nta TOT Le dti. LE EA a EC Pt Di) d PigReIMosi TITO, PAR DI ti Raziel ANTOLOGIA GENNAIO, FEBBRAIO, MARZO 1630. TOMO TRIGESIMOSETTIMO. FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE. TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXAXX. nia AO AO s vistntraa Ù 00191THA1ÎZ amaeau iv di mdorraa” a anom i riot mesiaa. Le pu pe: Ud yR RADIR A ANTOLOGIA N° 409. Gennaro rido: I=ea___ . Du Courage civil;.et de ’éducation propre à inspirerles vertus publiques ; par Hvactwrare Corns- Conseiller: Auditeur ‘è ‘la cor Royale de Dowaix + Paris: 1828 ; in 8.° pag: 262. uno e QUOIRAS di libro che annunziamo quando. per) sè .stesso;-mon. fosse degno di molta lode , sarebbe pur sempre meritevole di;attenzione come, opera. premiata dalla soczetà. della. morale cristiana, però che gli atti di una società, composta: degli uomini più,notevoli sul continente 0 per. opere di lettere oper civili. virtù;| vogliono essere attentamente considerati da quelli. cui sta»:a cuore l’anda- mento della presente civiltà, Ed in vero la società della: morale cristiana comecchè per il titolo paia istituzione religiosa, di fatti è, una di quelle associazioni civili che meglio intendono lo spi- rito del secolo e maggiormente si adoperano perl’ avanzamento morale. dei. popoli... Conciossiachè lasciando ad altri la briga di trattare le quistioni dommatiche ; raccoglie nel proprio seno gli individui, di tutte le communioni cristiane desiderosi del pubbli- co bene , e propone premi diretti a promuovere l’ istruzione ; la moralità , e 1’ agiatezza del popolo. Penetrata .di uno spirito di illuminata carità essa stima. che a voler migliorare i costnmi con- 4 , vien conoscere le cagioni del vizio : così che migliorando le con- dizioni del privato ben essere, crescendo il rispetto per la dignità dell’ umana natura, diffondendo in ogni sorta di persone il senso del retto e dell’onesto, ne abbia a seguire l’effetto di un nota- bile accrescimento di morale pubblica e. domestica. Figlia affe- zionatissima degli ordini politici coi quali si regge al presente la Francia , intende la società della morale cristiana a procurare che i beni promessi dalla legge dello stato si riducano all’atto, e che i cittadini crescano in tal condizione morale da saper difendere il presente ed adoperarsi pel miglioramento avvenire. Per la di- fesa del presente pare che basti la ragione dell’ interesse a far sicuri da una totale rovina. Ma a volere che le istituzioni sociali non perdan di credito nel concetto dell’ùniversale fa mestieri che si vadano gradatamente perfezionando , e che il popolo solito a giudicare delle cose dagli effetti ne senta ogni giorno la benigna influenza. Disgraziatamente le cose non sono ancora a tal segno in Francia che si possa pacificamente godere, senza che costi as- sai al cittadino la tutela de’ propri diritti. Contuttociò una ge- nerale inclinazione al quieto vivere nelle domestiche mura, il de- siderio de’ favori che son spesso prezzo di transazioni nelle quali perde la coscienza, sembran fino dai tempi dell'impero aver gua- dagnato.gli animi di molti francesi. Si vedono invero, quando la somma delle cose è in, pericolo, de’ movimenti generosi ne’ quali si spiega tutta la forza dell’ opinione, e bisogna dirlo a lode dei francesi, qualunque atto che,dimostri forza d’animo superiore alla corruzione, ottiene premio di gloria da far beato chi segue virtù. Nulladimeno il pacifico: godimento de’beni materiali della vîta si antepone quasi sempre alla ‘beatitudine della virtù, che è propr'a solo dell’ anime generose. Il che cresce le forze de’ nemici del bene , ed ‘impedisce che la condizione del cittadino francese sia tanto felice quanto potrebbe essere se le leggi fondamentali del regno si traessero alle loro legittime conseguenze. Crediamo ancor noi che sieno in mano de’legislatori di Francia i mezzi di procurare questo necessario avanzamento, ma ci pare altresì certo che senza una forte censura dell’ opinione pubblica, senza un educazione che metta negli animi di tutti un alta idea degli uf- fizi delcittadino, e dia forza morale per conformarci costantemente le azioni, non sia dato nè avere i legislatori di che la Francia ha bisogno , nè sperare dalle leggi gli effetti che logicamente ne dovrebbero seguitare. A molte transazioni del privato interesse colla coscienza si potrebbe ovviare con una migliore legislazione che guarentisse me- 5 glio la condizione politica della provincia (1). Come pure è da credere che desse verranno meno coi progressi dell’ industria; la quale aumentando sempre il numero delle persone indipendenti fa scemare di pregio tutti i mezzi di seduzione. Frattanto egli è da procurare che l’opinione pubblica dal canto suo faccia quello che può , per mettere in credito il coraggio civile, e far vieme- glio conoscere quali rigorosi doveri vadano aggiunti all’esercizio dei diritti del cittadino. Per la qual cosa la società della morale cristiana conoscendo quanto la Francia avesse bisogno di' civili virtù, propose il premio alla miglior opera sul coraggio civile. Questo premio è stato accordato all’ opera che annunziamo ‘es- sendo giudici ‘i sigg. André, Artaud, Benj Constant, Coulmann, Dejean , Guirard , Stapfer, Thayer , e Salvandy. L'autore dibo aver definito cosa intende per coraggio civile, dimostra egregiamente quanto sia necessario all’avanzamento della presente civiltà. Ingenuamente ‘conviene che quanto son miglio- rati i costumi domestici in Francia , altrettanto resta da deside- rare dal lato delle virtù civili. Di che prende ragione di descri- vere con somma maestria i ragionamenti che si fanno per libe- rarsi dal rigoroso adempimento de’doveri del cittadino, onde se- guir francamente la strada dell’ambizione e de’favori. Certamente non occorreva gran forza logica a ribattere le obiezioni, ma e vi voleva molta arte a rappreseutarle al vivo ed a risponderci in mo- do da persuadere senza offendere. Ora ci pare che l’autore abbia toccato questo difficile punto; e per questo, e pei lumi che for- nisce sullo stato morale della Francia rispetto all’ argomento in questione , reputiamo l’opera sua dopo quella di Dunoyer (2) una delle più utili a leggersi ‘da chi vuol sapere in che stia il bene ed il male di Francia. Lo stile che tiene un giusto mezzo fra la lussuriosa ridondanza de’ retori, e l’ aridità degli analisti , rende anche più gradita la lezione dell’ opera. Quello che poi ti affeziona all’ autore si è certa temperanza filosofica che il rende padrone di veder il pro ed il contra di tutti gli ar- gomenti , senza che per questo venga meno il potere di ridur- re il discorso ad un’ ultima conclusione. Per tal modo 1’ auto- re viene a ragionare del soccorso che può fornire alle virtù ci- vili la religione , dove pure non si confonda colla superstizio- (1) Degna è che si legga su questo argomento la recente opera di De Barante , intitolata: De l’ aristocratie , et du régime municipal. (2) La morale et l’ industrie. (6) ne , o coll’ intolleranza. Egli, è . d’ avviso che senza 1° appoggio di una credenza religiosa , nella presente condizione politica di Europa , sia quasi impossibile il veder crescere le virtù. civili , poichè chi altri che la persuasione di una giustizia eterna, può dar animo di rassegnarsi alle ingiustizie degli nomini piuttosto- chè agire contro coscienza quando tutti i motivi mondani consi glierebbero a cedere all’ interesse presente ed ambire i favori ? Una ben? intesa ambizione 0, il predominio ch’ esercitano sopra di noi le passioni politiche possono spingere ad un’azione gene rosa ;,, ci possono impegnare in un’ eroica resistenza, ma queste sono azioni che si compiono in unimomento , e. perocchè quasi drammatiche,, hanno il premio della gloria. Ma la società ha bi. sogno di virtù perseveranti , .e quel condurre vita oscura, quel soffrire ;ogui giorno ed ogni giorno essere tentati senza cedere, è virtù che non ha premio di gloria; e che sembra, troppo. mag- giore delle forze umane , se la ferma speranza in un premio che non viene dagli uomini non conforta,a nobilmente soffrire. Sono questi i sensi dell’ autore intorno \all’ importanza delle opinioni religiose. per sostenere il coraggio civile. Prima di avanzarmi a ragionare delle. altre ; parti dell’ opera., parmi quasi dover dire d’esser rimasto ammirato leggendo come l’autore sappia trattare materie così delicate, che sono in oggi lo scoglio 1u che urtano la maggior parte degli scrittori francesi, senza escir, fuori con argomenti da retore , o in nenie di affetto che troppo ben si co- nosce simulato. Trattando egli un tema politico ha creduto do- ver ragionare da politico, e. con civili argomenti sostiene la sua sentenza. «Il che dà luogo ai lettori di poterla esaminare con quella severità di logica tanto necessaria a decidere siffatte qui- stioni, senza che l’arte dello scrittore impedisca il ragionamento, come suole intervenire nell’ opere dove è soperchiante la parte dell’ immaginativa. Cicerone istesso, abbenchè inchinevole allo scetticismo nelle alte quistioni della metafisica, stimava che po- liticamente fosser utili certe credenze intorno al futuro destino deli’ uomo , ma ragionandone sapeva accuratamente distinguere gli argomenti metafisici dai civili, talchè per questo lato’ ci of- fre un esempio altrettanto degno di imitazione, quanto raramente imitato. Dopo aver detto come le opinioni religiose possono servire alle virtù civili, 1’ A. passa a ragionare della censura della pub- blica opinione, e quì pure confessa la Francia stare assai indietro all’ Inghilterra. Tuttavia reputa assai peggior piaga il molo tenuto al presente nell’ insegnamento sì pubblico come privato . 7 in niente conforme alla nuova condizione politica della Francia. Perocchè per quanto sia al dì d’ oggi comunemente sentito qual debito abbiano i ‘padri nell’ educazione de’ figli , e per un gene- rale desiderio tutti gli ordini del popolo intendano avanzare fa- cendo crescere di stato i figli; nulladimeno le discipline politiche, lo studio filosofico dell’istoria , la scienza de’ diritti del cittadino francese, i principi di prudenza ‘civile che son necessari a di- fenderli, non sono parte dell’insegnamento ; il quale se ne ri- mane, salve poche mutazioni, noioso e pedantesco come se si trattasse d’ educare de’ retori anzichè de?’ cittadini. Ad illuminare i Francesi sui sinistri effetti di un tal sistema di educazione bastar dovrebbe 1’ esempio delle sedute della ca- mera de’ deputati. Nelle quali quando si viene a discutere argo- menti di pubblica economia, di giurisprudenza, di finanze, o di amministrazione, ben si conosce di qual impedimento sia sempre una maggioranza di deputati mancante delle cognizioni necessarie all’uomo di stato. Quante declamazioni di meno, e quante ricerche di fatto di più, si udirebbero se i deputati avessero l’ istruzione civile che si richiede a voler degnamente rappresentare una gran nazione. Nè per questo intendiamo toglier riputazione a coloro che con tanto zelo assai volte han difeso i diritti più cari alla Francia, ma diciamo bensì che per procurare i perfezionamenti che dipendono dall’ intiera applicazione de’ principii della Carta ai particolari bisogni dello stato, fa mestieri. che il consesso de’ legislatori di Francia si compovga di uomini sino dalla più tenera età versati nello studio delle cose civili. Per altro a con- siderare le sedute degli ultimi due anni, avremmo ragione di concepire le più belle speranze, tanti sono i progressi che ha fatti in breve l’arte delle parlamentarie discussioni. Adunque se tanto ha potuto insegnar l’esperienza di pochi anni, che non farebbe un’ educazione ‘civile coerente agli ordini politici del re- gno? L° autore conoscendo a pieno di quale assurdità sia l’educar uomini destinati ad aver parte nelle cose pubbliche; come si edu- cavano i sudditi che doveano. vivere nelle monarchie assolute’, senza esercitare i diritti di cittadini, lavgamente discorre le riforme desiderabili nell’ insegnamento. Così vien proponendo un ordine di studii certamente superiore all’ wisato , ma che in tutto noi non possiamo: approvare ; sì perchè dissentiamo dall’ A. ‘in molte gravi materie filosofiche ;>sì perchè vi ravvisiamo? quel difetto :che è generale nei piani di studiloltramontani, cioè di èpprimere al segno i discepoli colle lezioni da‘jnon lasciare libertà allo sviluppo 8 della privata ragione. Quest’ ultima difficoltà vuol esser meglio dichiarata ai nostri cortesi lettori. Quello che importa soprattutto nell’ istruzione della gioventù non è già di fornire il maggior numero possibile di cognizioni positive, ma bensì di formare la capacità di ragionare diritta= mente, di svegliare lo spirito di discussione e di esame, di su- scitare 1’ amore del sapere e tanta fiducia nelle doti naturali che sproni a volerne usare come meglio la natura consente. Ora se la persona da educarsi si tiene sempre occupata, o nell’ascoltar lezioni, o nello studiare per comprendere le idee de’ maestri, accaderà invero che impari le cose insegnate , ma non uscirà mai dalle scuole con un nobile disegno per l'occupazione della vita, nè colla fidanza di dover servire all’ avanzamento delle scienze. Avvezza a non muover passi senza che alcuno la guidi mancherà del necessario ardire ; abituata piuttosto a ritenere a memoria degli insegnamenti che ad esaminare e discutere liberamente i principii di una scienza , rimarrà spaventata dalla moltiplicità delle opinioni; e vedendo per ogni parte uomini d’ingegno che contraddicono ad uomini d’ ingegno pari e forse maggiore, libri lodatissimi in aperta opposizione con altri libri egualmente pre- giati, sistemi in opposizione con altri sistemi , senza aver la forza d’escire da un laberinto, perchè a trovare il vero da sè non si adoperò giammai, senza aver più l’ istessa fede alle dottrine della scuola, perchè l’uso del mondo toglie molta venerazione per gli antichi maestri, scoraggita confusa, dirà altro non essere l’ ar- chitettura dell’ umano sapere che una classificazione di vane pa- role variabile come la moda secondo la diversità degli ingegni però da valutarsi in quanto solleva lo spirito , ma troppo misera cosa perchè vanamente vi si spendano le forze della vita senza speranza di alcuna utilità. Viene poi 1’ occasione di coglier pia- ceri oltre il desiderio ed oltre le forze, ed allora si compiono i disegni di inerzia, se pure la trista necessità di procacciarsi col- l’opera dell’ ingegno un onesto sostentamento non forza a pren- dere una professione profittevole. La quale in tale ipotesi riducesi piuttosto ad arte con principii e pratiche sue proprie dissociate al tutto dalle dottrine ad imparare le quali tanto tempo si spese nelle scuole. Sicchè qual utilità rimane dell’ enciclopedia che con tanta fatica misero in testa i pubblici dottori ? Ne rimane invero un certo buon senso che giova alla condotta della vita, una certa capacità a prender diletto dall’ opere dell’ingegno che molto vale a sostener la vecchiezza, può esser di conforto nella solitu- 9 dive , 0 può aiutare assai a sopportare le sventure. Ma questi beni privati non bastano a compiere il fine cui deve mirare il pubblico insegnamento. Conciosiachè la società abbisogna di uomini atti a promuo- vere le scienze ed acerescere il patrimonio dell’ umano sapere, di nomini d' ingegno mediocre ma di sufficiente dottrina per con- servare e ridurre alla pratica utilità il patrimonio acquistato; di uomini infine di tanto senno da saper discernere il bene dal male politico e morale , e conoscere cosa debbano desiderare cosa deb- bano impedire. Concederemo volentieri che il buon ordine del pubblico insegnamento possa valere assai ad accrescere il numero degli uomini della seconda e della. terza classe , ma che sia dato comporre un piano di studi da seguirsi rigorosamente per gli uo- mini della prima qualità , non lo crederemo giammai. Il solo mezzo efficace ad impedire che i buoni ingegni non si perdano nell’ iner- zia, consiste a senso nostro, nel porli di buon’ora in grado di conoscere cosa possano da sè, e come le forze della natura sieno bastanti a francarli dall’ altrui direzione. Però qualunque ordine di pubblico insegnamento che riduca d’ obbligo un gran numero di lezioni, siccome toglie il tempo e la libertà della privata medi- tazione , si reputa atto a comprimere anzichè sviluppare le natu- rali doti dell’ ingegno. Nè per questo vengo già a lodare le università dove è penuria di professori, e dove molte parti dell’ umano sapere mancano di chi degnamente le rappresenti. Che anzi quanto stimo inconve- niente l’imporre agli scolari la necessità legale di frequentare molte lezioni, altrettanto stimo utile che le lezioni vi siano pel comodo di quelli che desiderano cavarne profitto. Poichè secondo la varietà degli ingegni a taluno la lezione potrà riescire di stimolo e di guida , a tal’ altro di fastidio e di impedimento : chi puole e vuole studiare da sè può trovarsi facilmente annoiato dalla neces- sità di tener dietro ad un corso d’ idee che non è suo, con quella precisione servile che suol generalmente reputarsi ad onore nelle università. D’ altra parte vi sono tanti che senza un poco di guida mancano di coraggio , senza sottoporsi ad un obbligo sentono venir meno ogni perseveranza di volontà. A questi sono non che utili necessarie le lezioni. Per tutti poi se le lezioni sono buone possono esser utili quanto il leggere un libro, purchè sieno mantenuti ri- spetto alla dottrina del professore in quella stessa libertà che godono rispetto alla dottrina del libro letto per elezione. Ma dove si tratti di lezioni di obbligo , e perciò di fedi e di esami nella dot- trina insegnata dal professore, ognuno intende che non può aver T. XXXVII. Gennaio. 2 10 luogo siffatta libertà. Però quante lezioni si crescono per obbligo agli scolari , tanti ceppi si pongono al libero sviluppo della ragione e tanti bisogni si creano d’ impiegare servilmente quel tempo, che adoperato a seconda del proprio genio avrebbe potuto dar campo ad un gran perfezionamento della ragione. Direi quasi che le le- zioni sono come i dizionari alfabetici delle ‘scienze; è bene che vi sieno per chi ne sente il bisogno, ma guai se taluno si persuade imparare ‘una scienza o sopra un dizionario ; o alla lezione di un professore ; peggio poi se tutta la vita studiosa riducesi ad appren= dere l'enciclopedia dai dizionari o dalle lezioni. Perciò diciamo che il peggiore di tuttii sistemi di pubbico insegnamento si è quello che toglie la libertà dello studio agli scolari, e noi vorrem- mo piuttosto avere delle università sprovviste di mezzi, che delle università fornite di eccellenti professori, dove per al- tro la vita scientifica degli scolari fosse in tutto soggetta al rigore della regola, ed alla direzione de? professori per quanto e l’ordinatore della regola ed i professori che l’eseguiscono fos- sero uomini di altissimo ingegno; e di profonda dottrina ; cose assai difficili a ricorrere in fatto. Tanta è la diversità degli ingegni, che non è dato comporre un piano di studi che sia adatto a tutti. Però pare a me che quando. l’insegnamento pubblico offre i mezzi a chi se ne vuol valere , dovrebbe poi lasciar tutti liberi sì quanto all’ elezione de’ mezzi, sì quanto al tempo ed al modo di servirsene. L’insegnamento in Francia ai tempi dell'impero fu per mala ventura ordinato sopra opposti principii ; e si pretese d’ introdurre nella guida dell’intelletto il rigore della disciplina militare. For- tunatamente per noi l’ insegnamento francese è stato abolito; che altrimenti tra la pedanteria della scnola , e le cagioni di inerzia che si trovano di fuori, avremmo avuto da temere che retroce- desse il senno italiano. Per la Francia le cose procedono diversa- mente, perchè i bisogni della vita civile cui si trova destinato il cittadino francese bastano per stimolare gli uomini di ingegno a voler usare delle proprie forze. Tuttavia bisognerebbe poter co- noscere colla precisione de’ calcoli statistici quanti ingegni riman- gono schiacciati sotto il peso della pedanteria de’ maestri, quanti pregiudizi si radicano nelle teste delle persone mediocri , tradite dal sistema d’ insegnamento. L’ autorità di un professore rispetto agli scuolari, è mag- giore di quella di un libro ancorchè lodatissimo rispetto ai più docili lettori. Ora se l'insegnamento invece di essere ordinato in modo che resti tanta libertà di esame. ai discepoli da non con- siderare come autorità la sentenza del maestro, tende piuttosto tI ad assoggettare le intelligenze degli scuolari agli insegnamenti de’ professori, le università diventano una potenza nello. stato , il che.è sommamente dannoso alla civiltà ed alla scienza. Pe- rocchè supponendo eziandio i professori degni della fiducia del pubblico , rimane però sempre ai corpi morali uno spirito di op- posizione e di invidia, per la novità , che può renderli impe- dimenti al bene ogni qual volta sieno troppo potenti. Che dire- mo poi dello spirito di setta e di scuola che si genera così fa- cilmente dove le università sono di tanta considerazione appo quelli che vi concorrono ?_Il solo ‘pericolo di questo male do- vrebbe eccitare gelosia. per qualunque cosa che serva ad acere- scere la potenza dell’insegnamento pubblico in danno della li- bertà di discussione di esame fra quelli che concorrono per im- parare. Forse a taluni parrà che non sia gran danno il' creare delle sette ; e dar così ad un uomo d’ ingegno il modo di per- petuare la sua dottrina. Ma per noi non sappiamo vedere nelle sette filosofiche che un impedimento alla libera ed intera ricer- ca del vero, un mezzo di creare una scienza di mera convenzio- ne, un fomite di più all’ intolleranza ; senza che poi si ottenga quell’ unità di dottrina desiderata ; perchè la natura umana nol consente. Difatti le idee astratte per loro logica indole prendon forma diversa nella testa di ciascun individuo che intende pro- | fessarle, e comechè quelli che dicono consentire in certe idee co- muni a guardare al loro modo di esprimersi paiano al tutto d° ac- cordo ; tuttavia un attento osservatore potrà di leggieri conoscere che sotto identiche parole non stanno per tutti gli stessi concetti. Ma che la forza e l’ estensione che ogni individuo concede alle astrazioni che ha comuni con altri, dipende e dal sentire morale , e dagli interessi della vita , e-dalla potenza dell’ immaginativa, as- sai più che dalla percezione degli elementi logici onde si compone l’idea astratta che si vuol professare a comune con altri. Se non che quel bisogno di serbare 1’ unità di setta e di scivola reca impe- dimento al pieno sviluppo delle forze individuali ; e ti pone in uno stato di mezzo fra la servile obbidienza all’ opinioni altrui, ed il nobile sentimento della proprietà della ragione. Ponete degli uomi- ni uniti per un istessa dottrina a deliberare insieme sia sul modo di chiarirla, sia sul modo di ridurla a qualche pratica applicazione , vedrete tosto quanta disparità di sentenze dimori sotto l’apparenza di una pretesa unità. Adunque il presumere di ridurre molte perso- ne ad un solo ed unico pensare egli è un volere distruggere la poten- za ragionatrice degli individui , per ottenere un fine che la natura ha negato all’ umanità. Bisogna lasciare che la ragione liberamente 12 percorra la via che gli aprono le sue forze, e fidare piuttosto che negli interessi comuni si trovino de’ punti d° accordo nei quali pos- sano unirsi molte volontà a procacciare alcun bene comune. Ogni altra via distrugge o paralizza senza edificare. Dico senza edifi- care pel bene comune , perchè non mancano mai gli accorti che sappiano trar profitto dalla docilità de’ più che rinunziarono alla privata ragione. Ma torniamo a ragionare dell’opera del no- stro A., dalla quale ci siamo allontanati alquanto colla pre- sente digressione, per mostrare quanti pericoli avrebbe appo di noi una servile imitazione delle università oltramontane. Nelle quali per dirlo in breve il principal difetto consiste nel far sentire troppo agli scnolari che sono scuolari, laddove pare a me che sia necessario massime per noi di far loro sentire di buon” ora che sono nomini e possono divenire utili cittadini. Parrà forse che con questo modo si alimenti l’ umana superbia, ma sarebbe prima necessario sapere se nello stato presente abbiamo più da temere di una soverchia diffi- denza delle forze della natura 0 di un soverchio ardire. Quanto a me, facendo ragione delle cause di avvilimento che da tanti secoli comprimono gl’ingegni, temerei più il difetto di coraggio che la te- merità , la quale poi nella società vien presto repressa , laddove il coraggio nel corso della vita incontra più ragioni di scemare che stimoli per crescere. Forse quest’ istesso riflesso ha spinto l’ autore a tessere 1° apo- logia della gioventù francese, come se la Francia avesse a sperare più da lei che dagli nomini cresciuti al tempo della rivoluzione , e sotto l’impero. Loda ne’ giovani la nobiltà dell’ intenzioni ; la se- verità degli studi, la maggior correzione de’ domestici costumi , e quel sentimento di universale tolleranza , che li pone in stato di valutare le ragioni de’ nemici e di compatire le umane debolezze. Dice eziandio essere studio della gioventù francese di far cessare una volta le accuse di frivolezza che con tanta ragione sono state sem- pre proposte contro i francesi, volere la gioventù accordare la civil libertà col privato ben essere , assicurare il proprio bene senza mo- lestare altrui, desiderare più tosto un perfezionamento lento ma durevole che delle mutazioni violente che non sono mai sicure ; tuttavia con queste disposizioni di pace e di tolleranza non temere la guerra dove fosse necessaria, ma non voler mai aver. la colpa d’ averla provocata. Se queste lodi alla gioventù francese riposino sul vero lasceremo che altri ne giudichino. Diremo solo che ci duo- le assai vedere la generazione che sorge così facile a lodare sè stessa sopra quella dai generosi sforzi della quale ripeter deve il bene che gode, e le speranze dell’ avvenire. Francesco Forti. 13 Metodo compendioso per insegnare a leggere con 107 figure. Ge- nova , Tipografia d’ Ives Gravier., 1829. L’insegnare a leggere a’ fanciulli non si coùsidera più, gra- zie al cielo, come un mestiere da pedantuccio o da donnicciuola. Uomini di alto intendimento si sono rivolti a migliorarne i me- todi; e quest’umile ma preziosa occupazione non è già più lsde- gnata da istitutori illuminati e dalle madri tenere e sagge. — Il desiderio che si va di giorno in giorno sempre più suscitando , nelle classi inferiori; di partecipare dell'immenso benefizio di saper leggere, scrivere e conteggiare ; gli incoraggimenti che le persone savie e dabbene vengonéò porgendo alla diffusione di que- sta istruzione elementare; il sentimento profondo, ancorchè non in tutti distinto, che non è permesso ad una nazione ‘di giun- gere ad una perfetta civiltà , e di assicurarsene un lungo godi- mento , senza rendere accessibili alla massa delle popolazioni i buoni libri, senza rendere perciò comune la facoltà di scrivere e di leggere, come lo è quella di parlare; tutti questi motivi riuniti hanno ai giorni nostri eccitato un vivissimo zelo per pro- pagare l’istruzione primaria: e le scuole di reciproco insegna- mento si sono aumentate ; istituzioni particolari si sono aperte nelle città ; cambiamenti più o meno utili si sono introdotti nella parte metodica ; si è mirato ad accelerare l’ istruzione sa facili tarla, e se non sempre si è ottenuto tutto quello che si spera- va, e che era stato promesso, i tentativi non han lasciato di essere lodevoli, e di provare all’ occhio dell’ osservatore queste due importanti cose, 1.° che il bisogno dell’ istruzione primaria è cresciuto , o a dir meglio che è cresciuto il sentimento di un tal bisogno ; 2.° che per quanto si sia fatto onde migliorare i me- todi, questi metodi hanno ancora molto d° imperfetto , e aspet- tano ancora l’ ultima mano da qualche profonda meditazione del filosofo o da qualche felice ispirazione d’ un’ anima appassionata per l’ età infantile. II. E quando io parlo di ulteriori perfezionamenti di metodo, non intendo parlare di quel modo d’ insegnare a più fanciulli riuniti, per cui l'insegnamento si chiama o successivo o simul- taneo o reciproco. Queste diverse fogge di scuola riguardano 1’ applicazione dei metodi di leggere , scrivere e calcolare, e non i metodi medesimi considerati in sè, e buoni di lor natura tanto per uno o pochi scolari come per molti, tanto per una forma di scuola come per un'altra. Quanto a tali forme d’insegnare, è per 14 x tutti gli uomini di senno ed imparziali , tanto superiore 1° inse- gnamento reciproco agli altri due sopra nominati; esso ha di più una sì gramle e sì salutare influenza sull’ indocilimento dei gio- vani e sullo sviluppo delle più preziose qualità morali, che egli può considerarsi come indicato dalla natura, come perfetto nella sua sostanza e non suscettibile di miglioramenti che nelle sue mi- nute particolarità, e in quelle modificazioni che il luogo diver so, la diversa nazione, e ‘altre circostanze possono domandare. — E la recentissima scoperta d’ un nuovo e rapidissimo metodo di appreudere a leggere, fatta in Francia dal sig. Laffore; (sulla quale avvolta finora. nelle tenebre d’ un misterioso segreto, non è permesso di pronunziare), non credo io già ch’essa cada punto sopra un miglior modo di ammaestrare i fanciulli coi metodi co- nosciuti , così che possa venirne a. crollare, come alcuni han pen- sato. ; il modo di reciproco insegnamento; ma penso invece che il sig. Laffore abbia svelato un vero metodo nuovo di insegnar a leggere, da applicarsi a qualunque forma di. gcuola. Ecco il campo in cui resta ancora molto da esplorare ; ecco dove si denno ancora dirigere le nostre ricerche le più attente. E mentre, ci è tuttavia negato di giudicare la scoperta che il sig. Latfore non ha condisceso di pubblicare, esaminiamo seru- polosamente tutte le nuove cose che si van pubblicando, mas- sime nella nostra Italia. L’operetta di cui sono perrender conto, lo merita tanto più, in quanto che ella viene dalla penna d’una madre; e d’una madre che cammina tra noi sulle tracce di ma- dama Edgeworth ; e ch’io credo di poter nominare senza indi scretezza., bench” ella (abbia. voluto modestamente occultarsi ; cioè della sig. Milesi Mojon (vedi Ant. n.° 106, pag. 173). Quanto consola, quanto è commovente il vedere oggi le culte donne ri- volgere alla miglior educazione dei proprii figliuoletti , quei lu- mi e quel valore che le donne di altri tempi dirigevano ad ot- tenere lo sterile vanto di poetessa o di letterata! Questa gene- rosa abnegazione d’ una frivola vanità , questo cordiale adempi- mento dei doveri materni sono una gloria ben più pura e ben più durevole che quella d’ aver composto un sonetto o un ma- drigale : e il secolo in cui tali donne si educano e sono in ono- re; ha ben che rispondere alle calunnie di chi non parla che del. passato. IM..Il metodo compendioso pubblicato ora in Genova non. è che. 1’ applicazione alla lingua italiana del metodo trovato già per la.lingua francese da Berthaud nel passato secolo , e lodato tanto da mad. de Genlis nelle Veillées. du Chateau ( Tom. Il. 15 not. 55) ; metodo, a quel che raccolgo dalla prefazione del pre- sente opuscolo, recentemente perfezionato dalla sig. Williams per adattarlo alla lingua inglese. Potrei dunque, per dar puramente ‘ un'idea di questo libro, limitarmi ad accennare come 1° autrice abbia più o meno felicemente estratti dalla nostra lingua i suoni fondamentali che ne costituiscono quasi tutte le parole, e come più o meno felicemente gli abbia iella associati ad un’ imagine, per riprodurre , vestito all’ italiana; il metodo di Berthand, che potrei supporre ben noto ai lettori dell’Antologia. Ma i bisogni del nostro tempo e lo spirito di questo giornale, come almeno intendo io gli uni e l’altro, ‘mi par che esigano qualche cosa di più. Io credo, che per ben dirigere gli sforzi tendenti a per- fezionare i metodi d’insegnar a leggere, sia necessario entrare un poco addentro nella materia, esporre i difetti dei metodi finora usati, e indicare lo scopo che ogni nuovo metodo dovrebbe pro- porsi. Dopo ciò , il merito e i difetti del metodo di Berthaud e in particolare dell’applicazione ora fattane alla nostra lingua, ap- pariranno come da sè medesimi. IV. Nei nostri sistemi di scrittura alfabetica i segni da noi adoprati rappresentano più o meno esattamente i suoni della pa- rola con le loro modificazioni ; a differenza delle scritture gero- glifiche , i cui segni rappresentano un’ idea, e che sono per con- seguenza non una tigura permanente della lingua parlata, ma una vera lingua tutta da sè , che può tradursi in una Jingua urale qualunque. Si tratta dunque; dopo che un fanciullo ha appreso a far corrispondere a una tale idea una tale parola, di insegnargli a far corrispondere ad una tale parola tali e tali se- gni. Questo secondo passo non parrebbe che dovesse essere nulla più difficile del primo; parrebbe anzi che potesse essere più facile assai; e che in quella guisa in cui tutti sono maestri di parlare ad un bambino , e ‘nessuno lo è; così da titti egli do- vesse apprendere a leggere senza che si avesse di questo stadio a istituire un’espressa scuola. Io penso infatti che noi ci po- tremo vantare di aver trovato un’ ottimo metodo di insegnare a leggere , in quel giorno solamente in cui avrem reso un simile insegnamento così facile così naturale, che divenga una cura delle madri e delle balie, un’ occupazione quasi tutta del fan- ciullo , una scuola ‘inosservata di famiglia. E così certamente sa- rebbe già avvenuto se il leggere fosse d’ un uso tanto necessario e tanto continuo com? è il parlare : tutti allora insegnerebbero a leggere senza avvedersene , e i bambini ne diverrebbero perfet- tamente ammaestrati avanti che ‘si pensasse come ammaestrarli. 16 Ma poichè la comunicazione per mezzo di caratteri scritti non è necessaria @lla società della famiglia, e perciò i padri, le madri, il popolo tutto non hanno, dovuto esserne i maestri, se ne è for- mato uno studio come di privilegio, si è dovuto stabilirne delle scuole; i dotti se ne sono mescolati, e come in molte altre cose, così in questa s sono andati tanto lungi dalla natura, che l’im- parare a leggere è divenuta un’ opera più difficile e più noiosa che 1’ imparare qualunque scienza più astrusa. V. Si tratta, com’ io diceva, di ottenere che chi, impara a leggere si avvezzi a pronunziare un tal suono della sua lingua quando vede un tal segno scritto. Si tratta perciò di fargli 1.° co- noscere e ben distinguere questo segno , 2.° di far associare al- l’idea di quel segno , l’idea del suono rappresentato da esso, e che a tal fine si ha la cura di ripetergli all’ orecchio tutte le volte che si offre a’ suoi occhi il segno scritto. Ma le parole d’ una lingua, le sole che esprimano qualche idea non sono per la massima parte un suono semplice, sono una unione di diversi suoni o sillabe composte esse medesime e da po- tersi sciogliere in altri suoni elementari, rappresentati dalle vere lettere. Io adopro per ora la voce suoni in un modo generico sicchè comprenda tanto le consonanti come le vocali; mi spie- gherò a suo tempo con termini più precisi. Si poteva, quando si trattò di formar la scrittura , stabilire de’ segni che rappre sentassero le intiere parole, cioè de’ caratteri simbolici ; o de’se- gni che rappresentassero le sillabe (caratteri si/labici ); o final- mente de’ segni che rappresentassero le lettere (caratteri alfa- betici ). Nel primo caso i caratteri sarebbero tanti quante sono le parole della lingua: perciò difficoltà quasi insuperabile di ap- prendere a leggere e a scrivere, perciò utilità ben piccola, per non dire inutilità della. scrittura. E questo appunto è il faticoso e quasi inservibile sistema de’ caratteri cinesi (1). — Nel secon- (1) Io non conosco punto la lingua nè la scrittura cinese, e temo sempre di commettere qualche errore quando parlo sull’altrui fede, di cose che non co- nosco perfettamente io stesso. Fo dunque osservare al lettore che è possibilissimo che i caratteri cinesi rappresentassero da principio direttamente l’idea, e non siano in sè stessi che un’ accorciamento \de’ geroglifici: sicchè a buona ragione il sig. de Tracy (Elémens d°’ idéologie, grammaire. chap. V.) e recentemente il sig. Kosegarten ( Antologia num. 55. luglio 1825 p. 83 ) han potuto qualificare i caratteri simbolici per segni diretti delle idee. Tuttavia checchè sia stato in origine , credo che presentemetite sia più preciso il dire che rappresentino presso i cinesi le intiere parole. Benchè poi è così facile il passaggio dalla parola alla cosa, dal suono all’ idea, stabilita uma volta la loro associazione, che noi me- 17 do caso , per diminuire ch’ ella faccia, la difficoltà rimane pure gravissima : che il conoscere , e diciam così. il far amicizia con tanti segni quante sono le sillabe d’una lingua, darebbe da dire a molti dotti, non che all’ artigiano e al contadino ; e se tal fosse il nostro sistema di scrittura temo io bene che il titolo di letterato significherebbe ancora conoscitore delle lettere (2). — Il terzo modo di scrittura, quello che rappresenta gli elementi veri de’ suoni, di cui le sillabe stesse si compongono, era il solo. che potesse con pochi segni rappresentare le parole tutte d’una lin- gua anco estesissima : era il solo che potesse render facile e po.. polare lo scrivere e il leggere, il solo che imitasse fedelmente il sistema del linguaggio. E per nostra buona ventura questo sag- gio sistema fu adottato e ci fu trasmesso dai nostri padri. Certamente coi nostri caratteri alfabetici o elementari non conseguiamo noi pienamente , nè sempre rettamente , lo scopo che ci proponiamo. I veri elementi dei suoni articolati o della parola non sono stati ben analizzati, non sono forse facili ad esserlo con intiera nettezza; quegli elementi stessi che abbiamo bene scoperto ;. 0 non li rappresentiamo tutti con un segno di- stinto, o non sempre col medesimo segno: sul che nulla può desimi nei nostri caratteri alfabetici consideriamo le intiere parole scritte quasi come segni delle idee. (2) Il sig. de Tracy (luogo cit.) nota giudiziosamente che molti carat- teri degli ebrei, e di altri popoli orientali erano veramente sillabici 3 e che sillabici ( qual maestro di scuola lo sospetta pure ? ) sono in realtà spesse volte i nostri stessi caratteri. Ma altra cosa è che un segno esprima un’in- tiera sillaba, in quanto che rappresentando uno solo dei suoni che la com- pongono , lasci al lettore supplire } altro suono complementario , il che ac- cadeva presso gli ebrei: oppure che il segno che noi crediamo rappresentare una sola consonante, 0 una sola vocale, rappresenti realmente una consonante avvalorata da una vocale sorda, o una vocale modificata da una sorda con- sonante : altra cosa è che di tutte le sillabe componenti le parole d’ una lin- gua si stabilisca un segno, e si formi un intiero alfabeto sillabico.. In que- sto secondo caso ( del quale solamente io parlo ) i caratteri si moltipliche- rebbero in eccesso ; \nell’ altro i caratteri restano pochi perchè appunto non rappresentano la sillaba intiera ma un solo elemento di essa e il lettore sup- plisce per pratica 1’ altro elemento. Così benchè per la lettera L potessero forse gli ebrei indicare le sillabe la le lo ec., il carattere in verità sil- labico per la sua significazione, non si moltiplicava al variare delle silla- be, da lui più ricordate al lettore, che rappresentate. Ho detto forse per- chè un’ osservazione ch’ io farò più tardi, persuaderà (credo) i lettori che il sig. de Tracy ha troppo generalizzato la sua asserzione riguardo ai caratteri sillabici degli orientali, e 1’ ha dedotta da un principio non vero, T. XXXVII. Gennaio. 3 18 dirsi di più esatto , e di più profondo, e insieme di più limpido, di quel che ha seritto il Sig. De Tracy nel capitolo che ho ci- tato in nota, massime dalla pag. 326 alla pag. 357. Egli giunge a dire che: “ nos alphabets, vu leurs défectuosités et le mau- 3 vais usage que nous en faisons, e’ est-à-dire nos vicieuses or- , thographes , meritent à peine le nom d’ écriture. Ce nè sont ,; réellement que de maladroites tachygraphies, qui figurent tant »» bien que mal ce qu'il y a de plus frappant dans le discours; ) et en laissent la plus grande partie à deviner, quoique elles ,s multiplient les signes sans utilité, comme sans motifs ,»- (ivi pag. 355 Paris 1817) -— Ma imperfetto com’egli è, il nostro alfabeto (e perciò appunto più imbarazzante per chi insegna e per chi apprende a leggere ) è tuttavia sostanzialmente elemen- tare ; e le letttere che lo compongono rappresentano alla meglio i suoni reali di cui consta il nostro discorso. Chi dunque ha tro- vato i metodi ordinarii di insegnare a leggere non ha creduto che vi fosse miglior via, e forse non ha creduto che ve ne fosse al- tra, che quella di far distinguere ai fanciulli questi segni al- fabetici e farvi corrispondere i suoni elementari delle parole. Esaminerò tra poco se questo metodo sintetico è appunto l’unico; o se almeno è il migliore. Osserviamo prima come è stato pra- ticato, e se chi lo adottò a preferenza di ogni altro, è stato al- meno conseguente a sè stesso. VI. L’incoerenza la più assurda fra il principio e la pratica salta subito agli occhi dell’osservatore il più superficiale. In primo luogo tutti i caratteri consonanti si fan corrispondere non alla precisa consonante da loro rappresentata , ma ad una o due sillabe e a sillabe costanti: per es. il B a Be o Bi; la Ne la Mad enne ed emme ec. ec. Di guisa che lo scolare deve sragionar continuamente, o deve (accoppiando le lettere) comporre delle sillabe e delle parole erronee. A me infatti è avvenuto, insegnando a leggere a persone adulte, di sentirmi costantemente pronunziare dia dio invece di da e do: e mi ricordo che correggendo per la millesima volta un conta- dino di questo errore, egli mi disse un giorno con un volto mezzo scoraggito = quest’ i non mi vnol uscire dalla testa. Io soggiunsi allora tra me “ è segno che la tua testa è ben fatta ,,. E in realtà egli ragionava perfettamente. Che se i fanciulli non giungono per questo giusto raziocinio a commettere lo stesso errore, è perchè in applicarsi quasi macchinalmente all’ operosa fastidiosaggine del leggere, ragionano , per fortuna, pochissimo. Avvezzandosi essi a dire a voce alta bi, a = ba =e così le altre, vengono a poco a poco ad associare il suono da ai due segni 2 ed « riuniti; e ap- 19 pena sotto. voce o mentalmente ripetono a sè medesimi i due suoni distinti Zî ed 4 sorge loro in mente il terzo suono da senza che pure vi pensino. Ma 1’ adulto che s’° aiuta col raziocinio , che comincia ad accorgersi di formare , in leggendo , dei suoni composti a forza di suoni elementari; non sogna pure che questi suoni elementari debbano mutare il loro valore pel solo congiun- gersi.; egli erra, e il suo errore è la critica la più mordace del metodo d’ insegnamento e del maestro. Si apporta per giustifica- zione di simil pratica, 1’ impossibilità di pronunziare le conso- nanti senza l’ appoggio d’ una vocale. Si confondono , dicendo così, due sorti di vocali, le distinte e le indistinte; ed io farò vedere più. tardi come con l’aiuto d’ una vocale indistinta o muta si possono pronunziare le consonanti in modo che s’adattino senza errore a tutte le vocali distiute. Ma se fosse pur vero , o si cre- desse almeno; che una consonante non possa profferirsi se non col mezzo d’ una vocale ben sonora , che ne verrebbe allora ?_ Che per non insegnare il falso; bisognerebbe rinunziare a far cono- scere e far pronunziare la consonante come un carattere e come un suono isolato; bisognerebbe insegnarla come congiunta a quelle vocali, a cui realmente si congiunge nella lingua, e farla pro- nunziare con esse ; bisognerebbe in una parola avvezzare i fan- ciulli a riguardare da de d0 ec. come un segno unico rappresen- tante un solo suono; non ispingere l’ analisi se non fin dove giungono i reali elementi della natura ; e ottenere così, che. nel ricomporre gli elementi riproducessero gli scolari la vera parola. Ecco quel ch'io suggerii , sono ora dieci anni, ad un amico che ; aveva un’ alta direzione sopra una pubblica scuola ; ecco quel che ho messo qualche volta in pratica con ottimo successo , e che ho creduto il miglior consiglio , finchè ho creduto che consonanti senza vocali espresse non si potessero pronunziare: ecco il me- todo seguito poco tempofà nella nostra Firenze dal sig. Boggiany, e da lui reso pubblico nell’ operetta: Lettura istantanea , 0 sia l’arte d’ insegnar a leggere in 20 lezioni. Firenze 1828. Nè si creda questo metodo più lungo dell’ ordinario nè più difficoltoso. Anzi e’ riesce più spedito assai e più facile. Le cinque vocali che tornan sempre le medesime, e intorno a cui, come intorno a tanti centri, vengono a disporsi le consonanti tutte, danne alla moltitudine delle sillabe un ordine e una semplicità che paiono diminuirne il numero, e ne tolgono la confusione. Lo scolare avvezzo a ricevere dalle sillabe intiere un'impressione unica ed omogenea, ha da guardare in una parola a ben poche parti; non di rado la sillaba che egli conosce è la parola tutta; 20 x egli non ha che da vedere e riconoscere de’ segni noti; non gli tocca a ragionare formando de’ suoni composti con suoni elemen- tari, e quel che è meglio, non gli tocca mai a sragionare for- mando de’ suoni terzi differenti da’ suoni primitivi; egli legge veramente fino dal bel principio, perchè pronunzia de’suoni, par- ziali sì, ma reali d’una parola, al vedere i suoi parziali caratteri; e pronunziando queste parti successivamente, . si trova subito sulla bocca una parola intiera della sua lingua, da primo (è vero ) un poco spezzata, ma a mano a mano sempre più riunita e ben presto profferita tutta d’ un fiato. I suoi progressi sono rapidissimi ; egli medesimo li conosce e ne‘ piglia animo, e si affeziona allo studio. Per agevolare ancora di più questo studio e renderlo più intenso, coll’eccitare l’attenzione dello scolare so- pra le sillabe e ‘creargli un interesse a distinguerle, io provai a sostituire le sillabe ai numeri, nel gioco così detto del dominò, usando piccole carte divise in due scompartimenti, invece dei dadi, e modificando opportunamente le regole di quel giano e benchè la mia prova non fosse molto prolungata; pure fu a’miei occhi decisiva, perchè io riuscii a far ben conoscere parecchie sillabe in una sola giocata a contadini che non conoscevano pure una lettera. Iv sono dunque pienamente convinto che sia molto più regolare, molto più sollecito, e sopra tutto che conduca ad una lettura più sicura e più franca e ad un’ ortografia più cor- retta, il metodo d’ insegnar a leggere per sillabe intiere (riguar- dando come un unico segno i diversi caratteri che le compon- gono ) di quello che il metodo assolutamente erroneo;, e pur il solo usato, di attribuire alle lettere divise un suono che non hanno, e far con. esse comporre delle sillabe d’ un suono diverso. Che se il così detto ‘miglioramento Amiltoniano introdotto recente mente nelle scuole di reciproco insegnamento di Firenze, ha pro- dotto pure qualche buon effetto , ecco perchè lo ha prodotto. Questa modificazione consiste nel far considerare allo scolare e lettere e sillabe come parti vere della parola, cioè a sopprimere l’esercizio di compitare sopra un sillabario artificiale ,e a tra- sportare quest’ esercizio sopra le parole reali della lingua , for- manti un senso. In questa guisa 1’ operazione del leggere si è accorciata in quanto che, r.° si risparmia tutto quel tempo che prima si sciupava in far distinguere e rilevare molte sillabe ar- tificiali non adoprate nella nostra lingua. 2° Nel concentrare l’attenzione del ragazzo sopra non molte sillabe, sopra quelle sole cioè che si trovano in una tal breve /ettura ad uso della scuola ; le quali egli perciò impara a riconoscere ben presto : e 21 nel rimettersi, perle altre, a quelle analogie che i fanciulli sono tanto abili a scoprire, a quei confronti che essi fanno con tanta giustezza , insomma nel rimettersene a quelle operazioni attive del loro spirito , nelle quali ordinariamente noi confidiamo sì poco, e che invece dovremmo apprezzar molto ed eccitare, favorire, dirigere. 3.9 Nel far loro conoscere 1’ utilità dello studio a cui gli applichiamo , e soprattutto nel dar loro subito nelle mani un mezzo di correzione dei cattivi raziocinii che noi facciamo lor fare in leggendo. Mi spiego. Pretendendo noi, avanti di far leggere una sola parola allo scolare, di fargli ben conoscere tutte le lettere dell’ alfabeto, noi tratteniamo hunghissimamente la sua attenzione sopra cosa , ch’ egli non vede a che debba servirgli ; perchè queste lettere isolate, e pronunziate da' noi in sillabe di nostra invenzione, non hanno effigie di parola che il fanciullo oda o parli. Di più obbligandolo noi, cntro la. buona logica , a far per esempio il suono ba dei due suoni di ed #4, e il suono co dei due suoni ci ed o ; 1’ obblighiamo ad uno sforzo ; di cui egli non sente la necessità. Perchè ( gli dice in cuore il suo buon senso ) devo io dire co e non cio, da e non dia? Il fanciullo si piega, ma a stento, è irrisoluto , scoraggito , prova tutto quel- l’interno mal essere che ci abbatte tutti quando siamo costretti a dir quello che non pensiamo, e a far cosa di cui non vediamo nè lo scopo nè il frutto. Ma se fin dalle prime lettere che noi insegniamo al fanciullo , egli vegga sorgere da quelle lettere una parola nota, egli si racconsola, conosce quel che fa, vede dove si vnol condurlo. Se per esempio nelle due sopraddette sillabe che gli si son fatte dire a nostro modo, e contro il sno interno raziocinio , ritrova egli la parola deco, da lui saputa, e che in quel tal Inogo del libro produce un senso , egli rinunzia di buona voglia al diacio che gli vaniva prodotto con le sue mentali ope- razioni di lettura , s’° attiene a baco che è cosa a lui ben cognita, e s'avvezza come da sè e per la forza del significato delle parole, a rettificare le sillabe erroneamente prodotte dai suoni alfabetici. Ecco quanto bene deriva dall’ essersi (benchè in cosa così \pic- cola ) ravvicinati alla natura, dal solo aver sostituito una parola parlata (mi si permetta il dire così) a sillabe inventate; o almeno raccozzate a caso. Ma questo primo passo doveva incoraggire ad altri più franchi: lo spirito del cambiamento Amiltoniano doveva suggerire qualche cosa di più. Ma o non si è conosciuto. quel che restava da fare, o non si è voluto farlo. Usi come noi siamo a riporre tutto il nostro merito nell’ accogliere i primi. o i non ultimi, le utili novità scoperte dagli stranieri , aspettiamo forse 22 che un secondo Hamilton, o uu Lafforre, o un chi si sia altri ci risparmi la fatica e ci rapisca l’ onore di una seconda sco- perta. n % VII. Proseguiamo l’esame degli inconvenienti del metodo ordi- nario. Come se fosse poco l'aggiungere alle consonanti una vocale fittizia , noi diamo anco a certe consonanti un suono o falso 0 non costante. Tali sono il C, il G, VH, e 1’ unione delle due G N per tacere dei suoni aperti o chiusi di certe vocali, e dei suoni aspri o molli di certe consonanti , la qual confusione è più da imputarsi .a vizio intrinseco del nostro alfabeto , che a. poca arte nel maneggiarlo. Per pronunziare il,C e il G noi adopriamo la vocale è el attribuiamo a quelle due consonanti il suono molle come loro proprio ;. e ci maravigliamo poi e gridiamo , se. tro- vando quelle due lettere unite alle vocali 4 0 w lo scolare legge Cia Gia Cio Gio ec. e tacciamo altresì d’ ignoranti quelle idiote persone che adoprano 1° % per indurire il C e il G avanti ao u come si adopra con le vocali e i, e scrivono Bicha Giocho ec. Con molto maggior diritto dovrebbero essere sgridati e tacciati d’igno- ranti i maestri. Così dopo aver fatto dire «cca al fanciullo, quando trova il segno H pretendiamo che non ne faccia nessun caso quando legge; e dopo averlo avvezzato a pronunziar gi la lettera G, ed enne la lettera IV lo costringiamo a credere e a confessare che que’ due suoni riuniti producono quel suono terzo che si sente nelle sillabe gna gne gno ec. In verità che se si fosse vo- luto stabilire uno studio dell’ arte di sragionare e guastarsi. il capo , non si sarebbe potuto procedere altrimenti. Eppure questi spropositi imperdonabili onorati del nome di insegnamento , pas- sano tutto giorno inosservati sotto gli occhi degli istitutorii più veggenti, e si sono adottati e consacrati anco nelle forme più per - .fette di scuole, come sono quelle di insegnamento scambievole. Tanta è la forza dell’ abito , tanto diventiamo inabili ad osservare le cose che vediamo tutto giorno! Nè si dica che simili incon- venienti sono ben tollerabili e di poco momento, dacchè i fan- ciulli apprendono a leggere nondimeno , ed apprendono presto. verissimo che le sollecitudini d'un padre e d’una madre nel- l'insegnamento domestico ; e le ripetizioni e le insistenze e la perseveranza negli esercizii d’ una pubblica scuola, e in tutti due i casi 1’ intimo buon senso dello scolare , vincono finalmente gli ostacoli , e annullano i cattivi effetti del metodo erroneo. Ma chi sa dirci; quanto più presto, con quanta minor fatica, quanto più volentieri imparerebbero i fanciulli a leggere , se il metodo fosse più retto? Quanto sarebbe più comune il leggere preciso 25 e franco (giacchè non è tale il leggere di tutti quelli che escono dalle scuole ) quanto sarebbe più corretta l’ ortografia nello scri- vere! E soprattutto chi sa apprezzare l’influenza malefica di quel seguito di storti raziocinii, di quell’abitudine a soffocare l’intima persuasione , e ad adottare per vero e giusto quello che i con- fronti e l’intima coscienza dicono essere falso e sconveniente ; l’in- fluenza io dico di questa pessima educazione intellettuale sopra la conformazione futura della mente dei fanciulli! Io per me non conosco altra scuola della virtù, che il far esercitare atti virtuosi, e non conosco altra scuola di ben ragionare, che il far sempre ragionar bene. E sono perciò ben convinto che incredibili sarebbero i progressi di quel giovane , in cui si fosse fin dall’ in- fanzia cercato di eccitare e sviluppare lo spirito d’ attenzione e d’osservazione, a cui si fossero per questa. via fornite le idee le più esatte e le più limpide, ein cui perciò si venisse così svegliando e fortificando il sentimento dell’ evidenza e dell’irtima persuasione; senza che per parte nostra fosse mai quel giovane stato costretto nè a contradire a questo sentimento intimo, nè a credere di sapere quello che non ha inteso. Allora si vedrebbe spiegare le proprie forze lo spirito umano; allora si potrebbe sopprimere la scuola di logica ; e la logica cessando di essere uno studio isolato e sterile , si congiungerebbe a tutti i rami dell’insegnamento e del sapere. Ma finchè seguiteremo ad avvezzare i fanciulli a ragionar male, noi costringeremo i più assennati di loro a perdere da adulti un tempo prezioso, per correggere da sè stessi gli errori che noi avremo loro istillato, e ad apprendere a ragionar bene ; e quanto agli altri, di mente meno aperta o meno giusta, noi con tutte le nostre scuole,di logica e metafisica, con tutti inostri sublimi studi ra- zionali, con tutte le università della terra, non riusciremo che a finirli di istupidire o a farli uscire di senno. Non va dunque tenuto poco conto dei vizi inerenti ai primi studii , ed io non crederò d’ aver reso un piccolo servigio alla gio- ventù, se avrò contribuito col presente articolo a render palpabili i difetti del modo con cui le si insegna a leggere, e ne avrò in- dicato un qualche rimedio. VIII. Vediamo ora se miglioramento alcuno è da sperarsi dal me- todo di Berthaud rimesso in vigore nell’opuscolo pubblicato in Ge- nova. Questo metodo differisce dall’ ordinario per tre capi principali 1.° perchè ‘in gran parte è sillabico , o per dir meglio è insieme sillabico ed alfabetico; 2.° perchè toglie alle: consonanti illoro nome artificiale, e non fa sentire che il loro proprio suono appoggiato ad una e muta e quasi indistinta; 3.° perchè aiuta i fanciulli a co- 24 noscere e a rammentarsi la figura delle lettere e delle sillabe, col mezzo di altrettante immagini di oggetti od azioni i cui nomi co- minciano con quelle lettere o con quelle sillabe. Così la figura d’ un serpente si associa alla figura della lettera S; la figura d’ un’ anguilla alla figura della sillaba ar ec. Pei due primi capi questo metodo è infinitamente superiore agli usati, e rimedia alla massima parte degli inconvenienti ch’ io ho più sopra esposti. Non aggiungerò nulla ai vantaggi; che ho già accennati, del far considerare ai fanciulli, come un unico carattere, l’unione dei caratteri formanti una sola sillaba ; e far loro associare direttamente a questa unione il suono della sillaba medesima. Farò bene un’osservazione che là espressamente ho trala- sciata, per riserbarla a questo luogo più opportuno , ed è che per quanto l’insegnare a’ fanciulli direttamente le sillabe intiere sia modo spedito , retto e infinitamente preferibile ai modi con- sueti di compitare, pur giova moltissimo per più conti di farli giungere ancora. alla cognizione delle lettere. Giova per dimi- nuire il numero dei segni da imprimere nella. loro memoria , il quale sarebbe grandissimo se dovesse uguagliar quello delle sil- labe d’ una lingua , e diviene invece molto limitato se si decom- pongano le sillabe ne’loro elementi. Giova per l’ uso dei voca- bolarj distribuiti per ordine di lettere e non per ordine di silla- be: e giova per tutti quei fini, che ora è inutile di noverare, pei quali importa di analizzare intieramente e conoscere con pie- nezza la vera natura dei suoni articolati, e la struttura tut- ta delle parole scritte. Ma per conseguire questi vantaggi senza inciampare in nessuno dei descritti inconvenienti, bisogna pure risolversi a dare alle lettere staccate un suono che non discordi da quello che hanno, riunite. Se i loro suoni parziali si conser- veranno intatti nel suono intiero della sillaba, non solamente farà allora il fanciullo un ragionamento giusto; che lo aiuterà nella cognizione successiva delle sillabe, ed educherà la sua mente al retto pensare ; ma questo ragionamento sarà facilissi> mo , sarà impercettibile, il più delle volte non sarà quasi un ragionamento. Perchè il suono intiero della sillaba non è vera= mente (salvo alcune eccezioni ) un vero suono composto, ma è una rinnione di suoni successivi: e lo scolare pronunziando una dopo l’ altra rettamente , cioè col suono loro proprio , le consu- nanti che formano una sillaba; si trova aver pronunziata la sil- laba senza quasi volerlo. Ora il dare alle consonanti un suono lor proprio ed un suo- 25 no che rimanga tale nella composizione delle parole , è sembrato impossibile agli antichi maestri (e lo confesso di bnona fede, lo è sembrato anche a me ) perchè delle consonanti anzi delle lettere tutte non si ha generalmente un’ esatta idea. Il sig. de Tracy è il primo che le abbia perfettamente analizzate; ed egli, nel luogo che ho più volte indicato, dimostra evidentemente , che non solamente non si dà consonante senza vocale , ma che non si dà neppure una vocale senza consonante , come non si dà suono alcuno senza tempo e senza tuono. E perciò appunto che un’ articolazione o consonante non può esistere senza smono o vocale, ogni consonante ha una vocale sorda inclusa (o sceva degli ebrei, /° e muta de’ francesi) in quella stessa guisa che ogni vocale pronunziata trae seco una consonante indistinta cioè un’ aspirazione , lieve o forte che sia. Così noi mentre crediamo dire 4 senza consonante che 1’ accompagni , accompagniamo in- vece realmente quest’ 4 d’ una qualche aspirazione equivalente a un cenno di consonante ; e mentre crediamo appoggiare due 2, per esempio, o due ## ad una vocale sola, diamo realmen- te a ciascuna L e a ciascun 7 separatamente un tale’ appog= gio, che è un cenno di vocale. Giacchè dunque ogni consonante trae seco (sebbene non molto distinta ) una vocale muta ; noi possiamo benissimo valerci di questa muta vocale ( pigiata an- che un poco; se occorre ) per profferire da sè ogni consonante , senza che perciò la consonante venga a mutarsi sensibilmente nella composizione delle parole : possiamo così abolire i nomi ar- tificiali delle lettere, e far disparire i disordini che ne proven- gono. Un fanciullo, che avrà appreso a pronunziare il # come te (sommamente muto ) pronunzierà subito rettamente la parola tet-to0; da prima sì un poco stentata , ma prestissimo con tutta la naturalezza , aiutato come egli sarà dal riconoscere in quelle due sillabe una parola della sua lingua da luni ben intesa e ben pronunziata. Riconosciamo dunque, che l’ aver soppresso i nomi artificiali delle consonanti, e 1’ aver reso le principali e più difficili ed equivoche sillabe , 1’ oggetto d’ un'impressione unica ed immediata, sono due importanti miglioramenti del li- bretto stampato in Genova. Solamente io credo attenuato il buon effetto di queste due utili modificazioni, dall’ ordine in cui il metodo procede : ordine, di cui io non fo un rimprovero alla benemerita autrice di quell’ opuscolo , ma al sistema ch° ella ha adottato e solamente raffazzonato all’italiana. Quest’ordine è sin- tetico come ne’ metodi ordinarj , cioè si comincia dalla cogni- T. XXXVII. Gennaio. 4 26 zione delle lettere , e si passa poi alle sillabe e alle parole. Dirò da ultimo qual altro ordine andrebbe a questo sostituito. Passia- mo intanto alla terza e più speciale particolarità del metodo. di Berthaud , cioè al mezzo da lui imaginato, idi associare alla fi- gura delle lettere e delle sillabe l’ immagine d’ una cosa. IX. L'utilità che l’inventore se ne è ripromessa, e che secondo mad. de Genlis e 1’ autrice del. presente opuscolo , si sarebbe realmente ottenuta, dipende tutta dalla facilità incomparabil- mente maggiore che trova un fanciullo , ed anco un adulto, a riconoscere e rammentarsi 1’ imagine d’ un oggetto reale e noto, di quello che egli la provi a ben osservare ed imprimersi in mente alcuni piccoli e mal differenziati freghi che noi chiamia- mo lettere. Bisogna esserne testimonio , per conoscere la pena che dura un’ idiota a hen discernere e classificare tra sè e sè le forme dei caratteri, massime se sono piccoli; egli avvezzo a con- templare gli oggetti magnifici della natura , e ad abbracciare in questi oggetti con un’ occhiata il solo aspetto esteriore , il solo insieme indistinto. Il contadino che vede tutto giorno monti, alberi, case, vacche e buoi, non giunge quasi a scorgere sopra un foglio bianco la nostra scrittura. Figuratevi come alza le spalle per meraviglia quando gli volete far credere che un @, per esempio , è differentissima da un c e un n da un wu. I fan- ciulli non provano nulla meno d’un contadino, quest’ imbarazzo. E alla confusione dei segni si aggiunge la confusione dei suo- ni: essi ben distinguono la parola babbo dalla parola mamma , e pepe da uve, e dado da tutto; ma il loro orecchio mal per- cepisce la differenza delle articolazioni isolate e prive di senso, b. m. p. v. d. t. E bisogna insistere molto, e aver pazienza, e aspettare che il senso delle parole aiuti lo. sforzo degli occhi e dell’ orecchio , per ottenere che la differenza delle lettere s' im- prima nettamente nella loro memoria. Ma supponete che. essi veggano per esempio un serpente; ne dicono subito il nome: supponete che all’ imagine della serpe sia unita la figura della lettera S già abbastanza somigliante ad un serpente ; sarà loro facilissimo di vedere tra poco un serpente nella sola lettera S anco staccata dall’ imagine, e rammentarsi ch’ essa equivale a se ( para consonante appoggiata ad un e muta ) principio della parola serpe. Conosciuta bene la lettera e appresone il suono, si può e si deve metter da parte l’ imagine che ha servito di mez- zo ; in quella guisa che si disfà la cenzina quando |’ arco è as- sodato : e la lettera non è dimenticata mai più. X. Ma perchè questo metodo fosse intieramente applicabile 37 al nostro alfabeto , bisognerebbe che tutti i nostri caratteri fos- sero nel caso della lettera S, cioè che somigliassero ad un tale oggetto il cui ‘nome ‘cominciasse dalla lettera che si vuol far co- noscere. Così accadeva a un incirca nell’ alfabeto ebraico , così in qualche modo nell’ egiziano ; recentemente scoperto dal sig. Champollion:; e il sig. Champollion non meno che il sig. Young , nello scoprire in che modo questa corrispondenza della figura delle lettere a certi oggetti si introducesse in quegli antichi alfabeti, hanno anche sparso vivissimo lume sulla storia dell’ invenzione de’ caratteri , e della sostituzione della scrittura ai geroglifici. Il sig. de Tracy , nel buio in cui egli era e in cui eravamo tutti, pochi anni indietro, sul valore de’geroglifici egi- ziani , aveva cercato di stabilire (loc. cit. pag. 282 e seg.) che dalla scrittura geroglifica alla scrittura alfabetica (o fonetica per usare la nomenclatura, oramai divenuta classica, di Champol- lion ) il passaggio è quasi impossibile, e imaginò un’ origine dei caratteri fonetici, dotta ed ingegnosa, ma oramai contradetta dai fatti. Lezione importante , che dovrebbe una volta per sem- pre farci rinunziare alla smania di crear sistemi per congettura, quando ci mancano i dati positivi! Lezione, che ha tanto mag- gior peso, in quanto che un de Tracy, cioè il più gran nemi- co del ragionamento. .a, priori , è quegli che cede anch’ esso in quest’ occasione alla seduzione d’ una teoria , e all’ incauta pre- tensione di saper più ‘che non potevasi ee allora sapere, perchè l'osservazione non ci diceva ancora di più. È dunque reso oggi sommamente probabile che comincias- sero gli uomini dal rappresentare gli oggetti con la loro imagi- ne; che dipingessero ‘per esempio un toro, una casa, un uscio, un piuolo, un:serpente, quando volevano esprimere queste idee ; che costretti in seguito ‘(( o per iscrivere nomi propri o per espri- mere idee astratte ) a rinunziare alle imagini, e a rappresentare i suoni dei vocaboli, invece di dipingere le idee , adoprassero quelle stesse figure di oggetti ( figure prima esatte, poi a mano a mano scorciate e sformate ) a significare i suoni parziali del nome di quelli; suoni che diversamente tra loro combinati espri- mevanòo il nuovo nome che volevano ‘scrivere. Così la testa d’un toro” ( in edreo chiamato alef ) indicò prima un toro ; fu quindi adoprata per la lettera 4 onde scrivere , per esempio , il nome Abramo ; la figura d’ una casa , chiamata Bet divenne la lette- ra B; quella d'un uscio (Daleth) divenne la lettera D; quella d’ un piuolo ( Va ) la lettera 7; e quella d’ un serpente (Tet) la lettera 7. 28 E prima ancora che tali segni divenissero caratteri alfabe- tici, e forse nel tempo stesso che erano tali, si usavano al bi- sogno per caratteri sillabici, e per caratteri di sillabe differen- ti (3); che tutte le prime invenzioni sono imperfette, son rozze ; x e in tutte le regole trovate per pratica vi è una sostanziale re- golarità, unita a mille varietà accidentali, come si vede nelle lin- (3) Così 1’ imagine d’ un leone , e poi lo scorcio di quell’ imagine divenuto lettera potè significare Ze nella parola Ptolemaeos ; lo nelle parole Philopator, e Philometor ec. ec. Così nella scrittura ebraica manca spesso ora l’ una ora l’ altra vocale scritta, ed il medesimo carattere consonante ivi è sillabico , e rappresenta la consonante unita a questa o quella vocale. E ciò può essere av- venuto presso gli Ebrei, dall’aver essi forse adoprata da principio non una sola imagine geroglifica pel medesimo carattere fonetico, ma più d’ una; e dei due o più geroglifici degenerati , aver adoprato ora questo ora quello , secondo che avevano bisogno dell’ una o dell’ altra sillaba. Così presso gli Egizj una ca- panna o una tazza equivalevano alla lettera % perchè la tazza si chiamava Ke- lol e la capanna Kalîbi; e potè da principio essere presa la capanna , e il carattere a lei equivalente per la sillaba Ka, e la tazza per la silla- ba Ke; poi i due segni confondersi , servire indistintamente alle due sil- labe , e finalmente alla sola consonante X. Ghecchè'sia di ciò, egli non è da credere che indistintamente tutti i caratteri consonanti fossero usati dagli Ebrei per esprimere consonante e vocale , e una vocale qualunque ; ma nella deter- minazione del loro valore influirono certamente circostanze particolari, e non un sistema generale adottato da loro. Ecco perchè ho detto nella nota (2) che l’asserzione del sig. De Tracy (essere cioè stavi sillabici i caratteri degli Ebrei e d’altri popoli orientali) è troppo generale : e lo è appunto perchè egli non am- mettendo che i caratteri alfabetici siano stati una degenerazione de’ geroglifici , ha pensato invece, che per rappresentare in iscritto le parole , si sia cominciato a notare quel che ‘in esse v’ è di più sensibile , cioè il'iuono e il tempo , poi l’ articolazione’, e da ultimo la vocale ( vedi pag:\352: a 336); che per con- seguenza nell’ epoca. anteriore ai segni delle vocali; le consonanti le includes- sero, 0 piuttosto le lasciassero supporre ,, e. le lasciassero supporre indistinta mente tutte ; e fossero così caratteri essenzialmente sillabici. Questa supposizio- ne è troppo filosofica per essere stata una realtà. I trovati del popolo , e so- prattutto i primi ritrovati, non hanno questa semplicità 9 questa precisione , questa uniformità. Il dipinyere invece un oggetto in luogo’ di ‘scriverlo ; pigliar poi quell’imagine , che prima era'tutto il nome, ‘per una sola parte di questo nome , e così esprimere col geroglifico , prima una,sillaba poi una lettera ; far ciò secondo il bisogno , e perciò avere ‘un carattere, per tali sillabe e non per tali altre ; mescolare questi segni, e farli servire indistintamente il me- desimo a_ più sillabe, o più segni a una sillaba sola; compendiare a mano a mano alterare , usandoli , i geroglifici , e ridurli di caratteri sillabici a caratteri alfabetici ; ridurli ‘in un'tal caso ‘è non mel tal altro , certi e non tutti TO tutti pure ma a diversi intervalli‘; eccò 1’ vperare per ‘occasione , l’ operare con una certa, tal regola ma/ con molta libertà ;° 1° operar vario e saltellante del popolo : ecco la natura, 29 gue tutte, come si vede più o meno nell’opere tutte della natura. Queste figure ; io diceva, furono prima esatte, furono poi meno compite , furono da ultimo tracciate appena , e talora non ricono- scibili ; osservatelo nella forma dei caratteri demotici (o popolari) scoperti da Champollion , e derivati da’ caratteri geratici, imi- tazione e contraffazione prima de’ geroglifici veri; osservatelo ancora ne’caratteri dell'alfabeto ebraico. Ciò non ostante un cen- no della loro origine rimane in loro ; e rimane (almeno nella maggior parte) quel tanto che basta a richiamare nella mente d’ un fanciullo l’ effigie della lettera , con l’ effigie dell’ oggetto di cui ella era da principio la rappresentazione. Ma andate a trovare questa genealogia , questo primo tipo nelle nostre lette- re, passate oramai per tante mani, lavorate da tanti secoli, e che hanno servito e servono a tante lingue ? E trovata pure ne’no- stri caratteri una qualche rassomiglianza con esseri noti , per esempio la mezza luna nel C, un cerchio nell’O ec. ec. come tro- vate voi il suono proprio della lettera nel primo suono del nome di quell’ oggetto ? Come ottenere che la parola mezza luna ram- menti nella nostra lingua il c ? e la parola cerchio rammenti più l’o che l’e o l’i? Ecco uno scoglio inevitabile, a cui non poteva non rompere l’ autrice Genovese ; la colpa non è sua , è del sistema. Quindi è inutile ch’ io dica; non ‘esservi in tutte le imagini adoprate nel nuovo metodo , altro che la sola imagine del serpente ; che abbia una qualche relazione colla figura della lettera a lei asso- ciata , cioè la s; nel mentre che il principio del nome serpente richiama della lettera medesima il suono. Tutte le altre sono imagini di oggetti, i cui nomi cominciano sì quasi tutti (4) con quella o lettera o sillaba, a cui è piaciuto di ammettere tali pitturine , ma con cui la figura della lettera non ha somiglianza veruna, e il legame è meramente arbitrario. Ripeto però che questo è vizio del sistema in sè medesimo, e di cui non va imputata l’ antrice. A lei bensì potrebbesi con più ragione far osservare, 1.° che parecchi oggetti , figurati nel nuovo metodo , sono o ignoti o poco noti, e perciò mal servono ad imprimere nella mente i caratteri ancora sconosciuti della no- (4) Dico quasi , perchè per la sillaba gli e per le due sillabe riunite zio- ne ; si pigliano gli ultimi pezzi delle parole gigli e colazione. Questa leggera anomalia era inevitabile, nell’ ipotesi di voler pure insegnare direttamente le suddette sillabe , dalle quali nella nostra lingua non comincia alcun nome di oggetto rappresentabile. 30 stra scrittura: tali sono esagono , ido'o, ipopotamo , iguana , blattaria, ottica, la carta dell’ Italia, e perfino lo stesso nume- ro 6 che ordinariamente s’ insegna , come tutti gli altri numeri, insieme con le lettere. 2.° Per cavarne le volute sillabe si dan no agli oggetti figurati, de’ nomi o impropri e male scritti, o poco usati e perciò differenti da quelli che il fanciullo è avvez- zo ad annettere all’ oggetto medesimo ; per esempio irco inve- ce di caprone , endivia per indivia, iberno per inverno, azzeruola per lazzeruola, sverza (qualità di cavolo), adamante per diaman- te , egro per ammalato, ucchiello per occhiello, olla per pento- la ec. Scorrezioni o stranezze che meno urtano dove la nostra lingua scritta non è parlata , e ove perciò tanto sono nuove e bizzarre al fanciullo e all’ idiota le parole italiane dell’ uso e rettamente scritte , quanto le antiche. o latine o mal pronun- ziate : ma l’ orecchio de’Toscani ne sarebbe stranamente offeso ; e ai non toscani per cui lo studio della lettura è insieme uno studio di lingua, è importante di insegnare fin da principio la lingua vivente e corretta. È vero che in piè dell’ opera, quasi come un errata, si dà la spiegazione dei vocaboli o strani o stra- namente scritti ; ma il rimedio è tardo ; 1’ impressione. è già fatta, ed è sempre un gran difetto nell’ insegnamento 1’ istillar un errore 0 quasi errore ; riservandosi poi di rettificarlo. E se all’ autrice pareva impossibile 1’ evitare codeste parole alquanto remote dalla comune intelligenza ( pag. 78) era meglio rinun- ziare all’ insegnar direttamente quelle tali sillabe , piuttosto che valersi di oggetti e di parole meno note delle sillabe me- desime, e quel che è più, di qualche parola scorrettamente scrit- ta. Quando poi il libro fosse stato stampato per i Toscani, non si vedrebbe certamente fra le parole degne di spiegazione , la parola uggiolare che da noi è intesa ed usata da tutti i contadini. 4.° Al- cune imagini mal rappresentano ciò che dalla parola è significato ; così non:bene si dà l’idea dell’ ottica (se pur quest’ idea può tra- smettersi ad un fanciullo ) non ben si dà quest’ idea con un ca- nocchiale ; nè quella dell’ acqua con un vaso che la contiene , e un vaso non de?’ più adoprati a tal fine; nè l’idea generale d’ope- rato con l’ imagine d’ un legnainolo , e quella di idolo con un idolo particolare. 5.° ( e quest’ avvertenza è ancora più importante) le sillabe che si staccano da parecchie parole , le rompono malamente e avvezzano così lo scolare a spezzare scorrettamente , o leggen- do o scrivendo , quelle parole stesse e le simili a loro. Per esem- pio si piglia la sillaba ag dalla parola 42g0, al da ala , ed da edificio , as da asino , e molte altre. 6.° Le vocali , che son pu- 31 re le più importanti lettere , e le più facili a isolarsi e a pro- nunziarsi , sono (non saprei per qual motivo ) riserbate alla ta+ vola sesta e perciò quasi all’ ultimo periodo dello studio. Corretto da questi difetti il nuovo metodo sarebbe stato almeno coerente a sè medesimo , sarebbe stato. quello che si voleva .che fosse , e qualunque siano le sue intrinseche “imperfezioni ; si po- trebbe misurare con l'esperienza l’ampiezza de'suoi vantaggi. In ogni modo però, io rendo con la maggiore schiettezza del mio ani- mo un omaggio di stima, di lode e di riconoscenza alla bene- merita madre che ha cooperato dal suo canto ai progressi d’ un prezioso ramo d’ insegnamento ,. e ha tentato di alleggerire la noia de’poveri nostri fanciulli. E. tanto a’ miei occhi è più da lei meritato quest’ omaggio, in quanto che , secondo ch’ io penso , nel metodo di Berthaud si racchiude il germe d’un immenso mi- glioramento dei metodi di lettura: .e nel. trapiantare in Italia questo metodo , la sig. Milesi ci ha offerto un dono, che può divenire prezioso. L’idea caratteristica del nuovo metodo , cioè quella di an- nettere la figura d’ un oggetto zoo ai caratteri ignoti della scrit- tura è un idea felicissima. Il diletto è sostituito alla noia, un’oc- chiata dello scolare supplisce e previene la voce del maestro ; al- cuni segni poco visibili, poco distinti, nulla stimolanti l’ atten= zione , e per tutte queste ragioni sommamente sfuggevoli, si fissano in mente dello scolare con molta facilità, portativi da’ un’ imagine che, alletta. Ma tutti questi vantaggi sono somma- mente attenuati, sono accompagnati da inconvenienti, per la cattiva applicazione dell’ idea primitiva: e a questa cattiva ap- plicazione ‘è stato strascinato .l’ inventore, dal pessimo sistema oramai invalso e creduto l’unico praticabile, dell’ insegnamento sintetico. Questo sistema ha fatto credere a Berthand che biso- guasse associare ad una figura le lettere e le sillabe; ed io ho fatto vedere che ciò è impossibile nel nostro alfabeto. Perchè nessuno ha mai domandato a sè medesimo : v’ è egli un modo differente di procedere? Perchè nessuno si è mai rivolto ad esa- minare con qual metodo imparano i fanciulli a parlare? E non ha mai sospettato che là potesse la natura medesima additarci la migliore strada di farli imparare a leggere ? Ora, che fa la ma- dre e ‘la balia per insegnare al bambino a dir babbo e mamma ? Gli pronunzia, molte volte bello e tondo babbo e mamma, e il ragazzo che sente quei suoni , li rifà; & poichè li sente nel mentre che gli è fatta vedere la mamma e il babbo, si av- vezza a chiamare con quei suoni queste persone . Col me- 32 desimo andamento gli vengono a mano a mano facendo scuola i fratelli, le sorelle, le persone tutte di casa e di fuori ed egli apprende per la stessa via a chiamare la pappa, il pane, la casa ; gli oggetti tutti che gli vengono sott’ occhio; e le qua- lità, e le azioni e che so io. Nè perchè egli apprenda a ben ma- neggiare la sua lingua, v'è nessuno che gli dica: questo è un verbo ; questo un nome; questo un aggettivo , questo un plu- rale, questo un participio, questo un futuro ec. Egli dice e verbi e nomi perchè li sente dire ; gli adopra da prima per quei casi identici in cui li sente adoprare, poi per dei somiglianti; e afferra da sè da sè con somma sagacità le simiglianze, e le dif ferenze , e adatta ogni cosa a suo luogo in quella stessa maniera che da prima chiama pane il suo pane, poi ogn’ altro pane qua- lunque. I primi suoni, dura fatica a ridirli, come stenta a far le prime applicazioni di parole ; poi va più franco , e da ultimo ripete ogni parola nuova al solo sentirla una volta pronunziare, e si ricorda il nome d’ un oggetto , al solo essergli stato inse- gnato una volta. A chi verrebbe mai in capo , che questo pro- cedere è rozzo , che va corretto ; che bisogna far insegnare dalle madri prima a poi 2 e c ec. avanti che insegnino a’ loro figliuoli nessuna parola; e che conviene mandar nelle case un grammatico a fare scuola di sintassi ai bambini? Ebbene, ciò che nel parlare parrebbe ora a tutti stranamente ridicolo, non lo è nulla meno nel leggere; e tutti lo sopportiamo e lo crediamo anzi necessario. Anco nelle lingue si credeva così; e non si era mai sospettato che si potesse insegnar l’inglese , il francese , il tedesco , se non che mettendo nelle mani d’ un povero giovane una grossa gram- matica, e cominciando dal ficcargli nel capo gli articoli, i nomi, poi i verbi ec. ec. mentre pure i vetturini e i servitori, che non avevano potuto procurarsi l’ alto aiuto d’un maestro, imparavano quelle lingue da sè , col solo viaggiare in Francia , in Inghil- terra e in Germania , col sentir parlare quei popoli , e mettersi subito a parlare con loro. Finalmente Hamilton è venuto quasi a rivelarci, che anche noi possiamo non esser da meno d’ un servitore e d’ un vetturino. Riveliamo una volta a noi stessi che un maestro di scuola può esser da tanto quanto è una mamma de’ Camaldoli o del contado. In fatti che sarà egli più difficile insegnare ad un fanciullo o ad un’ idiota : dei segni di suoni artefatti che non significan nulla, quali sono di, ci, di, striz, squar, strig, e che altro mai contengono di più barbaro i nostri sillabarj; oppure fargli conoscere i segni di una parola che ha senso, e che gli è nota ? PI 33 Potrà egli per esempio arrivare a conoscere e proferire la sillaba sver e la lettera ©, e non potrà assai più prestu distinguere e dire le parole i0, tu , mio, due? Non ne dubitiamo punto. E se noi nell’ insegnargli un'intiera parola, faremo come fa la ma- dre , che gli accenna l’ oggetto quando lo nomina , cioè se noi scriveremo la parola (e da prima assai breve ) sotto l’ imagine dell’oggetto (molto conosciuto ) di cui essa è il nome, teniamoci per certi, che il fanciullo sarà maestro a sè medesimo , e ap- prenderà a leggere per trastullo. Ecco dove il sistema di Ber: thaud può aver la più giusta applicazione , e sviluppare tutta la sua forza e le sue attrattive. Ecco , a’ miei occhi, il più grande miglioramento che possa mai introdursi nella scuola di leggere perchè è il più conforme alla natura; miglioramento di cui mi suggerisce l° idea l’ opuscolo della stimabile sig. Milesi. Io vorrei che, con molto giudizio fosse scelta nella nostra lingua una serie di parole, che adempissero alle seguenti con- dizioni: 1.° che nel loro insieme cuntenessero non solamente le lettere tutte dell’ alfabeto , ma le sillabe più usuali, quelle che sono come generatrici di molte altre , e quelle che riescono più difficili a rilevarsi per analogia, ed hanno bisogno di es- sere apprese direttamente; 2.° che fossero nomi di oggetti no- tissimi ar fanciulli, e ai fanciuili di quella tal -classe che pi- gliamo ad ammaestrare; 3.° che le prime di tali parole fossero brevissime e semplici nei loro caratteri, poi le altre a mano a mano più luughe e più complicate. Parmi che la prima do- vrebbe essere due , e poi per es. cane, pane, gatto, casa ec. 4.° che le sillabe le quali si vogliano’ più imprimere , ritor- nino più volte; 5.° che tutte insieme queste parole non fos- sero poi molte; cioè tutt'al più un cento. In corrispondenza di questi nomi dovrebbero esservi al- trettante imagini degli oggetti espressi da quelle parole: ima- gini non solamente disegnate in nero ma colorite e naturalis- sime; imagini però piuttosto piccole, nel mentre che i carat- teri delle parole dovrebbero essere grandissimi, perche l’atten- zione non fosse troppo chiamata dalle pitture , ma potesse egual- mente trattenersi sopra le parole. Oltre le parole degli oggetti figurati, ne andrebbero poi raccolte e stampate a parte, senza imagini, molte altre, an- ch’ esse scelte con riflessione, acciocchè la difficoltà vi cre- scesse bel bello; e vi ritornassero da prima le medesime sil- labe dei nomi delle imagini, poi sillabe analoghe, poi meno T. XXXVII. Gennaio. 5 34 | somiglianti. Queste parole di più dovrebbero formare un senso e un seriso dilettevole ed istruttivo. Preparati così tutti i materiali, nulla di più facile e di più piacevole che la scuola di lettura. Lo scolare non dovrebbe nel primo periodo , che guardare ( poche alla volta) le sue figurine, e i nomi scritti di sotto o di sopra. Egli ha sola- mente a sapere che quei caratteri rappresentano per es. un bue, un cavallo, una casa, come rappresenta tali cose la loro imagine dipinta ; che perciò quando troverà in un libro quei caratteri dovrà leggere casa, cavallo, bue. È 1° attenzione e 1° esame del fanciullo saranno, con tutti quei mille artifizi che un buon maestro sa ritrovare , saranno così rivolti sopra quelle parole, che separate le parole dalla pittura , possa il fanciullo riappaiarle da sè, e tanto egli dica due, casa, cavallo ec. al fargli vedere questi oggetti dipinti, come al fargli vedere le parole che gli esprimono. Fatto questo lavoro sopra alcune più facili parole, sì passa ad altre successivamente. La conoscenza di queste parole condotta con arte può riuscire sollecitissima ; ma supponiamo che manchino e l’arte e il tempo opportuno , e che il fanciullo sia quasi abbandonato a sè ; che veda pen- dere da un muro ( per es. nella casa d’ un contadino) o ab- bia a guisa di carte per suo balocco , tutte quelle imaginine tra mano ; il suo studio sarà più lento, ma non sarà meno retto nè meno efficace. Egli farà da sè quello precisamente che fa per apprendere a parlare: sente mille parole senz’ordine e senza scelta; è da prima confuso, poi gli si apre la mente, gli si scioglie la lingua; prova, balbetta, e un tal giorno parla. Così qui: vedrà , esaminerà , s° imbroglierà ; ma alla fine quei caratteri gli resteranno impressi come |’ imagine , e all’ aprire un libro ve li riconoscerà. Tuttavia io non presumo ch?’ egli sia abbandonato affatto a sè stesso: ben poche cure gli ba- steranno, ma alcune son necessarie. Alla fine di questo primo periodo , il fanciullo si troverà , rispetto alle poche parole sottoposte alle pitture, in quella stessa situazione in cui si trova il più perfetto lettore riguardo a una parola qualunque : il riconoscimento di esse è per lui una vera intuizione ; il loro insieme è il soggetto d’ una sola occhiata, E questo è bene lo scopo vero e la perfezione della lettura. Ma le parole note così al fanciullo sono ancora poche , e a voler progredire per questa via onde fargli leggere le parole tutte della lingua, si andrebbe troppo per le lunghe. H fan- ciullo nel mentre stesso che si è formata in mente l’idea del- 35 I’ insieme di que’caratteri , si è (non ne dubitiamo) rivolto an- cora a osservare le parti, e ha già confusamente conosciuto che alcuni caratteri ritornano |più volte; ha già cominciato al suo modo un’ analisi. In questa analisi appunto bisogna aiu- tarlo: ed ecco il secondo periodo dell’ ammaestramento. Si de- ve cominciare dal fargli pronunziare lentamente, e quasi spez- zatamente i suoni parziali d’ una parola, e fargli così meglio distinguere a quali segni parziali essi corrispondano. Questa quasi spezzatura sia prima delle sole sillabe, poi delle lettere proferendo le consonanti coll’ e sorda e quasi. indistinta : il solo fermarsi sopra loro dà questa pronunzia ; che è propria appunto della natura. (5) Si facciano*in secondo luogo guardare isolatamente i pezzi di quelle parole note, e isolatamente pro- ferire. E se le parole, com’io vorrei che fossero, saran com- poste di caratteri mobili, si accozzino i varii elementi,di quelle prime parole note, in diversa combinazione , in modo, che ne nascano parole diverse composte però di parti già note : al che serviranno di guida le parole della seconda scelta , che ho sopra accennato. Così con le sillabe delle due sole parole cane, ro- sa, si. forma, caro, casa , nero, e va discorrendo. Dalle sillabe anco qui si passa alle lettere, e valendosi del libretto ‘a ciò opportunamente preparato , si venguno adagio adagio da ele- menti ben conosciuti a formare e a far conoscere mille pa- role ignote; e mettendo nella progressione della difficoltà il do- vuto giudizio, continuando, ad. esercitare il fanciullo sulla lettura immediata (e ad una sola occhiata), delle parole intiere che conosce di già, e di cui nel libretto saran formati degli ac- conci periodetti, i progressi del fanciullo saranno rapidissimi, e quali non ce gli imaginiamo forse ; ed egli, «quel che saprà leggere a mano a mano , lo leggerà veramente e non lo. com- piterà. Che egli sarà venuto alla cognizione delle parti , dopo aver conosciuto bene il tutto; e perciò o riuniti in quel me- desimo tutto, o combinati diversamente , ch'egli trovi ‘quei ca- ratteri parziali, e’ li raffigurerà subito come oggetti a lui noti, (5) Dando così , nell’ isolare le consonanti , il suono reale che hanno nelle parole , non ci sarà mai pericolo , che si attribuisca al c e al g il suono molle avanti a 0 u , 0 il duro avanti e i: la & sarà pronunziata dove ha valore ; ‘e no , dove non lo ha: e il gw piglierà il suo suono ginsto. Ma bisogna a tal fi- ne che le parole prese per modello offrano appunto tutte queste combinazioni. 3» e darà loro il loro suono senza pure pensarvi ; egli vedrà e non ragionerà. Ecco s’ io non m' inganno il vero modo. d’ applicare il me- todo di Berthaud, ecco rimesso tutto nell’ ordine della natu- ra , col solo sostituire l’osservazione al raziocinio, l’analisi a'la sintesi, e non adoprando questa, se non dopo che quella ha già somministrato i necessari e reali elementi. Io non parlo sicuramente di cosa provata già, e su cui io abbia la certezza del fatto : ma confesso che sarei stranamente sorpreso se il fat- to contraddicesse la mia previsione. Io non lascerò di far ben presto le convenienti esperienze, e di applicarmi coi lumi che può suggerire la pratica. afla compilazione del libretto di gui- da : lavoro, agli occhi miei, importantissimo e in cui invoche- rò gli aiuti de miei amici. Io renderò, appena lo possa, un sincero conto. al pubblico dell’ esito. delle mie prove; e non dispero che la sig. Milesi medesima ( a cui oso lusiugarmi, che siano per parer giuste le mie osservazioni ) vorrà ella stessa aggiungere ai miei i suoi tentativi: Ella che col suo libro me ne ha ispirato l’idea, Ella già fregiata di più corone in questo nobile aringo , Ella che per riuscire in una simile intrapresa, ha quel tesoro che nomo al mondo non può mai possedere , il cuore d’ una madre. Rarr. LAMBRUSCHINI. P. S. Per non initerrompere il corso delle nostre riflessioni in- torno al metodo d’insegnar a leggere, ho dovuto riservare ad un poscritto una breve osservazione sopra un punto concernente l’or- tografia, toccato alla pag. 70 dell’opuscolo da noi esaminato ; sul qual punto: aspettavo da lungo tempo un’occasione di spiegarmi , perchè in ciò non vedo andar d’ accordo tra loro gli scrittori i più valenti sia Toscani sia d’altra parte d’Italia, ed io medesimo non vo d’ accordo con parecchi de’ miei più pregiati amici. Io parlo della j. Questa disgraziata lettera non ha potuto ancora riaversi da un terribile colpo ch’ella ebbe in uno spiritoso dia- logo pubblicato nei primi numeri dell’Antologia (*); ed io apprezzo tanto le cognizioni el il gusto dell’ autore innominato di quel dialogo, che dopo averlo letto, ho richiamato meco stesso ad un nuovo esame i fondamenti della mia opinione contraria , per timore di non prendere abbaglio. Altri collaboratori dell’Antolo- (*) Vol. IV. pag. 152. 37 gia ch’ io pregio ed amo, mostrano anch’essi d’ abborrire questa lettera proseritta : e nell’ opuscolo da me finora esaminato si dice che i migliori scrittori d’oggi pongono come gli antichi la ? in- vece della j. Io sento dunque il bisogno di dir qualche cosa in favore di una lettera che molti perseguitano , e di pregare gli scritturi a sentire le sue ragioni avanti di condannarla. Perchè la j potesse essere soppressa, converrebbe ch’ ella servisse ad esprimere il medesimo suono che la i. In questo caso sarei io il primo a dire: sbandiamo questo carattere inutile ; ma chi mi potrà persuadere che , pronunziate correttamente e quali le udiamo noi pronunziare tutto giorno dalla gentil bocca dei To- scani, abbiano il medesimo suono finale le seguenti parole: ma- cellari, lunarj, rit? O il mio orecchio m’inganna stranamente, o la finale di /urarj ha qualche cosa che è più di una ? e meno di due i. Due i sono la ripetizione staccata di questo suono; una j è l’i prolungato ma non ripetuto. Si dirà forse che tutti sanno come pronunziare lunarj e riî, e che non è necessario un nuovo carattere per esprimere questa diversa pronunzia? Ma se questa retta pronunzia è conosciuta da chi per buona sorte è nato dove la nostra lingua è la lingua del, popolo , può non esser conosciuta da tutti gli Italiani, può non esserlo dagli stranieri; e se non si pronunzierà da taluno /undri, invece di /unarj, può pronun- ziarsi però Medi, per medj, distillatori per distillatorj , sommari per sommarj ec. A me pare che la nostra scrittura manchi piut- tosto di segni atti ad indicare la retta pronunciazione, di quello che ella ne sovrabbondi. Giacchè dunque non possiamo noi mai sperare di introdurre de’ segni nuovi, teniamo almen conto di quelli che già sono introdotti. Nè si saprebbe giustificare l’espul- sione della j la qual pure ha un valor reale, mentre riteniamo senza scrupolo la 4 in parecchie voci del verbo avere, dove ella figura come un mero certificato d’ origine; e non giova nulla per la pronunzia. Ma io penso che il maggior torto della lettera j sia, presso molti, l’ incertezza loro sui casi in cui essa è veramente neces- saria. Un orecchio toscano , qualora fosse ben interrogato , do- vrebbe bastare per norma: ma non tutti abbiamo un simile orec- chio, nè tutti sappiamo consultarlo. Mi ardirò dunque di esporre quì la regola ch’io seguo , e che se riuscisse a parer giusta an- che agli altri, meriterebbe forse alla lettera j una riconciliazione con gli scrittori che le hanno giurato inimicizia. I nomi che al singolare non hanno una i avanti la termina- 38 zione, è chiaro che al plurale devono finire in è semplice. Così si scrive Medi da Medo ; distillatori da distillatore ec. I nomi nella cui terminazione singolare la i non serve che ad ammollire la consonante anteriore, sono nel medesimo caso; perchè la è fa ivi le veci del carattere che ci manca per significare il c il g il g/ dolci; e non ha un vero suono di vocale : così va scritto al plu- rale gigli, baci, pregi, da giglio, bacio, pregio. Considererei an- che come ausiliare la 7 che fa parte d’un dittongo nelle parole empio, esempio, rocchio, cocchio e simili, e scriverei al plurale empi , esempi , rocchi, cocchi, ec. Ma quando la i nelle ‘termi- nazioni singolari ha un valore di vera vocale distinta, allora o ella è lunga e fa sillaba separata dalla vocale della terminazione, per es. in Zacìo pio rio; e va conservata separatamente nel plu- rale, che dee finire con due i, dacii, più, rii: o ella è breve e fa un sula sillaba con la terminazione, come : martirio , vizio , matrimonio ; ed ecco il caso in cui a mio parere la finale plurale non può esser rappresentata correttamente che da una j, e va scritto martirj, vizj, matrimonj ec. ec., perchè queste finali non sono nè una sola 7 ne’ due î; ma un chè di mezzo, a rappre- sentare il quale non abbiamo altro carattere che la j. Così io scriverò @/0 pajo e aj paja; perchè io ci sento un suono ben dif- ferente da quello delle parole io; maî, mia : e non mi priverò certo di quel mezzo che il nostro alfabeto ci offre, di rappresen» tare con maggior precisione le differenze della nostra pronunzia. Del resto i casi più frequenti di impiegare la lettera j sono le terminazioni plurali, che ho precisate, cioè : quelle che vengono da una terminazione singolare in io, dove l’i ha un suono di- stinto ma non fa sillaba separata dall’o. Per gli altri casi l’orec- chio può guidare abbastanza; e la varietà fra gli scrittori sarà in ogni modo ben limitata. Ma nelle terminazioni plurali così ovvie, sarebbe desiderabile, che o attenendosi all’accennata norma, o indicandone una migliore, gli scrittori seguissero una maniera d° ortografia coerente a sè medesima ed uniforme, e che invece di sbandire affatto la j ne rettificassero e ne fissassero l’uso. RIjLI 39 Istoria de’ progressi delle Scienze naturali dal 1789 fino al pre- sente, del Sig. Barone G. Cuvizr tomi 4. in 8.° Parigi 1828-29. Il presentare un quadro in cui fossero delineati que?’ grandi ritrovamenti, quelle sublimi concezioni che segnano l’epoca in cui viviamo siccome quella che non ha pari, e sì che invano si cer- cherebbe nella storia dello spirito umano qual’ altra si potesse porre in confronto ad essa; ella era impresa tale, che richie- deva l’opera di uno di que’sapienti istessi, che formano il più bel lustro di questa età medesima. Non occorreva meno a tale bisogno che il sapere del pari profondo, e vastissimo del Cuvier. Ma il genio , che mal può soffrire ogni freno , doveva lasciarci a temere che una mente sì fatta ben presto sentisse il peso di una compilazione ; e questo è appunto ciò che avvenne iri effetto. Dopo d’ aver egli nel primo volume offerto una storia di que’pro- gressi che le scienze naturali fecero dal 1789 al 1808, indican- do i punti i più importanti, i legami che fra le diverse osser- vazioni si hanno a considerare, come l’una di esse facesse strada all’ altra; ne’successivi volumi, che comprendono gli anni dal 1809 al 1828, non si trovano che le annuali relazioni accademiche da esso lui presentate allo Istituto di Francia , allorchè egli dovette compiere lo incarico di Segretario della R. Accad. delle Scienze. Se ci siamo proposti di consecrare alcune pagine di questo giornale a favellare di quest’opera, non fu nostro oggetto il darne piena contezza , chè vano tentativo sarebbe quello di presentare il sunto di uno scritto, che è già la somma la più compendiosa di altri scritti; ma bensì quello di richiamare l’attenzione de’no- stri leggitori su questo libro. Se la storia dei Re, e delle nazioni si riguarda siccome cosa di sì alta importanza , nè si cessa di commendarne lo studio , benchè deturpata sia essa ad ogni passo da tutto ciò, che di più nefando può immaginarsi , e sì che a ben mirare la cosa, essa ci rappresenta, in quanto ai traviamenti del nostro cuore, al di sotto de’ bruti: ci consolino i fasti del nostro spirito, ove tutto è innocenza ; tutto è diretto al bene dell’ universale , ove ogni egoismo è straniero, ove a niuno si fa guerra , se pur non è all’ egoismo istesso, che appunto perciò si sforza di arrestare que’ lumi, che ridurranno un giorno gli uo- mini tutti fratelli e concittadini fra loro. Sconsigliava il Rous- seau il leggere in quelle storie, che ricordano cose indegne di essere memorate , fossero anche quelle della propria nazione , e solo persuadeva le altre contrassegnate da belli, ed imitabili esem- 4o pli. La storia del sapere umano, qualunque età, qualunque luo- go riguardi, è degna sempre di ogni nostra attenzione. Consi- deri essa i tempi i più infelici, i. secoli della barbarie, ci pun- gerà la vergogna in pensare come invilito l’umano intelletto sotto il giogo della tirannia e del feudalismo, giacque per sì lungo vol- ger d’ anni nella ignavia, e ci farà solleciti d’allontanare sì lut- tuose cagioni. Se un’ epoca gloriosa siccome è la nostra ne sarà l'argomento, facendocene conoscere tutto il pregio, inanimi- rannosi anche i più inerti onde far che non si perda il frutto di tante cure, ad-opporre un magnanimo ardire a coloro che pur vorrebbero arrestare il corso alla filosofia vittoriosa. Segue il Cuvier a passo a passo il progredire delle scienze natu- rali per tutto quel tratto d’ anni ch’egli ha preso ad illustrare. Noi servendo alla brevità , che ci viene comandata dai limiti di un articolo, non faremo che indicare que’tratti luminosissimi, che sopra tutti risplendono , e da cui direbbesi quasi che come da centro raggiante tutte le altre scoperte traggono l’ origine loro. Seguendo l’ Aut. nella divisione di tempo che egli ha se- gnato, mirando cioè primamente agli anni che scorsero dal 1789 al 1808, noi vi troviamo innanzi ad ogni altra cosa, e la in- gegnosissima quanto profonda teoria della cristallizazione idea- ta dall’ Hauùy, e quella delle affinità chimiche, di cui siamo debitori al Berthollet. Se nella prima si ammira una delle più belle ed eleganti applicazioni della geometria, e dell’analisi ma- tematica , se essa fu in principio immaginata, onde prestare un nuovo carattere , il quale soccorresse la scienza de’minerali, mi- rando ora all’ uso, che dappoi seppesi fare de’ principii che per essa vennero stabiliti, si vede che la chimica ne trasse il mag- giore profitto. Non solo si giunse, ed il suo ritrovatore istesso seppe farlo, a predire con questo solo criterio la composizione di alcuni corpi; ma giovandosi pure di ciò, quella dottrina che ora ha nome d’ isomorfismo potè nell’ epoca susseguente guidare l’ analisi chimica nelle sue più delicate ricerche. Niuna verità resterà lungamente inutile; e così, tosto che alcun vero ci si appalesi, sarebbe impossibile il predire di quale e quanto gio- vamento esso potrà un dì riescire anche a quelle scienze, che paiono le più disparate. Quanta filosofia introducesse nella scienza chimica quella dot- trina, di che il Berthollet pose le fondamenta nelle sue ricerche sulle leggi dell’affinità, e che poscia ampliò in ogni parte nella sua Statistica Chimica, sarebbe impossibile a dirsi in brevi parole; ma il sa chiunque volle, per quanto è possibile , vedere addentroin 4I questa parte della, fisica. Seppe egli accordare alle leggi dell’at- trazione universale le. attrazioni delle ‘molecole de’corpi; seppe introdurvi le leggi delle masse, porre,a calcolo Pinfluenza della ‘coesione , della. volatilità , della \efflorescenza , e. concordando sì fatte, circostanze | col!a. capacità di saturazione , ‘gittò le basi di quella teoria ,che ora noi diciamo .delle proporzioni, deter- minate (1). Me Egli è in quest’ epoca che si sono presi.a Gansiderane sotto mn aspetto veramente filosofico i fluidi imponderabili. Il .ealore fu esaminato e nello stato latente, e nello stato sensibile; il calorico specifico, de’ diversi corpi fu misurato ; e così la fa- coltà ch’ esso ha. di porsi. in equilibrio , di riscaldare più _o meno , di attraversare con maggiore 0 minore facilità i diversi corpi; quella di icangiarne la costituzione, la sna influenza nel mogdificare le reazioni chimiche delle sostanze fra loro, furono meglio considerate, e. ciò aprì la via allo. studio degli effetti della pressione atmosferica ; e della compressione in. generale. Egli fn in quell’epoca che il calorimetro, i più se ensibili elet- troscopi furono ideati. E se tatto questo valse a. giovamento notabilissimo della scienza istessa, non minore ntilità ne tras- sero le arti, Ci valga a ciò il ricordare le macchine a vapore. Queste, perchè lo stato commerciale delle nazioni, anzi tutto quanto ha relazione alla loro economia politica cangiò d’ aspet- to, bastano a far conoscere quale influenza abbiano le scienze fisiche sulle morali, e quali. perfezionamenti possano queste attendere da’progressi di quelle. E non è questo il solo esem- (1) A non pochi certamente potrà sembrar strano questo modo di considerare la cosa; poichè da molti la teoria del’Berthollet si riguarda come del tutto opposta a quella delle proporzioni determinate. Il giudizio del Berzelius valga a/sostenere il mio assunto. « Alcuni chimici, dic’ egli, riguardarono l’ esistenza delle pro- 33 porzioni chimiche come, contraria ai principii della teoria delle affinità , di cui »» l’illustre Berthollet ha arricchito la scienza. Giò fu la cagione ch’essi ricusarono 39 di abbracciarla. Ma se da un lato le cognizioni che ora possediamo intorno alle 33 proporzioni chimiche non si accordano con tutte le applicazioni che il Berthol- »» let istesso , ed altri chimici hanno fatto di sì fatta teoria , egli è indubitato dal- 33 1’ altro che que’ principii., anzi che essere stati combattuti , furono sempre più »» convalidati a norma ch’ essi vennero meglio esaminati . .... Berthollet istes- 33 80, lungi dal niegare la possibilità delle chimiche proporzioni , ha grandemente »» contribuito a dimostrarne l’ esistenza , quantunque i risultati numerici de’suoi 33 sperimenti non sieno sempre del tutto precisi. Egli ha dimostrato. che quando gire fra loro a seconda delle loro masse chimiche, la 35 loro combinazione si effettua sempre in proporzioni definite , ed invariabili, ,, ( Berzelius ann. of. phil dec. 1813. n. XII p. 443. ) T. XXXVII. Gennaio. 6 so gli elementi lasciano di rea 42 pio. Diremo finalmente in quanto al calorico, che debbonsi a questa età le prime idee intorno all’ esser esso anzi che un principio materiale di suo genere , un semplice modo , un’ap- parenza cagionata da un movimento di vibrazione nelle parti de’ corpi ( Rumford ), opinione che poi si estese a tutti gli imponderabili in genere. Egli in fatti sembra strano che sì ab- bia a riconoscere come un essere materiale quello, che poi man- ca delle principali e più caratteristiche proprietà della mate- ria, l' impenetrabilità e 1° andar soggetto alle leggi del peso uni- versale. Ciò che rende sopra di ogni altra quest’ epoca notabilis- sima , egli è tutto quanto si fece intorno all’elettricità de’ cor- pi. Il solo ritrovamento della pila voltiana basterebbe a ren- dere illustre una nazione, un secolo. Piace al Cuvier di consi- derare i progressi che in quel torno fece la scienza dell’ elet- tricismo sotto tre diversi aspetti: cioè ne’ suoi effetti sull’eco- nomia animale; di che ne attribuisce 1’ onore al Cotugno, ed al Galvani; in cio che riguarda la natura e l’ origine dell’elet- tricità, lo che si dee interamente al Volta; finalmente in quanto alla sua azione chimica; ciò che se, a dir vero, fu più ampiamente e più utilmente considerato dal Ritter , dal Carlisle, dal Davy e dal Nicholson , a’ quali debbonsi aggiugnere il Wollaston, ed il Berzelius, non puossi però, come vuole il Cuvier, tribuire ad essi la gloria d’ avere per primi fatta palese una tale azione, chè iu- nanzi ad ogni altro il Volta, ed il Brugnatelli per l’azione del- l’ elettricità dinamica giunsero a decomporre il sal comune (clo- ruro di sodio ) ed altri sali disciolti nell’acqua (Ann. di Ch. di Pavia 1800. T. 18. p. 1 e seg. ). L'importanza di sì fatta scoperta è troppo grande, perchè l’ Italia possa rinunziare ad essa, o ta- cendo permettere che altri ne colga la palma (2). Idearonsi quindi non poche foggie d’ apparecchi voltaici; il che fece meglio cono- scere il modo d’agire di questo poderosissimo agente della na- tura. E se prima esso valse a decomporre i sali, poscia ci fece (2) Può altresì aggiungersi a ciò , che in questo periodo d’ anni si fece in Ita- lia il primo passo, che poscia condusse all’elettro-magnetismo; come io stesso ebbi altra volta occasione di dire (Ricerche sul moto molecolare de? solidi p. 87 ) accen- nando le osservazioni di Moion,e di Aldini sulla magnetizzazione degli aghi per l’e- lettricità , da quest’ ultimo menzionata (Essai sur le Galvanisme t. 1. p. 338, et s. 1804), e come più recentemente fecero i ch. sigg. cav. V. Antinori , e Guglielmo Libri ( Ant. n. 76-77 ) ; ricordando essi inoltre che il Romagnosi aveva veduto l’ ago magnetico declinare dalla sua posizione sotto l’influenza dell’ elettricità di- namica. 43 meglio conoscere la composizione dell’acqua; in fine si giunse per esso a discoprire un mumero notabile di principii, i metalli degli alcali, e delle terre. In fine ciò che a que’ giorni osservavasi e sull’ elettricità, e sui diversi strumenti che valgono, a determi- narne gli effetti, diè nuova forma alla fisica del pari ed alla chi- mica; ci prestò i più valevoli argomenti pel cui mezzo mirare addentro a’ fenomeni per lo passato i più reconditi. Così 1° eco- nomia animale ; la fisica delle piante, la mineralogia, la geolo- gia , in fine le scienze naturali tutte furono sparse di nuova lu- ce. E se in quel periodo, e viemmaggiormente in quello a noi più vicino ; trassero già i sapienti da sì stupendo ritrovamento tante e sublimi verità , che certo superarono ogni possibile aspet- tativa , può con buon fondamento preconizzarsi ch’ essa ne sarà guida ad altre, e non meno inattese , e meravigliose. Eransi già innanzi a quest’ epoca fondate le basi della teo- ria della combustione, ciò che forma per così dire il punto prin- cipale su cui posa la dottrina di Lavoisier; erasi già stabilita.la nomenclatura sistematica; allorchè al principiare appunto dell’e- poca istessa comparve alla luce quell’opera (3), in cui quell’in- felice chimico, che ad essa diede il nome riunì insieme il risul- tamento di tutte le sue osservazioni, formandone così un siste- ma intero. Ecco in breve i progressi principali che la chimica , sotto gli auspici, diciam così, di questa insigne opera, potè fare nel corso di 20 anni. Dieci diversi metalli furono aggiunti agli altri 17, che già conoscevansi. Si rinvennero cioè , 1’ urano , il titanio , il tellurio ; il cromo, il palladio , 1’ osmio, l’iridio , il rodio , il columbio, il cerio. Trovaronsi pure alcune sostanze ter- rose , cioè la zirconia , la glucinia , e l’ittria; e la strontiana fu distinta dalla barite, con cui per lo innanzi essa era confusa. . Giò che si fece intorno agli acidi portò i chimici alla scoperta di due sì fatti composti a radicale metallico, 1’ acido cromico , ed il columbico ; e fra quelli a base composta se ne contano 4 natu- rali, cioè mellitico od honigstico ; morosilico ; chinico, amnioti- co, e due fattizi, il suberico preparato per primo dal Brugna- telli, ed il sebacico. Al tempo stesso però finrono più esattamente considerati alcuni di quelli, che dagli antichi tenevansi come acidi particolari. Il pirolegnoso ed il piromucoso vennero ricono- sciuti siccome acido acetico reso impuro da un olio empireuma- tico ; e del pari l’ acido sebacico si vide constare, di acido ace- (3) Tratt. elem. di ch. di Lavois. 1789. 2. vol. 8.° 44 tico e grasso (4). L’ acido liuttico similmente si credette un com- posto di acido acetico, e di sostanza caseosa (5). Foureroy; e Van= quelin riconobbero nell’acido formico un composto formato dagli acidi fosforico ; malico, ed acetico. Finalmente intorno a questa classe di corpi si escluse la distinzione degli acidi acetoso, ed acetico ; i quali non differiscono tra loro, che pel grado di con centrazione , e non per quello di ossigenazione. Un numero con- siderabile di sali , di ossidi, e d’ altri composti furono presi ad esame , li quali sarebbe troppo lungo a rammentare. Ciò che di più importante si osserva nelle ricerche istituite su tali corpi, egli è ciò che riguarda le proporzioni de’ loro componenti , di che poi tanto si è giovata la moderna chimica; e lo sono del pari e l'avere il Berthollet'osservate le proprietà acide nell’ilrogene solfurato , in cuni non esiste 1° ossigeno, e l’essersi osservato co- me dall’ unione di diversi gas possa formarsi di pianta un olio , siccome avviene allorchè si fanno reagire insieme il gas oliota- cente (gas idrogene percarburato ) ed il clorino, ovvero allorchè si cimenta il ferro fuso per 1° acido solforico. Alcuni gas, e par- ticolarmente 1’ azoto sì nelle sue proprietà, che ne’suoi compo- sti, furono meglio considerati. Nelle diverse combinazioni de’corpi aeriformi col carbonio si vide consistere principalmente la tanta varietà de’ composti organici. E così portando l’attenzione sopra di questi ultimi si giunse a determinarne alcuni per lo innanzi o affatto ignorati o mal conosciuti; siccome sono la gelatina, la fibrina, l albumina , l’ urea , il picromele , 1’ osmazoma , 1° adi- pocera , come allora fu chiamata , 1’ asparagina , la narcotina , il concino. Se come si è detto or ora uno de’ più grandi progressi della chimica si fu quello per cui potè formarsi artificialmente una sostanza oleosa, di non minore importanza ci sembrerà, non v° ha dubbio, il vedere come questa scienza sia giunta a rinve- nire i mezzi di cangiare a volontà l'uno nell’ altro i materiali degli esseri organici, ciò che per lo innanzi stimavasi come una proprietà. esclusiva della vitalità. La sostanza musculare si è can= giata in grasso ; l’ indaco.in benzoino ed in una resina, il sughe- ro in resina ; dalla trementina si ottenne della vera canfora ar- Ì (4) Conviene avvertire di non confondere 1’ antico acido sebacico di Grell , ch° è quello di cui si perla , con quello dello stesso nome che poscia ha fatto co- noscere il Thenard. ? (5) I! Berzelius riprendendo poscia l’esame di questa sostanza, crede che deb- basi veramente ammetterne l’ esistenza. 45 tificiale, Le quali osservazioni, dice il Cuyier “ ci elevano ad. una ;3 teoria, generale degli esseti organizzati, e ci, fanno conoscere sol’ essenza istessa della, .vita.in una perenne variazione, di pro- ss porzioni che. si, opera fra, sostanze ristrette in, sè stesse ad. un ; piccolissimo numero ,.. Egli è; facile ad immaginarsi, che giunta la scienza a un,tal,grado.,, dovevano .i chimici dari opera. allo esame delle sostanze, che formaro.i matetiali, degli animali e delle piante : e. questo è ciò che si fece! I principali umori;;.i solidi degli esseri viventi, la sostanza delle diverse secrezioni, i prodotti dello stato patologico furono in gran numero esamina- ti; alle fermentazioni, ed.all’eterificazione vennero applicate al- tre teorie, le quali se. lasciarono molto a desiderare, non rendono però meno pregevoli le ricerche cheia,tal fine furono! allora isti- tuite ,, poichè esse furono quelle forse. che fecero strada ad. altre più precise dottrine intorno a queste due importantissime ope- razioni, di cui ora è in possesso la scienza. Il periodo di cui ora ci occupiamo presenta molte osserva- zioni meteorologiche, ma innanzi che da esse possa la scienza de- sumere canoni generali, è mestieri attendere una più lunga espe- rienza, pel cui mezzo calcolare l'influenza di quelle tarite cause che concorrono alla produzione de/fenomeni atmosferici. In quanto però alla scienza meteorologica, questo periodo viene contrassegna* to dall’ essersi verificato che l’aria atmosferica è sempre formata dagli stessi componenti in tutti i luoghi, in tutte le stagioni ; a tutte le elevazioni dell’ atmosfera istessa a cui fin qui fu con- cesso d’ ascendere , ne’climi salubri e ne’ luoghi malsani od in- fetti; ciò che verificasi col soccorso de’ più delicati eudiometri a. tal uopo immaginati. Si cessò in quell’epoca istessa di riguar- dare come cosa poco meno che favolosa 1’ esistenza delle meteo- roliti. Al.tempo istesso che i metodi di analisi relativamente al- l’aria andavano perfeziorandosi , altrettanto accadeva di quelli. che riguardano la natura delle acque minerali. La mineralogia prese ùn cammino più filosofico , e più sicuro, dappoichè si conobbe la necessità di tener conto e della composi- zione, della quale si occuparono i più valenti fra i chimici, e de’ carattéri esterni, di cui siamo segnatamente debitori all’ illu- stre prof. di Freyberg ; ed in fine della figura de’cristalli. Poterono. così i mineralogi, meglio determinare ciò che doveva riguardarsi siccome specie, segnandone precisi limiti; con che essi vennero a fissare da un lato ciò che; dovevasi comprendere ne’ varii generi, ciò che si conveniva mirare come semplici varietà. Quindi ad, essi fu datol il potere con più sicurezza portar giudizio sulle nuove 46 sostanze che andavano di mano ‘in mano discenoprendosi ; ed in tal guisa le specie, che ai giorni di Bergman'e di Cronstedt si restringevano ad un centinaio ‘circa ‘ascesero al ‘numero di quasi censessanta. Egli fu in quell’ epoca che ‘incominciossi a riconoscere nell’ acqua un elemento valutabilissimo de’ minerali; anzi che, come per lo innanzi erasi fatto, un principio accidentale , o per così dire passivo e di ‘niuna influenza sulla ‘natura di tali com- posti. Il corindon, e la telesia, che non constano che di allu- mina può dirsi affatto pura, non differiscono, e di tanto nelle loro proprietà dalla wavellite e dal diaspore, che per 1’ acqua che in quest’ ultimo va wnita alla terra istessa. Ma il genio di que’ sapienti ,° i quali eransi consecrati allo studio! degli esseri del regno inorganico, nonlimitavasi alla nuda ricerca di nuove specie, ed alla loro sistemazione. In un’ epoca in cui l'ingegno umano sembrò quasi animato da un nuovo fuoco, si diede a co- tali viste un campo sommamente più vasto ; si fece da un lato servire l’ osservazione alla storia del nostro gloho , mirandola con occhio filosofico, non più abbagliato da quelle idee che per lo innanzi avevano mal prevenuti anche alcuni de’ più sublimi in- gegni , dall'altro si fece della scienza una nuova sorgente di pro- sperità nazionale ; di che la Francia ne offre il più bello esempio. Essa sopra tutte seppe rinvenire nel proprio seno le più ricche miniere , ed innumerabili altri modi di dovizie, perchè poco restò a lei da invidiare alle altre nazioni. Il consiglio delle miniere istituitosi nel 1793 aggiunse a tutto ciò un nuovo impulso. Quel regno in fine sarà un’irrefragabile monumento il quale attesterà lungamente quanto possano i buoni studi a procurare la prospe- rità de’ popoli, a perfezionarne i costumi. Il Journ. des mines, V’in- signe opera del sig. Heron de Villefosse bastano a darci un’idea di ciò che si fece in quanto agli utili ritrovamenti nel periodo d’ anni di cui quì si tratta. Se vogliasi riguardare quest’ epoca istessa ne’ progressi che in essa fece la geognosia, basti il ricor- dare l’essersi posto ogni cura onde meglio determinare le diverse formazioni, e che la genesi de’ filoni formava in que’ giorni un soggetto di alta considerazione. L’ opinione intorno ai grandi ca- taclismi, i quali a diverse epoche abbiano sconvolta "la crosta superficiale del nostro pianeta, essendo allora pressochè gene- ralmente seguita, impegnò i fisici a considerare tutto ciò che poteva credersi esserne stata la causa. Quindi la loro attenzione fu rivolta ai vulcani, di cui studiaronsi con pari cura e i feno- meni ed i prodotti; e tanto in quelli tuttavia ardenti, quanto negli altri la cui antica esistenza viene attestata dalle lave che 47 ne rimangono. Per la ragione: medesima gli effetti delle acque nelle loro alluvioni , ne’ resti delle loro: deposizioni furono con ogni sollecitudine presi adlesame. Ed a ciò dobbiamo tutto quanto si fece in, quell’ epoca, e dappoi intorno alle reliquie delle piante e degli animali che trovansi ne’ più recenti terreni. La fisica degli animali e delle. piante fu arricchita delle più fondamentali verità:, quelle istesse su cui posansi le più, minute osservazioni, del susseguente periodo. L’eccellente opera del no- stro Mascagni intorno ai vasi linfatici comparve appunto nel 1789. Quindi per le ricerche del Prochaska, del Reil, e d’ altri , ed in fine per quelle di Gall la struttura del, sistema), nerveo. e. del cervello in specie fu con gran cura esaminata; ed i nervi del ‘petto ed in particolare quelli del cuore furono il soggetto delle delicate quanto importanti osservazioni dello Scarpa. Di non mi- nore rilievo sono i lavori del Bichat intorno alla struttura. e la forma diversa negli organi della vita, animale, cioè del senso e del moto, ed in quelli della pura vita vegetativa. I. primi, sol- tanto sono simmetrici ; differenza la quale si estende per sino ai nervi. Le principali osservazioni intorno all’ anatomia delle piante si debbono pure a quell’ epoca, nella quale il Mirbel distinse i diversi vasi che. in esse scorrono, trachee, false trachee , vasi ‘propri ; Decandolle più diligentemente esaminava i vasi corticali, già scoperti dal Sanssure il padre. In fine le ricerche dei Link, Treviranns , Rudolphi, Senebier e d’altri aggiunsero non poco a questa parte della filosofia naturale, ed è specialmente da ri- cordarsi tutto quanto fecero Gaértner e Jussieu sull’ anatomia de’ semi, Turpin sulle vie della loro fecondazione. La fisiologia degli esseri di questo e di quel regno meglio guidata dalla co- gnizione de’ diversi organi; potè giungere ad alcuni trovati per lo innanzi ‘ignoti. Le vie che percorrono negli animali il chilo ed il sangue furono pienamente conosciute , e se ciò che si ri- ferisce all’ ematosi ; ‘alle secrezioni in generale , al calore ani- male , alla cireclazione considerata nella causa che la produce, alla nutrizione ; lasciarono non poco a desiderare , esse furono però quelle che ‘prepararono quanto in seguito potè farsi. La nu- trizione delle piante, le loro secrezioni e traspirazione furono pur esse studiate, quantunque per la più semplice struttura di tali esseri le ricerche a tal fine istituite sieno state coronate di meno felici successi. Si giunse però ad una molto rilevante os- servazione , ed è quella perchè il Desfontaines si assicurò che l’accrescimento 0 sviluppo delle nuove fibre legnose nelle piante monocotiledoni si fa ben altrimenti che ciò non accade nelle di- 48 cotiledoni;. cioè per una interposizione generale delle fibre istesse sopra''tuttò verso » giustamente il Cuvier, debbe considerarsi sotto un doppio punto » di vista: cioè in quanto alla politica, ed in quanto alla dot- 3» trina. In riguardo alla prima la storia dell’agricoltura dovrebbe s, esporre quale era lo stato suo innanzi alla rivoluzione, quali ) effetti essa abbia risentito dall’ abolizione dei diritti feudali , 3» dalla divisione delle grandi proprietà , dalla guerra continen- »» tale e maritttima, dai cangiamenti ne’sistemi delle imposizioni »» e delle dogane, in quali provincie siensi introdotte pratiche >> più vantaggiose , e quali ne siano stati gl’ impulsi ; se i pro- »» dotti siensi aumentati , e se dla questi si tragga un maggiore » profitto nel supplire ai bisogni del popolo, e dello stato ,,. Tali considerazioni troppo vaste, perchè potessero trovar luogo nell’ opera a cui si riferisce quest’ articolo, dovrebbero però es- sere presenti ad ogni istante nella mente di coloro a cui incombe il reggere gl’ interessi de’ popoli che in essi affidaronsi ; ed essi dovrebbero invocare a tal uopo il soccorso de’più veggenti, anzi che temere i loro filantropici suggerimenti. Non dissimili considerazioni possono aver luogo in riguardo alla tecnologia. Il solo numerare i nuovi ritrovamenti che in co- tal’ epoca le scienze, e la chimica sopra tutte, hanno suggerito alle arti non solo, ma all’economia e rurale , e domestica , ol - trepasserebbe i limiti di questo articolo. Basti rammentare che al finire di quel giro d’ anni erasi già la Francia resa quasi del tutto indipendente dalle altre nazioni, di cui essa era un tempo tributaria per un numero immenso di preparazioni e di manifat- ture, ch’ella acquistava dall’estero. Ciò, ripetiamolo, fu il frutto delle scienze, 1’ amore di cui si fece ogni dì più generale, tal- 55 chè i lumi si resero la proprietà del popolo, di quella classe di persone che un dì tenevasi involta nell’ignoranza e nel pregiu- dizio. Da ciò si veda quale obbligo corra ai reggitori degli stati di favorire de’mezzi che conducono a sì utili risultamenti; e che così adoperando, al tempo stesso che per essi si curerebbe l’utile de’ particolari, gioverebbero non meno a sè stessi, all’interesse dell’ universale, e’stabilirebbero le fondamenta della gloria la più solida e la più durevole; di una gloria nun mai turbata dal rimorso ; invece anzi accompagnata dalla benedizione de’popoli, e da encomi non deturpati dalla adulazione. Termineremo final- ‘mente col nostro autore. “ Condurre lo spirito umano, dic? egli alla suna nobile destinazione , cioè alla cognizione della verità ; spargere i sani principii fino nelle infime classi del popolo; sot- trarre gli uomini all’impero de’pregiudizii e delle passioni; ren- dere la ragione l’arbitra e la guida suprema della pubblica opi- nione ; ecco l’ oggetto essenziale delle scienze ; ecco com’ esse concorrono ai progressi della civilizzazione ; ed ecco in fine ciò che le fa meritevoli della protezione di que’governi che bramano di rendere inconcusso il loro potere , fondandolo sulla comune prosperità ,, D. PaAoLI. (Sarà continuato.) Instituto di corrispondenza archeologica. Roma 1829. Catalogo di scelte antichità etrusche trovate negli scavi del Prin- cipe di Canino. Viterbo 1829. L’ ardor nobilissimo, in che sono gli scavi in Italia e fuori eziandio ; la felicità, con la quale si fanno; i molti libri d’ Ar- cheologia che vengono a luce, massime quelli di piccola mole, che d’ordinario non hanno ampia circolazione; e i tanti monu- menti non ancora illustrati, voleano a sè rivolte le cure benefiche di antiquarii e d’artisti d'ogni regione, che favoreggiati da rac- coglitori, e soccorsi da mecenati, intendessero d’un sol animo ad informarne il pubblico a vantaggio di una disciplina, che aven- do omai suoi certissimi principii, non gli potrebbe nè grande- mente, nè presto accrescere, se non mercè della conoscenza dei nuovi monumenti, e delle osservazioni che su questi e gli altri tutti di mano in mano si fanno. A tal bisogno è or sodisfatto appieno dal nominato Instituto ; 56 e il modo ond’ esso è ordinato; e incomincia a mostrarsi , fa pren» dere speranza di sua prospera e lunga durata. N°è protettore S. A. R. il Principe ereditario di Prussia , vi presiede il sig. Duca di Blacas d’ Aulps, nome ripetuto sempre con segni di ammira- zione e riconoscenza dagli amatori e studiosi di queste cose ; ha gran favore in Roma, che n’è, e doveva esserne il centro; è ef- ficacemente aiutato dal R. Governo di Napoli, che mosso dal- l’ utile reale della cosa e sollecitato dalle premure del sig. Duca di Blacas, autorizzò la Reale Accademia ercolunese a concedere all’ uso delle notizie preliminari i rapporti degli. scavi del regno ; le spese delle pubblicazioni sono già presso che assicurate dal nu- mero dei partecipanti iscritti sino ad ora; ‘i proprietarii dei più distinti Musei hanno gradito di concedere all’Instituto l’uso delle loro raccolte e di esser considerati come membri onorarii ; han fatto generose esibizioni il Duca di Luynes, il Principe di Ca- nino , il Principe d’Anglona ed altri grandi; e tra gli Archeologi, ed Artisti riconosciuti pe’ loro meriti, pochi sono quelli che non hanno corrisposto ai desideriù per somministrare articoli come membri ordinarii dell’ Instituto. Le sue pubblicazioni consistono d’ Annali, d’ un Bullettino d’ essi, e di tavole. Degli Annali sono già al pubblico due fasci- coli, del Bullettino, dieci numeri; e le tavole giungono a sei. Son preceduti gli Annali dalle Osservazioni preliminari del sig. professore Odoardo Gerhard, che ne sembrano importantissime. Vi si mostra con vere e forti ragioni la necessità di questo Zn- stituto ; si pone in vista tutto quello , ond’ egli debbe trarre ali- mento ; si tocca alcun poco dello stato, in che è al presente 1’ Archeologia; e si dichiara che gli Annali. si dividono in tre parti. La prima concerne fatti e monumenti sconosciuti, e dee contenere i semplici ragguagli di ciò che ocularmente fu osservato in escavazioni , viaggi e Musei. La seconda parte è destinata al ragguaglio delle più recenti produzioni di letteratura archeolo= gica; e componesi la terza delle s/lustrazioni degne di una certa attenzione che in seguito di altre comunicazioni dell’ Instituto si fossero presentate ai lettori. Pel molto sapere e l’ottimo criterio del lodato sig. profes sor Gerhard aiutati dalle osservazioni di dotti viaggiatori, sparsa è nel primo articolo degli Annali una gran luce su’ monumenti che si dicono ciclopei. Ne segue un’ esatta contezza dei recenti scavi di Tarquinia, di Vulcia e di Chinsi ; annunziandosi, rispetto ai primi, come prossima ad uscire a luce l’ opera del sig. barone di Stackelberg, che non sai se dei commendar più per la perizia 97 delle arti o per quella, delle lettere (e degli studii archeologici. Sono pur degni di considerazione tutti gli altri articoli di questa prima parte ;i ed io; farò menzione, dei | più importanti. Un bel bassorilievo di Tirea rappresentante la Zniziazione personificata, e renduta palese dal nome TEAE TH}. è saviamente. illastrato dal sig. Gerhard; il. quale mercè della sicura scorta dei paragoni fa evidenti le rappresentanze delle stele e dei cippi sepolerali co- municatigli dall’egregio scultor prussiano sig. Emilio Volff. Una gre- ca iscrizione contenente un lungo novero di vincitori ai diversi giuo- chi che si faceanovin Atene nella ricorrenza delle feste panatenee, è dichiarata; dal celebre. Boeckl con, quella medesima maestria che sempre rifulge nel suo Corpo delle Iscrizioni greche: una delle più belle opere letterarie del nostro tempo; e di che ansiosa- mente aspettasi il compimento. Coll’ usata sagacità interpetra il sig. Professore Francesco: Oxioli due latine iscrizioni ;;la seconda delle quali scavata in Luni, sembra appartenere all’ anno.295, dell’ era nostra, ed è di una latinità semibarbara. Vilè notabile dice il sig. Oricli, sl perpetuo idiotismo, pel quale vi è sempre scritto credims,, ‘cooptems, adsumams ;. forse perchè così ivi si pronunziava , sopprimendo la vocale intermedia : dabbio che a me par certezza, stimando che dalle varie maniere di pronunziare il latino siano principalmente nati i varii dialetti i o piuttosto le varie lingue d’ Italia. , Seguono gli articoli riguardanti la seconda parte , cui si dà incominciamento con una Merzoria intorno a un libro di Sir Vil- liam Gell sopra le mura di antiche città. Il libro si pubblica ora a Berlino; e l'oggetto proposto non è quello di stabilire un si- stema ; ma di porgere a coloro, che si occupano nell’ investigare tali avanzi, quanti più si possano esempi della vera natura della costruzione di quelle mura dichiarate assolutamente ciclopiche da Pausania e da Strabone, e di quelle che sono state così chia- mate per la loro reale o supposta identità o somiglianza di co- struzione colle ciclopiche. Per tale scopo quelle parti delle mura di Tirinte in Argolide , che sembrano meglio corrispondere co’dati di Pausania come vere caratteristiche dello stile ciclopico, sono state scelte come la più sicura guida per dimostrare ciò che gli an- tichi intendevano d’ indicare come ciclopico ; e per mostrar in che consisteva quella differenza, che procacciò a Tirinte il partico- lare epiteto di ben murata nell’Iliade d’ Omero. Questo libro del Gell , i lavori somiglianti dei signori Fox e Dodwel, che presto T. XXXVII. Gennaiv 8 58 saranno fatti di pubblico diritto, porranno il atri a qu: vata importante materia. Chiudono la seconda ‘parte estratti di libri 5 ciò sono quello del catalogo di scelte antichità ‘etàusche , che sopra è annunziato, e di'che più avanti parlerò brevemente, e quelli di scritti ri- guardanti Vetulonia e Vulcia (1): Abbiam congetture e non cer- tezze rispetto alla situazione della prima. Quella della seconda è determinata da’ ruderi, che ‘ancor si veggono nel latifondio che dicesi di Cumposcala e precisamente in quella parte di esso che si ‘termina col fiume: Fiora ; sul quale a poca distanza dalla distrutta:città dura intatto dopo tanti secoli un ponte di etrusca fabbrica, di grandi tufi ‘commessi senza calce , il cui arco di mezzo ha un diametro di palmi 995 e s’ inalza sul pelo delle acque ben 100 palmi. Eccomi ora alla terza ta irta essa dalle notizie topografiche sull’ isola d’ Egina, raccolte da un viaggiatore (il cav. di Scharnhorst } ; che vi si è trattenuto varii mesi, e che ha abbandonato quelle amene rive verso la metà del corrente anno. Vi si parla con molta accuratezza dello stato antico e del pre- sente di questa Isola , che, per tanto tempo dimenticata , risorge ai dè nostri , avendola l’attual governo greco scelta da un anno e mezzo per. sede temporaria della reggenza. Rispetto poi allo stato antico si dice a ragione che i più famoso, e il più im- portante monumento è costituito dagli avanzi del celebre tempio di Giove Panellenio: tempio situato all’ oriente della moderna città nella parte montuosa dell’ isola sopra una cima spianata, dalla quale godesi vaga veduta , scorgendosi di là dal mare Sa- lamina; Atene, e la costa dell’ Attica fino a Sunio. Sono celebri le statue che ornavano il timpano di questo tempio, della cui ‘consecrazione a Giove dubitasi ora con alcun foudamento. Nell’ articolo che seguita che è dettatura del consiglier Koelle, si tien discorso delle antichità romane trovate in Svevia. Z vallo d' Adriano, chiamato dal volgo muro del Diavolo , è il monu- mento più grande ed interessante , che la bassa Svevia conserva de’ Romani. Purte dal Danubio, e raggiugne sul basso Neckar il paese occupato e governato per secolt dai Romani, e forma una linea curva lunga circa 120 miglia. Un fosso lungo e pro- fondo unì una linea di custelli posti sulle alture . .. Questa for- (1) Lo scritto su Vulcia è giudizioso lavoro del sig. Vincenzio Gampanari. 59 tificazione eretta:per lo stesso motivo che diede origine al muro cinese , sero, di fortificazione dopo che le popolazioni primitwe si erano ritirate. Compiesi il volume con illustrazioni di bassirilievi , di - pit- ture e (di una medaglia. Il celebre ed antichissimo bassorilievo di Agamennone e Taltibio rinvenuto a Samotrace , ha giuste os- servazioni da! Barone di Stackelberg ; e le ha siffatte dal Muel- ler il fregio della cella del Partenone .. Sono importantissime le nuove cure del Welcker sulla tavola iliaca; ragionandone egli meglio che tutti quelli che lo han preceduto nella interpreta- zione, e tenendo per fermo,.che l'ensemble des représentations est basé sur une pensée distincte et sur un plan combiné selon les preceptes de l’Art. Je puis admettre, segue egli a dire, com- me chose reconnue, que la Table troyenne, ainsi que d’autres tables de ce genre , ne doivent pas étre considérées comme des monumens importans sous le seul rapport ide l’art ; mais qu’elles etoient plutòt destinées à l’enseignement, dans l’objet de faire saisir avec plus de facilité le contenu des poésies épiques, et d'aider la mémoire. Felicissima è l’ esposizione che della prima pittura fa il Pa- nofka. Fu essa, non ha guari di tempo, scoperta in Pompei, ed è somigliante a quella che pubblicarono gli Ercolanesi alla tavola XII del primo volume. Vi videro essi Didone "abbando- nata; e il Panofka guidato da un epigramma della greca Anto- logia vi scuopre Medea. Un’ altra pittura, pur di Pompei, e di recente ritrovamento, è spiegata con non ispregevol congettura dal consigliere Hirt. Han parte principale nella rappresentanza una figura muliebre, che in grembo ad altra donna leggiadramente riposa ; e la figura d’ un giovinetto ignudo con grandi ale alle spalle e piccoli vanni alla fronte. Chi nella donna dormiente vide Arianna abbando- nata, e chi Flora visitata da Zefiro. 11 sig. Hirt.vede nell’alato giovane ; il Sonno, e nella donna , Pasitea ; la più giovane delle Grazie, promessa a lui da Giunone in isposa, secondo Omero. Nella terza pittura siede un vago garzone con due dardi da caccia; e gli sta presso una giovane che mostragli un nido, in che sono tre fanciullini, o piuttosto tre Amori senz’ ali, di che l’ antichità somministra più esempi. Il sig. Hirt tien questa pit- tura per fantasia d’ anacreontica o d’ idillio. To inclinerei a _ve- dervi Venere ed Adone. Sono però pienamente d’ accordo col ch. Avellino, che nel rovescio d’ una medaglia di Metaponto ; 6 vede, fatto paragone con altri. monumenti } in mano a Cerere una face, che innanzi a'lui si credette uno stromento d° agri- coltura. Alla fine del primo e del secondo fascicolo degli Annali sono tavole di corredo, nelle quali si rappresentano non pochi di quei monumenti , onde ho io dato raggua glio. Queste tavole sono fatte con molta accuratezza ed eleganza: pregi che massi- mamente risplendòno in quelle dell’ Atlante; che fin qui sono sei, come ho detto di sopra, e delle quali ecco il novero: Tav. 1 e 2. Mura, porte, e pianta della città di Norba, disegnate ed incise da Giovanni. Knapp architetto. Tav. 3. Porta di Segni , pub- blicata da Edoardo Dodwell.. Tav. 4. Cerere e Trittolemo, vaso dipinto ; pubblicato da Odoardo. Gerhard. Tav. 5. Quattro vasi dipinti, pubblicati da Teodoro. Panofka. Tav. 6. Danza in un vaso dipinto. posseduto e pubblicato da Giacomo Millingen. Il Bullettino è principalmente dedicato a notizie di scavi. Non tacendosi ‘di quelli dell’ Egitto e dell’ importantissima sco - perta dell’alfabeto geroglifico, vi si fa parola degli scavi eseguiti in Roma e nei dintorni , nel regno di Napoli, e nell’ Etruria. In Roma si è fatta un’ importantissima scoperta scavando fra l’arco di Tito e quello di Costantino. Vi sì è trovata una strada sel- ciata, malmenata , più bassa; e questa attraversata sotto an= teriormente. da costruzioni di camere e chiavichette provenienti dalla parte del Palatino. Tale scoperta decide che la via sacra non passava dall’ arco di Costantino a quello di Tito, com'hanno preteso alcuni archeologi anche ultimamente contro il sentimento dell’ avv. Fea. Quanto al regno di Napoli, il ritrovamento più importante si è fatto in Pompei con iscavarvi la casa detta di Castore e Polluce dalla effigie di loro ‘che sta nell’ ingresso. Presenta essa finora sei appartamenti , e molti cortili. Quattro giardinetti di fiori spargevano. d’ ombre e d’ odori questi atri deliziosi. Dopo l’ appartamento pubblico o atrio toscanico, in cui furono rinve- nuti de’ grandi vasi di bronzo e delle lampade del più elegante lavoro , si passa nell’ uppartamento degli ospiti, decorato assai gentilmente ; e che ha una gran porta ed un grande recinto per riporci verosimilmente dei carri. A sinistra dell’ appartamento pubblico y;0 Andronitide, si trovano dei portici coperti, con una peschiera ed una fontana nel mezzo, che alimentava un vicino e grazioso giardinetto di fiori. I hei quadri di Medea che medita di \trucidare i figli; di Perseo, che.salva Andromeda dalmostro; 6r d'un Pigmeo, che fa danzare una scimmia ; d’Igia ; e di varti animali fregiano all’ intorno questi portici destinati alla lettura, ed al passeggio. Un grand’ Oeco destinato alle feste domestiche, ed ai pranzi si scorge nel fondo di tali passeggi. Si entra infine nell’ appartamento privato 0 gineconitide con peristilio e con vasca o impluvio nel suo centro. Vi si veggono raffigurati un Satiro ; ed un Ermafrodito, Apollo, Saturno, Cerere, Bacco , una Vit toria, Marte e Venere, Giove, e Castore e Polluce, che sono sull’ ingresso , i quale mena alla pubblica strada. Nella stanza di compagnia , o exedra, si ammirano le dipinture di Achille scoperto da Ulisse nella Regia di Licomede ; di Achille, che trae la spada contro Agamennone ; e di varie Baccanti. Nel gi- neceo si rinvennero due casse foderate di bronzo con 45 monete d’ oro ed altre d’argento. Il Larario è dirimpetto all’ exedra . Sono nel Bullettino altre relazioni di questa casa, degne tutte di esser lette. La maggior felicità è negli scavi fatti in Etruria, e special- mente in quei di Corneto , e della vasta e deserta pianura, estesa nella circonferenza di cinque miglia, o circa, tra la terra di Canino e di Montalto , nota pel così detto ponte della Badia e traversata dal fiumicello Fiora: ponte e fimme rammentati di sopra. Mercè degli scavi di Corneto , l’ antica Tarquinia, furono ritrovate due tombe assai importanti per le loro pitture, che sa- ranno illustrate nella già citata opera del sig. Bar. di Stackelberg. Quelli poi della rammemorata pianura fecero tornare a luce oltre a non poche altre antichità un numero immenso di vasi dipinti; onde tre possessori della medesima, cioè i signori Candelori , Feoli e principe di Canino han formato bellissime raccolte ; e massime l’ultimo , che ha il possesso della maggior parte di quei terreni. Tutti gli Archeologi debbono esser grati al sig. Principe, che del suo generale. catalogo che ascernde a due mila numeri; vuol farne pubbliche dieci centurie; e che or due ne dà a luce in saggio utilissimo, riguardo in ispecie alla seconda, che ha ab- bondanza di rarissimi argomenti e d’iscrizioni che molto insegnano. Accennato l’ ordine , con che le centurie procederanno , così scrive il sig. Principe. Tutte le antichità con iscrizioni, e le più scelte, fra quelle non scritte , saranno incise... Questi scavi rispondono direttamente allu disfida dell’ illustre Winckelmann di trovare vasi etruschi nell’Etruria propria : si può senza presunzione ormai ai vasi campani di Nola opporre i vasi etruschi, di Canino. Gli.ar- tisti e gli eruditi decideranno facilmente a quali spetta -il. primo 62 rango. Le iscrizioni sono state copiate fedelmente e con attenzione; ma non si può negare , che per interpretarle , la copia è insuf- ficiente. Il proprietario non essendo archeologo , nè ellenista do- manda i lumi degli eruditi, e sarà gratissimo a quelli , che vor- ranno contribuire all’ illustrazione de’ preziosi monumenti scoperti dopo tanti secoli, e scavati in sua presenza, gran parte in uno stato perfetto di conservazione , e fra’ quali molti sono capi d’ opera della pittura degli antichi. Veruna ristaurazione di pit- tura non si è permessa , volendosi gelosamente conservare questi monumenti come si sono trovati. Le interpretazioni si danno come sono state ispirate dal primo aspetto senza pretensione, e senza pregiudicare alle spiegazioni più erudite de gli Archeologi. Le due centurie seguite sono dall’ Elenco de’ nomi proprii contenuti in esse e da una rota del sig. Principe. Premesso in questa rota che compiuta la stampa delle due centurie fu ritrovata una quantità di nuovi monumenti , si tratta in brevi e separati articoli dell’ origine e del sito di questi scavi, dell’ epoca e dei caratteri dei monumenti scopertivi e dei vasi fittili dipinti che si pretendono trovati in Grecia ; e chiudesi il discorso colla conciliazione delle opinioni etrusche e greche , e la possibilità di scoprire l’ epoca precisa dei detti monumenti. Gli scavi ebbero origine nel principio del 1828 dall’ essersi accidentalmente scoperta una grotta sotterranea nel piano detto Cavalupo poco distante dal monte Cucumella , ove si trovarono altri vasi. Con plansibili ragioni crede il sig. Principe corrispon- dere questa situazione all’ antica di Veculonia , e ne trae con- ferma da un suo dissotterrato vaso dipinto , nella cui epigrafe legge ‘il nome di questa città. Rispetto poi all’ epoca dei monu- menti così ragiona: nei primi secoli di Roma Vitulonia più non esisteva ;} î nostri ipogei sono dunque anteriori alla fondazione di Roma. La Grecia non fiorì per la pittura che quattro secoli dopo la fondazione di Roma ; dunque i capi d’opera di pittura mira- bilmente conservati nei nostri ipogei, sono almeno anteriori di quattro secoli al bel secolo della Grecia ; dunque l’ anteriorità delle belle arti nel mondo antico appartiene all’Italia. Venendo quindi a parlar dei caratteri o lettere delle iscrizioni dei suoi vasi, gli dichiara simili all’ antico greco ,, come simili a questo dice essere alcune parole delle medesime. I qu.li caratteri e le quali parole sono da lui‘riputate pelasghe. Ven:ndo poi egli a dire dei vasi fittili dipinti che si pretendono trovuti in Grecia, vi si manifesta ‘assai diffidente, temendo d’ inganno. E supposto 63 anche che per eccezione qualche vaso etrusco dipiito maestrevol- mente si trovi in Grecia , non vediamo, egli dice, ragione di ma- ravigliarsi, e domandiamo se è più probabile , che gli Etruschi padroni del mare e dell’Italia e delle isole abbiano introdotto uno o due dei loro bei vas: in Grecia , 0 che i Greci, che non hanno mai parlato di capi d’ opera di pittura sopra i vasi. fittili , ne abbiano portato delle migliaia nei nostri ipogei già sepolti nei primi secoli di Roma, o che artisti greci siano venuti a dipin- gere in Etruria capi d’ opera sopra vasi fittili che non hanno mai dipinto in Grecia. Per conciliar poi le opinioni dei partigiani deg!i Etruschi con quelle de’ patrocinatori dei Greci, .dice doversi pensare che sotto il nome greco si confondono dagli uni e dagli altri due popoli ben distinti, cioè i Greci-Eileni ed i Pelasghi , i quali appar- tengono all’ Etruria, come alla Grecia, giacchè hanno popo- late nei tempi più remoti la Grecia e l’ Etruria. Come non ab- bracciare ; egli soggiugne , l'idea tanto semplice , che in due epoche ben distinte le belle arti hanno fiorito in Italia; la prima nei secoli Antiromani, epoca della potenza etrusca , e che potreb- besi chiamare | epoca Etrusco-pelasga, la seconda epoca dopo Demarato, quando le arti sopite nell’Italia e rinascenti in Grecia ritornarono da Grecia nell’ istessa Etruria, che molti secoli prima le aveva già portate alla perfezione? Venuto in fine a parlare del tempo preciso dei suoi monu- menti si protesta di nulla voler definire, e sottopone le sue ri- flessioni agli Archeologi e più specialmente agli Astronomi. È però sua massima che 1’ epoca d’ essi monumenti evidentemente Antiromani abbracci probabilmente qualche spazio di tempo an- teriore a. Troia, ed i secoli fra Troia e Roma. Le quali opinioni tutte sono messe fuori dal sig. Principe con una modestia da citarsi in esempio. Ho creduto, egli scrive chiudendo la nota, adempiere un dovere impostomi, manifestando le mie scoperte , ed accennando le riflessioni nate nel mio spirito senza pretendere entrare con autorità nell’ arringo, e lasciando oramai il campo libero a chi cerca la verità. Preso coraggio da queste sincerissime parole dirò fran- camente ch’ io non so essere dell’ avviso del sig. Principe. Io non trovo nel memorato vaso dipinto il nome di Vitulonia , co- me non ce lo trova il sig. Panofka (2), che però legge diversa- (2) V. Bullettino degli annali dell’Inst. p. 140 # 64 mente: da quello che a me pare doversi leggere .. Non ‘credo le lettere simili alle greche , ma sì greche prettamente ; e le stesse che si veggono in altri monumenti che certo son. greci. Così nelle ‘parole io non veggo somiglianza colle greche ; ma si. me- idesimezza. Ho per sicuro che vasi dipinti si trovano nella Gre- cia. propriamente detta ; essendo con tutta evidenza d’Atene, e di premio , quelli che d’Atene hanno il nome nella iscrizione. Ciò che dice Strabone dello stile degli artisti Etruschi, e ciò che dicono Pausania , altri scrittori , e Plinio in special modo , rispetto alle arti antiche , è ostacol fortissimo all’ opinione del sig. Principe; che in due diversi tempi siano quelle state in fiore in ‘Italia. I vasi di lui sono greci al tutto : e le iscrizioni etrusche vi si sono aggiunte di poi; e certo non così presto ; no veggendovisi punto quella secchezza di lettere che appa- risce nelle epigrafi dei monumenti etruschi del più antico tempo. Nè al' mio divisamento viene opposizione , se anche ab- biasi per dimostrato che gli scavi si siano fatti sul luogo , in che un dì fu Vetulonia. La perfetta distruzione di quella già celebre città vien negata per la menzione di Tolemeo, il quale nel re- gistrare le città dell’Etruria accenna Vetulonia, e di più per un iscrizione romana trovata in Arezzo, che ad un Quinto Spurinna attribuisce funzioni sì in Vetulonia come in Arezzo (3). L’ uso della lingua etrusca nei monumenti ha durato , e lungamente, eziandio quando gli Etruschi eran già divenuti Romani: testi- moniandolo lo stile delle sculture accompagnate da iserizioni. Pervenuto il greco stile in Italia, ne profittarono pur gli Etru- schi; e passaron anch’ essi insiem con gli altri Italiani per le varie vicende dell’ arte, fino al loro decadimento. La rinomata statua etrusca dell’ Arringatore nella Galleria di Firenze , i non pochi bronzi , e l’ immenso numero delle urne , sono, a mio giu- dicio splendide prove di tutto quello che asseriva. E basti or questo poco, chè molte altre cose saran per me dette su’ monu- menti del sig. Principe di Canino e sulle sue ingegnose opinioni in un libretto che sto scrivendo sulla voce KAAO® e su d’altre particolarità degli antichi vasi dipinti. G. B. ZANNONI. (3) Annali dell’ Instit. fasc. II p. 193. L° iscriz. è nel Tesoro gruteriano p- 1029 n. 7. 65 Statistica agraria della Val-di-Chiania di Gioserpe ‘Givti ‘pub- blico professor di Storia Naturale nell’ I. e R. Università di Siena. Tomo I.° Pisa 1828. Atlante geografico, fisico-istorico della Toscana, del dott. At- | tilio Zuccagni-Orlandini. Dispensa I.* — VI.* Firenze 1829. I. Ecco uno di quei libri di moda che, senza aver'l’ arte di solleticare lo spirito dei lettori per venustà di stile, o per im- magini peregrine , sa affezionarsi pregio reale pei fatti che rac- chiude , e per gli utili risultamenti che le scienze economiche e morali ne debbono ritrarre. Imperocchè le sole teorie per se sole nòn bastano a produrre miglioramenti di sorta, sia nelie masse come negli individui, se non vengono esse ausiliate da esempi non equivoci, con i quali si riesca , per così dire, a toccare con mano e decidere dei metodi più sicuri, e delle meno disastrose vie, per cui senza troppo urtare di fronte l’amor proprio e le passioni umane si può pervenire a correggere ed a perfezionare lo stato fisico e politico di un qual- siasi paese. « Non si conosce lo stato delle provincie senza visitare i campi e le capanne del contadino, senza vedere come ‘coltiva, ciò che raccoglie, quello che paga e quanto soffre. Si scuopre al lora ]’ origine de’disordini , si ravvisa come in un quadro ile - plesso dei mali che affliggono una nazione, e si facilita il rime- dio ad un governo umano e benefico ,;. In tal modo ‘esprimevasi Giuseppe Maria Galanti quando pubblicava la sua statistica del Regno di Napoli. Senonchè l’opera di li, e quella del prof. Giuli furono motivate da impulsi affatto diversi. Là ‘si voleva mo- strare al proprio principe quali e quante piaghe da quattro se- coli affligevano uno stato già florido € ubertoso onde trovarvi rimedio; quà si trattava di far vedere una proviricia un dì co- perta di marazzi, spopolata e insalubre, oggi resa florida e'tale da non invidiare qualunque altra delle più fertili e popolate della Toscana. Diciotto anni di domicilio , l’essere ivi possessore di qualche predio , il naturale istinto d’ istruitsi sulle pratiche domestiche e industriali del paese in cui si vive posero in grado il nostro A. di avvertire mercè una serie di osservazioni varie e moltiplici tutto ciò che ha potuto contribuire al ben essere della Val-di-Chiana e più specialmente tutto ciò che ha rapporto al di lei stato agrario. T. XXXVII. Gennaio. 9 65 Quindi il prof. Giuli con sano accorgimento premessa una succinta prefazione , in cui espone il piano della sua opera, ha impreso a compendiare in cinque libri la sua statistica agraria , discorrendo nel primo sulle vicende fisiche di quella valle, de- dotte dalle osservazioni geologiche, dalle teorie idrometriche, dalle antiche scritture, e da quanto si operò dopo che il corso della Chiana fu invertito dal Tevere nell’Arno. Lo stato meteorico della provincia e la qualità delle acque sorgenti servono di com- plemento al primo libro. Dalla descrizione della provincia che forma soggetto del pri- mo capitolo risulta che la superficie dell’ intera Val-di-Chiana è di 607 miglia quadrate toscane e quadrati 632; che la lunghezza massima della medesima è di circa miglia 60, delle quali 45 entrano nel Granducato (1), e questa quasi nella direzione del meridiano , e che la larghezza massima della sua pianura è di mi- glia 6 (2). La parte della Val-di-Chiana toscana cemprende quindici comunità, due al nord, Arezzo cioè e Civitella; tre all’est, Castiglion fiorentino , Cortona e Monte Pulciano; altrettante al sud, Chiusi, Sarteano e Chianciano; e sei all’ovest, Torrita, Asinalunga, Foiano, Marciano, Lucignano e Monte S. Savino. I cap. II. e III. danno un cenno sullo stato antico di quel suolo dedotto dalle osservazioni geologiche , dalle teorie idrometriche, dagli autori antichi e da°do- cumenti dei secoli di mezzo , fino a che la massima parte della Chiana invertì il suo corso dal Tevere nell’Arno. In quanto alle osservazioni geognostiche sullo stato origina- rio della Valle, L'A. ha arricchito, la sua opera di molte osserva- zioni da esso in più luoghi instituite e che confermano quelle precedentemente pubblicate dai ch. pad. Soldani , prof. Baldas- sarri , dott. Gio. Targioni-Tozzetti , Conte V. Fossombroni e dott. Antonio Fabbroni sulla natura del suolo e sui prodotti marini ivi esistenti, i quali non lasciano dubbio che essa fn un giorno fondo di mare. Per ciò poi che spetta all’autorità di scrittori ed alle teo- (1) Il miglio toscano equivale in lunghezza a braccia fiorentine 12833 e un terzo, ossia a metri 1654. Il miglio quadrato in conseguenza si compone di braccia quadrate 8,020,001; le quali secondo la misura decimale toscana corrispondono a quadrati 802, e un braccio. Il quadrato, poi ( misura nostra agraria ) si compone di braccia quadre 10,000, pari a metri 3406,19; ed è suscettibile di ricevere due staiora di grano a seme. (2) TN. A. ci lascia desiderare la larghezza della valle presa da’suoi punti estremi e quindi la sua vera periferia. ci. rie idrometriche il N. A. non poteva se non ripetere quanto più estesamente con profondità di criterio e solidità di dottrina fu scritto ed operato dal patriarca degli Idraulici di nostra età nelle Memorie Idraulico-storiche sulla Val-di-Chiana, e nelle Mlustra- zioni di un antico documento relativo all’originario rapporto tra le acque della Chiana e dell’ Arno. Il cap. IV, il quale verte sulla storia di ciò che è stato fatto per bonificare la Val.di-Chiana da Cosimo I. fino ai giorni nostri, è un seguito del sunto delle opere poc'anzi citate. Anche le /Votizie sul bonificamento di essa valìe , pubblicate nel 1823 dal sig. cav. Alessandro Manetti ingegnere , e che servono di schiarimento alle esatte carte idrauliche dello stato antico e moderno della Chiana ivi annesse, somministrarono al prof. Giuli un gran soccorso. Im- perocchè una di queste mappe dimostra che l’antica palude della Val-di-Chiana, secondo la confinazione che ne fece fare, nel 1551, Cosimo I, per distinguere gli antichi beni da quelli che dopo si sarebbero potuti acquistare, estendevasi per staiora 57140. In essa si vede la direzione dei diversi influenti che torbidi vi met- tevano foce, coll’andamento delle principali e più antiche stra- de, fra le quali merita la maggiore attenzione quella segnata presso il così detto porto di Torrita, nella di cui relativa perga- mena originale sta scritto; Selice è una via antica quali si scuo- pre qui ed al Porto di Cesa, (circa otto miglia più prossimo ad Arezzo ) la quale andava da Chiusi ad Arezzo dove oggi è il padlule. Dallo stesso documento appare, che il punto culminante, os- sia di divisione delle acque della Chiana verso i finmi Tevere ed Arno, era nel 1551 al porto di Foiano, ed anche qualche volta al porto di Pilli assai più prossimo ad Arezzo, mentre oggi l’argi- ne di separazione elevato braccia 20. 18. 6. sopra il porto di Pilli ritrovasi presso Chiusi. Per tal modo la Chiana ha dopo quell’e- poca invertito il suo corso per la lunghezza di oltre 28 miglia. Ed è in conseguenza di tali bonificamenti che tutto il perimetro palustre segnato nella carta del 1551 ritrovandosi ora bonifi- cato , ne risulta che è stato fatto in 212 anni di tempo un acqui- sto di 57140 staiora di terreno, terreno corrispondente appros- simativamente a quello che oggi forma il confine delle fertili pos- sessioni della I. e R. Corona di Toscana. Inoltre per diverse ac- curate esperienze che il lodato ingegnere eseguì , ad oggetto di conoscere le altezze della terra sovrapposta all’ antica palude, potè dedurre una misura media di braccia quattro ; cosicchè mol- tiplicata con 1° anzidetta superficie si fa' ascendere la mole delle 68 i materie trasportatevi dalle acque prossimamente a:236,000,000 di metri cubi. Il sig. prof. Giuli parlando delle vie ivi aperte oltre quella regia che da Arezzo va a Perugia, ne avvisa esservi una nuo- vamente costruita. in vicinanza dell’antica Cassia, che da Arezzo porta a Chiusi, e per molte miglia corre quasi parallela alla Chiana nella bassa pianura , ove si uniscono tutte le strade delle terre e de’numerosi castelli che fanno parte della provincia. La strada di cui si parla va a continuarsi nello stato pontificio, sale a città della Pieve ed Orvieto, quindi per Monte Fiascone a Roma. Fra la numerosa serie dei torrenti e fiumicelli che tributano le loro acque nella Chiana, due, soli ( per: la parte che spetta alla Toscana) possono dirsi perenni; e sono l’Astrone e lu Parce. Chiudesi il suddetto Capitolo con una rivista sulla natura del suolo che cuopre la Valle; dal qual esame ne consegue che al nord, dalla parte di Arezzo e sul lato destro della Chiana, il terreno è tutte limo contenente argilla con pochissima arena spar- sa di resti organici e per conseguenza molto fertile, mentre dal lato sinistro del fiume il suolo, se si eccettuano li nuovi acqui- sti da Alberolo sino all’Abbadia, è per lo più coperto di arena proveniente dalle colline tufacee che gli sovrastano. I terreni al di là dell’Abbadia, boneficati dai torrenti Salar - co e Salcheto, sono rapporto alla loro forza produttiva alquanto inferiori a quelli sopra indicati e colmati dal torrente Esse di Fojano e dalla Foenna. I fondi coperti dalle torbe del torrente Parce presso Montepulciano e Chiusi sono sterili anzi che nò, ec- cettuati i campi colmati dal Monaco , influente di quello. Il territorio di Chiusi sarebbe di sua natura fertile e tale sarà an giorno quando i numerosi marazzi si vedranno sparire affatto da circostanto suolo. Il Cap. V. destinato a discorrere delle meteore, dell’ aria e dell’acqua , si divide in quattro articoli. AI $. grandine 1A. co- glie l'esempio di un fitto isolato per dimostrare l’inutilità degli alberi piramidali di alto fusto onde salvare il circostante terreno dagli effetti della gragnuola. « Vi sono, dic’ egli, nel fondo della Valle dei pioppi altis- simi sparsi in moltissimi punti sotto gli argini dei fossi, cosicchè sembrerebbe che dovessero garantire i terreni adiacenti nel modo stesso che si pretende dei paragrandini; ma fatalmente I° espe- rienza dimostra che non producono nessun effetto, ed anzi l’anno corrente (1825) nel mese di settembre venne una burrasca con grandine , ed imperversò specialmente in un luogo della Comu- fg nità di Torrita ripieno di pioppi di alto fusto, e le viti e gli alberi furono danneggiati in modo che presentavano 1’ aspetto della stagione jemale ,.. All’Articolo Venti egli avverte ‘ che lo scirocco ,, il quale domina longitudinalmente la valle, porta nocumento ai luoghi ove si posa, poichè passa sopra i laghi di Chiusi e di Monte Pulciano, s’ imbeve dei miasmi che s’innalzano da quelle paludi ed in altri punti e a tramontana li spinge. Verso la fine della valle da quest’ ultimo lato vi è la vasta collina di S. Fiora che la serra quasi intieramente ed impedisce che siano trasportati so- pra la città di Arezzo. Di fatti alla base meridionale di questa collina vi regnano le febbri perniciose ed altre d’ indole cattiva come nelle maremme; mentre ove i miasmi hanno origine gli abi- tanti ne risentono minor danno che in questo luogo. Un feno- meno simile accade in Val di Nievole , ove si adunano e si ar- restano le esalazioni del lago di Fucecchio ,, - A una causa diversa dalla sopraccennata il N. A. attribui- sce le febbri intermittenti, la disenteria e la diarrea : come pure il renma da cui sono attaccati coloro che nelle notti e nelle mat- tine di estate stanno all’ aria aperta leggermente vestiti. E av- vegnachè ne resta immune il maggior numero di coloro che dor- mono nelle case di pianura, o che sortono ben coperti, sembra poter asserire che l’aria fredda e umida sia la vera cagione de- gli indicati sconcerti di salute. Sul punto poi delle acque potabili, sia di pioggia, sia di fonte, sia di pozzo, il prof. Giuli ne avvisa che a Monte Pulciano si usa quasi esclusivamente della prima; Arezzo abbonda di acqua di fonte , mentre per tutto altrove si adopera in generale l’ a- cqua dei pozzi meno pura delle altre, perchè avente in dissolu- zione dei sali calcari, e conseguentemente cagione di ostruzioni se non si ha cura di depurarla prima di amministrarla interna- mente. Al quale oggetto 1’ A. raccomanda un metodo descritto nella sua chimica economica. ( Edizione II. T. II. pag. 129). Il libro II. il quale abbraccia la topografia, la geologia, la stati- stica agraria e manifatturiera della provincia, è ripartito in 17 Ca- pitoli. Ad eccezione del primo di questi, dove si premettono alcune nozioni . generali , e dell’ ultimo che è una ricapitolazione dei precedenti, gli altri 15 capitoli spettano alle descrizioni speciali delle 15 comunità componenti la provincia di Val-di-Chiana. Dopo avere ivi accennato di ciascun capoluogo la situazione geografica, l’altezza al disopra del livello del mare, secondo le. osservazioni - zo Y instituite dal cav. pad. Inghirami , i confini delle respettive co- munità, si dà la misura della loro superficie quadra ; s’ indicano gl’impiegati ecclesiastici e civili che vi risiedono ; quali e quanti i pubblici stabilimenti. Quindi si descrive la giacitura e qualità dei terreni, e si determina la loro respettiva fertilità desunta dall’ana- lisi per esso instituita , secondo il metodo chimico pubblicato nel Giornale dei Letterati di Pisa (Novem. e Dicem. 1825); e s’ in- dica di ciascuna comunità 1’ estensione superficiale a seconda delle respettive posizioni di monte , di collina o di pianura. Di più si calcolano approssimativamente le diverse coltivazioni, la qualità e quantità delle varie semente , il numero degli alberi fruttiferi, il loro medio prodotto, il numero degli animali dome- stici da frutto , e da lavoro ec. ec. (3) nel contemplare le quali cose l’A. si è attenuto troppo spesso a valutazioni non positive. Contando egli sull’ esistenza sicura presso gli archivi vesco- vili degli stati di nascita, morti e matrimoni di tutte quel- l’ epoche che gli fosse piaciuto di scegliere , si augurava di po- tere agevolmente far conoscere i vari movimenti della popola- zione di Val-di-Chiana, ma una tale speranza mancò nella mas- sima parte del suo effetto, qualora si voglia eccettuare la città di Arezzo. Ciò non ostante il diligente A. non ha omesso cure per rintracciare, quando a lui se ne esibiva il destro, notizie confacenti a far conoscere la statistica del paese anche sotto il governo Mediceo. Li stati adunque della popolazione della Val- di-Chiana sono presi a tre intervalli. L’ epoca da dove si parte il primo dato generale per avere un’idea della statistica di una parte della Val-di-Chiana è dell’an- no 1676 , mentre pel restante della provincia appena può mo- strarsi un documento della cattedrale aretina del 1761 , il quale rammenta lo stato della popolazione di detto anno tanto delle co - munità attinenti alla diocesi di Arezzo quanto di quella di Cor- tona e di Montepulciano. La qual epoca peraltro è interessantissima sul riflesso che di soli anni otto precede l’altra in cui furono dettati dal celebre Perelli i muovi regolamenti idraulici per il bonificamento della Val-di-Chiana. (3) Fra gli animali da frutto sembra che non fossero da doversi omettere i pollami abbondantissimi in Val-di-Chiana , e i filugelli , il di cui importan- tissimo prodotto può calcolarsi dalla quantità di ova o di seme che nasce nelle diverse comunità della Val-di-Ghiana ; tanto più che il N. A, ne assicura che nel solo distretto di Arezzo nascono annualmente cento libbre di quel seme. | î nI L’A. ha in secondo luogo registrato lo stato della popola- zione di tutta la valle per l’ anno 1815, dopo la quale epoca, grazie alle provvide cure di Ferdinando III, fu instituito una so- praintendenza idraulica locale incaricata di dirigere i lavori ne- cessari al regolamento delle acque lungo la Chiana, di distri- buire. adeguatamente le torbe entro certi e determinati limiti onde compire, e quindi conservare la piena bonificazione e sta- bile conquista di una vasta estensione di paese sulle acque. La seconda epoca di confronto sul movimento della popola- zione abbraccia un decennio, dal 1816 al 1825 inclusive. (4) È da notarsi però, che anche in quest’ultimo periodo , per quanto il più felice per la Val.di-Chiana mercè della ottima direzione dei lavori idraulici e della maggiore salubrità che hanno iu con- seguenza acquistato i terreni prossimi alla Chiana, l’aumeuto della popolazione non progredisce con egual proporzione ; lo che de- vesi attribuire alla febbre epidemica petecchiale degli anni 1817; e 1818, la quale afflisse con la Toscana la massima parte del- l’ Italia. Gli articoli relativi alle arti e manifatture danno un cenno brevissimo delle poche fabbriche manifatturiere che esistono nelle varie comunità , ma senza notare il numero dei lavoranti, l’au- mento di prezzo che per tali opere il genere greggio ritrae , nè i processi di fabbricazione , se pure si eccettua la filanda della I. e R. fattoria di Frassineto montata con le caldaie a vapore dal suo inventore Jensoul ; nè finalmente si parla di miglioramen- ti che si potrebbero adottare, ne del benefizio che si ritrae da tali o tali altri generi d’industria. Lo che se da un canto rende- rebbe più preziosa di quello che lo è l’opera del prof. Giuli, lo avrebbe altronde obbligato a dedicarsi ad indagini lunghe, complicate e che lo deviavano dal suo primario scopo, quello cioè di fare conoscere solamente lo stato agrario, e non tutto lo stato economico della Val-di-Chiana. Ogni capitolo contiene inoltre un breve articolo dedicato ai fatti storici più essenziali o meno conosciuti, come pure alla me- morazione* degli uomini più celebri di ciascuna Comunità. Ma come mai in tanta concisione ha potuto il prof. Giuli im- piegare undici pagine della sua bell’opera per ritornare a discutere intorno alla strada ed ai paduli passati dall’ armata di Annibale prima della battaglia del Trasimeno, dopo la erudita e ragionata (4) Vedasi in calce al presente articolo lo specchio della popolazione negli anni 1761, 1815 e 1825. 72 dissertazione pubblicata su tal proposito dal cav. Lorenzo Guaz- zesi? Come anteporre allo storico Polibio e al geografo Strabone che danno a conoscere l’ ubicazione delle paludi essere fuori della Toscana (5) l’asserto di T. Livio , che le indica presso l'Arno ? Lascio poi ai critici il decidere se potè Annibale valicare l’Ap- pennino della Cisa , passare per Luni e per il littorale di Pietra- santa, tostochè lo stesso capitano dopo la vittoria del Trasimeno avvicinatosi al mare Adriatico annunziò a Cartagine, che allora appena aveva toccato il mare, dacchè era entrato in Italia. (Polib. lib. III. $. 86.) Riepilogando le varie osservazioni riportate dall’ A. nel Li- bro II. si vede che la fertilità media del terreno di monte equi- vale a 4 e mezzo centesimi di materia fertilizzante, che quella del terreno di collina corrisponde a 7 e tre quarti, e che la pianu-. ra in una sola località presenta sei centesimi di materia vegeta- tiva, mentre nella maggior parte ne contiene 14 e talvolta anche 20 centesimi. A ciò arroge che in una superficie di 603 miglia quadre e di quadrati 632 (6) esistono 105,510 individui, e così in ogni miglio quadro 181 abitanti; che il terreno coltivabile si limita a miglia quadre 303 e quadrati 369, mentre il numero dei coltivatori del suddetto spazio è di 68,388, vale a dire 223 lavo- ranti per ogni miglio quadro; che gli animali da lavoro sono 30,672, così 99 per ogni miglio quadro di terreno a coltura; che gli ani- mali domestici di tutta la provincia sommano 174,156, per modo che se ne nutriscono 288 per ogni miglio quadro. Fin qui il li- bro II. col quale termina il primo volume della Statistica del prof. Giuli. i Una breve prefazione ivi premessa dà intanto a cono- scere quali materie saranno per trattarsi nei susseguenti tre libri. Imperocchè il libro III. è destinato a descrivere tuttociò che concorre allo sviluppo dell’agricoltura; il libro IV. al detta- glio dei metodi agricoli che si praticano nelle varie parti della (5) Strabone) ( Geogr. lib. V.) dice chiaramente che le paludi, per le quali passò Annibale prima di scendere in Toscana esistevano nelle pianure di Parma, ed erano quelle che furono prosciugate poi da Emilio Scauro mercè di grandi fosse navigabili. Da Polibio poi si comprende ( lib. III. $. 78 ) che biso- gnava passare le paludi prima di arrivare in Toscana, ossia nel terreno de’ ne- mici ($. 70 ), e che queste paludi. esistevano nei luoghi della Gallia ( $. 86 ). (6) In altro luogo ( Lib. I. Art. 1.) la superficie della stessa provincia apparisce di miglia quadre 607 e q. 632. Alla pubblicazione del secondo volume 1° A. avrà luogo di correggere questo ed altri errori numerici tra- scorsi al tipografo in quello già pubblicato, 73 Val-di-Chiana ; mentre il libro ultimo sarà un epilogo di tutti i risultamenti che. da tali metodi si ottengono , oltre. un corredo di tavole sinottiche relative alla popolazione sia parziale, sia ge- nerale della provincia , al numero dei bestiami , alla quantità dei semi che si affidano al terreno ; come pure alle varie specie delle piante arboree che danno un maggior utile, col numero ap- prossimativo delle medesime. Avendo il N. A. concepito in tal guisa la sua statistica agra- ria, potrebbe taluno credere che avesse seguito le tracce di qual- che altro moderno scrittore di statistica, e specialmente di Sin- clair, che sino dal 1821 pubblicò sopra un piano poco dissimile la sua Agricoltura pratica e rogionata della Gran Bretagna; ma a liberare da ogni taccia di plagio il N. A. basta il prospetto del suo lavoro che sino dall’anno 1818 fu presentato all’l1. e R. Accademia dei Georgofili di Firenze, come può riscontrarsi dalla Continuazione dei suoi Atti (Tomo II. pag. 295. ), vale a dire tre anni prima che apparisse la statistica del ‘dotto scozzese. Checchè ne sia il prof. Giuli può dirsi il primo italiano che dî proprio intuito ha raccolti e coordinati copiosi materiali intorno a una provincia sorta da un mezzo secolo a figurare fra le più fertili e doviziose di tutta la Toscana. i Serve di ornamento all’opera una Mappa indicante il corso della Chiana, dei suoi vari influenti e delle paludi che ivi spa- gliavano nel 1789; la quale, se riesce utile per dare a conosce- re lo stato idraulico di quella valle all’anno indicato, lascia de- siderare una carta più moderna per rilevare i miglioramenti se- guiti, e che il N. A. ebbe cura di far conoscere nella sua opera. La qual cosa tanto più riesciva agevole ad eseguirsi, in quanto che sino dal 1823 l’ egregio cav. Alessandro Manetti aveva reso di pubblico diritto non solo la copia della carta autentica del 1557, atta a dimostrare la condizione della Val-di-Chiana in quell’ e- poca; ma anche la mappa idraulica della pianura medesima espri- mente i lavori di bonificazione sino al 1823, insieme con l’altra indicante la livellazione generale delle Chiane , eseguita per la prima volta negli anni 1820 e 1821. Noi però ci lusinghiamo che un tal avviso sarà di stimolo al chiar. prof. Giuli, affinchè nel caso di una nuova edizione , e forse innanzi che termini la prima, fatto tesoro di quanto i geo- grafi , e gl’idraulici hanno finora pubblicato o sono al momento di pubblicare sulla Val-di-Chiana , voglia rendere la sua opera sempre più utile ed importante ad ogni classe di persone. T. XXXVII. Gennaio. Io Specchio della popolazione di Val-di-Chiana in tre epoche diverse. è» ; POPOLAZIONE NOME DELLA COMUNITA i DEL 1761 DEL 1815 DEL 1825 2 2 272 . Gastiglion Fiorentino a sr ai Gortona 16496 18681 20417 . Chiusi . 1600 2661 3103 1715 3030 3117 2824 SII7 3591 , 1600 1790 1966 . Montepulciano 7279 ac 9379 . Torrita ; 3046 3476» 3526 3200 6193 6800 4458 5642 5903 . Marciano 1480 1766 1812 . Lucignano. ...... 2689 3114 3267 . Monte S. Savino . | . 4656 5704 5984 . Civitella 2017 42438 4342 ——_—— rrr———P————Pr Totale N.° 82722 | 102994 1095II | i ) I. 2 3. 4 5. 6. 7. 8 9 II. L’Atlante del Granducato , sul di cui conto siamo in do- vere di sdebitarci di una promessa fatta (.Antol. fasc. 97 pag. 157) è una prova recente e opportunissima a dimostrare che una esatta mappa topografica è la base indispensabile ad ogni buona sta- tistica. Imperocchè, dopo aver letto nella testè lodata opera del prof. Giuli che la provincia di Val di Chiana occupa un esten- sione di miglia quadre 603 e quadrati 632 con una popolazione di 109,510 individui, innarcherà le ciglia al riscontrare nella ta- vola IV.* dell’ Atlante Zuccagni ; la superficie della Val di Chiana di sole miglia quadrate 493 e due terzi, e questa popolata da 105,233 abitanti. Ad evitare pertanto ogni sorpresa sulla di- sparità di simili calcoli giova avvertire che l’ autore della stati- stistica di Val di Chiana prese norma non già dai limiti naturali del Valle .eircoscritti dal corso delle acque che dai circostanti monti vi fluiscono; ma da quelli che I’ amministrazione economica recentemente assegnò alla provincia Aretina. L’ accoglimento che il pubblico ha, fatto all’ Atlante del Granducato è una conferma di quel” favore che a lui prognosti- cammo sino da quando fu dato un cenno intorno alle due prime cr — e 5 dispense. Che se i tempi nostri, in grazia del raffinamento in- trodotto nella parte istrumentale e meccanica , fanno desiderare una maggior diligenza nella ‘incisione delle mappe, e una reta- tura che dasse a conoscere sotto qual grado. preciso di longitu- dine e di latitudine esiste ciascun paese, non temiamo altronde di esagerare asserendo essere 1’ Atlante in questione, per descri- zioni topiche, per notizie statistiche, nitidezza di caratteri e di- sposizione di materie l’opera più soddisfacente , e la meglio ese- guita di quante in simil genere sortirono finora dai tipi italiani per cura di un privato. Imperocchè le notizie sommarie sulla storia civile, economica, naturale e letteraria ‘ad ogni singolare valle sono disposte.con so- brietà, metodo e chiarezza; e tutte attinte alle migliori sor- genti, appoggiate da operazioni geometriche , e geodetiche che esser devono base alla gran carta del catasto toscano. Delle venti tavole in cui è diviso l'Atlante Zuccagni sei sono già dispensate, ed è annunziata imminente la settima, cinque delle quali rappresentano altrettante valli all’Oriente di Firenze, mentre la sesta è stata ded icata alla capitale del Granducato. La pianta di Firenze ad eccezione di qualche leggera svista grafica può dirsi la prima che si presenti all’occhio dell’osservatore con l’indice della tramontana non rovesciato. Essa è corredata d’ importanti cenni storici e fisici sull’origine del nome, natura del suolo, clima, co- stume e indole degli abitanti, loro industria, commercio e ope- re più cospicue di belle arti di cui la città è adorna. Accrescono pregio alla tavola i disegni del sigillo della re- «pubblica di Firenze , delle quattro insegne del popolo , di quelle dei quartieri, e delle sette arti maggiori, insegne che tuttora si ammirano sulle pareti di antiche fabbriche pubbliche e private. E non può riuscire che gradevole agli stranieri come agli indigeni trovarvi punteggiato il giro del primo e del secondo ‘cerchio di Firenze. Che se il piano fosse coperto da una reticella di triangoli si potrebbe contemplare a colpo d’ occhio in qual piccolo spazio risiedeva un popolo tanto ricco ardito:e magnanimo. Dalle quali relazioni statistiche apparisce che la di lei popolazione massi ma era Nelssenolo) XEVIIdi cerion Gg «iso asceti get Nel secolo; AVI idj af rviropiirei 1 +. 061070008 Nel secolo; XVIIL: dior jju inaciarioree cdi 78698 Nel 1829 non compresi i forestieri di. . 94000 Ivi si contano Bondirnidosricend again RA 4 Piazze , escluse le più piccole. . . . . 39 Strade! .80utr9:92) D'Rpnirigintoai, 03500 7996 Mileoli. scs allen anorstattico Lem svoszaib 10 Lampioni pubblici . . +... .0. 0.0. + 516 Chiese più grandiose . ». +. + +0... 8 Putrotchie!vy int, stia lz AT Atena DI 0zIsgt 198 Conventi e monasteri . + + +. +. +. . 40 Confraternite bui 21 TY NO ‘160 Oratorii pubblici... LL +0. +0. + 25 Uspedali 0: te i COMO e Stabilimenti di caritatevole sovvenzione . 3 Scuole pubbliche per gli uomini . . . . 8 Istituti di educazione per le donne . . . 12 PERDENTI eni DI I 9 Accademie di scienze lettere e arti . . . 5 Le altre cinque Tavole comprendono le Valli di Sieve, quella dell'Arno superiore , della Chiana , del Casentino e Tiberina. Quì non si tratta di quelle grandi valli geologiche che appar- tengono al sistema di una catena principale di montagne, ma siv- vero di valli trasversali all’Appennino, rinchiuse fra le sue dira- mazioni secondarie , e il di cui fundo è solcato: da un fiume maggiore. Tutte le volte che uno di questi, dopo aver percorso fra una doppia linea di monti , si apre il passaggio da una in altra valle, essa cambia di nome e serve di teatro a una nuova tavola dell’ Atlante. Quindi avviene che i due fiumi principali, Arno e l’Ombrone, i quali attraversano indirezione diversa una gran parte dalla Toscana, prima di sboccare nel mare ricevono nel lorv al- veo la acque de’ fiumi minori dei torrenti e dei rivi che a guisa di ramoscelli si uniscono al tronco principale; il quale: ripartito in varie sezioni forma diverse valli del Granducato. Non così dei fiumi Chiana, Sieve ,, Bisenzio, Elsa, Erayec. i quali sebbene influenti nell’Arno prima di giungervi raccolgono nel loro seno le acque di estesi distretti e danno il loro nome ad altrettanti valloni secondari. Citeremo ad esempio di tutte la Val di Sieve, VIII.“ nell’or- dine del Atlante. Situata essa a pié dell’ Appennino fra il Val d’ Arno fiorentino , la Romagna , la Val di Bisenzio e il Casen- tino, vccupa una superficie di 308 miglia quadrate , popolata da 53130 abitanti. La mappa, oltre il corso della Sieve e dei suoi influenti, dalla origine sino dove all’ Arno si marita , rappresenta con segni con- 27 venuti le strade regie , o postali, le vie proviuciali e comunali, carreggiabili e pedonali, i capi luoghi di ogni comunità, le prin- cipali terre ; borghi e castelli, e i monumenti più celebri per la storia , 0 per il culto. Sono inoltre indicate le altezze dei punti e eminenti della valle sopra il livello del mare. La corografia fisica è compresa in una colonna a destra della mappa: mentre ciò che spetta ai prodotti dell’ industria agricola manifatturiera é commerciale è accennato nella ultima colonna a sinistra , riservando alla topografia storica le due colonne iù- termedie. Si rintraccia in queste l’ origine del riome Mugello attri- buito a una tribù di Liguri che vi sì stanziava prima che quel- l’ Appennino ligustico cadesse in potere dei Romani. Ai quali ‘ul- timi credesi debbano ripetere le loro denominazioni varie borga- te, parte esistenti, parte distrutte’, e fra le altre Amneiano, e Vigesimo, la prima derivata forse dalla sna vicinanza alle rive dell’ Arno, e l’ altra dalla sua distanza da Firenze. Sarebbe senza dubbio un acquisto per la storia patria se con documenti meno ipotetici si potesse venire in chiaro che dal luogo di Vigesimo, poco lungi cioè da Barberino di Mugello , passava una via consolare che dalla famosa Selva Litana conluceva nella Gallia togata. Certo è che il nome di Vigesimo per sè solo non basta ad asserirlo, siccome non giovano a provarlo i luoghi di Quarto , di Quinto , di Sesto; di Settimo, ec. situati in paesi e in direzioni diverse. Avvegna che tre sole vie romane guidavano da Roma a Modena, l’ Aurelia, la Flaminia, e la Cassia; l’ul- tima delle quali nel tronco che da Arezzo portava per il Mugel- lo a Bologna fu opera del Console C. Flaminio Giuniore , 1’ anno di Roma 567 secondo Varrone. È poi indubitato che sino alla decadenza del Romano Impero le colonne miliari poste lungo le grandi vie , per qualsiasi parte fossero dirette’, segnavano la di- stanza progressiva dalla capitale, cominciando tutte 1’ enumera- zione dal miglio aureo situato a piè del Campidoglio. Che se al- cuni cippi superstiti di Pisa , di Luni , di Nimes, di Arles ec. in- dicano i numeri I, III, IV e V questi appartenere duvettero alle strade provinciali o private costrutte a spese della vicina colo- nia, o municipio; ovvero situati vi furono dopo che Roma cessò di essere la capitale del mondo. Tornando .alla Val di Sieve e alle notizie generali spettanti alla storia dei principali paesi, e luoghi più conosciuti nella sto- ria, merita di essere rammentata la terra di S. Gaudenzio per aver ricevuto il nome da una antica Badia , resa celebre da una "8 congrega di fmnorusciti fiorentini tenutavi nel Giugno del 1304 , cui trovossi presente il ghibellinissimo. ‘Alighieri, ed il cui con- cordato: ammirasi tuttora nell’ Archivio pnbblico fiorentino. L’elenco degli nomini insigni per virtù militari , civili, mo- rali e letterarie e che ebbero vita nella Valle Mugellana è scarso . anzichè nò in confronto di tante altre contrade della Toscana , ma il nome di Antonio Cocchi vale esso solo per molti. Tutte le altre tavole dell’Atlarite essendo redatte in un piano uniforme a quello della testè descritta Valle, ci limiteremo per ora ad accennare di ciascuna delle già pubblicate lo stato della . popolazione in confronto della rispettiva estensione, due punti i più interessanti a conoscersi nella pubblica economia. E. REPETTI. ‘Quadro della popolazione ed estensione delle seguenti Valli, NOME DELLA VALLE POPOLAZIONE SUPERFICIE NEL 1829. A MISURA TOSCANA Valle di Sieve Val d Arno superiore Valle del Casentino Valle di Chiana Valle Tiberina 53150 abitanti | 308 . miglia quad. 66750 abitanti | 357 miglia quad. 36000 abitanti | 300 $ miglia quad. 105233 abitanti { 493 2 miglia quad. 28058 abitanti | 282 i miglia quad. Appendice. x Mentre il presente articolo stava sotto il torchio è venuto alla luce la settima dispensa dell’ Atlante sopra lodato , la quale rappresenta la Valle dell’ Elsa e sue adiacenze: La mappa ivi annessa abbraccia non solamente la Valle dell’ Elsa, ma quella ad essa parallela della Pesa; e le altre due valli minori dell’Evola e della Cecinella. La superficie del qual territorio si computa 537 miglia quadre con una popolazione di 104113. abitanti. Se da un mezzo secolo si è veduto in Toscana emergere da pestilenti marazzi il fondo di un ubertosa e lunga Valle, quale si è quella della Chiana : in nn tempo anche più breve si è fatto nascere in Val d'Elsa una serie di ridenti colline là dove non apparivano altro che poggi dirupati e sterili burròni. ‘99 Se non che quella fu opera di nomini sommi nella idrometria e nelle scienze esatte, mentre questa devesi all’ ingegno naturale ‘di un industrioso agricoltore , il quale spingendo le. .sne mire molto più innanzi del parroco di S. (Miniato ; trovò: nel soccorso delle acque perenni e piovane, e quindi suggerì ad altri, il modo di abbassare i punti culminanti ‘e trascinare a piacere le. varie terre nei botri e nelle sinuosità dei monti per convertirli in pianeggianti , fertilissime campagne. A ciò senza dubbio in gran ‘parte concorre, e la natura del terreno tutto di trasporto ; gran parte del quale ricco di. resti organici offre i mezzi naturali di fertilizzazione , e la copia delle ‘acque perenni che ivi intorno sgorgano. Niuno tra i: fiumi della Toscana, avverte il nostro A., deriva da sorgenti così feconde e poste come quelle della Val d’Elsa in terreno pianeggiante, col- tivato , lungi dai monti. Che se il geologo ( soggiunge egli) vo- lesse di ciò investigare la ragione, non andrebbe forse al tutto errato ricercandola nella qualità e giacitura del suolo adiacente. Osservasi infatti nel sovrapposto piano di Quartaja (poco lungi dalle scaturigini dell’ Elsa) un ampia voragine detta Zngolla , entro cui mette foce e si perde all’ istante un torrentello , è la . quale serve insieme di ricettacolo a tutte le acque cadenti sulle vaste campagne vicine; sembra quindi che in simil modo vengano a depositarsi in altre cavernosità dei margoni argillacei di quei ripiani le acque dei poggi e colline circonvicine , e che riunite somministrino inesauribile alimento alle vene dell’ Elsa. La mag- ‘giore delle quali detta grossa dà luogo ‘ad altra importante os- servazione , poichè nella stessa apertura , per cui emerge l’acqua con tale impeto da sollevare a notabile; altezza una quantità di minute ghiaie, ivi pure manifesta tal forza attraente ; che se vi cade un corpo estraneo resta tosto inghiottito : fenomeno che può forse spiegarsi «con la legge idraulica della contrazione della vena, ‘per effetto della quale un volume di fluido spinto fuori per an- gusto orifizio esce in due colonne divergenti, così lasciando in mezzo o vuoto o riposo , vi sono entro spinti i corpi approssimati all’ orifizio o cadutivi pel loro peso speoafico. Non meno interessante è } epitome salla natura del suolo e sui prodotti naturali di quella e delle adiacenti valli della Pesa, dell’ Evola e della Cecinella, le quali riunite alla prima offrono tal divisione naturale di territorio da doversi considerare sotto l’aspetto geognostico come una sola valle secondaria. La parte storica è più estesa di quello che lo permette lo 80 spazio augusto di un foglio, è troppo concisa rispetto alle me- morie dei tempi andati, e specialmente di quelli del medio evo. L' antiquario però gradirà di trovare ivi rettificata 1’ ubica- zione di Semifonte, castello in Valdi Pesa famoso per le guerre che a lungo sostenne contro la nascente repubblica fiorentina , siccome avrebbe gradito di trovare lungo la Val d’ Elsa le men- zioni dell’ antica Via Francesca che nei secoli di mezzo preferi- vasi dagli oltramontani per andare a Roma. Uno scoglio pericolosissimo contro cui spesse volte vanno a frangersi le ricerche dei geografi, degli storici e dei genealogisti può dirsi quello degli omonimi. Infatti il ch. ab. Lami volendo rintracciare l’ origine della città di S. Miniato in Val d’ Elsa, credè di poterla far risalire al principio del secolo ottavo , contro l’ asserzione dello antico storico Sanminiatese Lorenzo Bonincon- tri, che la disse;fondata dall’Imperatore Ottone I. il quale scelse quella località, come la più centrale della Toscana ; a residen- za di un magistrato imperiale Tedesco , destinato a decidere le cause in ultimo appello. Basava il Lami la sua congettura in una pergamena lucchese dell’anno 782, illustrata dal Muratori e ultimamente dal prof. Bertini, dalla quale apparisce che sedici nobili longobardi di Lucca avevano fondato nei primi anni del secolo VIMI una chiesa in un luogo denominato Quarto dedicandola al martire S. Miniato , chiesa che in vece di cercarla nei colli di Val d’ Elsa a circa 24 miglia lungi da Lucca , era uopo rintracciarla nelle vicinanze di questa città. Esisteva infatti nel medio-evo nel Piviere di Mon- tuolo un castello chiamato S. Miniato in Quarto, e che sotto altro vocabolo fu detto poi di Fognana alle falde settentrionali di quel' monte Per cui i Pisan veder Lucca non ponno. ed è quella chiesa stessa cui riferire volle un diploma di Otto ne III ( anno 999) che confermò al mon. di S. Ponziano una corte donata dalla contessa Guilla prope S. Miniatum: corte rammentata in un Placito del 1074 della contessa Matilda ‘ in loco et finibus Faoegnana prope castro quod vocatur Sancto Mi- NIALO 3. S1 Storia della Luigiana , del sig. Barst-Manzo1s. (1) Parigi 1829. Ove si tratti d’ opere importanti per la novità, la fecondità, la grandezza de’ fatti , presentare il quadro de’ fatti stessi gli è il mezzo migliore d’ eccitare il pensiero. Tutte le considerazioni che vi si potessero aggiungere, non equivalgono alla semplice ma potente impressione del Vero. A ben giudicare dell’opera del sig. Barbé-Marbois ; serva il sunto fedele che noi ne offriamo ai lettori. — Egli incomincia da un discorso sulla costituzione e sul governo degli Stati Uniti; del qual discorso non sarà inoppor- tuno recare alcune idee principali. Germi di libertà nelle colonie inglesi. — Costituzione di Locke. — Intervento della Francia nella guerra dell’ Indipendenza. — Go- verno degli Stati Uniti. — Fin dal 1672, Carlo II. avea data al Connecticut una costi tuzione, che lo rendea quasi indipendente dalla Metropoli; e così saggia, che al momento della rivoluzione non s’ebbe che a sostituire il nome di Stato al nome del re. Nel 1818, il Conne- cticut si diede una nuova costituzione, molto conforme alla prima. Lo stato di Rhode-Island conserva la sua, quale l’ebbe da Carlo Il. Ma la Carolina ebbe una costituzione proposta da Locke; dove fanno la loro figura , signori, baroni, langravii , cacichi, palatini: on- d’ è che la carta della Carolina, e tutte quelle alle quali ebbero mano i consiglieri regii , furono modificate dalla volontà de’co- loni, mercè quelle assemblee dideputati, freno agli abusi fortissimo, che i governatori regii non poteano impedire. Gli Stati Uniti, come ognun sa, erano un misto di razze varie; tutte genti che per amore di libertà e di pace avevano abbandonata la patria. Gli Olandesi avevano portata a New-York la sobrietà , 1’ industria, 1 economia, il genio del commercio ; gli Svedesi nel — (©) Una gravissima malattia minacciò , non ha molto, i giorni di questo ri- spettabile vecchio ottoagenario , presidente tuttora della così detta Cour des Comptes, uomo da tutti i governi stimato e onorato di cariche importanti ; l’espe- rienza delle quali dee essergli giovata non poco a meglio rendere nella sua narra- zione le negoziazioni ed i fatti di cui fu egli stesso gran parte. E ciò prova co- me al merito letterario contribuisca potentemente la pratica scienza delle cose trattate : ‘ragione non abbastanza notata della preminenza che in alcune parti conservano la romana letteratura e la greca sulla moderna. T. XXXVII. Gennaio. II 82 nuovo Jersey , e presso la Delaware , la semplicità de’religiosi co- stumi: nella Pensilvania erano quasi tutti Tedeschi, o Irlandesi. La rivocazione dell’ editto di Nantes popolò la Carolina occiden- tale di ricche e industriose famiglie francesi. Le colonie inglesi vi- vevano soggette a dure restrizioni di commercio, o di navigazione; nè potevano stabilirsi lontano dal mare : perchè l’Inghilterra te- meva , non forse, coltivando una regione sì fertile , e’venissero tra poco a non aver più bisogno di lei. Non però che il governo fosse tirannico : era largo sì, ma tendeva a restringere : e in questa tendenza sta il massimo male. La rivoluzione era già matura : le imposte non ne furono che un pretesto. Quand’ anco , osserva il sig. Marbois, la Francia non v°avesse cooperato, l’emancipazione ne sarebbe indubitatamente seguita. E quì, a bella prova della im- parzialità dell’ autore, giova recare le sue proprie parole intorno all’ intervenzione della Francia , parole con piccola modificazione applicabili a tutte quasi le intervenzioni, o liberali o dispotiche , o fortunate o infelici, che si son vedute e si vedranno nel mondo politico. Peut-étre l’interoention de la France dans cette grande querelle, ne fut-elle assez justifie , ni par des perils imminens, ni par ces règles de justice qu'il importe aux états de ne jamais blesser : j’ose méme à peine chercher une justification du parti qui fut pris, dans ces maximes d’une politique de prévoyance , qu’il est si facile de plier à toutes les situations. Gli effetti maravigliosi dell’americana libertà , son già noti : tanto più rapidi, che, siccome lA. osserva, a quel popolo non fu forza raddoppiare il cammino per ritornar dall’errore al vero: non avanzi di potere usurpato, non vecchi abusi ripullulanti, non antiche leggi oppressive, non vestigia di quel feudalismo che tanto ancora uggisce l° Furopa: non quegli atti di vendetta che d’ ordinario accompagnano o seguuno le rivoluzioni: non ne- cessità di barcollare di sperimento in isperimento , di sistema in sistema prima di afferrare il centro del bene. E” s’ attennero all’ e- sperienza , ma non però disdegnarono quelle teorie che gl’interes- sati pregiudizi respingono nel mondo de’sogni : su questo doppio cardine posarono una costituzione , le cui leggi fondamentali nes- suno ha pur pensato di smovére , le cui forme estrinseche si son venute migliorando con gli anni. E questo sistema fu ideato , compiuto , effettuato in mezzo al tumulto dell’ armi! Fra il partito di dividere gli Stati in tante separate repubbliche, e quello di farne una repubblica sola , si scelse il più saggio : la coesistenza di repubbliche confederate.— Le ambizioni incomincia= te a sorgere dopo il 1783, s’acquetarono ben tosto: e ciascuno degli 83 stati s’ abituò ad aver cura de’ suoi propri interessi , lasciando gli aftari generali al congresso. Il congresso, composto del senato e della camera de’ rap- presentanti , tiene il potere legislativo. Ogni 40,000 liberi, hanno un rappresentante ; 1’ uffizio del congresso dura non più di due anni. Ciascun degli stati manda due senatori : e du- rano in carica per anni sei; ma ogni tre si rinnova il senato d’un terzo. La camera istituisce il processo dei delitti di stato: il senato li giudica. Il congresso s° aduna una volta almeno al- l’anno. I senatori e i rappresentanti hanno , in quel frattempo , un compenso di 42 fr. al giorno , con di più le spese del viaggio. Nel tempo della sessione , nè fra il viaggio , non possono esser mai arrestati. Nè senatore nè rappresentante non può esercitare alcun uffizio civile. Il Bill, adottato dalle camere , approvato dal presidente, è legge: anche senza quest’approvazione, bastano i due terzi de’voti a sancirlo , o il silenzio del presidente stesso pel corso di giorni dieci. Il congresso impone le tasse ; può con- trarre debiti pubblici all’ uopo; tratta gli affari di commercio e i politici all’ estero ; istituisce i tribunali, i quali dipendono dalla corte suprema ; dichiara la guerra ; assolda l’ armate di terra e di mare: ma i fondi a ciò non sono concessi per più di due anni. Il presidente e il vice-presidente durano in carica per quat- tr’ anni, e vengono nominati da elettori speciali che non sono nè senatori nè rappresentanti, nè hanno uffizio dipendente dal- l autorità del congresso. Il presidente comanda le armate terrestri e marittime ; conchiude trattati , purchè approvati da due terzi de’ senatori presenti; nomina gli ambasciatori, i consoli, i giu- dici della corte suprema, sempre assenziente il senato. Il titolo di questo supremo magistrato non è che Eccellenza. Tanto il presidente ; quanto gli uffiziali minori , possono esser deposti , se convinti di tradimento o di grave delitto. Tutto ciò che è di diritto del congresso, è interdetto agli stati particolari, i quali, senza l’assenso di quello , non possono nè imporre dazii d’ importazione , nè mantener truppe o legni da guerra in tempo di pace , nè far trattati tra loro o con altre potenze; nè guerreggiare , eccetto il caso d’ imminente pericolo o d’ invasione straniera. La corte suprema giudica degl’ interessi generali degli Stati Uniti fra loro ; 0 con le potenze estere : e può al caso sospendere tutti gli altri poteri col dichiararli operanti contro la costituzion dello stato. Terribile autorità, ma che non sarà mai abusata fin- chè viva lo spirito di libertà ond’ è animata la nazione intera. 8 La confederazione può ammettere nel suo seno de’nuovi stati; e guarentisce a tutti il governo repubblicano. I cangiamenti che potessero divenir necessarii nella costituzione , debbono essere pro- posti o da due terzi degli stati, o da due terzi delle camere, e approvati da tre quarti degli stati tutti. Il congresso limitò da sè i propri poteri, proponendo d’inserire nella costituzione; che e’non potrà mai porre leggi tendenti a inceppare o a interdire la libertà delle religioni de’ discorsi, della stampa , delle radunanze, delle petizioni; l’ inviolabilità delle persone, delle case, fogli, ed averi. Il congresso ha pochissime truppe : ma la sua autorità non ha rincontrato mai resistenza. Si tentò disunire questo gran corpo : ma sola una volta la concordia corse pericolo , quando nel 1815, i deputati d’Hartford vennero con la commissione dij denunziare il presidente. La tranquillità che regna in questa sì grande na- zione smentisce il detto di Montesquieu, che tutti procellosi af- ferma i governi liberi. Alle negoziazioni con l’ estero, la lealtà è unica base. O a patti ugnali , o nulla. Abilissimi naviganti, pratichi di tutti i secreti dell’inglese commercio, più liberi de’loro antichi signori, e’ li supereranno col tempo. E già l’Inghilterra ha dimostrata la sua gelosia , con minacce , con seduzioni , con 1’ armi. La guerra ebbe fine col trattato conchiuso a Gand nel 1814: non però le ostilità diplomatiche. Ma tutti i maneggi cedono e son nulla da- vanti alla lesge che a tutti i trattati impongono gli Americani: la reciprocità. E già l'Inghilterra, comincia a piegare : non più visite nelle navi americane per cercarvi di marinari inglesi; non più proibizione del commercio colle Antille, e con le colonie in- glesi dell’ America Settentrionale. Gli Stati uniti di viva forza conducono 1’ Inghilterra ricalcitrante alla piena libertà del com- mercio, e le apparecchiano forse de’ tristi giorni, ma vantaggi immensi a tutte le nazioni. La bandiera americana scorre tutti i mari senza ricevere, senza soffrire la menoma di quelle umi- liazioni che 1’ Inghilterra tante volte impose ad altre bandiere. Rispettare gli altrui diritti, difendere i propri con forza , sono i principii dell’ americana politica. Se durante 1’ assenza del congresso , insorge urgente neces- sità, il presidente delibera, certo d’essere dalla nazione approvato : larghezza di potere , non comune nè anco negli stati dispotici. Non archivi secreti; non polizia corruttrice , non spie: i buoni af- fari e i cattivi sono commessi alla notizia del pubblico : non si suppone neppur possibile interesse alcnno nè dell’ ingan- naglo, nè del nascondergli una verità dolorosa. Nell’ atto che si 85 discute una legge, un affare di peso, tutti possono manifestarne libero il loro avviso. I magistrati tutti sono dalla opinione pub- blica premiati, puniti. Tutte le leggi, chiare, senza equivoci , senza seconde intenzioni. Le forme delle particolari costituzioni variano , il fondo è lo stesso: eguaglianza e giustizia. Se noi volessimo rendere quant’ ha di più notabile, di più istruttivo questo bel quadro , ci converrebbe quasi tradurre l’in- tero discorso (2). Ma tempo è per noi di venire alla Luigiana. La Luigiana data ad un finanziere. — A una compagnia di negozianti. — Fatta rifugio alle speranze di Law. — Géssa ad un’ altra com- pagnia. =u I figli del sole venduti. — Profezie politiche, = Corre già quasi un secolo e mezzo dacchè fu con questo nome fondata sul Mississipì una colonia francese. Il nome di Colbert, posto nel 1679 al Mississipì , non rimase. La cura di popolare questo nuovo paese quasi deserto, fu data agli agenti della polizia di Parigi. Nel 1712, Luigi XIV ne concesse al ricco finanziere Crozat 1’ esclusivo commercio per dodici anni. Nelle regie ordi- nanze s’ imponevano a’fiumi nomi francesi ; ma i nomi barba- ri hanno trionfato dell’ oblio. Sua Maestà, cedendo quel pri- vilegio a Crozat, non sapeva quel ch’e’si facesse ; non sapeva che i paesi irrigati da’ fiumi a’ quali e’ volea cangiar nome , era- no molte volte più vasti della sua Francia: pareva al Re di sgravarsi d’ un impaccio, facendo al finanziere un tal dono. Il finanziere fece meglio del re: spedì alla colonia gente povera ma costumata , laboriosa, e robusta ; ch’ è la sola di razza francese, la qual duri ancora. Ma stanco di spendere, Crozat rinunziò al regio dono nel 1717; e il reggente gettò la Luigiana in faccia alla compagnia d’ occidente. Quand’ ecco sorgere Law, col suo famoso sistema di carta ; e appoggiarsi ad una fama mendace, per affermare che la sua carta monetata aveva un equivalente nelle ricchissime e intatte miniere d’oro del Mississipì. Per darlo a credere, Law si fa crear Duca d’ una terra di quattro leghe quadrate all’ Arkansas, e vi spedisce due mila tra Francesi e Tedeschi , con l’ occorrente per un magnifico stabilimento. Ma già la potenza di Law era presso al suo termine: prima ancora di far vela, la nuova colonia scemò della metà, l'altra metà non partì che nel 1721; e giunta , e dispersa qua e là, perì pel ri- (2) V. Antol. num. 106 p. 29 art. del ch. G. P. sulle lettere americane di Cooper. 86 gore del clima. Tutte le lettere da’ coloni dirette alla Francia veniano intercette: qualcuno di costoro, ripatriato , disse il vero, ma in vano. La Luigiana non fu più considerata come una grande miniera d’oro, ma resa un deposito di vagabondi e di donne di mal affare , lasciati colà senza leggi , senza prov- vedimento atto a migliorarne la condizione e i costumi. Nel 1723, fu fondata la compagnia dell’ Indie, abbracciante anco gli affari della Luigianà : ma non con esito più felice. La compagnia nel 1726 , rimaneva crelditrice di tre milioni e più : la colonia , per non li poter pagare, si mosse a tumulto ; trovò nel governo un appoggio : quindi rivocazioni, destituzioni, e nuove sommosse. Inoltre, i cacciatori Francesi, pretendendo da’selvaggi le pelli di castoro e di lontra ‘al medesimo prezzo di prima, dopo averne rovinate le razze , forzavano quasi gl’ indigeni a resistenza ; donde assedii , cospirazioni, ingiustizie, nelle quali i selvaggi non si sono dimostrati i più barbari. La nazione segnatamente de’Natchez, men, feroce dell’ altre, ma irritata dalle violenze d’un coman- dante francese , trasrorse ad atroci vendette: onde fu sterminata con orribile strage. La famiglia regnante sui Natchez, detta e creduta de’ figli del sole, fu trasportata al Capo Francese, dove il più vecchio morì; gli altri furono dalla compagnia mantenuti per lire 1888. Rivoltasi la compagnia a Maurepas per essere ricom- pensata della spesa , il ministro rispose: “Je ne crois pas qu'il y ait antre chose à faire, che ordinare la vendita di queste due famiglie , o rimandarle alla Luigiana. ,, E ne’ registri della compagnia si legge: Il a été délibéré d’ordonner la ven- te ec. ,, Tali erano gli uomini che si vantavano d’ incivilire le nazioni selvagge! Fra queste guerre, fra queste inutili spese, la compagnia non n’ aveva che dannò: e nel 1731, rinunziò al suo. privilegio ; onde il commercio della Luigiana fu dichiarato libero a tutti i Francesi. Questa compagnia dell’ Indie è costata immense somme al tesoro, anche estinta. Nel 1786, furono pagati al suo cassiere 5,250,000 lire, e non furono le ultime. Disingannati delle antiche speranze quanto alle immaginate miniere , i coloni che si erano trasportati nel paese degl’ Illinesi , si diedero alla coltura di quelle terre fertilissime ; e quivi tro- varono la vera ricchezza. Nel tempo stesso il governo pensava al gran disegno , concepito già da sessant’ anni, di unire il Canadà alla Luigiana per chiudere alle colonie inglesi l’ accesso verso vccidente. Non si conosceva ancora il gran tratto di paese che corre dal Mississipì fino ai mari occidentali , ma pure si presentiva un avvenire fecondo. Ne’ documenti di quel tempo si rinvengono sf de’siugolari presagi ; ma una sola cosa v° è negletta ; il pensiero che quelle colonie, ingrandite, potrebbero aspirare a legittima indipen- denza. Chi avrebbe detto che l'Inghilterra alla cui umiliazione ‘si pensava , avrebbe un giorno perdute le colonie sue, e che sole le sarebbero restate in cotesto continente quelle ch’ ell’ avreb- be tolte alia Francia ? Parentele de’ Francesi co’ selvaggi. — Barbarie inglese. — Franklin ineita l’ Inghilterra contro la Francia. — Pace vergognosa , punita dal ministero di Francia ne’suoi propri agenti. La Luigiana ce- duta alla Spagna. = Beaumarchais negoziatore politico. = Epilogo de’ fatti fino. a Buonaparte. Dopo la pace del 1748, si pensò più di proposito alla Luigia- na; ma senza porre leggi di riforma al cieco arbitrio de’ soprav= venenti coloni. I selvaggi, ammansiti dal zelo ammirabile de’ mis- sionarii , non profittavano , è vero , de’ mezzi di civiltà che loro venivano offerti, ma acquetavano almeno gli odii antichi : s’° im- parentavano di quando in quando a’ coloni, li incorporavano alle loro tribù, ma conservando con vanto i nomi de’ nuovi lor capi , nomi che si riconoscono ancora, sebbene alterati. Intanto che le colonie inglesi, col favore di buone leggi, prosperava- no , la Luigiana e le altre francesi, languivano povere , inutil peso allo stato. E già 1’ Inghilterra tendeva sempre a rapirglie- le. Così i Francesi perdettero la Carolina, che già vi s’ erano stabiliti . Così, nella pace d’ Utrect del 1712, cessero la baja d’ Hudson, cessero Terra-Nuova , e 1’ Acadia , chiamata poi da- gl’ Inglesi la Nuova-Scozia. L’Acadia , abitata ‘da fiorenti fami- glie francesi, affezionate all’ antica patria, gente docile , reli- giosa , leale, aveva ottenuto di non poter essere mai costretta a portar le armi contro la Francia: ma alla guerra de’sett’anni, avendo que’ buoni abitanti dimostrato l’odio loro contro l’ingle- se dominio, furono, per tirannici sospetti, e per finire al tutto l’ influenza del nome francese nelle cose d’ America , fatti pri- gioni a tradimento , confiscati i terreni , il bestiame, i mobili tutti, tranne quelli di piccola mole ; devastate le abitazioni ; i pochi erranti pe’ boschi perseguitati con ferro e con fuoco , poi dispersi per le inglesi colonie; e negato alla Francia perfin di po- terli riprendere, e condurre a men crudele fortuna. Ora, parte di quella misera stirpe vive..in un cantone della Luigiana presso alla Nuova-Orleans , donatole dal congresso in benemerenza de’ ser- vigi resi negli anni della rivoluzione. — E chi crederebbe 88 che Francklin , il cui senno costò poi sì caro agl’ Inglesi , fosse nel 1754 il promotore della guerra mossa alla Francia per to- glierle quanto mai le restava. nel Settentrione d’ America? In- fatti, dopo una guerra accanita , memorabile per fatti d° egregio valore ; la Francia perdette il Canadà ; e nel 1763, conchiuse la pace. Ma dopo la pace, l’ Inghilterra, approfittando della in- determinazione de’ confini, si spinse ad occupare un immenso spazio a settentrione e a ponente, fino all'oceano boreale , e fin quasi a rimpetto della Russia Asiatica. Indispettito di tante perdite e di una pace sì indecorosa , il ministero condannò i suoi agenti a restituire XII milioni, e all’ esilio. Ma quanto meglio avrebbe provveduto a’ suoi vantaggi la Francia ; se i lavori, le braccia, i capitali perduti in occupazioni inutili, in guerre fu- neste , li avesse rivolti a benefizio della sua propria agricoltura, e dell’ industria, e del commercio ? In forza del patto di famiglia stretto nel 1761 tra la Spagna e la Francia , il quale stabiliva che ciascuna delle due potenze dovesse con le conquiste fatte in una guerra, ricompensar l’ al- tra delle perdite per la stessa guerra sofferte; in forza, o a dir meglio , sotto pretesto di questo patto, la Spagna, ch’ era stata costretta per non perdere Cuba, cedere agl’ Inglesi il paese che giace all’ oriente del Mississipì, nel quale entrava la Florida; la Spagna , io dico, pretese l'indennità dalla Francia, la qual pure da quella guerra avea tanto perduto. Il governo francese, scusandosi in faccia alla nazione, col dire che anche la Luigiana, come il Canadà, sarebbe ben presto venuto alle mani degl’ Inglesi, ma in realtà per liberarsi da un vero dispendio ( giacchè la Luigiana a un governo inavveduto non fu mai che di danno), la cesse alla Spàgna. I coloni aborrivano dal giogo spagnuolo ; sicchè fino al 1768, l’ amministrazione ri- mase alla Francia. Alla fine convenne cedere: e dopo alcuni atti tirannici de’ primi governatori , la colonia, mitemente retta , cominciò a riaversi. La Spagna pagava le spese del governo con l’oro del Messico : eran leggère le imposte: a’ contrabbandi con gli Stati Uniti , nè si badava gran fatto; nè si opponeva severo gastigo. Nel 1779 la Francia cominciò a dar retta alle dimande del- I America insorta: e tra’ primi mediatori fu il notissimo Beau- marchais. Si cominciò da secreti soccorsi di danari e d’ attrezzi da guerra: ma quando nel 1777 ; l’armata di Burgoyne fu fatta prigione , la Francia gettò la maschera. Il trattato allora con- chiuso è un modello di nobile disinteresse : non si pensò nè al 89 ricupero della Luigiana già spagnuola , nè a ristorare altre per- dite. La Francia avea perdute tutte le sue colonie nel con- tinente, tranne un’ombra di’ potere nell’ India : \e in quel tempo, un uomo di stato scriveva ‘di lei: S2 la France est un jour privée de ses colonies insulaires; comme. elle l'est de ses colonies continentales, on la verra prospérer par ses propres. mo- yens à l’égal des étuts qui auront conservé toutes les leurs, et peut-étre les surpasser en bonheur et tranquillite. Indicare come la Spagna, ostinata nel suo sistema proibitivo; nuocesse (è ‘alla-Luigiana; e all’ altre sue colonie, e a sè stessa; come il Co. d’Aranda proponesse di erigere le. possessioni ameri- ‘ ‘cane în tanti reami; ligi in parte all’antica. Metropoli; come la rivoluzione. francese tentasse infaustamente di comunicarsi alla Luigiana 5 ;come andasse ‘a vòto il progetto d’ invadere la Luigiana dalla parte del Canadà, e farla inglese; come; durantela:guerra tra gli Stati Uniti e la Francia, la Luigiana arriechisse del con- trabbando ; come Bonaparte ; salito alle redini degli affari, pen- sasse a riaverla;:: come la riavesse per trattato ,. dopo la. bat- taglia di Marengo; come l’ Inghilterra di questa cessione .su- perbamente s’ adontasse ; come le miserie e le stragi di San Do- mingo si congiungessero , nella mente di Napoleone ;e. nel fatto, ai destini della Luigiana; come questa colonia temesse quasi, di ritornare alla Francia, sì per non incorrere nelle turbolenze de’ Bianchi e de’ Neri, e sì perchè queste cessioni continue hanno un non so che di mercato , che ributta uomini non inscii della propria dignità; come gli Stati Uniti tendessero già manifestamente a spezzare gl’ ingiusti vincoli del sistema proibitivo che li allon- tanava dalla francese colonia con reciproco danno; indicare con più particolarità tutte queste commozioni, e vicende, ci condur- rebbe a soverchia lunghezza. 7 Gli Stati Uniti‘vogliono la Nuova-Orleans. — ‘Imprudenza del Direttorio . — Sua. bassa politica. ‘== Agitazioni;;in America; + Pretensioni! di Bona- parte e dell’ Inghilterra. = Napoleone, risplve, di cedere tutta, la,Luigiana, Per conciliare le, difficoltà , il presidente Jefferson invia a Bonaparte il sig. Monroe; già governatore della Virginia;;ottimo cittadino ; del partito repubblicano ;. e già stato in Francia in- viato ai tempi del: Direttorio ; lo invia per trattare la ‘cessione amichevole de’territori che all’ uno‘o all’altro stato potessero eon- venire. Già il sig: Livington, ministro degli Stati-Uniti a Parigi, T. XXXVII. Gennaio: r9 99 i, aveva intavolato l’affare, e dimandava quasi minacciando la ces- sione di Nuova-Orleans, e del vasto paese al settentrione del fiume Arkansas, alla diritta del Mississipi. La dimanda non aveva ottenuto risposta. Gli Stati-Uniti si disponevano già alla guerra. Jefferson non era di questo parere : egli confidò a Monroe l’ in- carico di trattare della cessione della Nuova-Orleans, pel prezzo di X millioni 333,000 fr. Avere la Nuova-Orleans , era un assi- curarsi la libera navigazione del fiume. All’intera colonia non si pensava nemmeno. Qui conviene avvertire, che il direttorio per folle politica volendo affezionarsi le colonie francesi coll’inimicarsi gli Stati Uniti, aveva sotferto che corsari con bandiera francese depre- dassero bastimenti dell’ Unione , aveva autorizzate le. più gravi ingiustizie. Il congresso prima di dichiarare la ‘guerra ; mandò tre ministri nel:1797; i quali furono testimoni a Parigi della viltà incredibile ,, a cui era discesa la francese politica, Si vole- vano danaàri dagli Stati Uniti; danari, e non altro. Ite a vuoto le negoziazioni , le ‘ostilità più o meno aperte ‘vennero crescendo sino al 1800: Bonaparte al suo primo apparire avea conch iuso un trattato, ma gli mancavano i fondi per adempiere i patti: quindi dalla ‘parte del ministro Americano minaccie e querele , che ‘avrebbero certamente incitata una invasione negli Stati Uniti, se non vi fosse stato di mezzo: l’Atlantico. A} primo' console toc- cava dunque soffrirle ,. e itacere . Cessava il’ mal ‘umore frut- tduto ; ei nemici dell’ americana libertà e della Francia spera- vano trarne profitto per condurre la confederazione:a legarsi alla politica ‘inzlese. Ì Vennero ad accrescere l’agitazione degli animi i proclami del- l-intendente spagnuolo, che governava colà tuttavia, il qual proibi- va ogni comunicazione tra la Luigiana e gli stati d'America. Dietro una petizione dello stato del Mississipi (non senza intenzione gli s’era dato questo nume sì largo), fu fatta al congresso nel 1803 ta proposta d’impadronirsi a dirittura della Nuova-Orleans: la sosten- nero uomini di buone ‘intenzioni, gelosi dell’ onor della patria, e uomini recentemente addetti all’Inglese. Il presidente era tuttavia per la pace: tanto più che; innanzichè Munroe: partisse per Pa- rigi, giungeva la nuova essere stato differito il viaggio delle truppe francesi spedite a. occupar la. Luigiana. Invano i turbolenti ca- lunniavano di mire traditrici. il congresso: tutta la nazione ri- gettò con disprezzo il vile libello, Il ministro di Spagna prote- stò innoltre d’uvere operato senza: l'autorizzazione della Francia: tuttavia il mal contento durava: duravano infine, e crescevano più gl che mai le cagioni di gnerra tra l’Inghilterra e la Francia. Na- poleone voleva punir quella con assicurare la libertà de’ mari ; e mandava intanto in America tali forze da far tremare per la Giammaica , e per le Antille all’ Inghilterra soggette. Sloggiata che l’ebbe dall'Egitto e dal capo di Buona Speranza , voleva evacuata anche l’ isola di Malta , voleva cacciati d’ Inghilterra certi giornalisti che gli davano noia; e al vederli mitemente pu- niti da’ tribunali , tanto più s’irritava. La ritrattazione ch’ egli faceva della spedizione di truppe in America, era in apparenza per non dar ombra all’Inghilterra, ma in fatto per raccogliere in- torno a sè le sue forze tutte. Reciproche intanto si facevano le minacce e di parole e di fatto. Napoleone un giorno ; in publi- ca radunanza alle Tuileries rivolto all’ ambasciatore d’ Inghil- terrra, senza badare ai tanti personaggi quivi raccolti e in orec- chi, pronunziò con forza parole di mal coperta minaccia ; di- cendo esser lui l’ assalito, non l’assalente , e con questo argo- mento velando i suoi fini. Lo stesso dicevano anco gl’ ingle- si ; intanto cessavano da ambe le parti gli apparecchi di guer- ra. Ma perchè quel vedere la Francia ingrandirsi in tante e sì diverse contrade , e disporre a suo senno le ‘sorti de’ popoli senza interrogar l’Inghilterra; troppo otfendeva le abitudini del- Y orgoglio britannico , fu dichiarato a Bonaparte che, secondo i trattati, era necessario all’inglese politica un compenso de’tanti acquisti della nazione francese, e che prima di venire a’ patti su ciò , non si sarebbe lasciato il possesso di Malta. Così , spo- gliando i terzi, si tendeva dall’ una e dall’ altra parte , a con- tenere la potenza rivale. Il primo console in nna delle sue con- ferenze intime, declamava a’suoi consiglieri contro la tirannide ma- rittima dell’Inghilterra : uno de’ consiglieri gli ficeva''osservare che l'Inghilterra avrebbe potuto dire altrettanto della tirannide da Bonaparte minacciata al continente: ma Bonaparte non rispondeva a tuono ; e pronunziava invece queste parole sì degne della sua mente: “ Per liberare i popoli dalla tirannia commerciale dell’In- ghilterra, conviene /a contrepoiser con una potenza marittima, che divenga poi sua rivale. Gl’inglesi aspirano a rendersi padroni di tutte le ricchezze del mondo. To farò cosa utile all’ universo se posso vietar loro di signoreggiare l’ America, come già signoreggiano l’Asia ,,. -- Preludevano alla guerra i Giornali: que’ di Londra lanciavano ingiurie contro la persona e la famiglia del primo con- sole ; il primo console rispondeva , ne’ giornali; da sè. fe non che, per contrapporre gli Stati Uniti all’ Inghilterra, conveniva cangiar politica rispetto alle cose d’America: conveniva 2 abbandonare i suoi disegni sulla Lmigiana, l’unica conquista da lui fatta per via di negoziazioni e non d’armi; ma convenia per- derla in modo che non ne profittasse l’Inghilterra ; la quale in quelle contrade aveva e navi ed armati: — Il dì di Pasqua del- l’anno 1803, chiamò Bonaparte a sè due de’ suoi ‘ministri, un de’quali l’Autore della presente istoria, ed espose le intenzioni sue dimandando consiglio : ‘ Gli inglesi; diceva egli, possono, pur- chè vogliano , far sua la Luigiana in sull’ atto : forse e’ ci sono già: e, se 40 fossi in loro, io non perderei tempo al certo. To pen- so dunque di cederla agli Stati Uniti. Essi non dimandano che una città; ma io riguardo già.la intera colonia come perduta , e credo che nelle mani di cotesta potenza nascente, ella sarà più utile alla politica, ed anco al commercio della Francia, che non se io mi sforzassi di conservarne il dominio. == Barbé-Marbois con- ferma la risoluzione di Bonaparte, con questa , fra le altre ra- gioni : “ Rien n’est plus incertain que le sort avenir des colonies des Furopéensen Amériqne-,,.. Soggiunge che la vivacità francese mal s’ adattta ai lunghi e duri lavori necessarii alla fondazione solida d’ una potente colonia ; che la coltura della terra nella Luigiana essendo affidata all’ opera degli schiavi , 1’ emanciparli sarebbe pericoloso alla Francia, pericoloso il non farlo ; che co- testa colonia non è e non può essere omai tanto affezionata alla Francia da desiderarne il governo. — L°altro ministro. oppone parecchi, e mon lievi argomenti: “ Se gl’Inglesi, dic’egli, tirano alla Lnigiana, la Francia ha di che ricattarsi gittandosi sull’Ha- novre .. «+ La Nuova Orleans è uno de’ punti più importanti del globo. S’apra un giorno un, canale tra l’uno oceano e l’altro; e si vedrà qual sia il prezzo della Luigiana. ....... La vite, l’ ulivo , il. moro , iche quivi allignano a maraviglia , minacciano se noi la cediamo, una rivalità dannosissima al nostro commer- cio ,- — E ragioni simili. — Il giorno seguente, sull’ alba , Na- poleone chiama a sè Barbé-Marbois ; gli fa leggere i dispacci ricevuti d’ Inghilterra , annunzianti nuove pretese e nuovi appa- recchi di guerra ; e soggiunge» Je connais le prix de ce que 3» J abandonne ; e ho ben dimostrato quant’io stimi cotesta pro- » Vincia , giacchè il primo mio atto diplomatico con la Spagna , > fu per riaverla. Non senza dolore io la cedo ,,.-= Ordina a Barbé Marbois di trattare con gl’inviati del congresso, senza pure aspet- tare 1’ arrivo di Monroe — ‘€ Se io proporzionassi le mie dimande al profitto che gli Stati Uniti trarranno dalla mia cessione, qual prezzo sarebbe mai troppo? Ma io sarò tanto più moderato quan- t'ho più bisogno di vendere. Fermo peraltro che per meno di cin- 93 quanta milioni, non se ne parli. Io farei piuttosto ogni sforzo per conservarmi coteste belle contrade ++ ui... Mi si dirà che fra due o. tre secoli gli Stati-Uniti verranno;a dar ombra all'Europa: ma in non guardo tanto in là. E di quì allora, si può prevedere più d’ una scissura nel seno della confederazione stessa. Io debbo riparare ai pericoli che ci minaccia in presente la colossale gran- dezza dell’Inghilterra ,,. Negoziazione unica — Aritmetica politica di Napoleone — La Luigiana cangia tre padroni in due mesi — È libera. — Condotta non lodevole degli Stati-Uniti =, Umiliazioni della Spagna. Le negoziazioni incominciarono dal dire senza perifrasi: voi dimandate una città; e la Francia vi dà una provincia. I tre ple- nipotenziarii, Monroe, Livington, e Barbé-Marbois , si conosce- vano già da gran tempo, e si stimavano. Insorta differenza circa l’ indeterminazione dei confini della Luigiana, indetermi- nazione ; la qual poteva esser utile ad ingrandimenti avvenire , Bonaparte rispose alla machiavellica.: si l’obscurité. n'y était pas , il serait peut-étre d’une bonne. politique de. ly mettie . E già, daila cessione in poi, i limiti degli Stati-Uniti. vanno sempre allargandosi, e lo spazio si è pressochè raddoppiato : germe di,nuove nazioni, e probabilmente di nuove repubbli- che. — Il terzo articolo assicura alla Luigiana la perfetta egua- glianza con gli altri stati; e qui si convenne ben facilmente. Ma nel trattato della cessione dalla Spagna fatta alla. Francia, era il patto che se mai la Francia avesse a spropriarsi della Lui- giana , la ritornerebbe alla Spagna. Era dunque necessaria la rinunzia di S. M. Cattolica; e la si ebbe , dopo molte querele , nel febbraio dell’ anno seguente. (3) Napoleone chiedeva per la Luigiana L milioni; Marbois ne patteggiò LXXX, tranne XX da rilasciarsi per le indennità stabilite ne’ precedenti trattati. I due ministri Americani non avevano sì ampi poteri: ma il vantaggio era tale, che non ci avea luogo esitanza. Napoleone solo, che prima si era contentato de’ L, ora declamava contro la perdita dei XX; Barbé-Mar- (3) Uno de’ patti della cessione , si era che nelle relazioni commerciali la Francia sarebbe sempre a tutti gli altri stati preferita : ma la preferenza fu ad altri concessa; quindi le recenti differenze diplomatiche, tra gli Stati-Uniti che si lamentano delle negate indennità , e la Francia che rammenta il patto della cessione sì male adempito, 94 bois gli fece pensare che detratti i venti, rimanevano ancora LX millioni : e Bonaparte esclamava: c’est orai! — Questa som- ma andò tutta ne’ preparativi per lo sbarco in Inghilterra: ma }’ Inghilterra, per difendersene, ne dovette consumare ben più (4). Nel maggio del 1803 scoppiò la guerra tra 1° Inghilterra e la Francia. Nel novembre , la Spagna fece l’ atto solenne di cessione (prima non mai potuto compiere ) alla Francia ; il dì 20 decembre, la Francia agli Stati-Uniti. I luigianesi, a cui s’ offriva dinanzi un’ avvenire di libertà , pure, non senza do- lore videro abbassarsi la bandiera francese. Nel 1804 il congresso divise la Luigiana in due territorii: nel 1812 diede all’ uno de’ due una costituzione deliberata da XL rappresentanti, XXII d’origine francese, e XVIII ame- ricani: secondo la quale il potere legislativo è composto di due camere, presedute da un governatore. Nel 1825 fu com- pilato per lei un buon codice civile, molto affine al francese. Eduardo Livington, nipote del ministro che trattò la cessione, ha abbozzato un codice criminale, dove propone 1’ abolizione della pena di morte. (5) Al presente, il territorio della Nuova Or- leans si dice propriamente lo stato della Luigiana; la Luigiana antica, è nominata lo stato del Missurì, ammesso all’ Unione nel 182r. — L’ assemblea generale della Luigiana tenne la pri- ma sessione nel 1812; e cominciò, con l’ assenso del congresso, dall’ incorporare ai limiti dello stato un territorio all’ oriente del Mississipì , che la Spagna voleva appartenente alla Florida Occidentale. La cosa era dubbia; e non conveniva all’ameri- cana lealtà 1° immischiarvisi (6). (4) Il debito pubblico degli Stati-Uniti , che nel 1796 era di 83,762,172 | dollari ;, e nel 1803 , di 77,054,686 ; crebbe nel 1804 ‘a 86,427,120 per la spesa appunto della acquistata Luigiana . Al presente, dopo un vario alternare di accrescimenti e di diminuzioni, è di 58,362,135 dollari. (5) A questo medesimo benemerito cittadino si debbono molte idee belle , ed utili, e già avvalorate abbastanza dal fatto , circa il così detto sistema pe- nitenziario pe’ carcerati , sistema oramai sancito in America dal voto e de’par- ticolari e del generale Governo. (6) Anche la condotta che al presente si tiene coi poveri Cherochesi , sel- vaggi già mezzo inciviliti , che posseggono una scrittura mirabilmente inven- tata da un loro concittàdino , e stampano un giornale in due lingue , la Che- rochese e 1° Inglese , la condotta tenuta con questi sventurati confinanti alla grande Confederazione , per ‘isnidarli dalle native capanne , e rispingerli nel deserto , se la fama non mente , è crudele, e , oserei dire , tirannica. 95 Nel 1803, gli Stati-Uniti avevano. proposto alla Spagna che cedesse le Floride , e ch’ essi guarentirebbero a Sua Maestà Cattolica :i dominii posti al di là del Mississipì: la profferta fu rigettata nel 1803; fu accettata nel 1818., comprendendovi il Messico e le colonie settentrionali; ma era ormai troppo tardi. Finalmente nel 1819, la cessione pura. delle Floride fu fatta agli Stati-Uniti per cinque milioni di dollari da pagarsi a ti- tolo d’ indennità agli americani stessi. lor sudditi: e così fu che, a levante del pari che a mezzogiorno ; il mare divenne «l limite della novella nazione; così la libertà ebbe il suo trono in uno de’ più potenti dominii del mondo. Piramidi de’ selvaggi — Guerre loro reciproche — Comparazione; tra la Luigiana e.l’ Egitto — Pianure senz’ alberi == Pianure di sabbia = Pianure di sale. Nel paese ceduto dalla Francia vivono alcune genti sel- vagge ; le quali paiono degradate da una miglior civiltà , giac- chè vi si trovano. degli edifizii di terra s a piramidi o a cono, sì alti che ad erigerli deve essere bisognato per più. .anni, il lavoro di migliaia di braccia. Havvene di larghi 800 metri alla base e 80 in vetta: son collocati sì che dall’ uno all’ altro si sente, la voce dell’ uomo. L° uso n’ è ignoto. Havvi innoltre tremila circa rialzi di terra, che paiono costrutti a difesa, e fors’ anco ad ‘uso di templi; dove si ritrovano. molt’ ossa umane. Questi monumenti , antichissimi forse, sebbene grossolani s pure indicano: una, qualche cognizione geometrica, una popolazione unita, ;‘obbediente , operosa. Le tradizioni delle razze presenti risalgono ia dieci secoli , nulla più. Questi selvaggi strinsero la pare; COR alcune nazioni vicine: pace poco durevole; giac- chè i cacciatori bianchi viventi alle frontiere distruggono i loro uccelli; ond’ essi debbono rovesciarsi sopra gli altri indiani del settentrione e dell’ occidente ; e li. vincono ; aiutati dai bianchi. Gli Stati-Uniti tengono. come proprio il dominio sovrano di que- sti paesi; ma credono di non potere acquistare la proprietà, del suolo, senza pagare agli aborigeni l’ equivalente in danaro od in merci (7). Il Mississipì, uno de’ più grandi fiumi della terra, che dalla imboccatura alle prime cataratte, per lo spazio di 1500 (7) Un giornale americano; annunzia recentissimamente conchiusa una di cosiffatte cessioni d’immenso terreno. 46 Ha miglia , percorré contrade fertilissime , è dalle moltè acque con- fluenti ingombrato di terriccio e d’ altri impedimenti , e innal- zato ‘al di sopra delle terre) sì che trabocca sovente; e le-di- ghe che non possono riparare l’ alluvione , non fanno che' im- pedire il ritorno ‘delle acque nell’:alveo.: Quindi 1’ insalubrità di'‘quelle ‘paludi la ‘state; quindi gravissimi ostacoli alla :ci- ‘viltà del’ paese circostante: Ma verrà giorno che queste inòn= dazioni si cangetanno per forza dell’arte in irrigazioni bene- fiche : e , come in Egitto; le acque potranno ritirarsi. dopo dé- posto sui terreni il fecondo lor limo. Il clima della Bassa-Lui- giana , l'immenso suo fiume , le cui sorgenti per sì lunghi anni rimasero arcane (8), le inondazioni , le cascate , le foci, la vici- nanza'd’un golfo vastissimo , tutto concorda a render compita la simiglianza di questa parte d’ America col Delta e col Nilo. Il corso del Mississipì è di 1200 leghe ; del Missurì, di 1300; dell’ Arkansas , mille ; del fiume rosso, 800. Questi fiumi co’ lorv affluenti i irrigano una superficie di 200,000 leghe quadrate; nello spazio chiamato il bacino del Mississipì : e già, ai grandi mezzi della natura la mano dell’ uomo ha aggiunti i suoi per age- volare l interna navigazione ; già sono aperti canali 'artifi- ziali ; già i battelli a vapore misurano in su e in giù le cor- renti più rapide, con più agevolezza che non ‘facciam noi le più belle strade d’ Europa. Abbondano' il legno e il carbone di terra, a tal navigazione necessarii. E così è vinto il'più forte ostacolo che in tanta vastità s’ opponesse all’ incivilimento, la difficoltà delle reciproche comunicazioni. pi AI di là del Missurì , e del Fiume-Ròss0; si stende ‘un’amerna e fertilissima valle : dove rarissimi sono î villaggi ‘indiani. Be”'siti dolce clima; aria pura. Vi s'incontrano armenti di bufali 0 bison- sì selvaggi fino a cinque'o secento , tutti uniti ‘per difender- sì da cacciatori. La terra non è desolata ‘da subite piogge: ba- stano ‘a rinfrescarla' le ‘rigiade mattutine e’ notturne: ma , sia effetto d’ incendii od ‘altro ;s in sì larghi spazi tù non rincon= tri un albero da erigere' una capanna : e prima di trovarne qualcuno, e gracile e mal nutrito , bisogna fare più giornate di cammino : cosa singolarissima in tale fecondità. — Ma già qual- ch° europeo vi si è stabilito; e tra non molto nuovi - popoli go- dranno dei vergini doui d’ una sì liberale natura. Da ambedue le rive del fiume-largo si trovano grandi pia- (8)/V. Antol. N. 107-108 il bell’art. del dottissimo sig Graberg de Hemso intorno all’ opera dell’ italiano Beltrami. - SI nure ‘di sabbia; e non 'orma di uomo 0 ‘di fiera. Il deserto si stende 150 leghe; e termina appiè de’ monti, le cni falde si vogliono bagnate già dall’ Oceano. Nelle valli e sul letto de’fin- ini ‘si fanno di quando in quando sentire sotterranee scosse , si mihi al lontano romore de’ tuoni : se ne ignora la causa. La ca- téna ide’ monti è lunga 300 miglia; ‘e la cima de’'più' alti si scerne ‘alla distanza di miglia 140/;ripidi , ignudi. - Si dissot- terrano sempre nuove ossa d’ animali che devono essere stati due‘ tre ‘volte più grossi dell’ elefante. Risalerido per 1’ Arkansas si trovano le pianure del sale , il quale ‘è deposto da un’acqua, che ne’ tempi umidi impregna la terra. Nella state , siffatta sostanza comparisce alla superficie, alta da due pollici a sei'; similissima al sale cristallizzato. Questo tesoro, non ‘men ‘prezioso delle miniere del Messico, è posseduto parte dagli Osagi, parte dalla confederazione, che da’ selvaggi ottenne buon tratto di quelle terre nel 1825. Da Arkansas a San- tafé nel Messico , s’arriva in dodici giorni. I rapidi avanzamenti della nnova repubblica nelle vie della civiltà (9); ‘qualche interna ma ben presto acquetata turbolenza ; la guerra degli Stati-Uniti con 1 Inghilterra; il valore di'Jaksou nella Luigiana; la venuta in America de’ compagni di Bonù- parte dopo la giornata di Waterloo; la dispersione della tno- vella colonia ; ecco i fatti co’quali il ch: A. compie la bella ed importante sua storia. A.Z. (9) Un articolo inserito nell’ agosto della Revue Britannique narra le più recenti e sempre mirabili prosperità della Luigiana3: è; scritto com'è; dasun In- glese , non nasconde il lato men bello del quadro. Ma. cesserà la smania di ri- prendere , se si pensi ciò ch’ era la Luigiana sotto il non tirannico scettro della Francia , e quel ch’ è divenuta in pochi anni , animata dal potente spirito della libertà. _——---rrrrorororr;__r___———112#++z214[_._—__mm. Costantinopoli e la Turchia nel 1828. Opera di Mac-Fartane. Londra , e Parigi 2 volumi in 8.° con tavole. Ragioneremo di quest’ opera per parlare men del libro che del subietto suo. Mac-Farlane viaggiò il Levante nel 1828. Teniamogli adunque dietro navigando seco lui per 1’ Arcipelago. Ed ecco quà Scio, là Ipsara, amenissime isole già dette Fior del Levante, quindi teatro di nefandi orrori nel 1822 e nel 1824 , oggi luri- T. XXXVII. Gennaio 13 98 di scheletri, allora più spaventosi quando .veggonsì ih: piedi fra ruine ! Ecco nella seconda l'alta rupe, marittima! da cui cento.e più madri precipitarono,nel mare serrando \al,seno i pargoletti. loro, eroicamente, e quasi diremmo santamente, suicide per isfuggire ad una morte.contaminata dalla brutalità e rabbia. mussulmana. Ecco infine Smirne, la patria, dell’Ingegno ovore del! genere umano, :la Parigi dell’ Asia minore e presso i Gioni antichi e presso imoderni Elleni, teatro anche, essa di, lunghi, casi. esecrabili.. Per due, mesi interi macello e massacri. .Si.dava caccia «a? miseri. Greci. al modo istesso che idavasi tre secoli fà agli aborigeni Americani. E ciò fu non già in Ismirne sola, bensì. per tutta l’Asia, minore Le stra- de lorde di sangue, ed ingombre da. morti;insepolti in! quei tram busti s ingigantivano quella scena \abbomineyole: con la turpezza: delle umane putrefazioni. Oltreacciò sentiasi ammorbato; l’aere. da fetorecadaverico anche là ove non, vedeansi,cadaveri ; ed!esala.» va, da quelli di coloro, che: intanati, nelle cave e, fin nelle, fogne per iscampare all’ esterminio ;, periano laggiù .di digiuno.|.Furon pochi i:salvi dall’ eccidio. Felice era chi, potesse \sovra.un| bat- tello arrischiarsi a trapassar un mare, sì burrascoso quale. è l’Egea rifuggendo alle Cicladi. o,in Morea. La ferità,,tarca.li raggiun: gea. o, per sommergerli; o per ricondurli, alla carnificina. } Maf.il caso più; atroce. fu quello de’ rifuggiti in una nave genoveser«,.I Turchi la intorniarono e presero co’ ricovrati anche i ricovratbîriv Era assente il console Sardo che avrebbe salvato almeno i \suoig e cosa non men incredibile che vera , tutti gli altri consoli eu- ropei, comunque sostenuti da navi di guerra inglesi francesi ale- manne. ancorate nella spiaggia s rifiutaronsi a spendere ùna)sola pireoni in favore di que’ miseri. In somma e'i Gieci e il capitano co’ suoi matinieri furon sgozzati sconginitatido” invano i cristiani delle altre nazioni! sie at Uopo è dire che l’età nostra è quella delle immense empietà, Nè così diciamo intendendo alle atrocità degli ottomani. Un solo grido-minaccioso dell’ Europa potente in due milioni di guerrieri , avrebbe sospeso quell’eccidio ; e neppur questo grido fu dato! Che se tinto care son le reliquie degli ordini del medio evo, se, ne imiti almeno la magnanima energia. I trucissimi fatti dell’oriente avreb - bero in que’secoli , ignari ma generosi, lanciato tutta la cristia- nità a difesa e vendetta de” fratelli in Cristo. Nè vale opporre che altro è oggi lo spirito del tempo; se tepide son ora alcune opinioni un dì sì fervorose, caldissime sono talune altre. Il ger- me degli eroismi infine non mai è spento nell’ uomo. Le alte com- mozioni di Francia, e della Calabria (dal 1806 al 1811), e della Spa- 99 gna ‘(1808 al 1814), e della Germania ( 1813 al 1815), son lì per' dire se ‘vera oppur'calunniosa è la taccia di secolo codardo data da alcuni prodi in ‘gabinetto. Ma torniamo al tema. © Smirne era il maggiore scalo del levante. Oggi è in grande iscadimento dopo i sanguinosi travagli del 1829. I Turchi, natu- ralmente pigri e per religione imprevidenti, nulla faceano come nulla fanno per animar le industrie e il commercio. Gli Ebrei e gli Armeni non erano ‘e non sono se non sensali che si imbrigano in'ogni negozio. I Greci eran quelli che avevano le maggiori pro- prietà e faceano le maggiori intraprese. I più attivi ed industri fra loro eran gli Scioti ivi domiciliati. a far banco e tener ma- gazzini. Però tutto'fu\manomesso devastato arso in que’ due mesi di ferità ; storiche pagine d’ infamia per taluni! Altra potente ragione dello scadimento smirnese è che Ales- sandria , Ja quale giornalmente si. va sempre più formando e po- lendo all’ europea, imprende ad attirare in lei la maggior parte degli affari commerciali con l’Oriente, che pria facevansi a Smir- ne. Ma la ragion potentissima è che gli Ottomani andando sem- pre più da. male in peggio nella loro agreste inciviltà , vanno giornalmente deteriorando nelle proprie manifatture. I tappeti; nei quali eran sì abili, non son più qnelli un dì sì famosi; e quasi perderon 1’ arte. delle belle lame damaschine ; talchè oggi com- pran. sciable da quell’ istessi Europei un giorno sì bramusi di sci- mitarre turche. L’ odierno traffico d’ emissione , consiste in fichi secchi, uve passe, cotone , seta , pelo di capre di cammelli di lepri, lane, e sovratutto oppio, di cui gli Americani fanno grandi incette Li andarlo a rivendere a’ Cinesi ed alle genti. mussulmane ne’ mari delle Indie. V’ era in Ismirne una società di negozianti inglesi detta, com- pagnia del levante. Fu.istituita da Giacomo I.° con molti privi- legi, fra quali aveva quello di nominar essa l’Ambasciadore della Gran Brettagna presso la Porta. Ciò durò fino al 1803; anno,.in cui l'Inghilterra, sentendo il bisogno d’ aver le correlazioni col Divano in mano di uno il quale facesse gli interessi più, del.Gox verno che della compagnia , le tolse questa’ nomina . Canning poi finì di scioglierla nel 1825, e la sua dissoluzione fu molto favorevole all’ impresa de’'Greci. Imperocchè, uopo è dirlo, i com- mercianti (ad eccezione di pochissimi ) sonosi mostri i più fieri nemici della resurrezione greca. Vilmente avari nelle momenta- nee perdite di un giorno, essi agirono contro i loro propri inte- ressi futuri, che saranno immensi quando la nota attività e sot- tigliezza delle menti elleniche rifeconderà con ricchezze ‘e produ- 100 zioni quelle fertilissime, contrade isterilite dalla ‘turea? barbarie» Tutte le rive dell'Adriatico tutte quelle del. Mediterraneo euro=; peo avrebbero dovuto far voti e concorrere: al. trionfo de’ Greci.) poichè là più si va a commerciare e si commercia! con profitto; ove è, maggiore la pace la sicurtà l’ agiatezza.. Immenso sarà, ariche; il vantaggio che ne avranno la Sicilia e le provincie dell’ antica Magna: Grecia, già floridissime quando floridissima era }'Ellenia, come poi man mano decaddero al decader di quest’ultima. ll com- mercio adunque non avrebbe dovuto essere che filellenico } e fu intanto il più furcofilo. Tristo e ingeneroso calcolo di una transi- toria diminuzione di guadagni ! Già dicemmo che Smirne sì boria qriadale ‘Parigi del levante. Ed era tale anche al tempo de’ Gioni, come dimostrò il bell’ in- gegno del Wieland (1). Senonchè questo pariginismo si limita nel cerchio de’ così detti, Franchi, ed in una porzione de’ così detti Levantini. Il resto, ossia la popolazione turca, è Libia 0 meglio Cafreria. La colonia de’ Franchi si compone di cinque in sei mila eu- ropei di tutte le nazioni là domiciliati. Vivevano in bella concor- dia e mutna amorevolezza per vivere il più gradevolmente che si potesse fra que’barbari. Ma ecco l’Abate Ianson il quale, di ritorno da Terra-Santa e là capitando, invelenì gli animi con pre- diche violenti. Ogni pace allora disparve; si videro mogli sepa- rarsi da mariti e viceversa ; indi divorzi scissure litigi e inimi- cizie. Le cose giunsero al segno che tutti i consoli di comune consenso mandaron via il predicante ; e questi sbarcato a Co- stantinopoli imprese a far peggio fra i Cristiani di Pera. Duole il vedere come mai la religione evangelica , impernata tutta sul gran: domma della carità, sia da taluni cangiata in precetto d’odi e livori. Ma v’hanno ‘anime acri selvaggie feroci, le quali abiure- rebbero pur le beatitudini dell'Eden celeste sol in abominio della pace e dell’ amore che il giusto vi spera e vi attende. Oltre alla colonia de’ franchi Smirne numera fra suoi abi- tatori i così detti Raiu da’ Turchi e Levantini dagli Europei ; 0s- sieno Greci Armeni ed Ebrei, sudditi o direm meglio schiavi della Porta. I Greci a malgrado di tanti secoli di vicende servaggio e persecuzione mostransi tuttavia non degeneri eredi de’ Gioni loro atavi; di spiritoso ingegno cioè, gentili nel tratto, eleganti, astuti, (1) Vedi l’ Agatone e l’'Aristippo di quest’ Autore detto a ragione! il Vol. taire dell’Allemagna. JOT sagaci , ciarlieri;, ed.un, po molli, anzichè. nò,; talchè anche oggi sono. riputati. da’loro connazionali-delle isole è della Morea poco coraggiosi qual già. lo erano’ i. Gioni dagli Elleni. Hanno fama ancora d’essere i men leali fralle genti greche, famigerate sem- pre per dubbia. fede fin da che. vi è tradizione ed istoria. Ed, uo- po è che vi sia un fondo di Vero; in questa perenne opinione dall’età dell’ Iliade fino a noi. Senonchè non è men vero che questa. naz'onale scaltrezza testimonia un maggiore e più fino in- gegno sortito dalla stirpe aonia. Men numerosi de’Greci , sono gli Armeni e, gli Ebrei; mi serande reliquie de’ due popoli i più vetusti e singolari fra tutti i popoli della terra 5 de’ due popoli i più contemplabili da chi sia da tanto a ben meditare sulle fasi dell’ uman genere. Impe- rocchè 1° armena nazione ,, comunque \memorata fia le primitive genti dell’Asia; non ‘ebbe mai signoria sovra alcuna, e servì quasi sempre a tutte. Ma d’ altra banda è assai degna di con- templazione la prole d’Abramo. Si disse che lo Spartano era concepito sullo scudo onde essere. così bellicoso. E d’ Israello potrebbe dirsi che fu sì unica ed originale gente, perchè ri concepita o rigenerata nel deserto. Quivi infatti 1’ immenso Moisè la soffermò per quaranta anni, addandosi con ogni. stu- dio e vigore a comporla con nuovi riti ordini e dritti; at- tendendo inoltre che la morte purgasse. le generazioni novelle da quelle di un’età impotente d’ogui riforma, onde poi vibrare il rinnovato popolo dal seno delle solitudini fra, altri popoli, e così corresse il suo destino con tanti capitali tutti propri. Il quale destino fu alcerto di altissimo momento. Israello era che trasmet- teva al futuro alcune delle arcane dottrine egizie di Noammon di Menfi di Tebe di Meroe ; era esso il legislatore di mezzo genere umano in teosofia in cosmogonia ed in eterna morale; era esso che coltivò il tronco religioso, cui si innestarono i rami di tre culti pro- fessati da 400 e più milioni d’uomini. Dopo i quali grandi servigi si vide condannato all’ anatema universale, e universalmente pro scritto espulso sperperato, esule ovunque e.ovunque marchiato con lo stimate della reprobazione, sol perche dannò iniquamente a mor- te il Giusto per eccellenza, che era sì benefico rigenerator morale e civile dell’uman genere (2). Pur ciò non ostante, nonchè non perire in siffatta ecumenica interdizione, si eternò quasi, sempre più inra- dicandosi ne’ patri istituti comunque non più avesse patria , e moltiplicò invece di menomarsi in tanti secoli di acerbità e pe- LS (2) Nel senso puramente istorico. TOD regrinazioni (3): Fato in ‘vero ‘acerbissimo ;''ma al ‘tempo istesso alto documento di immensa ‘gagliardìa intrinseca meglivistitati di quel. popolo! Immensa ‘infatti: ‘mopo! è che l'abbiano quelle moli le quali inoffese' ed''inconcusse in a ad orrendi. terre- muoti; a perpetui urti de’ flutti, ‘e più d’ ogni altro’ all’irresisti». bile edacità ‘di quaranta secoli: ‘Però lasciamo Smirne, e andiamo col nostro viaggiatore a Cesmè. ul Cesmè significa in lingua turca la fontana. Ebbe un tal no- me dall’ abbondanza delle acque che scaturiscono da‘ monti onde è intorniata, e che formano vil seno. di quella vasta ‘piaggia. Ma questa piaggia sì comoda ‘allenavi e sicura da procelle, parve essere sempre fatalmente disastrosa: alla nautica ottomana. L'ammiraglio Orloff vî distrusse nel 1770!’ armata intera del Capudan Pascià Hassan ; (e Canaris fece nel 1824 sopra un altro Capudan Pascià terribil vendetta delle orrende immanità di Scio. Ivi pure i Ro- mani distrussero le flotte di Autioco e di Mitridate. Cesmè e Panagea , suo. sobborgo, sono la Georgia di quelle contrade dell’Asia minore. Così diciamo perchè vanno: famigera- tissime per la formosità delle donne. Tali eran queste ‘anche al- lorquando dalla Gionia e da Mileto veniano in Atene quelle an- geliche giovinette inspiratrici di archetipi divini in Fidia Zensi e Cleomene. Oggi (tristo contronto de’tempi !) tributario semenzaio di bellezze condannate alla clausura dell’ Harem ed alle libidini di un tiranno! Cesmè fu al par'di Smirne scena di nefarietà nel 1822, e con i massacri pati anche le distruzioni. Di una bel'a chiesa greca, di fresco construita con lusso di marmi, non'restò pietra sovra pietra. Mac-Farlane dice di non avervi ravvisato che un mucchio di rottami e macerie. Procedendo a seguirlo nel suo viaggio ci troveremo fra le ruine d’ Eritrea antica città gionica. Nell’ acropoli ( cittadella ) scorgonsi tuttora le vestigie di'due tempi e di un tèatro in una informe congerie di brani di eolonne capitelli architravi cornici e rosoni ‘marmorei. Ma non si ravvisa alcuno indizio del tempio d’Ercole architettato sullo stile egizio, e la cui fondazione per- (3) Gli Ebrei cosparsi oggi pel globo ammontano a circa quattro milioni. Forse a tanto numerò ammontavano anche nell’ età della loro maggior potenza , allorquando Davide ordinò) il: censo del suo reame. Così ‘almeno può giudicarsi dal novero di coloro che furon trovati atti alle armi. Ma quindi la nazione an- dò spopolandosi a varie riprese e nello scisma d’ Israello da, Giuda ,, e nelle di- spersioni che ne fecero gli Assiri, e nella cattività Galdea, e nelle sconfitte pa- tite da Antioco, e in ultimo nella distruzione di Gerusalemme fatta da’Romani. Onde è che 1’ istoria giustifica il nostro asserto,. 105 devasi nell'età primitiva di) quelle igentiw Quelle fumose: ‘antica- -glie. forniscono i'imateriali alle moschee alle chiosche ed' altre fabbriche turche: Nè :ciò.fia meraviglia. È instinto di ‘tuttil i po .poli quello di pae edifizi nuovi prom ì migliori. pezzi cp antichi. ion I di N ‘Altra ragionevidi ruina iretifer ruine' ‘presso! i popoli tutti'è 1’ opinione; linstintiva anche essa, idi'tesoti trovabili ovunque veg- gonsi residui: di grandi moli. Edi‘ Turchi sono ‘in cid vnvmini‘al pari o ipiù di tutti gli altri, creduli/cioè ed'avidisi! sisusn :Poco lungi dal Eritrea ‘(è Vaurla:;:l’-anltica Clazomene ; di cui non rimane se non il molo, deaisite il quale Aa egifhara ‘con giunse 1’ isoletta alla. terra! ferma. Ivi fw Mac-Farlane! testimonio di una festa nuziale; degli Ottomani;;| evdelle ‘danze che per :fe- steggiar siffatte solennità fanno alcuue, meretvicilà:ciò instmtte e stipendiate.;;.Hanno esse, ib. nome. di; sitio ché! -vuòl..dire bal- lérine, pubblicherdi odo ellemp isor9 isciriatibai ifgsb onint'fi .; Vide ivi ancora. adorne| tutte. le convitate con: medaglié s0+ spese alle orecchia ;e nell’ acconciatura deb capo.o@urstemeda- glie sono monete antiche che le.contalinè, trovano in quella terra, vero museo sotterrato. Le donne. se; nelornano. finchè mon han- no, bisogno, idi venderle. Onde. sospendersele le forano:;: red eeco il parghé questi..numismatici monumenti! de’ Gioni veggonsi | ‘no lo più forati ne’ Musei d’ Europa. strtzinim ittob ie osmpa tn Presso Vurla è la tomba di,un Shoe. turcormolto venerata in sia contrada. Ma il più noteyole).è" che la; ombreggia cun elce grandissimo, ed .annosissimo , dil.cui scorgesi il: tronco: tutto coperto, di stracei di tela 10 panno. cònfittivilicon. chiodi, Che mai son. essi.? Sono, gli ex, voto degli. Islamiti; il quali in ‘occasione di malattie, o. peri gratitudine di ricuperata,:sanità, votanò un pezzò dell’ abito loro; come noi votiamo mani braccia piedintec. d’ ar- gento o; di cera: ; Lar quale, pratica religiosa, fu comune a tutti i popoli. Le veggiamo infatti fra le «gentile più intervallate! da spazio. e da tempo ;. e che nulla comunicazione non ebbero! per trasmettersele., Leggiamo ex voto dii serpi \sorci ‘ed ani ‘nella Bibbia. Leggiamo nel principio delle! tavole di Cebete. ex voto! ap- pesi al delubro di Saturno. Troviamo | albero del. Fetiscio fra Negri ornato da queste anatemata, come il testè detto. elciò del Santone turco; e le veggiamo nelle cappelle le più venerate fra cristiani. Ciò proviene da un comune pensiero che sorge da un interiore senso comune a tutti gli uomini; dall’ umano instinto religioso cioè di speranza e gratitudine verso i numi. La buona ‘filo- sofia consiste nell’ andar indagando la ragione delle cose umane, 104 quai che sien elle nelicuore umano , e non già di deriderle. E così diciamo perchè li pettoruti.oltremontani ; a’cui atavi i nostri fu- ron; benefici, scovandoli dalle. grotte ‘per \incaminarli alla civiltà, e liberandoli da’ ferini} riti de’ Druidi j esclamani subito supersti- zione! paganesmo! nel veder voti appesi alle pareti delle nostre chiese. Non, ;è iimprobabile ;che! il’? amor patrio ne alibagli ‘a non bene-scorgere iil|vero. Ma non ndendòsi fra noi nè \donneiche si fanno, .crocifiggere, nè olapparizioni 6 prodigi, nè: processidi ne- gromanzia fra. ifurbi!e merlottiec. ec. come, oltre ‘Îmonti ; non saremo forse;in dritto \d’asserire' che l’Italia è! la terra men super- stiziosa d’, Europa ? lf siagibore . < i or Però facciam ritorno: ‘all'argomento! raggiùngendo il viaggia- tore ‘a: Bargama:l’ antico» Pergamo. E tra via troveremo Menim- men; < già florida città y'oggi men':che borghetto ‘dopo i massacri del 1822.! Quelle! feracissime' campagne, un'di'sì ricche e ridenti in mano degli industriosi Greci, quelle che fornivano tanta co- pia di vittuaglie e derrate: a’ mercati di Smirné Cesmè e Vurla, in- selvatichiscono oggi che son'poderi de’Turchi, sotto al’ cui piedé è anticò'loro proverbio! che non più si ingermina nè erba nè frù- tice: Il miglior: oggetto: che ne sia rimasto in piedi è un cimitero mussuùlmano: con bei marmi: e cipressi. Ed ei pare che i Turchi sien abili sol a ben adornare il supremo albergo della morte di cui sono sì dotti ministri. Ma chi crederebbe che questa gente sì feroce con i suoi simili, spinge poi vall’eccesso ed ‘all’ esaltazione un' ‘affetto più che umano: a ‘taluni animali? . Nè si creda che tanto ami ani- mali. nobili come. il cavallo , ‘o ‘utilissimi come il bue ola pecora 0 il cammello. Nò: le cicogne e le tortorelle son le favorite di cotanta predilezione. Guai al Ghiaour. (Cristia- no) il quale uccidesse i una di quelle che tengono addome- sticate per. le case, a quel modo che tengonsi i polli. E ne sono sì affettuosi per un sentimento che io non so se mi dica di riconoscenza: 0: di buon augurio nazionale; imperocchè hanno la tradizione che questi volatili seguirono i loro arcavoli dalla na- tia terra tibetana per tutta la peregrinazione della nazione nel- l’Asia occidentale fino all’ingresso e domicilio in Europa; onde è che li denominano gli amici della razza osmanica ; e vedesi il Tarco, cui nulla costa anzi è merito uccidere un Cristiano, pian- gere poi e inferocirsi alla morte di qualcuno di questi uccelli. Quì cade all’ uopo il dare un cerino dell’ ottomana giustizia penale. L’ omicidio di un Raja è per lo più impunito. Quello di un Franco non attira pena all’ uccisore se non quando 1’ ucciso 105 appartenga ad un potentato, che lì abbia un ambasciadore o con- sole, il quale sappia far rispettare la sua bandiera e farsi ren- der giustizia. Pe’ delitti criminali poi fra Turchi e Turchi avvie- ne tutto l’ opposto di quel che suole avvenire più o meno in Europa , dove il rieco si gicva delle sue ricchezze a com- prarsi impunità. Ma in Turchia è ben altro, e per motivo non men condannevole di quello che il sia fra gli Europei la venalità della giustizia. Ivi il reo di morte lo è anche di eonfisca ; i suoi beni son divisi fra il Muftì il Cadì il Pascià il Mollah , e il Sultano, cui tocca la porzione del leone; e sanno tutti quale è questa porzione. Indi più si è ricco, e più si è minacciato di pena inesorabilissima. Così proseguendo il nostro viaggiatore per Sanderli, l’ an- tica Attalia, e traghettando i fiumi Ermo e Caico , rinomati presso tutti i poeti e prosatori antichi, giungeva a Pergamo. Altamente meravigliava intanto di veder tra via più cimiteri che villaggi. Ma chiaramente spiegasi un fatto che pare sì inintelligibile, ri- membrando che la popolazione turca andò da un secolo e mezzo in quà sempre meuomandosi. Questa gente , poichè scorse l’età gagliarda della sua giovinezza e virilità, non si trovò aver messo in serbo verun capitale per gli anni della vecchiaia. Spregiando agricoltura e industrie, viveva con le industrie e 1’ agricoltura de’ popoli soggiogati, che erano allora numerosi. Senonchè la ti- rannia de’ padroni andò man mano minuendo i servi; e con questi che producevano , minuirono anche quelli al minuirsi le produzioni. L’ incuria inoltre d’ ogni polizia individua domestica urbana rustica e civile, la cieca fatalità a non mai premunirsi contro ogni evento qualunque, la poligamia , la vita nomada delle tribù Yerruke, ossia de’ Turcomanni , 1’ annua peste infine, vollero anche esse la parte loro alla distruzione , e l’ ebbero. Il numero de’ Turchi attuali è quasi a’ due terzi di ciò che eran numerosi nell’ età da Maometto II° al II° Solimano; e questa spopolazione è più che altrove discernibilissima nell’Asia minore. Pergamo città già floridissima è oggi un mucchio di ruine. In una delle antiche sue piazze vi si è formato uno stagno pe- stilente con l’acqua che un dì zampillava dalle fontane. Nel- l’acropoli vedesi un diruto castello visibilmente costrutto co’mar- mi di qualche tempio antico, scorgendosi nelle mura commisti i frammenti di colonne capitelli ec, ec. fabbricati alla rinfusa e i più al rovescio. Le belle opere greche furono nelle mani de’ Tur- chi ciò che sarebbero le finissime macchine astronomiche in quelle degli Ottentotti. T. XXXVII. Gennaio 14 106 Quivi Mac-Farlane vide il famigeratissimo vaso di Pergamo, una delle maggiori conche marmoree che si conoscano. Rotti ne sono gli orli e il piedistallo. Nella fascia del corpo si scorgono scolpite, benchè sfregiate, corse equestri e danzatrici. Pretende il nostro autore che in quest’ ultime sia effigiata una processio- ne in onor di Bacco ; ed aggiugne che l’opera non è del bel se - colo delle arti greche. Lo che certamente può essere. Ma oltre- chè è difficile il comprendere come mai si facessero cose di cotanto lusso quando lo stato di provincia aveva corrotto in Grecia il gusto , vuolsi poi d°’ altra banda poco fidare al giudizio di uno che ne ispira giusta diffidenza col confessare egli stesso di poco stimare il Sanzio (4)! In generale gli Oltremontani sono i più sentenziatori comunque i men veggenti in belle arti. Chi ne vo- glia una prova legga gli squarci del Dante tradotti da Deschamp e laudati dal Globo (5); ‘legga ciò che dice Stendal (6) circa la famosa statua di Michelangelo in Roma, dal comune consenso di tre secoli proclamata col nome della pietà, come con quello di pensiero fu sancita l’ eccellenza dell’ altra in Firenze; legga queste e mille altre critiche sulle cose nostre, e si faccia le eroci (7). Il Padrone di quel vaso narrava al nostro viaggiatore che fu da’ suoi antenati trovato con cinque altri d’egual grandezza fra le ruine di Pergamo , e tutti sei pieni di monete. Lo scopritore da buon Turco ne fece subito rivela al Sultano, cui tutto appartiene; e questi glie ne lasciò uno, facendo inoltre eredi- tario nella sua prole 1° ufficio di collettore delle gabelle. Molti riechi europei avrebbero voluto comprarlo ;E ciò non ostante non fu mai venduto perchè considerato come il diploma imperiale del privilegio alla famiglia. (4) V. alla pagina 296 del volume 1.° (5) V. il Globo. Tomo VII° N.° 98. (6) V. Promenades à Rome. (7) Onde non ci si apponga spirito di fiele od ostile così dicendo, ma veg- gasi che non esagerando il vero intendiamo sol a raddrizzare i giudizi de’ eri- tici oltremontani sulle cose italiane , vogliano i lettori aprire per un momento il secondo volume dell’ Essai sur les moeurs et Vesprit des nations , edizione del 1756 , a pagina 176. Quivi Voltaire, parlando della Canzone del Petrarca 3> Chiare fresche e dolci acque ,, dice , ode irréguliere à la veritè , et qu'il composa en vers blanes sans se gèner par la rime, mais qu'on estime plus que ses vers rimés. Ignoriamo che cosa intendesse dire con quell’ ode irrégulière ; ma di ciò non cale. Osservando però d’ essere scritta questa canzone in versi sciolti (vers blanes), non è egli manifestissimo che ne parlava senza averla nemmen letta ? FO? Già dicemmo che l’Asia minore è un immenso museo sot- terrato. Ed era infatti Mac-Farlane continuamente circuito da una folla di venditori di medaglie, o idoletti, o amuleti ec. ec. Però i monumenti più notevoli sono i tumuli che tutti gli Archeo- logi dicono essere stati i sepolcri degli antichissimi Lidi. A ve- derli paiono altrettanti poggi o colline coperte di verdura e pian- te; ma basta una sola vangata a toglierne una zolla, per ac- certarsi che son fabriche piramidali. I quali sepolcri furono salvi dalla distruzione sol per avere in loro stessi una custodia in quel medesimo motivo. che già da gran tempo li avrebbe distrutti. Imperocchè comunque la viva opinione popolare vi creda sepolti grandi tesori , crede pure , e non men vivamente sebbene spaven- tosamente , che i tesori suddetti son custoditi da orribili spet- tri e serpenti. Onde è che i Turchi li denominano Malteppe con ghule , ossia colline d’oro guardate da spiriti mali. La fan- tasia e credulità volgare accredita poi sempre più quella fede con racconti di fatti tremendi ; narrandosi che una masnada di Palicari, audaci spregiatori di siffatti spaventi, vi andò di notte a far scavi. E già aveva inoltrato il lavoro forando il mausoleo, quando ecco scuotersi il monticello ; ed uscirne con un grido di voce for- midabile un enorme serpente. Colui che ciò riferiva a-Mac-Far- lane; aggiungea d’ aver udito dal suo padre, contemporaneo del fatto , che uno di que’ Palicari era uscito di senno per la paura. In tal modo se ancora hanno requie le ceneri che là posano, nol deggiono alla religione sepolcrale , sivvero al terrore che inspi- rano que” sepolcri. Fu eterna ed universa nel volgo d’ogni gente la credenza sì di tesori ovunque veggansi ruine , come della loro custodia af- fidata a draghi a demonii ec. Di che fanno antichissima testi- monianza con la nota favola esopiana le favoleggiate gesta di Gia- sone o di Teseo circa il vello d’ oro e il tesoro di Creso. Nelle quali fantasie popolari è forza il ravvisar sempre un fondo di vero. Le grandi ruine , monumenti di grandi edifizi, il sono an- che di antico albergo di persone doviziosissime. Questo raziocinio a priori comune a tutti gli uomini, fu senza dubbio quà e là con- fermato dal fatto di ricchezze trovate nelle antiche moli, perchè sotterratevi o per tremuoti, o per civili discordie, o pel non raro ta= lento degli avari a non rivelar neppure in morte il luogo in cui tenevano infossato il loro metallo carissimo . Circa i custodi serpenti poi è anche un fatto che questi rettili predileggono le macerie ; e che sia per esservi men molestati, sia perchè vi tro- vino più alimento , vi acquistano mna grossezza sovente prodi- 108 giosa. A ciò arrogi i vari casi in cui i felici trovatori svolgendo ruine, poterono ben vederne sbucare qualche serpe smisurato ; arrogi 1° accensione della mente concitata da gioja e spavento; arrogi l’imaginazione più accesa in chi ode dall’ invidia; arrogi infine la fantasia de’poeti, là sempre più tali ove addiansi a poe- tar sulle vive opinioni della meltitudine; ed avrai la genesi na- turale di questo consenso de’popoli circa il subietto in discorso. In Pergamo conobbe Mac-Farlane 1° ultimo rampollo della celebre famiglia ottomana Carasman-Oglu ; famiglia un dì pos- seditrice di quasi tutto il terreno dell'Asia minore, e che parea facesse anomalia mercè la sua ereditaria gentilezza con la turca incoltura. Era inoltre molto amata da’ Turcomanni pel buon uso che sapea fare dell’ opulenza sua: Onde è che accese la gelosia e 1° avidità de’ Sultani, i quali impresero a spogliarla finchè la impoverirono. A tal proposito uopo è dire che in Turchia gli Ajam, os- sieno i signori che possedevano in terre una specie di feudo ereditario, furon man mano privati di poderi e d’autorità. E in ciò miri il lettore anche presso i Turchi il progresso della mo- narchia unitaria, che in Europa non ebbe requie finchè non an- nullò ogni potere ne’ magnati per concentrarlo nel Monarca. I sultani anteriori avevano agito con qualche moderazione e riguar- do in questo espediente politico. Ma l’attuale, o più audace o men infrenato degli antecessori suoi, annientò gli uttimati otto- manni ; e l’Effendì Halet fu per così dire il cardinal de’ Riche- lieu della Turchia. Tutta l’altra ricchissima famiglia de’Giappan- Oglù , collaterale della testè nominata , fu spenta : e il Gover- no , cui là riviene alla morte de’rei tutto il loro asse, fece im- menso traffico con le teste de’ miseri Ajam. Pergamo pagò anche essa un tributo alla turca ferità nel 1822. E quivi meravigliava Mac-Farlane di vedere i levantini scampati a que’massacri, e ognun de’quali avea visto o sgozzare il padre il fratello il figlio, o violate figlie sorelle e moglie, star- sene intanto indifferenti, parlar di quegli orrori come se fos- sero avvenuti a gente lungi mille miglia, e vivere tuttavia in luoghi in cui posson sempre rinferocire quegli eccidi. Noi avrem- mo rimembrato ‘al nostro Autore che fu sempre indole greca quella di fare abito con la gravità de’ momenti, e di sentire leg- germente gli stremi. Atene obliava l'imminente calamità del con- quisto e giogo di Filippo, per addarsi tutta intera alla contesa oratoria fra Demostene ed Eschine. E sedici secoli più tardi i Greci bizantini correvano con pari ardore di curiosità e pari in- 199 differenza nel periglio patrio, a udir le dispute de’teologi. men- trechè il cannone di Maometto rompeva le mura di Costantino- poli. Noi gli rimembreremmo infine che Dione il bocca d’ oro ( Crisostomo ) dipinge gli Olbiopolitani gai e festevoli abbenchè giornalmente assaliti e taglieggiati dagli Sciti (8). Così avvenen- do ei pare che la natura stordisca per commiserazione gli uomini ne’ grandi perigli onde essi non sentano gli spasimi della loro terribile situazione. A malgrado intanto di sì crudeli angherie angosce e acer- bità cui soggiacquero i Greci, uopo è dire che son essi ricchis- simi a petto de’ Turchi. Ne’ quali sia ignoranza d’ogni menoma industria , o orgoglio a nen ‘abbassarvisi ; oppure inerzia della loro dommatica fatalità , la miseria è massima. Nè perciò avvi- siamo che essi sien tali per l’Islamismo. Islamiti erano gli Arabi ed i Mauri : e ciò non ostante furono operosi industri ricchi e civili. Islamiti pure sono i Persiani; il che non ha impedito che fossero la nazione la più gentile e industre dell'Asia. Mon- tesquieu, o qualche suo adoratore, sentenzierebbe subito con la ragione universale del clima ; come se il clima non fosse oggi l’ istesso di quel che era in Inghilterra o in Russia nelle in- gloriose giornate di Hasting e di Narva, o nella città regina del mondo allorchè vi nascevano non uomini ma semidei. Per noi il Governo è la prima ed unica radice di tutto ciò che di magna- nimo o di turpe, di virtù o di vizio vedesi negli uomini composti in società. Il cittadino è sempre improntato nel conio sociale del suo reggimento. Passiamo ora con Mac-Farlane da Pergamo a Magnesia. Dice egli che vi sono Moschee più magnifiche di quelle di Costan- tinopoli. Vi è pure un Seminario di Sacerdoti mussulmani che perdono otto in dieci anni a studiar ]’ Al/corano co’ suoi inter- minabili comenti, il Libro de’proverbj del profeta detto Haddies, e il Muezman ossia la raccolta delle vpere de’ dottori islamiti. Delle scienze profane vi si insegna appena un trattato della più erronea geografia. Vi sono anche, oltre a questo instituto d’eru- dimento publico , molte scuole private. L’ attività magnetica de’ monti contigui a questa città fece che Magnesia desse il nome alla calamita (9). La quale attrazione è tale che annulla interamente quella del polo sulla bussula , veggendosi l’ ago di questa rivolgersi a mezzogiorno o a levante (8) V. la dodicesima Orazione Boristenica. (9) Quem magneta vocant patrio de nomine Graîi. Lucrezio. 110 o a borea o a ponente, in ragione che l’osservatore stà a borea o a ponente o a mezzogiorno o a levante de’ monti istessi. Magnesia è famosa pe’ più belli vetri colorati che mai si co- noscano. Gli europei ignoravano e la cosa e l’arte. Probabilmente la videro e se ne invaghirono andando per le crociate in Asia. I Veneziani intanto furon quelli che divinandola o copiandola ne introdussero la fabrica; e ne fornivano per le vetriere de° duomi nonchè de’ turriti castelli di que’ signori , già sì fieri della pos- sanza loro, oggi livree nelle sale delle reggie. In Magnesia ritirossi Amurat II.° padre del II.° Maometto ; allorchè abdicava l’imperio per vivere da filosofo lungi dalle cure del trono. Gibbon dice che questo Sultano , era intanto men un filosofo che un superstizioso vivendo nella sua solitudi- ne sempre fra’ Dervis , uniformandosi a tutte le pratiche loro e perfino alle loro danze. E nulla osta che sia vero 1’ asserto di un’ istorico sì giudizioso e sì spigolatore di tempi e eventi te- nebrosissimi. È però d’altra banda innegabile, che Amurat nulla non perdè della sua bellicosa energia così distaccandosi dalle supreme grandezze ;. e ben il provarono Ladislao Uniade e il Cardinal Giuliano nella fiera battaglia di Varna, allorchè la grande confederazione cristiana minacciando l’imperio, lo strappò da’beati ozi del suo ritiro per ricondurlo alla travagliosa vita del campo. La migliore moschea di Magnesia fu eretta da questo Prin- cipe. Eresse inoltre un bel mausoleo, in cui veggonsi venti» due sepolcri, perchè infelice marito e non men infelice padre pianse la morte delle sue più care mogli e di molti suoi figli. Eran forse queste dilette ceneri quelle che cotanto lo affeziona- vano alla città suddetta. Poco lungi da Magnesia andando alla volta di Sardi tro- vasi la così detta Statua di Cibele; statua veramente colossale tostochè è alta 28 piedi inglesi a malgrado d’essere effigiata seduta. Fu scolpita in un masso marmoreo del Sipilo, ed incavata la sua nicchia nel taglio istesso di un tal monte. Alcuni antiquari giurarono di interpetrarvi non già Cibele bensì Niobe; del che ci guarderemo di discorrerne , onde non far addormire i nostri letrori se ancora stan desti. Gli oltraggi delle meteore dell’età e più di ogni altro de’ Turchi , le fecero perdere i lineamenti del viso nonchè le membra minori ; ma nel tutto insieme de’suoi residui conserva ancora quanto basti a riconoscervi l’ imagine di una donna. Innanzi di arrivare a Sardi, o diremo anzi alle suine di RI I VI RE LO II Sarli, uopo è passare un fiume arido. e gretoso , che il viag- gatore stentava a credere esser quello il sì famigerato auri- fero Pattolo. Quindi incontrò il tumulo noverato da Erodoto fralle sette meraviglie del mondo ; il sepolcro cioè di Aliatte. La quale mole sterminata pare opera della natura ed è lavoro dell’uomo. Son però sparite quelle piramidette monumentali , in cui dice il menzionato istorico d’aver letto, che eran con- corsi ad ergere il mausoleo tre ceti di Lidi; i mercatanti cioè i contadini, e le cortigiane. Deve ei credersi al cooperamento di quest’ ultime? Pare che Erodoto istesso presentisse che un giorno si dubiterebbe dell’ asserto suo, tostochè quasi in prova del detto aggiugne d’esser uso delle donne lidie quello di conceder copia di loro e guadagnare del corpo, onde far denaro e meglio trovar marito. Sia che vuolsi; la sua veracità circa i sei stadi di perimetro , esattamente coincidenti con le attuali dimensioni del monumento , sono documenti a farlo riputar veridico anche in ciò che pare incredibile . Il campo sul quale siede da tanti secoli questa opera immensa è memorevole per le due grandi battaglie date una. fra Ciro e Creso, l’ altra fra Antioco e Sci- pione l’ Asiatico. Eccoci infine alle reliquie di Sardi, città che sedea sovra un monte ramificato dallo Tmolo. Le men franate di queste re- liquie son quelle dell’Acropoli, in cui sono ancora in piedi e le alte mura della sua cinta, e il basamento di un tem- pio , e l’altro di un edifizio creduto da alcuni la Reggia di Creso, da altri un Ginnasio, e non so che da un terzo. Veg- gonsi inoltre i residui del Delubro di Cibele, tristo testimonio de’ perenni e ognor più incalzanti guasti del tempo. Imperoc- chè Chishoul che il visitava nell’ anno 1700, vi trovò ancora intatto l’ atrio con sei belle colonne d°’ ordine gionico; ma ne era già caduta una nel. 1750 quando il vedea Peysonel; e Chandler nel 1765 vide ruinato tutto 1’ architrave e il fron- tone con la caduta di una seconda. Tre ne rimanevano in piedi nel 1812, anno in cuni vi andava Cokerell-;..e due sole nel 1828 a quel che dice Mac-Farlane. In tal maniera il veglio ognor edace ed insazievole , pria estermina popoli e potentati, e. poi rade le opere loro, quasichè annientar volesse ogni testimo- nianza che l’accusi delle sue distruzioni de’ suoi estermini. Le quali meditazioni sulle vicende delle genti e delle cose svol- gonsi più gravi là sulla cima di quell’acropoli, cui in ampio cerchio d’ orizzonte sottostanno le valli del Pattolo del Cairo dell’ Ermo , e le ruine di tante città magnifiche, e col gran +12 sepolcro, di cui già fu cenno, mille altri tumoli di Regi di Grandi e d’ uomini. Sovra quel popoloso mondo sotterrato vedi oggi appena qualche raro pastore , o qualche nomada famiglia turcomanna , o qualche non men nomada tribù che vi tran- sita, come le carovane transitano pel gran Saharah. Ma alla mente di chi sa pensare si affollano a ripopolar luoghi sì de- serti le memorie de’ Cimmerii degli Assiri de’ Medi de?’ Lidii de’ Persiani de’ Gioni de’ Macedoni de’ Romani e de’ Turchi , indegni eredi di popoli sì . . .... Qui ne interrompe il lettore interrogandoci se sia nostra intenzione di dargli un po’ dell’ oppio romantico. Ed è vero; lasciamo adunque e il gerere e la contesa, che è-in troppo buone manì per non dovervi metter le nostre. Senonchè con- fessando di sentire anche noi il pizzicore letterario , ne diremo di volo qualche cosa che non udimmo dire in sì discussa con- troversia; ed è che lo stesso Schakespear ( cui niuno non nega una mente potentissima al par di quella d’ Otero e di Dante) comunque si favoreggiasse d’ ogni più sfrenata licenza fino agli assurdi, non perciò ne diede alcuna bellezza maggiore di quelle di Sofocle abbenchè questi fosse circoncinto e obbediente a tutti i freni. Il vero ingegno daltronde non conosce ostacoli nè di tempo nè di luogo. Esso pareggia a Dio che dal nulla crea il mondo. Esso trascende e sovraneggia in ogni cimento, senza bi- sogno di vagar quà e là. Ad esso basta un instante ed un pol- lice di spazio per poetare opere immense. Omero, immobilissimo nel suo campo iliaco , percorre maestosamente tutto il cerchio della natura e del cuore e delle situazioni umane. Omero , per consenso di tremila anni , fu in quell’ angoletto della Troade , assai maggior poeta di ciò che il fosse nell’Odissea, così menando il suo Eroe per tutto l’orbe allora cognito. Napoleone nella sua Iliade fra 1’ Adige e la Brenta affoltava in quattro lune dieci battaglie , trenta combattimenti , e la distruzione di due grandi eserciti nimici. Brunellesco lanciò all’ etra senza palco l’ immensa doppia cupola fiorentina ; e Colombo infine non paventò d’ in- golfarsi nell’Oceano infinito sovra fragile caravella (10). Nè que- sti esempi son fuor di caso. Uno è il Bello in ogni opera, sia di colori , sia di versi, sia ‘di marmi, sia d’ imprese. Pari alla virtù, che là più fulge ove più vinca ardue pugne, esso è sempre maggiore là ove è più sentito non solo nella maggiore azione , ma bensì nel trionfo dell’azione stessa sovra ostacoli formidabilissimi. (10) Vasselletto senza ponte o coverta. | | 11$ Intendendo in ultimo a trarre qualche utile dalla più inutile fralle dispute, diremo a’giovani condizionati ad operare « Se sen- tite Y Ecce Deus, nol perdete esitando sul modo, ma operate, e sia qualunque il modo ». Rirornando all’ argomento, proseguwia Mac-Farlane il suo viaggio verso il Bosforo e Costantinopoli. Noi però non più il seguiremo per non troppo fastidire i lettori e oltrepassando i li- miti compatiti in un articolo ; e con ripetizioni di cose già dette nella nostra Antologia (11). Ne prenderemo adunque concedo con alcuni pensieri sovra obietti, che utili, a nostro avviso , a’ 200 e più milioni d’Europei, son perciò utilissimi a tutti gli europei potentati, comunque altrimenti apparisca a taluni. ‘L'Asia minore fu provincia asiatica sol quando 1’ Europa poltria ancora nel suo selvaggio ed incondito stato primitivo; ma divenne europea provincia non appena } Occidente 3° ingagliardia con le forze della civiltà. Di che è larga dimostratrice l’ istoria co’ dominii pria de’ Greci poi de’ Macedoni quindi de’ Romani e infine dell’ Imperio orientale. Lo stesso dominio turco, comec- chè traligni da questa regola coll’ avervi eternata 1’ asiatica bar- barie, non fa però eccezione, essendochè europeo, di situazione se non di incivilimento , è il potentato ottomano. Indi vuolsi credere che siavi nella natura cosmopolitica dell’ Europa una ra- gione intima perchè così fosse. E questa ragione , che pare tanto arcana , scintilla eviden- tissima per poco che si ponga mente alla filologia , ossia scienza del certo, delle varie razze del genere umano. L° Europa è la regina del globo, perchè 1’ Europeo è il più forte in corpo ed ispirito. Le donne europee potrebbero qual già le spartane, pre- giarsi d’esser le sole generatrici di veri uomini. Noi dimostrammo altrove (12) che questa superiorità antropologica emana dall’eu- ropea configurazione terraquea ; configurazione la quale costringe gli abitatori a valersi sì della terra come del mare , e perciò ad essere audaci sovra amendue gli elementi. Checchè sia del no- stro avviso, qui non cale nè ripeterci, nè ridimostrare il già di- mostro ove esso fosse o debole o erroneo. Ne basta attenerci al fatto, che è sempre altissima pruova pratica di vero. E niuno che sappia l’ istoria non vorrà contenderlo vedendo } Europa 11) V. Antologia N.° sull’ opera d’Andreossy intitolata, Costantinopoli 51 97 P bi P e il Bosforo tracio. (12) V. Antologia N.° go. T. XXXVII. Gennaio 15 # tI4 tener lo scettro del conquisto or sull’ Asia , or sull’ Africa, ed or sulle Americhe. È mezzo secolo infine che fu completata la notizia della creazione con la scoperta delle terre oceaniche ; e già sovra esse si estende la sua signoria. La parte occidentale d’Asia fino all’ Eufrate fu provincia pria greca , poi latina, e quindi del Basso Imperio. Tutta la zona boreale dell’Africa fino al Saharah, fu pure provincia pria de’Greci in Egitto e nella Cirenaica, e poi de'Romani dal Nilo all’Atlante. Gli Arabi, è vero, la conquistarono strappandola all'Europa, ma sol per- chè trovaronsi adultivi quando l’Occidente assonnava per ristorar le forze nella notte del medio evo. Però fin dal primo svegliarsi nel risorgimento , il primo evento che l’ istoria ne narri è quello del riconquisto che l'Europa fece del Mediterraneo per man de- gli Amalfini, de’ Pisani, de’ Genovesi, de’ Veneti, comunque i così detti Saracini fossero nella maggiore vigoria loro. Onde bene a ragion dicemmo che noi siam più forti e degli Asiatici e degli Africani, perchè assai più nautici d’essi non incontriamo nel mare un termine impreteribile a’ conquisti. Ed è ciò sempre più fatto evidente allorquando , avendo Colombo con immenso cimento sforzato 1’ Oceano a rivelargli i suoi misteri, tutto il nuovo mon- do fu scoverto e conquistato sol perchè nautici eran lo scopri- tore e i conquistatori. Indi le Americhe furono per tre secoli pro- vincie europee. Oggi son anche tali, essendo sangue europeo quello che là ora è autocratico (13). Per noi la legittimità del- l’autorità europea, ossia della grande famiglia della civiltà odier- na, và pesata nella bilancia delle nazioni apparteneuti a tutta la republica della cristianità. Sia che vuolsi, l'America volle essere non più mancipio ma cittadino della repubblica istessa, e il fù. La voce e il voto de’ saggi addita da un pezzo la boreale zona africana come con- quisto facile ed utilissimo sì all'Europa come all’Africa. Senon- chè vinse e vince la vile gelosia di una più vile politica, non- chè a tollerarvi, a volervi anzi la perpetuazione della peste della pirateria e dell’infamia de’tributi a ladroni. L'Europa si è dunque rivolta altrove ; ed in Asia si rinfrancò con usura delle. credute perdite americane con gli acquisti di tutta la ricchissima peni- , sola indica a mezzogiorno, e di metà del continente a borea. Or mevtre così padroneggia e sempre più si inoltra verso il cuore d Asia, vede poi l’Asia padroneggiare per mano della più incivile ed insocievole delle sue genti, le sue migliori provincie; (13) Potenza propria. t15 le greche, culla d’ogni incivilimento, e le danubiche , giardino dell’ impero dopo l’ impresa di Traiano. Questa anomalia non può nè deve essere se non passaggera, comecchè nel momento istesso in cui pareva ed era finita, si facesse ogni sforzo a vo- lerla permanente. L’ Europa gravita con tutto 1’ immenso suo momento morale e fisico verso Oriente. Il solo braccio di Dio fora da tanto a soffermarla nel moto della sua gravitazione. La voce de’ molti ha la sua radice nella volontà universa ; e questa 1’ ha nel bisogno di tutti, che non è mai ingannevole nel suo sentire. Adunque è nell’irraziovalità dell’ignoranza o della passione quel branco che dissente dall’ universale non consenten- do col volere europeo , che 1’ Europa ripigli nelle sue mani la chiave d’Asia che è Costantinopoli, e l'Asia minore che ne è la porta. Di Costantinopoli già! dicemmo (13) ciò che vorrebbe essere onde un sì momentoso punto, nucleo di due mari e di due con- tinenti , fosse utilissimo a tutti e non nocivissimo a nessuno ; co- me fu e come sarebbe in man di un solo ; un europea città an- seatica cioè , inviolabilmente pattuita convenuta e rispettata da ognuno ; sacra al solo commercio ; e il Bosforo quanto apertissi- mo ad ogni nave mercantile , altrettanto ermeticamente chiuso e per dritto delle genti inviolabilissimo dalla menoma vela belli- ca. Ultimamente il sig. de Pradt emise egli pure l'opinione, in un articolo del Corriere francese , che Costantinopoli dovrebbe essere porto franco. A noi piace (fosse anche per amor proprio d’autore) di rimaner nella nostra , parendoci meschinissima la semplice franchigia di un porto appo i larghi e nobili instituti di una città anseatica. Ma sia che vuolsi; qui diremo sol de’ vantaggi che 1° Europa e l’Asia avrebbero ove il possesso dell'Anatolia fosse in mano europea ; e la generale coscienza de’ vantaggi istessi spie- ga quella simpatia che ormai tutti i pensieri europei hanno con questa che meglio assai d’idea denomineremo brama e volontà. L’ Asia minore ! Regione ognor ricca e florida dall’ età pri- mitive del mondo al 14.° secolo! Regione ove fin dal primo spun- tare del risorgimento corse ad arricchirsi 1’ Occidente mercè il commercio e le colonie degli Italiani ! Regione di felicissima latitudine e situazione geografica, tostochè al par dell’ Egit- to della Spagna e del Messico, le terre le più favorite dalla natura in situazione, è fiancheggiata. da due mari, ed è anel- lo di due continenti! Regione , ahi, albergo oggi di miseria di (13) V. Antologia N.° 97 sull’ opera d’Andreossy. 116 deserto e di schiavitù! Quelle fertili terre, ove spontaneo vegeta il riso la vite l’ulivo il fico il cotone l’indaco ec. ec. ; quelle praterie già sì virenti e fiorifere quando eran superbe delle greggi attali- che, oggi incolte agresti squallide, invocano chi le rifecondi e le ripopoli di sessanta milioni d’ uomini ; invocan dolendosi perchè mai l’ Europa, la quale benefica le lontane rupi del Caucaso del Tibet dell’ Imalaia, e fin del Kamstchaska, le lasci ancora suolo asiatico isterilito perchè calcato dalla più bestiale fralle barbare genti asiatiche. Via però lo stile appassionato , onde non si creda di appi- gliarci a frasi commovitrici, per difetto di solidi argomenti. L’Eun- ropa (e parlando a!l’ Europa intenderà il lettore a chi nvi par- liamo ) vuol ella o nò porre alfine mente all’annua diserzione di 20 in 3o mila suoi figli, i quali migrano a nuovo domicilio ol- tremare ? Nonchè non patire interamente questa perdita di popola- zione, non fora ei meglio il tentar di conservarla aprendole il rifugio in una terra che ormai può dirsi europea dopochè V'Eu- ropa conficcò, e ogni dì più addentra le sue forti braccia nel vasto corpo dell’ Asia? Ciò provvederebbe a tutti gli stimoli del migrare; alla miseria cioè ; alla timidità de’visibilissimi eventi fu- turi; e diremo anche ad utilizzare invece di proscrivere quel- l'interno vigore rigoglioso , che già troppo offende la mano de- bole di chi tiene il freno, aprendogli una valvula perchè sfo- gasse altrove con vantaggio d’amendue le parti. Rammentiamoci che Roma teneva sempre in serbo una guerra a muovere, per mnoverla ogni qual volta sentia troppo gagliarde le pulsazioni delle sue forze interiori. Così agendo dava legale campo alle cupidigie alle ambizioni ed a tutte le altre passioni, che la buona società deve saper dirigere , perchè non può mai spegnerle finchè gli uomini son di carne sangue e nervi sulla terra. Roma inoltre giurò guerra a morte (ed osservò il suo giuramento ) a Mitrida- te, allorchè questi fece esterminio de’ coloni romani ed alleati nell’Asia minore. Alto esempio che la cristianità dovea seguire nel massacro de’Cristiani pur là avvenuto , facendo largo e ge- neroso appello a tutte le passioni odierne, invece di volerle spe- gnere col tagliar teste. Ove così avesse agito , sarebbesi invigo- rita con una nobile ed utilissima politica sì esteriore come inte- riore. Che 1° Europa vi mediti, perchè si è ancora in tempo di fare il non fatto. Noi nol proponiamo se non perchè il vorremmo pel bene di tutti. G. P. 117 Incerti Anctoris Magistratum etc. — De’ Magistrati e Sacerdozi del popolo romano. Esposizioni inedite d’incerto autore pub- blicate con un commentario dal prof. F. E. Hvuscauxz. Bresla- via ediz. di I. F. Hornio, pag. XIV e 146 in 12.° Gli alunni delle Università germaniche che bramano avviarsi per la carriera della pubblica instruzione, incominciano per dare saggi dell'ingegno loro nelle dissertazioni e negli articoli che ad essi è facile di pubblicare in qualcheduno dei tanti e sì vantati giornali di che abbonda la patria loro. Conseguito il grado di Professori-privati ( Privat-docenten) fanno poi tirocinio nell’arte d’ insegnare; e quando ne viene loro l’ opportunità e se ne sen- tono le forze cercano di venire promossi prima a Professori straor- dinarj e quindi a Professori ordinarj facendo di se prova sopra un tema che pubblicano per le stampe in un cogli argomenti da poi svilupparsi e difendersi in una solenne e a tutti aperta adu- nanza. Lodevolissimo costume che allontana i dappochi dal pre- tendere al gravissimo ufficio d’insegnare agli altri, fà chiaro quali e quante siano le forze dell’ ingegno di chi vi aspira; e non di rado reca alla luce del mondo libri che , sotto il modesto titolo di monografie, arricchiscono e promuovono le scienze assai più che non altre voluminose opere, le quali tanto meno stringono quanto più abbracciano. Anche il sig. Huschke, abbenchè dottore dell’una e dell’al- tra legge, dottore e professore nella facoltà di filosofia, ha do- vuto recentemente conformarsi all’ uso di far esperimento di se per poter essere ascritto tra gli ordinari professori di gius in Bre- slavia. E poichè un suo viaggio a Parigi aveagli fruttata la cono- scenza di certe Esposizioni inedite dei Magistrati e Sacerdozj del popolo romano d’incerto autore prese quindi occasione di pub- blicarle con un commento da pubblicamente difendersi. Precede nel volumetto del sig. Huschke una introduzione nella quale narrasi come queste Esposizioni giacevansi sconosciu- te a Parigi nella Biblioteca dell'Arsenale in un codice membra- naceo del XV secolo ( mss. Latin. Belles Lettres n.° 6 in 4.0 ) dove frà tante altre cose stanno, dal foglio 36 al foglio 4oP, il libretto dei dittonghi scritto dal Veronese Guarino e intitolato a Florio Valerio ; e dal foglio 46 al foglio 43; le suddette ZEspo- sizioni. Qual sia l’ origine e 1’ età delle medesime non è mani- festo. Crede però l’Huschke che non siano, da riporsi nei tempi prossimi al. Guarino come, sulle prime si sarebbe tentati a giu- 118 dicare, ma sivvero intorno quelli d’ Isidoro ,come pare dalla la- tinità nella quale furono dettate; perocchè alcune poche parole o frasi d’ inferiore latinità possono essere state guaste; e l’altra per la quale i legati si rassomigliano a coloro “quos hodie prov visores campi dicit vulgus ;, ben può essere una glossa dello serit- tore del codice e che , a senso mio, ne disvela la patria cioè la Veneta Repubblica solita fare accompagnare gli esteri condot- tieri delle sue schiere dai Provveditori del campo: conghiettura che si conferma dal vedersi ivi contenuto anche il libretto del Guarino Veronese ; e che potrebbe chiarirsi da chi volesse pren- dersi la briga di cercare quale famiglia innalzi uno scudo nero (dipinto nel Ms.) con entrovi un lion d’ argento coronato che con le unghie rosse stà pronto alla zuffa , con capo d’oro che contiene un aquila nera ad ali ed unghie aperte , sostenuto da due foglie araldiche l’una a dritta rossa e l’altra a manca verde: accanto vi stà il nome IO AN in guisa scritto che vien diviso dallo stesso scudo e tanto alle prime lettere IO che all’altre AN stà sovrapposta una corona di cinque spicchi. Dopo l’introduzione viene il testo inedito delle Esposizioni. E poichè l’ordine de’tempi e della materia in che ci presentano le Romane Magistrature è così bello e veramente istorico, e tale e tanta è la sana dottrina nelle medesime contenuta che il pro- fess. Huschke dovè per un momento sospettarle dettate da uno scrittore del IV secolo , così crediamo fare cosa non discara ai nostri lettori riproducendole in questo giornale, ed apponendo in brevissime note alcun che di quanto il dotto editore disse nel suo copioso ed elaborato commentario per dimostrarne 1’ aggiu- statezza e i nuovi lumi di che adesso vengono ad arricchire la storia e la Giurisprudenza. Rex Romulus omnium primus a regendo dictus. Senatores a senectute appellati : vel a sinendo (1) quoniam consilio senim qui in hunc'ordinem recepti erant , primo reges deinde respublica regebatur. Tribunus celerum regi prorimus erat et trecentis militibus ad regis continuam custodiam praeerat: celeres (2) autem a cele- ritate dicti. (1) V. Isidor. Orig. 9, che solo, come il nostro autore, deriva , Senatus anche da sinendo . Ed elegantemente: perchè il Senato non comandava e dava leggi, ma permetteva accomodando la sua autorità e consiglio. (2) Tutti sanno che Celeres si dissero dapprima quei cittadini che poi si chiamarono Cavalieri. Fest. in v. celeres. Pompon L. 2: $. 15. ff de O. J. t19 Praefectus Urbis, qui custodie urbis praepositus erat. Quaestores qui aerario pracfecti erant et sumptibus pubblicis. Interreges erant (3) qui donec respu. consule carehat vicem regis vel consulis gerebant. | Consules annuum Magistratum habebant , sed ne duplicata regia potestas videretur, in cujus locum Consules successerant alternis vicibus imperabant. Dictator extraordinarium (4) magistratum habebat, nec ul- tra sex menses extendi poterat nec appellare ab eo poterat 3 (06 omnibus magistratibus praeerat. Magister equitum dictatori prorimus erat , et cquitibus re- gendis praefectus erat. Tribunus plebis defensor plebis erat contra senatum ne vis aliqua in plebem afferretur, ut = que par plebis (5) în civitate uut major libertas esset. Decemviri, omnibus Urbis magistratibus per annum sublatis, legum condendarum causa et judiciorum ferendorum (6) decem nu- mero constituti senatus consulto et populi consensu fuerant , et pro caeteris magistratibus officia bene ( plene? ) obibant. Censores duo tantum moribus civitatis praeerant et lustris condendis quibus tota civitus sequente populo cum publica pre- catione ambiebant , scriba censoris praeeunte et carmen canente, (3) Alla parola pudlicis che stà ultima nella riferita definizione dei Que- stori seguiva întererant qui donec — gerebant. Lo che non convenendo ai Que- stori ma sibbene agl’ Interrè , l’Huschke suppose un errore dell’amanuense alla voce intererant quasi fosse scritta interr. erant e accomodò come sopra in guisa che niun vorrà negare l’aggiustatezza di sua correzione. (4) È questa la prima volta che l’antichità ci presenta unito alla voce di Magistrato l’ epiteto di straordinario, quantunque la verità e convenienza di un tal epiteto fosse per molti casi a tutti manifestissima. L’Huschke fa un com- mento pregevolissimo a questa definizione del Dittatore, e ne terrem parola in ra- gionare della storia romana del sig. Niebuhr. (5) Le parole in tondo riempiono una lacuna del testo. (6) Questa lezione che ci dà creati i Decemviri per portare o vogliam dire costituire e ordinare i giudizi è nuova e pregevolissima ; perchè disvela un al- tra ragione per la quale il popolo estorse ai patrizi la creazione di quel magi- strato, a fine cioè di togliere i giudizi ai magistrati o consoli che come patrizi erano sempre favorevoli ai patrizi e iniqui ai plebei. Si sarebbero dunque al- lora, a immagine dell’unico magistrato, creati giudici decemviri senza imperio per pronunciare equabilmente nelle cause fra i patrizi e i plebei, e le persone loro dichiarate sagre come i tribuni Liv. 3 , 55 perchè ancor essi difensori della li- bertà popolare. Del resto che per la legge delle XII tavole si determinasse l’or- dine dei giudizi lo abbiamo da Gaio IV. 15. 120 ut dii remp. meliorem amplioremque redderent: censebant et quot millia civium romanorum illo lustro essent. Praetores urbani qui legibus moderandis (7) et judicum senten- tiis corrigendis (8) in urbe praeerant: sex lictores eos praecede- bant et erant consulibus dignitate proximi. Praetores peregrini (9) in urbe ideo constituti erant, ut pe- regrinis inter se disceptantibus jus dicerent, quia praetor urba- nus sufficere non poterat. Praetores provinciales cum imperio in provincias regendas conservandasque mittebantur. Imperatores exercitui praeerant , et singuli aliqua re gesta vel al exercitu vel a senatu hoc nomine appellati. Tribuni militum exercitus patroni erant quales tribuni ple- bis in urbe pro plebe (10). Legati erant qui ducibus exercitus a senatu dabantur non solum adjutores, sed custodes (11) etiam et animadversores re- rum a ducibus gestarum , ut ita nihil, ipsis ignaris, a duce gereretur: quos hodie provisores campi dicit vulgus. Aediles curules erant qui publicis aedibus et templis prae- erant ac ludis: aediles ab aedibus (19) et curules a sella quam in curru secum vehebant dicti. Triumviri praeerant incendiis nocturnis et excubiis: item reis puniendis et carceribus (13). (7) Qui il commentatore si diffonde in dimostrare come e quanto 1’ equità del pretore potesse moderare ma non alterare o corrompere il gius civile. (3) Non già per via d’appello, che appello non vi era davanti a chi aveva assegnato il Giudice. L. 1. pr. L. 3 ff Quisa quo appell. L. 1 {. 3. L. 21 $.1. # de Appell. L. a. A quibus appell. non licet. Ma per via di Yestituzione in intero. (9) La conghiettura del Conradi che il pretore peregrino fosse ordinato in Roma correndo l’ anno 507 si conferma per l’ opera poc’ anni fa scuoperta di Gio. Lido de Magistratibus I, 38, 45. (10) Il commentatore si diffonde in provare che i Tribuni poi detti della plebe fossero dapprincipio una medesima cosa dei Tribuni de’Soldati. Con che si spiegherebbe ancora come la plebe la quale tanto agitavasi per partecipare al consolato rimanesse soddisfatta nel vedere sostituiti ai consoli questi Tribuni de’ soldati magistrato di forma popolare. (11) Lezione singolarissima e che sola ci dà un esatta idea delle funzioni del legato presso colui che aveva 1° impero dell’esercito romano in campagna. (12) L’ Huschke dà qui un altro suo pregevolissimo commentario , che ci duole non poter brevemente riferire. (13) Furono in Roma due sorta di Triumviri MNocturni e Capitales; i quali attendevano alle cose di che nella definizione, » 191 Proconsules cum imperio consulari loco consulum in pro- vincias milttebantur. Praesides qui ceteris magistratibus praesidebani, et erat co- mune magistratus nomen qui ceteris. praeerat. Praefecti vigilum pubblicis incendiis praecrant , sed prae- ‘ fectis urbis potestate inferiores. . Praefecti praetorio qui legum condendarum potestatem ha- bebant , dummodo generalibus (14) legibus non contrariae essent; nec ab eorum sententiis appellare licebat. 7 Pontifices maximi ad religionem non ad pubblicos magi- stratus pertinebant, et ceteris praeerant, nec poterat nisi unus esse qui templo Vestae custodiae paladii una cum sacerdote maxima praeerat. Pater patratus sacerdotibus fetialibus praepositus erat. Rex sacrorum pontifici marimo subiciebatur > cum enim a regibus sacra instituta essent, ne omnino religio extincra vi deretur, delectus unus est qui rex sacrorum vocaretur. Sed ne regiam dignitatem appellatione regis usurparet pontifici maximo subiectus fuit. Sacerdotes fetiales foederibus faciendis praeerant. Sacerdotes salii a saltando dicti: instituti a Numa Pom- pilio duodecim numero fuerunt, quo tempore clipeus rubeus ro- tondus (Sic) de caelo sacrificante Numa Pompilio descendit, vo- ce sequente quod Roma capi non posset, donec clipeus ille in urbe esset: quo audito undecim alios ad similitudinem illius Numa Pompilius fabricari fecit, ne quis ille descenderat digno- sci posset: duodecimque sacerdotes, qui suspensos ad collum sal- tantes clipeos in sacris ferrent instituit et saltos a saltando appellavit in signum laetitiae : vocati quoque sunt isti clipei ancilia quasi cireumcisa et rotonda. Magister Saliorum erat qui sacerdotibus saliis praeeminebat. Sucerdotes flamines (15) qui erant a flocculo lanae , quem praeeminentiae causa super apice ferebant, denominati. Collegium Augurum ordo hominum prudentum erat qui pro- digiis publicis praeerant. Avv. P. CaPsI. (14) Da questo passo coglie il commentatore occasione di rettificare nella seguente guisa la L. 2. C. de Off. praef. praet. Orient. Formam a praefecto praetorio datam si generalibus sit minime legibus contraria et si nihil postea ex auctoritate mea innovatum est , servari aequum est. (15) E la prima volta che questi due sostantivi sacerdotes flamines si trovano così congiunti insieme. T. XXXVII. Febbraio 16 122 Carte de l’ Afrique septentrionale rédigée et gravée d’après les der- nières decouvertes , par Jerome SecATO. Firenze, 1830, in foglio massimo , entro un quadro di 55 centimetri di altezza sopra 84 di larghezza , coi caratteri di scrittura incisi da Gio. Carlo Castellini ; stampata da Luigi Bardi. Con sempre nuovo piacere ripigliamo la penna; ogni volta che ci viene sortito di dar ragguaglio ai leggitori dell’Antologia di qualche novella opera di autore italiano , il quale provi esservi ancora in questa bella penisola nomini che possono andar del paro coi più dotti, ed i più ingegnosi delle altre parti del mondo in- civilito. E più particolarmente ci consola, che da aleuni anni in quà vadansi nell’ Italia propagando il genio, e lo studio della geografia. sì matematica che descrittiva; in quale ramo impor- tante dell’ umano sapere la nostra Toscana può darsi il meritato vanto di avere prodotto , e di andare producendo opere che non solo possono paragonarsi colle oltramontane , ma le vinceranno ancora per molti riguardi. Mentre I’ utilissima intrapresa dell’Atlante geografico-fisico- storico del granducato di Toscana per opera del sig. dott. Attilio Zuccagni-Orlandini procede verso il sno termine , e che con impa- zienza stiamo aspettando la pubblicazione della stupenda carta geo- metrica, e topografica di questo medesimo granducato, già quasi ter - minata, del dottissimo ed indefesso Padre Giovanni Inghirami delle Scuole Pie, un altro benemerito italiano , nativo di Belluno, ma da molto tempo domiciliato in Firenze, il signor Girolamo Segato, si è occupato di ridurre a sistema le cognizioni più esatte , che fino al giorno d’ oggi si possedevano intorno le parti settentrio= nali, e centrali di quella misteriosa e fatale Affrica, entro la quale tanti intrepidi esploratori hanno trovato la fine dei giorni loro. E ben poteva egli accîngersi, e riescire a così fatta impresa, sic- come colui che corredato era di tutte le necessarie geodetiche ed etnografiche cognizioni, delle quali avea già dato pubblico saggio nelle tavole e nei ragguagli, dati alla luce tre anni sono, d’un prodromo d’opera magnifica quanto importante, in quel tempo annunziato nel quaderno 85 dell’ Antologia, ma che per circostanze poco favorevoli non gli fu dato di condurre al suo termine. Al che si aggiugne , che lo stesso signor Segato ha pure visitato personalmente molte parti del continente da lui ora graficamente delineato con un ingeguo, uu criterio, ed una e ON r____—__—___——_——_—________11__—_—__—_ 1111’. — o I‘ia Lr Le ia precisione che} osiamo pur dirlo, debbono fare non solo a lui , ma bensì all’Italia tutta, il più grande onore. La scala di questa interessante mappa è di uno per 6,734,000 ossia di un decimetro per 673,400 metri del terreno. Lo spazio che rappresenta si estende in latitudine dal grado 2 fino al 34 boreale, ed in longitudine da 3 gradi all’ occidente fino a 48 al- l'oriente del meridiano di Parigi. Così ogni grado di latitudi- ne misura sulla carta millimetri 16,2. Per dare un'idea dei fondamenti sui quali è stabilita, basterà il dire, che ella ha per basi principali quelle pubblicate nei più recenti viaggi di scoperte eseguiti dentro quel continente, confrontate con quelle date alla luce dai più moderni geografi francesi, ingle- si, e tedeschi. E fra la discrepanza delle indicazioni di tanti autori, non è stata poca fatica del sig. Segato quella di assogget- tare ad un sistema uniforme le posizioni dei punti ‘più cospicui della sua carta. Così, verbigrazia , non potendo determinare il sito preciso della famosa città di Tombuctù , ha dovuto conten- tarsi di adottare quello del sig. Brué, nella carta da lui pubbli- cata nel 1828, notando però sette altre posizioni in cui quella città fu collocata da diversi geografi, e viaggiatori antichi e moderni, siccome pure ci fa vedere dieci diverse varianti del suo nome. Cotesta carta del sig. Brué, e gli itinerarii pubblicati dal sig. ba- rone Walckenaer sono, coi viaggi di Denham, Clapperton, e Lan- der , le basi principali di tutto ciò che costituisce la fisonomia e le particolarità corografiche del Sahhara, del Sudan, e della Guinea ; e ciò che soprattutto quì distingue il lavoro del sig. Se- gato da quelli dei suoi predecessori, si è che nessuna posizione di luogo abitato, di fiume, di monte od altro, non vi si trova segnata, e descritta, se non in virtù d’ un cenno positivo di un autore degno di fede. Generalmente parlando, non vi manca nessuna delle località menzionate da’viaggiatori, che da trent’anni in quà tentarono di scorrere, e di descrivere coteste incundite re- gioni. E siccome d’altronde con molto acume, e molta accuratezza l’autore si è applicato a stabilire, nella geografia positiva, le sco- perte fatte nominatamente nell’ ultimo viaggio di Clapperton, e di Lander, le quali non poterono entrare nella carta del signor Brué, così questa parte appunto della mappa in subietto, riede affatto nuova ; e collegata colla linea delle scoperte anteriormente fatte da Tripoli di ponente al lago Ciad, e quindi a Saccatù , presenta agli sguardi dei curiosi , per la prima volta , una serie assai soddisfacente di nozioni corograficlie dei ‘paesi di Jarriba , di Joùri, di Niffé , e di Hanssa. Già si capisee , che invano si e) 12.} cercherebbono in questa mappa molte località , che da tre secoli in quà coprivano le carte dell’ Affrica, stantechè 1’ autore non ba voluto farvi entrare se nun ciò che si conosce effettivamente. Così , a risalva de’contorni del lugo Ciad , e delle strade scorse da Denham e Clapperton, vedonsi delineati pochissimi monti, ed i fiumi stessi non sono più contituati, tostochè finirono di de- scriverli quei viaggiatori. Molte annotazioni storiche , e critiche, collocate quà e là, danno però , sì a questo proposito , che ri- spetto la vera posizione di molti luoghi, e del carattere del paese , e degli abitanti, una folla di schiarimenti, che accresco- no utilmente il pregio del lavoro. Per ciò che riguarda la parte geodetica di questo lavoro non esitiamo punto di assicurare, che avendola con molta atten- zione comparata con tutte quelle degli ultimi esploratori , e colle dottissime combinazioni dedotte dai signori Walckenaer, Jomard Lapie, Van der Maelen , Brué, ec. siamo perfettamente d’avviso, che poco o forse nulla essa lascia da desiderare, rispetto alle attuali nostre cognizioni di cotesto continente. La forma sola del lago Ciad, parrebbe dover essere alquanto più distesa verso l'oriente, se debbono ammettersi le relazioni raccolte da Browne, Lyon ed altri; ma infino a tanto che la cosa non sia maggior- mente comprovata da fatti, e da osservazioni positive ; bisogna che ci contentiamo di quanto ci ha riferito Denham. E per riguardo al tratto di paese, che si estende da quel lago fino al golfo di Benin , ci sorge ora nuova speranza di averne fra non molto più esatta notizia, se sono per essere coronati di successo i nuovi sforzi di Riccardo Lander, testè ripartito con un suo fratello , a fin di recarsi dal suddetto golfo verso il Quorra , onde finire di verificare se realmente sia esso il famoso Niger, e di scoprire dove vadano effettivamente a perdersi le sue acque. Ma le parti della mappa in subietto alle quali 1’ autore ha dato veramente un’ aspetto nuovissimo, arricchendola di molte particolarità preziose , e peregrine, sono l’ Abessinia , e le regioni circonvicine dei Gallas, di Denka o Dinga, e di Sennaar. !l braccio del Nilo detto Bahh-el-Azrac, 0 fiume turchino , che sbocca dal lago Tzana, o Dembea, e quello detto Atborah, e Tucazzé, vi sono delineati a norma delle più esatte osservazioni, siccome lo sono anche le traccie dei viaggi di Poncet, di Bruce, di Burkhardt e dei signori Caillaud, Ricci, Linan, e Ruppell, non che quelle degli eserciti egiziani, che nell’anno 1822 arrivarono fino a Denka sul Bahhr-el-Abiad, ossia fiume bianco, ch'è il vero Nilo d’Egitto, il quale, a pova distanza da Denka, esce da un lago, in cui si | | | 125 versano le acque di diversi altri fiumi, che sembrano tutti ve- nire dall’ occidente, e dal paese degli scellocchi , al mezzodì ed al sud-est del quale debbono essere situati i celebri monti della Luna, che secondo'alcuni geografi, colla loro unione a quelli di Kong della Guinea, chiuderebbono ogni varco al così detto Mi/-e/-Abid, o Nilo de’ Neri, di metter foce nel golfo di Guinea ; ‘opinione assai ingegnosamente , e con molta plausibilità, sostenuta da un dottissimo nostro collaboratore, nel penultimo quaderno dell’An- tologia pel mese di novembre passato (*), anche in fronte delle non improbabili conghietture dal signor Cauchet esposte in una delle ultime dispense della Revue Encyclopédique. (*) In una nota posta in calce del suo dottissimo articolo, il sig. G. P. ha creduto di dovere confutare un’ obbiezione statagli fatta contro i due prin- cipii generali ingegnosamente da lui presunti, l’ uno cioè dell’ inesistenza di monti primarii che diano passaggio a fiumi scaturienti su uno dei loro fianchi perchè poi corrano nelle valli del fianco opposto ; e l’ altro che tutte le acque vadano dalla terra al mare sempre dal lato istesso del fianco delle montagne d’onde fluiscono. Ma quivi debb’essere nato un equivoco. O il sig. Gràberg si è spiegato male, o non è stato bene inteso. Ciò che deduce il sig. G. P. intorno il Gange è tutto assai plausibile, se non che le sorgenti di quel fiume si conosco- no in oggi tanto bene quanto quelle del Rodano , e del Reno , dappoichè il te- nente inglese Herbert, fino dal 1819, le discoprì nelle vicinanze di Gangotri. Ma tanto l’Indo, che pur denominasi Attoc, Nilab, e Sind ( fiume nero ), quanto il Brumaputer (figlio di Brama), che nel suo principio si chiama Sanpu (fiume), sca- turiscono certissimamente nel fianco boreale dell’Imalaia , e contuttociò metton foce nell’ oceano al mezzodì di quella regina di tutte le giogaje di monti pri- marii. D'altra parte l' Indo , che ha due sorgenti principali nel monte Cailas dell’alto Tubet, sempre al norte dell’Imalaia, ed a poca distanza di quelle del Sanpu , trova innegabilmente non solo una ma due gole in quei monti, luna cioè al N. E. del Pengiab a 32 gradi di latitudine, /dove passa il suo ramo me- ridionale detto Setledi o Setlege , e 1’ altro verso il N. di Serinagur nel Ga- scemire, dove, intorno il grado 35 , si apre un varco il ramo principale detto Leh e Singciù, che quivi si precipita dall’antico Imaus, o monte Indo-Kesch, nel Cabulistan, e riunito al Setlege scarica le sue immense acque per quattro bocche nel golfo , che porta il nome comune dell’Indo. Il Setlege nasce nel lago di Ravan , vicino a quello più celebre di Manasarovar, e correndo pri- ma verso il levante, e poi al sudeste, si apre un varco per una gola dell’Ima- laia, tagliando questo monte sotto un angolo di 45 gradi ; dalla quale gola esce a cinquantasei miglia al di sopra di Rampur , città capitale del Basahar , giu- sta le uniformi relazioni dei signori Mooreroft , capitano Hodgson, e fratelli Ge- rard , i quali ultimi lo riconobbero nell’ anno 1818. A poca distanza da Leh, ca- pitale del paese di Ladak, scaturisce, sotto il nome di Le, un altra sorgente del Seilege , parimente al norte dell’ Imalaia. Vi sono perciò quivi non solo una, ma due, o tre eccezioni ai principii presunti dal sig. G. P. Ma tutti sappiamo, che ra- ramente havvi una regola senza la sua eccezione. 126 ‘ Arcora nel Dar-Fur, nel deserto della Libia, nelle Oasi, nella Marmarica, nella Cirenaica, e nelle reggenze barheresche di Tripoli, e di Tunisi, non che nel Fezzan ; e nel paese dei Targhi o Tovaricchi, è stato dal nostro autore fatto uso di tutte le nozioni più moderne e più positive, che gli esploratori ci abbia- no somministrate. A quali nozioni conviene aggiugnere, come altro pregio importante dell’ opera , il vedersi quivi notate con caratteri distinti, le traccie dei viaggi di Browne, dei mamme- lucchi Mohhammed Bej , ed Ali Bej, di Pasciò, dello sceicco Haggi Cassem, di Denham e Clapperton uniti, e di ognuno di essi per sè, e finalmente di Lander; cosicchè, in una sola oc- chiata, si possono discernere, e riconoscere le scoperte da quegli arditissimi esploratori fatte rispettivamente. Un altra indicazione consimile, che avremmo desiderato di trovare in questa carta, si è quella d° una via di comunicazione diretta per le carovane , che sappiamo esistere da Benghazi ed Augela, nella Reggenza di Tripoli, a Wara, città capitale di Salei o Va-dai, senza passare per le contrade dei Tibboi. Di quale strada ci è stata in Tripoli positivamente assicurata l’esi- stenza da mercanti di Augela , che prima dell’anno 1813 erano per essa andati, e ritornati. Oltredichè seppimo pure da un gio- vine schiavo, figlio dello stesso sovrano di Salei, e che. nell’an- no 1827 ritornò al suo paese, ove forse oggidì è regnante egli medesimo , che quella strada passava pei paesi di Uagiunga, di Arna . e di Febabo, e che si attraversavano non solo deserti privi di acqua, ma eziandio montagne , e pianure fertilissime , intersecate da larghi fiumi , e coperte sovente di vaste paludi. Ma non ci fu mai sortito di ottenere, nè da lui nè da’ mer- canti, alcuno itinerario più circostanziato ; tranne 1’ indubitata notizi:, che il nome di Dirkè, segnato sulle carte moderne, era veramente quello di un pozzo, e di una serie di monti per dove passavano quelle carovane. Da quali monti uscivano varii scoli di acqua, che tutti versavano al mezzodì, od al libeccio. La via di comunicazione diretta fra Augela, e Zuela peì monti Harugè e per Hannaba , segnata nella carta del sig. Segato, ci è pure stata positivamente indicata da mercanti augelesi. Rispetto all’ esecuzione calligrafica di questa carta. non cre- diamo di correr troppo dicendo , che difficilmente potrebbe es- sere nè più nitida, nè più elegante. In primo luogo ha saputo l’autore, con una pazienza ed una precisione mirabili, per mez- zo di caratteri di diverse forme , grandezze e giaciture , distin- guere i nomi delle diverse località; e crediamo pregio dell’ope- 127 ra di darne quì un prospettog@ anche per servire di esempio , e di norma ad altri disegnatori, ed incisori di consimili mappe. Nomi di tribù. Carattere tondo , dai francesi detto Ronde. Pozzi , laghi, golfi, deserti. Corsivo inglese. Porti. Stampatello minuscolo piegato. Vadai , o vallate. Stanipatello minuscolo piegato indietro. Oasi. Stampatello maiuscolo piegato, e minuscolo dritto. Cateratte. Stampatello maiuscolo piegato indietro. Monti, grandi fiumi, e città secondarie. Stampatello minu- scolo. Tempii egizit e monti. Stampatello minuscolo minuto. Città capitali. Stampatello maiuscolo dritto. Imperi. Stampatello romano , lavorato, e grande. Regni. Stampatello romano minore ; semplice , o nero. Provincie. Stampatello maiuscolo piegato, di. proporzioniate grandezze. Il carattere generale. Corsivetto. Così parimente sono con molta critica pazienza } e somino nitore distintamente segnate, con apposite figure caratteristiche, le città capitali, quelle di secondo ordine , i villaggi, i mona- sterii, i tempii egizi, le rovine d’ antichità sì pagane che cri- stiane , le piramidi, le fermate o luoghi di riposo nei deserti, le miniere; gli scavi di pietre, le sorgenti d’acqua, ed i pozzi. I quali connotati si ritrovano pure nelle contigue parti dell’ Asia; che verso l’oriente completano la parte superiore della carta, e dove anco nell’ Arabia, e nominatamente nel Nedsjed , o nella patria de Vehhabiti, si trovano diverse nozioni affatto nuove di molta importanza. L’ ortografia dei nomi , che nelle carte ‘oltramontane è sem- pre rara avis in terris , è in quella del signor Segato general- mente correttissima , tranne in pochi luoghi, ove la colpa n’ è probabilmente da attribuirsi meno alla poca accuratezza dell’au- tore , che al fatto innegabile che nessun’ opera dell’ uomo può riescire assolutamente perfetta. L’unica cosa che troviamo ‘a de- siderare nel complesso del lavoro di lui si è , che avendo egli voluto darci una carta dell’Affrica settentrionale , avrebbe dovuto farvi entrare tutta la reggenza di Algeri, e l’ impero di Maroc- co , che sono tuttavia terre quasi incognite , ma intorno le quali si sono avute negli ultimi anni molte informazioni, che merita- vano di essere raccolte, e ridotte a sistema in un’opera di tanta bellezza , ed importanza. PIT: 128 ® Giovanni da Procina tragedia di G. B. NiccoLini. Ancor giovanetto il nostro poeta leggeva nel vecchio Villani (lib. VII, cap. 57): © i Franceschi teneano i Ciciliani e’Pugliesi per peggio che servi, isforzando e villaneggiando le loro donne e figlie, per la qual cosa molta di buona gente del Regno e di Ci- cilia s° erano partiti e rubellati, intra’ quali fu, per la suddetta cagione di sua mogliera e figlia a lui tolte , e morto il figlimolo che le difendea, uno savio e ingegnoso cavaliere, e signore stato dell’ isola di Procita , il quale si chiamava messer Gianni di Pro- cita ec. ,,; e trovava in queste parole il fondamento di gravis- sima tragedia. Indi, vie più eccitato da quelle d°’ altri storici, metteva mano a comporla; ma i greci argomenti, consecrati da tante opere classiche e sì cari alle giovanili immaginazioni , per lungo tempo nel distraevano. Alfine, sodisfatto abbastanza il suo genio per tali argomenti, e fattosi ormai comune il gusto pe’mo- derni e nazionali, tornava sovr’ essa con animo più deliberato ; e l’avrebbe mandata innanzi al Foscarini ideato più tardi, se non avesse creduto di dover prima esperimentare il pubblico e sè stesso con alcun che di men rischioso o di meno severo. Com- piutala dopo tale esperimento , vi facea poi non lievi cangiamenti all’atto di produrla in iscena , ove l’abbiamo veduta per la pri- ma volta la .sera dei 29 di questo mese. Com’ egli non la met- terà alle stampe sì tosto, volendole far precedere un discorso istorieo per ora appena abbozzato , e forse darle polimento no- vello, piacerà senza dubbio a molti il trovarne quì un’ analisi non breve, ov’ abbian luogo frequenti citazioni. Imelda figlia di Procida (atto primo) avvicinandosi omai il giorno è a colloquio con Tancredi suo sposo , figlio del governa- tor di Messina, il francese Eriberto , in mezzo a’sepoleri della fa- miglia (nella cappella del castello di Procida in Palermo ) ov’egli per segreta via suol penetrare fra l’ ombre notturne. Ella cre- de morto il genitore, e piange, per usar le sue frasi, quello che tremar dovea di rivedere. Il cielo, ella dice, « a un’ em- pia gioia o ad un crudel rimorso = serbò colei che d'un Francese è moglie == e di Procida nasce, ec. ;; Ma le sue pa- role offendon troppo Tancredi, perch’ella, pentitane, a un tratto non le tronchi. Tancredi perdona al sno dolore, dice di non aver parte alcuna alle colpe d’ Eriberto , d’ aver ignorato d° es- 129 sergli figlio quando a lei si strinse ec. Io mi credea figlio , ei prosegue , d’° un Guelfo ramingo , che a lui mi raccomandasse morendo , e tanto più mel credea , ch'io crebbi “ ne’ costumi d’ Italia , e l’ innocente - labbro s’ aperse nella tua favella — nella genti! favella onde sì dolce - la parola ti fu. del primo amore. ,, Ella si mostra un poco meravigliata ch’ Eriberto , sve- landogli alfine il padre, nulla a lui dicesse della genitrice. Tan- credi le risponde ch’ Eriberto veramente (il già colpevole or pen- tito Eriberto) ha qualche gran segreto da cui si sente oppresso e che non osa manifestare. Nel maggior tempio di Messina è un chiostro Sparso di tombe : quì volere o caso Ambo un giorno condusse. Era nell’ ora Ghe la squilla ricorda i cari estinti , E sul labbro del pio vien la preghiera E un memore sospiro , allor ch’ io vidi Presso una pietra senza nome i passi Eriberto arrestar, siccome avesse Orror di calpestarla , e poi gittarsi Su quella pietra , affiggervi le labbra E, mormorando fra i singulti un nome Ch’ io non intesi, dimandar perdono. Poi ne sorge ad un tratto, e mi circonda Colle sue braccia il collo, e questo petto Bagna col pianto che dagli occhi abbonda, Chiamandomi suo figlio : io seco piango. Poi che in entrambi quell’ ardente affetto Tanto cessò che il favellar concesse , Io gli chiedea: sotto quel sasso è chiusa La madre mia, la tua consorte ? Ei fugge Inorridito all’ ultime parele Fra i portici deserti , e lo rimiro Coprirsi il volto ed agitar la fronte Come potesse scotere dall’ alma Quel feroce pensier che la tormenta. Imelda raccapriccia a questo racconto. Indi chiede a Tan- credi com’ egli abbia costumi sì diversi, vorrebbe forse dire da quelli del padre, ma per delicatezza dice da quelli degli altri Fran> cesi. Ei risponde d’aver militato fra le schiere del buon Luigi, del qual ricorda le virtù ; di non esser passato in Sicilia che per amore di gloria, e per amore di gloria esser pronto a passare a Bisan- zio. E tu, ella soggiunge, vuoi lasciarmi £ misera e sola ora ch’ io più non sono — cittadina nè figlia ? . . . . ancora ignote T. XXXVII. Gennaio. 17 130 sono le nostre nozze, e se palesi = far le vorrai, lasciar Sicilia è forza. ,, Io quì più non potrei, ella prosegue , alzar la fronte fra le mie uguali, sarei condannata ad udir lo scherno di mille voci che direbbero : costei “ moglie è d’un Franco, si congiun- se al figlio — d’ un Eriberto che il german le uccise, == e sul- l’orme di Procida, che trarre - un dì potea da servitù cru- dele , — mandò le regie insidie , ec. ec. ,.. Tancredi le promette, com’ ella Jesidera , un asilo in Francia , e a dissipare ogni suo timore giura con tutto il fuoco dell’ amor primo , di cui ricorda le dolcezze, che nessuno potrà mai oltraggiarla impunemente. Quindi: oh me beata , ella esclama , se uguale a Tancredi fosse il popolo de’ Franchi! non sarebbe dla questa terra andato esule il padre , non errerebbe quì inulta l’ombra dell’ucciso fratello, io non sveglierei co’ miei gemiti nella notte il mio pargoletto , non vedrei sempre ne’ miei sogni levarsi in armi Palermo , minacciar la sua , minacciar la tua vita , ec. ec. Al che Tancredi re- plica alteramente : Questi sogni funesti abbian le mogli De’ miei nemici: la Sicilia è nostra ; Gredi di Garlo alla fortuna , e pensa Che pietoso co’ vinti esser potrei Go? ribelli crudele : in campo aperto , Fra vicende di gloria e di perigli, Nell’ orgoglio gentil della vittoria , Volontaria pietà nel cor si desta. Sempre colà dove il morir. fu bello Generoso è il guerrier: ma se la plebe L’ armi già nostre nel tumulto usurpa, Fra le ignobili morti i prodi istessi Fa l’ esempio crudeli , e un cieco sdegno Uccide e sprezza. Vorrebbe Imelda celargli i suoi ‘tristi pensieri e si duole di non poterlo. Chiestogli se Eriberto sappia le sue nozze, e udito che potrebbe avergliene parlato, come di cosa futura , un amico a cui pochi dì innanzi ne manifestò il desiderio , ella se ne con- turba , e torna al solito discorso dell’ odio irreconciliabile de- gl’Italiani e de’ Franchi. Tancredi, mostrandosi quì ancor più discepolo che guerriero del buon Luigi , le dice che “ innanzi a Dio non avvi Ttalo o Franco ,,; le parla ‘di “ quella legge che ci vuol fratelli ,,; e raccomandatole il figlio, e chiestole un amplesso, da lei si parte. L’ infelice rimasta sola è in preda a nuovi terrori. Ver- miglio il raggio della nuova aurora == su quel sopolcro , ella di- ce, ama posarsi, e sembra -- l’ armi fraterne colorar del san- O E 7 e 1-2 ti tI gue — che un dì le tinse, ec. ,, Oh se amasti l’ infelice Imel- da , ella prosegue, ‘ perdona o fratel mio !... suona la terra — sotto il sepolcro suo... chi giunge P... tremo , - fuggir vorrei , nè posso. , Quegli che giunge è Procida, di cui ella subito riconosce la voce. Ei giunge per via a lui sol nota, e dopo aver corsa tutta Europa viene a posarsi, dice , presso il sepolcro del figlio. Io quì siedo e non piango. Oh quanto devi A questo avello o patria! esso mi diede Quella costanza di voler feroce Che fa via degli ostacoli , s° inoltra Lieto fra i rischi e mai si volge indietro. Ira di cittadino, amor di padre E i lunghi voti dell’ Italia oppressa Procida ha seco, e gli s’ infiamma il petto Alla memoria d’ un’ antica offesa , Ma sì crudel che vendicata ancora Tacer la dee .... Scorge intanto , com’ ei s’ esprime, una donzella , riconosce la figlia , pensa che tremi per terror vano , la rassicura. Indi , chiestole qual causa la faccia vegliar tra’sepoleri , ah t°inten- do , ei dice “ 1° odio de’ Franchi : in faccia: a questo avello — ov io ti trovo, o sangue mio, non devi — che fremer d'ira e ragionar di morte. ,, Credendoti , ella risponde “ fuor degli sde- gni e delle cure umane ,, io quì venni a pregare per te, “ e dal fraterno - avello il guardo a quel Signore alzai + di cui l’ultima voce era perdono. ,, Ma egli, fisso in suo pensiero, così prosegue : Quel Dio che 1° ire ha dato al verme istesso Condanna la viltà dell’ uom prostrato Sotto quel ferro che i fratelli uccide. Alfin l’ ingiuria onde partì ritorna : Guerra a guerra s oppone e sangue a sangue e era Oh dolce figlia , al genitor perdona Se ti fu causa di dolor... temesti Gh° estinto il padre ti serbasse all’ onta D° estranie nozze il vincitor crudele . . Arrossisci e a ragion... Ma dimmi: il Franco Rispettò la sventura? ... Alcun non venne Ospite armato a funestar la casa Dell’ esule temuto ? Imelda , guardandolo e piangendo , risponde che non vide nemico alcuno. Ed egli , interpretando il suo guardare e il suo r32 piangere , qual segno di sorpresa e di doglia per lo squallore onde il padre è ricoperto, prorompe in parole consentanee al pensier che lo domina, e alle quali dà termine quest’ apostrofe : Non tanto abbietta ritrovai la veste Che alla viltate delle tue sventure Risponda Italia, e così lungo il erine Scender non può che mi ricopra i lumi E li difenda dalla tua vergogna. La figlia chiede intanto di precederlo alle sne stanze, onde, . . com’ ella s° esprime, preparar conforto al genitore cui pianse estinto. Al partir sno ei sente nascersi in cuore non s0 qual so- spetto , e proponsi di vegliare sopra di lei. Indi conchiude : In breve i Franchi Sapran ch'io vivo : rivelar la fronte Sulla lor strage io spero , e verso il cielo, Che non son degni di mirar gli schiavì, Alzando gli occhi io dirò lieto al sole : Non più le messi al vincitor feconda Splendido re delle stagioni alterne , Sorgi in libera terra e più non sii Padre di giorni dolorosi e vili. È Imelda ( atto secondo ) è in una delle stanze del castello e chiede ad Irene sua fida se abbia , come le impose , celato il fi- glio. Ah, questa è l'ora, dice , in cui solea appressarmi al suo letto, e star pensosa a contemplare in esso 1” imagine del padre suo : or più non potrò vederlo che di furto ec. Domanda in se- guito di Tancredi, a cuni vorrebbe che Irene avesse dato avviso di non por piede nel castello. Udito che il darglielo fu impessi- bile, poi ch’ egli era uscito di Palermo, si conturba grandemen- mente. ‘ In ogni evento , le dice Irene per rassicurarla, io là starò donde a te viene ec. ,, Imelda n’è contenta, e mentre prega che a lui si occulti il ritorno di Procida, questi le si fa innanzi. Ei si meraviglia della sua mestizia, della sua freddezza. Ella se ne scusa accagionanclone 1’ apparizione improvvisa del padre in ora e in luogo che gliene accrebbe il terrore. Sorgervi dovea Fra cupa notte (egli replica ) inaspettato , ascoso Come la mia vendetta : or l’ egro core Stanco nell’ odio intenerir si sente Delle paterne case al dolce aspetto ... E rimirai piangendo il sol nascente Della mia patria illuminar le torri, Tutta scoprir Palermo. Ah tu non sai 133 Quante dolcezze ha il natio loco, e quanti Desiderii 1’ esilio , e andar sia grave A quelle case , ove nessun ti aspetta: La patria, Imelda , abbandonar tu puoi , Non obliarla : pellegrino io vidi Città diverse, ma nessuna avea Una memoria che parlasse al core , E d’ogni loco mi sembrò più bella La terra ove tornava il mio pensiero. Ma quì, egli prosegue; attendo il giovane Gualtiero , che tn ben conosci , e a cui infiammano il petto amore e libertà. Or vanne Imelda, e saprai fra poco, quai nuovi vincoli d’amicizia avrò stretti con lui. Gualtiero entra e abbraccia il reduce. Questi gli dice esser giunto il dì promesso alla vendetta , e ponendogli una mano sul core, e sentendoglielo tranquillo : * grande nell’ armi io ti conobbi , soggiunge , adesso == ho certa prova di valor più ra- ro ec. ,, Indi gli chiede qual destino abbian le genti di Napoli onde viene, quali sieno i loro voti, qual la condotta di Carlo; e n’ ha risposte conformi all’ aspettazione. Domanda da ultimo se sia da sperarsi ne’ grandi del regno; ma Gualtiero dolorosa- mente risponde : E volta in uso L’ amara servità, nè li commove Generoso dolor: piange il codardo Che si vantò ribelle : invan quel ferro Che il sacro capo a Gorradin troncava Pende su tutti, e di Provenza un volgo Senza fren di vergogna o di rimorso ( Ghe dal fango natio salire anela Ad altezza di regno) invan lo scherno Alle rapine aggiunge, e col disprezzo Fa le ingiurie più grandi: uno stupore , Che di spavento è misto e l’ alma rende Agli altrui mali e a’ propri indifferente, Prostra ogni core ec. Non per ciò il reduce si sgomenta. Anche dagli oppressi, egli dice , scoppia virtù improvvisa all’ urto delle spade osti- li « qual da gelida pietra esce favilla. ,, Or ne giovi, ei prosegue ; l’istesso insolente disprezze , in che i Francesi ci ten- gono , e che deve precipitarli a gran sventura. Parla in seguito di quanto fece , correndo il mondo , onde suscitar nemici a Car- lo, de’tesori ottenuti dal Paleologo, della flotta chiesta all’Ara- gonese , ec. 134 E pria che il piede Ponessì quì tutta Sicilia io corsi Ignoto pellegrino: i monti ascesi Asilo a libertade , e sulle serve Valli uno sguardo di pietà rivolse Il possente signor : cercai le selve 3 Ne trassi i vili, ed arrossir li feci, Poi successe il furore alla vergogna + Gridai nei lieti campi al buon cultore , Ghe sotto il peso di crudel tributo Casca di fame sul fecondo solco Colla misera prole: apri col ferro A’ Franchi il petto, e più non sia la terra Pei tiranni feconda, ec. ec. Indi; sciolti i dubbi di Gualtiero, che sembra sospettar vili trame, e rispostogli come nel suo pellegrinaggio potè rimanere igno= to, narrati cioè i suoi travestimenti , la sua finta pazzia, ec. « alfin tra voi, conchiude , “ nom ritorno e guerriero ,,. Ma dimmi (replica Gualtiero) a questa Patria infelice che compiangi ed ami Sarà principio di men rea fortuna Dei Franchi il sangue, o muterà tiranni ? Procida, il sai, quì lo stranier si vince Collo straniero , e sotto il peso appena Del nuovo giogo si desìa 1’ antico Per altri infranto : abbiam viltà di servo Poi la perfidia d’ un ribelle, abbiamo Brevi tiranni ma servaggio eterno. Grande qual sei favelli, gli dice Procida, e puoi egregia- mente secondarmi “ se pietà non ti vince e il ben ravvisi —y che si cela nel sen della sventura. ;, Manfredi, al quale fui ami- co , volle far grande ed una la sua patria , onde il Guelfo gli tolse e vita e tomba e fama. Io tento ch’ erede di sì gran dise- gno sia il marito di Costanza , il solo che possa mandarlo ad ef- fetto , che abbia coll’ Italia interessi comuni. Pensa o Gualtiero, gli dice da ultimo, qual sia l’ Italia , ec. Quì necessario estimo un re possentet Sia di quel re scettro la spada , e l’ elmo La sua corona : le divise voglie A concordia riduca , a Italia sani Le servili ferite e le ricrei, E più non sia cui fu provincia il mondo Provincia a tutti e di straniere genti Preda e sepolero: cesseran le guerre 135 Che hanno trionfi infami , e quel possente Sarà simile al sol mentre con dense Tenebre pugna ove fra lor combattono Ciechi fratelli, e quando alfine è vinta Quella notte crudel si riconoscono E s’abbraccian piangendo. Gualtiero , fra i gran pensieri di Procida , appena osa par- largli del nodo che già chiese di poter stringere con Imelda. Ma Procida pensa esser giunto a tal uopo momento opportunissimo. « A molli affetti, ei dice, loco non v” ha perchè ad Imelda è dote — la mia vendetta. testimon la tomba = a’ feri patti, e della man richiesta == il primo dono un brando. ;) Gualtiero in- tanto va a dar avviso del ritorno di Procida ad altri amici, la cui opera gli è necessaria, ad esplorare se siasi desto alcun so- spetto ne’ Franchi, ec. Procida fa chiamar la figlia; ed aspet- tandola profetizza ai nemici imminente rovina e dà plauso a sè stesso d° averla preparata. Giunta la figlia , comincia dal ricordarle la cruda morte del fratello , il velo spruzzatole dal suo sangue, il comando fattole di serbarlo insino al dì che Procida abbassasse la potenza di Carlo e le desse in isposo chi punirebbe Eriberto. Grande , ella dice tremando , è la potenza di Carlo. Ma più grande , ei le rispon- de , è l’ odio di Procida, e le accenna oscuramente ciò che va meditando. ] Imelda Comprenderti non posso : un sol potrebbe Provocar 1’ arme de’ Francesi ? Procida Un solo ? Oggi uno stanco popolo si leva Nell’ impeto dell’ odio , odio feroce Ghe molto il dì della vendetta attese. Imelda Armi... Procida Le diedi io già... tutto al furore . Un’ arme diverrà. Imelda Non dica il Guelfo Ghe i Franchi opprimi in sicurtà di pace. Procida Qui mai pace non fu, chè ha guerra eterna Goll° oppressor l’ oppresso. Imelda Orrida strage... Procida Illustre pugna : il cittadin combatte Con ira invitta e sua : ognun tra i Franchi Il suv nemico elegge ; il sol Gualtiero Quel sen ferisce che gli addita Imelda, Se fra i sepolcri a lacrimar venia Sull’ ucciso fratello. Imelda E può Gualtiero... 1306 Procida Mi duo] che debba ad inegual conflitto Scender quel prode; è d’ Eriberto il braccio Languido per l’ età... se un figlio avesse Quell’ inumano... io lo saprò... tu tremi ? Imelda Pei giorni tuoi... r Procida Questo terror lo lascia D’un Francese alla moglie... or ti prepara Di Gualtiero alle nozze : al prode unita Sensi ripiglierai degni del, padre. Imelda rimasta sola è in preda a crudeli agitazioni. Lo spo- so, il padre , ella dice , verran fra loro al sangue, e invano io vorrò interpormi . .. immenso è l’odio di Procida, eppure è for- za svelargli, or che mi vuole d’ altrui, ch’io son moglie a Tan- credi... andrò io a gettarmegli a’ piedi col mio pargoletto? ... misera ! quel volto gli accrescerà lo sclegno , nol moverà in al- cun modo a pietà, ec. “ 0 re del mondo - mi volgo a te: sei d’ ogni gente il padre. ,, Procida è con Gualtiero (atto terzo) ove trovò dapprima la figlia. “ Tutto arride , egli dice , alla vendetta ch'io facea più lenta — per renderla più certa ,,. Gualtiero parla della spensie- ratezza de’ Franchi, della lor baldanza ec. Procida , traendone occasione dalle sue parole, esce contr’ essi in amarissime invet- tive. E quando Gualtiero , quasi a prova d’ imparzialità , vuol pur toccare qualche difetto d’ Italia : ‘* non la sprezzar, com- piangila , gli dice interrompendolo, punisci = chi cresce. ingiu- rie alla derisa ancella. Indi, volgendo pur sempre, anche al sopraggiunger d’ Imelda , il discorso a Gualtiero , e pur sempre compassionando l’ Italia, parla delle ricchezze spese per comprar nemici a’ suoi nemici, onde a me, dice, ‘ sol questo ferro ed un sepolcro avanza ec. ,». - Gualtiero È tale Imelda Ch” ella a sè stessa è dote, ampio retaggio Pur nel tuo nome avrà. Procida Figlia... tu resti Nel silenzio del duol quasi tu fossi Concessa in premio del fraterno sangue A un soldato di Garlo ? Imelda Oh ciel, che dici ? Gualtiero Non ti sdegnar: Carlo all’ amore istesso Tolse la libertà, chè spose ai Franchi Dà le figlie dei vinti. Procida Itala donna E dei barbari ancella e non consorte. P PI IE TSE O Gualtiero E degna di pietà. 1melda Pur troppo ! Procida Io piango , Piango su lei che in talamo straniero Soffrì l’ ingiuria de’ superbi amplessi , Ma chi lieta lo ascese , e disse io t’ amo A un nemico d’ Itulia , abbia disprezzo Più crudel dell’ offesa , e sia feconda Sol perchè nasca matricida il figlio.... Imelda non tremar : lascia ch’ io scenda Nel fraterno sepolero e da Gualtiero Fede avrai di consorte... Oh certo asilo Dal furor de’tiranni (accicinandosi al sepolcro) accogli un padre Nel tuo gelido seno : ei vi discende D’ un figlio inulto a ricercar la spada - Nella polve ov’ ei dorme, e non invano Viene a turbarla dal riposo antico. Sarà spento ogni Franco: un sanguinoso Mucchio d’ ossa straniere al ciel s’ inalzi , Le strugga il foco e le sommerga il flutto : Al vento non spargetele, chè il vento Riportarle potrebbe.... Gualtiero , rimasto con Imelda, le chiede perchè si mostri sì agitata , le parla dell’ amor suo , non le dissimula di temere qualche rivale, e nel tempo stesso le si dichiara sì pronto ad ogni sagrificio, ch’ ella quasi gli confida il proprio segreto. Ma Pro- cida furente e piangente esce dal sepolcro colla spada del figlio. Come Gualtiero piange al suo pianto : o forte , piangi, gli di- ce “ chè sangue mi promette il pianto — che dagli occhi ti scorre. ,, Gualtiero si affida , com’ ei s’ esprime, di punire l’uc- cisor di suo figlio ; ma vorrebbe esser certo che la punizione sia giusta. Procida non crede di dovergli per ora scoprir la ca- gione , onde il figlio venne con Eriberto al paragon dell’armi : « allor che fia — sanguinoso ogni ferro ec. == saprai l’ ingiuria che lavar col sangue = l’ ira tentò del giovinetto audace. ,, Più valoroso, ei prosegue, ma men forte del Franco, nel primo impeto precipitò di sella e fu da lui ucciso. Pur avea nel volto , che al cadergli dell’ elmo rimase scoperto , “ un immagine tal che forza al core — fargli dovea: vederlo e poi svenarlo — fu per quell’inumano un gran delitto , ec. ;, Gualtiero , udendolo quindi prorompere in più acerbe parole , par che gli rimproveri un odio soverchio. Ma Procida : ah non sei padre, grida ; e l’ ira “ l’ ira che nasce da un tremendo affetto, ec. — conosciuta non hai! se un vil t° avesse - se un Eriberto... ma vendetta in- T. XXXVII. Gennaio 18 138 tera — averne posso: oltraggiator di tanti — talami quel super- bo è in Francia unito — con legittimi nodi e n’ ebbe un fi- glio: — Imelda lo conosci ?_,, Indi chiesto a Gualtiero , il quale come Imelda, ma non ad arte, nega d’averlo mai veduto, s’° ei dimori in Palermo, e udito come il penitente padre spesso lo chiama fra le mura di Messina, abbandonandosi di nuovo alla sua ira contro Eriberto, ah! grida : Nulla dura in colui : mi duol che m° abbia... Mi duol che m’ abbia nella mia vendetta Prevenuto il rimorso... Io poco stimo Queste lente virtù degli ultim’ anni E del vizio ch’ è stanco il pentimento.... Ei pio divenne per viltade , e brama Farsi gradito a Carlo. A quale altare Ei prostrarsi non suole ? Eppur non crede Ghe colpa sia 1’ esser tiranno... Amai To la pietà del buon Luigi, e provo Come l’ odio tormenta : antica e santa Una legge d’ amore in cor di tutti Quella mano segnò che mai non erra : Ma l’ oppressor l’ offende il primo : il Franco Ripassi l’ Alpi e tornerà fratello. Gualtiero dice che nel giorno omai vicino della cercherà Tancredi fra gli altri Franchi. Procida vuol riserbarsi Eriberto, poichè l’ ombra del figlio si sdegnerebbe se colui pe- risse d’ altra mano, ec. Indi, volto prima a Imelda, poi a Gualtiero : Imelda Procida Cingere a lui dei questo brando... ei sia Nelle sue mani più felice... È questa Una memoria di erudel dolore... Ch’ io lo snudi , il contempli , e che lo bagni Prima del sangue di nemico petto La lacrima d’ un padre. Eccolo , Imelda , AI fianco suo lo adatta... Il piè vacilla... Trema la man.... fai quest’ augurio al forte ? Un ferro P.. Ti spaventa , e nelle vene Hai di Procida il sangue ? Or via t’ appressa A questa tomba: un’ innocente destra Intrepida la tocchi : al cavaliero Dirai : signore io fui sorella, e sacro Ho come altar questo fraterno avello : Quì ti porgo la destra e qui ti giuro Fede eterna di sposa. battaglia Ma in questo punto ecco sopraggiugnere Tancredi. Procida 139 il guarda sorpreso , indi gli chiede imperiosamente onde venga, chi sia? / Tancredi ‘E oon qual diritto il chiedi ? Se dagli estinti ritornar potesse Procida... Procida» Ai Franchi esul tremendo. Tancredi I Franchi Non fe natura di timor capaci: Carlo sprezzò quel sno. ribelle , ed io... Egli fu padre... io lo compiansi. Procida Altero! Se il dolce suono della tua favella, E l’ira che nel petto ancor mi tace, Non palesasse che tu sei guerriero Dell’ infelice Italia, io dall’orgoglio Ti crederei Francese. Imelda si sforza di persuaderlo ch’ è un Guelfo, il qual la protesse dalle nemiche insidie ec. Procida , benchè vie più inso- spettito da altre parole che soggiunge Tancredi, mostra di credere. Indi a tentar l’ animo del giovane : Fu la patria comune assai divisa Fra due nomîì funesti: or Carlo opprime E Ghibellini e Guelfi: è sì erudele La licenza de’ suoi, che forse è stanca Golla nostra viltà la sua fortuna. Tu sai che sempre a libertà vicino È l’ultimo servaggio: abbiam degli avi Ogni virtù perduta, e non ci resta Ghe la speranza negli altrui delitti. Oggi, o ch'io spero, per un solo istante L’ odio ci unisce: anche un istante è molto Nella vita d’un popolo: si frange Un insoffribil giogo e poi si tenta Opra maggior, se fia che ai primi onorì Quegli occhi inalzi che viltà le grava L’antichissima serva: un grande esempio Noi qui le diamo: alfin d’Italia i brandi Un sangue bagna che non è fraterno. Dalla franchezza delle mie parole , dal terror di mia figlia, ei dice in seguito, già tu argomenti chi sono. Erri però se mi credi incauto : ‘* esser tu quì non puoi = che una vittima o un complice ,,: non uscirai se prima non riveli il tuo nome. Tan- credi risponde fieramente che saprà aprirsi una via col brando. E aciò che Procida aggiunge, minacciando ‘ nel dì vicino la comun vendetta ,, risponde parole fierissime contro l’ Italia. Quindi Gualtiero : “ investigar non giova , gli dice , se il ver ?40 parlasti : in questa guisa il dice = un nemico d’Italia : alla sua madre — così non parla il figlio , ec, ,, e finisce col chiamarlo concittadino d’ Eriberto. Tancredi non nega d’ esserlo , e senza voler scusare, com’ei s’ esprime , i falli di quell’ uomo, dice di venerare in lui il pentito “ che l’ire ed ogni umana — cosa oblia- va 39. Quindi Procida fremente : “ men l’ odierei, s’egli m’odiasse : iniquo ! == ei m° offese e non m’odia? in lui virtute — esser non può: giorni tranquilli ei brama — e non m’abborre perchè vuol riposo. ,, Tancredi allora si dichiara apertamente figlio del- l’ offeso, e snudata la spada, e accostatosi ad Imelda vuol trarla seco dal luogo ove si trova. Dopo altro dialogo , tremendo spe- cialmente per le parole di Procida , Imelda disperata: si dichiara consorte a Tancredi, che il padre ha chiamato un seduttore. Però questi esclama: “ iniqua donna — più di colui t’ aborro; ah trema il ferro — in questa man: non la pietà ma l'ira — d’ ucciderti mi vieta ec. ,, Indi avvertito da Gualtiero che l’ ira è vana, e giova pensare a maggior vendetta : “ il ver dicesti , aggiunge , figli non ho ma patria. ;, Chiama quindi alcuni vassalli perchè disarmino Tancredi e lo tengano disgiunto da Imelda. Que- sti cede volontario il suo brando a Gualtiero, che promette di renderglielo nel giorno imminente di quella guerra che i ti- ranni han fatta -- necessaria. ,, Allora Procida rimasto solo con lui, dopo breve e doloroso silenzio : O mio Gualtiero , Passò la gloria del mio sangue, e deggio O la vergogna piangere o la morte De’ miei più cari... E come può sul labbro Aver d’Italia il numeroso accento Un figlio d’ Eriberto ?.. Oh qual mistero !.. Ma non è tempo di privati affetti E vinto sia dal cittadino il padre. Gualtiero (2tt0 quarto) annuncia a Procida , il qual si trova di nuovo fra i sepolcri di sua famiglia, gli amici aspettati, Pal- miero, Alimo, Corrado, ec. “ To non vedea Palmiero, dice Procida, dopo l’ eccidio ond’ è deserta Augusta ,, Gualtiero gli accenna come quel forte vi perdè moglie e prole. ‘° Oh lui fe- lice! replica Procida, più non è padre... ma nel cor si prema - l’alto dolor: quì sono ,,- Accoltili come a lui si conviene, comincia dal dir loro di che viltà l’ oppressore accusi gli oppressi. Ma, prosegue, darà Sicilia alla superba accusa — una risposta ch’ ogni età ricordi ,.. Intanto si proceda cautamente e si andrà più sicuri: “ sia l’ ira in voi pronta, erudel, ma chiusa — come le fiamme che respin- i4i ge il vento — negli abissi dell’ Etna, ec. ,;- Palmiero più cauto insieme e più impaziente di lui : prima s° uccida;, esclama, e poi si parli ,.. Alimo è d’altro parere chè nel cur discen- de , ei dice, l’ infiammata parola e chiama al sangue — l'ira de’ forti. ,, Poeta ricorda l’aborrimento di Carlo pei siculi poeti, e vuol che s’° oda un canto “ ai tiranni fatale ec. ,, Ma Pal- miero : “il tempo, replica fieramente , vuol ferro e non pa- role ;,; di che Gualtiero sembra sgomentarsi. Ei ricorda come « venne di Provenza un giusto -— il buon Guglielmo ,, e pre- ga che almen egli rimanga illeso nell’ eccidio de’ suoi: “ fa- moso esempio , dice , sarà nell’ ire d’ una gran vendetta ri tener Ja giustizia ,,, Ma Alimo dubita assai che ciò sia pos- sibile: ‘ o ne trasporta o ne abbandona il moto = d’ un’agi- tata plebe: è tutto o nulla + il capo d’ un tumulto ., ec. ,, Allor Palmiero nell’ impeto del suo odio: “ a imaginar non ba- sto = che mi possa seguir non che precorrere = l’onda temuta del furor plebeo ,.. La sventura , ei prosegue, mi fè si cru- dele , che non potrebbe “ per un istante solo in questo petto — entrar pei Frauchi una pietà furtiva ,. Com’ egli accenna la strage d’Augusta, Gualtiero non vorrebbe che rinnovasse colle sue parole l’ orror di quell’ evento. Ma Palmiero : tu fosti pa- dre , dice a Procida (obliando che gli resta Imelda, nè potendo imaginare ciò che a lui suoni quel fosti) mi ascolta. E qui toc- cate le crudeltà di quella strage, onde rifugge la sua memo- ria, si fa a narrare‘ un orribil delitto a cui la fede — man- cherà de’ nipoti ,,; delitto ond’ egli non è più nè marito nè pa- dre ; delitto al cui racconto è unanime in quei che lo ascol- tano il grido: “ mora il Francese, mora! ,, Quindi Procida, trattili presso l’altare, chiede che il grido comune diventi co- mun giuramento , e ne chiama in testimonio l’ombre sdegnate che sente mormorare ne’ commossi avelli ec.; onde quest’uscita - di Palmiero : Perchè solo quell’ ombre ? Anime illustri Avvezze i sonni a sgomentar di Carlo In vigilata reggia , a noi’ venite: L’ ira vi chiama dell’Italia oppressa , Dei genitori e delle madri il pianto , Il terror delle vergini infelici , Che fra i ceppi son tratte al vitupero , Il grido de? fanciulli e tanto sangue Che qui fu sparso e che lassù si pesa» Sì che già stanca è” la giustizia eterna. Come, Gualtiero frammette al giuramento parole di mitezza, 142 che sembran di rampogna per gli altri, e Alimo se ne lagna; Procida, quasi dubitando se sia per riescire la meditata im- presa, esclama : € ah siam discordi == e non vincemmo anco- ra! ,, Bentosto però assicuratosi dice come scelse a tanta im- presa e loco e tempo e mezzi, i prati cioè che si stendono di- nanzi alla chiesa di Santo Spirito poco fuori della città, l’ora di vespro del giorno medesimo (il secondo dopo il suo ritorno) quando i cittadini per antica usanza vi saranno adunati e Dro- vetto sprezzator dell’ Italia e prodigo d’oltraggi ai vinti ne avrà la guardia, infine il tocco de’ sacri bronzi, che un suo fedele nascosto nella torre della chiesa promette all’uopo, gli eccitamenti di Palmiero , d’Alimo e degli altri frammisti alla moltitudine, e la cooperazione di Gualtiero , che verrà a sostenerla co’suoi vassalli. In mezzo al qual discorso , chiedendo Alimo ciò che far si debba “ se l’ira invano -- aspettasse gli oltraggi , Procida nel suo entusiasmo (passo udito soltanto alla sesta re- cita, che già si è fatta della tragedia mentre a febbraio comin- ciato vo continuando l’ articolo ) grida generosamente ; Incerta fama Corre di me nel volgo ; or voi spargete Che del mar la fortuna a questo lido Me spinse ai Greci messaggier di Pietro , E m'hanno i Franchi ucciso: in me volgete Concordi alfin le spade: e poi reciso Questo misero capo, e a un'asta infitto , Dia fede ai vostri. detti e sia vessilio Al furor della plebe. AI’ uscir di Palmiero , d’Alimo e degli altri, Gualtiero si trattiene un istante, per chiedere a Procida che voglia udire Imelda. Procida risponde ch» il deve, poichè gli giova inve- stigar per suo mezzo i segreti d’Eriberto ancor più nemico di Sicilia che suo. Indi rimasto solo : Un’ opra io tento Orror di molli età: queste diranno Che a ciò mi spinse nimistà privata. Ma fui solo all’ ingiurie ?_ Offeso io volli... Volli così che ottenni... Iminensa è 1’ ira Qui al par del flutto che ne cinge... ed io Nel tumulto sarò l’ onda primiera Ghe allo scoglio s’ avventa in mar sdegnato. Imelda intanto comparisce. Nuora del mio nemico, ei le dice al primo vederla, se mercè mi chiedi, da quel sepolero scostati. M” uccidi, ella risponde : lo abbraccerò morendo : il 143 fratel mio, ch’è in seno al vero, sa che sono men rea che sventurata, ec. Al che Procida fra sdegnato e commosso: Pietà non meîti: io già t’amava e fosti Tu la figlia diletta in cui mi piacqui E ti dissi piangendo un lungo addio , Allor che il voto della mia vendetta Mi fè gir pellegrino, e avea nell’ alma Figlio della sventura ‘un gran pensiero , La libertà d’Italia. E quando io sparsi Della mia morte il grido , io nella mente Fisa l’imago avea del tuo dolore All’ amara novella... E tu crudele Non aspettavi il padre e dell’ esilio Tu non contavi sospirando i giorni... Ad ogni vela che sorgea dall’ onde Tremò l’empia sorella, e fra le braccia Della prole d’ un Franco era alla figlia Un lieto sogno la paterna morte. Deh! odi le mie discolpe , gli dice Imelda ; poi rivolgi il tuo ferro in questo seno. Tu qui mi lasciasti orfana e sola ec. Io cre- dea che pietà di sorella e amor di figlia bastassero a difendermi dalla possanza di funesto affetto: non sapea “ misera! che d’ un cor tenero e mesto == dolce necessità fu sempre amore ,,: se per prova lo intendi, prosegue , e cara avesti lei che ti fu con- sorte ec. Ma qui Procida , interrompendola , parla del tuo de- litto , le grida: come amar potesti chi nascea d’Eriberto ? Imelda gliel dice , e poichè ciò non giova punto ad accrescerle la spe- ranza del perdono , esce in queste dolorose parole: “ oh se vi- Vesse == la madre mia , nasconderei la faccia == nel sen che mi nutrì ,,. Procida Taci. Imelda Tu fremi Della consorte al nome : a chi mi volgo Figlia infelice se invocar non posso Così dolce memoria ? Procida Iniqua , ascolta... La madre tua... Imelda Qual colpa? Procida Ella non seppe Pria ch’ esser rea morire... Ah no perdona Alma diletta !... Eri innocente... Il vile... Imelda Chi mai? Procida Quel vile che, m’ uccise il figlio , Che vendicar tentò l’ onta materna , Mi rapì la consorte. 164 Imelda Gli orrori vi son pur troppo ; e maggiori che Procida stesso non imagini. La madre d’Imelda , com’ ei le narra, piacque sven= turamente ad Eriberto il di ch'ella andò a chiedere a’piè di Carlo un perdono che Procida non chiedeva. Nulla potendo sperare dalla seduzione , il Franco ebbe ricorso alla violenza, rapì la moglie al marito . Questi andò a nascondere il suo dolore in solitario albergo non lungi da Messina ancor non retta dall’ infame ra- Oh Dio! vi sono Altri orrori per.me ? pitore , ec. Imelda Procida Imelda Scorso non era un lustro ed io sorgeva Pria dell’ aurora dall’ ingrato letto, E in vano sogno la rapita moglie Cercato avea colle deluse braccia. Ma sulle soglie del fidato ostello Sento a’ miei piedi inciampo' e 1° occhio abbasso, Ghe. l’ imagin del sogno. ancor ritiene. Oh Dio che rimirai! la mia consorte Sul limitar caduta, ec........... Î languid’ occhi appena Aprì la sventurata e. mi:conobbe , Ghe colle mani si, coprì la faccia Che le inondava il pianto e non sofferse: Gli amplessi del marito ec... .. dita Ella sottratta S’era all’impuro , e fino a me. giungea Mendicando la vita: una riposta Oscura stanza la dolente accolse: Qui si nascose a tutti, e a se contese Dei cari figli il desiato aspetto. Povera madre ! I giorni afflitti ed egri Presto il dolor troncò : vicina a morte Mi chiamò l’ infelice ; e fissi al suolo Quegli occhi onesti che nel mio sembiante Mai non alzava dopo il suo ritorno, Dopo lungo silenzio e molti accenti Rotti dal pianto, con voce tremante A dirmi incominciò : 1’ altrui delitto... Ma seguir non potè... chiuse la morte Quel labbro che s’apriva a un gran mistero... Arrossiva' è spirò. Dove riposo Hanno l’ ossa materne ?_ ah là mi guida E sulla tomba sua l’iniqua ‘figlia Uccidi o padre: io del mio sangue aspersa “ek ciro Bacierò questa mano, e là, ti voglio Ghieder mercè d’ un innocente .... Procida Imelda , Lungi è Messina, e nel suo tempio un chiostro. Imelda CGhe ascolto io mai ? Procida Le violate spoglie Chiude una pietra che non ha parole ; Ma spento ogni Francese onor di tomba Avrà la mia consorte, e allor nel marmo Io scriverò l’ ingiuria e la vendetta. Irene reca il figlio d’ Imelda, che prega il genitore a sal- varlo. Ma Procida, vedendo in lui l’abborrito aspetto dell’ avo, nulla vuol promettere, e Imelda è disperata. Giugne intanto Cor- rado presentando un foglio ; che da un messaggier| d’ Eriberto si recava a' Tancredi, e per sospetti gli è stato tolto. Procida l’apre, impallidisce , trema leggendolo ; indi prorompe in queste fulmi- nee parole : “ luugi 1’ ancella e la nefanda prole. ,, Quel foglio ha tratto fuor della tomba un gran mistero. Imelda, a cui il padre lo porge, non può fissarvi lo sguardo che il pianto le oscu- ra. All’udir dal padre ciò che vi è scritto, vien meno; e il pa- dro esclama : “ oh sventurata figlia! ella in Tancredi —- il suo fratello amò. ,, È voto comune della figlia e del padre che l’or- ribile scoperta rimanga a tutti ignota. .La figlia brama ricoverarsi in qualche sacra solitudine. Il padre gliene destina una in Pisa,, ove la condurrà tosto, egli dice , poichè ogni indugio è periglio, un suo fidato ; che recò pocanzi ascose 1’ armi, che danno li= bertade ai forti ,, e già è pronto a scioglier dal porto. Ella. vuol di nuovo intercedere pel figlio, per Tancredi. Il figlio , le dice Procida , andrà sott’ altro cielo : “ tenero è ancor, oblierà., lo spero = de’ genitori il nome ,,. Tancredi frattanto rimanga cu-, stodito : “ quando tra la Sicilia e i suoi tiranni -= avrà. deciso il brando, a lui prometto = agevolar la fuga ,,- Procida Or va, mi lascia. Imelda E perchè mi respingi! Procida Un breve tempo Da Vespro... Imelda In quell’ora... Procida Ora trmenda. Palmiero , Corrado , altri de’ loro (atto quinto) sono a collo- quio su’ prati della chiesa di Santo Spirito ( donde si scorge Pa- lermo , il mare, ec.) mentre più quà e più là un popolo ognor crescente va passeggiando. Palmiero dice d’ essersi aggirato fra questo popolo onde tentarne gli animi : era in esso mestissimo si- T. XXXVII Gennaio. 19 146 lenzio , or gli succede un’ ira piena di speranza ,,. Corrado anch’ egli assicura che il fremito d’ ogni labbro manifesta il tu- multo de’cuori , ch’ “ ove fu la preghiera è la minaccia ,,: è però fermo, soggiugne, che nulla si tenti senza di Procida, Al che replica l’ altro : invano temi che alcuno il preceda : in questi casi ciascu- no aspetta l’ audacia del vicino ; ec. Ben parli, dice quindi Cor- rado ; e par che voglia giustificare in-“sè stesso certa esitazione : “ io nel pensiero == vo librando timor, speranze e casi — e.il de- stin che può tutto. ,, Quindi Palmiero con veemenza: “ anime ardenti = chiede una patria oppressa : allor si puote — quello che s’ osa ,j. Corrado teme che il Franco sospetti ciò che gli si prepara. Ma Palmiero è ben sicuro a questo riguardo : “ levan- do in vanità la fronte altera — ognor procede lo stranier tiranno — sui popoli calcati e non li mira == che quando ei cade. ,, Cor- rado è inquieto di non vedere Alimo, di non udir per anco il canto da lui promesso de’ siculi poeti. Palmiero gli dice che lo ndrà fra poco , quando sarà più lungi Drovetto, che quel giorno comanda a’ Franchi posti a guardia del luogo, e il solo fra essi che non sia ignaro dell’ italico idioma. Ah! sì, soggiunge Cor- rado , ‘a lor mercede siamo costretti a dimandar col pianto. ,, AI che 1° altro fieramente ; ‘ si parlerà col ferro, ec. ,, Giugne ‘intanto Alimo e annuncia con gran turbamento come Ubaldo , il fidato di Procida, mentr’. era per salpar da Palermo , ne fu; per nuova legge che ciò vieta, or che Carlo aduna uomini’ e navi per passare in Grecia , impedito da’ Fran- chi, indi, nata rissa tra Franchi e Siciliani, ucciso , e presa sulla sua nave una donna, a cui le bende “ più che l’ uso non vuol celano il volto +; Procida ; ei prosegue , non sa nulla di ciò, poi ch’è altrove ad affrettar gli aiuti di Gualtiero . Ma vien Drovetto, confondiamoci col popolo e stiamo osser- vando . Con Drovetto è Sigiero , altro. capitano , il qual non gli occulta che la rissa avvenuta gli dà qualche apprensione. Dro- vetto il deride , accertando che il solo pisano Ubaldo seppe combattere e morire, e più cose aggiugnendo in dispregio de- gl’ Italiani. L’ altro allora narra d’ aver udito la scorsa notte nel castello di Procida, che si vede a certa distanza , lamenti e grida e suono d’ armi, onde tere che il nemico di Carlo ancor viva. Chiede quindi, malgrado‘ le derisioni di Drovet= to, d’ andar con buona mano d’ armati ad esplorare il castello. Intanto , dice Drovetto', pur sempre schernendolo , io vo ad esplorare chi sia la fuggitiva : qui restino poche guardie e ba- = TZ SL ENI IA IO, OTO, Iron. e er, ——e = P sno: Siti sn Tae rene 147 stano : € il molle canto — di cui tanta vaghezza ebbe Man- fredi — quì suoni pur siccome è d’ uso: io ‘sprezzo — gente loquace ec. ,, Ma il canto de’ siculi poeti questa volta non è molle. Esso è tutto del tenore di quella strofa, che udita una volta non potè più essere dimenticata : Io vorrei che stendesser le nubi Sull’ Italia un mestissimo velo : Perchè tanto sorriso di cielo Sulla terra del vile dolor! Al qual canto si aggiunsero poi nelle recite successive alla prima (quando alla musica non' abbastanza opportuna all’ ef- fetto , sebben composta da valente maestro , fu sostituita la declamazione ) altre strofe di diverso metro : le une tratte , suppongo, da un coro in morte di Corradino, cantabile , di- cesi, fra atto e atto, come quello del Carmagnola .e il pri- mo dell’Adelchi, le altre da un coro di donne , che, secondo un concetto primitivo del poeta, avrebbero dovuto venire in iscena sul principio del quinto : Le Siciliane vergini Serbate ai vincitori La fronte non adornino Degl’ infelici fiori, ec. ec. Delle viole adorno Il nero crin sarà, Che spunteranno il giorno Di sangue e libertà, Il canto de’ poeti è più d’ una volta interrotto dall’ ar- dente Palmiero . All’ udir ricordare da loro i campi.‘ che fè il sangue in Augusta vermigli, ,, Ivi (egli grida) non ebbe Pietà di debil sesso o d’ anni imbelli Il Franco inesorabile: s° alzava La mano aspersa del materno’ sangue E il suo cenno era morte; e allora usava Di scherzar fra i delitti, e avea faceta Pur la parola che comanda il sangue. Cessato il canto, nè sembrandogli che il popolo ne sia mosso abbastanza, si assume egli in certo modo l’ officio di poeta , e narra questa parabola, che udimmo alla sesta recita ed indi all’ altre che seguirono: 148 Palmiero Presso Palermo Vidi un cammello dal Soldan d’ Egitto Mandato in dono a Federigo. Popolo Illustre Padre del buon Manfredi. Palmiero Amici è colpa Il ricordar Manfredi, aver 1) immago Di Corradino... ma le mie parole Non son degne di pena... Io già credea Che il più vile animal fosse il cammello: Ei volontario schiavo al suolo inchina Le docili ginocchia e lo diresti Nato alla servitù. Popolo Ma l’uomo avanza In forza ed in grandezza: a lui minore Si fa quando s°atterra, Alimo È. E sono i Franchi Di noi più grandi perchè siam prostrati : Alziamoci ! Palmiero Silenzio. È quel: cammello Venuto arch’ esso in signoria di Carlo. Oltre 1° usato un condottier francese Aggravarlo tentava. Popolo E allor che fece?... Palmiero Non giacque a terra com’ è suo costume , Ma, oh meraviglia! si levava, e parve « Basta ,, sclamar sdegnato, e a un tempo scosse La sua vile natura e il peso ingiusto. Popolo Generoso! Palmiero Godardi! un dì morrete Sotto incarco più vil, ec. ec. Alle veementi parole di Palmiero , che va rimproverando al popolo la sua indecisione, taluno esclama : Sicilia è sempre a mutar giogo avvezza = coll’ eterna viltà della speranza -— in un brando non suo: ma se vivesse = Procida! ,, Al che replicando Alimo , che più d’ uno si disse estinto, il qual tornò in patria d’ improvviso, e ai suoi nemici “ al par d’ un astro balenò che sorge = in procellosa notte ,, vane speranze ! sog- giunge un altro, « ahi Procida morì! ,» “ Procida vive ,, s’ ode allora smonare una voce, la voce di Procida stesso, il qual si presenta, onde il popolo grida : « la strage de’tiranni è certa ,,. Indi parole fortissime di Pro- cida al popolo ; parole impazientissime di Palmiero , a cui par troppo indugio l’aspettar 1’ ora de’ vespri assegnata alla strage ec. Procida non sa ancora nulla nè d’ Ubaldo nè d’ Imelda. Pal- miero gli annuncia la morte dell’uno , e, per ciò che gli ac- 149 cenna della donna velata ch’era con lui, gli fa intendere ab- bastanza la sorte dell’ altra. Intanto apparisce Drovetto , che seco la conduce: Procida, scorgendola, non può trattenere un’ esclamazion di dolore: il popolo ne è commosso ; ma ei lo raffrena, e mentre Drovetto e Imelda stanno parlando , gl’im- pone silenzio. Drovetto vuol sapere da Imelda qual pietà, qual consi- glio ec. le facesse lasciar Palermo: ‘ io più non credo — Pro- cida estinto: è quel ribelle ascoso == in isola vicina, e là co- spira = col vile Aragonese: invan t’ aspetta: — pegno mi sei del suo terror ,,. Al che mentr ella risponde esitando : “ or- fana io son pur troppo, e nulla omai — qui resta a un’infelice ,, giunge Sigiero in compagnia di Tancredi. Fi dice pieno d’ ansietà a Drovetto che i suoi sospetti pur troppo non eran vani: che salì ratto al castello di Procida, entrò a forza, poichè gli si contrastava l’ingresso, ed ivi trovò prigioniero Tancredi. Imelda all’aspetto del giovane si mostra assai commossa, e Procida accostandosele all’orecchio le ricorda il giuramento. Si- giero intanto prosegue come, lasciando il castello, vide alzarsi dalla valle sottoposta un nembo di polvere, che nasconde al- tri guerrieri che Franchi, e a cui moveva incontro uno, stuolo fuggitivo dal castello medesimo , ec. A queste parole Procida dice a’ vicini: “ ivi è Gualtier; l’ora del sangue è giunta. ,, Drovetto allora, imposto a Sigiero di accorrer tosto a disperdere que’vili, contro cui sarà più che potente “ il lampo solo del- l’ acciar francese ,,; aggiunto che a frenare un volgo muto « cui l'antica paura al cor ritorna ,, basta egli solo ec. si volge a Tancredi per chiedergli com’ egli venisse in forza al- trui, come si trovasse nella casa dell’ esule ? Tancredi risponde d° esser consorte ad Imelda, di che il popolo fa alta meravi» glia. Drovetto, vedendo tremare Imelda, ne argomenta la pre- senza di Procida. Ella nega questa presenza, nega il vincolo con cui Tancredi asseri d’ esserle congiunto. Questi le dice do- lorosamente : “ dopo sì lunghi affetti — puoi lasciarmi, crude- le, eppur sei madre! ,, Palmiero grida : calunnia! ,, Drovetto dice a Tancredi, che ove sappia da lni chi fra tanti, che so- no all’ intorno , sia Procida, gli dona o gli rende la schiava ; e poi che Tancredi tace vuol trar seco Imelda a forza. Procida allora gli vibra un colpo mortale, dicendogli: a questo colpo — Procida riconosci. .,, E seco pera ‘ il mentitor, l’ iniquo ,, soggiunge impetuosamente Palmiero, vibrando un colpo a Tancredi, 150 Imelda Oh Dio! t’ arresta È mio pur troppo... Tancredi O disumano! Imelda Muoro per te... donami almen... 1’ estremo Bacio d’ amor... Imelda Non deggio, a' me fratello Ti fa la madre... Tancredi Oh, ciel che ascolto !... io spiro. Imelda Oh Dio!... l’uccisi... e mi accusava... 10 manco. Procida Popolo, amici: a che vi rende immoti L’ orror del fallo ? opra è d'un Franco e nasce Dai talami oltraggiati. Or sulla figlia Pianger non deggio , e questo ferro ‘innalzo... I sacri bronzi udite: io grido il primo Mora il Francese, mora. Gualtiero (che sopraggiunge co’ cassalli) All’ armi ! Popolo AU’ armi! Due pensieri, succedutisi 1’ uno all’ altro, sembrano ‘aver guidato il poeta, nella composizione di questa tragedia: 1’ uno corrispondente alle tevrie secondo le quali 1’ Alfieri componea la Virginia , l’altro a quelle secondo le quali lo Schiller componea il Guglielmo Tell. Dapprima, s’ io non m’ inganno , il poeta non si propose di rappresentare che un’azion privata , causa principale o compendio delle cause d’una grande azion pubblica , la qual non si vedrebbe che da lungi e nell’ ombra. Poi volle che anche altre cause fosser poste innanzi agli occhi degli spettatori, e la pro- spettiva dell’azion pubblica venisse per così dire avvicinata, Indi i quattro primi atti della sua tragedia, entranti l’ uno nell’ altro ed omogenei fra loro ; poi l’ultimo alquanto staccato e differente , ed ove pell’uopo della rappresentanza si son fatte, mi si dice, non piccole variazioni, abbreviando le scene popolari e ricondu- cendo al più presto in iscena Procida e la figlia, ne’quali si concentra quasi tutto l’ interesse. Io non ho bisogno di dire (poichè le mie opinioni, qualun- que sieno , in materie teatrali sono ai lettori di questo giornale abbastanza note) che un piano tragico in cui si mostrassero sin da principio, e non per mezzo soltanto di narrazioni, tutti gli elementi dell’insurrezion siciliana, mi sarebbe piaciuto più. di qualunque altro. Anche nel piano prescelto dal nostro poeta l’inevitabilità di questa insurrezione poteva rendersi abbastanza evidente. Nell’ altro si sarebbe resa evidentissima ; nè Procida in atto di duminare gli elementi già detti sarebbe apparso meno grande. i RE ZI 151 Nel piano prescelto dal poeta egli ha bisogno di giustificare ciò che va preparando contro i Francesi: diranno le future età « chea ciò mi spinge nimisità privata: — ma fui solo alle of- fese? ,, Nell’altro sarebbe giustificato dallo spettacolo stesso di queste offese molteplici, e dall’ ire concordi. d’ogni classe. di cit- tadini. i L’ offesa personale, di cui secondo il piano prescelto egli aspira alla vendetta, è veramente odiosissima. Ma essa è già lon- tana , e ci commove assai meno che se fosse recente e noi ne fos- simo testimonii. Nell’ altro piano le offese fatte a molti e. poste sotto i nostri occhi servirebbero a renderci quasi. presente la. sua, o almeno a più ravvivarne in lui e in noi medesimi il sentimento. Essa potrebbe anch’ essere in certo modo continuata dalle vio- lenze di qualche complice o amico d’Eriberto ,, per, esempio di quel Saint-Remi allora vicario regio in Palermo, che la storia (v. in mancanza d’ altri libri 1’ ultimo capitolo del 3.° volume delle Repubbliche del Sismondi) pone fra i degni successori dello Stendardo , il gran carnefice de’ Siciliani. Non potendo il nostro poeta nè render presente, nè ravvi- vare quanto forse gli bisognava nel nostro pensiero l’offesa già fatta a Procida, studiò di mostrarcela viva e gravissima nelle sue conseguenze. Quindi le nozze incestuose da lui ideate, e a cui ha sagrificato per ragioni d’arte e non senza autorità d’ esempi classici le ragioni cronologiche, secondo le quali chi nacque dopo la sconfitta di Corradino non può nè aver seguìti i vessilli del buon Luigi, nè verisimilmente esser marito e padre il giorno della gran vendetta contro Carlo. Le ragioni vere della storia ei le ha molto avvedutamente rispettate , come apparisce abbastanza dalle citazioni inserite nell’ analisi della tragedia, e apparirà ancor meglio dalla tragedia intera. Poche particolarità istoriche,, non dico importanti all’ a- zione , ma giovevoli al suo colorito , sono state da lui trascurate’; nè io quì saprei additarne altre che l’ aiuto promesso da’ Venezia- nia Carlo per l’ impresa di Grecia, o il timore de’ Siciliani che le forze adunate contro la Grecia fossero adoperate contro la Sicilia. Alcune assai celebri, come 1’ ambasceria siciliana a Mar- tino IV , l’ imprigionamento degli ambasciadori all’ uscire di con- cistoro ove sedeva anche Carlo, altre , di cui i pratici. de’ nostri annali possono stupirsi di non aver udito alcun cenno, si trovano, mi si dice ,.in que’ passi che sulla scena furono sacrificati al bi- sogno di certa rapidità. Ma quello in cui si manifesta maggiormente lo studio ,che 152 il nostro poeta ha fatto della storia ; è la pittura de’ caratteri e del principale in ispecie. Taluno a prima giunta potrebb’ essere tentato di credere il carattere del suo Procida più ideale che ve ro. Ciò che il Procida di Delavigne non è che in due scene , la sesta dell’ atto secondo e la settima del terzo, quello del nostro poeta lo è costantemente , lo è anzi gigantescamente. Ma la storia clel secolo di Dante } i versi stessi di questo poeta, ove pur nulla sapessimo de’ particolari di Procida , basterebbero a mostrarci ch'egli è ciò che deve. Nulla sicuramente di esagerato nel suo odio contro i Franchi. È 1’ odio d’ un uomo del secolo decimoterzo , d’un omo nato sotto il sole della Sicilia ; fortis- simo fra'i più forti, imaginosissimo fra i più imaginosi, oltrag- giato , e crudelissimamente , ne’ suoi affetti più cari, e spinto alla vendetta dai ‘sagrifici 'stessi che ha fatti per conseguirla . Quest’ uomo sicuramente è alzato e nobilitato dal poeta , ma per qmelle ragioni d’arte, e in quel modo, parmi, di cui Dante è mae- stro. Io non dirò che il poeta non gli abbia prestato alcuna volta sentimenti ed idee, che forse non sono del suo tempo. Non dirò nemmeno che gli anacronismi di questa specie sono inevitabili , che Delavigne non gli ha schivati, ec. ec. Rifletterò soltanto che non tutto quello , che sembra anacronismo , lo è veramen- te, che Procida amico di Manfredi e di Federigo, anzichè met- tere innanzi idee politiche moderne , non fa quasi altro che ri- petere l’idea dominante di que’ monarchi riguardo all’ Italia , la grande idea ghibellina. Dopo il carattere di Procida parmi che il più profondamente tratteggiato sia quello di Palmiero. Esso non è propriamente che una variante dell’ altro, ma se ne distingue come se formasse contrasto. Quello d’ Alimo è un” altra variante, ove la fierezza de’ tempi è temperata e spesso abbellita dal poetico entusiasmo. L’altro di Gualtiero, è meglio che una variante, poichè in esso la fierezza de’ tempi è più che temperata dalla mitezza dell’ in- dole e dallo spirito cavalleresco. Gualtiero, più che a qualunque degli amici di Procida, si ac- costa per carattere a Tancredi. E si direbbe che questi , per ta- cita simpatia, non punto strana fra’ nemici, in una scena del terzo atto gli ceda la spada. Quindi si bramerebbe ch’ ei perisse per sua mano in giusto combattimento , anzichè per mano di Palmiero che il tratta da iniquo e da seduttore. Ma forse que- ta sua morte è più consentanea allo scopo morale della tragedia , che par quello di mostrare i terribili effetti dell’ oppressione. Il quale scopo (sia detto per incidenza ) è affatto indipendente 153 da ogni quistion di diritto. Al celebre Courier , il qual dimenti- caundosi d’esser soldato girava da erudito il regno delle due $i- cilie fra il 1798 e il 99 ; /es malheureux Calabrais , scrive il suv biografo , puraissaient tout-à-fuit dans leur droit quand ils nous assassinaient en embuscade. All’ autore del Procida parve soltan- to ciò che mostra la storia de’ Vespri , che dall’ oppressione cioè nasca la cieca vendetta, e ciò forse egli volle rendere più sen- sibile colla morte di Tancredi. Del resto, se il colpo di pugnale dato da Palmiero al giovane francese può spiacere moralmente , quello dato da Procida a Dro- vetto , benchè nel momento in cui questi vuol rapirgli la figlia , può anche spiacere poeticamente. Tell, che da un sasso dell’Axen- berg (nel quarto atto della tragedia di Schiller) respinge d’ un piede fra 1’ onde tempestose del lago de Quattro Cantoni la barca ov’ è Gessler , o che presso il Kussnacht (atto medesimo ) volge contro il petto dell’ oppressore il suo arco infallibile , è giusti- ficato dalle circostanze , nè sembra perder nulla della sua no- biltà. Procida , circondato da un popolo pronto ad impedir la violenza che vuol farsi alla figlia, Procida, che pur anelando alla strage vuol dar a questa un’aria di giusta guerra , Procida che ha detto: nel giorno deila vendetta ciascuno elegga tra’ Frau- chi il suo nemico, io mi eleggo Eriberto, ec. pare che si avvilisca scagliando il colpo di cui si parla. E nel primo primo concetto del poeta, infatti, il colpo, mi si assicura, debb’essere scagliato da un giovane del popolo ; il che è pure conformissimo alla storia , se- condo la quale se non fu scagliato per Imelda , in cui si perso nifica il sesso femminile della Sicilia ; lo fu per altra giovane donna e per simile cagione. i ‘E il primo colpo deve pur venire nella tragedia come nella storia da persona del popolo , onde 1’ insurrezione non cangi ca- rattere , sembri veramente , qual Procida la va dicendo , popo- lare, spontanea , inevitabile. A serbarle il qual carattere, non sarebbe forse male (dico ciò nun senza particolare esitazione ) toglier dalla tragedia ogni parola di congiura e di congiurati. E già vera congiura nella tragedia non si trova. “ Un popol non congiura., ognun s’ intende — senz’ accordo nessun ec. ,, è co- me l’ epigrafe della tragedia medesima. Solo , rimanendole fede le , potea farsi di questa tragedia (e tal forse fu l’intenzion del poeta ) una specie di risposta a quella di Delavigne , ove il carattere italiano è visibilmente sagrificato al francese, e più ancor lo parrebbe , se quel Monforte, che si contrappone al fi- T. XXXVII Gennaio. 20 154 glio e agli amici di Procida , fosse altro che una brillante figura di teatro. Posta l’ intenzione ch’ io diceva, deve dirsi generoso il pen- siero di far Tancredi, la principal vittima dell’odio de’Siciliani , sì degno di compassione. E non meno che generoso mi sembra ardito, e vo pensando se per esso principalmente non meritasse il poeta quell’ epigrafe e fa via degli ostacoli posta sotto uno de’suoi ritratti distribuiti ad una delle prime recite . Il bisogno della tragedia richiedeva , come accennai più sopra, che accanto a Tancredi fosse qualche Francese , non meno insolente e assai più potente e offensivo di Drovetto , onde apparisse più inevi- tabile la comun vendetta. Protetto da un tal personaggio Tan- credi, senza alterazione del proprio carattere, avrebbe forse po- tuto servir d’ostacolo ai disegni di Procida. E con lui lo avreb- be potuto anche Imelda , dalla cui situazione tra il padre e lo sposo deriva grande accrescimento al patetico, ma non grande ab- bastanza all’ intreccio dell’azione. Benchè peraltro di poco intreccio l’azione non è riuscita po- co interessante. Io non so dire se nella sua stessa semplicità essa non ammettesse altre combinazioni o distribuzioni di parti più favorevoli all’interesse. Come a questo proposito. ho sentito pare- ri i più discordi , eviterò d’acerescere la discordanza , aggiu- gnendo un parere di più. Concorde o quasi concorde è stata l’am- mirazione per l’ arte ond' è preparato e sospeso lo scoprimento dell’ orribile segreto, che già s’indicò nell’ analisi della tragedia. Concordissima pel carattere veramente tragico del terzo e del quart’ atto specialmente, nel quale anche i principali attori ( mad. Pelzet e il Domeniconi) parvero spesso gareggiar di valo- re col poeta. Dopo un tal atto, di qualunque modo 1’ azione fosse stata combinata, era assai difficile offrirne un a'tro d’eguale interesse. Tanto più difficile dopo aver concepito questo nuovo atto secon- do un pensiero drammatico , il qual ne faceva quasi un’ azione da sè, bella probabilmente di particolari bellezze , ma impossi- bili a conservarsi, volendola annodar più da vicino e fonderla per così dire coll’azione antecedente. Io non so dire quel ch’essa nella sua originalità avrebbe potuto o potrebbe sembrare in iscena. Duol - mi per altro che alla sesta recita, quando uscita dalle augustie del Cocomero la tragedia sì presentò per una volta nel vasto teatro della Pergola , non siasi pensato a farne esperimento. Alquanti versi , aggiunti in quell'occasione al quintatto, ch'io chiamerò provvi- sorio, mi hanno fatto credere che il poeta , nel primo concepir- diete Manti 155 lo, avesse voluto aprirci innanzi muovi e inaspettati tesori di poe- sia, ancor più mirabili dopo i tanti che ci aveva aperti negli antecedenti. Tanta ricchezza di poesia , generalmente gustata e applau- dita per otto recite consecutive (chè tante ne ha già avute la tragedia mentre conchiudo quest’ articolo ) è ben fatta per con- fondere le nostre teorie intorno a’ versi che più convengono alli- rici o a’ tragici componimenti. Simile ricchezza fa che si assista anche ad altre tragedie del nostro poeta come ad una vera festa, in cui l’intelletto, l’imaginazione , l’orecchio sono incre- dibilmente lusingati. Ma in quest’ultima, la ricchezza è sembra- ta sì varia, sì grande, sì solenne da vincere ogni aspettazione. Pareami talvolta ( massime nel religioso silenzio di due in tre mila spettatori adunati alla Pergola ) di veder sorgere per essa ed esultar l’ ombre di due illustri poeti, amici del nostro , e sui quali ancor non sono cessate le lacrime dell’ Italia , 1’ autor dell’ Aiace e della Ricciarda, e quello del Gracco e dell’ Ari- stodemo. M. RIVISTA LETTERARIA L’arte di comporre libri. Racconto di un americano , da B. Gam5a letto nell’ Ateneo di Treviso. Bassano , Tip. Baseggio 1828 pag. 19. La scienza del cuore. Libri tre di Lorenzo Martini. Milano per A. Fontana 1829. ‘Pag. 248. Prezzo It. L. 2, So. Il racconto del sig. Gamba dimostra che si può essere uno de’più valenti bibliografi d’ Italia, e aver dello spirito a tempo e luogo. Il sig. Gamba ha riservato il suo per una lezione accademica : anche questa è una singolarità che mi piace. L’ Americano del sig. Gamba entra in una biblioteca di Londra, dove sta osservando le dotte fatiche di alcuni sapienti: ‘ e siccome » egli avea letto di fresco una novella araba, la quale narra di certo ,, romito abitatore di una libreria fatata, posta al centro d’ una mon- ;) tagna, e fornita delle opere che insegnano la maniera di librarsi ,, in aria, così immaginò che tutti coloro stessero occupati a rintrac- 156 3» ciar il modo d’ innalzarsi sopra le teste della moltitudine . . . Ma >» Scopre in quella vece, costoro essere operai che stavano lavorando È >, e raccozzando materiali per fabbricar libri. Trova fra questi un tale, »; il cui lavoreccio consisteva nella compilazione di quelle raccolte , », venute in tanta voga coi titoli o di collezioni, o di biblioteche n »» 0 di operette miscellanee, o di enciclopedie . . . Quest’ uomo , 0 »» per dir meglio, quest’ uccel di rapina dava al nostro Americano 3» di che molto riflettere. E non è egli questo, dicea fra sè, non s è egli questo il modo con cui piace alla Provvidenza che i semi ») del sapere trapassino di secolo in secolo a dispetto della inevita- 3 bile decadenza delle cose umane? Anche la madre natura, mediante 3» lo stomaco degli uccelletti, trasporta talvolta da un clima all’al- >» tro le sementi che fecondano gli orti e î pomieri: e lo stesso av- >» verrà de’ letterati raccoglitori . . . . . Fra questi pensieri l’ Ameri- 3, cano, lasciando suo corso a certa mala abitudine d’ addormentar- 3» si, aiutato probabilmente dalle emanazioni sonnifere di que’ muti »» libroni , si trovò colto da un profondo e placidissimo sonno. In >, Sogno egli vede gran moltitudine di uomini bizzarramente foggiata, 3» € frammischiata in una turba di tapini accattoni . . . . Il più gran 3 numero inoltravasi estremamente avido degli altrui vestiti , fosser pur », anche ragnati e ricisi: e chi spogliava un povero vecchio del guar- », nello, e chi dello sciamito; e chi gli strappava la manica, e chi 3 il gherone. Quà vedeasi un chiercuto raspare in ricchissimi scrigni, >» © poi spargere senza scelta e senza discrezione l’ oro derubato , fra 3, la marmaglia ,,. Come finisca il sogno, e il racconto, gioverà cer- care nell’ opuscolo stesso del signor Gamba. La scienza del cuore, è ell’un’opera compilata con l’ arte che il sig. Gamba insegna? O composta con arte vera? Dettata dal cuore? — Nè l’uno nè l’altro: risponde 1’ A. per noi. Ell’ è come il germe d’ un’opera ben maggiore. Certo , l*argomento è bellissimo : e accarez- zate dall’ arte, e colorite, le idee del ch. prof. acquisteranno quell’im- portanza e quella novità che, così schizzate, non hanno. K. X. Y. Museo Etrusco Chiusino. Firenze Stamp. Granducale 1830. Fasc. I. Quand’ anco io mi sbracciassi a dimostrare che 1’ edizione de’mo- numenti Chiusini, e altre simili imprese, sono grandemente giovevoli non solo agli studi dell’arte e dell’ antichità, ma sì ad altri ancora che non paiono avere nessuna relazione con quelli, mi rimarrebbe, cred’ io , tutt’ al più la consolazione di persuadere coloro che sono già persuasi. Dirò dunque semplicemente, che il primo fascicolo del Museo Etrusco Chiusino è molto elegantemente stampato , che dodici sono i disegni, 157 e diligenti ed esatti; che se il numero degli associati non viene ad in- coraggiare le cure degli editori, 1’ impresa minaccia d°’ arrestarsi al fa- scicolo primo ; che perciò alla riuscita di quella è impegnato in certa guisa l’onore dei dotti e degli amici tutti della scienza e dell’arte. Ma noi vorremmo porgere agli editori un consiglio: facciano meglio conoscere e per Italia e fuori 1’ utile impresa loro, non solamente con manifesti, ma con divulgarne dappertutto il fascicolo primo per saggio. Quest’è che i li- brai, specialmente Toscani , d’ ordinario non fanno: eppure, quando sì stampa non solo per amore dell’arte, ma e per ritrarne le spese , giova, ered’ io, che i compratori sappiano l’ esistenza dell’ oggetto vendibile. Precede ai disegni un breve discorso del ch. sig. prof. Domenico Valeriani , sulla lingua etrusca ; dove egli propone un sistema diverso da quello de’ suoi predecessori, e promette di svolgerlo altrove. L’ idea fondamentale pare che sia l’ esistenza d’ una lingua indigena, poi me- scolata col celtico. Ma, e della lingua indigena si può egli saper nulla ? Dì ciò vedrà il dotto e chiarissimo autore. I monumenti che in questo fascicolo osserviamo sono pregevoli o per la singolarità dell’ uso , o per la preziosità del lavoro. Meritano considerazione , fra le molte altre cose, le fisionomie de’ più antichi ; al cui studio diede di recente importanza uno scritto del sig. D. Edwards di Parigi, e maggiore solidità un bell’articolo del sig. Decandolle. Tutte, io diceva, queste fisionomie etrusche, mostrano quella leggera promi- nenza del mento , che volgarmente dicesi bazza ; e che non so qual no- me abbia in lingua aulica e cortigiana. K. X. Y. Lettere del can. Ramzatpo degli Azzoni Avocano, per la prima volta pubblicate. Venezia , Tip. Alvisopoli , 1829 pag. 3a (per nozze). Lettera intorno al palazzo ducale, e descrizione dei quadri nella sala del gran consiglio esistenti prima dell’incendio del MDLX XVII. Pubbli- cate da Franc. SANSOVINO, e riprodotte con illustrazioni. Venezia, Tip. Alvisopoli , 1829 pag. 48 ( per nozze). Epistola di Gio. Grorcro Trissino a MarcHERITA Pra SAnSEVERINA, data novellamente in luce. Venezia, Tip. Alvisopoli, 1829 pag. 20 (per nozze ). Le gioie nuziali fanno gemere i torchi italiani,! E i nobili ei ric- chi d’Italia, prima di dar nome a figlinoli, danno vita ad opuscoli. Nuovo genere di fecondità; che ha peraltro, il suo merito anch’ essa. Le lettere del can. Avogaro, donateci ora dal ch. Gamba, versano sopra argomenti di minuta erudizione patria : e sebbene nulla vi sia di piccante, (giacchè a’giorni nostri si vuole del piccante a ogni costo ), sarebbe però difficile dimostrare che le notizie quivi raccolte non pos- 158 sano avere in alcun caso la loro utilità ed importanza. Quand’ io sento da taluni rigettare e deridere una classe intera di studii ‘o sia perchè costoro non ci veggono chiaro, ossia perchè qualche pedante o qualche fanatico ne suole abusare, allora, per rispondere a questi filosofi di nuova specie, io vorrei fra i tantì sinonimi de’ quali abbonda la lin- gua italiana, trovare un vocabolo ch’esprimesse con grazia quella cosa che grossolanamente si chiama ignoranza. Volete voi una prova che nessuna verità, per quanto sia minuta, nessuna indagine della verità, per quanto paia sterile ed importuna , può dirsi inutile affatto? Pigliate la lettera di Francesco Sansovino, uomo enciclopedicamente mediocre , il padre Soave del secolo XVI. Se qualcuno venisse a dimandarvi: importa egli molto sapere, se il piano della piazza di S. Marco si sia alzato con gli anni, e se però le co- lonne del palazzo , così corte e grosse, mancassero in origine, o no, di base?. questa, voi rispondereste è una questione di mera curio- sità; e ignorarne il vero non nuoce. — Non signore; questa sterile cu- riosità, entrata in capo, anni sono, a certi rispettabili soggetti , costò pensieri , congetture , studii, e dispendit: le quali cose , come rettamente osserva il ch. sig. Bettio in’ una delle erudite sue note, si sareb- bero risparmiate, se si fosse data un’ occhiata alla lettera del San- ‘sovino . La quale riesce doppiamente importante, in quanto che le ‘notizie architettoniche espostevi, egli dice d’ averle raccolte dalla bocca di quel celebre artista che fu suo padre. Un monumento che il ch. Bettio riporta in nota della lingua ve- neziana del secolo XIV, e che solo basta a confutazione di que’tanti scritti filologici che ognun sa; ci richiama al pensiero il traduttore del Volgare Eloquio , 1’ inventore dell’ Omega, 1’ autore dell’ Italia li- berata ,. e della lettera a ‘Pia Sanseverina, nella quale le s’ insegna ch’ ella è nata uomo d’ anima e di corpo composta; e che la pudicizia è tra le operazioni per le quali la donna può acquistare immortalis- sima fama; e che Gn. Pompeio, che fu virilissimo uomo, fu calun- niato come effeminata persona per grattarsi il capo con un dito solo. K. X. Y. Monumenti di pittura, e scultura trascelti in Mantova o nel suo terri- torio. Mantova, 1829, Tip. dell’Apollo , fascicolo sesto e settimo. Se la division dell’Italia in diversi reggimenti ha potuto nuocere alla sua forza, di che è antico il pianto presso gli economisti, giovò , nondimeno mirabilmente alla sua civiltà, che discende dalla cultura degli umani studi e delle belle arti. I molti principati italiani, anche i minori ebbero tutti una capitale , cui i loro signori furono ambiziosi di adornare a gara di splendidi monumenti delle tre arti maggiori , e ove chiamarono ad ospizio generoso la sapienza, e le lettere. Perciò , 159 a tacere delle principali città italiane , Urbino , Pesaro , Ferrara, Rimini, Padova, Verona, la Mirandola , ed anche alcune terre , e contee ebbero illustri opere di architettura, e biblioteche, e musei, e raunanze di dotti, e impiegarono il pennello, e lo scarpello degli artisti più famosi: tanto che 1’ Italia, come 1’ antica Grecia, divisa in molte potenze , presentò però una sorprendente unità di genio, e di amore per le opere del- l’ispirazione , e formò come una galleria generale nelle sedi delle signorie, ne’ palazzi de’ signori, e ne’ templi. Quindi è , che tuttavia in ogni più remoto angolo dell’Italia si trovano capi lavori singolari dell’arti d’ogni maniera, mentre , generalmente parlando , presso l° altre genti per rin- venire simili prove dell’ umano ingegno, che veramente destino ammi- razione , è mestieri correre alle loro capitali. Nuova prova di questa verità ci danno i benemeriti editori, ed espositori de’ monumenti di pittura , e scultura trascelti in Mantova , di cui ci è avvenuto ragionare altre volte, e de’ quali sono ora com- parsi i fascicoli sesto , e settimo. Il fascicolo sesto contiene l’incisione di una gran tavola creduta della scuola ferrarese di Dosso Dossi, e l’incisione di un bacile reputato opera di Benvenuto Cellini. La tavola rappresenta la nostra donna in trono, al cui lato destro stà in piedi Santa Marta, e alla parte Sinistra San Giovanni. Il com- ponimento del quadro forma una unità , un armonia, e una disposizione, e semplicità mirabile. Non si sa come possono giustificarsi que?’ tali , che appuntano per troppo simetriche, e aggiustate con troppa cura le composizioni de’ pittori, che si attengono a questo bel composto. In- vano si difendon dessi dicendo , che le scene che accadono in natura serbano sempre il perturbamento indotto dai casi, e che la dipintura dovendo essere imitatrice della natura debbe tenere lo stesso disordine. I grandi intelligenti, e maestri sommi dell’arte dicono che le scene della pittura, sono pur desse convenute, siccome quelle delle tragedie, e attener si debbono al possibile bello non solo nelle idee delle sem- bianze, nella scelta de’panni, ma nell’ ordine ancora della distribuzione, specialmente nelle composizioni sacre , nelle quali il decoro non è mai troppo. Perchè non sapremmo commendare l’ illustratore di questa ta- vola se in essa scorge soverchio amore di distribuzione. Primo dovere del dipintore è fare, che l’ osservatore intenda a un tratto il suo con- cetto , e ne abbracci tosto tutte le parti , e ne vegga l’ unione, e la rispondenza, beandosi nella pace, nell’ accordo, e nell’ ordine riposato di tutta la scena. Lì sublimi maestri, benchè abbiano rappresentato grandi macchine non si discostarono dalla simetria, come appare ne’due grandi, e magnifici concetti di Raffaele , della scuola d’Atene , e della disputa del sacramento , e in quel vastissimo quadro della battaglia di Costantino , nelle quali immense opere , per l’ ordine delle linee , pel comparto delle figure , per gli spazi indotti nel componimento tutto si legge a prima giunta, tutto si abbraccia colla mente senza turbamento. Il disordine ordinariamente recato nelle grandi macchine condotte dagli 160 artisti mediocri può ben rilevarsi o col fuoco dell’ immaginazione , o colla bizzarria dell’ estro , o colla copia delle figure , o colla ricchezza degli accessori , o colla forza del tocco, ma dà sempre certa prova di poca saldezza nel giudizio del pittore. i Il bacile rappresentato nella tavola seconda di questo fascicolo si divide in sette girì , cioè : un disco in mezzo, intorno cui ricorre un festone : poi un composto di quattro ovali, ove giacciono quattro fiumi versanti i loro confluenti dall’ urne : indi un serto di frutta e fiori fram- misto ad istrumenti coribanti : in seguito un gioco di Nereidi, e di Tri- toni : e tre giri d’architettura ornamentale, che si terminano con un meandro. Noi estimiamo in questo lavoro rappresentarsi una festa marina, anzichè le nozze di Nettuno , e d’Anfitrite, come piace all’ illustratore, non presentando il componimento verun segno nunziale ; e inchineremmo a credere essersi voluto indicare la letizia di tutta la corte del fratello di Giove per le sue private compiacenze con Crisogenia , o con Antiope, giacchè nelle nozze con Anfitrite convenne la presenza delle altre di- vinità. Non sapremmo parimenti accomodarci a credere questo lavoro del Cellini , prima per la sovrabbondanza dell’ ornamento frapposto alle figure , in opposizione alla maggiore semplicità delle opere di Benve- nuto : poi perchè avendo il Cellini notato di per se stesso ogni sua benchè minima fattura, non è credibile 1’ ommissione di un monumento che nella parte figurativa ha un merito sommo, e ch’ egli avria ben fatto rilevare nella vita sua, in che non ha mai sfuggito veruna più lieve circostanza, che potesse tornargli ad onore. Il settimo fascicolo comprende un quadro di Francesco Monsignori, e un basso rilievo. La pittura rappresenta la caduta del Salvatore sotto la Croce, ope- ra, che segue i principi del grande Caposcuola Andrea Mantegna , di cui il Monsignori fu allievo. Dovendo il dipintore significare un fatto rammentatogli solo dalle sacre ricordanze si attenne all’ inspira- zione , in che si fondano i maestri dell’ arte per ritornare in vita , e far presente un avvenimento lontano: nel che fu aiutato anche dal- l’ augusto subbietto accomodato a destare 1’ inspirazione medesima. Dice il grande Alighieri padre di tutte l’ arti nostre del genio come lo fu Omero per i Greci, che l’ immaginativa , che ci trasporta fuori di noi, nel ritrarre un argomento esimio è sovvenuta dai sensi: ma che quando il senso nonla soccorre , riceve sua forza, e moto da un lume, e da una inspirazione celeste , che si eccita in noi per potenza natu- rale , o per grazia divina.] O immginativa , che ne rube , Chi muove te , se il senso non ti porge Muoveti lume , che nel ciel 5° informa Per se ,0 per voler , che giù lo scorge. Riscaldato da questo fuoco il Monsignori condusse una scena tanto e 161 commovente, e patetica, che l’nomo crederebbe non potersi far meglio, se posteriormente non fosse venuto quel miracolo dell’arte, quel genio prodigioso, che riunì in una sublime eccellenza, il concerto , la dispo- sizione , la passione, e l'esecuzione , il divino Raffaele il quale la pietà del medesimo argomento ritrasse in quel suo quadro maraviglioso dello Spasimo. L’affetto espresso dal Monsignori tiene la prova con quello signi- ficato da poi dall’Urbinate, meno nell’aspetto del Redentore, che manca di quella sovrana dolcezza, mansuetudine, e divinità , che tanto sentì, e dimostrar seppe quest’ altissima luce di tutte l’arti umane. Ma chi fra gli antichi indovinar potea, chi fra i contemporanei imitare, chi fra i posteri pareggiare potrà Raffaello, massime in quella sembianza del Si- gnor nostro, che soavemente volgendosi alle donne, parla ad esse colle labbra dolenti, cogli occhi pietosissimi, e con tutto il piegarsi della persona a serbare le lagrime per le sventure de’loro figli? Il marmo poi di che ci dà conto la tavola di questo fascicolo parci oggetto di poco momento. Rappresenta un appezzamento del fregio posto sul parapetto della loggia della chiesa di S. Sebastiano , e credesi opera condotta sui modelli di Leon Batista Alberti architettore del tempio medesimo. Se v’ha fondata probabilità avere ilsommo artista e let- terato Gio. Batt. Alberti avuto alcuna parte nelle produzioni della scultura, gli è ne’marmi, che adornano la sua sublime opera, il Tempio Malatestiano: ma que’lavori in basso, ed infimo rilievo ci sembra tenere assai poca vicinanza con questi di Mantova specialmente nello stile, e nel magistero delle carni, essendo più gentilesco, e delicato quello de’ marmi di Rimini. Ci rimane di confortare , come facciamo, i nobili editori a prose- guire nella laudevole impresa, per far chiaro sempre più come questa dolcissima nostra patria comune fosse sempre, e sia tuttavia la sede dell'amore, e della cultura di quell’arti ingenue , che ingentiliscono il costume de’popoli, e rendono le nazioni liete , generose , e gloriose. MeLcHIOR MISsIRINI. Del monumento sepolcrale di Vorquato Tasso, operato dal cav. Gius. Fa- 8r1s. Lettera al commendatore Fra Cesare Borcra. Bologna dai tipi del Nobili e Comp. 1829. Italia, placa l’ ombre de’ tuoi grandi! — Questa sdegnosa esclama- zione di Foscolo fu ripetuta da quarti aggirandosi per le nostre città, cercavano invano le memorie ed i monumenti che la religione dei po- steri doveva inalzare a quei sommi, che crebbero la nostra civiltà, e fecer grande il nome italiano nell’universo. Fra i quali niuno poteva rammentar senza sdegno Torquato, a cui sì doveva come una pubblica espiazione degli affanni e delle ingiurie, che i pedanti e i tiranni ac- cumularono sul capo del grande, e che in tanto sì giaceva quasi ino- norato in S. Onofrio di Roma, dove moriva stanco degli uomini e della T. XXXVII. Gennaio. 2I il 162 fortuna, più desideroso del sepolcro, che della tarda corona appre- statagli. Lode perciò a quei cortesi che amore d’Italia muoveva ad eri- gergli un monumento degno di tanta fama, un monumento che attesti a quanti visiteranno la prigione del Genio, come la posterità non si as- socia alle grandi ingiustizie, e che ha una libera voce per onorare la virtù sventurata, e spargere il vitupero sulla memoria di quelli, che già ebber potere di comandare il silenzio o gli encomi ai contemporanei. E dalla lettera del sig. Cardinali apparisce, che il monumento debba corrispondere alle nostre speranze, e che il cav. Fabris abbia posto tutto l’ingegno ad operare filosoficamente nell’ arte , onde meritare per ogni titolo le lodi degli intelligenti; che se intesero con piacere il pro getto e la descrizione del monumento, or sono quasi due anni (1) ap- prenderanno ora con maggiore contento dal sig. Cardinali, che già è modellata la statua del poeta, e che possiamo sperare di rallegrarci fra qualche anno alla vista del monumento del Tasso in Roma , come fra non molto andremo lieti nel contemplare nella nostra Firenze quello di Dante Alighieri. L. Aconzio e Cipirre. Favola del conte Awnronio Sarri di Forlì. Bologna dai tipi del Nobili e Comp. 1829. Pare che il sig. Saffi abbia creduto, che 1’ amore essendo passione universale e di tutte le età, potrebbe facilmente avvenire che gli stratta- gemmi usati dagli innamorati dei tempi antichi per obbligare la fede delle loro belle, piacessero anche ai nostri innamorati presenti, ed ha perciò posto tutto il suo studio nel racconto di questa sua favola , fon- data sopra uno di questi delli accorgimenti di amore , che è il seguente. ‘ Il greco Aconzio ad una festa di Diana s’invaghisce di Cidippe al solo mirarla , e conosciuto allo splendore delle vesti lei essere delle princi- pali del paese , per nobiltà e per ricchezza, disperando di averla in isposa, pregò di soccorso amore; e questo che allora era un Dio compassione- vole, gl’ispirò di scrivere intorno ad un pomo: = Giuro a Diana, Acon- zio sposerò , = le quali parole lette da Cidippe bastano a stringerla per sempre allo sconosciuto Aconzio. ,, Che dirà qualcuna delle nostre giovinette ad un tal giuramento? io temo che la faccia sorridere al- quanto dell’antica semplicità, ricordando come al presente più forti e volontarie promesse sono spesse volte falsate in amore. Ed ora gli è concesso il ridere; non così ai tempi della povera Cidippe, che avendo giurato a Diana, questa Dea la riduceva agli estremi di vita ogni volta che si disponeva a sposare altri che Aconzio. ‘° Poverina! ,, direbbero qui le nostre fanciulline, ma le grandi metterebbero il racconto fra quelli delle fate. (1) V. Aut. Ottobre 1827. a N fp©!! ”;!:°OS:*°"°‘°°-e_«rLe eee 163 E come mai il sig. Saffi ha potuto spenderci il tempo e l’ ingegno che potevano certo più utilmente impiegarsi? come mai dopo il Va- verley , e l’ Ivanhoe, dopo i Promessi Sposi si stampano racconti, dove non è ombra d’ interesse storico , non varietà di caratteri e di avvenimenti, non forza e verità di passioni? Invano vi cercheresti quelle minute particolarità, quei tocchi franchi e sicuri che ti met- tono allo scoperto tutti i misteri di un cuore; invano quelle figure rilevate e prominenti per virtù o per delitti che ti si stampano nella mente appena viste, o quelle affettuose e melanconiche che ti parlano al cuore parole d’ineffabil dolcezza, e che ti è caro il ricordare, come la donzella del tuo primo amore ; invano insomma vi cercheresti quello che fa piangere o fremere, o che ti porta la consolazione nell’anima. I no- bilissimi e bellissimi Aconzio e Cidippe non sono più per noi, che deside- riamo persone che abbiano indole e fisonomia da riconoscersi fra le umane: e ne andrà persuaso qualunque che voglia intendere non diciamo l’im- possibilità ma la somma difficoltà di far rivivere i pensieri, le azioni, gli affetti dei figli di quella terra del valore , della libertà, della gloria, che domina ancora la fantasia e commuove il cuore, ma che ci parla solo colle memorie e colle rovine, da cui escono misteriose voci di sublime dolore che non sono intelligibili al comune degli uomini, nè da scena o da ro- manzo, ma che possono destare in chi le sente ispirazioni celesti, quali abbiamo udito nei canti del Child-Harold e del Don Giovanni. L. Breve ragguaglio di ciò che in genere di belle arti si contiene di più prezioso in città di Castello espresso in una lettera del cav. Grus. AnprEOcCCI. Arezzo 1829. Se vano è il ripetere che ogni angolo d’Italia contiene monumenti di arte pregevolissimi, è per altro di grande utilità 1’ averne contezza; e perciò gradita opera imprendon coloro che ci danno notizia di quanto la loro diligenza ha saputo scuoprire, e il loro buon gusto apprezzar degnamente. È necessario però un giudizio illuminato e imparziale, un vivo sentimento del bello, grazia di elocuzione e molto ordine e molta chiarezza per evitare la noia che può derivare da un arida descrizione. Di tuttii quali pregi se non va adorna la lettera indicata , alquanto oscura e confusa, merita però qualche lode per averci messi in cognizione di quanto fa ragguardevole città di Castello, che non aveva ancora al- cuno illustratore. Due cose sole intanto mi sia concesso il riprendere = la dedica del libretto fatta sul tuono magnifico ed ampolloso, che non è quello del cuore e della verità ; ed in secondo luogo certe espressioni, che alterano strana- mente un fatto della storia fiorentina. = Parlando del palazzo Vitelli esi- stente in detta città di Castello,e descrivendo le pitture rappresentanti le glorie della famiglia, quando l’illustratore giunge a parlare di Alessandro, così si esprime: — Altrove è colorito Alessandro Vitelli, che fa dichiarare 104 | Cosimo I Duca di Toscana in Firenze.... e quando rotta l’armata dei ribelli a Montemurlo, Alessandro fè prigioniero Filippo Strozzi, e altri nemici della repubblica fiorentina. ,; Veramente è questa una pellegrina notizia! — il Rucellai, lo Strozzi e gli altri magnanimi che incontrarono 1’ esilio o la morte per la libertà della patria furono nemici della fiorentina repubbli- ca! = quelli che non vollero un padrone dalla prepotenza delle armi straniere furon ribelli! = Furono dunque i veri cittadini Guicciardini e Vitelli, l amico della repubblica fiorentina fu Cosimo I. ! = Errori di tal natura sono veramente inconcepibili in uomini che fanno professione di lettere, ed ognuno vorrà attribuirli piuttosto a dimenticanza dei fatti storici, che ad un maligno intendimento di travolgere sentimenti ed azioni per calcare la virtù sventurata, e aggiungere un plauso al trion- fo della viltà e del delitto. L. Dell’ amore della campagna. Lettera di M ARIO Prerr Corcirese all’amico suo Costmo Bvowarrori. Pisa Tip. Nistri 1829. € La città, dicea David Hume, è la vera dimora degli uomini di let- tere ,, — e questo detto ha certamente il suo lato vero. Ma G. Giacomo avrebbe certamente affermato il contrario, egli che tanto. s’offese, e a ragione, della sentenza dell’intollerante Diderot : il n°y a que le méchant qui soit seul. Il sig. Mario Pieri tiene, e molti con lui, da Gian Gia- copo. Egli , in questa lettera , canta con tutta l’ anima, ‘‘ il misterioso si- lenzio e la divina libertà della natura campestre ,,: e ne ripete le dolci parole di Agnolo Pandolfini ; e soggiunge: ‘ Noi che, per grazia del cielo, 3; non siamo nè Spagnuoli, nè Portoghesi, nè Turchi, nè cortigiani, »; teniamo per uno de’ più forti motivi e più cari d’amar la campagna ;; quella beata indipendenza che vi si gode ....,, E più sotto: ‘ Ben », altri vantaggi trae dalla villa quel disgraziato dal cielo; cui tocca » strascinar la vita sotto un governo tirannico. ,, Quì gli cadeva di ram- mentare i suoi nazionali, que’ Greci ‘“ che sorpresero di maraviglia ss l Europa incredula ed orgogliosa. ,, Poi gli cade di citare versi del Parini, e del Pindemonte; poi di nominare il famoso improvvisatore Lorenzi, ‘ che arrivò ben presso al novantesimo anno in piena salute, »» e morì pochi anni fa ne’ suoi colli Veronesi; e quel singolarissimo , ab, Collalto (tra le più illustri schiatte d’Italia ), ch'io visitai, non .; pochi anni sono, nel suo superbo Castello di S. Salvatore sul terri- », torio trivigiano , ov’ egli visse dai quarant’ anni ai novanta, e forse ss più, dell’età sua, non solo vegeto e prospero , ma scorrendo a piedi ») le colline e le valli, ed atfaticando le selve colla caccia infino agli so ultimi anni del viver suo ,,. = Poi dona un pensiero d’ affetto all’in- signe suo maestro, il Cesarotti, e a “ quel suo giardino di Selvagiano » ch'egli stesso avea piantato, e che soleva chiamare il suo poema ;; vegetabile ,,; dove il Pieri lo vedeva ‘ abbracciare con trasporto di ») tenerezza ora questa pianta ora quella, e uscire spesso della sua grotta, »» ch’era il suo studio campestre, per visitare i suoi cari alberi ,,; e si sen= 165 tiva da lui chiamare mentre e’si stava studiando nella sua stanza, per va- gheggiare quella catalpa, quel platano, e quel castagno. Poi rammenta, come “ ritrovandosi in Roma nell’autunno dell’anno 181 I, e visitando l’egregio e dottissimo d’Agincourt, già cadente per lunga età e quasi cieco, un giorno egli rizzossi a un tratto da sedere : @ lo prese per mano, e lo con- dusse nel suo giardino a un albero da sè piantato poco dopo il suo arrivo in Roma; e mostravagli il buon vecchio quella pianta, e toccavala , ela: grimava ,,. Chi leggerà più innanzi, troverà rammentato il giardino dram- matico del Sografi , le tragedie di G. B. Niccolini » le commedie-di Massi- mina Rosellini, e il suo Avanzini 3e ilsuo Negri, e il gran Monti , col quale l’autore villeggiò presso Monza nella villa dell’ amabile Calderara. Il titolo della lettera insomma prometteva nulla più che un Zuogo comune; e la lettera è tutta piena d’individuali affetti, di belle ed onorate memorie. K. X. Y. Biblioteca popolare. Volumi 200. Torino. Editore G. Pomba. Dopo la Biblioteca economica del Bettoni, viene la Biblioteca popolare , del Pomba. Il primo titolo può lusingare i compratori; il secondo lusinga la nazione, e la onora. Dal senso della voce economia, al senso della voce popolarità, qual distanza! Il titolo dal sig. Pomba prescelto è una ispirazione felice ; e tarde ormai gliene giungerebbero , non che le raccomandazioni , le lodi, dappoi che a ringraziarnelo son venute le soscrizioni di novemila associati, tutti del regno Sardo: singolarità certo inaudita in Italia. Giova, intanto, che dal Piemonte ci vengano sì begli esempi; giova che quella parte d’Italia, alla quale il contatto con le idee e co’costumi stranieri, non che affievolire, rinforza, non so s’io dica per virtù di reazione o di emulazione , l’ energia del nazio- nale carattere, col diffondersi di buoni libri italiani, ritempri a na- zionalità anco la lingua, e con le idee e co’ sentimenti attinga insieme la delicatezza del gusto, e compisca quella educazione del Bello, che ad anime italiane è veste innata del Vero. Cento volumi aveva l'editore promessi col primo manifesto : il suc- cesso insperato dell’impresa lo incoraggiò ad aprire l’associazione ad un altro centinaio; con di più una biblioteca popolare morale e religiosa: saggio e santo pensiero. E questo insperato successo ci prova appunto, come nel popolo italiano, il desiderio dell’ istruzione non manchi; ma sì piuttosto manchi la cooperazione degli editori, e degli autori; e in al- cune parti importantissime del sapere, manchino i libri. Ci prova insieme come l’amore dell’istruzione sia più specialmente in quelle provincie diffuso, dove più frequenti si rincontrano i veri dotti. Napoli, Torino , Milano, sono i tre centri del vero saper nazionale; e nella Lombardia grande quantità di libri si stampa; e il Piemonte si dimostra già ben disposto a ricevere avidamente 1’ educazione che viene dalla lettura; e fu tempo che grandissima parte dei libri stampati in Lombardia si smaltiva nel regno di Napoli. ‘ Tre quarti, mì diceva Gioia, delle edi- 166 zioni delle mie opere se ne vanno ai regnicoli ,,, = In altre parti d’ Italia, all'incontro, i librai paiono non pensare che per i dotti, e la razza de’ dotti non pare che si venga moltiplicando gran fatto. = Ma chi vieta a’librai di tutte le parti d’Italia promettere delle biblio- teche popolari, e arricchire della pubblica civiltà? Chi lo vieta? — E poi gli uomini si lamentano di non poter godere delle cose interdette , quando non sanno approfittar delle lecite ! K. X. Y. PS. Quest’ articolo era già sotto il torchio, quando ci giunse dal Pomba un manifesto di un Antologia straniera , nella quale egli promette di dare tradotti ‘o compendiati importanti articoli de’ giornali d’ Inghilterra , di Ger- mania , di Francia. Questo , come rammenteranno i nostri lettori, era. il primitivo scopo e soggetto dell’Antologia nostra; dal quale in parte ci stolse il desiderio di servire più direttamente, quant’ era in noi, ai bisogni delle lettere e della civiltà patria. Godiamo che il benemerito Pomba pensi ora a mo- strare agl’ Italiani le ricchezze della critica e della letteratura straniera: e que- sto sarà per noi una nuova ragione di raccogliere i nostri lavori nel circolo , già ben vasto ed ameno , della letteratura e della scienza italiana. N. del Dir. Voyage pittoresque de la Toscane, dessiné, litographié, et publié par A. LesLanc, peintre d’architecture et de paysage. = Livraison I. Florence Litogr. Salucci 1829. Fra gli stranieri che vengono a visitare l’Italia, havvene di coloro che le portano in silenzio il tributo di una ammirazione e di un com- pianto sinceri; havvene che vengono a far tesoro d’insulti, per poi sca- ricarli sovr’essa dal centro della inglese o della francese civiltà, Coloro che gli avi nostri chiamavano barbari, vogliono forse così vendicarsi dell’antica , e fors’ anco della presente italiana superbia; e per parere filosofi, dimentican d’ esser giusti. Fra gli alteri disprezzatori dell’ Italia, certo non sono da annove- rare gli artisti, e molto meno il signor Alessandro Le Blane, il quale vuol lasciare ai toscani grata ed. onorevole memoria del suo soggiorno in Firenze. Spetta agli uomini dell’ arte portare giudizio sul lavoro di lui: certo è ch’ogni buono italiano dee accoglierlo con piacere e con gratitudine. Il primo fascicolo ha quattro vedute, il chiostro d’ Ognis- santi, il ponte alla Badia, il ponte Vecchio, il ponte alle Grazie. Io non saprei veramente se il chiostro d’ Ognissanti meritasse una rappresenta- zione; in tanta abbondanza che la Toscana e Firenze presenta di vedute più piacevoli e più singolari. So bene che qualunque soggetto il ch. ar- tista prescelga , egli lo tratterà con amore. Anche le illustrazioni si po- trebbero da taluno desiderare men brevi; ma questa è considerazione che nulla toglie al merito del lavoro. Certo è però che non v'ha paese d’Europa dove le bellezze della natura e dell’arte più di frequente sì colleghino ai grandi fatti storici , r6n a somme glorie, a somme sventure. Ed io sentii esclamare più vol- te: Oh se la Toscana avesse un Walter-Scott! . .. -— E se lo avesse, per meritar questo titolo, converrebbe che il nuovo poeta approfittasse delle bellezze naturali e storiche in modo alquanto differente da quel che fece l'illustre Scozzese : poichè di romanzi sul taglio di quelli di Walter-Scott ne abbiamo già troppi. K. x, X. Raccolta dei disegni rappresentanti le principali macchine in ogni ramo d’industria ; della provincia di Bologna, corredata delle necessarie de- scrizioni, e notate le particolari circostanze che accompagnarono le co- struzioni. Del dott: Anceto ZamsonINI. Bologna Tip. dell’Olmo 1829. Fasc. Ia VI Bella, ed utilissima impresa! La provincia di Bologna vanta, al dir dell’A., in materia di manifatture, molte invenzioni e antiche e mo- derne, degnissime d’ essere ‘conosciute. Egli dunque s*accinge a dare di tutte le macchine principali che presentemente servono ai bisogni delle arti e de’ mestieri in Bologna, una serie di nitidi disegni, con tutte le illustrazioni opportune : talchè, così la persona di studio, e 1’ inge- ;; gnere, come il semplice meccanico artefice trovino in quest'opera i 33 dati sufficienti, il primo per calcolare l’effetto di ciascuna macchina, ; il secondo per eseguirla e porla in opera con precisione e con sicu- sg rezza 3): Incomincia dalle macchine della zecca , e descrive una macina d’amalgamazione , una pila di acciaccamento, ùna trafila; un tornio, ed un amalgametro. Poi, un mulino da grano, e una pila da riso. Molto nitidi ci paiono, e molto precisi i disegni. Questa pubblicazione val più che dieci testi di lingua. Tutte le pro- vincie d’Italia, tutte le città, tuttii pubblici istituti, tutte le biblio- teche, tuttii più distinti colitivatori delle arti, si dovrebbero associare all’opera del dott. Zambonini; e approfittarne; e imitarla. Molte pratiche preziosissime giacciono sconosciute in qualche angolo della penisola, che propagate, ne favorirebbero la prosperità, ne agevolerebbero la unità ci- vile, e, oso aggiungere, la morale. A quante cose si lega la meccanica in questo mondo! Havvi di coloro che, in tanta diffusione di macchine, te- mono di veder ridotti a meccanismo tutti i movimenti dell’uomo; quasichè grand’ esercizio di mente si richiegga a impastare il pane, od a volgere un fuso. Uno de’più faceti tra costoro esclamava: fra poco avremo de’ segretarii e de’ cancellieri a vapore! — Ma il tempo e la forza che gli operai spendono in lavori tali da potersi affidare alle macchine, sarà un giorno data ad esercizii più degni dell’uomo. Quanto alle crisi che nello stato degli operai produce l’introduzione d’una macchina nuova, cotesta è l'occasione, non la causa del male. E foss’anche, il male è pas- seggero, e riparabile; il bene perpetuo. K. X. Y. 168 La piazza del Granduca, di Firenze, co’suoi monumenti, disegnati da Fr. Preraccini ; incisi da G. Paoro Lasiwio, e dichiarati da MeLcH. Myrssrrini. Firenze presso Pagni, Bardi e C. 1830 in foglio, pag. 30, tavole XXI. Il sig. Luigi Bardi, già noto e caro agli amici dell’arti per altri doni loro offerti, degnissimi di lode e di gratitudine, non è di quegli editori che credano la via del lucro diversa dalla via dell’onore, e sperino poter trarre durevole profitto dagli artisti coll’umiliarli e col vilipenderlì. Vo- lendo illustrare questo compendio eloquente delle glorie fiorentine , ch’ è la piazza del Granduca, egli affida i disegni a’sigg. Pieraccini e Mo- ritz; le incisioni a G, Paolo Lasinio ; le illustrazioni a Melchior Missirini. Del valore de’ tre primi io non parlo: spetta agli artisti e alla fama darne giudizio , ed all’occhio di qualunque abbia senso del Bello. Io quì non farò che ripetere quello che udii da persona di simili lavori assai bene informata “ che le vedute della piazza e de’ luoghi circostanti sono eseguite con gusto non comune , belli i contorni del sig. Lasinio rappresentanti i bassirilievi e le statue , notabile la franchezza , la pre- cisione de’ suoi tanto più commendevoli quanto più rapidi e spediti la- vori ,,. Debbo inoltre lodare le gratuite , generose cure del ch. Missirini, accetto già ai letterati e agli artisti per altri lavori di simil genere, il qua- le con la penna vi disegna gli illustrati monumenti così netto com’altri fa- rebbe col bulino; e nel dipingerli adopera uno stile pieno, pensato , effica- ce, e (cosa più rara che molti italiani non pensino) veramente italiano. E non è già scrittore il sig. Missirini da credere, che per esaltar le glorie passate dell’arti toscane; sia necessario adulare gli artisti presenti: ma par- lando del Vasari il quale “ togliea memoria delle architetture antiche e 3; moderne; e in Roma specialmente non lasciò cosa alcuna che non mi- 33 surasse e disegnasse, in tanto che le tavole prese furono più che 3 trecento, ;, soggiunge. = ‘La qual circostanza vorremmo che fosse 3, avvertita dai giovani architetti, per trarne bello ed utile esempio, »» prima di darsi alla pratica dell’arte; anzichè spendere gli anni pre- 5, ziosi della loro istituzione in disegni leccati, sfumati, imbellettati; », e in vaste concezioni, disconce ai nostri usi e ai nostri mezzi, e de- 3» Stinate ad una vana appariscenza sui fogli d’ Olanda ,,. Un lieto annunzio ci dà nell*ultima illustrazione il ch. Missirini : Manca alla fonte uno de’satiri: ma già la sovrana munificenza, volta sempre ad illustri monumenti di utilità e di decoro pel suo popolo ») tétto felicemente con freni-paterni, mira a restaurarla : e già il Pozzi, 3 scultor fiorentino, ha condotto il. modello del satiro mancante, il quale, per la novità dell’atto villesco, per la iforma faunina, pel ca- 3» rattere silvestre , e specialmente per gli spiriti infusi in tutta la per- 3» SOna, è disposto a doversi avvantaggiare nel paragone degli altri ,,. Resta che gli amici dell’arte, e nazionali e stranieri , rimeritino di favore efficace le splendide cure dell’egregio editore. Xx. (44 3 NI 2 » 169 BULLETTINO SCIENTIFICO Gennaio 1830. SCIENZE NATURALI Meteorologia. Si devono al sig. prof. Schubler di Tubinga alcune importanti osserva- zioni intorno alle differenze che presenta, secondo la direzione dei venti, l'elettricità che accompagna la condensazione dei vapori acquosi nel- l’ atmosfera. Chiama egli precipitazione atmosferica le materie acquose in genere, le quali, come la pioggia , la neve, la grandine, risultano dalla condensazione dei vapori sparsi nell’ atmosfera , dalla quale cadono o si precipitano. In 30 mesi egli ha osservato 412 precipitazioni atmosferiche in due serie distinte, delle quali la prima ad Ellvanguen nei 16 mesi da gennaio 1805 a aprile 1806, la seconda a Stuttgard nei 14 mesi da giu- gno 1810 ad agosto 1811. Siccome avviene spesso nelle piogge passeggere, o burrascose , ed anche nella caduta d’ una minutissima neve , che la natura dell’elettricità varii più volte mentre in altre circostanze essa non varia che d’intensità, la sua natura restando la stessa per giorni interi, raccoglierebbe intorno all’ intensità dell’ elettricità atmosferica dei risultati inesattissimi chi volesse sottrarre i gradi osservati dell’ elettricità positiva da quelli della negativa, come si fa per i gradi di caldo e di freddo allorchè si vuol de- terminare la temperatura media. Però il sig. Schubler notava separata- mente i gradi delle due elettricità. Disposti in un prospetto i risultati ottenuti confrontando la natura e l’ intensità colle direzioni dei venti, il sig. Schubler ne dedusse le con- clusioni che appresso : 1.° Il rapporto delle precipitazioni positive alle negative varia rego- larmente a partire dal vento nord al vento sud, sia che il passaggio si ef- fettui per i venti est o per i venti ovest. 2.° Soffiando il vento del nord, le precipitazioni positive sono un poco più frequenti delle negative ; al contrario soffiando il vento sud il numero delle precipitazioni negative è più che doppio di quello delle positive. .3.° Il numero delle precipitazioni negative è per i tre venti del sud (cioè sud-est, sud, e sud-ovest) doppio di quello dei tre venti del rord (nord-ovest , nord , e nord-est) ; in effetto il rapporto è da 114 a 230. 4.° I venti d’est e d’ovest, quanto a quest’ influenza sulle due elet- tricità diverse , sono framezzo ; bensì quelli d’est sì ravvicinano più a quelli del nord, e quelli d’ ovest a quelli del sud; in effetto l’ elettricità è più spesso negativa dominando ì tre venti dell’ ovest che i tre dell’ est nel rapporto di 161 a 133. T. XXXVII Gennaio. 29 170 5.° L’ elettricità della totalità delle precipitazioni è più spesso nega- tiva che positiva nella proporzione di 155 a 100. 6.° L’ intensità media dell’ elettricità positiva è al contrario più con- siderabile che quella della negativa nel rapporto di 69 a 43. 7.°/L’intensità dell’ elettricità , fatta astrazione dalla sua natura, è più forte soffiando i tre venti del nord, ed in particolare quelli di rord-est e di rord. 8.° L’elettricità , presa una media, è più debole soffiando i tre venti sud; la sua intensità è allora maggiore che perì tre venti del rord nel rapporto di 39 a 75. 9.° Soffiando i tre venti dell'est, 1’ elettricità è più forte nel rapporto di 72 a 48 che soffiando i tre dell’ ovest. ro.° L’intensità media dell’ elettricità di tutte le precipitazioni po- sitive e negative, osservata in tutte le direzioni dei venti, è quasi la stessa che quella delle precipitazioni osservate per i soli venti dell’ ovest. 11.° Le elettricità opposte si mostrano nel modo più evidente e con intensità quasi eguale allorchè dominano i venti del ord e dell’ est. Al contrario i venti dell'ovest, e specialmente quelli del sud, presa una media , presentano un elettricità negativa più debole , ma un maggior nu- mero di precipitazioni negative. f2.° Il maggior numero di precipitazioni elettriche si è verificato dominando i venti dell’ ovest , il minor numero dominando quelli del- 1’ est (Bibl. Univ. nov. 1829 pag. 203). In una sua lettera al sig. Schumacher, data da Irkutsk 11 aprile 1829, il sig. Hansteen dà ad esso un idea del clima della Siberia in inverno. Ecco come egli sì esprime : ‘ Egli è difficile trovare un cielo così bello per 3 le osservazioni astronomiche come quello della Siberia orientale. Dal »» momento in cui il fiume Angara, che ha origine dal lago Beikal, e cir- »» conda in parte la citta d’ Irkutsk, è coperto di ghiaccio , fino al mese »» di aprile , il cielo è costantemente sereno, nè ‘vi sì scorge mai la più »» piccola nuvola. Il sole si leva e tramonta con un freddo da 30 a 33 »» gradi R. brillando d’ una luce perfettamente pura, libera affatto da ,) quella tinta rossastra di cui lo vediamo rivestito in inverno allorchè si ,» avvicina all’ orizzonte. L’elevazione della contrada, e la sua conside- ,; rabile distanza dal mare, rendono l’aria asciutta, e danno luogo ad un ,» gran raggiamento di calorico , che è una delle cause della bassa tempe- ,) ratura che vi si osserva. Tuttavia la forza del sole vi è così grande in primavera, che facendo all’ ombra un freddo di 20 a 23 gradi >, a Mezzo giorno l’ acqua liquida gocciola dai tetti esposti al sole ,,. “ Noi partimmo da Tobolsk il 12 dicembre , e nel nostro viaggio fin qui avemmo costantemente una temperatura da 20 a 34 gradi sotto zero R. A malgrado di ciò ogni mattina al levare del sole io ho fatto le mie osservazioni per il corso d’un ora all’ aria aperta ad un freddo di 30 gradi. Fortunatamente l’ aria è sempre tranquilla, e la sua secchezza s» fa che si soffra meno qui ad un freddo di 30 gradi, che nel nostro ,» paese in Norvegia ad und di 15, Il naso e le orecchie sono le parti più 171 esposte agli effetti del freddo , ed accadeva spesso che nel tempo delle mie osservazioni il mio domestico mi avvertisse che il mio naso era già tutto bianco , sicchè era necessario farvi una pronta confricazione. Io ho vestite di cuoio sottile le viti degli strumenti che debbo maneg- giare, perchè toccando del metallo colla mano nuda, si sente al punto del contatto un dolore pungente come se si toccasse un carbone acceso, e si forma sulla pelle una vescica bianca come toccando un ferro in- » 2) 23 29 2) 25 bb) 33 fuocato ;,. “ Benchè i nostri termometri fossero chiusi in astucci di legno fode- rati di cuoio.e posti nelle tasche della nostra vettura, spesso la sera li abbiamo trovati gelati : il barometro si sarebbe gelato egualmente, se io non l’avessi tenuto fra le mie gambe, e se ad ogni stazione non l’avessi 23 23 25 ss portato in una camera scaldata ,,. « Il termometro a spirito di vino era d’ accordo con quello a mercu- rio fino a 10 gradi sotto zero, al di sotto di questo termine, il primo , indicava sempre una temperatura più elevata che l’ altro ; e questa dif- ,3 ferenza andava crescendo a misura che la temperatura abbassava ,,. (Ivi pag. 162). bh) Fisica e Chimica. Il prof. Barlocci di Roma aveva già riconosciuto che una calamita naturale armata , dopo essere stata esposta per tre ore alla viva luce del sole sostiene un peso alquanto maggiore che prima, mentre condotta ad un egual temperatura in luogo oscuro non presenta quest’ accrescimento li forza attrattiva. Il prof. Zantedeschi di Pavia ha ottennto li stessi risultati con cala- mite naturali ed artificiali. Avendo egli intrapreso delle esperienze per riconoscere se l’ ossidazione delle calamite avesse in ciò qualche influenza, trovò che la luce solare accresce la forza delle calamite ossidate, ed al- l’opposto diminuisce qualche poco la forza di quelle che non lo sono. Bensì se una calamita, oltre a non essere ossidata, sia pulita e lucida come uno specchio , non prova diminuzione di forza attrattiva per la sua espo- sizione alla luce solare. Concentrando con una lente la luce solare, e facendola cadere sul- l’uno o sull’ altro dei due poli d’ una calamita, cominciando sempre dal polo nord , ha veduto che questo polo acquistava forza ; e che al contrario il polo sud ne perdeva; questa perdita è proporzionatamente minore di quell’ aumento , e questi effetti son più notabili nelle calamite ossidate che in quelle che non lo sono. Gli è anche sembrato che il raffreddamen- to sia una circostanza che aumenta la forza delle calamite. In queste esperienze si sono presentate all’antore delle anomalie frequenti ed inesplicabili. Egli ha osservato con sorpresa il fatto seguente, di cui ha reso testimoni più persone intelligenti. Se il sole sia coperto d’un velo leggiero ed ineguale, la sua azione si esercita in un modo op- posto a quello che si osserva allorchè il sole è scoperto. L’azione di esso applicata allora al polo sud aumenta la forza attrattiva, applicata al polo nord la diminuisce. Benchè egli affermi che queste esperienze ripetute 172 molte volte da lui e da altri hanno dato costantemente li stessi risultati, pure esprime il suo desiderio che siano ripetute da altri fisici, e moltipli- cate, riputandole capaci d’ illustrare e spiegare i più delicati fenomeni della luce , come le interferenze , l’inflessione , la doppia rifrazione , e la polarizzazione. L’ emanazione solare esercitando insieme azione calorifica ed azione luminosa, potrebbe dubitarsi se l’ influenza osservata sia 1’ effetto di queste due azioni riunite , o d’una di esse indipendentemente dall’altra. Ma appoggiandosi l’ autore al fatto, per lui non dubbio, che il calorico indebolisce l’azione magnetica, non esita ad attribuire l’ aumento come sopra osservato esclusivamente all’ azione della luce. Siccome egli aveva eseguite le esperienze indicate ad imitazione di quelle del prof. Barlocci, così ha voluto imprenderne altre ad imitazione di quelle del sig. Christie. Quest’ ultimo aveva affermato che l’azione della luce. solare diretta e la vicinanza d’una lama di rame diminuiscono gli archi d’ oscillazione d’ un ago magnetico mobile. 11 professore Zante- deschi avendo ripetuto queste esperienze , anche coll’ assistenza del pro- fessor Configliachi , con aghi lunghi tre pollici, senza osservare gli effetti annunziati dal sig. Christie , volle tentarle di nuovo con aghi lunghi un piede parigino, coi quali ottenne quei risultamenti in modo evidentissimo. Anche in queste ultime esperienze l’ autore ha riconosciuto la legge osservata nelle precedenti, cioè che esponendo al sole il polo nord si ha un più gran numero d’oscillazioni ed una minore ampiezza che esponen- dovi il polo sud. Similmente la circostanza del cielo leggermente coperto ha reso anche in queste ultime esperienze inversi i risultati, e 1’ abbassa- mento di temperatura ha aumentato l’ intensità della forza direttrice (Bibl. Univ. nov. 1829 pag. 193) La scoperta della virtà magnetica del. raggio violetto annunziata da prof. Morichini di Roma fin dall’anno 1812 dopo essere stata confermata da alcuni fisici, e contradetta da un maggior numero, sembrava posta fuori di dubbio dall’esperienze di madama Sommerville , come pareva di- mostrata l’ influenza magnetica della luce solare dalle osservazioni del sig. Christie sulla diminuita ampiezza delle oscillazioni d’un ago esposto ai raggi solari, e da quelle del prof. Zantedeschi di Pavia sull’aumento di for- za attrattiva che acquistano le calamite esposte all’azione del sole; quando i sigg. P. Riess e L. Moser da nuove diligenti ricerche sono stati condotti a concludere il contrario. Da un estratto che gli autori stessi hanno fatto d’una loro memoria relativa, (estratto che si trova riportato negli Annali di chimica e fisica di Parigi nov. 1829 pag. 304) si rileva che essi impren- dendo a ripetere minutamente quei processi che dal prof. Morichini e da altri fisici erano stati indicati come i più atti a rendere evidente la produzione dei fenomeni magnetici per l’ azione solare , vollero sostituire altri metodi a quelli dei quali gli altri fisici si erano serviti per riconoscere lo stato magnetico degli aghi, e per misurarne l’intensità, giacchè di- verse prove anteriori li avevano convinti esser quei metodi soggetti ad errori quasi inevitabili. Riguardando essi come il metodo più sicuro per 173 giudicare del magnetismo degli aghi 1’ osservazione comparativa delle loro oscillazioni, di questo si servirono. I loro aghi erano d’acciaio dolce, piccolissimi di massa, ma che presentavano una superficie considerabile all’azione della luce. Per assicurarsi dello stato magnetico primitivo degli aghi destinati alle loro esperienze , e dell’intensità di quello stato , li esaminavano prima d’ impiegarli , e così pensano d’ avere ottenuto risul- tati certi e puri. Assicurati per un lato dall’ esperienza che gli aghi di ferro dolce mentre presentano sempre qualche debole indizio di magne- tismo , questo non arriva forse mai ad uno stato o ad un grado fisso, hanno riconosciuto dall’ altro lato, similmente per esperienza, che niuno dei molti aghi da essi esposti in circostanze diverse alla supposta influenza della luce solare ne acquista un grado di magnetismo certo, e che non possa più giustamente essere attribuito alle variazioni che questa proprietà subisce nel ferro per ogni sorta d’influenze anche meccaniche. Ad una simile conclusione questi ossservatori sono stati condotti ripetendo le esperienze del sig. Baumgartner. La luce polarizzatà , la quale pure hanno sperimentato per suggerimento del sig. Poggendorff, non è stata più effi- cace a produrre i supposti effetti magnetici, È notoai fanciulli, non che ai cultori delle scienze naturali il curioso sperimento di trarre delle scintille elettriche dal gatto vivente con stro- picciarne la pelle. Non so per altro che da veruno sia stata fatta atten- zione ad un fenomeno il quale si presenta nella stessa circostanza, e che permette di ravvisare in quell’ animale, in vece d’un semplice corpo elettrizzabile, un vero apparecchio elettrico. Se posto il gatto sopra le proprie ginocchia, o sopra una tavola, lo sperimentatore applichi la mano sinistra al lato egualmente sinistro del collo dell’ animale, e colla destra ne ecciti l’elettricità verso la coscia destra, dopo alquante stro- finazioni egli proverà nella sua mano sinistra una scossa paragonabile alla scarica d’ una bottiglia di Leida debolmente elettrizzata , o a quella d’una piccola pila del Volta. Quando l’atmosfera è eminentemente fredda ed asciutta, la scossa è più forte, e si fa sentire ripetutamente di se- guito dopo ogni tre o quattro strofinazioni. Talora il passaggio del fluido elettrico si annunzia con delle punture in diversi luoghi della mano. Tre gatti dell’ età da uno a sei anni, sottoposti all’ esperienza uno dopo l’altro, non mì diedero risultati d’intensità molto diversa. L’ani- male si esilara il più delle volte nell’ operazione ; talora mostra adirar- sene; la sua sensibilità ne resta sempre affetta in un modo molto no- tabile. Questo fatto può prender posto, se non m’inganno, nella serie dell’ esperienze sull’elettricità animale, che il celebre Davy ha racco- mandato ai fisici d’istituire, allorquando nell’ ultimo periodo della sua vita si occupava d’indagini sulla Torpedine elettrica. Ulteriori prove sull’ elettricità del gatto mi hanno indotto ad opi- nare che l’animale adulto dà luogo generalmente a scariche più forti e più continuate, e che per la buona riuscita dell’esperimento, oltre il favore delle condizioni atmosferiche, è necessaria una disposizione pro- 174 pria dell’animale, che non è sempre eguale , coeteris paribus. ( Articolo comunicatoci dal sig. dott. Antonio Fabroni d’ Arezzo. ) Il sig. Berzelius riferisce la seguente esperienza , la quale per al- tro è. dovuta a Van Beenmeleer. Se s’impolveri, un cilindro di fosforo con resina e solfo, e postolo sotto il recipiente della macchina pneu- matica si faccia il vuoto, il fosforo diventerà luminoso nelle parti rico- perte da! queste polveri, e finirà con infiammarsi. (Bibl. Univ. nov. 1829 pag. 262.) ug In una memoria del sig. Liedig riferita negli Annali di chimica e fisica di Parigi, novembre 1829. p. 316, sono esposti varii fatti, in parte già conosciuti in parte nuovamente osservati, i quali schiariscono la natura e le proprietà di varie preparazioni di platino ; ne indicheremo qui i principali. Il sig. Edmondo Davy scaldando del solfato d’ossido di platino con dell’alcool, osservò che mentre il liquido si scolora, si forma un preci pitato nero, che disseccato presenta odor d’etere, ed ha la proprietà di riscaldarsi fino all’infuocamento allorchè vien bagnato con alcool, e si mantiene infuocato finchè resta dell’alcool, il quale sì trasforma in aci- do acetico. Il sig. Doebereiner riconobbe che questa materia ha la proprietà d’ assorbire tutti i gas infiammabili, ma non il gas ossigene nè il gas acido carbonico, che saturata di gas idrogene, e posta in contatto col gas ossigene, tende ad operare la loro combinazione , ed a formare dell’acqua, divenendo incandescente per il calorico che si sprigiona. Da ciò egli congetturò che il platino metallico estremamente diviso potesse produrre un azione simile ; e così fu condotto a scuoprire l’infiamma- zione del gas idrogene per mezzo della spugna di platino, o del platino spugnoso. In seguito lo stesso sig. Doebereiner ottenne un composto dotato delle stesse proprietà, trattando il cloruro di platino e di potassio collo spirito di vino. Il sig. Zeise descrisse una preparazione di platino che egli eredè par- ticolare; e che si ottiene scaldando dolcemente in una storta il cloruro di platino con 12 parti di spirito di vino della densità di 0,813, finchè il cloruro divenga nero, ed il liquido chiaro e senza colore. Si produce in questa circostanza dell’etere idroclorico, ed il liquido diviene acido. Anche questa sostanza s’ infuoca per il contatto del vapor d° alcool, ma non per quello del petroleo e dell’essenza di terebintina. Persuaso che queste tre preparazioni dovessero le comuni loro pro- prietà ad uno stesso corpo, mescolato ad altre materie che lo modificas- sero più o meno , se ne convinse per esperienza, e giunse ad ottenere puro questo corpo col processo seguente. Si tratta il cloruro giallo-verdastro di platino con una dissoluzione concentrata di potassa , che coll’aiuto del calore lo discioglie, formando un liquido nero e poco trasparente. Si ritira questo dal fuoco , e vi sì ki 175 versa a poco a poco dello spirito di vino, agitando ciascuna volta. Bi- sogna impiegare un vaso proporzionatamente grande, poichè si fa un ef- fervescenza molto viva, dovuta allo sprigionamento di molto acido car- bonico. Si precipita frattanto una polvere grave di color nero vellutato, che si fa bollire successivamente coll’alcool, coll’acido idroclorico, colla potassa , e finalmente quattro o cinque volte coll’acqua , quindi si lava e si secca in una cassula di porcellana, evitando di porla a contatto con un feltro, o con qualunque materia organica. Questa polvere nera, pri- va d’odore etereo, che si riconosce per puro platino metallico, gode in grado eminente della proprietà d’ infuocarsi per il contatto dell’alcool, il quale si converte in acido acetico, e d’infiammare istantaneamente il gas idrogene. Anche il platino precipitato allo stato metallico per mezzo dello zinco dalla sua dissoluzione in un eccesso d’acido idroclorico è dotato delle stesse proprietà. Avendo il sig. Liebig mescolato la sopra indicata dissoluzione di cloruro di platino nella potassa ad una notabile quantità di nitrato di rame, e fattala bollire con dello spirito di vino, ottenne un precipi- tato, che conteneva una quantità d’ ossido di rame almeno due volte maggiore di quello di platino, ma che conservava la proprietà d? in- fuocarsi per il contatto dell’alcool. La proprietà del precipitato nero di platino d’assorbire una gran quantità di diversi gas o vapori infiammabili, dei quali opera così una grande condensazione, è riguardata debitamente dal sig. Liebig come la causa dell’infiammazione di questi , allorchè sì trovano a con- tatto del platino estremamente diviso e dell’ ossigene nel tempo stesso. Egli ravvicina questo fenomeno all’altro ben conosciuto dell’infuoca- mento che prova il ferro estremamente diviso, qual’è quello otte- nuto dalla riduzione dei suoi ossidi per mezzo dell’idrogene. Il sig. Liebig confuta con varii argomenti la spiegazione che dei fenomeni stessi ha data nel suo trattato di fisica il sig. Schmidt, il quale vuol ripeterla dalla combinazione delle due contrarie elettricità, del platino eminentemente elettronegativo , e dell’ idrogene eminen- temente elettropositivo. Perchè il nero di platino s’infuochi per mezzo dell’ alcool, biso- gna che non ne sia interamente bagnata tutta la massa, ma che ne resti asciutta qualche porzione , a contatto della quale venendo il va- pore alcoolico produce il fenomeno. Se si prenda del sughero, e dopo averlo bene imbevuto d’ una soluzione di muriato di platino o di verderame, si scaldi fortemente in un vaso chiuso, si otterrà un carbone che si accende con molta facilità , e che continua a bruciare da sè solo , il che non avviene del semplice carbone di sughero. Sembra che 1’ ossido di rame eser- citi un azione simile a quella del platino. Può osservarsi un effetto eguale in una candela di cera colorata in verde col verderame. Do- po averla lasciata bruciare finchè il suo lucignolo acceso sia così lun- 176 go ; che spento col soffio ritenga in cima un poco di carbone. infuo- cato, questo carbone continuerà a bruciare per delle ore, ed anche per dei giorni, finchè tutta la candela sia consumata. Poichè lo stesso effetto non ha luogo colle candele bianche, è evidente che esso è dovuto all’ossido di rame attaccato al lucignolo, che favorisce la combustione. Il sig. Lampadius di Freyberg, avendo mescolato 180 parti dì mer- curio con 6 parti di sodio, ha osservato che dopo un minuto î due me- talli si sono ad un tratto combinati con un certo romore. Ne è risul- tato un composto solido che resiste all’ azione della lima , e la di cui spezzatura è lamellare e cristallina quasi come quella dello zinco; il suo colore si avvicina a quello dello stagno; è fragilissimo , e si riduce in polvere per la percussione. Gettando nell’acqua questa polvere , si sprigiona un poco di gas idrogene ; gettandola nell’ acido nitrico allun- gatissimo , lo sprigionamento del gas è più rapido , ma senza fenomeni d’infuocamento. Nel momento in cui il mercurio, che fa la funzione di corpo elettronegativo , si combina al sodio, che è elettropositivo, la temperatura della mescolanza si eleva al di sopra del grado dell’ebol- lizione dell’ acqua, e dopo l’esperienza si trova notabilmente diminuito il peso della lega; lo che fa presumere che una certa quantità di mercurio sì sia volatilizzata. Le proporzioni di questo composto sono: s0- dio 3,69, mercurio 96,31. (Férussac sc. phis. octobre 1829 pag. 358.) Negli Annali di chimica e fisica di Parigi, novembre 1829 pag. 335 sì trova riferito il seguente curioso fenomeno di riduzione del nitra- to d’ argento. Il sig. Charles de Filiere , avendo fatto preparare da uno dei suoi allievi una gran quantità di nitrato d’ argento, ne involtò i più bei cristalli in una carta senza colla, che inavvertitamente rimase inclusa in un cartone , e però priva di qualunque contatto con qual- sivoglia altro corpo estraneo , ed anche con quelle particelle che sono sospese nell’ atmosfera. Dopo molto tempo avendo ritrovato. que- st’ involto , vide che non solo la carta aveva preso, come suole, un color violetto cupo, ma che quei bei cristalli che prima conteneva, senza aver perduto la loro forma , si erano convertiti in lame d’ ar- gento metallico malleabilissimo. Il sal gemma, o sal comune fossile che si estrae dall’interno. della terra, è in Inghilterra generalmente di color rossastro, e più o-meno opaco , sebbene talvolta se ne incontrino dei cristalli bianchissimi ed anche ben trasparenti. Il.sig. Guglielmo Nicol, professore di fisica, esa- minando un pezzo di quest’ ultima specie inviatogli da Cheshire, 0s- servò in esso sparse quà e là molte piccole cavità di forma irregolare, alcune delle quali erano piene d’ un liquido , altre contenevano una bolla d’ aria. Egli si accorse che si può sempre far nascere una di tali bolle nelle cavità che non ne.contengono, scaldando moderatamente il cristallo ; bensì la bolla non si mostra mai se non dopo che il ca- lore ha cominciato a diminuire. 177 Se si scaldi un pezzo in cui sia una cavità contenente una bolla d’aria, questa diminuisce di volume a misura che la temperatura si eleva, ed ordinariamente sparisce anche prima che il pezzo sia riscal- dato in modo da incomodare la mano. Mentre va raffreddandosi, la bolla ricomparisce e cresce di volume fino al momento in cui il cristallo sia ritornato alla temperatura dell’atmosfera. Se si faccia nel cristallo un foro che pervenga direttamente alla cavità , il liquido vi rimane, senza mostrare tendenza alcuna a cri- stallizzare , ancorchè lo stato dell’ atmosfera sia tale da determinare una pronta cristallizzazione dell’idroclorato di soda. Bensì, scaldandolo, prende la forma di cristalli acicolari delicatissimi, ma che vanno ben presto in deliquescenza , quantunque l’ aria sia secchissima. Questi fenomeni dimostravano bastantemente che il liquido di quelle cavità non era una soluzione di sal comune. Se la sua piccolissima quantità non permise all’ osservatore di determinare le proporzioni dei suoi componenti, gli fù bensì facile per mezzo dei reagenti chimici riconoscerne la qualità. Il nitrato d’argento mescolato a quel liquido formava un pre- cipitato abbondante, indicando la presenza dell’acido idroclorico. L’idro- clorato di barite non producendovi alcun precipitato , escludeva la presenza dell’acido solforico. L’ ossalato d’ ammoniaca formandovi un leggero precipitato , vi annunziava una piccola quantità di calce, e sic- come il carbonato di potassa vi produceva un precipitato molto più denso ; era evidente che la base a cui era unita la maggior parte del- l’ acido idroclorico era la magnesia. Però il sig. Nicol conclude che il liquido contenuto nelle cavità del sal gemma da lui esaminato deve riguardarsi come una soluzione saturata d’idroclorato di magnesia, mescolata ad una piccola quantità d’ idroclorato di calce, e siccome il sal gemma stesso quando non contiene cavità non presenta indizio alcuno dei due sali nominati , nè d’ altra qualunque materia straniera, bisogna considerarlo come cloruro di sodio puro. ( Ann. de Chim. et de phys. nov. 1829, p. 257.) Il sig. Pelletier ha annunziato all'Accademia delle scienze di Pa- rigi d’ essere arrivato a fabbricare grandi quantità di solfato di ma- gnesia con dei calcari magnesiaci, dei quali esistono in Francia molti depositi ai quali non era stata fin quì fatta attenzione. La quantità di questi sali che il sig. Pelletier ha fabbricati è molto considera- bile, e la loro qualità comparabile ai migliori prodotti analoghi che vengono d’ Inghilterra. Egli ha promesso di trasmettere all’accademia una nota in cui saranno indicate le località che in Francia presen tano i calcari magnesiaci atti a quella fabbricazione, non meno che i processi dei quali ha fatto uso. (Globo IN.° 102, 23 dicembre 1829 ) A questo proposito crediamo dovere avvertire che il sig. Gio. Batt. Pandolfini Barberi , avendo prima in alcuni piccoli esperimenti ricavato dalle acque-madri delle saline marittime di Portoferraio del solfato di magnesia, ne ha colla superiore approvazione intrapresa nella scorsa T. XXXVII Gennaio. 23 178 estate l’ estrazione in grande con ottimo risultato, giacchè il sale otte- nuto da una prima cristallizzazione, procurata colla semplice evapora-. zione spontanea, sciolto in acqua bollente, dà per una seconda cristal- lizzazione un prodotto bastantemente puro, attissimo agli usi della medi- cina e della chimica , e non inferiore al miglior sale catartico d’Inghilterra. Il sig. Séru/Zas è giunto ad ottenere in abbondanza l’acido iodico ben cristallizzato con un processo che consiste nel trattare una disso- luzione di iodato di soda con un eccesso d’acido solforico. La mescolanza abbandonata ad una evaporazione spontanea dà in pochissimo tempo dei cristalli d’ acido iodico puro. Restano nel liquido il solfato di soda for- matosi, e l'eccesso d’ acido solforico. (Ft Il sig. Sérullas sì è assicurato che quei supposti acidi doppi che Davy aveva indicati coi nomi di acido iodo-solforico , iodo-nitrico, ed iodo- fosforico non esistono (Globo num. sud." ). Non ha molto tempo che i giornali di Parigi annunziarono la par- tenza da Roma, e la felice navigazione d’ un battello a vapore denomi- nato il Successo, e mosso da una macchina di nuova invenzione ch’essi chiamano Macchina d’ espansione. Questo nome offre argomento di cre- dere che la macchina in discorso abbia molta analogia con altra d’inven- zione del sig. ingegnere Cesare Rosa di Modena, della quale egli presentò, nel dì 23 luglio 1829 , il modello alla R. Accademia di scienze lettere ed arti di detta città. La mira del sig. Rosa si fu d’ovviare al pericolo dell’ esplosione e rottura della caldaia, cagione pur troppo di frequenti disastri nelle macchine ordinarie. Avvisando egli doversi soltanto attri- buire l’ esplosione all’istantanea differenza di pressione cui vanno sog- gette alcune parti delle macchine usate al dì d’oggi, adoperò in modo che nella sua la pressione del vapore andasse crescendo gradatamente, e che questo trovasse uno sfogo libero, senza che fosse d’ uopo di raffred- darlo istantaneamente: per tal modo, anche nelle ipotesi le più sfavore- voli, ragion vuole che non abbia ad accadere esplosione alcuna, ma bensì semplice rottura o fenditura simile a quella che nascerebbe in un tubo verticale assai lungo, entro cui si versasse un liquido sino a che il peso di questo vincesse la forza di coesione delle parti inferiori del tubo. All’uscita del vapore bollente, che in caso di rottura potrebbe recar danno od incomodo a qualche astante, il sig. Rosa rimedia con un inyo- lucro atto a costringere il detto vapore a prendere una direzione deter- minata. Gli esperimenti fatti dall’ A. alla presenza di molti dotti del paese , ed anche d’una deputazione della mentovata R. Accademia , ot- tenero un prospero successo, come risulta, riguardo a quest’ultima, dal seguente estratto delle adunanze della R. Accademia stessa inserto nel Messaggiere Modenese N.° 66. Il sig. Rosa si propone di pubblicare fra breve una memoria su quest’oggetto. R. Accapemia pi Scienze, LerrerE, ED Arti pi MopeNA. Adunanza tenutasi dalla Sezione di Arti il giorno 22 luglio 1829. ‘ Il direttore della sezione sig. professor Brignoli de’Brunnhoff lesse 170 ,, un rapporto statogli indirizzato dal sig. ingegnere Cesare Rosa con ,, cui comunica all’ Accademia la descrizione di una macchina a vapore 3» di nuova costruzione da lui inventata, ed eseguita sotto la sua direzione ,3 dall’artefice modanese sig. Giacomo Gavioli, che, a differenza delle », altre finora immaginate , presenta il vantaggio di andar immune dal »» pericolo dell’ esplosione , attesocchè il vapore in essa si mantiene co- 3) stantemente in istato di pressione, la quale varia però in ragione del- 33 l'intensità del fuoco : questa macchina ancora, non avendo d’ uopo di »» raffreddamento alcuno, non offre urto per cagione di vuoto che si 3 formi, e non lascia sentire quasi alcun rumore. se non il consueto 3 della maggior parte delle macchine meccaniche. Fu quindi deciso che » il direttore stesso, e i signori accademici si sarebbero recati sul luogo 3, ad esaminare la macchina per vederla agire. Nel giorno 23 detto anda- 3» rono di fatto ad una casa suburbana appartenente allo stesso autore >> della macchina, la esaminarono diligentemente, la videro agire, e 3, Sì assicurarono esser vero ciò che nel citato rapporto era stato an- », munziato ,,. (Articolo comunicato). NECROLOGIA. Ab. Michele Vannucci. M. Vannucci, lucchese, visse in Parma ed in Milano, edu- catore di. nobili giovanetti; amò con vivo e disinteressato amo- re le lettere; pubblicò parecchi scritti del trecento , con dili- genza che può chiamarsi esemplare. Fu buono , sincero. - Noi taceremmo al Pubblico il dolore che ci recò l’improvviso annun- zio della immatura sua morte , se in lui non potessimo offrire l’ esempio raro d’ un uomo , che vissuto nelle case de?’ ricchi , seppe farsi rispettare da’ genitori, farsi amare da’giovanetti alle sue cure affidati. Lontano da quella presunzione che in con- dizioni simili alla sua, e in altre ancora tanto frequentemente si accoppia alla servilità dell’ anima e del pensiero , non s’ assunse I° ufizio d’ insegnare più di quel ch'egli sapesse : onde pel greco , per la filosofia, per le matematiche , per altri studii, gli alunni di lui ebbero , a suo stesso consiglio , altro precettore più idoneo. Modello e rimprovero a que’ padri, che nel signor abbate cercano l’ educatore enciclopedico , l’ajo, il servo, il cappellano di casa; e che non arrossiscono di spendere più denaro e più ambizione nel mantenimento d’ un cavallo che nella educazione d’ um figlio. — E quì saremmo tentati di deviare alquanto dal tema; ma il venire esponendo certi inconvenienti della privata educazione , incon- venienti che il buon Vannucci seppe con rara prudenza o vincere od evitare , sarebbe forse il miglior mezzo di rendere onore alla dol- ce memoria del perduto amico. K. X. Y. 180 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO i Annesso all’ Antologia (*). Gennaio TOSCANA. GIORNALE AGRARIO TOSCA- NO compilato dai sigg. R. Lamsru- scnini, Lapo pe’ Ricci, (e Cosimo RivoLri.Vol. IV. Trimestre I. Num. 13; e CONTINUAZIONE DEGLI ATTI E MEMO- rie DELL'I. e R. Accapemia Econo- Mico-Acraria DEI GrorcoriLi. Auno VIII. — Trimestre I. In seguito di convenzione tra VI. e R. Accademia dei Georgofili, e l’Edi- tore del Giornale Agrario , lu conti- nuazione degli Atti e Memorie del- l’ una sarà, a cominciare dal pre- sente anno accademico, dispensata trimestralmente coll’altro sotto la stessa coperta , senza che questa aggiunta , per la quale si eccederà il numero dei fogli promessi agli associati del Giornale Agrario, porti seco verun aumento sul prezzo di associazione al medesimo ; cosicchè : 1. Gli associati al Giornale Agra- rio, pel solito prezzo di ]. ‘10, avran- no oltre ai fogli promessi gli Atti e memorie dell’ Accademia , a. E gli associati agli atti dell’Ae- cademia, i quali non lo sono ancora al giornale Agrario , mediante l. 10 1530. annue riceveranno questo “giornale e gli atti suddetti. 3. Gli atti avendo frontespizio, indice, e paginazione a parte , gli associati potranno alla fine di ogni anno farne legare il volume separata mente dal giornale. L’ Editore del giornale , nel cer- car di combinare la dispensa simul- tanea e periodica delle due raccolte, ha avuto in mira di render più sol- lecita, più regolare e vie maggiormente diffusa nel pubblico la cognizione degli Atti dell’ illustre corpo scienti- fico che tanto ha meritato della pa- tria; e nel tempo stesso di far cosa grata a quelli tra gli associati ul giornale che non possedano gli atti, siccome agli antichi associati agli at- ti, ai quali non piacesse di fur la spesa delle due raccolte. A nessimo dunque sfuggirà la convenienza som- ma di questo divisamento a vantag- gio del pubblico toscano. Resta a ve- dere se 1’ Editore, come tale, vi troverà le sue. Egli vuole sperarlo dalla premura ‘che avranno gli antichi associati agli Atti di farsi ascrivere tra quelli del Giornale Agrario. Esso dichiara peraltro che non ri- ceverà sottoscrizioni al scolo giornale, o a’ soli Atti; la tenue somma dli (*)I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. Il Direrrore DELL’ AnroLocIA rammenta a’ sigg. Librai, cd a’ respettivi Autori e Editori di opere italiane , che le inserzioni di annunzi tipografici , nel presente bullettino , non possono. avervi luogo che previo l’ invio di una copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti da inserirsi per in- tiero, 0 di qualunque altro avviso tipografico, mediante il pagamento di soldi due per ogni riga del medesimo bullettino. Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo ita convenirsi sé- condo il numero de? fogli. Lire 1n annue non comportando due associazioni staccate. Dichiara inoltre che ai sigg. as- sociati al giornale Agrario i quali, ad onta di replicati inviti , non han- no ancora pagata l’ associazione del- 1’ anno 18a9 , vien sospesa la. spedi- zione del primo fascicolo 1830, N. 13, ora pubblicato, Elenco degli articoli contenuti nel suddetto fascicolo. GiornaLe AGRARIO Ai lettori (I CompiLatORI) — Me- moria intorno ad una varietà di pata- te. (G. W. Ticne) — Del custodi- mento de’ bachi. Art. IV. (R. Lameru- SCHINI ) — Considerazioni d’ economia. (Cosimo RipoLr1) — Della coltivazione dei contorni di Firenze (Laro DE Ricci) — Capre dell’ alto Egitto (con tavola). (V. Carmienani) — Sulle colnate di monte. Art. VIII. (G. Ri- DOLFI) Necrologia. Giuseppe Bitossi. (V. ARMIGNANI) = Notizie sul mi- glioramento e conservazione delle raz- ze vaccine. (G. VA1) — Festa dell’agri- coltura in Baviera . (L. Tempi) — Della preferenza da darsi nell’acquisto de’ bovi da lavoro a quelli di belle forme . (L. DE Ricci) — Adunanza solenne dell’ Accademia de’ Georgofili. — Dei danni cagionati dal freddo alla raccolta dell’olio d’oliva (GC. RipoLr1)- Corrispondenza, prezzi correnti ec. ATTI DELL’ ACCADEMIA Parte istorica, = Nota dei nuovi Socii. - Doni ricevuti dall’ Accade- mia. = Elenco delle sessioni accade- miche e letture che vi hanno avuto luogo, = Lavori accademici. — Estrat- to di una memoria del sig. Priore Iacopo Ricci, sui difetti generalmen- te invalsi nella cultura della vite. — Memoria del sig. dott. CarLo Pas- serIiNI sul brucio della Procris Am- pelophaga, e sulla larva o baco del Lixus Octolineatus. = Estratto di una memoria del sig. dott. G. B. Macini, nella quale è annunziato un nuovo sistema per insegnare i rudimenti grammaticali della nostra lingua, — Estratto di una memoria del sig. av. Lropocno PeLLIi FABBRONI , sulla col- tivazione del Pino Larizio 0 Larig- «gio di Corsica. = Estratto di una me- moria «del sig. dott. Giuseppe Vat- TANCOLI, sopra un metodo di ab- bruciare il terreno per modo d'’ingrasso dei campi. DESCRIZIONE delle medaglie an- tiche greche nel museo Hedervariano (RIA dal Chersoneso taurico fino a tutta alla Tessaglia e isole appartenenti alla mede- sima, e alla Macedonia. Parte Eu- ropea. Per Domenico Sestini. Firen- ze , 1830 , Guglielmo Piatti. 4-° di p. 156. Con tavole 3 in rame. Prezzo paoli 10. LA PIAZZA DEL GRANDUCA; di Firenze, co’ suoi monumenti, di- segnati da Francesco PirRaccINI, e F. Moritz; incisi da Gio. PaoLo Lasi NIo , e dichiarati da MeLcHior Mis- strInI. Firenze , 1830, presso Pagni, Bardi e €: in foglio , tavole XXI. ORNITOLOGIA TOSCANA ossia descrizione e storia degli uccelli che trovansi nella Toscana, con 1° ag giunta delle descrizioni di tutti gli altri proprii al rimanente. d’Italia, del dottor PaoLo Savi, professore di storia naturale. e direttore del mu- seo dell’I. e R. Università di Pisa, socio , ec. Pisa, 1829, tip. Nistri. 8.° Tomo II di p- 380 con tavole. MANUALE del cultore di pian tonaie , con una memoria sullo stu- dio dell’ awricoltura, del Proposto Icnazio MaLenoTtTI autore dell’opera agraria il Padron Contadino, mem- bro della società Linneana di Parigi, e delle principali accademie d’Italia. Firenze, 1830, Luigi Pezzati. 12.° p. 214. Prezzo fiorini 3. VECCHIO E NUOVO TESTA- MENTO secondo la volgata, tra- dotto in lingua italiana, e con an- notazioni dichiarato da monsignor An- Tonio MartINI arcivescovo di Firen- ze. 8.° Prato , 1829, frat. Giachetti. Tomo XII. Dispensa 23, 24. (Salmi.) BIBLIOTECA PORTATILE del Viaggiatore . Firenze , 1829-30 pres- so Passigli Borghi ec. con ritratto ‘e vignetta. Volume I. in 8.° di p. 835; contiene , la Divina Commedia del Dante, le rime del’ Perrarca, l’ Orlando Furioso dell’ Ariosto, e la Gerusalemme Liberata del TAsso, — (Bellissima e nitidissima edizione com- patta). Prezzo franchi 4o. DELLA prima Elegia d’ALsio Tr- BULLO versione di GrovannNI CaseLLI. Firenze , 1830, Leonardo Ciardetti» in 8.° I PROMESSI SPOSI storia mila- 182 nese del secolo XVII scoperta e ri- fatta da Aressannpro Manzoni. Fi-: renze 1829 s Passigli Borghi\ec. Edi zione in miniatura. Vol. III.° di p. 228. Prezzo. fr. i. 68 ; toscane l. 2. PER L'INAUGURAZIONE dei bu- sti del PerrARCA e del Poccio. Ora- zione detta da Francesco MartINI, nella sala dell’ accademia Valdarnese in Montevarchi li 7 settembre 1829. Firenze , 1830, nella tip. di Luigi Pezzati. 8.° di p. XV. ICONOGRAFIA CONTEMPORA- NEA , ovvero collezione dei ritratti dei più celebri personaggi d’Italia, disegnati dal sig. Ermini, ed incisi dal sig. VENDRAMINI, accompagnata da no- tizie bibliografiche , letterarie e cro- nologiche. In folio grande. Firenze, 1830, st. di Luigi Pezzati. Dispen- sa V, contiene il ritratto di V. MontI. Prezzo paoli \10. BACCANALE per l’anno 1830, Carme lirico d’ Oresso; 8.° di p. 20. Firenze , presso L. Pezzati. DI NICCOLO’ COPERNICO astro- nomo polacco y ragionamento del cav. Giovanni SnIADscKI, rettore dell’uni- versità di Vilna, ec. tradotto dalla lingua polacca nell’ Italiana , dal dot. BernARDO ZAyxbLER, corrispondente dell’ I. e R. Ateneo. italiano e socio d’ altre accademie letterarie ; già al- lievo premiato della R. università di Varsavia; con aggiunte. Firenze , 1830, Poligrafia fiesolana. 8° di p- 192: REGNO LOMBARDO VENETO. INSEGNAMENTO pratico del nuovo metodo di lettura così detto Statilegia , secondo 1)’ esposizione del ragioniere Lopovico Giuserre Crippa capo dipartimento alla contabilità cen- trale; opera del ragioniere maestro elementare privato Anronio BoseLLt. Dedicato ai maestri che non patisco- no gelosia, ed alle madri pazienti. Milano, 1829 , G. B. Bianchi ec. BIBLIOTECA PORTATILE lati- na, italiana e francese. Milano, 1829, per Antonio Fontana. Classe italiana. Storia della letteratura ita- liana di G. Trranoscni. Tomi XXVII e XXVIII. COLLEZIONE DI MANUALI componenti una Enciclopedia di scien- ze lettere ed arti. Milano, 1829, A. Fontana. ‘Scienze naturali. Ma- nuale della storia. naturale di BLu- MENBACH recato in ital. dal dot. Ma- LACARNE sulla IL'ed. tedesca pubbli- cata a Gottinga nel 1825. Volume V. di p. 630 con ‘tavole. BIBLIOTECA STORICA di tutte le nazioni. Milano, 1829, A. Fon- tana. 8.° Volume go.mo della colle- zione, II.® dell’istoria delle guerre ci- vili ‘di Francia di DaAviLa. FILOSOFIA DELLA STATISTI- CA di MercHionre Giova. Milano , 1830 dagli editori degli annali uni- versali. Vol. II. fasc. 3.° prezzo dei primi due volumi 1. 7, 20 it. VIAGGI a Pekino, a Manilla ed all’ isola di Francia, fatti negli anni 1794-1801, da M. De Guicng; ver- sione dal francese, di F. E. con rami colorati. Milano ; 1829, Loren- zo Sonzogno. Volumi I e II. 127° e 128.° della Raccolta di Viaggi. MANUALE di fisica dilettevole , ossia gli esperimenti e le ricreazioni più curiose della fisica raccolte da C. Jura FontaNELLE, volto in 1ta- liano da P. Srapa dall’ ultima edi- zione parigina, con note. Milano , 1829, Vol. II e III con rami; 68°, e 69° della Biblioteca di ‘Educazione ; editore Lorenzo Sonzogno. LEPIDEZZE di e curiosi avvenimenti descritti da Garto Roserto Darr; e fantasie e bizzarrie di artisti, narrate da Gior- cio Vasari. Milano, 1829 ; Volume unico. 70.° della Biblioteca d’ Edu- cazione di Lorenzo Sonzogno. spiriti bizzarri LA FRUSTA LETTERARIA di Giuseppe BarETTI con ‘alcune note ed illustrazioni, aggiuntovi il Bue Peda- gogo del padre Apprano BUoNAFEDE; e gli otto discorsi del BaremmI in ri- sposta a quest’ ultima. Milano, 1829. Vol. I.° 71.° della Biblioteca d’ Edu- cazione di Lorenzo Sonzogno. PEI BUSTI di Vincenzo MonmI e di Grupirra Pasta, e per altre scul- ture di Pompeo MarcHESI, canzoni tre di FeLice Romani. Milano 1830, Felice Rusconi, 8.° FAMIGLIE CELEBRI ITALIA- NE del conte Lirra. Milano., 1829 > Dalla tipografia del dot. Giulio Fer- rario, in foglio; fascicoli XVII. (I Me- dici di Firenze, parte 6.) Prezzo del fascicolo senz’ obbligo di associazione. l. iz it. ISTORIA , della letteratura greca profana , dalla. sua-origirie, sino alla presa di Costantinopoli fatta dai tur- chi, con un compendio storico del traportamento della letteratura greca in Occidente , opera di F. ScHoELL, recata in italiano per la prima volta con giunte ed osservazioni critiche da EmiLio TiraLpo CeFrALENO. 8.° Vene- zia, 1829, G. Antonelli editori. Vo- lume V.° parte 2 e 3. LA MORALE DE’ FANCIULLI o sia quaranta veechi racconti dilet- tevoli ed istruttivi.. Milano., 1829, Giovanni Silvestri. Volumetto di p. 70. ELOGIO storico di MeLcHIORRE Giosa scritto dal prof. G. D. Roma- enosi tolto dal. vol..234 della Biblio- teca scelta di opere italiane antiche e moderne. Milano , 1829 , Giovanni Silvestri. p- 36. I FATTI DEGLI APOSTOLI, ragionamento di A. CrsarI che. se- guono alla vita di Gesu Grisro scritta dal medesimo. Seconda edizione. Mi- lano , 1829, G. Silvestri. Volume II.® prezzo dell’ opera l. 5, 22 it. GC. CRISPO SALLUSTIO, tradot- to da Virrorio ALrieRI da Asti. Mi- lano , 1829 ;} G. Silvestri '2.a’ edizio- ne. Vol. unico. XXII:° della Biblio- teca scelta di opere greche e latine tradotte in italiano. L’INDICATORE LOMBARDO, ossia raccolta periodica di scelti ar- ticoli fatti dai più accreditati gior- nali italiani, tedeschi , francesi, ingle- si, ec. intorno alle scienze fisiche, alla letteratura , alle belle arti, all’ indu- stria, all’ agricoltura, alla geografia, al commercio, ec. Milano, 1829, presso gli editori, Contrada de’ Mo- roni n.° 4120. Sono pubblicati i 3 pri- mi fascicoli di ottobre novembre di- cembre 1829, formanti un vol. di p. 480. Prezzo dell’ associazione ‘annuale in Milano lire 24 italiane. 183 STATI SARDI. MANUALE dell’ artigliere del cor- po reale d’ Artiglieria di S.M. il Re di Sardegna. Torino ;} 1830, G. T'as- soni ec. 8.° di p. 190. LE TORINESI saggio statistico, del medico G. M. De RoLanpIs. Torino , 1829 , St. Alliana. 8.° di Pi 70. GLI ANNALI di GC. GorneLIo Taciro . volgarizzati dal G. Cesare BaLBo , soeio delle R. accademia delle scienze. Torino , 1830 , tip. G. Pomba. -8.° grande 'p. XXVI e 471. REGNO DELLE DUE SICILIE. VOCABOLARIO. UNIVERSALE ITALIANO , compilato a cura della società tipografica Tramater ec. Napo- li, 1829, dai torchi di Tramater. in 4-° grande: Volume I.® fascicolo 2.° e 3-° (da a contemplazione sino a appi- pito) dalla pag. 109-360. Al 3.° fa- scicolo è annesso il seguente avviso. «« Per dimostrarci ognora più ricono- scenti al Pubblico Italiano, e mas- sime al Napolitano, dell’ accoglienza di che onora questa nostra fatica, nel dar fuora il 3.‘ Quaderno ci rechiamo a debito esporgli. que’ miglioramenti che, non guardando a spesa nè a stu- dio, abbiamo indotti nel Vocabolario Universale. E parimente, poichè taluni ebber notato nelle scientifiche dichiarazioni alcuni abbagli, da altri italiani dizio- narii passati in questo che di essi. tutti è compendio , non solamente intendia- mo così fatti inconvenienti riparare , ma e prevenirli perl’avvenire.Il per- chè saran mutate le pagine ove quelli seorsero ; e d’ oggi innanzi ad un no- stro valoroso professore le sottomette- remo , affinchè prima d’ andare al torchio Je purghi di tali mende ; ed è D. Giosuè Sangiovanni socio del- l'accademia Reale. E già gran parte del presente fascicolo è passata sotto i suoi occhi. 2. Nelle cose geologiche e mine- ralogiche ognun sa quale autorità egli sia il nostro professor Tondi, il quale può dirsi il solo che scansando barba- rismi e neologismi, abbia fatto parlare a quelle scienze in Italia italiano lin- 184 guaggio. Pur,non furono consultate Te opere sue da’ vocabolaristi a' quali noi teniam dietro, e i cui lavori princi- palmente andiamo’ in uno riassumen- do. Ma non sì volevan trascurare tali domestiche ricchezze da vocabolaristi napolitani , e benchè non pro:nesse , nel corso di questò Quaderno inco- minciamo ad avvalercene. 3. Le giunte classiche , di cui pro- mettemmo tremila, vanno ogni dì au- mentando nel numero, mercè la cor- tesia di taluni cultori delle lettere che spogliato per proprio studio chi questo chi quello de’ Testi di lingua, è paruto loro privarsi non già degli accolti tesori, ma ottimamente usarne, se in questo gran magazzino li col- locavano. Laonde sin da ora possiamo asseverare, che i nostri articoli no- velli per vocaboli, modi, costrutti, ed esempli che nè il Cesari avrebbe disdegnati nè ricuseranno per avven- tura gli egregi accademici della Gru- sca di registrare quando che sia nella ristampa del vocabolario, se pur da sè già non ne fecer tesoro, somma- no a più di quattromila. Ne abbia- mo debito, (e sia il nominarli primo pegno del grato animo nostro) oltre al professore Presutti che fu nel pream- bolo :mentovato , a’ sisg. marchese Lo- dovico Dragonetti di Aquila , abate Gaspare Selvagui Accademico Ercola- nese , cav. Francesco Garelli segreta- rio di essa accademia, i quali fu- ron tra’ primi ad applaudire e dar ma- no alla nostra impresa; e sonosi da ultimo loro aggiunti in Napoli il sig. can. D. Michelangelo Macrè , socio onorario dell’accadamia Reale, D. Paolo Sanchez, D. Emanuello Rocco, e da Parma quel dottissimo bibliote- cario, cav. Angiolo Pezzana , il cui suffragio che ha tanto peso in fatto di lessicografia italiana, a singolar fortuna aseriviamo aver conseguito. NB. Intorno a questo vocabolario ve- dasi Antologia n.° 106 ottob. 1829. Articolo sugli atti della Crusca; e n.° 107-108 l’articolo sul vocabo- lario medesimo. NOVELLE di M. BatpaccHINI. Napoli, 1829; dalla stampevia fran- cese. Volumetto di p. 106. DISCORSO su, Caronda da Gata- nia e le di lui leggi recitato nella gran sala della R. università degli stu- dii della medesima città, dal can. Giu- serpe Atessi. Catania, 1826, tip. della R. Università. 12. di p. 72. PRINCIPII di civile economia, di SaLvarore Scuperi. Napoli, 1829, St. Reale. Tomo III. ATTI dell’ accademia . Gioenia di scienze naturali di Catania. Catania, 1829, G. Pappalardo in 4.° T. III° di p. 235 con tavole. RELAZIONE accademica per l’an- no Y dell’ accademia Gioenia ii acien- ze naturali di Catania, letta nella seduta ordinaria del 38 maggio 1829, da SaLvarore Scupeni. Catania, 1829, G. Pappalardo. STATI PONTIFICI. RACCOLTA dei disegni rappre- sentanti le principali macchine in ogni ramo d’industria della provincia di Bologna ; corredata delle necessarie de- scrizioni. Bologna, 1829 , presso l’au- tore ,. fascicolo IV, V e VI. LA VITA di Cora pi Rienzo Tribuno del popolo ricorretta @ illu- strata da Zeririmo Re, ec. Forli, 1828, tipografia Bordandini , tomi 2 in 8.0 VITA di Sraniscao MarTEI scritta da FiLippo GanuLI avvocato, all’ ac- cademia filarmonica di Bologna dedi- cata. Bologna, 1829, tip. di Emi- lio dell’ Olmo. 8.° prezzo paoli 2. DUCATO DI LUCCA. INTORNO la necessità dello stu- dio della notomia patologica , discorso letto nel cominciare dell’ anno scola- stico 1827-1828 dal dottor Lurcr Pa- cinI professor di notomia umana e comparata nel R, Liceo, ec. Edizione seconda riveduta ed ampliata, Lucca, 1829 ; tip. Bertini. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL'ESTERO. NAPOLEONE A 8. ELENA, ovvero estratto dei memoriali dei sig. Lascazes e OmrarA, volgarizzato con note originali che servono di confutazione alla storia di NAroLEONE scritta da WaLrer Scorr. Lugano ; 1850; KRuggia ec. Tomo I.° SULL’UTILrTÀ DI UN CANALE NAVIGABILE DALL’ADRIATICO A FERRARA. Signor Direttore. La nota imparzialità dell’Antologia ad accogliere l’ onesto pro e contra nelle utili quistioni, mi fa sperare che Ella non si rifiuterà ad inserire nel suo pregiato Giornale poche osservazioni sull’ articolo circa il vantaggio di un canale navigabile da Ferrara all’ Adriatico (1). Inanimito adunque da questa fidacia , e mosso inoltre dal lamento de’ migliori miei concittadini, seguo il pen- siero gia risoluto d’indirizzarle le riflessioni cui diè moti- vo la lettera del signor G.. R..e l’articolo di che è discorso ., il quale , mentre è molto lodevole e pel subietto impreso a trattare e pel purgatissimo dire, non ne sembra però mondo d’ogni neo nell’ esser stato largo anzichè nò di biasimo agli abitatori di Ferrara, accagionandoli d’ in- differenza al bene del natio paese, nonchè privi d’ingegno, zelo, ed energia a concepire, promuovere ed attuare intra- prese di pubblica utilità. Ove infatti sol si rimembri, o si ponga mente a tutto quello che dai Ferraresi fu fatto per la realizzazione del progetto Gozzi sull’ argomento in discorso , non parrà più strano a chicchessia che eglino sieno dolenti e delle ram- pogne loro date, e delle laudi concesse ad un solo di essi, sol perchè pubblicava per le stampe come un voto di lui un desiderio sentito da tutti e fatto subietto di giornaliero col- loquio ne’ pubblici convegni della città. Un po’ più acri parranno poi questi rimproveri se si rifletta che ]’ eseguimento d’ opere dispendiosissime è im- possibile in una provincia non punto ricca nè per suolo nè per commercio o industria , ove il governo non vi con- corra coi suoi mezzi ed aiuti, o pure con la sua sovrana autorizzazione e guarentigia a pro di alcuna associazione di azionisti , i quali amassero impiegare i loro capitali in opera così profittevole. (1) Vedi Antologia n.° 109 pagina 41. 2 Giova quì osservare che ad ottener tale intento di al- tre nozioni e ben d’altri mezzi faceva mestieri di quelli usati dal sig. G.. R.., di che ei medesimo dichiarasi sprov- visto (2). Infatti non altramente si può da buon cittadino promuovere intrapresa vantaggiosa al suo paese, tanto se mira ad impegnarvi la pubblica amministrazione , quanto se vuole interessarvi i più doviziosi, che col dimostrare per via di esempii analoghi tratti dalla patria istoria e di esatte topografiche notizie , non solamente la necessità ed utilità di quella per la popolazione cui si appartiene, ma eziandio il certo successo, e gl’immancabili beneficii che ne emergerebbero e per la finanza dello Stato, e per chiun- que volesse eseguirla di proprio conto. Intanto avendo io, nell imprendere a scrivere la pre- sente, mirato a due precipui obbietti , uno cioè di giusti- ficare i miei concittadini di non esser quali gli ha dichiarati giovine scrittore, nè meritevoli delle parole di biasimo usate dal dotto estensore dell’articolo antologico : l’altro di procu- rare alla patria mia il maggior bene possibile , che io e quanti abitatori contiene Ferrara e tutta questa legazione pensiamo esclusivamente conseguibile per lo mezzo del pro- gettato canale, Perciò mi permetterà , sig. Direttore , che brevemente manifesti i miei concetti circa l’ assunto argos mento , pregando lei e i leggitori di questa ad essere in- dulsenti anzichè severi nel farne giudizio non a riguardo di me, ma sibbene dello scopo propostomi. Non vi ha certamente alcuno , che sia per-poco ini- ziato nella storia de' popoli italiani, il quale non conosca quanto grande fu la prosperità dovizia e potenza de’ Fer- raresi, e quanto splendida la corte de’ loro duchi estensi sia per lusso di arti belle, sia per scienze e scienziati , sia per fasto cortegianesco , sia infine per magnificenza di edificii e di pubbliche opere. Nè alcuno ignora essere ca- gione potentissima di tanto ben essere , come la è stata e la è per tutto altrove, il facile ed attivo commerciare : ed attivo era il commercio de’ Ferraresi in que’ felicissimi tempi per la sicura e celere navigazione dall’interno dello (4) Ved. pag. 6 della lettera al conte Laderchi di Faenza, 5 stato al mare , e da questo a quello, non meno che ad al- tre provincie dell’Italia che fanno sponda al Po. Ma can- giate poi le sorti, e trascurate quindi le inilispensabili cure per la conservazione de’ canali navigabili, questi s’interra- rono, e singolarmente quello che lambiva le mura della città, onde che, divenuto non più atto al tragittare delle bar- che di mare, il commercio cessò del tutto , e con esso le diverse industrie e le molte arti. D’ allora ogni attività sì spense nella popolazione , la quale minuendo sempre per mancanza di lavoro miseria ed insalubrità di aria , e que- sta per l’impadulamento del basso suolo della provincia, fece squallida una città che pria era stata piena di vita e di agi, e restrinse alla sola agricoltura il poco movimento che tuttora osservasi ne’ terrazzani; e quella ancor poco profittevole per pochezza di lavoratori » per mancanza di capitali , e per nessun smercio de’ prodotti , i quali non sono neppur essi abbondevoli per isterilità di terreno e per mal avvisato sistema di rurale economia oramai divenuto consuetudinario e di difficile riforma. Non ristettero indifferenti gli avi nostri a tanta sciagu» ra, ed ogni sforzo fecero onde sottrarsene, Infatti imprese- to essi di proprio conto due momentose opere nel mede- simo tempo ; cioè prosciugare le terre impantanate per ren- derle alla coltura, e facilitare l’ interna navigazione per I° Alveo abbandonato che metteva, come mette tuttavia, foce nel Porto di Volano » facendo costruire con non pic. colo dispendio e travaglio quattro grandi sostegni capaci a conservare un volume di acqua necessario alla navigazione, Questi costosissimi lavori non ebbero i resultamenti che se me speravano , e perchè il terreno sottratto alle acque stagnanti non compensò la spesa all’uopo fatta, e perchè il restaurato canale fu appena bastevole al tragitto delle picrole barche. A tal sinistro successo si aggiunse di poi l’ interramento del ramo d’Ariano dove separasi dalla pun- ta di Santa Maria , che annualmente progredendo insino allo sboeco del fiume ne ha protratta la foce per più mi. glia nel mare, La non favorevole riuscita d’ intraprese di tanto mo- &' mento sia per cause naturali, sia per mal concetto dise- gno, lungi di togliere ai Ferraresi il merito dell’ ardimen- toso imprendimento , serve anzi a dimostrare quanto seno essi devoti alla patria loro; e quanto zelanti per lo suo benessere, e quanto ammirevoli per costanza nel tollerare le avversità , e per tenace proponimento di vincerle. Quin- di, senza allegare documenti di antica data , opino baste- vole l’ addotto non lontano esempio di cittadina virtù per invalidare le non giuste sentenze pubblicate a carico di questo popolo nè inerte nè spregevole , ma laborioso e ca- pace di grandi sacrifizii onde far migliori le sorti del pro- prio paese. Dal fin qui detto ben convincente ne emerge la di- mostrazione che possente e forse unico mezzo a liberare la legazione di Ferrara dalle calamità che da più tempo la travagliano lo è quello di un canale navigabile per bar- che di mare, che na ravviverebbe il commercio ; e per que- sto le varie arti ed industrie. Persuaso di questa ‘verità, e mosso da ardentissimo desiderio di renderla profittevole per la sua patria il dotto ingegnere Gozzi , dietro lunghe meditazioni e ripetute os- servazioni , progettò non ha guari i seguenti lavori come sufficienti a conseguire lo scopo per tutti i Ferraresi desi- derato. 1.° Affondare con ben concepito e diretto scavamento l’ attuale Porto di Volano. 2.° Ridurre navigabile per le barche di mare l’ esi- stente canale, dandogli la necessaria profondità e lar- ghezza a poter contenere un volume di acqua alto almeno piedi cinque. 3.° Mettere il suddetto canale in comunicazione colle fosse della Città alle quali si darebbe una corrispondente profondità. 4.° Scavaie nelle necessarie dimensioni il ramo che ora mette in comunicazione le acque contenute nelle predette fosse con quelle al Ponte Lagoscuro. 5.° Formare in questo porto , e precisamente dove il detto rama fa capo e inette nel Po grande, un solido so 5 stegno, e di tale costruzione che potesse contenere ‘e ri- cevere le alte medie e basse correnti del fiume giusta il bisogno. Con tali opere e per mezzo di alcuni ‘parziali addi- rizzamenti si otterrebbe uno stradale di acqua pressochè stagnante per circa quaranta miglia di lunghezza, e me- diante il quale le barche marine potrebbero traghettare dal mare a Ferrara nel breve intervallo di ore dodici ; e quelle che discendessero dal Po insino al Ponte Lagoscuro potreb- bero colla maggiore possibile celerità e sicurezza condursi pel porto di Volano al mare. Oltracciò per tutto 1’ accen- nato tragitto i navigatori troverebbero comodissime fermate nei molti villaggi posti lungo le sponde del canale, e canserebbero i molti rischi ritardi dispendi incomodi e fre- quenti riposi ne' tempi di escrescenze e di nebbie, a che ora sono assoggettati nel risalire con le piccole barche per il ramo di Goro a Santamaria, per cui v’ impiegano parec- chi giorni, Non per far pompa di sapienza , nè per lusso di epi- sodi; ma con molto accorgimento l’ abilissimo Idraulico , testè nominato , ha unito al ben immaginato progetto giu- dizioso confronto de’ permanenti e positivi vantaggi che of- fre il Volano coi reali e progressivi svantaggi dell’ attuale obliterato porto di Goro, nonchè di ogni altro porto nelle Pontificie Legazioni. Difatti la così detta Sacca del Volano | presenta un seno eccellente per la sicurtà de’ bastimenti che vi approdano , ed il suo ingresso si conserva costan- temente accessibile per il perenne concorso di chiarissime acque ; in modo che dal 1757 insino ad era non ha sof- ferto alcuna alterazione. Non così poi il porto di Goro, nel quale osservasi un’ annuale protrazione di circa un decimo di miglio nel mare. Uguali svantaggi trovansi nel porto Corsini di Ravenna per le torbide del Lamone ; in quello di Cervia pe’ depositi del Savio; ed in quelli di Rimini Pesaro e Fano, per la molta ghiaia che vi trasportano , il Foglia ed il Metauro. Nè la facilità di approdarvi è il solo vantaggio che incontrasi nel porto di Volano, ma ben altri ancora molio 6 valutabili per la navigazione. Uno sarebbe la sicurtà dei bastimenti in tempo di burasca senza esser forzati come avviene in quello di Goro , o di prendere l’ alto mare , 0 di farci sussidiare dalle così dette Guardiane. Altro non meno pregevole fora quello di poter traghettare dal mare a Ferrara in ogni stagione dell’ anno senza menomare il ca- rico. Altro di maggior conto di poter sempre dare col mezzo del proposto canale pronto e libero l’accesso nel Po grande a tutte le barche con pieno carico provenienti dall’Adria- tico ; e per il Po condursi in verso destra a Mantova, per la manca a Cremona Parma Piacenza Casale e Torino, e per il Tesino in breve tempo a Pavia, e da questa città a Milano per il già perfezionato Canale. Infine quando si ponga mente alle tante artificiali o naturali comunicazioni per acqua esistenti fra l’Italia e la Svizzera si dovrà per tutti convenire nella sentenza sopra la effettiva utilità del Canale in discorso, per lo di cui mezzo più animato ed eziandio più celere ed economico diverrebbe il traffico fra la Svizzera ed il mare. Difatti è ben noto che le merci dell’ Elvezia e di gran parte della Germania si traspor- tano in Italia per il lago Maggiore e per quello di Como ; e per acqua pervengono a Milano : cioè quelle provenienti dal Lago maggiore per breve tratto del Tesinu insino a Casa della Camera, e da questo porto a Milano per il Ca. nale chiamato Naviglio grande. Quelle poi che conduconsi per il lago di Como , dopo aver traghettato il ramo di Lec- co, entrano nel bel Canale da Lecco a Trezzo (3) e da questo luogo a Milano per 1’ altro Canale detto della Mar- tesana o Naviglio piecolo (4). Agevole è la navigazione da quest’ ultima città, dove i suddetti Canali si congiungono a Pavia e da Pavia, al Po ; ed agevolissima la diverrebbe da questo fiume all’ Adriatico per il Canal di Ferrara. Col mezzo di così facile comunicazione per acqua fra (3) Questa grandiosa npera idraulica fu principiata ai tempi di Francesco I.° sul disegno dell’ immortale Lionardo da Vinci: quindi proseguita sotto la dire- zione dell’ Ingegnere Meda ai tempi del dominio spagnolo regnando Filippo II-* infine perfezionato nel 1776. (4) Questo bel canale fu scavato nel 1457 regnando Francesco I.° Sforza. 7 il mare e tante provincie mediterranee , e perla sua posi- zione la città di Ferrara diverrebbe immancabilmente Em- porio e Scala di vasto commercio di esportazione e d’ im- portazione, E basta riflettere a quali e quante regioni della terra, rinomate per ricchezze, e per copia di produzioni di suolo e di arti, dà facile accesso la navigazione per l’ Adriatico, onde persuadersi dell’ importanza del divisato Canale sia per Ferrara, sia per la maggior parte d’ltalia, sia per la vicina legazione di Bologna tanto abbondevole di canapa ricercatissima ne’ mercati di Europa , e che per trasportarla al mare importa attualmente gravoso dispendio. In vista di così lucide prove della grande utilità del progetto Gozzi, fora superfluo ogni altro dire per portarne il convincimento nell’ animo di coloro che potrebbero man- darlo ad effetto : perciò mi restringo a far solamente osser- vare quale potrebbe essere la spesa per l’esecuzione di co- tal opera; e quale gli utili per l’Erario Pontificio; e quali i benefici pe’ capitali che vi s° impiegherebbero. Conservandosi gli esistenti Sostegni , giudicati capaci per le loro dimensioni a contenere le solite barche ma- rine , tutta Ja spesa per il compimento dell’ avvisata opera, giusta le valutazioni le più esatte, ascenderebbe a scudi romani 250,000 , spesa assai moderata quando si ponga mente a considerare gli utili che se ne trarrebbero. Questi poi non sarebbero nè pochi nè incerti per la Finanza dello Stato , avvegnachè un indubitato risparmio ne risulterebbe degli annuali esiti per 1’ arginatura di Sa- ravalle , Messenzativa , e Messala, coll’ intestatura a San- tamaria del ramo d’Ariano. Altra economia per la manu- tenzione del Porto di Volano in confronto di quella an- nualmente bisognevole per il Porto di Goro. Altra infine per la. soppressione di molti uffici e sorveglianze doganali ora indispensabili ad impedire i molti contrabbandi che si fanno, e che cesserebbero coll’attivarsi la nuova na- vigazione. Oltracciò non di piccolo momento sarebbe l’an- nuale prodotto di un dazio, anche moderatissimo, da im- porsi su le barche che traghetterebbero per lo Canale o che posassero nel Porto di Volano ; e questo, ginsta il 8 meno immaginario calcolo , basterebbe a pagare l’ annua usura pe’capitali impiegati, ed eziandio a rimborsarli per rate annuali in breve spazio di tempo. Infine non strano ma giudizioso divisamento estimo esser quello di manifestare con franchezza alcun concetto che il meditare sulle patrie bisogne suole suggerire : e perciò oso aggiugnere al fin qui detto , che, per lo meglio della Finanza e de’ Ferraresi, giovevolissimo provvedimento sarebbe lo autorizzare in Ferrara una annuale fiera con franchigia , come quella si tiene in Sinigaglia. Assai più positivi e importanti sarebbero i benefizi di questa nuova fiera e per il Principe, e pe’ Ferraresi, non solo per lo maggior numero de’ mercatanti e più gran copia di merci che in Ferrara converrebbero dalla maggior parte d’ [talia e da estranei paesi per l’ assicurata navigazione fra il mare ed il Po; ma eziandio per le comodità che bella e grande Città con soprabbondanza offre per lo stanziare de’ nego- zianti, e per la buona e sicura custodia degli effetti di che quelli verrebbero a far mercato. Adempiuto con ingenuità se non con purgatezza di dire all'obbligo impostomi dalla mia coscienza , e dal rammarico quasichè universale de’ miei compattriotti fo fine alla lettera , che amo indirizzare a lei, signo: Direttore, perchè instancabile ‘operatore di bene io la stimo per gl’ italiani, ne’ quali il suo pregevolissimo Giornale ha destato laudevole gara d’istruirsi e di migliorare le proprie condizioni. Debbo e voglio per- ciò augurarmi che non ricuserà di accogliere di buon grado ancor questa mia qualunque siasi scrittura, lochè mi dà debito fin da ora a dichiararmene invariabilmente grato, ed a pregarla di credermi Suo Dev. Sero, S. S. ANTOLOGIA N.° 140, alle; 3949 co Istoria della vita e delle opere di RarArLLo SANZIO DA Ur- sino , del sig. QuatrEMmÈRE DE Quiney, voltata in Italiano, corretta, illustrata ed ampliata per cura di Francesco Lon- ‘GHENA, adorna di XXIII tavole, e di un fac simile. Milano 1829 per Francesco Sonzogno q. G. B. — in 4.° ed in 8.° — di p. XII, e 850. Cremperce nel 1820 l’Zstoria della vita e delle opere di Ra- faello Sanzio da Urbino del sig. Quatremère de Quincy , libro che eccitò curiosità, ammirazione, e discussioni infinite tra molti dotti italiani. Alcuni avrebbero voluto in quell’opera una critica più profonda ; altri avrebbero bramato che si estendesse più dif- fusamente su alcuni minuti particolari; altri avrebbero deside- rato sciolte alcune difficoltà che s’ incontrano per le contradi- zioni delle precedenti memorie, e che quanto spetta a Rafaello fosse posto in pieno accordo , e nel massimo lume, da che ne avevano scritto copiosamente tanti autori italiani e stranieri. In- vano si sarebbe desiderato però che l’ Estetica dell’arte venisse meglio trattata , poichè fu unanime il riconoscere in questo la- voro dello scrittore francese un merito non ordinario in questa parte, e superiore a quanto dai predecessori erasi fatto. Venne alla luce finalmente nel 1829 un lavoro di gran mole 2 che riprodusse quest’ opera Voltata in Italiano , corretta , illu- strata, ed ampliata per cura di Francesco Longhena, adorna di XXIII tavole , e di un fac simile — in Milano per Francesco Sonzogno. Un volume in quarto di ‘presso mille pagine, compresi i prolegomeni , le tavole, e un indice generale, ci offerse il te- sto tradotto con un amplissimo corredo di annotazioni a piè di pagina ; un appendice di documenti storici, parte riportati nel testo, e parte aggiunti dall’autor delle note; una seconda e più ampia appendice intitolata Appendice Italiana contenente alcune lettere ed atti relativi a diverse opere di Rafuello, o a lui attri- buite ; il saggio d’un elenco di disegni originali, e un quadro generale delle di lui-opere di pennello. Un così grande apparato di cose è fatto per provocare molta curiosità nei lettori, e il darne ragione nel giro di poche pagine diviene ardua , e forse temeraria fatica. Nondimeno speriamo di accozzare in ristretto un idea generale di questo lavoro, senza alterare 1’ andamento dell’opera ; seguendo la progressione della storia congiuntamente alle note del traduttore, per agevolarne l’ intelligenza ; senza tormentar la materia «col tornare più. volte sugli stessi argomenti., rendendo .conto quasi simultaneamente quaddo del testo, e quando delle note, con quella rapidità che nonibigeneri la noia «delle ripetizioni, e non lasci dubbio , nel tempo Stesso se le nostre osservazioni cadano su quello; 0 su queste. Il trattare di Rafaello poteva destare desiderio ben ragione- vole , che venisse abbozzato in pochi e semplici tratti lo stato della politica , e della civiltà italiana nel secolo XV, il, quale servisse a caratterizzare colla sua più ingenua fisonomia le arti e le lettere, specialmente in un epoca che doveva ricever nome tanto dal sommo artefice che la illustrò colle opere sue; quanto dai mecenati che le promosseto : è ognuno ben conosce quanto questo quadro sarebbe stato il prolegomeno più utile, e più grato ai lettori ; della qual mancanza non vuolsi qui accagionare nè l’uno nè l’altro dei due benemeriti scrittori, poichè fu nel- l'animo loro supposizione evidente che a tale lettura non si ac- cingesse se non chi pienamente versato nella storia dell’arti ita liane, non fosse straniero a tutto il loro andamento. Noi ciò vo- gliamo additare, ben veggendo che il presentare all’occhio dei dotti i fasti delle arti che precedettero quest'epoca luminosa, non po- teva mai attenuare la gloria di Rafaello; ed anzi rapprossimando gli eventi, con pochi tocchi si sarebbero conosciute meg lio quelle anella che legano con tanti storici avvenimenti anche il progresso \ 3 dell’ ingegno umano , e si sarebbe veduto con maggior evidenza non esservi meriggio splendente senza, che il, preceda una lucida aurora. Le cure del sig. Longhena sono: state. indefesse ,, e ne. pos- siamo far ampia fede ,, per corredare quest’ opera delle più. pre- ziose notizie; e sovente si attenne a saggi consigli, e. si, confidò a chiarissimi personaggi, compiacendosi più che d’ ogni altro aiuto da quello che vennegli dal lodatissimo ab. Missirini , che compilò in questi ultimi anni una serie di notizie preziose per illustrare le opere degli artisti italiani, e segnatamente quelle di Rafaello, di Michel Angelo; e di Canova. E duopo è render giustizia a quest’ ultimo insigne scultore , il quale per la lunga famigliarità con questo letterato, gli infuse un gusto squisito nel vedere , e nel giudicare, e lo iniziò nei misteri dell’ arte , ammettendolo all’ intima sua confidenza, siccome lo attestano le dotte memorie che il Missirini pubblicò. della sua, vita, e delle opere sue. Oltre di che giovossi il Longhena dell’aiuto di quanti ebbero il buon volere di corrispondere a’ di lui inviti; e se il chiarissimo ab. Francesconi , che molto scrisse, e più promise di scrivere, intorno la storia di Rafaello, non fu largo dei raccolti tesori di cognizioni su questo argomento, che da lunga età aspet- tano il momento in cui la di lui solerzia pareggiando la somma dottrina possano esser fatti di pubblico diritto, non istette però d’ essere eccitato dal Longhena a scortarlo nel suo cammino, e non vennero risparmiate a, ciò le preghiere, e gli eccitamenti, andati a vuoto , siccome egli querelasi in più d’ un luogo. Dal molto ricorrere però all’ opera altrui per impinguare que- sto lavoro di recondite cognizioni doveva venirne una qualche so- vrabbondanza , e una somma difficoltà per eliminare tutto quello che può parervi superfluo, e che viene. talvolta introdotto per accreditare opere dubbie , secondo le viste. dei privati. interessi di chi le possiede , e talora per mettere in evidenza l'ingegno, e lusingare l’ amor proprio di qualche illustratore; talchè se mo- destamente il traduttore non avesse invocata la venìa dei lettori sugli errori. che possono essere accaduti nell’ attribuire a. Ra- faello pitture che non siano. suoi originali , potrebbesi. dubitare della di lui retta intenzione ; ma non intese egli mai di affer- mare che tutte le indicate sieno indubitatamente «di. mano di Ra- faello , e per conseguenza premettendo la. scusa, all’ errore ,, non potrebbesi tutt’ al più, tacciare, che di qualche ridondanza. I giudizii retti e imparziali sonoyveramente,i soli che. deb- bono servire di base alla storia; ele asserzioni verbali di per- 4 sone , per quanto intelligenti si vogliano supporre , non sono at- tendibili in casi di tal rilevanza. Ognuno ben sà come sovente, nel riferire simili oracoli , sia facile alterarne il senso anche in- volontariamente ; e non è singolare che uomini accreditatissimi abbiano per urbanità, o per altro rispetto accondisceso talvolta al desiderio, o al parere del possessore di un disegno , o d’ un quadro , non essendo sempre possibile il mettersi sulle difese in onore del vero, massimamente quando, senza nuocere ad alcuno, in luogo di usare dello scritto che resta, si adopera la parola che sfugge. Non avvi persona che abbia sempre potuto salvarsi da simili agguati, e da ben pochi si teme la sorpresa di veder alle- gata, in luogo di un giudizio formale e solenne, un espressione suggerita dal quieto vivere, o dalla creanza. E quantunque ognu- no vorrebbe quì riconoscere il fondamento di moltissimi dubbi sull’ originalità di tanti quadri e disegni citati in quest’ opera , nondimeno non pare dimostrata la necessità di farlo , portando ferita al cuore di molti , e ingolfandosi in un ginepraio intrica- to; che già a questo provvede assai più l’ ispezione oculare di chi sia spoglio di prevenzione. Le tradizioni talvolta incerte, e le congetture azzardate e parziali non possono prevalere all’ispe- zione ceulare di chi educato alle arti, e senza oggetto partico- lare, si metta a riconoscere i veri monumenti dai falsi: diffi- denza che acquista pur troppo un peso assai rilevante se avven- ga convincersi di alcuni errori di fatto, dai quali ben difficil- mente vanno esenti le produzioni umane, qualunque siano le cure , e il buon volere di chi si metta a trattare simili materie. Percorre la storia i primi tempi dell’ infanzia dell’ Urbinate, con molte notizie intorno Giovanni Sanzio padre di Rafaello , che l’ autore chiama un po’ troppo correntemente mediocre pittore , mentre, rispetto ai tempi in cui visse, buono, se non ottimo, dir si poteva. Producesi l’albero genealogico tratto dal Pungileoni, cor- roborato da storici documenti , e rapidamente si passa alle osser- vazioni sulle opere di Pietro Perugino , e su quelle di Rafaello che prime condusse nella sua scuola piene di una grazia e soa- vità siugolare , finite con accuratissima diligenza , ma nelle quali non si vedeva ancora quell’ ardimento che il rendesse sicuro delle proprie forze. Con un po’ di durezza l’ autore francese sentenzia di man- canza d’ espressione i primi maestri, come i Bellini, il Francia, il Ghirlandaio, e il Perugino , e risponderemo intorno a ciò verso il fine di questa memoria , ove torna più aceoncio. Ma giustamente poi; in proposito dell’età e degli studi giovanili di Rafaello , ri- Ù, 5 cordansi i celebri dipinti di Masaccio come anello intermedio tra la maniera più secca dei primi, e la grandezza di Rafaello , € di Michel-Angelo. Prudente sarebbe invero la trepidazione intorno ‘all’originalità di tante operette della maniera giovanile, e diligentissima del San- zio, le quali lasciano luogo a qualche dubbio, malgrado le acere- ditate opinioni emesse in una lunga annotazione a pag. 9; cosa che aveva ben anche destato giusti timori nell’ animo del sig. Qua- tremère , il quale pareva avvedutamente invocare di già il sussi- dio del suo traduttore, là dove avrebbe voluto con sana critica dalle prime opere del Sanzio pronosticar le seconde , e si lagna del- l’ impossibilità di far conoscere certi ravvicinamenti, non potendo egli scrivere la storia di Rafaello con avanti le opere di lui: la qual cosa fece sperare che la diligenza del traduttore stabilito in Italia avrebbe , se non esaurita} almeno portata più avanti. Rimane alla giudiziosa critica dei lettori il porre in bilancia, e decidere intorno a ciò che nelle note a piè di pagina a carte 29, e nell’ appendice a carte 569 si riferisce circa un famoso dipinto a tempera, che rappresenta l’ adorazione dei Re Magi, che il cav. Fontana nelle prime vuole attribuito allo Spagna coetaneo e condiscepolo di Rafaello , e al contrario il cav. Cattaneo , il Missirini ed altri rivendicano come produzione giovanile e pre- giatissima del Sanzio, e questo sembrano sostenere con salde ra- gioni. E in vero dire non lievi sarebbero le cure onde chiara- mente illustrare i luoghi controversi di queste memorie, siccome invano sperammo di veder chiaramente spiegato come essendo morto il padre di Rafaello nel 1494 possa poi stare la data del 1504 a quella lettera della duchessa d’Urbino in cui raccomanda ‘il giovinetto Sanzio al Soderini in Firenze, raccomandazione che dal contesto di essa lettera vedesi procurata da Giovanni suo padre, premorto sette anni prima. Quale dunque delle due date è fallace ? in una storia rincrescono molto le dubitazioni, mas- simamente quando con qualche diligente insistenza potevano eli- minarsi: e parimente non è ben chiaro se siano ancora, o non siano in luogo le tre storiette tanto commendate di Rafaello sotto la tavola del suo maestro Pietro Perugino nella Chiesa de’ Conventuali della terra di Montone , diocesi di Città di Ca- stello, come nella nota a pag. 61, talchè sembrava dover chia- rirsi il dubbio, o non porre l’ avnotazione. Non tralascia lo storico di notare i motivi principali dell’in- grandimento di stile nelle opere di Rafaello a Firenze, special- mente nella terza volta che vi ritornò , i quali grandissimi de- 6 rivarono dalle celebri pitture del Masaccio al Carmine , dal bel fare di fra Bartolommeo di S. Marco, e dalla scienza profonda del Vinci, per quante siasi da alcuni , riguardo a quest’ ultimo, in contrario asserito. Fede ne possono fare alcune imitazioni di Leonardo che scorgonsi visibilmente negli schizzi giovanili di Ra- faello conservati nel gabinetto de’ disegni antichi presso l'Acca- demia veneziana. Nè poco contribuì a questo ingrandimento ; come sviluppano più estesamente le saggie considerazioni del- l’autore , il cartone della guerra, di Pisa fatto dal Bonarroti che sbalordì tutto il mondo , e che il Sanzio vide negli anni in cui somma era la forza del genio , e al colmo la misura dell’ inten- dimento. Dalle quali cose non è più meraviglia che la Deposizio- ne di casa Borghese riuscisse tanto mirabil cosa per la sua com- posizione e per espressione , come la descrive il cav- Luigi Tor - res in una lettera riportata nell’ appendice, ove in poco dice mol- tissimo intorno questa, prima. classica produzione dell’ Urbinate. Ma Rafaello, non cresce coi modi ordinarii, per quanto si tenga conto delle gradazioni con cui fassi gigante, e presto già vedesi dipingere alle Camere Vaticane , e mettersi in corrispon= denza coi primi luminari del secolo. Sommo rincrescimento si pro- va di non veder quì prodotta , nè sapersi ove esista una lettera di Rafaello a Lodovico Ariosto in cui lo consultava sulla prima sua grand’opera a fresco, la disputa del Sacramento : opera con- dotta con quella misura estrema , e con quel contegno ancor ti- mido nell’ arte, che proveniva da’ primi insegnamenti. Dipinge una seconda parete nella scuola d’Atene, in cui l’ arte progre- disce in una maniera imponente; e quì il traduttore mette sa- gacemente in confronto fra loro i pezzi del cartone di quest’opera, conservati alla Biblioteca Ambrosiana in Milano, colla pittura a fresco, facendone rimarcare le varietà, che resero più perfetta e più ricca l’ esecuzione sul muro, di quel che lo fosse il primo concetto, benchè studiato con tanta diligenza. Uno de’ più di- stinti allievi nella scuola di Marc’ Antonio, Raimondi, Giorgio Ghisi, Mantovano, ci conservò bella memoria di queste due pri- me opere , ben con altra energia, verità , e carattere che non la serbano le diligenti ma fiacche.; e snervate stampe di Volpato, delle quali soltanto in questa Istoria è parlato. Il Parnaso e la Giurisprudenza compirono la prima sala del Vaticano; e questo primo lavoro bastò a rendere di già Rafaello immortale. Spiegasi nelle note giudiziosamente la compiacenza verso Giulio II, per cui il pittore nell’Apollo Citaredo sostituì nn Violino alla Cetra. Ma lo storico espone bellissime considerazioni dopo descritta que- rd ” sta prima camera, giustamente mettendo in paralello il Sanzio col Bonarroti, che appunto in quel tempo stava lipingendo la Sistina, opera immensa e che nessuno potè mui vedere se non giunta al suo termine ; dal che legittima conseguenza può trarsi che questa non influì minimamente sulla larghezza di stile di Rafaello. Il bello dell’ antichità (dice l’autore) fu studiato dal- l'uno e dall’ altro, se non che l’ Urbinate lo meditò in maniera da attingerne quella purezza che non tiene del secco, quella gra- zia che è lunge dall’ affettazione, quella nobiltà di stile senza pompa ; e quella ricchezza d’ invenzione ‘inesauribile, qualità tutte che si ricercano inutilmente nelle opere di Michel Angelo. Nell’ opportunità di ricordare le illustrazioni degli a freschi di Rafaello nel Vaticano, si ricordano nelle note ii dottissimi commentari del sig. D'Hancarville che stanno sotto la dura pie- tra della dimenticanza presso il sig: Parr inflessibile a tutte le istanze per farli di pubblico diritto. Lo stesso destino ebbero le profonde e dotte illustrazioni delle allegorie che Giotto dipinse magistralmente nella capella Foscari ‘all’ Arena in Padova ; e tanto di questi commentari, come di queste illustrazioni furono ripor= tati lunghi squarci nella storia della scultura al vol. V. pag. 190 e al vol. III. pag. 400, oltre ciò che altri ne riferì, come vie- ne indicato nelle note; e in proposito delle ingegnosissime e im- maginose interpretazioni del commentatore, ‘contro cui parve al- larmarsi la severità della critica, mon sapremmo rimproverarlo , poichè tanta è la piacevolezza e l’ istruzione ‘che deriva da que- gli scritti, che quand’anche volessero riguardarsi come sogni, 0 visioni, è mestieri concludere che sono da preferirsi talvolta le delizie di un visionario , alla noia di un pedante severo. Ma tornando al proposito dei confronti indicati, per quanto sia vero che Rafaello nelle Sibille, e nei Profeti che dipinse nella Chiesa della Pace , come riferisce la storia , superi in ogni con- venienza dell’ arte le Sibille, e i Profeti di Michel Angelo nella Sistina, le quali sono stravaganti di abbigliamenti, di forme, e persino di fisonomia nè virile nè femminile , cosicchè tra l’ uno e l’ altro dei due maestri avvi più evidente dissumiglianza che rassomiglianza , nondimeno è ben poco misurata l’ espression del- 1’ autore che trova il Profeta Isaia in S. Agostino somigliante allo stile di Michel Angelo per /’ attitudine ‘insignificante, la man- canza d’ espressione nella fisonomia , la nullità dell’ interessa mento , che non si osserva quasi mai in Rafaello, e pone dub- bio ch'egli volesse per ischerzo o per contrafazione farla da Mi- chel Angelo. 8 Non manca però di dottrina e di accorgimento , salvo qual- che durezza di modi ; il parallelo che fa lo storico di questi mae- stri, rilevando opportunamente che dalla somma diversità dei ger- mi non poteva per conseguenza derivare che summa diversità di prodotti : e classicamente trattasi la diversa maniera con cui que- sti due grandissimi ingegni meditarono sulla natura ; poichè l’uno vedendo nello studio dell’ uomo 1’ uomo fisico solamente, e com- posto di ossa, di muscoli , di tendini , si propose far mostra della sua dottrina nelle molle motrici della macchina umana : ma duo- po è convenire che questa scienza anatomica sopprime spesso colla soverchia espressione delle forme 1’ espressione morale del- l’anima e del sentimento ; e l’ uno dei due artisti fece muovere le sue figure, l’ altro le fece pensare. In tal proposito :, ma in una lunga nota riportata a carte 478, recasi dal traduttore uno squarcio deli’ ab. Missirini che intese a levar altissimo monumento di gloria al Bonarroti facendo una dotta e profonda analisi della tremenda e sublime forza de’ suoi. concetti e del suo stile , concludendo non potersi far parallelo tra i due artefici che attinsero al sublime per diversa via. Ma non si accorderanno sì facilmente gli ammiratori del sublime e del bello con quanto disse questo scrittore illustrando le pitture della Sistina, là dove conviene che il Bonarroti personificando enti metafisici indusse in loro una umanità trascendente, e creò uomini e donne, che veramente uomini e donne non sono, nè mal si appone ; ma per la forza degli altissimi concetti non era poi bisogno di trascendere a tal segno , la qual misura nei con- fini del vero , e nelle sobrietà della sapienza il Sanzio mostrava figurando 1° Onnipossente ‘che sbaraglia il Caos, che accende di luce il sole e la luna, che disegna e prescrive col dito i limiti agli elementi sul globo , che move gli Angeli nell’ Eliodoro ; e tratta tant’ altri soggetti di sovrumana e terribile natura. E bi- sogna convincersi che non è duopo minimamente di tanta pre- potenza di fisico, e d’ intellettuale, nè di creazioni fuori dei termini della natura per farsi credere quelle che sono. Sarebbe lo stesso che essendo accostumati ad mnrlare coi sordi, fosse ne- cessario strillare ad orecchie bene senzienti per farsi intendere. Le arti son fatte, e il loro linguaggio vuolsi intendere da orga: ni e da sensi delicati, squisiti, educati alle impressioni del bel- lo; e ciò che scuote il rozzo o l’ idiota producendo stupore , ir- rita sovente le anime delicate e gentili. È dunque falso che occorra eccedere la misura per ottenere l’intento, e questo intento non istà nella meraviglia. Quì è un erro- 9 re di gusto: ed è molto fallsce il decidere che il maraviglioso brac- cio del sagittario che trapassa il segno sia da preferirsi al più mi- surato che lo raggiunge con giustezza. Pur troppo avvi in questa decisione un affascinamento , ed è quello che fa prevalere presso coloro che son privi di fino tatto e squisito discernimento un diluvio di trilli, di volate , di salti nelle voci o negli strumenti, che destinati a molcere gli animi colla soavità della melodia ti fanno sbalordire per la bravura, e ti lasciano colla maraviglia anche il vuoto nell’ anima. Può però certamente in alcun caso scusarsi e anche applaudirsi un eccesso di energia e di forza ; ma il portare in ogni caso, e farsi ‘di quest’ energia eccessiva un\modo abituale è difetto, poichè 1’ imitatore della natura deve coglierla nella varietà del suo aspetto multiforme; nè deve mai farsi abituale un sol modo, nè una sola corda per ottenere tanta varietà di suoni e di effetti: e il più destro, il più su- blime, il più perfetto artista sarà sempre quegli che non veste già sè stesso di un solo dei tanto svariati caratteri della natura, esclusivamente identificandosi in quello, ma quegli avrà primato vero e assoluto nell’arte che con profondo e fi'osofico discerni- mento saprà meglio modificarsi secondo la varietà immensa delle espressioni terribili ; nobili, dolci, commoventi, che convien dare agli oggetti. Della qual sobrietà e magistero infinito ci conserva l’antichità le traccie e i precetti in tutte le opere sue, che tanta norma prescrissero all’ eccellenza di Rafaelio. Crebbe la fama del Sanzio in modo straordinario quando si vide la seconda delle sale Vaticane, e singolarmente sfoggiò nel colorito , cosicchè alcune teste del miracolo di Bolsena sembrano, al dire dell’ autore , fatte colla tavolozza di Tiziano, siccome am- mirabile riescì la composizione dell’ Eliodoro , senza-che l’arte si mostri, come se non potesse essere altrimenti, opera delle più insigni di questo maestro: e in proposito dell’ Attila con molta giustezza lo storico aggiunse che /’ elogio di tutti i meriti tecnici, sia del colorito e del disegno , sia del costume e degli acconcia - menti , sarebbe troppo meschino in opere che tanto possentemente parlano all’intelletto colla grandezza de’ pensieri, all’animo col- l’ energia delle espressioni. — Giustificasi pienameute la quarta composizione di questa sala , che è la scarcerazione di S. Pietro, scusando 1’ apparente mancanza di unità nella tripla rappresen- tazione , non tanto allegando le pratiche degli antichi tempi che ricordava, quanto per l ubicazione , e la diversità degli spazi interrotti occupati dalla pittura, e pel triplice effetto a cui mirò l’ artista dei tre lumi serrati e distinti provenienti dallo splen- T. XXXVII. Febbraio 2 10 dor della luna, dalla luce radiante dell'Angelo, e dalle faci accese. Che gli ornati delle loggie di Rafaello venissero così dise- gnati senza bisogno, che per questi egli facesse plagio delle an- tiche pitture dissepolte in Roma, il dimostra una nota a pag. 130, avendo egli disegnate opere consimili antecedentemente in età tenerissima pel coro dei Cassinensi in Perugia ; ed il gusto di tali ornati era talmente già diffuso e praticato, che a convincersene basta il percorrere quanto in tal genere facevasi dal Mantegna e da’suoi allievi “e conoscere gli ornati che gli scultori del quat- trocento profondevano per tutta l’Italia. E sono ben giuste e sa- gaci le osservazioni dell’ autore intorno gli ornamenti capricciosi di queste loggie , e sulla varietà del loro carattere, da non giu- dicarsi nelle opere di pennello , specialmente colla severità delle leggi architettoniche. E tanto più che Rafaello temperò la stra- vaganza apparente di tali discordanti accozzamenti di forme col- l’ infondervi, per così dire , un senso morale che ne diventa l’ar- gomento , o la spiegazione, cessando in tal modo la creduta man- canza di un legame, e destando la soddisfazione di riconoscervi sotto il velame d’una bizzarria la ragione più matura. Per la qual cosa si conosce la colleganza dei tanti emblemi che danno la spiegazione di molti di quei graziosi componimenti ove nulla è messo a caso. Cerca lo storico di epilogare in un quadro, formando una sola categoria , le Madonne dipinte da Rafaello, cosa difficile per l’ unione di questo soggetto con altri personaggi , e per la varietà delle dimensioni, e del tempo, e dell’ importanza con cui furono dipinte , e queste immagini divide in tre classi, cioè quando è dipinta sola o col Bambino , e talvolta S. Giovanni , quando è composta dell’ intera Sacra Famiglia , e quando final- mente in atto di apparizione trovasi con alcuni devoti. L°ideale di Rafaello in questo soggetto, comunque lo abbia composto, non fu mai raggiunto da alcun’altro artista, e nessuno seppe quanto lui fare un insieme di Divinità, di umanità, di nobiltà, di modestia, di candor virginale e d’ affezione materna. Quindi non diegli nè i caratteri d’ un antica statua, nè quelli d’ una semplice madre col figlio in tutta ta donnesca famigliarità. For- mossi il tipo nel suo cuore devoto, nell’anima sua elevata e re- ligiosa, e trasfuse il prototipo della sua elevazione mentale col più sublime magistero dell’ arte in un soggetto , che multiplicò tante volte, senza ripetersi mai. L’autore ricorda le più celebri, e quelle che non conobbe od ommise vennero indicate dalla so- lerzia del traduttore con un tesoro di notizie accuratamente rac - II colte : se non che sembrò più circospetto per non spiacere col dubbio dell’ originalità di molte; di quello che guardingo nel convalidare la genuina loro provenienza dal pennello maestro. Fede ne fa 1’ aver indicata come originale una Madonnina che possedeva 1’ egrezio marchese Maufredini, non d’ altro fiancheg- giando quest’ opinione, che d’ una debolissima asserzione del sig. Edwards, mentre quel nobilissimo possessore allor quando mostrava i suoi quadretti a qualche intelligente passava rapida- mente dinanzi a questa immagine, sorridendo con tutto il garbo, e abbassando gli occhi in memoria dell’altissimo personaggio da cui 1’ ebbe in dono , senza più oltre osservare. E 1’ aver anche posta in questo numero fra nove quadri di Rafaello , che egli crede esistenti in Milano, un’Annunziata, che non è neppure di scuola italiana ; alla qual viziosa esuberanza ripara in parte il dar conto del prezioso quadro della Madonna della Tenda sco- perto a Turino , che, opera de’bei tempi dell’Urbinate, era an- cora ignoto all’ Italia. Se non che potevasi andar più a rilento nel riferire la storiella del cardinale dalle Lanze , rispettabilis- simo porporato , la quale è riferita senza alcuna prova in una forma un po’ equivoca. Si passa a trattare dei disegni di Rafaello, e lodandosi dal- l’ autore l’ opportunità dell’ intaglio per rendere con tal mezzo comune a molti il godimento dei ricordi preziosi di tante classi> ‘che produzioni di questo , come d° ogni altro maestro, riconosce nel talento di Marc’ Antonio tutte le qualità che l’esercizio del- l’ intaglio poteva vantare a quell’epoca ; contro la qual proposi- zione il traduttore nelle note pare vigorosamente opporsi , ani- mato dal parere del dotto e valentissimo intagliatore Giuseppe Longhi, che stà per fare di pubblica ragione un suo trattato della calcografia e dell’ incisione in rame. Tende questa nota a rilevare il metodo dell’arte moderna dell’ intaglio, spinta per vero dire a un sommo grado di perfezione nella sua meccanica per gli effetti dell’ombra e dei lumi , pel gioco dei riflessi, pel tondeggiar delle parti, per la morbidezza, la trasparenza, il co- lore, per così dire, che ricevono le stampe dal fino artificio, con cui il bulino non solamente imita il contorno, ma quasi emu- lando il pennello, rende una chiara ed evidente ragione del chiaroscuro, e del colorito. Noi accordiamo pienamente quanto si accenna, se vogliansi astrattamente , o in generale paragonare i sommi progressi che quest’ arte ha fatto ora con ciò che essa era pargoleggiando nella sua culla al tempo di Marc’ Antonio. Ma se ci è permesso a- 12 vanzare un opinione in tal materia, noi però saremo astretti a considerare che i pregi delle somme opere di Rafaello , e più particolarmente dei disegni sono stati, nella parte più integrale del loro merito , rilevati con più evidenza dal bulino di Mar- c’ Antonio , che dai sommi intagliatori de’ tempi moderni , con tutta la loro squisitezza e perfezione di meccanismo. Trattavasi nell’ esprimere le opere di questo maestro di riprodurre fedel- mente le più eminenti qualità che costituivano il di lui merito principale ; e per certo il disegno , la composizione , e 1° espres= sione ; saranno sempre riguardate come le prime, e le più ca- ratteristiche di questo pittore. Che se anche l’arte moderna nel- l’intaglio può rendere assai meglio dell’antica la parte del chia- roscuro , dei riflessi, della trasparenza, questo progresso, é que- sto industriosissimo meccanismo si vede il più delle volte pro- cedere a discapito delle qualità essenzialissime dei contorni, i quali meno fermi, meno sentiti, meno puri quasi soccombono, si perdono, si modificano sotto il tormento laborioso dei ferri, nè basta a rilevarli e a compensar questa perdita, tutta la lindura dei tagli, la trasparenza , il cristallino , 1’ impastato, il soave del bulino, ove l’intagliatore mette in evidenza sovente sè stesso piuttosto che 1’ opera originale, e fà tesoro dell’arte sua più spesso i veli, le barbe, i velluti, i tapeti di quello che le forme, e che il rientrare o l’ escir d’ un contorno, a cui è tutta affi- data il più spesso la grazia e 1° espressione d’ una figura. Crediamo quindi di concludere che rispetto alle prerogative caratteristiche dei disegni del Sanzio, queste meglio siansi rese da Marc’ Antonio , di quello che sianlo, o possano esserlo coi modi dell’ intaglio moderno; poichè lo studio degli odierni inta- gliatori tende all’ imitazione del pennello , e per quanto da essi si può, colla finezza del loro magistero si mira a togliere l’ener- gia del contorno che si dilegua dall’ opera dipinta, come dile- guasi in natura , giacchè la circoscrizione degli oggetti accade per la sovrapposizione degli uni che staccano sugli altri, desti- nati all’ ufficio di fondo : ma nei disegni in penna, o in matita è duopo circoscrivere il contorno con una marcata severità, sen- za perderlo mai per quanto si voglia tracciarlo con gentilezza e con garbo. Prova ne sia che questo classico intagliatore non im - piegò quasi mai il suo bulino che nelle opere di questa scuola, con cui si era identificato ; e quando anche gli allievi di lui trattarono i soggetti, che posteriormente vennero poi incisi da’.no- derni, rimasero superiori altamente , siccome più sopra fu in- dicato in proposito della scuola d’Atene , sì robustamente inta- n, 13 gliata da; Giorgio Ghisi. Ma certamente, tutta l’arte moderna colla finezza de’snoi meccanismi (.soffranlo in, pace, molti uomini som- mi, @ ciò serva. ad acuire il loro. ingegno per non deviar tanto dalle bellezze degli originali di Rafaello,). tutta 1’ arte moderna non è in caso di produrre una strage degli Innocenti un mar- tirio di S. Felicita, un Giudizio di Paride, la tavola dei. Cinque Santi, la benedizione di Abramo, la.$. Cecilia, la, predicazione di S. Paolo , un ritratto dell’Aretino,, per tacer di tant’altre. E tanto più che queste stampe sublimi, vennero tratte, da’ disegni pittoreschi, e pieni d’ anima e di.gusto; non già eseguiti con treddezza minuziosa ,.e lindura di tratti, o di sfumature, come preparansi i disegni moderni, cosicchè, fu mestieri all’ intaglia- tore trasfondersi , e studiare nell’ intimo 1’ indole tuttà del suo divino originale. Noi temiamo non senza ragione che se venisse ora dato a’ moderni intagliatori da incidere anzi che la materia terminata d’ un oggetto , il primo pensiero d’° una composizione, il Joro bulino difficilmente terminerebbe il lavoro , e ne compi- rebbe 1’ esecuzione. Z disegni del Sanzio , dice 1’ autore , mella loro originalità comprendevano la sublimità d’una specie di scrit- tura, vera imagine del pensiero, che davano più allo spirito che agli occhi l’ espressione d’ un sentimento. istantaneo in cui la penna rapidamente non mostrava che quanto abbisogna per dar precisione e consistenza alle idee. Neppure l’artificiosissima con- trafazioie dei moderni seppe raggiungere. il. merito delle opere del Raimondi , quantunque siano i mezzi dell’ arte tanto supe- riori in questa che in quell’età ; e il più insigne degli intaglia- teri che volle far saggio di quello stile superiore intagliando il Morbetto sulle orme del Raimondi, desistette dal suo tentativo, ben veggendo che era meglio non inoltrarsi, e lasciare indeciso il giudizio della posterità, di quello che rompere con troppa evi- denza nello scoglio d’una imitazione infelice, dopo aver mietuta una palma nella Transfigurazione , che però non può dirsi il capo d’ opera di questo moderno maestro. Pedanteria quindi da non perdonarsi è il porre una nota a carte 207 sostenendo che non si può nè si debbe chiamare ardito il bulino. di Marc’Antonio. Qual dunque sarà l’arditezza se. ap- punto non è quella che gira con magistero sicuro i contorni, che circoscrive le forme con una correzione non stentata, nè timida, ma franca e disinvolta, se non è quella che col minor numero ‘di tratti coglie il punto dell’ espressione , e raggiunge. possibil- mente l’ intenzione dell’ originale ?. Non vorrà certamente mai mettersi in conto di arditezza il raddoppiare le inerociature dei 14 tagli, l’alternarne le complicate dimensioni, l’inserirvi dei puniti, e quella prodigiosa ‘varietà di andamento; che''passa dall’ invi sibile orma del bulino al profondissimo solco,'che a guisa di ara- tro quasi trapassa ‘talvolta la grossezza delle lamine: applauditis- simi' mezzi per ottenere un effetto straordinario , ogni qualvolta vengano impiegati a proposito ‘con quella sobrietà e misura che sia conveniente all’ oggetto ,' ma che però non sono da porsi in conto ‘del ‘verò ardimento dell’ arte: Si viene in seguito a ‘patlare della terza camera del Vatica- no; detta di Torre Borgia; ove il Sanzio dipinse l'incendio di Borgo , tanto insigne per la composizione e- per l’espressione , il solo dei quattro soggetti di questa sala che fosse interamente con- dotto dal suo pennello ,'imentre gli altri tre , la vittoria cioè dei Saraceni al porto d’ Ostia, la giustificazione di Leone III. alla pre- senza di Carlo Magno, e l’ incoronazione di Carlo Magno fatta dallo stesso Pontefice vennero , sui disegni dell’Urbinate, condotte per la maggior parte da’ suoi allievi. Tutti ‘i concepimenti di queste composizioni simboleggiando i fatti delle antiche storie ri- ferivano a’ moderni tempi, e in particolare ai fatti più memo- rabili di Giulio secondo, e di Leone X., sotto i cui pontificati vennero dipinte le sale vaticane : e più in quest’ultima di Torre Borgia ebbesi relazione ai trattati conclusi in Firenze tra Leo- ne X. e Francesco I, al segno che Vasari tratto dalle vive rasso- miglianze dei personaggi ‘indicati, e da un iscrizione ove con- fuse l’anno dell’ avvenimento con quello in cui fu compiuto il lavuro;, | sognò un incoronazione di Francesco I. fatta da Lec- ne X., che non ebbe mai luogo. Si lodano per la nobiltà e varietà degli atteggiamenti , e la proprietà caratteristica di ciascuno i dodici Apostoli dipinti iu chiaroscuro ; il cui guasto si compiange , e il peggiore ristauro si sdegna , dei quali non restano che le memorie dagli espressivi e diligenti intagli di Marc’Antonio , e di Silvestro da Ravenna. Ampio argomento presenta agli encomi di Rafaello il percor- rere sui ritratti da esso dipinti con singolar magistero. Che Ra- faello dovesse riescire esimio nel ritrarre , il provava di già l’ori- gine del suo fare, e la derivazione de’ suoi insegnamenti. Tuttu era ritratto nelle. antiche composizioni, e Rafaello più che in ogni altra il dimostra nella prima di queste , cioè nella disputa del Sacramento , ove si videro. le effigie di Scotto, di Dante, di Savonarola , di Bramante , del Duca d’ Urbino , di Pietro Peru- gino , e di Rafaello medesimo. E poco dopo nella senola d’Atene si riconobbero Francesco Maria della Rovere, Bramante, ed al- 15 tri parecchi ; nel Parnaso ritrasse Petrarca, Dante, Boccaccio , Ariosto e molt’ altri , cosicchè se costantemente mantenne questo esercizio , quanta eccellenza non dovette poi isfoggiare quando appositamente, e non introducendoli cume accessori, ebbe a di- pingere ritratti di celebri personaggi. E più di tutti veramente la più tarda posterità si compiacerà della bellezza delle imagini di Giulio secondo, e di Leone X. ; i quali staranno siccome mo- delli dell’ arte contro le produzioni di ogni scuola , poichè uni- tamente alla perfetta rassomiglianza ; che ci vieue attestata agli originali, evidentemente vi si scorge anche impresso il vero ca- rattere morale che ‘tanto traluce dall’ umano aspetto. È da au- gurarsi jche il giovine intagliatore , che stà per dare al pubblico il, superbissimo quadro del Palazzo Pitti, ove primeggia tra il Cardinale de Rossi, e il Cardinale Giulio de Medici l’ effigie di Papa Leone, farà cosa classicamente, distinta , se al suo buon volere, e al disegno magistrale, che egli stesso ne trasse , cor- risponderà, come sperasi , il suo valente bulino, e la sua in- faticabile insistenza in così difficile lavoro. In proposito di racconti iperbolici ed esagerati intorno all’ef- fetto straordinario che produssero ritratti insignemente dipinti e rassomiglianti, vi sarà qualche cosa di favoloso o d’iperbolico, ma non può a meno di non riconoscersi un fondo di realtà, poi- chè tali racconti non sono relativi se non a capi d’ opera, che sbalordiscono anche dopo tre secoli , che sfidano gli oltraggi del tempo ; e non bisogna stupirsi se il ritratto di Leone X , sicco- me quello che Tiziano dipinse a Carlo V, facevano piegare a ri- verenza le fronti di chi mirando quei miracoli dell’ arte senti vano di dover tributare ai simulacri 1’ ossequio che erano usi prestare ai vivi e parlanti originali. Portansi dal Comolli a 27 i ritratti dipinti da Rafaello, ma verosimilmente eccederanno da questo numero. Pongonsi tra i più celebri quelli di Lorenzo e Giuliano de Medici , del Bembo, di Gio. della Casa , di Caron- delet , di Baldassar Castiglioni, dell’ Inghirami, di Baldo, di Bartolo, di Bindo Altoviti, di Giovanna d’Aragona. Forse il bel- lissimo ritratto che non ha guari fu trovato dal Pittore Francese sig. Fabre sarà quello d’uno dei sovracitati nepoti di Papa Leone; ea questi aggiugne l’ anonimo pubblicato dal Morelli anche i ri- tratti del Navagero , e del Beazzano. Nè può supporsi dimenticato dal pennello del Sanzio il ritratto del Cardinale Bibienna , quan- tunque ignorisi ove esser possa. Vuolsi anche di mano dell’Ur- binate un ritratto di persona ignota e barbato in Madrid, e ci- tansi; senza dirsi con quale autorità, i ritratti di Alfonso d’Este, 16 di Clemente VII. , di Parmigianino, di Valerio Belli, di Beatri- ce d’Este, di Francesco Penni , e»quello di Pietro Perugino che con amorosa riconoscenza avrà più d’ una volta esercitato il pen- nello del Sanzio. Ultimamente di ‘due preziosissime gemme venne arricchita la R. Galleria de’ Pitti mediante i due ritratti di An- gelo e di Maddalena Doni, la quale non ha che fare coll’ altro ritratto di una dama. più attempata ; che vedesi nella Galleria Medicea, e che si credette esser quello di Maddalena. Il pos- sessore del ritratto di Tebaldeo , sig. prof. Scarpa , celebra con sua lettera al Conte Marenzi direttore della Pinacoteca Carrara in Bergamo un ritratto riputato di Rafaello che rappresenta Fran- cesco Maria della Rovere, siccome il sig. Agostino Comerio cre- de di conservare in Milano altro ritratto di Federico da Monte Feltro Duca d’ Urbino. La precisione però che esigesi nella storia per espurgarla da incertezze e false supposizioni vorrebbe emen- da in una serie di errori che scorrono facilmente per l’ inesat- tezza delle tradizioni; come a cagion d’esempio là* dove dicesi in una nota , che al tempo che dalla Galleria di Modena ven- nero trasportate a Dresda due ultre stupendissime tavole, que- sta del Tebaldeo capitò nelle mani dell’ Ab. Cerretti, convien sapersi primieramente che i &aadri della Galleria di Modena vennero recati a Dresda per vendita fattane dal Duca France- sco III nel 1745 per cento mille zecchini, e il Cerretti, che non fn mai abate, non potè comprar quadri in Modena sugli avanzi di quel Palazzo Ducale , messi a rubba; se non dopo lo spoglio fattone da’ Francesi nell’ anno 1797. Nè i vecchi nè i moderni cataloghi citarono mai questo ritratto. Si rivendica bensì nelle note trionfantemente ciò che il Puccini, il Missirini, ed altri pur scrissero intorno al celebre ritratto di Bindo Altoviti, che con stranissima persistenza , e senza il minimo fondamento di ragione ; e soltanto col falso appoggio degli invalsi errori, il sig. Rehberg vorrebbe sostenere essere quello di Rafaello. E quì cominciando i lettori a stupirsi del numero prodigioso delle opere di un sì giovine e sì famoso maestro, troveranno in- dicati dallo storico i modi, pei quali restava diviso il lavoro sulle traccie de’ suoi contorm ; e affidavasi alle mani di parecchi col- laboratori, e nella stessa officina del maestro copiavansi da va- lentissimi imitatori e fedeli tanti di quei quadri, la cui ripeti- zione specialmente venivagli chiesta, i quali formano ben giu- stamente l’ imbarazzo degli occhi non troppo esperti nel far conto delle piccole differenze , ma pertanto molto integrali. Indi si passa a render conto dell’ opera commovente e stupenda, denominata tr lo Spasimo di Sicilia, che aspetta dal bulino del sig. Toschi d’es- ser fatta più nota all’Italia, giacchè per istrano avvenimento passar dovette in Ispagna; e del pari si tratta della Visitazio- ne, che allo stesso monarca appartiene , opera insigne per la dolcezza, la semplicità , e il decoro con cui è rappresentata. E dopo essersi descritto il bellissimo S. Giovanni Battista, che splende mirabilmente nella Galleria di Firenze, e aver parlato delle multiplici ripetizioni e copie di quel soggetto , introduconsi nelle note enumerizioni di quadri di altri autori e scuole, che da alcuni negozianti posseggonsi , onde forse accreditarli col ri- verbero della luce che deriva nella vita del Corifeo della Pittura Italiana. Noi non vorremmo esser acri nella censura notando le men- de , quasi che queste oscurar potessero il merito d’ un lavoro ; per cui tutta l’ Italia è certamente penetrata d’ ammirazione e riconoscenza ; ma come si potrebbe trascorrere senza qualche ri- sentimento là dove , in proposito della Madonna di S. Sisto, che ammirasi a Dresda , parlandosi di S. Barbara genuflessa dinanzi a quela Vergine Divina ne encomia con improprietà d’ espres= sione /a temperata smorfia Celestiale e Virginea che t° innamora. A stento potrebbesi perdonare un tal modo di esprimersi ove del Coreggio fosse parola, o piuttosto d’ alcuno de’ suoi imitatori, che in luogo di raggiungerne le grazie caddero fatalmente nella smorfia. E come potrebbesi convenire mai pienamente nella nota, là dove il traduttore sostiene contro l’ opinione dello storico, che nelle tavole piute in comune da Rafaello e da Giulio Romano l’occhio esperto e sagace del vero intelligente sa identificare ogni piccolo tratto che al Sanzio appartiene ? cosa che invero potrà conoscersi ove dipinsero separatamente, ma incerto, od ardito sarebbe il giudizio ne’ lavori che condussero in comune, l’ uno terminando l’ abbozzo dell’ altro ; e veramente dovendosi presu- mere con assai più di ragione che 1’ amico e 1’ allievo ponesse ogni cura più scrupolosa nel seguire gli insegnamenti , le trac- cie , il fare del sommo maestro, modificando allora quell’ ardi- tezza e quel fuoco che lo faceva alquanto trascendere quando in balìa di sè stesso non sentiva più il freno di quella magistrale sobrietà. A questo luogo lo storico raccoglie le memorie che assegna- no fama all’ Urbinate per le sue opere architettoniche ; ed ecco Rafaello successor di Bramante nel 1514 costruisce la corte del Vaticano che. rese poi tanto celebre col decorarne le loggie , e nei due anni consecutivi con brevi pontifici fu nominato ordi- T. XXXVII. febbraio 3 18 natore della fabbrica di S. Pietro, e sopraintendente agli anti- chi edifici di Roma. Costruisce un modello di S. Pietro, che non è condotto ad effetto, come anche il progetto della facciata di S. Lorenzo in Firenze. È-di sua invenzione la facciata del Pa- Jazzo Uguccioni sulla piazza del Gran Duca, e 1’ elegantissimo Palazzo Pandolfini in via S. Gallo. Rimangono ancora i disegni del demolito Palazzo di Rafaello in borgo a Roma; ammirasi la costruzione di Villa Madama , delle scuderie di Antonio Ghigi, del Palazzo a S. Andrea della Valle, della magnifica Cappella di Agostino Ghigi a S. Maria del popolo ; e da tutti questi edifici, ove alla parte scientifica va unita 1’ estrema eleganza e il gusto più fino, rilevasi l’incommensurabile estensione delle cognizioni e degli studi del Sanzio. Nè strano sarebbe che ben anche po- nendo mano alla plastica avesse contribuito ; come si volle, alla perfezione del modello nella statua di Giona scolpita da Loren- zetto, escludendo che egli avesse trattato il marmo, che esige as- siduità di lavoro, e di pratica. Ottime sono le note ove raccolgonsi con buona critica i mo- tivi e le prove dei tanti equivoci corsi da molti scrittori, e in- valsi generalmente in proposito delle maioliche dipinte ; e chia- ramente viene dimostrato che Rafaello non perdette il suo tem- po in somiglianti lavori, ma che dai vari fabbricatori di quelle opere figuline si impiegarono le di lui invenzioni, propagate col mezzo dei disegni e delle stampe. l Rapidi ma sensatissimi sono i cenni coi quali trascorre lo storico sulle 52 composizioni che nelle loggie Rafaello trasse dal vecchio e dal nuovo testamento, ritenendole come altrettanti te- mi sui quali egli avesse improvvisati i disegni per la più parte eseguiti dalla sua scuola. E giudiziosamente osservasi come il Pus- sino, sommo compositore, veggasi nelle opere sue meditare con sa- viezza la scelta e l'ordinanza di tanti di quei soggetti che con tutta la libertà d’ un genio superiore Rafaello aveva concepiti ed espressi a guisa di estemporanea esecuzione. In tale argomento una nota tenderebbe a trovare coincidenza tra questi concetti e alcani luoghi della Divina Commedia ; i! che sebbene esser possa analogo alla maniera di vedere di quei molti, i quali vogliono ri- ferir tutto alla poetica invenzione di quel d vino scrittore , non- dimeno ci parve alquanto forzata una simile applicazione. Dai sacri soggetti che il Sanzio trattò in ogni forma e dimen- sione nel Vaticano si passa all’ esame delle opere eleganti che resero tanto celebrato il Palazzo di Agostino Ghigi, oggi la Far- nesina. Ivi fu che dipinse la Galatea, memorabile per la forza ‘9 del colore, la grazia del componimento, e la larghezza dello stile, e tutta in varii compartimenti effigiò la favola di Psiche secon- do Apuleio. Non è però vero che le stampe, le quali ci conser- varono in numero di 32 soggetti tutta quella serie di invenzio- ni, siino del bulino di Marc’ Antonio ; che tre ne intagliò Ago- stino Veneziano , e il rimanente furon lavoro di quell’ intaglia- tore che pone un B sulla faccia di un Dado per marca, goffa- mente da alcuni. spiegato per Bonasone, e peggio da altri per Beatriatto. Nella sala ove Rafaello presentò il più bel complesso che la mitologia abbia offerto al pennello, tutto vi è riccamente e gentilmente ornato e figurato : i piccoli compartimenti, ogni interstizio , i peducci, e i due gran soggetti del concilio degli Dei, e del convito , danno a vedere con quanta proprietà ,, ele- ganza, e giustezza fosse caratterizzato ciascun personaggio colla sua propria fisonomia, con un adeguata qualità nelle forme, e ciascuno ‘avesse un ideale suo proprio, esprimendo. per così dire la misura della loro divinità. E tendesi in una nota ad escludere con forti ragioni che il Ghigi, ad oggetto che le pitture del suo palazzo venissero compite , allogasse nella stessa sua casa la For- narina, e ciò togliesse motivo di distrazione all’ artista, non più abbisognando di allontanarsi dal, lnogo de’ suoi lavori per go- dere la vicinanza della sua innamorata. E appunto intorno la Fornarina e i multiplici ritratti di lei trovansi in quest’ opera molti pareri e ragionamenti , e note , e conghietture d’ uomini chiarissimi; le quali stanno in opposi- zione l’ una dell’ altra, lasciando vagare il lettore in molte in- certezze. Sembrò per un tempo convincente e dettata da buona critica la lettera del Puccini inserita nelle note a carte 651, ma tutto vi è conghietturale, e il Moreni la confutò con buone e ‘ salde ragioni. Rafaello che aveva quel modello negli occhi e nel cuore la introdusse in moltissimi soggetti da lui trattati. Siri- conobbe nella gran composizione dell’ Eliodoro , la si rivide nella Trasfigurazione , ne richiamò le sembianze nel Parnaso sotto l’ef- figie della Musa Clio, e ne fece un ritratto per il Taddei. Vorrebbe il Missirini che il ritratto della tribuna di Firenze venisse. disegnato da Michel Angelo e colorito da fra Sebastiano dal Piombo. Ma per una semplice mezza figura vestita non sem- bra ragionevole che un sì valente pittore abbisognasse di un al- tro disegnatore ; anzi ripugna a questo ogni considerazione, e più di tutto lo stile di quest’ opera , ove tutta la gentilezza si vede, e non traluce fierezza de’ modi Michelangioleschi , come potrebbe raffigurarsi nelle altre grandiose composizioni che Se- 90 bastiano condusse , probabi!mente inspirato dalla maschia vigo= rìa del Bonarroti. Ed anche il parallelo allegato della Fornarina di Firenze colla marchesa di Pescara è come le battaglie nelle nuvole; e giacchè conviensi che la stampa unita alle note non corrisponde all’ originale da cui deriva, era assai meglio il non porvela. Verrà forse un momento , in cui sarà schiarito questo dubbio, e si conoscerà se piuttosto il ritratto che si conserva in Roma, o quello che si vede in Firenze appartenga alla For- narina, poichè in tanta incertezza di giudizii non osiamo di pro- nunciare ; e l’approfondare con sana critica questa materia sa- rebbe opera di lunga dissertazione. Citasi anche una copia, o ri- petizione di questo ritratto in Verona da noi ben conosciuta e molta apprezzata : non ci parve però che una tal opera fosse di mano del Sanzio, per quanto ricordi |’ effigie di Firenze, ma lo stile del contornare trascende dalla sicura purità di Ra- faello, per quanto esser possa della sua scuola ; vi si veggono pentimenti rimarcabili, singolarmente in una mano , cosa raris- sima nelle opere di Rafaello ; e il colorito fa risovvenire piutto- sto la tavolozza di Francesco Penni, o di Giulio Romano. La somiglianza accidentale dei tratti belli e regolari fa spesso sup- porre ciò che non si propose 1° artista. E una bella donna, il cui atteggiamento alcun poco ricorda la figura ritratta nella tribuna, che vedesi dipinta in Rieti nel refettorio de’ Domenicani, ove Vincenzo Pagano colorì a fresco il Giudizio universale , fm cere duta dal cav. Angelo Maria Ricci rappresentare la Fornarina fra gli eletti tornata a stato di perfezione , facendo mostra di tutta intera la bella persona, in quello stato in cui è /a vergogna inutile dove la colpa è ignota. Noi non vogliamo opporre a una lettera che questo gentilissimo scrittore , legato a noi di tenera amicizia, seriss& in Rieti nel 1824 su questo argomento ; ma non sarebbe meraviglia se pieno delle sublimi idee che gli destava- no queg'i a freschi, i quali rividero la luce mercè le di lui cure e il di lui amore per gli eletti studi, avesse nelle opere di un allievo del Sanzio veduto anche la Fornarina. Dopo essersi parlato con diligenti e buone ricerche della S. Margherita, e dopo le accuratissime note che illustrano il S. Miche- le, ragiona della Sacra Famiglia del Museo Reale di Francia fatta per Francesco I. nell’anno 1518. Questo quadro segna l’apice a cui giunse Rafaello per la nobiltà dell’ espressione , la bellezza della composizione, la scelta delle forme, e la vigorìa del colore. La fisonomia della Vergine in particolare è l’ ideale d’ una mesco- lanza di nobiltà , di dolcezza , di bellezza, di pudore, d’ amor \ 21 materno, e di rispettosa ‘dignità. Dice l’ autore in proposito delle Madonne dipinte dal Sanzio che la giardiniera del 1507 fissa il termine della prima maniera, la Vergine del Pesce nel 1514 sta- bilisce il passaggio dalla seconda alla terza , e quella del Museo Reale che porta la data del 1518 è testimonio parlante di un me- rito oltre il quale non si potrebbe collocare nessun altr’ opera di Rafaello : cosicchè in questi tre quadri è la prova e l’istoria dei progressi di quell’ ingegno. Con breve pontificio Rafaello presiede agli scavi delle romane antichità, e alcune lusinghiere indicazioni delle note danno a spe- rare che possa trovarsi, e pubblicarsi un prezioso volume di dise- gni di Rafaello sulle antichità di Roma, appartenente a Lord Leice- ster, di cui saranno i dotti avidamente curiosi pel dubbio che possano far parte di questo lavoro le tavole pubblicate da Fabio da Ravenna, la cui prima edizione Romana, stampata nel 1532 , do- dici anni dopo la morte del Sanzio , da questo suo intrinseco ami- co , porta il titolo Antiguae Urbis Romae cum regionibus simula- chrum : e in tal proposito è convalidata maggiormente con salde ragioni la deduzione , già esposta dal Francesconi, che la lettera attribuita al Castiglioni sia dettata da Rafaello. Ma fra le tante belle invenzioni dell’ Urhinate , certamente che i cartoni e i disegni da lui fatti per le tapezzerie vaticane, tes- sute alle fabbriche di Fiandra , meritano forse il primo luogo ; poi- chè Leone X. commise questi lavori nell’ epoca in cui Rafaello toccava il colmo della sua grandezza nell’ arte. E poichè alcun tempo stettero alle fabbriche i cartoni medesimi , non è meraviglia se veggansi ripetizioni di quei soggetti bellissime anche fuori di Roma , come in Dresda, in Mantova , in Milano ; e in Venezia. Il testo e le note vanno adittando le vicende e le traccie di questi monumenti preziosi ; e veramente l’Italia con molta ragione si duole di non possedere i bellissimi, e più preziosi di questi, i quali, incontestabilmente originali, stanno ad Hampton Conrt come oggetto di pubblica ammirazione. Moltissime furono le com- posizioni che, quali con maggiore e quali con minor preziosità di tessuto, vennero eseguite sui disegni di Rafaello. È grato fra quex sti disegni l’enumerare quei che cita la storia, cioè il pasce oves meas , Anania colpito a morte per opera di S. Pietro , (S. Paolo e S. Barnaba nella Città di Listri che rendono sano lo storpio nato, S. Paolo che predica in Atene, la pesca miracolosa, S. Pie- tro e S. Giovanni che guariscono, lo storpio, Elima acciecato da S. Paolo, e il proconsole Sergio, li quali primi sette cartoni so- no appunto quelli che stanno in Inghilterra. L’ adorazione dei a Magi, Cristo che apparisce alla Maddalena, la cena in Emaus , la strage degli Innocenti, l’Ascensione , e gli altri indicati dal Fea nella sua descrizione di Roma, come la lapidazione di S. Ste- fano , il terremoto quando S. Paolo era carcerato a Filippi di Ma- cedonia , la conversione di Saule , le Allegorìe e gli Emblemi allusivi agli stemmi di Leone X., la presentazione di Gesù bam- bino al tempio , la Risurrezione , il Presepio , la discesa dello Spirito Santo, e finalmente la discesa al Limbo che convien piamn- gere fra le ricchezze derubate ed arse, e «di cui Beatricetto ci serbò memoria con un intaglio. Ricchissime invenzioni cui acreb- bero pregio gli ornati che le circondano , trattati a chiaroscuro, e pieni di bellissime storie, parte allusive a fasti Medicei, e parte al vecchio e nuovo Testamento. Verosimilmente di un gran numero di queste opere gran- diose furono fatti schizzi e disegni in piccola dimensione, onde assoggettare le invenzioni all’approvazione del Pontefice commit- tente, e sono questi forse i più preziosi contorni che tanto ser- virono al bulino di Marc’Antonio , il quale intagliò parecchi di simili soggetti con arte mirabile. Ma si accorgeranno a primo colpo d’occhio i lettori del sin- golarissimo errore corso in una nota inserita nel volume senz’es- sere stata forse neppur letta dal Longhena , la quale , trasmes- sagli , rinchiude una falsità non dolosa per certo. In proposito del secondo soggetto quì sopra indicato, che è la morte di Ana- nia, viene citato un supposto. disegno , creduto originale , rife- rendo un iscrizione mal intesa, la quale a pienissima evidenza doveva far conoscere essere , quel creduto Zogoro disegno, una logora stampa di Ugo da Carpi a chiarosenro, che anche l’iseri- zione riportata doveva pur confermarlo al traduttore, leggendovi senza stento Raphael Urbinas. Per Ugo da Carpo , e sognando cercò di raffigurarvisi il nome, non si.sà di chi, per cui volle supporsi fatto il disegno. E in questo luogo non possiam conte- nere un sentimento di pena per la preterizione con cui viene di- menticato di farsi onorata menzione di Ugo da Carpi, nominato in un elenco d’intagliatori appena una volta a pag. 779, di An- drea Andreani , di Antonio da Trento , e di altri di quell’ età , i quali imitando.i disegni di Rafaello al segno di produrre la più grata illusione, furono maestri di tal genere d? intagli pre- ziosi da poter soddisfare vil gusto e 1° intelligenza de’ più colti amatori. E singolarmente Ugo da Carpi il più rinomato, ed il pri- mo di questi, non solo intagliò dai disegni e dagli Arazzi di Ra- faello 1° Anania ; la pesca miracolosa, la cena del Fariseo , a 23 discesa di Croce , la risurrezione; ma sui disegni dell’ Urbinate ci lasciò il sogno di Giacobbe , il Davide che recide la testa di Golia, la strage degli Innocenti, il S. Giovanni predicante della Tribuna di Firenze, ed altre molte bellissime composizioni di Rafaello, che tralasciamo di nominare per brevità, oltre ciò che con questo metodo ci lasciarono intagliato a chiaroscuro gli ‘al- tri indicati maestri. Fortunatamente che 1° esperienza di cui fece saggio Rafaello cominciando a far preparare nella sala di Costantino l’ intonaco per dipingervi ad olio, imitando ciò che allor si faceva in Roma da fra Sebastiano, non pratico della pittura a fresco ; convinse 1 Urbinate , e dopo lui Giulio Romano, che l’opera non avrebbe mai potuto riescire egualmente florida di tinte, e di spedita e brillante esecuzione ; per la qual cosa le sole figure della Giu- stizia e della Clemenza eseguì Rafaello su quegli intonachi con tutto il più sublime magistero dell’ arte; ma allorquando Giulio Romano diede esecuzione al gran soggetto della Battaglia, imma- ginata e romposta dal suo maestro, fece atterrare l'intonaco pre- parato per l’ olio , e riprese il metodo della pittura a fresco, sic- come erasi fatto in tutte le altre sale del Vaticano. Nondimeno con tutto il tatto, che è soltanto proprio dei sommi maestri del- l’arte, ben osservando il Canova le due figure che Rafaello di sua mano condusse ad olio in questa ultima delle sale, che do- veva ritenere la celebrità del suo nome, vi osservava come la forza del magistero giunta al suo colmo, portandolo facilmente a spiegarsi anche più oltre, non sarebbe stata meraviglia se nel corso di quella età, che non gli fù concessa, avesse retrogra- dato alcun poco nella purezza, e nella sobrietà. Sagacissima os- servazione che rilevasi nelle note, espressa con tanta misura dal Canova ne’suoi trattenimenti col Missirini ed altri persone della più intima confidenza. L’Ambrosiana di Milano può per anche andar superba d’un fragmento del cartone della battaglia di Costantino, sulla qual opera è verosimile che non solo la composizione in minor dimen> zione. ma ben anche alcune parti dei cartoni fossero predispo- sti dal Sanzio, siccome probabilmente, se non periva immaturo, in gran parte avrebb’ anche condotto il dipinto. Bello è il vedere in questa mirabile composizione come 1’ Urbinate fosse profon- damente nudrito alla scuola dell’antichità, e avesse trasfusi sen- za mai ombra di plagio, ma con insigne accorgimento, nella pro- pria maniera i tesori d’ insegnamento che derivano da’ bassi ri- lievi dell'Arco di Traiano recati ad ornare quello di Costantino, 2f e quelli eziandio della Colonna Traiana. Ma d’uopo è convenir collo storico. che qualunque possa essere il soccorso che a Raf- faello diedero le opere dell’antichità, non potè egli in essa tro- vare un modello mai di composizione sì vasta, sì complicata, sì mista, e tuttavia, guello che fa meraviglia, abbenchè Giulio Romano l’abbia ristretta un po’ più che nol comportava il dise- gno originale , niente v° ha di confuso, e l’ occhio non abbisogna d’alcuna spiegazione. E prima di escir dalle sale Vaticane gra- tissimo sarà per mezzo delle note il sapersi come il Missirini ve= rificasse che due putti di mano del Sanzio, laterali a un camino sorreggendo gli stemmi della Rovere, grandi al naturale, di me- ravigliosa bellezza, e dipinti nel più largo e forte stile del San- zio, vennero segati, e conservati, l’uno in Inghilterra, e l’al- tro in Roma presso il sig. Wicar. Così potranno questi dipinti sfidare a lungo la rabbia dei secoli, il che non riuscirebbe , se brutalmente fossero stati sbarbicati gli intonachi con momen- taneo ed effimero successo, siccome di alcune altre preziose pit- ture si fece in epoche diverse , e malgrado ogni funesta espe- rienza anche a’ dì nostri. Venendosi a parlare finalmente del capo lavoro di Rafaello, la Trasfigurazione , ritorna l’autore a qualche confronto tra Ra- faello e Michel Angelo , e qui ancora trapassa il confine, chia- mando il carattere del Bonarroti feroce. piuttosto che fiero , ed alcun poco esagerando le conseguenze dell’ apparente rivalità, che non discese però mai a bassa e volgar gelosia, come scris- sero alcuni; calunniando animi così generosi ed elevati. Nè mai fu vero che l’ uno studiasse di imitar l’altro , poichè cercaro- no entrambi la via dell’ originalità , e di rimanere sempre eguali a loro stessi. Non vuolsi però interamene eliminare in Michel Angelo un sospetto d’ invidia, che aver non doveva dopo esser salito tant’ alto colle sue opere di scultura , le pitture della Sistina, e la cupola di S. Pietro ( come osservasi nelle note); ma forse conoscendo la sua inferiorità nella parte del colorito come la più evidente, sembrogli di attenuare l’ascendente del sno nobile antagonista mettendogli a fronte un vigoroso pen- nello della scuola Veneziana, e perciò fece venire Fra Seba- stiano dal Piombo. Parve quindi che 1’ associazione dei mezzi sommi del Bonarroti col saporito pennello di Sebastiano fosse una piccola congiura contro di Rafaello, il quale per l’ altezza e la nobiltà dell’ animo suo non si recò a sdegno questo tratto, ma rallegrandosi, soleva dire che il Bonarroti facevagli così favor grande, poichè lo credeva degno di competere con lui, 25 e non con fra Sebastiano , che abbisognava. de’suoi robusti di- segni per misurarsi nell’ arringo; e qui opportunamente le note recano notizie di alcuni disegni di mano di Rafaelloy ove stu- diando sulle stesse opere del Bonarroti diede..a. vedere qual ‘stima altissima facesse di tanto maestro; scegliendone il meglio, e applicandolo con vera finezza di intendimento. Allogatasi quin- di; in seguito delle mire di Michel Angelo, la grand’ opera della risurrezione di Lazzaro a fra Sebastiano , trovossi questo lavoro in concorrenza colla Trasfigurazione data a Rafaello, dopo la morte del quale vennero le due opere esposte nella sala del Concistoro , e vi ricevettero elogi grandissimi; ma il quadro di Rafaello rimase in -Roma , quello di Sebastiano fù spedito dal cardinale de’ Medici a Narbona, di dove passò alla Galleria d’Orleans, indi al sig. cavaliere Angerstein, ed attualmente forma il decoro principale del museo. Britannico. E non appar- tenne mai a un Lord Angesting che non ha mai esistito, co- me per errore viene riferito dal traduttore, che ignorava l’ul- timo glorioso destino di questa bellissima tavola. La Trasfigurazione determinò l’apice della gloria di Rafaello, concorrendo in essa l’accordo del maggior numero dei. meriti dell’ arte, e trovandosi pari alleccellenza del pennello la forza del colore, la magia del chiaroscuro, ed altre qualità pratiche che il discorso non saprebbe esprimere , congiunte a tutte le perfezioni morali, che .si ravvisano nelle sue produzioni. E fu dul testo dell’ Evangelio che trasse la necessità di quei due ge- neri di scene che rappresentansi in due spazii diversi; della qual cosa, superficialmente giudicando la critica vorrebbe ac- cagionare l’ artista. La scena superiore per conseguenza aveva legame coll’ inferiore nel solo modo che può averlo una visione celeste aerea con un azione terrestre, nella quale poi tutta la forza dell’espressione , e la varietà della composizione campeg- giano con potenza di mezzi. Nelle quali relazioni delle parti stà quel mirabile accordo che stabilisce la vera unità poetica € pittorica, tendente unicamente allo scopo immediato del sog- getto principale, al quale possono mirare talvolta parecchie fila. Giustificata però così la necessità di una tale composizione, non cesseranno per questo forse dall’ essere due quadri, con- dizione come si è detto inerente al soggetto, senza che di ciò possa farsi censura o giustificazione , poichè non altrimenti può esser la cosa , se così mentalmente siam forzati a vederla nel- l’ oggetto soprannaturale : le quali cose 1’ autore spiega e com- prova collo spingerle all’ assurdo , se per avventura fosse fatto T. XXXVII. Febbraio. 4 26 diversamente. Non s’"avvidero' forse gli scrittori della vita e delle’ note come Rafaello non aveva perduto di mira, anzi erasi fatto: tesoro delle antiche ‘pitture di S. Miniato a Firen>. Ze:; le quali:scolpite nella sua mente gli suggerirono il con- cetto ;. la posa; e presso che l’intero contorno di ‘tutta la com- ‘posizione superiore , nello stesso. modo che la Deposizione di Croce di Mantegna avevagli dettato il prezioso disegno , che sullo stesso soggetto intagliarono poi Marc’Antonio; e Ugo da Carpi. Le note presentano anche un paralello ben giudizioso tra il cartone ‘della Trasfigurazione ed il quadro, tratto da una stam- pa di Bettelini, che non dal primo ,' ma dalla seconda venne intagliata. »Discute lo storico le probabilità che venisse Rafaello de- stinato a un cardinalato, le quali si accrebbero maggiormente «per la ‘morte della nipote ‘del Cardinal Bibiena a lui promessa ‘in isposa:; e finalmente si elimina con buone ragioni, contro l’esposizione del testo, dal traduttore , che 1’ abbandono a'pia- ceri dei sensi non fu ciò che ‘abbreviasse la vita del Sanzio, toccandosi con mano il contrario. Rafaello dispose de’suoi averi da uomo saggio, e cristianamente morì in età di 37 anni li 6 aprile 1520 nel venerdì Santo , giorno di sua uascita. Se il dolore si misura dalla perdita (dice lo storico ) nessuna per- dita in questo genere ha dovuto cagionare un dolore parago- nabile a quello della morte di Rafaello, pervenuto al colmo della più alta riputazione che il genio possa dare, e colto in un’ età, che pel maggior numero quella si è ancora delle speranze. Quai capi d’ opera furono tolti ‘con esso lui all’ ammirazione de’ se- coli! Quai grandi e belle idee già vicine a veder la luce sono rientrate nel nulla!.... Rafaello misurò (come conchiudesi in una nota del Missirini ) con una breve vita l’ età di più secoli in beneficio di tutte le arti. Calcolando le perdite che si sa- rebbero fatte se Rafaello fosse morto due anni prima , può mi- surarsi ciò che avremmo acquistato s’egli fosse vissuto trent’an- ni di più. È giustissima l’osservazione che scorrendo colla mente le principali prerogative dell’arte in se stessa nell’epoca di Ra- faello, trovansi queste particolarmente divise tra quattro sommi artefici, mei quali si accorda eccellenza di disegno a Michel Angelo, verità di colorito a Tiziano, ‘venustà di pennello e di chiaroscuro a Coreggio, e sommità d’invenzione e di com- posizione a Rafaello, a cui convien aggiungere eccellenza di espressione, e severità di puri contorni; ma confrontandoli tia loro , è duopo convenire che il Sanzio si è più di tutti i suoi 27 tre rivali avvicinato ‘al merito esclusivo di ciascheduno, e che ciascuno di essi, non eguagliò 1° Urbinate nelle parti sue pro- prie , dalla qual verità risulta l’incontrastabile sua preminen- za. E quì ragionasi con sommo avvedimento sulle diverse pro- gressive maniere, mirando Rafaello sempre alle qualità esimie di quelli che il precedettero, in quanto il comportavano la ve- rità e la natura ; senza aver mai ]’ intenzione d’ essere. d’ al- trui imitatore ;.j0 se lo fu ciò non accadde che col depurare. gli eccessi di ognuno , sia ovviando il manierato, sia fuggendo il gi- gantesco , 0. l’esagerato. Fu misurato nell’ invenzione ; evitando quell’atdimento! che spinse molti oltre il vero, e quella estrema severità di ragione che talora estingue il caldo dell’immaginare ; e se alcuni artisti furono esimii in alcun genere d’ invenzioni ,. Rafaello toccò in tutte l’eccellenza con una fecondità cui nessuno raggiunse, mol- tiplicandosi con varietà inarrivabile nella ripetizione degli stessi oggetti. i Con molta sagacità nelle sue estetiche osservazioni sulla com- posizione l’autore separa ciò che sovente confondesi nel linguag- - gio. comune , qualora si tratti d’ invenzione e composizione ; e i meriti di questa prerogativa consistendo particolarmente nella disposizione ;. vedesi il progresso ; che mediante lo studio } per opera di Rafaello , si fece in questa parte sciogliendola dalla ti- midezza, servilità, abuso di simetria dei tempi della sua ‘infan= zia, coll’evitare ogni apparenza d? artificio , facendo intervenire e succedere i personaggi, i gruppi , i soggetti con intima e pro- fonda ragione , che nel contentamento dell’ occhio, e nella giu- stezza allontani quasi affatto l’arte dal far pompa di se medesima. Non sapremmo pienamente convenire soll’autore là dove di- scendendo a parlare dell’ espressione, esimia fra le qualità del- I’ Urbinate, premette che nelle opere dei quattrocentisti trovasi monotonìa nella manifestazione de’ sentimenti, ammettendo sol- tanto quella della devozione, ed escludendo generalmente quella delle passioni; dal che deduce impotenza nell’arte, piuttosto che mancanza di volontà ‘nell’artefice , ed accusa un assoluta mari canza di espressione nelle fisonomie. Un esame un po’ meglio di- retto a conoscere il vero sulle opere dello stesso maestro di Ra- faello, sù quelle di Masaccio , sù quelle di Ghirlandajo ,' sulle opere del Francia, di Mantegna , dei Bellini, e di molt’ altri che precedettero la scuola del Sanzio, può condurci a conoscere in Rafaello un somino perfezionamento di quanto erasi predispo+ 25 sto da’ suoi anteeessori 0 contemporanei , cosicchè per gradi si ‘è ottenuto ciò che per salto ,'e senza anella intermedie la natura non suol produrre ; Ja qual cosa riconosciamo per vera nel pe- riodo precedente , allor che ‘appunto nel XIV secolo 1’ arte non presentava se non soggetti di devozione raffigurati con un uu- zione e con un affetto soavissimo , così ben sentito ed espresso dagli antichi padri delle ‘nostre rinascenti arti dell’ imitazione. E rinnovandosi dall’ autore il paralello , ognor ricorrenté , tra i modi di ‘espressione del Bonarotti, e quelli impiegati da Rafuello, trascende costantemente dall’ equa misura dicendo, nell’opera «del Giud.zio della Sistina, apparire una generale espression cadave- rica je che Michel Angelo nun possedette che una sola maniera d’ espressione per tutti li soggetti, e da che essa è uniforme è pure insignificante. Intorno a questo modo di giudicare abbiamo ripetutamente esposte le nostre opinioni, non confondendo la fie- rezza colla, ferocia, nè il grandioso col falso; di modo che la qualità dell’ artefice rimasero somme, sebbene pericolose ad imi- tarsi, ; ma per loro stesse non furono difetti, sebbene tali dove- vano divenire per opera degli incauti seguaci di quello stile. La varietà dell’ espressione in Rafaello si modifica in tutti i multiplici gradi delle umane affezioni , dalle più commoventi alle più! terribili , toccando un estension prodigiosa nelle corde di quell’ istrumento che è destinato a rappresentare coi mezzi dell’ arte ogni permanente o fugace impressione dell’anima , che sulla faccia dell’ tomo a guisa di specchio si riflette , e si varia. E jin quanto al disesuo . non fu sì meccanica in Rafaello questa scienza per farsi paga delle pure forme dei corpi e delle interne, ragioni di questa lor forma medesima. Questa dote fui in maggior grado posseduta dal Bonarroti ; ma Rafaello particolar- mente prese di mira una scienza più occulta e più fina nella scelta delle proporzioni tutte relative all’ indole del soggetto , con. tale profondità di ricerche , che da nessuno si adeguò , e che più, particolarmente servì per determinare il di lui proprio stile. La purità., la grazia, la bellezza non vennero sempre sog- giogate dall’ energia , e seppe imprimer la forza negli oggetti che da questa dovevano pure caratterizzarsi , ma senza che ces- sassero d’ esser gentili i tratti che si associavano talvolta colla fierezza , e senza che in questa associazione fosse mai sconvene- volezza., cosa più facile a conoscersi nelle opere sue , che age- vole ad esprimersi con, parole. Non suttomise le proporzioni alle sole cognizioni tecniche , e alla materialità delle seste , poichè 29 ne fece dipendere la varietà , e la venustà da quelle arcane leg- gi intelligibili dall’elevatezza del genio, che ia teoria non può fissare se non per via di approssimazione, Il colorito, di Rafaello che fu da prima, direm quasi , d'una trasparenza e lucidezza \virginea, non si conservò .tale quando passò dalla timidità delle prime opere all’ arditezza delle secon- de.,;e quando cessò dal rappresentare oggetti di composizioni calme e tranquille , figurando azioni piene di tumulto e. di fuoco. Allora il tocco più maschio , il colorito più vigoroso , le. ombre più sentite diedero un altro aspetto. alla sua tavolozza , e se dei due modi si fosse potuto ottenerne un solo, forse le ultime opere, sue sarebbero più diafane , e più risplendenti di tinta. Telle quali cose il tempo, solo poteva ammaestrarlo , e non sa- rebbe stato secondo ai Veneziani, se avesse avuto una vita. più lunga: ma convien dirlo, sonovi singolarmente alcuni ritratti ove il Sanzio non cede ad alcuno in vigoria, e in giustezza di tinte. E terminandosi la storia col. parlar della scuola, vien defi- nito dall’ autore questo vocabolo nel senso positivo, e non ma- teriale cui suole applicarsi. Ed enumerando gli artefici rinomati e distinti, che fra’seguaci di Rafaello si segnalarono, segue l’or- dine del Lanzi ponendo in capo Giulio Romano grande inventore e disegnatore, Gio. Francesco Penni detto il fattore, Luca Penni, Pierino del Vaga, Gio. da Udine , Polidoro da Caravaccio , Pel- legrino da Modena, Bagnacavallo Vincenzo da S. Gemigniano , Rafaello dal Colle, Timoteo della Vite, Pietro della Vite, Ben- venuto da Garofalo, Gaudenzio Ferrari, Jacomone da Faenza , il Pistoia, Andrea da Salerno, Vincenzo, Pagani, Marcantonio Raimondi , cui altri anche aggiunsero Scipione Sacco, Pietro da Bagnaia , Bernardino Luino, Baldassarre Peruzzi, Pier Campa- gna, Michele Coxis ; Bernardo Van Orlay, il Mosca ec. È però vero che tutti questi allievi, se si eccetui Giulio Romano , gli altri cercarono piuttosto di essere contraffattori delle opere di Rafaello di quello che autori di nuove produzioni; ma tale era il desiderio universale, e\tale il profitto che loro ne derivava nel simulare il maestro, che si attennero alle cose più sicure., e di profitto più certo, anche sagrificando il loro amor proprio, se po teva mai dirsi sagrificio il contrafare un tanto maestro. Dalle quali considerazioni deriva una conseguenza legittima per ispiegare in qual modo potè Rafaello compiere a tanti impe- gni, e con un brevissimo corso di vita operare più che non ope- rarono uomini pervenuti alla più tarda longevità. ‘È avvenuto negli antichi come nei tempi moderni , che la parte operatrice 30 dei concepimenti grandiosi eollo sforzo elevato del genio può am- mettere una' certa rapidità , e ottenersi mediante 1’ inspirazione della mente d’ un solo; il:quale pone in ‘opera tutti gli ingegni secondi in quelle pratiche esecuzioni, le quali stanno in propor- zione dei loro mezzi. Nessuno di questi, che posti al loro luogo grandeggiano nella propria sfera, potrebbero attingere alla subli- mità: riservata a pochissimi ;$ anzi sono questi i destinati nel-re- golare andamento delle cose ad essere altrettanti mezzi pratiei di esecuzione indispensabili alla celerità delle grandiose imprese del genio. Cosicchè spiegasi in tal modo come ciascuno dei sommi artefici abbia potuto eseguire un numero di lavori che apparen- temente sorpassa il nostro concepimento. E senza l’instituzione delle accademie venivano con miglior consiglio dai gran mece- nati allogate all’artefice, uomo di genio grandi e numerose in- traprese, ed egli sapeva formarsi ben presto negli allievi i docili esecutori de’ suoi pensieri, procurando a se stesso cooperatori su- bordinati, i quali sovente senza di lu) nulla farebbero di grande, ma senza de’quali egli pure potrebbe eseguir poche cose. E vano e dannoso risulta il falso principio di ripartizion dei lavori, poi- chè questa già accade per se medesima, e per il semplice e na- turale andamento delle umane cose, poichè tutto equilibrandosi, ciascuno prende il suo luogo ; e solleva la porzion del suo peso. E conchiude lo storico, che se l’esecuzione di tutti li quadri di Rafaello fosse stata ripartita fra li 50 pittori che composero la sua scuola, non si potrebbe dire quali quadri si avrebbero avuti: ma possiamo però assicurare che non si avrebbe avuto un Ra- faello. Dalla quale esposizione, forse più lunga che non avremmo voluto , risulterà un convincimento pienissimo e consolantissimo, cioè che intorno alla vita e all’ istoria di Rafaello, avendo ope- rato uomini chiarissimi per ingeno e per dottrina, dalla riunione degli eccellenti materiali da loro compilati e raccolti, ne verrà un giorno chi potrà dare sll’ Italia rivendicata da errori, o da false conghietture un ottima storia di Rafaello. La dottrina che pose in questo lavoro il sig. Quatremère ; le enre e 1’ assiduità del suo traduttore, che tanta parte raccolse di preziose notizie, e per ultimo le infaticabili diligenze del Pungileoni, che attinse le più accurate memorie in Urbino, in Siena, e negli archivii più antichi e più rinomati, e particolarmente in Pesaro presso il chiarissimo sig. march. Antaldi erede di un tesoro di memorie e di ‘scritti di Timoteo della Vite scolaro ed amico di Rafaello, tutto questo accaùmulerà quel complesso di cognizioni, che maneggiate 3I con profondo discernimento non attenderanno se non la” penna di un diligente compilatore, che diavi una forma conveniente , .e presenti un prospetto dell’epoca più sublime della Pittura Ita- liana. i X. > » Falco della Rupe, o la guerra di Musso. Racconto storico di G: B. Bazzownr , autore del Castello di Trezzo. Milano presso A. F. Stella e figli 1829. Salgono alla rupe di Falco il cancelliere Tanaglia , e il gio- wane Gabriello de’ Medici, fratel di Gian Giacomo ; accompagnati dal montanaro pirata , che li-ha tolti alle mani de’nemici ducali e salvati da morte. Gabriello s’invaghisce di Rina , la figlia di Fal- co : torna con esso al Castello di Musso, dove Gian Giacomo, l’av- venturiere valoroso ed ardito, signore di lungo tratto di terreno al- l’intorno, stà meditando e preparando nuovi cimenti contro le trup- pe ducali, e gli Svizzeri a quelle alleati. Tornano frattanto di Ger- mania e di Francia gli ambasciatori dal Medici inviati per ten- tare in favor suo l’animo di Francesco e di Carlo , (siamo al 1531); e tornano con dolorosa risposta. Dopo una congiura ita a vuoto, che attentava alla vita di Gian Giacomo , egli viene co’ ducali a navale battaglia : dove Gabriele uccide 1’ ammiraglio nemico, e Falco salva Gabriele da morte. Il Medici vincitore premia il valore di Falco col crearlo comandante d’una nave, 1° indo- mabile , e col donargli una casa vicina al Castello, dove ve- «mire ad abitare con la moglie e con la figlia più in sicuro dalle in- ‘vasioni nemiche. Viene a Gian Giacomo un legato del Duca, pro- ponendogli ad eque condizioni la pace, purchè sborsi una somma: quegli rifiuta. Ma giunti al Duca nuovi soccorsi di Spagna ; si riaccende la guerra: è preso Monguzzo : e dopo una mezza bat- taglia tra terrestre e navale, dopo che Falco vede incendiato il suo casolare, e ritrova in una caverna le sue donne, e le conduce ad abitare in Musso, dopo una finale battaglia, Gian Giacomo è forzato a segnare con onorevoli condizioni la pace, e ad ab- bandonare il Castello. Ma in quella battaglia Gabriele cade ncciso; ‘Falco è preso, e nel Castello già deserto è strascinato a morte, in- tantochè la moglie di lui perisce schiacciata sotto le rovine dello stesso Castello, mandato in aria dagli Svizzeri a forza di mine, iin odio del Medici, e.per terrore di nuove molestie di potenti invasori. Rina si ritira in uu chiostro; e nello spazio d’un anno sì muor di dolore. 32 Quest’ arido compendio nou può far certamente indovinare a’lettori tutta la bellezza e la vita che nella sua composizione seppe trasfondere il giovane autore : nel libro stesso io li invito a cu- noscere quanta energia, quanta delicatezza , quanta poesia si nasconda in quelle pitture sì varie e sì nuove. Il disegno del romanzo parrà , speriamo , irreprensibile ai più severi, tranne alcune gradazioni dell’innamoramento, che potrebbero esser con- dotte con più di verità e di artifizio. Ma questo è difetto che con piccolissime mutazioni l’ A. può in una seconda. edizione emendare. Quanto a’caratteri d’Orsola e di Rina , i quali paiono alquauto in disarmonia con la natura e con gli uomini che le circondano , basta rileggere il passo delle pag. 29 e 30, per co- nuscere quanto sia in essi di naturale e di bello. Del resto, tutte le circostanze tendenti ad un fine, tutte le narrazioni dirette da un’ intenzione severa, tutte le parti del disegno armonizzanti fra loro: a nessuna dato soverchio d’ importanza , a nessuna negato quello sviluppo che l’ argomento o l’ingegno dell’autore comporta. Questa saggezza, e in certi luoghi potrei chiamarla sapienza di composizione , è frutto certamente del secolo ; ma v’ ha parte, al mio parere , non piccola anche il metodo dall’ autore tenuto, di stendere e colorire il suo disegno a bell’ agio ; fra l’ una e l’altra parte del suo lavoro mettendo uno spazio, quanto basti a riposare la mente , a donare all’ imaginazione nuovo vigore e fr*- schezza , a vedere con occhio sicuro ciò che resti da fare ; non come un peso incomodo da doversene sbrigar quanto prima; ma come un lavoro prediletto da accarezzare in ciascuna delle sue parti ,, e in ciascuna delle sue parti finire. Quell’ incompostu mo- vimento e quasi sussulto dell’immaginazione, che si spinge sempre innanzi senza mai guardare a quel che resta, ma solo a quanto resta; quella smania che molti scambian coll’ estro, e per cui colpa la perfezione del lavoro si rimette come cura ultima, e quasi postuma , a opera già compiuta , è la morte del Bello : to- glie a’quadri della fantasia quella quiete serena, quella forza mo- desta, quella matura saggezza , quella totale armonia, senza cui s’ otterrà lo sfoggiato, il romoroso, il brillante, ma la vita del- l’intero non mai. Ciascuna parte nel bello compito, anche con- siderata da sè, deve offrire le sue bellezze ; e perchè queste sien varie, non v’ ha miglior mezzo che dividere |’ una parte del lavoro dall’ altra con sufficieuti intervalli. Tutte così le idee nuove, tutte le nuove impressioni che nel frattempo si vengono accumulando, servono alla maturità ed alla perfezione dell’opera; insegnano, anche ad insaputa dall’ autore , a colorive l’un tratto 35 con più diligenza, 1° altro a lasciare nell’ ombra , a non peccare nel monotono , nell’ avventato , nel languido. Ognuno certameute ha la propria maniera di comporre; e stoltezza. sarebbe pre- tendere che il cambiarla possa mutar carattere alle opere del- l ingegno.: 1° agintezza del lavoro può ad un autore mediocre es- sere allettatrice a più stucchevole affettazione , minuziosità , mo* notonia; può l’ingegno sommo aver bisogno d’ un movimento veloce , che lo ponga quasi in ardenza, e lo faccia più assoluto padrone di tutte le forze proprie: ma ciò non toglie che l’ os- servazione che noi quì facciamo non abbia la sua verità. Una delle parti, per esempio, che l’ ingegnoso autore non ha ‘forse meditate abbastanza , è l’ introduzione, è quel dialogo così comunalinente faceto , quella galanteria sì triviale e sì spiat- tellata , che non manca al certo di verità, ma verità senza spi- rito, senza gusto. Il vezzo inoltre di rappresentare i mariti sem- pre com’enti imbecilli , è ormai tanto antico che non dovrebbe stuzzicare più 1’ estro de’ comici‘ e de’ romanzieri. L’ imbecillità è, per dir vero, il torto men frequente de’ mariti; e, ad ogni modo , fra tutti i torti è il più scusabile e il più leggero. Del resto, quand’ io metto insieme questo capitolo col ri- tratto e co’ monologhi del Cancelliere Tanaglia , con le bravate del Pelliccione e d° Alvarez Carazon; mi confermo sempre più in ciò ch'io aveva ardito affermare altra volta, che agli scrittori italiani manca ancora l’atticismo della conversazione ; e manca, perchè non ne hanno modelli. Basta seguitare con !’ attenzione il colloquio non dico di due ma di molte persone in Italia, an- che gioviali, e colte, ed esperte del mondo , per accorgersi quante cose trivialmente dette, quante commentate che appena anda- vano sottiutese; e per compatire un comico od un romanziere ‘ che con questa realtà sotto gli occhi è costretto a cercare nel- l’ ideale un ridicolo più delicato, e men crasso. Io non saprei dire se questo sia un pregio, o un difetto, o ad ogni modo una qualità irreparabile del carattere italiano : certo è che, o prendiamo i comici latini, o i nostri del cinquecento , o i no- vellieri, o i romanzieri, o i bernieschi in capitolo ed in epopea, l’arguzia Italiana si vede consistere più nella situazione, nel concetto , che nella espressione e nel tuono. La situazione sarà originale e comica , il concetto vivo e piccante, ma l’espressione triviale o stentata , il tuono pesante od incerto. Il sommo, l’unico nostro Goldoni, quante volte non guasta egli stesso con la gof- faggine delle parole 1’ originalità dell’ idea! Quello che in lui fa T. XXXVII Febbraio. 9 34 sorridere , e ridere di buon cuore, è la creazione del carattere stesso ; è l’intero , a dir così, d’ una scena, d’un pensiero co- mico ; sì che già prima che il personaggio parli, tu trovi ri- dicola la sua situazione, e ne ammiri il poeta. Cotesto certa mente è l’ 4/to comico , è la poesia della commedia j ma°cotesto solo non basta: giova che le parole non vengano a guastare le idee ; a renderle meno delicate, meno schiette, men belle di quel ch’erano nell’animo e nella fantasia del poeta. Del resto , giova osservare ‘che tutti coloro ch’ hanno, non dico, imitato , ma per lunga pratica ben conosciuto gli autori francesi, hanno se non tolto in tutto, temperato almeno un difetto che comincia a diventare spiacevole. Ma noi principiamo dalle censure, e dovremmo piuttosto temere che spazio ci manchi alle lodi. —- Una lode però che molte ne abbraccia, e che tanto più volentieri tributiamo al giovine autore, quant’ella è più rara, si è la poesia della sua narrazione, poesia che traspare serena e italiana veramente , da tutte quasi le parti di questo lavoro. Il lettore me ne saprà grado, io son certo, s'io gliene recherò qualeh’ esempio. Orsola e Rina, la moglie e la figlinola di Falco stanno nel loro casolare, aspettandolo con ansietà. — Rina accese una face, »» ch’ era un fascetto d’ arbusti resinosi legati insieme, di cui i >> montanari si servono a modo di torchia ; e seguì la madre, »» che, spalancata la porta , s'era appostata sull’ orlo del piano 3» Che stava innanzi a quell’ abituro ; da cui la rupe calava a 3: picco nel lago. Il vento soffiava loro di contro impetuosissimo, »» e respingeva la fiamma della facella, attennandone il lume: s) innanzi ad esse erano foltissime le tenebre , nero il cielo, e »» tutto nero alla vista. S’' udiva il vento fischiare pei cavi del 3; monte , le onde infrangersi fragorosamente sulle rive sassose, 3» @ il torrente precipitarsi con maggior fracasso. Il folgorare e 3) il tuonare stettero sospesi per alcuni istanti, nei quali suona- 3, rono all’ orecchio d’ Orsola e Rina suoni di voci gridanti, e »» colpi d’ archibugi, di cui scorsero il fuoco dirigersi da opposte »» parti. Stavano entrambe incerte, trepidanti., forzandosi invano >» in quella oscurità di penetrare che si fosse, quando balenò »» un lampo sì lungo abbagliante , che illuminò all’ improvviso 3» d’un vivissimo chiarore tutto lo spazio compreso in quelle >> montagne, presentando rapidamente alla vista gli strepitanti > cavalloni del lago orlati di bianchissima schiuma , e 1’ ondeg- »» giar su di essi di due barche zeppe di gente , l’ una poco dal- »» l’altra discoste. Seguì tal lampo uno scoppio assordante di tuono, 35 » che (destò tutti gli echi de’ monti; si'fece il tenebrore più pro- 5 fondo, e rovesciossi una pioggia densissima con mino seroscio ss infinito. Spentasi la fiaccola nelle mani di Rina, furono co- », strette quelle donne a. ritornare nel casolare onde sottrarsi al 53 ruinoso diluviare. Durò più .d’un ora a scendere dirottissima 53 l’acqua che , spinta dal. vento ,. batteva contro le imposte ; 3» poscia a. poco a poco andò diminuendo , sinchè , cessato il vento, so altro non s’ ascoltò che il gocciolare lento della pioggia dai s, rami del castagno sulle pietre del tetto. ,, — Quelle due donne sull’ orlo del precipizio ;. que’ colpi d’archibugio e quelle, grida che s’ alzano nel tacere, della tempesta , quella vista quasi ma- gica , come l’ A. la chiama, delle due barche battaglianti sul lago; quel tuono che desta tutti gli echi de’ monti, quel goc- ciolar della pioggia dai rami del vecchio castagno, tutto è quì poesia ; tanto più bella , quanto più semplice e vera. A far di questa, poesia una pittura, inventare non è necessario, bastereb- be tradurre. Altra pittura, e non meno viva. «= Nella lotta da Falco so- stenuta sul lago per salvar Gabriele; era morto al montanaro un compagno pirata, Grampo, il figliuolo della vecchia Imazza. — « In una stanza di ruvide pareti, sotto una volta annerita 3; dal fumo; \e che prendeva scarso lume da un elevato fine- 3 strello, giaceva sovra un letto di tavole il cadavere di Grampo, 33 ricoperto per metà da un lenzuolo: la sua gola era fasciata da 3) bende tutte intrise del suo sangue ; che trascorsogli sul nudo ») petto in più striscie, vi si vedeva nero e raggrumato. Al fianco 3, al letto stava assisa una vecchia donna; tenendo le due mani s;) appoggiate ad un bastone , cogli occhi fissi immobilmente su 3 quel sangue : i denti di lei battevano di tratto in tratto tra s; loro, e le membra tremavano per convulsivo movimento : era 3» Imazza sua madre. Entrato Falco là dentro , seguito da Frate »» Andrea e da Trincone , accostatosi lentamente al letto , vi si ,, rattenne ; posò a terra il moschetto , e sovrapponendo all’estre- » mità della canna ambedue le mani, su quelle appoggiando il 33 mento, rimase taciturno a contemplare d’uno sguardo fatto 3) per tristezza fosco e socchiuso , la salma d’un compagno d’armi, »; poche ore dianzi sì vigoroso per gioventù e salute, già fatto 33 immoto ; iusensibile. A. piè del capezzale inginocchiossi Frate 5, Andrea, il quale, alzata sulla destra la croce, che andava , unita al rosario che gli pendeva dalla cintura, intuonò e le 33 litanie ed altre preci pei defunti, cui rispondeva Trincone , » postosi parimenti co’ ginocchi a terra. Rilevatosi il Frate , ap- 25 36 pressossi ad Tmazza , che non aveva mai tolti gli occhi dal volto del proprio figlio } nè sembrava per anco essersi accorta della presenza di quegli estrani; e, come era sno ufficio e costume, in simiglianti circostanze per alleviare il dolore , e distorla da quell’ intenso pensiero, cominciò con voce lenta e pietosa a così dirle: Il Signore ec. ,, = (A. chi non sentisse l’effetto di questa scena , noi dispereremmo di farne intendere il bello co’no- stri commenti. Falco con Gabriele rinavigano alla volta di Musso; e veg- gono da lontano il cadavere di Grampo essere portato alla se- poltura. ‘* — Rattenne il rematore la barca; e il canto s’andava 29 23 bei be) a poco a poco facendo più distiuto, venendo pel monte dal lato di Palanzo: indi apparve da quella parte stessa un chiarore prodotto da una lunga fila di lumi che s’avanzava in tregen- da, or ripiegata or distesa a norma delle sinuosità della mon- tagha di cui percorreva la via. Erasi la sera fatta oscura del tutto; per cui le bianche tuniche vestite da coloro che for- mavano la funebre processione vedevansi distintamente lumeg- giate dai cerei che ciascun d°’ essi portava. Il salmodiare n’era monotono e lento come i loro passi; ed a cagione della distanza tutte le voci mescendosi o depurandosi, ne riusciva uu canto aereo prolungato , il: più che dir si possa tristamente solenne. Pervenuto il funereo convoglio al ponte del torrente , s’offerse più che mai distinto alla vista di Falco e degli altri che sta- vano nella barca, poichè quel ponte sendo elevatissimo, sor. geva loro di prospetto con una parte delle acque cadenti al di là dello spargimento della rupe. Una eroce mortuaria pre- cedeva la comitiva, e poscia a due a due camminavano i con- fratelli: al loro passare sul ponte, i torrente , ripercuotendo lo sfolgorare dei torchi., pareva una larga lista di fuoco che si tramutasse scendendo : ultimo veniva il cataletto , coperto da nero drappo , recato da quattro nomini a spaile. Varcato ch’ ebbe il torrente , lasciata la ‘via di Nesso., s’ allontanò la processione, internandosi nella valle alla volta del cimitero. — Al passar del erocifisso e della bara, que’ del uavicello si tras- sero i berretti , e concordamente recitarono l’orazione dei defun- ti ; indi spariti che furono i lumi: Povero Grampo! (esclamò Guazzo dando con Trincone de’remi nell’acqua ); è una cattiva nave che ti porta ,,;: — Saper trarre tanto partito dalle menome circostanze del vero, senza forzarlo , senza discendere. a. mi- nutezze , quest’ è , s' io non m’inganno , quest’ è che rivela il Poeta. 87 A tali pitture di dirupi e di tempeste, di cadaveri e di pirati, qualche delicato amatore delle rose d'Amatuuta, si ritrarrà inorridito : quasichè poi le battaglie e. il. Ciclope di Omero , e le battaglie e. le tempeste e i Ciclopi el’ Inferno e le Furie e le Arpie di Virgilio , (non parlo di Dante) sieno le più gaie cose del mondo. Cotesti delicati però troveranno an- ch’essi il suo pascolo in alcune parti di questo romanzo. e fra le altre nel tratto seguente : « Il colore roseo ardente di, cui si 3 riveste il cielo negl’ estivi tramonti , splendeva quel giorno di »» tutta nitidezza e fulgore, essendo l’aria d’un purissimo sereno. 3x1 monti e le valli di quel circolo spazioso dipinti da un’ aurea » porporina luce riflessa nelle acque, fulgide esse pure come la 33 volta del cielo , s’' avevano un così vago; un non so quale in- 5, cantevole aspetto } che traeva a mirarli con sentimento di gioia s; e di secreta riconoscenza , quasi si sentisse che una mano crea- > trice e benefica avesse preparato quel quadro sublime onde 3» offrirlo a diletto dello sguardo dell’ uomo. L’ occhio di Gabriele »» vagava dai monti alle acque, da queste ai cielo ; e l’anima sua ,, era compresa a quella vista da una piena e indefinibile delizia. 33 = Ma quella lucentezza dell’ aria., quel lusso di raggi bril- 3, lanti e di colori, pari in ciò ai contenti della vita, s' andava so rapidamente attenuando; e mano mano che le ombre dei monti s vicini si estendevano , che offuscavansi i lontani , che la por- » pora del cielo tramutavasi morendo in un bruno cilestro; nel 3, cuore di Gabriele svaniva quel senso di felicità di cui era stato s» per varii istanti penetrato , e vi. tornava a risorgere più vibrato 3» e affannoso il primitivo pensiero. Allorquando intera oscurità s, coverse le montagne e i colli, led abbrunissi il lago , nè altro »» apparve distinto in nere forme/a’suoi occhi che le mura e le torri so della sottoposta fortezza, vi lasciò cadere mesto uno sguardo , so indi piegò addolorato il capo tra le palme; e’ sospirando, tutto sì s'ingolfò ne’ proprii pensamenti. -- Nessun moto del cuore è 35 Sì espansivo ., nessuno impelle l’ anima sì forte a diffondersi, sy quanto quello dell’ ammirazione che nasce alla vista del bello » profondamente sentito. Lo spirito invaso da una. ideale armonia, so si desta spontaneo ad un inno di gioia, che a molti è dato in- »o ternamente sentire , al solo genio è concesso l’ esprimere: guai s; però , se nell’ ebbrezza dell’ animo commosso s’ affronta la con- 3» vinzione che in niun petto ùn cuore è partecipe alle vibrazioni o del nostro, che muto all’ altrui mente è il. nostro tripudio, e ») si esala e svanisce inconsiderato, come una voce melodiosa:nella ‘3, solitudine ! allora il senso di un cupo isolamento ricade su di 38 » noi, ci tormenta, ci opprime, e non v’ha refrigerio' allo spi- > rito, se non nell’incontrare la traccia d’ un ‘oggetto cni sia »» cara la nostra sorte, ed a cui.tutto riferire quanto v'è di pre- 3) zioso nella nostra esistenza. == Tale era stato vi giro delle idee »» di Gabriele ec. ,,. | Questa circostanza del giuoco de’ colori, e dell’ effetto loro sui varii oggetti; è messa altrove a profitto dall’ autor nostro, come da avveduto pittore. Noi ne citeremo due’ saggi: € I 5, raggi del sole, rivolto al declinare, penetrando obliquamente. s» per le aperture di ‘quel padiglione, spandevano una luce »» calda rossiecia, che riflettevasi pei vasi, le tazze; il me- 3; tallo dell’ armi e degli addobbamenti; e dava. singolare ri- » salto alle forme ed agli abiti ‘di tutti quei personaggi assisi so quivi alla mensa. Lumeggiati da tal chiarore, apparivano più s» distinti e caratteristici i volti di que’ guerrieri , ne’ cui pro- >; munciati lineamenti stava improntata la fiera ed andace vi- 3; vacità dell’indole, fatta ancora più incontinente è decisa dai » fumi del vino senza parsimonia tracannato , che rendeva a »» molti rubiconde le guance , e faceva ad ‘altri lucide: ed ar- 3) denti come carbonchii le pupille. Giovin rosa fra rudi arbu- s; sti era Rina in quel convegno ec. ,,, — E quando Falco con la sua famiglia e con Gabriele penetra di notte nella grotta. del Tivano : Progredendo per quella via cavernosa, che or s; ritorta or dritta, ma sempre ascendente, cammina per le vi- 3» scere del monte , udivano il romore dei loro passi risuonare 3» con cupo e prolungato mormorio ; e allo splendore delle loro 3) faci che spesso squassavano per rinvigorirne la fiamma, mi- 3, ravano variarsi la forma, il colore, e l’ampiezza dell’ antro »» per cui s’avanzavano. Ora nella volta e nelle pareti ristrette ;, e basse nereggiava liscia 1’ ardesia ; ora lo scisto verdastro ;3 celestino o giallognolo , rigato da fili d’acqua , offriva l’aspet- », to d’ un drappo steso, di cangiante colore, frastagliato da s» lucide striscie; in alcuni luoghi, strati di bianca marna for- s, mavano lunghe zone compatte ; in altri brillavano al lumeg- s; giar delle faci mille e mille punte argentine nella scabra are- s, naria: quì miravasi la volta vasta e piana, formata d’un solo »» masso di granito , che spaccato dai lati in larghe fenditure, 3) presentava enormi arcate sostenute da informi colonne fra cui 3) sì apriva il varco ad altri spechi; là perpetue stille, goccia- s, vano dalle acute stallatiti pendenti dall’alto ,,. Una citazione ci sia permessa ancora, tratta da una delle ultime scene del romanzo ; la finale battaglia : “ Lieto di fiera 39 gioia a tal vista ( Falco ), saltò su un sasso, e levando in aria la scure; con voce possente esclamò verso la barca: viva Mus- bè) 25 so ! Coraggio... non siamo vinti... Gabriele resiste ancora! — ;3 e balzando sui cadaveri di che era ingombro il terreno , si ,3 spinse al luogo dove durava la mischia. Ai ripetuti colpi del- 3» V’arme ponderosa e tagliente, che ruotava con incredibile forza »» e celerità il fiero Montanaro, atterrava da una parte e dall’al- » tra chiunque s’opponeva al suo passaggio, volendo egli giun- » gere là dove combatteva il suo Gabriele, che andava avida- ,) mente cercando dello sguardo fra il balenar delle spade e l’of- 39 fuscamento prodotto dal fumo e dal polverìo. Nol giungendo »» a ravvisare , egli lo chiama ad alta voce, e sente allora gri= »» darsi alle spalle: Medici è sul terreno - lo strascinano a >» Mandello. Cieco di rabbia e d’ affanno, supera ogni ostacolo , so ogni resistenza , si spinge più avanti e, spettacolo atroce !; »,» vede due Ducali, che abbrancato ciascuno per un piede il corpo » esangue del valorosg giovine , lo trascinavano col capo nella »» polvere fuori del campo. La testa di un d’ essi è spiccata dal 39 busto ; la somma destrezza dell’altro può solo salvarlo dall’ira so di Falco, che rialza quella salma da terra, la sostiene colsi- ,» nistro braccio, e sempre ruotando il ferro , tenta trasportarlo ss verso il lido. Il capo del giovine estinto, sobbalzando grondava ,» sangue sul petto ansante di Falco, e di sangue aveva tutta ba- » gnata e lorda la chioma. Falco ferito in più parti, impedito da 3; quel peso , non trovava forza per sostenere il combattimento 23 3» fuorchè nell’estrema energia che in lui destavano a vicenda lo 3» sdegno e la pietà ,,, — Scena degna della più eletta epopea! Molte altre situazioni io potrei citare di questo Romanzo , che spirano Poesia. Quelle due donne che in sul tramon- tare stanno al di fuori della loro capanna cucendo una vela, intantochè già comincia a spirare il vento della tempesta; quella vecchia Imazza che passa dal ponticello del torrente, gridando in lontananza parole arcane d’augurio funesto; quella stanza di Falco, tappezzata intorno di spade, coltelli, archibugi , brani d° armature rotti e irrugginiti, e frammezzo cordaggi da barca, timoni, e remi; quel cancelliere Tanaglia, che tornando al ca- stello “ cammina con più lentezza e gravità , volgendo con im- »» portanza il capo a dritta e a mancina, ricomponendosi l’abito >, alla persona, e col palmo della mano lisciando i capelli che », da tre dì non aveva potuto assettare ,,; quella sala della tor- tura , e stesi a terra l’ uno accanto all’altro il ferito e l’ucciso; quella barca di Falco, con entro Trincone e Guazzo sì vivamente fo | dipinti; quel movimento continno di vita JA nel castello di Musso (p. 158); quel mastro Lucio cusì bene delineato in mezzo a Fal- co e a Gabriele (p. 168); quell'incontro inaspettato del giovane Medici con Rina nel dì della. festa ; quell’ uscir delle navi da Musso al principio di un freddo mattino ( p. 243) ; quella corsa motturna di Gabriele con Falco dal lago ai monti per salvare le donne; quell’improvviso incendio della deserta capanna; quel- l’incontro con Imazza là nella caverna, con tutta la scena che se- gue; e quel riuscire dei quattro fuggenti dalle tenebre della ca- verna alla pura luce dell’ alba; e quell’ addio del cancelliere a Gian Giacomo ed a Gabriele pochi momenti innanzi la finale battaglia; e quel Pelliccione che sta ascoltando “ il lontano e « confuso schiamazzar de’ Ducali che si confondeva col mormo- ,» rio dell’ acque del lago che un notturno venticello rompeva ;; alla sponda ,,; e quella barca veduta in distanza da Ri- na, portante il cadavere di Gabriele; e la misera fine di Falco ; che nell’ atto di morire vede sul lago veleggiare la nave del suo capitano ; sono situazioni e pitture qual più qual meno | originali e potenti. Che se la figura di Mastro Lucio pare model- lata su quella di don Abbondio non è già che l’Autore avesse in mira un’imitazione sì inopportuna; ch’anzi io ho ragione di ere- dere che il disegno di questa novella sia di qualche tempo ante- riore alla pubblicazione dei Promessi sposi; egli è che ai romanzi, per non so qual regola antica o moderna, par quasi divenuto ne- cessario condimento un personaggio ridicolo, una specie di pa- gliaccio. Ma il nostro autore farà molto bene , cred’ io, a non servire a queste piccole voglie dei lettori amici del comico di second’ ordine. E così pare a me, che il rimprovero fatto da qualche signora all’ autore del Castello di Trezzo che il suo Palamede era troppo duro e freddo , è stato cagione che nella guerra di Musso, l’amore di Gabriele e di Rina sia talvolta trat- tato con quella mollezza d’espressioni che forse non ben si con- viene al carattere della figlinola d'un pirata e del fratel di Gian Giacomo. Il difetto però non istà che in alcune frasi Petrarche- sche, Metastasiane., o piuttosto (sè lecito chiamarle col voca- bolo proprio) da libretto d'opera. — Ma il pregio grande, il ve- ro pregio , quello sopra cui giova insistere, si è che il sig. Baz- zoni ha indovinata e colta la vera Poesia del Romanzo. Sul quale argomento porremo alcune osservazioni generali , non inutili forse affatto , insinattanto almeno che si pensa a comporre Romanzi. Cominciatasi ogni letteratura dalla Poesia ; poi distinta , col distinguersi e col categorizzarsi delle idee, la poesia dalla prosa, E E E 0 4i le prime mosse della sciolta eloquenza tennero assai del far vivo e semplice insieme del ritmo. Ma coll’ andar del tempo creata la poesia prosaica, Ja eloquenza pedantesca, e la scienza inanimata, si pensò per estremo spediente a poetizzare la prosa.Quindi i romanzi in prosa Greci , Latini , Italiani. Ed in vero, quando gli womini s’incominciano ad avvedere che la poesia adempie così bene e così saggiamente gli uffizii della prosa, per destinar questa a qualche nuovo servigio viene quasi di necessità la tentazione di far sup- plire alla prosa gli uffizi della poesia. La commedia, il dramma, il romanzo , sono i tre generi destinati a rappresentare i diritti della sciolta eloquenza là in cima al Parnaso : ma que’valentis- simi che a questo genere di composizioni si danno, a poco a poco cominciano a dimenticare che il dramma, la commedia , il ro- manzo, sebbene scritti in prosa, dovrebbero pure ritener qualche vestigio della loro poetica origine : e scrivendo in prosa, viene a que’ valentissimi una gran voglia di pensare anche in prosa ; cosa molto conforme a natura, e molto scusabile. Quì cade quasi inevitabile la dimanda: che cosa è Poesia? Ma ognuno vede che non è qui luogo da sciogliere una questione sì dura , che tante poetiche e tante estetiche non hanno ancora , non che sciolta , nè anco ben determinata , ch’ io sappia. Credo però che al no- str’uopo potrà recar qualche luce il'rifarsi dall’ idea del Bello , idea, per dir vero, comune non meno alla prosa che alla poesia, e dalla. quale perciò si trarranno del'e conseguenze più miti e più accettabili agli scrittori di commedie e di romanzi prosaici. — Io aveva definito altra volta il Bello l’unione dî più veri com- presi dall’ anima in un solo concetto. Ripeterò la medesima idea in termini più chiari : !’ armonia di più veri sentita dall’ uomo. Da che deduco, non poter esservi sentimento del Bello senza una rapida e regolare associazione d’ idee , e senz’affetto; intesa questa parola nel sno senso più largo che è insieme il più vero. — Applicato 1’ esposto principio alle opere d’ imaginazione , dà per conseguenza che il Bello non consiste già nelle idee singole, espresse in ciascun verso, in ciascun periodo, in ciascuna deseri- zione, ma nel loro legame , nella loro armonia, nell’ intero . In tanto solo le idee particolari son belle da sè, in quanto esse stesse si fanno quasi centro ad altre idee secondarie : ma ognun vede che quanto più si moltiplicano queste bellezze accessorie ed eccentriche , tanto più perde il tutto d’unità e d° efficacia. Cia-. scun periodo , ciascun verso , ciascuna pittura può in sè stessa esser bella; e il tutto riuscire freddo e stucchevole: egli è appunto T. XXXVII. Febbraio , 6 42 questo il difetto insieme ed il vanto della mediocrità. Faber imus ! — Ma il vero bello, il bellu di getto , il bello originale, stà nell’ armonia dell’intero , nell’ effetto della situazione ( mi sia permessa una voce che nella Crusca non ha l’equivalente); e nel sentimento che il concetto totale lascia nell’ animo. Non v’ ha dunque diligenza al Bello ed all’ originalità più contraria della minuziosa cura di tutte le particolarità : e la fantasia del Poe- ta , o scriva egli in versi od in prosa , dovrebb’ esser piuttosto un panorama che un microscopio; piuttosto una lente che un prisma ; dovrebbe insomma più tendere a raccogliere che a sparpa- gliare la verità, più a vibrare raddensati in un fòco i raggi del vero , che a sfoggiarne distinti i colori. La pittura insomma non ha il medesimo fine delle sezioni anatomiche. E in quella guisa che miglior effetto produrrebbe l’abbozzo d’ un bel ritratto che non l’osservaziove di tutte le reticolazioni della epidermide fatta col microscopio alla mano , così più vale una situazione, anche semplicemente abbozzata, purchè veramente poetica e commo- vente, che non un diligentissimo e filosofico rendiconto di, tutti i gesti, i cenni, gli atti, i pensieri d’un personaggio posto in una situazione più curiosa che passionata, più teatrica che drammatica , più romanzesca che bella. Qui gioverà fare una distinzione pratica fra genere e ge- nere di poesia. == Poesia pittrice : che fa tutto il bello con- sistere nel delineare , nel ritrarre , nel particolareggiare , che pone tutte in egual lume e le grandi e le piccole cose: a que- sto genere si riducono la descrittiva, la didattica, ed il romanzo storico, quale l’ha fatto Walter-Scott, e i seguaci di lui. Il di- fetto di cotesto genere l’abbiamo accennato. — Poesia fantastica: che tutto riduce a fantasmi, ad imagini, che tende a personifi- care, a materializzare ogni cosa , per cui l’ evidenza è più che l’affetto, per cui la forza della dipintura è somma bellezza. A questo geuere appartengono le poesie mitologiche di qualsiasi specie , i Romavzi epici italiani, e in parte la Divina Comme dia: questo è il genere che piace ed è necessario nella giovinez- za delle nazioni, che nella loro maturità diventa impotente e monctono. — Poesia filosofica : che tutto riduce a sentimento , ad affetto , che vuol da tutto trarre sorgente di generali con- siderazioni , che osserva sentenziando , che dipinge esclaman - do , che ama le allusioni , i voli, le esemplificazioni stori- che , gli epigrammi morali. In questo. genere entrano gran parte delle poesie liriche antiche e moderne , e gran parte del- l’intiero patrimonio poetico delle moderne nazioni oltramon- 43 tane, e de’ popoli asiatici di tutti i tempi. -—- Per ultimo, poesia creatrice : che delle descrizioni minute , delle pennellate rapide, delle vivide fantasie, delle osservazioni attinte all’ inti- mo del cuore umano si serve come di semplici mezzi, e però li adopra con varietà , con parsimonia , e senza affannosa ricerca : poesia che ripone la sua forza nell’ impressione totale, nell’idea dominante, nelle situazioni più prominenti; che in queste dimo- stra una ispirazione vergine e insieme un’intenzione profonda, che non tende a pigiare il vero a colpi di martellate nell’animo de’ lettori, nè a farne un fantoccio visibile, nè a snocciolarlo, a svi- scerarlo , a darne un’ analisi ragionata ; tende solo a collocarlo nel suo vero lume, a mostrarlo dal lato più bello, ch'è insieme il più intero, a sgombrarlo da quant’egli ha d’accidentale e d’es- trinseco, a raccogliervi intorno tutte quelle circostanze che senza alterarlo , gli dieno risalto. Alcuno desidererebbe forse ch'io par- lassi anco della poesia dello stile, la quale da parecchi uomini di bell’ ingegno ma vuoti di idee e senza cuore fu sollevata a una dignità ben fugace e ben fatua. Lo stile non è che lo stru- mento necessario, non però unicamente necessario del Bello ; e la sola poesia dello stile, siccome a’ Petrarchevoli e a’ Boc- caccevoli ha fatto succedere i secentisti, così a’ trecentisti e a’ Dantisti sa il cielo che razza farebbe seguire! -—- Vera Poesia io non ritrovo insomma se non ne’sommi capi del con- cetto poetico , nelle relazioni più essenziali, nella bellezza in- tuitiva. Qui tutto dipende dal punto di vista: le imagini, le sen- tenze, e descrizioncelle, lo stile, serviranno a bellezza; se il punto di vista è poetico: se no, accuseranno l’ impotenza dell’Au- tore e l’inutilità del lavoro. Gli è come nella musica : le dotte armonie son delizia ormai troppo germanica ; vuolsi la melodia , che con la scienza si perfeziona , ma che sgorga dall’estro , che vien dall’istinto. Gli è come nella pittura: tutte le minutezze fiamminghe , e quella mirabile precisione e verità ,, saranno un dispiacere di più , se il quadro manca d’ intenzione , o se 1’ ha inetta e prosaica. La poesia creatrice ch’io intendo, ha i germi in sè d’un pensiero musicale, d’una pittura viva ed intera: è essa stessa pittura, e armonia. Vediamone l’ esempio in Virgilio. Se si raffrontino quelle furie di Giunone, e quel soliloquio così pen- satamente enfatiro, e que’placidi complimenti della dea dell’aria col div de’venti, se si raffrontino, io dico, alla solenne preghie- ra del sacerdote in Omero, e a quella sovrana pittura gettata in un verso, del vecchio desolato che cammina tacito lungo il lido del mare tonante , e a quel tempestoso discendere del dio dal- 417 l’Olimpo, ogmm s’accorge che quantunque in Virgilio le beller- ze parziali di sentimento e di stile sieno più delicate e più pro- fonde, pure la vera poesia, la poesia di creazione è tutta in Ome- ro. Ma quando, lasciandosi addietro l’urbanità del re dei venti, e lo sposalizio di Dejopeia, si viene alla scena della tempesta , e subito appresso vi sì rincontra quella pittura del porto con sì quieti e cari colori animata, e si ripensa alla caccia d’Enea, e al suo mirabile discorso a'compagni, e al suo cercare dall’alto della vedetta de’ naufraghi erranti, e poi all’ incontro di lui con la madre, situazione alla quale Omero nel suo poema nulla ha, per mio senso , da contrapporre ; infine alle pitture che il naufrago riconosce in Cartagine delle patrie memorie , e all’ accoglienza di Didone , e alla trasformazione d'Amore che in grembo le po- sa; e quando queste situazioni di un’ affetto sì nuovo si con- frontano alle villanie d’Achille e d’Agamennone, alla prudenza del profeta, alla scesa stessa di Minerva, e alla commedia, certa- mente vivace e appropriata, di Tetide, di Giunone, di Giove, e di Vulcano , allura si apprende e ad adorare Virgilio, e a cono- scere in che consista questa Poesia creatrice, questa Poesia del- l’intero, che io veniva con languide ed incerte parole adom- brando. S’ io n’avessi quì il tempo, vorrei con questa medesima norma ne Promessi Sposi discernere quelle bellezze minute , ac- cessorie , di second’ ordine, che tengono al genere fiammingo più che al Rafaellesco, che colgono il vero e lo analizzano, che dimostrano insomma la finezza dell’osservazione , la conoscenza delle cose e degli nomini, la diligenza dell’arte; da quelle bel- lezze veramente Manzoniane, dove il fare è più largo, dove l’ispi- razione sottentra all’osservazione, duve la positura, se così posso dire , de’ personaggi , e delle circostanze, spira da sè poesia. E di queste bellezze, anche il libro del sig. Bazzoni può con- tarne non poche ; e a lui possono ripetersi parole simili a quelle che ad un ingegno mirabile, nato anch’esso in un tempo di tran- sizione e di prova gridò un’ incognita voce : Coraggio! questa è la vera poesia del Romanzo. — Quel fare minuto e scrupoloso , nel quale il Manzoni ora è inimitabile ora non imitabile, lo la= sci egli ad altri; egli che può sì felicemente ardire da sè: non dimentichi mai che siccome il dramma fu da’ francesi chiamato tragédie bourgeoise, così dovrebbe chiamarsi il Romanzo, epopea familiare; badi di non accumulare in lunghi periodi quelle tante circostanze di minuta descrizione, rattaccate insieme con un che ud un il quale, che così accumulate rendono la pittura confusa e intralciato lo stile; faccia periodi brevi come Cesare, come Ero 45 doto ; e lasci che i critici gridino al Gallicismo ;. badi soprat- tutto alla lingua, la quale in lui è ancora troppo spesso sì affet- tata ed impropria, che le opere sue, tradotte, parrebbero il dop- pio più belle; e dia bando sopratutto a quelle voci e frasi poe- tiche che tolgon tanto alla grazia ed all’evidenza : giacchè poe- tiche nel romanzo piacciono le situazioni, poetica piace la pat- simonia e la vivezza dello stile, non già , a creder mio, le poro!e.. ; ra a PI Rivisra DI aLcUNI Grormari IncLesr. Blackwood°s Edinburgh Magazine. New Monthly Magazine. Londra Colburn. Questi due giornali hanno il vanto sopra ogni altra opera periodica mensuale della Gran Bretagna. Anni sono, il numero dei così detti Magazzini 0 miscellanee , era grande; ma dopo la crisi monetaria del 1825-26, chi per fallimenti; chi per mancanza ° diavventori, chi di collaboratori , tutti gli altri sono spariti, © almeno non circolano che fra un numero ristrettissimo di asso- ciati, e non si vedono in pubblico. Ma Blackwood, e il New Monthly hanno trionfato dei tempi avversi, e si mantengono tut- tavia in pieno vigore. Il Magazzino di Blackwood comparve alla luce appunto quan- do il primo fervore dell’ Edinburgh Review ; l’ anziano dei gior- nali letterarii esistenti , erasi alquanto calmato. Il tuono catte- dratico e in certo modo despotico , assunto dalla Rivista. Scoz- zese, tuono che si è dappoi moderato e raddolcito , disgustò: un gran numero di letterati. Le opinioni politiche contribuirono al- tresì a questi dissapori. I Whigs furono i fondatori e promotori dell’ Edinburgh Review: ma negli ultimi anni della guerra le pro- fezie dei Whigs perdettero credito; ed i Torys di Scozia; con- chiusa la pace, e credendo quello un momento opportuno ; con- cepirono il piano di nn nuovo giornale che fosse l’ organo dei loro sentimenti così in letteratura come in politica. La fatale in- vettiva contro le prime effusioni poetiche del giovine Byron , tanto acremente risentita da quel genio cupo e possente, aveva scosso alquanto il trono letterario dei critici di Edimburgo. In somma v’ era luogo per un altro interprete dell'opinione pubblica : ed appena un tal vacuo esiste nel mondo letterario britannico , 406 la'matrcariza vien presto supplita. Non si crederebbe al di d’oggi quanto fosse-il ‘terrore ed il rispetto, quasi orientale, dei poveri autori sotto la prima dinastia dell’ Edinburgli Review. Un libraio intraprendente, il sig. Blackwood, di Edimburgo anch’esso, comin ciò nel 1816 il giornale mensuale che d’allora iu poi si è intitolato dal suo nome. Grandi furono le contese che questa mova appa- rizione produsse. Tory in politica , il Magazzino di Blackwood alzò nel campo letterario Ja bandiera dell’ indipendenza, e si fece il campione del genio, della forza intellettuale contro i decreti troppo severi della critica: ma al tempo stesso, come suole ac- cadere in simili casi, gli scrittori del nuoyo giornale, quasi tutti giovani di brio, e di fresco sortiti dal collegio, si portarono, da veri partitanti, all’ estremo opposto ; ed animati da un tal quale spirito cavalleresco , lodarono gli sforzi animosi, sebbene nè saggi sempre nè prudenti. Un altro errore meno scusabile si fu il tra- scorrere nell’ invettive : attaccarono senza ritegno i loro antago- nisti., ed hanno perseverato in ciò fino al dì d’oggi. In ciò det- tero un cattivo esempio, che fu seguitato da scrittori di ogni par- tito; a disdoro dell’ urbanità che dovrebbe essere il retaggio e la divisa ‘delle lettere. Ma in varie occasioni porsero buoni e salutari consigli ;ai loro contemporanei. In una lettera che indirizzarono a Lord Byron quando ebbe stampato il Beppo, cen tuono. grave ed. insieme. cortese lo ripresero di avere profanato il suo talento in materie frivole ed immorali. Coleridge, autore astruso e mistico, ma di genio originale, ebbe anche le sue; ma il colpo più si- euro, lanciato dai. giornalisti di Blackwood fu quello diretto con- tro la scuola de’ rimatori urbaai, di Londra, alla testa de’quali era allora; il sig. Leigh Hunt, quegli che ebbe dappoi do- mestichezza col. Byron in Italia, e che stampò dopo la morte di quel nobile poeta; alcune, memorie di lui, che avrebbe fatto me- glio a lasciare inedite. Il Blackwood battezzò la scuola suddetta col titolo. di. Cockney Scool ; che si potrebbe tradurre scuola di Coc- cagna, accusandone i settatori di pedanteria $ di dommatismò, di fredda saffettazione , ‘e di frivolezza sguaiata ; di trivialismo in somma, edi mediocrità. Checchè ne sia , il soprannome rimase , ed, è tuttora un titolo di scorno. Nel Magazzino di Blackwood non vi è sempre unità di tuono; vi si leggono opinioni disparate, a seconda del genio dei diversi col- laboratori. Gli editori sostengono che una miscellanea che non è unicamente una rivista; non è obbligata ad attenersi sempre ad un sistema unico di opinioni sopra le grandi questioni sociali o lettera- rie. In quistioni di economia pubblica Blackwood ha una parte co- 47 spicua. Le controversie sull’emancipazione dei Neri nelle Colonie; sulle leggi vincolanti dei grani, sulla libertà di commercio, sulla motveta; sugli affari d’Irlanda, sulla politica esterna ed interna della Gran Bretagna, sono state discusse con molta arte nelle pagine del mentovato giornale. Il sig. Macqueen-ha acremente combattuto lo stabilimento micidiale di Sierra Leona , e le dottrine intempe- stive degli abolizionisti; altri s'è opposto alla teoria dei sigg. Ric- cardo e Maculloch dei salarii bassi, e de’guadagni elevati, (low wa- ges et high profitt) teoria che sa certamente un po’ del tirannico. Il nostro Pecchio, nel suo utile libro sugli economisti italiani, fa le seguenti riflessioni. “ Gli economisti inglesi vorrebbero con- 3; vertire tutti gli agricoltori in operai, e lavorar le terre con macchine , se fosse possibile ; non pensando che :così sostitui- 3) scono una popolazione scarna , pallida, debole, ad una. vi- o gorosa, membruta , e di più lunga vita.... Non regna in » questo modo di trattar la scienza, troppo calcolo mercantile ? 3) Non. guida egli a conseguenze funeste sia per la morale, sia per la felicità generale , se la prudenza del legislatore non lo tempera e lo corregge? Il solo oggetto poi della società è egli forse la ricchezza ?.... ,, E simili dubbi insorgono anche in 53 29 2) Inghilterra da qualche tempo in qua fra persone di opinione po- litica ben diversa da quella di Blackwood ; come lo prova un ary ticolo recente dell’ Edinburgh Review sul sistema degli utilitari ( On the» utilitaria system), dove leggiamo fra l’altre la seguente sentenza: £ Ai giorni nostri siam pur troppo disposti a far della 3; Vita sociale un gran lotto, in cui sono pochi premii, ma enormi, »» e tutti gli altri biglietti sono zero. ,, Ma lasciamo per ora queste gravi controversie; torniamo agli scrittori di Blackwood. Il. primo fra questi è il professore Wilson d’ Edimburgo, na- turalista distinto, e scrittore eloquente in’ prosa ein versi. Ha viaggiato molto pe’ tre regni: nella sua gioventù ebbe l’idea di andare: in Affrica per tentare la scoperta del Dioliba o Niger; ma si dice che ne venisse dissnaso da chi gli fece riflettere quanto la sua florida carnagione e i capelli biondi gli sarebbero di svan- taggio a viaggiare fra i neri. Robusto di membra, ei si diletta negli esercizi ginnastici : la lotta, la corsa , la pesca sono le sue ricrea- zioni da studii più gravi. Il sig. Lockart , genero di Walter-Scott , e anch’egli scrit- tore di merito , fu per lungo tempo uno dei collaboratori di Blick- wood. Non sappiamo se, ora che egli è fatto editore del Quarterly Review, continui a scrivere pel primo giornale. Fra gli altri col- laboratori mentoveremo soltanto il sig. Carlyle, noto per la sua 48 profonda eognizione delle lettere germaniche , e che contribuisce a varii giornali articuti molto interessanti sugli serittori e special- mente smi poeti di quella mazione ; il sig. Quincey, autore di un libretto origimale intitolato: Te Opium-ecater ; e il sig. Macgill Irlandese. Ma il più siugolare forse fra gli scrittori di Blackwood, si è il sig. Hogg, di cui faremo menzione quì appressu. L’ edi- tore o revisore del giornale sì cela sotto il nome assunto di North: chi diee che sia il sig. Blackwood istesso , chi un impiegato su- balterno, che non fa altro se non corregger le prove. La vendita di questo giornale ascende a circa ottomila esemplari ‘per ogni dispensa mensuale, ehe si distribuiscono per tatto l'impero brit- tannico e nelle più remote colonie. Dovunque vi sono Scuzzesi, il Magazzino di Blackwood è în gran richiesta, poichè è cosa loro nazionale ; e questo popolo è noto pel grande attaccamento alle cose patrie. Gli articoli Scozzesi in Blackwood sono forse i più curiosi, perchè servono a far conoscere le vpinioni e i costumi di una nazione singolare . Ma è difficile per uno straniero che non sia vissuto in Iscozia l’intendere le allusioni e le frasì tratte spes- so dal dialetto del paese. Nelle Noctes Ambrosianae, o dialoghi conviviali che si suppongono aver luogo nell’ hotel di Ambrose, uno dei primi in Edimburgo, e che vengono stampati în ogni alterno fascicolo del giornale , i varii interlocutori sotto nomi finti discorrono in istile familiare e festevole delle notizie del giorno in materie d’ogni sorta ; e il sig. Hogg, col nome del pa- store di Estrick, vi fa una figura cospicua , parlando il suo dia- letto Scoto-Anglico. Hogg è figlio d’ un affittaiolo del distretto di Ettrick sulle frontiere di Scozia: egli stesso seguì nella sua gioventù le occu= pazioni dei suoi parenti, guardando gli armenti. Mandato a scuola, benchè per poco tempo, si fece distinguere ‘di buon’ora pel suo talento e per l'applicazione allo studio. Scrisse alcune poesie in dialetto natio , che lo fecero conoscere dai letterati; ed essendo andato a Edimburgo vi trovò protettori che lo incoraggiarono nella carriera letteraria. D’allora in poi ha scritto diversi poemi, e con- tribuisce articoli a vari giornali, specialmente a quello di Bla- ekwood. Al talento poetico unisce quello del disegno, nel genere di caricatura. Con nun aria di semplicità contadinesea dice spesso gagliofferie , e fà ridere le brigate : ma ciò facendo , si prende spasso e degli altri e di sè stesso. Scapolo, e portato alla convi- vialità , passa spesso le serate e buona parte delle notti in bri- gata amichevole , conversando e bevendo , e poi all’ albeggiare 49 se n’ esce in campagna a scacciare i fumi del toddy (1), a fare schizzi di paesaggi ; o a scrivere a cielo aperto. In altri riguar- di; però il suo carattere è più regolato e morigerato di quello del suo compatriotta Burns. È d’nn umore eccellente. Il suo esteriore è alquanto rustico ; testa grossa , ciglia crespute ; ma bella fronte ; ed occhi penetranti. È molto in favore della col- ta società di Edimburgo , e specialmente delle signore . Eccel- lente e sperimentato contenditore , viene ricercato nei club let- terari ; ed è presidente di quello chiamato il Forum. In questi stabilimenti sparsi per tutta la Gran Bretagna } a modello del Gran Senato della nazione , e utilissimi a formare la mente e lo stile dei giovani oratori, vengono proposte questioni dal Presidente, e chiunque dei membri può ragionare pro 0 contro la tesi: lo fanno spesso con eloquenza, sempre con proprietà e modi urbani. Qui spesso fanno le loro prime prove quelli che dappoi devono figurare come oratori nelle Gran Corti del Regno, sui pulpiti, e sui banchi della Camera de’ Comuni. Riguardo alle cose italiane, il Magazzino di Blackwood non mostra esserne così bene al fatto come delle tedesche . Le cri- tiche italiane, F/orae Italicae, che venivano inserite alcuni anni addietro, abbenchè ragionate con istudio, sentivano di penna straniera all’Italia. Blackwood però fu dei primi a render giustizia a Manzoni; si mostrò anche apprezzatore del povero Foscolo , abbenchè si lagnasse con alquanta asprezza , e da cri- tico britannico avvezzo , dal suo tranquillo seggio vicino a ben munito focolare , a mettere in non cale le vicende, i dissapori , le contrarietà, e il conflitto di passioni e di sentimenti a cui sta sottoposto un povero autore nato al mezzodì dell’Alpi, si lagnasse, dicevamo , del non avere Ugo scritto opera di maggior mole per la posterità. Se non che, saputa appena la nuova di sua mur- te immatura , si disdisse in certo modo da agni troppo austero giudizio, compianse il fato del profugo straniero , e ne parlò col dovuto encomio. Da uno o due anni in quà, poco si trova, in fatto di lettere e notizie ‘italiane , in Blackwood. Abbiamo letto certi squarci di viete relazioni d’ Italia, scritte da’ viaggiatori tedeschi del secolo scorso, e che molti lettori forse crederanno giovare a dar giusta (1) Punch fatto col Whiski o acquavite di grano, che si distilla in gran copia in Iscozia. T. XXXVII. Febbraio i 7 50 idea de’ costumi odierui italiani; non riflettendo ai cambia- menti immensi ‘che hanno avuto luogo negli ultimi. trent’ anni. Anche ciò che me scrisse Goethe viaggiando per l’Italia, è ormai vieto. E.nella Gran Bretagna i pregiudizi contro le.straniere na- zioni sono sì forte radicati, che non occorre disotterrare antica- glie; ma converrebbe piuttosto manifestare le notizie più recenti ed esatte , onde i nazionali possano avere qualche barlume di cose dal lor modo d’ esistere sì remote. Nel fascicolo di settembre, poi, vi è un articolo dei più ac- ‘caniti contro una parte illustre. d’Italia , e poi per amplifica- zione contro gl’Italiani in genere. Lo scrittore , qualunque egli sia, si propone di fare un. paragone fra gli antichi e i moderni Romani; e veramente imparziale può dirsi in quanto che invei- sce del pari contro i vivi ed i morti. E prima di tutto ci fa sapere che i romani moderni sono pallidi , caparbi ,, mutriosi ; che i. mendichi strappano la limosina dalle mani dei bene- fattori senza neppur darsi la pena di ringraziarli ! ! Chi è stato nella bassa Italia sa quanto gli accattoni vi siano eloquenti e ciarlieri. E per autorità, il nostro scozzese cita un altro oltra- montano , il Galiffo!! Ma ciò sarebbe poco ; procede a spiegar- ci come gl’ italiani; così antichi come moderni, non hanno mai avuto merito proprio nè nelle scienze, nè nelle arti, nè nelle lettere come Cicerone e Virgilio non furono altro che de- holi imitatori di Demostene e di Omero; come alla seconda epoca della civiltà in Occidente , gl’ italiani presero di bel nuovo ogni cosa dai Greci (Bizantini); giacchè , (e la glossa val più del testo) “ furono i Greci fuggiaschi che alla caduta di Costantino- poli introdussero di nuovo le lettere e le arti in Italia, e det- tero un carattere greco alla sua scultura, pittura, e musica!! E così questo dotto critico ci dà ad intendere che prima della caduta di Costantinopoli non vi fossero in Italia nè poeti, nè pittori, nè scultori di vaglia. Povero Dante! Poveri scrittori , ed artisti del trecento ! Secolo sfortunato contro cui si sono levate tante querele , e che ora con un tratto di penna questo nostro critico cancella affatto dagli annali della moderna Europa. — Ma torniamo agli antichi: ed apprenderemo che un eccessivo amor di sè stesso era il carattere di. un romano , ed. il fondamento di quell’abuegazione con cui sacrificava e sè e tutto ciò che aveva di più caro. alla patria. E Giunio Bruto, il Consolo, ci vien ci- tato per esempio di questo eccessivo amore di sè ! Queste, sono proposizioni di una filosofia alquanto strana: ma passiam’ oltre. br Lo spirito contenzioso e pugnace dei Romani era una conseguen- za necessaria della mancanza in essi di affezioni naturali. Quì si potrebbe osservare che non vi è forse : paese nella moderna Eu- ropa ove lo spirito di pugnacità sia tanto universale come in Inghilterra; e ‘pure sarebbe una stolta calunnia il dire che gl’ inglesi mancano d’ affezioni naturali. Infine si conchiude col direi a parole chiare che /° antico Romano era un bravo ruba tore, ed il moderno è un astuto e vigliacco ladro. Questi sono vezzi di lingua che non dovrebbero aver luogo in un giornale accreditato della Gran Bretagna. Vogliam credere che tali sen- tenze siano sfuggite all’ occhio dell’ Editore ,, e ci lusinghiamo che in avvenire e’sarà più cauto in osservare ciò che lascia inse- rir nei suoi fogli. Ingiurie contro popolazioni e nazioni intiere non ridondano ad onore di chi se le erede permesse. Asserzioni come l’ ultima che abbiamo citata; non. meritano che uno si ri+ scaldi a confutarle: sarebbe perdita di tempo. — Sarebbe ormai ora di lasciare in pace Ja povera Italia coi suoi guai e i suoi di- fetti: essa certo non dà fastidio a nessuno: così gli altri non ve- nissero a dargliene ! Ancora poche parole sul serio , ed abbiamo finito. La Prov- videnza tiene, nelle mani le fila degli avvenimenti; e i destini degl’ imperii, e niuno può prevederne i giudizi. Che quelle na- zioni che ora godono di una preminenza politica non disprezzi- no troppo le altre, mon abusino della fortuna: altrimenti al girar della rota fatale, mon sarebbero nè compiante nè rispet tate dai posteri. Ai dì nostri ; le più grandi catastrofi giungono inaspettate ; e non l’ ingegno, non la fiducia; mon tutte le arti degli uomini valgono sempre a volgerne il. corso . L°Ita- lia non ha rivalità con altre ‘nazioni; gl’ Italiani non. hanno antipatie nazionali contro genti straniere; essi sono forse a que- sto riguardo il popolo più tollerante di Europa. Apprezzano , lo- dano ciò che vi è di buono e di bello oltremonte; perchè dunque dir loro villanie ®? — che con altro nome non sapremmo chiamarle. Del resto gl’ italiani sono suscettibili di un entusiasmo più fer- vido , forse più generoso , e perciò meno fortunato, perchè meno calcolatore, di quello di altre nazioni. L’ intensità dei sentimen- ti, delle passioni stesse , lo spettacolo sublime della natura del mezzo giorno , le stesse anre geniali che respirano, tutto dà loro questo dono fatale. In ogni tempo l’Italia è stata il seggio del- l’abnegazione, dell’obblio di sè, de’sagrifizi insomma. Anche alla nostra generazione non mancano prove di ciò. Si legga la lagri- 59 È mevole storia del periodo di venti anni , ora già da qualche lu- stro trascorso, è si vedranno fra gente di ogni partito esempi numerosi di magnanimità, di costanza, di fedeltà disinteressata. E se dall’ arena del parteggiare passiamo a contemplare la di- sciplina più austera, e perciò più difficile della regolare milizia , vedremo il nome italiano illustrarsi nei fasti di conquiste gigan= tesche , dalle tepide sabbie del Tago fino ai lidi gelati del Bori- stene , e sui campi della propria patria gl’italiani esser gli ulti- mi ad abbassare i vessilli di Colui, a cui insieme con venti altri popoli , giurato aveano fedeltà ! E fra quegl’italiani che in mezzo a tali e tante vicende si ridussero a prendere stanza fra nazioni straniere, quanti non han- no mantenuto il decoro natio! Chi ha servito e serve tuttavia con onore sotto le bandiere dei primi imperi d’Europa ; chi è passato oltremare a militare per l’altrui indipendenza ; e sui campi del Peloponneso , o sulle rive dell’ Orenoco ha trovato morte glo- riosa. Chi con industria onorata, chi con talenti, chi col dono delle arti si è procacciata una sussistenza decorosa nelle più remote con- trade. Pochi, e diciamol quì pure , pochi sono fra gli esuli ita- liani che abbiano abbisognato dell’umiliante carità dello stranie- ro. Jl loro nome è stato, non sò per qual fatalità, aggiunto a quello degli esuli di altre mazioni nelle liste de’soccorsi a questi gene- rosamente prestati; ma pochi pochissimi sono gl’ italiani che hanno derivato alcun frutto da questa non cercata pubblicità . Italiani in Francia , Italiani in Inghilterra , Italiani in Germa= mia, in Olanda, in Russia , in America, nel Levante, occupati, industriosi , obbedienti alle leggi dei paesi ove hanno ottenuta l’ ospitalità : havvi fra loro letterati distinti , professori di uni- versità , uffiziali di ogni grado , artisti, viaggiatori , ingegneri, ispettori di miniere , istruttori della gioventù più cospicua ; ec- co ciò che fanno questi italiani dispersi sulle quattro parti del globo. Un Belzoni che muore vittima del suo zelo per le sco- perte britanniche ; un Brocchi che lascia la vita nelle sabbie ar- denti del Sennaar; un Pecchio che visita la Spagna, la Gran Bretagna, la Grecia, e ci dà ragguagli imparziali su quelle con- trade ; un Botta che scrive a Parigi l’ istorie patrie ; un Foscolo che perseguitato dalla fortnna e abbandonato dagli nomini esala la sua anima di fuoco sulle rive nebulose del Tamigi, cogli ul- timi sospiri rivolti verso la cara patria; questi, e tanti altri che potremmo nominare, son pure esempi di animo generoso, di cuore sincero, di spirito veramente italiano . Mi astengo dal parlare 53 delle belle arti, che sono da secoli eredità nostra. Mi rammento tuttora un provetto italiano con cui sedeva a mensa anni sono nella capitale del Piemonte , che, al sentire una questione al- quanto simile a questa , agitata da alcuni stranieri, terminò il discorso con le seguenti parole : “ L° Italia , signori miei, avea so palazzi di marmo quando i vostri maggiori abitavano in’ case 3» di fango ; e ciò in tempi da noi non molto discosti ;;. E quì viene in acconcio uno squarcio di ciò che si legge in un altro giornale inglese di cui ci siam proposti di dare raggua- glio in quest? articolo. Nel fascicolo di ottobre del New Monthly Magazine, trovia- mo le seguenti riflessioni di un artista inglese, che non è uno che pensa alla moda. Dopo aver osservato come da qualche tem- po in quà alcuni personaggi creduti di peso in questi affari, s0s- tengono che sia tempo perduto il mandare i giovani a studiare le belli arti in Italia, opina che il buon gusto del popolo ita- liano è generalmente un giusto criterio del merito di un lavoro : « Io non intendo dire , soggiunge, che il popolo delle città ita- 3» liane sia giudice in fatto d’ arti, ma voglio dire che le ama, », e che sa distinguere le bellezze o la deformità di un’ opera. 3 Non tollererebbe le assurdità che noi vediamo nel Nord; non so preferirebbe le forme di Teniers a quelle di Tiziano. Il so Mosè di Michel Angelo non sarebbe gustato da una folla di » spettatori inglesi: un’adunanza qualunque d'Italiani, anche del 3; volgo, anche a’giorni nostri, ne sentirebbe il disegno e le bel- ss lezze in un momento..... Io vidi esporre al pubblico di Bri- »» ghton la bella statua di Giorgio IV fatta da Chantrey, e udii 53 le osservazioni dei circostanti. Uno non sapeva discernervi che ,; una grossa cosa ; un altro diceva che era troppo grande pel »; re; un altro rideva che gli avessero fatta la faccia di color 3» verdastro ; un quarto osservò che bisognava sperare che Sua 3) Maestà, così esposta all’intemperie, non prenderebbe un reuma. >» Niuno si prese a considerare la statua come un’opera dell’ar- »» te, a osservarne i pregi o i difetti; la consideravano come avreb- 3) bero considerato un fantoccio o un mascherone alla prua d’un >» bastimento ,,. « Tant'è; noi abbiamo nel Nord buoni artisti ; perchè il »» genio individuale è di tutti i climi; ma non abbiamo e non »» avremo mai forse un pubblico illuminato e di discernimento »> in fatto di belle arti. Una certa mancanza. di sensibilità, un », senso alquanto ottuso , effetto del nostro nmido e. freddo S4 » clima, e l’assenza dei colori brillanti della meridionale atmo- »» Sfera, tutto ciò impedirà sempre i progressi dell’arte, come arte », e non come mestiere , fra i popoli settentrionali. La moda e 33 interesse faranno apprezzare e ricercar le pitture, come si ri- s cercano altre curiosità e galanterie, ma nulla più. ,;. Questo si chiama parlare spregiudicatamente: e noi ag= giungeremoi che di buoni artisti la Gran Brettagna non manca, che Wilkie è maestro nelle pitture di scene domestiche, che Martin ha creato un nuovo genere tutto suo, che Lawrence ‘è uno dei primi ritrattisti viventi (*). Ma gli è soprattutto nella pit- tura a guazzo e nel paesaggio che gl’Inglesi riescono veramente. I loro water colours ossia disegni all’ acquarella , di cui si fa in Londra un’annna esposizione , superano di molto ciò che abbia- ‘mo. veduto sul Continente nel medesimo genere. Quanto alla senl- tura, hanno Chantrey; che è artista di gran merito; Westmacott, ed altri. In fatto d’ architettura sono ancora assai indietro: di tante nuove chiese , edifizi pubblici , e contrade intiere, fabbri- .cate da \dieci anni in quà, pochissime . sono di buon gusto y Confusione di ordini e di ‘ornati , fragilità di materiali, dispro- porzione di parti: in somma l’ architettura , eccettuata la così detta gotica, non par che si voglia naturalizzare in questo clima. La fabbrica della nuova posta , è l’ unica forse tra tante moderne in Londra , che meriti intera approvazione. È solida 5 grandiosa, e di uno stile grave, e adattato all’oggetto. Smirke ne è l’architetto. Nei ponti però, nelle strade , nelle volte sotterra- nee , gl’ Inglesi riescono a perfezione. Ma noi non pretendiamo far quì una critica di belle arti; ciò non è del nostro assunto: quel che ne abbiam detto, è stato di volo, e come annotazione al- l’articolo del New Monthly Magazine. Il detto giornale tien posto, per lo spaccio che ha; e pel talento della redazione, dopo quel di Blackwood. In fatti, come dicemmo, son questi i due soli Magazzini , che abbiano un tal qual grido , e che sien utili ai proprietari. Il New Montly è coetaneo presso a poco dell’Antologia; si pubblica in Londra dal libraio alla moda il sig. Colburn, e sotto gli auspicii del sig. T. Campbell, scrittore conosciuto , che ne è l’ Editore in capo. Questo giornale vien letto dalle classi così dette fashionables ; e si vede sui tavolini nelle camere da ricevere delle signore. La materia ne è adat- (*) Dopo scritto il presente articolo , 1’ Inghilterra ha perduto quest’ illu- stre pittore, (N. del D.) 55 tata ai lettori. Inferiore allo scozzese in articoli d’ erudizione e di seria letteratura , gli sovrasta negli articoli ameni. I raggua- gli che inserisce di quando in quando sulla Turchia, la Grecia; e l'Italia, scritti da corrispondenti che viaggiano su i luoghi stes- si, sono per lo più interessanti per la vivacità dei particolari, e spesso per la verità delle descrizioni, ed, aggiungeremo, per una maggior tolleranza di opinioni. La serie intitolata Walks in Rome and its environs , che crediamo scritta da un artista in- glese colà dimorante , e che, per un forestiero; conosce bene il terreno che descrive, ci ha singolarmente dilettato per la fedeltà di certi tratti ben noti anche a noi. Qual differenza fra il tuo- no urbano, anche quando è satirico , di questo scrittore , ed i vituperii che abbiam sopra mentovati dell’altro ! Si può pur cri- ticare senza esagerare e senza dire 1mproperii. Sotto la rubrica di osservazioni critiche , il New Monthly Magazine ha dato non ha guari un articolo sullo stato attuale della Turchia. Tre opere sono state quasi simultaneamente stam- pate in Inghilterra su questo importantissimo soggetto (2). Il critico, parlando della singolarità di quella nazione e di quel Governo, osserva che ‘ ‘noi siamo tuttora in grand’ignoranza in »» ciò che li riguarda. È lecitol ai mostri viaggiatori in Turchia » il passeggiare per le strade; ma gli vien fatto di rado di pas- », sare le soglie delle case; e se pur le passano, non s’ inter- sy nano mai nei penetrali delle famiglie. La macchina della so- ») Cietà turca, sia domestica sia politica, ci vien nascosta da un 3 velo impenetrabile. I veri sentimenti, le abitudini, le mire , > le occupazioni, e le risorse degli individui ci sono ignote. Ne s) volete una prova ? Il sig. Maddew risiedè un lungo spazio > di tempo in Costantinopoli, esercitandovi la professione di »» medico, e godette di molte insolite facilità per osservare 3» economia domestica dei turchi; ebbene ? Dichiara fran- s, camente di essere in una piena ignoranza del come e di che » la maggior parte dei turchi cittadini sussistono, senza far nulla, 3) senza mezzi di vivere a noi noti, e mantenendo numerosa fa- »» miglia, e case sontuose ,,. Sono già molti anni che chi scrive viaggiando per altre parti dell'impero Ottomano fu colpito dalle (2) Constantinople in 1828, by G. Mac-Farlane, 2 vol. 8.° with coloured , prints. ( Vedi su quest’ opera il precedente fascicolo ).- Travell in Turckey, Egipt o Palestine in 1824-27 by R. Madden, 2 vol. 8.° = Travels to and from Gonstantinopli in 1837. by Gapt. G. Colville Frankland 2 vol. 8.° 56 stesse idee, e comunicollo ad altri senza poterne ottenere schiari- mento. ‘ Fra tanti Turchi ch’io conosco, soggiunge il sig. Mad- ,» den, che passano le intere giornate nell’ ozio, fumando la pi- »» pa di caffè in caffè, vestiti riccamente, e che mantengono s» varie mogli e schiave , pochi pochissimi hanno professione, o ss impiego veruno, o rendite ostensibili. Alcuni possederanno be- 33 ni stabili, in città 0 in provincia; ma qui si tratta della mag- ,3 gior parte dei Costantinopolitani , che vivono a questo modo. Danari a interesse, banchi, effetti pubblici, giro di cambiali, e mille altre industrie dei cristiani, sono ignote o sprezzate dai Turchi. Il commercio di mercanzie è fra poche mani. Gl’impie- s; gati del Governo sono conosciuti. L’enimma rimane tuttora da »» sciogliere. Il Turco non parla dei fatti suoi; e se qualcuno si fa- » cesse lecita qualche dimanda, Allak Kerim è una risposta che »» chiude la bocca ai curiosi. ,, Il sig. Mac-Farlane si è internato nella Natolia, è convissuto fra i nazionali di ogni condizione, e ci dà molti ragguagli su i provinciali , che trovò molto più umani e ospitalieri dei cittadini. Il Turco delle città è corrotto senza essere civilizzato. Il Turco delle provincie, e specialmente del- l’Asia, è semplice di costumi , e ritiene ancora molto del carat- tere patriarcale de’ suoi maggiori. Nel 158.° fascicolo di Blackwood, ottobre 1829, si legge una critica alquanto pungente dell’ ultima opera di Lady Morgan , il libro del boudoir, opera raccapezzata su e messa insieme di squarci e memorie schiccherate nel taccuino della Signora. Si- mili miscee sono oggidì assai di moda, e contribuiscono non po- co a guastare il gusto, e a screditare le lettere. Composizioni trascurate, che spesso lasciano idee erronee e pregiudizi iu mente di chi le legge. Si è già detto che l'autorità della Signo- ra in materia di cose straniere non è di molto peso: le opere in cui è veramente merito e verità di colorito, sono i suoi ro- manzi nazionali irlandesi; e sono appunto questi che le procac- ciarono una riputazione letteraria , la quale non è stata molto 25 23 29 accresciuta dappoi, se vogliamo ascoltare i critici più sensati dalle sue opere cosmopolitiche. A.V. 57 Mémoires de Madame Roranp avec notes et delaircissements hi- storiques. Paris 1827 a Vol. Se contro l’uso de’ giornali destinati di loro natura a parlare d’opere recenti, ci facciamo adesso a ragionare delle memorie della Roland escite alla luce per la prima volta nel 1799 , crediamo che possa valerei per iscusa non tanto l’importanza dell’ opera, quanto altresì la poca cognizione che sino ad ora ne ha avuto il pubblico d’ Italia. Non è persona invero per poco versata che sia nell’istoria, la quale non ricordi con ammirazione e con tenerezza , il modo veramente degno dell’ antica sapienza con che la Roland perdette la vita sul patibolo nel 1793; nè credo che altra vittima del fu- rore delle parti sia stata più generalmente compianta per tutta l’incivilita Europa. Tanta è la pietà che desta lo sventurato caso di una donna di squisito ingegno , e di generoso sentire , cara agli amici, pregiata dal marito , e bella della persona, che ezian- dio senza conoscere a pieno i motivi che eccitarono contro di lei la vendetta ci sentiamo l’animo rivolto a condannare i persecu- tori. E pare quasi voluta dalla natura una benigna scusa alla fralezza del sesso negli errori e nelle colpe politiche , e poichè alle donne è guida la forza del presente sentire anzichè una ma- tura riflessione, sembra che la violenza delle fazioni politiche do- vrebbe risparmiar sempre un sesso più capace di errori passeg- gieri, perchè dipendenti dai movimenti dell’immaginazione e de!- 1’ affetto, che di macchinazioni politiche maturate dalla ragione e sostenute da una temibile potenza di volere. Così perchè le femmine non possono esser temute nelle cose di stato , la scure che scende sul loro capo prima che ingiusta apparisce ignominiosa, e desta un general senso di compassione per la vittima, misto all’orrore pei persecutori che nell’accecamento della vittoria hanno obliato ciò che per giustizia , e per ben inteso interesse sociale si debbe ad un sesso impotente a nuocere, e che può giovare assai all’ utile pubblico tornando nella vita privata a procurare la domestica felicità de’ cittadini , nobile uffizio a cui la natura e le leggi han destinato le femmine, e da cui non si dovrebber mai dipartire. Per gli uumini le cose procedono diversamente. Si piangono invero le vittime dell’ingiustizia, ed anco senza esaminare scru- polosamente la. giustizia o l’ ingiustizia della pena, sentiamo T. XXXVII. Febbraio 8 58 certa simpatia per chiunque abbia sofferto del furore delle civili discordie. Ma poichè pare condizione inseparabile dal prender parte nelle cose di stato in tempi di sconvolgimento il correr pericolo della vita, consola alquanto il riflettere ch’ebbero dalla fortuna quel male cui si erano esposti volontariamente. D'altra parte la ragione di stato che può aver fatta necessaria la pro- scrizione o gli effetti che ne sono seguiti, servon non poco a con- fortar.l’ animo nostro che non ha pace nel caso delle femmine dove vede un inutile crudeltà. Onde è che sebbene i Girondini amici della Roland sieno stati ammirati e compianti, pure la morte dell’illustre donna è stata compianta assai più, e maggiormente celebrata. Contuttociò un filosofo accigliato e severo potrebbe voler cogliere l’ occasione di un sì lagrimevole esempio per mo- strare, quanto male si appongano le femmine che posponendo gli uffizi privati cui la natura e la società le destinano , all’ ambi- zione della gloria o letteraria o civile intendono trattare gli studii virili, o prendersi le parti degli uomini nella civile società. Ma per buona ventura gli scritti lasciati dalla Roland tolgon luogo a siffatte riflessioni che potrebbero scemare se non la pietà delle sventure, almeno l’altissima stima conchè l’Europa onora la me- moria di quella donna infelice. Per queste memorie vediamo come salisse in tanta riputazione da esser perseguitata, senza inten- dere a questo , senza presumer vanamente di abbandonare gli uffizi delle donne per condurre vita virile. E poichè i calunnia- tori la vollero rappresentare come un capo parte che si valeva dell’ influenza che han sempre le donne sugli amici per condurre a proprio talento la deputazione della Gironda , e si serviva del marito come di semplice istrumento che faceva agire 4 seconda de’ propri pensieri ed a cui suggeriva i consigli da tenersi nel governo de’ pubblici affari, importa assai il conoscere il vero di queste accuse non tanto pel decoro di Roland e de’ Girondini, quanto ancora per la giusta stima della donna tanto lodata e tanto calunniata. Essa stessa ch’ era donna di altissimo ingegno intese la necessità di giustificarsi in faccia ai posteri delle accuse che potevano farla passare per donna ambiziosa , e vanagloriosa. A questa giustificazione non meno che al bisogno di sollevar l’ animo, destinò igiorni della sua prigionia , e col pensiero della morte vicina si dette a scrivere la propria vita, marrando come fosse educata, come a grado a grado sentisse svilupparsi le proprie forze, come sapesse resistere alla tentazione di cogliere cualche gloria letteraria, e finalmente come quasi senza volerlo si guadagnasse riputazione nelle cose di stato, da tirarsi addosso 99 l’ odio de’ Giacobini. A considerare che una donna aspettando di giorno in giorno di dovere esser condannata a morte, ebbe tanto animo da scrivere di sè con quella tranquillità che sembra pro- pria soltanto d’ una felice ed onorata vecchiezza , rappresentando con vivi colori tempi felici, ed esponendo con verità di affetto i misteri del dolore, non sappiamo più quali confini aver debba la nostra ammirazione, nè in che la donna celebre sia da riporsi per natural debolezza del sesso al disotto de’ più lodati filosofi del- l’ antichità. So bene che la rassegnazione alle sventure tenuta da molti in pregio di virtù, può sembrare piuttosto una necessità del- l’ umana natura salutare per gli afflitti ma nei casi ordinari ve- ramente lontana da virtù. Molte volte infatti la rassegnazione riducesi ad una specie di stoltezza nata solo dall’ infievolimento delle forze del sentire. Però si vedono spesso gli uomiui escire dalla pruova del dolore senza cavarne altro frutto che l’ indif- ferenza, e per lo più col prolungarsi della vita si vede venir meno l’ immaginativa e l’affetto. Ma il soffrire da forti, e senza perdersi di animo divenir più grandi nelle sventure è virtà non meno rara della forza che spinge alle azioni generose. Sicchè, dove in un’istessa persona si riuniscano ambedue queste virtù, ci con- vien dire giusta alla definizione degli antichi , aver quella toccato l’apice dell’ umana sapienza. Perocchè non è filosofia quella che per far 1° uomo superiore ai casi di fortuna ne distrugge le forze morali el riduce all’ indifferenza, ma bensì quella è vera filo- sofia , che insegna a governare i desideri e gli affetti per modo che la ragione gli signoreggi indirizzandoli a nobil fine. Difatti le cagioni istesse del dolore son pure le fonti del piacere, ed i mezzi del sociale perfezionamento , onde è che l’indifferenza per le cose umane non può ingenerarsi nell’ animo di alcuno, senza che rimangano eziandio distrutte le forze- che servono alla vita pel comun bene operosa. Queste cose che ai grandi uomini del- l’ antichità erano famigliari, raramente si son vedute in pratica ne’tempi moderni, più spesso certe esagerazioni della scuola stoica han preso il posto ch’ era serbato alla vera sapienza. Il perchè vedendo novi nella tranquillità d’ animo della Roland un ritratto dell’ antiche virtù, non abbiamo potuto trattenerci dal far opera perchè la notizia della pubblicazione delle sue memorie mag- giormente si spanda nel colto pubblico italiano . Come monu- mento psicologico e come documento storico, queste memorie de- von riescire graditissima lezione a chiunque abbia in pregio o gli studi civili, o la gentilezza degli affetti. Per la qualcosa senza H0 diffonderci di più nel tessere 1’ elogio, diremo compendiosamente quali parti ci sieno parute più notevoli nell’opera. Forse a que- sto modo ci riescirà più facile il destar qualche desiderio di una così profittevole lettura. Queste memorie sono divise in più parti. Le prime tre con- tengono la vita della Roland sino al tempo del suo matrimonio. Due altre parti riguardano i due ministeri del marito . Ven- gon poi le lettere, gli aneddoti della rivoluzione, ed i ritratti morali degli uomini che han maggiormente figurato in quel tem- po. Queste parti sono state saviamente distribuite dagli editori recenti secondo l’ ordine de’ tempi, e per maggiore istruzione de’ lettori sono aggiunti in fine d’ ogni volume i documenti del tempo che meglio servono a dichiarare , o a comprovare i punti più importanti delle memorie. Così 1’ edizione da noi annunziata ha il pregio sopra quelle che la precedettero di esser completa ed ordinata con molto giudizio. Le memorie della Roland fanno parte di una gran collezione di memorie per servire alla storia della rivoluzione , ma posson aversi anco separatamente. Nacque la Roland nel 1756 , figlia ad un mediocre artista di Parigi il cui nome era Philippon, in stato, come dal nome istesso rilevasi; non nobile, ma tuttavia non sfornito degli agi di una civile mediocrità. Perocchè i guadagni del padre nell’ esercizio della scultura, ed un piccol patrimonio che la madre possedeva fornivano il bisognevole per un’ onesta sussistenza. Di cinque figli che i suoi genitori avevano avuto dal comune matrimonio essa sola visse sopra l’ infanzia, e più volte intendeva ripetersi dalla madre , ch’ essa era la sola che non avesse cagionato do- lore. Fornita come ella era di una naturale disposizione ad im- parare , ed amabile per la bellezza della persona fu pei geni- tori e pei parenti, fino dalla più tenera età , oggetto di affet- tuosa ambizione. Onde non è meraviglia se per secondare le di- sposizioni della natura le procurassero de’ maestri in quelle arti che tanto di pregio aggiungono alla gentilezza naturale del sesso. Tuttavia la madre che era donna prudentissima procurò di edu- care la figlia in modo da dovere rinscire buona madre di fami- glia nello stato in che l’aveva posta la fortuna. Così quelle ma- ni gentili che a volte si esercitavano nel suonare qualche nobile îstrumento , in altri tempi del giorno si adopravano negli uffizi domestici perfino i più ignobili, come a cagion d’esempio il pre- parare le vivande; e la bella giovane che ne’giorni festivi esciva al passeggio ornata come una signorina, era poi obbligata in altri giorni andar colla serva al mercato, o anco seender sola per com- Or prare alcuna cosa bisognevole dalla bottega vicina. Ma questa era appunto l’educazione che si conveniva dare alla figlia di un bor- ghese di Parigi, reputandosi necessario per quella condizione di persone il saper fare egualmente bene due parti a prima giunta contradittorie, vo’ dire la signora e la serva. Ed in vero se vi è cosa difficile nell’educazione , l’è appunto il procurare che l’eser- cizio di opere servili non tolga cosa alcuna alla gentilezza del- l’animo, come pure che l’ornamento dello spirito non faccia avere a sdegno gli uffizi domestici. Pure a questa somma difficoltà sa- peva generalmente provvedere l'educazione de’borghesi parigini; il che vuol dire che la gentilezza aveva già fatti tanti progressi in ogni sorte di persone da reputarsi una necessità del vivere , cosa che dimostra sempre un gran progresso di civiltà. Per que- sto lato tutti i particolari delle memorie della Roland sono pre- gievolissimi per la storia , perocchè ci fanno noti i costumi di una parte del popolo assai poco conosciuta, comècchè meritevole di molta attenzione. Le opere servili cui la giovane Philipon era obbligata si fa- cevano da lei diligentemente , comecchè non senza certa natu- rale repugnanza. Ma col tempo dovette conoscere con quanto savio accorgimento la madre avesse richiesto in lei la pratica di tuttociò ch’era necessario a farne una donna utile nel suo stato. Perocchè sebbene le toccasse di unirsi in matrimonio con persona meglio vantaggiata dalla sorte, in mille circostanze le tornò molto utile 1’ abitudine a trattare le cose domestiche acquistata nell’ infanzia, e sempre poi seppe tenere il governo della casa con quell’ accordo d° ordine, d’ economia e di pulitezza che è riserbato alle donne il poter trovare e mandare ad esecuzione. Il saper fare la poneva in grado di attendere a queste pratiche domestiche, senza che le mancasse poi il tempo di conversare piacevolmente con gli amici, di dilettarsi degli studii, e di ser- vire d’aiuto al marito nelle cose del suo uffizio. Tanto giova l’a- bito della disinvoltura e della precisione acquistato sino dal- 1’ infanzia. Così cresceva nella casa paterna la giovine Philipon riceven- do educazione conveniente al suo stato, benchè non fossero tra- scurate le doti naturali dell’ ingegno. Il caso che le fece venire alle mani de’libri la determinò a volgersi alla lettura. Abbiamo da lei che le vite di Plutarco facevano la sua principale delizia, talchè persino negli ultimi tempi del viver suo le volle avere per leggerle. Per la lezione di Plutarco e degli altri scrittori delle cose antiche, nacque in lei l’amore del vivere in libero governo, 62 e quanti sentimenti generosi entrarono nell’ animo suo confessa doverli ai nobilissimi esempi dell’antichità. La qual confessione noi raccogliamo volentieri, perchè serve a confermare quello che altra volta siamo andati dicendo sulla convenienza della storia an- tica per l’educazione del cuore al religioso amore delle civili virtù e della dignità dell’umana natura (*). Come la Roland aveva preso amore al governo civile nel leggere gli antichi , così ve lo ave- vano posto i deputati della Gironda. Ond’ è che sì per la cele- bre donna come per gli illustri deputati il governo repubblicano era l’ ottimo stato di viver civile, guardato da loro con religiosa carità , come il punto in che dovesser trovare fine le sventure e le cattività degli uomini. Credevano la riforma dello stato po- litico dovesse quasi ad un tratto mutare la natura morale degli uomini, così quanto erano ardenti nell’amore del bene altrettanto andavano errati nel giudicare delle persone. Pagarono caro l’er- rore , ma non potrà mai negarsi che 1’ alto concetto ch’ ebbero del viver civile non giovasse assaissimo alla Francia. Noi dobbia- mo a questo affetto religioso per la patria il coraggio esemplare con cui quelle nobilissime vittime portarono il martirio, e videro dissipate le illusioni senza disperare della virtù, coraggio che la sola persuasione teorica a senso nostro non basta a generare se non sia sostenuta da un affetto che nobiliti 1’ anima ed accen- da l’immaginazione. Accordiamo ancor noi convenire soprattutto all’uomo di stato una fredda ragione, ed una conoscenza profonda del cuore umano nelle parti eziandio più turpi; ma ei par certo altresì che senza forza di passioni, senza commuovere l’immagi- nazione popolare, non possa operarsi una mutazione radicale nella condizione civile di un popolo. Procuriamo pure quando è tempo che gli affetti sorgano belli e generosi; che pur per quei pochi che posson governare gli al- tri viene da sè il tempo de’ freddi calcoli che insegnano 1’ arte di ridurre ad affetto le cose desiderate: per gli altri le ricordanze della gioventù giovano a farli procedere alacremente in quella via che seguirebbero con timidezza dove fosser guidati dal solo interesse. Ma sia fine alle riflessioni per tornare alla vita della Roland. Le letture incominciate per caso, seguitaron sempre senza ordine a seconda dell’ occasione che faceva capitare in mano i libri alla giovinetta . Però ebbe campo di vedere opere di diverso genere, e contradittorie tra loro, senza che questo disordine nel (*) V. Antol. N.° 88, pag. 55 e segg. 63 leggere togliesse niente alla chiarezza delle idee ed alla loro buona disposizione nella mente. Tanto è vero che giova assai più il molto esercizio libero delle facoltà, che il mediocre studio regolato dal- l’altrui sapienza. Il disordine delle letture obbligava a tener la mente in grandissima attività per ordinare le idee : così la donna sentiva le proprie forze, ed esercitandole le faceva ogni giorno maggiori. Non potendo trovare la verità ad un tratto poichè non era alcun che gliela mostrasse autorevolmente, dovette assuefar- si ad esaminare la forza degli argomenti onde erano sostenute le diverse opinioni, e spesso fu indotta a mutar sentenza secon- do che meglio avanzava la ragione. Ridotta così a dover percor- rere da sè tutto il lungo cammino che conduce alla verità , ha potuto darci una storia de’suoi progressi intellettuali degna del- l’attenzione di chiunque ha cari gli studi ideologici. Merita d’es- ser notato in cotesta storia come la bontà dell’ animo più che ogni altra guida servì a condurre la ragione , ed a facilitare la strada al ritrovamento del vero. Di pari interesse sono ripiene le pagine nelle quali 1’ illu- stre donna ragiona del sublime affetto religioso che 1’ animava nella sua tenéra età, e che venne crescendo al momento peri- coloso in cui alla forza dell’immaginazione e del sentire morale si aggiunse lo sviluppo dei principii del piacere. Bisogna leggere gli scrupoli, le dubbiezze di quella coscienza timorata, per ca- pire sino a qual segno avesse inalzato il concetto della morale verginità. Per sua buona ventura si incontrò in un direttore for- ‘nito di delicatezza e di prudenza, che altrimenti sarebbe potuto tornare in danno della sua purità lo stesso desiderio d’esser pura. Leggano gli uomini destinati a consigliare a dirigere altrui, le squisite osservazioni della Roland su questo delicato argomento, e ne ricaveranno forse delle regole di prudenza, il cui abbandono potrebbe riuscire fatale. Così scorrevano felici gli anni dell’ adolescenza per la gio- vine Philipon nella casa paterna, e colle grazie della persona venivano crescendo le doti della mente. Ossequiosa inverso i ge- nitori, cedeva più facilmente alle dolci insinuazioni della madre che ai comandi paterni. Però la docilità in lei era l’ effetto di un cuor tenero e gentile anzichè di una dannevole fiacchezza di volontà. Conciossiachè quanto era facile a compiacere altrui, al- trettanto sentivasi capace di comportare qualunque dolore anzi chè rimuoversi per tema da un fermo proponimento. Della qual cosa dopo alcune esperienze avvedutisi i genitori , seppero ca- var profitto per l’ istituzione morale della figlia. Frattanto col- 64 l’avanzarsi degli anni cominciarono a rivolgersi nella mente della giovinetta importanti riflessioni, e che al vivo ella ci rappresen- ta, sul natural destino delle donne ; pensava già di dovere es- ser moglie e madre dopo aver creduto alcun tempo potersi de- dicare tutta a Dio, e coll’ intendimento di servirsene alla feli- cità di una famiglia, volgeva l’animo agli studi che meglio gio- verebbero all’ educazione della prole. Il dovere di procurare la domestica felicità , al sodisfacimento del quale le donne hanno maggiori mezzi degli uomini, pareva a lei il fine cui dovesse mirare una donna nell’ erudirsi , e saviamente estimava l’ambi- zione della gloria letteraria non convenire al suo sesso. Però seb- bene più volte stimolata da’cortesi amici a dettar qualche opera si rifiutò costantemente. Degne sono di profonda meditazione le ragioni morali ch’ ella adduce a sostenere la sua sentenza. La quale parrà a taluni troppo severa, ma a senso nostro sembra giustissima. Pare anche a noi che le opere che han bisogno di minute osservazioni, d’ immaginazione e di affettu, assai più che di severità di ragionamento, possano costituire un genere di let- teratura appropriato anche alle donne; ma siamo poi fermi nella sentenza che le alte quistioni sociali , o la profonda ricerca dei misteri della natura sì fisica come morale , sieno tanto superiori alla capacità delle donne da dover riuscir loro difficile il com- prendere tutta la forza del vero , impossibile l’ aver tanto ani- mo da farne aperta professione. Perocchè la natura, l’educazione, e le relazioni sociali fanno desiderare alle donne soprattutto di piacere, e d’ aver lode di vivacità e di gentilezza. I quali desideri quando sono cosa prin- cipalissima della vita, e si oppongono allo studio ; e obbligano a serbare cert’arte in tutto quello che si manifesta del pensiero. Poniamo a cagione di esempio che una questione presenti a pri- ma giunta due risoluzioni come possibili; ad una si vada per le vie difficili e spesso disadorne del ragionamento ; all’ altra pei movimenti più belli dell’ immaginativa o pei più sregolati del- 1’ affetto ; insomma abbiasi da scegliere fra una risoluzione ri- gorosamente logica, ed un altra come direbbesi oggi sentimentale, parmi che l’anteporre la prima alla seconda sia quasi al disopra del potere di una donna. Deve considerare infatti che i lettori facilmente argomentano dall'opera all’autore, e non può essergli grato di venir reputata priva di quelle qualità onde il suo sesso è maggiormente ricercato dagli uomini. L’intendimento di rice- vere applausi spesso fa perder la via agli scrittori comecchè del sesso più forte, ma perun sesso di natura sna vanaglorioso i falli 65 in che lo devon far cadere le meschine passioni di società sem- brano quasi innumerabili. D’altra parte se una donna avesse tanta padronanza di sè da far opera in cui non apparisser vestigia del sessu, certamente cotest’opera si leggerebbe con ripugnauza; ol- tre a che sarebbe in molta parte falsa, perchè l’A. avrebbe voluto sforzare la natura. Alcuni miracoli che la storia letteraria ricorda, ai quali per altro non tutti prestano la stessa fede, non bastano a distrug- gere questa conclusione generale. Esaminando minutamente le opere di coteste donne prodigiose ; sarebbe forse dato ritrovare l’ origine de’ cattivi ragionamenti ; o il fondamento potissimo delle opinioni nelle passioni naturali al sesso. Il che recherebbe grande conferma alla teoria; ma reputiamo che bastino queste poche riflessioni, che ci ha cavato dall’animo la sinistra influen- za di alcune opere femminili sulla letteratura francese, a cui per nostra massima sventura vorrebbero tener dietro molti nostri italiani. Onde è che ci sentiamo aprire il cuore leggendo nelle me- morie di una donna celebre così accuratamente distinti gli uffi zi civili dal natural destino del sesso più debole. E lo diciamo sinceramente, cotesto savio giudicio ha contribuito più che ogni altra parte a riempirci di ammirazione per la Roland, ed a per- suaderci che fosse in lei solida virtù. Tuttavia non sono da re- putare di minore bellezza le pagine nelle quali discorre come dopo aver rifiutati diversi partiti si determinasse al matrimonio. Erano i tempi della gioventù della Philipon più fortunati de’nostri in questo , che le giovani zittelle non si andavano ad offrire dai genitori ad uomini già stanchi del vivere scostumato, ma si cercavano in matrimonio dai giovani che per equalità di grado , di educazione , e di sostanze ne potevano ambire la ma- no. Così era dato alle giovani lo sciegliere; e massime nella con- dizione de’borghesi, prima di obbligare la loro fede ad un uomo, aveano campo di conoscere se meritava la stima e l’ affetto. A questo modo nello stato di mezzo si manteneva una certa costu- matezza , un certo buon ordine nelle famiglie, che pur troppo eran da gran tempo banditi dalle case illustri de'magnati. Forse questo era,l’ unico modo di procurare che l’ unione del matri- monio, anzichè una semplice finzione della legge fosse nella verità de’ fatti una società di interessi e di affetti. Tutte le giovani in- vero che ban sortito dalla natura un buon cuore, ed hanno or- nato la mente coll’ educazione, giunte che siano all’età di do- vere eleggere uno stato, si pongono nella mente quest’ altissima T. XXXVII. Febbraio 9 66 idea del matrimonio ; tutte vorrebbero avere libertà di scelta, ed a tutte piacerebbe che quegli del quale per legge devon seguire la fortuna compir potesse i loro desideri di affetto; e fosse ad un tempo il miglior consigliere e 1° amico migliore. Queste idee, che si rivolgono nella mente di ogni giovane che innanzi tempo non sia stata moralmente corrotta, o da triste insinuazioni 0 da cat- tivi esempi, per tacere del resto, si dissipano poi facilmente per- chè contraddette in tutte le parti dalla presente condizione del viver sociale. Ma è da credere che in quelle che per condizione di fortuna, o per lodevole costumanza della patria sono mante- nute nella libertà di scegliere , si formi il desiderio d’un ottimo ideale che 1° impedisce di abbandonarsi al primo che si offre , e ne fa sperar sempre uno migliore. Accadde così alla Philipon. Nata per amar molto , desiderando tuttavia contenersi nel con- fine del dovere, non seppe accomodare il suo consenso a diversi partiti che gli si offrirono dall’ età di 20 anni sino ai 25. Vani riuscirono i consigli della madre perchè non lasciasse passare il tempo, inutili le osservazioni del padre, che non sapeva persua- dersi come la volesse tanto da un marito, parendoli che. quando vi era di che vivere una giovine dovesse stimarsi contenta; ma Ja Philipon che sentiva profondamente quali conseguenze tragga seco l’ unione coniugale, voleva almeno prendersi un marito de- gno di stima, e che non fosse a lei troppo inferiore, siccome neppure voleva torsi un tiranno. Bisogna leggere le riflessioni sui partiti proposti e rifiutati, per conoscer quanto senno avesse già cotesta giovinetta. Riconoscevano invero molti pretendenti la pro- pria inferiorità, e promettevano lasciarsi guidare a seconda de’suvi ‘consigli; ma essa che era savia conosceva che un nomo di poco senno è un fanciullo troppo forte per potersi regolare da una donna; puteva aggiungere ancora che molte cose si promettono nell’aspet- tativa del piacere lontano, che non è dato poi mantenere quando si calma la forza della passione, e che le leggi e l’opinione danno autorità. Abbiamo trovato così nobilmente discusso questo punto di morale domestica nelle memorie della Roland, che non pos- siamo ritenerci dal tornare a raccomandarne la lettura. A questo modo giunse la giovine ai 25 anni senza essersi scelto un marito. Intanto avea perdura la madre, morta di apo- plessia in quell’ età pericolosa in cui si annunzia il certo prin- cipio della vecchiezza , ed il padre che da giovine era stato di corretti costumi, datosi nella virilità all’ozio ed alla dissipazione, aveva perso amore alle cose domestiche , e con disgraziate spe- culazioni mandava in rovina il patrimonio. Non fu poco dolore 67 per la madre, sentendosi avvicinare la morte, il dover lasciare la figlia in sì lacrimevole condizione. Nè è da credere che la gio- vine sentisse meno l’ amarezza del suo stato. Le circostanze tutte che accompagnarono la morte della madre contribuirono assais- simo a render quel momento uno de’ più infelici della sua esi- stenza. Noi leggiamo nèlle sue memorie descritta questa prima pruova del dolore, con quella verità d’ affetto che nasce solo dal cuore. Il disordine delle cose di casa giunse a tale che le convenne ritirarsi in convento , dove ricevette la prima visita di Roland, mosso dalla stima concepita per lei leggendo le lettere che scriveva ad una sua amica di provincia: Roland era impie- gato ad Orleans nella pubblica amministrazione, coltivava le let- tere non senza lode , serviva il governo con zelo e fedeltà , ed era reputato in provincia per le sue virtù. A poco a poco sen- tendo crescere la stima per la giovine Philippon ; ebbe in mente di unirsela in matrimonio. L’ età di Roland non conveniva alla giovine, perchè vi era la differenza di quasi venti anni. Ma poi- chè per la vicendevole stima, e per facile accordo nell’ idee e negli affetti un siffatto matrimonio sembrava promettere la bea- titudine di una vita tranquilla e virtuosa, non occorse gran fatto a determinare la Philipon al. matrimonio ; meno facile si dimostrò il padre, ma finalmente si poterono celebrare le nozze. Unita in matrimonio a Roland si dovette riti rare in pro- vincia a vivere col marito , dove se ne stette finchè scoppiata la rivoluzione la città di Lione mandò Roland deputato a Pari- gi . Le cure domestiche , lo studio e la conversazione col ma- rito furono le occupazioni gradite della Roland : i due conju- gi si comunicavano tra loro i pensieri e i disegni, e così un intera e perfetta amicizia suppliva a quello che forse mancava di vivo all’amore.. Hanno voluto insinuare i malevoli che quanta riputazione guadagnò Roland o nelle lettere o negli affari la do- vesse tutta alla moglie: l’asserzione è falsa, perchè Roland era tiputato e come amministratore, e come letterato anche avanti il suo matrimonio : aveva già scritto un viaggio d’Italia, diversi discorsi accademici , e cooperava all’ enciclopedia. Contuttociò , siccome questo punto merita d’ esser chiarito per l’onore di Ro- land e della sua moglie , riferirò lo parole della celebre donna , colle quali rende testimonianza al vero. Quì mi fermo, dic’ella in alcun luogo delle sue memorie, per chia- rire de’ dubbi e fissare 1’ opinione delle persone. Delle quali molte non mi danno alcun ‘merito che per toglierlo a mio marito , mentre molte altre suppongono ch’ io abbia avuto negli, affari un influenza 68 che non aveva. L’abito ed il gusto della vita studiosa mi hanno fatto prender parte ai lavori di mio marito finchè semplice particolare. Seri- veva con lui come mangiavamo insieme , sendomi 1’ una cosa egual- mente naturale dell’altra ; e vivendo io per la sua felicità, mi dedica- va di tutto cuore a ciò che gli faceva piacere. Poniamo ch'egli descrì- vesse delle arti o de’ mestieri, ed io pure ne descriveva come che mi annoiassi ; amava l’ erudizione , e facevamo insieme delle ricerche ; si sollazzava mandando degli scritti alle accademie, e noi gli facevamo in- sieme o separatamente per confrontare in seguito e scegliere il meglio, o rifondere tutti e due. Date che avesse fatto delle omelie, ed io pure ne avrei composte. Divenuto ch’ egli fu ministro non mi mescolai del- l’ amministrazione ; ma se sì trattava di una circolare , di un istruzio- ne , d’ uno scritto pubblico e importante noi lo scrivevamo insieme secondo l’ usato , e penetrata delle sue idee , nutrita delle mie pren- deva la penna ; a maneggiar la quale aveva più agio di lui. Avendo tutti e due i medesimi principii ed un medesimo spirito ci accordavamo sul modo , e mio marito non perdeva niente passando per le mie mani. Io non poteva esprimere cosa alcuna in fatto di giustizia e di ragione , ch'egli non fosse capace di ridurre all’ atto o di sostenere col suo carattere e la sua condotta , ed io coloriva meglio di lui quello che aveva fatto o prometteva di fare. Roland senza di me non avrebbe cessato di essere un buon amministratore : la sua attività, ed il suo sapere gli son pro- pri come la sua probità. Unito a me ha prodotto maggior sensazione perchè metteva ne’ suoi scritti quella mescolanza di forza di dolcezza di autorità e di ragione e di affetto , che appartengono solo ad una donna sensibile dotata di mente sana. L’ altra calunnia onde bisognava difendere Roland, era che dovesse il ministero ai raggiri della moglie. Non havvi infatti so- spetto più indecoroso di questo per uomo che professi 1’ antica dignità dell’ umana natura , siccome non si può trovare più am- pia materia di ridicolo appresso gli uomini usati al viver del mondo , benchè non sia cosa più frequente ad accadere. A ri- spondere a siffatte calunnie sembra ordinata la storia de’due mi- nisteri di Roland che la donna celebre scrisse nel tempo della prigionia. Noi non ne daremo l’ estratto , perchè ci pare d’ aver detto abbastanza. Tuttavia now lasceremo di notare che questi due frammenti di storia ci sembrano preziosi. I lettori vi trove- ranno Luigi XVI, i Girondini, Robespierre benissimo giudicati; ci duole che non sia resa eguale giustizia a La Fayette. Ma i contemporanei , che in fatto di storia sono i soli ‘credibili testi- monii, non son sempre i giudici migliori. Del resto, a voler gin- dicare dirittamente della condotta di. La Fayette, bisognerebbe prima risolvere sino a qual segno il cittadino in tempi di rivo,; luzione debba sacrificare la propria opimione particolare per ser- 69 vire la volontà e 1° opinione dell’ universale. Insomma se in La Fayette fu un errore di giudizio , non per questo possiamo ces- sare d’ ammirarlo ‘come virtuoso e coraggioso cittadino. I tempi più tranquilli che sono succeduti al 93 han reso giustizia all’uomo che nei suoi stessi falli ebbe sempre per guida la coscienza e 1’ onore. Forse abbisognano della stessa equità al- cuni Girondini che la Roland prende a difendere; ma di ciò si lasci pur libero il giudizio ai lettori. Fatto ministro Roland pre- disse al re i pericoli cui si andava esponendo, e dette ottimi consigli, ma fu rimandato. Rovesciata la monarchia nel giorno de’ 10 agosto, Roland fa chiamato di nuovo al ministero; e come egli era stato co- raggioso nel dire la verità al re, non si stette dal parlare li- beramente alla convenzione dopo i terribili fatti del 2 set- tembre. La lettera che scrisse ai 4 dello stesso mese è un docu- mento veramente degno di esser conosciuto da tutti. Ma lo spirito di moderazione e di giustizia gli tirò addosso 1’ odio di Danton e de’ suoi. Onde per serbare la vita al miglior bene della patria si dovette ritirare in provincia e nascondersi nella casa di ottimi amici. Frattanto la moglie adoperar volevasi per ottener giustizia dalla convenzione, ma fu messa prigione. Ritenuta illegalmente, fa poi liberata per esser di nuovo messa in carcere con tutte le forme legali. Si procedeva allora con tanta violenza, che il sen- tirsi la coscienza pura d’ ogni colpa non poteva dar sicurezza : sicchè 1’ illustre donna intese benissimo sino da principio qual sorte gli serbasse la fortuna. Per la qual cosa si dette a scrivere le memorie delle quali abbiamo reso conto. Bisognava peraltro far la cosa con assai secretezza perchè non cadessero. nelle mani di quelli che aveano interesse a distruggere i documenti della popolare tirannide. Gli amici della Roland gli dettero mano per questo ; tuttavia una parte delle sne memorie andò perduta. Quello che ne rimane fu stampato per la prima volta nel 1799, ed è stato rimesso in ordine, e completato nell’ edizione del 1827 da noi annunziata. Oltre le memorie scrisse dal carcere alcune lettere , massime di addio agli amici ed all’ unica figlia che avesse avuto dal suo matrimonio. Belle sopra alle altre sono le lettere scritte quando avea pensato al suicidio per salvare il patrimonio alla figlia, dal qual disegno fu poi distratta dai consigli di un nobile amicc. Così leggendo Plutarco e Tacito, pensando ai cari oggetti del suo amore , scrivendo di se, e sospirando pel bene della patria, giunse colla tranquillità del sapiente al giorno di dover lasciare la vita sul patibolo. Come si diportasse in quel 70 terribile momento è noto a tutti per modo che sarebbe vano il ripeterlo. Pure chi ne volesse leggere una descrizione degna del fatto dovrebbe riscontrare la storia di Thiers, che queste cose ha esposte in termini proporzionati all’ altezza dell’ argomento. Cessò di vivere la Roland ai ro ottobre 1793. Saputasi la nuova dal marito pensò di lasciare la vita volontariamente ; onde conservare le proprie sostanze alla figlia, che sarebbero state con- fiscate, dove egli fosse morto per sentenza di giudici. I perchè recatosi in mezzo ad una strada per non compromettere gli amici che gli aveano dato asilo, si passò da parte a parte colla spada, lasciando scritto queste parole: “ passeggiero, chiunque tu sii, ri- spetta il cadavere di un uomo che visse e morì per l’amore della patria ;,: ciò fu ai 15 novembre dello stesso anno 1793. Meritavano miglior fine due persone tanto virtuose ; ma poi- chè diversamente fu ordinato dalla fortuna, facciamo opera perchè almeno riesca utile l’esempio, ed abbia la dovuta lode sì peregrina virtù. Il perchè nella tenuità nostra, non potendo di più, abbiam procurato per quanto era da noi di richiamare l’ attenzione sopra di un’ opera che sapevamo poco conosciuta ; e se 1’ effetto corri- sponderà al disegno, ci parrà non aver gettato inutilmente il tempo e la fatica. Francesco Fonti. SPEDIZIONE SCIENTIFICA IN EGITTO. Lettera del prof: IrroLIFo RoseLLini al Drrerrore dell’AnrorociA. Nell’ultimo numero dell’Antologia avete annunziato al pub- blico , che il mio ritorno vi faceva sperare delle particolarità più minute e più preziose relative alla nostra spedizione in Egit- - Questo segno di fiducia basterebbe a rendermi sollecito nel soddisfarvi , quand’ anco non mi fosse stato provato per molti articoli inseriti nel vostro giornale, che Voi dal lato vostro vi siete quanto più potevate adoperato , perchè meglio si divul- gassero le notizie di noi e delle nostre ricerche nell’intrapreso viaggio. E quantunque comuni siano stati i lavori e comuni i resultati della spedizione francese e della nostra, doveva nul- ladimeno desiderarsi che si avessero le nuove di noi per via diretta e immediata , .anzichè doverle cercare nei giornali di Francia. Lo che è avvenuto con mio rincrescimento , ma sen- za mia colpa. Giovami anzi di far sapere al pubblico che io 71 non ho mai trascurato di spedire notizie fors’anco più circo- stanziate e meno magre di quelle che si sono dovute racco- gliere altrove. Le mie lettere dirette a’ miei colleghi contene- vano una ordinata esposizione delle più interessanti tra le no- stre scoperte; ma non so per qual cagione, appena un terzo di queste lettere ha veduto la luce nel giornale Pisano. Le varie lettere di Champollion ripubblicate nell’Antolo- gia accompagnano la nostra caravana fino al secondo arrivo in Tebe , ritornando dalla Nubia; danno alcune notizie’ intorno al palazzo di Lugsor, che è il primo monumento tebano che s'incontra sulla riva orientale da chi scende dall’alto, e dove noi facemmo la prima stazione nel ritorno a quell’antichissi- ma capitale. Da Zugsor, traversando il Nilo ci trasferimmo , verso la metà di marzo a Biban-el-Moluk. E qui cessano le notizie spedite da Champollion in Francia, e da Voi riprodotte. Ond’io da questo punto riprendendo il filo , dirò in succinto le cose che ci avvennero dopo , fino al ritorno in Alessandria per ricondurci in Europa. E queste formeranno la prima parte della presente lettera, nella quale esporrò in secondo luogo per sommi capi i principali risultati della spedizione , affinchè col mezzo del vostro giornale si cominci a far noto al pub- blico che le speranze già concepite sull’intraprendersi di que- sto scientifico viaggio si sono ampiamente compite a notabi- lissimo avanzamento delle scienze storiche ed archeologiche. Licenziate adunque verso la metà di marzo le barche che dalla prima cataratta ci avevano trasportati fino a Tebe, la- sciammo Lugsor e ci riducemmo nei deserti recessi di Biban- el-Moluk che i Faraoni tebani, massime delle Dinastie XVIII. e XIX. prescelsero ad abitazione eterna dei loro corpi dopo la morte. È questa una valle angnsta e tortuosa, che come mean- dro esce e rientra colle sue braccia intralciate ; arida ed in- fuocata come il povero cielo che in breve spazio ricuopre le ci- me degli aridissimi colli; squallida per i tritumi del decrepito monte che scendendo ingombrano gli angusti sentieri, ed in- tristita da nere liste di strati silicei che quà e là interrom- pono la sitibonda faccia biancastra della roccia calcarea. Nel più recondito seno di questa valle che la più alta montagna chiude all’ intorno dirupata e scoscesa, sono disposte ai due lati e nel fondo, venti tombe reali, incavate nel vivo sasso a grandissime profondità e latitudini, ove si entra per un am- pia porta quadrata , alla quale 1’ opera dello scalpello preparò un adito più o meno profondo alle radici del monte. 2 Di poche ore era levato il sole, quando insieme col D. Ric- ci e con metà della caravana arrivai nella valle per far prepa- rare agli altri compagni un ricovero dagli ardori del sole. I qua- li, malgrado la non per anco avanzata stagione e l’ora solleci- ta, saettavano quelle bolge di ben trentasei gradi di caldo. Ma un Faraone della Dinastia XIX. ci offeriva nella sua magnifica tomba una ospitalità refrigerante. Poche ore dopo i letti e i ba- gagli delle due spedizioni occupavano una parte del primo cor- ridoio di questa singolare abitazione, della quale non spero averne mai un’altra sì magnifica e sì commoda, massimamente in rispetto all’inclemenza di quel cielo infuocato. Due tende fuor della porta davano alloggio ai nostri giannizzeri, ai servi arabi e alle guardie; un’altra tomba di faccia, tutta guasta dal tempo, dava ricetto alla nostra cucina. In tal guisa installati, cominciammo i lavori nelle tombe reali della valle. Io non saprei in brevi parole descrivervi la mol- tiplicità, e la bizzarria delle rappresentazioni simbolicite che in dipinti bassi-rilievi ricuoprono tutte le mura spaziose dei cor- ridoi e delle sale. La vivezza dei colori, il lucido delle vernici che brillano al lume delle fiaccole necessarie a diradare il buio profondo delle sale, è cosa che empie di stupore, quando si ri- pensa che tanti e tanti secoli non valsero a sfiorarle. Il fatto mi è sembrato così maraviglioso che ho creduto necessario di portar- ne qualche saggio originale per acquistar fede al racconto. I nostri disegnatori erano tutti occupati a copiare in coloriti disegni i quadri più interessanti delle diverse. tombe, mentre Champollion ed io eravamo intenti a prender copia delle innu- merevoli iscrizioni simboliche o funerarie che accompagnano i bassi-rilievi. Ma le iscrizioni e le figure sono in modo frammi- ste e collegate tra loro , non tanto per la materiale disposizio- ne , quanto per lo scopo e significamento delle cose rappresen- tate, che fummo costretti di abbozzare, ridotte in piccolo, tutte quelle grandi pareti, ed apporre alle figure i colori, che in que» sto genere di rappresentazioni servono meno di ornamento che di caratteri parlanti della qualità e natura delle cose rappresen- tate. Questo lavoro , se fu meno pericoloso di quelli fatti nello speco d’/bsambul per una più sopportabile temperatura, fu però quattro volte più lungo e ci costò più disagio. Il complesso di quelle scene simboliche è un dramma astro- logico , se così posso esprimermi , e più precisamente una rap- presentazione del viaggio diurno e notturno del Sole, secondo i miti della egiziana Eliologia. L’ opportunità e 1’ allusione con- 73 siste nella somiglianza che riconoscevasi tra il corso della vita di un Re e la carriera diurna del Sole ; e tra le trasmigrazioni dell’ anima reale nei Mondi inferiori è il eorso del grand’ astro nel sottuposto emisfero. Tra i grandi testi d’ iscrizioni geroglifiche che non accom- pagnano quadri figurati , è sopra gli altri notabile quello della Confessione: testo in parte già noto e riconosciuto la prima volta da Champollion come una delle sezioni ordinarie del Rituale fu- nereo. Questa confessione è negativa : il defunto comincia dal- l’invocare ad uno ad uno per ordine i quarantadue giudici del- l’Amenti (l’inferno degli Egiziani) ed a ciascuno di essi confessa di non aver commesso quella tal colpa della quale il giudice in- vocato sembra essere costantemente il vindice costituito nel tri- bunale tremendo dell’altra vita. M’immagino che debba nascervi curiosità di sapere di qual natura sieno le colpe di questa con- fessione negativa; ma non è questo il luogo nel quale io possa completamente soddisfarvi. Basti però il dire che oltre la men- zione di quelle azioni che vennero sempre riguardate dagli n0- mini come colpevoli, alcune altre se ne ricordano che derivano da dottrine e da idee morali o religiose tutte proprie degli an- tichi egiziani. I soffitti delle grandi sale ov’ era deposto il Sarcofago che racchiudeva la Mummia del Re, sono adorni di pitture di effetto tutto magico : vaste e bizzarre rappresentazioni astronomiche e per lo più zodiacali, dipinte in giallo sì vivo e sì puro, che al chiaror delle faci brillano come oro sul fondo di cobalto o di ol- tre-mare. I nomi e le figure di molte costellazioni si ritrovaho in queste grandi scene celesti, e vi si leggono spesso i calcoli astronomici che c’ istruiscono del mese, giorno ed ora del loro levarsi, del meridiano e del tramontare , ad epoche fisse. Oltre due mesi furono occupati da noi a raccogliere questa messe abbondante e preziosa delle tombe reali, con un lavoro continuo di dodici e quattordici ore per giorno. Era cominciato il mese di giugno, e noi uscivamo da quella valle di morte por- tando nei nostri aspetti qualche cosa dello squallore di sì spa- ventevole soggiorno. Risalutammo il Nilo, le palme, i sicomori, le mimose, e quel poco di verde che veste quà e là la doppia sponda che fu già sede di Tebe. Ma la nostra abitazione non di- venne perciò molto più lieta, perchè costretti a tenersi vicini, ai monumenti, prendemmo alloggio in una specie di casa che un buon lucchese Piccinini, agente del sig. d’Anastasy console generale di Svezia , aveva lasciata a nostro uso. È questa casa T. XXXVII. Febbraio 10 74 o capanna situata sul pendìo della montagna libica in mezzo al- l’ antica necropoli di Tebe. Teschi, braccia, gambe ed altri 0s- sami di mummie disfatte le fanno da ogn’ intorno orrenda ghir- landa, e i tritumi dell’ arido monte si mescolano alla nera pol- vere d’asfalto stritolato dagli arabi, avidi cercatori di oro nel ven- tre dei cadaveri che dissotterrano. Champollion era rimasto con due dei suoi a terminare certi lavori alle tombe dei Re: io con- duceva le due spedizioni al Reale Palazzo di Medinet-Abu e di- stribuiva ai disegnatori l’ opera giornaliera. Intanto l’estate te- bana fioccava tutti i di più tremenda, ma il Nilo gonfiandosi tutti i giorni delle sue benefiche acque fecondatrici, operava tal miracolo sull’ atmosfera e sù noi, che potevamo senza grave in- comodo sopportare un sole di cinquanta e più gradi. Il chamu- nil, che così chiamano gli Arabi un’eruzione cutanea che spunta e cresce col crescer del Nilo, tornava per la seconda volta e più copiosamente a infastidirci: chè già l’inondaziune dell’anno precedente ce ne aveva dato un buon saggio. Talchè sul ca- der del sole , prepotente facevasi sentire il bisogno di prendere un lungo bagno nel Nilo. Gli arabi non cessavano di ripeterci che ci esponevamo ogni volta a sdrucciolar nella gola di un coc- codrillo , ma ci rassicurava abbastanza il loro carattere bugiardo e l’animo che hanno sempre proclive ad ogni genere di spavento. Suolevamo infine dissipare ogni sospetto con la cautela di sca- ricar sull’acqua le nostre pistole prima d’immergersi. Infatti fosse per l’efficacia del mezzo , fosse perchè i coccodrilli, checchè ne raccontino gli arabi, non siano soliti di assalire gli uomini che nuotano nel Nilo, mai accidente veruno di questo genere non venne a disturbare i nostri dolcissimi refrigeri. Per essi poteva- mo trovare qualche ora di sonno nelle notti calde di trentasei gradi. Sù questa parte occidentale dell’antica Tebe riconoscevamo primieramente , e per prove incontrastabili, la celebre Tomba di Osimandia sì minutamente descrittaci da Diodoro Siculo , ed avevamo ‘per conseguenza certezza dell’identità di questo Re fa- moso con quel Ramses il grande che Champollion aveva creduto essere il Sesostri delle storie. Molte sono state le correzioni che l'esame dei grandi monumenti ci ha dato occasione di fare alla già supposta successione dei Faraoni, e massimamente di quelli della Dinastia XVIII.® E queste saranno a suo tempo pubbli- cate e con quelli argomenti di fatto che ne rendono evidente la prova. Il palazzo di Medinet-Abu ci dava scolpite in vasti bassi- 79 rilievi la spedizione , le battaglie e le conquiste nell’Asia del Faraone Ramses-Meiamun nel quale non dubito doversi ricono- scere il vero Sesostri il grande. Dietro a questo vasto edifizio , in un tortioso seno del monte, trovavamo le sconosciute tombe delle regine mogli di Faraoni ; e procedendo verso il mezzogior- no, un piccolo tempietto tolemaico ci mostrava una porta rico- strutta. sotto il regno dell’ imperatore Oftore, unica costruzione, per quanto io: sappia, che rimanga di questo Monarca. Tornan- do in giù verso il nord richiamava la nostra attenzione un grande e mezzo sepolto monumento del Faraone padre di Ramses il gran- de, di quello stesso del quale la tomba fu aperta dal nostro Belzoni. In' mezzo a tanti e sì giganteschi avanzi di una delle più antiche ‘civilizzazioni del mondo , pensate , carissimo Vieusseux , quante volte la nostra fantasia trasportata dall’entusiasmo si per- deva nei secoli passati! Quante volte ho desiderato che i miei amici. d’ Europa potessero far con me esperimento delle indi- cibili sensazioni che provansi alla vista di cose sì grandi, sì antiche e sì famose! Nel traversar la pianura, mi avvenne più volte di trovarmi col sorger del sole dinanzi allo smisn- rato colosso di Memnone canoro che allato ad altra statua della stessa icolossal dimensione , torreggia benchè seduto , in mezzo alla campagna. Quando lo vide Strabone era mutilato di ‘tuttà la parte superiore: ora è intero per ristauro indubitatamente romano. E muta è la sua voce che, fosse naturale accidente o sacerdotale artificio, non può dubitarsi essere stata udita in altri tempi; tante sono le testimonianze e sì grave è 1’ auto- rità di molti di quelli che 1’ intesero e che lo lasciarono scritto sulle gambe dello stesso colosso. Questo Memnone dei greci è, come sapete, il Faraone Amenof II.° per gli Egiziani. Oltre i grandi monumenti restavaci a visitare sn questa sponda la tebana Necropoli; numero immenso di tombe , cavate tutte nella montagna , diverse di pianta e di grandezza, ed alcune va- stissime che nascondono nei loro cupi recessi pozzi profondissimi , dai quali si scende in altri aditi e sale. Il pensiero si perde alla contemplazione di opere sì sterminate. Ho visitato in questo luogo ad una ad una sopra trecento tombe, molte delle quali ero co- stretto a far sgombrar sull’entrata tanto da potervi sdrucciolare il corpo, o introcurvisi andando per lungo spazio carpone. Con- fesso che questa visita la facevo non senza un certo sentimento di paura, perchè non era infrequente di dover là entro turbare nelle loro abitazioni i serpenti Haia , i basilischi dei greci, le x 706 tremende ceraste e gli scorpioni, che in Egitto sono venefici quasi al par della vipera tra noi. Vari terribili fatti accaduti. sotto i nestri occhi, ci tenevano assai inquieti nel pensiero di questi animali, che troppo frequentemente ce li vedevamo intorno. Ma le cose che potemmo raccogliere nelle tombe incoraggia vanmi a sprezzare il pericolo del visitarle. Là entro scolpite o dipinte trovava notizie preziosissime intorno allo stato civile e domestico degli antichi egiziani; come si vede dai molti disegni che ne abbiamo tratti. Col finire di luglio lasciammo la sponda occidentale per re- carci all’ altra riva, dove a distanza di più d’un miglio dal Nilo stanno le immense rovine del palazzo di Karnac. Il paese è ridente di belle palme e di cnltura, ed allora reso più vario e più vago dai canali che portano la fecondante inondazione. Un tempietto tolemaico diede comodo alloggio a tutta la caravana. Sulle pareti esterne di quelle vaste rovine , le più grandi di quante ne restano al mondo, copiammo i bassi-rilievi rappresen- tanti le conquiste del Faraone padre di Ramses il Grande : osser- vammo accuratamente tutte le parti dell’edifizio che appartengono a diverse epoche dei regni Faraonici ; raccogliemmo iscrizioni e date importantissime per la storia ; e notammo i ristauri dei tempi greci, tra i quali il più antico è il Santuario di granito riedificato sotto il regno di Filippo-Arrideo. Un gran tempio dedicato al Dio Chons , il figlio primogenito d’Ammone, e situato al sud-ovest delle rovine del palazzo, ci fè per la prima volta conoscere gli ultimi re della XX.* dinastia , e molti altri interessanti trovati ci fruttò 1’ esame di quelle grandi rovine che al nord e al sud ricuoprono la pianura sul lato orientale di Tebe. Intanto il Nilo, che oltre il consueto ricuopriva di acque abbondanti la doppia sponda, ravvicinava al nostro alloggio le bar- che preparate per la discesa. Partimmo da Tebe il sette di set- tembre e fummo in breve a Denderah per rivisitare il magni- fico tempio dell’ antica Tentyris, che ci parve sì bello fino dal primo viaggio che vi facemmo nel 1828. Le nostre barche non poterono per hassezza di acque ravvicinarsi tanto che non fos- simo distanti quasi tre miglia dal monumento. Un angnsto ca- nale poteva»però trasportarci per gran parte di quel cammino. Empimmo di noi un piccolo palischelmo arabo che spiegando la vela a un forte vento orientale ci trasportava rapidissimamente verso Denderah , strisciando da ambe le parti le alte sponde del canale, e mietendo col suo striscio 1° erbe freschissime e 79 lunghe che ricuoprivano quasi tutta la faccia delle acque. Di tanto in tanto i rami dei tamarisci, delle mimose e dei salici intrecciati dall’ una all’ altra sponda , formavano sopra di noi una vaghissima volta. verdeggiante e odorosa. Breve ma delizioso viaggio che ci ristorava dalla lunga e squallida abitazione del deserto , e che rendeva a’ nostri animi quella serenità che è quasi luce riflessa da un sorriso della natura. Ci trattenemmo due giorni al tempio di Denderah, Varchi- tettura del quale non perde della sua sublime bellezza neppure agli occhi di quelli che ritornano da Tebe. Le sculture però del- l’ epoca romana portano 1’ impronta di quei tempi infelici del- l’arte egizia: le più antiche sono quelle che ricuoprono il fondo esterno del tempio , dove Cleopatra e ;il Figlio di lei e di Cesare, rappresentati in gigantesca figura , fanno offerte alle divinità titolari dell’ edifizio , il quale fu più specialmente dedicato alla Dea Athyr, la Venere degli Egiziani. Nelle stanze superiori no- tammo il luogo d’ onde fu tratto il troppo celebrato Zodiaco che si conserva in Parigi , e in tutte queste costruzioni non trovammo una sola pietra che non appartenga ai tempi dei romani im- peratori. Da Denderah il gonfio e rapidissimo Nilo ci trasportò in pochi giorni a rivedere il Cairo, quella grande e bizzarra città che, a chi ha letto le mille e una notte, sembra spettacolo che ricorda e realizza in certo modo un sogno antico. Quivi fummo graziosamente accolti da Ibrahim Pascià, al quale ci preseutammo dopo aver rasate le nostre barbe e ripreso 1’ abito d° Europa. Quel guerriero che dopo la spedizione della Morea ha. preso in grande stima e desiderio le istituzioni europee, ci ricevette non colle gambe incrocicchiate alla turchesca, ma con un piede ab- bassato dal divano e posato fino a terra. L’ atteggiamento era un vero passo verso la nostra civiltà. Dopo pochi giorni continuammo a discendere il Nilo fino al ventre della vaccu ; e quì lasciammo 1’ Egitto, e tornammo a percorrere l’arida Libia fino ad Alessandria, navigando il canale Mahmudieh. Il Vice-Re Mohammed-Ali ci fu largo di gentilezze e di onori; ricevette come in principio in ore diverse le due spe- dizioni, e quindi fu dato a Champollion ed a me facoltà d’ in- tervenire ogni sera alle sue mercantili conversazioni. Il bastimento da guerra francese che doveva ricondurre in Europa le due spedizioni come già le aveva condotte in Egitto, non compariva, e la stagione avvicinandosi all’inverno, ci fece pren- dere il consiglio di partire di là col primo incontro. Noi e’ im- 78 ircammo su legno mercantile toscano il diciassette d’ottobre; e fummo in Livorno dopo quarantadue giorni di tempestosa navi- gazione. Champollion con i suoi partì un mese dopo per Tolone col ritorno di un bastimento francese che aveva trasportato in Sivia il console Malivoir. Eccoci adunque ; carissimo Vieussenx , ritornati in Europa, alla quale dobbiamo'render conto delle nostre operazioni e del frutto che ne riportiamo. Nostro dovere era di percorrere a passo a passo 1° Egitto e la Nubia:; visitarne mivutissimamente i grandi e i piccoli monumenti. col lapis e colla petina alla mano ; pene- trare in tutti gli scavi che la cura dei morti, o la pietà verso gli Dei aveva:con inesprimibile sofferenza e fatica condotto a sca- vare-nelle viscere dei monti: disegnare tutte le figure, i bassi rilievi, copiare:tutte le ‘iscrizioni , notare i luoghi, descrivere i monumenti , esaminare , paragonare ) e mettere allo scoperto le parti ingombre di ogni edifizio. Questa fu 1’ opera nostra costante di tutti i giorni per un'intero anno , ed i trovati giornalieri erano in tal mumero e di tanta importanza; che la. mente non ebbe mai luogo idi riflettere ai pericoli, nè il corpo di sentire i disagi che ricevevano una ricompensa sì larga e sì perenne. Ogni passo che facevasi ai monumenti era per Champollion''un vero trionfo ; poichè il sistema fonetico riceveva da ogni nwovo testo nuova con- ferma, e le applicazioni e i confronti lo avvicinavano tutti i giorni più ‘al suo complemento : talchè non eravamo ancora alla metà del viaggio , che potevasi già contare un gran numero di parole e di segni che ci erano sconosciuti in Europa. Da tanti studi e da tanta ricchezza di materiali e di mezzi doveva naturalmente derivare molta dovizia di risultati! Una col- lezione di sopra mille trecento disegni, e molti coloriti a norma degli‘ originali, comprende tutto quanto rimane ancora d’ inte ressante sui monumenti egiziani. E quattordici manoscritti volumi d’ iscrizioni geroglifiche e di nute , racchiudono i materiali atti a redigere il testo d’ illustrazione dei disegni. Questa ricca raccolta si possiede intera dai Francesi e da noi, poichè i disegni originali comunicaronsi e si copiarono a vicenda per valersene a suo tempo nella comune pubblicazione. Ma non potendosi per la natura e per la copia delle cose eseguir così presto questo progetto, gioverà intanto che il pubblico conosca, esposte per sommi capi, le ma- terie diverse che formano il soggetto dei raccolti disegni. E di que- sta esposizione farò argomento alla seconda parte della presente lettera. Nell’ ordinare il nostro vasto portafoglio , che è stata la mia e i Nd i 79 occupazione nel Lazzeretto, ho avuto in animo di presentarlo come un dramma figurato dagli artisti egiziani sui Joro monumenti per tramandare alla più lontana posterità i fatti illustri e lo stato abituale della nazione; ridotti di più a forme sensibili e messi in azione fisica i dogmi e le idee più astratte della loro credenza religiosa. Uomini e Dei sono per conseguenza i personaggi attori di questo gran dramma, e gli uni e gli altri sono interessantissimi a conoscersi per la storia degli uomini e delle loro istituzioni. E quantunque la storia civile degli egiziani sia più di quella di ogni altro popolo strettamente congiunta. coila religiosa, ho, nulladi» meno creduto di servir meglio all’ ordine, dividendo in due. grandi classi i disegni che più propriamente alla storia o alla religione si riferiscono. Ho distinto la. prima classe in due capi: in storia esterna, la quale fa conoscere le imprese degli egiziani fuori del loro paese ; e in storia interna, che dimostra lo. stato civile sì pubblico. che privato di questa sì grande e sì celebrata nazione. Ciascun capo vien suddiviso in tante sezioni, quanti sono i differenti fatti sto- rici che i nostri disegni ci rappresentano. Eccovele quì descritte ; cominciando da quelle che riguardano la storia esterna. La I.* per far conoscere i principali personaggi del dramma, comprende una Zconografia , o raccolta di Ritratti e figure dei re d’ Egitto e delle loro famiglie , cominciando dal capo della XVII.* dinastia dei Faraoni, fino a Cleopatra ultima delle famiglie dei Tolomei. È quasi a tutti noto che sul finire della XVII,® dinastia faraonica un’ orda immensa di barbari chiamati Pastori invase e ravvolse nella barbarie l’ Egitto per oltre due secoli e mezzo. In questo regno feroce di destruzione pochi monumenti sfuggirono alla rovina; ed è per questo che non ci è avvenuto di trovar ritratti di Faraoni anteriori alla dinastia XVIII.* (eccetto qualche caso ancor dubbio ) la quale fu ristauratrice della più antica gran- dezza. L° epoca di questo fausto avvenimento per l’ Egitto resta fissata con certezza all’anno 1822 innanzi l’Era cristiana. Se però i monumenti superstiti non hanno potuto presentarci i ritratti de’ monarchi anteriori, ce ne hanno bensì in gran parte fatto cono- scere i nomi ricordati nelle serie degli antenati. Una iconografia greca che, possediamo raccolta dal più grande degli archeologi eccitò tanto interesse ed è di un uso sì grande per gli antiquari e per gli artisti. Di quanta importanza non sarà adunque una iconografia egiziana dissotterrata oltre ogni speranza da rovine che videro passar sopra se tanti secoli, ed arricchita di tutti i 80 preziosi particolari del costume usato dai re di sì fastosa nazione ! Che poi i disegni da noi raccolti ci conservino i veri ritratti dei monarchi egiziani è cosa'indubitata ; ‘poichè quei volti sono sem- pre vari , impressi di un carattere proprio e senza scelta ; e pre- sentano una costante somiglianza della medesima persona sni diversi monumenti e nelle diversissime distanze ove si trovano. Nella 2.* si rappresentano le conquiste riportate sopra po- poli dell’ Affrica e dell’ Asia dal Faraone padre di Ramses il grande. Questi disegni sono tratti da una grandissima parete esterna del palazzo di Karnac. La 3. rappresenta le ‘battaglie , le conquiste ed il bottino riportato & Etiopia da Ramses II.° primo figlio e successore del Faraone precedente. Le prede che accompagnano il trionfo del vincitore consistono primieramente in un gran numero di schiavi etiopi d’ ambedne i sessi, i quali traggon seco l’oro, le pie- tre e i legni preziosi, l’ avorio , le pelli di animali, i qua- drupedi , gli uccelli rari ed altri prodotti più riputati del loro paese. Tutti questi gruppi sono composti con semplice e bel- l’ arte. Gli originali esistono nello Speco di Beit-walli presso Kalabscieh in Nubia. La 4.* comprende i combattimenti e le vittorie di Ramses il grande , terzo di questo nome, sopra i Battriani e altri po- poli di razze Scitiche. Le nostre ricerche ci hanno dimostrato che questo Faraone è il tanto celebrato Osimandia di Diodoro Siculo, ed a lui appartiene quell’ edifizio del quale lo storico ci ha lasciato una descrizione così pomposa, e che i viaggia= tori suolevano designare sotto il nome di Memnonio. Questi di- segni sono presi sulle mura interne del non men terribile che magnifico Speco d’ I&sambul in Nubia. Possediamo lo stesso soggetto rappresentato in compendio e copiato sul Pilone del palazzo di Lugsor a Tebe. La 5.° presenta un gran frammento delle battaglie dello stesso Faraone Osimandia , mosse a sottomettere i Battriani ri- belli: soggetto indicato dallo storico Siciliano come esistente nel Monumento di Osimandia e da noi ritrovato sulle rovine di questo monumento medesimo. Vi si osserva tra le altre cose l'attacco di una specie di cittadella circondata da un fimme, e l’ assalto di una fortezza fatto col mezzo di scale. I figli del re salgono primi tra i combattenti. La 6.* rappresenta »una grande spedizione militare nell’Asia contro popoli abitatori delle Sponde dell’ Indo; intrapresa dal SI Faraone Ramses-Meiamun capo della XX." Dinastia, e nel quale mi sembra , come spero poter dimostrare in altro luogo , doversi riconoscere il vero Sesostri il grande delle Storie. La lunga serie dei bassi-rilievi che rappresentano questa grande spedizione , apresi colla distribuzione delle armi ai com- battenti. Quindi, primo innanzi a tutti, procede il carro d’Am- mone nel quale è riposta la vittoria. I nemici vengono alle mani cogli Egizi e sono messi in rotta massimamente dagli strali del Re, che feroce giganteggia sul carro e sparge da ogni parte il terrore e la morte. Procede poi vittorioso nel paese ne- mico ed ha da combattere coi leoni che ne infestano le vie. La gran lite vien decisa in una battaglia navale, dove il Re saetta di sulla sponda le masse atterrite e sconvolte dei ne- mici; grande è il numero degli estinti, e per noverarli si ta- gliano loro le mani e si accatastano. Il re istrutto più minu- tamente da’ suoi generali dell’ esito della battaglia , dispensa premi ai valorosi; e tratto in trionfo tra i trofei della vitto- ria, trae egli stesso avvinti i prigionieri e ne fa offerta alle grandi Divinità dell’ Egitto. Il palazzo di Medinet-Abu a Tebe ci ha fornito tutte queste importantissime scene. Nella 7.8 ed ultima Sezione si comprende una raccolta di Stranieri di razze diverse affricane, asiatiche e fors’ anco euro- pee , rappresentate sui monumenti egiziani. Questa collezione è pregievolissima non solo per il nome delle razze diverse, che per lo più portano scritto; ma eziandio per la fedele espressione dei caratteri fisici e dei bizzarri costumi di quei diversi po- poli. La maggior parte son coloriti, e per conseguenza servono maravigliosamente all’ arte e alla storia. Tanta è la copia dei materiali storici del capo primo che più specialmente riguardano la storia esterna dell’ Egitto. Nel secondo capo comprendo i monumenti di storia interna, i quali dividonsi nelle sezioni seguenti: La 1.° comprende la Casta Militare , quella celebre classe della nazione Egizia che insieme col re e col sacerdozio for- mava una possente aristocrazia, che durò per tanti secoli im- perturbata. Oltre i ritratti di vari capi militari, si trovano in questa sezione delle rappresentazioni di guerra: gli esercizi ginnastici dei militari espressi in cento quattordici gruppi tutti diversi di forme e di positure. Vi è aggiunta una collezione d’ insegne e di armi. La 2.* rappresenta 1’ agricoltura, ove veggonsi i diversi me- T. XXXVII. Febbraio II 82 todi di coltivare i campi ; la cultura della vigna ; la vendem- mia e la custodia del vino. 3.° L’ Educazione dei bestiami e la veterinaria. 4° L’amministrazione della giustizia , ove udita l’ accusa e i testimoni , s’ istituisce il processo ed il reo vien condannato al bastone. La sentenza si eseguisce collo stesso metodo che si pra- tica ora dai turchi sugli arabi. 5.* La vita domestica: vi si rappresenta il modo del vivere nelle case dei privati; le provvisioni di vitto ; la cucina , il ve- stiario , il servizio interno delle famiglie , ec. ec. 6.° Le arti e mestieri. Sono tra i secondi quasi tutti i rami dell'industria utile alla vita : tra le prime si notano la scultura e la pittura. 7.* Gli ornamenti delle abitazioni. Comprendo in questa sezione , oltre una serie di mobili ricchissimi ed elegantissimi , molti saggi di quelle pitture delle quali suolevano gli egiziani ornare i loro soffitti. Non potrebbe descriversi quanto buon gusto e varietà si trovi in questo genere di ornamenti. 8.4 I vasi; dei quali si sono raccolte e disegnate tutte le diverse forme ; i colori e le iscrizioni ne iudicano la materia; ve ne sono di terra, di pietra, di smalto , di vetro , di bronzo e di oro , e questirultimi con sculture e cisellature che dimostrano aver saputo anco gli egiziani vincere colla sublimità del lavoro il pregio della materia. g.° La navigazione , ove si veggono tutte le differenti specie di barche che servirono fino dai più antichi tempi alla naviga- zione del Nilo. Vi sono le ricche e pompose barche destinate al sollazzo dei grandi; vi sono le barche funebri colle quali si tra- sportavano le mummie alle diverse Necropoli. Ogni barca ha remi e vele, latine o quadre. 10.° La caccia ai quadrupedi ed ai volatili, e la pesca. Gli egiziani furono vaghissimi di simili divertimenti. Davano la caccia ad ogni specie di quadrupedi colle frecce scagliate dall’ arco. Agli uccelli tendevano agguati somigliantissimi ai nostri archetti, oppure ne sorprendevano gli stormi passanti con grande apparato di reti a copertoio. La pesca si faceva coll’ amo e colla canna, o con un arme analoga alla nostra fiocina che il pescatore ritto su di una barca vibrava contro i pesci a fior d’ acqua ; 0 final- meute con grandi reti che molti uomini salpavano dalla riva. 11.° Una raccolta di quadrupedi , uccelli , insetti, pesci, e piante rappresentate sui monumenti egiziani. Questa estesa rac- colta riuscirà interessantissima ai naturalisti non solamente per 83 la scrupolosa esattezza colla quale sono ritratte le forme ed i co- lori, ma ancora per la natura e qualità di certi individui che appartengono forse a specie perdute. Ciascun individuo porta scritto geroglificamente il suo nome. 12.° La musica e la danza. Comprende dei concerti di suono e di canto. Tra gli strumenti musicali ritrovasi 1’ arpa di varie e bellissime forme con differente numero di corde fino a venti- due ; la teorbia o specie di mandolino ; il flauto , il piffero, le tibie ed il cimbalo bacchico. Tra le danze si veggono scene so- migliantissime a quelle cha furono molti secoli dopo rappresen- tate dai greci e chiamate feste baccanali. Quì pure i danzatori sono vestiti di pelle e armati di tirso ; bevono e quasi furibondi si agitano, e schiamazzano. 13.° Giuochi e divertimenti. Tra i primi si osserva una spe- cie di giuoco di scacchi; gli altri sono in generale esercizi del corpo , come il trar del cerchio ; il duello con targa e con ba- stone ; il giuoco della palla; quello che volgarmente si chiama tra noi scarica-barili , e molti altri, tra i quali il nostro giuoco plebeo della mora. 14.° Architettura , ornato e vedute pittoriche. E quì si com- prendono i piani, le misure e le vedute di quei monumenti che noi facciamo conoscere per la prima volta all'Europa, e tutti quei membri d’ architettura e d’ ornato che furono negletti o mal di- segnati dai precedenti viaggiatori. La seconda classe dei disegni riferiscesi più strettamente alla religione degli antichi egiziani; e questa pure è tutta dram- matica , esprimente agli occhi del volgo bizzarri accozzamenti di figure e di scene, ma significanti al criterio del sapiente l’ espres- sione simbolica di massime morali e di molte altre filosofiche dottrine. Delle varie sezioni nelle quali 1’ ho suddivisa , La 1.° comprende i personaggi di questa seconda parte del dramma ed è intitolata Pantheon. Abbraccia perciò tutte le fi- gure delle divinità egiziane, che ho disposte in ordine di gerar- chia, secondo le loro derivazioni. Poichè nella mitologia egi- zia il grande Ammone, la causa incomprensibile ed infinita di tutte le cose, ed essere perfetto che risulta dalla congiunzione perpetua di due principi, maschio l’ uno , femmina l’ altro ; que- sto grande Ammone, io dico, si dirama nei due principi che in se comprende : il principio maschio, trasformandosi e degradan- dosi a misura che si trasforma per più avvicinarsi all’ umana na- tura, veste tante differenti forme quante sono le divinità ma- schie degli egiziani, fino ad Osiride. che è la causa efficiente 04 delle inondazioni del Nilo e l’ essere o la forma divina più pros- sima alla natura dell’ uomo. A ciascheduna di queste trasformazioni compete 1’ esercizio di uno speciale attributo di quella causa prima dalla quale de- riva. Il principio femmina discende in altrettante degradazioni corrispondenti , fino a quella forma che vien chiamata Iside , immagine della inon'azione che feconda 1’ Egitto e sorella e mo- glie di Osiride. Nella stessa guisa si maritano tra loro tutte le trasformazioni del medesimo grado, e da ciascheduna di queste unioni nasce un figlio che simboleggia la potenza delle due forme e attribuzioni riunite ; così per modo di esempio il Dio Mandu congiungendosi alla Dea Athyr ne nasce Har-tho-phre ; lo che in più chiari termini significa che dal calore e dalla luce risulta il sole fisico del mondo. Eccovi un breve cenno di questa vasta macchina dell’ egi- ziana teogonia. In questa prima sezione di disegni si trovano tutte le forme e tutti i simboli che vi si riferiscono, e tutti i nomi e i titoli che ce ne dichiarano il mistero. La 2.° sezione comprende la rappresentazione di varie favole più celebri della credenza egiziana , come la creazione dei mondi operata dal Dio Phtah ; la manifestazione, la morte e la risur- rezione di Osiride; la nascita e l’infanzia del sole ed altre simili. La 3.* si compone di varie scene astronomiche , simboliche ed anaglifiche. Le prime rappresentano diversi stati del sole o delle costellazioni secondo le dottrine dell’ egiziana mitologia : le seconde esprimono massime morali e filosofiche ; le terze final- mente, che ne piace chiamarle anaglifiche , servono a simboleggiar per figure i nomi ed i titoli dei re. Nella sezione 4.* sono rappresentate le funzioni e i riti di pubblica religione. Vi si veggono le processioni e le feste solenni usate nell’ innalzamento di un re al trono dell’ Egitto. Le ini- ziazioni, le purificazioni ec. ec. Nella 5.* ho raccolto una serie di scene che possono chia- marsi religiose e che esprimono le adorazioni, o le offerte fatte dai re d° Egitto alle varie divinità locali; e i privilegi e le grazie accordate dalle divinità medesime ai re. Di queste scene si trova grandissima copia su tutti i monumenti egiziani; ne abbiamo fatto una scelta, e disposti com’io gli ho nell’ ordine topografico dei monumenti sui quali sono scolpiti, ci danno ordinatamente l’epoca, l’autore e la divinità titolare di ciaschedun monumento del- l’Egitto e della Nubia, dal principio dell’ Eptanomide fino alla seconda cataratta del Nilo. 85 La 6.* sezione comprende una serie di quadri storico-religiosi che rappresentano adorazioni o offerte fatte dai re alle divinità locali nell’ occasione di panegirie ( adunanze pubbliche e solenmi celebrate ‘ogni fissato periodo di anni) o di altri atti di sovrana autorità. In questa serie si trovano più quadri che rappresentano la nascita , l’ infanzia e l'innalzamento al trono del Faraone Ame- nophis III . noto sotto il nome di Memnone. La 7.° finalmente racchiude le scene funebri tratte dalle tom- be egiziane, e questa è suddivisa in tre parti. La r.* comprende una rappresentazione di Ritua/e funèbre dei re d' Egitto copiata nelle tombe reali a Tebe. La 2.* si compone di grandi quadri funebri tratti dalle medesime tombe e rappresentanti diverse adorazioni dei re alle divinità custodi de’ defunti. La 3.°% com- prende una serie di riti funebri presi nelle tombe dei privati. Quivi si vede il rito dell’ imbalsamatura dei corpi; 1’ accompa- gramento solenne delle mummie al sepolcro ; il pianto dei pa- renti e degli amici ; le aspersioni, le preghiere e i voti dell’ul- timo vale, e finalmente il funebre banchetto che terminava ogni funzione pia verso i defuati. Eccovi esposto quanto più brevemente e più chiaramente ho potuto la serie e la natura dei materiali onde componesi il no- stro Portafoglio . L’ interesse che da per sè stessi risvegliano i soggetti indicati è maggiormente accresciuto dalla costante pre- senza delle iscrizioni, che esprimono sempre per parole quel- lo che le figure diverse dimostrano agli occhi. Questo dop- pio linguaggio, mentre ha fornito nuove e moltiplici prove ai principi già scoperti dallo Champollion, ci ha dato un mezzo comodo e sicuro ad estenderne ampiamente l’ applicazione . Il pubblico ne avrà tra breve soddisfacienti resultati , com’ io spe- fo, quando ne sia dato agio di studiare ad estrarre dai mate- riali raccolti le cose di vario genere ch’ essi racchiudono. Poichè i quattordici manoscritti volumi di note ed iscrizioni che ho prese e copiate sui luoghi stessi colla più scrupolosa diligenza , ser- vono quasi di testo, o di mezzi a comporlo, per illustrazione dei disegni. Ma quantunque gli studi storici tratti dall’esame dei grandi monumenti fossero l’ oggetto . principalissimo della spedizione , pure i mezzi datici dal munificentissimo Sovrano ci hanno age- volato il conseguimento di altri non meno interessanti risultati. Quindi riportiamo una ricca collezione di oggetti di storia na- turale, che la dottrina e lo zelo infaticabile del nostro prof. Raddi 86 raccolse ne suoi coraggiosi viaggi in Egitto, in Nubia e sulle sponde del Mar-rosso. Ma l’avversa fortuna non concesse a que- st’ uom dotto e dabhene di godere con noi della gioia del ritorno e delle congratulazioni della cara patria! Altri però avrà cura dovuta ed amorevole di far pubbliche le onorate ed utili fatiche del nostro perduto compagno ; che io non valgo a tanto, e men duole . Un'altra collezione da noi riportata è quella delle antichità egiziane tratte per la maggior parte dagli scavi che ho fatti ese- guire a Tebe. Spero che anco questi oggetti non riusciranno inu- tili alla storia delle arti, e massimamente agli studi storici in ge- nerale. Ma oramai troppo in lungo ho tratto questa lettera, nè potrei con brevi parole dir quanto basti a far conoscere la qua- lità e il pregio di questa raccolta di oggetti antichi. Permettete- mi adunque , carissimo Vieussenx , che ad altra occasione dif- ferisca di parlarvene. Gradite intanto i sinceri sentimenti dell’af- fezionatissimo vostro IppoLITo RosELLINI. —————<€——________——_—___—_P_—_—_—_—__—_____—_—__—_—_———_—_——_———_——————___P___+ - —__+—___—_—_— La Vita di Cora pr Rienzo ridotta a miglior lezione e illustrata da Zrrirtno Rx. Forlì, Bordandini 1828-29 , tomi 2 in 8° con ritratto preso dal Museo Barberiniano. Poche opere del secolo decimoquarto sono sì curiose e po- trei pur dire sì importanti a leggersi come questa Vita del Tribuno; e nessuna forse parve finora meno leggibile. Due volte essa ‘era stata stampata nel secolo decimosettimo su codici assai scorretti, e da womini , per quel che sembra , di non molta cri- tica; poi una terza nel secolo seguente, e per vero dire da un gran critico , cioè dal Muratori (nel 3.° vol. delle Antichità del Medio Evo ) sopra un codice assai pregevole , quello che fn del Duca di Norcia. Tra per le cose , però , lasciate correre o non ispiegate dal gran critico , il qual dovea le sue cure a troppe opere diverse , tra per l’ idioma particolare, in cui la Vita è scritta , il numero de’ suoi lettori appena si accrebbe. Sembra che il Perticari si preparasse a darne o il testo ricorretto o una specie di versione dal volgar romano in quello ch’ ei chiamava romano illustre , come già fece d’ un capitolo della Vita mede- sima nell’Apologia di Dante. Ma il lavoro intrapreso a tal uopo, e di cui abbiam notizia dal Costa nel suo elogio , forse non fu 87 condotto molto innanzi. E il nuovo editore non potè giovarsene più che di quello del Valesio , il qual ridusse pur egli la Vita a miglior lezione, e la corredò di dichiarazioni di voci e di note storiche, poche delle quali rimangono, a render più dispiace- vole la perdita di tutto il resto, nell’ archivio capitolino. Se il Perticari avesse dinanzi qualche codice migliore o di- verso da quello adoperato dal Muratori, non so. Il nuovo edi» tore si attenne al testo muratoriano ; cui cercò di emendare o interpretare al iume della critica senza aiuto ‘alcuno di codici. E già quelli, che avean servito per le due edizioni del secolo de- cimosettimo , non importava cercarli. Quello , che servì al Vale- sio, e quello , che fu veduto dal Panvinio , che primo fece co- noscere la Vita del Tribuno , forse non son più reperibili. Gli altri, veduti già dai Deputati al Decamerone e da Scipione Am- mirato, non si saprebbe oggi additarli che per congettura. Il cav. Ciampi , scrivendo l’anno scorso al nuovo editore , gli fece motto d’un codice magliabechiano (già gaddiano) in cui si trova la Vita con altri de’ Frammenti di storia Romana pubblicati in- sieme dal Muratori ; e il nuovo editore , com’ è verosimile, si sarà doluto di non esser più in tempo di profittarne. Il codice però , se posso farne giudizio da pochi confronti col testo mu- ratoriano , non contiene varianti d’ importanza, ma solo un maggior numero di lacune , supplite alcuna volta in calce, ove sì trovano separati il capo 26 poi il 23, corrispondenti ai primi sette o otto del terzo libro de’ Frammenti secondo la divisione del testo muratoriano già detto. Del rimanente e di questo codice e d’ altro laurenziano , alquanto più antico , ma meno completo e men corretto , darà in breve ragguaglio il cav. Ciampi mede- simo in uno scritto che sta per pubblicare sulle origini della no- stra lingua. Il nuovo editor della Vita, la quale si comprende nel se- condo e terzo libro del testo muratoriano, ha seguìto esattamente la division de’ capitoli de’ libri medesimi, divenuti per lui pri- mo e secondo , e serbato gli argomenti che trovausi nella secon- da edizione già indicata del secolo decimosettimo. Nella prima , che pur si disse, la Vita si attribuì ad un Tommaso Fortifiocca notaio del senato romano. Ma nella seconda, con migliore con- siglio , come s’ esprime il nuovo editore, quel nome fu tolto. In fatti chi legge nel secondo capitolo del libro primo ciò che vi si dice d’un atto villano del notaio contro il Tribuno, poi nel de- cimoquarto come il Tribuno lo fece prendere e mitriare qual fal- sario , crederà difficilmente , che la Vita, di cui que’ capitoli 88 formano parte ; sia scritta dal notaio medesimo. Chi però l’ ab- bia scritta nemmeno al Muratori è riuscito di scoprirlo. Quello che par certo si è che l’abbia scritta un contemporaneo del Tri- buno ; un testimonio oculare delle cose in essa narrate , qual ei si dichiara a principio de’ Frammenti ond’ è tratta . Il solo Ba- luzzi , per quanto io sappia , dice il nuovo editore , sembra aver- ne dubitato : gli altri storici ed eruditi, atti a giudicarne , vi hanno trovato quel carattere originale , quelle forme inimitabili di peusiero e di stile che vietano ogni dubbiezza. Questa Vita , in cui il Perticari loda a ragione la chiarezza, il vigore, la vecchia semplicità, non ha forse vero paragone che nella Cronaca di Dino Compagni. Le manca solo d’ esser scritta nella lingua di Dino per meritar egualmente l’altra lode che al Perticari piacque darle di una grandissima proprietà. A ren- derla leggibile a tutti il nuovo editore ha dovuto , seguendo l'esempio che già si accennò del Perticari medesimo , pressochè tradurla. Ei dice, è vero, di non aver fatto che “ridurre 1’ orto- grafia dalla romanesca pronuncia a quella attualmente in uso, e correggere le metatesi, gli arcaismi e le sconciature , nate dalla barbarie de’ tempi e dalla ignoranza o negligenza de’copisti ,,, Ma chiunque confronti la nuova edizione col testo muratoriano vedrà quel ch’egli abbia fatto veramente; vedrà se dalla sua fatica venga a dimostrarsi, com’ egli dice , inerendo alle dottrine del Perticari , che « il linguaggio col quale è scritta questa celebre Vita, ri- dotto che sia a buona pronunzia , e tolte le esteriori deformità, è quello stesso comune alle altre scritture di quel tempo ,;. Darò un breve saggio di quella ch’ io chiamo sua maniera di tradurre, prendendolo dal primo capitolo del primo libro , ove l’autore , pregiato meritamente per la sua sincerità e ‘impar- zialità, ci apparisce tosto pieno di sagacia. Il ritratto ch'egli fa del Tribuno è tale , che ci addita l’ intime qualità di quell’uo- mo , e a che probabilmente egli sia per riuscire. « Fu da sua gioventudine nutricato di latte di eloquenza , buono grammati- co , megliore rettorico , autorista buono. Oh come e quanto era veloce leggitore! Molto usava Tito Livio, Seneca e Tullio e Va- lerio Massimo, molto li dilettava le magnificenze di Giulio Ce- sare raccontare. Tutta la die si speculava ne li ’ntagli di marmo, li quali giacciono intorno a Roma ; non era altri che desso che sapesse leggere li antichi pitaffi ; tutte scritture antiche volga- rizzava ; queste figure di marmo giustamente interpretava. Oh come spesso diceva : dove sono questi buoni Romani ? Dov'è loro somma giustizia ? Puterommi trovare in tempo che questi fiori- dh 89 scano ? Era bell’ omo , ed in sua bocca sempre riso appariva in qualche modo fantastico ,;- La qual ultima parola mi fa pensare ad un altro passo del capitolo decimoquinto del libro secondo , che non sarà inoppor- tuno di aggiungere. Poi che Cola di Rienzo ( dopo il secondo ri- torno d’Avignone a Roma , ov è pregato da molti a ripigliare il reggimento della città) sentio dimorare in Perugia messere Arim- baldo di Narba, uomo giovane e persona letterata, avviossi al suo ostiero , e. volse con esso pranzare. Sumpto cibo mette mano Cola di Rienzo, a favellare de la potenza de’ Romani, mistica sue storie di Tito Livio, dice sue cose de la Bibbia, apre 1 fonte del suo sapere, Deh come bene parlava ! Tutta sua virtude opera nel ragionare , e sì di punto dice , che ogni uomo abbair fa sua bella diceria ; leva da’piedi ogni uomo , tiene la mano a la gota e ascolta con silenzio. Messere Arimbaldo meravigliosi di suo bello parlare , ammira la mansuetudine de li virtuosi Ro- mani ; inculescente vino salta 1’ animo in altezza, lo fantastico piace al fantastico ; messere Arimbaldo senza Cola di Rienzo non sa dimorare , con esso sta, con esso va, uno cibo prendono , in uno letto posano ; pensano di fare cose magne , dirizzare Roma e farla tornare in pristino suo stato. ,; Ho detto più sopra giustissima la lode di vecchia semplicità data dal Perticari a questa Vita di, Cola. Essa però va intesa con discrezione, giacchè tanta semplicità non è, relativamente a’ tempi in cui la Vita fu scritta, senza molto artifizio. È visi bile, parmi, anche pe’ soli due passi da me citati, che l’autore pose qualche studio ne’ Latini, e cercò di far ritratto del loro stile. Sappiamo altronde dal principio de’ Frammenti, ch’ egli avea cominciato dallo scriverli in latino, men pulito sicuramente di quello in cui poi li tradusse il Gherardi per la stampa del Muratori, ma quale, non che usarlo , ignoro se avrebbero saputo intenderlo i due Villani, che narrarono in parte le cose ch’ egli narra. Quindi non posso credere ch’ ei poi scrivesse nel romano del volgo anzichè de’ gentili e degli illustri, come asserisce il Perticari. In fronte al primo codice ; che siasi veduto de’ Fram- menti (quello veduto dal Panvinio) leggesi, nota il nostro editore, Historia rerum Romae et per Europam gestarum lingua romanensi vulgari scripta, il qual titolo forse le fu dato dal medesimo autore. Ma ciascun sa come ogni idioma d’ Italia di confronto al latino fosse chiamato volgare. Però dal titolo di tal codice non può trarsi maggior conseguenza che da quello del magliabechiano (leggesi, se ben mi rammento;, non in fronte al codice stesso T. XXXVII. Febbraio 12 90 ma in un vecchio catalogo) Vita di Cola di Rienzo scritta in dia- letto napoletano. Il qual secondo titolo forse non è del tutto assur- do”, e ci fa testimonianza come il linguaggio , almen de’ luoghi tinitimi dello Stato Romano e del Regno di Napoli, una volta era quasi identico. Così il romano illustre doveva nna volta poco differire dal volgare o differir meno che in appresso, quando il viver de’ grandi, già molto rozzo nella sua stessa magnificenza, cominciò , per ogni riguardo , ad essere più distinto da quello del volgo. Però suppongo che 1’ autor della Vita non solo usasse l’idioma parlato in Roma da’ più gentili, ma lo facesse parte- cipar quanto ‘seppe al miglior idioma d’Italia, cioè al toscano, che già cominciava a divenir letterario. Quindi una maggior faci- lità di tradurlo oggi in quest’ idioma, da cui già per se stesso è men dissimile d’ogni altro fra i parlati nella nostra penisola. Tal facilità peraltro non andava scompagnata da molte diffi- coltà; e il nuovo editore, per quel che ne sembra a uominj dotti, ai quali è piaciuto esaminare il suo lavoro , le ha molto felicemente superate. Taluno, è vero, si duole che dandoci , anzichè un testo ricorretto , una specie di versione; abbia reso il suo lavoro quasi inutile per lo studio delle origini della lingua. Ma la doglianza è ingiusta, poichè l’ editore ha pur avvertiti i lettori di tutti i cambiamenti da lui fatti, così riguardo alle voci, come riguardo alla pronunzia, degli uni con note particolari ; degli altri con osservazioni generali, che formano un breve trattato. A queste note e osservazioni filologiche ei ne ha aggiunte altre in gran numero, che con nome generico appelleremo istori- che , e che non sono la parte meno importante del suo lavoro. Fra esse alcune sono puramente illustrative, altre propriamente son critiche. Illustrative chiamo le citazioni degli scrittori, specialmente contemporanei, che confermano o rischiarano vari passi della Vita; i documenti che servono a comprovarli, come le lettere o i passi delle lettere, parte edite e parte inedite del Tribuno ; i cenni genealogici e biografici intorno ad alcune potenti famiglie , che hanno sì gran parte negli avvenimenti narrati nella Vita, co- me quelle de’ Colonnesi e degli Orsini ; le notizie de’ principi, a cui il Tribuno manda e da cui riceve messaggi ; infine il som- mario cronologico della Vita stessa. Fra le critiche annovero le rettificazioni di date e di nomi , che trovansi nella Vita, la di- fesa dell’ autor suo , accusato alcuna volta di falsità come iu pro- posito della prigionia del re Giovanni, l'esame finalmente delle altrui opinioni o asserzioni diverse dalle sue, come quelle Del Sade sulla nota cansa della regina Giovanna ; sulla citazione del g! Tribuno al Papa , sulla sua aringa all’Imperadore in Praga, sulla persona a cui è diretta la famosa canzone (Spirto gentil ec.) del. Petrarca; o quelle del Sismondi sul giorno e il luogo particolare in cui ebbe cominciamento la rivoluzione operata dal Tribuno ; sulle rendite di Roma all’ epoca di questa rivoluzione, ec. ec. Alle quali note se ne frammischiano pur .varie di genere filosofico , alcune giudiziose al solito, come quelle riguardanti le opinioni varie de’ tempi intorno alla giustizia e alla virtà in proposito dell’ ultime parole del Monreale condotto al supplizio per ordine del Tribuno; altre forse men ponderate , come quelle riguardanti alcune azioni del Tribuno medesimo , ch’ei chiama perturbatore degli ordini civili, quando la Vita lo dice restitutore. Chè già non appariva alcun ordine in quell’anarchia de’patrizi, cui, s’era prudente, egli avrebbe vinti del tutto; nè sotto quell’incerta autontà de’ legati pontifici , che ora il favorivano ora il contra- riavano , e coi quali gli sarebbe stato d’ uopo di particolare de- strezza. Ma nè egli forse sapea bene quel che si volea, benchè volesse qualche cosa di più ordinato e di più giusto che quel che avea ritrovato ; nè sapendolo avea tal vigore d’animo e d’intelletto da non trovarsi o disviato o arrestato mentre s’ incamminava a con- seguirlo. Inebbriatosi da’ suoi successi ei si abbandonò facilmente al capriccio e alla vanità , e l’ opera sua svanì colla sua vita. È stato detto più volte, al riprodursi di storie de’ tempi trascorsi, che i singolari avvenimenti, di cui noi medesimi siamo stati testimonii , ci aiutano a meglio intenderle. Così oggi si dirà forse che la Vita del Tribuno ci è resa più intelligibile dagli av- venimenti della vita d’ un uomo troppo maggiore di lui, ma anch'egli in molte cose minor di se stesso, e quiudi distruttore del- l’opera propria. Ciascun si ricorda quel giudizio del Sismondi (nel- l’ultimo cap. del 5. vol. delle Repubbliche) oubliant que sa gran- deur consistoit à n’avoir point de pareil , et à ne pouvoir étre comparé à personne , il s’efforgoit , etc. etc. ; giudizio esattissimo, ma che pur sembra il risultato d’ un’ esperienza moderna. Sarei curioso di vedere come ne giudichi Schiller nella storia che sen- to dire avesse cominciata delle rivoluzioni, se pur non si equi- voca fra essa e una raccolta cominciata con altri dotti alemanvi di documenti per servire alla storia dal secolo duodecimo in poi. La morte del Tribuno, mi diceva pocanzi un amico, sarebbe stata degno argomento della sua musa tragica. Ma forse la no- stra sorte ha voluto ch’ ei lo lasciasse per così dire intatto (chè i lavori d’altri stranieri mi permettono d’usar queste parole ) al- l’autore italiano del Giovanni da Procida. M. 92 MARIA SruARDA. Tragedia di F. Scuirrrr: Versione del cav. Anprra Marrer. Per gli Ed. degli Annali Universali. Mila- no, 1829. La stessa. Tradotta da Eprice pe Barrisri di San Giorgio. Verona. Tip. Libanti, 1829. « «+ + «+ O già superba tanto! Or pure inchini la cervice altera Alla tagliente scure ? Altra scettrata Donna il gran colpo vibra. Ecco l’ infido Sangue in alto zampilla ; e un’ ombra accorre Sitibonda , che tutto lo tracanna, L’Alfieri, che non credeva soggetto sofferente delle forme: tragiche la ‘morte della Stuarda , tragicamente così la indicava in una profetica scena della sua Maria : e s’ egli medesimo avesse voluto meditare sulla poesia che ne’citati suoi versi stava, quasi in germe, racchiusa , egli avrebbe trovato che dal considerare la morte di questa infelice regina come la punizione dell’ antico delitto, da questo solo pensiero uscia netto e splendido il concetto di una grande e morale tragedia. Io ho recati innoltre que?” forti versi del grande Astigiano per far notare nella imagine dell’om- bra che sit bonda beve il sangne di Maria, una rimembranza , s’ io non erro, ben chiara del poema del Monti, già celebre quan- do il genio dell’ Alfieri cresceva , e che pure non fu da questo giammai nominato, per quel ch’io rammento. Li ho recati infine , que’versi, acciocchè il lettore, seguitando a considerare nella pri- ma scena del quint’ atto quella singolare profezia di un sacer- dote impostore , ponesse mente all’ imagine. che la conchiude . 2 Rat Obbrobriosi giorni Quivi, favola al mondo , onta del trono, Scherno di tutti, orribilmente vivi. Tale complimento veniva all'ultimo rampollo degli infelici Stuar- di: ad un uomo che le sne sventure , le sue infermità, gli stes- si suoi torti dovevano rendere doppiamente rispettabile al ge- nio dell’Alfieri , e al cuore della persona che gli avea imposto il soggetto di questa tragedia. Ma noi non consideriamo la profe- tica villania di Lamorre , se non come un’ offesa dal poeta fatta alla verisimiglianza , e alle convenienze del bello: con che si conferma il vero e ingegnoso detto del sig. prof. Villemain ; che certe allusioni, meglio che alla censura , spetterebbe interdirle alla critica. , Chi volesse del resto conoscere le ragioni, perchè 1° Alfieri 93 non trovava abbastanza tragediabile la morte della Stuarda, le senta da lui medesimo : “ Questa infelicissima regina , il di cui », nome a primo aspetto pare un ampio, e sublime, e sicuro so soggetto di tragedia, riesce contuttociò uno infelicissimo te- 3 ma in teatro. Io credo, quanto alla morte di essa , che non »» se ne possa assolutamente far tragedia , stantechè chi la fa ,; uccidere è Elisabetta , la natural sna capital nemica e rivale, ,» e che non v’è tra loro perciò nè legame nè contrasto di pas- »» sioni, che renda tragica la morte di Maria , abbenchè veramente sy ingiusta, straordinaria ; e tragicamente funesta. ;, = Vale a dire che secondo il sistema dell’Alfieri, tragedia non potea concepirsi senza le così dette peripezie ; senza una lotta d’ interessi che te- nesse in sospeso l’animo , 0, a meglio esprimere, la curiosità dello spettatore: vale a dire che il sistema dell’Alfieri, sebbene diffe rente assai nelle forme , s’accostava di molto nella sostanza al sistema della tragedia francese , e s’allontanava dallo spirito della greca, la quale porge esempi non pochi di azione drammatica senza peripezie ; e basterà nominare il Filottete , e il Prometeo — Que- sto giovava notare, oggi che anche al nuovo Giovanni da Procida si move querela di non essere fornito delle inevitabili peripezie : e giovava notarlo per dimostrare con prova luminosa di fatto, come i giudizi anco degl’ ingegni sommi, quando un'idea siste- matica li preoccupi, possano riuscire fallaci. L’ assoluta impossi- Lilità dall’Alfieri sentita , Schiller venne a splendidamente smen- tirla: e se un tanto ingegno ha potuto, in cosa di fatto, così palpabilmente cadere in inganno, or che sarà d’ ingegni minori; or che sarà dove si tratti non della pratica dell’ arte, ma di assolute teorie , ma di astratte osservazioni , di regole generali ? Non è quì nostro pensiero analizzare il lavoro del poeta ale- manno , ed esercitare sopr’ esso i diritti , legittimi o no , della eri- tica. In Germania , in Francia , in Italia, 1’ uffizio venne già com- piuto con lode. Una sola osservazione aggiungeremo , da cui, me- ditando , il lettore potrà forse dedurre molt’ altre: ed è che, i difetti nella M. Stuarda non ingiustamente notati, riguardano tutti la parte d’ invenzione , la parte ideale ; tutte le più grandi e le più vere bellezze sono laddove il tragico col potente suo ingegno prende a poeticamente , dirò così, commentare la storia, a fe- condare i germi d’ affetto nella istorica narrazione racchiusi. Fu rimproverato allo Schiller 1’ amoroso delirio di Mortimero , il mo- struoso carattere di Leicester ; la fredda crudeltà, la vanità me- schina , e la cieca imprudenza d’ Elisabetta ; la scena della con- fessione ; e tutta quella parte del quint’atto, che segne alla morte 94 dell’ infelice Maria. — Ebbene: la pia lascivia del giovane con- vertito ; l’ amor sincero del conte, la sua imprudenza ; i suoi tra- dimenti , la fiducia che in lui ripone Maria; le confidenze della regina vergine con Mortimero ; 1’ assoluzione dell’ incognito sa- cerdote, e la confessione sommaria ch’ egli ascolta; sono ele- menti tragici che la storia non offriva al poeta tali quali egli nel suo dramma li porge: e quanto alle ultime scene , la storia ci mo- stra in Elisabetta una regina onorata della pubblica riverenza ed affezione ; talchè, quand’anche fosse al vero conforme la disappro- vazione del tirannico atto, manifestatale da taluno de’cortigiani , la moralità che una tal circostanza inchiudeva , viene , a dir così, soffocata dalla felicità quasi costante che circondò la persona ed il trono della crudel fratricida. Un critico ingeguoso con molto acnme indicò l’artifizio adoprato dal poeta nel posare le sue in- venzioni sull’ addentellato del vero; e la cosa riusciva impor- tante a dimostrarsi, inquantochè nè gli Alfieriani nè i Raciniani sogliono usare così delicati riguardi verso la storica verità : tut- tavia, giova al nostr’ uopo notare. che i più visibili difetti di questo insigne lavoro cadono in quelle parti appunto dove la storia è più fortemente alterata. Quì non si tratta nè d’un in- gegno mediocre, che nelle sue concezioni venga meno per ine- sperienza o per debolezza; nè d’ un poeta devoto ad uno spe- ciale sistema, che fuor di quello non vegga altro che inconve- nienze e brutture: gli è uno spirito severo e forte, che cerca le sue ispirazioni nel vero , che sa dal vero trarre i germi della più viva poesia, e che quando si prova a trascenderne i limiti, ca- de in quelle inverisimiglianze ed imperfezioni le quali tutti or- mai riconoscono e confessano nelle grandi opere di quanti sacri ficarono il loro argomento ad una idea sistematica , e la verità e l’importanza de’ fatti alle visioni di un indefinito ideale. Che ben facesse il poeta a mostrarci la Stuarda colpevole della morte dello sposo Darnley, ognuno , vorrà , credo , accor- darsi nella opinione del sig. cavaliere Maffei — Rappresentarcela innocente, sarebbe stato un togliere al fatto la sua moralità, la sua stessa efficacia: e già lo Schiller, anche troppo nera badò a dipingere 1’ anima d’ Elisabetta , senzachè bisognasse, per soprap- più, farci apparire pura come colomba la sventurata sua vit- tima. Questo sistema di porre tutti dall’ un lato gli errori e le viltà, tutta dall’ altro la magnanimità ; la bellezza mora- le, è monotono del pari che falso ; ripugnante allo sviluppo delle grandi passioni, dei grandi movimenti della poesia; con- trario, ciò che più importa , alle regole d’Aristotele. ® 99 Se poi lo Schiller abbia esanriti. i' tesori! di poesia, che gli offriva il suo tema ; se le angosce della morte, se gli arcani con- forti del pentimento, se 1° amarezza dell’ ira s se le soavi lagri- me dell’ amicizia; se le forze estreme della religione nell’ anima di Maria ; se la:tormentosa lotta dell’ orgoglio con la pietà;.della politica col rimorso, del timor dell’ infamia con l’‘ansia della vendetta nell’ animo della regina (e in questa lotta risiedeva 3 se io non erro , la moralità vera della storia non men che del dramma); se negli amici dell’ una il dolore d’ un affetto eccitato dalla bellezza e dalla speranza, consacrato dalla religione e dalla sventura , se negli amici dell’ altra la viltà » il fanatismo , l’ in- differenza , la compassione secreta , il timido desiderio d’ impe- dire il gran colpo, sieno stati così fortemente dipinti, come un tanto ingegno potea ; se per ultimo ne’ primi atti non v’ abbia delle scene troppo nudamente storiche » poste o al bisogno del- la protasi, o a pompa , senzachè 1’ affetto ne resti commosso 3 o l’azione ne prenda sviluppo o progresso, quest’ è che richiede- rebbe più lunghe indagini di critici più autorevoli + e tutte le indagini , ad ogni modo > si dovrebbero , io credo, conchiudere con sensi di lode altissima , e di ammirazione sincera. Il signor Le-Brun ha esercitato » quasi falce , il suo ingegno sulla tragedia del poeta alemanno ;. e 1° ha mondata s potata, stralciata , tanto da ridurla ad imagine e similitudine delle tra- gedie raciniane di Laharpe e di Marmontel -. Noi 1’ abbiam ve- duta a Firenze questa Maria così rimbellita e succinta: nè tutto il va'ore della Marchionni bastò a comandare l’ attenzione , non che ad ispirare l’ affetto (1). Il vero si è che le belle e ingegnose parole non formano nè un carattere » nè un intreccio; e che, (1) Una Maria Stuarda venne. anche data dalla Internari nel arno vale passato ; e data come la tragedia di’ Schiller. A noi bastò veder nel. l’ avviso il numero de’ personaggi per accorgerci della comica frode; e per evitare una dolorosa serata. Noi non sappiamo pertanto se la Stuarda pseu- do-tedesca fosse la perfida traduzione della Stnarda francese, che nel car novale passato venne, a quel che -sentizino s recitatà anco in Genova , ov- vero la Stuarda di Schiller ridotta all’ uso ( come suol dirsi con frase d’ in- faustissimo senso ) all’ uso delle scene italiane, dal giovane Modena, quat tr° anni fa, prima ch’ egli potesse pensare ad offrire agli spettatori italiani la. vera tragedia di Schiller. Certo (è che la Stuardà data’ dalla Garolina Internari ha gravemente indisposto i* nemici della letteràturà tedesca Ii quali esultavano nel pensiero di trovare. nel celebre: Schiller un‘! poeta peggio che 96 senza azione ,$ non havvi bellezza propriamente drammatica. I Francesi per altro, lodano , e a ragione , il senno che diresse il poeta nell’ ingrato lavoro ; lodano grandemente lo stile. E a noi giovi offrirne un breve saggio , pur per servircene come di confronto con lo stile del nostro Maffei. — Parla Melville ( che nella tragedia francese fa le veci di Talbot), parla alla regina, consigliandole compassione e clemenza. Je la confie au coeur de Votre Majesté. — Le Ciel à votre sexe a donné la bonte. Que ce royaume heureux s’apercoive ,, Madame, Que la main qui la guide est la main d’une femme. Lorsque ses fondateurs autrefois ont permis Que le sceptre des Rois aux Reines fut commis , Sans doute ils ont voulu, j’en crois mon espérance, A còte du pouvoir faire asseoir la clémence. Or s’ascoltino i versi del cav. Maffei. + + + + » La tua clemenza Segui animosa. Nel femineo petto Il rigore e 1’ asprezza Iddio non pose : E chi primo gittò le fondamenta Di questo soglio , e la suprema verga Anche alla destra femminil concesse, Mostrò che l’inclemenza esser non debbe Una virtù de’ principi britanni. Questo confronto è tale che onora, se non m’inganno, alta- mente e il nostro traduttore , e la nostra lingua . -—- E poichè siamo a questa de’ confronti, gioverà lasciare a’ lettori il giudi- zio de’ pregi che distinguono la poesia del sig. cav. Maffei , e di quelli ch’è giustizia concedere alla versione della signora Edvige de Battisti. Prendiamo parte del soliloquio d’Elisabetta al quar- t’ atto. Del sig. Maffei : ein fe + En:questo Il demone infernal, che per destino Mi persegue la vita, e senza posa La tormenta e l’ attosca. Ove una gioia , Una speme io mi nudro , ivi mi serra barbaro , un poeta scempiato. E certo, se cotesta Stuarda era la tradotta dalla Stuarda di Lebrun , quegli abbominevoli versi dovevano esercitare sopra ogni ben formato orecchio la stessa forza desolatoria , ch’ eserciterebbe sopra una terra incivilita l’ improvvisa irruzione di uno squadrone di barbari. 97 Questa serpe implacabile il cammino: Essa il marito e 1’ amator mi ruba ; E Stuarda si chiama ogni sventura Che sul capo mi sta. Della signora de Battisti : + + +... Essa è la furia Della mia vita, un tormentoso spirto , Postomi a’ fianchi dal destirio: Ovunque Un diletto m? arrida ,; una speranza; Quest’ aspide d’ averno m’ attraversa Sempre il cammin. L’ amante ella mi toglie , Mi rapisce lo sposo. Ogmi sciagura De” giorni miei Maria Stuarda ha nome. Il lettore ha ormai giudicato da sè. Noi potremmo, è vero ; notare che 1’ espressione della ch. Traduttrice , essa è la. furia della mia vita, è più forte ; che postomi a’ fianchi dal destino, è molto poetico ; che una speranza m’ arrida è più bello di ura speme io mi nudro ; che attraversare il cammino dipinge più che serrarlo ; che l’amante mi toglie è più naturale dell’ altro l’ama- tor mi ruba ; che il verso d’ un collaboratore dell’Antologia di cara a noi e dolorosa memoria : (*).* Ogni sventura mia Stuar- da ha nome ,, è più franco della perifrasi: « E Stuarda si chia- ma. ogni sventura — Che sul capo mi sta ,,, Ma dopo tutto ciò converrebbe conchindere che, ove si guardi a dolcezza e va- rietà di numero , a dignità e sceltezza di stile, a delicatezza di gusto e d’ artifizio , il Maffei si dimostra ben degno delle lodi che gli offre la sua modesta rivale. Qualche parola non abbastanza precisa, qualche frase di troppo riposta eleganza , qualche al- tra gettata , se così dobbiam dire , per entro ai versi senza ne- cessità , ecco i difetti da un censore amichevolmente severo no- tati in questo egregio lavoro : ed è gran lode alla ch. traduttri- ce Veronese il poter quà e là mostrare de’ passi. dove con più naturalezza e con più brevità è resa 1’ espressione e l’idea del poeta alemanno. Questo della brevità sopratutto è un pregio che il ch. traduttore Tirolese , ha creduto sovente dover sacrificare all’ armonia , all’ eleganza : nè certo era facile conciliare insie- me in una traduzione generi di bellezza , che, anco nelle opere originali, di rado s° incontrano uniti. Noi ardiremo tuttavia pre- gare l’ interprete lodato di Schiller , che ne’suoi seguenti lavori (*) Vedi Ant. vol. I, pi 116. T. XXXVII. Febbraio 13 98 ponga ogni cura a questa difficile ma gloriosa e potente alleanza della forza con la dolcezza, e della rapidità con la grazia; tanto più che alcune leggiadre perifrasi possono talvolta nuocere all’ef- ficacia dell’ affetto, e quanto contribuiscono alla chiarezza, tanto detraggono all’ evidenza. La proposizione sembrerà paradossa : ma noi crediamo che tutti vorranno convenire in questo , le princi - pali doti del tragico stile essere la franchezza , la rapidità , l’ener- gia. E noi, perchè vediamo dal fatto , che il sig. cav. Maffei può toccare quest’ ardua meta con gloria , perciò gliene faccia- io parola. La critica, se tale può dirsi, viene da stima siucera. E V' interesse s’ aggiunge alla stima. Chi più di noi deve bra - mare che di leggiadra veste abbellite si mostrino agl’ Italiani le opere di que’ poeti , che molti fra noi rigettano ancora per bar- bari, e fremono pur dell’ idea di paragonarli all’Alfieri ? Ad ab- battere pregiudizii fondati sopra un’imperfetta cognizione de’fatti, è forte più di molti ragionamenti un esempio. Ora dobbiamo annunziare , che la Maria Stuarda di Schiller , tradotta dal sig. cav. Maffei, è stata recitata nel teatro di San Luca in Venezia dalla compagnia Modena ; che quegli attori h»- nemeriti trovarono i mezzi e il coraggio di rappresentare un dram-- ma romantico ; e che le civili anime italiane non inorridirono alla violazione delle sacrosante unità , nè alle strane e diaboli- che concezioni d’ un barbaro. Il mezzogiorno ha patteggiato una tregna col settentrione : e la reggia del buon gusto non è crol- lata, per la grazia del cielo. Opportuno esempio : necessario ( convien pur dirlo), neces- sario incoraggiamento ai Filodrammatici di Firenze! Una compa- gnia comica , senza tante teorie, senza tanti preliminari , si pensa. di recitare una tragedia fedelmente tradotta dal tedesco, dove h inno parte presso a venti personaggi; e il pensiero è mandato felice- mente ad effetto. È ben vero che di questa compagnia fan parte una donna di svegliato ingeguo , Carlotta Polvaro ; un giovane che ha compiuti i suoi studii, che si diletta di versi, che re- citò per più di due anni con De Marini , io dico, Gustavo Mo- dena ; un uomo infine , consumato nell’ arte, a cui la natura lezza dell’ azione ; ed il senno , fanno perdonare i difetti inde- lebili della pronunzia veneziana , io parlo di Modena il padre : ad ogni modo quì si tratta di una compagnia comica , il cui prin- cipal fine non è certamente il perfezionamento dell’ arte. E una compagnia di comici tentava , comecchessia , la rappresentazione del Carmagnola ; e da compagnie di comici noi sentivamo reci- tate le Nozze di Figaro, la Scuola de’ Vecchi, il Falso galan- 909 tuomo, il Matrimonio per inclinazione, il Matrimonio per la dote, il Tartufo , il Borioso, il Tiranno domestico , il Marito giovane , il Marito galante. La società Filodrammatica, invece, limita quasi la sua ambizione al nostro Goldoni: ottima scelta certamente; ma , esclusiva com’è, non conforme al nobile intendimento pel quale la Società fn fondata. Quì manca, è furza confessarlo , manca ciò che potrebbe sovra ogni cosa dar animo agli attori, ai direttori , ed ai socii.; manca il favore indulgente, perseveran- te, affettuoso del pubblico. L’instituzione non è considerata nel suo più serio e più nobile aspetto ; come il germe di un teatro veramente toscano:, veramente libero; come il centro e il. ci- mento di prudenti e forti innovazioni, come un mezzo di col- tura e di civiltà ; ma sì come un balocco di giovani non bene usciti dall’ adolescenza, come un passatempo che non merita altro pensiero se non quanto è necessario a mettere in iscena la più facile e la più economica fra tutte le rappresentazioni pos- sibili; come un esercizio di pazienza, e di maldicenza. Se la commedia riesce : poveretti! fanno quel che possono. Se no, si son fatti corbellare ! Con queste disposizioni dell’uditorio , oguun vede che il più disinteressato e modesto. zelo dei direttori e degli attori, deve, a lungo andare, rimanerne un po’raffreddato. K. X. Y. Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali. Tomo II in 4.°, Catania 1827, dai torchi della R. Università degli studi ; di pag. 235; e Tomo III di pag. 230. Catania, 1829; dai tipi di Giuseppe Pappalardo. I lavori di questa scientifica società nascente progrediscono di tal passo, che ogn’anno si pubblica un volume in quarto delle più applaudite e interessanti memorie. Di quanto si contiene nel tomo primo fu dato un breve sunto nell’ Antologia ( Vol. XXX B. 98). Per quello che spetta agli altri due ne incombe il dovere di dare quì l’epitome delle dis- sertazioni ivi inserite, parte delle quali spettano alle scienze fi- siche, mentre le altre vertono sulla storia naturale, patria. Il se- condo volume raccoglie dieci memorie. I. La prima detta dal prof. Ferdinando Casentino ha per scopo l’Aedyssarum coronarium L., Sudda volgarmente appellato în Sicilia, e altrove Lupinella. Allorchè lo stesso accademico diede un saggio della topografia botanica della campagna detta 120 arena di Catania, e che fa parte del primo volume degli atti medesimi, 1° A. promise una memoria sulla pianta ‘in questione, come quella che spontanea cresce nel distretto di. Catania è so- pra ogni. altra specie di foraggio vi abonda; e come quella ché superiormente alle altre nutrisce gli animali, erbivori, a danno dei quali. per altro non lascia di essere. spesse volte sorgente di epizzootie e di morte. i Fattosi egli a indagare tale fenomeno, riscontrò. esserne la causa alcune circostanze esteriori dipendenti dalla. qualità del suolo , o da irregolarità. meteoriche nocive all'economia di quelle piante; precipuamente durante la loro fioritura. Per le quali circostanze arrestandosi in esse piante la necessaria traspirazione acquosa, ne consegue che i sughi: delle medesime. anzichè utili alla nutrizione divengono deleteri e micidiali. A prevenire eosì tristi effetti 1’ A. suggerisce alcune norme da praticarsi dagli agronomi all’ epoca della raccolta e dissecca- mento di quel foraggio. II. Relazione di un feto mostruoso; del dott. Francesco Sca- VONE È questo. il secondo esempio. di feti umani privi di cervello, di collo e di midolla spinale, che l'Accademia Gioenia nel breve stadio di un biennio offre ai studiosi della fisiologia, affinchè pos- sano trarre nuova luce dalla ripetizione alquanto varia di simili mostruosità. III. Continuazione del trattato dei boschi dell'Etna; del prof. ScupERI. Dopo aver considerato le varie specie di alberi della regio- ne selvosa dell’ Etna sotto 1’ aspetto botanico, il prof. Scuderi in questo terzo capitolo della sua opera imprende a esaminare le piante nemorose sotto 1° aspetto topografico-storico-fisico ed eco- nomico. Imperocchè di ciascun bosco di detta regione VA. indica 1’ origine della sua speciale denominazione , la pertinenza padro- nale , la situazione , i confini, l’esposizione e l’estensione. Quindi si accenna la natura e varietà del terreno , il numero approssi- mativo degli alberi disposti in tre compartimenti diversi; di querci, cioè, di pineti e di faggeti. Finalmente si notano le varie servitù e diritti di uso , le distanze respettive dal mare, le strade per cui si rendono più o meuo accessibili, ed altre simili indagini peculiari. i Dal quadro sinottico posto in calce alla memoria apparisce che la regione nemorosa dell’ Etna occupa una superficie di 200 miglia quadrate, nella quale si contano 715,863 fra querci ed nor elci, 841,356 di pini salvatici , e 78,414 piante di faggi. Totale degli alberi di alto fusto 1,635,633. IV. Sopra il Basalto e gli effetti della sua decomposizione naturale; del dott. Carlo GrneLtaro. È sorta da qualche tempo fra i naturalisti discrepanza sul- l’ origine e formazione di alcune rocce , le quali in’ vista di certe. anomalie che ‘presentano si appellarono problematiche. Di tale specie sono i trappi ed i hasalti. Il dott. Gemellaro; lungi. dal dichiararsi favorevole a uno piuttosto che a un altro sistema, e conseguentemente alieno dall’ appoggiare 1’ opinione dei plu- tonisti anzichè quella dei nettunisti:, 0 viceversa ; egli si fa forte unicamente sui fatti da esso lui! osservati nella Sicilia. Che se talvolta tentà desumerne qualché induzione ; lo fa con tanta modestia e riservatezza da darsi a conoscere naturalista dotto senza prevenzione. HELL. ‘Dai fatti citati nella presente, non meno che in altre prece- denti memorie pubblicate dullo stesso Autore, si rileva che le rocce basaltiche si presentano nei contorni di Catania nelle Valli di Noto e di Mazzara sotto: quattro differenti aspetti ; 1. nello stato di compattezza semplice ;' 2.° nello stato globu- lare a superficie vetrosa ; 3.° nello stato di decomposizione ; 4:° in quello di ricomposizione. Dopo aver recati su tal materia gli opportuni schiarimenti , crede di poter asseverare essere il basalto una roccia che nulla ha da fare colla lava propriamente detta ; avendo dimostrato la differenza dei componenti da questa nella quale il fuoco ha tutto alterato, sicchè il basalto nella sua decomposizione forma un suolo affatto diverso da: quello che risulta dalle lave;; e quindi può credersi che tutti i basalti esistenti intorno all’ Etna siano di for- mazione nettunica. Che se pure si vogliano riguardare come pro- dotti dal fuoco, non certo da quello dei. vulcani, la di cui azione all’ intorno si mostra evidentissima sopra tutti i basalti globulari; per cui l’ A. riguarda questa sola specie di basalti quali rocce emerse dalle viscere della terra per la via dei crateri. Indagando quindi se possono i basalti per 1’ azione del fuoco vulcanico diventar vere lave, l’ A. osserva che siccome quello dei vulcani ha potuto alterare la superficie de’ basalti sferici ; siccome la parte più vicina alla superficie vetrosa di questi ul- timi ha subìto grande cambiamento, e molto rassomiglia alla strut- tura delle lave ; siccome molte correnti di lave prendono raffred- dandosi una figura prismatica ed articolata ; siccome le lave pri- smatiche a preferenza delle altre contengono una maggior quantità 102 di olivina, così sarebbe ‘probabile che incontrandosi nel focolare del vulcano gruppi di basalti e soggiacendo questi ad una vio- lenta fusione, perdessero quella loro struttura compatta , e frat- tura terrosa, e che in forma di lave venissero eruttate dalle bocche ignivome, e conservando sempre le qualità inerenti ‘alla loro natu ra , per cui riprendono nel raffreddarsi 1’ antica forma prismatica. Resterebbe in tal caso a comprendere come una lava che proviene da una roccia, la quale di natura sua non ha cristalli, contenga poi il feldspato , il pirosseno e l’ olivina cristallizzati ? Ma se gli esperimenti del sig. Mitsherlick han fatto vedere la formazione artificiale de’ cristalli di mica , per 1’ azione violenta del fuoco ; se il sig. Berthier fondendo carbonato di manganese con silice ha ottenuto del silicato in cristalli di forma identica a quelli.del ssilicato di ferro e del peridotte , oltre ad altri simi- li fatti, non potrebbe, conclude il n. A. , il fuoco del vulcano a più forte ragione ridurre in cristalli 1’ olivina granuliforme e parte del pirossene e del feldspato compatti costituenti il basal- to ; come vediamo nelle lave specialmente prismatiche ?_ Se ciò fosse. cesserebbero su tal rapporto le dissensioni fra le opposte scuole . Finchè però non si abbiano altre osservazioni contrarie a quelle esposte dall’A. devesi a buon diritto concludere che il basalto non è certamente una lava. V. Saggio di unu Flora medica catanese; del prof. CarmeLo Maraviona. Una parte solamente dell’ enunciato saggio trovasi inserito nel tomo II. degli Atti Gioenici. Quest’ utile e ben concepito lavoro oltre a servire di materiale alla topografia etnea, cni precipuamente mirano li studi della Società Gioenia, giova a far conoscere ai cultori della botanica e della scienza medica quali dovizie anche in tal genere il suolo di Catania possiede. Il sig. prof. avrebbe anche potuto accrescere di molti nomi il suo catalogo, se non avesse imposto a sè stesso la norma di parlare unicamente di piante di una incontrastabile efficacia, non mai di quelle che furono per alcun tempo in voga , attualmente però screditate e di nessun uso in medicina. Nell’ esporre il qual saggio l’A. stimò miglior partito di pre- ferire il metodo alfabetico piuttosto che una sistematica classifi- cazione ; non per questo ogni pianta manca di essere descritta con scientifica esattezza. Indicata la classe di ciascuna specie se- condo il sistema sessuale modificato da Persoon , e quel'o natu- rale corretto da Richard . si riportano i caratteri fisici della pian- ta; si accennano i luoghi dove a preferenza vegeta, onde le più 105 avverate qualità salutari ; in qual parte e in che consistano i priucipii attivi della medesima e gli usi medici , chimici ed eco- nomici che se ne ritraggono o trarre si potrebbero. VI. Notizia medica sopra cinque forme di malattie periodi- che apiretiche, osservate dal prof. F. Furci. Nella prima osservazione trattasi di una blenorragia a pe- riodo di terzana ; nella seconda di una nevrologia cervicobra- chiale a periodo di quotidiana duplicata ; il terzo caso riferisce a una pazzia intermittente terzana a tre diverse specie di deli rio ; la quarta storia è tolta da una donna affetta da ascite a scioglimento periodico mensile ; mentre 1’ ultima osservazione tratta d’ una nevrosi intermittente anomala. Il sig. prof. dopo avere esposto la storia dei cinque casi so- praenunciati, e quindi ponderato i fenomeni che li accompagna- rono , ha corredato ciascuna osservazione di tutti que’ riflessi che a lui suggerire potevano i progressi fatti nella difficile arte di guarire. VII. Breve descrizione geognostica dei contarni di Contessa e di una porzione della Valle di Mazzara ; del dott. Canto Gx- MELLARO. La memoria di cui si tratta è frutto di un escursione fatta ‘da un dotto cultore della storia naturale , il sig. Conte Beffa Negrini, che raccolse e quindi offrì in dono all’Accademia Gioe- nia la serie delle rocce raccolte, e che fornì al signor Gemella- ro indizi non equivoci sulla reale giacitura dei terreni, ai quali esse appartenevano. Risulta pertanto dalla relazione che la massa montuosa di quel perimetro altro non offre che formazione se- condaria , e per la maggior parte di calcaria , mentre i luoghi più depressi delle valli sono coperti generalmente dalla forma= zione terziaria , nella quale primeggia l’ argilla. VIII. Ricerche sull’ azione specifica della chinina sopra gli organi dell’ udito ; del dott. D. Orsini. È una raccolta di osservazioni tendenti a provare che l’ uso del solfato di chinino , e ‘quello della chinina esercita in molti individui per un indeterminato tempo un azione speciale nel meccanismo interno dell’ orecchio ; mentre non ne risentono al- cun danno con l’ uso della china bicolorata , dove giusta V’ana- lisi chimica pochissima chinina si contiene. IX. Memoria sull’Acrostichum Catanense ; del prof. Ferpi- NANDO CosEnTINI. ti Non si può ripromettere sicurezza nelle cose attinenti alle scienze naturali senza replicati confronti ed esattissime osserva- 194 zioni. Era sinora sfuggito agli sguardi de’ botanici che erboriz- zarono nella Sicilia, una pianta sebbene rarissima , della fami- glia delle felci, e che il Professore riscontrò fra i crepacei della lava che fiancheggia Catania dal lato di levante insieme a. mol- tissime altre piante crittogame. Fatta di essa diligente descrizione ed esibito in disegno un esemplare, con alcune parti più grandi del vero , l'Autore si credè in diritto di poter dichiarare quella piauta come una nuova scoperta , e finora unica in. tal. genere in Europa , per cui dal luogo natio 1° appellò Acrosticum cata- nense. Ma il ch. Bertoloni non mancò di avvertire 3u tal proposito che la pianta descritta dal sig. prof. Cosentini. uon solamente non era esclusiva della Sicilia , perchè già stata trovata da Mo- ris in Sardegna, e da altri nelle Coste, della Spagna ec. ma che € essa è identica. con 1’ Acrostichum mwelleum dello Swartz , e del Willdenow ;. ossia con la Notholeana vellea del Desvaux. X. Cenni patologici sopra una demorragia sanguigna ; del prof.. Anrowio DI Giacomo protomedico di Catania. Un fenomeno morboso rarissime volte osservato è quello di che il prof. di Giacomo descrive la storia ; storia tanto più inte- ressante a conoscersi dai: seguaci di Esculapio in quanto che di casi simili non trovasi parola nel dizionario francese delle scienze mediche; eccettochè \all’articolo (Peau) i dotti fisiologi. Caussier ed Adelon notarono che la pelle può essere talvolta sede di emor- ragia o sudore di sangue. Alla descrizione del caso accaduto in Catania, e di cui quel protomedico ebbe la cura, si aggiunge dal dotto autore una pa- tologica discussione, persuaso che male si afforza la medicina se ai nudi fatti circa i fenomeni morbosi ed effetti dei rimedi, non si accopiano giudiziosi raziocini , e ben applicate spiegazioni, piuttosto che lasciare serpeggiare il fisico tentoni nella dubbiezza e nell’errore, sorgente di gravissimo danno nella medicina pratica. Le memorie che formano il terzo volume sono otto, oltre un elogio storico. I. È la continuazione del trattato dei boschi dell’ Etna ; del prof. S. Scuderi, capitolo IV. nel quale si tratta dei mezzi coi quali potrebbero quei boschi migliorarsi ed accrescersi. Lo che non si può agevolmente ottenere se non affidando l’ingerenza alle am- mmnistrazioni governative , le quali senza i diritti dei respettivi proprietari nel più acconcio mudo al pubblico comodo li rivolgono. Scende quindi a far vedere quanto sia stato erroueo partito \ 105 quello di aver abbattuto tante selve di alto fusto per dar luo- go ai vigneti sulla sezione nemorosa dell’ Etna, dove cioè mala- mente alligna la vita, e il suo scarso frutto non mai perviene a' perfetta maturazione, ed è di gran lunga minore del prodotto dei boschi. Conviene poi con tutti gli economisti sul danno che risentono quelle foreste pei dirittti di uso che esercitano sui bo- schi dell’ Etna le circostanti popolazioni, i grossi e i minuti ar- menti; diritti che egli assomiglia a vandaliche esterminazioni. Ad impedire le quali si suggeriscono dal sig. prof. Scuderi utili prov- vedimenti propri di una saggia amministrazione , accennando le specie degli alberi che meglio si addicano alle varie situazioni dell’ Etna. II. Storia critica delle eruzioni dell’ Etna; del Canon. G. Atxs- si. Discorso I. Dai tempi immemorabili e favolosi insino all’epoca dei Romani in Sicilia. A ragione diceva Borelli, di cui il sig. Canonico riporta per epigrafe la sentenza , che nè gli antichi, nè alcuni dei recenti filosofi hanno ben conosciuta l’ istoria naturale degl’incendi del- l’ Etna ; conciossiachè le cause , il principio, l’ epoche succes- sive di tali eruzioni, la durata , 1’ estensione , i luoghi, gli ele- menti della combustione , i corpi combusti ed i fenomeni tutti si dovrebbero divisare. Eppure tale è il campo vastissimo che il sig. canonico Alessi ha intenzione di percorrere, facendo nel.tem- po stesso la storia critica sulle opinioni degli antichi e poi dei moderni naturalisti intorno all’ origine del fuoco dell’ Etna. Alle tante teorie finora emesse su tal proposito un suo pensamento vi aggiunge, quando dice , che se qualunque materia combusti- bile di cui abbonda l’Etna (e quasi tutto colà a suo parere è com- bustibile ) per fermentazione , per elettricità, per aumento di calorico s’infiammi , e vi sia concorso d’acqua, parte della quale si rarefaccia , e parte si decomponga, ne seguiranno eruzioni di materie ora fuse , ora poco o niente alterate , accompagnate da fragori, e da terremoti; le materie fuse scorreranno a torrenti e formeranno varii strati secondo le varie eruzioni. L’ A. dopo tali cenni si volge a rintracciare, se l’Etna uscisse dal mare per I’ opera del fuoco , o se piuttosto da questo restasse combusto , liquefatto e sformato . Tenta quindi d’ indagare l’ età remotissi- ma della prima eruzione, e di mano in mano indicando o piutto- sto congetturando epoche in cui avvennero le diverse eruzioni , scendere dal buio dei tempi mitologici alle memorie storiche di meno incerta data. T. XXXVII. Febbraio 14 105 III. Seguito di una Fiora medica Catanese; del prof. C. Ma- RAVIGNA. L’A. in questa seconda memoria ha completato il catalogo ragionato delle principali piante medicinali che spontaneamente crescono in Catania e nei suoi contorni, con l’indicazione delle i loro mediche azioni. IV. Discorso del Direttore sig. Francesco Parermò CasreLro dei Duchi di Carcacr. Avendo la Società Gioenia, stante la lunga assenza del Com- mendatore Borgia , eletto in nuovo direttore il sig. Paternò Ca stello , questi nella seduta de’'21 settembre 1826 esternare volle, in prova del suo zelo a favore della medesima, un piano in cui sì espone un modo efficacissimo a bene istituire un gabinetto che in sè raccolga i prodotti tutti naturali propri della Sicilia. A rendere poi animata Ja corrispondenza al di fuori, e ad attivare maggiormente la comunicazione delle idee nell’ interno, oltre i mezzi finora dall’Accademia adoperati, parve bene al nuo- vo Direttore doversi aggiungere la pubblicazione di un giornale periodico , e 1’ erezione di un gabinetto letterario, cui aggregare dovrebbonsi i membri tutti attivi, onorarii , corrispondenti e col- laboratori. Da una nota apposta in fine del discorso rilevasi, che, quanto il Direttore ebbe proposto , fa mandato ad esecuzione , nè altro si attendeva per la pubblicazione del giornale se non che il per- messo da più tempo implorato. Un assegno di once cento all’an- no è stato inoltre accordato dal Decurionato di Catania a van- taggio della stessa Società. V. Ricerche ed osservazioni chimiche su di una trasudazione morbosa vegetabile ; di Garrano Mironx. Avendo potuto avere una sufficiente quantità di umore mor- boso trasudato da vecchie quercie affette da una specie di ulcera, altrimenti detta tarlo , il sig. Mirone ne imprese l’analisi ad og- getto specialmente di rettificare le sue idee sulla natura di ma- teria sì fatta ; la quale trovandola composta di diverse sostanze , fra cui l’ululmina solubile nel sottocarbonato di potassa , è di parere che questa sia un principio immediato particolare spe- cialmente alla quercia , e che perciò potrebbe appellarsi querciza. VI. Elogio di Geronimo Recupero da Catania Socio onorario e custode del Gabinetto dell’ Accademia Gioenia, recitato dal Cav. G. ALessi. : Nacque il Recupero in Catania , dove crebbe e fu dai geni tori educato al foro , sebbene per indole amò sempre le scienze 107 della natura. Una luminosa carriera egli corse prima in Palermo ; dove specialmente salì a gran fama per le sue difese nel crimi- nale ; quando di là ritornò in patria per attendere con più libertà a’ suoi prediletti studi della storia naturale , al quale oggetto percorse tutta la nostra penisola. Reduce in Catania suben- trò alla cattedra del gran Gioenio nell’ Università catanese , do- ve ordinò ed arricchì di numerosa supellettile minerale quel gabinetto. Scuoprì nuovi oggetti nel regno inorganico e diede principio a varie importanti opere , che per l’ inattesa morte ac- caduta il 29 dicembre dell’ anno ultimo decorso , sono restate incomplete ed inedite. VII. Dell’ antico uso di diverse specie di carta e del magi- stero di fabbricarla ; di Mario Mvusumecer. Di questa interessante ed erudita memoria fu dato un giu- dizioso sunto nel giornale dei letterati di Pisa, al quale rinvia- mo volentieri i nostri associati. VII. Sopra i segni meteorologici dell’ Eina ; di Rosario Scuperi. Sono osservazioni relative alle pioggie , alle inondazioni , ai venti , alla siccità, al calore, al gelo, alle eruzioni di fuoco ed altri fenomeni osservati dall’ A. nella parte meridionale del- l’ Etna. IX. Sopra i vulcani estinti di Val di Noto; memoria di Carro Grmertaro Segretario alla Sezione di Storia naturale , corredata di una carta geologica. È questo il frutto primitivo di un viaggio fatto in compa- gnia del sig. Conte Beffa , dove il sig. Gemellaro si limita per ora a dare un’ idea delle condizioni geologiche di quei vul- cani spenti, promettendo in altra memoria le particolari de- scrizioni. Colle quali osservazioni generali 1’ A. viene a stabilire due epoche di formazioni calcaree in Val di Noto, relative a due epoche d’ incendi vulcanici , cioè il calcario antico costituente il terreno montuoso , che forma la catena Iblea, la penisola di Pontalica e la massa di monte Lauro ; e il calcareo moderno che cuopre i più umili terreni e che risale all’epoca stessa di forma- zione del gesso e del zolfo, il quale calcareo ha ricoperto molte antiche eruzioni; ed in seguito alla di cui formazione son emer- si i vulcani moderni con le lave corse in varie direzioni ed a grandi distanze sopra i sovradescritti terreni , miste ai prodotti di alluvione. E. R. è] 1085 Intorno al monumento di Anprra Vaccì BeRLINGHIERI, ed alla inaugurazione del medesimo nel Campo Santo pisano il dì 14 febbraio corrente. Lettera al Direttore dell’Antologia. Pisa li 15 Febbraio 1830. Quante volte dacchè ho lasciati i miei monti per ripararmi nel bel centro di questa curva sponda dell'Arno, dolente del mio languire ha esclamato il nostro D.*** fosse vivo il Vaccà! E ieri mattina mi volle in ogni modo presente all’ inaugurazione del monumento di quel valent’ uomo desiderato e pianto in tutta Italia. To aveva spesso contemplata 1’ energica nobiltà ‘del suo volto in quel busto che tenete di lui nel vostro privato gabinetto, e aveva letto con tenerezza annunziato il progetto di questo mo- numento e di una analoga medaglia di bronzo nel fascicolo 8r.° dell’Antologia. Accolsi quindi con giubilo l’ invito dell’ amico, ed essendo egli nel numero de’contribuenti a questa onorevole spesa, mi figurava che vi sarebbe stato per esso luro tutti un posto di- stinto alla festa, e che il mio frale corpicciuolo avrebbe potuto as- sistervi senza grave disagio. Ed in ciò veramente era in errore: che nel desiderio comune la distribuzione dei viglietti, che fu fatta qualche giorno avanti, servì solamente ad escludere dal locale la plebaglia più incolta e non a dar posto ai meno solleciti degli invitati. Nè un forestiero poteva conoscere fra di essi distinzione alcuna di grado o di autorità ; mentre i più erano in piede e tutti, non eccettuatone l’oratore, avevano il cappello in testa. E queste particolarità vo notando non a biasimo della nazionale funzione o di chi la diresse; ma a scusa di quel poco di confusione di cui taluno, e l’oratore con più ragione degli altri, avrà potuto dolersi. Impercioechè ove manca riverenza di religione o di comando pochi altri popoli sanno star di per sè, come questo buon popolo to- scano, dentro i limiti di un costumato contegno. E quì si leggeva in tutti i volti un sentimento che raramente si desta in una mol- titudine per un uomo già morto da più di tre anni. Vero è che a smorzare questa disposizione generale degli animi, più che ad alimentarla sembrava che contribuisse la melodia languida e senza affetto, che a riprese sonavano alcuni strumenti da fiato. Non vi ho ancora detto, ma già ve lo immaginate, che una porzione soltanto di quel vasto locale , addobbata con sete e fe- stuni da terra fino ai cavalletti del tetto, ricingeva gli spettatori 109) intorno alla tomba del Vaccà. L’ architettura maestosa di quei portici venerandi era in tal modo velata, e doveva esserlo., non tanto per isfoggio d’ apparato quanto per difendere 1’ assemblea dai rigori della stagione, poichè come sapete questi portici, degni pei loro preziosi dipinti di essere gelosamente custoditi , sono per sventura delle arti aperti a tutti i venti. Ma chi mai suggerì di sovrapporre una specie di piramide posticcia al monumento stesso e di affastellarvi attorno altre inezie di simil genere? Quell’ ag- giunta o raffazzonatura; su cui stava scritto micat inter omnes, mi sembra (e non sarà stata nell’ intenzione di chi 1’ ideò ) un’ amara critica della parte architettonica del sarcofago. E una tal critica mi si domanderà è ella giusta ? Giudicatene voi stes- so. Il bassorilievo , un bassorilievo di Thorwaldson , è incassato in un riquadro liscio di pezzi di marmo ordinario posato sopra due altre lastre dell’ istesso marmo, ove si vede scolpita l’iscri- zione che tocca quasi terra : fa corona al tutto ma senza frap- posizione di cimasa o di membro alcuno gentile, un ornato, non posso fare a meno di dirlo, goffissimo, composto di un intreccio di fogliami, di papaveri e di serpi, e nel mezzo è un medaglione col ritratto di Vaccà più piccolo un buon terzo del vero. Dal piede al vertice vi è un’altezza di braccia 4 e un quarto. Ora dal prestigio di due nomi illustri, dallo spontaneo tri- buto di tanti uomini uniti in un sol volere per entusiasmo di ri- conoscenza , dall’ ispirazione di un luogo così augusto , dall’ unio- ne di tante cause che subblimar dovevano l’ ingegno dell’ archi- tetto, come, come ha potuto uscir fuori un insieme così muto e così pedestre ? (1) Di questo insieme, che i moderni scultori troppo spesso trascurano , mentre un secolo fa si dava nell’ ec- cesso opposto e si chiamava la macchina, il panegirista non fece parola. Nel suo esordio egli ridusse con somma convenienza alla memoria degli uditori, il lutto profondo dei pisani allorchè fu de- posto il cadavere del loro concittadino in quell’ avello su cui s’ inalza adesso durevolmeute 1’ espressione del cordoglio univer- (1) Per rendere scrupolosa giustizia alla verità, bisogna avvertire che 1° uso oramai adottato nel Camposanto pisano di situare i monumenti nei muri di quel- l’ edifizio ove sono, e fra poco potrà dirsi ove furono le pitture dei primi mae- stri dei secoli XIII e XIV, toglie sovente la possibilità di dare a questi monu- menti laconveniente altezza, Ad esempio di molti cimiteri cattolici e protestanti, meglio sarebbe a parer mio inalzare le tombe nel prato scoperto che è dentro il recinto dei portici, e non più toccare le mura su cui rimangono ancora que’pre- ziosi intonachi macerati dalle intemperie. 1:10 sale. Molte lodi diede alle virtù del defunto e come medico pri- vato e come professore , lodi che partivano veramente dal cuore e al cuore scendevano di chi le udiva, cioè di pochi in una sì varia e numerosa assemblea. Parlò quindi del favore con cui fu accolto in Italia il progetto di onorare il sepolero di un nomo eminentemente utile ; e , nominato Thorwaldson, accennò.i prin- cipii della sua fama ora salita all’ apice. Nell’ argomento da lui prescelto pel bassorilievo del nostro deposito (Tobia guarito mi- racolosameute dal figlio) egli scorse una fina allusione alle virtà di Andrea Vaccà. E a questo argomento tratto. dalle sacre carte pospose altre allegorie che poteano sembrare appropriate all’uopo, delle quali una ne citò a preferenza, ed è la guarigione di Gof- fredo nel Canto XI della Gernsalemme: Stassi appoggiato e con secura faccia ec. To non biasimo Thorwaldson di avere rappresentato sulla tom- ba di Vaccà il fatto di Tobia; ma non so accordare al Rosini che si debbano effigiare immancabilmente sulle tombe dei nostri con- temporanei allusioni e non fatti propri. Se sono dessi veracemente degni de!l’onore del Panteon ( nè trascorro fino a.volere con Mi- lizia che si affibbi loro un processo per gindicarne ) e che ? non presenta la storia della loro vita un’ infinità di temi senltorii ? che altro deve essere il monmmento di un uomo non oscuro fuor- chè un sunto biografico figurato ‘inteso con tutta facilità dai vi- venti e dai posteri ?. che se il defunto non ha altra fama ( fa- ma rara ) che di buon padre di famiglia o di buono amico, tanto più sono disdicevoli le allegorie pei suoi che lo piangono. Possia- mo mirare con animo non commosso un genio colla face rovesciata o altre simili trivialità, ma la statua di un nostro caro estinto, viva, parlante , atteggiata come egli si atteggiava , noi non potre- mo per un tempo sostenerne la vista , nè mai sostenerla senza pianto, e infonderà parte del nostro affetto anche nella turba de- gli indifferenti. Rivedete per la centesima volta i tanti monu- menti italiani del quattrocento che hanno un carattere loro pro- prio, e sentirete il vero del mio detto. E prendendo un esempio più recente, voi rammenterete senz’ altro un bassorilievo di Bar- tolini ove un padre abbraccia l’ urna del morto figlio (meglio sarebbe stata nel costume presente una cassa mortuaria ), ed ha seco la mogli» e un altro figlio e una figlia ; sono tutti ritratti, di visi non greci, non ideali, ma inglesi credo o tedeschi. Ebbene , io gli ho impressi nel prefondo del cuore quei visi impietriti da un dolore acerbissimo. E voi professor Rosini che in quel vostro Ii tributo di dolore ec. alla memoria del Vaccà dipingeste (pag. 45) tanto pateticamente l’ animo di quell’ egregio, che iuterrogato da una donna di alti spiriti già vicino a morte aprì le labbra a un sorriso per ingannaurla, ma lo tradiva una lagrima ec. in questo e in simili tratti di quella vita, e non nel Tasso, cercate ve ne prego argomenti di scultura per la sua tomba. Troppo direi, caro Vieussenx, se avessi a sfogare il mio mal- contento nel vedere a ogni passo tradito lo scopo più sublime dell’arte, l’espressione cioè negli epitaffi o nelle sculture monu- mentali, dei rapporti che passano fra i viventi e i trapassati (2). Mentre dai ruderi degli sparsi edifizi Greci e Romani estragghiamo tutto giorno tante immagini di uomini grandi e tanti. fatti che servono di lume alla storia ; mentre la dotia Europa vede uscir dalle sabbie dell’ Egitto una messe inesausta di marmi e di pit- ture in cui l’ effigie dei Re e delle loro gesta, dei riti, dei co- stumi, delle leggi di quella nazione si svelano alle indagini di una nuova scienza storica e filologica , noi non vergogniamo di lasciare ai posteri nelle nostre Chiese e nei Cimiteri, non già la verace impronta del Secolo , ma un fragile aggregato di allego- rie e d’iconografie pagane , informate nel marmo e nel bronzo non fra i palpiti dell’ artista ma fra le stiracchiature degli an- tiquari; enimmi insomma e non altro per la moltitudine, che ne raccoglie il senso sconciato e mozzo dalla bocca dei Ciceroni e dei Servitori di piazza. Scusate la digressione, e tornate meco nel Camposanto Pisa- no. L’ allocuzione, di cui non ho potuto trasmettervi se non un cenno imperfetto, termina con un bel riepilogo di lode al Vaccà, e con parole di consiglio dirette ai giovani medici e chirurghi che le ascoltavano. E ad essi, come nella eloquente perorazione del discorso sopra l’Orcagna già fucea Niccolini parlando agli studenti delle Belle Arti, dava il professor pisano solenne giu- ramento di essere generosi ed umani, emuli in questo almeno dell’uttimo maestro loro. (2) Ghi vuol vedere fin dove può giungere la smania di scolpire arcani so- pra i sepolcri , di non variarne le sculture a seconda delle persone ; ma di fare al contrario , che il monumento di un chirurgo , per esempio , mutato nomine possa servire a tutti i chirurghi nati e nascituri, quello di un capitano a tutti i capitani e via discorrendo , legga la spiegazione di un disegno fatto dall’archi- tetto A. Gherardesca per onorare il sepolero del nostro Vaccà, disegno pubbli- cato dal Nistri nel 1827. E lo cito perchè su questo proposito anche gli uomini «li merito ( e il Gherardesca è tale ) camminano secondo me alla cieca e in una falsissima via. 112 Sciolta che fu l’adunanza, mi fermai lungamente dinanzi al Basso-rilievo di Thorwaldson. In esso sono quattro figure rap- presentate in modo che la composizione del tutto riesce semplice e armonica quanto altra mai. Il vecchio Tobia, non seduto, ma appoggiato a un piccolo desco, si sostiene colla faccia in avanti tenendo con ambe le mani il bastone. Il figlio di lui ha nella sinistra la scodella colma del farmaco miracoloso, e colla destra leggerissimamente tocca gli occhi chiusi del buon vecchio. In quel volto leggi una diligenza direi quasi timorosa e un desiderio vivo a un tempo e tranquillo , e quel volto nobilissimo ram- menta s’io non erro quello di Thorwaldson giovinetto. Da uno dei lati, la vecchia Anna guarda amorosamente il figlio e il con- sorte, e fra questi e lei si vede in atto naturalissimo il cane che avea precorso l’arrivo di Tobiolo nella casa paterna. Nell’angolo opposto l’ Angelo Raffaele stende la destra con dignitosa amore- volezza verso il buon figlio, quasi congratulandosi seco del pro- digio operato. Tiene tutt’ ora nell’altra mano il bastone usato in viaggio, ed essendo ormai sul punto di svelare a quei giusti la sua divina natura, mostra di già spiegate le ali E non è l’andar suo cosa mortale Ma d’ angelica forma , e le parole Suonan ben altro che pur voce umana. Decidano gli scultori degni di giudicare un Thorwaldson, se veramente la barba del vecchio Tobia sia troppo compatta e ri- gida , se le forme dell’ Angelo rotondeggino quasi femminilmente, se la finitezza di esecuzione non sia portata nel marmo a quel grado di perfezione a cui lo è in altre antiche e moderne scul- ture : io solo mi attenterò di osservare, che secondo l’idea più comune il giovane Tobia dovrebbe avere il braccio con cui opera interamente sgombro dal manto, come nel passo sovracitato della Gerusalemme è dipinto dal Tasso, Erotimo +... +... in gonna succinta e dalle braccia Ripiegato il vestir (Ott. LXXI ) e concluderò rallegrandomi con i Pisani dell’ acquisto da loro fatto di un’ opera così peregrina, non menochè dell’ esempio dato all’ Italia in onorare con efficace concordia un uomo, di cui pian- gerassi lungamente la perdita. Credetemi invariabilmente P. delle C. 113 RIVISTA LETTERARIA L’ Arricchito Ambizioso, commedia in cinque atti e in versi di Giuro Crerpi. Torino, Chirio e Mina 1829 in 12.° L’autore (sotto il cui nome, probabilmente anagrammatico, posto în fronte a questa commedia, sembra ascondersi quello dell’autore d’al- tra commedia pur di cinqu’atti e in versi pubblicata sei anni sono, la Crisi del Matrimonio) è intimamente persuaso, come già lo furono i Greci e i Latini e vari celebri Italiani de’tre secoli antecedenti al no- stro, che i versi più che la prosa convengano a simili composizioni. Il pubblico, per vero dire, si mostra d’ altro parere, e del parer del pub- blico si mostrano in generale gli attori e gli autori comici, 'sia che quello a questi o questi a quello diano legge. A prima giunta può cre- dersi che il lor parere comune, anzichè da teorie o da principj di gusto, nasca da impazienza, da indolenza , da imperizia, da altre cause ch’essi non amerebbero confessare. Pur le teorie o i principii di gusto non mancano a sostegno di quel parere, che Aristofane o Terenzio, 1’ Ario- sto o il Caro, il Maffei o l’ Alfieri chiamerebbero forse villiaditalia. Chi nel penultimo quaderno antologico diede conto del Saggio sulla commedia italiana scritto dal Salfi, disse che tal parere gli sembrava assai giusto per questa ragione specialmente che ‘ la sola misura non formando versificazione , ma abbisognandovi sovente un’artificiosa col- locazione e disposizion di parole e qualche traccia di linguaggio poetico e figurato , ec. ,, veniva ad esserne sbandita quella ‘ naturalezza , pro- prietà, spontaneità di discorso familiare ,, che appena può serbarsi nella prosa, e alla commedia è sì necessaria. Il che leggendo l’autore dell’ Arricchito, e sembrandogli trovarvi un’allusione o una censura indiretta alla sua commedia , annunciata nel catalogo bibliografico del quaderno già detto, trasmise all’ Antologia una specie di nota apolo- getica in forma di lettera , la qual porta la data de’ 29 di questo mese, e di cui trascriviamo la maggior parte. ‘ Implicitamente biasimato (da chi diede conto del Saggio sulla commedia italiana, e ch’ei suppone una persona medesima con altri due nostri collaboratori, l’uno de’quali scrive spesso, l’altro meno spesso che in passato per le riviste antologiche ) ardirò provarmi a sostenere piuttosto la verseggiatura comica che me stesso, ec. ec. ‘ Il poeta comico a quel fine imita? Per dilettare. E piace imitando con la parola i caratteri, i costumi e le affezioni degli uomini. Or se ne imitasse anche la loquela non procaccierebbe egli un diletto di più? — Ma come imitare il parlar naturale con l’identico parlar naturale ? — Credono taluni che a differezianzare la prosa della commedia dalla lingua parlata non vi occorra il metro, e basti espellere le voci e i T. XXXVII. Febbraio 15 114 è modi troppo volgari, e far uso delle figure , delle metafore e degli al- tri traslati. Questo è un mutilare e rimbellir il vero per ridurlo a non , essere che verisimile. L’imitazione invece delle belle arti rende verisi- mile ciò che non è vero, ec. ‘ L’ imitazione ( Metastasio , Poet. d’ Arist. passim ) non è obbligata »» ad esprimere tutte le qualità del vero. Consiste l’eccellenza dell’imi- ,; tatore, non già nel riprodurre con esattezza un originale, ma nel dif- 3) ficile uso ch'egli sa fare della materia con la quale s’è impegnato ad 5, imitarlo. Onde, quando questa materia non può adattarsi in tutto al ss vero, non la cambia per ciò nè la nasconde come farebbe il copista, ,, ma sicurò che il discreto spettatore non pretende da lui l’impossibile , , la conserva e l’ostenta, affinchè avvertito da quelle stesse palesi dif- ,, ficoltà , rifletta alle tante altre superate. ,, . ‘ La discrezione. richiesta non giova unicamente all’artefice; ella è necessaria a pro di chiunque voglia trar diletto dall’ arti sorelle. Che è mai la scultura per l’occhio cui non appaghi il solo rilievo delle forme senza il colorito ? Che la pittura mancante di esso rilievo? - Quanto è povera di naturalezza l’opera in musica dove si piange e si muore cantando! — Nelle pantomimiche rappresentazioni viene imitata la favella. Ma con che? Col gesto! = Siccome quelle rappresentazioni sono talvolta d’ argomento famigliare e mirano a porre in ridicolo i vizi e i difetti nostri, a un di presso nel modo che fa la commedia, non s’ avrà a dire anche al coreografo : scrivete un saggio di dialogo comico familiare o prendete una scena già scritta e provatevi a tradurla in gesti: vedrete il bisogno di rinunciare a molte cose proprie e naturali e di fare sparire ogni traccia di discorso familiare e vi convincerete che la parola è preferibile al gesto? & ‘“ 0 dunque l’ Antologia esclude dalle imitazioni del poeta comico il linguaggio, oppure non dovria disapprovare che i versi comici non | TT | buoni, come pur troppo saranno i miei. Le migliori commedie ita- liane tengono in letteratura, se mal non m’appongo, un luogo pari a quello nel quale è posta in pittura la scuola fiamminga e olandese; e parendomi che, comunque mediocrissimo, il mio poemetto. comico ac- cenni dalla lunga un’ altra forse non ingrata maniera, io mi credea che Y Antologia avrebbe incoraggiato altrui a colorire il disegno a mala pena da me adombrato ,,. L’altra forse non ingrata maniera, che l’autore si è proposta, sembra una specie di litografia, una satira piuttosto fine, che lepida de’ nuovi vizi e delle nuove ridicolezze d’una società raffinata. Molta attitu- dine sicuramente egli mostra per simil genere di satira. Io non dirò che il personaggio del suo Arricchito sia preso esattamente dal vero. Per quanto “ la coppa della fortuna lo imbriachi ,, parmi che in gene- rale, non mancando egli nè di spirito nè d’uso di mondo nè di certa cultura, parli ed operi troppo a sproposito. Non dirò nemmeno che gli altri personaggi, sebbene più veri del principale, abbiano molta e vera vita; ond’è che l’azione, che pure è ben condotta, non riesce abbastanza #15 interessante. Ma il concetto primario di quest’ azione , varie scene par- ticolari, molte parti di dialogo sono cose veramente degne d’attenzio- ne. Alcune parti di dialogo credo anzi che gli potrebbero essere in- vidiate da qualunque satirico il più abile. Nella qual lode nessuno sospetterà , spero, la minima adulazione , poi ch’ è facile accorgersi ch’ io intendo anche comprendervi un poco di critica. Infatti quelle parti, ch’io pur stimo le più belle, mi sembrano per la loro conci- sione e il loro: aculeo più da sermone poetico che da commedia. Quei passi poi, in cui sono adoperate foggie di dire molto insolite , in cui forse si è voluto supplire coll’arte a certa natural festività di linguag- gio che mancava, riescono un po’scuri, e ne soffre (ciò che sicura- mente non sarebbe avvenuto se la commedia fosse in prosa) anche la chiarezza dell’azione. La Crisi del Matrimonio , cosa meno fine dell’Ar- ricchito Ambizioso, è, s’io ben me ne rammento, assai più chiara. Le compagnie comiche, credo per questa sola ragione ch’è in versi, non l'hanno ancora sperimentata sulle scene. Lo farà tra poco (e pri- ‘ma forse che questo breve articolo esca alla luce ) la nostra Società Filodrammatica. M. Vita Dantis ArrenerIt a J. MARIO PurLELPHO scripta, nunc primum ex Codice Laurentiano in lucem edita ed notis illustrata. Florentiae ex Typ. Magheriana 1828 in 8.° Molte cose di questa Vita di Dante , scritta dal Filelfo juniore e or pubblicata per la prima volta dal Moreni, già ci eran note per le cita- zioni del Mehus nel proemio alla vita del poeta scritta dal Manetti, e quelle non men copiose del Pelli nella vita che ne scrisse egli medesimo. Sebben, però, l’intero testo oggi prometta poco di nuovo alla curiosità degli eruditi, sarà da loro accolto volentieri, e accompagnato all’ altra ita di Dante, scritta dal terzo Villani, e pubblicata anch'essa dal Mo- | reni con quelle del Petrarca e del Boccaccio tratte insieme da un Codice Barberiniano. , Se il Villani è stimato scrittore assai magro , il Filelfo, non giova dissimularlo, ha riputazione di scrittore assai erroneo. Non però lo direi assolutamente impostore . npudente, come lo dice il Foscolo nel Di- scorso intorno alla Divina Commedia. Dubito anch’io ch’ egli abbia par- lato delle fonti a cui attinse le sue notizie con iperbole da retore. Quando però guardo al gran numero di antiche vite del poeta, e di antiche chiose del suo poema, che serbansi inedite nelle biblioteche , quando penso alle tradizioni senza fme che intorno all’uno e all’ altro probabilmente ancor giravano per le bocche degli uomini a’ giorni del Filelfo, vo pur pen- sando ch’egli abbia mancato di critica piuttosto che di sincerità. Egli “ se s'ha da credergli, dice il Foscolo, avea conversato fa- migliarmente con Pietro Il (pronipote di Dante) e adonestò il romanzo inedito tuttavia, ec. ec. ,,. Or in fronte al romanzo non più inedito sta 116 la sua dedicatoria a questo Pietro, nell'atto di lasciare il soggiorno di Verona , che avea comune con .lui, per quel di Venezia, e con essa un’altra dedicatoria di Pietro, che volendo venire a Firenze manda innanzi il romanzo come vera storia a Pier de’ Medici e Tommaso So- derini, onde per venerazione dell’antenato accolgan meglio il discen- dente. Se da queste due dedicatorie non viene ai racconti del Filelfo alcun grado maggiore di credibilità, ne viene però gran diminuzione al sospetto in cui il Foscolo vorrebbe che l’ avessimo di perpetua im- postura. Del resto se il Foscolo avesse avuto innanzi l’intero testo della Vita da lui scritta , forse si sarebbe sentita ispirare qualche fiducia, p. e. da quello che vi si dice di Gemma Donati, dipinta generalmente come la Sautippe del gran poeta, e di cui leggiamo una sì bella difesa nel Di- scorso intorno alla D. Commedia ; da alcune parole di comparazione fra il poeta e l’apostolo Paolo, non aliene dall’idea di quella missione che nel Discorso gli viene attribuita; in fine da altre particolarità che non importa accennare. Una delle cose che più hanno fatto sdegnar il Foscolo contro il Filelfo è il veder da lui attribuite al poeta opere a tutti ignote o passi d’ opere notissime, come la Monarchia e la Volgare Eloquenza, ma assai diversi da quelli che leggonsi nell’ opere mede- sime. E appunto da questa diversità, che a’ suoi occhi è vera falsifica- zione, argomenta che quell’opere ignote sieno impudentemente sup- poste. Ma lasciando stare che la questione circa il vero testo della Monarchia e della Volgare Eloquenza non è punto decisa, il Filelfo potrebbe averle citate erroneamente per difetto di memoria, dal che non verrebbe alcuna induzion di menzogna riguardo ad altre opere. Più errori di fatto, che trovansi nella Vita, sono corretti dall’ edi- tore con molta diligenza; più cose vere confermate o illustrate con varia erudizione. Non dirò cosa nuova per chi conosce le altre opere da lui edite (ne abbiamo un catalogo cronologico in fin della Vita ) dicendo che nelle sue illustrazioni egli non ha punto risparmiate le di- gressioni. Ove p. e. il Filelfo parla di Brunetto come maestro di Dante, l’editore tocca 1’ accusa data al discepolo per ciò che dice del maestro nel quindicesimo dell’ Inferno, e in proposito di quest’ accusa tocca pur l’altra datagli per ciò ch’ivi dice di Branca Doria, e ci manda in fin del volume a leggere la difesa fattane in un discorso finora inedito di Rossantonio Martini. Il Filelfo terminando la Vita parla d’un ritratto del poeta ch’era . in S. Croce , e che i suoi discendenti stimavano somigliantissimo al vero. L’editore, notando com’esso da gran tempo più non vi sì trova, ag- giunge notizie sugli altri antichi ritratti, de’ quali ragiona pure nella prefazione. Il più antico , siccome a tutti è noto , è quello che ne dipinse Giotto nella cappella del palazzo del Potestà, e al quale poi, come all’ al- tre pitture che gli stavano intorno, fu barbaramente dato di bianco. Gran danno veramente, se, come è da supporsi , il ritratto più antico era anche il più somigliante. Il nostro editore però ci dà speranza che sia / VI7 danno riparabile, dicendoci come il valente pittore L. Scotti, avendo sco- perto nella cappella già detta qualche traccia dell’antiche pitture, è pronto quant’ è da sè a cercar di risuscitarle. Intanto ci è pur forza riguardare come il più antico de’ritratti del poeta quello che fu posto nelDuomo poco dopo la "metà del secolo decimoquinto con iscrizione in versi, chi pensa di Bartol. Scala, e chi di Coluccio Salutati. Ma già fin dal principio del secolo un’altro n’era stato posto nell’istesso luogo , e quindi rimosso, in grazia forse della sua iscrizione troppo acerba a’Fiorentini ; il qual ri- tratto dice l’editore d’ aver veduto molt’ anni fa tutto lacero e guasto sotto il loggiato dell’ Opera del Duomo stesso. E più antico forse era quello coronato d’ alloro che vedeasi in S\ Giovanni, e di cui parlasi in una lettera di M. Ficino a C. Landino posta in fronte al commento del Landino medesimo. Da questi debbon credersi derivati quei tanti che già erano perle case e per le ville de’ cittadini fin da’ giorni di L. Are- tino, e che si andarono vie più moltiplicando fino a quelli di Baccio Valori, che ne fece porre il busto sulla porta dello Studio Fiorentino. Le quali cose ben mostrano, dice l'editore, quale sia stato quasi sem- pre l’animo de’ Fiorentini verso il poeta, e se sien giuste l’accuse loro date per non avergli sino a questi ultimi giorni inalzato alcun monumento. Del resto è pur noto, ei prosegue , com’eglino gliel decretassero solenne fino dal 1396 , sperando avere dai Ravennati le sue spoglie. Nel 1429 essi fecero nuova istanza e nuovo decreto , che trovasi nell’ Archivio delle Ri- formagioni, e che l’ editore pubblica, traendone occasione di correggere un’ errore dell’ Ammirato il giovane e d’altri storici riguardo al decreto primitivo. Nel 1519 finalmente fu chiesta pell’ uopo che si disse la me- diazione di Leon X (il documento che lo comprova , esistente nell’Ar- chivio Diplomatico, è anch’ esso fatto pubblico dall’editore ); e in mezzo ai nomi de’soscritti leggesi questa dichiarazione del Bonarroti colla quale fo fine, poichè leggendola è quasi impossibile non sentirsi velar gli oc- chi dal pianto: Jo Michelagnolo scultore il medesimo a Vostra Santità supplico , offerendomi al Divin Poeta fare la sepultura sua condecente e in loco onorevole in questa città. M. Trattato di Riccarvo Da S. Virrore de’ quattro gradi della Carità, attribuito a S. BerwnARDO: volgarizzamento antico toscano. Firenze , Magheri 1829 in 8.° Quest’ antico volgarizzamento, di cui pure dobbiamo la pubblicazione al benemerito Moreni , è tratto da un codice riccardiano , onde già per sua cura furon tratte le Lettere di Feo Belcari. Se esso possa ascriversi al Belcari medesimo , si giudichi da alcuni fatti, giacchè a tal uopo forse non basterebbe il confronto dello stile. Nel proemio alla Vita del B. Gio. Colombini il Belcari dicea d’aver volgarizzati , oltre il Prato Spirituale (che va unito per solito al volga- rizzamento delle Vite de’ Padri fatto dal Cavalca) più altri devoti libri. 118 Il Mazzucchelli, ciò notando ne’suoi Scrittori Italiani, lagnavasi di non sapere ove questi libri sì trovassero, e di non poter perciò darne altra notizia. Ma essi, dice il Moreni, trovavansi proba- bilmente nel monastero di S. Maria del Paradiso presso la nostra cit- tà , ove prese il velo una figlia del Belcari, quella a cui è diretta la prima delle sue Lettere. Il codice infatti , ove leggesi con es- se il volgarizzamento or pubblicato, ha in fine il seguente ricordo: ‘ Questo libro è di suora Cecilia da Diacceto indegna badessa del Para- diso : chilo accatta lo renda ,,. Ed esso e gli altri passarono in seguito, per quel che può credersi, al monastero di S. Ambrogio entro la città. Edivi il Moreni vide vent’anni sono un altro codice, contenente il volgarizzamento medesimo , in fin del quale era scritto da mano contem- poranea: ‘° Di Feo Belcari reverendo padre a noi carissimo ,, titolo datogli, più verisimilmente che da altre monache, da quelle del Para- diso. Confrontato questo codice, e fattolo confrontar da periti con una coserella autografa del Belcari, la qual si conserva nell’archivio della Basilica Laurenziana, parve al Moreni che fra la scrittura dell’ uno e dell’altra fosse poca diversità. Ove or sia questo codice non gli è riuscito di rinvenirlo. Ma la sorte, com’ egli dice, gliene ha posti alle mani due altri, 1’ uno anch’ esso riccardiano, che sembra della fine del secolo decimoquinto , il secondo laurenziano, che ha la data del 1484, anno in cui il Belcari morì. Il confronto de’tre codici, di cui egli nota tutte le varianti di qualche conto, gli è stato assai giovevole per fornire agli studiosi della Ilingua un testo emendato, ch’ essi avranno assai caro. M. BrsLrorecA PorrariLe del VraccrarorE. Firenze, Passigli, Borghi e C. 1829-30 in 8.° fig. Ove la terra fosse tutta un giardino , ove il cammino del Viaggiatore fosse tutto fra lieti colli, vaghi boschetti e rive fiorite , non so qual volu- me potrebb’esser più proprio a tanta amenità che questo primo e leggia- drissimo d’una Biblioteca portatile, il qual contiene i quattro sommi poeti della nostra nazione. Molte lodi io dovetti pur dare alcuni anni sono al bel volume delle Tragedie Classiche Italiane pubblicato dagli stessi editori, e pegno di molto amore per la lor arte. Ma questo nuovo è di tanta vaghezza, che indica amor grandissimo e gusto squisito e parmi anche una specie di culto per que’nostri sommi. Lo adornano quattro graziosi ritratti, disegnati dal Cateni e incisi da Lasinio figlio, ed altret- tante vignette imaginate e disegnate dal Nencie incise dal Zignani, frale quali loderò specialmente la prima e la terza, l’ una degna a più riguardi della fantasia di Dante, l’altra degnissima veraniente della fantasia dell’ Ariosto. M. 119 Iconografia contemporanea , ovvero collezione di ritratti dei più celebri personaggi d’ Italia, disegnati dal sig. Ermini, ed incisi dal sig. VEN- DRAMINI , editore. Accompagnata da notizie VIagIArano 5 letterarie e cronologiche. Firenze 1830 L. Pezzati. Fasc. V.° Quest’ impresa procede , a quel che ne pare , con lietissimi auspizîi ; poichè alla perizia di due artisti valenti si aggiunge a darle lustro 1’ ar- te di egregi scrittori. Abbiamo ora sott’ occhio l’imagine di Vincenzo Monti ; e la breve vita scrittane da tale che abbastanza da sè si mani- festa, quand’ anco le iniziali non ne indicassero il nome. Nè più af- fezionato nè più ingegnoso interprete degli arcani suoi sentimenti po- teva il Monti trovare, del suo Giordani. Noi quì riportiamo per intero questi cenni, che a dipingere il carattere dell’illustre poeta sono assai, al desiderio degli estimatori del Giordani e degli amatori de’suoi scritti riusciran troppo brevi. Giova che la posterità sappia quanto il Monti fu buono: ma giova ancor più, che i presenti e gli avvenire rammentino che la condotta di quest’ uomo raro ha bisogno di scusa. Tali conside- razioni non nocciono alla sua fama, e giovano ad ammaestramento e ad esempio. Poichè , troppo scorno all’Italia sarebbe che la debolezza de’ grandi accrescesse la baldanza della vigliaccheria ne’mediocri. EEN? “ Vincenzo Monti nato presso Fusignano ( territorio Ferrarese ) a’ 19 di Febbraio 1754, morì in Milano il dì 9 Ottobre 1828 : del quale poichè molti già scrissero, con varietà di giudizi e di affetti; io che devo essere brevissimo, renderò con poche parole testimonio sincero alla bontà di quel grand’ uomo. Il quale vicino al finire della vita, da persona a lui e a me carissima, più volte e istantemente mi fece ri- chiedere di questo uffizio; non meno dovuto alla verità che ad una lunga e fedele amicizia. Poichè la bontà del mio amico fu nota e pro- vata a quanti lo conobbero, degni di amarla ; e non meno la conob- bero gl’indegni, che troppi e troppo l’abusarono. Ma quelli che non lo viddero , e molte generazioni future, che ne’suoi scritti leggeranno parole superbe e sdegnose, potrebbero leggermente crederlo assai di- verso da quello che fu. Però ci è necessario avvertire ch’ egli quando sì fece riprenditor veemente di quelli che studiano ad ingannare il ge- nere umano 0 ad opprimerlo, compiè il debito di poeta civile : quando poi, o essendo o credendosi offeso , punse altrui non per causa pubblica ma per suo proprio dolore, non fu mai concitato da stimoli d’odio o d’ invidia; ma traportato da un torrente di fantasia: la quale in lui (somigliandolo a Cicerone) soverchiò le altre parti della mente , e do- minò la vita. Egli per verità se fu pronto a divampare in isdegni, non sempre giusti, ma brevi e placabili; tanto fu incapace dell’ odio : anzi rispondeva coi benetizi alle ingiurie; poco sapendo guardarsi da 120 nuove offese d’ingrati e d’ingannatori. Nella severa maestà del suo volto (sì vivamente rappresentata dalla scultura di Giambattista Comolli) la grazia (non rara ) d’un sorriso dolce e delicato rivelava pienamente un animo sincerissimo e affettuoso. E la sincerità fu perfetta, che nè voleva nè poteva dissimulare non che fingere verun pensiero ; e perciò detestava forte ogni falsità e simulazione : così avesse saputo da’ falsi e simulati difendersi. Quell’ anima nobilissima ignorò affatto l'invidia : nell’estimare gl’ ingegni e gli studi altrui liberale ; nel giudicare i vizi e le virtù piuttosto molle che rigido ; nel far congettura delle indoli semplice , e siccome corrivo a imaginarsi il bene , così facile ad ingan- naysi ; placabile ai tristi, con facilità deplorabile ; affabilissimo anche agli sconosciuti; amico agli amici con fede e tenerezza singolare. In- grandiva ogni più piccol servigio che ricevesse; e alla riconoscenza non poneva termine: compativa a tutte le afflizioni, avrebbe voluto soccorrere tutti 1 bisogni; amava e favoriva tutti i meriti: e della grazia che giustamente godette presso i potenti cercò profitto non per sè stesso, ma per altrui. Studiò di non dispiacere a’ potenti: e perchè il giuoco di fortuna è insolente , e spesso nel suo teatro gl’istrioni si cam- biano; perciò il buon Monti, necessitato di voltare quando a ponente e quando a settentrione la faccia, non potè sfuggire dal biasimo di quelli che nel poeta vorrebbero gravità e costanza di filosofo, e a lui diedero colpa di mutate opinioni. Ma egli non vendette la coscienza, nò mai, nè per avarizia, nè per ambizione ; e nemmeno si può dire che mentisse a sè stesso. Lo fece apparire mutabile una eccessiva e misera e scusabile ti- midità ; la quale egli stesso confessava ai più stretti amici dolente. E si consideri che a lui già famoso non sarebbesi perdonato il silenzio. E si guardi che s’egli variamente lusingò i simulacri girati in alto dalla for- tunevole ruota; non però mai falsò le massime, non raccomandò l’er- rore, non lodò i vizi trionfanti, non mancò di riverenza alle virtù sfor- tunate: sempre amò e desiderò che il vero , il buono , l’utile , il coraggio, la scienza, la prosperità , la gloria, fossero patrimonio di nostra madre Italia. In somma chi ha conosciuto intimamente e considerato bene il Monti può dire, che le molte ed eccellenti virtù che in lui il mondo am- mirò, e ì tanti suoi amici adorarono, e quel non molto che alcuni ricusa- rono di lodare; quella vena beata di poesia e di prosa, quella splendida copia d’imagini, quella variata ricchezza di suoni, quell’ arguta abbon- danza di modi in tante differenti materie ; e similmente quelle inegua- glianze e dissonanze, e quasi quei balzi di stile; quell’ audacia talora di concetti scomposti; e così quella facilità e mobilità di affezioni, quelle ire subite e sonanti, con quella tanta facondia nell’ ira; quella modestia e semplicità di costumi, quella perpetua ed universale benevolenza ; quella, per così dire , muliebrità d’indole (che pareva più notabile in corpo quasi di atleta e nella poetica baldanza dell’ingegno) tutto nel Monti era parimente cagionato da prepotenza di passiva imaginazione. La quale dopo molt’anni egli seppe frenare, ed ammogliare al giudizio, sommettendola a studi potenti, benchè tardivi: grande maraviglia a tutti 12I che paragonavano lui lungamente giovane a lui tardi maturato scrittore. Ma quanto il suo ingegno si maturò senza invecchiare; tanto gli bastò sin presso all’ estremo fervida la giovinezza del cuore. Sia giudice duro a Vincenzo Monti chi vuole e può : a noi sarà caro il rimemorare con amorosa melanconia che il poeta riverito in Europa, adorato dagl’ Ita- liani, l’amico degno di Ennio Visconti e di Barnaba Oriani, l’encomia- tore del Parini e di Napoleone, fu non meno buono che grande. ,, P. G. “ Le Opere di questo grand’ uomo pubblicate lui vivente e delle quali esistono moltissime edizioni , sono le seguenti: La Basvilliana; Poema non terminato, Vol. 1. - Le Tragedie - Aristodemo , Cajo Gracco , e Galeotto Manfredi, Vol. 1. Il Fanatismo, la Superstizione, ed il Pericolo; Canti, Vol. 1. = Poesie varie, Vol. 2 in 8.° — La Musogonia; Canto, Vol. 1. — Il Prometeo, Poema non ter- minato, Vol. 1. — La Mascheroniana, Poema non terminato, Vol. 1. = La Traduzione delle Satire di Persio Flacco , Vol. 1. La Visione, Canto, Vol. 1. = Ode genetliaca, Vol. 1. = Lettere filologiche sull’ alato cavallo d’ Arsinoe, Vol. 1. = Lettera al Bettinelli, Vol. 1. — Il Bardo della Selva Nera, Poema non terminato, Vol. 1. = Le Prolusioni Vol. 1. I Pittagorici, Dramma, Vol. 1. = L’Iliade d’ Omero tradotta in versi sciolti, Vol. 3. = Le Api panacridi, Ode, Vol. 1. — La Jerogamia di Creta, Inno, Vol. 1. = Proposta di correzioni, ed aggiunte al Vocabolario della Crusca , Milano 1817-26, Vol. 7 in 8.° = La Palingenesi politica, Canto, Vol. 1. — Esiste fra le altre edizioni, una edizione colla data d’Italia 1821, in 8 Vol. in 12.° intitolata: Monti (Vincenzo) Opere. Questa è più completa di tutte l’ edizioni pubblicate fin quì ; e st aspetta con anstetà la pubblicazione della Feroniade poema, con altre opere postume che l’egregia Vedova del- l’ illustre Defunto ha promesso che presto vedranno la luce. ;, Sermoni di MercHior MuissirinI. Livorno, Tip. Pozzolini , 1829. Il sig. Missirini credendo inarridito l’ italo alloro , e pieni di zizania i campi del Parnaso, si è mosso con lodevole zelo a recidere tutte le male erbe , che potrebbero soffocare i teneri fiori che spuntano nei giardini delle Muse. Quindi i presenti sermoni volgon tutti sulle lettere e sui letterati, riprendendo alcuni difetti propri di ogni età , ripren- dendone altri che più specialmente riguardan la nostra, come i Ro- mantici, i Puristi, i Dantisti ec. (V. serm. 9, 25, 33). Certo che l’ argomento non è punto sterile , e vi si può provare l’ ingegno con speranza di buona riuscita assai più che in un Canzoniere . Ed in- fatti se taluno vi può desiderare un esame più accurato e imparziale di alcune dottrine , un andamento meno uniforme, e quei lumi e quelle tinte che in un paesaggio non molto gaio ed ameno devono spargersi destramente a fermar l’ attenzione e risvegliare il diletto , T. XXXVII. Febbraio 16 122 con vero piacere peraltro vi troverà ognuno molta indipendenza di opinioni, molta franchezza e verità di giudizi sulle scuole , l’ educa- zione , le accademie , i versi recenti ( v- Serm. 6, 8 , 14), molta ge- nerosità di sentimenti in ogni parte , il tutto espresso con uno stile assai volte animato e sempre elegante. Del che non sapremmo dare una prova più manifesta che col riportare i seguenti versi tratti dal Sermone diretto all’ egregio conte Leopardi. In esso dopo aver ripreso chi si occupa a scrivere canore inezie , così prosegue: +. 0 «+ «+» Ma non tutte ciance Or son le rime : Il tuo profondo carme, Ciancia non è: Sommo savere , e franco Nobil desio, magnanima ira, e intenso Di patria amor possentemente esprime Con magnifiche note , e dolci, e gravi. Solo il tuo carme è acerbo a guasto labro E chiuso a bassa mente, e ignoto al volgo ! Forte è il tuo dire , e pensier forti asconde , Figli d’ ardente alma sdegnosa, e schifa Di nostra serva, e sonnolenta etate : Te funesta a ragione il mal scoverto E spaventoso vero , e poichè indarno Invochi i sapienti antichi inganni, E vedi impune trionfar la colpa, E la mediocrità , solo ti avvanza , Ultimo scampo al tuo dolor; la morte. Tu detti a fatta etate: esempio porgi Del franco vol, che spiegherà secura L’ ausonia musa un dì: Tuoi divi sensi Saranno intesi allora, e fia sentito Tuo sublime sospiro , e quella fiamma , Che t° ange il petto vindice..... Forse anco Il pigro , e freddo secolo infiammarsi Più per tempo potrà, se vati avesse , Che, pieni del tuo ardor, le menti ignare Togliessero a educar .... Vana speranza! Chi pareggia il tuo ardire ? O generoso, La madre terra in fido piombo avvolto Accolga il senno tuo con questo scritto : Nessun mi tocchi: età matura aspetto. Ma , io vado pensando , la causa per cui il libro fu scritto , esiste realmente ? inchina cioè al corrompimento e alla decadenza l’italiana poesia ? quali pertanto ne sono gli espressi e manifesti segnali ?. E dico espressi e manifesti, perchè altrimenti potrebbe ben essere , che si mancasse d’ accordo per non ravvisare la cosa quale è in fatto , e si contendesse di vane parole. Io per esempio veggio che non si applau- discono le rime di amore, i versi per nozze e tutte le altre inezie, che valevano un tempo ad acquistare qualche nome ad un galantuo- 123 mo che accozzava quattordici versi, che non si approvano le favole ed i miti che abbellivano l'antico mondo poetico, che si ricusa il nome di poesia a tutto ciò che fortemente non ci agita e ci commo- ve e non desta grandi pensieri consentanei alla presente civiltà, che si getta con Foscolo sopra tutti gli arcadici rimatori quel solenne anatema: sdegno il verso che suona e che non crea , che si cerca insom- ma di ridonare energia e dignità ad una letteratura snervata ed infiac- chita dalla viltà del servaggio ; ed ecco che per questo si preconizza la barbarie dei vandali e dei goti , sì grida al sacrilegio ed alla perdi- zione , si grida ai traditori della patria, che non pensano e non sen- tono come i loro padri , che nella loro ammirazione confondono i greci ed i romani con quei barbari del settentrione , e cogli altri sciagurati o francesi o italiani che imbastardiscono la propria letteratura me- scendola colla straniera. E da che nasce lo zelo di questi custodi del Palladio nazionale ? io tengo che muova in alcuni da invincibile te- nacità delle proprie opinioni, in altri dal caritatevol timore di veder troppo invigorito |’ intelletto e troppo caldo il cuore di magnanimi sentimenti , in molti poi dalla abitudine di non sentir bello fuori dei classici, dal credere i moderni intesi solo a conversare cogli spet- tri e colle streghe, dal non voler esaminare le loro opere creden- dole tutte come l’Eleonora e La Danza dei morti. E così è impossi- bile I intendersi, e non fa quindi meraviglia che si deplori come de- cadenza quel che è cangiamento ; cangiamento inevitabile e necessario per la natura dei tempi e delle cose , per la rimembranza ancor viva e potente degli avvenimenti passati, per la lotta incessante e grandiosa dei due opposti morali principii che agitano tutta al presente la umana famiglia , per la speranza dei futuri destini che devon regolar 1’ uni- verso. E come quindi non amare quelle poesie , in cui si ritrova l’espres- sione dei nostri desideri e dei nostri affetti, la melanconia che ci sta nel fondo dell’ anima, i momenti di un estasi deliziosa di amore , di un entusiasmo di patria e di gloria , i momenti dell’ abbattimento e della tristezza, quando la malvagità degli uomini e la vanità di tutte le cose ci pesano mortalmente sul cuore? La fantasia già sazia e stanca della pittura degli oggetti esterni ha penetrato nel misterioso santuario dell'anima , e n’ è uscita feconda di una nuova poesia tutta piena di rivelazioni e di affetti, di sublimi e di soavi pensieri. L’ indole «di_ questa poesia si chiami pure ad esame, si avverta, dov’ erra, ma non si spregi, ma non s’inceppi, non s’invilisca con nomi obbro- briosi questo movimento spontaneo ed universale , questa ispirazione novella che un Genio potente risveglia da un capo all’ altro di En- ropa, e che fa germinar nuovi fiori in un terreno già arido ed iste- rilito. Non posso quindi non dolermi che un uomo d°’ ingegno e di sapere , amante della patria e delle lettere come il sig. Missirini ab- bia preso la quistione in un punto di vista sì poco esteso , e sì sia fermato a dar regole e lezioni, mentre poteva additare se non altro i mezzi di aiutare lo sviluppo di quei germi, coi quali si sosterranno 124 le arti dell’immaginazione. Si può ‘forse colle lezioni e colle regole infondere la potenza della creazione, destare la fiamma del genio ? Secondo le regole dei buoni maestri son deliranti Goethe, Byron e Schiller , è prosaico Manzoni, poco corre che non vada .messo fra i pazzi Victor Hugo, ed i maestri avranno ragione : ma il Fausto e l’Egmont, Maria Stuarda e Guglielmo Tell , gl’Inni Sacri e 1’ Adelchi sono nel cuore e nella mente di tutti, e la Francia va in entusia- smo alla rappresentanza d’Hernani. Se i fatti vagliono più delle paro- le, ognun vede per chi stà la ragione. L. Baramonre Tieporo. Tragedia di FeLice Vicino. Torino 1829 Tip. Alliana. Pag. 105. Pawporro Cortenvcero. Tragedia di FeLice Scrroni. Roma 1829 Tip. Aiani. Pag. 65. Prezzo 30 baiocchi. Noi dobbiamo lode agli autori per la saggia scelta di due begli argomenti, e italiani; e per le buone intenzioni patrie di eni sono in- terpreti i loro versi. Ma questi versi ci richiamano a una dolorosa con- siderazione intorno al metodo tragico invalso in Italia, metodo che può quasi assomigliarsi a una specie di manifattura. Nulla certamente più dissimile di questi due fatti: un nobile veneto che congiura contro le aristocratiche usurpazioni legali de’pari snoi ; e un vecchio benefattore, un vecchio sapiente, strascinato a morire per tradimento d’un tiranno vigliacco. Il ponte di Rialto , e la corte di Pesaro ; l’ uragano del 15 di giugno del 13r0, e l’ omicidio dell’rr di luglio del 1504; Pier Gradenigo, e lo Sforza ; la politica del raggiro, ela politica del delitto ; se queste non sono differenze notabili, e feconde d’ispirazioni diversissime, quali saranno? Ebbene : leggete le due tragedie del sig. Felice Vicino, e del sig. Felice Scifoni; e voi vi troverete de’ravvicinamenti singolarissimi , e una fisonomia, se non di gemelle , nec. diversa tamen ; qualem decet esse sororum. In ambedue, i soliti anacronismi sul senso de’due vocaboli scettro e patria; in ambedue, l’azione , già preparata nel fatto da buon tempo innanzi , incomincia col cominciare del dramma ; e lo Sforza non ha ancora risoluto di richiamare Pandolfo, e Baiamonte non ha procreato della sua congiura che un informe embrione. L’ Alfieri diceva che le congiure son più facili ad effettuarsi che a tragediarsi: convien dire che le sien facili davvero, se i poeti tragici le fanno nascere , crescere , e scoppiare in un giorno. Ma chi non vede che il limite del giorno non è quì che un’ illusione grossolana, e.che il senso comune e 1’ istinto dice agli spettatori e agli attori, che il giorno tragico è sinonimo di set- timana, di mese, d’anno astronomico ? Le regole davvero debbono essere qualche cosa di grande, se valgono a rinnovare il miracolo di Giosuè. Ma torniamo alle due tragedie. In ambedue un amore inventato; un bel saggio di bello ideale. Baiamonte, il congiurato, è amante e sposo se- ereto della figlia di Pier Gradenigo, il doge nemico : Giovanni, il tiranno | È, | | 195 traditore , è innamorazzato della figlia di Pandolfo , il benefattore tra- dito. Quindi le solite scene. = In ambedue le tragedie abbiamo un mal- vagio di second’ ordine , che aizza gli odi, e li adula. In ambedue, ciò ch’ è il più singolare, questo malvagio di second’ ordine affretta !a morte delle due vittime ; e i cadaveri di Baiamonte e di Pandolfo ci si fanno egualmente vedere al tirar d’una tenda ; e Ginevra la figlia di Pandolfo, e Giulia la figlia di Gradenigo, rimangono ambedue brava- mente corbellate, poco men de? lettori. Cotesti non sono difetti degli autori, ne’ quali, al nostro credere, è ingegno ida fare assai meglio , e nel sig. Vicino principalmente : son difetti del sistema, che di sua ma- no conduce all’uniformità, alla inverisimiglianza , ed al plagio. E tanto è provata la cosa, che a norma de’principianti potrebbesi compilare un ricettario tragico, infallibile quanto un’ ordinazione farmacentica. Il prim’ atto dato all’ esposizione; i seguenti pieni di que’ fatti che si ‘ fanno seguire nel giorno della catastrofe, e che sono avyenuti chi sa quanto tempo prima: poi un incrociamento d’ amori d’invenzione ; poi la vittima sempre perfetta, e il nemico sempre detestabile ; poi gli af- fetti lardellati di brave sentenze; in fine pochi personaggi, e molti ana- cronismi : mettete insieme tutte queste cose, stacciatele , manipolatele bene ; e quel che riesce, sarà una tragedia nelle forme, che vivrà fin- chè potrà, come potrà , e dove potrà. K. X. Y. Fedra. Tragedia di Toma. Zavrr SAraNI. Forlì per Luigi Bordandini 1829. Pag. 60. Prezzo baiocchi 15. Lo Schlegel, sebbene di molti gradi ponga Euripide al di sotto di Sofocle, pure ha trovato 1’ Zppolito d’ Euripide incomparabile alla Fedra francese: e malgrado le ingegnose concessioni che faceva il Globo in un suo articolo d’anni sono, rispetto al carattere ideale di Fedra, rimarrà sempre vero, cred’io, che quell’ ideale non faceva molto al pro- posito di Fedra, di Teseo, e dell’ antichissima Atene. Il sig. Zauli Saiani ha voluto dimostrare anch’ egli la sua predilezione perla Fedra del secolo di Luigi XIV, imitandola: non già servilmente, ma con alcune innovazioni, al nostro parere, non infelici. Certo è però che la sua è un’imitazione d’imitazione: e che il sig. Zauli ha di spontaneo suo moto abdicati i diritti e i pericoli dell’ originalità. Lo intendo bene che in un secolo di originalità fabrefatte, di originalità plagiarie, anche la modestia dell’imitazione può essere una specie d’ orgoglio: ma condan- nare l’ingegno ad un soggetto greco, ad un soggetto quasi mitologico, e poi disegnar dal francese, cotesta pare a me un’ ambizione sover- chiamente modesta. Il mostro del signor Zauli Saiani, ci si presenta col medesimo treno con cui cel dipinge il Teramene di Racine; se non che gli alessandrini di Teramene lo fanno scivolare in cadenza, e negli endecasillabi del sig. Zauli ci par di sentire il fruscìo delle squamme : tanto sono alfieriani. = Raciniana nella sostanza, alfieriana nelle forme, 120 ecco la Fedra del tragico Corso. E chi amasse le imitazioni del celebre: Udisti? = Udii = Scegliesti? = Ho scelto, ne troverà nella Fedra pa- recchie. Come : Fedra. Invano... Ippolito. Cedi... Fedra. Lascia... Ippolito. : Alfin... Pasifo. Quai grida ? Che miro! Fedra. Ah! Ippolito. Tu! Pasifo. Ma tu che osavi ? Ippolito. A Fedra Il chiedi. Quattro sono i personaggi della tragedia; all’Alfieriana. Ma se la scarsezza de’ personaggi è una bellezza tragica, sarebbe facile in ciò superare l’Alfieri. Forse gli alfieriani rifuggono da questa specie d’ori- ginalità, prima perchè l’ originalità è sempre un pericolo , poi perchè il numero tre è stato profanato da Werner, e da Mad. de Stael. Lo Schle- gel si maraviglia, perchè dopo fissato il numero delle unità a tre, e degli atti a cinque, non si pensasse a fissare il numero de’ personaggi a sette. Tre, cinque, sette; sono, avverte lo Schlegel, numeri tutti simbolici, e sacri! = Sta bene: ma sette personaggi sarebbe un lusso soverchio. Il numero settenario ha certamente i suoi pregi, ma il qua- dernario non gli cede il passo. E poi la bella progressione: tre unità, quattro personaggi, e cinqu’atti! Come sarebbe ingegnoso ! Io consiglio i retori a farne una regola. Se è vero quel che dice M. Jacotot, che tutto è in tutto, il genio certamente dev’ essere nelle regole. Kok Ya Delle lodi dell’ ab. Fiv. FarsertI Patrizio Veneziano , Orazione di P. A. Paravia, recitata nell’ Accad. di B. Arti in Venezia il giorno a ago- sto 1829, per la solenne distribuzione de’ premii. Venezia Tip. Picotti. Il signor Paravia ben fece a scegliere a soggetto dell’orazione le lodi di un munifico protettore delle Arti; poichè , a quel che pare, è più facile avere del genio che non tanto di buon senso quanto basti a far uso, infallibilmente glorioso, delle grandi ricchezze. Filippo Farsetti, nato nel 1703, dopo vissuti alcuni anni in Parigi, dove, nell’alta società, lasciò di sè memoria onorata, e lungamente du- revole , rivenne in Italia, per intraprendere nuovi viaggi; tutti rivolti al gran fine, a cui furono consacrati i suoi tesori e l’intera sua vita. Un bello slancio d’eloquenza ispira all’oratore questo viaggio di Francia. 3» 0 Filippo, verrà giorno che per quelle vie che tu percorri, per quelle 3: Alpi da cui discendi, passeranno i codici, le tele, e i marmi, che ;» l’insolente vittoria strapperà dalle italiane lor sedi per abbellirne 127 ,; il trionfo dì una fortunata rivale ,,. — Quanti monumenti immortali di pittura, di scultura, d’architettura, vantano Roma, Napoli, Fi- renze, l'Inghilterra, la Spagna, la Francia, questo cittadino veneto ne raccolse l’imagine nel suo palagio , in disegni, in copie, ed in gessi; e aperse quest’ unico, e meglio che regale Museo, agli studi de’ suoi concittadini, all’ ammirazione degli esteri, ad esempio di ben collocata richezza. Di tanto deposito la minor parte rimane a Venezia; il resto, e i gessi e i tipi, fu venduto alla Russia da un discendente di lui, il quale, insieme co’ gessi, passò in Russia anch’ egli a cercare ventura. Questo museo, e la magnifica villa dal Farsetti adornata di principe- sche delizie (ormai desolata anch'essa), dettarono al ch. A. due di que’ periodi a enumerazioni, che possono veramente chiamarsi accade- mici; due di que’ periodi, a’quali quando arriva un oratore accademico, esclama fra se: hoc opus! e dice in suo cuore agli uditori, presago già degli applausi che si addensano, quì v’aspetto. Tranne questa leggera affettazione di pompa accademica, l’orazione procede franca, elegante. Ma perchè mai si pensa egli il ch. A. di chiamare sez /ustri i trent'anni dell’ab. Filippo Farsetti? Lustri certamente è un illustre vocabolo ; ma nè anche anzi, poi, non mi pare una parola oscena. K.X. Y. / Ragionamento del P. Axr. Possevino, tenuto alla Signoria della Rep. di Lucea , ai 4 di Marzo MDLXXXIX. Modena Tip. Reale 1829. Fra le utili scoperte che il dotto Ciampi viene facendo nelle sue in- dagini di documenti rari od inediti, appartenenti alla storia della Po- lonia, è da riporre questo ragionamento, ;il quale ci offre alcune im- portanti notizie sulla storia del tempo. L’oratore, dopò accennato il frutto del discorso da lui tenuto nelle prigioni, dietro al quale ‘“ una persona è venuta a offerir il denaro per 3» liberare tredici prigioni per debiti ,, ; dopo lodati i Lucchesi, che in Normandia, a Marsiglia, a Lione, in Isvezia l'hanno aiutato a grandi beni, viene a parlare dell’educazione, e de’classici latini poeti, e inculca che tutti quasi i classici hanno dei principii immorali; e ne condanna quel tanto pedantesco studio , come se fossero ben poi necessarii al mondo, o st vedessero molti Ciceroni e Virgili; e nota che i poeti latini poco giovano a intendere le leggi civili, e gli altri libri più utili della romana letteratura; e ride di coloro che pedantemente giurano con mehercule e con mecastor, e chiamano i sacerdoti cristiani F/amines 0 Archiflamines: e nota che della pedantesca letteratura di certi Italiani si rideva fin d’allora in Francia e nelle provincie settentrionali ; e finisce con dire che le facezie de’Latini, hanno più del furbo che del faceto 0 dell’ acuto. Importante alla storia del commercio è quel che segue rispetto alle usure, — I cui mali non sarebbero già distrutti, come Bentham si crede, con l’abolizione della legge civile che le punisce. Anche questo è un 128 de’casi dove l’azione imme «liata della legge riesce o nocevole o inutile , e dove la mediata è tanto più difficile quanto più necessaria. K. X.Y. Brevi cenni storici intorno la vita del co. Gro. BerroxI Bresciano. Brescia Nicoli-Cristiani 1828 pag. 29. In morte di ApeLarpe T®revisan. Padova Tip. Crescini 1829 pag. 56. Congiungiamo, come suol farsi nelle solenni commemorazioni de? de- funti, l'opuscolo consacrato alle lodi d’un bravo militare Bresciano, morto nel 1773; e l’altro pieno del nome d’una buona fanciulla Pado- vana, rapita nel 1828 all’ affetto d’un tenero padre. Il co. Bettoni fu pianto da M. Teresa; Adelaide Trevisan fu cantata da A. M. Ricci, e da Ipp. Pindemonte. La prosa del ch. sig. co. Gambara, oltre alle lodi del suo concittadino, il qual fece chiare prove di coraggio nella guerra de’ sette anni, è destinata a provare che l’italico valore non può in nessun secolo dirsi affatto spento , e che falsissimo è il motto di Voltaire : Qu’attendre, helas!, d’un coeur italien? I versi in lode dell’ Adelaide proverebbero anch'essi qualcosa al più rigido de’ matematici ; provereb- bero, come in Italia de’chiari ingegni possono accingersi a lodare una persona che non han mai conosciuta. È singolare lo spediente che pren- de , per eludere gli scrupoli della coscienza poetica, il buon Pindemonte. ‘‘ Per questo appunto ch’ io non conobbi di presenza l’egregia fanciulla, s» ho creduto bene di parlare in persona altrui. ,, Ecco bell’e accomo- dato! — Del resto, meglio fare de’ versi per incogniti, che per gente co- nosciuta anche troppo; e non può certo chiamarsi adulazione la cura pietosa di alleviare il dolore d’un padre. Tutto il male, se ce n’è, sta nella opinione, che per alleviare il dolore d’un padre, sia neces- saria una raccolta di versi. Io crederei al contrario, che certe raccolte sarebbero capaci d’accrescerlo. = Non però questa. — E ciascuno degli egregi lodatori, se pure ha peccato , può dire d°aver peccato in ottima compagnia. M. A. Parenti, Ces. Galvani, Eleon. Reggianini, Ipp. Pinde- monte, Leop. Cicognara, A. M. Ricci, G. Barbieri, F. M. Franceschini, Lod. Menin, G. B. Svegliato, Jac. Vittorelli, G. Furlanetto, ecco i nomi che associano la loro luce alla memoria della buona Adelaide. K. X.Y. Lettere a tre giovani sulla morale pubblica di G. Compacwoni. Milano Tip. di Francesco Sonzogno 1829. Uno de’tanti difetti di voi altri letterati, sì è riguardare tutte quante le cose del mondo dal lato letterario, ch'è, sia detto con'la debita riverenza , il più gretto, il più falso di tutti. Voi altri letterati giudicate un libro dallo stile più o meno artificiato, dal tuono più o meno enfatico , dalla materia più o meno impopolare: e il libro, secondo voi altri letterati , più elegante , è d’ordinario il meno intelligibile ai + 129 più ; il più importante è il più erwilito, vale a dire, il più noioso il più efficace di stile è quello che ha stile più ambizioso ; il più diffici- le a comporsi è quello che tratta argomenti meno universali, e men pratici. Quand’ anco le lettere del sig. cav. Compagnoni non formassero una buona opera, le sarebbero tuttavia una buon’ opera, o, per dir meglio, un’ opera buona. Quello stile piano, que’concetti comuni, pia- ceranno a coloro, a’ cui soli importa che i libri piacciano, Più vivaci- tà, più calore, più larghezza e importanza d’idee , sarebbe, è vero , tornata meglio; ma, così com’ egli è, questo del sig. Compagnoni è un lodevolissimo libro. E la lettera sui vecchi, e 1’ altra sui ricchi, e alcune parti d’altre ancora, son tali da far conoscere l’uomo. Ha la sua novità la XX lettera, intitolata, delle relazioni de’ viventi coi morti e coi posteri; il cui titolo è tanto singolare quanto il titolo d’ un’altr’ opera giovanile del ch. cavaliere, il qual titolo diceva: Lettere piacevoli se pia- ceranno. La lettera citata non è piacevole , ma è bella. = E che dirò di quella sui medici? L’idea di formare de’medici un collegio perpetuo (non privilegiato però), dove le tradizioni e le esperienze fossero conservate e poste a profitto, per non tornar sempre agli elementi della scienza, 0, se meglio piace , dell’ arte ; è idea che, sola per sè, vale un libro. K. X. Y. La Sifilide, poema di G. Fracasroro; Trad. dal dott. Gro. L. Zacca- reLLI. Fasc. I.° Parma Bodoni 1829. Il Fracastoro è rispettabile a’ posteri come uomo dottissimo ancor più che come grande poeta. La costante eleganza dello stile, l’armonia tutta classica d’ alcuni versi, la grazia o la forza o la verità d’alcune espressioni, son pregi certamente mirabili in un poeta latino del cin- quecento: ma volerlo paragonare a Virgilio , è religione sacrilega. Man- ca quella sì varia e sì continua dolcezza del numero; manca la par- simonia, sovrana qualità del genio Virgiliano; ed è cosa notabile che nella Sifilide, come in certi versetti de’ salmi , si spendono spesse volte due frasi per esprimere appunto la medesima idea : manca infine l’anima di Virgilio. Si può bene ammirare nel Fracastoro che gli Dei e le Dee sieno invocati a liberare i mortali dalla Sifilide; ma non si può trovare, cred’io, molto conveniente alla maestà di Giove quel congresso ch'egli ‘aduna nell'Olimpo per deliberare se i mortali sieno degni della Sifilide o no; dove il Granchio è dipinto come il portinaio degli atrii celesti. Insomma rispettiamo il Fracastoro come latinista, onoriamolo come be- nemerito delle scienze naturali, amiamolo come uomo dabbene , ma non lo paragoniamo a Virgilio, per pietà! Il ch. traduttore lo paragona a S. Eccel. il sig. Barone de Stifft, primo archiatro e protomedico della Corte di Vienna ; e in un caldo elogio ne narra la vita. La traduzione dimostra, com’egli sappia bene imitare T. AXXVII. £ebbraio 17 130 i il suo Fracastoro e nel culto dell’ arte medica e nell’ amore del Bello. Noi non ci fermeremo a censure: le quali sovente, in fatto di tra- duzioni, provano troppo e provano nulla. Ma diremo che l'edizione è magnifica, e che , lasciando da parte il merito letterario, questo libro avrà nelle biblioteche di lusso un posto d’ onore. Nel primo fascicolo non ho trovato che un errore di stampa : proe- ces per preces. Ma perchè mai lacerare i versi in due brani al solo fine di farli corrispondere appunto alla linea del verso italiano che li tra- duce ? TRIONULAR 131 BULLETTINO SCIENTIFICO Febbraio 1830. SCIENZE NATURALI Meteorologia. In quell’ epilogo delle osservazioni meteorologiche di ciascun an- no, del quale il sig. Arago fa da qualche tempo gradito dono al pub- blico, egli comprende una Tavola in cui sono esposti i cambiamenti che la superficie del sole ha presentati nel corso dell’ anno. Il di lui oggetto in ciò fare è quello di somministrare degli elementi che po- tranno servire un giorno a decidere se, come è stato dubitato , le mac- chie del sole esercitino un influenza sensibile sulle temperature terrestri. La difficoltà d’ osservare il sole senza essere incomodati dalla vi- vacità della sua luce ha impedito per lungo tempo di scuoprire ciò che accadeva alla superficie di quest’ astro ; e fu solo nel 1611 che per la prima volta vi furono ravvisate delle macchie. Diverse spiegazioni sono state suscessivamente date d’ un tal fenomeno. Lahire e Cassini sup- posero che le macchie del sole non fossero altra cosa che le som- mità nude di varie montagne che si trovano alla di lui superficie , rese visibili per le fluttuazioni del liquido infiammato che suppone- vano ricuoprire la massa solare. In questo modo di vedere 1’ appari- zione delle macchie del sole dovrebbe necessariamente coincidere con una diminuzione degli effetti calorifici di quell’ astro , al che sem- brano contrarii i risultati delle osservazioni. Nemmeno potrebbe spie- garsi in quell’ ipotesi come avvenga che allorquando si osservano sulla faccia del sole due macchie vicine fra loro , si vede spesso accrescersi una di esse mentre l’ altra diminuisce ; egli è evidente che per le supposte fluttuazioni le macchie vicine fra loro dovrebbero essere egual- mente accresciute o diminuite. Altri hanno supposto che'le macchie siano scorie lanciate da vul- cani che si trovino alla superficie del sole. Altri hanno detto che la macchia è posta in fondo ad una cavità della figura d’ un imbuto che si forma nella parte luminosa del sole. Quest’ ultima supposizione era assai più soddisfaciente delle altre , pure è bisognato rinunziarvi. Herschell finalmente è giunto a dare intorno alle macchie del sole una spiegazione la quale sodisfa a tutte le apparenze che somministra l’osservazione. Egli suppone il sole formato d’ una massa solida ed oscura , cir- condata da un atmosfera poco diafana e riflettente, inviluppata an- ch’ essa dalla materia gassosa lucida. Se in quest’ astro così costituito si formi un apertura o cavità , in modo che quella dell’ atmosfera lu- 132 minosa sia della stessa larghezza di quella che circonda immediatamen- te la massa oscura, si vedrà al centro una macchia nera, senza pengm- bra , lo che di fatto si osserva talvolta : ma se 1’ apertura o cavità sia più larga nell’inviluppo luminoso che nell’ altro inferiore , si vedrà una parte di questo formante una penombra , la quale presenterà tutte le particolarità di quella che si osserva nelle macchie del sole. Quale può esser la causa per cui si formi questa specie d’ apertura o cavità nella materia incandescente del sole ? Si può attribuirla ad una corrente ascendente , la quale si faccia strada a traverso della pri- ma atmosfera , poi della seconda , se le rimane forza bastante. Una cosa importantissima da avvertirsi è questa, che in quasi tutti i casi la formazione d’ una nuova macchia è preceduta da una macchia brillante che chiamano facella, e che Galileo ha osservata il primo. Or- dinariamente anche quando una macchia sparisce, si forma una facella nel luogo che essa occupava. L’ apparizione delle facelle sembra insi- nuare che la comparsa delle macchie, in vece di annunziare una di- minuzione di calore net sole, debba essere accompagnata da un aumen- to della sua facoltà calorifica. Herschell credeva che 1’ apparizione d’ una macchia indicasse una fermentazione più attiva nella materia del sole suscettibile d’ incande- scenza ; e per sostenére la sua opinione egli aveva fatto formare un prospetto dei prezzi dei grani in Inghilterra e del numero delle mac- chie osservate sopra il sole in ciascun anno. Egli aveva creduto tro- vare in ciò una prova della sua asserzione , perchè quegli anni nei quali le macchie del sole erano state più numerose erano quelli che avevano dato raccolte più abbondanti. Quantunque sia evidente che l’ opinione di Herschell è ancora lontana dall’ esser provata per questo solo argomento; pure esso già le concilia qualche probabilità. È poi il vero mezzo di risolvere la questione quello che il sig. Arago va preparando ed ha invitato gli altri astronomi a preparare , notando ogni anno il numero e la di- mensione delle macchie del sole. Non vi è dubbio che tali osserva- zioni, quando siano state ripetute per un certo numero d’anni, non possano servire a decidere con certezza se vi è o non vi è qualche rapporto fra le macchie del sole e la temperatura che si prova alla superficie del globo terrestre. Fisica e Chimica. Il sig. prof. Stefano Marianini di Venezia col mezzo d’ ingegnose esperienze è giunto a dimostrare che quando due o più correnti elet- triche traversano simultaneamente un conduttore, incrociandovisi in qualunque modo , o sia che tutte abbiano una stessa direzione , o sia che la direzione di alcune sia opposta a quella di altre, e siano el- leno prodotte da elettromotori eguali, o ineguali, niuna di queste cor- 133 renti prova per l’azione delle altre alterazione sensibile. Nella qual proprietà egli ravvisa una analogia nuova e degna d’ attenzione fra la propagazione dell’ elettricità e quella della luce , i raggi della quale s’ incrociano in qualunque direzione senza provare alterazione alcuna. Quelle esperienze sono descritte in una interessante memoria letta dall’ autore all’ Ateneo di Treviso ; e che tradotta in francese si trova negli Annali di chimica e di fisica di Parigi , ottobre 1829 , pag. 131. In piè di essa memoria sì legge la seguente nota dell’ autore., il quale trova i fatti da sè riferiti più favorevoli alla teorica di Franklin che a quella la quale considera l’ elettricità come composta di due fluidi diversi. “ Nell” esame che io ho fatto delle cause che rendono gli apparati »» elettromotori costruiti secondo il metodo del Novellucci e del Wol- 33 laston più energici degli altri , esame che io ho pubblicato nel mio »» Saggio d’esperienze elettrometriche , lo avuto l’occasione di conoscere », un fatto che si spiega assai più facilmente colla teoria di Franklin 3» che con quella dei due fluidi. Il fatto, consiste in questo , che se in »» una coppia elettromotrice la lastra elettronegativa s’ immerga di più » nel liquido , 1’ effetto è più grande che quando è bagnata in maggior > porzione della sua superficie la lastra elettropositiva. Mi sia permes- 3» so d’ aggiugner quì un altro fatto , che viene egualmente in appoggio »» della teorica che ammette un fluido unico. Prendete una foglia di 3; stagno o d’ altro metallo di 18 0 dio0 centimetri quadrati di super- »» ficie, terminata , da un lato , in una striscia ‘stretta o coda, im- »» mergete questa foglia in nn bicchier d’ acqua , è la striscia 0 coda > in un altro. In quest’ ultimo ponete un altra lastra elettropositiva , »» per esempio di zinco , e nell’ altro bicchiere un altra lastra, ma ;3 elettronegativa , per esempio di rame. ( Nè 1° una nè |’ altra di queste »» lastre deve toccare la foglia. ) Accoppiate in seguito , per mezzo del »; filo galvanometrico , la lastra di zinco con quella di rame , ed otter- 3) rete una deviazione dell’ ago magnetico di pochi gradi ; ma immer- »» gete allora la lastra di rame nel bicchiere che contiene la piccola »» Striscia o coda , e la lastra di zinco nell’ altro bicchiere ; 1’ effetto s» Sarà assai più notabile. ,, “ Io tenterei in vano di spiegare questo fatto colla teorica dei 3 due fluidi , poichè se da un lato quando la lastra di zinco sì trova »» nel bicchiere in cui è immersa la piccola striscia il ‘passaggio è reso »» difficile al fluido vitreo , ed al contrario è facilitato al fluido resino- 3» S0, dall’ altro quando il rame è sostituito allo zinco , e questo a quel- 33 lo, il passaggio è reso difficile all’ elettricità resinosa , e facile alla vi- 3) trea. Non vi è dunque ragione perchè gli effetti siano diversi. Ma s, ammettendo la teorica d’un fluido unico , si concepisce bene come, vi 3) nel primo caso , il fluido eletttrico che si spande , come raggiando , »» nel liquido , trovi il passaggio molto più difficile che nel secondo ca- »» 80: quindi l’ effetto elettromagnetico (il quale, com’ è ben: noto , 134 »» dipende principalmente dalla rapidità della corrente elettrica ) deve 3; esser minore nel primo caso , e più considerabile nell’ altro. ,, È noto che a superficie eguale l’azione delle pile voltaiche è no- tabilmente diversa, secondochè questa superficie è divisa in un mag- giore o minor numero d’ elementi più o meno grandi. Per investigar la causa di questo fenomeno, il sig. Kemp ha intrapreso le seguenti esperienze. Sul fondo d’ un vaso alto 18 pollici e del diametro di 6 fu posta una lastra di zinco, alla quale era saldato un filo di rame che usciva fuori del vaso , passando per un foro che era nel fondo di questo , e che fu esattamente turato con una mestura resinosa. Empiuto il vaso d’acqua contenente 1. d’ acido idroclorico , vi fu immersa, in modo da essere ap- punto ricoperta dal liquido, una lastra di rame alla quale pure era saldato un filo dello stesso metallo, La distanza fra le due lastre, o l’altezza della colonna di liquido interposta, era di circa 18 pollici. Chiuso il circolo congiungendo le estremità dei due fili metallici con quelle d’ un gal- vanometro, l’ago deviò di quattro o cinque gradi. Immergendo gradatamente la lastra di rame, e così ravvicinandola sempre più a quella di zinco , la deviazione dell’ ago divenne propor- zionatamente maggiore , e si elevò a circa 75 gradi alla minima distanza. Tornando ad allontanare 1’ una dall’ altra le due lastre con sollevare quella di rame , furono prodotti li stessi effetti inversamente. In un altra esperienza l’ autore prese una lastra di zinco ed una di rame di 15 pollici di lato , a ciascuna delle quali era saldato un grosso filo di rame. Chiuso il circuito mediante un sottilissimo filo di ferro , lungo circa 4 pollici, connesso alle estremità dei due fili di rame , im- merse quest’ apparato in una cassetta di legno di 17 pollici di lato, fon- da 2 piedi , intonacata di mastice , e ripiena d’acido idroclorico concen- trato. La distanza reciproca delle due lastre era tale , che fra l’ una e l’altra si trovava interposta una colonna di liquido di due piedi. Nel momento dell’ immersione vi fu a contatto dello zinco un azione vio- lenta ; per altro la parte media del filo si riscaldò appena a gradi 80 R. Ravvicinando gradatamente le lastre, il calore si accrebbe ; ridotta la distanza ad un sol piede , il filo di ferro divenne rosso di fuoco verso il mezzo , e lo divenne in quasi tutta la lunghezza quando la distanza fu ridotta a /, di pollice. Risulta da queste esperienze che quando (nel caso d’un semplice circuito voltaico ) |’ elettricità attraversa uno strato considerabile di li- quido , essa non agisce sull’ ago magnetico, ed infuoca debolmente i fili metallici ; ed è provato che l’ elettricità la quale ha una debole inten- sità agisce sull’ ago magnetico ed alza la temperatura del filo , mentre quella di maggior intensità opera più potentemente le scomposizioni chimiche. La questione dunque si riduce a sapere quale specie di cambia- mento provi l’ elettricità ; se quella quantità di essa che passa per un 135 filo metallico resti la stessa ; concentrandosene soltanto 1’ intensità al- lorchè passa a traverso d’ un grande strato di liquido , e divenendo al- lora incapace d’ agire sull’ ago magnetico e d’ infuocare i fili metallici , ovvero se essa venga assorbita dal liquido nell’ attraversarlo , o final- mente se , come opina Hare, l’ elettricità sola passi a traverso del liqui- do , abbandonando a questo il suo calorico. L’ azione chimica del liquido sulle lastre resta la stessa a qualun- que distanza esse si trovino , ed il sig. Kemp pensa che I’ elettricità non siaassorbita dal liquido , ma che divenga più intensa traversandolo, cosicchè accrescendo la distanza fra le lastre , l’elettricità potrebbe pas- sare da un intensità debole ad una mediocre capace di determinare la scomposizione dei liquidi, e che per un ulteriore aumento di distanza si avrebbero presso a poco gli effetti elettrici puri, e quelli della co- lonna di Deluc, in guisa da potersi con una sola coppia ottenere un elettricità intensissima, purchè la distanza fosse sufficiente. La difli- coltà di procurarsi una cassa bastantemente grande indusse l’ autore ad immergere il suo apparato nel mare. Furono preparate due lastre, una di zinco l’ altra di rame , di 12 pollici quadrati, a ciascuna delle quali era saldato un filo di rame lungo 300 piedi , all’ estremità del quale era similmente saldato un fi- nissimo filo di platino. Ad un segno dato , due persone immersero le lastre nel mare , ed i fili furono messi in comunicazione ad un egual distanza dalle due lastre. Gli effetti osservati furono i seguenti. Inter- posta la lingua fra i due fili , si ebbe 1’ impressione d’ un sapor metal- lico ben sensibile ; applicati 1 due fili ai nervi sciatico e crurale d’ una granocchia , questa provò forti convulsioni. Immersi i fili in un vaso che conteneva acqua leggermente acidulata per accrescerne la facoltà conduttrice, l’ acqua fu scomposta , e si sprigionò dell’ idrogene al- l’ estremità del filo comunicante collo zinco , e del gas ossigene presso quello comunicante col rame. Impiegando acqua pura , aveva anche luogo la scomposizione, ma debolissima ; nè si poteva tirare scintille dai fili, come si tiravano allorchè l’ acqua era acidulata. Attaccando ai fili di platino dei fili di ferro molto più sottili , ed immergendo que- sti in acqua pura , vi era scomposizione di questa con sprigionamen- to di gas idrogene dal polo zinco , ed ossidazione del ferro dal polo rame. Diminuita gradualmente la distanza delle lastre, mentre il circuito era chiuso , ed i fili immersi in acqua acidulata , la scomposizione di questa diveniva gradatamente più lenta ; ridotta la distanza a quat- tro o cinque piedi, l’ ago. magnetico cominciò a risentire un effetto che prima non aveva indicato, e che andò crescendo col maggiore avvicinamento delle lastre‘, sicchè giunte queste alla distanza d’un sol quarto di pollice, 1’ ago magnetico deviò di circa 40 gradi. Chiuso allora il circuito con un tilo di ferro finissimo, questo non si riscaldò sensibilmente ; l’ azione sulle lastre essendo troppo forte per dar luo- go a quest’ effetto. 136 Convinto che la maggiore o minor distanza delle lastre fra loro influisce sulla natura dell’ elettricità che si sviluppa, l’ autore fece costruire una batteria , nella quale le lastre erano alla più piccola di- stanza possibile , cioè da y5 a 7; di pollice. Essa consisteva in una cassa lunga 16 pollici, larga 2, divisa in 30 compartimenti o spazii eguali per mezzo di lastre di vetro ; ciascuna lastra di zinco era unita ad una di rame per mezzo d’ un filo di quest’ ultimo metallo che vi era saldato ; le lastre di rame erano traforate per facilitare l’ azione del liquido sullo zinco. In ciascuna casella era una lastra di zinco ed una di rame appartenenti a dne coppie diverse, e che, senza toccarsi, erano, per altro alla minima distanza possibile, non essendo separate che da piccoli pezzi di sottilissimo filo di seta unto d’ olio. Questa batteria caricata operò l’ infuocamento dei fili metallici e la deviazione dell’ ago magnetico, mentre le scosse per essa prodotte furono a metà più deboli di quelle che avrebbero prodotte le la- stre stesse sotto la forma di pila. Ciò prova che l’ elettricità svilup- patasi era di debole intensità , e si accorda coi risultati dell’ espe- rienze precedenti. L’autore ne conclude che , sebbene l’ elettricità di debole inten- sità sia ordinariamente prodotta da lastre di gran superficie , la di- mensione non è la causa della debole intensità , la quale deve piut- tosto essere attribuita alla piccola quantità di liquido che 1’ elet- tricità deve traversare, circostanza che impedisce l’ accrescimento della sua intensità. Supponiamo che 4 lastre di grande dimensione compo- nenti una batteria siano tagliate ciascuna in 4 lastre eguali per far- ne una. batteria di 16 lastre, disposte fra loro ad una distanza eguale a quella che separava una dall’ altra le 4 grandi lastre; la somma totale delle distanze, e però la quantità di liquido che 1’ elettricità della prima coppia di lastre dovrà traversare passando dal polo po- sitivo al negativo, sarà 4 volte maggiore che nella prima batteria di 4 grandi lastre , e l'elettricità di ciascuna coppia avrà maggiore o minore intensità, secondo che la distanza fra i poli sarà accresciuta o diminuita. L’ elettricità prodotta da quella coppia di lastre che è presso il polo negativo, dovendo traversare tutta la lunghezza del liquido pri- ima d’arrivare al polo positivo, sarà molto più intensa di quella che è prodotta da una coppia che succeda alla prima; o da quella che forma il polo positivo, diminuendo gradualmente la distanza del liquido a traverso del quale passa 1’ elettricità. Se in vece di disporre le lastre in modo da formarne una batteria nella quale la distanza di ciascuna coppia dall’ altra sia eguale a quella delle grandi lastre , si dispongano a tal distanza che la somma di tutte le distanze prese insieme sia eguale a quella che separa le grandi lastre, si osservache l’elettricità ha la stessa intensità, meno qualche differenza pro- veniente dalla dificoltà di rinnuovare il liquido fra le lastre, e di scacciare le molte bolle di gas idrogene che aderiscono ad esse. Se alcune lastre 137 d’un piede quadrato fossero disposte in una cassetta appropriata alla distanza di 3 piedi 1’ una dall’ altra , il sig: Kemp suppone, senza averne fatto l’esperienza , che esse non produrrebbero | infuoca- mento dei fili metallici nello stesso modo che una batteria d’egual numero di lastre poste alla distanza ordinaria, ma soltanto gli effetti d’ una batteria dello stesso numero di lastre di circa 4 pollici qua- drati poste alla distanza ordinaria, e che il potere chimico d’ una tal batteria sarebbe molto maggiore. (Férussac sc. mathém. phys. ec. novembre 1829. p. 421. ) Il sig. Edmondo Davy, scaldando del solfato di platino con del- 1° alcool , osservò che mentre il liquido si scolorava si andava for- mando un precipitato nero, che disseccandosi presentava 1’ odore dell’ etere , e che aveva la singolar proprietà d’infuocarsi allor- chè veniva «bagnato coll’ alcool, e di mantenersi infuocato finchè restava dell’ alcool, il quale si convertiva in acido acetico. . Il sig. Doebereiner riconobbe che questa materia ha la pro- prietà di assorbire i gas infiammabili, ma non, il gas ossigene nè 1’ acido carbonico ; che se allorquando è saturata d’idrogene sia po- sta a contatto col gas ossigene, tende ad operare la loro combina- zione e formare dell’ acqua, divenendo incandescente per il calo- rico che si sprigiona. Da ciò’ egli congetturò che il platino metal- lico estremamente diviso potesse produrre un azione simile, e così fu condotto a scuoprire l’ infiammazione del gas idrogene per mezzo della così detta spugna di platino. In seguito lo stesso sig. Doebereiner ottenne un corpo dotato delle stesse proprietà , trattando il cloruro di platino e di potassio collo spirito di vino. Il sig. Zeise descrisse una preparazione di: platino che egli cre- dè particolare , e che si ottiene scaldando dolcemente in una storta il cloruro di platino con 12 parti di spirito di vino della densità di 0,813, finchè il cloruro divenga nero , ed il liquido chiaro e senza colore. Si .produce in questa circostanza dell’ etere idroclorico , ed il liquido diviene acido. Anche questa sostanza s’infuoca per il contatto del vapor d’ alcool, ma non per quello del petroleo o del- l’ essenza di terebintina. Il sig. Liebig persuaso che queste tre preparazioni dovessero le comuni loro proprietà ad uno stesso corpo mescolato ad altre materie che ne mo- dificassero più o meno le proprietà, se ne convinse per esperienza , e giunse ad. ottenere puro questo corpo col processo,; seguente. Si tratta il cloruro giallo-verdastro di platino con una dissoluzione con- centrata di potassa , che coll’ aiuto del. calore lo discioglie facilmen- te, formando un liquido nero e poco trasparente. Si ritira questo dal fuoco , e vi si versa a poco a poco dello spirito di vino, agi- tando ciascuna volta. Bisogna impiegare un vaso proporzionatamente grande , poiché si fa un effervescenza molto viva dovuta allo sprigio- T. XXXVII. Gennaio 18 138 namento di molto gas acido carbonico. Si precipita frattanto una polvere grave, nera vellutata, che si fa bollire successivamente coll’ alcool, coll’ acido idroclorico , colla potassa , e finalmente quat- tro o cinque volte coll’ acqua, quindi si lava e si secca in una cas- sula di porcellana, evitando di porla a contatto con un feltro , o con qualunque altra materia organica. Questa polvere nera, priva d’ odore etereo , che si riconosce per puro platino metallico , gode in grado eminente della proprietà d’ infuocarsi per il contatto dell’ alcool, che si converte in acido acetico , e d’ infiammare istantaneamente il gas idrogene. Anche il platino precipitato allo stato metallico per mezzo del- lo zinco dalla sua dissoluzione in un eccesso d’ acido idroclorico è dotato delle stesse proprietà. Avendo il sig. Liebig mescolato la sopra indicata soluzione di cloruro di platino nella potassa ad una notabile quantità di nitrato di rame , e fattala bollire con dello spirito di vino , ottenne un pre- cipitato che conteneva una quantità d’ossido di rame almeno due volte maggiore di quello di platino, ma che conservava la proprietà d’ infuocarsi per il contatto dell’ alcool. La proprietà del nero di platino di assorbire una quantità di gas 0 vapori infiammabili diversi; dei quali opera così una grande condensazio- ne, è riguardata debitamente dal sig. Liebig come la causa della loro infiammazione allorchè si trovano a contatto del platino estremamente diviso, e dell’ossigene nel tempo stesso. Egli ravvicina questo feno- meno all’ altro ben conosciuto dell’ infuocamento che prova il ferro estremamente diviso qual’ è quello ottenuto dalla riduzione dei suoi os- sidi per mezzo dell’ idrogene. L’ autore confuta con varii ragionamenti la spiegazione che dei fe- nomeni stessi ha data nel suo trattato di fisica il sig. Schmidt, il quale vuol ripeterli dalla combinazione delle due contrarie elettricità , del platino eminentemente elettronegativo , e dell’ idrogene eminentemente elettropositivo. Perchè il nero di platino s’ infuochi per mezzo dell’ aleool , biso- gna che non ne sia bagnata tutta la massa, ma che ne resti asciutta qualche porzione, a contatto della quale venendo il vapore alcoolico, produce i fenomeni indicati. Il sig. Lampadius di Freyberg, avendo mescolato 180 parti di mer- curio con 6 parti di sodio , ha osservato che dopo un minuto i due me- talli si sono ad un tratto combinati con un certo romore. Ne è risul- tata una lega solida, che resiste all’ azione della lima, e la di cui spez- zatura è lamellare e cristallina quasi come quella dello zinco ; essa è fragilissima , e sì riduce in polvere per la percussione. Gettando nel- l’acqua questa polvere, sì sprigiona un poco di gas idrogene; gettan- dola nell’acido nitrico allungatissimo , lo sprigionamento del gas è più rapido, ma senza fenomeni d’ignizione. Nel momento in cui il mer- 139 curio, che fa funzione di corpo elettronegativo , si combina al sodio , che è elettropositivo , la temperatura della mescolanza si eleva al di so- pra del grado dell’ ebollizione dell’ acqua, e dopo l’esperienza si tro- va notabilmente diminuito il peso del mescuglio ; lo che fa presu- mere che una certa quantità di mercurio si sia volatilizzato; le pro- porzioni di questo composto sono : sodio 3,69 , mercurio 96,31 sopra 100 parti in peso. ( Férussac sc. mathém. ec. octobre 1829 , pag. 358.) Avendo fatto soggetto d’ uno studio particolare il cobalto e le di- verse sue combinazioni , lo stesso sig. Lampadins ha osservato alcuni fatti nuovi, fra i quali potrebbe ricevere qualche utile applicazione il seguente. Il cobalto e l’ oro si fondono prontamente insieme, formando una lega durissima, che per altro è alquanto duttile. Il colore di questa lega è quello stesso del cobalto , e non vi sì ravvisa più quello dell’oro ; essa è un poco magnetica. Non sono indicate le proporzioni nelle quali ‘i due metalli entravano nella composizione di questa lega, ma quella del cobalto doveva essere molto considerabile. Due altre ben differenti leghe di cobalto e d’ oro ha formato 1’ autore con proporzioni diverse dei due metalli; una era composta di ro parti di cobalto e go d’oro, l’ altra di 5 parti di cobalto e 95 d’ oro. Ciascuna di queste leghe aveva una notabile durezza, cosicchè era difticile piegarne un pezzo della forma d’un ducato. Le due leghe avevano un bel color d’oro, erano perfettamente malleabili ; suscettibili d’ un bel pulimento, ed in- sensibili all’ azione della calamita. Diversi chimici e fisici hanno studiato le modificazioni che prova- no diversi metalli allorchè sono fortemente scaldati a contatto del gas ammoniaco. Essi avevano generalmente riconosciuto che in questa cir- costanza i metalli duttili divenivano fragili, e che qualunque metallo provava un notabile aumento di volume. Era stato per altro posto in dubbio anzi escluso da alcuni un aumento di peso, che altri avevano 0s- servato, e che è stato verificato dal sig. Despretz, ed anche dal sig. Savart. Il primo di essi avendo intrapreso una serie. d’ esperienze per ri- conoscere qual sostanza si combini in quel genere d’ esperimenti ai me- talli, modificandone le proprietà ed aumentandone il peso ed il volume, ha riconosciuto che questa non è l’ossigene, come era stato supposto da ‘aleuni, non il carbonio, come altri avevano sospettato, non in fine l’ammoniaca, nè nino dei suoi componenti, cioè l’idrogene , ma bensì l’altro , vale a dire l’azoto, del quale qualche porzione si sprigiona sempre allorchè si discioglie, per mezzo d’un acido, alcuno di quei me- talli che. hanno provato le indicate modificazioni per l’azione del gas ammoniaco. Il sig. Despretz pensa che questi risultati potrebbero tornare a ri- mettere in credito un opinione proposta prima dal celebre Davy, ab- bracciata dal sig. Berzelius , ma dalla maggior parte degli altri chimici riguardata come insussistente, quella cioè per cui si accorda all’ammoniaca 140 una composizione analoga a quella delle basi ossidate, supponendo che contenga una materia metallica unita all’ossigene , o, in altri termini, che l’azoto sia un corpo ossidato. Fino dal di 4 agosto 1828 il sig. Bussy aveva depositato presso l’Accademia delle scienze di Parigi un involto sigillato. Nella seduta del 25 gennaio ultimo ha domandato che quell’ involto fosse aperto, dichiarando che esso conteneva del cloruro di glucinio e del gluci- nio metallico, ottenuto per mezzo della scomposizione del cloruro , cioè per un processo simile a quello impiegato dal sig. Wolher per procurarsi il radicale metallico della magnesia. i Nel tempo stesso il sig. Bussy ha annunziato d’ esser giunto ad otte- nere quest’ ultimo radicale, cioè il magnesio, di cui presenta un sag- gio dotato dei caratteri seguenti. Esso è brillante, bianco quasi co- me l’argento, perfettamente duttile e malleabile , fusibile ad una tem- peratura che non è elevatissima, che si volatilizza (come lo zinco) poco al di sopra del grado a cui si fonde, e si condensa come lo zinco stesso sotto la forma di piccoli globuli; non scompone 1’ acqua alla temperatura ordinaria, ad un alta temperatura si ossida‘e si tra- sforma lentamente in magnesia, se sia in pezzi un poco voluminosi, laddove essendo in limatura fine brucia con molta vivacità, scintil- lando come il ferro nel gas ossigene. Il sig. Bussy pensa che il ma- gnesio potrebbe essere impiegato utilmente nelle arti, perlochè va studiando dei mezzi per i quali possa ottenersi con piccola spesa e con facilità. (Globo T. 8 N. 9). Nell’ arsenale di Varsavia furono fatte negl’ inverni degli anni 1828, 1829 delle esperienze per riconoscere la forza espansiva pro- dotta dall’ aumento di volume che prova 1’ acqua congelandosi. Ri- feriremo qui i risultati di 6 esperienze , nelle quali furono impie- gati degli obizzi prussiani, del peso di libbre ro ciascuno, di ferro fuso, del diametro di 6 pollici e 8 linee; il diametro dell’ occhio o . foro era di pollici 1 e linee 2, la grossezza delle pareti similmente di pollici 1 e linee 2 misura inglese. La capacità interna era un poco diversa nei 6 obizzi impiegati in queste esperienze, dipenden- temente dall’ ineguaglianza delle pareti, dalla ruggine, e da qualche poco di resina rimasta nel loro interno. Esp. 1. La capacità interna dell’obizzo era di pollici cubici 46,296, la temperatura dell’ aria — 20 R. L’ acqua gelata uscì per il foro aperto dell’ obizzo sotto forma d’un cilindro del diametro stesso del foro. Questo cilindro crescendo progressivamente ; arrivò in capo a due ore alla sua massima altezza, che fu di poll. a lin. 2. Il volume del- l’acqua era dunque aumentato di pollici cubici 2,31, cioè di 7 del suo volume, passando allo stato solido. Esp. 2. La capacità dall’ obizzo era di poll. cub. 48,865, il suo foro era chiuso con un turaccio di legno. Il ghiaccio ha scacciato il — 1/1 turaccio, occupandone il posto; il volume dell’acqua è aumentato di poll. cub. 1,24, cioè di y,. Esp. 3. la capacità dell’ obizzo era di poll. cub. 51. 92, il suo foro era chiuso con un turaccio introdotto per forza. Il ghiaccio avendo spinto il turaccio, è uscito in forma di un cilindro della stessa base del foro, e dell’ altezza di poll. 1, lin. 7. L'aumento di volume dell’ acqua è stato di poll. cub. 1,69, o di 7 circa. Esp. 4. La capacità dell’ obizzo era di poll. cub. 50,311, il suo foro era chiuso con un turaccio di metallo fissato a vite, ma traver- sato da un apertura di 3 linee di diametro. In capo a 7 quarti d’ora l’obizzo scoppiò in due parti ineguali; la più piccola è stata scagliata alla distanza di ro piedi, la più grande a 1 piede. L’ acqua non era gelata che alla grossezza di 6 linee; internamente era rimasta liquida. Esp. 5. La capacità dell’ obizzo era di poll. cub. 44,529, il suo foro era chiuso come nell’ esperienza precedente, ma il piccolo foro nel turaccio aveva 6 linee di diametro. L’obizzo scoppiò in due parti ineguali, una delle quali fu trovata presso il luogo che occupava il proiettile; la grossezza della crosta di ghiaccio era di 13 linee, l’in- terno era liquido. Esp. 6. La capacità dell’ obizzo era di poll. cub. 50,316 , l’occhio era chiuso con un turaccio di metallo fissato come i due precedenti, ma senza alcun traforo. L’obizzo scoppiò in due parti, delle quali la più piccola era alla distanza d’un piede; la grossezza del ghiaccio era di 5 linee. In questa esperienza e nella precedente la temperatura del- l’ aria era — 23 R. ( Férussac sc. tecnol. novembre 1829, pag. 314). Essendo un fatto indubitato che 1’ acqua nel raffreddarsi diviene gradatamente più densa e più pesante finchè la sua temperatura sia discesa circa al quarto grado sopra zero , e che all’ opposto proseguendo il suo raffreddamento da quel punto verso la congelazione diminuisce la sua densità ed il suo peso specifico , la maggior parte dei fisici ap- poggiandosi a questo dato ammettevano che il ghiaccio si formasse sem- pre alla superficie dell’ acqua, ove costantemente lo vediamo. All’ op- posto il volgo crede che quel ghiaccio che a pezzi staccati galleggia sull’ acqua dei fiumi negl’ inverni rigidi siasi formato sul fondo dei fiumi stessi e che quindi, come meno pesante dell’ acqua liquida , sia salito in alto. Quest’ opinione essendo comune nel popolo di tutti i paesi, e specialmente in quelle persone le quali, come i barcaiuoli ed altri, pas- sano gran parte della loro vita sull’ acqua, e la maggior parte di essi affermando nel modo più positivo d’ aver veduto molte volte il ghiac- cio formatosi al fondo dei fiumi montare alla superficie , tenendo an- cora aderenti alla sua faccia inferiore delle arene e delle ghiaie, che attestano in modo evidente il luogo della sua prima formazione , di- versi fisici si sono dato il pensiero di verificare quest’ asserzione , e 142 trovatala esatta, non hanno esitato a dichiararlo nei loro scritti, co- me fece Hales nella sua statica dei vegetabili e Plot nella sua. storia naturale della contea di Oxford. A questi fisici avendo contradetto un altro fisico assai stimato, 1’ abate MVollet, il sig. Meiran professore di fisica a Basilea scrisse una memoria a sostegno della formazione del ghiaccio in fondo ai finmi, che fu osservata anche da lui stesso, e di cui diede prove irrefragabili. Per tacere d’ altri, il dotto sig. Hw- gi, presidente della Società di storia naturale di Ginevra , negl’inverni 1827 e 1829 ha fatto nuove e molto circostanziate osservazioni intorno al fenomeno di cui sì tratta, e non solo ha veduto per più ore di seguito sollevarsi il ghiaccio in gran quantità dal fondo dell’Aar a So- letta, ma ha rilevato ed indicato notabili differenze fra la struttura del ghiaccio formatosi al fondo e quella del ghiaccio formatosi alla superficie dell’ acqua. Anche un professore di fisica di Strasburgo ha fatto in quest’ anno osservazioni analoghe nel Reno. Ultimamente poi il sig. Duhamel, sebbene persuaso dalle osser- vazioni altrui, e specialmente da quelle recenti del sig. Vawvilliers, ingegnere in capo di ponti e strade, ha avuto la lodevole curiosità di osservare il fatto egli stesso nella Senna al di sotto del ponte di Grenelle, dove alla distanza di 8 o 10 piedi dalla riva in un luogo ove la corrente sembrava rapidissima, il fondo del fiume era coperto d’uno strato di ghiaccio fortemente aderente , rotto il quale con una pertica, ne ha raccolto alcuni pezzi, che ha trovato della grossezza di 15 a 16 linee. La temperatura dell’ acqua era a zero tanto alla su- perficie quanto al fondo. Ecco come il sig. Duhamel spiega la forma- zione del ghiaccio in fondo alle acque correnti. Nelle acque stagnan- ti, o che si muovono insensibilmente , è stato riconosciuto che la temperatura del fondo restava al di sopra di zero anche quando la su- perficie era gelata. Questo fenomeno si spiega per la legge conosciuta della gravità specifica che acquista l’acqua a diverse temperature ; leg- ge in virtù della quale l’acqua acquista fra i 3 e i 4 gradi sopra zero la sua massima densità, che deve necessariamente determinarla a di- scendere al fondo, ed a quivi mantenersi alla stessa temperatura. Pe- rò in tali circostanze non si trova maì ghiaccio in fondo all’ acqua. Al contrario in una corrente rapida, il moto ineguale delle particelle a diverse profondità ed a diverse distanze dalle rive deve produrre una mescolanza che può condurne tutte le parti ad una stessa tempe- ratura. Ora le rive ed il fondo sono nelle circostanze più favorevoli alla formazione del ghiaccio, e sarebbe strano che questa formazione non avesse luogo quando la massa è arrivata a zero. Il fondo deve somministrarne una molto maggior quantità che le rive, anzi sembre- rebbe che i pezzi di ghiaccio che si vedono alla superficie dei fiumi , moventisi insieme coll’ acqua, vengano quasi in totalità dal fondo , giacchè quelli che si formano sulle rive vi restano ordinariamente at- taccati. ( Globo Tura N. 13. 1.43 Il colonnello Rancourt ha diretto al sig. Navier una lettera , che questi ha comunicata all’ Accademia delle scienze , e nella quale sono riferite alcune osservazioni intorno alla formazione del ghiaccio in fon- do alla Neva; eccole. Il 13 marzo 1825, la temperatura dell’ aria es- sendo da qualche tempo di circa gradi 3 i R. sopra zero , il sig. Ran- court fece fare diverse aperture nel ghiaccio in un punto in cni la larghezza del fiume era di circa 1000 piedi, la sua profondità di piedi 63. Ad una prima stazione, a 400 piedi dalla riva, il fiume avendo la profondità indicata , e la velocità della corrente presso il fondo es- sendo di 20 pollici per minuto secondo, la temperatura dell’ acqua alla superficie fu trovata a zero, e quella del fondo di due gradi sot- to zero. Dopo aver ripetuta più volte la stessa osservazione , non potè restare al sig. Rancourt nè agli altri che erano con lui dubbio alcuno intorno alla di lei esattezza. Il fondo del fiume era in quel luogo for- mato di pietre, la grossezza media delle quali era d’ un centimetro. Non fu trovato ghiaccio sù questo fondo. Ad una seconda stazione, in un luogo ove la profondità del fiume era di piedi 4r , la sua velocità presso il fondo di pochi pollici per secondo , la temperatura dell’ acqua presso la superficie essendo sem- pre a zero, quella del fondo fu trovata più bassa 1 grado circa, e dei pezzi di ghiaccio di più pollici di grossezza furono portati alla super- ficie ancora impregnati d’arena, Ad una terza stazione, a 70 piedi soltanto dalla riva, la profon- dità dell’acqua essendo di Lr piedi, e la sua velocità presso il fondo assolutamente nulla , furono staccati dal fondo dei pezzi di ghiaccio di 6 a 8 pollici di grossezza, composti di cristalli di più in più divisi, lo che rendeva il ghiaccio opaco , leggiero e friabile. Alla quarta stazione, l’ apertura essendo stata fatta anche più vicino alla riva , in un luogo ove l’acqua era assolutamente stagnante, tutta la massa d’ acqua fù trovata piena di cristalli di ghiaccio stac- cati uno dall’ altro , come si vedono i sali cristallizzati in mezzo alle loro dissoluzioni. Il sig. Rancourt si è assicurato per mezzo d’ osservazioni dirette sopra un lago d’ acqua stagnante che 1’ acqua della superficie essendo a zero, quella del fondo era a circa 3 gradi. Negli anni 1826 e 1827 egli ripetè le sue esperienze sulla tempe- ratura della Neva. Un giorno la temperatura media dell’ aria essendo di circa gradi 5 R. sotto zero, quella del fondo (a 63 piedi ) fu tro- vata di circa 3 gradi sotto zero. In primavera la temperatura del fondo sì ravvicinò gradatamente a zero, a misura che la stagione diveniva meno rigorosa. Nel digelarsi la massa intera del fiume sì ridusse a zero , poi si elevò nell’ estate senza presentare alcuna nuova anoma- lia. ( Globo N.° 3, 17 Febbraio. ) 144 In seguito della comunicazione quì sopra riferita , il sig. Thénard avendo detto che le osservazioni in . essa contenute potrebbero spie- garsi supponendo che dell’acqua salata penetrasse al fondo del fiume nel caso che in questo s’insinuassero le marèe, il sig. Colonnello Rancourt ha dichiarato che 1’ acqua del fondo della Neva non era sa- lata nei luoghi ove egli ha verificato che essa era discesa a 2 ed an- che a 3 gradi sotto zero, che essa vi era dolce , pura, e simile in tutto a quella della superficie , ed ha aggiunto che il flusso non spin- ge mai le acque del mare nella Neva fino all’ altezza di cui sì tratta. (Globo IN.° 10. 24. feb. ) Il sig. Sertuerner di Hammeln , all’ occasione d’ una febbre in- termittente che si mostrò sotto forma d’una epidemia nei contorni di Hammeln nell’ anno 1828, avendo avuto luogo d’ osservare che le preparazioni di chinina non impedivano le recidive , le quali erano rarissime negl’ individui ai quali amministrava in vece la china in natura, concepì il dubbio che la chinina potesse non produrre li stessi effetti di tutte le specie di china , e che alcune di queste, ed in particolare la china rossa e la gialla, lasciassero ancora all’ analisi chimica qualche importante scoperta da fare ; il qual dubbio egli è giunto a verificare per la via dell’ esperienza. Riserbandosi il pubblicare estesamente le sue ricerche chimiche re- lative a quest’ oggetto negli Annali che egli stesso dà in luce, ne ha frattanto esposti i risultamenti nel Giornale di medicina pratica di Hu- feland , fascic. 1 del 1829. Eccone la sostanza. I precipitati formati dagli alcali negli estratti allungati ed acidifi- cati della scorza di china , contengono, oltre gli alcaloidi fin qui cono- sciuti, altre sostanze anch’ esse a/caloidiche, non menzionate ancora da alcuno, mostrando una composizione simile a quella dell’oppio, che oltre la morfina contiene una sostanza molto analoga , cioè la narcotina , che piace all’ autore di chiamare morfiocidina. Questi nuovi alcaloidi, e sin- golarmente quello che egli chiama chinoidina , si trovano nel precipitato alcalino uniti intimissimamente ad una sostanza resinosa acidula , la quale esercita sull’ economia animale un influenza se non dannosa, al- meno poco salutare. Egli non giunse a liberare la chinoidina da questa resina acidula, se non per mezzo del carbone vegeto animale ricavato da una materia che egli chiama acido krakonico , mescolato a del carbone animale comune. Collo stesso mezzo si scolora , secondo l’ autore, quella che è detta impropriamente resina delle acque-madri, da cui si separa per cristallizzazione il solfato di chinina. Egli assegna alla chinoidina come caratteri capaci di distinguerla dagli altri alcaloidi della china (ai quali somiglia per l’insolubilità , per il colore , e per il sapore) una molto più grande capacità per gli acidi, ta sua reazione alcalina sulle tinture vegetabili, e la sua combinazione intima ad un principio estrattivo bruno, forse acido o subacido. Le com- binazioni saline che questa sostanza singolare forma cogli acidi si com- 145 portano al calore come i balsami , presentano un aspetto viscoso , e si fondono facilmente, benchè spesso sembrino contenere gli acidi in stato di secchezza. (Giorn. di farm. gennaio 1830 , pag. 44.) Gli antichi medici avevano riguardato la bile come una specie di sapone , per le sue proprietà alcaline e detersive bene evidenti. L’ana- lisi che i chimici ne hanno fatta modernamente vi ha fatto riconoscere come uno dei principali componenti il picromele, che è stato riguardato come un principio immediato neutro. Il sig. Braconnot pensandone altri- menti, e sembrandogli vedere nel picromele qualche cosa di simile ad un acido debole che satura fino ad un certo punto gli alcali , ed un com- posto formato di più sostanze unite fra loro da una potente affinità, ne ha intrapreso un nuovo diligente esame, per il quale è giunto a riconosce- re 1.° che la bile è un vero sapone, a.° che il picromele di bove contiene una resina acida particolare che ne costituisce la più gran parte, del- I’ acido. margarico , dell’ acido oleico, una materia animale , una mate- ria amarissima di natura alcalina, un principio zuccherino naturalmente privo di colore, ma che per l’ azione dell’ acido solforico diviene succes- sivamente dei colori porporino , violetto , e turchino, finalmente d’ una materia colorante. (Annali di chimica e di fisica di Parigi , ottobre, 1829 Pag. 171.) Distillando una mescolanza d’ acido tartarico , di perossido di man- ganese , e d’ acido solforico , il sig- Doebereiner ottenne un acido arti- ficiale simile a quello che contengono naturalmente le formiche , e che i chimicì chiamano acido formico. Ora il sig. Poggendorff ha pubblica- to nei suoi Annali un altro processo per cui si ottiene lo stesso pro- dotto, e che consiste nel distillare insieme dell’amido, dell’ acido sol- forico , e del perossido di manganese ; si sprigiona allora dell’acido for- mico impuro, e nel tempo stesso una grande quantità dì gas acido car- bonico. Si purifica 1’ acido formico così ottenuto , saturandolo con una base , e sottoponendo il formiato che ne risulta ad una nuova distil- lazione coll’ acido solforico , che ritiene la base mentre l’ acido for- mico passa puro alla distillazione. Secondo il sig. prof. Liebig, diverse altre sostanze vegetabili, trattate nel modo stesso dell’amido, sommini- strano dell’ acido formico artificiale. (Ivi pag. 458.) Storia Naturale. Non è molto che da un naturalista francese (sig. Pinot) furono comunicate all’ Accademia delle scienze di Parigi delle osservazioni , delle quali fu da noi dato un cenno ( Anto/. agosto 1829 pag. 160), e tendenti a provare che le piccole radici dei semi che germogliano s’im- mergono nel mercurio in virtù d’un azione vitale , e che il liquido me- tallico le rispinge alla superficie quando le piante periscono. Ma il sig. Mirbel, per mezzo di ripetute e diligenti esperienze si è T. XXXVII. Febbraio 19 146 assicurato che le piccole radici dei semi che germogliano non penetra- no nel mercurio se non in quanto sloggiano una piccola quantità di quel metallo, eguale al peso di quella parte del seme che gravita sulla piccola radice. Ben presto la radice cessa di affondarsi, e continuando il suo allungamento , essa solleva il seme, e quella parte di lei che è immersa nel mercurio divien nerastra e perisce, ma non cessa per quer sto di restare immersa nel mercurio. Non vi è dunque nulla di vitale e di fisiologico nell’immergersi che fanno le piccole radici in quel li- quido metallico, ed è questo uno dei più semplici effetti fisici. Il sig. Mirbel ha anche fatto osservare che l’ autore della prima erronea osservazione , avendola riconosciuta come tale, aveva ritirato la sua memoria. Il sig. Robineau Desvoidy ha informato l'Accademia delle scienze di Parigi, nella sua adunanza dei 14 settembre 1829, che facendo scavare un terreno argillo-sabbioso , gli operanti trovarono una gran quantità di serpenti ( Anguis fragilis di Linneo.) Uno di questi rettili richia- mò la di lui attenzione per il volume notabile della sua regione ad- dominale. Fattane 1’ apertura, trovò con sua gran sorpresa 6 piccoli serpentelli vivi più o meno sviluppati, secondo la loro maggiore o mi- nor prossimità all’ orifizio dell’ utero. Egli aveva fino allora riguardato quel serpente come oviparo. Nel settembre 1820 gli fu portata una vipera femmina , di quelle che nei villaggi son chiamate serpenti rossi. Aperto il suo utero, vi fù- rono trovati più di seimila piccoli figli. L’autore ha aperto in seguito più di cento femmine della vipera comune , ed una gran quantità della piccola specie detta di Fontaine- bleau, senza avere incontrato nuovamente un caso simile. Egli aggiu- gne di non avere aperta una seconda femmina della vipera rossa. Questa è un poco più grossa, molto più rossa, e più rara della vipera comune, e vive di preferenza nelle messi esposte ad un sole vivo. La vipera co- mune abita più particolarmente i boschi, ed i luoghi umidi e freschi. Il morso della vipera comune, benchè pericoloso , rarissimamente pro- duce la morte, mentre sono frequenti i casi d’ individui di qualun- que età, costituzione ,\e sesso, che morsi dalla vipera rossa muoiono dopo poche ore. I sintomi o gli accidenti più funesti sopravvengono con gran rapidità, ma il nitrato d’ argento impiegato da una mano abile, e prontamente , neutralizza il veleno. L’ autore promette un lavoro spe- ciale su questo soggetto , e spera di far rinunziare all’ uso dell’ ammo- niaca ed all’ applicazione delle ventose, che egli riguarda come egual- mente inntili. Il sig. Geoffroy-Saint-Hilaire fa osservare che si può a piacimento render vivipara la vipera rossa, che è naturalmente ovipara, col solo impedire che la sua pelle si distacchi, difendendola da qualunque umi- dità. Colla qual curiosa osservazione viene a spiegarsi il fatto riferito dal sig. Robineau Desvoidy. ( Globo Num. 86,28 ottobre 1829.) 147 Si sa che il mare mediterraneo riceve costantemente dall’ Atlantico, a traverso dello stretto di Gibilterra, un enorme quantità d’acqua, la quale, unitamente all’altra che vi portano i fiumi e vi versano le piogge, si sostituisce a quella che ne sottrae l’evaporazione. In questo perpetuo rinnovamento , l’evaporazione non portando via se non acqua dolce , mentre le correnti marine vi portano acqua salata, si affaccia alla mente la domanda: come avvenga che la composizione dell’acqua del medi- terraneo non varii, e si mantenga sensibilmente eguale a quella del- l'oceano? A spiegare questo fenomeno si presenta naturalmente l’idea d’una controcorrente inferiore, che esporti continuamente l’ eccesso del sale. Se questa controcorrente esiste, siccome non porta seco che una parte dell’acqua che è entrata, l’ altra essendosene andata per evapora- zione, e siccome deve portar via tutto il sale che era contenuto nel- v acqua entrata, bisogna supporre che a volume eguale ne contenga molto più che la corrente superiore. Ora fin quì non si era trovata la differenza che doveva aspettarsi fra li strati superficiali ed i profondi, la loro composizione essendo stata ritrovata la stessa. Il dottor Marcet , che si è tanto occupato di queste ricerche , congetturò che questa man- canza d’accordo fra i risultati dell’osservazione e quelli del ragiona- mento potesse derivare dal non essere stata esplorata l’acqua ad una sufficiente profondità. Però incaricò il capitano Smith, allora occupato in lavori idrografici nel mediterraneo , di procurargli dei saggi d’acqua presa dalle più grandi profondità alle quali si potesse pervenire. Il sig. Smith eseguì con premura la commissione ; ma il dot. Marcet essendo morto in quel frattempo , i saggi raccolti furono smarriti. Per altro il dot. Wollaston potè ricuperarne tre. I due primi non gli presentarono una composizione diversa da quella della ordinaria acqua del mare, ma il terzo, preso ad una maggior profondità (di 1225 metri) a sole 50 miglia di distanza dallo stretto, conteneva una quantità di sale quattro volte maggiore di quella contenuta nell’ acqua superficiale. Una con- trocorrente così composta, e che avesse una larghezza ed una profondità eguali a quelle della corrente superiore, non avrebbe bisogno che della quarta parte della velocità di quest’ ultima corrente , per esportare ad ogni istante una quantità di sale eguale, ed impedire così l’ aumento del grado di salatura. Il risultato sarebbe simile se, la velocità essendo la stessa, la corrente inferiore avesse soltanto il quarto del volume della corrente superiore (Globo num. 95, 28 novembre 1829). Scienze GEOGRAFICHE E STATISTICHE. Lettera al Direttore dell’ Antologia , sul corso del Niger o Nilo de’ Negri. Concedendo ella laudevolmente luogo alle oneste quistioni lettera- rie o scientifiche nel suo pregiato Giornale , piacciale di dar qualche 1,0 pagina a pochi altri argomenti sulla controversia geografica, mossa fra me e il chiarissimo sig. cav. Gràberg de Hemsò in occasione del mio razio- cinio sull’impossibilità che il Niger, o Nilo de’ Negri, metta foce nel Golfo di Guinea (1). Ogni quistione è mezzo risoluta ove sia bene e chiaramente proposta. Onde è che vuolsi proporla nel miglior ordine e con la maggior lucidità possibile a me nella difficilissima arte di scrivere con lucidità ed ordine. Dico adunque, che se è vero (come pare verissimo), che una serie di monti primari fende tutto il corpo dell’ Africa dal Capo Verde al Capo Guardafui, in siffatto caso è impossibile che il Niger, il quale nel suo corso finoggi noto scorre a borea de’ monti istessi , vada poi a sboccare nel predetto golfo che è loro a mezzogiorno. La mia opinione, è come ella ben vede, tutta fondata sovra un ipo- tesi e sovra un fatto; sull’ipotesi cioè che vi sia questa concatenazione di montagne, memorate da tutti i geografi antichi, asserite dagli afri- cani, nonché viste dagli esploratori moderni in quattro luoghi fra loro di- stantissimi (2); e sul fatto di non esservi, nè sapersi finora in tutte le catene montuose d'Europa Asia ed America, il caso di un fiume il quale scorrendo in uno de’ versanti di montagne primarie , le fenda, le attraversi e passi a scorrere fino al mare nel versante opposto. Non al certo è impos- sibile che la geografia esperimentale mi convinca d’errore dopo aver ben esplorato tutto il vero oregrafico @ idrografico d’ una regione ancor sì oscura e misteriosa, quale è finoggi quella parte d’ Africa ; discuoprendo cioè che quella serie di monti , vista da Laing Mollien e Clapperton nell’occidentali provincie africane , finisca e non si congiunge con l’altra serie seorta da Denham molto più all’oriente; e che l’ intervallo, ove que- sta incomincia e quella termina, sia la valle in cui passi il Niger. Non al certo è assurdo, che essa si arricchisca con la scoperta di un fatto nuovo ed unico sì nell’edrografia come nell’oregrafia ; ossia che que’mon- ti d’ Africa, differentissimamente dagli americani europei ed asiatici , aprano un varco profondissimo e dian passaggio a un fiume. Ma finchè nol faccia ed accerti, avrò meco tutto il dritto a negarlo. Dissi che ciò sarebbe la scoperta di un fatto unico e nuovo in geo- grafia. Finora infatti è ignoto, è inesistente, ed avrò l’audacia di aggiugne- re, è impossibile. Del quale ultimo aggettivo si ragionerà poi a giusti- ficarlo. Quì diremo che in America veruno de’ fiumi scaturienti dal pendio delle Ande verso l’Atlantico , non ha passaggio nelle Ande istesse per an- dare a metter foce nel Pacifico ; e viceversa veruno de’ fiumi sgorganti nel pendìo a questo oceano non vedesi sboccare in quello. Lo stesso è in Eu- ropa. Le Alpi, i Pirenei, gli Appennini, i Dofrini , i Krapaki ec. non contengon valle o varco che lasci passar fiume dall’una all’ altra delle val- late formate e sottostanti a’ fianchi loro. L’ Alpe versa a borea in quella del Reno o del Danubio quasi tutte (e dicemmo quasi tutte per una ra- (1) V. Antologia N. 108 e 109. (2) V. Antologia N. 108. 2.° Viaggio di Clapperton. 1/9 gione che udrassi or ora ) le acque scorrenti dal suo pendio boreale, come poi versa nelle altre del Pò dell’Adige del Tagliamento ec. ec. a mezzogiorno le acque fluenti nel suo meridionale pendio; nè v'ha fiume che attraversi o fenda la sua concatenata e continuata mole. Dicasi così pure dell'Appennino de’ Pirenei e degli altri monti europei. E. così pure si dica del Caucaso dell’ Ural e dell’altre asiatiche montagne più cognite. Quì move e poggia la sua opposizione il prelaudato sig. Gràberg ; il quale mercè la profonda sua dottrina in questa del pari che in molte altre ma- terie , potendo dal suo gabinetto esser presenziale a tutta la superficie del Globo , ne invita a seguirlo in Asia per confutarci l’ argomento geografico sul quale fondasi la nostra opinione circa il sì quistionato e quistione- vole finme d’Africa. Seguiamolo adunque in Asia, e udiamolo con l’atten- zione debita ad un sì poderoso oppositore. La vostra regola o massima generale su’ fiumi e su’ monti, dice egli, ha non poche eccezioni. L’ Indo e il Bramaputer sorgono amendue nel fianco boreale dell’ Imalaia ; e con tutto ciò e l’ uno e l’ altro hanno foce al mezzodi di quella regina di tutte le giogaie de’ monti primari. L’ Indo inoltre, che ha due sorgenti. . . sempre al Norte dell’Imalaia, trova innegabilmente non solo una ma due gole in que’ monti ; l’ una dove passa il suo ramo meridionale detto Setledi o Setlege, e l’ altra . . . dove si apre un varco il ramo principale detto Leh e Singein. Il Setlege anche . . . . si apre un varco per una gola dell’ Imalaia . . . A° poca distanza . . .. scaturisce . . . un altra sorgente del Setlege parimente al Norte dell’ Imalaia. Vi sono perciò quivi , non solo una , ma due 0 tre eccezioni a’ principii presunti ec. ec. (3). Incominceremo a rispondere fissandoci a guardar 1’ obiezione da quel lato in cui si mostra più grave ed autorevole : su’ fiumi Indo e Bramaputer cioè, che sorgenti amendue nel fianco boreale dell’ Imalaia, hanno poi la foce al mezzodì di essa. Per ora, diremo incidentalmente che l’ Indo, scaturisce forse più borealmente di parallelo alle latitudini dell’ Ima- laia istessa, ma è dubbio e quasi impossibile che sgorghi nel di lei 2o- reale pendio. Il Bramaputer sì. Sennonchè l’ onorevolissimo nostro av- versario , al cui occhio sì sagace nulla non fugge , notò al certo che nel nostro articolo (4) fummo noi i primi a non tacere un fatto simile fra fiumi europei ; nel Rodano cioè che corre al Mediterraneo meridional- mente alle Alpi comunque ei scaturisca nell’ alpino fianco settentrionale. E nonchè non tacerlo, il citammo anzi come un fatto, che nulla osta o faccia eccezione alla nostra massima oregrafica ed idrografica. E invero non così avviene il corso di questo fiume perchè le Alpi istesse gli des- sero passaggio dall’un de’loro fianchi all’ altro; ma bensì perchè inco- minciando le montagne suddette ad incurvarsi verso mezzogiorno là ove esso sgorga , e seguendo ad incurvarsi verso Oriente finchè trasmutate in Appennini formano tre quarti di cerchio nell’ Italia superiore , per- (3) V. Antologia N. 109 pagina 125. (4) V. Antologia N. 108; 2.° Viaggio dl Clapperton. 150 mettono al Rodano di scorrere intorno al circolare loro pendio esteriore, e di sboccare dove ‘esso sbocca. Ove però invece di annodarsi agli Ap- pennini sì annodassero a’ Pirenei , o alle Cevenne inferiormente al lago Lemano , è chiaro a tutti che il Rodano non avrebbe nè potrebbe mai aver foce là ove 1’ ha attualmente. Lega Per una ragione pressochè simile avviene il corso del Bramaputer che €1 si oppone. Questo fiume sgorga nel nordico pendio e fiangheggia tutto il lato nordico dell’Imalaia fino al 93 di longitudine (5), ove la suddetta catena montagnosa man mano abbassandosi finisce. Quivi non più tro- vando ostacolo torcesi dal suo corso al S.EF. in giro verso occidente , per poi ritorcersi al S. e scaricarsi nel golfo del Bengala, ove ha pure foce il Gange , il quale scorre parallelamente al fianco meridionale delle suddette montagne come il Bramaputer lungo il settentrionale. Qual’ è dunque l’eccezione che questo fiume fa al nostro principio geografico di non esservi catene di monti trapassate da fiumi da parte a parte? La fanno i due o tre rami dell’ Indo, riprende il sig. Gràberg, col trapassar l’ Imalaia. Quì possiamo e dobbiam dire schietto tutto il nostro pensiero , cui potrà convenire il nostro dottissimo competitore. Ed esso è , che la centrale regione asiatica , sottostante all’ intersezione del 40 o 4i latitudinare col 70 meridiano, la quale è la ceppaia o nucleo o groppo di tutte le centrali montagne d’Asia, e perciò la scaturigine di tutti i centrali fiumi di quel continente, è ancora molto lontana d’esser co- gnita con topografica esattezza, come lo è la regione alpinelvetica, sca- turigine di tutti i centrali fiumi , e groppo o nucleo o ceppaia de’ cen- trali monti europei. Nelle scienze esperimentative si precorre alle volte alla scoperta pra- tica del vero con divinazioni teoretiche. L’ ingegno umano sente alcune fiate per istinto le verità che sono ancora recondite. Kant infatti, sol ra- gionando metafisicamente sulla meccanica mondiale, trovava impossibile come nello spazio interiore alle orbite dei pianeti più distanti dal sole, non corressero altri corpi planetari fuorchè quelli allora cogniti. Che av- venne di questa sua divinazione ? Piazzi ed Olbers la verificarono. Il gran filosofo conisberghese divinò un vero celeste ; noi inferiori di mente a lui quanto inferiore al cielo è l’obietto di cui ci occupiamo in questa bassa ‘terra; avendo inoltre in aiuto nostro tutti i raziocini e dell’uniformità della natura nelle sue operazioni d’ esseri simili, e dell’induzione , e dell’ analogia , non saremo tacciati d’ orgoglio o presunzione se diremo , che il progresso della scienza geografica verificherà l’ oregrafia e idro- grafia della parte d’ Asia in discorso , tutta simile nelle sue condizioni generali all’ idrografia e oregrafia dell’ Europa centrale. I sistemi o ordini oregrafico ed idrografico sono indispensabilmente e indivisibilmente congiunti. Chi dice fiumi, presuppone monti da’quali e fra quali scorrono; come chi dice monti, presuppone fiumi scorrenti nelle valli che essi formano. Questi sistemi insomma, per servirci di una (5) Dal Meridiano di Londra. 151 figura, rassomigliano ad alberi, che stesi per terra gli uni fra gli altri però alternamente in direzione opposta, intromettano mutuamente i rami l’ uno fra quelli dell’ altro. L’oregrafico ha i suoi tronchi in quelle alte regioni che quà e là veggonsi sulla terra, sbrancando poi i suoi rami di- visi e suddivisi intorno intorno fino al mare; e l’idrografico , ossia flu- viale, ha. i tronchi suoi nelle foci al mare , ramificandosi fra le ramifi- cazioni del primo. |E questa la legge costituita dalla natura con norma universa e costante nella materia in esame. Ed applichiamola per induzione dall’ Europa all’Asia. Che veggiamo noi in Europa? Dal groppo montuoso dell’Alpi elvetiche spiccansi intor- no intorno tanti monti primari come raggi , i quali inoltrandosi verso la sua periferia, ramificano da ambi i lati altri monti di secondo ordine; que- sti pure sbrancansi in altri di ordine terzo, e così procedendo innanzi fino a’poggi ed alle collinette. Dell’ istesso modo i fiumi scaturienti dal groppo suddetto vanno intorno intorno a metter foce chi nel Mediterraneo chi nell’ Adriatico chi nell’ Eusino e chi nel Mar d’Olanda , riunendo nelle loro valli le acque scorrenti nelle valli minori. Volgiamoci ora all’ Asia. Egli è indubitato che da quella centrale montuosità asiatica , finoggi a noi sì oscura ed incognita checchè se ne dica, veggonsi uscirne come tanti raggi sì i tanti fiumi che vanno al mar gelato ed a quello della Cina, ed all’ Oceano indico ed all’ Aral o al Caspio, come i monti, che forman le vallate de’ fiumi istessi. V’ è dun- que ogni ragion d’ asserire senza tema di essere contradetto da chiunque sia ragionevole, che quando sarà perfettamente cognita la oregrafia e idrografia centrale dell’Asia, si troverà similissima nelle sue leggi ge- nerali a quella del centro d’Europa; e che come in Europa non vi è mon- tagna primaria la quale sia da parte a parte trapassata da un fiume, così pure non se ne vedrà nell’Asia, e molto meno nell’Imalaia che è la altissima fra le catene montuose del Globo. Quelle due o tre gole che il sig. Gràberg sulla fede de’ viaggiatori afferma esistere nel dorso e corpo primario di cotanta montagna , sì troveranno certamente essere non altro se non varchi ‘0 valli estreme che le pendici de’suoi rami formano con monti adiacenti. Vuolsi infine o nò porre mente che la supposizione di un fiume il quale si apra un passaggio e trapassi una catena di montagne ripugna ed alla ragione ed a tutte le leggi fisiche sulla discesa de’gravi? L’acqua fluviale non è che un grave il quale scorre pel pendio de’ monti e delle valli. In qual modo adunque concepire che essa vada contro le valli e î monti, specialmente primari, per farsi strada nella loro mole ? Se ci si obietterà che queste aperture possono essere state fatte non già dall’ impeto de’fiumi, bensì da quello di grandi scosse tremuotiche , ri- sponderemo che queste son tali a produrre grandi avvallamenti non nel centro de’ continenti ma nelle loro estremità , dove alla loro violenza si cumula poi.1’ urto permanente dell’Oceano. E infatti le rotture me- morate dalla tradizione e dimostre dell’istoria naturale non trovansi che presso il mare; quella del Bosforo per esempio , e l’altra del Faro di 152 Messina, ed anche quella dello stretto di Gibilterra. Conchiudiamo in- somma, che i varchi dell’Imalaia, oppostici dal sig. Gràberg; sono ancora troppo incerti per non fare gi usta eccezione al nostro principio generale; e ritornando al motivo della quistione non temeremo di asserire che il Niger può bensì metter foce nel golfo del Benin, ma sol ove cessino quelle montagne viste da Laing e Mollien, e sormontate da Clapper- ton, non già però per varco nella loro mole se esse continuano, come pare che sia, fino al Capo Guardafui. Accolga sig. Direttore ec. GC. P. Ragguaglio della SocrerA” Francese DI Srarisrica UniverRsALE fon- data in Parigi addi 22 novembre 1829. Se si eccettuano la Francia, la Svezia, la Danimarca, ed alcuni Stati della Confederazione germanica, pare che pochi governi dell’Eu- ropa abbiano fin qui sentita l’importanza della scienza denominata Sfa- tistica. Almeno è certo, che pochi l’ hanno giudicata meritevole d’ un attenzione speciale e continuata. Ed ancora più stentano a riconoscere quella grande verità, che le opere degli uomini laboriosi, intenti allo studio di cotesta utile scienza non possono conseguire il grado di pro , comodo , e giovamento che sarebbero atti a ricevere, se i loro elementi non vengono accuratamente raccolti, verificati, e riscontrati dalla pub- blica autorità, o per lo meno sotto l’ immediato ed effettivo suo pa- trocinio. La quale verità è però stata da lungo tempo specialmente riconoscinta nei paesi qui sopra nominati, dove i governi, persuasi , che la statistica sia una delle basi fondamentali della sana politica, non hanno mai ces- sato di dare a questa scienza un carattere officiale , e farne l’ oggetto di una indefessa sollecitudine. Parlando poi della Francia in particolare, si può dire, che in pochi altri paesi siansi riuniti, e presentati con mag- giore ordine , ed utilità i fatti concernenti l’ economia civile , ed osser- vati e descritti con maggior nitore i risultamenti numerici, e positivi delle forze fisiche, morali, e politiche del corpo sociale. Ciononpertanto furon sempre i tedeschi i primi a produrre opere elementari, e periodiche tendenti a propagare la statistica, innalzata al rango delle scienze positive. Ed anco gli stessi italiani ebbero , fino dal- l’anno 1802 nn giornale dedicato quasi esclusivamente a quella scien- za, molto prima che una simile opera si pubblicasse in Francia, dove i Ballois, i Defferrieres, i Donnant, i Peuchet, gli Herbin ed altri, fortificando colle utilissime loro fatiche l’ amore patrio , contribuirono poi ad infondere nel pubblico un nobile orgoglio, mediante la sposi- zione delle ricchezze nazionali del loro paese. Se non che parve anche in quel regno floridissimo diminuirsi alquanto col tempo l’ aura popo- lare, che favoreggiava la Statistica; laddove in Italia i lavori teorici e pratici del celebre, e desideratissimo Gioia, d’un Padovani, d’un Balbi 153 e dei dotti scrittori che compilano, e pubblicano tuttavia in Milano i velevolissimi Annali di Statistica, non cessarono di far prova almeno del vivo desiderio degl’Italiani di concorrere, quanto per loro si può, negli incrementi d’una scienza che ha per base fondamentale quell’eter- na verità, che ‘i Principi , ed i loro ministri non possono essere il- so laminati altrimenti che in ragione di quello che sarannolo le stesse 3» loro nazioni ,,. In Francia vivono sempre ed il genio, e la vaghezza degli studii attenenti alla Statistica; asserzione ch’è stata poco fa nobilmente dimo- strata coll’ istituzione fattasi in Parigi d’ una Società francese di Stati- stica Universale, avente per oggetto il promuovere l’ avanzamento della Statistica generale, e conseguentemente di tutti i rami dell'umano sa- pere, nel tempo medesimo che si propone di raccogliere, e pubblicare relazioni statistiche di ogni specie intorno i paesi del mondo conosciuto. La quale nuova Società, che promette i più importanti vantaggi alle lettere, ed alle scienze, è stata fondata dal signor Cesare Moreau , già Vice- Hotaola di Francia in Londra, ed annovera fra i suoi protettori e membri molti uomini sommi di ogni rango e professione , non solo della Francia, ma di altri paesi ancora, fra’ quali molti principi e pari di Francia e d’ Inghilterra, membri della Camera dei Deputati, del Par- lamento, dell’ Instituto , del Corpo Diplomatico, ec. ec. Lo scopo di questa scelta, ed importante Società è quello di stabi- lire, e mantenere generalmente una corrispondenza colle società dotte e letterarie di tutti i paesi, ed individualmente con ognuno dei loro socii. Sì compone di sessanta membri residenti, di un numero illimi- tato di membri non residenti, e di socii corrispondenti, non che d’ un numero più ristretto di membri onorarii, ed emeriti. Pubblicherà colle stampe 1.° la raccolta dei suoi lavori; 2.° le opere che avrà corona- te, e 3.° la raccolta dei documenti stampati o manoscritti, che le saranno trasmessi, e di quelli estratti da opere, memorie e relazioni tanto antiche quanto moderne uscite alla luce in lingua nazionale, oppure straniera. A quale effetto proporrà, e dispenserà premii, e meda- glie d’ incoraggiamento. Abbiamo sotto gli occhi gli statuti della Società, che ci sembrano dettati con molto acume,.e con puro amore per gli incrementi della scienza. Si leggono quivi descritti il modo di ricevimento, ed i privi- legii dei membri, i titoli dei dignitari, le funzioni degli ufiziali, la composizione, e gli attributi del Consiglio della Società, e dello serit- toio di amministrazione , il regolamento delle sessioni ordinarie, straor- dinarie ed annuali, e finalmente il modo, e le condizioni dei premii. Il tutto insieme comprova, d’una maniera lodevolissima, l’intento della Società essere quello di contribuire al ben essere dell’ umanità , col- l’ avanzare i progressi generali delle nozioni statistiche. La prima solenne assemblea della Società ebbe luogo nel lunedì 18 dello scorso mese di Gennaio, e crediamo pregio dell’opera il dare qui T. XXXVII. Febbraio 20 a 154 l’ elenco dei dignitari e degli ufiziali allora eletti, ed entrati in carica pel decorso dell’ anno milleottocentotrenta. Presidente. Conte Chabrol de Volvic, Prefetto del dipartimento della Senna. Presidenti onorari’. Duca di Doudeauville, Conte di Hauterive, Cavaliere Jomard, e Conte di Saint Cricq. Vice-Presidenti. Conte Chaptal, Duca Decazes, Conti De la Borde, e Siméon. Direttore dello Scrittoio di amministrazione. Sig. Cesare Moreau, Segretario. Barone Juchereau de Saint Denis. Vice-Segretario. Visconte Dumanoir. Esaminatori dei voti. Baroni di Mortemart, Boissé , e Rodet. Archivista. Sig. Isidoro Simard. Tesoriere. Sig. CGavaille. Fra i momi dei membri in quella solenne occasione proclamati ve- diamo con piacere quello del nostro dottissimo Commendator Daniello Berlinghieri. Ma siamo persuasi che molti altri italiani avranno trovato ugualmente un luogo distinto nel catalogo dei membri di così glorio- so, e valevole Instituto, e nominatamente il sullodato signor Adriano Balbi, che senza fallo debb’ esserne stato uno dei primi fondatori, e ne sarà certissimamente uno dei più valorosi sostenitori. J. G. H. Lettera al Direttore dell’ Antologia. ( Traduzione dall’ inglese. ) Siena, 22. Dicembre 1820; Mio caro Signore , La vita ritirata che io meno dopo il mio arrivo in Siena , e l’ap- plicazione ad altri studii, mi hanno impedito di vedere la vostra pre- ziosa Antologia ; inguisachè fu per puro accidente che appresi dal mio amico sig. Barone Spannocchi, 1 onorevol menzione fatta nel vostro quaderno di Agosto d’ un opera mia pubblicata alla Nuova-York nel- l’anno 1820. Domando, per mezzo vostro, di fare all’ autore dell’ ar- ticolo i miei ringraziamenti del modo cortesissimo in cui ha parlato di me, e nel medesimo tempo di correggere uno sbaglio che può es- sere stato non suo, ma dello stampatore. L’ articolo parla dell’ avere io dimostrato, che ‘ tutte le nazioni disseminate dalla baia di Hudson ,3 fino al Capo Horn ed alle Indie orientali hanno la medesima reli- 33 gione. ,, (*) Questo è più di quello che io mi abbia tentato ; im- perciocchè non trovandomi allora in istato di consultare gli autori spa- gnuoli, che hanno descritto le nazioni dell’ America meridionale , fui costretto di limitarmi unicamente all’ America settentrionale , compre- (*) V. Antologia, tomo, 35, quaderno 104 p. 34. 155 sevi le Indie Occidentali. La disamina delle religioni degli aborigeni dell’ America settentrionale , in connessione colle forme grammaticali dei loro idiomi, mi ha condotto ad una conclusione sovramodo impor- tante, per rispetto alla loro origine ; cioè: che debbono essere di- scesi da qualcheduna delle prime migrazioni, accadute immediatamente dopo la confusione delle lingue, e la dispersione dei popoli nella pia- nura di Sennaar , ricordata nel capo undecimo della Genesi. La loro religione, sebbene depravata dall’ idolatria, e dall’ introduzione di deità inferiori e subalterne , ha conservato i principii caratteristici della fede patriarcale, molto più di quella dei popoli dell’altro emisfe- ro ; e le loro lingue formano tuttavia una classe tanto distinta per la loro costruzione di tutte le altre , quanto le lingue dette semitiche dif- feriscono da quelle della moderna Europa. Vi prego di gradire i miei migliori augurii per la prosperità del vo- stro eccellente Giornale, e 1’ assicuranza dell’ altissima stima colla quale sono ec. SamueLe FarmaR JARVIS. Nota. L’autore dell’articolo di cui si tratta , scrivendo la linea ripresa dal sig. Dottore Jarvis, non fece che tradurre quasi letteralmente quanto dal sig. Warden era stato detto a carte 491 e 492 del secondo volume delle Memorie della Società geografica di Parigi, che stavasi analizzando. Egli però avea, stan do in Gibilterra nell’ anno 1822, avuto la sorte di leggere , comechè in fretta, il bellissimo Discourse on the religion of the indian tribes of North- America del medesimo sig. Jarvis; e dall’impressione che quell’interessante lettura avea- gli lasciato nella mente , gli era rimasta la ferma credenza , che l’ identità delle religioni di coteste tribù non solo pareva provata, conforme scrive il sig. Warden, ma che fosse realmente stata posta fuori di ogni dubbio. Non si par- la già delle nazioni più moderne del Messico, e del Perù , ma dei popoli più veramente aborigeni anche della penisola meridionale di quel vastissimo conti- nente, che senza alcun dubbio professarono sempre e professano tuttavia i dogmi riferiti dal sig. Warden, e riprodotti nel luogo citato dell’ Antologia. J. G. H. SocrETÀ SCIENTIFICHE E LETTERARIE. I. e R. Accademia dei Georgofili. Adunanza del dì 6 dicembre 1829. = Il sig. professore Giuseppe Gaz- zeri, vice-presidente nuovamente eletto, aprì e presiedè la seduta. Pre- via la lettura de’processi verbali della seduta ordinaria del mese di agosto, e di quella solenne del dì 4 ottobre p. p., fatta dal nuovo se- gretario degli atti sig: dott. Ferdinando Tartini-Salvatici, il segretario per le corrispondenze sig. dott. Attilio Zuccagni-Orlandini esìbì i doni ricevuti dall'Accademia nei tre mesi precedenti. Quindi il socio sig. dott. Gio: Batt. Magini lesse una memoria di turno trasmessa dal collega sig. priore Jacopo Ricci, vertente sopra al- 136 cuni difetti invalsi generalmente nella cultura delle vitì , il maggiore dei quali reputa essere quello di alzare la vite a poco a poco anzichè portarla tutta in una volta alla conveniente altezza, scegliendo a tal uopo il getto più vigoroso. d In seguito il socio ordinario sig. dott. Carlo Passerini parlò in al- tra sua lezione di due specie d’insetti nocivi, uno alla vite, il brucio della procris ampelophaga ; e l altro al cavolo arboreo, la larva del li rus octolineatus ; la quale importante lezione trovasi per intiero inserita negli atti. Finalmente il corrispondente sig. dott. Ferdinando Stiatti parlò con sfoggio di erudizione delle conseguenze dei troppo estesi diboscamenti, e delle disposizioni della toscana legislazione che in vari tempi sono state prese a tutela delle foreste. x mast” L’ Accademia sì sciolse dopo avere eletto a soci corrispondenti i sigg. Francesco Gera di Conegliano , e Gio. Battista Pedeville di Genova. Adunanza del 3 gennaio 1830. = Aperta la tornata dal vice-presi- dente sig. prof. Gazzeri, il segretario degli atti lesse l’atto della seduta ultima decorsa, il quale fu pienamente approvato;_e quello delle corri- spondenze annunziò i doni del mese precedente, i Di poi il socio ordinario sig. dott. Gio. Battista Magini annunziò un nuovo metodo per insegnare i rudimenti grammaticali della lingua italiana, applicabile alle scuole d’insegnamento reciproco, riserbandosi a darne un completo ragguaglio tostochè 1’ esperienza confermerà la buntà del metodo enunciato. Quindi l’ accademico sig. avvocato Leopoldo Pelli-Fabbroni lesse la sna memoria di turno, nella quale proponendosi di ricercare quali piante sarebbero a prescegliersi per estendere la sementa e coltivazio- ne de’ boschi nella Toscana , parve a lui doversi accordare tale prefe- renza ai pini, e segnatamente al pino larizio o lariggio di Corsica, co- me quella specie che rapida cresce ad un altezza maggiore delle altre, e che somministra ottimo legname adatto anche ai più fini lavori. Sul qual proposito l’accademico ebbe luogo di avvertire, che la vegetazione di tali piante è assai più vigorosa quando si lascino crescere ove na- equero, di quello che lo siano trapiantandole nell’età di due anniy sic» come dai cultori di piantonaie viene indicato. A confermare il quale assunto sarebbero necessarie altre osserva- zioni che fornire potrebbero quei possidenti terrieri ai quali fu fatto parte della sementa del pino larizio nel 1821, generosamente procurata dall’I. e R. Governo. Comunicò per ultimo il sig. dott. Giuseppe Valtancoli una sua os- servazione fatta nél monte Amiata, relativamente al metodo da quei vil- lici praticato nell’abbruciare la terra dei campi onde fertilizzarli ; dalla descrizione del quale egli deduceva che un tal metodo era preferibile agli altri praticati in Toscana ; mentre assicurava che non sì riprodu- cono le piante le quali potrebbero far danno alla raccolta, e la vegeta- zione prospera egualmente in tutti i punti di un campo abbruciato. 1h Adunanza del 24 febbraio 1830. = Il vice-presidente sig. prof. Gaz- zeri aprì e presedè la seduta, nella quale dopo fatti i consueti rapporti dal segretario degli atti e da quello delle corrispondenze, il socio ordi- nario sig. prof. Taddei disse una sua memoria ricca di dottrina e di osser- vazioni da esso fatte, sui danni cagionati da una forte brina sopraggiunta nei contorni di Firenze la notte del 1 maggio 1820, e sulle circostanze che avevano reso in diverse località questi danni più o meno vistosi. Dopo la qual lettura chiese la parola il socio corrispondente sig. Jgna- zio Malenotti proposto a S. Gemignano, il quale avendo non ba guari letto un opuscolo dell’ altro proposto di Rivolta sig. Beltrami, sulle cause del danno ineguale che arreca la brina, dove trovasi spiegato quel fisico feno- meno con principi diversi da quelli esternati dal sig. prof. Taddei, mostrò desiderio, affinchè l’Accademia si degnasse nominare una deputazione spe- ciale incaricata di esaminare e di riferire il suo parere intorno alla prefe- renza delle due opinioni. Successivamente il socio corrispondente sig. cav. Graberg di Hemsò, facendo un’ appendice alla memoria da esso lui letta nell’ anno ultimo de- corso sulla statistica agraria dell’ impero di Marocco , descrisse 1’ aratro di quella regione ed il modo di adoprarlo. i Finalmente l’Accademia, dopo avere eletto in socio corrispondente il sig. Federico Bruscoli conservatore dell’ I. e R. Gabinetto Fisico a Firenze, sì sciolse. E. R. Accademia degli Euteleti in Samminiato. Accademia de’ Vari in Colle. Non v? ha paese in Italia che nelle terre e per le campagne possa con- tare tanti uomini amici delle arti e delle solide discipline, quanti la no- stra Toscana. Savignano nella Romagna , Castelfranco nel Veneto , e qual- ch’ altra terra, che si onora di due o tre bei nomi, 0 d’un più diffuso e più vivo amore del bello, non sono che eccezioni rarissime : e certo è che l’intellettuale coltura in quella parte d’ Italia è più equabilmente diffusa dove l’agricoltura fiorisce, dove le arti del vivere sentono potente l’istinto di perfettibilità. Giova molto che queste due circostanze si trovino insie- me congiunte , per poter rispondere a coloro i quali rigettano 1’ educazio- ne dell’ingegno come cosa inutile al ben essere dei più; e mostrar loro che la povera letteratura è buona anch’ essa a qualcosa. Le accademie non so- no, a dir vero, il più evidente indizio della civiltà e della coltura d’un po- polo: ma quando da un’accademia si veggono trattati argomenti simili a quelli che può mostrare 1’ Accademia degli Euteleti in Samminiato , allora questo sì profanato nome non basta a detrarre alla stima e alla ricono- scenza che meritano simili istituzioni, allorchè sono rivolte ad uno scopo di scienza pratica , alla scoperta o alla determinazione d’utili verità. Nel- - Te dodici sedute pertanto, nello scorso anno tenute dall’accademia Sammi- niatese, il sig. avvocato Maurizio de’ marchesi Alli Maccarani dissertò de’ pregi e delle antichità delle due contrade di Samminiato dette di Pog- 158 givisi e di Castelvecchio , e il sig. canonico Torello Pierazzi de’pregi e de’ diritti delle due contrade dette di Fagnana e di Fuor di porta ; il sig. dott. Ercole Farolfi esaminò î rapporti del buon gusto nelle mense con l’ incivilimento de’ popoli; il sig. Pietro Paroti additò quali precauzioni sì richiedono per ben coltivare le terre sottili; il sig. Pietro Rossini stabilì delle regole pratiche sulla sementa delle lu- pinelle ; il sig. professore Taddei pose in confronto co’naturali bisogni le sociali regole sul vincolo commerciale ; il sig. dottore Stefano Da- mucci produsse la sua prefazione alle memorie storiche di Montopo- li; il sig. canonico Francesco Ciardini lesse la seconda parte di una memoria sul metodo di determinare la minore distanza tra due punti differenti dal Globo , attesone lo schiacciamento ; il signor avvocato Carlo Orabuona lesse 1’ elogio funebre di F. Sabatelli; lo stesso , del modo di educare le donne, profittando delle lor naturali disposizioni ; il dot. Enrico Bonfanti dell’ uniformità delle opinioni da ottenersi mercè la pubblica educazione ; il sig. canonico Torello Pierazzi trattò la storia di Fagnana sino dal VI secolo; e il sig. dott. Averardo Bonfanti del modo di bene dirigere il lusso. Altri argomenti di minore importanza, non però frivoli, tralasciamo per venire all’ Accademia de’ Vari, alla quale per sovrana concessione vengono ammessi non solo ì nobili, ma tutti i cittadini di Colle per dottrina distinti. I benefizi di questa in- novazione non è necessario spiegarli: tutti lì intendono; e coloro che non li intendono , non li vorranno sentire. Diremo dunque che nella prima delle trimestri adunanze tenuta il dì 25 febbraio del 1830 il sig. cano- nico Lorenzo Chelazzi lesse fra gli altri degli uomini illustri di Colle ; e il signor dottor Giuseppe Dini, delle glorie mediche degl’ italiani. Son questi i veri argomenti accademici , gli argomenti dai quali possono trar- re un vantaggio le scienze di fatto. R. Accademia delle Scienze di Torino. Classe delle Scienze morali e politiche. Adunanza del 14 gennaio. — Il cav. Lodovico Sauli, deputato col prof. Costanzo Gazzera , lesse un parere intorno ad una dimanda di privilegio per la proibizione di ri- stampa, libera introduzione e smercio nei Regii Stati di un’ opera impressa all’ estero. Il cav. Alberto Ferrero della Marmora lesse Osservazioni Archeolo- giche intorno ad alcuni idoletti di bronzo antichissimi ritrovati in Sardegna. Classe fisico-matematica. Ad. del 3 gennaio. = Il sig. prof. Miche- lotti lesse due rapporti, dei quali si vedrà qui appresso. Il sig. march. Lascaris, deputato col conte Provana fa relazione di una istruzione sulle trombe idrauliche, scale e macchine per gl’ incendii , sul regolare servigio di esse e sul modo di estinguere e di prevenire gl’ incendii , per uso degli operai guardie del fuoco ; opera manoscritta dell’ ingegnere Paolo Giacomo Lana, capitano comandante la compagnia degli operai predetti. — Il sig. cav. Alberto della Marmora lesse il primo capo 15”) delle sue Osservazioni geognostiche sopra alcune roccie raccolte in varie provineie d’ Italia, e nelle isole di Corsica e di Sicilia. Ad. del 24 detto. Il Segretario continuò la lettura delle rotizie storiche intorno ai lavori della Classe nel decorso anno 1829; quindi lo stesso accademico lesse: muove ricerche chimiche sopra la china, lavoro del corrispondente sig. Pietro Peratti piemontese, prof. di, farmacia nell’ archiginnasio romano , intorno al qual lavoro era stato fatto favo- revole rapporto nella precedente adunanza dai deputati professori Vit- torio Michelotti, e Rolando. Ad. del 7 febbraio. = Il Segretario dopo aver terminata la lettura della notizia storica precitata, lesse una memoria, della quale nella pre- cedente adunanza era stato fatto da una giunta favorevole rapporto. Questa memoria era intitolata: Essa: géognostique dans les deux vallées voisines, de Stura et de Vinay; par M. Ange Sismonda, assistant è l’école minéralogique de l’Université royale de Turin. arr RI eli Minieri NECROLOGIA. Cosimo Giotti. Ai dieci di febbraio di quest’ anno è mancato al desiderio de’ buo- nî Cosimo Giotti fiorentino, uomo non meno lodevole per private virtù che per le opere di ingengo onde in altri tempi ebbe grandissima fama. Nacque in questa città ai 15 aprile 1759, e quasi per anticipazione di ciò che gli serbava la sorte rimase cieco da un occhio ne’primi giorni del viver suo. Studiò sotto la direzione del celebre proposto Lastri, e bi- sogna credere che, sia per natural forza d’ingegno, sia per rara costanza di volere avanzasse sollecitamente negli studii, perchè sendo rimasto al tutto cieco ai diciotto anni, potè tuttavia continuare nella cultura delle lettere, da cui ottenne tutte le consolazioni dell’ animo, e tutti i soc- corsi al bisognevole della vita. Ebbe il Giotti nel corso non breve del viver suo de’giorni di applau- so, e di gloria. Però che oltre la stima giustamente guadagnata col tra- durre pregevoli opere francesi sì in verso, come in prosa, ottenne per tutta Italia grandissima lode per le tragedie e pei drammi da lui forniti al teatro italiano. Ciò fu tra ’1 1780 ed il 1793. Ricercando i libri di quel tempo ho veduto che l’Agide , il Gusmano di Almeida e 1° Ines de Castro ebbero due o tre edizioni, e furono allora tenuti tra i componi- menti migliori del nostro teatro. Ma per la fede che meritano le per- sone più conoscenti del Giotti, e per ciò che ne ho saputo da alcun con- temporaneo, debbo dire che 1’ Agide ebbe dal pubblico maggiore acco- glienza di tutte le altre opere dello stesso autore. Intanto che fu reci- tato molte sere di seguito sempre con applauso, e suscitò l’ invidia de’ malevoli, i quali mossero al Giotti accuse di plagio senza il benchè minimo fondamento. Chi cercasse nell’Agide la nobiltà delle sentenze 160 ed il rarissimo stile del Niccolini, o la rigorosa economia nell’ azione ch’ è propria dell’ Alfieri, rimarrebbe certamente deluso in ogni sua espet- tativa. Ma chi si contenta di uno stile mediocre, di un azione condotta in modo che }) interesse vada sempre crescendo , e glì uditori stieno so- spesi per l'incertezza dell’ esito , avrà ragione d’ applaudire all’ Agide del Giotti ; e certamente potrà intendere come in tempi in cui era po- verissimo il teatro italiano, cotesta tragedia fosse molto lodata. Oserò io affermare che le opere del Giotti benchè lodate fossero affatto inutili per l’ avanzamento della letteratura italiana? 0 pure abbandonandomi al sincero desiderio di lodare 1’ uomo virtuoso dirò che dovettero ser- vire a preparare il pubblico ad opere migliori? l’ una e Valtra sentenza in bocca mia potrebbe sembrar prematura. Basta all’ intendimento mio l’aver notato come quest'uomo fece parlare di sè tutta l’Italia; e però non deve essere al tutto trascurato da chi volge la mente a considerare la storia degli studi , e delle opinioni ne’ tempi in cui la riputazione del Giotti fioriva. Nè è meraviglia che dopo tanti e svariati mutamenti di opinioni e di fortune che il corso de’ tempi ha recati alla nostra patria, poco o niente rimanesse al Giotti dell’ antica fama. Pe- rocchè a mantenersi lungo tempo nell’istessa riputazione senza adope- rarsi ogni giorno per sostenerla, mentre tutto si muta e sì rinnuova, o bisogna esser sommi, o straordinariamente fortunati. Senza di che l’uomo modesto che dopo aver dato pruova delle proprie forze se ne sta contento di un onorato riposo, suol vedere il mondo che l’applau- diva volgersi tutto a quelli che vengon nuovi sulla scena, eda poco a poco scordarsi di lui. La qual cosa negli uomini che furono più vana- gloriosi che potenti d’ingegno suole ingenerare invidia ed arrogante di- sprezzo per ogni novità di cose o di persone, laddove negli uomini che accoppiarono virtù al sapere può produrre bensì qualche momento di tristezza come ricordo della caducità de’beni terreni, ma non distrugge mai i sentimenti di benevoglienza , e di giustizia. Onde è che il Giotti siccome virtuoso vide tranquillamente le mutazioni recate dai tempi, e laudando quello che i migliori laudavano , vituperando ciò che gio- vava ai tristi, confidava coi buoni dover finalmente uscire da tanta lotta de’ giorni più fortunati per 1’ umana ragione. A questo modo il Giotti, rappresentante di un tempo già molto lontano da noi, da che 1’ uomo non può mutarsi volontariamente secondo il volger degli anni, seppe riuscir gradito ai vecchi come ai giovani, e mantenne tanta giovinezza di animo da poter prender parte ai ragionamenti di cose nuove. Aveva il Giotti dal suo tempo un amore per le belle lettere assai maggiore che non abbiamo noi venuti in età in cui il ragionare di co- se pubbliche pare argomento principalissimo di tutti i discorsi. Teneva pure dal suo tempo una cognizione minutissima delle cose patrie , una piacevolezza di conversare tutta fiorentina, una memoria ornata de’più be’luoghi de’ nostri poeti. Le quali doti della mente, unite ad un sen- tir vivo i debiti dell’amicizia, a molta civiltà di modi nel manifesta- re la propria opinione , scevre affatto da quelle macchie d’ amor pro- 10, prio che troppo spesso fanno gli nomini di spirito o imprudeuti o maligni, rendevan cara e rispettabile fa persona del Giotti a tutti quelli che il conoscevano. Però sino agli ultimi tempi del viver suo il Giotti ha avuta la consolazione di vedersì rispettato , stimato , ed ono- rato da tutti. Cieco e sprovvisto di beni di fortuna adoperavasi il Giotti nell’in- segnare la lingua italiana e I’ istoria, e nello spiegare î nostri migliori poeti ai forestieri come ai nazionali. Poneva tanto amore nel procurare il buon riuscimento de’ suoi scuolari, che ne era amato con affetto quasi filiale. Recherò un solo fatto. Un olandese che per rimeritarlo delle sue cure aveagli assegnata una pensione di dieci scudi al mese, sì mosse dalla sua terra espressamente per tornare ad abbracciare il suo caro maestro. Lo vide, I’ abbracciò , gli confermò la pensione, e poco dopo morì ; lasciando al Giotti l’animo pieno di gratitudine, e di mestizia: la qual cosa ho voluto ricordare , perchè pare a me che 1’ affetto degli amici sia ottimo indizio della bontà di animo di chi lo meritò. Ma nè le lodi del pubblico , nè le consolazioni dell’ amicizia avreb- ber mai potuto tener l’ animo del Giotti tranquillo, dove egli non fosse stato abbastanza forte da comportar sapientemente la cecità, onde era stato afflitto sino dai diciotto anni. Però dobbiamo notare che sino dal momento in cui fu colpito da sì tremenda disgrazia propose di non do- lersene giammai, e stette poi fermo sempre nel suo proponimento. Intan- tochè ad udirlo ragionare pareva capace di prender diletto dalla vista, e di godere delle cose belle a vedersi di cui gli altri ragionavano. La qual cosa era forse saviamente ordinata da lui per tener l’ animo tranquillo illudendosi nella propria sventura. Gosì il Giotti che per avversa sorte avrebbe dovuto esser infelicis- simo, condusse una vita invidiabile da molti, e rimane nella memoria degli amici argomento di ciò che possa sapienza contro i casi di fortuna. Oltre le cose stampate di cui si è fatto cenno, il Giotti ha lasciate inedite aleune commedie, e diverse poesie. Conoscendo Pautore , ab- biamo ragione di credere che le ,commedie debbano esser degne del teatro italiano. F. Forti. Bassiano Carminati. Professore nell’ Università di Pavia, prima di terapia generale e materia medica , poi di patologia e medicina legale , e membro dell’Isti- tuto Italiano . Pubblicò assai giovane uno scritto tuttora stimato De animalium ex mephitibus et noxits alitibus interitu ejusque propioribus causis ; indi le sue Animadversiones in principia theoriae brunonianae, che vanno sotto il nome di Giuseppe Sacchi; poi le Ricerche sulla natura e sugli usi del sugo gastrico ;'poi, fra altri più piccoli lavori, quelli che son raccolti sotto il titolo d’ Opuscola therapeutica , e alfin l’opera che gli diede maggior grido, Hygiene et Materia medica, adottata come li- bro di testo in varie Università di Germania, e di cui abbiamo alcune traduzioni forestiere, e un compendio italiano fatto da Enrico Acerbi ; T. XXXVII. Febbraio 21 192 ai quai lavori aggiunse in questi ultimi anni una Memoria sopra i sali di chinina e di cinconina , un’ altra sulle acque minerali, e una sugli usi medici ed economici della vainiglia , di cui non potè vedere terminata la stampa. Era nato in Lodi verso la fine del 1750 ; è morto in Mila- no sul principio di questo, non senza il compianto di molti, poichè alle doti, che lo fecero pregiare come scienziato e professore di scienze, ac- copiò pur quelle che ispirano l’ affetto e assicurano la gratitudine. V. il n.° CLXIX della Biblioteca Italiana. Stefano Andrea Renier. Professore di storia naturale nell’ Università di Padova, e membro anch’ egli dell’ Istituto Italiano. Sono famose le raccolte zoologiche, di cui egli arricchì il Gabinetto di quell’ Università. Fra le sue opere è pur famoso il Prodromo sulle conchiglie dell’ Adriatico, e assai stimati sono i suoi Elementi di mineralogia. Quantunque settuagenario egli promet- teva nuovi e importanti lavori, quando verso la metà del primo mese di quest'anno, fu inopinatamente rapito alle scienze nella dotta città, ove da lungo tempo le professava. V. il n.° CLXIX della Biblioteca Italiana. Carlo Tedaldi Fores. Nato in Cremona verso il 1795; morto in Milano alla fine del 1829. Dedicatosi alle lettere sì distinse assai presto con alcuni romanzetti poetici, le Rimembranze d’un Monastero e la Narcisa; un poemetto di- dascalico, i Cavalli; altre poesie di vario genere fra cui qualche inno. Pubblicò in seguito più tragedie , prima i! Bwondelmonte ; poi la Bea- trice Tenda , che il Sismondi, paragonandola all’ antecedente, chiamò passo di gigante ; da ultimo, i Fieschi e î Doria, in cui si trovano le stesse qualità della Beatrice. E stava pure da qualch’ anno lavorando intorno ad un romanzo storico , di cui sì spera trovar compita tra le sue carte almeno una metà. Egli aveva abbracciato di cuore le nuove dottrine letterarie , che sì Lio a tutte le idee dell’ età nostra , e a cui nel concetto de’savi non dovrebbe nuocere nè l’ imprudenza di chi le esagera, nè l’impe- rizia di chi le applica male. Quelle dottrine erano per lui un pegno di progresso sociale , che bramava con tutta la forza dell’ anima. Nè egli era straniero agli studi che più direttamente il promuovono, e in ispecie a quello della scienza legislativa. Però con quell’ ardore , con cui si sottoscriveva pel monumento da erigersi al principe de’ nostri ultimi poeti, facea scolpire una lapide all’ illustre interprete di Ben- tham, morto anch’ esso lo scorso anno in Milano. Molte speranze il buon Tedaldi ha portate seco nel sepolcro. I suoi amici, che il pregiavano anche per altre doti che quelle dell’ ingegno, hanno fatto in patria pubblico e solenne compianto della sua fine im- matura. V. Eco, anno terzo , n.° 9. 165 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’Antologia (*). Febbraio 1830. CORSO ELEMENTARE DI MATEMATICHE. Volumi già stampati, i quali si vendono a corpi separati. 1.° Elementi di Algebra e di Arit- metica. Paoli 8. 2.° Elementi di Geometria, paoli 8. 3.° Introduzione alle arti ragionate. Paoli 8. NB. Qui si trovano ancora i lc- TOSCANA. ATLANTE geografico, fisico e storico della Toscana, del dottore ArmTILIO Zuccacni OrranpINI. Firenze, 1830, dalla Stamperia Granducale. in fol. Tavola XIII. (La Val d’Elsa). garitmi , le due trigonometrie ,, e le sezioni coniche a cono retto. 4. Introduzione al calcolo. Parte algebrica. Paoli 8. 5.° Parte Geometrica. Geometria a due coordinate. Paoli 8. Geometria a tre ALLA memoria di Giovanni Va- LERI. Inno di Lorenzo PorciIaTTI scritto nel gennaio 1830 in occasione di esser 6.° stato eretto nella cattedrale di detta | Paoli 8. città , patria del ch. professore, un NB. Questi due tomi tradotti dal deposito sopra le di lui ceneri ivi | francese sono del sig. Bourdon. traslatate da Siena. Siena , 1830 , al- Volumi da stamparsi. l insegna della Lupa. 7.° Galcolo differenziale. 8.° Calcolo integrale. g.° Elementi di meccanica. 10,° Elementi d’ Idrodinamica. 11.° Elementi di Ottica. 12.° Elementi di Astronomia. coordinate. ELEMENTI. d’ Algebra, d’ Arit- metica e di ( Geometria, ove dalle prime nozioni dell’ algebra si deduce l’aritmetica e la geometria, di E. Gram- soni professore all’ università di Pe- rugia. Ediz. 5.a dopo la 4.a tradotta in francese. Firenze, 1829, L. Pezzati. Tom. I° Algebra e Aritmetica. 8.° di pi 222. PROCIDENZA dell’ occhio sinistro, osservazioni di MassimiLrAaNno RiGaccI, comunicate con lettire al ch. P. V.R. Firenze, 1830, St. Funtosini. 8. (*)I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- no come estrutti o analisi, siano come annunzi di opere. Il DrrerrorE DELL’ ANTOLOGIA rammenta a’ sigg. Librai, ed a’ respettivi Autori e Editori di opere italiane , che le inserzioni di annunzi tipografici s nel presente bullettino , non possono avervi luogo che previo l’ invio di una copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti da inserirsi per in- tiero, 0 di qualunque altro avviso tipografico, mediante il pagamento di soldi due per ogni riga del medesimo bullettino. ( Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi. e dispen- sarsi coll’ Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenirsi se- condo il numero de’ fogli. 107 TRATTATO di Rriccarvo pa S. Virrore de’ quattro gradi della GQarità attribuito falsamente a S. Bernardo : volgarizzamento antico toscano. Firen- ze , 1829 , Stamperia Magheri in 8.° LETTERE di Giovann1IPacnI me- dico ed Archeologo Pisano in raggua- glio di quanto vidde ed operò in Tunisi. Firenze, 829, Stamperia Magheri, In 0.0 LETTERE inedite di Lorenzo IL Macnirico e d’ altri illustri toscani. Firenze , 1830 , Stamperia Magheri , ins.” IN MORTE di Donna Isabella Alfani Ricci. Elogio del cav. An- cioLlo Maria Ricci. Pisa, 1830, Nistri. Volumetto di p. 50. BBEVE NOTIZIA degli oggetti di antichità egiziane riportati dalla spedi- zione letteraria toscana in Egitto e in Nubia, eseguita negli anni 1828-29 , ed esposti al pubblico nell’ accademia delle arti e mestieri a S. Caterina. Fi- renze, 1830, St. Piatti. 8.° di p. 94. RACCOLTA D’OPERE ad uso delle scuole militari. Volume IX. Trat- tato elementare d’ artiglieria per l’uso dei militari di tutte le armi, di DecxgeR, tradotto dalla versione francese dal tenente FERDINANDO BionDI PERELLI incaricato dalla direzione degli studii dei RR. Cadetti d’ Artiglieria in To- scana. Livorno , 1830, tip. e libreria di Giulio Sardi. 3.° tomo I di p. 230. REGNO LOMBARDO VENETO. GRAMMATICA della lingua tede- Sca, o sin nuovo metodo per im- pararla facilmente, del D. A. FrtIprr, pubblico professore di lingua e let- teratura italiana nell’I. e R. uni versità di Vienna. Milano , 1830 , G. Silcestri. 8.° Sesta edizione esatta- mente corretta e migliorata, con una tavola in rame. Prezzo lire 4 it. LA VITA di Gesù Cristo e la sua Religione, ragionamento di An- Tonio Cesari prete veronese. Milano, 1329, G. Silvestri. Volume VI. 230.° della Biblioteca Scelta. EPISTOLE in versi di IppoLito Pinpemonte. Milano , 1829 , G. Sil- vestri. Nona edizione, Vol. unico. LETTERA del prof. ILario Ge- saROTTI, in cui si fa qualche cenno della mitologia e del romanticismo. Milano , 1829 , G. Silvestri. Prezzo l. 1 austr. LA SACRA BIBBIA di Vence, giusta la quinta edizione del sig. TracH , corredata di nuove. illustra- zioni ermeneutiche e scientifiche , con atlante e carte iconografiche. Milano, 1830, in 8." Ai buoni e colti. italiani gli editori Ant. Fort. Stella e figli. Di questa nostra edizione credia- mo essersi ragionato abbastanza nei manifesti da noi pubblicati (1), non (1) Benchè nel nostro primo manifesto d’ associazione siasi detto che non avremmo dato mano alla stampa se in prima , atteso le forti somme di danaro che occorrono per eseguirla , giunti non fossimo a raccogliere cinque- cento associati almeno , i quali ancor raccolti non abbiamo , tuttavia , poi- chè continuiamo a ricevere da ogni partelincoraggianti eccitamenti, ed ognora più confortati veniamo da questo eminentissimo e piissimo nostro Arcivescovo, a cui l’ Italia deve pure la ristampa del Thesaurus Patrum con notabili ag- giunte , che Vl’ onore avemmo di dedicargli. senza più attendere si è dato cominciamento non che alla stampa , anche ella pubblicazione ;$ ed anzi, in- vece d’ uno solo, mandiamo in luce due fascicoli in una volta : cioè il 1.° del I volume , e il 1.° pure del ll , con questa mira , che sì gli ascritti e sì quelli che ascriver si vorranno all’ associazione veder possano un compiuto saggio del letterario lavoro 5 contenendosi nel primo volume le Dissertazioni , nel secondo il sacro testo della Volgata colla versione italiana unita alle Note. che nel Prodromo degli illustri col- laboratori, onde ci asteniamo dal di- scorrerne di nuovo, salvo di alcune cose , le quali, ancorchè fossero ri- petute, non riuscirà superfluo il ri- cordare. E da prima diremo che i nomi dei detti collaboratori , allo zelo ed alla dottrina de’ quali noi merita- mente ci affidiamo, oltre il farli pa- lesi, siccome abbiamo promesso , nel 1.° fascicolo, s1 vedranno anche in tutti) gli altri; e ciò per tenerli fermi nell’ altrui mente , e per segno insieme dell’ ossequio e gratitudine che loro professiamo. In secondo luogo , che i nomi dei primi cinquecento associati , che abbiamo egualmente promesso di ren- der noti, tosto che saranno giunti a un tal numero, si vedranno stampati in un particolare Elenco, che di poi a perpetua memoria verrà inserito nel primo volume , come quelli che un giorno saran riguardati quai princi- pali sostenitori di questa nostra santa impresa. In terzo luogo, che non men noti renderemo in altro Elenco, da inserirsi egualmente nel primo volu- me, anche i nomi di tutti gli as- sociati che s° inseriranno dopo i pre- detti cinquecento, i quali, sè non avranno da gloria d’ essere stati i primi a sostenere la impresa, avran quella di averla premiata , e di far conoscere così al mondo cristiano che tra gl’ italiani non è scarso il numero dei colti Fedeli , amatori de- gli studi sacri. A 155 Intorno a che , nei presenti tem- pi in cui tanta pace regna nella Cattolica Chiesa, e in cui per la pietà specialmente dei Principi che governano 1’ Italia , nel suolo italico la nostra Santa Religione conservasi nel più vigoroso fiore, come mai dubitar si potrebbe che copioso esser non dovesse il numero degli associati ad un’opera la più sublime ed uti- le che siavi mai stata ed esservi possa mai, essendo essa 1’ immuta- bile Codice Divino della terrena e in un della celeste vita e felicità nostra ? Opera per ciò necessaria ai Cristani, e particolarmente a tutti gli Ecclesiastici ; ai quali , stante il corredo di cui ci impegniamo di ac- compagnarla, potrà valere di ricca biblioteca scritturale , mentre in essa inserito .vedrassi anche ciò che più importasse di conoscere delle volumi- nose Poliglotte, espresso pur anco cogli stessi caratteri esotici. E per tanto , possedendo essi questa nostra edizione, posta a sì modico prezzo in confronto della sua mole , potranno risparmiare la gravissima spesa di provvedersi d’ nna innumerabile serie di libri attinenti alle sacre dottrine, e di Commenti Biblici, dovendosi nella medesima nostra edizione tro- vare unito tutto il meglio d° ogni classica opera che servir possa al- l’ uopo 3 e con tale esattezza e chia- rezza di lezione esposto, che impe- disca il dubitare della sna fedeltà (2) : certi inoltre che risparmieranno quel non breve tempo e quella non lieve fatica che richiederebbesi a consul (2) In tal proposito , può chiunque voglia , per meglio accertarsene, ca- varne una prova anche dai due soli primi fascicoli che ora pubblichiamo , con- frontandoli sulla recente edizione parigina , e in essi troverà emendate le di- verse scorrezioni sfuggite a quell’ Editore anche nello stesso testo della Vol- gata : del che teniamo e continueremo a tener nota, perchè ci serva di scudo al caso che un giorno taluno impugnar volesse da questo lato la superiorità della nostra edizione appetto alla suddetta parigina. Pegli altri lati, ad evi- denza superiori , non v’ è bisogno di questo esame , perchè al primo sguardo ap- pariscono apertamente : come , per numerarne alcuni , mirando la versione no- stra ch’ è d’ un solo autore , quando la francese è dell’ uno e poscia dell’ altro ; le parafrasi fin dal principio parcamente adoperate ; la chiara distinzione , ri- spetto all’ edizione nostra , nei segni e nei richiami delle Note col Testo, e l’au- mento e varietà delle medesime ; l’ uso dell’ accento diacritico sulle parole di doppio senso , o d’ incerta pronunzia ; la correzione della stampa ; l’uso in- variabile dei caratteri , e la costante qualità della carta , essendo la parigina ordinaria e floscia!, mentre la nostra è tutta velina e con colla, da potervi 1009 tare un’ immensa quantità e varietà di volumi, mentre avranno sempre pronto e sott° occhio quanto occorresse loro di sapere intorno alla materia che fossero per istudiare. Che se così in circa si diceva delle prime edizioni francesi della Bibbia di Vence, ed ora mas- simamente si dice della quinta che è în corso, con più ragione erediamo poterlo dire della nostra , accresciuta di tanti miglioramenti ed aggiunte. Non ci estendiamo maggiormente su. tale argomento per timor d’offen- dere l’ intelligenza de’ leggitori , che debbon già avere compreso che se , pia- cendo a Dio Signore , avrà il suo in- tero compimento la nostra impresa, qua- le confidando in Lui lo speriamo, nulla resterà più da desiderare agl’ italiani studiosi delle Divine Garte, e che a più segnalato splendor di essa, come l’ attuale edizione parigina è dedicata alla Maestà del Re di Francia, così Ja presente esser lo possa alla Santità del regnante sommo Pontefice Pio VIII, a cui rivolti ora stanno i cattolici vo- ti nostri devotissimi. Milano , il 30 gennaio 1830. Condizioni dell’ associazione. 1. La distribuzione © dispensa di quest’ opera si farà per fascicoli di die- ei fogli l’ uno. 2.% Il prezzo di ciascun foglio è di centesimi venti, onde ogni fascicolo costerà lire due austriache o sia italiane lir. 1, 74. 3.4 Non si pubblicheranno meno di dodici , nè più di ventiquattro fascicoli all’ anno, contando dal maggio 1830. 4. Niun associato sarà obbligato a prendere e pagare più d’ un fascicolo al mese. 5.4 Il prezzo delle carte iconografi- che e geografiche sarà eguale a quello d’un foglio di stampa, se saranno in 8°; il doppio in 4.° , e di più in propor- zione, se la dimensione fosse mag- giore. 6.4 I tomi saranno da venti circa , ma divisi in due parti, affine che re- stino più maneggevoli. La numerazio- ne delle pagine però sarà tutta seguita a comodo di chi volesse far legare esse due parti in un solo volume. 7.3 Qualunque fosse per riuscire il numero dei fascicoli, e quindi quello de’ tomi , la spesa di tutta l’Opera , comprese le suddette carte, non ec- cederà per gli associati le lire duecento italiane. 8.% Ai medesimi non verrà compu- tata la spesa della legatura. 9-* Quella ‘però di porto e di dazio sarà a carico di tutti. NUOVE ricerche sull’ equilibrio delle volte dell’ abate Lorenzo Ma- ScHERONI professore di filosofia nel col- legio Mariano ace. ec. e corrispondente dell’ Accademia di Padova, coll’ elogio scritto dal march. FERDINANDO LaAnDI. Milano ;, 1830 , G. Silvestri. Un vo- lume in 16 gr., col ritratto dall’autore e cinque tavole in rame ; prezzo lire ital. 3 , 50. COLLEZIONE delle opere dei pa- dri ed altri autori ecclesiastici della chiesa Aquileiese, tradotte ed illustrate ed impresse col testo a fronte , cui si aggiungono le notizie intorno la vita e gli scritti de’ singoli autori, del- l’ abate G. O. MarzurtINnI. Udine, 1829, per Za ditta Murero. Volume II° 16.° grande. GIORNALE sulle scienze e lettere delle provincie Venete. Treviso. 1829 , tip. FM. Andreola. 8.° Volume XVII. I.° della continuazione fatta per le cure di G. BrancnerTI.Giornale bime- strale, di 6 fogli. Prezzo fr, lir. 15 FILOSOFIA DELLA STATISTICA esposta da MeLcHIOoR Giosa colle no- tizie storiche sulla vita e sulle opere dell’ autore. Milano, 1829 ; presso gli editori degli Annali Universali delle scienze dell’ industria. T. III.® fasc. I.° TOTIUS LATINITATIS LEXI- CON consilio et cura JacosI Faccio- LATI , Opera et studio Arcipur Fon- CELLINI seminarii patavini alumni , lucubratum in hac tertia editione, auc- tum et emendatum a JoserHo FurLA- nETTO alumno ejusdem seminarii. Pa- tavìi , 1827-29. V'ypis Seminarii in 4.° Tomo II.° fasc. VIII. (Honorarius Interdico. ) BIOGRAFIA UNIVERSALE anti- ca e moderna, ec. Venezia, 1829, scrivere sopra liberamente sénza tema di sgorbiarla ; alle quali cose tutte è da aggiugnersi , come oggetto di non lieve momento , la collazione dei passi degli autori che si vanno citando , col loro testo originale , affinchè meglio se ne esponga il senso , e talora se ne emendino le seg nature. G. B. Missiaglia. Vol ume 58.° (TO- TR.) ALLA CARITA, Inno, con un cen- no sui provvedimenti dati a favore dei poveri nello stato Parmense , dal conte ForcHino ScHIZZI, cav. del S. A. I. Ordine Gostantiniano di S. Gior- gio di Parma, corrispondente dell’I. e R. Istituto di scienze, lettere ed arti di Padova, e degli Atenei di Ve- nezia , Brescia, Bergamo , ec. pubbli- cato il giorno 12 dicembre 1829. Mi- lano, 1829, Gaspero l'ruffi. In fo- lio di 30 pag. col ‘ritratto di S. M. la Duchessa di Parma ; ec. Edizione non posta in commercio. MANIFESTO di associazione ad una ristampa della FruUsrA LETTERA- rIA, di Giuserre BareTTI ; con al- cune note ed illustrazioni; aggiuntovi il bue pedagogo del padre Appiano Buonarene ; e gli otto discorsi del BarETTI in risposta a quest’ ultimo. Milano 1829 , Lorenzo Sonzogno. Questa edizione oltre a formar parte della Biblioteca portatile di educazione di Lorenzo Sonzogno , sarà vendibile a parte per gli altri, alle seguenti condizioni. 1.° L° opera sarà composta in 6 volumi di p. 240 circa in 24.° 2.° prezzo l. 1. 50 il volumetto; e 1. 2 ad opera finita. 3.° il primo volume vede la luce al presente mese di dicembre ; e sarà seguito dagli altri di 15 in 15 giorni. Estratto dal manifesto di L. Sonzogno Editore libraio sulla corsia de’Servi in Milano. TRAGEDIE d’ EuripinE tradotte da Fenice BeLLoTTI. Milano , presso A. F. Stella e figli 1829,in 8." STORIA DELL’IMPERO OSMA- NO , estratta la maggior parte da ma- noscritti e archivi da nessuno per lo innanzi usati. Opera originale te- desca del sig. Gius. cav. De HAMMER, consigliere anlico ed interprete di corte per le lingue orientali , cavalier dell’ ordine austriaco di Leopoldo , ec. membro di molte società letterarie ec. illustrata ed arricchita di molte ag- giunte dallo stesso autore, e recata in italiano per la prima volta da SamureLE Romanini. Venezia, 1828-29 G. Antonelli ed. in 16° grande. L’ope- ra sarà divisa in 24 volumi ; sono pub- blicatii volumi I a VII con ritratti; (an- ni 1300 a 1520). Prezzo d° ass. l. aust. 3 al volume. 167 DELLE INSCRIZIONI VENE- ZIANE raccolte cd illustrate da Ema- nueLLE Antonio Gicocna di Venezia in 4.° fase. VIII.° contenente la chiesa di S. Niccolò di (Cestello, di S. Lo- renzo, e di S. Sebastiano presso $. Lo- renzo. Venezia ; 1829; G. Orlandelli. STATI SARDI. ÉLÉMENS de physiologie de la nature , ou resultat des recherches pro- posées par l’ académie imperiale des sciences de S. Petersbourg , sur les propriétés des substances métallifor- mes des differentes terres, et notam- ment sur le Kali, le Natron et ’Am- moniaque , par le docteur Lomis For- NI; meédegin piémontois. Turin, 1821, Ghiringhello et Bonaudo, 8.° di p. 386. SULLA ESISTENZA e proprietà del calorico, saggio fisico medico del dottore Lurcr Forni. Torino , 1824, St. Reale. 12.° di p. 124. DILUCIDAZIONI e risposta del dottor Forni alle dubbiezze ed ob- biezioni proposte dal prof. MartINI nel $. 14 della lezione 32 di fisiolo- gia. Torino , 1821, G. Pomba. 12.° di p. 36. OPINIONI fisio-patologiche sulle cagioni dell’ astinenza e della morte di Anna Garbero da Racconigi, del dottor Lurci Forni, pubblicate da D. G. Govran. Torino , 1828, G. Pomba. 12.° di p. 20. PRENOZIONI fondamentali di bio- logia che segnano i limiti al mate- rialismo, ed all’ animismo nelle scien- ze della natura, del dottor Luici Forni. Torino , 1829, St. Reale. 8.° p. 150. STATI PONTIFICI. ‘NUOVO SPECCHIO geografico- storico-politico di tutte le nazioni del Globo, susseguito dal dizionario geogra- fico universale , opera compilata in mo- derna nitidissima foggia sulle tracce dei più valenti geografi , con opportune ri- forme , ed ampliazioni al metodo del sig. MaccartHY ; corredato di tavole, e 168 carte conformi alle più recenti sco- perte s ed agli ultimi trattati , ed ar- ricchito di cenni biografici sugli uomi- ni illustri di ciascheduna città , e re- gioni , coll’indice di essi alfabetica- mente disposto ; di Prerro CasrELLANO membro corrispondente della società georgia ticiense. Prima edizione italia- na, Roma, 1826-28 nella stamperia dell’ Ospizio Apostolico presso Ca'lo Mordachini. in 8.° sono pubblicati i fascicoli I, a XVII , con più il fascicolo preliminare offerto in dono a’ sig. asso- ciati ; assieme pagine LXXVIII e 1360; del tomo I.° parte 1. e 2.4 LE OPERE DI BUFFON , nuovya- mente ordinate, ed arricchite della sua vita, e di un ragguaglio dei progressi della storia naturale dal 1750 in poi, del conte LacepeDE. Edizione comple- ta, Roma, 1830, a spese di Benigno Scalabrini.Volumi 100 circa in 18.° con altrettante tavole litografiche rappre- sentanti 1500 animali e forse più. Si daranno alla luce due volumi ogni mese regolarmente , cominciando dal marzo prossimo, Il prezzo vi è stabilito a ba- iocchi 22 per ogni volume con tavole miniate, ed a baj. 17 e mezzo per quello in nero. ISTITUZIONI di materia medica, di Domenico BruscHI, professore di materia medica e botanica, nell’uni- versità , e membro del collegio medico chirurgo di Perugia , ec. ec. Perugia, 1829, Bartelli e Costantini. 8.° Vol. III di p. 456. MONUMENTI DELLA GRECIA ridotti a misura di modulo coll’ osser- vazioni sull’architettura antica applica- ta all’ architettura dei tempi nostri, di GrroLamo Romani, architetto, inge- gnere ed accademico di merito nella insigne accademia delle belle arti del disegno di Perugia ee. Manifesto d’ass. Tutta 1’ opera conterrà 100 tavole in rame , e circa 20 fogli di stampa. Le tavole saranno incise a chiaro scuro , ed a quella maniera detta all’ Acque- rello ed a Grana. Il prezzo delle tavole è di baj. 15 per ciascuna; il prezzo della stampa è di baj. 5 al foglio. Le associazioni si ricevono in Roma, alla libreria Scalabrini. Via del corso al num. 402 , 403. SOPRA la causa della combustione spontanea dei fieni. Pensiero di G1o- vanni Fumasoni dottore in filosofia e medicina. Roma , 1829, Angelo Ajani 8.° di p. 16. LE BELLE ARTI applicate ai bi- sogni ed agli usi della vita, opera filosofica , iconografica del cav. G. Be- VILACQUA ALDOBRANDINI , con tavole litografiche e ritratti. Roma 1829, dalla libreria Moderna; in fol. Distr. II.a (Galleria privata. Classe 3.* Vita so- ciale.) Dist. III. (Oratori. Classe 1.% Religione e Culto. ) REGNO DELLE DUE SICILIE. INTORNO al miglior sistema di co- struzione de’ porti , discorsi tre di Giu- LIANO »I Fazio, ispettore generale delle acque e strade , e socio ordinario della R. Accademia «di belle arti. Na- poli , 1828, St. dell’armi provinciali comunali di Napoli, 4.° di p. 231 con tavole in rame. I LIBRI delle leggi di CrcrRonE volgarizzati dal B. Winspeare. Napo- li, 1829, tip. Trani. 8.° di p. 280. Prezzo Carlini 6. DUCATO DI PARMA. LA SIFILIDE, poema di Giro- ramo Fracastoro , tradotto da Luicr ZACGCARELLI , dottore in medicina e fi- losofia, medico e chirurgo primario dello spedale de’ frati fate bene fra- telli, medico chirurgo delle sale dei pazzi dello spedale maggiore , medi- co e chirurgo dell’ Orfanotropio mat. di Santa Corona, socio corrispondente della accademia tiburnia , ec. Par- ma, 1829 , coi tipi Bodoniani presso Gius. Rosselli in 4.0 grande. Magni fica edizione in due fascicoli al prezzo di lire 8 it. ciascuno. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL’ ESTERO. PROSE di MicuerLe Leoni. Luga- no , 1829, Ruggia ec. 8°, di p. 160. ANTOLOGIA ) EEE N° 411, AMarzo 1S30. Cio - font, Cours de Littérature francaise professé par M. Virremarn. Pa- ris, Pichon et Didier 1828-29 in 8.° Mancati alla Francia i quattro più grandi scrittori del secolo decimottavo , i quattro supremi rappresentanti di quella lettera- tura filosofica, la quale si propagò per essi a tutta Europa, Mon- tesquieu , Voltaire , Buffon e Rousseau, le rimase, com’ altra volta alla Grecia dopo i tempi migliori, una letteratura a cui può darsi il nome di critica. Il carattere speciale di questa let- teratura si manifesta non solo negli scritti didascalici od eruditi di Barthélemy e di Laharpe, di Marmontel o di Chamfort, ma nell’ opere oratorie di Thomas, nelle drammatiche di Ducis, in quelle d’ altri scrittori d’ ogni genere. Due soli uomini , l’ uno de’ quali potrebbe chiamarsi il genio della meditazion solitaria , l’altro dell’ attività della. vita , Saint-Pierre e Beaumarchais, ser- bano alla Francia , prima che si presentino i due Chénier, il vanto d’ una letteratura originale. Se non che la letteratura dalle cose d’imaginazione e di speculazione , che le son proprie, va ogni giorno più rivolgendosi a quelle che diconsi positive o agli affari. Beaumarchais, seguen- do l’ esempio già dato da Voltaire , entra di lancio nella nuova via ch’essa prende ; Saint-Pierre medesimo , il discepolo di Rous- seau , non la schiva. Bailly , componendo la storia dell’ astrono- mia; Condorcet , delineando il quadro de’ progressi dello spirito umano , si tengono con raro e forse unico onore sulla via ante- 2 cedente. Il maggior numero degli scrittori è trascinato per l’al- tra, che può dirsene una diramazione. Chi infatti applica l’arte della parola all’ esame delle istituzioni religiose , come La Cha- lotais e Montcelar; chi all'uopo delle riforme giudiziarie , come Servan e Dupaty; chi a quello dell’amministrative, come Turgot e Necker; e chi a quello delle politiche , siccome 1’ illustre e venerato Malesherbes. Così, anche prima del gran cangiamen- to, onde la Francia avrà come l’ Inghilterra i suoi oratori parla- mentari , va in essa formandosi l’ eloquenza , a cui pure si dà il nome di parlamentare o deliberativa , e da cui sarà dominata fra poco tutta la letteratura. La storia di quest’eloquenza è la materia speciale del nuovo corso di Villemain, già da lui annunciata , come i nostri lettori possono rammentarsi, nel corso antecedente. E come infatti, egli dice, potersi vccupar d’ altro in faccia ad essa, ch’è pur la sto- ria de’dibattimenti che più interessano 1’ umana società ?_ Non- dimeno, abbandonandosi a quasi tutte le digressioni, a cui le cose accennate più sopra possono dar luogo; ei giunge a mezzo del nuovo suo corso che ancor non l’ha toccata. Di che non si troverebbe facile spiegazione ;, se non ce la porgesse egli medesimo , dicendo esser materia non meno dolorosa che illustre, e quasi mare pieno di naufragi, a cui si vien tr:pidando dai flo- ridi e tranquilli campi della semplice letteratura. Nè poco sem- bra contribuire a renderlo esitante la difficoltà d’ esser breve e compito , d’ aver aria di scorrere gradevolmente la superficie e penetrare nel tempo stesso insino al fondo. La qual difficoltà di- viene assoluta impossibilità per chi si fa a compendiare i suoi ra- gionamenti , ed è costretto astenersi da tutte le sue citazioni e forse dalle sue osservazioni migliori. Pure il compendio non sarà inutile del tutto , ove additi almeno ciò ch’ esso non può conte- nere e serva a destarne la curiosità. Cadute le antiche repubbliche, cessate quelle loro assem- blee, ove per la natura degli nomini che le componevano, l’in- clole delle favelle che vi erano adoperate, la mescolanza delle cose politiche e delle gindiziarie che vi erano trattate , l’eloquen- za , che chiamiamo parlamentare, dovea riescire sì splendida e sì patetica, essa più non ricomparve per lungo tempo o ricomparve quasi ombra di sè medesima. Le repubbliche italiane del medio evo, ove pare che dovesse mostrarsi men dissimile da quel che già era stata, le furono assai poco favorevoli. Nel senato di Venezia infatti si deliberava in segreto ; ne’consigli di Firenze si correva con tanto precipizio alle risolnzioni e alle proscrizioni, che appena 3 manea luogo alle deliberazioni. Se l’eloquenza, di cui si parla, :ibbe prima de’ tempi moderni un asilo propizio , l’ebbe in quelle assemblee religiose insieme e politiche del terzo secolo e de’ se- guenti , alle quali diamo il nome di concilii. Cercarla ne campi di Maggio , nelle assemblee d’Aquisgrana o di Francoforte, onde a taluno sembrò di vedere nella monarchia militare e feudale di Carlo Magno nun principio di sistema rappresentativo , è cosa vana. In quelle assemblee si recavano. i capitolari già compilati e decretati, la moltitudine li acclamava , e le ‘patenti li dicea- no emanati col consenso universale. Ne? concilii le cose anda- vano ben altrimenti , ed ivi solo pet vero dire il poteano, giac- chè la parola, stromento della forza morale in lotta colla mate- riale allor dominante , non era sicura che all’ ombra del san- tuario . Verso il tempo del re Giovanni, quaudo fra i disastri della Francia i vecchi stati generali diedero sì gran prova d’amor patrio, l’eloquenza parlamentare ebbe quasi un albore di muova vita. Ma in seguito la rara ‘convocazione degli stati medesimi, lodati indarno dal cancelliere dell'Hòpital come, gloriosissimi, al monarca , la poca o nessuna libertà delle loro deliberazioni, fu- rono causa, che a quell’ albore mai non seguisse un, verogior- no, anzi neppure una vera aurora , se non assai tardi nel. pri- mo consesso giudiziario detto il parlamento di Parigi. In Inghilterra frattanto , paese singolare da tutti gli altri,, come dicea fin dal suo tempo, visitandola e ammirandola ; lo storico De Comines ; in Inghilterra , ove gli stati erano perma- nenti , e le deliberazioni più o meno libere, l’eloquenza doveva avere altre vicende. A principio sicuramente essa fu assai dissi- mile da quel che mostrossi poi ne’ giorni della sua grande cele- brità. Nata da istituzioni politiche per così dir premature nella mo- derna Europa (v. l'Inghilterra costituzionale d’Hallam); anteriore a quasi tutti i progressi letterari e morali della nazione ; sog- getta a singolari cautele imaginate dalla prudenza per evitare le personalità ; non animata da sentimenti nè di filantropia nè di gloria ; impiegata, giusta una frase d’Hume, con spirito ;cancel- leresco anzichè oratorio , essa riuscì egualmente priva di. calore che di splendore. In seguito ; quando nell’ incendio della rivo- luzione il calore avrebbe dovuto sovrabbondarle , parve divenir glaciale in bocca di que’ puritani scolastici, a cui specialmente si apparteneva il far uso della parola. Certo que’ puritani erranti per le foreste della Scozia, che uno scrittore de’nostri giorni ci ha dipinti sì al vivo, non furono meno ardenti parlando che operando. I lor rappresentanti , quelli che dal centro delle cose + pubbliche davan legge od impulso alle operazioni comuni, furon, assai diversi. Paym e tant’ altri, al cui fianco stava, per così esprimerci , il genio della violenza e della distruzione , avean ne’ lor discorsi un nonsochè di metodico e di pacato , contrario affatto ad ogni idea che noi possiamo formarci del linguaggio ri- voluzionario. Essi disputavauo da logici per non dire da pedanti ; erano implacabili senza sembrare accalorati. Cromwello ecco quasi il solo oratore dell’ inglese rivoluzio- ne. Come un altr’ uomo straordinario , meno colpevole e assai più grande di lui, egli avea la passione di parlare e di scrivere. Faceva ad ogni proposito de’ lunghi ragionamenti; simili a più riguardi, e massime pel metodo scolastico 0 predicatorio , a quelli degli altri puritani, benchè distinti per certo ardor cupo e certa forza d’ immaginazione che gli era particolare. Non di rado però egli usciva dal solito metodo, e allor si mostrava ben superiore a quanti gareggiavano con lui. Quando p. e. il suo potere gli sembra minacciato (v.la raccolta degli atti parlamentari del suo tempo ), quando quell’ombre di parlamenti , ch’ egli ha suscitate, gli sembrano voler divenire corpi veri, quando gli si chiede conto di ciò'ch’egli ha fatto, o gli si contrasta ciò ch'è deciso di fare, allora ei parla in modo sì risoluto ed energico da far cessare , non che ogni disputa, ogni pensiero d° vpposizione. Talvolta, malgrado l’ipocrisia che gli è abituale, o piuttosto per un raffi- namento di quest’ istessa ipocrisia , il qual può dirsi ad un tem- po un grande artifizio oratorio; ei mostra certa franca ingenuità, ripetendo pubblicamente ‘le ingiurie che si dicono contro di lui in privato; e onorandosene come di prova ch'egli adempie la mis- sione ricevuta dal cielo. Quindi ciascun vede se Hume cogliesse nel segno, paragonando il linguaggio d’un tal uomo a quello d’un rozzo contadino , e come si debbano intendere le parole di Voltaire, il qual dice che un solo gesto delia sua mano vittoriosa facea più effetto di tutti i periodi di Cicerone. Un altr’ uomo assai celebre del suo tempo, la prima gran vittima della rivoluzione, Straffort, può qui nominarsi dopo di lui. Malgrado alcuni falli , che non vogliamo nè ingrandire nè diminuire, egli aveva un’anima elevata, e nel suo processo fu eloquente. Le belle e generose parole, che un uom dabbene , quasi oscuro nella storia, B. Rudyart, fece sentire al comin- ciamento della guerra civile, meritano che a lui pure si dia un simil titolo. Ad altri non pare ch’esso possa concedersi senza mancare alla verità. Falkland medesimo, sì colto , sì coraggioso, sì generoso , fu pressochè meschino nell’ uso della parola. La 5 fredda sottigliezza de’ suoi discorsi è una prova novella che la parola non segue sempre i moti dell’ anima ; che un falso gusto divenuto abituale può togliere ai sentimenti più veri la lor naturale espressione. Due scuole d’ eloquenza, oltre la pu- ritana allor dominante, e a cui apparteneva Cromwello ; distin- guevansi al suo tempo in Inghilterra. L’ una era quella di corte, ove regnava fin da’ giorni d’ Elisabetta il gusto d' un linguaggio lambiccato, di cui può vedersi qualche imitazione nelle tragedie di Shakespeare , e la parodia in uno de’ romanzi di Scott. Fal- kland, sebben somigliasse così poco agli altri cortigiani, pur ebbe comune con loro il gusto che si è detto, onde ne? suoi discorsi egli è appena riconoscibile. L’ altra scuola , che chiameremo filo- sofica o repubblicana alla maniera degli antichi, appena ebbe seguaci, nè è da nominarsi che come un bell’anacronismo. Sid- ney , il primo oratore di tale scuola , si mostrò poco in parla- mento , d’ onde lo tenea lungi la diffidenza di Cromwello. D’al- tronde egli parea più fatto per la meditazione e la composizion solitaria che per le dispute dell’ oratore. Non si ha infatti alcun suo discorso paragonabile alla lettera ch’ egli scrisse dall’ esilio dopo il ritorno degli Stuardi, e che ricorda a più titoli la fa- mosa lettera di Bruto. Che se l’ eloquenza inglese poco crebbe fra le passioni e le agitazioni d’ una gran politica riforma, meno potè alzarsi più tardi fra gl’ interessi o gl’ intrighi d’ uno stato pacifico e rego- lare. I dibattimenti, ch’ ebbero luogo in parlamento , poi che Guglielmo terzo fu sul trono, si distinguono certamente per chiarezza , per prudenza , per scienza sì delle cose politiche e sì delle amministrative. Ma queste qualità, bastanti a renderli degni d’ attenzione a’ contemporanei , non bastano ‘ egualmente pei posteri. Al tempo della regina Anna e di Giorgio primo ci si pre- sentano alcuni uomini famosi nelle lettere , Swift, Steel, Bo- lingbroke , altri, i quali ebbero pur fama per eloquenza deli- berativa. Mai forse nessuno più di Bolingbroke parve destinato a divenire un grande oratore. Poi ch’ ebbe dalla natura bella pre- senza , fisonomia espressiva , voce sonora, pronto ingegno, me- moria sicura , facilità e felicità d’eloquio incomparabile. Ai quali doni, ch’ ei si diè cura d°’ accrescere e di perfezionar collo stu- dio, si aggiunsero dalla sorte singolari occasioni di farne uso. La regina Anna voleva assicurare al suo esule fratello quel domi- nio di cui il padre era stato spogliato ; impresa arditissima e più che rischiosa, poichè vi si opponevano tanti interessi e tante 6 passioni. Bolingbroke , lo scettico Bolingbroke , il qual dovea credersi da tutti ben contrario alla dinastia cattolica, favoriva segretamente quest’ impresa. Fin a qual segno ei la conducesse lo ignoriamo ; ch’ ei però la conducesse fin dove era possibile , ci è lecito argomentarlo da altri atti meno segreti della sna vita. Poi ch’ egli fu pur 1’ uomo che spinse la nazione ad una guerra gloriosa , indi a piacer suo ne la-ritrasse, troncò il volo alle vittorie di Marlborough e segnò la pace d’Utrecht. Sgrazia- tamente de’discorsi parlamentari, che queste ed altre grandi oc- casioni gli dettarono, non riman nulla ; di che Fox mostravasi do- lentissimo. A quell’epoca, per vero dire, tali discorsi non erano ancora liberamente pubblicati, e se alcuni se ne imprimevano dai loro autori, i dibattimenti propriamente detti, e in cui Boling- broke primeggiava , rimanevano segreti. Può credersi peraltro ch’ egli stesso, fra le ambagi d’ una politica più o men tor- tuosa ; abbia impedito la pubblicazione di quanto disse in par- lamento (ove sedette due volte ministro e due volte membro dell’ opposizione ) e sagrificato così la sua gloria a’ suoi disegni. Poi che la casa d’ Hanovre , vinto ogni ostacolo , fu sicura del trono, Bolingbroke fuggito in Francia , ove Voltaire gli si fece discepolo , parve aver finita del tutto la sua vita politica. Ma impaziente d’ ogn’ altra, chiese ed ottenne ben presto, non senza qualche sagrificio d’ onore , di far ritorno in Inghilterra , ove sperava che gli si riaprirebbero le porte del parlamento. In- tanto ei si diede agli studi del pubblicista, poi per nuova im- pazienza a quelli dell’ agricoltore , imaginandosi di poter pren- der radice (così egli scriveva ) fra gli alberi e le piante de’suoi vasti poderi. Ma scosso ben presto dallo strepito de’dibattimenti suscitati dal ministero di R. Walpole , ei venne a prendervi par- te, se non co’discorsi parlamentari , cogli scritti che dava alle stampe e che ancor ci rimangono. In alcuni di questi scritti, come nelle sue lettere sulla storia , nel suo specchio del re pa- triota, nelle sue riflessioni sullo spirito di parte, si ammira una grande eloquenza , alla quale per riuscire più efficace mancò solo quel parlamento , ove sedevano più giovani , ch’ egli per consolarsi andava ammaestrando. Walpole frattanto regnava onnipotente , e a tutti gli assalti della parola opponeva la più imperturbabile stabilità. Egli peraltro non era senza ingegno; sapeva usare abilmente, se non il linguaggio de’ nobili sentimenti, quello degl’ interessi che sembra il più in teso; e qualunque fosse la forza segreta, und’era sostenuto, si facea debito di non lasciar mai nulla senza risposta. Nella sua lunga 4 carriera egli ebbe a combattere , tra gli altri celebri avversari , Windham, Carteret, Saint-Auben, Pulteney, Shéridan. Un uomo ancor più celebre, Woltaire, parlando di essi, ha mostrato di dubitare, se i lor discorsi improvvisi o quasi improvvisi non sieno superiori alle meditate orazioni, per cui tanto si celebra l’ eloquenza d’ Atene e di Roma. Anche senza partecipare a questo dubbio officioso, con cui non sa conciliarsi la dimenticanza m che tali discorsi or sono caduti, può dirsi ch’ essi hanno-molti pregi, sono pieni talvolta di veemenza e di forza. Walpole ( per indicar pute qualche cosa di tali discorsi) era ostinato alla pace colla Spagna, e cercava costringervi l’ orgoglio della propria na- zione. Auche dopo che questa ebbe ricevuto dall’ altra, allor poderosa in mare, gravissimi insulti, egli, anzichè venire all’armi, andava perdendo il tempo in vane negoziazioni. Windham , uno de’ capi dell’ opposizione, tenta di scuoterlo , di farlo arrossire, or lo assale , or lo incalza con vigore quasi demostenico. Altri oratori di tempo in tempo s’uniscono a lui, e mostrando anch'essi molto vigore , sembrano assicurare la comun vittoria. Ma Wal- pole si schermisce, e serbando quell’imperturbabilità, ch'è in lui caratteristica , rende vano ogni loro sforzo. Un oratore non meno spiritoso che energico , Saint-Auben , chiede un giorno la revi- sione della legge per cui il pirlamento è settennale , e sembra far molta impressione colle sue parole. Walpole s'alza, e con poche altre non eloquenti ma ferme lo riduce al silenzio. Un’al- tra volta Pulteney , in proposito di sussidi richiesti per accrescer la forza militare, parla con gran calore contro gli eserciti per- manenti, e ricordando il passato, e spingendo lo sguardo nell’av- venire, grida che sempre furono e saranno funesti alla libertà. Waipole, senza erudizione , senza imaginazione , spiegando sem- plicemente 1’ ordinamento delle truppe inglesi, mostra che nulla deve temerne lo stato, ossia la classe dominatrice dello stato , e quasi rende ridicolo l’ oratore contrario. In quest’ epoca l’eloquenza inglese , benchè già fatta adulta, è ancor ristretta a questioni di regime interno, e quindi appena degna d’essere conosciuta. Ma già le si prepara un’ epoca novella, in cui verrà non poco allargata e nobilitata. Due nuove specie di questioni, quelle di conquista e di dominio , e quelle d’uma- nità e di giustizia , le daranno un’ importanza che ancor non ebbe, e che senza di esse forse mai non avrebbe avuta. L’ elo- -quenza parlamentare francese, nata dalla letteratura filosotica dello scorso seculo, ha serbato come vedremo l’ indizio della sua origine. L'inglese, fondata sopra una serie di pratiche e di tra- 8 dizioni, risale di rado a principii generali ed astratti. Mai p. e. nè l’elezion diretta, nè l’inamovibilità de’giudici, furono scienti- ficamente discusse nel parlamento d° Inghilterra , ma solo all’uopo difese allegando in lor favore l’abitudine o la legge. Il giurì vi è riguardato come un diritto di nascita, un privilegio annesso alla qualità di cittadino inglese; ma la bontà assoluta e speculativa di questa istituzione mai non vi fu presa in esame. Quindi senza le nuove questioni che si accennarono , l’ eloquenza inglese non avrebbe nella nuova epoca ispirato un interesse più universale che nell’ antecedente , o piuttosto non vi sarebbe stata nuova epoca per essa. A capo di quest’ epoca avventurata ci si presenta un uomo veramente straordinario, G. Pitt , poi lord Chatam, padre del- l’ altro Pitt ancor più famoso. Uno scrittore , non punto avvezzo ad usar le frasi dell’ ammirazione , lord Chesterfield ,, ce ne fa questo ritratto: egli eguagliò a prima giunta i più provetti e i più destri: abilissimo in quella che chiamasi discussione fu po- tente nella mozione degli affetti, e sì dignitoso e terribile nelle invettive , che l’armi cadeano di mano a quelli stessi che potean meglio combatterlo. ,, Egli è veramente il primo de’ moderni oratori ; che ci renda qualche imagine degli antichi. E ciò che potè mancargli al lor confronto , non per difetto d’ ingegno o d’ altre doti, ma per semplice effetto delle circostanze , è assai ben compensato ne’ suoi discorsi da que’ sentimenti generosi , che nobilitano 1’ umana natura, e fanno ancor battere tutti i cuori. La celebrità de’ suoi primi studi, un nonsochè d’ oratorio ch’era in lui, e spirava ugualmente dalla sua bocca , dal suo sguardo, da tutta la sua persona , pareano destinarlo di buon’ora alla camera dei comuni, ov’ entrò infatti di 27 anni. Diversissimo per carattere da quel Walpole , che già si è detto, e che tro- vavasi pur sempre a capo del ministero , ei sentiva per esso la più decisa ripugnanza. A principio peraltro , fosse esitazione , fosse consiglio, ei s’astenne dal dimostrarla. Cominciò la sua carriera parlamentare con un atto d’ opposizion rispettosa e in- diretta, chiedendo una ricca dotazione pel principe di Galles. Il suo discorso fu molto ammirato pei vivi colori con cui vi eran dipinte le virtù del giovane principe , reso popolare dall’ odio geloso portatogli dal ministro. Altri discorsi accrebbero in se- guito la sua nascente riputazione, e fecero presagire ch’ei supere- rebbe un giorno i suoi più celebri antecessori. Nè il giurno tardò molto a venire; e un tal giorno, veramente glorioso ne’ fasti 9 dell’ eloquenza ; merita bene d’ esser ricordato. Walpole avea . fatto proporre una legge che forzasse al servizio delle navi da guerra quanti servivano su navi mercantili d’ ogni specie ; legge più che tirannica, a fronte della quale potea parer dolce l’altra che chiamano della presse. Pitt, con quel candore ch’è proprio della più bella età, mostrò tutto l’ abborrimento che gl’ispirava simile proposta, e invocando il diritto, l’ umanità , la giustizia , e accalorandosi a grado a grado nelle sue parole, finvin maniera solenne e per così dire drammatica. Walpole, opponendo a tanto calore quel freddo sarcasmo che gli era ordinario, e ch'è sì facile all’ uomo costituito in potere; dicendogli, malgrado gli applausi del maggior numero degli uditori, che ben altro bisognava pel parlamento che la sua declamazion teatrale, pensò d’ averlo per sempre atterrato. Ma Pitt alzatosi di nuovo, e trattata più seria- mente che prima la question del diritto (il secondo discorso ancor si conserva) fece pagar care al ministro le sue insolenti parole , investendolo con una veemenza, di cui forse non si aveva esem- pio che nella celebre invettiva di Crasso riferita da Cicerone. Dopo la caduta di Walpole (e il giovane Pitt contribuì certamente ad accelerarla) taluno propose che si assoggettassero a sindacato i suoi vent’ anni di ministero. Ma Walpole aveva agli occhi della camera il gran merito d’ aver raffermata la suc- cession protestante al trono; e accresciuta la potenza della na- zione. Quindi la proposta , benchè per una piccolissima maggio- ranza di voti contrari, fu rigettata. Pitt disse allora che ove il sindacato si limitasse ai dieci ultimi anni, i quali pur troppo pesavano gravemente sulla memoria di tutti, sarebbe assai giusto; e sostenuto da altri oratori, de’ cui discorsi come del suo oggi non rimangano che pochi frammenti, 1’ ottenne. Da quest’istante l’uomo, che già ci si è mostrato a capo d’una nuova epoca oratoria , entra in una carriera , per cui il troviamo pure a capo d’ una muova epoca ne’ costumi politici dell’ Inghil- terra. È stato detto più volte d’un celebre ministro, morto po chi anni sono e ognor più compianto, ch'egli era per l’Inghilterra il primo esempio d’ una gran fortuna politica dovuta al solo me- rito personale. Il primo esempio però era molto anteriore; e pa- reva che non dovesse obliarsi. Pitt non vantava alcun legame di parentela colle poche grandi famiglie , che dal giorno in cui la casa di Brunswich giunse al trono erano in possesso di governar l’ Inghilterra, e avea troppo orgoglio per cercar d’elevarsi col servirle. Ei servì la nazione, è il favore di questa gli procaceiò il favore dell’ aristocrazia o gli diè di poterne far senza. T. XXXVII. Marzo. 2 IO Già dal primo ministero , succeduto a quello di Walpole, gli era stata offerta non su qual partecipazione al potere , ed ei l’ avea rifiutata. Accettò in seguito uno di quegli impieghi , che sembrano particolarmente propri a sodisfar, il desiderio d’ arric- chire , lo esercitò con raro disinteresse, e lo lasciò per un dis- sentimento politico. Finalmente fu eletto ministro in luogo del duca di Newcastle, e diede subito pegno di voler essere il mi- nistro della nazione. Giorgio primo, temendo pe’ suoi stati del- l’Hannover , era pronto a collegarsi co’ principi germanici in una guerra lunga e difficile, che l’ Inghilterra non avea ragione al- cuna di volere. Pitt gli si oppose fortissimamente , onde cadde in disgrazia e poco dopo fu costretto ritirarsi. Ma il re, che potea dargli un successore , non potea dar a questo la forza , che gli negava la pubblica opinione. Pitt fu quindi chiamato una se- conda volta al ministero, e poichè vi fn chiamato per necessità, è ben naturale che non vi rientrasse che a quelle condizioni , che a lui medesimo piacque di stabilire. Mentre giovanetto egli si educava pel parlamento , e cer- cava talvolta negli studi più geniali -un sollievo dai più se- veri, scrisse un componimento poetico (l’Incoronazione di Giorgio secondo ) ove invocava la libertà e la giustizia, quai divinità tutelari dell’ Inghilterra, e dava all’ immenso Oceano l’ epiteto di britannico. Il suo ministero fece rammentare quest’invocazione e quest’ epiteto , come una specie di dichiarazione di quella po- litica interna ed esterna, che avrebbe un giorno seguita. Quanto all’ interna basti accennare un sol fatto. Sotto alcuni de’ prece- denti ministeri , gli Scozzesi, che aveano seguito gli stendardi del principe Odoardo , erano stati crudelmente trattati ; e per uu’ ingiusta diffidenza si ‘negava loro tuttavia 1’ uso dell’ armi. Egli trattandoli umanamente , e mostrando loro quella fiducia che meritavano , seppe renderli affezionati, di che si ebbe gran prova nelle guerre contro i Francesi in America. Con gli altri suoi atti ei meritò costantemente il titolo di difensore incorrut- tibile de’ diritti della nazione. Del resto , assicurato abbastanza a questo riguardo dalle leggi che la governano, si diede partico- larmente a procurarne la grandezza. Per lui infatti essa possedè tranquillameute ed accrebbe le sue colonie d'America; tolse alla Francia , allor governata. da deboli mani , il Canadà e la Lui- giana, e le portò una gran ferita nell’ Indie; dominò quasi tutti i gabinetti d’ Europa; fu signora assoluta sui mari. Tanta gran- dezza , veramente , non può dirsi il frutto d’ una politica ester- na così generosa come l’ iuterna. Agli occhi della nazione però TI I’ una era così degna d’ applanso come 1’ altra. Nè il ministro , di cui fu detto più volte che avea la virtù d’ un Romano , le sarebbe stato sì caro, se avesse pensato diversamente da que’con- soli o da que’ pretori, per cui la somma delle virtù era il mo- strarsi sopratutto Romani. Ma il ministro caro alla nazione dispiaceva grandemente ad alcuni nomini di corte, a capo de’ quali era lord Bute. Finchè visse Giorgio secondo , il ministro potè credersi abbastanza sicuro contro il desiderio che avean di deprimerlo. Dopo la morte di quel monarca le cose si cangiarono assai. Un giovane principe salito al trono senza vera conoscenza de’ sentimenti della nazione, fu, per quanto gliel permettevano le pubbliche istituzioni , sedotto da alcune idee di potere assoluto. Bute, divenuto anch'egli mini- stro, avea troppa autorità presso di lui, perchè molta potesse rima- nerne a Pitt. Questi nondimeno si diede a proseguire i suoi disegni d’ esterno ingrandimento. Non pago d’aver fatto ciò che già si disse , d’ aver dato principio a quella gran dominazione dell’In- die , che doveva un giorno compensar l’Inghilterra della perdita dell’ America , ei voleva abbattere la Spagna, di cui erano a te- mersi l’intime relazioni colla Francia. Chiese quindi una dichia- razion di guerra contro di essa, guerra ch’ ei diceva necessaria, e per la quale credeva esser giunto il momento opportuno. Ma grazie ai segreti maneggi di Bute e degli altri che gli erano contrarii , ei non potè ottenerla. Quindi, per quel principio d’ onor politico, del quale si hanno tanti esempi in Inghilterra, e che in lui specialmente doveva essere delicatissimo, dopo quat- tr’ anni di ministero , nel quale dominò colla parola la camera de’ comuni , volle ritirarsi, il che gli servì a nuovo trionfo. Poco tempo dopo infatti ecco la Spagna assaltare arditamente l'Inghilterra. Quindi tanto maggiore la pubblica ammirazione per un uomo , che avea sagrificato la propria fortuna ad un’opinione giustificata dagli avvenimenti. Egli intanto, entrato nell’ opposizio- ne, si fece a sostenere più risolutamente che mai la sua lotta con Bute, che sembrava, come allora fu detto, il genio del potere assoluto rimasto a fianco d’un trono costituzionale. Questo ministro, spaventato dagli scritti che si lanciavano contro di lui, propose ed ottenne strani decreti contro gli autori e gli editori di ciò che potesse offenderlo. Pitt gli si era opposto, ma indarno, con grandissima forza. Incapace d’ abbandonare i diritti della libertà , contro cuni si re- cavano a pretesto gli abusi della licenza, ei difese caldamente il celebre Wilkes, benchè ne disapprovasse a più riguardi il linguag- gio. È gran danno che di questa difesa, come di molt’altri de’snoi 12 discorsi; non abbiamo che scomposti frammenti . Cì bisogne- rebbe aver tutto, per comprendere qual terribile avversario ei fosse per Bute e pe’suoi deboli successori , e come a disarmarlo essi gli offerissero parte del potere. Le istanze fattegli perch’ ei l’ accettasse , la sua nobile resistenza, le negoziazioni successive, sono cosa veramente curiosa nella storia de’costumi parlamentari. E alle negoziazioni si aggiunsero pure varie conferenze di Pitt con Giorgio terzo. Per esse principalmente ei fu rimproverato d’ in- flessibilità e d’ orgoglio. Ma egli rispondeva: sono pronto ad. andare a San James, se posso portarvi meco la costituzione. Queste particolarità istoriche debbono essere perdonate , co- me necessarie a ben giudicare del merito dell’ oratore. Esse al- meno sono più opportune di tutte le teorie , che potessero qui inserirsi intorno all’ eloquenza. Questa infatti è più personale che non si crede, è per così dire inerente al carattere e alle cir- costanze della vita di ciascun uomo. A mettere in luce tutto il genio oratorio di Pitt si richiedeva- no circostanze straordinarie , che sviluppassero ciò che vi era di più nobile nel suo carattere ; e queste da più anni si andavano pre- parando. Le colonie dell’America settentrionale aveano ricevuto fin dalla loro origine alcune delle istituzioni liberali dell’ In- ghilterra. Ma questa facea pur sempre sentir loro il peso del proprio dominio ;, specialmente in fatto di commercio, che or impediva colle proibizioni or rovinava colle tasse. Una tassa no- vella relativa al bollo aveva particolarmente eccitati i loro la- menti. Pitt che credeva non dovessero pagare se non le tasse consentite da’ propri rappresentanti come l’ Inghilterra, Pitt che stimava doversi loro speciali riguardi per le prove di fedeltà e di valore date nelle guerre contro la Francia , si fece loro pa- trocinatore. Il ministero costretto a levar la tassa, e a dichiarar così il fallo commesso imponendola, cadde affatto in discredito ; e Pitt (nominato quasi contemporaneamente pari e conte di Cha- tam) è chiamato a formarne un nuovo. Con una imparzialità. molto. nobile ma forse troppo ardita , ei vi fa entrare uomini d’ opposte opinioni ; e ricusa nel tem- po stesso d’ esserne il capo . Finchè però il suo stato di salute gli permette d’ occuparvi un posto , egli, come ciascuno può imaginarsi, ne è l’ anima. Costretto ad uscirne è vivamente de- siderato , sembrando a tutti di veder di nuovo la nazione espo- sta a quei pericoli ch’ egli aveva sospesi. Non però ei si sottrae a tutte le cure, benchè il riposo gli divenga ogni giorno più necessario . Ei seguita ad essere nella 13 camera dei pari ciò che fu in quella de’ comnni, il difensore delle pubbliche libertà. Lord Mansfield pretende che nelle cause relative alla stampa, il giurì, non essendo che giudice del fat- to, debba limitarsi a verificare la pubblicazione d’ uno scritto incolpato , e appartenga a’ tribunali il dichiararne la colpabilità. Chatam combatte vivamente questa dottrina, che toglie, com’ei s’e- sprime , il salutare intervento del giurì in una delle occasioni in cui esso più importa. La camera de’comuni, dopo aver espulso Wil- kes dal suo seno, ricusa di riammettervelo , benchè rieletto dal maggior numero degli elettori di Middlesex, e vi ammette inve- ce il candidato ch’ ebbe meno voti. Chatam allora prende una seconda volta le difese di Wilkes, o piuttosto de’ principii insul- tati nella sua causa, e nota d’ eterno biasimo la decisione ar- bitraria della camera de’comuni. Ma una causa ben più grande doveva esercitar fra poco la sua eloquenza . Il ministero succedutogli( quello di lord North ) era tornato a’ vecchi arbitrj riguardo all’ America e aveva quindi eccitati nuovi lamenti. La sua imprudenza in ciò era stata grande : una questione di finanze potea divenir facilmente una question d’ emancipazione , differibile non evitabile quando una colonia è troppo potente , e la metropoli troppo lontana. Ed ecco infatti quello che avvenne. Il ministero ordina che sia ri- cevuto in America il tè dell’ Indie , nell’ atto stesso che aggrava di nuove tasse i prodotti americani: una rivolta scoppia allora a Boston; il tè vien gettato in mare ; si dichiara che non si ha bisogno di merci straniere , che l’America può bastare a sè stes- sa; questa massima si propaga a varie provincie che si collega- no e si armano ; diviene il testo favorito degli scrittori più amanti della patria , fra i quali è il giovane Franklin ; si converte in general desiderio d’ indipendenza nazionale. Ai primi moti dell'America il ministero non sa. opporre che risoluzioni erudeli. L’ odio , ch’esse producono, generano l’odio, le crudeltà si accrescono, la dissensione divien mortale. In questo stato di cose non è facile il far sentire le voci dell’ umanità e della giustizia , che son pur quelle della prudenza. Chatam nondi- meno vi si prova, e mai non cessa, nè teme di proferire terribili verità, di che è lodato da alcuni e biasimato da molti, i quali dicono che svelando le piaghe dell’ Inghilterra ei dà coraggio a chi vuol emanciparsene. I suoi discorsi in questa gran causa pos- sono paragonarsi per la convinzione , la veemenza, la forza alle più belle orazioni di Demostene. Un nonsochè di grave , di reli- gioso, di melanconico, dovuto all’età, alle infermità, ai partico-_ 14 lari sentimenti dell’ oratore danno loro un carattere particolare. Presi insieme, formano una specie di dramma , anzi, per l’ ultime loro circostanze, una vera tragedia oratoria , su cui giova fissar un istante lo sguardo. Un grande avvenimento si annuncia , 1° insurrezion dell’A- merica . Il ministero propone che s° inviino nuove truppe a re- primerla. Chatam vi si oppone, rammentando che gli Americani sono i discendenti di quegli uomini generosi, che già fuggirono d’ Inghilterra , per fuggir la servitù onde un tempo fu op- pressa ; ch’ essi già possono rivaleggiare cogl’ Inglesi per traf- fici, per industria , per armi; ch’è ormai tempo di trattarli com’ essi ; che il fare altrimenti non è men pericoloso che in- giusto. Non potendo dissimulare le cose di Boston, onde tem- perar l’ irritazione ch’ esse debbon produrre nell’animo degl’In- glesi, cerca destare il sentimento della fratellanza, la memoria dell’origine comune. Ma già l’insurrezione si afforza, si accresce, diviene universale; e 1’ orgoglio britannico n’ è sempre più irri- tato. Chatam nondimeno nella generosità della sua coscienza , nell’ alte vedute dalla sua politica non cangia opinione, va pur sempre gridando contro la guerra, e la cieca ostinazione di lord North che la fa senza volerla. Già le truppe inglesi si sono più volte ritirate dinanzi alle povere milizie americane , animate dal genio della libertà e da quello di Wasington. Chatam, benchè molto infermo, e quindi obbligato da qualche tempo alla solitu- dine , ricompare in parlamento; onde proporre, nell’imminenza de’ mali che prevede, i rimedi che stima più opportuni. Ma egli è appena ascoltato , e i mali preveduti cominciano presto ad av- verarsi. Il ministero, che in ciò seconda le passioni del popolo , vuol nondimeno continuare la ‘guerra, anzi farla più accanita. Chatam, ricomparso in parlamento , dichiara esser questa una follia, dice che la guerra fatta finora è anche troppo inetta e erudele , grida contro l’ impiego di truppe estere, che portano la lor venale ferocia in provincie pur sempre inglesi , fulmina l’odiosa alleanza co’selvaggi ubriacati spesso per renderli più bar- bari; e come lord Suffolk vuol imprudentemente giustificarla, egli non mette più limiti al proprio sdegno, e per lanciare contr’ essa l’ ultimo fulmine (tratto veramente caratteristico ) la chiama con- traria alle leggi. Gli Americani intanto , forti del soccorso improv- viso de’ Francesi, si fanno sempre più minacciosi; gl’ Inglesi ormai più non si sostengono. Alfine lord North, passando dal- estrema insolenza all’estremo scoraggimento, sembra ormai pronto a riconoscere l'indipendenza americana ; e il duca di Richmond 15 deve farne la proposizione nella camera dei pari. Chatam, consunto dagli anni che già toccano il settantesimo; e più ancora dalle in- fermità, visi fa condurre. Egli entra sosteunto dal braccio di suo figlio che sarà fra poco un sì grand’ uomo ; ha in voito il pal- lor della morte, ma è nobilmente vestito come voglia render so- lenne 1’ ultimo sno giorno. L’ assemblea sorge per rispetto al suv apparire, e lo guarda in silenzio fin ch’abbia preso il suo posto. Richmond allora fa a nome del ministero la proposizione che si accennò. Chatam s’ alza dopo di lui per dire che bisogna ancora uno sforzo prima di cadere, e che ove il cadere sia inevitabile convien pur farlo con dignità. L’ assemblea lo ascolta commossa, e Richmond chiede ch’ egli additi ciò che sia nopo di fare. Cha- tam vorrebbe una cosa grande, ardita, pericolosa, una dichiara- zion di guerra contro la Francia. Egli s'alza una seconda volta , per proporla; ma i dolori, che soffre, son troppi; le forze gli mancano , la sua voce s: estingue, ei cade svenuto e fra pochi giorni manda l’ ultimo sospiro. L'epoca, da cui abbiamo per così dire staccato questo gran- de oratore, per mostrarlo nella sua originalità, è 1’ epoca più gloriosa per l’ eloquenza parlamentare dell’ Inghilterra. Allora cominciò a risplendere quella che fu chiamata in seguito la gran Plejade britannica, Chatam il cui genio mai non apparve così su- blime come in vecchiezza ; Burke dotato d’ imaginazione sì viva e di sentimenti sì generosi; Shéridan, a cui non mancò nè in- geguo nè forza , e in cui solo potè desiderarsi maggior dignità ; Fox l’emulo rispettoso di Chatam e destinato ad esser vinto un giorno dal suo giovane figlio; e alfin questo figlio, il secondo Pitt, nato veramente per governare colla parola, e a cui si associano Pundas e Windham, non men ligi al potere, di quel che a°giorni del padre suo gli fosser contrari Gordon eccitatore di terribili som- mosse, e Wilkes, già detto, che nel carteggio letterario di Laharpe ci vien rappresentato come un Catilina. Tutti questi oratori fanno sembrare ben ingiusto il giudizio d’un critico , il quale pur di recente applicava agl’ Ingiesi quella frase di Cicerone : non vobis ingenium sed oratorium dezst inge- nium. Se non che la maggior parte di essi, contenti abbastanza dell’effetto immediato delle loro parole, poco si sonv curati dell’ap- plauso della posterità. Infatti non solo non le raccomandarono essi medesimi allo scritto, ma neppur le corressero quand’altri vollero supplire alla loro noncuranza. Quindi, come pur si raccoglie da una lettera d’ Erskine all’ editore de’ discorsi di Pitt e di Fox, e di questi e degli altri discorsi, che più onorarono il parlamento 16 inglese, ci è stato conservato piuttosto il fondo che la forma. I soli pubblicati quai furono proferiti sono quelli d’ alcuni ora- tori, ch’ erano anche scrittori di professione ; e in cui è lecito sospettare che l’eloquenza fosse men che in altri spontanea, come Shèridan e Burke. Quest’ ultimo (.da cui giova cominciare per rispetto alla cro- nologia ) si è reso assai celebre al tempo della francese rivolu- zione. Egli avea però cominciato la sua carriera oratoria molto tempo innanzi. Nella prima gioventù, per vivere e farsi nome, egli scrisse di letteratura , d’arti, di politica, intorno alla quale professava sentimenti assai democratici, come prova un suo opu- scoletto sulla società naturale. Senza il dono d’ alquanti poderi che gli fece il duca di Rockingham , egli non sarebbe mai en- trato nella camera de’comuni, alla quale fu eletto verso i 35 anni, cioè secondo gli usi brittannici un po’ tardi. Ivi, grazie a non so quale entusiasmo, a non so qual sp'endore d’ elocuzione , a non so quale abbondanza d’imagini e di metafore propria parti- colarmente dello stile degl’ Irlandesi, e che ha qualche analogia coll’ abbondanza di quegli antichi, a cui Cicerone dà malizio- samente l’ appellativo d’Asiatici , destò a prima giunta una sor- presa per lui lusinghevole. Ma egli mirava a più degno scopo, a quello cioè d’illuminar il potere, a cui serviva. Le prime do- glianze dell’ America vennero non male accolte per la sua gene- rosa cooperazione. Ma il ministero di Rockingham fu breve; e gli successe quello di lord North, forse troppo accusato, ma certo assai fatale all’ Inghilterra. In un’ epoca anteriore, quando nel parlamento britannico ancor non si era udita vera eloquenza , anche North poteva es- sere nominato fra gli oratori. Egli era uomo di molto spirito ; si esprimeva con molta facilità , rispondeva con molta franchezza , ma rispondeva di rado , e con grandissima calma, cui mai non perdette , fuorchè in un’ occasione commovente che onora la sua memoria. Fra i suoi più grandi oppositori , oltre Chatam, di cui già si è parlato, e Burke, il quale entrò nella camera de’ comuni quand’ egli già era passato a quella dei pari, fu il celebre Fox. Quest’ uomo , destinato ad essere il più ardente sostenitore delle dottrine popolari , 1’ antagonista dichiarato di Pitt , era consan- guineo per madre agli Stmardi , e avea per padre lord Holland, il confidente di Walpole, il sostegno d’ un potere arbitrario, che il padre di Pitt avea costantemente combattuto. Egli fu allevato fra le dissipazioni d’ ogni specie, il cui gusto fece in seguito sì 57 gran torto alla sua vita politica, e gli esercizi dell’ingegno e della parola ond’ebbe poi tanta gloria. Appena uscito dall’ infanzia ei ragionava in mezzo a numerose adunanze con franchezza e facilità ammirabile. Quindi , allor ch'egli entrò nella camera dei comuni all’età di 19 anni, la sua elezione potè essere chiamata illegale, ma non potè sembrare immatura. Quest’ elezione , un impiego ragguardevole di cui poco dopo fu provveduto , tutte le sue re- lizioni di famiglia doveano legarlo al ministero. Egli però, come per istinto, si sentì quasi subito accostare all’opposizione. E quan- do cominciò a trattarsi dei destini dell'America, quand’ebbe udito l’eloquenza di Burke in sì nobile causa, acceso di nuovo ar- dore, fa più che mai vicino a prender quel posto che gli additava il suo animo generoso. Un’ altra causa, che di quel tempo co- minciò ad agitarsi, affrettò la sua risoluzione. Le persecuzioni legali, che pesavano sui cattolici d’ Irlanda , erano state lieve- mente alleggerite da alcune leggi , alle quali, avendone il po- polo inglese tratto motivo di tumultuare, erano poi succeduti nuovi rigori. Fox si sentì offeso della timida connivenza del po- tere per le passioni popolari , e rotto quell’ ultimo vincolo che ancor lo teneva legato al potere medesimo , alzò la voce in fa- vore de’ perseguitati, e contro il giuramento che chiamano del test. Poco dopo ei ricevette un dispaccio di lord North, che gli annunciava la sua destituzione; ch’ è quanto dire gli permet- teva di farsi aperto e terribil campione della causa degli Ame- ricani. Certo nè Fox nè Burke nè altro oratore agguagliarono in questa causa 1’ eloquenza di Chatam. Pur pronunciarono spesso discorsi notabili e degni d’ esser conosciuti, anche per farsi vera idea di ciò ch'è concesso alla parola nell’inglese costituzione. E fra tali discorsi debbono pure annoverarsene alcuni di Wilkes, di quel Wilkes; il qual non ha fama che d’un gran fazioso. È curiosissimo il vedere com’ egli, sin dal principio della causa di cui si parla , esponga con precisione i diritti degli Americani, mostri la mode- razione delle loro domande, Y imprudenza di chi li tratta da ri- belli, e alfin tocchi arditamente ciò che il dissimulare . gli sem- bra così pericoloso che inutile, come cioè la vittoria soglia legit- timare ogni resistenza. Lord North, benchè imperturbabile , a simili discorsi sì sen- tiva turbare, e vedea sempre più difficile il condurre a buon fine la guerra contro V America . A render questa ‘guerra più popolare ei si valeva di tutti i mezzi , anche della. religione. T .XXXVII, Murzo 3 18 Esce un giorno un suo proclama , il quale intima un solenne diginno per invocare le benedizioni del cielo sui nuovi arma- menti che si preparano. Burke è più che offeso da questo con- trasto bizzarro di devozione officiale e di guerra implacabile. En- tra quindi in parlamento, e dopo aver dipinto con vivi colo- ri lo stato pericolosissimo in cui l’ Inghilterra si è posta: in- tanto, grida, siam chiamati a piè degli altari d’un Dio di pace colla guerra le la vendetta nel core: grande infamia come atto politico , grande empietà come atto di religione... siam chiamati ad accusar di ribellione i nostri fratelli d'America: accusa egualmente sacrilega, sia .che si sappia sia che s’iguori la verità , poichè si prende Dio onnipotente in testimonio d’ un errore o d’una men- zogna. Ma l’eloquenza di Burke, lodata per officiosa reciprocità , non che da altri, anche da Fox, era assai men fatta per l’orec- chie inglesi, assai men conveniente alla gran causa dell'America, che quella di Fox medesimo. Poco , siccome già si accennò, ci è rimasto, di ciò ch ei disse così in tal causa che in altre. Pur questo poco basta a mostrarci quant’egli fosse, ad un tempo, metodico e vivace, preciso e vigoroso, cauto e veemente. Pur egli non era ancora che a principio della sua carriera oratoria, non aveva ancora a fronte quell’ avversario che combattè per quasi vent’ anni; e a cui, oltre l’ ingegno, dava tanta forza il trovarsi non men di lui al vero suo posto. Una delle grand’ armi di Fox fino da’ suoi primi combatti- menti fu 'un’ironia piena di passione. Bisogna leggere il sno am- mirabile discorso dopo la vittoria di Cornwalles sopra gli Ame- ricani ; bisogna vedere , come, dopo aver accusato il ministero delle antecedenti disfatte, ei lo beffi di quest’unica e sterile vit- toria riportata malgrado i suoi falli; come infine rinnovi le riv ela- zioni e le predizioni di Chatam, di cui si mostra veramente emu- latore. Chatam, rimproverato per esse, diceva che la libertà della parola è la condizione de’ governi rappresentativi , ch’ essa rimedia per sè stessa ai mali che può cagionare, che infatti se le rivelazioni o le predizioni da lui fatte, ne, produssero alcuno ; i consigli che vi aggiunse lo avrebbero più che compensato , se fossero stati se- guiti. Fox rimproverato anch'egli per simil causa : non so, rispon- deva, se vi sia pericolo a dire ciò che si pensa ; ma so che il dirlo è dovere d’ogni onest’uomo: quello chio ho detto in questa camera, l’ho pur detto altrove, lo direi per tutto, lo direi a tutto il mondo , se la mia voce potesse giugnere in ogni sua parte. Le predizioni di Chatam e di Fox furono pur troppo avve- 19 rate. Nè la perdita dell’ America fu il solo disastro che avesse a soffrir l’ Inghilterra. Malgrado i trattati, le ambascerie, e tutte le cerimonie della pace , essa non aveva in Europa un solo al- leato fedele: non era più temuta, ed era pur sempre odiata. Ma i maggiori pericoli le venivano dall’ interno. L’ Irlanda avea preso le armi : il ricusar d’ascoltarne le doglianze era otmai troppo pericoloso: ma mille scritti faziosi, mille discorsi violenti, e le continue minaccie del popolo di Londra, si opponeano ad ogni saggia risoluzione. Alfine questo popolo insorge, guidato da lord Gordon s’ avanza alle porte di Westminster che gli son chiuse; allora si spande per la città, incendia le cappelle cattoliche, forza le prigioni, sembra minacciare una rivoluzione , che quasi per prodigio è sospesa. In mezzo si può dire a questi disordini Burke si presenta alla camera , per domandare , che mai? ciò che altrove sarebbe cominciamento o fomite di rivoluzione , la riforma delle spese della corona. Pieno di ciò che gl’ Inglesi chiamano humour, e che non è insolito negli oratori del lor parlamento, ei fa uso d'un linguaggio bizzarro e quasi iusultante per la corona medesima . Singolarità veramente notabile in un uomo, che ci apparisce co- me il più zelante difensore della prerogativa monarchica, e uno de’ più terribili avversari della francese rivoluzione. Singolarità che ci mostra, ancor meglio che l’istoria, la gran libertà e insieme la gran forza d’ un governo come il britannico. Questa forza, però, onde riuscir salutare, avea d’ nopo d’ esser messa in azione da un momo straordinario ; e un tal uomo si trovò nel figlio di Chatam , il giovane Pitt. Egli era stato educato non men dottamente e più severameute di Fox. Malgrado una cagionevol salute, ei fu sin dall’infanzia sì ardente negli studj , che già ai dodic’ anni si dicean meraviglie di lui. Come verso i diciotto ei si fosse rese familiari e le squisitez- ze letterarie e la sapienza politica sì de’moderni che degli anti- chi, può raccogliersi da una lettera commoventissima dell’illustre suo padre, mancato indi a poco idi vita. Ricco del nome di quest'uomo illustre, ma privo di beni di fortuna, ei si diede al- lora alla profession d’avvocato, e sostenne più cause con tal sem- plicità e nerbo d’eloquenza da far presagire a che in altra carriera sarebbe riuscito. Nel tempo stesso ei frequentava il parlamento , ascoltava con attenzione i più abili oratori, e si esercitava a loro esempio rinforzando le opinioni che gli parevano più giuste; il che gli dava occasione di vie più approfondirsi nel diritto pub- blico e civile della sua patria. Quest’ esercizio , in cui durò due 20 anni, gli fu d’ incredibile utilità. Quindi ai vent'anni ei fu ab- bastanza maturo per presentarsi qual candidato per la camera de’ comuni ; ov’ entrò l’ anno seguente con sua gioia infinita come scriveva egli stesso ad un amico. L’istinto del potere lo fa in principio accostare all’ opposi- zione. Ei si unisce a Fox, a Burke, ad altri per finir di abbat- tere il ministero di North, che dopo la perdita dell’ America si regge a gran'stento. À questo ministero succede quello di Ro- ckingam , ove seggono, dopo lungo desiderio , Shelburne e Fox. Il giovane ‘Pitt, che lord North appellava un ministro nato , potrebbe anch'egli prendervi posto, ma nol vuole. Morto Rockin- gam, ed useitone Fox, si unisce volentieri a Shelburne, che lo fa eleggere cancellier dello scacchiere. Che fa allora Fox? Vede sui bianchi dell’ opposizione quel North di cui si è tanto beffato , a cui ha rimproverato non solo d’aver perduta l'America ma d’averla venduta , che un giorno ha fatto piangere nella camera dei co- muni, e fa lega con lui. Pitt, malgrado la sua sagacia non avea preveduto , non avea potuto prevedere una simillega, e n° è rovesciato. Per quanto però certi cangiamenti si credano permessi agli uomini di stato , essa parve non meno scandalosa che strana. Quindi il nuovo ministero, ch’essa produsse , mal sostenuto dalla pubblica opinione , in capo a sette mesi si sciolse, dopo una vittoria riportata nella camera de’ comuni. Fox , per render più forte il poter parlamentare, di cui cre- devasi arbitro , contro il regio, di cui diffidava, propose che si stabilisse per legge che i commissari della compagnia dell’In- die fossero nominati dalla camera de’ comuni, ed ottenne fa- cilmente che da questa camera si approvasse la legge. Ma essa, grazie particolarmente all’ eloquenza del giovane Pitt, fu riget- tata nella camera de’ pari, onde Fox (e North in sua compa- gnia) cadde una seconda volta . Allora quel giovane, che già era un poco invecchiato (aveva 24 anni) entrò anch'egli di nuovo e quasi per diritto di conquista nel ministero, ove sostenuto, non come Walpole dalla pubblica corruzione , ma bevsì dalla pub- blica fiducia , rimase vent’ anni. È assai comune il supporre in chi è in possesso del po- tere il gusto esclusivo de’ privilegi del. potere. Pitt peraltro , sia elevatezza d’ingegno, sia attaccamento sincero alle leggi del suo paese, mai non cercò un potere che non gli fosse dato dalle leggi stesse; e combattendo per 1° uno combattè in- sieme per l’ altre. Ciò è visibile fin dal primo combattimento ch’ egli ebbe a sostenere , e che qui giova ricordare. L’ Inghil- 21 terra , come già si disse, aveva perduto per sempre l'America , o almeno più non potea riacquistarla che pel commercio, altra specie di conquista più utile e più sicura. Le rimanevano in- tanto le Indie, co’ lor cinquanta milioni di tranquilli abitan- ti; e la conquista dell’ Asia in prospetto. Quante rapine pe- rò , quante crudeltà furono già rimproverate ai proconsoli ro- mani, tante ne furono esercitate dagli amministratori inglesi in quel pacifico paese. Hume , negando agl’ Inglesi il vanto del- l eloquenza: i grandi interessi , dicea , ci mancano ; noi non abbiamo alcun Verre. Sgraziatamente questa seconda proposi- zione fu ben presto smentita dal fatto , siccome vedremo par- lando d’ un gran processo, in cui 1 eloquenza giudiziaria , che prende sempre carattere dalle sociali istituzioni ; si me- scolò alla politica. Questo processo intanto fissava lo sguardo di tutti sopra l’impero che si è detto, emporio di ricchezze com- merciali, dilapidato e insanguinato da perfidi amministratori. In occasione di tal processo Fox presentò la legge che già si disse, legge tendente ad assicurare, per mezzo d’ un’alta Logi una giusta amministrazione. Ma in fondo a questa legge , a più riguardi generosa , si nascondeva, come già si accennò, qualche cosa d’ ambizioso e di fazioso. Pitt ; facendola rigettare, divenne ministro , e divenuto ministro dovea sostituirle qualch’ altra co- sa, che conciliasse la prerogativa tà colla giustizia. Ma il suo nuovo progetto , combattuto , com’ era da aspettarsi , da Fox, dovea naturalmente esser rigettato dalla camera dei comuni. Quin- di , perch’ egli fosse forzato a rititarsi dal ministero, fu pur ri gettato da essa ogn’altro suo progetto: di legge , e dichiaratagli apertissima guerra. Egli la sostenne. con saba singolare ; oppo- nendo agli assalti più violenti or risposte assai caute, or vin freddo silenzio, pel quale specialmente ebbe dal vecchio North l’appella- tivo di dittatore. Solo una volta , sentendosi incalzato più fiera- mente del solito , lasciò apparire nel suo linguaggio un movi- mento di sdegno , onde fu chiamato da Shéridan , che guardava a’ suoi biondi capegli e alla sua aria quasi infantile , fanciul biz- zoso. Questa guerra durò tre mesi, a mezzo i quali egli ‘ardì far sospendere le camere per qualche settimana , minacciandole di scioglimento. Alfine , credendosi abbastanza sostenuto dalla ma- zione , che non aveva alcun motivo particolare. di preferir la legge proposta da Fox alla sua, determinò il re allo scioglimen- to che si è detto. Quindi, non senza peraltro molte dispute nelle elezioni, fu formata una nuova camera , che aggiunse il suo favore a quello ch’ ei godeva del re, e pel.quale potè lottare 22 arditamente contro la camera antecedente. Allora, dedicatosi tutto alle cose amministrative , depose affatto ogni pensiero di riforma parlamentare manifestato nel breve tempo della sua op- posizione. Egli era ormai troppo ministro, e troppo sicuro della camera de’ comuni, per volere alcun cangiamento in un sistema d’elezioni, ond’era uscito con essa un nuovo sostegno al suo potere. Ma un avvenimento il più impreveduto vien di nuovo, seb- ben momentaneamente , a mettere in forse questo potere. Gior- gio terzo, chiaro egualmente pel suo amor delle scienze e la sua prudenza politica, pregiato universalmente per la regolarità della sua vita e l’ altre sue domestiche virtù, è colpito a un tratto da una malattia, che indarno si cerca nascondere ; la malattia , onde il re Lear ci move a tanta pietà. Fox, il qual viaggiava allora per distrarsi nel mezzogiorno d’Italia, ode questo caso, vede Pitt rimanere senza il principale suo appoggio ; vede nel successore immediato al trono un appoggio sicuro’ all’ opposi- zione , e s’ affretta di tornare ond’ è partito ; per trionfare , sic- come spera , con essa. Ma. al ritorno è pur forza combattere con‘Pitt;, che si prepara a. far senza l’ appoggio del re, come già aveva fatto senza quello della camera de’ comuni, Alcune particolarità di questo combattimento meritano d’ aver qui luo- go., come soggetto di confronto curioso , e. natural transizione all’ istoria dell’ eloquenza parlamentare in Francia. Le camere si sono unite senza la forma ordinaria e solen- ne ; il discorso del re. Pitt, annunciando a. quella de’ comuni il dispiacevole avvenimento che n’ è causa, propone che si cer- chino nelle leggi e nella storia dell’ Inghilterra. le norme della condotta che dee tenersi. Fox ; impaziente d’ ogni indugio , di- chiara che, per 1’ avvenimento che si è detto , il regio ‘potere s'intende trasferito di necessità nell’ erede della corona. Ma Pitt insiste perchè si elegga una deputazione all’ uopo da lui pro- posto , e la camera si arrende alle sue persuasioni. Allor co- mincia fra lui e Fox il gran combattimento che si accennò, com- battimento, in cui se non la maestà dell’antica eloquenza, se non l’ impeto terribile di quella che poi si udì nell’ assemblee di Francia, pur si ammira una grande energia, e quando men s’ aspetterebbe un singolare ardimento , che' parrebbe fatto per turbar 1’ ordine stabilito e serve a raffermarlo. Il gran difensore della regia prerogativa , quegli che nelle grandi agitazioni d’ Europa sostenne sì alta la corona sul capo del suo re, che lottò a corpo a corpo col genio poderoso e molti- plice della francese rivoluzione , e ancor diec’ anni dopo morte 23 vinse contr’ essa. una memorabil battaglia, Pitt insomma, lungi dall’ appoggiarsi a vecchie dottrine, entra in campo con idee, che altrove non che nuove si direbbero faziose. In virtù de’ cangia- menti stessi, a cui il poter supremo in Inghilterra andò sogget- to, ei sostiene i diritti di quel re, che sembra averli tutti per- duti per la perdita della sua ragione. Fox avea detto : lo stato infelice del re è una specie di morte civile , onde i suoi diritti passano di necessità al suo legittimo erede. Pitt, ricordando co- me già il parlamento potè una volta trasferir la corona , vuole che spetti al parlamento medesimo , di cui Fox sembra obliare l’autorità dopo averla voluta far troppo grande, il dichiarare se e con quali restrizioni or debbano trasmettersi que’diritti. Certo pei due illustri avversari la questione non è solamente costituzionale e teorica. L’ uno vuol rimanere. ministro, 1’ altro vuol diventarlo , 1’ uno teme per sè non meno che per le ca- mere il troppo potere del reggente , l’altro lo brama, sperando esercitarlo egli medesimo. Ciò gli fa più ardenti, che forse non sarebbero stati, a contendere ; ma ciò fa pure che si rischiari più presto la questione. Pitt, sostenendo il principio che già si è accen- nato, è giunto a dire: il figlio del re d’Inghilterra non ha attualmen- te maggior diritto all’esercizio del potere supremo, che qualunque de’sudditi. Questa proposizione, per cui Burke mettendolo in ridi- colo, il chiama uno de’ candidati alla reggenza, dà gran presa a Fox, il quale, mescolando anch’ egli l’ironia al ragionamento, lo accusa di voler cangiare la monarchia ereditaria in elettiva , di rigettare un capo dato dalla costituzione per sostituirvi un fan- tasma di sua creazione. Pitt si spiega, e Fox è obbligato di consentire che appartiene al parlamento il dichiarar la. reggen- za. Confondendo però con destro sofisma la reggenza e la re- gia dignità, nega ch’ esso abbia egualmente, il diritto di limi- tarne il potere , giacchè la pienezza del poter medesimo, le. è inerente ; e si meraviglia che Pitt ne pensi altrimenti. Pitt ri- batte il sofisma , traendo dall’ antica storia d’ Inghilterra lumi- nose idee sul governo parlamentare , mostra quanto una reggen- za , il cui potere non fosse circoscritto , riuscirebbe pericolosa per l’ ordine pubblico , e rendendo a Fox la sua iroma si,me- raviglia del suo zelo eccessivo pel regio potere. Quindi fa. adot- tar la proposizione, che la reggenza .sarà offerta. all’erede del tro- no con quelle restrizioni che il parlamento giudicherà. conve- nienti. In seguito , ripugnandovi indarno il principè } e indarno opponendovisi Fox , fa tra l’ altre restrizioni adottar le più pro- prie ad assicurar sè medesimo nel ministero. 24 Se non che a compir l’opera sua rimaneva uua grave dif ficoltà. Come mai la legge, che dichiara la reggenza e ne limita il potere, avrà l’ultima sanzione che pur le è necessaria ? I più dotti giureconsulti, volendo rispondere, si perdono in vane sotti- gliezze : la difficoltà sembra insolubile. Ma la fortuna di Pitt viene in aiuto della sua abilità. Una crisi felice rende al re l'esercizio della sua ragione ; ciò ch’ è annunciato da Pitt me- desimo al parlamento , e festeggiato dalla nazione con grandis- simo entusiasmo. Pitt frattanto è celebrato come l’abile ministro d’ un re diletto, e come il difensore - delle pubbliche libertà. Mentre l’ Inghilterra , da lui guidata , assicura, malgrado i disastri sofferti , la sua pace interna, una monarchia vicina , la Francia, è commossa da profonda agitazione, per cui le sarebbe più che mai necessario un tal ministro , se un tal mi- nistro ivi fosse possibile. L° impoverimento dell’ erario , il pe- so d’un debito pubblico ognor crescente, 1° impossibilità di sopportare più a lungo un ordine sociale, che più non è d’ ac- cordo co’ bisogni e colle idee del tempo, mille cause diverse rendono inevitabile una gran mutazione. Dal 1616 più non si sono veduti stati generali ; il regno di Luigi XIV è stato una lunga sospensione di tutti i diritti pubblici ; quello del Reg- gente una specie d’ abdicazione di tutti i sentimenti d’ onore , che possono in qualche modo supplire alle pubbliche libertà ; quello di Luigi XV, malgrado alcune glorie militari, e l’ abi- lità d’alcuni mwomini costituiti in potere, la distruzione di quasi tutte le forze della monarchia. Quindi può dirsi che dal - l’ ultima convocazione degli stati generali tutto in Francia è cangiato. Le cose, che l’ assemblea costituente dichiara morte , già son morte assai tempo innanzi , e ciò serve a spiegare la suna potenza. Il raddoppiamento del terzo stato , la riunione de’ tre ordini , l’abolizione de’titoli di nobiltà non che dell’autorità feu- dale , altre cose, che sembrano il prodigio dell’audacia ; le rie- scono facili, poichè già son fatte nella pubblica opinione. Vi hanno intanto degli organi pubblici di quest’ opinione , de’ banditori di quell’ idee possenti, ond’ essa è nutrita. Nel loto numero è un uomo, che sin da principio domina gli al- tri così per l’ ingegno ch'è in lui straordinario , come per l’ ar dimento che lo è ancor più. Singolare contrasto fra la condizion d’uno stato ove la libertà è legale, e quello ove si cerca per mezzo d’ una rivoluzione! Quelle dottrine sì ardite, che non sono per Pitt che uno strumento d’ ordine o di potere, sono per Mi- rabeau (chè già tutti hanno pronunziato il suo nome) uno 25 strumento di violenza. In Inghilterra egli sarebbe stato il rivale di Fox, il successore di Pitt. In Francia ei fu e doveva essere ( anche indipendentemente da alcune circostanze personali, di cui poi si parlerà) un terribile agitatore delle passioni popa- lari. Comunque sia, ei fu pure il creatore e il principe del- l’ eloquenza parlamentare francese ; doppia ragione per cui da lui se ne cominci la storia , alla quale si mescolerà spesso quella dell’ eloquenza inglese, che le ha servito di proemio. M. Traité de Droit Penal , par M. P. Ross: professeur de Droit à Genève. Paris , 1829. 3 vol. Proponendomi di ragionare al presente dell’opera di nn italiano giustamente stimato fra noi ed appo gli stranieri, non so ben io se più mi ritenga il timore d’incontrar taccia d’au- dace , o se, più vaglia in me il bisogno di parlare liberamente intorno ad un opera , che sollevandosi al disopra del volgo può divenire un giorno importante per la storia della scienza. Gli elogi de’ giornali francesi , la recente testimonianza del Savigny in lode del Rossi, la potenza sempre crescente delle nuove opi- nioni filosofiche, cui l’autore sembra applaudire, mi consigliereb- bero come partito prudente il silenzio, come partito ambizio- so il ripetere esagerando i giudizi altrui. Ma poichè buone ra- gioni mi tolgono il poter seguire il primo consiglio , il senti- mento del dovere mi chiude la via al secondo. Lodo anch’ io l opera «del Rossi e ne godo per l’onore del senno italiano , ma dissentendo in molti punti capitali dall’ autore non posso rite- mermi dalla critica, e certamente son lontano dal credere che l’opera sua sia di tal pregio da produrre un utile rivoluzione nella scienza. E così come è risoluto in me il volere mi secon- dassero le forze , che non dubiterei allora di sottoporre al giu- dizio del pubblico tutti gli argomenti che mi portano a dissen- tire dall’ autore. Ma i lettori discreti per poco che vi riflettano debbono intendere non esser dato spiegarsi sempre chiaramente ed aprire tutto l’ animo smo nel corso di poche pagine, e spesso dovere intervenire o che i nostri. giudizi non sieno abbastanza avvalorati da saldi argomenti, o che noi stimoliamo piuttosto i T. XXXVII Marzo. 4 26 lettori a.voler risolvere da sè la quistione di quello che la risol- viamo di fatto noi stessi. Ad ogni modo per quanto sarà da noi ci studieremo di dovere essere intesi sì nelle critiche come nelle lodi. Cominciamo adunque dal dare idea dell’ opera. I.° L'introduzione lungamente discorre dell’ importanza del diritto penale, mostrando come influisca sullo stato morale della società , mentre dal canto suo sente gli effetti delle istituzioni politiche, e della condizione morale del popolo. Dopo di che LA. si fa a ragionare dello stato presente della legislazione penale in Europa; e veramente questa sezione dell’opera del Rossi ci è paruta tanta importante da desiderarla tradotta nell’ Antologia. Dallo stato si passa alle speranze di miglioramento: 1’ autore fida più nella Francia che nell’ Inghilterra, più in questa che neila Germaria ; degli altri stati pare che non faccia alcun conto. Noi temiamo , dice l’A., che in Alemagna la riforma della legisla- zione non incontri per lungo tempo un’ ostacolo di un genere partico- lare. Certamente al di là del Reno non mancano dottrine generali, nè stà oziosa la facoltà del pensiero ; anzi la speculazione intellettuale nella maggior parte di quel paese si sviluppa con tutta la possibile arditezza. La scienza del diritto vi è stata trattata sotto tutti gli aspetti; fi- losofia , storia, dommi, pratica, tutto ha avuto le sue vicende, i suoi scrittori, i suoi giornali, la sua polemica, ed un trionfo più o meno durevole. Il diritto penale in particolare è stato soggetto di grandi opere. Le teorie del dritto di punire a cui hanno dato origine sono numerose , non meno che svariate, e questo movimento filosofico si è esteso ad una quantità immensa di questioni particolari, la discussione delle quali, più o meno importante che sia per la legislazione e per la giurispru- denza, è sempre curiosa ed utile per la scienza. A volerne giudicare da quello che è giunto sino a noi non sembra possibile crear sistema nuovo in Germania, e tuttavia non conosciamo la vigesima parte dell’ opere di quella nazione. Ad ogni modo non pare che sia in Germania una dottrina dominante. Il sistema ingegnosissimo del signor di Feverbach è forse quegli che abbia esercitata maggiore influenza in Germania; tutta volta pare che adesso ceda nella guerra che gli è mossa per ogni parte. 1] più gran successo di una teoria al di là del Reno pare che consista nel farne nascere una nuova. Tutto si dice colà , ma niente sì accetta definitivamente. Vogliam noi dire che questa sia una conseguenza della divisione fra i dotti speculativi, e gli uomini della vita attiva? Non è egli vero che vi è una specie di scisma fra la nazione che pensa e la nazione che agisce? O per dirlo in altri termini, non pare che sieno poste l’una sopra all’altra senza amalgama, e faccian due nazioni anzichè una sola, i pensatori e gli uomini operosi? Di che resulta una specie di sdegno 27 dell’una parte per l’altra. Se il fatto è vero, come comunemente sì dice, i pratici saranno per lungo tempo ancora schiavi della consuetudine , ed i teorici, uomini poco atti a servir utilmente la patria in qualità di cittadini. Sarà difficile in Germania trovare il punto di contatto tra la teoria e la pratica in tutte le scienze politiche, ed in quella del dritto penale particolarmente. Qui non posso ritenermi dall’ esprimere la meraviglia che sento, vedendo un uomo che conosce tanto bene i tristi effetti della filosofia tedesca , far poi plauso all’ introduzione della me- desima in Francia, e contribuire colla sua opera a metterla in possesso del diritto penale. Assoggettando il diritto penale ai si- stemi metafisici intorno alla natura ed al destino dell’uomo , non teme il nostro autore di portarvi la stessa confusione che regna in Germania. Ma di questo sarà luogo a discorrere in seguito ; continuiamo per ora a riferire parole dell’ autore. Un fatto merita, pare a me, di esser citato. La maggior parte dei cri- minalisti tedeschi rigettano il giury. Questa avversione è naturale ne’pra- tici; estranei come essi sono alla filosofia, come mai potrebbero vedere senza lume? Ma i teorici!!! Ecco come si spiega la cosa. Essi mancano della cognizione pratica delle cose come sono in fatto, e dell’arte di go- vernare. Ora il giury di natura sua è una garanzia, nè è facile ritrovare le garanzie 4 priori senza che la necessità di fatto le suggerisca: ‘ a vo- s» ler ben giudicare, dicono i teorici, ci vuole ingegno , cognizioni, stu- s, dio ed esperienza. Il giury che si compone di uomini che ne son 3 privi, deve esser una cattiva istituzione ,,. Aggiungete a questo ra- gionamento alcuni fatti isolati a carico del giury (da che niuno so- stiene che il giury sia infallibile), e se il ragionamento sia fatto in paese in cui la pratica sia migliore delle leggi e però non ecciti vivi lamenti , troppo è facile che gli uomini di studio cadano nell’ errore. Soltanto quando la libertà è giunta ad ispirare pertuttociò che riguarda il diritto penale l’inquieta suscettibilità degli uomini liberi, quando trasportandosi attivamente in mezzo ai fatti si vedono nel loro insieme e nelle loro relazioni, quando il possesso o l’ uso di certi diritti e di certe guarantigie lascian conoscere quanto sono deboli e vulnerabili se non sieno sostenute da altri diritti ed altre guarantigie, allora soltanto sì conosce la necessità del giury. Allora: appoggiandosi sulle osserva- zioni e sui fatti, massime sui fatti parlanti ed irrecusabili del proprio paese , la teoria prende nuova forza; s’ inalza senza perdersi nelle nu- vole , e giunge a ritrovare un principio che la riconduce sempre alla ripruova ‘de’ fatti onde prese il punto di partenza. Questi fatti sono ad un tempo la cagione e la conferma delle scoperte. Adunque il giu- ry è la conseguenza della vita pratica degli stati liberi e delle teorie elevate, ed i criminalisti tedeschi ne sentiranno la necessità, quando divenuti cittadini liberi di un paese attivo, i fatti daranno loro il pri- mo sentore della teoria. 29 IT.° Accorderemo volentieri al professor Rossi che i buoni ordini politici di uno stato debbano influire assai sulla buona direzione delle scienze sociali, in quanto che offrendo il modo di mettere in pratica le verità ritrovate, stimolano ad un’ accu- rata ricerca del vero , ed a poco a poco generano l’ indifferenza o il disprezzo pei fatui sistemi che traggono gli studiosi fuori della via che conduce all’utilità. Contuttociò non vorremmo che questa sentenza facesse strada all’altra, che ci parrebbe assurda, vale a dire che lo studio de’ principii del diritto penale sia nei principati assoluti una mera dilettazione della mente, da cui non possa riescire alenn bene pel miglioramento della legisla- zione. Perocchè prescindendo dal caso in cui la ragione di stato ponga il governo in guerra col ben es're privato de’ sudditi , non è da credere che i potenti vogliano ostinarsi a non vedere quello che tutti vedono o conoscono, nè che abbiano il tristo desiderio di accrescere il male o d' impedire il bene, dove si dimostri loro chiaramente , che senza perdere di autorità posson fare i sudditi felici. Saranno però lenti nelle monarchie assolute i miglioramenti della legislazione ; ma supponete che i bisogni civili sieno conosciuti , i teoremi della scienza professati, e poi crediate che qualunque governo o dovrà cedere alla luce, o si darà a conoscere chiaramente ostile alla nazione ; cosa che col corso del tempo non gli potrebbe tornar profittevole. Qualunque governo adunque che desidera ‘di durare non può mostrarsi in- differente alla sicurezza de’ sudditi , sia dalla mala volontà de’fa- cinorosi , sia dall’imperizia o dalla passione de’magistrati, sia dalla soverchieria de’ subalterni ministri del potere. La gran difficoltà a senso nostro consiste nel suscitare un diritto senso popolare del giusto e dell’ingiusto, che sappia man- dar alto i gemiti e compatire agli afflitti, ancorchè ignoti, sol perchè vittime dell’ ingiustizia, propalare le lodi della virtù, e procurare ogni specie di vituperio alla prepotenza. Se riesce in uno stato di ridurre la più notevole parte della nazione a questa giustezza di senso morale, non è più possibile che i progressi della scienza rimangano infruttuosi per la legislazione. Han tanta forza i lamenti appoggiati alla giustizia, è tanto il bisogno per gli uo- mini di star bene nell’ opinione dell’ universale, che non è dato d’ incontrare volontariamente la malevoglienza o il disprezzo di tutti. Difatti ne’ paesi stessi che sono governati arbitrariamente non si trattan mai colla medesima scioltezza d’arbitrio , onde è oppressa l’infima plebe , le persone che per grado, per relazioni, o per ricchezza , posson pubblicare l’ ingiustizia e trovare chi ‘#6 faccia eco ai loro lamenti. Per la stessa ragione in siffatti paesi le città capitali soffrono meno delle provincie le soverchierie del- 1’ arbitrio. Così tutte le volte che per la qualità delle persone, o per la condizione de’ luoghi si teme d° esser vituperati è somma la diligenza per stare ne’ confini della legge , mentre al contrario si abusa facilmente del potere quando si offrono delle vittime ignote , il dolore delle quali non si fa sentire oltre le mura di un carcere , o delle case di pochi parenti ed amici. Ora la compassione che si ha delle persone, solo perchè co- noscenti o parenti o amici, poco giova alla causa della giustizia. Quella compassione di che abbisogna la. società deve esser per l’uomo come essere sensitivo, come nostro simile; come no- nostro concittadino, che ha con noi comune la patria e le leggi. Questa simpatia per gli afflitti che nasce dall’ amore puro della giustizia non è mai d’ impedimento alla necessaria severità delle leggi ; laddove quella che ha per fondamento i soli rispetti di persona, procede senza giudizio, e se talvolta giova ad impedire qualche ingiustizia, più spesso serve a farne commettere. Tuttavia questa seconda specie d’interesse pel dolore altrui è dettata dalla natura umana ed accresciuta dalla gentilezza de’costumi , talchè si mantiene sotto qualunque forma di dispotico governo ; mentre quella simpatia per le vittime dell’ arbitrio ancorchè ignote che indicavamo di sopra, non può nascere se non in chi abbia a cuore le cose pubbliche, ed intenda che quanto soffre la causa della giustizia in qualunque parte dello stato tanto può tornare in danno di sè o de’ suoi figli. Però lo studio delle scienze sociali che genera sempre questa specie di amore è necessario nei prin- cipati assoluti, quanto negli stati che hanno libero reggimento ; anzi ci sembra la sola guarenzia contro gli eccessi dell’arbitrio ; perchè è il solo mezzo che possa procurare pubblicità e vituperio all’ingiustizia. Farò più chiara la cosa con un esempio. Se ragionate ad un uomo di mondo delle soverchierie di un preside o di un proconsolo in qualche borgo o castello dove sua signoria non abbia relazione , vi dovete reputar fortunato quando presta al vostro discorso attenzione maggiore «i quella che è ri- goroso debito di civiltà. Certo poi se ne tornate a parlare qual- che giorno dopo vedrete chiaro d’ aver gettato le parole al vento, perchè l’uomo di mondo non ne serba ricordanza. Poniamo che voi vi riscaldiate, parliate con affetto, e facciate delle riflessioni, prima di esser giunto a mezzo vi avvedrete di avere abusato in- discretamente della pazienza degli uditori tenendo discorso che » non può destare interesse. Ma se invece di ragionare con quelli 30 che non desiderano altro che il piacere, che non sentono altri affetti che i privati, prendete a ragionare con persona dedicata alla meditazione delle cose civili, vedrete tosto come si infiammi e come prima d’ interrogar delle persone, senta il bisogno di misurar coll’ animo il colmo dell’ ingiustizia. Costui non si scorda de? fatti che gli sono narrati, ma li rivolge nella mente, e sa valersene all’ uopo ne’ suoi ragionamenti, sia per rischiarare le teorie , sia per proteggere la causa particolare che ha presa a difendere. Si dirà forse che alcuni coltivatori della scienza non mostran poi pe’ casi particolari maggiore interesse degli uomini usati a darsi bel tempo. Ma prima di recare in mezzo questo fatto come valida obiezione, converrebbe conoscere se cotesti col- tivatori della scienza si volsero allo studio per sola vanagloria o per sincero desiderio del vero, insomma se nell’ animo loro sia altro affetto oltre l’ambizione della lode. Quanto a me credo, che vero amore della scienza ordinariamente non si dia, senza quel puro amore della giustizia che noi dicevamo in principio doversi riguardare come il solo freno dell’ arbitrio , dove non sono leggi che ne pongano uno più forte. Il perchè stimo che quanto più si fanno popolari gli studi delle discipline politiche tanto si acquisti pel bene de’ popoli , qualunque sia la forma del governo. La quale certamente in- fluisce assaissimo , e sulla rapidità, e sulla sicurezza con che. si opera il bene, ma non può far sì che una nazione sia lungo tempo costretta a comportare un male che conosce a pieno , e di cui apertamente dimostra desiderare riforma. Perocchè, quanto è assurdo il credere che la maggioranza della nazione possa con- durre il governo a suo talento, senza sentire gli effetti della di- rezione de’ pochi che si è scelti a procuratori della comune uti- lità, altrettanto mi pare fuori -del credibile 1’ altra proposizione che si dia governo sopra del quale il volere e 1’ opinare della nazione non abbia alcuna influenza. So bene che quest’ ultima proposizione si troverà vera in que’ principati che reggendosi per la sola forza che traggon di fuori sono in costante guerra colla nazione che dicono di governare. Ma recare quali obiezioni questi fatti singolari, e siccome crediamo poco durevoli, sarebbe lo stesso che addurre in esempio 1’ anarchia delle rivoluzioni po- polari per dimostrare che il popolo è incapace di ragione. Siamo tutti incapaci di ragionevolezza al momento del furore se una violenta passione ci guida; ma come nella vita degli individui vi è la straordinaria condizione della malattia, e 1’ ordinario stato di sanità , così ne’ popoli e ne’ governi sono i momenti di de furore , e lo stato ordinario di tranquillità. Può la violenza della passione trascinare un governo a compiere inverso i sottoposti le parti di ladrone ; ma a cotesto modo non si dura a governare se non ci sostiene una potente forza di fuori; ed in tal caso, che è la peggiore ipotesi che si possa mai concepire, a riordinar le cose bisogna sempre agire col senno e colla mano. Sicchè in qua- lunque modo si voglia guardare la quistione non è mai dato concludere che attesa la particolar forma di tale e tal altro go- verno , lo studio delle discipline politiche sia ridotto appresso di un popolo sola esercitazione accademica, ed oggetto di sola am- bizione letteraria. Nò che non è fatica che si faccia per trovare il vero, o per dichiararlo a molti, la quale non sia per tornare di qualche utile alla società. È duopo peraltro che molti conoscano il vero perchè abbia forza l’opinione. Ora per quanto il possedere bene una scienza e conoscerne la giusta applicazione sia da pochi , pure han questo di buono le scienze politiche , che le loro fondamentali conclu- sioni posson divenire senso morale del popolo. Non intenderà il popolo a cagione d’ esempio esser regola di giustizia sociale il temperare le pene secondo la politica neces- sità. Nè l’ onesto borghese che guarda alle cose di casa ma pure ha avuta qualche istruzione arriverà mai a capire che le idee di espiazione o di vendetta non posson esser motivi giusti della legge penale. Ma può capire chiunque del popolo, che della li- bertà , dell’ onore e delle sostanze de’ cittadini deve decidere la legge e non l’arbitrio di pochi moderato a seconda delle private passioni, o de’ rispetti di persona. Può intendere chiunque del popolo, che se vi è mezzo di punizione che serva a correggere e migliorare il delinquente, quello si deve preferire alle pene che servono a far imperversare nel male chi non fosse già abbastanza rotto al delitto. Quello poi che si intende benissimo dal popolo si è la doverosa eguaglianza davanti alla legge ; anzi per molti questa è la sola idea sana che abbiano intorno agli uffizi della giustizia sociale. Ma questa basta a creare un senso popolare del giusto da servire di stimolo ai perfezionamenti della legislazione. Procuriamo che abbia tanto forza l’opinione da ottener vittoria su questo punto , ed il resto verrà in seguito per necessità. Pe- rocchè quando l’ eguaglianza davanti alla legge non è solamente scritta in jure ma si osserva religiosamente in fatto , il proprio interesse obbliga le persone meglio vantaggiate dalla fortuna a volger gli occhi all’ andamento della giustizia sociale, e la vit- toria che il diritto senso popolare ha potuto ottenere per l’egua- 32 glianza della legge, si otterrà dall’ opinione delle persone ci- vili per la umanità delle pene, e per le guarentigie del- l’innocenza. Poi 1’ umanità che è nella legge, la savieaza che è nell’ ordinamento de’ tribunali , ritornano a miglioramento della morale,nel. popolo, e illuminano l’opinione, e fanno nascere per- sino ne’ più semplici i desideri di perfezionamento. Ed invero co- loro che hanno qualche uso di conversare colle persone meno istruite del popolo, devono avere intese delle riflessioni sul pro- cedimento de’ tribunali francesi, delle quali non sarebbero stati capaci trenta o quarant'anni fa molti giudici e molti avvocati. Tanto. son rapidi i progressi del senso comune quando le quis stioni si riducono a quella evidenza di fatto , di che il popolo è ottimo giudice. i Adunque sia il coltivare le scienze sociali per procurarne l’ avanzamento , sia l’ adoperarsi a propalarne i principii e. de- starne l’amore, non è opera perduta pel perfezionamento della legislazione ne’principati assoluti, come potrebbe venire in testa ad alcuno di sostenere. Ho creduto dovermi diffondere su, questo argomento , perchè mi è sembrato che i lettori dell’opera del Rossi potrebbero esser tratti facilmente in errore : comechè l’au- tore chiarissimo non si faccia aperto sostenitore della sentenza confutata. Disgraziatamente molti leggendo nelle opere oltramontane, o vedendo anco alla pruova de’ fatti di qual soccorso sieno a fare il bene certe forme di governo , e di quanto impedimento sieno certe altre, si fermano in quella disperata sentenza di esser condannati dalla fortuna ad una necessaria inerzia. Questa loro conclusione vien talvolta eziandio sostenuta dagli stranieri che volgendo in ragion di superbia quello di che dovrebbero ringra- ziare la sorte, vogliono dare ad intendere che ad essi soli or- mai è riserbato il privilegio di fare il bene. Tuttavia non credo vi possa esser sentenza più calamitosa nè più ingiusta. Concios- siachè qualche via al bene, per industria che gli uomini pon- gano a chiuderla , riman sempre aperta ; e d’ altra parte dobbiamo far sempre quel bene che è in nostro potere, se desideriamo man- tenerci capaci a fare un bene maggiore dove le circostanze il consentissero. III. Rivendicata così per noi la competenza a ragionare di cose politiche utilmente, vengo più di buona voglia a discorrere le teorie dell’opera del Rossi. Il primo libro ricerca i fondamenti del diritto di punire. Prima di enunciare la propria opinione 1’ A. si fa a confutare Bentham, 33 il Romagnosi ( benchè non lo nomivi pur una volta) ed i par- tigiani del patto suciale. Coufuta poi vittoriosamente le opinioni di quelli scrittori di diritto naturale che cercavano trovare i prin- cipii del diritto di punire nello stato ex/ege , che in ipotesi è stato di perfetta eguaglianza. Rigettando i principii sino ad ora posti per base al sistema della giustizia sociale, l’autore si è ridotto a dover riandare il primo fondamento della giustizia , onde poi derivare da quello l’ origine del diritto di punire. Que- sta ricerca vien compita dal medesimo nell’ ultimo capitolo del primo libro. Per non esporci al pericolo di falsare la serie de’ra- gionamenti dell’ autore , riferitemo la somma del capitolo usando delle sue parole. Vi è un ordine morale preesistente a tutte le cose, eterno immu- tabile. Questa proposizione è una verità primitiva scritta nella coscienza del genere umano , e che la riflessione sviluppa. L’ordine morale comprende tutto ciò che è dere in sè. Quando non esistesse altro che Dio, vi sarebbe sempre un ordine morale, nè sa- rebbe men vero che la gratitudine sia un dovere, l’ ingratitudine un vizio. Ma esiste un mondo creato. In questa creazione il mondo mate- riale ha le sue leggi, la materia non è abbandonata all’ impero del caso, e non offre l’ aspetto del caos. Il sistema di queste leggi costituisce 1 ordine fisico. Possibile che del mondo morale s’ abbia a dire diversamente? Nò, gli esseri morali hanno anch’ essi le loro leggi. Dotati d’ intelligenza devono conoscere il vero, dotati di moralità devon conformarsi al bene. Il che vuol dire che son posti sotto l’ ordine morale per quanto lo con- sentono le forze della natura. Gli esseri materiali non posson violare le leggi della natura essendo soggetti alla necessità. Ma gli esseri mo- rali posson violar le leggi perchè sono liberi ..... Ammesse una volta le leggi di ordine, e la responsabilità degli esseri morali, non si può ricusare di ammettere una giustizia. Una giustizia che applica le leggi dell’ ordine morale agli atti ed alle intenzioni degli esseri responsabili, e distribuisce la ricompensa e la pena secondo l’ esatta proporzione del bene e del male operato da questi esseri, dicesi giustizia morale, giustizia assoluta .... Partiamo adunque dal principio dell’ esistenza di un ordine morale obbligatorio per tutti gli esseri liberi ed intelli- genti che se ne son potuta procurare la cognizione .... Ed esaminia- mo da vicino i fatti di questo mondo. Gli esseri liberi ed intelligenti vi esistono di fatto. La legge morale e la giustizia trovano nel mondo degli esseri responsabili, sicchè la prima vi può trovare de’ contrav- ventori , la seconda degli oggetti di giusto gastigo. Ma che cosa è l’uo- mo? Un essere debole che la natura non ha armato, esposto a maggiori pericoli del bruto animale, e che abbandonato alle proprie forze per- sonali rimarrebbe al disotto dei bruti. T. XXXVII. Murzo. 9 34 Un essere intelligente, ma che può tuttavia rimanere in stato di pura vita animale, ed in una ignoranza quasi assoluta della legge morale. Un essere libero, ma che può esser soggiogato dai bisogni fisici e dalle necessità immediate della vita animale per modo che la sua li- bertà rimanga soffogata, e che la sua volontà non abbia altra azione che nel fuggire i più acuti patimenti. ‘ Un essere morale che per le ricordate cagioni può ridursi all’infimo grado di morale responsabilità, ed i suoi sforzi pel perfezionamento posson ridursi a niente. Tuttavia quest’ essere così debole può divenire abile e potente co- me Franklin, sublime come Newton, savio come Socrate. E per qual mezzo ? Per mezzo dell’ associazione coi suoi simili. Però ci convien dire che 1’ uomo è di natura sua socievole. Non è dato negare questa proposizione senza supporre eziandio che degli es- seri morali, e capaci di perfezionamento sieno stati destinati al disor- dine ... La società è stata data all’ uomo come mezzo di soccorso, di cognizione , e di perfezionamento. Lo sviluppo sociale è 1’ adempimento del destino dell’uomo in questo mondo, e nel tempo stesso un mezzo pel suo destino futuro. Però, 1’ esistenza in stato di società non è solo un diritto, ma è eziandio un dovere per 1’ uomo ... Non consolidare e non migliorare il sistema sociale, per quanto è possibile, egli è un mancare alla legge morale dell’ umana natura. Dichè ne resulta che la società per esser legittima deve esser mezzo a tutti di cognizione, e di avanzamento. Ora per arrivare a questo scopo non basta la semplice riunione degli uomini senza legamento, o senza regole. La società civile o vogliam dire lo stato non consiste nel semplice fatto della riunione di più per- sone in un dato spazio; ma è il resultamento di tre principii costitu- tivi, cioè una riunione di uomini che ne forma la base, un ordine che ne determina le leggi, un potere che la protegge. (Qui l’autore spie- gando i primi due elementi espone le diramazioni della scienza del di- ritto, poi viene a parlare dell’ordine sociale). L’ordine nelle cose altro non è che la ragione : /” ordine sociale adunque , è la ragione applicata coattivamente dove ne faccia di bisogno, alla coesistenza ed al libero svi- luppo delle egualità umane. È dato considerare ogni uomo come un cen- tro di attività fisica e morale che si esercita nella sfera sua propria. Ogni uomo fatto e dotato delle stesse facoltà ha in sè il principio dei medesimi diritti e dei medesimi doveri di tutti gli altri uomini, ha al pari degli altri una carriera da percorrere, un fine da raggiungere , ed una personale responsabilità. Però ogni uomo ha il debito di agire per questo scopo, e quindi il diritto di non essere impedito, o se si può d’ esser aiutato. Il primo dovere degli uomini tra loro consiste nel non si nuocere vicendevolmente nella ricerca del vero e del bene, nè in quella del piacevole. L’ obbligo del mutuo soccorso costituisce il secondo dovere. Con queste condizioni l’ avanzamento della specie umana si può otte- 35 nere . .. Queste tre idee, cioè diritto di eguaglianza o di libertà (que- ste due parole a considerarle bene esprimono l’ istessa idea) fra uo- mo ed uomo, giustizia che lo protegge, stato dove si verifica in fat- to, sono tre idee che in ogni tempo ed in ogni luogo sì sono svilup- pate colla ragione, ed han dominato la specie umana sin da quando ha potuto incominciare a conoscere sè stessa. Quindi l’ accordo costante ed unanime degli uomini, esseri intelligenti ma liberi, nelle nozioni fondamentali di società, di governo , di giustizia sociale ed immediata. Dopo di che l’ autore si fa ad esaminare le fonti de’ doveri degli uomini rispetto allo stato sociale, e però de’ diritti della società rispetto alle persone, sì per richiederle del necessario soc- corso, sì per impedirle dal rovesciamento dell’ ordine, sì per mantenerle nell’ osservanza de’ diritti fra loro. A proteggere l’esi- stenza morale della società dagli attacchi che la feriscono imme- diatamente come da quelli che l’ offendono nelle persone parti- colari onde si compone , e che impuniti trarrebbero il rovescia- mento dell’ordine, è necessario l’ adoperare la forza, e retribuire il male per il male in giusta proporzione. Questa trista necessità di punire è giusta a senso dell’autore non tanto come mezzo ne- cessario ad un fine parimente legittimo e necessario , ma ezian- dio per una certa connessione che è fra la colpa e la pena, che fa sì che a sodisfare la giustizia assoluta si richieda che chi mal opera abbia un gastigo. Così l’ autore non deriva la giustizia della pena dalla sola politica necessità, ma dalla legge morale che vuol punita la cattività umana solo perchè cattività all’ og- getto dell’espiazione , non come danno della società all’ oggetto di proteggere la sicurezza sociale. E dove i politici riguardan la pena come una trista necessità del viver sociale, 1 autore la considera come un conseguente necessario della colpa ai termini della giustizia assoluta. La coscienza del genere umano è l’unico argomento al quale l’ A. appoggi questa sentenza che ci riduce a riguardare la pena come un espiazione della colpa. Tuttavia il diritto di infliggere la pena non può competere ad alcun particolare individuo, ma suppone necessariamente una superiorità. Però nel solo stato sociale è dato ritrovar l’esercizio del diritto penale. Ma la società avrà ella dalla giustizia eterna autorità competente ad esercitare in tutto il suo rigore la giusti zia assoluta? Riportiamo la risposta colle parole stesse del- l’ autore. La giustizia umana, dice 1’ autore, è un elemento dell’ ordine so- ciale, la giustizia assoluta unicamente dell’ ordine morale. 30 La giustizia assoluta è fine a sè stessa, mentre la giustizia umana ha un fine esterno e limitato. La giustizia numana in sostanza altro non è che la giustizia assoluta applicata soltanto alle violazioni de’nostri doveri inverso i terzi, in quanto queste violazioni turbano in modo sensibile 1’ ordine sociale. Applican- dosi ai fatti sociali, non deve proporsi uno scopo che può trarla fuori de’ limiti della giustizia assoluta onde deriva ..... Vi è di più. La giustizia umana è rimessa nelle mani di esseri im- perfetti, mentre la giustizia morale è un attributo dell’Essere infinito. Da queste premesse derivano i caratteri che distinguono la giusti- zia penale che esercita la società , dalla giustizia morale. Quindi i limiti della prima. Questi confini sono determinati dal fine ristretto della giustizia so- ciale, e dall’ imperfezione de’ suoi mezzi per conoscere e per agire. Contuttociò , bisogna ripeterlo, le differenze che distinguono la giu- stizia sociale dalla giustizia: assoluta, non tolgono l’ origine comune da una stessa fonte, nè impediscono che abbiano un carattere essenziale comune, Questo carattere consiste nella giusta dispensazione del bene e del male, una dispensazione conforme alla legge morale , una dispensazione che in niun caso retribuisca il bene per il male, o il male per il bene. In altri termini questo carattere consiste nella verità morale almeno intenzionale per parte di quello che esercita la giustizia. Verità relativamente alla natura dell’ atto da punirsi, verità rela- tivamente alla natura di quest’ atto, verità relativamente alla misura del gastigo. Le quali cose costituiscono tre condizioni essenziali della giustizia penale tanto assoluta che sociale. Mancando una di queste tre non vi è più nè giustizia nè diritto, ma fatto e violenza. Poste queste tre condizioni la giustizia assoluta non ha limiti nel vasto campo della morale. Della giustizia sociale non può dirsi lo stesso. Oltre al non potere escire dalla periferia della giustizia assoluta, non lia nè pure il diritto di agire in tutta 1’ estensione di cotesto circolo. La giustizia sociale si ferma dove trova mancanza di bisogno e di mezzi. Essa si trova per così dire rinchiusa da tre circoli concentrici. Il primo è quello della giustizia intrinseca della punizione. La pe- riferia di questo circolo vien descritta dalle tre verità richieste di sopra. Il secondo è quello della conservazione dell’ordine sociale : questo è il fine a cni per natura è rivolta la giustizia umana. Il terzo è quello de’ mezzi propri a raggiunger lo scopo dell’azione penale. Questi due ultimi circoli rappresentano ì limiti particolari della giu- stizia sociale . ... Di qui si deducono tutte le regole alle quali la giustizia penale è tenuta a conformarsi. Lo svolger le conseguenze che derivano da que- sti principii costituisce la scienza del diritto penale. 37 IV. Da quello che sin qui è stato riferito dell’opera del Rossi, han potuto intendere i lettori quali sieno i principii deli’ autore intorno alla giustizia sociale , e come spieghi la genesi del diritto di punire. Noi ci siamo creduti in debito di usare delle parole dell’ autore , onde non apparisca infievolita nè falsata la dedu- zione degli argomenti , cosa troppo facile ad accadere quando si voglion ripetere in altri termini i concetti altrui, massime se come nel caso nostro chi li ripete non ne può andar persuaso. Dovremmo adesso dichiarar pienamente le ragioni del nostro dissenso, ma a farlo come si dovrebbe è da credere che non bastasse un in- tiero volume. Però converrà starsene contenti ad alcune princi- pali osservazioni da render più ficile 1° esame dell’ opera , ed aprire la strada a qualche conclusione non al tutto inutile per quelli che son nuovi nello studio della scienza. Nulla di meno egli è da confessare che l’A., appoggiandosi a proposizioni vene- rate dall’universale, comecchè contraddette da alcuni non volgari ingegni, ha fatta rischiosissima per chiunque la confutazione della sua fondamentale teorica. Ma per questo non dobbiamo passare in silenzio le obiezioni capitali che si offrono alla mente contro un sistema che rovescia quanto sino ad ora si era creduto migliore. Diciamo temperatamente, ma pure manifestiamo la nostra sentenza ; o se no togliendo via le critiche e le lodi ri- mettiamo intero il giudizio dell’ opera ai lettori. Il perchè senza voler prendere di mira direttamente le proposizioni fondamen- tali del Rossi, discorreremo della forza logica degli argomenti onde dovrebbero esser dimostrate. Da questa disamina i lettori rileveranno se siffatte proposizioni potevano assumersi per prin- cipii di uua scienza, o so doveano riporsi fra le ultime delle possibili conseguenze a cui dopo lunghi ragionamenti può gui- dare la ricerca del vero. Questa risoluzione può darsi senza giu- dicare della verità delle proposizioni, e da siffatta risoluzione dipende la valutazione logica del sistema dell’autore. Il che solo riguarda noi, dovendosi lasciare il resto a coloro che si diletta- no della filosufia meramente speculativa. V. La coscienza del genere umano viene assunta dall’ auto- re come assoluto criterio di verità. Difatti le proposizioni prime dalle quali deriva tutta la teorica del diritto di punire sono as- serite dal Russi come assiomi perchè approvate dalla coscienza del genere umano. Senza richiamare alla memoria de’lettori tutte le proposizioni che han questo fondamento , gioverà citarne due sole che son capitali. 38 Pfop. I.* Havvi un ordine morale preesistente a tutte le cose, immutabile ed eterno. Prop. II.° È di giustizia assoluta la retribuzione del male per il male in esatta proporzione. Non ignoro con quanto sforzo alcuni non volgari ingegni si sieno adoperati a dimostrare non esser poi vero che la coscienza del genere umano accetti assolutamente coteste proposizioni. So altresì che, massime quanto alla prima, tante fatiche sono riuscite ad un meschino risultamento. Ma non fa mestieri entrare in que- sta disamina da che l’intendimento nostro non è di mettere in dubbio le riferite proposizioni, massime la prima, ma sibbene di ragionare del principio assunto come criterio di assoluta verità . Così la discussione verte soltanto intorno ai mezzi dialettici, nè prende di mira l’ assoluta verità delle dottrine . La qual cosa benchè detta più volte abbiam voluto nuovamente dichiarare per toglier luogo a maligne interpretazioni. Una proposizione approvata dalla coscienza del genere uma- no, per questo solo perchè la coscienza l’ approva potrà ella ri- guardarsi per assolutamente vera? O in altri termini, possiamo noi logicamente considerare nelle cose astratte la testimonianza della coscienza, come un argomento invincibile al pari dell’evi- denza di fatto ? Se non è dato rispondere per l’affermativa, l’ope- ra del Rossi, come qualunque altro sistema che parta dagli assio- mi di coscienza (si conceda l’ espressione) è logicamente viziosa ne’ suoi fondamenti. E quando anche nelle quistioni particolari l’autore giungesse sempre a coglier nel vero, sarebbe tuttavia necessario rifiutare il principio assunto per criterio , perchè in- troduce una falsa maniera di ragionare , e pone le scienze poli- tiche nella dipendenza de’ sistemi metafisici. Ora l’indipendenza delle scienze sociali dalle questioni indefinibili della metafisica è cosa di tal momento, da meritare ogni sforzo per esser rivendica- ta. A questo mira soltanto il nostro ragionamento ; vedremo poi qual’ uso possa fare la politica de’ dommi metafisici, e quale utile possano ricavare gli studiosi dalla cognizione storica de’ si- stemi. Se i lettori avranno animo di sospendere il loro gindizio sino al termine del nostro ragionamento , confidiamo di compier senza pericolo un assunto che a prima giunta ci pareva rischio- so (1). (1) Nella seconda parte di questo articolo, che per ragioni di convenienza tipografica vien rimessa al prossimo quaderno , vedranno i lettori anche più 39 VI. Il filosofo che intende a rinvenire le guarantigie del credere umano , vorrebbe trovare una pietra di paragone pel cui uso gli fosse dato distinguere le opinioni conformi alla verità delle cose da quei meri concetti della mente, i quali benchè ca- gionati da qualche cosa di veramente esistente , pure nel loro essere non rappresentano alcuna verità. Senza stabilire alle ope- razioni della mente questa certa norma che dicesi criterio di ve- rità tornano vani tutti i nostri discorsi, e se per avventura ci accade talvolta dì raggiungere il vero, il dobbiamo reputar piut- tosto a benignità di fortuna , che ad intrinseco pregio de’ nostri ragionamenti. Il perchè non sono da credere vane sottigliezze di metafisica le rigorose disamine intorno allo stabilimento de’prin- cipii di una scienza, dipendendo al tutto da questa parte perico- losissima di un opera la sicurezza delle particolari conclusioni. Non ignoro che ogni scienza ha suoi propri i principii che devon servire al suo avanzamento. Sicchè dove si convenga nei principii altro non rimane alla critica fuori che l’esaminare se le conseguenze sieno da quelli direttamente derivate. Difatti posti per saldi i principii la sicurezza delle necessarie conseguenze non può esser messa in dubbio. Ma a volere che i principii di una scienza particolare sieno ammessi come cardini inconcussi cui tutta l’opera scientifica si appoggi sicuramente , fa mestieri che una guarentigia di ragione gli approvi, e gli stabilisca. Così cer- cando guarantigie ai principii di una scienza in altri più gene- rali dettati di ragione, si giunge poi ad un ultimo punto in cui fa mestieri sapere che sia la ragione umana , e secondo quali re- gole possa starsene sicura di esser giunta alla cognizione del ve- rv. Concederò volentieri che chi tratta una scienza. in particolare sia esente dall’ obbligo di spingere sino a questo segno le sue ri- cerche , dovendosi egli per lo più accomodare ai risultamenti ottenuti dallo studio de’filosofi, ed erigere l’opera sua sopra basi ormai riconosciute per salde., e generalmente consentite. Ma se per avventura uno scrittore dipartendosi da questo metodo tenta di far ricevere un nuovo principio come assoluto criterio di ve- rità, egli è debito della critica di trattare nuovamente la quistio- ne della logica umana ed entrare nella pericolosa ricerca del- esplicitamente dichiarato come tutto il nostro ragionamento riguardi soltanto ciò che la ragione umana può per sè stessa , nè si estenda in alcun modo al giudizio delle dottrine rivelate. La sicurezza delle quali è indipendente dal ra- gionamento diretto degli uomini, ma sta tutta nella fondamentale persuasione che Iddio abbia parlato. 4o V assoluto criterio di verità. Noi ci troviamo appunto in questa spinosa necessità rispetto all’ opera del Rossi, nella quale non può cader dubbio che la coscienza del genere umano sia assunta come assoluto criterio del vero. Procuriamo pertanto di porre chiaramente i termini della quistione dopo averne dimostrata l’ opportunità. VII.‘ Nella mente di ogni uomo si volge una rappresentanza continua più o meno estesa di cose che l’uomo crede avere un esi- stenza distinta dal proprio essere, comecchè servano spesso a farlo o beato o infelice. Con questa fondamentale persuasione che le idee non sieno già semplici modificazioni dell’ esser nostro, ma ritratti o almeno segni certi e costanti di cose esistenti fuori di noi , ci facciamo a procurarue ]° accrescimento , usiamo de’mezzi coi quali crediamo poter venire in cognizione del mondo esterio- re; per render le idee nostre chiare, precise, distinte facciamo cou- fronti di oggetti con oggetti, di idee con idee, impariamo a eo- noscere somiglianze e differenze , a ragionare delle quantità ; & misurare la successione de’ luoghi e de’ tempi, cominciamo a dettar giudizi ad astrarre le qualità dai subietti, e formiamo delle osservazioni e de’teoremi. Così si van componendo le. scien- ze. Le quali o sono di fatti che cadono sotto i sensi e si posson verificar sempre con metodi materiali d’ esperienza, o si compon- gono di ragionamenti sugli astratti delle qualità delle cose o delle azioni che sola la mente può concepire ma ch» non hanno me- tedo di material verificazione. Le prime sono scienze fisiche , le seconde posson dirsi o mere metafisiche, 0 metafisico morali, se- condo che mirano o al solo perfezionamento della ragione nel- l’uso delle zozioni o alla direzione dell’ uomo considerato come subietto capace di regola nel suo agire. In questa lunga catena dell’ umane credenze il primo anello è la sensazione. Perocchè la sensazione eccita l’ attività del prin- cipio che in noi pensa e ragiona, la sensazione gli fa conoscere l’esistenza del mondo esteriore, la sensazione gli fornisce il mezzo di accertarsi delle condizioni degli esseri in particolare , come quello di giungere per l’ osservazione a formare idee di ge- nere, e di qualità. Per quali misteriose vie 1’ azione delle cose esterne sugli organi destinati alla funzione del sentire, giunga ad imprimere in noi la rappresentanza delle cose che han ca- gionato siffatto movimento nell’ economia animale ; come il prin- cipio di attività interiore reagisca sulle sensuzioni che riceve per l’incontro degli oggetti esterni, come riesca a riportare le mou- dificazioni interiori dell’io agli oggetti esterni che le cugionano, 4i sono cose intorno alle quali si posson bensì formare alcune de- boli congetture, ma che rimarranno perpetuamente celate all’in- saziabile curiosità de’ mortali. Per noi basta sapere che il fonda- mento della certezza si è la testimonianza de’ sensi, e che nel concetto generale degli uomini non può trovarsi dimostrazione più forte dell’ evidenza di fatto. Onde quanto più dal fatto ci al- lontaniamo, tanto minore è la sicurezza delle nostre opinioni. Così considerando le umane credenze unicamente come un fatto psicologico troviamo pure che il primo assoluto criterio, a seconda del quale si fermano nella mente nostra le opinioni in- torno alle cose, è la testimonianza de’ sensi. Vediamo eziandio che tutti i principii astratti de’ quali le particolari diramazio- ni dello scibile umano si valgono per criterio e per guida, sono risultamenti delle operazioni della mente sulle sensazioni , e che riconoscono per prima guarentigia la fede che l’ animo nostro è stato costretto a prestare ai sensi. Osserviamo pure che le ope- razioni della mente ottengon minor fede della sensazione; che le scienze le quali usano delle astrazioni come di semplici strumenti, ma hanno poi il modo di mostrare col fatto la sicurezza delle loro conclusioni, sono tenute per più certe delle scienze meta- fisiche e morali, vanno meno soggette agli errori, e non trovano chi ricusi assenso alle loro dimostrazioni. Queste osservazioni di fitto intorno all’ indole della certezza del credere degli uomini, fanno manifesto che a volere ridurre le scienze morali a quel maggior grado di dimostrazione che fa gli uomini persuasi di cogliere nel vero , è duopo ravvicinarle al possibile alla pruova de fatti; dalla quale se si allontanano di troppo non posson più fornire delle proposizioni certe, ma delle congetture ammesse o rigettate secondo la varietà degli ingegni, gli usi della prima educazione , e la potenza dell’ immaginativa dei diversi individui dell’ umana famiglia. Pare eziandio impossibile che il consenso generale degli uomini possa ritenere una proposizione astratta per più sicura dell’evidenza di fatto, ed assumer quella per suprema guarentigia del credere umano. Adunque ponendo mente alla storia della certezza umana sembrano dover riuscire sempre vani i tentativi onde stabilire un criterio superiore alla testimonianza de’ sensi. Tuttavia, poichè la certezza del credere umano altro non è che una ferma persua- sione che le cose siano come da noi si credono , la quale ha per primo fondamento la persuasione che le cose siano come da noi si sentono pel ministero de’ sensi ; il sottile ragionatore vorrebbe trovare la ragione per cui dobbiamo prestar fede ai sensi che T. XXXVII. Marzo 6 42 sono testimonio il quale non offre guarentigie della propria ve» racità. Così dopo aver conosciuto come si generi la certezza nella mente degli uomini, vorrebbe il ragionatore trovare un princi» pio onde assicurarsi che le più ferme ed indubitate credenze nostre intorno alle cose corrispondano alla realtà. Se fosse da- to rinvenire quest’ ultimo criterto potremmo asserire esser con- cessa agli uomini la cognizione del Vero ogni qualvolta facciano regolato uso delle facoltà onde furon dotati dalla natura. A voler cercare fuori della testimonianza de’sensi quest’ultimo criterio della ragione, e che solo potrebbe dirsi assoluto criterio di verità, si cade infallibi!lmente nel vizio logico della petizione del principio , come ne fanno fede i tanti sistemi fin qui ideati dai filosofi. D’ altra parte per ammettere la testimonianza de?’ sensi come criterio assoluto di verità, bisognerebbe poter dimostrare che la fede che gli accordiamo non è un mero fatto psicologico ma una necessità di ragione. Senza di questo l’evidenza di fatto sarà bensì il primo criterio dell’ umana certezza, ma non una ragione onde credere che le nostre idee corrispondano all’ essere delle cose, o vogliam dire al vero. So che questa dimostrazione è stata tentata ; ma se sia au- cor giunta a sodlisfare a tutte l’ inchieste de’ pirronisti non ose- rei deciderlo. Dico bensì che il Pirronismo di fronte alla evidenza di fatto è piuttosto una finzione dialettica , che un vero stato ideologico della mente di alcun uomo. Però nel comune uso di ragionare il supremo grado della certezza si assume per equivalente al vero, e vere diciamo le proposizioni che han per riprova 1’ evidenza di fatto, siccome diciamo eziandio vere le proposizioni dimostrate con saldi argo- menti. In tutti questi casi a rigore di logica converrebbe piut- tosto usare la parola certezza che si riferisce all’ animo nostro , invece della parola verità che indica assolutamente 1° essere 0 #2 fare delle cose ; ma la presupposizione che le idee corrisponda- no alla realtà, ha fatto ormai ricevere nel comune linguaggio la parola verità per tutto quello che a senso nostro è indubitato intorno all’ essere o al fare delle cose. Da questa disamina risultano due conseguenze. Primo , che nell’ impossibilità di trovare il criterio assoluto del vero, bisogna contentarsi del sommo criterio di certezza che offre l’ evidenza di fatto; secondo, che tanto per correr meno pericoli di allonta- narsi dal vero , quanto per ottenere l’ approvazione sincera e tenace del genere umano , sono da ravvicinare al possibile le scienze al primo criterio onde deriva ogni certezza del credere . 43 Vedremo più sotto come queste conclusioni si applichino util- mente alle discipline politiche. Adesso dobbiamo parlare della coscienza del genere umano assunta come assoluto criterio di verità. VIII. Osservo pertanto che 1’ assumere la coscienza come assoluto criterio del vero, gli è un supporre non solo la verità. delle idee, ma eziandio quella de’ giudizi, non già trovare una guarentigia che ne assicuri, una norma che insegni a distinguere la credenza dalla verità. La cosa è tanto manifesta che non ab- bisogna di esser dichiarata con maggiori parole. Però omettendo di parlare della coscienza come assoluto criterio di verità, ne ragionerò come di fondamento assunto all’ umana certezza. Sotto questo punto di vista la proposizione merita esame. Innanzi tratto conviene avvertire che non si tratta qui di sapere solo, se la te- stimonianza della coscienza sia argomento di certezza, ma se si debba riguardare come i/ criterio di quel sommo grado di cer- tezza a cui l’ uomo può giungere col buon uso delle sue facol- tà , e di cui soltanto l’ uomo ragionevole si contenta. Perocchè se si ha riguardo al solo stato ideologico , tanto è certa nella mente dell’ idiota la più goffa superstizione, quanto nella mente del geometra una proposizione di Euclide. In questo punto di vista, non ha dubbio, quando ci sentiamo certi di una cosa , lo siamo veramente. Ma non ne viene da questo nè che possiamo sperare che altri accettino la nostra sentenza, nè che questa probabil- mente corrisponda al vero. Pel primo oggetto fa mestieri che la certezza nostra risulti da quelli stessi. argomenti onde tutto il genere umano suole appagarsi per credere. Pel secondo oggetto poi fa mestieri che tutti i mezzi che la natura ci fornisce per avvicinarci al vero sieno stati dirittamente adoperati, cosicchè. possiamo dire o questo è vero come lo crediamo , 0 agli uomini è assolutamente negata la cognizione del vero. Assumendo per criterio la coscienza del genere umano, sembra che si debba giun- gere certamente al primo scopo. Resta a vedere adesso se la co- scienza del genere umano abbia le condizioni necessarie per as- sicurare il secondo. A quest’ ultimo punto riducesi ciocchè a noi si aspetta di esaminare. L’ assenso di tutti gli uomini all’ evidenza di fatto ci co- stringe ad ammettere questo principio , come il miglior possibile fondamento dell’ umana certezza. Un eguale assenso del genere umano per una o più proposizioni astratte, non dovrà egli ba- stare a far ricever queste come basi sicure a tutti i ragionamen- ti ? A questo modo non fora egli dato trovare alle scienze meta- 4 fisiche un criterio particolare che non sia già un derivato dal- l'evidenza di fatto e però più lontano dal vero, ma sì bene un primo cardine di certezza, da uguagliarsi al fatto ? Chi prende la coscienza del genere umano per criterio delle scienze metafisico- morali, tiene la risposta affermativa alle proposte quistioni. Esa- miniamo pertanto se i due criteri assunti possano giudicarsi andar del pari. La fede all’ evidenza di fatto se non può dimostrarsi una necessità di ragione, è almeno un effetto inevitabile della na- tura umana. Non può dirsi lo stesso della coscienza, che ammette certe proposizioni astratte, e certe altre ne rigetta. Perocchè l’ esperienza dimostra che non sono proposizioni ricevute dal- l’ universale che il ragionatore non possa giungere a rigettare in buona fede , e far creder false a molte persone. Sicchè quella necessità di assenso, cui la natura ci costringe per l’ evidenza di fatto, non ha luogo per la persuasione comune degli uomini ri- spetto alle astrazioni. Ma vi ha di più. Assumendo per criterio l’evidenza di fatto ci prendiamo un giudice delle operazioni della nostra mente, che sta indipendente dalla medesima , e si mantiene lo stesso sieno pure quali si vogliono le nostre opinioni. Laddove se diamo forza di eriterio alle proposizioni approvate dalla coscienza del ge- nere umano , facciamo che de’ risultamenti di operazioni mentali servano a farci conoscere se la mente nostra dirittamente proce- da nel seguito delle sue operazioni. Ma quando si cerca un cri- terio di verità si vuole un punto fisso cui le operazioni della nostra mente si possano paragonare , onde averne la riprova se in quelle sia caduto errore. A questo bisogno della logica uma - na sodisfa l’ evidenza di fatto , non può sudisfare la testimonian- za della coscienza del genere umano perchè gli assiomi ch’ essa asserisce sono opera della mente nostra, e però dipendono dalla giustezza con che la mente nostra può aver proceduto nel ra- gionare. So bene che ciocchè è effetto rispetto al una remota cagione, divien motore rispetto ad altre conseguenze j ma quan- do si parla del criterio della verità o della certezza è d’ uopo risalire fino alla prima cagione, riconoscer quella, trovarne i pri- mi risultamenti, e quelli tenere per principii al seguito del ragio- nare. Credo che si sia detto assai onde far chiaro che la coscien- za del genere umano non è il primo fondamento del credere sarà facile il dimostrare che non è neppure una guarentigia d secondo ordine. IX. Chi negasse fede all’ evidenza di fatto non avrebbe al- ; i 45 tra ragione fuori che il dubbio che le sensazioni non rappresen- ‘ tino la verità. Ma chi nega fede alla coscienza del genere uma- no, oltre al potersi far forte di tutte le obiezioni dell’ universale scetticismo, può dire altresì essere supposizione temeraria il credere gratuitamente che la generalità degli uomini non vada errata nel- l’ opera del ragionamento. Perocchè 1° assenso alla coscienza del genere umano suppone la logica de’ più, migliore della logica de’ meno. Supposizione siffatta sembra contradetta dall’ espe- rienza . Difatti vediamo tutto giorno le conclusioni delle scienze stare in aperta contraddiz'one col pensare del popolo. Di che pos- son fornirsi molte spiegazioni. Conciossiachè la maggior parte degli uomini non ragiona le proprie opinioni, ma le ammette solo perchè gli vengon proposte a credere autorevolmente. Così potrebbe dirsi che la coscienza del genere umano non esprime proposizioni le quali sieno il risultamento de’ ragionamenti di tutto il genere umano , ma che esprime delle proposizioni che son resultamento della ragione de’pochi, comecchè vengano per mille modi che non sono di ragione insinuate nell’ animo de’ più. Laonde quella probabilità che la sentenza de’ più i quali hanno esaminato una quistione , sia più prossima al vero della sentenza de’ meno, non può applicarsi alla coscienza del genere umano , perchè non ricorrono i termini di fatto di un maggior numero di ragionatori. Posto anche che ogni individuo della spe- cie potesse contarsi nel novero de’ ragionatori , non so se fosse dato ancora di ammettere per sicura la proposizione ricevuta dal consenso del maggior numero. Vediamo infatti che quelli stessi che pure fanno uso della ragione per giungere a stabilire le pro- prie opinioni , spesso omettono di considerare tutti gli elementi dall’ esame de’ quali dovrebber derivare il proprio giudizio. A questo modu il proprietario de’ generi grezzi ragionando, crede utile alla società la libera esportazione , mentre quelli che mantiene una manifattura , sostiene ragionando le leggi che vie- tano l’ estrazione delle materie non lavorate ; l’infima plebe, so- lita a godere de’ vizi de’ ricchi , biasima i decreti con che ven- gono assoggettati al curatore , loda il lusso rovinoso giustamente riprovato dai filosofi ; il nobile usato a veder sostenere la poli- tezza de’ costumi ed i primari uffizi dello stato da un certo nu- mero di famiglie, crede la società in pericolo se queste vengano in povertà, e però desidera le leggi de’ maggiorati e de’ fidecom- missi, mentre l’ uomo di mediocre condizione vuole che sieno al possibile aperte le vie onde salire a grandezza , e vindicare 46 con oneste fatiche l’ ingiurie sofferte dalla fortuna. In generale gli uomini giudicano dell’ interesse comune dal proprio interessò particolare , del pregio delle cose morali da quelle che possie- dono, della importanza e delle relazioni delle scienze dai punti di contatto colle idee che più ordinariamente volgono per la men- te. Il perchè si fermano le proposizioni generali nelle teste de- gli uomini senza l’esame di tutti gli elementi che sì vorrebbero conosciuti prima di stabilire una sentenza. Questa precipitazione de’ giudizi su pochi dati è uno de’ vizi più notevoli della logica comune; ed è perciò una delle ragioni per cui il numero de’fau- tori di una sentenza non ne cresce gran fatto la probabilità. Ve- . dere tutti i lati di una questione , tener conto di tutti gli ele- menti che influire possono nella risoluzione ; far ragione di tutti gli interessi senza permettere che alcuno soperchi nell’ animo nostro la considerazione degli altri, è cosa concessa a pochi, che richiede somma fatica, nè si compie con tanta poca riflessione quanta generalmente se ne adopera nel giudicare. Laonde non è maraviglia se le conclusioni del filosofo si trovano così di spesso in contraddizione colle opinioni volgari. Ma se questi traviamenti della logica volgare sono così facili per le astrazioni relative alla pratica delle scienze sociali, che potrebbero essere smen- tite facilmente dall’esperienza ; che diremo delle astrazioni mag- giori, a formare le quali si richiedono più lunghi ragionamenti , e contro le quali non sono sì manifeste le lezioni dell’esperienza da risvegliare chi si sia addormentato nell’ errore? Quì sì che il numero de’ ragionatori diviene di picciolissimo peso , se non si esamina eziandio con qual procedimento logico siasi operata la loro convinzione. Adunque, fatta ragione di quelli che credono senza dar conto a sè stessi de’ fondamenti di loro credenze , di quelli che ragio- nando male difficilmente posson cogliere nel vero, pare non si possa più riguardare come grande guarentigia di razionale certezza 1’as- senso del maggior numero. Tuttavia non vorrei che si credesse avere io in dispregio l’ opinione dell’ universale ; e reputar da poco la capacità di ragionare di cui son forniti la maggior parte degli nomini. Perocchè ella è anzi mia sentenza che il consen timento generale debba riguardarsi come una presunzione tanto forte da obbligare a maggiore rigore di ragionamento ; siccome credo che dove riesca estendere il numero delle persone avvezze a ragionare prima di credere, e di ridurre le scienze a quel metodo che più sicuro ne guida nella ricerca del vero ; sia spe- rabile il trionfo delle buone dottrine sopra i pregiudizi volgari. 47 Dico soltanto che 1° assenso del maggior numero ad una propo» sizione astratta, per sè stesso non costituisce una guarentigia di razionale certezza , ma una mera presunzione. La forza della quale dipende al tutto dallo stato di civiltà più o meno avan- zato in cui ritrovasi il popolo che ha fermato un opinione ge- nerale. Perocchè se pochi sono quelli che fanno uso di ragione, se le diverse condizioni di uomini sono moralmente divise le une dall’ altre, se certi interessi soltanto sono stati considerati dai pochi che ragionano trascurando tutti gli altri perchè non avean relazione col loro interesse particolare, allora dico esservi tenuissima probabilità a favore dell’ opinione generale ; la quale più probabilmente: sarà un pregiudizio vantaggioso ai pochi. che fanno uso di ragione, docilmente accettato dai più che umilmente accolgono gli altrui ammaestramenti. Per lo contrario, in uno stato di civiltà in cui ognuno conoscendo i propri interessi e quelli degli altri cerca di far valere le proprie ragioni , vi è grande pro- babilità che quelle sentenze, le quali nel conflitto delle opinioni riescono ad ottenere il consentimento generale , sieno conformi a ciò che si può discoprire col miglior uso possibile. della. ra- gione. Consultando la storia sarà facile conoscere come l’umana civiltà sia stata per più lungo tempo nella prima condizione che nella seconda, così che in fatto di scienze sociali e di pubblica amministrazione si son vedute abbracciare dai più quelle stesse sentenze che maggiormente si opponevano al loro interesse. Parrà forse che al presente siamo giunti a quella emancipazione di tutte le sorta di uomini onde sono composte le civili società , che si reputa necessaria ad impedire il traviamento dell’ opinione gene- rale. Ma è tanta l’ influenza che esercitano i secoli passati sul pensare presente , che riesce assai difficile il separare gli effetti della tradizione dai risultamenti del libero esame. Così se l’ opinione generale si vuol considerare come un ri- scontro valido ad indurre una presunzione , per valutarne la forza bisogna conoscer prima molti fatti, e conoscerli scientifi- camente. Abbiamo poi veduto disopra che l’ assenso del maggior numero degli uomini non si può tenere per riscontro positivo di razionale certezza , perchè bisogna sempre aver riguardo al pro- cedimento logico con cui questa convinzione generale si è ope- rata, Sicchè parmi , a più forte ragione , dimostrato che la co- scienza del genere umano non poteva assumersi come guarenti- gia nè di assoluta verità , nè di razionale certezza. Spesse volte mi è accaduto di tradurre la coscienza del ge- nere umano , nell’espressioni opinione generale , giudizio del po= 48 polo, sentenza del maggior numero . Facendo così non credo avere mutato i termini della quistione. Perocchè la coscienza del genere umano altro non è che l’ opinione de’più } non essendo dato trovare proposizione alla quale tutti assolutamente accon- sentano. X. Una più forte obiezione desunta dai principii della mo- derna filosofia trascendente merita di essere a questo luogo espo- sta ed esaminata. Comincierò dall’ obiezione , e fingerò che uno de’ filosofi moderni l’ esponga. XI. « Quanto è stato detto fin quì contro la coscienza del genere umano suppone che il primo elemento delle nostre idee sieno le sensazioni , e che tutte le proposizioni astratte sieno ri- sultamenti delle operazioni dell’ animo sui primi dati forniti dai sensi. Supposizione siffatta non avrebbe trovato gran contraddit- tori nel secolo passato in Francia quando la teoria di Aristotile sull’ origine dell’ idee prevaleva all’ ipotesi di Platone. Ma nel secolo decimonono si hanno idee più sublimi della natura umana, già Loke e Condillac sono caduti d’opinione, e se non si temesse di spaventare con troppa novità si oserebbe eziandio reputar da poco le opere di Bacune. Si vuole ormai una filosofia che dia libero campo all’immaginazione, e soddisfaccia a’bisogni del nostro cuore che è tutto volto alla contemplazione e meno sicuro de’godimenti mondani. Il secolo passato , ai patimenti generosi del quale dob- biamo la libertà di chiacchierare in pace al presente, era ser- suale ed egoista , noi per lo contrario siamo tutti innamorati delle idee grandi , e anteponghiamo a tutto le consolazioni della vita contemplativa. Concederemo che alla riprova de? fatti il no- stro secolo potrebbe sembrare assai più egoista e più poltrone del precedente, ma la sede del vero non è ne’ soli fatti, ma ancora nelle nozioni ingenerate nell’ animo , e che costituiscono un patrimonio suo originario ben diverso da quello acquisito pel ministerio de’sensi. Peccato che il secolo scorso facendo crescere il desiderio di ragionare intorno alla sodisfazione de’bisogui del vi- ver socievole , abbia eziandio guastato il mestiere ai metafisici , e che al dì d’ oggi si vedano accolte dai non giovani con indif- ferenza o dileggiate tante sottilissime quistioni che in altri tempi misero a soqquadro il mondo. Vale appo di loro l’ assioma nisi utile est quod facimus , siulta est gloria, assioma di egoismo , e che forma una delle più notevoli parti del retaggio lasciatoci dal secolo XVIII. « Ma una nuova filosofia contemplativa derivata dalla Scozia e dalla Germania , coltivata in silenzio ai tempi dell’ impero 49 quando 1’ universale ammirava fatti prodigiosi, onorata dalla persecuzione dopo la pace quando si temeva come pericolosa novità , una filosofia trionfante ne’ momenti di ozio civile , am- mirata da una gioventù generosa , seria e modesta, riparerà ai mali prodotti dalla filosofia dell’ utile e dell’ esperienza , rimet- terà in credito quanto si credeva rovinato per sempre , riformerà i metodi delle scienze, e la critica delle discipline del bello , e sodisfarà interamente a quel bisogno di vana contemplazione che noi crediamo essere proprio del secolo nostro. Per ora ci conten- tiamo di fare avanzare i nostri studi modesti, di dire modesta- mente quanto vadano errati tutti quelli che non sono con noi; verrà poi il tempo in cui saremo arbitri non solo deil’opinione , ma eziandio del governo de’ pubblici affari. Il perchè sebbene vediamo eletti ai sommi onori i partigiani del secolo passato , non dobbiamo perdere coraggio , la gioventù è nostra, e niuuo sorge assai potente avversario da chiamarla sotto altri vessilli . Diciamei forti e metteremo in soggezione tutti quelli che non pensassero come noi, cosicchè in ossequio della moda includano nelle loro opere delle proposizioni a cui facendo uso libero della privata ragione non acconsentirebbero. Direte forse che rimet- tendo in credito a questo modo la sottile metafisica, non fare- mo altro che autorizzare delle frasi di convenzione che saranno inserite nelle opere , come le umili sottoscrizioni nelle lettere senza che le creda chi le scrive o ne rimanga ingannato chi le legge. Così si anderà a domandare ad un autore se pensa quello che ha scritto senza creder di fargli torto dubitando della sin- cerità delle sue parole , come domandiamo a taluno se stimi o se ami una persona a cui per cortesia avrà fatte tutte le dimo- strazioni esteriori di stima e di amicizia. Ma che volete; siamo giunti in tempi in cui sarebber ridicoli i Catoni. La piacevo- lezza , lo sciolto conversare , il bisogno di leggere , la noia del riflettere, il desiderio di scrivere e di figurare, sono altrettante ca- gioni che sottraggono le lettere alla censura morale, ed in molti casì le riducono puro trastullo delle forze della mente . Siamo in tempi in cui si vuole esser prima di tutto spiritosi, poi ra- gionatori, se pure il ragionare non annoia o non affatica. Sareb- bero adunque veramente stuechevoli quelli che pretendessero assoggettare gli scrittori ad uu obbligo morale di sincerità in tutte le proposizioni che nelle lavo opere affermano. Il secolo ammette un certo modo piacevole di burlarsi a vicenda, che oggimai bisogna tollerare. Abbiamo altri esempi di sette escite dai frantumi delle scuole, e dalla corruzione della morale civi- T. XXXVII, Marzo Fr 50 le , le quali per trionfare han dovuto ricevere ogni sorta di persone , perdonare all’ ipocrisia, ammettere tutte le dottrine che non erano assolutamente nemiche ; con questo avveduto proce- dimento son riescite a dominare, e soltanto dopo aver ottenuta la dominazione hanno fatta imperiosamente la scelta delle dottrine. L’ esempio de’nostri predecessori si vuol da noi seguire come arte sperimentata onde giungere alla dominazione. Intanto non cerchia- mo di conoscere gli ipocriti, nè di spregiarli, perchè come diceva la Maintenon /es Aypocrites font des crovans. Ad altro modo non potremmo andare avanti, tanta è la forza che tuttora ri- mane alla filosofia del secolo XVIII che vorremmo distrutta. Quando saremo giunti al nostro intento sentirà il mondo gli ef- fetti benefici della nostra filosofia. Facendo fine per ora all’espo- sizione delle nostre speranze, diciamo ciò che la moderna filosofia trascendente fornisce di argomenti a sostencre come criterio la coscienza del genere umano (2). « Converrete ancor voi avere ecceduto per troppa precipita- zione sistematica quei seguaci della filosofia del secolo XVIII , che dissero apertamente penser c'est sentir. Voi dovete pure convenire che nel pensiero vi è qualche cosa più che nella sen- sazione , e che in noi esiste una forza attiva , la quale reagisce sulle sensazioni. Voi ignorate l’ intrinseca natura di questa forza, solo l’ argomentate dagli effetti, e se volete esser buoni logici dovete confessare che le vostre sentenze intorno a questa non posson aver maggior valore delle congetture. Si sono trovati fra voi de’ cattivi logici che accecati dalla passione o vinti dalla considerazione di un solo principio , hanno osato affermare di co- noscere ciocchè ignoravano. Questo gran peccato di logica ha (2) I lettori che tengon dietro all’ andamento presente della letteratura francese , intenderanno facilmente quanto è stato detto in questa esposizione , nè ci accuseranno di scrivere a seconda dell’immaginazione. Quelli poi che per solito non leggono le cose del giorno , volendo verificare i fatti esposti po- trebbero consultare il Globo, la Rivista francese ed il Progressivo. Se questi giornali, d’altra parte stimabilissimi, leggono attentamente, troveranno molte cose in conferma di quello che è stato detto. Ricaveranno pure qualche documento dalla maggior parte de’ libri di moda. Allora poi con un poco di memoria per questi documenti sciolti, con un poco di forza di analisi, con qualche co- gnizione storica, e con un mediocrissimo grado di perspicacia naturale arrive- ranno facilmente a conoscere l’andamento presente delle opinioni. L’ estensore del presente articolo ha ragionato altre volte di questa materia ( Antologia N.° 86 pag. 65 N.° 103 pag. 121 e seg. N.° 107. pag. 1) così che rileggendo ciò che e stato detto ad altre occasioni si potrebbe avere più compito il qua- dro sbozzato al presente. ba fatto perdere i migliori frutti della vostra filosofia. Conciussiachè, se coerenti al metodo che avevate assunto per guida nella ricer- ca del vero, invece di asserire aveste dimostrata la necessità «li un prudente scetticismo , nè le antiche opinioni avrebber potu- to riacquistare fermezza perchè la forza de’ vostri ragionamenti le avea ridotte dalla dignità di tesi affermative al semplice gra- do di congetture , nè nuove ipotesi sarebbero state di leggieri accolte quando voi foste giunti a persuadere all’ universale es- servi de’ confini allo scibile umano, al di là de’ quali è impossi- bile trascendere , siccome è pericoloso il volerlo tentare. Ma es- sendo voi caduti negli eccessi della presunzione filosofica che ri- prendete in noi, vi dovevate aspettare di veder risorgere sotto nuova forma quelle dottrine che credevate avere distrutte. Oggi- mai dovete esservi ricreduti e confessare il vostro fallo. Sicchè se per avventura col corso del tempo verranno meno le nostre dottrine , e si reputerà migliore la vostra filosofia , ci ascriveran- no a merito i posteri di aver fatto toccare con mano le singolari contraddizioni de’ vostri predecessori, e d’ avere a questo modo contribuito a ridurre all’ ultima razionale conseguenza la vostra filosofia. “ Voi pertanto asserite , conviene che il ripeta per riprendere il filo della dimostrazione, che i sensi, somministrano la materia prima (si conceda l’ espressione ) alle idee , e che il principio generatore del pensiero originariamente sprovvisto di idee abbia dalla natura la potestà di rappresentare in sè le testimonianze de’sensi per modi a voi assolutamente ignoti, ed abbia eziandio la capacità di operare su queste prime idee in guisa da crearsi gli strumenti al raziocinio. Così credendo voi che gli elementi del pensiero sieno le sensazioni, e che.il resto sia operazione della mente, dovevate per logica necessità riportare all’evidenza di fatto, ogni fondamento di ragionevole certezza. Ma avvertite bene che questa vostra supposizione che vi fa seguaci dell’ afo- rismo aristotelico altro non è che un’ ipotesi. Perocchè non co- noscendo voi direttamente l’intrinseca natura del principio pen- sante; ma argomentandola solo dagli effetti a voi conosciuti, non potete confidarvi d’ aver raggiunto assolutamente il vero, siccome non avete argomenti onde escludere in modo assoluto un’ipotesi diversa dalla vostra. Ora a noi piace il credere che l’anima, oltre alle attitudini naturali da voi confessate, abbia un patrimonio originario di nozioni, alle quali paragona le testimonianze de’sensi, e delle quali usa per conoscere ciocchè, tenue no. per unico prin- cipio di scienza le sensazioni, non potrebbe mai arrivare a di- 5a scoprire. Così l’ anima riconosce due fonti originarie di sapere, le sensazioni , e le nozioni , nè gli basta di consultare l’evidenza dle’ fatti per conoscere il vero, ma duopo è eziandio che consulti sè stessa. Queste idee archetipe che sono originariamente în noi le potremmo chiamare verità primitive scritte nel fondo dell’ani- mo ; e come diamo nome di sensazione al conoscer le cose del mondo esteriore , così diamo nome di coscienza a quella cogni- zione che ha l’ anima dell’ accennate verità primitive consultando sè stessa. Però a voler rifiutare la coscienza del genere nmano, bisognerebbe o poter negare l’esistenza di queste prime nozioni, o mettere in dubbio ch’ esse corrispondano al vero. Questa parte manca al tutto alla vostra confutazione , sicchè per noi che siamo separati da Aristotele il discorso vostro manca ne’ fondamenti, comunque possa esser buono per coloro che non osano ancora ripudiare l’eredità scientifica dello Stagirita. Senza cercare adesso le ragioni intrinseche che ci fanno considerare per più probabile la nostra opinione , diremo che l’ abbiamo adottata perchè meglio sodisfa al cuore nostro ed alla nostra immaginazione, e che ar- gomentando da noi del resto degli uomini, speriamo per gli stessi motivi un triunfo pienissimo nel concetto dell’universale. Abbiamo detto di sopra quali sieno le arti nostre, e gli errori vostri che guarentiscono le nostre speranze. Continuiamo partanto ad esporre il procedimento della nostra filosofia. Di quì rileverete che sino adesso avete mostrato soltanto non potere stare il Rossi con voi perchè è de’nostri, ma non che noi nè i nostri non possiamo stare colla ragione. Pure senza giungere a questo il vostro ra- gionamento non vale contro di noi, comecchè basti a tenere in guardia i vostri dalla seduzione e dagli equivoci. “« Adunque ammessa in tesi l’ esistenza di un patrimonio di nozioni tutte proprie dell’ anima, non sarebbe ancora fatto niente se non si costituisse eziandio un metodo per ritrovare queste r0- zioni primitive. Perocchè un superficiale osservatore che volga la mente a considerare il complesso delle opinioni degli uomini, lungi dal ritrovare niente di semplice e di primitivo, vede sempre un composto dipendente dalle relazioni nelle quali 1’ uomo si è trovato nel mundo esteriore. Un più diligente osservatore riesce a ridurre ad uno stesso principio due opinioni differenti, trova l'unità del principio nella mente nostra, e scorge la ragione delle differenze nel diverso stato delle cose a cui lo stesso principio si è voluto applicare. Con questi procedimenti il vostro Elvezio ha creduto poter ridurre ad un principio unico tutti i movimenti della volontà: Voi sapete che non siamo partigiani dell’ opinione 53 di Elvezio, ma vi citiamo questo esempio onde far meglio in- tendere come l’analisi possa ridurre a pochissimi principii il com- plesso delle opinioni degli nomini, e dimostrare che le diversità, o le contradizioni sono conseguenze dell’ applicazione del prin- cipio alle diverse relazioni delle cose del mondo esteriore. Molti sono stati i tentativi fatti sinora per giungere a questo, e quanto crediamo che tutti sieno tornati vani o per insufficienza di mezzi a conoscere i fatti umani ch’ eran necessari a sapersi, o per so- verchia precipitazione nel fermare le prime sentenze ; altrettanto reputiamo che questi primi saggi possano riescir d’ utile a noi, onde perfezionare quello strumento potentissimo di analisi di cui abbiamo bisogno. Noi adunque intendiamo coll’ analisi aiutata dalla filologia e dall’ istoria ritrovare Ze prime unità del. sapere umano , non meno che le ragioni delle diverse forme che queste unità hanno assunto nelle menti degli uomini. Questo nostro pro- cedimento applicato alle tante e in apparenza contradditorie opi- nioni di tutti i tempi del genere umano , ci insegnerà a rinve- nire l’ unità nel patrimonio interiore ed originario dell’ anima, il molteplice nelle applicazioni delle unità alle relazioni dell’uomo col mondo esteriore. Così per dirla in altri termini troveremo che ciocchè pare molteplice in fin dell’analisi altro non è che il moltiforme dell’ uno. Ora diciamo che l’uno è del patrimonio in- terno, le forme diverse che assume sono dipendenze del com- mercio dell’ anime colle cose di fuori. Eccovi detto quanto meglio si poteva chiaramente la somma della nostra filosofia. “ Voi non potete nè pure comprendere col pensiero, quanto ‘apparato di erudizione , quanta freddezza di ragione , quanta po tenza di immaginativa , e qual magistero di stile, sieno necessari a condurre a fine un’opera sì grande, che onorerà il secol nostro e sarà di guida alla ragione ne’secoli avvenire. Abbiamo in Francia un uomo che possiede in eminénte grado tutte queste doti (3); voi stessi nol negate. A Imi si affidano tutte le nostre speranze, e benchè sino addesso non abbia fatte che ‘opere preparatorie , e spesso sia fluttuante nelle sue opinioni , crediamo che non la- scierà passare i suoi anni migliori senza dar mano alla nuova scienza delle scienze, ch'egli solo può edificare. Invece di opporvi a noi che ormai abbiam sicura la vittoria , indicate questa nuova via alla studiosa gioventù italiana, se non volete che i viaggia- tori scrivano di voi che siete sempre fermi a Loke e Condillac, come nel secolo passato eravate scuolari del Farnocchia, dell’Ei- (3) Gousin. 04 neccio , e del P. Mako, non curandovi di quanto di nuovo sa- peva trovare la ragione. <“ Ai più la novità piace; a molti lo star fermi al vecchio pare vergogna. Sapete eziandio che in queste materie pochi ragionano, e di due ipotesi possibili la più brillante ha maggior probabilità di vittoria della più ragionevole. Così quando pure noi avessimo torto, saremmo sempre preferiti agli scheletri condillacchiani che voi approvate. Però è di vostro interesse il favorire la libera introduzione delle nostre opinioni, se non volete che venendo costà di contrabbando facciano maggiore quel guasto che temete di più, senza operare quel bene che anco a sentenza vostra la filosofia moderna può generare mettendo maggiormente in vista la storia delle opinioni. « Ma sia fine a questo discorso, dappoichè abbastanza sì è spiegato cosa si intenda per verità primitive scritte nella coscien- za del genere umano ,;. XII. Perdoneranno i lettori se con modo disusato ho esposto un’ obiezione, ma mi è paruto necessario di metterla in forma di discorso famigliare per servir meglio alla brevità ed alla chia- rezza. Ora non ho nè spazio, nè modo di ordinare una confutazione rigorosa della filosofia che sono andato sponendo. Confesso anzi di non sentirmi da tanto, e crederei perfino che niuno potesse giungere a dimostrare che sia un’ipotesi impossibile. Mi dolgo solo che un’ipotesi si voglia mutare in tesi affermativa, il che mi pare contro ragione, e che queste tesi così mal sicure si vogliano prender per principii a tutti i ragionamenti. Mi spiace che ad una scienza di mere congetture ( si perdoni l’espressione ) si dia un’im- portanza massima, che può riuscire in pregiudizio di tante parti positive di scibile umano , massime nei paesi dove 1’ ordinamento politico non dà occasione ai cittadini di posporre le speculazioni metafisiche agli studi veramente civili. Mi dolgo eziandio degli equivoci che han presi molti segaaci, e delle associazioni di rilassatezza morale, d’ indifferenza pel vero , e d’ amore dell’in- definito che han fatto i minori discepoli ai principii astratti di una filosofia, che tenuti ne’ confini di loro competenza posson esser forse veri, certamente innocui. E se l’ esperienza non avesse insegnato esser quasi inevitabile siffatta corruzione nelle mani de’ discepoli ; se la ragione non indicasse come ciò debba acca- dere (4) non moverei parole di lamento contro la moderna filo- sofia, nata dal bisogno di ripudiare alcuni errori del secolo pas- (4) Antologia N.° 86 pag. 74. 55 sato da noi pure ingenuamente riconosciuti (5), e che forse la- scierà in retaggio ai posteri un arte più raffinata di osservare i fatti psicologici nella storia del genere umano. Dopo questa protesta farò poche osservazioni onde sostenere 1’ iriconvenienza di assumere la coscienza del genere umano come criterio di ve- rità nelle scienze sociali. XIII. Sia o nò conforme alla verità l’ ipotesi de’ moderni pla- tonici intorno alle rozioni primitive scritte nella coscienza del genere umano, sarà sempre certo che per trovarle abbisogna il ragionamento lunghissimo di uomini di lunga mano avvezzi alle più difficili operazioni della mente , e posseditori di un vastis- simo sapere. Sicchè intanto queste verità primitive per esser di- scoperte presuppongono già molta scienza. Laonde mi pare che chi le volesse prendere per criterio alla ricerca del vero , vor- rebbe in sostanza che l’ ultime conseguenze fossero mezzo sicuro a trovare i principii dai quali derivano. Facciamo ragione adesso delle probabilità favorevoli o svan- taggiose che aver possono queste verità primitive quando siamo giunti a conoscerle col metodo de’ nostri filosofi. Per essere me- glio inteso premetterò col celebre Laplace che la probabilità è la ragione de’ casi favorevoli ai casi possibili. ,, Nella quistione presente ecco come va la serie de’ casi possibili. Possono esistere , e possono non esistere le nozioni primitive supposte ; possono esistere ed essere vane larve , siccome possono essere assolute verità; finalmente ammettendo e l’ esistenza e la verità di coteste nozioni, può darsi che il filosofo si inganni cre- dendo di aver trovato ciocchè di fatti non è riuscito a trovare , siecome è possibile che riesca felicemente nella sua ricerca. Noi abbiamo indicato sin quì non già sei casi possibili, dei quali tre favorevoli , e tre contrari, ma sibbene tre serie di casi, ognuna delle quali ha le sue subalterne divisioni di casi favorevoli e di casi svantaggiosi. Pure ogni caso possibile di errore diminuisce di un grado la probabilità. La sola ultima serie, dove si volesse esaminare minutamente, potrebbe offrire parecchie migliaia di casi possibili di errore. Difatti si comporrebbero di tutti i calcoli di probabilità che posson farsi su ciascun principio , o su ciascun fatto cui si appoggi il ragionatore ; non meno che sopra alla giu- stezza di ciascuna operazione della sua mente. Così quanto più fossero lontani dai primi principj i teoremi de’quali fa uso, quanto minore la fede storica de’ fatti ai quali si appoggia , quanto più (5) Antologia N.° 86 pag.68 e segg. 56 lunga la catena del ragionamento , di tanto crescerebbero le pro- babilità di errore. Fatte tutte queste ragioni rimane così meschina la probabilità per i casi detti assiomi di coscienza, che non so come si possa pensare a costituirli per saldi principii al ragiona- mento. Chi ci assicura che invece di aver noi raggiunti i princi- pii del vero, non abbiam trovato più tosto gli strumenti che ser- virono a produrre gli errori più calamitosi pel genere umano? Un ultima osservazione mi pare concludente all’uopo nostro. Postochè sussistesse di fatto una scienza di nozioni primitive , e di verità assolute, essa ridurrebbesi ad una sodisfazione con- cessa alla nostra naturale curiosità , ma non potrebbe assumersi come primo criterio nella direzione della nostra mente per sta- bilire quelle dottrine che mirano alla sodisfazione de’ nostri bi- sogni. Nella dipendenza in cui noi siamo dalle cose del mondo esteriore , la cognizione delle relazioni di queste cose fra loro e con noi, costituisce quel patrimonio di sapere che è utile al governo della nostra vita. Ma ognuno intende doversi meglio co- noscere queste relazioni col metodo che ravvicina il ragionamen= to al fatto, anzichè con quello che ne allontana. Così ammesso anche che oltre alle scienze utili che sono di relazioni, vi possa essere una somma scienza di assoluti, sarà sempre vero che ai bisogni della vita serviranno le prime, e che la seconda sarà oggetto di mera speculazione. Avremo adunque ristabilito l’antica distinzione delle scuole fra la pratica e la mera speculativa. Ora supponendo che nel mondo sia una suprema economia , i risul- tamenti ottenuti pel metodo della filosofia pratica devon coinci- dere con ciò che si potrebbe discoprire applicando i principii della speculativa ; rigettando poi la supposizione manca ogni si- curezza di verità , e quanto alla ragione de’ probabili è maggio- re per la pratica che per la speculativa. Ad ogni modo, se il metodo della filosofia pratica non offre quella indubitabile sicu- rezza di mostrare il vero che sarebbe desiderata, dà almeno quella maggior sicurezza che gli uomini possano avere. ll proce- dimento della filosofia meramente speculativa non dà nè la sicu- rezza della prima specie , nè un grado di sicurezza equiparabile a quello che si ottiene coi metodi dell’ altra filosofia. Ridotta a quest’ ultimo punto la quistione, parmi giustificata la nostra re- nitenza ad accettare le sublimi astrazioni come ottimo fondamento di razionale certezza. Ma vi è di più. Siccome l’ efficacia civile delle buone dot- trine dipende assaissimo dal numero delle persone che ragionan- do vi acconsentono , mi pare che chi le va assoggettando ai 97 principii di una filosofia trascendente dal canto suo si adoperi a toglier loro ogni potenza civile , e ridurle opinioni accademiche. Perocchè tale è 1’ indole dell’ umana natura, che dove ci allon- taniamo troppo dal fatto, invece di giungere a raccogliere 1’ ap- provazione forte tenace e ragionata di molti , si genera servilità ne’ discepoli , ed isolamento ne’ maestri. Sicchè da ogni lato che si consideri la questione, mi pare sempre pericoloso. l’assoggetta- mento delle scienze sociali alle remote speculazioni della meta- fisica. Tuttavia a questo tendono le nuove scuole de? filosofi , conoscenti forse che se non persuadono aver le loro ipotesi un importanza civile , non troveranno ai dì nostri chi voglia abba- dare lungamente a vane speculazioni. Di che ho voluto, per quanto il consentivano le mie deboli forze, farne avvisati i let- tori che non vi avessero ancora posto mente. Adesso mi farò a dimostrare come le discipline politiche possano avanzare sicura- mente prescindendo dalle altissime ipotesi della metafisica. XIV. Il consorzio degli nomini in civile società è un fatto preesistente alle scienze sociali. Un amore di vana speculazione può far vagheggiare le ipotesi di isolamento, ma oggimai è per- suaso a tutti che la riunione degli uomini in stato di società è una condizione di fatto necessaria a procurare la maggior somma possibile di bene che sia dato al genere umano di conseguire. D’ altra parte si vede per l’esperienza che non ogni stato di so- cietà serve egualmente a sodisfare i bisogni ed i desideri degli uomini. Da questo primo risultamento di qualunque superficiale osservazione, nasce il desiderio di conoscere quali sieno le con- dizioni da adempirsi perchè lo stato sociale serva a sodisfare, quanto la natura il concede, al voto di felicità che è nel core di tutti. Il che tradotto in altri termini vuol dire trovare il modo di guidare il genere umano a quel massimo grado di perfe- zionamento , di cui valendosi di tutte le forze concesse dalla na- tura sembra capace. Costituito questo fine alle scienze sociali, per arrivarvi d’ uopo è che si raggirino nella cognizione de’ bi- sogni degli uomini e de’ mezzi di sodisfarli. Il perchè lo studio de’ fatti umani fornisce tutti i materiali alla scienza, siccome le prime classificazioni de’ primarii bisogni sono la ragione suf- ficiente delle diramazioni delle scienze, che tendon poi tutte ad un ultimo fine. Se con questo procedimento sì giunge a trovare le cagioni del bene e del male sociale, se si arriva a stabi- lire una giusta economia nell’ aso de° mezzi atti a procurare il primo ed allontanare il secondo, possiamo affermare di aver fatta opera utile e sicura nell’ordinare e nel coltivare le scienze. T. XXXVII. Marzo 8 58 Perocchè abbiamo sodisfatto a quel bisogno che fa necessario agli uomini il sapere. Discoprendo a questo modo la suprema economia del perfezionamento sociale, noi abbiamo trovato ezian- dio i primi canoni di giustizia. Nè gli atei o i materialisti, nè i religiosi o gli spiritualisti , possono ragionevolmente opporsi a questa conclusione. Degli atei e dei materialisti è ‘manifesto che non possono senza contraddizione concepire regole di giustizia su- xperiori a quelle che abbiamo spiegato, che in sostanza dimostrano con quali condizioni si ottenga il maggior possibile perfeziona mento del viver sociale. I religiosi poi caderebbero in assurdo manifesto dove suppo- nessero che i risultamenti necessari delle relazioni delle cose potessero essere in contraddizione colle regole della giustizia eter- na. Perocchè la religione aggiunge una sanzione suprema alla giu- stizia umana, ma non vale a contraddire i risultamenti necessari della ragione. Così anche i religiosi devon riguardare le scienze sociali come la cognizione de’ mezzi onde procurare il sociale perfezionamento secondo che è stato definito di sopra. Vero è che la religione mira non solo al perfezionamento dello stato sociale , ma eziandio al perfezionamento interiore degli indivi- dui. Tuttavia poichè anche 1° uomo religioso non può negare che lo stato sociale sia mezzo necessario a conseguire il perfe zionamento degli individui, ne viene la conseguenza che non si possono stabilire regole al perfezionamento interiore che sieno in sovversione delle scoperte regole necessarie all’ottimo vivere civi- le. D’ altra parte gli atei ed. i materialisti non posson concepire ragionevolmente ottimo stato civile senza perfezionamento parti- colare degli individui. Così per ogni lato che si riguardi la que- stione, sarà sempie regola di giustizia per l’uomo ragionevole quella che serve a procurare e mautenere il perfezionamento dell’ uomo in stato di società. î Gli atei ed i materialisti riguardano queste regole di giusti- zia come necessità di fatto. I religiosi vi aggiungono l’ altissimo concetto di assoluto diritto, e di assoluto dovere guarentito da una giustizia invisibile, che nella suna immensa bontà vuole il bene ed il perfezionamento degli uomini. Ma in sostanza le re- gole per l’oggetto pratico della scienza sono sempre le. istesse. Così volendo, è dato prescindere nelle scienze sociali dalle qui stioni che tengono i materialisti e gli spiritualisti divisi. Se la cosa non si è fatta ne dobbiamo in parte accagionare i materia- listi, che han preteso di trascurare tanti fatti umani che dovea- no valutare , o che hanno inteso combattere le credenze in una 59 giustizia assoluta alle quali si appoggiano gli spiritualisti. Que- sto erroneo procedimento ha fatto sì che siffatte quistioni pren- dessero nel concetto universale un importanza maggiore, e dove le possono esser divise dalla considerazione delle cose di questo mondo , si assumessero come principii ad ogni specie di scienza» XV. Rivendicando l’indipendenza delle scienze sociali , non negherò poi giovare assaissimo alla società tutte le forme me- tafisiche per le quali le necessità del viver sociale si rappresen- tano nelle menti degli uomini come regole di assoluta giustizia , da osservarsi indipendentemente da ogni considerazione di inte- resse. Credo anzi che questa persuasione, qualunque sia la for- ma che rivesta , sia necessaria alla società come sanzione interiore delle leggi. Il politico lingi dal disprezzarla deve conoscerla , e de- ve sapere se nella particolare condizione della società che pren- de a regolare favorisca o contraddica al voto delle leggi. Credo eziandio che senza l’ approvazione della coscienza, riescano di poco effetto le definizioni delle leggi. Ma quanto credo neces- sario valutare come fatti umani che posson essere o ostacolo o aiuto alla legge queste sanzioni interiori, altrettanto crederei che si andasse errati dal vero, dove si assumessero per unici principii a servire di guida e di lume alla scienza. Ritorniamo adesso a ragionare dell’ opera del Rossi. ( Sarà continuato. ) Francesco Fortt. Viaggio per la Tauride nel 1820. Opera di Muramizrr- Apo- sror. Pietroburgo e Berlino. Chiunque mediti sugli uomini magni quà e là apparsi sulla scena del Globo a stupefar Ja terra, non può non iscorgere in Colombo Pietro il Grande e Napoleone i fortissimi d’ animo mente e volontà nell’ era moderna. Di Napoleone è dovere il tacersi, dicendo il suo solo nome assai più di quel che dir potrebbe ogui voce o penna comunque prestantissima. Colombo peregrinò mezza sua vita, non avendo mai pace finchè non ebbe una nave a ci- mentar l’ Oceano, e duplicare il mondo. Pietro in ultimo, non mai requiando finchè non iniziasse il suo popolo alla civile so- cietà d’Europa , e procedendo in cotanta opera con quella vigo- ria de’ gagliardi, che pare ed è violenza alla snervatezza dei molli, fu perfino il Bruto primo della civiltà. Emulo dell’ ita- lico, che aveva ingigantito l’ europea signoria co’ conquisti tran- 09 satlantici, il Moscovita 1’ accrescea conquistando le nazioni che strappava alla barbarie asiatica. Ci è noto che i più, nonchè non così pensare, veggono anzi la calamità d’ Europa nella grande azione di Pietro. A noi manca la sagacità a saper temere secoloro. Imperocchè quell’im- perio, che già /aborat magnitudine sua, deve un dì o l’altro per legge di inerzia rinnovare .il fenomeno visto nel romano verso il finire del 3.° secolo. Ove ciò non ayvenga opiniamo, che i 200 miglioni d’Europei occidentali ed antichi son da tan- to, se il vogliono , ad infrenare i 50 milioni d’Europei moderni ed orientali. La chimera inoltre dell’ imperio universale , tornata ognora in danno di chi tentolla , deve omai spaventare assai più i monarchi ambiziosi che i popoli. Ma soprattutto ne riconforta il pensiero che nell’ orizzonte politico , come nell’ atmosferico , deg- gion temersi procelle e uragani dal lato in cui si veggono alzar nembi atri torbidi orrisoni, e non già da quello ove il cielo sem- pre più si rasserena illumina e inradia. Il gran cataclismo bar- barico traboccò infatti non da regioni incivilite, bensì da quelle nelle quali le genti bruteggiavano nel vivere incondito ed inso- cievole fra gli orrori delle tenebre. Checchè però sia del futuro, arcanamente recondito nel- l’ imperscrutabile abisso del consiglio di Dio, ei fora vile invi- dia il non gioire all’ aspetto del bene finor prodotto dall’ opera di Pietro: del progresso cicè che la ragione e l’ingegno van fa- cendo in milioni di teste. E già le muse slave prendono seggio fralle sorelle europee, mentrechè con le loro grazie ed utilità miglioran la vita nel clima asprissimo un dì favoleggiato come albergo procelloso del devastatore Orione. Esse già pregiansi di un Karamsin nell’istoria, di un Kriloff nelle favole morali, di un Batuscikoff nella poesia erotica , di un Ozeroff e Kuegnive nella tragica, di un Scisciavskoi nella comica ec. ec. nel tempo istesso che le accademie ed altri instituti d’ erudimento coltivano con non minor successo le scienze severe. Fra cultori di queste esordenti muse iporberee non va ta- ciuto il senatore Murawieff-Apostol. Il quale dotto nelle dotte lingue, antiche e moderne; comunque educato fin dalla sua adolescenza nel discepolato alle ambascerie, volse in russo le nuvole di Aristofane. Questa predilezione per la più salsa fralle commedie del più comico fra comici, basterebbe essa sola a di- chiarar l’ indole d’ ingegno del traduttore ; quella cioè d’ un hom- me d’ esprit, come dicono i Francesi. E en homme d’ esprit trattò anche il subietto dell’opera in discorso , ossia del viaggio per la GI Tauride; molto bene apponendosi ad inleggiadrire con sali e frizzi ingegnosi le gravità o aridità archeologiche, che gli si pre- ‘ sentavano in tanta copia là viaggiando. I libri intitolati viaggi, e specialmente quelli in provincie europee , sono ormai divenuti sì triviali e comuni, che non più destano il menomo sapore col non più aver atomo di nuovo da dire. E chi può saperlo meglio di noi italiani , a° quali gli oltra- montani ne regalano un libello all’ anno, noiosissimamente ognor ripetendo il già mille volte detto ? In siffatta stucchevolezza di tali libri, non avremmo parlato di quello in ‘quistione, se il suo argomento non ci fosse parso peregrino , e perciò idoneo a stuz- zicar la curiosità ne’ nostri gentili lettori. La Tauride infatti, abbenchè provincia europea da mezzo seculo, si mostra nondi- meno a noi ancora a traverso delle lenti mirifiche della mito- logia e dell’ età primitiva. V’è oltraciò che essa ci rimembra cose e gesta italiche del medio evo con la memoria delle colo- nie genovesi e venete. Indi, grati all’ autore che ce le ramme- mora , stimiamo che 1’ Antologia non debba fare nè a lui nè a sè stessa il torto di non parlare del suo libro. Esso adunque è scritto in forma di lettere ad un amico; modo che nelle familiarità e piacevolezze dello stile epistola- re molto acconciamente porge il destro al genio dello scrit- tore pel lepore e pe’ motti spiritosi. Il che si scorge fin dalle prime pagine, quando la Odessa (che ei dimostra con i Peripli di Ariano e dell’ Anonimo in mano, non essere sul luogo ove era l’ antica Odyssos ) passa al villaggio Porutino , presso al quale discopre il sito d’ Olbiopoli. Quivi finge di sognare imbat- tendosi in Dion Crisostomo ; e mettendo in dialogo tutto ciò che questo autore dice d’Olbia nelle sue orazioni boristeniche, scherza e motteggia il pavoneggiarsi di un tal Retore Sofista in tutto ciò che egli stesso lasciò scritto circa la sua facondia. Presso Po- rutino, come dicemmo , e precisamente nella contrada detta delle cento tombe , scopre le interrate reliquie olbiopolitane, la sua grande piazza semiellittica, il quadrato basamento del tempio di Giove nel mezzo di questa curva, le due simetriche scale dal tempio alla piazza, e tutte le altre rarità memorate dal sud- detto Dione e da Erodoto. Però la scoverta maggiore è che Olbia ‘era non già sulla riva del Boristene , oggi Dniester ove molti I° andavano inutilmente investigando , bensì-in quella dell’Ipani- de ., oggi Bug, dimostrandola col gran lastricato tuttavia esistente, benchè subaqueo al pelo di quest’ ultimo fiume ; particolarità che memorata dagli autori antichi accerta d’ esser ivi stato il 62 porto. e lo scarieatoio d’ Olbiopoli. Questa lettera che è la secon- da, è scritta con erudizione non minore dell’arte critica; e sì la critica come 1’ erudizione son condite con grazia a farle gu= stare anche da’ più schivi di siffatti studi. Da Olbia, andando sempre alla volta della Crimea , giunge il viaggiatore in Cherson , ove non lasciò inonorate le neglette ceneri dal generoso filantropo Howard là morto vittima del suo amore all’ umanità nella terribile epidemia del 1790. Chiese inoltre ove fosse il sepolcro di Potemkin , braccio de’ grandi di- segni di Caterina II.* in que’conquisti , e non vi fu chi sapesse indicarglielo. Quì dunque ; esclama egli, il Dniester fa l’ ufficio del Lete, tostochè i nomi famosissimi e del benefico amico degli uomini e dell’orgoglioso conquistatore precipitarono amendue nel baratro dell’ oblio! Indi a placar quell’ ombre propone due Mau- solei ; uno con orologio a sole e con l’ iscrizione: Procul estote servi allusivamente all’ ultima volontà di Howard di non essere tumulato fra cadaveri di schiavi, e 1’ altro a Potemkin con la seguente lapide allusiva al conquisto della Tauride Ignoti cineris Potemkini Viator Si monumenti quaeris , Circumspice! Eccoci ora alle porte della Tauride in Perekop. Perekop è il Tafros memorato da’Geografi antichi; e dice in russo ciò che Tafros diceva in greco ; il fosso civè. Passiamo l’ argine sull’istmo che congiunge la penisola taurica alla terra ferma. L’istmo ha anche oggi la larghezza di 4o stadi come l’avea a’tempi di Strabone. Laonde si incoraggisce il viaggiatore e gode d’aver preso questo autore a guida archeologica del suo viaggio. Strabone , dice egli, sa guadagnarsi tutta la nostra fiducia con la precisione delle sue notizie fin dalla soglia della Tauride. La Tauride è piana nella sua parte settentrionale, e montuosa nella meridionale. Il sig. Murawieff, non altro vedendo nella prima se non lande (steppe) e camelli , digredisce all’occasione di questo animale, detto dagli Arabi il vascello del deserto, in molte ri- flessioni sovra tutto ciò che la povera Europa ebbe dalla ricchissima Asia. Così andando vede man mano in lontananza il Ciatur Dag, ossia il monte della tenda, come un’azzurra nuvola nell’ aureo incarnato dell’ orizzonte. Sospetta egli, e poi verifica , che que- sto è il Trapezus di Strabone. Giunto infine fra monti opina che siffatta montuosità diè forse alla penisola il nome di Tauride, atte- sochè nelle lingue madri dell’occidente d’Asia la voce Taer suona 63 un significato eguale a quello d’A/pe nelle fuveile europee. Ognuno sà inoltre che 7auro è detta la grande catena di montagne , la quale fende l’Asia occidentale. Capitale della odierna Tauride è Sinferopoli; nome in cui i Russi cangiarono l’antico di Achmecet, che avea la cit- tà quando era residenza del Kalga sultano. Però acceleriamo il cammino a Sebastopoli, primario porto della russa nautica militare e mercantile nel Mar Nero. Il viaggiatore vi arriva- va in barca da Ucciù-Kujù a sera già bruna. Lasciamo che ei stesso ne descriva la scena. Tacita tepida e oscura era la notte, allorchè incominciando i rematori a vogare si accendeva ad ogni remata un vago e vivo lume fosforico intorno al bat- tello ; e lume che rimanendo acceso, fendeva la tenebria nottur- na in guisa di zona per tutta l'ampiezza del golfo ec. ec. Il quale fenomeno gli è ottima congiuntura a parlare di que’ ver- mi marini, sì fosforici e abbondanti in quelle acque; denominati da Linneo Teredo naralis, e calamitas navium. E infatti son essi più che calamità e trapano, mon essendovi nave che non ne sia tutta traforata e rosa in men di tre anni, se non è foderata di rame. Il nostro autore inclina al parere di coloro i quali opinano che questi insetti non sieno già indigeni dell’Eu- sino, ma bensì venuti con la navigazione da’ mari delle. Indie dopo la scoperta del Capo di Buona Speranza. E vi si confer- ma riflettendo che veruno de’ geografi o naturalisti antichi, co- tanto precisi in altre notizie circa la Tauride, non fa meno- ma menzione de’ vermi suddetti. Lo che non sarebbe passato sotto silenzio se fosse stato noto a’ tempi loro. Sebastopoli è presso alla estrema punta taurica a mezzo- giorno ; e questa punta è alla Tauride, ciò che la Tauride è alla terra ferma; una penisoletta cioè di penisola. È formata da’ due golfi di Sebastopoli a ponente e di Balaclava a le- vante , non disgiunti fra loro che da ‘un istmo , largo ei pure 4o stadi a’ tempi di Strabone ed a’nostri. Era essa la peni> soletta chiamata Eraclidea dagli antichi, e così detta per gli Eraclidi del Ponto, che migrati. da Megara vi fondaro- no Cherson. Quivi il nostro viaggiatore dispiega ‘in bella mostra tutta la sua erudizione, notando con Strabone in mano la somma esattezza e precisione di questo geografo in ogni menomo golfo capo seno e porto, fuorchè in un punto , in cuî pare che faccia improvviso salto da un luogo all’ al- tro lasciando molto intervallo indiscusso. E con molto acu- me critico dimostra che questo salto non fu già per negligenza 64 del descrittore , sivvero perchè andò perduto il passo delta descrizione, e che indubitevolmente vi è una lacuna fra il pri- mo e il secondo paragrafo del cap. 4. del libro VII.® Noi lasce- remo gli Archeologi nella loro giurisdizione ; senonchè non dob- biam tacere d’ aver udito dal sig. Gràberg, grecista e geografo non volgare , che l’ opinione del sig. Murawieff è ormai più fra le verità che fra le ipotesi. Nella penisoletta Eraclidea era e il promontorio Partenion e il, Tempio in cui si credea che Ifigenia fosse stata la Sa- cerdotessa di Diana. Il nostro autore scherza ingegnosamente sulla favola in discorso, e sulla boriosità greca di veder greci numi nelle religioni di tutti gli a!tri popoli. Confessa non pertanto che in Grecia vi fu questa popolare tradizione; ella però do- ‘vè. sorgere posteriormente all’ età d’ Omero, leggendosi nel I.” libro dell’ Iliade che la figlia d’ Agamennone era viva e sana in Argo; onde è che va in aria e il sacrificio parricida in Aulide e il rifugio della vergine nel tempio di Diana taurica. Strabone inoltre parlando: del tempio suddetto non altro dice se non ;che era sacro ad una non so quale divinità. Indi egli o non credea 0, non. sapea ciò che han preteso credere e sapere gli eruditi dune mila anni dopo. Questa penisoletta è, come già dicemmo , formata da’ due porti di Sebastopoli e di Balaclava. Il primo era lo Ktenus, e l’altro quello detto de’ Simboli \dagli antichi geografi. Forse per un tal. nome, che probabilmente vi si conservava ancora al- lorquando là stabilironsi i Genovesi, il chiamarono essi Cembalo. Sull’istmo si veggono tuttora molte reliquie e ruine di muraglie vetustissime, E chi sa che non sien quelle delle fortificazioni là fatte dagli Sciti nella guerra fra Sciluro e Mitridate come dice Strabone? Il tempo però fece disparire ogni traccia o residuo di quel fosso in cui. gli Sciti istessi costruirono una specie di ponte con colmata di canne , ed'al quale posero fuoco di notte i sol- dati mitridateschi. Intanto da’ regoli della Scizia e dal formidabile re del Ponto noi'saltiamo tutt’ insieme a’ principi tartari. Imperocchè il viag- giatore me porta seco a Bakcisarai, residenza de’ Kan della Gri- mea. Quivi è la reggia detta Kan-Sarai , ossia palagio de? Kan. Fu. fondata accresciuta abbellita da Mengli, da Kerim, da Ka- plan, da Selim ed altri dinasti della famiglia de’ Gheraidi. Mu- rawieff la denomina l’Alambra Tauricu allusivamente all’ Alambra di Grariata. E menerebbe a lungo l’enumerar le porte , le scale, i cortili, gli appartamenti, le logge; i terrazzi, gli Harem , le 65 Moschee , i giardini; i boschetti, le fontane, e fin il sepulcreto di quella reggia. Il nostro autore nel descrivere le reliquie di tanta magnificenza, narra che passando una giornata intera ad ammi= rarle, e sopraggiunta la notte, non potè non soffermarsi sopra un terrazzo; donde si padroneggia con l’occhio tutto quel gran mo- numento della signoria de’ Kan, per contemplar!o al chiaro della luna, che sempre accresce le belle illusioni de’ vasti edifizi. 11 colosseo infatti e 1’ ardita cupola fiorentina sembrano giganteggia- re assai più al raggio dell’astro notturno. Colà fisso e contem- plante fu assorto in quelle considerazioni morali impossibili a non destarsi nell’ anima di chiunque sente e sa sentire al- l'aspetto delle moli che rimembrano le decorse gran''ezze mon- dane. Qui posano, dice egli, le ceneri di que’ principi Cri- meesi un dì sì formidabili a’ Russi, e poi spenti da’ Russi! Da quì l inclito Mengli Gherai scriveva a Giovanni III. di Russia quel sublime rimprovero di non ancor conoscere un amico ed un fratello! Salve ombra magnanima di Mengli, tu che sul trono sapevi conoscere ed apprezzare il tesoro dell’amicizia! ec. ec. Al che noi potremmo aggiugnere tutte le meditazioni sulle co- taute vicende di quella provincia signoreggiata successivamente da’ Cimmeri, dagli Sciti, da’ Greci, da’ Pontici, da’ Tartari, da’ Genovesi, da’ Turchi, da’ Russi. Così va il mondo. Lo scet- tro del conquisto passa da potente in potente, da popolo in po- polo. E guai all’ umanità se eterna fosse la signoria in alcune nazioni o famiglie. Ogni virtù morale e civile fora spenta, che allora riforbisconsi o si rigenerano tutte le virtù quando la so- cietà si purga di talune pesti che ia risolvono in sanie. Che sa- rebbe infatti dell'Europa se ancor vigoreggiasse la prepotenza di Carlo V.° e di Filippo II.° ? Tenebre ignoranza miserie schiavitù e tirannie. 1 I limiti di un articolo di giornale non ci danno spazio nè tempo a tener dietro al nostro viaggiatore ovunque ei va e si sofferma per osservare tutto ciò che gli sembra notevole nella Tauride sia d’antico sia di moderno. Nella quale minuta di- ligenza se è sovente alcun poco intemperante d’imaginazione e di descrizioni, non è men vero che compensa un tale neo con la novità di quelle cose semiasiatiche per 1° Europa , e con sali ingegnosamente spiritosi ovunque abbia il menomo addentellato al lepore. Così verbigrazia ei pare a prima vista che poco im- porti al lettore se il sig. Murawieff prenda o nò un bagno; non- dimeno incominciando a leggere si scorge che egli nol fa per- chè il pubblico sapesse d’ essersi bagnato, ma bensì per descri- T. XXXVII. Murzo 9 66 vere e la stanza a vapore, e la vasca, e la preparazione palpativa, e tutte le altre raffinatezze di voluttà che i voluttuosi orientali. cotanto amano ne’ bagni. Dicasi lo stesso delle altre minuzie , che paion tali e poi man mano danno diletto, udendosi in esse i costumi e de’ Greci o Arnauti, e degli Ebrei Karaiti, e so- vrattutto de’ Tartari: relativamente a’ quali narra un aneddo- to che crediamo far cosa grata a’ nostri lettori quì riferendolo , senza però pretendere di narrarlo con quel sapore con cui lo racconta l’ autore che ne fu testimone in Kuciuk-Lambat. In questo villaggio, che è con l’intero suo contado e can- tone tutto abitato da Tartari, vi era un povero giovinotto , fi- glio di un pastore spagnolo là balzato Dio sa come. Il quale, solo Cristiano fra Maomettani, correa gran pericolo di essere condannato al celibato perpetuo senza volerlo e senza far voti. Ma che non possono natura ed amore ? Per amore e per la na- tura non v'è Harem o Serraglio o clausura che basti. Il giovine, ispirato ed istruito da sì abili e potentissimi precettori , seppe riuscire a lieto esito nella doppia impresa di convertire una ver- gine infedele alla sua religione, e di farne la sua consorte. Una leggiadra donzella della stirpe di Gengis-Kan o di Batù, fu da lui trafugarta a malgrado della vigilanza e gelosia mussulmana. Indi ecco lo scoppio e dell’ onta e dell’ intolleranza islamitica nella famiglia della fuggitiva. Indi ire e minacce. L'amante coppia intanto si era messa sotto la protezione delle leggi; e il giudizio pendea dal governatore della Tauride là giunto accidentalmente. Bisognava udire amendue le parti in litigio. per vedere se mai vi fosse stato inganno o violenza. Per lo che furono messi a con- fronto il padre e la giovinetta. Questa non altra pruova dava di non essere stata rapita se non segnandosi sovente la croce a dimo- strazione d’ esser già cristiana. Quegli, poichè quasi cadde sin- copizzante al veder la figlia senza velo innanzi ad uomini , fe- bricitava di mille affetti violenti che gli tumultuavano in cuore; e piangeva e la scongiurava, e la maledicea .... La comedia finì , come ognuno già previde , a matrimonio. Il misero genitore, che ebbe torto , si consolò come meglio potè; e gli sposi passarono lieti e beati alle doleezze del talamo nuziale. Non men preciso è il sig. Murawieff ad andar notando tutte le straordinarietà naturali della Tauride; le grandi e molte caver- ne per esempio ove è il Chiostro di S. Giorgio ; il Merdwen sul- 1’ Iailon , ossia la scala per cui si sormonta l’ultima vetta di questa montagna , come per scala si sale da Capri ad Anacapri nell’ isola ove Tiberio corse a celar le sue turpezze e lordure ; 67 i grandissimi alberi di fico che tre uomini non posson cingere ; e i pioppi chevei dice assai più alti e belli di quelli di Lombar- dia riputati i migliori; e la spelonca infine in cui sorge il Gal- ghier. Egli va a vedere questa orrida grotta, e scaldandosi di fantasia si rammenta dell’ ultimo pozzo dell’ Inferno del Dante e E -. OE ERO NRARO Sul quale pontan tutte le altre rocce (1). Poi dall’ Inferno salta. a compararla con quella di Val chiusa: Là tu dici con Petrarca, Qui regna Amore ; quà tu attendi che Ugolino emerga fra que’ gelidi orrori, forbendo V’ in- sanguinata bocca alla chioma dello smozzicato capo di Ruggieri. E così svolazzando dal campo poetico all’istorico , lancia quà e là qualche brano d’antiquaria o di mitologia (onde è tanto memorativa quella provincia) fra rimembranze moderne o del medio evo, senza mai negligere l’aroma della giovialità perchè il gajo lenisca la se- verità del grave, e dal canto suo il grave disponga l’animo a ri gustare il gajo. Se quì, per esempio, lo odi scoprire il Lampas, memorato da Scimno da Scio, nell’ odierno Lambat; o il promon- torio detto da’ Greci testa d’ ariete ( Kriumepoton ) nell’ Ajudag ossia monte dell’ orso de’ Tartari ; o il nome Crimea dall’ antica voce sia della Kimmeria oppur Cimmeria , sia della città Krimni, di cui fa menzione Erodoto ec. ec. ; là poi ti trovi secolui or alla villa del Duca di Richelieu , oltremodo amato e rimpianto dai Tartari istessi, ed or a’ giardini di Nikita, che è l'orto bo- tanico per la propagazione delle piante in quelle regioni per lo più deserte. Noi non temeremo di dirlo. V? hanno dottrine che uopo è saper ingentilire ed infiorare perchè il libro non sdruc- cioli dalle mani del Lettore assopito dall’ oppio dell’ argomento ; e fra queste dottrine i più de’ Lettori annoverano le archeolo - giche. Ciò sia detto senza intenzione motteggiatrice de’ prediletti studj di taluni, ma sol come verità di fatto, che i più di coloro i quali son curiosi delle antiche cose, aman di apprenderle in Omero o in qualche altro autore di bellezze eterne; e non già in aridissime indagini o interpretazioni ; ‘che sovente conducono a mille miglia lungi dal vero. Per questa classe di ‘lettori il si- gnor Murawieff possiede la maestria di saper mellifigare gli orli del vaso archeologico. Nelia Lettera 19 il subietto diviene più allettevole per gl’ Italiani, trovandosi il Lettore italiano in Kaffa capitale del- (1) Inferno Canto 32.° Gò le colonie che i Genovesi avean nella Tauride. E ne legge tutta l’ istoria dalla fondazione di quegli stabilimenti colonarj ; presunta verso il 1270, fino al 1475, anno in cui il Capudan pg , colà spedito da Maometto II. con potentissima armata i 482 galere, spense la ligurica Signoria. Nell’ incertitudine ot, la vera epoca de’ principj di Kafia l' autore prescelse a gui- da il cronichista Stella, e Niceforo Gregoras , scrittori, ligurico l'uno |’ altro bizantino, amendue del 14.° secolo , e perciò con- temporanei della migliore età di quella colonia. Non dispiacerà di leggere quì un brano dell’ istoria del secondo ; squarcio che , come bene osserva il sig. Murawieff, contiene tutto il segreto politico dell’ingrandimento delli fluridezza e della decadenza Kaf- fese ; e che , come aggiungiamo nvi ; merita tutta la fede per la naturalezza de’ fatti narrati. I Genovesi, dice Gregoras, fondarono Kaffa dietro permissione e accordo col capo degli Sciti il Kan di Crimea. Questa città però non era da principio nè sì grande nè sì fortificata quale è oggi. I fondatori si contentarono d’un piccolo spazio di terreno, nè d’ altro il munirono che di un fosso e di un parapetto di terra. Man mano quindi impre- sero a trasportarvi per terra e per mare pietre mattoni e altri biso- gnevoli alle fabbriche, diedero maggiore estension all’ abitato lunghesso il lido, fecero più alte le case, ed occuparono assai più luogo del con- cesso. Volendo poi ingrandire e il numero e }’ampiezza de’loro cortili, allargarono il recinto della città al di là del fosso, sotto colore di non aver magazzini sufficienti alle mercanzie ; ed eressero muraglie di so- dezza tale che non mai se ne videro, le simili. Così perdurando in siffatta opera, crebbe Kaffa da debolissimo incominciamento a quel grado di forza, in cui opinandosi gli abitatori più che sicurati contro gli assalti dell’inimico , non più mostrarono per gli Sciti la deferenza fino allora usata, anzi li trattarono con l’orgoglio proprio de’ Geno- vesi ec. ec. ec, Gregoràs potea certamente ben sapere quel che scrivea per- chè Consigliere di Andronico detto il Vecchio. Che hen poi le sapesse, è dimostro dalla naturalezza di ciò che scrisse. Si è umile finchè ‘si è debole; quindi con la forza si acquista orgoglio. Kaffa ivifatti fu per lo più in guerra co’ Kan di Crimea, e ciò non ostante sempre illesa. Ma quelle muraglie sì forti contro alle frecce tartariche o scitiche, trovaronsi impotenti contro al can- none de’ Turchi. Rotte con ampia breccia ,, bisognò capitolare , o meglio diremo reudersi a discrezione; imperocchè si presero 15 mila fanciulli e giovinetti da crescersi ed educarsi per giaunizzeri ; vel mentre cutti gli altri abitatori, nou altro avendo fuorchè ia 69 vita salva, furono mandati in Costantinopoli, ove, ottenuto un luogo incolto presso a’sobborghi , edificarono Pera. Kaffa cadde in man de’ Turchi assai prima di quel. che ca- dessero Candia la Morea e le altre provincie o colonie venete. Ma quandanche avesse resistito all’ impeto di quella spedizione , fatta da Maometto sol venti anni dopo la presa di Costantinopoli, opiviamo che sarebbe pur caduta subito. La ragione del nostro parere è evidentissima. Per soccorrere e rinforzar sì la Morea come Candia non deveano i Veneziani passare il Bosforo; ma questo in mano degli Ottomani impedia che Genova potesse rin- forzare e soccorrere Kaffa. Il Bosforo è la porta fra 1’ Oriente e l’ Occidente, fra 1’ Europa e l’ Asia. Del quale argomento, più volte discusso da noi, avremo occasione di riparlare or ora. I Russi nel conquisto della Tauride. ridenominarone Kaffa col nome di Teodosia, antica città che si suppone, benchè qui- stionevolmente , essere stata là ove i Genovesi fondarono la loro colonia. Il sig. Murawieff avvisa che quel punto del lido della Tauride., mentre era vantaggiosissimo a promuovere animare ed estendere il commercio ligure ad Oriente e a Borea facendone emporio di mercanzie, non è poi nè può essere di menomo van- taggio a’ Russi, non essendovi in tutte le coste settentrionali del Mar Nero un luogo che non sia più acconcio di Teodosia alle grandi intraprese commerciali. Il commercio inoltre, aggiugne egli, prese altra via, e la Crimea non ha nulla in sè stessa ad allettare ed attirare i mercadanti. Quì duolci di non poter consentire col nostro Autore. Forse oggi è così come egli dice; ma non così dovrà essere e certamente sarà nel futuro. Aprasi il mappamondo del continente antico, e meditiamolo con la lente con cui la scienza cosmopolitica studia le carte geografiche. La natura non invano ha così accanalato il continente istesso con lunga zona di mare interiore ; mare ramifica- to verso Occidente con l’Adriatico nun che col Tirreno, e verso Oriente con due altri rami quasi congiunti uno con 1’ Eritreo e l’ altro col Caspio mercè l’° Eusino. Mirisi inoltre sempre più ra- mificata questa marina accanalatura mediante la fluviale del Pò dal fondo dell’ Adriatico alle Alpi; del Danubio dalle sue sette foci alle regioni più occidentali della Germania; del Boristene alle centrali e del Volga alle superiori provincie russe ; del- .l’ Arasse del Fasi, e in ultimo del. Nilo da Alessandria ‘alle prime cateratte. Dal quale accidente terraqueo furon sempre inspirati i popoli europei d’ogni età a valersene come strada commerciale fra l’ Europa e l° Asia; perchè questa fornisse a 70 quella tutto ciò che le è indispensabile e che non può avere dal suo sterile suolo. Era dessa infatti la via del commercio quando successivamente il tennero pria i Fenici, poi i Greci, indi i Cartaginesi nell’ età antica , e in seguito gli Amalfini i Pisa- ni i Genovesi e i Veneti nel medio evo. Se man mano me- nomando. cessò verso il XV secolo, non fu già per la scoperta del Capo di Buona Speranza , bensì pel conquisto de’ Turchi; gente , che amando d’abitare come le bestie feroci nelle solitu- dini del deserto, chiuse ogni traffico con la sua indole ferina e insocievolissima. Allora si necessitò d’esplorare altre vie alle In- die; e le imprese di Colombo e di Gama non furono che l’ effetto di quell’impedito e abbandonato trafficare , di cui il eredono causa i miopi d’intelletto. Applichiamo ora queste premesse all’ odierno stato e bisogno dell’ Europa. Tutta la metà boreale dell’Asia è provincia europea ; europea provincia è pure tutta l’ India ; e come tale può anche con- siderarsi 1° Egitto tostochè và rapidamente valendosi della nostra civiltà, ed adotta perfino i generosi istituti parlamentarj. L'Europa civile adunque, che oggi finisce al Balkan, uopo è per forza e ne- cessità ineluttabile di,cose che un giorno o l’altro innoltri i termini della sua vera frontiera fino alla linea tirata dall’istmo di Suez alle rive orientali del Caspio. Così facendo , e agevolando il suolo del nuovo conquisto con canali e carreggiate, il commercio con le Indie riprenderà la sua via antica diretta e brevissima appo l’ immenso cammino intorno alle ardenti e pestifere e procellose coste oceaniche dell’ Affrica. Così facendo non più patirà nè il monopolio de’ prepotenti dominatori del mare, nè quel blocco marittimo ; che per terza legge di moto occasionò il continentale nell’ ultima magna guerra. In siffatto evento di cose immanchevolmente futuro; la Tauride e la Sicilia, situate amendue nella metà de'mari che for- mano l’ accanalatura marina dell’ Europa, deggiono essere i dune grandi scalî 0 emporj medii del commercio che verrà ripristinato nelle sue antiche e vere vie. La Sicilia sarà lo scalo del passag- gio alle meridionali regioni d’ Europa, e la Tauride quello del transito alle centrali non che alle boreali. L’ ordine libero e lar- go infine, cui visibilmente e irresistibilmente tende e va tutto l’orbe civile, favoreggerà sempre più ciò che prevediamo. Noi nol vedremo; ma le nostre ossa esulteranno d’ averlo previsto e d’a- verne augurato non tardo 1’ avvenire. Raggiungendo intanto il viaggiatore il troveremo in un’ al- tra colonia italica ; in Kerci , luogo indubitevolmente posseduto 71 da’ Veneziani, come è dimostro da’ leoni con 1’ arme di quella Repubblica, che vi erano e che poi i Russi trasportarono nel museo di Teodosia. Ultreaciò Kerci è istoricamente memorevole essendo il porto di Panticapea , antichissima città , già metropoli del reame del Bosporo , ove morì Mitridate. Alla qual. memoria accendendosi l’imaginazione del nostro autore, fa che ei si sof- fermi col pensiero in questo Principe ; e dice: “ Quì volteggia intorno di me Vl’ ombra iràconda dell’ implacabile nemico di Ro- ma! Terribilissimo anche in morte, mi pare di udirne l’ ultimo rauco gemito , allorchè spasimante nell’ ora sua suprema, lot- tava furente contro la propria vita a lui già odiosa e incompor- tevole ,,. Ecco i lineamenti co’ quali effigia il ritratto di un co- tanto personaggio. « L’unione di un grande ingegno con un gran carattere forma quel che dicesi un grande uomo. In un tale uomo vi è sempre qualche sublime pensiero predominante , nel quale e pel quale egli unicamente respira e vive ; cui son subordinate tutte le sue pas- sioni ; che è il solo scopo dell’ esistenza sua ; e che ad essere sbra- mato gli fa trovare nel proprio intelletto i mezzi a ben servire quella fortissima inflessibile volontà , che è nel mondo morale il fulcro chiesto da Archimede a scrollare il mondo fisico. — Tale era Mitridate. L’ odio a Roma era il suo pensiero fisso uren- tissimo e massimo. “: La gloria l’ ambizione e tutti gli altri affetti smodatissimi di questo monarca obbedivano al suo animo ; ed un mondo in cui esistea Roma, sembrava essere troppo angusto per Mitridate. Visse egli unicamente per distruggere la città regina ; e distrusse se stesso allorchè vide che la sua vita non più giovava a sbramar l'odio suo ,,. Ne descrive infatti gli ultimi momenti, allorchè tra- dito pria da’ Fanagoresi quando disegnava di correre fino alle Gal- lie per farle insorgere contro Roma; poi da coloro i quali , scor- tando le sue figlie che mandava spose ai Regoli Scitici per confe- derarli seco contro ai Romani, proditoriamente le consegnarono a questi invece di condurle a quelli; veggendo inoltre anche ribelle il proprio figlio Farnace, cui aveva già perdonato un anteriore cousimile misfatto ; campando infine la morte , quasi per prodigio , nella sedizione del suo esercito ; infelice re , e più infelice padre, si rinchiuse nella sua reggia. Di là sol chiedeva al parricida fi- gliuolo un libero passaggio onde migrare a rifiugio nella Scizia ; ed anche ciò gli fu negato. Allora non vide asilo che nella morte. ‘Quì lasceremo parlare il nostro autore; confessando però che ad essere il meglio che da noi si possa interpetri fra lui e i lettori 72 nostri, non potremo non pe:metterci qualche parafrasi a fine di rincalorire e ricolorire alquanto il freddo pallore di una tra- duzione di traduzione (2). In tale e tanta stremità sopraggiunse la notte ; la notte , che mentre molce tutte le acri cure de’ miseri mortali, pareva inacerbire sempre più quelle del miserrimo monarca! Tetre e triste le sue tenebre per le sale del Palagio , già deserte da cortigiani sempre e ovunque tanto men fidi nella sventura quanto più vili nella prosperità , non d’altro risonava- no se non di qualche gemito che quà e là rompeva il tremendo silenzio. Eran quelli di Mitridata e di Nissa, le sue predilette figliuole fidan- zate a’ Re di Cipro e d’Egitto , le sole che eroicamente nol lasciassero in sì terribile momento. Stando anzi sempre a confortarlo videro che egli staccava un borsellino appeso all’ elsa della sua spada , e che aprendolo ne versava il contenuto in una tazza d’ acqua. Le vergini regali divi- nando subito il formidabile disegno , chiesero instantissimamente al padre d’essere le prime a bere. Esitava in una tempesta di violentissimi affetti il miserando genitore ad acconsentire ; alta pruova che neppur nel cuore di un Mitridate non sì spegne nè può spegnersi il senso pa- terno! Sennonchè con fervore pregano supplicano scongiurano le eroi- ne onde le salvi dal vituperio loro serbato in Roma. A questo nome scuotesi convulso d’ ira e orrore il padre, non più sa resistere e cede. Si beve; e col labbro ancora umido cadono a terra due cadaveri. Eran quelli delle Principesse. x Questo improvviso effetto è prova dell’ immensa forza di quel ve- leno. Ma benchè potentissimo , fu però impotente sulla vita del Re; il quale ognor intorniato e aggredito da traditori fin dalla adolescenza sua, erasi antidotato contro a’veleni con l’abitudine e frequenza di prenderli. Cercò egli con ogni sforzo di moti e di rabbia perchè fosse alfine at- tuoso il farmaco letalissimo. Invano! Fu inefficace ! Così dilaniato da mille angosce e spasimi scorge egli, fra’pochi fa- miliari secolui rimasti, il prode Vitite condottiere de’ Galli a’ suoi sti- pendj. Gli accenna perchè si avvicini, e gli dice : Vitite il tuo brando mi fu sempre fedele e nelle battaglie e nelle sedizioni. Voglia oggi rendermi il servigio supremo liberandomi da me medesimo. Fa che il già sì possente Signor del Ponto non sia il ludibrio de’ suoi nemici , e non orni il trionfo di Pompeo sull’ abborrito Campidoglio! Compi ciò che non può compire il tossico. Insensato che io fui! Mi premunii co’ veleni contro a’ veleni, senza pensare che 1’ aconito mortalissimo de’ Re è sol nel seno parricida de’figli, e nel proditorio animo de’ suoi presunti amici. Così parlò; e il ferro di Vitite il trapassava ec. ec. Il sig. Murawielf dice che compose il riferito squarcio sul sito (2) L’opera è scritta in russo, lingua che ignoriamo ; lo squarcio è volto in italiano traducendolo dal tedesco. 73 istesso in cui era certamente un di la Reggia di Panticapea , e perciò successe quella tragedia. Onde vuolsi dire che la memo- ria e il luogo di sì tragico evento lo inspirarono felicemente. Seguì egli il racconto lasciato da Appiano circa la fine di Mitridate ; le quali notizie e particolarità hanno ogni rassomiglianza con una scena tragica pressochè simile, tentata (se dobbiam credere al Barone Fain (3) ) ne’momenti finali dell’ Imperio francese in Fontaineblo. E nulla invero non ha d’incredibile. Gli uomini straordinarii si imitano originalmente. L’ anima fierissima di Mi- tridate rifuggia d’orrore al pensiero d’ esser trofeo del suo vin- citore ; quella non men fiera di Napoleone presentia forse il crudo e lungo martirio di S. Elena. L’autore, avendo la fantasia esaltata dal pensiero di cotan- to fatto, dimanda a se stesso, come mai avviene che la me- moria di un uomo spergiuro sanguinario ed atrocissimo ester- minatore di 150 mila coloni o alleati romani, nonchè pocò inor- ridire con l’ istoria della sua vita, commove anzi con la sua morte . E risponde ciò avvenire sol perchè essendo eterno in tutti gli uomini costituiti in società l’abbominio della monarchia universale, ogni lettore è tentato a intenerirsi ed a parteggiare più per Mitridate che per Roma, la sola cui riuscisse di flagellare il mon- do con siffatta calamità politica. Noi congratulandoci col sig..Mur- rawieff di questa ragione assai filantropica e generosa , non vorremo tacer la nostra. Ed avvisiamo che nella catastrofe d’ogni gran perso- naggio comunque immanissimo, il patetico vien sempre in suo fa- vore ad escolparlo non appena ei cada con mezzi che fan sempre ed ovunque fremere il cuore umano. I neri fatti di quel Principe furon delitti politici di un fiero nemico alla prepotenza roma- na; furono anche, se vuolsi , delitti contro al diritto delle gen- ti , che sovente la posterità escusa se non assolve, quando hannu radice nel disegno all'indipendenza di un potentato e di un po- polo. Ma la parricida azione di un figlio che tradisce il padre in favor dell’ inimico, che non pago della corona vuole anche la morte paterna , è un misfatto eterno nella natura e nell’uma- nità. Nel quadro adunque di que’tanti orrori scomparisce quasi pu Mitridate e primeggia abbominevolmente Farnace . Indi Roma | che si valse di questo per debellar quello , menomò la reità di un gran colpevole facendosi correa di un delinquente assai mag- giore, e fece che la pietà tragica, ognor inseparabile dalle (3) V. il Manoscritto dell’ anno 1814. T. XXXVII. Marzo. Jo dI 74 grandi sventure , obliando gli eccessi del padre al cospetto del- le stramalvità del figlio , propendesse verso 1’ ombra di sì gran monarca. La rimembranza di questi eventi alletta il pensiero a soffer- marsi in qualche contemplazione di assai maggior momento circa l’età in cui seguiano. E invero ove tu mediti sulle gesta e su’ personaggi dell’ età suddetta , dir non sapresti se vedi sceneg- giar come attori uomini contro uomini, oppur Titani contro Nu- mi. Non mai la natura procreò mortali con ugual mole di mente e di animo. Mario , Silla , Sertorio , Pompeo , Spartaco , Mitri- date, Catone, Catilina, Cesare ec. ec. comecchè più o men varii in talento ed opere , son però tutti straordinarii per al- tezza di passioni, di disegni, di fatti. Non mai si videro ugnali affetti o intenti o azioni. Non mai inoltre si pugnò sul- la terra per uguali obietti e destini. Era 1’ imperio del Mondo il gran fine cui ardentissimamente agognavano sì i Romani come Mitridate ; era la guerra a morte pria fra 1’ aristocrazia e la democrazia , poscia fra la libertà e il dispotismo precursor della tirannide. Non mai infine fu Roma, e neppur. ne’ morta- lissimi assalti di Brenno e Annibale, sì allo stremo come nella contemporanea agressione di Sertorio dalle Spagne , di Spartaco nel cuor d’ Italia, e di Mitridate dall’Oriente (4). Ed uopo è con- fessare che ella realmente avesse o tutto il favore del suo Gio- ve, o gagliardia e vitalità tale ne’ suoi ordini politici , a risor- gere sana e fortissima da sì mortale agonia. Noi d’ altronde co- munque abbominassimo al pari del sig. Murawieff ogni imperio universale, non temeremo d’ esser contradittorii a? principii no- stri asserendo, che l’ universale imperio romano, tuttochè oppressivo e disastroso, se non operò il bene, preservò in- tanto le future genti europee da sommi disastri. Chi sà infatti se riuscendo a Cartagine di spegner Roma come Roma spense Cartagine , non sarebbe la civiltà per sempre migrata dall’Eu- ropa , come da due mila migrò dall’ Africa? Chi sà inoltre se trionfando Mitridate di Roma come questa trionfò di quello, non avrebbe il trionfo dell’ Asia sull Europa eternato quivi l’asiatica barbarie ? Certo è poi sempre che in questo caso la signoria uni-. versa fora passata dal Campidoglio al Ponto. E chi è 1’ europeo il quale potrebbe desiderare che così fosse avvenuto ? Nelle vicen= (4) Sertorio e Mitridate eransi alleati per agir di concerto. Roma dovè al pugnale del traditore Perpenna la sua salvezza da questa formidabile alleanza. ». 6 de umane è il più delle volte un buono giusto e consolatore si- stema d’ ottimismo il confrontare i fatti co’ possibili. Quì prenderemo concedo dal sig. Murawieff, perchè egli finì in Kerci il suo giro per la Tauride. Questo viaggio fu già volto in idioma tedesco. Probabilmente comparirà tosto o. tardi in ita- liano con una traduzione fatta quasi sotto la dettatura dell’au- tore , il quale potrebbe pressochè scrivere in lingua nostra come scrive nella sua. G. P. Prospetto del Commercio di Tripoli d’ Affrica e delle sue relazioni con quello dell’ Italia. ArticoLo III. (*) $. 3. Dazii, moneta , pesi, misure, ec. Facilmente si capirà , che in un paese governato da musul- mani che, pochi anni sono, erano ancora veri corsali, non senza (*) V. Antologia Vol. XXVII. G. pag. 79 a 99 e Vol. XXX. A. pag. 1a 29. Nel mettere ora in luce il compimento di questo Prospetto , non può l’autore del medesimo resistere al piacere di testificare pubblicamente la sua viva ri- conoscenza inverso i compilatori di diversi giornali d’ Italia, e d°’ oltremonti, ma più spezialmente verso quelli degli Apnbli universali di statistica pubblica- ti in Milano, del London Magazine, della Revue Britannique , e del Bul- letin des sciences géographiques ec. sotto la direzione del sig. Barone di Fé- russac ; i quali non solo hanno parlato con somma indu lgenza di questo suo trattatello, ma mne hanno aliresì ristampato , o tradotto quasi per intero i due primi articoli. Se non che nel tempo medesimo non può egli non espri- mere il suo rincrescimento dell’ essersi, nel citato Bulletin ec., il dotto sig. Au- bert de Vitry , fidato troppo ad un amanuense poco abile , e ad uno stampa- tore inetto e noncurante, che soprattutto nel tomo XX quaderno di otto- bre 1829, hanno lasciato correre molti errori veramente sconci, ed imperdona- bili. Senza parlare quì dei nomi proprii, che per lo più vi si storpiano mise- ramente , diremo soltanto , che daracano o schiavina, spezie di veste lunga , fabbricata di lana pecorina, non ha nulla che fare col bouracan , spezie di ciambellotto ; che nella voce barbara e fantastica di perriî è impossibile di ri- conoscere i.pezzi colonnati di Spagna ; e che dove l’ autore , in sulla fine del secondo articolo , parlando dei bastimenti che venivano a Tripoli per darsi a nolo , scrisse , in frase chiarissima; che trovaron poche volte, cioè raramente, deluse le loro speranze , bisognava daddovero che i menanti del sig. Aubert avessero le traveggole, per tradurre , e: stampare in francese : et souyent Zeurs esperances furent décues. 70 grande fatica si vorrà considerare i diritti di entrata o di uscita sulle merci che s’ introducono ovvero si asportano , meno come un’ oggetto di finanza, che come un sussidio che protegge, ed arricchisce il commercio nazionale , e che senza distruggere af- fatto la libertà , contribuisce a fare sì che la bilancia del com- mercio penda in favore dello stato. Sarà per lungo giro di anni ancora impossibile il far comprendere ai capi delle Reggenze bar- beresche , che ogni stato il quale riguarda come contorme ai suoi interessi il mettere un nuovo diritto di entrata sulle mercanzie che vengouo dal forastiere, cade in un errore molto distruttivo, se un tal forastiere può vendicarsene per via di altre imposizioni più gravose. Infatti si è veduto in Tripoli, che appena sonosi accresciuti i dazii sopra certi articoli introdotti od asportati , sonosi proporzionatamente diminuiti i movimenti del traffico, ed in luogo che, pochi anni sono, le dogane di terra e di mare della sola capitale rendevano al Bascià presso a centomila pezzi co- lonnati annui, in oggi non giungono neppure a rendere la metà di tale cospicua somma. La dogana di entrata e di uscita, per la via di mare, è ge- neralmente appaltata di anno in anno a persone private, per lo più della famiglia stessa del Bascià , che poi la sottaffittano a qualche ebreo ricco , il quale , in ogni caso, possa pagare l’ in- tero appalto. In questo momento è quella dogana arrendata dal genero del Bascià , rais o ministro delia marina, che ne paga effettivamente diciottomila colonnati all’ anno. Pochi anni sono si appaltava per circa quarantamila colonnati , ed eravi, come in oggi, compreso il dazio di uscita sovra gli schiavi, e le schiave della Nigrizia. Presentemente vi s’ inchiude ancora la gabella delle cuoia , che a tempi andati pagava separatamente da tre in quattro mila colonnati. Già il sovrano è proprietario assoluto di tutte le cuoia e pelli, che escono dai macelli della città di Tri- poli; ma le rilascia comunemente all’ arrendatore della dogana di mare. Le lingue però appartengono allo sceicco , ossia capo anziano degli ebrei. La dogana di terra, e le gabelle erano pure altre volte date in appalto per trentadue mila colonnati annui; ma in oggi non rendono al Bascià niente più di seimila , alle quali però vanno uniti , Lol ia la roman Col. 1000 .° il peso grosso, o sia la romana per ol. 2.° I’ introduzione e la vendita del tabacco 3) 1500 3. il peso dell’ oro , e dell’ argento ,3 1000 La vendita del vino , e dell’ acquavite , la distillazione del 77 Lacbi, o liquore di palma, e la vendita a minuto di tutti i li- quori spiritosi e forti, rendevano, negli anni passati, ventimila colonnati annui; ma in oggi non ne importano più di sedicimila. Per la vendita a minuto non havvi nessuna regola, potendo il doganiere domandare ai rivenditori quello che gli pare, e gli piace. Comunemente però si pagano pel vino tre colonnati per barile veneto, o millerole di Francia, e pel rum ed acquavite il doppio. In quest’ appalto vanno comprese ancora le teste, ed il grasso di tutto il bestiame, che si macella in Tripoli. La gabella dell’ introito, e della vendita del sapone, era se- paratamente appaltata per annui trecento colonnati ; ma presen- temente è data in conto di pagamento a certo Gagiggi, credi- tore del Bascià , antico governatore del bagno degli schiavi cri- stiani , ed attualmente gran maestro dell’ artigliera. La tariffa dei dazii, e dei diritti di entrata e di uscita di- pende , come ogni altra cosa in quei paesi, dal cenno despotico del sovrano ; o dall’interesse del momento, che sempre lo governa. Nella dogana di mare si paga, tanto per l’ entrata quanto per l’ uscita , il dieci per cento sul valore d’ estimo delle merci dagli ebrei sudditi della Reggenza, e sette dai maomettani, cui vengono per cortesia dal doganiere bonificati tre per cento. Anche sulla seta che viene di fuori, pagano gli ebrei cinque per cento, ed i maomettani tre. Ma i cristiani, e gli ebrei sudditi di potenze europee, ne pagano, in virtù dei trattati di pace, il solo tre per cento sovra tutte le merci introdotte, di qualunque nome e genere siano, a risalva di quelle sottoposte a gabelle, od appalti par- colari. Le armi , le munizioni di guerra , i legnami da costru- zione, ed ogni genere di commestibili non pagano nulla, siccome neppure la birra ed i licori dolci, e generalmente tutti gli og= getti che ad uso, e provvisione di casa s’ introducono dai cri- stiani stabiliti in Tripoli, e negli altri porti della Reggenza. L’asportazione dei bovi si aggiusta ogni volta in Tripoli col Bascià personalmente, che pure accorda, a chi gli piace, l’estra- zione dei cavalli, e dei montoni. Nelle scale della costa si fanno questi aggiusti coi Bei, o luogotenenti del Bascià. Pei montoni si paga presentemente in Tripoli un colonnato, ed in Bengha- zi due. I negozianti esteri che fanno venire mercanzie soggette a diritti di entrata, e di uscita dipendenti da appalti particolari , sono costretti a cedere quelle merci agli arrendatori, i quali poi accordano la facoltà di introdurle, e venderle nel paese a chi 78 più loro piace, od a chi paga la maggiore gravezza. Le carovane di Marocco godono, nel passaggio loro per Tripoli, della preroga- tiva di non pagare alcun dazio ; od altra gravezza sulle mercan- zie importate dai pellegrini. Anche il sale e la soda, qualora si vendono o dal Bascià, o dai suoi luogotenenti, non vanno soggetti a verun diritto o gabella di uscita. A Benghazi; a Derna, a Seliten, a Porto Magra, ed altri scali della Reggenza , si pagano, generalmente parlando; i me- desimi diritti che in Tripoli; se non che qualche volta i satrapi o governatori, per capriccio od altri motivi, impongono , spe- zialmente sulle merci di esportazione non considerate nei trattati di pace, gravezze straordinarie , che sconvolgono completamente i calcoli degli specolatori. Così li bovi ed i montoni, per cagion d’esempio, che ordinariamente non pagano colà se non un solo colonnato per testa, hanno talvolta , nell'istante dell’imbarco, dovuto pagare fino a tre colonnati. L’olio d’ ulivo, che negli anni passati pagava in Tripoli circa un colonnato per barile, ne paga attualmente due , e ciò in argento effettivo , in luogo che prima poteva pagarsi in mo- neta del paese. La ragione si è, che dall’anno scorso in quà forma un appalto speciale , per cui dall’ arrendatore , primo consigliere di stato e di gabinetto del Bascià, si versa con anticipazione nel tesoro di Sua Altezza la somma di seimila colonnati all’anno. Anche le lane pagano tre colonnati ed un quarto per cantaro, e la senna uno zecchino del Cairo. Non si asportano provvisioni o commestibili di nessuna sorta, senza un permesso detto tezcherè, che si paga secondo le circostanze. - Gli schiavi Negri condotti a Tripoli colle carovane del Fez- zan pagano, per entrare in città, il tre per cento, e quelli che vengono per la via di Ghadams il due e mezzo, sul prezzo della vendita. Ma se il proprietario li passa immediatamente nel Le- vante , od a qualche porto dell’ Albania, ei gode del benefizio di transito, e paga una bagatella al doganiere per lo spaccio dell’ imbarco. Le piume di struzzo pagano, per diritto di.entrata , il dieci per cento sul valore dell’ estimo , senza pregiudizio della gabella di uscita. In una parola , il sistema degli appalti, e delle dogane è soggetto a continue variazioni; esso dipende interamente dalla volontà del Bascià , e dalle viste del momento. Moneta. Troppo riuscirebbe malagevole se si volesse quì far parola di tutte le monete, che da pochi anni in quà sono 79 state stabilite nella Reggenza di Tripoli, e deiscambiamenti da loro sostenuti. D’ altra parte sarebbe fatica perduta , attesochè quelle monete variano ad ogni istante, soprattutto in questi ulti- mi anni, Allorchè io giunsi in quella residenza, cioè nell’ an- no 1823, si conteggiava quivi in migliaia di borbi o piastre pic- ciole, sessantacinque mila delle quali corrispondevano ad un pezzo colonnato. Le monete correnti erano in quel tempo : di oro: lo sceriffo vecchio, che valeva 105,000 borbi lo sceriffo nuovo 70,000 il mahbubbo 94,000 di argento : il pezzo colonnato 65,000 il tallero austriaco 63,000 di biglione : il reale o piastra di Tripoli 9,000 la mezza piastra 4,500 il bu-tenasce 1,200 il du-stamìa 600 e di rame : il parà 150 I borbi, o piastre picciole erano moneta ideale, avanzo degli antichi reali, o piastre picciole, delle quali, venticinque anni sono, sole mille trecento facevano un pezzo colonnato , che non più tardi dell’ anno 1816 si cambiava tuttavia a duemila quattrocento, e nel 1820 a quattromila. D’ allora in poi è stata a. tale segno deteriorata la moneta, che se la medesima valutazione fosse stata continuata corrisponderebbe in oggi il colonnato a più migliaia di milioni. La frode, e la cupidigia hanno in ogni tempo, ed in ogni paese , fatto sminuire il peso , ed il valore intrinseco delle mo- nete. I sovrani, che soli hanno il diritto di dare ad esse la loro impronta , hanno ancora quello di aumentarne il valore nume- rario; ma in nessun paese, e da nessun sovrano, è stato dato a questo diritto un’ estensione simile a quella che giornalmente se gli dà in Tripoli, dal Bascià attualmente regnante. È egli arrivato al punto di far battere ogni settimana moneta nuova, ad un valore intrinseco fino a venti volte minore di quello che le as- segna nel corso del commercio , e che per conseguenza perde ogni giorno del suo valore numerario, a segno che ultimamente la piastra uscita dalla zecca a ragione coattiva di cinque per un pezzo di Spagna , in meno di due settimane non si è voluto ri- cevere neppure a ragione di cencinquanta. La moneta battuta nella zecca di Tripoli, lo è sempre col- l’ impronta del Gransignore, col suo toghra, o cifra, e col mil- lesimo dell’ anno in cui divenne sultano, aggiuntovi 1’ anno del 80 di lui regno, ed il nome della zecca di Tripoli. Già si capisce , che non solo inutile; ma ridicolo bensì, riuscirebbe il far quì pa- rola di saggio, o prova della finezza, o della lega dei metalli impiegati, perciocchè queste variano sempre da una settimana all’ altra. Nè più facile sarebbe il notare quì tutte le diverse cause, che producono questi deterioramenti ; ma ciò che contri- buisce spezialmente a confondere le valutazioni, e screditare nel tempo medesimo la moneta corrente, si è la continua variazione dei nomi, e delle dimensioni che si danno ai diversi pezzi di metallo coniato, i quali successivamente sonosi denominati sceriffi, mahbubbi, ed adelie di oro, iuslicchi , ecclicchi, ghersci, riali, o piastre di argento o di biglione, ec. ec. In guisa che i poveri negozianti , o bottegai sono costretti a rompersi ognora il capo per tenere a giorno i loro libri, e generalmente gli abitanti tutti non sanno mai che cosa posseggono, se subito incassata la mo- neta del paese non cambiano, anche con grave perdita, quella monetaccia in pezzi forti di Spagna. A questo proposito mi permetterò di citare quì un aneddoto assai caratteristico. Un bedovino ossia arabo del contado, che da Tripoli volea , nel 1827, recarsi per la via di mare in Egitto, e quindi alla Mecca, e che non potè rimandare a casa sua il cammello sul quale era venuto , lo vendè nel bazare per venti sceriffi nuovi, usciti allora dalla zecca , e che facevano trentacinque pezzi co- lonnati. Portato seco questo danaro, non gli venne fatto di spen- derlo nè in Egitto , nè alla Mecca, e dovette per conseguenza riportarlo seco a Tripoli. Al suo ritorno, sette mesi dopo, incon- trò quivi un suo figlio , al quale volle fare il regalo di una ber- retta rossa di Europa, e andò da un maltese per comprarla. Per pagarne il prezzo, che se ne domandava , trasse fuori due dei suoi sceriffi, e disse al bottegajo di dargliene il resto. “ Che resto ? ,, gli domandò il maltese ? « La berretta vale due colon- ,, nati, e se mi pagate in cotesta moneta , ce ne vogliono tren- s, tasei per fare il conto. ,, Persuaso che ciò era impossibile , andò alla zecca per avere moneta di cambio pei suoi sceriffi ; ma colà non si ricevevano più questi, dacchè un editto sovrano li avea posti fuori di corso. Il povero bedovino ebbe bel fare , e dire; gli fi giuocoforza il tornarsene a casa con una berretta rossa di lana, in luogo del suo cammello. Da tutto questo si vede , che ’1 pezzo forte di Spagna in ar- gento deve considerarsi come il vero , e costante campione mou- netario del paese , ove si denomina colonnato a causa delle due colonne , che ne adornano il rovescio. In questa moneta si esi- dI gono irremissibilmente i diritti di entrata e di uscita, i dazii, le gabelle, le tasse, e qualunque siasi pagamento fatto ai pubblici ufizii, al tesoro , ovvero al Bascià in persona ; laddove egli , ed i suoi ministri, pagano sempre in moneta corrente del paese , secondo la tariffa legale , da loro medesimi stabilita. E perciò vedesi non di rado, che appunto pochi giorni prima di dover fare alcun pagamento considerevole , si fa battere nella zecca monete nuove colla riduzione già descritta , il volume delle quali va poi, col grado di finezza del metallo, di giorno in giorno diminuendo, in guisa che il pezzo che sul principio si dava per un quarto , od un quinto di colonnato , ma che realmente non ne valeva neppure il trentesimo , finisce dopo due o tre settimane con non arrivare nemmeno a valere il dugentesimo. Fu di questa maniera che nel momento della mia partenza da Tripoli, in luglio dell’anno 1828, il colonnato che nei primi dì del mese si cambiava venticinque reali, nel dì 25 non si poteva comprare nè anche per mille. Contuttociò non si può ; e non si deve considerare il colon- nato come moneta corrente , perciocchè , almeno nelle mani dei cristiani, e degli ebrei sudditi di potenze europee , è una vera mercanzia , che ognuno può ritenere , o vendere quanto più gli pare, e gli piace. I musulmani però , e gli ebrei sudditi del Bascià sono in una situazione molto diversa ; ed ogni qualvolta il sovrano fa batter moneta nuova , fa nel tempo medesimo pub- blicare gride , di cui si ripete la proclamazione a tutte le ore del giorno, tanto nella città che nei bazari, acciocchè nessuno di essi ardisca , sotto pena di severissime multe, o di gastighi corporali, di cambiare il colonnato per più del valore arbitrario che dal Despota è stato dato alla moneta battuta. Ma non ostante le frequenti condanne pecuniarie, e le bastonate, questa proibi- zione medesima contribuisce , più di ogni altra cosa , al discre- dito rapidissimo di quella monetaccia. Gli abitatori delle montagne e del contado, che apportano al bazare le loro derrate , sono costretti a. ricevere in pagamento quella cattiva moneta del paese. Ma appena 1’ hanno essi rice- vuta ch’ entrano in città, dove dagli europei comprano, anche con venti o trenta per cento di perdita, o colonnati di argento, o zecchini di Venezia, che portano quindi seco alle loro case, da dove questa moneta effettiva non ritorna mai più, se non se qualche volta per farla fondere, e convertire in ornamenti d’ oro o d’ argento per le femmine . Quella perdita che si sopporta nel cambio , è in massima parte compensata dall’ aumento già futto T. XXXVII. Marzo 11 82 sui prezzi delle derrate , che sempre diventano così più care ; e siccome portando con sè alle case loro la moneta del paese ,e riportandola poi otto giorni dopo al bazare , ne perderebbono quei bedovini almeno i tre quarti del valore, così è naturale che cerchino di disfarsene al più presto possibile, anche con una perdita vi- sibilmente gravosa. Di coteste monete effettive di oro, e di argento , che i be- dovini, e gli arabi del contado, e delle montagne, portano via da Tripoli, se si eccettua una picciola parte che o va nelle mani degli orefici per farne ornamenti femminili, o passa nelle regioni centrali dell’Affrica per compra di schiavi od altri generi di eco- nomia domestica, tutto il rimanente si tesaurizza; e lo stesso go- verno manca sovente di mezzi onde far entrare nel tesoro, in moneta effettiva , anche gli annui tributi , e le decime cui vanno ‘soggetti quei bedovini, e che ordinariamente non li pagano mai prima di esservi costretti da spedizioni militari, e per lo più si lasciano portar via per forza i cammelli , o gli armenti piuttosto che di spropriarsi del danaro contante. Già di moneta di oro , di argento , o di rame puro non esce nessuna specie dalla zecca di Tripoli. Gli sceriffi, i mahbubbi, e le adelie , sono di rame , e di giallamina con una foglia di oro sottilissima ; le altre monete quì sopra nominate sono di un bi- glione di lega bassissima a segno, che appena evvi di argento una parte in quaranta, sul principio dell’emissione , e dopo due o tre settimane, nemmeno una in cento. Di rame legato con ferro, stagno ed altri metalli minori, si fabbricano i du-terasci, i bu- stamàe , ed i parà ; i quali ultimi si sono sovente veduti coniati di zinco . di ferro , e di piombo , appena della grandezza di un mezzo quattrino. Si suppone generalmente , che il totale della moneta circo- lante coll’ impronta della zecca di Tripoli non oltrepassa mai, nei tre metalli, la somma di diecimila pezzi colonnati. Percioc- chè non solo si fanno ritornare alla zecca le specie, che non hanno più corso dopochè se ne sono coniate altre nuove; ma tostochè quelle che correvano sono cadute al di sotto del loro valore in- trinseco, qualunque egli siasi, vengono quelle monete spedite in gruppi a Malta; od a Livorno, per essere ivi fuse, a fin di ritrarne il poco oro, od argento , che possano contenere. Gli è vero che l’ uscita di questa specie è dal governo proibita; ma in uno stato che, come quello di Tripoli, è sempre debitore delle piazze testè nominate , e dove il governo non ha già l’ener- gia di quelli di Algeri, e di Tunisi per afforzare il diritto di vi- 83 sita nelle navi cristiane, è cosa impossibile di far eseguire un così fatto divieto , che d’ altronde è meno contrario di quel che si crede ai veri interessi del commercio. Come i trafficanti di Tripoli sono sempre debitori di somme cospicue verso i loro cor- rispondenti in Europa, e che di derrate di asportàzione vi è sempre scarsezza, non meno che di lettere di cambio e di mo- neta sonante, così trovansi nella necessità di mandare ai loro creditori tutto ciò che può servire a liberarli dallo sbilancio dei conti correnti. La proporzione dell'oro, e dell’ argento è in Tripoli un poco più alta in favore del primo che in Europa; generalmente par- lando , si calcola come uno a sedici. Le spezie di oro forastiere sono ricercatissime ; gli zecchini di Venezia, e di Olanda si pa- gano sovente fino a tre pezzi colonnati. L’ oro s che a Tripoli viene dalle regioni centrali dell’ Affrica s è perfettamente fino, e si vende a circa 220 colonnati la sorra s peso che corrisponde ad oncie quindici, e tre ottavi. AI giorno di oggi la maggior parte di quest’oro rimane dentro il paese, e particolarmente dentro il castello di Tripoli, in possesso delle mogli, e concubine del Bascià, e di altre donne della sua famiglia. Pesi e misure. — Il cantaro di Tripoli pesa cento rotoli, ogni rotolo sedici oncie, ed ogni oncia otto fomini. Un occa pesa due rotoli e mezzo , ovvero quaranta oncie , e forma così la qua- rantesima parte di un cantaro. Il rotolo pesa precisamente 10584 grani peso di Olanda, e per conseguenza cento rotoli di Tripoli fanno in Ancona, libbre 150 in Modena. 157,90 in Bassano 148,92 in Napoli libbre 158,:4 in Bologna 140,43 e rotoli 58;20 in Civitavecchia 149,04 in Parma, libbre. 150 in Firenze 145,57 in Piacenza 157,65 in Gallipoli rotoli 112,45 in Piemonte 137,93 in Genova detti 106,33 in Pisa 156,10 e peso sottile libbre 160 in Ragusa _139,95 in Livorno 148,80 in Roma 148,16 in Lucca peso di comm. 136,60 in San Remo 155,40 e peso di seta 152,40 in Sardegna 128 in Malta rotoli 65,57 in Sicilia 160 in Milano peso sott. lib. 156 4o — sottili rotoli 64 peso grosso 66,50 — grossi detti 58.25 84 in Siracusa libbre 155,60 in Venezia peso gros. lib 106,39 in Trieste funti 93 in Verona , peso sottile 152,87 in Venezia pesosott. lib. 168 — peso grosso 102,30 Il peso dell’ oro, e dell’argento si chiama mitscal, o meta- callo. Sei e due terzi ne corrispondano ad un’ oncia. Cento me- tacalli fanno una sorra, che, come già dissi, pesa oncie 15 e j; dimanierachè il compratore gode di un benefizio di due e mezzo per cento. Il metacallo col quale, nell’ interno dell’ Affrica, si pe- sa la polvere di oro, ha solamente ventuno carubbi, o siano ca- ratti di quattro grani; ma quello di Tripoli ne ha ventiquattro. Cinquanta di questi fanno una marca peso di Venezia , che im- porta 4970 grani di Olanda, cosicchè 48 metacalli e quattordici quindicesimi di Tripoli fanno precisamente una marca di Colonia, e conseguentemente uno di essi corrisponde in Firenze Livorno in Genova a grani 103,94, o 4 denari e quasi 8 grani. in Napoli ad ancini 10,87, 0 poco più di mezzo trapeso. in Roma a grani 97 o quattro denari, ed un grano. in Sardegna a grani 754 o poco più di 3 den. e 3 grani. in Sicilia a grani 103.9 0 4 denari e quasi 8 grani. in Trieste a grani 834 o denari 3 e grani 8 },. in Venezia a grani 88} o poco più di 3 caratti e 16 grani. ì a grani 97,28, o poco più di 4 denari ed un grano La misura del grano, e d’ altri generi commestibili si de- nomina in Tripoli, e nella lingua araba, Vida , 0 più corretta- mente Veiba, e non Tibero, come malamente si trova scritto in molti antichi libri di mercatura , nè Caffix ;, come si legge an- cora in una Tavola del rapporto per le misure delle granaglie , fra le principali piazze di commercio, pubblicata nell’anno 1827. dal genovese Sig. Niccolò De-Giovanni, colle stampe del Pon- thenier, e ristampata di pianta pochi mesi sono, ma senza no- minar l’autore, da Giovanni Sardi e Figlio di Livorno; tavola , che d’altronde è piena zeppa di sbagli ancora più inescusabili. La Viba si divide in quattro ztomrie , ed ognuna di queste in quattro urbai ; pesa comunemente , col colmo , un poco più di due cantara, e corrispondeva nel 1827 quasi esattamente a staja sei e due terzi di Livorno, e conseguentemente in Ancona alappe 4e sacchi 2 £. in Genova a miva 1 quarti 2 e gombette 10. in Napoli a tomoli 3 ed un dodicesimo. in Roma — a quarti 2 stare 3 e starelli 8. in Sardegna a starelli 3 ed imbuti 2 3. in Sicilia a tomoli generali 9}, in Trieste a stari 2 ed 3. in Venezia a stajo . 1 quarti 3, e mezzo quarteruolo . Venti Vibe fanno un caffiso, che pesa così poco più di qua- ranta cantara, e si usa esclusivamente nel peso del sale , della soda, e della calcina. È però un fatto assai curioso, che la vida di commestibili cresce annualmente di peso, e di contenenza cu- bica. Nel principio pesava, senza il colmo, solamente centoventi rotoli , ovvero un cantaro, ed un quinto ; ma se aumenta da una parte il peso e la misura , cresce dall’ altra ogni giorno il prezzo della derrata , che si va misurando. L'Olio si misura con Arbaje, che contengono sei caraffe, cia- scheduna del peso di tre rotoli, e due oncie, e corrispondenti in Toscana a sei quartucci , e tre ottavi ; 0 più esattamente un arbaja contiene quattro fiaschi e trentatrè quarantesimi ; ingui- sachè cento arbaja fanno in Firenze e Livorno barili 31, boccali 25 e quartucci 106, e quindici sedicesimi. Anticamente pesava 15 rotoli; ma da venticinque anni in quà ne pesa diciotto e tre quarti. Il nome di mataro dato nei libri di commercio alla mi- sura dei liquidi in Tripoli, è interamente sconosciuto nel paese, nè saprei indovinare da dove sia stato preso. Dietro il calcolo surriferito cento ardaje corrispondono, in Ancona a some 14 boccali 35. in Gallipoli a salme 6 staje 5 ed {. in Genova a mine 15 e quarteroni 97. in Lucca a coppi 2 e libbre grosse 2.3. in Messina a caffisi 116 e rotoli 9 £ in Napoli a salme 5 e staje 43. in Puglia a salme 6e staje 6 7. in Roma a barili 27 e boccali 15 32. in Trieste ad orne 15 e boccali 13 3. in Venezia a miri 63 e libbre 24. Il vino, l’acquavite, ed altri licori spiritosi misuransi con giar- re, da due e da quattro bozze, di quali ultime 24 corrispondono esat- tamente al così detto barile veneto , che si considera come uguale ad una millerola di Marsiglia , ovvero ad un barile, dieci fiaschi ed un quarantesimo in Firenze , ed a barile 1.e boccali 16 e $ in Livorno, Laonde cento bozze fanno 86 in Ancona boccali 174 ed un quarto. in Genova barili 2 ed amole 81 1. in Messina salme 2 e quartucci 8o 3. in Napoli barili 5 e caraffe 4. in Piemonte brente 4 e rubbi 2 }z. in Puglia salme I e staje 5.3. in Roma barili 9 eboccali 28 4. in Siracusa salme 3 e quartucci 18 1. in Trieste orne 4 e boccali 1 3. in Venezia secchi 25 ed un quarto. La misura di lunghezza chiamasi Picco, ed è di due specie, cioè il picco turco, ed il picco arabo. Il primo si adopera nel traffico estero , spezialmente cogli europei, e corrisponde preci- samente a due palmi, ed un quinto di Genova; onde cento pic- chi turchi fanno in Ancona bracci 86. in Cagliari rasi 100 e due terzi. in Corsica palmi 220 e cinque sesti. in Livorno bracci 92 e due terzi. in Malta canne 24 ed undici ventesimi. in Napoli canne 26. in Roma canne 27 e mezza. in Trieste bracci 70 e tre sedicesimi. in Venezia bracci 81 e mezzo. Dell’ altro , cioè del picco arabo, non si fa uso se non che nei mercati del contado fra’ mauri ed arabi , e qualchevolta nel bazare turco in città, per misurare i panni di seta ed altri generi del Levante. Questo picco tiene precisamente sette decime parti del picco turco, e cento di essi corrispondono perciò in Livorno a sessantacinque bracci. ArticoLo IV. S. 4.° Cabottaggio , spese di porto, quarantina , marina militare ec. Il porto , o per dir meglio la rada di Tripoli è , in ogni tempo dell’anno , un asilo sicuro assai per le navi da carico, di cui può ricoverare un numero molto grande. Le piccole fregate ed altri legni da guerra, che non pescano più di diciotto piedi, pos- 87 sono pure starvi ormeggiati colla maggiore sicurezza. Îl così detto porto vien formato da una scogliera lunga mille dugento braccia, o circa due lunghezze di gomena, ed è composta di otto scogli visibili, e molte frangenti sott’ acqua , che dalla punta del molo si stendono verso il nord-este. Da quale scogliera potrebbe con summa facilità, e poca spesa, costruirsi un eccellente molo, ossia riparo contro i fortunali del maestro e del greco , i soli che fino ad un certo segno inquietano le navi che vi ormeggiano. Il fondo è per lo più buonissimo, di sabbia pura, e di eccellente tenuta; in alcuni luoghi però fà d’ uopo tener le gomene sollevate per mezzo di gavitelli, a cagion delle roccie , o ghiaje. La profon- dità dell’ acqua è molto variabile , siccome anche la qualità del fondo , segnatamente verso l’interno del. porto, e nella parte meridionale del medesimo , dove si scorge una .vasta pianura di sabbia , sovente ricoperta dalle acque del-mare. Nel fondo del porto , ed in faccia alla dogana, havvi un buon moletto , o sca- ricatojo per isbarcare uomini, e mercanzie. Nell’ atto di avvicinarsi a questo porto bisogna per conse- guenza andare guardinghi , e collo scandaglio , perciocchè la co- sta è generalmente così bassa e piana, che soltanto a poche mi- glia si riconosce all’ atterraggio. È vero che le alte montagne di Tarhona , e di Gharrian, all’ ostro-libeccio della città , si scuo- prono ad una più grande distanza, ma non si possono sempre vedere. Il loro colore , che si confonde con quello del firmamento, fa sì che talvolta si sta in sulla costa prima di averla raffigu- rata. Comunemente però si riconoscono quei monti per mezzo di due sommità che, vedute da lontano, somigliano a due promon- torj. Arrivando dal norte conviene , nell’ inverno, sempre cer- car la terra al ponente della città , stantechè il vento , e la cor- rente muovono in quella stagione congiuntamente, e con molta forza, dal maestro allo scirocco , verso il golfo della Sidra , e verso la costa che dalla città si stende al levante fino al capo di Missrata. Dieci miglia al levante dalla città si vede la punta di Tugiura , coperta di alte e fortissime palme , ed alla medesima distanza verso il ponente il villaggio di Zanzur, parimente cir- condato da un bosco di palme. Fra quest’ ultimo luogo e Tripoli, vedesi inoltre, a tre miglia circa dalla città, un alta torre ro- vinata sovra un eminenza, appiè della quale giacciono alcuni giardini quasi in riva al mare ; questo luogo chiamasi Gargarsce, e può servire di segnale di ricognizione a chi cerca il porto, ve- nendo dalla parte del ponente. Un marabuto, o santuario mauro, nominato E!-indelsi, e posto sull’estremità della punta di Tagiura, 86 serve, per lo stesso oggetto, a quelli che vengono dalla parte del levante. Alla distanza di due è tre miglia dalla costa si può anco- rare dappertutto sovra ottimo fondo , segnatamante al maestro della scogliera , che difende il porto. Non parlo già del golfo della Sidra , che si dice essere molto pericoloso , ma dove s’ incontra- no cionondimeno diversi ottimi ancoraggi. Il primo oggetto vistoso che, giugnendo all’ atterraggio , si discuopre nelle vicinanze di Tripoli, si è un giardino con palazzo ed altri fabbricati bianchi , appartenente al console di S. M. Britannica , e posti in riva al mare, nel centro del bosco di palme che si estende al levante della città, fino ai giardini di Tagiura. Il palazzo è quadrato, di due piani, e provveduto di tetto, finestre , gronde , e teste di cammini, all’ europea. Il così detto forte degl’ Inglesi, è situato al di sotto , in sulla spiaggia del mare , e poco più lungi verso il ponente si vede un’ altro for- tino, che ha quattro pezzi di cannone. La seguente direzione per entrare nel porto di Tripoli può essere considerata come infallibile : io stesso mi sono assicurato sul luogo della sua esattezza in tutte le sue parti. Dalle fran- genti più orientali della scogliera si protende un banco di sab- bia di due gomene di lunghezza ; nel luogo dove termina, verso il levante , vi sono da 25 a 3o piedi di acqua. A mezzodì del- l’ estremità visibile della detta scogliera vi sono altri quattro pic- cioli banchi, de’quali il più orientale ha da 13 a 16 piedi, ed il più meridionale da 12 a 13. Il canale d’ingresso nel porto passa fra mezzo a questi due banchi, ed alcuni altri situati verso l’ ostro scirocco , sotto il forte degli inglesi ; il più setten- trionale dei quali ha da 11 a 13 piedi di acqua. Questo canale non ha più di due gomene di larghezza, e la sua profondità non è , in nessun luogo ; di più di 22 piedi. Per entrare, s° in- veste il canale, governando in dirittura verso il detto forte de- gli inglesi, infinoattantochè si osservi il minaretto , ossia la gu- glia della moschea centrale della città , che ha la punta nera, precisamente a ponente un quarto per libeccio della bussola , allorchè deve ancora combinarsi colla più settentrionale di due palme da datteri, che s’innalzano più indietro, nell’interno della città . Cotesto luogo è allora il passo più stretto del canale , e dove havvi anche la minore profondità di acqua. Governando di là in guisa che la più meridionale delle anzidette palme si com- bini col minaretto , già descritto , si viene a correre direttamente sovra due punti di fondo ove l’ altezza dell’ acqua è di soli di- 6g ciotto piedi. Passati quindi cinque scogli visibili, contando dal- l'estremità orientale della scogliera, si ritroverà la nave affatto dentro il porto, ove si può coraggiosamente dar fondo, ed or- meggiare ovunque si vuole , a due gomene dalla scogliera, so- vra venti due a ventisette piedi di fondo ottimo tenitore. An- core , ed altri attrezzi di ormeggio , ove facciano di bisogno , si collocano per lo più nelle direzioni di ostro scirocco , e tramon- tana maestro. Precisamente allo scirocco levante della bussola dal forte costruito sull’ estremità nordeste della città , e nella diretta linea di tramontana dalla così detta punta del bazare , havvi, dentro un giro di circa due gomene di raggio, vent’otto piedi d’acqua. Ma il miglior fondo di ancoraggio trovasi più verso 1’ ostro so- vra 25 piedi, esattamente al levante della bussola dal castello del Bascià , che forma l’ estremità sudeste della città. Piccioli legni mercantili ormeggiano ottimamente ancora più dentro il porto , verso lo scaricatojo, sovra 20 a 14 piedi; ma la principale cor- vetta della Reggenza, che naturalmente non isceglie il.posto men buono , sta sempre ancorata sovra 26 piedi , precisamente all’o- stro della piccola bocca del porto , attraverso la scogliera. Que- sta piccola bocca, che dà ingresso al porto, a due gomene e mezzo circa dal forte testè menzionato , ha di larghezza una gomena, e mezza , e da 10 fino a 13 piedi di acqua, fra il sesto ed il settimo ‘rompente della scogliera , contando sempre dal levante al ponente. Essa per altro è molto pericolosa , a cagione d’ un banco , ovvero scoglio situato un poco al ponente del centro , ove l’ altezza dell’ acqua è di soli sette piedi. Immediatamente al levante di cotesto banco è però libero affatto il passo, per uno spazio di cento a cenventi braccia. Un’ altra bocca , fra il quinto ed il sesto rompente , serve unicamente per battelli pe- scherecci, che conoscono appuntino il sito di quattro frangenti disseminati nel canale. Sulla punta, ed ai lati del molo, o sia scaricatojo, havvi da otto a sei piedi d’ acqua, cosicchè possono cautamente appro- darvi le più grandi lancie, e scialuppe. La città presenta sei minaretti , tre dei quali , più alti dei rimanenti , hanno le punte nere; il più meridionale di essi pare, in distanza, ergersi direttamente sovra il castello del Bascià , ma trovasi un poco più addietro. Quella che già dissi servire di se- gnale ai piloti di costa è un poco più al mezzodì dell’ asta che porta la bandiera portoghese, la quale, come la svezzese un T. XXXVII, Murzo. 12 90 poco più al sud, è la più vicina alla marina, ed appare perciò più elevata di tutte le altre. Subito di fuori della scogliera, dal greco fino a tramontana della città. si può dar fondo, ovunque si vuole, sovra un anco- raggio di 15 a 19 braccia. Ma il fondo di sabbia è colà misto di roccie, e di ghiaja. Un poco più a ponente si fa migliore , sopra 14 fino a 10 braccia, alla distanza di 4 fino a 10 gomene dalla città, ossia dalla sua punta nord’ oveste , formata da un castello o fortino quasi isolato , cui si dà comunemente il nome di Forte de’ francesi. I venti del maestro o del ponente dominano generalmente nell'autunno, nell’inverno, e nella primavera. Il più furioso è quello di tramontana maestro. Ma durante la state si alzano sem- pre, verso le ore dieci della mattina, venti freschi del greco, e del levante, che durano crescendo infino a notte avanzata. Di poi, e fino ad alcune ore dopo il levarsi del sole, spirano venti di terra, e di ponente. È stato osservato, che i venti di mare anche fortissimi, che infestano così spesso le coste nelle stagioni rigide, si estendono molto di rado fino a quaranta miglia dalla spiaggia; a quale distanza soffiano talvolta venti affatto opposti. L’ unico porto di questa Reggenza che fuori di quello di Tripoli vien frequentato da naviganti europei , è quello di Ben- ghazi , nella costa orientale del golfo della Sidra, al lembo di una schiera di monti, lontani circa tre leghe dal littorale. Il suo segnale è un castello quadrato , che , giungendovi dal mare , si lascia in sulla sinistra ; entrandovi si vede una chiesola, o ma- rabuto , ed aleune palme. Dalla parte di libeccio , sulla punta detta Giuliana, che resta a diritta entrando, vi sono eziandio alcune palme. L'entrata di questo porto è oltremodo difficile , e non si può con sicurezza tentarne l’ ingresso , senza averne piena pratica, e conviene attendere un piloto locatiere fuori del porto. 1 legni mercantili che entrano a Tripoli, di qualunque no- me, O portata, pagano cinque pezzi colonnati ed un quarto di ancoraggio , tre altri per diritto d’ usanza al dragomanno del Con- sclato , ed otto per mercede al piloto di costa, allorquando se n’ è fatto uso. I legni di guerra rispondono con ugual numero di caunoni al saluto che ricevono , e ch’ è attualmente di trenta- tre colpi, e pagano di più quaranta colonnati agli artiglieri tur- chi} e dieci ai dragomanni del rispettivo consolato. Per dare un’ idea statistica del movimento della navigazione, e del numero dei bastimenti che frequentano il porto di Tripoli, 9I segnatamente rispetto i porti della vicina Italia , esporremo qui sotto il quadro degli arrivi, e delle partenze dell’intero anno 1824, e dell’anno decorso dal primo luglio 1827 fino al dì 30 giugno 1828. 1.° Movimento della navigazione e del cabottaggio nel r824. Arrivi. Da Malta, 19 inglesi, 3 austriaci, 2 francesi, 2 toscani ed un tripolino. 27 da Livorno , 8 toscani, 4 austriaci, 3 sardi, 2 francesi, 1 russo, ed un?’ ionio. 19 da Benghazi, 3 tripolini, 4 francesi, 2 austriaci, un in° glese , ed un sardo. II da Alessandria, 3 toscani, e 2 inglesi. 9 da Trieste, 3 austriaci, 1 romano , ed un tripolino. 5 da Tunisi, 2 americani (da guerra), un toscano ed un francese ( mercantili ). da Gerba , 1 francese, 1 inglese, 1 austriaco, ed un romano da Smirne, 1-olandese (da guerra), 1 francese, ed un sar- do , (mercantili). da Marsiglia, 2 francesi. da Tolone, 2 detti. dal Golfo di Sidra, 2 detti. da Missrata , un francese , ed un inglese. da Fiume , 2 austriaci. dal Mare in corso , 2 tripolini. da Genova , un sardo. dall’ isola di Cipro, un francese. da Bona, un detto. dallo Zante , un austriaco. DA Morton D PD D_ D D DD VI Partenze. Per Malta, 14 inglesi, 2 austriaci, 2 francesi, 1 ameri- cano (da guerra), un romano , e 2 napoletani. 29 per Benghazi , 4 tripolini , 5 inglesi , 5 francesi, 3 austriaci, 1 sardo, ed un russo. 19 per Alessandria , 4 trancesi , 4 toscani, 4 inglesi, 2 au- striaci, 1 sardo, ed un tripolino. 16 Somma e segue 57 92 Partenze. Riporto 57 per Livorno, 4 sardi, 6 austriaci , 2 toscani e 2 francesi. 14 pell’Arcipelago , la squadra del Bascià, ed un americano. 9 per Tunisi, 2 francesi, 2 toscani, 1 inglese. 5 per Gerba , 2 francesi, 1 inglese, 1 austriaco. 4 per Candia e le Smirne , 2 toscani, ed un sardo. 3 pel Golfo di Sidra, 1 francese, ed 1 toscano. 2 per Missrata , 2 inglesi. 2 per Bona ed Algeri, 2 francesi. 2 per Corso, due tripolini (da guerra). 2 per Marsiglia , un francese. I Somma 101 9.° Bandiere Arrivi. Partenze inglese. 1 24 25 francese. 19 27 austriaca. 16 1% toscana. Ì 14 TI tripolina. 6 15 sarda. 5 7 americana da guerra. 2 2 romana. 2 2° ionia. I I russa, I I olandese da guerra. I r napoletana. I I Somme 94 10I 3.° Scafi ed alberature. Arrivi Partenze Corvette da guerra. I 3 Bricchi id. — 7 13 Bregantini mercantili. 27 28 Golette. 9 5 Bombarde. 30 34 Trabaccoli , e pielighie Lio) 9 Somme e segue 84 92 Riporti 84 92 Sciabecchi. 3 2 Polacche. I Pinchi. I I Tartane. 5 5 Somme 94 IOI 4.° Movimento della navigazione e del cabottaggio nel 1827-1828. Arrivi. Da Malta , 13 inglesi, 7 francesi, 3 toscani, 2 austriaci, ed un sardo. 26 da Livorno , 9 toscani, 4 sardi, 1 austriaco , ed un russo. 19 da Benghazi, 4 tripolini, 2 toscani, 1 francese, ed un tunisino. 8 da Tunisi, 3 francesi, 2 austriaci, 1 toscano , 1 inglese, ed un siciliano. da Alessandria, 2 austriaci, 2 sardi, ed un francese. da Durazzo , 4 ottomani , ed un inglese. da Modone, 3 tripolini da guerra. da Messina, 3 siciliani, de’ quali 2 da guerra. da Trieste, 2 austriaci. da Marsiglia, 2 francesi. da Sfax , nelio stato di Tunisi , 2 inglesi. da Missrata , 2 toscani. da Venezia, un austriaco. da Smirne e Candia, un austriaco. da Scutari d'Albania, un’ ottomano. da Gerba,, un inglese. da Susa , un inglese. da Tenedos, fregata sarda da guerra. dal Mare, 5 francesi, 4 tripolini, 4 inglesi, 1 olandese, I americano; tutti da guerra, e più una presa prussiana. 16 feti cefo sto ci 19 10 1 dl do Wo di n 0 Somma 103 Partenze. Per Malta, 13 inglesi, 3 austriaci, a toscani; 2 francesi, 2 sardi, ed un napoletano. 23 14 94 i Partenze. Riporto 23 per Benghazi , 5 tripolini, 4 toscani, 2 francesi, un russo, un inglese, ed un austriaco. 14 per Alessandria, 2 austriaci, 2 francesi, 2 toscani ed un sardo. 7 per Livorno , 4 toscani, 1 sardo ed un austriaco. 6 per Sfax e Susa 3 inglesi, 2 francesi ed un siciliano. 6 per Tunisi, 2 sardi, un toscano, un francese , ed un austriaco. 5 per Trieste, 2 austriaci, ed un toscano. 3 per Durazzo, 3 ottomani. 3 per Napoli , 2 fregate siciliane da guerra. 2 per Marsiglia, un francese, ed un toscano. 3 per Genova , fregata sarda. I per l’ isola di Cipro, un toscano. I per Bona , un francese. I per Gerba e Susa, un inglese. I per Missrata, un toscano. I per Corso , ossia con destino ignoto , 7 francesi, 4 inglesi, 3 tripolini, un’olandese ed un’ americano, tutti da guerra. 16 Somma 92 5.° Bandiere nel 1827-1828. Arrivi. Partenze. inglese. 23 29 francese. 18 18 toscana. 17 17 austriaca. II 9 tripolina. II 8 sarda. 8 7 siciliana. 9 4 ottomana. 5 4 americana. I I olandese. I I russa. I I tunisina. I prussiana ;, presa. I a e 95 6.° Scafi ed alberature. Arrivi. Partenze. Fregate. 6 6 Corvette. 3 I Bricchi. 9 7 Golette. a5 19 Bregantini. : 33 dI Bombarde. 16 18 Spronare. 3 4 Sciabecchi. rta 2 Trabaccoli. 2 2 Balandre. 2 I Bovi. I I Galeazza prussiana. I Somme 103 92 Non sono compresi in questo computo i così detti Sandali tripolini o tunisini, che in ogni stagione fanno il cabottaggio fra l’isola di Gerba ed il porto di Tripoli , ed arrivano regolar- mente il lunedì ed il giovedì , e partono il mercoledì ed il sa- bato, ove non abbiano il tempo ed i venti contrarj. Sono pic- coli bastimenti da vele auriche, e mezzo coperti, che portano da dieci a quindici tonnellate, e fanno anche i viaggi di Porti Ma- gra , di Seliten, di Missrata, e del golfo di Sidra, che gli arabi chiamano Giun-el-Kebrit, ossia il seno dello zolfo. i Quarantina, e regolamenti di pubblica sanità. Uno dei più saggi provvedimenti di pubblica utilità fatti dal Bascià di Tri- poli iu oggi regnante, è senza dubbio stata l’ istituzione, nella sua capitale , d’ un ufizio di sanità , sotto la presidenza d’ un esperto , ed abilissimo medico maltese , assistito dal capitano del porto, dal capo dei locatieri, e da più deputati, ispettori, e guar- die sanitarie. Legni che vengono dal Levante od altri paesi, ove si sappia che attualmente regnino malattie contagiose, e quelli che ne arrivano carichi di mercanzie chiamate suscettibili , come la lana , il cotone, il lino, le cuoja, ec. ec. non si ammettono in nessun modo , ma si fanno partire immediatamente per Malta o pel Porto Maone. A quelli però che procedono da luoghi so- spetti, o, come dicesi nel commercio, sono muniti di patenti tocche, si assegnano da venti a venticinque giorni di quarantina rigorosa , disbarcando merci e passaggieri in luoghi a ciò desti 906 nati, posti dentro il recinto chiuso della fortezza costruita sulla punta del molo, e separata dalla terra ferma mediante un fosso ovvero braccio profondo del mare. Nel quale fosso entrano , per la parte di fuori , ed accompagnati da guardie , i battelli parla- mentarii dei legni, che stanno purgando la contumacia in luogo appartato della rada, sotto il castello del Bascià. Le lettere ed i pieghi apportati con simili bastimenti si profumano con un ri- gore, ed una precisione, che farebbero onore a qualunque ufi- zio di sanità nella più incivilita Europa. Le spese della quaran- tina sono per altro limitate ad un colonnato il giorno al medico presidente, e ad un fitto molto discreto delle stanze , e dei ma- gazzini entro la fortezza. In materia di regola generale per promuovere il commercio tra l’Italia, e la Reggenza di Tripoli, non crediamo che si ricavasse molto dallo stabilire un sistema daziario che favoreg- giasse l’introduzione nei porti italiani dei prodotti tripolini; ma sembraci ottimo divisamento, che come un mezzo onde fa- cilitare la navigazione, non si debba omettere quello d’una revi- sione nelle leggi sanitarie, rispetto alle procedenze da quelle scale, spezialmente nei lazzeretti di Livorno , Genova e Trieste. È un fatto costante , che nessuna malattia pericolosamente con- tagiosa s’ incontra endemica in cotesta Reggenza. La peste non vi si alligna , se non trasportatavi dal Levante ; cosa oramai quasi impossibile , mercè i savissimi provvedimenti qui sopra descritti, e che si eseguiscono puntualissimamente. In fatti non havvi esem- p:0, che per la via di terra sia quivi penetrato quel rio malore dalla parte dell’ Egitto ; ciò che forse , e senza forse, debbesi attribuire alla vastità del deserto, che separa quella malsana regione dai monti della Cirenaica. A buon conto passarono già trentacinque, e più anni dopo l’ ultima introduzione del miasma per la via di mare ; laddove nell’ Egitto , ed altri luoghi del Le- vante la malattia è indigena , ed anche quando non esiste sco- pertamente, si debbe essere guardinghi assai nell’ammettere, senza una rigorosa quarantina, legni da colà procedenti. Ma per ciò che riguarda le scale della costa di Tripoli, ci sembra, che quando vi si gode d’ una perfetta salute, come nel giorno d’ oggi, una con- tumacia di dieci a dodici giorni pei bastimenti , e di quindici o venti al sommo per le mercanzie anche d’ altronde suscettibili , debba essere più che sufficiente. E per combinare quanto è pos- sibile la facilità della navigazione col debito riguardo alle leggi sanitarie; non avrebbono i ministri dei governi italiani che a a pi A rammentare, di quando in quando, agli ufiziali consolari in quella Reggenza; l'obbligazione loro di tenere chi spetta accura- tamente avvertito delle più piccole variazioni che potessero acca- dere nella pubblica sanità; e nel tempo medesimo ingiugnere ai magistrati o dipartimenti sanitari, di far rigorosameute osser- vare l’ esistente legge di non considerare come valide le patenti di sanità rilasciate a’ bastimenti che dalla Reggenza di Tripoli fanno vela per l’ Italia, se non sono emanate, od almeno au- tenticate, dal respettivo ufiziale consolare residente nel luogo della procedenza per lo Stato italiano, eui appartiene il. porto per dove questi bastimenti sono diretti. Marina Militare. Oltre la corvetta Capitana già! menzionata, che porta 29 cannoni, e 150 uomini di equipaggio , si trovano attualmente nel porto di Tripoli: un’altra detta Padrora che ne . ha 20; tre bregantini da 18, 16, e 14 cannoni , e cinque golette da 10, 8, 6, e 4 cannoni; dieci scialuppe cannoniere dette lar» cioni , più o meno servibili, e che portano ognuna un pezzo da sei libbre di palle. Dimodochè tutta la marina militare della Reggenza si compone di venti bastimenti fra grandi e. piccoli, che portano 136 cannoni, e 1400 fra ufiziali, e marinari. Le potenze marittime cristiane che hanno relazioni e trattati di pace , d'amicizia, e di commercio colla Reggenza di Tripoli sono, per ordine alfabetico: l’Austria, il Brasile, la Danimarca, la Francia, la Gran Brettagna e l Irlanda, i Paesi Bassi ; il Portogallo, la Sardegna, le Due Sicilie, lo Stato della Chiesa, la Svezia e la Norvegia, la Toscana , e gli Stati Uniti dell’ America settentrio- nale. Tutti vi hanno consoli, meno l’ Austria , che fa reggere i suoi negozii da quello di Francia. La Svezia , ‘1’ Olanda, e la Danimarca pagano piccoli sussidii annui, che sono di poca entità in confronto colle vistose somme spese da nazioni e più potenti e più ricche, col fine di far rispettare il loro commercio, e la loro navigazione, dai corsali tripolini, i quali ebbero sempre fama di essere, e sono stati di fatto , i più arditi, ed i più formidabili delle tre Reggenze barberesche. Jacopo GraseRe DI Hemsò. T. XXXVII Marzo. 13 98 I prigionieri di Pizzighettone. Romanzo storico del secolo XVI. Dell’ Autore di Sibilla Odaleta e della Fidanzata Ligure.Vol. II Milano. Presso A. F. Stella e Figli, 1829.) Dell’autorità de’Giornalisti. = Del novello Romanzo. — Della Ri- voluzione di Spagna nel 1522. == Del meccanismo dei ro- manzi storici. Noi vediamo con sincero piacere i nuovi passi che 1’ egregio Autore viene con felice sicurezza mettendo nel difficile suo cam- mino. E con la. nostra stima ‘crescerà la nostra franchezza. Io so bene che a’ pari. suoi la franchezza de’ critici. può non rade volte parere ardimento importuno: so quello che: de’ giornalisti si pensa da una certa classe ‘di lettori e d’ autori : e però credo non inutile porre quasi preambolo al breve discorso ch’ io terrò di questo novello romanzo , una schietta enumerazione delle ra- gioni che stanno favorevoli e contrarie agli arbitrii che si prende la critica sui lavori della scienza e del genio. Incomincerò dalle obbiezioni; e m’ingegnerò di non ne dissimular punto nè la ve- rità nè la forza nè l’ acrimonia. « Che cosa è egli mai la sentenza d’un giornalista? L’opi- nione individuale d’un uomo , che o per ismania di dare un giu- dizio, o per mestiere, o per affetto, o per odio, si mette ad esaminare con più o meno diligenza un’opera della quale o egli non conosce l’autore , o male lo conosce, o troppo, e decide in poche e assolute parole s’ella sia buona o cattiva. Lasciamo l’in- conveniente del non conoscere o del conoscere in modo da ispirare parzialità, la persona, le opinioni, le condizioni , il carattere dell’ autore : ma questo solo atto d’ un uomo che all’ individual sua ragione presume di sottoporre ingegni forse grandemente maggiori del suo, opere che son frutto di lunghi studii e di scienza vastissima , questo solo atto suppone o un orgoglio o una leggerezza sufficiente a invalidare 1’ autorità di quegli assoluti giudizii. -- Darà egli a conoscere l’ opera per via d’ estratto ? Mezzo insufficiente ad offrire piena idea dell’intero, che risulta dal complesso delle menome particolarità; mezzo arrendevole alle reticenze , alle omissioni, alle esagerazioni , alle parodie. — La darà egli a conoscere per via di citazioni, e coprirà le intenzioni proprie sotto il manto del medesimo autore? Ma e chi mi dice ch” egli non abbia prescelti i passi migliori, o i più deboli; che con maligni ravvicinamenti , con interpretazioni più dotte e più fe- 99 conde del testo, non abbia' mascherata la vera imagine «del la- voro ? Or che sarà; se a queste colpe indirette s’aggiunga la soz- zura dell’ adulazione , o la viltà dell’ ingiuria ? L’Autore svilla- neggiato, quand’ anco abbia i mezzi , la pazienza , la debolezza di rispondere , non otterrà mai quell’ udienza che il critico , per- chè la prima voce penetra più facile addentro , e più di tutte la voce maligna. Il pubblico intanto s’ imbeve d° inesatti giudizii e di falsi, sentenzia d’ opere e d’ uomini che non conosce, sulla fede di censori o incompetenti o sospetti ; e di quelle imperfette notizie che possono offrire i giornali si appaga per tutta merce d’ erudizione e di gusto. I giornalisti, ligi ad un'opinione, ad un uomo ; ad un partito , per hassi timori, per indegne speranze , per misera caparbietà, non arrossiscono di sostenere pregiudizii vieti e funesti, di diffondere novità pericolose o futili ; e tutto ciò con un tuono di gravità leggiera ed impertinente ; che offen- de , annoja; e ributta. ,, Son queste, a un dipresso , esposte senza cerimonia , le obbiezioni che molti e non immeritamente movono ‘al Giornalismo: incompetenza del giudice; necessaria imperfezione ‘0 probabilissima parzialità del giudizio , diffusione d’ idee false o inesatte. == Vediam le discolpe. Conoscere le opere che si vengono di mano in mano pubblicando e nella propria e nelle vicine nazioni, è cosa certamente utile e ai dotti e agl’ indotti. A quest’ uffizio po- trebbe bastare la semplice bibliografia, se dal titolo si potesse giudicare l’ importanza e il pregio d’ un libro. A darne dunque un'idea non basta nè il titolo, nè la prefazione, nè l’ indice : ma può giovare un estratto. Questo , chi lo nega P, è difficile a elabo- rarsi bene, ma è altresì difficilissimo a rendersi tale che dia dell’opera un’ idea falsa del tutto. E può, d’altra parte, essere che l’estratto venga migliore dell’opera stessa. Di questo modo di compendiare e dare a conoscere un libro , noi potremmo citar degli esempi. Ma ad ogni modo, certo è che un sunto, anco mediocre , del libro, può risparmiarne la lettura e la compera, o può consigliarla. Il primo vantaggio è più frequente, e più notabile del secondo. Ma ne?’ tanti libri ch’escono da tanti paesi e da tanti cervelli diversi, havvi delle intenzioni ; delle proposizioni, delle parti evidentemente riprovevoli, perchè pericolose, ed opposte alle nor- me del senso comune. Un giudizio dettato da. quest’ avvertenza non potrebbe, a mio credere, far che del bene. E quand’anco l’opi- nione del giornalista non fosse la vera , essa dà luogo a muovi pensieri, a nuove ricerche, a una disputa , che può essere oziosa e villana;, ma può essere urbana e proficua. E non è vero che 100 l’ antore condannato o deriso, noa ottenga indienza dal Pnb- blico. Abbia egli delle ragioni da esporre, e tosto o tardi gli sarà dato orecchio; e l’avversario villano avrà ad arros- sire del suo vigliacco trionfo. Che se l’offeso o il censurato non volesse o non potesse rispondere, la cosa non andrebbe che meglio : sì perchè il pubblico, meno maligno e meno inetto che il più delle volte non paja, sa distribuire la riprovazione e il disprezzo anco a quelle diatribe che legge con avidità e con simpatia, sì perchè la facilità di rispondere non fa che inna- sprire infruttuosamente i rancori; sì perchè quello studio che nel primo bollore della disputa 1’ autore porrebbe a difende- re l’ opinion propria, 1’ occupa a mente più riposata , nel ret- tificarla , nel' perfezionare le idee, nel temperarne 1’ importu- na e nociva acrimonia. Di tutto in somma si può approfittare, anco de’ giornali più tristi: perchè nella critica, anco la più in- giusta , v° è sempre un'lato di vero. In questo senso può dirsi, che la ragione del critico è qualcosa più che una ragione indi- viduale ; giacchè quand’ anco il critico non rappresenti in sè stesso le opinioni e i sentimenti di un partito, di un paese, di una classe d’ uomini, il suo giudizio è tuttavia importante all’ autore , in quanto gli mostra come pensi dell’ opera sua chi non l’ha scritta; a quel modo appunto che il meno elegante degli uomini può vedere a un incirca se un abito stia o no bene ad- dosso al suo elegante vicino. E quand’io parlo del meno elegante, pongo le cose alla peggio. Ognun sa che a’ dì nostri la critica è stata onvrata, illustrata da uomini ben degni di seder giudici de’ più elevati e più vasti fra i lavori della fantasia e della scien- za. Noi più non siamo a que’ tempi di genio vergine, di civiltà primitiva, quando l’ispirazione pareva, ed era forse inconcilia- bile col raziocinio , e per essere grandi autori, giovava od era forza comparir pessimi giudici. Il giornalismo ( pare ormai inevitabile questa voce novella ) è diventato non pure uno strumento di rapida diffusione di molte idee, non tutte frivole e non tutte fu- neste; ma è già un ramo anch’ esso , e fiorente, di solida lette- ratura. E nessuno autore, per quanto dotto si tenga , per quanto ispirato egli sia, oserebbe rigettare come impertinente il giudizio ( ne’rispettivi loro studi ) di un Sacy, di un Letronne, di un Abel Remusat, «di un Klaproth, di un Guizot, di un Gay-Lussac,d’un Ara- go, di un Flourens, di un Carlini, di un Sestini, di un Borghesi, di un Amati, di un Romagnosi; di un Walter-Scott, di un Goe- the, di uno Schlegel, d’ un Monti. I nomi e i gindizii de’ me- diocri, degli oscuri, degl’ impertinenti ; de’ venduti non valgono IOI a togliere all’ ufizio del critico la sua dignità. E si può bene af- fermare che in coloro i quali dalle esagerazioni o adulatotie‘o ma- ligne della critica si lasciano illudere, anco se i giornali non esi- stessero , le illusioni del pregiudizio non sarebbero però nè più rare nè men deplorabili. Giudicare un’ occupazione , un uffizio da’ suoi abusi, egli è un aggregarsi alla monomania di coloro che non vogliono filosofia , perchè v° ha de’ filosofi cicaloni. — Infine si può bene essere tutt’ altro che un uomo di genio, un grand’uomo, e parlare intorno alle opere de’ grand’uomini ( posto che tutti gli autori sien tali ) ragionevolmente , utilmente ; non già col dettare sentenze , non già coll’ imporre precetti, ma col dare a conoscere quello che nella scienza, nell’ arte s’è fatto, e quel che resta da fare. Quand’ anco , per evitare cerimonie tediose e che parrebbero ipocrite , il giornalista esponga il parer sno franco e libero , senza le clausole così pare a me; se non erro , e simili; ognuno che ha senno intende bene che non d’ altro si tratta se non d’ una opinione; e che, se le stesse accademie sono falli- bili, l’infallibilità non è certo da presumere che vada a rifu- giarsi nelle pagine d’ un giornale. Ciò premesso , una volta per sempre, veniamo al novello romanzo dell’ egregio Italiano. II. In due periodi n'è bell’e fatto il compendio. Francesco I dà la battaglia di Pavia, è preso, condotto nella fortezza di Piz- zighettone, e dopo varie inutili mosse de’ suoi fedeli, traspor- tato a Madrid. Nella stessa fortezza è rinchiusa D. Maria Padilla, già ribelle a Carlo V nella santa lega di Castiglia : ne fugge una notte, e si ripara in Francia col fratello e con l'amante, già divenuto suo sposo. Queste avventure danno al - l’ ingegnoso autore occasione di descrizioni interessanti e di pia- cevoli scene. Gli è insomma uno de’ migliori romanzi che sieno da qualche tempo usciti in Italia, in Germania , ed in Francia. Lo spirito cavalleresco del tempo rivive nel cav. Goffredo , in Istefano Guasco, in Marsilio Fondulo e nel figlio di lui, in Borbone , nel re. V’ ha il suo posto la giovialità , la leggerezza francese. Sopra ogni altro, Francesco ci si mostra vivente nella sua tenda (V. I p. 64); nel consiglio che tiene co’ suoi gene- rali (p. 95); nella visita che fa alla tenda de’Fonduli (p. 118); nella varietà delle sue occupazioni e de’ suoi pensieri (p. 219); nelle cure che presta a Goffredo suo compagno di prigionia ; nel contegno che serba nella sventura. Bonnivet , de fort gentil et subtil esprit, et trés habile, fort bien disant , fort beau et agréa- ble; quale lo dipinge Brantòme , tale ci si mostra nelle sue adu- latorie sottigliezze. I suoi difetti, li dà bene a conoscere il dia- 102 logo de’ due ufficiali dell’esercito. (V. I, p. 52) — E meglio anco- ra dimostrano la leggerezza e la presunzione di quel favorito le sue parole di scherno, quando parlando della conquista italia- na: < Non gran che, dice, Cornelio min: ma meglio di nulla. 3» L’imboccatura dello stivale; quanto basta per darci agio a » farvi sdrucciolar dentro tutto il piede. ,, (p. 193) = L’ ulti- ma pennellata l’abbiamo in quel giudizio che ne pronunziano Borbone ed Agrippa : La Francia ha perduto uno de’suoi bra- 33 Vi. — Egli era francese; e qual è il francese che non sia bra- so vo? ,, (V. III 199). Al carattere di Maria Padilla y sebbene non sia data, come diremo poi, la conveniente importanza , pure il lettore s° affe- ziona , e s’ interessa ; e ciò non è poco. La miglior cosa che dica e faccia la march. d’Alangon, si è di alzare il suo bicchiero a livello degli occhi, e pronunziare con enfasi un brindisi alla legittimità del trono. (V. II p. 97). L’impostore Corn. Agrippa, che i suoi contemporanei defini rono filosofo, demonio, eroe, Dio, tutto, fa nel romanzo un podi tutto; ed è dipinto con efficacia, segnatamente nel suo dialogo con Borbone; a cui, come narra la storia , egli solea prenunziare vittorie e grandezze ( V. II p. 187). Il pazzo Brusquet, personaggio storico anch’ esso, dice e fa qualcosa di piacevole e d’ importante. La giovane Camilla, la figlia del Cremonese Fondulo, 1’ aman- te di Stefano Guasco, è amabile della sua giovialità, e più della improvvisa e sì naturale malinconia che la coglie alla fine (V. III p. 25). Havvi delle situazioni poetiche, e degne del più celebre fra i romanzieri : come quando Francesco solleva il lembo della sua tenda, e si mostra quasi involontariamente a’soldati, che mettono un grido di gioia (V. I p. 98); quando, nell’atto che viene annun- ziata la visita del re, Camilla si dà ad abbigliarsi, e Maria, la mi- sera amante di Francesco, s’ inginocchia a pregare (V. 1 p. 117); quando il re, condotto prigione , passa in mezzo agli avanzi della battaglia, e sente voci di feriti e di moribondi che gridano : of France! oh ma mère! oh ma patrie! (V. II p. 86); quando nel diroccato palazzo di Fondulo s’ adunano i seguaci del re a con- sulta , e chi propone di fargli segnare in compenso della libertà che non gli hanno ancor data, una carta di nuovi privilegi alla nobiltà, chi dimanda indennità delle spese, e simili (V. III p. 42); quando il re, già nell’ atto di avviarsi verso la Spagna, riceve alla Certosa 1’ ultimo addio de’ suoi fedeli, e della buona Maria 103 moribonda (V. III p. 317). Bella sovra tutte è la descrizione della fuga della vedova Castigliana dall’ alto della rocca : il let- tore palpita con essa d’ impazienza e di ansietà; e al vederla in salvo col Moro liberato, ne sente ben più che la contentezza della curiosità soddisfatta. Noteremo per ultimo un pregio , lieve, se così piace, ma che dimostra il molto ingegno , e il talento veramente poetico dell’ autore; dico, la peregrinità e la verità di parecchie simi- litudini (V.I pp. 57 106 114 115 171. V. II pp. 7 10 219 87 284. V. III pp. 56 110 120 172 176). = Anche lo stile è in questo, men che nei due precedenti romanzi , negletto: è meno affettato che nell’ autore di Falco e del Castello di Trezzo ; ma troppo manca tuttavia ad ambedue questi ingegni stimabilissimi perchè la fedeltà e la vivezza della elocuzione corrisponda ne’loro lavori all’ evidenza e alla novità delle immagini. Quanto al- l’artifizio dell’ orditura e alle bellezze di fantasia , il giovane piemontese pare a noi più gaio, più vario, più familiare; il mi- lanese più forte, più severo, più vero. III. Tacerò io de’ difetti? Di quel Lampugnano , servo la- drone de’ Fonduli , a cui fu tagliata dal carnefice la man destra, e impresso sulla spalla il marchio d’infamia ; e che per vendi- carsi del padrone lo seguita a Parigi, lo persegue in Italia, tutto osa per tradirlo , e all’ultimo gli manda in dono la mano tagliata, ch’ egli serbò per tanti anni, pur per istrenna d’ insensata ven- detta? Tutto cotesto intrigo è inverisimile , e freddo: e confer- merà bene a torto negli stranieri quella stolta idea, già troppo accreditata, che l’Italiano è per natura vilmente vendicativo , freddamente crudele. Tacerò io di quell’ ebreo convertito , che non ismette però 1’ innata avarizia? Questo è possibile ; è verisimile , se così pia- ce; ma serve a convalidare un pregiudizio inumano e. irreli- gioso che pesa da tanti secoli sopra una generazione, la cui de- gradazione istessa è la più deplorabile delle sventure. — Tacerò di quel racconto di diavoli, sì comico in sè, ma non innocuo ancora in un libro destinato a correre per le mani del popolo ? E che dire di quel romito , languida imitazione del pastore del Tasso? Questa gente di mondo che si raccoglie in una spe lonca, in un bosco, all’ombra di una cappella, di una capanna, e quivi da mezzo secolo passa le ore o nella santità o nel dolore, non so quanto convenga a ben pensato romanzo. Un critico ingegnoso desiderava che l’autore di Falco avesse affi- data l’educazione della sua Rina alle cure d’una brava femmina 104 d’ alta condizione, caduta in basso stato , e rifugiatasi sulla rupe di Nesso. Questo spediente di rendere verisimile un’ invenzione col mezzo d’ una inverisimiglianza, e d’una inverisimiglianza familiarissima ai più mediocri tra i romanzieri de’ secoli andati , non pare a me l’ ottimo degli spedienti. Che dire poi del delirio profetico della innamorata Maria ? E del suo sesto senso ?. Questa invenzione nulla aggiunge al drammatico della composizione , e molto toglie alla efficacissima ingenuità dell’ affetto. Nè quel suo morire lì di faccia alla car- rozza del Re, che si dà d’un pugno nella fronte, mi par ch’ esca gran fatto dalle comunali astuzie de’ romanzieri e dei tragici mediocri. Costoro cercano i co/pi di scena ; e per iscuotere lasciano di commovere. Poi; nella Sibilla Odaleta, nella Fidan- zata , nei Prigionieri abbiamo un delirio , abbiamo predizioni , abbiamo improbabili e lontane vendette. E giova notare che tutte quasi queste viziose invenzioni non son che accessorie , e si po- trebbero molto bene o stralciare o castigare senza punto nuocere alla florida bellezza del tutto. IV. Questi a me paiono i difetti d’ invenzione: vediamo quelli di storica verità. == La battaglia di Pavia, cardine del romanzo , è troppo langaidamente narrata. La storia ce ne ha conservati de’particolari a buon romanziere preziosissimi , e certo più poetici che le similitudini omeriche del torrente e del sasso. — Il pazzo Brusquet , nella storia è più leggero, più comico che il nostro autore nol faccia. == Il Generale d’Alangon è tut- t’ altro che un carceriere ridicolo. == Agrippa, secondo la sto- ria, non morì già nel 1525, perchè a Guasco piacesse di cor- rere a nuoto per rovesciare la sua barchetta, a risico di ricevere egli sul capo un buon colpo di remo e affogare; morì nel 1544 in un ospedale di Francia. - Borbone non è quel delicato di co- scienza che il romanziere lo fa ; è un gnerriero superbo e gio- viale , è il barbaro saccheggiatore di Roma, che tenne dietro a Francesco in Madrid non per altro se non per avere la sua parte ne’ patti che Carlo sarebbe per istringere con la Francia. — D’Alengon , il traditore vigliacco dell’ onor suo e della patria, era cognato del Re. — Il marchese di Mondeiar , fratello di Maria Padilla, non era , ch’ io sappia , cavaliere di Rodi; ma teneva da Carlo contro i ribelli. = Infine Maria Padilla non fu mai, ch'io sappia , in Pizzighettone; mortole il marito di- fese con gran valore Toledo , si ritirò quindi nella cittadella , resistè quattro mesi , e quindi fuggì travestita in Portogallo , do- ve avea de’parenti. Nè quel governo, che aveva con precipitata 105 sentenza condannato suo marito a morire per man di carnefice, avrebbe rispettata lei tanto ; e molto meno mandatala a piangere il sno destino in Italia. Ecco , ( se Robertson non m'inganna, e se il nostro autore non ha attinto a memorie più secrete e più autentiche ) ecco , per chiunque conosca la verità , scemato della massima parte l’ interesse di quella bella narrazione della ve- dova ardita che fugge giù per una corda , guernita di cosciali di pelle di camoscio , e va in braccio al fratello e all’ amante. Non è quì luogo di cercare come la novità e la bellezza del ro- manzo e del dramma possa conciliarsi col più scrupoloso rispetto della storica verità : questo importante, e finora non bene ten- tato argomento riserbiamo a più posato discorso : quì noteremo soltanto che, posto che l’ autore era risoluto a tentare cotesto singolare ravvicinamento del re galante di Francia con. la Ca- stigliana ribelle , potea trarne migliore partito ; poteva dipingerci con più vivi colori la rivoluzione a cui quella singolat donna ebbe parte, riserbando ad un fatto sì grave il posto occupato dalla narrazione , non affatto opportuna , e non molto romanzesca nè poetica , della presa di Rodi ; poteva far sentire al lettore come lo spirito che più tardi destò la rivoluzione d’ Inghilterra , era già vivo in quella Spagna che noi riguardiamo come la pa- tria della più stupida servitù ; poteva interessarci alle gare de’no- bili contro il governo , del popolo contro i nobili, de?’ capitani fra loro, de’ preti contro la vedova; interessarci alla misera morte del valoroso Padilla, che pochi istauti prima di porgere il collo al carnefice , scriveva alla moglie : je vous lègue mon ame; il est le seul bien qui me reste; et vous le recevrez comme la chose que vous estimiez le plus dans ce monde; interessarci al destino di questa eroina , che sostituisce alle bandiere 1’ immagine del Cro- cifisso, che conduce per la città il suo tenero figlio vestito a lutto, per eccitare il popolare entusiasmo ; potea ripeterci con Robertson le ardite richieste che la rivoluzione vincitrice faceva a Re Carlo. Ed erano : che il re venisse a risiedere in Ispagna; che non potesse senza il consenso degli Stati ammogliarsi ; che dovendo lasciare il regno, non ne desse mai la reggenza a uno straniero ; che non conducesse in Ispagna nè Fiamminghi, nè forestieri d’ altre razze; che sotto ‘nessun pretesto non introducesse truppe forestiere nel regno; che soli i sudditi indigeni godessero le cariche e i benefizii civili ed ecclesiastici; che non fosse data la cittadinanza a stranie- ro nessuno; che le truppe non dovessero avere alloggio gratuito , nè il seguito del re venire ospiziato per più di sei giorni, e que- T. XXXVII. Marzo. 14 106 sto sol quando la corte viaggiasse ; che le tasse si rimettessero sul piede di prima ; che si abolissero le muove cariche create. dop» la morte d° Isabella ; che nell’ adunanza degli stati, ogni città inviasse un rappresentante del clero, uno della nobiltà, uno del ceto medio , eletti dall’ ordine loro respettivo; che. sulla scelta di questi la corte non esercitasse nè diretta nè indiretta influen- za ; nessun membro degli stati potesse ricevere carica o pensione dal re, sia per sè, sia per alcuno di sua famiglia , sotto pena della vita e della confiscazione de beni; ciascuna città pagas- se al suo deputato le spese del viaggio e della dimora nella ge- nerale adunanza; gli Stati si dovessero adunare ogni tre anni almeno , o li convocasse il re o non li convocasse ; vegliassero all’ adempimento di tutti questi patti, e riso!vessero .de’ pubblici affari; non si esportasse dal regno oro , argento, gioie a pena del capo ; i giudici avessero una pensione determinata ; non parte delle multe e delle confische : i vantaggi ottenuti da’ nobili quan- do che sia a pregiudizio delle comuni, fossero rivocati; ai nobili non si desse mai più il governo della città; le terre de’ nobili fossero soggette a’ pesi pubblici del pari che le altre; si esaminassero le operazioni di coloro che avevano ammini- strato il patrimonio reale dal regno di Ferdinando; se den- tro un mese il re non nominasse persone a ciò , potessero no- minarli gli Stati; le indulgenze non fossero divulgate pel re- gno, prima che gli Stati le approvassero ; il denaro tratto dalla vendita delle indulgenze fosse speso nella guerra da farsi agl’infedeli; i prelati, i quali non risiedessero sei mesi alme- no nella lor diocesi, perdessero le rendite del benefizio per tut- to il tempo di loro assenza ; i giudici ecclesiastici e i loro sog- getti, non riscuotessero più ricchi onorarii di quelli che si da- vano a’giudici secolari; 1’ arcivescovo di Toledo, come stra- niero, fosse dimesso per dar luogo ad un castigliano; il re ra- tificasse gli atti della lega, come utili a sè e alla nazione; perdonasse i trascorsi a cui si fosse lasciata condurre qualche città per soverchio zelo d’una causa giustissima ; giurasse 1’ os- servanza di tutti i notati articoli, e non tentasse mai di revu- carli o d° eluderli , mai non sollecitasse dal papa o da altro pre- lato la dispensa del dato giuramento. -— Queste dimande , singo- larissime in ogni secolo, e segnatamente nel XVI, non pajono ben giudicate da quelle crude parole del romanziere: ,, le strane s» richieste che nel delirio delle loro immaginazioni , e per alcuni ») ottenuti successi, nou aveano pensato a contenere entro i 107 55 limiti della giustizia ; poichè non tendevano a meno che a ., rendere la Castiglia assoluta ed indipendente dal re. ,; (II 275). La seconda parte della proposizione non par molto vera , la pri- ma non molto esatta. Il ch. romanziere ha giudicato la rivolu- zione del 1522, come un mediocre giornalista si farebbe lecito di giudicare un ‘non mediocre romanzo. Se fosse adunque permesso ad un giornalista umilissimo mani- festare i desiderii della sua ragione individuale intorno all’egregio lavoro del giovane autore ; il giornalista direbbe che tutte quelle: invenzioni o pitture che possono confermare nelle menti degl’in- dotti o degli stranieri un pregiudizio , un errore ; tutte quelle che tengono agl’ intrighi strani e improbabili dei romanzi e dei drammi del secolo andato ; tutte quelle che o non s’ accordano con la storia , o non son tali da trarre dalla storia tutto il pos- sibile profitto ; di tali invenzioni e pitture, io ripiglio , non ha bisogno 1’ ingegno fecondo e vivace del ch. Piemontese. Di più il Giornalista direbbe..... Ma che? Non è ancora finito ?.-— Non | ancora. «= Le cose che ci restano a dire appartengono non tanto all’ opera dell’ autor nostro in particolare , quanto a pressochè tutta la generazione de’ romanzi storici : e perciò mi sia lecito , seguitando , generalizzare il discorso. V. Sapete voi, amico lettore , le regole dietro le quali va com- posto. un romanzo che meriti il nome di. storico , senza timor di sbagliare ? Ascoltate; e dalla pratica de’romanzi storici che vengono pullulando da ventiquattr’anni in quà , io, con maestria Aristote- lica, vi estrarrò bell’e intera la teoria. Primieramente, tutti i ca- pitoli debbono incominciare da una citazione o di poeta od anche di prosatore; se oscura, se impertinente alla ‘cosa di cui si tratta nel capitolo, tanto meglio. Poi, il vostro romanzo prenderà le mosse o da un buon pezzo di storia cruda, lardellata di qualche similitu- dine, di qualche sentenza ; di qualche citazione o furtiva 6 paten- te: ovvero da una buona descrizione topografica d’una valle, d’un monte, d’ una città , d’ un castello. Riman libero al genio sce- gliere tra queste due vie: ma la regola generale si è che nel prin- cipio del romanzo si debba trovare il brano di storia, e la pa- rafrasi duna carta topografica. Poi venga un bel dialogo che vi ‘ faccia conoscere bene bene di che cosa si tratti. Questo dialogo può essere o serio o faceto: ma faceto sarà migliore; e ciò che più importa , dev’ esser lungo. «= La lunghezza ancor più che ne’ dialoghi, è di regola nelle descrizioni. Voi non dovete pre- 108 sentare un personaggio in iscena , senza tacerne il nome, e senza darne i connotati, vale a dire statura , viso, mento , occhi, ca- pelli ; marche (come ne’passaporti sta scritto) marche particolari; e sopra tutto la foggia dell’abito, dalla punta degli stivali fino all’ ultima piuma dell’ elmo. Se il personaggio, discorrendo, fa un gesto con la mano o col piede, un cenno cogli occhi; col viso, se raggrinza il naso o la fronte , e voi in mezzo al dialogo aprite una parentesi, e notate la cosa , più che se sì trattasse di un iu- terrogatorio criminale: se mentre egli parla; gli si gira pel capo un pensiero che serva a modificare o a interpretare il senso delle sue parole.,: e voi coglietelo a volo quel pensiero , conficcatelo sulla carta, e interrompete il dialogo per farne la sezione cadu- verica. Regola generale : tanto i peli della barba , quanto i moti primi dell’ anima, debbono tutti passare nel porta-oggetti del vostro microscopio : quanto più la cosa da narrarsi, è minuta; recondita, impercettibile agli occhi stessi del personaggio in cui voi la sognate , tanto sarà più preziosa , tanto più voi parrete. fi- losofo serutatore delle anime e delle reni. Quindi è che i soli- loquii diventano a voi tanto necessarii , quanto gli 4 parte a un avveduto scrittor di commedie. Egli è inutile poi d’avvertire che se nel mezzo del romanzo , o alla fine vi capita l’ occasione di dare ai lettori una breve o lunga lezione di storia, non solo voi non dovete trasandarla, ma , come direbbe un francese ; powusser la chose à bout; e come si direbbe in volgare non aulico, vuo- tare il sacco. = Ma uno degl’ ingredienti più sostanziali della vostra manipolazione., sarà un personaggio buffone, che sia quasi sempre in iscena, come i personaggi dell’Alfieri; che si attacchi agli eroi principali come un cane alla preda, e in mezzo alle paure e ai pericoli ; in mezzo ai rimorsi e alle sventure, li perseguiti per farli sorridere. Di simili personaggi potrete averne nel vostro ro- manzo più d’uno; potrete dar loro o una monomania di ridico- lo, o propriamente il mestiere e la commissione di rallegrare la scena. Prendete l’esempio dai comici della Quarconia e d’ Ognis- santi: il Diluvio universale con Stenterello! == I sali del vostro Stenterello siano un po’ lambiccati, dilavati in molte parole , e sappiano di lucerna, e d’oltremonte. - Grandi e piccoli, monarchi e usurai, letterati e carnefici , siano tutti dipinti con ugual fi- nitezza; tutti, al possibile, interessanti del pari. Aggiungete un personaggio misterioso che renda lo spettacolo un po’ me/o- drammatico , e avrete composto un romanzo storico nelle regole; 109 x bello se il vostro ingegno è potente ; mediocre se il vostro in- gegno è dappoco : ma sempre però nelle regole. (1) 1 4; dra, (1) In questa parodia che noi ci siam fatta lecita del sistema fedelmente seguito nei più fra i romanzi storici che vengono uscendo alla luce, noi non prendiamo di mira se non l’ abuso ,.l’ eccesso. Walter-Scott e. Manzoni sono ambedue nel loro genere originali : ma quando mai cominceremo ad accorgerci che l’andar dietro agli uomini originali, non è già un imitarli, è un contraffarli, un respingere l’ arte nel monotono , nel caricato , nel minuzioso , nell’ insi- gnificante ? E questo spirito di contraffazione, involontaria insieme e sistema- tica, diventa tanto più' spiacevole , quanto più potenti e fecondi sono gli in- gegni che se. ne lasciano traviare. = Ma che? Non vi sarà dunque altra ma- niera di serivere romanzi storici fuori della’ maniera di Walter-Scott ? RIVISTA LETTERARIA. Girornare di Screnze e LerrerE delle Provincie VenETE. — Con- tinuazione j IN .° I. — Treviso, Andreola, Decembre 1829 in 8.° «La division politica dell’Italia sembra suggerire per sè stessa la divisione de’ giornali letterari. Questa divisione ha sicuramente i suoi inconvenienti: può nutrire lo spirito provinciale a scapito del nazio- nale, restringere la sfera delle idee quando ogni sforzo debb’ esser di- retto ad allargarla, scemare infine 1’ attività degl’ingegni volgendoli a piccolo scopo. Ma essa può anche avere i suoi vantaggi, e fra gli altri di far nascere pensiero di studi ove altrimenti non nascerebbe, di far conoscere molte particolarità che rimarrebbero ignorate, e senza le quali mal si apprezzerebbe il merito o l’importanza d’alcune opere , di promovere infine fra provincia e provincia una nobile emulazione. Sup- posto in ogni provincia un giornal particolare , i giornali, che vorreb- bero esser generali e non sono, potrebbero , forse , rendersi più degni del titolo di nazionali. Presentando, giusta i dati forniti da ogni giornal particolare , il quadro comparativo della letteratura delle varie pro- vincie; ma prendendo unicamente ad esame quell’ opere, che onorano insieme una provincia e la nazione, darebber loro una specie di co- rona nazionale, a cui terrebberò volti gli sguardi anche le nazioni straniere. Pei giornali particolari potrebbe, parmi, a più riguardi servir di modello il Giornale delle Provincie Venete, già compilato da G. Monico, ed or continuato dall'amico suo G. Bianchetti. Contro il voto di questo saggio e modesto uomo è avvenuto che il primo quaderno della conti- muazione (corrispondente a’ numeri 97 e 98 della raccolta) non con- JJO tenga scritture che d’un solo, eioè di lui medesimo. Onde ottenerne pur altre, ei s'era volto a”quanti per scienze o lettere hanno più fama nelle provincie , da cui il suo giornale prende il nome. Ma “ non era certissimo, egli dice, che il giornale potesse continuare: io li pregavo dunque come sì prega intorno ad una cosa incerta; ed alcuni di essi mi promettevano come si può promettere di una cosa incerta. 3» Determi- natomi poi, egli prosegue , a pubblicar il giornale “ non ero più in tempo che di valermi dei lavori ch’io stesso avevo fatti o di quelli che potevo fare molto sollecitamente. ,, Ecco , ei conchiude “ il motivo per il quale mì trovo solo ; ma non vi rimarrò certamente, ec. ec. ,, Il suo primo quaderno comincia da un primo discorso , che tratta delle qualità necessarie allo scrittore italiano, e che sì legge volentieri anche dopo la lettera del nostro Giordani al marchese Capponi. Diretto a’ giovani esso abbonda d’osservazioni e d’esortazioni, che a’ provetti potrian sembrare soverchie. Non però si confonde co’ soliti discorsi de’retori, come ciascuno può accorgersi da questo passo dell'esordio, ove accennandosi lo scopo a cui dee mirar lo scrittore si fa intendere di che qualità principalmente ei debba essere fornito. “ Poco può va- lere lo scrivere fra un popolo che ha giuste le idee , elevati i pensieri, puri e semplici i costumi, nobili e generosi i sentimenti. Ma quando l'intelletto d’ una nazione è ignorante o pieno d’inezie; quando si re- puta delirio ogni altezza di pensare, quando si sono obliati finanche i nomi delle maschie e forti virtù, quando le forze , che sarebbero più potenti a migliorare questa nazione, sono invece tutte rivolte a peggio- rarla e a maggiormente avvilirla ; allora io non saprei dire da che al- tro ella potesse sperare qualche buon soccorso; se non dalla lettura di eccellenti libri, e di quelli in particolare che più convengono a’ suoi bisogni, cioè ad ingrandire il pensiero ed esaltare il sentimento: Gl’Ita- liani hanno molta necessità di pronti ed efficaci rimedi : con quanta loro colpa l’abbiano questa necessità, nol so; nè sapendolo, vorrei dirlo; ma, certo l’ hanno, ec. ec. ,, Mostrato in seguito come lo scrittore, il qual voglia sodisfar per sua parte a tal necessità, deve (supposto in lui, già s’ intende, molto ingegno, molta bontà, lunghi studi ec.) saper vincere gli ostacoli che può frapporgli l’amor de’ piaceri ; della ricchezza, degli onori; il discorso termina colla pittura d'altri ostacoli, la cui forza non si dirà esagerata dai colori di questa pittura. “ Io non voglio spaventarvi o giovani. E però non vi parlo nè di quei tempi nè di quei luoghi, dove i reggi- menti pubblici, gli ordini sociali, le intenzioni dei comandanti, le yo- glie degli obbedienti sono in perpetuo conflitto coi doveri di un filo- sofo scrittore; dove le opere degli Aureleni Rustici e degli Erennj Se- necioni sono abbruciate , e i loro autori puniti nella vita per aver lo- dato Trasea Peto ed Elvidio Prisco; dove i Mezi Pomposiani sono scan- nati solo per avere mandato attorno alcune concioni tratte da Tito Livio; dove quanto più alte sono le idee e nobili i sentimenti, tanto maggiori sono i pericoli e più veloci le sciagure ; dove non pure l’in- \ SETA telletto, ma la memoria stessa vorrebbesi uccidere, se lo sdimenticare fosse in poter degli uomini come il tacere. No, di questi tempi io non voglio parlarvi nè di questi luoghi. Ma in qual tempo, in qual luogo del mondo il vero non è odiato? Vedete come tutte le disordinate passioni, come tutt’i vizi, tutti difetti posano sul falso: vedete , come dal falso vengono tutte le prepotenze, tutte le ingiustizie, tutte le superbie, tntte le viltà, titti gli amori di parte, tutto l’attaccamento alle vecchie abitudini, ed in breve tutti i mali che si oppongono al ben essere degli uomini. L’ignoranza si lascia spesso tranquillamente istruire: ma l’ errore op- pone sempre una dura resistenza e tremenda. Ora contro questo mostro voi dovete combattere una perpetua battaglia. Preparatevi dunque ad avere in eterni nemici tutti que’tanti, che traggono da esso la loro utilità o fondano sopra di esso le loro speranze : preparatevi ad avere in compenso delle vostre continuate fatiche tutto ciò che vi può essere apparecchiato da una malvagia vendetta, ec. ,, Seguono quindi non pochi articoli, quali più lunghi, quali più brevi, sulla Filosofia teoretica del Grones , sulle Dissertazioni del Men- gotti, sul Secolo di Dante dell’ Arrivabene ec., a cui si aggiunge, come appartenente anch’esso alla letteratura,delle Provincie Venete, il sunto d’alcune osservazioni di Q. Viviani sopra una version francese dell’In- ferno fatta da A. Courbillon e tuttora inedita. Molte cose potrei sce- gliere per saggio da vari articoli scritti con senno, cultura e urbanità non ordinaria. Mi fermerò ad un passo dell’ articolo intorno al Se- colo di Dante dell’ Arrivabene (o Commento storico al Dante Barto- liniano ) e supplirò così all’ involontaria brevità di chi nell’ ultima Rivista Dantesca dell’ Antologia (Marzo 1829) diede conto d’ un li- bro tanto lodato. ‘ Mi parve sempre che non si potesse leggere con vero profitto il sacro poema, nè entrare nei veri intendimenti del poeta, senza una piena cognizione della storia generale d’ Europa , della par- ticolare di tutti i popoli italiani nel periodo ch'è abbracciato da esso poema, e della storia pure di molte famiglie italiche e straniere vissute in quel secolo. A darci questa piena cognizione è tutto rivolto il libro del sig. Ferd. Arrivabene. Questo libro sarà stimato lavoro di molta fatica e di grandissima pazienza da quanti penseranno che cure; che studi devono essere stati necessari a trovat fuori il vero od almeno il probabile di tanti fatti spesso minuti, di tanti nomi sovente oscuri a’nostri giorni, fra ‘sì gran numero di cronache, di antiche memorie, e fra tante contradizioni di commentatori. Questo libro sarà giudicato opera di egregio ingegno da ognuno che possa o voglia apprezzare l’arte difficile di unire e legare tante disparate cose in un solo corpo ordinato di storia, la quale sì distenda da Matilde di Canossa fino al Duca d’Atene, e dia molta luce alla D. Commedia nello stesso atto che da essa mol- tissima ne riceve. Questo libro si avrà in conto d’una delle più buone prose che siansi da molti anni in qua pubblicate in Italia da chi os- servi la lingua e lo stile in cui è dettato. Se qualcheduno notasse nella lingua vocaboli e modi talvolta un’ po’troppo vieti, ‘e tal altra non 112 adoperati forse nella loro pura significazione ; e se nello stile sì lamen- tasse di un andare alquanto uniforme e non di rado faticoso e stentato; io non saprei come contraddirgli : ma tuttavia rimarrei fermo in quella lode; perchè mi sembra pure che lo scrivere del sig. Ferd. Arrivabene sia nel suo complesso uno scrivere pieno di dignità e di nobiltà. So- prattutto il suo libro sarà tenuto caro come fatica utilissima di buono Italiano da quanti considerino il vantaggio grande, che ne potrebbe trarre la gioventù , se s’invogliasse di penetrar di proposito nella so- stanza del sacro poema, e se con esso alla mano volesse studiare la sto- ria di quei secoli, nei quali fu la semenza di tutte le posteriori for- tune d’Italia. ,, Chiude il quaderno una lettera sopra, Corfù ed Otranto, scritta dal Bianchetti nel settembre del 1826 al suo antecessore ed amico, il Mo- nico già detto , e gradevolissima a leggersi in ogni tempo. Essa è piena di belle descrizioni, di belle osservazioni, e di nobilissimi sentimenti. Questi in ispecie si argomentino da un passo intorno alle donne greche dell'Arcipelago e del Continente, rifugiate a Corfù, e colle quali spiacque sommamente all’ autore di non avere, a cagion della lingua, potuto conversare. ‘° Tra di loro ve ne erano alcune di quelle , che aveano sostenuto l? assedio di Missolungi: ve ne erano più che alcune, che aveano combattuto coll’ armi alla mano contro a’loro nemici. Certo non isperavo da queste donne la morbidezza, la grazia, la disinvoltura del discorso, che si può soltanto guadagnare coll’ istruzione, coll’ educa- zione, col conversar gentile e continuo. Ma mi avrebbero dato invece un grand’ esempio di quella non so quale maestà che imprimono nelle parole , di quel nerbo vigoroso che mettono nel pensiero i sentimenti magnanimi, nutriti fra il silenzio d’ un duro servaggio ed agitati da lunghe e crudeli sciagure, tolerate anzi combattute con istraordinaria forza di corpo e d’animo: avrei stimato di parlare con le antiche spar- tane. E già molto diceva la sola muta eloquenza dei loro volti: nei quali leggevo una maravigliosa unione di ardire e di modestia , di co- raggio e di pazienza, di vivacità e di melanconia, e un non so che di mal represso, che traspirava specialmente nel tardo ad inquieto muo- versi de’loro grand’occhi neri e scintillanti. Ho veduto in alcuno di quei volti, ed appariva in alcuno di quei corpi, i segni ancora freschi del furore nemico; ed una di queste donne mi fu mostrata e nominata, la quale fuggendo da Missolungi con una sua creatura in fascie, a ca- gione di un colpo che le percosse ad un tempo sopra ambedue le mam- melle , fu costretta a nutrire quel bambino con latte misto di sangue. Oh! continui pure la turba de’ nostri poeti italiani, continui a correre in Grecia per cavarne imagini a’lor versi da Giove, di Minerva, da Venere, da Cupido, dalle Muse, dali’Imeneo, dal Parnaso. Io amo le imagini che vengono da tali o somiglianti fatti. La Grecia ne può dare anche di antichi, è vero, e molti: ma questi moderni sono tanto più mirabili, quanto sono più recenti, più indubitatamente veri, ed erano meno ad aspettarsi da un popolo ineducato , avvilito ed inerme. ,, 113 Quest’altro passo, che leggesi nella seconda parte, ove parla d’Otran- to, deve riconciliar con lui interamente i giusti apprezzatori dell’ anti- chità. “ Certo non passa un istante nel quale io non mi ricordi che la terra che premo, che i luoghi che mi circondano, furono i primi ad essere irradiati dalla sublime filosofia di Pitagora. Mì ricordo che le sue dottrine formarono per qualche tempo la felicità di questi popoli; riempiendo quivi d’intorno tutti i luoghi d’ uomini amanti d’ogni dol- cezza , d’ogni temperanza, d’ ogni bontà , ec. ec. I Pitagorici avean posto la meta delle loro fatiche non nella propria gloria ma nella utilità degli uomini; avevano posto la sostanza del loro filosofare non nelle vane apparenze delle scientifiche speculazioni ma nel vantaggio delle bene- fiche istituzioni. A questo fine essi nascondevano alcuni loro insegna- menti e sì giuravano reciprocamente il silenzio. Io amo questo loro se- creto. Le verità, che si apparecchiano a vincere i pregiudizi della mol- titudine o la prepotenza dei forti, non possono divenire efficaci , se non sono da principio ravvolte nelle tenebre, e se non si fanno uscire quasi direi raggio a raggio nel luogo, nel modo e nel tempo opportuno. La moltitudine è come un fanciullo ammalato cui bisogna celare il rime- dio; i forti sono come le belve selvaggie che non conviene attaccar di fronte e alla scoperta. I Pitagorici furono per qualche tempo rispettati e creduti uomini superiori all’universale. Ma i sacerdoti degl’idoli, i cattivi, i potenti non cessarono mai di odiarli, ec. Costoro fecero un delitto ai Pitagorici del lor segreto , li rappresentarono come cospiratori, come demagoghi, come sacrileghì ed anche come ladri. Le vili greggi dei popoli da essi beneficati videro in silenzio Pitagora bandito da tutte le città d’ Italia, udirono senza sdegno la sua morte disonorata, e lodaro- no che i suoi seguaci fossero vilipesi, dispersi, incarcerati ed abbru- ciati. La setta di questi filosofi non esiste più : ma i principii di essa rimarranno perpetuamente scolpiti in tutti i cuori amanti della giusti- zia, della rettitudine e del decoro della specie umana. ,,; Facciamo voti che i seguenti quaderni della continuazion del Gior- nale delle Provincie Venete corrispondano al primo. La nazione avrebbe a rallegrarsene come d’una delle migliori prove del progresso che van facendo le saggie idee, da cui solo posson nascere i nobili sen- timenti. M. Lettere di Giovanni Pani Medico e Archeologo Pisano ec. Firenze , Magheri 1829 in 8-° Il Pagni è abbastanza conosciuto in Italia, come medico e come archeologo, per ciò che dicono dì lui il Redi in qualche luogo delle sue Opere , il Falconieri nell’ Illustrazione d’ alcuni monumenti trovati dal Pagni medesimo in Barberia, il Targioni ne’ Viaggi e negli Aggran- dimenti delle scienze fisiche in Toscana. A farlo però meglio conoscere T. XXXVII. Murzo 15 114 vengono assai opportune queste sue Lettere , scritte la maggior parte da Tunisi (ove stette fra il 1667 e il 68) al Redi suo gran fautore e al Cecini segretario del card. Leopoldo de Medici. Le ‘une (in gran numero ) sono tratte dagli autografi esistenti nella Laurenziana ; le altre ( due in tutto ma lunghe e necessarie ad empire una lacuna lasciata dalle prime ) essendosi smarrito , dice il benemerito editore D. Moreni, mn codice strozziano ove sì avevano autografe, son tratte da una co- pia del Collegio Cateriniano di Pisa. Anche dopo tante relazioni di viaggiatori, osservazioni di scienziati, notizie d’ eruditi ec. esse leg- gonsi con piacere, grazie specialmente a certa schietta eleganza, che a’tempi del Pagni era ancor propria degli scrittori toscani. La maggior opera che il Pagni abbia dettato, dice pur l’ editore delle sue Lettere, è l’ Illustrazione latina de’due famosi cenotafi, contenenti i decreti della Colonia Pisana pe’solenni funerali di Lucio e Cajo Cesari, illustrati anche dal Noris. Un concittadino di quest’ uomo dottissimo, volendolo vendicare dall’ accusa di plagio datagli inconsideratamente dal Cocchi figlio, si apparecchia a pubblicare quell’Illustrazione, il cui autografo è oggi nella Magliabechiana. Egli accrescerà con ciò anche la fama del Pagni, e renderà vero servigio,agli studiosi delle romane antichità. M. Lettere di Lorenzo il MacnIFIcCO e d’ altri Toscani illustri. Firenze , Magheri 1830 in 8.° Le Lettere del Magnifico dovevano esser molte e formar da sè sole un giusto volume. L’ editore ( quello stesso che ci diede le antecedenti) deluso nella sua fiducia ha dovuto contentarsi d’ offerircene per ora alcune poche, fornitegli dalla gentilezza dell’ attual bibliotecario della Marciana di Venezia ( Pietro Bettio ), alle quali se ne aggiungono due, di cui egli possede una copia di mano del Manni. Tutte queste lettere sono dirette ad Innocenzio VIII, al cui figlio, Francesco Cibo , il Ma- gnifico avea data la Maddalena sua figliuola , e da cui aveva ottenuto il cappello per Giovanni ancor fanciullo , onde poi il papato in casa Medici e le conseguenze che tutti sanno per Firenze e per l’ Italia. Innocenzio era molto avvezzo a condiscendere al Magnifico , che in que- ste lettere or gli si fa mallevadore della condotta di Niccolò Vitelli , cui, per le novità fatte a Città di Castello , voleva espulso anche dal dominio fiorentino ; or lo prega confidentemente di dar sodisfazione al Cristianissimo in non so qual causa della chiesa di Nantes, e così accre- scere a lui pregante utilità e reputazione presso quel re; or d’assolvere la Francesca di Gio. Bentivoglio, rea di vendetta più che femminina contro Galeotto Manfredi suo marito; or d’altre cose diverse. D’ una sola, come apparisce da queste lettere stesse, Innocenzio era poco di- sposto a sentirsi parlare, quella cioè di far grandi i suoi, e fra essi Francesco Cibo già detto. Delle due lettere, che in tal proposito gli scrive il Magnifico , la seconda è per tutti i riguardi curiosissima. La 115 prima, che forse è posteriore, dà luce ad un passo che l’ editore qui riporta della Vita d’Innocenzio scritta dal Serdonati e pubblicata di recente (ne parlò la Bibl. Ital.) sopra un manoscritto, che fu già del- l’archivio ducale di Massa di Carrara, ed or si trova nella Braidense in Milano. Le lettere, che seguono, sono di tutt’ altro genere, e d’uomini vissuti in altri tempi che il Magnifico, cioè del Filicaja, del Menzini, d’ Alessandro e Giuseppe Segni, del card. Leopoldo de Medici, del Ca- sotti, del Gigli, dei due Salvini, di Leone Strozzi’, e del Manni, alle quali se ne aggiunge una latina di Paolo Cortesi, che per rispetto all’ ordine cronologico porremo la prima. E questa lettera e quelle del ‘| Filicaja e del Menzini, e credo anche del Casotti, dei due Salvini e Gigli, sono state fornite al nostro editore da un suo amicò di Colle ier Francesco Cateni ) possessore di molt’altre lettere d’uomini illu- stri. Quelle dei due Segni sono tratte dalla Magliabechiana; quelle del card. Leopoldo de Medici. dall’ archivio vescovile d’ Udine ; quelle di L. Strozzi dalla biblioteca del conte Bernardino Tomitano d’ Oderzo, di cui l’editore piange a gran ragione la perdita, e finalmente una del Manni dalla libreria domestica ove 1’ editor medesimo ne conserva l’ autografo. La lettera del Cortesi è diretta ad Orlando Silvio, che gli avea chiesto il suo parere sul merito comparativo d’ Agnolo Poliziano e d’Ermolao Barbaro, e può dirsi un’elegante amplificazione di queste sen- tenze: Politianus molle et tenerrum ingenium habuit; Hermolao tenax et rapax virtutis contigit. Alter florentius varietate colorum picturam exor- nat, alter lumine et umbra naturam verius effingit. Alter est ornatior et affluentior in pompa ; alter in dimicatione fortior etc. etc. Del resto chi conosce il suo dialogo De Hominibus doctis, che ormai da un secolo ®.bbiamo alla stampa colle note d’ Alessandro Politi, sa ch’ei dovea pro- pendere al Poliziano. Le lettere del Filicaja e del Menzini, dirette la più parte al Redi, com’ altre che il nostro editore ne pubblicò due anni sono, hanno le stesse qualità che già si notarono in quelle. Le più importanti sono va- rie del Menzini, una specialmente, ov’è narrata la morte di Cri- stina di Svezia. All’ autore della trilogia, che porta il nome di quella regina, e di cui parlano i fogli letterari di questi giorni, avrebbe si- curamente giovato il vederla. ‘° Eramo tutti in ginocchioni davanti il suo letto, dirottamente piangendo , dove pure era in ginocchioni il sig. card. Azzolino che con la venerabilità dell’ eminente suo grado e con le sue lacrime preludeva, alla giustissima e dovuta compassione per una perdita così deplorabile. Intanto, mentre i sacerdoti in quel- l’ estremo. officio imploravano la divina misericordia, la nostra tanto amata regina piegandosi sul fianco destro, e- postà altresì la destra mano sotto la guancia come in atto di dormire, placidamente spirò. Quivi le strida, quivi i lamenti a tal segno, che io non ho com- parazione o somiglianza che basti ad esprimerli, ec. ec. Dopo un’ora incirca passammo dalla camera , ove giaceva, in altra stanza contigua, 110 dove si aperse e' sì lesse il di lei testamento. Qui io non posso dirle tutte le particolarità di esso ec. Lo aver lasciato particolarmente la sua povera famiglia senza verun conforto , con non farle niente di più di quel che qui in Roma costumi di fare ogni altro benchè mediocre si- gnore , ha fatto credere che questo non sia stato il puro sentimento di così alta regina, ma che vi si sia adoprata manifattura di persone , che per vestire se stesse hanno volentieri e barbaramente fatto che tutti gli altri restino ignudi , ec. Mi creda che questo ha seccato le lacrime sugli occhi di molti, ed ha fatto sì che la regina non sia pianta, dove che con ogni piccola amorevole recognizione saria stata pianta eterna . mente. ,, Cristina, com’è noto, lasciò erede universalissimo il cardinale, che dal giorno in cui, essendo egli giovanetto e convittore del Clementi- no, le stese galantemente sotto i piedi il mantello, perchè non li ins diciasse scendendo di carrozza , le fu sempre assai caro, e ch’ ella cli mava (v. una sna lettera nella p. a delle Vite degli Arcadi ) il mag- gior cardinale e il maggior nomo del mondo. Il Menzini in quelle persone vestitrici di sè stesse e spogliatrici degli altri, ha sicuramente voluto ferir lui piuttosto che i pochi legatari , a cui era toccato qualcosa di più che al resto de’cortigiani di Cristina. Ma parendogli d’aver detto troppo, s’affretta ad aggiungere : “ che in quanto a lasciare erede il sig. card. Azzolino ella ha benissimo fatto , e ne viene sommamente lodata, perchè senza di lui prima che ora questa corte sarìa andata in rovina, e sì sarebbe spento uno splendore così amabile. ,, Il Menzini era stato chiamato a questa corte dal cardinale medesimo, gran fautore de’poeti, poeta egli stesso ( l’ editore possedeva un manoscritto di sue rime più che galanti, cui ha stimato bene di ardere ) anzi poeta egregio , se stiamo alle pa- role del Muratori nella vita del Lemene, uomo in somma da meritar e. la dedicatoria he sta in fronte alla prima edizione della Poetica. Un® po’la gratitudine, un po’ la speranza di futuri benefici, volevano. che al Menzini gli usasse, scrivendo, qualche rignardo. Deluso nelle sue spe- ranze , si dimentica alfine anche della gratitudine, e scrive al Redi un’al- tra lettera, che vien subito dopo quella di cui ho recati alcuni periodi, e attesta pur troppo la debolezza della povera umanità. Le lettere d’Alessandro e Giuseppe Segui son tutte al Redi. Trat- tano principalmente della terza edizione , che allor si preparava , del Vocabolario , e di cui Alessandro era il gran promotore. Il Redi , ben- chè vecchio e sopracarico di fatiche, n° era suo deo il revisor ge- nerale. Fra i cooperatori (cosa che molti ignoreranno com’io ]° ignorava) era anche il Segneri, allor dimorante in Firenze. Egli si mostrava som- mamente invaghito di quest’ opera del Vocabolario, che al dir sno an- cor non avea paragone. E a renderla più utile consigliava di largheg- giar nelle dichiarazioni, che, se ai Toscani potean talvolta sembrare so- verchie, fuor di Toscana eran necessarie. Molte notizie di simil genere si cavano da queste lettere, che suppliscono in parte al Diario Accademico di quegli anni oggi smarrito. E se ne cava pure qualche notizia d’opere non conosciute, come d’una version poetica della Cantica fatta dal Sol- 117 lecito ( Vincenzio Capponi ) e chiamata meravigliosa da quelli stessi , a cui non sodisfacevano abbastanza nè la sua Parafrasi de’ Salmi nè i suoi Trattati Accademici. Anche per conto della lingua queste lettere, e in ispecie quelle d’Alessandro, mi sembrano di molto pregio. In una, che ha la data de’ 6 Gennajo 1681, debbo notare una frase , che po- trebbe servir forse alla nuova compilazione del Vocabolario. Nella prima parte del 3 vol. della Proposta fu negato che ‘ mettere il cervello a partito ,, possa mai significare rimaner dubbioso, esitante , confuso. La Crusca reca esempi del Firenzuola e d’ altri, che mostrano ben chiaramente che una tal significato non è fantastico . Or leggo nella lettera detta : ‘“ mi domanda v. s. ill. quanta carta vi vuole per la muova edizione del Vocabolario , e vedo che le pare una domanda da mettermi il cervello a partito, e da non saperle rispondere ,, il che mi prova vie più che quel significato è autentico. All’autore della Propo- sta esso ha potuto sembrare in contraddizione coll’ altro più comune- mente ricevuto di ‘ metter giudizio ,, ma realmente non è. L’idea di dubbio o di perplessità è racchiusa tanto nel primo che nel secondo significato. Nel primo si vede incominciato l’ atto del metter giudizio cioè di guardare al pro e al contro; nel secondo si vede compito. Le lettere del card. L. De Medici sono dirette al card. Delfino, e versano principalmente intorno a’suoi Dialoghi, come molte delle let- tere d’Orazio Rucellai, pubblicate quattr’ anni sono dal nostro editore. Quelle del Casotti son dirette al Crescimbeni , e fra più cose dan no- tizia di qualche libro raro, come lo Spettacolo degnissimo del M. Juliano de Medici cantato in terza rima da Antonio da Prato , di cui l’ editore possede una copia, o di qualche manoscritto importante , come una raccolta di documenti storici riguardanti Prato, fatta dal Casotti medesi- mo, ed oggi, per quel che sembra, posseduta dall’editore. Anche le lettere del Gigli (bizzarre al solito) sono al Crescimbeni. L’autore parla in esse di varie opere del Crescimbeni medesimo, e di alcune composizioni proprie, ch’ ei chiama corbellerie di miniera vergine, credo il Don Pilone e la Sorellina di Don Pilone. Al Crescimbeni son pure le lettere dei due Salvini, il primo de’ quali parla specialmente d’alcune opere di Proven- zali, cui per dargli ajuto nella compilazion della Storia de’Commenta- rii andava scartabellando qui nella Laurenziana ; l’altro, tra l’altre cose, d’una sua vita del Redi, per la quale gli manda aggiunte e varianti. Al Crescimbeni finalmente son le lettere dello Strozzi , scritte in stile pasto- rale, e tanto più lepide quant’è più serio il loro argomento. Citerò a sag- gio un periodo dell’ ultima, ove lo scrivente parla della morte della dat chessa sua moglie. ‘ Essa ha pagato un tributo, che presto o tardi con- viene.che paghi ognz ninfa ed ogni pastore: nè la morte de’ nostri. con- giunti nè la nostra ci spaventerebbe se non portassimo tanto affetto a queste nostre vilissime capanne , e se riflettessimo alla speranza di averle a trovare nell’altra vita cangiate in regie non più soggette all’ ingiuria delle stagioni. ,, La lettera del Manni, che chiude la raccolta, è al dotto Lupi, e contien la versione latina si può dire improvvisata dal 118 Salvini maggiore d’alcuni greci epigrammi in lose dell’ Oporino celebre stampator di Basilea. Le annotazioni dell’ editore non son la parte meno interessante della raccolta, ove molte cose s’imparano di storia politica e letteraria, e molte più della storia, dirò così, interiore di quel Proteo or sì mirabile or sì ridicolo, che si chiama spirito umano. M. Nuovo trattato del Matrimonio secondo le disposizioni del Codice per lo Regno delle due Sicilie. Dell’avoccatoALzERTO RiccosenE. Palermo 1828. Ritornato il Regno di Napoli sotto la dinastia de’ Borboni, mon potè tanto l’odio delle cose nuove da fare abolire ì codici francesi. Ma con savio accorgimento sì pensò di conciliare il bene de’ popoli coi de- sideri de’ nuovi signori ripubblicando gli stessi codici sotto nuovo no- me, mutate per altro quelle cose che parevano meno conformi alla giustizia , o erano in troppo aperta contradizione colle opinioni che avevano ottenuta vittoria. Però i regolamenti civili intorno al matrimonio furon nel novero delle cose mutate. Dispiaceva infatti l'indifferenza del Codice di Napoleone pel sagramento della chiesa , nè si poteva tollerare la libertà del divorzio. D’ altra parte molti giusti riflessi di prudenza civile, di- mostravano la necessità di distinguere il contratto dal sagramento. Il perchè fu stabilito che non vi fosse matrimonio valido agli effetti civili, se non era valido eziandio come sagramento. Ma che poi il sagramento non potesse produrne gli effetti civili, se non erano adempite le con- dizioni volute dalla legge. Così nel regno di Napoli il matrimonio come sacramento dipende dal giudizio della chiesa, come contratto dall’ autorità civile. Però la legge non stabilisce niente sul sagramento , che pone per necessario alla perfezione civile dell’ atto; ma si limita a dichiarare gli impedi- menti , le cautele, e la forma del contratto, che deve precedere il sa- gramento. Intantochè rimane proibito agli ecclesiastici di congiungere in matrimonio quelli che non dimostrano aver compito tutto ciò che richiede la legge civile. I provvedimenti della quale sono saviamente ordinati a proteggere la pubblica onestà, a difendere la legittima au- torità de’genitori, ed a guarentire nel miglior modo possibile la certezza e la pubblicità dello stato delle persone. Quanto agli impedimenti del matrimonio, si osserva l’intenzione di ritornare al possibile alle regole del diritto romano; quanto ai provvedimenti amministrativi per la si- curezza dello stato civile, i legislatori napoletani si sono tenuti princi- palmente alle regole del codice francese. Rimane poi a notare che il solo atto civile non costituisce alcuna obbligazione indissolubile delle persone de’ coniugi. Sicchè non dà azione per costringere assolutamente alla celebrazione del matrimonio in faccia della chiesa, ma risolvesi in un’azione pei danni. Mi parrebbe che almeno le conseguenze dell’ atto civile si dovessero estendere ai danni ed interessi, e che questi si dovessero valutare assai largamente. IIQ Ma nell’ ordinare il codice per lo Regno delle due Sicilie , non si è pen- sato abbastanza alla necessità di far crescere al possibile nel concetto dell’ universale l’importanza dell’atto civile. Bisognerebbe poi sapere con qual facilità si concedano le sanatorie e le dispense, per conoscere quali vantaggi effettivi ritrae il regno dagli impedimenti civili savia- mente ordinati dal codice. Frattanto gli avvocati godono di certo degli effetti della doppia giurisdizione nelle cose matrimoniali. Per essi è fatto il trattato che annunziamo. Nel quale l’autore procedendo secon- do l’ordine degli articoli del Codice, ripete le disposizioni del diritto comune, spiega quelle del codice Napoletano , le confronta col codice Napoleone , e risolve alcuni dubbi che potrebbero nascere nell’ appli- cazione della legge. Peraltro l’ autore non ha creduto dell’ uffizio suo trattare quistioni difficili di giurisprudenza, e pare piuttosto timido che ardito. Il che rende l’opera forse più utile pei giovani studiosi Napoletani, che vi trovano una sposizione chiara e semplice del codice, ed una guida per usare dirittamente dell’ autorità dei trattatisti e dei decidenti Francesi. Avverto finalmente che 1’ opera non è ancora condotta al suo ter- mine, e che per darne compito giudizio bisogna prima vedere la con- clusione. F. Forti. Corpus Juris Civilis Aucusraz TauRINORUM. 1829. ap. heredes Sebastiani Bottae. (1) Questa nuova edizione del corpo civile è venuta veramente a pro- posito per sodisfare al desiderio degli studiosi. Molti dei quali abbiamo udito sovente lamentarsi di riescire con somma difficoltà, e con troppa spesa ad acquistare un edizione comoda e corretta del corpo delle leggi romane. D'altra parte le edizioni comuni in cinque tomi, oltre che non bastano più al cresciuto numero delle richieste, sono assai poco adatte per chì voglia fare uno studio serio ed ordinato del testo civile. Pe- rocche nno de’ bisogni maggiori che abbia lo studioso del testo si è di poter ritrovar facilmente le leggi o concordanti, o discordanti che sono sparse nel corpo civile. Gli è necessaria questa ricerca in molti casi per giungere alla giusta intelligenza del testo, in molti altri per sapere la storia, e l’ultimo stato della giurisprudenza. Ma chi volesse seguire a questo oggetto le indicazioni degli antichi chiosatori, per pazientissimo che fosse si stancherebbe presto; e quando non si stan- casse non potrebbe riuscire che a crescer la confusione nella mente in- vece di risolvere le difficoltà. Io non sono spregiatore della glossa , ma dico che ad un principiante sarebbe pessima guida. Non dirò niente degli errori che vi sono provenienti da scarsità di. cognizioni storiche (1) Nuova edizione per le cure di Giovanni Calza. Vedi Bullettino Biblio- grafico N.° 105 pag. 176. 120 e filologiche; meno farò parola de’casi sbagliati, che forse sono in minor numero di quello che si va predicando, ma bensì dirò che le. antino- mie apparenti create con infinito studio dai chiosatori,. devono essere di grande imbroglio nelle teste non ancora avvezze al ragionamento legale: Di maggior confusione devon essere le tante, svariate teoriche proposte dalla glossa quasi ad ogni legge, intorno alle quali non è dato vedere nè la relazione che abbiano colla legge, nè la loro intrinseca ragionevelezza. D'altra parte reputerebbesi dannoso il consumare molto tempo ad intendere , e mettere nella memoria, tante teoriche che spesso non sono di alcuna autorità. Però chiunque si faccia a studiare il diritto civile sul testo delle leggi, anteporrà sempre alla glossa comune le sugosissime chiose del Gotofredo; e dove non possa aver queste vorrà almeno un edizione , in cui sieno citate a proposito le leggi concor- danti 0 discordanti. Intantochè riscontrandole non faccia inutile fatica, ma giunga alla retta intelligenza del testo. A questo primo bisogno dello studioso sodisfa l’edizione torinese che annunziamo. La quale oltre a ciò ci sembra eseguita con molta diligenza, ed ha il vantaggio di esser comoda ed economica. Veramente se noi avessimo dovuto consi- gliare il tipografo gli avremmo suggerito di mettere nella sua edizione le chiose del Gotofredo , con più le somme degli antichi repetenti. A questo modo l’utilità dell’ edizione sarebbe stata maggiore, e però mag- giore anche lo spaccio. Ma anche così come è stata fatta serve aì bi- sogni dello studioso assai più delle edizioni comuni in cinque tomi. Il prezzo dell’ edizione è di 45 lire italiane. Noi speriamo che come le cresciute richieste hanno dato luogo allé nuove edizioni del corpo civile ; così le nuove edizioni facciano crescere in molti il desiderio d’ avere in proprietà la collezione delle leggi che son fondamento a tutta la giurisprudenza, e senza la cognizione delle quali è vergogna chiamarsi dottore. Il dire di più intorno a questo argo- mento sarebbe un perdere il tempo e la fatica, ‘ripetendo cose notis- sime. Oggi sì tratterebbe soltanto di parlare contro l’ avarizia , ma in questo riescon meglio i tipografi degli scrittori. F. Forti. Dizionario teorico-pratico del Notariato, o sia Elementi della Scienza notarile, di Giovanni CALZA. Torino 1826. 3 vol. Quest’ opera fatta pel Piemonte può esser utile anche pei nostri notari. Oltre le formule degli atti, essa contiene una sufficiente spiega- zione delle regole di diritto a cui si deve aver riguardo per far gli atti prudenti, giusti ed efficaci. Alle quali cose il notaro deve por mente nel consigliare le parti, nell’ accertarsi della loro volontà, nel ridurre a forma valida il loro volere. A questi uffizi si manca alle volte per ignoranza delle leggi che dispongono intorno alle conseguenze de- gli atti de’ quali i notari si rogano. Però i dizionarii della foggia di quello annunziato , sono da reputarsi utilissimi. I nostri notari hanno fra mano il formulario del Cecchi che presso a poco è ordinato collo 12I stesso intendimento del Dizionario del Calza, ma quest’ultimo è più compito. Però abbiam creduto doverlo annunziare. F. Forti. La Svizzera Occidentale. Il Cantone di Vaud, Lettere di Tuuuio Daw- poco. Milano, per A. F. Stella e figli 1829. Prosegue 1’ autore l’ ameno viaggio ; e insieme con le bellezze pit- toriche e morali della Svizzera ci mostra , quasi in fedele ritratto, la rettitudine della sua mente e la bontà del suo cuore. Imitino tutti i giovani signori d’Italia il nobile esempio di questo degno figlio di Vin- cenzo Dandolo; amino come lui la verità coraggiosa, e quel meglio che non è punto nemico del bene; cospirino insieme all’ incivilimento d’un popolo che imparerà ad amare la patria quand’ avrà imparato a cono- scerli ed a stimarli. Noi non possiamo dar meglio un’ idea del novello volume di queste lettere, che cogliendone quà e là le notizie più singolari. = Siamo sul Liauson = ‘° La guida mi narrò, avervi sul vasto suo pendio un bel pa- », scolo , che il comune che n’era proprietario , appigionava ogni anno ad un mandriano, perchè ei ne usasse, e con lui tutti coloro che mediante una quota di prezzo avessero voluto mandarvi le lor gio- venche. A lui solo era affidata la vigilanza e la direzione degli ar- menti e de’lor custodi. Procedesi in guisa assai curiosa all'elezione di codesti custodi. = Or eccoti come si tengono il quindici di giugno que’ comizii. = Il capo mandriano sale sopra un tronco d’ albero , come sur una specie di pulpito , e propone ai suoi compatriotti che gli stanno intorno affollati i nomi di coloro a cui egli è d’ avviso di dare la preferenza. Ognuno dei comproprietari dell’armento ha dritto allora d’ annunziare francamente e ad'alta voce i motivi che può avere per dar l’ espulsione a questo o a quel candidato. L’uno è troppo dormiglione; l’altro pone più studio a ben mangiare che a mun- »» gere. ... Trattasi altrove appena con egual gravità la scelta dei mini- ,) stri. ...0 quella dei deputati. .-,, Se dalle balze del Liauson, il nostro autore ci conduce alla valle d’Oex, dove l’antico castello è tramutato in un tempio ; se di là ci fa salire a Vanel, per raccontarci in una romanza popolare la storia di Clara; se ad Aigremont sì sofferma per ripeterci le mitologiche tradi- zioni del secol d’oro, quale lo si rappresenta in Isvizzera, noi sempre lo seguiam con piacere : ‘ Allora dicon essi, le giovenche eran di mo- 3» struosa mole, ed aveansi tal abbondanza di latte che bisognava mun- 2) 23 25 23 25 29 2) 23 2) 2» be) 2) »» gerle in istagni, i quali prontamente riempivansi. Scorreasi per essi ,> in barca, onde levarne la crema. Un dì che un bel pastore s’ oc- 3 cupava di quella bisogna, un colpo di vento rovesciò la barchetta, »» € infelice affogò. Le fanciulle ‘della vallea ne piansero la morte, ,, e cercarono inutilmente il suo corpo per seppellirlo. Trovaronlo »» molti giorni dopo, in far butirro, entro i fiotti della spumosa crema, CT. XXXVII. Marzo 16 122 >; battuta nella zangola, alta come una torre. Riposerlo in una caver- »» na, che l’api aveano ricoperta di favi, grandi come la porta d’ una N città.g Dopo trasportatoci con una viva descrizione in cima al colle di S. Triphon, dopò mostrataci in Roche la dimora del celebre Haller, dopo ripetutici in umile prosa i canti del prigioniero di Ghillon ; l’au- tore ci addita in Montreux la patria del benemerito Dufour, che sulle rive del Kenthucky portò le viti di Francia, e approfittò del gelso americano: “ ed ottenne bellissimi bozzoli, ognuno de’quali dava circa mille pie- 3 di d’ un filo, riconosciuto più robusto di quello dei nostri bozzoli »» d’Europa. Ma ciò che è ancora più singolare, si è che dimostrò po- ») tersene fare due ricolte all’anno, essendochè il gelso , svestito delle ;; sue foglie ne rimette per una seconda generazione di bachi. E poi ne » caccia fuori per la terza volta quel tanto che basta a conservarlo »; vegeto e sano : dimanierachè la seta può diventare fra non molto » una fonte inesauribile di ricchezza per alcuni degli Stati Uniti me- ,» ridionali. (1) ,, Le notizie che ci dà l’autore intorno alle istituzioni politiche, ad alcuni istituti civili, e agli uomini illustri del cantone di Vaud, sì leggono con piacere e con frutto. Troppo superficiali le parranno ad al- cuni; ma sì pensi che tutto quello che di nuovo ci giunge sopra liuo- ghi e costumi degnissimi di cognizione, e non bene da noi conosciuti, è tutto un desiderabile acquisto. Se non che dal momento in cui l’au- tore ha percorsa la Svizzera, all’anno e al mese in cui scriviamo, nuove cose seguirono degne d’essere raccontate: ed è destino inevitabile d’ opere simili, come di tutti i libri che tengono della statistica , il perdere col tempo una parte almeno di loro opportunità ed esattezza. È ben vero che un altro viaggiatore, anteriore di molto al ch» Dandolo, il signor Custines trovava gli Svizzeri non tanto arcadicamente disin- teressati quanto il nostro li fa: ma tutte e due le proposizioni possono ugualmente esser vere secondo i varii paesi, le varie posizioni d’una medesima valle, le varie altezze di una stessa montagna. Tra le cose che il Dandolo non poteva allora vedere, e che da più recenti rag- guagli noi raccogliamo, sarà per esempio il numero degli abitanti nel cantone di Vaud, ch’ egli fa ascendere a quasi 160,000; e ora son già censettanta (2) : sarà il canale d’ Entroches , che si sta ora lavorando (1) I pubblici fogli riportano che nello scorso marzo furon vedute passare alcune famiglie del Cantone di Vaud in capannucce poste sopra carri, e ay- viarsi alla volta della colonia fondata sui confini di Polonia dall’ Imperatore Alessandro. E dicevano che altre famiglie ancora dello stesso cantone erano per te nere la medesima via, (2) In un savio opuscolo , pubblicato non ha molto sulla riforma della costituzione Ticinese, è notato che nel Cantone di Vaud 180 sono i membri del gran Consiglio , vale a dire, uno sopra 944 abitanti ; e che i membri del Consiglio esecutivo , son tredici. F 123 per congiungere il lago di Ginevra al lago di Nevenbourg; sarà, vo- gliam credere, la carcere penitenziaria di Losanna, la cui costruzione costò 120 mila franchi; che contiene ottanta prigionieri; dove la pena è abbreviata in ragione della condotta del reo, della quale si tien regi- stro annuale, mensuale, quotidiano; dove parte del denaro dai propri la- vori raccolto, il condannato può destinarlo alla sua famiglia, ma non può con esso nei di delle feste procurarsi que’piccoli stravizzi, che con vocabolo che sa di bellezza ideale si soglion chiamare douceurs; dove è costantemente vietato il discorrere ed il cantare durante il lavoro (prov- vedimento conducentissimo al raccoglimento, e all’emendazione dell’ ani- mo): sarà finalmente la nuova persecuzione diretta appunto nel Cantone di Vaud contro la setta dei metodisti, detti volgarmente momiers, de’qua- li è professione ricondurre la religione riformata a più scrupolosa rigidità di massime e di discipline: fatto singolarissimo per molte ragioni, in un secolo qual è il nostro, e in tanta prossimità della Francia; fatto da cui molte e grandi conseguenze può dedurre chi pensa ai destini del- l’ umana perfettibilità. Ingiusta gridano siffatta persecuzione i più sag- gi; e un recente opuscolo del Signor Vinet , oltre alle protestazioni del ch. Monnard , chiaramente dimostra che se i momziers sono intol- leranti, la intolleranza loro è tutta spirituale , ma l’ intolleranza che li perseguita è tutta civile: ‘ essi ci giudicano; e noi li battiamo. ,, Le ultime lettere dell’autore sono date alla famiglia de’ Necher. Egli poteva aggiungere che questo bel nome è illustrato da un’altra donna singolare , valentissima autrice, Mad. Necker Saussure, alla quale dobbiamo il bel trattato della Educazione progressiva; zia di Mad. di Stael; posta quasi anello a congiungere insieme la gloria dei Saussure e dei Necker. Poteva, parlando di Augusto di Stael, citare quel singo- lare dialogo ch’ egli ebbe con Napoleone a proposito della esiliata sua madre. “ Vostra madre dov? è ? — A Vienna + Così stà bene : lì sarà almeno contenta: potrà imparare il tedesco- Se V. M. conoscesse il suo dolore...-= Ecco ! vostra madre è così. Non è cattiva. Ha dello spirito... di molto spi- rito... ma non è punto avvezza ad alcuna specie di subordinazione: a//e- vata negli scompigli della rivoluzione o della monarchia già cadente! Stata ch’ella fosse un mese a Parigi, io dovrei rinserrarla a Bicétre. Mi dispia- cerebbe, perchè la cosa farebbe romore; e l’opinione mi darebbe un po’contro. Dite dunque a vostra madre , che fin. ch'io vivo , non isperi di metter piede in Parigi. Il regno degli intriganti è finito. Sudordina- zione vuol essere; e rispettare l’autorità: perchè l autorità vien da Dio. In bocca di Napoleone, c’ est du haut comique. ° K. X, Y. n 124 L’Arereocraro Triesrino. Raccolta di Opuscoli e notizie per Trieste e per l’Istria. Vol. I. Trieste Tipografia Marenigh 1829. Edizione pro- mossa dal Gabinetto di Minerva, dedicandone il presente I. Volume a vantaggio del pubblico istituto de’ poveri di Trieste. Nobilissima impresa, degna di essere da tutte le città d’Italia imi- tata. Ma con un titolo meno brusco, e men greco, tanto che possa lusingare l’intelligenza di tutti gli amici della patria, i quali tutti so- scriverebbero a simile edizione , purchè ne scorgessero l’ utilità. Si comincia da alcuni elementi per la statistica di Trieste e del- l’Istria, raccolti dal benemerito Dottor Rossetti: poi viene una disser- tazione dell’origine di Trieste, scritta dal dotto traduttor di Polibio, il Signor Kohen : poi sopra un frammento lapidario , lettere del Rossetti e del Labus: poi le notizie sul duomo di Trieste con tutte le sue iscri- zioni, raccolte dal Dottor Kandler. Fra queste sì trova una a Pio II, già vescovo di Trieste , posta sulla facciata esteriore del tempio, dove è detto che Pallade lo erudì, e che Apollo gli cinse le tempie del pro- prio alloro. Havvene un’altra della famiglia Fin, scritta nel secento che dice: D. Alexander Fin finivit, et D. Lucretiam ejus coniugem finis conjunxit eidem : amplius expectat finis filios. . «qui finire scientes, lapidem hunc sibi suisque posuere pro fine, quo finito, finis erit finium. Segue un articolo del ch. Dottor Labus sopra un’iscrizione greca scoperta in Trieste; e tre antichi diplomi inediti ; e una descrizione di Trieste qual era nel 1650, tratta da un MS. inedito del vescovo Tom- masini; e un articolo del Dott. Rossetti sopra un cattivo dramma tedesco ; nel quale il Vinkelman è rappresentato vagheggiatore di co- lui che fu suo carnefice , come d’un Alessi o d’un Ganimede ; e un’in- dicazione per nuove scoperte archeologiche , del D. Kandler; e il cata- logo de’libri da qualche anno stampati nelle quattro tipografie di Trieste; fra’quali, tranne dieci opere , e non tutte di grande importanza, il resto sono opuscoli di circostanza, e libretti d’opera in buona quantità. Desideriamo, nei seguenti volumi veder concesso maggior luogo alle notizie statistiche, e considerazioni storiche, economiche , letterarie ; e leggervi i nomi del Professore Lugnani, del sig. can. Stacnovich , del sig. Besenghi degli Ughi; e di quell’ amabile G. G.; i cui collo- quiì rammentiamo con tanto piacere; uomo francese di spirito, e ita- liano di cuore. K. X. Y. Al Prof. Anc. Anroncina. Lettera del Prof. I. CasarorTI, in cui si fa qualche cenno della Mitologia e del romanticismo. Milano Silve- stri 1829. Pag. 89. Prezzo centes. 87. Intorno ad una questione ormai vieta, il Prof. Casarotti ha trovato la via di dire alcune cose importanti. La parte morale del suo scritto a 125 noi pare lodevolissima. Ma da ciò non segue che. noi dobbiamo trovare molto conforme a’ fatti la enumerazione ch’ egli vien facendo delle opinioni romantiche. Non si tratta di disprezzare tutte le regole, ma di conoscere se tutte le regole sien sacrosante , se non patiscano ecce- zione, se gli antichi stessi non l’abbiano violate , se i precettisti che da taluno si citano , le abbian poste ; se le regole infine possano sup- plire al genio , e non abbian talvolta la trista facoltà d’ incepparlo. Giac- chè quello sforzo che la mente creatrice consuma nell’ eludere o nel superare i vincoli di una legge arbitraria, poteva esercitarlo, cred’io, a miglior uso. Altrimenti, si verrebbe a trovare comodissima e sapien- tissima anco la schiavitù, perchè una grand’ anima, anche in quel misero stato, può non ismentire sè stessa. - Ma non è qui luogo d’ entrare in simili questioni. I fatti hanno già cominciato a risolverle; e i più accaniti avversarii sì vergognerebbero oggidì di ripetere a bassa voce quel che gridavano con tanta sicurezza, anni sono. Questo è meri- to parte di alcuni illustri esempi sopravvenuti a conferma delle teorie, e parte ancora delle dispute stesse, le quali nello stato in cui si trova l’Italia, non son forse tanto inutili e frivole quanto sembra a taluno. Ma per dare ad esse una direzione più nobile e più vantaggiosa, io ardirei di porre una condizione. Si lasci dall’ un lato il titolo vano e inadeguato , e insignificante, di romanticismo ; si lascino le gene- riche e inconcludenti e rancide invettive contro l’ardire de’giovinastri, e la barbarie settentrionale, e le streghe, e la mancanza di logica ; non si imputino a colpa di tutti ì difensori d’una opinione gli errori o le esagerazioni di tale o di tal altro scrittore ; si giudichino le opere da sè, senza badare a qual sistema appartengono ; e quando si tratta di teorie generali, si abbia la degnazione di dimostrare perchè quelle sieno assurde, perchè queste irreprensibili ; si omettano insomma le ripetizioni, le declamazioni, e le personalità, e si discenda alle vere, alle sode ragioni. E piuttosto che deridere, si ammonisca ; piuttosto che riprendere, sì consigli; piuttosto che ripetere cose alle quali i fatti assai meglio che gli avversari hanno già sufficientemente risposto , si taccia. Questo io non dico al Prof. Casarotti. Ad ascoltare i suoi avvisi, anche quando non paressero opportuni alla questione , v’ è sempre e piacere e vantaggio. K. X. Y. Gli Annali di C. CorneLIO Taciro volgarizzati dal Conte Cesare Barno, socio della R. Accademia delle Scienze. Torino. Tipografia Pomba 1830. Pag. 470. Prezzo lire 7. Se il ch. Traduttore avesse conosciuti in tempo i lavori del Politi, del Petrucci, e del Valeriani, avrebbe, dic’ egli, smesso il suo: “ e 3» così (modestamente aggiunge ) così avess’io saputo prendere l’ anda- 3) tura, il fraseggiar del Davanzati, la chiarezza e semplicità del Politi »» e del Petrucci, la ricchezza di parole del Valeriani, e bene sceglier 126 ‘3» poi tra le interpretazioni di tanti acutissimi nostri e stranieri. A ‘3 questo modo avrebbesi un vero Tacito italiano. ,, = Certamente la traduzione del Davanzati è cosa, in mezzo a’ difetti, insuperabile; ma e’non è sempre Tacito, e talvolta nol dà nè anco a comprendere chia- ramente. Quindi la gara e la moltitudine de’traduttori che gli van die- tro animosi. E così dietro al Caro. — Nè il nostro sarà forse l’ultimo : nè ultimo sarà forse l’ Arici. Ma ben più nobile, iocredo, è lo scopo propostosi dal Sig. Conte Balbo: non è questa una gara ch’egli ambisce co’tanti che lo prece- dettero: è un esercizio di stile, è preparazione a più grande intra- presa . Così Gian Giacomo atteggiava e domava quella sua maniera potente, cimentandosi alla traduzione di Tacito: e, sebbene ineguali al modello, io amo più que’ suoi saggi, che non gli scelti frammenti del matematico d’Alembert. = Ma appunto perciò che il lavoro del ch. Torinese è una ginnastica, se così posso dire, di stile istorico, noi ardiremmo pregarlo di volere nell’ opera originale che l’Italia attende da lui con desiderio e fiducia, astenersi da que’ latinismi, e da que’modi indeterminati e impotenti, in cui molti ripongono la gravità, l'eleganza, e la forza. Attingendo alla lingua viva, egli sentirà crescere ed energia e vita alla sua maniera; e non gli parrà più necessario tradurre , per esempio: Inde mihi consilium ; indi mi è avviso : latinismo il primo, ar- caismo il secondo, e il tutto insieme non proprio e non evidente = Que- sto noi diciamo all’autore delle quattro novelle con la confidenza che ispira una stima affettuosa: questo noi diciamo all’ autore della prefa- zione agli Annali con quella trepidazione che la critica non impuden- te prova dinanzi a un ingegno grave e maturo in cui l’Italia, aspet- tando il valente storico, può onorare di già il valent’ uomo. RI Qualche ora di lettura piacevole: o sia fior di Novelle storiche , inedite o rare , originali o imitate. Di Francesco Pezzi. Prima edizione ita- liana. Milano. Per Ant. Fontana 1829. Vol. I. pag. 366. Vol. Il. pag. 360. Prezzo lire 7 italiane. I Hoffman, Geoffroy, Maltebrun, 1’ Ab. de Feletz, e due altri scrittori ( nè saranno gli ultimi) del Journal des Débats, meritarono che i loro articoli fossero in più volumi raccolti, e formassero un’ opera da per sè. Quest’ onore è toccato in Italia al Perticari, al Monti, al Giordani; toccherà forse al Romagnosi ed al Gioja , e ad altri ancora. In Francia toccherà a Beniamin Constant , all’Ab. de Pradt, al Duca di Broglie , a Sismondi, a Guizot, a Villemain, a Cousin, e a tanti altri scrittori, ri- spettabili per facondia; ofper amenità; o per dottrina; che non isdegnano deporre ne’ giornali qualcuno de’loro pensieri , de’lor sentimenti. Giac- chè si potrebbe affermare che tutti quasi i più' illustri uomini viventi d’ Europa hanno riempiuto de’loro scritti qualche pagina di Giornale. L’ ingegnoso editore di un foglio politico , il Sig. Pezzi, ha raccolti 127 anch'egli in due volumi tutti gli articoli letterarii, teatrali, polemici. ch’ e’ veniva in cotesto foglio inserendo ; e ne riuscì un libro che non sarà dispiaciuto se non se agli avversari da lui malmenati con una vi- vacità che si potrebbe desiderare più moderata, ma non più gioviale. Ora , egli pubblica questo fior di novelle, il cui stile non è certamente lo stile d’ un gazzettiere; nel senso in cui volgarmente s’ adopera questa voce. Sono trentadue le novelle : e ve ne ha di facete e di com- moventi, di brevi e di lunghe; di tratte da’ costumi inglesi , francesi, italiani , tedeschi, ed arabi , e greci. Ka Opere del P. DanieLLo BanroLi. Edizione di Simone Birindelli. Fi- renze. 1830. Non è quì luogo di trattare de’ pregi e de’ difetti dello stile del Bartoli: ma ci sia lecito dire in passando che il principale de’ pregi di questo scrittore sta nell’ aver saputo conciliare la naturalezza dello stile con l’eleganza ; giacchè, tranne alcune poche frasi o modi, imitati dagli antichi, e forse vivi al suo tempo, tutto il resto appartiene alla lingua parlata. Ben fece il Signor Birindelli ad intraprendere l’ edizione completa delle opere di questo fecondissimo ingegno ; e a renderla raccomandabile al Pubblico non solo per la modicità del prezzo, ma ancora per la corre- zione ortografica. Del che giova ascoltare lo stesso editore. “ Le edizioni finora dateci, del Bartoli, modellate tutte su quella del secento , ri- tengono ancora l’ incorretta e incostante ortografia di quel tempo. Con- sonanti raddoppiate dove non bisognan che scempie ; scempie dove bi- — sognano raddoppiate: parole divise in due , o di due parole raccapez- zata una sola ; lusso di virgole, e d’ apostrofi, e di maiuscole : scarsezza di accenti. Alcuni di questi difetti, oltre a portare nell’ edizione una maniera affatto diversa dalla comunemente usitata, nocciono talvolta alla retta intelligenza del senso, e intorbidano lo stile, perspi- cuo e quasi sempre limpido, dell’Autore. Noi nel correggerli, ci sia- mo attenuti, come a regole certe , alla pronunzia de’ meglio parlanti, all’ origine del vocabolo , alle analogie della lingua ,,. K. X. Y. Perri Pavri Verceri ec. Intorno alla Repubblica Veneta, Frammenti di P. P. Vergerio di Capodistria. Prima Edizione. Venezia Tipografia Picotti 1830. Pag. 25 in 8.° Frammenti pregevoli e pel nitor dello stile e per alcune notizie che porgono intorno allo stato della repubblica sul principio del secolo XV. Raffrontando queste alle memorie posteriori, si comprende come i No- bili Veneti intendessero bene quel che voglia dire perfettibilità politica, io dico quella specie di perfettibilità che consiste nello stringere il morso 128 i senza far inalberare la bestia. Non già che tutte le istituzioni si siano venute mutando in peggio. lo trovo per esempio, che al tempo del Ver- gerio non era lecito a due negozianti forestieri stringere in Venezia un contratto di compera di merci straniere senza che un cittadino veneto v’ entrasse di mezzo. Questi mediatori, il Signor Pier Paolo Vergerio, con uno di que’ vocaboli classici che vengono tanto opportunamente a nobilitare le cose , li chiama Prorenetae. E a proposito di vocaboli classici, perchè s’ è egli mai pensato il dotto sig. Cicogna, editore di questi frammenti, dì latinizzare il suo nome, e trasformarsi modestamente in Ciconia? Se altre utili edizioni, se altri scritti eleganti non rendessero familiare ai lettori avvenire il vero suo nome, chi mai potrebbe riconoscerlo sotto quella metamorfosi strana? E ciò mi fa sovvenire di quel cittadino Veneto , il quale al vedere che un Pesaro si sottoscrisse Pisaurus, egli, Minozzo, si pensò di sottoscri- vere Minotaurus. = Questo ridurre i nomi di persone e di luoghi al- l'analogia della lingua latina, ci condurrebbe a cangiar nome a tutte quante le cose delle quali i latini non avevano idea, e ad imitar colui che per celebrare la messa diceva mactare. L’ opuscolo è pubblicato nell’occasione che il dotto Signor Moschini venne eletto canonico della Cattedral di Venezia. Onore ben meritato ; e ch’ io m’aspettava come la conseguenza inevitabile di un buon sillo- gismo. Jacopo Monico Patriarca: dunque Antonio Moschini canonico. La Chiesa di Venezia non è di quelle dove per aspirare al canonicato sia necessario esser nobile: ma io conosco altra Chiesa dove questa consuetudine è stata sapientemente violata da un Vescovo coraggioso. Deplorabile corrompimento della disciplina ecclesiastica! = Imperciocchè gli Apostoli eran tutti patrizii. K. X. Y. Decker Trattato elementare di Artiglieria , tradotto dal Sig. tenente Bronpr PerELLI, Livorno 1830, QuacLia Manuale dell’ Artigliere del Corpo Reale d’ artigliaria di S. M. Sarda. Torino 1830. La grande arte della guerra ha bisogno e tira costrutto da tutte le discipline; dalle più volgari non meno che dalle più trascendentali. Ed ei pare infatti non per altro denominarsi ovunque Generale il Ca- pitano, se non perchè và in lui presunta la generalità del sapere in- dispensabile all’ altissimo ufficio del suo grado. Della quale necessaria universalità d’ingegno è pruova il leggere nella istoria della guerra Duci insigni, come Annibale Cesare Federico e Napoleone , rarissimi del pari di insigni artisti o scienziati , come Omero Dante Michelan- gelo Galileo e Newton, in quella delle arti o delle scienze. In siffatto concorso di tutto il sapere umano all’ eccellenza nell’arte bellica, l’ ingegneria militare, oggi detta Genio, e l'artiglieria sono le dottrine le più scientifiche perchè fondate interamente sulle Matema- 129 tiche sublimi. Uopo è dire inoltre che oggi la seconda fu alzata a per- fezione tale da non scorgersi se non una impercettibile differenza fra la sua pratica e la sna teorica. L’ artigliere gregario infatti lancia una bom- ba o vibra una palla quasi precisamente là ove 1’ artigliere matematico disegna lo scopo con le sue curve e col suo calcolo. In ogni età la Balistica fu riputata uno de’ rami essenzialissimi del- l’ arte bellica. Le macchine di guerra, da’latini dette tormenta bellica , eran le baliste le catapulte l’ariete ec. ec. Oggi il cannone fa contro le mura l’ufficio che un dì facea l’ ariete, e i mortai o bombarde quello delle catapulte o baliste. Demetrio detto Poliorcete era il grande artigliere de’tempi suoi; e i generali d’artiglieria sono i Po- liorceti de’ nostri. AII’ artiglieria appartengono le due opere enunciate. A giudizio di coloro i quali intendono a queste materie , il Signor Maggiore Quaglia diede un nome molto modesto al libro suo, che è assai più di un Manuale, ossia di una istruzione pratica, per la molta dote scientifica onde è corredato. Il volume poi dell’ opera di Decker finora tradotto è un ottimo trattato pratico d’ arsenale per la buona costru- zione sì delle armi piriche come della polvere piria. Estimiamo dun- que che molta laude debbasi al Signor Tenente Biondi Perelli per la traduzione fedele e chiarissima che ne fece dall’ originale tedesco. Ed eguale elogio vuolsi tribuire al distinto ufficiale piemontese. Noi sim- patizziamo con chiunque consacra i suoi studj ad istruire e rammentare agli Italiani che 1’ arte delle armi fu quella con cui i nostri avi furon potenti liberi e felici. Gy: L’Eco MacerarEss. Giornale Medico-Chirurgico. È certo che fin dal momento in cui l’ arte salutare riprese nuova- \mente per guida la splendidissima face di una filosofica osservazione ed esperienza , potè con più sicurezza e maggior celerità sperar di giungere a quella sospirata meta, che giustamente meritar le potea un posto dei più luminosi fra le scienze tutte che nobilitano lo spirito umano. Ed in fatti con piacer noi veggiamo che questa scienza oggidiì coltivata con ardor sommo da ciascuna di quelle nazioni, presso delle quali la civi- lizzazione ha piantata la sua sede, si avanza con passo rapido verso l’ apice di sua perfezione, ove con indicibile impazienza da sì lungo tempo l’ attende l’umanità languente! E prova di ciò ne siano quei tanti Giornali, che ricchi di preziose osservazioni medico-chirurgiche , e d’ utili ed oltremodo interessanti scoperte in fatto di notomia, e fi- siologìa , si veggono mirabilmente pullulare in tutto il mondo dotto. E questa stessa classica terra , di cui noi a ragion ci gloriamo d’ esser figli, non è anco in ciò meno feconda delle altre parti della culta Eu- ropa, mercè quel genio filantropico, che in ogni tempo ha distinto i chirurghi, e medici Italiani. Di vero gli Annali universali di Medicina T. XXXVII. Marzo. 17 130 del Dott. Omodei; ed il Giornale di Medicina analitica, che si stampano in Milano ; il giornale della nuova Dottrina medica italiana, e gli opu- scoli della società Medico-Chirurgica di Bologna; 1’ osservator Medico di Napoli 3 il giornale Arcadico di Roma ; il repertorio Medico-Chirurgico di Torino ; il giornale de’ Letterati di Pisa; il Mercurio delle Scienze Mediche di Livorno ; e gli altri giornali di molti altre parti della no- stra penisola, giustificano appieno una siffatta asserzione. Se frattanto l’importanza della materia, la chiarezza ed imparzia- lità, di cui vanno superbi alcuni Giornali d’ Italia , meritar devono 1’ altrui lode , nessuno saprà ora negarla al chiarissimo Sig. dott. Fran- cesco Nobili medico condotto in Macerata, come compilatore di un nuovo Giornale medico-chirurgico conosciuto sotto il titolo d’ Eco Ma- ceratese , che adorno si trova di sì belle qualità. Quest’ apprezzabilissimo Giornale che fin dal suo nascere ha meri- tato la stima , e la considerazione di tutti coloro che a questo diritto s’ appellano col nome di veri chirurghi e medici , non si limita, come il suo nome sembrerebbe indicare , a ripetere soltanto con brevità ciò che registrato sì trova d’ utile e interessante nei più accreditati Gior- nali sì nazionali, che stranieri relativamente a quello che spetta, non solo all’ arte salutare, quanto alle scienze che han seco lei dei rap- porti strettissimi, come appunto sarebbe la Fisica, la Chimica, la Far- macia, e la Bottanica; ma contiene altresì dei nuovi articoli risguar- danti in ispecial modo la pratica chirurgica e medica. Questo breve e fugacissimo cenno di ciò che d’ apprezzabile in sè contiene 1’ Eco Maceratese , sarà più che bastante a far conoscere vie- maggiormente il merito di un Giornale, ch’ è solo animato dal vivo desiderio di servire al bene della scienza di cui tratta, e soprattutto poi a quello dell’ inferma , e sofferente umanità. Dimodochè noi non possiamo che render grazie infinitissime al Sig. Nobili per una siffatta laudabile impresa : giacchè questa contribuisce sempre più ad aumen- tare il numero di quei Giornali, che tant’onore e vantaggio arrecano alla nostra bella e sempre dotta Italia. M. Riace. 1I5I BULLETTINO SCIENTIFICO-LETTERARIO Marzo 1830. SCIENZE NATURALI Meteorologia. Nella Biblioteca universale di Ginevra , quaderno di febbraio 1830 , pag. 158, si trova compendiata una notizia letta dal sig. Huber-Burnund alla Società filosofica d’Yverdun, intorno alla temperatura atmosferica di quella città nell’ ultima settimana di gennaio e nella prima di feb- braio 1830. ì Quell’ osservatore , dopo aver riferiti i gradi indicati a diverse ore nei diversi giorni da quattro termometri esattamente concordi, gradi che rappresentavano un freddo straordinario , ripete questo da varie circo- stanze , in parte precorse , e che glie lo avevano fatto prevedere , ed anche prenunziare a varie persone , non come una profezia, ma come un calcolo , a parer suo , semplicissimo- “ I venti del sud , dice egli, avendo regnato per sei mesi, era da », supporre che quelli del nord dominerebbero in seguito. In secondo s; luogo , il sole essendo stato nascosto quasi interamente nei mesi di »» luglio ; agosto , settembre , e ottobre , era naturale il pensare che »» la terra sarebbe raffreddata alla superficie più dell’ ordinario. Que- ») Sta circostanza unita alla presenza dei venti del nord doveva ren- »» der l’ inverno freddissimo. Finalmente 1’ autunno essendo stato pio- 3» vosissimo ; l’ inverno. secondo tutte le apparenze doveva essere »» asciuttissimo. Quando tutte queste circostanze non sono che parziali, 3, non sì può tirarne conclusione alcuna ; ma la loro generalità in tutta 3» 1 Europa doveva produrre effetti semplici, perchè a distanze im- 3» mense non vi era alcuna causa perturbatrice ,,. ‘ I venti di nord-est harino regnato costantemente , ma di rado »» con violenza. È caduta della neve, ma in piccola quantità, e la 3 temperatura è stata sotto zero per quasi,tutto il mese di dicembre, e »; per tutto quello di gennaio ,,. “ Alle cause che ho indicate bisogna aggiungerne altre che agi- 3, scono parzialmente , e soltanto in certe località. La prima . che in s» quest’ anno è anche molto generale , è la presenza della neve sul 3; Suolo. Preservando la terra da un gran freddo , la neve ritiene e », conserva sotto il denso suo manto un calore che addolcirebbe il. », freddo dell’ aria, se potesse mescolarsi con essa ; 1’ aria non riceve »» dunque alcun calore dalla terra ,,. ‘ La seconda causa del gran freddo che abbiamo provato è 1’ as- ,, senza quasi continua del sole nell’ inverno evrsso »» >» 132 “ Per altro se la presenza dei vapori opachi è stata cagione d’una 33 diminuzione di calore nel giorno , le siamo debitori di non essere »» Stati esposti più spesso a quelle notti rigidissime , che gli abitanti >» della Norvegia chiamano notti di ferro ; di fatti, eccettuato un pic- »» colissimo numero di notti, nelle quali il cielo è stato in parte co- >, perto , le mie osservazioni presentano un seguito continuo di neb- 3» bie più o meno elevate ; quando dopo mezzogiorno i vapori si sono 3 dissipati , quasi sempre nella notte delle mubi benefiche ci hanno »; separati dalla volta celeste ; una sola notte interamente chiara e >> tranquilla avrebbe prodotto probabilissimamente un freddo superiore ss a quello delle notti dei 1,2, 3 febbraio, nelle quali il cielo è 3» Stato nascosto una parte del tempo ; ma questo caso non è avvye- 3) NUtO ,,. ‘ Un fatto molto singolare , di cui non cercherò di darvi la spie- »; gazione , è questo che essendo chiaro il cielo , se il vento soffia con violenza , il termometro non si abbassa quanto nel tempo tranquil- 3» lo ; al momento in cui il vento cessa, il termometro scende rapida- 3» mente ,,. Fisica e chimica. Non vi è fra i fisici chi ignori che posta una lastra di rame a con- tatto con una di zinco , e così formato un elemento voltaico , questo immerso in un acido allungato scompone 1’ acqua, 1’ idrogene della quale si manifesta in forma di piccole bolle di gas sulla superficie del rame , mentre l’ ossigene ossida lo zinco. Siccome questi effetti non hanno luogo se framezzo alle due lastre metalliche si ponga un foglio di carta, perchè si viene a decomporre 1’ elemento voltaico , facendo mancare il contatto dei due metalli dissimili , il dott. Wollaston ima- ginò d’ impiegare questo semplicissimo apparato per scuoprire nelle scorie di ferro la presenza del titanio allo stato metallico , che talvolta vi sì trova in minutissimi cristalli. "A quest’ effetto egli faceva un foro nella carta da interporsi fra le due lastre, ed in questo foro po- neva un piccolissimo frammento della materia nella quale voleva veri- ficare l’ esistenza d’ un metallo puro , o non combinato. Se questo vi esisteva , stabilita per mezzo di esso la comunicazione fra il rame e lo zinco , sì svegliava l’ azione elettrica , manifestata dalla comparsa delie bolle di gas idrogene sulla superficie esterna della lastra di rame, pro- veniente dalla scomposizione dell’ acqua del liquido acidulo in cui si immergesse la coppia metallica , lo che non avveniva se il frammento non contenesse un metallo allo stato metallico. Essendo sembrato al sig. Macario Prinsep che quest’ingegnoso mez- zo potesse utilmente applicasi a scuoprire in un minerale qualunque la presenza d’ un metallo , allo stato metallico , risultamento a cui è tal- volta difficile arrivare per mezzo dell’ analisi stessa , ed a distinguere se un metallo si trovi in un aggregato minerale in stato di vera com- Leni (Ce) c binazione chimica, o di semplice mescuglio , intraprese , per assicurar- sene , le seguenti esperienze. Dopo essersi accertato che ponendo nel foro della carta un fram- mento di piombo metallico , comparivano molte bolle di gas sulla su- perficie del rame , e che sostituendovi del solfuro di piombo o galena non se ne sprigionava minimamente , egli preparò diverse mescolanze a proporzioni cognite di piombo e di solfo, mediante la fusione operata in vasi chiusi, e sperimentando successivamente ciascuna di queste mescolanze , trovò che pig Ho gi #1, di solfo non impediva- no al piombo di fare apparire delle bolle di gas sulla lastra di rame del piccolo apparato , ma che portando la quantità del solfo a } di quella del piombo , non compariva più veruna bolla. Non avendo pre- senti alla mente le proporzioni delle quali si compone il solfuro di piombo , per non agire con prevenzione , sì astenne deliberatamente da riscontrarle avanti le esperienze. Compiute queste , trovò che il solfuro di piombo è composto precisamente di quelle proporzioni che avevano cessato di somministrare delle bolle di gas ; dal che concluse che in tutte le altre mescolanze , la proporzione del. solfo essendo mi- nore di quella necessaria a comporre un solfuro con tutto il piombo contenutovi , una parte di questo era conseguentemente in eccesso 0 non combinata , e serviva a stabilire una comunicazione metallica fra le due lastre , e che mentre i metalli impegnati in vere combinazioni chimiche non sono atti a formare quella combinazione, e a dar luogo a quelli effetti che ne debbono risultare , conservano una tal proprietà quando sì trovano in stato di semplice mescolanza. Rilevando l’ utilità pratica che si può ricavare da questo proces- so ; il sig. Prinsep riguarda come certo che nel minerale grigio di Tu- naberg il cobalto ed il ferro si trovano allo stato di solfuri, e che all’ opposto negli aeroliti, a malgrado della presenza del solfo e della silice , una parte almeno dei metalli contenutivi si trova in istato-di semplice mescolanza, e non già in quello di solfuri o di silicati. (/Bi0/. Univ. feb. 1830 , pag. 146). Il sig. Becquerel ha presentato all'Accademia di Parigi una sostanza raccolta nelle cave di Montmartre in vicinanza di quella capitale, so- stanza che conferma le induzioni che/egli aveva già manifestate in- torno al modo di formazione di certe materie inorganiche nel seno della terra. Quella di cui qui si tratta è un solfuro di calce trovato in mezzo ad uno strato d’ argilla raddirizzato per effetto della presssione delle terre fino al punto di divenire quasi verticale , e che presenta delle dendriti di solfuro di ferro , che finora era stato preso per ossido di questo metallo. Sopra la stessa sostanza si osservano dei piccoli nodi , i quali co- stiuiscono un composto affatto nuovo , che risulta da una mescolanza di sottosolfato di ferro e sottosolfato d’allumina. Il sig. Becquerel spie- 134 ga la formazione di questo composto supponendo che provenga dalla scomposizione delle piriti , le quali, trasformate prima in solfato di ferro , hanno poi reagito sull’ allumina. In prossimità dello strato d’ argilla nel quale ha trovato il nuovo prodotto che ha presentato all’ Accademia , il sig. Becquerel sentì un odore fortissimo d’ idrogene solforato. Egli pensa che quest’odore pro- venga dalla scomposizione del solfato di calce contenuto nelle argille per mezzo delle materie vegetabili che le acque vi trasportano. (Glo- bo N.° 24). Il sig. Smith di Filadelfia ha insegnato a preparare il bicarbonato di soda con un processo molto semplice, che il sig. Boullay , il quale ne ha fatto esperimento , giudica vantaggioso , presumendo che potrà anche essere applicato con vantaggio alla preparazione d’ altri prodotti in qualche modo analoghi , come il bisolfito di soda ed altri. In questo semplice processo si espone il comune carbonato di soda in una cassa a ciò destinata , e nella quale si mantiene un’ atmosfera di gas acido carbonico sottoposto ad una notabil pressione. Siccome il nuovo sale , o bicarbonato di soda, contiene meno acqua che il carbo- nato neutro impiegato , mentre il gas è assorbito dal sale , se ne se- para dell’ acqua. Allorchè cessa 1’ assorbimento del gas, si cessa l’ope- razione , e si dissecca il sale, che è un vero bicarbonato. Esaminan- dolo , si riconosce che esso ha conservato la sua prima forma , bensì la sua struttura , che era compatta , è divenuta porosa e fragile ; ha perduto la lucentezza delle sue superficie , e que!la della sua spezza- tura. Forma un ammasso di grani cristallini bianchi come la neve , e senza notabile sapore alcalino. Il sig. Boullay , avendo comparato il bicarbonato così preparato al più bel bicarbonato di soda inglese, ed a più altri, non ha trovato alcuno in uno stato di completa satura- zione come questo. (Journ. de pharm. mars 1830 ; pag. 118). Si devono al sig. SéruZlas diverse osservazioni sul cloruro di iodio. Egli ha riconosciuto che questo composto disciolto nell’ acqua può es- ser precipitato da questa dissoluzione , comunque allungata essa sia , per mezzo dell’ acido solforico , il quale deve essere aggiunto in gran quantità e successivamente , tenendo il vaso raffreddato , per evitare una troppo grande elevazione di temperatura. Il cloruro si precipita di color d’ arancia ,,ed in conseguenza allo stato di percloruro, lo che sì dimostra lavandolo e trattandolo colle precauzioni cognite colla po- tassa , la quale non ne separa iodio. Il cloruro di iodio precipitato dalla sua dissoluzione acquosa’ per mezzo dell’ acido solforico , essendo scaldato in mezzo al liquido , sì discioglie , e si precipita di nuovo per raffreddamento. Quando sì di- stilla a calor blando , il percloruro si volatilizza , essendo 1’ acqua ed il sottocloruro ritenuti dall’ acido solforico. La proprietà riconosciuta nell’ acido solforico di precipitare il clo- 135 ruro di iodio dalla sua dissoluzione nell’ acqua, ha indotto il sig. Sé- rullas a ricercare se si otterrebbe una simile precipitazione da una dissoluzione d’ acido iodico e d’ acido idroclorico ; ed ha riconosciuto che 1° acido solforico versato in questa mescolanza determinava effet- tivamente la formazione del cloruro di iodio di color, giallo chiaro, af- fatto identico con quello che si precipita nel primo caso. Così egli è evidente che vi è stata scomposizione dei due acidi , formazione d’ acqua e di cloruro di iodio. La colorazione del liquido giallo , la quale ha luogo subito che i due acidi vi sono mescolati, per- suade che il cloruro di iodio è prodotto per il solo contatto dell’acqua, e non sotto l’ influenza dell’ acido solforico , il quale ne opererebbe soltanto la separazione , con impadronirsi dell’ acqua. Questa osservazione sembra al signor Sérullas importantissima , r.° perchè dimostra positivamente la formazione del cloruro di iodio per il contatto dell’ acido idroclorico e dell’ acido iodico , formazione che soltanto si presumeva , avuto riguardo alle proprietà analoghe che si trovavano fra questa dissoluzione e quella del cloruro di iodio ; 2.° perchè la produzione del cloruro di iodio in questa circostanza prova che questa sostanza è un composto a proporzioni definite ; 3.° perchè la proprietà che ha l’ acido solforico di precipitare il clo- ruro di iodio dalla sua dissoluzione acquosa, deve condurre a fare al- tre simili applicazioni per altri corpi. (Globo IN.° 32). Il sig. Mac-Culloch crede che debba trovarsi l’ iodio in abbondanza nella pianta chiamata anticamente Fucus Pygmaeus , e che è compresa attualmente nella famiglia dei licheni ; egli lo deduce ‘dall’odor for- tissimo che tramanda questa pianta , e che somiglia quello dell’iodio. Egli ha esaminato sotto lo stesso punto di vista i vari licheni , e crede che l’iodio debba trovarsi nel Lichen Coesius. Sospetta ancora che lo stesso iodio esista nel Lichen Roccella, deducendolo dal color violetto che questo lichene somministra nell’ arte tintoria , sebbene quest’ ul- timo colore sia d’ una natura affatto diversa da quello dell’ iodio , il quale non si manifesta se non nel suo stato di vapore. ( Bi9!. Univ. feb. 1830, pag. 230). Noi annunziammo già (Artolog. N.° 101, pag. 158) che il signor Robinet ha separato dal lichen roccella il principio colorante, il quale è tutt’ altra cosa che l’iodio ; esso ha un sapore dolcissimo, è solu- bile nel’ acqua , e cristallizza in bei prismi quadrangolari. Può esser volatilizzato senza scomporsi, se il calorico non è troppo forte. È senza colore, ma lo acquista per l’ azione dell’ ammoniaca e dell’aria atmo- sferica. Il dottor Le Te/lier avendo intrapreso delle ricerche dirette a ri- conoscere la materia venefica degli agarici 4 valva , fin quì ignota , è stato condotto alle seguenti conclusioni. La proprietà venefica di questa materia non è indebolita nè per il disseccamento , nè per l’azione d’una temperatura superiore a quella 136 dell’ acqua bollente ; non è precipitata o scomposta nè dagli acidi nè dall’infusione di galla, nè dagli acetati di piombo ; è solubilissima nell’ acqua, la quale essa toglie a tutti i corpi che ne contengono ; non ha odore nè sapore caratteristico ; sì trova mescolata, o forse combi- nata allo stato di sale col fungato di potassa. Il processo più semplice per estrarre questa materia consiste nel trattare il sugo dei funghi successivamente col calore , col sottoace- tato di piombo in eccesso , coll’etere ben rettificato , e coll’acido idro- solforico , nel far cristallizzare il liquido, che contiene allora nel tempo stesso un sottocarbonato minerale, di cui l’ autore non ha potuto se- pararne che ì primi cristalli formatisi. Questa materia è velenosissima ; agisce sull’ organismo animale per assorbimento. I sintomi che produce son simili a quelli dell’'oppio ; quindi è principalmente e forse unicamente narcotica. Si trova in tre o quattro agarici a valva (Amonites di Pers.) ; non esiste in verun fungo delle altre sezioni, e però può esser chiamata amonitina. L’ impossibilità di precipitarla per mezzo dei reagenti indicati im- pedisce di riconoscerla per proprietà distintive nei casi d’avvelena- mento , e fa temere che non si possa mai giugnere a nentralizzarla nelle vie digestive. (Journ. de pharm. mars 1830 ; pag. '109). Nella seduta che la società di fisica e storia naturale di Ginevra tenne il dì 21 gennaio 1830 , il sig. Marcet fece conoscere i risulta- menti d’ alcune ricerche da sè intraprese intorno al cambiamento di colore che prova il legno di certi alberi, e che egli ha particolarmente osservato nell’ Ontano , il legno del quale esposto all’ aria diviene di color rosso, o meno scuro. Per mezzo d’un gran numero d’ esperienze egli ha trovato che il cambiamento non si effettua se al momento in cui il ramo d’Ontano è tagliato trasversalmente si pone nel vuoto per- fetto, o in un aria che non contenga ossigene, e che al contrario il color rosso è più vivo nell’ ossigene puro che nell’ aria atmosferica. Se il legno, dopo essere stato tagliato, sia immerso nell’ acqua, divien sempre rosso, ancorchè s’ introduca immediatamente nel vuoto, o in un gas che non contenga ossigene. Il legno d’Ontano che aveva acqui- stato il color giallo lo diede a poco a poco all’ acqua nella quale era immerso , e quest’acqua essendo evaporata a secchezza, la materia co- lorante che essa aveva disciolto potè essere esaminata , e presentò tutti i caratteri chimici del tanninò puro. Dai risultamenti delle sue esperienze il sig. Marcet sarebbe por- tato ad attribuire la colorazione del legno dell’ Ontano ad una specie d’ ossigenazione che proverebbe il tannino al momento in cui sì trova esposto all’ aria atmosferica. Bisogna osservare che nelle esperienze delle quali qui si tratta è stata sempre usata l’attenzione di tagliare i rami dell’Ontano trasversalmente, perchè se si stacca semplicemente la scorza, il cangiamento di colore è molto meno pronunziato (.Bib/. Univ. février 1830, pag. 228 ). 137 Il sig. Sertuerner aveva annunziato ( Vedi Antol. N.° 110, pag. 144) che alcune specie di china, e particolarmente la china rossa e la gialla, oltre le due sostanze alcaline conosciute sotto i nomi di Chimina, e di Cinconina, ne contengono un altra, che egli aveva indicata col nome di Chinoidina. Ora i sigg. Henry figlio ed Augusto Detondre, in seguito d’ un lungo e diligente lavoro eseguito sopra le acque-madri provenienti da centomila chilogrammi di china rossa, da cui era stata estratta la chinina, hanno creduto poter concludere che la supposta chinoidina non esiste, che la materia riguardata come tale dal sig. Sertuerner è una modificazione della chinina e della cinconina, riunite e rese incri- stallizzabili da una materia gialla particolare , la quale con molto tem- po e speciali diligenze si arriva a separare ( Journ. de Pharm. mars 1830, pag. 144). Si deve al sig. Séru//as il seguente mezzo per scuoprire la presenzan della morfina. Se una dissoluzione d’ acido iodico si ponga in contatto con un sol grano di morfina, 0 d’ acetato di morfina egualmente in dis- soluzione, il liquido si colora intensamente, e ne esala un odore di- stintissimo di iodio. La centesima parte d’un grano basta per produrre quest’ effetto in modo sensibile; l’azione è prontissima , ed ha luogo alla temperatura ordinaria. La chinina, la cinconina, la veratrina, la picrotossina , la narco- tina, la stricnina , e la brucina, sottoposte alle stesse prove, non eser- citano azione alcuna sull’ acido iodico, mentre la più piccola quantità di morfina, o del suo acetato, che si aggiunga a quelle sostanze, di- viene evidente per mezzo dei cambiamenti indicati, cioè per la mani- festazione del colore e dell’odore che caratterizzano l’ iodio. In oggi tutti si accordano a pensare che le indicazioni date dai reagenti non sono sufficienti. per pronunziare con certezza nei casi di medicina legale sull’ esistenza di tale o tal’ altra sostanza, salvo il piccol numero di casi nei quali queste indicazioni risultano da com- posti ben caratterizzati: tuttavolta ì reagenti son mezzi ausiliari più o meno importanti, che si devono sempre accogliere per ricavarne dei lumi che possano mettere sulla via di ricerche più concludenti. In conseguenza il sig. Sérullas propone l’ acido iodico e l’iodato acido di potassa come reagenti sensibilissimi per scuoprire la presenza della morfina e dell’ acetato di morfina y non solamente quando queste sostanze sono isolate , ma anche quando sono mescolate cogli altri al- cali vegetabili, non avendo questi ultimi azione alcuna sull’ acido io- dico. ( Globe IN.° 24). Nella sopra indicata adunanza della Società di fisica e storia na- turale di Ginevra, i sigg. Macaire e Marcet lessero un: loro scritto in< torno a quella materia grassa che alcuni anni addietro il dott. Badin- gton di Londra portò dalla costa del Malabar. Questa materia si ricava come la cera della Myrica cerifera, facendo bollire il frutto della T. XXXVII. Marzo. 18 138 Vateria indica nell'acqua, sulla superficie della quale viene a galleggiare solidificandosi poi per il raffreddamento. Questa materia grassa si fonde a 32 gradi R. e se ne possono formare delle candele che bruciano con mna bella fiamma bianca. La materia è di color bianco giallastro , dolce al tatto, senza sapore; esala un leggiero odore aromatico ; è solubile nell’etere e nell’ alcool bollente, come anche negli olii fissi e volatili ; si saponifica cogli alcali; con un quarto del suo peso dì potassa forma un bel sapone bianco solubilissimo nell’ acqua calda. I suoi principii costituenti, determinati secondo il metodo del sig. Chevreul, sono l’oleina, la margarina, e la stearina. Il sig. Babington dice che questa materia si vende nel paese, ove sì raccoglie al prezzo di circa soldi 5 di Francia la libbra. ( Bid2. Univ. febbraio 1830 pag. 229 ). Il sig. Berzelius ha annunziato d’ aver riconosciuto la presenza dell’ acido butirico nell’orina umana. Lo stesso chimico aveva affermato dl’ aver trovato l’ acido lattico in un gran numero di sostanze animali. Siccome diversi chimici sono in oggi d’ opinione che 1’ acido che è stato chiamato lattico non sia veramente un acido particolare, ma un com- posto d’acido acetico e d’ una materia organica fissa, il sig. Berzelius lia recentemente fatte conoscere diverse esperienze , che egli riguarda come atte a provare la natura particolare dell’ acido lattico. ( Globe IV.° 32): ScIENZE MEDICHE. Il sig. Massimiliano Rigacci ha resa pubblica per le stampe del Fantosini la storia d’ un caso di procidenza dell’ occhio sinistro, che sebbene accompagnato da sintomi molto gravi, fu da lui curato con esito felicissimo. Il sig. Segalas ha presentato all’ Accademia delle Scienze di Parigi uno strumento chirurgico da lui inventato. Esso è un porta-caustico, per mezzo del quale egli può applicare il nitrato d’argento sui più profondi ristringimenti dell’ uretra, e fare agire questo caustico sopra qualunque punto di questo canale, ed anche circolarmente. Egli fa os- servare a questo proposito che il porta-caustico di Ducamp non può agire con sicurezza che sulla porzione diritta dell’ uretra, e che lo strumento imaginato per l’oggetto stesso dal sig. Lallemand espone ad offendere le parti che si trovano al di quà e al di là degli ostacoli che si vogliono distruggere. Di più quest’ ultimo strumento ha l’inconve- niente di render necessarie altrettante introduzioni particolari quanti sono 1 punti da cauterizzare sui diversi lati dell’uretra. Anche il primo porta-caustico imaginato dallo stesso sig. Segalas presentava quest’ in- conveniente, a cui egli Kia potuto ora ovviare. VARIETÀ Il dot. Eynard, sapendo che nella spedizione d’Egitto Conté aveva trovato ed impiegato un mezzo atto a rendere alle lime consunte la loro attività, si è posto a rintracciare questo mezzo, o un altro capace di dare lo stesso risultato, ed è giunto a scuoprirlo. Egli impiega dell’acqua acidulata con un quinto del suo peso d’acido solforico, nel quale tiene immerse per più giorni le lime che vuol ravvivare. Egli restituisce così a lime vecchie ed inservibili un attività quasi eguale a quella delle lime nuove. Questo processo semplicissimo può riuscire di molta utilità nelle arti, e specialmente in quelle dell’ orologiaro e dell’ orefice, che impie- gano lime finissime, il prezzo delle quali è sempre molto elevato. L'effetto di questo processo consiste nel fare che l’acido allungato porti via uno strato di metallo di un decimo o di un quindicesimo di millimetro. Questa. operazione effettuandosi su tutta la superficie della lima»nel medesimo istante, vengono a profondarsi le molte fessure che solcano la superficie di questo strumento , ed acquistano un rilievo proporzionato ed uniforme le prominenze ovasprezze dalle quali dipende l’ attività della lima (£é- russac sc. tecnol. novembre 1829, pag. 245). Quella specie di carta conosciuta sotto il nome di carta dî riso, ed impiegata, specialmente in Inghilterra ed in Francia, di preferenza a qualunque altra carta per certi disegni, e per farne fiori artificiali, era stata fin quì riguardata come un prodotto dell’ arte, e si credeva prepa- rata con materiali ricavati dalla pianta del riso. Ma esaminandola attenta- mente, e ponendola fra l’ occhio e la luce , è facile convincersi che essa è un prodotto naturale della vegetazione, che non ha subìto preparazione alcuna, riconoscendosi formata d’ un tessuto cellulare così perfetto e delicato, che sarebbe impossibile imitarlo. Il dot. Livingstone fu il primo ad introdurre in Europa una quantità notabile di questa carta circa 25 anni addietro. Essa era in fogli quadrati di circa 4 pollici,. tinti di varii colori, e si vendeva 6 scellini per foglio. In seguito .il prezzo ne è molto abbassato, e la grandezza dei fogli è talmente ac- cresciuta, che si può averne di più d’un piede di lunghezza e di cin- que pollici di larghezza, d’ una bianchezza perfetta. Il seguente estrat- to d’una lettera del generale Hardwicke, che ha riseduto lungamente nei possessi inglesi dell’India, contiene varie notizie intorno alla natura ed all’ origine di questa carta. “.Io-mi stimo fortunato di potervi dare delle notizie precise sulla 3» pianta che somministra la sostanza conosciuta sotto il nome di carta 3, di riso. Essa è la Oeschinomene paludosa di Roxbourg, della famiglia ,» delle leguminose, e di cui troverete la figura nel mio atlante delle ,» piante dell’India. Cresce abbondantemente nelle pianure paludose »» del Bengala, e sulle rive dei vasti laghi chiamati /ée/s, che esistono ,, in tutte le provincie fra Calcutta e Hurdwar. Questa pianta è vivace; 140 il suo fusto, d’un diametro che oltrepassa di rado due pollici e mezzo, sì alza poco e si distende molto. Roxbourg la riguardava come annua; per altro il suo fusto e le sue foglie non si disseccano e muoiono se non quando la pianta manca di acqua; della quale avendo la quan- tità necessaria, essa riman verde in tutte le sue parti, e getta nuovi rami ogni stagione. Il fusto, vuoto nel mezzo, è formato in totalità d’una midolla bianchissima, grossa circa un pollice e ricoperta d’una scorza così sottile, è così tenera, che si porta via facilmente col- 3, l'unghia ,,. “ Son portate a Calcutta grandi quantità di questa pianta in stato fresco. Si scelgono i più grossi fusti per tagliarli in lame sottilissime, che formano la carta di riso, con cui gli abitanti fabbricano dei fiori artificiali per decorare i loro idoli nei giorni di festa. Se ne servo- no ancora per far dei cappelli, attaccando insieme diversi fogli, in modo da dar loro una grossezza conveniente; dopo di che danno loro la forma voluta, e lì ricuoprono di panno, 0 d’ un tessuto di seta. Così preparati questi cappelli sono solidissimi, e d’ una legge- rezza estrema. I rami dell’oeschinomene che non possono servire a far della carta sono aggiustati in fasci lunghi circa tre piedi, e ven- duti ai pescatori, i quali se ne servono per guarnire le vaste reti che impiegano nei laghi. La leggerezza di questi rami li rende adat- ,, tissimi a quest’ uso ,,. “ Per ridurre in foglie la sostanza indicata, non si taglia trasver- salmente, ma bensì nel senso della lunghezza del ramo, e girando, all’intorno di esso,in modo da svolgere il foglio. Non debbo obliare di dirvi che il nome di questa pianta nella lingua del Bengala è Shola, che comunemente si pronunzia Sola ,,. (Ivi pag. 272) Il sig. Joshua Shaw di Filadelfia, dopo aver considerato i vantaggi ed i difetti dei diversi mezzi fin quì usati per riconoscere e determinare comparativamente la forza della polvere da guerra e da caccia, fa cono- scere il seguente nuovo modo da lui imaginato, e che egli riguarda come preferibile a qualunque altro. Egli fissa verticalmente una tavola di legno in cui è un traforo di 6 o 8 pollici di diametro , sul qual traforo fissa un quaderno di jcarta. I fogli sono compatti, o strettamente ravvicinati fra loro; come quando si levano dalle comuni risme di carta preparate per'il commercio. La carta da scrivere è migliore. Sopra questa carta, che fa funzione di bersaglio , l’ autore tira con uno schioppo dalla distanza di 35 passi. Lo schioppo è caricato con munizione, o piombo granulato , di cui pesa la quantità, come misura quella della polvere, e prima di tirare , solleva sei o otto fogli di carta, che ricuopre con una tavola per difenderli dal piombo. Allora tira, e se la polvere è forte , molti dei granelli di piombo avranno traversato la carta; se più della metà l’hanno traversata, egli rimette al suo posto ifogli che aveva separato , finchè non traversi la tota- lità della massa dei fogli che la sola metà dei granelli di piombo i I4I quali la colpiscono. Così possono paragonarsi fra loro diverse specie di polvere. Accrescendo o diminuendo il numero dei fogli , sì trova tal- volta una differenza perfino di venti per cento in favore d’una pol- vere che le prove ordinarie facevano riguardare come più debole. L’ autore ha riconosciuto che l’ effetto dei provini ordinarii è propor- zionale alla vivacità o rapidità della polvere , non alla sua forza. Può esservene qualche specie, in qualche modo analoga alle polveri dette fulminanti , che , essendo capace per la sua grandissima rapidità di far scoppiare le miglicri canne da schioppo ; non spinga poi una palla che a mediocrissima distanza. È anche illusoria la prova che si fa brucian- do della polvere sopra una carta bianca ; alcune specie non la mac- chiano, sebbene siano piene d’ impurità che imbrattano il fucile, mentre altre le quali bruciano vivacemente in mucchio isolato, agi- scono lentamente quando sono compresse. ( Ivi pag. 312. ) Il sig. Villermè , a cui si devono molte ricerche statistiche, ha comunicato all’ Accademia delle scienze di Parigi i risultati raccolti dal sig. prof. Quetelet di Brusselles intorno alla statura comparativa degli uomini, secondochè abitano le città o le campagne. Questo dotto, estraendo i suoi dati dai registri delle milizie nella provincia del Brabante meridionale , per cinque anni consecutivi, ha trovato che la statura media era costantemente più alta nelle città che nelle campagne, non solo per la provincia intera , ma anche per ogni cir- condario in particolare. Un solo circondario ha presentato un eccezio- ne, in un solo anno. * Questo risultato conferma dunque pienamente quelli ai quali era giunto il sig. Villermé per la Francia, partendo dalle misure prese sopra un gran numero di giovani soggetti al reclutamento, risultati contrarii all’ opinione che .si aveva generalmente prima di queste ricerche. ( Globo T.8 num. 13.) Lettera al Direttore dell’ Antologia. Nel rendersi conto nel fascicolo del gennaio prossimamente scorso del vostro sempre interessante Giornale, dell’ Opera ultimamente pub- blicata dal celebre Barone Cuvier sopra i progressi delle scienze , il dotto. estensore dell’ articolo , Conte Paoli, animato da lodevolissi- mo amor patrio, osserva andare errato l’ autore laddove attribuisce al Ritter, al Carlisle, al Davy, al Nicholson, non che al Wollaston ed al Berzelius, la gloria di essere stati i primi a far conoscere l’azio- ne chimica dei metalli, ciò dovendosi unicamente al Volta , ed al Brugnatelli, che i primi furono a decomporre il cloruro di sodio, ed altre saline combinazioni per mezzo della azione della elettricità di- namica. Bene a ragione il prelodato estensore dell’ articolo molto, apprez- 1.42 zando sì fatta scoperta, siccome di tanta importanza , ha creduto che 1’ Italia non potesse a quella renunziare , e permettere che al- trì al di lei suolo straniero andasse adorno di non sua palma. Se è peraltro certo che alla Italia tale onore sì appartenga, non è per questo che dai due sommi fisici testè rammentati derivi , poichè se per mezzo della elettricità dinamica nell’ anno 1800 il Volta , ed il Brugnatelli i sali scomposero , il Fabbroni fin dal 1793 aveva sco- perta la. chimica azione dei diversi metalli tra loro, ed aveva con essa ottenuta la decomposizione dell’ acqua. Dì ciò ne faccia fede la memoria che di lui venne pubblicata nel tomo IV.° degli antichi atti della reale Accademia dei Georgofili, è quanto è stato in proposito saviamente rilevato dall’ egregio Segreta- rio della illustre Società italiana dei XL. Antonio Lombardì nell’ elo- gio che di quel celebre toscano abilmente tessè nel 1828 , e che quì giova riportare. Ivi : ‘< Agli Italiani padre Beccaria , e professori Galvani, e Volta, no- +, mi alla immortalità sacri, deve assai la teoria della elettricità , co- 3; me tutti sanno ; ma per amore del vero , e ad onor di Fabbroni os- s, servar quì mi conviene che fino dal 1799. spiegò egli le proprie 3; idee intorno ai fenomeni del galvanismo , ed î suoi pensamenti al 3) dire dei francesi stessi giovarono poscia alla grande scoperta della 3» Pila che a gloria del suo inventore testè rapito alle scienze si disse 3» Voltaica. Nè parmi privo di fondamento questo titolo del Fabbroni 3» per dividere in qualche parte almeno con fisici così rinomati la 3» riconoscenza dei posteri dovuta agli scuopritori di verità fisiche fe- », conde di grandi applicazioni, poichè egli fin dalla epoca succen- ,, nata così scriveva : convien supporre e credere che tra i metalli al- », cuni abbiano una data attrazione per il solo radicale idrogene , al- s, tri per il solo ossigene ....che i metalli siano per altro altrettanti ss radicali purissimi , quali pare che si vogliano dai teoristi moderni ( sì tratta dell’ epoca del 1793.) sono ben lontano dal potermene persua- dere a ene Il magnetismo che si propaga a distanza , ed il prin- 3» cipio che attira , 0 con la presenza, o con l’ accumulamento , 0 col ss moto le forze di due metalli dissimili per decomporre l’ acqua , somi- glierebbe in qualche caso per la proprietà suddetta , quasi più al fluido ss magnetico che al fuoco elettrico ; ed in queste ultime espressioni pare che trapeli, come dalle risposte degli antichi oracoli, qualche cenno dell’ altra insigne scoperta , con cui il Danese Oerstedt aprì non ha guari un nuovo campo di amene ricerche ai moderni sperimentato- ri, cosicchè sembrami che l’ Italia additar possa agli stranieri nel cav. Fabbroni il precursore dei Galvani, e dei Volta. ,, Andando ora io persuaso che sarete il primo , ornatissimo sig. Di- rettore, a riconoscere esser dovuto questo atto di giustizia alla memo- ria di un Toscano che cotanto onorò la sua Patria con quella celebrità che la estesa sua scienza , e le sue opere a giusto titolo gli ottenne- 1:43 ‘ro, son certo che di buona voglia vi farete, sollecito d’ inserire la presente nel prossimo numero della vostra non abbastanza mai lodata Antologia. Con questa lusinga mi attribuisco ad onore il confermarmi con la dovuta considerazione. Vostro ec. TSNP, Osservazioni sulla Lettera precedente. Accogliendo di buon grado nel nostro giornale questa lettera, ci crediamo nel dovere di rilevare che alcuni pensamenti del Fabbroni in essa riferiti , e più altri esposti in quella di lui memoria che vi si cita, e che la lettera stessa invita perciò a considerare , se poterono sem= brare ingegnosi nel tempo in cui il Fabbroni li manifestò, non po- trebbero più oggi sostenersi , e nello stato attuale delle fisiche cogni- zioni debbono riguardarsi come erronei. Però se lo scrittore d’un elogio ha potuto giudicar conveniente il riferirli, non potrebbero aver luogo, senza qualche osservazione, in un giornale destinato a far conoscere i progressi dello spirito umano in ogni maniera di cognizioni. Così, per esempio, non è oggi permesso mettere in dubbio se i metalli siano corpi semplici o elementari , di che il Fabbroni si dichiarò in quella memoria ben lontano da persuadersi. Niun fisico ammette con lui che quando due metalli dissimili immersi nell’ acqua la scompon- gono, uno di essi ne attragga l’ ossigene l’altro l’idrogene , l’ultimo dei quali al contrario vien separato, e si mostra in forma di bollicelle presso la superficie del metallo negativo. Si ha oggi per certo e dimo- strato che dei due metalli immersi il positivo si ossida a spese dell’os- sigene dell’ acqua scomposta, non di quello dell’aria, che il Fabbroni supponeva discendere dall’ atmosfera , e traversar l’ acqua, disegnando sulla superficie di questa la figura del metallo, dovuta in vece al gas idrogene che si sprigiona, ec. E quanto al reclamo che forma l’oggetto principale della lettera stessa, dobbiamo pure osservare non essere giustissimo, perchè non appoggiato a rilievi esatti. Avendo il Cuvier attribuito al Ritter, al Carlisle, al Davy, ed al Nicolson la gloria d’ avere i primi fatta conoscere l’azione chimica dell’ e- lettricità, il conte Paoli, dopo avere con giustizia osservato doversi ag- giugnere a questi il Wollaston ed il Berzelius , prova doversi porre in- nanzi ad essi i due fisici italiani Volta e Brugnatelli, che per l’azione dell’ elettricità avevano già scomposto il cloruro di sodio , o sal comune. Ora nella Zettera , mentre si concorda che la prima scoperta dell’ a- zione chimica dell’ elettricità spetti non a stranieri ma ad italiani, si vuole derivarla, non dal Volta e dal Brugnatelli, ma dal Fabbroni, e ciò perchè se il Volta e il Brugnatelli scomposero per mezzo dell’ elet- 144 tricità dinamica i sali nel 1800, il Fabbroni fino dal 1798 aveva sco- perto la chimica azione dei diversi metalli fra loro, ed aveva con questa ottenuto la scomposizione dell’ acqua. In prova di che citandosi nella Zettera la memoria suddetta , non si può dissimulare le dottrine e le opinioni prodotte in essa dal Fab- broni, il quale, non solo non contempla propriamente /’ azione chimica dell'elettricità, ma considerando le alterazioni che provano due metalli dissimili immersi nell’acqua o bagnati, ed i fenomeni fisiologici osser- vati dal Galvani, dichiara apertamente di dissentire dal Galvani stesso e dal Volta , che ripetevano tali fenomeni dall’ elettricità , riguardando egli come causa dei fenomeni stessi un azione chimica esercitata dai. metalli dissimili per il loro contatto reciproco coll’intermezzo 'dell’ u- midità. I fisici ed i chimici più distinti riguardando attualmente ogni azio- ne chimica come effetto dell’ elettricità, o del vario stato elettrico dei corpi , quella lettera e la memoria in essa citata non potevano inse- rirsi e ricordarsi in questo giornale senza qualche osservazione. G. G. Università di Cristiania. Giova “conoscere le letterarie del pari che le sociali consuetudini di quanti popoli ci avanzano o ci accompagnano nella via della civiltà ; v’è sempre da apprendere, anche quando l’orgoglio o l’ inerzia nulla ci trovi da scegliere per potersi imitare. L’ Università di Cristiania invia al cav. Ciampi alcune dissertazioni ed opuscoli, che danno un'idea dello stato degli studi in quelle al- l'italiana letteratura quasi ignote regioni. Dal catalogo delle lezioni da recitarsi nel 1829, raccogliamo che 1’ Università di Cristiania ha due professori di scienze teologiche; il primo espone pubblicamente la Genesi, quasi privatamente 1’ Enciclopedia teologica ; il secondo le epi- stole di S. Paolo, il nuovo Testamento, e la storia ecclesiastica. Un professore di diritto, (e prima ve n’ avea tre ) insegna la procedura, e il jus pubblico patrio. Cinque di Medicina , il primo de’ quali, 1’ ana- tomia, la fisiologia, e di più, privatamente la pratica del far consulti ; il secondo , la patologia e la clinica : il terzo, chirurgia, ed ostetricia, e la clinica chirurgica: il quarto, terapia speciale, e tossicologia : il quinto, oculistica, e operazioni chirurgiche sui cadaveri. Sotto il titolo di facoltà filosofica sono compresi gli studi seguenti. Il prof. di greco, spiega 1’ Edipo di Sofocle , e due volte alla settimana tratta una qualche parte delle discipline filologiche : il prof. di storia naturale, dopo un’in- troduzione generale, si ferma alla zoologia; quasi privatamente insegna botanica : il prof. di storia, espone la storia politica d’ Europa; quel di fisica e chimica, la fisica sperimentale; poi tratta de’fenomeni del calore; poi gli elementi di chimica; e all’ora comoda sì per gli scolari e sì per il professore, l'ottica; quel di mineralogia, cinque giorni della 145 settimana l’orittognosia, e quattro la scienza in ispecial modo neces- saria al lavoro delle miniere. Il prof. di matematica applicata, è in viaggio per due anni, con l’ assenso del re. Il prof. di lingue orientali interpreta il primo dei re, e Geremia; quattr’ ore della settimana dà lezioni di arabo e di siriaco: quel di filosofia, detta la filosofia pra- tica e la logica; quel di lingua inglese, italiana, e francese spiega l’ Hamleto di Shakspeare , l’ Orlando Furioso, e insegna il francese privatamente. Un altro professore , destinato all'insegnamento della storia, dice della storia patria; e in quattro giorni della settimana , illustra alcuni passi scelti dei Saga 4° Olao. A ora comoda dà gli ele- menti della lingua norvegica antica. Nel seminario filologico , il direttore, tre giorni della settimana, illustra Esiodo, e le antichità delle minori tra le greche repubbliche : in altre ore, ascolta e dirige gli studi che fanno gli alunni del seminario sulla biblioteca d’ Apollodoro. Quello stesso ch’è prof. di lingua latina all'università, spiega le satire di Giovenale, tratta delle feste de’romani, della loro vita privata e domestica, e dirige i lavori degli alunni nel- l’ interpretare, nel commentare, e nel disputare. Questo è il catalogo del primo semestre dell’ anno scorso. Ognuno intende che le materie variano ad ogni semestre. Così nel secondo del 1828 spiegata, p. e. , 1° Elettra e il Macbeth, date lezioni di economia universale, di psicologia e di filosofia pratica; nel primo semestre dell’anno stesso, d’ Etica Cristiana, d’ alcune parti di jus romano , di polizia medica, di lingua persiana; fu commentata l’ Odissea , e alcuni passi di Pope e di Goldsmith, e i greci mitografi, e il Formione di Terenzio ; nel secondo semestre del 1827 l’epistole dì Boileau, e le antichità attiche; nel primo, le Egloghe di Virgilio, il Catone d’ Addison, 1’ Aminta del Tasso, l’Edipo a Colono, P Aulularia di Plauto; nel secondo del 1826, le favole di Lokman, le satire di Boileau, la Gerusalemme del Tasso : nel primo gl Inni Omerici, Eneide, les Plaideurs di Racine, la Repubblica di Platone, la Poetica d’Orazio; nel secondo del 1829, le Tusculane e Corneille, la Poetica d’Aristotele; nel primo il Miles Gloriosus di Plauto, e così discorrendo. Tra gli opuscoli, da questa università novella mandati al sig. cav. Ciampi, è notabile la descrizione del primo addottoramento in medi- cina, che nell’istituto ebbe luogo, l’anno 1817: notabile, dico, per la importanza a buon diritto data al titolo di dottore, e per l’enume- razione delle morali qualità del giovane leureato , degli studi e de’viaggi scientifici da lui fatti: e sarebbe da desiderare che una denominazione tanto scaduta fra noi, alla quale d’altronde s’annette l’esercizio di pro- fessioni nobilissime e delicatissime, ripigliasse, mercè d’ istituzioni no- velle, parte almeno dell’antico splendore. Havvi innoltre parecchie dissertazioni dette nel giorno dedicato alla memoria di Lutero ; altre meramente religiose , altre erudite e scientifi! che. In una di queste si parla dell’ Italia , e della soverchia diligenza che T. XXXVII. Marzo 19 146 dal secolo XV in poi la nostra letteratura pose negli studi filologici , certamente utili ed importanti , ma che perniciosi diventano , quando per essi la scienza si smarrisce nel passato tanto da non dar più pensiero al presente. Nelle nozze del Principe ereditario con una figlia del Principe di Leuchtenberg , il prof. Bugge disserta intorno alle cause per le quali la commedia fu tra’romani men florida che tra’Greci. — Nel dì Natalizio del Re, lo stesso Professore discorre de’ titoli degl’Imperatori di Roma. = Vengono altre allocuzioni di circostanza : ma le più importanti sono due lezioni sulle Tusculane di Cicerone, dove il testo è interpretato e corretto in modo se non sempre accettabile , sempre ingegnoso ; e due altre, dell’accusativo accoppiato con l’ infinitivo , dove l’argomento è trattato in modo filosofico e nuovo . Troviamo anco de’ versi del medesimo Professore : ma pare che all’ esametro latino egli intendesse applicare la libertà dell’esametro tedesco ; giacchè troviamo un verso che comincia : tranquillitas mentis : e uno che finisce': in lumina blanda processit. f Notizie ed opuscoli della Danimarca inviati al sig. cav. Crampr. L’ insegnamento mutuo nel 1823, ch’ è il prim’ anno dell’ istitu- zione, contava in Danimarca 114 scuole ; nel 1824 -— 605; nel 25 — 1143 ; nel 26 = 1545 ; nel 27 — 2003 ; nel 28 — 2302; nel 1829 dovevano essere aperte altre 344, in tutto 2646. — Copenhagen sola ha ventinove scuole di mutuo insegnamento. Fra gli opuscoli Danesi inviati al sig. Ciampi troviamo i seguenti : 1° Ueber dir etc. Ragguaglio della R. Società d’Antiquaria settentrio- nale di Copenhagen , per Lod. Giesebrecht , Stettino 1828. = II.° Sam- pyktir etc. Statistica della R. Società eg ta In islandese e danese. Copenhagen 1829. — IM. Fac simile d’ un’ iscrizione runica dell’anno 1135, trovata nel 1824 nel Groenland, sotto 78 Da di latitudine bo- rato! , la quale , al dire del dottissimo sig. Graberg , ‘ somministra una , prova novella dell’ avere gli abitanti dell’antico settentrione infin ; d’ allora visitate coteste regioni così vicine all’America ,,. = IV.° Al- tro Fac simile dA’ un MS. della Jomskinga Saga, e della Cronaca dei Corsali di Jomsberg , pubblicata in islandese , latino e danese. = V.° Al- tro Fac simile del Zrakumal , ossia epicedio di Ragnar Lodbrok, pub- blicato dal sig. Rafn in islandese, latino, danese, e francese. = Ed è singolare a notarsi la somiglianza di que’ caratteri settentrionali con la forma della scrittura, quale si vede negl’ italiani codici del trecento. Questo epicedio del resto , come nota il ch. Editore, è parte un epicedio, parte un canto di guerra ; ed è poesia dell’ ottavo secolo , piena di figure orientali, di forti espressioni , e di ripetizioni , come tutte le poesie popolari. L’ aquila, per esempio , è 1’ uccello dai piè biondi; il sangue è sudore, è vino, è rugiada ; la scure è la dea della ferita; il mare è il campo dell’ alighe ; la spada è la candela del cadavere, la 147 spina della guaina ; le saette sono i canti dell’ arco ; 1’ asta è il verme che penetra, è un arringa che incadaverisce i corpi, è la verga di Vi- drere, nome, d’ Odino ; lo scudo è la luna bellica; le navi sono i giu- menti di Egere , il Dio del mare; la lorica è la corteccia d’ Ilda, la Bellona del Nord; il giavellotto è il dragone delle ferite; le corna son gli arbori del cranio ; la morte , è 1’ eredità ; la battaglia è la sposa di Odino , è il convito dell’ avoltoio.; è la messa delle spade, è la rissa della fiamma chiusa nella vagina, è il giuoco d’Ilda, è la procella de- gli scudi, la pioggia de’dardi, il turbine delle spade , il fragore delle lance , il fremito degli acciari ; espressioni, che guai a chi non sapesse che deriderle , guai a chi volesse imitarle ! K. X. Y. Trésor de la Langue Grecque de Henri Esrienne , dans lequel le terte de l’ auteur est conservè intégralement , rangé par ordre alphabéti- que , et augmenté des travaux de l’ édition anglaise et des nouveaux éditeurs ; publié par M. Hase _, membre de l’ institut royal de France ( académie des inscriptions et belles-lettres) , professeur a l’ école spé- ciale des langues orientales vivantes , conservateur-adjoint à la biblio- thèque du roi , etc., et par MM. de Sinner et Fix ; d’ après le plan soumis à l’ académie des inscriptions le 29 mai 1829 , et approuvé par sa commission. Paris, Typographie d’ Ambroise Firmin Didot, imprimeur du roi et de l’ institut de France! Librairie de Firmin Didot Frères, rue jacob, n.° 24. MDCCCXXX. (*) (*) Noi disegnavamo di annunziare questo gran lavoro che si và ora raf- fazzonando in Parigi , allorchè ci è giunta la cortesissima lettera seguente. Grati adunque allo scrittore, ne facciam capitale ad inserirla e come cosa che sarà molto gradita da’ nostri lettori, e come migliore annunzio dell’ ope- ra enunciata , di cni l’ Antologia ragionerà più ampiamente quando sarà comparsa al, pubblico. Nota del Direttore. Al Direttore dell’ Antologia. Signor Direttore. Ho 1’ onore di ricapitarle un esemplare del Programma di una nuova edizione del gran Dizionario della lingua‘ greca , di Enrico Stefano; e la prego di darne notizia al colto pubblico italiano col mezzo del suo pregiatissimo Giornale. L’ immensa utilità che dee risultare dall’ordine alfabetico prescelto da”novelli editori, sarà indubitabilmente valutata nella sua vera mi- sura dagli Ellenisti, e soprattutto da’ dilettanti della letteratura gre- ca; a’ quali avvenia bene spesso col tesoro di Stefano il caso di colo- ro, che comunque possessori di un tesoro , sono sovente impacciati a saperne fare buono uso. Il nome chiarissimo di un uomo come Hase, è sol esso una sufficiente mallevadoria ad accertare 1’ ottimo esito dell’ opera in cio che concerne il merito e la mole dell’erudizione fi- 148 lologica. Per quel che poi risguarda l’eleganza e purezza tipografica basterà sol nominare Firmin Didot , ormai universalmente considerato e riconosciuto qual degno successore degli Stefani e de’ Manuzi. Oltre a questi due nomi celebri , vi è anche un terzo adjutore ; alla cui fama prendo premurosamente parte , sì per l’amicizia che mì lega a lui, come perchè ha dritto ad esser cognito , ed in ispecie quì in Firenze , città della quale già meritò la benevolenza. È questi il signor Luigi de Sinner, il secondo degli editori. Il quale, appartenente ad antica famiglia patrizia di Berna che diede due primarj Magistrati (Avoyer ) a questa Republica, si è segnalato con una vera e fervida vocazione allo studio delle lingue classiche fin dalla sua pubertà. E invero tenne patto di quanto promettea fan- ciullo , perfezionandosi in Parigi alla scuola del famigerato orientalista che testè nominai. Tuttochè giovane , avendo appena compiuto il trentesimo anno dell’ età sua, ha ciò non ostante già aumentato la letteratura con l’ edizione di due Opere più che da tanto ad ottenergli un posto onorevole fra’ filologi; la Descrizione , cioè , delle isole del- VP Arcipelago, di Cristoforo Buondelmonti fiorentino (1); manoscritto ine- dito della Biblioteca reale di Parigi, da lui impreziosito con prefa- zione e note molto importanti per l’istoria della Geografia del medio evo; e un’ edizione, la più completa e corretta che sia finor comparsa, del Dafni di Longo (2), publicata dietro quella del misero Courier. Queste opere , fatte amendue di ragione publica per le stampe del prelaudato Didot, mentre non abbisognano che se ne vanti il nitore e la bellezza tipografica, attestan poi con la prefazione e le note del- l’ editore , che il giovine Berriese verificò tutte le speranze fondate in lui da’ suoi amici fin da’ suoi primi anni. Ella ben vede ora sig. Direttore , che io non mal mì apponea al vero dicendole il sig. Sinner già benemerito di Firenze, tostochè la prima delle Opere, debite alle sue cure, ha per Autore un Fiorentino, il cui manoscritto. era rimasto finoggi ignoto ; e che la seconda è debitrice della sua, finor maggiore, perfezione alla preziosa raccolta dei Codici della Biblioteca Laurenziana. Quando io rifletto che questa bella Firenze ricreò le arti e le muse in Europa : -che essa fu la culla della filosofia e delle scienze sì teoriche come esperimentative ; che Boccaccio e Petrarca fecero rivivere in Italia 1’ amore e lo studio delle lettere greche fin dal XIV (:) Cristoph Buondemontii florentini librum insularum Archipelagi. E codicibuis Parisinis regiis , nunc primum totum edidit, praefatione et annota- tione instruxit Gah. Rud. Ludovicus de Sinner. Helveto-Bernas - Lipsiae et Berolini , apud G. Reimer 1824. (2) Longi Pastoralia , (graece ) e codie: MSS. duobus italicis , primam graece integra edidit P. L. Couvier. Exemplar romanum emendatius et aun- tius typis recudendum curavit G. R. Ludov: Sinner. Parisis excudebat Fir- minus Didot, 1829. 149 secolo ; che quindi (molto pria della caduta di Bizanzio ) Cosimo de Medici , l’ antico, non punto risparmiava le ‘sue immense ricchezze onde aver manoscritti greci a qualunque prezzo ; e che probabilissima- mente il viaggiatore Buondelmonti anche esso ne andava. in. cerca pe- regrinando per le isole dell'Arcipelago ; quando io rifletto a queste. me- morie , non posso, fare a meno di credere ed esser certo che i Dotti di questa città avranno assai a grado 1’ annunzio di libri, i quali di- rettamente o indirettamente rammentano le glorie degli avi loro. Accolga sig. Direttore cc. MourawiIEFF-APOSTOL. SOCIETÀ SCIENTIFICHE E LETTERARIE. I. e R. Accademia della Crusca. Con Venerato Rescritto dei 12 del corrente Marzo S. A. I. e R. il Granduca nostro Signore, si degnò approvare il giudizio pronunziato dall’I. e R. Accademia della Crusca nell’ adunanza del dì 9g del ca- duto Febbrajo , sulle Opere pervenute al concorso quinquennale del 1830. L'Accademia potendo in virtù dei suoi Statuti , conferire intero o diviso in due parti uguali il generoso premio di scudi mille fondato dalla Sovrana Munificenza, decise per via di partito di ‘aggiudicarlo intero alla Storia d’ Italia dal 1789. al 1814. scritta da Carlo Botta. Parigi 1824. Tomi 4. in 4.to. Giudicò poi degne di onorevole menzione le seguenti opere : rt. La Sacra Scrittura illustrata con monumenti fenico assiriù ed egiziani da Michelangiolo Lanci. Roma. 1827: Tomi 2. in 4.to. 2. Operette Morali del conte Giacomo Leopardi. Milano 1827. in 8vo. 3. Il secolo di Dante, Comento storico di Ferdinando Arrivabene. Udine 1827. in 8vo. 4. Storia di Sardegna, del Cav. D. Giuseppe Manno. Torino 1826. e 1827. Tomi 4. in 8vo. 5. Opere in versi ed in prosa , del D. Filippo Pananti. Firenze 1824. e 1825. Tomi 3. in 8vo. 6. Compendio della Storia del risorgimento della Grecia dal 1740. al 1824. compilato da Mario Pieri corcirese. Italia 1825. Tomi 2. in 8vo. piccolo. 7. Le Georgiche di Virgilio in ottava rima , traduzione dell’ Autore dell’ Iliade italiana. Firenze 1827. in 8vo. 8. Della Vita di Antonio Canova, libri quattro , compilati da Mel- chior Missirini. Prato 1824. in 8vo. ‘9. Le Guerre ‘dei Sulliotti contro Alì Bascià di Jannina, commenta- rio di Luigi Ciampolini. Firenze 1827. in 8vo. ro. Saggio di Zoologia fossile di Tommaso Antonio Catullo. Padova 1827. in 4to. (Estr. dalla Gazz. di Fir.) 150 Società Medico-fisica fiorentina. Adunanza ordinaria del di 15 novembre 1829. = In questa adunan- za ordinaria il socio sig. dott. Betti rese conto degli stabilimenti orto- pedici di Dresda e di Berlino da lui recentemente visitati, e il. primo dei quali è diretto dal dott. Reinhard , ed il secondo dal dott. Bloe- mer. E prima di parlare specificatamente dello spirito degli stabilimenti medesimi premesse alcune considerazioni anatomico-patologiche sulle cause , e sugli ‘effetti necessari delle diverse curvature della colonna vertebrale , non che sulla coesistenza di questo stato morboso della spina colla distorsione di altre ossa. Al qual proposito non potendo Egli convenire coi sigg. Fournier, e Begin in quanto essi asseriscono dovere essere effetto necessario della flessione della spina grave, ed inveterata , la viziosa distorsione delle ossa del bacino , operata secon- do essi dal solo peso di quella , o:dalle ftrazioni che nel suo storcimento essa deve operare su questo fece osservare , come molti, e reiterati confronti, lo abbiano oramai fatto certo che per lo più a questo mor- boso stato della spina non si.associa un pari vizio del bacino , il quale sole allora interviene quando non la sola colonna vertebrale , ma al- meno alcune delle altre ossa sieno seco loro state investite dal rachi- tismo. ù Venendo quindi a indicare i metodi curativi che si adoprano in quegli stabilimenti per ricondurre alla loro natural direzione le parti che ne deviarono, fece parola non tanto dei diversi macchinamenti coi quali si eseguiscono le estensioni, e le contro estensioni, sì durante la giacitura degli infermi nei letti appositi come pure durante la sta- zione fuori del letto, e la deambulazione , quanto ancora di quelli coi quali si ha in mira di conseguire lo stesso effetto per via di una metodica compressione , non omettendo di referire come si cerchi di avvalorare l’ efficacia di cotesti metodi meccanici coll’ opportuna cura medica per la quale sono adoperati i topici medicamenti non meno che gli interni. E terminò in fine col dire che comunque dal complesso di quel sistema curativo, sì sieno arrecati non piccoli vantaggi in alcune circostanze, pure i risultamenti finali sono ancora lontani dal corrispon- dere adequatamente alla somma intelligenza con cui sono imaginati e diretti i macchinamenti impiegati , e alla perspicacia , e allo zelo dei Direttori dei due stabilimenti dei quali egli aveva dato ragguaglio. Adunanza ordinaria del dì 13 Decembre. — Approvato l’atto della precedente adunanza il sig. prof. Betti lesse uno scritto , in cui per- suaso , che , ove si tratta della vita e dell’onore degli uomini le pro- ve della loro reità , o della loro innocenza debbono essere scevre da ambiguità, e da ogni incertezza , rimembrava l’infido criterio delle prove chimiche del Vauquelin , e delle microscopiche dell’Hew.on, cui erano state assoggettate le macchie del sangue umano ; e dei bruti, e 151 quelle, che ne vestono le sembianze , nei giudizi criminali. Riflettendo pertanto: ai multiformi cambiamenti che occorrono mella crasi sangui- gna sì dell’ uomo sano , che dell’ infermo ; e per la svariata elettrici- tà, come lo accertano li sperimenti del Bellingeri ; e iper 1’ influsso che esercitano sul sangue le meteore dell’ atmosfera , di che fan fede le esperienze del Sustcrschnbler , non che a quelli indottivi dal di lui scioglimento nell’ acqua ; e nella putredine.; e riportati l’inutili cimenti comparativi del Gallini, e del Fanzago sul sangue umano ; e bovino , ‘sternava i suoi dubbi su una maggior evidenza ottenibile dall’ odore di traspirazione che svolgesi dal sangue coll’a. solforico, come lo:propose testè il sig. Barruel di Parigi. Basava egli le sue dubitazioni sulla non identità della traspirazione umana in tutti gl’ individui e sulla varia- bilità d’ essa, non meno che sulla fugacità della sensazione \impressa sull’ olfatto. Altri ostacoli alla sicurezza del proposto criterio rinveni- va nelle alterazioni contratte dal sangue ; che vuolsi sperimentare ; 0 per antecedenti malattie , o per l’ attuale sua miscela con i fluidi ,cui s° ha da unire dissecato per sottoporlo allo sperimento. Ma se l’ odore del sangue , così chiudeva il prof.—Betti, coincide con quello della traspirazione , non potrà l’ uomo comunicare l’ odore di questa alle vesti, e all’ armi da lui maneggiate, e tinte d’altro sangue che il suo, nel modo stesso, o analogo a quello con cui la ‘ruggine prodotta da effluvi animali somministra coll’ analisi chimica il criterio infido del- I animalità ? «| Dopo la qual lettura essendosi elevata su di ciò discussione fra i Soci; il dott. Del Greco comunicò all’Accademia le variate esperienze d’un suo socio onorario il prof. Taddei, secondo le quali 1° odore di traspirazione non solo sì sprigiona dal sangue , ma dalla saliva , anco- ra dal mucco , dall’ orina , e dalle feccie perfino, trattate da quel chi- mico coll’ istesso processo , cui fu assoggettato il sangue dal signor Baruel. In seguito il sig. dott. Buzzi intertenne la Società coll’ istoria d’ una longeva, nella cui vita spiccavano le seguenti particolarità . Nata nel 1736 dalla quarta moglie di suo padre morto di 106 anni con tutti 1 denti, e con i capelli neri sembra che sia rampollo d’ annoso stipite, imperocchè visse 109 anni il di lei avo paterno ; il nonno ma- terno poi sebbene non oltrepassasse li 89 era dotato di gagliardissima tempra , ed aveva alcune volte scherzando rotto un braccio con una sola mano a varie persone. Gracile nell’ infanzia fu maritata a 15 an- ni ,3 mesi dopo si sviluppò , e rimase incinta nel quarto: cioè subito dopo la prima comparsa de’ suoi corsi lunari. A 20 anni avea già dato in luce 3 figli, e restò vedova. Rinvigorì di lì a poco il suo tempera- mento , e fu astretta la dama a protrarre il moto fino alla stanchezza per frenare alcuni incomodi , che originavano forse dalla precoce ve- dovanza. La caccia , il ballo, l’equitazione formavano per lei degli e- sercizi accessorii , e quand’ era ben riscaldata non esitava a gettarsi în un fiume , o in un bagno freddo domestico. Da questi eccessi per al- 152 tro la nostra longeva riportò un fiero dolor di testa, che le durò' fino ai 40 anni, e che cedè alla rasatura dei capelli per riaffacciarlesi ogni qual volta si lascino crescere 3 dita trasverse. Da quell’attività di vita insorse tale appetito , che per sbramarlo faceva colazione con 3 polli, o con 5, 0 6 libbre di carne arrosto ; e per dissetarsi , invece di be- vanda, cuì fu sempre avversa, mangiava 20 aranci, 20 pesche o ana- nassi ; o altre frutta. Dallo spavento sofferto all’ aspetto d’ un. figlio ferito»in battaglia nel sinistro petto essa contrasse un flusso cruento non copioso:, ma continuo per il capezzolo della mammella parimente sinistra , nè le cessò , che al cadere del secondo anno epoca in cui rimarginossi la piaga del figlio tutt’ ora vivente di 77 anni. Ebbe altre volte emoragie vicarie dei suoi mestrui scarseggianti , i quali non du- rarono mai più di 3 giorni, e che si soppressero affatto nel suo 53.° anno per ricomparire 8 mesi dopo , e continuare ancora nel 94.° di sua vita 3 e nell’ anno passato viaggiando dai Bagni di Lucca a Marlia patì un trasudamento sanguigno dalla fronte , che persistè per 2 ore. Pic- cola di statura, d’ ossa grosse ha perfettissimi i sensi, e il seno tu- imido anzi che nò. Dorme 5 ore, e quand’ è giorno esce a passeggiare per qualche ora. Tornata a casa prende una cioccolata, e quindi at- tende alle sue occupazioni ; fa molto uso di frutta; e a un ora pome- ridiana mangia il suo desinare consistente in una sola pietanza di car- ne , 0 polli arrostiti ; e dopo questi talvolta del pesce. Un ora dopo il pranzo un bicchier d’acqua panata forma la sua bevanda d’un gior- no. Nè minestre, nè erbe, nè legumi, nè salumi, nè vino. Dorme un altr’ ora dopo aver preso l’acqua panata; si dà alla lettura, e ritorna a camminare con tal prestezza , che un giovine si stancherebbe a seguirla. Se le sopraggiunge nella notte della smania , dell’ agitazione , apre tutte le finestre , e se ciò non le giova esce di casa, e va a passeggiare , perchè l’ aria e il moto sono , essa dice , i suoi medicamenti. Ell’ è gran viaggiatrice. Ribaltando 6 anni fa, si franse ambo le:braccia , ma ne risanò in 4 settimane perfettamente senza risentirsene giammai. Furon parimente dal medesimo sig. Buzzi comunicate alcune no- tizie su una bambina sesdigitaria sorella d’altro sesdigitario nati entrambi da genitori scevri di tal vizio di conformazione. Nel maschio i diti so- prannumerarii in tutte le estremità erano i medii ; nella femmina poi le dita soprannumerarie delle mani appartenevano aì minimi , quelle de’ piedi poi al primo dei minori. Adunanza solenne dell’ anno accademico 1828 tenuta nel 5 gennaio 1830. — La seduta fu aperta dal segretario degli atti di quel tempo sig. prof. Betti , il quale col suo elaborato rapporto degli studi acca- demici di quell’anno offrì ampio compenso alla dilazione cui fu astretto nel suo disimpegno e dalla copia delle sue pubbliche incombenze , e da un escursione scientifica per l’Alemagna nell’ anno decorso. Furono per la prima volta distribuite a spese della Società due 153 «medaglie d’ oro , come premii d’incoraggimento alla diligenza , conse- guite dai sigg. dottori Namias , e Del Greco. Una seconda relazione fu recitata dal segretario delle corrispon- deze sig. dott. Frascani , che fece conoscere i doviziosi prodotti de- rivati in quell’ anno alla Società dalle sue operose corrispondenze. Chiuse poi 1’ adunanza un terzo rapporto del sig. Gamberai, da cui fu rammentato all'Accademia di quanto essa aveva arricchito il suo museo patologico coi doni dei suoi Consoci non meno che di quelli inviatile dai cultori dell’arte salutare fuori del suo seno. Adunanza ordinaria del mese di gennaio rimessa nel di 14 febbraio 1830. — Per il nuovo presidente sig. prof. Betti aprì la seduta il sig. dott. Buzzi , e l’ atto dell’ adunanza solenne del 1828 fu letto ed ap- provato. La prima lezione di turno fu esibita dal sig. dott. Namias con un rapporto , di che era stato incaricato dalla Società , sul commentario della clorosi inviato dal socio corrispondente sig. prof. Speranza. Di quì prese il relatore occasione di felicitarsi coll’autore di quell’operetta , e colla Società dell’onorifico iterato invio, che il primo faceva alla seconda come pegno di tolleranza di giudizio imparziale per la parte di quel dotto , e di critica libera sì, ma urbana, che per mezzo dell’ istesso organo era altra volta dal seno di questo consesso emanata. E tut- tochè la denominazione di clorosi sia inadeguata a dare un idea esat- ta della condizion patologica che ne costituisce 1’ essenza , convenne il dott. Namias coll’autore di servirsi di tal nome, finchè non se ne so- stituisca un altro più espressivo di quello. Indi fece sentire , come I’ autore ne differenziava la fenomenologia idiopatica da quella simpa- tica , e ricordò la divisione , che questi ne ammette in primaria , € secondaria; e il modo di discriminarla dalla cachessia muliebre ; e mo- strò come campeggiava la finezza del colorito , con che seppe l’autore pingere il quadro della svariata sintomatologia non che dei diversi pro- cessi morbosi , che suscita nel sistema splacnologico , e in che termina siffatta infermità. Rapporto alle necroscopiche ispezioni notò , che ) autore anzichè ritrovare nel sistema arterioso dell’orme di progressa arterite , riscontrato avea il sistema linfatico dilatato , ed ingorgate le glandule conglobate. Ed epilogando le tante cause predisponenti , e occasionali della clorosi, segnalò con l’autore quei patemi d’ animo , i quali determinano dei movimenti organici centripeti, come la tristezza, e il timore , e l’ amor non corrisposto , ossia la febbre amatoria di Me- cado. Plaùdendo infine all’ idea emessa dal prof. Parmigiano sulla con- dizione patologica, che ravvisa in un esaltazione del sistema nervoso con simultanea depressione dell’ arterioso , e in un disequilibrio della vitalità dell’ utero per rapporto agli altri organi, il nostro Relatore cennò nella cura della clorosi i tratti luminosi del sommo pratico , e chiuse il suo dire coll’ invitare i Soci alla lettura di quella utile, dot- ta ed erudita monografia. T. XXXVIIl Marzo. 20 154 Dissertò quindi il sig. dott. Zannetti sull’ anchilosi , la quale, (ri- gettatene le comuni definizioni dei trattatisti , e la divisione in vera, e falsa già da Leveillé riprovata ) definì “ Quello stato d’un articola- » zione mobile per normale , e primitiva struttura , in forza del quale »; questa è divenuta, o del tutto inadatta ai movimenti , o solo pre- » stabile all’ esecuzione d’ alcuni pochi ,,e piccioli moti da non essere » sufficienti in modo alcuno agli usi , ai quali erano stati destinati |,. La distinse poi in femporaria , o amovibile , e in permanente , e inamo-' vibile, riguardando questa divisione più consentanea con i processi; e prodotti morbosi , che le dan luogo , e con la quantità del moto, che può ssortire un articolazione anchilotica. Tralasciate pertanto le indagini sull’ anchilosi amovibile si ristrinse 1’ autore a considerare le forme morbose della seconda specie, che ridusse a 3 cioè 1.° ossificazione dei ligamenti cingenti i due capi articolari; a questa forma anchilotica messa in dubbio a torto secondo lui dal Leveillé ; ed a ragione am- messa da Lieutaud , ed altri vanno specialmente soggette le vertebre di coloro che diritti fino a. una cert’ epoca della vita vincurvano sol tanto nel progredir dell’ età. 2.° Nuova produzione ossea, che a fog- gia d’ anello, o di nastro fascia un’'‘articolazione , abbracciandone anco il ligamento,, forma anchilotica quasi esclusiva della colonna vertebra- le, che notasi per lo più nel di lei segmento anteriore. 3.° Immede- simazione diploica di due ossa ; le cui superfici articolari furono dap-' prima rammollite. da processo flogistico ; quindi distrutte, onde confu- sione della diploe dei due pezzi. E questa forma fu dall’ autore sud-. divisa, in due specie sull’ esempio del suo precettore sig. prof. Betti, secondochè ha luogo con intermedia sostanza, o senza d’essa. All’ultima riferiscesi 1’ anchilosi flamentosa di Monteggia. Alla prima quella detta per condensamento di sinovia. E fattosi in seguito l’A. a parlare delle cause di questi processi, e prodotti morbosi, rinveniva quelle dei primi nel processo flogistico , e sua diffusione, e attribuiva i secondi all’at- titudine flogistica o semplice processo d’ organizzazione , ritenendo l’ ispessimento della sinovia; come causa più ipotetica ; che reale d’an-, chilosi , e sempre come un reliquato di primitivo processo morboso nei tessuti organici articolari, nè mai capace di produrre anchilosi. Pro- cedè quindi il sig. dott. Zannetti all’ ostensione d’ alcuni pezzi. pato- logici in stato d’ aridità , coi quali esemplificava la prima e la terza specie d’ anchilosi permanente , e di cui fece dono al museo patologico. Adunanza ordinaria del 28 febbraio. -— L’ atto della precedente adunanza fu letto ed approvato. La lezione di turno del sig. France- sco Michelacci si diffuse nell’istorie di vari casi pratici. Si trattava nella 1." d’ una tardiva espulsione di feto semestre ritenuto estinto per al- tri sei mesì nell’ utero materno. La madre nei 14 parti anteriori aveva condotto a termine gl’ ultimi 4 figli, ma degl’ altri ro avea dati in Ince 5 immaturi , e privi di vita. Si giudicò incinta per la 15.* volta ai primì di marzo del 1827 per la presenza dei consueti segni, e d’uno ; 155 fra gl’altri per essa infallibile; cioè dell’ epistassi. Dopo 6 mesi e mezzo in sequela di lunga gita in legno risentì meno i moti del feto, e in capo ad altri 15 giorni fu assalita da febbre , che cedè al salasso, ma cessarono affatto i movimenti del feto. Le s’inturgidì il seno, separavasi del latte , e illanguidì la sua salute , per ‘rifiorire di lì a un mese; rimpiccolì il ventre gradamente , e in 4o giorni non rimase , che un ‘tumore mobile cangiante sito secondo la giacitura. Si ripristinò il corso dei mestrui , e la donna ricuperò florida salute, quando nel 24 mar- zo 1828. dopo fiere doglie ventrali , senza previo scolo d’acqne partori un feto morto di 6 mesi, intonacato da densa patina , appassito , e incorrotto. La placenta voluminosa , e ben nutrita fu espulsa due giorni dopo , e offriva dei punti di recente distacco dai mammelloni uterini. Il funicolo ombelicale era attenuato , e avvizzito , e facilmente lace- rabile ; ma nessuna traccia di membrane notavasi neppure sugli orli della placenta. Dai quali ritovati inferiva il consocio , che le acque fossero state a poco a poco riassorbite, formando colla parte più densa l’ intonaco da cui era coperta la superficie di quel feto. — Il soggetto della seconda istoria fu una donna, che dopo 11 parti felici ebbe il 12.° immaturo , e prima di sgravarsi in questo d’un feto ottimestre xben nutrito, che visse 36 ore aveva emesso dall’utero un corpo ovale appianato alquanto, preso per un falso germe da una levatrice, ma ri- conosciuto dal sig. Michelacci per un feto quadrimestre ravvolto nelie proprie mambrane , e rimasto morto 4 mesi nella matrice insiem col vivo gemello. Questo feto aveva subìto qualche grado di corruttela , ad onta di chè però fu conservato nell’ alcool , e presentato al signor prof. Betti. —— Verteva la terza istoria su un caso pressochè dispe- rato di peritonite consecutiva d’ aborto , nella quale esauriti gli ordi- nari presidii , e praticate le possibili deplezioni fino al 5.° giorno, tor- narono utili le frizioni mercuriali sull’addome adoprando dell’unguento mercuriale della metà alla dose di a dramme ogni 2 ore giusta il me- todo del sig. Valpeau , ad eccezione dell’ uso interno del calomelanos; dimodochè ne furon consumate 3 oncie al giorno nei primi due, e 2 al giorno nel 3.° e 4.° senza il minimo ptialismo metallico , e solo nel terzo giorno delle frizioni :s’° applicarono. di nuovo 12 mignatte. Espose nella 4.° il consocio la guarigione: d’un profluvio sanguinolento vaginale cronico ottenuto in 6 giorni col propinamento del concino a 2 grani ogni 6 ore. Tenne luogo di seconda lettura una memoria del sig. dott. Cesare Usiglio , nella quale P autore colpito dalla divergenza d’ opinione di molti sperimentatori circa l’azione dinamica deprimente dell’ acqua coobata di lauro ceraso, e di quellà congenere secondo i controstimo- listi, ma a parer d’ altri dissimile del tartaro emetico , esibì i risulta- menti d’ una serie d’ esperienze fatte :su i conigli coll’ amministrazione simultanea , 0 alternata dei due veleni. Ed. avendo osservato in una ventina di cimenti; cle invariabilmente gli animali ‘avvelenati con ambo i tossici perivano assai più presto di quelli , cui ne fu propina- 156 to uno solo , ne deduceva i seguenti corollari , cioè : r.° che l’azione dinamica de’due tossici è congenere , salve alcune variazioni nell’ in- tensità ; 2,° che l’ un veleno non è antidoto dell’ altro; 3.° che le di lui esperienze confermano quelle del Tommasini , e degli altri speri- mentatori , che ottennero simili risultati. Adunanza ordinaria del 2x Marzo 1830. = Letto, ed approvato nelle solite forme il processo verbale della precedente seduta, fu dal segr. delle corrispondenze partecipata la lettera di ringraziamento del sig. prof. Botto nominato a Socio corrispondente. Dopo di che il sig. Gamberai lesse un suo scritto , nel quale, isto- riato il caso d’un pleuritico morto nel 26.° giorno di sua infermità, non senza indizi d’irradiazione flogistica al cuore negli ultimi tempi di sua vita, sì trattenne in special modo a investigar la genesi d’ una produzione gelatino-fibrosa ritrovata alla necroscopia nell’orecchietta , e ventricolo destro, cui lievemente aderiva per mezzo di sottili briglie, mentre eran libere le altre sue estremità si nella cava superiore, che nell’inferiore. E riferitane l’ origine al trasudamento di linfa coagula- bile effettuatesi in quelle destre cavità del cuore a causa della flogosi , che le investì negli ultimi periodi del male; il consocio la differenziava e dalla concrezione fibrinosa del sangue fenomeno assai comune, e dal vero polipo del cuore già perfetto , e dipendente da lusso di vegetazione della membrana muccosa tappezzante le cavità di quel muscolo. Ma sebbene a quell’ epoca di primordiale formazione il prodotto albuminoso ritrovato dal sig. Gamberai in quel cadavere fosse affatto dissimile per la sua provenienza e struttura dal vero polipo cardiaco costituito: da prolungamento, e inspessimento della muccosa,, pur non ostante egli eredè di ravvisare in quel prodotto i primi stami d’un altra foggia di primigenia formazione del vero polipo, quella cioè dell’addossamento, e aderenza d’una massa di linfa congulabile all’interne pareti del cuore, e sua consecutiva organizzazione , e sviluppo , per vestire poi finalmente le forme di vera produzione poliposa immedesimata con quell’interna membrana. Il socio dott. Zannetti presentò , e donò alla società il disegno d’una innormale struttura di parti genitali muliebri, innormalità do- vuta a vizio di primitiva formazione. Questo disegno fu accompagnato dalla descrizione di detta innormalità, secondo la quale campeggiava nella irregolare forma di queste parti sessuali muliebri il considerabile sviluppo del clitoride , che altronde non alterato per processo morboso era misurato da un: pollice;.e mezzo in lunghezza , e d’uno in circon- ferenza. Questo: clitoride. aveva il glande assai sviluppato, ed era nella linea mediana percorso in senso | verticale da un solco, il-quale poco s’ approfondiva,;, ma che pure suggeriva a primo colpo d'occhio l’ idea dell’ orifizio esterno dell’uretra. Era pure munito del prepuzio, il quale giunto sulle parti laterali del clotiride si divideva in due porzioni, o branche, le quali per successiva divisione si portavano con un ramo 157 in fuori, e coll’altro indentro. — Col primo venivano a costituire il principio d’un avea ovolare costituita dal comune integumento, e che era percorsa nel suo mezzo da una linea rilevata avente le apparenze del rafe perineale, e scrotale. = Col secondo ramo poi girava sotto la radice del clitoride, e ‘nell’ incontrare la linea rilevata dell’ area ovo- lare s’ univa a questa; ed era interrotto nel suo cammino tendente ad incontrare il ramo del lato opposto, il quale percorreva identica via. Per questa interruzione nasceva un segmento di foro, che per altro segmento marcato nella faccia inferiore delle radice del clitoride costi- tuiva un intero foro, pel quale introdotto lo specillo a completa dis- secazione, si vedeva questo percorrere un canale, che dopo il tratto d’un pollice, e mezzo si divideva in due, l’uno dei quali, o il su- periore sboccava nella vescica, l’ altro, o l’inferiore nella vagina e nell’utero, che era apparentemente bene sviluppato tanto per le sue forme che per le appendici sue. Queste erano le particolarità più interessanti del preparato, che si conserva nel Museo fisiologico dell’ Arcispedale di S. M. Nuova, e dal quale fu tolto il disegno presentato alla Società. I. e R. Accademia de’ Georgofili, Adunanza del dì 7. Marzo. — Presedè la seduta il vicepresidente sig. Prof. Gazzeri, e dopo le comunicazioni consuete dei segretari, fu letto il rapporto di una commissione speciale composta del prof. Antonio Targioni-Tozzetti, e del prof. Eusebio Giorgi Relatore. Trattavasi di esaminare se la causa della brina debba ripetersi dall’elettricismo , siccome opina il Proposto Beltrami, o sia piuttosto determinata dal calorico raggiante siccome era di parere l’ Accademico prof. Taddei in una memoria da esso letta nella tornata del 7 feb- braio p. p. Dal quale rapporto appariva giusta la sentenza del Collega or menzionato , e quindi opportune le applicazioni da esso lui fatte | al fenomeno della brina comparsa la mattina del 1. di Maggio 1829, la quale grandemente danneggiò le fiorentine compagne. Conseguen- temente la commissione credè dovere escludere la teoria del Proposto di Rivolta, come quella che dare non poteva nello stato attuale delle fisico-chimiche cognizioni, una soddisfacente spiegazione. In seguito richiamò l’attenzione dell’Accademia il Socio corrispon- dente cav. Graberg d’ Hemso con una sua memoria sulla pastorizia dell’ Impero di Marocco , branca di economia che fornisce i maggiori elementi di sussistenza e di vestiario , e nella quale si fa consistere la principale ricchezza di quelli abitanti specialmente nelle regioni montuose. Descritti i metodi di allevare ., custodire e propagare que- gli armenti e quelle greggie , 1’ Autore fece un calcolo approssimativo del numero delle varie razze; e credè di non sortire dai limiti del vero portando il numero delle pecore fra i 40 e 45 millioni , dei quali 158 si sacrificano in un sol giorno ( 1’ ultimo dì dell’ anno maomettano ) sei cento ‘mila. Le capre si fanno ascendere fra i ro e 12 millioni ; le bestie bo- vine dai 5 ai 6 millioni ; i cammelli a circa un smi OHM * ; i cavalli a circa 400000; alquanto superiore il numerò dei muli , mentre gli asini ammontano colà a più di-due millioni. Fra gli animali domestici utili e talora indispensabili nell’ econo- mia rurale , si annoverano dall’ A. i cani che in quell’i impero , dove non sì uccidono giammai , sono naturalmente numerosissimi. È un fa- to curioso, sebbene da molto tempo avvertito, che î cani nell’ Af- frica settentrionale nè in altre regioni occupate daî maomettani non arrabbiano mai ; ma non è egualmente noto ciò che soggiunge il sìg. Graberg che nell’ impero di Marrocco arrabbiano i muli, i quali mor- dono come i cani arrabbiati , quantunque il loro morso non produca nelle persone offese i terribili effetti dell’ idrofobia. Un terzo eloquente discorso fu detto dall’ Accademico marchese Gino Capponi, in cui prese a trattare dell’ utilità di rintracciare e far di pubblica ragione documenti inediti’ tendenti a far conoscere lo stato economico della Toscana, specialmente durante il Governo Medi- ceo , fra i quali egli reputa preferibili le relazioni degli ambasciatori esteri, e precipuamente dei Veneti alla Corte di Toscana; e dove s’informano i respettivi governi delle rendite del suolo , di quelle dei traffici, del sistema d’ imposizioni, delle condizioni del pubblico erario , della ricchezza del principe , della forza militare , e del modo di levarla, oltre molte cose più spieciali intorno ai negozi pub- blici , all’ amministrazione interna, al carattere delle persone di corte, alla qualità dei ministri ec. ec. Premesso il quale avviso passò a discorrere di un M. S. esisten- te presso di lui , il quale può dirsi un lamento di un mercante sopra le miserie fiorentine nell’anno 1693, dolente di vedere favorire esclu= sivamente i ‘setaioli , e allarmandosi contro 1’ introduzione. di merci straniere e di molti oggetti di lusso che vorrebbe vedere sbanditi dal- la sua Patria , calcolandone l’ importazione ;} due terzi maggiore del valore dei generi nazionali che tuttora sì esportano. Finalmente il sig. Avv. Mannini di Siena parlò con lode del saggio di un trattato teorico-pratico sul sistema livellare secondo la le- gislazione e giurisprudenza Toscana dell’avv. tinta Poggi. Dopo ciò si diede termine all’ Adunanza. R. Accademia delle Scienze di Torino. Nell’adunanza tenuta dalla: Classe fisico-matematica il 7 marzo, sono stati fatti i seguenti rapporti , a nome di altrettante Giunte: Ca- valiere Avogadro, Relatore , condeputati il Conte Provana e il Profes- sore Bidone , sopra un doppio torchio tipografico, detto di Applegath e Cowper. 159 Marchese Lascaris, Relatore, condeputati i Professori Vittorio Mi- chelotti, e Giuseppe Lavini, sopra diversi mastici, proposti ‘ad uso di sigilli. o Professore Bidone, deputato col Cavaliere Cisa di Gresy, sopra un progetto di mettere in moto sul Pò una nave mossa da due o più ca- valli, che camminano dentro ad. essa. Quindi il Segretario lesse una parte di una memoria del Cavaliere Alberto della Marmora, accademico non residente, intitolata: Osser- vuzioni geologiche sopra alcuni terreni del. Piemonte , e specialmente sopra i terreni terziari, per servire alla ricerca delle acque sotterranee, ; pel mezzo del trivellamento. Nell’adunanza precedente, del 28 dello scorso febbraio , che fu a Classi Unite , era stato fatto all’ Accademia un rapporto intorno ad al- cune proposte di introdurre ne’ Regii Stati l’arte del Trivellamento dei pozzi d’acque saglienti. La Classe di scienze morali , fisiche e filologiche ha tenuto giovedì 10 del corrente marzo l’ ordinaria sua adunanza. In essa il Cav. Lu- dovico Sauli deputato col Professore Costanzo Gazzera lesse un parere intorno ad una dimanda di privilegio per la stampa , libera introdu- zione , e smercio ne’Regi Stati di un’ opera tuttor manoscritta. Il professore, Peyron lesse due orazioni del. terzo libro di Tuci- dide che fanno: parte del volgarizzamento delle storie di questo in- signe autor greco da esso intrapreso , ed ormai condotto a fine. Nell’ anno 1828, con programma del 25 di gennaio, la Classe di scienze morali , storiche e filologiche della Reale Accademia di scien- ze, aveva proposto ‘ il premio d’ una medaglia d’oro di seicento lire »» all’ autore del miglior lavoro di genere storico, e d’ argomento in »» qualunque maniera relativo a’ Regi Stati , ovvero all’ augusta Casa 3» che li governa, sia vera storia generale o particolare , sia ‘critica , Ticerca ed illustrazione di qualche storica verità. Spirato il termine del concorso , i lavori che adempivano, le con- dizioni distintamente spiegate nel programma erano in numero di dodici. La Classe accademica, nell’ adunanza del 25 di questo mese ; ha diviso ilj premio tra due. lavori; l’uno manoscritto ,, non ancor por- tato: a quel compimento che l’ Autore vi desidera, ma già conte- nente una copiosa raccolta d’ importanti documenti finor ignoti ; 1° al- tro stampato in parte dopo l’ apertura del concorso , ed opera princi- palmente di autor defunto, ma pubblicata con miglioramenti e giunte del figliuolo erede. Il manoscritto ha per titolo : Memorie storiche de’ Principi d’Acaia in Piemonte. L’ autore è 1’ Avvocato ed Intendente Pietro Datta, inca- ricato dell’ insegnamento paleografico , ed impiegato nel Reale Archi- vio di Corte. L’opera stampata 5’ intitola: Memorie storico-diplomatiche appar- tenenti alla Città ed ai Marchesi di Saluzzo , raccolte dall? Avvocato 160 Delfino Muletti Saluzzese ; e pubblicate con addizioni e note da Carlo Muletti. Saluzzo , per Domenico Lobetti-Bodoni, 1829, în-8.° A_que- st’ ora se n’ hanno due volumi , ma la parte presentata pel concorso, prima del termine stabilito , non comprendea che il primo vo'ume con parte del secondo fino alla pagina 236. In conseguenza del giudizio, due medaglie d’oro saranno date dall’ Accademia, l’ una delle quali al sig. Intendente Pietro Datta, l’altra ‘al sig. Carlo Muletti. La Classe ha deliberato altresì. di fare onorevole menzione d’ un lavoro manoscritto , presentato al concorso con questo titolo: Museo Numismatico Sabaudo , ossia Collezione generale delle monete che i Prin- cipi della Real Casa di Savoia ebbero fatte coniare nei loro dominii. R. Società Agraria di Torino. Nella tornata del 18 dello scorso febbraio varie cose sono state pre- sentate, e varie dissertazioni sono state lette di non lieve importanza. Tra le prime, la Società ha distinto vari modelli di stromenti rurali eseguiti e perfezionati dal signor Teologo Losanna Parroco di Lombriasco. Tra le seconde, fu ascoltata con somma attenzione una disserta- zione del sig. Conte Francesetti intorno a tutti i prodotti che si possono ricavare dal latte di una mandra di vacche. i Il sig. Marchese Lascaris , continuando per così dire lo stesso argo- mento, ha trattato della fabbricazione de’formaggi così detti Vachiarini, e quindi di una particolare preparazione di cacio principalmente di patate. Il Professore Giobert ha letto la descrizione di una nuova maniera di estrarre dalla scorza dei rami della Robinia Acacia materiali acconci alla fabbricazione di corde , e di carta, ‘e che per la loro elasticità ser- vono a fare buoni e soffici materassi per la state. Il Professore Lavini ha reso conto di un annuario statistico della Provincia di Alessandria, intrapreso molto lodevolmente dal sig. Conte Piola, e ch’egli ha in pensiero di continuare per gli anni avvenire. La Società ragguardando alla importanza di simili Statistiche particolari, le quali debbono condurre alla formazione di una generale che com- prenda tutte le produzioni ed i frutti del suolo de’ R. Stati, ha aggre- gato il sig. Conte Piola fra i suoi Socii non residenti. VIAGGI SCIENTIFICI. Viaggio nell’ Interno dell’ Affrica. Abbiamo quanto segue da Londra : I signori Lander, incaricati dalla società affricana di esplorare il corso sin quì misterioso del fiume Niger, hanno salpato ieri da Spithead : questi arditi viaggiatori dovevano salire a bordo di una nave del Re; ma impazienti, siccome sono, di trovarsi 1601 a un datò sito nell’ Affrica prima della stagione piovosa, non vollero differire maggiormente la loro partita, e si approfittarono dell’ Alert, col quale navigheranno sino a Cape Coast-Castle. Essi sono muniti d’ istruzioni del governo , indiritte al capitano della prima nave regia che incontreranno dopo di aver lasciato l’A/ert, nelle quali gli s'impone di trasportarli fino a Badagry, ove saranno da lui o dai suoi ufficiali introdotti a nome di S. M. Brit. presso il Re di quella contrada. I viag- giatori proseguiranno quindi la via sino a Kunhonga, città capitale del- 1’ Yarlba, donde andranno a Boussa, presso al qual luogo si sa oramai che Mungo-Park perdette la vita. Se il Niger sbocca , come pretendono alcuni, nella baia di Benin, eglino lo costeggieranno insino alla foce, per tornar quindi in patria da quella parte: se all’ opposto:, come sì vuole da altri, il fiume corre verso mezzodì, e va a mettere nel lago Ischasdan Bornon, essi torneranno in Inghilterra pel gran deserto , per Fezzan e per Tripoli. I fratelli Lander portano seco molti e varii orna- menti da darsi in dono ai nativi dei paesi, che hanno ad attraversare; i quali di presente più che mai sono avversi ad ogni viaggiatore euro- peo. Questi doni varranno a vincere molte di quelle difficoltà che per tanti rispetti sono inevitabili nell’avventurosa loro impresa. I due viag- giatori sono bensì giovanissimi, ma l’esperienza già acquistata dal mag- giore in una prima peregrinazione , e la nota perizia di entrambi nella geografia delle contrade e ne’ costumi de’popoli che imprendono a vi- sitare, inducono a sperare un esito felice all’ ardimentoso loro tenta- tivo. Il buon suceesso del loro viaggio sta tanto più a cuore agl’Inglesi, in quanto che il commercio della Gran Bretagna non può che vantag- giarsi da ogni scoperta che giovi a levare quel velo in cui te parti più interne dell’ Affrica sono tuttavia avvolte agli occhi degli Europei. APPENDICE Intorno al Monumento di Anprea VACGCÀ. —- Articoli anonimi estratti dal nuovo Giornale de’ Letterati di Pisu; ed osser- vazioni del Direttore dell’ Antologia. i Ragguaglio di quanto è avvenuto in Pisa , pel monumento in marmo , eretto nel Campo Santo di questa città , alla memoria del defunto professore Anprea Vacca’ BeruincHIERI, Cavaliere dell’ Ordine del Merito. Pisa, dalla Tipografia Nistri, 1830 in 4.° coll’ intaglio del Monumento inciso da Paoco Lasinio. (Articolo estratto dal N. 49 del nuovo GrornaLE DE’ LETTERATI). Riserbandoci a dar conto di questo Libretto nel Numero prossimo , ci ba- sterà di riportare nel presente quello che dall’oratore fu detto, in proposito dell’ Invenzione del Monumento , immaginato ed eseguito dal celebre Gav. Thor- dwalsen. T. XXXVII. Marzo. 21 16a « Qui non erano ad elevar colonne e trofei, per decorare la tomba di un conquistatore ; 0 a ravvolgere colla magnificenza delle decorazioni la nul- lità del personaggio } 0 velare con officiose menzogne le tremende verità della storia. Le sembianze del Vaccà scolpite nel marmo; vere, vive, spiranti, è tali , che gli amici suoi non potessero riconosterle senza commozione , nè contemplarle senza affetto : un’ invenzione , 0 una storia la quale indicasse di quai benefizi gli furon grate la patria e 1’ umanità } ecco quanto si de siderava di perpetuare s ecco quanto richiedevasi all’ estrema perizia del- l’ Artefice. « Quindi non parrà certamente o vano 0 superbo, se a cagione di troppo gloriose ricordanze, godevano molti di andare innanzi ai concepimenti dello Scultore, e di formare il Monumento a lor grado. Inteso avendo che rap- presentar voleva la gran prestanza del Vaccà nell’arte chirurgica (sì che mi= racolose apparivano le guarigioni ) sotto il velo allegorico di una guarigione miracolosa 3 pressochè tutti a desiderare concorrevano che prendesse ad esporre col suo scarpello quella mirabile scena del Tasso , dove innanzi ad Eròtimo, vien coll’ invisibil soccorso dell’ Angelo risanata la ferita, onde era afflitto Goffredo, « L’ argomento tutto pietoso e Cristiano , grande ad un tempo e miraco- loso 3 e la reminiscenza dei versi del sommo Epico, tutto concorteva appa- rentemente a farne sperare che all’ occasion d’ inalzarsi questo Monumento, il Tasso , tante volte sfigurato coi pennelli e coi bulini, avrebbe trovato fi- nalmente nel marmo un interprete degno di lui. « E già ne piacea di ammirar la costanza, e la grandezza nelle sembianze di Goffredo, che senza slacciarsi 1° elmo dalla fronte, premendo la grande asta a cui s’ appoggia, offre la gamba impaziente d’ indugio al maestro ferro di Eròtimo. E questi grave , sollecito ed ansioso ; suctinto , e ripiegato il lieve abito sulle braccia, dopo che invano ha tentato e col ferro e colle me- diche erbe di ritirar lo strale dalla ferita; scorge con mirabil prodigio cedere quasi di per se stesso e obbediente seguirlo al solo appressar della mano. L°al- legrezza già balena sui volti di Baldovino e Sigerio ; le guardie che circon- dano l’ Eroe, mentre porgono l’ orecchio verso il fragore dell’ armi Cristiane, che cedono all’ impeto dei Saracini, brandendo il ferro, par che attendano Mario clersk da, ariete, E il grido eccitator della battaglia. « Così andavano immaginando e dicendo , tutti coloro , i quali, tratti forse in inganno dal desiderio , speravano di vedere il nome del Tasso ricordato nel funebre Monumento , che si inalzava nel più grandioso recinto , che per accogliere le ceneri de’ trapassati, vanti nel mondo la Cristianità. «« Ma l’ Artefice sommo , benchè ‘sapesse che tutto è facile a un grande ingegno , amò di scegliere un avvenimento , il quale più da presso risalendo verso i tempi tanto fecondi di prodigi , togliesse qualunque ombra d’ incer- tezza nella rappresentanza del vero. Dalla sola immaginazione del Tasso de- rivò la miracolosa guarigione di Goffredo : ed era in quella di più stato imi- tato Virgilio nella guarigione d’ Enea : 1’ imitazione dell’ uno era prossima troppo alla favolosa narrazione dell’ altro: e benchè saldi e numerosi argo- menti avessero potuto difendere lo Scultore agli occhi de’più scrupolosi , egli fu sollecito di serbare quella stretta convenienza , che debbesi ai tempi, ed ai luoghi, dove i Monumenti 3° inalzano. Pensò dunque giustamente che non da Poeti, o Mitografi, ma dalle Sacre Carte soltanto sceglier si doveva la 163 »» storia portentosa , la qual richiamasse in un col Ritratto e il nome del Vac. »» cà , la rimembranza delle portentose sue guarigioni. « Immaginò dunque di rappresentare il momento , in cui ricondotto alla ss casa paterna dall’ Angelo , che gli fu guida , il giovine Tobia risana il vec » chio padre dalla cecità. «« E quanto immaginò tanto fece. Nè sarà forse soverchio il riflettere , che »3 tratto dall’ amore della perfezione nell’ arte , volentieri abbandonando negli »» abiti de’ guerrieri l’ uniformità degli elmi , delle cotte , delle schiniere e de? 3» corsaletti, con che avrebbe dovuto riempirsi la scena cantata dal Tasso, a s» bella posta non sia ito incontro a quelle tuniche de’ più antichi tempi, le + quali giovando alla varietà nella disposizione dei panni , si prestano alla 33 mostra dei nudi, e servono mirabilmente alla varietà dei contrasti. « À questi motivi di convenienza a queste considerazioni di artifizio , ag» 3» giunger si può fors’ ancora qualche più generoso pensamento. Le virtù di To, s3 bia, la sua costanza nel soccorrere i bisognosi 3 1’ affezione del figlio verso 3, il padre, le sue cure, il suo zelo, chi sa che non racchiudano qualche al. »» tro più segreto e più ingegnoso concetto! Ignote non erano ‘all’ Artefice 3» le virtù domestiche e civili del defunto : e, come potea non sovvenirse- 3» ne, nell’ immaginare la storia, che adornar dovea la sua tomba ?,, Dalle quali parole resulta ; I. Che gli Amici del Vaocà desideravano d’ avere un’INvENZIONE , 0 una SroRIA , che ricordasse i suoi meriti ; lasciando ( come era sacro dovere ) la scelta libera all’ Artista: II. Che avendo inteso essere stata da Lur preferita una SroRrIA, ed una Storia Allegorica , desiderarono che fosse scelta la Scena del Ganto XI del Tasso : III. Che 1’ Artista insigne volle prenderla più tosto dalle Sacre Carte, per le ragioni che s’ adducono : IV. Che a maggior difesa di esso, può credersi che egli abbia voluto anche nelle virtù domestiche di Tobia adombrar quelle del Vaccà. Or odasi come in una Lettera, indirizzata \al Sig. Vieusseux Direttore dell’ Antologia, e stampata nel N. i11o di quella ; un Anonimo , che si fir- ma P. delle C. si esprima rispetto a questa parte del Discorso : « Io non biasimo Thorwaldsen di avere rappresentato sulla tomba di Vaccà ,» il fatto di Tobia; ma non so accordare al Rosini che si DEBBANO EFFI+ 3) GIARE IMMANCABILMENTE sulle tombe dei nostri contemporanei , allusioni s» e non fatti proprj. Se sono dessi veracemente degni dell’ onore del Pan- », teon. ( nè trascorro fino a volere con Milizia che si affibbi loro un pro- cesso per giudicarne ) e che f non presenta la storia della loro vita un’in- 3 finità di temi scultorii ? che altro deve essere il monumento di un uomo ‘ss non oscuro fuorchè un sunto biografico figurato , inteso con tutta facilità 3» dai viventi e dai posteri ? che se il defunto non hi altra fama ( fama ui rara ) che di buon padre di famiglia o di huono amico, tanto più sono sì 3 ù disdicevoli le allegorie pei suoi che lo piangono. Possiamo mirare con animo »» non commosso un genio colla face rovesciata, o altre simili trivialità ; ma »» la statua di un nostro caro estinto , viva, parlante, atteggiata come egli 33 Sì atteggiava, moi non potremo per un tempo sostenerne la vista, nè mai s» sostenerla senza pianto, e infonderà parte del nostro affetto anche nella turba degli indifferenti. Rivedete per la centesima volta i tanti monumenti 3, italiani del quattrocento che hanno un carattere loro proprio, e sentirete » 104 , il vero del mio detto. E prendendo un esempio più recente, voi ram- ,, menterete senz’ altro un bassorilievo di Bartolini ove ‘un padre abbraccia .» 1 urna del morto figlio ( meglio sarebbe stata nel costume presente una ,» cassa mortuaria ), ed ha ‘seco la moglie e un altro figlio e una figlîa ; ,; sono tutti ritratti di visi non greci, non ideali, ma inglesi credo o te- »» deschi. Ebbene , io gli ho impressi nel profondo del cuore quei visi im- »» pietriti da un dolore acerbissimo. E voi, Professor Rosini, che in quel vostro tributo di dolore ec. alla memoria del Vaccà dipingeste ( pag. 45 ) tanto pateticamente l’ animo di quell’ egregio , che interrogato da una Donna di alti spiriti già vicino a morte, aprì le labbra a un surriso per ingan- narla, ma lo tradiva una lacrima: in questo e in simili tratti di quella vita, e non mel Tasso, cercate ve ne prego argomenti di Scultura per 23 23 »» la sua tomba ,,. Lo scrivere. tali cose ( per far demerito ad un Autore di quel che non ha detto, e per far credere ch’ei pensi al contrario (*) di quello che pensa ) chiamasi con proprio vocabolo calunniare; ed il riportarle, senza esame, in nn Giornale destinato a correre per tutta Europa, è un farsi mallevadore (**) delle calunnie. Altro articolo sul medesimo argomento , destinato al N. 50 del Nuovo GiornaLe DE’ LerreratI ; ed anticipatamente divul= gato colla stampa. Annunziammo nel nostro N.° 49 questo Libretto ( il quale contiene : 1. La Descrizione della Festa 2: Il Discorso del Prof. Rosini 3. Varie Poesie (*) Ed eccone la prova. Nel Saggio sulle opere del Canova , pubbli- cato poco dopo la sua morte, si trova quanto segue: « Ardisco dunque ,; credere che sia il Monumento per la figlia della S. Crux sì nella com- »» posizione , che nell’ espressione, V opera più sublime del Canova. Tutto è semplice , tutto è vero , tutto ispira compassione , tenerezza e dolore. E non già quella compassione e quel dolore, che si mescola a un certo segreto sentimento di diletto, come nelle sceniche rappresentanze ; ma quel: vero , profondo , intenso , e sempre crescente dolore , il quale de- riva dal pensare , che viva. poc' anzi era quella giovine Sposa , rappre- sentata morta nel marmo; che. col più grande cordoglio la piangono il marito , che sta per gettarsele al collo, ed abbracciarne le spoglie già livide ; i fratelli, che sbigottiti rimasero all’ improvvisa e non temuta sy sventura ; la madre , (ahi! misera madre!) che , perduto ogni suo con- 3» forto $ non avendo animo di volger gli occhi al corpo dell’ unica figlia , ss solo pensa al momento, che la seguirà nella tomba: Marer INFELICIS- 33 23 33 SIMA FILIAE FT SIBI. (**) Mallevadoria che cessa coll’apporre agli Articoli i Nomi dei veri Autori. Ma finchè quelli sono Anonimi , il Direttore di ogni Giornale è responsabile delle cose che vi si asseriscono , 0 vi si negano in pregiu- dizio dell’ altrui letteraria, o civile reputazione. 165 4. L’ Elenco dei contribuenti al Monumento , col Conto Reso della Depu- tazione ) e ci ristringemmp a parlare dei luoghi del Discorso, presi di mira più particolarmente da una Lettera Critica inserita nel N.° r1o dell’Antologia di Firenze, firmata P. delle C ; e diretta al Sig. G. P. Vieusseux Direttore di quella, Siccome nella citata Lettera si fa dire all’ Oratore quel che. non disse, onde far credere ch’ egli pensi precisamente al contrario di quel. che, pensa : ci limitammo ad osservare che Zo scrivere quelle tali cose chiamavasi icon pro- prio vocabolo calunniare ( facendo al Sig. P. delle C. grazia generosa di quanto più meritava ) ; e venendo a parlare del Direttor del Giornale, il quale stam- pando una Lettera anonima a Lur DIRETTA , mostrava tacitamente d’approvarla; in luogo di dire ,, con rigore sì ma con giustizia, ch’ egli era tenuto a render conto delle calunnie ivì contenute ; fummo assai moderati, dicendo, e a modo di avvertimento più che di rimprovero , che il pubblicar tali cose , senza ESAME, era un FARSI MALLEvaDORE delle calunnie. Noi sperammo , addolcendo così 1’ espressione , di richiamar 1’ esame del Direttore a tutto il contenuto di quella Lettera; a veder l’ estrema inconvenienza di molte e molte espressioni ; e in- durlo , riconosciuto l’inganno , a trattare il P. delle G. come. si meritava. Questo fu il nostro intendimento. Ma poichè sappiamo, con certa scienza ch’ è avvenuto il contrario ; senz’ira e senz’ artifizio , mostreremo sino all’ evidenza , che d’ assai s° ingannano coloro, i quali non veggono nelle accuse date dal P. delle G. all’ Oratore , null’ altro che addebiti d’opinioni letterarie ; e che l’ aver posto nel nostro Articolo quel senza esame , fu per iscusar piuttosto , che per aggravare i torti del Direttore. Le parole della Lettera del P. delle ©. sono le seguenti : x Io non biasimo il Thordwalsen di aver rappresentato sulla. tomba del 3» Vaccà il fatto di Tobia; ma non so accordare ( volle dir concedere ) al Ro- >» sini che si debbano effigiare immancaziLmeNnTE sulle tombe de’ nostri con- 5, temporanei allusioni e non fatti proprj. ,» Ghe male vi è , gridano gli amici del Direttore dell’Antologia , che si pensi in questo modo , o in un altro? E vero che il Rosini ha detto il contrario di quello di che lo accusa il P. delle G. ma, trattandosi d’ opinioni letterarie , quegli addebiti non possono chiamarsi calunnie. Innanzi di rispondere alla dimanda , cerchiamo il proprio senso della pa- rola calunnia. Il Vocabolario la definisce falsa accusa; ma siccome a. taluno potrebbe parer troppo lata questa definizione , noi , restringendola , diremo che ‘° calunnia in materia civile ( giacchè certamente nessuno potrà sostenere , che 3» abbiamo usato di quella parola nel suo senso criminale ) è quella falsa ac- »» cusa d’un detto, o d’ un fatto , verificandosi il quale , soffrirebbe detrimento 3» la reputazione civile , o letteraria di colui, a cui viene imputato ,,. Ognun vede la nostra lealtà. Se dunque l’opinione imputata all’ Oratore è innocente , ( ancorchè tutto il rimanente di quella Lettera sia un vero am- masso di falsità ) noi siamo pronti a ritrattarci , e a dimandar le scuse dovute, per 1’ uso imprudente d’ un’ ingiusta parola. Ma la cosa non è così. Molti a gridare son bravi, ad esaminare addentro le cose, non tanti. Or che contiene adunque quell’ accusa , ponendo in bocca al Rosini, che si debbono 1mmancaziILMENTE effigiare sulle tombe de’ nostri Contemporanei allusioni, e non fatti proprj ? 1. Contiene implicitamente la taccia di non sapere egli quanto si è fatto nella Scultura Funeraria da Donatello sino ai giorni nostri; giacchè rurtI gli 166 Senltori effigiarono o persone, o fatti proprj : ch’ è quanto a dire la dichiara- zione della più crassa ignoranza della Storia delle Arti. 2. Contiene la disapprovazione di quanto si è fatto da Brunellesco sino al Canova , che cominciò la sua carrietà ‘collo scolpire Papa Ganganelli ; e la ter= minò coll’ effigiare tutta la famiglia del Marchese Berio , nel Sarcofago che gli preparava. Ed ecco all’ Ignoranza unita la Temerità. } 3. Contiene in fine la più manifesta Contradizione con se medesimo, non solo negli altri suoi scritti, ma nell’ Orazione stessa’, poichè non molti periodi innanzi aveva detto , parlando del Monumento del Rezzonico; che la figura del Papa.... come venne allor ammirata pel più grande sforzo dell’ arte , sarà modello ai Secoli avvenire del come si può ritrar la natura, abbellendola. Or dunque dimandasi a chiunque non sia prevenuto, se l’accusare un uomo, che fa professione di Lettere, d’ J gnoranza, = di Temerità, — e di Contradi- zione, sia un attribuirgli una semplice ed innocente opinione letteraria ? Q non sia piuttosto. un’ ingiuria , a cui difficilmente ( d’Arti parlando ) trovar si potrebbe 1° uguale ? Chi diversamente pensa prenda la penna, e scriva la no= stra condanna. Se dunque il Sig. P. delle G. ha attribuito all’ Oratore un? opinione , dalla quale resulta per lui la taccia di ignorante, di temerario, e di scrittore in con- tradizione con se stesso; poichè questi addebiti porterebbero detrimento alla sua reputazione , se fossero veri; ne viene per indubitata conseguenza che son in- giuriosi non solo, ma son di più calunniosi , perchè son falsi, Crediamo difficile di portare a maggior evidenza la prova. Noi siamo persuasi che il Direttore dell’ Antologia non vi pose mente ; e per questo motivo modificammo le nostre espressioni : ma poichè si va dicendo che a tutti è dato lo scolparsi, e che 1° Antologia è aperta a chiunque lo voglia ; noi rispondiamo: 1. Che le calunnie sono come le ferite, le quali lasciano sempre la margine: 2. Che quello di scolparsi non è ufficio, che sia piacevole per chiunque non inquieta altrui , nè co’suoi scritti, nè colle sue azioni: 3: Finalmente che non si godrebbe un mese di tranquillità ; se fosse lecito al primo presontuosello , a cui salta in capo di scrivere quel che trova nel suo cervelluzzo di formica , 1’ imputare opinioni false , e ingiuriose alla reputazione di chicchesia , senza recarne le prove , o senza svelare il suo nome. Ed appunto perchè ciò non avvenga , tutti i Giornali sì politici, che let. terarj hanno un Direttore, che è tenuto a rispondere di quanto in essi si pub- blica. E poichè il P. delle G. è un nome o misterioso , 0 supposto, avea ben dritto di dire 1° Oratore al Sig. Vieùusseux : « Il vostro delle C. è una baja : ma »» nol siete già Voi, che stampate una Lettera , ( e per giunta a voi diretta! ) 3) in cui son tacciato d’ una grande ignoranza nella storia dell’ Arti; d’ una s» gran temerità nel discuterne gli ufficj ; d’ una goffa contradizione nel con- 33 siderarne le bellezze. Siete Voi quegli, sulla cui fede, da ‘un capo all’altro :3 dell'Europa sarà salutato dai fischi di chiunque intendesi di arti; giacchè ss nessuno potrà supporre che un uomo d’ onore , come Voi siete, tenga cor- 3» rispondenza con una persona , che inventa il falso, e nasconde il vero. « Bel compenso mi date , coll’ offerta di scolparmi fra un mese. Il vostro 3» obbligo era di non offendermi pubblicando l'accusa ( molto più che trattavasi »» di cosa udita e non scritta ): molto meno dovevate pubblicarla sulla fede s» di un solo; e in nessun conto mai farlo a modo degli oracoli , ravvolgendo ,3 il nome dell’ Autore sotto mistiche cifre. 617 « Ma poichè il faceste , come potete sfuggire alla responsabilità ? Voi vi 33 fidaste del vostro carissimo P. Sopportate dunque le conseguenze della vostra » fiducia. ,, Giò poteva dirsi, e non fu detto. E questa non è forse una gran moderazione ? Ma le false accuse contro l’ Oratore sono un nulla, in paragone delle altre falsità sparse in tutta la Lettera. Oltre i mille furono i testimonj ; e ciascuno può deporre del vero. Non è del nostro ufficio il parlarne: solo faremo osservare al Direttore dell’ Antologia, che se inescusabile è il suo P. delle G. per ogni parte, e verso di lui, e verso la Deputazione, e verso il Pubblico ; gli resta però un lato, dal quale se venisse in capo a taluno di attaccarlo , ignoriamo quali esser ne po- trebbero le conseguenze. Egli, per meglio nascondersì , sì è dipinto ; e si è dipinto colla fisionomia d’ un altro. E non già con dei colori e lineamenti vaghi; ma con linea- menti e colori d’ una tal precisione, che la rendon parlante. Egli ci dice dunque nel contesto della Lettera 1. Gh' è forestiero : 2. Ch? è disceso dai monti ( nativo d’ una città posta in colle ) : (*) 3. Gh' è ammalato : 4. Ch’ era venuto in Pisa per racquistar la salute : 5. Che non ebbe viglietto d’ invito : 6. Che ha un frale corpicciuolo. Or noi sfidiamo di trovare due individui, ne’ quali concorrano queste sei particolarità. Ma siccome la persona, sotto i colori della quale il P. delle C. si presenta, non può avere scritto una Lettera , la quale repugna alla sua mente, al suo cuore , e alla sua lealtà ; è il P. delle G. colpevole di più dell’ ingiusta imputazione che ha fatto nascere ( e che continuerà finchè il vero nome non si sveli ) contro un uomo d’ ingegno , generoso ed onorato. E disgraziatamente, queste considerazioni si ritorcerebbero verso il Direttore, se noi stessi scusato non l’ avessimo, supponendo che senza esame pubblicasse quella Lettera. E in fatti, se egli esaminata l’ avesse ; come non gli sarebbero saltate agli occhi quelle sei indicazioni , le quali dipingevano un individuo, che null’ aveva che fare col P. delle G. ? Ed. onesto, com’ egli è, come non avrebbe il Direttore pregato subito , o costretto l’Anonimo a toglierle P Se nol fece, ciò prova che stampò quella Let- tera senza EsaME. Dunque non si lagni d’ essere stato avvertito che l’ operar in quel modo era un farsi mallevadore di quel che avea scritto l’Anonimo : e poichè l’Anonimo scritto aveva calunniosamente, mallevadore delle calunnie. Ma noi andiamo più oltre, e siamo quasi propensi a credere, non già che il Direttore mon abbia letto l'Articolo, ( che sarebbe dalla nostra parte uno scherno ) ma che l’Autore, come spesso avviene, ne abbia molto cangiato, e rappezzatolo,, nel correggerne le stampe. Senza questa interpretazione, il Direttore non ha scusa, Amico del Vaccà, amico della sua ‘Famiglia, amico di pressochè tutti gli amici suoi ; come avrebbe permesso che sotto i suoi auspicj, anzi che accoppiato al suo proprio nome, vedesse la luce uno Scritto , nel quale alternando ora il dileggio , or le accuse, cercasi di porre in burla una festa immaginata per ono- rare la memoria d’ un grand’ uomo ? Fossero stati pur veri, come falsi sono , (*) Veggasi la Lettera del P. delle G. 108 turti quegli addebiti , egli avrebbe gettato il mantello di Sem sulle nostre ver- gogne. Taciuto egli avrebbe, ove lodar non poteva ; ma non' permesso avrebbe maî che da un buffoncello presontuoso si denigrassero womini'onorati, che quan- do anco riusciti non fossero nel loro scopo, non meritavano che plausi per la loro intenzione, ringraziamenti pel loro zelo. Osservazioni del Direttore dell” Antologia. N Per ribattere argomentazioni sì strane, bastava sottoporle al giudi- zio d’ ogni sensato , d’ogni spassionato lettore. Bastava soggiungere che nè a me nè al sig. P. delle C. simili sofisticherie potevano recare la menoma offesa , e che l’ unico mio dispiacere si era che una persona non men rispettabile del mio Corrispondente ed amico sia stata fuor d’ogni ragione in questa misera guerra presa di mira da’nostri avversa- rii. Ma per ogni specie di lettori, una confutazione di questa fatta non basta. E però noi ci assoggettiamo , costretti, a ribattere ad uno ad uno i cavilli dal Giornale Pisano accumulati in que’due anonimi arti- coli singolari. Nella quale disamina ci asterremo da ogni personalità ; e ci guarderem bene dall’ imitare le lorde invettive del dotto custode del Campo santo di Pisa (1), alla cui lettera ha già risposto l’ univer- sale disprezzo. Incominciamo dal notare , che la voce calunnia , nel primo articolo dall’Anonimo viene adoprata come vocabolo proprio: sicchè, il significato proprio del vocabolo non potendo esser che uno , tutte le stiracchia- ture per via delle quali si vorrebbe provare che un’ obbiezione lette- raria, per quanto severa sia, può chiamarsi calunnia, non giovano che a far risaltare l’ inezia di simile accusa. Ma l’osservazione moderata ed urbana del sig. P. delle C., era ella poi tanto assurda quant’ altri vorrebbe ? Il passo del prof. Rosini non parla che di monumenti figurati, non dà nemmeno a sospettare che il Thorwaldsen avrebbe potuto fare altrimenti. Solamente accenna il de- siderio che invece della storia di Tobia si fosse prescelta l’invenzione del Tasso. Quanto a noi, se quì ne fosse il luogo , noi vorremmo pro- vare che, dovendo appigliarsi a rappresentazioni figurate, meglio sareb- be pigliarle da una storia che da un’ allusione poetica; vorremmo dimostrar doppiamente inopportuna la proposta del P. Rosini, e per- chè 1’ invenzione del Tasso non è che una imitazione di Virgilio, on- de invece di Goffredo si sarebbe potuto forse con più di ragione ri- salire ad Enea; e perchè la guarigione di Goffredo essendo dal poeta rappresentata come miracolosa , l’ allusione non tornava gran fatto ono- (1) Lettera di Ranieri Tamprsri, Introduttore e guida de’ forestieri nel Campo Santo Pisano, al Sig. P. peLLE G. .... (Vedi Antologia N.° 110 ) coll’ Epigrafe: non opus est verbis, sed fustibus (Cicer. in Pison. c. 30) pag. 16 in 8.° — Pisa, presso Sebastiano Nistri. 169 revole all’ arte, tutta umana, dell’ illustre Vaccà (2): ma ciò non fa al caso. Quello ch’ è certo si è che il sig. prof. Rosini, siccome ha manifestato il suo desiderio riguardo all’ emblema che si potea trarre dal Tasso , così potea manifestarlo con quella moderazione e quell’ar- te che gli è propria, sulla maggiore opportunità di rappresentar fatti veri in luogo d’ emblemi. E questo il sig. Rosini non fece : e tacita- mente approvò il sistema simbolico nei monumenti moderni : e se nello stesso discorso gli venne lodato il monumento Rezzonico , e in altro scritto quello della S. Crux, cotesta non era che una ragione di più perchè anco in questo caso egli dovesse esprimere il pensier suo chia- ramente , e confermare con la propria autorità un’ opinione verissima, ma troppo spesso contraddetta nel fatto dagli artisti più celebri. Che se il sig. Rosini non disse, doversi effigiare immancabilmente sulle tombe dei contemporanei allusioni e non fatti propri , mostrò implicitamente di crederlo , quando all’ idea di Thorweldsen non seppe proporre altra sostituzione che un’ allusione simbolica. Poich’ egli s’ era fatto lecito di metter fuori un’ idea diversa da quella dello scultore , potea certa- mente metterla fuori più ragionevole. L’ obbiezione adunque è tutt’ altro che falsa. L’attaccarsi a quel- l’immancabilmente per dare una mentita, non è che una sofisticheria : giacchè , ripetiamolo, un uomo il quale a un’allusione simbolica non sostituisce che un’allusione simbolica, mostra di credere che le allusioni simboliche si debbano immancabilmente effigiare sui monumenti moderni. Ma per difendere il discorso del sig. Rosini, è stato necessario un articolo; per difendere il primo articolo è convenuto appiccicarne un secondo ; e a proposito di calunnia citare il dizionario della Crusca ; e protestare che calunnia non è stato usato nel senso criminale; e definire la calunnia così : ‘° calunnia in materia civile è quella falsa accusa >> d’ un detto o d’un fatto , verificandosi il quale , soffrirebbe detri- », mento la reputazione civile o letteraria di colui a cui viene im- »» putato ,,. , Giacchè l’Anonimo autore di quell’ articolo si sforza a trattare in sul serio la sua lagnanza, e noi sul serio la tratteremo : questa è la miglior via di far sentire quant’ ell’ ha di piacevole. Falsa accusa. La lettera del sig. P. delle GC. è ella in tuono d’ac- cusa? Da tutto il contesto non traspare chiarissima l’ affezione e la stima di lui per il prof. Rosini ? Non parla egli della molta convenien- za dell’ esordio , e di quelle lodi che sortivano veramente dal cuore , e al cuore scendevano di chi le udiva ? E nell’atto medesimo che dissente da lui circa alla rappresentazione di Goffredo (la quale a chiarissime note e con certa compiacenza paterna viene proposta quasi l’ ottimo (2) Vedete., per esempio, se potea far grand’ onore al Vaccà questa pit- tura dell’ antico Erotimo : E colla destra il tenta, e col tenace Ferro il va riprendendo ; e NULLA FACE. T. XXXVII. Marzo 22 170 de’ progetti ) non rammenta egli la patetica pittura che facea l’ egre- gio biografo del Vaccà, degli estremi momenti di quel degno suo ami- co? E non loda il del riepilogo con cui l’allocuzione avea fine ? E tutto cotesto non basta? E una censura moderata , giusta, condita dal dolce di una lode , oserà chiamarsi una falsa accusa, o con proprio voca- bolo , una calunnia ? Deplorabile insaziabilità dell’ orgoglio ! Falsa accusa d’ un detto o d’un fatto, verificandosi il quale. — Se sì verifica il fatto, l’ accusa non è più falsa. La sostituzione che il ch. Anonimo fa della propria definizione a quella del Vocabolario, non è punto migliore della sostituzione che il prof. Rosini proponeva di Gof- fredo a Tobia. Verificandosi il quale , soffrirebbe detrimento. — Adagio un poco . Ci ha varie specie , variissimi gradi di detrimento. Quando un mio vi- cino mì dice: io veggo una nave da guerra entrare nel porto ; e ch’ io gli rispondo: non è una nave, è un bastimento mercantile; il mio vicino si può anch’ egli offendere che io detragga alla perspicacia della sua vista : e s’ egli esercita una professione nella quale 1’ acutezza del ve- dere è necessaria , egli può anco tacciarmi di calunniatore , perch’io reco detrimento alla sua ottica riputazione. Quand’anco il detrimento sia vero, quand’anco l’accusa sia falsa , non ogni falsa accusa che rechi detrimento è calunnia. Altrimenti, sarebbe calunnia ogni censura non retta. Peggio poi, se sì tratti di un detrimento di riputazione non vero, ma immaginario. Allora il censore che si taccia di aver calunniato , potrebbe anch’egli alla sua volta rimandare al censurato la taccia di calunniatore ; e la questione non finir mai ; e divenire la più comica cosa del mondo. Proseguiamo l’ analisi. La riputazione civile o letteraria di colui a cui viene imputato. = Non si tratta dunque più di calunnia in materia civile ? Dal civile si. passa al letterarid: e quì sta il forte e il lepido della definizione. Se voi volevate detinire la calunnia in materia civile , ma perchè dunque discorrere della riputazione letteraria; perchè dire riputazione e non fama? Ma a chi credete voi di parlare, signor Amnimo, nemico degli articoli anonimi? Credete voi di parlare ad un pubblico che non sappia conoscere che una censura letteraria , anche falsa , non può e non po- trà mai nè in senso proprio nè in senso traslato chiamarsi calunnia ? E chi siete voi di grazia, anonimo difensore della riputazione del prof. Rosini, che credete la sua fama appoggiata a fondamenta sì de- boli, che una censura siffatta debba recarle un così terribile detrimen- to ? E non vedete voi di far torto così al vostro dotto cliente? Eh se il prof. Rosini avesse letto innanzi la stampa la vostra difesa! Io son certo, che per quanto modesto egli sia, v° avrebbe risposto con ira : e che? mi credete voi forse infallibile ? È ella forse tale la mia fama che io ne debba temer detrimento perchè ad un anonimo piacque di farmi osservare che sul monumento del Vaccà la gamba di Goffredo non ci aveva molto che fare ? ‘ 171 Ma l’Anonimo incalza , e pretende che biasimare il Rosini dell’a- ver pensato a Goffredo , gli è un accusarlo d’ ignoranza , di temerità, e di contradizione ; e più e più volte ripete queste sapienti parole : ignorante , temerario , scrittore in contraddizione con sè stesso. Il profes- sore Rosini ha pur dato in un malaccorto difensore ; giacchè , guai se i lettori si persuadessero di cotesta argomentazione inaudita. I lettori già sanno che la censura non è falsa : se questa censura pertanto im- plicasse la taccia d’ignoranza, di temerità , di contraddizione , il di- fensore del Rosini sarebbe riuscito a dimostrare che il ch. Professore di Pisa , il lodato autore della Monaca di Monza, l editore di tanti utilissimi libri, è un ignorante , un temerario , uno scrittore contrad- dicente a sè stesso. Ma buon pel Rosini e per noi che 1’ Anonimo ha torto. Nè al Rosini soltanto , ma a tutti gli artisti che dal 400 in poi hanno osato rappresentare allusioni simboliche, quel triplice titolo si dovrebbe adattare. E qualunque critico sorgesse , e a un poeta, per esempio , con tutti i riguardi dell’ urbanità e della stima , dicesse: que- sto vostro verso è men bello degli altri, questa vostra idea non è giusta ; il poeta potrebbe rispondere: Voi siete un calunniatore; perchè l’opporre a un autore che una sua idea non è giusta è lo stesso che dirgli, voi non sapete quello ch’è stato pensato, scritto, parlato, operato a questo pro- posito ; dunque siete ignorante : voi vi opponete a tutto quello che altri celebri autori hanno scritto, altri uomini illustri hanno detto od operato, dunque siete temerario : voi non rammentate le altre vostre idee giuste e vere che a questa ripugnano; dunque contraddite a voi stesso. E così qualunque osservazione estetica diviene calunnia. E perchè la calunnia è sempre un fatto che cade sotto la punizione della legge, nè si può considerarla in materia civile senza poi di necessità dedurne delle con- seguenze criminali , perciò tutti i giornalisti , quando non lodano sono rei d’un delitto, son da citarsi alla Rota. Il ch. Rosini non può dunque temere d’ essere salutato dai fischi dell'Europa, come vorrebbe l’Anonimo : primieramente perchè 1’ Eu- ropa non fischia , poi perchè i fischi verrebbero a tutti colero a’quali le rappresentazioni simboliche non paiono uno sfoggio d’ erudizione non ben collocata. Se il Rosini ha un’ opinione contraria, tanto me- glio per lui, e per noi. Solamente ci duole , ch’ egli non l’ abbia po- tendo manifestata ; e confermato così quello ch’ era 1’ assunto princi- pale dello scritto del nostro stimabile corrispondente. Giacchè quest’è 1° essenziale della misera questione ; quest’ è che ci dà la sofferenza di rispondere tanto a lungo ad accuse che rimarrebbero molto bene ri- battute dal silenzio ; quest? è la considerazione che rese la lettera del sig. P. delle C. principalmente pregevole agli occhi nostri. Generale in Italia e fuori è l’ abuso de’ simboli, delle allegorie, delle allusioni erudite, lontane , insignificanti , non bene scelte , e non chiaramente dall’ arte illustrate. A quest’ abuso giova omai porre un riparo ; giova che da’ grandi artisti, dagli uomini di fama e di gusto ci venga l’ e- sempio , il consiglio. Così pensava il sig. P. delle C. Quand? ecco si scopre il monumento eretto da Pisa riconoscente all’ illustre Vaccà : e 172 che rappresenta egli cotesto monumento ? Tobia. = Il prof. Rosini nel giorno dell’ inaugurazione solenne recita un? allocuzione : e che pro- pone egli invece di Tobia ? Goffredo. — Il sig. P. delle C. trova che c’ era da fare e da proporre qualcosa meglio di Tobia e di Goffredo. Il prof. Rosini s’ accorge di non aver detto quel che doveva, e quel che forse aveva altre volte pensato. Va in collera ; e....... Interprete della sua collera si presenta un anonimo, il quale ha con gli anonimi una anti- patia così fiera che quasi quasi perdonerebbe al sig. P. delle C. la sua calunnia , se il sig. P. delle C. si scoprisse. E questo prova quanto saviamente abbia fatto il nostro corrispon- dente a tenere celato il suo nome. Doveva egli forse esporlo agl’ in- sulti d’ uomini che non sentono la dignità delle lettere ? O doveva tacere un’ utile ed opportuna verità ? Sì , ripetiamo : utile ed oppor- tuna : e la premura stessa che dimostra il Giornale Pisano per far credere che il chiarissimo professore n’ era persuaso già , cel com- prova. = A qual fine poi si struggevano questi signori di sapere il nome dell’autor della lettera ? A fine di rivolgergli più dirette quelle villanie che ora scagliano a caso , che commettono al vento. Ed essi, che lui tacciavano di imputare al Rosini cosa che poteva tornare a de- trimento della letteraria riputazione , essi non trovano nè insolenti nè sconce le frasi cervelluzzo di formica , buffoncello presuntuoso } e simili. E raccogliendo con misera diligenza tutti gl’indizi che l’Anonimo dà di sè in quella lettera , non arrossiscono di aggravare la insolenza con una specie di cavillosa delazione, che appena sarebbe comportabile ove si trattasse di delitti di stato. E dopo aver parlato del mantello di Sem, e delle loro vergogne , non avendo sopra chi a lor talento sfogarsi, sì slan- ciano contro il Direttore dell’Antologia, che ha sempre rispettato e stimato nel Rosini uno degli uomini che più onorano la Pisana Uni- versità ; e non arrossiscono di affermare che nello scritto del saggio Anonimo “ è alternato il dileggio all’ accusa, affine di porre in burla 3, una festa immaginata per onorare la memoria d’ un grand’ uomo , a s fine di denigrare uomini onorati ,,. Son queste le parole del Giorna- le Pisano. A smentirle, basta citare senza commenti alcuni passi della lettera disputata. : ‘ E queste particolarita vò notando non a biasimo della nazionale »; funzione, o di chi la diresse ; ma a scusa di quel poco di confusio- ne , di cui taluno , e l’ oratore con più ragione degli altri avrà po- tuto dolersìi. Imperciocchè , ove manca riverenza di religione o di comando , pochi altri popoli sanno star di per sè, come questo buon popolo toscano, dentro i limiti di un costumato contegno. E qui si leggeva in tutti i volti un sentimento che raramente si desta in una moltitudine per un uomo già morto da più di tre anni ,,. Più sotto : ‘ L’architettura maestosa di quei portici venerandi era in tal modo velata ; e doveva essere, non tanto per isfoggio d’appa- rato , quanto per difendere l’ assemblea dai rigori delle stagione ,,. E alla fine : ‘ Concluderò rallegrandomi con i Pisani dell’ acqui- sto da loro fatto d’un’ opera così peregrina, non menochè dell’esem- 23 59 2? 29 23 23 23 Questa considerazione ha già - Li 3 diversi librai della civile Eisrare con efficace concordia un uomo di cui -deil’ Italia nostra a pubblicar , ; PURA ia perdita ,,. argomento collezioni utili e* P = È i 3 adattate , per prezzo e p dF@ » ACCUSALE , denigrare , calunniare ; le in- bisogno di chicchessia saranno per conseguenza lusinghe, vezzi ed en- Ci redn ie ei lui, l’ essersi contentato del titolo di calun- giustamente rin Che una grazia generosa !! — Dopo avuta la sofferenza tra noi, (Avre a tali miserie, mi si concederà, credo, la libertà di par pe un poco. non pe e la critica dei viglietti non bene distribuiti, del cappello in nony , degli stromenti da fiato , della bassezza del monumento, dei pa- è veri e dei serpenti con in mezzo il povero Vaccà , del non essersi Jotuta sentire da tutti l’allocuzione dell’ egregio oratore , e di alcune imperfezioni del lavoro sulle quali il sig. P. delle C. non sentenzia, ma “ lascia che decidano gli scultori degni di giudicare un Thorwaldsen ,, ? — Calunnie , grida l’Anonimo del Giornale pisano: calunnie, riprende il consultore del sig. Rameri Tempesti: perchè calurzia viene da calvo. A che dunque siam noi? È ella questa l’ Italia del secolo XIX ; o ne circondano ancora gli arrabbiati pedanti del cinquecento ? Oh chiun- que voi siate che da guerre, sì abbiette cercate conforto all’ amor pro- prio non ragionevolmente irritato , tenetevi pure il vostro dizionario di trivialità grossolane , le vostre citazioni inaudite , e quelle inter- pretazioni originali in cui tormentate sì piacevolmente l’ ingegno per crearvi un’ ingiuria , un affronto laddove non è : tenetevele : chi po- trebbe rispondervi condegnamente altri che voi stessi ?_ Credete voi che negl’ improperii sia gloria e vendetta ? Chi credete voi persuadere con tale linguaggio ? o chi spaventare ? La più fiera vendetta che far ne potesse l’Antologia sarebbe il dare pubblicità ai vostri scritti, pur- chè voi non arrossiste di sottoscriverli del vero vostro nome. Due periodi di franca dichiarazione , ne’ quali voi aveste ingenuamente esposte le vostre ragioni, e mostrati gli sbagli, se tali erano, del mio Corrispondente , bastavano ; quand’ anco fossero stati necessari , il che io sono ben lungi dal credere. Ma con quelle diatribe avvele- nate , voi vi siete collocati al disotto d’ogni leale avversario. E se in sì misera lite non cadesse improprio , il nome di calunnia, voi, voi ve- ramente avreste calunniato l’ illustre Professore di Pisa , col farlo sup- porre complice del vostro ardimento. RECLAMO. A carte 163 del volume XXXVI dell’ Antologia , N. 107 per Novem- bre 1829, fu dato inavvertentemente al sig. Generale Conte Antonio Antonelli, Ciamberlano attuale di S. M. il Re di Baviera, la qualifica- zione patrizia di milanese. Dovevasi dire fernano, per essere egli di fatto nativo , e patrizio della romana città di Terni, che si crede aver dato i natali al principe degli Storici latini, Cajo Cornelio Tacito. 174 * Tobia. == Il prof. Rosini nel BULLETTINO BIBL]Ixallocuzione : e che pro- Annesso all’Antologia (* Marzo 1830, TOSCANA. LIBRERIA DELLE FAMIGLIE proposta al Pubblico Italiano dalla So- cietà Passigli , Borghi e Compagni librai in Firenze. Prospetto. = Non saria nuovo il paragone , che far si potrebbe , del- I’ utile e del diletto dipendenti dalle lettere co’ benefici che produconsi per opera delle arti meccaniche e della industria. Certo, per questi due capi singolarmente si conforta e si abbel- lisce la vita; ma nè della ricchezza letteraria , nè della materiale possono tutti , nella successione de’ tempi , usare al modo stesso e ad un’ora. À chi manca il nazional patrimonio , a chi ch’ egli venga diffuso , a chi fortune bastanti per acquistarlo. Ricca di dovizie letterarie chiamar possiamo a buon dritto una età, quando i documenti delle scienze e gli studi del bello , già posti in alto luogo per la perfezione delle discipline sieno aperti alla cognizione del maggior nu- mero: ed è tale, per nostro avviso, la presente età, in confronto di quelle ‘m, P. delle C. trova che “obia e di Goffredo. Il ). loveva, e quel che "nterprete della ‘ni una anti- 'C. la sua che furono. Non avvi parte de. bile che non sia stata trattata epon- chiarata in maniera da potere, alm: $pil mezzanamente , esser intesa da quari pur sappian leggere. Gli autori cheV& per lunga pezza più celebrati che let ti, parevano riserbati ai soli dotti , cominciano ad essere intesi e gustati generalmente. Le donne, gli artigia- ni, le persone ad altro rivolte che a studiar di proposito , li hanno già per le mani, e ne allegrano le loro ve- glie, i loro riposi. Siamo al tempo della capacità e della popolare incli- nazione ad istruirsi, ad apprendere : non è più dubbio per nessuno che l’ uomo fornito di cognizioni avanza l’ ignorante in tutte le occorrenze della vita: i padri sono ansiosi di procacciare questa superiorità di fatto ai loro figliuoli ; le madri s’accorgono che le grazie dello spirito vincano as- sai spesso la prova sulla bellezza. Tut- ti, in somma, 0 leggono o voglion leggere ; e se questo desiderio non è meglio appagato , ciò nasce dal prezzo dei libri, il più de’ quali, stampati per coloro cui è stata larga fortuna, non si piegano alla possibilità degli al- tri molti, che quella ebbero meno amica. (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- no come estrutti o analisi, siano come annunzi di opere. Il Direttore DELL’ ANTOLOGIA rammenta a’ sigg. Librai, ed a’ respettivi Autori e Editori di opere italiane, che le inserzioni di annunzi tipografici , nel presente bullettino , non possono averci luogo che previo V’ invio di una copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti da inserirsi per in- tiero , 0 di qualunque altro avviso tipografico , mediante il pagamento di soldi due per ogni riga del medesimo bullettino. Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’ Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenirsi se- condo il numero de?’ fogli. Questa considerazione ha già mossi diversi, librai della civile Europa e -deil’ Italia nostra a pubblicare di vario argomento collezioni utili e piacevoli , adattate , per prezzo e per forma, al bisogno di chicchessia . Non aveva il lodevole esempio trovati ancora segua- ci in Toscana; per lo che un Giornale giustamente riputato , che vede la luce tra noi, ( Antologia N.° 109, p. 166 ) ebbe , non ha guari , ragion di notare che i tipografi di queste parti paiono non pensare che per i dotti. À noi non riguardava il rimprovero , i quali , già è molto tempo, abbiamo posto l’ani- mo a provvedere i lettori toscani e ita- liani tutti con una di tali così bene accette raccolte. Sciogliamo ora la pro- messa già fatta a noi stessi ed a’ nostri amici , prendendo a stampare la nostra LIBRERIA DELLE FAMIGLIE, che offe- riamo a chi giovi associarvisi al prezzo d’ un paolo per volumetto. Questo titolo generale comprenderà una serie assai estesa di opere amene e profittevoli , scelta in ogni genere di letteratura e di scienze. Ci studieremo raccogliere e riprodurre scritture o af- fatto nuove, o non ben conosciute , o male sconosciute , e non quanto basti negli esemplari moltiplicate. Avranno il primo luogo le dettate in originale italiano ; ma nel difetto, non ci rimar- remo dall’ appropiarci quelle che fa- ranno al nostro proposito, tra le tante onde son ricche le leiterature stranie- re, E qui obblighiamo la nostra fede a mostrare queste nuove cittadine in for- ma , per istile e per lingua, vera- mente italiana; aborrenti, quali sia- mo , da quelle, pur troppo comuni, tradizioni, dove altro quasi non è mu- tato dal primo testo che la desinenza delle voci. Istruzione solida, vera, svariata ed agevole sarà la dote di cui è nostro desiderio che la nuova Libre- ria si pregi. La diversa qualità delle materie ci condurrà ad ordinare i nostri volumetti in classi egualmente diverse, delle quali accenniamo lo spartimento. I.° Religione ,, morale , educazio- ne e prima istituzione de’ fanciulli e de’ giovanetti: II.° Scienze filosofiche , politiche ed economiche. IITI.° Storia civile, generale e par- ticolare , biografia , memorie. IV,° Geografia, viaggi, descri- zioni di paesi e di costumi. V.° Grammatica, studi di lingua, belle lettere , critica e storia lette- raria. 175 & VI.° Esempi di composizione e di stile, orazioni; letrere, dialoghi , varietà. VII.° Poesia, teatro. VITI. Novelle , racconti, ro- manzi , facezie. IX.° Estetica , descrizioni e va- rietà riguardanti le belle arti. X. Scienze fisiche e matematiche, chimica , storia naturale , fisiologia , igiene, arti derivanti da queste scienze. Senza obbligarci a seguir l’ ordine delle classi suddette, pubblicheremo indistimtamente le opere che ci sem- breranno di maggior conto , e prime richieste alla istruzione o alla curiosità de’ nostri lettori. Annunziamo intan- to, per le prime pubblicazioni, le seguenti : Nella prima classe. Prime Letture dei fanciulli, e lezioni morali di Giu- seppe Taverna. + Governo della fa- miglia del Pandolfini. — Vita sobria del Cornaro. — Aovertimenti degli antichi di Bartolommeo da S. Concor- dio, ec. Nella quinta. Trattato della com- posizione di Anton Maria Robiola. — Lezioni di Ugone Blair tradotte dal P. Soave. = Storia della letteratura ita- liana del Cav. Maffei. — Grammatica del Gorticelli, ec. Il saggio annesso al manifesto dà norma della nostra edizione, per ciò che riguarda la carta, i caratteri e la ma- niera della impressione. Pubblicheremo per ogni mese due volumetti , l’un per l’ altro, di circa 130 pagine. Il prezzo pei signori Associati è , come sopra, fissato a un paolo (56 cent.) per ogni dispensa, rimanendo a loro ca- rico , le spese di dazio e di trasporto. Giascuno può associarsi o a tutte le classi insieme , 0 separatamente ad o- gnuna. A chi assicuri dodici associati, daremo gratis la tredicesima copia. Finalmente i non soscrittori , 0 quelli che volessero le Opere spezzatamente , pagheranno una lira per ogni volume. Le associazioni si ricevono in Fi- renze al Negozio degli Editori, e nelle altre città d’Italia dai distributori del manifesto. : TEATRO TRAGICO ITALIANO volume unico e secondo della Biblio- teca portatile del Viaggiatore. Rac- chiude i seguenti autori: Alfieri, Maf- fei, Monti, Manzoni, Niccolini n Foscolo, Pellico ,, Benedetti , Pin- demonte , Ventignano. - Firenze 1850 Passigli, Borghi e Comp. edi- tori. 176 maniresro. Il favore, con cui è sta- to universalmente accolto il primo vo- lume della BIBLIOTECA PORTATILE DEL VIAGGIATORE già pubblicato per opera della Società libraria Passigli, Bor- ghi e Comp. non poteva non incorag- gir gli Editori alla immediata prosecu- zione di tanto lavoro. Però si fanno essi un dovere di prevenire i signori Asso- ciati che , osservando precisamente gli stessi modi tenuti nella ristampa dei Quattro Poeti maggiori , han posto mano alla edizione del Teatro tragico Italiano, che formerà il secondo vo- lume della Biblioteca , e di cui qui danno una prova. L’ opera si pubbli- cherà, secondo il solito , per fascicoli senza alterare il prezzo della soserizio- ne primitiva. I nuovi soscrittori p9- tranno inoltre acquistare pel semplice costo d’associazione il volume già mes- so in vendita, e portato invariabilmen- te per chiunque altro al prezzo di fran- chi 40. I nomi di Alfieri, di Maffei , di Monti, di Manzoni , di Niccoli- ni, di Foscolo , di Pellico , di Be- nedetti , di Pindemonte ; del Duca di Ventignano , fregieranno la nostra Raccolta. Verrà poi essa distribuita in dieci o al più in dodici fascicoli for- manti un sol volume , e sarà ornata di quattro vignette disegnate dall’esimio sig. professore Nenci, ed incise da va- lente bulino. Finalmente perchè que- sto secondo s’ accompagni esattamente al primo tomo della Biblioteca, con- terrà pure quattro ritratti. Le soscri- zioni si prenderanno in Firenze al ne- gozio degli Editori posto al Canto de’ Pazzi, e nelle altre Città d’ Italia dai distributori del Manifesto ; ma ubblicato che sia il terzo fascicolo del Teatro tragico , le commissioni non saranno più ricevute ai patti d’as- sociazione , ma bensì al prezzo di Ga- talogo. DELLA PREFERENZA de’ Sessi, Lettera di MELCHIORRE DeLrico alla signora Contessa Carara MucciARELLI Simonetti. Siena, 1829. 0. Porri, 12.° di p. 28. LINEE ANATOMICHE di Fr- Lippo Civinini pistoiese. Pistoia, 1829; Fratelli Bracali , 8.0 Fascic. I.° O- steologia ; su’Cornetti del sig. Bertin — Fascic. II.° In Osteologia , sulla scissura di Glaser nel temporale. Prez- zo L. 1 il fascic. SCELTA BIBLIOTECA di Sto- ria italiana , in 35 volumetti, dedi- cata alla Colta Gioventù Italiana. Livorno , 1830, Glauco Masi editore. 12.° Vol. primo. — Storsa fiorentina di messer BernaRDO SEGNI, gentiluo- mo fiorentino , dall’anno 1527 al 1555, colla vita di Niccolò Capponi, deserit- ta dal medesimo Segni suo nipote. Vol. I." SELECTAE e praeci quindena in nosocomio de municipio montis Sancti Sabini morborum rariorum , historiae quas observavit et scripsit PuiLiepus GarraRrEsI medicinae et chirurgiae doctor, compluriumque academiarum socius..(Decas vir, vi, 1x, x.) Senis , Honorati Porri, 8.° RAGGUAGLIO di quanto è avve- nuto in Pisa pel Monumento in marmo eretto nel Camposanto di questa città, alla memoria del defunto professore Anprea Vacca’ BerLINcHIERI caval. dell’ordine del merito ec. Pisa, 1850. Tip. istri, 4.° di p. 40 con tavola in rame. RAPPORTO del segretario della Società pel mutuo insegnamento di Livorno , all’ adunanza generale nella seduta del 28 febbraio 1830, in cui ne venne deliberata la stampa e distribu- zione ai Soci; letta dal segretario Avv. G. Sansoni. Livorno , 1830. St. Masi, 8.° p. 12. DIZIONARIO DELLE SCIENZE Naturali, nel quale si tratta metodi. camente dei differenti esseri della na- tura, considerati o in loro stessi , se- condo lo stato attuale delle nostre co- gnizioni , o relativamente all’ utilità che ne può risultare per la medicina, l’ agricoltura , il commercio, e le arti. — Accompagnata da una biografia dei ‘più celebri naturalisti Opera utile ai medici , agli agricoltori , ai mercanti , agli artisti, ai manifattori, e a tutti coloro, che desiderano conoscere le produzioni della natura , i loro carat- teri generici e specifici, il loro luogo natale, le loro proprietà ed usi. Redatta da vari professori del Giardino del Re, e delle principali scuole di Parigi. Pri- ma traduzione dal francese, con ag- giunte e correzioni. Firenze, 1830 , Batelli e F. 8.° Volume I." distrib. pri- ma di fogli 8 a cent. $o L. a 4o it. tavole 8 colorite cent. 50 ,, 4 -— L. 6 4o it. VIAGGIO al Monte Sinai, di St- Mmone SicoLr, testo di lingua citato dal Vocabolario, ed or per la prima volta pubblicato, con due lezioni sopra il medesimo, una di Lurer FiaccHI; e l’ altra di Francesco Pocci accade- mici residenti della Crusca, e con note ed illustrazioni di quest’ ultimo. Firenze 1829 dalla Tip. all’Insegna di Dante 8.° di p. LXII e 280; prezzo L. 10. SULLA falsità della lettera di Gio- vanni Boccaccio al priore della Chiesa de’SS. Apostoli ; esame critico di SE- BAasTIANO Crampi, con la lettera del medesimo Gio. Boccaccio a Zanobi da Strada. Firenze , 1830, Tip. Celli e Ronchi. 8.° GUIDA per le Scuole di Reciproco Insegnamento. Firenze, 1830, Gregorio Chiari, 12.° di p.65 con tavole. Si trova vendibile alla Scuola di Reci- proro Insegnamento, Via dell’ An- nunziatina, ed al Maggazzino della Società. FASTI E VICENDE dei popoli italiani dal 1801 ai 1815, 0 memorie di un uffiziale per servire alla Storia Militare Italiana, Italia , 1830, to- mo III.° prezzo L. 4 it. ATLANTE geografico, fisico e sto- rico della Toscana, del dottore ArTILIO Zuccacni OrLAnDINI. Firenze, 1830, Stamperia Granducale, tavola IX. (Il Valdarno fiorentino superiore, e Val di Greve). DESCRIZIONE delle medaglie an- tiche greche del Museo Hedervariano, dalle Liburnie fino a tutte le isole del- l’ Arcipelago , Parte Europea; per Do- menico SesrIini. Firenze, 1830, G. Piatti , Volume II.° in 4.° di p. xn e 175 con tavole 3 in rame paoli 9g. VERSIONE poetica di due Elegie d’ALsio Tisurto, dono di Gro. CAsEL- LI al cav. GiovannI GimorI nel giorno delle sue Nozze. Firenze, 1830, Ciar- detti, in 8.° PEL MONUMENTO DI DANTE Ode di Giuserre VenpecHE. Firenze, Magheri, in 12.° I PROMESSI SPOSI Storia Mila- nese del secolo XVII, scoperta e rifatta da Arrssannro Manzoni. Firenze, 1830 Passigli , Borghi e C. Volumet- to IV.° T. XXXVII. Marzo. RN REGNO LOMBARDO VENETO. IRENE DELFINO, storia vene. ziana del secolo VI.” Venezia, 1830, G. Gnoato q Silvestro. 16.° due volu- mi. Prezzo l. 4. it. NENUS SCIENTIFICUS praeci- puarum, propositionum spectantum ad introductionem jurisprudentiae eccle- siasticae auctore FepERICo Maria Zi- NELLIO , in patriarchal Seminario Ve- netiarum jurisprudentiae et historiae ecclesiasticae professore . Venetiis, 1830, Tip. Aloysiopolitana.8.° di pa- gine 116. PETRI PAULI VERGERII senio- ris justinopolitani de Republica Veneta, fragmenta nunc primum a lucem edit. Venetiis , 1830 , Typ. Picottiana 8.° di p. 25. BIOGRAFIA UNIVERSALE an- tica e moderna, ec. Venezia , 1830, G. B. Missiaglia 8.° Volume LIX. (TR-VA). IDEA della eloquenza sacra, del chiarissimo sig. Don GiusePrPE BARBIE- RI, orat, nella chiesa di Santa Maria della Scala in S. Fedele, dell’abb. An- ceLo Paorini, Milano, 1830, Y. Rusconi: 8:° VOLGARIZZAMENTO delle Vite de’ SS. Padri, da fra Domenico Ga- varca. Testo di lingua. Milano, 1830, G. Silvestri. Tomo II.® = 242.° della Biblioteca scelta. FAVOLE sopra i doveri sociali, ad uso delle scuole d’ Italia , di GaEetANO TeREGO con giunta di un saggio sopra i doveri di sè stesso. Quinta edizione. Milano, 1830, G. Silvestri. Vol. 247. della Biblioteca scelta. L. 3. it. MANUALE dell’inverniciatore, 09 sia l’ arte d’ inverniciare, indorare, stemprare i colori. Tratto dalle opere di Tinery e Warin, secondo le odier- ne cognizioni chimiche , da Anr. Ba- ver. Milano , 1826 , G. Silvestri. con tavole. L. 2. 61. it. LA VILLA DI S. GIULIANO. Storia veneziana del secolo VII.°, data in luce dall’ Autore di Irene Delfino. 23 178 Venezia , 1830, G. Gnoato q. Silve- stro. Volumi 2 in 16.° prezzo l. 4. it. L’ ISOLA di San Michele di Mu- rano. Versi di Fapio MutINELLI.,, Ve- nezia , 1830 , G. Molinari e C. in 8.° Edizione di sole 50 copie e non vendib. BIBLIOTECA economico portatile di educazione. Milano, 1830, presso Editore Lorenzo Sonzogno. Volumet- ti LIII e LIII bis. 13 e 14.° ultimi della i Compendiata di MaL- reBRUN.—Volumetti LXXII e LKXIII. 2. e 3.° della Frusta letteraria di G. BARETTI. VIAGGI a Pekino, e a Manilla ed all’ isole di Francia, fatti negli anni 1794-1801 da M. De Guicnes. Versio- ne dal francese di F. GC. Milano, 1830, L. Sonzogno. Tomo JII.° N.° 33 del III.° biennio della Raccolta di Viaggi. LA DIVINA COMMEDIA di Daw- te ALicHIERI , col comento di G. Bra- cioLi. Milano, 1829 , G. Silvestri. Se- conda edizione della Biblioteca scelta di opere italiane antiche e moderne. Volumi III. in 12.° prezzo 1. 15. 50 it. I FRAMMENTI de’ sei libri della Repubblica, di Marco Tuio Cice- RONE , volgarizzati dal principe Don Pierro OpescALcHI. Seconda edizione. Milano , 1830; G. Silvestri. Volume unico. Prezzo it. l. 1. 74. VOLGARIZZAMENTO delle vite de’ SS. Padri, di Fra Domenico Ca- VALCA, testo di lingua. Milano, 1830, G. Silvestri. Tomo I.°; e 241.° della Biblioteca scelta. Prezzo L. 2. 61. it. OPERE dommatiche , storiche e morali di Monsrenor MartINI. Arci- vescovo di Firenze, prima edizione milanese. Milano , 1830 , G. Silvestri. Vol. X.° ed ultimo, che contiene: Istruzioni morali sopra i sagramenti della Chiesa. Prezzo l. 1. 99. it. FILOSOFIA ZOOLOGICA , ossia prospetto generale delle strutture, fun- zioni , e classificazioni degli animali , del dottore Grovanni FLEMING , mem- bro della Società reale di Edimburgo , «lella Soc. Werneriana di Storia natu- rale. Tradyzione dall’ inglese. Pavia, 1829 , Stamperia Fusi e C. in 8.° Vol. I. di pag. XXVIII e 630. II. parte prima di p. 580. II. parte seconda di p. 360. NOVELLE di Dioparta SaLuzzo Roero. Milano, 1830, Vincenzo Fer- rario. Un volume in 12,° ]. 3. it. STATI SARDI. RAMOSKY , esperimento di No- velle, di Lor. A. Damaso Parero. Torino, 1826 ;, St. Reale. 13.° di pa- gine 36. DEI PIACERI della speranza, poe- metto inglese, di Tommaso CAMPBELL, portato in verso italiano da L. A. D. Parero. Genova , 1829 , Fratelli Pa- gano. 12,° di p. 512. ADONE nella morte di GrovannI KraTs, autore dell’ Endimione Ipe- rion, ec. Elegia di Gercy BisHe SHEL- LEY tradotta da L. A. Dam. PareErO. Genova , 1830, Tip. Gellai. 8.° di pag. 76. MEMORIE della Reale Accademia delle scienze di Torino. Torino, 1829; Stamperia Reale. Tomo XXXIII. in 4.° di p. XXVIII-LXX e p. 392 per le memorie della classe delle scienze fisi- che matematiche, e a75 per quelle del. la classe delle scienze morali, storiche e filologiche. Con tavole 27. TPAZIA ovvero della filosofia , poe- ma di Dropara SaLuzzo Roero. T'ori- no , 1830, Tip. Regia : volumi 2 in 16.° nuova edizione. STATI PONTIFICI. DEI POZZI modenesi detti artesia- ni. Lettera di un ferrarese, al suo ami- cissimo cav. Lurci Zinorti. Ferrara 1829. G. Bresciani, 8. p. 26. IN MORTE della contessa Beatrice Avventi Massaro al conte Giovanni Massari, del Conte CesanE Borcia. 4.° Bologna 1830, Nobili. ELEMENTI, ossiano istituzioni ci- vili di Giustiniano Imperatore , illu- strati e commentati da Pierro VERMI errori, membro del collegio legale e professore di detta istituzione , ed in- terino di diritto canonico nella ponti- ficia università di Perugia. Perugia, 1829. Bartelli e Costantini. 8.° vol. III. ed ultimo. RACCOLTA di «disegni rappresen- tanti le principali macchine in ogni ra- mo d’ industria della provincia di Bo- logna, del dott. A. ZAMBONINI corredata delle necessarie descrizioni. Bologna , 1830 ,, Tip. dell’Olma. in f.° fascicolo VII. prezzo l. 1. 28. it. INDICAZIONE antiquaria per il Gabinetto Archeologico di proprietà dell’ illustrissimo magistrato di Peru- gia, e situato nel pubblico studio della medesima città. Perugia, 1830, Fr. Baduel. 12.° di p. 70. REGNO DELLE DUE SICILIE. DIREZIONE GENERALE di pon- ti e strade , e delle acque e foreste , e della caccia. Gircolari concernenti il servizio degl’ ingegneri di acque e strade. Napoli, 1829, St. Reale , 8.° di p. 370. DUCATO DI PARMA. RICERCHE intorno il servigio dello stato maggiore generale e il governa- mento degli eserciti, con un prospetto su le discipline di quelli, del signor ba- rone colonnello Gruserpe WERKLEIN segretario di stato in Parma. Versione dal tedesco su la 2.* edizione con ag- giunte. Parma, 1830, dalla stamperia Carmignani. Tra le opere più degne di propaga- zione, quelle sono massime da porre , le quali più intendono all’ utilità degli uomini. E il lavoro di cui annunziam ora la stampa, tuttochè pertenente nel più a cose di guerra, è tale da richia- mar sopra modo la curiosità de’lettori. In un’età, come la nostra, la quale, in mezzo a tante commozioni di popoli e abbattimenti di fortune, vide la scienza dell’ armi acquistar maniere sì grandi e varie , era da pensare che al- cun accorto intelletto , ricogliendo av- vantaggio dall’ esserne testimonio e par- te , fosse per apparecchiare alla gente il frutto delle sue osservazioni. E que- sta scrittura , il cui complesso mancò finora alle istesse più culte e bellicose nazioni d’ Europa , presenta in effetto ciò che 1’ ingegno , la filosofia e l’espe- rienza potean trarre di meglio da così fatta maniera. 179 Ogni volenteroso ufiziale troverà qui nelle più agevoli forme una guida sin- cera per ammaestrarsi nella via che può avere davanti , dalle cure più mi- nute alle più gravi. A chi poi è stra- niero all'Arte della Guerra non potrà non riuscire interessante, nella seconda parte, soprattutto l'argomento della IX Sezione : ove si ragiona dell’ Ammini- strazione publica in generale , e del Commercio in particolare. I quali sub- bietti, comechè possano a prima vista aver sembianza di genere affatto dispa- rato dal primo, serban tuttavolta con esse tal relazione, da rendere essenzial- mente ( secondo che si prova sovente nel corso dell’opera ) 0 vane o felici le imprese. E avveduti e- forse in parte nuovi , sebben molto semplici, sono in ciò stessoi pensamenti dell’illustre Au- tore, ne’quali congiunta a belle vedute economiche, risplende la più sana filo- sofia, massimamente rivolta a un’esatta giustizia distributiva. E perchè tutto ve- sta l’abito e la civiltà de’ tempi, vedrà qui ognuno il lume delle dottrine ac- coppiarsi per tutto alla nobiltà de’sen- timenti e alla dolcezza de’mezzi. Quest'opera, in carta, caratteri e forma, simili al Manifesto, e il cui prezzo è stabilito a diciotto centesimi di franco il foglio , sarà corredata del- l’ Effigie dell’Autore, non che di più tavole accuratamente delineate, una delle quali amplissima. Ciascuna di queste sarà posta a quaranta centesimi. . Il Ritratto, diligentemente intagliato in rame alla scuola del Signor Cavaliere Toschi, sarà dato a soprappiù. Le soscrizioni si riceveranno in Par- ma da Filippo Carmignani e Francesco Pastori, e altrove da’Librai principali. DUCATO DI MODENA MEMORIE DI MATEMATICA e di Fisica della Società Italiana delle scienze residente in Modena. Modena, 1829, presso la Zip. Camerale. To- mo XX. (Parte contenente le memorie di fisica). OSSERVAZIONI sulla poesia dei Trovatori e sulle principali maniere e forme di essa confrontate colle antiche italiane ; opera di GrovannI GALvanI. Modena , 1829 , presso gli Eredi So- liani in 8.° 180 DUCATO DI LUCCA SOPRA un fungo midollare del periostio ; lettera diretta all’ Eccell. sig. Dott. Pierro Berti , prof. d’ ana- tomia e d’istituzioni chirurgiche , nel- l’Arcispedale di S. M. Nuova di Firen- ze , ec. del Dott. Luici Pacini, prof. d’Anatomia umana e comparata nel R. Liceo di Lucca. 8.° con 2 tavole. Luc- ca , 1829. Tip. Bertini , p. 14: INTORNO ALLA VACCINA. Riflessioni del Dott. G. GiANNELLI. Lucca, 1830. Tip. Bertini; 8.° di p.- 40. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL’ ESTERO. TRAGEDIE e poesie varie dl At. Manzoni , colle prose analoghe, ed un apposita prefazione del Baron CammiL- Lo Uconi. 15.“ edizione. Lugano, 1830, G. Ruggia e C. Vol. unico. I. a; it. DELLA RIFORMA della costitu- zione ticinese , libri due e un appen- i Zurigo , 1829 , Orell Fussly e 21010 I SETTE SACRAMENTI, odi di Francesco M. TRAVELLA. Lugano 5 1830 , G. Ruggia e C. L’ EUROPA nel medio evo, fatta italiana sull’inglese di ArrIGO HALLAM per M. Leoni. Lugano, 1829; G. Rug- gia e C. 8.° Vol. I." di p. 340. Prezzo 1. 4. 10. it, DEL MERITO e DELLE RICOM- PENSE , trattato storico filosohco di MeLcHIorRrRE Gioya , autore del nuovo prospetto delle scienze economiche . Lugano, 1830, G. Ruggia e C. in 4.° Tomo 1I.° dispensa prima di fogli 15. prezzo l. 2. 70. it. I8r INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME TRIGESIMOSETTIMO. Scienze MoraLi , PoLiticHE ED EconoMiCcHE. Da coraggio civile , e dell’ educazione propria ad ispirare le pubbliche virtù ; opera di Giacinto Corne. (FF. Forti) A. Pag. 13 Storia della Luigiana , del sig. Barbé Marbois. (A. LL, 81 Costantinopoli e la Turchia nel 1828, opera di Mac-Farlane. (GiP.)\}, Biblioteca popolare ; ed. Pomba. (Li XoY.)}y Memorie di madama Roland. (F. Forti) B. Trattato del diritto penale , del sig. M. P. Rossi. 3 C. Viaggio per la Tauride ; opera del sig. Murawieff-Apostoli i (CPI + Giornale di scienze e lettere delle provincie venete. (M.) ,, Corpus juris civilis , Augustae Taurinorum. (F. Forti) ,, Dizionario del notariato , di Giovanni Calza. bi, DI GrocRAFIA , SratIsTICA E ViaGGI ScIENTIFICI. Statistica agraria della Val di Chiana , del signor Giuseppe Giuli. — Atlante della Toscana del dott. Attilio Zuccagni- Orlandini. (E. Repetti) A. Carta dell’Affrica settentrionale, di Gir. Segato. (I. G. H.) ,, Lettera sul corso del Niger. (G. P.) B. Società francese di Statistica universale. (I.G.H),, Lettera al Direttor dell’Antologia. (S. F. Jarvis) ,, Prospetto del commercio di Tripoli d’Affrica, e delle sue re- lazioni con quello dell’Italia. Art. III. (I. Graberg de Hemsò) G. La Svizzera occidentale ; lettera di Tullio Dandolo. (K. X. Y.) ,, Viaggio dei fratelli Lander in Affrica. ; > 33 23 33 23 dI 33 33 DI 97 166 57 25 59 109 119 120 e d 122 147 159 155 75 III 140 LETTERATURA , FILOLOGIA, CRITICA LETTERARIA EC. Metodo compendioso per insegnare a leggere con 107 fi- gure. (Raff. Lambruschini) A. Pag. 13 / De’ magistrati e sacerdozi del popolo romano ; del profess. Huschekke. (P. Capei) ,, ,» Giovanni di Procida. Tragedia di G. B. Niccolini. (04) -.; È L’ arte di comporre libri. Racconto di un americano , di B Gamba, letto nell’Ateneo di Treviso. — La scienza del cuo- re , di Lorenzo Martini. (A gno. Lettere del Can. Rambaldo degli Azzoni Avogaro. — Lettere varie pubbl. da Fr. Sansovino. — Epistola di G. G. Tris- sino a M. Pier Sanseverino. i Aconzio e Cidippe. Favola del Co. Antonio Salfi di Forlì. (L.) SI Dell’amore della campagna. Lettere di Mario Pieri.(K.X.Y.) ,, Falco della Rupe, o la Guerra di Musso. Racconto storico di G. B. Bazzoni. Be Rivista di alcuni giornali inglesi. (A. V) 3 4% La vita di Cola di Rienzo , ridotta a miglior lezione da Fi- lippo Re. (AE: Maria Stuarda , tragedia di Schiller. Versione del Maffei , e della De Battisti. (ASTI L’Arricchito ambizioso , commedia di Giusto Clelpi. (M.),, Vita di Dante scritta dal Filelfo. 59 esa Trattato di Riccardo da S. Vittore, de’4 gradi della carità. ,, ,) Biblioteca portatile del viaggiatore; ed. Passigli, Borghi e C. ,,) 3) Elogio di V. Monti , di (P. Giordani) ,, ,, Sermoni di Melchior Missirini. (Lolita Baiamonte Tiepolo , tragedia di Felice Vicino. = Pandolfo Collenuccio , tragedia di Felice Grifoni. (Xx. E) è Fedra , tragedia di T. Zauli Saiani. Sc SAR Delle lodi dell’Ab. Farsetti. Orazion di G. B. Paravia. ,, Paghi: Ragionamento di A. Possevino , tenuto alla Signoria della Repubblica di Lucca. PE nol Vita del conte Gio. Bettoni. — In morte di Adelaide Trevisan. dA DAN! Lettere sulla morale pubblica di G. Compagnoni. DI stalia La Sifilide , poema di F. Fracastoro. de si Lezioni di letteratura francese , del sig. Villemain. . (M.) c. s I prigionieri di Pizzighettone. Romanzo storico del sec. XVI. (Eri Lettere di Giovanni Pagni. (Mai Lettere di Lorenzo il Magnifico e d’altri toscani illustri... ,, » » L’Archeografo Triestino. (EX) di II7 129 183 Lettere del prof. Cesarotti sulla mitologia ed il ro- manticismo. (K. X.Y.) G. Pag. 124 Gli Annali di Cornelio Tacito volgarizzati dal co. Ce- sare Balbo. PE, 33° 3, 125 Novelle storiche , di Francesco Pezzi. S FARAI Opere del P. Daniello Bartoli. 9 35 3» 127 Intorno alla Repubblica veneta ; frammenti di G. P. Vergerio. » 33. 33, 127 Decker , Trattato di artiglieria. — Quaglia , Manuale dell’ar- tigliere. {CP}: 10 L’Eco Maceratese. Giornale medico-chirurgico. (M. Rigacci) ,, ,, 129 Università di Cristiania. 39 30 144 Notizie ed opuscoli della Danimarca inviati al cav. Ciampi. ,, >> 146 Dizionario della lingua greca di Enrico Stefano , nuova ed. parigina. (Murawieff-Apostol) ;; >> 147 Polemica cui ha dato luogo il monumento sepolcrale di An- drea Vaccà. LOL BeLLE ARTI. Monumenti di pittura e scultura trascelti in Mantova. (M. Missirini) A. ,, 158 Del monumento sepolcrale di Torquato Tasso, opera del cav. G. Fabris. (L) 5, (33 161 Oggetti di belle arti in città di Castello ; lettera del Cav. Andreocci. 30103, 1603 Viaggio pittorico della Toscana, di R. Leblanc. (K. X. r) RIO, 66 Raccolta di disegni rappresentanti le principali macchine della provincia di Bologna. 9» 33 3 167 La Piazza del Granduca di Firenze , co’suoi monumenti ; ed. Pagni, Bardi e C. (X.) 33 33 168 Istoria della vita e delle opere di Raffaello Sanzio da Urbino, del sig. Quatremère de Quincy , voltata in Italiano da Fr. Longhena. (A)UBY I Intorno al monumento di A. Vaccà Berlinghieri. (P. delle C.) ,, ,, 108 Iconografia contemporanea , del sig. Ermini. (K- XV), 19 AroHzEoLOGIA , NUMISMATICA EC. Istituto di corrispondenza archeologica. = Catalogo di scelte antichità etrusche trovate negli scavi del principe di Ca- nino. (Cav. G. B. Zannoni) A. ,, 55 Museo etrusco chiusino. GATE.) 2° 9107 Spedizione scientifica in Egitto. Lettera di (Ip. Rosellini) B. ;; 70 184 SCIENZE NATURALI. Istoria de’ progressi delle scienze naturali dal 1789 fino al presente , del Baron Cuvier. Art. I. (Co. D. Paoli) A. Pag. 39 Atti dell’Accademia Gioenia di scienze naturali. Tomo II. (E. Repetti) B. Lettera al Direttor dell’Antologia di (L...P_}G. Osservazioni sulla lettera precedente. (G. G.) ,» Bullettino scientifico. Meteorologia. A 23 23 B 23 23 Cc. A Fisica e chimica. A. 293 23 ) B DE, 22‘) (0, A Storia naturale. B SocIETA” SCIENTIFICHE E LETTERARIE. I. e R. Accademia de’Georgofili. Ad. del 6 dicembre 1829. B. 2a del 3 gennaio e 24 febbraio 1830. (C. pà del 7 Marzo. "0. I. e R. Accademia della Crusca. Concorso quinquennale del 1830. ; > Società medico-fisica fiorentina. Fo Accademia degli Euteleti di S. Miniato; e Accad. de’Vari in Colle. B. R. Accademia delle Scienze di Torino. C. » c R. Societa agraria di Torino. PA VARIETA” Bullettino scientifico-letterario del Marzo 1830. FA NECROLOGIA. Ab. Michele Vannucci, (Kde Cosimo Giotti. (F. Forti) B. Bassiano Carminati. HE Stefano Andrea Renier. 55 Carlo Tedaldi Fores. vE BuLLETTINO BiBLIOGRAFICO. Gennaio 1830. A. Febbraio i B. Marzo Cc Fine del Tomo XXXVII. 23, 23 2) 23 39 DI II 23) 33 39 23 I3 2) 2) 33 II 39 23 29 33 DI dI 3I 23 23 35 3) 2) 99 II 142 169 131 131 171 139 139 145 155 156 157 149 150 157 158 158 160 131 179 159 161 162 162 180 163 174 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. GENNAIO :1830. Ora Stato del cielo 0139 Uro 1g 5 | 013901019] 017 -QUOIAN]q ord -0d9s0W19UY 1 | 7 mat. |28. 2,1 |-0 rali 60 i Tram. { Sereno Vento 1] mezzog. |28. 3,2 |-+-0,2'+-1,8| 65 Tr. Gr.' Ser. con qual. nuv.Vento risera |28. 3,1 0,2 +0,2] 75 Tram. Sereno Vent. for, 7 mat. |28. #-0,5|-+#+0,7| 77 Tram. | Ser. con neb. Vent. fieris 2| mezzog. |28. t<0,8|4+-2,5| 70 Tram. | Sereno Vent. for, 11 sera |28. +0,6| 0,6) 62 Greco | Sereno Vent. imp, 7 mat. |28. #t-0,8|-+-0,6| 62. Greco | Nuvolo Vento for. 3| mezzog. [28. 0,6 1,1] 62 Tram. Nuvolo Vento furioso I 11 sera |28. 0,9: 2,0) 64 Gr. Tr. Nuvolo Vento furioso 7 mat. [28. t,i] 1,9) 74 Tram. ! Sereno con neb. Vento il 4| mezzog. 128. "-2,0|-4+-4,3| 67 Tram. {Sereno Vento 11 sera |28. #-1,8|-++-1,0| 76 Levan ‘Sereno Ventic. nà ———c- cer SCIA I rr I 7 mat. |28. 1,8. 1,7] 0,8! go Sciroc.| Sereno 5| mezzog. [28. +1,8'+-1,8| 81 Sciroc. | Sereno rrsera |28. 1, 1,7) 12) 94 Sciroc. Nuvolo .| Nuvolo *[Ser. ragnato . |Ser. lucido mezzog. |28. .| Sereno 1I sera : 1 8 +12 Scitifo, Nuvolo ‘Nevmouns è, | 0,0|—0,4| 81 | Gr. Le. Nuvolo Ventic || Vento il 4| mezzog. 7,4 | 0,0] 0,0 Tram. |Neve Vento Ir sera 27, 5,8. (===0,2/===0,5 Tram. ' Neve $ CERA PED RAI 7 mat. - 6,6 0,0|+-1,4 Gr. Le.|Nuvolo Calma mezzog. . 5,6 |-+0,2 | Gr. Le. Nuvolo Calma |} II sera ». 45 +1,2 i 94 [0,33 | Tr. Gr.' Pioggia Ventic.|f 7 mat. (27. 1, alta { [0,20 |Greco Pioggia Calma |î SEGZZOB: |27. Tr. Ma.|Nuvolo Ventic.|f Se. Le.| Nuvolo Calia ini CR e se > .| Nuvolo Calma MEzzosg. |27. " Prodi Nuvolo ser, Calma ri sera lay. 3,2 | Greco Bel sereno Calma SI Lerino. | è n, ZEesTo ©») = = al E _. _ luo! 3 Ora S z=|@a|gs|zs| 38 Stato del cielo : 3. | SEA 8, È sati - (e) | I TE@OLEOMI G sE METTI TREIA | È mat. |27. 99 2,7| 0,0) 92 Sciroc. | Bel sereno Calma 8! mezzog.|27. 10,8 2,81+-3,6| 8g Scir. |Nuvoli rotti Calma 11 sera 128. 0,3 3,2] 3,01 go Scir. |Velato Calma Sui I PIL IP RERLDE 7 mat. |28. 0,3 3,1] 2,0] gu 0,28|Scir !Sereno nel. Calma 9 mezzog. |28. 0,6 3,9] 6,0] 85 | o,12;Scir. |Nebbioso Calma Ir sera 128. 0,5 4,0| 5,0] 92 Scir. |Nuvolo Calma | 7 mat, [aBs 0,3 45] 4,5 92 o,ogjscir. Nebbia Calma to mezzog.128. 0,0 | 4,8! 7,01 92 ISrir. |Nuvolo neb. Calma trsera lar. 11,6 5,0] 6,8! 9% IScir. |Nuvolo Calma 7 mat. [27. 11,4 | 54| 68 ‘92 0,23 [Sciroc, Piovoso Calma ti mezzog. 27. 11,4 5,5] 7:1] 9a | 0,26]|Sc. Le. |Pioggia Calma | 11 sera |28. 0,0 | 5,fl 4,5) 92 | 0,2d| Tram. |Pioggia Vento fort | 7mat. |28. 0,7 5,0 5,0] 80 ‘Tram. |Piovigginoso Ven. fortis. (2| mezzog.|28. 1,0 5,01 5,5] 7° ‘Tram. {Nuvolo Vento fortis. 11 sera |28. 1,8 | 4,3] 3,5; go | 0,30 Lev. [Nuvolo piov. Vent. for R 70mat. [28. 2,0 | 4,0| 40] 8a 0,04 Gr. Le. Navolo Vento for. (3 mezzog. |28. 2,4 41l 5,0) 71 (Tr. Gr. Nuvolo Vento for. 11 sera |28. 2,7 3,8| 3,8| 68 Fram. |Sereno Vento 7 mat. |25. 2,6 3.51 2,4| 65 Tram. |Bel sereno Calma 14| mezzog.|28. 2,7 3,5) 4,0] 54 Gr, Le.! Bellis. sereno Vento ri sera 28. 2,6 3,5] 2,0) 50 \arond | Bel sereno Vent. for. 7 mat. 28. 2,4 | 3,31 0,5 53 Sciroc.|Bel ser. Vento 15) mezzog.|28. 2,5 | 3,3 da no Sc. Le.|Bel ser. Calma rr sera |28. 2,1j 3,9] 1,7] 80 Sciroc.|Bel ser. Calina 119 mat. |28. 2;0.1 3,5 —0,3! 89 Sciroc. {Sereno Calma 16} mezzog.|28. 1,9 | 3,9 +3,9| 79 Scir. |Sereno nuvoloso Calma 11 sera |28. 1,6 40 3,0] 72 IGr. Tr. Sereno Calma e 7 mat. |28. 1,7 4,0 0,8| 92 Scir: |Sereno Calma 17 mezzog.|28. 1,7 4,0] 5,0 85 Scir. |Sereno Calma | ir sera |28. 0,0! 4.9] 5,2) 88 Scir, |Nuvolo Calma 7 mat. [27. 10,5 | 5,01 4,5] 88 | 0,08[Scir. [Pioggia Ventic 18| mezzog.|27. 9:5 3,3| 6,1] 88 | 0,06|Sc. Le.|Piovoso Calma is sera 127. 8,7 5,5| 5,2! 96 | 0,04/Ostro |Nuvolo Calma 7 mat. |27. 8,7 badi dt} ge 0,93 Sc. Le. |Nuvolo Calma ig] mezzog.(27. 8,9 5,7] 9,0! 87 Pon. Nuvoloso Ventic lag, 0,5 6.0! 6,5 al Os. Li.'Sereno nuv. Ventioc. l\ sera tre + erinomn. Ea Roia da D De D E “SR e 3| Ora 5 S|elg]|ss]| 2.3 Stato del cielo 3, LCA cc 0 i BI e OI Da o E RS 7 mat. |27. 96 6,0 da | 92 Ostro |Nuv, ser. Calma | jj:o|mezzog. |27. 10,8 | 6,5 | 9,6| 73 Libec» |Sereno con nuy. Vento 3) sera |27. 10,4 7,0 | 7,9 | 91 Ostro |Nuvolo Calma 7 mat. |27. 10,2 | 7,2 | 6,5 | 95 —— ISer. !Nuvolo Calma 2I|mezzog. |27- È 6: 7,3 | 89| 94 | 0;08[Sc. Le.[Piovoso Ventic|f 11 sera |27., 8,9 | 6,9 | 5,6| 92 | o,tg|Greco |Pioggia Ventic, 7 mat. |27. 9,0 | 6,8 | 5,0 | 95 Tr. M.|Nuvolo Ventic.|f" 2|inezzog. al 10,4 | 7,0 8,5 92 Tram. | Nuvolo Calma |l | _tt sera [28. no | 6,9 | 5,8] 94 Os. Sc.|Ser. nuv. Ventic - 7 7 mat. |28. 1,7 | 6,3 | 4,3 95 —— |Scir. |Ser.neb. Ventic 23|mezzog. |28. 1,2 | 7,0 | 9,0| Si Scir. |Sereno Calma [ist s#E EE 11 sera 25, t,1 | 7,7 | 6,8] 95 'Libec. |Sereno Ventic, 7 mat. |28. 19 | 7,6 | 4,5| 95 | 7 mat. (28. 19 | 7,6|45|95| |Scir. |Sereno Ventic. 4|mezzog. |28. 2,5 | 7:38 | 9,2| 87 Os. Li. Sereno Calma 11 sera |28. 3,0 | 5,3 | 7,6 | 92 Libec. |Ser. nuv. Ventic. n mat. (28. 1,5 | 5,1 | 5,0 | 95 © |Scir. |Sereno neb. Ventic.|l 5|mezzog. 28. 16 | 8,3] 84| 94 Pon. {Sereno Calma 1» sera 128. 1,5 | 84 | 7001 94 Pon. Sereno Calma 17 mat. |28. 3,6 | 8,2 cn 92 Scir. |Sereno Ventic 26/mezzog. [28. 4,1 | 3,4 | 9,9! 75 Os. Li. |Sereno Calma ri sera |28. d,r | 9,2 | 8,0| 95 Libec. |Ser. con neb. Calma 7 mat. [28. 4,1 | 9,1 | 6,8] 95 Ostro |Nebbia Calma 27|mezzog. |28. 4,3 | 9,1 | 8,1| 93 Ostro |Nuvolo neb. Ventic.|{ rt sera |28. 4,0 | 8,8 | 7,9] 94 Pon. {Nebbia Calma 7 mat. |[28. 3,4 [ 8,6 | 73/94 Po. Ma.|Nuv. neb. Calma 28|mezzog. |28. 1,6 | 8,7 | 8,0] 94 Pon. |Nuvoio Calma 11 sera [28. 1,0 | 8,6 | 7,81 94 Pon. {Nuvolo Calma Ni Dari | gprisiatii sula), | | ; : nic eni rà NE ae DI osmosi Li slide. Read, £, at saltati riti i mots Ri ta BN iafalon. ono.) “abi ] ante, ‘208 DI: GL jp Goridoe.d soll. i ale Dr; MAIALI sa se pn 17310908 (pesi ; a x Saas a mi dh J 0 di fi 089. (deo pda ae 9% i ii eee osi % hai ia) "Ra BE ì È. ÙÒ 4 pa 1 %., È i gi MS: MR El È. Poni sen È gradini "A Retna OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO lè DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. —; = = MARZO 1830. | Sì Termom. “i ve 2 Sher Lou tod loi |E i2| Ora È 3; ® 3 | i. c.8 Stato del cielo 3. SR API Ia Pale a = pr o ERI DR ì | I 7 mat. |23. 0,9 | 8,5 70 95 ‘Pon. Nebbia Calma 1|mezzog. |28. 0,9 8.8! 9,9 88 ‘Pon. Nuvoòli rotti Calma rrsera |28. 0,4 | 9,0 8,9 52 Gr. Le. Sereno limpido Ventic. n | nn € i ca _ o __ {imme _r ——_—_———_—ÉÈ_—_—__Émqm1@ctc]}]qu. ee: .. 7 mat. |28. 1,0 5,5] 8,8) 65 (&reco :Sereno Ventic. 2|] mezzog. |28. 2,3 | 9,0] 10,2| 32 Tr. Gr. Sereno Vento Ir sera |28. 2,8 8,7] 6,2| 45 Tram. Sgrena Vento 7 mat. |28. 2,7 | 8,0 4,6) 45° iPon. Sereno Calma 3| mezzog. |28. 3,t 8,01 7,9) 38 Tr. M.|Sereno Vento Ti sera |28. 3,0 | ,5: 3,71.45 Tram. iSer. limpido Vento 7 mat. RE 3,0 | 6,9 2,0) 60 Maestr. Sereno con neb. Calma ( 4| mezzog. 128. 3,1 6,8| 7,0) 32 Tr. Ma, Sereno Vento (8 11 sera |28. 2,5 6,5) 4.0! 50 Tra hl Ser. ragnato Vento 7 mat. 28. 2,6 | 6,0] iti 62° ‘Tram. Sereno Calina | 5| mezzog. |28. 2,4 | 6,3! 7,0) St Sc. Le. Sereno Calma ri sera |25. 1,5 | 7,0] 4,2] 58 Scir. |Sereno Ventie. i 7 mat. 28. 1 6 4 0,5 78 Scir. |Sereno Calina | 6! mezzog. (28. 04 | 64° 7,0) 54 Sc. Le.| Sereno Calma _| ar sera 28. 0,1 7,0 5,0] 76 Libec. |Ser. neb. Ventic. 7 mat. |28. 0,2 6,8 4.0 86 Sciroc. | Nuv. neb, Calma | 7| mezzog. |28. 0,5 7,0 8,8| 61 | Greco |Nuvolo * Ventic. TI sera 28. 0,8 6,9 ' 4,9] 80 | Greco |Sereno neb. Ventic. I |7 mat. 8, mezzog. II sera 28 23. 9 mezzog. tI sera pr] | 7 mat. |28. ro mezzog. 28. ir sera |28. 7 mat. 128. mezzog. 28. 1isera |28. | 7 nat. (28. 12! mezzog.|28. rr sera |28. 7 mat. 28. 13 mezzog. |28. 11 sera |28. 28. 28. 28. | 7 mat. |28. (5 mezzog. 28. 11 sera |28. | 7 mat. [28. 16. mezzog.|28. 11 sera |28. | 7 mat. '4 mezzog. | }I sera 5 7 mat. |28, 0,9 99 inezzog. |28. tr sera |28. 28. 23. 28. - mat. |28. 17 7 mat. 18) mezzog. li sera _ 78. | }1 sera 28. 28. 118, 017}9W01eg t,2 | 1,5 1,6 t,7 9,2 1,2..| 0,9 1,0 93 9,9 9, i | 99 1,9! 10,0, 2,6 3,2 3,5 10,0 10,0 10,0 3,6 | 10,0 19, mezzog. 28. 4,3 | 10,31 11,2 4.0 TOS. Lerinoua. 047 -2U01AN]q 0179241018] -09S0W12U Y Scir. Seir. Scir. Tr. M. [Po. Li. ISciroc, Libec. 8,11 94 : 0,09 Ostro Ostro Os. Li. iSciroc. SOR Sciroc. | etc | Libec» {Gr, Tr. Pon. Sciroc. 85 Scir. 10,0| 71 Maes. 7,9) 90 !Ostro iP] 1,5! 95 Os. Sc. 10,8) 83 Mastr. 6,9| 88 |Po. Li. 6,9! 94 Scir. 12,0| 64 Greco 8,8 82] ‘Ger. 5,2] 95 Pon. 10,8| 78 Libec, 19° gi O:tro 8,7, 91 Scir, 78 |Libec. a? | Pon 4,0 __ 9.0 Stato del cielo Ser. neb. Ser. ragnato :Ser. con. veb. Ventie. Calma Vento Vento Vento Ventic. Ventic. Calma Calma Se. con neb. Ventic. Nuvolo neb, Calma Nuvolo neb. Ventic. Calma Ventic. Ventic. Ventic. Calma Ventic. Calma Calma Calma Ventic. Calma Calma :Sereno Sereno Sereno neb. Sereno Sereno ragnato Nuvolo neb. Nuvolo Nauvolo neb. Sereno Nuvolo neb. Nuvolo neb. Ser. con nuv. ta ragn. Sereno ragn. Sereno Sereno ragui. Sereno Sereno Calma Calma Calma Nuvolo Navolo Nav. ser. n —_ e Sereno con tieb. Calmà Nuvoloso Ventic. Sereno Ventic. Nebbia Calma Ser. nebbioso Calma Sereno Calma | Calma Calma Ventic. I EE. Nuvolo neb. Sereno Sereno Po P 1e1nvw. da’ mM; [ea te) E; = tri ò - VI o) 3 3} Ora 3 | 9 Ba ee Stato del ciefo 3, n Pal ER a) CA Pi ii EDI Rai SIE 0 TER RR A CO, O RE RR A E RO RN NEI LO I | 7 mat. |28. 3,9 cai 52 95 |Pon. Nebbia folta Calma .0 mezzog. [28. 3.7 | 10, 5! 10,5) 86 |Po. Li.|Nuv. neb. Calma | 1) sera [28. 3,0 | 10 sl 10,0| 85 Ostro |Sereno Calma 7 mat. |28. 2,6 10,4! 9,5 gi =" los Li. Nebbia Calma s1lmezzog. [28 2,1! 19,9| 13,0} 72 Po. Ma.|Nuvoloso Ventic. 11 sera |28. 2,2 | 10,8j 9,8] 90 Pon. |Sereno Calma 7 | 7 mat. |28. 2,9 | 10,8! 6,0! 94 Scir. |Sereno Calma »2|mezzog. |28. 3,6 | 10,8 12,8| 48 Scir. |Sereno Calma 1t sera |28. 3,0 | 11,4] 10,9; 80 Po. Li.| Nuvolo Vento 7 mat. (28. 3,0 11,5 10,0] 89° — |Ostro |Nebbioso Calma :3|mezzog. |28. 2,7 | 11,6) 12,0! 67 Pon. |Nuvolo Ventic 11 sera |28. 2,3 | 11,2] 10,0 90 | Po. Li. | Nuvolo Calma | 7 mat. |28. 2,0 | 11,2] 9,8] 93 Po. Li. | Nuvolo Calina 24 mezzog. |28. 2,0 11,8) 14,0| 64 Pon. {Nuvolo Ventic. _|_1t sera |28. 2,5 11,9) __99 80 Greco [Serena Calma 7 mat. (28. 2,9 | 11,5) 6,7] 92 _ |Sc. Le. | Sereno Ventic. 5 mezzog. 28. 3,0 | 11 6. 13,9 68 Po. Ma'|Sereno Ventic. 1» sera 1283. 3,t | 12,0 i 95 90 Libec. | Sereno Calma | 7 mat. |28. 3,t | 119 90 95 Os. Li. ! Nuvolo neb. Calma 16 | mezzog. 28. 3; 1 | 12,0 11,0 75 Po. Li. | Nuvolo ser. Calma _| tt sera |28. 3/0 12,2 10,0° 95 Pon. |Nuvolo neb. Calma 7 mat. |28. 3,0 | 12,0 Mar E Pon. |Nuy. neb: folto Calma 27|mezzog. |28. 3,0 | 12,1: 12,2 BI Lib. Ser, con neb. Vevtic. re sera |28. 3,0 | 12,3 11,0 95 | Lib. Sereno Calma i 7 mat. |23. 3,0 | 12,0). 9,3| 96 Os. Li. |Nebbia folta Calma {28 mezzog. 128. 3,0 | 12.3] 19,0] 35 Ponent {Sereno Ventic. rr sera |28. 3,3 | 13,3] 11,2] 80 | Po. Li. {Bel sereno Calma 7 mat. |28. 3,0 | 12,1 9,2) 95 Ostro {Neb. foltis, Calma 29 Mezzog. |28. 3,0 | 129 12,8; r9 Pon. |Ser. con neb. Ventic. 1t sera |28. 3,0! 13,1] 11,0 68 Po. Li. |Sereno Ventie. 7 mat. [28. 2,6 | 12,8] 8.0l 94 O:. Sc. Ser. con neb. Ventic. 3o|mezzog. |28. 2,0 | 12,9] 14,2| Gi Pon. Sereno Ventic. 1t sera |28. 19 | 13,7] 11,0! 85 Libec. |Sereno Ventic. 7 mat. |28. 2,0 | 13,1 De 97 —— |Ostro |Nebbia folti. —Calma Ba perso: 28. 1,9 | 13,0] 11,9] 80 Pon. |Sereno Calma 11 sera 128. 1,8 } 12,9] 9,50 9I Ostro |Sereno _Calma oloro dob @aa — cme —-..-__ co NP, Pie) ieri NTERITO.) scala NT) ‘ ufriei O 7 ; BE di taz ortssto1s8 |) aria È "na. - | A a, BOSTAA arte! ‘91921 °° 1,001 74,3 se dai Toei umsr9? | ‘192. “tod Missa "a dI ) dina Orts194 |" ni92) | do” fa ‘801 iii VETRI! 40 4 ctovuii dI .91| i O 0A dit RI DE e” cea Pd Re a - Pi | QUI I SAONA POR) A CE] IAT TETTRTIM. vzorddslii- « CARO! omo OI, 0 . dns 4 Glovnt «nodi! Pi na Ò. ut (Ot! Pia ove otovnti pà I «BI; 7" | CONOR inte D oloegri; viel ,0541} i t-Eb 168,0 NOLO sita V olove ni «nodi .* jo. 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