però sponendo la storia delle famiglie celebri si viene a compire in qualche modo quella più importante della nostra aristocrazia nei tempi delle repubbliche italiane, Perchè, fatta sempre eccezione del re- gno di Napoli, mi pare che in tutte le altre parti della nostra penisola l’ origine della aristocrazia sia piuttosto ci- vile che feodale o imperiale. Civile fu senza dubbio a Fi- renze a Genova ed a Venezia, nelle quali città l’ antica ricchezza , i sostenuti onori repubblicani ed il favore delle sette popolari, han dato lustro a quelle che si son dette di poi nobili famiglie. Potrebbe forse credere alcuno che nelle città di parte ghibellina si dovesse stimare il. con- trario, ma poichè nel XIII secolo la libertà delle città italiane vinse dappertutto il poter feodale e ridusse gli an- tichi signori a domandare la protezione delle repubbli- che , ed a cercare nelle fazioni di quelle nuovi mezzi di salire al potere ; così mi pare che in ogni caso si possa dire essere stata civile 1’ origine della moderna aristocrazia italiana, e doversi considerare la sua storia come parte im- portantissima della storia morale e civile della libertà ita- liana. Due osservazioni di fatto potrebbero avvalorare que- sta sentenza. Perocchè i miei lettori converranno di leggieri essere stata la nobiltà italiana la meno militare di tutta 1’ Europa, e la sua storia trevarsi più ne’ governi e nelle fazioni re- pubblicane che nelle cose della guerra, le quali, come ognun; sa, tengono un luogo secondario nella storia interiore d’Italia ne’ tempi di mezzo. Di ehe ne segunitava un certo livello 5 (5A5 ‘nelle ‘affezioni, nelle idee e negli interessi delle diverse classi che costituivano allora la nazione italiana, Così lad- dove nel resto di Europa si vedono i nobili. valenti solo nelle armi, e nutriti di idee cavalleresche, spregiare i bor- ghesi e la plebe, tenere a vile il commercio e l’industria, non aver parte nel progresso delle idee , nella cognizione delle leggi e dell’arte del governo , in [talia per lo con- trario si scorge una certa comunanza di vedute su tutti questi articoli fra gli uomini di tutte le condizioni. La cultura dell’ingegno era del signore e del semplice citta- dino, e per le vie del commercio, dell’industria e del traffico del denaro si arrivava alla grandezza , essendochè per le testimonianze degli storici fosser rari in quei tempi i possessori di lati fondi, specialmente nelle repubbliche di Firenze di Genova e di Venezia. D° altra parte quella famigliarità nelle relazioni de’grandi col popolo, quel. l’uso frequente de" soprannomi attribuiti anco alle persone di maggiore stato, quella gran libertà di discorso , quel- l'influenza grandissima di un motto piacevole o di una risposta spiritosa , alla quale si piegava talvolta la stessa gravità dell’inquisizione, questi fatti io dico de’ quali i novellieri ci forniscono ampie testimonianze , mostrano apertamente essere stata allora ignota in Italia quella linea di severa separazione fra i nobili e la plebe, che presso gli altri popoli divideva la nazione in due parti, le quali avean piuttosto di comune gli odi scambievoli, che il sentimento di possedere una stessa patria, di esser legati ad una stessa religione , di dover usare una leuge comune di benevolenza e d' umanità, Cotali differenze fra l’ aristocrazia italiana e quella delle altre nazioni, non ebbero, io credo altra origine se non che l’esser gli italiani per la maggior parte ridotti nelle città nelle terre e ne’ luoghi murati, dove si gode- vano libertà della persona, e piena proprietà degli averi, dettavano da sè le proprie leggi, ed oltre la protezione de’co- muni magistrati eran sostenuti dalla setta o dall’arte cui eran ascritti. In siffatto stato dicose la cognizione dell’arte di con- dur gli uomini ai propri voleri, di affezionarsi le persone coi benefizi colla protezione e con i consigli, il savio accorgimen- 56 to nel farsi benevoli gli autori de’progressi dello spirito uma- no , l’estese parentele, e la prudenza civile nel governo degli affari , erano i soli mezzi di. venire in potere ed acquistare un nome perpetuo alla propria casa j ma tutti questi mezzi no@ potevano mettersi in opera senza che ne risultasse una certa egualità fra i eittadini, ed un certo livello nel movimento morale della nazione. Onde ne ve- niva che le lettere, la legge, il elero, il.valor militare, la ricchezza assai più che la gentilezza de’ natali, che in molti luoghi era sospetta, facevano strada al potere, e ' stabilivano delle relazioni di famigliarità di gratitudine e di benevolenza fra gli uomini nuovi ed i signori antichi. Di che mi pare se ne abbia anco una pruova filologica nell’uso degli scrittori, i quali si servono della parola ger- tiluomo più per denotar quelli che vive nobilmente ed ha avuta una scelta educazione, che pes indicare la nascita da parenti già illustri. Ora dove la potenza dell’ ingegno è cagione di maggioranza sociale, dove una classe di per. sone non spregia l’altra, dove la classe che potrebbe dirsi aristocratica si va sempre rinnovando, ivi mi pare debba dirsi essere un’ aristocrazia civile di gran momento nella storia delle repubbliche , come quella che possa mostrare per quali vie gli uomini sieno facilmente illusi e guidati ad un fine diverso assai dai loro disegni. Se agli uomini di quei tempi vogliamo applicare le nostre idee astratte di giustizia, ne riesciremo sdegnati per la moltiplicità dei tradimenti, per la doppiezza di che può oscurarsi la memoria di quelli che ottennero allora mag- gior celebrità. Ma se poi vorremo riflettere che per giu- dicare della moralità delle azioni degli uomini, è d’uopa riportarci ai tempi in che furono commesse ; e che nella moltiplicità de’mali di che il mondo. morale è ripieno sti- masi un bene il male minore, saremo più ritenuti nei nostri giudizi ; ed allora la potenza della volontà e le forze della mente, onde ne risulta un gran movimento sociale, ci incuteranno maggiore rispetto , e sarem men difficili a consentire che vi fossero virtù negli uomini che giunsero ad inalzarsi al di sopra de’loro concittadini, Dovrebbe es- E) ser pet noi un salutare avviso l’osservare, che gli psc più vicini aglî avvenimenti chiamano valenti e virtuosi, non i soli cittadini che: difendevano, la libertà. ,, ma, quelli eziandio che serano acquistata la signoria della patria, comecchè senza dissimulazione , senza tradimenti, e senza proscrizioni civili questo posto non si potesse oitenere, Man- eò forse in quei tempi ogni idea di giustizia ?. avea forse credito allora la: violenza? Mainò, Gentili erano, i costumi, rispettate le proprietà, sollazzevole il modo di vivere, e le pene pei delitti di stato più spesso di confine o di denaro che di morte, Le quali cose non: sembrano. poter esser senza idee di giustizia, senza idee d’ordine, che alla fin fine son più figlie dello stato delle cose che delle meditazioni de- gli uomini. Ma quei versi di Euripide che Cesare soleva ripetere con diletto: Si vio/andum est jus, Imperii gratia violandum est > aliis rebus pietatem colas (Svet. in Caesar. cap. 30 ) aveano dall’universale una tacita approvazione, ed appo di un popolo nel quale era grandissima in tutti l’am- bizione del potere, lodavasi come valente l’uomo che! giun- geva al fine desiderato da tutti. Disgraziatamente ovun- que si è voluta la libertà politica come un mezzo di con- tentare l’ ambizione anzichè come garanzia dell’ ottimo vi- ver civile, si son veduti effetti analoghi e si sono avute le stesse idee intorno alla giustizia sociale; Ma la crudeltà gratuita , l'oppressione del popolo , la sordida ayidità del- l'altrui denaro, erano in quei tempi altamente disappro- vati , e si sapeva anco allora esser dovere in tali casì la resistenza. Basti l’ avvertire che sino ai tempi del Boccac- cio la memoria di Eccelino da Romano era per tutta Italia tema di eseerazione popolare, per persuadersi che si sapeva far ragione dell’ ingiustizia, Insomma, quelle regole che abbiamo anco al presente nel lodare i conquistatori, è pro- babile che sì applicassero allora a chi riesci\a a signoreg- giare la patria. Di che forse alcuni diranno: le dottrine di diritto pubblico che \avean eredito in quei tempi esser le mille miglia lontane dalle nostre, .e gli avi nostri aver avuta la libertà senza le dottrine liberali. Nondimeno il maggior male non consisteva nella mancanza di principii T. XXXIII. Gennaio, 58 2 speculativi conformi alla natura de’liberi governi, i quali sono per sè stessi semplici e suggeriti dal fatto; ma nel- l’avere assunto per principio di diritto pubblico un fan- ‘toccio dell’immaginazione, vo dire il gius dell’ imperio ra- ‘mano. Stimavano gli italiani il fonte della legittimità, la ‘maestà sovrana trovarsi nell'imperatore, comecchè di fatto non ne esercitasse i diritti; ed il reggimento municipale , benchè avesse avuto principio dalla forza e colla forza fosse stato sostenuto, reputavano un privilegio un’esenzione divenuta legittima, non pel volere de’ popoli, ma per l’au- torità che l’ avea raffermata coi diplomi. Siffatto modo di considerare il diritto pubblico come una emanazione imperiale, tolse alle dottrine opposte la for- za di nascere, e di aggiungere al fatto della libertà 1’ in- flnenza che ha sempre un sistema dominante di idee. Il perchè la lotta delle città contro i feudatari. cessò dopo che desse si credettero sicure , e le guerre contro l’ impero se ne stettero nei confini della necessità di difendere le franchigie ottenute : così si pensava virilmente a man- tenere lo stato, ad estendere il territorio ; ma non mai ad escludere ogni principio di diversa dominazione . Queste idee, che bisogna confessarlo, aveano in sè un fondo di pro- bità, la dettero vinta alla fin de’ conti all’ impero ed alla aristocrazia. Poichè gli imperatori approfittandosene ne’loro bisosni, trovavano modo di intromettersi nelle cose italiane ‘cavando denari dagli stessi potentati d’Italia ; ed i signori valendosi della potenza ch’era loro rimasta nelle campagne, più facilmente riescivano a ‘mescolarsi nelle fazioni delle ‘città, siccome sotto il pretesto delle ragioni imperiali fa- cevano legali l’ usurpate signorie , o pretendevano giuris- dizione nelle libere città. Saranno forse alcuni i. quali vorranno imputare a colpa della parte ghibellina, d’ aver contribuito a mantenere in Italia la larva dei diritti im- periali ; ma crederei che quelli fosser piuttosto il pretesto che il fine de’Ghibellini, i quali certo non pare che aves- sero intenzione di sostenere il dispotismo o di metter l’Ita- lia nella soggezione di Lamagna, Mi si opporrà forse il libro De monarchia dell’ Alighieri. Ma oltre a che cotesto 99 non è libro del tempo in cui veramerite bollivano quelle fazioni, appar manifesto che Dante ha voluto piuttosto esporre le proprie idee , che il pensare comune di tutta una parte. i’altro resto poi, i ghibellini non erano i soli a credere ai diritti dell’impero ; li credevano egualmente i guelfi , li sostenevano i giureconsulti , li vagheggiavano col- .. l’immaginativa iletterati, gli ammetteva per forza di tradi- zione il popolo. Gli uni e gli altri, secondo che credo, gra-- divano mantenersi più che potevano indipendenti di fatto dal: potere imperiale ; nè il popolo gli avrebbe donato il reggimento municipale, nè i grandi, che volentieri facevano i procuratori dell’imperio; avrebber poi voluto sottomettersi ad un potere dal qualè ssi eran sempre voluti francare. Difatti, la libertà dell’aristocrazia, rispetto al potere o regio ‘0 imperiale avea avuto principio sino dai tempi de’ lon- gobardi, sicchè inè i re lombardi , nè i francesi, nè gli italiani, nè i germanici non }’ avean-mai per lungo tempo dominata , nè erano stati mai veramente potenti per forze italiane. Ora questo. spirito di indipendenza dal poter cen- trale ch'era stato proprio de’grandi; che fu poi de’ comuni, del quale si han sicure vestigia sotto i longobardi, e forse se ne potrebber trovare anco ne’ tempi romani, era tal» mente radicato in Italia, che mal si potrebbe supporre es- sere stata intenzione di distraggerlo in una intera fazione che potè trionfare in buona ‘parte d’Italia; almeno gli effetti che seguitarono la vittoria non son-tali da confer- mare siffatta opinione. Qual potè esser: dunque la vera di- visione delle opinioni fra i guelfi ed i ghibellini, da ché non sembra potersi ammettere che quelle parti non abbiano avuto altro principio che una questione di persone? Sarà ella forse una diversa maniera di pensare intorno alle re- lazioni fra il Sacerdozio e l'Impero? o pure sì limiterà ad una lotta contro l’ aristocrazia che vuol ristringete in pochi il governo, o cercare nel governo civile un compenso alla scemata potestà feodale? Cotali questioni storiche , ch’ io sappia , non sono state ancora risolute , nè in altro modo sodisfacente a pieno mi paré che sia stato spiegato uno de’ punti i più oscuri e de’più importanti della storia ita- 60 liana. @ra se le vricerche intorno «alla storia. particolare delle famiglie fornissere,:sictome forse il potrebbero, de’nuo- vi dami in questione di .tarito momento, questo solo baste- ‘rebbe a farle largamente apprezzare. Ma ‘se da una parte i pregiudizi intorno alle piagioni imperiali giovarono ai disegni dell’aristocrazia., dall’‘altra la violenza delle private passioni che agitarono le repub- bliche ‘favorirono assai più la dittatura ‘ell .il principato, ‘Stimo noto ‘a «tutti che negli uomini dell'età di mezzo l’ amor della ‘vendetta , ‘lo spirito di famiglia e di reorpo prevalevano sovente alle regole della ‘coscienza ed ‘all’au- torìtà delle leggi, talchè spesso si ‘vede :la forza pubblica cedere alla privata, e le fazioni*e le sette allontanarsi dai modi civili per seguir quelli di proscrizione e talvolta di sangue, H perchè inè la pubblicità de’ giudizi, nè le forme di libera discussione, nè quelle di libera elezione de'magistrati, mon :poteron mai introdursi:nelle repubbliche îtaliamte, mia *fu ‘mestieri ‘affidare ad un :ipotestà forestiero I’ amministrazione >della giustizia; aver ;jper principale esecutore ‘vin ‘bargello forestiero, uomo estraneo alla «carità di'‘eittadino e per lo ipiù:ad ogni senso di umanità: fores- tieri si sebbero*i capitani , forestieri i soldati, e per ultimo volendo ‘un :poco «ili (pace isi dovette ricorrere spesso alla dittatura. ‘Questi bisogni dello stato sociale detter. campo agli antichi signori di metter mano.al governo, e ‘temendo le pratiche secrete affezionarsi le principali famiglie e mantenersi nella îsiguoria. delle repubblicha:; siccome dal- l’altro canto favorirono i disegni:de’vescovi e de’ cittadini ricchi, i quali mostrandesi come mediatori a poco a poco sì facevan signori ; eosì :anco gli uomini nuovi fondavan la potenza:della propria casa. Peraltro le città che si rac comandavano ad un signor forestiero intendevan ricevere un capo «del governo, un mediatore:fra le parti ed un'tu- tore anzichè un padrone., e «ciò reputavano potersi fare senza perdita della libertà. Ma la distinzione de’ poteri le- gislativo esecutivo e giudiziario, che ai mostri tempi «sap- piam fare con tatita precisione scientifica, era mal nota. al- l'Italia , siccome pare che lo fosse alla Grecia: ed ‘a Roma; ba di che se in Grecia i tiranni ne @bber-più facile la via al potere assoluto , «se il dispotismo ‘degli imperatori ‘pomani ne riuscì più ‘rovinoso;; non è da maravigliarsi ‘se anco ii signori d’ Italia ne avessero !favore per :fiuscire ad un ‘fine diverso da quello voluto dai popoli ‘nel «raccomandarsi «al loro governo. :Che se ipoi si «potesse dimostrare , la .confu- sione de” poteri essere nn mancamento.quasi inevitabile di tutte le democrazie :non rappresentative ciò solo basterebbe a mostrare che la democrazia pura è la meno adattata di tutte le forme di libero governo a !far:perpetna la libertà, così molte esagerazioni fantastiche «delle persone dabbene potrebbero esser ridotte al loro giusto valore , e la que- stione scientifica acquisterebbe -un’:impottanza ‘anco mag- giore di quella che tutti le concedono . Ma. prescindendo dalla quistione sperulativa , ve ne ;è una storica «che im- porterebbe ‘assai di ben definire; «essa. consiste nell’esporre come la signoria di un particolare potesse stimarsi.compa- tibile colla libertà, o :in altri ‘termini qual fosse d’indole politico-morale della dominazione de’ signori iitaliani. !Le diffiroltà che provavano nel. conservarla , le frequenti ri- volte e lo spirito repubblicano che «li :tratto -in stratto si vedeva risorgere pruovano a:mio credere .che quella non era la signoria degli istolti nè de'vili,:ma.che si-sosteneva per la potenza idell’ingegno e della.-volontà. Le arti l’.in- dustria e le ‘lettere, comecchè:con diverse \proporzioni , crescevano ‘egualmente e. sotto :la;dominazione de’ grandi e sotto le ‘repubbliche ,.e:peritutto trovavasi una profonda cognizione de’più seereti ;nascondigli del cuore umano, che nei ‘tempi :a noi più vicini;sirè saputa: più presto ;ammirare che:eguagliare. Questa «cognizione. eva | forse. maggiore ‘negli oligarchi e sei tiranni che nelle repubbliche democratiche, da che :si .vedon . quest’. ultime sempre ; peggio ‘servite dai capitani «forestieri, benchè «e pagassero più largamente, .e con maggior religione ‘osservassero' la data fede. Però nélla storia morale e politica d’Italia, una -giusta definizione. di quella :specie «di princjpato:che ‘aveano acquistato tante: fa- miglie italiane. potrebbe -far meglio. conoscere cosa fosse Ja libertà italiana , e-quali prineipii di dititto pubblico 6a fossero allora comunemente ricevuti, Avvi iaa frase del Machiavelli che potrebbe servir di testo ad una tale disa- mina, poichè parlando esso degli svizzeri , dice ch’e’godo»- no libera libertà. Ora chi sa he codesto modo di dire non, abbia relaziune col modo di considerare la libertà che nei tempi di mezzo era comune alla nazione italiana ? Comun- que ciò sia mi pare, che il ricercare con minutezza }a sto- ria delle famiglie che han dominato potrebbe fornire qual- che nuovo lume per un tal punto di stotia. A_me si do- manderà forse se l’ opera del Litta offra di fatto alcan lu- me su questo particolare, ma ad nna tale inchiesta mi ri serbo di rispondere quando discorrerò in particolare dell’ o- pera del chiarissimo autore. Frattanto ,: siccome siamo in propor questioni dalla ri- soluzione delle quali potrebbe risultare un’ idea più ade- guata della libertà d’Italia ne’ tempi di mezzo, ne indi- cherò un’altra, che sebbene non sia rigorosamente compresa nel nostro tema, pur non ostante può con esso utilmente congiungersi. Intendo parlare delle relazioni fra le città dominanti e le città e le terre soggette, le quali siccome non avean parte nella repubblica, potrebber credersi morte per la storia della libertà italiana, secondo quel vecchio aforismo, che è più oppressivo il dominio delle repubbliche di quello non sia Ja conquista fatta da un monarca. Pure non cre- do che in Italia una tal sentenza, qualunque sia poi in astratto ii suo valore, venga confermata dai fatti . Scar- sissimi, ed in alcuni tempi quasi nulli erano i tributi che le città sottoposte pagavano a quelle che ne tenevano la signoria, levandosi i denari pel bisogno dello stato dagli averi e dai consumi de’ cittadini della dominante; in tutte eransi conservati i propri magistrati, l'autonomia; ed il reg- gimento municipale, che manteneva un simulacro di re- pubblica. Ma dall’ altro canto i cittadini della dominante costituivano, rispetto a quelli delle città sottoposte, un’ari- stocrazia privilegiata in certi principali uffizi ed in alcuni interessi patrimoniali. Difatti essi soli potevano essere eletti all’amministrazione della giustizia nelle terre sottoposte , ‘ 63 ‘non erano legati dagli statuti del luogo inferiore, e per lo più godevano il privilegio del foro per tirare alla domi- nante i litisanti sudditi con molto loro disagio, Insomma, la Hompidiione talvolta era dolce e tal idea violenta , e | guidata quasi da principii che diresti machiavellici. Nondi- meno, quello spirito repubblicano ch’era nella dominante ri- trovavasi nelle municipalità sottoposte; il che non possia- mo negare quando leggiamo essere stato proverbio de’Fio- rentini Pistoia doversi tener colle parti e Pisa colle for- ‘tezze ; quando osserviamo nel secolo XV Volterra con altre terre prender le armi contro la repubblica per la novità del catasto; e le città del veneto nel secolo XVI desiderare anzi favorire il ritorno della dominazione veneziana nella guerra che seguitò la lega di Cambrai; finalmente quando leggiamo sempre usata una forma onorevole nelle lettere indiritte ai rappresentanti delle città inferiori, Su questo importante te- ma si son già dette alcune cose generali, e si sono fermate alcune distinzioni, che sono anco nelle leggi, fra i diversi patti di accomandigia e di dedizione; ma troppo resta an- cora da fare perchè ne risulti un’ adeguata risposta. Non mancano in vero i documenti già pubblicati, gli spogli degli inediti che possan servire all’ uopo; non siam nep- pure in difetto di storie municipali ; ma a cavarne con sana critica la sostanza non basterebbero forse le fatiche di un sol uomo, non dirò per tutta l’Italia, ma nè manco per la sola Toscana, che in questa parte sembra meritare una mage giore attenzione. Il perchè si desidererebbe un’ associazio - ne come quella delle iscrizioni e belle lettere di Francia; ma quando anco un tal disegno potesse avere effetto nel tempo presente, vi sarebber sempre due forti ostacoli da vincere , vo' dire , i miseri avanzi de’ pregiudizi munici- pali, e le seduzioni della rettorica, le quali benchè fan- cinllesche non sappiamo ancora abbastanza disprezzare . Pure dalla cognizione dello stato delle provincie ne po- trebbe riescire una certa misura della civiltà e delle idee di giustizia delle dominanti, e potrebbe aprirsi luogo ad un confronto fra le nostre repubbliche e la romana , ìche si trovò in circostanze presso a poco simili ; ne escirebbero firse dei lumi per la retta definizione del concetto giuridico. dél principato italiano, che probabilmente avea una qualche analogia col dominio delle città; e si potrebbe finalmente congetturare quali sarebbero state le sorti d’ Italia se Pil. lustre dinastia Sveva non avesse avuta contraria la fortu- na » Peroechè , siccome gli imperatori Svevi non avrebber potuto ancorchè trionfanti distruggere il rezgimento mu- nicipale , e perciò. per fare le leggi per avere momini e denari sarebbe stato loro mestieri cercare il. consentimen- to del popolo e de’ magnati, 1’ [talia avrebbe avuto degli ordini politici simili a quelli d'Inghilterra, ma con maggior re autorità concessa alla democrazia. Dante stesso, che forse è stato il più acerrimo fra. tutti i difensori della so- vranità assoluta dell’ imperio, ritiene nel suo sistema gli erdini e gli usi municipali, e } aristocrazia, di che mi pare ne dovesse seguitare l° effetto che andava figurando- mi. La qual congettura, dove potesse esser rincalzata con più validi argomenti, farebbe ragione di quelli che van di- cendo i guelfi essere stati i liberi ed i ghibellini servili ; cosa più facile a dirsi. ehe a potersi dimostrare. Farei torto ai miei lettori se lî supponessi ignoranti di ciò che contiene di importante siffatta questione . Voglio tornare piuttosto a dire alcuna altra cosa del dominio delle repub- bliche italiane sopra le città e le terre minori. Per una repubblica 1’ aver de’ sudditi non cittadini , il so, è cosa che contraddice al suo principio e ne eor- rompe la giustizia; ma quando la fortuna non avea ancor suggerite le forme del governo rappresentativo, quest’ era un’ inevitabil conseguenza del bisogno d’avere un esteso territorio . Il che fornisce a mio credere un argomento di più contro le democrazie pure, le quali però sono state piuttosto sognate dai filosofi che messe in pratica da' po- poli alquanto civili. Perchè se l’ universalità de’ cittadini in Italia era considerata sovrana quanto all’ ordinare o al mutare lo stato , non mai vera chiamata al «governo ; € sotto le forme più larghe di reggimento della repubblica finrentina; la più democratica fra tutte , mon si sono con- tate mai più di otto o novecento persone aventi diritto 65 .d’intervenire al consiglio generale. Per tutto poi si vede. varo le città privilegiate sopra le campagne, e nelle città stesse certe persone scelte a prender parte nella repub- + blica, e cert altre esc'ause. Que!lo che importa conoscere si è con quali mezzi si potesse acquistare la cittadinanza col voto , e si doventassè cittadini optiizo jure. Se questi mezzi erano aperti a tutti, se Ja cittadinanza si poteva acquistare avco da quelli che per avventura non erano nati nella ciità; è d’uopo convenire che la libertà italia- na avea maggior forza e maggiore estensione di quelio che comunemente si estima. Ma su questo proposito vediamo che le leggi ch’erano molto facili io principio si andaron sempre strirgendo; il che, siccome si veile procedere colla stessa proporzione in Grecia ed in Roma, (1) pruova sempre più che senza le forme del governo rappresentativo la de- mocrazia è un’ illusione, che alfin de’conti riducesi all’ari- stocrazia ed al privilegio. Rimangono però sempre tre bei fatti della storia delle repubbliche; cioè un gran livello nel comune pensare delle diveise classi della nazione, una giusta proporzione dei pesi dello stato col godimento dei diritti civili, e l’inverzione del credito pubblico come mezzo di supplire a gravissime spese straordinarie, senza rovinar Je fonti della ricchezza nazionale , e di. repartire equamente i carichi dello siato fra le diverse generazioni che ne sentono i vantaggi. Sotto questi tre punti di vista la condizione sociale degli italiani era in quel tempo di gran lunga superiore a quella de’ popo'i dele monarchie europee . Le quali cose se avesse considerate Gu'zot, non avrebbe trattata con tanta leggerezza nel'e sue lezioni al- l’Ateneo la parte italiana della storia moderna ; di che è da dolersi, poichè sebbene i francesi possano leggere la Sto- ria delle Repubbliche italiane del Sismondi, che è forse stato il primo fra’ moderni ad esporre le cose nostre con soda filosofia e con sincero amore della civiltà iîaliana , pure (1) Di Roma a prima giunta non tutti converranno, ma se poi rifletteranno altra esser la cittadinanza veramente attiva. ed altra la puramente nominale, al- lora non parrà più ch°io abbia detto uno sproposito. T. XXXIII. Gennaio. 9 66 siccome il professore dell'Ateneo è serittore di moda ed of- tre a’suoi docili uditori delle fòrmole compendiose di stò- ria ideale , che li francano dallo studiare la storia certa , suol esser facilmente creduto .. Perchè spero le lezioni di Guizot lette in Italia faccio questa nota ‘critica senza: in- tender detrarre cosa alcuna alla stima dovuta a quel ge- neroso scrittore. Tornando in un prossimo fascicolo a ra- gionare delle lezioni di Guizot, dirò con maggior chiarezza quale specie di utilità creda potersi ricavare da chi voglia leggerle . Ora mi conviene mostrare il rovescio della me- daglia nella storia dell’aristocrazia italiana , ed esporre la mia congettura intorno ni gue sorio dell’ opera del Litta. Un periodo veramente calamitoso di 36 anni (r494 al 1530 ) nel quale non furon minorî le forze che spiegò la civiltò italiana delle miserie che ebbero i nostri a soppor- tare , segna il confine della gran mutazione politico-mo- rale accaduta. nella nazione italiana , e che ce la mostra poi nel XVII secolo quasi mutata in una diversa nazione, Di questa rivoluzione spaventosa, che sortì l’effetto di ab: bassare una civiltà che sino quasi al finire del XVIII se- colo non ebbe l’ eguale fra _le moderne e può gareggiare colle più celebrate fra le antiche, aceennerò soltanto gli effetti che rissuardano la condizione sociale dell’aristoera- zia. Nel che mi duole di dover ripetere Je accuse contro una nazione generosa che ha avuto coll’Italia comuni sven- ture; ma poichè gli è un fatto che a lei si devono molti pregiudizi non meno gofli che calamitosi, la sincerità della storia mi toglie la libertà di tacere. L’ozio , il fasto, la vanità de’ titoli senza le cose, le ridicole quistioni di precedenza, l’adulazione, sono vizi che la nobiltà italiana acquistò pel commercio e poi per la soggezione alla nazione spagnola. L’Ariosto ne nota l’ori- gine in que’ suoi notabilissimi versi (Satira III.) Signor dirò ( non s° usa più fratello Poiché la vile adulazion spagnuola Messe la signoria fino in bordello ). 67 Signor (se fosse ben mozzo da spuola ) Dirò fate , per Dio, che monsignore . Reverendissimo oda una parola. il che procedette gradatamente nel XVI secolo sino al se- gno che il conte d’Olivares nel 1559 ( Muratori ad ann.) mandò fuori una legge in Napoli che proibiva l’uso de'titoli superlativi, la suale ebbe la. sorte di tante altre leggi spagnuole, Fatto sta che quella piacevolezza di costumi , quello spiritoso conversare, quella bella famigliarità degli italiani de’ tempi di mezzo andò quasi a cessare ; solo ri - masero le burle spiacevoli e l'uso de’ buffoni, che avvili- sce chi ne è il soggetto, e fa piccolo e meschino d’animo e d’ingegno chi prendendone diletto crede mostrare mag- gioranza. Della famigliarità fra i nobili e la plebe rimase soltanto quella È ame Dal che si suole avere pei consiglieri ed i ministri de’piaceri; e come si suole scherzare coi bruti per prenderne diletto, così i grandi si abbassavano alla fa- migliarità col popolo o per ridere della sciocchezza o per tro- var compagni nella comune corruzione de’costumi. La puli- tezza della persona, di che si han tante testimonianze ne’no- vellieri, cedette il loco al fasto, in tempi ne’quali si guar- dava più all'apparenza che alla realtà. Le lettere si risen- tirono delli stessi difetti ; ed i dottori della lingua colla loro autorità ci avvertono esser cogli scrittori del XVI se- colo spirata la forza creatrice de’ bei modi di Jingua ita- liana. Succedettero invero de’ migliori tornitori di periodi, e forse si perfezionò l’arte , ma il falso ch’ era nel cuore nelle leggi e ne’ costumi apparisce anco nello stile. Questo sciaurato cambiamento di costumi ‘ebbe prin- cipio come si notava nel XVI secolo, ma nel XVII appa- risce compito. l lettori de’ Promessi Sposi, il che spero vo- glia dire quasi tutti gli Italiani che leggono , lo sonoscono in molti suoì particolari ; pur non ostante mi piaco rife- rire un luogo del Litta , che torna a proposito. ‘“ Dopo gli aragonesi (so@ le parole colle quali Vau- 33, ore pon fine al fascicolo intorno. agli Sforza) gli Sforza ,» furono i primi a sparire fra i sovrani d’Italia, la quale , fu in un baleno inondata di stranieri, Il ducato di Mi- 68 »» lano, caduto nelle mani de’re di Spagna, fu consegnato s» a governatori incaricati di amministrare cou que’ modi s che sono prescritti per conservare le provincie lontane, ss quando hanro perduto i Joro principi naturali. Essi », nel'a p'ebe fomentarono l’ignoranza, perchè mansieta si. ») SOttomettesse ai preziudizi che dalla politica si voleva- », no introdurre ; alla nebiltà persnasero Vozio come vera »» prerogativa di cardore d’illusire stirpe , onde all’ anti- ca austerità , all’ antico valore subentrasse la mollezza e Ja pusillanimità ; ed al clero affidarono nnove inter- pretazioni delle Jesgi divine associandole alla scienza del governo, perchè intiepidisse il coraggio che 1’ inte- grità di queste ispira all'uomo, e perchè più facile di quelle fosse l'ammissione. Vennero meno perciò i lu- mi, l'industria, la popolazione , ” agrico!tura , ogni ele- vazione di animo , ogni ordine di viver civile; idee in- decorose formaron parte di nobile educazione, fa pru- denza l'indifferenza alle sventure , la viltà fu saviez- za, l’amor patrio fu tacciato di delirio, e la santità di una religione che il Dio «lella sapienza , della pace e del'a verità avea dato all'uomo perchè formasse Je de- lizie del cuore divenre pascolo di puerilità , stromento di persecuzione, e guida alle stravaganze della fantasia. Quando lo stato fu rovinato rimase ancora un ammasso ,, di uomini, i quali in tempi di pace retrocedevano verso s» Ja barbarie, e ne’tempi delle calamità dello stato erano »» financo incapaci di poter concepire l’ idea di amare il », loro re ,,. Amici miei, aveva poi torto quando diceva che il Litta è proprio un bravo uomo? Ora questo piccolo saggio vi pone in stato di argomentare de! resto ; ma sia detto in confidenza: se mai aveste il viziarello comune a molti di giudicare senza leggere , per carità andate più cauti per l'avvenire. Pensate che ne'tempi che corrono non si fanno enormi spese in libri, in viaggi, in disegni, senza che una qualche idea degpa della vostra considerazione volga l’autore a prender sopra di sè tanti travagli. Vedete; ciò che il Litta vi dice del ducato di Milano, disgraziatamente » 29 29 29 ” >” ” >” 99 99 »’ 39 99 ” ” ”" 69 dal più al meno fu vero quasi per tutta l’Italia, Il regno di Napoli, il quale, se si prescinda da alcunì momenti di luce sotto la dinastia Sveva e sotto gli Aragonesi, era stato sempre Ja parte pecgio governata d’Italia, sotto i vicerè non fu trattato meglio del ducato di Milano; la Toscana sotto Cosimo devoto in tutto alla Spagna ebbe a provare una reazione anco p'ù v'olenta, perchè ivi era stata gran- dissima la forza della libertà; gli altri piccoli principati cresciuti tutti ne’ titoli cedevano alla comune servitù; Ve- nezia sostenne appena sino al principio del XVII1 secolo la gloria di potenza italiana; il Papa, benchè cresciuto in potere nei suoi stati era scemato «li considerazione politica in Europa , ed i svoi sudditi dovettero risentir gli effetti della diminuzione delle entrate della sedia papale. Due soli stati avanzarono in Italia dopo il singolar rovescia- mento del secolo XVI; parlo della Repubblica di Genova, e della Casa di Savoia. La prima mercè di Andrea Dotia, l’ uomo forse il più virtuoso de’ suoi tempi , si ricompose a forma di libero governo, e godè quella felicità civile che per le pati non avea mai potuto goder lungamente nell’ età di mezzo. La casa di Savoia poi, che nell’ età di mezzo non avea avuta gran parte nella storia generale d’ Italia, sembra sorgere allora per esser il nucleo di una nuova potenza italiana. Essa sola fra tutte le dina- stie d’ Italia ha continuamente acquistato potere ed ag- giunto agli antichi nuovi territori. So che molti le fan- no debito d’ aver mal custodito Je alpi e d’ aver ser- vito gli stranieri in Italia; ma potea ella far diversamen- te? Si accusa anco di un proceder poco leale nelle rela- zioni colle potenze delle quali ora era alleata ed ora ne- mica, secondochè meglio tornava alle sue vedute. Ma che ! forse le altre potenze procedevan con maggior lealtà in- verso di lei? Belle sono invero le idee di lealtà iu poli- tica, ma fa mestieri che sieno per ambo le parti ; altri- menti vi è un certo dolo buono richiesto dalla necessità della propria difesa, del quale si varrà sempre un principe di uno stato mediocre circondato da potenze pur troppo maggiori fosse egli lo stesso Aristide, L’astuzia è un necessario 70 supplemento alla debolezza delle forze, e questo sentimento che detta la natura invano i fiolosofi spererebbero annichi- lire. Bisogna esser potenti per esser rispettati , senza di che i trattati son di poco momento; però mal mi saprei adattare a biasimar le arti di un principe per acquista- re quella estensione di territorio senza della quale non potendo esser sicuro de’ propri stati non può nemmeno giungere al fine della sovranità. E poichè a questo fine è permesso versare a torrenti il sangue degli uomini, con- fesso che non so capire come non si la usare anco del l’astuzia quando l’ uso dei politici avverte esser necessa- rio stare in guardia anco contro questo mezzo di guerra. Ma lasciando la verità al suo luogo dirò, che le arti quali che siano delia casa di Savoia pel proprio ingrandimento riescirono ad un fine legittimo e necessario alla salvezza d' Italia. Dove il principe ha bisogno d’avere i sudditi prodi e valorosi, e le casse gaie per una grande impresa, ivi deve esser anco migliore la condizione de’soggetti, più saggia l'amministrazione, e mantenuto il valore militare che non può stare coll’ avvilimento morale degli uomini, Ma negli altri stati che si godevano a modo di fattorie i principi intesero ad impoverire e ad abbassare la nobiltà. Al quale effetto e aggiunsero all’antica una nuova nobiltà scarsa di lumi e di ricchezze, e senza titoli di gloria, la quale o ven- devano o donavano secondo il loro talento; e trovaron modo di ritrarre 1’ antica dalla mercatura e dall’ industria. Il che riducendo tutta la ricchezza de’ nobili in terreni influì grandemente sulla morale delle famiglie. Perchè allora per le commende e per le primogeniture (che presero dallo spa- gnolo il nome di maggioraschi, non senza utilità dei legali che guadagnarono assai per la sola introduzione di cotesta nuova voce) si videro nelle famiglie nobili i figli minori ridotti ad un necessario e misero celibato, condur vita vile in famiglia, e la stessa viltà portare in tutte le relazioni sociali. Potrei qui riferire degli estratti di un galateo di viltà scritto al finire del XVI o tutto al più al comincia- re del XVII, che ritrovasi nella libreria Riccardiana, ma poichè bisogna affrettarsi di finire mi basta l' averlo indi- ‘cato alla curiosità de’ lettori. Se l’ ordine delle famiglie ne venne a soffrire per queste novità economiche, ‘erede- “rem noi che ne guadagnasse almeno "l’ economia rurale ? ? Un confronto dei catasti, che dal XV secolo in poi sono stati spesso rifatti dalle nostre comunità , potrebbe forse risolvere una tal quistione, Ma frattanto, e le decisioni dei ‘tribunali che ci mostrano le famiglie andar in rovina ad onta de’fideicommessi, ed il sistema di amministrazio- ne domestica e rurale che abbiamo ereditato da quei tem- pi, non permettono di supporre un grande avanzamento nella condizione delle campagne. Perciò facendo ragione dei capitali perduti nel commercio, di quelli perduti per le guerre, e di quelli che andavan insensibilmente disperden- dosi perla cattiva amministrazione: e nelle consumazioni non riproduttive, si viene a ‘spiegare come nel corso di due se- coli potesse ridursi l’Italia sì povera come la trovarono Maria Teresa, Leopoldo, Giuseppe, e Carlo III, Sotto que- sti benefici sovrani si dette mano alla riforma, e molti pre- giudizi si cominciarono a combattere, nel che alcuni mem- bri della nobiltà seguirono le intenzioni de’ principi ; ma la maggioranza degli uomini di quella classe si oppose ai benefizii che scendevano dal trono. Sono di quei tempi le commedie del Goldoni, che ci offrono in nn punto di vi- sta così umiliante la nobiltà italiana ; è di quei tempi il Giorno del Parini che ne nota con tanta severità l’ozio e la sciocchezza ; si congiungono con quei tempi le comme- die del buon Gherardo de’Rossi, che sull’idee fondamen- tali del Goldoni espone forse con qualche asprezza le nuove forme che vestirono gli stessi vizi già notati dal Goldoni con semplicità. Ma quel gran sconvolgimento di cose e di idee ch’ebbe principio dalla Francia, fece rapi- damente ciò che appena si sarebbe potuto sperare dal corso di un secolo di lente riforme, quando pure non fosse stato da temere che i principi, scoraggiti dall’ingratitudine dei popoli superstiziosi ed ignoranti non abbandonassero come disperata l’ opera che avean presa ad eseguire. Per questa via siamo giunti a quella felice mutazione di costumi nella nobiltà italiana, che ci fa parer vecchie le commedie del 72 Goldoni, ed alquanto esagerata la satira del Parini. Vi saran forse tuttora de’vigliacchi degli ignoranti e de’soverchiatori, ma e’sono, se pur vi sono, argomento piuttosto di compassione che di sdegno, E poichè sono ormai cessate le cagioni di od'oe di individia, sarebbe opera perduta il continuare le declama- zioni contro i nobili, di che il secolo passato fu ripieno ed a ragione; siccome sarebbe poco generoso il deridere la povertà dell'ingegno che più che dalla volontà mitove da una stolta educazione. D'ciamo piuttosto che il desiderio di livellarsî al sapere del secolo è o:mai comune al ogni sorta di per- sone , come si vede nelle cure che i genitori si prendono della educazione de’ figliuoi. Poichè y'i è un fatto , del quale ognuno si può accertare , che alla gioventù, alla quale venti o trent'anni fa si insegnava soltanto un po'di latino con aspri modi da maestri mal pagati e derisi, oggi si insegna la geografia , un poeo di storia, un podi ideologia, un poco di grammatica italiana, }a lingua fran- cese, e talvolta l’ inglese da maestri ben pagati e. rispet- tati. Forse i metodì saranno tuttora cattivi , forse i mae- stri più intenti a far Je loro lezioni che a dirigere le Jettnre mancheranno al'o scopo primario deli’istitatore che è di de- stare la curiosità e !° amor de! sanere; ma almeno 1’ in- tenzione di educare è manifesta , ed i giovanetti nobili che escono di sotto il precettore, si trovano assai raramente al caso di parlare a sproposito e di dovere arrossire. Ma questi giovani che da un sistema di sorveglianza passano ad un tratto alla piena Jibertà, per Jo più senza le debite gradazioni, entrano nel mondo senza speranza, senza disegno, e sollevando purtalvolta lo spirito colle poesie e coi romanzi si perdono poi nell’ozio di que'la che dicon società. A questi si vorrebbe parlare col conte Litta della gloria degli avi e dei doveri che sono aggiunti a quel nome onde non pos- sono a meno di andare superbi, Si vo:rebbe dire cosa a- spetti da loro l’agricoltura , } educazione del popolo, la scienza delle armi, che pure dovrà esser una volta onorevole anco in Italia. Nè sarebbe da tacere qual soccorso ne aspettino le scienze morali e politiche, che se non sono coltivate da chi non ha bisogno di locare l’opera sua, non so chi po- 73 trà farle avanzare in Italia. Bisognerebbe mostrare che la ltalia gli ama, e confida in loro, e volentieri ne riconosce- rebbe il primato, dove volessero prendere a cuore la causa della civiltà; finalmente sarebbe necessario dir loro con gravità senile, che non essendo abbastanza ricchi per costi- tuire una vera aristocrazia, non restan altre vie a sostenere il patriziato che quelle delle civilî virtù e della scienza. Da questo dipende il destino futuro della nobiltà in Italia, La civiltà italiana o più presto o più tardi deve avanza- re, ma i nobili non saran considerati se non avran ben meritato della nazione; poichè nell’ordinare gli stati non si valutano già i vani nomi, ma si conciliano gli interessi e si transige fra i soli potenti. Se il conte Litta , siccome lo tengo per fermo, ha inteso ad inculcare queste conclusioni, poche opere mi pare che sieno escite più nobili daì tipi italiani. Francesco Forti. Elenco delle dispense dell’Opera del conte Litta già venute alla luce , e del loro prezzo. i Attendolo Sforza di Romagna. L. 40 II. Ecelini della Marca di Trevigi, estinta nel 1260. — Sanvitale di Parma. 2) III. Simonetta di Calabria. — Gallo di Como, estinta i nel 1800. sO) IV. Trivulzio di Milano. o 0 3,3 Cesarini di Roma, estinta nel 1685. — Peretti di Montalto, estînta nel r655. 33009 VI. Trinci di Foligno, estinta nel 1452. — Cavaniglia di Napoli, estinta nel 1793.— Giovio di Como. .,, 10 VII. Cesi di Roma. 10:24 VIII. Castiglioni di Milano. ») (22 IX. Visconti di Milano, parte I.°, II.*, IIT.®, e IV*. e") Mo Pico della Mirandola, estinta nel 1787. » 28 XI. Arcimboldi di Milano, estinta nel 1727.— Camino della Marca di Trevigi; estinta nel 1442. Sul‘ XII. Pio di Capri. sab XII. Banacolsi di Mantova, estinta nel 1328. — Ca- T. XXXIII. Gennaio. 10 valcabò di Cremona. — Valori di Firenze , estinta nel 1687. gg Ta XIV. Scaligeri di Verona, in due parti, estinta nel 1598. ,, 32 XV. Accolti di Arezzo, estinta nel 1699. Correggio di Coreggio , estinta nel 1711. CANE XVI. Concini di Arezzo, estinta nel 1631. — Monte di Montesansavino, estinta nel 1570. sa. FO XVII. Medici di Firenze, parte prima , seconda e terza. ,, 25 Totale , Lire italiane 317 Costantinopoli , e il Bosforo Tracio. Opera del generale Anpreossr. Un volume. Parigi 1828. Saranno alcerto pochissimi que’lettori i quali "non sap- piano che il generale Andreossy , non ha guari tolto a’vi- venti, fu Ambasciador francese presso la Porta ottomana durante l’ era momentosa dal 1812 al 1814. Pochissimi inoltre ignoreranno come e quanto quel generale fosse dotto nelle teoriche , le quali non mai superflue in un capita- no, sono poi indispensabili in un capitano ingegniere, Tutti infine sanno, o indovinano, che ogni legato osserva e nota nel suo zibaldone tutto ciò, che gli parrà osserva- bile e notevole, sia in fatto di rarità fisiche, sia circa gli instituti i costumi ed altre cose morali del potentato e del popolo presso cui risiede. Le quali osservazioni e note son sempre poi più copiose ove il popolo e il potentato sud- detto sia per origini usanze modi domestici o civili gover- no e religione straniero affatto a noi, Tale fu il caso di Andreossy nella capitale di una nazione asiatica, migrata e domiciliata in Europa, senza che nulla avesse adottato d’europeo, Egli adunque andava osservando, e quindi no- tava nel suo libro di memoria ; ed è questo cartolare che fu dato alla luce non appena l’ autore passava a miglior vita. Così opiniamo noi; e ne astringe a siffatto opinare la disordinata distribuzione delle materie nel libro. Senonchè I r_———_——__——o'——_————___——_— o. """—"————_oe—eoe‘“‘“‘Mddf([ . af N 55 iiiesta circostanza, che fora spiacevole all’autore ove ei ri- vivesse, dee molto piacere al pubblico. Il primo getto d’ogni pensiero, comunque fatto senza quella lindura che la ri- flessione e la lima danno agli scritti, lia però in compenso le vergini ingenue e candide. idee prime del pensatore. Oltreaciò questo scrittore non scriveva per altri, ma per sè stesso; adunque è levigatissimo al menomo appicco di sospetto circa i motivi, che sovente costringono chi fa la sua opera di ragione pubblica, a infingere o velare o in- fievolire le proptie opinioni. Indi il libro in quistione ha più di ogni altro i titoli necessarii a meritar la fiducia di chi legge ; fiducia nell’intenzione dell’ autore oltremodo necessaria per più imparzialmente giudicare circa il merito dell’ opera. V'ha di più, che l’opera suddetta la quale, a malgra- do del disordine di cui fo cenno, commenderebbesi sempre pel suo corredo scientifico all'amore de’ geologi de’ natura= listi degli idraulici ed anche degli eruditi, comparve in un tempo a solleticar la curiosità di esser letta anche nei più incuriosi di lettura. Oggi gli occhi di tutti gli europei son rivolti sulla signoria ottomana in Europa; e non sarà discaro a veruno , anzi ognuno vorrà sapere cié che An- dreossy vedeva e pensava circa gli ottomani nella loro Me- tropoli. Vi sono alcuni luoghi che hanno in retaggio un eterno rilievo. Quando Costantino vedlovò Roma trasferendo la sede imperiale in Bizanzio, una costernazione universale invase Italia e tutte le provincie occidentali dell’Imperio , che presentiano tutti i flagelli futuri di quell’ abbandono. Non minore costernazione invase tutta la cristianità allor- chè nel 1453 il IP Maometto spense l’estremo anelito del- l’Imperio greco, Non mai nè Troja nè Gerusalemme nè Roma ebbero nelle loro vicende un'influenza sul comune sentire delle genti e degli stati, uguale a quella che ebbe ed ha Costantinopoli ad ogni fortuna, che sembri favorirla o minacciarla. Onde è mai che una tale città cotanto desti o spaventi o gelosie o ogni altro opposto interesse? La ragione ne è evidente. Tre sono i grandi nuclei geografici; il Messico 76 -gnatimalese, 1’ Egitto, e il tracio promontorio in subiet- to. Il primo nel nuovo mondo ; i due secondi nel mondo antico ; questi nucleo fra Europa Asia ed Affrica, fra l’E- ritreo il Mediterraneo e l’ Eusino ; quello fra le due Ame- riche e i due grandi Oceani. Con ciò il gran segreto del- l’importanza è che il signore di tali punti è il possessore delle chiavi di tutti i mari e di tutti i continenti. Però uopo è che sì l’ Egitto come il Messico cedano in entità alla Tracia. E quale è mai l’accidente geografico nella superiorità di questa provincia sulle due altre? Null’al- l’altro che il Bosforo. Inesista o si ricolmi questo stretto ; e svanirà tutto il rilievo bizantino; e Costantinopoli pre- cipiterà tutt’ insieme ad una città comune: e Costantino- poli sarà tutt’al più sul Nero ciò che Astrakan è sul Ca- spio 5 e Costantinopoli diverrà assai inferiore a Messina. Poichè adunque il Bosforo è il solo fattore di tanta im- portanza e fortuna, ragion vuole che prenda esso il primo luogo nelle nostre considerazioni, non ostantechè avesse da Andreossy , o da coloro che raffazzonarono in opera il il suo zibaldone , il secondo posto. I geogoni antichi opinavano che‘un tal canale fosse stato aperto dalle acque immensamente accumulate del- l’ Eusino , le quali non più livellate con quelle degli al- tri mari, fransero pria i Cianei irrnendo nel Marmora, e quindi 1’ Ellesponto rovesciandosi per l’Areipelago nel Me- diterraneo. La quale ipotesi de’ fisici antichi, comunque combattuta da’ moderni, ha però seco i due maggiori do- cumenti che aver possa ogni fatto quistionale ; le lapidi istoriche cioè e le naturali. Quanto alle prime si ha la tradizione (e le tradizioni sono le istorie delle genti illet- terate) de’ Samotracii ; che gli atavi loro videro inondata l'isola e sommerse le terre nelle quali seminavan l’orzo , allorchè la frattura de' due stretti menzionati apportò il terribile diluvio d’ Ogige ; tradizione riferita, e non spre- giata , da Erastotene Stratone Strabone Diodoro Siculo ed altri naturalisti o geografi o istorici dell’ antichità, Circa i monumenti della natura poi li accenneremo or ora, I fisici moderni intanto vollero ragioni più elaborate O n con acume scientifico. Alcuni, come Tournefort , pretese- ro che l’apertura bosforica, e quindi ellespontica, avvenne non già pel peso e sforzo delle acque sì accresciute nel Nero, ma per ammollimento delle terre feltrate dalle acque istesse , e perciò smottate. Altri, fra’ quali è Pallas, ne videro la causa ne’tremuoti. All’incontro Olivier, Choiseul Gouffier e il nostro Breyslak attribuirono il caso allo scop- pio di un Volcano negli scogli Cianei ; e il secondo de’ci- tati autori ne parve sì persuase o illuso , che non ristette di affermarne anche l’epoca ; asserendo cioè che l’evento accadde nell’ anno 1759 innanzi la cronologia volgare. In- fine Cuvier Humboldt e con essi Andreossy, men forse in- discreti o più sistematici, opinando il fatto anteriore ad ogni età istoricamente numerabile, credono il Bosforo coe- vo a tutti gli altri accidenti geografici del Globo ; ossia il credono opera e formazione di quelle istesse catastrofi fi- siche, delle quali si hanno ‘monumenti ovunque. volgasi l’ occhio , e per le quali scomparso. l’anteriore ordine ter- raqueo., ne sorse l’attuale ripartimento d’acque e terre con- fisurate come oygi sono. Andreossy dice che così escogitando obbedì al precetto di Seneca; “ seguiamo, cioè , la natura 5 perchè colui che ‘* non la segue , abbandonasi inevitabilmente alle conget- 3, ture fallaci (t),,, E noi non alcerto lasceremo sì fida scorta nell’istiinto che ha ognuno di adottare 1’ una o l’al- tra delle varie opinioni , allorchè è controverso qualche argomento. Diremo adunque che adottiam quella degli isto- rici fisici e geologi antichi, perchè documentata dalla inne- gabile testimonianza della natura istessa. Chi volga l’ oechio sulla carta dell’ antico continente non può'non scorgere un singolare ed unico accidente geo- grafico nella. regione in cui l’. Europa è incorporata all’A- sia; una immensa valle cioè che riceve e raccoglie tutte le acque scorrenti dal romo longitudinare {meridiano di Parigi) fino al 70m0 ; ossia le'acque che scaturiscono sì dal pendio boreale delle Alpi come dall’ occidentale delle (1) Seneca, Epistola 98. rg montagne della Bukaria ; e insieme con esse anche quelle d’amendue i pendii del Cavcaso , e del Taito verso a bo- rea, e dell’ Ural verso ponente, e de’ Karpazii verso mez- zogiorno ; insomma di quasi tutto il sistema fluviale del- 1’ Alemagna inferiore , dell’ Ungheria , di mezza Polonia , di assai più che mezza Russia, delle provincie centrali d'Asia , di mezza Persia, mezza Armenia, mezza Asia mi- nore ec. ec. È ciò un fatto evidente, Il quale fatto mentrechè te- stifica la certezza della notizia riferita da Beroso circa l’uni- tà primitiva del Mar Nero e del Caspio, documenta an- che quella della tradizione conservata fra’Samotraci. L’im- mensa riunione di tante acque not potea far altro che un mare solo di que’due mari ; e sì immensa copia di acqua, non livellata nè equilibrata col resto di. livello marino sulla superficie del globo, non potea che frangere, forse anche’ smottare ammollendo, 1 istmo il più stretto che l’era argine, e aprirsi il varco pria bosforico quindi ellespon- tico. Del rimanente abbia ognuno la libertà di preferire quella delle ipotesi che più gli aggrada. E siccome non è nostro scopo, nè nulla potremmo dire, che non sia noto a’ naturalisti, circa le varie sentenze sulla geogonia del Bosforo , così trapasseremo ad altre considerazioni , che forse saranno più meritevoli dell’indulgenza de” cortesi let- tori nostrì. Chi dal Mediterraneo navighi verso ‘Costantinopoli non volge ‘occhiata, non appena tocca 1’ Arcipelago , che non cada sovra oggetti ricchissimi di memorie sia poetiche sia istoriche; sovra oggetti oltremodo contemplativi per le ricordanze di culti succeduti a culti , di civiltà a barbarie o viceversa, e infine di imperii a imperii. Quì è la Grecia, intelletto del mondo! Là le tante isole conte' per favole e per istoria; altrove la Gionia Madre patria della gente ‘ pe- lasgica o ellenica. Quindi imboccando l’Ellesponto rimem- bri o la tragedia d’Ella d’£ro e Leandro, o la insania di quel Re che deliberava d’ incatenarvi l'elemento cui Dio solo potè costituire i termini impreteribili. Più in là, ecco la Propontide, e il Chersoneso Tracio, e la Troade, che 79 sol rimembrando Omero basta a rimembrare un intero mondo primitivo e meraviglievole. Alquanto oltre, ecco il Granico , ove la grande ombra del Macedone già si affac- cia alla mente dello spettatore ; oppure la Bitinia e Bo- russa , l’antica Prusia, ultimo vano asilo di Annibale, che indarno sperava angolo della terra che il rifugiasse , poi- chè per tutta la terra era andato movendo nemici al gran popolo vendicativo. Intorno intorno poi scorgi o Cizico sì famigerato per l’ assedio fattone da Mitridate ; o il monte Didimo già famoso pel tempio che gli argonauti vi ersero a Cibele; o l’antico fons cupidinis con le sue acque me- dicinali delle pene amorose ; o la Selimbria di Tolomeo, oggi Silivria, ove ad una rocca si appoggia ed incomincia quel muro con cui l’ imbecille Anastasio sperò salvar la sua capitale dall’impeto de’barbari; o infine qui Nicea, pa- tria di Ipparco, e città ove congregaronsi i primi padri del Cristianesimo per dichiarare i primi dogmi del nuovo. cal- to; là Nicomedia, ove per la prima volta comparve sulla scena politica del mondo , e se vera è la fama, non de- gno nè uguale a sè stesso quel Cesare, che quindi dovea stordir l’ orbe con le sue gesta; Nicea e Nicomedia, già altiere rivali di Bizanzio, oggi macerie di ruine! Queste rimembranze desta in ogni punto il mare dei marmi, detto oggi Marmora , e un dì la Propontide. Ma quando i suoi lidi, man mano più archeggiandosi e ravvi- cinandosi, lasciano sol l’intervallo necessario alla foce del Bosforo , ecco uno spettacolo tutto diverso dal già descrit- to. Non più nude reliquie che svegliano grandi memorie solo in chi è dotto de’ tempi andati; ma rarità e moli a moltiformi oggetti reali; uno spettacolo insomma che tra- guardato nell’ aere il più diafano del Globo , è nuovo, è unico, è magnifico, e stupefà sì i dotti come gli indotti. A manca una citta immensa, architettata ad ordini quà europei , là asiatici, sovente commisti con gusto barbari= co; una città che disposta ad anfiteatro conv esso par che sì specchi nel più limpido e piano de’mari sul quale siede regina. Oltre essa un immenso e sicuro porto ognor affol- tato di navi; ed oltre al porto un’altra quasi uguale città 79 — formata da’sobborghi Galata e Pera. A sì sterminato gruppo di palazzi moschee minaretti e altri edifizii, fanno treno e corona le contigue rive e le sovrastanti colline, abbellite da ville giardini villaggi borgora cascine e case campestri. Il mare istesso concorre a dar più vita movimento e azio- ne a un quadro sì incantevole mediante i vascelli che na- vigano dall’ Eusino al Marmora o viceversa , e degli in- numerevoli battelli che trapassano il Bosforo dall’ Europa all’ Asia oppur dal Asia all’ Europa. E infine tanta ma- gica prospettiva, di cui un paesista come Salvator Rosa che cumulasse il colorito del Vecellio, potrebbe appena delinear lo schizzo, è fronteggiata dalla scena non men maraviglievole che lo spettatore vede sulla sponda asiatica. Quivi è Scutari, e lungo tutto il suo lido non minor numero di palazzi ville kioski cappelle giardini e borgate. Ma ciò che sorprende è lo spettacolo che vi si scorge in seconda vista , ossia quello che forma quasi il fondo di un tal quadro. Diresti di vedere una folta selva allignata e imboschita sulle ruine di una città vastissima. Null’ altro però è questo nuovo e singolare obietto che il Campo di Riposo ; il cimitero universale cioè de’ turchi. Questi po- poli asiatici fin dal loro migramento e domicilio in Euro- pa , presentendo forse o che non mai diverrebbero europei, o che non erano nella terra propria, serbarono inviolato il costume di seppellire i defonti in Asia, onde almeno avessero le ceneri nella propria patria quella stabilità e quiete , che forse la nazione potrebbe non avere nell’ al trui. Indi tutte le famiglie turche stabilite non solo in Co- stantinopoli ma benanche nella Tracia e Romelia, man dano i morti sulla riva scutarese, Indi quell’infinito sepol- ereto, in cui scorgi infinità di tombe erette con marmi più o men rari, più o men comuni , e scolpite con gu- sto quà orientale; là arabico ; altrove greco; sovente in modo che a’simboli greci veggonsi commisti gli arabici e gli orientali. Le ombreggia una folta e nera foresta di ci- pressi; del cipresso, albero presso tutti i popoli custode de’ sepolcri forse pelsuo lugubre e fosco aspetto ; ma nelle opinioni degli ottomani precisa e vera allegoria della mor= 81 te, perchè siccome una volta che è reciso non più ripul. . lula, così ben esprime il fato dell’ uomo che non più ri- vive nè può rivivere non appena è morto. Negli andirivie- ni è su’ poggi di questo hosco opaco, ovunque cosparso di tumuli monumenti sarcofaghi e cippi, trovansi quà e là alcuni ricinti, che diresti i Campi Elisi del Campo di Ri- poso, perchè più adorni di mansolei fatti con maggior lusso se non con maggior gusto, e inverditi da mirti platani palme rosai, che attenuano alquanto la trista e monotona fronda del cipresso. Sono ivi le sepolture delle famiglie più ricche o ragguardevoli. Infine un tal cimitero parrà all’ Europeo abituato ad altre idee e altri costumi , il pu- blico passeggio di quella nazione. Ma intanto quest’ uso, che ei direbbe passeggiata ricreativa, è l’ adempimento di un dovere religioso , ossia della visitazione e suffragio ai morti in ogni venerdì. In generale tutte le genti orientali professarono e professano la massima riverenza alle ossa e reliquie de’ parenti; però la turca è forse quella che. ren- de siffatto onore alle ombre con una divozione dir non sapremmo se religiosa o superstiziosa . E vedi le famiglie con ogni raccoglimento gravità e silenzio andarvi a sodi- sfar quell’ obbligo sacro, e internarsi pe’sentieri di quella selva sterminata per rinvenire i luoghi uve riposano i pro- prii defonti. E in atteggio o mesto o cordoglioso vedi vo- tor pace alle anime quà la sposa che perdè lo sposo; là viceversa lo sposo che pianse la sposa; altrove la madre cui la morte crudelissima rapì il figliolo sua vita e spe- ranza ; o il padre o il fratello o il figlio, che piangono il figlio il fratello ed il padre. Sol in questo sfogo ed ufficio, che ci si permetterà di denominare la volattà del dolor morale , non sevrgi nè 1’ amante che deplora la sua ver- gine eletta, nè la vergine che sparge fiori sulla terra che copre l’ esanime spoglia dell’ amante prescelto. I turchi , al par di tutti gli altri popoli tibetini scesi nell’Asia me- ridiana, non conoscono la più pura e soave fra le raris- sime gioie di questa amara vita; l’amore cioè preludio dell’ imeneo. I giovani de’ due sessi divengon consorti sen- T. XXXIII. Gennaio. II Ra za che conoscansi nemmen di persona. Ed uopo. è credere che a quelle genti abbia la natura compartito altri .ga- dimenti in compenso di quello, che loro è vietato sia dalle consuetudini nazionali sia dalla connaturale gelosia per le donne. Vi sono venti miglia da Costantinopoli al punto ove il Bosforo scaturisee dal Nero. Dicemmo scaturire, perehè in realtà così è ; e le acque bosforiche hanno ‘una peren- ne corrente dall’ Eusino alla Propontide. Il quale fenome- no, dimostrando } immensa copia d’acqua che si racco- glie nel primo de’ suddetti mari, conferma la tradizione e sentenza antica intorno alla apertura di quel canale. Ser- peggia esso intanto con varia sinuosità fra sponde ove ame- ne colline sono intervallate da vaghe vallette. E non men vaga mostra fanno sovra esse fra una continuata moltitu- dine di villaggi e poderi le ville de’ primarii ottomani, Bechik Tach e Bebek, due palagi del Sultano, e. poco poi a questi un ‘altro palagio detto delle Sultane. Indi tro- vasi il capo Kandili, il varco più angusto del Bosforo, ove è il castello d’ Asia che ne infrena il transito, ed ove Da rio fece dal Samiese Mandrocle lanciare il ponte allorchè portò la guerra agli Sciti. Alquanto oltre’ é la valle Sul- taniea di vista ‘assai pittoresca. Era quivi l’antico Amyens Inogo famigerato pel combattimento al cesto fra Polluce e Bebrice durante la impresa degli Argonauti. A lui dapresso è il Mylcian ove gli Argonauti suddetti combatterono e cacciarono le Arpie. Poi vedesi il monte del Gigante , de- nominato Dosso d'Ercole da’greci, sulla sommità del quale vi è una stanza con una cappella ufficiata da due Dervis custodi della tomba del preteso Gigante. E non è impro- babile che i turchi innestassero alla reliquia della eredenza greca qualche credenza loro nazionale, come gli arabi del Siouah travestirono l’ antica venerazione pel tempio Am- monio in riverenza alle mirifiche cose fatte dal profeta in quella Oasi. In ultimo, poichè si è girato il capo Ancy- reum, apresi il Bosforo nell’ ampio Ponto, già detto nella primitiva lingua azero per l’ inospitale ferità degli abita- 83 tori delle sue spiagge (2); oltraggioso nome quindi commu+ tato nel benigno di Eusizo, allorchè forse inciviliti gli aborigeni dal commercio cogli stranieri, meritarono alla patria loro un titolo assai più urbano ; ed oggi infine chia- mato mar Nero, Della quale denominazione piacque a Fa- ‘bre d’ Olivet di veder la causa nell’ essere le sue rive nei tempi vetustissimi abitate dalla tazza nera, che fu poi dalla bianca rincacciata in Africa. A noi però piace di dire con Tournefort che “ questo mare null’ altro ha di nero fuor- 3» chè il nome; e che or accarezzato da’baci dello zeffirò, », ed or socquadraàto dall’impeto delle bufere, è la vera ,, immagine della vita umana.,, In questa scaturigine del Bosforo è foce dell’ Eusino sono gli scogli Cianei sì mirifici nell’ età mitologica. £ra- no infatti nelle opinioni de’ popoli primitivi , creduti sizt- phgadi sinormadi e plancte $ ossia semoventi erranti e che mutuamente urtavansi, Delle quali opinioni si avvalse A- pollonio a poetare il consiglio dato dal Re Fineo agli Ar- gonauti, perchè mon si perdonassero ogni guardia diligenza e cura nel trapassare un varco sì formidabile ; aggiungendo però essere decreto del destino, che quelle sì perigliose roccie perderebbero la funesta mobilità loro; ove un ardito navigatore riuscisse a lieto fine nel travalicarle. Chi non sa leggere che favole nella favola non altro alcerto vedrà se non menzogne é chimere in queste poeterié . Ma chi poi è potente a traguardare il vero nell’ immaginoso lin- guazgio delle genti incolte scernerà in. siffatte credenze tutt’ altro che chimere é menzogne. In siffatte poeterie è forse travisato un vero istorico ; potendo benissimo es- sere avvenuto che fossero i. Cianei sorti improvisamente dal seno delle acque, al modo istesso che nel 1707 im- provise sorsero nel golfo di Santorino le, isole. Kamene, Onde è che nella tradizione de’ popoli. la memoria della comparsa subitanea potè acereditar l’ idea d’ essere semo- venti, O forse ciò avveniva sia per ottica illusione del mo- vimento relativo delle navi pel tortaosissimo canale , sia (2) Ab inospitali feritate axenus appellatus. Plinio. a 84 perchè ne’ momenti delle tempeste scompariano e quindi ricompariano quegli scogli a seconda de’ marosi. Quanto poi all’ opinione circa la fatalità per cui diverrebbero im- moti i Cianei, visibilmente è essa una figura del vero, che il primo navigatore, il quale in que’ tempi di nautica in- cipiente osasse e riuscisse ad avvicinarvisi scampandone i perigli , si accerterebbe che eran immobili e non semo- venti. E siccome Giasone fu forse il primo o pirata, o com- merciante , o l’ uno e l’ altro, che avesse con 1’ audacia la fortuna di passarvi dappresso nell’ andare a’ traffichi o anche a’ corseggi alla Colchide, così la fama popolare gli fece 1’ onore d’aver attuata la prescritta fatalità onde me- glio magnificasse il condottiero dell’ impresa argonautica. Noi forse assai più del dovere contemplammo il Bosforo dal sno lato poetesco. Sennonchè diremo che le memorie mitologiche, ormai sì gelide a chi mon vede e non sa vedere che favole nella favola, hanno in tanto ancora una attrattiva seduttrice sugli spiriti e men poetici e più raziocinatori. Onde mai ciò? Il gran secreto è che erano le istorie de’popoli' pri- | mitivi; e che noi senza dubitarcene vi impariamo quà e là il certo delle cose vere circa que’tempi sì remoti da’nostri ; il certo , ove vogliasi, non forse del tale uomo o famiglia o gesta eroiche, ma delle idee degli usi de’costumi delle cognizioni di que’ popoli e di quell’età ; il vero sullo stato domestico civile e intellettivo delle genti in que’tem- pi ; un vero infive comunque vestito con veli di finzione. Così in grazia d’esempio niuno non negherà che i due poemi omerici, dal nostro acrissimo pensatore Vico deno- minati due grandi rottami dell’ antichità, non sieno il de- posito istorico non solo del grado del sapere umano in teo- logia metafisica fisica geografia astronomia ec. ec. de’ po» poli dallo stesso Vico chiamati poeti (3), ma benanche e delle armi e degli ordini sì bellici come politici, e del dritto delle genti, e di ogni altro civile istituto de’ popoli sud- detti. Aggiugneremo anzi che nelle memorie delle cose fisiche, assai men variabili delle umane, vi scorgiamo un (3) La Scieuza Nuova. 85 vero tale ad essere anche oggi riconosciuto . Chi infatti. costeggi o navighi il Faro messinese con 1* Odissea în ma- no, non può che ammirare la verità dell'ingegno del poe- ta, Là presso allo scoglio ove esso finse l’antro della figlia di Forco travisata in mostro , anche oggi detto Ma/ passo a cagione de’ formidabili perigli, vedesi tra gli altri feno- meni precisamente e nelle istesse forme avvenir quello che attribnivasi alla ferità di Scilla; che l’acqua cioè stretta compressa e torturata da’vortici violentissimi delle corren- ti, è violentissimamente zampillata a grossi sifoni ; e che nel ricadere strappa sommergendo seco sia il passeggiero ove si rovesci su’ sentieri della costa, sia il marinaro ove cada sovra qualche barca che passi da presso a un sì ter- ribile accidente. Or quanta mai verità e geografica e nau- tica e descrittiva de’perieli sovrastanti al viaggiatore (Odis- seo) non vuolsi riconoscere e confessare in quelle pitture, che crediamo favoleggiamenti fantasticati da Omero? Di- casi lo stesso di tanti altri luoghi omerici ; e si dica al- trettanto delle mille cose istoriche, intarsiate con veste di favole, che Apollonio disse circa il Bosforo o 1’ Eusino nel sno poema sugli Argonauti. Però vuolsi svegliare il lettore, cui forse addormirono le nostre poetiche divinazioni. E per esser certi di svegliarlo lo scoteremo con una verità istorica di momento gravissi- mo ; che cioè i luoghi î più dalla natura largiti con libe- ralità in fatto di doni e favori circa il clima e la feracità e tutte le altre preziose predilezioni, son poi quelli a’quali toccò in retaggio un eternamente funesto destino morale . E in essi esiteresti a decidere se mai sien i sudditi quelli che faocian di tutto per corrompere il governo , oppure se il governo non ad altro intenda che a corrompersi corrom- pendo i sudditi, Potremmo documentar queste tristissime osservazioni con molti»esempi sì decorsi come attuali; ma lasciando al lettore che il faccia da sè solo , ci limiteremo a dare un sunto della perenne istoria tristissima di Costan- tinopoli. Se dobbiamo credere a Dionisio Alicarnasseo, un tale Byzas di Megara conducendo seco un drappello di me- garesi, fondo Bizanzio . La scelta di quel punto fronteg- 86 giante all’Asia minore:(.che era allora nel colmo della sua floridezza ) e per geografiche opportunità sì idoneo ‘a’ com- merzi terrestri nonchè marittimi, addita. abbastanza l’acuto ingegno ‘del fondatore. Crebbe perciò la muova città 0 co lonia rapidamente in opulenza ;:ma quindi incominciarono, fieri e continui disastri; pria per le invasioni de’ Persiani in Grecia; poi perchè presa e ripresa .or.da’Persiani ed or da’ Gioni ; posteriormente per la feralissima guerra. pelo- ponnesiaca che la non men ferale, dir non sapremmo se; ambizione o gelosia di Sparta accese fra’Greci ; più tardi oltremodo travagliata nella lotta fra Mitridate e Roma ; e infine, distrutta da capo a fondo da Settimio Severo, e sette anni appresso ricostruita da Caracalla, parve che seco si placasse l’ ira de’fati allorquando Costantino wi trasferì la sede dell’ ]Imperio, ‘ Al nome di Costantino, dice Andreossy, si risveglia la ricordanza d’un’era nuova, e di un nuovo memorevolissimo ordine di cose ,,. Noi diremo che ad vn tal nome svegliasi la memoria della radice di tuttii disastri d’Italia, che seco loro trassero quelli dell’ intero Occidente. Costantino fu sot grande adottando la nuova professione popolare, che mentre pareva esser solo religiosa era anche tutta sociale; la nuova società, cioè, che la. plebe imprese a comporre intorno all’ara. di un Nume uguale legislatore di tutti gli uomini; poichè vide l’ imperfezione della società greco-latina; in cui non era che la schiava di una setta di famiglie, La nuova città fu composta intorno al nuovo tempio; e il numeroso ceto inferiore v° accorrea, perchè era certo di acquistar la comunione civile con la comunione della fede, Indi avvenne che furon retaggio sacerdotale tutti gli atti civili che pri- ima erano uffizi de’ magistrati, essendochè nell’ originaria società novella il magistrato non altro era che il sacerdote del nuovo culto. Costantino adunque fu grande nel rico- noscere e dar legalità al volere universo del popolo ,. cui solo ostavano le decrepite reliquie de’ vieti ordini, ancora fanatici o piuttosto ippocriti per le deità gentili. Ma per- «lè tanto merito vedovando l’ ltalia con Roma, sbranando l’imperio , e lasciando imbarberirsi l'Occidente con cotan- pr 87 to abbandono , senza ‘punto concorrere nè advincivilire le genti tracie nè a'‘restaurare la civiltà ellenica,» Infatti il Basso imperio , la ‘cui storia è nota' a tutti, non parve istituito che ad ‘insordidar 1’ umanità le sociali istituzioni eil trono con'ogni genere di infamie' turpitudi- ni ed atrocità. Lo stato .e la reggia non altro furono che or antro di congiure, ed or campo di battaglie cittadine. Per colmo di malanni alle discordie ‘civiche cumularonsi le religiose, Certo niun popolo più del greco ebbe dose di ingegno dalla natura ; ma. vuolsi convenire che :niun. po- polo vi fu il quale; più o al pari del greco, abusasse co- tanto del proprio ingegno. Quell’istesso spirito sofistico, che nell’antica Grecia avea fatto sorgere tante sette filosofiche sol sottigliando vacue parole, fece che perenni controversie religiose dilaniassero la Chiesa o riunione orientale. Nelle quali deplorabili discordie entrarono a parteggiare anche gli imperanti. Infine la civile scissura fra’due imperi operò ciò che dovea operare; lo scisma nell’unità della Chiesa o riu- nione universale; cosicchè la nuova fede, che era una tessera mediante cuitutte le nazioni novelle dovean riconoseersi.per sorelle della stessa famiglia, fu una specie di stimate d’ab- bominio fra le orientali e le occidentali. Ciò fece che pria 1° Oriente; nonchè accorrere in aiuto, gioiva anzi a’disastri diluviati sull’ Occidente; e che quindi 1’ Occidente , per ontologica terza legge di moto, nonchè aiutare abbandonò anzi l’ Oriente alle sue calamità. Come ognuno sa; la successione degli imperadori greci non fu che una serie di delitti. Due soli fra tanta caterva di principi vili iniqui e ignobili , parvero degni di altri tempi o di migliori destini: Teodosio cioè, e Giusti. niano. Teodosio, all’ infuori della soverchia severità co’ Tessalonici, riunì e tenne icon mani ferme le re- dini dell’ imperio sì impoliticamente diviso . Giustiniano commendossi immortalmente alla posterità come legislato- re, nel mentre che null'altro. fece se non sancire con equità interpetrativa le antiche leggi romane, non più ap- plicabili nel senso loro letterale. Ma intanto è sempre lau- devole un principe che lascia nel suo codice un monu- 88 mento legale del progresso della ragione. Alcuni storiei l’ accagionarono di effeminatezza e infamia sol perchè. di- vise il suo Jetto e il suo trono con l’attrice Teodora . Teodora invero salì dalle scene al talamo ed alla corona imperiale ; ma la fortezza d’ animo da lei dimostra nella terribile sedizione de’ Verdi e Turchini, è evidenza di una persona degna del soglio. L'imperatore volea fuggire ; ed elia vede che perduto è l’imperio ove si fugza dalla ca- pitale. Indi sollecitata anche essa a porsi in'salvo, rispon- de con ispiriti maschi e magnanimi : Ne’ grandi perigli », i vili fuggono, e restano i prodi; e sia che questi, re- »; stando trionfino oppur soccombano, la gloria è la stes- s» sa; ed è al pari alta e degnissima. La morte è un fato »» comune e inevitabile ; onde è che non è necessario il »- viveres ma è necessità non sopravvivere al proprio di- », sonore. Non v’ha atto che più della fuga sia calamitoso ai »» vostri interessi. Pur, se voi volete partire, partite ; ec- 3 covi là le navi. Io non già. Per me il trono è la tom- » ba la più gloriosa ec. ec. ;,. Questa intrepida fermezza, che salvò con l’imperio l’Imperadore, basta perchè l’isto- ria assolva a quella principessa sia la condizione in cni nacque, sia il mestiere mimico: pria d’essere imperatrice. Alessandro chiuse la sua grande vita con la più grande verità che mai fosse detta fra gli uomini. Chiesto a chi lasciasse lo scettro, rispose , «/ più degno. Se v’ha fatto istorico talea muovere meraviglie è quello, come mai per mano di imperadori sol grandi e dotti nelle perfidie, nelle tirannie, nelle atrocità, e i più de*quali saliro- no al trono per cospirazioni onde poi esserne precipitati da altri cospiratori, come mai, dicevamo, abbia potuto vivere undici secoli un tale imperio. Ciò non pertanto fu esso il solo brano dell’opera romana, che sopravvisse galleggiando nell’ immensa illuvie delle genti asiatiche. Costantinopoli provvide a sè stessa tenendo presidio nelle Pile o Porte del Caucaso , onde colà non passassero tribù barbariche che venissero a molestarla. Posteriormente , caduto quel varco in mano de’ Persiani, Anastasio munì la capitale con quel muro alzato dalla Propontide all’ Eusino . E infine allon- 89 tanava da sè il periglio de’ Goti deviandoli con oro e se- duzioni verso Italia. Con ciò , finite le migrazioni de’ po- poli sì numerose in quell’ età , e posati questi ne’ nuovi conquistati domicili, parea che la città e il reame di Co- stantino avessero per sempre scampato a quel disastro, che imperversò sovra tanti reami e città sì dell’ Europa come dell’Africa, Però un tal destino erale riservato tanto più erndele quanto più tardi. Intenderà ognuno che quì sì allude al conquisto fattone dagli Ottomani. Onde è che per non dot- toreggiar sovra cose note a tutti, imploriamo l’indulgente gentilezza del lettore sovra qualche riflessione che forse non tutti fecero. Uno de’ fenomeni fi/ologici (4) più contemplabili nei fasti dell’uman genere, è la migrazione delle genti nell’età barbare; e la legge con cui pare che eseguasi un tal fe- nomeno è quella che il movimento migratorio avvenga dall’ Oriente all’ Occidente. L’Asia, cui meglio si addireb- be la imagine di vagina gentium da Grozio largita alla Scandinavia , parve essere sempre il vivaio di siffatti scia- mi di nazioni. Le primitive tradizioni greche memorava- no gli Aoni e Pelasghi sbucati dal Caucaso , e irruiti per le coste eusiniche pria di stabilirsi in Grecia .! I Mauri, che conquistarono tutta la nordica zona africana, erano anche essi migrati dall’Asia, e forse dall’Arabia, tostochè trovaronsi aver lingue e usanze comuni con gli arabi, al- lorchè avvenne la migrazione di questi ultimi. Per le co- ste e per le Provincie interiori dell’Afriea inoltre trovausi ovunque le visibili tracce delle lingue semitiche ; lo che attesta che vi furon portati que’parlari da un popolo asia- tico. E infine dal V al XII secolo dell’ era nostra, videsi di bel nuovo l’antica madre dell’ uman genere lanciar le sue ‘generazioni verso Occidente ; disserrando cioè pria le genti slave sull’ Europa , poi le arabiche sull’ Affrica, e in ultimo le turche, le quali sbucate da una regione interme- (i) Nel senso di Vico, T. XXXIII. Gennaio. nà 90 dia fra l'Arabia e la Tartaria, impresero i conquisti in'una direzione intermedia fra quelle de’ conquisti arabici e tar- tarici . Così dicemmo perchè altra legge circa la migrazione delle genti pare esser quella, che le tribù migratrici a con- quisti di altri domicilii, non vanno da borea a mezzogior- giorno, come avvisa Montesquieu, bensì da Levante a Po- nente e lungo i circoli paralleli cui sottostà la loro terra natia. Infatti gli slavi si inoltrarono in Europa seguendo le stesse latitudini delle terre d’Asia d’onde sbucarono. Se quin- di deviarono da quella direzione per volgersi in Italia ed in Ispagna, ciò avvenne per accidenti geografici delle terre e de’mari, ma nulla non deroga alla norma nella primitiva loro mossa. All’istesso modo gli Arabi inondarono tutta la setten- trionale fascia d'Africa; ed è noto che questa regione ha i medesimi latitudinari dell'Arabia. In ultimo i Turchi con- quistarono pria l’ Asia minore e poi l’ imperio greco in Europa ; provincie comparallele al Korasan loro patria ori- ginaria. Alle quali osservazioni ove si vogliano aggiugnere quelle circa i conquisti degli europei sulle Americhe , si scernerà anche in essi la legge indicata. Uno il quale con» sideri 1’ Europa in ordinanza di battaglia e con la fronte volta ad occidente nel conquistare il nuovo mondo, vedrà ala destra l’ Inghilterra , centro la Francia, e la Spagna col Por'ogallo ala sinistra. Così stando, e prolungando poi lo sguardo sulle coste americane, vedrà a manca co- lonie spagnole e portoghesi, a dritta inglesi, e nel mezzo la Luisiana le Floride con altre già colonie francesi, Con questi fatti spiegasi asevolmente il fenomeno dei progressi della lingua e delle religioni ognor da Levante a Ponente, e di cadauna delle religioni e delle lingue lungo talune zone della terra. Odino era adorato in tutta 1° Eu- ropa settentrionale ; la meridiana intanto professava il politeismo; e l’ Africa superiore, come tuttora professano alcune tribù reliquie degli antichi abitatori , il culto agli animali ed a’ fetisci, Nè v’ ha memoria o notizia di reli- gioni e favelle progredite dall’ Occidente all’Oriente , co- me non v’ ha notizia o memoria di popolo così migrato gl: per portarvi seco la sua favella e religione. Del rimanente abbia altri la piena libertà di considerar come in tutto accidentali que’ fatti che ne sembrano avvenuti con leggi costanti. Demmo le nostre idee senza preteusione alla speciosità loro; e noi siam» troppo nemici d’ ogni schia- vitù per non volere neppur quella de’ sistemi- Onde è che torniamo all’ argomento. Adunque la gente che chiuse l’epoca delle migrazioni con la sua, fu la Tucca. Nomada stirpe tibetina , sbucò essa dal centrale piana/to dell’ Asia, ed entrò agli stipendi de’ kaliffi adottando l’islamismo. Quindi man mano salendo da tribù a nazione, sentissi robusta a tale da volere au- tocrazia (5), e la ottenne. Ottomano loro Emir o Regolo, successe ad Aladino, e sostituì la sua dinastia all’ ara- bica. In breve tempo tutto il dominio del kaliffato in Asia fa signoria ottomana 5 e gli arabi tornarono alla lo- ro patriarcale vita primitiva , abitando e scorrendo il de- serto. Come successore dell’ autorità de’ kaliffi, il sultano ebbe ed esercitò il diritto di suzerairzet6 su’ potentati arabici ‘sopravvissuti in Affrica ; onde è che quelle reggenze sono ancor oggi vassalle della Porta. Infine non paghi î Tarchi de’ conquisti fatti in Asia, tentarono ulteriore fortuna in Europa, e riuscirono a conquistare tutte le provincie del. l'impero greco allorchè il II° Maometto espugnò alla fine Costantinopoli nel 1453. Alla notizia di questo evento una formidabile coster- nazione invase tutta la Cristianità. E chi avrebbe allora creduto, che volgerebbonsi quindi le opinioni in modo da provarsi alla probabilità della ottomana espulsione lo stesso allarme che l’ Europa patì nell’ espugnazione costantino- politana ? Però da quel punto l’istoria turca innestasi al- l’europea, ed è nota a tutti. Onde è che noi passeremo a intrattenere i lettori con qualche riflessione istorica. Questa nazione sorse e oltiplicò in Asia con talune doti, che ci si permetterà di denominare le virtù della bar- barie. Indole bellicosa e conquistatrice ; zelante tenacità (5 Nel senso delle radici greche potenza propria. 92 agli originari modi usi costumi e pensieri; totale incurio- sità, diremo anzi abbominio di tutto ciò che non fosse suo pensiero costume uso e modo proprio ; fatalismo cieco in- fine che disdegnando ogni meditazione al deliberare , men- tre che toglie la via al vero, chiude anche sovente quella alla fallacia. Due fiate fu in contatto con la lusinghiera ci- viltà; la prima con l’arabica , l’altra con l’ europea ; ed in amendue vi restò insensibile. In somma questa nazione non mai cangiò nulla a sè stessa, e fu col fatto ciò che Catone il seniore volea che fosse Roma, allorquando strepi- tava in Senato perchè ne fossero banditi i Retori Greci. Gli arabi fecero in poco tempo immensi progressi pria nella dominazione quindi nell’incivilimento, Ma caddero non men rapidamente di quel che salirono, sol perchè saliti con la virtù dell’ entusiasmo, la quale non è, nè può mai essere, permanente e durevole nel cuore umano. Al contrario i Turchi costantissimi in principiì assai più durabili, quali son quelli e dell’incoltura e dell’ osservanza quasi religiosa degli aviti modi domestici civili e nazionali, non punto sciuparono i capitali della fortuna loro , e assai men degli arabi incorsero nelle sorti di poter anche essi cadere e finire, È legge ontologica che la conservazione non altro sia se non il continuato prosieguo delle forze crea- trici, Parrebbe invero che un tal popolo e potentato così costituito su’cardini della barbarie, fl quale fora stato eterno fra altri popoli e imperi barbari , non avria quindi potuto nè reggere nè durare fra mezzo ed alle prese con imperi e popoli vigorosi di tutte le forze che dà la civiltà moderna. Direbbesi in somma che i Turchi, i quali avreb- bero soggiogato tutta l’Asia o l’ Affrica se avessero prescelto il domicilio del governo in Affrica o Asia, non avrebbero dovuto avere se non breve vita in Europa. Il fatto intanto ismentisce un tale argomento; e più volte si vide il risor- gimento, in tutta la sua gagliardia e ferocia, di quel leone che si credea decrepito ed agonizzante. Al quale evento , troppo paradosso perchè non faccia meraviglia che ad altri sembri inesplicabile , concorse assai meno, come general- 93 mente ginrasi , la gelosa e divisa politica europea , che l’ essenza del popolo e del potentato ottomano, Di che gioverà discorrere alcun poco. Non v'ha dubbio, i Turchi son barbari ; sono anzi per l'intolleranza della legge loro, la quale proscrive con anatema ogni esercizio d’ intelletto che intiepidirebbe la fede islamitica , abborrentissimi d’ogni coltura; sono in- curanti d’ ogni previdenza perchè religiosamente fatalisti; sono infine feroci anzi che nò. Ma siccome perchè vi\a e regga ogni ordine fisico o morale, uopo è che abbia la somma delle sue parti buone maggiore di quella delle male , così va presunto che nella turca nazione sieno le seconde vinte dalle prime. Infatti il turco individuo , ben organizzato e costituito dalla natura, ha un sanissimo spi- rito e giudizio naturale. Esso non ha invero che poche e semplici idee ; ma perciò le possiede tanto più chiare esatte e positive, con le quali non mai si inganna. Se disprezza scienze ed arti non sue, sa però avvalersi di coloro che trattano arti e scienze a lui ignote. Se è intollerante e proclive alla ferocia, è in compenso leale e religiosamente ospitale. E infine il turco è robusto, è sobrio, è grave ; è buon marito assai più che generalmente non credesi , mentre sia per consuetudine sia per mezzi di ricchezza , presso i soli magnati, ma non già nella generalità della nazione, è in uso la poligamia. Onde è che essendo buon padre e buon figlio, è con ciò buon cittadino nel primo ele- mento della città qual è la famiglia. Ciò è dell’uomo ; volgiamo ora uno sguardo al governo. È un sommo errore il credere universale circa il dispotismo e la tirannia del reggimento turco. Il Gran Signore non è tiranno e despota che su’soli ufficiali pubblici. Il solo salariato dal fisco è il vero schiavo, sul quale il Sultano può sbrigliare ogni rigore e sevizia , come meglio aggra- dagli, ogni qual volta voglia, senza forme giuridiche , e senza appello. Ma guai ove egli si attenti al menomo ar- bitrio contro qualche privato , che non essendo a’pubblici stipendi, vive del suo. Ove ciò avvenga, è immancabile una feroce sedizione e rivolta popolare. Ibrahim fu nel 1649 94 pria degradato e poi morto’, sol perchè in'-uo nome.e per suo ordine eran state prese talune mercanzie nelle botteghe del Bazar di Costantinopoli, senza nè pattuirsi nè pagarsi il valsente. Certo, questi mezzi non som'gliano alle guaren- tigie che, presso i popoli felici per buoni istituti, hanno la libertà e proprietà 5 ma essi additano che i Turchi hanno e conservano $ sebben a modo loro, e la proprietà e la libertà di goderla. Comunque poi barbaro voglia supporsi il cabinetto ottomano , esso è però dotto ed invariabile ne' suoi barbari modi sia di politica sia di guerra. Non mai prende rifugio in quelle inette finzioni astuzie e pratiche, sulle quali da tre secoli in quà posa tutta l’abilità della politica moderna. Esso è sempre schietto nel suo scopo, nè fa entrare ne’suoi calcoli alcuna di quelle eventualità ,, che apportano per- dizione non appena fallisca un solo de’casi supposti. Allo stesso modo trattò sempre e tratta la guerra ; arte in cui è assai men ignorante di ciò che il volgo de’ sedicenti dotti crede. Potremmo aggiugnere che gli ottomani furono i mae, stri degli europei nell’espugnazione delle fortezze ; nel ramo delle mine e contromine ; ne’ mezzi di vittuagliar i grandi eserciti ; e infine in que” concetti strategici pel combinato impiego e movimento di numerose milizie , i cui primi lampi scintillarono dall’ ingegno di Gustavo Adolfo, e che poi divenero sole di verità per mano di Federico e di Na- poleone. Potremmo, dicevamo, agginngere queste riflessioni, e ragionar nell’ ipotesi d’essere i Turchi non tanto ignari dell’arte bellica, siccome generalmente si opina. Pur ra- gioniamo nella generale opinione. E diremo che in fatto di guerra, del pari che in ogni altra opera umana, una dottrina poca ma positiva e seguita con chiarezza e co- stanza nelle poche regole cui si appoggia, la vince sempre sulla mezza o falsa scienza. I generali ottomani ignorano, è vero, e le teoriche e fin le locuzioni tattiche dell’ Eu- ropa; essi però capitaneggiano, comunque a modo loro , ben intenti al fine che loro ispira quel bellico genio istin- tivo che tutti gli uomini hanno, da’ più egregi capitani, quali furono Annibale Cesare e Napoleone, fino al Capi- __ 95 ‘ tano: innato qual fu Spartaco. E che ordinariamente il na- tural talento bellico ispiri ad agir meglio degli elucrabati concetti scientifici, nemmen vuolsi ridire. Fu visto un grande esercito essere istintivamente impulso verso una grande capitale , e trascina:vi i suoi condottieri, che ten- toni e tentennanti non sapean risolversi ad agire; e i gregari ne sapean assai più de’ duci loro; e assai più de’du- ci loro i gregari sentiano, senza che il sapessero dire altri- menti, qual colpo a morte vibrasi ad un Governo, allorchè gli si va a smagliar le fila e gli ordini nel suo cuore, ossia nella sua Metropoli. Niuno poi non negherà ne’ bellici modi degli ottomani il gran principio di far la guerra col massimo delle forze; nè vi sarà chi loro neghi l’impiego dell’ altro gran prin- cipio guerresco ad avere la superiorià numerica sia nel- le fazioni sia ne’ punti decisivi che disegnano ; alte verità credute di moderna invenzione, ma già note e lucide all’immensa mente del Machiavelli (6). Due soli gene- rali impararono a vincerli studiando la turca tattica , onde opporre l’arte all'arte; e questi due generali erano ita- liani. Intenderà ognuno che parliamo di Montecuccoli e di Eugenio Carignano. Son poi fresche in tutti le ricor- danze degli immensi disastri patiti dalle milizie di un po- tentato, che oppose a’ Turchi l’imperizia di Lascy e la così detta ordinanza del cordone militare. Un altro potentato si ingrandì , è vero, con provincie turche ; ma il macello e il sangue de' propri, con cui fur compre , fanno che fos- sero perdite e non già guadagni quegli acquisti. Infine Jomini deve giustificar la sua fama, come mai fosse egli presenziale ad una guerra durata sei mesi, e durante i quali non fu nè data una battaglia, nè invasa una capi- tale. Ciò non è più permesso dopo i recenti esempi e le grandi lezioni del maggior capitano de’ secoli. Tornando intanto all’istoria turca in Europa, fu quel- l’imperio minaccioso e formidabile fino a’principii del XVII secolo. D’allora in poi non più fece paura, perchè il go- (6) Vedi î Discorsi Cap. 37. 96 verno si sfibrò de’snoi maggiori nervi. Achmet IIl. com- mise molti e gravi falli. Il primo fu quello di rinunciare al comando in persona degli eserciti, e di crearsi un Visir. L'altro fu di scindere i due sovrani poteri primari , con- cedendone uno , e forse il più importante, al Mufti; ri- nunciando cioè alla religiosa potestà che i Sultani turchi avevano ereditato da’kaliffi arabi. E infine concesse o tollerò che i giannizzeri , i quali erano i pretoriani o gli strelizzi di Costantinopoli, si usurpassero un soverchio predominio nello stato. Il Sultano attuale abolendoli, riprendendo 1 esercizio del Kaliffato , e rinnovando l’ avito uso di porsi alla testa dell’esercito, diè pruova d’aver conosciuto e d’aver voluto estirpare i mortali cancri dell’ imperio. A tutte queste notizie aggiugne Andreossy lunga men- zione ‘de’turchi istituti, usi, costumi, uffici, cariche, distribu- zione di poteri, provincia, polizia civile ec. ec. Delle quali notizie omettiamo ogni cenno; perehè scrivendo noi a fine di dir cose utili, e non già a quello di sodisfar curiosità frivole , estimiamo giovevole l’ ignoranza di tutto ciò che non dobbiamo imitare da popoli incolti. Altra non men lunga menzione fa il nostro autore eirca gli aquedotti che proveggono d’acqua Costantinopoli, nonchè circa l’idrau- lica scienza e pratica de’ Turchi. E nemmeno di queste cose non avendo noi nulla ad apprendere dagli orientali , (e massime noi italiani, primi inventori ed esecutori di acque- dotti e canali costrutti con ogni idraulica dottrina ) così rimettiamo chi ne fosse vago di saperie alla lettura del libro dì cui sommiamo il sunto. E lo termineremo con qualche pensiero, comunque farneticante, intento però al bene dell’ umanità, unica mira de’ nostri voti. Fu già detto che tre son i grandi nu- clei delle terre e de’ mari; e perciò i punti del globo i più idonei a quel commercio che è (ci si passi la imagine) il . matrimonio con cui tutte le nazioni si fanno mutuamente amiche affini e parenti. Fu da noi detto inoltre che gli istmi suezese e guatimalese, comunque superiori al Bosforo Tracio in vastità di mari e di terre che annodano, deb- bono però cedergli il passo in riguardo all’immenso favore O SI VOTO O cM navigabile che esso ebbe dalla natura, nel mentre gli altri due non l’avranno, se pur l’avranno , che con immenso sforzo e dispendio d’ arte. Diremo anzi che ove. risalendo l'Egitto alla prosperità goduta sotto i Sesostridi, e il Mes- sico a quella de’Montezuma, ingigantite da’lumi della ci- viltà moderna, pervengano ad accanalar quegli istmi e ad aprire alle navi il transito dal Mediterranneo all’ Eritreo e dall’ Atlantico al Pacifico ,, saranno però sempre que’var- chi tanto inferiori al bosforico quanto ogni opera d’ uomo è sempre inferiore a quella della natura, Il Bosforo adun- que è un punto unico nel globo. Con ciò farnetichiamo una ipotesi, che è un desiderio votivo , degna di un punto sì prediletto dalla natura in condizioni geografiche cotanto vantaggiose alla prosperità commerciale, Supponiamo che il destino, pago alfine di tanti secoli di malanni incalzati gli uni agli altri sovra Bizanzio, e quando era provincia pria greca poi romana, e quando salì a Metropoli pria dell’ imperio orientale poi ottomano, pago dicevamo di tanti sdegni, volga sì dure sorti in istato e tempo più benigno. E perchè non sup- pongasi che, per non voler noi quella capitale momentosa in mano di chi vi fece quasi indigena la peste, la desi- dereremmo in quella di un tale o del tale altro, ci si per- metta di supporla quale la brameremmo; una libera, cioè, città federale del commercio d’ Asia e d’ Europa , ricono- sciuta protetta e guarentita da tutti i potentati sì europei come asiatici ; una universa insomma città anseatica, Nel contemplare e vagheggiar questo supposto , o la fantasia ne ingigantisce quelle illusioni, che nulla non le costa di fabricar negli spazi ideali, oppure vuolsi convenire che ogni più robusta penna sia impotente a dare il nudo schizzo delle realità,che rapidamente sorgerebbero mirifiche e incredibili. Quando Tiro era il grande emporio il gran mercato del commercio dell'Orbe coguito., quale spettacolo veggiam noi nella parte allor cognita dell’ Orbe ? Il se- guente , che parrebbe favola se non l’attestassero e i do- cumenti istorici e le reliquie materiali delle opere di quel- T. XXXIII. Gennaio. 13 98 I età. Intorno intorno a Tiro scorgi un cerchio di floridezza e opulenza ; cerchio di cui era centro l’ alma città d’ Er- cole. In Asia le prospere provincie della Gionia, della Cal- dea, della Media, dell’Assiria, della Persia, la ricca Colchide e la sempre ricchissima India. In Africa PEgitto e la Sabea e la Nubia e l’ Abissinia e la Cirenaica e Cartagine , e tante altre città e provincie floridissime. E infine in Europa veg- giamo la Grecia, mente del mondo , e la Magna Grecia e la Sicilia e la Campania e l’ Etruria e Marsilia in Francia » e la doviziosa Betica in Ispagna; regioni tutte ricchissime di dovizie fisiche e morali. Se mai fuvvi un fatto in prova de’ portenti prodigi e miracoli onde è potente il commercio , ei fu alcerto quel tempo e quello stato. Fatto però che è al pari prova di due sommi contemplativi Veri. L’uno è, che il commer- cio, fonte unica e larghissima d’ogni opulenza e prosperità, presuppone , 'e non può viverne senza, un’anteriore ge- nere di prosperità ed opulenza nazionale ; il possesso cioè e godimento della libertà, che ove più ove meno miri ovunque in quell'età (7). L'altro è poi che tanta floridezza incominciò a smagrire, e poi finì consunta, non appena che per l'inevitabile corso delle vicende dell’ uman genere , imprese il dispotismo a prevalere sulla libertà, finchè la spense interamente. Ciò avvenne a varie riprese, quasichè i flagelli pre- dileggessero d’ essere recidivi onde essere più sterminatori. Successivi gli uni agli altri, pria il dispotismo e i conqui- sti del Gran Re, quindi il dispotismo e i conquisti del Macedone , e infine il dispotismo e i conquisti del Gran Popolo, distrussero tanta opera e bene che la libertà la pa- ce e il commercio avean creato sulla terra. E non dispiac- cia il vero alle ombre de’ gagliardissimi avi nostri. Non mai vi fu o saravvi nazione, che più della romana posse- desse tutte le virtù guerriere in grado eminentissimo. Non (7) Seguiamo G. B. Vico, il quale ha dimostro che in Asia (la quale pare la terra eterna della Monarchia e non già della libertà ) gli stessi governi mo- narchici fanno necessariamente supporre la preecistenza de’ liberi, 99 mai potentato vi fu o può esservi, che più del romano por- tasse per tutto l’ orbe il suo nome e la sua signoria con la sola spada; e vuolsi convenire che verun popolo non ha più dell’ italico dimostro quanto mai possa in mano umana l’ arme e l’ ordinanza bellica. Ma d’ altronde non può negarsi che la politica e la guerra di Roma fu una politica ed una guerra di continua distruzione. Nè ciò fu solo nell’età incolta e feroce della Repubblica, ma sempre. L’ umanissimo Tito distrusse Gerusalemme; e il crudele Silla (coetaneo del bel secolo!) esterminò da radice il San- nio Corinto e il Ponto, forse più efferatamente che non facessero i barbari Appio e Fulvio con Capua. Uopo è dirlo. Roma inoculava la civiltà nelle provincie incivili, ma la snervava nelle incivilite. Facendo però ritorno al nostro argomento circa l’ac- cennata immensa floridezza delle genti primitive, diremo che Costantinopoli fora nella nostra ipotesi in istato a rinnovarla , e vi avrebbe idoneità assai maggior di quella che avea Tiro, Questa città annodava i traffichi fra l'Oriente e l’ Occidente , fra le regioni a borea e quelle a mezzo- giorno ; ma non avea il grande veicolo del commercio (il mare ) che da un solo lato. Non avea inoltre a sè dap- presso foci di grandi fiumi, che almen favorissero il com- mercio e la navigazione fluviale per entro le circostanti regioni. Sol vuolsi aggiugnere, che nelle sue prime età forse traeva sommi vantaggi dal canale di Sesostri che maritava 1’ Eritreo al Mediterraneo, Ma non ben conta è l’ epoca in cui o la incuria umana o l’azione della na- tura perdevan quell’ opera sì prodigiosa e sì utile ; e noi dubitativamente la memorammo come coetanea e concor- rente alla tiria grandezza , sol onde von omettere veruna delle condizioni in favor di Tiro, All’ incontro Costantinopoli siede regina nella giun» tura di due continenti e di due mari mutuamente acca- nalati dalla natura istessa. In un siffatto eminentissimo favore geografico imaginiamola, non già qual è oggetto di cupidità o di gelosia o di spavento , ma una libera co- smopoli , ove ognuno trovasse protezione sicurezza e liber- 100 tà a’ suoi capitali, alla sua industria, a’suoi traffichi, alla sua coscienza ; supponiamo il muro d’Anastasio che la cin- ge alle spalle, convenuto limite in cui non dovrebbe pas- sare nemmen l’ ombra dell’ arme ; e il Bostoro, apertissi- mo alle navi mercantili , ermeticameate però chiuso ai vascelli bellici ; supponiamo maritato il Caspio col Nero mercè la possibilissima accalanatura fra l’Arasse e il Fa- sì (8); supponiamo liberissima, qual dovrebbe essere, la na- vigazione ftuviale pel Danubio il Bug il Boristene il Vol- ga ec. ec. supponiamo infine aperte le debite careggiate che dalle provincie interiori dell’ Asia avessero. per comune vertice Scutari, e da quelle d’' Europa si congiungessero in Costantinopoli, onde completarsi per via di terra quei traffichi e commerzi non fattibili nè per fiumi nè per ma- re; supponiamo tutte queste condizioni non impossibili e molto meno assurde ; e rinuncia al menomo fior di senno chi non vede, nonchè rinnovato, ingigantito anzi nel vec- chio continente quello spettacolo stupendo di vita sanità dovizia e floridezza già scorto in tante nazioni africane asiatiche ed europee nella felice età di Tiro. Noi non parliamo a coloro (e ne arrossiremmo anzi) i quali ripongono la propria forza ed opulenza nella debo- lezza e miseria altrui ; molto meno a chi mirando maggior reddito all’ erario in ragion delle maggiori gravezze del fisco sul commercio, non vede che così facendo si. me- noma col commercio il reddito ; e assai meno a chi tut- tavia delirando con gli accumuli de’ capitali e il monopo- lio nazionale ec. ec. nun intende che all’esclusivo van- taggio del proprio stato. Bensì parliamo a quelli i quali vanno persuasi chei vantaggi universali son sempre i men pericolanti e i più proficui ; che là ove maggiore veggasi il commercio con l’estero ivi appunto è maggiore l’ attività la produzione la ricchezza interiore ; che infine un porto o città commercialmente florida, mentrechè è favorita nella sua floridezza dalle altre città o porti che vi mandano i trafficanti loro, favorisce ed anima in esse le produzioni le (8) Vedi il viaggio di Gamba. Antologia N.° 73. pag. 17. 101 arti le industrie, e con ciò le ricchezze. L’Europa, verbi- grazia , non traffica attualmente con la boreale costa d’A- frica se non in quattro o cinque punti soli; ma niuno non negherà che vi trafficherebhe dieci o cento volte di più , se vi fossero dieci o cento volte di più di Alessan- dria Bencasi Tripoli Tunisi Algieri e Tanger. Con ciò deve anche ammettere che in egual ragione sarebbero maggiori le produzioni e industrie sì africane come europee. Dopo questo esempio non vuolsi dire alla sagacità del lettore ciò che ella istessa già chiaro scerne circa le applicazioni della nostra ipotesi; sullo smisurato aumento, cioè , che avrebbe il così detto commercio del Levante, e sulla pro- porzionevole utilità di tutte le nazioni che vi commercie- rebbero. Noi femmo, invero, un sogno un farnetico ; farnetico e sogno , però, intento al bene dell’ umanità. Ma abbiamo un presentimento che non sarà nè l’ un nè l’altro, bensì effettiva realtà, quando nel futuro , già visibile a chiun- que con sano occhio contempla il corso e la meta del- l’uman genere in questa età di transizione , sarà giunto a quel suave ordine sociale, in cui ognuno sarà libero signore di tutti i suoi diritti e suddito amoroso di tutti i suoi do- veri; in cui le genti, riconoscendo e rinunciando al fatale errore ereditato dallo stato selvaggio , di non potere cioè aver esistenza e sussistenza che a spese della vita e roba altrui , si persuaderanno che il migliore nnico e massimo mezzo di godere felice sussistenza ed esistenza è sol quello del mutuo amore e soccorso. Gi P. Cours de Littérature frangaise professé par M. VirLz- MAIN + etc. Paris , Pichon et Didier 1828 in 8.° lai L’anno scorso, come ognun sa, è stato in Francia pel pubblico insegnamento un vero anno di resurrezione, Fra i due più celebri professori che l'insegnamento ha riacqui- 102 Nan SIONI stati (il saggio e profondo Guizot, delle cui lezioni di storia l’ Antologia ha già reso conto , e il fantastico ma sublime Cousin, delle cui lezioni di filosofia lo renderà al più presto ) l'elegante e giudizioso Villemain, continuando le sue lezioni di letteratura, ha più che mai sodisfatto al bisogno della sua nazione ed eccitata l’attenzione dell’al- tre. Nel corso di queste nuove lezioni (13 in tutto) dopo aver richiamato il pensiero de’ suoi uditori sullo stato della letteratura nazionale nella prima metà del secolo decimot- tavo, a cui si arrestò nel corso antecedente , egli ha preso a descrivere lo stato della Jetteratura medesima nell’ altra metà di quel secolo, mettendola a confronto ed esaminan- done le relazioni colle varie letterature contemporanee, spe- cialmente coll’ italiana e coll’ inglese. E già fin dal corso antecedente le sue vedute si era- no spesso rivolte verso di questa, non già per lusso eru- dito o per amore di digressione, ma per una specie di ne- cessità ch’ egli spiega, considerando la relazion rispettiva . della Francia e dell’ Inghilterra Fra due popoli cresciuti per così dire insieme, fra due nazioni predominanti e vi- cine, avvi, com’ei s’ esprime nella seconda delle sue nuo= ve lezioni, un tal vincolo, che non permette di guardar= ne separatamente nè ciò che ne accresce nè ciò che ne di- minuisce la gloria. Ed è non men curioso che importante. il vedere ciò che la letteratura dell’ una ha ricevuto dalla letteratura dell’altra ; come nell’una si sono talvolta pro- lungati gli effetti letterari di cause che nell'altra già erano cessate; come infine l’opposizione e l'imitazione, alternan- dosi l’impero nelle letterature d’ ambedue, hanno or gio- vato or pregiudicato al carattere delle letterature medesime, Parlando egli nel corso antecedente d’alcuni scritti di Voltaire, avea già fatto osservare che, mentre la Francia ammirava e imitava l’ardimento filosofico dell'Inghilterra, questa, per una singolarità che non sembra facile a spie- garsi, ammirava e imitava la regolarità o piuttosto Ja ti- mida simmetria del suo teatro. ©r ripigliando il discorso intorno a questa imitazione , che rese la poesia dramma- tica degl’ inglesi non meno falsa che debole, cerca d°’ in- 103 dagarne la causa (la qual certo, com’ei dice, non con- | siste tutta nella difficoltà di trovare uno Shakespeare ogni cent'anni) e gli sembra di vederla principalmente nella con- dizion sociale della maggior parte di quegl’ isolani. All’ e- poca di cui si parla (compendio le sue idee usandone pos- sibilmente le frasi) già in Inghilterra si erano operati gran- dissimi cangiamenti , anzi il più grande di tutti, quello del potere fondamentale e sovrano. La condizione sociale però della maggior parte de’ suoi abitanti non era punto cangiata nè tendeva a cangiarsi , mentre quella de’francesi andava mutandosi con incredibile celerità , E veramente singolare , egli aggiunge, il contrasto che presentavano allora a tale riguardo l'Inghilterra e la Francia. In que- sta il potere sovrano era illimitato ; “ma l’ opinione era sor:mamente libera e novatrice. In quella il potere non solo era limitato ma dipendente da un principio democra- ‘tico ; e nondimeno vi dominava un novsochè di regolare e di gerarchico, fatto per assoggettare e intimidire gli spi- riti in mezzo alla lor politica indipendenza. Nè ciò fa me- raviglia quando si pensa che il gran cangiamento, che si accennò , fu operato in Inghilterra da un’aristocrazia pos- sente , che dopo una tal prova di forza divenne più che mai imperiosa, e al dissotto della quale, ma’, a gran di- stanza , rimase a far strepito piuttosto che ad agitarsi il resto della nazione. La letteratura partecipò necessaria- mente a quest’ abbassamento , mentre in Francia, per la protezione accordatale come ad un decoro del trono, an- dò diventando una dignità, sinchè alfine divenne per molte cause riunite un oggetto di culto e un vero potere politi- co. Quindi può asserirsi che, se gli uomini di lettere di questa nazione cospirarono, come si va dicendo, a cangia- re l’antico regime, cospirarono veramente contro sè stessi. Infatti è ben chiaro che ove la nazione è vivamente occu- pata del publico e legale esercizio de’ suoi diritti politici, la letteratura propriamente detta e gli uomini di lettere perdono molto della loro importanza. Sotto l'antico regime invece questi uomini aveano per così dire in Francia .il grado che i mandarini hanno alla Cina. Erano il corpo il- 104 lustre della nazione, il corpo dominante, e tanto più. si sapea lor grado della loro docilità quanto si avea più ti- more della lor resistenza. Sotto l’aristoerazia inglese all’i- stess’ epoca essi erano tutto il contrario ; e le loro opere portano per così dire l’impronta dell’ umiliazione dell’ in- gegno dinanzi alla ricchezza e al potere. Cio egli prova specialmente coll’ esempio di Thomson e di Young, che ha già considerati come tragici, ed ora con facile passaggio viene a considerare l’ uno come poeta campestre , l’altro come poeta morale. Quell’ ardimento filosofico, di cui si disse, e che potrebbe opporsi all’umi- liazione di questi e d’ altri poeti, appartiene ad un’ epoca loro anteriore, all’ epoca del gran cangiamento che si ac- cennò, e alla classe, che per tal cangiamento si sollevò più che mai sovra l’altre. Se non che Thomson e Young, per esser nati in una classe molto inferiore a quella dei Collins, dei Tindal, dei Bolingbroke , dei Shaftesbury , mon mancarono affatto d’ardimento portico nell’ opere che diedero loro più fama; il che devesi alla viva ammirazid- ne dell’ uno per l’opere della natura, e al sentimento re- ligioso che inalzò l’animo dell’altro. L’esame di questi due poeti. che occupa gran parte della seconda lezione, da me qui indicata innanzi a tutte per certo suo legame colle lezioni del corso antecedente, è pieno, come ciascuno può imaginarsi, di riflessioni ingegnose. Più ingegnose e più in- teressanti son forse quelle, di cui è piena la prima lezio- ne, la quale versa tutta intorno a Richardson , che Vil- lemain considera come ispiratore di Rousseau, e modera- tore in certo. modo dell’ impero letterario esercitato da Voltaire, Il poeta delle Stagioni e quello delle Notti. diedero, come-a lui sembra, il segno d’ una specie di rivoluzione, che dal gusto dell’Inghilterra si estese al gusto della Fran- cia. Una rivoluzione assai più sensibile, si operò , egli. di- ce , indipendentemente dalla poesia contemporanea (non già dalla vecchia poesia shakesperiana ) per mezzo d’ un raro ingegno che seppe unire l’ imaginazione. e la morale io una, prosa eloquente, E qui nessuno si meraviglierà , 105 egli aggiunge, ch’io abbandonando ogn’ altro genere di composizioni prenda seriamente a favellar di romanzi. Il romanzo immaginoso insieme e morale , quasi ignoto agli antichi, è in certo modo l’espressione più viva e più vera del nostro moderno incivilimento, Un bello spirito ha rim- proverato alla nazion francese di non avere il genio epi- co; ma questo rimprovero propriamente ferisce più o me- no tutti i popoli moderni, occupati d'idee e di sentimenti che hanno cou tal genio pochissima affinità, Quindi , biso- gna pur convenirne, il romanzo, in cui si trovi il doppio ca- rattere che si accennò, è a molti riguardi la loro epopea. Ove l’imaginazione e il sentimento morale vi abbondi, esso produce talvolta , in mezzo a’nostri odierni costumi, alcuni di que’ mirabili effetti che i canti dell’epopea pro- duceano ne’ popoli poetici e musicali dell’ antichità. Con simili parole di prologo o d’apologia ei si fa strada a ragionare della Clarissa, del Grandisson , della Pame- la, primi modelli dei migliori fra i moderni romanzi ; ed io mi fermerei volentieri a «puesto.suo ragionamento , se la materia delle tre lezioni seguenti non mi obbligasse ad affrettarmi. A saggio peraltro di tal ragionamento unirò qui alcuni passi, in cui il merito di Richardson è dall’au- tore paragonato in qualche modo a quello di Shakespeare, Prima di Richardson, egli diee , il romanzo veramente mo- rale, il romanzo che disvela tutta l’ anima e. ne espri- me i movimenti più delicati , che rappresenta la vita in tutte le sue condizioni, e ogni condizione eol suo vero ca- rattere, i suoi interessi, le sue passioni , il suo linguaggio, questo romanzo non esisteva. Richardson lo ha ereato; e a tal riguardo ei può chiamarsi il più grande come il più in- volontario fra gli imitatori di Shakespeare, Come questo gran poeta, ei s'immedesima negli esseri che ha ideati sul tipo vero dell’uomo, si passiona con loro, penetra gl’ intimi se- greti del loro cuore, ce li pone innanzi quali ce li porrebbe la natura medesima. Che se il poeta è.in ciò meraviglioso, non avendo che uu momento per farlo ; il romanziere non lo è meno, sapendosi valere del maggior tempo che gli è T. XXXIII. Gennaio. 14 106 concesso, onde farlo con maggior verosimiglianza e produrre in noi una più compita illusione. Ma quello in che Richard- son più si assomiglia a Shakespeare è l’arte squisita, o per meglio dire l’istinto di delicatezza, con cui ‘ci rappresenta i caratteri muliebri più perfetti e più cari. In un secolo rozzo e licenzioso , il fiero e spesso cinico Shakespeare ha trovati colori di mirabile purezza e soavità per dipingerci quella sua Cordelia, quella sua Iessica, quella sua Ofelia, quella sua Desdemona, quella sua Imogene. Dopo tali donne vengono certamente Enrichetta, Clementina, Pamela, Car- lotta, Clarissa, che il non dotto Richardson , nato per vero dire in un secolo assai più gentile di quello di Sha kespeare , ha saputo immaginare, e in cui brilla il bello ideale dell’ anima umana, l’ uninione più perfetta della grazia e della virtù. Nè tacerò la giudiziosa difesa di quella prolissità , che gli è generalmente imputata, e alla quale, secondo Villemain, dobbiamo quella compita illusione che si accennava pocanzi. Sì, egli dice, vi hanno nel romanzo, che porta il nome di Clarissa, lungherie interminabili. Per farci conoscere tutta la famiglia Harlow, per farci conoscere Lovelaccio e i suoi amici, per dipingerci quella società non fittizia ma reale, che in mezzo al decimottavo secolo dava all’ Inghil- terra il tristo spettacolo d’ una corruzione per così dire previlegiata, Richardson empie ben molte pagine, scrive ben molte lettere. Ma era egli possibile d’ottenere per via più breve lo scopo ch’ei s' era proposto? La forma episto- lare, da lui adottata, non era ad un tempo il solo mezzo di darci una pittura così fedele, come quella che ci ha data, e il mezzo di renderla inevitabilmente sì lunga? Può dirsi peraltro che nella sua prolissità egli è stato rapidis- simo. Nessuno più di lui ebbe l’arte di schivare le ripe- tizioni , di dar rilievo ai fatti e a’ pensieri col solo metterli in bocca di tale o tal’ altro personaggio, infine di unire all’ abbondanza delle cose l’ economia dell’ intreccio , il che tien sempre vivi gli affetti vari de’lettori. Così spiegasi la loro ansietà , allorch’egli andava pubblicando i volumi della sua Clarissa , le .loro preghiere di proseguir la sua 107 storia , le loro suppliche or riguardo a Lovelaccio or in favore della sua vittima innocente. Del resto , osserva Vil- lemain , la letteratura non solo riproduce i costumi della società, ma dipende ancora da certe forme, da certi acci- denti della società medesima. Al tempo, in cni la Clarissa venne in luce, l'Inghilterra politica , ‘cioè la classe pre- dominante dell’Inghilterra , serbava ancora ne’ suoi costumi un nonsochè di domestico , di grave, di solitario , che permetteva e le lunghe riflessioni e le lunghe letture. Là ne’suoitanti castelli, fra la pace di quelle famiglie somiglian- tia tribù, leggevasi senza alcuna fretta nelle lunghe sere d’in- verno un lungo romanzo, e questa sua lunghezza, nella man- canza d’altri libri dilettevoli , dovea sembrare un prolunga- mento di piacere. In uno stato assai diverso di società, fra una gran moltitudine di libri d’ogni genere, quando si abbreviano le storie più serie perchè sieno lette , quando la verità ap- pena può trovare udienza, certo la finzione non ha diritto di pretenderla a lungo. Riconosciute però e dichiarate le con- seguenze di questo stato, ch’ è il nostro, bisogna per giu- stizia e buona critica dimenticarle , onde ben giudicare un monumento letterario che appartiene ad un tempo già da ‘ noi lontano. Ma è pur forza ch’io venga alle tre lezioni già accen- nate , il cui argomento è troppo più importante che quello delle due prime. Esse riguardano gli storici inglesi, ne’quali, al dir dell'autore, l'imitazione de’ francesi è così visibile come ne’ tragici contemporanei. Il primo in cui apparisca tale imitazione è Hume, ammirato in Francia più ancora che in Inghilterra, e gran propagatore in Europa di quella scuola storica , la quale porta il nome di filosofica , ed è forse così lontana dal vero gusto della storia com'è lontana dal gusto degli storici dell’ antichità, In che differisce questo gusto da quello della scuola indicata ; e in che differisce dall’ uno! e dall’ altro il gusto vero della storia? Io non istarò quì a ripetere , dice l’ au- tore, ciò che già troppe volte è stato detto degli storici antichi. Ne’ tempi moderni , prima del rinnovamento della storia , cominciato da Montesquieu , compito da Voltaire, 108 e seguito da Hume, tre scrittori principalmente mi sem> brano aver lasciato una traccia profonda nella carriera sto- rica, Machiavello, De Thou, e Bossuet. Ciascuno di essi tien via assolutamente diversa da quella degli altri due ; ciascuno adempie, pel tempo almeno in cui ha scritto, alle principali condizioni della storia ; nessuno sicuramente presenta il tipo perfetto della storia medesima, la cui forma dipenderà sempre dal genio dello scrittore , dalla sua epoca, dal punto di veduta ch’ ei prende, dallo scopo speciale ch’ ei si propone. Machiavello è ad un tempo moderno ed antico ; specie d’ originalità che gli è tutta particolare. Egli è antico pel vigore dell’ anima, la forza dell’ espressione , 1’ eloquenza ch’ei presta a’suoi personaggi, benchè non sempre a proposito, trastormando talvolta per essa, com’altri han già notato, un cospiratore di Fiorenza in un cittadino di Roma. È moder- no per l’esattezza, la penetrazione, la sagacia, l’arte di com- prendere molto in poco, di presentare per così dire in iscorcio, ma senza storpiature o oscurità un'epoca intera. Nulla di più bello a questo riguardo, egli aggiunge, che il primo li. bro della sna Storia Fiorentina. In esso, come ognun sa, è dipinta a gran tratti tutta la barbarie del medio evo, non dirò con quella verità di colori che Villemain suppone, e che al tempo del Machiavello era forse impossibile, ma con un’ abilità a cui nulla manca se non il sussidio di cognizioni più precise. Dopo Machiavello, prosegue Vil- lemain, si distingue De Thou per insigni qualità che pos- sono chiamarsi tutte moderne, l’impa:zialita, cioè, la calma , la giustizia, l'indipendenza. Di tali qualità , che le passioni popolari quasi non permettevano agli storici antichi, e che ne’ tempi di furore e di fanatismo in cui egli visse non erano punto più facili, egli è debitore al proprio carattere e alla filosofia di cui era nadrito. Dopo questo grand’ uomo dabbene vien Bossuet, che gli è di molto superiore per }’ ingegno. Egli ha qualche somiglianza con Machiavello per la rapidità e per l'ampiezza delle vedu- te, Ma le sue vedute sono assai diverse ; e il sno carattere è troppo più solenne. Dall’alto della sua cattedra episcopale 109 piuttosto che dal suo seggio di storico ei raccoglie in uno la lunga serie degli umani avvenimenti, fa passare innanzi a sè le umane generazioni, le spinge innanzi, le precipita verso l’abisso, e sembra aver predetto ciò che racconta. Egli, se volete, non ha l’aria d’uno storico, ma piuttosto d’ un oratore e d’un profeta. Quanta varietà, prosegue Villemain , nelle forme date da questi tre scrittori alle loro storie ; e nondimeno quanto le forme storiche possono essere più varie! Quindi invece di fermarsi a parlare delle forme, impossibili ad assegnarsi, egii si volge a parlare delle qualità morali e intellettuali necessarie allo storico. In quella parte del suo ragionamento che riguarda le qualità morali, fra cui annovera primo l’amo- re della verità, è notabile un passo, che riscosse dall’udienza i più vivi applausi. Jo chieggo allo storico, ei dice, l’amore dell'umanità o della libertà; e voi vedete che non chieggo nulla di troppo. Intendo abbastanza che in certi soggetti sto- rici l’amore della libertà manifestato con molta vivezza può sembrare un anacronismo 0 una cosa fuori di luogo, Del- )’ amore dell'umanità questo non può avvenire. La giustizia imparziale dello storico non deve mai essere impassibile. Conviene che anch’egli abbia un interesse suo proprio, che brami, che speri, che ami, che tema, che sì affligga o si corrucci di cid-che racconta. Vedete Tacito : egli è il più grande degli storici perchè è insieme il più integro e il più appassionato ; perchè pesa le cose come un giudice, e le afferma come un testimonio ancor tutto commosso e pieno di collera per ciò che ha veduto. Dopo l’ amore del- l’ umanità Villemain colloca l’ amor della patria, che, ove non si confonda con certo egoismo nazionale o municipa- le che spesso ne usurpa il nome, è fatto anch’ esso per ispirare fiducia. In ciò ch'egli aggiunge delle qualità intellettuali, di cui non pretende fare un elenco poichè gli sembrano infinite , è notabile quest’ altro passo, di cui al solito riferisco i tratti principali. Che altro è la storia che il quadro della vita; e che avvi di più ani- mato , di più interessante dello spettacolo che la vita ci presenta ? Or perchè assistiamo noi con tanta curiosità, con 110 tanta passione a questo spettacolo , e lo guardiamo ordi» nariamente con tanta indifferenza nella storia che lo ri- produce? La colpa senza dubbio è tutta degli storici. Onde peraltro interessarci alla storia come alla realtà, appena so esprimere ciò che allo storico bisognerebbe, Volendo esprimerlo con una parola, dirò che gli bisogna l’arte della composizione , l’arte di disporre della realtà come il poeta disporrebbe della propria invenzione, La vita umana è un composto di fatti, di cui tutte le particolarità interessano più o meno i contemporanei , ma che pur bisogna compendiare e pei contemporanei e pei posteri. Lu storico deve scegliere quelle che il meritano, quelle che appartengono alla na- tura invariabile dell’uomo mentre dipingono in modo ca- ratteristico gli uomini dell’ epoca e del paese a cui si ri- ferisce la sua storia. Ma dopo averle ben scelte , gli resta ancora di saperle ordinare, concatenare, avvivare ; gli resta di sapere con una parte del vero far comprendere tutto il vero; gli resta insomma di sapere con piccoli mezzi produrre un grandissimo effetto ; e questa è opera eminen- temente poetica. Nell’ arte della composizione , egli aggiunge , appena conto lo stile, indispensabile in ogni genere di scritture, ma inseparabile dalle cose che in esse si trattano, e molto più dal sentimento e dalla forza d’immaginazione con cui se ne tratta. Quindi può dirsi che lo stile d’ uno storico ( non ignaro già s' intende della propria lingua) è tutto nel suo animo e nel suo ingegno, nel suo amore del vero, negli altri suoi nobili affetti, ec. ec. da cui solo può ri- cevere calore , evidenza , colore. Or veniamo , egli dice , alle applicazioni. Hume, po- sto tant’ alto nell’ opinione de’swoi contemporanei, ha egli tutte o le principali qualità, che a me sembrano. indi- spensabili in uno storico? Certo nessuno vorrà negargli mente elevata , spirito sagace , perizia ed eleganza di scri- vere. Ma le qualità morali , le qualità grandi dell’ anima quasi gli si potrebbero negare. Vediamo primieramente qual sia in lui l’ amore della verità; Ei non si cnrò punto ( e la cosa è più che dimostrata ) d’ attingere i fatti alle 111 loro sorgenti. Egli stesso confessa che potè in Francia aver nelle mani 14 volumi manoscritti delle memorie di Jaco- po secondo e gran parte del carteggio degli ambasciadori francesi a Londra, e che distratto dai divertimenti se ne lasciò sfuggir 1’ occasione. Voi trovate spesso nella sua sto- ria degli errori materiali, ch'egli avrebbe facilmente schi- vati solo che si fosse voluto dar la pena di consultare i libri della camera de’Comuni. Perchè non l’ha egli fatto ? Perchè non ne senti il bisogno, perchè non di rado forse sprezzò o nauseò il soggetto che trattava. Dice egli stesso, per esempio, che non sapeva capire il poter di Cromwello sulle assemblee, perchè Cromwello parlava come un rozzo contadino. Il suo gusto accademico ( mi si perdoni la frase) offeso da alcune parole grossolane o ridicole, uscite dalla bocca di quell’ uomo straordinario, non gli permetteva di sentirne l’ardore e la forza profonda. Quindi gli parve in- degno di lui il cercare come un tal uomo potè strascinar gli animi di quelli che 1’ ascoltavano. Villemain aggiunge, benchè esitando, di non trovare in Hume nè abbastanza amore della libertà, nè abbastanza amore dell’umanità. Certo, egli dice, Hume ama la libertà delle discussioni, l’esistenza delle camere ec. ec.; ma le ama per abitudine come le ama ogni inglese a qualunque grado o fazione appartenga. Quel progresso segreto e continuo della pubblica libertà, che si fa strada frammezzo alle forme gotiche ond’ è oppressa, ei non lo scorge punto, anzi si beffa di chi Jo suppone. Ei si ferma ad alcune piccole cause dell’ inglese rivoluzione , descrivendole ironicamente alla maniera di Voltaire, e non tocca punto le passioni violente , reali , profonde , le nobili o colpevoli ambizio- ni, insomma le cause grandi e vere della rivoluzione me- desima. Quanto al suo amere dell’ umanità , basti una sola osservazione. Ei narra le durezze e le lunghe iniquità dei regni d’ Elisabetta e di Carlo primo , ma senza dar se- gno di soffrirne. Nè l’amor della patria, prosegue Villemain', è in lui molto vivo. Certo io non vorrei da lui nessuna di quelle vane declamazioni, con cui spesso da scrittori inesperti 112 si crede provare un tale amore. Mi piacerebbe però vederlo nel suo racconto seguire la fortuna della patria come si segue la fortuna d'un amico, assistere per così dire a’suoi casi, or con tristezza or con igioia ,s or con pietà or. con oidegitor ed è ciò appunto ch’io non veggo. Egli, come aecennai, si mostra dotalo di grande intelli- genza, ma d’un intelligenza puramente di ragione, intelli- genza che può dirsi incompleta. Egli spiega benissimo tutti i fatti materiali, li espone con chiarezza , li distribuisce con ordine. Ma penetra egli abbastanza l’ uman cuore, e i suoi affetti diversi ? Io dubito assai che que’repubblica. nî, che que” realisti, ch’ egli ha posto in iscena, sieno stati da lui sempre ben compresi. Ei pretende che i wighs. gli abbiano rimproverato certa propensione per Strafford; ed io credo invece ch’ egli sia ben lungi dall’ aver reso a que- st’ uomo intera giustizia. Infatti , dopo aver narrato, come indusse egli medesimo il re a sottoscrivere la sua condanna proferita dalla camera dei pari, aggiunge queste parole : « forse Strafford sperò con questa prova singolare di gene- rosità d’obbligare il re a proteggerlo più efficacemente; 0 forse mostrò di non curare la vita. poichè già la credeva inevitabilmente perduta , ec. ec.,, Così la generosità di Strafford non era che un calcolo , una specie (d’ esperi- mento fatto sull’ animo del re; o la risoluzion disperata d’ un uomo che ‘abbandona ciò che non può. conservare. Mai i wighs, ardisco dirlo, non hanno proferito sentenza più ingiusta. Hume credette forse lodare l’avvedutezza e la prudenza, e non ° avvide che insultava ad un grande ca- rattere. Quanto alla composizione (o almeno a ciò che la com- posizione istorica ha di più essenziale, Ja distribuzion delle parti), gli sembra che Hume imiti affatto Voltaire, il quale non diede in'ciò esempio troppo imitabile. Come questo scrit- tore, ei divide l’ interesse, dividendo in capitoli Ja vita umana e la vita delle nazioni, mettendo dall’ una parte le arti, il commercio, la letteratura, le scienze , dall’al- tra gli uomini e gli avvenimenti ; il che sembra. giovare alla chiarezza e all’ istruzione, e non le nuoce meno che 113 all’ interesse medesimo e a quel nonsochè di drammatico il qual si vorrebbe trovar nell’istoria. Credete voi, per esempio , egli dice, che quando nel capitolo dell’ arti leggo una pagina di critica sopra Shakespeare, io comprenda sì bene il regno d’Elisabetta, come se in qualche parte del racconto mi si mostrasse Shakespeare medesimo, che dinanzi a questa regina recita la sua tragedia l’ Enrico VII[, ove Caterina d’Aragona, la sposa legittima sagrificata alla madre d’Elisabetta, ci si presenta qual modello di rassegnazione e di virtù? Perchè nel racconto dello storico non ho io trovato quel verso tanto applaudito dal pubblico e tanto lusinghiero per Elisabetta, chiamata in esso ia bella vestale assisa sul tro- no d'occidente ? Se l’istorico avesse aggiunto in qualche luogo che Za prude, la severa Elisabetta, chiedeva a Shakespeare di rimettergli sotto gli occhi il personaggio un po’ cinico di Falstaff, quest’ aneddoto non m’ avrebbe detto intorno al poeta e al suo tempo assai più che ogni critica letteraria ? Ma egli ha sdegnato simili aneddoti, come indegni della storia, sebben dipingano i costumi e diano al racconto una sì bella varietà. Questa dote, che manca al fondo della sua storia , manca pure al suo stile, terso ed elegante, come già si disse, ma monotono ed uniforme, La vita barbara, la vita rozza, la vita irregolare de’ primi tempi è da lui rappre- sentata coi medesimi colori della vita civilissima de’'tempi in cui scriveva. A' nostri giorni un grande ingegno, Cha- teaubriand , in un’ opera straniera alla storia, ha il primo, forse , adoperati i colori convenienti a’ costumi barbari , i quali raggentiliti più non vi piacciono. Dopo di lui il giovane autore del Conquisto d’Inghilterra fatto da Normanni (il cui paragone colla storia che Hume ci ha data dell’ Inghilterra medesima è sì naturale) guidato da un’imaginazione che chia- merò erudita, e vivendo per essa fra que’popoli duri, tu- multuanti, avventurieri, ha riprodotto anch’egli de’costumi originali, che per noi erano perduti. Io vi chieggo perdono, dice Villemain terminando (e queste parole furono accolte col più vivo applauso) d’ avervi qui ripetuto un encomio, 7. XXXIII. Gennaio. 19 114 che già più volte avete udito in mia bocca ; ma il nostro povero Thierry vive oggi così fuori del mondo (tutti sanno ‘ch’ egli ha perduta la vista) è ormai così straniero a’propri successi , ch’ io amo almeno ripeterne il nome, e ravvivar- ne in voi la memoria. Fatta nella terza lezione una lunga parte alla critica del più illustre fra gli storici inglesi, anzi del più rinomato fra tutti gli storici dello scorso secolo, egli ha pur voluto nella seguente far la sua parte alla lode. Una dote essenzialissi- ma allo storico, egli dice , è l’ intera libertà dello spirito, la franca indipendenza delle vedute; e questa senza dub- bio è il gran merito d’ Hume. Io non chiamerò per que- sto filosofica la sua storia, come Raynal ha creduto di do- ver intitolare la propria. Se la filosofia non è che la li- bertà dello spirito, l’ indipendenza delle vedute , essa de- ve animare tutta la narrazione d’uno scrittore, nè può costituirne una specie a parte. Quindi ei vien mostrando come questa dote, che in Hume è sì eminente, compensi a più riguardi quelle che gli furon negate dall’ indole sua o dalla tempra del suo ingegno. Non ogni suo difetto però venne da cause personali, ma taluno venne piuttosto dall’ epoca in cui egli visse. Se avvi genere di letteratura, in cui le meditazioni dello scrittore abbiano d’ uopo d’ esser afforzate , d’ esser rischiarate dalla vita pratica dell’ uomo , è certamente la storia. Tutti gli storici della Grecia furono uomini pubblici, se si eccettui per avventura Erodoto, a cui non nocque l’ essere una specie di poeta, quando la poesia era una potenza politica, e So- lone , per far cangiare una legge, veniva a recitare un’ele- gia sulla piazza d’ Atene, Tali, cioè nomini pubblici, fu- rono gli storici di Roma; tali gli storici delle moderne na- zioni nel decimosesto secolo , epoca singolare di giovinez- za e d’avanzamento sociale , epoca d’ azione e d’ ardi- menti , epoca , di cui si potrebbe prendere per simbolo il genio avventuroso e sublime di Colombo. Dopo quell’ al. tr epoca tutta d’ ordine e di regolarità, che si chiama in Francia il secolo di Luigi XIV , e che il potere o 115 l’ imitazione estese più o meno a tutte le parti d’ Eu- ropa , l’ attività politica divenne quasi straniera agli scrit- tori. Ne' paesi stessi, che serbarono le forme della libertà, la professione delle lettere si separò dalla vita pubblica ; gli uomini pensanti più non furono gli uomini operanti , e quasi più non si considerarono che come oziosi privilegiati, posti a brillare fra’ contemporanei per la superiorità della ragione e lo splendor dell’ ingegno. Ora questa disposizion di spirito, che fu loro comune sin verso la fine del deci- mottavo secolo, non era certo favorevole al perfeziona- mento del genio storico ; Hume ne può essere una prova, e con lui qualch’ altro insigne scrittore del suo tempo. Quello infatti che dico d’ Hume a questo riguardo può dirsi egualmente di Robertson, grande ornamento della scno- la scozzese, Io ammiro, ei prosegue questa scuola illustre, bella colonia di spiriti eletti, vera accademia di pensatori, uniti insieme per esercitare l'intelligenza e la parola su quanto può importare al genere umano. Io non veggo però in' sinili riunioni nulla che aiuti a dar l’esperienza della vita politica. Io veggo formarsi in esse piuttosto l’ingegno d’un Dugald Stewart e d’uno Smith che quello d’ un Tucidi- de , d’un Sallustio , d’ un Tacito. Avvi in esse troppa cal- ma , troppa sicurezza , troppa regolarità, perch’io speri di trovar nelle storie scritte nel loro seno la viva pittura delle passioni , la conoscenza profonda delle umane rivoluzioni. Ciò egli dice probabilmente, considerando tali riunioni co- me il tipo della vita letteraria in. epoche pacifiche, le quali , come già troppe volte; è istato osservato , non sono l’ epoche della storia. All’ incontro;com' ei soggiunge, in certi periodi vicini ai gran cangiamenti sociali, il genio stò- rico appartiene per così dire a tutti ; ed. è isingolarissimo negli uomini di gran. mente divennti gl’interpreti:del pen= siero comune. Vent’ anni, circa, dopo la rivoluzion d’In; ghilterra, quando gli spiriti n’ erano ancor tutti commos- si, la natura di tali avvenimenti dovea ben intendersi as. sai meglio che in un’ epoca posteriore; e bastano, a. farce- ne fede i libri di Burnet e di Clarendon. Così a’ nostri giornî, dopo la gran commozione , di cui molti. fra. noi 16.10) sono stati testimonii, e che ancor riempie tutte le imagi- nazioni, può dirsi che tali avvenimenti sono intesi per una specie d’istinto , laddove Robertson come Hume non ebbe per intenderli che lo studio e la ragione. Ma diciamo quel che appartiene a Robertson parti- colarmente. Lo studio , come già si è potuto intendere, fu la sua vita ancor più che la vita d’ Hume. La ragione 0 l’ intelligenza, se non fu in lui più acuta che in Hume, certo fu più grave e più sicura, poichè immune da scetti- cismo, Villemain ricorda un suo discorso giovanile sullo stato del mondo all’ epoca dello stabilimento del cristia- nesimo , d’ onde appariva il suo gusto per gli studii sto- rici e il carattere ch'egli avrebbe dato alla storia. Le gran- di vednte , che si manifestano in quel discorso, ei prose- gue , sono poco d’ accordo collo spirito del tempo, spiri- to disdegnoso e leggiero ; che quasi non guardava al \pas- sato che per farne soggetto di sprezzo o di derisione. Ro- bertson invece scrivendo opere istoriche ne ha fatto sog- getto di esame il più serio. Ma se a questo. riguardo egli è estraneo alla scuola di Voltaire , non cessa di apparte- nerle a più altri; e forse è uno di quelli che ne hanno più propagato il gusto istorico, dandogli (benchè a costo della vivacità e della grazia ) non so qual gravità che ispira fiducia. E qui l’autore con bella e dotta digressione, richiesta dal soggetto , sì fa a parlare delle diverse specie di sto- ria , ch'egli riduce a tre, la congetturale , la critica , e quella che particolarmente può chiamarsi narrativa . La prima, cioè la congetturale , è quella che conviene ai tem- pi antichi, intorno a cui non ci è pervenuto che un pic- col numero di ‘memorie ‘incomplete , e mal supplite da altri monumenti originali. {n essa può singolarmente ado- perarsi ‘quello spirito d’investigazione e direi quasi di di- vinazione ch’è proprio de’ moderni, Vedete infatti come da alcuni passi negletti o mal intesi, come dalle Jeggi specialmente, ‘Niebbur cerca d’indovinare la storia vera del popolo ‘romano. È ben chiaro però che quando si cerca d’ indovinare non ‘si può descrivere; quando si raccolgono 117 e si discutono prove, non si può fare e colorire un racconto. Quindi la storia congetturale si riduce a poco altro che ad una serie di dissertazioni erudite. La storia critica è quella che conviene ad epoche oscure ma ricche di monumenti, co- me il medio evo, le quali non han bisogno di congetture ma di ricerche pazienti e sagaci. Questa storia richiede in chi la scrive tanto maggiore perspicacia, quanto più i testi- monii de’ fatti, che la compongono, sono stati o creduli o negligenti o ignari de’ veri interessi della vita. A questa perspicacia però è d’uopo che si aggiunga certa imagi- nazione , che trasporti lo scrittore ne’ tempi e ne’ luoghi di cui parla, certa passione per le cose che caratteriz- zano que’ tempi e que’ luoghi, onde il suo racconto rie- sca quant’ è possibile una rappresentazione del vero. La terza specie di storia è quella che si richiede a’tempi no- stri o non molto da noi lontani, pe’ quali abbondano monumenti sicuri, come sono i tempi posteriori all’ in- venzione della stampa. Parlando di questi tempi lo serit- tore è obbligato e tener conto di mille particolarità, le quali non sono già un semplice ornamento , ma una parte integrale della storia ch’egli scrive, Obliandole o non stu- diandole bene, ei corre rischio di darci non solo una storia incompleta, ma una storia meno vera di quella che si è proposta, e che per l’ abbondanza de’monumenti già detti parrebbe dovergli riuscire assai facile, L’ istoria congetturale, quasi tutta appoggiata a pro- ve incerte, mal conveniva all’ indole rigorosa dell’inge- gno di Robertson. L’ istoria critica, la qual racchiude fatti positivi, gli era, come ciascun vede, assai più adattata. Ma questa storia può trattarsi di due maniere assai differenti, o d’ una maniera larga e circostanziata , in cui tenga il principal luogo l’ esposizione de’ fatti, o d’ una maniera compendiosa , in cui più che i fatti spicchino le vedute dello scrittore. Questa seconda maniera , usata da Voltaire e molto lodata da’ critici inglesi, è pur quella di Rober- tson. Quant’ essa peraltro sia imperfetta , il Saggio di Vol- taire sullo spirito e i costumi delle nazioni lo mostra ab- bastanza, Avvi fra questo titolo e l’ opera che lo porta una 118 specie di contradizione , poichè la pittura de’costumi delle nazioni deve trovarsi nel racconto di ciò ch’esse hanno operato, il loro spirito deve manifestarsi a chi lesge in forza del racconto medesimo , senza bisogno delle digressioni elo- quenti o epigrammatiche d’ uno scrittore. Robertson non si abbandona a simili digressioni, ma non perciò egli tratta la storia critica molto meglio di Voltaire , poichè neppur egli dice, scrivendola, quel che sarebbe necessario, o almen nol dice nel luogo e nella forma che converrebbe. Si loda molto la sua introduzione alla storia di Carlo V; e certo si trova in essa una gran calma di ragione, una saggia distribuzione di parti , una progressione regolare di cose che piace molto al pensiero. Ma essa è spoglia di tutte le particolarità dirò così più vitali, che per singolar caso s’in- contrano ove al più non dovrebbero incontrarsi che docu- menti giustificativi o cose di semplice erudizione. Sembra che lo scrittore abbia obliato che per esser breve bisogna esser caratteristico; che, volendo esser parco di parole, bi- sogna che queste sieno piene di cose e fatte per lasciare una profonda impressione. Egli vi dirà per esempio che un tal popolo di barbari era trasportato dal furor della guerra. Ciò che dipinge questo furore , la natural ferocia di que’bar- bari, la loro moltitudine che si addensa intorno ad un bardo selvaggio, il qual canta versi bellicosi, i vecchi e i fanciulli che piangono di non poter seguire i lor figli o i lor padri alla battaglia, tutte queste particolarità nar- rate da Prisco, l’ ambasciator romano, coll’ accento del terrore alla corte di Bisanzio , egli, non si sa perchè, le riserba alle note. Ma egli ha pur commesse altre ommis- sioni, che nuocciono non solo alla verità locale e pitto- resca, ma all’intelligenza degli avvenimenti. Egli per esem- pio (e ciò è ben notabile in uno scrittore sì giudizioso) guarda le crociate alla. maniera di Voltaire ; e quindi non si cura punto di spiegarle. Per lui le crociate non sono che un’ impresa bizzarra , promossa da’ raceonti de’ pelle» grini che tornavano di Palestina, e guidata da un romito fanatico . Or come ha egli potuto -obliare ch’ esse furono preparate di lunga mano, clîe furono un tentativo di supre- 119 mazia religiosa, che Gregorio VII le predicò vent'anni pri- ma di Pier l’eremita, che scrisse a tutti i malcontenti d’Eu- ropa, a tutti i duchi rivoltati contro i lor principi, a tutti i principi rivoltati contro l’ imperadore, offrendosi loro per capo ? Certo se Robertson si fosse ricordato di queste co- se, anzichè parlar delle crociate com’egli fa, avrebbe pint- tosto notato in questo grande avvenimento quella legge co- stante dell’ umane cose , per cui un’ impresa qualunque si eseguisce , quando , dopo essere stata il pensiero d’ un uomo di genio , diventa una passione della moltitudine. Quanto alla terza specie di storia, pare che Rober- tson avrebbe dovuto particolarmente riuscirvi , poi ch'egli non era uomo da sgomentarsi dell’ abbondanza de’ monu- menti, ed era fatto per compiacersi della loro sicurezza. Se non che per ben valutare i monumenti , a qualunque epoca essi appartengano, pet derivarne esattamente ciò ch’ essi contengono, per riprodurne le particolarità carat- teristiche, è d’ uopo d’ uno sforzo, d’ una specie d’abne- gazione delle idee e delle consuetudini del proprio tem- po , ch'è sempre riuscita difficilissima. In Fran cia nel se- colo decimosettimo si alterò la storia per amore d’elegan- Za , per non so qual gusto di formalità. Nel secolo seguente così in Francia che in Inghilterra si alterò per amore di giustezza filosofica o per razionalismo politico, al che non si è per anco del tutto rinunciato. Come Vely infatti diede al corteggio di Chilperico un nonsochè di raffinato e di pom- poso, che appartiene visimilmente alla corte di Luigi; l’illu- stre Sismondi dà alla monarchia o alla divisione ammini- strativa della monarchia d’ Ugo Capeto qualche cosa che appartiene alle istituzioni liberali de’ nostri tempi. Ro- bertson , trattando di cose meno lontane e quindi più co- nosciute , avrebbe potuto colorirle più fedelmente , eppur non lo ha fatto; di che Villemain reca in prova il suo epi- sodio sulla riforma. Il decimottavo secolo , egli dice, gridò concordemente: qual ammirabile storico è Robertson ; co- m’ è stato imparziale parlando della riforma ; qual giusti- zia esatta ha saputo rendere così a Leon X che a Lutero! Ma questa imparzialità , questa giustizia, qualunque sia- 120 si, basta essa, egli prosegue, per farci ben conoscere il carattere della riforma e de’ personaggi che vi ebbero par- te? Quindi, citato un passo notabile , in cui Lutero , po- sto per così dire sotto il fulmine della bolla che Leone lanciò contro di lui, appena ha l’ aria di risentirsi: ecco, dice il Lutero di Robertson. Ma se veramente Lutero fu qual dallo storico si dispinge , ei fu un nomo assai pacato, assai ragionevole, Or come ha egli fatto sì grande strepito, come ha egli agitati gli animi con tanta violenza? E qui, dopo avere dipinto egli medesimo questo capo della rifor- ma, dopo aver citato alcune delle sue parole più veementi contro la bolla pocanzi accennata : queste parole , dice, oggi sepolte in un grosso infoglio, ma che allor risuonarono in tutta Alemagna, sono pur inseparabili da Lutero. Se lo storico non le raccoglie , se le corregge com’ altri ha poi corretti i versi di Shakespeare , se le assoggetta. a certe forme accademiche, ei non ci dà più idea di Lutero , non ci dà più mezzo d’intendere il potere da lui esercitato. Ma Robertson, egli prosegue, cede pur troppo invo- lontariamente al bisogno di correggere ciò che riferisce, di dare un’aria di regolarità e d’ aggiustatezza a ciò che non era che impeto e disordine. Quindi viene non so qual con- tradizione tra la forma del suo racconto e le cose da lui raccontate. Rechiamone ad esempio il racconto ch’ ei fa della morte di Maria Stuarda nella sua storia di Scozia. Questo racconto (Villemain lo riporta) vi presenta esso Maria Stuarda qual fu veramente? Vi fa esso intendere il suo linguaggio, vi fa esso comprendere le cause della sna fine infelice? Sentite voi in esso quell’ironia di donna e di regina, quella finezza di spirito motteggiatore ch’ella con- serva nella sua sventura sino all’ ultimo istante ? Vi scor- gete voi quell’ ardore di due opposte credenze , che di- vide Maria da Elisabetta, e che dall’ una parte si manife- sta colla persecuzione , dall’ altra col martirio ? Potete voi, leggendolo, spiegare a voi stesso quell’avversione profonda per cui la bella , la giovane, la cattolica Maria dovea perir vittima della meno bella , della meno giovane , della protestante Elisabetta? Vi trovate voi nulla insomma 121 di ciò che l’ingegno di Walter Scott vi fa trovare nel roman- zo dell’Abate, ancor più vero dell’istoria ? Di ciò peraltro voi trovate indizio in un’opera di Brantòme , spirito così frivolo quanto Robertson è grave , ma vissuto al tempo di Maria, e però dominato da impressioni, a cui la studiosa gravità di Robertson mal potea supplire . Indi, citato un passo di Brantòme, a cui frammette le più giuste e più delicate riflessioni, conchiude esser mancato a Robertson, come agli altri della medesima scuola , quel misto di sen- timento e d’imaginazione, che fa vedere allo scrittore ciò che non è davanti agli occhi suoi, che gli fa ‘indovinare gli affetti che non ha provati ; qualità necessarissima allo storico, il quale ha d’uopo d’esser poeta, non solo per essere eloquente ma anche per esser vero. Hume e Robertson aveano, dic’egli nella quinta lezio- ne, applicati i principii della scuola francese, l’ uno par- ticolarmerte alla storia del medio evo, 1’ altro a quella de’ tempi moderni. Restava per l’ illustrazione di quella scuola e insieme della letteratura inglese nel decimottavo secolo ; che qualcuno li applicasse alla storia dell’ antichi- tà ; e ciò fece Gibbon, destinatovi per così dire da tutte le circostanze della sua gioventù. Una delle cose più at- traenti nelle lezioni di Villemain sono le notizie biografi- che , con cui egli ci prepara a comprendere il genio let- terario degli scrittori. Queste notizie però possono talvolta sembrare o più minute o più estese che tale scopo non richiegga. Quelle di Gibbon, quantunque estesissime, han- no l’aria d’esser tutte necessarie , sembrano contenere ve- ramente il perchè de’pregi e de°difetti che possono trovarsi nella sua Decadenza del romano impero. Or sappiamo bene; dice Villemain conchiudendole, con qual uomo abbiamo che fare, e ciò non può esserci inutile. Uno storico è una guida che ci conduce nel passato. Pri- ma di fidarci a lui, di credere sulla sua parola;giova averlo ben conosciuto : tale o tal altro difetto del. suo. carattere può premunirci contro tale o tal altro errore della sua nar- razione. Noi non abbiamo trovato in Gibbon, egli prosegue, T. XXXIII. Gennaio. 16 122 che un solo nobile e gran sentimento;, la passione dello studio. Tutto ciò che dipende da un tal sentimento (let- tura immensa e accurata, cognizion profonda de’ monumen- ti, esattezza di confronti, sagacia d’ induzioni ec. ec.) possiamo ben esser certi che sarà notabile nella sua opera. Ma ciò è ben lungi dal bastare in un’opera come la sua. Uno de’più grandi assunti, che uno storico potesse prender- si, certamente era quello di esporci come ha fatto Gibbon la fine dell’ antichità; esposizione che .dall’ una parte si addentra naturalmente nell’ antichità medesima, dall’altra si spinge nei tempi successivi fino ai cominciamenti del mondo moderno . Troppe doti diverse gli eran necessarie per ben corrispondere a simile assunto. Or gli bisognava quell’antica elevazione, che conviene alla pittura delle cose antiche, a cui la distanza de’ tempi dà tanta grandezza ; ora quel nonsochè di forte e d’ingenuo, che conviensi alla pittura de’ tempi di mezzo ; or qualche cosa d’ un Roma» no, or qualche cosa d’un Gallo, ec. ec. j e finalmente (ciò che pur bisogna a chiunque intraprende un’opera qualun- que ) un principio d’ unità, nn pensiero ispiratore, Or quale fu in lui questo pensiero ? Gibbon , è pur forza il dirlo, pressochè indifferente alle più. felici istitu- zioni del proprio paese, non fu ispirato da. alcun grande pensiero, non ebbe per principio d’ unità che la più falsa delle vedute. L'impero romano, qual l’aveano fatto il di- spotismo e la forza militare gli parve il modello della ci- viltà .. Il cristianesimo: stesso fu a’suoi occhi una specie d’accidente barbarico, venuto a turbare quell’armonia di pacifico dominio e di pacifico servaggio , ch’ egli ammira-. va in quell’impero. Quindi è facile imaginarsi i giudizi e i sentimenti ch’ei può manifestare nella sua storia. Ei non dirà mai a sè medesimo che da tre secoli un giogo ferreo, raramente alleggerito da qualche buon principe, pesava sul genere umano: poichè v’ era una forza militare forte e ben disciplinata , un' obbedienza pronta ed intera, de’ pretori , de’ prefetti , de’ generali, degli imperadori , tutto andava a meraviglia. Mai egli non iscorgerà nel cristiane- simo un contrappeso alla schiavità del mondo , un risor- ra3 gimento della natura morale: i suoi seguaci non gli ispi- reranno alcuna ammirazione , e li vedrà immolare senza pietà. Ei vi dirà che le leggi dell'impero erano rigide ma saviamente eseguite . A’suoi occhi la filosofia di Plinio il giovane scuserà i rigori esercitati da questo proconsole di Bitinia contro i cristiani. Ei non sentirà punto a qual se- gno di degradazione doveva esser giunto lo spirito umano, perchè un saggio come Plinio facesse condurre al suppli- zio uomini da lui stimati innocenti , e un principe co- me Trajano lo approvasse scrivendogli che aveva operato come doveva. Questa inflessibilità della tirannide, che an- torizzava l’ ingiustizia , sembrerà a Gibbon un elemento della prosperità e della grandezza del maggiore degl’imperi. Da tal principio, ch'io ho pur troppo snervato com- pendiandolo , ciascuno argomenta come proceda, il re- sto della lezione , una delle più dotte, delle più faconde e delle più vivamente applaudite. Duolmi d’ essermi già troppo allungato sulle lezioni antecedenti , e (di dovermi quindi restringere intorno a questa, che forse le vince tutte d’ importanza. Come potrei io. però compendiare ciò che dicesi in essa del merito morale della storia’ di Gibbon , senza togliergli ogni efficacia ? Indicherò piuttosto eiò che vi si dice del merito letterario o della composizione pro- priamente detta; dal che peraltro non sono escluse le vedu- te morali. Villemain trova in tal composizione un gran difetto di metodo. Gibbon, ei dice, ritarda sino al terzo volume l’esposizione de’ progressi del cristianesimo, e concentra in due capitoli tutti i fatti, tutte le vedute che gli presenta questo grande avvenimento. Perchè , egli prosegue , non dipingerci i cristiani almeno in nn lato del quadro sin dal regno di Marcaurelio? Essi già erano ‘assai numerosi; essi già presentavano suppliche all’imperadore; essi dunque già tenevano un luogo nella’ storia. Quale spettacolo d’altron- de quello d'un principe filosofo e generoso, e di tanti uo- mini innocenti perseguitati sotto il suo regno! ‘Qual le- zione di tolleranzà per chi sappia ben intenderla , ec ec.! Ei passa quindi a parlare d’un altro difetto della sto- 124 ria di Gibbon, dî quel non so che di dissertativo che vi è spesso sostituito all’esposizione viva delle cose, e mostra con opportuni confronti come quella che potrebbe chiamarsi ma- niera drammatica è insieme fedeltà istorica. Ciò egli fa con un’abbondanza ed un calore, che veramente compensa tutti i difetti che possono rimproverarsi ad un’eloquenza semiestem- poranea. Con un’abbondanza ed un calore ancor più notabile ei parla in seguito di certi errori, a cui una parzialità vera- mente singolare ha strascinato Gibbon, malgrado Ja sua eru- dizione non meno singolare. Viene infine a certi falli di gu- sto provenienti da non so quale freddezza d'anima, e dopo aver citate con indegnazione mista a dolore certe ironie affatto tuor di proposito, che lo storico si è permesse : bi- sogna veramente , egli dice , avere un gran fondo di buon umore, un tesoro inesauribile di lepidezza, per ridere di questa maniera in mezzo alle devastazioni, al sangue, alle morti. Pur troppo , ei prosegue, come ha già eloquente- mente osservato il mio collega ed amico Guizot , l’istorico sembra riserbare tutte le pompe del suo linguaggio per de- scrivere i trionfi d’un furore brutale ; ei sembra estasiarsi talvolta, come un istoriografo di Tamerlano, in faccia alle gesta spaventevoli del distruttore. Ah io vorrei ch’ egli avesse riserbato il suo entusiasmo pei trionfi e pei com- battimenti della vita morale ; che avesse meno ammirato la forza materiale, e meglio apprezzato ciò che appartie- ne all'anima ed al pensiero! Ma io m’avveggo, ei conchiude , che il discorso mi trasporta. Le mie critiche non ‘sono ingiuste , ed io certo non le farei se appena dubitassi che il fossero. Esse però parteciperebbero all’ingiustizia , se mi rendessero indiffe- rente al vero merito dell’opera .di Gibbon, se m’impedis: sero di vedere ciò che avvi in essa d’elevato, di forte, di progressivo in. mezzo ad alcune irregolarità e a qualche disordine. Certo quest'opera ci fa ammirar nel suo autore uno spirito raro, ch'è facile censurare ma non è facile egua- gliare. Se Gibbon è a qualche riguardo un commentatore di Montesquien, è pure a molt’ altri pieno d’ originalità . Non neghiamogli dunque la gloria letteraria che gli è do- 125 vuta; riconosciamo in lui le più gran doti dell’ingeyno ; e diciamo che, se gli sono mancate alcune doti preziose dell’ anima, non sembra ch’ei se ne sia curato, nè che si dorrebbe molto (ultimo rimprovero ch’ io possa fargli) di sentirsele negare. Noi abbiamo veduto , ei dice nella lezion successiva, che termina la sua escursione sull’ inglese letteratura (e colla quale terminerò io pure questo primo articolo , ri. serbando ad un secondo quelle che riguardano l’italiana) roi abbiamo veduto in Inghilterra l'innovazione dell’arte e dello studio. Quest’ innovazione tutta filosofica avea spo- gliato la storia dell’ ornamento dell’ imaginazione , che compie la realtà stessa ; e a quest’'innovazione tutta Eu- ropa avea fatto plauso. Ma l’imagiaazione ha un tal po- tere sull’ uomo ; i suoi piaceri gli sono così necessari, che, anche in mezzo allo scetticismo d’una società invec- chiata , egli è pronto ad abbandonarvisi ogni volta che gli sono offerti con qualche aria di novità. Quindi vedete il generale entusiasmo al comparire de’canti d’un bardo, vissuto come dicevasi nel secondo o nel quarto secolo fra le montagne della Scozia, e che sembra avere tuttavia qual- che cosa di misterioso. La fortuna di questo bardo fra noi è veramente stata singolare. Egli ha dominato la lettera:ura della seconda metà del decimottavo secolo; egli domina, diciamolo fran- camente , la poesia e la prosa poetica dell’età nostra; egli ha dominato e forse ancor domina gli spiriti più distinti o più sensitivi in quasi tutti i gradi della scala sociale. Il conquistatore dell’ Italia e dell’ Egitto era uno de’ suoi grandi ammiratori ; e all’epoca primitiva della sua eleva- zione i lodatori officiosi non mancavano di trovare un’af- finità segreta fra la semplicità degli eroi caledonii e quella che attribuivano al moderno eroe . Nella mia gioventù, che veramente comincia ad allontanarsi , si facevano po- che distribuzioni di premi, in cui non risuonassero i no- mi d’Oscar e di Malvina, che 1’ imaginazione de’ parenti sostituiva ai nomi usuali tratti dal calendario. Un poeta ch’è nel pensiero di tutti, che giugne a destare un entu- ‘126 siasmo sì grave insieme e sì puerile, merita bene d’essere stn- diato 5 e l’interesse, che ancor ispira il problerna della sua esistenza, farà sembrar' più tollerabile 1’ aridezza d’ alcuni ragguagli filologici, che, tratrandolo, non potrò evitare, Di che mudo egli tratti questo problema, il quale, come ciascuno comprende dal brano d’ esordio qui ripor- tato, forma il principale argomento della sesta lezione , io non potrei qui indicarlo senza cadere in quella aridità, che Villemain ha saputo schivare infiorando or d’ aneddoti or d’altro la sua discussione. Com’ei lo sciolya posso far- lo comprendere, dicendo che dal mezzo della lezione in poi egli chiama sempre il bardo scozzese Macpherson- Ossian. . i Alla discussione sull’ esistenza del poetà ei fa succe- dere un’ giudizio critico sul merito delle poesie che gli sono attribuite; e questo giudizio, se non abbonda di cose nuove , abbonda al solito di cose ingegnose. La fine di tutto il discorso, ridotta a brevi termini, è questa. To non veggo nelle poesie d’O:sian che uno sforzo di ringiovani- mento letterario per mezzo dell’imitazione d'anuche for- me , che una di quelle contraffazioni di pensiero e di sti- le, che son comuni alle invecchiate letterature. Tutto ciò che avvi di più caratteristico e di più originale in queste poe- sie , un non so che di malinconico, di fantastico, d’inde- terminato , di sentimentale, di religioso benchè indipen- dentemente dal culto , ec. ec., tutto appartiene al deci- mottavo secolo. Ciò assai più che la lor vantata semplici- tà, la qual peraltro do\ ea piacere come un ritorno alla natura, spiega la lor fortuna al tempo in cui comparvero, e in quel- lo che lor succedette, Esse convenivano mirabilmente alla fine del decimottavo secolo, esse eran fatte più che ogn'al- tra poesia per lusingare gli animi affaticati dalla riflessio- ne e dal dolore. Che conchiudere da tutto ciò? La neces- sità che la letteratura in ogni suo tentativo sia nazionale e contemporanea . Anche quando, per risvegliare il gu- sto aildormentato , essa ricorre a finzioni straniere o re- mote, non ottiene verun'effetto se non trae partito da idee e da sentimenti attuali, Chi non si associa a questi 127 sentimenti e a queste idee, chi non è uomo del proprio tempo, non riesce a nulla co’ suoi scritti, non è vero scrittore, M. \ DUBITAZIONI E CONGHIETTURE INTORNO TomEeuctu. Si quid novisti rectius +. . Horat. Nel momento che colla massima impazienza stiamo aspettando che dalla Società di Geografia in Parigi si pubblichi la Relazione del viaggio, e soggiorno fatti a Tombuctù dal signor cav. Caillé (1), non sarà discaro ai leggitori dell’ Antologia di trovare qui alcune riflessioni durante un lungo soggiorno in Marocco , ed in Tripoli di Berberia, a me suggerite dalla comparazione fatta delle varie relazioni infino ad ora somministrateci, concernenti quel celebre, e misterioso emporio (2). Ma prima di andare innanzi, sarà pregio dell’ opera di de- terminare in questo luogo la positiva ortografia del nome di Tom- buctù. Alcuni moderni scrittori lanno preteso, che la vera pro- munzia di cotesto nome eta quella di Tin-Buctù, imperciocchè , nel linguaggio del paese, la voce 77 significando, a detta di loro, abitazione , o domicilio , e quella di BuXtà sendo nome proprio di donna, è parso loro credibile, che il nome intero altra cosa non volesse dire se non abitazione di Buctà, donna o santa, o altrimenti celebre, intorno alla di cui residenza'fosse appoco ap- poco stata edificata la città di cui si parla. Tuttociò può esse- re e possibile , € verissimo; ‘ma non ostante le asserzioni di quei signori, non mi è mai sortito di abbattermi in una sola (1) V. Ant. N.® g6, Decembre 1828. (2) Benchè il foudo di queste riflessioni sia stato disteso in lingua fran- cese parecchi anni sono , si è creduto giovare ai progressi dell’ etnografia col pubblicarle orà , nel tempo medesimo che si dà nell’ Antologia la traduzione italiana del rapporto fatto alla società parigina di geografia , dal comitato di lei spezialmente incaricato di render conto del viaggio del signor cav. Augusto Caillé ; acciocchè si possano a suo tempo confioutare collo stato esatto delle cognizioni che finqui si aveano. di Tombuctù i lumi che sta per ispargere su quel ramo interessante della: geografia , la relazione circostanziata ed autentica delle scoperte fatte ulrimamente. 138 persona , o "mora od araba, abitante dell’interno dell’Affrica , la quale abbia confermato coteste asserzioni , che debbo così cre- dere per lo meno arrischiate. Checchenesia , è cosa certa che fino dal quattordicesimo secolo gli arabi pronunziavano quel nome Tun-buk-tù , posciacchè Mohhammed Jbnu Batuta , celebre viag- giatore affricano di quell’ epoca, dice positivamente che la pri- ma sillaba di quel nome dovea scriversi con un Tè ‘mosso da un dhomma vocale araba corrispondente all’ toscano e segui tato d’ un Nun quiescente, ciò che appresenta, il suono figu- rato di Tun , e non quello di Tir. Per la qual cosa andremo innanzi, dicendo e scrivendo Tun-buctù, o Tonbuctù, o vera- mente Tombuctù , come più conforme all’ ortografia italiana, ove la consonante è non consente mai avanti di sè la 2 in mezzo della parola ed in sillaba diversa. Fra le relazioni che abbiamo infino ad ora di Tombuctù, due si destinguono sovra le altre ; cioè, una di Sidi Hhamed, negoziante arabo della tribù di Beni-es-Seba'a ( figli del lione ) del Sus-el-acsà , region montuosa del Gran Deserto limitrofa. del- Y Impero di Marocco , la qual relazione fu compilata, e pubbli- cata dal capitano James Riley, degli Stati Uniti dell’ America settentrionale ; e l’ altra d’un certo Beniamino Rose, marinaio pure americano, il quale sotto il pseudonimo di Roberto Adams fu presentato al pubblico, dodici anni sono, come autore di una storia del suo naufragio sulla spiaggia occidentale del Sahhara, non che della sua schiavitù di tre anni fra gli arabi colà vaga- bondi , e della sua residenza di sei mesi nella città di Tombuctù. Queste due relazioni che, l'una e l’altra, sembrano doversi, con qualche ragione, collocare allato a quelle dei Psalmanasar, e dei Damberger, contengono ciò nondimeno in sè alcuni fatti d’ importanza, i quali combinati con ciò che prima sapevamo , ed in appresso è giunto a nostra cognizione, rispetto a quella celebre città, possono almeno servirci a situare qua, e là, sul cammino degli etnografi , alcune scorte , o chiamate acconcie a guidarli nel retto cammino. Sarà perciò da queste due relazioni che dedurrò successivamente la materia delle mie dubitazioni e conghietture. Sidi Hhamed dice , che la città di Tombuctù è cinque volte | più grande di Suira, città dell’ Impero di Marocco, in Europa conosciuta sotto il nome di Mogodore, e che la sua popolazione è sei volte maggiore. Giusta il computo del capitano Riley avrebbe dunque , perlomeno, dugentosedicimila abitanti. Ma questi com- puti sono esagerati, non meno per Suira che per Tombuctù. Lo 129 stesso signor Grey Jackson che fu cotanto liberale negli altri suoi censi della popolazione di Marocco, conta solamente dieci mila abitanti in Suira; ma questo , da un altra parte, è troppo poco. Da tutto quello che , durante un soggiorno di sei anni in quel- l’ Impero , io ho potuto riconoscere; anche dietro le più accurate informazioni di cristiani per lunghi anni stabiliti in Mogodore , mi credo autorizzato di fissare la sua popolazione in sedici, @ tutto al più in diciassette mila anime. Sicchè, ammettendo con Sidi Hhamed, che Tombuctù ne abbia almeno sei volte altret- tante, non potremo valutare la sua popolazione a meno di cento mila anime, senza però includervi le sedici o diciottomila , che vivono nel Mi/lah, o sia sobborgo dei Mauri. Ma come conci- lieremo questa numerosa popolazione coi ragguagli trasmessi nel 1798 all’Istituto reale di Francia dal fu Broussonnet, che otte- nuti li avea da parecchi Mauri, i quali erano più volte stati a Tombuctù , e che gli affermarono quella città non essere punto più grande di quella di Tetuan nell’ Impero di Marocco, e non avere , al più, se non che dieci mila abitanti. E qui non posso astenermi dal ripetere una immagine curiosissima di Tombuctù, nell’anno 1792 al mio rispettabile e dottissimo amico il sig. cav. Matteo. de Lesseps ; in oggi console generale di Francia in Tunisi, data da alcuni Mauri, che aveano soggiornato un gran tempo in Tombuctù ; ed in altre parti della Nigrizia. Per dipingere , d’un sol tratto, e col modo figurativo degli arabi , 1’ irregolarità delle abitazioni di Tombuctù, si servirono essi di questa energica espres- sione: « Pigliate in mano un mucchio di capanne; gettatele in » aria : lasciatele ricascar sulla terra, e vedrete Tombuctù ,,- Tutte le antiche relazioni di questa città concorrevano nel dire, che almeno dall’anno 1800. in poi il regno; di cui ella è la dominante, dipendeva dal re di Bambara , che risiedeva a Ginnie , avvegnachè Sego fosse la città principale del suo regno. Aggiugnevano che questo principe nominava il capo ed i consi- glieri del governo di Tombnctù. Ma Sidi Hhamed parla di un principe indipendente , il quale parea governare il suo popolo più da padre amoroso che da re assoluto. E debbo convenire, che questa sua asserzione acquista un nuovo grado di forza dal diario d’Isacco, compagno dello sventurato Mungo Park , ove dice che i sudditi del re di Tombuctù aveano nel 1810 assaltato;, e messo a bottino due carovane, che venivano dal Bambara. La relazione pubblicata col nome finto di Roberto Adams parla egralmente d’ una guerra fra quei due reami , ciò che sembra dimostrare che non erano già soggetti ad un solo, e medesimo sovrano. T. XXXIII. Gennaio. 17 130 Ma ciò che nella relazione di Sidi Hhamed è veramente stra- ordinario, si è che in tutto quello ch’ei racconta di Tombuctù non havvi una sola parola della picciola città di Cabra, posta in riva al fiume Gioliba , o sia Nilo dei Negri, dove da molti secoli servì, e serve tuttora di porto , e di luogo di conserva pel commercio della capitale. Tutti gli antichi ragguagli s’ accordano a collocare Tombuctù quattro leghe al settentrione della fiumana; ma se dobbiamo credere a Sidi Hhamed , questa distanza sarebbe molto minore, mentre dice, che i Mauri potevano , nello spazio di un ora , recarsi dalla capitale al fiume, onde quivi abbeverare i loro cammelli (3). A detta però di altre informazioni, le quali con- fermano le più antiche, Tombuctù sarebbe situata sopra un altro fiume, che scende dalla parte del maestro, e cade nel Gioliba. Sidi Hhamed medesimo assicura, nel suo primo viaggio , che un così fatto fiume bagnava le mura di Tombuctù , dalla parte di ponente; ma che trovavasi a secco allora ch’ ei la vide. La sola parola ch’ egli dice di una città posta sulla fiumana, è quando, nell’atto di partire per Wassanar, egli racconta, che la carovana fermossi, dopo due ore di cammino, presso un povero villaggio fabbricato di canne ricoperte di fanghiglia, e situato , dice egli, sul medesimo fiume che già disse aver veduto a Wabilt, ed al quale dà il nome di Zolibib, voce corrotta visibilmente da quelle di Gioliba, Giuldbi o Gulbi, che nell’idioma del paese, e di altre parti della Negrizia hanno lo stesso significato dell’ araba voce bahhar, cioè una grande massa di acqua. Ma nè la descri- zione ch’ egli dà di cotesto villaggio, nè la sua distanza della ca- pitale, non hanno la menoma relazione con ciò che di già sape- vamo di Cabra. In altro luogo Sidi Hhamed assicura, che la città di Tom- buctù è cinta di forti muraglie , costrutte di pietre assodate con una specie di calcestruzzo d’argilla. La qual cosa è diametral- mente opposta a tuttociò che sapevamo per lo innanzi , e soprat- tutto a ciò che dice il Peregrino Abd-es-Salàm Sciabîni nel compendio dei suoi viaggi pubblicati dal sig. Jackson, ed a ciò che quest’ ultimo assicura d’aver inteso egli medesimo, a Mo- godore , da tutti i mercadanti mauri , che fatto aveano a Tom- buctà una residenza di parecchi anni. Concorrevano tutti nel- I’ asseverare , che la città non avea mura di sorta alcuna, ma (3) Questa conghiettura pare che trovisi verificata dalle osservaziomi del sig. cav. Caillé, che determina in cinque miglia solamente la distanza da Tom- buctù fino alle sponde della fiumana. 121 che la sua circonferenza era di buone dodici miglia. È veramente faticosissimo l’ andar così tentoni nell’ oscurità, e nella. confu- sion degli avvisi concernenti una regione, colla quale i cartagi- nesi aveano già, nei tempi di Erodoto , relazioni continue di traf- fico , e di corrispondenza. Coloro che amano di leggere descrizioni fatte per mero di- vertimento troveranno di che appagarsi nell’ opera accennata qui sopra , e pubblicata in Londra nell’anno 1816 sotto il titolo di Relazione di Roberto Adams, marinaio , che , avendo fatto nau- fragio sulla costa occidentale dell’ Affrica nell’ anno 1810, fu detenuto tre anni in ischiavitù dagli arabi del gran Deserto, e risiedette sei. mesi nella città di Tombuctù. Questo nuovo Dam- berger ; il di cui vero nome era, siccome già dissi, Beniamino Rose; nativo di Hudson presso la Nuova Yorch negli Stati Uniti dell’ America settentrionale, è così poco stato a Tombuctù ; come Damberger a Haussa , e Psalmanasar nell’ isola di Formosa. La sua Relazione incomincia nell’anno 1810, ed ella è cosa di pub- blica notorietà essere il bregantino Carlo, sul quale trovavasi imbarcato, stato naufragato solamente nel dì rr Ottobre del 1811, ciò che lo stesso Rose ha personalmente deposto, e dichiarato con suo giuramento. nella cancelleria del consolato generale di America in Tangeri, alla presenza del fu console Giacomo Sim- pson, che lo riscattò dalla schiavitù nel 1813 e che tre anni dopo mi fece leggere quella deposizione del Rose. In Gibilterra ipoi ho veduto con questi miei occhi, e letto la gazzetta officiale del governo, pubblicata nel dì 4 ottobre 1811, ove trovasi annunziata la partenza del bregantino Carlo. Imperlaqualeosa ogni fatto ed avvenimento dall’ impostore descritto come successo prima delle anzi dette epoche dell’anno 1811, debbono tanto più tenersi per false ed inventate ; inquantochè due compagni d’infortunio del Rose , marinai sul. medesimo bastimento ; amendue americani ; cioè Giacomo Davidson, e Martino Clarke, cognato quest’ ultimo dello stesso Rose, non che un inglese naufragato in altra nave nel medesimo anno 18r1, hanno tutti unanimemente deposto, e con giuramento assicurato davanti al Console Simpson, essere il Ro- se sempre. dimorato.0 con. essi loro, od a poca distanza riei con- torni di Wad-Nun, durante tutto il. tempo della loro schiavitù, e che nessuno di loro era mai stato al mezzodì del parallelo del Capo Bianco. . E non fù il Console Simpson il solo depositario di una Re- lazione dettata dal Rose, anteriormente a quella pubblicata in Londra. Un negoziante americano; Carlo Hall, stabilito in Cadice, 132 che Rose servì come famiglio durante l’anno 1814, ne distese un’altra sotto ‘la dettatura di lui. Io ho avuto anche 1’ oppor- timità di vedere questa ‘relazione e di confrontarla con quella di Tangeri, @ con quella stampata nel 1816 dal signor Samuele Coxe, segretario dell’ associazione affricana di Londra, cui Rose ebbe Y arte. e la fortuna di vendere i suoi picchi per pappagalli, non ostanti i dubbi, e le obbiezioni dimostrative del sagace, e ve- nerabile Sir Giuseppe Banks , e del dottissimo signor. Giovanni Barrow . Non occorre che dica essermi in quel confronto , quasi ad ogni passo , incontrato colle più madornali discrepanze ; e con- tradizioni. Come un esempio isolato ma concludente del grande numero di coteste discrepanze e contraddizioni; non citerò se non quello, che tanto ‘al’ Console Simpson quanto al negoziante Hall dichiarò il Rose positivamente non avere egli .in vita sua veduto mai un elefante; laddove nel libro impresso si è divertito a tessere una graziosa istorietta della. caccia di quel fiero quadrupedo , fattasi nei contorni immediati di Tombuctù, alla quale pur dice di essere stato presente. Ab uno disce omnes. Contuttociò ; sono ben lontano dal ricusare alla Relazione pseudonima di lui qualunque specie di merito, e di confidenza. Dio me ne guardi! Siccome il dicitore intendeva, e parlava assai bene la lingua ‘araba , e che sembra essere stato dotato d’ una èc- cellente memoria ) e d’ un certo spirito indagatore, così è più che probabile , ch’egli abbia da Mauri, e Negri che visitarono Tombuctù, realmente raccolto ciò che in appresso ha raccontato a Mogodore , a Tangeri, a Cadice ed a Londra. Sotto questo punto di vista le notizie da lui divolgate non debbono tutte rigettarsi fra le favole , spezialmente: quando ‘si accordano con ciò che per più antichi viaggiatori ci era già sortito di conoscere. Tuttociò ch’ egli dice di Tombuctù e del Sudan, ‘ossia della Nigrizia, può benissimo essere il sunto fedele di quello che ha inteso raccontare a Wad-Nun, eda Mogodore , ove pure ho saputo che continuava ad interrogare i viaggiatori, e gli abitanti di quelle misteriose contrade. Ma men delicato di coscienza del suo compatriotto Riley, ha lasciato pubblicare il'tutto ‘come produzione della sua propria esperienza , ed ha fabbricato una novella, in cui molti fatti pos- sono essere verissimi, senzachè abbiano avuto luogo sotto gli occhi, nè alla presenza del narratore. No; bisogna pure cònfessarlo con rammarico: nessun viag- giatore cristiano, tranne lo sventurato mio amico il maggior Gordon Laing , ed ora ultimamente il sig. cav. Caillé, ha per anco potuto 133 penetrare dentro il recinto della città di Tombuctù. Perciocchè quello che dicesi d’ un tedesco , che nell’ anno 1811 avrebbe quivi avuta una casa sua propria, appoggia unicamente alla testimonian= za d’un rinnegato, che ne parlò al fu Rontgen in Mogodore. Che il maggior Laing virsia pervenuto, e che anzi vi abbia fatto un lungo soggiorno , non può più richiamarsi in dubbio; ma un velo im penetrabile ricuopre ancora ; e ricoprirà ‘ forse per buona pezza; il risultamento della perigliosa ed eroisa sua intrapresa. Sebbene per disgrazia nostra egli sia stato una vittima di più sull’ ara del- l’affricana geografia, non dobbiamo però renunziare ancora intera- mente alla speranza, che tosto o tardi si ritrovino , e si divolghino i ricordi scritti delle sue scoperte! Un’ altro contrasto fra la relazione di Sidi Hhamed, e quelle degli altri viaggiatori, che visitarono il Sudan, si è l’asserzione del primo che il re, ed il popolo di Tombuctù erano tutt’ altro che maomettani. Che però i principi degli stati limitrofi verso il punente e l’ostro, sono musulmani, è un fatto che non può essere messo in dubbio. Hassan Ibnu Mohhammed el-Gh’arnati, cono- sciuto in Europa sotto il nome di Leone affricano , assicurò; più di trecento anni sono , che un principe di quella religione , nomi- nato Mensi Soleiman, edificò quella famosa città nell’ anno 6r0 dell’ egira, che corrisponde all’anno 1213 dell’ era cristiana. Ei racconta di più che un architetto di Granata avea eretta in. Tom- buctù una grande moschea, murata di pietre di taglio assodate coll’argilla. Gli abitanti del Sudan citati dal signor Jackson assicu- Tavano pure unanimemente , che, sebbene a risalva degli ebrei, ognuno fosse quivi in piena libertà di adorare , senza impedimento ed.a norma della propria fede, il Grande autore della sua esistenza, l’islamismo era nondimeno la religion dominante; e che la giu- stizia civile eravi amministrata in conformità dello spirito del- 1’ Alcorano. All’ opposto Sidi Hhamed afferma positivamente ; che gli abitanti di Tombuctù non solamente sono popoli che non pregano Iddio in guisa dei musulmani; ma che sono pagani, i quali pregano allorchè vedono la luna, che saltano e ballano tutte le notti, nel tempo che i veri credenti dicono le loro orazioni, e che non hanno nè moschee , nè altri luoghi consacrati al culto divino. Aggiunge di più, che non sanno nè leggere, nè scrivere, mentrechè Leone Affricano , e quasi tutti i viaggiatori moderni affermano essere quei cittadini dotati "di molto spirito naturale, e che s’ incontrano fra loro molti uomini dotti e letterati , e di più una pubblica libreria composta di manoscritti arabi, ebraici, ed altri. Per ‘ciò che riguarda moi le traduzioni arabe di autori 134 greci e latini non conosciute in Europa, ma mentovate dagli abi= tanti del Sudan al signor Jackson, non dirò che sia affatto impos- sibile ch’elle esistano; ma spero, che mi sarà concesso di dubitarne un poco , od almeno di credere difficile, se non impossibile, che siano giammai da noi conosciute. Un fatto alquanto più indubitato si è chel’ Associazione Affricana di Londra ha creduto provare ; nelle sue memorie , che gli abitanti di Tombuctù si servono, nei manoscritti loro, di caratteri intieramente diversi da quelli degli arabi , e degli ebrei. Ma di quale forma , numero ed origine siano; ci rimane sempre a discoprire. La cosa finalmente che più di ogni altra nella Relazione di Sid: Hhamed si allontana dalle nostre prime notizie, tanto anti- che quanto moderne, è la sua descrizione delle donne. Egli dice che godono di una grandissima libertà ; che portano soltanto in sulla carne una camicia leggerissima; e sopra di essa un gonnellino verde , rosso, o turchino, che dalle poppe discende fin sotto le ginocchia ; e che vanno generalmente scalze. Nel tempo che Leone Affricano visitò quella città , coprivano le lor teste di veli gran- dissimi , che si facevano venire dalle coste del Mediterraneo; e tutte le notizie moderne aggiungono a ciò , che, siccome quelle femmine sono comunemente d’una rara bellezza, così i loro ma- riti ne sono tanto gelosi, che a malapena permetton loro di uscire dalle case per andare qualche volta a visitare le loro parenti, ed allora ‘eziandio le costringono; malgrado il calore ardentissi- mo del clima, ad avviluppare interamente il corpo in certe spe- cie di coltri o schiavine, precisamente alla foggia delle donne di Barberia ; dimanierachè di tutta la persona nulla rimane di sco- perto , tranne un solo occhio , coll’aiuto del quale possano bran= colone trovare il lor cammino per le strade, recandosi da una casa all’ altra. Questa notabilissima contraddizione non può al- trimenti essere spiegata, se non col supporre che Sidi Hhamed abbia voluto parlare soltanto delle donne che vivono nella grande città dei negri pagani, e che gli altri viaggiatori invece abbiano parlato di quelle solamente che abitano nel AZi//al, o vero sob- borgo dei Mauri. La Relazione di Adams s’ accorda e sul punto della reli- gione, e su quello delle donne , con quella di Sidi Hhamed . L’ Editore ; il sig. Cox, è di più entrato in una lunga e pro- fonda discussione a. fine di dimostrare , che il paganismo è la religion dominante in Tombuctù , e confesso ingenuamente, che ho trovato i suoi argomenti y e le sue prove non meno solide che concludenti. Un’ altra dissertazione che accompagna l’ edizione , 135 e che sola ne assicurò tutta la buona riuscita , imperciocchè ba- stò da per sè a farne un libro importante , si è un eccellente memoria dovuta all’ abilissima ed ingegnosa penna del mio buon amico il sig. Giuseppe Dupuis , attuale vice-console Britannico in Tripoli di Affrica , intorno i popoli che abitano nell’ Impero di Marocco, e che il detto autore distingue, con molta ragione, in Bereberi , Arabi, e Mauri. Ciò che io dico in questo luogo di cotesta dissertazione , non è d’ altronde se non l’eco di quello che i giornali letterari dell’ Europa pubblicarono in quel tempo, stantechè senza le preziose annotazioni, e gli schiarimenti del sig. Dupuis, la Relazione di Beniamino Rose non avrebbe mai tratta a sè , nè meritata l’attenzione degli etnografi; e senza la dissertazione anzidetta , il segretario dell’ associazione affricana di Londra non avrebbe dato alle stampe se non se un opera sgra- ziata , e poco meritevole di credenza. E prima di terminare queste rapide osservazioni vorrei uni- re in questo luogo i miei voti a quelli di tutti gli amici delle scoperte geografiche , e spezialmente dell’ affricana etnografia , che l’ estrema modestia del sig. Dupuis, autore d’altronde d’una importantissima Relazione della sua ambasciata alla corte del re di Ascianti nella Guinea, gli conceda di far ricco il pubblico delle moltissime e preziosissime notizie, con accuratezza e saga- cità da lui raccolte durante il suo lungo soggiorno nell’ impero di Marocco , e sulla costa dell’ Oro ; e che la profonda sua co- gnizione della lingua araba renderebbe ancora più interessanti . Conviene lusingarsi , che il modo di vivere poco operoso che si comporta in Tripoli, possa metterlo in grado di dare 1’ ultima mano ad un lavoro, di cui l’utilità non si concentra in un solo paese , ma si estende a tutta la repubblica delle lettere. Ripiglio in poche parole il fin qui esposto : 1. La popolazione di Tombuctù non può oltrepassare cento- mila anime . Abd-es-Salam Sciabini nella sua Relazione pubbli- cata pochi anni sono dal sig. Jackson, non le ne dà più di cinquan- tamila , che altre relazioni più moderne riducono a molto meno. Un negoziante sceicco di Ghadams, che ha fatto parecchi viaggi a cotesta misteriosa città, ove pure possiede case, donne e schia- vi, ed ove ha dimorato qualche volta un' intero anno, mi ha detto positivamente che essa non era punto più popolata di Tri- poli. Ma io sono persuaso ch’ egli volea parlare soltanto della popolazione indigena e permanente ; mentre i dati più numerosi saranno quelli del concorso delle carovane di tutte le regioni 136 dell’Affrica , nella stagione in cui si assembrano in quel famoso emporio. 2. È cosa indubitata, che il governo di Tombuctù era indi- pendente, e nelle mani dei negri indigeni, e pagani ; avanti la conquista che debbono averne fatta ultimamente i Fellati , o Fellani, nazione nuova e belligera , la quale, al giorno d’ oggi, fa una gran figura nelle regioni centrali dell’ Affrica. Quando viaggiava Sciabini, quarant’ anni or sono, trovò che Tombuctù dipendeva da Haussa. Più tardi era soggetta al re di Bambara. 3. Il Gioliba , ovvero Nilo dei Negri non bagna già le mura di Tombuctù . Il famoso viaggiatore Ibnu Batuta ne avea già fatto fede , fin dal principio del secolo decimuquarto. È un altro fiume che scorre vicino alla città, e che si perde poi nel Gioli- ba , che dalle genti del paese si denomina Guin. 4. Tombuctù non è cinta di muraglie , e non ne ha mai avute. Le case non hanno più d’ un solo piano, e sono fabhri- cate senza regola , e senza simmetria. I maomettani abitano nel sobborgo loro particolare, e non si permette loro di stabilirsi en- tro la città. dA 5. Roberto Adams; pseudonimo di Beniamino Rose, non è mai stato a Tombuctù. Ma egli ha vissuto e praticato molto con persone che vi erano state lungamente. Checchè ne sia , la re- lazione pubblicata sotto il nome di lui , è per avventura la mi- gliore che fin qui si possegga, per rispetto a quella famosa città, mercè le note , e le osservazioni del sig. Dupuis. Converrà forse eccettuare quella di Sciabini, che appunto pella stessa sua bre- vità merita la più intima fiducia. 6. La religione dominante a Tombuetù era, pochi anni so- no , il paganismo. Io non credo , che i Fellati siano pervenuti a, mettere interamente nel sno luogo la legge di Maometto. 7. Le donne di Tombuctù sono generalmente bellissime , e sembrano godere di una grandissima libertà. Abd-es-Salam Scia- bini ce ne assicura positivamente , e lo sceicco di Ghadams me 1’ ha confermato più volte. 8. Nessun viaggiatore cristiano era riuscito a penetrare fino a Tombuctù, prima del maggior Gordon Laing. Facciamo ora fervidi voti acciocchè si effettuino presto le speranze , che il ri- torno in Europa del sig. cav. Caillé ha naturalmente risvegliate, e confidiamo nella sagacità , nei talenti e nello spirito liberale della Società di geografia in Parigi, per avere quanto prima di pubblica ragione i risultamenti delle scoperte dell’uomo intrepi- ‘ 137 do e fortunato , che il primo sarà giunto a diradare finalmente le tenebre che da tanti secoli , e ad onta di tantì sagrifizi, se- guivano a coprire quella misteriosa e direi quasi fatale regione. Jacopo GraBERG DI Hrmsò. ViAccio DI Aveusro CArLLé A Tomsuctv. . Rapporto fatto dalla Commissione speciale alla Società di Geo- grafia in Parigi, nella seduta del 28 Novembre 1828, circa il viaggio in subietto. Signori. — Voi nominaste i Signori Eyries, Cadet di Metz, Amadeo Jaubert , Larenaudière, il Barone Roger, e me a prender conto del viaggio fatto da Augusto Caillé nell’ Affrica interiore. Dopo d’esserci riuniti, e avere adempito al nostro incarico, ho oggi quello di farvi il rapporto seguente. La nostra prima cura fu quella di assicurarci del punto di partenza del viaggiatore , delle vie da lui seguite , de’ luoghi e paesi da lui visitati. Interrogato egli su di queste precipue circostanze , ha risposto nel modo il più chiaro e soddisfacen- te. Noi molto apprezzammo la semplicità e sincerità del suo racconto , tali a non permetterci il menomo dubbio sulla ve- rità delle sue esplorazioni travalicando il Dialiba ; quindi le pro- vincie all’ oriente della Sulimania e di Kissi; poi navigando sul gran fiume oggetto di tante indagini geografiche ; più tardi arri- ‘vando e risedendo a Tombuciù ; e infine da, Tombuctù trapas- sando il Saarah, o gran deserto, all’impero di Marocco onde restituirsi in Francia. Il sig. barone Roger, che governava allora il Sennegal, il vide partire da S. Luigi verso la fine dell’ an- no 1827, .e l’ udia giunto in su’ principii del 1828 a Kakondi , luogo da cui scrivea alla colonia sennegallese che metterebbesi in camino verso l’Africa interiore. La sua partenza adunque e il punto di essa sono fatti accertati. Non meno accertati son quelli del suo arrivo nonchè del luogo ove ricomparia dopo esser parti to, tostochè fu, quasi all’ uscire dal Gran deserto, riconosciuto e accolto dal nostro collega De La Porte, gerente il consolato francese a Tanger. Circa la sua dimora poi in Tombuctàù ; oltre a’ particolari che ei narra e i bozzetti che delineò di questa città , se ne ha un’ altra guarentigia nel racconto sulla tragica fine dello F. XXXIII. Gennaio. 18 138 sventurato maggior Laing, che nel 1826 era finalmente giunto alla città suddetta. A malgrado della diversità delle corse notizie sul, disastro di questo viaggiatore , la narrazione del signor Caillé è uniforme a quella di un mauro che nel marzo ultimo arrivava da Tombuctù a S. Luigi nel Sennegal , e il quale avea veduto in mano di una tribù di Tuariki alcuni libri appartenenti al Mag- giore. Il nostro compatriotta inoltre aggiugne d’avere abitato in una casa tombuctuese prossima a quella in cui abitò l'inglese viaggiatore ; e che ivi ebbe agio ed opportunità ad informarsi delle cose che riferisce. A questi titoli di fiducia se ne aggiungono altri. Durante la prima parte del sno viaggio, ossia viaggiando verso oriente fra le montagne del Futa Dhiallon , passò egli fra mezzo alle città di Timbo e di Labey, e in conseguenza percorse le medesime regioni già esplorate dal sig. Mollien nel 1818, tuttochè non fa- cesse che intersecare la via seguita da quest’ultimo. Ora al mo- do con cni ne descrive e i monti e i villaggi e le località e gli altri accidenti del terreno , il sig. Mollien trovò siffatte osser- vazioni conformi alle sne, e riconobbe il paese da lui visitato. Questi due viaggi adunque confermansi vicendevolmente ; e ciò non è senza importanza per la geografia. Caillé pose tanta attenzione e diligenza a notare e le strade percorse e le direzioni seguite e il tempo impiegato al cammino, che è stato facile ad nno di noi di segnare sulla carta geografica un itinerario continnato e completo da Kakondy fino al porto di Rabat negli stati di Marokko ; itinerario in cui saranno indicati tutti gli elementi geografici ; montagne cioè , pianure , valloni , foreste , città ) villaggi, finmi, torrenti, ruscelli, cateratte , guazzi, laghi, stagni, pozzi, ec. ec. Tante particolarità circostanziate completano la fiducia ne’ suni racconti. Aggiungeremo infine che essendo stato da noi interrogato sul modo con cui avea potuto intendersi e conversare con gli africani, ha risposto di averlo fatto col mezzo della lingua arabo-maura che favellasi al Senegal, ove imparolla «dinrante il soggiorno che vi fece dal 1816 in poi. E infatti essendo esaminato in un tale dialetto, non solamente diè pruova di conoscerlo, ma si mostrò anche istruito di molte parole e locuzioni dell’ idioma mandin- ghese conformi a’ vocabolari che si hanno dell’ idioma suddetto. Credemmo, o signori, nostro dovere di entrare in siffatti par- ticolari che vi esponemmo , e di farlo con qualche insistenza. Ora rimane l’ obbligo di farvi conoscere alcuni de’ risultamenti otte- nuti, affinchè la Società geografica possa estimare i nuovi acquisti 139 fatti dalla scienza. Sarebbe un volere anticipare sulla pubblica- zione del viaggio il marrarne minutamente tutte le notizie. Egli è perciò che non crediamo «dover dare pel momento alla curio- sità del pubblico se non un sommario rapido. I viaggi di Caillé legansi molto utilmente per le cognizioni geografiche dell’ Africa interiore, a quelli di Watt e di Win- terbottom a Timbo nel 1794 ; di*Mungo Park al Dialiba nel 1795 e 1805; di Mollien al Futa Diallon nel 1818 ; di Dochard a Ta- mina e Pammakù nel 1819; del maggiore Laing al Kuranko ed alla Sulimania nel 1822; e infine a’racconti ed itinerari delle carovane da Tombuctù a Tafilet. Oggi non si è più in dubbio sulla considerevole altezza delle scaturigini del Bafing che accoglie e riunisce tutte le acque del Sennegal. Caillé partito il 19 aprile 1827 da Kakondi, ove perirono i maggiori Peddiè e Campbell, passò questo fiume a Bafila. Passò anche il Dialiba in un punto che concorda benissimo con la posizione dal maggiore Laing argomentata ed osservata circa le sorgenti del gran finme. Da quivi andando oltre arrivò e ri- sedè a Kankan, grande città molto ricca per le miniere d° oro della vicina Burrè; e inseguito avanzandosi a 200 miglia al- l'Oriente di Sulimania, giunse a Timè il 3 agosto con una ca- rovana di mercanti mandinghesi. In questo villaggio dovè sof- fermarsi per cinque mesi, perchè perigliosamente infermo di scor- buto preso o per malsania del clima o per le violenti fatiche durate nel sormontare le aspre montagne Futa Diallon. La quale schiena, formata da monti soprapposti a monti, ha ovunque preci- pizi e torrenti. In questo stadio, forse il più interessante del suo camino , non trasenrò Caillé di prendere tutte le notizie che potè sulla posizione di Bammakù e circa le sue distanze carovane rela- zioni ec. ec. con Ja Senegambia ; notizie le quali non dovrebbero essere sterili per la geografia. i A Timè incomincia la seconda parte del viaggio ; il viaggiatore vuol rivedere e ritrovare il gran fiume del Dialiba; onde è che volgesi verso borea partendone il 9 gennaio 1828, e dopo aver visto o pas- sato per più di cento villaggi, nonchè preso una notizia approssi» mativa circa la posizione di Sego , ritrovasi e rivede a Galia il ro marzo il gran fiume scorrente dal tramonto. Egli ne passa in ramo per andare a Tenne. Questo pezzo del camino , non men dell’ altro da Timbo a Time è interamente interessante e ‘niiovò. - La terza parte del viaggio è navigando sul Dialiba . Caillé dopo una dimora di tredici giorni a Jenne, si imbarca sovra un 1/0 navicello di un convoio mercantile. Era il tempo del basso: pelo delle acque. In alcuni luoghi ha un miglio di larghezza; e in altri è più o meno stretto. La sua profondità e la celerità del suo corso son perciò variabili. Così navigandolo notò tutti gli altri. fumi che vi metton foce, le isule che forma nel ramificarsi, e infine il lago Debo, finora conosciuto e segnato sulle carte (seb- ben con qualche errore di graduazione) col nome di Diebbie. Le sue osservazioni circa il Dialiba sono nuove positive e precise. Finalmente il 19 aprile giunge a Kabra che è il porto di Tom- buctù , e fa il giorno appresso la sua entrata in questa, città ; donde dopo aver preso i disegni de’ luoghi principali, le note sulle cose più degne di osservazione , e le notizie sull’ ulteriore corso fluviale nelle provincie adiacenti, si associa ad una caro- vana di ottocento camelli. che partiva per Marocco il 4 maggio. In sei giorni giunge ad el-Arawan. Da quivi, poichè un’altra ca- ravana di 600 camelli si fu unita alla sua, si prosiegue il cami- no il 19 maggio; e in otto giorni si arriva a’ pozzi di Teliga. Il viaggiatore a malgrado delle privazioni, de’caldissimi venti orien- tali che fanno incomportevole il passaggio del Gran Deserto, notò intanto con ogni diligenza e precisione i luoghi e. de’ pozzi, sì d’acqua dolce come salmastra , e delle differenti fermate. Arri- vatosi il, 29 giugno ad el-Harib, punto in cui la carovana si sbrancò in molte divisioni, ciascuna delle quali seguì la via sua, dopo, un? altro mese di camino, si fu a. Tafilet. E finalmente an- dandosi sempre. oltre ,, pervenne Caillé il 12 agosto nel medesimo luogo in cui gittava Ben Batuta il bastone di viaggiatore nel XIV secolo ; ossia nella città di Fez; dalla quale ripartitone arrivò il 17 settembre a Tanger, ove uopo fu che il console di Fran- cia.lo ricevesse come in luogo di asilo in sua casa, e vegliasse alla ;di lui sicurezza, per riuscire a salvarlo da’pericoli che avreb- be corsi ; se gli africani lo avessero riconosciuto per un europeo sotto: al suo travestimento. Caillé notava le direzioni del suo camino con l’aiuto di due bussole. Comunque difettoso sia un tal mezzo comparato, con quello delle operazioni astronomiche , non è però picciolo meri- to 8 benefizio quello di. aversi un abbozzo de’ luoghi delle vie e d’.altri. particolati fatto da un testimonio oculare , circa pro- vincie sulle, quali non possedeansi finora se non gli itinerarii degli arabi , computati a giornate ; e sovente o confusi 0, con- tradittorii. La pruova.per altro che egli notò con esattezza lo spa- zio delle giornate sue è che itrovansi esse uniformi in dimensioni 14: alle notizie le più esatte che sappiansi circa le distanze de’luoghi nell’ impero marocchino. L’ esito dell’ intrapresa del signor, Caillé è tanto Dia degno di interesse quanto men ebbe mezzi ed aiuti a farla. Egli la incomin- ciò e la condusse a termine con isoli espedienti proprii e senza i soccorsi di alcuno. Spese tutto il suo avere, onde far fronte a’ di- spendi del viaggio; e dopo aver fatto non sol tutto ciò che gli era possibile, ma henanche più di quello che potea sperarsi nella sua posizione , ha avuto la fortuna di riuscirvi completamente. Se questo viaggio è da tanto a meritare al sig. Caillé la bene- volenza sì del pubblico come del governo , perchè non dovrebbe meritargli anche l’ interesse e la gratitudine della Società di geo- grafia ? Sì o signori ; il programma , da voi pubblicato nel 1824, fu quello che lo sospinse ad internarsi nel cuore di un continente incognito. Il sig. Barone Roger che oggi siede fra noi, e che nel citato anno governava il Sennegal, vedendovi il nostro viaggiatore tanto animato dalla passione di penetrar nell’ Africa interiore, gli comunicò una copia del programma suddetto. Lo stimolo di un tale incoraggimento e del premio promesso finì di accenderlo: Da quel tempo in poi Caillé non si perdonò veruno sforzo per tentare ‘un cimento sì ardito, ed attese tre anni finchè non vide che avea sco- perto un mezzo valevole ad effettnarlo con buon successo. Allora lasciò S. Luigi per andar visitando le provincie limitrofe ; quindi scelse il Rio Nunnez per punto di partenza ; ed a Kakondi infine colse abilmente l’occasione favorevole di accompagnarsi ad una ca- rovana , che partiva per le interiori regioni africane. Il programma pubblicato dalla Società componevasi di due parti. Nella prima si richiedevano notizie. speciali e positive circa Tombuctù , circa i fiumi che le son prossimi; e circa le provincie che le stanno a levante. Il signor Gaillé. ha adempito al maggior numero di queste condizioni. Nella seconda poi, e particolar- mente quella in cui prometteasi il premio maggiore , si esigeva in vero la condizione delle misure geografiche con istrumenti astrono- mici; però rimane ognora a risolversi la quistione se mai fosse pos- sibile ad. un viaggiatore, che per la' prima volta si interna in que’ paesi , di adempire ad una condizione sì perigliosa e difficile anche ove sia munito di ottimi istrumenti. Chi non conosce la fe- roce superstizione e gelosia de’ mauri nonchè de’mercanti che sono in possesso del commercio di quelle .contrade ? Chi non sa con quali.e quanti sospetti mirano essi gli europei, e le tragiche in- traprese di Belzoni, di Antonio Piloti e di Laing ? 142 Il nostro viaggiatore è pervenuto a Tombuctù , e vi pervenne partendo dalla Senegambia, come la Società cularetica avea condi zionato: Se egli non ha eseguito tutto ciò che essa imponeva a farsi, ha in compenso fatte molte osservazioni nuove e preziose sovra ar- ticoli che non erano menzionati. Egli ha percorso il Futa-Diallon ; ha seguito il corso primo del Dialiba ; ha quindi durante un mese navigato per questo fiume ; ha preso notizie sulle miniere di Bur- rè, e indizii sovra tante altre cose non richieste ; lo che forma una specie di compensazione. La scoperta di queste provincie e la de- scrizione di quelle di Baleya Kankan Wassula ec. ec. formano un’acquisto di tanta importanza per la geografia, che lo scopritore meriterebbe un premio considerevole anche ove ei non’ fosse per- venuto a Tombuctù. Ha egli inoltre il merito d’ aver raccolto un vocabolario della lingua mandinghese , e un altro della favella Kissura , che commista all’idioma mauro è parlata da’ tombuctue- si. E in ultimo ha con ogni cura preso conto di tutto ciò che con- cerne i costumi le cerimonie le produzioni e il commercio di cada- una contrada. D’ altra banda molte condizioni del nostro program- ma dell’ anno 1824 eran state adempite da’ celebri viaggiatori in= glesi, Oudney Denham e Clapperton ; le notizie cioè riguardo alle montagne ed alle regioni che trovansi a levante nonchè al S. E. di Tombuctù. Non vi sono adunque oggi più i medesimi mo- tivi per esigere rigorosamente che il nostro. viaggiatore ne avesse sodisfatto l’ adempimento. Decretandosi in somma al signor Caillé la ricompensa pro- messa a colui che perverrebbe a Tombuctù e darebbene una de- scrizione, la Società di geografia sodisferà all’espettativa generale , e sarà sicura di possedere una raccolta di notizie esatte circa paesi o mal cogniti o totalmente incogniti. Così facendo darà essa la sua approvazione ad un uomo che ne parla non per detto di detto, ben- sì come testimonio oculare. Questo uomo narra con racconti sem= plici e ingenui tutto ciò che vide ed osservò ; non esagera nulla in quel che dice ; nè punto cerca ad eccitar l’ attenzione con narra= tive di straordinarie avventure. Ed è pcecisamente questo stile di semplicità perchè quello della verità, che 1’ accadema di geo- grafia vuole ed apprezza più d’ogni altro nelle scoperte geo- grafiche. Il velo misterioso che copriva quel punto non men misterioso del Dialiba ; fu alla fine squarciato. Si è ormai certo che quattro in cinque mesi bastano per arrivare da Tombuctù in Europa. At- tualmente che la possibilità dell’ andare e del ritorno è provata 153 dal fatto ; e non più supposta per congetture , riprenderanno ani- mo e l’ intrapresa que’ viaggiatori che forse eransi scoraggiti a tanti funesti esempii. È questo un altro importante servigio che il si- gnor Caillé avrà reso alla scienza ; servigio di cui essa gli sarà grata ove anche non abbiala consolata della perdita deplorabile del maggiore Laing. In un subietto sì fecondo di digressioni geografiche e scien- tifiche , fora stato facile estendersi in citazioni e confronti con altri viaggi finor fatti o tentati nelle africane regioni. Ma i vostri deputati a prender conto di quello del sig. Caillé, han creduto doversi limitare alla loro mandata , e credono d’ avere ottenuto il fine loro ove abbiano persuaso le vostre menti. Onde è che passiamo in silenzio su’ racconti di I. Leone, di Ben Batuta, d’ el-Edrisi, e de’ mercatanti portoghesi a Tombuctù nel 15° se- colo , e di Paolo Imbert nel 17°, e del tuttavia dubbioso viag= gio di Roberto Adams nel 1810, nonchè di tanti altri tentati da 40 anni in qua. Se avessimo . agito diversamente , avremmo potuto destar sospetto di obliare che parliamo ad uditori, i quali han meditato profondamente sovra tuttii problemi della geogra- fia africana ; come il dimostrano i tre subietti di premio da voi promesso a coloro che affronterebbero tutti i perigli onde, a van- taggio della scienza e dell’ umanità , esplorare le provincie tut- tora incognite di quel continente. Da tutto ciò che fu detto è facile o signori d’indovinare le con- clusioni che i vostri deputati vi faranno. È nostro parere in primo luogo che voi concediate al signor Augusto Caillé il premio che avete offerto al primo viaggiatore cui riuscisse di penetrar fino a Tombuctù dalla parte della Senegambia ; e in secondo che sia data notizia del viaggio in argomento nonchè del nostro rapporto ] alle loro eccellenze i signori ministri degli affari interni, della marina, e delle relazioni estere (1). Non vorremo finire il presente rapporto senza rendere un giusto tributo di gratitudine al signor Delaporte , gerente del general consolato francese a Tanger , per le generose e sollecite assistenze da lui prodigate al nostro compatriotto : 1’ accademia di (1) II premio promesso dalla Società di Geografia nel programma dell’an- no 1824 , fa dalla Società istessa decretato al signor Caillé. Si stà vra ap- prontando la pubblicazione del:suv viaggio. L’Autologia non tarderà a parlarne appena sarà venuto alla luce, Nota del Direttore. 144 geografia gli deve una particolare testimonianza di gradimento per aver salvato il viaggiatore e l’ itinerario che portava seco. Parigi 27 novembre 1828. i Barone Roger. Larenaudière. Amadeo Faubert. Cadet de Metz. J. B. Eyries. Jomard. — Relatore. .1—r..———_——____—___— 1“: ‘ RIVISTA LETTERARIA. Grammatica ragionata della lingua italiana di Caro Avr. Vanzon. Livorno. Tip. e Litogr. Sardi 1828. AI perfezionamento delle idee è causa insieme ed effetto il perfezionamento del linguaggio : al perfezionamento della lingua nostra in particolare , a cui la stessa ricchezza diventa impaccio e pericolo , è cosa conducevolissima una buona grammatica ra= gionata. Chiunque pertanto di questi umili studii , ma non leggeri nè tediosi, come a qualche spirito leggero parrebbe , si viene oc- cupando , merita la riconoscenza di quanti desiderano e intendono le vere utilità della nostra letteratura. Ed è pur forza il dirlo ; son parole del nostro autore : “ è pur forza il dirlo : l’ irregolarità e la » confusione nel modo d° esporre e d'insegnare le parti più impor- », tanti della grammatica italiana, sono la cagione che gli stranîeri, s) e gl’ italiani stessi , non trovando guida sicura nel loro studio , s» continuano a corroborare con 1’ esempio loro la comune e pur »» troppo veridica opinione , che non avvi nazione come l’ italiana »» fra cui i poco istruiti parlino e scrivano più contro i precetti sì grammaticali , ed in ispecial modo contro lo stabilito andamento »» de’verbi. Ed è questo il malaugurato effetto del voler sempre ed in », tutto modellare ì precetti della propria lingua su quelli d’ un’al- » tra. Le grammatiche italiane paiono a bello studio scritte perchè 33 sieno intese solo da chi già è versato nel latino , e rimangono inintelligibili per chi è affatto ignaro de’ precetti di quella lin- » gua », (p- 127). Non è questa 1’ unica , ma sì una delle molte cagioni, che la nostra grammatica reser sì irregolare , sì difforme da ogni ordine, da ogni principio alquanto filosofico, sì intralciata, 145 sì noiosa ad apprendersi. Parrebbe a dir vero incredibile come con 1’ analogia di una lingua morta si possa stimare d’ insegnar bene una lingua vivente, se non si pensasse che il latino per quasi tre secoli dopo la rinata civiltà era 1’ unica lingua che si credesse de+ gna di coltura.e di studio regolare ed attento. Da quel tempo in poi gl’ italiani, in molte parti della civiltà, si rimasero quasi im- mobili: ond’ è che; cangiati i costumi; i bisogni, si continuò cie- camente ne’ metodi antichi: indizio deplorabile dell’inerzia intel- lettuale, a cui, in mezzo a tanta fecondità d’ingegno e luce di lettere , la misera Italia negli studi più solidi che sono spesso i più semplici restò condannata. |A codesta inconveniente ed a molte particolari irregolarità 3’ è ingegnato il ch. A. di porre riparo, quant’era in lui, in questo suo pregevolissimo e diligente lavoro: ma. perchè nè gli sforzi nè il senno d’ un uomo solo bastano a correggere e nè anche a vedere le irregolarità d’ una favella sì varia, e sì abbandonata alla licenza di tanti usi diversi, molte parti nella grammatica del sig. Vanzon, come in quelle di tutti i suoi antecessori, ci parvero bisognevoli o d’ ampliazione, o di rettificazione, o di dimostrazione più filosofica, o di più semplice ordinamento. Il ch. A. concorrerebbe forse nelle ‘opinioni nostre se noi avessimo il tempo di quì svolgere le nostre idee sopra questo, a ciò che noi crediamo, importante argomento. Ora lasciando le parti disputabili del suo lavoro, toccherem di ‘passaggio quelle dove il dotto A. ha ; a parer nostro, innovato con ragione e con senno. Trattando de’ nomi ‘sostantivi, il sig. Vanzon li distingue in sostantivi propriamente detti, cioò significanti sostanze veramente esistenti ; in astratti, come prudenza, giustizia, bellezza ; in fi- gurativi, i quali nè sostanze reali significano nè possono riguar- darsi come nomi astratti, ma furono nelle lingue introdotti per esprimere certe nostre idee, le quali sono quasi immagini che ci formiamo dell’ essere delle cose; dei modi loro d’ esistere, dei fini a cùi tendono, come fortuna, riposo , vita, secolo, cenno ec ; in caratteristici, che di per sè soli non sono nomi di sostanze, ma come tali vengono considerati riguardo ad altri nomi o comuni o propri , significando titolo, ufficio , parentela , od altre qualità che servono di carattere distintivo alle persone o alle cose, co- me re, sacerdote, mercadante, padre , amico, maestro: in collettivi, che esprimono pluralità d’ individui d’ una medesima specie o genere , come popolo , senato ec.: in verbali , altri dei quali sono caratteristici, perchè esprimono l’ agente, come par- T. XXXIII. Gennaio. 19 7 140 latore ec.; e altri astratti perchè esprimono l’azione o l’effetto di quella , come servigio, lettura ec. Alla nota enumerazione : ben | fece il ch, A. ad aggiungere le due distinzioni di nomi figura- tivi, e caratteristici , giacchè le voci riposo, secolo , principe, amico, non posson dirsi nè sostantivi assoluti, nè astratti, nè collettivi, nè verbali. Trattando de’ pronomi, il n. a. rigetta a buon diritto, par- mi, la denominazione di Condillac che i prenomi personali #0, tu, egli, vuole chiamati nomi personali ; giacchè, ciò posto , non v ha ragione perchè nomi non s’ abbiano a chiamare tutti. gli altri pronomi. Trattando degli addiettivi, invece della impropria distinzione di fisici e. metafisici, egli li divide in qualificativi , pronominali, dimostrativi, determinativi , quantitativi, e nume- rali. E toccando de’ pronominali possessivi, in una nota ci dà il modello di quelle sinonimie grammaticali , che primo il Biagioli ha talvolta notate, ma sopra cui”resta ancora a tentare un lun- go e necessario lavoro. Noi rechiamo la osservazione del n. a. per saggio: « Non puossi negare che sovente la presenza dell’ articolo 1» innanzi al pronome possessivo diversifichi il senso della frase. ss Chi non vede la differenza tra queste due espressioni ? Zo'so- 3» 0 vostro amico, e: io sono il vostro amico. Non è egli chiaro 33 che il primo modo mi dice : io sono nno de’ vostri amici : e s3 il secondo: io sono il primo, il solò vero amico che abbiate ;;+ E di queste osservazioni ;sottili ma necessarie , e .tanto più fi- losofiche quanto a taluni paiono più pedantesche, ci offre il n. A. un bel saggio a p. 252, dove nota la differenza della par- ticella. da, dalla di a questo modo : “ Adoprasi dî quando il » participio passato risveglia nella mente l’idea d’ un. nome .e o» d’ una precedente preposizione, entrambi sottintesi, come fe- » rito di saetta, cioè da colpo di...; isole circondate di pioppi; cioè ss da piante di. Adoprasi da quando il nome preceduto dalla » preposizione è considerato quello da cui parte l’azione ;espres- s» sa dal participio, come circondato da nemici, passato da una s» palla. ;; E per comprovare ad evidenza la sua distinzione, reca questi due opportunissimi esempi. Magalotti: L’ aria ingom- sì brata DA nuyoli, e gravata DI nebbia: ,, Pastorfido:: Né far peggio può donna che lasciarsi Svogliar l’amante. Fa pur ch’ egli parta Fastidito DA te, non DI te mai. Non potendo ad una ad una percorrere le osservazioni o nuove o in nuova luce riposte dal ch. A., accenneremo la N. 6 Lila della p. 107, dove insegna quando il verbo essere d’ astratto diventi concreto; la n. 8 della p. ro$ e la 39 della 2r9, dove ri- getta la denominazione de’ neutri passivi; la n. 5 della p: rto, dove mostra l’ improprietà della denominazione del modo impe- rativo ; la n. 7 della pagina stessa, dove ripone il participio , tra i modi del verbo ; la n. 1 della p. rrr, dove distingue due specie di tempo presente; la n. 4 della p. 113,-dove condanna la denominazione d’indeterminato data all’un de’ preteriti dell’indi- cativo; la p. 117; dove distingue la materia della lingua italiana in comune, antica , poetica , erronea ; la n. 1 della pag. 119, dove nega la voce ‘futuro essere il modo futuro del verbo so- stantivo j la p. 128, dove distingue in due la coniugazione dei verbi desinenti in ire; la n. 5 della p. 130, ove ribatte un ragio- namento del G. Compagnoni rispetto alla desinenza in o della pri- ma: persona dell’indicativo imperfetto ; la n. 2 alla p. 133, dove tocca un altro sbaglio del Compagnoni e del'Mastrofini; la n. 1 alla p. 156, dove combatte ancora un ragionamento del G. Compagnoni, la n. 2 alla p. 181, dove confuta ancora il medesimo Cavaliere; la n. 1 alla p. 197, dove nota un’inesattezza de’ grammatici ri- guardo alla concordanza del participio presente; la n. 1 alla p- 248, dove limita secondo ragione un bel principio ma troppo generale del sommo grammatico Dumarsais; la p- 270, dove dalle congiunzioni esclude alcune che tali. non possono stimarsi: e soprattutto la semplificazione del trattato de’verbi irregolari, e la novità di certe quistioni riguardanti il participio passato. Queste citazioni a molti de’nostri lettori parran pedantesche: noi le crediam più importanti dell’ esame critico di certe opere che taluni hanno ancora la modestia di credere insigni. E dopo le osservazioni fatte, il dire che il ch. A. di quest’ opera è un Olandese da diciannov’ anni dimorante in Livorno , non sarà, speriamo, un porre in diffidenza i lettori. E lo stile e la dottrina di questo scritto certamente non palesano lo straniero. K. X.Y. Storia dei fatti de’ Longobardi di Pauoro Dracono, tradotta e il- lustrata dal prof. Q. Vrvrawr. Udine, fratelli Mattiuzzi tip. Pecile 1826-28. Entra nella collezione d’opere scelte d’autori Friulani. 6 Lodevolissima impresa, questa di raccogliere insieme le più degne opere riguardanti i fatti e gli uomini illustri di ciascuna provincia. Se questo esempio dalle altre provincie d’Italia si se- 148 i guisse, avremmo in breve una biblioteca d’ opere storiche; pre ziosissima . E codesto sarebbe anche il mezzo d’ agevolare lo spaccio de’ libri, e di diffondere negl’ italiani 1’ amore della storia patria , incominciando dalla municipale, meglio atta a de- stare la curiosità di ciascun cittadino. L’ opera poi di Paolo. Diacono è tutta italiana ; e in tutte parti d’ Italia dee tanto più giunger cara, in quantochè la tra- duzione del sig. prof. Viviani, è , tranne poche eccezioni, fe- dele, leggiadra, evidente. Delle illustrazioni, quelle che riguar- dano il Friuli son le più commendevoli e le più nuove: Il ch. traduttore ci fa sapere che nella Bartoliniana d’Udi- ne si conservano parecchie giunte MSS. del Fontanini alla sua dissertazione: de corona ferrea Longobardorum . Speriamo che il benemerito prof. Viviani vorrà farne dono al pubblico; se le troverà di rilievo. Aspettiamo innoltre l’opera ch’ egli ci annunzia, del sig. Cattinelli, colonnello pensionato della Gran-Bretagna, intorno a tutte le grandi inondazioni avvenute in Italia dalla fondazio- ne di Roma a’ giorni nostri; la qual servirà ad indicarci, se dalla nudità de’ monti provengano le inondazioni, come sostengono i: nemici del libero taglio de’boschi: cosa che al prof. Viviani non pare indubitabile affatto . i Di Paelo Diacono giace inedita, oltre alcune vite de’ Santi e' de’ Vescovi, una Sy/loge Chronologica , che ameremmo veder pubblicata. : ila K.X.Y.. Prrranca , Grovrò Cerso , e Boccaccro 4 illustrazione Bibliolo- gica. delle Vite degli uomini illustri del primo , di C G. Cesare attribuita al secondo, e del Prrrazca scritta (dal terzo, Del D. Domenico Rosserri di Scander, avv. Triesti- nò. Trieste. Tip. Marenigh 1828. Nella prima parte il ch. A. dimostra con accurata erudizio- ne e con piena evidenza, che il Petrarca ci lasciò scritte in la- tino due opere delle vite degli uomini illustri , 1’ una principale e compita , l’altra compendiata e imperfetta: che ambedue fu- ronò continuate da Lombardo della Seta, l’ una in via di giun- ta, l’altra per supplire al reale difetto lasciatovi per la morte. dell’ autore: che Donato degli Albanzani volgarizzò la prima : | che molti sono i codici esistenti d’ ambedue i testi, parecchie le stampe del compendio, ma nessuna. del testo latino, e due P > 119 sole quelle del volgarizzamento dell’opera principale : che l’opera principale è stimabile come primo compendio della precipua parte della storia romana, tratto da codici e da classici forse smarriti: che finalmente lo storico Giulio Celso è persona imaginaria, per- chè la vita di Cesare finora attribuitagli è opera del Petrarca. Nella seconda parte , è il prospetto comparativo della serie delle vite degli uomini illustri; il saggio di tutti i codici del- l’opera grande , citati nel precedente prospetto, acciocchè se ne veggano le varietà e il rispettivo valore ; tre prefazioni inedite del cod. Vaticano; infine un indice de’vocaboli citati dalla Cru- sca, e scelti dalla traduzione delle vite di cui quì si tratta. Agli articoli della Crusca il sig. dott. Rossetti appone alcune noterelle , altre vere ed utili, altre inesatte per imperfetta co- noscenza di certi modi toscani , i quali è necessario. sapere per poter biasimare la Crusca in modo non degno di biasimo. Nella parte terza ; dopo una serie cronologica delle vite già note del Petrarca , viene.la descrizione del cod. Morelliano che, ne contiene una inedita, e scritta, come evidentemente s’intende, da G. Boccaccio. Il ch. A. la dà nell’originale, poi tradotta; poi v’ aggiunge quella riprodotta e finita da Pietro da Castelletto, ch’ è la medesima del Boccaccio ; senonchè è continuata sino alla morte del Petrarca, vale a dire ch’è scritta dopo il 1374, dove quella del Boccaccio è tra il 1340 e il cinquanta. Noi dobbhiam dunque al ch. sig. D. Rossetti la biografia del Petrarca di mano del celebre amico suo, scoperta’ al certo. non _ disprezzabile: e gli dobbiamo la notizia che. l’ opera maggiore delle vite degli uomini illustri, dal Petrarca scritta, non è stata ancor pubblicata. Eppur potrebb’ essere cosa importante , perchè a compilarla il Petrarca può essersi servito di codici oggidì smar- riti: onde chi sa. ch’ esaminando quelle vite ben bene , non ci si avesse a scoprire qualche frammento o almen qualche cita- zione preziosa alla storia! Questo lavoro che il nostro A. potea compier sì bene, egli, distratto da altre occupazioni , ad altri lo lascia , promettendo a chi vi si dedicasse cooperazione e sussi> di. Speriamo che il desiderio di lui non anderà a voto ; nè noi vorremmo agli stranieri lasciare quest’ uffizio di patria carità . Otto sono i codici che di queste inedite vite ci restano: v? è luogo a confronti: e il lavoro non è poi nè sì difficile nè sì no- ioso qual sembra. Abbiasi intanto il ch. sig. Rossetti la nostra riconoscenza e la lode pel valore delle notizie da lui raccolte con sovrabbondanza d’ erudizione e d’ ac curatezza , ed esposte con rara proprietà ed eleganza. K. X. Y. 150 Orazione per le solenni esequie dell’ ab. dott. Gio. Prosp. Za 80 , socio dell’ I. R. Accademia di Padova , socio onora= rio di quella delle bell’arti, e dell’ Ateneo di Venezia, professore di teologia pastorale. Recitata il giorno 13 di Marzo 1828 dall’ ab. dott. Ancrro Varsusa, professore di. archeologia biblica , e d’ introduzione a' libri del V. T., di lingua e di Esegesi Ebraica, e di lingue orientali. Padova tip. del Seminario 1828. Lavoro d’un uomo stimabilissimo per erudizione e per leal= tà , del quale l’ università di Padova può promettersi un degno erede delle antiche sue glorie ; successore alla cattedra del dotto Assemani, ma in molte lingue orientali più versato di lui. E ad un ingegno educato a studii così severi, e, secondo il pre giudizio dei più, sì noiosi, è singolaré ornamento questa così diligente coltura delle italiane e delle latine eleganze. Sa- rebbe ormai tempo d°’ accorgersi che, separate’ 1’ una dall’altra , la gentilezza del dire e la dignità del pensiero., riescono inef- ficaci amendue ; l’ una pedantesca e ciarliera , 1’ altra ispida e nauseosa. _ Intrepidezza di spirito ; e flessibilità d’ ingegno : son le due qualità che nel suo lodato riconosce il dotto oratore ; qualità troppo rare a trovarsi congiunte , tanto più chel’unasuol nuo- cere all’ altra assai volte : ovvero l’ una con l’ altra si scambia- no ; e la flessibilità va allo spirito, l’ intrepidezza ,' cangiata in ostinazione , all’ ingegno. Io non dirò che il ch. Prof. non ab- bia con la bellezza dell’ animo suo a quando a quando ab- bellito il ritratto del suo lodato ; difetto, negli elogi molto dif- ficile ad evitarsi ; e sempre bello quando viene dalla gentilezza dell’ animo. Tutti quelli però che conobbero lo Zabeo conver- ranno nel dargli lode di bontà , di modestia, di senno. E della sua modestia era prova quella stima liberale e sincera ch’ egli donava a’ nuovi ingegni che nella sua vecchiezza gli sorgevano al fianco, e lo sopravanzavano ; virtù ne’ vecchi ben rara. Io rammento con piacere que’ distici di lode ch’ egli fedelmente ogni anno nel giorno della pubblica prolusione, mandava all’ot- timo M. Melan, allora Prefetto degli studii nel Seminario ; poi Direttore della facoltà filosofica, ora della teologica nella univer= sità. E godo che quì mi si porga occasione di nominare un uo mo, a cui fino da più teneri anni mi legano tanti sentimenti di stima riconoscente e di rispettosa amicizia. K. X. Y. 151 LI — Degl'illustri Toscani stati in diversi tempi a Ragusa. Com mentario di Tommaso Cuersa. Padova, Tipografia della Mi- nerva , 1828. Caro ai toscani non meno che ai Ragusei dee giungere que- ‘st’opuscolo , il qual comprova e il raro senno con che quella il- | lustre città seppe scegliere in varii tempi uomini insigni e dottissimi a proprii o istitutori o pastori ; ela molta parte ch’eb- be in tutti i tempi la Toscana sulla europea civiltà. La qual | cosa sarebbe, a dir vero , meglio dimostrata se le storie di Ra- gusa fossero, come osserva l’A., più esatte e più chiare. Certo è che fin dal secolo XIV io trovo memorie di Lucchesi, che in Sebenico e in. altre parti della Dalmazia insegnavan gramma- tica, ch’ è quanto a dire le lettere amene. E chi sa qual sorte aspettava quella infelice provincia se il dominio veneto, sopr’essa dra, non avesse fatto” dell’ ignoranza di lei una spe- culazione politica , e quasi un argine alle invasioni ottomanne: giacchè se le terre illiriche fossero state più culte e i cittadini men poveri , il Veneto valore male avrebbe difesi que’ dominii dalla Turca rapacità. I toscani che il coltissimo A. accenna stati in Ragusa sono, verso il 1440 Filippo de’ Diversi de’ Quartigiani , di Lucca ; del ‘qual giace inedito un libro che si può dir quasi la statistica di Ragusa, barbaro sì dello stile , ma degnissimo della luce per le notizie storiche che contiene , sebben talvolta alterate da spi- rito d’ adulazione : nel 1570, Francesco Serdonati di Firenze, le cui traduzioni son testi. di lingua, autore d’un libro sulla origine de’ proverbii fiorentini, inedito anch’ esso ,, del quale un codice ha la Magliabechiana , uno la Medicea, uno la Bar- beriniana di Roma , e che per la storia della Lintcus e delle consuetudini antiche meriterebbe al certo d’ essere pubblicato. Poi Domenico Tatti di Firenze; poi di passaggio nel 1578 Pier Filippo Assirelli, di Firenze anch’esso: verso il secento, Camillo . Camilli di Siena ; nel 1587, Serafino Razzi di Firenze; nel 1672, G. B. Tolomei di Pistoja; nel 1733 Pietro Lazzeri di Siena : tutti codesti ‘“v diedero opera alla educazione letteraria e mo- s» rale de’ Ragusei , o lasciarono a Ragusa qualche monumento » del loro. ingegno. ,, Ma rifugiato dopo la sua deposizione , vi fu il celebre gonfaloniere Pier Soderini; e vi dimorò più d’un anno, nell’ amicizia de’ dotti Ragusei , e soprattutti d’Elio. Lam- pridio Cervino : vi fu, dopo l’ uccisione d’ Alessandro , Loren- 153 zin de’ Medici, che poi si rifugiò fra’ turchi , per venite a mo- ‘rir di pugnale in Venezia. gg ; Cinque arcivescovi toscani ebbe Ragusa , che vi risedettero; e quattro eletti, ma che non vi vennero mai. Di tutta Italia poi ebbe sempre educatori ed ospiti insigni; e sino in que- ‘sti ultimi tempi, il Morcelli e il Breislak. Non debbo tacere dei due dotti e benemeriti fratelli Appendini, e della splen-. dida accoglienza che v° ebbe testè il ch. letterato Urbano Lam. : predi. A lui nell’opuscolo abbiamo wn Epigramma d’ A. Cher- sa, fratello dell’A., epigramma di cui rechiamo la chiusa , per farne sentir la dolcezza. «+... unum hunc miramur. Et olim hoc Haec aetas aliis nostra erit invidiae. Il commentario è seritto con diligenza e con senno’, ma chi volesse conoscerne lo stile, sappia ch’egli è uno stile rimesso; e che — Filippo de’ Quartigiani era dottore nell’arti ch'è quanto dire un solenne *Barbassoro in ogni maniera di scienze; e che il suo libro , fra le altre cose; ragiona delle acqua surgenti, e dei diversi maestrati di Ragusa; e ch’ e’ non era vacuo al tutto d’ogni dottrina e d’ogni merito, ma che trale arti alle quali diede opera non ebbe cara quella dello eloquio: e simili gentilezze. — Egli è però da lodare, io ripeto, una raccolta di notizie , delle quali alcune erano ‘affatto sepolte. E parecchie note degli editori aggiungon pregio all’cpuscolo. K. X. Y. Memoriale di Frate Grovanwr di Niccorò de Camerino , fran- cescano , scritto nell’ anno 1371. Fascicolo T. Ancona tip. Baluffi. Edizione del sig. conte MownaLpo Lroparpr di Re- canati. Questo memeriale di frate Giovanni ha un certo sapore , odore, e colore d’antichità , che...... Ma poi , ripensandoci , in alcune pagine , ha tanta finezza, tanta malizia , che..... La que- stione è difficile! — Se si trattasse d'un frate toscano, io po- trei dire : i fra Giovanni in Toscana nella seconda metà del tre- cento non iscrivevan così: ma si tratta d’ un frate da Came- rino ; e chi sa come nel trecento scrivessero i Frati di Came- rino ? Certo è che questo frate Giovanni di Niccolò aveva molta malizia; e ne son prova gli ammonimenti de uno sapiente omo ch’egli ha saputo scegliere con molto buon garbo. “ Chi è morto 153 ha torto = Pria de parlare pensace un’ora : prima de scrivere pensace uno anno, et di poi non scrivere ,». Li ribellamenti vanno a paro con le feste: li folli le fanno, e li sayii le go- dono. — = | Il singolare 8° è che questo memoriale contien de’ vocaboli, che a giudicare da’ libri toscani, si direbbero affatto moderni; come prestabilire, inseguimento , soprantendente , provvisto, ac- cordare ; vocaboli de’ quali la Crusca deve approfittar certa- mente , 0 voglia ella o non voglia citare il memoriale di Frate Giovanni. Pratico della strada , sentirsi male , menar rumore , man+ dar odore , prevarsi di fare , pigliar marito , abbracciarsi ad uno, confidarsi ad uno ; son frasi che la Crusca non ha, e che potrebbe citare con alla mano il memoriale di Frate Giovanni. Del resto, se que’modi comunissimi non si trovano nel Dizionario no- tati, non è degli Accademici la colpa; il cui fine primitivo è stato non di creare nn vocabolario di tutta la lingua, ma di quella priu- cipalmente che ai non toscani è men nota. Un atto di gentilezza e di carità letteraria , non meritava , a dir vero , biasimi sì vil- lani. Ora però che le cose sono cambiate, tutti questi modi più noti debbono del dizionario della lingua far parte , e tanto più essere accetti, quanto son più comuni. Gli è un errore troppo frequente e troppo dannoso , cotesto di credere che mella pere- grinità sia la forza e la grazia. E il Monti stesso în ‘moltissi- me delle sue aggiunte alla Crusca , mostrò d’ incapparvi. Il più comune, in fatto di lingua, è quasi sempre il più bello ;. e in tutte le cose del mondo , la singolarità è rade volte bontà , dirittura, bellezza. 1 “Hb ER n Ls pve soreLLe DI NamwsrieLD. Storia Morale per le fanciulle scritta dall’ Avrore dei racconti del vecchio Daniele. Prima traduzione italiana dall’ Inglese. Pisa Tipografia Nistri 1828. Ora che è dato anche alle fanciulle, mon più da mal intesa educazione esclusivamente condannate a poche occupazioni mec- caniche , il coltivare le facoltà della mente, si debbono avere in molto pregio quei libri che alla loro direzione morale cospirano. E poichè il prestigio dei nomi più non impone e si attende alla realtà delle cose non v' ha ormai chi neghi potersi quello scopo importantissimo ottenere ancora dai romanzi. Tra questi merita un posto distinto l’ intitolato. le due sorelle di Nansfield , scritto T. XXXIII. Gennaio. 20 154 da una madre che in un tempo, in cui grave malattia la rilegava ‘ entro le domestiche mura, pensò a promuovere la educazione intellettuale delle sue figlie col mettere loro sott’ occhio molti incidenti valevoli a indurre negli animi giovanili una decisa pre- dilezione alla virtù. E non col racconto d’ avvenimenti straordi- nari, che riescono inoperosi al cessar della passeggiera impres- sione destata momentaneamente dal meraviglioso: non con pre- cetti dettati coll’asprezza del tuono dogmatico derivante da un’ani- ma mal calcolatrice la umanità , e sempre perciò indisponente , ma con applicazioni di fatto emergenti dal naturale andamento delle cose coordinate alla correzione di difetti espiabili. La tessitura infatti di quel romanzetto è semplice, e racchiu= de solamente ciò che d’ordinario avviene nella vita: i caratteri sono tutti conseguenti alla posizione che di ciascuna persona è annun- ziata in principio: la virtù è posta nel suo più amabile splen- dore, quantunque nè il fasto nè le ricchezze concorrano a farla risaltare: d’ogni fallo si vede il pentimento e l’ ammenda: il disprezzo è la pena condegna della curiosità eccessiva , e del darsi scioccamente importanza. Vuolsi in somma lode all’autrice, che esortiamo vivamente a render di pubblica ragione altre sue produzioni , ed al traduttore , che traslatando nel nostro idioma un libretto utilissimo, ha procurato alle italiane donzelle una lettura piacevole ed istruttiva. lit Acratialogia per avvertire i giovani ed i padri di famiglia sulla principale cagione che distrugge la salute, te sui mezzi di conservare ed accrescere la robustezza del corpo , le facoltà intellettuali e la longevità. Dell’ abate cav. P. Pawvini. Na- poli 1828. Quando 1’ amore della verità , il convincimento nelle opinioni, e lo spettacolo degli sconcerti ai quali vuol provvedersi, anima lo scrittore dotto, filantropo e religioso, già si presume quale ar- dore debba spirare nei suoi detti, e quale vivezza pararne lo stile ! De Queste integrali circostanze ed i loro necessarii resultati ci presenta appunto il Panvini nella sua Acratialogia.: i In quest’ opera trattandosi de’tristi effetti della incontinenza, e movendosi querele contro la scostumatezza, non si desuma dal titolo grecizzante che sappia di pedantesco, e di scolastico il con- tenuto. Perocchè il Panvini seguace dei Tissot; degli Uffeland : 155 nell’istrnire il popolo sui mezzi atti a conservar la salute, e premunirlo dalle pericolose abitudini, adopra chiaro e comune linguaggio, omettendo tutte le particolarità tecniche del soggetto. Per tal modo ha sanamente proceduto togliendo che 1’ ignoranza del lettore nelle mediche discipline pregiudichi alla solidità degli argomenti rendendoli inintelligibili od incredibili, mentre i fatti porti dall’ ovvia esperienza sono all’ uopo bastevoli; e così evitò lo scoglio nel quale incorsero altri benemeriti scrittori. Spettatore dei terribili effetti dell’incontinenza, l’autore svolge ed enumera con verità ed espressione i danni che dessa apporta alla salute dell’ individuo ed all’ intero corpo sociale } solve ed abbatte quelle opposizioni che affacciano i seguaci del libertinaggio e della vaga libidine; e l’opera dell’ autore non limitasi ad un’ inutile censura che minaccia e non corregge , che indica mali e non addita rimedi, ma da filosofo e da medico comportandosi, propone ai privati ed. ai governi quei mezzi igienici che sono capaci di impedire e di moderare la scostumatezza: Le seduzioni del piacere , il malo esempio, molti sistemi eil abitudini suggeriti dalla volubile e ‘capricciosa. moda } od ‘insi- nuati da un’ infame politica per degradare il nobile carattere dell’ uomo, promuovono l’ incontinenza e le porgono fatale ‘ali- mento in pregiudizio della salute , della sociale sicurezza, e per-> ‘ fino dei posteri, loro comunicando germi di mali infiniti ed una labile organizzazione. . Il Panvini ha sentito tutta l’ importanza del suo ministero, e vha corrisposto con le forze della volontà e del sapere, mentre ci ha offerto una nuova dimostrazione di quanto possano la re- ligione , la medicina, e la morale , associate al buon governo dei popoli, assicurare la felicità ed il ben essere. Voglia il cielo che diffusa la lettura dell’ opera del Panvini sortisca i bramati effetti che si propone. . . . . È tristo fato dei più approvare il bene ma seguire le tracce del male . .. . pure non disperiamo del successo. 1 padri leggano 1’ Acratialogia a guida della propria condotta, e per dirigere l’ educazione dei figli: i magistrati ed i legislatori per regolare la società; e tutti per attingere i necessarii insegna- menti onde premunirsi dai pericoli che cagionano i precoci e se- ducenti piaceri; il danno dei quali, l’esperienza individuale, e l’intimo sentimento già ci fanno abbastanza conoscere e provare. Quando i medici ed i moralisti tuonano contro il mal costu- me e contro le infermità, ne incolpano bene spesso la civilizza- zione. Ciò merita qualche schiarimento. 156 Se mediante i costumi più ingentiliti e le facilità del con- sorzio i cattivi effetti dell’ incontinenza si sono più estesi; al certo la cognizione dei di lei pericoli, il rispetto delle conve- nienze che distingue la ‘generazione attuale , e la nuova direzione degli spiriti pel lavoro e per lo studio , menomando l’ozio sono divenuti altrettanti benefici elementi che ne attenuano e ne mo- derano gli inconvenienti. STE. (N08 Nè crediamo che totalmente debba alla civiltà progredita, ma alla depravazione dei costumi da ben altre cause procedente, im- putarsi la soverchia incontinenza. Infatti massima è la scostumatezza là ove in mezzo a ric- chezze male divise, ad istituzioni non consentanee ai lumi ed ai bisogni, gli interessi si trovano in collisione, i sentimenti coi doveri a contrasto, e la prepotenza del fatto soverchia la santità del diritto. Si aprano invece le pagine dell’ istoria, si consultino pure anco le epoche presenti, e vediamo alcuni felici paesi nei quali la morigeratezza e la virtù pratica è associata alla coltura dello spirito ed allo sviluppo dei lumi, sotto tutte le forme politiche dei governi , se i costumi e le istituzioni siano tali da fare‘ ri- spettare i diritti adempiere i doveri e promuovere i sentimenti del retto e del giusto . . . . E se misura alla costumatezza è la longevità degli abitanti proporzionata ‘alle condizioni locali, il numero decrescente dei figli naturali, e la minorazione dei delitti, nell’ America Setten> trionale , nella Svizzera, nella centrale Germania e nel suolo dell’ Italia, ne abbiamo in qualche stato 1’ esempio ove ai pro gressi della ragione è simultaneo il miglioramento nei costumi. Male s’ avviserebbe colui che pretendesse il grado di civiltà corrispondere al solo progresso dei lumi, giacchè il sapere è un mezzo putentissimo di civilizzazione ma non l’ unico, E sì a torto viene accusata la civiltà confondendola colla de- pravazione , come a torto alcuni filosofanti attribuirono alla re- ligione il sangue che il fanatismo ha versato , e l’ oppressione che tuttora in alcuni luoghi esercita. Dort. E. B. 157 ‘Atlante geografico-fisico e storico del Granducato di Toscana, ‘în venti grandi carte, per fiorini 60 pari a franchi 84. Dispensa 1.* e 2.° Firenze nella Stamperia Granducale , 1828. È un incarico gradevole anzi che nò dover far cenno di una ‘ ‘bella quanto utile intrapresa siccome è quella che ora annunciamo. Il sig. dott. Attilio Zuccagni-Orlandini, essendosi impegnato esso solo in un lavoro lungo e laborioso, mostrò senza dubbio grande ‘animo e caritatevole intenzione a favore del suo paese, in ciò tanto più lodevole in quanto che opere di simil fatta troppo di rado comparire si veggono in Italia, ed il suo Atlante ci sembra ordinato con più amore e saviezza di molti altri editi oltremonti per spirito di speculazione piuttosto che con la mira d’istruire gli abbonati. Esso è concepito in modo, che parlando nel tempo stesso agli occhi ed all’intelletto, senza gran fatica dei sensi pone chiun- que in grado di procurarsi in tempo brevissimo la maggior copia possibile di notizie storiche e geografiche della valle ‘che viene in ciascuna tavole disegnata. Le due dispense comparse testè alla luce sono arra più che sufficiente ad assicurare anche i più indifferenti e meticolosi del zelo , intelligenza e precisione dell'Autore ed Editore. La prima delle quali dispense ( quinta nell’ordine dell'Atlante divisato ) comprende il Valdarno Casentinese , vale a dire la più alta valle del fiume maggiore della Toscana, mentre la seconda (otta- va nella serie) riguarda la Val di Sieve , che abbraccia la massima parte della provincia Mugellana. Alla mappa geografica della valle fanno ala a destra e a sini- stra due colonne verticali in caratteri nuovi e bellissimi. La prima colonna a sinistra è dedicata alla geografia fisica, ed è là dove per quanto comporta l’ angustia del foglio esponesi la situazione ed estensione della valle ; i confini, 1’ aspetto del paese, l'altezza , derivazione e andamento de’ monti, l’ estensione e posizione delle pianure , il corso del fiume che l’ attraversa e dei suoi vari influen- ti, la natura del suolo e dei prodotti naturali , il clima, e final- mente l’ indole, costumi e linguaggio degli abitanti. Nella seconda e terza colonna, le quali entrambe fiancheggiano - più da. xicino la mappa, si dà contezza della Topografia storica, cominciando dai nomi che ricevè il paese, quindi scendendo alle notizie storiche prima e dopo il dominio de’ Romani, poscia dopo l’invasione dei barbari sino al secolo XV, e infine da questa ultima epoca sino ai tempi attuali. ‘158 Seguono alle notizie generali della provincia quelle dei prin- cipali luoghi ripartiti per comunità; cui serve di appendice ‘una ristretta biografia degli uomini celebri per potenza o per valore militare , professori in scienze, coltivatori di amena letteratura o di belle arti. L’ ultima colonna verticale, ossia la prima cominciando a destra, è consacrata all’ industria degli abitanti, sia in agricol= tura , sia nelle manifatture, sia nel commercio , cui riferisconsi i mercati settimanali e fiere annue dei diversi paesi. Compisce il quadro una doppia colonna orizzontale posta sotto la mappa; la colonna superiore dà a conoscere la divisione terri= toriale della provincia per comunità , suddivisione per parrocchie , respettiva superficie e popolazione; mentre la colonna inferiore informa il lettore sul numero e qualità delle strade e dei fiumi; se quelle cioè sono regie, postali, provinciali, comunitative, carreg- giabili o pedonali ; se questi sono o nò navigabili. .. Noi avremo luogo di tornare a parlare altre volte dell'Atlante Zuccagni , di mano in mano che l’ A. progredirà nella sua intra- presa , la quale merita di essere raccomandata, sì perchè tende a far conoscere ad un gran numero di persone, cui manca un’istru= zione pratica di simili studi, molte notizie utili per il disbrigo dei loro affari , le relazioni, il commercio e i viaggi provinelili s quanto anche perchè essa tende ad affezionare sempre più i osdani + a questa classica loro patria. E. R. Lettere intorno ad alcuni Codici della libreria del marchese Lusi Tempi. — Lettera prima. Farò ; se vi contentate , un viaggio e dne servigi. Raggua= liandovi, come vi ho promesso , de’ codici del nostro marchese 9 p ’ Tempi (uomo benemerito, il cui nome sembra accrescere il loro | pregio ) ne ragguaglierò anche il pubblico, stampando le mie lettere nell’ Antologia. Quando vi scrissi la prima volta di questi codici sulla relazione d’ un gran ricercatore di simili rarità, il qual proponevasi d’ illustrarli, non sapeva ancor bene se al pub- blico potrebbe piacer molto di conoscerli. Ora , dopo averli veduti; penso che debba piacergli moltissimo; nè credo che voi ne pen- serete altrimenti, a meno che non crediate ben raro in Italia l’ amore delle cose italiane. 130 Comincio dal codice ,' che per caso m’è venuto alle mani il primo , e che voi sicuramente non vorreste che per mia scelta fosse fatto rimanere secondo. È un codice cartaceo in foglio or- dinario di 460 pagine, il quale ha scritto in costa: Frammenti di storie fiorentine di Benedetto Varchi; ma contiene pur altro che il titolo non promette. Le prime cose , che vi s’ incontrano, e che dan ragione di questo titolo, sono la dedica delle storie indicate a Cosimo De Medici, il loro proemio e il frammento del primo libro , di mano posteriore forse d'un secolo al Varchi, e quali pressapoco si leggono nelle stampe. Indi, frapposte alcune carte bianche, ma pur numerate da chi pensò così di coordinare le diverse parti del codice , ognuna delle quali avea come si vede una speciale numerazione , vengono molt’ altri frammenti di mano che sembra un po’ più antica dell’ altra, e tutti indubitatamente d’un medesimo autore, coi quali si giugne ad un terzo circa del codice di cui vi parlo. Alcuni di questi frammenti ( copiati probabilissimamente dagli autografi o da apografi lor similissimi, come può argomentarsi da varie aggiunte marginali e da altro) appartengono ad una storia, che si estende per lo meno a tutto il tempo de’ pontificati di Clemente VII, Paolo III, Giulio III, Marcello II e Paolo IV; gli altri sono forse ricordi per servire alla composizione di tale sto- ria o d’altre più brevi, a cui l’autore s’apparecchiava. In qualcuno di essi infatti ei si riferisce alla sua sforza generale, o già tutta composta o tutta almeno abbozzata ; ciò che indica il disegno se non l’attual composizione di storie particolari. Quest’ antore, che mai non si nomina, si dà però a cono- scere così bene in questi frammenti, che il nominarlo vi riesce facilissimo. Poichè, lasciando stare gl’indizi meno evidenti, ei fa intendere chiaramente d’ aver ottenuto assai giovane il vesco- vado di Pavia, poi d’ esserne stato privato e tenuto prigione due anni in Castel Santangiolo , indi restituito in quel vescovado e fatto in seguito governatore di Roma , e alfine, dopo varie escur- sioni a diverse corti e in ispecie a quella di Francia, d’essersi rifugiato in Toscana, ove sì comperò la villa del Barone sopr’ a Prato (villa più che reale di Baccio Valori, come, se ben mi ricordo , la chiama il Varchi, narrando un congresso che vi ten- nero i fuorusciti nel 1536) e oggi posseduta dal marchese Tempi. A questi indizi voi già siete certo ch’egli è quel monsignore Gian- girolamo De Rossi de’ marchesi di Sansecondo , cognato dell’Ales- sandro Vitelli, che servi sì bene i Medici contro Firenze ; equi- voco ambasciadore di Paolo III a’ Fiorentini dopo la morte del 160 duca Alessandro; parente e favorito del duca Cosimo, a nome del quale commise al Varchi (v. la dedica già mentovata) di scrivere le storie fiorentine, non pensando forse in quel tempo a prendere egli medesimo un posto fra gli storici italiani. Ciò dico al vedere, come in un luogo de’frammenti ei si duole d’aver eominciato quasi vecchio (ritiratosi finalmente , giusta le sue frasi, dai negozi e dalle ambizioni) a scrivere le cose del suo tempo. L° aver però cominciato sì tardi non pare che gl’im- pedisse di seriver molto , benchè forse gl’impedì di scrivere più aceuratamente . Ch’ egli, per uomo d’ ambizioni e di negozi , fu pur cultore assiduo delle lettere, e quindi non ignaro dell’ ele- ganze , che fanno belle le scritture. Nè alla scuola del Bembo e del Guidiccioni, da cui fa animato a compor rime (molte delle quali sparse nelle raccolte del suo tempo furono poi ristampate unite in Bologna , e molte ancora inedite , già possedute dallo . Zeno, si trovano eredo nella Marciana di Venezia) poteva ap- prendere il disprezzo di ciò "che richiedesi egualmente alla bel- lezza della prosa come della poesia. Nè poteva apprenderlo da’La- tini, de’ quali fun assai studioso, e nella cui lingua dettò molti versi, che non so ove si trovino (1’ Affò ne’suoi Parmigiani illw- stri ne parla sulla fede d’ un Carrari ; che gli è pur mallevadore d’ altre opere da lui non vedute) ma di cui ho buon saggio in al- cuni esametri per una lapide da mettersi a Portoferraio nuovamente fortificato dal duca Cosimo, di che trattasi in uno de’ frammenti. E da un altro di questi apparisce ch’ei badò molto; o almeno quanto gli fu possibile, a’ precetti di Cicerone intorno all’ arte del dire, applicandoli all’ uopo (giacehè nel frammento parlasi delle innovazioni di vari nostri poeti e prosatori) ad ogni specie di composizioni italiane. Però se i frammenti sono meno che ele- ganti, mi giova attribuirlo piuttosto alla fretta che all’imperizia dello serittore , il qual forse in altre opere compite , che di. lui si citano, mostrò meglio come lo studio delle lettere gli. fosse stato profittevole. Quel poco infatti ch’ io ho letto d’ una sua vita di Giovanni De Medici (in un bel manoscritto «della Riccardiana, fatto sicu- ramente sotto gli occhi dell’ autore, poichè la sottoscrizione della dedica è di sua mano ) mi è sembrato di stile-abbastanza colto. Delle molte vite d’ uomini illustri, che, stando agli autori di biografie e di storie letterarie, pare ch’ei componesse; questa è la sola, che fin qui ci fosse almen nota di nome. Pure dalla sua dedica (al duca Cosimo) poteva sapersi anche il nome d’ un’ altra antecedentemente composta, quella del re Giovanni d'Aragona. Ma 161 1’ Affò, che non vide altre cose inedite dell’ autore che i suoi Dialoghi politici a Don Ferrante Gonzaga , e credo isuoi Discor- si sulle medaglie fra i codici ottoboniani della Vaticana , e no- minò la vita di Giovanni De Medici sulla fede dell’ Ammirato , ignorando ove esistesse , non poteva nominar l’ altra che ho detto; ‘e molto meno il potevano quelli che poi scrissero compendiando l'Affò, tra i quali è il Tiraboschi. Forse, guardando ben per minuto i frammenti del codice del march. Tempi, si riuscirebbe a nominare con certa probabilità qualch’ altra delle vite indicate. Ma io non mi ci voglio arrischiare, bastandomi per ora di far co- noscere i frammenti medesimi, ed in ispecie quelli appartenenti alla storia generale , ignota all’ Affò e agli altri che scrissero del De Rossi, ma della cui esistenza posso tanto men dubitare, che questo dotto bibliotecario della Magliabechiana m’assieura d’aver- ne più anni fa veduta copia presso un signor di Firenze. Tale storia, di cui non lesse che il cominciamento, gli sem- brò, in quella parte, già s'intende, fatta per contrapporsi alla sto- ria del Guicciardini. E a me pure ne diede qualche sospetto un passo curiosissimo de’ frammenti, ove narransi del famoso con- gresso di Clemente VII e Francesco I a Marsiglia cose da quello storico non narrate, ma ch'io, dice il De Rossi, non ho veluto tacere, come non ne .tacerò alcun’altra che sia d’ importanza « non essendo io parziale d’ alcun principe , ma professor del vero e libero dell'animo ,, di che m'è testimonio, egli aggiunge , tutta la vita mia. La sua vita infatti fu agitata da passioni di- verse, ma tali che ordinariamente fanno l’ animo e il linguaggio piuttosto indiscreto che servile. Che se le ambizioni, da cui con- fessa egli medesimo di non essersi tenuto lontano, potevano de- viarlo dalla professione del vero, legandolo a chi le avesse sodi sfatte; la fortuna provvide che ciò non avvenisse. Ed io ho pur vo- luto , egli dice in un luogo, scrivere le ingratitudini de’ principi verso di me “ acciò si conosca che niuna passion m’astringe nè a biasimar nè a lodar alcuno se non il mero stimolo della verità, trapassando 1° ozio della vita con questa e con altre fatiche negli studi, come l’ opere mie faranno fede. ,, Nulla, a quel che sembra , gli sta più a core che il titolo d’ imparziale. Quindi non lascia occasione di farci intendere ch’ei lo desidera e crede di meritarselo. Clemente , al dir suo, accie- cato dall’ odio contro Cesare, avea nel congresso , che pocanzi accennai, consigliato al re Francesco di chiamare, come poi fece, . il Turco ne’nostri mari. A sì funesto consiglio (le prove del quale T. XXXIII. Gennaio. a. 162 fortunatamente lasciano luogo a qualche dubbiezza) furono ben contrarie le pie e coraggiose esortazioni:del cardinal Cervini, poi Marcello II, nelle cui lodi, scrive il De Rossi, io entro assai volentieri “per soccorrere alla brevità del papato suo, che non ebbe vita più lunga di 22 giorni, meritando così la vita e valor suo , ancorchè a me fosse continuamente contrario nella corte romana in ogni mio desiderio ,,. Se l’ imparzialità , di cui egli fa professione, ci abbia frut- tate nella sua storia molte novità , io non saprei. indovinarlo. Ma dovrebbe pur essere di qualche utile o di qualche diletto il poter trarre da questa sua storia , che non rimarrà, spero, sem- pre occulta, o da questi frammenti se verranno all’ uopo con- sultati, nuova conferma ai fatti che si narrano da altri ‘storici reputati veraci. Così io leggendo i frammenti che riguardano la guerra in cui perì la repubblica di Siena , e quelli particolar- mente in cui sono poste a confronto la virtù e la fortuna di Piero Strozzi e del marchese di Marignano, mi son compiaciuto di vedere che il De Rossi, l’uomo di Cosimo, pel quale il Ma- rignano vinse , rende testimonianza alle parole del Segni più af- fezionato sicuramente al perditore che al vincitore. E già in altro frammento quasi scambiai il De Rossi col Segni medesimo o col Varchi, vedendolo lodare con tanto calore Palla Rucellai per l’ animosa risposta , data come sapete nel consiglio de’ 48, e con- trapporlo a Francesco Guicciardini, a Matteo Strozzi, a Ruberto Acciaiuoli e agli altri, com° egli dice , tenuti i più savi della città , i quali ‘ pensarono scioccamente che un doge di Firenze, coll’ armi in mano; e col favore della fazione imperiale, ordina- riamente nemica a Firenze libera , reputata sempre guelfa , do- ‘vesse vivere appunto come si vive in Venezia ,,; il quale in- ganno costò loro assai caro , ‘* essendo peggio trattati in vita e in morte che Palla, acciò si conoscesse che le azioni virtuose deb- bono operarsi senza alcuna paura , ec. ec. ,, E questa breve citazione voglio che vi sia per saggio così della libertà d° animo dell’ autore, come di certo acume che gli dà la pratica delle cose. Del resto egli non è l’uomo delle riflessioni peregrine e nemmeno delle riflessioni frequenti . È l’uomo de’ molti ragguagli e delle molte particolarità, che l’indole sua, i suoi offici, le sue aderenze lo aiutarono a raccogliere ; ond’ è che se la maggior importanza delle storie sta nel mostrarci la vera gene- razione de’ fatti, e questa si rende tanto più chiara quanto me- glio si conoscono le particolarità de’fatti medesimi, la storia ch’e- gli ci ha lasciata deve pur essere importantissima. 163 Ne’ frammenti , che non appartengono a questa storia, egli, come potete imaginarvi , è l’ uomo degli aneddoti. E in quelli stessi, che appartengono alla storia , ei racconta sovente al modo d’ uno scrittore di memorie private, il qual sa bene che gli aneddoti sono il lor condimento . Se parla, a cagion d’esem- pio , del congresso di Clemente e Francesco a Marsiglia , il cui resultato “non si è mai potuto sapere se non per conietture ed indizii , avendo essi tra loro duoi solamente seritta di mano propria tutta la capitolazione, che mai per alcuno si vide, come cose che per avventura non erano degne d’ un papa e d’un cri- stiano ,, vi narra per minuto la successiva malattia di Clemente, e i discorsi che allora gli uscirono di bocca, quai “ me li rife- rì, egli dice, maestro Matteo Da Corte suo medico che era continuo a quell’ infirmità ec. ec.,, S° egli vi parla degli ultimi anni e della morte di Carlo V, vi racconta come da un amico il qual dimorava in Francia “ letteratissimo nel vero ma fuoruscito del duca di Firenze ,, il nome del quale tace “ per buon rispetto ,, e che si crederebbe l'Alamanni se non fosse morto nel 56, fu ri- chiesto di tutte le orazioni fatte in Italia in lode di quel mo- narca , le quali avendogli egli mandate, n° ebbe una lunga let- tera, ch” ei riporta, e si potrebbe collocare in una bella raccolta di filippiche italiane. Gli aneddoti propriamente detti sono in buon numero, e quasi tutti di qualche importanza per la storia delle idee o dei costumi. Io ho serbato memoria di questi: detto del duca Cosiì- mo intorno al modo che teneva Don Ferrante Gonzaga per for- nire il castello di Milano d’ uomini e di munizioni senza spesa del suo signore; — il dottor Rosa spagnuolo familiare del De Rossi e gran giuocatore di scacchi; — ottanta spiritate d'un monastero di Roma al tempo di Giulio terzo; — conversazione del De Rossi dinanzi a Caterina de’ Medici col conte Gio. Fran- cesco della Mirandola , specie di manicheo ch° ei chiama lu- terano e peggio ,, e con Piero Strozzi ch’ ei ci dipinge come un deciso epicureo ; — singolari servigi che rendeva in Roma un suo servitore da Reggio; — singolari conforti del cardinal teati- no , che fu poi Paolo IV, a Giulio III agonizzante ; — singo- lari ispirazioni di Paolo medesimo e sue singolari determinazio- ni; — ingordi guadagni e perdite proporzionate di Paolo Gio- vio ; — il duca Cosimo , che si fida de’ Fiorentini che lo odia- no , perchè sa che si odiano ancor più fra di loro ; — risposta d’un gentiluomo fiorentino ad un galantuomo lombardo (proba- bilmente il De Rossi medesimo) che chiama i Fiorentini flagellati 164 come meritano — risposta del marchese di Marignano © tassato in Firenze perchè parlava così meramente milanese ,, j — rispo- sta de’ Veneziani e medaglia de’ Romani a Paolo IV, quando mandò fuori la proibizione de’ libri; — risposta d’ un gentiluo- mo a questa domanda : perchè Carlo V tenesse occulto sino alla morte un suo figlio naturale avuto in Fiandra, non essendosi vergognato di dichiarare per figlia madama Margherita ; — af- fitto d’ nomini, che alcuni mercanti genovesi facevano alla lor repubblica , la quale non trovava in ciò nulla di disumano. Nessuno di questi aneddoti (a cui si frammischiano talvol- ta notizie , osservazioni o confessioni curiose) potrebbe certo es- ser letto con quel sapore con cui si leggono per esempio quelli che il nostro Gamba ha tratti recentemente da un manoscritto dell’Oreficeria del Cellini, che fin già della Naniana ed ora è della Marciana di Venezia. Pure avvi in essi (lasciando stare l’ infinita differenza della lingua ) un nonsochè di vivo , di fran- co, in una parola di celliniano, che dà molto piacere mentre concilia loro molta fede. Il De Rossi, per quel ehe appare dalla sua vita, benchè scritta dall’Affò con grandi riguardi, fu una specie di Cellini della sua classe. Quindi non fa meraviglia che nel suo scrivere avesse alenn poco della vena del nostro orefice fiorenti- no; ed è peccato che in più cose non fosse molto più illuminato di lui, poichè anche più di lui sentiva sdegno di ciò ch’ è in- giusto , assurdo , oppressivo. Questo paragone fra il prelato e l’ orefice, che mi è caduto sotto la penna , mi fa ricordare che anche il prelato racconta i suoi aneddoti relativi alle arti, che non sono i meno interes santi. Voglio citarvene uno, conveniente alla stagione del carne- vale in cui siamo; cioè relativo all’arte della musica, e con esso far fine a questa prima lettera, che, a volervi parlare in essa del resto del codice, riescirebbe interminabile. Non so se voi leggiate regolarmente la Revue frangaise, che da un anno soltanto ha cominciato a comparire , e a me sembra senz’ altro uno dei più sugosi giornali d’” Europa. In un bellissimo articolo sulle vicen- de della musica , al quale diede motivo 1° Assedio di Corinto del nostro Pesarese, è detto , come nell’ Orfeo del Monteverde can- tato a Venezia nel 1607 si udì nn° orchestra di 32 strumenti di 13 specie diverse ; cosa inconcepibile per quel tempo, se lo spar- tito dell’ Orfeo non ci spiegasse 1’ arcano , mostrandoci che i 32 strumenti mai mon suonavano insieme , ma si repartivano in gruppi o in tante piccole orchestre, ond’era accompaguato il canto di ciascun personaggio. Or leggete questi pochi versi del De Rossi, 165 scritti intorno alla metà del secolo decimosesto.** Alessandro Striglia mantovano, eccellentissimo musico in questi tempi, compose un canto 24 voci con 15 sorti di strumenti, cantato in Firenze , il che fu cosa nuova, che per ciò ad alcuni piacque ad altri ren- dé confusione , essendosi ciò anco fatto nelle nozze del duca di Mantova , il che non ho mai più udito in tali discipline , ec. ,, Eccovi dunque nel nostro Striglia o Strigi (come lo chiama il Bettinelli , il quale non dice altro di lui se non che si trovava alla corte d’ Ercole II d’ Este col celebre Alfonso della Viuola , ed era talvolta per la sua bravura invitato a Firenze, ove se la intendeva col Corteccia maestro della cappella di Cosimo ) ecco- vi una specie di Mozart o di Rossini mezzo secolo circa prima del Monteverde e più d’ un quarto di secolo innanzi al Caccini ed al Peri. Questo fatto, ch'io suppongo ignoto anche al conte Or- loff, la cui storia della musica italiana sarà sicuramente stata consultata dall’ autore dell’ articolo della Revue, merita d’essere verificato , e certo valeva solo la pena ch’io mi leggessi questo terzo di codice che per ora chiudo , augurandovi meglio che co- dici o aneddoti musicali, ove amiate di divertirvi ec. ec. M. 1606 * BULLETTINO SCIENTIFICO Gennaio 1829, SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Il sig. Bouvard ha letto avanti l'Accademia delle scienze di Parigi una sua memoria intorno alle variazioni diurne del baro- metro , accompagnata da molti prospetti, i quali servono di base ai di lui calcoli relativi. Ecco le conclusioni che egli ha dedotto dalle sue osservazioni : 1.° Verso gli equinozi il barometro giugne alla sua maggiore elevazione a ore 8 e minuti 50 della mattina, e presso a poco a ore rI della sera. La sua minima elevazione all’epoca stessa si osserva a 4 ore della mattina e a 4 ore della sera ; 2.° Nell’estate la massima elevazione è a ore 8 min. ro della mattina, e nell’inverno a ore 9 min. 30. Gli altri momenti critici del barometro variano egualmente col variare delle stagioni ; 3.° I periodi di giorno sono più grandi che quelli di notte, e variano presso a pochissimo come i periodi corrispondenti ; 4.° Sotto l’ equatore ed a livello del mare i periodi sono i più grandi ; 5.° Sotto l’equatore, elevandosi ad altezze grandissime questi periodi diminuiscono come le temperature corrispondenti, e presso a poco come il quadrato del coseno della latitudine. L’ autore riconosce che queste conclusioni meritano d’ esser confermate da nuove osservazioni fatte a grandi latitudini, ad al- tezze considerabili, e sotto 1’ equatore ; ma per poter ricavare qualche utilità dalle osservazioni, egli è essenzialmente importante che esse siano fatte con buoni strumenti, ripetute ogni giorno molte volte, e continuate un tempo sufficiente, per poter riguar- dare i risultamenti di esse come indipendenti dagli errori locali accidentali. Queste condizioni sono specialmente indispensabili , perchè ivi le variazioni del barometro dovute a cause incognite sono più considerabili. Le osservazioni fatte all’ equatore sulla riva del mare, ed a grandissime elevazioni, saranno della maggiore importanza per apprezzar giustamente l’ influenza delle temperature che sono in- dipendenti dalla latitudine. 107 La notte del 7 venendo il giorno 8 del ‘corrente gennaio, scoppiò una vera tempesta atmosferica sopra alcuni punti del- l'Isola dell'Elba. Ecco le relative notizie che abbiamo potuto procurarci da persona che abita alla marina di Rio, e che l’os- servò con particolare attenzione. Alquanto prima della. mezza notte, facendosi il tempo. gra- datamente più oscuro, cominciò a cadere una piccola pioggia d’ acqua freddissima, alla quale si mescolarono a poco a poco dei fiocchetti di neve, e dei piccoli granelli di grandine. Frattanto rom- pevano di tanto in tanto la cupa oscurità dell’aria dei lampi seguitati da tuoni fragorosi. Giunta al colmo l’oscurità per il massimo adden- samento di nubi oltremodo fosche , le quali sembravano agitate violentemente da movimenti diversi , i lampi ed i tuoni diven- nero non solo più vivi e più fragorosi, ma continui, succeden- dosi quasi senza interruzione 1’ uno all’ altro; come continua , densa , e di notabil volume cominciò a cadere la grandine , la cui caduta può dirsi che quasi durasse dalla mezza notte fin presso alle ore 8 della mattina susseguente. Il temporale moveva da mezzogiorno , e pervenne sopra la marina di Rio dalla parte di Capoliveri , nel qual territorio, co- me anche in quello di Lungone cadde pure moltissima grandine. Quanto a Rio , pare che la più gran quantità si scaricasse so- pra la miniera del ferro , nella quale si alzò oltre un braccio, cosicchè per alcuni giorni essendo rimasta impraticabile, vi fu- ‘rono sospesi i lavori. L° isola di Palmaiola , che resta nel ca- nale di Piombino , fu ricoperta di neve e di grandine , che vi durò più giorni. Le vicinanze di Portoferraio pare che sieno state esenti da questa tempesta , d’ un indole piuttosto straordinaria per la stagione in cui è avvenuta. Fisica e Chimica. Colla posta di Genova ci sono pervenuti in due diversi or- dinarii due distinti esemplari d’una stessa piccola stampa conte- nente una lettera del sig. prof. Elice, conosciuto per alcune al- tre singolari sue produzioni, e specialmente per una rota tendente a provure l’ erroneità delle regole newtoniane. L’oggetto di questa lettera è di annunziare che il sig. prof. ha trovato soggetto ad eccezioni quel principio o quella legge d’idrostatica, di cui si attribuisce la prima cognizione al famoso Archimede , cioè; che ur corpo immerso in un liquido perde esatta- mente tanto del suo proprio peso quanto è quello dell’ acqua spo- 168 stata. Uno dei due esemplari, intatto e quale uscì dal torchio , è .iutitolato Scoperta d’Idrostatica, e la voce scoperta vi si trova ripetuta poco più sotto. Nell’ altro - esemplare la voce scoperta è stata cancellata nei due huoghi ‘con penna ed inchiostro comune, convertendosi l’accennato titolo in quest'altro Corretta Idrostatica, ed è stata fatta nelle prime due linee della lettera un altra insigni ficante variazione. Il sig. prof. Elice fonda la sua scoperta o correzione sopra tre esperienze , alle quali or ora torneremo. Dalla prima egli deduce la seguente conclusione : Dunque un corpo specificamente più leggiero del liquîdo sul quale in parte galleggia , il peso del volume di liquido escluso dalla porzione immersa può essere minore del peso del corpo mntero. Siccome questo periodo, (per errore tipografico, o altro) manca di senso grammaticale, gli restituiremo quello che proba- bilmente l’ autore ha voluto significare, e che ci sembra questo : Dunque un corpo specificamente più leggiero del liquido sul quale in parte galleggia esclude colla sua porzione immersa un tal volume di liquido, il di cui peso può esser minore di quello del corpo intero. Questa conclusione, quando pur fosse esatta , e non erronea come poco fra mostreremo, non sarebbe propriamente in opposizione col riferito principio d’Archimede, ma con un altra proposizione, la quale è in certo modo un corollario di quel principio , e dalla quale dipende la teorica e l’uso degli areometri o pesaliquori. Onde più chiara ne apparisca la differenza , rileveremo che il principio d’ Archimede si riferisce ai corpi più pesanti dell’ acqua, o degli altri liquidi nei quali s° immergano interamente e si pro- fondano. In effetto quelli che al contrario vi s’ immergono solo in parte ed in parte galleggiano, non vi perdono soltanto una porzione del loro peso , ma ve lo perdono tutto , e questo nemmeno basta a farli immergere interamente. Il corollario di cui abbiamo inteso parlare si riferisce a questi ultimi corpi, ed è il seguente: Un corpo meno pesante dell’ acqua ( si dica lo stesso degli altri liquidi), che vi s° immerge solo în parte, ed in parte vi galleggia, sloggia un volume d’ acqua eguale al volume della parte immersa, ed il di cui peso è esattamente eguale al peso del corpo intero. A questo corollario, tanto vero quanto il sopraesposto princìpio d’ Archimede, contradice la conclusione prima del sig. prof. Elice, e vi contradice perchè è inesatta , anzi falsa, come inesatte e false sono le altre due che vengono appresso a questa, benchè egli abbia 169 creduto dedurle da esperienze o da fatti, che son pur veri, quan- tunque mal veduti. Ecco nei propri termini dell’ autore le tre esperienze e rispettive conclusioni. Esperienza prima. Si prenda un vaso cilindrico , alto me- tri 0,120, coll’apertura del diametro interno metri 0,076, dove siavi chi]. 0,105 d’ acqua, immergasi una bottiglia cilindrica col turacciolo , alta metri 0,083, che abbia diametro esterno me- tri 0,070, e del peso di chil. 0,184; questa galleggerà, e 1’ acqua s’ innalzerà nel vaso molto al di sopra del primitivo livello ; se si pesa l’ acqua spostata si troverà essere chil. 0,026. Dunque un corpo specificamente più leggiero del liquido sul quale in parte galleggia, il peso del volume di liquido escluso dalla porzione immersa può essere minore del peso del corpo intiero. Esperienza seconda. Si chiuda ermeticamente dentco della bottiglia un peso di chil. 0,140, il quale la renderà della stessa gravità specifica dell’acqua, quindi s’ introduca la bottiglia nel vaso ; si vedrà immergersi tutta, e rimanere in qualsisia luogo: pesisi l’acqua scacciata , e si troverà essere chil. 0,039. Dunque un corpo della stessa gravità specifica del liquido, che si mantiene in questo equilibrato in qualunque luogo si trova , può scacciare un volume di liquido di minor peso del suo. Esperienza terza. Pongasi nella bottiglia chilogr. 0,475, che unitamente al peso della stessa, che abbiamo detto essere chil. 0,184, forma il peso di chil. 0,659, si ponga con altri pesi in equi- librio nell’aria, quindi s’immerga la bottiglia ben chiusa nel- l’acqua contenuta nel vaso; l’ equilibrio si distruggerà, e per nuovamente restituirlo , sarà necessario, o aggiungere dalla parte della bottiglia chil. 0,324, oppure toglierli dal bacino opposto : pesata l’acqua rimossa; si troverà esattamente eguale a quella della seconda esperienza , cioè di chil. 0,03g. Dunque un corpo di una gravità specifica maggiore del liquido in cui è immerso ; può perdere una porzione del suo peso maggiore del peso del volume dell’ acqua rimossa. Il fenomeno principale e più importante a eonsiderarsì in questi e simili esperimenti, cioè il movimento e cambiamento di luogo che soffre il liquido per l’immersione in esso d’un corpo solido , è indicato dal sig. professore , quantunque in poche linee , con quattro verbi diversi ) che sono: spostare, escludere , scacciare, rimovere. T. XXXIII. Germaio. 29 . E70 Per chi concepisca il fenomeno a dovere, come lo concepì ‘ Archimede, e come lo concepiscono i fisici tutti, qualunque ‘di quei verbi può servire ad esprimerlo ; ma egli è evidente che il ‘ sig. prof. E. l’ha concepito in un modo bén diverso. Siccome 1’ il» lusione in cui egli è caduto è stata cagionata dall’ apparato di cui si è servito nelle sue esperienze, però lo preghiamo che, lasciata da parte quest’ apparato , a cui fra poco torneremo , voglia ripetere i suoi esperimenti cun quello che ci prendiamo la libertà di pro- porgli. Egli si procuri un vaso il di cui orlo superiore, distendendosi lateralmente da un punto della circonferenza, prenda la forma d’un beccuccio o gocciolatoio, 0 vogliam dire d’ un canaletto semicilindrico , che nella sua cima guardi un poco in basso. Non potendo procurars1 un simil vaso, riduca alla forma indicata un vaso qualunque, attaccando attorno all’ orlo di esso una cande- letta di cera rammollita con un discreto calore, e formi della cera stessa in un punto della circonferenza il prescritto canaletto o goc- ciolatoio. Empia allora questo vaso d’acqua fino a farne soverchiare. Usi bensì la precauzione di versare le ultime porzioni a poco a poco e dolcemente, onde 1° eccesso dell’ acqua non trabocchi mini» mamente da verun’ altro punto dell’ orlo , ma unicamente per il canaletto o gocciolatoio. Dopo che avrà cessato di versare acqua nel vaso , e che l’ ultima goccia superflua sarà caduta dal gocciola- toio , essendo così il vaso esattamente pieno d’acqua, ponga sotto il beccuccio o canaletto un altro minor vaso, vuoto, asciutto ; e diligentemente pesatò. Allora si faccia ad immergere il corpo so- lido , dolcemente ed a poco a poco , acciò l’acqua sloggiata da esso non trabocchi da verun altro punto dell’ orlo , ma unicamente per il gocciolatoio nel vasa sottoposto. Se egli impiegherà la bottiglia della sua prima esperienza , qualunque altro corpo meno pesante d’ un egual volume d’ acqua”, solo una sua parte s’immergerà , un altra parte resterà fuori del- l’acqua , ed il corpo galleggerà. Quanto all’ acqua traboccata dal primo nel secondo vaso per la parziale immersione di quel corpo ; è evidente che il di lei volmme non è nè può essere se non eguale al volume della parte immersa di quel corpo stesso , che ne occupa il luogo , e che si è sostituito ad essa ; il suo peso poi verificato per la bilancia si troverà esattissimamente eguale al peso totale del corpo in parte immerso o galleggiante. Tutto ciò , oltre ad essere fatto positivo e costante, è anche conforme al ragionamento, giacchè gli effetti sono necessariamente proporzionati alle cause che li producono; ed il corpo immerso, sebbene ad escludere o far IT! traboccare quell’acqua non abbia impiegato che solo una parte del suo volume , vi ha per altro impiegato tutto il stio peso. Se poi , come nella sua. seconda esperienza ; il sig. prof. in- troduca iella bottiglia un peso per cui quella divenga tanto pe- sante quanto ùn egual volume d’acqua ; essa s'immergerà intera mente, e resterà indistintamente in qualunque parte dello spazio occupato dalla massa fluida. Quì pure è evidente che il. volume dell’ acqua sloggiata o traboccata dal primo nel secondo vaso non è nè può essere se non eguale all’intero volume del corpo immerso, che si è sostituito ad'essa, è ne otcupa il luogo. Il suo peso poi si riscontrerà esattissimamente eguale al peso totale del corpo im- merso , che per escluderla lo ha tutto speso, come ha impiegato tutto il suo voluffie. Finalmente se , come nella sua terza esperienza , il sig. prof. introduca altra materia nella bottiglia, sicchè il peso di questa divenga maggiore del peso d’ un egual volume ‘d’acqua ; la botti- glia, come qualunque altro corpo più pesante dell’acqua, s° im- mergerà interamente, ed anderà a posarsi sul fondo del vaso. Anche in questo caso è evidente che il voluine dell’acqua sloggiata non è nè può essere se non eguale all'intero volume della botti- ‘glia immersa. Il peso poi dell’ acqua sloggiata sarà eguale a quello dell’ esperienza precedente, ma equivarrà soltanto ad una parte del peso della bottiglia, resa ora più pesante, e precisamente a quella parte di peso che ella ha perduto per 1° immersione. Ora, perchè mai il sig. prof. Elice ha trovato così diversi i pesi dell’ acqua che nelle sue esperienze 1’ immersione parziale o totale della bottiglia ha spostata, esclusa , scacciata , rimos- sa? Perchè con queste espressioni egli indica una cosa affatto diversa da quella che noi indichiamo seguendo tutti i fisici.‘ È tanto erroneo il modo in cui egli concepisce questo spostamento, questa esclusione , quanto è assurdo che un corpo solido immer so in un liquido ne escluda dal posto che egli occupa un !vo- lume diverso dal suo proprio ‘volume. Si comprenderà facilmen- te in che cunsista la di lui illusione , considerando quanto. ap- presso . L’ immersione d’ un corpo solido in un vaso pieno d’acqua, operata nel modo da noi indicato, produce due effetti bea distinti. Tl primo è quello di escludere effettivamente o far traboccare dal vaso un volume d° acqua eguale al volume della parte ‘im- mersa di quel corpo. Yl secondo effetto è quello di mantenere una porzione dell’ acqua rimasta nel vaso, e specialmente quella ‘che circonda il corpo immerso , in un luogo differente e ad un 172 altezza alquanto maggiore di quella ove si troverebbe senza la presenza di quel corpo. Nel ben diverso modo d’ operare del sig. prof. E. non aven- do luogo che il secondo di tali effetti , egli ha contemplato esso solo, o piuttosto lo ha scambiato col primo , che è quello con- templato da tutti i fisici. Per esso l’ acqua spostata; rimossa , esclusa , scacciata , è quella che si dispone attorno al corpo im- merso elevandosi al di sopra del suo primo livello. Egli non ci dice come abbia operato per determinare la quantità d’acqua così spostata , separarla dal rimanente, e pesarla ; noi dubitiamo for- temente che egli abbia potuto trovare un modo di far tutto que- sto con esattezza . Altronde ciò sarebbe inutile, non essendo quello 1’ oggetto da contemplarsi. Intanto poi egli ha trovato il peso dell’ acqua elevatasi in- torno al corpo solido immerso minore del peso di questo corpo, in quanto ha impiegato un vaso angusto , che lasciando piceo- lissimo spazio fra la sua circonferenza interna e quella esterna del corpo immerso , non poteva ammettere che piccola quantità d’acqua. Con un vaso più ampio la cosa sarebbe ben diversa. Il sig. prof. convinto che i risultamenti da lui ottenuti erano di- pendenti dalle particolari condizioni del suo apparato e del sno processo , è stato cauto d’ indicare precisamente il diametro del- I’ apertura del vaso , il peso dell’ acqua contenutavi, le dimen- sioni, ed il peso della bottiglia, alcuna delle quali condizioni ve» nendo minimamente a variare , i risultamenti non sarebbero più li stessi. All’ opposto operando con un vaso pieno d’ acqua, qualun- que sia il suo diametro interno , la quantità d’ acqua sloggiata dal corpo immerso e traboccata dal vaso sarà sempre la stessa. Il di lei volume sarà sempre eguale al volume della parte im- mersa del corpo solido, come il di lei peso sarà sempre eguale al peso intero del corpo solido che galleggia , ed a quella parte di peso che perde per l’immersione un corpo più pesante dell’acqua; che si profonda. Che il sig. prof. ripeta 1’ esperienze nel modo da noi indicato, e le ripeta pure dieci, cento, mille volte, che ne otterrà sempre li stessi risultamenti . È questo il carattere delle leggi fisiche ben riconoscinte e bene stabilite , contro le quali non è dato fare scoperte, nè tampoco proporre ragionevoli correzioni. Sebbene l’illusione nella quale il sig. prof. è caduto sia de- rivata dal modo in cui egli ha operato , e dall’ apparato di cmi ha fatto uso, pure ci prenderemo la libertà d’ indicargli un di- i 193 verso modo, seguendo il quale egli potrà coll’apparato stesso ri- conoscere quell’ illusione , e trovare con tutta precisione il vero dato da ricercarsi in tali esperienze , e che egli non ha potuto trovare nel suo modo d°’ operare. Disposta , com’egli suole , la sua prima esperienza, allorchè il corpo solido immerso galleggia , e l’acqua si è elevata attorno a lui , il sig. prof. segni esattamente sull’ esterno del vaso , con un anello di sottil filo, o in qualunque altro. modo , il livello a cui l’acqua è salita per l’ immersione del corpo solido. Consi- derando attentamente quell’ apparato, gli sarà facile persuadersi che la quantità o il volume d’ acqua che il corpo immerso slog- gia, o esclude, è rappresentato da quella che occuperebbe lo spazio attualmente occupato dalla sua parte immersa, se egli non vi fosse , e 1’ acqua restasse allo stesso livello. Allora estratto il corpo dall’ acqua , e discesa questa al livello a cui si trovava avanti l’ immersione del corpo solido , procuri di farla risalire a quello segnato sull’ esterno del vaso , e ciò non con immergervi un corpo solido, ma con aggiungere altr’'acqua. Egli la verserà a poco a poco da un vaso che ne contenga un poco più del bi- sogno , e che sia stato esattamente pesato. Salita 1’ acqua al li- vello segnato, torni a pesare il vaso che 1’ ha somministrata , e la diminuzione del suo peso gli dimostrerà che il volume d’ acqua oc- corso a rappresentare la parte già immersa del corpo solido, 0, ciò che è lo stesso, il volume d’acqua escluso da quel corpo, ha fin peso esattamente eguale all’ intero peso del corpo stesso. Fa veramente pena il vedere che un così caldo amatore della scienza, come si mostra il sig. prof. Elice, sia soggetto ad il- ludersi così spesso , così gravemente, e così di buona fede, da provocare quasi irresistibilmente le osservazioni per le quali sia posta in evidenza la di lui illusione. Ripetendo la prima volta un esperienza , può avvenire di er- rare in qualche cesa , e non ottener tosto li stessi risultamenti che altri sperimentatori abbiano ottenuti ed annunziati. Leggen- do dottrine scientifiche , generalmente ammesse e professate, può affacciarsi alla mente qualche idea che sembri in opposizione con esse ; ma in tali casi, in vece di persuadersi ‘di esser primi e soli a scorgere nuda e lucida la verità , restando tutti gli altri nelle tenebre dell’ errore , conviene piuttosto tornare a ripetere prù volte ed in vario modo quegli esperimenti, e a meditare quelle dottrine , per riconoscere ove sia veramente l’ errore .. Se la prudenza sempre consiglia un tal contegno ; lo comanda poi ove le nuove osservazioni tenderebbero ad attribuire errori ai più + 174 grandi- uomini , e a dichiarare erronea la sapienza ereditaria delle generazioni e dei secoli. : .. . - use SHp- STIONE Siccome ‘il sig. prof. Elice, avendo inserito nel giornale di farmacia chimica di Milano , fascicolo di febbraio 1898 , la sua Nota tendente a provare V erroneità delle regole Newtoniane ; si lamenta perchè in un articolo della Revue Enciclopedique di Pa- rigi, aprile 1828, il sig. Ferry abbia censurato aspramente e de- riso quella sua nota, dichiarandola una dissertazione insensata 3 un modello di cattivo ragionamento , degna d’ essere strappata'da tutti gli esemplari di quel Giornale ; in vece di che egli avreb- be gradito una critica sensata , della quale prescrive anche il modo, promettendo di arrendersi volentieri all’ invincibile verità confessando pubblicamente gli errori ; però noi animati dal desi- derio , ed allettati dalla speranza di poter provocare quest’ atto edificante , c’impegnamo a fare ed inserire nel prossimo fascicolo dell’ Antologia la critica sensata richiesta dal sig. professore, seguendo esattamente i modi ‘e le forme da lui desiderate è pre- scritte. Da molte curiose esperienze fatte dal sig. Watt ‘e riferite in una memoria da lui letta avanti la società. Werneriana , sembra risultare che i raggi della luce, nè soltanto della luce del sole, ma anche di quella della luna, e d’ una candela, esercitano un in- fluenza attrattiva e ripulsiva sopra i corpi opachi , la quale si ren de evidente allorchè essi sono molto leggieri , e librati in modo da godere della più grande mobilità . Tutti i corpi sufficientemente leggieri; di forma piana, e liberi nei loro movimenti, volgono i loro orli verso una sorgente di luce a cui siano esposti, e dispongono le loro facce piane in una direzione parallela a quella dei raggi che gl’ investono. Di più tutti i corpi, dopo essere stati tenuti qualche tempo difesi dalla luce, sono attratti da essa nel mo- mento che vi si espongono, poi quando il loro colore e la loro opa- cità hanno permesso loro d’ assorbirne una certa quantità, ne so- no respinti. Una prova evidente della repulsione, o piuttosto dell’ impulso che i raggi luminosi esercitano su tutte queste so- stanze; è questa, che esse si dispongono cogli orli volti verso i raggi , in modo da riceverne il minore urto possibile , come una banderunola esposta al vento. I corpi affatto trasparenti non pre- sentano li stessi effetti. Una foglia d’ argento li presenta molto debolmente , forse perchè la sua bianchezza e la sua lucentezza non le lasciano assorbire se non poca luce, che rimandano pron- tamente . be i 1-5 Può sembrare che questi fenomeni; dipendano da una specie di affinità elettiva che la luce abbia, come l’ elettricità, per le punte o per gli angoli dei corpi. Le penne, che in queste espe- rienze sono mobilissime, presentano un numero immenso di pun- te. In questi fatti, i quali si accordano con dei principii gene- ralmente, ammessi, si scorge molta relazione fra i fenomeni della luce e quelli dell’ elettricità. In tutte le sue esperienze il sig. Watt ha coperto i suoi ap «parati con una campana o altro recipiente di vetro sottile e ben trasparente, che li difendesse dai movimenti dell’aria, e che la- sciando libero l’ingresso ai raggi luminosi, intercettasse i raggi calorifici. Dopo aver ripetute alcune delle interessanti esperienze del sig. Barlow sul magnetismo del ferro riscaldato , il sig. Ritchie ha voluto intraprenderne alcune altre, per le quali ha ricono- sciuto che mentre il riscaldamento del ferro fino al color bianco o all’ incandescenza impedisce la comparsa dei fenomeni magne- tici , il semplice infuocamento a rosso li rende più pronti. In seguito avendo impreso ad esaminare se diversi gradi di riscal- damento avessero ina simile influenza sopra gli effetti elettrici, dopo essere stato da alcuni primi esperimenti portato a pensare, che la facoltà conduttrice del ferro divenisse minore per l’infuo- camento , potè poi assicurarsi che il ferro o sia freddo, o sia infuocato, anche a bianco, trasmette egualmente bene l’elettricità. Due fisici ginevrini, i sigg. Augusto De la Rive ed Alfonso De Candolle, hanno fatto una serie d’ esperienze per riconosce- re comparativamente la facoltà conduttrice di diversi legni ri- spetto al calorico. Sei sono quelli sopra i quali essi hanno fatto i loro esperimenti , cioè il lazzeruolo, il noce, la querce, l’ abe- to, il pioppo, e la sughera. L’ ordine secondo il quale li abbia- mo nominati è quello stesso della loro comparativa facoltà con- duttrice , maggiore nei primi, minore negli ultimi. Le differenze per altro sono. piccole . Il risultamento più curioso e più impor- tante di tali esperienze è questo, che uno stesso legno trasmette il calorico , 0 lo lascia propagarsi a traverso della sua sostanza molto più facilmente nella direzione verticale , o delle sue fibre, che nella direzione laterale . Sopra tre sole delle sei indicate specie di legno è stata esplorata la facoltà conduttrice compara- tivamente ‘nelle due direzioni, cioè sopra il noce , la querce , e l’abeto. Nella querce la facoltà conduttrice nella direzione delle 1-6 fibre sta a quella nella direzione contraria come 5 a 3. Non si può non riconoscere in queste disposizioni la saggia e provida econo- mia della natura. Molte piante non potendo sopportare senza grave danno una temperatura d’ alquanti gradi sotto lo zero, qual’ è talvolta quella dell’ atmosfera , la natura ha disposto talî condizioni, per le quali le piante potessero conservare nella eru- da stagione una temperatura alquanto più elevata di quella del- 1’ aria che le circonda. Quest’ effetto è prodotto dall’ essere altret- tanto più facile la propagazione del calorico per la sostanza della pianta in quella direzione secondo la quale il calorico stesso passa dal terreno nella pianta, cioè nella direzione delle fibre di que- sta, quanto è più difficile nella direzione trasversale, o in quella secondo la quale tenderebbe a disperdersi dall’interno della pianta nell’ atmosfera circostante. Il sig. Macario Prinsep ha imaginato e posto in pratica il se- guente nuovo ed ingegnoso mezzo per misurare le temperature molto elevate. L° argento essendo fusibile ad una temperatura più bassa che l'oro, l’oro ad una molto più bassa di quella che è necessaria per fondere il platino , egli compone delle leghe di que- sti metalli in proporzioni diverse. Primieramente unisce 9) parti d’ argento con 1 d’oro , poi 8 del primo con 2 del secondo , poi 7 con 3, 6 con4, e così di seguito , fino a 1 parte d’ argento con 9 d’oro. In secondo luogo egli forma un gran numero di leghe d’ oro e di platino, cominciando da 99 parti d’oro con 1 di platino, 98 con 2, 97 con 3, e così di seguito ; egli non ha potuto operare la combinazione del platino all’ oro in una proporzione maggiore di parti 55 del primo , e 45 del secondo. Se la temperatura da misu- rarsi è capace di fondere l’ argento puro , ma non l’ oro puro, egli, dopo aver formato sopra una coppella 11 piccole cavità, pone in 9g di esse le 9 leghe d’argento e d’oro, e nelle altre due questi due metalli puri. Impiega di ciascun metallo e di ciascuna lega una quantità eguale ad an capo di spillo, cui con alcuni colpi di martello dà una forma diversa da quella che fa loro prendere la fusione . Posta la coppella nel fornello , o nel luogo del quale si vuole esplorare la temperatura, dopo avervela lasciata un tempo sufficiente, quindi ritiratala , dalla forma dei piccoli pezzi si riconosce quali hanno provato la fusione , quali nò. Per le tempe- rature più elevate, capaci di fonder l’ oro e non il platino , s’ impiegano le leghe di questi due metalli. Sembra che i risulta menti di questo processo debbano essere più costanti e più com- parabili di quelli che si ottengono col pirometro di Weegdwood. tr7 I cristalli presentati all'Accademia delle scienze di Parigi dal sig. Cagniard Delatour come diamanti prodotti artificialmente sono: stati chimicamente esaminati dal sig. Thénard unitamente al sig. Dumas, ed allo stesso sig. Gagniard Delatour. Quei cristalli erano di due specie notabilmente diverse. Quelli d’ una specie , trasparenti e senza colore, somigliavano molto al diamante nell’a- spetto e nelle altre proprietà fisiche; quelli dell’ altra specie con- sistevano in una polvere bruna, cristallina, durissima. Un esame diligente ha fatto riconoscere che i primi sono dei composti for- mati in gran parte di silice, composti che il sig. Thénard riguarda come pietre artificiali molto preziose. I cristalli della seconda spe- cie, oi grani di materia bruna, sono sembrati composti di car- bonio , d’ allumina , di silise , d’ ossido di ferro, e d’ ossido di manganese. Il sig. Wohler afferma d’ aver ridotto allo stato metallico la Glucinia e 1’ Ittria. Egli comineia da trattare queste due terre col processo del sig. Rose, mescolandole intimamente con della pol- vere di carbone , introducendo il mescuglio in un tubo , infuo- candolo , e facendovi passare una corrente di gas eloro privo di umidità. Egli ottiene così un cloruro di glucinio o d’ ittrio, che dispone in un crogiolo di platino-a strati alterni con del potassio. Cuopre diligentemente il crogiolo, ed assicura il coperchio con forte legatura, quindi la espone al calore d’ una lampada a spirito di vino. La riduzione si opera prontamente e con tale sprigiona- mento di calorico , che il crogiola 8° infuoca a bianco. Raffreddato e scoperto si rovescia in un vaso pieno d’acqua , la quale discio- glie la più gran parte della massa grigia formata dei cloruri di potassio e di glucinie, sprigionando un poco di gas idrogene fetido, mentre il glucinio si deposita in forma d’ una polvere grigia nera, che gettata sopra un feltro di carta, si lava e sì asciuga. Il glucinio comparisce allora come una polvere di color grigio cupo , che ha l’ apparenza d’un metallo precipitato in parti molto divise. Il brunitoio gli fa prendere nna cupa Incentezza metallica. Non essendosi agglomerato alla violenta temperatura a cui è stato esposto , deve essere difficilissimamente fusibile . Non si ossida alla temperatura ordinaria, e non scompone l’acqua nem- meno alla temperatura dell’ ebollizione. Scaldato a rosso brucia con grande vivacità nell'aria atmosferica , e più nel gas ossige- ne, riproducendosi la glucinia bianca ;. ma non fusa. Trattando in modo eguale l’ ittria si ottiene }' ittrio, il quale nel disciogliersi la massa fusa, si separa sotto la forma di piccole T. XXXIII. Gonnaio. 23 176 behglis di color grigio nero quasi di ferro, con molta lucentezza — metallica. L’ittrio; come il glucinio , non scompone l’acqua, nè si ossida a contatto dell’aria alla temperatura ordinaria , ma bru- cia vivacissimamente allorchè sia scaldato a rosso 3 riproducendo l’ittria bianca, che mostra degl’ indizi di parziale fusione. Il sig. dott. Giuseppe Branchi, profess. di chimica nell’Uni- versità di Pisa, in una sua memoria recentemente pubblicata, ha dimostrato coll’ appoggio d’ ingegnose e diligenti esperienze, che alcuni di quei sali, i quali-per avere la proprietà di scomporsi re- ciprocamente sono stati detti incompatibili, sebbene si pensi quasi generalmente che non possano esistere insieme disciolti nello stes- so liquido, nemmeno in piccola proporzione , possono effettiva- mente coesistervi, ogni qual volta la massa dell’ acqua in cui si trovano disciolti sia proporzionatamente così grande, che le loro particelle attenuatissime si trovino fuori della sfera dell’azione re- ciproca , o a tal distanza, da non agire le une sulle altre, sic- chè ne avvenga la scambievole scomposizione. L’ autore deduce dal suo bel lavoro queste importanti conclusioni : 1.° Che le », acque minerali posson contenere dei sali così detti incompati- »» bili, e in copia anche maggiore nell’atto che son formate dalla natura; 2.° Che alcuni sali scoperti in esse per mezzo dell’ana- lisi e creduti primitivi, possono esser secondarii, cioè formati per la reciproca scomposizione d’ altri , come ha opinato an> che il Murray; 3.° Finalmente che non si debbono considera- re come erronee alcune analisi d’acque, per la sola ragione che tra i loro componenti si veggon piccole quantità di quei sali che sono stati compresi nella classe degl’incompatibili sf 33 25 23 29 29 2) 33 Col seguente mezzo suggerito dai sigg. Geiger e Reimann si può scuoprire nel solfo una quantità estremamente piccola d’ar- senico, che qualche volta vi s'incontra. Ridotto il solfo da esa- minarsi in polvere tenuissima , si fa digerire per qualche tempo con ammoniaca liquida caustica. Feltrato allora il liquido, vi si aggiunge dell’ acido idroclorico in eccesso, cioè un poco più che non ne bisogni per saturare 1’ ammoniaca. Se si forma un preci pitato giallo, si può concludere che il solfo conteneva dell’arse- nico in quantità notabile . Non formandosi quel precipitato , sì evapora il liquido fino a ridurlo a poche gocce, e vi si versa prima dell’ ammoniaca , poi dell’ acido idroclorico , e finalmente dell’ acido idrosolforico ; quando esista nel solfo 1° arsenico an- che in quantità minima , il precipitato giallo sarà formato. 179 Per mezzo di ricerche ingegnose e non esenti da difficoltà ed anche da pericolo , il sig. Serullas ha scoperto un nuovo compo-. sto di cloro e di cianogene, che egli riguarda come percloruro, ed al quale, per esser dotato dei caratteri degli acidi, propone di dare il nome d”acido cianico. L'accademia delle scienze ha molto apprezzato questo lavoro del sig. Serullas. Quell’ estratto vegetabile. sommamente venefico conosciuto sotto il nome di Curaro , che gl’ Indiani dell’ Orenoco preparano ed impiegano per avvelenare le loro frecce, e ‘del quale il sig. Humboldt ha dato una relazione storica, è stato esaminato chi- micamente dai sigg. Roulin e Boussingault. Avendo eglino rico- nosciuto che fra i di lui componenti si trova una base alcalina, dalla quale sembra dipendere la sua azione venefica , e sapendo che il sig. Kunt ha riposto nella famiglia delle Stricros la pianta da cui gl’ indiani ricavano questo veleno ; inclinavano a credere che quell’ alcali fosse la stricnina. Per altro l’ esperienze alle quali 1’ hanno sottoposto hanno mostrato esser quello un alcali affatto diverso , incapace. di cristallizzarsi, facilmente solubile nell’ acqua , ed anche nell’ alcool , d’ un sapore amarissimo, ma non acre nè pungente. Esposto all’ azione del calore , si carbo- nizza tramandando densi vapori, che respirati fanno provare una disgustosa sensazione d’ amarezza , lasciando un piccolissimo re- siduo non alcalino ; lo the prova che la sostanza alcalina con- tenuta nel curaro è di natura organica, ed un vero prodotto della vegetazione. i Il sig. Macario Prinsep, prendendo occasione dall’esperienze fatte già dal di lui amico sig. Marcet intorno all’ azione delle sostanze velenose sui vegetabili; ha intrapreso non poche espe- rienze in qualche modo analoghe , dalle quali è stato . condotto ai due risultamenti seguenti ; cioè : r.° che senza alterare la vita di quelle piante le quali, come la sensitiva, e più altre, fanno dei movimenti in qualche modo simili a quelli degli animali, si può con sostanze venefiche agire direttamente sull’ organo, qua- lunque egli sia , per cui eseguiscono quei movimenti; 2.° che le sostanze velenose di varie piante agiscono come veleni anche sulle piante stesse che le hanno prodotte. Il sig. Raspail, che applicando all’ esame delle sostanze or- ganiche il microscopio , sussidiato da altri mezzi ingegnosi, ha acquistato nuove cognizioni curiose ed interessanti sulla strut- 130 tura e sulla composizione di varie parti e di ‘varii prodotti dei vegetabili e degli animali, ha scoperto un nuovo mezzo, che egli riguarda come veramente prezioso, per scuoprire nelle sostanze organiche una quantità minima di zucchero , d’ albumina , d’o- lio, o di resina. Questo mezzo consiste nell’ introdurre in una goccia d’acido solforico, sul portaoggetti del microscopio, un fram- mento di sostanza organica vegetabile o animale fresca o rame molita nell’ acqua. La presenza , o l'assenza dell’una o dell’al- tra delle sostanze sopra nominate , gli viene indicata da alcuni segni o fenomeni, che egli stesso descrive comé appresso. © Se 3) il contenuto nella sostanza organica cede all’acido una so- » stanza gialla , senza somministrargli la minima goccioletta olio- »» SA, e senza imprimergli verun movimento , io ne concluderò 3» che la sostanza osservata è resina o zucchero. Per convincera s) mene , io impiego una gocciola d’ olio, o d’albumina d’ uovo, »» e quasi istantaneamente l’ organo che osservo prende un co- s> lor porporino , se contiene zucchero. Se questo fenomeno di 3» colorazione non ha luogo, vi verso sopra una goccia concentrata so di zucchero, e se nemmeno per quest’ aggiunta apparisce ve- 3 run colore , concludo che la sostanza esaminata è resina. Se » ottengo delle gocciolette oliose , lo zucchero solforico darà ad ss esse un colore porporino ; finalmente se 1° acido solo non con- ,» trae colore alcuno, nè prova veruna agitazione, e se una sy particella di zucchero rende porporino l’ oggetto osservato , io », concludo che questo è alhumina, ovvero glutine; se l’ oggetto », è vegetabile, essendo il glutine nei vegetabili l'analogo dell’al- s» bumina animale ,». Fiwsn Per senoprire se gli olii volatili siano adulterati coll’ alcool , il sig. Béral propone d’ introdurre in poche gocce dell’ olio 80- spetto un frammento di potassio. Se l'alcool vi esiste in una certa quantità , il metallo si agita, si ricuopre d’ossido , e finisce con disparire. Vi sono per altro alcuni olii volatili i quali, anche in stato di purità , e senza contenere alcool, presentano col potassio i fenomenì stessi. Siccome si trova fra questi l’ olio volatile di terebintina , spesso impiegato in tali sofisticazioni, il mezzo stesso può servire a scuoprire la presenza di questo eome quella det= 1’ alcool. Si sa che gli alcali-caustici saponificano la cera. Se un sapone di questa specie sia trattato alla distillazione con acido solforico allungato , si ottiene un liquore acido che ha un odore partico f 181 lare, nel quale per altro sì ravvisa quello della cera, ‘e che ha un sapore nauseante e leggermente acido. Esaminato coi reagenti appropriati, non dimostra contenere la minima quantità d’ acido solforico; scompone i carbonati alcalini scacciandone 1’ acido car- bonico , formando frattanto colle basi dei sali ron neutri, ma con eccesso di base, per la dissipazione che avvienè d’una porzione dell’ acido. Il sig. Pfaf, che ha ottenuto quest’ acido, lo ha ri- guardato come nuovo; è l’ha distinto col nome d’ acido cerico. G. G. SCIENZE MEDICHE. Estratto dal Giornale Inglese intitolato MepIco-CHIRURGICAL Review : Fascic. I.° novembre 1828 N.° 19. Il sig. Zanobi Pecchioli, giovine chirurgo di molta reputazione, incaricato dal Granduca di Toscana di osservare lo stato attuale della chirurgia in vari paesi, ha fatto un grande miglioramento, o piuttosto ha aggiunto un nuovo ed importante elemento agl’istro- menti litontriptici inventati da'sigg. Le Roy d’Etioles , Civiale, Amusat, Hourteloupe ec. ec. Noi abbiamo avuto ultimamente l'occasione di esaminare 1’ istromento del sig. Pecchioli, e di ve- derlo operare con esso sopra differenti calcoli anco nel corpo vi- vente. Possiamo dire che la sua superiorità sopra gl’ istromenti dei professori summentovati è di tre generi. In primo luogo com- bina i principii di tutti gli altri, essendo resi perfettamente ap- plicabili all’ apparato del sig. Pecchioli i perforatori, e le altre parti della loro macchina. In secondo luogo la molla per cui il perforatore è obbligato ad agire sul calcolo, e che non può ne- gli altri istromenti esser variata di forza, è migliorata per la co- strazione d’ una puleggia che dà il potere all’ operatore di variare, modificare, aumentare , diminuite a piacere la forza usata , e ciò con la propria mano. Ci sembra questo essere un importante mi- glioramento ; ma la terza modificazione è la più importante di tutte . Il perforatore nell’ istromento litontriptico del sig. Pec- chioli può in qualunque periodo dell’ operazione esser convertito în una specie di trapano, variando il diametro dei suoi movimenti circolari dal più piccolo cerchio sino ad uno di 18 linee di dia- metro a piacere dell’operatote, e così rendesi capace di polve- rizzare il calcolo con una serie di rotazioni eguali in esten- sione alla presa della forcipe , o sia tenaeula, in luogo di fare più perforazioni, e cambiare luogo all’ istrumento per ognuna di esse. Per questo metodo; una porzione considerabile della pietra 182 può essere polverizzata in una sola volta, ed il pericolo che gran= di ed irregolari frammenti siano sparsi nella vescica (come ac- cade quando il calcolo viene rotto per più perforazioni secondo il metodo dei sigg. le Roy d’Etioles, e Civiale) è evitato. Il sig. Astley Cooper, ed i sigg» Travers, e Key, e più altri distinti personaggi hanno paragonato l’istromento del sig. Pec- chioli con quello del sig. Civiale, e senza voler rispondere ‘del successo generale litontriptico, non hanno punto esitato a ri conoscere la grande superiorità dell’ istromento del sig. Pecchioli. ViAGGI SCIENTIFICI. Spedizione del Capitano Beechey. Dobbiamo annunziare ritorno il in Inghilterra del Blossom’, cap. Beechey, dopo un’assenza d’ oltre tre anni per un viaggio scientifico e di scoperte. Principale oggetto di questo viaggio era il trasporto di provvisioni al Capo Ghiacciato, in occasione della spedizione alle terre artiche sotto il comando del cap. Francklin, pel caso che a quell’ intraprendente viaggiatore fosse riuscito di pervenire all’ estrema punta nord-ovest dell’ America. Ma ciò non essendo stato da lui eseguito, come i nostri lettori già sanno, l’ammiragliato destinò il cap. Beechey a fare nell’ Oceano Paci fico quelle osservazioni e ricerche che potessero riuscire di mag- gior vantaggio alle marittime e geografiche cognizioni in generale. Salpò il Z/ossom dall’ Inghilterra intorno alla metà di maggio del 1825, e dopo aver visitati ed esaminati vari porti, princi- palmente lungo le coste dell’ America australe, sul cader del luglio 1826 giunse in prossimità del Capo Ghiacciato , dove ri- mase sino alla fine di settembre in aspettativa dell’ arrivo del cap. Francklin. Porzione dell’ equipaggio , ch’ era stata in que- st’intervallo distaccata dal Blossom all’oggetto di fare qualche scoperta, si avanzò oltre cento miglia all’incirca a ponente del Capo Ghiacciato , benchè corresse molti pericoli sì pel ghiaccio che pel tempo burrascoso. Frustrato nella lusinga d’ aver con- tezza del cap. Franklin, e minacciato dalla contraria stagione che sopravveniva , il cap. Beechey passò colla sua nave a San Francesco. Dopo aver osservate molte fra le isole che giacciono lungo la costa al nord-est dell’ Asia , ei visitò Loo Choo, e prese porto a Nappa Ising; ove il B/ossom si vide esposto ad uno de’ più grandi pericoli nella navigazione di quei mari; cioè a _783 scogliere di corallo che sembran sorte ad una estensione da in- cuter sommo timore , dacchè 1° Alceste visitò que’ paraggi. Intorno alla metà di giugno 1827, il cap. Beechey pervenne alle Isole Bonin, che offrono buon ancoraggio, e sono state toccate dai nostri pescatori di balene. E ripereremo noi qui ciò che abbiamo saltre volte indicato nel dar conto di questa interessante spedi- zione , cioè che questo viaggio ha condotto alla scoperta di al- cune nuove isole nel Mar Pacifico , e stabilito in fatto che molte . di esse, tracciate nelle carte migliori, non esistono nelle ‘posi- zioni ivi loro assegnate. i In una delle Isole Bonin vennero trovati due marinari nor- vegi che avean colà naufragato, e le cui storie, se soritte, ci darebbero la realtà della finzione di Robinson Crusoè. Essi | preferirono rimewersi dov” erano, anzi che essere ricondotti dal Blossom. Eransi dedicati ad un'estesa coltivazione di vegetabili, ed allevavano maiali colla veduta di provvederne le navi desti- nate alla pesca delle balene. Sembra che tale stabilimento possa riuscire di molto profitto a quel traffico. Procedè il Blossom dalle Isole di Bonin all’ancoraggio di San Pietro e San Paolo, donde fece vela di nuovo in traccia della spedizione del cap. Francklin. È superfluo informare i no- stri lettori (cui avemmo la soddisfazione di sottoporre in parecchi de’ nostri numeri particolarità originali intorno a tali interessanti intraprese ) che il cap. Beechey non ebbe neppur questa volta miglior successo nell’ottenere qualche informazione della spedi- zione alle Terre Artiche, e ch’ egli per conseguenza ; sul termi- nare dell’ ultima stagione, lasciò finalmente le regioni boreali , e ritornò in Inghilterra. Il Cap. Beechey era accompagnato da uno sperimentato naturalista , ed una numerosa collezione venne fatta e conser- vata durante quel suo viaggio mirabilmente condotto. E sebbene il Blossom non fosse che una spedizione subordinata a quelle | dei capitani Parry e Francklin, noi ci sentiamo inclinati a ri- guardarla come essenzialmente più profittevole , come di un pre- gio più reale per la scienza e per la navigazione che quelle in unione alle quali essa fu comandata. ( Literary Gazette). 184 Soor1ETÀ CIENTIFICHE E LETTERARIE. + I.e R. Accademia della Crusca. L’Accadomia ; nella sua seduta del dì 25 Novembre 1838 , ha eletto in accademici corrispondenti il sig. Giuseppe Grassi, segretario della classe delle scienze morali della R. Accademia delle scienze di Torino , ed il sig. avv. Alberto Nota. Due venerati sovrani rescritti hanno approvato queste elezioni. I. e R. Accademia de’ Georgofili. Adunanza ordinaria del 4 Gennaio 1829. — Aprì e presedè questa seduta il vicepresidente sig. march. Cosimo Ridolfi. Dopo letto l'atto dell’ adunanza p. p. il segretario per le corrispondenze annunziò i seguenti doni. Le carte del Valdarno Casentinese e della Val di Sieve facenti parte dell’ atlante geografico, fisico e storico del Granducato di Toscana del dott. Attilio Zuccagni-Orlandini. Il fasc. 12 del Repertorio di Agricoltura del dott. Ragazzoni di To- rino. Il fasc. di ottobre 1828 degli Annali di statistica che gli edi- tori hanno inviato da Milano. I numeri dì ottobre , novembre e di- cembre p. p. del Giornale delle scienze mediche che pubblicasi a Livorno, e due memorie MSS. sulla maremma Senese dell’ avv. Passeri di Colle in Valdelsa. Passandosi alla lettura delle memorie di turno l’ anzinominato accademico dott. Zuccagni-Orlandini discorse del miglioramento che ottener si potrebbe nella qualità e manifattura dei vini del Ca- sentino. Al quale scritto diede motivo una lettera inedita di Loren- zo il magnifico indiritta da Firenze l’11 giugno 1491 a Mess. Piero Alamanni ambasciatore a Roma, ove tra le altre leggonsi le appresso parole: Tre dì sono vi mandai due some di vino di quelle due , sorte di Casentino e dovevano essere costì presto perchè questi tempi sono a proposito. Desidero che si conduchino in modo che rieschino come sono qui alla botte, che da parecchi anni fà non ci farono i migliori. Avvisate nostro Signore che sono di Messer R+ nieri Guicciardini , il quale et per questo et per avere la persona con tutte le facultà sue disposte alla voglia di N. S. merita essere in grazia di S. Santità alla quale lo raccomando caldissimamente ,)- Poppi, par che fosse il paese , dove al dire del Machiavelli si fabbricava quello squisito liquore , liquore che potrebbe tornare 185 in rinomanza se adoprassesi maggior cura nella qualità , e cultura delle viti, e quindi nel modo di fabbricare e conservare i vini. Lesse quindi il prof. Luigi Magheri altra memoria di turno, nella quale dimostrò rigorosamente quanto siano insufficienti le opi- nioni popolari contrarie alla vaccina, e fece conoscere che questo vi- rus non produce che una mite e niente pericolosa infezione , e che tutte le malattie consecutive sia di pertosse sia di morbilli sia di dissenteria ec., le quali possono essere sopravvenute ai vaccinati, non debbono riferirsi ad un tale innesto qualunque ne sia stata la conseguenza ; in quanto che il ritrovato Ienneriano non è il pre- servativo che del solo vaiolo, e che ogni qualsiasi seminio mor- boso non risveglia nel corpo umano che una malattia identica suigeneris, la peteechia, la febbre petecchiale , il morbillo, la rosalia ec.; mentre la vaccina vorrebbe addebitarsi come produt- trice di morte in chi perì di scrofola, di pertosse, di febbre ti- foide, di dissenterie e simili. Rilevò egli altresì che negli anni de- corsi delle troppo tumultuarie e mal ponderate vaccinazioni ese- guite in qualsivoglia individuo, in qualunque stagione, servirono a screditare immeritamente presso il volgo questa preziosa sco- perta. Espose inoltre dei fatti decisivi dai quali resulta che nel corso del caduto anno 1828 , in eni regnò l’ epidemia vaiolosa, incontrò egli venti famiglie di vaiolanti, in ciascuna delle quali vi erano dei vaccinati, che sebbene coabitassero e anche dormis- sero coi malati, furono esenti da'qualunque infezione , avvertendo che in tutti gli altri in cui comparve il vaiolo arabo 1’ inocula- zione Tenneriana era stata trascurata . Lo che sta a confermare tutte le prove e controprove eseguite da Ienner stesso, Pearson, Woodville, Sacco e tanti altri. . Nè tacque già la comparsa in Marsilia della febbre vario- loide, ma fece riflettere che questa malattia si manifestò nei vac- cinati, nei non vaccinati, e in quelli stessi che avevano avuto il vaiolo. Onde nessun argomento in contrario all’antidoto vaccinale. Aggiunse finalmente che in alcuni soggetti che erano stati vac- cinati aveva inteso ch’ era ricomparso il vaiolo, e ciò da persone degne di fede. Ma prescindendo in questi casi dalla possibilità della vaccina spuria , e da quella di confondersi facilmente dai non conoscitori dell’ arte la varicella col vaiolo, avvertì che nel Valdarno di sopra due individui già vaiolati evidentemente subi- rono un secondo vaiolo confluente. Che negli scorsi mesi il sig. Rostein svedese, che sapeva d’avere avuta in tenera età que- st’ infezione , e ne portava distintissimi segni, restò vittima d’un T. XXXIII. Gennaio. 24 186 vaiolo malignissimo in questa stessa città. Di più che un illustre personaggio napoletano tuttora vivente, a quanto asseriscono te- stimoni senza eccezione, è stato soggetto al vaiolo fino una terza volta, nella quale ultima invasione ebbe la disgrazia di perdere un occhio. Da questi fatti e da altri consimili riportati dalla sto- ria della medicina egli arguiva che sebbene generalmente parlando il vaiolo comparisca una sola volta nella vita umana, vi sono non ostante e vi possono essere delle eccezioni a questa regola gene- rale. Posto ciò ammetteva non senza fondamento , che quegli in- dividui già vaccinati regolarmente, e che ebbero ciò non ostante il vaiolo , fossero per una speciale inesplicabile idiosincrosia nella stessa condizione di quelli, nei quali si riaffacciò il vaiolo arabo, con differenza, che in questi è accaduta qualche disgrazia, men- tre nei vaccinati non preservati dal vaiolo non si è riscontrato il più piccolo inconveniente. Dall’ insieme di tali ragionamenti basati sui fatti 1’ accademico concluse, che a torto, ed ingiustamente è stato trascurato e de- tratto, specialmente fra noi, l’ innesto vaccino ; che all’ oggetto di sradicare e distruggere i pregiudizi del volgo sù questo pro- posito sarebbe necessario di dare la più estesa pubblicità a queste ragioni in un momento quanto doloroso altrettanto opportuno , in cui sono accaduti tanti disastri per la regnante epidemia va- iolosa. In ultimo il segretario degli' atti fece lettura di un rapporto stato inviato da una commissione speciale nominata nell’ adu- nanza del 3 agosto p. p. con la mira di sentire il di lei parere relativamente a un progetto di ammaestramento elementare nel disegno, esposto in una memoria del socio cav. Francesco Inghi- rami, col di cui mezzo i manifattori ed agricoltori potrebbero ese- guire e migliorare da loro stessi la costruzione dei loro arnesi. E. R. 187 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). Gennaio TOSCANA. Sistema fisico e morale della don- ha , di Pietro RovsseL ; traduzione dal francese con aggiunte del C. L. L. dottore in filosofia e medicina. Polumi 2 in 8.° Il traduttore di quest’ opera, op- presso pel corso di due anniì da grave malattia , non potè prima d’ora met- tere in ordine le aggiunte e annota- zioni di cui ha creduto bene di cor- redarla, onde vieppiù sviluppare, e talvolta anche rettificare le dottrine dell’ illustre autore. Ora che anche questa parte non meno importante del smo lavoro è condotta a compimento; e tuîto il MS. trovasi allestito per la stampa , ci fac- ciamo premura di riaprire l’ associa- zione , di cui già fino dal novembre 1826 erasi divulgato il manifesto che qui appresso si riproduce ; ed avver- tiamo al tempo stesso che nel mese di ‘marzo venturo 1829 si pubblicherà il volume primo, e vel maggio susseguen- te il secondo, qualora entro il pros- simo gennaio siasi ottenuta la quantità di firme bastevolì a coprire le spese della edizione. 1829. Le due stampe promesse nel mani- festo medesimo non sì rilasceranno In dono che ai signori associati i quali s1 fossero già per lo addietro inscritti, o favoriranno d’ inseriversi non , più tardi del gennaio auzidetto presso Ga- purro o Nistri in Pisa, e nelle altre città d’ Italia presso i libraii distribu- tori del presente. Pisa, novembre 1828. Atessanpro Torri Manifesto. -- € L'opera; della quale si annunzia il volgarizzamento , va lodatissima per itutta Francia ,, ove ben sette edizioni la posero quasi tra mano, di tutti. Se l’ argomevto presen- taya ogni attrattiva , degnissimo del- l'argomento si tenne il lavoro di Roux sel, e l'uno e l’altro indassero. il traduttore a volgerlo nel nostro: idio- ma , aggiungendovi quelle osservazioni che il progredire della scienza e la qualità del libro stesso. a mano a mano gli andavano suggerendo. Per esempio vi: si troveranno accennate le più mo- derne opinioni sulla generazione, sulla costruttura di molti organi , sulla bel- lezza ; ec. ec. 3 e qua e fa alcune note diranno quando ‘il Roussel sembrò tra- viare , 0 fa pensò altrimenti che oggi la non si pensi dai più. Due giuute (*) I giudizi letterari; dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’Antologia. Essi vengono somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi , siano come annunsi di opere. pe Il Dinerrone peLL'AnroLoGra rammenta a' sigg. Librai , ed. a'respettivi Autori e Editori di opere italiane, che le inserzioni di annunzi tipografici, nel presente bullettino, non possono avervi luogo che mediante l'invio di una copia dell’opera medesima ; e trattandosi di munifesti da inserirsi per in - tiero, o di qualunque altro avvisa tipografico ,, mediante il pagamento di soldi due per ogni riga del medesimo Bullettino. Riguardo poi all' inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’ Antologia medesima , essa potrà aver luogo per il prezzo da con- venirsi secondo il numero de’fogli. 188 essenziali versano, una sui costumi della donna trascelti dalla storia dei tempi andati sino aì nostri giorni , e brevemente descritti ; l’altra sulle prin- crpali varietà della specie. feminea nelle diverse regioni del globo. Di tal modo l’ opera di Roussel, che sarà compresa in un volume di circa 20 fo- gli, e le note e le giunte che gli ter- ranno dietro in un altro della stessa mole , formeranno una specie di. trat- tato, 0 quasi a dire la Storia fisico- morale della donna; vè ai medici soltanto ,. pensiamo , tornerà gradita questa bell’ opera del dot. Ruussel; che la scienza , deposto l’ austero cipi- glio, saprà in Italia, come avvenne in Francia , attrarsi gli sguardi della maggior parte del genere umano, la quaie , senza tema di sviarsì nei sen- tieri spinosi di troppo ardue dottrine, potrà , appagando una ledevole curio- sità , conoscere sè propria con diletto e profitto ; già abbastanza il lavoro si raccomanda all'altra. per la qualità dell” argomento. ‘“ 1 due volumi saranno fregiati ciascuno d’ una bella incisione , la pri- ma rappresentante la Venere che il Canova scolpiva ‘a’ sostituzione della Medicra , la seconda una selvaggia dell” Orenoto. «Quest opera si pubblicherà per associazione in forma di ottavo, in carattere di filosofia, al prezzo di cent. ital. 16 il foglio di carta velina, Ai primi 300 assuciati si concederan- no gratis Ye suddette incisioni, le quali dovranno esser pagate dagli altri in ragione di cent. 50 l’ una. Ogni altra spesa rimarrà a carico degli acqui- renti ,,. VeccHio e nuovà testamento secon- du la volgata , tradotto in lingua ita- liana e con annotazioni dichiarato , da monsignor Axromto Martini arci- vescuvo ili Firenze. 8.° Prato , 1828, Giachetti:,) Tomo VII. parte 1, e 2. dei Paralipomeni. Prezzo delle due di- spense Ì. 7, 95 it. IconoraFiA moderna e contempo- ranea:, ovvero collezione di ritratti dei più celebri personaggi della Toscana, accompagnate da notizie biografiche , letterarie e cronologiche. Firenze 4 1829, tip. Pezzati. Pocramna. — Questa collezione , nella quale devono. figurare tutte le persone che illustrano la ‘l'oscana, nelle scienze , nelle lettere, e nelle arti , Sarà composta di una serie di ritratti 3 ipcisi dal sig. Francesco VENDRAMINI sui disegni del sig. Pietro Ermini, professore nell’ Accademia delle Belle Arti dì questa città, E la compilazio- ne delle notizie biografiche è stata af- fidata ai più rimomati scrittori di Fi- renze. Cominciando dal 1 Aprile 1829 verrà in luce ogni mese un fascicolo, che conterrà un ritratto ed una noti- zia biografica ; ed il tutto stampato in foglio papale. Il prezzo di oyni ritratto è fissato a paoli 10 colle lettere , ed a 20 avanti lettere, da pagarsi riceven- do il fascicolo. 4 Si ricevono le soscrizioni presso il sig. VEnDKAMINI incisore ed editore della collezione , in casa Stacchini via de’ Servi ; presso Ricordi e C. e pres- so i principali librai di Firenze, ove si potrà vedere un’ esemplare del- l’ opera. N. B. L'autore previene i signori Associati, che egli è nell’ intenzione di estendere il suo lavoro anche ai più celebri personaggi d ell’ aita e bassa Italia. È pubblicata la prima dispensa, che contiene il ritratto del sig, prof, G. B. Niccorisi. Correzione dei progetti d’ archi- tettura premiati nei grandi concorsi triennali dell’ I. e R. Accademia delle belle arti in Firenze. (Vedi ball. bibl. luglio 1828). Tavole III, VIII, X. Commepie di ALBERTO Nota , edi- zione undecima , accresciuta e corretta dall’ autore. Firenze, 182728. St. Granducale. Vol. V che contiene, la donna ambiziosa, l atrabiliare ; la pace domestica. Discorso del sig. Barone CuwieRr sulla rivoluzione della superficie del Globo. Traduzione con note del sacer- dot. Icnazio Parapisi. Firenze, 1828; Niccolò Conti. 2 vol. 8,° OrerE DI ALessanpro MANZONI mi- lanese ,f con aggiunte ed osservazioni critiche. Prima edizione completa. Fenze , 1828. fratelli Batelli. To- mo I in 8° di p. LI e 245. Der CeNOTAFIO di messer GrovAnsI Boccaccio, opera di Gian' Francesco Rustici, scultore fiorentino, llustra- gione dl prbf. Gios De Povioa so- cio della R. Accademia di Arezzo, e di altre accademie d’ Italia, Firenge , 1828, Zeonardo Ciardetti. 8.° di p- 48. Raccotta completa delle commedie di Canto GoLponi. Firenze , 1828, Passigli, Borghi ec.Volume XII STATO LOMBARDO VENETO. DeGL' ILLUSTRI TOSCANI stati in di- versì tempi a Ragusa, commentario di Timaso Caersa, Padova , 1828, tip. della Minerva. 8.° di pag. 4o. Armanaccni per ]’ anno 1829 pub- blicati da Giovanni Silvestri in Mi- lano. 1. Ogni giorno un fatto storico. 2. Servo a intti e sono per chi mi vuole. 3. L’ impost@ra smascheratà, 4 I proverbi dél buon contadino 5. L’ Aguzza ingegno. 6. Le donne non han torto, (in dialetto minalese) prezzo centesimi 60 1’ ano. AcricoLTURA pratica della Lombar- dia , o sia osservazioni ed esperimenti fatti per migliorare i prodotti della ‘terra e delle acque, opera del ragio- ‘niere Canto Giuserge Sisti agricol- ‘tore possidente , nativo ed abitante in Pasturago , distretto di:Binago , pro- vincia di Pavia, diocesi di Milano. ‘Milano, 1828, Silvestri 1. 2 it, BiocraFiA universale antica .e mo- derna , ec. opera affatto nuova, com- pilatain Francia da una società di dotti s ed ora per la prima volta reca- ta în italiano con. aggiunte e_ corre- zioni. Venezia, 1828, G. B. Missia- glia. Volume XLVIIl. (RI-RO.) Memoria sul trasporto delle ossa di F. Paoto Sarpi, dalla demolita chiesa de’ Servi , a quella di S. Michele a Murano. Zenezia , 1828, G. Picotti, 8.° di p. 18. LA SACRA BIBBIA } © sia vecchio e nuovo testamento , secondo la volga- ta , trad. ed annotazioni di monsignor Ant. MartIsi , arcivescovo di Firen- ze. Prima edizione Milanese. Milano, o: G. Silvestri. Volume IX, X° 199 Lt merAmokrFosi d’Ovipio Na-ong, recate in altrettanti. versì italiani da Giuseppe Mast genovese.Seconda eds 174- lano ; 1828, Stlvestri. Vol. unico. Prezzo l. 3, 25 italiane. Le stesse opere in due volumi col testo a riscontro 1,5, 65. Prose scelte del pri cipe Dow Pie- tro Ovescatciii dei duchi del. Sirmio. Milano , 1828, Silvestri , Vol. uni- co. 1. 2, Gi; it IprauLica lisica e sperimentale del conte Fr. MencoTTI. Opera coronaia dall’ Imp. e R. Accademia della Cru- sca, con nuove illustrazioni ed aggiunte de11’ autore. Quinta edizione. Milano , 1828, Svestri , volumi lI 1. 5. it. BisLioteca scelta di opere greche e latine tradotte iv lingua italiana. Mi- lano , 1828, Giovanni Silvestri. Volume IV. Diritto pubblico univer- sale di Gio. Maria LamparDI, volg. dal dot. DeFENDENTE SaccHi, 2:a ed. vol. 4° —. Vol. XV. Commerntarii di C. G. Crsare recati in italiana, da Camizro Uconi. 2a ed. coll’ aggiunta di un indice gen. delle materie. Vol. unico di p. Goo, lire 4, Go it. — Vol. XVI. Delle gesta dei romani, di L. Anweo Froro., Libri quattro, trad., e di nuove annotazioni fornite da. CeLestino Massucco . Vol. unico, lir. 3 it. Vol. XVII e XVIII. Marco TuLLio Cicerone. Dell’ oratore, Due volumi. Piezzo 1. 6; So it» Racconti di Benvenuro CeLcini, ! ora per la prima volta pubblicati. Z'e- nezia, 1828, tip. Alvisopoli. Per oc- casione delle nobilissime nozze del conte Giovanni CirrtADELLA con la contessa Laura Matbura. 8.9 di p. 48. PropostA di alcune correzioni, ed aggiunte al vocabolario della Crusca , opera del cav. Vincenzo Monti. Mi- lano , 1828, Antonio Fontana. ‘2,° Vol. 1, p- 1, di p. XIV, e 263. 1 Martiri o il trionfo della religion cristiana, del visconte di CHatEaUu- srIAaND. Seconda edizione. Milano , 1828, Antonio Fontana, Volumi lI in 12. Astronoma del bel sesso , di Gi- RoLAMo LALANDE antico direttore del- l'osservatorio di Parigi. Traduzione di 190 B. P. C. Milano , ‘898, A. Fonta- na. Volumetto di p, :186 BisLioreca portatile latina e france- se. Milano, 1828, Antonio Fontana, Classe italiana. Storia della letteratu ra italiana di G. Tirasoschi. Vol, XX e XXI. VoLcarizzamento del trattato della coscienza di S. Bermarpo, Testo di lin- goa dell aureo secolo tratto la prima volta da ottimi MSS. Verona, 1828, Gius. Rossi. 18° di p VIII e 190, 1. 2 aus Bistioreca scelta di opere italiane antiche e moderne. Milano ,. 1828, Giovanni Silvestri..— Vol. CCXX. Opere scelte di Acostino e Giovanni Paravisi: Vol. unico lir. 2, 3o it. Orere dommatiche , storiche. e morali di mousignor ANTONIO MartIAI arcivescovo di Firenze. Milano, 1828, G. Silvestri. Volumi V., VI, VII. Ruccolta di omelie, lettere pastorali e sacri discorsi. Voluniu 1 a 3, Pr. de’ 7 volume 1. 21; 48 it DerL’antico Ecitto e degl’imperi Assiro, Medo e Persiano , saggi. di coniperdio storico del cav. G. Tamas- sia. Cremona , 1828, fratelli Manini 8° di pe AVI, e 148° prezzo |. 2, 50 austriache, Grammarica pratica della lingua te- desca del professore Giovanni Meipin- GER, seconda edizione. Milano , 1828, G. Silvestri. Prezzo lir. ital. 3, 48. M. Virruvit Porion s ArcuTEc- TURA , testu ex recensione codicum emerdato cnm esercitationibus poti- sque novissimis Joannis PoLENI , et commentariis variorum additis nunc primum studiis Simos:s StraTtIco, Udi- ue , 1828, fratelli Mattiuzzi. Volu- me III, parte I inquarto, di p. VIII e 284, con tavole XV in rame. La parte 2 di questo JII volume è sotto i torchi, L’opera intera verrà ter- minata nel 1830. STATI SARDI. OrservatIOns sur le revenu que peuvent relirer les gouvernemens parla direction du cours des eaux , suflisant 4 faire face aux dépenses necessaires , à la construction des ponts, et. des routes, (et à leur conservation: Turin , 18298, A. Alliana , 8°.di p. 24 STATI PONTIFICI. Sopra un nuovo fenomeno geolo= gico «al gran sasso d’ Italia, die scorso di Agostino Cappetto , letto all’ accademia de’ Lincei nel di 29 set- tembre 1828. Roma , 1828, St. del G. Arcadico 8° di p. 34. Istituzioni di materia medica. di Domenico Bruscu. Perugia, 1828, Bartelli e Costantini. 8° di p* 460. ELementi di archeologia ad uso dell’ archiginnasio romano, di AnToNtO Nispy pubblico professore di arcneolo- gia nella stessa università , ec. Roma, 1828,, per la società tipografica , 8. i di p. VIII e p. 260. REGNO DELLE DUE SICILIE. Saecio sopra le scienze dell’ uomo fisico e morale, di Luicr FerraREsr. Napoli , 1828, Borel ec. 8° di p.54 con tavole. | Suc BISOGNO di un nuovo coordina- mento e di una nuova classificazione delle cognizioni scientilico-letterario,, discorso, accademico del prof. A GATINO Lonco. Catania, 1827, St. dell’uni- versità. 4° di p. 70 con tavole, ATTI ‘dell’ accademia Gioenia di scienze naturali di Catania. Catania , 1827, da'rorchi delle R. università degli studii 4° di pe 235. ReLazione accademica del dot, An- TONIO DI (IaComo , segretario generale dell’ accademia Gioenia di scienze na- turali di Catania e per l’anno 4° ac- cademico ; letta nella tornata ordinaria del 22 maggio 1828. Catania, 1828, G. Pappalardo. 12° di p. 24. Prime linee di chimica inorganica applicata alla medicina ed alla farma- cia del dott. CarmeLo MaraviGna. /Mes- sina , 1829 , G. Pappalardo. 8.° Vo- lume IlI. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL’ ESTERO. RaccoLta di opuscoli venuti. alla luce, prò e controla libertà della stam- pa nel caotone del Ticino, dal giugno 1827 , in poi. Lugano, 1328, Ruggia ec. 80 toi Pi 198, La scienza del buon uumo Riccar- do , di Beniamino FrankLIin. Lugano , 1828 ,, Ruggia ec. Letrera sul sistema di coopera zione reciproca e della comunità dei beni, seccado il piano del sig. Owrn, esposta dal sig. Rey di Grevobl:; Lu- gano ; 1828, Ruggia ec. 8.9 di P 108. Der Futuri destini dell’ Enropa , dell’ autor della rivista politica d’ Eu- ropa nel 1825. Brusselles 1828 in 8:° ) Le satire di D. G Giovenate tra- dotte in versi sciolti, rivedute, corrette e rischiarate con note da Troporo Ac- cio, Seconda e compiuta edizione. Lu- gano , 1828, Ruggia ec. Vol. primo. Storia DI NapoLeone compilata sul- le di Jui proprie memorie ‘da Leo- narDo GatLors. Prima volgarizzazione italiana sulla terza edizione francese. Riveduta, con aggiuntovi una nuova traduzione in versi italiani del Diti- rambo di Lorp Byron; l’ Ode di A- ressanpro Manzowi il 5 maggio; ed oruata del ritratto di Napoleone. Lu- gano , 1828, coi tipi di G. Ruggia ec. Vol. 2 in 18.9 (Prezzo fr. 6 it.) Ancora una storia di Napoleone ? — Così è , lettur caro, ed altre ve son già venute " dappoi , ed altre la susse- guiteranno ancora , infivoattantochè l’uomo dal piccolo cappello e dal grigio pastrano non s’abbia finalmente il suo Plutarco. Per al presente diresti che tanto si scriva di lui, quanto se ne parlava in preterito. E di que’ che ne scrivono , gli uni meglio che la storia sembra che ne imprendano l’ epopea ; gli altri, a dipingerlo , toigano a pre- stito i fieri colori dallo storico di Ti- berio : il rimanente infine (e sono po- chissimi), scevri d’irae d’amore, proseguono di buona fede la ricerca della verità. Se non che la propinquità degli avvenimenti , e la gran parte ch’ essi prendono ne’ rispetti n:orali della società e degl’ individui, non possono non tar velo tanto quanto, senza pur ch’ è se ne avvegga , a qual sì è scrittore di più leale inteudimen- to. Per queste ragioni, una storia nella 191 quale non avesse persona lo scrittore; uè campo i ragionamenti e il sentire di lui, nè fosse potuto dispiegare che il cuore e la mente del protagonista ; una siffatta storia sarebbe per ferma di tutte l’ autentica e la migliore, De- condo questo concetto il sig. GaLLots ordinò la sua , il quale, solo fra Lutti, concepì e fermò nell’animo l’ idea di dar la vita di Napoleone , qual Napo- leone medesimo l’ avesse divisata. E questo attese, seconilo suo dire, cam- ponendola totalmente d’ interi capito- li, di periodi, e di paragrafi tolti dalle memorie che l’ imperatore stesso det- tava a -Sant' Elena a’ sumi compagni d’ esilio, o che altri cuompilò dietro fatti e schiarimenti avuti dalla viva voce di quello, E ciò con tanto di scru- polosità che , pescate in hen 4o volu- mi di cotal guisa per infino alle fra- si, e ben anco le semplici parole, le quali si facevan necessarie a erdinare seguitameute ; e congiungere in uno le diverse parti qua e là raccozzate’, di modo che ne sorgesse l"intero della vi- ta, mantiene l’autore nou essere nel- l'opera sua (tranne una parte del pri- ino capitolo) nè frase pure, nè parola e non sia uscita di bocca &a quello stesso , di cui descrive la vita. Così questa vita si eleverà all’ al- tezza dell’originale , imperciocchè chi potrebbe più degnamente adeguarsi , scriveudo , alla storia di sì grand’ ani- ma e di sì gran cuore, bre “anima e il cuore stesso di lui ? così il no- vello Cesare avrà, egli pure, i suoi Commentarii. Continuazione della storia d’ Italia dal fine di quella del Guicciardini sino al 1789, da CarLo Botta. Lettera a’ sottoscrittori ec. Colle mie big dei 2 gennaio e 20 giugno 1827, 29 febbraio e i ago- sto 1828, ho A l’ono:e di dar subiglitanienio avviso a V. S. del recapito dei manoscritti de'primi quat- tro volumi deli’ opera intrapresa dal signor Carro Borta , in coevenza delle condizioni determinate dal prospetto dei 16 gennaio 1826. Oygi mi faccio un dovere di pievenirla che ho pa- rimente ricevuto il manoscritto del quinto volume, il quale mi è stato consegnato il 3 del corrente , e che cun esso "| opera si trova pervenuta al principio del 1570. 132 Ho l’ onore di pro disunta sima , D.V S. Tolone 15 gennaio 1829. L' Oss. e Div. Servo C. T. Lirtaro smi cella più AUSTRIA. Avviso agli amici della lettaratu- ra clussica ed in ispecie della numi- smatica. Mentre in Italia il Bowarroti, il Zaviai, il Laozi, il Noris y il Tor- 1emuzza , il Gori , il Mazzolevi , ’Ar- rigoni , il Sestini dilatavano con inci- sioni e descrizioni lo studio della nu- mismatica , l’Eckhel scriveva in Vien- na Ja sua immortale doctriua nummo- rum veterum, e per essa valendosi delle fatiche de’ suoi predecessori, di- ventava il fondatore d’una nuova scien- za, della quale egli provò ad un tem- po con evidenza la somma utilità per la retta intelligenza de’ classici e della storia antica, non senza portarne l’ap- plicaziove | al massimo grado d’esten- sione possibile. Ma appunto questa tanta utilità, ed anzi iudispensabilità dell’opera sua, per chi. pretende ad una classica erudizione, fece sì che tutti gli esemplari ne fossero rapida- mente smerciati , ed appena per cento fiorivi , pari a trecento lire austriache, si potesse farne l’ acquisto. Riescirà quindi molto aggradevole ai possessori di biblioteche, e in ispecie ai veri amici della letteratura classica, il co- noscere, che il sottoscritto colla ristampa di più volumi affatto eguali per la carta , i caratteri, la grandezza? e la correzione , giunse a completare un piccolo numero d’esemplara che ri- imaneano imperfetti nel suo negozio : sicchè ora. può offrire ai raccoglitori quest’ opera di otto grossi volumi iv quarto, non minori in complesso di quattroceuto pagine per ciascuno , in carta con colla, e con sei tavole in rame al prezzo assai tenue di 225 lire austriache, mandandola a quel nego- zio di libri che sarà indicato Noi cre- diamo di dovere ancora aggiugnere che in quest opera havvi diverse par- ti; come sarebbe quella che risguarda le monete giudaiche sino a Barchocebas, e quella sulle monete frigie col N()H, n:n che molte determinazioni crono!o- giche di gran rilievo sulla storia de- gl’ imperadori romani, le quali la ren- dono egualmente importante pei dotu teologhi che per gli amici della let- teratura classica in generale. Erasi an- che rinvenuto nell’1. R. gabinetto di numismatica in Vienna un manoscritto originale del defunto autore, conte- nente varie aggiunte a questa sua grand’ opera; e di questo pure il sot- toscritto, coll’ assistenza dell’ attuale direttore di questa imperiale collezione, «ignore de Steinbuchel, dispose un esatta edizione, cortedandola. colla liografia, latinamente scritta , e il ri- tratto somigliante dell’ Eckhel Questo volume, Addenda ad dac- trinam nummorum veterun y il quale nel formato. e in ogni altra cosa è affatto conforme all’ opera principale , e le dà il desiderato compimento, sì tova in ugni negozio di lilvi al prezzo di sette. lire austriache e cinquanta centesimi. Vienna nel novembre del 1828. Faperico VoLkr. |“ OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ‘(ATTEZ NELL'’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRESZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. GENNAJO 1829. [ee] e rd mu > S ut pr. VEE È 2 |\ales]|ss "as Stato del cielo 3 adi Sl ne È bj Bill Si è i S | I ] | 7 mat. 28. 1,9! 3,7 |-13! 65 ‘Tram. Se. con nuv. Vento t| mezzog. |27. 11,7 | 3,6 ‘d0,6 | 62 Tr. Gr. Se. con. nuv. Vento fort. _|tssera [27. 99 3,0 | ‘ot 67 i Scir. Nuv. ser. Ventic. | 7 mat. |27. 89 2,5 | -2,5 | 85 Sc. Le.iNuvolo entic. | mezzog. j27. 84 | 2,7 |Y0,8| 74 Sc. Le. ‘Nuvolo Ventic. Ii sera |27. 8 8,5 | 2,0 | 0,0 | 85 Gele \Nuv. sur, Ventic. 7 nat. 27. . 86 | 1,8 [1-08 92° |Sc. Le. Ser. nuv. Ventic 3| mezzog. RA 99 | 1,9 [t2,4| 79 Lev. er. nuv. Calma i sera |27. 0,7 | 1,3! 0,0 | 86 Scir. ‘Sereno Calma bi, 7 mat. |27. 9,7 | 0,9 |-1,6| 95 {Scir. Sereno Ven tic 4| mezzog. 127. 9,65 | 1,8 +18 | 88 Scir. Nuvolo Ventic- L| rr sera (27. pi 16 41,6 | 98 Sc. Le. Nuvo!o Calma —_ pelare Pa, è — ht cxpcxupz UR 7 mat. 27. 3,8 | 17 |t3,7 87 |Sc. Le, Nuvoio Calma gI | 0,09 ‘Se. Le, Nuvolo Vento forte 5 mezzog. |27. 14. 1% 1147 Vr sera |a7. 1,6 1 252 12,3] 94 | 0,18,Tram. ;Nuvolo ' Ventic. Se. La Naval Calma | 7 mat. ;27. 2,2 | 2,I 143,3 9? 6! mezzog. nr 3,2 | 2,8] 4,6 | 84 | _| 32 sera 27. 5,6 2,9 | 2,8 | 96 f0,30 Lev. |Nuvolo Vento imp. Lev. iNuvolo Vento 7 mat. |27. 5 8 29 2,8 | 4 0,17 Gr. Le. Ser. nuv. Vento 7| mezzog. |27. 6,5 44 89 i Lev. |Ser. ragn. Vento II sera Risa 70 | - 1,9 gi | Scir. {Ser. con neb. Ventic 1 D Termo Da = >| I 2 Di ta k a E è 19 Ora 3 E, n S 4 È CM Stato del cielo re, RI Sd SRL 5 I RI i | S E -- = tap pat) | Trai sa Tsata | lee] o | 17 mat. [27. 7,3 | 2,9 | 3,0: 92 Greco |Ser. neb. Ventic. il 8 mezzog./27. 7,8 | 3,3 sé 76 Gr. Le, | Ser. neb. Vento 11 sera :27. 7,8 | 3,2 | 1,8| 95 Sc. Le.'Ser. neb. Calma È 7 mat. :27. 7,3 | 3,0 | 0,0 97° -— |Scir. Sereno Vento |Éj {{ 9| mezzog.'27. 8,1 | 2,9 | 3.3! 88 Scir. |Sereno calig. Calina rr sera .27. 8,2 | 3,0 |[+1,0 | 94 | Scir. Sereno Ventie. MERI lita EE 50 i COM ic TA Re SIL O n i 7 mat. |27. 8,2 | 2,7 j-0,1: 97 | iScir. |Sereno Calma Jiro mezzog.127. 9,0 | 2,8 3,3 77 IScir. Sereno Vento |j fi | trsera }272,.9:7 la 2,91 2,9) 80° 'Scir. |Nuvolo Calma csi -—— bb =. i |7 mat. |27. 10,5 2,9 È 5. : 97 7 |Gx0 0.10 Tram. pri Vento Inn mezzog. 27. 11,4 li 3 | 3,9 96 | 9,09 Tram. |Nuvolo Vento ri sera ZA 11,6 | 3,0 | 46 192) iLev. |Nuvolo Calma i 7mat. |27. 11,3 } 3,3 | 7 {7,0 | 9 iLe.v DR Ventic #12] mezzog.|27. 11.3 | 3,9 | 8,8 I 81 | Lev. Nuvolo Vento li sera |27. 11,6 4,5 | 9,0 | 85 ;Sc. Le. ! Navolo Calma 7 mat. |27. 11,3 | 5,0 isa | 97 Seir |Nuvolo Calma || 13 mezzog. |27. 11,3 | 5,5 | 8,9 | 88 !Scir. i Nuvalo Calma | ! ti sera |27. 10,0 | 6,0 | 7,5} 80 "Tram. ‘Ser. con-neb. Vento im p.il di (7 mat. 27. 10,5 6,2 | 7,0 86 i Tram, |Ser. con neb. Vento imp | 14 mezzog.:27. 9,5 6,8 | 956] 76 esa Ser. neb. Vento imp.|É (Il sera (27. 8,6 6,9 _b,9 75 Tram. Nuvoio Vento di ' 7 mat. (27. 7,5% 6,0 jo 95. Gr. Tr.|Nav. Vento imp A 15 mezzog.|27. 7,1 Bo 4,0 | 76 iLev. {Nuvolo Vento imp: gi ‘tisera 27. 6,8) 439 1,0 | 72 | ‘Gv. Tr.|Ser. nuv. Vento ip, H | 7 mat. {27. 6,873. 05 | 70 (Gr, Tr. {Ser ragn. 0 Vento i imp. :16° mezzog. 127. 16.9 | 3,4 3A | 64 Mimi Ser. ragn. Vento = Li sera. 27. 593,9 22, n Tram. |Navolo Ventic.ifi I 7 mat. o lay. « Dar DONI II go. [Lih. {Navoio | Veatie. Ir inezzog. 27. 9,9 39 | 6,8 | 83 Greco (Ser. ragn. Vi ntic. ir sera 27. 100 45° 50 97 !0,03 Tram. Nuvola seni Calma r——_____—__T—___r___—n121222=2=111=+——_———————————______É__r______—___—_—_—_—_—_—_——————È 7 Mal. 27. t0,0 | 46: 9,0 87 Gr, Lr-|Nuvoio Cala {18 mezzog. (27. 104 | 48 163 82 0,02 Tram. Nuvolo Veatic.|@ | | 1: serà ,37. 10,4! 48 5,1 8a ___|Tram. !iNuvolo Vento 7 mat. ‘27. 10,5 | 48 | 4,9 89| 0 (Lev. — ‘Nuvolo Colima 19! mezzog. 27. 11,1 5,3 | 6.6 77 ‘Tram. ‘Nuvolo Vento |B | | lì sera 27. 11,2 5,0 | 4oi 84 (reco |Ser. con neb. Ventic lf rcc<-——————__@@@@@rrprgrig2lppccieso 2 laa\mezzog. |27. 6,0 | 44 fi | 1vsera [27. : — | | | 7 mat. | 7 mat. #23 | mezzog. Lil Il sera î 1A | ia4 mezzog. nm mat. {125 mezzog. il | 1: sera (26 i i 27 mezzog. | 27. 11,0 27. 10,5 27. 10,1 7 mat. ji20 mezzog. f| | x: sera I i» 7 mat. |27. *i21|mezzog. |27. il | 11sera |27. 27. 7 mat. 27. 27: It sera |27. i. 7 mat. Hi 8 mezzog. $ | vi sera L- Bi 7 mat. 29 mezzog. | 1t sera È 7 mat. 30 mezzogi i IC sera fl | 7 mat. £ SIljmezzog, El sera uo 27. 27. 27. 27. 27. 27. 0139wo1eg 0132018] |f 017 i (e e) Si » » ai = O Î w - - (0°) ji DO NI DIN Ko) Si | | -2001AN]q . od -00s0019UY | 'Lev. !Scir. | n {Nuv, ser, Ser. ragn, Stato del ciefo 0,03: Maestr.| Pioggia :0,02! Lev. Lev. |Cram. Pioviggine UL SAVADN 5 | SPRR AOA [Sol » 0,14 | 0,17 27 41 È) 27. 27. fi | 7 mat. |27. 127. II sera |27. CVA 27. 8,1 29. 9,3 | 7 mat. |27. mezzog. |29. II sera |27. 4,3 | 5,0 | 99 Tram. 0,07 |Scir. Scir. Ostro Os. Li. Scir. Scir. Scir. Scir. | gi | 0,05|Sc. Le. 9,12]Lev. 95 ‘‘0,22|Po.Li. 0,05 Sc* Le. 0,01) Ponen. Lib. Scir, Sc. Le O:tro 0,22 0,05|Ostro 0,21|Ostro 0,28| Lib. 5,8 9I | 0,07 Tram. Pioggia 0,06| Tram. Nuvolo Nuvolo I Navolo Tram. | Pioggia 85 0,93 Tram. Nuvolo Tram. Ser. neb, Nuvolo Nuvolo I Nuvolo 4,7 | 97 Os. Li. Ser. neb. Scir. \Ser. neb, Sereno ! Sereno Ser. neb. Ser. neb. Nuvolo Pioggia Pioggia Nuvolo Ser. con nuv. Ser. ragu. Sereno Sereno Nuvolo Pioggia Pioggia : Nuvolo | Pioggia Pioggia Ventioc. Calm: Ventic. Calma Ventic. Vento Greco |Nuv. minac. Vento fier. Vento imp. Vento Vento Ventic. Calma Calma Calma Calma Calma Calma Calma Ventic. Calma Calma Vento Vento Ventic. Calma Calma Calma Calma Calma Calma Calma Ventic. Vento Vento Vento Ventic. h sli dina > sro pra VIE - genion a veti ds >: Mi merate fogne sale va niù uf Gj pride maree si co 'ntewtati al 12 NO | ve, «SFR I «it pod ; «bi?8) tE1 8,0 un Ts Sag! EN og n DI È p Leotocu si pubblica ogoi man per: sibilo non. minore dillo fogli. Tre fascicoli compong ono un volume, ed ogni volume è accompagnato dal ice pen gli materie, i DI na È Le associazioni si prendono lic dal Direttore Editore 6 P. Prieusseux: i ANO: > per tuîto il regno, Y dalla Spedizione delle Gazzette, i +Lombardo Veneto € .presso 2° 1.‘e R. Direz. delle Poste. i no per tatti li Stati Sedi no il sig. Luigi Croletti, impiegato nelle i va “R. Poste di Toriuo. “presso Gem. Vintenzi e C.0 libr. I «presso il sig. Derviè direttore delle Poste. Roma, per tutto da stato Pontificio, presso il sig. Pietro Capobianchi, impiegato ea GNA “nell’amministraz. gen. delle Poste Pontif.... APOLI, > (x. presso Raff: Trani, largo del palazzo. n PALERMO, per tatta la Sicilia." Bi il sg. F..Gruis, via Toledo N° 7. Li | AUGUSTA SETA CE “presso la (RENE delle Gazzette. GINEVRA ) BR, LE > presso J. J. Paschoud. n PARIGI rta i a piesso.4. Renouard Rae de. Tournon N. 6 prora. x sac E° Sat — presso C. F. Molini N. 41 Paternoster Row. IL Prezzo D' ASSOCIAZIONE dal ‘pagarsi sotisipatament. Ì franco di porto «perla posta per. tutto il Regno imbardo Veneto Soa 36. ;. franco di porto per la posta franco alle frontiere per la posta franco di porto «perla posta franco Torino Ana È < 0 Milano o fish a. > RA RATA franco Parigi - e è i ì > per la postà Cai L'intera collezione: dei 8 “anni, 1821- 1828 Nor 8 #96, i in 32 volumi broché si pi può rilasciare a meno E sa AI PALLI, a Gli a anni i 1825- Sora separati in ciascun anno © CARRO: 33:30 de $ ERI ql RR E SDIESE DELLE MATERIE “ CONTENUTE NEL PRESENTE QUADERNO: | © Corso storico dell’ antica di A ddp in Sia seni cda Onorato Olcese. — Istoria della letteratura. Greca jofalia: 5; ‘ope ‘di Fi Schoell; recata «in italiano dal dott. Emilio Tipaldo.- — Col-.- ‘lana «degli antichi storici. spa vita — - Bihlioteca greca vole 5 pgarizzata» Li Ne.p.A sè Pag: Storia del Diritto Romano nel medio evo 5 o di F, deriso Gio d na “Tod: PR Sita pl Litta. Famiglie celebri nale SE L (Francesco Forti Costantinopoli è il Bosforo di Tracia. One del Ces Andrey (6 Cours de littératute frangaise , di M. Villemain, (Art..T.) (M Dubitazioni e conghietture intorno. a E i I Geni Ì Homsò) Viaggio di Augusto Galle a Tombuetù i Rapporto della Sezhi: cdi | Geografia, «Rivista LERTERARIA. = STIA ragionata ala ue italiana di © Carlo Antonio Vanzon:, p- 144: = Storia de Fatti. «dei Longobardi di Paolo Diucono , tradotta dal prof. Viviani, pi ETA —-Petrar- ca; Giulio Celso e Boccaccio, Mlustrazione delle Vite degli momini: lustri del primo; di C. G. Cesate 3 attribuita al sécondo;; 8 del pi Petrarca scritto dal terzo ; del dutt. D. Rossetti, pe 148, — Ora- zione per le solenni esetnie del dott. Gio. Gius Zabeo, r dall’ab. dott. Angelo: Valbusa ;p- 150, — Degli iMlustri Paesi stati in diversi tempi a Ragusa - PERA di Tommaso Cher St 3 pr191. Memoriale x frate Giovanni dn Niccolò ‘da Came- 3 rino; francescano 3 scritto: ‘nell’. anno 1371) Edo del conte Monuldo ‘Leopardi, p, 192. Le due sorelle di Nansfietd, Storia morale. per. le fanciulle, pi 153... > ‘Acratiologia, dell’ ‘ab; cav. Ba Panvini ; p. 154. — Atlaote geografico. del Granducato di Torcana, 3 del ROME A. Zuccagni-Orlandini;.p. 109. i Lettere intorno ad aleuni codici “della Libreria del match. Luigi Tempi. i — Lettera prima: i. SE = SOS RR fc È Bullettino scientifico. sa SIEPE i Bullettino bibliografico, i i : Tavole meteorologiche. A I RA DERE n P. VIEUSSEUX | Dinerzone E Eprrorg * Le ‘tornarono in nuovo- onore la: lin: gua del trecento , cioè la Tingua ve- | ramente siatianai Nè certo sappia- ‘mo di che altro maggior bene si | potesse giovare la nostra letteratu ‘ra, La quale essendo:già tutta gua: ' stà e sformata dalla servile imita- ‘zione degli stranieri, non-potea:ri-- | vestire le ‘sue schiette bellezze, se ‘ non si rinnoyellava Jo studio della ‘ pura e leggiadra favella ,, con che | parlarono i nostri padri. Imperoc- ‘chèéovenon è bontà di linguaggiòi ivi. ‘medesimo nor è elegarza,nonè chia- | [rezza nelle sentenze, non è infine | quella evidenza, per Ja quale le cose. esposte dallo ‘scrittore ci si offrono come. vere e vive-alla mente. E (‘quando le opere dello ingegno sie- mo prive di queste tre qualità man- ca pure in esse la bellezza e ildi- "TESTO DI LINGUA RIDOTTO A MIGLIOR LEZIONE, i 3 - Suudicci Fialini ; SE MICHELE FERRUCCI. | CATERINA FRANCESCHI FERRUCCI. leto, ade più ‘non aggiungono. ni ‘A ‘fine per cui vennero dalla ‘natura - ordinate. Quindi furono altamente i Nobile e sommamente. pi ietoso fa i LI adoperare di que’ gentili, che |-tissero in questo penuria di ottimi Miani a pubblicare: quelle scritture A ‘inedite , 0 a riprodurre le altre di- © | guaste e piene di ertoti. Onde noi. ‘4 ‘seguitando il consiglio di questi no-*M «donare ‘alla luce il 7. olgarizzamens i % v& lodati coloro, che prendendo arie storare jl bellissimo idioma: nostro! fecero: tra noi rifiorire la proprietà s ela eleganza . E perchè 1 giovani amanti del bello scrivere Non par. esempi, i principali sapienti della & età nostra . confortarono chiunque | voglia. giovare i buoni studii ita» del. trecento ‘, che ancor giacciono: - ve: venute rare nelle stampe , © tutte. di bili ingegni abbiam divisato: di ria | to di Tito Livio, fatto in quel se= È colo , in. chi la lingua nostra fa GI d’oro. Esso a cagione de’ molti er... rori), sula è sare nelle cotte 18 ANTOLOGIA N.° XCVIII Febbraio 1829. ec... "eci Histoire des Frangais par J. C. L. Srtmonpe DE Sismon- pI. Paris 1828. Vol. X, XI, XII. Art. V. | (Vedi Antologia Vol. XXVIII. B. p. 144.) S: è parlato altra volta in quattro separati articoli dei primi nove volumi della Storia dei Francesi, ed ora che sono esciti alla luce tre nuovi tomi) che contengono la storia di Francia dal 1328 al 1421, fa mestieri ripren- dere il nostro discorso dal punto in che lo lasciammo col- l’ ultimo articolo. Solo ci piace ricordare colla maggior possibile brevità le cose più importanti de’ primi otto se- coli, de’quali abbiamo già discorso. Dal quinto all’ ottavo secolo la storia ci pone sott’oc- chio il luttuoso quadro della decadenza di tutti i princi- pii della civiltà. Tu non vedi più nè sicurezza esterna, né autorità di leggi nell'interno che raffreni le soverchie- rie de’ potenti, nè rispetto di civili proprietà; ma invece, una successione di invasioni dalla Germania nelle Gallie, dall’ occidente delle Gallie nell’ oriente toglie ai miseri abitanti ogni godimento di pace; al che si aggiunge al 2 principiar del secolo 8.° la potenza de’Saraceni in Spagna, che compromette l’ esistenza politica de’Franchi. Frattanto le lettere vengono meno ; ed il clero prendendo i co- stumi de’ barbari accresce la somma delle pubbliche ca- lamità. Onde la penuria di scrittori di storie ci avverte del miserevole stato di abiezione in che era caduta la na- zione sotto de’ principi che il giudizio severo della poste- rità ha chiamati scioperati ed inetti. Ma l’astuzia ed il valore de’ meres del palazzo, intorno alla legittima auto- rità de’ quali pochi lumi fornisce la storia, inalzando al trono una nuova dinastia, ci mostra la nazione salita al finire dell’ ottavo secolo ad un grado di possanza cui per l’avanti non era mai potuta arrivare. Carlo Magno esten- de il suo impero in Germania ed in Italia, tenta ritor- nare in onore le lettere, riduce a civiltà alcuni popoli , estende, con modi crudeli però , il dominio della religio- ne cristiana, ma contuttociò non riesce a dare ai francesi giorni felici, nè a gettar solide basi di maggior civiltà. Di questo grand’ uomo sono rimaste in retaggio all’ Europa due massime di diritto pubblico, che per molti secoli han dato cagione di guerre , di scismi , e di civili discordie ; intendo parlare del ristabilito impero romano, e dell’ as- soggettamento del poter civile ai ministri del potere ec- ciesiastico. D’ altro resto poi in meno di cinquanta anni sparì ogni avanzo di gloria nazionale, fatto che per sè solo risponde ai sistemi coniati dagli storici intorno al regno di Carlo Magno. Dalla seconda metà del VIII secolo sino quasi al fi- nire del X la Francia ricadde in più basso stato che non fosse prima di Carlo Martello. Ma la feodalità facendo sì che almeno i nobili, vale a dire i gran proprietari di terre e di servi, fossero liberi ‘e guerrieri, ritornò in meglio al finire del X e nell’ X1 secolo la condizione po- litica della Francia, e stabilì almeno la sicurezza da’ne- mici di fuori. Per le stesse ragioni che spingevano i nobili a cercar libertà e sicurezza nell’ordine dei feudi , i bor- ghesi si garantivano dalle violenze de’signori col reggimento municipale. Frattanto l’ autorità de’ re consisteva più nel 3 nome che nel fatto, e ritrovavagi più nei diplomi che le- gittimavano l’ accaduto che. nelle operazioni di effettivo governo. Nondimeno lo spirito cavalleresco, l’ entusiasmo religioso e le crociate cominciarono ad allargare il cerchio delle comuni idee ed a far viemeglio sentire ai nobili ed ai comuni il pregio dell’ unità nazionale. Siechè vediamo nel XII secolo risorgere il poter regio che nel X e nell’X1 era caduto al più basso segno di avvilimento, Sarebbe difficile far le parti giuste in questo trionfo della monarchia, alla potenza de’nomi, allo spirito cavalleresco, alle crociate, ai sussidi dei comuni, all’astuzia, al valore e alla duplicità de’re; solo si può dire che tutte queste cause contribuirono all’ effetto: il quale era in gran parte otte- nuto nel XIII secolo , da che vediamo in quel tempo il poter regio preponderante nel sistenia politico di Francia, benchè non fosser distrutti nè la potenza de’feudatari, nè i privilegi de’ comuni, nè } indipendenza. dell’ aristocra- zia ecclesiastica, La monarchia si volse allora a forme legali , e l’ autorità della legge cominciò a soggiogare la fisica forza. Ma alla legge mancava garanzia politica perchè non vi era legittima distribuzione di poteri ; che Tappresentando con giusta proporzione i diversi interessi sociali , tornasse a formare la legittima unità dello sta- to; mancava poi anco quella specie di garanzia morale che consiste nell’ avanzamento delle idee di probità e di giustizia nella maggioranza della nazione. Però al buono e savio Luigi IX succedette per breve tempo un inetto , indi ne venne un tiranno » da che gli uomini onesti di qualunque pensare saprebber difficilmente chiamare con altro nome Filippo il Bello. Il quale or con atti di cru- deltà or con arti di perfidia oppresse i grandi, si tenne a forza devoto il clero , tuppe la fede de’contratti, e dette un gran colpo all’ autorità papale conculcando Bonifazio VII e tenendo Clemente V in tal dipendenza dai snoi voleri , che quasi la diresti schiavitù. Ma la discendenza dell’uomo che avea violato ogni modo di libertà , venne in breve a mancare (1328), e ad accrescere le miserie della Francia nacque disputa fra gli agnati ed i cognati per la 4 PRCON successione al trono ‘i, da che il principio di diritto pub- blico che dicon della legge salica non per anco era fuori di controversia. Nei tempi di maggiore barbarie usava sciegliere fra più concorrenti della stessa famiglia il più valoroso, quelli che sembrava dover riescire miglior capitano; di poi i prefetti del palazzo non avean dato luogo a disputar di legge. Tale era il regno della forza. Venuto il regno della legge fu mestieri ai popoli soffrire molti guai, s0- stener guerre ignominiose non per interessi uazionali ma per una questione di persone. Di che alcuni soliti ricavar con troppa fretta una teoria dal semplice confronto mate- riale de’fatti, potrebbero trarre argomento a sostenere mi- gliore il regno della forza del regno di ragione , laddove considerando meglio le cose parrebbe si dovesse piuttosto concludere esser forse minori i mali della violenza aperta di quelli della violenza aiutata dalla frode cui si sia dato un santissimo nome. La legge in quei tempi dettata dai soli potenti risguardava soltanto il loro vantaggio, ed il nome .di giustizia valeva a contenere col sentimento del dovere i più, che colla forza aperta per lungo tempo non si. sarebbero potuti dominare. Ma quegli ordini sociali pei quali o in un modo o in altro si mettono in opera i prin- pii che risultano dal considerare la società come un ente morale che ha un individualità distinta affatto dalle per- sone riunite pe’vincoli sociali, che stipula per tutti, che ha de’ rappresentanti de’ ministri e de’ soggetti ma non dei signori, gli ordini civili conformi a questi principii, lo ci- peto, erano ignoti in quel tempo ai francesi, Non è da cre- dere per altro che fossero pienamente ricevuti i principii contrari , poichè l’ assurdo delle sovranità patrimoniali non ha fatto mai parte del senso comune che suole esser retto, ma si è generato dalle scuole che sogliono spesso fallire. Nondimeno la lotta dell’ intimo sentimento che diceva a tutti, il poter sociale dovere essere un procuratore della comune utilità, col fatto che lo mostrava quasi semplice strumento patrimoniale de’ potenti, accresce le difficoltà che s’ incontrano nel definire qual fosse la condizione po- 5 litica della Francia nei tempi de’ quali dobbiamo discor- rere. Da una parte vediamo il dispotismo , dall’ altra gli stati generali ed i movimenti rivoltosi della plebe, ma nien- te di fisso, di costante, e di regolare. Il che, a dirla co- ‘me l’ intendo , vuol dire che ne’ nobili, e ne’borghesi era ina qualche forza colla. quale la forza regia dovea tal- volta transigere, ma che pel popolo minuto e pei conta- ‘dini in cui non era forza, rimaneva l’oppressione, la quale giccome sentivano non esser loro dovuta gli spingeva a farsi ribelli, mala conclusione si è che la legge era transazio- ne fra i potenti, e la Francia mancava di’ istituzioni so- ciali che stabilissero un’ equa amministrazione. So che la religione e la potenza morale delle simpatie dovettero tem- perare alquanto gli effetti che parrebbe dovessero segui. tare un cotal ordine di cose ; pure quelli furono tristissi- mi, e quali ce li somministra la storia ci crediamo in de- bito di esporli ai lettori. Per due volte (1316, 1322) l’esclusione delle femmine dalla successione al trono era stata riconosciuta in Fran- cia, ma e per la novità della cosa e per la violenza dei modi coi quali si era stabilita, una cotal massima allor- chè Filippo Vl salì sul trono non poteva riguardarsi come un punto deciso nel diritto pubblico. Infatti vi erano molti che pensavano che sebbene le femmine fossero eseluse dal succedere, i figli maschi provenienti da loro potessero essere ammessi. La questione che sarebbe stata difficile in jure fu secondo il solito decisa dall’intrigo e dalla forza, e così Filippo VI fa unto re (1328) ‘e ricevette da Eduardo II re d’ Inghilterra. l’ omaggio pei feudi che teneva in Fran- cia (1329). Perciò dovea parere assicurato Filippo VI dalle pretese del re d’ Inghilterra , e difatti per nove anni non gli fu contrastato il diritto alla corona. Ma in questo tem- po la politica del re francese si trovò in lotta con quella dell'inglese in Fiandra ed in Scozia, e le cose procedette- ro al segno che convenne romper la guerra. Allora il re d’ Inghilterra assunse il titolo di re di Francia e manife- stò le sue pretese al trono. i Cominciarono le ostilità nel 1337 e terminarono nel ù 1360 con un trattato (di Bretigny) col quale il re d’ In- ghilterra riconobbe Giovanni II per legittimo sovrano. di Francia, e d’altra parte ricuperò le provincie che i suoi predecessori avean perdute ai tempi di Filippo Augusto, Non so se i francesi abbiano mai sostenuta una guer- ra più igniominiosa di questa, giacchè furon quasi sempre battuti. Pure i nobili non maficavano di valore, nè i soldati de’comuni, benchè spregiati dai cavalieri eran da reputarsi vili; ma |’ imperizia de’ capi, che erano i re, più che la fortuna deve accagionarsi di tanta vergogna. La guerra portava esterminio per ogni parte, amici e nemici prendevano quanto trovavasi nelle case de’ poveri campagnuoli, per le città stesse era difficile ottenere one- ste capitolazioni. Tre o quattro battaglie e cinque o sei as- sedii non son gran fatti per una guerra di 23 anni, ma siccome si guerreggiava con truppe feudali o de’comuni, le quali finito il tempo del loro servigio si ritiravano, que- sto flagello potè durar sì lungamente e con tanti pochi fatti. Peraltro se. cessavano le imprese militari, duravan sempre le scorrerie delle bande di avventurieri, che toglie- vano ogni sicurezza nelle campagne. I mali della guerra si facevan poi maggiori per le cresciute gravezze. I servigi mili- tari erano invero gratuiti, ma vi erano altre spese di guer- ra per le quali faceva mestieri aggravare i popoli con nvove imposte, il che fu fatto sempre oltre il bisogno, perchè il lusso della corte distruggeva in un momento i capitali destinati alla guerra, Le imposte non bastavano, e si ricorreva alle confisca- zioni de’ erediti dei lombardi e degli ebrei, ed all’ altera- zione delle monete. Pochi sono gli anni in cui non si trovi registrata qualche ordinanza intorno alle monete, e spesso se ne trovano delle contradittorie sotto i due re Filip- po VI e Giovanni II. Ambivano questi re ad esser consi- derati siccome i primi cavalieri del mondo, e desideravano che i principi stranieri andassero alla corte di Francia per imparare gentilezza. Per questo motivo aveano anco la va- nità di passar per liberali, e facean larghi doni di cose pre- ziose e di terre , che poi con mille pretesti sapevano o li- ”- 4 mitare o ritogliere ; desiderando acquistar grido di libera- lità senza impoverire il patrimonio regio. Alle calamità pubbliche provenienti dalla guerra e dalla cattiva amministrazione si aggiunse nel 1348 la peste. Questo spaventoso flagello, dice l’A., che colpì Europa intiera intorno alla metà del XIV secolo, è conosciuto nella storia col nome di peste di Firenze, perchè quando piombò su quella florida repub- blica essa contava un numero di letterati di oratori e di poeti che aveano contribuito all’ avanzamento dello spirito umano, che son tutti cari alla nostra memoria , i quali lasciando ne”loro scritti il quadro di quella terribile. calamità di che alcuni furono testimoni ed altri vittime , raccolgono anco al presente il tributo della nostra compassione pe’ loro patimenti e per quelli de’ loro concittadini . La peste .del 1348 rapì in Firenze qualche migliaio di vittime, ed in Francia n° ebbe de’ milioni; contuttociò quest’ ultime ead- dero senza esser rammentate dalla storia., senza esser piante dalla posterità .. ....,.. La morte prematura di molte vittime della peste di Firenze arrestò forse perun poco di tempo i progressi che il genere umano avrebbe fatti, nella cognizione del bello, nella morale, nella libertà; ma la morte di quattro, o cinque milioni di Francesi che perirono alla stessa epoca, altro non fece che diminuire il nu= mero degli oppressi che soffrivano e degli oppressori che facevano soffrire. Gli storici di quel tempo sembrano avere essi stessi .il senti- mento del poco valore delle vite. che furon mietute dalla peste. Froissart che suol essere copioso di particolari , si sbriga della peste con queste poche parole: Car dans ce tems une maladie que l’on nom- me epidemie couroit, dont bien la tierce partie du monde mourut. Ma lasciando andare ciò che riguarda la peste, riferirò un altro squarcio dell’autore, che mostra ad un tempo e qual fosse allora la divisione della nazione francese, e quali relazioni vi fossero fra la civiltà di Francia e d’Italia. Nel XIV secolo i nobili erano forse i soli che avessero il senti- mento d’ esser francesi, poichè erano i soli che ponesser la gloria, l’ ambizione , e la speranza, nella conservazione e nell’ ingrandi- mento della monarchia ; essi soli profittavano del vincolo che univa insieme le diverse provincie, e riguardavano la Francia intera come loro patria, per quanto questa parola poteva aver significanza per loro: pei borghesi questo nome di patria era sacro, ma in un modo al tutto diverso. Il loro amor di patria era più ardente e più disin- 8 teressato ; ma la patria loro era il corpo politico sul quale esercita» vano qualche influenza ; ‘essi eran talvolta con entusiasmo e con eroismo Parigini, Rouenesi , Lionesi, Nantesi, ma raramente es- tendevano la loro vista al dì là de’ muri della città » e non sen tivano aver altra cosa comune colla Francia, senonchè i patimenti che il governo centrale recava. I contadini poi oppressi disprezzati e miseri non aveano patria: ‘in niun luogo ottenevano d’ esser ri- gua rdati come membri del corpo politico , e solo avean luogo dî ricordarsi d’ esser Francesi quando sopportavano gli atti di crudeltà de’ nemici della Francia. Nel secolo che era già scorso dalla prima crociata di San Lmigî i nobili avean fatto qualche progresso in ripulimento; el doveano soprattutto alle relazioni strette coll’ Italia. La conquista "del regno di Napoli fatta da Carlo d’ Angiò avea aperta l’Italia ai Francesi; da quel momento molti gentiluomini ed avventurieri aveano percorsa questa penisola; si erano veduti prender parte alle rivoluzioni della corte a Napoli, della Chiesa a Roma, della repubblica a Firenze; poveri, valorori, attivi ed: avidi erano corsi per tutto dove vedevano torbidi, non solo per combattere ma ezian- dio per intrigare e per negoziare. Carlo e Filippo di Valois, il car- dinale da Poiet, il re Giovanni di Boemia della caea di Lussem- burgo, il duca d’Atene della casa de’ Brienne, nello spazio di cinquant’anni, ciascuno a suo tempo, aveano introdotto un gran numero d’ avventurieri francesi tutti gentiluomini in Italia. Tutti i legati della corte di Avignone, tutti i principi della corte di Roberto e di Giovanna‘di Napoli , aveano condotto un seguito di francesi. Ora fra la Francia e 1’ Italia vi era in quel tempo la differenza .che si scorge oggi fra la Francia e la Russia. Nei paesi d’Italia retti a forma di repubblica non i soli potenti ma tutti venivan protetti nell’ esercizio de’ loro diritti e nello sviluppo delle facoltà; perciò tutte le classi aveano fatti nel tempo stesso de’rapidi progressi: i campi erano fatti fertili da una agricoltura ricca e ben intesa; le città erano animate ed arricchite da un industria che suppliva a tutti i bisogni, e preparava de’ godimenti a tutte le classi di persone; le strade erano coperte dai mezzi di trasporto di un ricco commercio ; l’opulenza di una classe nn- merosa erasi resa utile allo stato, perchè i borghesi avean pro- fittato del riposo accordato al loro corpo per sviluppare l’intel- ligenza ........ I gentiluomini Francesi venuti in mezzo a questa grande attività italiana non se ne avvicinavano che per distruggerla; e troppo mal ne capivano la cagione per tentar d’imitarla e di trasportarla nel loro paese. Tuttavia quelli che DI 9 avevano servito il re Giovanni di Boemia in Lombardia, o il duca d’Atene a Firenze, Runa acquistato in mezzo a’raggiri delle parti qualche idea di governo libero; gli altri aveano per lo meno imparato quali delizie andassero unite al lusso ed alla mollezza; aveano acquistata una prima idea di una qualità molto trascura- ta sino allora, vo’dire della pulitezza, senza peraltro sottomettercisi con molto scrupolo. Questo intanto era un progresso morale. Nel tempo stesso aveano imparato a desiderare i godimenti che ne fanno sentir meglio il pregio, i palazzi, i mobili, gli abiti son- tuosi d’Italia; e riportarono in Francia delle abitudini e dei bisogni proporzionati ad uno stato d’ incivilimento molto più - avanzato del loro. La Francia dovette ai viaggiatori avventurieri nel secolo XIV e nel XV l’introduzione di quel lusso ch’ ebbe tanta influenza sul suo destino, di quel lusso che rovinò i Valois, che accrebbe la rapacità de’re, de’ principi e de’ nobili ec. che non essendo figlio dell’ aumento dell’ industria, ma cresciuto per la rapina, non fece che accrescere la debolezza e l’ infelicità generale. Tuttavia i nuovi bisogni dettero origine ad un nuovo commercio. Gli italiani dal canto loro dovettero visitare in mag- gior numero la Francia, con de’capitali maggiori per approvisio- nare un emporio più vasto. La mescolanza delle nazioni porta sempre qualche buon. frutto, introduce delle nuove cognizioni, ed infievolisce molti pregiudizi . Gli stessi avventurieri francesi non tornarono in patria sì barbari come n'erano esciti; aveano conosciuto esservi qualche altra cosa oltre il loro paese, si erano avvezzati alla svegliatezza, ed una certa curiosità intelligente 8’ era in loro suscitata ; talchè non è improbabile che il movimento letterario, che cominciava allora, e che produsse gli scritti di Frois- sart, fosse in gran parte effetto dell’ attività intellettuale acqui- stata. Nondimeno, comunque i gentiluomini francesi avesser potuto _convincersi che la superiorità dell’Italia moveva principalmente dallo sviluppo delle classi inferiori , lungi dal favorirlo in Francia raddoppiarono nel XIV secolo il disprezzo e la diffidenza in verso la plebe. Il commercio avea arricchito un certo numero di borghesi nelle città di Francia, e dessi potevano avere i godimenti del lusso che i nobili desideravano ed avrebbero voluto per sè soli riservare. Questo lusso dei plebei agli occhi de’ nobili pareva un usurpazione, un rovesciamento di ordine che minacciasse lo stato, però non risparmiavan mai ai nuovamente arricchiti le umiliazioni di ogni genere, e nel sorprendere le piazze forti, nello sceglier gli ostaggi ., nel levar le contribuzioni militari, in tutte le oc- T. XXXIII. Febbraio. 2 10 casioni insomma nelle quali potevano aver luogo i diritti rigorosì della guerra, aggravavano la mano sui mercanti, non tanto ‘ perchè erano ricchi , quanto anco per l’ odio che loro portavano. Del resto poi i mercanti erano una piccola parte della cit- tadinanza ; vi erano invero in alcune città delle manifattu@ re, ma in piccol numero e poco prosperose , e però inferiori di molto a quelle di Fiandra e d’ Italia . Queste manifatture con alcuni prodotti del suolo fornivano alla Francia gli articoli di esportazione ; ma in generale i Francesi attendevano al commercio in casa propria, e nol portavano fuori, spacciavano i prodotti delle altre nazioni, ma non pensavano a far le provviste di prima ma- DO sa Lo spirito di associazione avea creata la classe de’ borghesi, e le avea dato una certa indipendenza ; di ‘qui eran nati i lumi e le virtù; ma quelli che lavoravano il suolo della Francia e costituivano la maggioranza della' nazione, abbandonati alle loro forze individuali, senza protezione contro i loro padroni o contro i nemici, eran caduti all’ultimo segno di povertà e di avvilimento. Nella maggior parte delle provincie i coltivatori non vivevano già sparsi nei campi, ma erano riuniti in villaggi, avendo avuto nel riunirsi per scopo la comune difesa; ma questa riesciva solo a farli sicuri dai lupi, e da’briganti isolati. Ma il re che voleva che i campagnoli nutrissero e dessero alloggio alle sue truppe ; il signore che voleva prendere a piacere il grano dai loro granai, il bestiame dalle loro stalle , le femmine, se eran belle , dalle loro abitazioni , non permetteva che fortificassero la villa o che si esercitassero nel maneggiare le armi; onde ne seguiva che i campagnoli non erano in stato da potersi difendere contro la più piccola truppa di nomini d’ arme , che o nemici o amici preda- vano sempre nel paese che traversavano, contro i servitori de*prin- cipi o de’ signori che ad onta delle leggi esercitavano sempre viaggiando il diritto di tor via ciò che occorreva per la tavola de’ loro padroni , o contro le bande di briganti che spesso sì rau- navano al solo oggetto di depredar le campagne. Sicchè ogni con- tadino era convinto di essere a discrezione di tutti, e non esservi per lui altra via di salute se non quella di una povertà intiera e talmente evidente, che il suo nemico o il suo signore non sa- pessero che cosa pigliare. Di qui ne seguiva che il campagnolo perdesse ogni coraggio, ogni attività, ogni intelligenza nell’ eser- cizio dell’ arte sua. Esso non faceva altro lavoro che lo stretto necessario , con poca intelligenza e molta precipitazione . .. . . + In conclusione, alla metà del XV secolo la nobiltà francese II era sensibilmente cresciuta, in numero in eleganza di maniere nel lusso de’ vestiti de’ mobili e degli equipaggi, e per qual- che poco nella cognizione del mondo nell’ istruzione e nel sen- timento di patriottismo . La cittadinanza avea alquanto perdu- to dell’ energia colla quale ne’ due precedenti secoli avea con- quisa l’ indipendenza , ma il suo affrancamento era più gene- rale, e le sue istituzioni erano garantite da un più lungo go- dimento ; il suo numeto la sua ricchezza la forza sua effet- tiva erano aumentati. I contadini eran senza dubbio più disgra- ziati che nol fossero ne’ due secoli precedenti. La loro forza re- lativa era scemata in ragion dell’ aumento di potenza de? loro oppressori, e l'associazione de’ villani, che bastava ad ispirare qualche timore a un piccol signore , non dava loro alcuna sicurtà contro i duchi, i principi ed i gran capitani che si dividevano fra loro le spoglie. Questa descrizione delle diverse condizioni di uomini onde era composta la nazione francese, riceve ampia con- ferma dai fatti particolari che riempiono i tre volumi di storia proposti alla considerazione de’ lettori. La mancanza di pubblica fede nelle transazioni mercantili cagionata dai fatti del governo, le condanne di persone illustri senza pro- cesso , le dilapidazioni del pubblico denaro nel lusso della corte, e ne’vizi de’ cortigiani , fatti tutti principalissimi dei regni di Filippo VII di Giovanni ll, mostrano apertamente essere stata la Francia governata in quel tempo a forma di dispotismo, ma da despoti scioperati e vani, perocchè non seppero provvedere nè alla sicurezza dell'interno nè alla guerra mossa di fuori, Pure tanii mali si soffrivano unicamente per loro, da che un interesse propriamente nazionale non era stato cagione della guerra. Gli stati generali di tanto in tanto raunati simboleg- giavano invero i diritti del popolo , ma non vi era legge che ne fermasse le attribuzioni, che ne regolasse le sedute, o che stabilisse il numero e la proporzione de’ rappresen» tanti. Perciò queste diete furon rare e di poca impottanza sotto il re Filippo VI (1328-1350), più spesso si raunaro- no sotto il re Giovanni II (1350-1364); ma divennero au- torevoli soltanto quando essendo il re captivo in Inghil. terra (1356-1360) la Francia si governava dal figlio, che fu 12 poi Carlo V. Gli atti degli stati ci fanno conoscere quali erano i lamenti de’ popoli, quali i sussidii accordati da’co- muni pei pubblici bisogni, e sciauratamente dissipati o da’ capitani o dalla corte, quali le promesse de’ regnanti, più presto violate che fatte, Gli stati ottenevano poco perchè ogni provincia scendeva ad accordi parziali, perchè la gelosia de’ grandi in verso i comuni impediva ogni buon successo. Ma la pazienza de’ popoli per grande che sia non è poi tanta che al fine non si stanchi, nè vi è teoria delle scuole o insegnamento popolare bastante a soffogare affatto il gri- do di natura che addita la forza come il rimedio estremo de’ mali sociali. Di che si vorrebbe argomentare che non nell’ aumento solo de’lumi, ma sivvero nelle relazioni dello stato sociale coi bisogni degli uomini debbe cercarsi la cagione dei grandi sconvolgimenti politici, i quali e accadono nei tempi di barbarie e ne’ tempi di mediocre e di avanzata civiltà . Solo dove non son lumi bastanti la violenza po- polare accresce il numero delle vittime , e dopo molte stragi e dupo molte miserie riman tuttora a sapere se alcun ben durevole ne abbia raccolto la civiltà. Così appunto accad- de ne’ movimenti rivoltosi di Francia de’ tre anni di reg- genza, l’esito de’ quali se si confronti con quello ben più avventurato che ebbe lo stabilimento delle franchigie mu- nicipali nel secolo XI, servirà assai a rincalzare ciò che in altro articolo siamo andati dicendo intorno al diverso mo- do di considerar la libertà nei grandi o ne’ piccoli stati , ed alla diversa importanza politica dell’ istruzione comu- ne in coteste due diverse posizioni sociali. ( V. Antologia Vol. XXVI. B. pag. 16). : Di una rivoluzione, i cui benefizi non rimasero alla Francia, non dirò lungamente . Solo farò avvertire che se nella maggioranza de’ francesi ebbe per oggetto 1’ allegge- rimento de’ patimenti presenti , fu da alcuni guardata sotto un punto di vista più largo . Si chiese la dimissione di 21 consiglieri del principe, si ottenne che gli stati si potes- sero alunare due volte all'anno in virtù della legge sen- za che facesse mestieri alcun invito a riunirsi per parte del rei, si ottenne che una commissione di trentasei indi» 13 vidui assistesse al governo nel tempo che cessavano gli stati generali , e finalmente sì pensò al modo di assicura- re il buon impiego dei denari somministrati pei pubblici bisogni. Il re di Navarra, ch'era stato fatto prigione a tra- dimento da Giovanni II, ebbe la libertà per le domande fattine dagli stati; il perchè mostrandosi favorevole alla parte del popolo ne guadagnò la fiducia con sommo dan- no de’ popolari , che furon poi da Iui traditi. Quest’ordine di cose, che durò manco di due anni, fu sostenuto colla forza e fu violato dalla mala fede . Il pa- | lazzo regio fu invaso dai democratici, e i ministri i quali, benchè tolti d’ uffizio seguitavano a consigliare il principe, e contro i quali i tribunali non ardivano proferir sentenza, furono uccisi alla presenza del reggente , obbligandosi que- st'ultimo ad approvare pubblicamente il fatto, ed assumere il cappuccio chei popolari aveano preso per divisa. Ma ben presto mancò ai popolari la forza, ed i sicarii ed i carnefici estinsero le vite dei più celebri fautori di libertà. Egual sorte ebbe il movimento rivoltoso dei contadini dell’isola di Francia ( così chiamavasi la provincia nella quale è posto Parigi ) conosciuto sotto il nome di Jacquerie. L'uso violento di torre ai miseri contadini tutto quello che abbisognava ai gentiluomini senza pagare, che avea dato luogo a tanti ri- chiami ed a tante inutili leggi, giunse al suo colmo in questi ultimi anni della guerra. Sicchè i contadini, stanchi d’esser così spogliati e manomessi, si levarono in massa per distruggere la nobiltà, e poichè erano chiamati Jacques in segno di disprezzo dai loro oppressori, questo loro movimento si disse Jacquerie. Le crudeltà commesse dai villani furono grandi, siccome suol esser sempre tremendo il risentimento degli avviliti e degli oppressi ; ma poichè ebbero tutti gli ordini dello stato contrarii furon presto domati , e di tanti sconvolgimenti non rimasero alla Francia che confiscazioni e supplizi. Il regno di Carlo V succeduto a tanti mali arrecò migliori tempi alla Francia. La prosperità pubblica, la potenza politica del regno sì vedon risorgere sotto questo principe soprannomi - nato il saggio, comecchè non si sappia quali provvedimenti 14 adoperasse pel ben della nazione. Ma un ammistrazione più regolare un miglior consiglio nella politica e nella guerra non sono per sè piccioli benefizi pei popoli a’quali pare che basti che non sia impedito perchè possano risorgere. La sola gran calamità di questo regno eran le bande di avventurieri, che spacciando il nome del re d'Inghilterra, predavano per le campagne di Francia senza che la forza pubblica pensasse da senno a ridurli al dovere. Ma anco queste cessarono , andando molti in Spagna ed in Italia. In somma sia buon consiglio del re, sia natural forza delle cose o effetto di fortuna, la monarchia francese crebbe di forze, acquistò influenza nelle cose di Spagna, e giunse a tale da potersi nuovamente cimentare col re d’Inghilterra, nove anni dopo che era stata conclusa la pace (1369). Di che furon cagione i richiami de’ sudditi di Aquitania per l’ alterigia del co- mando inglese, e le pretese della Francia d’immischiarsi a titolo di alta signoria nelle quistioni fra i popoli ed il re d’In- ghilterra. Questo accattar cagioni di guerra che per più anni andava facendo Carlo V, testimonia più che ogni altro fatto esser la Francia risorta sotto la sua amministrazione, da che quando esso salì al trono tanto era il timore che si avea degli Inglesi, che non si ardiva adoperare la pubblica forza contro gli avventurieri che si facean forti del nome del re di Inghilterra, ma si avea ricorso alle pratiche ed ai buoni uficii di questo re. La guerra coll’Inghilterra ebbe il consentimento delle due nazioni, e benchè per ambo le parti fosse condotta lentamente e senza fatti strepitosi, pure riescì piuttosto utile alla Francia, che riacquistò parte della Guascogna. Del resto i modi di trattare le città o espugnate o avute ai patti furono in questa guerra come nelle altre degni de’ secoli barbari. Ciò contrasta assai a prima giunta colla gentilezza colla quale i gentiluomini presi in guerra sole- vano esser trattati dai re o dai gentiluomini loro eguali. Ma i principii della cavalleria, che avean temperato i bar- bari usi di guerra pei cavalieri e pei nobili, non giovarono ai borghesi ed alla plebe. E quando vediamo nel successivo regno di Carlo VI notarsi dagli storici del tempo, come un 15 atto di clemenza, il non aver fatto perire alcuno nelle città di Compiegne e di Noyon, che il re avea avute ai patti, dobbiam dire che il’diritto della guerra fosse molto mal conosciuto dai Francesi. Pure dagli usi o vogliam dire dal diritto della guerra, può ricavarsi una delle più sicure misure dello stato di civiltà di una nazione. L’arte stes- sa della guerra, che può considerarsi come un altra misu- ra di civiltà, non pare che fosse allora molto avanzata in Francia, da che vediamo tenuta sempre in poco conto e talvolta rifiutata da’ cavalieri la fanteria de’ comuni. E quando poi si vedon gli eserciti di una nazione - valorosa e piena d’amore per le imprese militari, averla peggio in quasi tutte le battaglie senza sapersi riordinare , convien dire debole la disciplina ed ignota la scienza. Del resto questi eran vizi comuni delle milizie feodali che facean le guerre più lunghe e più calamitose. Se la Francia nella seconda metà del secolo XV salì in maggior potere, il do- vette in gran parte alle novità che furon introdotte nelle cose della guerra. Non è poi da far maraviglia se i gentiluomini francesi come chè valorosi non studiassero di ridurre a certi prin- cipii il governo delle cose militari: la loro vita consisteva o nel combattere , o nel godere , ma di studi sarebbe stato vano discorrerne. Leggevano per diletto e per vanità i libri di cavalleria, ne nutrivano la loro immaginazione, vivevano in mezzo alla corte, e molta parte del tempo consumavano nei ginochi di carte, che vennero allora in uso. Gli studi eran cosa troppo noiosa o dirò anco troppo meschina in Francia, perchè fosse da sperare che la nobiltà li volesse prendere in amore. La filosofia. d° Aristotile, la teologia, ed un poco la legge senza filosofia e senza eru- dizione, erano quasi i soli studi che fiorissero in Francia; e la prima educazione si dava da tali*che certo non avreb- ber potuto riscaldar la gioventù nell’amor dello studio, D’ altra parte la condizione politica della società non dava alcun impulso all’ avanzamento del senso comune, Ma l’ozio ed il lusso della corte, onde sono venuti i maggiori mali de’ popoli sotto i Valois, corrompevano al 16 tutto i costumi de’ nobili; e se in altri tempi i cavalieri aveano in onore la protezione delle vergini e delle vedove, e l’onestà del bel sesso, in quelli di cui discorriamo altro non cercavano che i fisici godimenti. Si vorrà forse dire che anco ne’tempi antichi intervenisse lo stesso. Ma ciò sarebbe negare quello che i libri del tempo ne attestano , e spinger troppo oltre lo scetticismo. Voglio conceder molto all’ im- pero dei sensi, ma non credo doversi stimar poco la po- tenza dell’immaginazione ed il sentimento vivo del dovere, considerati come motivi delle azioni. Ma sia di questo ciò che si vuole, mi pare che per un altro lato fosse decaduta la nobiltà francese , vo” dire per il lato della lealtà, Gli atti di perfidia che la storia ricorda in questi tempi sono molti, e ciò che anco val più di questi fatti si è la teoria intorno ai tradimenti che Giovanni il Piccolo propose in difesa del duca di Borgogna : si leggono anco. per parte de’ nobili alcuni atti di crudeltà esquisita, che sono anco più propri dell’ uomo corrotto che dell’uo- mo naturalmente feroce, In compenso di questi mali si vorrebbe pur valutare dal nostro autore la serbata unità della monarchia, ad onta dei mezzi che avrebbero avuto cinque o sei gran feudatari per emanciparsi, dal potere regio, se invece di esser cor- tigiani avesser pensato da senno a farsi potenti. Ma fu poi questo un bene? Ciò si vuol lasciare al giudizio de? lettori. Solo è da considerare che questo bene, se pur fu tale, costò guerra civile, corruzione di costumi, e mezzo secolo di effettiva anarchia, comunque sì avesse in gran riverenza il nome del re, e la nazione fosse tutta di principii mo- narchici. Di questi mali noi ne vedremo una parte sotto il regno di vCarlo VI; ma ne rimangon molti che son fuori de’limiti cronologici di questo discorso, Carlo V, giacchè bisogna dire qualche cosa del suo carat- tere prima di parlare di Carlo VI, fu piuttosto destro nelle arti del governo che nelle cose della guerra, ebbe in diffidenza gli stati generali, e si mostrò avverso al terzo ordine del popolo nel favorire il Conte di Fiandra contro i Gantesi, consigliandolo anco a far sicuro il suo potere coll’ impoverimento de’sud- baci diti. Pare che Carlo V convocasse gli Stati Generali soltanto per aver denari, da che la tutela del successore e la reggen- za del regno , due punti di diritto pubblico che si sarebbero devuti decidere dagli stati, furon'regolati dal suo ‘arbitrio. La qual cosa sempre più conferma quel che si dicea in prin- cipio di questo articolo intorno all’ incertezza o piuttosto alla mancanza di diritto pubblico in Francia, Negli ultimi anni di Carlo V per la morte: di Grego- rio XI (1378) ebbe principio il grande scisma d’ occidente terminato col concilio di Costanza nel secolo XV (1418); Il che, siccome fa di grandissima diminuzione all’autorità papale, mi richiama a discorrere alquanto dello stato della chiesa nel periodo di storia che abbiam rapidamente percotso. Sarebbe cosa fuori dell’ oggetto nostro il parlare de’co- stumi della corte di Avignone ; tutti ne sanno già ‘quanto basta , e chi voglia leggere qualcuna delle lettere ‘del Pe trarca se ne può facilmente fare un idea ;° ma la natura di questo nostro articolo non consente che andiamo spigo- lando gli scandali per rallegrare i nostri lettori. Si potrebbe eziandio discutere se sia poi vero quello che da molti si va dicendo, essere ‘stata la residenza ‘de’papi in Avignone epoca segnalabile di corruttela, o se ‘piùttosto non sia acca- duto che si reputassero maggiori quei vizi de’ quali ‘si era maggiormente discorso, senza far ragione dell’aumentata li- bertà di discorrere e del cresciuto numero di’ serittori, due circostanze che dovettero far la condizione: de' papi ‘avi- gnonesi peggiore di quella de’ papi delle età ‘precedenti, Nondimeno, siccome una tal disamina è strettamente: con- nessa coi fatti che si voglion tralasciare, così la commetterei sempre alla prudenza de’ lettori, quando anco mi sentissi le forze, che poi non ho, di discuterla a dovere. Diròd'piut- tosto che l'essere i papi lontani da Roma ne scemò la po- tenza politica in Italia, e l’ essere nella devozione del re di Francia tolse loro buona parte d’influenza negli affari generali 'd' Europa, e permise ai Francesi di consolidare le libertà della chiesa gallicana. Le scomuniche fàron più rare e meno apprezzate , le ragioni de’ principi furon più caldamente sostenute è con maggiore effetto. Appartengono T. XXXIII. Febbraio. 18 al pontificato di Giovanni XXXII le proposizioni. di Marsilio di Padova, perle quali non solo si difende il. poter, civile da ogni .supremazia | del sacerdotale, ma.:sì sostengono si diritti dell’ Impero; nelle.cose di religione: Nel itempo stesso altre quistiohi più importanti per l’ autorità pontificia co? minciavano ad occupare gli uomini) e; questa volta non bastava più all’ uopo. il’ inquisizione. L’ inquisizione fece bensì' perire: delle vittime, trattenne il corso naturale degli avvehimeriti, ma non ‘potè far sì.che le nuove opinioni non mettessero salde radici. Delle eresie/del X1V. e del XV secolo e. in Italia ed in Germania.ed in Francia ed.in Inghilterra futon varie le! specie. e varie le \cagioni; vi erano quelle del- l’infima plebe, vi eran quelle de’ teologi,, vi eran quelle delle; scuole aristoteliche; e finalmente. ve. ne furono delle più. adatte alla capacità dei .popoli; € siccome meno sottili e. più. pratiche; poteron sole trionfare. De’Begardi o Beguini, de’ Fraticelli e.de’Turlupini oggimai è appena notoil nome; i seguaci. di quelle opinioni in gran parte furon; spenti dal- l’inquisizione, e quelli che rimasero 0 vissero. oscuri 0 se+ guirono. lel\eresie nuove che sorsero ne’tempi posteriori, Dei frati. e de’teologi e degli aristotelici, fra” quali alcuni, per eccesso di. pietà, altri per. sottigliezza furono autori, di nuove (sentenze, fu anche facile all’inquisizione trionfare, Natale-Alessandro dà un ragguaglio assai. minuto di tutte le erésie; del XIV e del XV secolo., dal quale apparisce che il. sacrifizio della messa., la confessione e la necessità del ministero-dei preti furono gli articoli i più frequentemente controversi dai seguaci delle diverse opinioni. Furon anco ‘più varie le sentenze sopra altri sacramenti, sulla neces- ‘sità dell’orazione , sulla libertà delle azioni umane, e.sulla giustificazione. Tra le proposioni condannate in quel tem- po vi fu. quella, dell’ eternità del mondo, e l’altra che anco Cristo poteva! aver fallito., oltre alcune poche che crollavano i fondamenti della religione cristiana o anche di ‘ogni religione. Queste: ultime sentenze, che per lo più erano delle scuole aristoteliche, rimasero in quelle e si vi- dero avere dei sostenitori anco ne’ tempi. successivi. Ma delle altre si andò componendo la dottrina de’ Lollardi: in 19 Boemia, poi quella. di. Viclefo.in Inghilterra, che ritornata in Boémia ; ‘ebbe tanti ardenti sostenitori nel' secolo X.V. Contro questi semi, dai quali è venuta poi la.riforma di Lutero \e degli altri suoi coetanei, non valse l’ autorità de’ Pontefici. Il pontificato di Gregorio .XI (1370:1378 ) può segnalarsi come l’.epoca in cui l'eresia acquistò for- za maggiore s infatti ‘vediamovil. pontefice indirizzar let» tere ‘agli inquisitori perchè rinnovassero i rigori e proce- dessero. con. maggiore \acerbità. Di quel tempo è pure la predicazione di Viclefo in ile egg protetto; dal. duca di Lancaster. i hast ddt : «Lo scisma? scemo la fon dell’ inquisizione, ed allora quel, fermento iche già cominciava. a scorgersi nelle opinioni intorno al domma e alla disciplina potè meglio avanzare. Ma già assai prima la condotta di Giovanni XXII (1329, 1333, 1334) avea dato occasione ad alcune questioni. in» torno ‘all’autorità del pontefice, che son rimaste poi, anco nella chiesa cattolica. Parlo delle quistioni sulla. visione beatifica e sulla povertà evangelica. 11 papa condannò i mendicanti e Michele di Cesena loro generale, perchè so, stenevano esser tale la forza del voto di povertà cui erano astretti , ch’ essi non dovean reputarsi proprietarii nè pure del. pane che mangiavano. Ciò mosse Michel di Cesena .a porre in dubbio 1’ infallibilità del. pontefice. D'altra, parte, siccome. pare che Giovanni X.XII sostenesse contro il co- mune consenso della chiesa esser concessa ai beati la vi: sione di Dio soltanto dopo il giudizio finale, la Sorbona dichiarò solennemente che se. il, papa teneva questo per fermo si dovesse reputare eretico. La qual dichiarazione fu anco rinnovata, un’ altra volta con minacce di Filip- po VI al pontefice. E benchè il papa morendo approvasse in modo solenne l’opinione comune, e dicesse d’ aver di- versamente parlato, non già per stabilire nuova dottrina, ma per eccitare maggiore studio, della ricevuta , di quelle dispute teologithe 1’ effetto fu che si cominciasse a discu- tere dell’ infallibilità del pontefice. Michele da Cesena e la Sorbona l’impugnavano, ed i chiosatori del diritto ca- ‘nonico. ammettevano per possibile il caso di un papa ere- 20 tico. Queste opinioni, che si mantennero nel tempo del papato degli avignonesi, crebber poi negli anni dello sci- sma. L’ università di Parigi ebbe in quel tempo e Gersone e Giovanni il Piccolo ed. altri celebri teologi, che son lodati come i maggiori sostenitori delle opinioni particolari intorno al governo esteriore della chiesa che distinguono i dottori francesi. Molte di queste cose si sarebber dovute dire sotto il regno dell’infelice Carlo VI, ma le calamità della Fran- cia sotto quel regno richiedevano tutta la nostra attenzione. Ma non voglio avanzarmi più oltre senza avvertire i lettori già stanchi ch'io mi trattengo a parlar di delitti e di sventure non per libera scelta ma per storica necessità. 1 tempi che abbiam presi a considerare non ci offrono in Francia che tristizie, e queste al certo non si devono ta- cere. Dubito anch'io che gli nomini raramente imparino per le vie del dolore, e credo piuttosto che l’eccesso delle calamità li faccia anco più vili che infelici. Perocchè il continuo succedersi de’ mali toglie dal cuore la speranza, e ti avvezza a considerar necessario ciò che vedi accade- re; così le simpatie a poco a poco vengono meno, e dal- 1’ altro canto manca l’ ardire di por mano ai rimedii. Peg- gio poi vanno le cose se essendo tu avezzo a riguardare le calamità onde sei afflitto come mezzi di bene, i pregiudi- zi t’ impediscon la via di cercarne le vere cagioni, Allora sì che rimane difficile il definire sin dove giunger possa l’ avvilimento degli uomini, e sino a qual segno i tristi che ne godono possano aggravare la mano sopra di loro. Pure se fosse possibile rinvenire una certa misura della pazien- za e della rassegnazione di cui gli uomini son capaci, si avrebbe un dato sicuro pei calcoli di probabilità onde può risultar Ja speranza nel perfezionamento morale e civile degli uomini, Disgraziatamente quanto più si studia la storia, meglio si conosce la somma difficoltà di stabilir con sicu- rezza una regola generale, si scopre la fallacia di tutti i sistemi , e si vede quanto nella felicità degli uomini sia sempre permesso all’impero di fortuna, che pare si eserciti più spesso în danno che in benefizio dell’ umanità. Non- dimeno vi sono de’ bisogni così forti nella natura umana, nf che a tutta possa vogliono esser sodisfatti, che vincono gli ostacoli materiali, superano i pregiudizi, e trionfano facil- mente quando la società è già in tal modo corrotta, che le quistioni si decidano quasi per: la sola fisica forza. Ma in uno stato di media civiltà, se i pregiudizi aggiungon po» tenza morale alle forze fisiche dalle quali derivano i mali sociali , riman sommamente difficile agli uomini di avan- zare, poichè i pochi che si avvisano di pensare da senno ai propri interessi, van piuttosto ad accrescere il numero de’malvagi , che a farsi procuratori della comune utilità. Le moderne nazioni europee sono escite anco da questo secondo stato , ma vi hanno faticato più che ad escire dalla barbarie per giungere allo stato di civiltà mediocre, e mol- te nazioni rimangono ancora sulla terra delle quali non si saprebbe dire se e quando potranno avanzare. Queste difficoltà non muovono già da difetto naturale di forze , ma da una disgraziata influenza delle idee sulle azioni , che o rende sterili i doni di natura, o più spesso spinge gli uomini a rivolger le proprie forze contro sè stessi, Il filosofo che considera quanto sieno semplici le ragioni d’interesse che avrebber dovuto condur gli uomini per la di- ritta via, quanto agevole a farsi il calcolo delle forze, deve rimaner maravigliato nel vedere con quanta lentezza si giun- ga ad una larga civiltà. Ma se riflette un momento non può mancare di conoscere di qual ritardo sieno state ca- gioni le larve dell’immaginazione, e le vane astrazioni che son ricevute senza essere ragionate nè intese, e però ridu- consi ad una potenza di nomi. Concederà volentieri , poi- chè niente parmi doversi tenere per assolutamente e co- stantemenre vero , che queste stesse cause di guai, ab- biano anco prodotto de’ beni ; ma dubito assai che il male superi di gran lunga il bene. Bisognerebbe poter far ra- gione del sangne sparso per le questioni che non aveano alcuna utilità, dell’ avvilimento che viene dal soffrire , dell’ inquieto moversi de’popoli, del loro frequente vendi- carsi senza sapere precisamente e che volessero e cosa aves- ser dritto di volere, e poi se ne avrebbe un qualche lume per scioglire la questione. Per nostra mala ventura il calcolo 22 degli enti morali non puòridursi a matematica dimostrazione, dipendendo dalla diversa misura con che ciascuno è solito estimarli. Solo sarà utile osservare che.nel gran movimentò che agitò i popoli negli ultimi cinque secoli dell’età di mez> zo, se tutte le forze che spiegarono fossero state dirette ad un fine' di ben conosciuta utilità, se.ne sarebbe dovuto ot tenere un risultamento anco maggiore di quello che difatto si conseguisse, E poichè vediamo dal XIIl al XVI. secolo la Francia procedere assai più lentamente, non dirò sol- tanto dell’Italia, che non sono neppure da fare confronti, ma dell’Inghilterra e della Germania comechè non cedesse loro in agitazione sociale, mi pare che si abbia un’ argo- mento di più per sostenere la tesi che di sopra annunzia= va. Perocchè la condizione politica della Germania e del- l’ Inghilterra era tale da richiamare più facilmente che in Francia gli uomini ‘alle considerazioni dei fatti; e per quanto si voglian suppor igli uomini poco capaci di :ragio= nevolezza, pure l'esperienza dimostra che il fatto ha la forza di vincere se non in tutto almeno in parte le vane speculazioni, Sono sceso in questa digressione più per proporre utia questione che per risolvere cosa alcuna. Del resto, siccome credo ch’ essa sia una di quelle tante che posson ricever lume dalla storia dell’età di mezzo, così mi pare ché nel- 1’ accerinarla io non sia poi escito dall’ argomento. Potrei forse farne una qualche applicazione alle nuove scuole di filosofia trascendente che sembrano prender piede in Fran- cia, ma questa sarebbe davvero una digressione, ed io vo» glio finirla con Carlo VI. Il regno di questo principe infelice dette alla Francia 41 anni (1380, 1421) anco più calamitosi dei regni dei due primi Valois. Sono da notare nel medesimo tre pe- riodi distinti, vale a dire otto anni dell’ amministrazione degli zii (1380-1388); tre anni ne’ quali Carlo VI governò da sè; e 29 anni di pazzia del re, ne’'quali potrebbe dirsi quasi che la Francia non ebbe governo (1392-1421). Non era ancor morto Carlo V che il Duca d’Angiò , uno degli zii del nuovo re, si era violentemente appropria- *VTRRERME'CEZIE CE È .to il tesoro regio;'ed'avea ridotto il governo alla necessità .d' imporre‘ai ‘popoli nuove gravezze . Questo fatto fu il preludio della rapacità colla quale:gli zii avrebber. gover- nato, e che ‘non cessò mai nel tempo della loro ammini- strazione. Ma fosser eglino almeno stati in pace fra loro! Questo nè pure era da sperare da che si eran visti pros- simi a venire alle armi per decidere della tutela e della regsenza nella minore età del re. Il perchè essi seguirono il consiglio di dichiarare Carlo VI, allora in età di 12 anni, capace di reggere lo‘stato. Ciò non toglieva loro di fatto l’am- ministrazione ; perchè il principe vivendo nell’ozio lasriava agli zii le cure dello stato, e firmava le ordinanze secondo che gli erano proposte. Lo conducevano invero al campo di battaglia, ma tenendolo sempre lontano dal pericolo lo face- van poi godere del lacrimevole spettacolo de’patimenti de’ vinti , e contare i morti ich’ eran periti per le armi’ regie. . Nè i vinti erano già inglesi. Erano i borghesi delle Fian- dre, massime Gantesi, erano quelli di Rouen, eran quelli di Linguadoca; che avean voluto difendere i privilegi mu- nicipali acquistati per la foiza e già riconosciuti? da’ re. Contro di questi si procedeva con furore più che ostile, quasi non fossero membri della monarchia francese ; dirò più chiaramente, quasi non fosse con loro comune una stes- sa lesge di umapità. La storia della Jotta dei borghesi contro 1’ aristocra- zia è forse la sola parte della storia del regno di Carlo VI. nella quale si scorga qualche virtà , la sola almeno in cui si possa riconoscere il buon senso della nazione, Pare quasi ineredibile 1’ odio che spiegarono i gentiluomini, francesi contro i borghesi, ed appena si può capire come un re possa avere avuto disegno di fondare la sua potenza sulle rovi- ne. Si è parlato molto della perfidia dei tiranni d’ Italia, ma niuno in quel tempo eguagliava in perfidia il duca di ‘Borgogna e gli altri zii del re di Francia, Un sistema di distruzione e d’ impoverimento quale fu da essi adottato non fu mai seguito con tanta perseveranza in quel secolo da alcuno de’ signori Italiani. Gli zii messero nell’ animo del re tanta diffidenza 24 de' borghesi , che di tutto faceva ragione a decretar con fiscazioni e supplizi. Nel ritorno del re da una delle sue solite spedizioni i parigini si eran preparati a ricever- lo con festa militare chiamando la gioventà a prender le armi. Fu dato ad intendere al re che ciò che era fatto per onorarlo avèsse un secondo fine. Quindi esso venne verso Parigi cogli ordini che si terrebbero avvi- cinandosi a città nemica. Di che avvertiti i parigini ri- chiesero spiegazione del voler regio, per uniformarsi al quale docilmente deposero le armi. Ma che ne avvenne? Oltre i segni di disprezzo che afflissero l' intera nazione, cento cittadini faron condannati come rei di stato, e le so- stanze di molti furon applicate al fisco, Queste interne fa- zioni impedivano alla guerra, che sempre durava cogli in- glesi, di avanzare al suo fine. Ma siccome poche erano le forze che allora avea 1’ Inghilterra in Francia , due volte i francesi avean fatto disegno di portare la guerra nella Gran Brettagna; il popolo avea supplito alle spese, il governo avea fatto le provvisioni , i gentiluomini sempre pronti alle armi erano accorsi; ma gli zii del re conver- tirono in proprio profitto i denari, e per privati rispetti fecero andare a vuoto Vimpresa. Per farsi un idea della disciplina degli eserciti regii che traversavano la Francia, giova riferire un passo di Froissart, nel quale descrive la marcia de’ francesi che nel 1386 dovean passare in Inghil- terra . Adone vint le roi de France à Baupaume, Arras et Lille et toujours avaloient gens de tout còté si grandement que tout le pays en etoit mangé. On prenoit par tout sans rien payer. Les pauvres laboureurs qui avoint remplit et recneilli leurs grains, n’en avoint que la paille, et s’ils en parloient ils etoient battus.ou tués. Les viviers ‘estoient pechés, le maison abbattues pour faire du feta. Ne les anglais g’ils fussent arrivés en France ne pussent point faire plus grand exil (scempio) que les troupes de France y faisoit. La les maudissoient les povres gens. ..... maisles maudissoient entre les dents disant: or allez en Angleterre que jamais n’en puisse-t-il revenir piece. Fra tanta corruzione, Carlo Vl poteva riguardarsi co- 25 me il migliore individuo della sua famiglia , almeno i po- poli fidavano in lui. Disgraziatamente però non abbiam fatti bastanti per portare un giusto giudizio del re. Velia- mo in lui un uomo avvezzo fino dalla più tenera età a non soffrir contradizioni, educato nelle mollezze di una corte corrotta, mancante delle cognizioni necessarie a governare uno stato e che nondimeno avea una certa ambizioncella di gloria, e forse avrebbe potuto volere il bene dei popoli dove questo si fosse potuto conseguire senza riforma di co- stumi , e senza diminuzione di dispotismo. A questo re prima colle pratiche secrete , poi con discorsi, aperti fu fatta intendere la necessità di assumere le redini dello stato e di licenziare gli zii. Il che esso eseguì al finire del 1388 ringraziando gli zii dell’assistenza che gli aveano prestata , e richiamando i consiglieri del padre al gover- uo de’ pubblici affari. I nuovi consiglieri che Carlo VI si mise d’ attorno non erano per certo uomini di specchiata probità, ma sia per contraddire agli zii del re dai, quali erano stati maltrattati , sia ngn) avessero maggior cogni- zione dell’ arte di governare, essi fibre a molte utili riforme , fecer cessare le violenze , e stabilirono una certa regolarità nell’ amministrazione delle regie entrate. Ma questo bene durò poco, perchè nell’anno 1392 essen- dosi manifestata la pazzia del re e’ furono allontanati dal duca di Borgogna, che impadronitosi della persona del re, ritornò all’amministrazione degli affari. La pazzia di Carlo VI marifestavasi per accessi di fu- rore ch’eran poi seguiti da lucidi intervalli di ragione, ma di ragione debole perchè d’uomo consumato nella scostuma- tezza , talchè alfine questo principe infelice si ridusse ad essere or frenetico ed ora imbecille. Non ostante sino quasi all’anno 1403 si videro alcuni utili effetti della rasionevo- lezza che di tratto in tratto andava riacquistando. Perocchè fu veduto revocare talvolta le vrdinanze inique che il duca d’ Orleans, succeduto nel governo al duca di Borgogna, gli avea fatte firmare, impedire alcuni atti di crudeltà , ado- perarsi per la pace della chiesa, e per mantenere la tregua coll’ Inghilterra , che sino dal 139$ avea potuto stabilire. T. XXXIII. Febbraio. 4 26 Ciò per altro non toglieva che in alcune provincie fosse sempre la guerra civile, e che i reali di Francia non op- primessero i popoli ne’ feudi di loro dominio . Carlo avea un medico che ne curava saviamente la malattia e gli dava buoni consigli, e questo fu dai principi allontanato ; tro- vava qualche sollievo nel conversare con Valentina Vi- sconti sua cognata, ed a poco a poco gli fu impedita ans che questa consolazione ; insomma fu trattato nel corso della malattia con maggiore acerbità che non si soglia usare coi pazzi. Ciò non per tanto tutte le leggi escivan fuori firmate da lui, e la Francia, che non ne ignorava 1° alienazione , per certa finzione di gius dovea reputarlo savio. Pareva forse inconveniente che il re che stimavano maggior delle leggi dovesse poi confessarsi suddito di na- tura ? Comunque sia, non si adunarono gli stati generali per aecertare il fatto dell’alienazione di mente del re e provvedere al governo del regno , nè i principi dal canto loro credettero dovere stabilire una reggenza. Sicchè il re pazzo a discorrerla in diritto governava la nazione, ma il governo difatto risiedeva in chi possedeva la persona del re. Insomma la persona di Carlo Vl era un sigillo il cui possedimento fu cagione di sanguinose gare , fra uomini perfidi viziosi e crudeli, e con questo bell’ordine per quasi trent’ anni fu governata la Francia. L’amministrazione del regno, che in principio era ca- duta in mano del Duca di Borgogna zio del re, passò poi in quella del duca d’Orleans fratello del re, che governò con modi crudeli. Per tre anni la gara del potere se ne stette nei termini dell’ intrigo , ma poi nel 1405 scop- piò in aperta guerra civile. Il duca di Borgogna , eugino del re , figlio di quello rammentato di sopra, impadro- nitosi a forza delle persone del Re e del Delfino , vitu- però nel consiglio regio il duca d’ Orleans, e poi lo fe- ce uccidere a tradimento (1407). Di che si mossero in principio alte querele , per sedar le quali Giovanni il Pic- colo mandò fuori l’ apologia del fatto del duca che se ne riconosceva pubblicamente autore ; ma poi la famiglia dell’ucciso fece la pace col duca, che ispirava terrore a 27 tutti i reali di Francia, e godeva il favore dell’infima ple- be (1409). Nondimeno i semi d’odio fra le due famiglie dovean produrre ben altri frutti, sicchè ad onta della pace fatta si vide presto ricominciare la guerra civile. Goncios- siachè avendo il giovane duca d'Orleans sposata una figlia del conte di Armagnac, cominciò di nuovo a proceder ostil- mente contro il duca di Borgogna. Sorsero allora due fa- zioni, che si dissero degli Armagnac e di quei di Borgogna, per le quali si mantenne sempre viva la guerra civile per tutto il regno di Carlo VI. Il trionfo per esse consisteva sem» pre nell’ aver piede in Parigi e nel tenere in proprie mani la persona del re; per questo non aveano scrupolo di col- legarsi coll’Inghilterra quando facea loro di bisogno. Fu- ron varie le sorti negli anni 1411 e 2412, finchè nel 1413 rimase il duca di Borgogna padrone. Esso pensò a radu- nare gli Stati pei bisogni del regno, ma da quella adunanza non ne escì alcun effetto , Peraltro ciò che gli Stati non fecero lo tentò l’Università indirizzando a) re una rappre- sentanza, nella quale si notavano gli abusi e si domanda- vano i rimedii. Quest’ atto dette ansa ai beccai di Parigi, secretamente istigati dal duca di Borgogna, a domandare sediziosamente il castigo de’ partigiani di Armagnac e de- gli amici del Delfino, i quali fomentandogli i vizi sembra- vano voler togliere la sola speranza che rimanesse alla Francia. In questi movimenti sediziosi merita d’ esser no- tato il miscuglio singolare di riverenza e d’ amore pel potere e per le persone del Re e del Delfino , colle vio- lenze che si commettevano sotto i loro occhi contro il loro voto, costringendoli sempre ad approvare ed a lodare i più sanguinosi eccessi. Il duca ch’ era stato promotore del disordine non vi prendeva parte apertamente , ma fi- gurava piuttosto come mediatore e moderatore ; il Re ed il Delfino cedevano alla forza maggiore, ed i borghesi già decimati dai re soffrivano le violenze della plebe senza aver animo di resistere. Si crede che 1500 e secondo al- cuni 3000 persone fossero fatte morire in quei giorni di anarchia. Ciò che fosse fatto delle proprietà si può facilmen- te immaginare, considerando in qual sorta di persone fosse 28 venuto il potere. Ma 1’ uso della forza suscita le forze, ed alfine i borghesi pensarono a reprimere i beccai; lo stesso fecero i principi che eran fuori di Parigi, talchè convenne al duca di Borgogna ritirarsi ne’ suoi feudi, e permettere il ritorno di Armagnac. La reazione fu violenta , i partigiani di Borgogna fu- ron perseguitati, la memoria di Giovanui il Piccolo con- dannata , ed il re condusse un esercito contro Borgogna per castigare questo suo perfido cugino ( 1414 ) . Sarebbe stato un solenne esempio per la Francia il meritato ca- sfigo di un principe reale; ma troppa era la venerazione pel sangue regio per che questo si potesse ottenere. Dopo che furono espugnate diverse città, e parve vana la resi- stenza, Borgogna si mise ai piedi del re e ne ottenne per- dono . Sicchè un tanto movimento contro un individuo della famiglia reale ebbe il solo effetto di accrescere le miserie de’ popoli innocenti. La città di Soissons presa a forza dal re fu teatro d’ orrori, Quasi tutta la guarnigione fu passata a fil di spada (usiamo le parol= dell’A.), un gran numero di borghesi fu ucciso o nelle strade o nelle case, il pudore delle femmine fu violato senza alcun rispetto per le vergini consecrate a Dio. Le ricchezze delle chiese furon preda de’ soldati non meno «elle ricchezze private; nè mancaron quelli che gettassero nel fango le ostie per impadronirsi de’ ciborj d’ar- gento, o le reliquie de’santi per averne le casse. Dopochè il sac- cheggio cessò, 6 gentil’ uomini e 25 borghesi furon condotti al supplizio dagli uomini del re. Quelli infelici erano puniti per essere stati fedeli alla fazione che il re avea abbandonata pochi , mesi prima, senz’ altro motivo che il caso che gli avea fatto ca- pitar davanti de’ visi nuovi. Ma queste erano consegnenze necessarie del gius pub- blico che vigeva allora in Francia. La guerra che non avea nociuto al duca di Borgogna non dette la pace alla Francia, Il Delfino, finchè visse, di- sprezzati gli avvertimenti de’principi, crebbe sempre in sco- stumatezza, e prese in odio i moderatori, Il principe che gli succedette in qualità di Delfino morì in breve con so- spetto di veleno, Il terzo Delfino, che non fu men tristo degli altri individui della regia famiglia, sposò la parte deì su conte di Armagnac, servì alle vendette del conte, esiliò la madre da Parigi, e permise che fosse derubata dagli Arma- Enac . Mentre in Parigi si versava così il sangue de’cittadini , Arrigo V re d’ Inghilterra si faceva signore di mezza la Francia, ed il duca di Borgogna si avvicinava ostilmente alla capitale (1414-1417). La crudel tirannia di Armagnac faceva desiderare a molti Borgogna, quasi si potesse avere migliore governo sotto di lui. Ma prima che il duca po- tesse entrare in Parigi il popolo scosse il giogo di Arma- gnac e ne fece spietata vendetta. Armagnac fu ucciso dal popolo, molti suoi partigiani furon fatti morire, e per quelli ch’erano ritenuti prigioni il 12 giugno ed il 22 agosto 1418 furono un 2 settembre, La guerra civile crebbe allora in atrocità ; per lo più da una parte e dall’ altra si uccide- vano i captivi, e bastava che un malevolo o un debitore denunziasse taluno come Armagnac perchè il popolo gli togliesse la vita. Borgogna cercò invero di sedare il tumulto e di far pace col Delfino, ma per tutto l’anno 1418 rie- sciron vani i tentativi. Non ostante il bisogno di pace era tale che i francesi a qualunque costo avrebber voluto che facesse. Il perchè al principio del 1419 si fece tregua fra gli Inglesi ed i Francesi, i Borgognoni e gli Armagnac. Cogli inglesi alla fin de’fatti riesciron vane le trattative di pace per le loro eccessive pretese; col Delfino si venne ad apparente riconciliazione. Sicchè , e nello stesso anno rico- minciò la guerra contro gli inglesi che gia si avvicinavano a Parigi, ed il Delfino venuto a nuove contese col duca di Borgo- gna lo fece uccidere in un abboccamento nel quale si doveà trattare di pace. Questo enorme tradimento suscitò l’indi- guazione de’ partigiani di Borgogna, e poco mancò che non decidesse a favor degli Inglesi della successione al trono. Perocchè il nuovo duca di Borgogna intento a vendicare il padre propose di escludere il Delfino dalla successione | e di trasferire i diritti di lui nella persona di Enrico V. Su | queste basi furono stabiliti i preliminari di un trattato di | pace a Troyes nel 1420. Il parlamento condanno in con- | tumacia il Delfino, e Carlo VI fu ridotto a prendersi per | I | so figlio adottivo il re d’Inghilterra (1431). Ma l’ alterigia degli inglesi alienò gli animi della nazione, e la morte de’ due re Enrico V e Carlo VI nel 1422 , lasciò la Francia in preda alla guerra civile ed alla guerra esterna. La razza de’ Valois trionfò per una serie di calamità e di perfidie simili a quelle che abbiamo narrate, sicchè se al finire del XV secolo la monarchia francese era già tornata poten- te, la civiltà della nazione avea pochissimo avanzato. Ma a questa parte non si estende il nostro articolo. F. Forti. LETTERE DALLA GERMANIA ALL’ ACCADEMIA LABRONICA. N.° XII. Passeggiata nel Wurtemberg. Troverete forse strano, pregiatissimi colleghi, che in un tempo , in cui non si vogliono più altri viaggi che quelli fatti ai poli , o sotto l’equatore, io venga a par- larvi d’una passeggiata fatta in un paese centrale d’Euro- pa. Giusta è la vostra maraviglia, nè io pretendo scu- sarmi ; anzi dichiarerò che neppure udrete da me osser- vazioni scientifiche o ricerche antiquarie o straordinarie avventure. ll mio solo oggetto era di meglio conoscere il paese, in cui mi ritrovo , e sarò contento se potrà la mia relazione darvi un’idea della natura di quei luoghi, de’quali ho intenzione di continuare a ritrarvi quadri morali. Era una bella mattinata di giugno, quando uscito da Stutgardia traversava i viali del giardino reale, dirigendo- mi a settentrione verso la Valle del Neckar. Corre questo fiume, tributario del Reno, fra colli ameni, sulla maggior parte de’ quali prospera la vite, se non che dove troppo s’innalzano, succedono alle viti boschi di faggi, e di quer- ce, mentre quella parte di piano che fino al fiume si estende , è ricoperta d’ alberi fruttiferi o di piantagioni di salci. All'ombra di questi alberi, che in parte ancora fio- rivano, in parte già tenevano fra le foglie nascosti i frutti 31 nel loro primo sviluppo, io seguiva verso l’ oriente una direzione inversa a quella delle acque. Lasciai a sinistra quella pianura di Cannstad , nella quale ogni anniversario della nascita del re celebrasi quella festa popolare da me altrove descritta, nella quale si dispensano premii a chi si è reso benemerito dell’ agricoltura e dell’ industria nazionale. Alzai gli occhi verso la cima del Rotemberg, ove altra volta sorgevano le rovine del Castello di Wur- temberg , che fu cuna della famiglia regnante; cuna che adesso è stata cangiata in tomba, riposandovi in vago tem- pietto di stile greco, di architettura di un nostro concitta- dino, la spoglia mortale dell'ultima regina di Wurtemberg sorella dell’ imperatore Alessandro. Passai , meditando su tal metamorfosi, per varii paesetti, ai quali non mi trat- tengo per giunger subito nella Valle del Lenninger ai pie- di d’ un monte, sulla cima del quale visiteremo un rovi- nato castello. Ma perchè la salita è assai ripida, e che ab- biamo già fatto più di quindici miglia, riposiamoci un po- co nella piccola città di Oven in casa del bravo curato, che è persona da visitarsi da chi viaggia a piedi, perchè v° instruisce di quanto havvi d’ interessante nel paese , e nei contorni. Oven, quantunque dicasi città, è un ‘paesetto di circa mille sei cento abitanti, de’ quali la principale occupazione è la cura dei campi e degli armenti ; la val- le in cui è situata è celebre per la quantità de’ suoi al- beri fruttiferi, che in vero formano un non interrotto bo- schetto irrigato dalle acque limpide della Lauter. I costu- mi degli abitanti son buoni, soprattutto da che vi è stabi- lita una scuola d’industria per le ragazze, che deve la sua origine a un caso assai singolare. Un giorno il curato si vide comparire innanzi una povera donna che scapiglia- ta, affannosa, piangente si lagnò d’essere stata senza com- passione percossa dal suo marito, e convalidò le sue la- gnanze di non equivoche prove. Il curato fece chiamare l’ accusato; questi venne, e non che negare il fatto, nep- pure cercò di scusarsene , dicendo che quel che avea fatto era un giusto gastigo per la moglie, che gli dava da portar i panni laceri, che mai non rassettava; e aggiunse che era 39 un gran pezzo che egli pazientava, mentre il tale e il tal altro, che nomina, già aveano in più occasioni dati ricor- di alle loro mogli, le quali non volevano nè cucire nè far altro. La donna addusse una sola scusa ma valida assai: il non sapere. Il buon curato fatta al marito una buona pa- ternale rimandò i coniugi in pace, o piuttosto raccoman- dò loro la pace; e poi fatte in paese le sue ricerche, tro< vò che difatti era nella sua parocchia buon numero di ma- riti, che credevano poter col bastone imparare a cucire alle mogli. Allora si ocenpò di stabilire una scuola d’in- dustria per le femmine, che ora fiorisce sostenuta dalla re- gina stessa, e dalla madre di lei, che abitando nella vicina città di Kirehheim, viene di tempo in tempo a visitar uno stabilimento che ha tanto contribuito all’interna pace delle famiglie. Il paese è al piede del monte, sulla cima del quale sono le rovine del castello di Teck. Nella chiesa , che è antichissima, conservasi una tavola del secolo XVI, nella quale è rappresentato il castello come allora esisteva. I duchi che vi abitavano erano fra i più potenti signori della Soavia, ma ora non restano di essi che quattro tes- chii e due spade, reliquie conservate dai loro sepolcri ; e una fragile pittura è la sola che faccia fede della forza della loro dimora. Per giungere a questa, traversai i bei verzieri della valle , poi comineiai a salire per certi sca- lini praticati fralle viti, quindi traversai vasti pascoli che tutto fasciano il monte, e finalmente penetrai in un bo- sco di faggi che gli fa corona, e che porge grata ombra al viandante , che in quella salita piuttosto si arrampica che camina. Il sentiero, come dico, non era de’più faeili, ma io aveva per guida un buon vecchietto di 65 anni che lo agevolava non poco. Ciò parrà forse una stravaganza, ma il fatto sta ch’io non saprei raccomandare fra i monti mi- gliori guide che i vecchi ; imperocchè comunemente se ne ricavano tre vantaggi. ll primo si è che per riguardo alla loro età si camina adagio, cosa essenziale nelle salite, per le quali veramente par fatto il proverbio, che chi va pia- no va lontano ; il secondo è che sono per lo più loquaci, | 33 e però vi narrano non solamente tutte le storiette concer- nenti ai luoghi dove vi guidano, ma ancora vi raccontano la propria vita, ed io ho più volte trovato che la vita d’un vecchio contadino è più interessante , e piena di utili lezioni di quel che lo pensa chi non conosce altri abitanti che quelli della città; il terzo vantaggio finalmente è che se vi sentite stanco o disposto alla pigrizia, la vista d’un povero vecchio che vi va innanzi, v'ispira una certa vergogna che vi raddoppia le forze. La nostra guida ci fece sperimentare questi tre vantaggi. Quando il bosco cominciò a diradarsi apparvero di dietro ai cespugli, e torreggianti sul nostro capo le rupi, che servivano di fondamenti al castello. Di questo rimangono pochi avanzi di torri e di muraglie, che poco intessante sarebbe il descrivere, tanto più che in fatto di rovine ne vedremo or. ora delle più belle. Dirò soltanto che fra que’ massi che le sostengono discende a rompicollo un sentiero, che dopo varii ravvol. gimenti, ne’quali più volte vi affacciate sull’ orlo di pre- cipizi, vi conduce in faccia di vasta caverna che internasi nel monte. Questo è quello che chiamasi lo Speco della Sibilla ; ma non so chi mai abbia consultato i.suoì ora. coli, La tradizione vi fa abitare una strega, ma questa neppure non fa paura a nessuno. In quanto a me mi ar- rampicai sopra un masso per penetrare nella caverna , e la trovai dapprima alta e spaziosa, ma poì si abbassa la volta , si ristringono le pareti, e la grotta convertesi in un passaggio angustissimo che penetra fino sotto le rovi- ne del castello, ma la cui estensione non è mai stata ac- certata. Durante la guerra dei 30 anni pretendesi che al- cuni soldati vi penetrassero assai addentro, per cercarvi tesori, ma non ne riportarono che i loro abiti stracciati e mani e ginocchia mal concie, E probabile che ai duchi di Teck servisse questa grotta per uscire segretamente dal loro castello, ne’ tempi in cui erano in guerra con tutti i loro vicini, e che per allontanarne ogni esploratore spargessero la voce che era l’ abitazione di una strega. Il considerare le rovine e la grotta fu cosa di poco T. XXXIII. Febbraio. 5 34 tempo , ma ciò che mi trattenne in questo luogo fu la bella veduta che mi si offriva d’ogni intorno allo sguardo. Distendevasi da una parte ai nostri piedi la bella valle dalla quale eravamo saliti, co’ suoi paesetti, le sue coltivazioni , il suo fiumicello ; dall’ altra parte era una valle più vasta che dischiudendosi verso settentrione , la- seiava l’ occhio vagare sopra immensa pianura ondeggian- te; se non che da una punta la cingeva la catena delle Alpi Sveve, nella quale colpivan l’occhio tre cime coni- che più delle altre elevate ; era 1’ una il Reckberg, l’altra il Stufenberg, nè su queste importa il fermarsi ; ma tutto sto intento in quella che in mezzo alle altre due sovra di esse s’innalzerebbe, se la punta del suo cono non fosse tagliata in modo da lasciar su quella cima uno spazio pia- no considerabile. Come mai fra tante cime , che tutte of- frono qualche rovina, questa sola che potrebbe averne più vaste delle altre non ne presenta alcuna ? È questa la ci- ma del Hohenstaufen. Là sorgeva la cuna di quella formi- dabile famiglia di Svevia, che diede alla Germania alcuni de’ suoi più grandi imperatori, all’Italia alcuni de’ suoi più degni avversarii. Da quelle cime discendeva quel I.° Fe- derigo, cui fu tanto funesta la gloriosa lega lombarda ; quel Federigo II.® per cui sì fiere inerudelirono le contese fra il sacerdozio e l'impero; e discendeva da quelle per non più rivederle quel misero Corradino che bagnò del suo sangue la terra d’Italia, ma non per vendetta degli ita- liani , che già più gloriosa l’aveano presa in campo. Era quel misero giovine l’ ultimo rampollo di quella illustre famiglia , e dopo lui rimase deserto il castello de’ suoi avi, ne svanirono le stesse rovine; e di luoghi da’ quali era emanata tanta gloria , e che avevano eccheggiato al suo- no delle armi come ai canti de’ trovatori, neppure resta sasso în enì possa ora iscriversi da ferro italiano : Se Mes- senia piange, Sparta non ride. E così pure altra volta ho veduto le rovine del castello di Hohenzollern , che fu sede degli avi de’ moderni re della Prussia ; ho veduto gli avanzi di Asburgo, cuna de’regnanti dell’ Austria, sorgere, 35 quasi abbandonata vedetta , in seno dell’ Elvezia affran- cata: e nel contemplare que’ resti fra quelli di altri ca- stelli, i possessori de’ quali non poterono salvar dall’oblio neppure il nome, l’ animo mio risentiva quell’ impressio- ne medesima che gli si destava fralle Alpi! alla vista di tanti torrenti, la maggior parte de’ quali perdonsi senza nome in altre acque, mentre alcuni pochissimi, perchè un tronco, un sasso, un pendio fu più favorevole al loro cor- so, scendono alteri al piano assumendo i nomi di Po, di Ro- dano, di Reno, e principi tra’ fiumi traversano i regni di coloro che ebbero origine presso alle loro sorgenti. Ma torniamo ora a discendere nella valle , godiamo del riposo della notte, e la seguente mattina montiamo sull’ opposto monte , cercando una via sopra un arido ter- reno che poca erba ricopre , e dal quale sorgono a guisa d’ informi monumenti funerei moltissimi massi di marmo, che in vero non sono nè bianchi nè finissimi, ma che non- dimeno hanno potuto servire all’ ornamento del palazzo reale di Stutgardia. La mia guida ne diceva miracoli , e volle a tutti i patti staccarne un pezzetto , acciocchè lo prendessi per ricordo ; ma Dio liberi un viaggiatore a piedi dalla passione della mineralogia, perchè se comincia a riempirsi la valigia e le tasche di sassi s non so quanta strada possa riuscirgli a fare per le montagne. Chi vuol prender seco qualche ricordo materiale de’luoghi che visi- ta , ne colga alcuni fiori. I fiori quasi dovunque si trova- no , e bastano sovente per sè soli a caratterizzar i luoghi; e poi quale anima sensibile non ha risentito il loro miste - rioso potere ? Se spuntano dalla terra che ricopra un og- getto amato , i fiori ci sembrano apportatori del linguag- gio degli estinti ; se crescono sulle rovine » essi sembrano innestare la vita sugli stessi trofei della distruzione, e im- primere un sorriso sulla fronte severa del tempo. Poco dopo entrammo in un folto bosco, e vi seguita. va da mezz’ ora un gradevole sentiero , quando la guida fermossi e mi fece trattenere, mentre egli stesso procedeva a sinistra, e andava intorno guardando fra i tronchi come per accertarsi del luogo. Già era egli sparito, ed io mi cre- 36 deva sviato, quando ad un tratto mi chiamò, ed io facen- domi strada alla sua volta sul pendio della montagna lo ritrovai che mi attendeva sull’ingresso di tenebrosa caver- na, ove stava adattando un foglio di carta intorno ad una candela, Fatta e accesa la sua lanterna, m’ introdusse nella caverna; ma vi soffiava un vento sì impetuoso, che a mal- grado degli sforzi della mia guida per difendere il suo lu- me, la carta fu spinta verso la fiamma , prese fuoco , e ben ebbi per un momento il vantaggio d’ una bella fiac- cola che illuminava i grandiosi massi che formano la ca- verna; ma questa luce andò presto morendo, e in un mo- mento tutto fu oscuro ; tuttavia continuai a tastoni a in- noltrarmi, e voltato un masso, vidi da un opposto spira- glio la luce del giorno ; e questo spiraglio sempre più al- largandosi ad ogni passo ch’io faceva mi trovai poco dopo a ùna nuova apertura, dalla quale , come da un ricovero di gufi, guardai in giù sopra la sottoposta valle, sulla quale mi trovai quasi sospeso a perpendicolo. Era questa valle dalla parte dell’ opposto monte oltre ogni dire selvaggia, anzi orrida per le rupi, che l’una sull’altra ammassate, fa- cevano sembrar quasi arbusti le annose piante che fra quelle avevano presa radice. E su quei massi sorgevano le rovi- ne di antico castello , forse un tempo terrore della valle, che ora quieta e sicura mostra nel suo mezzo il bel pae. setto di Niedlinger, e poi slargandosi, lascia lo sguardo perdersi nella lontana piannra. Cercai un sentiero che dalla caverna conducesse fra quelle balze che mi si presentava- no da ogni intorno, ma allo smuovere delle piante che sporgevano dal masso nel quale mi trovavo , altro non vidi che precipizi, e la guida mi richiamò con certa inquietu- dine, assicurando esser vana ogni ricerca ed essere necessa- rio il ripassare per la stessa spelonca. Questa volta nep- pur si tentò di accendere la candela , e brancolando tro- vammo la via, senza timore di quegli spiriti che la popo- lare superstizione pone qui in guardia di grandi tesori, Ci ritrovammo nel bosco, mi dipartii dalla mia guida, e gi- rando l’anfiteatro formato dal fondo della valle, mi avviai verso quelle rovine che dalla caverna aveano fatto a’miei I Ì | | | Î il 37 occhi sì bella mostra di sè. Esaminando quel castello mi recò maraviglia la conservazione delle sue mura, fabbricate con grosse pietre ottimamente commesse , sì che tanti e tanti anni non hanno bastato a disgiungerle; ma più mi recò sorpresa il non veder porta nè cosa alcuna che so. migliasse a un ingresso , e andava fra me fantasticando come fosse entrato in casa il possessore di questo castel- la, che chiamasi il Riesenstein , ossia la pietra del gi- gante. E vero che a certa altezza si apre nel muro un arco troppo grande per essere una finestra, ma troppo alto per essere una porta , a meno che voglia credersi, secon- do la tradizione, che per il gigante fosse una bagattella il cacciarvi dentro una gamba dopo l’ altra ; ma per me la cosa era diversa, e nel castello pur voleva entrare. Cer- cando e ricercando , andando in su e in giù fra’ rottami, pur vidi una apertura fatta nel masso che pareva doversi internare nel castello, e cacciatovi dentro il capo, poi le spalle, poi le ginocchia, giunsi bene o male a rivaleggiare co‘rettili, che si saranno maravigliati di vedere un nuovo sconosciuto mostro imitare sì goffamente le loro mosse; ma tanto feci che mi trovai nel castello, e quasi me ne ral- legrai come guerriero che fosse penetrato in luogo nemico per sotterraneo varco. Tosto mi diedi a tutto esplorare per rinvenire qualche oggetto che mi spiegasse l’esistenza di questo castello , la cui storia è rimasta finora totalmente ignota; ma ogni mia ricerca fu vana; e già il sole decli- mava verso occidente, ond’io uscito dal castello come vi era entrato, discesi nella valle, e giunsi la sera al paesetto di Gutemberg, ove vidi zampillare le sorgenti del fiumicello Lauter, Je cui fresche rive mi aveano il giorno prima of- ferto sì grato passeggio. La mattina seguente lasciai la valle e andai a far co- lazione in cima a un monte in una delle capanne del po- vero paesetto di Grabenstetten, i cui abitatori non posso- no per I’ asprezza de’ luoghi gran fatto occuparsi di ag:i- coltura, e mantengono bestiami, che neppur trovan modo | d’ingrassare ; e però altro non ebbi che pane e latte, ma | . . . . mi fu dato con quel contegno che mostra piacere di offrire 38 e insiem dispiacere che sia sì poco l’offerto , e con quella brava gente mi trattenni alquanto proseguendo poi la mia via verso l’antica fortezza di Neuffiù, che è il punto il più rimarchevole della catena di questi monti. Questa antica fortezza, smantellata verso la fine del secolo scorso nella guerra della rivoluzione, innalzasi iso- lata sopra rupi che ancora fanno parte delle sue mura. Un fosso è scavato dalla sola parte per cui è unita alla ca- tena de’ monti , ed è da questa parte che mi avvicinai com- preso di stupore alla vista di quelle mura per metà rove- sciate, ma che s’innalzano ancora in più ordini le une dietro alle altre $ di quelle torri quadrate e tonde che da ogni parte la proteggevano ; di que’ massi che le serviva- no di sostegno e di difesa ; cose tutte, che illuminate dal sole che sorgeva e che in quell’altezza quasi le dipingeva nel campo azzurro dell’atmosfera, mostravansi grandiose e per sè stesse, e per le ombre che le une su le altre pro- jettavano , tanto che io risentiva un non so che in me me- desimo , che allora come adesso mi fa temere di avere in me qualche elemento romantico, trovando tanto diletto in contemplare rovine. Ma non potrebbesi forse trovare altra origine di tali sensazioni? Non è egli appunto appresso alle rovine che possiam noi meglio meditare sulla fragilità delle opere umane P Non sono le rovine quelle che ci richiama- no secoli e generazioni che più non sono ? Come nel bre- ve tempo della vita dell’ uomo ci si dipingono con varie immagini le varie sue epoche, non sono così le rovine le immagini de’ varii periodi della più lunga vita de’popoli? E questa emozione che sento non è essa simile a quella che proverebbesi in un mondo distrutto, in cui fosse restato un solo essere pensante? Quella esultazione insieme e quello scoraggimento , quel sentimento di forza e di debolezza, che or si succedono nell’ animo, ora insieme l’invadono, non è questo uno stato che indica una contradizione fra la no- stra propria esistenza, e quella degli oggetti, che eccita- no in noi questi moti ? Sì certamente , imperocchè donde mai altrimenti avrei provato ad un tratto un sentimento di gioia indicibile, quando il mio sguardo quasi striscian- 29 i do a destra @ a sinistra di queste rovine, andò a. riposarsi | sulla immensa estensione di terreno che dispiegavasi a’miei piedi , ove le città, i paesetti, i campi coltivati, il fumo di qualche camino, lo squillo di qualche campana ricon- dussero il mio pensiero fra le abitazioni dell’ uomo , in mezzo alla vita attiva de’ miei simili? . Provasti mai quando ramingo i passi Volgi ove il piè non il pensier ti porta ; Godi incerto vagar fra tronchi e sassi , Che un sasso a tronco , e un tronco a un sasso è scorta. Ma pure alfine ansante il petto fassi, Cade la mente in cupa calma assorta , E ti riscuoti, e affretti il piè veloce Se vedi un tetto , 0 ascolti un suon di voce ? Così io lieto mi affrettava a discendere verso i luoghi abi- tati; ma nella mia impazienza dovetti provar con mio dan- no la verità di quel proverbio, che ne avverte in rima di non /asciar la strada vecchia per la nuova. Ma voi già non credete che io voglia trattenervi con tali minuzie perso- ‘mali ; anzi per brevità salto a piè pari due giornate intere passate fra altri boschi, presso altri ruscelli, in'altre rovi- ne , e subito senza anello incantato vi trasporto sulla via fra Tubinga e Reutlinga per andare al Lichtenstein e alla Nebelhohle , o come direbbesi in italiano, al masso della luce , e alla caverna della nebbia. Là troveremo numero- sissima compagnia, perchè è questo un giorno di festa, nel quale annualmente s’illumina la grotta, e vi termineremo questo viaggetto, che temo già vi cominci a stancare. Ma siccome ho nominato Tubinga, vi mavaviglierete forse che io mi lasci alle spalle una università di tal fatta senza pur dirne parola; ma già mi servirebbe di scusa il dire che di quest'università ho già dato altrove qualche ragguaglio, e che in questo mio viaggio altro non vidi che il museo di storia naturale e la biblioteca, o piuttosto vi fui condot- ito, perchè per vedere non vidi niente ; imperocchè ditemi | voi quel che si veda scorrendo la sala d’un museo, se non | schierati e senza vita quegli oggetti che al di fuori figu- \ rano vivi e animati nel gran quadro della natura ? e pas- | | | Ì | | ho sando in rapida rivista gli scaffali d'una biblioteca, ditemi se avete mai veduto altro che lunghe fila di morti rive- stiti, con più o meno ingiuria , di pelli di vitello o di pecora col nome scritto sulle spalle in un cartellino, che per molti dovrebbe convertirsi in iscrizione lapidaria ? Io altro non vidi; dunque lasciate che mi rimetta in viaggio, affrettandolo quanto più posso , entrando nella valle ove trovansi i due ultimi oggetti del mio pellegrinaggio. E qui passo in mezzo ‘a una folla di gente a piedi e a cavallo, e in ogni genere di vettura , e tanta è la confusione , che quasi potrei paragonare questa scena a quella descrittaci dal bravo Manzoni, quando la valle ove sorgeva il castello dell’ Innominato riempiesi di gente che vi accorrono da tutti i paesi vicini per cercarvi ricovero dalla licenza d’in- vasori stranieri. La situazione del castello di Lichtenstein potrebbe descriversi con le parole medesime , e così pure la valle pare quella stessa; ma le liete facce di tutti ; il vociferare degli studenti della vicina università di Tubinga, che tenendosi sotto il braccio in lunghe fila intuonavano in coro canzoni di allegria ; i mazzetti e le ghirlande di fiori che da vari gruppi di poveri fanciulli del contado lanciavansi nelle carrozze, tutto mostrava che per lieta ca- gione mmovevasi quella numerosa brigata. Noi seguivamo lungo un limpido fiumicello gli avvolgimenti della valle , ristretta fra monti, che ad ogni momento presentano forme bizzarre di massi, che quasi tutti hanno in bocca del po- polo un nome, e una storietta, Quel ciglione di rupe che sporge dalla valle, è detto il Sasso della vergine, perchè da quello si precipitò una bella forosetta perseguitata da un cacciatore. Tra quelle roccie a sinistra trovasi l’abita- zione d’uno sciagurato che si è dato al demonio, e che vi dimora rinchiuso in guardia di grandi ricchezze, finchè un mortale intrepido non venga a liberarlo , sottometten- dosi per tre notti di seguito alle più terribili prove. I te- sori gli sono promessi, ma la morte ha già punita la te- merità di più d’uno che ha osato prendersela cogli spiriti infernali. Quel burrone a destra è quello di S. Orsola ; e da quelle crepature sbucan fuori certe fatarelle buone 41 buone che vengono ad aiutare al lavoro le brave contadi- nelle, che se lo trovano fatto senza quasi averci messa la mano, E di talî chiacchiere fo qui parola, non tanto per dar nuova prova, che già ne abbiamo abbastanza, che la superstizione appartiene ad ogni popolo, ma perchè ho osservato che queste tradizioni sono più proprie di, passi ove le coltura generale del suolo fa parere all’ occhio vol- gare eccezioni all’ ordine della natura , ogni oggetto in cui non si manifesti la vita ; onde l’ agricoltore ricorre al so- prannaturale per ispiegare i motivi dell’ esistenza d’ ogni rupe e d’ogni spelonca. E di qui negli antichi tempi gli antri di Trofone, e delle Sibille ; di qui i tanti ingressi d’Averno ; di qui mezza la mitologia . Ma vi domando perdono se mi perdo in vane ricerche, anzichè salire verso quel castello che da tanto tempo ci sta d’innanzi alto al- to, sopra massi che perpendicolarmente s’ innalzano dal fondo della valle, e in cima ai quali parrebbero a un poeta un nido d’aquile. Siamo giunti a un paesetto ; vi si fer- mano le carrozze ; qui comincia la salita, e bisogna farla a piedi s ma in tanta compagnia par proprio che uno porti l’altro , tanto il conversare e il buon umore universale fa dimenticar la fatica della via. Giangemmo alfine al ca- stello , che ora ha deposto ogni aspetto guerriero , e si è convertito in dimora di cacciatore. Oggi da questo caccia- tore aveva ricevuto un’ altra destinazione, quella cioè di accogliere centinaia di ospiti, a’quali dopo la faticosa sa- lita non è discaro il ristorarsi. Isolato da tutte le par- ti, il castello non comunica colla eresta del monte se non per mezzo di angusto ponte. Ci affollammo su questo dietro a quelli che già l’occupavano , e a gran fatica tro- vai modo di penetrare. Godesi da questo castello stupen- da veduta ; cade a piombo , e quasi atterito lo sguardo nella tremenda profondità della valle , in cui scorre un torrente , che ora apparisce quasi lucido nastro , ora è na- scosto fralle piante, ora bagna le case di due paesetti, di cui si potrebbe da questo punto disegnare la pianta ; ora freme fra i massi degli opposti monti , fra i quali si è aperta la via, e che son tutti cuoperti di foltissime selve; ma T. XXXIII. Febbraio. 6 42 l’occhio dominando le loro cime scorge fra queste una più ridente pianura , illuminata da un cielo più libero , irri- gata da ruscelli più limpidi, rallegrata da più liete di- more , e che distendesi col corso del Neckar fino alle vi- cinanze di Heilbroun, luogo caro alla storia e alla poesia, perchè vi si conserva la mano di ferro di quel celebre Goetz di Berlichingen, che il Goethe seppe con tanta verità stori- ca far rivivere sulle scene. Disceso dalla mia specola uscii dal castello e m’ in- camminai verso la Grotta della nebbia. Discesi tra prati e selve, e dopo mezz’ ora di cammino un romore indistinto che proveniva da un vicino boschetto mi avvertì che non era lontano il luogo cercato. E infatti scorsi ben tosto fra mezzo ai tronchi molti gruppi di gente, e procedendo mi ritrovai in mezzo a numerosa adunanza , raccolta sopra vago praticello circondato da altissimi faggi. All'ombra di questi gli uni eransi coricati a far merenda ; altri si fa- cevano premurosi intorno alle carrozze di belle cittadine; e da una parte erano gruppi di studenti intorno a tavole cuoperte di vivande , da un’ altra andavano intorno car- retti con botti di vino e di birra , e tutti stavano atten- dendo l’ora che fosse pronta l’ illuminazione della grotta. Venne il bramato momento , e il campo si mosse, ognuno affrettandosi giù pel pendio del monte , scorciando quanto più poteva la strada; ed eccoci giunti al tenebroso ingres- so. Entriamo e cominciamo a discendere in quel piccolo averno. Fra poco ogni luce del giorno sparisce, e al ca- lore dell’ atmosfera succede un’ aria gelida che fa abbrivi- dire. Continuiamo a discendere , e già ci colpisce la luce di un gran numero di punti luminosi, i cui raggi traver- sano le tenebre senza esser bastanti a dissiparle. Finalmente siamo al basso; penetriamo nella caverna , la quale mo- strasi a destra alta e spaziosa, e dividesi a sinistra in due rami più stretti, che più allettano l’ osservatore. Lunghe fila di lumi rischiarano le pareti composte di massi bian- chi e luccicanti , a’ quali l’acqua che filtra ha dato in vari luoghi forme singolarissime , alle quali 1’ immagina- zione presta il nome di altare, di frate, di pulpito. Giunti 43 all’ estremità di questi rami della caverna , si passa sotto un àfco che riunisce i due rami. Presso a questo arco sor- geva una scala a piuoli, e alzando il capo scuoprii juna nuova grotticina ugualmente illuminata , nella quale pe netrai , e nella quale il duca Ulrico di Wurtemberg, per- seguitato dalle armi di Carlo V , e da’ propri sudditi ri- bellati, trovò ricovero mentre travestito fuggiva verso la Svizzera. Al mio discendere nella grotta inferiore , venni colpito dal suono di vari strumenti. Era veramente incan- tatrice la loro melodia in queste volte sotterranee , ove ogni masso ne aumentava l’effetto, ed ove nessun altro ro- more interrompeva que’ suoni se non il monotono cadere di qualche goccia, che sembrava accompagnare misura- tamente quella dolce armonia. Godendo di questa, io con- tinuava ad osservare questo bel sotterraneo , la cui volta in alcuni punti s’innalza a più di 70 piedi, e si estende per più di 500 ne’ suoi rami principali, non parlando dei minori , ne’ quali è malagevole il penetrare e che non erano illuminati. È questa la caverna che dicesi non so per- chè della nebbia, e questa come il castello di Lichtenstein è celebre nella storia di Wurtemberg ; e nuova celebrità hanno ottenuto recentemente que’luoghi dalla penna d’un giovine scrittore di Stutgardia , che immaturamente è stato non è gran tempo rapito alle lettere. Ma non è questo il momento di parlarne , è noi già siamo d’accordo che qui debba finire il nostro viaggetto. Ma se ci ha questo recato qualche diletto, quanto mag- giore ce lo recherebbe un simile pellegrinaggio nella nostra ridente Toscana, ove la natura ben altre bellezze ci mo- strerebbe che quelle da me descritte, e dove ciascuno po- trebbe camminando dir veramente col buon Pananti + Io spiro la soave aura de’ colli I profumi de’ verdi praticelli , Odo il sussurro delle aurette molli, Le tenere canzoni degli augelli, E passeggiando libero a mio modo , Del ciel, de’ campi, e di me stesso godo. E. MavyER. 44 IS Discorsi sulla storia Veneta , cioè rettificazioni d’ alcuni equivoci riscontrati nella storia di Venezia del sig. Da- RU. — Del co. Domenico TiePoro patrizio Veneto , Socio onorario dell’Ateneo. Vol. II. Udine, fratelli Mat- tiuzzi 1828. Confutazione dettata con rarissima urbanità , con sin- golar buona fede, e con molta cognizione di causa : giacchè il dotto Autore, ‘ per la facoltà che gli dava- » no gli offizi da lui sostenuti, ha potuto vedere le sì più gelose carte che si custodivano nell’ archivio del » Senato, detto Secreta. ,, I molti sbagli dell’ ill. Stori- co francese , il Patrizio veneto li mette in chiaro con le parole medesime dell’Autore, con le autorità degli storici più riputati; sicchè , quanto a’ fatti particolari , le ris- poste vengono soddisfacenti , e ripongono il vero in pie- na evidenza, Il dubbio stà ne’ principii. Noi possiam fa- cilmente ingannarci nel giudizio di tale o tal altra azio- ne politica: e quelle che a noi parranno più ingiuste, tiranniche, vili, possono avere avuta una scusa potente, una ragione legittima, incognita a noi, che le rendeva in sè stesse innocenti, nobili, necessarie : quelle all’ in- contro che a noi parranno più conformi agli ordini della legge e della giustizia, posson essere state , o ne’ mezzi o nel fine, degnissime d’ ogni biasimo e d’ogni disprezzo, Egli è perciò che voler giudicare un governo da’fatti par- ticolari, è sempre norma fallace : i principii , lo spirito, l’andamento totale, quest’è ’1 più degno e il più si- curo soggetto alle meditazioni del saggio. E nel presente articolo s’avrà luogo a vedere come, concessa anche la fal- sità di tutte le particolari accuse che.al governu Veneto si vengon facendo tante e sì gravi, rimane nell’ essenza sua stessa un principio, non degno al certo di lode, ed è il potere arbitrario aiutato dalla delazione ; velato, ch’ è quanto a dire reso più terribile dal secreto. Io dico che in quel celebrato governo l’applicazione di certe leggi politi- che non avea legge che la moderasse ; difetto comune alla 45 più parte de’ governi di tutte le età precedenti; ma nel Veneto, reso più pericoloso da que’due elementi di politi- ca ch’ ho nominati : la delazione e il secreto. Quand’ an- che in Venezia i processi arcani e le spie fossero sempre stati uno specchio di veracità e di giustizia , cosa che dai più appassionati suoi difensori non si saprebbe affermare , riman sempre vero che i processi arcani e le spie non so- no le due qualità indispensabili d’nn governo perfetto. II. Nel primo discorso il nobile A. dimostra che la repubblica veneta, è vissuta indipendente fin dall’ origi- ne sua, contro il sig. Daru che la vuole or in un modo or in altro soggetta in prima alla città di Padova, pai, agl’im- peratori d’ Oriente., a’ pontefici, a’ re d’Italia, a’ Naren- tani, agl’imperatori d’ Occidente, a’Turchi, a Carlo IV, a Massimiliano (1). Nel discorso secondo si tratta dell’ ori- (1) Non conviene peraltro dissimulare che in una Mantissa aggiunta al- 1° antichissimo Codice del Monade: Padovano, recato dal Muratori (R. I. T. VII), scritta, a quel che, pare; da un. contemporaneo del: Petrarca, sì. attesta .che il dì 25 marzo de! $21, atterriti dall’incursiove de’ Goti ,, Patavini decreverunt urbem portualem et refugialem condere,e mandarono a quest'uopo a Rialto'tre consoli; e fondata la città, seguitarouo a mandarvi per rettori due consoli all’ anno fino al 459, l’anno dic egli , della elezione del Doge: Quest’ ultima! falsità reca na- | turalmente a dubitare anche della, notizia che precede; ma quando si pensa che da varie città tutti insieme in un tempo, non era probabile che si radunassero i fondatori d’ una città nuova; che ammettendo anche che a poco a poco or l’uno or l’altro de’ profughi venisse nelle lagune a ingrossare ‘il ‘numero de’ novelli abitanti , sarebbe tuttavia alquanto strano che. una. gente raunaticcia. si lasciasse tutt’ a un tratto dominare da taluni de’ lor compagni d' esilio , e si costituisse così su due piedi un modo di governo tutto nuovo 3 si troverà forse non im- probabile la congettura , che ila Padova venisse dapprima la più parte di que'ri- fugiati , e che Padova mandasse loro non come madre>patria , ma come da loro stessi richiesta, due consoli per governarli. Una qualche relazione con Padova la sospetta anche il Sismondi, ma senza darne ragione. — Da questo non segue che la repubblica di Venezia durasse poi dipendente da tutti que’ principi o im- peratori che il‘sig. Daru liberalmente le dona. E quanto all'Imperatore d'Oriente, abbiamo una chiara testimonianza di Guglielmo. Appulo (L. IV), che i Veneti armati contro il Guiscardo, dice mandati: imperii prece. — Se ascoltiamo Co- stantino Porfirogenito , egli ci dirà che i veneti si gloriavano d'essere non che sudditi, servi all’ impero greco: ma il suo testimonio non basta. — La questione parmi si possa risolvere, dicendo, che la indipendenza di Venezia non era in sul primo riconosciuta dalle potenze in Italia dominanti, ma era un’ indipendenza di fatto ; che il fatto poi, come suole nelle cose del mondo , diventò diritto quando si potè difendere con la forza, E il sorgere di una repubblica indipen- 46 ginaria costituzione di quel governo; che il sig. Daru vuole democratica , quindi cangiata in monarchia elettiva , dege- nerata all’ ultimo in oligarchìia . L’erudito ‘A. ni confuta l’ errore ; e dimostra co’ passi degli storici cinquecentisti , e ancor meglio con la ragione delle cose, che il popolo ve- neziano fu, sin dal primo, composto di ricchi e di poveri, di nobili e di plebei; che fu sempre un’aristocrazia, ma un’aristocrazia, in que’ prim’anni, imperfetta, L’opinione del sig. Daru non è certo la vera: ma sarà egli perciò da conclu- dere che il governo veneto è sempre durato ad essere un’ari- stocrazia, quale il sis. co. Tiepolo la intende, e tanto più perfetta aristocrazia , quanto venne innanzi con gli anni? Una lettera da Cassiodoro scrittà in :nome di Teodorico a'Veneti, dice che paupertas ibi cum divitibus sub aequa- litate convivit : unus cibus omnes reficit :' habitatio similis universa concludit : nesciunt de penatibus invidere : et sub hac mensura degentes , evadunt vitrzum cui mundum con- stat esse obnoxium. Ho recato il passo latino per allonta- nare il sospetto d’ alterazione , anche menoma; e per mo- strar chiaramente che questa imperfetta aristocrazia della prima età di Venezia, è tutt'altra cosa dalla aristocratica perfezione del governo veneto nel secolo decimottavo. Tut- to dipende dal definire , ciò che s’ intenda per questo vo- cabolo di perfezione politica. Anche da codesto passo però si conchiude coll’ill. A, che l’ eguaglianza civile non era già una eguaglianza materiale d’ autorità e di ricchezza, come pare che lo Storico fran- cese intendesse. Ma che codesta eguaglianza civile non sia tutta un sogno , cel provano i fatti. “ Ogn' isola , al dire »» del Tentori e del Sandi, si eleggeva il suo tribuno, da », cui le fosse amministrata la criminale giustizia e la ci- 3, Viles ma negli affari riguardanti la comnnione delle iso- » le, si univano a consultare e deliberarne pria tutti i ;, tribuni.,, L’aristocrazia pertanto e giudiziaria e politica , dente in un’ epoca d’ iuvasioni straniere e di domestica servitù, parmi un feno- meno singolare, attissimo a dare l’ idea di quell’ epoca di dissoluzione inevita- Lile , la qual dovea preparare col tempo una rigenerazione sì splendida. 47 era di que’ tempi elettiva : e’ non eran patrizii che nasces- ser principi, eran deputati da ciascun isola, vale a dire dalla nazione, eletti ad amministrare e dirigere i comu- ni affari (2). Questa che il sig. co. Tiepolo chiama ari- stocrazia imperfetta, il sig. Daru con acconcio vocabolo disse aristocrazia naturale. Ma le cose della natura hanno, come ognun vede, bisogno d’essere perfezinnate dall’arte | Il classicismo , anche in politica, può fornire degl’impor- tanti servigi. Codesti tribuni peraltro non erano onnipotenti: e le loro deliberazioni eran talvolta soggette anche ad un’ assemblea generale , detta comune : che i tribuni, potevano, dice il Sandi , convocare ‘ quand’ essi lo riputavano opportuno s, 0 civilmente necessario. ,, Nè giova l’ opporre quest’ar- bitrio ne’ tribuni di convocare la concione o no; giacchè v'era de’casi, ne’quali convocarla era civilmente necessario, vale a dire non se ne potea fare a meno senza pericolo. Il Sandi soggiunge: “ le deliberazioni dal consesso o consiglio s, tribunizio stabilite, si facevano note alla popolare adunan- », za a guisa di solenne promulgazione ,, : e fin quì la par- rebbe un’aristocrazia assoluta e perfetta. Ma sentiam quel che segue: ‘ e solo l’ acclamazione o riprova uni- s» versale era talvolta, a loro regola, necessaria per deli- (2) Si legga al cap. VI del Sismondi , il bel passo, ove tocca come juger est la fonction plus importante du gouvernement d’un petit peuple: e sì com- prenderà come in mano di questa aristocrazia democratica elettiva risiedesse il governo, — ll Muratori (Aon, It. Diss. 45. 46) mostra come in tutte quasi le italiane repubb'iche l’ aristocrazia tosse nelle più importanti deliberazioni dipen- dente dalla volontà del popolo, e come siffatta voloutà fosse chiaramente ne’par- lamenti od in adunanze di nome simile pronunziata.! — Che la volontà poi del popolo, anche sostituita un' aristocrazia d’ altro genere , potesse in Venezia ma- nifestarsi , cel mostra la testimonianza di Goffredo di Villehardouin , che ci narra come all’ impresa della crociata si venne guadagnando dai crociati esteri l’assentimento del popolo veneziano ; come se ne raccoglievano a tal fine, ora cento , ora dacento, ora mille; come nel giorno della deliberazione intervennero all’ assemblea diecimila, Cel mostra le narrazione di Romualdo Salernitano ( Murat. R. 1. T. VII p- 246) storico degnissimo di tutta fede, dove espone le resistenze pubbliche da alcuni concittadini fatte alle deliberazioni del Doge. Cel mostrano le tante discordie che agitaron Venezia nel nono secolo ; discordie che non possono aver luogo se non se in una aristocrazia democratica . 48 », berare diversamente. ,, Adunque il popolo aveva diritto d’acclamare contro una deliberazione de’suoi ovttimati ? Potea riprovarla ? La parola è forte, ma si legge nel San- di; e l'A. n. la cita. — Non basta: sentiamo come il San- di prosegua» “ Per la qual cosa, qualora o tra sè di- ») scordavano nell’ opinione i tribuni, o la prudenza loro », non voleva lasciare sopra sè stessi qualche gravissima »» faccenda , convocavano la concione per parteciparla ad » ©8sa.,, — Trattandosi d’ una confessione così delicata, giova pesar bene ogni parola di questo istorico diligente. Per la qual cosa, dic’egli: dice, che per non s’esporre alla riprovazione dell’assemblea generale, i tribuni , prima di deliberare, la convocavano : dice, che la convocavano per non lasciare sopra sè stessi qualche faccenda gravissima. Queste espressioni son chiare; indicano almeno almeno, che il popolo potea lamentarsi delle cattive deliberazioni de’ suoi governanti 3ì e codesto poter lamentarsi è già molto. O quand’anche indicassero, come al sig. co. Tiepolo piace, che l’assemblea generale ‘era convocata da’ tribuni, non », per sottometterle le proprie deliberazioni, ma piuttosto »» per ispiare, soltanto quando eredevano d’ averne biso- ,» gno , l’opinione universale ,, quand'anche ciò fosse, non si potrebbe eglì al gentilissimo A. far dimanda, perchè nei tempi dell'Aristocrazia perfezionata , il bisogno di consul- tare |’ opinione dei più non si sia mai per tanti secoli fatto sentire? — Eh no: la perfezione politica del sig. co. Tie- polo non mi persuade. « Non v'era , dice il nobile A., non v’era in questa ss concione metodo alcuno di tessere, tabelle , o divisio- », ni d’ordini per rilevare i voti de’cittadini, come si pra- ss ticava dal popolo romano ne'suoi comizi, e sarebbe sì pure stato necessario per sanzionare o riprovare i decreti ,, de’ tribuni.,, — Il Sandi lo dice: ma noi nol possia- mo affermare di certo. Codesta de’ voti può essere una di quelle tante menome circostanze politiche delle quali il tempo toglie ogni memoria, i documenti tacciono , e gli storici primi non credono necessario toccare. Innoltre, io crederei ch’ anche in Roma , ne’ primi tempi, il voto ge- 49 nerale si sarà manifestato per acclamazioni, prima ehe per altro mezzo più regolare e pacifico. Ad ogni modo, da questa circostanza si potrebbe dedurre tutt’al più, che il primitivo governo veneto fosse una democrazia imperfetta, anzichè un’ imperfetta aristocrazia. Il sig. co. Tiepolo però ci concede che questa gene- rale assemblea , non imperante , ma era influente , almeno in alcuni casi, e dirigente le deliberazioni del consesso tri- bunizio : e questo ne basta a provare che il governo Ve- neto ha col tempo sofferte delle essenziali modificazioni, che a noi non paiono in hene. Quest'ultima è un’opinione nostra particolare , forse contraria al giudizio de’ patrizii Veneti del secolo scorso: e noi non la diamo che come una semplice opinione. | « La concione, nota il ch. A., si radunava antica- »; mente in qualche chiesa, prima in Eracléa, poi in Ma- s,» lamocco , poscia in S. Marco o S. Niccolò del Lido ; le so quali chiese , spezialmente in que’ primi tempi, erano » assai più ristrette delle presenti; nè potevano certa- », mente contenere, non che tutti, neppur la massima sì parte degli abitanti le isole ; e quindi doveva venire ,, composta da una parte scelta della popolazione. ,, — Le concioni, sì potrebbe rispondere, si saran tenute in una chiesa , dove saranno intervenuti soli gli anziani del po- polo; e non soli nobili, come il sig. co. Tiepolo amerebbe, perchè nè i nobili/poteano esser tanti, nè } aristocrazia Veneta era ancora perfetta : ma la lettura delle delibera- zioni tribunizie, quella dove il popolo poteva acclamar contro e riprovarle , quella si sarà fatta , cred’ io, non in chiesa , ma in una pubblica piazza. E ciò basta per ora. Basta che tutto il popolo potesse manifestare come che sia il suo volere ; che gli anziani del popolo potessero ra- dunarsi a dirigere o a modificare le volontà de’ tribuni ; che i tribuni dovessero , o se così piace, degnassero ne’ casi più gravi consultare la volontà degli anziani, rappre- sentanti del popolo; infine che gli stessi tribuni fossero dal popolo eletti. Codesta sarà, se vuolsi, un’ aristocrazia, T. XXXIII. Febbraio. 7 50 ma ben d’ altro genere che l’aristocrazia della qual. fece parte il rispettabile Autore. Sebbene , chi volesse ancora assottigliare di più, troverebbe che 1’ assemblea generale era anche chiamata co//laudazione del popolo ; potrebbe 08- servare che le parole del Machiavelli alle quali il sig. co. Tiepolo dà una interpretazione , al parer nostro, contorta, dicono chiaramente : “ Al momento in cui (questa forma ;» di governo ) s’istituì, zuzti quelli che abitavano Vene- »» zia, ebbero il diritto di prendervi parte; per conseguenza, ,, nessuno poteva lagnarsi. ,, Ma troppo già noi ci siam fermati su questo argomento, E ci sia scusa la sua molta importanza , e l’ opinion nostra, che quant’ebbe il governo Veneto di vera grandezza, è tutto dovuto, come nell’antica Roma , al temperamento d’ un’ aristocrazia moderata e di- retta o dalla volontà espressa dei più, o (che per qualche tempo è il medesimo) dal timore di questa volontà, tacita ma rispettata, tranquilla ma libera. III. Tutte le rettificazioni che appone il ch. A. alle sentenze del sig. Daru intorno alla assoluta autorità mo- narchica de’ primi Dogi , a noi paiono non meno evidenti che dotte: senonchè a questo proposito , egli medesimo il n. A. confessa che il Doge “ aveva il diritto di convocare ,, il popolo ogni volta che doveva o voleva discutere af- fari che richiedessero il di lui assenso:,, cita il decreto d’istituzione che gli dà potestatem in publicis causis gene- ralem concionem advocandi ; afferma col Giustinian , che il Doge Orso chiamò i/ consiglio di tutte le isole quando si trattò di dar soccorso all’ Esarca greco per ricuperare Ra- venna ; e altri due simili fatti riporta del Doge Maurizio Galbaio e del Doge Obelerio : il che prova assai bene la dipendenza de’ dogi; ma prova insieme l’ influenza politi- ca d’ un consiglio elettivo; che è quello che importava a noi di mostrare. E così tutte le prove che il nobile A. viene adducen- do a confermare la dipendenza de’ dogi , tutte riescono insieme a mostrarci un potere che non era aristocratico affatto, nel senso che il sig. co. Tiepolo suol dare a que- st’ ambigua parola. “ Il Doge Flabanico , dic’egli col San- DI ss di, nel 1032 introdusse l’uso di chiamare, e pregare ad », unirsi con lui alcuni de’più illuminati, co'quali consul. », tare de’ mezzi e deliberare de’ fini.,, Quindi il titolo e l’ uffizio de’ Pregadi, uffizie che nel 1172 fu dal consiglio de’ 4&o reso integrante alla costituzione dello stato, per modo che il doge, nonchè pregare codesti cittadini ad as- sisterlo , doveva chiamarli a consulta prima di proporre una deliberazione in consiglio. Queste son tutte alterazio- ni essenziali della costituzion d' uno stato ; non modifica- zioni, non perfezionamenti, come l’ill, A. affermava. Quei Pregadi che il doge poteva chiamare e non chiamare a consiglio, gli si impone l’ obbligo di convocarli, si fissa il lor numero a sessanta ; e invece che il Doge li scelga e li preghi, se ne commette l’elezione al consiglio? Ognun vede da ciò , non solo che il Doge non ha mai avuta in Venezia assoluta potestà di comando, ch'è quello che il sig. Daru sosteneva, ma ch’anclie quella certa potestà ch’ egli avea dapprincipio , gli fu a poco a poco manomessa, ammezzata, fino a ristringerne l’uffizio ad una pompa va- na, fino a ridurre lui stesso ad un fantoccio politico. Per conoscere l’ importantissima deviazione che nella costituzione dello stato si venne facendo secondo il corso de’ tempi, basta risalire all’origine del dogado in Venezia, origine che lo stesso sig. co. Tiepolo accenna , e che noi con le sue parole medesime rammenteremo. Dalle dis: », pute di rivalità fra i tribuni derivando gravissimi ma- ,» li, perchè gli uni non volevano cedere agli altri , de- »; cretarono d’eleggere un duce o doge che sibi praeesset: dice il Dandolo , il più antico e rispettabile degli storici dall’eruditissimo Autore a questo passo citati. Or, se il Doge fu eletto per reprimere i gravissimi mali, venenti dalla di- scordia de’ tribuni, certo è ch'egli doveva avere alle mani un'autorità ben maggiore di quella che il sig. co. Tiepo- lo gli concede. Ognun sente che 1’ elezione del Doge, in simili circostanze, era l’abbozzata instituzione di una quasi monarchia temperata, Dico temperata, perchè innanzi d’es- sere eletto , egli giurava di rispettare le leggi fatte e da farsi ; ma dico insieme quasi monarchia , giaechè sarebbe 02 stato bene strano eleggere un doge per acchetare le civili turbolenze, e non gli dare veruna antorità a tanto fine. E difatti, basta scorrer la storia de' primi secoli di Venezia per accorgersi che non pochi erano nel fatto i poteri de’ dogi. Il ch. A. li chiama abusi: ma abusi così notabili , così frequenti , così tollerati, dimostrerebbero il più im- becille, il più decrepito de’governi, se non avessero avuta ragione o pretesto in una legittima consuetudine , in un originario diritto. IV. Dalla storia de’Dogi bene considerata, viene, s°io non m’inganno , ad acquistar nuova luce la tenebrosissi- ma indagine delle originarie costituzioni di questa singo- lare repubblica. Noi abbiam già toccato quanti elementi di democrazia fossero in quella imperfetta aristocrazia pri- mitiva: e se le cose dette non bastassero, sola per sè ba- sterebbe l’ occasione che diede luogo alla instituzione de’ Dogi ; le turbolenze prodotte dalla rivalità tribunizia. Per prevenire i mali di questa quasi democrazia , che aveva in sè gli elementi di un’ aristocrazia non ben forte , si pensò di trasportare il governo a una quasi monarchia , soggetta sempre alle leggi, e al volere de’ magnati e del popolo. Ma in quella guisa che le generali concioni per non avere legge stabile che le moderasse, vennero a pro- durre de’ gravissimi mali; così la potestà ducale, non ben temperata, cominciò ben presto a trascendere il limite della costituzione, In questo mentre , si venne però maturan:lo un partito veramente aristocratico, il qual doveva por fre- no alle lieenze ducali, come la potestà ducale avea posto fine alle discordie tribunizie. Dico che sì venia maturan- do ; e intendo che al iempo delia istituzione del Doge, l’ aristocrazia, propriamente detta , non s’ era ancora for- mata : i nobili erano ancora troppo immedesimati all’.in- tera nazione; e il ben essere, non il dominare, era il voto comune. Che così dovess’ essere, cel mostra la ragion delle cose: che così fosse, cel’indicano i pochi cenni che abbia- mo della costituzione primitiva di quel governo ; cel’ in- dica meglio d’ogni altra cosa l’ istituzione della flucal po- testà. Se l’aristocrazia era già forte , perchè scegliere un 53 nomo a frenare le civili discordie? Tre sono le cause da cui suol nascere il potere monarchico , o il dittatorio , 0 l’ autorità, comunque sia , straordinaria d’ un solo; e so- no : la discordia democratica , la superbia oligarchica, un improvviso pericolo dello stato. In Venezia queste ultime due cagioni non erano : resta, poste sempre le debite re- strizioni , la prima. Quando per democrazia s° intenda il diritto , il potere ch’hanno i più di manifestare or.con uno or con altro mezzo l’ opinion loro, e manifestarla con diretta efficacia, io non veggo perchè l’aristocrazia imperfetta del sig. co. Tiepolo non. possa considerarsi come un’ aristo- crazia democratica. Adopero questi due vocaboli, che , uniti insieme , rendono un’ idea, non infrequente ad esprimer- si nella storia de’ popoli antichi. Egli è certo intanto che fin giù nel aogr, Pietro Orseolo II fu eletto Doge con unanime consenso del se. nato e del popolo, non del senato soltanto : e ciò prova l’ influenza d’ un ordine di cittadini, distinto dal senato- rio. Egli è certo che quella concione, (la quale col tempo sarà stata composta d’ ottimati , ma non, sul principio, quando ell’ era generale), non si smesse del tutto se non se nel 1414; vale a dire, ch'era cosa per lunghissimo tem- po essenziale alla costituzione del governo, sicchè que’de- stri ottimati credevano opportuno doverne per molti anni ancora , dopo frustratone il fine e l’utilità, serbare almen l’ ombra ed il nome. Se queste circostanze si ravvicinino alle nuove leggi che a mano. a mano si. venivan facendo per limitare il potere de’ Dogi, come il sig. co. Tiepolo anch’ egli afferma, si conoscerà come quel soverchio rigo- glio di primitiva eguaglianza che produceva mali gravissi- mi, a poco a poco venisse domato dall’ autorità parte le- gale e parte abusiva d’ un solo ; e come per riparo agli abusi di codest’ unica autorità venisse gradatamente sor- gendo quel governo veramente aristocratico che il ch. A. riconosce e difende. Quest’ è il natural corso di tutte le politiche cose ; che nella fondazione d'un governo , la volontà de’governanti non possa al tutto rendersi ina cces- 54 sibile alla conoscenza e al giudizio de’ governati : ma cre- scendo a puco a poco l’ineguaglianza delle condizioni , delle idee , de’ bisogni , quell’ uno o que’ molti nelle cui mani si ripone lo stato, non eredono necessario chiamare a parte de’ lor consigli la moltitudine ignorante, il volgo profa- no : s’ alza quindì via via una barriera fra il sovrano ed il suddito ; e non solo le leggi, e i trattati, ma le civili deliberazioni e gli stessi giudizii si vengono rinvolgendo nel velo impenetrabile del secreto : la polizia diventa au- siliaria inevitabile della politica ; e il delatore è l’ unico mezzo per cui giunga a certe orecchie il grido della pu- blica opinione. Codesto non avviene se non se ne’governi degradati; e che tale fosse il Veneto negli ultimi suoi tempi, non giova il negarlo Voler sostenere che sin dal primo suo nascere agli anni suoi ultimi sia stata sempre uguale a sè stessa la veneziana politica, non sarebbe pietà d’amor patrio, sarebbe irriverenza e calunnia : questa uniformità ripugna alla evidenza de’ fatti, ripugna alla ragione intima delle cose. In morale, in politica, in tutto quello che ha vita e ragione, l’immobilità de’sistemi è la morte del bene. Sia pure che nei primi elementi del veneto governo si trovas- sero i germi di quell’aristocrazia che il dotto A. con tanta cura sostiene ; ma ci si trovavano al certo anco i germi d’ un’ aristocrazia ben migliore . Il sig. co. Tiepolo non vorrà, svero, affermare che il governo veneto fosse il più perfetto de’ governi possibili; o che il sistema politico ne- gli ultimi anni tenuto da quella grande repubblica fosse una inevitabile conseguenza dell’ essenza sua stessa. Que- sta fatalità che Cousin dalla filosofia di Kant , vuole og- gidì trasportare nella politica e nella storia , è cosa orri- bile pure a pensarsi : e ben fece il dotto Daunou , nella prima lezione del suo Corso, a protestare, quant’era in lui, contro un principio sì oltraggioso alla dignità dell’ uomo, sì conforme alle intenzioni di Mahmoud , e di tutti gli amici suoi. Non sarà mai necessario comprimere lo sfo- go della pubblica opinione , per ben dominarla : e l’ ap- provazione del silenzio è simile assai volte alla testimo- 55 nianza dell’ uomo ucciso, di cui si dicesse ch’ egli è con- tentissimo dello stato suo, perchè non grida vendetta (4). V. Nelle quattro Rettificazioni che seguono, il nostro Autore, nota gli sbagli dal sig. Daru presi intorno alla in- terna ed esterna politica del governo veneto: tratta le questio. ni riguardanti il consiglio de’Dieci, e il tribunale degl’in- quisitori di stato : si ferma a discutere il tenebroso affare del co. di Bedmar: offre di alcune consuetudini o prati- che civili e politiche , più rette idee che non offra nella sua storia il dotto Pari di Francia. Se noi potessimo, co- me veramente ameremmo, fermarci sopra ciascuna di que- ste ricerche importanti , dovremmo spessissimo commen- dare l’ urbanità , la dottrina , la veracità dell’ill. A. ; do- vremmo assentire a non poche delle sue osservazioni ; in- torno a cert’ altre dovremmo proporre alcuni dubbi, forse non facili a sciogliersi con molto onore della veneziana politica. Nè con ciò temeremmo di offendere l’erudito A., o pur dispiacergli: chè le macchie di quel governo al quale egli è superbo d’ essere appartenuto , certo non ne oscu- ran la gloria. E quale repubblica, qual monarchia può vantare d’ essersi dal primo fino all’ultimo giorno dell’esi- stenza sua, potuta serbare intemerata e perfetta ? La storia delle nazioni più illustri è , come la vita dell’ uomo più puro, un misto di grande e di abbietto, di magnanimo e di vile : e fortunate quelle poche dove il bene soverchia; dove gli sforzi dell’ uomo non paiono direttamente con- giurati a ritardare il progresso della comune civiltà! Diremo quì in fine cosa spiacevole, ma necessaria a ridirsi ; che una storia vera di Venezia ancor manca: e innumerabili sarebbero le difficoltà a ben riuscirvi. Le pri- me origini, che tanta luce diffondono su tutto il resto, che molte volte servirebbero a giudicare in bene ciò che, ignorando le circostanze, sì tiene per ingiusto o per sub- dolo , le prime origini, io dico, sono, a detta de’ Vene- (4) Le cagioni dell’ affettuosa memoria che lasciò di sè ne’ suoi sudditi la dominazione veneta, daranno soggetto ad un secondo articolo , se questo primo non sarà mal gradito, 56 ziani più dotti, involte d’ oscurità impenetrabili; pochi ed incerti ne rimangono i documenti; le testimonianze, p as- sionate, contraddittorie fra loro, In questa storia prineipal- mente sarebbe ad adottare per canone sicuro di critica, questo, che ben di rado s’osserva: credere il male , quan- do il male è palesemente o tacitamente confessato da co- loro medesimi ch’ avevano interesse a celarlo: credere il bene, quando il bene è schiettamente od involontariamente attestato dagli stessi nemici, dagli emuli. K. X. Y. Cours de Littérature frangaise professé par M. Vruze- MAIN , etc. Paris , Pichon et Didier, 1828, 7 8.° ( Continuazione ) Nel secolo decimosettimo (lez. 7 e 8 ) la letteratura francese , ammirata per tante opere d’ eloquenza e di poe- sia, era divenuta l’arbitra generale del gusto europeo. Nel secolo seguente, prendendo a trattare i più alti argomenti della morale e sociale filosofia, divenne per così dire la grande aringatrice d’ Europa , e le sue discussioni parvero toglier pregio alle stesse discussioni parlamentari d’Inghil- terra. Le une infatti, ristrette quasi esclusivamente agli af- fari dell’ Inghilterra medesima , appena erano allora ascol- tate al di fuori, Le altre risuonavano tanto più lontano ed esercitavano sugli animi tanto maggior potere, che davano speranza non d’alcune riforme locali o parziali ma d’una specie di riforma universale. Questo fatto troppo memora- bile , dice Villemain , per non esser qui ricordato , è in- sieme il motivo delle mie escursioni fra le straniere lette- rature, da cui se ne raccolgono ad ogni passo le testimo- nianze. Nessuna letteratura peraltro ce lo attesta in modo più distinto che l’ italiana , cioè la letteratura di quella fra le nazioni moderne, che precedette ogn’ altra nella car- riera della civiltà, e che merita pur oggi a tanti riguardi la nostra speciale considerazione. O O 97 L’ Italia , lo so, ha trovato a’ nostri giorni de’ rigidi censori (e qui cita uno storico illustre e un celebre poe- ta ) ; ma le loro sentenze sono contradette da molti fatti, che onorano il presente e fanno presagir bene dell’ avve- nire. Del resto, ei prosegue, io debbo soltanto occuparmi del passato , cioè di quel tempo in cui la nuova lettera- tura , la letteratura filosofica della Francia, divenne qua- si indigena all'Italia. A talnopo ei comincia dal delinea- re quella ch’ ei chiama carta politica del nostro paese , dalla pace d’Aquisgrana (epoca siccome ei nota della pri- ma publicazione dello Spirito delle leggi) sino alle guerre della rivoluzione , o, per usare d’una sua frase , sino al- l’ epoca in cui le opinioni della nuova letteratura sì tro- varono armate. La sua carta ci rappresenta, parmi, con molta fedeltà quel cangiamento progressivo , che in tal tempo si andò fra noi operando , ove più sensibilmente ove meno , nelle idee , ne’ costumi , nella pubblica ammi- nistrazione , e ch’ egli crede in gran parte l’ effetto della letteratura di cui ragiona. Questo cangiamento , promosso in origine da’ governanti , fu potentemente secondato da alcuni scrittori, che diedero così all’ Italia una letteratura novella , a cui se mancò l’originalità della letteratura d’al- tri tempi, non mancò sicuramente nè il candore , nè l’ele- vatezza ; nè quello che può chiamarsi sentimento generale dell’ umanità. La letteratura politica dell’Italia nel secolo decimose- sto ebbe tutt'altro carattere, Nata dalle passioni de’ po- poli o dall’ arti de’ potenti , essa non inclinò punto alle generalità o alle astrazioni, non mirò ad alcun tipo ideale di giustizia e di ben essere, non si propose che il viver libero o l’ assoggettamento altrui. Machiavello fu egli il segretario della libertà o dalla tirannide? Io nol so ancor bene , dice Villemain: egli ha sofferto la tortura per l’una, ha ricevuto stipendi dall'altra. Quello che so di certo si è, ch'egli s’ è penetrato egualmente dello spirito d’ambe- due. Egli ha scritto per avvertire il debole o per armare il potente. Del resto la sua morale è la riuscita ; ciò ch'egli T. XXXIII. Febbraio. 8 58 intende per politica è l’arte di conquistare, di dominare , di liberarsi , sia colla forza sia .coll’inganno. Nè gli altri scrittori dell’ istess’ epoca hanno., generalmente parlando ,, idee differenti. Di che non voglio dar colpa nè a Machia- vello nè a loro , ma a’ costumi di quell'epoca, o piutto- sto alle condizioni d'Italia , alle rivalità de’ suoi ‘piccoli stati, che produceano que’ costumi. In condizioni affatto diverse poterono alfin sorgere altri scrittori , pubblicisti fi- losofi , giureconsulti umani e generosi , economisti più o meno illuminati, de'quali si parla tanto più volentieri, quan- to più ci stanno a cuore i grandi interessi della vita so- ciale, a cui essi consecrarono le lor fatiche. Questi scrittori onorarono certamente la letteratura francese del decimottavo secolo , appropriandosene , spie- gandone e spesso avvivandone le idee , per adattarle all’in- dole o all’ intelligenza de’ loro concittadini. Un uomo ce- lebre (lo storico illustre già citato ) nega loro 1’ ingegno e lo stile, e non loda ne’loro libri che la bontà della ma- teria e la diligenza delle ricerche. Certo il loro stile non è lo stile di Montesquieu , non è quello stile che dà al- l’idee un'impronta inimitabile , sicchè poste in circolazio- ne come le monete comuni, ancor ci sembrano preziose me- daglie. Quanto all’ ingegno , vari di essi probabilmente n’ ebbero più che non poterono mostrarne, o impediti da circostanze locali, o prevenuti da nostri scrittori, di cui si proposero l’ esempio . Del resto è pur d’ uopo ricordarsi d’ una cosa, che dimenticata ci renderebbe ingiusti così verso i nostri come verso gli stranieri scrittori. Molte ve- rità, oggi rese popolari, furono già nuove ed ardite ; e l’ istessa loro popolarità ci attesta l’ingegno di quelli che primi le annunciarono. La gloria di quegli uomini bene- meriti è per così dire scomparsa nel pieno trionfo delle verità medesime; di che eglino , ove fosser vivi, si ralle- grerebbero grandemente, dolendosi soltanto ( questo pas- so , ch'io qui reco in compendio , ebbe molti applausi ) che non tutte la verità da essi proferite con un coraggio magnanimo , che spesso parve imprudente , sieno ancor divenute il patrimonio de’ popoli, Ma se la loro gloria è 59 scomparsa ; resti almeno memoria del beneficio ; e questa memoria , ch’ è parte della nostra gratitudine, giovi a ren- der più giusta la nostra critica. ‘. Singolar vicenda, ei prosegue, delle umane cose! Oggi quanto a di più detlorattile il passato , quanto pur dianzi pareva incorreggibile agli sforzi del raziocinio , più non ci sembra che un sogno , che un soggetto poetico per l’ eser- cizio dell’imaginazione. In un libro, che può qui citarsi, poichè appartiene all’alta letteratura sebben sia un roman- zo, Manzoni ci fa rabbrividire, allorchè, descrivendoci la peste che desolò Milano nel 1630, ci mostra que’ miseri , che morivano a migliaia , forsennati pel terrore accusarsi lun l’altro d’ un delitto impossibile ; e la tortura , per istrapparne la confessione , mescolarsi agli strazi di cui era spietatamente prodiga la natura. Ma quest’orribile acciden- te d’un orribile disastro non è per lui (ripetiamo la frase già adoperata ) che un soggetto poetico. Settant’ anni pri- ma di lui, al tempo d’ nno scrittore suo concittadino che ora nominerò ; esso era ben altro . La saggezza del conte di Firmian, preposto allora al governo di Milano , paga- va il suo debito al secolo , promovendo gli studi utili, proteggendo alcuni scrittori filantropi , ec; ec. Ma nulla o quasi nulla aveva ancor potuto contro i rigori di quelle leggi barbare , che la conquista, il dispotismo, la mal in- tesa imitazione degli usi romani avea radicate nel suolo lombardo . La tortura, vero delitto delle leggi , ancor si manteneva , benchè alquanto temperata nella sua applica- zione, distinguendosi in preparatoria e straordinaria, l’una un po’ men feroce dell’ altra, che infliggevasi come pena. Il giovane Pietro Verri, sdegnato di quest’ avanzo di bar- barie, già da lui combattuto, ma timidamente , in ‘quel celebre giornale che scriveva con alcuni suoi degni amici, e che allora sì pochi leggevano, andava cercando argo- menti per combatterlo con più franchezza. Eyli scopre ne- gli archivii della città la storia giudiziaria dell’ orribile accidente che già si disse , ne è commosso nel profondo dell’ anima, ne fa soggetto d’ un discorso filosofico infini- tamente drammatico, e dà così il combattimento a cui ane- 60 la. Anch’egli descrive dapprima il gran disastro che tolse in sei mesi a Milano più di centomila abitatori.Andi rap- presenta la superstizione, che impadronendosi degli animi atterriti, fa che lo ascrivano a non so quali velenose unzioni fatte con arte infernale alle porte delle abitazioni. Vedete, ei prosegue: un membro dell’ istesso magistrato di sanità cade in sospetto d’ usar quest’ arte : egli è preso , esami - nato, torturato: fra i primi crolli della fune, fra i secon- di, fra i terzi, protesta altamente la propria innocenza : ma il tormento si rinnova; il tormentato manda preghiere alla vergine, ai santi; la sua’ voce vien meno; la sua pa- zienza è ormai vinta ; ei confessa alfine ciò che i suoi giu- dici vogliono; questa confessione diviene un’accusa contro una folla di sventurati ; e alla peste che infierisce si ag- giugne, per usar la frase di Tacito, una peste novella, i delatori. Or che pensate voi della tortura? domanda egli conchiudendo gravemente il suo discorso. Può essa servire allo scoprimento della verità ? Non serve essa piuttosto a legalizzar la menzogna? Non è essa quindi una grande ini- quità? Debb' essa ancora soffrirsi nelle legislazioni de’ pu- poli civili ? Questo discorso , prosegue Villemain , è ispi- rato, come vedete, dall’amore il più vero dell’ umanità e della giustizia , è pieno d’ una viva e naturale eloquen- za, è per tutti i riguardi ben memorabile. Pure chi sa se molti fra i concittadini stessi dell’antore lo hanno letto? Chi sa se molti, leggendolo , in circostanze così differenti da quelle in cui fu composto, saprebbero degnamente ap- prezzarlo ? Ciò che si è detto , ei prosegue, di quest’ opuscolo del Verri, scrittore assai meno lodato ma non meno lo- devole del Beccaria, potrebbe dirsi egualmente dell’ opera più famosa del Beccaria medesimo. In grazia della popo- larità, che tante saggie idee sparse in quest’ opera hanno acquistata , essa non solo ottiene oggi assai minore ammi- razione che già non ottenne, ma anche minore di quella che le sarebbe dovuta. Con ciò egli fa intendere, come vedete, che quella prima ammirazione, fu, al parer suo , eccessiva ; nè di questo parere noi vogliamo lagnarci. Non 61 so però come i Francesi saranno contenti ch’ei spieghi quel» l ammirazione dicendo : noi siamo, voi lo sapete, ammi» ratori un po’ egoistì delle idee simili alle nostre ; noi lu- singhiamo noi stessi facendo plauso a’ nostri interpreti. Il libro dei Delitti e delle Pene, potrebbero essi rispondere, non fu ammirato grandemente fra noi soli, non fu solo tradotto da Morellet ad istanza dell’ illustre Malesherbes, comentato da Voltaire, onorato più tardi d’ esame severo da Lally-Tolendal. Fu pur inserito quasi intero da Cate- rina nel suo codice; fu pur accettato qual libro nazionale dall’ Elvezia non entusiastica, la quale onorò l’ autore di ricca medaglia ; fu pur avuto in gran pregio dai più forti intelletti dell’Inghilterra, fra i quali lord Mantsfield (l’ora- colo delle leggi, dice Lally-Tolendal, in un paese ove tutto si fa dalle leggi) mai non pronunciava il nome del suo autore senza un segno di reverenza ; fu pur tradotto e co- mentato in quasi tutte le lingue, compresa quella della Grecia rigenerata; e in essa per più gloria fu tradotto e comentato dal venerabile Coray. Questo libro adunque fu qualche cosa di ben straordinario agli occhi di tutte le nazioni ; il suo autore parve loro qualche cosa di più che un semplice interprete delle idee francesi. Se Villemain, per non dargli che questo vanto, si prevale d’una sua lettera, ch’ ei cita, al Morellet, fa un poco alla maniera de’ contendenti, che abusano talvolta non generosamente dall’ altrui eccessiva generosità. In un trasporto d’ inge- nua riconoscenza Beccaria ancor molto giovane ha potuto dire d’ aver preso gran parte delle sue idee da qualcuno di que’ filosofi, come Uigenio poteva dire d’ aver. preso da Newton tutta la sua teoria della forza centrifuga, o come Newton medesimo poteva dire d’aver preso dal nostro Bo= relli tutta la sua teoria dell’ attrazione. Non è così mode- sto chi non abbonda d’un merito suo proprio; non confes- sa volentieri d’ aver preso da altri se non chi può ad al- tri prestar largamente. E Beccaria non avrebbe prestato poco , s' è vero ch’ egli il primo, come dice Bentham in qualche luogo (nel secondo volume della sua maggior ope- ra sicuramente) combattè con armi invincibili ii vizio più ‘6a i radicale delle leggi criminali, la propensione cioè o la ri- pugnanza del legislatore presa per misura del merito delle azioni, e obbligò quindi a cercare questa misura in qual- che cosa d’ intrinseco alle azioni medesime. Villemain è assai ‘breve nel parlare del libro d’ uno scrittore , di cui tanti, com’egli dice, hanno già parla- to . Meno breve ma non sempre molto più giusto egli è nel parlare di quello d’ un altro scrittore benemerito del- l’ istess’ epoca , il quale applicò i principii della filosofia non alle sole leggi criminali, ma a quante setvon di no- do all’umano consorzio. La Scienza della legislazione, egli dice, è un libro fatto troppo presto , da un autor troppo giovane e , se così posso esprimermi, per una troppo gio- vane nazione. Ciò che interessa in questo libro (pieno di buona fede, anzi d’ una fede illimitata nel potere della verità e nella sua pronta vittoria) è ancor meno 1’ inge- gno dell’ autore, che il tempo e il luogo in cui fu scritto, Le quali ultime parole parrebbero indicare che nel con- cetto di Villemain questo libro fosse come uno di que’frutti forzati, che la stagione e il suolo diniega, se già, dopo aver- ci parlato delle sciagure del Giannone, non ci avesse mo. strato sul trono di Napoli il figlio d’ un allievo di Féné. lon , il protettore della vecchiaia del Vico e della giovi- nezza del Genovesi; se non ci avesse additata la scuola di questo filosofo, ove già erano sparsi i semi di quelle dot- trine , che appariscono negli scritti dell’ ultimo de’ suoi illustri discepoli , Mario Pagano. Quanto all’ingegno, nes- suno fra noi sicuramente pensa a far paragone fra quello di Filangeri e quello di Montesquieu. Taluno però potrebbe dire che lo scrittore, il qual giovanetto meditava la sto- ria dell’ uomo nella storia di tutti i popoli, avea forse in- gegno così vasto, come aveva ingegno profondo chi dettava le Cause della grandezza e della decadenza de'Romani. Sarà vero ciò che dice Villemain, che senza lo Spirito delle leggi, noi non avremmo la Scienza della legislazione. Que- sta però, ci avverte Villemain medesimo, è piuttosto l’anti- tesi che l’ imitazione di quello. Montesquieu intatti, come aveva già detto il buon Ginguené , ha cercato la ragione 63 di quello che è ; Filangieri quello che dovrebb'essere, Due intenzioni così differenti poteano ben produrre due. opere indipendenti 1’ una dall’ altra. Qual delle due intenzioni frattanto provi più ingegno io non oserei asserirlo, Se , luna i prova un ingegno più positivo, l’altra prova forse un ingegno più elevato. Che se Filangeri andò soggetto. ad illusioni e ad errori, Montesquieu non andò esente da errori anche più gravi. Infatti se l’uno vuol talvolta l impossibile , se per amore del meglio perde di vista o non apprezza abbastanza il.bene, l’altro per cagione contraria cerca spesso di giusti= ficare ciò che non è giustificabile. Pare anzi (notabil sentenza di B. Constant nel suo comento alla Scienza della legisla- zione) che Montesquieu non abbia potuto evitar gli errori che evitando, come fa spesso, le conseguenze rigorose dei suoi principii ; Filangeri per ispirazione del cuore, che ha tanta parte nell’ ingegno , si sia messo dirittamente sulla strada della verità. I ragionamenti di questo filosofo erano già stati pas- sati dal suo illustre commentatore a rassegna troppo rigo- rosa, perchè Villemain potesse notar in essi molti errori non per anco notati. Fra i pochi , su cui perciò si eserciti la sua censura, il maggiore è forse quello che riguarda l’inglese co- stituzione, cioè il rimprovero che Filangeri le ha fatto di mu- tabilità, Nessun popolo, dice Villemain, ha leggi immutabili, ove per avventura se n’eccettui la Cina. La costituzione in- glese cangia poco, e cangia pel bene del paese. È questo, come Milchroke avea già osservato, il suo pregio speciale d’aver tutt' insieme una parte immutabile ed una mutabile, d’es- sere antica e nuova, d’ eguagliare il tempo in durata e di piegarsi a tutti i cangiamenti ch’esso apporta. Filangeri, ei prosegue , non ha valutato questo pregio, vuole a torto che non si possa fare alcuna modificazione alle leg ggi fon- damentali senza il voto unanime di quelli che compongo- no i poteri della società ; il che è un cadere nel. Ziberum veto de’ Pollacchi, un voler cioè, per correggere una co- stituzione che ha fatto floridissimo un popolo, ciò che fece la rovina d’ un altro. Dopo queste ed altre belle osserva- zioni, nelle quali Montesquieu è giustamente apprezzato 64 | al confronto del Filangeri, viene questa conclusione, che non mi sembra giustissima : sappiamo grado al Filangeri della filantropia generosa da cui è animato , ma diciamo ad un tempo ch’ ei manca d’ esperienza non men che di genio , ch’ ei s'è ingannato ogni volta che non ha seguito Montesquieu. Ciò dice Villemain parlando di legislazione politica ; poichè quanto a legislazion civile e criminale anch’ egli intende che Filangeri non ha avuto d’ nopo di quella guida. Voi vedete , ei prosegne, usando qui d’una preoccn- pazione oratoria che non sarà forse inutile in quest'articolo, come il favellare di tali materie ( le varie specie di legislazio- ne) entri naturalmente in tutte le speculazioni sull’eloquenza e la letteratura, Infatti, dopo que’ragionamenti sì elevati che riguardano la nostra natura intellettuale e morale, non ve ne sono altri più degni o più interessanti di questi che riguardano il ben essere pubblico, la giustizia e la libertà che l’ assicurano. E in proposito di legislazione criminale io sono veramente meravigliato , egli dice, del- le sasge e profonde vedute del Filangeri. Ne indicherò una che mi sembra dottissima e sagacissima; la relazion cioè ch’egli scopre tra l’informazion giudiziaria de’ Ro- mani e quella degl’ Inglesi, intorno a che Montesquieu non disse nulla di sì preciso. Da alcuni passi di Cice- rone , di Plinio il giovane e di Quintiliano , Filangeri raccoglie che fra i Romani era l’ avvocato quegli che in- terrogava gli aecusatori; che l’ accusato dispariva in certo modo nel processo, cioè a dire che non essendo supposto sin- cero, poi ch’era interessato a non esserlo, si ometteva d’in= terrogarlo , il che, voi sapete, è proprio anche della pro- cedura inglese. In tutto ciò che riguarda la legislazione criminale, ei prosegue, Filangeri non può mai accusarsi d’ illusioni : ei parla coi fatti alla mano e colla fonda- ta speranza di giovare al proprio e agli altri paesi. Ed è pur da notarsi che molti saggi provvedimenti , che temperano il rigore ancor eccessivo d’ alcune parti de’ no- stri codici, si trovano chiaramente indicati ed eloquente- mente invocati dal pubblicista italiano. Nulla di più bello 65 di ciò ch’ ei dice della necessità d’ un processo pubblico e eontradittorio. Nulla di più umano, edi più vero che le sue riflessioni sull’ abuso del segreto , di cui non sono per ‘avco. esenti le. moderne legislazioni. Spesso egli s'indiriz- za al cuore dei re, ch’ erano a’ suoi giorni in quasi tutta Europa gli. unici legislatori; e allora ei riesce più che mai eloquente. Alla. sua eloquenza peraltro si mescola talvolta qualche cosa che dispiace, un nonsochè di giovanile e di «declamatorio comune agli italiani, che più 0 meno (la frase non è lusinghiera ma non si può dir calunniosa ) hanno quasi tutti dell’ improvvisatore, Certo, egli dice, il pub- blicista. non debb’ essere straniero agli affetti. dell’ uomo. Senza cercar l’ eloquenza, che cercata mai non si trova , ei può e deve abbandonarsi al sentimento che gli ispira- no le cose, usare il linguaggio ch’ esse.gli suggeriscono . Ma quando Filangeri per far comprendere ciò che ha di deplorabile 1’ isolamento dell'accusato , si volse tutto ad un tratto al suo re, gli chiede di travestirsi, di penetrare fra gli orrori di up carcere, e imaginandoselo. ivi giunto fa che l’ accusato gli tenga un lungo discorso e cerchi di mo- verlo a pietà, io sento che tuttociò,, a forza d’ esser tea- trale , riesce men commovente. Del resto , ei conchinde, jo quasi mi vergogno di simili osservazioni, trattandosi d'uno scrittore come Filangeri. Non è forse male il coglier l’oe- casione ch’egli ci offre di ricordare, che pel trionfo stesso della verità giova sempre usar un linguaggio semplice e naturale ; che bisogna guardarsi da un falso entusiasmo ; affinchè i buoni sentimenti appaiano più sinceri ed abbia- no più efficacia, Ma dopo ciò è pur d’uopo rendere omaggio all'uomo dabbene , al cittadino generoso , che sì giovane ancora, in mezzo a non poche difficoltà, difendeva la giu- stizia con tanta ingenuità e tanto calore. Gli scrittori di cui si è parlato (lez. 9) appartengono forse troppo alla scuola filosofica francese , perchè si pos- sano dire i rappresentaoti della letteratura italiana .. Per trovare qualche cosa di veramente originale e nazionale, bisogna uscire un poco dalla bella Italia, fermarsi ad una T. XXXIII. Marzo. 9 66 delle sue estremità, e studiarvi un uomo doppiamente singolare , pel suo carattere e pel suo ingegno , 1’ Alfieri, Non già ch'egli sfuggisse la potente , l’inevitabile influen- za dello spitito francese nel decimottavo secolo. Ma egli almeno s’è sforzato d’ evitarla , s° è dibattuto ‘contr’ essa, 1° ha respinta quant’ ha potuto : Zluctatur wates magnum si pectore possit — excussisse Deum , etc. 'ete. i L’ esistenza di quest’ uomo straordinario , che ‘se fosse vissuto, com’ egli dice, contemporaneo di Dante, satebbe stato suo compagno o suo rivale così nelle fazioni ‘che nella poesia, gli sembra un fenomeno troppo straordinario’ per non ‘occuparsene lungamente, A ciò lo alletta pure‘; co- .me potete imaginarvi, la vita che un tal uomo serisse di sè medesimo, e ch’egli or compendia or traduce, ferman- dosi con ispeciale compiacenza sopra alcune sue parti. Risoluto , ei dice in un luogo, d’ esser indipendente e originale, l’ Alfieri volle sfuggire insieme al: suolo ‘‘na- tivo e alla francese letteratura . Egli viveva ‘bene at- ombra delle istituzioni dell’ Inghilterra ; ma avea. pur d’ uopo d° essere scaldato dal sole d’Italia ; nè in'tutta Tta- lia trovava luogo che gli fosse più caro di. quello: ove ta lingua atticizzando l’aere percote, ec. ec. Per noi abitatori dei freddi climi è pressochè inconcepibile 1’ entusiasmo degli Italiani per la melodia e gli altri pregi del lor linguaggio. ‘Ma è pur d’uopo udire il più aspro de’ loro poeti espri- mere il trasporto che gli cagionano i suoni usciti di boc- ca agli abitanti della Toscana , accusarsi con una specie di compuzion musicale d’aver lungo tempo ascoltato e ri- petuto i barbari suoni delle favelle transalpine tanto dif- ferenti da quella del Petrarca e del Tasso, Simile entu- siasmo, ei prosegue, provavano i Greci ‘per la favella d’O. mero e d’Anacreonte. Credo d’ avervi narrato altra volta I’ aneddoto di quel ricco prestatore, venuto dal Cairo ad Atene , ch’avea grand” uopo di lui "e fischiato spietata- mente in pubblico parlamento per l’idioma , sicuramente non attico , di cui era costretto far uso. Del resto Alfieri non prescelse asuo albergo la felice Firenze per solo amore 67 d’ atticismo ; ma altresì per assicurare tranquillità a’ pro- pri studii, ormai divenuti la sua più calda passione. Villemain, dopo averci parlato di questa passione , ch’è uno de’gran fatti, com’ei s'esprime, della storia lette- raria,e può chiamarsi parte de) genio d’Alfieri, prende ad esaminare le principali opere ch’ essa. produsse , comin- ciando dal libro della Tirannide e dall’ altro che 8° intitola del Principe e delle Lettere. Il primo, egli dice, non è che una grande. esagerazione de’ paradossi del Contratto sociale, un Contratto sociale rimaneggiato da uno spirito più violento di Rousseau, da un uomo che non pensa che per impeto d’animo, da un entusiasta dell’antiche istituzioni. Mentre, per l’ esperienza de’ moderni, l'industria , la ric- ‘.chezza sono stromenti di libertà, Alfieri la proscrive col- l’austerità d’ uno spartano, obliando che il teatro, anche più severo ch’ei nol concepiva , dovrebbe incorrere l’istessa proscrizione, Chiudendo gli occhi alla vita reale, non ve- dendo per nulla ciò che ha di buono la moderna civiltà, imaginandosi dappertutto de’ Tiberii e de’ Neroni impos- sibili, ei dice in propri termini che i popoli della moder- pa Europa sono assai più schiavi dei popoli d’ Orien- te, ec. ec. Se non che queste sue esagerazioni, come Vil- lemain ha già avvertito parlando incidentemente di lui in proposito del Filangeri, non sono tutte da ‘imputarsi all’ indole del suo ingegno, ma molto più ad alcune circo- stanze , che fanno solitamente esageratori gl’ ingegni non servili. L’ altro libro, di cui si disse, è a tutti i riguardi assai più pregevole che il libro della Tirannide. Non già che non si trovino anche. in esso notabili esagerazioni. Ma vi si trovano pure moltissime e notabilissime verità, fra le quali domina questa che il pensiero non è grande e nobile se non è indipendente, che accettando un protezione rinuncia alla propria elevazione. Una certa forza logica , sparsa in tut- to il libro, ricorda senza dubbio la maniera di Rous- seau, ma vi. è impiegata naturalmente, non tende a tra- visar la storia , di cui. anzi si giova mirabilmente , ed è resa efficacissima da un linguaggio , di cui, dopo il Ma- chiavello , 1’ Italia non aveva ancora udito nè il più so- 58 brio hè il più vitotoso. Altre bpere minòri , così di pro- sa come di poesià , sonò brevemente giudicate da Ville- maîn nel testo del sub discotsò ‘critico-biograficò intorno all’Alfieri, ‘©uî septte sino al giorno, in cui fù veduto per la prima voltà da Chateaubriand , sino a quel gior- nò în cul 'còn volto ancot tutto pieno di severità e di fie- rezza scèsè ov*oggi sòrge la figura dell’ Italià che to piange. Le ‘tragedie nel corsò di questo discofso appena son nho- minate. Esse volevano un esame a parte; e l’autore d’uno de’ più bei saggi, che abbiamo sopra Shakespeare, non po- tea defraudarnhe î suoi uditori. Io ne compendierò alcuni passi principali, senza farmi ‘mallevadore di tutte le idee, che vi sonò ‘espresse. L’ impresa , dice Villemain (lez. 10) di dare all’Italia ùun Yiuovò teatro in un'epoca, incui le fonti poetiche sem- bravano ésauste , l’ ardore, affatto straordinario , con cui PAlfieri vi si accinge, ci attestano sicuramente l’anima d’un gran poeta . Ma questo poeta fu egli, poteva egli essere un &ran drammatico ? È impossibile pronunziare il nome d’ Alfieri (di questo democratico feudale, altero, bizzarro, malinconico , impetuoso; ec. ec.) senza pensare ad un ak trò ran poéta de’ nostri giorni, Byron, con cui ebbe uha singolat somiglianza: Come Byron, anch'egli fu troppo oc- cùpato di sè stesso, fu troppo il poeta della sua ‘medità- zionè solitaria, del sno orgoglio misantropico , per poter- sì ‘trasformare né’ personaggi che metteva in iscena , per avere la varietà del penio teatrale . Ei pensò a rendère i suoi personaggi poetiri e repubblicani alla sua maniera ; a fare della tragèdia l’espressione de’ sentimenti da cui era dominato, ‘anzichè la rappresentazione più viva e più naturale de’caratteti e degli avvenimenti. A tal nopo le forme usunli della tragedia, le forme della tragedia fran- cese (comodissime all’imgegno se non molto opportune alla verità) doveanò bastargli. Un critico ingegnoso ha detto che alla purezza di queste forme, al saggio andametito , alla bella ‘concatenazione delle parti, che ammirasi nella tiagedia francese, egli ha saputo unire i grandi ardimenti d’ Eschilo è di Shakespeare. Agli occhi miei egli non 69 ha fatto nulla di questo; ha fatto delle tragedie mitolo- giche o di greco argomento , delle tragedie d’ argomento romano, ‘delle tragedie d’ argomenito moderno, come le aveanò fatte i francesi, salve alcuriè modificazioni che mon costituiscono punto una nuova specie di tragedia. Quanto alle tragedie mitologiche 0 di greco argomento, egli non ha neppur dubitato se noi fossimo veri imitatori del teatro greco , o timidi esecutori de’ precetti che se ne vogliono derivati. Antichi nomi è convenienze moderne , Sofocle ed Euripide corretti secondo Aristotele, ecco, sic- come ognun sa , la tragedia greca della Francia. Quanto fosse diversa per semplicità d’ azione, per pompa lirica, per spirito tutto omerico , ec. ec. la vera tragedia greca , appena è d’uopo ricordarlo. Ad essa bisognava risalire diret- tamente se si voleva in qualche modo riprolùurla, risuscitare a forza d’immaginazione i costumi e le idee d’ un popolo da gran tempo scompatso , ‘esser greco insomma pel carat ‘ tere generale della composizione e non per alcune patti= ‘ colarità dell’espressione. Era questo un tentativo degno d’un bel genio poetico, un’ originalità antot possibile. Io non credo che Goethe l’abbia'ottenuta nella sua Ifigenia € molto meno Grillpazzer nella sua Medea, Racine avrebbe forse voluto ma non ardì cercarla ; nè Alfieri la cercò più di lui. Quanto alle tragedie d’argomento romano, ei potea prender norma da Shakespeare, che mostra i Romani sulla scena, come Plutarco nelle sue vite, colle loro bizzarrie , le loro irregolarità , la loro popolarità . Egli avea letto quel poeta in una versione francese , ed era rimasto am- mirato «lalle sue grandi bellezze, Ma aspirando, com’ ei dice , all’ originalità, non volendo sottomettersi all’imma- ginazione d’ un altro, lo mise da parte. Che avvenne però ? Ei rimase sotto la lesce del teatro francese, seguì, volen- dolo o non volendolo, Corneille, che mai non nomina, per la stessa ragione forse che Rousseau mai non nomina Mon- taigne , che altri mai non nominano quelli a cui più so- no debitori. Nelle tragedie di soggetto moderno Voltai- re, poco curandosi della varietà de’ costumi de’ popoli, e delle particolarità che li distinguono , avea introdotto una pompa di linguaggio che spesso è in contradizione. colla” natural rozzezza de’ popoli medesimi. Alfieri, non curan- dosi più di lui nè di quella varietà nè di quelle particola- rità, che mai non dipinge, usò anch’ egli un linguaggio , dirò così antistorico, il quale s'è meno pomposo di quello di Voltaire non è meno uniforme, Così in tutte e tre le specie di tragedie ei fu tragico alla maniera de’francesi, coi confi- denti di meno (a cui sostituì i monologhi poco più verosimili) e l'entusiasmo repubblicano di più. Questa passione, come sapete, è in ogni soggetto ch’ei tratti la sua grande ispi- ratrice. Ma per quanto la passione sia cosa poetica , essa non è propriamente il genio poetico ; e certo val meglio un’ idea nuova e creatrice, ch’estende i confini dell’arte , di quello che una passione sempre la stessa, che di neces. sità li restringe. Da queste generalità ei scende {lez. 10 e 11) a molte particolarità. Ei fa un ingegnoso confronto dell’ Agamen- none d’Alfieri con quello d’ Eschilo e con quello di Le- mercier (confronto che ne ricorda uno più magistrale fatto l’anno scorso da un altro illustre professore , m. Patin., dell’Antigone dell’Alfieri medesimo con quella di Sofocle) e dopo 1’ Agamennone parla della Merope, che confron- ta coll’altre due Meropi più celebri, e giudica co’ princi. pii de’Greci. Indi viene alle tragedie di soggetto romano, e comincia dalla Virginia, che confronta particolarmente con quella di Knowless (simile confronto era stato fatto da altri) e la giudica co’principii sakesperiani, coi quali giu- dica pure l’ Ottavia e i due Bruti. Passando alle tragedie di soggetto moderno , parla prima della Maria Stuarda che confronta brevemente con quella di Schiller , poi della Congiura de’ Pazzi e alfine del Filippo , di cui fa un lungo confronto col Don Carlo del poeta alemanno pocanzi no- minato , ciò che avea pur fatto il Sismondi. Tutta que- sta ‘parte di discorso è piena d’interesse e d’ istruzione , è forse una delle più belle che s’ incontrino. nelle lezioni di cui rendo conto, ma è di tal natura , che il compen- diarla è quasi impossibile , e l’ introdurla qui per intero cagionerebbe un’ eccessiva prolissità. | | pi L'esame delle tragedie d’ Alfiéri (esame vero e non semplice censura, poichè contiene osservazioni che torna- “no a grande ouore delle tragedie medesime ) lo conduce naturalmente a parlare di ciò che diede logo gran popola- rità negli ultimi anni della vita del pocta . Alfieri, egli dice , detestava la repubblica francese poco meno di quello che amasse la gloria. Nondimeno la sua gloria fu in gran parte 1° effetto delle conquiste di quella repubblica . Per esse egli divenne il genio poetico del tempo, l’ interprete delle idee e delle passioni , ch'egli avea contribuito a sve- gliare. Ciò che avea d’ esagerato il suo entusiasmo patriot- tico era in armonia con quella libertà, dirò così teatrale , che pareva allora l’ idolo della moltitudine. Cessati in parte i motivi d’ ammirazione pel poeta dell’ entusiasmo patriottico, dovea necessariamente cominciar 1’ esame del poeta drammatico. Sono stato rimproverato , dice Villemain a mezzo del suo lungo discorso sopra Alfieri, di non avere ancor par- lato del Metastasio. Ma oltrechè io temeva ; passando d’epi- sodio in episodio, d’ allontanarmi troppo dalla Francia 4 l’ opere del poeta cesareo nun mi conducevano direttamente a quell’ esame ancor più filosofico che letterario ch’io mera proposto del genio italiano nella seconda metà del secolo decimottavo. Alfieri è per così dire il rappresentante di questo genio , su cui ha esercitato sì gran ‘potere. Al- 1’ incontro il dolce, 1’ armonioso Metastasio non è il rap- presentante , che di quello stato in. cui Alfieri ssi, dole- va che fosse caduta la sna nazione. Egli colle ‘sue opere sì regolari e sì inverisimili ( qui pure io. mi fo relatore non mallevadore ) co’ suoi personaggi affatto immaginari, colla mollezza del suo linguaggio, non ci mostra in Italia che una grande accademia , occupata del prestigio piuttosto ‘che del genio dell’ arti, e tutta dedita a quelle frivole distrazioni, per cui era discesa dal grado, a cui il secolo decimosesto l’ aveva inalzata. Si è detto più volte , ei pro- segue , che Metastasio è un imitatore di Racine. Ma s’ egli partecipa in qualche modo alla sua eleganza , mi par ben 72 lungi dal partecipare alla sua forza tragica. Voltaire ha pur detto, che il Metastasio è quegli che più d’ogn’altro può darci idea della tragedia greca. Ma chiunque conosce que- sta tragedia sa bene se sia ammissibile tale opinione. La tragedia greca, è vero, si cantava, ma quel canto era. sacro agli eroi del paese, non al piacere d’ alcuni dilettanti; si cantava, ma quel canto facea fremere di terrore o d’am- miîrazione nn popolo adunato in una festa patriottica., non solleticava l’ immaginazione e gli orecchi in una» sala di divertimento. Certo nell’ opere metastasiane. s° incontrano scene molto patetiche s ma in generale esse non sono com- poste che di scene graziose, il cui effetto, secondo lo scopo medesimo del poeta, non è che una molle distra- zione. Ove si parli d’ effetto teatrale , io sono costretto. dar la preferenza all’ opere buffe, per esempio alla Congiura di Catilina dell'autore degli Animali parlanti, E questa una parodia destinata unicamente a far ridere, e il suo seopo l’ottiene, Che ottengono quell’altre parodie, chiamate opere serie, lusinghevoli è vero per eleganza ed armonia di. lin- guaggio, ma che non presentano quasi nulla di vero, non si compongono che di situazioni, di caratteri, di sentimenti convenzionali come le note della musica ? Dopo il Metastasio, Villemain non può schivar di par- lare del Goldoni , del pittore della natura, come Voltaire lo chiamava, e a cui non può certo rimproverare che manchi di verità. Ma egli non gli consaera che poche pa- role , avendone già parlato come sembra nel corso ante- cedente, Goldoni, egli dice, a cui si dà il nome di Mo- lière dell’ Italia, era più francese che italiano. Certo le sne commedie più originali, più ingenue, sono quelle ch’ egli ha composto nel dialetto veneziano. Ma egli ha passato in Francia i trenta ultimi anni di suna vita, ha fatte sue le idee e le forme della nostra commedia , ed ha finito, voi lo sapete , componendo per la nostra scena e nella nostra lingua. Questi giudizi sui drammatici italiani sono conformi, come ognun vede , a quelli già pronunziati da altri stra- i 73 nieri ed esaminati da vari de’ nostri critici, che mi di- spensano qui da ogni comento. Chi credesse d’averne d’uo - p° , non ricorrerà senza frutto alle note, con cui il ‘bravo Gherardini accompagnò la sua versione dello Schlegel, di cui si possono (e questo è il mio caso) adottare i priucipj senza aduttarne sempre le applicazioni. L'influenza dello spirito francese sull’italiano nel de- cimottavo secolo parve a Villemain (sono le sue proprie parole ) un fatto di troppa importanza nella storia gene: rale dello spirito europeo, perchè non cercasse con ogni diligenza di verificarlo. Le prime prove di questo fatto gliele somministrarono gli scritti dell’Algarotti @ del Bet- tinelli, 1’ uno volenteroso , l’ altro involontario propaga- tore dell’ influenza di cui si ragiona. Le ultime gliele som- ministrano alcune dell’ opere del Cesarotti e i versi du brillant et énergique Montii, la cui imaginazione emineu- temente italiana era sì propria a dar aria di nazionalità alle idee straniere. Giunto all’epoca di questi due scrittori, cioè alla fine del decimottavo secolo, ei si ferma a parlare degli effetti morali della conquista francese in Italia ; e, come questa sua digressione esce oltre il solito dall’ argo- mento letterario , a me basta d’ averla indicata. In pro- . posito di letteratura , fa meraviglia ch’ egli abbia obliato alcuni scrittori di merito assai distinto , di cui già avea parlato Hobbouse nel suo Saggio, e che avrebbero. for- se modificate le sue vedute. Fa meraviglia sopratutto ch’ ei non abbia neppur nominato Parini , l’ amico d’ al- cuni di que’ filosofi ch'egli celebra, il loro compagno d’in- tenzioni e di fatiche , il poeta che dopo l’ Alfieri ha più operato sullo spirito della nazione , e sembra destinato ad operarvi anche dopo di lui. Ciò è poco meno inesplicabile che il suo silenzio sul Sarpi ( v. l'articolo antecedente ove parlasi degli storici anteriori alla scuola volterriana ) cioè di colui che primo, per usar la frase d’un mio detto ami- co, concepì la storia relativamente allo stato e ai bisogni del genere umano. Dopo questa lunga escursione sull’ Italia, prima di T. XXXIII. Febbraio. 10 74 4 ridursi al punto ond’ era partito , Villemain dà un bré-, ve passo negli altri paesi d’ Europa (lez. 12) per vede- re quai vestigi vi trovi dell’ influenza francese. Comin- ciamo, egli dice, da quello ov’ essa è men sensibile , cioè l’ Alemagna, Certo gli Alemanni, malgrado 1’ eleva- tezza del loro spirito e il loro desiderio d’ originalità , non poterono, per la data stessa del nascimento della loro letteratura , andar esenti del tutto dalla legge dell’ imita- zione, Ma essi si fecero imitatori cosmopoliti ; e in quella loro, dirò così, esperienza generale di tutte Je combina-. zioni del pensiero; in quella loro mescolanza di tutti gli: elementi dell’ intelligenza e dell’immaginazione, difficil- mente potea trovar luogo ciò che i Francesi amano o ama- rono singolarmente nelle loro composizioni. Gli Alemanni presero dalla nostra letteratura piuttosto le idee che il gusto e le forme. Alcuni de’ loro scrittori furono dominati, sen- za dubbio , dal genio di Voltaire, ma non hanno con es- so alcuna vera somiglianza. Vedete Wieland , egli dice , chiamato de’ contemporanei il Voltaire dell’ Alemagna. Ei fa la cronaca satirica dell'antica Grecia ; vorrebbe essere spiritoso alla maniera di Voltaire, ma quasi non riesce che un ingegnoso antiquario + Del resto alcuni scherzi sopra Alcibiade o sopra Diogene, alcune allusioni piccan- ti ai neoplatonici del quarto secolo , sono oggi senza for- za ; e per fare delle cose antiche una satira delle moder- ne bisognava altra destrezza, altra vivacità che Wieland non ebbe, e prima di tutto bisognava proporselo , il che egli non fece. Alle quali parole più d’ un lettore opporrà probabilmente quelle d’un bell’articolo del Quaterly Review, scritto per supplire ad una lacuna lasciata da mad. Staél nella sna opera sull’ Alemagna ; e di cui mi basti citare un passo che riguarda gli Abderitani,‘ Questa satira greca ( altro degli studi psicologici di Wieland) ferisce a mera- viglia il nostro borghigianismo moderno ( 1’ alemanno) le nostre corporazioni, î nostri magistrati secondari sì inso- lenti nell’ esercizio di quel» piccolo potere che loro è con- cesso. Wieland ha fatto in essa una galleria di ritratti tanto simili al vero, che nella più parte delle città alemanne il 95 pubblico ha creduto riconoscerne gli originali. Un clamor generale , degno della città stessa d’Abdera, si alzò allora d’ogni parte. Wieland lo avea preveduto, e lo accolse quindi coll’usata sua calma, ec. ec, ,,. Lo scrittore, a cui Villemain fa piena giustizia , è Lessing, spirito originale, com’ei lo chiama, e d’un gusto severo, talvolta imitatore e più spesso censore della francese letteratura, ma censore di tal perspicacia, che nessuno al confronto sembra esser- sene penetrato meglio di lui. Tranne questi due uomini celebri , prosegue Villemain, noi quasi non troviamo altri che ci attestino in modo notabile l’influenza della Francia nella letteratura dell’Alemagna. Quest’influenza , com’ egli dice , si esercitò piuttosto sull’opinioni e lo stato sociale di quel paese ; di che reca in prova specialmente le ri- forme legislative che tutti conoscono della Prussia e del- } Austria. In Russia, in Danimarca, in Isvezia noi vediamo qual- che cosa di simile. Noi vediamo le corti di que’ paesi, divenute per così dire tante accademie francesi. Ciò, è vero, non influì molto sui popoli troppo separati da esse, e poco preparati a de’cangiamenti repentini , fatti , se così posso esprimermi , per entusiasmo teorico. Intanto è notabile co- / me si annunciavano loro le idee proclamate dai filosofi francesi, idee che ormai erano comuni a tutte le classi ele- vate d’Europa, e formavano se non la politica vera almeno la politica ostensibile di quasi tutti i gabinetti, Lo spirito francese , ei prosegue , che non avea qua- si incontrati ostacoli nel settentrione, dovea trovarne non pochi ne’ bei climi del mezzogiorno ; ma ivi pure non solo si fece strada, ma divenne ben presto assai possen- te. Esso vi divenne anzi più possente che nella . Fran- cia stessa; ciò che gli avvenimenti posteriori , lo veggo , rendon difficile a credere , ma che pure ci è attestato dalla storia. Noi troviamo, egli dice, pochi autori spagnuoli che vadano sulle tracce de’ francesi, e assai meno che andan- dovi si avvicinino a loro. Ma il genio francese in Ispa- gna si manifesta negli atti del governo, negli scritti {di quelli che reggono lo stato , come d’ Aranda, Campoma- 76 nes, Florida Blanca, uomini benemeriti , divenuti saggi riformatori, come un tempo Lucullo divenne buon gene- rale, leggendo de’ buoni libri. Lo stesso , ei prosegue, av- venne in Portogallo, sebbene con certa violenza, dovuta al carattere di De Pombal che può chiamarsi il Richelieu della moderna filosofia . Quest’ uomo di stato , egli dice , fece qualche abuso della forza, ma fece pure cose grandi e salutari, svegliò il genio della sua nazione, le rese l’ar- dore dell’ industria e del commercic , vi gettò il germe prezioso de’ progressi sociali. ‘. Tale, ei conchiude (dolendosi della rapidità e super- ficialità del suo discorso , ch'io ho dovuto far comparire troppo più superficiale ) fu l’influenza delia letteratura francese nel decimottavo secolo. Quest’influenza, voi l’ave- te veduto, varia, si modifica secondo i paesi e gli uomini a cui si estende; ma è pur sempre l’ anima della civiltà enropea in quell’ epoca. Io ne ho già fatto conoscere ( nel corso antecedente ) i principali autori, Montesquieu sì grande per l’ elevatezza , la forza , la saggezza de’pensieri; Voltaire sì popolare pel dono inimitabile di piacere e di far tutto intendere ; Rousseau sì potente per la logica e la passione con cui strascina quelli che Montesquieu ba istruiti e Voltaire ha divertiti. Questi grandi ingegni, non esclu- so Voltaire, che nasconde spesso la profondità sotto le apparenze della frivolezza, furono per così dire i rinno- vatori' dello spirito europeo . Ciò peraltro che Voltaire dice con orgoglio ( e avrebbe dovuto mescolarvi qualche scrupolo ) del potere esercitato co’ propri scritti, potea dirlo più a ragione Montesquieu , il quale facendo meno strepito penetrò molto più innanzi nelle menti ; potea dir- lo Rousseau , di cui ‘oggi notiamo facilmente i paradossi, e quasi non ammiriamo che il genio artistico, ma che fu a'suoi giorni come un grande e irresistibile oratore , a cui era data per foro tutta l'Europa. Tornando in Francia noi non troviamo più nulla d’eguale a questi ingegni potenti, più non troviamo (debbo qui notare ch’ egli mai non no- mina Condorcet ) che i loro discepoli, i loro imitatori. Ma essi interessano vivamente la nostra curiosità, applicari- 27 do. i principii della filosofia a tutti. gli oggetti d’utilità pub- blica, a tutte le questioni d’ ordine sociale. F..l’ esame delle loro opere ci conduce insensibilmente a quella gran- d’ epoca , in cui alle teorie succede l’' azione , in cui la letteratura, dopo aver corso tutto il campo delle specu- lazioni , diviene quasi esclusivamente una potenza politica. Quest’epoca (lez. 13) fu ‘affrettata da varie cause, che Villemain descrive, e in ispecie dalle aberrazioni de’depusi- tari del potere, In questo stato di cose, egli dice, si videro riprodurre con deplorabile intemperanza le vecchie dottrine dell’ ateismo e del materialismo, ec. che i Greci e i Ro- mani giudicarono contemporanee d’ ogni decadimento socia- le. Singolar cosa! egli prosegue: mentre la società fran- cese tendeva al risorgimento , aspirava a far rivivere la civile virtù, molti de’ suoi scrittori manifestavano. nelle loro opere le opinioni più contrarie ad ogni dignità, ad ogni indipendenza dell’ anima. E qui egli entra di nuovo ad esaminare i torti reciproci della letteratura e dei depositari del potere, i quali si armarono contro di essa d’inutili rigori. Il pensiero, egli dice, ha in sè qualche cosa d’indomabile se non dell’armi del pensiero. Sotto Carlo II in Inghil- terra gli scrittori licenziosi si erano moltiplicati. Più tardi scomparvero ; e col favore di un libero esame si moltipli- carono invece i difensori della morale e di tutte le sane idee. In Francia i rigori precipitarono la filosofia, la qual rimasta vincitrice abusò, come quasi sempre avviene, della sua vittoria. Così Villemain si fa strada a parlar breve- mente d’ Elvezio , d’ Holbach , d’ Alembert, Diderot, Mar- montel e in generale degli enciclopedisti , le cui fatiche, egli dice, attestano il progresso delle cognizioni e il de- siderio di farle servire al bene dell’umanità, e nel tempo stesso sono piene d’ uno scetticismo, che per cangiare uno stato sociale, ormai inconciliabile collo stato degli intelletti, scote spesso i princeipii d’ ogni società. Sarei però ingiusto e incompleto, ei prosegue, se oblias- sì di dire che a questi principii mai non mancarono validi sostenitori. Si videro sulla fine del decimottavo secolo uo- pini , il cui nome appartiene alla storia per altri riguar- n8 di, Turgot e Necker, per esempio, dichiararsi i difensori della morale più elevata e più pura. Uno scrittore , ch’ è stato sovente trattato con molta severità, Bernardino di Saint-Pierre, fece anche più di loro . Poco importa ch'ei siasi o non siasi ingannato sulla teoria delle maree o altra qualunque , ch'egli abbia o non abbia avuto de’ difetti di carattere poco concordi co’ principii della sua filosofia, Egli avea conosciuto Gian-Ciacomo; egli pure, come Gian- Giacomo, amava i campi, godeva poeticamente dello spetta- colo della natura, e contemplandola si sentiva portare ver- so il suo autore. Così egli fra lo scetticismo del suo tem- po, abbandonandosi alla propria imaginazione e al proprio cuore , divenne il più toccante interprete del sentimento religioso. Avrei ancor molto a dire, ei conchiude , e dopo aver molto detto sarei pur sempre lungi dal fine. Ma l’ anno prossimo noi parleremo ancora di questo decimottavo se- colo, che vedrem tramontare, come un globo luminoso nella tempesta. Sarà certo cosa interessantissima lo studiare l’ul- timo stato delle opinioni nella nostra Francia sì prossima alla sua ruina e al suo risorgimento ; l’esaminare il carat- tere d'una letteratura feconda, già divenuta tutta politi- ca , e che per ultima sua opera fa nascere tra noi |’ elo- quenza parlamentaria. Rimovendo allora per poco i nostri sguardi dalla Francia agitata, ci volgeremo di nuovo. al- 1’ Inghilterra, per contemplarvi il tipo di quel regime ch'è esercitato dal pensiero pel ministero della parola , per ascoltarvi i due più gran rappresentanti di questo regime, Fox difensore delle nostre teorie filosofiche , rese spesso molto incerte dalle nostre terribili esperienze , e Pitt , che sostiene solo il combattimento colla Francia armata, la quel propaga le sue teorie colle rivoluzioni e colle vitto- rie. Così sarà da noi compito il quadro del decimottavo se- colo , di questa grand’ epoca d’ attività letteraria e di ri- forme sociali, che comincia con de’ libri arditi e finisce col rinnovamento del mondo M. Fo IrpoLITto PiNDEMONTE. (*) « Quest’ ultima fatica , o Baldo mio, Donde cortese ai vati un’ aura spira , Concedi a me , che ai dolci versi addio, Addio già dico alla diletta lira. Me ne avvisa il capel , che incanutio , E il sangue , che più lento in me s'aggira : Ma una favilla nel mio petto è ancora, E giovarmene io vo’ pria ch’ ella muora. ,, Così cantava Ippolito Pindemonte qualche mese prima di quel novembre , che fu l' ultimo della sua vita , pro- fetando quell’ anima benedetta la sua prossima fine, e spendendo anche l’estremo fiato nel suo generoso costume di rendere onore agli uomini benemeriti della virtù e delle nobili discipline. Per la qual cosa noi crediamo, che nes- suno che chiuda in petto un cuore italiano, o per dir meglio un cuore così un poco gentile, si rimarrà di ono- rare in qualche guisa la memoria d’ un tanto uomo , e di deplorarne la morte. Or che si farà colui , al quale toccò la sorte di vederlo dappresso, di udire le sue. sante parole, di vagheggiare , quasi diremmo, l’interna figura del suo animo, e fare specchio e ammonizione benefica alla propria condotta? Qual freno porrà egli al suo giusto cordoglio ? Ma un inestimabil cordoglio viene ad impedirci talvolta di ragionar degnamente de’ grandi uomini al pub- blico , il quale, più tosto che il nostro rammarico e il nostro. danno, ama di sentire la schietta verità sopra tutto ciò che quelli risguarda. Senzachè, noi stimiamo di far cosa più grata a lui, che ci fu padre e maestro , vestendo qui la calma filosofica e la rassegnazione. religiosa ch’ ei tanto amava , e raccomandava a noi tanto. Ed appunto per non lasciarci vincere alla passione dell’ animo in sì fresca ferita, noi differimmo infino a questo giorno di scri- (*) Questo articolo va unito a quello di E/ogi di letterati scritti da Ip polito Piudemonte , stampato in questo Giornale , N.” 94. Ottobre 1828. 80. vere di lui , e poche parole oggi pur ne faremo , riserban- doci di condurre quando che sia una tela più ricca , se intanto non saremo prevenuti da un'altra penna di lui più degn , ed a lui per avventura più cara. Ippolito Pindemonte nacque ai 13 di novembre del- l’anno 1753, in una delle più cospicne ed agiate famiglie di Verona. Ben pochi meglio di lui si trovarono nella loro nascita in un sì felice stato di cose ; ben pochi furono fin dai loro.primi vagiti cireondati da tanti eccitamenti al ben fare » conciosiachè , oltre i suoi rimoti antenati, il padre, la madre, lo zio, le sorelle, i fratelli erano accesi a gara dell’ amore del retto e del bello , in guisa che egli \udia giornalmente nella loro bocca andar lodati un fatto egre- gio, un bel libro, un capolavoro dell’ arte, onde potreb- besi dire ch’ egli succhiò col latte la virtù ed il buon gu- sto. Egli medesimo solea lodarsi di tale sna buona ventura, quasi volesse quell’ anima giusta stremare parte delle sue lodi, ed aggiungerla a quelli, i quali pur fanno qualche cosa nel mondo anche a malgrado dell’ avversa. fortuna . Fece i suoi studi in Modena , nel Collegio de’ nobili in quel tempo famoso, ov’ebbe a maestro nelle belle lettere il P. Cassiani, celebre per quel sonetto a tutti noto sul ratto di Proserpina ; e il giovinetto vi andò così ben pre- parato e disposto, che temendo forte al suo ingresso di trovarsi negli ultimi scanni, si vide in vece con sua ma- raviglia tosto seduto fra i primi. Gl’ingegni volgari, come. hanno ottenuto una corona accademica o teatrale , si sti- mano già saliti alla cima dell’arte e della gloria, anelano tosto al riposo, si avvisano che null’altro a fare loro ri- manga , e dannosi a ‘godere in pace la loro felice medio- crità ; ascoltando alle volte per avventura le voci della propria coscienza ; che gli ammonisce di arrestarsi, e non porre. a ripentaglio que’ loro inaspettati trionfi. Bene il con. trario tu vedi accadere ne’ grandi e straordinarii ingegni, ai quali una prima splendida riuscita è solo uno sprone per la seconda , e così di mano in mano avanzandosi , veggono aprirsi ai loro passi un campo sempre più vasto, che li rende sempre più ardenti, e più inquieti, ed incon- 81 tentabili quanto loro basta l’età: Così fu appunto del nostro giovane cavaliere. I moltiplici allori da lui colti nel collegio con que’versi latini e con quelle rime, e con quelle arti così dette cavalleresche, secondo l’uso di quelle scuole, e che gli meritarono il ritratto col titolo d’ insigne nelle lettere e nelle armi ; ad altro non valsero che: a fargli assaggiare la dolcezza della lode , ed. accendergli nell’ animo una forte brama di non lasciar delusa l’ aspettazione che nei suoi maestri e ne’'suoi condiscepoli egli aveva eccitato. Una nobile compagnia «di dame e di cavalieri veronesi volea recitare la Berenice del Racine (la nobiltà veronese non si pasce solamente delle dottrine del Blasone) ma quella Tragedia non era per anco recata nell’idioma italiano, ed ecco il giovanetto cav. Ippolito accorrere pronto all’uopo, ed in venti giorni tradurla e stamparla con un discorso sull’arte tragica. Egli aveva scritto avanti una dissertazio- ne sopra le maschere, che non andò sotto i torchi, ma al fuoco. Intanto a lui giovane, ricco , ed amabilissimo ca- valiere non poterono fallire quelle ‘piacevoli distrazioni , che sogliono mandar presto in dileguo qualunque speran- za di gloria letteraria ne’giovani della sua condizione, Se non che, le dame veronesi non cercano tanto ne’loro va- gheggiatori la nascita e la bellezza, che non vi cerchino ancora , e forse più, la gentilezza de’costumi, e gli orna- menti dello spirito; e dov’ esse pur fossero , come non sono , femmine volgari, la buona ventura del nostro Pin- demonte oppose loro fin da principio due possenti rivali, gli esimii letterati Giuseppe Torelli, e Girolamo Pompei, che rassodarono in lui sempre meglio l’amore della virtù e delle vere lettere , e coi quali sovente, e più coll’ ultimo che insegnavagli la greca favella, gli occorreva di obbliare le sue belle dame , che stavano aspettandolo per ire con lui al teatro o al festino, rodendosi il cuore di noia o di gelosia, Mentre in lui potea più la sciagurata ( così egli graziosamente si esprime in uno de’ suoi Sermoni ) Spar- tana infida , che del Re de’ vati Negl’ immortali earmi an- cor seduce. Quindi egli tra le più dolci distrazioni trovava il tempo di comporre e pubblicar tratto tratto i versi e T. XXXIII. Febbraio. II 8a i le prose , e versioni dal latino e dal greco , che mettea- no e metter dovevano maraviglia in quella stagione, e ch’ei poscia arrossiva , forse con troppa severità , di aver fatto conoscere al pubblico, i Era cosa naturale che in lui avido di scienza e for- nito di modi non tardasse a nascere il desiderio di osser- var quanto possano i climi, le leggi, i costumi, gl’isti- tuti diversi sul ben essere dell’ umana creatura ; ma non volle, come usan fare taluni, cercar le terre straniere avanti di ben conoscere la propria patria. Or eccolo viaggiare per l’Italia intorno al vigesimo quarto anno dell’età sua, e tra- gittar il Faro e visitare la Sicilia, indi varcare il Mediter- raneo, e condursi infino a Malta , ove, come cavaliere Ge- rosolimitano, montò su le galere dell’Ordine a far la sua carovana : e mal si apporrebbe chi credesse che tali viaggi lo distornassero punto dalle predilette sue Muse ; mentre anzi a ]Jui erano un eccitamento di più a dettare i versi e le prose, avendo egli fin dalla più tenera età preso il gen- tile costume di far subietto de’suoi canti le cose peregri- ne in che s’ avveniva , e le operazioni magnanime dei suoi contemporanei. Quindi ebbero origine la Fata Mor- gana , la Gibilterra Salvata , e tanti altri componimenti della sua gioventù fatti viaggiando , che sarebbe cosa lunga solamente il qui nominare ; tra i quali non va passato in silenzio quell'Ulisse, tragedia da lui pubblicata in Firenze l’anno 1778, ond’ei si calzò la prima volta il coturno; e che fu seguita da due o tre altre, che più non si trovano nè anche fra le carte dell’autore, tanto egli era severo con sè medesimo ! In mezzo a tauto scrivere e a tanto errare, egli non tralasciò mai la lettura de’ classici autori delle tre lingue più illustri, a cui potè aggiungere ben presto quelli della francese e dell’inglese, nelle quali trovò pure il tempo di rendersi versatissimo. Noi non sappiamo bene se la vita errante de’ viaggi , ne’ quali i giovani non sogliono badare a certe cautele , o la intensione e multiplicità degli studii , aggiunte ad un temperamento delicatissimo ch’ egli avea ricevuto dalla na- tura, gli abbiano gittato que’ semi velenosi nel petto, che 83 non tardarono a minacciargli una sollecita fine. Fatto sta che noi lo ritroviamo in Verona verso il 1785, villeggian- do in una delle amenissime colline che la circondano, in- fermiccio Je melanconico; ma la sua melanconia ( senti le sue stesse soavissime parole ) scorre molto placida e dolce, e il presentimento: di quel crudo male , che lo minaccia gli ‘| rende più care ancora quelle villerecce delizie, di cui teme ‘che non potrà goder lungo tempo. Per buona ventura delle italiane lettere, sì fatto malore, tanto minaccioso su le prime, invece di. crescere ,,, venne di giorno in giorno sce- mando, come quello che fin dal suo primo apparire incon- trossi nel più, possente avversario che a tutt'i malori che affliggono l’ momo opporre si sappia, vo’'dire in quella vita sobria e regolare , che il nostro Pindemonte prese tosto a condurre :. anzi,noi. staremmo, per dire, che l’Italia dovrà saper grado. a quel suo nè micidiale nè insopportabil ma- lore, intanto che senza di. quello ella forse ora, non avreb- be,il più. caro e nuovo libretto , che vanti la mostra. let. teratura, moderna,; cioè quelle, candide prose e poesie cam- pestri, le quali altro infine, non rappresentano che la schiet- ta.imagine dell’ animo di lui; quando egli solitario e in- fermiccio viveasi nella sua villa di Avesa. Certo. non pos- siam credere che a lui non jarridesse salute, allorchè po- chi anni dopo egli intraprese que’lunghi viaggi oltremonti e oltremare ;..e visitò la Svizzera, la Germania , e-l’Olan- da (anni, 1788, 89, 90) e dimorò cinque. mesi in Londra, e dieci in Parigi, in quel famoso anno 1789, anno ch’ei non potè, vedere tacendo, mf celebrar ‘volle con due sin- golari. operette , il poemetto intitolato|/a Francia , e l'Ode su i sepolcri dei re di quel rinnovato paese, le, quali ope- rette già provano la maturità del sno ingegno e l'altezza del. suo pensare. In Inshilterra eziandio, non, dormì la; sua penna., ma pubblicò ‘in que’ giornali: una lettera), joffren- do..il disegno di diciotto quadri ; che si potrebbero. trarre dall’ Odissea. i MELI {Vi sono certe piccole menti d’ uomini vani,, ;ch’escono della paterna Italia a: veder nuovo» Mondo*, ed alla pater. na Italia rientrano; valtroi non recando per; tutta‘ dottrina 84 che un indegno fastidio verso questa madre sempre feconda di spiriti sublimi ; e certi modi ed usanze che le nebbie rammentano e il gelo de’visitati paesi, ed una favella per così dire a vergato; che tiene di molti idiomi eccetto che del. patrio ,mordendo quella poppa che indarno di sì so- stanzioso latte li nutricò. Ma la vista delle regioni stra- niere ben altro affetto fa nascere negli animi della tempra di un Alfieri, e di un Pindemonte. <‘ Chi sa , io diceva- » mi nell’ entrare a Parigi (così a me parlava un giorne s; quest’ ultimo ) quanto tempo avrà a correre prima ch'io »» ragionar possa delle lettere italiane? E pure mi apposi ,s ben male. Che, trovatovi l’Alfierî, e seco lui famiglia- ,3 rissimamente vivendo, d'altro non si trattava ogni giorno ,; che della ':nostra letteratura, ciascuno di ‘noi a vicenda ,; i suoi componimenti leggeva, nel mostrarci ‘veri Italiani ,, ambo a gara facevamo, a segno ch’ io dir posso che mai ,;s non mi ‘avvenne di ‘attender tanto agli stadii nazionali s3 quanto in mezzo alla più viva luce della letteratura fran- ,; cese ,,, E'per verità il suo spirito patrio ,ed un filoso- fico disingannoper la grandezza straniera mai non si se- gnalarono meglio, che in ciò ‘ch’ egli ‘scrisse dopo il suo rimpatriamento , come in quel poemetto , o sermone che vogliam dirlo,,.dei Viaggi; e in quell’Abaritte, romanzetto . morale e politico, che 1’ autore non sapea bene se ‘ammet- ter dovessè nella collezione delle sue opere; siccome: quello che non ‘appagava il genio del Cesarotti, quando ‘all’in- contro molto (piaceva all’ Alfieri : anzi , per ‘confermarsi sempre più ne’suoi sentimenti co’ recenti confronti , volle risalutar di nuovo la sua bella Italia, vera patria comun- ne degl’ Italiani ; innanzi di arrestare l’errante suo piede nella sua terra nativa; Se non che egli, assuefatto fin dal- l’età giovanile ai viaggi ed al moto, non sapea rimanersi molto a lungo neghittoso nella sua terra , che non.gli ve- nisse alle volte il talento di rinfrescare le sue prime co- noscenze , quelle almeno che a poche poste di quivi lon- tano si ritrovavano. Così egli rivedea tratto ‘tratto le città vicine , dividendo le ore.tra i valenti letterati, e le dame gentili. “ Un anno .(ei dicevami.) dimorai quindici giorni 85 sin Milano «per due sole persone. La prima metà del giot- ;s no io mi stava icol Parini, e la seconda con la co.i Ca- 53 stiglioni';,;.: Dopo 1’ anno 1796 egli si ritrasse nel seno della repubblica»veneta:, la quale, seguendo suo saggio costume verso le più cospicue famiglie delle provincie sug- gette, ‘aveva’ da qualche tempo fregiato della toga patrizia e senatoria la famiglia di lni.-Ma invan si ritrasse, dopo tanto errare ; a cercar riposo nelle case paterne, Un. tur- bine minaccioso: di guerra , che per tutta Europa estende. vasi, in un batter d’ occhio nelsno vortice avvolse quella repubblica già per decrepitezza cadente, e che invan mise mano a quella sua prudenza politica ea quella falsa sicu» rezza j armi fragili. ed inopportune oramai , che più. non potevan ‘salvarla . H inostro Pindemonte itrovossi in mezzo a tutte le tempeste che travagliarono quello stato, e. la sua Verona singolarmente , nè volle fuggirne pur una, te» nendo ‘egli per massima che ne’tempi fortunosi l’uomo dee rimanersi là dove si trova} accadendo sovente che chi fogge un ‘pericolo incorra in altro più grave; e che il cittadino abbandonar nonedebba la'patria quando ella travaglia e pericola : In tale calamitosa stagione egli cercò di conso- larsi co’prediletti suòi'studii, e questo fu appunto ‘il :tempo (vedi costanza d’animo e rassegnazione cristiana!) nel quale per' avventura egli ‘scrisse, 0 imaginò ; ‘tranne le prose. e poesie campestri, quasi tutte le più belle sue opere. Al. lora condusse :al suo. termine: .l’ Arminio ; quell’ Arminio posto da un Cesarotti tra le più belle tragedie del teatro italiano ; il qual giudizio, a malgrado di tanti altri con- trarii; sarà dal tempo avverato, come quel presagio pro- fetico ‘sull’ Atalia , col quale il saggio Boileau. consolava le ore estreme :del suo moribondo amico Racine: allora egli cominciò le Epistole in versi; allora pensò ‘e forse mise mano all’Odissea; allora dettò elogi, ed ‘altre prose e poesie di ogni maniera: né dirà nessuno ch’ ei ‘ciò facesse per im- passibilità o durezza di cuore, quando que’ suoi scritti tutti si tingono del colore de’ tempi ; tutti 0 deplorano le scia- gure de’ popoli, o trafiggono gli abusi e l’ irreligiosità , 0 si scagliano arditamente contro alla Licenza ,.che..vestiva 86 la maschera della Libertà; nè mai decantano principi im- belli.o conquistatori , nè mai glorie usurpate, o sangui- nose corone; ma:tu'vi scorgi sempre la, virtude abbellita de’suoi più splendidi adornamenti, il vizio renduto defor- ‘me sopra modo ed abominevole. Tornati poscia i giorni sereni alla misera Italia , egli prese a condurre una vita sì regolare e filosofica, che gli avvenimenti strani che sorsero più volte a turbare la bre- ve e falsa tranquillità della patria, non giunsero ad alte- rar punto l'ordine delle occupazioni di lui. Mai non cor- revano due anni interi senza ch’ei pubblicasse un’ opera , quasi volesse così giustificare il suo ozio apparente, e ren» der ragione di quel suo metodo sertipoloso, e di quel som- mo risparmio di tempo ch’ egli usava } ‘comechè la sua di- licata salute non gli permettesse di donarne tanto allo studio quanto egli avrebbe desiderato. Nulladimeno egli sapeva con tal senno le sue ore distribuire , e porre così bene a frutto quelle non molte che destinava allo studio; che trovò il modo di comporre non pochi volumi di versi e di prose, e comporli con quell’ amore., e quella dili. genza, anzi scrupolosa. sollecitudine ,, che. in ogni pagina ed ogni verso di quelli, senza per altro offenderci punto, traspare. Dico, senza offenderci punto; perciocchè nessun autore dipinge con più verità l’animo suo ne’proprii scritti; nessuno: manifesta più grande e più. disinteressato. amore per l’arte sua e per.la vera. gloria, e più rispetto per I’ augusto ;nunistero del vero uomo di lettere. Pei quali nobilissimi affetti, e sopra tutto pet quell’ animo eccelso rivolto sempre al bello e all’ onesto in ogni cosa; egli.si fa di leggieri anche qualche soverchia diligenza dell’ arte comportare , altro in fine non iscorgendosi in essa che una somma stima pe’ suoi lettori, ed una premura lodevole di andar loro a sangue; al. contrario di taluni, i quali col loro stile presuntuoso e sprezzante mirano. in certa guisaa soverchiarli, e costringerli ( benchè d’ordinario con poco felice esito ) ad una stupida ammirazione. E rispetto al magistero dell’ arte , ed allo stile del cav, Pindemonte, qui ci cadono in taglio alcune considerazioni, che ci sembrano —rFrr———————_ e 0 da. 87 di non picciol momento, Innanzi ad ogni cosa, ei non con- viene confondere lo stile della sua gioventù, ch’ egli stesso altamente biasimava ; con quello dell’ età matura e della vecchiezza ; nelle quali due ultime età le sue prose, e meglio ancora'i suoi versi, prendono più franchezza, più pieghevolezza , più varietà, e (cosa ben singolare!) più forza, più calore, e ‘più colorito ; a segno che potrebbesi quasi dire , che il cav. Pindemonte ha, come Rafaello , la sua prima e la.sua seconda maniera di colorire i proprii pensieri : : la prima è più legata, più compassata, più ti- mida, e si sforza di ritrarre affatto da’suoi precettori ; la seconda è più libera e grave, e nuova, e tutta sua, e comincia dalle prose e poesie campestri. Vuolsi poi distin- guere i suoi versi dalle sue prose, e confessare che ( ri- spetto allo stile) i primi avanzano a gran pezza le secon- ‘de , sebbene queste ancora non manchino di' bei pregi , come sarebbe la proprietà , la brevità, e l’ efficacia del dire, massime dove altri facciasi a cercarle negli elogi dello Spolverini e del Gozzi, re’ discorsi sull’ arte dram- matica che vanno insieme coll’ Arminio, ed m quelle prose campestri , tanto da noi nominate, nè mai quanto si me- ritano , nelle quali campeggia altresì, insieme con un ap- parente abbandono, una rara eleganza e vaghezza. Egli era forte inclinato alla brevità fin dalla sua gioventù, a segno che il P. Roberti narra graziosamente di aver a lui proibito per tre anni l’ uso di Tacito e del Davanzati; nè sapremmo dire se 1’ amor da lui posto a que’ due serittori lo abbian renduto sì caldo amico della brevità, o l’amore di questa abbia generato in lui quello dello storico latino, e del suo traduttore. Fatto sta ch’ egli, infino agli ultimi tempi, e tanto nelle faccende della letteratura che in quelle della vita, accostumava di usare il minor numero pos- sibile di parole, e nelle sue lettere e ne’suoi stessi vi- glietti 1 uom vorrebbe talvolta aggiungere qualche cosa, nessuna cosa mai vorrebbe levare. Ma seguitiamo a dire del suo stile, e del suo magistero poetico. Fra le doti par ticolari che fioriscono e adornano mirabilmente i suoi versi sono le vive e giuste metafore, e la vaghezza e novità delle 88 sue comparazioni , e delle sue descrizioni, tutte tratte. dal vero; e frutto di quelle osservazioni locali da lui fatte viaggiando, onde per lui dimostrasi appieno di quanta uti- lità tornino i viaggi all'uomo di lettere, ed al poeta sin- golarmente. Sì fatte osservazioni, e l’ attento studio ch’ei pose su i poeti inglesi, e su. gli altri forestieri, dopo quello per altro de’ classici delle tre lingue maggiori greca latina italiana, co’ quali egli crebbe la sua gioventù, e che fu- rono in tutta la vita i suoi amori, e le sue delizie più care ; sì fatte osservazioni, e que’ varii studii degli autori antichi e moderni, furono gli.elementi co’quali egli venne a comporsi uno stile poetico nuovo,, grave , e tutto suo, e tutto italiano ad un tempo, come quello che raccoglie 1’ aria nazionale e nativa ad una cert’aria. di vaga pere- grinità che innamora. Egli fu il primo per avventura che irrigò il corpo dell’ italiana poesia d’ una vena di dolci e melanconici affetti; ma non di quella melanconia che vien dall’amore, nella quale è maraviglioso il Petrarca; di quella bensì che nasce dalla compassione verso il prossimo, dal senso delle umane sciagure , e da quel timore segreto che serpe dentro di noi di non poterle sfuggire: nè mai suc- cede che i suoi lettori si sentano troppo afflitti e ango- sciati da’suoi versi , avendo egli saputo temperare maestre» volmente la tristezza profonda e cupa, e direi quasi, la disperazione degli autori settentrionali , con la gaiezza , la venustà , 1’ armonia , la naturalezza, la pace de’ clas- sici , donde uscinne quel composto unico in Italia che noi detto abbiamo. Ma egli non leggeva mai solo un antore stra- niero senza fargli andare insieme un classico autore, Chi non procede con tali precauzioni in sì angusto e sdruccioloso terreno, è quasi impossibile che una volta o l’altra ei non trabocchi in uno de’ tanti precipizii che ad ogni istante incontra per via. Così non seppe fare il Bertola in un ten- tativo simile, e rimase sotto il suo generoso ardimento,. Avvegnachè in-lui non era preceduta, e nè anche pari l’ usanza de’ classici delle tre lingue a quello studio pe- riglioso ch’ ei pose ‘negli autori stranieri , e ne’ tedeschi particolarmente ; e poco egli conosceva la letteratura pa- 89 tria, e meno ancora egli s’ era addestrato nell’armi e nel- ? arti dell’ italiana favella. Quindi la differenza che corre grandissima fra.i tentativi infelici del poeta romagnuolo , e. gli splendidi successi del veronese : quindi quella durez- zx, quella trivialità , quella poesia prosaica, quel colorito ìncerto dell’ uno; e quella nobiltà, quell’armonia , quel morbido impasto , quella purità, quella eleganza perpetua dell’ altro, e sopra tutto quel fiore della favella poetica, in cui si lascia dietro non solo il Bertola, che ciò non sarebbe gran fatto, ma tutti quanti i poeti del tempo suo, e forse tutt’ i moderni. Fin dall’ anno 1795 che? il cav. Pindemonte stampò unite insieme per la prima volta le prose e poesie campe- stri si manifesta in lui quella sua novella maniera, quella sua cara melanconia, e la sua arte squisita di porre splen- dida veste poetica infino ai più vulgari oggetti della na- tura senza travisarneli punto. La serie non breve delle altre opere ch’ ei venne quasi d’anno in anno pubblican- do la fa sempre meglio conoscere, come a dire le poesie varie, che nel 1798 uscirono in Pisa; l’Arminio che fu nel 1604 pubblicato in Pisa e in Verona; le epistole in wersi nel 1805; nel 1807 i Sepolcri (in risposta a quelli di Ugo Foscolo) i quali furono seritti in vece d'un poema in ottava rima in quattro canti su i Cimiteri , che il Pin- demonte avea già cominciato, e che risaputo dal Foscolo . dalla stessa bocca di lui, pensò questi di fargli una grata sorpresa con que’ suoi Sepo/cri, che a lui togliendo la no- vità del soggetto , la voglia pure gli levarono di spendervi intorno quella lunga fatica che un poema in quattro canti avrebbe richiesta ; e stimando per avventura meglio speso quel tempo ne’ Serzoni, e nella versione dell’ Odissea, ai quali avea messo mano. Laonde noi vedemmo nell’autun- no del 1809 uscire in Verona la traduzione de’ due primi canti dell’ Odissea edi alcune parti delle Georgiche , con due epistole una ad Omero l’ altra a Virgilio ; degne in tutto di stare insieme con quelle altre dodici. Da questo saggio alla pubblicazione di tutta l’opera, che fu nell’an- no 1822, vi corsero, come ognun vede, circa tredici an- T. XXXIII. Febbraio. 1a 90 ni, spazio più lungo in apparenza che in realtà, chi vo- glia avere riguardo alla finezza del lavoro , ed al costume dell’ autore di tenerne ad ‘una volta due o tre sul telaio , e dar opera or all'uno orall’altro, usandodi far così , egli diceva, per tornagusto, e perchè quella varietà , sceman- dogli parte della fatica, sì conveniva meglio al suo deli- cato temperamento. In fatti, nel corso di questi tredici a quattordici anni, egli scrisse, e parte ancora pubblicò , i Sepolcri,i Sermoni (anno 1818) ; i discorsi sulla poesia tea- trale che si videro la prima volta nella quinta edizione dell’ 4rminio (anno 1812); il colpo di martello del cam- panile di San Marco di Venezia (anno 1820) carme tutto nuovo e ricco di alta poesia, e di una morale celeste ; i dodici sonetti in tributo alla memoria dell’ astronomo A. Cagnoli (anno 1821); elogi, dissertazioni; novelle morali, ed altri versi e prose d’ogni maniera, ed infino una trage- dia intitolata Annibale in Capua , ch'io non so se si ri- troverà più tra le sue carte. E qui ci è forza di confessare , benchè a malincuore, che di tale stupenda versione , che noi, e molti con noi, reputiamo poco meno che inarrivabile, ed una delle più belle versioni di classici autori che vanti l’ Europa, vi so- no taluni (ma ben pochi) che si palesano non affatto soddi- sfatti, e ragionano come se loro increscesse che il nostro Pin- demonte l’ abbia intrapresa. Così ci parve di comprendere vltimamente in quel bellissimo articolo sopra Vincenzo Monti , inserito nel n.° 154 della Biblioteca Italiana. E noi chiamiamo bellissimo quell’ articolo perchè tale vera» mente ci sembra , e perchè non è nostro costume il far commercio di lodi e di biasimi, e sapremmo lodare, se il meritasse, non solamente chi maledisse un nostro libro , ma infino chi avesse attentato coritra la nostra vita e l’onor nostro. Ora noi preghiamo il valente autore di quell’arti- colo, a cui spiace che il Monti non abbia tradotto 1’Odis- sea , lo preghiamo di avvertire , che 1’ indole dell'ingegno e dello stile del Pindemonte era più fatta per dar veste italiana all’Odissea, che non era quella del Monti : che la natura di questo poema, rassomigliato così acconciamente Pa 91 da Longino al sole che tramonta, richiedeva ben più quella conoscenza del greco idioma che nel Monti non era, e ch’ era così profonda nel Pindemonte; e che finalmente tra i generi di seritture pubblicati dall’ uno e dall’ altro di questi due grandi uomini, è certo che quelli trattati dal Pindemonte meglio si accostano al tuono di quel frutto senile dell’ Omerico ingegno. Quindi a noi sembra che ciascuno di loro abbia fatto miglior senno, e conosciuta la sua vera vocazione , a rivolgere i suoi studii l’ uno al- 1’ Iliade l’altro all’Odissea, e che 1’ Italia sia venuta così meglio ad accrescere che a scemar la sua glotia . E bene avvisossene quel sommo ingegno e quell’anima candida del Monti , il quale, come vide il primo saggio della tradu- zione Pindemontiana, ne rimase sì pago, che mai non restava di celebrarlo, e perciò ancora verisimilmente avrebbe deposto il pensiero, se a. prima giunta gli fosse caduto nell’ animo , di tentare quella versione: anzi a taluno che volea consigliarnelo (i consiglieri sono pronti sempre poi- chè non arrischiano nulla) rispose , ch'ei non avrebbe mai saputo far così bene quanto il Pindemonte ; confessioni che inon sogliono uscire che della booca de'grandi uomini, cui ‘basta l'alloro immortale che .cigne loro il \capo, senza cercar di sfrondare l’ altrui corona. In ogni modo, abbor- rendo noi dal vezzo di deprimere un valentuomo per esal- tare un altro, vogliamo pur concedere , che il lavoro del Monti sull’Odissea sarebbe riuscito tanto eccellente quanto quello sull’Iliade, noi non crediamo però che ora l’Italia si debba rammaricare ch’egli non l’abbia intrapreso , e ch’ ella senta ancora il bisogno d’ un'altra Odissea, dopo quella del letterato veronese, da lei tanto ammirata ed applaudita, e stampata e ristampata cotante volte in sì pochi anni, se pure l’ Italia non si voglia ristringere nel solo Milano, o. per dir meglio in due o tre abitanti di quella magnifica e dotta città... Ma dove siamo trascorsi? Pace, pace, anima grande e benedetta. Deh non ti offenda se l’amor della verità ci ha fatto per un istante obliare il tuo solito generoso silenzio verso i tuvi avversarii, ed entrare in quelle quistioni a cui tu fosti alieno in tutta la tua santa 92 i vita. Noi abbiamo seguito finora il tuo nobile esempio su quanto noi direttamente toccava, e giuriamo su la cara tua memoria di seguirlo scrupolosamente per l’ avvenire. La- scieremo dunque che ognun si goda le sue opinioni, ele manifesti al pubblico con quel garbo che gli sapranno insegnare la sua natura e l’ educazion sua, e verremo a dire qualche altra cosa ( par quanto il soffre la brevità che qui ci vien comandata) degli scritti e de’pensamenti di quel magnanimo, e dell’ordinario tenore del viver suo, af- finchè il suo esempio torni a profitto dell’italiana gioventù. I suoi elogi in numero di dodici, parte inediti e parte rifatti,e di cui ragionammo a lungo in questo giornale (1), e le stanze in onore di B. Lorenzi , sono le ultime opere da lui pubblicate. Dopo gli elogi (nel secondo volume) si trovano alcuni componimenti lirici, parte nuovi, ma pochi, e parte inseriti nella piccola edizione delle Prose e Poe- sic campestri fatta in Pisa, la quale, se ne va priva di alcuni, ne ha di quelli che inquel volume si desiderano; come il co/po di martello del campanile di S. Marco in Vene- zia, la canzone in morte di Vittorio Alfieri, ed i versi sciolti sì pittoreschi sopra il Teseo del Canova, e sì generosamente pietosi delle sventure illustri de Greci moderni, In tutti questi elogi, come in tutte le prose e ne’versi di lui, do- mina un amore vivo e sincero della verità, della sana religione, del buon costume, e del buon gusto; campeg- gia un’alta filosofia più degna del cielo che della terra; nè mai spirito di parte o politico o letterario quivi ci of- fende, nè fanatismo cieco, nè amor proprio intrattabile, nè orgoglio oltraggioso. Noi ci avvenimmo alle volte in certe persone (e che mai non si trova tra le creature che si trascinano in que- sta bassa valle!) le quali, andando perdute dietro a De- mostene, schernivano un M. Tullio, e l’onoravano del titolo di ciarlone : altre che amavano Tacito, e quasi fa- stidivano Livio : altre che prediligendo certi autori men conosciuti, davano mala voce al Boccaccio; chi per qualche (1) Anno VIII. Vol, XXXI. N° 945 Ottobre 1828. Pag. 42. 93 nube che avevagli offuseati gli occhi dell'intelletto, e chi eziandio contra coscienza., per la sola ambizione di segna- larsi in qualche maniera, Il nostro Pindemonte se ne ri- deva degli uni e degli altri, ed appena ch’ ei concedesse loro il nome d’ uomini ragionevoli. È permesso , egli di- ceva, a ciascuno lo scegliersi un autore che più si confac- cia all’indole propria, e con esso vivere famigliarmente più che con altro ,, nella guisa. appunto che suolsi fare con un amico, con questo patto però che non si perda l’ uso e la stima, e non si ricusi ciecamente di riconoscere le virtù di tanti altri valentuomini antichi o moderni, fo- restieri o nostrali, che onorano il genere umano. Fra i poeti italiani io sono inclinato a prescegliere per amico mio il Petrarca , ma forse ammiro io meno perciò, e gusto meno il divino Alighieri? E suquesto tenore egli ragionava mai sempre. Anzi tu trovi nelle sue opere infino certe dottrine, che ora si appellerebbon romantiche , e che nate sono dal buon criterio e dalla vera filosofia, che in lui erano tanto possenti « Perchè tra l’ ombre della vecchia etade, così egli apostrofa al Foscolo in que’ Sepoleri pupblicati nell’anno 1807 , quando non conoscevasi in Italia nè di nome pure il Romanticismo : Perchè tra l’ ombre della vecchia etade Stendi lunge da noi voli sì lunghi ? Chi d’ Ettòor non cantò ? Venero anch’ io Ilio raso due volte, e due risorto , L’ erba, ov’ era Micene, e i sassi, ov’ Argo. Ma non potrò da men lontani oggetti Trar fuori ancor poetiche scintille ? Schiudi al mio detto il core : antica l’arte, Onde vibri il tuo stral, ma non antico Sia l’ oggetto, in cui miri; e al suo poeta, Non a quel di Cassandra , Ilo, ed Elettra: Dall’ Alpi al mare farà plauso Italia. Tanto gli è vero che le dottrine romantiche (e così dicasi eziandio degli abusi) ritraggono dalla gioventù di quell’ Alcina , la quale , decrepita essendo , tutta fresca e giovane per forza d’incanto appariva a que’miseri, che, senza portar seco il segreto di Ruggiero, nelle sue reti in- 04 cappavano. Ed ecco il saggio Romanticismo, "non quello che si scaglia contro alle regole, fondate su la natura umana e frutto dell’.esperienza di tanti secoli, e le chia- ma arbitrarie ; non quello che ci vorrebbe far mettere un Carlo Gozzi, uno Schiller, un Byron, innanzi ad Alfieri , ad un Racine, ad un Metastasio, e ad un Tasso, Per tutte le quali cose, le opere d’lppolito Pindemonte vivranno quanto la favella italiana, ed il tempo le farà sempre meglio conoscere ed ammirare, siccome quelle che offriranno sempre un esemplare di nazionale e nuovo e grave e non pedantesco stile , una scuola perpetua di ot- tima critica, e delle più sante virtudi , e degli affetti più gentili e più cari. E ben si merita questo guiderdone dai posteri una vita sì utilmente spesa, una vita che si studiò sempre di giovare l’ umana creatura, di migliorarla , di felicitarla, di renderla degna di rivolare in seno al suo Creatore. Così scorrevano tutti i giorni operosi al mostro Pindemonte, che a lui ben si poteva applicare il detto di Apelle , nulla dies sine linea. Avanti l’ultima guerra, egli usava di passare la fredda stagione e parte della prima- vera in Venezia, il resto dell’anno tra Verona e la cam- pagna; e da poi che distrutta gli fu quella villa che gli biancheggiava nel bel colle di Avesa, ei conducevasi a vil- leggiare a Novare , bellissimo luogo dell’ egregia sua ami- ca Elisabetta Mosconi, e qualche anno ancora all’ombroso Terraglio dell’ altra illustre amica sua Isabella Albrizzi. Ma dall’ anno 1807 ch’ egli ebbe la sventura di perdere per morte immatura e crudele la prima, la letizia fuggì dalla campagna per lui, che si condannò a vivere quasi sempre dentro le mura della città , solo cercando tratto tratto sol- lievo e salute in qualche breve viaggetto per le vicine città dello stato veneto, o al più nella non loatana Pia- cenza , ove vivea la sorella Isotta Landi; e mancata anco questa, ch'era a lui soprammodo carissima, in questi ul- timi due o tre anni allungava il suo viaggio infino a Pax via per consolarsi colla degna figlia di lei la marchesa Bellisomi. Questi viaggi ei faceva a piccole giornate, non alterando, per quanto era possibile, le ore del suo sve- 95 gliarsi, del suo passeggio, del suo desinare, e leggendo e scrivendo almeno qualche ora del giorno; fermandosi poi qua e là per via, ed invitando a «desinare gli amici o conoscenti che viveano nelle città donde egli; passava. I quali conviti sovente ci rendevan bene l’imagine di quei simposii della Grecia, o di quelli che amava di bandire a Careggi il Magnifico Lorenzo. Ma oimè che questi amici, che dopo il 1800 formavano per avventura la sola o la più viva piacevolezza de’ suoi giorni, furono appunto quelli che amareggiarono la sua vita! “ Io debbo essere contento s, del mio stato : ho avuto ed ho quanto mi basta: pas- », sai una gioventù brillante : ho viaggiato con gran pia- ,» cere: non ho provato gran disastri nella mia vita. Un ,s solo infortunio mi tribolò, e mi va tribolando : io vidi ,, cadere ad uno ad uno quasi tutti gli amici miei, e la ,s maggior parte in fresca età,,. Così egli dicevami al 1. di maggio dell’anno 1806, nè la sua sorte cangiò tenore infino agli ultimi anni del viver suo. In fatti a lui inge- gno ;, a lui dottrina, a lui nascita, a lui ricchezze assai , a lui concedette il cielo la cara Gloria tanto ritrosa co’let- terati viventi. E che altro a lui mancava per la sua ter. rena felicità, se la sua stessa salute , che su le prime gli recava tanto sospetto, negli anni avanzati, che abbando- nar suole gli altri uomini, a lui più propizia e più co- stante mostrossi? Ma non vedea correre un lustro intero, che qualche persona a lui cara non gli rapisse. Così di ma- no in mano, per tacere del Parini, del Pellegrini, del Bet- tinelli, del Cesarotti, del Lorenzi, del Delbene, e di tanti altri, i quali essendo vecchi dovettero soggiacere all’uma- no destino, oltre Ja sorella, il fratello , la cognata, il ni- pote, egli si vide sparire dagli occhi, avanti l'età, un Torelli, un Pompei, un Sibiliato, un Vannetti, un Berto- la, una Grismondi, una Mosconi, ed ultimamente quel Francesco Negri, che di tanta luce privò la già troppo infelice Venezia coll’ amara sua dipartenza. Intanto si ap- | prossimava il suo fatale settantesimo quinto , e la sua sa- | lute cominciava ad essere afflitta da frequenti maluzzi , i quali però gli permisero ancora di dettare quelle stanze in 96 onore del Lorenzi, che furono il canto del cigno, ehe pre- sagisce la sua prossima fine. Gli raccomanda me (a Dio) che ne’ miei resto Rallentati legami un tempo corto. Così egli in quelle scriveva, quando ecco dileguarsi in un tratto il Cesari suo concittadino , ed indi a poco seguirlo Vincen- zo Monti suo coetaneo , l’ ingegno e la penna del quale ei tanto ammirava. Allora egli cadde in una melanconia profonda , e come se a lui pure fosse giunta la fatale chia- mata dal cielo , ad altro più non pensò che ad apprestarsi al suo più grande viaggio. In fatti quella chiamata. non tardò moltò a venire. Un reuma di petto,che a prima giunta non dava tanto timore , terminò coll’ ucciderlo. Egli passò di questa vita ai 17 di novembre, venendo il 18, alle tre ore dopo la mezza notte, ed è incredibile quasi con qual letizia quell’ anima se ne sia volata al suo primo soggior- no. Fu sì perfetta in quel punto la sua annegazione del Mondo , che ordinò all’ erede di abbruciare tutte le sue carte, non eccettuando neppure alcune prose già preparate per la stampa; ordine che il cultissimo suo nipote marche- se Carlo non si farà , speriamo , coscienza di eseguire con troppo scrupolo. La sua Verona, sempre uguale a sè stes- sa, si segnalò singolarmente nell’onorarne l’esequie, esi pro- pone , per quanto dicesi, di onorarne del paro la memoria in guisa degna di lui, e di lei. Municipalità , accademia, professori , uomini di lettere , cavalieri, cittadini, popolo immenso, accompagnarono il suo feretro co’ segni del più vivo cordoglio. Egli sarà il desiderio sempre vivo de’ suoi contemporanei , che il conobbero dappresso. Egli era l’ami- co di tutti buoni , e degli infelici particolarmente ; ne- mico poi di nessuno , e neppur de’ viziosi, ma jdel. vi- zio soltanto ; pigliando in tutte Île sue operazioni per guida una carità cristiana", che lasciò memoria eterna nella sua patria. Amante dell’ ordine in tutto, e di una certa schietta eleganza , ed osservatore esatto anche del più minimo de’ doveri civili , potremmo dire che in ogni giorno della sua vita ei ci veniva insegnando ciò che. deb. besi a Dio , ciò che al principe, ciò che al prossimo, ciò che alla patria, secondo i dettami del vero letterato, del 97 vero saggio, del vero cristiano, di cui egli ci presentava in se stesso il modello. Armato di somma prudenza, e più tosto renitente che no nel dare i suoi giudizi sopra le ope- re degli uomini di lettere, che non eran suoi famigliari , ed alienissimo da ogni quistione letteraria , egli era poi largo di consigli e conforti ai giovani studiosi che amavano le lettere sinceramente e più la virtù; né i suoi consigli si ristringevano solo alle cose della letteratura, ma com- prendevano ancora le faccende più importanti della vita. E ben conobbe chi ora scrive la santità di que’ consigli , l'efficacia di que’ conforti, nè mai gli avveniva di uscir delle stanze di quell’uomo celeste, e non sentirsi migliore che quando eravi entrato. Così pur foss’ io stato presente in quell’ ultimo istante che tu volasti, anima benedetta , lunge da noi , per raccormi dalla santa tua bocca i tuoi ultimi insegnamenti , ed anche i tuoi ultimi , se a te pa- reva ,. tanto benefici rimproveri. Ma di tale consolazione , ahi lasso! forse ch’ io degno non era. Non mi fui dato di sentire ancora una volta la cara tua voce, nè di bearmi in quel tuo celestiale sorriso : non mi fu dato di bagnare il tuo letto delle mie lagrime , non mi fu dato di aprirti il mio cuore pieno della tua memoria adorata', e sempre dal rimorso trafitto di aver pur una volta osato di offen- derti : non mi fu dato di ricevere il tuo estremo saluto, il tuo estremo perdono. Ma tu che or mi leggi vie meglio qua dentro, deh mi perdona quella violenza di affetti che tante volte turbò la tua pace; mi perdona quella pertinace matura , che destava talvolta lo sdegno nel tuo candido petto , ma che non ricalcitrava giammai, anzi solea ram- mollirsi alle tue riprensioni più acerbe; perdonami pure quant’ io qui dissi di te , che certo il tuo valor non ade- gua ; e gitta ancora dal cielo sopra di me quello sguardo benigno, che tanto mi spirava coraggio nelle noie di que- sta mia perigliosa peregrinazione. Mario Pier. T. XXXIII. Febbraio. 13 98 RIVISTA LETTERARIA. Poesie di Mario Prerr Corcirese, con un estratto dell’ Arte Poetica di Franc. M. Zamworri. Firenze. Tipogr. all’ insegna di Dante 1828. Annunziamo le poesie italiane d’un Greco già noto all’Italia non solo per le lodi che all’ ingegno di lui sentiron dovute molti Italiani dottissimi, ma, (cosa più rara e agli occhi nostri ben più pregevole) per la delicatezza del sentimento , per la indi- pendenza e dignità dell’ affetto. L’ amicizia , 1° amore della patria, e del retto, hanno ispirati i suoi versi; versi composti nella pri- ma gioventù, quando ancora potea parer necessaria e onorevole l’ adulazione offerta in tributo alla gloria, e una condiscendenza consigliata da generose speranze. Ma non lasciatosi illudere da apparenze vane , Mario Pieri, ‘nel fiore degli anni, nel fervore della comune ebbrezza, esclamava : Col vizio patteggiàr le leggi stesse: e gridava all’ inganno in vedere come l’Italia più di pria tremante ancella; e dicea felice il poeta che scevro dal volgo, visse i dì po- vero e in pace ; e nella solitudine dell’amicizia e di quell’amore, che gentile può far d’ alma villana, nutriva L’ alma che il ciel gli diè forte e gentile. Nella solitudine traeva con Sofia vita verace, e quindi sentiva d’ uscire E più forte e più pago e più sereno. L’amicizia è il suo degno conforto, la Musa sua vera; e non si possono senza un senso di riverenza legger que?’ versi che il nostro poeta consacrava alla memoria di Antonio Trivoli Pieri , a lodare quel core, Che palpitò di sè men che d’ altrui. La fortuna ha forse frustrato un de’ nobili suoi desiderii, quan- d’ egli non temea di morire, purchè nel punto estremo si ve- desse intorno gli amici del suo cuore ; ma gli resta consolatrice Colei ch'egli invocava nel Canto secondo del suo passeggio not- turno, e che insegna a schernire la morte , Di quella e questa vita ùna formando. 99 Gli resta, più sospirata d’ ogni ben terreno La cara gloria, e lo spirito di quell’ arte che l’uom fa nume in terra. Non già ch’ egli non conoscesse fin da’ prim’ anni la vanità d’una gloria, per cui l’ uomo Nè di sè nè d’ altrui vive contento + E ognor d’ incerto ben dietro all’ immagò, Il ben ch’ ei gode non conosce e abborre } di quella che lo fa schiavo Ad invidia, a fortuna, al mondo ingiusto. Ma egli ha trovata la vera via dell’ onore , spregiando appunto e l’invidia e la fortuna ed il mondo; egli che della fortuna di- ceva: l'ira sua quasi mi giova ; e in risposta alla invidia mos- trava una fronte cui mai non increspò maligno affetto; e del mondo si rideva sdegnando di chieder pane alle porte di quei grandi Ove lusinga che blandisce e offende; Ove Menzogna, il labbro e il volto infinta; Ove Frode che d’ or le reti tende. Egli prescelse viver la vita in povertà tranquilla , — Senza cura di fama e di fortuna. Egli sfogava liberamente que?’ liberi sensi ond’ha Vl anima calda; piangea sulla tomba di quell’Alfieri, che fatto acuto stral d’ogni suo detto si armò contro il vizio potente ; piangeva il destino della sua patria infelice , piangeva sui mali di questa seconda sua patria, + + + « « + piaggia beata D’ illustri ingegni che non vengon manco Per onta mai di tempo o di fortuna. E così, nell’ atto di deplorare la morte dell’amico e maestro suo , Melchiorre Cesarotti , potea senz’ atrossire, chiamar la sua cetra antica custode de’ sensi suoi. L’ Epitaffio infine, ch’ egli, ad esem- pio di Tibullo e d’ Ovidio , scrive di sua mano sulla propria tomba, è il ritratto fedele dell’ anima sua è Qui si riposa un uom che di quiete Non saggiò stilla , mentre visse. IL Cielo Un’ indole gli diè bollente e mesta: Amò le Muse e libertade, ed ebbe Fortuna al gran desio mai sempre avversa. Amor , gloria , virtude , in fiera lotta 100 Tennergli ognor gli ardenti affetti ; e ognora Povertade al suo vol tarpava l° ale. Viator , prega pace all’ ossa stanche. Questi versi ci danno anche un saggio della maniera poetica del- l’Autore. Chi più ne volesse da noi, legga questi che inchiudono, a parer nostro, una grande idea degnamente espressa: Stolto è chi stima che di vita offenda — Morte i diritti, quando fere al- tera! — Elleno amiche, anzi sorelle sono — E insieme entrambe han sulla terra il trono. Legga questi, che in bocca d’un uomo di lettere, esprimono una verità non men necessaria che bella : + «+ + + + Luce di gloria, Luce ch’ a un soffio sol s° appanna e oscura! Misero l uom che il falso labbro ascolta Di questa maga, el tosco dello sguardo Insidioso bee! Taccio le tante Notti vegliate , i tempestosi giorni ; Ma quell’ ardente irrequieta fiamma Che ti scuote ogni fibra , e d’ ogni gioia Ti rende muto il cor.... ec. Tanta castità di pensiero e d°’ affetto in uomo la cui educazione appartiene ad un secolo forse men ambizioso della morale lette- raria che il nostro; tanta purità d’ espressione in uno scolare di Melchior Cesarotti , son pregi, al parer nostro , mirabili. Si pensi inoltre che tutti quasi codesti versi son frutto della prima gioventà dell’A.; e la critica più severa si troverà ben propensa alla lode. Nè, d’altronde, a noi converrebbe esercitare siffatta importuna severità ; a noi, che in alcune opinioni letterarie discordando dal ch. A., potremmo facilmente essere sospettati d’animosità e d’in- giustizia. Il primo volume finisce conla traduzione di due lettere della nuova Eloisa, di un’ Elegia di Catullo , di tre odi d’ Orazio; e così ci prepara al secondo, che contiene intera la traduzione delle elegie di Properzio. Incominciata per esercizio di stile, essa fu, come il Trad. medesimo in una bella prefazione ci narra, continuata così senz’ ordine , e senza scopo; e per ultimo recata a fine so- prattutto per quella perseveranza , 0 , se così vuolsi , pertinacia, ch’ è la prima qualità , o il vezzo principale della sua natura. Confessa egli i molti difetti dell’Autor suo , ne tocca con affetto di traduttore le bellezze ed i pregi; ragiona delle traduzio ni precedenti, e non dissimula che quella del Vismara (la qual 181 peraltro a noi non pare detestabile affatto (1)) a lui non par- ve insuperabile ; previene le critiche leggiere di qualche giudi- ce troppo franco ; e protesta d’aver tradotto fedelmente anche i passi più lubrici, perchè 1’ opinion sua è che de’Classici si deb- ba aver tutto. Noi così non pensiamo, e crediam che bastino a chi voglia avere il tutto, le edizioni originali: pure cuno- scendo le intenzioni al certo innocentissime dell’ egregio tra- duttore , piuttosto che disputare inutilmente con lui, offriremo per saggio del suo lavoro alcuni passi tratti da varie elegie, raf- frontandoli al testo. L.I. El. I. Fortiter et ferrum, saevos patiemur et ignes, Sit modo libertas quae velit ira loqui. E foco e ferro con tranquillo aspetto Ben sosterrommi, sol ch’ io possa franco Sfogar lo sdegno ch’ ho nel sen concetto. Ei. III. Et modo solvebam nostra de fronte corollas , Ponebamque tuis, Cynthia, temporibus. Ed or le ghirlandette io mi sciogliea Dal capo ,0 Cinzia ; e poscia su la fronte, Su la bianca tua fronte io le mettea. El. V. Sed pariter miseri socio cogemur amore Alter in alterius mutua flere sinu. Miseri entrambi l’ amorosa rita Trarremo insieme, e lun dell’ altro in seno Piangendo sfogherem l’ alma ferita. (1) Citiamone un passo per saggio : E già l’ oste rival divisa avea Nereo in sembiante di falcata Luna. Tremula a’ rai dell’ armi arder la bruna Onda paréa © 0 00. è. a 00. » 0 0 00 a 00 ss È è Togli la patria all’ ultimo periglio: S' ella a te guarda , rio destin non teme. Stanno î suoi voti con la greca speme Sul tuo naviglio. No, non temer perchè del mar la faccia Copran costor con cento vele e cento Fremer sott’ esse l’ onda irata io sento D’ alta minaccia, IREIRPA II Rei ra Triton dà fiato alla ricurva tromba; Cantan dintorno le marine Dive: E di liberi plausi il ciel, le rive, Il mar rimbomba, 102 El. VI. Sed me complexae remorantur verba puellae 4 Mutatoque graves saepe colore preces. Ma tiemmi il duol che la fanciulla preme , Quel mesto impallidir , quel mesto accento Onde mi prega in abbracciarmi , e geme. El. VII. Me laudent doctae solum placuisse puellae, Pontice , et injustas saepe tulisse minas. Io pago appien sarò se alcun mi lode Sol perchè piacqui alla mia dotta amica, E i suoi disdegni in sostener fui prode. El. XIV. Illa potest magnas Heroum infringere vires, (Venus) Illa etiam duris mentibus esse dolor. Ella dirompe a suo volere e aggira Le forze degli eroi ; per lei l’’uom duro Dentro il ruvido cor duolsi e sospira. El. XV. Et quamvis nunquam posthae visura; dolebat Illa tamen longae conscia laetitiae. E sebben fosse in lei morta ogni speme Di rivederlo , pur la rimembranza De’ trascorsi piacer forte la preme. Alcune di queste terzine a noi paiono più spontanee e d’uno stile più proprio dei distici Properziani ; giacchè certa affettazio- ne e improprietà di stile è il principale difetto di questo Poeta (2). Pretendere che la traduzione intera a questi saggi somigli , sa- rebbe desiderio ingiusto, e a compiersi impossibile da umano in- gegno . Abbiamo riserbato quì all’ ultimo 1’ elegante estratto della Poetica di F. M. Zanotti, dal ch. A. posto nel principio del pri- mo volume. E lasciando tutte quelle opinioni nelle quali il dotto Prof. discorda troppo fortemente da noi, noteremo quelle dov” egli alle nostre gentilmente s’ accosta , che non son poche. Egli ne- ga primieramente che il diletto sia l’ unico fine della poesia , verità a stabilirsi importantissima, e la cui ferma credenza di- (2) Basta paragonare lo stile di Properzio con quel di Lucrezio , di Terenzio, di Virgilio, di Catullo, di Tibullo, d’Ovidio stesso, per conoscere quanto, in mez- zo alla peregrinità ed alla forza, v'abbia d’affettato e d'improprio. Costantis deje- cit lumina fastus. — Sevitiam durae contudit Iasidos. — Ibat et hirsutas ille videre feras —At vos deductae quibus est fallacia Lunae; e vanti altri modi simili, io so che si possono a qualche modo spiegare, difendere : ma , in buo- na coscienza , mettiamoci una mano sul pettor — se li avesse usati un Roman- tico? . + 105 stingue la vera scuola romantica dalle ciance canore di tanti poe- tastri de’ secoli andati. Concede col Davanzati } che in poesia la natura scompagnata dalla dottrina, varrebbe qualcosa , la dot- trina sola, niente ; con che si decide la questione della neces- sità delle regole, quand’ anche si ammetta che tutte le regole alla poesia imposte sien conformi a natura , cosa che molti han detta, ma che nessuno ha provata; e a chi lo afferma apparterrebbe il provarlo. Lo stesso sig. Pieri concede col Zanotti, essere affatto arbitraria la regola dei cinqu’atti ; concede che gli argomenti della poesia debbano esser tratti da una storia e da una religione che ci appartenga più che la greca o la romana , sebben poi si rida di questa tendenza religiosa del secolo, la quale, foss’anche un’ap- parenza, indicherebbe, allo stato in cui siamo , ben più che una goffa e puerile ipocrisia: concede col Zanotti che dalla poesia s’ escludano le opinioni contrarie all’ opinioni del volgo : conce- de col Pindemonte ch’ è bello alcuna volta il violare le regole ; il che basta a smentire la loro necessità , giacchè mostra essere indipendente da quelle la vera bellezza ; afferma infine con lo Zanotti che tutte le regole nella sua poetica insegnate, non re- gole sono ma avvertimenti. Trattando della tragedia, ammette la tragedia urbana, ch'è, chi ben pensa , un passo, sebben falso , verso la tragedia ro- mantica: trova ingiusta la regola Aristotelica, che il protagonista debba essere di mezzana virtù; mostra evidentemente di stimare del pari ingiusta quell’ altra di Boileau, che vuole nella tragedia un sol fatto ; cita lo Zanotti, ove dice ch’anche senza l’unità di luogo e di tempo, l’azione non sarebbe mer della, al qual proposito, tacciando i romantici di riprodurre de’ morti paradossi , dimen- tica ch’egli è il suo Zanotti che sostiene codesto paradosso, di- mentica che la testimonianza d’ uomini di tutti i tempi è non lieve argomento di rettitudine e di verità. Dopo aver onorato il Manzoni de’titoli d’alto ed ornatissimo ingegno , d’ animo egre- gio e gentile, quasichè a tale ingegno e a tale animo possano convenire le amare parole ch’ e’ vibra contro tutti indistinta mente i romantici , cita di nuovo il Pindemonte per dimostrare che l’ unità di luogo e di tempo non son conseguenze di quella d’ azione ; ch’ è l’ argomento di Voltaire, il più appariscente che in favore delle unità si possa recare. Concede più e più volte I’ importanza dell’ esattezza storica (sebbene con una eccezione contraddittoria): concede col Zanotti, che lo stile tragico debba secondo le cose variare, ch'è un reputare non imitabile la trop- pa eguaglianza del modo Raciniano e dell’ Alfieriano: concede 104 | con Lessing che le astrazioni poetiche sieno effetto della debolezza dello spirito nostro, da che consegue, che quanto più lo spirito è for- te, tanto più può abbracciare varietà di mezzi e di fini, e compiacersi nella fedele rappresentazione della grande realità ; concede tante altre verità, le quali ben ponderate , sono necessaria conseguenza delle cose ch’ egli altrove ci nega. Ma di ciò a miglior tempo. Quì risponderò brevemente all’osservazione che il ch. A. oppone, nuova e non destituta di certa apparenza di verità contro una proposizione d’° Alessandro Manzoni. Questi, nella prefa- zione al Carmagnola, avea detto che il popolo è men facile de’ dotti a lasciarsi illudere da certe regole arbitrarie di verisi- miglianza , che però se il popolo non s’ offende della violazione delle unità tragiche, la regola dell’ Ab. d’ Aubignac non ha fondamento in natura. Il sig. Pieri risponde che il popolo anzi è il più franco ad illudersi nelle inverisimiglianze più strane, e cita 1’ esempio del Gozzi che con le sue fiabe lasciò deserto il teatro onorato dalle creazioni mirabili del Goldoni. Ben fece il sig. Pieri a trascegliere per esempio il pubblico veneziano del 1750: ma il Manzoni per popolo non intese già la feccia della plebe ; intese l’ intera adunanza di quegli nomini che non conoscono la santissima regola dell’Ab. d’Aubignac. E che in varie nazioni e non barbare, tutti insieme ei più colti e i più rozzi spettatori, e i filo- sofi più profondi, e i poeti più sommi non sentano mancar nulla alla verisimiglianza , mancando le unità di Inogo e di tempo , codesto parmi un fortissimo argomento a provare che la regola delle unità è affatto arbitraria e tirannica. Oso aggiungere che quand’ anche alcuni pochi letterati trovassero , ma sinceramente e in buona coscienza, inverisimile un dramma destituito di que- ‘sta bellezza delle unità, il voto de’pochi letterati dovrebbe esser nulla rimpetto al giudizio pubblico, quando la violazione di sif- fatta regola servisse alla più evidente, ch'è quanto a dire più ef- ficace e più morale rappresentazione del Vero. Una domanda ; e finisco. — Doveva egli dunque serbare tutto quanto il suo sdegno contro questi mal capitati romantici, il signor Pieri che in più e più luoghi delle sue Poesie non dubita di chia- mare divino 1° ingegno di Melchior Cesarotti ? Divino un ingegno che ha fatta sì lunga e sì biasimevol pompa d’irriverenza contro i classici più rispettati e più rispettabili! Se i romantici han detto di meno eglino meriteranno d’essere dal sig. Pieri lodati meno , ma non mai condannati ; se han detto di più (che io non credo) eglino non possono meritare da lui altro che il titolo di divinissimi. K. X.Y. 105 Biografia universale antica e moderna; ossia storia per alfabeto della vita pubblica e privata di tutte le persone che si distin- sero per opere, azioni, talenti, virtù e delitti: opera affatto nuova, compilata in Francia da una società di dotti, ed ora per la prima volta recata in italiano con aggiunte e corre- zioni. Venezia G. B. RENE 1828. Tip. Molinari. Vol. XLV PL-PO. (*) Innanzi di riparlare della utilità di questa edizione, della esemplare perseveranza del valente Editore, e de’ miglioramenti ch’ egli spera potervi operare mercè le cure de’ Dotti italiani , ci sia lecito fermarci alquanto sopr’ uno de’ tanti. vantaggi che dalle vite degli uomini in ogni genere di fama insigni, può ri- trarre la letteratura; la scienza , la pubblica civiltà. To intendo la nuova direzione che dagli esempi, dalle parole , da’tentativi, dalle, menome idee di questi nomini; posson prendere le opere , i tentativi , le idee de’ moderni letterati , educatori , moderatori delle pubbliche cose. Certo al nostro secolo , (io parlo qui del- l’Italia più specialmente ) non manca nè un certo buon volere, nè una certa operosità, e molto meno gl’ingegni, de’quali la natura non è mai avara nè anco alle men privilegiate regioni della terra: manca un'utile, sicura, costante, concorde direzione; che tutti gli studii e i lavori faccia per la via più spedita concorrere ad uno scopo. Se tutto ciò che si pensa, si scrive , e s’opera, fosse piuttostochè a un fine vago; ambizioso , meschino , talor anche perverso , indirizzato a quel fine che solo è nobile, solo ragio- mevole e bello, le opere più mediocri, i più deboli sforzi, le fatiche che possono parere più indifferenti, acquisterebbero e di- gnità nuova e inaspettata efficacia. Ma il più di quello che si tenta fra noi, si tenta quasi a caso, si tenta per soddisfare o ad un misero desiderio di gloria, o ad un_istinto confuso e lungamente re- presso di perfettibilità : manca insomma , come in una delle ul- time sue lezioni osservava Guizot , manca la fede nella potenza del vero. L’ indeterminazione e la nullità dello scopo, trae ne- cessariamente seco la disunione degl’ intelletti, la discordia degli animi ;. e così quegli studi, quelle istituzioni che dovean coo- perare alia maturazione della eiviltà , ne comprimono lo sviluppo, ne corrompono il germe. Cotesta direzione , ch'io dico, cotesta determinazione d’ un degno scopo comune; senza la quale ogni sforzo cade in vano , (*) V. Antologia Tomo XXII. B. p. 17. e Tumo XXV. A. p, 43. T. XXXIII. Febbraio. 14 9 106 ogni bene degenera, donde meglio dedurla che dagli esempi, dagl’ insegnamenti di coloro che nella medesima via ci precedet- tero con onore e con frutto? Il nostro misero orgoglio cospira con la naturale pigrizia per rendere 1’ ammirazione che noi dob- biamo alle glorie passate un sentimento sterilmente ambizioso , e nocivo ai progressi avvenire. Quest’ orgoglio; che corrompe in un subito ciò che tocca; può i mezzi stessi e le ragioni e i do- veri della perfettibilità, trasmutarli in titoli di degradazione; può comprimere i moti animosi della non mai infingarda speranza, e costringere gl’ ingegni e gli animi in un riposo d’ ammirazione, che par quasi una confessione tacita di disperata impotenza. Am- miriamo gli uomini sommi per meglio conoscerli ; onoriamoli col- l’imitarli;. vantiamoli col non mostrarcene indegni; imitiamoli | non contraffacendoli ne’ loro difetti, ma sì continuando le opere da loro lasciate imperfette, indovinando quel ch’ essi hanno inu- tilmente desiderato di fare, ponendo in atto quel ch’ essi nella potente divinazione del genio , hanno , come appena possibile , intravveduto. Io discorreva giorni fa con un uomo di raro ingegno, e, nel fiore degli anni, già noto per lavori matematici ne’quali la esattezza è un germe inesausto di scoperte feconde , discorreva della utilità che può trarre non solo la storia scientifica , ma la scienza stessa da wn più sapiente e più modesto esame di certe idee, di certi cenni , financo di certi errori de’ sommi passati: e sentia con piacere com’egli; per ciò che riguarda alle scienze fisiche, di simili indagini 8° occupasse : ed io qui lo dico , per fargliene quasi contrarre un’ obbligazione col pubblico e con la sua patria ; che hà tanto bisogno degli sforzi generosi e costanti de’ pochi che oggidì possono in faccia allo straniero sostenerne la fama, e rap- presentarne i diritti. Simili indagini gioverebbe tentare in tutte Je regioni del sapere , in tutta intera la storia de’ popoli, per non lasciar nell’ oblivione , e quasi soffocati dall’arena de’ secoli i germi potenti di quelle idee , che , poi presentandosi di nuovo - alla mente di qualche uomo sommo, appaiono inaudite scoperte, ed eran già preconosciute, predette, talor anco chiaramente deter- minate , anni e secoli innanzi. Il vedere, non foss’ altro , quale riuscita facessero in altri tempi , quali ostacoli si sieno opposti alla loro propagazione , quali espedienti i primi scopritori cre- dessero conducevoli al lor fine, sarébbe una lezione preziosa , una educazione incomparabile , una conferma della verità, una guarentigia poco men che infallibile del successo. E non solo dallo spirito creatore de’ sommi , ma dal fortuito o laborioso accozza- nO7 mento delle idee de’ mediocri , emergono le idee innovatrici e feconde: non solo dalle grandi verità; che ben rado si mostran lucide e pure, ma ben anco dai grandi errori è da trarre pro- fitto. Quest’ è ch° io vorrei qui mostrare alla meglio con alcuni esempi , tratti appunto dal volume XLV della edizione Veneta dell’ annunziata Biografia. id I. Nella vita di Pietro di Poitiers, io leggo citato un passo di Lebeuf, che dice: “Sitcome costava molto il fare scrivere i sy libri, e l’ intaglio non era in uso, vi erano sui muri delle :> scuole delle pelli stese , in cui erano rappresentate in forma sy d’ alberi , le storie e genealogie dell’ antico Testamento ec... 33 Pietro di Poitiers è lodato in un necrologo per avere inven- 3) tate tali specie di stampe ad uso de’ poveri studenti, e per », averne provvedute le scuole.,, — Il progetto dalla società d’ educazione di Parigi, testè proposto per nuovo, di chiamar' la pittura a maestra delle verità storiche e morali, non è che una prossima conseguenza di questa idea del dimenticato cancelliere della cattedral di Parigi. Si pensi così ridotta la storia ad al- beri genealogici, ad imagini incise ; e poi si dica se più facile, più dilettevol via possa pensarsi all'insegnamento di tanti fatti , per sè superiori alla capacità non dico della intelligenza; ma della memoria infantile. Il. Nella biografia di Gio. Politi, ch'è un’ aggiunta della ediz. Italiana; si citano le orazioni di lui: ad instauranda jurts eccle- siastici studia ; dove , nella prefazione combatte i metodi di stu- ss dio che si tenevano dagli uomini di chiesa a’ suoi giorni ; e loro »» dichiara siccome dovrebbero condursi studiando per riescire ve- s» ramente dotti in quella scienza ch’è di loro dovere. 74/ metodv 3) da seguitarsi, egli lo avea svolto in quindici prolusioni; delle >» quali non abbiamo in tal prefazione che un breve sbozzo : ma >> temiamo che, come egli tenne sepolte quelle sue prolusioni, » così la esecuzione di que?’ precetti formerà un’altra parte della »» platoniana repubblica. ,, Noi che crediamo utilissima ogni pro- posta , anche non in tutto accettabile, di miglioramento , ‘abbiam notata quest’ idea del Politi , come prova che il bisogno di qualche miglioramento nella elementare e nell’ alta educazione ; ‘era già prima di questo secolo d° innovazioni pericolose ; sentito da ogni spirito retto. III. Del Padre Poncelet troviam citata un’ opera che ha per titolo : chimica del gusto e dell’ odorato, 0 principii per comporre con poca spesa i liquori da bersi e le acque odorose: E questo ti- tolo risveglia tosto l’idea della ‘molta influenza che negli agi e 108 ate P nella sicurezza del vivere potrebbero avere le molte stoperte fisi- che e chimiche già appurate, già certe, influenza che, specialmente in Italia non hanno. I nostri metodi economici , le nostre abi- tudini domestiche , l’ amministrazione stessa (la qual pure ci stà tanto a cuore) de’nostri interessi, è ben poco cangiata da’tem- pi della fisicagaristotelica a noi: o se pure in alcune cose è cangiata , ciò non è tanto effetto della diffusione di certe verità naturali, quanto della moda, e d’ un certo secreto inesplicabile istinto, che lentissimamente ci conduce al meglio o ripugnanti od ignari. La prima cura degli scienziati, dopo scoperta una pro- prietà nuova ne’ corpi, una nuova attitudine, un nnovo uso, una più facil via di servirsene , dovrebb’ essere d’ applicarle tosto a’sociali bisogni. Ea tutt'altro si pensa: e la causa di questa inerzia, secondo noi, più che nell’intelletto, è nel cuore. Maggiore, è vero, si è l'influenza, che incominciano ad ottenere sulle arti umane e sugli usi del vivere, le scienze naturali in Inghilterra ed in Fran- cia. Tre tentativi di miglioramento abbiamo in Italia, tutti e tre degnissimi di riconoscenza e di lode , ma non tutti egualmente efficaci: gli annali di Tecnologia, il Giornale Agrario, e la scuola generosamente aperta agli artisti dal sig. march. Tempi in Fi- renze. IV. Io tolgo da questo medesimo articolo del p. Poncelet una notizia , che basta leggere per sentire le innumerabili conseguenze pratiche che dalla possibilità di perfezionare la scienza anche senza i mezzi scientifici, potrebbe dedurre il religioso solitario, il possidente modesto, il povero artista, il colono ignorante. ‘ Es . o sendomi impossibile, egli dice, di procurarmi le buone opere »» che trattano dell’ agricoltura e delle arti che n’emanano; non s) ebbi altro spediente che quello di poter leggere senza restri- so zione e ad ogni ora nel grande-libro della natura : e per leg- »» gervi con più libertà , per poter meditare più a fondo su quanto vi aveva letto , rinunziando pér alcun tempo al commercio con » gli uomini, mi ritirai in una tranquilla solitudine: ivi non »» conosciuto , ed ignorato da tutto l’uriverso, solo , assolutamente solo; senza compagni, senza servi , senza testimoni, lavorai la terra, seminai, mietei, macinai, feci del pane, senza letame, senz’ aratro , senza mulino , senza forno, in una parola sen- z° altri utensili che quelli che una immaginazione industriosa, eccitata dalla necessità delle circostanze, e guidata dalla ragione, mi faceva inventare. N’eccettuo nondimeno alcuni vasi chimici, una matita, dei pennelli, dell’ inchiostro della China, e so- » prattutto un eccellente migroscopio di cui mi era munito, pe- 2) 33 bb) 29 55 33 Î 109 » rocchè prevedeva l’indispensabile bisogno che spesso avuto ne piravrei ssi V. Di Pietro de Ponce, monaco Benedettino, Por nel 1584), il primo inventore noto dell’ arte di istruire i sordi-muti, atte- stano contemporanei , ch’ e’ riuscì in. modo che gl’ istitutori. mo- derni vantarsi non possono di adeguarlo & anzi sembra appena » verisimile una sì cospicua riuscita. Morales pretende che Ponce »» istruiti avesse i‘due fratelli ed una sorella del contestabile, come 33 pure un figlio del grande giudice d'Aragona, tutt’e quattro sordi- », muti di nascita; e dice che non solo tali allievi scrivevano benis+ so Simo una lettera o tutt'altra cosa, ma che rispondevano A VOCE , alle domande cui loro faceva l’istitutore con segni o per iscritto. sy Vha molto più: de’ testimoni oculari narrano che un sordo- >, muto , allievo del P. Ponce , dopo di aver considerata atten- 33 tamente la mossa dei labbri, ripeteva benissimo delle parole » straniere, pronunziate dinanzi a lui in una lingua cui non co- »» nosceva. .La testimonianza degli scrittori spagnuoli , abituati » all’esagerazione, sembrar potrebbe sospetta; ma tale fatto sin» »» golare è attestato da un testimonio imparziale , sir Kenelm Digby 39 (Della nat. de’ corpi c. 28, n. 8). Or ecco un risultato ch’al- so tri maestri non ottennero , a meno che linguaggio chiamar non »» si vogliano de’ suoni male ‘articolati . . ... Morales aggiunge »» che ha in mano uno scritto nel quale D. Pedro de Velasco », uno dei quattro allievi di Ponce, rezguaglia egli stesso del »» metodo usato dal suo maestro per insegnarli a parlare. .. Non », esiste per altro nessun ragguaglio intorno al suo metodo; ove » non sia questo che , secondo Valles, delineava dapprima le »» lettere dell’ alfabeto, ne mostrava la pronunzia mediante la », mossa dei labbri e della lingua , e dopo di aver formate delle »» parole, veder faceva ai suoi allievi gli oggetti cui dirotano. ,; ° Quand’ anche la tradizione di tale insegnamento contenesse al- cun che d’esagerato , egli è certo che se ne può dedurre una conseguenza , non ancor dedotta , ch’ io. sappia; e importante : ed è, che , se pure tutte quante le parole che compongono l’uma- no linguaggio non si potessero far. articolare a’ sordi muti, si potrà sempre DIScERaT loro ad esprimere con suoni articolati ogni lor sentimento, ogn’idea, semptificando il lor dizionario, e ridu- cendo la pronunziazione a certi suoni elementari, da’ quali col tem- po si potrebbe salire ad un articolazione più varia e più com- plicata. Al che forse gioverebbero non poco gli sfudii recente- mente fatti dal sig. Laffore sull’arte d’insegnare a leggere, da’quali il benemerito uomo risalendo a’ primi elementi della voce uma- tro na, insegna in quarant’ ore circa, quel che, finora costava mesi interi di pena e all’ istitutore e agli allievi. i Così, ricercando nelle idee e negli esempi degli uomini che furono, quanto v° ha di più pratico, di più fecondo, e si rende al lor nome "a degno onore che render si possa , e s'impara a superarli, quasi di necessità ; perfezionando que’ trovati e que’ principi, ch’ essi potean bene vaticinare ; o proporre ma che solo il tempo può condurre a maturità , e propagare. Questa grande opera della biografia ‘universale è già felice- mente compiuta ; e il Veneto editore s’affretta anch’ egli con la traduzione alla meta. De’ pregi e de’ difetti di un tal monumen= | to, che noi crediam più utile , nel suo genere, della stessa Enciclopedia , fu già detto altra volta. Molto s’ è fatto ; moltis- simo vi resta a desiderare ; e la natura stessa del libro, come abbiamo altrove accennato , lo condanna a rimanere imperfetto. Havvi degli articoli, che non solo in nessuna Biografia, ma in nessun altro libro di letteratura non trovano paragone. Havve- ne (e non sono i meno) di quelli che avrebber bisogno di modi- ficazioni, d’ aggiunte importanti. Noi citeremo fra’ primi gli ar- ticoli Pooch, Pompeo Trogo , Poellnitz, Poro, Possidonio, Po- temkin, Potter, Poivre, Pomponne , Polibio, Poncet , Pope, Po- licleto , Pommereul, Pompignan, Poussin, Poupliniere, che por- tano sottoscritti i nomi di Eyriés, Daunou , Sevelînges , Délam- bre, Duvau, Monmerqué , Emeric-David , Gence, Villemain , Dégerando. Fra i secondi, citeremo gli articoli Poleni, Policrate, Poliziano , Polo, Pompei, Pompeo, Pontano, Porfirio ec. L’ edizione Veneta, in questo tomo altre aggiunte non offre che due o tre articoli tolti dal Dizion. di Bassano, uno dal gior- nale di Padova , e tre note bibliografiche dell’ erudito Gam- ba, agli articoli Polemone , Polibio, Polieno. Lo stile della tradu- zione , noi dobbiamo ripeterlo , ha bisogno urgentissimo di mi- gliorare. Ondeggiando tra i francesismi più chiari, e certe affet- tazioni d’ italiano, od antico o troppo illustre, non ha nè l’evi- denza francese , nè 1’ italiana eleganza. Uno straniero non s’ ac- corgerà del ridicolo del presidente qa berretta a mortajo , delle poesie fuggevoli , del comico sublime ; ma, quando leggerà Com- mendon , Pleto, Crassipe ; per Commendone , Pletone, Crassipe- de? — Questa troppo fedele traduzione dal francese indica per lo meno una megligenza che noi non possiamo dissimulare. In una prefazione ch’ è in fronte al volume , il benemerito Editore si rivolge di nuovo ai Dotti italiani, perchè vogliano delle loro correzioni ed aggiunte arricchir l’ appendice ch'egli stà pre- II parando .all’ opera intera. E noi le nostre preghiere congiungiamo alle sue. Un’edizione italiana dove tanti nomi italiani non inde- gni di nota fosser taciuti, tanti onorati con ingiusta liberalità,.tanti trattati con leggerezza soverchia, sarebbe, più' che onorevole, ver- gognosa all’Italia. Questa nazione, nelle sue sventure ancor for- tunata, può in ogni provincia, in ogni città quasi, vantare uomini attissimi a trarre da’ monumenti della patria storia quelle notizie che valgano a porre in luce nuova, e la vita egli scritti :de’lor più celebri concittadini. Deh non rifiutino le cure loro a que- st’'opera di patria carità: l’ utile che può seguitarne, è più gran- de ‘forse ch’ essi medesimi non osino nella modesta lor solitudi- ne immaginare. \ Ke Ku. .L’ Aguzza Ingegno. Almanacco per l anno 1829 consistente in 224 Sciarade: Num. III. Milano Tip. Silvestri. Noi parliamo d’ almanacchi e di sciarrate, perchè gli alma- naéchi sono i libri ch° hanno più spaccio in qualche provincia d’Italia ; perchè le sciarrate paiono ancora a taluno tanto im- portanti da doverle collocare anche in fondo a’ giornali politici + Ecco il terzo almanacco di sciarrate che stampa il Silvestri, af- fermando che agli altri due il pubblico ha fatta buona acco- glienza. Quest’ è che ci spiace, quest’ è che ci sforza a parlar di sciarrate. Il benemerito stampatore di tanti libri utili, non s’of- fenderà certo della preghiera clie a nome di tutti gl’italiani di senno noi gli facciamo, di non istampar più sciarrate, e molto meno di nonle diffondere col mezzo degli almanacchi nelle mani del volgo. Noi leggevamo, tempo fa, con piacere grandissimo, l’annunzio d’un almanacco inglese, compilato da Brougham e da altri dotti amatori. della pubblica civiltà; e dicevamo: perchè dunque anche in Italia non sorge, consigliato o da qualche saggio libraio, o dalla pubblica autorità , o dal più efficace de’consiglieri, l’amor del pubblico bene, un uom dotto, che per la via degli almanacchi inco- minci a insegnare a chi più d’insegnamento abbisogna taluna di quelle tante verità che son pure essenziali al ben essere morale, domestico, economico, civile dei pù, e che la mente de’più o non conosce del tutto , o rende inefficaci e nocive con isconci pregiu- dizi, con errori che non è lecito chiamare ridicoli, quando sì deplorabile n’è l’effetto? Questo dono prezioso, questa innovazione, Ira che tale può dirsi anche dopo gli esempi di Carlo Verri e di Fi- lippo Re, giova sperarla’, ed è lecito richiederla da un mnomo in cui'la bontà dell’animo è in armonia con la rettitudine della mente, dal benemerito compilatore del Giornale Agrario Toscano, Raffaello Lambrusehini. Che se a taluno paresse ancor utile e bello l’ esercitare l’în- ‘gegno proprio ed aguzzare l’altrui con gli enimmie con le sciarrate, noi gli consiglieremmo quel che abbiamo altra volta proposto, e che prima in Francia dal Signor Levy; poi in Italia da un anonimo è stato tentato non so con qual esito: gli enimmi storici. La novità, la varietà, la bellezza quì si concilia con la utilità di diffondere per tal via le notizie della patria storia più importanti e feconde; d’insegnare per modo di scherzo una scienza, e a’ fanciulli, e .a que’ moltissimi che nella cognizione delle vicende degli avi loro e della terra che coltivano e calcano, sono men che fanciulli. In- vece di dar a indovinare che sia. il primo; il secondo, il terzo d’un tutto, il qual tutto è una parola del dizionario , non sa- rebb” egli miglior cosa proporre o per via d’interrogazione in prosa, o (se'‘ad alcuno pur piace a questi umili uffizi destinare la poe- sia) per via di descrizione poetica, un fatto notabile , un carat- tere grande, tacendone il nome, acciocchè Fuditore o îl lettore, messo al punto d’ indevinarlo ; si richiami alla mente e s’imprima con più di forza che mai quant’ ha la storia di memorando e di bello? È egli più dilettevole indovinare aprimento ) aquitotto ; armeria , che trovare qual sia colui che per avere saltato. un fosso perì quasi colpevole di tradimento; o colui che, dopo squar- tato, fu adorato qual Dio; o colui che insegnò a troncare i pa= paveri più rigogliosi; o colui che fingendosi stolto:rinsavi un po- polo intero? Molti, dirà qualche indovinatore malizioso, furono tra ditori per aver saltato un fosso ; molti furono divinizzati e sqnar- tati; molti insegnarono a mietere i papaveri più belli; a molti il simulare stoltezza fu senno e gloria: Ognun sente che in quelle dimande sarebbe rinchiusa una lezione utilissima , quand’anche chi risponde, non sappia pronunziare i nomi di Remo, di Romolo, di Tarquinio , di Bruto. i K.X.Y. 113 } » Voci e modi Toscani raccolti da V. Azrieri, con le corrispondenze de’ medesimi in lingua francese ed in dialetto Piemontese. Pubblicati da Luigi Cibrario. Torino Tip. Alliana. Editore il Libr. dell’ Ace. delle Scienze 1827. « Quella nazione che prima ebbe ed in maggior numero wol- garì scrittori , impresse alia lingua da loro adoperata un carat- tere, un suggello suo proprio ; e fece in guisa , che, ne’tempi che vennero poi, chi volea mirar per entro le segrete ragioni della lingua o per ingentilirla, o per ripurgarla, o per am- pliarla, nelle antichissime scritture de’ suoi anche più rozzi cittadini e nell’ ignobile dialetto del volgo dovesse attentamente studiare , a fine , non d’imitarli, ma di scoprire entro a quelle rozzezze il segreto di fare che una lingua studiata abbia mor- bidezze e colori e sembianti e fattezze di lingua succhiata col latte del seno materno. — Vano ed ingiusto sarebbe negare alla nobilissima nazione toscana le prerogative acquistate col nu- mero e con la qualità degli scrittori. Vano ed ingiusto l’affermare che la popolare favella in sull’ Arno non avanzi in bellezza e dignità tutti i dialetti d’Italia. Però, senza torre affatto a questi il privilegio di contribuir dove possono a crescere di qualche rara aggiunta la ricchezza e maestà della lingua , diremo che nel popolo di Toscana son da eercare principalmente le fogge con cui vestire i nuovi pensieri e le novelle cose, le quali o ‘fra noi nascono , o ci son d’ oltremonte giornalmente recate ; e che nel popolo di Toscana sono eziandio da. cercare quelle locuzioni, le quali, perchè destinate esclusivamente a significare certe particolarità della vita domestica, s'incontrano troppo di rado ne’libri, e sono generalmente ignorate, nè dai dialetti on- d’ usano le altre provincie , si potrebbero laudevolmente de- rivare ,, Così, con imparziale saggezza , toceando il punto pratico , ch° è il solo importante di questa misera questione , l’elegante e dotto Editore. Il quale ottimamente fece ad offrirci questo quader- nuccio de’privati studi d’un ingegno potente, offrircelo e per esem- pio e per saggio : per esempio di ciò che gl’italiani tutti, desiderosi di condurre la lingua a proprietà e unità vera , dovrebbon fare; e per saggio delle ricchezze di questa favella Toscana, ignote an- cora all’ Italia e nel dizionario non registrate. Registrarvele, que- st'è il benefizio che dall’Accademia aspettano tutti i saggi Ita- T. XXXIII. Febbraio. 15 IIS liani; ed è insieme la più eloquente risposta che possan fare i Toscani alle grida di que’ pochi avversari di mala fede che si compiacessero in una controversia oziosa e importuna. Si noti che alcune frasi dall’Alfieri segnate , non son colte nel vero lor senso; equivoci non infrequenti in chi non è nato to-' scano ; equivoci de’ quali le fronde dell’ insalata possono essere un saggio , e il far del seco è l’ ideale supremo. K. X.Y. Dell’ origine de’Cognomi. Lettera del N. U. Lurcr Crsrario al cav. Grus. Manxwo. Torino Tip. Alliana 1827. Notizie di Frsrserro di Pincone, Barone di Cusi, Cons. di stato. Del medesimo. Lezione sopra un maravigliose sonetio di Dante. Del pid dg Tutte e tre in un volume. I cognomi ineominciarone a diventare una quasi proprietà personale, allorchè , comineiatasi ad abolire con la politica ser- vità la domestica , 1) esistenza sociale cominciò a calcolarsi per individui e non per masse; quando cioè il cristianesimo venne con quel suo principio di nuova eguaglianza &@ penetrare di fatto e non di nome nella società. Questa frase da noi adoprata , due anni sono , e che godiamo ora rincontrare nella seconda lezione che tenne Guizot in Parigi quest'anno, parve sacrilega alla Quo- tidienne , a cui piace un cristianesimo che si possa conciliare con tutti gl’invidiabili privilegi del dispotismo pagano. Il dotto A. di questi tre opuscoli, da dieci diverse origini fa derivare i varii cognomi; e sono. i nomi antichi Romani con- servati o risuscitati verso il mille, come Fabii, Massimi ec. ; e i rari cognomi ch’ erano in uso fra’ Barbari che invaser l’Italia . TI. La patria; come Alamanni, Candiani. II. Le singolarità della persona ; come Belvisi, Boccaneri. IV. I soprannomi dati per ce- lia o per onta, o per lode; come Cavalcabò,, Buoncompagni, Baratta. V. I soprannomi o titoli d’ onore accozzati al cognome; come Serristori, Serangeli. VI. I nomi de’ genitori, delle mogli , de’ zii; come Alessandri , della Bella, del Vescovo. VII. I titoli, le dignità, il mestiere; come Visconti, Ferreri. VIII. Le. sovranità,, le terre possedute, le case abitate; come Saluzzo ; Brayda , So- lari, del Pozzo. IX. Le insegne ed imprese; come Carretti, Tiz- zoni, Grilli. X. Le singolarità della vita , l’eccellenza in qual- ch’ arte; come d’ Avila, delle Corniole. — Ma l’indovinare da qual di codeste origini tale o tal cognome discenda , quest’ è ’l w i 115 difficile ; giacchè le alterazioni dal tempo fattevi, son sì strane , e i nomi stessi sì ambigui , che, o a troppe congetture dan luogo o a nessuna. Ad ogni modo l’opuscolo è dettato con grazia , con erudizione, con senno. Le notizie di Filiberto di Pingone, storico Piemontese; conten- gono alcune cose da altri non dette; e son utili principalmente, per- chè fra le opere ancora inedite di questo elegante cinquecentista, ci danno a conoscere non solamente un volume ' delle antichità romane , ma gli annali di Chamberì , d’ Aosta ; di Vercelli, d’Asti, di Nizza; e le storie di Savoia in XXX libri, che sono ne?’ regi archivi ; e le antichità allobrogiche, delle quali il sig. Cibrario non dice dove sia il manoscritto. O tutte o parte di quest’ opere sto- riche, sarebbe utilissimo pubblicare : nè; per la scelta o per la illustrazione, più esperto editore potrebbe assumersene la cura, del dotto autore delle storie di Chieri. La lezione sul sonetto di Dante onora l’ eleganza e il deli- cato gusto del chiariss. Allobrogo. Basta confrontare questa con le lezioni che gli uomini più famosi del cinquecento sciorinavano nelle accademie sui sonetti del Petrarca e del Casa, per sentire gli effetti della civiltà anche ne? piccoli uffizi della critica lette- raria. Non è già che a noi paia uso accettabile questo d’ inter- pretare con una lezione un sonetto; dove assai spesso segue che dopo palpate di verso in verso le parziali bellezze , e 1’ autore e il lettore si scordino di giudicare 1’ idea dominante della compo- sizione , 6 vagheggiare 1’ immagine dell’ intero. K. X. Y. Iconografia moderna contemporanea ; ovvero collezione di ritratti de’ più celebri personaggi della Toscana, attualmente viventi: Accompagnata da notizie biografiche letterarie e cronologiche. Editore e incisore Francesco Vewprasini. Disegnatore Prerro Ermini, professore nell’ Accademia di belle arti in Firenze. Firenze 1829. Il signor Vendramini promette i ritratti di tutti gli uomini che nelle scienze, nelle arti, nelle lettere, illustrano la Toscana. Bella è l'impresa, onorevole e alla Toscana ; e all’ editore. che n’ ha concepita l’idea. E sarà degnamente eseguita, come pro- mette il ritratto di G. B. Niccolini, dato per saggio ; dove la fe- deltà e la bellezza del disegno ; 1’ accuratezza e l’ eleganza. del- l’ incisione, rendon testimonianza del valore dei due chiarissimi artisti. Le notizie biografiche stese da un illustre Toscano, compro- La) vano l’affermazione dell’ editore nel prospetto : che la compilazione delle notizie biografiche è stata affidata a’ più rinomati scrittori. Bella, noi ripetiamo ; è l'impresa: ma troppo difficile a ben compirsi. Se il titolo d’ uomini che illustrano la Toscana , il signor Vendramini intende darlo a soli que’ toscani che godono d’ una fama europea , la sua raccolta dovrà dunque escludere tanti bei nomi, degnissimi d’ esser più noti all’ Europa , ma che la loro mo- destia e le sorti dell’Italia han sottratti finora alla meritata luce d’ una celebrità più diffusa : se poi 1’ editore vorrà de’ nomi men famosi trascegliere i più meritevoli, per quanto d’ imparzialità e d’ avvedimento egli adoperi in sì delicato giudizio , egli dee inevi- tabilmente aspettarsi molte contradizioni e censure che detrarranno all’utilità e alla bellezza della sua veramente patria intrapresa . Se troppo egli restringe i limiti alla scelta , oltrechè la raccolta riesce scarsa , è scarso il tributo pagato alla gloria Toscana; se troppo gli allarga ; quanto sarà più liberale il suo voto , tanto più cresceranno iromori della rivalità , dell’ invidia. Quello, si dirà, meritava d’ esser ritratto , per la moltiplicità de’ lavori, quell’ al- tro per la pratica loro utilità ; 1’ uno per la dottrina, un’ altro per l’eleganza, un terzo per la energia dell’ingegno. Ma, risponderà l'avversario ; fra que’ molti lavori non ve n’ha uno di classico ; ma quella utilità non è tanto dovuta all’ uomo, quanto alle cir- costanze, e agli apparecchi già fatti da molti che lo precedettero ; ma quella dottrina è ispida; ma quella eleganza è ciarliera ; ma quell’ ingegno è negletto. E così, col crescere delle pretese, cresceran le querele: e tal forse ambirà di vedersi onorato della scel- ta del signor Vendramini, che poi, trovatosi scopo alla maldicenza inquieta , desidererebbe non essere aggregato agli uomini che #/- lustrano la Toscana . 8° avvererà insomma or 1’ una or l’altra di quelle note dimande : perchè colui non e’ è egli posto? — Per- chè c’ è egli posto costui? Ad uscire da questo ginepraio, il signor Vendramini s'è aperta una comoda via nella nota che appone al Programma, ove promet- te d° estendere il suo lavoro col tempo a tutti i più celebri viventi d’ Italia. — Noi gli proponiamo una cosa : quel ch’ egli pensa di fare col tempo, lo faccia or tosto: ed egli avrà meglio servito all’ onore della nazione, alla dignità dell’ impresa, al suo proprio lucro. Dalla Toscana , dalla Lombardia, dal Piemonte, da tutte le parti d’ Italia , scelga egli i nomi veramente Europei, vera- mente Italiani; e guida sicura siccome gli fu alla scelta del pri- mo; così gli sarà a ‘quella degli altri ritratti il pubblico grido. Apra un’ associazione generale ; e gl’ Italiani tutti, che in que- 117 sta promessa di restringersi alla sola Toscana potrebber temere un non so che di parzialità municipale , allettati da una più larga promessa. soscriveranno di buon grado al Programma: vi soscrive- ran gli stranieri : e i bei disegni del signor Ermini , e le belle in- cisioni del signor Vendramini orneranno i più illustri gabinetti d’Europa. Se il ch. Ed. amasse di ringrandire ancor più il suo di- segno , io gli proporrei di prescegliere il titolo di Iconografia e biografia contemporanea , omettendo quel moderna che già nel contemporanea è compreso; e così promettere insieme con un de- gno ritratto , una degna vita degli italiani più celebri. Noi con- sigliamo al signor Vendramini questo partito men arduo e più nobile, e in nome della sua utilità, e, ciò che è a lui ben più caro , in nome dell’ Italia e dell’ arte. K.X.Y. Alla memoria di S. E. il principe Niccosò di Demiporr. Ode elegiaca del dot. Anrowro Consayvi. Fra tanti argomenti di simulato compianto e di encomio smo- dato , ch’ esercitarono ne’tempi andati l’ingegno ma non il cuo- re de’ poeti d’ Italia , questo , trascelto dal signor Consani, cre- diamo meritevole. di commemorazione e di lode. Havvi in Fi- renze non pochi che rammentano con istima le splendide bene- ficenze del principe di Demidoft. Migliore interprete della rico- noscenza degl’infelici non potea desiderare alla sua memoria que- sto straniero ricchissimo, d’un uomo modesto , leale, benefica , che nel'‘meritare la riconoscenza degl’ infelici ripone l’ onor del suo nome, e la felicità del suo cuore. Il sig. dott. Antonio Consani, amico già di Labindo, ritie- ne anche ne’ versi suoi un non so che di quella maniera franca, che il Monti mostrava di non prezzare , ma che in più d’ una delle sue odi, forse senza volerlo, imitava. Chi leggerà questi ver- sì, non riconoscerà certamente nel loro Autore un uomo tutto dato alle cure d’ una professione nobilissima , ma piena di dolo- ri, e talor anco di pericoli; non riconoscerà, dico ; il medico laborioso , assennato, pietosissimo, sicuro nelle sue induzioni non men che prudente , e più prudente appunto perchè più sicuro. Altre cose direi di quest’ uomo , se la stima e 1’ affetto che ad esso mi legano, non mi facessero riguardar le sue lodi come mie proprie. K. X.Y. 118 Opere d’Arzssannro Manzoni , prima edizione completa , con 0s< servazioni critiche. Firenze , Batelli 1828 , tomo primo in8.° All’ annuncio or d’ una or d’ altra edizione completa dell’ope- re di scrittori anche celebri, non è raro che venga voglia di di- re: mi accomoderebbe meglio incompleta. Di questa, che si fa ora dell’ opere del Manzoni, chiunque non è preoccupato da spirito di parte domanderà con desiderio , se sia per riuscire completa ab- bastanza ? Manzoni (ormai ne siamo ben sicuri) non può aver scrit- te cose che ci sieno indifferenti. Il suo carattere , il suo ingegno , la missione ch° egli ha data a sè medesimo come scrittore , ci sono pegno del valore intrinseco di quanto è uscito dalla suna penna. Il sig. Tommaseo, il qual dirige l’ edizione che qui si annun- cia, le ha premesso un discorso notabile , in cui il Manzoni è considerato specialmente qual ristoratore o rigeneratore dell’ arte poetica. Essa, come suonano le prime sentenze del discorso , si era quasi allontanata affatto dal suo principio ; e il Manzoni ha cercato di ricondurvela. A ciò egli è stato indotto così dal candore del suo animo che dal vigore del suo ingegno , 1’ uno e 1° altro ve- ramente mirabili. Quali mezzi egli abbia impiegati all’ nopo, e con quale riuscita , si esamina partitamente nel discorso , di cui re- cherò a saggio alcuni ‘periodi applicabili al primo componimento , con cui il Manzoni ha cominciato a rinnovare l’arte tragica , e dal quale comincia 1’ edizione delle sue opere. « L’opinione generalmente diffusa, che la verità de’caratterile delle azioni non solo si potesse, ma , per distinguere la poesia dalla prosa , si dovesse alterare , cangiando , a libidine , le circostanze più vitali de’ fatti, congiungendo in matrimonio i vivi e i defunti, obbligando a cacciarsi un pugnale nel petto chi non ne aveva gran voglia , e soprattutto portando i caratteri e buoni e tristi a. un certo estremo di bontà o di malizia che si chiama ideale ; quest’opi- nione , io dico, scioglieva affatto il poeta da ogni dovere di rispet- tar la natitra , la verosimiglianza , la stessa convenienza del bello. Non potendo o non volendo alterar tutto intero il fatto , cioè crea- re di pianta un fatto nuovo , il poeta teneva del vero le circostan- ze che a lui paressero più poetiche , le altre mutava in diverso aspetto o in opposto : vale a dire , da una cagione , che ha potuto produrre un tale effetto e non più , egli facea derivare un effetto maggiore , un effetto contrario. Questo sistema 1.uoce non solo alla verosimiglianza del fatto, ma alla moralità stessa dell’ opera ; giac- 119 chè non presentando gli uomini che da un lato o tutto buono o tutto perverso , ne veniva di conseguenza che le azioni loro fos- sero o tutte lodevoli o detestabili tutte, ec. ec. se Il Manzoni, sebbene anch’ egli talvolta si lasci andare all’ affetto di presentare gli uomini migliori di quel che portino le circostanze, pur con arte e con senno notabilissimi sa cansare ogni eccesso : sebben talvolta precipiti le gradazioni dell’ affetto per giugnere al fine , il più delle volte le osserva con sapiente rispetto , e sulle orme della natura pon l’ orme sue Le idee espresse qui sopra vengono più particolarmente spie- gate in altro scritto non’ men notabile , che si aggiunge al Car- magnola , e serve in parte di commento ad un giudizio di Goè- the qui riportato con quelli d’altri critici, fra i quali Chauvet, a cui Manzoni risponde colla famosa lettera sulle unità . In questo scritto il carattere del protagonista della tragedia è con- siderato sotto alcuni punti di veduta , che a me sembran nuo- vi, e trovato, quale dall’ autor dello scritto non si amerebbe , un carattere di genere medio , cioè se non del tutto ideale, nem- meno del tutto istorico. Ma Goéthe , parlando in quel suo giu- dizio della distinzione fatta dal Manzoni di caratteri storici e di caratteri ideali, disse che in poesia non vi hanno propriamente caratteri storici, ma soli nomi tratti dalla storia e dati ad es- seri, in cui il poeta vuol personificare qualche suo concetto o qualche veduta del mondo morale. Una tal sentenza , ben singo- lare in bocca di Goethe, dà motivo ad una discussione ingegno- sa, in cui l’ autore dello scritto, di cui rendo conto, va forse al di là di tutte le conseguenze che possono dedursi dalle dottrine teatrali del Manzoni, ma dice pur cose degne di molta conside- razione. Ei comincia dall’ osservare che il critico alemanno ha non rettamente attribuita la distinzione di caratteri storici e di ca- ratteri ideali ai pregiudizi della letteratura italiana , giacchè il pregiudizio , com’ ei s’ esprime , sta piuttosto dal lato contrario, cioè nell’ ammettere lecita anzi necessaria la piena alterazione de’ fatti e de’ caratteri storici , per accomodarli ad un’ idea , ad un sentimento, che il poeta s’ è proposto d’ esprimere o di tra- sfondere. Egli però non sa indursi a credere che un sì gran cri- tico abbia voluto dire che sia impossibile il conciliare coll’esat- tezza storica il bello poetico, ma pensa che abbia soltanto voluto far intendere che la trasformazione della storica verità sia concilia- bile coll’ espressione della verità universale, e quindi conducente allo scopo dell’ arte. Or egli si mostra intorno a ciò molto dub- 120 bio, per non dire affatto persuaso del contrario. La storia è al dir suo una manifestazione continua delle leggi che governano la natura morale , e quindi non è possibile , come a lui sembra, d’ alterare la storia , senza offendere queste leggi, senza trascen- dere a qualche inverosimiglianza . « L° imprudenza del Carmagnola (quest’ esempio ch’ei reca, in conferma de’ suoi principii , servirà a noi per saggio del suo ragionamento ) , gli usi militari d’ un secolo deplorabile , la trista prudenza d’ nna repubblica che ormai sentiva la pro- pria debolezza, sono gli elementi dell’ azione che il nostro Manzoni ci rappresenta. Poniamo ch’ egli avesse voluto con- cepire il mondo morale a suo modo e fare del Carmagnola un ente di creazione diverso da quel Carmagnola che per sospetti più o meno fondati fu giustiziato in Venezia : poniamo adunque ch’ egli ci dipingesse quest’ uomo , non come un avventuriere salito in più alta condizione di quella ov’ e” nacque , non come un guerriero imprudente e collerico, non come un offeso che a tutto costo vuole e cerca vendetta ; ma come un capitano nobile nel suo linguaggio , delicato ne’ suoi sentimenti, sempre gentile, sempre giusto, sempre altamente sdegnoso : poniamo insomma che il poeta l’ avesse abbellito ancora un po’ più ch’ e’ non fece. Sarebbe egli allora , io domando , un carattere di que’tempi ? E paresse anche tale agli spettatori , cui poco importa de’ colori locali , purchè sien dilettati e commossi , sarebbe egli un carat- tere verisimile e in armonia coll’ azione, della quale è 1° ogget- to? Fatelo più perfetto ; e la politica veneta, per quanto sia vile, non potrà più condurlo al patibolo . O se pur voi vorrete ch’ ella vel conduca a forza, voi dovrete farla più malvagia e più audace ch’ ella non è: il primo errore vi condurrà ad un se- condo : dovrete allora spiegare con quali pretesti sia stato il Carmagnola mandato ad un supplizio pubblico , colla sbarra , è vero , alla bocca, ma in pubblico : dovrete inventare nuove mal- vagità, e malvagità che non commoveranno mai tanto, quanto l’ esposizione del fatto , quale la storia lo dà ; conseguenza cioè d’un carattere ardente, temerario; dei costumi assurdi del tempo , e fors anche di qualche colpevole negligenza. «Prendiamo dall’ altro lato la cosa: poniamo che un poeta voglia dissimulare quant’ ha di disprezzabile la politica del so- spetto ; voglia giustificare la condotta de’ Veneti . Egli farà il Carmagnola più reo ch° e’ non è, gli darà de?” discorsi sediziosi , de’ pensieri ribelli , degli atti o delle omissioni , che lo attesti- no un ftraditore; dissimulerà che la liberazione de’ prigionieri 121 è un costume ; creerà delle trame secrete , dei pericoli imagina- rii, farà parte di quello che il sig. Chanvet proponeva al Man- zoni di fare: e farà cosa contraria ad ogni ragionevole verosimi- glianza ; perchè nel governo veneto e nel secolo decimoquinto sarebbe ridicolo il supporre in Venezia le trame d’ uno stranie- ro; e, per far credere a simile invenzione , converrebbe mutar natura alla politica veneta , all’ indole reale del secolo . E ciò ch” è il peggio, quest’ invenzione verrebbe ad essere considerata come la vera e legittima causa della morte del Carmagnola : vale a dire tutte le circostanze istoriche, che danno individualità e vita al fatto, se ne andrebbero; per dar luogo alla rappresen- tazione d*una congiura, qual l'abbiamo in venti di quelle tra- gedie che si chiamano classiche , ec. ,, Di qui lo scrittore conchiude ciò che aveva premesso in ter- minì poco differenti , che se nel mondo morale si ammette una successione di cause e d’ effetti ; il falsare una causa sarà lo stesso che rendere inverisimili tutti gli effetti che ne seguita- rono. Se non che giunto a questa conchiusione , par ch'egli si ricordi d’ essersi lasciata addietro un’obbiezione , accennata più sopra, che l’inverosimiglianza eioè di cui egli parla, non è punto avvertita dagli spettatori , e non essendolo nulla nuoce all’ ef- fetto drammatico. Quindi ei si fa a provare che glì nuoce real- mente, e insiste di nuovo sulla poetica necessità non solo di non alterare i caratteri e i fatti presentatici della storia , ma nem- meno le più piccole circostanze de’ fatti. “ Si dirà che la sostituzione di qualche circostanza diversa, il forzato lor ravvicinamento può dare all’ azione un aspetto più poetico. Inganno! — Primieramente le circostanze si legano così strettamente all’ azione, che alterar quelle, gli è per lo più alterare il carattere e quasi la fisonomia dell’ azione intera. Non dico l’ essenza , dico la fisonomia, dico quella vita d’individua- lità, che la distingue da tutte le azioni di diverso genere o di somigliante. E siccome il cangiare i caratteri o i fatti conduce all’ inverisimiglianza , così il cangiare le circostanze de’fatti con- duce a quella indeterminazione , che toglie colore al quadro e originalità alle figure. Che se le circostanze storiche a voi par- ranno prosaiche , gli è perchè della dignità teatrale vi sarete formata un’ idea angusta e falsa. Tutto, convien crederlo, tutto ciò ch’ è vero è poetico : basta saperlo riguardare nel suo miglior punto , collocarlo nella sua piena luce. Ciò, ch’ è prosaico, s1 è il vero dimezzato , rappresentato in un aspetto solo , staccato dalla gran catena de’ veri a cui s’ inanella. T. XXXIII. Febbrrio. Io 122 « Nè temasi, che così combaciata e quasi immedesimata alla verità, la poesia cessi d’ essere creazione . Questa parola risveglia una serie d’ idee sì importanti e sì strettamente le- gate insieme , che noi dobbiamo serbarle ad un particolare di- scorso , il qual verrà nel secondo volume dietro all’ Adelchi. ,, Ciò basta!, parmi , a mostrare come la nuova edizione del- l’ opere del Manzoni ci si presenti opportuna. Essa corrisponde per sè medesima , cioè indipendentemente da ogni aggiunta , a” bisogni attuali degli animi e delle menti. Arricchita d’ osser- vazioni , che fanno vie meglio comprendere il valore dell’ opere ch’ essa contiene e l’importanza delle nuove opinioni letterarie, a cui quest’ opere, per valermi d° una frase del discorso preli- minare , dan luce ed autorità, deve riuscire per gli studiosi doppiamente interessante. Terminando questo breve articolo , mi è grato poter an- nunciare ‘come da lettere assai recenti sappiamo che il Manzo- ni sta ora scrivendo una dissertazione epistolare a Goéthe sul ro- manzo storico , la qual riuscirà ; per così esprimerci, la poetica di questo genere di composizione , come la lettera a Chauvet è riuscita la poetica della tragedia , a cui parimenti si dà un ap- pellativo derivato dalla storia. Questa dissertazione , speriamo , sarà pubblicata in tempo da poter essere inserita al naturale suo luogo , cioè subito dopo i Promessi Sposi , nell’ edizione completa dell’ opere del suo autore. M. Saggio di rime di Quartro Porri per Secoro XIV, tratte da un codice inedito. Firenze , Pezzati 1829 in 8.° Breve forma d’onesta vita di Martino Arcivescoro BracarensE volgarizzamento del buon secolo , tratto da un codice della Marciana. Venezia , tip. d’ Alvisopoli 1829 in 8.° Racconti di Benvewnuro CeLtini ora per la prima volta pubbli cati. Venezia , tip. d’Alvisopoli 1828 in 8.° Due discorsi di Grorcio GrapenIco Senator Veneziano del Sec. XVI. Venezia , tip. d’Alvisopoli 1829 in 4.° Lettere di Nos. Veweziani Irrosrri del Sec. XVI ora per la prima volta insieme raccolte. Venezia , tip. d’ Alvisopoli 1829 in 8.° Cinque bei doni fatti al pubblico in occasione di nozze, l’uno per cura del sig. N. Tommaseo , gli altri del sig. B. Gamba. Ml saggio di rime (che 1° editore commenta ingegnosamente ) 123 è tratto da un codice della biblioteca del seminario di Padova . Gli autori di queste rime, pressochè incogniti all’Italia, ma ono- rati (uso le parole della dedicatoria ) degli elogi d’ un Monti, il quale passando di Padova vide il codice indicato - e si fermò a percorrerlo , erano degni d’ esser posti in maggior luce. Il prin- cipale fra essi è Vannozzo o Vannoccio , che il Maffei credette veronese, ma che il nostro editore prova essere trivigiano. Ei fu amico agli Scaligeri , ai Carraresi , a Gian Galeazzo Visconti e, quel che più importa pel suo credito poetico , al Petrarca ; di che fa fede una sua canzone a Gian Galeazzo già detto , pub- blicata nel 1825 con altra sua a Can della Scala dal direttore della biblioteca più sopra nominata. « Fra le rime del Vannozzo, dice l’ editore, se ne trovano di Pier della Rocca, di Pietro Montanaro , di Bartol. De Castro Plebis , di Marsilio da Carra- ra, di Niccolò del Bene, di Niccolò da Siena ; d’ un Ghedino , d’ un Gradenigo, di quel Dondi , amicissimo del Petrarca, ch’eb- be nome dall’Orologio , e d’ altri. Noi qui rechiamo, ei prosegue, un saggio de’ tre primi, il cui stile, per certa cultura, può porsi al disopra dello stile stesso del nostro Vannozzo. Scegliamo , fra 1’ altre , alcune rime amorose come le più piacevoli . Havvene però di morali e di satiriche, che vengono ad essere in certa guisa altrettanti documenti storici, degnissimi d’ osservazione . Havvi fra gli altri un ditirambo contro la repubblica di Vene- zia, misto di veneziano e di toscano , che contiene alcuni toc- chi singolari, e rappresenta forse un’ opinione del secolo, della quale non rimangono monumenti. , Quest’ opinione ei la tiene segreta, ma come non può aver voluto eccitare indarno la no- stra curiosità, e dice, terminando le sue notizie sugli autori del saggio di rime, che “ non sarebbe inutile alla storia morale, po- litica e letteraria del loro secolo l’estrarre dal codice (già descrit- to) alcuni frammenti, e pubblicarli con osservazioni opportu- ne ;; penso ch’egli medesimo sia per far ciò al più presto, e la sua presente segretezza sia un’arte delicata per riserbarci il pia- cere d’una novità. La breve forma d’ onesta vita , tratta , come dice il titolo , da un codice della Marciana , è cosa anch’ essa da ringraziare chi 1° ha messa in luce. Martino arcivescovo di Braga , che la scrisse in latino , indirizzandola al re Mirone o Ariomiro di Gal- lizia, non era sicuramente Marco Tullio Cicerone console di Ro- ma, nè monsignor Giovanni della Casa arcivescovo di Beneven- to. Ma pel sesto secolo in cui visse era un vero brav’ uomo ; e la sua operetta, il cui testo fu stampato più volte in Alemagna 124 ed in Francia, è un monumento non ispregevole della filosofia mu- rale di quell’epoca. La versione or pubblicatane < è stata fatta, dice l’editore, nel più fiorito tempo del bel parlar gentile; è di netta e leggiadra dicitura, e meritava bene d’esser data in luce, potendosi con quieta coscienza raccomandare siccome testo di no- stra lingua ,, La stampa (nella quale s’è imitato quanto pote- vasi il codice grazioso, ma sventuratamente mancante d’una pa- gina, a cui l’editore ha dovuto supplire colla propria versione ) è una vera eleganza tipografica , degna di quella netta e leg- giadra dicitura, che ogni colta persona vorrà senza dubbio am- mirare. Più leggiadra a molti riguardi ma non più netta è la dicitura che ammirasi ne’ racconti di Benvenuto Cellini, tratti anch’ essi da un codice della Marciana, il codice famoso dell’Oreficeria, da cui il Morelli trasse già un discorso sull’utilità dell’architettura, e recentemente il Cicognara un capîtolo sull’ arte del niellare . Questi racconti parte mancano del tutto, parte non si leggono che raccorciati nelle stampe che abbiamo dell’Oreficeria già detta, e fanno più che mai desiderare la pubblicazione del codice che li ha forniti al benemerito editore. E tal pubblicazione giugne- rebbe oggi tanto più opportuna, che sta finalmente per pubbli- carsi anche il codice laurenziano della vita del Cellini, di cui forse usciranno ad un tempo due edizioni , l’ una per cura del- l’ attual bibliotecario palatino , 1’ altra del suo antecessore , il qual dicesi averla arricchita d’ illustrazioni copiose . Quest’ an- nuncio farà piacere a tutti gli ammiratori del nostro orefice fio- rentino , il cui scrivere è specchio sì terso del linguaggio che ancor si parla da questo popolo , a tutti quelli che non temo- no di dire coll’ editore de’ suoi racconti che “ quelle sue origi-. nali trivialità contentano meglio di qualche narrazione scritta in punta di forchetta dai sopracciò dell’italiana favella ,,. Di questo modo sicuramente non sono scritti i discorsi. di Giorgio Gradenigo (già editi ma qui ridotti a miglior lezione che nelle stampe anteriori ) uno del complire , e un altro dell’espe- rienza civile. L’ autor loro era uomo di troppo grave giudizio e avvezzo a troppo gravi negozi, per dilettarsi di grazie ricercate anzichè d’ una semplice nobiltà. Nè il titolo del suo primo di- scorso, ch’oggi parrebbe indicare materia alquanto leggiera, deve farci dubitare s’ei fosse realmente l’uomo che qui si dice, poi ch'è facile imaginarci ch’ei parla in esso da senatore non meno che da persona gentile , additando come i complimenti o i modi officiosi possano servire al decoro e all’utilità della repubblica. Quindi il 125 primo iiscorso si accompagna assai bene all’altro , il cui argo- mento è veramente senatorio, e la cui composizione sembra far prova d’ una squisita cultura. Questo discorso è pur reso ameno da vari brevi racconti., fra’ quali m’ è riuscito egualmente nuo- vo che piacevole quello che potrebbe intitolarsi ‘ industria del conte Girolamo Savorgnano per metter d’accordo i castellani ei contadini del Friuli ,, e aggiugnersi alla vita di quell’ illustre guerriero scritta con tanta eleganza dal nostro Giannotti, e pubblicata or sono appunto diec’ anni dal prof. Rosini, che la trasse da un codice ottoboniano della Vaticana. Le Jettere di nob. veneziani illustri (ana di Daniello Barbaro, quattro di Pietro Bembo, una di Bernardo Cappello, una di Ga- sparo Contarini, una di Luigi Cornaro , due. di Seb. Erizzo , dieci di Trifon Gabriele , tre di Giorgio Gradenigo , una, e que- sta inedita, d'Andrea Morosini, una di Marcantonio Da Mula, una d’Andrea Navagero , una di Paolo Paruta , una d’ Agostino Valiero , ed una di Domenico Veniero, de’ quali tutti 1’ editore premette una breve notizia ) sono così varie di stile come d’ar- gomento . Tutte però , se n° eccettui quella del Navagero., che descrive in essa al Rannusio la città di Granata, mi sembrano d° altro stile che epistolare. Lascio da parte quelle del Bembo , gran sopracciò della lingua , e sì inclinato alla rettorica,, che ringraziando il Rannusio già detto della notizia mandatagli della nuova cinquereme del Fausto , gli fa una lunga amplificazione della notizia medesima , quasi volendo dirgli : vedete bonomo come si scrive da un letterato mio pari.. Le lettere , che fanno più sorpresa, sono le dieci di Trifon Gabriele, or qui rac- colte per la prima volta, ed unico monumento , credo ; della maniera. di scrivere di questo Socrate del suo tempo . Esse non hanno punto di somiglianza con quelle del Bembo; ma anch'esse sono cose da retore di. professione, e contrastano stranamente col nome che gli fu dato di quell’antico schernitore de’retori. Dopo di esse non poca sorpresa fa pure la lettera del Cornaro (l’au- tor famoso della Vita sobria) che scrive allo Speroni, per dolersi della perdita del Ruzzante, e passa a descrivere l’agiatezza e la pace, di cui è debitore alla propria industria e saviezza. Se fosse vero quel che dice il Barbaro nella sua lettera, ch’ è la prima della raccolta , intorno al parlar comune, dovrei quasi stimar meno due uomini tanto stimabili come il Gabriele e il Cornaro , che scrivean lettere così studiatamente. Il fatto, è però che scri- vean così per necessità , cioè per non avere della. lingua , che non. è comune, quella padronanza che p. e. ne aveva il Navage- o, benchè dall’ editore notato di non bastante pulitezza. E già 126 se i veneziani colti avessero usata comunemente la lingua che il Barbaro pretende , il Bembo e il Paruta non avrebbero, patmi , avuto commissione: di scrivere in latino le loro storie, come ve- diamo qui da alcune delle lor lettere, che dopo quella del Cor- naro già detta mi sembrano singolarmente interessanti. La più curiosa di tutte è 1’ ultima , quella cioè del Veniero , che “ rac- comanda all’Aretino G. B. Susio, perchè gl’interceda grazia presso il pontefice , e lo liberi dalla prigionia , in cui era stato posto per opinioni religiose ,,- Spiacemi di non poter qui aggiugnere alle lettere di nob. ve- neziani illustri quelle d’ i/Zustri piemontesi pubblicate recente mente dal sig. Cibrario , e di cui ha già reso conto qualche gior- nale estero , più fortunato corrispondente d’ alcuni dotti italiani che J' italiana Antologia. M. J Dichiarazione degli antichi marmi modenesi con le notizie di Modena al tempo dei romani. Modena 1828 in 8.° Per provvidenza dell’Arciduca d’Austria e Duca di Mode- na Francesco IV, che sette anni fa aggiunse alla biblioteca estense un museo ricco di mille bronzi minori e di più che venticinque mila medaglie , si sono ora raccolti nell’ ampio por- ticato dell’ opera di carità presso la porta a $S. Agostino tutti quei monumenti; che si stavan dispersi e poco conosciuti in varii luoghi di Modena e ‘dei dintorni di essa. I monumenti raccolti dice il ch. Don Celestino Cavedoni ; Aggiunto nella R. biblioteca estense, conservatore delle meda- glie antiche ; ed autore del libro, sembrano per sè dimanda- re una qualche dichiarazione , e la ‘vanno pur dimandando le persone tutte , che vengono sovente ad osservarli , e chiedono quanto sia antico il tale o tal altro, che significhi questa 0 quell’ altra abbreviatura 0 voce oscura nell’ epigrafi, che im- porti quell’ ornamento 0 quella figura e via dicendo. Il libro però non solo è atto a sodisfare il curioso; ma dee pure, a giudicio nostro , appagar l’ archeologo , e da esso aver lode. I monumenti , che vi s° illustrano , appartengono all’ antichità fisurata e alla scritta: due rami, che per la vastità di cia- scheduno di essi sono raramente cura profonda d’ un solo an- tiquario. Dell’ uno e dell’ altro mostra ben conoscersi il sig. Cavedoni in questo suo lavoro; ed è manifesto che egli vi si è preparato colla lunga e ponderata lettura delle opere concer- 127 nenti alla sua materia , massime delle più importanti , quali, per esempio, sono la storia del Winckelmann , il museo, Pio- Clementino del Visconti, le iscrizioni del Fabretti, 1’ opera de stilo inscriptionum latinarum del Morcelli , e i fratelli ;ar- vali del Marini. Nè vogliamo con ciò far credere, che ove questi libri soccorrer. non possono il sig. Cavedoni , egli si tac- cia o dia in fallo. Per possesso di classici greci e latini e per comparazione di monumenti egli è buon duce a sè stesso ; co- siechè con altre ragioni e nuove autorità avvalori quello che gli altri scrissero, dica al tutto del suo ove è mestieri , e cor- regga non rade volte gli altrui pensamenti. E quest’ ultimo è da lui fatto pel solo amore di verità.. Perchè !° ardire , egli scrive in sul principio delle aggiunte e correzioni, che mi son preso più volte di notare gli abbagli anche de’primi eru- diti ed archeologi, non dovesse dar sospetto di poca mia ri- verenza per essi, mi protesto qui col Mureto (praef. in var. lection.): testatum quidem omnibus esse volumus ; nihil aliud propositum nobis fuisse, quam ut sine cuiusquam offensio- ne, auxilii aliquid attulisse huic studiorum generi diceremur. Ed a prova del sincero mio animo siano le osservazioni che qui soggiungo di due cortesi e rari ingegni (cav. Bartolommeo Borghesi e dot. Gio. Labus) per le quali meglio sono dichia- rati alcuni de’ nostri monumenti ed emendata qualche mia* ine- sattezza , giacchè non le ebbi in tempo da potermene giovare a suo luogo. Ciò, generalmente detto, basti pe’ monumenti figurati e per gli scritti, tra’ quali n°’ha alcuno che per la prima volta or si pubblica ; e parlisi in breve delle notizie di Modena a tempo de’ romani, dalle quali incomincia il libro. Modena rammen- tata è per la prima volta nell’ antica storia all’ anno di Roma 536, nel quale anno però era già città forte , e circondata di mura. Solo nel 571 divenne colonia romana , che che ne dicano il Tiraboschi ed altri, che la vogliono fatta innanzi. S’ingannò pure esso Tiraboschi nel credere che Annibale venisse in To- scana per le montagne del modanese , risultando dal confronto delle antichè autorità , che mossosi dalle vicinanze di Piacenza ei vi scese passando pe’ Liguri. In Modena, o nei dintorni di essa ebbero i romani nei seguenti anni più vittorie su’ detti Liguri e sovr’ altri nemici. Quindi di lei si tace affatto sino alle guerre civili, la quinta delle quali, cioè la notissima con- tro M. Antonio , la rendette vie più celebre nelle storie ro- mane. Mei racconti particolari di questa guerra , dice il sig. Cavedoni , s’ incontra tanta discordanza legli storici, che non 128 ho scorto altro miglior partito, che d’ attenermi a quanto sè ne può raccogliere dalle lettere e dalle Filippiche di Cicerone. E bene ha adoperato , dacchè Cicerone e avea parte nei pub- blici affari, e legato era di strertissima amicizia con Bruto. Al tempo degli imperatori. poche memorie di Modena s’in- contrano nelle storie antiche. Vi si parla d’Ottone, che andando contro Vitellio lasciò in Modena il senato di Roma, e fermatosi a Brescello con eletta milizia, udita la rotta dei suoi, di propria mano si tolse la vita. Indi è silenzio fino al- l’ età di Costantino; che sceso in Italia a portar guerra a Mas- senzio , e lui sconfitto a Segusio a Torino, ed a Verona, ri- dusse in suo potere anche altre città della penisola , che gli fecero resistenza ; e fra queste oppugnò Modena ed Aquileia . Ma quel lungo silenzio della storia riconfortato è in qualche modo da non poche delle antiche iscrizioni modanesi, le quali, siccome è detto, sono così bene illustrate dal sig. Cavedoni . Egli ha pur dato bel saggio del suo sapere e del suo criterio nella compilazione delle rammemorate otizie e nell’ Appendice ad esse, nella quale ricorda ciò che s’ incontra negli scrittori antichi intorno alla condizione del territorio modenese: due scritti che sono renduti più importanti mercè di dotte e giudi- ziose annotazioni , e che servir si fanno allo scopo principale del libro, cioè , alla illustrazione degli antichi monumenti di Mo- dena , di cui veramente renduto s’ è benemerito il sig. Cavedo- ni con questa sua lodevole fatica. di G. B. Z. VARIETÀ. Lettera annunziatrice di concordia nella repubblica medica al Direttore dell’ Anrorocia. Pesaro 29 Gennaio 1829. Quando io le scriveva in altra mia lettera, come io aveva buon argomento per credere che ogni amarezza sarebbe ben tosto cessata fra quelli che si erano, per così dire, fatti campioni di quelle due dottrine , onde i medici italiani sono divisi fra loro , Ella , il più caldo amico della pace , ne avrà certamente provato tutta la compiacenza dell’ anigio ; ma forse nel tempo stesso considerando 129 quanto fervidi e gli uni e gli altri si sieno mostrati in questa con- tesa, avrà o temuto della felice riuscita del mio disegno, od alcuno avrà dubitato che a me non toccasse il porre in ciò ogni sorta di studio e l’ affaticarmi non poco a fine di conseguire il mio intento. Ella già conosce, e conosce bene uno de’ contendenti , il comune amico nostro , sig. prof. Orioli, ed ella sa quanta cortesia , quanta gentilezza sia nell’ animo di lui; di maniera che appena io le avrò detto , che tale è pure chi a lui si opponeva, cioè il signor prof. Meli, altro amico, a me non men caro , le sarà facile il com- prendere che nulla o pochissimo io m’ebbi ad operare. E veramente è così in quanto ad essi. Se io incontrai ostacoli per via, eiò fu, edin que’scritti che in questo mezzo tempo alcuni andavano pubblicando or contro l’ una parte or contro 1° altra, mantenendo così vivo l’incendio che volevasi estinguere ; e molto più oppo- nevano inciampi alcuni che celandosi nell’ oscurità della loro ri- putazione , e delle azioni loro , non lasciavano di sussurrare al- l’orecchio or di questo or di quello cose nefandissime, aggiungendo esca al fuoco, non so se per nequizia di animo, o forse sperando di acquistare un giorno un qualche nome (gloria veramente mise- rabilissima ! ) entrando con qualsiasi buono e reo artifizio anch’ essi in arringo. Possano questi ultimi essere un dì fatti palesi , e quindi riportare quel premio che loro si conviene, 1° esecrazione univer- sale. Possa una sorte non dissimile toccare anche a’ primi: a coloro , io dico, i quali spinti da tutt’ altro che dall’ amore del sapere , guidati in somma o da personali animosità non provocate , o novelli Tersiti; dalla stolta ambizione di cimentarsi co’ sommi, senz’ altro apparato che di villane parole , si fecero innanzi, tal- volta persino usando la calunnia , come chi, anzichè animato dal- l’amore della scienza , lo fosse dal vile desiderio di screditare chiunque suda all’ incremento di quella. A questi soli fra i primi io prego sì fatta ventura, e non già a quelli (e ve n’ ha pur molti fra loro ) i quali , quantunque intenti alla ricerca del vero, e de- siderosi di aiutare il progredir della scienza, o più che da altro ani- mati dalla brama ardentissima di giovare all’umanità , si lasciarono nel caldo della questione trasportare oltre i limiti che l’urbanità ne comanda , a questi tali io tributo la mia stima, ed auguro al- l’Italia che piaccia loro dì seguire quell’ esempio, che altri ora dà di pace e di scambievole osservanza. Nè un tale esempio eonsiste solo nella conclusione di questo accordo , ma più che in questo in que’ sentimenti con che essi raccolsero quelle mie proposizioni di pace. Io non ebbi che a gittarne un motto, e ciascuno sponta- T. XXXIII. Febbraio. 17 120 neamente offerivasi di dare pubblicamente attestati di stima verso il proprio emulo : e la cosa procedette in guisa che ognuno ha di- ritto di reputarsi il primo autore di sì nobile proposta ; per il che onde ad ognuna delle parti lasciarne 1’ onore , riserbo a me solo il sapere a chi veramente si debba una tal gloria. E perchè ella possa comprendere almeno in parte la magnanimità di questi rispettabili amici miei, mi conceda che le trascriva quì alcune espressioni tratte dalle lettere del sig. prof. Orioli , poichè egli mi concesse il farle di pubblica ragione. Con che è pure mio pensiero, che in- sieme con Lei tutta Italia , che lungamente ebbe a dolersi nel ve- dere i loro dissidii , ora sia fatta spettatrice della gentilezza loro ; confidandomi ch’ ella vorrà concedere a questa mia lettera un posto nel suo eccellente giornale ; 1’ Antologia, quella che diretta sem- pre da Lei al vero bene dell’universale, non fu mai deposito di cose meno che moderate e dignitose. Così non ha guari mi scriveva il sig. prof. Orioli : Dirò anche che io stimo assai il sig. prof. Bufa- s; lini, ed il sig. cav. Meli, i quali mi paiono persone date di pro- »; posito agli studi; ,, dicendo in seguito ch’egli li riguardava < at- tissimi a dare incremento alla scienza, ;, E poco dopo, allorchè io tornava a parlargli di conciliazione , e a consigliargli la concordia ( essendomi caduto in mente che alcuno scritto, che io sapeva essersi in que’ dì pubblicato , avesse potuto frastornarla), egli mi si mostrava meravigliato de’ nuovi argomenti che io poneva in mezzo siccome superflui , e nuovamente si protestava inchinevole alla pace ; ‘e non per altra cagione, ma solo perchè la pace è per sè stessa la miglior cosa di che goder possiamo qui in terra noi mi- seri mortali.‘E di pace sono pure le parole che mi scriveva il sig. cav. Meli; le quali tralascerò di riferire per non eccedere i limiti ci una lettera ; bastandomi di ricordare ch’ ei fu quegli che ( già sono tre anni) pubblicava quel suo tentativo di conciliazione , con che intese egli di richiamare i medici italiani alla concordia ; nel quale manifestava non solo un deciso amore della pace, un vivo desiderio di vedere rivolti gl’ ingegni italiani alla sola ricerca del vero; ma nel tempo stesso pubblicamente protestava la sua stima verso que’ medesimi professori che tenevano l’ opposta sentenza, segnalava il Tommasini per uomo integro del pari che illustre. Trascesero , è vero , e questi e quelli nell’ ire e forse dall’una parte più che dall’ altra si trascese; ma chi saprebbe e chi vorrebbe farsi a librare sì fatti torti ? Basta che ognuno , nello stendere in segno di pace la mano al proprio emulo, tacitamente li confessi. E se v ha chi possa dolersi di maggiori offese, ne trovi il compenso in sè stesso : nel vanto di una maggiore magnanimità nel dimenti- 13: carle. Nè possiamo noi dubitare che nel punto istesso che ambi- due , cedendo al proprio risentimento correvano all’ ire, non sen- tissero in cuore l’ amor della pace, ela vergogna non li pungesse di dover trattare quelle armi che dovrebbero essere estranee nel regno della filosofia. E certo è così s se negli scritti loro, ed anche in quelli dettati nel più grande fervore dell’animo, tratto tratto si leggono alcune espressioni di reciproca considerazione, ed ora si condanna il profanare la maestà della scienza con maniere meio che urbane ; è finalmente non di rado li vediamo altamente pro- testare di non più scendere a modi, ch’eglino stessi seritivano essere indegni della loro umanità » e della loro fama, e quindi imporre a sè medesimi un dignitoso silenzio. Trascesero essi s il ripeto, que’ limiti di moderazione pet la quale chi ha l’animo inforinato al sapere si distingue dal restante della plebe. Se questo richiedesse oltre ciò che le ho datto , una nuova difesa, sarebbe facile il tro- varla nell’ umana condizione, per la quale non sempre possiamo noi superare noi stessi ; e più che in questo sarebbe facile il fon- dare la loro giustificazione nella éuistodia del proprio nome. Chi consecrò la propria vita a sollevarsi sopra il comune degli uomini , come non potrebbe non vivamente risentirsi ove la propria fama e il proprio decoro è offeso P_Il volgo solo può soffrire tacendo sì fatte ingiurie. Nè tali ingiurie primamente venivano dai proprii contra- dittori, ma sì da que’tristi di cui le ho detto disopra , li quali anda- vano spargendo voci troppo oltraggiose per essere ascoltate senza risentimento, ora ingegnandosi d’ingrandire le più lievi cose, ed ora simulandone molte altre. Che poi facilmente si presti fede a voci di tal natura, che da uomini inaspriti perciò non possa sempre preten- dersi la moderazione , ognuno il sa; nè la sapienza è sempre bastan- te a sottrarci a quella legge per cui nelle morali cose come nelle fisiche la reazione è pari all’azione. Forse io mi sono esteso oltre il dovere nella difesa di questi rispettabili Dotti italiani; ma poichè nel trattare una tale riconciliazione ‘io ebbi ogni dì più a convin- cermi e della nobiltà de’loro sentimenti » e quanto scusabili fossero quelle loro colpe (mi sia lecito usare un tale vocabolo), si doni all’ effusione dell’ animo mio se non ho saputo rattenermi dal fare ch’Ella, zelatore caldissimo sempre a prò di tutto quanto possa aver relazione al nostro onor nazionale » ne fosse partecipe. Ove si tratta di offese , edi scritti non del tutto dettati da animo riposato, non dovrebbe aver luogo aleuna menzione di que’ due illustri Italiani che noi dobbiamo riguardare siccome gli autori ed i promulgatori di quelle due opposte dottrine che ten- nero divisi i medici , quasi che io dissi ; in due fazioni. I loro nomi 132 dovrebbero veramente essere estranei in questa bisogna, poichè essi giammai declinarono da que’ modi, che alla dignità loro ed alla loro rinomanza si convenivano; e se quando invitati a diffonde- re le loro teoriche , taluno di essi, dovendo pur dar opera a qual- che scritto che riguardasse da vicino sì fatte questioni, non seppe del tutto rattemperare quel fervore che ci anima sempre ove trat- tasi delle proprie dottrine, mostrò poi quasi volerne dare un com- penso con altre opere ; nelle quali si cercherebbe invano cosa che non fosse imparziale. Ma egli è ben giusto che di essi si faccia parola per volgere ad onore della nostra nazione quell’ essersi essi tenuti , per quanto è possibile, lontani da ogni contesa, mentre del valore de’ loro dettati si disputava sì acremente. Ma se essi ebbero cura di evitare le controversie, nel vedere che ogni ri- sentimento era per essere dimenticato , niuno più di essi si mo- strò lieto di ciò . È questo pure un tributo che io debbo alla verità ; e spero che questi due rispettabilissimi professori; i quali mi onorano della loro amicizia , mi perdoneranno se mi valgo di quelle cose ch’ essi vollero affidare alla mia confidenza. Ma , lo ripeto, io ho creduto mio dovere il dare un tale tributo al vero, e la gloria nazionale comandava il farlo. E quando pure per la loro modestia volessero tenersene gravati, io direi loro, che senza valermi di ciò che io ascoltava dalla loro voce, potrei desumere altrettanto e da ciò ch’ essi apertamente proclamavano invitando i seguaci delle proprie dottrine, anzi che ad altro , alla modera- zione; il che può quasi estimarsi siccome cosa di già fatta di pub- blico diritto ; e più che da questo dalle opere loro , le quali par- lano di già abbastanza per farci pienamente convinti della loro umanità. E qui è grato al mio cuore il potere aggiunger cosa che mi sembra tornare ad onore di ambidue , cosa che posso dire es- sere quasi sotto i miei occhi. Io intendo dell’ essere stato dal sig. prof. Bufalini destinato un allievo dell’università di Bologna, uno de’ snoi oppositori , a supplirlo nella cattedra di medicina teoricu- pratica nell’ Ateneo urbinate . Il che se mostra in lui tutt’ altro che uno spirito di partito, ne attesta inoltre com’egli tenga in conto d’ uomo d° alto sapere il sig. prof. Tommasini, quantuque promulgatore di dottrine alle sue del tutto opposte. *. Ed ora con tutta l’esultanza del cuore posso con più ragione asserire che fra quelli che s’intromisero in tale contesa , molti ve ne ha di animo compito di tutta gentilezza. Mentre ogni dis- sapore era di già tolto fra que’ due illustri miei amici di cui le ho parlato fin qui, e mentre io era in sul finire questa mia let- tera , gli egregi sig. dott. G. Borgonzi, e dott. L. Frioli mi si of- 133 fersero spontanei, mostrandosi desiderosi d’ essere anch’ essi chia mati a parte di questa riunione di animi. Quale moderazione, qual amor di pace si vegga nelle lettere ch’essi diressero, quanta ri- verenza portino ai sigg. professori bolognesi; in qual conto essi tengano il sapere certamente non ordinario del sig. prof. Orioli, sarebbe difficile riferire. Possa il loro esempio essere imitato dai moltissimi che da ambe le parti sentono con pari gentilezza ed umanità. Ed ecco tornati amici e fratelli que’ medesimi che poco fa si sarebbero giudicati implacabili fra loro: ecco come il sapere impronti il cuore dell’uomo: ecco la più irrefragabile risposta a coloro che, apologisti dell’ignoranza e di sè stessi, si studiano di far credere ne’lumi della filosofia la fonte d’ogni nale. Veggano essi che chi fu educato ne’suoi venerandi precetti, se pure per un istante fu tratto a cedere alla forza delle passioni umane; non perciò lasciò mai di combattere a viso scoperto , sdegnando ogni via che fosse meno che leale; non mai vestendosi del manto di simulata virtù , onde potere dall’ agguato insidiare altrui. Vedasi, come deposto ogni rancore , tosto essi corrono alla pace , alla concordia. Pur ciò non toglie che contro sì rispettabili persone, contro alcuni di quelli di cui 1’ Italia ha onde onorarsi, si levi l’impostura, e ponga in opera ogni arte , perchè il volgo li creda maestri d’ ogni nequizia ; la qual peste va propagandosi per ogni canto della nostra penisola. Di che però se abbiamo a dolerci per le prave intenzioni di coloro, abbiamo poi onde racconsolarci vedendo che la luce della verità è omai salita a tale splendore , che di per sè stessa giunge a manife- starsi al volgo istesso , che sa discernerla e venerarla ; nè 1° oscu- rità de’ suoi detrattori vale ad altro che a fare maggiormente risal- tare i suoi pregi. Rallegriamoci dunque della pace de’ nostri amici, e se ne rallegri chiunque ha amore per la gloria delle lettere italiane. Mi creda ec. D: PaAotLt. Società instituita in Livorno pel mutuo insegnamento. te Lettera al Direttore dell’ Antologia. È pur dolce, mio caro Vieussenx , quella soddisfazione che sente il cuore, quando dopo aver lungo tempo desiderato il con- seguimento d’ un utile scopo , vede giunger l’ istante in cui le sue brame si adempiono! Questa soddisfazione voi la conoscete N 134 per prova , ed io ora la divido con gli ottimi fra gli abitanti di Livorno . Vi rammentate la lettera che vi diressi nel 1826 dopo una breve visita che dalla Germania aveva fatta alla mia nativa città? Io vi parlava di muovi istituti che promettevano migliora- mento morale ai suoi abitanti , e solo esprimeva il mio ramma- rico di non veder posto ancora in effetto un desiderio de’buoni, nella fondazione d'una scuola gratuita di mutuo insegnamento, a benefizio principalmente delle classi inferiori di quella ognor crescente popolazione. Questa scuola è fondata ; e lo è da una società tale che presenta in sè stessa la più valida garanzia per la continuazione del benefizio . Basterà a convincerne ognuno che conosca Livorno, una sola occhiata gettata sull’elenco di co- loro che hanno firmati gli statuti de’ quali vi mando copia. Ve- drete che individui di ogni nazione hanno presa ugual parte a questo istituto ; perchè lo hanno riconosciuto istituto di benefi- cenza, la quale soccorrendo all’ uomo non si arresta per diversità ‘ di culto o di lingua. Vedrete che già da più mesi furono firma- ti gli statuti, cioè che già da più mesi è stata pubblicamente espressa in Livorno la ferma volontà di fondare una scuola gratuita di mutuo insegnamento. In questa ferma volontà già fin d’ allora l’ istituto esisteva , e il porlo in attività più non dipen- deva che da circostanze accidentali che quella volontà stessa non poteva evitare , ma seppe vincere. Io attendeva questa vittoria per farvene parte, ed ora mi viene annunziata dal nostro comune amico il prof. G. Doveri, il quale mi scrive essere stata ultimamen= te aperta la scuola sotto la direzione del sig. ab. Stocchi, che mostrasi degno dell’uffizio affidatogli. Egli aggiunge a questa no- tizia molti ragguagli interessanti intorno ai quali mi sarà grato discorrere in un prossimo articolo , limitando queste righe al semplice annunzio del fortunato successo d’ un intrapresa pa- triotica e filantropica. Enrico MayER. Regolamenti della Società. 1.° La Società pel mutuo insegnamento ‘instituita in Livorno ha per oggetto di attivare in questa Città il metodo di mutuo insegna- mento del leggere ; dello scrivere , ,del far di conto, e del disegno lineare. A questo fine la Società stabilisce una Scuola gratuita per l’ istruzione elementare della classe indigente , per quel maggior numero d’ individui , che sarà compatibile coi mezzi della Società. 2.° La Società si compone di cinquanta Soci almeno; ma 135 trattandosi di un istituto di pubblica beneficenza, il numero supe- periore ai cinquanta resta indeterminato. 13.° La Società è rappresentata a tutti gli effetti da un Comi- tato Direttore , composto di dieci individui eleggibili fra i Soci a Piasalità di voti, colle appresso cariche : Un Presidente, Sei Ispettori, Un Provveditor , Un Camarlingo , Un Segretario. 4.° Il Presidente è il capo della Società, convocai Soci in Adunanza generale , sopraintende al buon ordine delle sedute , ha doppio voto in caso di parità. Al medesimo appartiene la superiore vigilanza per la conservazione del metodo di mutuo insegnamento. rappresentato, allorchè sia impedito, dal più anziano degl’Ispet- tori. La sua carica dura due anni. 5.° Gl’Ispettori invigilano un bimestre per ciascuno alla esatta osservanza del metodo d’ insegnamento reciproco approvato dal Comitato , alla interna polizia , al buon ordine della Scuola, ed al numero degl’intervenienti; comunicano al Comitato quanto credono opportuno pel miglior conseguimento dello scopo della Società : il Maestro della Scuola è sotto la loro immediata sorve- glianza. G1’ Ispettori si rinnuovano per metà ogni anno, secondo il metodo che prescriverà il Comitato. 6.° Il provveditore è incaricato della conservazione di tutti gli oggetti inservienti alla Scuola di pertinenza della Società , ne forma un Inventario a principio , e ne sorveglia la manutenzione in. istato di decente servizio col minor dispendio possibile. La sua carica dura due anni. 7.° Il Camarlingo esige le tangenti dei Soci, paga i mandati firmati dal Presidente e dal Provveditore. La sua carica dura due anni. Al Camarlingo si destina dal Comitato un Aiuto nella per- sona di un riscuotitore salariato , il quale riunisce anche il servizio di Custode della Scuola. 8.° Il Segretario compila gli atti del Comitato e della Società, fa lettura nella successiva adunanza delle deliberazioni e del pro- cesso verbale della precedente ,°vi appone la sua firma dopo quella del Presidente , corrisponde colle società principali di mutuo in- segnamento di Toscana e all’ Estero, custodisce 1’ Archivio e il sigillo della Società. La sua carica dura due anni. È rappresentato, allorchè è impedito , dal meno Anziano degl’ Ispettori. g-° Il Comitato tiene le sue Adunanze ordinarie nella prima 136 Domenica di ciascun mese nel locale della Scuola. In queste Adu- nanze si ricevono i rapporti degl’ Ispettori sullo stato della Scuola; si leggono le memorie, e le proposizioni che ogni Socio ha diritto di presentare, tendenti al miglior successo dell’ insegnamento ; si co- municano le corrispondenze ; si delibera su i premi ; si accettano i nuovi Soci ; si provvede alla scelta o al rimpiazzo dei maestri, e dei locali per la Scuola ; in genere si tratta e si delibera di tuttociò che concerne la direzione ed amministrazione della Società. Il Presidente ha la facoltà di adunare il Comitato in Adunanza stra- ordinaria tutte le volte che lo creda opportuno. 10.° Nel mese di Decembre di ciascun anno, il Camarlingo ed il Provveditore compilano un bilancio di previsione pel nuovo anno, che viene sottoposto per l'approvazione all’ Adunanza generale. 11.° Nel mese di Febbraio di ciascun anno, il Camarlingo ed il Provveditore presentano il respettivo loro rendimento di conti al Comitato , onde conseguitne l’ approvazione. 12.° La Società si riunisce in Adunanza generale nel locale della Scuola, o in altro più conveniente , a îscelta del Comitato, tutte le volte che il Presidente lo creda necessario : all’ Adunanza generale appartiene la nomina delle cariche componenti il Comitato. 13.° Le deliberazioni dell’ Adunanza generale non avranno efficacia, se non vengono adottate almeno da dodici Soci votanti. 14.° Le deliberazioni del Comitato non avranno efficacia , se non vengono adottate almeno da cinque membri votanti. 15.° I fondi della Società consistono nelle tasse imensuali che si corrispondono da ciascun Socio , e nei doni straordinari di ogni filantropico contribuente. 16.° La tassa mensuale è fissata a lire cinque da soddisfarsi ogni quadrimestre anticipato la rata: oltre di questa, ciascun Socio paga lire venti a titolo di entratura , al momento dell’accettazione, per le spese generali. 17.° Ogni Socio ha il diritto alla nomina di tre Alunni per la Scuola. I soli requisiti per l’ ammissione dei nominati, sono lo stato sano e l’età, che non deve esser minòre di anni cinque , nè maggiore di quindici. È riservata bensì al Comitato la facoltà di derogare alla regola stabilita per 1’ età, come pure di supplire alle nomine degli Alunni non fatte dai Soci. 18.° Le distribuzioni dei premi sono trimestrali, e si fanno dal Comitato pei tre primi trimestri dell’anno privatamente, ma coll’ intervento facoltativo di ciascun Socio: la distribuzione del- l’ultimo trimestre si fa pubblicamente, previo invito di tutti i Soci in un’ Adunanza generale , nella quale il Segretario fa un rapporto dello stato e dei progressi del Livorno. Firmati dai sigg. D Mm Pa A Vv . Algower (*). . Anbert. Bartoli. + Bartoletti . Bartolucci, M. A. Bastogi, V. Busutil. P. Bianconi. G. Binard, V. Bertolani. ‘G. Bertrand. Avv. Cercignani. E. Conrvoisier. A. Courvoisier. G. Chelli. G. A. Dalgas. Cav. G. De Yongh. Prof. G. Doveri. E. Dunn. A. Dutoil. P. Fehr, S. E. il march. Gurzoni- Venturî. E. R. Gebbard:. P. Giamari. Avv. P. Giera. Avv, L. Giera. . G. Gordini, E. Gower. . Grant. . Graban . Guebbard. + Guarmani, Ilarrison. Janer. Jago. Cav. G. Inghirami. P. Kerfbyl. E. Ledhuy. G. Lloyd. G. Macbean. P. Malenchini. L. Mancini. Avv. T. Maoganì. 137 mutuo insegnamento in N. Manteri. S. Mattei, B. Maude, E. Mayer, F. Micali. D. Monticelli. E. Mospignotti. Avv. G. B. Orsini, G. Ott. A. Padovani. Avv. G. Pachò, F. Pachò, P. Palli. P. Pavoli. C. Patrinò. N. Pezzer. D. G. Ricci, D. C. Razis Cav. G. Regini. M Regini, \F. Regini. G. Ronno. G. Rodocanacchi. M. Rodocanacchi, E. Routh, C. G. Rossi. Cav. Balì. F_ Sproni. G.Samadet de-Mollori, Avv. C. Sansoni, P. Santoni. G. Semiani. P. Senn. D. S. Stef:nini, G. Stub. C. Tobler. C. ‘Tossìzza. Cav. G. €. Ulrich. G. O. Walser. G. Webb. S. Westzynthius. G. Wetter. BE Willerding. G. Zust, () I nomi sono per ordine alfabetico. Non mi son fatto lecito di unirci quelli di que' benemeriti Signori che senza comparire come socii, hanno però voluto generosamente aver parte alla fondazione della scuola. T. XXXIII. Febbraio. 18 138 ARCHEOLOGIA. Scavi fatti nelle vicinanze di Orbetello. — Lettera del dot. G. B. Tuaon , medico militare nei RR. Presidii toscani , al Di- rettore dell’ Awrorosra. Orbetello 16 dicembre 1828. Un articolo nel Diario Romano, inserito non ha guari nella nostra gazzetta toscana, mi rammenta esser già più mesi che na- cque in me il pensiero di darvi contezza di alcuni impor- tanti scavi che vanno facendosi qui vicino al luogo del mio sog- giorno. Amante qual siete delle cose patrie, chè qual seconda patria amate voi la Toscana, sono certo non sgradirete quanto sono per dirvi. Allorquando , nel 1820 , mercè delle provide e munificen- tissime cure del non mai abbastanza lodato Sovrano, FERDINAN- no III, di gloriosa memoria, fu restaurata parte dell’ antica consolare via Aurelia , ed aperta così una facile comunicazione tra lo stato dei presidii e le interne parti della Toscana, ven- nero a scoprirsi tre sepolcri indubitatamente etruschi, sì per la forma loro quanto per le cose in essi contenute, le quali sono latamente descritte nelle Memorie storiche dell’ antico e moder- no Telamone , Vol. I pag. 75, e figurano ora nella R. Galleria di Firenze. Fino da quell’epoca venne in mente al sig. Antonio Devvit, proprietario del fondo ov’eransi rinvenuti i predetti ipogei, di tentare un regolare scavo onde indagare se altri ve ne esistessero 5 ma , distratto in parte dalle numerose sue incomben- ze e quindi da grave e lunga malattia cui, con rammarico di ‘ tutti i buoni, dovette poi soccombere , rimase la cosa intentata. Alfine , nella primavera del corrente anno , il di lui figlio, sotto la scorta del benemerito sig. A. Frangois , il quale consacra agli studii archeologici tutti l’ istanti lasciatigli liberi dall’ impiego + fece fare alcune escavazioni e rinvenne effettivamente una tale quantità di sepolcri etruschi da non lasciar dubbio che quel pic- colo poggio ove essi ritrovansi non fosse il cimiterio di una città etrusca. Rimasero quindi i lavori interrotti per la venuta dell’esta- te, stagione in cui male può attendersi in Maremma a cose di tal fatta; ma, appena scesero dalle montagne dell’ Aquila li opportuni operanti, furono li scavi riprincipiati, ed or vanno pro- seguendosi colla massima attività, giacchè presentano risultati tali 139 da appagare ad un tempo e la curiosità scientifica’ e le vedute di speculazione. Eccovi un piccolo cenno dei principali oggetti che ivi tro- vati compongono l’incipiente museo: vasi fittili con figure e senza, di varie grandezze e forme , alcune delle quali bizzarrissime ; patere , o specchii mistici, variamente figurate ; tripodi, uno dei quali di lavoro mirabile; una completa armatura di guerriero stato ritrovato (fenomeno insolito ) non giacente , ma bensì?in positura verticale ; un idoletto , perfettamente conservato, e tut- tora ricoperto di una specie di tunica retiforme fatta di amian- to; varii gioielli ed ornamenti dij argento e di oro purissimo ; uno scarabeo egiziano con caratteri chiarissimi : tale è il som- mario elenco delle cose ritrovate finoj ad ora, nè passa quasi giorno che non se ne rinvengano altre. Dietro all’ esposto bramerete sicuramente sapere a quale città etrusca appartenesse tale sepolcreto o cimiterio ;, è rammentan- dovi essere qui presso l’antica Cosa o Cossa penserete poter esso contenere li avanzi mortali degli abitanti di quella già florida città ; ma credo per certo che tale supposto sarebbe erroneo , e lo arguisco dagli appresso motivi : 1.° Corrono sei e più miglia di distanza tra il poggio di cui | ragiono , e le macerie dell’ antica Cossa, nè è presumibile che volessero trasportare ijloro morti così lontano : avvertite bene es- sere per me dimostrato che quella città esistesse lì dove scor- gonsi ora le rovine dette d’ Ansidonia , e che insieme perlustram- mo pochi anni fà ; ed è la mia credenza appoggiata sul parere del Mazocchi ; (1) di Strabone, (2) del Micali , (3) dell’ itinera- rio marittimo, (4) dell’itinerario di Rutilio Numaziano , e di al- tri rispettabili autori ; anzi Rutilio non solo descrive tali rovine ma indica quali voci popolari corressero allora (5) intorno alla cagione per cui la città rimase deserta. Cernimus antiquas nullo custode ruinas ; Et desolatae moenia faeda Cosae. Ridiculam cladis pudet inter seria caussam Promere , sed'risum dissimulare piget. (1) Dissert, Tyrrben. VI. Diatr. pag. 170. (2) Lib. V. (3) T. II. nelle annot. (4) Targioni Tozzetti Viaggi ec. tom. V!. p. 157. (5) Nell'anno 416 secondo il calcolo del . Corsini. Series Prefect, Urb. ‘ p. 333: 140 i Dicuntur cives quondam migrare coacti Muribus infestos deseruisse lares. Credere maluerim Pygmeae bella cohortis Et conjuratas in sua damna Grues. Premetto tale avvertenza giacchè non mancò puranco chi cre- desse l’ antica Cosa esistere ov’ è ora Orbetello (6). 2.° In altro poggio rimpetto appunto a Cosa esistono non dubbii segni di sepolcri antichi , e la loro prossimità ed esposi- zione ad oriente rendono certo essere quello stato il. cimiterio dei Cossani. 3.° E finalmente il sepolcreto di cui ragiono non è già si- tuato lungo l’ antica via Aurelia, ‘ma bensì in quel tronco di strada cha da quella conduce all’ attuale Orbetello. A chi dunque apparterrà il cimiterio che sta ora scavando- sì? To non dubito esser esso quello di Orbetello, città che figu- rava nell’ antica geografia sotto nome di Sub-Cosa e che con tale vocabolo viene indicata nella tavola Peutingeriana , come pure dell’ anonimo Ravennate . E quantunque il precitato Targioni ; nelle sue illustrazioni alla descrizione della via Aurelia o Emilia di Scauro, ne impugni l’ esistenza , e l’ attribuisca ad un anti- co errore da altri poi ripetuto , fu la di lui opinione confutata con validi argomenti dal Carchidio nella rammentata opera (7); e lo è anche a parer mio da quei scavi stessi che porsero argo- mento alla presente. E poi l’ ipotesi del Targioni , per quanto ei fosse osservatore diligentissimo , è in questo caso poco valu- tabile, non avendo egli personalmente esaminati i luoghi di cui si tratta , lo che agevolmente si congettura vedendo commessi due sbagli nel ragionare di Cossa; dicendo egli “ Cosa o Cossa 3 Città rovinata, in un colle nell’Istmo del monte Argentario , »» vicino ad Ansedonia. ,, Ma Cosa è distante sei miglia dal monte Argentario, e Cosa ed Ansedonia sono affatto identiche (8). Eccovi, mio caro Vieusseux, narrato brevemente quello che (6) Brocchi, Osserv. natur. fatte al Promont. Argentario : ed altri. (7) Memorie storiche dell’ antico e modeino Telamone tom, I, pags Gg. (8) Non sì creda che con questi miei rilievi io pretenda diminuire în qua!- che parte la ben meritata fama di cui godono i viaggi ec. del Targioni ; anzi reputerei utilissimo che quell’ opera venisse ristampata con correzioni ed ap- peudici corrispondenti alle cognizioni attuali : nè sarebbe sicuramente impresa tale superiore alle forze ed ai conosciuti talenti del sig. professore Antonio Targioni-Tozzetti, degno rau:pollo del sullodato autore. 141 sta facendosi in questo remoto angolo della Toscana . Abbenchè io non abbia saputo fregiare il mio racconto nè di scientifiche . illastrazioni, nè di letterarii adornamenti, pure varrà esso a sem- pre più dimostrarvi quante ignote o trascurate ricchezze abbun- dino nel bel suolo toscano , le quali non attendono per tornare a nuova vita, sortendo dalle viscere della terra ove giacciono se- polte, se non incoraggimento per parte di tanti capitalisti, i quali pur troppo antepongono alla sodisfazione ed all’ utile che ri- trarrebbero dal loro denaro il misero contento di esserne avidi ammiratori ‘contemplandolo in ‘ben chiusi forzieri. Addio, credetemi ec. SvrrremenTO essenziale d’una' cifra a pag. 165 del quaderno di Gennaio. Sulla fine della prima lettera intorno ai codici del marchese Tempi, ov’è riportato un fatto appartenente alla storia della mu- sica, i lettori sono pregati d’ aggiungere uno zero (saltato di tor- chio) a quel quattro che precede la parola ‘voci ; poichè dal nu- mero di 4o dipende in gran parte la meraviglia del fatto. BULLETTINO SCIENTIFICO Febbraio 1829. SCIENZE NATURALI . Meteorologia. Nelle prime notti di dicembre 1828 a. S. Giovanni in Val d° Arno superiore fu veduta la luna per ben due ore e mezza circondata da una bellissima corona a tre zone concentriche dei colori rosso turchino cupo , bianco-giallastro , e dorato chiaro . La larghezza apparente di ciascuna di queste zone era di circa braccia 1 e un terzo. Dalla zona bianco -dorata , che era l’ester- na, si partiva una coda diretta verso l’ oriente, che pareva della lunghezza d’ un centinaio di braccia , e la di cui larghezza cre- sceva di mano in mano che si slontanava dal pianeta. (JMotizia comunicata). I sigg. Macario Prinsep e Marcet hanno analizzato la ma- teria a cui deve 1l suo colore la neve rossa delle regioni polari portata dagli ufiziali della spedizione del capit. Parry. Questa materia depositatasi per il riposo in fondo all’acqua, che riman chiara, si è sempre mostrata sotto la forma di piccoli globetti rotondi di color rosso, framischiati con filamenti bianca- stri , e ramificati. Sulla natura di questi globetti sono state pro- poste diverse ipotesi. Il sig. Baven, che ne ha dato una buona figura, li riguarda come una specie particolare di funghi, cui ha dato il nome di Uredo nivalis. I sigg. Wollaston e De Candolle credono che essi apparten- gano alla classe delle alghe. Il secondo si appoggia ai seguenti argomenti : 1.° L’interno dei globetti non è polverulento come nelle uredo e nelle trichia, 2.° sono mancanti di pedicelli , 3.° sono ineguali, la loro località li ravvicina alle alghe, 4.° il sig. I. Banks non ha potuto farli vegetare seminandoli sopra ma- terie fermentabili. Fries li pone fra le oscillatorie sotto il nome di Protococcus nivalis. Il barone Wrangel li considera come una delle piante con- 1/3 fuse da Linneo sotto il nome di Byssus Zolithus, e propone per questa il nome di Lepraria Kermesina. Agardh li riguarda come un alga animalizzata , e li chiama Protococcus Kermesinus. Fra i risultamenti dell’analisi chimica, ciò ché è sembrato ai due sperimentatori più interessante è l’esistenza in quella ma- teria d’ una quantità notabile di gelatina, circostanza che ha fatto riconoscere al sig. Marcet un analogia degna d’ attenzione {fra questa sostanza e la materia rossa del Lago di Morat, che egli aveva già esaminata , quantunque questi due corpi siano com- pletamente distinti per la diversa loro organizzazione. Quest’ analogia ha indotto li sperimentatori a riguardare come molto probabile 1’ opinione di que’ naturalisti che hanno veduto nella materia rossa delle nevi polari degli esseri organizzati vicini alle oscillatorie , ed assegnato loro un posto nella serie della crea- zione animale. Sebbene molti veri vegetabili diano dei prodotti riguardati come di natura animale , essi riguardano come probabilissimo che la vera gelatina contenente azoto, diversa dalla gelatina vege- tabile o dall’ acido pettico , non si trovi mai nel regno vege- tabile. Fisica e Chimica. Essendoci impegnati nel precedente bullettino a fare ed in- serire in questo una critica sensata , qual’ era bramata dal sig. prof. Elice , ad una di lui Nota tendente a provare l’ erroneità detteregole newtoniane , e di seguire in ciò esattamente i modi e le forme da lui prescritte, accingendoci ora a compiere tal nostro impegno , cominciamo da riferire letteralmente la di lui prescrizione , quale si trova in una nota alla prima pagina di quella piccola stampa in cui fu pubblicata la di lui pretesa sco- perta idrostatica. Se il sig. Ferry vorrà favorirmi di una critica sensata, lo prego di scrivere con quell’ intendimento che mi ha guidato a du- bitare delle regole newtoniane, cioè pel solo amore della verità e il desiderio di conoscerla e farla conoscere agli altri , e non per interesse 0 spirito di parte , o mal concepite prevenzioni, o am- bizione di comparire , 0 smania di criticare. Quindi si compiacerà cominciare dal riportare la mia nota senza alterarla , e siccome tre sono le regole che mi sono studiato di mettere in dubbio, così comin- ciando dall’ una non farà passaggio alle altre prima che quella sia terminata. Favorirà altresì ricordarsi il precetto logico che chi ass 145 A serisce è obbligato a produrre le ragioni per cui asserisce, e chi ne- ga deve ribattere queste ragioni. Instituita in tal modo la critica , ci sarà utile , e troverà in me non tanto un pacifico difensore , quanto uno che si arrenderà volentieri all’ invincibile verità , con- fessando pubblicamente gli errori. Per conformarci esattamente a questa prescrizione, riportiamo letteralmente la IVota del sig. prof. senza alterarla. Mi accingo ad una difficile impresa (altri aggiungeranno te- meraria), di provare cioè che le regole stabilite dal gran Newton, ed ammesse dai fisici come incontrastabili , sono erronee. Entro in materia. Regola prima. Delle cose naturali non debbono ammettersi più cagioni di quelle che sono vere e sufficienti a spiegare i fe- nomeni. Newton e i di lui commentatori intendono che nello stabilire le cagioni naturali si debba usare la maggior parsimonia, non po- tendosi (dicon essi) supporre che la natura lussureggi în principii , ed esser proprio della divinità di ottenere in tutto il più possibile col meno possibile. Osservando attentamente le operazioni della na- tura, troveremo che alla formazione , conservazione, e metamorfosi di un animale, di una pianta e di un minerale concorrono sovente marii elementi ; varie cause concorrono pure alla formazione dei terremoti, dei vulcani e delle meteore. Dunque è piaciuto all’au- tore della natura di così operare ; che se Dio avesse voluto pre- fisgersi la regola d’ ottenere in tutto il più possibile col meno pos- sibile, una sola sostanza opererebbe tutte le maraviglie che osser wansi nell’ universo. In fatti è sufficiente per ispiegare l’ asciuga- mento di un lago un tremoto, comeè qualche volta accaduto ; l evaporazione dell’ acqua unita ad una lunga siccità produce fre- quentemente questo effetto. Il solo calorico è bastante per vaporare l’ acqua , eppure i wenti e l° elettrico concorrono sovente all’ evaporazione di questa sostanza. Dunque si devono anche ammettere altre cagioni oltre di quelle che sono vere e sufficienti a spiegare i fenomeni. Obbligati, per compiacere all’ autore della Nota , a riportarla per intero , nè volendo essere eccessivamente prolissi , ci asterre= mo da molte osservazioni che quasi ad ogni parola ci si offerireb- bero , ristringendoci a mostrare per quali errori l’ autore sia stato condotto a riguardare come erronee le regole di filosofare stabilite dal gran Newton. Non vogliamo per altro astenerci dall’ osser- vare che quello che quì l’ autore riguarda come un paradosso , 145 cioè aver potuto la divinità fare assumere ad una sostanza unica variamente modificata le tante. e sì diverse forme di materia on- de si compone tutto il creato corporeo, non solo è stato pensiero di sommi filosofi , ma, sebbene non provato nè forse probabile, non è tampoco dimostrato impossibile. Sembra che 1’ autore, male interpetrando il chiaro senso delle parole di Newton, intenda che, secondo esso, di qualun- que fenomeno anche complicato debba assegnarsi una causa sola. Se egli così intendesse, avrebbe torto. Delle cose naturali, dice Newton , ron debbono ammettersi più cagioni di quelle che sono vere e sufficienti a spiegare i fenomeni. Le voci quelle che sono vere e sufficienti sono del numero plurale , e si riferiscono a più cause , che possono intervenire e spesso intervengono a produrre un fenomeno. A maggior chiarezza e brevità insieme, ragioniamo snl fatto, e su quello stesso che il sig. prof. propone ad esempio. Taluno do- po aver veduto ai primi di maggio una estensione di terreno co- perta. d’ acqua, tornando a vederla sul finir d’ agosto la trova asciutta. Se egli è un semplice filosofo ordinario, seguace della dottrina di quel buon uomo di Newton, attribuirà quest’effetto alla naturale evaporazione dell’ acqua , ammettendo bensì che la natural facoltà dissolvente dell’ aria rispetto ad essa sia stata mo- dificata in più o in meno, in giorni ed in ore diverse, a seconda della temperatura dell’ atmosfera , del suo stato igrometrico, cioè di maggiore o minore umidità o secchezza , della qualità , forza, e durata dei venti che han dominato. Riconosciute queste cause per vere, e trovatele sufficienti a spiegare l’ asciugamento avve- nuto , il nostro filosofo si atterrà a quelle, nè crederà, come il nosiro autore, di dovere invocare tutte le altre possibili, ben- chè non vere o non provate, benchè non sufficienti o superflue. Ma ci sia permesso sostituire al fatto proposto dall’autor della nota un altro alcun poco diverso. Una caldaia opportunamente disposta in un fornello si riem- pie d’acqua che vuol riscaldarsi, e vi si pone setto il necessario combustibile. Prima che questo sia acceso, si vede ad un tratto la caldaia vuotarsi dell’ acqua , la quale si spande sul pavimento. Il nostro buon filosofo affacciatosi alla bocca della caldaia, e veden- do che vi si è formata un apertura in mezzo al fondo, riguarda que- sta come la causa della dispersione dell’ acqua. Questa causa es- sendo vera , e sufficiente a spiegare il fenomeno , il buon fisico newtoniano non ve ne mescola altre. Ma a meglio esporre il suo modo di filosofare modifichiamo ancora i fatti ed i fenomeni. Em- T. XXXIII. Febbraio. , 19 148 A ; piuta d’ acqua la caldaia , si supponga anche acceso sotto di essa . il fuoco. Pochi momenti dopo , quasi tutta 1’ acqua sfugge dalla caldaia ad un tratto, e senza estinguere il fuoco , o bagnare il combustibile , si spande sul suolo, restandone una piccola quan- tità sul fondo della caldaia, all’ altezza di circa un pollice , la quale pure a poco a poco disparisce , rimanendo la caldaia in poco tempo interamente asciutta. Il nostro fisico newtoniano , trovando una rottura non già in mezzo al fondo della caldaia , ma late- ralmente all’ altezza di circa un pollice dal più basso punto del fondo stesso, ravvisa nella rottura una prima causa, per cui si è versata tutta quella porzione d’ acqua che era al di sopra dell’or- lo inferiore della rottura ; ma poichè di quì non poteva avere esito 1’ altra poca acqua che era più in basso e cuopriva il fondo, egli sente la necessità di assegnare un altra causa della successiva e gradnale panne di questa , e la trova nell’ azione’ del’ fuoco che 1’ ha evaporata. Queste due cause essendo evidentemente ve- re , e sufficienti a spiegare i fenomeni osservati , il nostro sempli- ce “owtgiataio se ne appaga , senza darsi la pena d° aggiunger- vene altre non vere , ed insufficienti, o smperflne. Non così il sig. prof. E. il quale sapendo che qualche volta un terremoto ha fatto disparire l’acqua d’ un lago , inabissatasi nell'interno della terra, che comunemente l’aria secca ed il ca- lorico, e talora in qualche modo 1’ elettrico producono 1° evapo- razione dell’ acqua, vuole che, sebbene non sia vero nè possa provarsi avere tali cause effettivamente concorso a produrre i fe- nomeni, pure anch’ esse e tutte le altre possibili, o capaci in qualche caso di produrli, sebbene non vere ed insnfficienti , siano ammesse nella spiegazione dei fenomeni, dal tisico sottile e su- periore alla meschinità delle regole newtoniane. Nè in ciò noi lo calunniamo , o gli attribuiamo cosa da lui non detta, almeno implicitamente. Nella sua conclusione egli non dice: dunque si possono , ma precettivamente dunque si devono anche ammettere altre cagioni oltre di quelle che sono vere e sufficienti a spiegare i fenomeni. E noi , oltre le cagioni vere, non conosciamo che le false, o non provate vere, come oltre le sufficienti a spiegare i fenomeni, non sappiamo immaginare che le insufficienti 0 su- perflue. Nella spiegazione dei fenomeni naturali le seconde ag- giunte alle prime debbono formare un bel corredo, e sommini- strare un buon’ aiuto all’ intelligenza. Passiamo oltre , riportando il seguito della Nota del sig. prof. E. Regola seconda. “ I medesimi effetti dipendono dalle me- desime cause. ,, 147 Cosa s’ intende per causa e per effetto? Quando osservo che una cosa produce un altra , la prima la chiamo causa e la seconda effetto ; 2 effetto poi che nasce dall’ azione d’ una causa, può essere un nuovo essere , come il frutto che produce l’albero , 0 una modificazione d’ un essere giù esistente, come il moto d’ un corpo originato da un altro. Ciò posto , ammetto che vi siano dei casi in cui si verifica questo principio, ma bisogna altresì convenire che in molti altri trovasi fallace , come lo provano i seguenti fatti. Medesime cause che producono medesimi effetti. 1.0 La cansa che rende liquida l’acqua (il calorico) è la stessa che liquefà i meialli ed altre sostanze. ° La cagione che fa discendere la pioggia ( attrazione ‘ della terra ) è la stessa che fa cadere i gravi. Medesimi effetti generati da diverse canse. 1.° Si move lo stantuffo nella tromba , sia che lo stesso si fac- cia movere in grazia del vapore, dell’aria, degli animali, 0 di qualunque altro corpo. .° Si gonfia una vescica tiempiendola di gas idrogeno, 0 d’ aria, o di gas acido carhonico , ec.; l’effetto, cioè il gonfiamento della medesima è sempre lo siesso , sebbene le cause siano diverse. - Dunque i medesimi effetti possono dipendere da cause diverse. L’ esposta seconda regola di filosofare, che Newton deduce ragionevolmente dalla prima come corollario, è da lui stabilita con una certa riserva, e come non applicabile indistintamente a tutti i casi. Ecco le di lui parole. Iproque effectuum naturalium eiusdem generis ecaedem assignandae sunt causae , QUATENUS FIERI POTEST. Se riconosciute di certi effetti le cause vere e sufficienti a produrli , non se ne devono ammettere altre, ne segue che rin- novandosi quelli stessi effetti, o presentandosene altri dello stesso genere , debbano attribuirsi alle cause stesse , per quanto si può, cioè purchè queste cause non si riconoscano insufficienti , e pur- chè non sia evidente la dipendenza di quelli effetti da altre cause. È Il sig. prof. E., quasi ignorando che non vi è regola senza eccezione ;, e scordando che Newton stesso ne suppone a quella qui contemplata, la dichiara erronea appunto perchè non è appli cabile a tutti i casi. Se egli avesse allegato giudiziosamente al- cuni fatti ben scelti ai quali tal regola non possa. applicarsi, senza distrugger questa, ne avrebbe dichiarate e dimostrate le eccezioni o limitazioni. . \ In vece, immaginando di coglier Newton in fallo mostrando 148 che se vi sono medesime cause che producono medesimi effetti, vi sono anche medesimi effetti generati da diverse cause, ha po- tuto per la scelta dei fatti, e per il ragionamento che crede ap- poggiarvi, eccitare il disprezzo e quasi l’ indignazione dell’autore di quell’articolo della Revue ercyclopedique di Parigi, di cui tanto si duole. Senza seguitar questo con limitarci al disprezzo, e senza scen- dere a tutte quelle osservazioni che quasi ad ogni passo provoche- rebbe il modo di scrivere dell’ autore della Vota, ci ristringeremo ad alcune. : Medesime canse che producono medesimi effetti sono per l’autore r.° il calorico che rende liquida l’acqua e liquefà i metalli ed altre sostanze . 2.° l’ attrazione della terra che fa discendere la pioggia e cadere i gravi. i Ma il calorico non è nè unica nè general causa di liquefa- zione. Moltissimi corpi sono liquefatti dall’ acqua , ed alcuni fra essi non possono esserlo dal calorico. Al modo d’ esprimersi del- l’autore taluno potrebbe credere che la pioggia, o l’acqua che la costituisce, non sia compresa fra i gravi. Secondo esso , il vapore , l’ aria, gli animali, e qualunque altro corpo che faccia muovere, lo stantuffo in una tromba, sono altrettante cause diverse che producono uno stesso effetto. Per noi e per ogni fisico un sufficiente impulso meccanico è la causa unica che in qualunque caso fa muovere lo stantuffo nella tromba. Di- versi mezzi o agenti possono produrre quell’impulso., Similmente , secondo il sig. prof. l’aria, il gas idrogene, il gas acido carbonico , di cui sia piena una vescica, sono altrettante diverse cause della sua gonfiezza. Per noi e per ogni fisico una sola è la cansa del gonfiamento della vescica nei casi contemplati ed anche in più altri, cioè 1’ esser ripiena d’ una sostanza aeri- forme. Il nostro autore così amante delle sottigliezze aveva campo in cui estendersi assai più. Per esempio, il gas idrogene potrebbe essere, o semplice, o protocarbonato, percarbonato, protofosforato , perfosforato , solforato , arsenicato , tellurato , potassiato , ec. Questi e molti altri gas possono, secondo la varia loro natura, di- venir cause d’ effetti chimici diversi, ma quanto all’ effetto fisico del gonfiamento d’una vescica agiscono tutti come una sola & stessa causa , ed il fisico» interrogato perchè di due vesciche poste una appresso all’ altra una sia turgida 1’ altra floscia , risponderà, perchè una è piena d’ una sostanza aeriforme , 1’ altra n° è vuota , senza aver bisogno di prender tempo a rispondere per esaminare o analizzare il gas o i diversi gas contenutivi. rÀ9 Le cause fisiche, per le quali si operano i diversi effetti o fenomeni, sono dal prof. E. confusi coi loro accidenti, o colle loro qualità indefinitamente variabili , ciascuna;delle quali sembra che egli riguardi come una causa nuova e distinta, Una corda, colla quale si tirava in alto una cesta carica di materia , ad un tratto si è strappata. Qual’ è la causa di ciò? L’ eccesso di peso di quella materia sopra la tenacità o resistenza della corda. Siccome un eccesso qualunque di peso basta a ca- gionar la rottura della corda, per riconoscerlo come causa di que- st’ effetto è superfluo e vano il contemplare la serie indefinita dei pesi superiori a quello massimo che la corda potesse sostenere. Molto più è inutile cercare di quale fra le innumerabili specie di materia la cesta fosse carica; se d’una, di due, di dieci , di cento specie dverse; se i-pezzi fossero tutti di volume eguale o diverso , di qual forma , di qual colore, ec. ec. Indipendente- mente da tutte queste particolarità sarà sempre vero che la causa della rottura della corda fu l’ eccesso di peso onde fu caricata. Si trova spezzata una lastra di vetro ad una finestra ; vi è un punto a cui convergono tutti i rottami, e le linee di rottu- ra. È evidente la causa di tali effetti essere 1’ urto in quel punto d’un corpo duro. Sebbene questo possa essere stato tondo, quadrato , o di cento forme svariate , sebbene potesse presenta- re un numero immenso di differenze, non solo per la specie o qualità della materia, ma per mille accidenti diversi, non cu- rati questi, in circostanze ordinarie, basterà indicare come causa della spezzatura della lastra l’urto o percossa d’un corpo duro. Si è detto in circostanze ordinarie , giacchè talvolta ragioni superiori e speciali obbligano a discendere alle più minute inda- gini intorno agli accidenti che si riferiscono ad una causa. Si trova steso sul suolo il cadavere d’ un uomo, nel cui ven- tre è un apertura o ferita. Qual’ è stata la causa di questa? Evidentemente l’ introduzione violenta d’un corpo estraneo. Per altro un inchiesta giudiciaria, diretta a scuoprire l’ autore del delitto , non può nè deve arrestaîsi quì. Esplorata la figura ed ogni particolarità della ferita , convien concludere la qualità e forma del corpo o strumento che 1’ ha prodotta , se tagliente o contundente , ec. , ec. Se poi un coltello sia stato trovato nella ferita o presso il cadavere, occorrerà esaminarne le più minute ed anche estrinseche ‘particolarità , non già per spiegare la for- mazione della ferita, ma per riconoscere come autore di essa l’uo- mo al quale fosse noto o provato avere appartenuto precisamen- te quello strumento. Se tali ricerche sono necessarie al ‘tribunale 150 ed al giudice, per un fisico, cansa vera e sufficiente a spiegare la formazione della ferita (la quale non è che una discontinuità di parti) sarà sempre l’ inserzione violenta d’ un corpo estraneo e duro, qualunque egli sia. Terminiamo di riportare letteralmente la nota del prof. E. Regola terza. Le qualità dei corpi che non sono suscettibili di accrescimenio. 0 di diminuzione , che convengono a tutti i corpi sopra i quali far si possono delle esperienze, debbono essere riguar- date come proprietà generali. Questa è piuttosto una cattiva definizione delle proprietà ge- nerali dei corpi, che una regola; dico cattiva, perchè le proprietà generali sono soggette ad accrescimento o diminuzione, per esempio i corpi grovitano maggiormenie ai poli che all’ equatore : il. culo- rico aumenta e la di lui mancanza diminuisce i pori dei corpi. Dunque la gravità e la porosità, che sono proprietà generali dei corpi sono suscettibili d’ accrescimento e di diminuzione. Dal fin quì detto parmi poter legittimamente conchiudere che le surriferite regale newtoniane , le quali formano ; per così dire, una logica particolare per lu fisica , sono erronee. Povero Newton! ,mentre tu pensavi di stabilire una regola di filosofare, non facevi che una cattiva definizione . Ed a qual fondamento appoggia il prof. E. quest’ accusa ?_All’aver Newton attribuito alle qualità generali dei corpi un carattere che, secon= do il sig. prof., alcune di esse non hanne, quello cioè di non po- ter provare nè aumento nè diminuzione. In prova di che cita la gravità e la porosità, che egli asserisce capaci d’ aumento e di- minuzione. Acciò una tale accusa sia fondata, è necessario che due cose si verifichino , cioè: non solo che la gravità e la poro- sità provino ammento e diminnzione , ma di più che esse siano proprietà generali dei, corpi nel senso inteso da Newton. Ecco le parole originali di questo filosofo. The qualities of bodies , which admit neither intension nor re- mission of degrees, and which are found to belong to all bodies within the reach of our experiments , are to be esteemed the unI- versaL qualities of all bodies whatsoever. E poichè il sig. prof. si è servito della comunemente cono- sciuta versione latina, riporteremo anche questa. Qualitates corporum quae intendi et remitti nequeunt , quae- que corporibus omnibus competunt in quibus experimenta institue= re licet, pro qualitatibus corporum universoruM habendae sunt. Newton ha dunque parlato di qualità universali, non di proprietà generali. Fra queste espressioni la differenza è notabile. ì T51 Si dicono: proprietà generali quelle di cui è dotata la più gran parte dei corpi, quantunque manchino o possano mancare in al- cuni: Così diciamo comunemente: sebbene i corpi ir. genere o generalmente parlando abbiario tale o tal’ altra proprietà, pnre il tal corpo n’ è privo. All’opposto si dicono qualità universali quelle che competono a tutti i corpi , niuno affatto eccettuato , che so- no talmente inerenti alla natura della materia, sicchè non può ‘concepirsi un corpo che ne sia privo. Ora è ella tale la gravità ? Nò certamente. 1 fisici ammettono quattro corpi imponderabili , cioè la luce, il calorico ,, 1° elettrico , il magnetico. E quando anche voglia intendersi la gravità non in quel senso speciale che ‘si riferisce alla tendenza verso il centro della terra, ma nel senso generico in cui si fa sinonimo d’ attrazione ; resta sempre il.ca- lorico, del quale non conosciamo che proprietà ed effetti ripul- sivi. Però Newton stesso in sul fine della dichiarazione di questa terza regola dice : Aitamen gravitatem corporibus essentialem esse minime affirmo. Nè omette di avvertire che la gravità ‘cre- sce o diminuisce nei corpi a misura che si avvicinano o si allon- tanano cal centro della terra. Gravitas recedendo a terra dimi- nuitur. Lo che è più esplicativo e più esatto che il dire, come il prof. E. che i corpi gravitano maggiormente ai poli che al- l’ equatore. Quanto alla porosità, sebbene esplorati con mezzi ottici as- sai forti i corpi più compatti e più lisci, ci compariscano porosi, pure nulla ripugna a concepire che esista o possa esistere qual- che corpo non poroso. Ponendo fine a questa critica , anche troppo prolungata, 08- serveremo che mentre Newton è lodato come singolarmente be- nemerito. della filosofia per aver richiamato i buoni spiriti sulla via dell’ osservazione , dell’ esperienza , e del solido ragionamen- to, ritraendoli dalle futili questioni scolastiche, nelle quali per- devasi il tempo e lo spirito , il sig. ‘prof. E. sembrerebbe incli- mare al ritorno all’ antica strada. Fortunatamente lo. spirito del secolo non vi è disposto. Ed è anche una fortuna per lui, nel suo aberramento, l’ avere solennemente dichiarato. essere stato guidato dal solo amore della verità, non da verun fine obliquo, nè specialmente dall’ ambizione di comparire ; senza di che i ma- ligni non avrebbero mancato d’ assomigliarlo a quell’ Aulo Ceci- na, uomo prima ignoto , che mosse aspra e pubblica contesa alla famiglia dei Marcelli, una delle più illustri dell’ antica Roma , ut magnis inimicitits claresceret. 159 Il sig. Bunten ha inventato un termometro orizzontale , di cui non è ancora nota la struttura, ma intorno al quale sono stati presentati all'Accademia delle scienze di Parigi dei rapporti favorevolissimi , ed anche una lettera del sig. De Humboldt, il quale fa grandi elogi di questo strumento. Il sig. Leslie in una nota dei suoi Elementi di filosofia na- turale , all’ occasione di parlare dalla compressibilità dell’acqua', emette alcune opinioni che richiamano una speciale attenzione come singolarmente ardite ed originali. Il potere della gravità è pro- porzionale alla distanza dei gravi dal centro della terra. Da questa proprietà e dalla diversa compressibilità dei solidi e dei fluidi stima- ta per mezzo di nuove esperienze, il sig. Leslie ha ricavato delle for- mule per calcolare quali sarebbero le densità dell’aria, dell’ acqua, e del marmo bianco a diverse profondità. Risulta da queste for- mule che l’aria acquisterebbe la densità dell’acqua ad una pro- fondità di 33 miglia e tre quarti, e quella del mercurio a 197 mi- glia al di sotto della superficie della terra. L’ acqua sarebbe ri- dotta alla metà del suo volume ad una profondità di 93 miglia, e prenderebbe la densità del mercurio a quella di 362 miglia e 1. Il marmo, sebbene ci sembri incompressibile ; acquisterebbe una densità doppia a 267 miglia. Ciascuna di queste sostanze se- gue una legge diversa nella sua compressibilità. Questa legge cre- sce più rapidamente per l’acqua, che per il marmo, ed anche più rapidamente per l’aria. L’ aria avrebbe la densità dell’acqua alla profondità di 35 miglia, l’acqua avrebbe quella del marmo a 173. Alla profondità di 396 miglia, che equivale alla decima parte del raggio terrestre, avrebbe una densità 3 volte e tre quarti maggiore di quella che ha alla superficie della terra, l’ acqua 4 volte e un terzo mentre la densità dell’ aria sarebbe divenuta 101,960 billioni di volte maggiore di quella che osserviamo in essa alla superficie della terra . Al centro di questa il marmo diver- rebbe più denso 119 volte, 1’ acqua 3 millioni di volte. La con- densazione dell’ aria sarebbe inconcepibile, e bisognerebbe espri- merla col numero 764 seguitato da 165 zeri. Da questi risultamenti fondati sull’esperienza derivano alcu- ne proposizioni singolari. Primieramente , se la massa intera della terra è composta di materie simili a quelle che conosciamo, la loro compressione crescerebbe così rapidamente , avvicinandosi al centro, che la densità media del nostro globo sarebbe molto più che cinque volte la densità dell’acqua, risultato a cui hanno con- dotto l’esperienze di Maskeline e di Cavendish. Ne segue per ne- 153 cessaria conseguenza che il globo è internamente vuoto; e perchè la sua densità media nonsia maggiore di ciò che essa è, bisogna anzi che il guscio o inviluppo sul quale noi camminiamo non misuri ‘che una piccola parte del diametro della sfera. Da un altro canto il vuoto assoluto è inammissibile ; e per impedire che la scorza di questa caverna centrale ceda all’ enorme pressione che soffre, bisogna che 1’ interno sia pieno di qualche cosa dotata d’ una proporzionata potenza ripulsiva. Ora noi non eonosciamo che una sola sostanza dotata dell’ elasticità necessaria a quest’ effetto , ed una tal sostanza è la luce. È cosa interessante vedere ‘tante strade diverse condurre il genio osservatore dell’uomo allo stesso fine , cioè alla verità. La- place dedusse le sue conclusioni intorno alla densità media della terra dalla nutazione dell’ asse terrestre; Maskeline dalle oscil- lazioni del pendolo. Ora noi vediamo il sig. Leslie dedurre dalle leggi della compressibilità una dottrina analoga a quella che il sig. Cordier ricava dal calore delle miniere e delle fontane ; di- ciamo analoga perchè i due sistemi non sono identici , ma possono facilmente combinarsi. Il sig. Cordier trovando una sorgente di calore nel corpo della terra, ne conclude che questo calore va aumentando coll’ avvicinarsi al centro , e che tutto l’interno îdel globo è pieno di materia in fusione, senza pensare che la legge di compressibilità di questa materia condurrebbe a dare alla terra ‘una densità diversa da quella che essa possiede realmente. « Così (dice il sig. Leslie terminando la sua nota ) noi siamo 3; condotti per un seguito d’induzioni ben connesse a questa im- 5» portante e sorprendente conclusione: che la gran cavità cen- », trale non è, come s’ immagina , un abisso di tenebre; ma al », contrario deve contenere la più pura delle essenze eteree , /e »» luce , nel suo stato di maggior concentrazione , dotata del ful- »» gore più intenso, e del più irresistibile splendore. ,, ( Articolo estratto dal Progresseur, T. I. pag. 394). Il sig. Becquerel ha annunziato recentemente che i frammenti di Tormalina si elettrizzano per il calore più fortemente che la Tormalina intera, e che quando questa è molto lunga non può acquistare la virtù piroelettrica. Alquanto prima del sig. Becquerel , il sig. Brewster aveva fatto dell’ esperienze analoghe, che si trovano riferite nel giornale delle scienze d’ Edimburgo , agosto 1824. Ecco in qual modo egli si esprime. Esaminando l’ elettricità della tormalina , ho trovato T. XXXIII. Febbraio. 20 154 s, che si osservava meglio con un piccolo frammento staccato da 3; un punto qualunque del prisma. L’ esperienza riesce nel mi- »» glior modo quando il frammento ha le sue facce perpendicolari s) all’ asse del cristallo. Quando un simile frammento è posto so- »» pra una lastra di vetro che si porta alla temperatura dell’acqua »» bollente, il frammento aderisce al vetro con tal forza , che ri- s: voltando il vetro, il frammento di tormalina vi riman sospeso ss per sei o otto ore. Così dei pezzi d’ una grossezza e d’una su- »; perficie considerabilissima son capaci di sostenere il loro proprio »> Peso. ,) In un altro luogo egli dice che la polvere di tormalina si rappiglia in una sola massa quando si scalda sopra un vetro, e sì agita con un corpo asciutto. Esaminando comparativamente diverse specie di legni riguardo alla varia loro elettricità , il sig. F'echrner ha concluso dalle sue esperienze ‘che i legni qui appresso nominati possono disporsi nelle cinque seguenti serie, delle quali quelle che precedono sono comparativamente positive, quelle che seguono negative. Prima serie: carpino, bosso , betula , acero; faggio, ontano , sambuco; 2.* serie: tiglio, verzino ; 3.* serie: querce, susino, makogani , pino, guaiaco ; 4.* serie: arancio ; 5.° serie, ebano. Il sig. Arago ha inserito nell’ Annuario delle longitudini per il corrente anno una notizia istorica intorno alle macchine a va- pore, diretta principalmente a provare erronea quell’opinione quasi comune, per cui la macchina a vapore è riguardata come un invenzione affatto inglese. Egli riferisce i principali concepi- menti relativi, indicando di ciascuno l’ epoca e l’ autore come appresso È Nel 1615 Salomone di Caus fu il primo che pensò a servirsi della forza elastica del vapore acqueo nella costruzione d’ una macchina idraulica destinata a operare degli asciugamenti. Nel 1690 Papino concepì la possibilità di fare una macchina a vapore acqueo ed a pistone. Egli fu il primo a combinare in una macchina a fuoco ed a pistone la forza elastica del vapore colla proprietà inerente al vapore di condensarsi istantaneamente per il freddo. Nel 1705 Newcomen, Cawley, e Savery viddero i primi che per operare una pronta condensazione del vapore , bisognava che l’acqua iniettata si spandesse sotto la forma di gocciolette nella massa stessa del vapore. 155 Nel 1769 Watt ha mostrato gl’immensi vantaggi economici che si ottengono operando la condensazione, non più nel corpo stesso della tromba, ma in un vaso separato. Egli ha anche fatto conoscere il partito che si poteva ricavare dallo slancio istanta- neo del vapore acqueo. Applicazioni. + Nel 1690 Papino ha proposto per la prima volta di far girare un albero o una ruota mediante l’azione d’una macchina a vapore. Prima d'allora le macchine a fuoco non erano state riputate applicabili che a operare degli asciugamenti. Papino ha anche proposto la prima macchina a doppio effetto, ma a due corpi di tromba. Nel 1796 Watt ha inventato la prima macchina a doppio effet- to , e ad un sol corpo di tromba. Pressioni.— Avanti il 1710 Papino aveva immaginato la pri- ma macchina a vapore ad alta pressione , e senza condensazione. Nel 1724 Leupold ha descritto la prima macchina di questa specie a pistone. Nel 180r le prime macchine ad alta pressione locomotive furono inventate dai sigg. Trevithick e Vivian. Navigazione a vapore. — Papino deve esser considerato come il vero inventore dei battelli a vapore. Se si mescolino insieme del fegato di solfo e della. limatura di ferro pura, e dopo aver messo il mescuglio in un crogiuolo coperto, si esponga ad un forte caloréè, si ottiene un doppio sol- furo , dal quale si sprigionano dei vapori d’ ammoniaca tostochè si bagna con una goccia d’ acqua. Finchè la massa è calda, se- guita a presentarsi questo curioso fenomeno, che è stato osservato ed indicato la prima volta dal sig. Hollunder. Lo stesso autore ha osservato che una dissoluzione d’ allu- mina nell’ acido nitrico si scompone prontamente sotto l’ influenza dell’aria atmosferica, anche alla temperatura ordinaria ; la scom- posizione si fa più presto se sia aiutata dal calorico, ed anche più prontamente se vi sia un eccesso d’ acido. Il sig. Hollunder riguarda come probabile che la materia fioccosa che si precipita nella scomposizione sia dell’ alluminio ossidato ad un maggior grado di quello che lo sia nell’ allumina ordinaria, e fonda la sua congettura sulla circostanza che l’acido nitrico è ‘in parte disossigenato , e che il nuovo ossido è molto più insolubile dell’ allumina ordinaria , poichè gli acidi nitrico , idroclorico, e solforico, e l’ammoniaca non lo disciolgono che 155 parzialmente , con molta maggior difficoltà, ed impiegando un grand’ eccesso di dissolvente. A Sembra che un analoga soprossidazione dell’allumina si pro- duca anche per altri mezzi, come per il calor rosso, per 1’ azione del nitro aiutata da una temperatura elevata ; ec. Lo stagno del commercio , non escluso quello che vien ri- guardato come il più puro , può contenere del ferro , il quale passa anche in tutte le combinazioni chimiche formate con questo'stagno, come per esempio nel’ cloruro, nè può esservi immediatamente scoperto per verun reagente. Il sig. Fischer di Breslavia ha insegna- to il seguente mezzo per scuoprirne la presenza. Si scompongono i sali di stagno per mezzo dell’ ammoniaca, e si fa digerire, a freddo nell’ acido idoclorico, l’ossidulo di zinco che si precipita. ;In questo caso l’ acido discioglie quasi tutto l’ossidulo , e la parte non di- sciolta che resta in fondo consiste in una combinazione d’ un poco d’ossidulo di zinco con un grand’eccesso d’ossidulo di ferro. Questa combinazione trattata coll’ acido idroclorico concentrato. ad un dolce calore , si disciogliej, e permette di riconoscere il ferro per mezzo dei soliti reagenti. Il prof. Vogel di Monaco, dopo aver ricordato 1’ esperienze di Brewster , di Pallot, di Herschel, di Blackadder, ha indicato i diversi mezzi per i quali si può colorare in giallo , in rosso, ed in verde la fiamma dell’ alcool. Si produce la fiamma gialla accen- dendo l’ alcool sopra dei sali a base d’ ammoniaca, di soda, di man- ganese , di ferro, di mercurio , di platino, d’oro, di nichel, di cobalto, e di bismuto. Si ottiene una fiamma rossa servendosi di sa- li a base di calce, di litina; di magnesia, e soprattutto di stronziana. Se l’ alcool sia bruciato sopra dei sali di rame, d’ uranio , o d’al- lumina, si'ottiene una fiamma verde. Tuttii sali da impiegarsi in queste esperienze devono esser solubili nell’ alcool. Si produce anche una fiamma verde disciogliendo nell’ alcool dell’ acido ho- rico , 0 dell’ etere idroclorico debole. Risulta dall’ esperienze del sig. Vogel che l’ ossido di rame è ridotto dall’ alcool che brucia in protossido ed in rame metallico , e che la stessa fiamma verde contiene del rame. Si può scuoprir la presenza dell’ oppio, disciolto anche in piccola quantità ; col seguente processo suggerito dal dott. Hare. Si versa nel liquido sospetto una soluzione d’ acetato di piombo; vi si forma un deposito (dopo alcune ore se la quantità è pochis- 157 sima ) di meconato di piombo; che si riconosce tale se dopo avere con alcune gocce d’ acido solforico convertito il meconato in sol- fato , alcune gocce di soluzione di persolfato di ferro producono un eolor rosso particolare. sar L' analisi del sugo proprio del fico fatta dai sigg. Geiger e Ret- mann , lo ha mostrato loro composto 1.° d’ una mescolanza di due resine viscose solubili nell’ etere e nell’alcool assoluto , e che entra per tre o quattro centesime parti nella composizione del sugo, 2.° d’una resina insolubile nell’ etere ,3.° di due centesime parti di gomma, 4.° d’ albumina, 5.° di materia estrattiva , d’ idroclorati ed altri sali formati da acidi vegetabili combinati con una sostanza odorante , 6.° d’ acqua. Le radici del Selinum palustre, analizzate dal sig. Peschier, hanno mostrato contenere 1.° un olio volatile , 2.” un olio grasso solubile nell’ etere e nell’ alcool di 34 gradi, 3.° una materia gommosa , 4.° un principio colorante giallo, 5.° un principio azo- tato muccoso zuccherato , 6.° un acido particolare che l’autore chiama selinico , 7.° del fosfato di calce , 8.° del legnoso. La materia resinosa costituiva l’ ottava o la decima parte in peso delle radici. L’acido particolare, quando sia mescolato con «ei sali di ferro soprossidati, forma subito un precipitato bianco; se si mescola con dei sali di ferro iperossidati, segue lo stesso fe- nomeno, purchè si aggiunga una soluzione alcalina. i G. G. Geologia. Le ghiaie , i ciottoli, e i massi rotolati che entrano fra i componenti dei terreni di trasporto formano per il geologo un oggetto di considerazione di un genere differentissimo da quelle, che possono farsi sulle rocce sedimentarie, e mobili. Il sig. Al. Brongniart ha preso di mira i massi erratici, che ingombrano alcuni terreni, ove sono dispersi, e lontani dalla roccia, alla quale appartennero. Si distinguono essi dalle ghiaie , per essere molto più grossi, e perciò spinti da una causa più potente : per essere in gruppi disgregati fra loro , lontani, e che raramente si toccano , ora posati sopra un suolo duro, che non ha altre rocce di trasporto, ora sepolti in una rena fine, che nulla ha di co- mune colla loro natura, ed origine ; in parte rotondati nella massa, o solo negli angoli, in parte, e ben più spesso, angolosi, e che non sembrano aver sofferto aleuno sfregamento notabile : costi- 155 tuiti da rocce attenenti ai terreni primitivi di cristalizzazione ; 0 di transizione ; e giacenti sopra terreni, che non solo non hanno veruna analogia di composizione coi massi, che vi posano, ma nessuna apparenza di coetaneità, poichè questi terreni sono di assai più recente data, talchè la causa, che gli ha trasportati riferir deesi ad un'epoca posteriore. Sono inoltre questi gruppi per ordinario lontanissimi da ogni catena di montagne , e di colline , o di al- tro terreno, dal quale trar potessero la loro origine , da esser- ne separati o da vastissime pianure, o da grandi vallate, o da spazi di mare larghi, e profondi. Taluni crederono , che questi gruppi di massi della Vesfalia della Pomerania ec. provenissero dall’Hartz , ma siffatta opinione è stata dimostrata erronea per la dissomiglianza delle rocce dell’ Hartz da quelle dei cumuli erra- tici di massi, i quali invece rammentano talmente le rocce gra- nitoidi di Svezia, che vi si trovano perfino le medesime specie minerali : ed il sig. Brongniart ha ravvisato la stessa somiglianza nelle rocce calcarie, ritrovandovi le trilobiti, ed altri avanzi or- ganici , che in quei medesimi ‘calcarii si trovano nella Svezia. Questi gruppi, o colline di massi pare, che vengano dalla Scan- dinavia , come altri lo ha creduto: nè l’interposto Baltico è una bastante obiezione contro questa origine , che anzi seguitandone la direzione si trovano essi nei sabbioni di Holstein, e più ancora nella Selandia, ed a Coppenaghen fino ad Elsenau, o, passato il Baltico per entrare nella Svezia per la Scania, si ritrovano ad Elsinburgo , e se ne vede coperto il suolo della Scania , come quello della Selandia , se non che qui i massi sono leggermente internati nella sabbia, la quale costituisce tuttora un terren> differentissimo da quello al quale essi originariamente apparten- gono. Dalla Scania poi vanno avanzandosi per varie parti delle provincie svedesi, ed in alcuni luoghi sono sì abbondanti , che questi cumuli sono accavallati 1° uno sopra l’ altro, e formano certe colline di forma particolare, che i geografi svedesi chiama- no Ose, o Sandosar, secondo che predominano i massi, o le sab- bie . Queste colline hanno una direzione costante dal N. E. al S. O. per una vasta estensione, e com un parallelismo rimarche- vole, e formano come uno strascico di materia di trasporto , di cui l’apice fa talvolta un piano di livello in modo che la strada pubblica vi è posta sopra, come lo sarebbe sopra un argine. La _ forma poi di queste colline rammenta quei ridossi, che si for- mano nei fiumi , e nei torrenti dietro alle pile dei ponti, o ad altri ostacoli rilevanti , che le acque incontrino : e ciò vedesi con maggiore evidenza a Kinnekalle, dove la materia di trasporto è 159 ridossata a questa collina. Un’altra testimonianza non meno pal- pabile di questo violento trasporto si ha seguitando il cammino dalla Svezia alla Norvegia, e più particolarmente nella provin- cia di Gothebauy ; ove vedonsi le cime delle colline di gnesio; e di granito strisciate, e solcate da un enorme sfregamento este- riore nella sopraindicata direzione, e fino al punto di essere in, alcuni luoghi visibile , ed intatto il loro lustro. Il piano graniti- co, e gnesiano della Scandinavia sembra essere pertanto uno dei punti di partenza di quella potentissima corrente , di cui le tracce non vanno a perdersi che nel Mecklemburgo. Di queste corren- ti, meno estese al certo, se ne conoscono nell’ alto Egitto , ne- gli Stati Uniti, Val Giura in Italia. Ciò che da per tutto pre- sentano pure di rimarchevole si è ; che i massi , per lo più po- sati sopra terreni sabbionosi, sono più grossi, quanto più essi sono vicini alla superficie. Frattanto qualunque sia stata la cansa di questo fenomeno , il sig. Brongniart si è in questa sua nota proposto d’indicarne alcune circostanze onde richiamare più particolarmente l’ attenzione su di esso , onde potere arri- vare un giorno a determinare , se le correnti , che hanno ope- rato questo trasporto, sieno state più, o una sola sulla terra, se nella medesima direzione , o in più, e quale possa esserne stata Ja causa, che al certo non è nelle forze attuali, che influiscono sui fenomeni geologici. Delle medesime ricerche si è occupato un altro celebre geologo il sig. Leopoldo De Buch , il quale suppo- ne, che questi massi, e ciottoli sieno stati dispersi per un urtv violento , che, per i più alti del Giura comunicò loro una ve- locità cinque volte minore di quella di una palla da cannone. Le miniere di diamanti di Sumbulpore si trovano particolar- mente nel letto del Mahanudee, ed ali’ imboccatura del Maund, del Keloo, dell’ Ecb ec, che entrano nel Mahanuddee. Ma que- sto stesso fiume non ha diamanti sulla ‘sponda destra, e nem- meno al disopra del Maund sotto Soanporo gli ha sulla sponda sinistra , sicchè sono trascinati dalle acque del paese montuoso fra 1’ 83.° e 1° 84.° di longitudine orientale , ed il 21.° e 22.° di latitudine settentrionale . Se ne trova pure nel Gangpoor , nel Niellahs, nel Raigurh, e nell’ Iushpoor, e nel primo di questi fimmi vi è pure dell’ oro di alluvione . I diamanti si trovano in un’ argilla rossa con ghiaie e rena ferruginea. Il sig. Breton, che . ci dà questa notizia, dà pure la descrizione del modo di cercar- gli nel terreno, e di stimargli, come pure un prospetto dei dia- manti trovati dal 1804 al 1818, prospetto però inesatto, mercè la frode che invola agevolmente al governo questo prezioso minerale. ho La sistemazione delle rocce vuleaniche è stata mutata dal sig- Ponlett-Scrope, il quale a tale oggetto si è valso della com- posizione minerale di queste rocce. Le divide egli in due classi, vale a dire le litoidi, o in massa ; e le fragmentarie , ed in tre generi vale a dire la Trachite , il Grunstein ed il Basalte. La trachite è da esso distinta in micacea con amfibolo ; pirosseno , e ferro titanato ; e trachite parimente foldspatica ; in. trachite quarzifera , e trachite selciosa. Il Grunstein comprende il com- posto di feldspato , pirosseno ; amfibolo , e ferro titanato, il grun- stein amfigenico ; ed il melilitico. Il basalte è comune , amfige- nico, con olivino, e con auino, ferruginoso, e totalmente piros- senico. Le sottospecie le distingue in granitiche , granulari, com- patte , resinose o vetrose , massicce, lamellari, ec. Le rocce poi sono da esso distinte in uniformi, porfiriche , concrezionate, glo- bulari;, nodulari , lenticolari, a zone , venate, amigdalari ; ed internamente sono compatte , porose , cellulari, vescicolari , ca- vernose , scoriacee , o filamentose ; si fondono in tavole, prismi , romboedri , ec. Parimente trae soccorso dalla rottura , dalla du- rezza , dalla fusibilità e dal calore. Ciascun genere di roccia poi ha i swoi agglomerati, che sono in ciottoli; calcarei, sabbio- nosì , fini, argillosi, o misti. Prende pure a considerare la for- ma dei frammenti, la natura , la solidità di queste ultime roc- ce , e il loro modo di dividersi. Considera infine le loro altera- zioni, o per parte dei vapori acidi, o dell’ atmosfera. Il sig. Le- coq ha riunite molte osservazioni importanti sui terreni domitici di Clermont, che sul terreno primitivo di quel paese, a distanza di due, o tre leghe dalla città, sono collocati. Essi formano una linea quasi retta, e sono framezzati ai vulcani con cratere, senza punto alterare quella regolarità , che si vede nella posizione di questi vulcani. Sei sono questi spazi domitici, che egli descrive, e la roccia , che gli costituisce è la Domite, che ha preso il no- me dal Puy-de-Dòme , e che presenta alcune particolarità , che meritano un qualche riguardo. Infatti al Puy-de-Gromanau un terzo solo è trachitico, e la di lui porzione feldspatica pare e» sere. un prolungamento della massa del Puy-de-Dòme ; ma la domite pare , che vi sia appoggiata sulla lava; altrove la domite è coperta da puzzolane, o da scorie , o da strati alluviali, compo- sti di frantumi di basalto , di granito , di feldspato ; di quarzo e di pomice fragilissima, mentre al Puy-de-Chopine la domite più , o meno alterata, che pare riposare sulla lava , è poi rico- perta da rocce primitive, le quali non sono però orizzontali, ma in strati fortemente inclinati. Altrove poi essa è ora allo scoper- 161 to , ora è sepolta sotto correnti di lave. Le montagne domitiche presentano molte relazioni di posizione coi vulcani a crateri, che alternano con esse, del che il sig. Lecoq allega i fatti incontrover- tibili , ed osserva, che le correnti di lave non sono state eruttate in generale dai vulcani moderni, che sembrano connessi co’ cra- teri domitici. In quanto poi alla formazione della domite , egli am- mette , che gli elementi di questa roccia fossero dapprima pulye- rulenti , e non che essa siasi consolidata nel ricadere sulle bocche stesse , che l’aveano eruttata, come lo ha creduto Montlosier ; | ma che anzi appartenga alle deposizioni di ceneri pomicose e feld- spatiche , le quali altrove, con qualche modificazione rimpastate dall’ acqua abbiano costituito i tufi. Quando poi i vulcani mo- derni cominciarono ad agitarsi, la roccia domitica fu sollevata dallo sforzo del vulcano interiore , che tendeva ad aprirsi una via a traverso la corteccia trashitica , alla quale epoca egli sup- pone , che siensi formati i cristalli di feldspato, e di titano siliceo calcario per l’effetto del calore, che ha riunite le parti feldspati- che contenenti la potassa , e le ha separate e distinte dalla massa, come pure le sublimazioni di ferro oligisto sarebbero dovute all’ ef- fetto del medesimo calore. Mineralogia. __ La Cuzeranite osservata e descritta dal sig. Charpentier nei suoi viaggi a’ Pirenei è stata esaminata dal sig. Dufrenoy , che ha riconosciuto la di lei figura primitiva per un prisma romboidale obliquo, inclinato sopra uno spigolo; il suo peso specifico di 2,69; la fusibilità presso a poco come il feldspato ; la composizione, dedotta da due analisi, e rappresentata nella maggior semplicità numeri- ca: silice 28, allumina 12, calce o magnesia 4, potassa 1, soda 1. Questo minerale ha la rottura lamellosa parallelamente alla minor diagonale , e concoide trasversalmente ; ha un lustro piceo , è più duro del vetro , ma non del quarzo, per lo più è nero, ma si trova grigio e turchino pieno. Il sig. Gmelin ha posta fuori di ogni dubbio l’ esistenza del- l’acido borico nelle turmaline, esistenza non verificata fin qui, che in alcune varietà , ed ha assegnato i più sicuri mezzi di rico- noscerlo e di valutarne la quantità. Egli divide le turmaline in tre gruppi o sottospecie : 1.° Turmaline contenenti la litina, alle quali si debbono aggregare la rossa di Rozua, e quella di Perm, e la verde del Brasile, nelle quali l’analisi ha riscontrato la litina. 2.° Turmaline che contengono la potassa o la soda, delle quali T. XXXIII. Febbraio. DI 1609 sono state analizzate la nera di Bovey nel Devonshire , la nera pure di Eibenstock , e la verde di Chesterfield. 3.° Turmaline con- tenenti molta magnesia , e le conosciute per analisi sono le nere di Koenbricke nella Svezia, di Rabenstein in Baviera, della Groenlandia , e la bruna cupa dello schisto micaceo del S. Got- tardo. In conseguenza della congettura di Breithaupt che questo acido potesse trovarsi nella turmalina , nell’anataso e nell’assinite, Lampadius lo trovò difatto nel primo e nell’ ultimo di questi mi- nerali, e Gmelin non è potuto riuscire a ravvisarlo nell’ atanaso. Pare però , al color verde che la fiamma del cannello prende sulla lepidolite di Rozna e di Otò , sulla pirite di Mulda, e sul lamine di un granito grafico di Siberia, che questi minerali indubita- t.mente contengano l’acido borico. Il sig. conte Giuseppe Mamiani trovò alcuni anni sono la stronziana solfata nelle cave selenitiche di Senigaglia, e precisa- mente la varietà spuntata H. Ora , essendosi riaperte queste li- tomie per qualche tempo abbandonate , il che gli ha concesso di riprendere le sue ricerche, è giunto a rinvenire colà altra varietà dello stesso minerale , cioè : la dodecaedra , quella in ta- vole rettangolari (Jameson) , l’uniquadernaria ( Moricand e Soret), e forse l’unitaria e la cinta (Hauy). Unitamente a queste cristal- lizzazioni ha trovato il quarzo limpido di forma prismata. F. N. GEOGRAFIA , STATISTICA , E VIAGGI SCIENTIFICI. Estratto da un rapporto del sig. Dumonr d° Urvizre , sul viaggio della corvetta Vl’ Asrrorazio , da Hobart-Town a Batavia. La corvetta , l’Astrolabio , partì d’ Hobart-Town il dì cinque gennaio in cerca delle isole dove il capitano Dillon ha scoperto tracce del naufragio di Lapeyrouse (*). Dopo quindi giorni di penosa navigazione, vennero'in prospetto dell’isola Norfolk, donde si dires- sero verso lo scoglio Mathews , che la Conchiglia non avea potuto vedere , e ch’ è un’ isoletta di due miglia di circuito a un dipres- so , isola affatto ignuda di piante, e squarciata dall’ ire d’un vul- cano , non ancora spento. L’Astrolabio passò di lì presso, il dì 28 di gennaio: e il sig. d’Urville se ne allontanò ben tosto per avvici- narsi a Tikopia , tenendosi tuttavia a Levante , tanto da ricono- scere le isole Mitre e Chewy, alle quali e’ non pervenne che il dì g di febbraio, trattenuto da venti contrarii. Il dì 10, e’ fu in pro- (*) V. Autologia Tomo XXXI. C. p. 183 353 spetto.di Tikopia , parlò cogli abitanti: e dopo tentato indarno di indurre il prussiano Bukert, e quel Lascar , del quale ha par- lato il capitano Dillon, a venirne seco a Varikoro , (non Malicolo, come nelle precedenti relazioni era scritto) partì per codest’ isola , menandone seco due inglesi direttori! d’ una barca destinata alla pesca delle balene, i quali dimoravano in Tikopia; e oltre a questi, cinque indigeni di Varikoro. E ci arrivò il dì 14 di mattina ; e spese quel giorno per pigliar contezza de’ bassi fondi che attornia- no l’ isola, e delle prode sicure. Il dì seguente, un vento di ponen- te gl’ impedì d’ entrar nella baia ; dove perirono i due bastimenti di La-peyrouse; onde il sig. d’Urville si mise a cercare dell’ isola Taumako, celebre pel viaggio di Quixos : ma non la potè ritrova- re. Il dì 19, tornò in faccia a Vanikoro; ed esplorata bene la baia dal lato orientale , ch’ e'cniamò baia di Tevai dal nome del vil- laggio vicino , risolse di farvi entrar la corvetta il dì ven- tuno . Il ventitre, mandò verso le rive di Vanu e di Paiu la lancia grande, comandata dal sig. Gressier , il qual fece il giro dell’ isola , e ritornò con alcuni avanzi poco considerevoli del naufragio: ma senza indizii del dove fossero quegl’infelici vera- mente periti. Il dì 26 fu mandato dunque il signor Jacquinot , con quattro persone dello stato maggiore. ‘Allettati dall’ offerta d’ un pezzo di scarlatto, gli abitanti mostrarono il luogo appunto del naufragio ; e quivi si trovò sparso nel fondo , ch° era di tre o quattro braccia , ancore , cannoni , palle , piastre di metallo , e lastre di piombo moltissime . Non bastando la lancia a ritirare tutte codeste cose , vi si mandò la scialuppa, dopo fatto after- rare l’Astrolabio nella baia interiore, che il sig. d’Urville chiamò la Baia di Mannevai, dov’ egli non potè penetrare per altra via che d’ un canale stretto , e gremito di coralli. Questo pericoloso lavoro consumò ben due giorni. Il dì due di marzo , l’ Astrola- bio gettò l’ancora dietro al villaggio di Mannevai; il dì 3, la scia- luppa ; partì comandata da’ sigg. Gressier, e Guilbert; e per me- glio riconoscere le prode di Paiù e di Vanu, e per ritirar dal mare qualch’ avanzo del naufragio : e ne ritirò infatti un ancora che pesava libbre 1800, un cannone corto, una piastra di piom- bo , e due petrieri (cannoncelli ) di rame. Accertato così, quello essere il luogo del naufragio, il sig. d’ Urville pensò , secondo il fatto divisamento , a innalzare sul- l'isola di Vanikoro, un monumento , a La-Peyrouse , e a’ suoi sventurati compagni. Scelse a tal uopo , sopra una punta che sporge nel mare, e difende da un lato il porto di Mangadey, un boschetto di manglier verdeggianti, ove porre il cenotafio; co- 16,4 strutto sotto la direzione del sig. Lottin, e in otto giorni compito. Il dì 14, il sig Jacquinot, con parte de’marinai, fu mandato a far- ne l’ inaugurazione : un drappelletto di dieci uomini, fatti tre giri all’ intorno , diede tre scariche di moschetto ; e i cannoni della corvetta fecero intanto per ventuna volta rintronar le mon- tagne di Vanikoro. Spaventati gli abitanti, e non sapendo che ciò si fosse, mandarono due de’ capi alla corvetta ; ove furono accolti benevolmente : e rassicurati dai varii presenti lor fatti, dieder parola che il monumento sarebbe lasciato intatto. Già, la pietra e il legno che.lo compongono non han cosa che possa allettare la lor cupidigia. Il mausoleo sorge in forma di cubo ; e ciascun lato ha sei piedi. Questo di pietra: sorge poi al di sopra un obelisco qua- drangolare della stessa misura , di legno di Kudi. Dal lato che guarda il mare è una piastra di piombo ; sulla quale : ALLA MEMORIA DI LAPEROVSE E DE’ SUOI COMPAGNI. L’ ASTROLABIO , A’ DI XIV di Marzo MDCCCXXVIII. Il signor d° Urville in questo frattempo, oppresso da violenta febbre, non potè , come pensava , esplorare egli stesso il luogo del naufragio , e sbarcare anco al villaggio di Paiu , per racco- glierne nuovi indizii. E già il sig. Gaymard , a tal fine mandato a Nama , n’ era tornato poc’ anzi, senza poter trarre notizia nes- suna dagli abitanti ; e tornato appena ; cadde infermo. La feb- bre infierì per modo sovra i naviganti della corvetta, che fino al dì 14, venticinque persone n’erano gravemente infermate. Il tempo, bello dapprima , s’ era guastato. Il sig. Gressier, a cui fu com- messo di ricercare tra i bassi fondi un passo men pericoloso, trovò, dopo tentato tre volte indarno, un canale sicuro. Il dì 15, la cor- vetta uscì dal porto di Mangadey , e si rivolse alla parte setten- trionale dell’ isola; ma le bonaccie e i venti contrari impedirono ancora l’ uscita : nè prima del dì 17, un vento leggiero di Sud, o Sud-Est, venne ad increspare le vele. Grandi erano i pericoli ; ma il sig. Gressier, che per la malattia del comandante, avea la direzione del bastimento , ne uscì felicemente , e si riportò in alto mare. Le notizie dal sig. d’Urville raccolte sul naufragio di Lapé- rouse son dappoco ; tanto ambigue furono le risposte degli abi- tanti: pure dalle informazioni di taluno di loro si vengono a risapere le cose seguenti. Dopo una notte oscurissima , dopo un vento fortissimo di 165 S.E., fin visto sulla costa meridionale dell’isola, una piroga ; ar- renata ne’ bassi fondi; tra’ quali sisfasciò , e sparve, senza che poi se ne potesse raccogliere avanzo. Trenta soli di que’che v’eran sopra , poterono entrare in una lancia, e approdarono all’ isola. Il dì seguente, i selvaggi scorsero un altra piroga simile , arre- nata di faccia a Paiu ; ma trovandosi sotto vento , ell’ era men tormentata dal vento e dal mare; e oltr’ a ciò posata sopra un fondo meno ineguale di quindici o diciotto piedi soltanto , rimase lungamente intatta. Tutti quelli che v’eran sopra, smontarono 4 Paiu , e unitisi con que” dell’ altro bastimento, si diedero tosto @ formare una piccola barca degli avanzi di quella che non era affondata. Questi Mara (così chiamavan essi i francesi) furon sempre rispettati dagli abitanti; i quali non s’ accostavano senza baciar loro la mano: cerimonia che usarono spesso anche con. gli uffiziali dell’Astrolabio. Ciò nondimeno v’ebbe delle risse frequen- ti; einuna, gli abitanti perdettero cinque persone , delle quali tre eran de’ capi ; ei francesi, due. Finalmente dopo sei, sette mesi di lavoro , fu compiuto d’ allestire il bastimento ; e gli stra- nieri partirono tutti, secondo 1’ opinione de’ più. Altri affermava esserne rimasti due ; ma che non vivessero lungamente. Codesto pare indubitato ; e tutti s'accordano in attestare che nè a Vanikto- ro, nè nell’ isole Urry , ed Edgiasmeta (che in lor lingua chia- ‘mano Tupua) e nè anche a Santa Croce (Intendi), nè in veruna ‘insomma delle isole vicine , riman francese veruno. A Santa-Croce, v’ è un bianco ; ma che apparteneva ad un de’bastimenti destinati alla pesca della balena. Quanto alla direzione presa da’ naufraghi, usciti di Vaniko- ro , il sig. D’ Urville crede che si sian potuti rivolgere verso la Nuova Olanda , per poi dalla parte Settentrionale della Nuova Guinea guadagnar le Molucche o le Filippine ; e che forse sulla costa occidentale dell’ isola Salomon , si potrebbe scoprire lor tracce , giacchè e’ non aveva mezzi da arrischiarsi a passare lo stretto di Torres. Il sig. d’ Urville aveva vrdine di piegare da quella banda : sennonchè la malattia di più di quaranta marinai, il trovarsi due soli dello stato maggiore in istato di prestarsi al comando, la febbre del comandante istesso, i venti fierissimi che vietavano di volgere a ponente , forzarono il sig. d’ Urville a tornare a Guam, per dar riposo alla ciurma e riavere gl’infermi, il cui numero andava ogni giorno crescendo. Tentate adunque di nuovo ; ma indarno, le indagini dell’ isola Taumako , V Astrolabio partì , il dì 26 di marzo, per ravvicinarsi alle Marianne; nel qual corso, non esente 166 da difficoltà, fu riconosciuta quella parte delle Caroline che non era stata potuta visitare dal sig. Duperrey. Finalmente, il dì due di maggio , la corvetta diè fondo in faccia al porto di Umata, all’ isola Guam. Il signor d’ Urville scrisse tosto al governatore annunzian- dogli l’arrivo, e chiedendo di potere sbarcare in luogo conve= niente gli ammalati , e di provvedersi del necessario. Il dì seguen- te, venne la risposta del governatore , Don Iose Medinilla , il quale offriva gentilmente il suo proprio palazzo all’ uso del sig. d’Urville e de’suoi uffiziali» e agli altri ammalati assegnava l’an- tico convento , luogo comodissimo all’ uopo. Ordini precisi furon dati rispetto alle provvigioni; molte ne furono offerte gratuita- mente . Il dì 3, la scialuppa sbarcò gli ammalati in numero di quarantuno ; tra questi sei uffiziali : e tutti furono umanissima- mente assistiti. Pur questa posa non fu salutare quanto si sperava dapprima. Pochi si riebbero: Hambitton, un degl’Inglesi imbarcati a Tiko- pia, ch’avea molto giovato come interprete e mediatore presso gli abitanti di Vanikoro , a Umata morì. Il dì trenta partì di Guam il sig. d’Urville; e in questa lun- ga dimora non cessarono mai le cure dell’ottimo governatore delle Marianne : le vivande fresche alla generosità di lui dovute, fe- cero in mare per quindici giorni. La corvetta si diresse a varie isole, che furono riconosciu- te. E mentrechè la salute de’ marinai veniva di dì in dì miglio- rando, ecco alla febbre succedere la dissenteria, che rapì due per- sone ; attaccò tre uffiziali, i sigg. Lottin, Gressier e Guilbert. Si dovette pensare a un’altra fermata : e si scelse Cayali, dove il sig. d’ Urville fu accolto mercè le lettere di raccomandazione che seco portava . Il riposo giovò : il sei di luglio , la corvetta salpò verso Amboine , e arrivò it dieci. Il comandante voleva partirsene verso 1’ isola di Francia ; ma le offerte del governatore , il sig. Merkus, che partiva per Batavia, lo impegnarono ad accompagnarvelo. Il diciotto , si la- sciò la rada d’Amboine ; il 27 si fu alla rada di Marado, in fac- cia alla fortezza d’Amsterdam ; dove il sig. Merkus si fermò col sig. d’Urville, si fecero delle indagini dentro terra , e se ne ri- portò varie ricchezze di storia naturale. La sera infine del dì 24 agosto , pervennero a Batavia, dove il sig. d’ Urville ebbe ono- revole e bella accoglienza. Il dì 24 settembre arrivò 1° Astrolabio all’ isole Maurice ; e dop o il necessario riposo , tornerà quindi a Tolone. Spedizione scientifica in Grecia. Quella nazione che più d’ogni altra fra le moderne, sem- bra, e per finezza d’ ingegno, e per agilità di sentimento, e per impeto di risoluzione, somigliare alla greca; quella che tanta parte ha già presa nelle sventure e nelle speranze di codesto popolo singolare, pensa oggi a rendere alla greca gloria un nuovo tri- buto , che non saprei dire a qual de’ due popoli debba tornare più onorevole e caro. Un paese sì celebrato , e nella sua barba- rie medesima sì prediletto da chiunque vivesse non al tutto di- giuno di lettere, innanzi al viaggio dello Choiseul, potea dirsi sconosciuto poco men dell’ Egitto. Tanti monumenti d’ ogni ge- nere, de’quali son preziosi anche i pochi miserabili avanzi ; tante singolarità di natura e d’ arte, necessarie, non ch’ utili, ad in- tendere e la storia antica della nazione, e le opere di que’som- mi che tutti ammiriamo , giacean mute ,, oscure, senza inter- prete, senza osservatore, misera preda all’impeto distruttore della barbarie e del tempo. Noi ammiravamo la Grecia senza conoscerla , quanto ancor si poteva , quant’era dovere ; l’ammi- ravamo di quella sterile ammirazione rettorica ch’ è quasi un insulto. La Francia che ha mostrato con 1’ opera d’ amare la Gre- cia ; vuole oggi mostrar anco di saperla degnamente ammirare. Ella v’ invia un archeologo, un naturalista, un architetto, a leg- gere quelle iscrizioni che restano, a interpretarvi quelle sparse re- liquie che dopo venti secoli di silenzio parlano ancora alla poste- rità il più eloquente di tutt’ i linguaggi; a consegnare a più durabil materia il disegno almeno di quelle ruine più belle di quanto mai può vantare la più perfetta arte e più splendida di tutti i secoli e di tutte le genti. Di que’ tesori che alla invasa Ita- lia strappava dal seno la forza soverchiatrice d’un vincitore super- bo , la Francia poteva forse, piuttostochè andar superba, arrossi- re; ma questa che ora per lei si prepara, è la più bella, la più legittima delle conquiste. Dopo venti e più secoli, cosa singo- lare !, noi conosceremo la Grecia, in alcune parti meglio forse che non la conoscessero i suoi superbi conquistatori; i romani : e alla gloria delle nuove scoperte sarà necessariamente associato il nome di quel Ministro , che col consiglio suo le ha promosse ; del quale ci piace recar qui tradotta la lettera, testè diretta al- I° accademia delle scienze. h « Il soggiorno delle truppe francesi in Morea offre la più 168 »» favorevole occasione che siasi mai presentata alla scienza di »» dedicarsi con tutta sicurezza allo studio di quella celebre » contrada. Il re, il quale protegge in Grecia la causa della re- »» ligione e della umanità , ha sentito che dopo avere adempiuto »» questo primo dovere d’ una politica generale, ve n’era un »» altro che un nipote di Luigi XIV non poteva trascurare. Se »; la gloria delle armi non ha cessato d'’ illustrare la Francia , », quella che danno le scienze e le arti vi si unì sempre, "ed i >» francesi non possono cuoprire coi loro battaglioni 1’ antico Pe- 33 loponneso senza esplorare questa terra istorica, ed ara s» le memorie che ella conserva. « Per giugnere a questo scopo , ie desidero che l’accademia s) delle scienze destini due dei suoi membri, i quali unitamente »» a quelli che 1’ accademia delle iscrizioni e belle lettere, e l’al- s, tra delle belle arti sceglieranno nel loro seno, formeranno una s) commissione incaricata di presentarmi più prontamente che sia s, possibile un archeologo , un naturalista, ed un architetto , i s, quali dovranno portarsi in Morea con un piccol numero di », collaboratori, ed avranno l’incarico di far tutte le ricerche », necessarie per completare le nostre cognizioni sull’ antica to- »» pografia del paese, sulle rovine e sui monumenti d’ arte che », esso racchiude ancora, e di fare eseguire li scavi che saranno » utili a quest’ effetto. « Io vedrò con piacere che le tre accademie si trovino d’ac- », cordo per stendere le istruzioni che giudicheranno utile di dare ai nostri viaggiatori , i quali troveranno presso l’ armata fran- », cese la protezione ed i soccorsi d’ ogni specie di cui avranno 3 bisogno per adempiere la loro importante missione. 1’ accademia delle’ scienze ha incaricato i sigg. Cuvier e Geoffroy S. Hilaire di proporre i soggetti e stendere le istruzio- ni domandate dal ministro. X. SociETÀ SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia de’ Georgofili. Adunanza ordinaria del primo febbraio. — La seduta fu aper- ta e preseduta dal Vice Presidente sig. march. Cosimo Ridolfi. Dopo la lettura ed approvazione dell’ Atto dell’ antecedente adu- nanza il segretario delle corrispondenze annunziò i seguenti do- ni. Il cav. Giovacchino Lalewel di Varsavia nell’ atto di rin- graziare l’ Accademia del ricevuto diploma di socio corrispondente i 169 le ta fatto pervenire tre dpuscoli di argomento storico: e geogra- fico da esso lui pubblicati in lingna pollacca. I compilatori degli Annali di tecnologia e di statistica che si pubblicano a. Milano hanno inviato i fascicoli per l’ ottobre, novembre e dicembre del primo, e i numeri pel novembre e dicembre del secondo giornale; il sig. Flaming ha diretto da Londra i primi otto volumi di un opera periodica di cui egli è compilatore e che ha per titolo : Ma- gazzino brittannico dei proprietari, specialmente applicabile alle cose agrarie, ed il sig. dott. Agatino Longo da Catania ha fatto pervenire due .Prolusioni accademiche. © Sì procedè quindi alla lettura delle memorie di turno, una sola delle quali fa detta dall’ accademico ‘dott. Cosimo Vanni . Verteva essa sull’ origine e qualità deî livelli toscani, quali egli divise in tre specie : 1.* in livelli di antica origine , vigenti secondo il diritto giustinianeo e secondo il diritto consuetudina- rio, 2.° in livelli antichi modificati dalle leggi di amortizzazio- ne, 3.° in livelli modificati da nuovi Regolamenti. La qual me- moria ricca per saggia erudizione lasciò nell’udienza viva ansietà di sentire quale particolare influenza ciascuna delle tre divisate specie di livelli ha avuto ed ha attualmente sull’ agricoltura e sulla pubblica economia della Toscana. Lesse in seguito il sig. dott. Ferdinando Tartini-Salvatici un rapporto, destinato a render conto di una memoria MS. stata pre- cedentemente indiritta all’ Accademia dal sig. cav. Paolo Barlotta professore di filosofia a Trapani, e che aveva per titolo: Dei motivi per cui deve incoraggirsi l’ industria manifatturiera. Finalmente 1’ accademico dott. Carlo Passerini adempiendo ad altra Commissione speciale per cui fu incaricato di esaminare le specie d’ insetti aderenti ad alcuni ramoscelli d’ulivo, insetti che nell’ anno ultimo decorso danneggiarono gli uliveti del Pietrasan- tino, lesse il suo rapporto, col quale non solo egli procurò di sod- disfare all’addossatogli incarico, ma eziandio indicò i rimedi più plausibili ad oggetto di prevenire il danno in caso di re- cidiva. Dopo di che il vice presidente avendo osservato che gli otto volumi del Magazzino britannico presentati in questa suddetta adunanza racchiudevano articoli di molta importanza per la scienza agronomica, propose e nominò il sig. prof. Gioacchino Taddei in relatore di quelli vertenti sug?’ ingrassi. Dopo ciò l’Adunanza fu sciolta. E. R. T. XXXIII. Febbraio. 29 170. ‘Società. MedicorFisica. Fiorentina. : Adunanza ordinaria del dè 14 nevembre.1828; — Letto-ed. ap- provato. nelle consuete forme. il processo. verbale, dell’; adunanza precedente, il segretario delle corrispondenze lesse: una.lettera ano= nima a lui diretta, con la, quale, l’anonimo, dava. parte alla società aver egli inventata una macchina, mercè la quale, in brevissimo tempo potevansi schiacciare, e pulire, una immensa quantità, di semi di ricino, e estrarne coll’ istesso,,sommo risparmio di tempo, 1’ olio dotato delle più perfette qualità. Al che aggiungendo desiderare egli chela società si obiniincaloa della disamina della qualità. dell’ olio da lui estratto..colla sua macchina, furono a-tale oggetto incaricati i, socii, prof. Magheri, ‘e D. Puliti non solo per esaminare,.le, qualità dell’olig,, quanto: ancora i semi dalla macchina , preparati onde, potere, fondatamen- te inferire , se da quelli ragionevol sia credere che sia stato: estratto. 1’ olio esibito. Dopo di che, passati alle. letture di. turne,trattenne dl jprimo la società il dott. Frascani con una ,sua- memoria, in replica, ed opposizione alla prima parte della memoria, del prof. Bufalini avente per titolo ; /ntorno al tema. proposto -dalla società \ita- liana. 4 In questa. memoria il nostro socio riducendo a .tre.sommi. capi, le obbiezioni che il sig. Bufalini fa nella prima parte, della sua memoria all’ eccitabilità Brounniana, al non doversi cioè 1.° cre=. der detta | proprietà la molla, prima dei. fenomeni che nel. corpo umano sano , e ammalato succedono » perchè .secondo lui non è l’ eccitabilità una di quelle forze della materia che meriti il nome: di forza primaria, confondibile cioè colla materia stessa che ne è dotata: 2.° Al non doversi credere una, perchè ogni sistema.0 viscere mostra la sua maniera di sentire, e.di ammalarsi, 3.° Al non essere indivisibile. come, la vollera,i Brounniani, rispose: Primo che l’ eccitabilità brounniana doveva secondo lui ri- guardarsi sempre la molla prima dei fenomeni della vita appunto perchè, le convenivano i precisi caratteri che il Bufalini medesimo vuole che abbiano le forze della materia per poter dirsi primarie, per potersi confondere colla materia istessa cui appartengono ; e che male aveva opinato il sig. Bufalini ; allora che volle, porre nel posto dell’eccitabilità 1’ organizzazione , essendo ora mai di- mostrato ( dacchè l’ eccttabilità non si è creduta più un quid ) che le frasi: Eccitabilità , e materia organizzata alla foggia di 171 vivente, sono una istessa espressione , non essendo la prima che una astratta abbreviazione della seconda. 2.° Che appartiené costantemente ‘all’ eccitabilità la proprietà dell’unità perchè tutti i sistemi, ed organi si veggono reagire sotto 1’ azione degli stimoli, e non di altri agenti yamuhalarsi ‘tutti di steniche y asteniche , oiirritative malattie , e celler queste (‘ove curate; ‘e vurabili sianio ) a stimolatiti, controstimolanti n° ‘contro ‘irritanti medicarnenti; stimolanti; ‘0 controstimolanti ;' controirritanti essendo sempre in ultima» nale mancante. Restituitosi il Gioia a casa col garzone si accorse 3» che il testo. mancante era stato scritto non sulla carta ma sul »» tavolino. Dolente di averè a'torto inveito contro lo stampatore ed il garzone, cavò di tasca‘una moneta e disse a lui : Perdona- », te e prendete questa moneta da mè preparata pel pranzo. Ma il buon giovinetto intenerito ricusò la mancia e colle lagrime agli’ » occhi e pieno di consolazione ritornò alla stamperia annunziando ») il fatto accaduto ,,.. | Il Gioia ha lasciate molte opere, ma le più conosciute sono l’ Ideologia , 1° Esercizio logico sugli errori d’ ideologia e di zoolo- gia, il Nuove Galateo , gli Elementi di filosofia , il Nuovo pro- spetto delle scienze economiche , la Filosofia della statistica , ed i trattati: Del merito e delle MODO, — Dell’ingiuria e de’ danni e del sodisfacimento. Ad onta di aver faticato tanto pel bene dell’ Italia e per l’amore del.vero; non pare che il Gioia abbia lasciate ricchezze. Pure se un francese o un inglese avesse fatto la metà dell’opere | del Gioia si sarebbe procacciato ‘uno stato più che agiato per la vecchiezza. ; Ciò si vorrebbe avvertito dagli stranieri che parlano dell’Ita- lia; ma molto più sarebbe necessario che vi ponessero mente gli stessi Italiani. F. FortI. 174 BIU.LILE T.-DINO +BLBL1L0 GRAFICO. Mrmesso: all’Antologia (*)... si i F ebbraio 1849. RI TOSCANA. si BiBLioteca PorTATILE del viaggiato- ; re- Firenze, 1828,, Passigli , Bore ghi ec. fascicòto ‘Ill , cdl quafe finisce | la Divina Commedia. | Fomni Raccotra' completa delle commedie ! di CarLo Gospom. «Firenze, 1828, , Passigli, Borghi ec. Volume XIII. StoRIA: dell'impero ottomano ; com ( pilata dal cav. Compagnoni, sulle opere di Sagredo , dì Cautimito , ‘di Bu sbeck., di Mouradhia ;,:d’ Ohsson di Valliss-Effendi , di Toderini, di Sa + laberry , d’ Alix, di Juchereau, e d’al- tri antichi e recenti scrittori. Zivorno, ) 1829 , Glauco Masi, Tom. 1 in 32.° Saccio di ‘rime., ‘di quattro rpogti £ del secolo XIV, îratte da un codice inedito pubblicato in occasione delle faustissime nozze di ‘8, E.-ilsig. mar- chese Carzo Marvezzi, CamreGGI .cou | la nobil signora Rusa Bonaccorsi DoL- cini. Firenze , 1829, offerto dal ti- pografo. Luigi Pezzati, 8:° dip. 32. Vorcarizzamento dell’ esposizione | del PaternostRo fatto da. ZuccHero IBenerveni , testo ‘di'litigua perla pri- «ma>volta; pubblicato, con illustrazioni del slot. Luici Racori accademico. re- sidente’ della ‘Crusca. ‘Firesize 3 1828, presso «Zuigi. Piazziniry in 4, di. pag. VIII e 138 con tavole 26 in rame. Prezzo "paoli 20. TN DissertazIONE: fisico morale sulla dtilità dI” allattamento matetnio, dalla quale si «deduce 1° obbligo ‘indispensa- bile delle. madri non impedite di allat- tire da “per se ‘stesse la ‘prole , in réplica ‘al un erudito Cavaliere assai scognito , «del sacerdote Francesco Mer» ‘"GANTI canonico teologo deli’ insigne collegiata di ‘Pieve a S.>Stefano., ec. Firenze, 1828, G. Pagni 8.9 di pag. 74. Notizie. riguardanti i geroglifici ébraici e chinesi , estratte da diversi lalitoti ‘orienitalisti ‘in ‘otto ‘lingue, dal dilettante. DavipiLuzzati « Firenze , 1828, stam. Granducale , 4° di p. 16 con 2 litografie. Canto parenetico del” ab. Desipe-. Rio PaLrtocchi ‘accademico ‘tiberino +, € (*) Z giudizi letterari, dati antidipatamente ‘sulle ‘opere vannunziate ‘nel presente bullettino., non devono attribuirsi ai redattori dell’ Autologia. Essi vengono somministrati du’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli cor gli articoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima, sia- no come estratti‘o andlisi , siano come aniunzi di opere. 1l (Direrrore DELI’ Anrorvoora rammientu u'sigg. Lubrdi , ed d'respettivi Autori € Editori sdi \opene ‘italiawe,, chele inserzioni vdi‘unnunzi tipografici, nel presente hullettino non possono avervi luogo-che mediante l'invio di una copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti da inserirsi per in- tiero, 0 di qualunque altro avviso tipografico , mediante il pagamento di soldi due per ogni ‘riga del medesimo bdullettino, Riguardo poi ‘all’'asserzione di manifesti staccati ‘da cucirsi e dispen- sarsi coll’ Antologia medesima , essa potrà aver luogo per il ‘prezzo ‘da còn- venirsi secondo ‘il numero de’ fogli. membro. corrispondente di, molte, so: cietà letterarie, Firenze , 1829: Gius. Celli. Memorres de Mathématigue et. de physique, par GwuLaume Lisn, Flu- rence , 1829. Leonard Ciardetti , in 4.° di page IX e.210+ La Monaca di,Monza. Storia del secolo XVII. Pisa, 1829, presso. .Nie- , ‘colò Capurro. "Tomi Ill in 18° 3 REGNO LOMBARDO-VENETO. Biocraria Universale antica e mo- detna , ec. Venezia , 1829. G. B. Missiaglia , 8.°, Vol. LIX. (RO-SA) LerterE di nobili Veneziani illu- stri del secolo decimosesto , ora. per - la prima volta insieme raccolte da B. , Gama. Venezia, 1829. Tip. Alviso-' poli , 8° di p. 133. Due piscorsi di GiorGio GrADENI- co senatore veneziano del secolo XVI, ‘riconsegnati alla luce per le nobilissi- ‘me nozze Grimani Manini Wenezia , 1829. Tip. Alvisopoli, 4.° di p. 48. Artante descrittivo di Geografia ‘ moderna, Milano , 1828. Aut. Fort- Stella e fig. in folio. Fascicolo I." N.° 6 tavole Lire 3 , 6o ital. Saccro di Filosofia teoretica di Giv- serre Grones P. O. di miatematica pura nell’I. R. Liceo Convitto di Ve- nezia. Venezia , 1828. Tip. Alviso- poli, 8.° di p, 340. i GrocraFIA Universale ossia Descri- zione di tutte le parti del mondo, di MALTEGRUN ; per cura di Giuseppe Bettoni antico militare italiano, com- pendiata, ad uso de’ giovanetti , delle doune e d’ogni persona che ami di istruirsi in questo genere di cognizioni senza impegnarsi in lunghi e faticosi studi, Milano , 1828; L. Sonzoguo . Volumi VIII e IX, Isrorra della Letteratura greca pro- fana » dalla sua origine sino alla presa di Costantinopoli fatta dai Turchi, ec, Opera di F. ScHogL, recata in italiano per ia prima volta con giunte ed 0s- servazioni critiche di Emirio , TirAupo Celaleno.. Venezia 18283 Gi.. Anto-, “ge5 nelli ed., 8.9, volume, IV, parte 12 di page 192200 0 viag e AmmaestRAMENTI degli antichi rac- colti je volgarizzati per F. BarTtoLOM- meo DA: S. Concorpro., dell’ ordine dei frati; Predicatori. Miano ,, 1829 , | Giovanni Silvestri. Vol, unico. 231° della Biblioteca Scelta. Prezzo 1.2, 61 austr. La vira pi Gesò Cristo, e la sua religione; Ragionamento . di. ANTONIO Cesani prete veronese, seconda edi- zianes Milano, 1829, Giovanni Sil- vestri. Vol. 1°. e 225° della Bidlio- teca Scelta. Det Commercio dei romani , ed il Colbertismo , memorie due di France- sco Mencorti. Edizione undecima. Milano , 1829 ; G. Silvestri. Volume unico. 224.° della Biblioteca Scelta. STATI SARDI. Dar Saccio sopra l’ origine unica dele cifre e lettere di tutti i popoli , per M. De Paraver . Paris 1826, Dis- sertazioni tre del P. Giacomo Bossi Torino, 1828, St, Reale. 8-° di p. 103. STATI PONTIFICI. Viaccio letterario della Grecia , 6 lettere su i greci antichi e moderni, con un pafiflalio de” loro costumi, ‘del sig. Guis , dell’ accademia di Marsi- glia,versione dal francese. Roma, 1828, Angelo Ajani, in 32. Volumi IV, prezzo sc, 1. Avvati n’ fraLia dal 1750, compi- lati da A. Coppi. Seconda ediziune» Roma , 1828 , presso la libreria mo- derna. Tomo I.” del 1750 al 1795» 8° di p. 343» Biocnarra degli scrittori perugin! e notizie delle opere loro, ordinati € pubblicati da Gio. BatisTA VERMIGLIO- Li. Perugia, 1829 , Vincenzo Bar- teili e Giovanni Costantini. 4.° par- te 2. del tomo 1-° (BAN-DON). REGNO DELLE DUE SICILIE. ‘3 Privcii di civile economia di SaL- vapore Seuperi MNapoli,, 18273 , St, | Reale» Tomo 11.'8.°. i p423%00 176 Memonia di rìsposta ‘al programina del real istituto d’incoraggimevto sulle praterie artificiali, da sostituirli alle Nnrigabili:, del. socio corrispondente RarraeLe Pepe, premiata con meda. glia ‘di oro, ed estratta dal 1V volu- mi de’ suoi atti accademici . Napoli, 1828 4 di p 44. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL’ ESTERO. Sacero»storico critico’ della com- media italiana del prof. F- Sarei, Pa- rigi , 1529, Baudry, 19.° di p» 109. StorIA della economia pubblica in Italia , ossia epilogo critico degli eco- nomisti italiadi, preceduti da un’ in- troduzione ; di Giuseppe |EccHIO!® Lu- gano , 1829, G. Ruggia ce. 8.9 di p-307.. 3 IL DISSOLUTO GELOSO: commedia di carattere in cinque atti, dell’ avvocato ANTONIO ZAwoLIN? } con alcnne osser- vazioni ‘critiche dell’'autore , uma let tera del prof. F. Oriotr,: ed infine un discorso accadeinico sulle comme- die italiane, Lugano', 1829,'G. Rug- gia ec. in 12° di p. 160. GestE NAvALI BRITANNICHE dal Gran- de Alfredo sino alla Battaglia di Na- varrino ; poema di Srerano - Eco Perroni. Edizione seconda. Londra , 1828, Treuttele Wurtz, Treuttel fi- glio , e Richter. 8° Volumi Hi, Pri I° 1 , 5'sterline. ; OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ‘ATTE NELL'OSSERVATORIO XIMENIANO, DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. FEBBRAJO 1829. Stato del cielo onauoIeg 033 -2wo1An]g ord | | 81 Tr. M.! Nuvolo Calma 7 mat. |27. 8,9 | 56 | 40 1| mezzog. |27. 9,6 | 5,8 | 6,1| 65 Tram. 'Nuvolo. Calma ri sera |27. 11,5 | 5,2 | 4,5| 68 ‘Gr; Tr. Ser. nuv. Ventic. ql 7 mat. |28. 0,7 | 5,0 | 3,0 | 75 Tram.j,Sereno Ventic 2! mezzog. |28. 1,7 | 5,2 | 5,8| 6r Tram. (Ser. ragu. V ente rr sera |28. 2,6 | 4,8 | 3,0] 58 Tram. | Sereno Vento —-| —_T_ — —1_————_———É—m—'ani ©<”© de e e = “ g mat. |[28. 26 | 4,0 | 2,0j| 52 C |Gr. Tr. r. Tr.Sereno Vento 3| mezzog. |28. 2,9 | 4,3 | 3,8| 49 Tram. Sereno Vento forte rt sera |28. 2,9 | 3,9: 1,2 | 60 ‘Tra. ‘Se. con nuv. Vento 7 mat. |28. 2,9 | 7,2 | 0,0| 72 Gr. [r-|Ser- con nuv. Vento 4| mezzog. |28. 2,4 | 3,1 |+1,7| 63 ‘Tram. |Se. con. neb. Vento fort. rt sera 28. 2,1 | 2,6 |-o.1| 76 Tram. !Ser. con neb. Ventic. peri — rl | ———— | —, — ——————kkcccctt CC SE sl tz 7 mat. |28. 1,6 | 2,0 | -1,0| 74 Tram. :Ser. torbo Ventic. 5| mezzog. {28. 1,1 | 2,1 |+0,6| 63 ‘Tram. ‘Ser. neb. Vento fort. tt sera |28. 0,9 | 1,7 -0,3 | 69 Tram. Ser. con neb. Ventic | 7 mat. ,28. 1,0 | 1,3 |{-1,0 | 64 Tram. .|Sereno Ventic' 6° mezzog. {28. 1,5 | 1,5 |+2,5 | 49 ‘Tram. |Sereno Vento forte _! 12 sera 28. 1,6 | 1,6 |+0,9 | 90 Tram. |Sereno Vento 7 mat. |28. 16 | 1,5 (-2,2 | 80 Scir.. | Sereno Calma | ?| mezzog. |23 1,3 | 1,7 |+1,8 | 67 Scir. {Ser. neb. Ventic 11 sera |28. 0,9 } 2,0 |+1,0 | 80 Scir. |Ser. neb. Calma | i Termo ra = lol 5 [CINE UEICE na Ora |. & 2|2{3]|35]| 38 Stato del cielo | | 4 (o) è e pe 9 lo) + B ® È SO, PINRC n | dio - î i N 7 mat. |28. 0,3 | 250 {-06|86| -{Scif.'|Sersneb. 7 © 7 Calma ?|f] 8! mezzog.|27 11,9 | 2,3 |+3,1| 80 Scir. |Nauvolo Ventic. LA Ii sera |27. 11,7.| 2,5 [+2,0].93 | © i[Scir |Sereno |... Ventic, 7 mat. [28 0,0 | 2,5 |F1,5 | 80 - |'Tram. |Ser. ragu. Vento 9| mezzog. (27. 11,7 | 2,7 |+5,2 | 56 Lev. ..{Ser,ragn. Ventic. 11 sera !27. 11,4 | 3,0 {41,5 | 75 :Gr. Le, Nuvolo Ventic. | 7 mat. (27. 11,4 | 2,3 | 1,0| 7®| . .|Tram.|Ser. con nuv. Vento j10 mfezzog./28. 0,2 | 2,7 | 2,7 | 70 Tram. |Ser. raga. Vento forte __| ttsera |28. 0,4 | 2,7 |-0o,1 | 75 Tram. |Sereno Ventic, 7 mat. |28. 0,6 | 2,2 | -1,8| 88 Gr. Le.|Seteno -——’’Calina% 11) mezzog. 28. 1,0 | 2,1 {+0,8 | 62 ‘|Greco |Ser. neb. Vento fort. || risera |28. 1,3 | 1,1 GI 66 :[Lib, -|Ser. neb. Ventic, I 7mat. |28. 1,3 | 0,2 [-3,0 | 58 Tram, {Ser. neb. — Vento: 12| mezzog.|28. 1,2 | 0,4 |t0,5| 48 | |Tr. M.jSer. neb. Vento fott- | 11 sera |28. 0,8 | 0,5 |-1,0} 47 Tram. |Ser. ragn. Ventic. I | ymat. |28. 0,8 | 0,3.|#3,0 | 66 __|Se. Le.|Sereno. Ventic. .13 mezzog. |28. 1,0 | 0,5. |-2,7 | 41 |. |Tram. {Sereno Vento i [ur sera [28. 1,0 |.1,0,|-1,3| 54 Scir. , |Ser. con neb. —Ventic. | 7 mat. |28. 0,9 | 0,9 [2,2 67 . |Scir. , |Nuv, neb. __ Ventic, 14. mezzog.|28.. 0,6 |.0,8.|.3,1| 53 |, {Scir. |Ser.neb. Calma rr sera |28. 0,6 | 1,3 .|2, 1| 78 : |Scir. . |Ser..con neb. , . Calma | | 7 mat. (28. 1;0 | 3,3 [-0,5 | ot Scir. |Sereno :. Calma {15 mezzog:|28. 15 | 2,1 |45,5 | 74 Scir.: {Sereno |. .,. Calma rr sera |28.. 1,7 | 3,0 |+3,0 | 80 iSc. Le. |Sereno -.. Ventic. | 7 mat. |28. 1,8 1 3,0 +09] 9 Scir, . |Nuv. neb. Calma 16! mezzog.|28. 2,1 | 3,4. 46,0 | 7 Scir. |Nuv. neb. Calma ri sera |28. 2,1 |.3,5 | 4,0 | 97 Scir. |Nuv. ser. Calma 7 ‘mat. |28. 1,5.| 3,4.) 1,6 98 Scir. . |Nuvolo Calma 17| mezzog.|28.. 152 | 3,8.| 6,7 | 95 Scir. {Nuv, neb. Calma | ri sera 1/28. 0,4 9. | 6,0 | 98 | 0,040s. Li. | Pioggia Calma : 7 mat. la t1,7 | 4,2.|.5,0 | 97 | ,0,03|Lib. |Nuvolo ser. Calma. 18 mezzog.!27. 11,3 | 48.{ 8,8 | go Ostro |Nuvolo Ventic ri sera (27. 10,7 | 5,1 | 7,0] 95 Scir., |Ser. nuv. Calma 7 mat. |27. 10,9 | 5,2| 5,5| 94 Scir.. |Nebbia folta Calma 19| mezzog.|27.. 10,9 | 6,3 Lev... |Ser. neb. Vento | 1 sera |27.. 11,6! 6,8 Tram. .|Ser. con neb.... Ventic. Stato del cielo 0139W101eg 0u197U[ 017 -9W0HAN]q ord -09S0WU9UY i 7 mat. |27. 11,7 ] 65) 3,9| 94| Lev. |Sereno Ventie. 20| mezzog. [28. 0,3 | 6,8 | g,6 | 68 [Greco |Sereno Ventie. 11 sera |[28. 0,2 | 7,9 | 6,5 | 82 Tram: Ser. neb. Calma 7 mat. |28. 0,1 | 7,0 "3,61 86| |Lev. |Ser. neb. Venti, 21|mezzog. |27. 11,5 756 8,8] 80 Sc. Le.|Ser. neb. Ventic. ; 11 sera |27. 10,8 17,8] 7,0] 87 Ostro |Nuv. ser. Calma 7 mat. |27. 9,6 | 7,9! 6,7| 97 Ostro |Nuvolo Vento | 22|mezzog. (27. 8,9 | 7,8 [10,1 | 81 Ostro |Nuvolo Ventie. It sera |27. 7,7 Bo 8,0 98° 0,36|Lib. |Pioggia Ventic. e il ———————m____A«_"I---- 7 mat. 127. 7,7|7,9| 6,8 98° ‘0,23]Scir. |Ser. nuv. Calma 8|23|mezzog. (27. 7,7 | 8,2 | 9,7 | 72 Po. Li. Ser. ragn. Calma i1 sera 27. 8,0 | 8,5 | 5,9| 92 [Ostro 'Sereno Ventic. 7 mat. |27. 8,2 | 8,0 | 4,0| 95 Scit. |Ser. neb. Ventic. 24|mezzog. |27. 8,7 | 8,5 |10,4| 68 Greco !Ser. neb. Vento __|_Ht sera |27. 9,0 | 8,3 | 7,0| 81 Trom. |Sereno Vento m mat. |27 9,9 8,0 } 3,4 |796 —— |Seir. |Ser. neb. Vento \25|mezzog. |27. 10,8 ni 9.5 | 75 Scir. |Ser: ragn. Ventic. 1) sera :27. 11,9 5 | 8,0 | Ba Greco |Sereno | Calma 7 mat. |28. 0,1 TI 6,0 | 90 Greco |Ser. nuv. Calma 26|mezzog. |28. 0,8 | 8,9 [12,4 | 50 Tram. | Ser. ragn. Ventic. ti sera |28. 0,8 | g,1 ! 7,0] 80 Tram. |Sereno Calma 7 mat. |28. 0,1 | 8,8 fre 90 Scir. |Nuvolo Ventic. |27;mezzog. |27. 10,7 | 8,8 [10,5 | 71 Lev. |Mebbioso Ventic. Pi) 1t sera |27. 9,9 | 8,9 | 8,0 | 86 |0,03|Lev. |Nuvolo Ventic. ‘ ___———_—_——r—————————___——_—_—_——— —rP—_T_—__—__——————————————————————————————————— JI | 7 mat.[27. 100/81 | 5,5] 72 Tram, |Nuvolo rotto Vento _$28|mezzog. |27. 10,4 | 7,6 | 5,5 | 65 Greco {Ser. neb. Vento imp. | Ji sera |27. 9,9 6,0 bi 5 Ta” Gr. Tr.{Sereno {Vento imp. .rr—— — |. rrr————@—6+6 n LI Sì HE ‘stampe, che anticamente già se ‘feceto , a pochi è noto, e dai giace dimenticato. Se il nostro: tendimento troverà grazia presso sentili Italiani, noi Jo riprodur- boni , che ora ne fanno: difficile ,. quasi impossibile la lettura. Con. aiuto di ottimi codici, e col pot-. ) ogni cura nel raffrontare il.vol-. arizzamento al testo, ci confidia- io dì poter fare , che il nostro la- ro ,.in chi siamo già molto in- anzi , frutti utilità non piccola igli studiosi della:nostra favella- “quali bene a ragione si dolgono, he în quelle cronache, in quei rattati, in quelle vite divote, d'on- le 1° uomo ricoglie tanti bei fiori- li elocuzione, non si trovi il più lelle volte nè lume di critica, nè mon: giùdicio, nè altezza e gravità. i pensieri. Ora. noi portiamo spe- hza; che cesseranno i loro giusti menti non appena avran modo di gere nel volgarizzamento di Li- cento care eleganze senza sto- te la mente dalla considerazio=. delle-cose. Chè aprendo quel ‘0, solo a un correr d'occhio, edranno come in esso.la mobiltà. e concetti. va del pari al nerbo, Ta purità del dettato. Vedran- > con evidenza meravigliosa. de- ritte fiere battaglie; ordinamenti. ‘paci, atgusti riti di religione, \agnificenza di spettacoli e dì triont- @€ vi udranno'infine parlare ton. Da rigida maestà simile: a quella ell'antico latino i più grandi uo-- vini ‘del più gran popolo dell’uni- rb né M olte cose or qui potrebbonsi sgiugnere a meglio chiarire i pregi utilità del libro, che per no-. Cura si mette novellamente a luce. Ma per non distenderci. troppo largo discorso staremo ; tao RERRSA ‘o emeridato di tutte le scorre- |{ re ‘di Livio siano sempre nobilissi- ll intelletto di Pietro Giordani lo gia» dicò degnissimo di tistampa, e che il chiar. Paolo Costa lo riconobbe fiorito d’ ognî éleganza. Onde que- sto levatone un saggio si fece ad esporre.come nell’antico tradutto- me: le parole ; evidentissimi i mo- ‘di, leggiadro ed armonioso lo stile. i Però noi tenendo la seritenza di così ravi maestri caramente preghiamo i cultori delle buone lettere ad'avere ‘pregiatissimo questo libro,Lo riceva: ‘no adunque da noi con amore: for- temente studirio in esso; e ne di: vengano imitatori scrivendo’ gravi “concetti con proprie e gravi paro- le. Per tal modo durerà viva la ‘mostra gloria, e mostreremo ai fu turi; che se noi italiani-non po-- temmo levarei alla grandezza dei famosi nostti passati ci mancò sol la fortuna, non già l'animo 0 la ‘sapienza. SAS ROLE ‘CONDIZIONI DELL'ASSOCIAZIONE i, pel quale potranno far tesoto || « < toa to- || - Tutta la edizione sarà compresa- in dieci volumi in 8.° della forma ‘carta e caratteri del manifesto.” Uscità immancabilmente ad ogni” “trimestre un volume di cifca fogli ‘‘30:5 @ il primo allorchè si saranno ottenuti cinquecento associati. Il prezzo di assoviaziorie resta. fissato a baiocchi tre per foglio” (cent. ital. 16) non compreso la le- | gaturà, Le spese di porto e dazio ‘rimangono acarico dei signofi acqui- renti. : EINE Le sottoscrizioni si ricevono in Bo- logna dal direttore della Staniperia delle Mise avvocato Pierho Brt-- GHENTI ,: specialmente ‘incaricato dello spaccio di questa ‘edizione ; © nelle altre città dai principali ne- gozianti librai distributori del pre sénte.<-.- SSA SE Bouoowa 20 luglio 1828: e. n L Na Beorla de’ e del sig. Li na: Sismondî. Art V Vv - (Francesco Forti) Peer ‘Passeggiata nel Wurtemberg. ROSE T) 33° Discorsi‘sulla Storia Veneta del conite Papa PERSEO a Î; CA diga ‘Lezioni di letteratura: francese del sig. Villemain. Art, IL ; Ippolito Pindemonte.. È RIVISTÀ LETTERARIA. 25 Poesie di. Mario Pieri, P 98, _ ca ‘universalo di Missiaglia, p. 105. — L'aguzza ingegno ii p..111. — Voci e modi toscani raccolti. da 7. Alfieri 4 pi. =. Dell otigne de’ cognomi ; notizie di Filiberto di Pingone ; Ioia: ne sopra. un maraviglioso sonetto di Dante; “di ‘Luigi Cibrario, p. 114. — Iconografia moderna .contemporanea , del sig. F.. Ven. dramini e P. Ermini, p. 118. + Ode di A. Consani alla memo». ria;di Nivcolò Demidoff 117. — Opere: d’Alessandro “Manzoni, nuo» va edizione xp: 118. — Baggio di rime di quattro poeti del seco=.. lo XIV; — Breve forma d’ onesta vita di Martino. “Arcivescova:. Bracarense: + Racconti di Benvenuto Cellini , ora ‘pubblicati tin ci Venezia: — Dué discorsi di. ‘Giorgio Gradenigo.: — Lettere di Vee. neziani illustri , p. 122 — Dichiarazione degli antichi marmi mo- denesi ‘con le notizie di Modena a’ tempi de’ Romani, pi 196. i VARIETÀ. —. Lettera ‘annunziatrice di concordia nella repubblica .me= RE a SIE 1 (Conte D. Paoli). qual Istituto per.il mutuo: insegnamento in Livorno... (E. Mayer} 4, 13: D | ‘Scavi fatti intorno ad: PISO (D. G. B. Thaon}, 3 138 Bullettino scientifico, CPSI i A o G GL s, 168 Bullettino bibliografica, E pena ene 174) Tavole meteòrologiche. E so (2° PE CINE ce AN NTOLOGIA GIORNALE, Da s SaR DI scienze, LETTERE E AR TI. Acne RX. Vol XXXIX FIRENZE su £ ì AL GABINETTO SCIEN: TIFICO x LETTERARIO \\._- rG&P. VIEUSSEUX Direrrons = Epiror®. < st. TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. | BIBLIOTECA G SCELTA di da Greche e e Latine z tradotte i m i Tingua Sto a PE ARR Lala a CA VO) Sa Se Ne aac i «©, Prezzo di questo Volume... Sa SO È ALA So» Aus, L. 5.29. ra mi. si ‘veggono 1 man: dati fuori. volgarizzamenti egregi | de’classici scrittori di Roma edi Grecia, intorno al ‘quali; mala- gevole. lavoro -sono usati consa- crarsi.i migliori‘ingégni che ono- rino la. moderna letteratura. Re- stava un: solo ‘classico senza l'o-.- maggio d’una versione ; e questo. si--era l'illustre Aulo Care n Celso; nome cato appresso quello a tutti quanti ae d’ Ippocrate, - cultori della. medica: scieviza. Il dottor. Ghiappa, celebre profess. di Medicina nella iusigne Uni- versità ‘di Pavia, stodiosissimo. ‘ quant’ altri. mai di Celso, ne-as- sunse fino dai suoi primi andi il volgarizzamento ;. ed esso ha vee duto a questi giorni la luce coi miei torchi, e fa parte della ‘mia. nuova Biblioteca scelta di au: ‘tori Greci e Latinî recati in‘ita- liano idioma. Non si poteva far. opera più ‘commendevole che il. voltare in nostra lingua: «questo eccellentissimo- è eva ente au: LI reo scrittore. Perocchè come è - desso, a senno dei savi, un model» —rere di cose a: medicina spettan=i ‘per quei che intendono a. dettare! “Tanta. è la: natuialeezso da ve= ‘ sione, siccome ognuno -se ne può: -leggiermente accertare scorren-. edizione pertanto del Celso.ita-3 «cliano conviet che sia accolta ge-i neralmente essendo opera di alta; - specialmente a quei che congiunti ‘gono felicemente, siccome soglio+ no gli eccellenti, la medicina-alla; > più bella letteratura, Nè meno; ‘quali ‘se non la gravità e digni ‘della scienza ragionatavi , al cerzf to le: attinenze -che ha colli istosl < purità del suo stile «debbono re né ‘derla opera accettissima e cs so nt; lo Ci per tutti "cal c «che vogliono latinamente discorsi ti; così-lo è il Volgarizzamento!i nella «bel'issitma lingua. italiana.$ nustà ‘e-la. leggiadria della” ver-. done poche linee appena! Questa{ Importanza ‘a tutti i medici; | importante intendiamo chie sia) pei letterati e. gli scienziati, ria letteraria, e la squisitezza @È mo uso. Milano ; dalla Tipografia dl Gio, SisxsarRI, 3 aa “ ANTOLOGIA N.° XCIX Merzo 1829. —- IN Rivista DANTESCA. A conforto de’ buoni spiriti italiani, a decoro e sostegno della nostra letteratura, vediamo che ogni anno abbiamo occasione di discorrere o di nuovi lavori sul nostro maggior poeta, o di nuove edizioni della divina commedia, o d° altre opere di quel- l'ingegno. Rispetto a ciò se mettiamo a confronto tutto il seco- lo XVII colla sola quarta parte del secolo presente , troviamo in queste due epoche notabile diversità e non ordinario progredi- mento , che è misura comparativa dello spirito pubblico civile e letterario. Nella prima età fu Dante messo in oblio, ed anzi fu posto in discredito; e a tal circostanza potremmo forse attribuire la nascita di quel mostro di poesia, che a torto fu creduto nato unicamente presso noi italiani, solo perchè allora avemmo un nu- mero troppo grande di scrittori di versi . Del resto la malattia fu generale in Europa, e non mancano documenti a provare che quasi tutte le colte nazioni europee fossero presso appoco tinte della stessa pece , e seguissero la stessa scuola. E vi fu taluno che forse a torto ebbe opinione che in quel tempo ciò avvenisse, perchè l’ istruzione letteraria essendo allora quasi esclusivamente affidata ad una società di maestri diffusi per l’ Europa tutta, facessero questi porre in oblio Dante e le opere sue, dirigendo gli studi letterari per altra via. E forse questa strana opinione ricevè appoggio dai tentativi fatti per arrestare a lo studio delle cose dantesche ancora oltre la prima metà del secolo passato, da due rinomati scrittori di quella stessa società di maestri: uno de’ quali prendendo a dichiarare la divina com- media, prese occasione di spargere i suoi commenti di amare cri- tiche contro il poeta. L'altro poi evocò dagli Elisi l'ombra di Virgilio a dare un men favorevole giudizio sul poema sacro. Ma vi è di buono che ai commenti del padre Venturi e alle let- tere virgiliane dell’ exgesuita Bettinelli, che riuscirono inefficaci allo scopo, è stato dato nel presente secolo quel pregio che me- ritano. Di fatto non ci è stato mai un tempo (eccettuati i primi tempi dopo la morte di Dante) in cui, quanto al presente, egli abbia occupato le menti e le penne degli studiosi e dei letterati. E quel che più fa lusinga a noi italiani si è, che vediamo entrare a parte di questo studio non la sola Italia ma eziandio le altre culte nazioni europee; cosicchè possiamo dire che oggi lo studiar Dante non è più occupazione municipale italiana, alla quale siamo d’ avviso che partecipino, quanto è dovere, anco i con- cittadini del sommo poeta. In proposito di che non merita intera credenza il buono edi- tore veronese del vocabolario della Crusca, oggi mancato ai vivi con non lieve danno della nostra letteratura e della lingua ita- liana ; e fu solo perdonabile la sua credulità al suo zelo per la nostra lingua, se facendosi eco delle voci altrui, nella sua pre- fazione asserì di sapere, che al presente (ne’primi ro anni del se- colo corrente ) in Firenze si sprezzano come anticaglie gli esem- plari del puro e bello scrivere, quali sono il nostro Boccaccio, il Dante, il Petrarca, il Villani, ec. $ e che erano presso noi scher- niti coloro che li leggevano e li studiavano ; e che i veronesi ne avevano la loro parte. Ei dimenticò o non seppe che appunto in Firenze più che altrove si facevano, e si fanno tutto dì, edizioni economiche di alcuni di quelli scrittori , e in grandissimo numero di esemplari, appunto per uso degli studiosi: le quali non si sa- rebbero tutte fatte nè si farebbero, se non ve ne fosse stato o non vi fosse un continuo smercio. Ma le sue parole di rimprovero spe- cialmente contro i fiorentini si fondarono sulla troppo facil cre- denza data a quei giovani, che ei dice mandati a studio da Ve- rona a Firenze, ai quali convenne studiar celatamente e di furto su i buoni scrittori per non esser colti da’ loro maestri col Dante in mano. Se la storia è vera, dubiterei che quei suoi giovani , forse per dar nel genio al buon prete dell’ oratorio , conoscendolo cre- dulo quanto Apella, gli dicessero ciò per burla , ed ei se la bevve. 3 Ed ebbe il torto, e tanto più che nel compilare le aggiunte al suo vocabolario, aveva tra mano gli studi d’alcuni fiorentini , e ne trasse partito, e si fece autore anco di ciò che a quelli ap- parteneva. Così non rifiutò di far passare per cosa sua ciò che l’editore dell’inedito volgarizzamento di Sallustio fatto da fra Bartolommeo di San Concordio , notò su quella versione , senza citar nemmeno quel povero editore fiorentino. — Ma l’ amor del vero mi ha menato fuor di cammino a dire quel che forse io non doveva. Mi si perdoni questa digressione , ed io tornerò a parlare di Dante. In una antecedente rivista (1) fu dato qualche cenno del primo volume della illustrazione fatta al poema dantesco dal sig. G. Rossetti, e pubblicata a Londra ; e fu indicato l’ordine tenuto dall’ autore nel suo lavoro, notando alcune sue interpretazioni riguardanti l’ allegoria di quel poema. Oggi ci perviene il II vo- lume di quest'opera (2), il quale fcontiene i canti dell’ Inferno dal XII inclusive sino alla fine. In questo volume 1’ autore ha cangiato un pocò il primo di- segno tenuto nell’ antecedente , per servire più alla brevità. Ha omessa l’ esposizione ad ogni canto , ha voluto esser più parco nelle osservazioni grammaticali, e nelle notizie di mitologia e di storia antica; si è ritenuto più che non fece dal confutare gli abbagli degli altri commentatori, giudicando esserì suo assunto il mettere in vista le verità espresse da Dante, e non gli errori de’ suoi interpreti. Ha pure omesso di fare minutamente notare gli aggettivi dal poeta applicati a Virgilio, meno che in certi casi ; delle imitazioni ha lasciato affatto quelle dai posteriori imi- tate di Dante, e solo ha rammentato, e non sempre, quello che Dante imitò dagli scrittori antecedenti, e che può servire spe- cialmente all’ uopo di dichiarare la mente e le intenzioni del- 1’ Alighieri. Come pure è stato più conciso e più parco nelle note aggiunte a ciascun canto, alcuno de' quali ne è affatto privo ; facendo suo principale oggetto il senso allegorico, morale, storico e politico del poema. Quindi in un discorso preliminare comprende quanto concerne alla parte morale : in alcune notizie istoriche intorno all’imperatore Arrigo di Lussemburgo, ciò che riguarda alla parte istorica e politica. (1) V. Antologia, Vol. XXV. C. pag. 1. (2) Della Divina Commedia di Dante Alighieri , con comento analitico di Gasprietto Rossetti. In sei volumi, Vol. II, Londra, John Murrsy, Albem.r- le Street, mbcccxxvu. 4 Procede dipoi a dare il testo e le dichiarazioni, ove il hi- sogno lo richieda , per ispiegarlo secondo la lettera ; riserbandosi nelle riflessioni , ch’ egli pone alla fine d’ogni canto , ad indicare come debba intendersi secondo l’allegoria. Siccome sarebbe vera- mente impossibile il render minutamente conto di ciò che in que- ste riflessioni espone l’ autore: in conseguenza prenderemo qua e là alcuni pezzi che bastino a darne almeno un’ idea, incomiu- ciando dall’ offrire un saggio del suo lavoro. Al canto XIV, Dante desiderando saper da Virgilio perchè ei gli noti, come cosa la più notabile fra quante mai ne abbia ve- dute sinora , quel fiumicello sanguigno che spiccia fuor della selva, Virgilio gli dice: In mezzo al mar siede ec. v. 94 e seg.; cioè, che in mezzo al Mediterraneo siede 1’ isola di Creta, di cui fu re Saturno, sotto il cui regno il mondo fu casto. Che ivi è una mon- tagna chiamata Ida, già un tempo lieta d’acqua e di fronde, ora deserta , scelta allora da Rea per cuna del suo figlio Giove. Che dentro a quel monte stà dritto un gran vecchio che volge le spalle a Damiata , e che si specchia in Roma. Questo colosso ha la testa d’oro, il petto e le braccia d’argento ; fino all’inforcatura è di rame; da indi in giù è di ferro, fuor che il piè destro , sul quale posa più che sull’ altro, e che è di terra cotta. Che tutte queste parti, fuor che la testa, son piene ‘li fessure che gocciano lacrime le quali fanno Acheronte , Stige e Flegetonte , e quindi riunite formano lo stagno di Cocito. — Dopo avere dichiarata la parte morale di questo racconto, segue così: « Andiamo ora alle parte politica. ,» « Furono tanto ammirate le ingegnose immaginazioni che si contengono in quel giganteo vecchio d’ Ida, e giustamente . ... . Con esse il cantore della Monarchia (3) ha voluto dipingerci a quali colpe e pene andò incontro l’ umanità nell’ allontanarsi dal- l’ aureo , primitivo stato che godeva per le leggi di quel rege sotto cui fu il mondo casto ; e introduce perciò la stessa perso- nificata scienza dell’ Impero (4) a favellare ,;. « Virgilio adunque pose la gran figura del tempo, distinta nelle principali monarchie , in Creta regno di Saturno ; con che volle adombrare l’ origine primitiva dell’ impero, come d’ istituzione di- vina; e la degradazione posteriore come effetto di colpa umana. ,, « Una montagna lieta d’ acqua e di fronde , cioè irrigua e vegeta, sorge in un punto quasi centrale delle tre parti del globo (3) Cioè Dante. In progresso vedremo perchè lo chiami così. (4) Cioè Virgilio. 5 anticamente conosciute. Essa si chiamò Ida, cioè, Speciosa. Rea berecinzia ; madre turrita , o sia la terra , Za scelse per cuna fida del suo figliolo re degli uomini e degli Dei: ecco 1’ origine della monarchia, ecco la sua prima età, ecco il suo primo membro degno dell’istitutore : la sua testa è di fino oro formata. E nel dire che Rea per celar meglio il suo nato, quando piangea ci facea far le grida,ha voluto forse indicare che la maestà reale per serbarsi nella sua dignità, e rendersi più veneranda, dee involare alla vista altrui le sue afflizioni, coonestando di esterna letizia anco l’ interno rammarico. ,, « Dopo ciò segue la degradazione successiva della monarchia nel corso de’ tempi peggiorantisi. Oltre l’oro, quattro materie com- pongono il gran veglio : argento, rame , ferro e terra cotta. Si- milmente quattro principali imperi orientali si contano: Assiro , Medo , Persiano e Greco. ,, « Secondo la situazione geografica di Creta, e secondo la po- sizione di Cromo, tutti e quattro gli restano dalle spalle o ai lati; ed esso ha di mira un quinto, che dee rinascer puro, come quel capo che ad esso è diretto; e perciò Roma guarda siccome suo speglio. ,, « La monarchia dall’ oriente passò all’ occidente seguendo quasi il corso degli astri; onde nel Paradiso si dirà che l’ aquila, uccello di Dio, venne per voler divino con Enea a formare il nido dalla Frigia in Italia, e che #l cielo seguì il suo corso ; © che quando poi il cielo volle ridurre sereno il mondo come sè medesimo , Cesare, per voler di Roma , tolse a regolare quel sa- crosanto segno (c. VI). ,, « E insomma sicuro che quel colosso che stà nel paese guasto, dentro la montagna che fu lieta d’acqua e di fronde, ed ora è deserta come cosa vieta, sia una figura del tempo, il quale a cagione delle corrotte monarchie produce le colpe, onde derivano le pene che formano l’inferno. ,, « Ma perchè ha di terra cotta il solo pié destro? Se ci ri- cordiamo che destro o dritto è per Dante simbolo di retto e giu- sto (5) vedremo subito ch’ei volle dirci su qual fragile fonda- mento di rettitudine e di giustizia si appoggiava il politico go- verno dei suoi tempi. ,» « Ma perchè si riposa sul dritto piè , più che sull’ altro ?_Il Boccaccio , senza neppur volerlo, ce lo spiegherà col primo pe- (5) Questo siguificato è già dichiarato in altre osservazioni e riflessioni antecedenti, 6 riodo della sna vita di Dante: — Solone le cui sacratissime leggi sono ai presenti uomini chiara testimonianza dell’ intera giustizia sua , era spesse volte usato di dire , ogni repubblica , siccome noi, stare su due piedi, de’ quali con matura gravità affermava essere IL DESTRO il non lasciare alcun difetto commesso impunito, e il sinistro ogni ben fatto rimunerare. — Principal atto di giusti- zia è dunque il castigar delitti; e qui d’ Inferno si tratta , regno della severa giustizia ; e quindi il poeta volle dirci, che il corpo socievole della monarchia si sorregge più col gastigar colpevoli , che col premiare giusti: onde il suo colosso ; che quel corpo fi- gura, si appoggia più sul dritto che sul manco piede. ,, « Insomma cangiata di poetica in filosofica, questa immagina zione si riduce a ciò. La terra produsse la monarchia ( Rea produs- se Giove), pura ne’ primi tempi, perchè d’ istituzione celeste, corrotta ne’ seguenti, perchè guastata dall’umana malizia, e an- dando sempre di male in peggio , ora è nella massima sua de- gradazione , ed appoggiata su base sì fragile che minaccia ruina. Da essa derivarono i vizi delle età precedenti , e da essa pro- ‘ vengono quei mali che generano il tormentoso pianto della uma- nità ; ma il tempo guarda Roma , come speranza del suo risor- gimento. ,, “ Ora ci è dato scorgere da che fu desta in Dante 1’ imma- gine di questo simbolico gran veglio. Solone , Boezio , la Bibbia, la mitologia e la storia gliene somministrarono i materiali, le forme, i colori, la situazione e l’ attitudine. Il primo gli fe’con- cepire il corpo politico come un corpo umano; il secondo gl’ in- segnò che il peccato è di pena a sè stesso e quasi suo anticipato Inferno (6); la terza gli confermò queste due idee, e gli presentò il corso della monarchia , che comincia bene e finisce male .. ... La quarta gli dipinse le varie età con nomi di metalli ..... La quinta gli schierò innanzi le quattro monarchie, e 1’ ultima in occidente, come quella che tutte le altre in sè ridusse: a questa il poeta si fissò principalmente, poichè questa era il fervidissimo sospiro dell’ anima sua, che Roma guardava siccome suo spe- glio. ,, Con questa lunga citazione abbiamo inteso di dare un saggio del modo che tiene l’ A. nel dedurre dalle parole istesse le sue (6) Credo opportuno riportare le parole di Boezio , in conferma di quanto dice l'A. Cognoscis nec sine poena esse vitia, nec sine praemio virtutes; bonis faelicia , malis semper infortunata contingere.... Sicut probis probitas ipsa sit praemium , ita improbis nequitia ipsa supplicium est. Boet, n 4 interpretazioni de’ sensi allegorici, del che avremo un’ altra idea in ciò che segue. Nello stesso canto XIV introduce Dante il superbo Capaneo uno dei sette all'assedio di Tebe, il quale giace dispettoso e torto esposto alla pioggia di quelle falde di fuoco; senza che quel grande mostri di curarne l'incendio. Dalle sue parole, che Giove per quanto lo saettasse di tutta sua forza non potrebbe esser lieto di sua vendetta: dal non pregiare quel Dio, ed averlo in disdegno ein disprezzo deduce che Dante faccia allusione a qualche soggetto d’istoria ; il quale abbia insultato l’ impero in un’ imperatore , come Capaneo insultò Giove simbolo della monar- chia. Trova quindi nell’ istoria Tebe/do Brissato che creato dal- l’ imperatore Arrigo Vicario imperiale e principe a Brescia, di ghibellino fattosi guelfo, con nera ingratitudine fece sollevare quella città contro il suo signore. Finalmente dopo mille oltraggi fatti all’imperatore , inseguito da una sortita d’ imperiali cadde da cavallo sotto Ze mura di Brescia ; e trovato giacente a terra fra i cadaveri de’ suoi, fu preso e condotto ad Arrigo. Il quale disposto essendo a perdonargli la sua fellonia, lo incitò a scrivere a’ suoi che erano in Brescia che si arrendessero all’ imperatore. Ma egli all’opposto scrisse loro che si difendessero ostinatamente (7). Per la qual cosa Arrigo irritato lo condannò ad essere squartato da quattro cavalli : la qual pena Tebaldo subì imperterrito e non curante. Venendo all’ applicazione: Capaneo inselta Giove; Tebaldo insultò Arrigo. Capaneo è detto quel grande; Tebaldo era principe a Brescia. Dal nome di Tebaldo par derivata Tebe. Capaneo cadde giù da’ muri; Tebaldo fu trovato caduto da cavallo sotto le mura (7) Riccobalilo ferrarese ci dice che Tebaldo caduto nelle mani d’Arrigo fu invitato ut scriberent complicibus suis ut Brixiam darent Imperatori : scripsit ut urbem defenderent. — Iacopo Malvezzi scrive che Jussit Imperator The- baldo ut civibus seriberet quatenus eam civitatem imperiali mafjestati re- laxarent; at ille scripsit quod patriae libertatem armis defenderent. Se vera è l'allusione , sì può perdonare a Dante ghibellino , e tutto devoto ad Arrigo, l'avere rappresentato Tebaldo come reo di tradimento contro l’ imperatore: ma il Malvezzi lo ammira, come nomo di gran cuore: alzi cordis erat. Se si fac- cia astrazione dall’ ingratitudine di Tebaldo verso Arrigo, e dal tradimento , alcuno forse lo giudicherà un imitatore di Attilio Regolo. Infatti egli già co- nosceva l’ animo dei suoi , uno dei quali rispose più tardi ai commissari im- periali , secondo che riferisce Ferreto Vicentino : Coniuges , liberosque vora- bimus , postremo nos e muris altis praecipites , aut gladiis caesi , vel--cul- tro, vel laqueo , vel veneno, quodve mors paratur modis, moriemur, priu- squam huic scrviamus. 8. di Brescia. Capaneo era dispettoso e torto alla pena che soffriva ‘in Inferno ; Tebaldo fu imperturbabile alla pena che gl’ inflisse Ar- rigo ec. Quindi l’ antore argomenta che sotto la persona di Capaneo Dante alluda a Tebaldo Brissato. In proposito di che egli aggiun- ge. « Io potrei ridurre la dimostrazione all’ ultima evidenza: ma siccome dobbiamo udirne parlare ben altre quattro volte in seguito, così mi contento che per ora giungasi solo a dubitare che possa essere ciò ch'io dico. ,, Fin dal principio delle sue riflessioni al canto XIV dice l’ au- tore esser questo il canto più ghibellinesco di tutti, e quello da cui più chiaro si rileva lo scopo principale del poema: e ponendo per ora che Flegetonte sia 1’ emblema dell’ ardore de? ribelli e nemici all’ impero , passa ad esaminare l’intendimento del poeta nello scrivere la divina commedia: deducendolo dallo stesso epi- taffio che egli sibi vivens fecit , come pare che esprimano le tre lettere S. V. F. poste in cima alla lapida. Non dispiacerà a? lettori che qui riportiamo le parole stesse dell’ autore. Jura monarchiae , Superos , flegetonta , lacusque Lustrando cecini, voluerunt fata quousque : « Chi si contentò dell’ apparenza credè che quell’ Jura mo- narchiae ne indichi il libercolo in prosa latina de Monarchia , come se Dante trar ne dovesse tanta vanità da crederlo degno d’ esser nominato per primo e principal suo lavoro. Non temiamo di dire , che ei faceva più caso del Convito, del Volgare eloquio, della Vita nuova, e soprattutto delle sue rime liriche , le quali ei stesso prese a commentare , che non facesse di quel libricciolo steso in fretta al primo giungere dell’imperatore in Italia. Di tutti i suoi scritti secondari ei non tenne conto alcuno nel suo epitaffio, e non volle rammentare che quel solo poema ch’ egli elaborò e polì con tutte sue lime. E come avrebbe egli potuto anteporre qualunque altro de’ suoi scritti a quel poema sacro a cui poser mano e cielo e terra, e che per tanti anni l’ aveva fatto macro; a quello in cui fuse tutta la sua sapienza; da cui attendeva eternità di fama; e per cui sperava fino di esser richiamato alla patria per chiarezza di nome? Ma quando tutt’ altro mancasse , l’epitaffio parla chiaro : cecini jura monarchiae. Riferiremo noi quel cecini ad un’ opera scritta in prosa? No: perchè il suo maestro ed autore gli aveva insegnato che cecinz si dice dei versi; e Cicerone gli aveva mo- strato che scripsi si dice della prosa: onde questo, de serectute scripsi; e quello, arma virumque cano, e cecini pascua, rura, duces si legge sulla sua tomba che ricorda tre opere poetiche di lui. È indubitato perciò che cecini jura monarchiae vale: cantai i dritti 9 della monarchia , feci un poema sn i dritti della monarchia. Dun- que il suo poema per sua stessa confessione ha carattere principal- mente politico. Esaminiamo più d’ appresso l’epitaffio, e lo ve- dremo. ,, < Il primo verso contiene un’antitesi chiaramente distinta nelle due parti , cioè della cosa diretta che cantò , e della cosa a quella opposta; ma la prima è in senso letterale , la seconda in senso figurato: eccole: « I. Cantai i diritti della monarchia , e i superi, cioè composi un poema sull’ impero e i suoi supremi agenti: Cecini jura monar- chiae , superos: parte diretta. ,, « II. Cantai Flegetonte e i laghi ; cioè il simbolo dell’antimo- narchia e i luoghi che contengono i suoi seguaci: Cecini Flegeton- ta , lacusque : parte opposta. ,, « Dunque sicuramente Flegetonte è quel che dicemmo , cioè una figura di quell’ ardore ribelle che alla monarchia opponevasi : onde aveva ragione Virgilio nel dirlo di tanto momento (8); e ave- va ragione Dante di essersi tutto raccapricciato in vederlo (lo cui rossore ancor mi raccapriccia). E si noti che ad esprimere qual fu la principale sua mira nel comporre il poema, inverte l’ ordine che in esso tenne , perchè nomina prima monarchia e poi Flegetonte, prima è superi e poi i laghi infernali. ,, “ Veniamo a quel /ustrando : il verbo Zustrare in latino ha questi significati: rischiarare , considerare, viaggiare , espiare : e tutti e quattro possono convenire all’ oggetto nostro ; ma princi- palmente i due ultimi ; il primo de? quali ricorda il viaggiare alle- gorico di Dante ; il secondo l’ aver col suo canto espiata la colpa dell’ ereditato guelfismo; e questo lo preferisco, si perchè più consono al genio latino che da aqua lustralis , o sia espiatoria, derivò /ustrare ; e sì perchè più analogo a quel che nel poema an- dremo scorrendo. ,, « Ecco il resto dell’ epitaffio : « Sed quia pars cessit melioribus hospita castris, Auctoremque suum petiit faeliciter astris , Hic clauditur Dantes , patrius exterris ab oris , Quem genuit paroi Florentia mater amoris. ,, “ Due parti ha l’esaminata antitesi, la monarchia, e Flegeton- (8) Fra tutto l’ altro ch’ io 1° ho dimostrato Cosa non fu dagli occhi tuoi scorta Notabile com’ è il presente rio. T. XXXIII. Marzo. 2 10 te ; e la prima parte cioè la monarchia , cede alla Flegetontea, per- chè le mancò il suo capo e rappresentante , che era Arrigo. Ed in vero se questi non fosse mancato , la monarchia avrebbe sicura- mente trionfato , e Dante avrebbe deposte le sue ossa in Firenze , e non in terra straniera. Onde quel pars par che ne indichi la pri- ma delle due parti in opposizione, anzi il suo figurante medesimo : onde spiegherò così : Ma poichè la parte imperiale (9) , Arrigo , cede peregrina ed ospite in migliori alberghi (sed quia pars cessit hospita melioribus castris), e più felice cercò negli astri il suo au- tore (et felicior petiit auctorem suum astris) ; è avvenuto che io Dante esule dalle patrie rive sono qui chiuso in terra straniera(ego Dantes , exterris ab oris patriis, claudor hic) : io, cui generò Fi renze madre di poco amore (quem Florentia , mater parvi amoris , genuit). E si noti che Arrigo , figurante la parte imperiale, il quale cesse e corse sugli astri a cercare il suo autore , esprime appunto che Iddio è institutore , tipo ed autore della monarchia universale sulla terra: dolce desio e caro sogno di Dante. ,, « To so bene che se alla parola pars si dà il senso di parte im- mortale dell’ uomo ; cioè di anima ; e se al cessi? si dà il valore di decessit , cioè partì , altro ne risulta : ma qual sentenza sarebbe mai questa ? ma perchè la mia anima partì, io sto chiuso în questa tomba , o sia , io sono qui sepolto perchè morii. Non so se Dante il quale si studiava tanto per esprimere belli e profondi concetti , volesse tenersela per sua questa balordaggine. ,, « Dunque tutto l’ epitaffio significa : Finchè i fati vollero can- tai la monarchia e 1’ antimonarchia , e i loro principali agenti an- tagonisti , firurati nei superi e ne’ laghi infernali: Ma perchè la parte monarchica cedè (Arrigo) e corse nel cielo a trovare il suo au- tore , io morii esule dalla mia patria disamorata, e sono qui sepolto in terra straniera. ,, Dopo avere posto che la Divina Commedia è un poema politi- co (10) , che il Flegetonte è 1° antimonarchia o il guelfismo , passa (9) Pars sì trova spesso in questo senso presso i latini: Pars adversa : Quint. Romanae partis erant 3 Liv Partes Caesaris defenderunt : Cic. Du- cere aliquem in partes : Tac. Habebat in partibus Pallantem : id.; € così altri. (10) Riguardo al vero senso della parola Comepia dice l’ aut: Ob se sape- ste che cosa significa quella parola , ne restereste maravigliati ! Ma non potrò mostrarlo se non ne’ seguenti volumi delle mie illustrazio..i . Quando saremo a luogo proprio uscirà di per sè stessa dal vecchio nascondiglio , e di tale evi- denza raggiante che non sarà possibile di nou ravvisarla per vera e per genuina « x rì l’A. a far notare che non mai bisogna omettere di fare attenzione ai sensi ancora che sono celati nelle similitudini , le quali quasi sem- pre sono altrettante magistrali indicazioni col mezzo delle quali si- gnificò 1’ oggetto nascosto nelle sue finzioni : e ne cita alcune in questo canto. Così l’arena ardente che punisce i peccatori violenti contro Dio , cioè i nemici dell’ impero , è rassomigliata a quella che fu calpestata da’piedi di Catone nemico di Cesare, e che contro di lui combattè : e per accennare che Arrigo ristoratore dell’impero romano procurò di spengere 1’ ardore de’ Guelfi estinguendone le prime faville, dice che Alessandro accrescitore della monarchia greca faceva calpestare il vapore acceso che cadeva in quelle parti calde d’India , perchè me’ si stingueva mentre ch’ era solo: e con paragonare quel rosso fiumicello che spiccia fuor della selva al rio che escito dal bulicame si partono le peccatrici , allude a Viterbo, che devoto alla prima parte imperiale , fu poi diviso per maneggi de’ guelfi. Con questo 1° A. pon fine alle sue riflessioni sul Can- to XIV. Venendo al canto XXI, i principali attori , oltre Dante e Vir- gilio , sono dodici demoni , a’quali tutti il poeta assegna un nome, che non è tutto affatto creato di pianta. Dante è soprappreso da timore di accostarsi al luogo ove sono puniti i darattieri: e al ve- nire di un diavolo nero Virgilio gli grida che se ne guardi. Se- condo i suoi principj, 1’ A. trova in Dante giusto il timore, per- chè eondannato già per baratteria dalla parte dei Neri. Passa quin- di a notare che i dodici diavoli possono alludere ai priori della città di Firenze, che di sei che erano furono portati a dodici il 2 marzo del 1803 ; e dodici sindaci neri furono eletti a trattare del ritorno de’ bianchi a Firenze. Aggiunge inoltre che i nomi dati a quei dodici demoni non gli sembrano inventati tanto a capriccio quanto apparisce osservandoli superficialmente ; perchè trova in quel tempo essere potestà di Firenze Manno Branca da cui forse Dante formò il nome di Malebranche; da Jacopo Ricci, allora gonfaloniere , il nome di Barbariccia. Massaio dei Raffa- L’ eleusino significato di quella parola , che fu o d°’ irrisioni o di dicerie ca- gione ci farà conoscere che Dante compose un POEMA SULLA MONARCHIA Jura Monarchiae cecini. A chi volesse ridere di questa mia promessa io propongo la scommessa di 100 lire sterline, o di mille , se non disdegna. Così vi fosse, che io me le vedrei già piombar sonanti nelle mani ; Io le immagino sì che già le sento. 12 cani fra quei primi priori, è Grafficane. Così Rubicante pazzo forse può venire da Pazzino de’ Pazzi; Alichino da Medico Aliotti. Non faremo neppur noi parola, come fa pure l’autore , della provenienza degli altri nomi, per credere che Mala coda sia Corso Donato ; Draghignazzo, Betto Brunelleschi ; Scarmiglione, Rosso della Tosa ; Ciriatto , Geri Spini ; Calcabrina, Marruccio Cavalcanti , ec. E giacchè parliamo di allusioni fra demoni e dannati a per- sonaggi storici, troveremo al canto XXV fra i ladri Ciacco, Agnel- lo Brunelleschi, Guercio Cavalcante ; i quali sospetterebbe l’au- tore che Dante intendesse essere fisura del conte Giovanni fra- tello del re di Napoli, di Betto Brunelleschi, e di Marruccio Cavalcanti, adducendo qualche ragione per sospettarlo, non già per crederlo. Nè possiam trattenerci dal notare ciò che troviamo nelle ri- flessioni apposte al canto XXVIII. Giudica l° A. che Maometto sia figura dello scisma di Firenze, o di taluno che sparse dis- sensione frai cittadini, e quindi immagine di qualche scellerato ghibellino. Dante dice che era rotto dal mento fino a tutto il ven- tre in guisa tale che così non si guasta una botte (veggiz), per perdere le doghe del fondo , (lulla e mezzule): e 1° autore nota che questa similitudine non è posta a caso; indicando che al giungere di Arrigo innanzi Firenze quella città perdè il mezzuLa luogo così detto ; senza però citare lo storico da cui tragga que- sta notizia. Passando il lettore alle riflessioni apposte al canto seguen- te, troverà in primo luogo la parola tegghia e 1° altra ventraia la prima in una similitudine , 1’ altra in una descrizione. L’au- tore dubita che colla prima il poeta alluda a Tegghia Frescobal- di , il quale con un certo Ventraia , come narra il Compagni, si aggiunse ai fieri nemici di Arrigo. Lasciamo qualche cosa alla curiosità dei lettori, i quali nelle riflessioni de’ canti che rimangono e specialmente in quelle al XXXI, e al XXXIV potranno vedere le allusioni ed allegorie che trova l’ autore ; per lo che singolarmente notabili sono le ri- flessioni all’ ultimo canto: e passeremo alla Disamina del siste ma allegorico della Divina Commedia, che l’autore aggiunge alla fine della cantica dell’ inferno. Questo trattato è diviso dall’ A. in parti, in lezioni e in ca- pitoli. Noi sentiamo il dovere di confessare ingenuamente che fino dal principio troviamo difficoltà nel poterne dare ai lettori un’ adequata idea, esponendone il disegno , 1’ ordine , e le tante 13 cose nuove , e in apparenza strane , che vi si contengono. Così confidiamo che sia per esserci scusato il disordine che’ temiamo non sapere evitare nell’ esporre lucidamente l’ intendimento del- l’autore ; e forse saremo non accurati e involontariamente non tanto fedeli espositori della sua mente. Invochiamo pure indul- genza se in qualche parte ci avvenisse il dissentire alcun che dalle opinioni di lui. Egli comincia da stabilire che i Ghibellini avessero unica- mente in mira il promovere l’ unità dell’ Italia , il rettificarne il reggimento civile, e la disciplina ecclesiastica: che essi celata- mente contertassero fra loro le operazioni conducenti ad ottene- re l'intento loro: che per intendersi e non essere intesi da al- tri avessero un gergo convenzionale : che nascondessero con som- ma gelosia di appartenere al partito de’ ghibellini o bianchi, e le loro intenzioni; che fossero in continua relazione fra loro na- scosamente alla parte nera o de’guelfi, alla testa della quale era la curia romana: e quindi avere avuta origine una misteriosa favella , che altro mostrasse da quel che intendeva di signi- ficare . Passa quindi a dare un saggio di questa arcana favella. Amore , o Amor era l’ affetto per l’ impero ; poichè se que- sta parola tronca s’ inverte dice Roma , ove volevano stabilito l’ impero : se per intera si divide, dice Amo Re. DonnA e Manonwma voleva significare potestà imperiale. SaLurE valeva quanto imperatore. Così le parole: madonna manda salute a’ suoi amanti significava : la potestà imperiale man- da il suo rappresentante a’ suoi partigiani. Vira significò ghibellinismo : vivere fu sinonimo di essere ghibellino: Vira nuova volle dire il ruovo corso di sua vita poli- tica . Nascimento l’ istante in cui vi entrò. Cortesia significò imperialismo , da corte, perchè l’impera- tore ne era capo. Morte si adoprò per indicare guelfismo; e perchè il capo e regolatore ne era Bonifazio VIII, si usò nello stesso significato anco la parola PretA. Inpro era !’ impero : LucireRo il suo antagonista. CirLo la scienza poltica: TerrA fu simbolo dell’ azione: Mare della meditazione. Marra fu il nostro emisfero : Lucia l° emisfero opposto: Ft gli di Maria sono i guerrieri ; quei di Lucia i consiglieri. Fonte, RUSCELLO , ACQUA ec. erano simbolo dell’ educazio- ne, e de’ popoli che ne erano il soggetto. 14 Uomini erano i proseliti attivi: Donne i loro direttori con- templativi, ec., ec. ì Nè queste sono tutte le frasi e i vocaboli di quell’ allegorico linguaggio ; giudicando 1’ autore che le fino a qui esposte sieno una chiave bastante a comprendere molte delle idee di Dante espresse sì nel poema che nelle altre opere di lui e di tutti i poeti ghibellini di quel tempo : dopo di che soggiunge : « Gran cose per esse scopriremo : e se per un lato ci farà ma- raviglia che sieno rimaste interamente sconosciute fino a’ dì nostri, a malgrado delle tante ricerche fatte su quel secolo , non ci farà stupore dall’ altro il riflettere che era presso che impossibile il capirle , atteso lo stravolgimento totale del linguaggio, per mez- zo del quale gli uomini divenivano donne , e di quelli che erano sulla terra belli e sani , altri vivi , altri morti, altri angeli , altri demoni , altri agnelli , altri becchi , altri cani, altri lupi , altri belve , altri piante ed acque ec. ec.; e si scemerà ancor più la sor- presa ; quando dalle loro parole ci sarà manifesto con quanto di solerzia e di gelosia custodivano essi tali arcani, ec. (11). Nè a comprovar ciò mancano all’ autore monumenti , ed anzi ne ha troppi; e questi sono quasi tutti i versi scritti o in brevi (11) Dopo le parole dell'A. qui riportate forse taluno potrebbe domandare: 1. Se tutte queste cose arcane rimasero sconosciute agli studiosi posteriori a Dante di uno, due , o tre secoli , pare che non avrebbero dovuto essere scu- nosciute affatto ai commentatori contemporanei , o che dichiararono la Diviva Commedia al principio del secolo seguente . Come mai niuno di questi fa pa- rola dei significati misteriosi che nel poema. si adombravano ? 2. Se nel secolo di Dante o poco dopo fu quasi impossibile capire i signi- ficati e le allegorie nascoste sotto certe parole , come mai la difficoltà non sarà divenuta impossibilità per chi venne dipoi , e fu costretto a fare indagini su quel secolo tanto lontano da noi 2 3. Se con grande gelosia erano custoditi quelli arcani dagli scrittori coevi di Dante, come si può dire che Dante osservi questo mistero quando parla tanto pa- lesemente contro di Bonifazio VIII, contro Filippo il Bello ed altri del partito guelfo ; quando rimprovera Alberto , l’Italia ec. ec. ; e parla con tanta lode dei più acerrimi ghibellini ? 4: Perchè Dante non rispettò questo mistero in infiniti luoghi del suo poe- ma, e poi palesò la sua mente in tanti altri luoghi senza servirsi del gergo necessario ? 5. Come mai avevano i ghibellini bisogno di celare la loro condizione ai guelfi quando combattono iu campo co’ guelfi , quando Daute si manifesta co- ine ghibellino nella Divina Commedia e nelle altre sue opere, nelle lettere ad Arrigo, e in altre, e come tale accenna che era pubblicamente conosciato ; e come tale si rifugiava presso i più potenti capi de’ ghibellini ; ed espulso da Firenze vi si avvicinava quando eravi speranza di credere cacciati i guelfi ? 15 composizioni o in voluminosi poemi da autori più o meno noti di quell’ età. De°quali si propone di scegliere, non quelli che più vi- sibilmente posson deporre a favore del suo asserto quali sono le rime della vita nuova , e le lunghe canzoni di Dante e de’ suoi amici. E appunto dalla vita nuova deduce che Dante, ‘sebbene uscito di famiglia guelfa , fino dalla prima gioventù fosse già ad- detto alla parte ghibellina , e che tale divenisse fin da quando egli andò a studio a Bologna , fucina del ghibellinismo italico ; e probabilmente per opera di Giovanni di Virgilio : e perciò Dante forse disse che per Virgilio fu ritratto dalla lupa (12). E crede l’A. che in quella città avesse origine’ quell’ arcano linguaggio , e che per ciò Dante portasse sentenza che quella da lui detta lingua cor- tigiana, aulica. curiale fiorisse în Bologna più che altrove. Dici- mus ergo quod forte non male opinantur qui Bononienses asse- runt pulchriori locutione loquentes : 1. I, c. 15. Sentenza che fa alzare un grido di meraviglia a tutti coloro che sanno quanto in- forme sia il vernacolo bolognese, e quanto inferiore non solo al toscano , ma al romano e ad altri molti italici dialetti : sentenza che altri volle pianamente interpretare , col supporre che il vol- gar di Bologna fosse nel corso dei tempi così degenerato. Ma il dottore del dire cortigiano non di lingua volgare, ma d’ idioma ghibellino intendeva favellare. In prova di che osserva che quei poeti nominati nel suo libro de vulgari eloquio , Guittone , Bonagiunta da Lucca, Brunetto Latini, ed altri furono guelfi, e perciò sono notati come inferiori ad altri scrittori, come Guido Guinicelli , il Cavalcanti ec. perchè i detti loro furono municipali e non curiali, cioè , avevano amato, non la curia imperiale , ma i loro parziali municipi , cagione del- l’ italica divisione. Altrimenti intendendo ciò che di quelli dice Dante , egli avrebbe torto a chiamar municipale la lingua di Bru- netto (13). Oggimai sarebbe errore il citare come opera di lui quel benedetto Pataffio. (+2) Che di ghibellino Dante st voltasse al partito guelfo , e che tale rima- nese per qualche tempo , ma che all’epoca del suo esilio si pentisse di aver caugiata parte , e che qualche altra volta fosse per ‘abbandonare la parte ghi- hellina, pare che l’A. lo argomenti dal souetto XVIII fra le rime di Dante; il quale però va inteso , come scritto in linguaggio misterioso , secondo l’'anuun- ziato gergo. (13) Che Dunte in quel suo dubbio trattato De vul/gari eloquio intendesse per volgare illustre, cortigiano il linguaggio ghibellino, potrebbe rilevarsi da un passo dello stesso libro. Intendendo i versi di Cino secondo questo linguaggio 10 Segue poi 1’ autore ad annoverare molti e molti poeti di quei tempi , e a citarne vari componimenti o sentenze separate di que sti, a confermare con gli, esempi, che parlando di amore , di ma- donna , di pietà , di morte , di vita , ec. non intendevano scrivere, s» nonin apparenza , versi amorosi ; i quali debbono intendersi co- me risguardanti alle condizioni politiche di loro individualmente , e a quelle del loro partito : e sono chiamati a rassegna Guido-Gui- nicelli, Bonagiunta da Lucca , Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, Cino da Pistoia, Gherardo di Reggio, Giglio Lelli, Senuccio del Bene , Dante da Maiano, Nuccio Sanese, Gui- do delle Colonne ,, Rannuccio del Bagno Pisano e quanti altri mai Rime d’ amore usar dolci e leggiadre nella fine del XIII , e nel principio del XVI secolo. (14). E via via procedendo , segue l’ autore a citare non solo voca- boli e frasi di questo gergo, ma ancora non pochi accozzamenti di sillabe e di parole onde rendersi a coloro d° altro partito : e quiadi scende ad interpretare parecchi mottetti de’ Documenti d’ amore del Barberini, de’ quali propone il modo di leggerli, e le spie gazioni. Staremo contenti a riportarne due soli per dare un sag- gio del come l’ autore scopre il loro significatu , sbrogliandolo dalla loro manifesta oscurità. spparisce che essendo egli atato esiliato come ghibellino, non sì mantenesse costaute nel partito imperiale; per lo che meritò i rimproveri degli amici co- me ‘ioclinante alla parte guelfa. Posto ciò, I)ante dice in quel trattato L, E. C, 13 che sebbene Thusci in suo turpiloquio, sint obtusi (forse per essere in gran parte guelfi) nonnulli vulgaris excellentiam cognovisse sentimus, scilicet Guidonem $ Lapum et unum alium (forse Dino Frescobaldi ) Florestinos, et Cinum ‘Pistoriensem, QueM NUNG INDIGNE POSTPONIMUS ; NON INDIGNE COACTI . Chi ‘dei sostenitori dell’ autenticità di quel libro potrà indicarmi se per lo stile ela lingua, meriti di essere rimproverato per avere abbandonato la lingua cor- tigiana , ed essere quindi divennto uno scrittore di liugua plebea? Le sue rime esistono , e chiunque è capace di giudicare se meriti la sentenza di Dante. (14) Peusaudo che i poeti d’ ogni età e d’ ogni nazione hanno tutti affet- tuosamente cantato d'amore, e che singolarmente co’ versi han procurato di rendersi benevole le loro belle , esiterà forse taluno a persuadersi che tutti co- loro qui annoverati, e gli altri, abbiano inteso di parlare di tutt’ altre, fuor che d'amore; e forse crederà che volendo supporre quel linguaggio un gergo, dando alle parole altro, significato da quello che hanno comunemente , i loro versi potrebbero ancora interpretarsi come se trattassero di religione, di filosofia morale, d’ alchimia, di gioco del lotto, e di qualunque altro soggetto, quando si volesse supporlo trattato enimmaticamente. Ma ciò non diciamo per toglier fede alle interpretazioni dell’A., ma per invogliare altri alla lettura di questo nuovo commento. 214 Il mottettò XLI dice: Se tu fili , fila grosso , O non troppo sottil mai, Quando volpe , quando vai. Sciogli , prosegue 1’ autore, 1’ ultimo verso così: Quando vol P, quando va I ; e spiega : se tu scrivi, scrivi grossolano papale ; o se da impe- riale, non mai troppo sottile , talchè nessuno t’ intenda. Fa’ co- me i tempi; quando vuol Papa (vol P) quando va Imperatore (va I): cioè secondo che il Papa vuole , o secondo che 1’ Impe- ratore va bene. Ma forse il mottetto, perchè riesca più chiaro dee ordinarsi cos ì: Se tu fili , fila grosso quando vol P ; O non troppo sottil mai quando va I. Pi L’ altro mottetto , che è il XIX dice: L’ erbette son tre lettere , che stanno In quel che è poco danno ; Se gli vien l’ emme per esser la quarta, Come chi bocca per se forza squarta. L’ autore scioglie l’enimma contenuto in questo mottetto , di- cendo che il significato è come segue: Poco danno sarebbe il fare a pezzi Roberto , come si fa ad uno sboccato rivelatore de’ nostri segreti. Leggasi come segue, e si vedrà ch’ egli e così: . L’RBT son tre lettere che stanno In «uel (cioè in colui, in Ro Ber To)che è poco danno; Se gli vien 1’ M (cioè morte) per esser la quarta, (lettera ; egli vien così) Come forza (Ghibellina) squarta chi bocca aperse. A questo particolar tema è destinata la prima parte della Disamina del sistema allegorico. Nella seconda torna a parlare di altre allusioni della cantica dell’Inferno, e segnatamente dell’ul- ‘ timo pozzo infernale, per arguire quali guelfi sieno simboleggiati nei giganti che vi stanno a guardia. In Nembrotto edificatore della torre di Babele vi vede Gui- do della Torre: Fialte è Roberto di Puglia re di Napoli : Briareo è simbolo di Filippo re di Francia. Il guidatore della Guelfa Bologna lo ravvisa in Anteo ; e vede in Tizio e in Tifo, Lodovico Re di Navarra e il principe di Taranto. Vogliamo lasciare ai lettori la sodisfazione di vedere nell’opera dell’A. su quali argomenti si ap- poggino queste supposizioni, e quali ragioni lo portino a credere di T. XXXII. Marzo. 3 18 chi sia simbolo Lucifero. Tornando poi a parlare del gergo alle- gorico , accenna alcune alterazioni fattevi, e le novità introdot- tevi dall’ istesso Dante ; trovando sempre nuovi motivi per cre- dere che il libro del volgare eloquio, non della lingua d’Italia , ma tratti unicamente dell’ arcano linguaggio de’ Ghibellini. Fa sperare l’ autore che giunto al. termine del commento sulla commedia’, adoprerà per l'illustrazione e del convito , e della vita nuova ; in proposito della quale, egli nota le seguenti parole: Poichè la gentilissima donna fu partita da questo secolo , rimase tutta la sopraddetta città (15) quasi vedova, dispogliata d’ ogni dignità : onde io lacrimando in questa desolata città scrissi ai principi della terra alquanto della sua condizione, pigliando quello cominciamento di Jeremia : Quomodo sedet sola civitas ple- na populo ? facta est quasi vidna domina gentium ec. ec. Or qual ragione vi può essere di prendere occasione dalla Beatrice per scrivere ai principi della terra circa le condizioni della desolata città ? e quale interesse prender potevano quei principi, che era- noi cardinali italiani (Cardinalibus italicis, Dantis de Florentia epistola) , per la morte della figlinola di Folco Portinari? Qual relazione vi è fra la morte d’ una giovinetta e il contennto di quella lettera scritta , per quel che opina l’ A., circa otto mesi dopo la morte dell’imperatore Arrigo di Lucembergo ? Tutte que- ste circostanze fan sospettare, non senza ragione, arcana la persona di Beatrice. Quindi l’autore si propone di far conoscere a suo luogo di chi sia simbolo Beatrice. Ometteremo alcune altre investigazioni , che. forse a taluni sembrar potrebbero troppo sottili; e queste si raggirano sopra al- cuni nomi che risultano dalla artificiosa combinazione di alcu- ne lettere. Per esempio ne’ versi seguenti si legge il nome d’ Enrico Quando ci vidi venire un possENte Con segno di vittoRIa inCOronato. E negli altri Di tre colori ed una continENza : El’ un dall’ altro come iri da iRI, Parea riflesso , ’l terzo parea foCO . Roberto, che abbiam veduto esser simboleggiato sotto il no- me di Fialte , leggesi ne’ seguenti versi , ne’quali appunto parla Dante di Fialte: (15) Si noti che in tutta la Vita Nuova non si dice mai qual fosse que- sta città, 19 | Dinanzi Vl’ uno: e dietro il braccio dest RO D’ una catena che ’1 teneva avvinto Dal collo ingiù , sicchè ’n sullo scoPERTO Si ravvolgeva in sino al giro quinto. In proposito di che nota 1° A. che a dare indizio che veramente vi si parli di Roberto, oltre leggervisi il suo nome espresso, vi è indicato che egli era in stretta alleanza con Clemente Quinto ove dice che la catena si ravvolgeva insino al giro quinto. Trovando 1’ A. che Dante trattò del suo ghibellinismo, ed usò lo stesso linguaggio tanto nel dettare i suoi versi quanto le altre opere in prosa, destina in questa Disamina un breve ca- pitolo al Convito , di cui per adesso nota alcuni passi promet- tendo poi una più estesa illustrazione di quei trattati), da’quali arguisce che Dante lo scrivesse per iscusarsi di due tacce : l’una apertamente dice essere, di aver seguito tanta passione (amorosa); senza poi palesemente dire qual sia la seconda taccia: ma che intende del suo ghibellinismo : e ciò argomenta dalle seguenti parole dello stesso Dante. Ahi piaciuto fosse al dispensatore del- l’ universo che la cagione di mia scusa mai non fosse stata! Che nè altri contro me avria fallito , nè io avrei sofferta pena ingiu- stamente ; pena dico di esilio e di povertà; poichè fu in piacere de cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma Fio- renza di gettarmi fuori del suo dolce seno, nel quale nato e nu- drito fui sino al colmo della mia vita; e nel quale con buona pa- ce di quella desidero con tutto il cuore di riposare l’animo stanco, e terminare il tempo che mi è dato. Accennando Dante che la taccia data alle sue canzoni era quella stessa che gli cagionò l’ esilio , e sapendosi da Gio. Villani che il suo esilio fu per cagione che quando Messer Carlo di Valois venne in Firenze l’ anno 1301 cac- cionne la parte bianca , e però senza altra colpa Dante colla detta parte bianca fu cacciato e sbandito da Firenze ; par mani- festo che questa taccia seconda fosse del suo ghibellinismo. No- ta pure l’ A. altro passo dello stesso convito: e se nella presente opera , la quale è convito nominata, e vo’ che sia (16), più vi- rilmente si trattasse che nella vita nuova, non intendo però a quella in parte alcuna derogare , ma maggiormente giovare per (16) Qui il ch. Rossetti aggiunge la seguente annotazione : ‘ Notate ‘a frase: Vo'che sia nominata convito . Togo sarà in cui verrà dimostrato che quest'opera in prosa duvea chiamarsi convito, come quelle in versi Commedìa , e si badi di pronunciar con accento l'è, Commedia , come fa Dante ogni volta che la nomiva, perchè anche di quell’ accento vi è una ragione. Di ognu- na di queste cose sarà fatta dimostrazione : ne dò solenae promessa ,,. 20 questa a quella ; veggendo siccome ragionevolmente quella fervida e passionata, questa temperata e virile esser conviene. Dalle quali parole induce IPA. che lo scopo e il linguaggio d’ambedue l’opere è lo stesso, ma. che altro si convien dire ed operare ad una età altro ad un’ altra : e quindi che Dante, mancato Arrigo , man- catagli ogni altra speranza di ritorno alla patria, per essere riu- scite vane le vie tentate dagli amici e dai parenti , intraprese a scrivere quei trattati qualche tempo dopo il 1313, declinando già a vecchiezza , all’ età di presso cinquanta anni. Non essendoci occorso di vedere la celebre edizione del Co n= vito recentemente fatta da due esimi cultori della nostra let- teratura , non sappiamo se vi si parli dell’ epoca in cui Dante scrivesse quel trattato ; del che si è in parte data cura il ch. prof. Scolari in una sua appendice all’edizione del convito fatta a Padova, (17), di cui cortesemente si è compiaciuto farci do- no. Contiene essa alcune annotazioni, gli argomenti dei trattati e de’ capitoli del convito, ed una tavola dei nomi propri e delle cose notabili che nel convito si rinvengono. Lo scopo di questo suo lavoro fu di fare speditamente com- prendere l’ordine e la grandezza degli argomenti di filosofia mo- rale in quello trattati , e di rendere più agevole il rinvenire i tanti insegnamenti, dottrine e notizie d’ ogni maniera, delle quali abonda. E quindi prende a ragione a dolersi che con inco- modo degli studiosi general»merìte si trascuri il corredo delle ta- vole e degl’ indici in tanti libri moderni. E sebbene egli abbia inteso a far conoscere quel sovrumano ingegno di Dante, e quar- to importi che nelle opere di lui si veneri la fonte della nostra odierna cultura , e la preziosa eredità lasciataci dal padre della nostra lingua; e gl insegnamenti di un vero filosofo, e perciò su- blime teologo ; pur nonostante non trascurò in questa appendice le interpretazioni ed illustrazioni di teoria ghibellina per dichia- rar molti luoghi del convito ; se fosse da usare in ogni luogo il vocabolario della fazione ghibellina che è dimostrato dal sig. Ros- setti aver regnato a’ tempi di Dante. Ma aspettando che resti compita l’ edizione di quel commento ha portato le proprie cure solo ai principi certi e generali ricevuti finora. Nella prima annotazione propone che il cognome di Dante debba scriversi ALLIGHIERI e non altrimenti, comprovando la sua proposta con monumenti, e con autorità di codici e di edizioni. (19) Appendice all’ edizione del Convito di Danre Auuieri, fatta in Pad,va dalla Tipografia della Minerva. Padova per Valentino Crescini 1828. 25 Nella Il, mostra: che l’idea di scrivere il convito, di esten- derlo a 14 canzoni morali; e ad altrettanti che le dichiarassero, è posteriore alla più gran parte de’ viaggi di Dante fatti nel tempo del suo esilio : che la canzone Voi che intendendo il terzo ciel movete e il II trattato che la dichiara, sembra essere opera scritta dal- l’agosto al settembre del 1292, quando il poeta era in età di cir- ca ventisette anni; che il III trattato apparisce scritto in tem- po più prossimo a quello in cui fu dettato il II, che il primo trat- tato; che il IV fu composto intorno al 1298, comprovandolo con non equivoci documenti , ai quali sono d’appoggio varie citazio- ni del trattato medesimo ; soccorse dall’ istoria. La quinta annotazione ci sembra degna di essere riportata per intero. « Pag. 21 per nobiltà , perchè il latino è perpetuo , e non corruttibile ec. < A questo luogo ricordano gl’ illustri editori aver Torquato Tasso fatta annotazione nel margine, che Dante 4 questa opi- nione contraddice nel libro della volgare eloquenza , ove vuole che il vulgar sia più nobile perch’ è naturale. Aggiungono che la con- tradizione si fa palese a chiunque legga nel cap. I del lib. 1 de vulgari eloquio sive idiomate : nobilior est vulgaris (locutio) tum quia prima fuit humano generi usitata , tum quia ec. con quello che segue. ,, « Mi sia permesso con profondissimo ossequio di recare in- nanzi le osservazioni seguenti. I. Dante è tale scrittore, cui l’idea d’ un principio da sè manifestato in un tempo , e conosciuto er- roneo di poi, genera tanta cura per emendarlo e per toglierlo , che senza risparmio alcuno dell’ amor proprio si fa sollecito di avvisare che quella opinione fu da lui falsamente abbracciata. Un autore che dà di sè medesimo tal caparra (V. pag. 107 (18), non merita dunque taccia consimile , se non risulti manifesta- mente provato che la contradizione sia proprio nel testo vero di una sua opera, messo a confronto d’ un' altra parimente sua : e che inoltre non resti adito alcuno a poter conciliare le due di- verse sentenze. II. Ciò premesso sono circostanze notabilissime , e da non esser mai sorpassate in confronto di questo canone del- (18) Il ch, Scolari cita qui la pag. to7 del Convito, ove Dante dice che l’ ombra che è in essa (luna } non è altro che rarità del suo corpo: della quale opinione, che pure ripete nel Paradiso C. II., mostra ivi essersi ricreduto come di un errore; facendosi correggere da Ben:rise. 22 )’ arte critica , quelle che riguardano la prima pubblicazione del libro de vulgari Eloquio. Le raccolgo in succinto e precise. — a) Abbiamo dal Boccaccio che Dante , già vicino alla sua mor- te, compose due libri d’ un’ opera in prosa latina, che restò im- perfetta ; e che intitolò de Vulgari Eloquentia: invece la prima volta che venne a stampa essa venne in lingua italiana (Vicen- za 1529) due secoli dopo la morte dell’ autore. — b) Il Filelfo dà per principio del libro di Dante un testo latino diverso da quello che abbiamo adesso. — c) Il primo preteso codice , con- tenente il testo latino, fu trovato a Padova (nota luogo per ri- guardo alla compilazione d’ un testo latino); fu trovato non si sa bene da chi e come, un altro mezzo secolo dopo (1570): nè un codice di tanta preziosità (altra meraviglia ') non fu stampato a Padova , e quivi con gelosia custodito, ma invece fu mandato di volo a Parigi, a chi? Al famoso Corbinelli toscano (NB. Amicis- simo di Torquato Tasso): questi lo stampò (Parisiis 1577 in 80) ad eremplar vetusti , et unici scripti codicis. Il famosissimo codice poi requiescat in pace. Viva la verità! che poteva fare altro l’im- mortale amico del Corbinelli se non che avvedersi e restringersi a notare in margine la contradizione del testo Corbinelliano con quell’ autentico del Corvito ? Intanto l’ edizione 1577 gittò ra- dici : e non per ricondurre in campo questioni antiche , ma solo per forza di verità, affermo che fino a’ tanto che non vengano positivamente decise, nissuno vi sarà mai che possa credere più conveniente l’ acquietarsi in una idea di contradizione in Dante; piuttosto che in quella di una falsità 0 imperfezione o generale o parziale nel testo del Corbinelli. ,; Le annotazioni 6, 7,9, 10, 11, 13, 15, 17, 21, 22, 23, 24,25, 27; 28, 31, 32, 33, 35, 36, 37, 40,41, 42, 43, 45, 46 appartengono a varianti o a correzioni di lezione. La XIV supplisce alla serie de’ luoghi degli autori citati da Dante con due soli testi alle parole Za pace mia... la mia perfetta; il primo dei quali è tratto dall’ evangelio diS. Gio. c. 14, v. 27; l’altro dal Cantico de’ cant. c. 6, v. 7; 8. La XVI indica come si debba intendere la parola mente nella Divina Commedia. Le XIX, XXIX, XXXIV portano alcune avvertenze di voci da notarsi nel vocabolario per non indicata significazione. Le XLVII, e XLVIII confermano l’epoca in cui il prof. Sco- lari suppone scritto il IV trattato del convito. Fino ad ora abbiam veduto due diverse opinioni, rispetto al- l’ epoca in cui tu scritto il convito; e all’ intelligenza per una 23 parte che deve darsi ai libri del volgare eloquio , e alla dubbia autenticità de’ medesimi. Il sig. Rossetti è di avviso tutto il con- vito. essere scritto nell’età più avanzata di Dante ; il professore Scolari è di parere alcuni trattati essere stati scritti nella età giovinile , altri in un’ età più provetta di lui, e non in ordine cronologico secondo l’ ordine numerale dato loro. Quanto poi ai libri del volgare eloquio, il primo è di opinione che del linguag- gio ghibellino vi si parli non del volgare italiano ; il secondo tiene che il libro che abbiamo a stampa con questo titolo , sia in gran sospetto di falsità. Di uguale avviso è il chiarissimo sig. Follini accademico della Crusca: e forse a quest’ ora avremmo a stampa il suo lavoro , di cui lesse parte in una solenne adu- nanza dell’ accademia , se non avesse veduto crescere ogni dì più la necessità di nuove indagini onde rendere realtà i propri sospetti. Sembra indubitato che quest’ opera , forse non tale quale oggi abbiamo e latina e italiana , fosse meditata e. scritta negli ultimi anni della vita di Dante; e che egli trovasse degno di maggiore estensione ciò che nel primo trattato del convito (scritto da lui in ultimo luogo) dice del volgare. E forse credè necessario di tutelare la Divina Commedia , perchè scritta nella lingua delle donne e del popolo , contro i pregiudizi di chi avrebbe tenuto "per vile il linguaggio impiegato per trattare l’ alto subietto del poema sacro , l’ apoteosi della sua Beatrice; il qual poema sembra che non fosse mai reso pubblico prima della morte del poeta. Nel che il ch. Scolari conviene nell’opinione di Ugo Foscolo ; essendo però ben lontano dall’ aderire al medesimo quando dice di essersi Dante proposto nel suo poema “ di riordinare per mezzo di celesti reve- lazioni la religione di CrIsro ,,. L’audacia di una tal proposizione (aggiunge lo Scolari) è ir. verità tanto enorme , e tanto indegna- mente mette la Divina Commedia alla condizione dell’ Alcorano , che bene a ragione ne mossero le più alte querele gl’ illustri editori del convito nella prefazione. E noi pure proponendoci di dire alcuna cosa di questa opera del Foscolo (19) incominceremo dall’ avvertire che crediamo esser ben pochi per assentire a quella sentenza di lui, del ben piccol numero de’ quali certamente non siamo noi , sebben per iscusarlo (19) La Commedia di Dantt Auicuieri illustrata da Uco Foscoto ; co/- l' epigrafe: meruit deus ipse videri , carmine complexus terras , mare , sidera , manes. Lugano , da’ torchi di G. Vanelli e comp. 1827. - 24 in qualche maniera si vuole attribuire alla troppa vivacità del suo carattere suscettivo ad irritarsi, o alla consuetudine di vivere da qualche tempo fuori d’ Italia, la quale però avvisiamo che debba conservare onorevole memoria dell’ alto ingegno di questo suo figlio . Due soli volumi della prima parte della sua i/lustrazione abbia- mo alle stampe, il primo de’quali dà il prospetto di questa edizione distribuita in cinque parti. Non sappiamo se l’ autore compisse il suo lavoro, o se per morte lo lasciasse incompleto e ne compilasse la sola prima parte; la quale consiste in un discorso sul testo della com- media : mentre la seconda è destinata ad esporre Lo stato civile în Italia a’ tempi di Dante , e a contenere la cantica dell’ Inferno, e le varie lezioni considerate a’ piedi del testo: la terza a trattare della letteratura italiana del secolo XIII, unitavi la cantica del Purgatorio: la quarta a discorrere della religione all’ età del poeta, e a riportare la cantica del Paradiso. La quinta parte era riserbata per una tavola cronologica delle notizie intorno la vita , la fuma e l’ opere di Dante ; per la serie de’ biografi, de’ commentatori , dei codici e delle edizioni della commedia ; e per l’ indice delle allu- sioni oscure e de’ vocaboli. Non essendo in verun modo provato, e quindi incerto se Dan- te divulgasse il suo poema o in qual tempo, e in qual condizione lasciasse il suo autografo ; 1’ autore è d’ avviso che sino agli ultimi giorni della sua vita il poeta lo ritoccasse , e vi facesse cangia- menti , sottrazioni ed aggiunte secondo che il destro gli si presen- tava di alludere a luoghi , a fatti, a persone : e che non lo pub- blicasse mai in vita appunto per l’ imprudenza della sua sincerità , costretto com’ era a ricorrere per cercar favore, ospitalità , asilo presso quei potenti tirannetti italiani , che in un modo o in un altro aveva men che favorevolmente rammentati nel suo poema. Non esser possibile fidarsi alle date dei fatti che vi si riportano per determinare il tempo in cui furono scrittii versi, i canti, le cantiche che lo compongono secondo un ordine cronologico. E sebbene Dante non abbia forse lasciato completamente finito , giusta la sua intenzione , il poema , poteva antecedentemente e da’ primi tempi del suo esilio averne concepito il disegno e 1’ orditura, in modo però da potere, a seconda delle circostanze cangiare ; sopprimere , ed aggiungere. — Che tuttii codici che ne sono rimasti proven- gono non da un solo , ma da diversi originali, smarriti di poi; e perciò non potersi attribuire ad opera altrui tutte le varianti che vis’ incontrano, ma in parte , e le più luminose, allo stesso poeta. 25 Quindi poca fiducia doversi avere a’ diversi MSS., tutti posteriori qual più qual menoa Dante, coll’ oggetto di ridurre la commedia ad una sola e genuina lezione. In conseguenza egli non dà gran merito neppure a’ più accre- ditati , non eccettuati e quello di Filippo Villani, sebbene forse Y unico più antico e meno incerto ; e il famoso codice Vaticano , copiato dal Boccaccio , e postillato dal Petrarca, e collazionato dal Bembo , e seguitato dall’ Aldo (20); e l’esimio codice della libreria de’ principi d’ Este , unico testo dantesco di cui faccia menzione il Montfaucon nel suo diario italico ; e il codice Bartoliniano predi- cato dal suo ch. illustratore come scritto nel Friuli al tempo di Dante , che ivi si suppone essersi trattenuto per tutto l’anno 1320 penultimo della sua vita. Non istaremo a riportare tutto ciò che il Foscolo oppone all’ autorità di questo codice, non meno che alle conghietture del ch. Viviani relativamente alla dimora di Dante nelle terre trivigiane , e all’ epoca in cui furono dettate alcune parti della Commedia, Ed avviene così spesso che travolgendo la storia per predi- lezione o per preoccupazione in favore di certi grandi scrittori , l’ uomo , fidandosi ciecamente senza credere che bisogni portare sulle loro asserzioni una scrupolosa disanima , e faccia delle false conghietture biografiche , che molti sono stati indotti in errore da ciò che dice il Petrarca istesso parlando della vita , de’ costumi , dell’indole ec. di Dante. E quindi nota che neppure a quello scrit- tore debbasi prestare intera fede ove parla della mordacità di Dante contro il suo benefattore, e della poca cura che esso si prendesse della propria moglie e de’ figli nel tempo del suo esilio , quasi gli avesse abbandonati alla provvidenza. Per quanto il Pe- trarca professi non aver mai sentito invidia per chicchessia, dalle stesse sue opere si scorge mal suo grado che egli portava invidia profonda alla fama di Dante , di cui confessa essersi sempre guar- dato dal leggere i versi , per non mettersi nel caso di prendere da quelli pensieri, ed abito a seguirne le maniere e lo stile. Nè andò immune da rimproveri “ un elegante scrittore fra (20) Avverte il Foscolo , p. 177, che il Bembo non legge i versi del poe- ma come stanno nel testo del Vaticano ; che gli editori di Padova hanno no- ‘tato che non risponde alle citazioni delle chiose attribuite al Boccaccio ; nè credono verisimile che il Boccaccio lo copiasse e ii Petrarca lo postil!asse , la- sciandolo brutto , com'è, di lezioni false , di errori, e di versi di non giusta misura. T. XXXIII. Marzo. 4 26 molti ineleganti sacerdoti del Dio Dante Allighieri ;, (che così è chiamato dal Foscolo il Perticari). Egli i/luminò le tracce tenebro- sissime della lingua italiana : ma quando poteva esser giudice , assunse le veci di avvocato , e se ne stette a’ fatti e a’ testimoni, non per appurare , ma per vincere la ilite. ,, Or chi gli dicesse: (segue l’ A. p. 273) la poesia che voi recitate per saggio di lingua del 1250, e d’ idioma italiano in Romagna, sotto il nome dell’Ubal- dini faentino , non nominato da Dante fra’ poeti , non è ella in più libri attribuita a Franco Sacchetti ? forse non sente 1’ amabili- tà tutta propria di questo scrittore e le grazie native del dialetto fiorentino ? O non suona co’ numeri della poesia e della lingua dell’ età del Petrarca e del Boccaccio , anzichè co’ vagiti di quanti rimavano innanzi che Dante nascesse ? Risponderete coi nomi di critici ? No! ma autorità di compilatori . Il non avverar le date e 1° autenticità de’ documenti ha indotto 1’ autore dell’ amor pa- trio di Dante in vari anacronismi. Gli editori di Firenze e di Pado- va sì richiamano a lui nel dire che 1’ antichissimo romanzo che so- spinse gli occhi e scolorò il viso di Paolo e di Francesca fu proibito al tempo stesso di Dante nel 1313 da Innocenzo III , il quale era già stato sotterrato un secolo e più innanzi a Dante. Sordello è detto dal Perticari il grande amator della patria, il degno amico di Dante. Se il poeta( diceil Foscolo ) fu stretto d’ amicizia con luomo che cento anni innanzi amoreggiava la sorella di Ezzelli- no, certo ei moriva più che decrepito. Ma sì fatti, e cento altri in quel libro sono impeti di locuzione oratoria; e m’insegnano che l’ arte critica e la rettorica affratellandosi cozzano a morte ,, (p- 279). Nè men severo si mostra coll’ opera dell’illustratore del co- dice Bartolinino , la quale prende a minutamente esaminare ; di- scorrendo sulle opposizioni di tutti i biografi del poeta all’ au- torità del codice , al luogo ove fu incominciato il poema: mo- strando che all’ autorità di quello si oppongono pure le date mal desunte de’ versi mal citati dall’ illustratore, le professioni e la vita politica di Dante ; e infine gli argomenti , i fatti e gli autori addotti dal Viviani ; cosicchè le sue conclusioni riescono assurde. Quindi le ultime deduzioni del Foscolo sono : che l’il- lustratore del codice Bartoliniano , °° richiamandosi ad un eser- cito di scrittori, se talvolta, non sempre nomina i luoghi delle loro testimonianze , li frantende , e travede , riconciliando anni e fatti lontani tra loro ; e quindi vede Dante negli ultimi due anni dell’ età sua traversare le città, e le masnade de’ guelfi fra il Tagliamento e l’Adige ; abitare in Treviso presso un uomo mor- 7) to da parecchi anni ; rifuggirein Udine dall’ ira di Cane , e com- porre più della metà del poema all’ ombra d° un guelfo ; lasciarne un esemplare finito ; ritirarsi a Cane in Verona, e correre in Ra- venna a farsi seppellire da’ ghibellini (p. 148 , 149) Noi staremo contenti a quanto abbiamo quì riferito dell’ope- ra del Foscolo, che è ciò che in parte contiene il primo volu- me della parte prima; lasciandone intatto il secondo volume , alla lettura del quale invitiamo i nostri lettori come di opera ove sono sparse molte pregiabili cose: e diremo soltanto che la compiacenza che sembra aver sentita 1’ autore nell’ esercitare il suo vivace ingegno a scrivere del codice Bartoliniano e delle illu- strazioni del medesimo, era ben ragionevole che. facesse trovare poco officiosa la severa critica del Foscolo. E tale sicuramente ha manifestato il ch. Viviani che gli sia sembrata all’ occasione di proseguire la stampa della continuazione de’ due primi tomi già pubblicati del suo codice Bartoliniano (21). Questo terzo volume è diviso in due parti . La prima delle quali contiene una prefazione diretta al marchese Giangiacomo Trivulzio da Quirico Viviani; un ragionamento sopra Dante di Francesco Torti , tratto dal prospetto del Parnaso italiano ; e il commento storico della Divina Commedia steso da Ferdinando Arrivabene Mantovano. Nella prefazione il prof. Viviani prima di spiegare al mar- chese Trivulzio il disegno , 1’ andamento e il concettò delle sin- gole parti di queste aggiunte alla sua edizione, ripete le mas- sime cardinali che adottò nella pubblicazione del suo testo : è codice Bartoliniano (egli dice p. VI) fu impresso seguendo la sua lettera originale I.° per mostrare essere il medesimo scritto nel secolo XIV , essendo appunto la sua lezione in tutto conforme alle scritture di quell’ età. II.° Perchè dal confronto della sua scrittura con quella de’ tempi posteriori si veda a quante altera- zioni sia andata soggetta la lingua italiana. III.® perchè lasciando le parole nella loro forma originale , se ne potesse meglio cono- scere la genealogia, e quindi intenderne più facilmente il vero significato. Nella stessa sua prefazione, digredendo a parlare dei diversi giudizi urbanie inurbani dati della sua letteraria fatica, ci. fa (21) La Divina Commedia di Dante Avicnimri giusta la lezione del C o- dice Bartoliniano. Vol. IFI , parte prima. Udine , pei fratelli Mattiazzi 1828, nella tipoyrafia Pecile. 28 grazia di metterci nel numero dei primi, e di chiamarsi onorato anco del severo giudizio del PAzrENTISSIWO AUTORE! della rivista dantesca inserita nell’Antologia (vol. XXIII p. 69). E siamo d’avviso di dovere accettare come titolo di lode quell’ aggiunta : pazientis- simo, persuasi che meno gli sarebbe piaciuto un giudizio qualunque da noi dato dopo un’occhiata alla sfuggita gettata sul lavoro di lui: sebbene alcuno malignamente interpretando la cortesia del prof. Viviani, e giudicando ironica quella espressione, rammen- tandoci come venga simboleggiata la pazienza, avesse voluto di- stoglierei dal vedere questo terzo volume, e dal continuare nel- l’ esercizio della nostra pazienza , e non leggere nè dar conto d’un volume sì voluminoso. In questa esitanza pertanto ci proponiamo tener la via di mezzo fra la brevità e la prolissità, fra la pazienza nostra e lo scrupolo di non fare esercitare quella virtà ai nostri lettori. Il prof. Viviani dice nella sua prefazione che tre furono le ragioni per le quali: il codice Bartoliniano fu impresso seguendo la sua lettera originale. La prima per mostrare che fu scritto nel secolo quartodecimo. Ciò fa supporre che tutta l’ edizione sia fatta con tipi di lettere eguali alle lettere della scrittura del secolo XIV; insomma che tutta la commedia sia un così detto fac simile dal primo all’ultimo verso. Ma messer nò. L’edizione è in bel carattere stampatello, tondo, e 1’ editore vi ha fatte le sue divisioni fra pa- rola e parola, vi ha poste le sue maiuscole , la sua punteggiatura, i suoi segni ortografici. Ora dimanderemo : cosa ha voluto dire di- cendo che il cod. B. fu impresso seguendo la sua lettera originale ? come mostra che fu seritto nel secolo XIV? Può rispondere: lo mostra il fac simile posto al principio. Va benissimo. Dunque ha dato il fac simile per mostrare che quel codice fu scritto nel seco- lo XIV. Ma andiamo avanti. La seconda ragione per la quale il cod. B. fu impresso seguendo la sua lettera originale , è per far vedere, dal confronto della sua scrittura con quella dei tempi posteriori a quante alterazioni sia andata soggetta (il lettore indovinerà che la parola che segue sia la scritTURA) Messer nò : LA LINGUA ITALIA- nA. Ma sarà questo un’ error tipografico ? — Messer nò , perchè se- gue e come vadano errati»gli adoratori del trecento, cui sembra col progresso de’ tempi, e coll’ incremento delle arti non aver la rA- VELLA ACQUISTATA MOLTA AMPLITUDINE E DOVIZIA DI MODI E DI TERMINI. Dunque il fac simile, che è il solo saggio di due terzine del poema che è impresso seguendo la lettera originale del Codice 29 Bartoliniano, deve farci vedere 1° alterazioni alle quali è andata soggetta la lingua italiana, e l’acquisto che in tempi posteriori essa ha fatto di amplitudine , di modi, di termini? Ma andiamo ancora avanti. L’ ultima ragione per la quale Îl Codice B. fu impresso seguendo la lettera originale è perchè lasciando le rarore nella ignuda loro forma originale ( ancor quì parrebbe che avesse voluto dire le lettere ). Messer nò: segui» tiamo: lasciando le ranoLe nella ignuda loro forma originale, se ne potesse meglio conoscere la genealogia , e quindi intenderne più facilmente il vero sicniricato. — Se il prof. Viviani non. ha sbagliato in questo suo discorso, se non ha sbagliato nell” uso dei vocaboli: lettera originale: lezione: scrittura : parole: dici- tura originale, ec.; se egli ha inteso ciò che voleva che il sig. marchese Trivulzio intendesse ;; noi confesseremo la nostra ce- cità d’intelletto, ma non vediamo nè via nè verso di venire a capo di intendere quel che egli abbia avuto intendimento di dire nelle pp VII, VIII di quella sua prefazione. Nè sappiano persuaderci che Dante accattasse consigli ed aiuti per limare l’ opera sua; che lasciasse disperso qua e là per l’Italia il suo manoscritto nelle mani de’ doiti di quell’ età per- chè lo riformassero , per introdurvi quei vocaboli de’ diversi dia- letti che fossero atti alla significazione volgare delle idee da lui concepite; e che perciò lasciasse una parte della commedia a frate Ilario perchè la rivedesse e la correggesse nelle parole (22). Che Dante avesse, o credesse d’ aver bisogno di raccomandarsi all’opera dei dotti di quell’ età, perchè gli somministrassero le parole e l’espressioni più atte a significare i concetti della sua mente, è notizia per noi troppo nuova e peregrina; e tanto più in quanto che da ciò crede il prof. Viviani avere avuta origine le tante varianti che trovansi ne’testi e codici diversi. Poichè dal confronto di tante varie lezioni non pare che ne risulti che esse sieno tali da introdurvi parole ed espressioni più atte ad esprimere i suoi concetti; e confrontinsi pure a tale oggetto le tante varianti che abbiamo notate a stampa nelle più diligenti e moderne edizioni, e nelle lucubrazioni di tanti studiosi di Dante ; e rarissimamente incontreremo lezioni varianti in qualche modo accettabili, e oc- (22) Dalla lettera di Frate Ilario a Uguccione non sembra che egli rice- vesse ]l’ incombenza da Dante di correggere le parole della parte della Comme- dia che gli lasciò. ‘ Ciò detto affettuosamente soggiunse che îo facessi sopra quell’opera alcune piccole glose, e poi di quelle vestita la trasmettessi a voi. ., Glose sono dichiarazioni de’ sensi , non cpireziani di parole. /\ 30 casionate dalla necessità d’ esprimere più attamente i concetti del poeta. Ma quello che stava massimamente a cuore al prof. Viviani era lo sventare la vana pretensione di coloro i quali vogliono che la favella del sì debba chiamarsi Toscana e non piuttosto italiana. Questo tema è divenuto oggimai sazievole in guisa che di ma- l’ animo e’ induce a parlarne il sig. Viviani; il quale in questo terzo volume; con un vocabolario etimologico ha indicato voler facilitare le cognizioni delle origini della lingua usata da Dan- te ..... ed indagare le fonti dalle quali egli (che dee considerarsi come autore della lingua nazionale) attinse gli elementi primitivi di questa lingua ; elementi che il ch. Editore crede diffusi per la maggior parte in Italia da’ dialetti veneto , padovano ; trivigiano, furlanese. Così nel suo vocabolario etimologico ; per documento di acquistata nazionalità pose a ciascun vocabolo il nome corri» spondente dei dialetti provinciali, particolarmente dell’ Italia set- tentrionale. Così in quei dialetti siccome grappar indica un’ operazione che consiste nello strascicare pe’ campi prima dell’aratura un istro- mento fatto a gratella con varie file di punte di ferro, il quale si dice grappa , dal verbo grappar venne direttamente l'italiano aggrappare. Dal friulano cerchiar, in significato di cercare, forse venne il verbo cerchiare, e il vocabolo cerchio. (liotto per zoppo è propiamente il veneto zot e il friulano zuet: per maggior dolcezza Dante potrebbe avere scritto ciotto , come pare che i toscani abbiano preso ciuffo da zuff, cangiando al solito la z in ci nell’uno e nell’ altro caso. La parte di dietro del capo nel dialetto veneto dicesi copa in friulano cope ; e da questa voce è venuto il verbo copar de’ve- neti e copà dei frinlani, e finalmente l'italiano accoppare. Noi veneti e trevigiani abbiamo scorlar e sgorlar. Abbiamo noi dato o preso dalla lingua italiana per formare il verbo crollare ? Ci limiteremo a questi pochi esempi, simili a’ quali son gli altri che citar si potrebbero del vocabolario etimologico j e do- manderemo: qual documento avremo per credere che Dante, per introdurre maggior dolcezza nel vocabolo, abbia da zot , o zuet formato ciotto ; da zuff fatto ciuffo e ciuffetto, cangiando la z in ci, e aggiungendo la finale 0; piuttosto che credere che i veneti e i friulani abbian cangiato il ci in z, e soppressa la 0 finale secondo il loro solito , e di ciuffo e di ciotto abbian fatto zuff, zot, zuet? fi Ma come non aspiriamo che il sig. Viviani ci lodi come pa- zientissimi, così desideriamo di non incorrere neppure nella severa taccia nella quale incorse il Foscolo ; intendendo noi soltanto di esporre ciò che si contiene in questo terzo volume, ben lungi dal farne una critica. Sebbene tempera il ch. editore l’ amare espressioni con qualche encomio che gli fa (pag. XXIX della prefaz. ): ma le belle cose da lui dette del Foscolo altri giudi- cherebbe forse che fossero espresse con parole acconcie in modi nuovi, che sono accuse, e sembran lodi. Confermando in questa prefazione ciò che enunciava “non imprudentemente nella prima lettera al marchese Trivulzio (Vol. 1), cioè : esser ben ragionevole la proposizione che qualche fiorentino avesse potuto ardere i dettati dell’ Alighieri ..... affinchè per- dendosi ogni argomento di paragone restasse dubbia autenticità di quel famoso libro della volgare eloquenza, vuole che: questa proposizione non debba ascriversi a ingiuriosa calunnia contro i fiorentini ; perchè . ... politicamente non sarebbero da condan- narsi coloro che avessero distrutti gli scritti originali d’ un cit- tadino , che non coadiuvò con tante tremende imprecazioni alla gloria della sua nativa città; e che avessero tolto di mezzo ma- moscritti che partorivano infamia al proprio paese. Si vuole es- sergli grati di questa apologia, nè si vuol curare se prosegue che costoro sarebbero bensì giustamente esecrati dalla nazione italiana; e domandiamogli soltanto come è supponibile che i fiorentini si sieno contentati di distruggere i manoscritti originali infamanti il proprio paese, e ne abbiano poi moltiplicate le copie in tanti codici , in specie della divina commedia , ove trovansi veramente le più tremende imprecazioni contro Firenze, ove sono-.rilevate e abominate le tante scelleratezze de’ suoi concittadini, ove quasi ogni parola è d’infamia alla sua terra nativa. E invece di sop- primere , distruggere quell’opera così infamante, i fiorentini ne commettono al Boccaccio , al Villani, ad altri la pubblica lettura e la dichiarazione sin nelle chiese (23). Ma se è men officiosa per Firenze la proposizione e il so- (23) Il Petrarca fiorentino, lo Stabili Ascolano furono i soli che si mostras- sero avversi a Dante, non per odio come cittadino ina per invidia di mestiere, È dubbia poi l’ autenticità del discorso vel quale si dice che Dante volle to- gliere alla patria ancora la reputazione nella lingua , discorso attribuito al Ma- chiavello , nel quale si vuole che si alluda al libro del Volgare eloquio, di cui la infedele traduzione del Trissino venne in luce due anni dopo la morte del Machiavello , secondo il Foscolo, 32 spetto del sig. Viviani, officiosissime poi sono le sue seguenti espressioni. € To protesto con fronte alta e sicura di non aver mai avuto nelle mie dantesche fatiche altro fine che la gloria di Dante, e quella dell’ intera Italia, senza intendere di diminuire i meriti reali di quella classica terra che gli fa madre : anzi dichiaro so- lennemente che il lavoro del vocabolario etimologico non fu diretto allo scopo di arrogare alle nostre provincie la partecipazione alla gloria del cantore della divina commedia ; nè a quella degli al- tri antichi scrittori, de’ quali abondano altre città , e sopra tutte Firenze +... quantunque io creda che da’ veneti dialetti, più che d'altronde i primari elementi della lingua scritta siensi dif- fusi per l’ altre provincie ec. ec. e quindi per nostra parte sven- tiamo la vana pretensione di coloro i quali vogliono che la favella del sì debba chiamarsi Toscana e non piuttosto italiana... Dante ha raecolto messe per la sua commedia nei {dialetti delle nostre pro- vincie.... nel vocabolario da me compilato si trovano le voci no- stre provinciali corrispondenti a quelle delle quali fece uso il poeta. Questa verità è troppo nota ai fiorentini per dire che eglino la impugnino di buona fede. ,, Ma forse ancor troppo ci siam trattenuti sulla sola prefa- zione , e alcuna cosa ci resta a dire sulla parte più interessante che costituisce questo terzo volume; *trascurando. il parlare del ragionamento di Francesco Torti tratto dal prospetto del Parnaso italiano, e perciò conosciutissimo, e di cui lo stesso Viviani dice averlo riprodotto per rendere la sua edizione proficua agli stu- diosi di Dante; avuto riguardo puramente al valore della intrin- seca sostanza di quello , quantunque ei sia certissimo che la pro= paganda del purismo ne condanni irremissibilmente lo stile. Segue al discorso del Torti il comento storico del ch. Ferdi- nando Arrivabene , che 1° editore preferì a quanti altri mai com- mentatori avevano letteralmente , storicamente e allegoricamente dichiarata la divina commedia. E ne pare avere avuta ragione di render pubblico questo bel lavoro storico del chiarissimo letterato mantovano. Troppo lungo sarebbe il render conto minutamente di questo commento: e staremo contenti ad indicare sommaria- mente il modo secondo il quale l’autore ha distribuita e divisa 1’ opera sua. Essa ha per titolo il secolo di Dante ed è divisa in quattro libri. Il primo parla de’ monarchi europei ; il secondo de’ principi e si- gnori italiani ; il terzo delle repubbliche italiane; il quarto della repubblica fiorentina. Così parla distesamente delle case imperiali 33 di Svevia, degli Angioini, degli Aragonesi, ‘degl’ imperatori di Germania, de’ re di Francia, di Spagna, d'Inghilterra, di Scozia, di Portogallo, di Norvegia, di Rascia, di Gipro. Ne segue poi l’istoria de’ guelfi e dei ghibellini, de’ loro alleati lombardi, de’ conti marchesi vicari imperiali e pontifici, de’rettori e capitani del popolo; degli ecclesiastici, degli ordini regolari e de’ sommi pontefici ; delle repubbliche italiane, e infine di quella di Firenze; della storia della quale occupa l’ intero libro quarto , il quale ter- mina con la notizia delle opere di Dante. In tal guisa il ch. Ar- rivabene iha compreso in quattro libri e in diversi capitoli e para- grafi la storia dei fatti e delle persone tutte delle quali Dante parla 0 alle quali allude in tutta la divina commedia. E la storia ne è distesa in tal modo che ei è di continuo notata la relazione che i fatti e le persone hanno co’ versi del poema. E qui ci sia concesso manifestare un nostro desiderio. È opi- nione universale che ciascuna opera del nostro poeta serva a di- chiarare le altre, e che tutte servissero a dimostrare delle dot- trine di lui. Infinite sono l’ edizioni che si sono fatte nel primo terzo del secolo presente della divina commedia: mentre del con- vito se ne contano due sole per quanto è a nostra notizia. Si spera ed aspetta mn’ edizione della vita nuova; nè si sente che alcun ‘pensi a repubblicare il.libro de monarchia, nè il libro del volgare eloquio, il quale isi vorrebbe avere stampato colla ver- sione del Trissino a fronte. Del qual libro parlando con un no- stro. culto amico, mi dicea che vedendo pubblicata dal Trissino nel 1529 la versione di quell’opera, un mezzo secolo prima che ne fosse pubblicato l'originale, faceva in qualche modo dubitare, che ww’ intervenisse una finzione del Trissino ad oggetto di ren- dere autorevoli col nome di Dante alcune sue particolari opinioni: ianto più che è oscura la provenienza, e il posterior destino di un sì prezioso manoscritto. Ma volendo anco supporre autentico il testo stampato .a Parigi dal Corbinelli nel 1577, in esso si parla soltanto di poeti: son poeti buoni che vi si lodano, son cattivi poeti quelli che vi si tacciano, perchè poetavano con vocaboli e con costrizioni della plebe. Per lo che non gli sembrava strano il supporre che Dante non parlasse del linguaggio in genere , ma del linguaggio poetico. E nel desiderio nostro di vedere di nuovo ristampate quelle opere di Dante, delle quali pon eyyi che una o due edizioni, crediamo di aver compagni tutti gli studiosi di Dante, ai quali T. XXXIII. Marzo. 9 34 i conviene , quando occorra riscontrare alcuna cosa, ricorrere alle biblioteche o ai buoni offici di un amico. A questo sembra avere in parte atteso il ch. sig. prof. Witte coll’ avere raccolte ed illustrate le lettere dell’ Alighieri (24) , adempiendo il desiderio manifestato già dal Fontanini. Egli in- titola la sua edizione all’ Ateneo veneto, in occasione d’ esserne stato nominato socio. Per quanto il Boccaccio e Leonardo Aretino attestino. di averne vedute parecchie, pure se ne conoscono po- chissime , e di alcune appena i principi, i quali dal ch. sig. Witte sono riportati nella sua raccolta, ad oggetto di eccitare i dotti ad investigare se nelle biblioteche italiane se ne trovi il compimen- to , e alcuna delle smarrite. Trascura poi quelle delle quali sono riportati i principi dal Filelfo, come da uomo di fede men sicura: e tali sono e quella ad invictissimum Hunnorum regem; e 1’ altra a Papa Bonifazio VIII; e l’altra al proprio figliuolo andato a stu- dio a Bologna. Le due prime lettere, delle quali il chiar. Witte dà i principi, sono quella che lo stesso Dante nella Vita nuova dice avere scritta a’ principi della terra dopo la morte di Beatrice, e l’altra citata dal Villani come scritta dal poeta a’suoi amici affinchè gli procurasse- ro, o agevolassero , il ritorno dall’ esilio : e ad una di queste pare che appartenga la terza, della quale è riportato il frammento che si legge nella vita di Dante scritta da Leonardo Aretino. La IV lettera è indirizzata Exulanti pistoriensi. Fu trovata inedita nella Laurenziana dal ch. Troya , e giudicata appartenente a Dante. L’editore ne ottenne copia dal ch. prof. cav. Ciampi. Supponendo Dante autore di questa lettera osserva che s’induce facilmente sotto il titolo di esule pistoiese intendersi Cino. Si sa che oltre Selvaggia amasse non un’ altra sola donna ; giusta il sonetto di Dante a/lui diretto: Zo mi credea del tutto esser partito ec. Ora pare che Cino domandasse a Dante se fosse possibile dall’ amor di mna passare ad amare altra donna ; alla qual domanda pare che Dante risponda con questa lettera; che sembra scritta nell’esilio di Cino dal 1307 al 1319. La V lettera a’ principi italiani, scritta nel 1316 per disporli a ricevere l’ imperatore Arrigo ; è dettatura italiana come la pub- (24) Danris AticHIERI epistolae quae extant cum notis CaroLi WirtE Athenaei veneto , et accademiarum Hyperboreo-romanae, Florimontanae quae Vibone Valentia , sepultorum , quae Volaterris floret, ec. Socit. Patavii sub signo Minervae , 1827. ( Vratislaviae apud Editorem ). 35 blicò il pad. Lazzari, sebbene il sig. Witte suppone che Dante:la scrivesse originalmente in latino. La VI porta la data del 16 aprile 13r1. È indirizzata ad Arrigo imperatore. Fu pubblicata dal Dori tradotta in italiano nel 1547, poi emendata dal Biscioni confrontata con MSS.; e ul- timamente dagli editori delle storie del Villani, in Firenze, tratta da un cod. Riccard. Il Pignorio disse di possederne il testo latino. Il ch. sig. Del Furia diede notizia al sig. Witte esser citata nel Catalogo della Muranense ) donde glie ne procurò copia il sig. march. Trivulzio. La VII, indirizzata a’cardinali italiani, par composta ne’pri- mi giorni del conclave tenuto a Carpentras. Il primo a scoprirla . fu il sig. Troya, che ne copiò i 4 primi paragrafi. Favorito dal bibliotecario sig. Del Furia potè il sig. Witte trarne copia da un codice Laurenziano , e pubblicarla nell’ Antologia volumè XXIII p- 57. Adesso l’editore la riproduce con varie emendazioni. La VIII , che, secondo il sig. Troya, pare doversi riferire al principio del 1317, è in risposta ad un amico; e forse parente di Dante, che gl’indicava i patti a’quali potrebbe ritornare in seno della patria. Fu pubblicata da monsig. Dionisi, e poi dal Foscolo nelle sue osservazioni sul Petrarca. La IX è la dedicatoria della Cantica del Paradiso a Cane della Scala. Se veramente ; secondo l’ opinione del iFoscolo, Dante non si curò di pubblicare vivente la Divina Commedia, la lettera sareb- be apocrifa, o mandata da’ figli esecutori della volontà del padre defunto. Niun codice di antica data la riporta; e non vi sarebbe altra probabilità che la consonanza di essa col Comento del Boccac- cio, nel quale pare sia stato imitatore di ciò che nella lettera si contiene. Tal questione è discussa dal ch. Witte ne’ prolegomeni che quelle precedono. L’ ultimo luogo occupa la lettera apocrifa , e come fale tenuta dal ;sig. Witte contro l’ opinione del Tasso, del Fontanini ,jdel Biscioni ec. essendo manifesto che fu un’impostura del Doni. Le note apposte , le emendazioni alle stampe precedenti, le illustrazioni istoriche le quali precedono ciascuna lettera mostrano quanto studio ponga questo illustre e dotto professore nell’ opere di Dante, il poema del quale al dire del Foscolo dichiarò pubblica- mente dalla cattedra nell’ università di Berlino. Or se gli oltra- montani hanno tanto affetto a conoscere le dottrine di quel nostro concittadino , cosa far dovremo noi italiani , i quali a gloria nostra sebbene antica, possiamo dire che dopo le tenebre nelle quali si 36 mantenne la letteratura fino al secolo XIIT, sorse Dante , il primo ingegno , il primo poeta, il primo filosofò ; il primo politico , il fonte di tutte le moderne letterature. TEA. Cours d’Histoire moderne professé par M. Guizor. Le- gons VII=XIYV. Paris 1828. Delle lezioni dette da Guizot nell’Ateneo di Parigi e pubblicate officiosamente dagli stenografi, si è già discorso in altro articolo assai distesamente perchè i pregi ed i di- fetti capitali dell’opera potessero esser conosciuti dai nostri lettori. Pure siccome furon considerate in quell’articolo le prime sei lezioni senza più, non sarà mal fatto che si torni a parlare delle ultime otto, colle quali l’autore pon ter- mine al suo Corso di storia. Il perchè noterò sommaria- mente l'argomento di ciascuna di esse, indicando qua e là alcune cose che mi sembrano 0 troppo arrischiate o false, non già coll’intendimento "di correggere d’ogni menda l’autore, ch’io non sono si semplice da reputarmi da ciò, ma per dimostrare quanto bisogni andar cauti nel leggere e quanti pericoli incontri quel modo di ridurre la storia a forme astratte , di che pare il nostro antore essersi al- cuna volta un po’ troppo dilettato, Forse ne avremo così più facile la via a ragionare dell’ utilità che un giudizio- so lettore può ricavare dall’ opera che raccomandiamo. La settima lezione adunque espone splendidamente la gran mutazione avvenuta nella condizione de’ borghesi pel reggimento municipale, che nell’ undicesimo secolo messe salde radici. Se gli ordini municipali de’ Romani fosser poi al tutto distrutti dalla feodalità si potrebbe mettere in que. stione, ma ciò che sembra fuori di dubbio si è che lo sta- bilimento de’comuni nell'XI secolo parve novità contraria al diritto comune , e però i diritti municipali ebber nome di franehigie, esenzioni e privilegi. Nel.che mi parrebbe 37 fosse da notare una gran differenza fra il pensare degli anti- chi ed il pensare de’;moderni, Conciossiachè l’ idea di una sovranità assoluta di diritto, contro della quale non possa valere il fatto della libertà, come che non sia ‘stata se- guita in tutte le sue conseguenze, parmi uno di quei prin- cipii che differenzino la moderna dalle antiche civiltà. Di questo principio sarebbe stato utilissimo considerare l’ori- gine e far ragione degli effetti ; ma poichè ne sarebber ve- nute conseguenze troppo contrarie a taluna delle idee si- stematiche di Guizot, così mi pare sia stato da lui intie- ramente trascurato. Peraltro siccome esso pure ha veduto qual differenza vi fosse fra le idee de’ borghesi dell’ età di mezzo e le opinioni del terzo ordine del popolo al cader del secolo XVIII, così in un bel quadro cele pone sott’oc- chio per modo che quasi ti par di vivere cogli uomini di coteste due diverse età. Ciò è tanto più da valutarsi che essendo rimasti sino alla rivoluzione di Francia gli anti- chi nomi , troppo facile sarebbe ai meno esperti il presu- mere dall’ ultimo stato delle cose argomentare dell’ antico, e così reputar da poco una mutazione che fu cara a quelli che la fecero, e della quale noi stessi abbiam sentito gio- vamento. Fa mestieri confessare che in tutto cotesto squarcio non vi è cosa che si ignori da chi abbia letti gli storici moderni che sono in maggior riputazione, ma vi è una certa arte di ritrarre il vero che diletta chi sa, e fa curio- si di sapere quelli che prima eran beati nell’ignoranza . Possiamo dire lo stesso della lezione ottava che discorre delle crociate e degli effetti che ne seguitarono per la ci- viltà europea. Avrei voluto tradurre ciò che Guizot dice in proposito, perchè questo è uno dei punti di storia che dagli scrittori dell'età nostra sieno stati meglio trattati, ma ho ereduto poi dover lasciare in curiosità i lettori. Ma non posso tacere l’ impressione sinistra che mi ha la- sciata quell’ artifizio di Guizor nel dare ad: intendere che gli storici non hanno mai ‘colto nel segno, quasi che ciò che esso dice fosse poi una ‘scoperta, ed egli dovesse repu- tarsi il solo veggente in Jertsalem. Dico male il solo veg- gente da che l’autore riconosce non so se eguali ma alme- 38 no compagni nella grande impresa di riformare la. storia e la filosofia Tierry, Barante, Villemain, Cousin , uo- mini tutti di grandissimo nome al presente in Francia, e ciò che più vale, meritevoli in gran parte della fama che tuttodì vanno acquistando. Ma che poi da questi in fuori non sieno altri uomini , cui sia, stato dato raggiungere il vero , ci vuol molta fede per crederlo, Pure questo pen- siero, che la prudenza non consentiva fosse apertamente manifestato, froppo bene si ricava dal modo quasi compas- sionevole col quale, l’autore, senza nominare alcuno, par- la degli storici, come fossero sempre andati tentone, Sic- chè un lettore pieno di fede si fermerebbe nell’ opinio- ne che sino ad ora non si fosse saputo trovare il vero della storia, ed uscir fuori Guizot riformatore ed autore di nuove sentenze. E pure sarebbe assai difficile il notare cosa vi sia di veramente nuovo nelle sue lezioni, perocchè sino nella parte sistematica, che poi mi pare di poco mo- mento , dal più al meno le stesse cose ed in questi nostri tempi ed in altri sono state dette da molti scrittori . Per nostra mala ventura l’ ingratitudine inverso i grandi uo- mini ai quali andiamo debitori del presente stato della nostra civiltà, assai più che nelle lezioni di Guizot si scorge in alcuno de’ più celebrati e dirò anco de’ migliori giornali di Francia ; e chi legge gli scritti più recenti può aver luogo d’ osservare , quanto spesso si tenti di dare a credere ai semplici: che a questo nostro secolo soltanto o piutto- sto ad una sola scuola de’ nostri tempi , sia stato concesso di trovare quel vero che dagli uomini dell’età precedenti fu più presto desiderato o veduto parzialmente, che cono- sciuto giammai. Sarebbe opera perduta il mostrare la va- nità di questa pretesa e dichiarare per via d’esempi quali e quanto grandi ingiustizie si commettano inverso i grandi uomini delle età precedenti. Basta all’uopo nostro il no- sare il fatto perchè vi pongano mente coloro che leggendo forse con troppa credulità, non l’avesser per anco osservaro. Ma per ritornare a Guizot, al finire dell’ottava lezione esso annunzia in che stia la nota caratteristica della storia delia moderna civiltà; e per lui consiste nell’esser ridotta la 39 storia a due elementi, vale a dire il governo ed il popo- lo. Di che*si vedono i principîi nel XII secolo, ma più chiara apparisce la lotta ne' tempi che corrono dal XVI secolo sino a noi. Quest’ idea contiene in sè il germe del- l’ ultime sei lezioni di Guizot , ed indica sotto ‘qual punto di vista sistematico sieno da lni esaminati i risultamenti generali della storia. Disgraziatamente, abusando forse del principio che dicon legge di continuità , 1’ autore esamina piuttosto i progressi della civiltà che i movimenti retro- gradi. Crede egli che dal XVI secolo in -poi non ve ne sieno stati? Parrebbe strano il supporre che un uomo di tanto sapere fosse sceso in questa sentenza; pure che non può lo stretto spirito di sistema? Del resto non oserei nè contraddire nè al tutto ac- cettare l’idea sistematica di Guizot. Osserverò solamente che per siffatta maniera stretta di vedere, l’autore si è lasciato indurre a credere che nella storia di Francia fosse . racchiusa la storia generale di Europa. Così esso parla po- chissimo della Spagna , dell’ Italia e della Germania, nè dalle sue lezioni si impara qual parte abbiano avuto le diverse nazioni di Europa nel costituire quel patrimonio di civiltà , che oggimai è comune. Parimente l’ influenza de’ sica benchè in apparenza vani, sugli ordini so- ciali, ha richiamato assai raramente l’ attenzione del pro- fessore . Pure questo è uno de’ più importanti e de’ più difficili problemi della filosofia della storia, Ma per questo bisognava ricercar più minutamente la storia delle lettere, conoscere un poco più la storia d° Italia, importantissima e come storia civile di questa penisola e come gran parte della storia morale e politica della chiesa, che per lo più bisogna attingere a fonti italiane. Sarà poi vero che la civiltà delle nazioni del conti- nente europeo debba alla fin de’ fatti riescire alla stessa condizione della presente civiltà francese. Ma poichè per adesso vi sono grandissime differenze, era di qualche mo- mento anco per la Francia conoscerne un po’ meglio le cagioni, Sarebbe stato forse un gran problema il determi- nare se l’unità, di desiderii che è comune colla Francia, e ho ‘ la grande diversità che si riscontra nello stato delle cose, muovan dalla stessa cagione, o pure abbian diversi principii. E nelle due belle lezioni (1X, X), nelle quali l’ au- tore dopo avere esposto i diversi tentativi di monarchia che sono stati fatti in Europa, va componendo il quadro ideale del potere regio ne’ tempi moderni, benchè. sieno a lodare molte belle pagine e generose , quanto mai sa- rebbe da dire, sulle conseguenze che ne vengono dall’ a- ver considerato soltanto i beni che ne abbiamo raccolti noi, senza far ragione de’mali sofferti dagli avi nostri, Chi sa se invece di confrontare i sistemi politici pei soli ef- fetti che ne sono rimasti dopo un lungo volgere di anni, si fosser confrontati secolo per secolo, e si fosse tenuto conto de’ godimenti e de’ patimenti de’ popoli, non ne fos- ser venute delle conseguenze alquanto diverse. Delle lezioni XI, XII vorrei pur poter dare un estratto perocchè, e si raggirano sui gran progressi delle idee nel XV secolo e nel XVI, e sulla riforma. Mao bisognerebbe tradurle per intiero notando qua e là alcune piccole mende, o bisogna contentarsi di raccomandarle alla curiosità de’lettori. Solo noterei.non esser poi cosa da concedersi facilmente che la riforma si debba quasi unicamente considerare come ‘uno svincolamento del-pensiero nelle cose di religione, e non come un grande avviamento alle nuove'idee-in fatto di politica, che han poi trionfato colla rivoluzione francese. Considerando la riforma nei suoi principii astratti senza più, essa appa- risce meramente teologica, ed anco secondo le opinioni di alcune sette piuttosto favorevole al potere assoluto. de’ re. Difatti 1’ ubbidienza passiva o vogliam dire ll’illimitata pa- zienza fu ‘sostenuta dai riformati in Savoia e in Francia in diverse occasioni, e si è professata eziandio dalla ‘chiesa anglicana episcopale. Peraltro dal seno delle sette chie vo- levano nella chiesa un reggimento democratico, sono pure esciti i più ardenti democratici d' Inghilterra , ed ognuno sa, doversi a Calvino la repubblica democratica dî Gine- vra, ed i calvinisti di Francia nel XVII secolo essere stati reputati partigiani delle forme di governo popolare, Sicchè anco nella considerazione astratta dei soli principii Mella di riforma potrebbe cadere qualche dubbio se veramente vi fosse alcun principio di riforma politica. Ma se poi si venga a considerar la riforma nel suo modo di agire, si vedrà quanto spesso desse occasione di disputare del su- premo potere de’principi, e di quanto scemasse l’opinione che si avea de’ loro sovrani diritti. E come poteva acca- dere altrimenti quando si trovavano i popoli ed i principi in lotta per uno de’ più cari interessi che possa aver l’uo- mo nella civile società? Di che poi si ha un certo segno nel vedere fra la fine del XVI e Îa prima metà del XVII secolo comparire i più insigni pubblicisti o in Germania o nelle Fiandre o in Inghilterra ed esaminare i fondamenti razionali di ogni specie di pubblico potere. T'ra le diverse opere che si potrebbero citare una delle più notabili si è quella di Althusius (;Politica methodicae digesta ) nella quale si contengono per intero le teorie stesse del patto sociale di Rousseau e fino le stesse defi- nizioni, che egli cercò di provare per argomenti teologici. Di questa opera, che per l’ arditezza de’ pensieri fa in molti luoghi proscritta , basterebbe legger l’introduzione alla se- conda edizione, perchè rimanesse in qualche modo giustifi- cato il mio dire (1). Ben è vero che intorno a quel tempo altri pubblicisti ridussero in sistema le più servili teorie e confessaron legittima perfino la tirannide. Ma e'furono lar- gamente confutati, ed ora se si prescinda da Hobbes non so che sieno più lette le opere loro. Del resto chi vorrà leggere due discorsi di Noodt detti pubblicamente all’uni- versità di Leida negli anni 1699, 1706, uno sulla legittima potestà de’ principi , e l’ altro sulla libertà di coscienza, vedrà a che segno fosser giunte le opinioni in questa ma- teria, e forse rimarrà maravigliato di vedere nel secondo discorso tanta chiarezza che appena ai dì nostri si sapreb- be cosa aggiungere. Questi due discorsi sono stati tradotti da Barbeyrac ed arricchiti di note , nelle quali si ricorda- (1) La seconda edizione è del 1610 copiosamente accresciuta dall’A. Quando venis e alla luce la prima non so. Del resto può vedersi Bayle. Art. Althas:us, n.lle noge. T. XXXIII. Marzo. 6 42 no le opere dello stesso tempo o di puco posteriori che fu- ron dettate a sostenere gli stessi principii. Se volessi ram- mentare altri scrittori e mostrare come dal primo secolo della riforma alle dichiarazioni dei diritti dell’uomo di Ame- rica e di Francia vi sia continuità, sarei infinito; tradirei per altro la storia se volessi dare ad intendere le opinio- ni degli autori essersi tosto fatte opinioni comuni, ma poi- chè ognuno sa le cose procedere per gradi può far ragione da sè stesso dell’influenza che devono avere avuta sul comune pensare de’libri dettati con chiarezza ed adorni di moltiplice erudizione. Ciò che si dice delle quistioni intorno al di- ritto politico si potrebbe con maggior fondamento asserire per le più sublimi astrazioni della filosofia; ma queste due parti della storia delle opinioni sono state troppo leggermen- te toccate o dirò più francamente trascurate dal professor parigino. Esso ha pur trascurato di tener dietro a quello spirito di riforma che nel XV e nel XVI secolo era gran- dissimo fra i cattolici che pur volevano rimanere nella co- munione romana. Di questa parte importante della storia ecelesiastico-civile mi pare che Guizot abbia preso sol- tanto quello che riguarda la riforma de’protestanti. Ma la storia del Concilio di Trento mostra apertamente esservi stato allora fuori delle opinioni protestanti uno spirito di riforma, che non si mescolò mai con quelle, e che secondo il calcolo delle probabilità pareva dovesse produrre gran- dissimi risultamenti. Nel XVII secolo pare che fosse qua- si cessato cotesto desiderio di toglier di mezzo gli abusi e di comporre Je cose in modo più conveniente ai bisogni della nuova civiltà. Ma, verso la metà del secolo XVIII e in Germania, in Italia ed in Spagna si vide riprender nuovo vigore e produrre utili leggi di riforma. La Francia stessa che a cagione della beatitudine dei suoi re e della scostumatez- za della corte fece forse minori riforme che non si faces- sero in Italia in quel tempo, procedette pure anch’ essa in questa via di riforma, Ma gli uomini ai quali siam de- bitori delle riforme nelle leggi che cominciarono intorno alla metà del secolo XVIII, non pare che fossero delle opi- nioni di quelli che l’uso ha voluto si dicesser più parti- 43 colarmente filosofi, ma piuttosto che tenessero qualche co- sa dei riformatori, che nel XVI secolo non avean potuto trionfare. Ora poichè a’ seguaci di queste medie opinioni dobbiamo assaissimo , era di qualche momento seguirne la storia ed esprimerne per così dire la fisionomia morale. Ma di questa parte si trova mancante la XIV lezione, nella quale l’ autore rapidamente percorre la storia della civiltà dei secoli XVII e XVIII sino al gran fatto della rivolu- zione di Francia, che più che un epoca potrebbe dirsi un era novella nella storia della civiltà. Invece l’autore ci ha dato una bella lezione (la XIII) ed assai particolariz- zata intorno alla rivoluzione inglese del XVII secolo, della quale sarà più opportuno luogo a discorrerne allorchè si parlerà della storia che su questo istesso argomento il no- stro A. ha già in parte pubblicata. Basta all’ uopo nostro aver mostrato mancare di molte. cose le lezioni di Guizot , che /sarebber pure richieste per giustificare a pieno il titolo di corso di storia moderna , nè crediamo essere stato disutile il notare alcune men- de onde risulta non esser queste lezioni da considerarsi come una guida per lo studio della storia. Sono delle con- siderazioni che un dotto professore offre alla discussione ed all’ esame del pubblico, lodevoli per la generosità delle intenzioni , lodevoli per la gran padronanza che vi si mostra della materia, e soprattutto meritevoli di ‘lode perchè sembran dirette a risvegliare la discussione ed a metter in amore gli studi delle scienze morali e politiche, i quali oggimai non posson avanzare gran fatto senza il soccorso della storia. Però se i lettori, intendo di quelli che han bisogno d' imparare, le considereranno come sem- plici proposizioni di questioni, ne avran pure un aiuto per lo studio della storia, perchè una questione proposta giova spesso a far sì che nello studio de’fatti molte cose si con- siderino alle quali forse senza cotesta avvertenza non si sarebbe posto mente; ma se poi vorranno far tesoro delle formole di Guizot per tenersele come cose sicure e che li franchino dai vero studio della-storia, allora ‘il danno di astrazioni premature non mi pare possa esser compensato 44 dall’ utile che si ricava dalle lezioni che abbiam tolte ad esaminare . Nè questa è condizione speciale delle lezioni di Guizot , ma secondo che stimo è da osservarsi general- mente in tutte le opere che, tralasciata la particolar nar- razione de’ fatti, espongono soltanto per termini generali il movimento della civiltà. Di che non ne vorrei altra pruova che l’ osservare come senza questa cautela lo stesso Saggio di Condorcet , che pure è quella grande opera che tutti sanno , potrebbe in molte parti falsare il diritto giu» dizio della storia. Ciò sia detto pel maggior utile di quelli che fan professione di studiare. Gli uomini dotti poi, ai qua- li non osiamo mai indirizzare le nostre parole, troveranno ben altro diletto nelle lezioni di Guizot; considereranno il bene che deve venire alla Francia da uno stato di cose che consente che vi siano siffatti professori e che pubbli- camente vi dicano sì splendide e generose lezioni. Per questo lato le lezioni di Guizot e de’ suoi onorandi col- leghi, sono fatti ben meritevoli di attenzione. Avrei forse dovuto distendermi un poco più su questo particolare per compire il mio officio, ma mi scuserò dicendo : ron omnia possumus omnes. F. Forty. = —_— —__—________————— Viaggio in Turchia e a Costantinopoli , del dott. Varsa. Alla Turchia ed a Mahmud è rivolta oggidì l’attenzione che s’attraevano, anni sono, Napoleone e la Francia. Forse la lotta presente è pei destini della civiltà molto più decisiva che non le passate : e quand’ anche ogni moto di guerra cessasse, troppo già degni d'attenzione diventano un paese ed un popolo, la cui rovina estrema, per non essere eglino stati ben conosciuti, si vaticinava sì certa, Tornerem dun- que a raccogliere dall’autorevolissima opera del Dott. In- glese, i fatti e le circostanze o più importanti o più sin- golari. ( Ved. N.° 98, pag. 79). Il nostro Viaggiatore, nell’ uscire di Costantinopoli il 45 dì ventotto d’ ottobre dell'anno 1827; passa’ pel sobborgo degli Ebrei ; i quali narra venuti di Spagna al tempo di Ferdinando e d’ Elisabetta in numero di ottocentomila , e dispersi in varie città dell’ Oriente, della cui popolazio- ne essi formano la maggior parte, a Costantinopoli poi stabilitisi in numero di cinquantamila : dove alcuna con- formità della religione ebrea con la turca, ( come la cre- denza in un solo Dio, la circoncisione, l’orrore della carne porcina), giovarono a que’profughi, per ottenere men dura accoglienza e più mite governo. Gli ebrei difatti in Turchia esercitano le più lucrose professioni , trafficano in grande, e sono i banchieri nelle cui mani depone il Turco ogni avere. Le donne ebree hanno accesso negli harem con le mercanzie ; entrano in ogni sorta maneggi, e acquistano in certe famiglie una straordinaria influenza. Gli ebrei ricchi di Costantinopoli vivono con lusso orientale; i po- veri son sudici, abbietti di cuore , tenacissimi della loro religione , sebbene molti faccian vista di seguire la Tur- ca: abborrono profondamente i Cristiani, i greci in ispe- cial modo: e quando il patriarca fu impiccato, gli ebrei s’offersero volontarii a gettarne il cadavere in mare. Onde i greci irritati, ne’ primi anni della insurrezione si ven- dicarono orribilmente su quanti giudei lor caddero tra le mani. Passato il sobborgo degli ebrei, si trova un palazzo, già dimora estiva de’ sultani, e che il buon Selim, pre- decessore e zio del sultano vivente, volea destinare a varie manifatture europee , tra le quali una fabbrica di carta , che con altra simile fondata di faccia a Buyukderé, dovea fornire la magnifica stamperia eretta a Scutari, E già dal 1530 Costantinopoli aveva una stamperia greca, dal 1697 una armena : nel 1727, Ibrahim, rinnegato, avea fondata una stamperia e una fabbrica di carta a Kyat Kana; e il Mufti dichiarò con un fetva l’ utilità dell'impresa ; e il Sultano Acmet III, si congratulò con un katti sceriff che al suo regno fosse serbato un tanto onore dal cielo. Gli ulema approvavano; eccettuando però da’libri da stampare, il corano, e i trattati contenenti la dottrina di Maometto, 46 per non pigiare, dicevano, sotto a’ torchi , 1’ opera di Dio , ma veramente perch’essi dalle copie di tali libri traevano guadagno non piccolo. Or, perchè il Turco non ama altri libri che quelli di religione, il progetto della stamperia cadde; e in questi ultimi tempi Selim gli diè nuova vita. Il n. A. che nel 1821 avea visitata la fabbrica, la dice magnifica; magnifica dice la stamperia di Scutari, che lavorava con quattro torchi, e dava libri molto nitidamente impressi , e corretti: ma aggiunge che al tempo di sua partenza , della fabbrica di carta non rimaneva che il nome. Il buono ma debole Selim voleva ringentilire la Tur- chia; Mahmud pensa a tornarla guerriera, e più turca che mai, Quanto alla morte di Selim, l’A, rimanda alla bell’ opera di M. Jucherau di S. Denis, il qual ne fu spettatore. Due ruscelli, che si gettano nella parte superiore del seno che forma il porto, sono i soli che scorrono presso a Ca- stantinopoli: onde la città rimarrebbe senz’acqua, se i Turchi a cui l’acqua è più che ad altra gente necessaria e per le obla- zioni religiose, e pegli usi del vitto, non supplissero con cis- terne, e meglio co’serbatoi costrutti nelle montagne vicine al Mar nero, donde l’ acqua si deriva pergrandi condotti. Quì nota l’A., che se fosse posto l’assedio a Costantinopoli, l’acqua delle cisterne urbane e de’ pozzi non potrebbe durare ol- tre una settimana; giacchè quel gran serbatoio ch’è soste- nuto da secento settantadue colonne di marmo, delle quali ciascuna è composta di tre colonne l’una sull’ altra, e che potrebbe bastare per sessanta giorni a’ bisogni della intera città, è lasciato asciutto, e in parte riempiuto di terra : dove i lavoratori di seta stanno all’ opera loro quasi al buio. Un altra cava scoperse l’A., che occupa lo spazio sotterraneo di più contrade; arcata, e sorretta da centren- tasei grandi e belle colonne di marmo, Molti canali vi metton capo, i quali somministran l’acqua alle superiori contrade, senzachè gli abitanti pur sappiano dond’essa venga. Quest’è l’unica delle tante cisterne, dagl’Imperatori greci ‘saggia- mente costrutte , che faccia l’uffizio suo; e questa mede- sima non fu mai riparata dacchè son Turchi in Costanti» 47 nopoli. Il Sultano che pensa a provvedere la città di pa- ne, penserà’ fors” anco a fornirla d’acqua; se pure egli non s’affida nella impossibilità di vedersi assediato nell’antica Bisanzio. Una prova della indifferenza de’ Turchi per la vita dell’uomo, reca il nostro A., narrando, come, mentr'egli , passato il detto ruscello , proseguiva il suo cammino , si sentì vicino lo sparo d’un cannone, e fischiare sopra il capo la palla. L'era una compagnia d’ artiglieri che tira- vano in quella dirittura al bersaglio, e che per veder passa- re il Dottore Inglese, non restarono dal loro esercizio. Qual- che dito più in giù che fosse stato collocato il cannone, e noi non avremmo la descrizione di questo viaggio. La via del nostro viaggiatore rasentava il muro che difende Costantinopoli dal lato di terra = muro altissimo , e che signoreggia il piano come una montagna a perpen- dicolo, la cui base è formata di massi immensi, simili alle così dette costruzioni ciclopiche. La città da cotesto lato è inaccessibile : e non fu mai assaltata. Il tempo la danneggiò alquanto; ma non è che non sia tuttora fortis- sima. Più torri ottagone la fiancheggiano. Il pezzo di muro che vien dopo, è men forte di natura, ma è meglio munito dall’arte. Essendo la città fondata sopra sette colli, le mura salgono e scendono secondo le inegualità del terreno ; sic- chè in qualche punto, dal di fuori della città si domina il muro, e le contrade di dentro. Fu questo il luogo che scelse Maometto II all’assalto, ordinandone uno al mede- simo tempo dal lato opposto ; e con pieno successo. Prosegue l’A. la sua via verso la porta di Silivria; in faccia alla quale, sopra un muro che corre lungo la strada, son cinque pietre sepolcrali; le tombe d’Aly-Pascià , de’tre figli, e del nipote di lui. Quì l’A. racconta le cagioni e le circostanze della morte di codesto singolare tiranno , con maggiore esattezza ch’ altri. non abbia fatto sinora. La testa del vecchio ribelle fu portata a Costantinopoli in una cassetta, ed esposta nel cortile del serraglio, dove il nostro A. la vide. La vide posata in un bacino sur una colonnetta di marmo ; con al disopra uno scritto ch’ es- 43 poneva i delitti del morto: un dostangi stava accanto con una bacchetta alla mano. In codesto scritto, che l'A. eom- prò, e che riporta, è detto, che Alì con perfidia e con tra- dimenti opprimeva i popoli a lui soggetti, che non s'è mai sentito atti più crudeli de’ suoi, ch’ egli ha tolta la vita a gran numero di raya infelici, i quali sono un deposito sacro affidato al Sultano dall’ onnipotente Iddio, ch'egli (si noti I’ armonia che fanno insieme queste due proposizioni ) ha mandato immense somme agl’Infedeli della Morea, e a'Su- liotti, per eccitarli alla ribellione, e che quest’ultima em- pietà ha ricolmata la misura de’suoi delitti, e gli ha me- ritata la morte. “ Così, (finisce lo scritto), così il popolo musulmano è liberato per sempre dalla perfidia e dalla tie rannia di Alì traditore. Dalla morte del Pascià di Giannina, passa l’A. a dar contezza della morte d’ Halet Effendi , crudele nemico di Aly; istigator della guerra che a questo costò la vita . Halet-Effendi , stato ambasciatore in Francia, ne riportò un cert’ amore della coltura europea: il Sultano, contento di lui, lo fece Nizandgi, ch’ è quan.o dire guarda-sigilli; ma Halet tanto impero acquistò sull’ animo del Sultano, che per molti anni tenne quasi egli solo le redini del go- verno. Fu invidiata la sua sorte, e da’ giannizzeri princi- palmente, che soli volean dominare. Questo corpo; nel 763 dell’ Egira formato da Muradalgase , terzo successore d’Ot- man , e quasi consacrato dalla benedizione di Al-Hadge- Bectash, Dervis ch'era in concetto di santo, e da lui chiamato Seni-seri, ossia nuovi soldati, venerava nel der- vis Hadge-Bectash, il discendente del lor patrono : onde in quel frattempo , rincarati i viveri, e accresciute le turbo- lenze del popolo , fu mandato cofesto dervis ad Halet per farne querela. Halet se n’offese; Hadge-Bectash fu bandito di Costantinopoli il dì 28 di febbraio del 1822, Lo si finse man-, dato in Persia; ma non se ne seppe più nulla : e si crede ch’egli perisse strangolato. I Giannizzeri irritati si radunaron più volte, e conclusero di domandare al Sultano il congedo di sette ministri, Un venerdì che Mahmud andava al solito. alla disegnata moschea (quello è‘1 destro di presentare le 49 petizioni), il nostro A. vide la presentazion di questa dei gianizzeri ; i quali però non ebbero veruna risposta . Ri- chiestone il Sultano dall’Agà, mostra d’ ignorare ogni co- sa: l’agà insiste, e fa conoscere il pericolo d’ogni menomo indugio. Mahmud, per accertarsene , percorse travestito le contrade e i caffè; e se n’avvide ben presto. Il dì dieci di novembre ., i ministri son congedati ; quattro di loro esi- liati nell’ Asia minore . Si spacciò che Halet fosse stato strangolato ; ma il Sultano che l’ amava , îo fece partire con un salva-condotto , scritto di sua mano ; e promise di richiamarlo , appena cessato il tumulto. Halet partì con. quaranta cavalieri, datigli per guardia d’onore. Cam. min facendo, riceveva gli onori usitati al suo grado: quan- do ricevè l’ordine di andarsene a Konia ; dove, per ri- conciliarsi ‘a’ giannizzeri , e’ pensava d’ aggregarsi ad un collegio di dervisci. Non era ancor giunto a Bola-Vashee, che sopravvien l'ordine del Sultano di tagliargli la tes- ta. Mentr'egli se ne stava col governatore del luogo , trattato con tutto il rispetto, entra }’ esecutore, presen- ta il firmano: Halet si trae freddamente di seno il salva- condotto ; il governatore confronta le date, trova che la condanna è posteriore; e non ostanti le obbiezioni d’ Halet., 1 esecutore lo strangola sull’ atto; gli taglia la testa, la porta a Costantinopoli; dove stette esposta nella corte del serraglio, sulla colonna medesima che avea. testè sostenuto il capo del suo mortale nemico. Gran folla accorse a vederla; cosa straordinaria alla indifferenza de’ Turchi, e prova dell’ odio in che l’ avea tutto il po- polo. La moglie che nou l’amava, al sentirlo ucciso, sa crifieò due pecore, e corse a veder la sua testa : ma a quella vista atterrita e commossa, la ricomprò per 2,000 piastre ; e la depose in un sepolcro magnifico. I gianniz- zeri la vollero gettata in mare; la fecero disseppellire, la portarono alla estremità del serraglio, la preci pitaron nel Bos. foro. E perchè i ministri del governo in Turchia. preve- dendo: la loro sorte, depongono in mano d’ un banchiere o ebreo od armeno , parte delle loro ricchezze , acciocchè T. XXXIII. Marzo. 7 50 non sien confiscate, come accade a coloro che muoiono per condanna , perciò fu mandato alla casa di Hezechiel, ebreo banchiere del morto ministro , e con la tortura gli furono strappati otto millioni di piastre, che vale a dire trecentomila lire sterline. La morte d’Halet non fu la vera causa dell’ eccidio de’ giannizzeri, ma un’occasione ben prossima. Mahmud già era fermo di voler addestrare le truppe all’esercizio eu- ropeo: se i giannizzeri acconsentivano , bene ; se no, dis- trutti. Già i capi erano vinti con denari e promesse ; i più restii , raffrenati con minacce ed esempi terribili : gli fece acconsentire in iscritto. E perchè il nome di nuova regola, dato alle nuove truppe da Selim, era troppo spia- ciuto, Mahmud le intitolò della regola vecchia; e furon contenti. S' aggiunse, che unico intento di codesta istitu- zione, era richiamare in vita un’antica istituzione di Soli- mano I; e l’assentimento pareva pienissimo. Quando in una rivista generale ordinata nell’Etmeidan il dì 15 di Giugno, i giannizzeri s’accorsero di essersi indotti a far ciò che avean giurato di non imparare a far mai. Sorge un bisbiglio ; l’agà li riprende; un offiziale egiziano appiccica uno schiaffo ad uno de’ malcontenti; gli ordini son rotti; i giannizzeri corrono per la città furibondi, saccheggiano la casa del- l’agà , si conducono (ultimo eccesso per un mussulmano) fino a violar le sue donne. Jl Sultano-era a Beshiktask- Kiosk, qualche miglio lontano ; si corre a informarnelo ; i giannizzeri intanto, gettato via l’uniforme, in vestimenti laceri, con addietro la plebe sfrenata, vanno al palazzo della Porta, saccheggiano, distruggon gli archivi donde cre- dean tratte le regole della nuova milizia. Le caldaie di ra- me , rispettabile insegna de’ giannizzeri, son tutte portate all’Etmeidan, rovesciate li in mezzo ; e ventimila uomini quivi insieme raccolti. Il Sultano, dopo ordinato al co- mandante dell’ artiglieria di star pronto, convoca un gran consiglio ; propone la distruzione de’giannizzeri » altri- menti, minaccia di ritirarsi in Asia; induce tutti al par- tito di spiegare il sacro stendardo , non mai spiegato da cinquant’ anni. Lo si piglia al tesoro imperiale, lo si porta SÌ solennemente alla moschea del Sultano Acmet. Gli ulema e i softa precedevano innanzi ; dietro il Sultano con la corte , recitando il corano. I banditori danno d’ogni parte l’annunzio ; i pregiudizii fanatici della plebe son mossi , e gli uomini corrono sotto il sacro stendardo a migliaia . Il Sultano scagliò 1’ anatema contro chiunque negasse di seguitarlo . Le truppe d’Agà-Pascià vennero intanto dal Bosforo ; e l'artiglieria fu piantata dinanzi al serraglio. I marinai, i giardinieri furono in arme: pochi ribelli resta - rono co’giannizzeri , e anche codesti si ritiraron nel por- to. Quattro uffiziali superiori sono mandati a’giannizzeri, apportatori di perdono, purchè si disperdessero in pace : fu rigettata l’offerta; e sperando, come per lo innanzi, di vincere con la pertinacia , uccisero i quattro inviati i do: mandarono che ogni progetto d’ innovazione si mettesse in oblio, e che fosse lor dato in mano il gran-visir, l’agà- pascià , l’agà de’ giannizzeri , e l’ agente egiziano Nagib- effendi, come rei d’ empie novità. Allora l’agà-pascià , con sessantamila uomini corse lor sopra , dieci mila ne uccise nell’Etmeidan: il restante perì per le strade, di ferro; o nelle caserme, «d’incendio. Cessò la fiamma, e sorse il giorno a illuminare un teatro orribile di incendi spenti col san- gue, e di cadaveri a mucchi, seppelliti sotto le ruine fu- manti. Sola una porta della città que’ due dì stette aperta per dare l’entrata a’fedeli mussulmani che accorrevano da ogni banda sotto il sacro stendardo , quasi al pellegri- naggio della tomba istessa del Profeta. De’ Cristiani nes- \suno aveva l’ accesso : a Pera tutto tranquillo ; nè di tanto tumulto s’avrebbe avuta notizia se non era lo scop- pio del cannone e l’ ondeggiar delle fiamme. Il Sultano comparve in mezzo alla moltitudine affollata con 1’ uni- forme delle nuove sue truppe; e se n’andò alla mosehea, scortato dai primi della sua corte, dai Topghee e da’Crom- boradgee , che facean vece di giannizzeri : gli stendardi di questi furono lacerati, interdetto fin di proferire il lor nome e la sera stessa i banditori annunziarono che tutto già era tranquillo. La mattina seguente, alle cinque ore, il n. A. arriva al | | I 52 luogo dove de’ masnadieri s' eran posti, al momento della insurrezione de' giannizzeri , a saccheggiare e rubare ; sic- chè nessuna strada della Tracia o della Romelia era sicu- ra.— Alle otto , pervenne a Selivria ; e a proposito della colazione ivi fatta , osserva che i Turchi, i quali hanno pure tante greggi, e fanno del cacio, del latte rappie- so, e altre vivande di latte, non sanno però fare il burro; e quel ch’e’ mangiano, viene loro dalla Scizia e dalla Rus. sia; ond’è sempre vieto. Le rovine di Silivria, magnifiche, sono abitate, il più, da ebrei e da greci ; la Silivria moder- na, ch’è al mare, quasi tutta da Turchi. Il più di que- gli abitanti parla italiano; la sola lingua dell’Europa oe- cidentale che i Turchi sappiano; lasciata loro dagli anti- chi stabilimenti di Genova e di Venezia. Anni fa, le bot- teghe tutte eran de’greci: oggidì che parte fuggirono, parte perirono , le hanno i Turchi. La città ha 8000 anime : Cos- tantinopoli ne trae dell’olio e del vino. Passata la baia e il promontorio di Silivria , s° entra in una grande pianura, la qual termina in un colle, sito i’ Erekli, l’antica Eraclea. Questa città mostra ancora , come al tempo di Diodoro, le case quasi ammontate l’una sull'altra, a modo d’ anfiteatro : il porto come quel di Si. livria, è deserto; e delle molte città ricchissime di quella costa non restano omai che poche peschereccie capanne. Rodosto è la sola città di commercio : in grazia degli Un- gheresi e degli Austriaci, rapiti dai Turchi nelle frequenti loro incursioni, e trapiantati quivi ; i quali a’loro discen- denti tramandarono l’ operosità europea, e con l’ esempio loro scossero fin la turca indolenza. Passato il promontyrio d’Erekli, si lascia la spiaggia, e s’ entra in un piano, di natura fertile ed amenissimo , ma incolto affatto : il cui territorio è diviso in chifliek , proprietà di Turchi opulenti, dimoranti in Custantinopoli, i quali, ad ogni pretesto di turbolenza , sono ,.in grazia delle loro ricchezze , o strangolati o cacciati in esilio. Alla nuova della loro disgrazia , i fittaioli delle terre fuggono portando via il più che possono, per paura d’ essere in- volti nella stessa sciagura : perciò quel paese bellissimo è 53 abbandonato. Un turco non barbaro , di nome Osmyn-agà, impiegato nel governo, pensò a migliorar que’ terreni ; ne ottenne un buon tratto ; spese gran parte del suo per col- tivarli al modo europeo ; vi costrusse un bel castello, di- vise la sua possessione in varii poderi; e in breve tempo ne fece un bel distretto e fiorente. Ma parte per cupidigia, parte per invidia de’ ministri, fu sotto un pretesto frivo- lo, esiliato ; furon confiscati i suoi beni; e quelie amene terre ridivennero incolte. Dè’soldati che venivan d’Ipsara, sbarcati ad Enos, furono i soli viventi che il nostro viaggiatore incontrò in questa grande pianura, Venivano parte a piedi, parte a cavallo, con panieri pieni di fanciulletti, fra itre anni e i dieci, ch’e’con- ducevano al mercato degli schiavi , a Costantinopoli. Veniva- no ultimi gli ammalati, parte su carri, altri lasciati sull’erba a morire se non avean forze da strascinarsi più innanzi. Era questa la bella truppa che cinque o sei mesi innanzi il nostro A. avea vedista partirsi da Costantinopoli : ma ai turchi di questa città il clima di Grecia è pericolosissimo, singolarmente di stata. Le sole bestie da soma che codesto paese possegga sono i bufali, e certa razza di bovi bianchi. 1 Turchi amano il bufalo: per onorare questo nero e brutto animale, gli tin- gono in bruno rosso, la ciocca bianca ch’egli ha tra le corna; di quel rosso onde essi si tingono l’ugne : poi gli avvolgono alle corna od al collo una collana di granella azzurre, chiamate Qukuk , e per vezzo , e per difenderli dal mal’occhio. L’azzurro è creduto da’Turchi distruggere il sortilegio ; come da’ Romani, da’ Greci, e da’ Giudei tuttodì . Il nostro A. dice d’ avere incontrato un postiere, portante sul suo bastone una corona di granella azzurre, per preservar da ogni male tutti coloro de’ quali e’ recava le lettere. Il collo de’ bambini, fin gli alberi e le prue de’ turchi navigli son difesi da amuleti: alle porte delle case si attaccano de’talismani: e anche i raya greci, armeni, e giudei, credono da’sortilegi venire la morte de’ lor fi- gliuoli, e li combattono al medesimo modo. Alle cinque ore, il nostro viaggiatore si trova a Tchor- 54 lu, teatro di recenti battaglie. Una bella moschea , che s° abbelliva di quant’ ha più magnifico la scultura orien- tale , fatta campo al combattimento, e tutta in ruine, mo- strava come anche i Turchi sanno al bisogno far poco conto de’lor luoghi sacri. A Tchorlu si fabbrica una pasta com- posta di noci e di una gelatina estratta dalla vite 5 che a Costantinopoli ha spaccio grande. Ve la mandano a carra. La mattina seguente, alle ott’ore, entrarono nel deserto di Tchorlu, senz'orma umana, sebbene il terreno sia fertile e ameno . Temevano gli assassini ; timore che in tempo di pace, a dir vero, in Turchia non ha luogo, sì per la lealtà naturale del popolo , e per la parsimonia de’ lor desiderii e per l’ astinenza da’liquori inebrianti, sì per le pene terribili minacciate a tali delitti: giacchè se il furto è com. messo in luogo dove sia fuoco , il reo è bruciato sul- l’atto; se sulla pubblica strada, impalato . Ma in tempi di general turbulenza , come son questi , il timore non era irragionevole: fu vano però. Non erano assassini quel- li; erano cacciatori co’loro falconi. ll n. A. arriva in sul mezzo giorno ab bnte di Caristrem: vede nel paese intorno gran quantità. 4 que’ tumuli , de’ quali abbiamo tante memorie antiche ; parte anco eretti da’ Turchi : si lamenta delle pessime strade da’Turchi co- strutte , alle quali il viandante presceglie il terreno in- tatto, come men disagiato. Alle quattr’ore , e’ giunge in Burghaz, città dove si fab- bricano d’ una argilla finissima, tazze ed altri utensili, non verniciati, ma ben politi e con dorature. 1l dì seguente , alle tre ore di mattina uscì di Bur- gaz; e a mezzo dì fu a Kirklesi, città sudicia, in ruine , ch’ ha quattromila famiglie di Turchi prepotentissimi , e mille cinquecento di greci, i quali hanno una scuola di mutuo insegnamento, pel greco antico; un altra scuola pel latino; dove il metodo stesso del mutno insegnamento era già per volersi adottare ; cosa singolare in Turchia, Tanta è in Kirklesi la popolazione greca; e pur non han chiesa . Conquistata Costantinopoli, Maometto Il fece le parti giuste , e metà delle chiese lascio a’greci, metà prese pe’ 55 suoi: ma d’allora, fu interdetto a’ vinti fabbricarne delle nuove; nè riparare le antiche si potea senza summe. gra- vissime da pagare al governo : e anche codesto compenso dopo l’ insurrezione, fu tolto ai Greci. Tuttavia, tenacis- simi de’ riti loro, fanno lor riparazioni in secreto , anco a risico di gravissime pene. Per istrade fangose e disagiatissime si venne all’albergo della Posta ; giacchè da Kirklesi comincia il servigio della posta. L’albergo era una capanna miserissima: ma dentro v'era un caffè, e nel caffè parecchi Turchi non poveri. — In sei ore si fu a Fakik, in quattro a Grekker; la sera tarda, al villaggio di Doolathaghe. Sul far del giorno, il nostro viaggiatore entrò in un paese montuoso e selvoso ; e di lì a poco si trovò sulle prime montagne del Balkan ; sovra un’ altura incontrò i be’ villaggi di Rusu-Kestri ; ma troppo aggravati da tiranniche imposte. Ogni paesuccio ha un pubblico venditore delle cose necessarie al vitto , il qual paga mille piastre pel suo privilegio : gli è un Greco degli Arnauti, la sola persona del paese che sappia legge- re e scrivere, C'è qualche villaggio che non ha nemmen chiesa ; ma viene un prete de’ dintorni .a jcelebrarvi alla meglio. Passando innanzi, il n. A. trova de’boschi, da cui si rac- colgono piante medicinali o da tingere , portate ad Adria- nopoli e altrove. Alle sei ore , giunge al villaggio di Bee- ni. Il dì segnente, scorre altri villaggi bulgari : alle dieci della mattina, egli è ad Haidos, la qual giace al piede dell’ alte montagne del Balkan. «E quìil n. A., al vedere i barbieri, che radendo la barba veltano il rasoio non dalla parte loro ma dalla parte del viso , al rovescio di quel che usiam noi; i legnaioli che tengono i denti della sega voltati dalla parte loro, e non alla opposta com’ è l’ uso de’nostri ; al vedere i muratori che lavoran seduti, e gli scrivani che tirano da diritta a manca , trae da queste minute particolarità un’ osservazio- ne rettissima sulla singolarità del carattere di cotesta na- zione, da più secoli posta al contatto de’popoli inciviliti, 56 e pur tuttavia conservante anche nelle menome cose le consuetudini antiche. Entrato nelle alture del Balkan , il viaggiatore provò tutti i disagi di quella nebbiosa regione, di quel clima piovoso : v' incontrò dì tratto in tratto de’ grandi e fertili piani , abitati , coltivati a biade ed a vigne ed a. pascolo ; e comecchè fosse l’ autunno già [bene oltre, pur la vege- tazione era vivissima e bella. Passata per angusti, e ardui, e pericolosi sentieri la seconda catena del Balkan, giun- se la sera al bel paesetto di Lopenitza, ch'è al mezzo della discesa ; e dove fu accolto con rara geritilezza. Il dì seguente ritrovò il finme stesso ch’ aveva incontrato nel salir Ja montagna; ej che, al creder suo , potrebbe fornire una via attraverso que’ burroni, sei Turchi non amas- sero. di tenere inaccessibile il Balkan , per ischermo dalle incursioni nemiche, Alle tre dopo il mezzo giorno, furono a Schumla: La mattina appresso partiti presero un’alta mon- tagna da cui si dominava tutto il paese dintorno, e parte del Balkan, che da questo lato si presenta ancor più ripido e inaccessibile, e stendendosi in linea diritta quasi muraglia immensa tocca le nuvole. Tale opinione avevano della sna altezza gli antichi , che Mela dice potersi da quella cima vedere il Ponto insieme e 1’ Adriatico. È cosa notabile ch” Erodoto non ne parli ; e sì il Balkan dovette opporre un ostacolo non leggero alla invasione di Dario, Nè la larghezza di quelle montagae è meuo considerevole dell'al- altezza : chè dall’ un lato arrivano al golfo di Venezia , dall’ altro al mar Nero, Balkan le chiamano oggidì , che vale gola ardua ; e li distinguono ‘in alti e bassi : i, bassi son quasi le prime fortificazioni di codesto gran muro in- nalzato dalla natura. Li Schumla siede ‘all'angolo della valle formata dalle due estreme catene del Balkan: il quale da Fahik a Schum; la, occupa novantasei miglia, ore trentadue di cammino. AI di là di cotesti due punti, tutto è pianura ; nel mezzo tutto è montagna : ma la parte più ripida è di sole nove ore di cammino , ossiano miglia vensette. Ne’ dintorni di 9 Schumla, le montagne si formano in semicerchio, e son ve- stite di giardini e di piante fino in vetta, ch’ è un ameno spettacolo. Al piede comincia la pianura, la qual si stende infino al Danubio da Settentiione ; é da Ponente, al mar Nero. A Levante , è la città col porto di Varna, posta. fra due promontorii , cinquantaquattro miglia distante da Schumla. Per cansare il passaggio del Balkan , si vien per nave da Costantinopoli a Varna; da Varna a Schumla. La parte del piario ch’ è al mezzodì del Balkan, è la Tracia , oggidì Romania; la settentrionale è la Mesia , oggidì Bul garia. Schamla è vna città di 60,000 anime, divisa in due parti ; la più eminente occupata da’ Turchi, da’ Cristiani 1’ altra. Quella è piena di muschee , le cui cupole e i mi- naretti son coperti di stagno lucente; che è singolare spettacolo a’ raggi del ‘sole. Havvi un orologio , che indica le ore, invece delle grida solite de’ Muezzim, cosa straor- dinaria in Turchia, Schumla è che vanta i ferrai e i cal- derai più valenti dell’ impero turco : i lor lavori varino a Costantinopoli : e son dessi che coprono le moschee con piastre di stagno o di rame. Le fortificazioni di questa città che si stendono tre miglia in lungo, una in largo, sono o mura di mattoni o terra ammontata, con torri da conte- nere otto archibugieri o dieci; difesa debole agli occhi degli Europei, ma fortissima all’uopo de’Turchi. L’ineguaglianza del terreno, e la estensione, impediscono che la città sia da tutte le parti attaccata ad un tempo, Dopo ott’ore di cammino, si viene al paesuccio degli Ar- nauti; colonia greca, com’indica il nome: ch'è il primo luogo dopo Costantinopoli, dove l’A. ritrova de’libri. Questa città conteneva 1500 famiglie greche; ma le battaglie date al tem: po dell’invasione de’russi, le ridussero a cinquarita. V'è una chiesa, un prete, una scuola. — In un’altr’ora di cammino efua Rasgrad, città di duemila famiglie di Turchi, e mille di Greci : in altre sett’ ore a Bizants, ch'è 1 ultimo paese de’ Bulgari } dal n. A. lodati per la dolcezza de’ modi ; la pulitezza del vivere, la bontà de’ costumi. La lingua loro non è scritta: sono ignoranti, ma buoni, e nella loro condizione felici. T. XXXIII. Marzo. 8 58 La mattina seguente, il nostro viaggiatore giunse in prospetto di Rustchuch, posta in riva al Danubio. Rust- cuch , pare al n. A. città da non potersi difendere , seb- bene i Russi abbian tanto sudato a espugnarla. Conta da diciotto a ventimila case: settemila di Greci, d’ Arme- ni, e d’Ebrei, i quali fanno con la Valachia un buon com- mercio. Passando il Danubio , 1)’ A. osserva la visibilissima differenza ch’ è dalla riva destra alla sinistra del fiume ; l’una culta, declive , feconda, piana l’altra, ignuda, in- salubre, deserta. Dietro all’isola di Slosbodsé più giù di Rustchuch , è la città di Giurgewo, la quale ha una buona fortezza , l’unica in tutto l'impero che sia ben munita. Partito da Giurgewo, e percorse in due ore diciotto o venti miglia sopra una singolare vettura , ‘si giunge al villaggio di Bangaska , dove le case son tutte sotterra. Qui nota 1’ A. che in Valachia i cavalli son molti; dove in Bulgaria non ven’è che alla posta. Da Giurgewo a Bucarest egli giunge in meno di quin- dici ore ; dove, non ostante il terror della peste, l’ Au- tor nostro incontrò per via molte e 'ricchissime carrozze di boiardi , rinvolti nelle loro pellicce , con in capo il grande calpac, coperto di velluto verde o color di scar- latto. Il debole di questi boiardi è la smania di far pom- pa delle lor belle vetture : ma col lusso della carrozza contrasta il sudicio del cocchiere , in zimarra grigia , con un cappellaccio goffo , zazzeruto, scapigliato : misto di squallore e di lusso, che i boiardi valachi possono avere appreso dall’ esempio de’ russi. Bucharest, capitale della Valachia , conta 80,000 abitanti, parte orientali, parte europei ; altri in cappello ed in giubba, altri in calpae e in pelliccia. Qui tu vedi carrozze bellissime con be’ ca- valli, là carrettaccie con bufali: non ci ha moschee , ma chiese greche in numero di censessanta , con venti mona. steri. Corrotti sono i costumi ; e donne pubbliche , quante in nessun’ altra città del mondo : onde si voleva levare sopr’ esse un testatico ; che sarebbe stato , dicevasi , la più grossa imposta della città. I sobborghi di Bucharest son 59 tovinati, non per colpa de’ Turchi, ma per l'invasione de’ Russi, nel 1806. In tre ore di cammino, giunge l’A. a Bolentina: alle sei della mattina seguente , dopo camminato. tutta la notte, egli è a Petesk, a piè de’monti Krapach: passa la città di Custo, antica sede de’principi di Valachia: visita Rimnik, celebre per la battaglia di Draghescan, che tanto onora il valore della Grecia moderna. Ecca come il n, a. la narra. — Ipsilanti, non ricevendo dalla Valachia nè dalla Moldavia gli aspettati sussidii, sì ritira a Tergovist; ma inseguito dai turchi, attraversa il bel paese dell'alta Valacchia, passa l’Olt, viene a Rimnik, cittadetta vicina al fiume e poco distante dal Krapach che separa quella provincia dalla Tran- silvania e da’ dominii dell’ Austria : inseguito anche’ qui- vi, risolve di voltar faccia e resistere. Nove mila eran gli armati condotti da Ipsilanti, tra Arnauti, Panduri, Ser- viani, Bulgari, Valacchi, Moldavi ; tutti concordi di volere ; ma troppo diversi e di usi militari e di lingua. Il corpo nel quale Ipsilanti più si fidava, era un drappello di gio- vani Moldavi e Valacchi delle famiglie più ricche, edu- cati alle università di Germania e d’Italia; i quali-al pri- mo grido di guerra accorsero da tutta Europa ; entraron tosto nella così detta Eterìa ; e in uniforme nero, armati di pistole , di sciabola, d’ un fucile con baionetta all’uso europeo , si congiunsero ad Ipsilanti. Il lor drappello avea titol di sacro, come quel de’ Tebani condotti da Epa- minonda : morte o libertà, stava scritto sulle loro ban- diere. Eran cinquecento; animosi tutti, e sofferenti d’ogni militare travaglio, sebbene inesperti dell’ armi, Più di tre mila degli armati d'Ipsilanti eran iti col principe Canta- cuzeno contro il pascià d’ Ibrail sul Danubio : restavano cinque mila ; con un corpo di Arnauti a cavallo , e con qualche picciol cannone. Le forze turche eran doppie di numero; con 1500 uomini a cavallo bene armati, e tra questi un corpo de’ famosi spahì. Cominciò la battaglia alle dieci della mattina del dì 19 di giugno dell’ anno 1821. Scaricata la piccola artiglieria greca, i turchi si gettano sul drappel sacro che difendeva i cannoni; son rispinti a 60 baionetta, arme che' a turchi mancava. Si scompongon questi ; ma riuniti ben tosto , si rivoltano, e son di nuovo respinti, Ipsilanti ordina alla cavalleria di assaltarli a ter- go , nell’ atto della ritirata ; e già la vittoria era certa : ma Karavia, il traditore, che la comandava, si rivoltò con- tro. i greci egli stesso; e di vincitori che già erano, li cacciò in rotta. La infanteria spaventata si affolla all’Ott, fugge a muoto; riman solo in campo il drappel sacro, su cui la turca cavalleria si precipita, lo accerchia, tenta forzarne le file, ma indarno. Presi di mira, alfine, a colpi di pistola, que’ valorosi perirono in numero di 400; gli altri morirono anch’ essi dalle riportate ferite. E non han- no ancora una tomba. — Ognun sa la fine misera d’Ipsilanti. La sera al tardi (noi riprendiamo la via dal n. A. tenu- ta), egli perviene a Salatruk , villaggio in sull’ erta del Krapach: il dì seguente penetra in codeste montagne; tro- va il paesuccio di Repora; passa il fiume Ulta-Ap, giunge a Kimeni, ultima posta della Valacchia: e quì coglie il de- stro di tessere in breve la storia di questa provincia ; nu- merando infine le famiglie Fanariotte che in Valachia eb- bero il principato: Maurocordato , Muruzi, Ipsilanti, Ca- limachi, Suzzo, Karadia, Hancherli, Mauroieni. Se non che, in questi ultimi tempi, per l’ influenza. d’Halet-Ef. fendi , l’ elezione era ristretta a tre stirpi sole; Muruzi, Calimachi, e Suzzo. Delle dette famiglie lA. n. ci fa co- noscere i recenti destini e i discendenti ultimi. — Alessandro Maurocordato, uomo colto, dimorante a Terapia con la sua numerosa famiglia, al principio della insurrezione , senza che paresse lui avervi presa parte, si vide confiscare i suoi beni, fu esiliato ad Angora in Asia; e la moglie e le figlie di lui date in preda alla brutalità de’soldati che avevano attorniata la casa. L’ A. ha conosciuto a Costantinopoli codesta famiglia infelice; attesta le buone qualità di quelle donne, e il coraggio col quale sostengono la sventura. Di questa casa stessa, è Alessandro Maurocordato, un de’capi della insurrezione, al cui scoppiare, egli accorse tosto dal- I’ Italia : figliuolo d’ una principessa, ma non mai stato ospodaro. 61 La famiglia, Muruzi vanta fra’ suoi , Demetrio so- prannominato col bel titolo d’ Evergete ;; vero benefattore della Valachia,il qual morì trucidato nel 1812. — Costan- tino Muruzi, dragomanno della Porta, allo scoppiare della insurrezione, ricevuta una lettera. d’ Ipsilanti, e per ti more mostratala al Reis-Effendi , fu obbligato a tradurla; ne omise un passo che annunziava tutti i greci essere concordi all’ impresa , l’ omise per non esporre all’ ira del Sultano la nazione intera : ma questi, accortosi del- 1’ omissione , lo fece sotto agli occhi suoi proprii, com’ è fama , trucidare. Sua moglie con nove figliuoli , dimorava a Terapia; tre de’ figli maggiori furono anch’ essi condan- nati a morire. La madre nascostili in una cisterna, li tra- fugò poi tutti a Odessa, dove ricevette una pensione di 1200 rubli al mese, dall’imperatore Alessandro. Bruciato fu il lor magnifico palazzo sul Bosforo ; e una bella biblioteca venduta dagli Ebrei a peso di carta.— Un fratello di co- desto Costantino Muruzi, interprete dell'Arsenale, fu an- ch'egli, poco dopo, messo a morte per ordine del Sultano. Della famiglia Ipsilanti, abbiamo tra gli ultimi dis. cendenti il notissimo Alessandro, nato a Costantinopoli il 1795, stato in Francia co’ russi, quivi ferito, e in com- penso della perdita d’ un braccio, fattovi generale. Nel 1821 egli viveva in Odessa: passò il Pruth, venne a Yas- si, levò la bandiera di libertà; fu sconfitto ; imprigionato in Austria, in Austria morì, — Suo fratello Demetrio fuggi in. Morea, dov’ è ancora. La famiglia Calimachi era molto in grazia presso la Porta : nel 1812, Carlo Calimachi fu nominato Ospoda- ro; stette sett’anni nel grado, tornò a Costantinopoli, e vw’ ebbe onorevoli uffizii ; nel 1821 fu Ospodaro di nuovo: durante l’insurrezione rimase per alcun tempo ac- cetto alla Porta; ma poi fu cacciato in bando nell'Asia minore ; e morì d’ apoplessia, se si crede a ciò che ne dicono i turchi, — Ianko Calimaki, fratel di lui, drago. manno nel 1821, fu anch'esso mandato in esilio, e poi trucidato : distrutto il suo palazzo magnifico , e regalmen- te addobbato , ove furon trovate arme simili a quelle dei 69 greci imperatori; onde si sospettò che suo pensiero fosse ridonar vita all’ impero. La sua famiglia fn, come quella di suo fratello, ristretta in dolorosa prigione. Della famiglia Suzzo , Alessandro dragomanno, fu al- l’impensata decapitato : Michele , suo fratello, Ospodaro della Moldavia nel 1824, partecipò all’insurrezione; e fal- lito il colpo , fuggì in Russia, ov’ è ancora. De’ Karadia , Janko, dragomanno dopo il Suzzo , nel 1812 fu Ospodaro; nella qual dignità arricchì moltissimo: onde invidiato e reso sospetto, fece passare i suoi capitali in Italia ed altrove; convocò i suoi boiardi nel 1818; affidò loro il governo ; raggiunse presso a Bucharest la sua fa- miglia ; ‘e in vetture già disposte, corse in Transilvania; quindi a Ginevra : ora è a Pisa. Della famiglia Mauro-Yeni, i tre figli dell’ Ospoda- ro decapitato anni sono, furono all’ atto della insurre- zione mandati nell’ Asia minore; nè se ne sa più novella. — Costantino Changeri, fu decapitato : suo fratello Ales- sandro nel 1821, già condannato, fuggì, e vive a Odessa. — Costantino Negri, accusato d’avere sparsi varii esempla- ri della costituzione greca , fu nel 1822 decapitato . Egli è 1’ ultimo de’ greci trucidati a Costantinopoli. Altre famiglie potenti, e lodevoli per amore di lettere, come gli Argiropulo, i Mano, furono o cacciati in esilio, o messi a morte: i superstiti languiscono o avviliti in Turchia, o miseri in terra straniera. Que’Fanariotti, sì fiorenti, s) ric- chi , sì gai, sì potenti nelle cose del governo , e sì bene- meriti, che in una città di barbari conservavan vivii co- stumi della coltura Europea, amici delle lettere e delle arti , ospitali, socievoli; ora dispersi, negletti, mendici. Quell’ ameno paesuccio di Terapia sul Bosforo , tutto po- polato di greci , soggiorno dell’ allegria , delle danze , de” canti, di tutti i sociali piaceri , la cui vivezza facea bello e singolare contrasto con la trista taciturnità de’ dintorni, come cambiato! Gli abitanti, o morti od in bando; e quelle case eleganti, o atterrate o deserte. Del resto, quanto agli ospodari e alle loro famiglie , pochi sono che possano meritare quella compassione che 63 vien dalla stima. Costretti a comprare la lor dignità, con grossissime somme, se ne ricattavano sopra i sudditi,.con gravissime imposte. I governatori de’ventidue distretti, che mutavano tutti al mutare del principe, pensavano dal lato loro a straricchire con tanta ruina degli abitanti , che dopo la fnga di Karadia , i boiardi implorarono di non essere. più soggetti a principi greci, offrendo di pagare a dirittura,al divano, il tributo. che il divano ritraeva, da’ principi. Fu ristabilita infatti dipoi l’antica costituzione della Valacchia, furon scelti tra'boiardi gli ospodari: ma nel 1823 fu scelto un Greco di nuovo ; e il n. a. vedde nella chiesa patriarcale di Costantinopoli la consacrazione di Nicola Gbmka in Voi- voda della Valacchia: il qual poi seppe adempiere l’uffizio suo con integrità , con senno; e .con pieno, appagamento e de’ Greci e de’ Turchi. | Quì nota l’ Autor nostro come anche ,.in mezzo alla calamità e all’ abbiezione ,.i greci nell’ardenza, della lor fantasia , speran, pure giorni più liberi; aspettano il com- pimento, d’ un’antica profezia che promette lo scacciamento del Turco da Costantinopoli per opera d’un'esercito d’uo- mini biondi. La Valacchia e Ja Moldavia , quali son ora, occupa- no 360 miglia in lunghezza dal Pruth a Orsova ; 150 in larghezza dal Danubio al, Krapach. Il paese, presso la mon- tagna è ridente; lungo il Danubio, e anche molto più in dentro, maremma . Similmente in Moldavia., le molte acque scendenti dal Krapach, rendono acquitrinoso il ter- reno. Il numero degli abitanti è 1,500,000 circa ; piccoli , deboli, co’capelli biondi e finissimi come seta, indolenti, Perciò vi son rari i grandi delitti; e i delitti che pur vi si commettono, sono opera de’Panduri, degli Arnauti, e de- gli stranieri insomma, presi a protezione dagli abitanti più timidi. Son essi che assaltano spesso il viaggiatore ne’mon- ti. Son essi che componevano tutta quasi l’armata d’Ipsi- lanti; giacchè gl’ indigeni timidi non v° osarono intinge- re. Di tanta inerzia, l’ agricoltura risente anch’ essa il suo danno : da un suolo fertilissimo poco grano si rac- coglie : i Turchi ne fissano il prezzo, lo comprano, e lo 64 rivendono a Costantinopoli con sommo vantaggio . Se un Valacco si fosse messo a fare simili negozii, gli era con- fiscato il grano , ed egli bastonato. Lungo le strade non si semina; sicchè il paese pare ancora più incolto è misero ch’ e’ non è. La vita pastorale meglio si conviene all’in- dole de’ Valacchi ; ond’ è ch’essi mandano ne’paesi vicini trecento mila pecore all’anno,e a Costantinopoli tre o quat- tro mila cavalli. Così di maiali e di bovi gran quantità ne passa ifi Transilvania e nell'Ungheria. Poco consuma- no di manifatture estere , perchè veston di pelle : quel poco viene lor di Germania : segnatamente le carrozze dei boiardi, belle in vista, ma fragili. I ricchi vestono all’orien- tale ; i poveri, quasi al modo degli antichi romani: le ca- se sono di terra , coperte di paglia, e ‘scavate : ‘1’ istate abitan di sopra; l’inverno, giù nella cava. La religio- ne è la greca: i preti, ignorantissimi ; i più, non san- no nè legger nè scrivere. Cè de’ monasteri molti; e al- cuni ricchissimi pe’ legati lasciativi da tutti quasi i ricchi morendo. Vi s’ introdussero de’cattolici , i quali ci hanno due vescovi : e dopo Carlo XII v'ha anco delle chiese lu- terane; mille persone in tutto. Qui 1° A, descrive i disagi della sua contumacia ; e dimostra quant’ ella fosse inutile , giacchè gli abiti furon lasciati quali egli li portò, senza purificarli: sicchè se pe- ste v° era, el’ avrebbe riportata con sè. Scorse le tre set- timane , egli continua il suo viaggio, passa dalla famosa fortezza ‘della Torre-Rossa; passa il paese de’Zingani ; en» tra nella Transilvania; da Hermanstadt viene all’ Eptar- chia Sassone ; quindi al bannato di Temeswar; entra quin- di in Ungheria. Noi, lasciando le descrizioni ch'egli dà della via percorsa, lo ritroveremo in Buda, per ascoltare da lui uno straordinario fatto d’ alcuni greci, passati di là poco tempo innanzi; fatto che mirabilmente esprime il carattere di quel popolo singolare. AI principio dell’insur- rezione , alcuni mercanti e marinai greci che si trovavano a navigar nel Mar Nero, vollero tornarsene alla lor patria: non potendo entrare pel Bosforo, si radunarono a Odessa, vendettero i lor vascelli, e risolsero d’ imitare il famoso 3 i 65 viaggio degli avi loro , i diecimila, ripatriando per terra. Erano in numero di mille cinquecento ; dovevano traversa- re mezza l’ Europa , e tornarsene pel Mediterraneo, Il go- vernatore diede un passaporto a ciascuna ventina di lo- ro : essi, ricongiuntisi per via , si diressero verso Brody nella Galizia ; chiesero di passare pel territorio Austriaco infino a Trieste , e quivi imbarcarsi. Invano, Costretti a fermarsi quivi, insultati dagli ebrei che vi son molti, ve- dendosi già mancare i mezzi di sussistenza , minacciarono d’ incendiare la città se lor non s’apriva l’accesso. A quat- trocento fu concesso di piegar verso Vienna, gli altri dalla parte d’Amburgo. Questi 1100 entrarono pel Reno in Sviz- zera; e, siccome ormai privi di mezzi di sussistenza, furo- no raccaitati caritevolmente, e mandati a Marsiglia ; di dove ripatriarono. I quatirocento. tanto arrestati a Vien- na che non avean più di che vivere ; infine per la media- zione del Nunzio del Papa, furono spediti in Ancona. Qui- vi compraron dell’ arme; e giunti appena in Grecia, dopo percorsa a tal fine buona parte d’Europa, si misero a ser- vir nella flotta, dove certamente ebber parte a quelle prove mirabili di valore e di zelo, che la Grecia moderna ren- deranno nelle sue rovifie immortale. A. Z. Appendice agli articoli sulle Lezioni di letteratura del sig. Vix- LEMAIN. L’ interesse , ch’oggi ispirano generalmente le questioni di drammatica, quello più particolare, che sembrano destar in Fi- renze , ov’ è istituita una nuova società , per assoggettarle quant’ è possibile alla prova dell’ esperienza ; il bisogno di raccoglier lumi d’ogni parte, onde rendere quest’ esperienza più profittevole , sono stati causa di qualche doglianza , che nel sunto delle lezioni di Villemain non siasi compresa la miglior parte della sua critica d’ Alfieri, il confronto cioè ch’ ei fa di varie tragedie di questo poeta con quelle d’ altri e antichi e moderni. Quindi la presente T. XXXIII. Marzo. 9 66 appendice , in cui al confronto già detto se n° aggiugnerà , quasi in via di compenso per l’ indugio sofferto, qualch’altro non meno sagace , che in quel sunto fu indicato. Parecchi de? nostri lettori , soliti godersi alla giornata ciò ch’ esce di meglio nel mondo lette- rario, troveranno sicuramente questi confronti un po’vieti. Amando però il comodo pubblico , non vedranno malvolentieri che sieno qui posti sotto l’ occhio d’ altri molti, a cui probabilmente riu- sciranno ancor nuovi. Villemain, seguendo la già fatta divisione (cronologica insieme e letteraria com’ ei la chiama ) delle tragedie alfieriane , comincia il suo confronto da quelle di greco soggetto. I soggetti greci, egli dice, tratti la più parte dalla storia favolosa d’ alcuna famiglie, (singolare aristocrazia teatrale qui ne finis jamais) hanno oggi dop- piamente perduto d°’ interesse, aggiugnendosi alla loro antichità le infinite ripetizioni de’ tanti imitatori di quei che primi li posero in iscena. Non v'è però soggetto sì vecchio, che l’ingegno non possa in qualche modo ringiovanire; e noi ne abbiamo prova da un poeta francese de’ nostri giorni , che rimaneggiò come Alfieri quello d’Agamennone già trattato da Eschilo, e che non deve quindi obliarsi in un confronto tra i due Agamennoni del poeta italiano e del greco. La sua tragedia gioverà anche a farci meglio com- prendere la differenza che passa fra i moderni e gli antichi , diffe- renza che mai non apparisce maggiore, che quando i soggetti da lor trattati sono identici, e le particolarità da essi vagheggiate in tali soggetti sono più somiglianti. Questa differenza , bisogna pure ch’io m’affretti ad avvertirlo, è in gran parte l’ effetto del tempo e delle circostanze. Io m’ im- magino , ei prosegue, la storia d’ Agamennone, specie di leggenda religiosa e nazionale , posta sul teatro de’ Greci, e accompagnata dalla lor maestosa melopea sì conveniente al suo carattere. Essa non ha bisogno di grandi artifizi drammatici per occupar tutti gli animi , non ha bisogno di squisite combinazioni per sembrar vero- simile; poichè le sue particolarità per così dire più crude sono universalmente credute , sono anzi immutabili. È forza che Aga- mennone sia immolato per mano della sua donna ; e lo sia senza esitazione e senza rimorso. Un poeta moderno userà ogni sua in- dustria per preparar costei al delitto, per condurla gradatamente, fra molte alternative, cioè, di passione e di rimorso, di rimorso e di passione, sino all’istante fatale, in cui la passione deve soggiogarla. Un poeta greco , Eschilo specialmente , in quella sua ispirazion primitiva , è sciolto d’ ogni cura a questo riguardo. Vedete infatti. Ei vi mostra Clitennestra che accoglie Agamennone senza turba- 87 mento ; che gli tiene anzi un lungo e tranquillo discorso ; tal ch’ ei le dice con singolare ingenuità: O progenie di Leda , 0 di mie case — fedel custode, i molti accenti tuoi — ben si con- fanno alla mia lunga assenza. Il coro canta secondo il costume, Agamennone si ritira , e la terribile consorte, senza provare alcun interno contrasto, senza aver d’ uopo , per rinfrancarsi , d’ alcun colloquio col seduttore Egisto, va a compiere la vendetta che sta meditando. Tale è la tradizione istorica , e la tradizione isto- rica è al poeta in vece della natura. Non crediamo peraltro che nella semplicità del suo piano tragico , nella sua fedeltà religiosa alla tradizione, ei non mostri alcun’ arte. È stato detto più volte che la tragedia greca è un felice accidente, un bello e casuale cominciamento perfezionato dappoi. In questo cominciamento , però , che sembra sì imperfetto , è facile rieonoscere avvertenze squisite, a cui la moderna perfezione non è forse mai giunta. Tale mi sembra quella, per cui, nell’ Aga- mennone d’ Eschilo, Oreste ed Elettra mai non si presentano in iscena. Parve sicuramente al greco poeta così sconveniente che inverisimile il rendere un figlio e una figlia , nella loro prima gio- vinezza , confidenti o delatori d’° una madre colpevole. Gli antichi costumi, lo veggo , furon di norma al suo giudizio. Ma intanto è pur vero, che la nostra delicatezza potrebbe difficilmente venire in confronto di quella delicatezza primitiva della greca tragedia, di cui egli ci dà prova. D’ un’ altra specie di delicatezza , più particolarmente dovuta al suo ingegno, abbiamo prova in uno di que’ personaggi, ch’ egli era assolutamente padrone di mettere o non mettere in iscena , la sua poeticissima Cassandra. Questa bella e giovane captiva, profetessa nulla più creduta nella casa del vincitore che in quella del padre , dopo avere con solenne e misterioso linguaggio annun- ciate , come il coro le rimprovera , fiere vicende orribili, grida ad un tratto : Non più nel velo avvolto , — siccome sposa , il vaticino mio — or si parrà. Quanta grazia in questo paragone così singolare insieme e così naturale! La sventurata profetessa, benchè tutta compresa da previsioni di sangue e di delitti, è pur sempre giovane donna, e non può non pensar con tristezza al nunzial velo, ri- serbato ad altre fronti e negato alla sua. Qual poesia più delicata di questa! Qual maggiore delicatezza che quella d’un tragico ( Eschilo , secondo una tradizione ; che pel compendiatore di que- ste osservazioni è assai credibile, fu competitor di Simonide) a cui è propria una tal poesia! Del resto quasi ogni detto di Cassan- dra è poesia ammirabile ; e la parte assegnatale dal tragico nella 68 sua composizione caratterizza ad un tempo il suo ingegno e la greca tragedia. Volendo riprodurre sulle scene moderne il soggetto d’ Aga- mennone , bisognava supplire con molt’ arte alle verosimiglianze a cui Eschilo non pensò; e rapirgli nel tempo stesso le sue più belle ispirazioni. Alfieri, come richiedeva il gusto de’ moderni , a cui un’azion teatrale, qual Eschilo la concepì , o piuttosto la prese dalla comune credenza , sicuramente ripugnerebbe , si diede gran cura di mostrarci Clitennestra strascinata a poco a poco e quasi suo malgrado al delitto. Quindi nella sua tragedia combat- timenti di volontà, risoluzioni, irresoluzioni ; resistenze penose, seduzion prepotente , ec. ec.; quindi interesse progressivo ; for- za, eloquenza. Ma egli ha trascurato affatto il personaggio di Cassandra ; ch’ Eschilo avea sì felicemente ideato. Egli non ha voluto o saputo curare quello splendore di poesia ch’ Eschilo ebbe comune cogli altri Greci; non ha pensato che la verità de’ sog- getti mitologici consiste interamente per noi in una specie di pro- spettiva poetica, la quale è duopo conservare per mezzo del poe- tico linguaggio. Si ha gran torto, ei prosegue, di biasimare 1’ amunirabile eleganza di Racine (e noi potremmo dire la splendida verseggia- tura del Monti) nelle tragedie in cui egli tratta simili soggetti. Certo il linguaggio, che tengono in esse i personaggi introdut- tivi, non è il linguaggio ordinario degli uomini. Ma perchè io creda che que’personaggi sono Greci antichi; perch’io mi traspor- ti nel loro mondo favoloso; perch’io m’immagini il loro commercio cogli Dei, ec. ec., mi è d’uopo appunto d’un simile linguaggio, senza il quale non v’ è per me illusione. Alfieri non sembra quasi conoscere che una sola specie di linguaggio, un linguaggio austero e forte, ch’ ei presta indistintamente agli uomini di tutte le età e di tutti i paesi. Quindi nel suo Agamennone, benchè stupendo a molti riguardi, nulla che propriamente vi faccia vivere nel- l’àntica Grecia, nulla che vi trasporti coll’immaginazione in quel paese di favole e di prestigi. All'incontro uno de’ nostri poeti viventi, Lemercier , che ha talvolta imitato Alfieri, ma da uomo che, imitando , sa pur creare, si è fatto greco quanto gli era possibile, ed ha dato così alla sua tragedia ciò che manca a quella del poeta italiano. Anch? egli, serivendo sotto 1’ impero delle moderne idee, ha dovuto condurre grado a grado Clitennestra al colpo fatale e irreparabile. Ei non ha osato farle dire, come Shakespeare a lady Macbeth, toglimi il mio sso. Ei V ha lasciata donna, indecisa , mezzo colpevole, 69 mezzo pentita, e sino all’ultimo istante pronta a non fare ciò che pur fa. Indi nella sua tragedia molte bellezze, che chiame- remo di gusto moderno; e di cui Alfieri gli avea dato 1’ esempio. Ma a queste egli ha pur saputo aggiugnerne altre di gusto antico, mercè specialmente il personaggio di Cassandra, del quale s'è im- padronito con arte squisita o piuttosto con vera ispirazione, © da cui si spande sulla sua tragedia un nonsochè del cielo poeti- co della Grecia. Una delle più belle scene della tragedia d° Alfieri è sicura- mente il ritorno d’ Agamennone. In argomenti così artificiali come i mitologici è gran ventura per un moderno il trovar qualche cosa di naturale e di primitivo, che gli permetta di conciliar l’ in- venzione colla verità. Quando Racine fa pronunziare al suo Achille: L’honneur parle, il suffit, ce sont là nos oracles , ei gli attribuisce un sentimento che appartiene ad altri uomini che a quelli del tempo e del paese dell’ eroe, e questa mancanza di verità relativa ci offende. Ma quando Alfieri fa dire. ad Aga- mennone dopo diec’anni d’assenza: Riveggo alfin le sospirate mura — d’Argo mia quel ch'io premo è il suolo amato, — che nascendo calcai , ec. ec. ei non: gli fa dir nulla che in tutti i tempi e in tutti i paesi non possa essersi detto; e l’invenzion sua produce in noi l'ef- fetto della verità, con cui volentieri la confondiamo. Lemercier s'è appropriata quest’invenzione : Salut 6 murs d’ Argos! 6 palais, 6 patrie ! etc., nè potea facilmente far meglio. Ma il solo, seguita a dire l’ Agamennone d° Alfieri, son io che gode qui? consorte , figlia, — voi taciturne state? ec. ec. A queste parole Clitenne- stra, come richiedeva lo scopo del poeta, risponde fredda e breve e non senza visibile imbarazzo. Elettra all’incontro dà libero sfogo alla sua tenerezza, e, slanciandosi sulla destra paterna, v'im- prime fervidi baci: O man che fea — l’Asia tremar, già non di- sdegni omaggio — di semplice donzella , ec. Ecco un’altra bel- lezza ; ben nuova, e ben naturale ; ben greca per la sua inge- nuità senz’ esser tolta alla Grecia. Lemercier s’ è appropriata an- che questa: Ces redoutables mains laisse-moi les baiser, etc. , ma non senza qualche novità, mettendo in bocca d’ Oreste giovanetto ciò ch’ era in bocca d’ Elettra, cui per un sentimento delicato allontana dalla madre. Ma la sua originalilà è propriamente , come già accennai, nell’ appropriarsi ch’ ei fa la più bella invenzione d° Eschilo, il personaggio di Cassandra. E qui più che mai ci si rende sensi- bile la differenza che passa fra il gusto de’ moderni e quello degli antichi. Nella tragedia d’ Eschilo , schietta pittura dei duri 70 costumi d’ un’ età remota, Agamennone entrando in iscena rac= conta gli orrori della presa di Troja, esulta della gloria che ha | per essa acquistato, nè cura punto il dolore della sua captiva che gli sta innanzi silenziosa. Par anzi che questa infelice, a forza di soffrire abbia perduto in parte la facoltà di sentire ; cosa verosimilissima pur troppo , ma che a’'moderni può sembrar troppo rozza. Nella tragedia di Lemercier infatti noi troviamo il con- trario. Noi troviamo una Cassandra, che al solo ipronunziarsi d’un nome (il nome d’Ettore ) sente svegliarsi in core tutte le angosce, che non potè destare in quello della Cassandra eschiliana il lungo e crudel discorso d’ Agamennone. Del resto la Cassandra del tragico francese è così poetica nel suo linguaggio come quella del greco, e ascoltandola ci par quasi d’ udire dopo duemil’anni i suoni che più non s’ascoltano nel teatro d’ Atene: Je towche enfin la terre où m’ attendait la mort etc. etc. — L’ heure fatale approche : adieu fleuves sacrés! — ondes du Simois, sur vos bords révéres , — ‘vous ne me verrez plus , comme en nos jours propices , + parer des noeudes de fleurs l’autel des sacrifices; — et ma voix chez les mvrts, où bienidt je descends, — au bruit de l’Achéron mélera ses accens. Io non oso dire ; prosegue Villemain, che la nuova Cassandra sia per la situazione, in cui è posta, più tra- gica dell’antica. Questa , il cui vaticinio non debb’ essere più ve- lato come il volto d’ una sposa , lo ripete e lo rende più chiaro a misura che se ne avvicina l'adempimento; e il suo vaticinio, adem- pito in certo modo nell’ atto stesso ch’è proferito , fa di essa , al nostro sguardo , una ministra del destino inevitabile. L° altra non deriva alcuna particolare grandezza dal momento in cui si adempie la sua predizione, non riesce drammatica nella sua qualità di profetessa che per l’ostinata incredulità di chi 1’ ascolta. Ma il suo linguaggio, lo ripeto, è degno del teatro d’ Atene , è una splendida reminiscenza di quello della musa greca: Qui doit on frapper ? — Toi — Moi! quand de mon retour le triomphe s° ap- préte? — Ilion a pèri dans la nuit d’une féte. Mentre Villemain metteva così 1’ Alfieri ed uno de'suoi emuli più distinti a fronte d’ Eschilo , un altro illustre professore , Patin (v. i num. 37 del tomo sesto e 7 del tomo settimo del Globo ) met- teva l’ Alfieri medesimo a fronte di Sofocle , analizzando minuta- mente l’ Antigone di questo poeta , ch’ ei chiama un primo passo verso il teatro moderno, e dopo di essa, ma assai più rapidamente, l’Antigone del poeta italiano. Questa doppia analisi , che cercherò di ridurre ai più brevi termini possibili , trova qui naturalmente il suo luogo, qual complemento del discorso di Villemain, che, 71 accennando alcune differenze fra il greco e il moderno teatro, ci fa desiderare altri e più estesi confronti, di cui l’ arte possa giovarsi. ll soggetto dell’ Antigone , come la più parte di quelli che Sofocle prescelse , fu trattato in seguito anche da Euripide, e forse lo era già stato da Eschilo. Della tragedia d’ Euripide non riman- gono che alcuni frammenti , di quella d’ Eschilo non si ha neppur certa memoria. Essa però sembra annunciata nell’ ultima scena dei Sette a Tebe, e dovea formar parte d’ una delle trilogie del poeta. L’ uso di riunire come in un circolo più tragedie , ciascuna delle quali, intera per sè stessa, non era che la parte d’ un tutto , dovea naturalmente cessare quando fu dato alla composi- zione tragica più estensione che non avea nella sua prima semplici- tà. Se ne trova però vestigio nell’arte con che Sofocle cerca di legare fra loro varie tragedie, i cui soggetti, è vero, sono presi da una me- desima serie d’avvenimenti, ma pur sono fra loro affatto d'stinti. IL suo Edipo a Colono , per esempio , è strettamente legato all’Edipo re, e nella seconda di queste tragedie è annunciata l’Antigone pressapoco siccome nei Sette a Tebe. Quando Polinice lascia Colo- no , ben certo che le parole d’ un padre irritato , che lo consacrano per così dire al delitto e alla morte, s° adempiranno come un de- creto. degli Dei, s’ arresta un istante per scongiurare le sorelle, che tornate in patria rendano almeno alla sua spoglia i funebri onori. Noi vedrem quindi Antigone , sciolta dalle cure che doveva all’ inferma e abbandonata vecchiezza del padre , più non pensar che a compire 1’ ultimo voto d’ un fratello sventurato. Essa era l’ eroina della pietà figliale, e divien quella dell’amor fraterno , affrontando la morte coll’ istesso coraggio con cui affrontò la mi- seria e l'esilio. A ben concepire l’ interesse , che poteano prendere i Greci ad un tale soggetto , è d’uopo ricordarsi di che importanza eran per loro gli onori funebri. L’Iliade ce lo mostra in cento luoghi; e voi sapete ch’ essa termina colla pittura d’un padre, che va a redimere il corpo di suo figlio, e bacia piangendo la mano che l’ha ucciso. In una tragedia famosa; Ajace, il qual si separa dalla vita con tanto coraggio, mostra un’ inquieta sollecitudine per la sua spoglia mortale; e l’ azione, che finirebbe naturalmente colla morte dell’eroe, si prolunga per così dire in una seconda, che potrebbe intitolarsi dalla sua sepoltura. Un sentimento ab- bastanza possente per far rompere in certe circostanze quella legge dell’ unità, che dominava tutte le composizioni de’ Greci, potea pur bastare a rendere interessante il piccolo intreccio d’ una tra- 72 gedia come l’Antigone di Sofocle. Noi stessi, benchè lontani dai loro tempi e dalle loro credenze, proviamo alla lettura di questa tragedia qualche cosa di ciò ch’essi doveano provare , poichè vive pur sempre nel cuor dell’ uomo un sentimento che si stende al di là della tomba, e dà a quello che avanza di noi sulla terra un carattere sacro. Ciò, poteva aggiungnere lo scrittore, giustifica abbastanza la scelta che 1’ Alfierì ha fatto del soggetto d’ Anti= gone , uno de’ più nimani fra tutti i soggetti mitologici. L’ Antigone di Sofocle per altro destò un interesse così spe- ciale, che non si spiega abbastanza colla forza d’un tal senti» mento. Poi ch’ essa fu rappresentata 32 volte (cosa ben straordi- naria ove non si rappresentavano tragedie che nelle grandi so- lennità) e premiata col generalato. Altre sicuramente fra le tra- gedie del poeta avrebbero per molti pregi potuto meritare di preferenza un tale onore. Come mai la preferenza fu data alla sua Antigone? Forse pel carattere della sua eroina, di questa figlia dell’ incesto, che fa dimenticare la propria origine a forza d’ innocenza e di virtà, che vi presenta in sè stessa il tipo della libertà morale sciolta interamente dalle leggi tiranniche del destino. Mai questa libertà , ch’ è il distintivo della nostra na- tura , e di cui Sofocle con gran progresso dell’ arte cercò di fare l’anima della tragedia, non si era presentata in un lume più bello come nel carattere della sua Antigone. Già si erano veduti alcuni esseri straordinarii rassegnarsi ad un infortunio inevita- bile, esporsi per qualche grande vantaggio a grandi pericoli . Ma ciò che non si era ancor veduto , o non si "era che una sola volta introveduto nel Prometeo , era la pittura d’ un essere che, per adempiere una legge morale, non solo accetta la sven- tura, ma va a cercarla, ma si sagrifica volontariamente, e con quest’ atto , il più sublime che ci sia dato d’eseguire, rende te- stimonianza all’ umana dignità. Ecco, per quel che sembra, ciò che rese tanto interessante l’Antigone di Sofocle , tragedia in cui s° incontrano i pregi ordinari dell’altre composizioni di quel gran poeta, un andamento facile e naturale, un’espression viva e . semplice , caratteri veri e che si danno rilievo 1’ uno all’ altro , belle situazioni introdotte con arte e ben ‘concatenate fra lo- ro, ec. ec.; ein mezzo a tutti questi pregi ci è dato di contem- plare una delle più belle imagini della nostra natura. L’ esposizione della tragedia è viva e attraente. Essa ci at- testa quell’ arte di cattivar subito 1’ attenzione, che fu comune ad Eschilo come a Sofocle , con questa differenza che nell’ uno fu l’arte d’ impadronirsi della fantasia, nell’ altro del cuore. 73 Antigone , piena d’ una commozione che le fa precipitare i passi e le parole, trae sua sorella Ismene fuor della reggia, per dirle che Creonte ha proscritti gli avanzi di Polinice, e minaccia del- l'estremo supplizio chi darà loro lagrime e sepoltura. Checchè per altro possa avvenirle , soggiunge, ella farà ciò che le ingiun- gono le leggi della natura e della religione ; e ben spera che Ismene vorrà secondarla. Ismene se ne schermisce, non per man- canza d’ affetto ma per debolezza. Quindi un contrasto fra le due «sorelle, un dialogo rapido e concitato , in cui si manifesta ad un tempo tutta la conformità de’ loro sentimenti e tutta la dif- ferenza de’ lor caratteri. L’ una , inalzata dal pensiero stesso del suo sagrificio al disopra di tutte le umane considerazioni , si mostra piena d’ un generoso entusiasmo , e mescola a que- st’entusiasmo non so quale alterezza impaziente che le viene dal carattere paterno. L’ altra non meno amorosa, come già accennai, ma meno generosa si rassegna alla tirannide che 1’ opprime , e non oppone che un dolce lamento agli ingiusti rimproveri della sorella. Già nell’ Edipo a Colono il poeta aveva in qualche modo indicata questa differenza di caratteri. Le due sorelle si mostra- no in quella tragedia egualmente comprese di tenerezza pel loro padre infelice; ma Antigone lo segue prima nell’esilio ; Ismene più tardi; gradazion delicata che Laharpe ebbe torto di biasi- mare come una repetizione. Qualche cosa di simile sembra pure trovarsi nell’ Elettra del poeta medesimo. Crisotemi venera, co- me sua sorella, la memoria d’ Agamennone , come sua sorella ne detesta gli uccisori e brama il ritorno d’ Oreste ; ma ciò fa in segreto, laddove Elettra ne turba di continuo l’orecchio d’Egi- sto e della sua complice. Pochi hanno saputo, come Sofocle, dar risalto ad un carattere non solo colla dissomiglianza d’un altro, ma con una rassomiglianza indebolita. Questo chiaroscuro poe- tico è cosa ben più ingegnosa di quelle opposizioni. di luce e d’ ombre , di quel duro avvicinamento , se così posso esprimer- mi, del bianco e del nero, di cui si serve un'arte volgare. Esso distacca gli oggetti delicatamente , serba per così dire alle fiso- nomie più varie un’ aria di famiglia , che interessa infinitamente. Ciò è sensibilissimo in Antigone e in Ismene , delle quali può ben dirsi: facies non omnibus una — nec diversa tamen qualis decet esse sororum. Antigone , malgrado le dissuasioni d’ Ismene , s’ affretta a compiere il suo nobile e periglioso disegno ; e Ismene anch’ es- sa lascia la scena, che tosto è occupata da un coro di vecchi, T. XXXIII. Marzo. 1) 74 i quali celebrano magnificamente la liberazione di Tebe e la dispersion degli Argivi. Creonte li ha fatti radunare quasi per consultarli sul decreto che già sappiamo da Antigone e che già è posto in esecuzione . Secondo la solita arte de’ tiranni, egli unisce l’ipocrisia alla violenza, vuol prestare alla sua crudeltà le apparenze dalla giustizia. Il coro intende bene ch’ei non vuole consigli ma lodi , e gliele tributa con docile sollecitudine . È notabile questa mancanza di carattere , che i Greci attribuiva- no ordinariamente ad un personaggio (il coro ) ch’era nelle lor tragedie il rappresentante della moral universale . Come questo personaggio avea un poco dell’ imaginario, essi forse cercavano d’ accostarlo alla realtà , prestandogli alcuni di que?’ tratti vol- gari che appartengono alla moltitudine. Il suo linguaggio quin- di era puro e nobile , pieno di quelle idee d’ ordine e di giu- stizia, che sono come il grido della coscienza umana ; la sua condotta era circospetta, interessata, piena di quella debo- lezza e di quell’ egoismo , che sono pur troppo i vizi del maggior numero , e a cui non isfuggono che alcune anime. privilegiate. Noi vedremo manifestarsi sempre più colla tirannide di Creonte la servilità de’ vecchi tebani, amici segreti della virtù, ma cor- tigiani dichiarati del potere, che lasciano fare il male dete- standolo , stimano prudenza la propria hassezza , e chiamano il coraggio disinteressato un’ orgogliosa follia. Il decreto di Creonte non è appena promulgato che tosto è violato ; e così l’azione procede rapida come cominciò. Uno degli uomini destinati alla guardia del corpo di Polinice viene ad an- nunciare a Creonte, che sul far del giorno questo corpo fu tro- vato sepolto secondo i riti consueti, nè può scoprirsi come ciò sia avvenuto . La paura, ch’ ei mostra , nel recar questo avvi- so ha veramente del comico. Non è già la timidezza de’ vec- chi tebani, che si nasconde sotto certa dignità di contegno e di linguaggio. È una paura, che si esprime con una verità fa- migliare , di cui si troverebbero pochi esempi nell’ istesso tea- tro greco . Succede quindi un canto lirico di carattere e d’ in- tenzione assai indeterminata ; difetto , che non s’ incontra nelle tragedie d’ Eschilo , ove il coro è sempre vivamente interessato all’ azione, ma che , per la progressiva decadenza d’un tal per- sonaggio , doveva incontrarsi in quelle di Sofocle e divenir poi frequentissimo in quelle d° Euripide. Quel pover’ uomo , di cui il poeta ci ha dipinta la gran paura, e che, uscito contro ogni speranza dalla reggia tebana , si promette bene di non tornarvi mai più, vi ricompare fra po- 75 co , traendo seco una persona , che dice essere il colpevole ri- chiesto da Creonte ; e in cui questi con finta, il coro con in- genua sorpresa ravvisano Antigone. Il corpo di Polinice era stato esposto di nuovo agli augelli e ai cani; le guardie vegliavano sopra di esso da un poggio vicino, quando, passata una bre- ve procella che loro ne tolse la vista, scopersero una donna che fra strida e singulti il ricopriva di polve e gli facea li- bazioni ; accorsero , la presero, e l’inviarono a Creonte. ‘Il conduttore geme del tristo ministero che gli è affidato; pure, dic’ egli colla solita ingenuità del suo egoismo, tutte cose î0 deggio — meno estimar della salvezza mia. Noi siamo ben lungi, come vedete, dal sublime entusia- smo del cominciamento della tragedia. Il poeta , che sta per ricondurvici , ce ne ha fatto discendere progressivamente, met- tendoci innanzi la virtù timida, la tirannide ipocrita , la con- nivente servilità, quasi gradi medii di questa sua scala mo- rale, alle cui estremità noi troviamo ciò che avvi di più ele- vato e di più basso nella nostra natura. Così componeva Cor- neille, quando intorno al suo Nicomede e al suo Polieutto collocava quelle figure meno grandi ma ancor nobili d’Attalo , di Paolina, di Severo, e in un canto del quadro trovava pur luogo pei vili terrori d’un Felice e d’ un Prusia , pei bassi ar- tifizi d’ un’ Armida e d’ un Flaminio, particolarità familiari che una critica meschina ha biasimate in nome di non so qual di- gnità. Così i grandi artisti italiani (il cui genio ha tanta con- formità col genio poetico de’ Greci) componevano que’ loro qua- dri, ove fra tante espressioni diverse d’affetti terrestri e volgari (la fredda durezza de’ giudici , il brutal furore de’ carnefici, la curiosità indifferente o la muta pietà della moltitudine) splen- de sul volto d’ un martire, il cui corpo è alterato dalle sof- ferenze ; la gioia sublime dell’anima e la sua celeste speranza. L’ ordinamento e 1’ effetto di questi quadri è molto simi- le a quello della composizione di Sofocle . Rappresentiamoci i vecchi di Tebe pieni d’ una dolorosa sorpresa ; rappresentiamo- ci Creonte, che nasconde sotto un’ apparente impassibilità il piacere di trovar una colpevole in una nemica-; e innanzi a loro Antigone pronta a rispondere di quello che ha fatto. Quale aspet- tazione debbono destare le sue parole, che per un artificio familiare a’Greci son tuttavia ritardate dai racconti della guar- dia e dalle interrogazioni del tiranno ! Ma l’ aspettazione è sor- passata dalla grandezza improvvisa delle parole medesime, che giova riferire. E tu rispondi, ma breve, a me, dice Creonte né ad Antigone : Za promulgata legge — che ciò vieta , sapevi? Antigone: Zo la sapea — palese ell’era. Creonte: E trasgre- dirla osasti? Antigone: Sì; poi che a me promulgator di quella — Giove non fu nè degli Dei d’ Averno — la compa- gna Giustizia : essi altre leggi — han posto all’ uom ; nè mai pensai cotanto — valer la tua , ch’ io trapassar dovessi — le non scritte da’ Numi immote leggi. — Queste non d’ oggi e non da jer, ma sempre — ebber vita e V avranno ; e il nascer loro — non è chi °l1 sappia. Io l’ arrogante fasto — d’ uom nessuno temendo , a lor m’ attenni, — e non ho colpa in ver gli Dei. Morire — già mel sapeva, e come no? se ingiunto — anco tu non l’ avessi : or se anzi tempo — morrò , guadagno e non ga- stigo io’l nomo. — Per chi vive, com'io, tra tanti affanni — non è lucro il cessar? No di tal morte — nulla mi cal. Ben mi dorria se avessi — insepolto lasciato il fratel mio: — d’altro non duolmi ; e se stolta a te sembro — di sembrar tale ad uno stolto i0 godo; o come interpreta non letteralmente ma più ineren- temente allo spirito del testo un vecchio toscano che poi si nomi- nerà : e chi di tal pensier mi tiene stolta — ben lo potrei chia- mar vile e crudele. Questo linguaggio è non meno semplice che elevato. Non vane circonlocuzioni, non vili scuse, non alcuna di quelle invet- tive, di cui fanno pompa le vittime di teatro e che ci danno sì buona idea della pazienza de’ tiranni che le comportano. Solo qua e là un lieve indizio d’ironia , subito cancellato da’ ben gravi pensieri; e alla fine una parola di disprezzo pel giudizio di chi è incapace d’intenderli. Creonte s’° adira d’una fermezza e d’ una ragione che lo umilia. Altro più vuoi, gli dice Antigo- ne semplicemente , che a me dar morte? Ei sembra infatti voler convincerla prima d’immolarla; e d’accusatore di lei si fa quasi difensore di sè medesimo. Malgrado però i suoi sofismi, la don- zella il convince facilmente di barbarie e d’empietà. S’egli si vanta della tacita approvazion de’ Tebani, ella gli risponde che il timor li fa muti; sei le rimprovera di trattare egualmente il difenso- re e il nemico della patria , essa gli replica che le sono ugual- mente fratelli ; che ugualità vuol Dite ec.; s’ ei le obbietta che onorando, Polinice ha oltraggiato Eteocle , il qual lo odiava, ella gli fa quella sì bella risposta , in cui si mostra tutta la bon- tà del suo cuore: ai fraterni odii io non nacqui — all’ amarci bensì. Dopo questo dialogo giugne Ismene, che il tiranno è ansioso d’ interrogare , sospettandola complice della sorella. Nè Ismene 7° {questi sono i colpi di scena del teatro greco) cerca di dissipare un simile sospetto.' Essa non fu coraggiosa abbastanza per prender parte all’ impresa d’ Antigone, ma è abbastanza affettuosa per volere incontrar seco la morte. Tu vivere scegliesti, ed io morire, le dice Antigone non senza qualche asprezza, sia per desiderio di salvarla, sia per quel difetto di carattere che già si è notato, e che il poeta ha voluto conservarle, pensando che a tali segni (uso una frase di Boileau) si riconoscala natura umana. Ismene si sforza d’impietosir Creonte per quella che doveva essere sposa di suo fi- glio; ma ogni sforzo è vano contro la durezza del tiranno e la co- stanza d’ Antigone, a cui il poeta pone in bocca queste sublimi parole : Vivi tu pur: sacra è quest’alma a morte. Indi le due sorelle, che all’occhio del tiranno sembran due folli, ma contro le quali ei non prova meno l’ odio implacabile di cui è animato contro il sangue d’ Edipo , son ricondotte entro la reggia, per aspettarvi la decisione della lor sorte. Il coro, senza cercar di salvarle , s’ accontenta di deplorare il destino, che di genera- zione in generazione si fa sempre più grave sulla casa de’Labda- cidi , già presso a scomparire della faccia della terra. Un nuovo personaggio intanto si presenta , Emone il figlio di Creonte, innanzi a cui vien a difendere quella che gli è più cara di sè medesimo. Egli non si presenta che quando precisa- mente abbisogna , come avea già notato il nostro Manzoni nella sua famosa lettera sulle unità , ove pur si trovano confronti in- gegnosi fra la maniera de’ tragici greci e de’ moderni. I discorsi appassionati di questo giovane , benchè pieni di timidezza e di rispetto figliale , non fanno che irritar Creonte , il qual minac- cia di far perire Antigone sotto gli occhi suoi. Ella ,-mai non spe- rarlo , al fianco mio , dice allora Emone fuggendo , no non morrà; né tu questo mio capo — più innanzi a te vedrai. Il senso di que- ste parole, che annunciano un sinistro disegno, è troppo bene inteso dal coro ; ma Creonte , acciecato dall’ira, non lo avverte. Il coro con timida intercessione ottien da lui la grazia d’Ismene innocente , e abbandonando Antigone alla sua vendetta doman- da solo qual morte pensi darle ?" Creonte comanda che sia tratta in solitaria caverna con solo tanto cibo che basti ad evitar la colpa d’ averla fatta morir di fame. Là Dite invocando , ei sog- giunge , solo suo nume , prolungar suoi giorni — otterrà forse 0 s° avvedrà che vana, — mal spesa cura è venerar l’ Averno. Singo- lare e caratteristico linguaggio , ove ad un’ empia crudeltà si mischia un terrore superstizioso , degna religione d’ un tiranno. Il coro intona quindi un canto (1’ autor dell’ analisi lo ha 75 forse trovato inopportuno) sulla potenza d’amore, che trae a lite col genitore il figlio ; e questo canto, in cui ci si presenta on- nipossente nel cuore del giovanetto /a cura della soave sposa , prepara noi pure al pianto, che il coro dice di non poter ratte- nere , Antigone veggendo — approssimarsi al talamo funesto, n che tutti addorme di perpetuo sonno. Di questo modo siamo gin- trodotti alle due incomparabili scene che seguono , e in cui fi- nisce di manifestarsi il carattere dell’ eroina della tragedia. Esse furono già compendiate ingegnosamente dall’ autore del Viaggio d’Anacarsi ; ma giovava ricompendiarle per far meglio sentire la differenza del gusto antico e del moderno , differenza a cui esse pongono l’ ultimo suggello. In una tragedia moderna (e questa non è supposizione poi- chè ne vedremo in breve le prove) Antigone si sarebbe progres- sivamente elevata sino al disprezzo della morte , e le sue ultime parole sarebbero stare un’ espressione pomposa di coraggio. Nella tragedia di Sofocle all’incontro essa comincia coll’entusiasmo ispi- ratole, come suol avvenire, dall’idea improvvisa d’un atto magna- nimo. Passa quindi ad una considerazione più tranquilla della santità di quest’atto e delle sue inevitabili conseguenze. Poi, quan do l’atto è compito, getta uno sguardo di tristezza su ciò che le costa, piange la sua giovinezza sì presto mietuta, questa luce del giorno che più non dee rivedere , la dolcezza dell’ imeneo e della maternità , che le è negato di gustare , le innocenti gioie della vita che le sfuggono. Non so qual debolezza involontaria am- mollisce un istante la sua alterezza che mai non s'era smentita. Una fredda pietà che 1’ offende (ultimo e incomportabil dolore ri- serbatole presso il termine fatale) sembra farla passare da un so- gno doloroso ad una specie di delirio. Ma alfine la sua anima ri- sale a quell’ altezza ond' era discesa. La presenza del suo oppres- sore, che viene ad affrettare i satelliti che l’accompagnano , la ri- chiama a sè medesima. Ella sostiene innanzi a’ Tebani la giu- stizia della sua causa, e l’ iniquità della sentenza che la con- danna. Ella approva altamente sè medesima , sebben condannata dagli uomini e abbandonata dagli Dei. Nulla di più commovente che quello sguardo di scoraggimento ch’ella inalza al cielo cercan- dovi un aiuto. Il poeta non le mette in bocca vane declamazioni , ma solo quel dubbio penoso ch’ è naturale alla virtù sventurata. Alfine dopo alcune parole , in cui si manifesta ancora l’umana de- bolezza , Antigone ridesta tutta la propria virtù, chiama Tebe in testimonio del delitto che si commette contro 1’ ultimo rampollo de'suoi re, e va con nobile fermezza al supplizio.che le è destinato. e 79 Queste pitture dell’ anima ; che lotta contro il dolore e lo vince , sono il gran vanto del greco teatro. Gli eroi di questo tea- tro sono pur sempre uomini ; il loro eroismo loro costa lagrime , e quindi ce ne fanno spargere; noi non li ammiriamo meno , e li amiamo di*più. Se avvi un genere di tragedia , a cui convenga il “nome moderno di ammirabile , esso non può già essere la fredda rappresentazione d’ una stoica insensibilità. Debb’ esser piuttosto l’espressione fedele di quel misto di coraggio e di debolezza, che i Greci imitavano dalla natura, la quale non ha potuto cangiare cogli usi teatrali. Mi sono fermato assai a lungo ; prosegue 1° autor dell’ analisi, sul carattere d’ Antigone, poi ch’ esso domina tutta la composizio- ne. Non posso quindi che accennar di volo ciò che ancor mi re- sterebbe a dire di questa innanzi di passare all’Alfieri. L’indovino Tiresia , condotto da un fanciullo , viene ad annunciare a Creon- te lo sdegno degli Dei. Quest’ annuncio a prima giunta lo irrita, ma poi finisce col turbarlo. Vorrebbe il tiranno riparare al mal fatto ; ma già è troppo tardi. Quand’ entra nella caverna , ov’ è stata rinchiusa Antigone, trova lei senza vita, e il figlio che le si uccide accanto di propria mano, siccome un nunzio viene a raccon- tar sulla scena. Questa catastrofe ha con quella di Romeo e Giu- lietta una somiglianza lontana e accidentale, da cui nulla si può conchiudere e che appena interessa la curiosità. Una cosa degna d’essere osservata si è che la passione, la qual produce una cata- strofe sì terribile, non è espressa nella tragedia che dalla ca- tastrofe medesima, cioè dalla morte d’ Emone , e dalla sua ap- parizione antecedente per ottener la grazia d’ Antigone . Nulla prova meglio che 1° amore non era una delle passioni, di cui s’occupasse il greco teatro. E Sofocle forse schivò di fermarsi so- pra di essa, per non indebolire l’effetto della tragedia, per non dividere l’interesse fra una passion secondaria e la principale, cioè la tenerezza fraterna, animata da un sentimento religioso. La sposa di Creonte, Euridice, è presente il racconto della morte del figlio, e uditolo lascia silenziosamente la scena. Così i tragici greci solevano esprimere l’eccesso del dolore , che non ha parole, e pel quale l’arte non deve cercarne. Questo silenzio era per essi ciò che pel pittore del sagrificio d’Ifigenia il panno gettato sul volto d’Agamennone. Anzi pare, avrebbe potuto aggiugnere, che i poeti alcuna volta facessero interamente come i pittori. Eschilo, dice il cav. Mustoxidi nella vita di questo poeta « seppe colpire gli animi non col dialogo e collo spettacolo unicamente, ma col silenzio altresì, più alto e maestoso d’ogni orazione, siccome quan- 80 do esibì sulla scena Niobe ed Achille, pel dolore che li vincea, muti, immobili e colla testa avvolta nel manto ». Il coro notava come un terribile presagio il silenzio della persona che usciva di scena , e avvertiva così in bel modo gli spettatori di cosa ch’essi poteano non avvertire. Così fa nella tragedia di Sofocle riguar- do ad Euridice, dicendo: ma gran silenzio acchiude , — parmi , gran cose, ec. Entra intanto Creonte accompagnando il corpo dell’ estinto figliuolo. Indi sopraggiunge un altro nunzio , il qual narra che la sposa del re, la madre del giovane, essa pure si è uccisa. Questa serie di tragici accidenti, che distruggono la fa- miglia di Creonte , termina la tragedia con una specie d’espiazione dovuta al suo delitto e all’ innocenza della sua vittima. Duolmi che i confini, fra cui quest’analisi debb’esser racchiusa, mi forzino a passar sotto silenzio molte altre particolarità della tragedia (e fra queste, m’imagino, i due ultimi canti del coro e le sue parole finali ) che meriterebbero speciale considerazione. Ma io debbo pur dire una parola d’altre tragedie in cui è stato trattato il soggetto d’Antigone, e accennarne la differenza da quella di Sofocle. Troppo poco ci resta di quella d’ Euripide perchè si possa farne un benchè breve paragone. E questo poco consiste quasi tutto in mas- sime politiche, poste probabilmente in bocca di Creonte o del coro, e in alcune riflessioni sul poter dell’amore, allusive senza dubbio all’amor di Emone per Antigone. I versi che citerò sembrano detti da Antigone a Creonte. Morte pon fine ad ogni gara; è morte — d’ ogni umano poter ben più possente. — Se d’una tomba nel ge- lido marmo — il ferro vibri, gli dai tu dolore? — Tal puoi tw darlo a chi si giace in tomba. Questa considerazione , che fa sen- tire assai bene 1’ impotente furor di Creonte , non si trova in Sofocle , ove l’operar del tiranno ci si presenta unicamente co- me un attentato contro la natura e la religione. Sarebbe forse una sottigliezza il trovare in questa differenza una prova novella del cangiamento che andava introducendosi nella tragedia , la so- stituzione cioè delle idee puramente morali e filosofiche alle reli- giose di cui prima era piena ? Dell’Antigone di Garnier e di quella di Rotrou (un critico francese non doveva obliarle) basti una semplice menzione. Esse sono curiose come monumenti di quel vecchio idioma tragico in cui già era il germe della lingua di Corneille; ma come opere drammatiche appena meritano attenzione. I loro autori trovarono troppo povera la materia loro fornita dal genio di Sofocle , ed ebbero ricorso alle Fenicie d’Euripide e alla Tebaide di Seneca ; facendo così un solo tutto del doppio soggetto de’ Fratelli nemici dI della morte d’Antigone. Ciò che caratterizza particolarmente que- st’ opere è l’ imitazione indiscreta di modelli disugualissimi, la mescolanza delle cose vere ed ingenue della greca musa. coll» sottigliezz= e le esagerazioni della latina. Esse quasi potrebbero assomigliarsi ad alcuni edifizi sparsi sul suolo desolato della Gre- cia, ne’ quali fra i lavori d’ un'arte grossolana e barbarica si mo- strano alcuni avanzi di quelli di Fidia. Contemporaneamente a Garnier 1’ Alamanni (il vecchio to- scano più sopra citato ) trattava anch’ egli il soggetto d’ Anti- gone, attenendosi interamente alla tragedia di Sofocle , anzi tra- ducendola , giacchè qualche allargamento o ristringimento di frasi, qualche parte di dialogo aggiunta (e non sempre felicemen- te) a quello d’alcuni personaggi , non credo che bastino perchè si dia alla sua opera il nome d’imitazione piuttosto che di tra- duzione. Anch’essa può dirsi curiosa come monumento di quel vecchio idioma tragico , in cui era il germe, non dico della lin- gua d’Alfieri, ma certo di quella del Maffei. Credo che il sog- getto d’Antigone fosse stato trattato prima dal Benivieni in una di quelle sue quattro tragedie inedite, di cui scrisse un discor- so (inserito poi negli opuscoli del cav. Inghirami ) il nostro dot- to Follini, e a cui dovrebbero ormai riferirsi i principii della tragedia italiana, che si fa cominciare colla Sofonisba del Tris- sino e la Rosmunda del Rucellai. Contemporaneamente a Rotrou, e press’a poco alla sua maniera, cioè unendo il soggetto de’ Fra- telli nemici al soggetto d’Antigone , fu trattato questo secondo dal Coltellini, poeta troppo inferiore all’ Alamanni , e che ap- pena si nominerebbe qui prima d’Alfieri, se come Rotrou non avesse introdotto nella sua tragedia un personaggio, che Alfieri non ha sdegnato. Alfieri, prosegue l’autore delle osservazioni, è molto vantato per la sua semplicità. Non bisogna però credere (benchè taluno lo abbia detto ) che questa semplicità sia quella stessa de’ Greci. Pei Greci l’azione non è che un mezzo ; per l’Alfieri è lo scopo stesso del dramma; i Greci subordinano l’azione alla pittura de’caratteri e de’costumi; l’Alfieri subordina questa pittura all’azione medesi- ima ; gli uni allentano a disegno l’andamento dell’azione per dar luogo a molte particolarità; l’altro sopprime tutto ciò che all’an- damento dell’azione non è assolutamente indispensabile; gli uni compensano colla ricchezza dell’ ornamento la povertà dell’intrec- cio e degli incidenti; 1° altro non ci offre quasi verun compenso. Le sue tragedie ,.le scene almeno delle sue tragedie, son gene- T. XXXIII. Marzo. 11 32 ralmente ben condotte ma un po’monotone; il suo dialogo è stretto, rapido, energico , ma tende troppo visibilmente all’effetto, non ha quel nonsochè di facile e di spontaneo che piace tanto nelle tra- gedie antiche ; i suoi caratteri sono per lo più ben sostenuti, ma vi si sente l’ arbitrario , manca loro la vita della realtà. Tutto ciò a chi. ben guardi è sensibilissimo nella sua tragedia d’Antigone. Non si trovano in essa que’personaggi subalterni, che danno tanta varietà al quadro di Sofocle , que’ vecchi, que’ nunzi, quell’ indovino; non vi si trovano che i personaggi assolutamente necessari, Creonte, Emone, Antigone scompagnata da sua sorella Ismene , che l’Alfieri ha creduta inutile. È vero ch’ ei le ha so- stituita un’Argia figlia d’Adrasto e vedova di Polinice (di cui la Tebaide di Stazio avea già fornito il modello ad altri poeti) e ch’egli avrebbe egualmente dovuto rigettare. Ma non è agevole comporre una tragedia con tre soli personaggi; e ciò lo ha costretto a deviare alcun poco dall’austerità de’suoi principii drammatici. Del resto il personaggio d’Argia è per sè stesso un’ invenzione poco felice ; non forma col personaggio d’Antigone quel contrasto delicato e in- teressante che si è tanto lodato nella tragedia di Sofocle. Argia è giunta d’ Argo per rapir le ceneri del suo sposo; anch’ essa ama Polinice ed odia Creonte; quindi si fa compagna all’impresa d’An- tigone , e vuol pure esser compagna della sua morte. Due perso- naggi pressochè identici si nuocciono a vicenda , e rendono la tra- gedia assai monotona. Questa tragedia si riduce quasi tutta agli sforzi d’Argia e d’ Emone per salvare Antigone, sforzi ch’era facile ripetere ma non era facile variare. Un’ altra gran differenza fra la tragedia d’Alfieri e quella di Sofocle è prodotta dall’ amore d’ Emone , che secondo il genio del moderno teatro ne forma il nodo. In essa il tiranno consente alla grazia d’ Antigone, se la regal donzella sposa suo figlio. Ma que- sta sebbene ami il giovanetto , preferisce la morte ad un’imeneo , che il tiranno le rende odioso. Il suo rifiuto colloca lei e il suo amante in una situzione , che non manca d’ interesse , ma che riu- scirebbe ancor più interessante s’ ella avesse a trionfare d’ una passione più viva. Questa passione è talmente offuscata dal suo odio per Creonte , dal suo desiderio di morte , che il sagrificio a cui va incontro ci commove pochissimo , e tutta la nostra pietà è per Emone , che non può sopraviverle. In generale l’altezza esagerata de’ sentimenti , di cui Alfieri s1 compiace, toglie al soggetto d’An- tigone ciò che ha in sè di patetico, e che Sofocle seppe conser- vargli. Alfieri non curò punto quella mirabile gradazione che la natura indicava , quel passaggio dall’ entusiasmo d’un gran dise- i 83 gno, dalla calma d'una coscienza sicura, alla debolezza invo- lontaria , e quindi ad una grandezza sì toccante e sì vera. La sua Antigone comincia dal mostrarsi atterrita , e passa ben presto all’audacia, ad un disprezzo dei pericoli e della morte ; che va crescendo sino all’ ultimo istante. Ella provoca, irrita a piace- re il furor di Creonte , chiama ad alte grida il supplizio , si mo- stra sì bramosa , sì lieta di morire, che alfin si cessa, non solo di compassionarla , ma anche di ammirarla; poichè non sembra gran sagrificio quello di rinunciare ad una vita che più non si cura. Altrettanta esagerazione può notarsi nel personaggio di Cre- onte. Ei non cerca menomamente di ‘palliare la sua crudeltà come quello di Sofocle; ei la confessa pubblicamente, ( confessione che non ho d’ uopo di dire quanto sia verisimile ) ne scopre i raffina- menti , se ne vanta senza pudore. Ei dichiara per esempio di non aver vietato di seppellir Polinice , che per eccitare Antigone alla disobbedienza; ei vuol far sapere ad ogni costo d’ essere non meno astuto che feroce. Nel tempo stesso questo tiranno, anzi questo mostro , soffre con una bonarietà senza pari le riprensioni e le invettive della sua vittima. L’odio dell’ oppressione, com'è già | stato osservato troppe volte, era la musa d’ Alfieri. Egli ha fatto della maggior parte delle sue opere tante filippiche eloquenti, in cui la tirannide e la libertà sono opposte 1’ una all’ altra con molta forza, con molta eloquenza, ma con poca verità drammatica e soprattutto con poca varietà. Certo nascono da questo contrasto , dalle cure che si dà il poeta di farlo procedere direttamente sino al fin dell’ azione, dialoghi e scene ammirabili ; e l’Antigone, che pur non è fra le sue tragedie di prim’ ordine, anch’ essa ce ne è _ prova. Nondimeno noi siamo costretti di preferirgli i tragici greci, che derivarono dal gran modello della vita umana azioni sì inge- nue e sì toccanti ; la cui arte è sì conforme alla natura, che non si sa veramente, per usare la frase ingegnosa d’ un antico , qual delle due imiti l’ altra. A non diversa conchiusione vien pure Villemain , terminando il suo discorso sulle tragedie alfieriane d’ argomento mitologico. Anzi a lui pare , che per naturalezza , verità, varietà, Alfieri ceda non che a Greci, anche agli altri insigni moderni, che trattarono simili argomenti, e ne reca in prova la sua Merope. Ei comincia dall’osservare come questo tragico nel suo desiderio d’innovazione, o piuttosto di materiale riforma, dando ad un precetto d’Orazio (il neu quarta loqui persona laboret) un significato impossibile, re- stringe ai soli personaggi di Merope , di Polifonte, d’ Egisto e di 84 Polidoro quelli della sua tragedia che pur altri ne ammetteva. A questo proposito ei ricorda la celebre parodia fattagli in Toscana colla Morte di Socrate, tragedia, come sapete, di tre soli personag= gi. Ma le parodie, ei soggiunge, nulla provano. Alfieri dalle stret- tezze, in cui si riduce colla sua parsimonia di personaggi, sa trarre felicissimi partiti. Nella Merope, a cagion d’ esempio, un personag- gio medesimo è da lui fatto servire al nodo e allo scioglimento, cas gionando l’error di Merope che poi disinganna. Questo personag- gio è il vecchio depositario del segreto della nascita d’Egisto, è Po- lidoro, che trovata a caso l’ armatura insanguinata dal giovane, da cui è diviso, la reca a sua madre. Questa però e simili destrezze del- l’ingegno hanno in sè stesse qualche cosa di troppo artifizioso, per= chè ottengano un grande effetto drammatico. Quella Merope del Maffei, che Voltaire imitò e poi dileggiò, quella tragedia, i cui par- ticolari sono forse un po’troppo ingenui; in cui la regina non riceve visite perchè ha la febbre, ec., tutto considerato, è più commovente e più vera che quella d’ Alfieri. La Merope di Voltaire non può vantare neppur essa alcune delle grandi bellezze di quella d’ Al- fieri, la gran scena, in ispecie, in cui Merope sotto gli occhi di Polifonte riconosce per figlio quell’ Egisto che sta per immolare , e nondimeno per le ragioni già accennate riesce di troppo maggior effetto teatrale. Ma è inutile trattenersi sopra cose troppo cono- sciute. Esaminando le tragedie alfieriane d’ argomento romano o moderno , ci si apre il campo ad altre osservazioni, le quali per quanto possano esser rigide torneranno pur sempre a gran vanto dell” illustre poeta. Se non che più che il vanto di qualsiasi poeta ci deve star a cuore il vero e l’ avanzamento dell’ arte. M. Bilancia politica del Glolo nel 1828. La Monarchia francese comparata a’primari potentati del Glo- bo. — Opere di Aprrano Bari. Parigi 1828. Della Bilancia politica dottamente già fece menzione un va- lentissimo nostro collega (1). Senonchè circoncinto dagli angustis- simi limiti di una Rivista, dovè addensare in poche pagine il molto succo del subietto , ed infrenarsi in un campo oltremodo spazievole ad ogni uomo della sua maestria. La quale parsimo- nia, nonchè non nuocere a’ lettori, omai sagaci ed alacri a non 1) V. Antologia N.° 96, pag. 31. (1) a 90, pag 85 aver d’ uopo che sol di un cenno , giova anzi mercè l’ economia del tempo necessario a’ tanti studi odierni. Nè avremo assunto l’incarico a riparlarne ; ove il sig. Balbi non avesse, quasi in appendice della prima opera ; dato al pubblico la seponuia > di cui. non ancora fe’ parola 1’ Antologia. Le dicemmo opere ; e intanto il volume loro non è che di due soli e semplici mappamondi, non configurati come le carte geografiche , sivvero descritti con lettere e numeri. L’uno pre-. senta tutti gli imperi del Globo ; presenta l’altro la Francia nelle: sue proporzioni con i maggiori di quegli imperi. Si imagini una specie di Tavola Pittagorica ( parliamo, per ora della Bilancia )‘ ripartita in serie perpendicolari, nella prima delle quali si leg- gono i nomi di tutti i potentati; ed in orizzontali, di cui la su-' periore contiene le varie categorie indicanti la superficie del suo- lo; la popolazione , gli eserciti , le armate , il reddito ; il debito ; la lingua, il culto. E con l’istessa norma ‘onde in ‘un girar di ciglio trovasi il multiplico nella testè citata tavola ; così in quella del signor Balbi si rinviene nelle intersezioni delle prefate serie ‘ il culto , la lingua, il debito, il reddito, l’armata; 1’ esercito, la popolazione. e la superficie di cadaun potentato. Alcun poco più complicata è la monarchia ec.: essendochè suddivisa in ‘diverse. tavole comparative della Francia con sè stessa, ossia con le sue provincie ; e con i principali reami. Ma abbastanza della forma. ' Queste carte affoltatissime di numeri, per lo più milionarii; e di nudi nomi, paiono aridissime non dover nulla dire nè al cuore, nè all’ imaginazione , nè all’ intelletto di chi le consideri.‘ Non vogliamo però in un secolo meditativo e sustanzievole , quale è è.il nostro, fare a veruno l’ oltraggio di creder che così avven- ga. Non sapremmo estimare infatti chi al guardarle non si esal- tasse al computo del talento operosissimo degli uomini in creare immensità di forze e dovizie; o non si attristisse scorgendo que- st ultime bene spesso sciupate, o aver secche le sorgenti da chi-? ha il sacro magisterio di conservarle promuoverle ingigantirle. ‘ Indi poichè il nostro dotto collega disse tutto il bisognevole a dirsi-circa il merito della cosa in sè stessa, noi andremo svol=:® gendo qualche riflessione, ossia quell’ opera della mente che è' il ricchissimo fra gli scavi della ricchissima miniera mentale. Incomincieremo congratulandoci con la nostra età pel possesso di una muova ed utilissima dottrina. Dottrina la quale non: Wva- neggia o elucubra sovra semplici parole, nè sovra ipotesi ton+ getturali } ma chiara e positiva si fonda sovra basi inconcusse , , quai sono i fatti certi, e intende a un fine nobilissimo nonchè © 86 giovevolissimo. « Amministrate lo Stato come si amministra una. « famiglia )) precettava quel divino ingegno di Confucio, che ebbe apoteosi e tuttavia 1 ha da mezza Asia. E la nostra dot- trina si fece l’esectitrice di am precetto sì santo ; investigando tutti i capitali degli imperi, onde ogni imperio abbia e si misuri e si regoli co quell’istesso registro economico di dare e avere, che ha e scrive eofi diligenza ogni ben ordinata famiglia. E ne gode l’ animo èssetvando tutti i reggimenti europei , da’ più lar- ghi a’ più stretti, inanimire i privati cultori alle investigazioni. di tutti i mezzi nazionali ; certi essendo che gli esatti rivela» menti de’ mezzi istessi; ognior celati al fisco o altri magistrati, si fanno con fiducia a’ peculiari cittadini non dal fisco a ciò sa- lariati. Ora entriamo in materia: Vuolsi incominciare dalla popolazione ; la quale nella tavola del nostro Autore non comprende niente meno che il genere umano; ed occupa la seconda categoria verticale dopo quella de’ potentati. Oltreaciò VP uomo è il Signore della terra: egli ne ebbe la signoria nel giorno istesso della sua creazione. Esso è dunque e il primo e il più prezioso capitale di quaggiù , perchè non mai si cessi di trattarlo come il più prezioso e primo capi» tale sì della Società come degli imperi. Diremo anzi l’unico. Spa= risca quest’ essere dal Globo; e la natura precipiterà, forse ait- che si dissolverà in quel caos incondito e selvaggio , in cui non alcun ordine ma un sempiterno orrore alberga (2). . Balbi facendo soinmare a 737 milioni la numerosità del genere umano, computa circa 677 milioni d'uomini nel mondo antico, e gli altri 60 nel nuovo nonchè nel nuovissimo (3). Delle quali due grandi divisioni della terra la prima, mentrechè è sol di otto milioni di miglia quadre più ampia della seconda, la supera in- tanto di 600 e più milioni in abitatori. Enormissima sproporzione fra suolo e popolo, che alza quasi a certezza una delle due ipo- tèsi: d’ essere cioè 0 recentissima la geogonia de’ mondi nuovo è nitovissimo appo qiiella del vetusto ; o che assai più di questo andaton quelli soggetti a formidabili disastri fisici. Comunque siane , 1’ abitazione del genere umano può più o men considerarsi ripartita nelle seguenti misure. (2) Ubi nullas ordo sed sempiternus horror inhabitat. Giobbe. (3) Denomino così tutte te scoperte geografiche fatte da Cook in quà. Balbi detiòtàina Questa quinta parte della tetra col rivme di Oceanica. Và però avvertito che egli vi include le ìsule dell’ Oceano orievtale asiatico ;, come p : ve: Borneo Sufnattra Giava ec. già cognite molto innanzi del prefato viaggiatore luglese, : PARTI DEL MONDO Europa . . . + 2,427,000. 2927,700,000. tatto." 12,118,000. 390,000,000. Africa . 8,516,000. 60 .000,000. America 11,149.000. 39,000,000. Oceanica 3,100,000. 20,300,000. Qui è opera di un momento lo scorgere che 1° Europa men- trechè in superficie è appena uguale alla sesta parte dell’ Asia , ed alla quinta dell’America, ed alla quarta dell’Africa, ed a’due terzi dell’ Oceanica, maggioreggia intanto in abitatori dieci volte l’ Oceanica , circa cinque l’Africa , e pressochè sei l'America . Della sola Asia è minore assolutamente in ampiezza e popolo , ma non però in proporzioni relative fra popolo e ampiezza. Del che lieve è vedere che mentre l’Asia è sei volte più estesa del- l’ Europa , è intanto men del doppio più popolosa. L° Europa adunque è la traricca in uomini; essa è alle altre parti della terra ciò che il Lucchese è a lei. L’Asia pare essere la terra che sviluppi di quando in quan- do una prodigiosissima fecondità umana , tostochè di epoca in epoca si sgrava dell’ esuberanza del suo sangue , lanciando sul- 1’ Europa e sull’Africa sciami di genti. Del qual fatto v’ hanno due esempi a notizia nostra intervallati con due mila anni fra loro; l’ antichissimo cioè delle irruzioni pelasgiche e mauritani- che ; e l’altro avvenuto ne’ secoli 6.° e 7.° dell’ era volgare ; 0s- sia quando irruirono le genti slave e le arabiche (4). Ma l’Eu- ropa è poi la regione la quale, mentre non ha quel periodico rigoglio prolifico testè notato in Asia, sembra però che possegga le qualità salubri e vitali a regolarmente conservare e accrescere la sua popolazione . Qual ne è mai la causa in una terra forse la men ubertosa di tutte Je altre del globo ? A nostro avviso molte; ma ne memoreremo quelle che ci paiono le precipue . In primo la sua' configurazione geografica non corpulenta e raggruppata al pari dell’ Asia, dell’ Africa, di (4) V. Autologia N°” 97 pig. #9 e seguenti. 88° amendue l’ Americhe , e della massima fralle isole Oceaniche ; sibbene una lunga e tortuosa zona sfioccante ne’ suoi lembi al- tre zone tortuose e lunghe. Mercè di tal figura apre essa lo svelto suo corpo a tanti mari, golfi, seni, stretti ed istmi più o meno internati. La quale sua forma dando maggiori pendii al suo suo- lo, adduce che le acque abbondino ovunque, senza che impa- ludino vaste contrade; e con ciò l’ uomo nol trova nè ingombro nè infermato dall’ elemento che ovunque gli è indispensabile . Havvi inoltre che siffatta frastagliatura di terre e mari è la pro- piziissima fra le condizioni al che gli uomini sien più operosi , audaci, energici, gagliardi, e perciò più prolifici. Del cui subietto avendo noi altrove ragionato non vorremo ripetercì , e rimettia- mo chi ne fosse curioso al luogo in cui ne fu discorso (5). Altra potentissima causa è , a parer nostro , la monogamia. Abbiamo invero contro a noi la predilezione di un ingegno come quello del Montesquieu per la poligamia; ma oltre che quel suo raziocinio è piùuna bella frase che un buon argomento, quale argo- mento, anche ottimo, vale appo l’evidenza del fatto? Molto vi vuole perchè le provincie abitate da popoli poligami fossero popolose al pari dell’europee. Opporremo inoltre a Montesquieu, che po- ligami nelle provincie suddette sono i soli facoltosi; ma. mona, gamo è 1° universale. A questa ragion tutta morale si potrebbero cumular le altre degli europei costumi più sobri e regolati, non chè della miglioria del nostro vivere civile e domestico in con- fronto dell’Asia o dell’Africa. Pur siccome questa miglioria ha a creder nostro principalissima radice nella monogamia , così me- morammo le cause seconde nel memorar la primaria. In ultimo comunque l’Europa sia in ampiezza la minore delle parti del mondo , ha però provincie ( all’ infuori dell’ estremo segmento della Lapponia ) dapertutto abitabili. Essa non ha nè il gran deserto glaciale , nè il gran deserto torrido . Chi volga l’occhio sovra i mappamondi d’amendue gli emisferi vede quante ampie regioni asiatiche e americane torpono sotto l’ algore della zona fredda , ove la morte di tutta la natura ripugna alla vita dell’ uomo . Chi il volga poi sulla carta d’ Africa vede il gran Saharah , dal 10.° al 20.° parallelo, e dall’Oceano al Mediterra- neo , fendere il corpo del continente africano , e segregare con una landa di sabbie urentissime le provincie meridiane dalle boreali. Nel computo della popolazione, e particolarmente di quella (5) V. Aotologia N.° 90. 89 dell’Asia , Africa, ec., ec. assai poco cognita o cogngscibile con esattezza , fu il sig. Balbi con saggezza timido , attenendosi ai numeri presunti piuttosto minori che maggiori o uguali a’ vero- simili . Del che non gli diamo biasimo , incertissimi essendo i fonti di queste notizie circa reami o tribù ; ne’ quali o non si tiene registro d’anime , 6 è ignoto agli europei. Però diremo: che computando il popolo d’Europa , poteva essere alquanto'più ar- dito. Lo affermiamo avendo noi non già indizi ma prove, che ne’così detti Stati civili è celato il decimo, o forse anco l’ottavo, del vero numero de?’ cittadini. In occasione di uffici, che non cc= corre dire al lettore; e non in un solo villaggio o città; nè in una sola provincia , venendoei il destro a confrontare i registri: civili co’ parrocchiali, seorgemmo questi di un decimo o' ottavo. sempre maggiori di quelli. Chiesta la cagione di questa disparità, udiva- mo sì da’ parrochi come da’potestà: « Si rivela sempre il men che si può anche in fatto di numero d°’ anime , per patire minore quantità di testatico e di leve ». Or l’uomo in materia d’inte- ressi è lo stesso ovunque. L’ uomo è ovunque un capitale non rivelato tutt’ intero al fiseo ; a quel modo che non tutti gli si rivelano gli altri capitali. Perciò crediamo in ogni potentato eu- ropeo la medesima occultazione scorta in quelle provincie ; e non temeremo di errare asserendo 25 milioni di più de’ computati in Europa. Nominando testè le leve, eccoci naturalmente alla catego- ria delle milizie. Balbi le enumera in tutti gli imperi del Globo. Noi nol seguiremo che in quelle della sola Europa. E vi leggiamo l’innumerevole ruolo di due milioni e 1nezzo d’uomini permanente- mente in armi! Chi mai minaccia l’ Enropa nostra ? Nuovi seiami barbarici forse capitanati da’novelli Alarici, Genserici, Attila e Osmanici ? O forse una nimistà implacabile e mortale arde fra le genti europee, talchè stanno così atteggiate per mutmamente ester- minarsi ? Nulla di tutto ciò. L’Asia , a quando a quando vivaio di nazioni migratrici, è d’ ogni intorno invasa dalla civiltà; e © non più, o vi vuol molto perchè ella rinnovi l’illuvie de’popoli pe- lasgici, tartarici, arabici. Gli europei d’altra banda sono tutti amici e fratelli in una comunione religiosa. Un tempo con gli imperanti eran nemici anche i suggetti ; og;gi questi ultimi sono in pace per- manente. Profane a questa frate:llanza europea son oggi sol poche teste comunque potenti; poche anime oggi gavazzano nella nefaria assurdità di beneficar sè stess= con essere malfattrici ad altrui. È ciò permesso soltanto a que’ pochi empi , i quali, inabili tiranni T. XXXIII. Marzo. 12 90 di una provincia irrequieta perchè proscritta, non vergognarono di scongiurar con inumanissimo voto l’ Oceano perchè passasse per ventiquattro ore sulla patria di sette milioni d’ uomini!!! Gra- zie sien rese agli avanzamenti della ragione della morale e della umanità, che van rarificando questi mostri, a quel modo che la coltura del suolo americano vi rarifica di giorno in giorno i boa gli aguè ed altri draghi. Il voto della pace perpetua ha già mag- gioranza immensa ne’ voleri umani; e giungerà alla fine il dì in cui l’ universalità del volere sforzerà alla pace perpetua anche i reggenti. Con tali speranze sol può il filantropo molcire il tristo sen- so che prova allo spettacolo di tante armi minacciose. Due mi- lioni e mezzo di genitori orbati di figli! Due milioni e mezzo di vergini infelici ed infeconde! Due milioni e mezzo infine di morti alla popolazione , al multiplico della specie , all’ agricoltura , alle industrie , alle arti! E quali due milioni e mezzo! Il fiore del- le generazioni! La gagliarda operosa e ‘produttrice gioventù! Giunga tosto quel dì in cui ogni cittadino sarà soldato , e ogni soldato sarà cittadino ; in cui ogni uomo, pronto sempre alle armi contro alle perturbazioni interiori, rifugga d’orrore e sel senta cader dalle mani alla sola idea d’adoperarle contro la patria altrui. E ciò sarà. Già sotto l’elmo del guerriero cova un pensiero, che al par di quello del filosofo , preferisce ila san- tità della pace alla nefarietà della guerra. Già sotto 1° usbergo pulsa un cuore che sente suo prossimo anche l’ inimico. Già Pam- bizione de’ conquisti infine non arde che pochi petti; l’ univer- sale non vuole non desidera non brama se non che ogni popolo sia independente e felice nella patria sua. Queste vie , per le quali già si incamminarono le generazioni europee , conducono alla pace perpetua. Il futuro non necessiterà de’tanti vani sistemi del- l'equilibrio delle controforze delle alleanze ec. ec. nè udrà sospi- rare un novello Bernardino di S. Pierre. Non vuolsi finire sulle armi europee senza un cenno delle navali. Contansi in Europa 600 navi di fila (vascelli e fregate) con mille e più navili. De’ quali due numeri veggonsi in mano della sola Inghilterra più della metà del primo , e più della terza parte del secondo. Essa ha dunque armate maggiori di tutte quelle de’ primari Stati cumulate insieme. Or chi potrà strapparle una superiorità , che fu ed è sì tirannica sul grande elemento del com- mercio ? Veruno; ma farà, e già va facendo, ella istessa ciò che ogni altro fora impotente ad operare» Alla nautica bellica è indi- QI spensabile la mercantile , come quella che sol può darle vita e nervo. Or la mercantile è in iscadimento presso quegli isolani. Il noleggio è troppo alto perchè troppo alto è il costo del mariniere inglese. Indi al lucro in quel prezzo equo, oggi dato ne’ mercati dalla generale e libera concorrenza , sentono già gl’ Inglesi istessi la necessità di noleggiar navi d’ altre nazioni, e le noleggiano an- teponendole alle proprie. Adunque il primo passo alla ruina della potenza marittima fu dato in quello che imprese a menomare la navigazione commerciale, Volgasi ora lo sguardo al reddito e al debito pubblico del- l’ Europa. Enumerando le quantità di queste due colanne, e stan- candoci occhi e mente fra innumerabilità di cifre, sommammo cinque mila milioni (lire francesi) di reddito! . e quaranta mila milioni di debito !!!! Fallirebbe chiunque volesse statuire proporzioni fra le rendite de’ vari potentati e le rispettive superficie o popolazioni. Al che giovi un esempio confrontando i due Stati, i quali formano gli estremi nella scala delle potenze europee; l'impero Russo cioè, e la Signoria di Knipausen. Il primo trae 400 milioni da una su- perficie di 1,500,000 miglia quadre popolose di 52 milion: di sud- diti; 1’ altra esige da tremila sudditi abitanti sovra 15 miglia quadre, quasi 400,000. Onde è che il Knipausen è alla Moscovia nelle ra- gioni seguenti: In reddito come 1 : 1000 In superficie id. 1 : 100000 In popolazione id. 1 : 17333 e un terzo e perciò mentrechè in Moscovia il quoziente del reddito è di circa otto lire per cadaun abitante e di tre per cadaun miglio quadro , nel Knipauseu poi è di 26666 e due terzi per cadaun miglio quadro, e di 133 e un terzo per cadauno abitante. Il lettore scorgerà da sè stesso le cause di queste enormi differenze per asserire che non possono statuirsi proporzioni comuni. La sola massima generale che sia possibile ed affermarsi senza errore è, che gli imperi piccioli son sempre e ovunque gravati da’ dazi assai più de’grandi. Laonde il lettore tenga per fallaci le proporzioni da Malte- brun computate fra’ redditi de’ vari Stati Europei (6). Ma falla- cissimo estimi poi quell’ insidioso asserto , che taluni governi son sempre più costosi a’ popoli di ciò che sien loro taluni altri. Anche quì valga un esempio in numeri, sotto a’ quali non si può celare il vero. Confrontiamo due poten tati quasi eguali in super- (6) V. il 6.° Volume del Précis de Géographie ec. 92 ficie e in popolazione, ma inegualissimi in politico reggimento ; la Svizzera e la Danimarca. ‘Questa assolutissimo principato ; repub- blica ove più ove meno libera quella. Leggendo insomma nella tavola de) sig. Balbi 40 milioni di reddito alla seconda ; e dieci milioni alla prima, è chiaro che contribuisce con 20 lire cadauno de’ quasi due milioni di Danesi, e sol con lire cinque cadauno de’quasi due milioni di Svizzeri al suo governo rispettivo. Tl governo alunque costa agli Svizzeri quattro volte meno quel di che costi a Danesi. E perchè non snppongasi che prescegliemmo il solo esem- pio al nostro uopo, ne addurremo un secondo. La mista monarcnia Norvego-Sveca ha 3866000 sudditi e 42 milioni di reddito. Or confrontandola con la Danimarca in reddito e sudditi , potrà ognun scorgere che mentre cadaun Danese è , come già vedemmo, tri- butario di 20 lire, cadaun Norvego-Sveco lo è soltanto di lire 11. Ora il lettore deduca egli stesso le proporzioni. Siamo severi col rinomato Goegrafo e per interesse della verità, ed anche perchè egli fu non severissimo , bensì ingiustissimo co’ popoli meridionali , sovratutto con la Italia. Dogmatico misura- tore della forza e del coraggio umano in ragione inversa delle al- tezze termometriche, ossia de’ gradi latitudinari, non si avvide di contradir quindi il suo principio asserendo , che il facchino russo ; il quale esser dovrebbe il fortissimo, è assai men robu- sto dell’inglese e dello spagnolo. Ovunque inoltre gli abbiso- gnarono comparazioni denigranti o vituperatrici nel parlar de- gli altri popoli, l'oggetto di agguaglio era sempre tolto da qual- che provincia italiana. Siam dubbiosi se mai siavi momo perfetto il quale possa essere da tanto a spregiare altro uomo ; ma il certo è che non mai possono spregiarsi le nazioni. È ciò permesso sol ne” riboboli soffiati da’ pregiudizi del trivio ; però molto dee su- blimarsi su’trivi il magistrato di giustizia e verità nella grave aula delle scienze. Pur concedasi il dritto della poca stima a taluni popoli. Ma può forse assumerlo il natio di quel popolo che fu suicida politico nel 1661 , e 1’ unico il quale fin da quando vivon nazioni in società sulla terra , desse legalità al dispotismo ?_ Fine intanto a queste increscevoli confutazioni , e proseguiamo oltre. Il redditto pubblico di tutt’ Enropa è di cinque mila milioni. Or siccome nelle odierne amministrazioni il fisco , ove più ove meno , assorbe il medio fra la quarta e la quinta parte della ren- dita de’ cittadini , così è chiaro che 1’ universa rendita annua degli Europei somma a venticinque mila milioni! E in pari modo, sic- come ogni rendita presuppone un capitale, cui quasi ovanque stà in ragione di 1 : 15, così avremo tutti i capitali europei som- 93 manti a 375 in 400 mila milioni! Copia tale a stupefare 1° imma- ginazione anche più fervida! Dovizia , che tutt’intera è opera dell’ uomo , tostochè quasi incomputevoli sono ne’ valori i grez- zi elementi forniti dalla natura; e che incominciando dall’ oro , non acquista esso il suo valore supremo , se ‘non col lavoro uma- no. Se dunque di 400 mila milioni è la produzione europea , vuolsi computare a 200,000 quella di cadauno de’ 200 milioni degli enropei produttori. Che anzi è, ed assai , maggiore , ove da quest’ ultimo numero sottraggansi i moltissimi appartenenti alle improduttrici età ‘della decrepitezza e della puerizia, nonchè gli altri molti , i quali poltrendo in ozio codardo , sono anche inabili a consumare perchè vi sia chi possa ben riprodurre. Da queste contemplazioni , idonee a far superbire chiunque nasce europeo . ne riscotono con amarezza le innumerevoli cifre del debito pubblico. Quaranta mila milioni! ! Numero enormissimo di capitali e redditi divorati anzi tempo sulle produzioni future, co- me anche di nervo e mezzi consunti ne’futuri poteri degli Imperi! Enormissima quantità di debito inoltre, che minaccia ruina alle so- cietà moderne, al pari che ogni debito enorme è un cancro letalis- simo ad ogni famiglia comunque ricchissima! Senonche eterne sono le nazioni , e caduchi i soli Stati. Alti motivi di tristo meditare in questa visibilissima era di transizione sociale! La metà del reddito ingoiata dall’ interesse del debito! Indi la metà de?’ dazi , già in- comportevoli, perdutamente gittata in una voragine la quale , nonchè colmarsi , si incaverna anzi sempre più! E tanto sciupio tanta dilapidazione sol per opera di chi è proposto al santissimo ufficio di ben amministrare il sudore e il sangue de’ popoli ! E tanta dilapidazione tanto sciupio sol da otto lustri in quà! I pensatori, che oggi sono i molti, non possono non associare a questi pensieri le rimembranze delle cause di tanta ruina; e l'attualità delle gravezze farà più operosa sullo spirito pubblico la memoria delle cause. Sul culmine della scala del debito vedesi 1° Inghilterra mi- nacciosa di franare, perchè schiacciata dal peso immenso di 22 in 23 mila milioni. Vien poi la Francia con 4500 milioni; ma lievi son questi per le francesi dovizie appo i 4000 milioni ipotecati sulla squallidezza e miseria spagnuola. Dopo la Spagna , il reame, più indebitato in proporzione de’ propri mezzi, è il Flandro-Olan= dese con 3800 milioni. I due imperi austriaco e russo son debi- tori di 1460 milioni il primo, e di 1300 il secondo. Debitrici di 500 e di 100 milioni sono la Monarchia Siciliana e la Sarda ec. Ma notiamo con piacere che la Repubblica Sanmarinese e il 04 Granducato toscano sono i soli Stati i quali abbian zero nella colonna del debito. Onore a chi li governa. Quello zero è un elo- | gio magno sommo infinito. Tempo è ora di passare alla categoria delle varie religioni professate sul Globo . Il culto traricco in fedeli è il Cristiane simo; codice religioso essendo il vangelo a più di 260 milioni. È inoltre il più cosparso, avendo il suo altare per tutta Europa per tutta America, e per tanti punti dell’ Asia dell’Africa del- l’Oceanica. È infine il culto de’popoli più intellettivi forti ordi- nati e politi. Le quali concomitanze non sono i minori argomenti della sociale sua virtù perfettiva. Al Cristianesimo tien dietro in numero e spargimento per l’Affrica 1° Asia e un lembo d’ Europa l’Islamismo, ma non già in beneficenza sociale. Anzi le genti maomettane sono nell’ odierno stato delle cose le più indietreggiate in civiltà. Non perciò pen- siamo, come i molti pensano, incompatibile con la coltura il Korano , e che esso formi domma precettivo di barbarie. Islamiti eran gli Arabi; e intanto ebbero scienze e arti; e furon essi quelli che conservarono il fuoco sacro di Minerva durante le atre tenebre interposte fra l’ erudimento greco-latino e il moderno. I culti di Lama Brama e Confucio son rinserrati nell’ Asia sola, ove sopravvive tuttora qualche reliquia della religione zo- roastrica , ossia del fuoco. E infine l’ apoteosi animale , o il et cismo , che è il culto instintivo di tutte le tribù incondite, rin- viensi ove più ove mezzo cosparso per tutto l’ Orbe , e perfino in Europa nell’ ultima Lapponia; a quel modo istesso che per l’Orbe tutto si rinvengono i settatori della religione mosaica per le sì sparpagliate reliquie d° Israello. All’infuori del Feticismo , tutte le religioni insegnate ebbero i loro istitutori in Asia. Onde mai questa terra ebbe il privilegio di legislatrice religiosa del Globo intero P\ Due ragiom ne scorge chi vi medita ; una come causa; come mezzo l’altra; e non sarà sfregio il parlarne alquanto. Il Sepher e l’ istoria naturale son concordi nella testimonian- za che 1’ Asia fu la prima terra abitata. Essa perchè la più am- pia, e nel suo dorso interiore la più alta sul livello marino, es- sendo stata la prima a emergere sulla superficie delle acque, do- vette anche essere la prima che desse sede e stanza all’uomo. Ivi adunque dovea pria che altrove incominciare a forbirsi l’ ingegno umano, e forbendo elevarsi gradualmente dalle primitive super- stizioni a idee di Divinità più nobili dignitose e consentanee al progresso mentale. Con ciò ivi pria che altrove dovea lo. spirito 99. salire al grado intellettivo di quei sommi, i quali elucubrando in teosofia, e pervenendo al concetto universale di un Essere supre- mo ; il rivelarono alla famiglia, quindi alla gente , in seguito alla tribù, e infine alla nazione loro. L’ Asia insomma fu la culla della prima Deità rivelata perchè fu la culla del primo uomo. Concorde col Sepher è anche la scienza geogonica circa l’or- dine di tempo che la creazione umana ebbe nella creazione ani- male. Moisè scrisse che Iddio creò l’ uomo dopo aver creato pesci volatili e quadrupedi. E la geogonia va sempre più dimostrando che tutto l’ involucro terreo non altro è se non l’ossame di un regno animale parte scomparso parte sopravvissuto ; involucro in cui rinvengonsi le ossa umane nel solo strato superiore o ultimo. Consentitrice è inoltre la scienza istessa al Sepher circa il cataclismo esterminatore, tostochè dimostra ovunque le lapidi di una catastrofe acquea, e null’ altro essere il mondo attuale che il rottame di un mondo antico. Nè sì oppugna alla notizia della restaurazione dell’uman genere mercè tre padri di nazioni , scam- pati all’orrendo disastro. Imperocchè circa le così dette razze degli uomini, di quelle almeno del continente vetusto , tre sole, e non sei come vuol Maltebrun, nè dieci qual’ opina Bory de S. Vincent, possono ammettersene ; la bianca cioè, che pare l’abo- rigena dell’ Europa, la nera dell’ Africa, e la gialla dell’ Asia. Ed anche in questo controverso subietto opiniamo che la varietà della tinta epidermica sia un accidentale effetto del clima, ma non già intima differenza ereditaria di vario seme primitivo. Infatti non veggiamo i modelli de’ tre presunti colori specifici che nelle sole estremità dell’ antico continente ; il più bianco nell’ Europa nordica , il più gia//o nè termini orientali dell’ Asia, o il più zero nel cuore meridiano dell’ Africa. Però in ragione che si progredisce da queste tre estremità nello spazio interiore , veggonsi tali tinte gradualmente alterarsi; talchè mano mano appa- rendo men nere men gialle men bianche, secondo i circoli lati tudinari e longitudinari ; finiscono col commercersi in ;juna car- nagione comune. Ove è verbigrazia la diversità fra quella de'Mauri e l’altra de’ Sardi de’ Siciliani de’ Cretesi ?. Nulla, o minimissima pel poco divario de’ paralleli. Ma è facile scorgere in un Cretese o Siciliano o Sardo o Mauro il termine medio fra il nerissimo Cafro e il bianchissimo Norvegio ; come nel livido Persiano tu scorgi quello fra il Cafro istesso e il giallissimo Giapponese o Malese. Vedi inoltre i. più vermigli Europei imbrunire il loro incarnato risedendo nelle regioni equatoriali; e più fosca di ciò che divengano essi è la prole che vi generano domiciliandosi. I Creoli messicani 95 e Peruviani , comunque tutti di sangue spagnolo , sono intanto assai più bruni degli Spagnoli. Vuolsi adunque asserire tutto intero effetto del clima la varietà delle tinte umane. La chimica efficacia e forza della luce solare dà nella zona torrida un colorito più cupo agli animali , in quell’istesso modo che infeltra un più forte sa- pore ne? vegetabili. Il nord non produce che gomme sciapidissime , ma sotto l’equatore raccolgonsi i saporosissimi‘e gli odorosissimi fra gli aromi. Non men confutabile è 1° argomento de?’ capelli lisci o lanosi come pruova di originaria diversità di schiatte. Nella terra in cui ebbi i giorni nacquero da genitori di bellissima carnagione e ca- pellatura due figlie col crine non dissimile da quello del Cafro. La prima di esse fu sterile poichè passò a marito ; l’altra procreò fi- glie con capelli come isuoi. Così del pari il fratello loro, non ostante che li avessi lisci, e che sposasse una donzella con la più bella chioma che abbia mai adorna testa di femmina, ne ebbe figlie comate di lana. Al pari adunqune che fora irragionevole il supporre originarie da sangue africano quelle donne in quell’ an- golo del Sannio ,\ non è inrepugnabile argomento di varie origini umane il veder le genti capellute quà lisciamente e là con lanosa increspatura. La natura è in infinito moltiforme , nè si'impastoia in que’ ceppi ne’ quali ne torturano l’ immagine i facitori de’ si- stemi. Essa non crea che individui, cadann de’ quali è un mondo un ordine ; e intanto i sistemisti vollero vederla agire per generi specie e classi. Uguale è 1’ umana entità organica sì interiore come esteriore ; ma nondimeno , ove è la piena similitudine di due soli uomini ? Veggonsi varietà di lineamenti e fattezze da villaggio a villaggio e da provincia a provincia , come da famiglia @ famiglia e da fratello a ‘fratello. L’ Inglese per esempio, comunque di sangue scandinavo sassonico e normanno , ha però il viso più ovale e più del dovere sporgente la mascella inferiore che non 1’ abbiano inormannii sassoni e gli scandinavi. La sua forma si è poi inle- giadrita nella prole procreata alle colonie oceaniche. It brumoso aere brittanico forse produsse quel piccolo tralignamento ; a quel modo istesso che 1’ algore del polo impiccioli i Lapponi i Groelan= desi, e il torrido sole d’ Africa abbronzò le carni nonchè increspò le chiome degli africani. Non v’ ha necessità di ricorrere a varie creazioni umane quando basta il clima a spiegarne le diffe- renze . Il Sepher non fa parola nè del /Vu000 mondo: nè del Muovis- simo. Ma come in Europa e in Africa trovansi ovunque le radici de’ parlari asiatici , così pure se ne rinvengono copiosamente negli 97 idiomi degli aborigeni americani ed oceanici. Le tradizioni messic&ne inoltre conservano la notizia che gli atavi di quelle genti là disce- sero dal Settentrione (7). E non è improbabile che migratrici fa- miglie d’ Asia vi pervenissero o per le vie del polo, come oggi gli Eschimiesi si inoltrano fino all’ Islanda alla Lapponia ed anche alle Orcadi qualche fiata; oppure tragettando da stazione in ista- zione per la serie delle Kurili. Nè la popolazione americana adun- que nè il colorito enodermico di que’ popoli oppongono assurdità all’opinione dell’istoria naturale professata dall’ immortale Autore del Sepher; che 1’ Asia cioè fu la terra natia dell’uomo. L’Asia è il cuore delle terre; di che può convincersi chiunque volga su’map- pamondi proiettati in modo che i due emisferi rappresentino uno la parte terrea e l’altro l’acquea del Globo. Sue membra sono 1’ Eu- ropa e l’ Africa; forse sue membra ancora erano un dì 1° America al Nord e l’Oceanica al S. E., le quali oggi non ne sono disgiunte che con brevi frastagliature , operate probabilmente nell’innega- bile ruina del primitivo mondo, Queste lunghette premesse anteponemmo per due fini. Per schivare cioè il più che si possa ipotesi intralciate circa la na- tura sempre operatrice con mezzi semplici e col minimo delle forze. L’antropogonia, che fu 1° ultima creazione o modificazione animale, fu l’opera sua più sublime e momentosa ; sulla quale, comunque misteriosamente arcana , si erra meno al supporla av- venuta in un luogo in cui pria degli altri poteva avvenire, Così ragionammo inoltre onde dare il più che si possa chiara ragione del vedersi sulla terra religioni e lingue tutte asiatiche . Impe- rocchè l’Asia lancia quando a quando sciami di genti sulle altre regioni del globo quasi a restaurarvi la popolazione. Son note le antiche migrazioni pelasgiche e mauritaniche , non che le poste- riori degli slavi e degli arabi. Annualmente inoltre ne migra gente per Sumatra , Borneo , Giava , ec. ec., e la Cina assunse l’ ufficio di ripopolar Batavia ognor spopolata dalla peste perma- nente . Or l’ uomo porta sempre seco la sua religione e favella ovunque ei vada ; ed ecco non più inesplicabile lo scorgersi asia- tiche favelle e religioni ne’ punti più intervallati del globo. Ben a tale uopo notava Fabre d’Olivet la somiglianza di forma nel- l’ infula, nel litno e nelle patere di tutti i culti. E noi notere- mo che nel Perù fu rinvenuto il culto di Mitra e l’instituto delle Vestali. E noteremo ne’ tempii di tutti i culti il sempre acceso lu- (7) V. Humboldt. Essai «ur la Nouvelle Espagne ec» T. XXXIII. Marzo. 13 98 me in simbolo del fuoco sacro ed eterno con tanto zelo e vigi- lanza custodito in tutti i tempii asiatici. Queste medesimezze son documenti di origine comune. Quì se il luogo e i limiti cel concedessero, avremmo ottima opportunità a notare i molti punti su’ quali ne pare che assai traviasse l’ eruditissimo Beniamino Constant nella sua opera sulle religioni. Ma non vuolsi abusare della alcerto stanca pazienza dei lettori. Sol rivendicheremo (ed ogni italiano vorrà sapercene gra- do ) una tutta italiana proprietò. Quegli argomenti sull’ anterio- rità dell’ Iliade e dell’Odissea, desunta dallo scorgersi nell’Odis- sea le idee in religione morale e civiltà assai più progredite che nell’Iliade , non che non esser nuovi, eran già di un secolo an- nosi in Italia fin da quando comparve la Scienza nuova di G. B. Vico. Al qual proposito non possiam tacere, che non saprebbesi decidere se più di impudenza che di non lettura andrebbero tacciati alcuni scrittori oltramontani. Udimmo uon ha guari un Giornale (8) magnificare Cwusin per avere ben discusso 1° argomento quul mai parte e influenza avessero gli scherni di Aristofane alla condan- na e morte di Socrate. Fatto stà che queste disquisizioni di Cou- sin son pagine prese di pianta da un libro che cinquanta anni fa scriveva Wieland (9). Così pure ultimamente il Giornale de’ Debats, nel render conto dell’Opera di un tale Poirson, il landa scopritore del medio evo nel progresso civile delle genti greche (10). Or di que- sto greco medio evo già da cento anni l’Italia ne udia parlare a sazietà pria da Giovanbatista Vico nella sna Scienza nuova, quin- di da Mario Pagano ne’ suoi Saggi politici , e infine da Vincen- zio Cuoco nel suo Platone in Italia. Quest'ultimo anzi il deno- mina il secolo della greca cavalleria. Nell’odierna publicità ognun che tratti la penna dee tremare al menomo plagio ; perchè è un furto scoperto e punito nontostochè commesso. Eccoci infine all’ ultima categoria della Tavola in esame j a quella cioè delle varie lingue favellate dal genere umano, e che può dirsi il sunto in cui addensò il sighor Balbi tutto il suo la- boriosissimo Atlante etnografico. Nel quale argomento non enu- mereremo i parlari radicali, nè quelli che son dialetti; ma vol- geremo qualche sguardo più addentro in un sì momentoso stru- mento generatore e comunicativo del pensiero , che è la prova (8) 1 Globo. (9) V- Le lettere <° Aristippo. (10) C'est ia découverte la plue curieuse de M. Poirson; ila retrouvé le moyen dge dans la Grèce ec. ec Vedi il N.° del dì 7 Febbraio 1829» 09 massima del soffio divino inspirato ne’petti umani. Che fora l’uo- mo senza la loquela ? Il regno animale non conterebbe che un bruto di più , e forse il peggiore di tutti i bruti. Il più volte laudato G. B. Vico divinava un gran principio e mezzo d’indagini in Filologia (11) allorchè comparava sì ne’pen- sieri come nelle locuzioni a’fanciulli que’ primitivi uomini ferini selvaggi e inconditi in ogni comunque iniziale società . Seguasi adunque questa guida, e vediamo ove essa ne scorga. I bambini esprimono col lamento e col pianto o col grido i bisogni delle sensazioni loro. Questa espressione è a bella prima tutta instintiva tutta animale. Ma quindi man mano la memoria che si forma e sviluppa, fa avvertire agli infanti sentendo i me- desimi bisogni, che essi già li ebbero altra volta paghi col grido o col pianto o col lamento. Ecco in ogni nomo fin dalla sua in- fanzia una coscienza 0 giudizio di possedere nell’ organo vocale un mezzo ad esprimere ciò che si sente o ciò che si vuole; ed ecco a parer nostro il primo ed unico germe d'ogni favella , es- sendochè questo giudizio o coscienza non che cessare o menomarsi col progresso dell’ età , si accresce anzi e invigorisce. Seguendo i bambini nel loro sviluppo troveremo, che mentre essi son tuttavia indotti ad articolar sillabe, son però natural- mente abili imitatori de’ suoni che odono. Del che potrà essere testimonio ognuno , che mentre essi sono ancora muti alle prime voci di Zabbo e mamma , ‘imitano non pertanto assai bene con l’ imperfetto loro organo vocale il tocco delle campane o lo sparo del moschetto o lo scoppio del tuono. Le madri quindi e le ba- lie glielo fan ripetere ; ma non perciò tutta spontanea ed instiz- tiva non è la creazione di que’ suoni imitativi. Ed ecco un altro elemento naturale della favella con quest’ altra coscienza o giu- dizio , che fin dall’infanzia porta seco l’uomo, di poter dinotare con suoni imitativi le idee o sensazioni che riceve col mezzo del suono. Si aiutano inoltre i bambini ad esprimersi accompagnando i loro suoni primitivi o col gesto della mano, o sia piegando il loro corpicciuolo , allorchè son in braccio della madre, sia dirigendo- si, allorchè questa li conduce con le redini, verso il luogo ove rammentansi che già ebbero ciò che vollero. Anche que- sto linguaggio per segni è.in essi istintivo e spontaneo; la natura (11) Si rammenti il lettore che seguendo | autore della Scienza Nuova intendiamo per Filologia la Scienza che invertiga il Certo nelle cose Vere. 100 sola glielo ispira e impara ; ed essi soli il formano e sviluppano in ragione che sviluppasi la loro memoria e giudizio. Infine poichè incominciano ad articolar suoni distinti mercè il progressivo acquisto delle consonanti dentali e labiali , non pronunziano però che monosillabi. Quì li lasceremo, perchè il re- sto della loro loquela nello stato odierno delle cose è una scuola che hanno dalle madri. Alle nostre mire facea duopo investigare sol quegli elementi vocali di cui i bambini son essi medesimi e soli creatori. Diremo adunque che la prima e istintiva e natural favella infantile è fonetica, semaforica e monosillabica. Sol vuolsi aggiungere per le ulteriori nostre applicazioni, che quando i fan- ciulli incominciano ad. imparare e adoperare le locuzioni co’verdi, non sanno servirsene se non nel modo infinito. Ciò preposto, imaginiamoci gli uomini grezzi a’ primordi di ogni umanità (12), vagare in quello stato ferino, anteriormente al quale non puossi andar più oltre: in quello stato incomposto cioè in cui, al pari di ciò che avviene fra’ bruti, erano abban- donati dalle selvagge madri non tosto che queste li vedeano non più necessitosi delle materne cure . Questi uomini adunque na- turalmente al par de’ bambini, mossi al lamento pianto o grido dalle sensazioni ; consci inoltre di posseder nell’ organo vocale un mezzo ad esprimere ciò che sentono; abili imitatori de’suoni imitati- vi; dalla natura addottrinati a sovvenire i suoni col gesto ; e infine inabili alle lunghe articolazioni, si formeranno man mano una rozza favella anche essa fonetica, semaforica e monosillabica . Del che lunga dimostrazione dava l’Autore della Scienza nuova notando mo- nosillabe quasi tutte le voci de’popoli primitivi e delle così dette radicali delle lingue madri; come anche chiarendo da alcuni tra- slati popolari, che ne’principii d’ogni idioma suppliscono gli no- mini alla povertà delle voci con i segni delle cose; ossia che parlano mostrando le cose istesse. Il lamento il pianto, il grido e l’ ululato son gl’istessi in tutti gli uomini. Onde è che presso le genti tutte noi rinvenia- mo similissimi i suoni vocali che esprimono i vari affetti dell’ani- mo, ossia le interiezioni. E può asserirsi lo stesso quasi in tutto ciò che riguarda 1’ origine fonetica de’ parlari, ossia nelle voci formate! con 1’ imitazione de’ suoni che la natura fa udire agli uomini. Prendiamo in esempio il tuono meteorologico. I Greci il (12) Così detta dal Vico la formazione e politura dell’ uman genere in società civile, 1OI dissero dronte; tonitru i Latini; donner i Germani; grom gli Slavi. Vedrà ognuno in tutti questi vocaboli la comunanza di taluni elementi sonori, dell'O, verbigrazia ; della T; dell’N o M ; della R più d’ogni altro. Vedrà oltreaciò il vocabolo formato da’ Greci e da’ Latini assai più vibrato e sonoro di quello de’ Ger- mani e degli Slavi, perchè assai più fragoroso di ciò che sia in Germania ed in Russia è il tuono in Italia ed in Grecia. Scorgemmo ne? fanciulli non sapersi esprimere che in modo infinito allorchè incominciano ad essere addestrati nell’uso de’ver- bi. Essi poi man mano salgono a quello de’tempi in ragione che man mano si sviluppa il loro intelletto ; notandosi in questo svi- luppo che il presente è sempre il primo tempo di cui si sappiano fare uso, come quello che dipende dall’ attualità della sensazione; quindi progrediscono al passato in ragione che si sviluppa e forti- fica in essi la memoria ; il futuro infine è l’ultimo che usino , n° il concetto dell’ avvenire è 1’ ultimo che sappian formarsi o esprimere. Applicando queste osservazioni si chiariranno molte cose che veggonsi ne’ parlari umani. Non più ne stupirà il ve- dere ne’vernacoli i più incolti 1’ abbondanza del modo infizi- to; onde è che essi sembrano essere così sentenziosi, e son assai più poetici de’ dialetti politi, essendochè il modo infinito con- tiene e sveglia un’ idea ampia indeterminata immensa, la quale empie l’anima di un certo ignoto che piace col suo mistero. Della stessa maniera non più dee stupirci la povertà delle favelle pri- mitive ne’ tempi de’ verbi ; le asiatiche non aveano che il passato ed il futuro, servendosi dell’ infinito per presente (13). Più po- vere di queste eran le celtiche , tostochè prive del futuro non conosceano se non che il presente ed il passato. Eran esse le lin- gue de’ popoli fanciulli , e perciò grette come quelle de’fanciul- li individui. Dalla loro povertà all’ ampiezza e dovizia della lin- gua greca , la più doviziosa ed ampia che sia mai stata favel- lata dagli uomini , il progresso, che è immenso , dimostra il pro- gressivo sviluppo delle facoltà mentali de’popoli; all’istesso modo che la superiorità di dire della erudita gioventù sulla monca lo- quela della fanciullezza , non altro è se non il segno dello svi-. luppo e dell’analisi del pensiero, che il giovane erudito fece assai più di quel che non ancora può aver fatto il fanciullo. Ciò basti delle lingne orali; diamo ora alcun cenno sulle scritte , ma solo in quel che concerne i loro segni o caratteri. Sul quale subietto schizzeremo qualche nostra opinione , e valga (13) V. Fabre d Otivet. La Langue Hebraique restituéc. toa essa quanto può valere. Scorgesi fra le scritture de’ popoli pri- mitivi e quelle de’ posteriori la differenza, che le prime hanno caratteri semaforici, v così detti geroglifici, mentrechè le se- conde li hanno elementari, ossia valevoli a rappresentare gli ele- menti de’ suoni , le lettere. La ragione ne pare lucidissima. Ar- gomentammo sull’ esempio de’ fanciulli, che gli uomini primitivi e incipienti in loquela, doveano parlare e parlavano in tutto ciò che non poteano, o non ancora eran convenuti di saper dire foneticamente, mercè il mostrare o additar le cose che volea- no intendere . Indi è natnrale che la scrittura de’ popoli inci- pienti a scrivere esser anche dovesse semaforica con le imagi= ni degli oggetti. A misura poi cb. gli nomini ampliando i par- lari fonetici non più avean bisogno e man man disusavano i se- maforici, così del pari col progresso del metodo scritturale , ce- dea man mano la scrittura serzaforica o geroglifica il predominio alla elementare o letterale. In un argomento cotanto quistionato e quistionabile, la no- stra opinione non andrà al certo a verso de’ moltissimi, i quali giurano che la scrittura geroglifica fu sacerdotale invenzione a fine di involare con cifre arcane i misteri a’ profani. Non puossi negare che di un tal mezzo molto si avvalsero i Gerofanti in prosieguo, onde custodire inviolata nel loro ordine l’intelligenza de’ simboli de’ miti e d’ogni verità misteriosa infine; ma non perciò vuolsi asserire che tale , ed a tale uopo , ne fosse 1° ori- gine inventiva. La scrittura nacque invero nel Tempio , poichè nel Tempio progredì e migliorò l’ erudimento umano; essendo omai innegabile che 1° ara fu il nocciolo d’ ogni società e pro- gresso civile. Ma assai poco sà o meditò 1° istoria de’ filologici avanzamenti e vicende chi non scorse che i riti religiosi, e par- ticolarmente i più gravi e venerati, son sempre quelli ne’ quali più gelosamente son conservate le forme primitive. Presso gli Ebrei furono introdutte le sinagoghe onde spiegare i libri mosaici non più intesi dal popolo, ma intanto le funzioni e i misteri levitici nel tempio eran celebrati nella non più intesa favella di Moisè. Dicasi lo stesso dell’ antica Roma in occasione delle cerimonie Ftrusche o de’Libri sibillini, a interpetrare i quali tenea la Repub- blica peculiari sacerdoti. Dicasi in ultimo lo stesso circa i culti mo- derni ufficiatiin una favella che non è più popolare. A nostro avvi- so adurque la scrittura geroglifica, la quale ne’ primordi della na- zione era comune , rimase ‘poi esclusivamente sacerdotale per le ragioni che esponemmo. Altra differenza fra la scrittura delle genti primitive e quella 103 delle secondarie è nella serie progressiva de’ segni o lettere da destra a manca nelle prime, e da manca a destra nelle seconde. Il sempre ingegnosissimo , ma più d’una fiata troppo imaginevole Fabre d’ Olivet ne addusse due diverse ragioni in due sue ope- re. In una (14) affermò che le genti asiatiche e africane così scrivessero per effetto delle latitudini che abitavano , nelle quali la poca ombra proiettata mercè l’ altezza del sole non impedia che così si scrivesse ; laddove poi ne’ climi più boreali della Gre- cia e d’Italia bisognò fare al rovescio per causa di una maggiore proiezione dell’ ombra istessa. Quindi in altra opera (15) ne asse- ria una assai più singolare bizzarra e speciosa. Avvenne, dice egli, anteriormente all’ età di Cadmo , che portò le lettere in Grecia e incominciò a scrivere da sinistra a dritta, un grande scisma nella religione che l’Oriente professava alle due maggiori divinità rappresentate dal Sole e dalla Luna ; scisma occasionato da fiera disputa insorta snl subietto qual de’due numi fosse del sesso ma- schile, e quale del femmineo. Del quale fatto havvene ancora un documento vivente nelle lingue germaniche, nelle quali, tutt’al- l’opposto di ciò che è nelle favelle derivate da’ popoli greco- italici, il Sole è di genere feminino, e la Luna del mascolino. Or le tribù che dall’Asia passarono in Grecia essendo scismatiche, impresero a scrivere da manca a dritta per distinguersi da quelle da cui si erano scisse , e che scrivevano da dritta a manca, per lo stesso motivo per cui i Greci odierni si fanno ilsegno della croce diversamente da’ Latini. Citammo questa sottilissima bizzarria non a sfoggiare erudi- zione, ma perchè abbia il lettore qualche respiro giocondevole. La nostra opinione sulla differenza in esame è che questa, allor- chè fu da’popoli occidentali adottata, provenne soltanto da quella naturale speditezza e miglioria , che ogni metodo man mano acquista mercè l’ esperienza e l’ esercizio. L’ uomo , che per lo più opera cun la sua mano destra, comincia naturalmente dal luogo a dritta come il più prossimo alla mano istessa. Ma quindi esperimenta che nelle lineazioni parallele all’ asse maggiore delle sue spalle , il moto della mano da manca a dritta è sempre più facile e scorrevole di quello da dritta a manca. È ottima regola logica il non elaborar raziocini complicati là ove bastino i sem- plicissimi. Molto dimorammo sulle lingue. Senonchè speriamo indulgen- (14) Histoire du genre humain. (15) Les Vers dorés de Pytahigore, expliqueés. 104 za in grazia d'essere esse la parte più contemplativa di tutta la massaÈ filologica , ossia di tutte le opere umane. E infatti oltre- modo meraviglievole è la creazione o sviluppo che 1’ uomo fece di un organo indispensabile alle necessità ed alle delizie della vita; di un organo mercè il quale egli si sublima a quell’ ordi- ne morale donde trae tanta dignità , tanti aiuti, tanti diletti, tante speranze; della favella infine e insomma , che è 1’ indice metrico della vita de’popoli e degli imperi, non tostochè è sem- pre proporzionevole alle varie età degli imperi e de’popoli. Ed è perciò che diviene essa una fedele lapide istorica ovunque man- chi la istoria. Se perita fosse ogni notizia delle gesta greche o romane , potrebbesi argomentar lo stadio della robusta virilità di queste due genti sol avendo qualche brano di Cicerone o di Tu- cidide comparabile con altri frammenti di autori anteriori e po- steriori. La favella in ultimo è fidissima scorta a divinar la filo- sofia naturale delle nazioni; del che ampia dimostrazione davane G. B. Vico desumendo dalle primitive voci italiche la primitiva italica sapienz®@ (16). Così prendendola a guida investigatrice dello stato morale, civile e politico, vuelsi però non soffermarsi ‘alla forma ; altri- menti facendo, nonchè non menare alla verità, mena anzi all’er- rore. Va le mille miglia lungi dal vero, chi leggendo in taluni libri nefandigie e laidezze non udite oggi neppure ne’ lordumi de’ trivi, argomenti ( qual già fecero e fanno molti ) che oscenis- simo era e lo scrittore e il popolo per cui scrivea. Quella che ne pare inverecondia sì proterva è intanto la nudità del candore e dell’ innocenza. Le lingue pareggiano alle donne, le quali avanzando in età prendono que?lisci e ornati che negliggono allorchè son conscie del loro fiore virgineo. Esse alteransi mercè il passaggio de’vocaboli dal senso traslato al letterale e viceversa; passaggio notato dal Vico quale una delle primarie cause de’ mostri poetici e delle favole» Dante oggi non direbbe, nè dir potria il Drudo della Fede; ed a noi non più fa stupore come egli il dicesse senza empietà cinque secoli indietro. Ogni popolo vive trascorrendo i medesimi stadi della vita umana ; ossia che al par dell’ uomo è pria infante, poi fanciul- lo, appresso adolescerite, quindi giovane, in seguito virile, canu- to, vecchio, decrepito , ec. ec. E al modo istesso ei parla come l’uomo nelle varie età ; cioè ardito focoso e metaforico nella gio- (16) Vi De antiquissima Italorum sapientia. 105 ventù ; ragionato e preciso nella virilità ; anfaneggiante in vec- chiaia. I progressi adunque che le favelle fanno nelle doti razio- nali e analitiche son sempre a spese delle qualità poetiche ; ed è perciò che le lingue colte son sempre assai men poetiche dei dialetti. 1 Ogni popolo inoltre al par dell’ uomo passa per l’ età della fantasia innanzi di pervenire a quella della ragione allorchè la sua coltura va secondo l'ordine naturale. Indi in Grecia e in Italia le età da Omero a Sofocle e dal Dante al Tasso precorse- ro a quelle di Aristotile e di Galileo. Con ciò dubitiamo se mai fosse buon progresso quello in cui si vide un Leibnizio ed un Cartesio anteriori a Schiller ed a Racine. A noi pare inversa e violentata coltura là ove si hanno i frutti pria de’ fiori. Duolci poi l’aggiugnere che di tutte le odierne lingue europee la sola slava può dare ancora grandi poesie all’Europa. Le altre si lasciaron dietro la gioventù loro; ed il ringiovenire è un impossibile uni- versale. La calda disputa adunque fra’ classici e romantici è una erudizione sulle arti passate. Duolci ancora di dissentire da talune opinioni di un nervoso ed acre pensatore (17), cui non potremmojdare un testimonio di stima maggior di quello nel disputarvi, certa essendo sempre la gloria , anche ove si rimanga vinto , nel pugnar co’ gagliardi. Professando noi il principio che le ragioni più naturali e fa- cili son sempre le migliori e le men erronee , non siamo abba- stanza sagaci a veder ghibellinismo nella sentenza dell’ Alighieri sulla nostra lingua. Bensì vi veggiamo la possibilità che Dante così dicesse, opinando che il dialetto toscano, non peranco allo- ra ben purgato forse, come il fu poi, delle asprissime rustichezze di Fra Guittone, potea salire alla forbitura e nobiltà di lingua colta e scritta, imparentandosi ad altri dialetti, i quali proba- bilmente erano men aspri e rozzi di quel che sono oggi. Altri- menti supponendo non saprebbesi concepire come quel tanto uo- mo laudasse 1’ idioma bolognese, che ora è l’ingratissimo fra’ver- nacoli italici; e fora assurdo il non asserire in lui una immensa squisitezza musicale d’orecchio per non potersi mai ingannare a sentir soavità e canorità là ove non vi fossero state. Inoltre , son essi i vari dialetti delle favelle inegualissimi in quella melodia e armonia, che ove più meno sentesi in ogni fa- (17) Vedi, Discorso del march. Gino Cappoui all’ accademia della Crusca, Aut. N.° 8g, 9%» T. XXXIII. Marzo. 14 106 vella prescelta ad essere la scritta e la colta ? Sì. Essi sono più o men canori, come non ugualmente canore sono tutte le voci umane ; ed il toscano, per esempio , è al bergamasco o al siculo ciò che la Catalani è al cieco che canta nel trivio. Ma son poi tutti i dialetti indegni ed impotenti della nobiltà della scrittura nonchè del dire leggiadro o ornato o grave ? Nò. In Grecia lo scrittore o dicitore avea piena latitudine di pre- scegliere il dialetto che più gli convenisse fra’ cinque in uso; pe- rò abbondava per lo più nel gionico. In Italia si è sempre ab- bondato, finchè è prevalso, nel toscano, come in Germania ebbe preferenza il sassonico. Onde mai ciò ? Forse pel politico predo- minio del popolo che il favellava naturalmente P_ Non al certo ; essendochè la Gionia servì più assai di quello che comandasse all’ Ellenia ; e nè la Toscana nè la Sassonia non mai furono pre- ponderanti in Italia e in Alemagna. Quale dunque ne fu la ra- gione? Ne crediamo due. La maggiore soavità e canorità ( noi parliamo a coloro i quali sentono una musica nelle lingue ) dei parlari gionici e toscani; non chè Omero e Dante , questi due universalissimi d’ amendne le civiltà, gionico l'uno, l’altro to- scano. L’ immensa celebrità ha sempre imitatori ; e la libera imi- tazione de’ sommi volgesi poi in legge precettiva. Ma non perciò gli altri dialetti son degni sol di trattare sce- niche scurrilità, o tutt’ al più gioconde cicalate , ed impotenti dell’ altezza sia del dire sia de’sensi. Parlamentavasi in venezia- no nel senato veneto ; e senza dubbio si converrà che non lievi o scurrili fossero gli interessi che vi si discuteano ; che anzi eran sempre gravi e altissimi. Prestavasi adunque quell’ idioma alla forza ed alla nobiltà oratoria. E perchè poi dovrebbe essere ri- sibile una storia scritta nell’idioma istesso? Sublime assai più che in ogni colta favella è il dire e il sentimento della renza che ulula la donna calabrese quando piange la morte dello sposo © dell’ amante o del figlio. Sublimi sono le frasi nella minaccia o nello scoppio della vendetta ne’ ferocissimi montanari di quella provincia. Nella Gerusalemme liberata volta in quel vernacolo , il traduttore dovendo supplire alla povertà di que’ parlari, non tradusse il verso A Re malvagio consiglier peggiore i ma il parafrasò con la imagine A cavallu sfrenatu lu speroni ; e certo all'infuori dell’insoave ritorno frequente dell’U fina- 107 le, non si vorrà sentire bassezza buffonesca sì nel. pensiero come nell’ elocuzione. Dicasi lo stesso di tutte le, altre, tutte nobili, situazioni e avventure e arringhe di quell’altissimo poema. Se mai vi è un istituto il quale, perchè inspiri sempre mag- giore riverenza , presceglie ognora il dire angusto edognora evita lo scurrile, è 1 linguaggio della religione. Or vedemmo in Ca- talogna che le omelie e le pastorali de’vescovi son sempre scritti in catalano, comunque fosse questo vernacolo appoil castiglia- no più assai duro insoave e rozzo di ciò che è ‘appo il toscano il calabrese. In catalano leggevamo ancora que’ bandi incitan- tissimi che pria da Siviglia e poi da Cadice faceansi per esaltare lo sdegno nazionale ; e ciò malgrado vi si sentiano gagliarde d- gnità e bellezze meritorie dell’ imperativa favella del popolo-Re. Obliamo il Brighella e gli altri attori personati, a quel modo che non ci rammentiamo del lepore dell’ inimitabile Vestri nel leggere il Machiavelli il Dante il Tasso, e se non sparirà , sì memomerà oltremodo la prevenzione contro alla entità scrittu- rale de’ dialetti. Al pari del meritissimo pensatore , di cui oppugnamo le opi- minioni , diremo , tolga Iddio d’ intendere a riacerbar discordie omai quasi conciliatè. Nonchè scisma, vogliamo anzi salda unione nell’ unica unità italiana , che ne può e deve essere ancora sal- vatrice. Senonchè oseremo dire a’ legittimi custodi di un tanto Palladio : in questo argomento , al pari che in altro di altra in-. dole , non vale forse meglio lo slargare il campo della libertà concessa e legale che il patire ovunque una violenza nuocevole ? E se ad un gran fine mira l’ unità in discorso, non gioverebbe forse il chiamarsi in concorso e rappresentanza gli idiomi delle altre provincie nella parte che ne abbiam degna ? Ma vuolsi finire. E finiremo da buon giornalista ; cioè con un po’ di critica dopo le laudi date e debite al signor Balbi. In vece adunque della quinta categoria , tutta inutile tostochè que’ no- mi e quelle date ognun li legge in ogni anno negli almanacchi , avvisiamo che fora stato giovevole utilizzarne lo spazio addicen- dolo a notiziare con segni convenzionati il grado della legisla- ne e quello dell’ erudimento delle nazioni. Le leggi sono al par delle lingue l’ indice metrico di un popolo ; e quando son mes- se al fianco dell’ erudimento del popolo istesso , è facile e certo il giudizio se esso le meriti migliori , o se ben gli stanno quelle che il reggono. Quanto alla coltura poi la diremo il primario de- gli elementi donde i Potentati traggono vita e vigore. La dimo- strazione del quale asserto, già data con raziocinii dall’ abate 108 Genovesi (18), fu ultimamente dal signor Carlo Dupin incifrata in semplici computi arimmetici , e fatta popolana mercè le lu- cidissime prove in numeri. Ormai è evidente assioma il dire ai governanti: Volete assai più ricco il fisco ? Insegnate ,, ed a’go- vernati: ‘ Volete essere assai più ricchi ? Imparate. ,, G. P. (18) V. Le Lezioni di Economia civile. Nel punto di mandare il foglio sotto il torchio leggiamo con piacere molti elogi dell’ opera del Balbi nel n.° 4.° del Nuovo archivio d’ Istoria Politica Letteratura ed Arti , riputatissimo giornale Viennese, che già redatto dal sig. Hornmayer passato al servizio di S. M. il re di Baviera, è continuato con ottimi auspici mercè le cure de’ valenti Mihsfeld ed Hohler ‘coadiuvati dal celebre Barone De Hammer . Noi siamo molto grati a questi egregi compilatori pel modo gentile ed onorevole con cui nel prefato numero ebbero la cortesia di far menzione dell’ Antolo- gia; ma astretti dall’obbligo di rendere il debito omaggio al vero non, possiamo lasciare inosservato il non giusto rimprovero all’ Italia di negligere gli studi statistici. Certamente non si ignora nè può essere ignoto in Vienna che Milano vede nscir da’ tipi un opuscolo periodico intitolato Annali di Statistica ; opuscolo il quale oltre al far paghi i voti di tutti gli Italiani amanti del- l’utilissima scienza in discorso , ha anche il merito d°’ esser stato concepito. e portato a maturità dall’ egregio Melchiorre Gioia, non ha guari con dolore di tutta Italia rapito a’ viventi. ( Nota dell’ Editore ). ; 109 RivISTA LETTERARIA. Volgarizzamento inedito di alcuni scritti ‘di Crcrrome, e di Sewrca fatto per Don Gro. parte Certe , ed alcune lettere dello stesso. Testo di lingua pubblicato dall’ab. GiusePre Ori- vieri. Genova , presso A. Pendola 1825. L’ annunzio di un’ opera inedita di antico autore risveglia a prima giunta in ciascuno che legge il desiderio di conoscere ove si trovi il manoscritto , onde fu tolta , per lo innanzi ignorato , è negletto : e ciò vie maggiormente accade , quando avendosi piena contezza dell’ autore , non si era mai saputo che fra gli scritti di lui , quello vi fosse, che vien pubblicato. Nè questa è da chiamarsi indiscreta curiosità, ma sì lodevole premura di apprendere qualche nuova notizia, e giusta precauzione , onde evitare i ridicoli errori, cui, spesso soggiace la frettolosa cre- dulità . Quindi è che tutti} per quanto ci ricorda , tutti co- loro i quali resero pubblici colle stampe antichi manoscritti , fin sulle prime pagine del libro, ebbero cura di appagare un desiderio sì ragionevole e sì facile a prevedersi, e insieme di acquistar fede alle loro pubblicazioni. Solo avvisossi il. dotto ab. Olivieri di farsi immune da così lieve pena: e perciò non re- chisi a male , se il primo sentimento che ci ispirò il suo libro fu di diffidenza e di dubbio. Infatti benchè egli intitoli questo vol- garizzamento testo di lingua: benchè nella prefazione (la. quale altro non è, sia detto di passaggio , che una ripetuta invettiva contro il buon Certaldese , cui egli largisce perfino l'epiteto di scempio) benchè nella prefazione cel proponga a modello di bello scrivere , nulla però mai dice del codice, onde loj ha tratto. Sì strano silenzio ci pose dapprima in diffidenza di noi medesimi , temendo che forse cosa a tutti palese non fosse a noi soli nascosta : e perciò avemmo ricorso alla gentilezza di alcu- ni uomini eruditi, ed in queste materie singolarmente versati, i quali tutti furon concordi nell’ affermarci non esser mai stato a loro notizia che il B. Gio. dalle Celle abbia vol garizzato scritti di Cicerone, o di Seneca. La verità della quale asserzione è quasi ac- certata dal fatto. Perchè nulla di questo vi ha, nè un piccol fram- mento, nè un semplice cenno per entro ai varii testi a penna del- l’opere del Beato Giovanni, dei quali abbonda la città nostra. Chè sette ne possiede la sola Laurenziana; uno assai pregiato la Riccar- diana ; e diversi le private librerie ; fra i quali, quello degli Albiz- IO zi, più copioso di ogni altro, di cui si valse il Biscioni nella se- conda edizione delle lettere del nostro Eremita. Solo si trova il Volgarizzamento della Somma Pisanella, chiamato altrimenti il Maestruzzo , spesse volte citato dal vocabolario della Crusca , e, quantunque ancora inedito , abbastanza noto agli studiosi. Ciò che nelle nostre ricerche ci avvenne di osservare, fu che due almeno delle tre lettere pubblicate dall’ ab. Olivieri, sono senza dubbio del Beato da Catignano , trovandosi in fra le molte rac- colte e date in luce dal già nominato Anton Maria Biscioni nella edizione di Firenze del 1720 per G. Tartini stampatore di S. A. R. Se non che la seconda del libro dell’ Olivieri è la vige- sima prima tra quelle del Biscioni, e la terza del primo è la se- conda fra quelle dell’ ultimo. Ma, tornando al primo ragionamento , la unanime asserzio- ne degli eruditi, il silenzio di tutti i libri sì a penna che a stampa induce nell’animo nostro un dubbio non lieve ; ed è, che il pubblico non sia solamente debitore all’ ab. Olivieri della cura di dare alla luce questo volgarizzamento, ma pur anche del- l’ averlo composto ; e anzi che l’opera di un antico sia questo il frutto non dispregevole degli studiosi passatempi di un vivente. Del quale ingegnoso scherzo, chè così il chiameremo, mille esem- pi s'incontrano nella storia delle lettere e delle arti. E se ciò fosse , dovremmo congratularci col dotto scrittore, che avrebbe saputo ottimamente rappresentare il modello propostosi . Poichè nel suo libro si ravvisa quella schietta semplicità, quella detta- tura piana e significante, per cui singolarmente si apprezzano gli scritti del nostro Eremita. A segno che, sebbene siffatto scher- zo sarebbe privo del pregio di novità , sebbene 1° esemplare pre- scelto sarebbe dei meno difficili ad imitarsi, per la grande so- miglianza che ha lo stile di quel Trecentista col modo di sceri- vere d’ oggigiorno , contuttociò noi stimeremmo questo lavoro de- gnissimo di molta lode anco pel solo rispetto alla eccellente imi- tazione. Così nelle opere della mano tutti ammiriamo e. lodiam di buon animo la industria di quell’ artefice , al quale riuscì di contraffar così bene qualche opera altrui che non appar differenza tra la copia e l’ originale. Ma da questa supposizione molte cose ci dissnadono, e spe- cialmente un sentimento dell’ animo nostro , il quale ci vieta di ammetter cosa che sia disdicevole alla ingenuità e modestia del ch. ab. Olivieri; quale sarebbe non il pubblicare un proprio la- voro col nome di un antico, ma sì bene l’intitolarlo testo di lingua, e il proporlo alla imitazione dei cultori dell’italiano idio- 131 ma. Cesseremo adunque di dubitare, e riputeremo verissimo tutto ciò che viene annunziato da questo libro: uè altro per noi re- sterà a farsi se non render grazie a nome del pubblico al dotto. Editore, del nuovo tesoro onde egli ha arricchito 1’ italiana let- teratura; e insieme pregarlo ( tanto è pertinace la nostra curio- sità) ad esserci cortese di qualche notizia sul rarissimo manoseri- to; che a lui è toccato in sorte di ritrovare. D. S. Il Dissoluto Geloso commedia di carattere dell’ avvocato Anro- nro Zanorini con alcune prose critiche. Lugano, Ruggia e C. 1829 in 19,° « In un discorso accademico , ch’io lessi a questa società del casino di Bologna (trovasi fra le prose critiche aggiunte alla com- media e potrebbe servirle di discorso proemiale ) mi proposi di mostrare , dice l’ egrégio autore, come sarebbe di grande utilità se gl’ingegni italiani si adoperassero per arricchire di commedie il loro teatro , ridotto per povertà a mendicare dagli stranieri. Da ciò nacque in me il desiderio di aggiugnere all’esortazione l’esem- pio. Mi parve pertanto di trovare nel dissoluto geloso un sog- getto di commedia filosofico ed utile e, se non erro, anche nuo- vo. Ma tosto mi avvidi ch'io andava incontro a due ostacoli dif- ficili a superare, il mettere cioè dinanzi agli ‘occhi i traviamenti di un discolo con quel decoro ch’è convenevole al teatro, e l’ unire insieme con verità e con successo buono que’ due sva- riati caratteri di dissoluto e di geloso. Deliberai perciò che l’azio- ne principale , che dovea smascherare il vizioso e condurlo alla correzione e al castigo, fosse esposta per via di racconto, e non si vedessero nella commedia donne cadute in quel fallo che gli scostumati cercano in esse e biasimano ad un tempo e che in vero più d°’ ogn’ altro le disonora. Con che intesi d’ allontanare qualunque pericolo d’ indecenza e di giovare alla moralità della rappresentazione ; conciossiachè , dove qualsiasi trasgressore alle leggi del buon costume dovrebb’ essere sulle scene obbietto di scherno o di abborrimento , quelle vittime della seduzione sono | cagion di scandalo se fortunate; e se infelici di compianto. Laon- de divisai piuttosto d’ introdurre nella commedia una moglie onestissima ed un verace amico adorno d’ eccellenti virtà , affin- chè al paragone di esse meglio apparisse la difformità dei vizi , ch’ io volea mettere in derisione. E mi diedi a credere che non sarebbe riuscito disaggradevole quel difficile accoppiamento di 112 fue diversi caratteri in un uomo solo, ove avessi saputo descri- vere con verità il violento contrasto delle passioni, che nella favola da me composta racchiude nell’ animo il dissoluto geloso, quando ricorre per difesa all’ amico nei pericoli cagionatigli dalle sue dissolutezze, quando di lui teme nei travagliosi sospetti della sua gelosia , doppiamente ingiusti se i vizi di lui si considerino e le altrui virtù, e quando per ultimo è costretto a palesarsi geloso in presenza d’ un maldicente e d’ una ciarliera da lui vagheggiata , ai quali era noto quant’ egli fosse licenzioso e scor- retto. Siccome poi la commedia debb’ essere una viva imitazione dei presenti costumi e rallegrando gli animi dilettare, intromisi nella favola alcuni episodii, i quali reppresentassero certe mo- derne usanze, mettessero in chiara vista i caratteri di taluno de’ personaggi ed accrescessero la giocondità ed il ridicolo. E senza cercare le lodi di coloro , che per una sfrenata licenza chiaman nocevole vincolo ogni regola dell’ arte comica, non mi guardai dall’uscire aleun tratto dalla via da’ maestri additata ; da poi che non mancano esempi di commedie episodiche meritamente applaudite e reputatissime , delle quali basti nominare il misan- tropo. E studiai, quanto seppi, diligentemente che il dialogo fosse vivace , piacevole e vario secondo la varia condizione de- gl’ interlocutori ; di rimuovere dallo stile ciò che , essendo ele- ganza nelle scritture , nel discorso familiare sarebbe affettazio- ne ; ed uniformandlomi , il più che potessi, al parlare che 0g- gidì è in uso, procacciai di schivare i modi bassi e corrotti in cui cadono sovente anche i più educati ; essendochè io ten- go che nel teatro, il quale è scuola d’ ogni bel costume, deb- be aver luogo eziandio quella convenevolezza di favellare ; ch° è così bella parte del vivere costumato e civile. Non so poi se l’ effetto seguisse quale si fu il buon volere, ec. ec. ,, Così, dopo averci spiegate le intenzioni ch’ ebbe nel com- porre , l’ autore si fa strada a parlare delle censure che la sua composizione incontrò a’ due primi esperimenti della scena; e quanto ne vien dicendo , con quel buon garbo e buon giudizio che gli son propri, è pieno d° una rara ingenuità. Per la quale meritando a compenso una giustizia generosa , il dotto professor Orioli suo amico siè fatto pregio di rendergliela in una lunga lettera, che vien dopo il discorso accademico già detto e l’al- tra prosa , ond’ è tratto il brano qui sopra riportato , e non si leggerà dagli studiosi con minore profitto. Sembra che, per chiarirsi interamente se alcune censure fossero l’ effetto di circo- stanze accidentali, l’autore della commedia e l’amico suo aspettino 119 un terzo esperimento scenico in luogo diverso da quello ove furo- no fattii due primi. Ed io desidero che di tale esperimento vo- glia o qui o altrove incaricarsi qualcuna delle più scelte compa- gnie, alla quale sarebbe d°’ onore,l’ incoraggir un ingegno , che sì mostra pieno di zelo per l’arte comica italiana, e, ove aggiunga alla molta coltura che lo distingue una pratica proporzionata , potrà, spero, far progredire quest’arte o almen contribuire a soste nerla in faccia all’ altre nazioni. M. - Jac. Banpirra. Inst. Juris civilis libri IV cum observationibus adv. Vincewrit Busarri. — Istituzioni civili di Giacomo Banpirra colle note ed osservazioni dell’ avvocato Vincen- zo BusarrI. Siena 1828. Le istituzioni di diritto civile compilate per ordine del Gran Duca LeoroLno dal già profess. Bandiera ad uso degli scuolari del- l’università di Siena, sono uno di quei libri che sembran fatti più per servire di sommario al professore ed ai discepoli, che per espor- re chiaramente una dottrina. Però sono sugose e precise ma trop- po strette per potere essere intese dai novizi senza le lezioni del professore . Si potrebber dire molte cose contro siffatta maniera di dettare un corso di istituzioni, ma a che prò parlare giacchè tanto questi libri ora mai ci sono, se ne fanno sempre dei simili, ed è da credere che se ne faranno finchè i professori non vadan persuasi che il fare un libro che non abbia bisogno di essere spiegato non tolga gli uditori alle loro lezioni. Frattanto val più fare come l’avvocato Busatti, cioè corredar di noterelle e di osser- vazioni un libro troppo conciso e ridurlo più adatto ai bisogni degli scuolari che bramano studiare senza muoversi di casa. L’in- tenzione è bella e buona, e più di ogni altra cosa mi va a san- gue quel veder citate le leggi patrie e le decisioni de’tribunali, perchè veramente mi è sempre paruta una cosa strana che si parlasse tanto del diritto romano senza notare in quali punti sia stato corretto dalle leggi o dagli usi posteriori ; nè mi so persua- dere che dopo l’ interpretazione di Cuiacio non abbia ad esser riferita quella ricevuta nel foro, avvegnachè o buona o cattiva che sia è la più necessaria a conoscersi dalla maggior parte de- gli uditori. Se poi alla saviezza del disegno nella fatica del Bu- satti corrisponda pienamente l’ esecuzione, meglio di me ne giu- T. XXXIII. Marzo. 15 IÉI ; dicheranno gli scuolari che se ne dovranno servire ; ma ad ogni modo mi pare debba riescire utile in una scienza citatoria un opera piena di citazioni. F. FortI. Corpi. Annali d’ Italia dal 1550 al 1819. Seconda edizione. Ro- ma 1828. i Mi compiaccio di ripeter sommariamente gli elogi di since- rità storica che altra volta mi è paruto dover tributare agli an- nali del Coppi. (V. Antol. n.° 87, pag. 69). Oggi mai il giudizio del pubblico , del quale ne abbiamo sicuro indizio nel bisogno che ha spinto il tipografo a dar fuori questa seconda edizione non essendo ancora corsi due anni da che fu compita la prima , mi franca dall’obbligo di parlarne lungamente. Ma chi non vede con piacere che vi sono pure in Italia de’lettori i quali sanno estimar giustamente un opera ricchissima di fatti importanti e dettata con buona fede , benchè non vi sia nè vana mostra di filosofia, nè alcuna di quelle frascherie che disgraziatamente vediamo spesso valutate assai più della materia? Diremo perciò che gli annali del Coppi non sieno opera di uomo che abbia diritto di esser consi- derato filosofo al pari di molti altri ? Ciò sarebbe un ignorare quanto spesso soglia fallire 1’ apparenza , sarebbe un non cono- scere che gli è più facile buttar là delle massime che fare opera veramente giovevole alla società. F. Forti. Gornsmira. Compendio di storia greca , recata in italiano dal Padre F. Virrarpi. Nuova edizione arricchita di correzio- ni ed aggiunte importantissime. Firenze 1828, 1 vol. prez- zo paoli 4. Tutti i ragazzi ed i maestrucoli conoscono i compendii di storia e greca e romana del dottor Goldsmith , sicchè sarebbe opera perduta parlarne a lungo, siccome sarebbe un gettar le parole al vento il trattenersi a dimostrare che mal si comin- cia dai compendiucci la lezione della storia. Adunque, posto che si vuol seguitare a tenere 1’ antica usanza, è da raccomandarsi la traduzione che abbiamo sott’ occhio come la migliore di tutte da che il traduttore ha posto ogni studio nel dettarla in buo- 119 na lingua italiana. Forse taluno rimarrà offeso da qualche mo- do che ormai parrebbe dismesso dall’uso , e da qualche costrutto un tantino intralciato. Ma dove il bene supera il male non bisogna poi mostrarsi tanto schizzinosi. È da notare piuttosto che fra le diverse scuole di purgato scrivere italiano il Padre Villardi prese a seguire quella del Cesari. Di che ne ebbe lo- de dal Perticari , il quale gliene scrisse in questi precisi termi- ni: « Una sola preghiera vi faccio: ed è che significhiate al Ge- » sari come io 1’ ami e l’ onori e lo chiami pater elegantiorum »» anzi maestro di coloro che le sanno. Quindi argomentate in » quanta stima io tenga pur voi , che siete tutto informato a così ,» nobile esempio. ;, L’ultime parole del Perticari, che pure sono le sole ch’ e? scrivesse in lode della traduzione , danno a cono- scere in qual classe di scrittori sia da riporre il nostro tradutto- re. Ho inteso dire che al presente il P. Villardi, rifiutando la lode di seguace del Cesari, voglia mutare maniera. So che molti du- bitano che questo cambiamento non debba tornare in sua mag- gior lode , e so altresì che diversi giornali gli han già rimprove- rato con gravità censoria il modo poco urbano , col quale nei suoi ultimi scritti ha parlato del suo antico benefattore e maestro. Ma in Toscana si abbada pochissimo a siffatte questioni, e perciò basterà l’avvertire senz’ altro, che raccomandando la traduzione non si intendon lodare tutte le cose dell’ A. Dopo questa pro- testa dirò che questa seconda edizione fiorentina , siccome raffron- tata coll’ originale inglese , è più fedele delle altre. F. Forti. Commedie di Arserro nora. Firenze , 1829. Stamp. Granducale, Vol. IV. Questo volume contiene la Duchessa de la Valliére , V Ospite francese e il Bibliomane. La Duchessa de la Valliére è un dramma storico tenerissimo, che ove sia recitato nella prima parte da una valente attrice, sic- come il vedemmo più volte rappresentare agli anni passati tanto dalla signora Carlotta Marchionni, quanto dalla signora Carlotta Internari , dee riuscire interessante. E di vero si sostiene questa composizione principalmente per la maestria colla quale è de- lineato il personaggio dell’ affettuosa amante di Luigi XIV ; che gli altri, non eccettuato quello del re, ne paiono deboli anzi che no, sebbene siano sufficientemente ben tratteggiate e co- 116 lorite l'ambizione e l’ orgoglio della rivale Montespan e la vile cortigianesca adulazione di De/augers. Semplicissimo è Van- damento di questo dramma : il primo atto ne espone le antece- denze e le arti e i maneggi, così che s’ aggirano le cose fra le pareti dorate. Lo troviamo peraltro freddo, poco animato. L’ at- tenzione comincia ad impegnarsi al momento che la Vallière ri- ceve il viglietto del fatale congedo: progredisce quindi l’azione con maggior calore nella scena settima dell’ atto 3.° allorquando l'amante donna si presenta al re, e lo costringe, per così dire, a firmare il foglio che dee per sempre separarla dalla Corte e dalla società , e permetterle di ritirarsi in un austero chiostro. I punti scenici più commoventi sono nell’ atto 4.° quando la Du- chessa trova ancora appeso nelle sue camere un ritratto di Luigi; e tutta fuori di sè gli parla con isfogo di appassionato rammarico; e per le dolci e triste reminiscenze acerbo le si rinnova il con- trasto, e dubbia rimane per poco tra il dovere la religione e lamore. La scena dell’ ultima separazione è patetica al sommo e di grande effetto. Questo dramma è produzione della prima gioventù del Nota; e come egli stesso dichiara nella prefazione, ne trasse l’ argumento dalle Memorie di madama de Genlis, e dalle altre storie del secolo del Gran Luigi. Ora chi direbbe che il sig. Schedoni (1) parlando di questo dramma, non contento di riprovarne i difetti, si muove a dire con calore di bile stranissima: Essere pessima commedia cotesta ; non doversi presentare sulle scene un re macchiato di adultera colpa; ,, e soggiunga : “ O non l’aveva l’ antore a scrivere, o doveva cancellarla: che le fiamme e l’obblio sono la sola corre- zione a quest’ opera nociva al buon costume . ,, Si faccia di poi a consigliare il come scrivendosi la commedia, si dovesse sciogliere; ed assicuri che il mezzo più acconcio sarebbe 1’ ordinar le cose in guisa che Luigi si ravvisi colpevole, si penta delle replicate ‘infedeltà coniugali, e deposta l’idea di ritenere per favorita o la Valliére o la Moatespan o qualunque altra; torni a’ propri do- veri verso la tradita moglie; il che, a vero dire, sarebbe stato edificante in iscena e più ancora fuori di scena. Noi senza intraprendere di giustificare il sig. Nota ne’difetti ch’ egli stesso ha dovuto ravvisare nell’ opera sua siccome accenna nella citata prefazione, e senza neppure far conto del tempo in che fu scritta questa commedia, vale a dire nel 1806, allorquando (1) Trattonimento sopra le commedie del Nota. Modena 1826» 117 altre e ben diverse erano dalle presenti le politiche condizioni della Francia , dobbiamo fare i seguenti riflessi: o la commedia non si doveva scrivere, e in questo non vogliamo nè lodare nè biasimare un autore al quale è libero lo scegliere que’ soggetti o famigliari o storici che più crede atti ad ottenere il pubblico gra- dimento ; e se coglie in fallo, tanto peggio ; ma se si scriveva , doveva scriversi secondo la storica verità, massime in un fatto così vicino all’ età nostra , e tanto più che non si tratta di sco- prire amori arcani o conosciuti a pochi; ma egli è noto e in Francia in Italia e in tutto il mondo che Luigi XIV ebbe le sue amanti senza farne mistero ed anche troppo pubblicamente ; che la più tenera e sincera si fu la Valliére , che a questa tenne die- tro la Montespan , e finalmente ultima e la più astuta di tutte si fu la divotissima Maintenon, la qual divenne poi segretamente moglie di Luigi dopo averne signoreggiato 1’ intelletto e il cuore forse e più d’ una volta con grave detrimento degl’ interessi di quel reame. E che avrebbero detto le persone di senno se il Nota falsando un vero a tutti palese avesse fatto pentire Luigi dopo convertita la Vallière, quando perfino i fanciulli sanno che ap- punto pe’ raggiri dell’ambiziosa rivale fu quella infelice abban - donata, e che la Montespan regnò immediatamente dopo senza nessuno intervallo e tutta sola per qualche tempo nel cuore del re? Ma già al fatto della verità e delle convenienze drammatiche, come pure rispetto ad altri meriti di stile, di lingua e di con- cetti, sembra che il signore Schedoni non curi più che tanto, conciossiachè non tema di preferire al dramma del Nota un’al- tra commedia intitolata Madamigella de la Valliére , scritta dal comico sig. Bon, e nella quale non si tratta niente meno che di nozze tra Luigi e lei; e dove si cerca invano il costume istoriro di quell’ età , o la congruenza degli accidenti , o la nobiltà de’ca- ratteri , o la sceltezza del dire, od alcun’altra delle essenziali qualità che a tanto argomento sono richieste. Ma poichè lo scopo delle accuse del signor Schedoni è in- tendimento di pura moralità, noi avvertiremo , che la morale drammatica non è morale declamatoria di pergamo ; che conviene dipingere il vizio con tinte appropriate in modo che nessuno degli spettatori desideri trovarsi macchiato de’ difetti rappresentati ; che la virtù si debbe abbellire perchè se ne seguano con piacere i dettati e si trovi forza onde resistere al prestigio del vizio: e così adoperarono i sommi commediografi d’ogni età, e il Tartuffe del Molière n° è il sublime e perenne esemplare. E toccando al pre- 118 sente dramma, poichè si è fatto argomento di così amara censura per parte dello Schedoni, noi ponghiamo in considerazione che la Vallière anche fra le colpe d’una cieca passione sentì sempre il ri-. morso de’suoi traviamenti , e da questi stessi rimorsi si riconduce alia retta via, come dal principio al fine del dramma viene detto a sufficienza : che il trionfo in lei della virtù e della religione è sublime ed esemplare allorquando essa resiste alle nuove, prof- ferte del reale amatore, il quale non le chiedendo che un amore. fraterno , delibera di cacciare la Montespan ; che la Vallière e in questa e nelle scene precedenti dice quanto basta a Luigi per- chè questi si debba ravvedere. Le arti poi della Montespan e del cortigiano Delaugiers si fanno detestare. Finalmente se egli è pur vero che anche i grandi e i potenti debbono ritrarre utili verità dalla scena, vedranno essi che i loro difetti e il loro mal esem- pio, oltre all’ esser cagione di pubbliche e lunghe sventure agli stati, sono giudicati severamente dalla posterità, la quale fa ra- gione di tutto e di tutti. L’ Ospite francese è una commedia anedottica . Il marchese Fontanges , migrato dalla Francia ne’ torbidi tempi dell’ ultima rivoluzione, viene in Inghilterra debole di salute, e si conduce alle acque di Bath. Passeggiando un giorno sulla strada maestra è sovrappreso da uno sfinimento. Si trova quivi presso la fanciulla di un trafficante il quale abita un vicino borgo. Chiama essa i pa- renti e fa ricoverare in casa del padre l’infelice francese a cui si assiste con ogni affettuosa cura; dimodochè a poco a poco egli ripiglia spirito e forze. Il muovo ospite continuando in detta casa la sua convalescenza s’ innamora della sua benefattrice ed ella di lui. Ma Adele era fidanzata a un suo cugino Carlo , il quale si aspetta a momenti; e a far mantener le antiche promesse , e a contrastare a’ consentimenti del novello amore, giunge pure Fi- lippo, official di marina, fratello della giovinetta, uomo burbero, intrattabile, sebbene leale dritto e sincero. Dopo molti accidenti caldissimi, a’ quali s° aggiunge pure la disparità della nascita ne’ due amanti, il marchese riceve 1’ assenso del padre suo: il cugino Carlo, poichè conosce che Adele non aveva per lui che un affetto fraterno, sacrifica l’amor suo alla felicità della fanciulla; l’officiale a cui falli un colpo di pistola diretto contra il fran- . cese , il quale divien perciò padron de’ suoi giorni, e li dona ge- neroso senza volerne il premio, cede anch’ egli alla fine al co- mun desiderio malgrado della sua natura aspra e sdegnosa. Pru- dente e. circospetto il padre della zitella piglia tempo a risolvere, Ù 4 rio e con tali buone disposizioni e speranze finisce la commedia. Il dialogo anche in questa è animatissimo , rapida progredisce l’azio- ne ; sono ben disegnati e ben sostenuti i caratteri ; e questi per la loro bizzarra varietà formano de’ contrasti veramente drammatici. Peraltro il personaggio di Percival, padre di Adele, perde alquanto di forza dopo il primo atto, siccome quello che si lascia sopraffare sconvenientemente dalle risentite maniere e dalla collera poco ri- spettosa del figlio. Oltre a questo un altro difetto dobbiam notare, benchè conduca con un bellissimo colpo di scena allo sviluppo della favola, ed in questa censura andiamo d’ accordo col sovra citato sig. Schedoni. Vogliam dire, che non è dicevole al buon costume , comechè possa riconoscersi verosimile e probabile , che la savia e modesta Adele, per dare l’ ultimo addio al marchese, di cui si crede imminente la partenza, esca di notte delle sue ca- mere (scena X atto 3.° ), si arrechi presso alla strada con la troppo compassionevole cameriera; e quivi tenga un amoroso colloquio col- l’ amante; colloquio che viene improvvisamente interrotto dall’offi- ‘ciale Filippo nelle cui mani, per un accidente singolarissimo , era poc anzi caduto un viglietto dell’innamorata sorella diretto a Fontanges. Il Bibliomane, comecchè sia commedia regolare e vivace di dialogo , e castigata di stile e di lingua, non ne par tale per l'argomento suo da risvegliare un generale interesse, e lo stesso autore se ne mostra persuaso nella dedicatoria con che intitola l’opera sua ad uno de’ suoi amici. Eccone il soggetto: Filippo e Geronzio sono due fratelli, de’quali il primo dimorava in Mar- siglia e si fe’ ricco nel commercio ; il secondo sta in Ancona ed attende a comperar codici e rare edizioni, nel che non solo ha consumato il tenue suo patrimonio , ma altresì vengono meno in poco spazio di tempo i fondi ch’egli aveva indivisi col fratello, siccome pure corre pericolo la dote stessa della loro nipote Fau- stina, zitella virtuosa ed amabile, la quale è innamorata di un giovane negoziante chiamato Arrigo. Ma Simone di lui padre, uomo avarissimo, più non consente in questo trattato, poichè ebbe riconosciuto le pazzie di Geronzio. Da un altro canto questi, per vendicar l’ oltraggio , vorrebbe maritare la nipotina ad un sig. Palff libraio olandese , alquanto maturo d’anni a quel che. pa- re, e per cui niente disposta è la ragazza . ‘Giunge il fratello mercatante da Marsiglia per esaminare ed affermare i suoi con- ti con Geronzio , e trova che in casa nè si mangia, nè si be- ‘ve come fanno gli altri galantuomini, e che di tanti risparmi 120 come d’ogni altro famigliare disordine è sola cagione la bibliomania di Geronzio. Gli avvenimenti di questa favola nascono tutti dal dialogo e dalla natura de’ personaggi introdotti. L’ autore ha su- perate gravissime difficoltà per procurare quà e là de’ punti scenici di drammatico effetto. Comica infatti è la scena 9.* del 1.° atto tra il Bibliomane e l’avaro, allorchè questi ingannato dalla po- vertà degli addobbi e dal dimesso abito e dal descritto parchissimo modo di vita, si compiace nel credere che Geronzio sia un uomo accurato , anzi più avaro ancora di lui, e si dispone perciò a con- sentire nelle bramate nozze. Di un piacevole effetto ravvisiam pure la scena r1.° dell’atto 3.° quando 1’ avaro Simone ritrova il figlinol suo dietro una cortina dove erasi appiattato presso gli scaffali de’libri, per sottrarsi appunto dalla vista del padre. Finalmente dilettevoli sono ed originali le ultime scene dell’atto 4.° con grande artifizio preparate e condotte, allorquando Geronzio non potendo resistere alla smania di acquistare due preziosi codici pe quali non ha denaro, lascia che il giovane Ergelio, venditore della biblioteca di suo padre, si ritenga uno sciallo di gran prezzo donato alla Faustina dal di lei zio Filippo , il qual fazzoletto viene opportuno allo scapestratello Ergelio per regalare a una cantatrice di teatro. Il contrasto di Geronzio tra la passione e la probità ; quel voler cedere e non cedere ; e infine la sua angoscia quando ogni cosa si scuopre a sua confusione, sono momenti degni di lode e di plauso. Si è giudicato da altri e giudichiamo anche noi, che l’arrivo del fratello Filippo per riordinare gli interessi della famiglia , e per consentire a felicitare la Faustina colla mano del- l’amante suo, è mezzo troppo usitato sulle scene e italiane e fran cesi: sarebbe stato a desiderarsi che’l sig. Nota ne avesse imma- ginato nno migliore e più originale; e di molto ne sarebbe avvan- taggiato questo suo lavoro. Anche il 4.° Volume vedesi impresso correttamente. Ne viene alle mani il quinto pubblicato or ora (e di cui parleremo nel prossimo fascicolo ) nello scorrere il quale abbiam notato parec- chi errori di stampa, che fanno prova d’una minor diligenza nel tipografo ; di che il vogliamo avvertito, acciò negli altri due che si stanno da tutti aspettando a compimento dell’ opera , egli ponga la massima cura nel sopravvedere le correzioni. E. 121 . Sullo stato fisico intellettuale e''morale , sull’ Istruzione , e i diritti legali dei sordi e muti , dell’ Abate Gruserre Bacvrr: Direttore dell’ I. e R. Istituto dei sordi e muti in Milano. Milano 1828. La virtù dei buoni, non paga di contenersi entro le angu- stie di un cuore, ha sempre vivamente sentito il bisogno di di- latarsi ad altrui henefizio , e tanto più pronta si è mostrata al- l’operare quanto più abbandonata era la. parte dell’ umana fa- miglia bisognevole de’ suoi soccorsi. Ognun vede che la sven- tura dei sordo-muti,i quali per le recenti statistiche d’ Europa e d’America possono calcolarsi in ragione di 1 per 2000 indi- vidui, è delle più lagrimevoli, come una delle più contrarie allo scopo della umana natura (1). L’ organo dell’ udito, da (1) In alcuni tempi , e presso alcune mazioni si sono osservati sorprendenti casì di sordo-mutolezze + Ecco un quadro estratto dall’ annuale Rapporto dello Stabilimento dei sordo-muti di Londra , inviato al signor professore Stanislao Grottanelli, Direttore Economico del Pio Istituto Senese, Il pubblico vedrà con maraviglia che in 20 famiglie, dalle quali s1 ha la somma di 159 fanciulli , 99 sono i sordo-mtri. NUMERO $ N,° DEI NOME DEI S0RDO-MUTI}| CONDIZIONE DEI LORO TOTALE FIGLI AMMESSI NELL'ISTITUTO GENITORI DEI LOROf S0ORDO- FIGLI Maria Martain Padre agricoltore Giacomo Gugl. Kelly {Padre facchino Maria Aldum Padre tessitor di panni Guglielmo Coleman |La Madre vedova David Tompson Padre fabbro Giacomo ‘Cousens Padre fornaciaio Giorgio Franklin La Madre vedova Silas Vokins Padre agricoltore Tommaso Barnes Padre ciabattino Tommaso Pounceby |Padre tintore Enrico Tuttler Padre gioielliere Abramo Murgatroyd {Padre tessitore Guglielmo Baynes Padre maestro di scuola Maria Lovegrove Padre agricoltore Elisabetta Cherry Padre orologiaio Guglielmo Cockton {La madre vedova Roberto Mortimer Padre tessitore Francesco Hancock {Padre fittaiolo Susanna Raye La Madre vedova Elisabetta Fox Padre e Madre , morti CERTI II RESI I DA HERE WNWIAALDIDPPIDIA UOMO I WuUuINI N Somma . T. XXXIII. Marzo. 16 “i (da) No) 122 cui naturalmente dipende l’utile esercizio di quel della voce , venne dalla Provvidenza costituito come mezzo potente, atto. a stringere nodi sociali , ad estendere la sfera delle nostre cogni- zioni, a moltiplicare i piaceri dell’ animo . Tolgasi all’ uomo, nei primi momenti della sua esistenza con noi, la facoltà del- l’udire; ed ecco, dice Bébian, spezzato il vincolo, che lo uni- sce all’ altro uomo; eccolo circoscritto ai soli bisogni del corpo , impotente a slanciarsi colla mente nello spirituale e nel futuro, a dirigere i suoi desiderii e le opere sue ad una solida felicità. Ora qual gloria, qual gioia per l’uomo dabbene poter restituire questo infelice alla società , alla sua famiglia, a sè stesso ? L'impresa doveva dapprincipio apparire quasi impossibile, sgomentare gli spi- riti, alienare dall’ esecuzione le anime impazienti della lunga fa- tica; ma tanto più dovea esserne vago l’uomo veracemente virtuoso che piange con sincerità di cuore alla vista dell’ altrui male, e che allora crede avere spesi lodevolmente i suoi giorni, quando ottiene un effetto degli sforzi diretti a ristabilire nella morale lor dignità i degradati suoi simili. E per tacere dei Wallis, dei Van- Helmont , degli Amman, de’ Pereira, e degli Heinicke, ( molto più che le esperienze loro, ben lungi dall’ appagare il filosofo, non facevano che illudere il volgo , facile alla meraviglia ed al credere ) , basta rammentare il nome dell’ abate L’ Epée come il più splendido degli elogi. Inaccessibile egualmente alle suggestioni dello sregolato amore di noi stessi, che alle ostilità dell’ altrui orgoglio ed invidia, questo grande ecclesiastico sentì la necessità di cominciare se- condo le idee proprie, e di condurre a compimento un lavoro, quasi tre secoli innanzi tentato, ma sostanzialmente ancora imperfetto. Fu allora che compilò, e fece di pubblica ragione l’opera sua intitolata : La véritable manière d’ instruire les sourds-muets. Fu allora che Ginseppe II inviò a Parigi 1’ ab. Storck ad apprendere l’ applaudito sistema, e lo chiamò poscia a dirigere in Vienna un novello stabilimento. Ma perchè tra le opere dell’ uomo non havvene presso che alcuna , la quale al suo nascere sia perfetta così da non meritare ulteriori modificazioni , si trovò che il metodo dell’ immortale istitutore esser poteva ridotto in alcune parti a forma migliore, con- sigliata dalle molte osservazioni che continue suggeriva l’ appli - cazione del metodo stesso. Vide perciò la Francia negli scritti di Sicard , di Bébian , di Degerando un complemento a questa pre- ziosa istruzione. — E l’Italia ?.... Questa terra feconda in ogni genere e in ogni tempo, d’ uomini, di scritti e d’ esempi, può 1035 ria a buon dritto gloriarsi di aver data la vita a molti stabilimenti ove all’ educazione dei sordo-muti è specialmente provveduto ; ma niun di quegli uomini religiosi e filantropi, i quali con felice successo vi dedicarono le cure ioro paterne, giammai si avvisò di pubblicare un’opera regolare, cosicchè ad istruzione dell’uni- versale, ed a modello di lezioni servisse. Noi osserviamo infatti con gioia alcune scuole in Torino , in Parma, ed in Roma ; pub- blici istituti vediamo in Napoli, in Genova, in Milano, ed in Pisa; e nell’agosto del 1828 un altro ne abbiam veduto sorgere in Siena dagli averi privati degli abitanti di questa città e pro- vincia sostenuto, e benignamente approvato e soccorso dal magna- nimo Principe , che regge con sapienza operosa la bella Toscana. Ma intanto noi dobbiamo dolerci di non potere offerire alla co- noscenza e imitazione di tutti, quelle utili correzioni di metodo, le quali furono in alcuni di cotesti istituti con sagace discerni- mento introdotte. Lode sincera per altro merita il ch. ab. Bagutti, direttore dell’I. e R. Istituto dei sordo-muti in Milano, per aver fat- to dono all’Italia di un nuovo lavoro, che può a molti riescire giovevole , ed essere ad altri d’ incitamento. E qui mia intenzione non è di presentarne un esteso ragguaglio, per non esser tratto a soverchia lunghezza , ma soltanto di rilevarne in compendio lo spirito , e di far conoscere all’ autore chi fra gli istituto- ri Italiani potrebbe compire i comuni voti col dare in luce le teorie più pensate e più vere, spettanti all’ educazione dei sordo-muti; e le pratiche più efficaci e più semplici. Fa l'A. co- noscere nei cap. I e 2 lo stato fisico del sordo, e del muto, e del sordo-muto secondo le distinzioni fatte dallo Stryk ; quindi accenna le osservazioni, e i tentativi moltiplici di vari fisiologi per operare la cura e la guarigione della sordità congenita , o av- venuta dall’ infanzia. Parmi quasi impossibile, che l’ umano in- telletto esercitando la sua attività nell’ analisi delle cose, non sia giunto a trovare prima del celebre Breslaviese Sennert, medico del XVI secolo, che la mutolezza quasi sempre sia figlia della sordità , o congenita, o sopraggiunta all’ infante che non ha an- cora apparato a parlare. Il nostro spirito, non avendo percezioni di suono, deve ignorare qual sia l’azione da esercitarsi sull’organo della voce, onde modificarlo così da mandar fuori quei suoni, che sono per noi altrettanti segni delle idee. Si faccia al sordo- muto un’esterna dimostrazione del meccanismo della parola; ed ecco questo infelice divenuto parlante, benchè non oda sè stesso. 124 Ma se la sola esperimentata pazienza può con qualche ac- corgimento ottener questo effetto , i rimedi assegnati per distrug- gere la causa immediata della mutolezza sono riusciti il più delle volte infruttuosi: Per giungere a questo fine bisognerebbe risol- vere, a mio parere, i seguenti problemi. r.° Quale è la funzione propria di ciascuna parte dell’ organo dell’ udito. 2.° Quali sono le cause impedienti la primaria funzione di quest’organo. 3.° Quali gli agenti atti a rimuovere l'ostacolo da queste cause prodotto , e in qual modo applicarsi potrebbero. 4.° In quali casi infine questi agenti saranno per riuscir vantaggiosi. Ora Itard , Saissy, il nostro autore, e molti giornali di medicina riferiscono guari- gioni ben poche in comparazione del numero dei sordo-muti , sui quali ingegnose e variate esperienze si fecero da valenti fisiologi: è dunque chiaro che gli esposti problemi non sono per anche interamente determinati. Quale sventura intanto pe’ sordo-muti il difetto della orga- nizzazione loro, se ‘questa classe infelice fosse del suo difetto punita con un abbandono colpevole ? Il ch. autore , nei cap. 3 e 4 prende perciò ad esame lo stato loro intellettuale e morale, e quindi dimostra la necessità, ei mezzi presenta di porli a li- vello degli altri uomini. Io prego i detrattori di una istituzione così salutare a volgere su quelle pagine attento uno sguardo , prima di pronunziare un giudizio precipitoso e crudele. Nè voglio io già armatmi a difesa dell’ ab. Sicard , il quale con espressioni più ‘oratorie che filosofiche disse essere il sordo-muto un automa vivente, un ente nullo, e le sue facoltà limitate a’soli fisici movimenti. L’uomo nulla crea, scriveva il celebre Romagnosi nel suo discorso sulla mente sana ; ma solo egli contempla il creato; argomenta sul creato , ed agisce sul creato : principio, in qualche modo applicabile anche al soggetto di cui faccio parola. Infatti, se il sordo-muto avesse in nascendo vino spirito privo di quelle fa- coltà, che la Provvidenza ad ogni uomo concesse; inutile riescirebbe 1’ opera nostra per migliorarne lo stato. Ma noi lo vediamo in com- mercio col mondò dei sensi, parlare un linguaggio di azione ; .co- municare ad altri i suoi bisogni ed i suoi desideri, essere dal grande e dal bello in qualche maniera attratto, e spesso diventare soggetto atutti quegli affetti impetuosi; che l’ educazione modifica, la religione dirige. Si ponga dunque per incontrastabil massima ideo- logica , che ogni uomo nasce colle facoltà di conoscere , di volere, e di operare ; che egli esercita queste primarie funzioni secondo le circostanze dello stato suo; che v’ ha una sostanzial differenza fra i nostri pensieri e 1’ espressione di questi, e che se il linguaggio ab dei suoni articolati’ è utile al più pronto'e al più compiuto svilup po di queste facoltà, e dei loro modi di azione , non è per ‘altro il solo necessario ; e vedremo allora che 1’ arte De parler par les mains , d’entendre par les yeux diventa il mezzo facile, onde portare sul sordo-muto , sviluppare in lui il germe di quelle facoltà ch' ei possiede, inalzare il sùo spi- rito alle cognizioni più astratte, il suo cuore alla fede degli invisi- bili misteri della religione. Ma con quali disposizioni morali dovremo noi accingerci a questa impresa ? Il ch. ab. Bagutti, in qualità di direttore del milanese stabilimento, non poteva ignorarle ;, e degnamente le ac- cenna. Io stesso ho avuto luogo a sperimentare che la diffidenza il sospetto , la facilità allo sdegnarsi, e l’ eccessiva tenacità. delle prese abitudini forma il carattere dei sordo-muti; sicchè pre- cauzione somma conviene usare , e dolcezza di modi per: ‘ben con- durli. Avversi naturalmente a tutto ciò che non paia semplice, ingenuo , odiano | ingannevole simulazione , detestano il mal mi- surato rigore; talmente che divenendo n intrattabili , negli atti annunziano la ferocia dell’ animo. Bisogna quindi in tal cir- costanza desistere dai rimproveri, riserbare la correzione a più comodo tempo , e praticando quelle maniere alle quali la più fiera indole non resiste; renderli attenti ,, docili, affettuosi. Se questi risultamenti possono ottenersi dall’ insegnatore, a lui dovrassi la gloria di aver posto sotto il regno delle leggi il sordo-muto , di avergli rivelati i mezzi onde conoscere i propri diritti, e rispettare gli altrui, di avere insomma restituito alla vita sociale un ente che nella società è veramente infelice. Da tutti i sopraddetti principii, l'Autore esser doyeva condotto a tener discorso -dei legali diritti dei sordo-muti, delle azioni ad essi moralmente , e politicamente imputabili:; ed è questo l’ argomento del cap. 5 dell’opera sua. Ognun vede che le condizioni dalle quali è resa imputabile una azione, sono la cognizione , la volontà , la libertà. La moralità si fonda sulla facoltà di operare liberamente secondo una norma preconosciuta ; nè può parlarsi di libera volon- tà, diazione morale, ove non havvi pienezza d’ intelligenza ; e precognizione della norma da seguirsi. Ora l'insegnamento , diretto a migliorare lo stato intellettuale del sordo muto, è quello appunto che lo conduce a pensare sul fine naturale , e sulla direzione da darsi alle sue facoltà, e perciò lo mette in grado:di: poter numerare e sentire i propri diritti, i propri doveri , e di operare secondo una norma preconosciuta. E poichè dietro a questa istruzione’ il sordo- 126 muto , ove non pecchi di stupidità, non può ignorare le leggi tutte della società , e della patria , così nell’atto stesso che viene ad acquistare una esistenza pienamente legale , e quasi tutti i di- ritti e prerogative degli uomini, viene ancora ad esser soggetto ai comuni doveri, e alla piena responsabilità morale e politica delle proprie azioni. Finalmente il sordo-muto , con regolare istru- zione efficacemente educato , acquista il mezzo di esser consape- vole delle leggi civili-penali ; è capace di dolo; e può essere as- soggettato alla ordinaria pena dalle stesse leggi prescritta contro colui che con pienezza d’intelligenza e di libertà ha osato vio- larle . Ma qui resterebbe a sciogliersi la questione, se il sordo-muto non istruito con i metodi da noi conosciuti, abbia legali diritti sulle persone e sulle cose , e possa chiamarsi reo di una azione commessa in opposizione alla legge. Intorno a questo soggetto sono innume- revoli le dispute , divise le autorità , differenti i giudizii dati sopra di alcuni fatti particolari. Può riscontrarsi Carpzovio, Matteo Ber- lich parte 5, lo Strick , ed il nostro giornale N.° 83-84 pag. 99. (2) In tanta diversità di pareri il ch. autore ha raccolto ciò che molti ne scrissero ; e citando le autorità, ed alcuni avvenimenti espo- nendo , ha aperto un campo alla sapienza dei giureconsulti, da cui raccogliere molte utili idee per usarne nella necessità di deci- dere tali questioni, le quali certo non avrebber luogo se l’istruzione dei sordo-muti fosse universalmente promossa. E sarebbe pur questa l’ intenzione di tutti i buoni, come è dell’Autor nostro , il quale dà compimento all’ opera sua con un saggio di elementari lezioni, nel seguente modo disposte : 1.* Vo- menclatura degli oggetti col mezzo dei gesti e delle figure di- pinte. 2.* Nomenclatura degli oggetti collo scritto e coll’ alfa- beto manuale. 3.* Prime nozioni degli articoli e dei generi dei no- mi. 4.* Significato degli indefiniti di alcuni verbi riferibili alle azioni le più sensibili e comuni. 5.* Prima classificazione ge- nerale degli oggetti in creature e manifatture . 6.° Formazione della proposizione semplice enunciativa. 7.° Prima nozione degli aggettivi. 8.* Istradamento alla teoria delle coniugazioni, e cognizione simultanea dei pronomi personali attivi. 9.° Istrada- mento alla teoria dell’ interrogazione , e risposta affermativa e negativa. (2) Sarebbe desiderabile che l’ egregio ab. Marcacci già direttore dell'I. e R. Istituto dei Sordo-muti in Pisa, ed autore di questo ed altri articoli in- seriti in questo giornale, desse compimento al suo importante lavoro: Sull'ori- gine e progressi dell’ arte d' istruire i Sordo muti dalla nascita. Lar È ben vero però che questo saggio non porge copiose noti- zie sull’ istruzione di un sordo-muto ; ma intendimento fu del- l’Autore offerire soltanto alcuni mezzi a chi bramasse esperimen- tare una sì utile impresa, e di animare qualche nobile ingegno italiano alla compilazione di un’ opera bene ordinata e compiuta. Ma chi potrebbe riuscirvi con felicità di successo ?_ Nell’ atto ch’ io scriveva il caro nome del P. Assarotti delle Scuole Pie, Direttore del R. Istituto dei sordo-muti in Genova, mi giunse l’ amara notizia della morte di lui. Sì , quest’ uomo impareggia- bile per lo zelo , santissimo di costumi , che grandemente solle- cito degli infelici aveva tentato animoso nel seno della sua patria questa ardua via d’ efficace virtù ; che dopo 12 anni d’indeci- sione pericolosa aveva finalmente veduto nascere il suo stabili mento a onor dell’ Italia ; che aveva osservato con gioia fra i suoi alunni il fiorentino Taddei, il Viano, il Rossi, ed il Basso, di molte lingue conoscitori , ed esperti nel calcolo , il Migliorini impiegato nell’ Istituto Pisano , il Castelli addetto al servizio del Genio militare; sì quest’ illustre figlio del Calasanzio, dallo stesso Sicard encomiato , poteva lasciarci quell’opera che compiti avreb- be i desiderii dell’Ab. Bagutti. E la riconoscenza e l’ ammira- zione mi spingono a ricordare la benefica virtù operosa di que- sto mio confratello. Allorchè nel settembre del 1825 io mi ricondussi a Ge- nova , per avere da lui la risoluzione di varie difficoltà in- contrate nell’ applicare il metodo francese all’ istruzione di al- cuni sordo-muti senesi , io non saprei dire quali fossero i suoi dolci modi in accogliermi. Fu allora che pienamente conobbi la forza analitica della mente del P. Assarotti : fu allora che io vidi introdotta una riforma assai giusta intorno alle così dette parti grammaticali dell’Orazione ; e fu allora finalmente che compresi maravigliando la facilità di bene istruire in ogni genere di eru- dizione il sordo-muto nel minor tempo possibile. Ma il P. Assa- rotti non è più. Sarà dunque perduta ogni speranza di esten- dere il suo sistema agli stabilimenti italiani ? Nò certamente: il sacerdote Luigi Boselli depositario virtuoso della dottrina e dello spirito di questo grande uomo, farà, come spero, di pubblica ragione un lavoro, che 1’ umiltà del suo precettore ed amico vo- leva nel ligure stabilimento sepolto. Anche l’Ab. Bagutti potreb- he l’ opera incominciata compire ; e noi avremmo una maggiore ricchezza di mezzi per alleviare i mali della classe infelice dei sordo-muti : poichè come diceva Montaigne, per fecondare le - umane conoscenze : Il faut qu’un esprit se frotte contre l’autre. T. PenpoLA delle Scuole Pie. 1128 si ‘ Istituzioni logico-metafisiche del prof. D. Garrano Lvsvertr. Edizione seconda, corretta ed ampliata. suit Tip. Eredi Soliani 1828. Sì rare sono tra noi le. edizioni di libri filosofici, e sì grande ne sarebbe .il bisogno , che a chiunque ci si presenta con simil dono, non possiamo non-porgere , oserei dire, anche anticipata all'esame del libro, la riconoscenza e l’encomio. Questa medesima povertà dee ‘consigliare ad ogni lettore ch’ami veramente la scienza, una certa moderazivne nelle pretese e ne’ biasimi, una certa condiscenden- za nelle concessioni, e liberalità nelle lodi. Noi non diremo che -di condiscendenza abbia bisogno il libro del prof. Lusverti ; ma idopo aver protestato, che e quanto alla scelta del metodo, e quanto alla profondità delle ricerche , e quanto al numero ed alla jforza degli argomenti, cotesto libro non ci pare imitabile in tutto, sog- giungeremo 'che in alcune parti di quello noi abbiam trovati de’cen- ni rettissimi; e sopra questi principalmente calcherà la breve «analisi che ne imprendiamo. Tnttociò che a noi sembra o legge- 0, o non bene ordinato , o non esattamente vero , sarà dunque emessd, perchè resti. luogo a quanto può notarvisi o di nuovo in parte, o di non ben noto ai più, d’ingegnoso, d’utile, e di fecondo. - Comincia la logica da alcune considerazioni generali sull’uo- mo; tocca delle sue due sostanze; venendo al corpo, accenna della sensibilità ; quì ribatte il principio del sig. de Tracy, (p. 18) che 1’ idea dell’ esistenza.de’ corpi esterni deduce dal contrasto della yolontà, nostra di moyersi colle resistenze che a quella si oppon- gono. Credo anch’ io ,che codesta non sia ,ne) bambini la genesi dell’ idea dell’ esistenza de’ corpi; ma dell’ opinione dell’ideolo- go francese approfitto per osservare , com’ egli che_tutto riduce a sensazione , comincia dal far dipendere l’idea del corpo da ‘una opposizione tra le cose esterne, e la nostra volontà, da una lotta tra la parte passiva dell’ uomo e l’ attiva. La qual conces- sione basta a tutto distruggere il suo sistema. Parla del piacere e del dolore; delle leggi generali delle sensazioni ; di ciascun senso in particolare; e , trattando del tatto, pare che la sensazione del caldo e del freddo il sig. prof. Lu- sverti non sappia attribuirla propriamente al medesimo senso che riceve le impressioni del molle e del duro: (p. 30) nel che, io non oserei dargli il torto. Toccando dell’odorato, nota l’assurdità della ipotesi di Bonnet e di Condillac (1° unica ipotesi, al dire di Gou- sin, sorta nel secolo decimottavo) che ‘ alla loro statua schiudo- 12Q s» no l’ un dopo l’altro i sensi, per istitaire un’ accurata anali » si delle sensazioni; incominciando da quello dell’odorato, ripu- ss tato per essi il più semplice degli altri: ipotesi contraria al », fatto , sendo nella realtà il primo di tutti i sensi ch’ eserciti » la sua azione perfin dall’ utero materno quello del tatto , ed » essendo innoltre e più chiare e più precise e più costanti le »» idee che se ne ottengono : nè si saprebbe poi perchè! chiamar >) più semplice l’ odorato anzichè ’1 tatto , sia per la struttura dell’ organo , sia perchè l’ uno egualmente che 1’ altro offrono o all’ anima idee semplicissime. ,, — O se non semplici , compli- », cate del pari. Quanto alla vista , si ferma sul fenomeno della visione in- versa , e non crede col Condillac che sia il tatto quel che c’in- segna a vedere diritto l’ oggetto che nella retina si ?dipinge ro- vesciato , ma stà con Reid « il quale osservando che, nell’ in- », crociamento de’ raggi, quello che passa per lo centro dell’oc- 3 chio non soffre verun deviamento, deduce, vedere ‘noi ogni », punto luminoso dell’oggetto secondo la direzione d’ una linea 3» che dal punto modificato della retina attraversa direttamente s) il centro dell’occhio , e va all’oggetto stesso, secondo la legge », sopraindicata della proiezione; che però 1’ immagine è veduta »» secondo la sua posizione trangibile , 0, come dicono , reale; sy nel modo che, incrocicchiando le mani, si sente l’ impressio- » ne a destra di quella cosa che stà dalla banda sinistra ; e vi- s, ceversa. ;) Dopo questa spiegazione , io non vedo nel fenome- no della visione inversa quel mistero impenetrabile , che par di vedere al valente ed ottimo prof.. Poli. Così la questione, come , due essendo gli occhi, una sola sia la percezione , il n. a. la scioglie , notando , ‘ che più sen- ss sazioni del medesimo genere, fatte contemporaneamente, si con- » fondono insieme per modo che son percepite come una sola ; siccome accade de’suoni ne’ due orecchi. E veramente, se av- venga che , o per caso , o per volontario esperimento, si tolga l’ inclinazione parallela degli assi ottici, talchè le imagini ca- »» dano in punti dissomigliantemente posti , si vedranno queste, » non più semplici ma sì raddoppiate : onde la legge resta pie- », namente avverata. ,, (p. 44.) Venendo alle facoltà dell’ anima, opportunamente distingue quelle che immediatamente scaturiscono dalla facoltà di sen- »» tire, aventi la più parte rappresentazioni sensibili, e più dalle »» fisiche condizioni che dalla spiritual forza dipendenti, e le » quali più alla formazione che al perfezionamento dell’ intel- T. XXXIII. Marzo. 17 DI dI 13a s» letto conferiscono je le chiama facoltà d’ ordine inferiore ; è » quelle altre che dalla sensibilità fisica son più remote, non han= sì no rappresentazione , ossia archetipo materiale, e sono più alla »» volontà o forza attiva dell’anima soggette , e per le quali più >» il perfezionamento s’ opera che la formazione dell’ intelletto , »» le nomina facoltà d’ ordine superiore. ,, (p. 48) Il voler con- fondere questi due ordini di facoltà tanto chiaramente distinti , come i sensualisti fanno , non sarà mala fede, ma è una singo- lar maniera di considerare le cose. Da questa distinzione discende un’ altra che par di mere parole , ma che pur giova , per la precisione de’ ragionamenti , stabilire, e che primo il n. a. propone ; delle idee, da’ concetti, «€ Concetto , dic egli, è la rappresentazione di cose che non han- s, no archietipi sensibili, ma da questi è solo occasionata ; e Zdea, 2» la rappresentazione d’oggetti sensibili ,, (p. 30). Esamina le facoltà dell’ anima in particolare ; comincia dal- l’ attenzione; e venendo alla memoria , rettamente nota come « quell’atto di riconoscere le idee siccome passate, dal quale de- riva poi la coscienza di una durata sì dell’essere nostro come 3» delle cose fuori di noi, la qual nominiamo #empo, potrebbe s» Tiguardarsi come una determinazione caratteristica della me- »» moria che con Wolfio si direbbe intellettuale , sendo un tale 3a riconoscimento dipendente da un giudizio mentale confrontante 2, il presente col passato , e non già da sensibilità , come pare » che, almeno in parte , lo sieno il potere di ritenere e quello so di riprodurre le idee. ,, (p. 55) Distinzione , anche questa im- portante , perchè risponde a coloro che nulla d° attivo ricono scono nella memoria, e, poichè ogni ragionamento necessaria mente s’ appoggia alla memoria, vengono così insensibilmente a distruggere questa, qualunque siasi , forza ragionatrice del» l’ uomo. i Altra distinzione importante si è quella che pone il ch. A, dopo parlato dell’ associazione delle idee , venendo ‘all’imagina- zione ; ove dice : Pare doversi distinguere due maniere d’ ima- 3» ginazione , una cioè sensibile , 1’ altra astratta. ,, (p. 66) Ed invero, altra cosa è imaginare il giardino d’ Alcinoo ; altra , con- cepire l’ idea astratta di gloria o di virtù , che pare una specie d’imaginazione: cosa importante a notarsi, e feconda di variissime conseguenze. Questa facoltà dell’ astrarre, che vien dopo quella del giu- dicare, e che, nella serie dell’ A. n., è la seconda delle facoltà d’ordine superiore, viene così dichiarata con molta nitidezza alla 13t p. 78. «Se non fosse nell’ uomo altra manieta di cognizioni fior » quella degli oggetti concreti, sarebbero esse circoscritte ad og= 5; getti individuali , nè potrebbero avanzare di gran tratto, sen> 5, do quelli di numero così grande, che la corta durata della 33 vita appena è chie abbracciar ne potesse una minima parte: d’al- »; tronde non si disvelerebbero i rappotti in che sono gli oggetti è fra sè collegati, d’ onde si sale poi alle più sublimi cogni- ir zioni. Ora ; a soccorso di tali impèrfezioni 3 è vina facoltà nello 3» Spirito , mediante la quale si può dai moltiplici individui con 5 ereti separare quegli attributi, o qualità, o rapporti che in 3) molti sono costantertienté ripetuti, é raccolti ini un gruppo ; 3» che diventa come in simbolo collettivo di tutti gl’ individui 5, che di quelle sono partecipi. ,, Dal che si deduce, le cogni> zioni individue quali la sensazione le dà , essere insufficienti al menomo ragionamento senza l’ aiuto delle idee generali : si de- duce; che le prime astrazioni dello spirito comprendono sotto uni principio generalissimo pochi individui, perchè pochi lo spitito ne conosce; onde sono le più ardite ad tn tempo e le più mans che e men rette: si deduce infine, che il principio d’ unità , al qual si riduce la percezione di somiglianza , è l’ unica base alla facoltà d’ astrarre. Passa lA. a quella di ragionare, a quella di inanifestare per segni le idee; tocca delle perfezioni e delle imperfezioni del lin= guaggio } quindi del perfezionamento e dei limiti dello spirito umano ; € confessa la sua indefinita perfettibilità, quanto all’at- tività delle forze (p. 106): poi ragiona della volontà , e ritono= sce che per la volontà 1’ anima è propriamente attiva (p. 110) ; giacchè, in ciò che ha d’ attivo 1’ intelligenza, entra necessaria* mente la volontà; e in tutte le operazioni, dall’attenzione in poi; esercita sulla mente un’influenza necessaria: principio bene svolto dal nostro Galluppi ; e indarno dissimnlato dalla scuola de’ sen- sualisti francesi. Fin quì la Sezione prima. Nella seconda, tratta della verità in generale ; poi della verità fisica, alla cui cognizione due sono le vie: osservazione, ed esperienza. Alla osservazione concorrono i sensi, l’attenzione, gli stromenti , ed il metodo (p. 123): del- l’esperienza le regole indicò sovranamente Bacone ; e il nostrò A. ben fece a ripeterle (p. 126). Viene alla verità di ragionamento, il cui paragone è il principio di contraddizione i e quì ribatte 1’ opinione di Condillac e d’altri, che reputarono, il principio fondamentale delle verità metafisiche essere quello d’ identità f per cui intendono, allora apparite evidentemente vero il rap- 132 ,» porto fra due idee, quando per una serie di trasformazioni 3» delle proposizioni che lo vanno discoprendo, si conchiude sem- » pre la medesima cosa, ossia che lo stesso è lo stesso : come », sarebbe la proposizione= che la misura del rettangolo è il pro- ,» dotto della base per 1° altezza = giacchè misurare un rettan= »» golo è = prendere tante volte una parte del medesimo, quan- », te ne contiene l’ intera superficie = il che è lo stesso che = s» prendere tanti rettangoli della data altezza quante sono le parti »» della base = il che è lo stesso che prendere tante parti qua- +» drate quante sono le parti della base, prese tante volte quante ,, una di queste è compresa nell’ altezza =e ciò equivale a mol- » tiplicare la base per l’altezza. E tali sono tutti i discorsi della », geometria,,. Non è senza il suo fine immaginato questo principio d’ identità, da sostituirsi al principio di contraddizione ; giacchè 1’ identità, quale Condillac la concepisce , è cosa tutta sensibi- le: e ben fec’ egli a scegliere un esempio geometrico, perchè scegliendone uno di ragionamento astratto , il sno principio se ne sarebbe ito al vento. Ben nota adunque il ch. A. “ Pare ripu- ss gnante l’ affermare che un’idea sia rigorosamente la stessa ,» d’ un’ altra ; essendo , per lo meno, una più esplicata dell’al- », tra per la differenza dei termini. ,, (p. 128). Quì gli cadeva a toccar de’ due metodi , sintetico ed anali- tico 3 e qui dice cosa da altri non detta, che a me pare impor= tante. “ Quantunque , dice , 1’ analisi e la sintesi possano parer 3» due specie di metodo , e fra di loro in certo modo opposte, se s) si riguarda però il punto donde si diparte nostra mente, una ,» Sola , rettamente estimando , è l’ operazione che quella ese- so guisce : conciossiachè questo punto di partita, sia egli un 3) principio generale astratto ossia un particolar fatto, non può ,s essere che una cosa tognita, dalla quale movendo l’anima per sg isvelare 1’ incognito , altramente non lo potrebbe che scom- 3» ponendolo, sendo per ciò solo incognito, che è composto. È sem- »» pre dunque un’analisi quella che conduce all’invenzione della » verità ; nè la sintesi, quale comunemente s’intende , può esse- » re ad altro accomodata che ad applicare un principio già» co- s; gnito ed esplorato ad ‘un fatto particolare , o a manifestare al- », trui. le verità già ritrovate.,, (p. 131) Questo pensiero, io ri- peto , a me pare di mo!'ta importanza ; giacchè dimostra come il continuo sintetismo dominato sinora negli studii filosofici e negli estetici abbia dovuto ritardare i progressi della ragione e del gusto , che sono le due ale , se così posso dire , della civiltà : dimostra che essenzialmente sintetica è la scuola di que’sensua- 133 listi che credon procedere per analisi, quando fissano arbitraria mente una legge con la quale condursi alla scoperta d’ una pro= posizione ch’hanno già anticipatamente determinato esser l’unica vera ; onde i loro ragionamenti sono una continua petizion di principio (1). Parlando della verità morale, combatte di volo il falso prin= cipio dell’ab. La-Mennais, che criterio unico del vero dice essere l’ autorità del genere umano ; ed osserva che per molti secoli da intere genti si son credute enormissime falsità ; cita il Ga- lileo ed il Colombo, e conchiude ‘che il genio talvolta d’un » uomo solo è valso e può valere molte genti e molti secoli », d’ autorità. ,, (p. 141.) La sezione seconda finisce con un capitolo sull’ ermeneuti- ca , un’altro sulla certezza e la probabilità: la terza, tratta dell’er= rore e de’suoi rimedii: e dopo una logica di pag. censettantaquattro, viene una metafisica di pagine trentatre ; dove tocca de? principii che sono applicabili a tutte le cose, vale a dire la possibilità e la impossibilità, 1’ esistenza o realtà, la sostanza e 1’ essenza. Quanto alla sostanza , par ch’ egli (p. 179) non segua l’ opinione di co- loro i quali non paghi di considerare l’ oggetto come un com- plesso di qualità, pongono per sostegno a codeste qualità un non so che , un sudstratum, come il Baldinotti lo chiama; ch'è la sostanza. — Tocca della necessità e contingenza ; della im- mutabilità e mutabilità ; dell’unità , regolarità, ordine, bel- lezza , perfezione ; della forza o attività ; quindi viene nel capo secondo ai principii che si applicano alla concatenazione delle cose ; e sono lo spazio , il tempo , il principio di causalità : al qual proposito par ch’ egli accenni in confuso una verità im- portantissima , ed è che il principio di causalità non ha che un solo criterio , la coscienza. Troppo è giusto e terribile il raziocinio scettico di Hume , il qual mostra che questa da noi reputata relazione di causa e d’ effetto, non è che relazione di antecedente e di conseguente. E quanto al mondo fisico , l’obbiezione è pur troppo sì forte da non si potere sciogliere in verun modo. Ma quando si viene all’ uomo, quando ad un determinato impulso della volontà si vede costantemente conseguire l’ effetto che s° intendeva , quando ne’casi in cui que- st effetto non segue , si sente una ragione pel quale esso non può o non deve seguire , la resistenza delle cose esterne; al- (1) Alcune cose notabili sull’ analisi e sulla sintesi, leggonsi nel primo Fascicolo del Progresseur , nuovo giornale , che si pubblica in Francia; in- cominciato con ottimi auspici, 134 lora solo il principio di catisalità diverita innegabilmente fer= mo : e così quella forza attiva dell’ uomo che sola dimostra la spiritualità sua con la sua libertà, dimostra ancora que- sto principio così fortemente combattuto dal grave ingegno del filosofo inglese (2). Nel capo III , tocca delle cause intelligenti, dell’anima uma- na, e di Dio; dove gli vien di mostrare come si formi il con- cetto dell’ infinito. “ Si forma, dice , necessariamente da quel ») di finito ; perchè, essendo ciò ch’ è finito, circoscritto da tem- ss po » da spazio; da numero, ciò che lo circoscrive o lo finisce, è sy maggiore d’ esso. Ora, maggior del finito non è' che l’infinito; e 3) per conseguenza non può esser questo che l’attributo d’ una 3» causa prima; precedente ogni finito (p. 201),,: Quindi, madama de Stael affermava , esser meno difficile all’uomo concepire l’in- finito che il nulla. Di tutto ciò che nel libro del ch. A. potess’ essere o legger- mente trattato o inesatto , noi qui non parliamo ; chè troppo lungo sarebbe esporre e le opinioni sue e la ragion delle no- stre. Basti che il suo libro ha de’ tocchi che noi possiamo inge- nuamente lodare : in tutto è chiaro , e s’ adorna d’ uno stile a cui si potrebbe rimproverare piuttosto l’ affettazione rettorica , che la filosofica ruvidezza. E qui sulla fine, noi non possiamo a meno d’ esprimere il nostro rammarico pel misero modo con che dai più vengono oggi giorno trattate le questioni filosofiche in Francia. Non parlerò delle ingiuriose declamazioni e della leggerezza mirabile di pa- recchi fra’ sensualisti più celebri ; ma gli spiritualisti anch’ essi, in che angusti confini hanno mai ristretta la scienza? (3) L’im- possibilità di dissecare il pensiero, e l’unità dell’io ; ecco tutto l’ apparato de’ loro argomenti. La prima non è che una facezia ; la seconda potrebb’ essere una mera frase, come quell’argomento contro il suicidio : che luomo non deve lasciare il suo posto. In un articolo dell’ Antologia ( N.° 74) noi avevamo brevemen- (2) Si noti in passando, che Leibnitz, coll’ammettere l'armonia prestabilita, distrugge l’ unico argomento che s'abbia per sostenere il principio di causalità come Kant, distruggendo l'influenza del senso , distrugge la libertà dello spi- rito, perchè togliendogli |’ occasione d'attività che viene da’ sensì , riduce l’ attività dello spirito a uta specie di movimenti prestabiliti e fatali. Così gli estremi sì toccano, (3) Debbo eccettuare alcune idee contenute ne’quattro articoli dell’Univers sel, salla Storia filosofica del sig. Damiroun: 135 te accennato come quest’ argomento della unità dell’ente che pen sa, e tanti altri, possano al sensualista parere di nessun valore; e come 1 unicoil qual regga a ogni scossa, sia quello della forza attiva dell’ ente che pensa , il qual prova insieme e la spi- ritualità, e, ciò che più monta, la libertà. Giacchè , quan- d’ anche dall’ unità dell’ io conseguisse la spiritualità dell’ ani- ma , conseguenza che non pare irrecusabile , dalla spiritua- lità dell’anima converrebbe provare come consegua la libertà, ch’ è il punto essenziale e pratico della questione. Iddio , inoltre , po- trebbe distruggere un’ ente spirituale ; come potrebbe serbare immortale un’ente corporeo. == Ridotta la questione al vocabolo spiritualità , s° isterilisce, e s’immiserisce di troppo : sostituite a quello il vocabolo attività, e voi avrete tutt’ insieme dimo- strata l’ esistenza d’ uno spirito libero ; immortale perchè libero, e non perchè spirito ; e, come libero ; risponsabile delle proprie azioni, de’ proprii movimenti. i Rec Iscrizioni Veneziane raccolte ed illustrate da En. Anr. Cico- ew4, cittadino veneto. Venezia. Tip. Picotti. Orlandelli edit, 1824-28. Usciti fascicoli VI. Opera, per.tutti i rispetti pregevolissima; come ha già mostrato un valente collaboratore dell’Antologia; con la grazia sua solita (1). Le iscrizioni son parte viva di storia; e prima che il tempo, o l’ingu- ria degli uomini le cancelli ele sperda, giova che l’occhio esperto e la mano amorevole d’un pio cittadino ne innalzi men labile monumen- to; giova che della sua diligente dottrina lo illustri, e renda con la penna que’ servigi che non può più render con l’opera e col consiglio. Se tutte le città d’Italia potessero vantare un racco- glitore e un illustratore delle patrie memorie, tale qual è questo diligentissimo Veneziano; quanto non ne verrebbe di luce alla sto- ria non solo delle particolari città, ma della nazione e de’ se- coli? Convien però confessare che un raccoglitore più diligente, un illustratore più dotto, sarebbe, anco nelle più insigni città d’Italia, difficile ritrovare. E le edite Raccolte e le inedite delle patrie iscrizioni , il sig. Cicogna ha consultate , raffrontate tra loro, e col marmo ; e molti errori ne corresse; le smarrite, le sparse in libri varii, in luoghi oscuri, indicò accuratamente, felicemen- te scoperse; le chiese distrutte , i monasteri diroccati , visitò a (1) Vedi Antol. Vol. MX. C. pag. 83. 136 palmo a palmo; consultò i necrologi ecelesiastici e civili per co- noscere l’esattezza di certe indicazioni lapidarie; nelle prefazioni diede brevemente la storia del luogo di cui raccoglieva le la- pidi, e v’accennò le iscrizioni dedicate a’ nomi più celebri ; ne- gl’indici ordinò le sparse notizie, per renderle, ad ogni nopo, utili a consultare e a trovar facilissime ; con sovrabbondanza d’ eru- dizione ., a proposito d’un nome. nella iscrizione accennato, diede notizia d’ altri uomini riguardevoli di quella stessa famiglia ; in fondo al tomo pose larghissime correzioni ed aggiunte; e allo scopo suo consultò le antiche storie e le moderne, libri cogniti e oscu- ri, edizioni rare, e importantissimi manoscritti : talchè , se con egual cura illustrate, egli ci vorrà poscia donare anche le iseri- zioni veneziane anteriori al secolo decimo , la sua raccolta di- verrà un de’ più preziosi e più sinceri monumenti di storia pa- tria , che si possa desiderare ; diverrà una delle più feconde e più autentiche autorità critiche a chi volesse intraprendere una vera storia di quella illustre città, storia che, al nostro parere , ancor manca. Non picciol sussidio trasse anche il ch. A. alle sue indagini , dalle informazioni d’ nomini eruditi e gentili di tutta Italia , tra’ quali nomineremo il Can. Schiassi , il P. Cesari, il Dott. Labus , il Co. Filiasi , l’Ab. Moschini, il Sig. Boerio, l’Av. Gagliuffi , il Prof. Vermiglioli, il Cons. Neumann Rizzi, il Prof. Tipaldo , il Co. Marco Corniani , 1’ Arciprete Monico , il Cav. Cicognara , 1’ Ingegnere Casoni , i Bibliotecari Gamba, Savi, Bettio, Mazzucchelli. La raccolta delle iscrizioni di ciascuna chiesa , o contorno, è dedicata ad un Veneziano benemerito ; e nelle dediche leggiamo fra gli altri i nomi del Can. Pianton, dell’ Ab. Montan , di Fr. Negri, dal Co. Valmarana , del Bibl. Bettio, dei benemeriti e virtuosissimi Frat. Cavanis. Fra i più liberali offeritori di notizie , spesse volte dall’A. citati, troviamo gli Ab. Corrier, Dezan, Regazzi, i quali stanno scrivendo le biografie de’Preti veneziani ; l’Ab. Orsoni che attende a quelle dei veneti Cardinali; e l’Ab. Fanello che scelse quella de’ vescovi di Torcello ; lavori tutti alla storia utilissimi più che a taluno non paia, e che noi con desiderio aspettiamo. Sarebbe poi troppo lungo notare tutti i MSS. alla storia importanti, che il dotto sig. Cicogna nella sua opera accenna, de’ quali 1’ èdizione sa- rebbe alla letteratura europea preziosissimo dono. Noi qui non accenneremo che alcuni scritti inediti di F. Paolo , un libro filo- logico del dotto Egnazio , la storia di Famagosta scritta dal- l'elegante Prof. Riccoboni ; e le antichità cretesi, opera del- l’ eruditissimo Ab. De Torres , spagnuolo , morto nel 1819 a Ve- 137 nezia ; vecchio singolarissimo , la cui molta dottrina e il severo aspetto io rammento ancor con piacere. Anche considerata com’opera letteraria, questa del sig. Cicogna ha il suo pregio, perchè ci conduee di secolo in secolo attraverso le sì notabili deviazioni , o perfezionamenti del gusto; ci mostra quella barbara latinità del trecento, cangiarsi ben presto nel quattrocento in sincera eleganza, poi declinare in peggio alla fine del cinquecento , nel secento ondeggiare fra la purità e la barbarie; e, cosa singolare, nella fine del settecento e nel prin= cipio del secolo presente, assumere in alcune iscrizioni una sem- plicità , una proprietà, un’ energia, ed un affetto, ignote alle elegante purezza del secolo decimosesto. Meritano particolar men- zione le iscrizioni dettate dal ch. sig. Bibl. Bettio ; ed una, ele gantissima ed affettuosa, del nostro medesimo Autore. Non poche sono le iscrizioni italiane , tutte rozzissime ; pur le più antiche possono servire alla storia d’ un dialetto, che fino da’ remoti tempi era giunto a certa determinazione e ricchezza, e, po- che cose mutate , nel medesimo stato si conservò fino a noi. Hl primo tomo , composto di quattro fascicoli, contiene più di se- cenquaranta iscrizioni ; di queste una sola in versi italiani, e quattordici in versi latini; anzi quindici, se ci si aggiunga quella della p. 320; composta di due giambi ; alla qual cosa non ba- dando il ch. A. si maraviglia che il nome vi sia posposto al co- gnome. i Come poi più direttamente alla storia e letteraria e delle arti possa servire quest’ opera , lo si vede dagl’ indici , i quali ci mo- strano le iscrizioni consacrate a donne illustri, a medici, a giu- reconsulti, a scrittori veneziani ed esteri, ad architetti, a fu- sori in metallo , a incisori in rame , a musici , a pittori, a scul- tori. Quanto agli esteri , si noti come quest’ opera deve in ogni parte d’Italia e a’ dotti tutti d’ Europa venir cara; giacchè non solo di Romagnuoli, di Piemontesi, di Lombardi, di Friulani, di Veneti, di Toscani, di Genovesi, di Siculi, di Tirolesi, di Istria- ni, di Dalmati, si trovan quivi memorie ; ma di Cretensi, e di Fiamminghi , e di Francesi, e di Olandesi, e di Spagnuoli, e di Tedeschi , e di Portoghesi. Questa enumerazione abbiam qui posta , acciocchè agl’ italiani e agli stranieri eruditi venga desi- derio d’ opera così laboriosa, e dotta, e all’ ltalia onorevole ; giacchè dalla lista degli associati vediamo che pochissimo ell’ è sinora diffusa fuori delle città Venete : intanto che molte misere compilazioni ed aborti di fantasia corrono tutta Italia, e vanno oltremonti a far trista fede del senno italiano. T. XXXIII. Marzo. 18 138 Non mi sono intertenuto a mostrare la somma utilità che da quest’ Opera può venire alla storia ecclesiastica, civile, e politi» ca della repubblica veneta , perchè la cosa è già troppo eviden- te. Ma quello ch'io debbo osservare si è che il ch. A. non pen- sò , con puerile e malaccorto amor patrio , a dissimulare i torti innegabili dell’ illustre governo della patria sua; onde non ar- rossì di citare il Diario del Friuli, ove attesta che nel principio del secolo XVI quanto più la pairia aveva perduto di stato , tanto più era cresciuta l’ ambizione , molto più ne’ vecchi ; ove af- ferma che nel 1512 i soldati veneziani in Vicenza commettevano molte ribalderie e scelleraggini ; e oltre alla roba, rapivano le donne, e deturpavanle. Non arrossì di notare que’che erano stati fatti senatori per danara: trascrisse nna lapide, dove è proibita così a omini come a donne et putti, di giuocar a carte , nè da- di , balla , ballon , o ad altro qualsivoglia giuoco , niuno eccet= tuato nel Champiello e schola, o altri luoghi circonvecini al Monastero delle Monache del Corpus Domini ; nè meno strepi- tar ec. , sotto pena di pregion, bando , galea, ed altre pene ad arbitrio di Sua Ecc. Ill.; ed abbi il denonciante , che sarà te- nuto segreto lire cinquanta de picoli da esserli fatti dar dal contraffattore : notò finalmente tutte le contraddizioni del Ve- neto governo nell’ affare di Bianca Cappello , condannata come fuggitiva, poi dichiarata vera e particolar figliuola della repubblica, quando una serie di strane vicende la elevò granduchessa. À di mostrare l’ erudizione e la diligenza del nostro ch. A., e la cu- ra sua, troppo rara oggidì, di aggiungere sempre alle cose note, basta citare quest’ articolo appunto di Bianca . Prosegua egli la sua penosa ed onorevol fatica ; chè , giusto giudice , il tempo la riporrà fra quelle poche che onorano in vero la nostra letteratura. K, X. Y. Opere scelte di Acosrino e Grovawni Paraprsr. Milano Tip. Sil vestri 1828. Ai versi del figlio van congiunte le prose del padre. Delle qua- li la prima, è l’elogio del Montecuccoli, dove principalmente no- tabile ci parve il confronto del generale Italiano col maresciallo Turenne ; e quelle due note , ove dimostra che alla morte del maresciallo non dovette il Montecuccoli i suoi posteriori vantag- gi; e che della moderna architettura militare la prima gloria è dovuta all’ Italia. — Segue un discorso preliminare alle lezioni della storia, ove, più della universale dice utili in certo aspetto 1509 le storie particolari , come quelle che più visibile porgono il con- catenamento delle cause agli effetti. Questo discorso ha mn bel passo tra gli altri (p. 72), ove accenna i doveri dello storico ; in modo che ben dimostra com'egli sentisse la dignità della scien- za ; e non pochi tra gli storici e i compilatori moderni potrebbero ancora leggerlo con profitto. — Il saggio metafisico sopra l’entu- siasmo delle Belle arti è ; convien dirlo , ben piccola cosa : s0- stiene essere necessario con l’ arte sempre perfezionar la natura, per la ragione che non tutti gli oggetti della natura son belli, e che vina galleria di ritratti di donne settuagenarie , non sarebbe una piacevolissima cosa. Io non so quel che sarebbe una simile galleria ; so ch’io amerei moltissimo di vederla , se i ritratti fos- ser tutti di mano di Raffaello, di Michelangiolo, 0 di Tiziano. I difensori del bello ideale, quale essi lu intendono } quando han detto che non tutti gli oggetti della natura son belli, par che vo- gliano tacitamente conchiudere che tutti sien brutti; e quest’esem- pio della galleria lo comprova. — Vien dopo una lettera Sopra lo stato delle scienzè in Italia, dove VA. difende dagl’insulti d’uno straniero l’onore della patria sua, rammentando i nomi di Gerdil, del Genovesi, dello Stellini, di Vitaliano Donati, del Targioni; del Padre Torre, del Fontana ; del Frisi , del Beccaria, dello Spallanzani, del Boscowich, del Riccati. del Morgagni, dello Zanotti, del Metasta= sio, del Maffei, del Goldoni, del Martini , del Pacciavidi , della Bassi per ultimo e della Agnesi. L'Italia certo non mancò mai di grand’ nomini ; e la grandezza degl’ Italiani è sovente grandezza creatrice : e’ son grandi a dispetto delle circostanze , son grandi senza che quasi la loro patria sel sappia: ma sostenere clie in Italia perciò la coltura delle scienze più utili e delle lettere più efficaci sia non men diffusa che in Francia , sarebbe orgoglio im- portuno ; e dannoso, aggiungasi, perchè rintuzzerebbe gli stimoli della emulazione , e ci assonnerebbe fra le illusioni di una ima- ginata eccellenza. L'ultima prosa di Agostino Paradisi è un’ Orazione recitata nel solenne aprimento della Università di Modena , impareggia- bile opera di Francesco III. — «I tempi mutati , dic’ egli; le € scienze stese per tanto maggior campo ; e bisugnose di largo « apparato di erudite suppellettili , la letteratura stessa levata a « maggior grado di pregio nel genio del coltissimo secolo ; tutto « ciò accusava la tenuità dell’ antico patrimonio , 1’ angusto cir- « colo delle cattedre , la nudità delle scienze ec. ». E toccato della importanza di cercare la verità e di diffonderla, aggiunge : « Noi professori, fra i quali esulto io meco medesimo d’ essere 150 « annoverato, noi dalla clemenza e munificenza di Francesco HI « non per altro quì fummo convocati , che a ricercarla , e, tro- « vata, diffonderla , divulgarla ». Dimostra che e la Religione e le scienze tutte e le lettere, da cotesta congiunzione di studi ri- cevono incremento e sostegno, e ringrazia il suo Principe dell’ave- re « raccolto in un corpo solo, per così dire, la partita felicità, « sottoponendo le membra sparse di lei ad un’ anima reggitri- « ce ). Questo pensiero ci chiama a rammentar con piacere la recente fondazione in Londra d’ una grande università che ancor vi mancava ; e i vantaggi che ormai appaion sensibili di cotesto ravvicinamento delle sparse provincie dell’ umano intelletto. Giovanni Paradisi, il figlio, ha su questo proposito tra le sue rime un’ Ode, che il Silvestri dalla sua nuova edizione non ha cancellata. I versi di quest’ uomo notissimo spirano la coltura della mente e la bontà del cuore; ma noi non possiamo lodare quelle tante allusioni mitologiche, e la tenuità degli argomenti, e quello spirito d’ imitazione che v’ apparisce continuo. KR I Martiri. Del Visc. di Crarzaverianp. Seconda edizione. T. II Milano Ant. Fontana. Dopo avere asserito che il Cristianesimo potea più della mitolo- gia offrire elementi alle ispirazioni poetiche, il cel. A. volle compro- varlo col fatto , e scrisse i Martiri. Può bene uno scopo estrin- seco alla rappresentazione del vero, non nuocere alla libertà, e, se così posso dire , alla verginità della ispirazione poetica ; ma com- porre un Poema per provare una tesi, è molto difficile a farsi senza che ne traspaia l’ intenzione primaria dell’Autore , senza- chè la poesia ne acquisti un non so che di sistematico , e però di prosaico. Il sig. di Chateaubriand, per voler dimostrare che la Religione cristiana è più poetica di quella di Omero , le pose a riscontro ; scelse a tal fine un secolo in cui vivevano tutte e due, l’ una forte di sua immortal giovinezza , l’ altra rinvigorita dal- 1’ odio , dal timore , e dalla luce istessa vivifica della sua rivale, luce della quale essa sapea profittare a dichiarazione de’suoi sim- boli, a giustificazione de’suoi pregiudizi, a rettificazione tacita ma sensibile di sue dottrine. L’epoca, certo, è sapientemente scelta ; epoca di contrasto intellettuale , morale , politico ; teatro nuovo di morte e di rigenerazione , di libertà e di tirannide , di umi- liazioni e di vittorie , di disprezzo e d° amore. Ma, per esser fe- dele al proposito suo , doveva l’ illustre Poeta attenersi sempre ibi a tn partito, parlare in nome di quello; descrivere bensì la lotta dell’ antica credenza con la nascente; porre in bocca a’ Paga- ni le opinioni pagane; ma egli, il Poeta, rimaner sempre Cri- stiano. A lui piacque tenere altra via: e tn lo senti nelle sue descrizioni ora far uso delle imagini mitologiche , or delle bibli- che, senz’ altro pretesto fuorchè 1° occasione che gli si porge a far pompa di queste o di quelle. Havvi de’passi, non pochi, dove tu non sai chi parli, se un sacerdote di Giove od un cultore del Crocefisso : e questa imparzialità che in bocca di personaggi sto- rici è bellezza perchè ne ritrae il carattere e ne conserva il co- stume ; in bocca al poeta è difetto , perchè fa credere che tutto questo sfoggio d’ antitesi non sia che un gioco d’ ingegno. Antitesi, dico ; chè ben chiaro si scorge d’ altronde a ogni passo il desiderio nell’A. di contrapporre l’una all’ altra creden- za , e di farne dedurre quella conseguenza ch’ è il fine dell’ope- ra. Troppo manifesto è siffatto desiderio ; e però, toglie quell’in- canto che viene da una rappresentazione del vero, la qual paia indipendente da ogni sistematico assunto ; toglie quel puro e su- blime diletto che gusta la mente nel trarre da sè , non nel ri- cevere quasi una lezione , le conseguenze del Vero che vagheg- gia dipinto; conseguenze tanto più care a trarsi e più utili, quanto paiono più un’induzione del nostro proprio ragionamento , una nostra scoperta. Inoltre, per abbellire il suo tema, il chiarissimo Poeta credette dovervi inserire quanto mai poteva e sapeva, di buono e di bello. Quindi, per la parte mitologica , noi troviamo in que- sto Poema le opinioni, i modi ed il tuono , di popoli , di scrit- tori e di tempi diversissimi; e accanto a una frase d’Omero, ne riscontriamo una d’ Orazio; accanto a un’ allusione latina, una greca. Egli è singolare il contrasto che fanno la semplicità e la minutezza di certe descrizioni tropp’ Omeriche ; con quel tuono rapido, ambizioso, e pensato, con certe ricercate similitudini, con certe sentenze spiattellate, con certe metafore che sentono l’odore della recentissima civiltà. Nè solo alla parte mitologica si ridu- cono gli anacronismi ; anche nella parte cristiana compariscono uomini e idee di tempi più tardi : anacronismo che sarebbe meno scusabile se il carattere di quegli uomini e l’influsso di quelle idee si potesse conciliare con la storia de’ tempi e con lo stesso carattere del Poema. Se noi ne avessimo il tempo , noi approfitte- remmo di questa occasione per confermare ciò che altrove si è dettos non esservi violazione della storica verità che non conduca alla in- verisimiglianza poetica. E tutti appunto i difetti di quest’ opera 149 celebre, vengono, a parer nostro, dall’avere il poeta voluto far pompa di bellezze fantastiche, laddove la verità per sè sola era sì bella, sì varia, sì potente. Tutto ciò ch’egli immagina de’suoi due Martiri, quanto è misero, se si paragoni a ciò che de’ Martiri ci narra la sto- ria! Quel tuono ambizioso, enfatico, giovenile, come contrasta con la maturità, la semplicità, la dolcezza sublime del Cristianesimo! Quel mirabile, tutto d’imitazione Pagana, come impicciolisce l’idee; e serra il cuore! Quel voler tutti accumulare in piccolo spazio i fatti, e i luoghi più disparati, come, invece di dimostrare la fecondità dell’ingegno , gli toglie campo allo svolgimento di certe situazioni potenti, di certi affetti, nuovi al par che profondi! E c’era egli bisogno di tanto inventare , laddove la realtà è più poetica d’ogni umana finzione ? Par quasi veder 1’ À. in mezzo ad un campo fioritissimo, immenso, timido che gli manchi sotto la terra; andar filando a uno ad uno gli stami della sua fanta- sia , erattaccarli poi alla meglio sul vero , lasciando intanto da un lato la immensa tela che il vero gli presenta già ordita. Certo quello che ne’ Martiri è veramente di Bello , è colto dal Vero , è molto al disotto del vero ; e se più storico fosse , sarebbe ancora più grande : notabile esempio delle strette a cui conduce l’im- maginazione quel singolar principio del vero poetico, del vero uni- versale, del bello verisimile. Certo, se l’illustre Autore dovesse ritrattar questo tema nella maturità di quell’insegno potente, lo tratterebbe in modo più ricco, più universale, più semplice , oserei quasi aggiungere, più Cristiano. Una delle più singolari bellezze di questo lavoro, è , al veder nostro, nelle similitudini , che sono d’una novità; d’ una fecondità che va all’anima. E codesto ringiovenir la natura trovando in essa nuove relazioni con gli oggetti spirituali, è bellissimo frutto della civiltà crescente, è inesauribil tesoro di Poesia : come il Globo accennava, quasi in aria di mistero , in un articolo sui pensieri di Richter. Con queste osservazioni noi non intendiamo di detrarre a tutto quello che ha di religiosamente sublime, di originalmente delicato, di storicamente poetico , questo sempre notabile lavoro d’un fecondissimo ingegno. — La traduzione n’ è felice , ma ambizio= setta , come il tuono forse dell’originale portava. K. X.Y. 1:53 Quattro novelle narrate da un maestro di scuola, Torino 1899, presso Giuseppe Pomba. + vol. in 8.° Il libro che annunziamo è sull’ andare di que’ racconti , che mirano singolarmente a porre in evidenza alcune verità morali di pratica utili e schiette. In esse l’autore s’adopera a mettere a nudo il cuore e 1° animo delle persone, di cui prende a raccon+ tare i casi, e discorrendone le azioni ne discopre le cause ne ri- cerca gli obbietti; attende ai più minuti particolari degli affetti umani , gli affisa, gli esprime; ne segue il corso frammezzo agli accidenti della vita, tra le diverse condizioni degli uomini ; ne di scerne quelle leggerissime mezze tinte che moltiplicate in infinito ed a gradi impercettibili formano le varietà dei caratteri, Accu- ratissimo osservatore della natura , diresti ch’ egli all’ usanza dei pittori, sempre ritragga dal vero, così opportunamente ti sa met- tere sott’ occhio le sembianze di ciò che ti descrive ; e fra mille tratti che rappresentare te ne potrebbe , sceglie quello , che il meno apparente talvolta, serve peraltro da sè solo e meglio d’ ogni altro a porti innanzi la cosa. Anzichè l’ andare stretto e spedito egli ama le digressioni e non ricusa di soffermarsi su certe minute avvertenze, perchè ivi appunto ritrova quel calor nativo della natura , di che va in traccia . Perciò ne pare che molto a proposito egli abbia posto le sue novelle in bocca di un buon prete maestro di scuola in una villa , il quale più sollecito del- l’ utile che delle regole viene sponendo con certi modi mezzo briosi, mezzo patetici le cose da lui udite o vedute , ma più di tutto , le riflessioni da lui fatte per occasione di tali cose. Tutti questi racconti mirano ad eccitare il desiderio della virtù, ma di una virtù semplice e soave che si spiega con opere amorevoli e buone. Venendo a parlare dei soggetti delle quattro novelle, dire- mo ai lettori, che la prima racconta le funestissime conseguenze di una calunnia mossa da un cavaliere contro una onesta zittel- la, onde guastandole le nozze di già accordate tra lei ed un no- bile e valoroso giovane, la fanciulla si muore pel dolore senz’ al- tro bene che il testimonio della pura coscienza. E si narra come il calunniatore siasi poscia ridotto a penitenza del suo reato per certi casi strani e maravigliosi, e come allo sposo ingannato siasi scoperta tutta quanta la sofferta sventura. Il fatto si finge acca- duto al tempo di uno dei passaggi di Terrasanta, e ricorda molto bene i veri usi e le credenze degli uomini di quelle età. 144 La seconda parla di vicende accadute nei tempi nostri od a persone di basso stato. E sono gli amori di un giovane, che con- dotto per forza alla milizia lascia la casa paterna e la sua fidan- zata; va in Russia, si porta da valoroso e ne ottiene le insegne. Scampato da mille pericoli ei ritorna alla patria colla speranza di godersi alfine una vita tranquilla confortata dall’ amore di quella donna , a cui aveva impegnato sua fede. Ma questa per le false novelle recate della morte del giovine aveva già dovuto cedere al voler de’ parenti , che le diedero a marito un semplice e dabben uomo della villa. Vide il reduce soldato tolto a lui per sempre quel bene , che sommo reputava , ma il dovere fu di freno alla natura ; meritò egli il nome di vero amico, finchè accorato per la repressa doglia morì. La terza rammenta certa tradizione comune in Piemonte d’nna forosetta bella e virtuosa, che inseguita da uomini, che insidiavano all’ onor suo, risoluta a non cedere, e non avendo altro scam- po che di buttarsi giù d’ una rupe, slanciossi nel precipizio e venne in salvo senza danno veruno. Ma inorgoglita di poi del buon successo , tentando Iddio , volle rifare quella prova , e vi perdette per giusta pena la vita. Nella quarta si descrivono le angosce di una buona ed amo- rosissima donna, che dal marito negletta viene consumandosi e sfacendosi , e compie dolorosamente il sagrifizio d’ ogni più cara terrena affezione. Quantunque, come si è notato, tutte quattro le novelle s’ag- girino intorno alla forza dell’amore, chi leggerà questo libro non si lagnerà peraltro di quella che i greci chiamano monotonia. Perocchè sotto moltiplici aspetti, jcome ognun sa, quella forza si spiega, e dalla varietà dei casi s’informa in guisa, che si può dire la stessa e diversa ad un tempo. E l’autore tanto bene co- nosce l'indole di questa irresistibile potenza , che appaga mercè della verità delle sue descrizioni , ed alletta colla novità delle sue osservazioni. Si è detto pure, che in queste novelle succedono casi ma- ravigliosr, o per meglio dire, miracolosi. Forse a tal parola sor- gerà incontro taluno di coloro, che nelle opere d’invenzione mal soffrono che gli scrittori si scostino dall’ordine consueto e natu- rale delle cose. È noi, cui piacciono le dichiarazioni ma non le controversie, risponleremo a iesto tale, che appunto nelle ope- re d’invenzione sembran.. potersi ammettere certi tratti di mara- viglioso, che servano ad impriw + più fortemente nell'animo di chi legge quella verità che si suole inculcare; purchè essi si riferi- pi. 145 scano, come in queste novelle , a que’ tempi, nei quali gli uo- mini erano corrivi a dar fede a siffatte maraviglie , e vengano a modo di spiegazione di fatti dianzi narrati, non quali cause de- gli avvenimenti di poi succeduti. Queste novelle sono di più dettate in lingua veramente ita- liana purgata e linda, senz’ ombra d’ affettazione, o sia che l’autore a modo dei chierici dia gli ammaestramenti del ben vi- vere , ovvero adoperando la vivezza del dialogo venga avanti con forme affatto drammatiche. — Noi pertanto le raccomandiamo a tutte le persone d’indole eletta, e soprattutto alle donne genti- li, che sono pur sempre i migliori giudici de’ modi co’ quali si può penetrare nei più reconditi recessi del cuore, Non tralasceremo per ultimo dal rendere un dovuto elogio al tipografo, distintissimo di già in Italia per la correzione ed il numero delle sue stampe , il quale colla presente edizione niti- dissima e semplicissima ha saputo agguagliare la bellezza delle edizioni di simil genere, che escono in Inghilterra. Sta in fronte al libro un ritratto del maestro di scuola, del quale dir si potrebbe coll’ Ariosto , Che se la faccia può del cor dar fede Tutto benigno e tutto era discreto. P. E. $. T. XXXIII. Marzo. 19 146 BULLETTINO SCIENTIFICO Marzo 1829. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Dagli Annali di Chimica e Fisica di Parigi, dicembre 1828, abbiamo estratto compendiosamente le seguenti osservazioni me- teorologiche. Terremoti sentiti nel 1828. Il dì' 14 gennaio a ore Ir e tre quarti di sera fu sentita a Venezia una scossa di terremoto molto forte, che durò circa due minuti secondi, e le ondulazioni della quale erano dirette dal sud al nord-est. Il tempo era fosco e tem- pestoso ; il barometro segnava pollici 27, linee 11, 9g; alcuni momenti dopo la scossa fu sentito nell’ aria un lungo e sordo muggito. Il dì 23 febbraio a ore 8 e un quarto di mattina è stato sentito il terremoto nel Belgio e nei dipartimenti della Mosa, della Mosella , e del Nord, con qualche differenza nei varii luoghi , quanto alla direzione, alla durata, e ad altre circostanze. Alle Antille fu sentita il dì 6 marzo a ore 6 minuti 30 della mattina una scossa lenta diretta dall’ est all’ ovest. Fra le ore ro e le 11 della sera del dì g marzo , Washington ed altre città degli Stati-Uniti furono agitate da forti scosse di terremoto accompagnate da un fragore simile a quello che pro- durrebbe sul pavimento una vettura pesante mossa rapidamente. Il dì 12 dello stesso mese di marzo una scossa ondulatoria, che ha durato 5 minuti secondi, ha fatto cadere più case nella Calabria. Il successivo dì 13 vi sono state sentite altre 5 scosse. A Le-Quesnoy ed a Iauche nei Paesi-Bassi fu sentita nel 23 marzo a ore 9g 3 della mattina una forte scossa consistente in un moto oscillatorio diretto di basso in alto. Il dì 29 dello stesso mese di marzo fu sentita alle Antille un altra scossa lenta come nel dì 9g , diretta dall’est all’ ovest. Il dì 30 a ore 7 minuti 28 di mattina un violento terremoto si è fatto sentire a Lima, a Callao, ed altri luoghi del Perù. Scosse orribili che durarono 52 secondi ridussero la città di Lima in un ammasso di rovine in cui perirono circa mille individui. La scossa è stata risentita dai bastimenti ancorati nel porto di Callao. i 147 Nella notte degli 11 Aprile una scossa che fu sentita leg- germente a Roma, fu fortissima a Pesaro. Alle ore 5 della mattina del dì 15 giugno furono sentite a Smirne due scosse successive, delle quali una verticale , che durò 2 secondi , l’altra orizzontale diretta dal nord al sud, che danneggiò molte abitazioni. Una leggiera scossa fu sentita a Poitiers nella notte del 17 al 18 giugno. ì Nel mese di luglio violente scosse di terremoto hanno agitato la provincia di Schirvan in Persia. La città detta Vecchio-Scha= malkha è stata in parte distrutta. Immense porzioni di montagne sono crollate. Dopo le scosse sono cresciute più o meno notabil- mente le acque di tutti i ruscelli. Si sono formate delle aperture, dalle quali sono scaturite nuove sorgenti. A partire dal villaggio di Sachiany , si vede ora uno spacco largo più d’un braccio , e che si estende molto in lunghezza. Vien riferito che nella notte si vedono sopra quest’ apertura dei fuochi simili alla luce dei lampi. A Schouscha in Georgia nel 6 agosto furono sentite grandi scosse accompagnate da un vento violento. Nel dì seguente si rinnuovarono ; tre ne furono sentite nel giorno ; due nella notte. Il dì 8 dello stesso mese furono sentite a Kouba tre forti scosse dalla mezza notte alle tre ore della mattina. Di nuovo a Schouscha si sentirono nel g agosto dodici scosse, dalle ore 7 della mattina alla mezza notte , ed altre due nel gior- no 14 del mese stesso da mezzogiorno a un ora. Nei giorni 13, 14, e 17 settembre il terremoto scosse vio- lentemente Murcia, Terra Vieia, Terra de la Mata, e tutte le coste circostanti. Molte case rovinarono. Nuove scosse si fecero sentire nei luoghi stessi nel seguente ottobre. Il dì 1 ottobre nella mattina un violento terremoto agitò la Gran Canaria. Molte fabbriche hanno sofferto danni notabili. I bastimenti che erano nel porto hanno risentito la scossa. Una leggiera scossa fu sentita a Cesena la mattina dei 5 ot- tobre a ore 11 minuti 4o della mattina. La sera del dì 8 ottobre furono sentite a Pesaro alcune scosse leggiere a ore 10 e minuti 45, e a ore 11 e minuti 25. Il dì g dello stesso ottobre a ore 3 e minuti ro della mat- tina grandi scosse di terremoto si fecero sentire a Marsiglia , a Turino, a Genova. Molte fabbriche ne hanno risentito qualche danno. Nel porto di Genova il mare è stato notabilmente agitato, e molti bastimenti si sono urtati fra di loro. 18 Due scosse molto forti furono sentite il 3 dicembre a ore 6 1 della sera a Metz, Aix-la-Chapelle , Spa , Liegi, Maestricht , ed altri luoghi. A Stavelot l’ ultima scossa è stata accompagnata da una forte detonazione. Il 13 dicembre a ore gi della mattina al Sandgruben a piè del Schwendelberg in Svizzera fu sentita una debole scossa, e quindi una fortissima 10 minuti dopo accompagnata da un gran fragore sotterraneo. Il giorno seguente si fecero seutire due nuove scosse a mezzogiorno, ea 2 ore, edaltre nel dì 16 a ore 2 e tre quarti della mattina, che durarono più secondi. Aurore boreali. Il sig. Arago, il quale fino dal 1825 aveva annunziato come un risultato costante delle sue osservazioni l’in- fluenza delle aurore boreali sull’ ago calamitato , che presenta dei movimenti irregolari , o delle deviazioni; anche in luoghi grande- mente lontani da quelli ove le aurore boreali si fanno vedere, continuando con molta premura quelle osservazioni , e procurando d’informarsi delle aurore boreali osservate nei varii paesi, ha riferite nei citati Annali le seguenti mostratesi nel 1828. Essendo pervenuta al sig. Arago una relazione alquanto ine- satta, nella quale si narrava essere stati osservati a Mont-Morillon nel 5 luglio verso le ore 10 della sera dei fenomeni luminosi, che potrebbero riferirsi ad un aurora boreale , questo fisico si è indotto a credere che l’anrora boreale avesse effettivamente luogo per avere osservato la sera del 5 luglio, e più la mattina del 6, dei moti disordinati nell’ ago calamitato. I) dì 15 settembre fra le ore g ele 10 della sera fu veduta a Edimburgo ed a Islay-House nella Scozia una brillante aurora ho- reale. I sig. Arago non osservò in quel giorno veruna notabile variazione nell’ ago magnetico. Ma siccome il 15 settembre era lu- nedì, e che nel lunedì precedente 8 settembre l’ago aveva alquanto deviato dalle ordinarie sue posizioni, egli ha concepito qualche dubbio che nelle relazioni di quel fenomeno si sia insinuato qual- che errore di data. La sera dei 29 settembre fu veduta un aurora boreale da molti luoghi e da osservatori diversi, con alcune differenze forse dipen- denti dalla diversa posizione degli osservatori. I sigg. Hater e Moll l’osservarono a Chesfield Lodge dalle ore 8 alle 9g. Il sig. Forster di Boreham in Essex descrive il fenomeno stesso, da lui osservato alla stessa ora, come un apparizione della luce zodia- cale. Secondo esso, la luce era rossastra e vivacissima, mentre il sig. Hater la descrive come affatto bianca. Il sig. Burney de- scrive con qualche varietà il fenomeno stesso da lui osservato a 149 Gosport. Egli vide una debol luce d’ aurora horeale anche nelle due seguenti sere , cioè del 30 settembre e del 1 ottobre. Egual- | mente dalle ore 8 alle g della sera stessa 1’ aurora boreale fu veduta a Lynn-Regis dal sig. Utting. A Londra il fenomeuo stesso fu osservato dalle ore 6 fino a mezzanotte. Nella sera e nella notte soffiò un vento impetuoso di nord-est. Il sig. Giorgio Har- vey osservò la stessa aurora a Plymouth dalle ore 8 alle 9, ed il sig. Davies Gilbert, presidente della società reale, presso Pen zanee. Finalmente essa fu veduta anche a Dublino, ove il suo punto culminante era; a ore 7 1, di 10 gradi al sud dallo zenith. A Parigi nello stesso dì 29 settembre l’ago delle variazioni diurne a ore 6 e tre quarti pomeridiane segnava una declinazione inferiore di più di 7 minuti primi di grado a quella osservata alla stessa ora nei giorni precedenti. A ore 10 e minuti 29 era giunta a 12 minuti primi, sempre nello stesso senso. Anche il giorno seguente 30 settembre , in cui il sig. Burney osservò un aurora boreale a Plymouth , l’ago provò in tutta la giornata una deviazione notabilissima. Per esempio a ore 8 e tre quarti della mattina la declinazione sorpassava di oltre a 21 mi- nuti primi quella dei giorni precedenti e seguenti. Secondo il Giornale delle scienze d’ Edimburgo , la sera del lunedì 15 pttobre 1828 fu veduta a Perth una brillante aurora boreale. A proposito di quest’ annunzio il sig. Arago si esprime co- sì. « Ecco un aurora , la quale sembra non avere esercitato azione « sull’ago orizzontale di Parigi , il quale nel 15 ottobre non mo- « strò turbamento notabile. Dico sembra, giacchè io riguardo come « possibile che vi sia un errore di data nella nota pubblicata dal « sig. Brewster. In fatti quella nota dà il 15 ottobre per un lu- « nedì, mentre quel giorno non era un lunedì ma un merco- « ledì. « Lo stesso giornale d° Edimburgo dice essere stata osservata un altra aurora boreale a Perth in Scozia fra le ore 10 e le II della sera del lunedì 39 ottobre 1828. Il sig. Arago annunziando avere 1’ ago orizzontale delle varia- zioni diurne conservato un andamento molto regolare nel 29 ot- tobre, soggiugne: « Ecco una seconda aurora che sembra non « avere agito sull’ ago; ma per qual fatalità debbo io osservare « anche in questo caso che il giorno 29 ottobre era un mercoledì « e non un lunedì, come suppone la nota del dotto d’Edimburgo ? « Il dì 30 ottobre l’ago di declinazione fu turbato; lo stesso av- « venne nei giorni 26 , g , 8 dello stesso mese. )» 159 Il dì 1 dicembre 1828 fu osservata dal sig. Blackwall a Man- chester un aurora boreale alle ore 6 della sera. Nello stesso giorno 1 dicembre l'ago orizzontale delle varia- zioni diurne provò tutto il giorno notabili turbamenti. La mattina la declinazione era più grande del solito. La sera al contrario essa era più piccola A ore r1 e 28 minuti la deviazione giunse a più di 29 minuti primi di grado. Il sig. Blackwall ha veduto a Manchester il 26 dicembre 1828 alle ore 6 della sera una bella aurora boreale. Essa fu anche veduta a Hull dalle ore 6 alle 7. Il sig. Burney a Gosport non vide di questo fenomeno che una debole luce. A ore 6 e tre quarti della detta sera la declinazione dell’ ago era a Parigi più piccola del solito. Questo turbamento fu di corta durata. Il sig. Burney ha veduto a Gosport nel dicembre una seconda aurora boreale, di cui non indica la data. Il sig. Arago dalle sue osservazioni intorno all’ ago magnetico argomenta che essa abbia avuto luogo o il 3, oil 15 , 0 il 28. Aeroliti. Il dì 4 giugno 1828 verso le ore 9 della mattina cadde nella contea di Chesterfield in Virginia un aerolito, i di cui frammenti pervenuti in mano del sig. Iohn Cocke pesano più di tre libbre. Gli agricoltori che li raccolsero avevano sentito prima un esplosione simile alla scarica d’ un cannone. A questa esplo- sione successe un fragore prolungato che essi paragonarono a quello che produee una vettura che corra rapidamente sopra una strada lastricata. Questo fragore divenne gradatamente più intenso, ed in pochi secondi parve aver la sua sede allo zenith. Un momento dopo esso era passato più oltre , e terminò con un rimbombo simile a quello che produce un corpo grave cadendo a terra. Allora que- gli agricoltori corsero verso il punto ove avevano udito il colpo, e dopo alcune ricerche videro un foro che aveva una profondità di 12 pollici, ed in fondo al quale si trovava la pietra. Non si ha alcuna notizia dello stato del cielo al momento del fenomeno. I frammenti della pietra erano coperti nella superficie esterna d’una crosta nera ; vi si osservavano diverse cavità della grossezza d’ un pisello ; la rottura era granulare , e di color grigio chiaro ; si vede- vano qua e là dei punti bianchi metallici , i quali si staccavano colla punta d’un temperino. Tutti i frammenti conservavano anche più giorni dopo la loro caduta un forte odore solfureo. Da alcuni giornali si ha la notizia ( alquanto tarda per la distanza dei luoghi) della caduta d’ un aerolito avvenuta il 15 settembre 1825 in una delle isole Sandwich, e d’ una 15€ pioggia di pietre presso Belostok in Russia nel dì 8 ottobre 1827. Grandi detonazioni precederono la caduta del primo; i com- pagni del capitano Kotzebue ne raccolsero diversi frammenti , uno dei quali pesava 15 libbre. Le pietre di Belostok parvero venire da una gran nuvola nera situata allo zenith ; non ne furono rac- colte che quattro. Precedè la loro caduta uno strepito simile a quello d’un fuoco continuato di FROG e che durò tre o quattro minuti. Eruzione vulcanica. Il dì 16 dicembre 1827 a ore 5 di sera fu sentito vicino a Bakou un romore simile a forti scariche d’ armi da fuoco. Dopo questo romore apparve una colonna di fiamma d’ un altezza straordinaria, che per tre ore consecutive continuò ad ardere diminuendo gradatamente di dimensione, in modo che dopo que- st'intervallo era ridotta a soli due piedi. In questo stato durò ad ardere per 24 ore. Nel principio dell’ eruzione il vulcano scagliò delle pietre calcinate e delle colonne d’ acqua. Il luogo ove 1° eru- zione incominciò non ha presentato cratere ; al contrario il terreno onde emanava la colonna di fuoco si è sollevato di due piedi, e sembra un campo smosso dalla mano dell’ uomo. Subito che si smove la terra, ne scaturiscono ancora delle fiamme di color ros- sastro , che non esalano alcun vdore. Grandine straordinaria. Il dì 21 maggio 1828 cadde nel dipar- timento del Gard in Francia una grandine straordinaria, di cui il sig. D’Hombres-Firmas afferma che molti pezzi erano senza esage- razione grossi quanto un pugno chiuso. Fattine pesar due presi a caso , uno fu trovato di cinque once, l’altro di quattro. Assai più terribile ed apportatrice di maggiori danni fu la tempesta che nel 14 settembre 1828 scoppiò sopra Tarragona, percorrendo in seguito un altro notabil tratto di paese. Alle ore 7 della mattina il barometro era a pollici 28 e due decimi d’altezza, il termometro di Réaumur a gradi 20, spirava un vento di sud- est , ed il cielo era leggermente coperto. Alla distanza di 2 leghe dalla parte del nord-ovest si videro grandi nuvole che si avanzavano rapidamente verso Tarragona , gettando torrenti di pioggia, e mi- nacciando un orribile tempesta. Dalla parte nord-nord-est, e presso a poco ad egual distanza, si formava rapidamente un altra massa di nuvole , che si dirigeva all’ovest, e si avvicinava a Tarragona crescendo in estensione ed in velocità. Arrivate a mezza lega nord- nord-ovest dalla città, quelle due grandi masse si urtarono con violenza con moto vorticoso disordinato, e ne partivano tuoni e fulmini in gran numero, ed un fragore simile a quello del 5A mare in gran tempesta. A ore 8 il fulmine cadde sulla città, e fu seguitato da una violenta scossa nell’aria, e da un fragore orri- bile. Subito dopo cessò la pioggia, alla quale successé un orribil copia di grandine, minuta in principio, ma che ben presto andò ingrossandosi a vista d’occhio. I pezzi erano da 4 a 6 once catalane. Ne furono, trovati molti del peso verificato di 3,4, e 5 libbre catalane , e più. Ve ne fu perfino qualcuno grosso quanto la testa d’ un uomo. La caduta di questa grandine devastatrice durò più di 20 minuti, nel qual tempo un vento impetuoso sollevava e fra- cassava i tetti , gettava a basso i cammini, e tutto ciò che poneva il minimo ostacolo alla sua violenza. La direzione dell’ uragano era dal nord-est all’est ; percorse 6 leghe catalane , ma i suoi effetti non sono stati funesti che fino ad Altafulla , una lega all’est da Tarragona. Nessuno è perito , perchè fortunatamente essendo giorno di festa, gli agricoltori non erano nei campi, ma o in casa o alla chiesa. Bensì molti individui sono stati più o meno grave- mente feriti. La distruzione totale dei tetti, quella degli alberi troncati o sradicati dal vento , o percossi dalla grandine , la perdita delle olive e delle altre raccolte pendenti , fra le quali quella del- 1’ uve così importante in quel paese, sono state per i coltivatori tarragonesi una vera rovina. Il dì 9 agosto è caduto del ghiaccio solidissimo a Horseley nello Staffordshire in Inghilterra . Diversi pezzi che sono stati raccolti erano fino a 3 pollici di lunghezza sopra 2 di larghezza. Il sig. Nolioubin assicura che nel mese di gennaio 1825 cadde nel circolo di Sterletamak, governo d’ Oremburgo in Russia, della grandine che conteneva nel centro dei diversi pezzi delle piccole pietre. L’ analisi chimica di queste le mostrò composte sopra 200 parti in peso di Ossido rosso di ferro . .. . . parti 70,00 Ossido di manganese . . . . . 7,90 Magnesia . . e... 6,25 ‘Alluiminatasproreda sione a 3,79 Salice Dre varata 401 ce 7,50 Solfo e perdita . . . ...... 5,00 109,00 153 Fisica e Chimica. Iî sig. Waikins, fabbricante di strumenti a Londra, ha fatto conoscere una pila voltaica formata con un sol metallo e senza liquidi. Sessanta o ottanta lastre di zinco di circa 4 pollici di superficie sono disposte in una cassetta di legno in modo , che restino parallele fra loro e vicinissime, cosicchè non siano sepa- rate che da un sottile strato d’aria ; una delle due superficie di ciascuna lastra deve essere ben levigata e lucida, l’altra nò; tutte le facce levigate e lucide debbono esser voltate da una stessa parte , tutte le altre dall’ altra. Data questa disposizione, si osserva alle due estremità di questa specie di pila accumula- zione delle due elettricità positiva e negativa. In fatti se, fissato a ciascuna delle due estreme lastre un conduttore, si faccia co- municare quello d’una estremità col suolo , quello dell’altra col condensatore d’ un elettroscopio , questo strumento si carica su- bito dell’una o dell’altra elettricità , secondo il polo del quale si trova in comunicazione. L° umidità favorisce l’ azione di que- st’ apparato , che si può riguardare come una pila secca, in cui uno strato d’ aria è sostituito alla carta. Questi risultamenti sono opportunissimi a confermare la teo- rica puramente chimica dell’ elettricità voltiana, poichè qui non vi è contatto di metalli diversi, e lo sviluppo dell’ elettricità sembra dipendere unicamente dall’ azione ossidante dell’aria, più forte sulla superficie dello zinco non levigata nè lucida , che su quella la quale lo è. L’ accumulazione poi di ciascuno dei due fluidi alle due estremità della pila dipende dalla facoltà condut- trice del legno in cui sono inserite le lastre di zinco. Di fatti il sig. Augusto De la Rive si è assicurato che con un legno sec- chissimo e poco conduttore l’ effetto è molto minore , e che di- vien nullo servendosi, per tener le lastre unite come conviene, di bacchette di vetro fissate con cera, 0 materie resinose. Giò prova che nelle pile ordinarie il liquido interposto fra le lastre fa la doppia funzione d’ eccitatore e di conduttore, mentre qui l’ec- citatore è l’aria, il conduttore il legno . Quest’ esempio prova ancora che non vi è necessità assoluta del contatto di due su- perficie eterogenee , ma che basta un sol metallo o un sol cor- po; sulle due superficie del quale l’intensità dell’azione chimica non sia la stessa. Il sig. prof. Marianini, in una sua Memoria sopra la scossa T. XXXIII. Marzo. 20 154 che provano gli animali nel momento che cessano di fare arco di comunicazione fra i poli d’un elettromotore, e sopra qualche altro fenomeno fisiologico dell’ elettricità , da varie ingegnose esperienze e ragionate considerazioni intorno a questo curioso ed ‘interessante soggetto , conclude quanto appresso : 1.° Che i principii ai quali sta finora appoggiata la, teorica degli apparati voltaici non ci autorizzano ad ammettere in que- sti una retrocessione d’ elettricità nel momento che viene inter- rotta la circolazione. 2.° Che quando anche tale retrocessione avesse luogo , da essa non deriva la scossa che prova l’ animale al momento che cessa di fare arco di comunicazione fra i poli d’un elettromotore. 3.° Che le due sorte di contrazioni prodotte nei muscoli dall’elettricità, cioè quella prodotta dall’ immediata azione di essa sui muscoli stessi, e che l’ autore chiama contrazioni idiopati- che , e quelle che derivano dall’ azione che l’elettricità esercita sui nervi che presiedono ai movimenti dei muscoli, e che l’au- tore chiama contrazioni simpatiche , meritano d’esser distinte l’ una dall’ altra , perchè le prime hanno luogo qualunque sia la direzione colla quale la corrente elettrica invade i muscoli, e le seconde solamente quando la corrente che invade i nervi è di- retta secondo il loro andamento. 4.° Che la scossa che provano gli animali quando cessano ad un tratto dal fare arco di comunicazione tra i poli d’un elettro- motore dipende da ciò che quando l’elettricità invade i nervi in direzione contraria al loro andamento , in vece d’ aver luogo la scossa quando il circolo si compie , accade per contrario allorchè il fluido elettrico cessa d’invadere i nervi stessi. 5.° Che quando il fluido elettrico invade i nervi in direzio- ne contraria al loro andamento , in vece di cagionare una con- trazione , cagiona una sensazione. 6.° Che si ha pure una sensazione nel momento in cui si sospende la corrente elettrica che invadeva un nervo secondo il suo andamento. Il sig. Becquerel ha esposti in una sua memoria letta avanti l’Accademia delle scienze di Parigi alcuni fatti curiosi ed inte- ressanti, da lui osservati in due anni d’ esperienze , e che ser- vono ad indicare qual parte può avere il fluido elettrico in molti fenomeni che dipendono dall’ attrazione , e con quali mezzi si posson mettere in moto le forze elettriche per operare la combi- nazione dei corpi inorganici. Ecco alcuni di questi fatti. ariani = - 155 La proprietà di cui è dotato il carbonio di combinarsi in di- verse proporzioni coll’ idrogene è servita al sig. Becquerel per for- mare i cloruri e gl’ioduri metallici insolubili. Se si mette in un tubo dell’ acido idroclorico , una lama d’argento, e del carbonio, l'argento essendo positivo , attira il cloro, con cui forma del cloruro d’argento, che cristallizza in ottaedri; intanto l’ idrogene si porta sul carbonio , e combinato con lui si sprigiona in forma di gas idrogene carbonato. Per formare i doppi cloruri ed i doppi ioduri , si prende un tubo piegato in forma di U, pieno nella parte curva ed inferiore d’arena o d’argilla imbevuta d’ acqua; si versa in uno dei lati una dissoluzione di nitrato di rame , e nell’ altro una dissolu- zione d’ un idroclorato alcalino o terroso } poi si stabilisce la co - municazione con una lama di rame. L’estremità immersa nella dissoluzione del nitrato , e che è il polo positivo della pila , si ricuopre di rame allo stato metallico , l’acido nitrico rimane nella dissoluzione, e l’ossigene solo si porta all’altra parte per ossidare il metallo; allora si formano da questa parte dei cristalli di dop- pio cloruro. Gl’ idroclorati d’ ammoniaca , di calce, di potassa, di bari- te, ec., danno coll’ ossicloruro di rame dei prodotti che hanno lo stesso sistema di cristallizzazione ; sono ‘precisamente i sali che hanno la stessa composizione atomistica. Altri metalli sono stati sostituiti al rame e variate le disso- luzioni. Nei primi momenti della cristallizzazione il cristallo è completo , ma quando l’apparato è stato in azione per lungo tempo , si comincia ad osservare delle troncature sugli angoli e sui lati. Per avere gli ossidi metallici cristallizzati si tiene un altra via. Per esempio per il protossido di rame’, si versa in un tubo una dissoluzione di nitrato di rame , in fondo a cui si mette del deutossido di rame ; poi vi s° immerge una lama di rame ; a poco a poco si formano dei cristalli cubici di protossido di rame sulla parte della lama che non tocca il deutossido. Il sig. dott. Carmelo Maravigna, professore di chimica gene- rale e farmaceutica nell’università di Catania , che fino dal 1826 aveva dato in luce in Messina il primo volume d’ una sua pre- gevole operetta intitolata: Prime linee di chimica inorganica applicata alla farmacia ed alla medicina, e di cui fu da noi data breve notizia nel N.° 85 di questo giornale , gennaio 1828, 156 pag. 182, ha pubblicato nel 1827 il secondo, e nel 1828 il terzo ed ultimo volume di quell’ operetta , pervenutici ambedue insie-. me da poco tempo. Seguitando in questi due volumi il sistema tenuto nel pri- mo , considerando cioè sotto il punto di vista chimico-mineralo- gico gli altri corpi naturali semplici e composti, ha indicato, di tutti quelli che ne sono suscettibili, le utili applicazioni alla far- macia ed alla medicina. Avendo continuato a far qualche uso della nomenclatura del prof. Brugnatelli, ha voluto in un appendice posta in fine del terzo volume dichiarare alcune voci da sè usate, e che sono fra quelle appartenenti a detta nomenclatura. Fra le quali dichiara- zioni ci sembra esser corso un errore , forse tipografico, nella se- _ guente, che riportiamo letteralmente. « Idrosolfuto di magnesia, di calce, di soda, ec. — Non « sono che solfati idrati, ciò contenenti acqua: imperocchè l’aci- « do idrosolforico lo abbiamo chiamato idruro di zolfo ». Il considerare l’acido idrosolforico come idruro di solfo può far riguardare gl’ idrosolfati come so/furi idrati, non mai come solfati, i quali debbono contenere l’ acido solforico , che non esi- ste negl’ idrosolfati. Un altra osservazione dell’autore si riferisce alla voce ossico, sostituita dal Brugnatelli a quella d’ acido. La qual sostituzione se poteva essere ammessa in quel tempo in cui non si conosceva che una classe d’ acidi nei quali tutti si supponeva esistere l’os- sigene come principio acidificante, non può più essere ammessa da che si riconosce un altra classe d’acidi, nei quali il principio acidificante è l’idrogene , detti però idracidi, i quali non con- , tenendo ossigene, non possono chiamarsi ossici. Per altro l’autore, sebbene dichiari i motivi per i quali il prof. Brugnatelli sostituì la voce ossico a quella d’ acido , fa comunemente uso di que- st’ ultima. In un articolo della Biblioteca Universale , febbraio 1829, è riferito un estratto , ricavato dagli Annali di chimica e di fisica di Parigi, d’ un opera che il sig. Emanuele Repetti pubblicò fino dal 1819 Sopra l’Alpe Apuana ed i marmi di Carrara. Riferiti i fatti principali , e dopo aver soggiunto che gli au- tori di quel giornale terminavano lasciando al lettore il giudicare se i fatti narrati dal sig Repetti meritino fede, l’autore dell’ar- ticolo della Biblioteca passa ad informarci che il Giornale delle 157 scienze d’° Edimburgo per il gennaio 1829 , dopo aver riportato in intero l’ articolo degli Annali di Chimica , aggiugne in un al- tro articolo quanto appresso : « Non avendo potuto procurarci 1’ opera originale del sig. »» Repetti, siamo ben contenti di poterne dare ai nostri lettori » gli estratti abbondanti che precedono , sebbene avessimo già » pubblicati 6 anni addietro i fatti che egli aveva osservati ». « Questi fatti non sono soli della loro specie, e da lungo » tempo osservazioni dello stesso genere , ed anche più singolari, » ci sono state familiari in Inghilterra . I nostri mineralogisti e » geologi non hanno mai messo in dubbio la veracità di quelli » cne gli attestano , e se si eccettuano alcuni plutonisti ardenti, » i pregiudizi dei quali si opponevano all’ammissione di fatti che »» dimostravano la formazione attuale ed acquosa d’alcuni mine- » rali, noi crediamo che tutti i filosofi inglesi gli abbiano riguar- » dati come non meno accertati di qualunque altro fenomeno na- » turale. Ci sembra anzi che essi nulla presentino di strano. Del » resto ecco una ricapitolazione dei fatti dello stesso genere che » sono stati pubblicati a diverse epoche , e che è forse interes- » sante riunire in uno stesso articolo. Noi ci limiteremo alla semplice indicazione di questi fatti , che nel citato articolo sono accompagnati dal alcune dichiara- zioni + 1.° Una massa amorfa e spugnosa di calce carbonata ; for- matasi per l’ evaporazione d’ un fluido contenuto in una cavità, o geode ; fatto osservato»dal sig. conte Bournon nei contorni di Lione, e quindi a Vongy in geodi d’ossido nero di manganese. 2.° Cristalli di quarzo , formati in presenza del sig. Northrop in una dissoluzione silicea trovata in una cavità. 3.° Massa gelatinosa silicea e compressibile , trovata nella ca- vità d’ un calcedonio dallo stesso osservatore. 4.° Palle vuote contenenti circa una bottiglia d’un fluido lat- teo, trovate in Georgia dal sig. Whiting di Nowhaven. 5.° Concrezioni silicee, venate come i calcedonii, che si de- positano nei nodi del bambou da un liquido latteo, talvolta denso come il miele. 6.° Cristalli di quarzo che operano la doppia refrazione , formatisi in alcune piante graminacee, note per contenere la si- lice , osservati dal dott. Brewster. 7.° Minuti cristalli di solfato di barite che il sig. Nicol ha veduto formarsi nel liquido uscito dalla cavità interna d’un grosso cristallo dello stesso solfato di barite. 158 8.° Del quarzo cristallizzato è stato osservato dal sig. Sivrigli, ed anche dall’ estensore dell’articolo del giornale d’ Edimburgo in diversi pezzi di legno di teak. 9-° Dei berilli, i quali al momento d’ essere estratti dalla terra presentavano la mollezza e la pastosità d’ una mela, sono stati trovati in Siberia dal sig. Petrin, mineralogo francese. 10.° Delle Opali similmente in stato di pasta molle, che di- veniva dura per la sua esposizione all’ aria , sono state trovate in Ungheria dal celebre sig. Beudant, il quale adduce in con- ferma altri fatti e ragionamenti analoghi, ai quali altri pure ne aggiugne il sig. Prinsep , autore dell’ articolo della Biblioteca Uni+ versale. Il sig. Carlo Matteucci di Forlì, di cui abbiamo fatti cono- scere altri lavori, ci trasmette le seguenti osservazioni sulla pu- trefazione, e sull’ azione dell’ elettricità. È cosa nota ad ognuno, che le sostanze animali sottratte all’ influenza della vita non tardano ad alterarsi, a svolgere puzzolenti gas, e per ultimo a consumarsi, se esposte all’aria. Un tale spontaneo decomponimento , che richiede per condizio- ne assoluta la mancanza d’ogni vitalità, non può peraltro pro- dursi, se non per la reazione che provano i componenti delle sostan- ze animali sì intrinsecamente, e sì per gli agenti esteriori. L’aria, l’ acqua , il calore sono le cause esterne che in parte muovo- no questo nuovo ordine di composti , in che tali corpi si tra- sformano . L’ acqua vi contribuisce rammollendo le fibre, di- struggendone la coesione, unendosi ai prodotti della fermen- tazione putrida ; il calore ad un grado moderato le disgrega, le prepara a nuove composizioni , le tien disciolte ; l’ aria per ultimo ha una marcata influenza , prestandovi i materiali, ce- dendo cioè una porzione dell’ ossigene suo , all’ idrogene , al- l azoto , al carbonio delle sostanze animali , ed ecco l’ acqua, Vl ammoniaca , l’ idrogeno carbonato , Vl’ acido acetico , il car- bonico prodotti principali della putrefazione. Le fibre animali adunque devono parte di questo loro scomponimento alla gom- binazione coll’ ossigene atmosferico , ed è perciò che il toglier questo serve ad impedire per un tal lato la putrefazione ; e questo è ciò che ho tentato fare , movendo dalle moderne basi di chimica elettrica. E ormai, dopo i lavori di Berzelius, di Davy , e di tanti altri, principio presso a tutti i fisici rice- vuto , che la unione degli eterogenei non dipende che da an- titesi elettrica, cioè da stato elettrico opposto, delle molecole 159 che sì combinano. Intanto adunque un corpo ad un altro si unisce , in quanto che ha stato elettrico diverso da questo , ed è perciò che variando stato elettrico , variano corrisponden- temente le loro affinità; dal qual principio partendo il som- mo chimico inglese , fece la non men bella che utile scoperta sul modo di difendere dall’ ossidazione il rame che fodera ester- namente i vascelli. Ho quindi cercato, ponendo alcuni pezzi di carne sopra lo zinco , lo stagno, ec. di determinarvi pel contatto degli eterogenei lo stato elettrico negativo , che eli- desse V azione dell’ossigene. Ciò è realmente accaduto, e a pa- ragone di altre analoghe porzioni di fibra animale che avea di- sposte sopra il rame, ed altre che niun metallo toccavano, quelle che posavano sullo zinco e sullo stagno mostrarono più tardi la putrefazione , che prima avvenne sulla carne che niun metallo toccava. Variarono anzi i prodotti© di quelle che gia- cevano sullo zinco e sul rame, e ho visto infatti convertirsi le prime in prodotti idrogenati , e ammoniacali , ed al contra- rio le altre dare i prodotti acidi. E non si creda già che un tale stato elettrico impresso nelle sostanze animali giovi ad impe- dirne la putrefazione solo in togliendo l’azione dell’ aria ester- na, poichè la stessa corrente che niuno stato elettrico parti- colare determina ove scorre , è capace di ritardare la putre- fazione ; per lo che sembrami potersi dire che gli elementi delle sostanze animali sono nello stato di vita mantenuti solo per stati elettrici in loro determinati, pei quali sia tolta l’azio- ne degli agenti esterni. Nè mancano certo nella macchina ani- male organi capaci d’ imprimere stati elettrici nelle varie parti di questa ; troppo è grande l’ analogia fra una pila voltiana, e il cervello , ed i gangli. Con questi stessi principiù parmi potersi in parte dar ra- gione della facoltà antisettica di alcune sostanze. D’ assai pe- rò s’ ingannerebbe chi avvisasse che giovassero queste ad im- pedire in egual modo la putrefazione ; v’ hanno molte che agi- scono privando queste fibre animali dell’ acqua , siccome l’ al- cool, altre condensandole, accrescendone la coesione , siccome gl acidi, il sublimato corrosivo ec. V° hanno infine altre che per altra proprietà sono antiputride , quali sono il carbone. Si sa che mescolato questo colla carne alquanto putrida non tar- da a toglierle il puzzo, e ad impedire un ulteriore putrefa- zione 5 di più posto sulle piaghe marciose, le libera dal fe- tore, e toglie in parte lo sgorgo ulteriore di fetenti materie. 160 Tale proprietà non può unicamente attribuirsi alla sua porosa struttura , ma bensì ad una facoltà elettro-motrice, quella cioè di determinare nelle parti animali che tocca uno stato elet- trico tale per cui perdano quelle affinità dalle quali în parte dipendeva la putrefazione , o per le quali le ulceri secerneva- no materie purulenti. È da questo stesso fatto , cioè dall’azio- ne del carbone sul guarimento delle piaghe, già da pratica chirurgica confermato, che sembrami potersi trarre un sufficiente criterio , onde dar conforto alla bella opinione del chiarissimo professore Francesco Orioli, sul modo cioè di togliere le se- erezioni morbose col determinare sulle parti ove queste si fan- no uno stato elettrico tale, per cui perdano la facoltà di se- parare quei dati umori, facoltà che giustamente può credersi del genere delle chimiche decomposizioni dalla pila operate. Ecco quel fluido , l’ elettrico , che mentre è condensato sul suolo e sulle nubi ci scuote , ci fulmina, eccolo causa de’inoti volontari , del trasporto delle impressioni , delle secrezioni, in somma de’ fenomeni primi della nita. Società SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia de’ Georgofili. Seduta ordinaria degli 8 marzo. — Aprì e presedè Il’ adu- nanza il sig. march. cav. Cosimo Ridolfi Vice-presidente dell’Ac- cademia . Dopo letto ed approvato l’ atto dell’ antecedente tor- nata, il Segretario delle corrispondenze presentò varie opere in- viate in dono dai loro autori o editori , oltre la lettera di rin- graziamento del sig. dott. Francesco Forti-Sismondi per la sua elezione in socio corrispondente. * Passandosi in seguito alle lezioni destinate in questa sedu- ta disse la sua memoria di turno il sig. Commend. Lapo de’Ricci, vertente sopra alcune erronee interpetrazioni che si danno alla libertà industriale. Giovandosi egli della sentenza di un perso- naggio rispettabile di cui si onora la Toscana , quando disse , che poco avvedutamente è stato dato il nome di libertà all’ esercizio libero delle facoltà industriali, mentre si sarebbe dovuto dire piuttosto rispetto alla proprietà , in quella impropria denomina- zione sorta e convalidata da antiquate teorie trovò pascolo, disse l’autore, la massima parte delle passate dispute accademiche di pubblica economia, per modo che potrebbe oggi ridursi ogni que- 161 stione solamente a conoscere quei casi nei quali l’uso libero della propria facoltà possa far danno alla persona e alla proprietà al- trui, sia essa dell’ ingegno o proprietà materiale. Facendosi quindi a trattare dei danni che per una sinistra interpetrazione della parola libertà d° industria risultano alla pub- blica proprietà , recò ad esempio quei danni che per proprio indi- viduale comodo la società risente pel, rigetto delle immondezze, per causa di occupazioni e di tante altre specie d’imbarazzi nelle piazze e nelle pubbliche strade; nel tempo che ineseguibili e inutili vessazioni riguardansi da molti le persecuzioni municipali di pulizia , e che inefficaci sembrano le leggi e gli statuti senza la generale persuasione essere quelle e questi a difesa e a riparo del danno comune ed anche individuale. Passando poscia ai casi, nei quali potrebbe credersi violata la proprietà privata, citò fra gli altri quello di una casa, la parte superiore della quale fosse posseduta da un proprietario , il quale dopo grave dispendio per ritrarre un vantaggioso partito vedesse il pian terreno, posseduto da altro padrone, destinato per esercizio di un’ arte lurida o romorosa. Trovandosi per tal evento deprez- zato il fondo del possessore superiore avrebbe egli giusto titolo, domandava il dotto accademico , il reclamo per offesa fatta al- l'altrui proprietà , oppure sarebbe essa una di quelle alee che devono corrersi dai proprietari in simili eventi? L’A. sembra pensare a favor di quest’ ultima opinione, piuttosto che sollecitare una disposizione governativa per modificare il diritto che permette a ogni cittadino di fare quell’uso che gli piace di ciò ché gli appartiene , e che potrebbe aprire l’ adito a infinite interpetra- zioni. Scese quindi a discorrere contro l’ uso vizioso introdotto e mantenuto da molti commercianti di varie città circa la diversità delle monete ( qualche volta ideali), la varietà del peso delle mer- canzie , il modo diverso di calcorarne il valore, difformità tutte inventate e mantenute a scapito dei meno accorti. Finalmente 1’ Accademico venendo a parlare di un altra sorta di proprietà , che egli chiama la più legittima la più vera come quella che unicamente dipenda dall’ ingegno di chi la possiede , perchè essa non può esercitarsi con vantaggio adeguato al merito dell’ opera senza che questa sia pubblicata , 1’ Accademico crede perciò ingiusto che uno stampatore possa invocare il libero eser- cizio della propria industria per stampare quante copie a lui pia- cesse di una tal libro che tanto costò al suo autore e del quale T. XXXIII. Marzo. 21 152 l’ editore solo si appropria il frutto, giacchè in tal caso lo stam- - patore altro non è che un mercenario operante, simile a quel vil- lico che dopo aver lavorato la vigna del suo padrone prende il prodotto e se lo appropria. In miglior condizione egli reputa un. inventore di macchine , le quali quando veramente soddisfaces- sero all’oggetto , cui si destinano , ricompenserebbero il suo au- tore con l’ esercizio delle macchine medesime. Di più lunga difficile indagine, ma però in certo modo compresa nell’ argomento medesimo, fece presentire che sarebbe 1’ esame dell’ influenza del sistema doganale sul libero esercizio dell’ industria ; ma siccome una tal ricerca sortirebbe dal circolo degli studi accademici bastò all’A. 1’ averla accennata, lasciando a quelli che presiedono a simile amministrazione di mettere que- sta in armonia con le savie massime di libertà industriale che hanno formato e formano la felicità della nostra Toscana. Organo di una commissione speciale , il sig. profess. Giuseppe Gazzeri fece rapporto di una memoria stata inviata dal socio cor- rispondente sig. Gio. Batista Pandolfini-Barberi, vertente sul pro- getto di estrarre in grande dell’ ottimo solfato di magnesia dalle acque-madri delle saline situate nell’ isola dell’ Elba. Finalmente il sig. Lorenzo Turchini, altro socio corrispondente, parlò in una sua memoria del metodo da esso praticato per ret- tificare la bilicatnra delle stadere dette alla romana, impedendo, mercè della maggiore diminuzione possibile di attrito , quella confricazione che le rende generalmente difettose. Terminate le quali letture il Vice Presidente propose al- I’ Accademia per candidati corrispondenti i sigg. H. Hamming. compilatore del giornale periodico che si pubblica a Londra sotto il titolo di Magazzino brittannico dei proprietari, specialmente applicabile alle cose agrarie; e Guglielmo Tighe residente a Pisa , entrambi i quali passati a partito, furono ammessi a pieni voti. Dopo ciò l’ adunanza fu sciolta. E. R. Società medico-fisica fiorentina. Adunanza ordinaria del di 21 dicembre 1828. — Letto ed approvato secondo le consuete forme accademiche il processo ver- bale della seduta antecedente , il socio dottor Gaetano Buzzi trattenne la società con un interessante suo scritto esponente le istorie di varie amaurosi da diverse e differenti cause prodot- 163 te, e che da lui trattate con idonei medicamenti poterono termi- nare felicemente, che che sulla difficoltà di curare e guarire sif- fatte malattie scritto ne abbiano e tutto dì ne asseriscano pratici rispettabili. Vertono le due prime delle sopraccitate istorie sopra due individui adulti, femmina il primo, maschio il secondo, che ri- conosciuti affetti da amaurosi unicamente dependente da causa gastrico biliosa furono dal dotto nostro socio attaccati coi pur- ganti, e principalmente poi cogli emetici repetuti per varii giorni socondo il metodo del Cotunnio fino a che non vedeva- si escir dallo stomaco della pura acqua, con più l’uso dei vapo- ri etereo-ammoniacali esternamente applicati al globo dell’ oc- chio, e per tal metodo in breve lasso di giorni perfettamente ri- stabilironsi. La terza riguarda il caso di altra amaurosi, che riconosciuta figlia di abituale abuso di vin generoso, fu curata e vinta prima da un deciso emetico amministrato , succeduto poi dall’ uso di acqua emetizzata per varii giorni continuata, e finalmente da una ben regolata dieta principalmente osservando di far uso sem- pre di blande e rinfrescanti bevande, e permettendo solo l’ uso del vino misto a dose generosa di acqua in tempo delle ordina- rie refezioni. La quarta poi delle descritte malattie figlia essendo dell’or- ribil vizio contro di cui tanto e con tanta ragione inveì e scrisse il celebre medico di Losanna; cedè, tolta la causa, alla dieta nu- triente lattea, e a moderate dosi di vin generoso: come finalmente agli antelmintici consistenti, primo nel musco di Corsica ammi- nistrato in sostanza e in decozione, e successivamente nella de- cozione di scorza di melo granato cedè la quinta ed ultima a noi descritta amaurosi , da vizio verminoso riconosciuta dependente. Unitamente alle quali istorie facendo il nostro sucio osser- vare come nella cura delle descritte malattie fosser talora da al- tri medici, a lui preventivamente chiamati, inutilmente adoprati i salassi , inutili a sno parere, nei casi sopraccitati , terminò col comunicare alla società un fatto da Imi osservato a Montecatini, di un individuo avente un dito medio di più tanto alle mani che ai piedi, che fornito sì nelle une che negli altri di opportuno osso del metacarpo e del metatarso , altro non faceva che ren- der più larghe le mani e i piedi del soggetto che offriva tale hiz- zarra e non nuova conformazione. PeB: R. Accademia delle Scienze di Torino. La Classe di Scienze fisiche e matematiche tenne il 23 del novembre 1828 la prima sua adunanza del nuovo anno letterario , nella quale furono letti i seguenti lavori: 1.° Due rapporti sopra altrettante dimande di privilegio per due macchine di diversa forma, ma dirette dai loro autori allo stesso scopo, quello cioè di muovere le burche senza l’ aiuto di vapore o di remi propriamente detti, dell’ Accademico G. Bidone, Professore di Matematiche, in nome di una Giunta accademica composta di esso e del suo collega il Cavaliere Cisa di Gresy. 2-° Addition au mémoire sur le problème de la perturbation des Planètes, del prefato Accademico Cavaliere Cisa di Gresy. 3.° Cenni intorno al terremoto sentito in Piemonte, nella provincia di Voghera nello scorso ottobre, del Professore G. Carena, Segretario della Classe. In questa stessa adunanza la Classe 'ebbe ‘dall’ Accademi- co L. Colla notizie di un collega, il Dottore Carlo Bertero, tratto dall’amor della scienza ad un secondo viaggio botanico nell’ America per arricchire colle sue scoperte questa bella parte della storia naturale. Nelle province del Chili dal botanico Pie- montese fin qui visitate, Valparaiso, S. Jago ed altre , egli trovò languente la vegetazione per lunga siccità ; ma sperava di far mi- gliore e più abbondante messe in altre parti di quella vasta con- trada , e specialmente alla Concezione. Egli può tuttavia aggiun- gere fin d’ora alla sua collezione cencinquanta e più specie rare, fra le quali ne cita parecchie ch’ egli crede nuove, ed altre che gli paion dubbiose. Queste notizie molte care alla Classe non saranno altresì senza importanza pei cultori dell’ amabile scienza delle piante, ai quali crescerà la fiducia di vederla fra breve maggior- mente ampliata mercè delle faticose cure e degli studi indefessi di questo coraggioso e dotto viaggiatore. La Classe di Scienze morali , storiche e filologiche ripigliò anch’ essa il corso ordinario delle sue tornate pel nuovo anno let- terario , la sera del 27 novembre. In questa prima adunanza fu- ronv esposte varie opere mandate dai loro autori in dono all’ Ac- cademia , fra le quali tutti i Socii distinsero particolarmente un magnifico Atlante Universale della Geografia fisica, politica, stati- stica e mineralogica di tutte le parti del mondo, composto di 400 165 tavole litografiche in gran carta velina, opera pregiatissima del sig. Vander Maelen di Brusselles (*). Dopo 1’ esame di questa e d°’ altre non meno stimate ric= chezze letterarie, la Classe intese la lettura dei seguenti lavori de’ suoi Socii : 1.° Lettera quarta intorno alla storia delle Repubbliche Ita- liane de’ bassi tempi, del sig. Sismondi: di S. E il Conte Na- pione. 2.° Narrazione del contegno dei Genovesi di Galata nella spe- dizione dei Catalani e degli Arragonesi contro i Turchi ed i Greci dall’ anno 1302 al 1314, del cav. L. Sauli. Adunanza della Classe fisico-matematica del 7 dicembre. — Gli Accademici Cavaliere Plana e Cavaliere Gresy , fecero rela- zione intorno a tre memorie di matematica trasmesse dal signor Geminiano Poletti, pubblico professore di matematica applicata nella I. R. Università di Pisa. Il Professore Rolando , deputato col Professore Bonelli, lesse un parere sopra uno scritto intitolato; Esperimenti fatti allo scopo di ritrovare un metodo più opportuno per conservare alcune preparazioni anatomiche e patologiche , e vantaggi ottenuti ; del signor Francesco d’ Hildebrand, Professore di Clinica medica nel- VI. R. Università di Pavia. Quindi il Professore Carena, Segretario, lesse una parte della Notizia Storica dei lavori della Classe per gli anni 1827, 1828, da pubblicarsi nel prossimo volume acca- demico XXXIII. L’ Avvocato Colla lesse una nota intorno a parecchie piante nuove o dubbie , a fine di accertare la data di un lavoro che egli ha in pensiero di comunicare all’ accademia. Il Cavaliere Avogadro lesse: Sur les powvoirs neutralisans des différens corps simples , déduits de leurs proportions en poids dans les composés neutres qui en sont formés. Classe fisico-ma tematica. Adunanza del 21 dicembre. — Fra (*) L’Aotologia anvuoziò quest Atlante, nel volume XXI s A. pag. 153, ed avrà in breve occasione di parlare più a lungo dei pregi di esso. Le asso- ciazioni si ricevono : a ‘l'orino , presso il sig. J. Bergera figlio negoziante ; a Milano, presso il sig. Yedele Monticelli negoziante 3 a Roma, presso la Libreria Moderna , contrada del Corso n. 348 ; a Napoli , presso la Z’edova Reale e figlio libraii ; e a Firenze al Gadinetto Scientifico-letterario del sut- toscritto. G. P. Vieusseux, 196 le stampe pervenute all’accademia, e comunicatè alla classe pre- detta, è un programma di concorso proposto dalla reale accademia di Prussia, pel quesito che qui trascriviamo: Desiderat Academia novam eamque perfectiorem disquisitionem de mutuis perturbatio- nibus Jovis et Saturni, eorum potissimum terminorum, qui ex qua- drato et potestatibus superioribus virium perturbantium pendent, ratione habita, ita ut simul verus valor duarum illarum ae- quationum , de quibus viri celeberrimi LarLace et Prawa dis- sentiunt, indicetur et demonstretur. Quindi il professore Bidone , deputato col cavaliere Cisa di Gresy , lesse un parere intorno a certo particolare ordigno ; col quale taluno pensa si possano muovere utilmente le barche sui laghi e sui fiumi, a vece di adoperarvi la forza del vapore. Il dottore Bellingeri , collega nella deputazione col profes- sore Rolando , fece relazione intorno a una memoria intitolata : Caso singolare in un individuo spirante soave odore dall’avam- braccio sinistro, con riflessioni sul medesimo; del dottor Carlo Speranza , professore nella ducale università di Parma. Il segretario continuò la lettura della notizia storica dei la- vori della classe , da pubblicarsi nel volume accademico XXXIII. Poscia fu letta una memoria intitolata : Esperimenti fatti allo scopo di ritrovare un metodo più opportuno per conserva- re alcune preparazioni anatomiche e patologiche , e vantaggi ot- tenuti ; del dottore Hildebrand , professore nell’ I. R. Universi- tà di Pavia, il quale volle rassegnare quel suo lavoro al giudi- zio dell’ accademia. R. Società Agraria di Torino. r.° La R. Società Agraria ha ripigliato le sue ordinarie tornate il 26 dello scorso novembre. Dopo la presentazione di varii libri , e della corrispondenza colle altre Società, sono state esaminate diverse macchine , e produzioni di industria patria, fra le quali sono state distinte le seguenti : 1.° Un estirpatore. 2.° Una semplice, ma ingegnosa macchinetta per tagliare la foglia di gelso ai bachi da seta, applicabile anco ad altri usi, verbigrazia , al taglio d’ erbe, e di radici per alimentare il he- stiame ; così quello , come questa sono stati presentati dal sig. Me- ed sz sisi 167 renda Giovanni Bartolommeo di Carignano, il quale sta per pub- blicarne la discrizione. . 3.° Alcuni tappeti fabbricati nelle manifatture del R. Spedale di Carità con ritagli e rifiuti di lana ; se essi non reggono al para- gone di altri di fabbrica straniera, come oggetti di lusso , meritano tuttavia di essere preferiti a molti per risparmio di spesa, e per lunga durata. La Società ha ravvisato come pregevolissimo questo nuovo ramo della nostra industria. 4.° Una varietà di risone per semenza , direttamente pro- cedente dalla Carolina, presentata dal sig. Bonafous, il quale propose di tentarne la cultura , per riconoscere se questa qualità possa andar immune dalla calamità del Brusone, a cui vanno sog- gette le varietà di riso coltivate in Piemonte. Sono state quindi lette alcune dissertazioni, cioè : Dal signor Direttore Marchese Lascaris una seconda sulla fab- bricazione dei cappelli di paglia. Dal sig. Bonafous una sopra una particolare varietà di meliga; ed un’altra sopra le differenze che risultano nella seta per la nutrizione de’ bachi con foglie selvatiche, o con foglie di gelso innestato. | Per parte del Dottor Temina n’è stata letta un’ altra in cui sono esposti varii fatti, che provano che la scabie degli animali può venire comunicata alla specie umana. Per ultimo il Professore Giobert parlando del progetto d’ in- trodurre in Sardegna la cultura della cocciniglia , ha letto un abbozzo istorico degli sforzi fatti per introdurla a S. Domingo da quei coloni , e nelle Indie da alcuni Inglesi. Accademia Gioenia di Scienze naturali in Catania. Seduta ordinaria del 18 novembre 1827. — Dal sig. dottor Giacomo Meuceri fu presentata una piccola collezione di roccie pirosseniche dei vulcani dell’isola Pantelleria , ed altra di alcune conchiglie di quel mare. Fu in seguito esibita una lettera del socio corrispond. Ab. Salvatore Portal da Biancavilla, colla quale inviò il catalogo in istampa del suo orto botanico. Il socio attivo prof. Carmelo Maravigna diè lettura di una sua Relazione di alcune specie mineralogiche recentemenee osser- vate nelle lave dei vulcani estinti della valle di Noto. Premet- 1658 tendo l’Autore di trovarsi rivolto ad un lavoro sopra tutte le spe- cie mineralogiche che trovansi disseminate nelle rocce, tanto de- gli estinti vulcani del Val di Noto quanco di quelle che al no- stro Etna appartengonsi, del quale lavoro, oltre del quadro ge- nerale trovasi di averne abbozzata qualche parte, che non la- scerebbe di presentare col titolo: Saggio di Orittognosia Etnea e dei vulcani estinti della valle di Noto în Sicilia, pur non di meno richiedendo tal travaglio delle replicate osservazioni e la massima accuratezza , aggiunse che stimava opportuno per ora ragguagliar 1° Accademia con anticipazione e brevemente sopra qualche specie che nelle sue disamine gli era toccato in sorte di osservare da altri prima non rimarcata fra le roccie degli estinti vulcani o in altro luogo dell’ isola. Di eccitamento a tale fatica mostrò essergli stato il fervente desiderio dell’ Accademia di co- noscere quanto si rinviene d’ interessante nel nostro suolo in fatto di naturali ricchezze , ed il considerar quanto grato riuscir deve in precipuo modo a quei socii da cui la scienza mineralo- gica particolarmente professasi , l’osservare come nostre alcune di queste specie che con tanta attenzione e piacere si son vedute e studiate nelle varie collezioni come prodotti stranieri; non che l’altra considerazione che tuttora dopo le tante disamine di esteri valorosi le specie mineralogiche di queste contrade sconosciute ri- mangansi, riserbato essendo all'Accademia Gioenia il rinvenirvele ed illustrarle; a qual proposito fatto un cenno di qualche sco- verta in tal ramo eseguita dai socii attivi Carlo e Mario Gemel- laro e dall’ autore medesimo dopo quelle di cui siamo debitori a’ dotti stranieri, conchiuse che non dovrebbesi ormai più meri- tare l’ attribuitaci taccia di neghittosi. Tanto premesso, passò alla descrizione delle nuove specie inineralogiche da lui osservate come si è detto nelle lave dei vul- cani estinti del Val di Noto, e furon queste l’ analcime cubo- ottaedra e la trapezoidale , la nefalina nella sua forma primiti- va, la sodalite in piccoli dodecaedri, e finalmente la retinite, la cui esistenza nei nostri vulcani estinti toglie ogni dubbio sulla sua origine vulcanica , da taluni sinora negata. Seduta ordinaria del 20 dicembre 1827. — Si lesse una let- tera scritta dal sig. Direttore al Segretario generale , in cui enun- ciò il metodo da lui posto in opera per la coltivazione del riso secco cinese, che provar volle in una sua villa vicina a Catania, presentandone per saggio talune spighe, con riserbarsi infine d’ in- stituire in qualche altra seduta un confronto dell’utilità del riso 169 comune acquaiolo con quello cinese, onde defenire qual dei due dovrebbesi da noi coltivare a preferenza. Poscia fu letto dal socio attivo prof. Ignazio di Napoli un discorso scritto dallo stesso sig. Direttore sul quesito: Qual è il sistema metrico che si convenga all'Accademia d’ usare nelle sue scientifiche produzioni? Riflettendo giustamente l’Autore che se i travagli accademici render si, dovessero noti soltanto agli abitanti dell’isola, non dovrebbe cadere alcun dubbio sulla scelta del sistema metrico da usarsi, uno avendone la Sicilia redatto in forma legale, dalla cui osservanza negli usi civili della vita non può alcuno scostarsi per disposizione superiore , pure doven- do tali lavori oltrepassare il Faro e meritar l’attenzione de’dotti stranieri , il proposto dubbio risultava di una qualche impor- tanza, non dovendosi parlar loro di pesi e misure che affatto non conoscono, ciò che renderebbe inintelligibili e poco curate le nostre scientifiche produzioni. I voti che hanno formato i filosofi per una lingua universale , hanno avuto pur luogo per la redazione di un sistema metrico uniforme per tutto il mon- do civilizzato. Fra tutti i progetti a tal uopo innoltrati, pre- ferendo l’Autore quello adottato in Francia nel 1793, la cui ese- cuzione venne affidata al profondo sapere dei sigg. Mechain e Delambre , sistema oggi abbracciato dalla Francia non solo, ma accolto parimenti dagli uomini di lettere e da quasi tutte le ac- cademie del mondo, fra questo ed il siculo fecesi ad istituir quin- di un paragone , onde determinare qual dei due dovrebbe 1’Ac- cedemia adottare. Dopo una esatta e ragionata disamina , in cui fissati dapprima i pregi dei quali ogni bene inteso sistema deve andare adorno , ed esposti poscia i pregi edi difetti del francese e del siculo, non potè non dare la preferenza al primo per va- rie rilevanti ragioni. Esortando pertanto gli accademici a porre in opera tale adozione, credè opportuno presentare alcune ta- vole di riduzione fra le misure lineari, superficiali, e di capa- cità pegli aridi e pei liquidi, e fra i pesi e le monete dei due sistemi. Finalmente il socio ordinario dott. Carmelo Recupero pro- nunziò un suo discorso Sulla natura intima dei morbi e sulla loro essenza. In esso, esponendo con critico ragionamento quanto siano a reputarsi mal sicure e dubbiose le seduttrici teorie sì degli antichi che dei moderni, riconosce come principale sorgente del- l’ errore la insufficenza o meschinità del linguaggio, la di cui influenza nella medicina formar potrebbe a suo credere un’assai T. XXXIII. Marzo. 22 170 istruttiva e curiosa ricerca. Pieno di lodevole zelo fecesi pertanto a richiamare i medici alla pura e sobria osservazione della na- tura, ed a sperimento più .diligente ed esatto, onde ottenersi dei vantaggiosi progressi nella vera scienza della salute. Seduta ordinaria del 24 gennaio 1828. — Il socio ‘ordinario prof. Ferdinando Cosentini passò a far lettura di una sua me- moria col titolo: Colpo d’ occhio sulle piante dell’ Etna, e ne- cessità di un esatto catalogo delle stesse. Dopo aver dato una ra- pida descrizione delle tre regioni etnee , la piedemontana, la nemorosa e la discoperta , ed indicanti i principali monti, le valli e le pianure che vi si contengono , osservò come ricchis- sima d’innumerevoli ed interessanti piante sia principalmente la piedemontana , regione da lui spesse volte e con ogni diligen= za percorsa per l’ oggetto di compilare la tanto desiderata Flora Etnea, di cui promise frà breve il catalogo, presentando per ora alcuni cenni sopra le piante più rare. Il socio onorario prof. dot. Giuseppe Pizzo lesse in seguito la descrizione di un feto bicefalo settimestre nato in Malta nella città la Valletta , scritta e rimessa dal socio corripondente dott, Luigi Gravagna , il quale dopo aver fatto brevemente pa- rola della classificazione e della probabile origine de’ mostri , passò a descrivere con esattezza quello di cui si tratta, avente due colli e due teste quasi perfettamente simili, unico tron> co, alcuni degl’interni visceri raddoppiati, altri commisti, ed al- tri finalmente fuor di luogo. Seduta ordinaria del 28 febbraio 1828. — Il segretario sig. Carlo Gemellaro pronunziò una sua relazione di un feto uma- no anoftalmo. Nacque questo in Catania il 15 novembre 1827 e visse soli giorni sette , mancando interamente del bulbo de- gli occhi, dei nervi oftalmici , della sella turcica , e dei talami dei nervi ottici. L’autore con dotto anatomico-fisiologico ragio- namento si fece a dimostrare qual fosse in quel feto l’ origine della mancanza del bulbo dell’ occhio , che riconobbe nella de- ficienza del nervo ottico. Seduta ordinaria del 30 marzo 1828. — Si fece lettura della memoria del socio corrispondente Giuseppe de Nasca da Troina : Sugli agenti della circolazione nelle ultime estremità arteriose e dello stato dei vasi nelle parti infiammate , con cui , dopo lungo ragionare , pretese conchiudere essere le infiammazioni or ad esaltato eccitamento dovute , e talora a relativa minoranza delle azioni vitali dei vasi. . 171 Seduta ordinaria del 24 aprile 1828. — Il socio ordinario , dot. Carlo Gemellaro pronunziò una sua memoria sul confine marittimo dell’ Etna, che con ogni accuratezza descrisse ed il- lustrò , accompagnando il suo lavoro con una carta geologica di tal confine, che fra l'Onobola ed il Simeto comprendesi. è SCIENZE MORALI. Scuole di Reciproco insegnamento. La Società per la diffusione del metodo di reciproco insegna- mento ha tenuta in Firenze la sua annuale adunanza il dì 4 marzo corrente. Il Sopraintendente alle scuole vi lesse il suo rapporto sullo stato delle scuole di Firenze , tanto sotto l’ aspetto dell’ istru- zione, quanto sotto quello della disciplina e dell’ educazione morale. Le scuole di Firenze sono in una prospera situazione : il numero degli scolari nuovamente ammessi è più del doppio di quello degli usciti ; la frequenza è più costante , e il buon or- dine meglio osservato. Il Sopraintendente si è con ragione com- piaciuto di poter onorevolmente citare tre alunni dai 10 ai 12 anni, che hanno del proprio rivestito uno scolare nuovamente am- messo e miserabile. Questi tratti spontanei di compassione e di generosità rendono pur cara e stimabile la gioventù! La Società ha eletti ora i suoi nuovi officiali. Presidente della medesima è stato nominato il sig. avv. Leopoldo Pelli-Fabbroni, Vice-presidenti il sig. cav. Pr. Amerigo degli Albizzi ed il sig. duca di Casigliano, Tesoriere il sig. march. cav. Giuseppe Pucci. Nella suddetta adunanza dei 4 corr. fu stabilita l’apertura della nuova scuola , o sia il trasporto della scuola di S. Chiara in un nuovo e bellissimo locale posto in Via della Nunziatina. Questa solenne apertura ebbe realmente luogo nella mattina del dì 19 marzo ; e la funzione riuscì oltre modo commovente. Non sola- mente v’intervennero il sig. Gonfaloniere di Firenze e molte al- tre distinte persone, ma ben anco Monsign. Arcivescovo di Fi- renze. Questo rispettabile Prelato , apprezzando lo zelo di tutti coloro che cooperano alla religiosa e civile educazione della gio- ventù, celebrò la Messa nella cappella annessa alla nuova scuo- la, entrò in questa, ammise intorno a sè tutti quei buoni fan- ciulli, volle essere testimonio delle loro pratiche e della loro di- 172 sciplina, ascoltò i loro canti, e con un tuono di paterna bontà rivolse loro una amorevole esortazione. Quella religiosa funzione in,mezzo a un popolo innocente, quel Prelato venerabile attorniato da’fanciulli, e che per dar loro l’esempio dell’ordine si sottometteva quasi alle forme della loro disciplina ; i capi di quelle schiere infantili ( fanciulli essi medesimi ) che intimano silenzio perchè il primo Pastore sia udito , e tutta la scuola che si compone , tace ed ascolta ; quelle parole piene d’ unzione uscite da una bocca così autorevole , e dettate da quella sapienza che ama di rivelarsi ai piccoli ; un inno sacro cantato con bell’ accordo da un coro di voci così toccanti; tutta questa riunione di quel che ha di più commovente la Religione, e di più ingenuo una festa di famiglia , era uno spettacolo così solenne e sì caro che diffi- cilmente ‘si potevano rattenere le lagrime. La memoria di quella giornata non si scancellerà così presto dall’ animo di tutti gli astanti, e soprattutto dei membri della Società; e varrà pel cuore di que’ giovdnetti, quanto la. più efficace lezione di virtù. L’ esempio delle scuole della capitale fruttifica nelle provin- cie. Fra le scuole di reciproco insegnamento aperte qua e là per lo Stato era degna di lode una stabilita in Scansano nell’ Apri- le 1827, per le cure e sotto la vigilanza del benemerito signor Pietro Valle. I prosperi successi di questa scuola hanno eccitato ad adottare il medesimo metodo in una scuola di fanciulle eretta nel passato secolo da privata beneficenza, e aiutata da’ soccorsi della comunità. Le maestre di questa scuola iniziate dal signor Valle al nuovo modo d’ insegnamento, hanno in men di 3 mesi fatto mutar faccia a quello stabilimento , dove ora accorrono N.° 112 fanciulle, con quella spontanea e costante premura che annunzia il piacere preso dalla gioventù ad un ammaestramento non fastidioso , e il coraggio ispiratole da’ suoi rapidi progressi. Il magistrato di quella terra mosso da questi fatti luminosi ha risoluto di ridurre a scuola di reciproco insegnamento la scuola comunale , eleggendo una deputazione che la sorvegli ; e il sig. Valle, rinunziando alla ben legittima compiacenza di fondatore d’una scuola distinta, ba con bell'esempio risoluto di riunire la sua alla scuola della comunità , per ben indirizzarla e sostenerla con allievi già addestrati e capaci di guidar gli altri. Ecco cosa può e nella capitale e nella provincia lo zelo dei privati, quando lo spirito d’ associazione li riunisce , e un co- raggio disinteressato gli sprona. X. 17 3 Cassa di risparmio. I lettori dell’ Antologia, i quali hanno sicrramente applau- dito al voto espresso dai sigg. Compilatori del Giornale agrario toscano , in una lettera inserita nell’ Antologia , (vol. xxx1r. A. p- 149) intorno allo stabilimento d’ una Cassa di risparmio , sa- ranno ben lieti di sapere , che di questa salutare istituzione go- drà quanto prima la Toscana. Una privata società si è forma- ta a questo fine col beneplacito del governo ; e siamo assicura- ti, che saranno al più presto rese note al pubblico le disposi- zioni da lei prese per fondare in Firenze una Cassa di risparmio, che potrà avere delle diramazioni nei principali luoghi di pro- vincia. Tutti i buoni gioirauno al pensiero dei salutevoli effetti che è per produrre in Toscana questa saggia e benefica istitu- zione , che ha tanto influito sul ben essere e sulla morale del popolo dovunque essa ha presò radice. X. Scuola di geometria e meccanica pei manifattori. Lettera al Direttore dell’ Antologia. Sapendo quanto interesse Ella prenda a tutto ciò che può con- tribuire all’utile ed al decoro di questa nostra città, credo che non le riuscirà sgradevole il sapere che il sig. march. Luigi Tempi , fonda- tore della scuola di geometria e meccanica peri manifattori, ha in quest'anno voluto anche corredarla di modelli di solidi e di mac- chine , onde rendere più facile 1’ intelligenza del corso. Questo sussidio mancava alle lezioni date in passato ; ed altro non si è richiesto per indurre quel benemerito signore ad accordarlo , se non che il fargli sentire 1’ utilità della quale poteva essere al- l’intelligenza poco esercitata delle persone, cuni quest’insegnamento è destinato. Possessori adesso di una serie di N.° 24 modelli atti a dimostrare praticamente non tanto le geometriche proprietà dei corpi, quanto li effetti prodotti dagli organi elementari, dei quali sono composte le macchine , poco altro può restare a desiderar- si, perchè la nostra scuola si trovi collocata al pari delle mi- gliori altrove stabilite. A me non mancherà sicuramente lo zelo per corrispondere possibilmente con le mie forze alle filantropiche vedute del fon- datore ; e la buona volontà e 1’ assiduità, e direi quasi 1’ ardore 174 con cui non pochi dei nostri artefici hanno frequentata la scuo- la, non può che essere notabilmente incoraggito da questo nuo- vo e generoso incitamento. Non tanto adunque per sodisfare ad un obbligo della mia gratitudine verso il sig. marchese , quanto per l’ ultimo scopo; io le sarò obbligatissimo , se Ella vorrà pubblicare questa mia let- tera nel suo eccellente giornale. AntoNnIo Crocr. ——_————FF—_————mÈ—————_———mm@ rc" cromo NECROLOGIA. Co. Giacomo Filiasi. Il dì 17 di febbraio , cessò di vivere all’ età d’ oltre ottan- t anni il co. Giacomo Filiasi , nato in Venezia ; educato alle let= tere dall’ ab. Bordoni, e dall’ ab. Canossa di Lucca. Amico del dotto Boni, agostiniano, egli fece nella prima gioventù degna pro- va di sua dottrina nel Saggio sui Veneti Primi, opera lodata molto dal cav. Tiraboschi. Nel 1796, pubblicò in otto volumi le me- morie storiche sui Veneti primi e secondi, che poi ricorrette e ar- ricchite si ripubblicarono in Padova : dotto lavoro, commendato e citato dagli stranieri, e che del nome del co. Filiasi fece un nome italiano. Altre opere scrisse di vario argomento : una memoria sulle procelle che annualmente infestano le spiagge Venete ; una dis- sertazione sulle presenti vicende dell'atmosfera in Venezia, e ne” paesi vicini; un opuscolo sull’introduzione di varie piante esoti- che nelle venete provincie ; Ricerche storico-critiche sull’ oppor- tunità delle lagune venete per il commercio , ove tratta della grandezza antica del commercio veneziano; Riflessioni sulle la- gune e sui fiumi; Memoria sul celebre e prospero riuscimento del moro papirifero e del Rufoec nel Mantovano; altra sulla col- tivazione delle Mantovane colline; altra sulla coltivazione dell’al- to Mantovano ; mna dissertazione sulle vie romane che passa- vano per il territorio di Mantova ; altra snl diluvio universale; altra ancora sulle forme rotonde ; con molti articoli di giornale. Erudito modesto , letterato pacifico , cristiano di cuore, egli ne fu premiato dalla stima e dall’affetto dei suoi concittadini e degli esteri. Il governo veneto , il francese, 1’ austriaco gli a ffi- darono uffici onorevolissimi. Fu associato ai ch. Cicognara e Die- 175 do per raccogliere i patrii monumenti , e le cose d’ arte disperse nelle soppresse chiese e nei monasteri; ai cav. Franceschinis ed . all’ ab. Cicuto, per decidere sugl’importanti lavori di riparazione alle dighe che Venezia difendono dagl’ insulti dell’ Adriatico . Fu per nove anni direttore generale de’ ginnasii delle provincie Venete : dal quale incarico ottenne il chiesto riposo; e fu, nel- l’ ottenerlo , nominato cav. dell’ ord. Austriaco della Corona di Ferro. Venezia ha perduto un uomo dotto , e un buon cittadino . na Carlo Reisis. Il dì 17 di Gennaio mancò di vita in Venezia, nel fiore de- gli anni Carlo Reisig, prof. di letteratura antica nella università di Hala , valente filologo. Venuto a visitare l’Italia, egli vi la- sciò le sue ceneri: degno perciò doppiamente d’essere da un Gior- nale italiano commemorato e compianto. Nacque nell’ ultimo decennio del secolo scorso in Waissen- see piccola città della Turingia , parte allora del regno di Sas- sonia , or di quello di Prussia. Suo padre, medico, ma amantis- simo delle lettere greche (cosa in Germania non infrequente ) , gl’ insegnò gli elementi della lingua non solo ma ben anche dei metri: poi mandollo in un de’ pubblici ginnasi, già soggiorno de’monaci , e ch’ ora servono al gratuito albergo de’ giovani stu- diosi. Rosslabia , luogo amenissimo sulle rive dell’ Unstrutt , e capace di settanta allievi, rinomato per la bontà delle sue isti- tuzioni , accolse il giovine Carlo. I progressi di lui , specialmente nel Greco , gli meritarono la stima degli stessi maestri: e la sua vocazione era già decisa, quand’ egli si recò a Lipsia, sede chia- rissima della filologia. Gareggiano in Germania due scuole di filologi: dell’una lo scopo è l’investigazione delle regole della lingua e la intelli- genza piena degli scrittori ; l’ altra abbraccia la notizia de’ co- stumi morali e politici de’ popoli antichi , senza però trascu- rare nè l’ una nè l’altra gli studii i quali son proprii dell’emu- la. Della prima il capo è , forse, Hermann, filologo acuto , versatissimo ne’drammatici greci, a’quali restituì il metro, e non di rado il senso ; investigatore felicissimo delle regole grammati- cali, e de’principii filosofici che a quelle son base : co’suoi sco- lari benigno , con gli emuli acerrimo . Sotto il costui vessillo si ridusse il nostro Reisig: ma non già per servilmente ripetere i 176 dettati del maestro , sì piuttosto per afferrare il metodo, appli- carlo alle sue mire, e così migliorarlo. Sviluppò in que’primordii dell’ età un’ indole focosa ; nè fu, a dir vero, esente del tutto da- gli errori giovanili; pubblicò , disprezzando i lavori altrui, certe annotazioni all’ Economico di Senofonte, da non si poter perdo- nare che ad un giovane di diciott’anni. In Gottinga, ove si fermò qualche tempo, fece spese sì forti, che poi ricordandosi de’ da- nari vanamente dissipati, ebbe ad esclamare: Gottinga , redde legiones. Dimostrò in questi tempi disposizioni più belliche che civili. Armatasi la Germania contro i Francesi, impugnò le armi an- ch’ egli ; e nella squadra eletta , composta de’ giovani Turingi e Sassoni , fu sergente con lode. Non combattè ; perchè soprav- venne la pace; ma corse un pericolo, che lasciò profonda im- pressione nell’ animo suo. Arrivato il suo battaglione alle sponde del Meno , e non v’ essendo ponte , impazienti i soldati di pas- sarlo a pochi a pochi sopra una grossa barcaccia , vi si gettano in folla. Vi si gitta anche il nostro sergente; ma veduto il le- gno già troppo pieno si salva in un battelletto ; la barcaccia , giunta al mezzo del fiume , pel peso insolito , affonda. La festa fattagli da’ compagni al vederlo fuor di speranza salvo , gli fece sentire ch’ egli era amato. Stabilita la pace, ritornò Carlo a Lipsia: ritornò più maturo d’anni e di mente. Viveva con pochi, tutto dato agli studi, spe- cialmente a’drammatici greci. Pubblicò quindi in varii anni Cor- jectanea in Aristophanis Nubes-Sophoclis Edip. Colon. cum enar- ret et comment. Crit.; libri pieni di osservazioni finissime e nuo- ve sui metri e sulla grammatica greca. Nelle università di Iena e di Hala, recitò, fatto professore, lezioni utili e dotte. Ebbe dapprima pochi uditori ; per accrescerne il numero, ingrandì i proprii studi, abbracciò varii rami della scienza dell’ antichità; approfondì lo studio della grammatica latina, a quel tempo nelle università di Germania negletto; venne quindi alle antichità Romane, e nella topografia specialmente delle città fece indagini minutissime. Il suo uditorio crebbe ; e in un paese ove questi studi fioriscono , la gioventù tutta volle ascoltarlo. Crebbero allora le cure del Reisig. A lui fu affidato l’esame de’ giovani che aspirano ad impieghi scolastici ; a lui gli articoli di letteratura antica nel Giornale letterario istituito a que’tempi nella città. Quindi la sua robusta salute cominciò a indebolire , II e tendere all’ipocondria. Sì per isvagarsi, e sì per avverare sopra luogo le notizie lasciate da Ateneo e da Pausania , intraprese , aiutato dalla munificenza del governo Prussiano , un viaggio in Italia. Sventurato ! Pensò di poter ritornare, pago e robusto , ricco di nuove scoperte , a godere ancora molti anni nella sua patria la vita e la fama; venne a Venezia, ammalò , e morì! Ingegno che molto prometteva alla scienza : cuore candido , sem- plice , forte, animoso! In Venezia egli avea già trovato ammi- ratori della sua dottrina e della sua prontezza in parlare il la- tino ed il greco antico , amatori della sua schietta bontà. Fu seppellito nell’ isola di S. Cristoforo. Accompagnarono il suo cadavere pochi, ma sinceramente dolenti; fra’ quali Andrea Mustoxidi. Fu onorata di compianto la sua sepoltura: ma quanti lo piangeranno in Germania ! R. T. XXXIII. Marzo. 23 178 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). Marzo TOSCANA. Storia antica e romana di Carto RotLin , pritna edizione italiama, cor- redata delle osservazioni e degli schia rirent. storici del sig Letronne. F- renze, 1829 | G. Galletti , 8.° To- mi iXa XIL Epipo RE, tragedia di SiLvestRo CentoranTI. Firenze, 1829, tip. For- migli 8.° Etocio dell’ avv. Giuseppe ALE-sAN- pRI, già prof. di Pandette nell’ uni- versità di Siena, detto nelle solenni esequie che gli tributarono i suoi sco- lari la mattina del 21 febbraio 1829, nella chiesa di S. Vigilio, dal prof. Francescantonio Mori. Siena , 1829 , Onorato Porri. 8° IconoGRAFIA contemporanea , Oovve- 1829. ro collezione di ritratti dei più ce- lebri personaggi d’Italia, accompagnata da notizie biografiche, letterarie e cro- nologiche. Mirenze , 1829 , tip. Pez- zati , presso il sig. Francesco VENDRA- MINI incisore, fascicolo 2.° Ritratto del sig. cav. P. BENVENUTI. Due PROSE GIOCOSE , cioè cicalata in lode della polenda , e novelle intito- late M. Teofilo dall’Improneta , serit- ta da messer Brunone da Sassimagno- li. Firenze , 1829, St. Birindelli. Fasti e vicende di guerra dei po- poli italiani dal 1801 al 1815, o me- morie di un uffizisle italiano , per servire alla storia d’Italia nel suddet- to periodo» Italia , 1829. Vol I prezzo per gli associati lire 3, peri non associati lir. 4. La Discorsi e orazioni del prof, Grus. BarziERI da Bassano. Firenze, 1828, (*) I giudizi letterari , dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati du’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi $ siano come unnunzi di opere. Il Drrerrore DELL’ Anrorogia rammenta a'sigg. Liùrai , ed a'respettivi Autori e Editori di opere italiane, che le inserzioni di annunzi tipografici, nel presente hullettino, non possono avervi luogo che previo l invio di unu copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti da inserirsi per in- tiero, 0 di qualunque altro auviso tipografico , mediante il pagamento di soldi due per ogni riga del medesimo Bullettino, Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’ Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenersi se- condo il numero de' fogli. tip. Chiari. Vol. III della raccolta delle sue opere. 12.° di p. 220: prezzo paoli 4» B:BLIOTECA PORTATILE del viaggiato- re: Firenze, 1829, Passigli, Bor ghi ec. fascicolo IV, Rime di Fran- cesco PETRARCA con ritratto, e vignetta. IL compenpio della storia greca del dot. GoLpsMitH, recato in italiano dal P. Francesco ViLLARDI min, conv’ nuova edizione , arricchita di correzio- ni ed aggiunte importantissime. Fi renze , 1828 , G. Veroli ec. succes- sori di G. Molini. Vol, di p. 328, prezzo paoli 4. Quaresimate del P. Paoro SeGnERI della compagnia di Gesù. Firenze, 1829 . L. Ciardetti. 8° Tomo I prezzo paoli 5. REGNO LOMBARDO VENETO. Lisro DI Caro, otre volgarizzamenti del libro di Catone de’ costumi , due pubblicati ora per la prima volta, l’al- tro ridotto a miglior lezione con note e con indici delle voci più notabili ; testi del buon secolo della lingua. Mî- lano , 1329, A. F. Stella e figli, 8.° di p. 200. Trattato di chimica applicata alle arti, del sig. Dumas. Milano, 1829, A. F Stella e figli. in 8° Vol. 1, Dispensa 1.a Su Lo stATo fisico intellettuale e morale , su l'istruzione e i diritti le- gali dei sordi e muti, con alcuni cen- ni sulla cura e guarigione della Sordi- tà; e progetto di un corso normale di lezioni ad uso di chiunque voglia occuparsi nella educazione dei sordo- muti , dell’ ab. Giuseppe BaGUuTTI di- rettore dell’I, e R. !stituto dei sordo- muti in Milano. Dedicato a S. E. il sig. conte Giuliano Strasoldo. IMila- no, 1828, Società tip. de’ classici italiani. ATTI della distribuzione dei premii d’ industria fattisi nel dì 4 ottobre 1828, onomastico di S. M. I. R. da S. E. il sig. coote di StRasot- Do, presidente dell’I. R. Governo della Lombardia ec. ec. con analogo tg discorso del sig. ab, D- AnceLo Ce- SARI, primo astronomo dell’ 1. fi. os- seryatorio, dirett. dille d e classi del- I e R. Istituto ec. Milano, 1828, I. R. Stamperia 8° di p. 95. ErremeRIDI astronomiche di Mila- no per l’anvo 1829, calcolate da Ew- Rico BRAMBILLA , con appendice di os- servazioni e memorie astronomiche. Milano, 1828 , I. R. Stamperia. BiocraFIA universale antica e mo, derna ec. Venezia, 1829, G. B. Missiaglia. Vo'ume 50. (SA). SuLLA milizia costantiniana; me- moria. storica del conte FoLcBino Scmzzi, cav, del S. A. I. ordine Co- stantiniano di San Giorgio di Par- ma , ec, Milano, 1828, G* Truffi. 4.° di p., 4o con 2 tavole. STATI SARDI, Quattro novelle narrate da un maestro di Scuola. Torino , 1829, per Gius. Pomba. 8.° di p. 208. Prezzo 1. 3 it IL castELLO di Bopinco maco diverso dalla città d’ industria , lezione accade- mica del prol, Costanzo GazzeRa, s0- cio e segretario aggiuuto della R. ac- cademia delle scienze, Torino , 1829 , St. Reale in 4° di p. 32. STATI PONTIFICI. OPERE italiane edite ed inedite di monsignor BernarDIiNo BaLpr da Ur- bino. Urbino , 1829, Vincenzo Guer- rini. Manifesto di associazione. REGNO DELLE DUE SICILIE. IL ressroso' di Aosta del sig, cav. conte Saverio DE Meistre fatto di fran- cese italiano» Seconda edizione, Na- poli , 1829, St. francese. Versione di Carro Mete: Sposizione dei principii d’economia politica del dottor dì legge Icna- zio San Fiuippo , professore di tale 180 scienza nella reale università degli stn- di di Palermo. Palermo, 1828, presso la Reale Stamperia. 8° volume I e II DUCATO DI MODENA. SuLra LEGGE delle variazioni orarie del Barometro, memoria di FRANCESCO Cartini , inserita nel tomo XX delle memorie della società italiana delle scienze , residente in Modena. Mode na , 1828, tip. Carmelo. 4.° di p. 60 con tavole, At cavatiere Leopotpo NogitI nel suo ritorno dalla Francia e dall’ In- gbilterra , ep:sto!a in versi del dott. ALESsannRO PucLiA ec. Reggio, 1829 tip. Torriggia ec. DUCATO DI LUCCA. BarroLommae1 BrveRINII anvalium ab origine lucensis Urbis. Lucae, 1829; Typis Francisci Bertini» Vol. I. 8.° di p- XLV e 404. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL’ ESTERO. Raccuacni intorno ad Uco Foscoro. Lugano , 1829, G. Ruggia. ec- ALCUNI SCRITTI e dettati inediti di Uco Foscoro. Lugano, 1829, G Ruggia ec, 18€ INDICE DIRI: MATERIE CONTENUTE NEL VOL. TRIGESIMOTERZO. SCIENZE MORALI , POLITICHE ED ECONOMICHE. bio storico dell’ antica Grecia , dell’abate Onorato Olcese. — Istoria della letteratura greca profana di F. Schoell.— Collana degli antichi storici greci vol- garizzati. — Bibl. greca volgarizzata. (K. X. Y.) A. Pag. 3 Storia del Diritto Romano nel medio evo , di F. Carlo dei Savigny. — Art. II. (P. Capei) ,, Famiglie celebri italiane, del Co. Litta. (F. Forti) ,, Costantinopoli e il Bosforo di Tracia , Opera del Gen. Andreossy. (G. P.).3) Storia de’ francesi, del sig. Sismondi. Art. V. (F. Forti) B Discorsi sulla Storia Veneta del sig. Daru, del Conte D. Tiepolo. (Ki TgsF) 55 Società istituita a Livorno pel mutuo insegnamento. (E. Mayer) ,» Corso di Storia moderna del sig. Guizot. (F. Forti) G Bilancia politica del Globo , di A. Balbi. (G. P.) »; Istituzioni civili di Giacomo Bandiera , colle note del- l'Avv. V. Busatti. (F. Forti) ,, Annali d’Italia dal 1550 al 1819, del Coppi, sec. ed. ,, Sullo stato, e i diritti legali de’ sordo-muti , dell’ Ab. G. Bagutti. (P. T. Pendola delle Scuole Pie) ,, Istituzioni logico-metafisiche , del prof, G. Lusverti. (RR Hi 35 23 bb) 23 bb) v)) 20 49 74 113 I2I 128 182 Scuole di reciproco insegnamento in Toscana. (X.) G Pag. Cassa di risparmio in Firenze. (X.) » Scuola di geometria e meccanica pei manifattori in Fi- renze. (A. Cioci) ,, GEOGRAFIA, STATISTICA £ VIAGGI SCIENTIFICI. Dubitazioni e conghietture intorno a Tombuctù. (Cav. Graeberg d’ Hemsò) A Atlante geografico , fisico e storic. della Toscana , del Dott. Znccagni. (E. Repetti) ,, Spedizione del Cap. Bechey. » Passeggiata nel Wurtemberg. : (E. Mayer) B Viaggio del Cap. d’Urville. Monumento a Lapeyrouse.,, Spedizione scientifica in Grecia. bbl Viaggio in Turchia del Dott. Valsh. (K. X. Y.)G ARCHEOLOGIA. Dichiarazione degli antichi marmi modenesi. (G. B. Z.) B Scavi fatti nelle vicinanze di Orbetello. (G. B. Thaon) ,» 23 23 23 LETTERATURA , FiLoLOGIA, CRITICA LETTERARIA ; EC. Corso di letteratura francese, di Villemain. Art. I.(M.) A Art. II B Art. III. G Grammatica ragionata della lingna italiana , di GC. A. Vanzon. (KoXi YA Storia dei Longobardi di Paolo Diacono, trad. dal prof. Viviani. 342% Petrarca, Giulio Celso e Boccaccio , illustraz. biblio- logica, ec. di D. Rossetti. di, Orazione per le esequie del dott. G. P. Zabeo, del dott. A. Valbusa. +» Toscani illustri in Ragusa, di Tommaso Chersa. pet Memoriale di fr. Gio. da Camerino ; ed. M. Leopardi. ;; 3; Le due sorelle di Nansfield. Storia Morale. (P.}93; Acratiologia , ec. dell’ab. cav. G. Panvino. (D. E. B.) »» Lettera I.* Intorno ad alcuni codici della libreria del march. L. Tempi. (DE 22 23 23 169 I7I 171 123 157 182 30 163 167 44 126 138 183 Poesie di Mario Pieri corcirese. (K. X. Y.) BPag. 98 Biografia universale antica e moderna , di Missiaglia. 3; ;) » 109 L’Aguzza ingegno , almanacco. Voci e modi toscani , raccolti da Vittorio Alfieri. Dell’ origine de’ cognomi. — Notizie di Filiberto di Pingone. — Lezioni sopra un sonetto di Dante , di Luigi Cibrario: 34, > 314 Iconografia moderna; di F. “LR ii da TEO Ode in memoria di Niccolò Demidoff , di A. Consani. > 33 >> 117 Opere d’Aless. Manzoni ; ed. del Batelli. or Adpinaò Saggio di rime di 4 poeti del secolo XIV. — Vita di Martino Arcivescovo Bracarense. — Racconti di Benvenuto Cellini, per la prima volta pubblicati. — Discorsi di G. Gradenigo. — Lettere di nobili Veneziani illustri. 99 39 39 122 Rivista Dantesca. (T. IT.) G Volg. ined. di Cicerone pubbl. da G. Olivieri. (D. S.) 3)» 109 Il Dissoluto geloso, Commedia di A. Zannolini. (M.) »; 33 33 39 III 3) 99 29 113 UTI Compendio di storia greca del Goldsmith , trad. da F. Villardi. (F. Forti) ) 3) 114 Commedie di Alberto Nota. Vol. IV. (Ep33: 51015 Iscrizioni veneziane raccolte ed illustrate da E. A. Ci- cogna. (K-X.Y.}s 55 199 Opere scelte di Agostino e Gio. Paradisi. sar pr 96 I Martiri di Chateaubriand. . Re Quattro novelle narrate da un maestro di scuola. (P.F. S) x >, 143 SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Bullett. scientif. Gennaio 1829. A ,, 166 » » Febbraio B_,, 142 B5) ” Marzo C ,, 147 Fisica e chimica. n Gennaio A: 33.167 »» >» Febbraio B ,, 143 55 # Marzo G 5,159 Geologia. sf Febbraio B 3,107 Mineralogia » Di PRO co SCIENZE MEDICHE. Istromento litontriptico del sig. Zanobi Pecchioli. A ,, 181 184 Lettera annunziatrice di concordia nella repubblica Medica. i (C. D. Paoli) B Pag. 128 SocIETÀ SCIENTIFICHE E LETTERARIE. I. e R. Accademia della Crusca. Ago 184 I. e R. Accad. de’Georgofili. Ad. del 4 Gennaio 1829. 3, 3 184 » 5h 1 Febbraio B_,, 168 " Bi 8 Marzo G ,, 160 Società medico-fiorentina. Ad. del 14 Novembre 1828. B ,, 170 55 9 91 Dicembre GC ,, 169 R. Accademia delle scienze di Torino. sora 264 R. Società agraria di Torino. 39 3 166 Accademia Gioenia in Catania. » 39 167 BrocrAFIA, NECcROLOGIA. Ippolito Pindemonte. (Mario Pieri) B_,, 79 Melchiorre Gioia. (F. Forti) ,; >) 173 Co. Giacomo Filiasi. (K. X.Y.) G ,, 174 Carlo Reisig. (R.) > > 179 Fine del Vol. XXXIII. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE PATTE NELL’'OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. MARZO 1829. lesi l'ermom du Hi > i n) = ZA “6 3 3 Lea IR RRÌ <> 7) IU"! > x ; S| Ora 3 5 ‘(alls js 3 88 Stato del cielo 3 o EA Di pi da" "00 a $ | ° 2 E, 5 igloo Lat] ort 220 Lp a A editi? + REA RI EE Nr SL ERI VE Rari PO ol en 7.mat. (27. g,1 | 5,0 | 2.0! 75 | :Gr. Tr.' Nuvolo Vento imp. 1| mezzog. |27. 9,2 | 5,3 | 4,9! 49 Tram. Nuvolo Vento imp. Fiséra |27. 9;9./»5,2 |.5;2' 78 Greco Nuvo'o Vento | 7 mat. (27. 10,6 | 5,3 | 4,0 | 97 | 0,03/Greco Nuvolo Ventic. 2! mezzog. |27. 12,3 | 5,6 | 7,0| 78 Greco ,Ser.nuv. Calma ri sera |27. 1r,3.{ 6,0 | 6,0 | 80 | Greco Nuvolo Calma 7 mat. |27: 10,9 | 6,0 | 5,0 80° (Tram, {Nuvolo Calma 3| mezzog. |27. 1t,3 | 6,4 | 7,0| 75 Tram. |Nuvolo Vento ri sera |27. 11,7 | 6,01 4,90 | 89 Lev. |Sereno Calma 7 mat. |27. 11,7 | 5,0 | 2,0| 92 Sc. Le. -Sarel Calma | 4| mezzog. |27. 11,9 | 59 | 7,3] 62 Ostro 'Sereno Ventic. Ir sera |27. 11,2; 7,0 5.5 | 89 Scir. ‘Ser. neb. Ventic 7 mat. D PIA | 6,5 | 3,5 | 92 Lev. .Ser. neb. Ventie. 5| mezzog. 11,0 | 7,2] 8,3| 64 Tr. Gr. Nuvolo Vento forte | ri sera 11,0 | 6,5 | 5,5 | 68 Gr. Le. Sereno Vento forte x 7 mat. E "Te 6,0 | 4,5 | 68 Tram. {Nnv. neb. Vento imp. 6) mezzog. (27. 10,7 | 6,5 | 8,7 | 60 Tram. {Nuv. neb. Vento _| st sera |27. 10,5 | 5,9 | 4,0 | 51 Tr. Gr.{Ser. con neb. Vento 7 mat. |37. 10,5 | 5,5 | 4,0 | 59 | Tram. {Sereno Vento 7| mezzog. |27 10,6 | 6,2 | 8,6 | 47! Tr. M.|Sereno Vento 11 sera |27. 10,7 { 7,0 | 44 | 72 | Scir. {Sereno __ Calma [oo] Termom. | + le, > | © 3 #| 5,8 È Ora 3 3 7 a SE Stato del cielo = ua [al [e] 3 5| #] 8 | o 7 mat. 27. 1t,0 | 6,5 | 2,7| 86 Scir. |Nuv. neb. Ventic. 8 mezzog. 27 11,3 | 6,5 7,7 | 66 Lev. |Nuv. neb. Vento 11 sera ‘27. 11,4 | 6,2 | 6,0! 97 | 0,06 Scir. |Pioviggine Calma 7 mat. :27. 11,2 | 6,2 | 5;2 98: 0,35 Maestr. Navolo Calma 9| mezzog. 27. 10,1 | 6,8 | gg | 86 ‘Lev. Nuvolo Ventic. 11 sera ‘27. 9,3 | 7,3 | 8,0] 98 Tram. Nuvolo Calma Perini n DBA esi I fu Boi Me re O | 7 mat. (27. 7,6, 7,2; 7,2. 94. 0,02 Greco |Nuvolo Ventic. 10 mezzog. 27. 7,1 | 8,1 [10,6 73 | ‘Greco |Nuvolo Ventic. trsera ;27. 7,1 | 8,0 |] 7,0 83 ‘ 0,06 Tram. [Sereno Calma | {7mat. J27. 881 na 5,0 na Tram. {Sereno Ventic. ;HI} mezzog: 27. 94 | 7,6 | 8,51 52 Greco |Sereno Vento | 11 sera |27. 10,3 | 8,0 5,0 | 56 | [Lev. Sereno Ventic I 7mat. |27. 11,0 } 7,1 | 3,0] 79 |Scir. {Sereno Calma 12° mezzog.|27. 11.1 | 7,2 | 9,0 | 52 Maestr.'Ser. con neb. Ventic Jr sera |27. 11,1 }f 8,5 | 8,0] 85 Os. Sc.'Nuvolo Calma | 7 mat. |27. 11,4 | 8,5 7,0 80 | |Scir. | Nuvolo Ventic-| (13 mezzog. |27. 11,4 | 8,5 |10,4 | 80 ‘Scir. !Nuvolo Veotic. ; si sera |27. 19,5 | 9,5 | 9,5 | 92 | 0,05 Scir. 'Nuvolo Calma 7 mat. |27. 10,0 | 8,8 | 9,2| 97 {Ostro {Nuv. ser. Calma 14 mezzog.!27. 9,9 | 9,3 [12,3 | 76 Lib. |Ser.nuv. Vento (I sera 27. 9,9 | 9,8 |10,0| 88 Lib. |Nuvolo Calma ! 7 mat. |a7. 9,10 | 9,9 | 91 90 Ostro |Nuvolo Calia | 15° mezzog.|27. ro,t [10,2 [12,8 | 74 Ponen*|Nuvolo Calma | HI sera |27. 10,1 }10,5 |10,0] 78 !Scir. |Nuvolo Calma 7 mat. 127. 8,9 {10,5 8,9] 95 | 0,14/Sc. Lei [Pioggia Ventic. 16 mezzog. 27. 7,5 {10,4 | 9,8| 90 | 0,21|Gr. Le. Nuvolo Calma 15 sera |27. 7,7 | 92* | 7,0 4 0,37 |Tram. 'Nuvolo Calma 7 mat. 27: 79 90 ' 7,0 95. Tram. | Nuvolo Vento 17 mezzog.:|27. 7,9 | 9.4 |10,7 | 83 Tram. ‘Nuvolo Vento vrisera 127.,)7,3,1 8.8 |.z,o | 85 Greco Ser, nuv. Ventic, —_—s__————___————————__—.m—mt.@—@——@@rt@—@1@tr@—@t1t@—@——@—@—@—@—@—@—1——@—@—@—@—@—@—@@r@@r1@r@@—60’0‘\@’"\cu91ru.u spe 7 mat. |27. 94 | 8,5 | 5,8; 94 Greco |Sereno Ventic., 18 mezzog.|27. 10,9 | 8.9 [10,8 74 Tr. M.!Ser. neb. Calma ir sera 27. 11,8. 94 ( 8,5! 85 Gr, Tr. |Sereno Calma 7 mat. 28. 99 | 94 5,5 | 95 Pe Le. Sereno Ventic. 19| mezzog.:28. 1,1 | 9,8 |11,0 | 79 Lib. |Sereno Ventie. EPSCrA (3600 150° 1030 | 8,3 097 ‘Ponen. Sereno Calma e TTT ZE lO *O—n)*l)]0]nl1kt | | vw |Termom.j = e > D Da © 35 Q E; 3 tr (Sì) a < acli! | Ora 3 BIO a en Stato del cielo E. Mi dla I CR 7 mat. 128. 1,t {10,1 | 6,1 | 97 lostro Nebbia folta Ventic. 20) mezzog. |28. 1,7 [10,3 | 9,8 | 95 Maestr.|Ser, neb. Ventic 11 sera |28, 1,9 |10,2 | giost 87 Po. Li.|Ser. con neb. Calwa i 7 mat. 28. 1 1,9 |:0,0 | 7,0] 97 Lib. {Ser.con neb. Ventic ‘21 mezzog. |28. 1,8 10,4 [12,5 | 50 |Poven. |Ser. ragn. Ventie ri sera |28. 1,3 [11,2 | 9,5| 97 |Lib. Ser. neb. Calma . | 7 mat. (28. 0,9 {11,0 ! 7,5 | 97 Ostro |Nuv. neb Calma 122 mezzog. (28. 1,1 (i1,1 |10,0| 90 Lib. |Nuvolo Ventie. It sera |27. 11,3 LIE 3 10,9 85 Lib. |Nuvolo G.lma 7 mat. [27 10,4 |11,5 8,5 95 Ostro |Nuvolo Calma 23|mezzog. |27. 10,4 11,5 9,7 | 94 ‘Tr. Gr. Nuvolo Ventic. ; 11 sera |27. 10,0 |10,9 | g,1 | 98 | 0,06[Lev. Piovoso Calma | 7 mat. Ka 10,0 [10,7 | 89| 97 | 0,01 Lib. Nebbia Calma 24 mezzog. 10,3 [10,9 |11,9 | 84 Ponen. ! Ser. con nuv. Ventic Il sera sr. 10,3 {11,2 {10,0 | 92 Lib. |Nnvolo Calma m mat. |27. 10,2 [11,1 | 0;5 1799 —— |Ostro |Nuvolo Calma 25 mezzog. 27. 10,0 [11,7 I 10.4 75 | 0,02] Os. PE Navale Galma | 11 sera :27. 10,1 {11,2 | 9,4 | 96 | 0,51, Greco !Pioggia Calma | 7 mat. j27. g,1 |11,0 , 9,0. g6 | 0,07[Gr. Le.|Nuvolo Ventic. 26 mezzog. |27. 9,2 [11,3 12,3 | 80 Po. M.|Nuvolo Calma | ri sera |27. 92 1159 10,1: 82 Tr. "i Nuvolo Calma 7 mat. 27. 93 [11,0 10,0 72 | Tram. {Ser. nuv. - Vento 27\mezzog. |27. 10,0 |tI,3 (07 43 Tr. M.|Ser. nuv. Ventie. | 1t sera |[27. 10,6 [11,5 | 9,3 | gi | Tram. {Sereno Ventic. I | 7 mat. |27. 10,9 |11,3 | o,1|92 Scir. Ser. con neb. Vento ‘28 mezzog. !27. 11,2 |t1,7 |13,0 | 67 Ponen. |Nuvolcuso Ventic. | | xi sera |27. 11,1 |12,5 |t1,1| 81 Lib Se. con nuv. Ventie Î 7 mat. |29. 9,7 |12,2 [10,1 | 97 | 0,06 Ostro |Nuvolo Vento \29 mezzog. |27. 7.8 (12,4 tr,7 | 85 Sc. Le-|Nuvolo Vento forte 1t sera |27. 5,6 12,0 |rr,o | 80 | 0,30/Ostro |Nuvolo Ventic. 7 mat. [27. 4,6 |t1,0 | 9,4 | 96 |o,12|Ostro Pioggia Vento ‘30 mezzog. |27. 4,5 |ti,4 [10,9 94 | 0,22|Tram. |Pioggia Calma 1t sera [27. 5,0 5,0 |11,0 | 9,4 { 96 [0,14[Ostro |Nuvolo Calma 7 mat. _|27- papa 3 |t1,0 9 88 | o,24|Lev. |Nuvolo Vento 31 mersosi 5127. 3,95 |10,7 | g,1 | 96 | 0,57|G". Le.|Pioggia Ventie 1t sera |27. 3,3 {10,2 | 90 | 97 |Jo,42|Lib. INuvolo Ventic h A ù "- siipliemtone ET Amico jp iTtor ftt ni $ dio: Adam, puri LEPENT so r atto pra A ti e) > OT ui Abs dtd M ati Vit eta) Gigi dA! p 128. — “Cicogna, | Iscrizioni veneziane DIO Paradisi, Opere scelte, p- 138: . — Chateaubriand, 1 Martiri. volg.; pi Ido. — RT; ‘novelle di un Maestro di scuola ; p..143.. ® vi 2A PoLrertINO scIENTEFICO. Meteorologia , p. 146. —_ ;; Pistea e chimi= D ca; pi 153. — Società scientifiche; p. 160, — Scuole di reciproco. | insegnamento ; p. 170. — Cassa. di: risparmio 3 p.173.— Scuola di geometria e maccanica } p. 193. ; i S Nrcrotocia. = Conte Filiasi; p: 104 — Carlo Roig : a ts. Bullettino bibliografico. Tavole meteorologiche. Pi Ud a 2, e Tata fi nei n % be ;% | Ù , ‘ i “vs & ra i: Ap A È Tr. 19 Di Pal atri 7a 0° gd Boa -" “i ana #» si ue, i dae. ’ 5 ’ Vl” * } s*% so A mei t ì 3 Ai Da ita e III 3 sea Da Pv ra