PARA È a e * io n en E LE! U ZATI. GI PEZ DI LUI SEL 100 hi T' VIE TEN GRAMIA PO SG ET per tatto il Ras. 1 va Sata wi ori Lombardo Veneto è fronhi 36: e il Regno Sardo i Dr il Dueato di Li Parità or — fimmehi 36. i a _per Roma € sue dr cei 8 Vagte Wi: pes N Estero s— franchi 36. Le ISEE se e Dee OD “L usa collezione dei primi 1 10 ‘abni È 1821-1880 N: Ca a ito, in È | ‘Jumi broché (quasi esaurita) non si può ‘rilasciare. a meno, di ‘L.3 Gli anni separati dal 1821 al 1830, quando esistano 3 ‘elagonmio. Un Fescicolo degli anni 1821-30 pa sug sia disponibile, Pd DALLA TIPOGRAFIA DI GIO. SILVESTRI | in Milano, Corsia del Duomo, N. 994 SI È PUBBLICATO IL PRIMO VOLUME DELLA SEGUENTE OPERA FIORE STORTA BROLESTASTICA RAGIONAMENTI DI ANTONIO CESARI D. O. L’AUTORE.* I ho già assaggiato non poco delle Vite de’ Santi, e della Storia del vecchio Testamento nelle mie Lezioni Storico-Morali: ho poi passato gran parte nel nuovo Testamento, nella Vita di Gesù Cristo e nella sua Religione. Finalmente ho ricercato i principj) della Chiesa nascente, spiegando il Libro . de’ Fatti de’ santi Apostoli; il che fu l’ avviamento * Questo Fiore di Storia Ecclesiastica, dove si ravvisa il bel monumento degli evangelici fasti che fondarono l’ augu- sta nostra Religione , fu preceduto da un’ altra Storia, di recente uscita da’ nostri torchi in sei volumi, qual è quella del Concilio di Trento, del cardinale Sforza-Pallavicino, da cui emerge quanto faticò quel venerabil Consesso a consu» lidare ed accrescere le dottrine e i trionfi della cattolica Legge, Il suo prezzo è di Austr. lir. 21 00, Ital. lir. 18 00, alla Storia Ecclesiastica; ed ho poste come le morse e l’ addentellato di quella gran fabbrica, la quale ora mi resta da continuare. Ma avendolo io trovato peso non dalle mie braccia , ho provveduto di con- temperarlo alle poche mie forze, restringendo que- sto lavoro dentro tal termine, che io potessi sperar di trascorrerlo : il che ho creduto aver conseguito, pigliandomi un campo, cui io fossi libero di defi- nire a quel termine che mi fosse piaciuto. Ho dun- que deliberato di fare una scelta degli avvenimenti principali nella Chiesa avvenuti; il che comprende molte Vite di Santi (che sono L principal parte di questa Storia), e molti fatti altresì de’ più so- lenni e magnifici; come saranno Le morti de? Per- secutori della Chiesa; La persecuzione di Giuliano l’ apostata ; Le maggiori imprese di Teodosio im- peradore; La conversione di Clodoveo, ed altri siffatti : ed a questa mia scelta ho creduto dar un nome appropriato, chiamandola Fiore pr SroRIA EccLesiastica. Questo divisamento, senza che sarà buon concio per me, porterà altresì a? Leggitori maggior diletto; avendo io scelto gli avvenimenti più sfolgorati, e le vite più maravigliose de? Santi; e certo gran ministra del piacere suol essere la maraviglia. Non vo’ tacere però , che un dubbio tuttavia mi rimane, e mi scoraggia non poco; ed è, che og» gimai è pieno il mondo (ed in questo tempo sin- golarmente ) di vite de’ Santi: onde mi fallisce il meglio , la novità. Nondimeno vo” prendere d’altra parte qualche speranza che queste Vite io ho scritte (o certo tentato di scrivere ) con qualche eleganza di buona lingua; di quella lingua che oggidì è pure entrata in amore degl’ Italiani singolarmente; sebbene ella sia nella fine la lingua propria che parlavano nel secol migliore quegli scrittori che coi loro scritti rendettero gloriosa 1’ Italia. L’altra: ho dato a queste Vite qualche aria di novità, tra- mezzandole a luogo a luogo di considerazioni utili alla religione ed al buon costume, con qualche cenno d’ eloquenza; quantunque ciò sia ben poco, e ?1 più abbia riservato alla storia. Se questi, come condimenti, debbano render piacevoli questi miei Ragionamenti, ben con Dio; se no, non mi av- verrà cosa ch'io non m? abbia aspettato, e forse eziandio meritato. Non ho guardato, scrivendo, alla ragione dei tempi, essendomi piaciuto carpire nel giardin della Storia questo o quel fiore che più allor mi piaceva. Comincio colla Vita di S. Pietro Apostolo, e dopo sarà la Vita di S. Giovanni Evangelista, ecc. ecc. Quest'opera, cominciata a stamparsi in Verona, rimase sospesa per la morte dell’ Autore, ma ora che tutto il manoscritto fu acquistato dal tipografo- librajo GIOVANNI SILVESTRI, viene assicurata la stampa dell’ Opera completa nella stessa carta e formato dei tredici volumi di altre Opere del medesimo Autore già pubblicati dallo stesso Tipo- grafo. CONDIZIONI PER L’ ASSOCIAZIONE I. L’ Opera viene divisa in sei volumi di pag. 400 a 450 l’uno per l’altro, in 16.° grande, carta sopraffina levigata. II. Ogni volume si dà ai signori Associati per lir. 3. 50 austriache, od ‘italiane lir. 3. 00, non computato il ritratto dell’ Autore, che si offre in dono. III. I nomi dei signori Associati coi loro titoli sa= ranno descritti in apposito elenco. IV. Si concederà la tredicesima copia gratis a chi guarentirà dodici associati o prenderà dodici copie in una volta. V. Gli altri volumi si succederanno interpolatamente con altre opere della Biblioteca scelta, di cui la presente fa parte. VI. Le associazioni si ricevono dal suddetto tipografo SILVESTRI, in Milano, Corsia del Duomo, n.° 994, e nelle altre città da tutti i libraj che vorranno incaricarsi di corrispondere col medesimo Milano , 21 aprile, 1832. Altre Opere dello stesso Autore stampate 0 vendibili da Giovanni Silvestri. LA VITA di Gesù Cristo e la sua Religione. Ragionamenti, Seconda ediz.; sei vol. in 16 gr. Opera completa Ze. lir. 15 66 I FATTI degli Apostoli, Ragionamenti che seguono alla Vita di Gesù Cristo. Seconda ediz.; due volumi in 16. gr. » 5 22 NOVELLE, edizione eseguita sulla quarta edizione fatta dall’Au- tore , con alcune aggiunte. In 16. grande. w 17 DELLA IMITAZIONE di Cristo di Tommaso da Kempis, libri uattro tradotti in lingua italiana. In 16. grande. CI, LE PROSE SCELTE, cioè Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana. — Il Dialogo intitolato Le Grazie, che compie la suddetta Dissertazione. In 16. grande. Terza ediz. della Biblioteca Scelta. » 3 00 VITA BREVE di S. Luigi Gonzaga scritta novellamente da Ant. Cesari. In 16. grande. » 174 BELLEZZE della Divina Commedia di Dante Alighieri. Quattro volumi in 8. » 24 00 I FIORETTI di S. Francesco ristampati sull’ edizione fiorentina del 1718, corretti e migliorati su varj manoscritti. In 4.» 6 00 VOLGARIZZAMENTO delle Vite dei Santi Padri di Fra Dome- nico Cavalca. Testo di lingua , ristampato sull’ edizione dello stesso Cesari. Sei volumi in 16. grande. » 15 66 LEZIONI Storico-Morali sopra la Sacra Scrittura. Cinque volumi in 16. grande. 3 13 05 MOLTI de’ Persecutori della Chiesa — e Beni grandissimi che ta Religione cristiana portò a tutti gli stati degli uomini spin- geudo le società al loro più alto punto di perfezione. Disser- tazioni tre dello stesso Cesari. In :6. grande. » 3 5e — PREZZO CENT. 4 — ANTOLOGIA GIORNALE DI SCIENZE , LETTERE E ARTI Vote XLVI DELLA CoLLezionee VOLUME SESTO DEL SECONDO DECENNIO. Aprile \ «Aaggeo e Giugno 1832. FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETT. E EDIT. TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXXXIL ITA dl UN dial st db n Su aa voltà, CR la VEGL altri volaoi 706 Pecchia fa du VI, È conte ig Albera Cipe; dot A ai i ci Se MOI VITA 5A sg id erst si ; FATI FI Bia fio Oreto, : fot gilt. BEI ,. NON "e My Li \ DEI sv Me iguettro tr LI Pa Piste 5 Sora chétio Aivigoin (si Caîtig lo sposa delia bout VITA BRRELS po 4 «af fran "rio pito, de; Crevri. (1 CHA LE » Brienza comò Reit SE RRERATO Pi Pianto Atiyiesi vt rrv6 cl " SÉ so è Fidati pi cadi ‘pull’ adugione fiorentina 8a Mie a SÒ “ax (mp eirtà, o gw IN RI gi direi de Pon sie hi i : MD, Le ant da nr pila iosa £ » ME Fal 4 Zane. ai di Lizpisi “. # 1% Paso. Sint a. Chalga PO, AA n.184 Mit Sdi ae LA le A rpnicir cdee Ra | Mila $ o, & cSNQDI asrcgte, vaeni ni aprilia qua do TE) ai Tagan Dore 3 RATE dev Ro EN ” E sE I Met #9 Se rj DIDANUTTSII ® ont vitsa CU LATTA dA 5) XTJMREUUD/ 20 MI vtidz 8 .TTERI n) YITARNIIT IOULI IC AVIASDORUI elia. 31) 1) DALIA ANTOLOGIA No 456 DELLA COLLEZIONE. —_aieeoeie——t_ N° 46 DEL SECONDO DECENNIO Aprile | 652. Se Daunrr dedicasse a FepERICo III re di Sicilia la Cantica del Paradiso ; e della lettera di Frate Ilario aUguc- cione della Faggiola: indagine storico-critica per servire alla storia dei sentimenti politici dell’ Arrcuieri. Arr. II. (*) Cri , figlia di re Manfredi, era moglie di Pietro III di Aragona, e madre di più figliuoli, due dei quali furono Gia- como e Federigo: e Manfredi, fatto parlare dall’ Alighieri nel suo Purgatorio , chiama quella sua figlia genitrice Dell’ onor di Cecilia e di Aragona. (-Purg. C. 3. v. 115.) Giacomo , quando così diceva Manfredi, regnava in Aragona , Federigo in Sicilia : i commentatori , che, generalmente parlando, guardano più alle presenti occorrenze del libro , che all’ ordine (*) V. Antologia , fascicolo precedente. 4 universale di esso , videro tosto indicati in quei versi questi due . principi; ma non si accorsero della mostruosa discordanza di sen- timenti, che quindi.ne derivaya. E dèssi lode al signor Arriva- bene almeno di aver tentato di rimuovere questa difficoltà , e di conciliare in qualche modo Dante con Dante (1). “ Come può stare, egli dice , che Federigo e Iacopo fossero ad un tempo l’onore dei reami, e il disonore delle corone ? (2) ,, Come può stare, io sog- giungo, che Dante potesse mai scrivere queste due cose così di- verse? Se in que’ versi' fosse veramente designato re Federigo per l’onore della Sicilia, e se nella Cantica , in cui si leggono, non fosse più ricordato il sno nome , potrebbe forse taluno ar- gomentarsi di spiegare una così strana diversità di giudizi coi diversi tempi , in cui fossero state scritte quelle due parti della Divina Commedia: dire che Dante parlava nel Purgatorio di Fe- derigo , quando Federigo non aveva anco fatto il vile rifiuto , quando egli era sempre.un fondamento delle politiche speranze dei Ghibellini; e che ne. parlasse nel. Paradiso, quando quel principe avea demeritato la stima , aazi eccitato il disprezzo di essi: supporre finalmente che la morte o altre cause impedis- sero all’ Alighieri di porsi d’ accordo con sè medesimo nelle sue opere , sopprimendo una frase di encomio , che messa'a fronte della censura e della derisione di quel sovrano 1’ avrebbe mo- strato nel cospetto dei posteri com’ egli fu in faccia a sè stesso nelle varie circostanze della sua vita. Ma queste considerazioni, che patirebbero d’ altronde alcune gravi difficoltà , sono radical- mente escluse da quel ch’ è scritto di Federigo nella Cantica del Purgatorio , poco dopo quell’ apparente encomio di esso : Quel che par sì membruto ; e che s’ accorda Cantando con colui dal maschio naso, D’ogni valor portò cinta la corda. E se re dopo lui fosse rima;o Lo giovinetto che retro a lui siede, Bene andava il valor di vaso in vaso ; Che non si puote dir dell’ altre rede : Giacopo e Federigo hanno i reami, Del retaggio miglior nessun possiede. (Purg. C. 7. v. 112. segg.) Pietro INT è il re valoroso, di cui qui parla Sordello : quattro furono i figli di lui, ed uno di questi parve veramente simile (1) Secolo di Darte Lib. I. Par: I ce. 3 dov egli nota giudiziosamente quel vizio dei chiosatori. (2) Ivi. 5 al padre; ma quali si fossero Giaromo e Federigo voi nuova- mente il vedete! È questi principi chiamati poc’ anzi 1’ onore della Sicilia e dell'Aragona, e stimati per (conseguenza prole de - gna del genitore, diverranno ora tutto ad nn tratto degeneri in- teramente dalla paterna virtù , eredi soltanto della paterna co- rona ? Nè gioverebbe il dire che la lode viene dalla bocca di Manfredi , avo di questi principi : il biasimo; dalla bocca di quel Mantovano Sordello , che fu giudice cotanto severo , 0 così in- trepido ceusore dei sovrani dell’età sua (3). Perchè Manfredi non potea lodare nipoti, che aveano mostrato viltà patteggiando , e mescolando il sangue di Aragona e di Svevia con quel sangue di Francia , che fu cagione della sua morte , che usurpò i suoi dominii, che volle mozzo il capo di Corradino. Sordello era in luogo , dove l’ uomo si fa divino , Purgando le caligini del mondo che sono quelle dell’ errore e delle passioni: Sordello parla in guisa che maravigliosamente confronta con ciò che si dice di quel re nella Cantica del Paradiso , con le cose scritte nel libro sin- cerissimo e incorruttibile della eterna giustizia. Il vivente concittadino di quel celebre trovatore , lo stima- hile autore del Secolo di Dante, facendo quel suo tentativo di salvare il poeta da una incredibile contradizione , così conclude. « Ma donde in noi l’ ardimento di venire in tua difesa ; (avea rivolto a Dante le sue parole ) se già iu medesimo apertamente ti esprimesti, a rimuovere ogni sospetto di contradizione inconsi- derata, che posto eri nella necessità di dare breve lande e lungo biasimo a cotesto re Federigo? Tu pur dicevi E a dare ad intender quanto è poco La sua scrittura fien lettere mozze Che noteranno molto in parvo loco (4). Que’ versi dicono appunto che le operazioni di Federigo saranno (3) Lib. I c. 12. (4) Seroentese di Sordello Mantocano per la morte del Provenzale Blacasso. Puoi anco vedere questa poesia nell’ Apologia di Dante Adel Perticari(Par. 2c. 21); o nella Storia letteraria dei Trovatori del Millot. E il Ginguené ne riporta il me- glio nella sua Hist. Littér. d’Italie (Par. I ch. 5 section 2). Sordello è chia- mato scaltro e falso verso le donne e verso i baroni (verso le donne mi spiace; verso i baroni usi liberamente suo arbitrio , 0 suo dritto) nei brevi cenni sulla sua vita che il Perticari trasse da un codice del Vaticano : ‘° Ma moult fo el truant e fals vas dopneras, e vas les barones ab cui el estava ,, (Apolog. ivi). Ma Dante non ci fa vedere di esso che le parti più splendide ; e secondo questa idea egli lo facea parlare nel Purgatorio. Nè per questo i documenti storici e Dante sono in opposizione fra loro. 6 notate in un gran libro , cioè nel suo poema ; che lo scritto sarà pieno di abbreviature; che brevissimi saranno i cenni d’encomiò; ma che molto vi sarà da notare in sua condanna, e che per que - sto lato la detta scrittura, benchè abbreviata, conterrà molto in poco spazio (5) ,., Io candidamente confesso che di tutto questo discorso non so cavare un netto e ragionevole significato ; e parmi che lo scrittore abbia fatto illusione a sè stesso con le parole. Confondere il libro della eterna giustizia col poema di Dante ; vedere in questo quelle abbreviature, e quelle lettere mozze , che dovranno essere in quello ; trasportare quel che parve detto a lode di Federigo dal Purgatoriò nel Paradiso , dalla bocca di Manfredi nel rostro dell’ Aquila, che fa le parti della divina giustizia, per poterlo leggere in quel gran libro dove realmente non si vedranno che i dispregj (6) di quel sovrano, mi sembra in verità uno strano rimescolamento di cose da disturbare un lu- cido e tranquillo intelletto. Cos’ hanno che fare le parole di Man- fredi coi giudizi della simbolica Aquila del Paradiso ? Dov' è nella Divina Commedia una scrittura di lettere mozze , che noti que’ dispregj di Federigo? Come potea 1’ Alighieri mattamente confondere il suo poema col volume della giustizia del cielo ? dal che sarebbero nate le più assurde conseguenze del mondo. Tutte le anime, tutti gl’ idoli, ch’ egli pose quasi a popolare i tre re- gui, in cui c' introduce, sono creature del suo pensiero: dal suo pensiero uscirono certo tutti i loro ragionamenti: le parti deb- bono concordare col tutto: il tutto, avere in sè stesso ordine ed armonia. Ma ciascuna cosa dee rimanere al suo luogo : a cia- scuna persona resta la sua proprietà di natura: Dante non fu mai confuso con loro ; lo che farebbe di tutti i suoi personaggi e di lui il più strano e prodigioso mostro che concepisse mai de- lirando l’ immaginazione dell’ uomo. Quindi le parole di Man- fredi non saranno certamente contrarie a quel ch’è detto dal- l’ Aquila, ma non sowo da riputarsi come dette da lei, nè da doversi vedere nel libro della divina giustizia. Quindi in questo libro non si potrà leggere che la viltà e 1’ avarizia di Federigo. Quindi la scrittura che noterà questi vizi non sarà quella (e chi avrebbe dovuto supporlo ? ) del poema dell’Alighieri. — Ma qual sarà ella questa scrittura ? E cosa degna di osservazione quell’ esser sempre nei libri di (5) Quì egli reca la chiosa dell’ anonimo ; simile alla sua spiegazione di questi versi. (6) Cap. cit. di sopra. 7 Dante il. nome, di Federigo unito a quello di Carlo, i. reali. di Napoli a.i principi, Aragonesi. La vicinanza dei reami, le ragioni di sangue, gl’ interessi politici di quelle famiglie, e tutta quella serie, di vicende, alle quali era universalmente connessa Ja; loro istoria ,,,e, sulle quali avea sempre 1’ occhio della. mente quel grande amatore della sua patria, lo inducevano naturalmente a quella congiunzione di nomi; è simultanea menzione di principi. Laonde in.quello.stesso, libro, ov’ è segnato il vitupero.e la con danna di .Federigo, cit. + rVedrassival \ciotto di Gerusalemme Segnata con un Ila sua bontate, Quando ’1 contrario segnerà un (M) emme, ( Par. C..19. v. 127.) Ecco [dunque un saggio della scrittura diquel tremendo volume. Il bene di Carlo secondo di Napoli. sta di fronte al, male come uno a ;mille :.e questa loro. proporzione sarà, fatta sensibile, col- 1’ usoidelle, sigle, romane. 0. imperiali.; Ma la, graù, viltà; ela grande. avarizia di,Federigo saranno scritte con segni, d’ vin’ altra forma; con segni,che \zz0tin0 molto vin «picciòlissimo spazio: i quali segni, saranno; simbolo, del disprezzo, da lui,meritatoy;)e il breve spazio, che, occuperanno, sarà, la misura di quel; ch’ egli è vera= mente,, della sua picciola.e quasi niuria importanza nel moridlo: E.a dare ad intender quanto è poco: (|| 194 La sua scrittura fien lettere ,mozze ,, | ; bogibo Ghe noteranno molto in. parvo loco, : * 9 ina Qui la ristrettezza del,luogo von.è posta.a significare la scarsità del ‘merito, di Federigo; (e dov'è.la menzione di questo. merito?) nècil molto; valore delle lettere.,..a «significarne i.demeriti. Il molto male!,sarebbe,;allora contenuto nel, poro;bene: 1° immagitie non avrebbe, la sua verità :, i versi sarebbero. indegni di. Dante. Qui la qualità dei segni, e il breve spazio da essi occupato, non sono altra cosa, come abbiamo fatto ‘sentiré!, chè un'inuovò linghag- gio dettato da un terribile sdegno ‘al poetà , siceliè tutto contri- buisca a dichiarare la' nullità dell’ Aragonese, è a farne piena la infamia. Perlochè direi volentieri che quelle /ettere. mozze , anzichè poter. mai rappresentare i; divini, versi di Dante, che.in tal guisa avrebbe fatto:la! sua ‘satira ‘con quella .di Federigo, fos= sero un nome poetico delle cifre arabiche , già usate a quel tem- po; le quali fanno perfettamente 1° ufficio ‘li quelle letterè se- condo le intenzioni dello scrittore , stanno in felicissima oppo- sizione ai numeri imperiali,, e compiono, quel singolare, e fin qui non inteso contrasto, in chetci si presentano in questo luogo 8 questi due re, e che richiede di esser fatto pienamente sentire. I principi . dei quali ‘parla la simbolica Aquila del Paradiso, non: sono riguardati che nelle brutte parti del viver loro , 0 sono giudicati assolutamente come malvagi amministratori di regni. E Dante non era tratto a queste rigorose sentenze dalla sola con- siderazione istorica , e dirò così, positiva, delle loro azioni j ina dall’ ordine di quelle dottrine politiche, le quali egli avea con- nesse con la scienza generale della natura (7); di cui vedeva la ragione e quasi il modello nel sistema dell’ universo , ‘e che in quella parte del Paradiso; come faremo ‘vedere în un altro luogo , ci poneva innanzi in tutta la loro grandezza ideale , col mezzo di bellissimi simboli. ‘Carlo era capo di parte guelfa in Ita- lia; fu congiunto di politica e di amicizia con quel Bonifazio ot- tavo, di eui ‘avea favorito l’ambizione, a cui avea spianato la via al: pontificato (8), il quale avea chiamato i Francesi in Firenze , dal quale ebbero conforto le'perverse. macchinazioni dei Neti, che avea trafficato Y esiglio (9g) e cagionate le sventure di Dante. Carlo dovea necessariamente o facilissimamente aver parte iù tutto ciò che fosse pubblico ‘impedimento al ritorno di lui nella patria. E:Carlo è il solo, di'cui ‘in’ quel severo giudizio, in quella riprovazione di tuttii re, sieno ‘valutate le parti buone ; e poste sulla bilancia con le ‘malvagie. Vero è che la sua condanna'stà propriamente in quella enorme sproporzione fra il bene ed il male: che la sna bontà non ‘è qui che un ‘termine necessario a som- ministrarci col termine opposto la misura di quella enormità, e la ragione di quella condanna: che questa bontà era quella che gli si recava a lode dal volgo, che lo faceva andare a coro co’suoi canonici (10), che potea essere ‘omogenea all’ elemento supersti= zioso di parte ghelfa; ma ‘stupida e codarda sul trono, e di cui Dante volea far vedere 1’ inopportunità e la fallacia con l’espe- (7). «Che potran dit li Persi ai.vostri regi Com? e’ vedranno quel volume aperto Nel qual si scrivon tutti suoi dispregi ? Par. e. IQ v. 112. (8) Ma chi notò , chi fece merito a' Dante di questo sublime divisamento? Nessuno. È ormai tempo di cessare le chiacchiere, e. il ‘dulto superstizioso! di questo, grand? Idolo , e di onorarlo co’giudizi della sapienza: ereando il culto della ragione, (9) G. Villani Gronica lib, 8 c. 6. (10) Questo si volve, e questo già si cerca ; E tosto verrà fatto a chi ciò pensa , Là dove Cristo tutto dì si-merca. Parad. e. 17 v. 49. 9 rienza del paragone. Ma ad ogni modo Carlo ha questo privile- gio su tutti gli altri, che a far conoscere i suoi peccati di re, è necessaria la ricordazione della sua bontà di natura. Federigo, il quale assumeva il governo della Sicilia, quando la Sicilia era vilmente abbandonata da Giacomo, e quando questo suo fratello sposava la figlinola di Carlo d’ Angiò , si confederava col suo- cero, dovea muovere le sue armi contro quell’ isola ; Federigo, che, resistendo alle ingannevoli promesse o insinuazioni di Bo- nifacio, si era mostrato degno di Giovanni da Procida, ch’ era l’ anima delle sue operazioni , e di quei generosi baroni che vol- lero difendere la libertà della patria, non con le negoziazioni e le pergamene, ma con la spada (11); Federigo, che, se avea concluso la pace con le condizioni volute dalla corte di Roma, riconosciuto |’ alto dominio della Chiesa, pagato tremila oncie d’oro di vassallaggio , aveva anco valorosamente combattuto più anni per la indipendenza della Sicilia; se avea firmato una lega con Bonifazio , aveva ancora costretto Carlo senza-terra a riti- rarsi svergognato dalla sua impresa; Federigo , chiamato da nn moderno storico , il più valoroso principe ; il più sperto capitano di quella età (12), e non istraniero nel tempo stesso ai piaceri del bello, e alle arti dei trovatori (13); è fatto segno di ama- rissimo scherno dall’ Alighieri, non ci è fatto conoscere che per quei vizi che appunto ci parrebbero i più contrari alla sua na- tura, e da molte sue geste apertissimamente smentiti. Sembra veramente che una qualche grande e imperdonabile colpa ren- desse quel principe indegno di assoluzione o di scusa al tribu- nale di Dante: sembra che , dettando quei versi , il poeta fosse segretamente infiammato dalle passioni dell’uomo , e che l’uomo avesse le sue ragioni nel sentimento delle sue sventure, nell’opi- nione di molti, negl’ interessi della patria, nelle ire del citta- dino. Quello fu certo uno di quei momenti terribili in cui l’in- gegno sentendo la divinità, e tutta la superiorità del suo essere, e avendo qualche altrui delitto da castigare , sfida la forza ma- teriale degli uomini a misurarsi con la virtù del pensiero , con- cepisce la folgore dello sdegno , la disserra nel suono della pa- (15) Giannone dell’ist. civ. di Nap. lib. 21 cap. 5. Garlo secondo; ch'era stato prigioniero degli aragonesi , riconosceva la sua liberazione da S. Niccolò di Bari: ne arricchì la chiesa, se ne fece canonico , e. partecipava delle di- stribuzioni, (12) Vedete il Sismondi che cita Nicol. Special e Histoire des Répub. Ital. ch. 24. (13) Sismondi. 1. VI. Aprile. N 10 rola, e ne fa lo spavento dei codardi e degli scellerati , e un giudizio di Dio nel regno immenso dell’ opinione. == E chi è questo Federigo ( avrà egli facilmente esclamato ) del quale mi vantate la fermezza, il valore, la cortesia? Siete illusi dalle apparenze: non vedete la verità delle cose! o vedete queste come tanti oggetti isolati , non connessi nell’ ordine, non or- dinati ad un fine, non giudicati in questo ultimo esito della vita. Separate questo Aragonese da quel ch” egli ebbe d’ in- torno , da chi potea circondarlo di queste apparenze di gloria , da chi ne fece quello splendido fantasma che vi fa illusione allo sguardo. Osservatelo nella intera nudità del suo essere. — Resistè alle arti di Bonifazio ottavo a Velletri (14); ma per la virtù, ma col senno, ma per la presenza del venerabile Gio- vanni da Procida. Parve magnanimo non ricusando il trono in difficilissime circostanze; ma il trono è possente stimolo ai più codardi, e quella sua magnanimità potea non essere che ambi- zione ; ma gli erano d’ intorno le spade de’ suoi baroni; ma lo domandava il grido universale di un popolo che abborriva il giogo degli Angioini; ma lo faceva animoso quella disperazione di tutti che spesse volte è 1’ unica salute agli oppressi. Vinse guerreggiando i nemici; ma combatteva per lui quel Ruggeri di Loria, del quale irritò lo sdegno , di cui non seppe conservarsi l’affetto (15). E quali furono i frutti di queste sue speciose vir= tù: come conservò l’ indipendenza del regno: come corrispose alle speranze dei popoli? Sposò la figlia del suo nemico: prestò il giuramento del vassallaggio : conservò la corona al suo capo sacrificando la Sicilia alla sua brutta ambizione! Questo fu il frutto di tante guerre combattute , di tanto sangue versato , di tante calamità tollerate! La Sicilia , lui morto, ritornerebbe in balia de’ francesi! Egli, che fu già in quell’ Isola il luogote- nente di Giacomo, non ne conserva più lo scettro pe’ suoi fi gliuoli, ma trasformato dalla sua debolezza in una larva di re; se n°è fatto il guardiano per gli Angioini ! (14) Egli, e Pietro III suo padre coltivarono la poesia e sono rammen- tati fra i trovatori. Ginguené Hist. Littér. d’ Ital. Par. I ch. 5. Il Giannone a questi pregi di Federigo aggiunge quello della bellezza, che dovea far più caro alle donne gentili quel re trovatore. Dell’ Ist. Giv. lib. 21 cap. 3. (15) Il Giannone dice a Roma: il Sismondi a Velletri. Prima di questo tem- po non sappiamo che Federigo venisse sul continente, Dell’Istor. Civ. eo. lib. aL c. 3. Hist. des Répub. Ital. ch. 24. II ( Di lui che guarda l’ isola del fuoco ) (16) Vennero i tempi di Arrigo: tempi di timore pei tristi, di con- forto e di speranza pei buoni, di un nuovo ordine di destini per tutti. Egli pose piede sul continente , e parve propugnatore del- l’ impero. Ma fu interesse, o dovere ? Fu zelo per la buona causa, o la necessità , o la prudenza ? L’ altrui disgrazia sia il paragone della sua anima. Arrigo mancò all'Italia ed al mondo! Vide l’Aragonese la tremenda necessità delle cose : vide i Ghibellini far fondamento nel suo animo non conosciuto, chiedere un nuovo capo alla parte , un governo alle loro forze, un nome, un simbolo di unità ai loro movimenti, un cuore per la sven- tura, un brando contra coloro, che l’ avrebbero calpestata nel- l’insolenza della vittoria. Ed egli non ebbe cuore per la sven- tura, non braccio contro i nemici, non fedeltà per la parte, non rispetto dell’ opinione , non vergogna per sè: non fu nè capitano, nè uomo : ebbe solamente il coraggio di esser vile nel cospetto del mondo , e di ritirarsi. Non si parli più dunque nè di gran- dezza d’ animo , nè di valore in ragionando di lui: non si faccia insulto al sacro neme della virtù congiungendolo indegnamente a quello di Federigo. Combatta egli pure contro il successore del suocero : spe disca le sue genti in soccorso dei Ghibellini! (17) Egli ha finalmente confessato nel più solenne momento la sua anima avara ; egli si rimarrà sempre un codardo! Ma cos’ è mai la perdita di un codardo alla causa dei ghibellini e della nazione , della gloria e della giustizia, dei magnanimi e dell’ Italia? Qual peso crederebb’ egli mai di avere nella bilancia delle nostre sorti civili ? Cos’ è mai questo re , che non seppe conservare a sè stesso l’indipendenza della corona ? A scuoprire al mondo la sua me- schina esistenza, a mostrarlo ai posteri nella sua vergognosa de- formità , ad annientarlo nel sentimento della matta fiducia che potesse avere di sè medesimo , io solo basto , io ho le armi in- vincibili, e contro quelle di un re impugnerò lo stile dello scrit- tore , io, che ho la potenza della parola, io che ho l’ impero degl’ intelletti. Carlo, rampollo di quella stirpe, che aduggea tutto il mondo cristiano (18), brutto di sensuali libidini (19), e capo di parte guelfa ; ma fermo ne’ suoi principii politici, d’in- (16) E passò dalla parte dagli Angioini. (17) E questo è il vero valore del verso. (18) Egli lo fece al famoso assedio di Genova, e Dante potea parlarne per- chè il suo giudizio di Federigo abbracciava tutti i tempi della vita di lui. (19) Purg. c. 20 v. 48. 12 dole religiosa e mansueta , e amico della magnificenza (20): Carlo abbia almeno indicata la sua non regia , ma naturale bontà nel libro della divina giustizia ; abbia la sua scrittura nei numeri di quella Roma, di cui, almeno nell’ autorità pontificia , riconosce V universalità dell’ impero sopra la terra. Federigo , figlio di un re generoso , ma non erede delle paterne virtù , nemico dei guelfi e genero del loro capo e alleato e tributario dei papi, sospetto alle due parti contrarie, e costituito fuori d’ ogni sistema di ci- viltà , e fatto solo nel mendo dal suo privato interesse e dalla sna codardia ; questo traditore della causa più “santa e più di- sgraziata, vegga estinguersi in questa infamia ogni altra lode, che potesse mai aver meritato , abbia la sua scrittura in quelle cifre che meglio si confanno col suo animo mercantile , e che sim- boleggiano col breve spazio da esse occupato la meschinità di colui che abbandonò le insegne con cui furono i destini dell’Italia e dell’ universo. = Questi o simi!i saranno stati i pensieri di Dante su Federigo : così fu egli giudicato nel libro della eterna giu- stizia. E come questo giudizio è irrevocabile , così si estende a tutta la vita di quel sovrano: Vedrassi 1’ avarizia e la viltate. Laonde le parole di Manfredi non possono in alcun modo essere contrarie a questo giudizio , nè tornare a gloria di quel principe condannato. E come infatti potrebb’ egli più essere /° onore della Sicilia ? Son forse questi i brevissimi cenni di encomio , che do- vrebbero stare col molto biasimo ? son queste le abbreviature , delle quali parlò il sig. Arrivabene ? Una denominazione sif- fatta non è l’ indicazione di un qualche merito particolare , che possa stare con molte colpe; ma l’espressione di tutti i meriti, ma la definizione gloriosa della vita di un uomo. Ella dunque sarebbe affatto diversa dal giudizio di Dio ; lo che non può es- sere. Manfredi è in luogo di salvazione , e non può discordare da quel giudizio. Purghiamolo adunque da una macchia , di cui l’ hanno bruttato i commentatori ; ch’ egli avrà già pensato da sè a’ suoi peccati nel Purgatorio dell’Alighieri. Chi vide nelle parole di Manfredi l’ elogio di Federigo e di Giacomo , e lo paragonò col biasimo di questi principi, stimò suo debito di porre il poeta in armonia con sè stesso conciliando il biasimo con la lode (21). A noi ha fatto legge la logica ne- (20) .... Magagnato in sua vecchiezza disordinatamente in vizio carnale, e d’ usare pulcelle ,, ec. Villani lib. 8 e. 108. (21) Arrivabene , luogo citato. 13 cessità del discorso di riferire ad altri che a Giacomo e a Fe- derigo quella dimostrazione di onore. Infatti si parla quì neces- sariamente di essi? Ecco la prima domanda, a cui debba ri- spondere la buona critica. Quando Manfredi avea conversazione con Dante nel Purgatorio , Federigo regnava in Sicilia , Giacomo in Aragona: erano essi figli di Costanza : dunque chiamar que- sta, genitrice dell’ onor di Sicilia e di Aragona , è lo stesso che dirla madre di Federigo e di Giacomo. Così ragionarono , come già vedemmo, i commentatori : su questo loro ragionamento si fond iva 1’ ingegnoso scrittore , che volea posteriormente supplire alle loro mancanze. Ora , che quella conclusione di discorso sia unicamente possibile, non necessaria in sè stessa, è cosa a tutti sensibilissima : e la possibilità dell’ encomio è già fondamental- mente esclusa dalla necessità dell’ infamia. Che disse dunque Manfredi? Egli certamente volle parlare con lode della bella Co- stanza : ed egli avrebbe certamente voluto le baie della sua fi- glia , se l’ onore della Sicilia e dell’Aragona, da lei generato , do- vessero essere que due figli ch’ereditarono dal padre non la virtù, ma lo scettro, e quindi solamente per infamarlo ; quel Federigo , di cui leggemmo il giudizio nel libro della divina. giustizia, quel Giacomo , di cui era scritto in quel medesimo libro, E parranno a ciascun l’ opere sozze Del Barba e del fratel ( Giacomo ) che tanto egregia Nazione e due corone han fatto bozze. Par €. 19 v. 136 Bell’ onore in verità avrebbe generato Costanza! Quel che im- pedisce la retta intelligenza delle cose è troppo spesso la preoc- cupazione degli animi, i quali, ingombri delle idee ricevute, o imbarazzati dai discorsi degli altri, non veggono nella sua na- tiva schiettezza la verità che desiderano, e che risplende loro davanti. Osservate prima di tutto che quel modo usato da Man- fredi © dell’onor di Cicilia e di Aragona ., sembra indicare una certa simultanea comprensione di oggetti, una certa unità a cui tenda l’ animo di chi parla , che naturalmente è contraria alla loro pluralità o differenza. Riflettete poi se le parole Sicilia, Ara- gona non potrebbero molto bene indicare , come i due paesi di questo nome , così le due famiglie sovrane , che ne abbiano avuto il governo. Francia, Spagna , Inghilterra, senza l’ articolo , so- no nei nostri classici i nomi delle case sovrane, o la semplice indicazione della forza pubblica di quei reami (22): e Manfredi (22) Vedete , a cagion d’ esempio, nelle lettere del Machiavelli, o in altre sue opere l’uso di quelle parole ec. I potea APREA o naturalmente dovea, sostituire il nome di Si- cilia a quello di Svevia per non richiamare l’idea della fine la- grimevolissima di quella casa, e per mostrare con questo nome un’ identità di cose, che gli Angioini aveano interesse di far cre- dere assai diverse fra loro (23). Poi supponete una principessa mo- glie di un re valoroso, e madre di più figliuoli. Uno di questi muo . re per tempo; ma egli era veramente l’immagine del paterno va- lore; egli , se gli fosse bastato la vita , avrebbe felicemente con- tinuato la successione della corona e quella delle regie virtù. Supponete che lo scrittore, che vi fa la narrazione di queste cose , e che vi dà il suo giudizio di questi principi , parli sem- pre dei fratelli di quel giovinetto magnanimo come di uomini indegni di reggere i popoli, e che abbiano oscurato lo splendure del trono e della famiglia. Supponete finalmente che questo serit- tore parli una volta della madre di questi principi, ela chiami « genitrice dell’onore della casa da cui ella deriva, della casa vera sovrana di un regno da altri usurpato , e di quella di suo marito ,,, Chi sarà egli questo suo figlio , ch’ è 1’ onore delle due case ? O io son tratto in una strana illusione , o la risposta in favore di quel. magnanimo giovinetto, e ad esclasione de? suoi fratelli indegni del padre, è tanto necessaria, quanto facile a farsi. Ora questo è precisamente il caso di Costanza e di Pie- tro III e dei loro figliuoli. Dante ama la brevità e l’ energia del discorso , e vuole che il lettore abbia nelle sue parole non solo i segni di grandi e nobilissime idee, ma un’occasione di pensa- mento ; ma s’egli, talvolta per rispetti politici o religiosi , non può dir tutto in un luogo, vi supplisce in un altro: e il mi- glior mezzo per penetrare nella sua mente è quello di procedere per via di rigorosi confronti, e di farlo illustratore di sè mede- simo. Non diresti ch’ egli volesse impedire ogni possibile equi- voco de’ suoi lettori, e dichiarare il luogo di cui ora è questio- ne, quando scrisse , dopo certo intervallo, nel suo poema que- sti versi che abbiamo già letto, ma che ora dobbiamo intima- mente considerare ? E se re dopo lui fosse rimaso Lo giovinetto che retro a lui siede, Bene andava il valor di vaso in vaso ; (23) La casa di Svevia è omai spenta, potea dire Manfredi, ma la casa reale di Sicilia rimane : e non è già quella degli Angioini: ma è da vedersi in Costanza, per cui la casa di Svevia si è oramai quasi trasformata in quella di Si- cilia , che dovrà continuarsi ne’ suoi figlioli. 15 Ghe non si puote dir dell’ altré rede : Giacopo e Federigo hanno i reami, Del retaggio miglior nessun possiede ! Crederemo noi che la sapienza di Dante abbia scritto queste cose per fare un ozioso paragone di quei fratelli, o rendere più sen- sibile quell’apparente dissonanza dei suoi giudizi, che non videro i chiosatori, che fu avvertita dal signor Arrivabene , e di cui dobbiamo ora escludere la supposta esistenza ? No : egli avrà vo- luto prevenire i dubbi, somministrare i mezzi ai lettori, coi quali potessero salvare la costanza de’ suoi sentimenti e pensieri. « Badate bene / avrà egli voluto dire: Giacomo e Federigo sono eredi delle corone, non del valore di Pietro. Non sono dunque assolutamente 1’ onore della Sicilia e dell’ Aragona. Ma se non sapeste chi è questo onore delle dune case , eccolo il nobilissimo giovinetto, del quale ebbi in animo di far l’elogio! vedetelo se- dersi dietro a suo padre fra quelle ombre regali, egli, che fu in vita l’immagine del paterno valore ,,. £ quasichè non bastasse la diligenza dello scrittore a risolvere tutti i dubbi, parve anco il caso concorrere a questo effetto , e, per così dire, additar con mano che la spiegazione delle parole di Manfredi è da cercarsi in quelle di Sordello ; e che l’ onore di Sicilia e di Aragona che si desidera di conoscere ci sarà da esse indicato, Il verso, in cui nel canto 3.° del Purgatorio si parla di quell’ onore delle due case , è il 115.° : e nel verso 115.° del canto settimo è parlato di quel degno figlio di Pietro. Ma Dante, che si tolse la cura di sciogliere quel primo dub- bio, non potea fare lo stesso dell’ altro che ora c’ impedisce la piena conoscenza del suo pensiero ? Giacomo e Federigo non sono certissimamente il soggetto della lode del re Manfredi : un altro fu l’ onore di Sicilia e di Aragona : ma due, non uno, sono gli altri figli di Costanza e di Pietro ; Alfonso che fu il primogenito, e Pietro che fu l’ ultimo: ed ambedue sono già morti. Di chi parlava Sordello ? di chi volea far 1’ elogio Manfredi ? Dante non dovea tacerlo, e nol tacque : è i nostri dubbi sono talvolta un effetto della lontananza degli oggetti ch’ egli ci fa vedere, o della corta nostra veduta. Il sig. Arrivabene (24), seguendo il Ven- turi, crede che quel Pietro sia il giovinetto, di cui non sape- vamo il nome: ma egli principalmente si fonda sul valore dei versi (24) Luogo citato. 10 E se re dopo lni fosse rimaso Lo giovinetto che retro a lui siede, Bene andava il valor di vaso in vaso ; Che non si puote dir dell’ altre rede. I quali, secondo lui , esprimono un desiderio che potea sentirsi pel gioviaetto ( Pietro ) che non fu mai re, non potea concepirsi per Alfunso, che per sei anni tenne lo scettro ereditato dal pa- dre. Ma fece egli veramente quel che far deggiono sempre gli studiosi di Dante ? pose egli attenzione al rigoroso valore dei vo- caboli, e guardò bene a tutte le circostanze di questo luogo del Purgatoriv? Rimanere suppone già l’ essere: e Alfonso fu real- mente il successore del padre, ma non restò molto sul trono. E in quella espressione : bere andava il valor di vaso in vaso, tu vedi la cosa che cominciò veramente ad esistere (andava), ma che non giunse al naturale suo termine. Che dirò di quelle parole dopo lui ? Pietro era l’ultimo dei figliuoli di Costanza , e, per esser successore immediato del genitore, bisognava che alla morte di esso fossero già morti gli altri fratelli maggiori. Sordello dunque avrebbe concepito un desiderio d’ impossibile effetto : Dante avrebbe scritto una stoltissima cosa. Aggiungi quel verso : che non si puote dir dell’ altre rede, ove quella voce altre ci fa legge di porre nel numero degli eredi di Pietro, dei successori alle sue corone , anco il giovinetto , di cui ora non si dovrà de- siderare più il nome; perchè Alfonso , come dicemmo , fu re; Pietro il figlio non ebbe mai reggimento di stati. Aggiungi final- mente che le ombre adunate in quel recesso del Purgatorio sono tutte regali, o di uomini ch’ ebbero governo di popoli: che il giowinetto siede dopo il padre quasi a indicare la successione di questi re di Aragona: e che Guglielmo di Monferrato; appunto perchè non fu che un marchese, siede più a basso di tutti gli altri di quella penitente assemblea. Quel che più basso tra costor si atterra Guardando ’n suso è Guglielmo Marchese. Pur. C. 7. v. 133. Alfonso dunque è il giovinetto che Manfredi potea chiamare l’ onore delle due case: egli è giovinetto perchè non avea che 27 anni quando moriva, e la gioventù dell’ uomo comincia per Dante coll’ anno 26.° della vita (25); del quale parlando il Ma- riana parve voler fare un commento ai versi dell’ Alighieri, e (25) Perciò non abbiamo valutato la ragione che il signor Arrivabene de- sume a favore di Pietro dalla sua età. + Egli fa morire Alfonso di 29 anni. 17 dare una conferma alla nostra interpretazione: Defunetus in aetatis flore est, viginti septem annos natu: , octavodecimo ju- nii die ; si vita longior contigisset , rex celeberrimus futurus , (e se re dopo lui fosse rimaso ) ut datum multarum virtutum specimen pollicebatur (26). Non oserei dire che questa mia spiegazione debba poter so- disfare al piacere di tutti. Mu se alcuni non rimanessero ancora contenti; se quel senso per noi dato alla parola Sicilia non pa- resse loro maggiore d’ ogni qualunque obiezione ; se al breve regno di Alfonso non credessero potersi attribuire così luminosa importanza da fare di questo principe l’ onore delle due case: ecco un’ altra interpretazione non so quanto valevole ad appa- gare questi spiriti più difficili, ma che certamente dimostra quanto a torto quelle parole di Manfredi fossero esclusivamente riferite a Giacomo e a Federigo. E non potrebbero riferirsi a Costanza ? Non potrebbe quell’ onore di che egli parlava, essere un nome di gloria non di chi fece quella delle due cise , non di coloro che governarono, e che più propriamente avrebbero dovuto essere la felicità di que’ due reami, ma di questi reamiî medesimi ? Non potrebbe quel vocabolo genitrice prendersi in senso meta- (26) De reb. Hisp. lib. 14 c. 14. + Dante in quel canto del suo Purgato- rio scrive quella famosa sentenza Rade volte risurge per li rami L°’ umana probitate ; e questo vuole Quel che la dà , perchè da lui si chiami. (v. 121.) Quindi paragona la degenere prole di Pietro III di Aragona con quella simi!mente degenere di Carlo I di Sicilia, e dice che la differente degenera- zione di questi figli è proporzionale alla differente natura dei padri. Laonde, quanto Pietro III è maggiore di Luigi IX (la cosa è degna di osservazione), e di Garlo I d’ Angiò , tanto la prole di questo Garlo è inferiore a quella di Pietro. Ma chi costituisce propriamente questo vantaggio della casa di Ara- gona ? Non altri che quell’ Alfonso, di cui era stata già da Sordello posta in luce la magnanima indole e la virtù. Così la nostra spiegazione farà ora vera- mente intendere quella terzina , in cui è mostrata la inferiorità della discen- denza di Carlo in confronto di quella di Pietro (v. 127). Tant’ è del seme suo minor la pianta, Quanto più che Beatrice e. Margherita Costanza di marito ancor si vanta. Dopo aver così scritto , leggendo il libro del sig. Troya sul Veltro allego- rigo , ch’ io non avea che quà e là osservato al suo primo venire in luce, trovo con piacere che a quel dotto scrittore non era sfuggito il vero significato delle parole di re Manfredi. Ma egli non fa che semplicemente accennare (nè altro doveva fare) la sua opinione. Pag. 115, seg. Firenze presso Gius. Molini 1826. T. VI. Aprile 3) 18 forico , e Costanza essere riguardata per quella donna, onde la Sicilia, e 1’ Aragona acquistarono una singolarissima gloria fra le nazioni, ed enfaticamente appellata la generatrice di quella gloria ? Costanza, morto Corradino , era 1’ nnica erede della casa di Svevia: al suo marito ed a lei da Enrico Dapifero fu portato il guanto che quell’ infelice principe gittò fra ’1 popolo nella piazza del mercato dal suo palco di morte (27): presso di lei si ritirò dopo le vittorie di Carlo primo di Angiò quell’ intrepido amico della sua casa , quell’ eroe della nazionale vendetta, quel Giovanni da Procida , per cui la Sicilia scosse il giogo dell’ op- pressione , e l’Aragona diede i suoi re alla Sicilia: con lei par- lava egli dell’ alto divisamento , ed infiammava il suo animo, sì ch’ ella vincesse quello del suo marito (28) : a lei portò le let- tere, con le quali il pontefice Niccolò 3.° le consentiva 1’ uso de’ suoi diritti contro gli usurpatori francesi: ella finalmente prestò in qualche guisa il suo nome a quel terribile giudizio di Dio che si disse vespro siciliano , e che sarà sempre una tremenda lezione pei tiranni, e un solenne monumento della indignazione e della rabbia delle nazioni. E di qual cosa più che di questa potea goder l’ animo al re Manfredi ? In qual altro fatto meglio che in questo poteva egli vedere 1’ onore della Sicilia e dell’Ara- gona ? Da quali cause più forti o magnifiche potea trarre argo- mento di lode per la sua figlia? Ella dunque gli si presentava alla mente come quella che avea prodotto la gloria delle due na- zioni : ella era per lui genitrice Dell’ onor di Gicilia e di Aragona. La diligente e rigorosa analisi delle opere dell’ Alighieri, dov’ esse abbiano rispetto col re di Sicilia, non ci ha duuque somministrato per ogni parte che certissime testimonianze del basso concetto, in cui lo scrittore avesse quel re, e di un singolare e profondo disprezzo per lui, che si palesa in tutta la sna acerbità nel libro ch’ è da riputarsi come la conclusione (27) Giannone dell’ Ist. Giv. ec. lib. 20 c. 5. Sismondi Hist. des Repub. It. ch. 21. (28) « Per queste efficaci ragioni fu disposto quel re (Pietro, III) di accet- tare l’ impresa proposta dal Procida, tanto più, quanto la regina Costanza sua moglie il sollecitava non meno a far vendetta di re Manfredi suo padre e del fra- illo Gerradino , che a ricuperare i regni che appartenevano a lei y essendo morti tutti i maschi della linea di Svevia. ,, Giannone dell’ Ist. Giv. ec. lib. 20 e. 5. Quel che il Procida dice a Costanza nella Storia del Sismondi parrebbe fatto a posta per convalidare Ja nostra spiegazione. Hist. de Répub. It. ch. 22. 19 della vita di quello stesso scrittore, in quella medesima Can- tica che si credea destinata per Federigo quasi corona della na- zionale riconoscenza. Laonde anco la conclusione di tutte le nostre indagini è affatto sfavorevole all’ opinione di quella de- dica, sfavorevole alla lettera di Frate Ilario, opportuna a ri- durre al suo vero valore la tradizione conservataci dal Bocaccio. Se per l’ altrui negligenza abbiamo dovuto dimorare, nostro mal- grado , sopra molti particolari, che non doveano aver luogo nella storia dei sentimenti politici dell’ Alighieri ; forse il nuovo lume che n’è venuto alle sue scritture avrà rallegrato 1’ animo dei nostri lettori, e fattolo indulgente con le minuzie dell’argomen- to. E «d’altra parte lo scopo , a cui erano indirizzate tutte quelle illustrazioni e considerazioni nostre , era valevole per la sua di- gnità ed importanza a far tollerare il fastidio di quelle picciole cose. Chè nulla di ciò che fecero i nostri maggiori può avere , in un certo senso, maggiore interesse con noi che viviamo in un secolo di tanta luce e pieno di tanti destini, quanto la pubblica vita di un uomo, che fu il rappresentatore del suo secolo, il fondatore della nazionale letteratura (29) , il profeta della futura civiltà dell’ Italia. Qualche altra cosa avremmo noi tralasciato , se avessimo potuto pubblicare quel che abbiamo già fatto, se avessimo potuto terminare quel che abbiamo preparato del nuovo studio di Dante. Perchè il vero Dante (e noi già lo scrivemmo, e osiamo ora dirlo all’ Italia ), Dante nella sua intera esistenza, Dante com’ egli si riprodusse nelle sue opere, e si fece immor- tale fra i secoli, e volle comparire nel mondo , non è stato ve- duto finquì dopo cinquecent’ anni d’ osservazione. Ma la nostra diligenza e circospezione in questa indagine istorica potrà far le veci di freno all’ altrvi soverchia fiducia , e produrre 1’ effetto , al quale mirammo fin da principio , di far sentire la necessità di una critica più perspicace , più profonda, più filosofica, sicchè la vita del passato pienamente s’ illustri, e quasi si rianimi al fulgore della presente sapienza , e il presente, fitto stabile e reverendo su i fondamenti e con l’ autorità del passato , sia per le nostre lettere una generosa preparazione dell’ avvenire. La Divina Commedia, poetica rappresentazione della seconda metà, e principalmente dell’ ultima età della vita, compisce adunque la storia dei sentimenti dell’ Alighieri: e Federigo è irrevocabilmente giudicato nel Cielo , come già lo fu da Sordello (29) « Dante fondatore della nazionale letteratura ,,.ecco il titolo di un’al- tro nostro discorso. 20 nel Purgatorio , 0 dalle anime , mezze fra la divina perfezione del loro essere, e le corrnzioni del corpo ; come lo fu da Dante semplice uomo sopra la terra, e nelle sue prose. I quali giudizi non solamente hanno una costantissima coerenza fra loro; ma formano come una scala, o progressione necessaria , che felicis- simamente si conviene col sistema , in cui 1’ Alighieri vide l’or- dine della sua vita , e disegnò il lavoro delle sue opere. Poteva egli, non morendo così per tempo, scrivere più altri libri ; ( sa- rebbero stati peraltro , dopo quelli già cominciati , 1° illustrazio ne del gran poema) ma la Divina Commedia, ancorchè scritta prima di essi, sarebbe sempre rimasta con loro 1° ultimo docn- mento della sua storia : ed ella era sempre aperta al poeta, per- chè, di mano in mano che glie ne venisse occasione, potesse farvi i convenevoli cangiamenti, aggiungervi le convenevoli cose. — Ma è necessario connettere le testimonianze dello seritttore con le vicende dei tempi e trovare nella storia d’Italia la conferma di quel che abbiamo letto nei libri, e quasi le ragioni pubbliche de’ sentimenti politici dell’Alighieri dopo la morte di Arrigo. Dileguatesi, per l' inattesa mancanza di questo imperatore, le alte speranze di quel grande italiano, egli vide il nostro paese tornarsi in balìa di sè stesso , e il partito guelfo prendere nuovo vigore. Firenze avea spiegato una forza straordinaria nella politica della penisola; ma Roberto di Napoli era quello , che, avvalorato dall’ amicizia e dall’ autorità del pontefice, aspirava , ed ogni suo studio indirizzava alla generale signoria dell’ Italia. Creato in essa Vicario dell'impero da Clemente quinto, egli ad un potere ch’ esercitava non solo nel regno, ma nella Romagna, in Toscana, in Lombardia, ed in Piemonte (30), aggiungeva la forza morale di cni era pieno quel nuovo suo titolo, e che le arti dei furbi, e l’opivione del popolo, sapeano e poteano rendere affatto politica e materiale. Uguccione , signore di Pisa e capo dei Ghi- bellini in Toscana , come avea rialzato, dopo la fine di Arrigo, 1: depressa fortuna di quella Repubblica , così aveva altamente fiaccato l'orgoglio dei Guelfi e trafitto il core di Roberto con la vittoria di Montecatini. Ma quello splendore della sua gloria fu passeggero: ed egli nel 1316 (non erano corsi tre anni dacchè quell’Imperatore era spento) dovè perdere Li signoria di Lucca e di Pisa come un tiranno cacciato dalla popolare vendetta. La forza che potea contrastare con successo all’ ambizione dell’An- (30) Vedete il Denina , Rivoluzioni d° Italia lib. 14. + Muratori, Annali d’ Italia , all’ anno 1314. dI gioino , e contrappesarne il potere, era la lega dei Ghibellini lombardi ; lega governata dal senno di Matte» Visconti , e quindi capitanata in guerra dal valoroso Scaligero, che era l’ amico e il protettore dell’ esule fiorentino (31). Cosicchè | morto Arrigo , l’ Italia si presenta allo storico dei sentimenti politici dell’ Ali- ghieri come divisa im due grandi forze contrarie, fra le quali risplende brevemente e dileguasi la fortuna del Faggiolano : da una parte il re di Napoli alla testa dei Guelfi; dall’altra la con- federazione Ghibellina di Lombardia. Contro la quale militavano le ire sacerdotali, si scagliavano i fulmini della Chiesa, e si chia- mavano inutilmente aiuti stranieri (32); e nella quale collocava Dante le sue migliori speranze, ove non avesse l’occhio ai moti della Germania , e non vedesse in Lodovico di Baviera il vero successore di Arrigo (33). Spedì il re di Sicilia de’ suoi soldati a combattere sotto Genova le armi di Roberto e dei Guelfi , quando la discordia di quattro potenti famiglie avea richiamato tutta l’Italia a quell’assedio famoso, che fu paragonato a quello di Troia, e sotto le mura di que!la città parea che dovessero consumarsi i fati de’ due partiti inimici e della Penisola. Ma co- s’ erano mai le forze di Federigo in mezzo a quel tumulto uni- versale di guerra? Che potea sperare da esso l’esule dalla patria, il Poeta della nazione, il Ghibellino dell’ Impero ? E se pel re di Sicilia era già scritta la condanna nel libro della divina giu- stizia e nel cuore di Dante dopo quel sno vile rifiuto; cosa po- teano meritargli questi suoi tardi e sterili aiuti nel cospetto di quei giudici inesorabili ? Una sola adunque fu l’ occasione , uno il tempo , in cui Federigo potesse risvegliare la fiducia di Dante, fargli obliare la severità con cui ne avesse scritto nelle sue ope- re (34), e rivolgersi a lui come all’ uomo fatto desiderabile dalla presente difficoltà delle cose , e richiesto dal voto comune dei (31) Egli fu eletto capitano di quella lega nel dicembre del 1318 in una dieta tenuta a Soncino sull’ Oglio. (32) Filippo di Valois, ed Enrico. fratello di Federigo d’Austria competitore di Lodovico di Baviera all’ impero , scesero infruttuosamente. in Italia. (33) È cosa singolare che il libro delle dottrine politiche dell’ Alighieri, (il trattato della Monarchia) si dica scritto ai tempi del Bavaro, e che niuno, ch’ io sappia , (oltre quel che fu sognato dall’Arduino) abbia cercato se Dante potesse mai riporre le sue speranze in quel principe , se di lui facesse mai oscuramente /menzione nel suo poema. Lo vedremo neila mia « introduzione allo studio di Dante ,,. Vedete anco il libro dell’ egregio sig. Troya del Veltro allegorico ec. pag. 186. (34) Egli potea dire come lo scrittore dell’ Apocalisse da lui molto studiato, « ego quos amo, arguo et castigo ,, Apoc. cap. 3. 22 Ghibellini: il tempo della mancanza di Arrigo , quello giudizio- samente avvertito dal Mantovano illustratore della Divina Com - media (35). Se Federigo venne a Pisa (36) quando quella repub- blica, esposta alla vittoriosa baldanza dei Guelfi , spesi inutil- mente due milioni di fiorini per la guerra di Arrigo, ma memore tuttora dell’ antico animo, si apparecchiava in quelle disperate condizioni ad opporsi all’ impeto de’ suoi nemici, e cercava un guerriero che assumesse il governo delle sue armi , e fosse il capo dei Ghibellini (37); certo è ch’egli ebbe prima in pensiero di porsi, quando che fosse , alla testa di quegli affari, e di essere, almeno per quel partito, quel che dovea essere, l’imperatore per l’Italia e per Dante. Ora questa prima disposizione di volontà, questo primo tempo che scorre fino al momento del crudele e vituperato ab- bandono degl’ infelici, è tutto favorevole alla tradizione della de- dica, e potea esser quello dei benevoli sentimenti dell’ Alighieri per questo principe. Lo che riceve una singolare conferma da un genere di prove, che non si leggono nell’ istoria, ma che si trag- gono dal sentimento , e delle quali ciascuuo de’ miei lettori po- trà riconoscere la verità nel suo cuore. Que” versi E a dare ad intender quanto è poco ec. non vi scopersero un segreto di sentimento , non vi rivelarono un uomo che fa, per così dire , la sua dichiarazione di guerra contro una forza, la quale non fu spesa secondo i suoi desideri, che fu loro anzi contraria e cagione di qualche profondo dolore , ch’ ei vorrebbe quasi annientare per non dover più credere che lo abbia potuto produrre , e che vuole screditare affatto nell’opi- nione del mondo per toglierle il vanto di quel dolorosissimo ef- fetto? Dante dunque forse sperò in Federigo ; forse palesò que - ste sue speranze ; forse parlò con qualche amore di lui, quando egli sempre sperava. E che non farebbe pensare, che non fa- rebbe mai dire la speranza allo sventurato ? Ma non per questo x è da potersi concludere ch' egli dovesse intitolare una parte del (35) Secol. di Dante P.I c. 3. (36) Lo asserisce l’Arrivabene sull’ autorità del Sismondi, ehe contro il suo solito non cita scrittore che lo racconti: ma lo scrive Giovanni Villani lib. 9 e. 54 3 citato anco dal Muratori, Ann. d’It. anno 1313. (37) Enrico di Fiandra ed Amedeo di Savoia , ai quali la republiea fece le stesse instanze che a Federigo, ricusarono nzualmente il difficile incarico. Per- chè dunque tanta severità pel re di Sicilia ?. Dante avrà riputato facilmente codardi questi tre principi : ma egli non ebbe opportunità di parlare che di Federigo , é in Federigo avea forse riposte a torto ed invano le sue speranze. Hinc prima mali labes. 23 sno poema a re Federigo; nè ch’ egli una volta o l’altra di- cesse “ Venga egli a difendere la causa degli afflitti, e della patria : il mio Paradiso sarà la ricompensa del suo animo citta- dino , delle sue magnanime azioni ,, La storia adunque atten- tamente considerata non ci fa vedere , che il fondamento di una possibile tradizione, con la quale peraltro non intendi tosto assai chiaramente come potesse associarsi quell’ altra della dedica al Uguccione. Il quale essendo stato in alcuna parte per Pisa quel che non volle essere Federigo, avendo adoperato con tanto felice ardiment» quanta egli parve dimostrare crudele viltà, non potea, congiunto in tal guisa coll’ Aragonese, che far sentire più viva- mente la diversità della loro condotta e quindi 1’ improprietà di uno stesso premio d’onore per ambedue. Ma nei grandi moti dei popoli , e rispetto alle persone, da cui essi principalmente di- pendono , chi ne dice una, chi un’ altra, e tutte poi si rac- contano insieme. Così potè nascere la voce di quella dedica; così conservarsi come verisimile tradizione ; così essere poi il fonda- mento, o starsi in compagnia di un’ erudita impostura. — Ma un’impostura crederemo noi la lettera di Frate Ilario ? Egli è ormai tempo che lo veggiamo. X. X. (Sarà continuato). ALCUNI PENSIERI SOPRA UN’ULTRA METAFISICA FILOSOFIA DELLA STORIA, Lettera al Direttore dell’ Antologia. Milano li ro Aprile 1832. Ho ricevuto il manifesto sulla nuova forma progettata per il vostro benemerito Giornale dell’Antologia che mi parve molto bene concepito. Io l’ho fatto inserire tosto negli Annali di stati- stica ed economia ec. Ricevo ora il primo fascicolo di cui vi rin- grazio di cuore; e pregovi di notarmi come uno dei vostri as- sociati. Onde poi mostrarvi il mio aggradimento e la mia premura vi mando una bozza di alcuni pensieri sopra un’ ultra metafisica filosofia della Storia, della quale una scuola pare sorgere in oggi in Germania e in Francia. Vi prego di accoglierla come un mero 24 suggerimento per far stendere se vi piace un articolo in regola da qualche vostro valente colaburatore , perocchè come sta non la crederei degna di mostrarsi al pubblico, altro non essendo che una traccia ancora informe di più esteso lavoro. (*) La scienza delle cose e delle storie umane iniziata in Italia dal Vico , indi per qualche profilo trattata da altri, dentro quali limiti e sotto quale punto di vista deve esser assunta e studia- ta? Ecco una questione di metodo, ma tale che dalla di lei so- luzione dipende la sorte ed il valore della scienza medesima. Sapere l'origine e le vicende della umanità formò, come forma tuttavia, un bisogno delle genti, e però sempre si pensò di sod- disfare a questa curiosità a qualunque costo. In mancanza di dati positivi si ebbe ricorso agli immaginari. Ciò era naturale nell’ignoranza della storia e della filosofia. Ma dopo la c»ltura dell’uno e dell’ altro non pare forse che riconoscere si dovevano prima di tutto gli estremi di un’ignoranza necessaria , e quindi i confini della notizia almeno probabile ? Rivalicando i diversi pensamenti anche speculativi degli uo- mini, e seguendoli nelle più sfrenate loro escursioni , noi giun- giamo a scuoprire che lo spirito umano non suole rattenersi al giusto mezzo se non dopo di essersi stancato su estremi contrari. Questi estremi rassomigliano o ai deserti soleggiati dell’ Affrica o ai tenebrosi delle terre polari. Nei primi abitano mostri ga- gliardi sotto un’ atmosfera gravida di fulmini: negli ultimi pro- duzioni spolpate, gelate, e larve volanti in notti tenebrose. La storia dell’umanità incominciata coi Puranas cabalistici e finita col- 1’ ultra metafisica presentò questi due estremi ; l’ uno nella più rimota antichità e l'altro a giorni nostri. Ma questi estremi si rassomigliano , e, come dir si suole, si toccano senza confondersi. Amendue sono figliazioni di sfumate analogie: amendue non col- piscono la realità positiva: amendue non offrono che lo sterile spettacolo di voli dell’ mmano pensiero nel caos dell’ idealismo : amendue finalmente non diedero che favole ed altro che favole. Se i primi indovini della storia dell’ umanità col compasso e col calcolo tesserono i primordj cabalistici e coniarono origini a norma del tipo da loro delineato; gli ultimi la sottoposero ad (*) Il suggerimento , di cui mi onora l’ illustre scrittore di questa lettera, mi è sembrato tale da non lasciar desiderio d’ un articolo in regola ov’ egli medesimo non si risolvesse a stenderlo ; ed ho quindi creduto di doverne ar- ricchire le pagine del mio Giornale. Il Direttore. 25 aspetti ed a formole ultra-metafisiche senza giastificarne il fon- damento , senza dirigerne l’applicazione ; e senza la possibilità di utili ammaetramenti. Dal primo modo ogni lettore è informato colle mitologie e coi Jugas dell’oriente conservati dagli indiani: del secondo pochi italiani avranno forse notizia e però crediamo di addurne un esempio. Il sig. HeceL professore di Berlino ci offre il più se- gnalato fra questi esempi; e noi lo produciamo qui quale fu espo- sto dal sig. LermINIER nella sua Introduzione alla Storia del Diritto (1). Eccone la traduzione. « La sostanza dello Serrito UniversALE (il quale nell’arte è so immagine e spettacolo ; nella religione è sentimento e rappre- ;, sentazione ; nella filosofia è pensiero, puro pensiero) si sviluppa », nella storia del mondo come risultato vivente ed intelligente 3» di tutto ciò che è esteriore ,,. Gli stati, i popoli, e gli individui rappresentano in questo s; Sviluppamento dello spirito del mondo un principio determi- »» nato che gli costituisce , li limita, del quale hanno coscienza », e che forma la loro vita ,,. « Un popolo non esiste nella storia del mondo fuorchè per s» rappresentare un'idea necessaria : questa è la sua epoca. Allora, »» durante il tempo nel quale egli è agente di questo sviluppa- »» mento dello spirito universale, gli altri popoli sono contro di s» lui senza furza e senza diritto : la loro epoca è finita , e nella ,» storia del mondo non contano più nulla .,. « Alla testa di queste missioni storiche sonovi individui che 23 »o le compiscono senza velerle e comprenderle ,,. “ Quattro principii costituiscono lo sviluppamento dello spi- » rito del mondo ,,. s» Il primo (vale a dire la manifestazione immediata dello » spirito universale) fu la sostanza vale a dire la forma identica »» e sostanziale nella quale l’ unità riposava come sepolta nella 3» sua essenza ,,. “ Il secondo principio è la coscienza della sostanza, che pro- »» duce il sentimento , l’ indipendenza, la vita e 1’ individualità s» sotto la forma del bello morale ,,. < Il terzo principio si è lo sviluppamento più profondo della 3) Coscienza, che pone se stessa nell’opposizione di una universalità », astratta e di una individualità più astratta ancora ,,. « Il quarto principio comincia colla distruzione dell’ esposi- (1) Bruselles 1829 presso Tarlier pag. 166, 167. T. VI. Aprile. 4 20 3: zione precedente. e consiste nel posseiso della verità concreta »» delle cose , deila verità morale in ciò che ella ha di più in- »» timo, di più potente e di più normale ,,. $ Questi quattro principii sono rappresentati da quattro »» mondi ; il mondo orientale ; il mondo greco ; il mondo romawno; 33 il mondo germanico ,,. « Nel mondo orientale , nel quale tutto si inabissa nella ,; sostarza , il governo e la teocrazia ; il padrore è il sacerdute » ossia Dio ; la politica e la legislazione sono la religione. La personalità individuale non gode verun diritto o a dir meglio non esiste ; la natura esteriore è immediatamente divina ossia uno dei gioielli di Dio: l’i.toria è la poesia di tutti questi ,,. «« Nel mondo greco l’ unità sostanziale del finito e dell’in- finito si sviluppa ; ed a traverso i misterii, le immagini e i sim - ss boli della tradizione , la vita reale nasce a bel bello all’ indi »» pendenza sotto la forma del bello morale. In questo sviluppa- »» mento la personalità si emancipa precisandosi ciò nou ostante s, in una unità ideale ,,. « Nel mondo romano la vita morale si divide in una per- >» sonalità egoista e del tutto speciale ed in una universalità », astratta e senza verità. Quest opposizione si rappresenta in x Roma per mezzo dell’ aristocrazia, che colla forma sostanziale »» lotta contro la democrazia animata dallo spirito personale ,,. « Nel mondo germanico si compie per dir così la risurre- »» zione della vita morale. L’ unità divina e la natura dell’ uo- »» mo si riconciliano, e da questa fusione escono la libertà , la » verità e la moralità ,,. Ecco come in pochi cenni il sig. HEGEL espone i principii della scienza delle cose e delle storie. Questa esposizione venne soltanto fatta ad osgetto che lo studioso delle cose e delle storie umane rattenga l’attività del suo spirito al di qua dei limiti te- nebrosi nei quali spaziar può una cavernosa , svaporata , puerile metafisica. Mortificante sembrerà ai seguaci ed agli ammiratori dell'Hx- gel questa nostra qualificazione ma fra essi e noi sta qualche cosa che decider può degli scambievoli diritti, io voglio dire che vi stanno principii di una sana logica e di un solido buon senso. Veniamo alle prove. Io do a leggere l’estratto snddetto dell’ Hegel a tre iutelli- genti, l’ uno di storia, l'altro di filosofia e il terzo di diritto, nou perchè si prendano la briga di confutarlo , ma bensì perchè 27 me ne facciano la costruzione e mi dicano le loro osservazioni. In- comincio dunque a interrogare l’intelligente di storia e gli do- mando che cosa egli mi sappia dire sopra i quattro mondi di Hegel. — Egli mi risponde : io a dir vero prima di tutto non capisco il gergo sibillino , dialettico, scolastico in cui è involto l’aspetto di questi quattro mondi; solamente mi pare di trovarvi dentro la trita divisione delle grandi monarchie insegnata già da più d’un secolo ai nostri fanciulli ; ma non vi trovo il mondo americano. Pare che questo vi doveva pure entrare per qualche cosa , onde far vedere come questo spirito universale del mondo si sia pigliato il divertimento di porre in comunicazione il nuovo mondo col vecchio, impossessandosi di quello, facendovi man hbas- sa sugli abitanti ed introdncendovi la tratta dei negri. Se mi si dicesse non esser ancor giunta l'epoca di questo nuovo mondo, prima di tutto domanderei a chi lo vogliate voi applicare , se ai conquistatori o ai conquistati. Le epuche dell’Hegel sono in su- stanza le dominazioni di un popolo sopra di un altro, duranti le quali i popoli soggetti sono senza forza e senza diritto. Ora quest’ epoca si verificò pur troppo in senso attivo per parte de- gli enropei e soprattutto degli spagnoli ; ed in senso passivo per parte dei poveri americani e dei poveri affricani. Tutto poi con- siderato il grande avvenimento ed il possesso dell’ America per parte degli europei , sì nella grandezza, sì neila durata, e sì finalmente nell’ influenza economica morale e politica , vale assai più della breve esistenza delle grandi monarchie Assiria, Babi lonese , Persiana e Greca. Dopo questa prima osservazione sulla enorme mutilazione storica praticata dal sig. Heg-l l’ intendente di storia prosegue dicendo : a dir vero non so trovare nel mondo orientale che tutto si inabissi nella sostanza e che la teocrazia ingoi tutto. Qui non veggo che il mondo individuale o a dir meglio che tanti e tanti milioni d’ uomini siano immob;lmente incastrati in una col- lana posta al collo della divinità (on un des joyaux de Dieu). Egli è vero che il primo incivilimento fu incamminato colla teo- erazia, ma ciò non fu proprio del mondo orientale ma comune all’ affricano, all’europeo, all’ americano. Allorchè poi 1’ Hegel pretendesse di assegnare la teocrazia come conio permanente del mondo orientale, domanderei quale assorbente ed ingoiante teo- crazia trovar egli può mai nel regime chinese ? Quale nelle gran- di monarchie fondate dai Mongolli? Quale nel sacerdozio tutto famulativo e quasi extra politico del budismo praticato nel Giap- pone , nella China, nei Paesi al di là del Gange , in Ceilan e 28 nel Buttan , nel Tibet e nei popoli nomadi dell’ Asia settentrio- nale ? Direbbe forse 1° Hegel che il clero regolare assorbisca in Europa 1° nomo individuale per farne una pietra di collana della divinità? Or sappia che la gerarchia budistica non possiede nè te- nimenti nè fondi, che non impone decime , che non domanda, nè comanda contribuzioni a nessuno , ma solo istruisce e gna- risce contentandosi di quello che le vien dato spontaneamente. Dove dunque trovàte 1’ ingoiamento teocratico immaginato in Oriente? Baje , tutte baje (qui esclamerebbe il nostro VaLtr- swreri) da narrarsi ai sempliciotti fanciulli ed ai dolci calandri- ni, e nona chi conosce alcun poco la storia del mondo. Prima poi di escire da questo mondo orientale nel quale tante nazioni hanno godute le loro epoche (inclusivamente ai Mantschiù so- pra l'immensa China dal XVII secolo in avanti ) farò osservare che in Asia qualunque piccola superiorità si è sempre dilatata in una vasta sfera senza far meglio elle antecedenti. Ognuna segna la sua epoca che vien cacciata da un’ altra , talchè sem- bra che quel sig. spirito universale si pigliasse spasso nel porre insieme gli imperi asiatici come i ragazzi costruiscono i loro ca- stellazzi di carte da giuoco e poi vi soffiasse dentro per godere lo spettacolo della ruina. Quì la sostanza si mostra di gusto un po’ tifonico. Sebbene io non debba farla da filosofo, io dirò non- dimeno colla testimonianza di uno che conosceva meglio di noi tutti il mondo orientale che Regnum a gente in gentem tran- sfertur propier injustitias et injurias et contumelias et diversos dolos (2). Se l’unità riposando come sepolta nella sua essenza non sapesse fare che queste bagatelle, dovrei concludere che o lei o il suo bozzolo sono di una essenziale malignità. Come mai sortendo dalla sepoltura della sua essenza , questa unità cangia di natura al punto da produrre la libertà , la verità e la mu- ralità del preteso mondo germanico ? Dico del preteso, perocchè, per quanto io vada esplorando la storia, non so riscontrare in verun luogo una manifestazione germanica che paragonare si possa a . quella del mondo greco e romano. Conosco invasioni barbariche, ma queste in grandissima parte sono di derivazione orientale ed arabica , e dell’ altra parte /” epoca loro , dopo il primo impeto della forza brutale, si risolvette in un lento trionfo dell’ anima del mondo romano. Nella leggenda mitica di Egitto fu detto che dopo che Tifone tagliò a pezzi il corpo di Ossiride egli fu ri- suscitato per cura di Iside simbolo della natura universale. Ora (2) Eceli. C. X. V. 8. 49 fingete che taluno vi dicesse : sappiate che nel mondo tifonico si compie per dir così la risurrezione della vita morale: l unità divina e la natura dell’ uomo si riconciliano, e da questa fu- sione escono la libertà, la verità e la moralità. A chi vi dicesse tutto questo che cosa rispondereste P_—- Prima di tutto direste che il rifabbricare una casa abbattuta da un oragano non deve attribuirsi all’ uragano perchè fu rialzata dopo l’oragano. In se- condo luogo che non potete capire una riconciliazione senza causa tra due potenze per indole loro nemiche. Venendo poi al parti» colare direste che non sapete comprendere una natura umana fuori dell’ unità divina; e come possa essere in lotta con que- sta e come poi si vadano riconciliando nel mondo germanico. Tutto si spiega. La verità è la più forte delle cose. L’ unità di- vina e la natura umana vanno a scuola nel mondo germanico ed eccole riconciliate. Nel mondo germanico si verifica, dice 1’He- gel, il possesso della verità concreta delle cose, della verità mo- rale, in ciò che ella ha di più intimo, di più potente, di più normale. Ma io non voglio entrare in una provincia non mia e qui finisco: L’ intelligente di filosofia sottentra ed incomincia col dire : io veggo in primo luogo qui nominare uno spirito universale , uno spirito del mondo ec. Io vorrei prima di tutto ben sapere che cosa il sig. Hegel intende di dinotare con questi nomi. Par- lando del mondo delle nazioni ivtende forse di indicarmi in a- stratto quello che volgarmente dicesi spirito umano, ovvero un altro che a guisa del calorico investa tutta la natura ? Io non lo so. Ad ogni modo , se ne fa un Dio, egli deve spiegarmi i capricci dei quattro mondi. Se non ne fa un Dio, egli mi deve dar ragione da chi e da quale agente sia tratto ad operare come vien descritto. Egli in secondo luogo mi parla della sostanza di questo spirito che si sviluppa. Ma di grazia lo svilupparsi di una so- stanza può forse convenire ad uno spirito ? In un grano di fru- mento, nel seme di una pianta, o nell’ ovo di un animale, posso concepire uno sviluppamento , ma nella sostanza di uno spirito ciò è assolutamente impossibile. So che nel parlare del perfezio- namento si usa della metafora dello sviluppamento, ma ivi si parla delle operazioni miste e successive di un essere misto che col tempo si volge e si perfeziona ; ma ponendo mente allo spi- rito non si ravvisano fuorchè funzioni variate, senza che veruno siasi sognato mai di svilupparne la sostanza dell’ anima. In terzo luogo mi parla di un principio determinato che gli stati, i po- 30 poli e gli individui rappresentano nello sviluppamento della so- stanza dello spirito del mondo. Qui sotto nome di princip:o in- tende l’ Hegel un principio logico o un principio dinamico , uno di cognizione o uno di azione , uno contemplativo o uno effet- tivo? — Parlando di sviluppamento pare che debba essere l’ef- fettivo. Or bene: non nego che il nome come ognun altra erea- tura debba avere un principio motore , e questo è quello della sua conservazione e riproduzione. Ma niun principio costituisce o limita, ma viene costituito e limitato dalla natura originaria dell’ essere suo e delle circostanze esterne delle cose. Prima del- l’azione esiste la potenza : e prima dell’azione esister debbono gli impulsi, e rimovere gli ostacoli da superare per agire. Qual senso dunque può aver la frase di principio che costituisce e li- mita gli stati, i popoli e gli individui? Donde nasce questo principio ? Perchè nasce quello e non quest’altro? Perchè piut- tosto prima che dopo ?_ Perchè tante varietà? Perchè tante vi- cene ® Perchè tanti sforzi inutili? Ma perché poi i Tifoni, gli Arimannì, i Satanassi compagni dello spirito universale ? Ma l’ enigma maggiore , che non capisco e non saprò capir mai, si è quello della coscienza che scoppia in evoluzioni e le com- pie un una maniera sì preternaturale, e sì opposte, senza sapere il come ed il perchè. Il conscire sibi altro non importa che av- vertire sopra se stesso e render conto a se stesso di quel che si sente. Come mai colla consapevolezza creare una vita indipe- dente che prima non si godeva? Come poi figurare un più pro- fondo sviluppamento di questa consapevolezza che pone se stessa nell’opposizione di una universalità astratta e di una più astrat- ta ancora ? Per porsi in opposizione ci vuole un perchè. Come lo spirito universale fa questo salto mortale e più che mortale ? Chi o introduce una coscienza opponente, o trascina la prima al- l'opposizione ? Chi introduce nella scena le universalità, 1’ una più astratta dell’ altra? Come avviene che lo spirito universale sepolto nella sostanza come un’informe embrione sfugge sopra le nuvole per giuocare di scherma colle universalità ? Come con- vertire la cuscienza in una maga che fa succeder tutte queste trasformazioni ? In quarto luogo io domando che cosa significhi a frase: un popolo non esiste nella storia del mondo fuorchè per rappresen- tare un'idea necessaria? Ogni popolo vivente esiste certamente nella storia del mondo incominciando dai Boschmans e giun- gendo fino al Culto Europeo. Qual idea necessaria egli rappre- senta fuorchè la vita o la morte de’suoi individui? == Vuol forse 3I dirmi l’ Hegel che un popolo non si rende predominante e famoso nella storia fuorchè per un certo aspetto ? Ma allora non è per un’ idea necessaria, ma bensì in conseguenza dell’ ascendente acquistato e delle passioni da cui è animato. Questa, dice l'He- gel, è Za sua epoca, vale a dire il tempo nel quale predomina. — Ma con ciò io non imparo nulla, come il fisico non inparerebbe nulla se taluno dicesse che 1’ epoca di un fiume è quando stra - ripa ed inonda; e quella dell’ atmosfera quando infuria cog'i uragani o colle epidemie. Ora eccoci ai quattro principj costituenti lo sviluppamento dello spirito del mondo. Abbiam già veduto che si parla di po- tenze attive ed effettive poste in esercizio. Col riposo danque sono zero per lo sviluppamento. Ora come si fa la concordanza colla definizione del primo principio consistente nella sostanza in cui l’ unità riposa sepolta nella sua essenza? Taluno mi dirà che qui si tratta della covatura dell’ ovo in cui il germe sta se- polto nel suo albume. Esiodo lo affidò all’ Erebo in cui fu fe- condato dall’ Amore e 1’ Hegel lo fa supplire ed attivare nella sua essenza. Ma l’essenza di una cosa forma tutta la realità di una cosa: la realità di una cosa è lo stesso che la sna s0- stanza; e l’unità non è che l’individualità stessa della cosa. L’ unità qui è forse un’ entità reale diversa dalla sostanza dello spirito del mondo? Come mai l’ essenza tiene nel suo ventre se- polta l’ unità di questo spirito ? Qui sono nel caso di contrap- porre il quesito che un lepido scrittore propose agli scolastici : An chimaera bombinans in vacuo possit comoedere secundas in- tentiones? A me basti questo saggio per non annoiare altrimenti e voi me. A me tocca (qui disse il giurista ) di proseguire a comen- tare il passo dell’ Hegel da voi preso in esame. In esso , par- lando di un popolo operante nella sua epoca storica, cioè du- rante la sna dominazione strepitosa nel mondo prosegue dicendo “ Allora, durante il tempo nel quale egli è agente di questo svi- »- luppamento dello spirito universale, gli altri popoli sono con- 39 tro di lui sezza forza e senza DIRITTO ; la loro epoca è finita, »» e nella storia del mundo non contano più nulla ,,. == Or qui iu osservo che questo passo colpisce tutte le parti del dramma storico metafisico indicato , ma non spiegato dal sig. professore. Nei quattro atti dei successivi quattro mondi, nei quali lo spi- rito universale si compiace di fare la sua comparsa come il Visnù indiano , eguale spirito universale, nelle sue incarnazioni , il sig. Hegel uon è pago dell’esaltazion del popolo posto nella sua epoca, 32 ma decreta anche lo spoglio di ogni diritto degli altri popoli del mondo. L’epoca dei Persiani incominciò con Ciro e finì con Da- rio sconfitto da Alessandro il Macedone. Essi invadendo la Gre- cia rappresentavano lo spirito universale trionfante. I Greci dun- que erano senza diritto a resistere ai Persiani. Ciò sta bene nella teodicea metafisica dell’ Hegel , perocchè non vi può essere diritto contro diritto. Lo spirito universale ha sempre ragione. Dunque gli uomini hanno sempre torto. Questo spirito universale fa la sua parte in ognuno dei quattro mondi. Dunque i popoli hanno torto ad opporsi agli atti del dramma di ognuno di questi mondi. Qui mi ricordo di aver letto che un pubblicista connazionale dell’ Hegel del secolo XVII poneva per principio che il trionfo della forza è la sorgente vera del diritto, perchè il vincere è un dono del Dio delle battaglie. — Per vero dire il dramma dell’ Hegel con questo tratto pare spogliarsi della . forma comica e vestire la tragica; ma a questa versione spero che verrà posto fine colle fischiate di un altro spirito universale più possente di quello al quale egli amò di affidare la risurre- zione della verità e della moralità da lui intesa. Chiudiamo la conferenza sul cartello drammatico della storia del mondo delle nazioni affisso dal sig. Hegel. Noi lo abbiamo to- talmente esposto agli italiani come esempio dell’estrema ultrame- tatisica da sfuggirsi nello studio delle cose umane. Tramontata la cabalistica e studiata sol come fenomeno, forse in alcuni de’ no- stri giovani poteva nascer vaghezza per l’ultrametafisica. Ora veg- gano se torni loro il conto di farlo. Quando loro piacesse di ve- dere una lepida appendice dello spirito universale dell’ Hegel, essi la riscontrerebbero in un certo Diavolo Zoppo deseritto dal sig. Giulio Jawrn. ‘ Il Diavolo Asmodeo è vecchio , dice egli , al pari del mondo. Egli non ebbe sempre una gruccia, ed una gobba ; egli non fu sempre chiuso in un’ ampolla ( come lo spi- rito universale di Hegel sepolto nella sua essenza) egli non fu sempre chiamato col nome di Asmodeo ; ma a volta a volta coi nomi di Aristofane, Teofrasto, Terenzio, La Bruyère, e sopra- tutto di Molière ; egli fu chiamato Voltaire, Rabelris e Beau- marchais : egli ha portato i più gran nomi del mondo poetico e satirico : egli ha toccato i due estremi del genio dell’ nomo. Egli fu Rabelais per lo spirito; fu Montaigne per il cuore. Asmodeo è la filosofia di tutti i secoli che si riassume in una caricatura (vera legittima forma di dire della scuola trascendentale), Asmo- deo è la sapienza antica che si fa francese ,.. “ Da lungo tempo egli si pose in viaggio attraverso il ge- 33 nere umano. Il primo popolo visitato nella sua corsa fu il greco; popolo ciarliero, cocciuto , sguaiato > ghiottone , scettico, spiri- toso , derisore , leggiero , mancante di animo, ma fiorito, gra- zioso, pulito, elegante , ridente di tutto, ozioso sulle pubbliche piazze , oratore, musico , retore , amante delle forme , dei suo- ni, dei colori, dei profumi di poesia, ma nello stesso tempo vanaglorioso ; sudicio , perverso , impudico , sfrontato ,)- Dal mondo greco (nel quale lo spirito del mondo di Hegel nasce bel bello all’ indipendenza sotto la forma del sELLO Mo- RALE ) Asmodeo passa nel mondo romano ove si fa chiamare Terenzio, Orazio, Persio, (Xiovenale e dopo dà indietro sgomen- tato. Sopravviene un terzo mondo e questo è quello del medio evo. Asmodeo allora abbandona la barba del filosofo , rompe la botte del civico, vende per bere l’anello d’oro del cavaliere romano. Veste la cocolla , e finisce col dare alla Francia il libro di Pantagruel. « Un quarto mondo sorge , e questo per Asmodeo non è il mondo germanico dell’Hegel, ma il francese dove agisce nel gran secolo e per la terza volta impara il greco e si fa chiamare la Bruyère, dopo Molière e scrive il Misantropo ; il Tartuffo ; più tardi si chiama Voltaire e scrive il Candido. Anche qui dà in dietro sgomentato e cerca altro lavoro .,. La leggenda di Asmodeo qui dovrebbe concordarsi con quella dello spirito universale dell’ Hegel , che ponendo e limitando sè stesso passò nel mondo germanico ad operare il secolo d’ oro. Dicesi dunque che Asmodeo eccitato a passare il Reno voleva prendere i nomi di Wieland e non so di chi altro; ma che poco dopo essendo stato invitato a serrarsi in una stufa e in una gran quiete, a porsi a sedere appoggiando il mento sullo stomaco e fissar l’ occhio sul suo umbelico per veder la luce dello spirito universale trascendentale , come i quietisti orientali del seco- lo XIV pretendevano di vedere la luce del Tabor, detta da essi la storia stessa di Dio, Asmodeo fu spaventato da quest’ invito per paura di essere ancora chiuso nell’ ampolla in cui era stato già imprigionato, e di rimanervi chi sa per quanto tempo, e però rimase dove si trovava. Questa ritrosia non fu immaginata qui per una malizia sa- tirica, ma per un motivo di fatto positivo. Ad Asmodeo tocca di star imprigionato nell’ ampolla dappertutto ove la mente u- mana non è emancipata dai vincoli di uua grezza e puerile fan- tasia. Ora qual’è la condizione dei Boschmans , degli Eschimesi , io voglio dire, di que’ selvaggi bamboloni che danno anima e T. VI. Aprile. 5 34 vita ai sassi, alle piante , ai fiumi, ai venti? Plutarco nella vita di Teseo esprime questo istinto nella figlia di Sinni, che rifugiata per paura nei boschi prega i cespugli a nasconderla promettendo ad essi che non permetterà mai ad alenno di bruciarli. Il feti cismo è quindi parto naturale di questa età detta meritamente infanzia della umanità. Or bene, chi crederebbe che un eguale feticismo sia stato in oggi filosoficamente e poeticamente procla- mato, insegnato e seguito da molti in Germania ? Eppure la cosa è così. Eccone la prova. “ Lo spirito divino (dice Scu LLING) dor- me nella pietra ; sogna nell’ animale ed è svegliuto nell’ uomo. L'uomo è il verbo del mondo ; la natura avendo coscienza di sè stessa e riconoscendo la sua identità vi si trova in ogni cosa e sente per parte sua respirare in lui 1’ universo. Dappertutto la vita riflette la vita. Queste moritagne e queste stelle forsechè non vivono? Nelle onde non esiste forse uno spirito ? E queste grotte piangenti non hanno esse forse un sentimento nelle loro lagrime taciturne ? Allorchè taluno preoccupato da queste idee percorre le foreste e le diserte valli, non prova forse una tal quale dolcezza e mistica sensualità di aggiungere all’ essere pro- prio l’ aria , le acque e la verdura , o piuttosto di lasciare an- dare la sua personalità a codesta avida natura che lo attira e che sembra volerlo assorbire ? La voce della sirena è cotanto dolce che voi la seguireste come il pescatore di Goethe nella limpida e profouda fontana , o come Empedocle al fondo dell’ Etua. O mihi tum quam molliter ossa quiescunt! ,, In questo tratto esiste v no un vero feticismo mentale ? La fantasia vien dopo per popolare il mare di Ninfe e di Tritoni , le fonti di Naja'i, le montagne di Oreadi , l’ aria di Genj e di Lemuri, i boschi di Driadi e di Amadriadi ec. Questo sarebbe un progresso malgrado tutte le proteste di Schelling , onde non isnaturare il suo decorato panteismo, nel quale il fuoco, creatura molto più vivace, non so perchè sia dimenticato co’ suoi vulcani, co’ suoi terremoti , colle sue folgori. Asmodeo dunque pare che avesse ragione di temere, andando in Germania , di essere ancora imprig'onato nell ampolla ; perchè vedeva che con questa filosofia o conveniva ricominciare da capo il lungo pellegrinaggio del genere umano promosso da Prometeo o girare perpetuamente nella sfera fanciullesca della natura per- sonificata. A dir vero 1° abjura fatta dalla ragione umana incivi- lita di questo modo di seutire e di opinare sulla natura esteriore è nn enigma; ma l’ idoleggiare è nna seduzione contagiosa la quale può contare i suoi trionfi anche a costo degli assurdi. Prova 35 ne sin la asserita fortuna incontrata in Germania dalle idee di Schelling. Esse ci vien detto trovarsi infiltrare in molti scritti di filosofia , di morale, di poesia e perfino ne'le canzoni. Quando ciò sussista noi dovremmo convenire che il proce- dimento dello spirito umano è sempre il medesimo , ed ha certe leggi anche nelle sue più sbrigliate escursioni. Si crede col pan- teismo e con altre sfrenatezze consimili di ascendere; ma a conti fatti si discende da un? altra parte. La curva parabolica intellet- tuale è evidente, sebbene il colore della parte discendente ap- parisca diverso dell’ ascendente. Il più zotico concepire fanciul- lesco in che differisce in sostanza dall’ animazione poetica di Schelling e dalle metafisiche evoluzioni dell’ Hegel? Fuorchè in una scala più grande e ne’ modi più studiati. Ed in questa guisa si pretende di far andare avanti la scienza, e di perfezionare le menti? In verità vale più un nostro pastore che predice una buona o cattiva invernata che tutte le teste laureate ed inlar- dellate di erudizione di quelle scuole. Chiudo questa lettera col farvi osservare che per una specie di lirica parodia deila scuo!a di Hegel presso alcuni giovani scrit- tori francesi spunta una nuova isterica filosofia a salti grotteschi, lucicanti, repentini, vibrati. Spero che gli italiani non vorranno commettere nella filosofia della storia il secentismo di Marini e di Achillini. Essi non ameranno certamente di arricchirsi con fantasmi svaporati di puro spettacolo i quali non dicon nulla alla coscienza. Come mai concordare questa smania di comparire colle incessanti provocazioni ai principii ? Forsecchè colle cari- cature si riforma il regno dell’ opinione e delle credenze ? Spero che niun italiano pronunzierà il 2ravo tanto ambito da quei si gnori. L’ italiana gioventù non amerà io spero di occuparsi di fantasmi alchimistici,o di mostrarsi con istrambotti sibillini? Sia essa italiana , tutta italiana, e nient’ altro che italiana, ma ita- liana peusatrice , operosa e concorde , ed allora ‘salirà ad un pri- mato certamente serbatole dalla natura segnatamente neila terra natale di Dante, di Machiavelli e di Galilei. Eccovi mio caro Vieusseux le traccie sulle quali potrete se vi piace far estendere una memoria, persuadendo all’italiana gio- ventù di stimare le cose sue e di far trionfare il sno grande buon senso giusta il consiglio più volte ripetuto da voi e da altri e da me. Parmi che sarebbe bene di ricordarle l’eredità de’ suoi mag- giori, tessendo in ristretti quadri i secoli della coltura italiana clivisi in classi, comprendendovi tutti i rami anche delle arti meccaniche e liberali ed intellettnali. Qualche accademia po- 36 trebbe proporre il programma fissando un premio per ogni serie. Essa dovrebbe prescrivere che sia ristretto indicando i tempi, i nomi, le opere e i monumenti. Fatti i primi quadri si potrebbero poi perfezionare. Quest’ inventario potrebbe servire di repertorio e di-manuale per gli studiosi e per i filosofi. Vi saluto di cuore Vostro Affezionatis. Romagnosi. Duszi AI RoMANTICI o sia Dubbi intorno alla direzione morale e civile del Romanticismo. I. Ponendo a questo mio razionamento il titolo di dubbi ai romantici, sento il bisogno di prevenire i lettori che non saranno intertenuti da me intorno ad un tema di rettorica, bensì sopra un argomento morale e civile. Chi credesse dover leggere un articolo polemico o pure un giudizio sulla quistione letteraria del romanticismo e del classi- cismo rimarrebbe deluso nella sua espettativa, perchè a questo oggetto niente mira il mio discorso. La nuova direzione, che i romantici intendono dare alla let- teratura, non mi è sembrata mai un oggetto di dispute mera- mente letterarie, nelle quali troppo mi conosco insufficiente a prender parte; vi ho veduto delle cagioni morali segnalabilissime per la storia della nostra età ; vi vedo delle tendenze e morali e civili che possono avere effetti di gran momento nel nostro avvenire 3 vi scorgo de’ mezzi di azione che a senso mio meritano di esser chiamati ad esame e se si può giudicati. II. Taluni forse dopo aver letto domanderanno a sè stessi : se io mi sia favorevole o no ai romantici, e forse mi accuse- ranno di volere occultare il pensiero dell’ animo mio. A costoro vo” rispondere in poche parole prima di entrare in materia. Se io mi avessi fitta nell’ animo una sentenza ben ferma sul ro- manticismo , e tale che io mi credessi poter costantemente te- nere, non esiterei a manifestarla quale l’ avessi stabilita. Ma a dir vero, consultando me stesso su questo articolo come su molti altri, io mi trovo povero di sentenze assolute, nè ho quella pre- potente convinzione che ti lega strettamente ad una parte e 37 quella in tutto ti obbliga a seguire. A me pare anzi che, sebbene uno sia il nome di romanticismo, più sieno le cose o sot'o di esso si comprendono, e queste sempre ben distinte, talvolta an- che contradittorie tra loro. Però mi sembra che supra argomento così complesso non si possa dar un solo giudizio ed in una sola parola; ma faccia mestieri prima decomporlo nelle sue parti e ciascuna di quelle giudicare ; quindi portar giudizio del tutto secondo la parte che prevale. Ma questo giudizio del tutto pra- ticamente val niente, perocchè occorrerà sempre ricorrere ai giu- dizi delle parti per averne quella direzione che la critica può fornire alla letteratura. Per questa ragione non mi sono mai molto applicato a formarmi un’opinione sull'insieme del romanticismo ; tanto più che, essendo esso tra noi appena adolescente, qualunque giudizio mi parrebbe prematuro e saper piuttosto di congettura che di ferma opinione. Del resto non porto invidia a quelli che vanno più risoluti nelle loro opinioni, nè credo neppure ch’ essi corrano pericolo di doverle mutare, perchè, come vedono le cose ora, le vedranno sempre, qualunque sieno in realtà le variazioni che avvengano nelle cose stesse. Sono tuttavia ben lontano dal voler sindacare coloro che si apron campo più libero ai giudizi ed hanno maggior fermezza di convinzione Perocchè , quando ciò derivi da più profonde riflessioni e da maggior conoscenza de’ fatti, è da credere ch’ essi possano giungere a comunicare agli altri la loro sicurezza ed affrancare dai dubbi i più timidi o meno istruiti. III. Quello che so e tengo fortemente anch’ io si è, che nelle lettere come nelle cose civili non si deve proscrivere ma si deve giudicare. E qui mi sia permesso di segnalare le differenze che passano tra la proscrizione ed il giudizio. Ho bisogno di diffon- dermi alquanto su questo punto di criterio per farmi strada alla proposizione dei dubbi sul romanticismo. L’ odio delle proscri- zioni teoricamente viene encomiato da tutti ; ma in pratica non so se le cose procedano:cume in teoria. Certo mi vo confidando che, se mai la generazione, che non è stata nè persecutrice nè perseguitata, potrà fare intendere i suoi voti, le proscrizioni, qua- lunque sia il loro fine, qualunque sia la parte che favoriscono, incontreranno l’ abbominazione universale e saran quasi incon- cepibili agli amatori di giustizia. Intantochè giunga questa beata età, giova ricordare qual differenza passi tra ’1 sentire e l’ opi- nare da partigiani, ed il rettamente giudicare. IV. Al partigiano basta conoscere 0 ’1 nome di un autore o il titolo dell’ opera o ’l fine cui mira, o alcuna. proposizione 38 staccata, per sentirsi tosto muovere o a maledirla o farne pro- fitto e raccomandarla. Esso non scende nell’ esame degli argo- menti ; non concepisce la possibilità che l’opera di un uomo ricco di ingegno e di sapere metta in nuova luce le quistioni che si tenevan decise, convinca d' errore la conclusione più accettata, sparga dei dubbi da stimolare ad un nuovo esame , indichi delle mod:ficazioni giuste per temperare le sentenze assolute. Il par- tigiano tien ferme nella sua mente poche sentenze generali che reputa assiomi, va in estasi se li ode enfaticamente ripetere, ammira eziandio l’ ingegno speso nel riprodurli sotto varie for- me, gode se taluno si adopera a farli indovinare quando l’enun- ciarli pei loro precisi termini è cosa vietata; ma da questi as- siomi in fuori non concepisce scienza, e tutto stima vaue parole. La mente perfetta per lui è quella che si è fatto nutrimento quotidiano de’ favoriti assiomi, e tutti quanti nella loro più lata estensione applaudisce ed accetta. Se taluno ne riceve alcuno e ne rigetta alcun altro ; si dice aver la testa incompleta , le idee oscure o volere associare cose insociabili. Va più avauti il par- tigiano : non suppone che abbia buon giudizio in cosa alcuna quezli che vede professare sentenze contrarie alle sue favorite. Certo poi il partigiano stima che nella fazione contraria non sia nè buon senso, nè buona fede, tanto crede che si conosca in- tnitivamente il vero delle proposizioni ch’ esso professa e che dalla parte contraria si tengono per false. V. Invano gli uominì di più ponderato giudizio coi ragio= nameuti teorici, e coi Jumi dell’ esperienza, dimostrano quanta _ sia la fallacia degli umani ragionamenti ; quanto sia consentanea alla natura umana la divisione delle opinioni tra gli uomini. Lo spirito di parte non si arrende a queste osservazioni, nè se ve- desse il mondo tutto piegare in diversa sentenza avrebbe animo di far senno e dubitare. Esso giungerebbe al segno non solo di reputar tutti in errore, ma di accusar tutti di corruzione e di mala fede senza rifl:ttere che niuno è tanto ricco da comprare l’opinione generale. Si potrebbe concepire questa tenacità di opi- nioni in chi sapesse aver esse una garanzia superiore al ragiona- mento umano, ma coloro, che le ripetono dal ragionamento umano, non hanno diritto di tenersi così sicuri d’ aver colto nel vero da non concepire neppure come possibile che la verità stesse nella sentenza contraria. Pure fra quelli, che riconoscono come sovrana la ragione, non è piccolo il numero di coloro che professano cieca fede ed intolléranza. Logicamente questa è una potentissima con- tradizione , ma nella natura umana le contradizioni anzichè fe- 39 momeno raro son caso fiwquentissimo , e direi quasi quotidiano. VI. In questa maniera di sentire e di opinare dello spirito di parte è difficil: concepire come tutte le sentenze ridotte alla pratica abbian materia di grave disputa nel più e nel meno di loro appiicazione. Pure la storia delle grandi assemblee nazio- nali o anche dei concilii ecclesiastici dimostra ad ev.denza che dal consenso di più persone nelli stessi principii «astratti non si può argomentare che saranno concordi nel ridurli alla pratica. Basta che una parte vinca, perchè subito nasca divisione tra lei intorno al modo di usare della vittoria , e la parte vittoriosa si divida subito in due fazisni. Voglio che in queste divisioni possa aver qualche colpa l'ambizione di dominare esclusivamente, ma assai più dipende dal diverso mudo di concepire le stesse idee, dalla diversa forza degli affetti morali, e dalla capacità di un più e di un meno che si scorge sempre in qualunque doi- trina assoluta tostochè si voglia ridurre al fatto. Prendete a ca- gion d’ esempio il principio della sovranità del popolo, e date che trionfi; voi vedete sorger tali differenze di opinione tra quelli che han contribui:o alla vittoria, che alcuni accusano gli altri di rinnegarlo e giungono a barbaramente proseriverli. Ri- mane ai proscrittori la vittoria, è sorge nuova divisione tra loro. Così, per quanto le proscrizioni si aumentino , non si vien mai a togliere la diversità delle opinioni. Lo stesso può dirsi che ac- cada tra i nemiei di ogni maniera di libertà, tra quelli che ri- guardano il potere sociale come un patrimonio ereditario ed ina- lienabile del principe. Le storie di Spagna e quelle del!a Francia somministrano esempi alle mie asserzioni. 1 Intantochè in Francia, dove sono molti uomini che han tratto profitto dalle lezioni dell’ esperienza , lo sforzo costante dei go- verni che si son succeduti dal 1814 in poi ha mirato a reprimere lo spirito di fazione ; nè si può dire che vi sia stato ministero, il quale non abbia dovuto adoperarsi a vesistere , perchè i fana- tici della parte che lo avea portato al potere non giungessero a togliergli il governo di mano e non desser principio a nuove proscrizioni. Bisogna anche dire a ‘lode di Lui,i XVII che per più di quattro anni studiossi ad essere ‘arbitro e moderatore delle fazioni, a coprir d’ oblio il passato; e ridurre al fatto quello spirito di transazione che era 1’ anima della legge fondamentale data alla Francia. Ma disgraziatamente i moderatori de? partiti hanno avuto contrarie le due fazioni estreme, che si son sempre trovate concordi nel rovesciarli, comechè 1’ esperienza mostrasse il bisogno di sincera transazione. Per buona sorte uno spirito di 40 mo:lerazione e di conservazione dominava fortemente nella ca- mera dei pari dove sono raccolti gli nomini più chiari per alte gesta , e somma pratica nelle cose di governo ; e quell’ illustre senato ha recati grandissimi benefizi alla Francia. Così la storia di Francia dimostra i mali dell’ impazienza e dell’ intolleranza dello spirito di parte, ed i benefizi della moderazione. VII. Le lezioni, che emergono da questi dati dell’esperienza, sogliono andar perdute per coloro che sono preoccupati forte - mente dallo spirito di parte. Nè accade che un partito rimanga vinto, che non accusi subito la propria moderazione come ca- gione della propria rovina. Se potessi scendere ai particolari avrei pruove materiali e scritte da addurre in conferma di questa 0s- servazione ; ma non credo la memoria di alcuno così povera che non ricordi aver udito più volte esclamare che se non era la moderazione le cose sarebbero andate diversamente. VIII. Ometto volentieri come ovvie le ragioni di umanità e di giustizia, per le quali le massime del terrore e della intolle- ranza possono esser condannate; mi ristringo piuttosto ad un osservazione di fatto che credo sommamente onorevole per la presente civiltà. Nelle dolorose vicende della civiltà due sentimenti si sono sviluppati ed hanno preso vigore, e tutti e due si oppongoro agli eccessi delle fazioni. Vo’ dire il sevuso morale della giustizia, e l’amore dell’ ordine e della tranquillità sociale, Convien fer- marsi un momento ad esaminare che siano questi argini all’ in- tolleranza, e quanto meritino di esser rincalzati pel buon an- damento della civiltà. Nè si dica che noi venghiamo a far l’ e- sordio più lungo del discorso ; perocchè chi avrà la pazienza di leggere vedrà come tutte queste premesse si colleghino col sog- getto principale. IX. Si concepisce dagli uomini che al di sopra delle divisioni politiche esiste una giustizia morale, più importante e più pre- ziosa dei diversi, fini politici che le civili fazioni si propongono. Il sentimento dell’ onore , 1’ osservanza della data fede , la sim- patia pei miseri, l’ osservanza particolare dei doveri del proprio stato , sono priucipii morali che ogni uomo onesto manda avanti alle sue particolari opinioni sull’ ottimo stato della repubblica. La conservazione di queste regole primarie di probità si reputa, ed a ragione, più importante di qualunque politica riforma. Hanno un bel dire alcuni che i mezzi sono giustificati dal .fine , che la salvezza del popolo è legge suprema , che per la patria e per la fede tutto lice ; queste massime, appena vengono tratte oltre 41 i confini della più rigorosa evidente ed attuale necessità, de- stano una disapprovazione generale , ed anche quando stanuo nei limiti del necessario trovano ristretto numero di lodatori. Quanto più gli nomini sono lontani dalle prepotenti illusioni dello spi- rito di parte , tanto è maggiore in essi il senso delle regole di morale probità che segnano i confini insuperabili dalla ragion politica. Pur troppo si potranno citare esempi di persone che abbiano applaudito per amore di parte ad atti empi e disumani. Ma la Dio mercè l’ opinione di pochi non è l’ opinion nazionale. E, se male non mi avviso ; la nazione nostra tra tutte è quella che più difficilmente potrebbe venir trascinata al fanatismo, e conculcare per ispirito di parte i sentimenti di morale giustiz'a e di umanità. Essa vuole esser piuttosto illuminata sui veri principii della morale giustizia, in quanto limitano l’ azione del potere politico o la libertà particolare dei singoli ‘di agire a seconila delle pro- prie opinioni. Questa parte importante di dottrina morale che tutti più o meno sentono in cuore, e che persino i più esaltati non potrebbero al tutto rigettare, vorrehbe essere sviluppata con libertà e chiarezza. Destituti come noi siamo di forze materiali , non ci resta altra difesa contro i varii casi di fortuna , fuorichè la moral censura dell’opinione , che sostenga con furza e con ir:- telligenza la cansa della morale giustizia. So che questa difesa non è onvipotente , ma so altresì che contro di essa non è on- nipotente la forza materiale ; perchè I’ infamia volentieri non si incontra da alcuno, e perchè la prudenza insegna che, se l’opi- nione troppu crudelmente si offende, dessa è abile anche a creare la forza, o almeno moltiplica tanto gli impedimenti che alfine esce vittoriosa. X. A questi sentimenti di giustizia morale già forti nella nostra nazione , e capaci di un più grande sviluppo , fan coro 1a l’amore dell’ ordine e della tranquillità. Questo amore non è solamente raccomandato all’ inerzia connaturale agli uomini, ma si appoggia sopra tutto allo stato degli interessi economici, che sono i più potenti interessi del mavgior numero da che in essi stanno i mezzi ad ogni ben vivere. Così le riforme economiche, che han portato diffusione di agiatezza e divisione di proprietà, ed aperto libero il campo all’ingegno umano di acquistare un felice stato per l’industria, hanno schiusa la fonte da cui in ogni vicenda politica dovranno scaturir sempre le guarentigie dell’or. dine , ed i mezzi a rendere impossibile 1’ anarchia o gli eccessi del fanatismo. Per questo lato nuvi, che abbiamo da più antichi T. VI. Aprile. 6 42 tempi la riforma economica , e più compiuta che non l’ abbiano le altre nazioni, siamo in condizione morale e civile più rassicu- rante di tutti gli altri. Conseguenza dell’ antichità delle nostre riforme è pure quella mancanza di. odii cordiali tra le diverse classi della nazione , che in Francia sono stati un grande istru- mento all’esaltazione delle passioni politiche , e potrebber forse di bel nuovo venire adoperati nello stesso senso. XI. Adunque per me credo che chi intendesse agire per via di fanatismo, ‘oltre alla disapprovazione morale che meriterebbe , non avrebbe fra noi mezzi bastanti al conseguimento del fine ; sarebbe a sè ed ai suoi causa di sventure , e non ottenendo la giustificazione del successo non avrebbe neppure il conforto di pensare d’ aver sagrificato sè utilmente al bene altrui. Questa conclusione non la pongo per dubbio ma per principio al mio ragionamento. Dopodichè vengo a cavarne i dubbi sul roman- ticismo. XII. Io do il nome di romanticismo a quella dottrina, che professa la necessità di una letteratura nazionale e corrispon- dente ai bisogni presenti della civiltà. Questa estesissima defini- zione, che in sostanza viene a comprendere ogni riforma lettera- ria avente una direzione morale e civile progressione , mostra qual latitudine abbia per me l’ argomento , e come sia estraneo alle dispute meramente letterarie sui modi di produrre la sen- sazione del bello che dividono i classicisti dai romantici. I clas- sicisti istessi, dove veramente amino seguire gli esempi e le dot- trine de’ grandi di cui ammirano le opere, quanto alla direzione morale e civile delle lettere debbon convenire che si vuol con- forme ai bisogni presenti della civiltà ed eminentemente na- zionale. E qui credo non sieno mai da confondere i classicisti , che han penetrate le intenzioni dei gran modelli , e conoscono le relazioni morali delle opere dei grandi scrittori colla civiltà dei tempi per cni scrivevano , coi pedanti del classicismo che si son fermati alle regoluccie della rettorica senza intenderne le ragioni. Parimente sarebbe contro la giustizia attribuire al romauticismo le colpe dei servili e cieci imitatori de’ gran modelli della nuova scuola. Può darsi che gli imitatori abbian preso a seguire i di- fetti, e li abbiano esagerati. In tal caso sarebbero una nuova genia di arcadi , forse più pericolosi perchè meno insipidi dei loro predecessori classicisti, ma che per sè soli non bastano a costi- tuire la scuola. A rimuovere questi traviamenti dell’ imitazione bisognerebbe risalire. ai principii, mostrarne i pericoli, e per teo- rie e per esempi porre in chiaro come possano ridursi alla pra- 43 ‘tica con utilità. Ma questo a me non si aspetta, nè avrei forze da compier questo assunto. XIII. Vi sono nelle lettere i partigiani dello statu quo , e questi sterili ingegni non somministrano argomenti alla discus- sione. Vi sono poi quelli che persuasi esser la letteratura 1’ e- spressione della civiltà, e dover servire al suo avanzamento, danno opera a conseguirlo. Quelli che si chiamano romantici, qualun- que sia la ragione di questo nome bizzarro se pure ne ha una, più degli altri sembrano andar persuasi degli uffizi civili della letteratura; e benchè, per lo più abbian ragionato delle sole qui- stioni del bello, essi abbracciano realmente le quistioni filoso- fiche e morali di maggiore importanza , ed hanno l’ occhio an- che alle cose civili. Essi rappresentano la parte più giovane del- la società, hanno grandissimo ingegno , ed ottengono applauso da molti comechè altri non manchino d'aggravarli d’ingiurie. Suno stimolati dal nobile e splendidissimo esempio di Goe- the e di Schiller, i quali, vendicando la letteratura tedesca dalla servitù alle lettere francesi in cui era miseramente caduta nel passato secolo, le hanno dato un movimento nazionale, invidia- bile certo dalle altre nazioni. XIV. Non entrerò punto a proporre dubbi sui mezzi lette- rarii della nuova scuola, e molto meno dirò se sia o nò neces- saria o utile una riforma nella parte letteraria. Tenendo per in- dubitato che una direzione morale e civile debba esser data alle lettere a seconda dei bisogni della civiltà, nè punto temendo che questa direzione sia impedita , o rimanga senza ntilità ; dirò alcuni dubbi che mi vengono in mente, e che mi parrebbero meritevoli di esame, massime per quelli che attenduno a seguir le vie tracciate dai romantici. XV. Si crede da alcuni romantici che possa esservi una let- teratura europea , e debba esservi per tutta 1’ Europa una stessa forma ed uno stesso livello di civiltà. Letteratura europea e ci- viltà europea son per essi linee parallele nella figura del roman- ticismo. Questo articolo di fede romantica deve qualificarsi piut- tosto come una fiducia nell’ avvenire auzichè uu giudizio dello stato presente delle cose. Difatti, riguardandolo come profezia del- l’avvenire, può aver molti gradi di probabilità ; ma, come giudizio dello stato preserie delle cose, sarebbe evidentemente falso. Anzi prendendo argomento dallo stato presente per calcolare le pro- babilità dell’ avvenire sembra che l’ epoca profetata sia lontana non per pochi lustri ma per parecchie generazioni. Non consi- dero come argomento valutabile le sole differenze nelle istitu- 44 zioni politiche, ma sì bene quelle che esistono nella condizione economica, morale e religiosa de’popoli. Differenze che sono opera di secoli , nè si tolgon via per sole mutazioni di ‘stato. Bisogne- rebbe un esame più profondo delle letterature delle diverse na- zioni, per vedere se realmente la tendenza generale sia stata per stringere i popoli in una sola famiglia , o piuttosto per fortificare in ciascuna il sentimento della nazionalità. Pare in vero che la Francia abbia agito in senso , dirò così, europeo, con discapito di sna nazionalità. Ma della Germania e dell’ Inghilterra potrà egli dirsi lo stesso? Guardando agli atti pubblici , alle leggi, ai dlesiderii più conosciuti delle persone saggie che sono desiderose di miglioramenti sociali, parrebbe che il modo di considerare le quistioni politiche e religiose ed i doveri morali degli nomini, lungi dall’ essere identico col modo di vedere che ha guidato i partigiani di riforma in Francia, sia anzi diversissimo. Ma, non avendo io dati sufficienti per decidere la quistione se le diffe- renze nazionali sieno o no rinforzate nell’ opinione , la propongo come dubbio meritevole di esame. Si potrebbe anche dubitare che quelle varie tendenze della letteratura francese a farsi te- desca o a farsi inglese non fosser poi molto radicate nella nazio- ne ; siccome per me non credo molto radicata nella nazione ita- liana la.tendenza a farsi francese. E così, sebbene nel sistema della letteratura europea si rappresenti la Francia come il grande emporio dove si raccolgono le varie letterature di Europa , si raffazonano per rimetterle in commercio ; potrebbe dubitarsi che queste merci non trovassero poi uno spaccio molto popolare, e fosser per così dire una vivanda prelibata per l’ alta aristocrazia letteraria. La quale, venendo in tal guisa a'separarsi dal popolo mentre crede farsi europea, non riescirebbe di alcuna vera utilità nazionale, e ridurrebbesi piuttosto all’ espressione delle opinivni di una setta, anzichè ad esprimere, alimentare e proteggere una opinione popolare. Frattinto, mentre questa letteratura europea rimane letteratura di setta, sparsa in tutta Europa, le diverse letterature nazionali seguiterebbero ad esprimere le diverse con- dizioni della varia civiltà delle nazioni. XVI. Ma checchè sia di questi dubbi rispetto all’ avvenire, siccome lo scrivere per le età future è privilegio di rari ingegni, mentre il discorrer pei tempi presenti è cosa a cui più o meno tutti possiamo riuscire ; così, lasciando da parte ciò che riguarda un futuro lontano, veniamo a discorrere del presente. È legge logica confessata da tutti che non si procede bene in opere di ragionamento e d° istruzione se non servendosi dei 45 lumi che si possiedono per acquistarne dei nuovi. Questa neces- sità logica di andare dal noto all’ignoto, applicata alla direzione dell’ opinion pubblica, porta alla conseguenza che se si vuole da lei un avanzamento è duopo conoscer prima a che termine la sia arrivata, e di lì prendere il punto di partenza pei progressi ulteriori. Ma questo articolo di fatto di tanta importanza nella civil direzione delle lettere non è agevole a conoscersi; nè forse può risolversi in una tesi generale. Sono svariatissimi i bisogni del- l’ opinione secondo le diverse età, secondo i paesi e secondo le condizioni degli uomini. Non esiste un comune Lvello di istru- zione, nè sarebbe facile l’ asserire : sin qui siamo sicuri dell’as- senso universale ; al di là cominciano le disparità di sentenze e però i bisogni di alimentare la discussione e 1’ esame. Pure l’ar- rivare a questi termini sembrami di assoluta necessità se voglia- mo che l’ opinione abbia una forza civile. Intanto dubiterei che il venir fuori con delle proposiziuni astrattissime e vaghe , che riescono oscure e problematiche per le persone eziandio che fan professione di lettere, e pretendere che queste proposizioni ah- biano ad essere le basi del moderno sapere , il punto di partenza ed il criterio delle nuove disquisizioni fosse il cominciare un edi- fizio dal tetto anzi che dalle fondamenta. XVII. La somma improbabilità che siffatte proposizioni vea- gan intese per ciò che logicamente valgono , oltre all’ impedire che di esse si porti un maturo giudizio, fa piuttosto che ognun le prenda come belle forme di immaginazione per esprimere i suoi antichi pregiudizi. Giova osservare in fatti che, per oscuro che sia un ragionamento, è raro che i lettori i quali hanno avuto pa- zienza di leggerlo confessiuo non averlo inteso ; o avendo avuto il sentimento dell’ oscurità si sieno posti alla noiosa cura di rin- venire la sentenza dell’ autore. Accade più spesso che chi legge veda nello scritto Je proprie idee per poco che le parole sieno atte a risvegliarle. In questa preoccupazione seguita la lettura, e sì trova infine senza aver nulla imparato, senza aver nulla esaminato , ma persuaso che l’.autore abbia vigorosamente so- stenuta una sentenza della quale esso lettore era stato sempre persuaso. A questo modo molti leggono assai senza accrescere in niente il patrimonio dell’ idee o rinforzare gli strumenti della propria ragione. Questo fenomeno , frequentissimo nella lezione delle opere o morali o metafisiche , accade talvolta anche rispetto alle opere storiche ; massime se esse sono più ricche di formole che di narrazioni. Si affaticherà a cagion d’ esempio lo storico a notare le sensibilissime differenze tra la feodalità d’ Italia e la 406 feodalità di Francia, osserverà egregiamente per termini gene- ‘ rali come, sebbene uno solo sia il nome della feodalità, pure di- versissima ne è stata l’ indole a seconda dei tempi, e nulladi- meno io vorrei sapere quante centinaia di lettori senza ritener queste distinzioni confondono i tempi e raggruppano i fatti in- torno ad una sola idea perchè questa sola ne aveano acquistata ne’ loro studii. E se queste cose accadono «quando lo scrittore ha avuto cura di segnar bene le distinzioni; qual sarà la con- fusione della mente in chi legge opere dove molte idee sono raggruppate senza che a ciascuna venga diligentemente assegnato il logico valore ? Pure credo possa dirsi senza ingiuria e senza alterazione del vero, che in questo vizio di scrivere cadono assai di spesso i ro- mantici o sieno i partigiani di nuova filosofia e nuova lettera- tura. Dubito che siffatto procedere in nomini, che non mancano al certo nè di dottrina nè di capacità ad esprimere le loro idee, venga da qualche preoccupazione filosofica , anzichè da natural difetto. Si credon forse che l’ importanza massima consista nel diffondere certe verità primitive o nozioni ingenite nella mente umana, le quali contengono il-seme di tutte le altre meno su- blimi astrazioni. Raccolgono in conseguenza tutti i termini astratti intorno a questi punti sublimi , e , credendo che uno supplisca e spieghi l’ altro , stimano che la nozione primitiva venga accet- tata come il sommato delle idee particolari. Ma questo procedi- mento non si adatta punto alla condizione delle menti della mag- gior parte dei lettori. I quali, non vedendo l’idea che si voleva esprimere indicata con una sola parola , lungi dal porsi a con- giungere insieme i diversi termini astratti che si presentano co- me elementi di essa, si fermano a qualcuno di essi, a quello che resta loro più agevole a comprendere , e credono che in quello stia l’idea dell’ autore, reputando il resto una vana sinonimia, o un lusso di parole. < i Del resto quelle, che chiamar si vogliono verità primitive , con maggiore o minor grado di intensità e con varia forma sì con- cepiscono da tutti gli uomini cominciando dagli idioti e venen- do sino agli istruiti. I dispareri cominciano quando si tratta di stabilirne la giusta definizione , di cavarne le conseguenze teo- riche più prossime alla pratica, o di ridurre la teoria al con- creto dei casi. Se lo scrittore professa un principio di indefinita generalità, esso non fa che esprimere in bel modo ciò che tutti sanno e sentono; ma lascia che ognuno l’ intenda alla sua ma- niera , nè realmente avanza di un atomo il patrimonio del sa- 47 pere. Ma se le proposizioni di uno scrittore hanno senso deter- minato e preciso , ordine di deduzione , e chiarezza di enuncia- zione, allora sono sempre per chi legge un mezzo d'istruzione o un soggetto «li esame. XVIII. Altro argomento di dubbio sulla direzione attuale del romanticismo l’ offre per me quella continua tendenza a se- parare la gioventù dalla vecchiaia . e dar quasi ad intendere che la prima è chiamata a stabilire la riforma non solo senza il soc- corso e la guida dei maggiori di età , ma eziandio rifiutando quan- to viene da loro. Temerei che il porne la generazione che sorge in lotta colla generazione che declina, non fosse nè morale nè utile, nè dovesse assicurare il successo alle opinioni della parte più giovane della società. Dubito inoltre che, meno che nei par- titi estremi, questa marcatissima divisione di opinioni e di affetti tra giovani e vecchi realmente non sussista, e che, quanto più l’ arte si adopra a farla apparire, tanto sia maggiore il pericolo di suscitare fanatismo e intolleranza senza edificar nulla di du- revole e veramente degno di lode. Sembrami.:che per 1’ avanza= mento morale e civile degli uomini faccia mestieri adoperar tutte le forze, mettere a profitto tutti i lavori, fomentar la concordia anzichè eccitare le divisioni. E forse riescirà meglio alla riforma chi voglia proceder per gradi , di quello che s’intmnoti innova- tore e tutto dica dover sino dalle fondamenta ristabilire. XIX. Argomento a maggiori dubbi lo fornirà sempre la questione : sino a qual segno o le istituzioni o le dottrine stra- niere possano utilmente trapiantarsi nella nostra nazione. E quì a dir vero non sarà mai dato arrivare ad una ragionevole riso- luzione sino a che non sieno ben note le differenze che sono nella civiltà delle nazioni. Io ne segnalerò alcune che temo non sieno praticamente avvertite da molti scrittori romantici ; ma con ciò non intendo stabilire teoria, solo vo recare degli esempi. Sono in Francia degli odii e dei timori che non sono nè pos- sono essere in Italia. La condizione economica del popolo in In- ghilterra è al tutto diversa da quella chè gode appo di noi. In Francia meschine vanità aristocratiche non sostenute da alcuna solida base dan piuttosto aria di farsa che di cosa seria ai ma- gnifici discorsi sull’ aristocrazia; in Inghilterra al contrario l’ari- stocrazia è il fondamento principale della costituzione ; in Ger- mania l’aristocrazia riposa tuttora sui principj della feodalità ; in ltalia rispetto all’ aristocrazia siamo anche al di sotto della Francia. Sicchè in queste parti di scienza civile nè le stesse leggi, 48 nè le stesse opinioni possono essere adatte a tutte e tre le in- dicate nazioni. In Francia, perocchè vi è un unico centro di lumi, e vi suno antichissime abitudini di riportarli celeremente dal centro a tutti i punti della circonferenza, accade sollecita ed uniforme la dif- fusione delle idee. Fra noi sono molti centri di civiltà anzi as- sai più che non contiamo capitali politiche ; e non solo è lentis- sima la comunicazione tra questi vari centri, ma eziandio rie- sce lenta la circolazione delle idee da ciascun centro particolare a vari punti compresi nella sua periferia. Però a volere scrivere tra noi in modo da essere intesi si richiedono maggiori diligenze che in Francia, e menochè in Francia è tra noi permesso il sup- porre universalmente note le dottrine più recenti, e che hanno per così dire voga dalla moda. La forza della moda potrà esser discernibile in piccoli circoli delle capitali, ma non è nè sarà forse mai nazionale. In italia forse più che in Francia è grandissima diffidenza per le teorie, e molta fiducia nelle abitudini della pratica. Lo scrittore ha da lottar sempre contro l’ abituale persuasione di molti , soliti a terminare i loro discorsi coll’antico dettato che altro è la teoria ed altro la pratica. Argomento estremo con che si distrugge la forza logica di convinzione che aver può il più saldo ragionamento. Contro questa inerte conslusione , che ab- bandonata a se stessa paralizzerebbe forse ogni avanzamento pro- gressivo della civiltà, è da credere che possa combattere vittorio= samente chi nel ragionare segne le vie del metodo sperimantale, anzi che quello che trasporta le menti in astruse teorie. A queste disposizioni del pubblico consuona quella diffi denza che tra noi è grandissima per tuttociò che può sapere di setta e di scuola, e per cui lo spirito di proselitismo ha avuto sempre poca fortuna in Italia. Io non dirò quali cause buone, quali cause triste, abbiano fomentate queste diverse condizioni dell’opinion pubblica fra noi; bastandomi di presente notare il fatto in quanto che da esso ne deduco, che nella direzione della letteratura civile debbono es- sere molte differenze tra la direzione nazionale e la straniera ; e quanto pericolo siavi per noi a non vestir forme italiane. XX. Pare che molti romantici voglian surrogare 1’ immagi- nazione, e l’affetto al ragionamento. Non credo sia necessario il dimostrare non esser questa la via di rinvenire la verità. Ma sarà ella almeno una buona via per diffondere le verità cono- sciute ed appruovate ? 4 49 Tolga Iddio ch'io voglia mai ricusare i soccorsi che la ra- gione può ricevere dall’ immaginativa e dali’ affetto. Per me anzi sarò sempre sincero ammiratore di quelli che vogliono la poesia e le arti belle rivolte ad un fine di utilità sociale Mail ridurre poesia la prosa è tutt'altra cosa che trarre utile dalla puesia. E se veramente taluno mi dicesse desiderar proisaica la poesia, pve- tica la prosa, io mi crederei udire una sibilla, non sapendo tro- vare modo di concepire siffatta sentenza. Quanto a me diviene poesia la prosa quando invece di ar- gomenti leggo continui appelli all’ immaginativa ed all’ affetto. E mi pare che quegli, il quale secondo il proponimento dell’ opera sua era astretto all’obbligo rigoroso della dimostrazione , manchi all’ uffizio suo quando se ne libera con belle parole. L’imma- ginativa e l’ affetto sono fatti psicologici del più alto momento, da doversi conoscere e calcolare dal filosofo e dal politico , e che sovente possono e devono gettare nella bilancia un peso mag- giore degli interessi materiali; ma che sieno poi una pruova della realtà della cosa immaginata o desiderata niuno credo vorrà asserirlo. Riducendo l’immaginativa e l’ affetto a fare le parti della ragione, pare a me che, invece di stimolare l’avanzamento della civiltà, si cerchi piuttosto a ritornarla nella sua infànzia. Si apron le vie al fanatismo , il quale a mio avviso non è utile nè ai popoli nè ai potenti. XXI. L'ammirazione indistinta per tutto ciò che dà a co- . noscere forza di animo, vivezza di mente, e calor di passioni, è un sentimento popolare che i romantici credon degno di esser alimentato e promosso. Vi sono pur troppo delle guaste immagi- nazioni che ammirano il tiranno audace , e l’ assassino che l’uc- cide , il cittadino imperterrito difensore del bene, e quello che senza esser trattenuto da alcuno ostacolo giunge al fine delle sue intenzioni per soverchierie e violenze; insomma desta ammirazione il coraggio della virtù come il coraggio del delitto. E quanto più sembra che l’età in cui viviamo sia regolata dalla timida pru- denza e dall’ interesse; i fatti audaci e fuori de’ calcoli comuni risvegliano una certa maraviglia approvatrice, qualunque sia poi la ragione che li muove o il fine a cui arrivano. Ma questa am- mirazione indistinta è ella approvabile dal giudizio della mora- le? è ella utile politicamente ? questa ammirazione, che soprat- tutto loda la forza di carattere e l’antepone alla timidezza onesta e dirò anche prosaica della vita comune, potrà raggiunger l’effetto di creare 1’ energia di che si crede aver bisogno l'età nostra ? Di queste tre questionidembrami che la prima si debba porre T. VI. Aprile 7 50 fuori di dubbio, decidendo che la morale disapprova le lodi ai fatti audaci che non stanno nei confini;del giusto e dell’onesto. Un tristo sentimento di malinconia può strascinar gli nomini annoiati dalla morbidezza del fare presente a lodare qualunque atto vigoroso che esca dal comune ; nè è raro 1’ udire ‘° almeno quello ha una ferma volontà sa fare il suo mestiere, ha un si- stema coordinato di agire e lo segue potentemente ,,; e, se do- mandate chi è questo tale , sarà uno scellerato , sarà un uomo in tutto svergognatamente ed audacemente cattivo. Dove poi si dia posa alla malinconia e si aspetti il momento della riflessione, niuno vorrebbe seriamente professare di credere ciò che gli è escito di bocca in tempo di tristezza e di sdegno. Le altre quistioni pratiche, a cui richiama l’ammirazione in- distinta della forza di animo, si risolvono in sostanza in queste altre due , vo’ dire se il fanatismo sia mezzo utile a condurre al bene , e se nello stato presente della civiltà si possa suscitare in modo da renderlo potente e capace di produrre durevoli effetti. Su queste due questioni per me tengo la sentenza negativa., Però crederei fosse opera di civiltà il raddirizzare le idee sul coraggio, sulla forza di carattere e sulla gloria, che noi abbiamo assai guaste e dalle tradizioni dell’ antichità , e dai mo:lerni pregiu- dizi, e dall'influenza che gli affetti esercitano sulle opinioni . In questo mi applaudisco d’ aver consenziente meco uno de’ più ingegnosi e più assidui collaboratori dell’ Antologia , che d'altra parte non potrà mai accusarsi come avverso ai principi ed ai. metodi dei romantici. Ma quest’ ultimi nel loro zelo per crescere la forza d animo vanno eglino sempre scrupolosi nell’ avvertire che la giustizia e l’onestà sono condizioni senza delle quali un azione non può meritar giusta lode? o pure penetrati troppo del bisogno di ridonare energia al floscio carattere degli uomini de’ nostri tempi si limitano a considerare questo effetto generico senza por mente al resto ? Non si possono risolvere queste qui- stioni di fatto in una sola sentenza, senza tradire il vero, di- venire ingiuriosi, e dirò anche calunniatori. Lo scender poi ai particolari saprebbe piuttosto di accusa che di filosofica discus- sione. Sicchè conviene limitarsi alla proposizione delle que- stioni. i XXII. E come nel lodare l’ energia non convien separar que- sta dalla giustizia; così credo sarebbe sommamente pericolosa la tendenza morale delle lettere a menomare le lodi della pru- denza. La quale è forse il maggior mezzo della virtù , e la mi- glior guarentigia contro la prepotenza delle passioni. E l’energia SI istessa diviene un fuoco fatuo se dalla prudenza vada disgiunta. Perocchè, per grande che sia la potenza del libero volere negli uomini, tuttavia, se i movimenti della volontà non furono in principio proporzionati alla natura de’mezzi da adoperarsi , e degli ostacoli. da vincersi, è duopo che alla fin de’ fatti la volontà ceda alla forza delle cose e tanto più si prostri quanto più anda- cemente si inalzò Ma questa abiezione morale, a cui talvolta sono necessariamente ridotti gli uomini che furono più ardenti, non è solo calamitosa per loro, ma riesce eziandio di tristo esempio e di grave scoraggimento per la società. L’energia adunque che fa divorzio dalla prudenza porta precisamente ad un fine con- trario alle intenzioni di quelli che la suscitavano. XXIII. Lo serîver d’impeto e quasi per ispirazione; lascian- dosi traportare dai subitanei movimenti degli affetti, pare che abbia lode dai romantici; ma io dubiterei che non fosse punto coerente ai presenti bisogni della civiltà. Io non so concepire costanza di opinioni in chi si dia a scrivere tutto quello che gli passa per la mente; sul solo motivo che al momento che scrive sente in coscienza quello che pone sulla carta. L'uomo. ricco d’immaginativa e d’affetti tanto è più soggetto ‘a contradirsi, quanto più è stato sincero nel rappresentare nella loro ingenua vivezza i moti subitanei della sua mente. Così nelle opinioni più contradittorie sarà sempre sincero al momento che le proferisce; e tuttavia non si libererà mai agli occhi dei più dall’ accusa di mala fede. I lettori si affaticheranno forse a cercar tristi motivi alle contradizioni che meglio si spiegherebbero per le particolari condizioni della mente e del cuore dello scrittore ; la riputa- zione morale dello scrittore ne avrà danno, e, quello che più vale, l’influenza civile delle lettere ne verrà meno. Perchè, se gli esempi di incostanza e di versatilità si moltiplicano, nasce in chi legge il dubbio che 1’ opera del ragionamento umano altro non sia che un artifizio da dilettare, ma che il vero si sot- tragga sempre alle ricerche degli nomini. Se vi è costanza pos- sibile di opinioni si verifica solo per quelle che son frutto di riflessione , e sono approvate dalla logica. Ognuno può avere spe- rimentato in se qual differenza sia'tra le prime idee che ven- gono alla mente, e quelle che si accettano dopo la discussione e dopo l’ esame. Ognuno può sapere quanta instabilità sia nelle prime ; e quanto al contrario riesca difficile di partirsi dalle se- conde una volta che si sono fermamente stabilite. Quanto stimo conveniente partecipare al pubblico quest'ultime , altrettanto 92 mi sembra disutile il pubblicare le prime. Non credo che per esse si promuova la discussione ; e d’ altro lato mi pare che lo scrittore si sottoponga alla necessità dell’incostanza, se pure non preferisce una più dannevole ostinazione. XXIV. So che il mutar sentenza dopo più maturo esame è cosa non solo lontana da egni turpitudine ma degna di molta lode. Ma se la riflessione ha presieduto ai primi giudizi, non mi pare che debba esser tanto frequente questo lodevole variare di opinioni. Bisogna che sopraggiungano fatti nuovi, o argo- menti non prima considerati, perchè questo fenomeno accada. Fa duopo eziandio un certo corso di tempo. E con tutte queste cir- costanze il variar sentenza rimane al di sopra di ogni sospetto di turpitudine, anzi è un omaggio alla forza del *vero e della ragione. Di fatti non in un solo uomo, ma in molti al tempo istesso, accade il fenomeno di rieredersi e formare delle cose un nuovo giudizio. Forse la nostra vita è troppo lunga rispetto alla grande attività intellettuale che di presente è nel mondo; perchè un uomo possa confidarsi di essere stato tanto fortunato di scendere alla tomba prima di esser convinto di errore per modo da doverlo egli stesso confessare. E se delle ritrattazioni sincere non accadono più spesso , bisogna in parte attribuirlo alla forza delle nostre persua- sioni che sovente ci impediscono di seguitare l’avanzamento del secolo. L’uomo, che sapesse conservare tanta gioventù di mente da esser sempre pronto a-ridiscutere quello che una volta avea stabilito, si troverebbe in vecchiaia a dover riformare le opinioni della gioventù ; dovrebbe su molte cose pensare diversamente nel 1832 di quello che pensava nel 1800. Ma , se le opinioni sue del 1800 fossero state quelle che allora. gli parevano dopo matura riflessione le più conformi al vero, 1’ annunziarne delle nuove dopo sei lustri come figlie dell’ esperienza e della dottrina acquistata col corso del tempo, sarebbe sommamente onorevole pel suo ingegno e profittevole alla civiltà. XXVI. A questi principj se mal non mi avviso riducesi la teoria della dignità morale che accompagna la costanza nelle stesse opinioni. Volerne una maggiore sarebbe un rifiutare la sin- cerità ed applaudire all’ ostinazione. Tener per indifferente le contradizioni o lo spesso variar di consiglio sarebbe un toglier dignità alla letteratura. Ma se l’impeto vien surrogato alla ri- flessione, l’immaginativa e l’affetto alla logica, dubito che si vada incontro a questi pericoli. Agli stessi effetti pare a me che debba condurre il culto del vago e dell’ indefinito che tanto si vagheg- 53 gia da molti romantici. Perocchè, non essendovi nel vago e nel- I’ indefinito rigor logico, non vi è neppur sicurezza dai travia- menti , nè criteriv a discernere le contradizioni. XXVII. Materia a più gravi dubbi può fornire l’uso che di presente si fa delle passioni nelle opere di immaginativa e di diletto. Questo argomento ha più parti, e che tutte vogliono essere accennate. XXVIII. Non si controverte che tutti i fatti umani sieno su- bietto degno della meditazione del politico e del moralista. Nè pure si pone in dubbio che convenga conoscere la natura mo- rale dell’uomo quale è in fatto , nè abbellita , nè resa più trista dai colori dell’immaginazione di nn poeta. Io non credo. che sieno turpitudini umane che al moralista ed al politico giovi piuttosto ignorare che conoscere. Ma da questa conclusiove alla pratica di compor libri di immaginazione da render popolare la più viva rappresentanza dei traviamenti mora! degli uomini, vi è una gran differenza. Ed è assai permesso dubitare che. le memorie del carnefice, quelle di una femmina celebre tra le vit- time della pubblica libidine, le commedie che rappresentano fatti di briganti, i romanzi che vertono tutti sopra ‘un gran de- litto di maravigliosa crudeltà , le fedeli esposizioni degli arcani e più tristi disordini domestici, sieno opere letterarie di un s1- nistro effetto morale senza alcuna utilità. Pure questo genere di componimenti da qualche anno ha preso voga in Francia, e begli ingegni perfino vi hanno dato la mano. Si è creduto sempre che le pitture troppo vive degli eccessi a cui conducono le passioni possano traviare il cuore e la mente di chi legge. Si crede comunemente che la lezione morale .che chiude un libro non sia sufficiente riparo a!la commozione che è stata eccitata. Prima di rifiutare queste opinioni che una volta avean l’assenso quasi universale, si vorrebbe esser convinti che esse dipendono da soverchia timidezza. Intanto che si giunga a cotesta dimostrazione; è ragionevole il dubbio che il genere di letteratura che indicavamo debba essere di sinistra influenza mo- rale. Massime se si rifletta in mano di quali persone vanno co- testi libri, letti più per isfogo di bile o maligna curiosità che per cavarne un costrutto morale. Si può dubitare eziandio che cotesti libri sieno di meschinissi- ma utilità per quelli che ne volessero fare studio per conoscere i più intimi penetrali del cuore umano. Perocchè le pitture non sono fedeli, ma esagerate, e l’esagerazione non è verità; 0, se sono 54 fedeli, son singolari, e la singolarità non fa regola e fornisce scar- sissimi lumi alla pratica. Le storie , le cronache, i giudizi pubblici somministrano al politico ed al moralista i lumi che cerca nella natura umana; li sumministrano eziandio al popolo in modo da produrre un ef- fetto morale. Ma le opere di immaginazione, che prendon per su- bietto le turpitudini dell’uomo, non sembrano essere di alcuna utilità, mentre contengono molto pericolo. Questo pericolo sarà miggiore per una nazione d°immaginazion accensibile , che per una vazione abituata a spinger la riflessione fino alla pedante- ria. Così i briganti di Schiller sarebber meno adatti ai teatri d’Italia o di Francia che a quelli di Germania. XXIX. La lotta del libero arbitrio cogli impedimenti che l’uomo incontra nel voler conformare le sne azioni alle regole della giustizia, è uno de’ fenomeni morali di maggior momento, del quale è sommamente pericoloso dare una falsa descrizione , o una erronea spiegazione. Qualunque sia realmente l’estensione della libertà morale degli uomini, pare a me certo che l’opinione, che ciascun individuo ne ha, possa valere assai ad accrescerla o a scemarla. Per la ragione che l’ opinion di poter vincere so- vente aiuta alla vittoria, laddove 1’ opinione dell’ impotenza o a vincere o a resistere rende quasi inevitabile la rovina. Il rinvigorire adunque 1’ opinione della libertà morale degli uomini è un crescere le probabilità che venga osservata la giu- stizia ; il rinvigorire al contrario l’ opinione dell’ onnipotenza del fato, o sia delle cause che soggiogano la volontà umana, egli è un ritornare nel mondo il dominio della forza. Sarebbero da os- servare molte cose ne” principii e nelle pratiche della moderna educazione, per le quali si può dire che in questa parte sia in- feriore all’ antica benchè in molte altre 1’ avanzi. Ma per non andare troppo in lungo limitiamoci ad applicare la teoria alla direzione morale delle lettere. Escono alle volte certe produzioni letterarie che in sostanza mirano ad esporre come l’uomo colle migliori intenzioni di bene è condotto ad agire sempre male ed offendere la giustizia. Di- pingono l’ infelice lotta delle sue diritte intenzioni col fato che l’ obbliga ad esser cattivo. Queste opere, se per una parte pos- sono insegnare quanta equità debba presiedere ai giudizi umani, per l’altra hanno il tristo effetto di accrescere 1° opinione della fatalità e menomare le forze del libero arbitrio. Posti in bilancia questi due effetti morali, dubito che il tristo soverchi il buono, e che questo genere di letteratura sia al sommo pericoloso. Mi | 55 duole di doverlo dire, ma pur lo dirò, le confessioni dell’ infelice Rousseau sono il modello di questo cattivo genere di letteratura. Nessuno leggendole potrà difendersi da profonda tristezza, pen- sando come il buon volere possa esser tanto contradetto dalle circostanze da esser vinto sempre dal male e rimanere un bel sogno dell’ immaginativa. Questa impressione è passeggiera nelle persone nutrite di più solide dottrine, ed avvezze a non abban- donarsi ciecamente alla guida degli ‘affetti; ma negli animi più pieghevoli, nelle persone meno istruite, in quelle in cui è pre- potente l’immaginativa e l’ affetto, l'impressione morale di siffatti libri getta più profonde radici, e può avere influenza grandis- sima sulla formazione del carattere e de’ giudizi abituali. Con- verrebbe che gli scrittori ponessero mente a questi effetti morali prima di dar mano a simili opere che sembrano difese delle tri- stezze umane per accusarne la Provvidenza, e che indipenden- temente da questo infievoliscono 1’ opinione della libertà morale degli nomini, e con essa il fondamento della morale. ‘ XXX.1 romantici lodano spesso Byron come altissimo poeta. E certamente non troveranno grandi oppositori che voglian con- trastare al Byron questa lode e gli ricusino il titolo di lirico sommo. Ma le opere di Byron potranno elleno riguardarsi come un modello pel romanticismo ? Lascio ai letterati il trattare la quistione letteraria. Ma, siccome il romanticismo non è riforma me- ramente letteraria ma civile e morale della letteratura, non posso omettere di manifestare il dubbio che in quasi tutti i pericoli morali, che son venuto notando nel mio lungo ragionamento, il Byron sia caduto. A schiarire questo dubbio converrebbe pren- dere in minuto esame le opere sue; cosa che non può aver luogo di presente. Gli stessi dubbi risguardano gli effetti morali delle opere di Vittore Hugo altro corifeo del romanticismo. Ma anche per questo sarebbe necessario un più minuto esame. E se questi dubbi avessero consistenza, non converrebbe egli sopratutto in Italia notar bene le differenze che si voglion porre nella nuova direzione delle lettere tra i nostri mezzi e quelli dei rammentati autori? Il non calcar bene queste differenze non ci sottoporrà egli ad incontrare per una parte le stesse accuse e le stesse resistenze, per l’altra gli stessi successi male au- gurati? XXXI. La religione più spesso che nel passato secolo si in- voca di presente dai filosofi, dai poeti, e dagli uomini addetti alle cose civili. Giova credere che, avendo perduto molto credito nelle scuole le dottrine dell’ateismo e del materialismo ; e nelle 56 pratiche della Buona società il dileggio per le cose religiose , sia rinvigorita anche nelle menti la persuasione che la religione co- me sanzione interiore del giusto è necessaria al buon anda- mento della società. Si può eziandio credere che alla persuasione dell’ utilità si aggiunga anche l’ affetto e forse la fede nelle dottrine religiose. Peraltro siccome persuasione di utilità, affetto e fede sono tre cose distinte, ognuna delle quali ha diverse ori- gini e diversi argomenti; non è dato argomentare dall’ una al- l’ altra, e perchè l’ una apparisce esistente indurre che l’ altre pure esistano. Ma, qualunque sia pertanto il termine che si vo- glia assegnare alla mutazione di opinione rispetto alle cose reli- giose che si riscontra nell’età nostra (e in Francia più che in Ita - lia), confrontando questi tempi agli ultimi anni del passato secolo; è certo che tanto nelle quistioni filosofiche quanto nelle opere di immaginazione la religione si introduce di frequente; con quanta felicità poi non è da dire in poche parole. Si pensa egli a non confondere cose distinte? Si pensa a schivare il pericolo di ricadere sotto il predominio civile del clero ? Si calcolano le diverse maniere di intendere le stesse parole che sono nelle di- ‘ verse nazioni? Se vi è argomento in cui bisogni escire dalla ge- neralità indefinita, ed in cui sia pericoloso sostituire 1° immagi- nativa senza freno alla dottrina positiva, è appunto la religione. Tenendosi al vago, questa parola da alcuni si intenderà per bi- gottismo , da altri per fanatismo, da altri per superstizione , da altri per un puro deismo vago ed indeterminato , da altri final- mente per una soda ed illuminata cristiana pietà; ciascuno insomma la prenderà nel senso delle sue particolari abitudini, ed una stessa parola, una stessa proposizione, avrà significazioni opposte e dirò anche contradittorie secondo la diversità delle persone. Tali sono le conseguenze delle espressioni vaghe ed indefinite. Però in que- sto come negli altri articoli conviene che la scuola riformatrice elegga sentenze precise , istruisca ed esca dall’ indefinito. XXXII. Non si può per altro abbandonare questo argomento senza deplorare la tristezza degli uomini che vogliono la reli- gione cristiana mezzo alle fazioni politiche , ed ad ogni avveni- mento strepitoso osano farsi rivelatori degli arcani disegni della Provvidenza, quasi fossero intervenuti nel consiglio dell’Altissi- mo. Questo inverecondo abuso della religione, non nuovo, ma maraviglioso per un età ricca di lumi, non può essere mai ab- bastanza disapprovato. Sarebbe doloroso che i partigiani della riforma letteraria pei loro diversi fini si unissero ai fanatici del- l’ altra parte nell’abusare della religione ai fini politici. Sareb- 97 bero creduti ipocriti e menzogneri dal popolo , e verrebbero derisi dalle persone istruite e prudenti. La religione cristiana nè nei suei principii, nè nelle tra- dizioni ecclesiastiche , è stata mai riforma politica : essa è ve- nuta a sancire la morale, a perfezionare l’ uomo interiore ; ma non predilige alcuna forma di politiche istituzioni. Esiste in tutte le ferme possibili di governo, e mantiene l’ opinione della giustiza indipendente dal fatto degli uomini, dà forza e vigore all’appello che l’ uomo offeso dalla giustizia umana interpone al tribunale dell’ assoluta giustizia, non muta; non giudica le isti- tuzioni sociali. Il supporre la religione cristiana indissolubilmeute associata ad una precisa forma di governo; o pure come altri credono rivolta a portar rivoluzione nello stato politico della società , egli è un surrogare l’immaginazione alle testimonianze in questione di fat- to ; egli è insomma un rovesciare le regole tutte della logica. Vi può egli essere atile di fazione in questo rovesciamento di fatti e di principi ?_Per me non lo credo; quando vi fosse non ne vorrei mai prender profitto. A me piace che ogni scienza se ne stia nelle sue competenze, ogni potere nei confini, che la ragione prescrive , e l’ ordine sociale richiede. XXXIII. Conch udendo adunque dirò esser sommamente de- siderabile che la civile letteratura , diffondendo per una parte l’ istruzione positiva, dall’ altra reprima le tendeuze al fanati- smo ed all'intolleranza che accompagnano lo spirito di parte. Con- siderando le particolari condizioni della nostra civiltà ; sembra si debba sperar più dai progressi della ragione e della diffusione dei lumi che da un pericoloso suscitar di passioni. Si può ra- gionevolmente dubitare che la scuola del vago e dell’indefinito o renda stazionario lo spirito umano, o lo precipiti in una di- rezione contraria alla già divisata. La confusione delle idee, il fanatismo , la surrogazione dell’ immaginativa e dell’ affetto al raziocinio , mi sembrano tanto più pericolose inquantochè ti av- viano per una strada che non sai dove anderà a riescire. Su queste cose non tutti pensano allo stesso modo ; e massi- me tra quelli che han nome di romantici sono molti che o in parte o in tutto dissentono o hanno ferma una contraria sen- tenza. E poichè la verità di molte proposizioni o il modo della di lei applicazione dipende da fatti sempre incerti, sempre ca- paci di esser meglio chiariti o dalla discussione o dal tempo , la forma di dubbi non è di semplice apparenza ma una necessità di logica prudenza. Francesco Forti. T. VI. Aprile. 8 56 DESCRIZIONE DELLE NUOVE CALAMITE ELETTRICHE ED OSSERVAZIONI SULLE MEDESIME. De’ sigg. L. Noziti e V. Anrinoni. Noi abbiamo , in un precedente articolo, dichiarato il modo, col quale siamo stati condotti alla scoperta della scintilla ma- guetica; abbiamo eziandio data in quel luogo la succinta descri- zione d’ un apparecchio immaginato all’uopo d’ottenere a vo- lontà quel bel fenomeno , ma ora ritorniamo sullo stesso soggetto pei seguenti tre motivi; 1.° per supplire al laconismo di quello scritto su ciò che riguarda la costruzione del primo apparato ; 2.° per far conoscere le nuove combinazioni, che si sono ideate ed eseguite in seguito ; 3.° per aggiunger in fine tutte quelle considerazioni ed osservazioni , che si legano immediatamente al soggetto , e completano in certo modo le dichiarazioni fatte pri- ma intorno alla teorica ed alla pratica de’ nuovi istrumenti. Principio fondamentale della scintilla. Le correnti elettriche, che si sviluppano sulle spirali metal- liche per opera del magnetismo ; non durano che un solo mo- mento , ma questa loro precarissima esistenza ha luogo in due circostanze , tanto cioè nel momento in cui le spirali sentono l’azione delle calamite, quanto nell’ altro in cui si sottraggono dall’ influenza delle medesime. Queste due correnti ;, che distin- guonsi col titolo di prodotta e di riprodotta , sono egualmente intense, e dall’ una così bene come dall’ altra può trarsi la scin- tilla. Si tratta in ogni caso d’ aprire il circuito nel momento op- portuno. La corrente, che circola sopra un filo attaccato ai poli d’un elemento voltaico, dura fintanto che dura l’azione dell’elemento, e, purchè questa arrivi a un certo grado, si trae la sciutilla dal filo congiuntivo ogni qualvolta venga esso interrotto in qualche punto della sua lunghezza. Quest’ operazione si può ripetere quanto più piace , e sempre collo stesso successo , giacchè basta chiudere , dopo l’ iuterruzione , il circuito per avere sul filo la corrente di prima, disposta a convertirsi in scintilla al momento d’ interromperla nel suo corso. Che se l’azione dell’elemento vol- taico, invece d’essere d’ una certa durata , fosse fugace al pari del lampo, non vi sarebbe, per avere la scintilla , un momento 99 da perdere: bisognerebbe cogliere quello dell’esistenza della cor- rente, appunto come oonvien fare colle correnti fugacissime che produce il magnetismo. Questo è il principio, ora si aprela di- scussione intorno ai mezzi d’ applicarlo. Per questo ci vuole necessariamente : 1.° Una spirale metallica , co’ suoi capi metallicamente con- giunti, per ricevere l’ azione d’ una calamita. 2.° Questa calamita. 3.9 Un artifizio per aprire il circuito chiuso della spirale al momento opportuno. Spirale e calamita. Tre sono le condizioni ‘da soddisfare per combinare i due si- stemi, la spirale e la calamita, in modo che producano il mas- simo effetto. La prima si è che la spirale sia più che si può vi- cino alla calamita ; la seconda che l’ asse della spirale coincida con quello della calamita; la terza infine che la spirale si pre- senti all’ azione del magnetismo o si sottragga da questo nel tempo il più breve. Immaginiamoci un cilindro calamitato coperto di spire da un capo all’ altro, ed avremo in questa disposizione soddisfatte le due prime condizioni, quella cioè della vicinanza dei due siste- mi egualmente che l’altra della coincidenza degli assi. Manca invece la terza condizione la quale consiste nella possibilità di togliere tutt’ a un tratto l’ un sistema dalla presenza dell'altro. Si lasci pure un po’ d’avia fra la spirale e la calamita per potere estrarre liberamente l’una dall’ altra, e si supponga eziandio che questo vuoto non pregiudichi sensibilmente alla condizione della prossimità; tuttavia non sarà men vero che le spire o giri, di cui si compone la spirale, usciranno dal cilindro non già tutt'a un tratto e in un solo istante, ma successivamente uno dopo l’altro. A prima vista si direbbe essere questo un inconveniente senza riparo; e per verità non vi ha mezzo di superarlo sintanto che si pone in giuoco il magnetismo permanente delle calamite ordinarie. Supponiamo che il cilindro coperto della sua spirale, in cambio d’essere come dianzi d’ acciaio calamitato , sia al contrario di ferro dolce , pri- vo affatto di magnetismo. In questo stato un tale cilindro sarà sicuramente senza azione sulla spirale, che lo inviluppa; ma que- sta sua inazione cesserà al momento in cui esso si calamiterà in presenza di altre calamite, o si scalamiterà dopo, abbando- nato di nuovo a se medesimo. Ora tutti sanno essere precisa- 00 mente questa la proprietà del ferro dolce , di calamitarsi cioè e scalamitarsi rapidamente; proprietà che si ‘presenta opportuna per il caso delle nostre spirali, le quali avviluppate una volta d’intorno al ferro, vi si lasciano costantemente avvolte senza prendersi altra briga che di calamitare o scalamitare quel ferro quando piaccia di sviluppar sovr’esse la nuova specie di cor- renti elettriche. Nè fa d’ uopo per questo ricorrere a nuove com- binazioni di calamite. Si ha nelle calamite ordinarie a ferro di cavallo quasi tutto l’ occorrente. Il bisogno esige un solo cangia - mento nella forma ordinaria dell’ancora, la quale non trovan- dosi fatta per ricevere nel mezzo una spirale metallica d’ un certo volume, deve ridursi a quella figura che conviensi a siffatto uffizio. i Tali sono le considerazioni che conducono a riconoscere nella parte centrale delle ancore il luogo più adattato per le spirali magneto-elettriche (1). Questa posizione è precisamente la medesima che indicammo nella serie delle prime nostre ricerche. Colle ragioni adotte di sopra non abbiamo in sostanza aggiunto nulla di nuovo ; abbiamo unicamente illustrata la marcia che ci condusse a quella combinazione, senza della quale la scienza aspetterebbe probabilmente ancora la soluzione completa del pro- blema di trarre la scintilla dal magnetismo. Artifizi per aprire il circuito. Non è assolutamente indispensabile un artifizio per avere la scintilla dalle spirali magneto-elettriche. Essa si ha, come l’a- vemmo noi per la prima volta, sul mercurio tuffandovi dentro le estremità della spirale, e poi sollevando l’ una o l’altra al momento in cui si attacca o si distacca da una calamita la nuo- va sua armatura , la quale cunsiste, come si è detto, in una spi- rale avvolta intorno a un pezzo di ferro dolce. Non soddisfatti per altro d’ un metodo , che mancava 1l più delle volte il suo scopo per la difficoltà di cogliere il momento opportuno al salto della scintilla, si pensò a un apparecchio che producesse costaa- (1) Questa denominazione esprime assai bene la natura delle nuove correnti di Faraday ; la scienza, non ne dubitiam punto , l’ adotterà come ‘adottò già il distintivo di termoelettriche per le correnti del dott. Seebek eccitate dal ca- lore. Adottata per le nuove correnti l’ espressione caratteristica di magnetoelet- triche , si chiamerà poi magnetoelettricismo il ramo di fisica che tratterà di quelle correnti. Il magnetismo di rotazione del sig. Arago formerà parte di que- sta branca. 61 temente l’effetto ed a volontà. Il primo, che riuscisse completa- mente, fu quello che aununciammo nel primo opuscolo delle nostre ricerche. Esso è rappresentato nella fig. 1.* come fu im- maginato ed eseguito la prima volta. Indi ha sofferto una leggera modificazione , di cui renderemo conto sotto il titolo speciale che gli spetta. Esso non dà la scintilla che al momento in cui si distacca l’ ancora della calamita. Per il tempo dell’attacco ci vuole un’ altra costruzione: almeno non siamo riusciti sin quì a trarre le due scintille dallo stesso meccanismo. Per verità non disperiamo ancora di questo risultato , ma vi sono delle difficoltà d’ esecuzione da superare, e, dovendoci limitare per ora alla de- scrizione degl’ ingegni che suno riusciti all’atto pratico , comin- ceremo da quello che dà la scintilla al momento del distacco del- l’ ancora : ne verrà in seguito 1° altra dell’ attacco. Meccanismo del distacco. In questo caso non si fa alcuna aggiunta o modificazione alla calamita a ferro di cavallo : si adopera così com'è , e tutto il ginoco riposa sull’ancora. Quest’ ancora , fatta al solito di ferro dolce, ha la forma parallelepipeda , come si vede dalla fi- gura .1.° dove è rappresentata vestita della spirale e svestita. Si credeva in sulle prime necessario di contenere fra due guancie i ripetuti giri della spirale, e perciò vi si applicaroo in gg, gg- Erano d’ ottone e con due orecchie o zampe, per fissarle con viti contro le faccie dell’ ancora. La spirale da avvolgersi dentro le guancie doveva avere le sue estremità isolate dall’ancora , e co- municare unicamente colla calamita quando si trovava al suo posto. Si praticarono per ciò sui fianchi dell’ ancora due intagli î,t a coda di rondine, e vi si ipcastrarono dentro due pezzet- tini di avorio della stessa forma dell’ intaglio , che si fecero tra- versare da due viti d’ottone v, v, terminate in forma di col- larino per avvilupparvi d’ intorno i capi della spirale. Già s’in- tende che la spirale era al solito coperta di filo di seta in tutta la sua lunghezza , all’ eccezione di quel pochino che s'avvolgeva d’intorno al collarino delle viti v, v. Per far poi comunicare queste estremità colla calamita, e prepararsi. nello stesso tempo il giuoco della scintilla, si aggiunse, da una parte e l’altra dell’ ancora , una molla d’acciaio nm, mn; erano queste traforate nella loro parte inferiore , collocate im- mediatamente sull’ avorio e serratevi contro col mezzo delle viti v,v, che le traversavano. La forza delle molle non impediva 62 all’ ancora di restar attaccata vivamente alla calamita, e la loro curvatura era poi tale da non distaccarsi dalla calamità che alla distanza di due o tre linee. La grande calamita del Museo fu la prima a ricevere que- st’armatura (vedi la fig. 1.*). All’atto di staccarla essa dava sem- pre la scintilla o da una parte e dall’ altra o da amendue. Che se mancava qualche volta l’effetto, ciò accadeva per colpa di chi non distaccava 1’ ancora abbastanza rapidamente , non mai per altra cagione. \ Dopo questa montatura si sono soppresse le due guancie 88 > gg. Si è invece praticata nell’ ancora uo’ intaccatura , 0 solco xx, x (fig. 2.°) tale per la sua profondità da ricevere tutt'al più i due primi giri della spirale. Alloggiati questi due ordini in quell’ intaglio vi si adattano sopra tutti gli altri senza pericolo che si sfascino , ogni qualvolta l’ultimo giro sia con un nodo o altrimenti tenuto fermo al suo posto. Si è pure soppressa una delle dne molle, per avere la scin- tilla da una sola parte. L’estremità della spirale, che comunicava colla molla soppressa , si prolunga sino ad una delle viti o bri- glie che tengono ordinariamente riunite le varie barre onde si compongono le calamite artificiali (fig. 2). Fissata in quel luogo, a filo lento , nom trattiene l’ ancora nel suo distacco. Quest’ o- perazione si eseguisce come prima, ma non come prima il cir- cuito si apre in due luoghi , si apre unicamente dalla parte della molla, e qui soltanto comparisce la scintilla. Così l’ osservatore non ha da fissare lo sguardo che sopra un punto solo: nè questo è l’ unico vantaggio di quella semplicissima modificazione ; ne procura un altro col dare una scintilla, generalmente parlando, più vigorosa. Meccanismo dell’ attacco. Per questo caso le deviazioni del galvanometro insegnano che la corrente magneto-elettrica comincia bensì a svilupparsi sulla spirale a una certa distanza dalla calamita, ma che un tale sviluppo è sempre un piccolo effetto in confronto di quello che ha luogo al momento dell’immediato contatto. Questo è dun- que, e non prima, l'istante da cogliere per aprire il circuito. Varii tentativi furono fatti in questo disegno ma rimasero senza frntto , finchè uno corrispose all’aspettativa. Questo primo mec- canismo è rappresentato nella fig. 3.°: esso è applicato parte al- l’ ancora , e parte alla calamita. La montatura dell’ ancora non diversifica da quella di prima se non che nella molla, la quale 63 ha un’altra forma , ed è disposta altrove. Essa serve di prolun- gamento alla vite v, a cui è stabilmente fissata col mezzo d’una copiglia. La sua forma è ovale, quale diventa nel ripiegarsi so- pra se stessa come indica la fig. 3.* Il polo superiore della calamita è guarnito d° una fascia /f su cui scorre la parte mobile del meccanismo, la quale consiste in una doppia squadra abc che porta in c un pezzo bilicato pcy avente la forma di Z o di un S rovescio. Questo pezzo termina in due picciole palle 7, 7g, che s’ avanzano o si ritirano per re- gistrarle in modo che il peso ecceda dal Jato superiore. La sua posizione ordinaria è la verticale, dove si mantiene in grazia d’un punto d’ arresto applicato al perno c. Non resta così alla leva pq altro movimento libero fuor che quello di rinculare in P'q', e rinculata ritorna naturalmente al suo posto in virtù del peso eccedente in p. Basta ora l’ ispezione della fig. 3.* per comprendere tutto il giuoco. L’ancora rs, prima di giungere a contatto della calamita; incontra la palla g colla sua molla M. Si chiude in quell’istante il circuito , e la corrente magneto-elettrica comincia a svilup - parsi sulla spirale. Un momento dopo, l'ancora arriva alla calamita, e vi arriva in compagnia della palla 7; la quale non balza dalla molla che |’ istante successivo: è questo il punto che si doveva cogliere, il punto cioè della scintilla. L’ artifizio molto più semplice del distacco non esige per par- te dell’ ancora un meccanismo che la regoli nel suo cammino. La mano la meno esercitata basta all’ uopo. Non così nel caso or ora descritto , dove l’ ancora dee colla propria molla M iticon- trare a una certa distanza la palla 9g , ed accompagnarla in modo che non si separi da essa prima d’arrivare al contatto della ca- lamita. Per assicurare questa condizione si fissa tutto il sistema sopra un pezzo di tavola ABCD (fig. 4.*) obbligando l’ ancora # ad un braccio di leva P che l’ avanzi o la ritiri regolarmente dai poli della calamita. La fig. 5.* congiunta alle due precedenti 3.* e 4.° danno un’ idea abbastanza chiara di tutto l’apparecchio per liberarci dall’ obbligo di descriverlo più minutamente. Altre prove fatte nell’istesso senso ci hanno dimostrato che sì può con successo sostituire al pezzo bilicato pg una molla presso che orizzontale. Questa molla si vede in M'’ applicata allo stesso pezzo che sostiene il conduttor mobile pg. Con un mezzo giro, che si fa fare a questo pezzo, si porta la molla M' in presenza della molla M dell’ ancora. Nell’avanzarsi di quest’an- cora verso la calamita, la molla M s'impegna sotto l’altra M' ] 64 (fig. 6.*): restano d° allora in poi riunite fino al momento in cui l’ ancora urta contro la calamita; ma in questo punto, se il colpo è, come pur debb’ essere per l’ effetto , violento e secco , le molle ricevono tale scossa che si separano un tantino: ora egli è per l’ appunto in tale momentanea disgiunzione che com- parisce la scintilla. Per quest’effetto bisogna che la molla M' sia piuttosto dolce e pieghevole che dura e resitente. La durezza o poca flessibilità im - pedisce il tremito necessario alla separazione delle due molle M, M': allora, invece di staccarsi un tantino al momento opportuno, le molle rimangono a contatto ; il circuito non s’apre , e manca necessariamente la scintilla. È però qui da osservarsi che se le molle troppo robuste fanno mancare la scintilla del contatto , danno invece assai facilmente quella del distacco, quando ab- biano la curvatura e la lunghezza necessaria all’ uopo. È questo un altro ripiego da non disprezzarsi, e che meritava d’ esser ac- cennato per il buon uso che se ne può fare in alcune circostauze. Riunione dei due meccanismi. La vite v (fig. 3.°) può tanto purtare sopra di se la molla M del secondo meccanismo, quanto contenere sotto di se la molla m del primo (fig. 1.*). Con due calamite poste di contro l’una all’altra e con una sola ancora in mezzo, si hanno quindi le due scintille senza aver bisogno di cambiare montatura. La fig. 7.° rappresenta l’ apparecchio di cui si parla: la calamita di sinistra dà la scintilla del distacco ; la destra dà quella del con- tatto. Con un sol colpo di mano l’ancora passa dall’ una all’al- l’ altra calamita, e le dne scintille si hanno per così dire in un solo tempo. Si può anche, volendo, sopprimere del tutto la molla m, e fare in sua vece uso della molla M" conformemente a ciò che si è detto sulla fine del paragrafo precedente. In ogni caso l’ estremità inferiore della spirale magneto-elettrica deve toccare metallicamente le due calamite. Applicando alle dne calamite le medesime appendici atte al giuoco delle due scintille si alternano gli effetti, o si combinano in modo da ottenere in un sol colpo le scintille dello stesso no- me. Quando si vogliono le due scintille del contatto , si ritirano da parte le molle impegnate sotto la vite; quando si vogliono le due altre si ritirano i pezzi bilicati pg. In quest’ apparecchio sono sicuramente riuniti i due mec- 65 canismi, ma non è questa la riunione che si vuole, quando si chiede un solo meccanismo che dia le due scintille, l’una dopo l’altra , dalla stessa calamita. Noi avvertimmo già che avevamo pensato alla soluzione di questo problema, ma che sin qui non eravamo riusciti a ritrovarla. Con tutto ciò la rintraccieremo di nuovo sulla fiducia che c’inspira uno degli artifizi già descritti. .-Alludiamo ‘alla combinazione della molla M' (fig. 6), la quale dà la scintilla del contatto in virtà della semplice scossa che ri- ceve nell’ urto dell’ ancora contro la ‘calamita; percui si separa un tantino dall’ altra molla M. Abbiamo anche veduto che que- sta medesima molla dà la scintilla del distacco, ridotta che sia ad un certo grado di curvatura e di robustezza. Non resta dun- que , si dirà, altro da trovare che una molla di tal forza e fi- .gura che l’un uffizio eseguisca così bene come l’ altro. Or que- sto appunto è ciò che si cerca, senza perdere di vista certe al- tre combinazioni ; le quali possono condurre allo stesso risultato. Osservazioni. I. Forza delle calamite. Non è necessario , per la scintilla, d’impiegare calamite d’una grande energia. L'effetto con queste è certamente più si- curo e cospicuo ; ma si ottiene distinto anche da calamite molto meno vigorose. L’ abbiamo infatti conseguito da piccole calamite che non arrivano a sostenere la carica di quattro delle nostre libbre, equivalenti tutt’ al più a 4 d’un kilogrammo. II. Forma della calamita. La forma è indifferente del tutto; fuorchè nella distanza de’due poli, la quale dee pur essere tale da lasciar libero uno spa- zio sufficiente per la spirale dell’ ancora. L’ intervallo d’un pol» liee è un intervallo giusto. Quello di sei linee è già troppo ri- stretto , a meno che non si combini in un’ eccellente calamita, che colla propria forza supplisca a quel difetto. III. Riduzione dell’ ancora. Le ancore ordinarie abbracciano tutta la larghezza de’poli , se non l’oltrepassano d’un tantino. Le nostre ancore sono invece molto più strette per lasciare il posto necessario alla molla n T. VI. Aprile. 9 66 (fig. 1.e 2). Se questa riduzione pregiudicasse all’effetto , po- trebbe facilmente risparmiarsi: è già, come si vede; del tutto inutile per il meccanismo che dà la scintilla del contatto (fig. 3); per l’ altra poi del distacco si supplisce con una molla M” ap- plicata sopra la calamita come si vede nella fig.;7+ Nulla dun- que, lo replichiamo, di più facile che conservare alle, an- core tutta la loro larghezza , quando il restringerle fosse di pre- giudizio. Ma anzi che recar danno, è cosa da notarsi, contro l’opi- nione comune, giova una tale riduzione all’effetto, come ci siamo accorti ‘e persuasi nel corso di queste nostre ricerche. All’occasione che tentammo per la prima volta 1’ esperimento della scintilla , ci occorreva un pezzo di ferro di forma regolare periadattarvi sopra la spirale, destinata con esso a servire d’ armatura. alla .cala- mita dell’ esperimento. Ce. ne cade uno sotto le mani molto più stretto dell’ ancora ordinaria; ma, per vedere purè se bastava all’ uopo , lo applicammo subito alla calamita, e vedemmo con sorpresa , che vi restava attaccato con maggior forza che non fa- ceva l’ ancora costruita a bella posta per quell’ oggetto. L’az- zardo ci favorì: ne profittammo immediatamente per l’esperi- mento che c’ interessava; non ci mancarono quindi occasioni per verificare il risultato. “ Le ancore ristrette sono più effisaci di quelle che abbracciano tutta la larghezza de’ poli, o l’oltrepas- sano ;,. (Questa è la nuova conseguenza a cui; conducono tutte le nostre osservazioni. Noi ci. limitiamo a presentarla per ora come un fatto positivo da non perdersi di vista nella pratica. e- gualmente che nella teoria delle armature. Che se alla fisica de’ nostri giorni non può «li certo negarsi il merito d’ essere mo'to scettica ed oculata , pur è da conve- nirsi che nol fu ancora abbastanza, e che fra le reliquie di certe pratiche antiche resta ancora da vedere quali sieno quelle che meritino d’essere conservate, e quali le altre da escludersi dal vero patrimonio della scienza il quale non può tollerare alcuna mescolanza; dovendosi comporre di cognizioni :d’ un solo genere, le positive, dimostrate dal fatto e dall’esperienza. IV. Forza delle correnti magneto-elettriche. Le correnti che durano un certo tempo, come le voltaiche e le termo-elettriche, si misurano sul galvauometro a indice fisso, aspettando cioè che s’ estinguano le oscillazioni a cui dà luogo il primo sbocco della corrente. Le correnti istantanee, come sono quel- le della macchina elettrica ; e le nuove di Faraday prodotte dal 67 magnetismo, non danno tempo per questo genere di misura ; e si valutano di necessità dall’esenrsione totale che fa l’indice del galvanometro al momento della loro azione. Volendosi quindi paragonare la forza d’una corrente voltaica o termo-elettrica con una della nuova specie magneto-elettrica, devesi stimare la prima allo stesso modo della seconda, vale a dire registrare l’effetto pro- dotto dalla prima invasione, al qua'e corrisponde una devia- zione molto maggiore di quella, che si osserva dopo, ad indi- ce fisso. Le correnti magneto-elettriche ottenute nelle circostanze più favorevoli sono debolissime in confronto delle voltaiche ecci- tate dai più piccoli elementi. La cedono anche di molto alle termo-elettriche. Una corrente voltaica della forza (nel suo pri- mo sbocco) di 30.° del nostro galvanometro comparabile (2) non esige per il suo sviluppo che un elemento di una o due linee di superficie. Per ottenere invece dal magnetismo una corrente di questa medesima forza di 30.° conviene impiegare una delle nostre migliori armature magneto-elettriche. La più potente, che abbiamo costruita, è quella che ora possiede il Museo. La scin- tilla, che se ne trae, sorprende per la sua vivacità; mentre la corrente, che si ha da quella combinazione, arriva appena ai 30.° mentovati di sopra. Abbiamo detto nella prima osservazione che il fenomeno della scintilla non richiede 1° impiego di calamite molto vigorose; e per prova si soggiunse dopo. d’ aver conseguito quell’effetto con una piccola calamita capace di sostener a stento un peso di quattro libbre. Ora fisseremo meglio le idee a questo riguardo, aggiungen- do la misura della corrente che si sviluppa in quel caso : essa è di 5.° appena del solito comparatore. Tal corrente può con- siderarsi per la più piccola da cui si cavi la scintilla , come quella dei 30.° per una delle più forti. Che se fra le correnti voltaiche vna di 30.° si ha, come abbiam detto , da elementi piccolissimi , s’ immagini poi quanto poco ci voglia a svilupparne una di 5.° Questi mezzi sono senza dubbio tenuissimi in confronto di quelli che conviene impiegare per ottenere lo stesso effetto dal magne- tismo. Ad onta di ciò queste ultime correnti, le magneto-elet- (2) A proposito di quest’ istrumento avvertiremo una volta per sempre che sarà il solo di .cui farem uso per le misure di confronto. Vedi la sua descrizione, e i dettagli relativi dans les Annales de Chimie et Physique, Feurier 1830 pag. 1409. 68 triche, di così debole effetto al galvanometro, hanno sulle vol- taiche un deciso sopravvento per il fenomeno delta scintilla, Ci vuol altro infatti che un elemento della, forza di 5.° per giun- gere a questo risultato : non bastano nemmeno quelli di 30 , 40; so ... gradi di forza. La medesima riflessione va estesa alle cor- renti termoelettriche , molto efficaci al galvanometro , e nulle fin qui rispetto alla scintilla. V. Pilo delle Spirali. Il filo da impiegarsi d’ intorno alle ancore non debb’ esser nè troppo sottile nè troppo grosso ; non molto sottile perchè troppo perde della sua facoltà conduttrice, non molto grosso perchè in- sufficiente diventa il numero de’ giri che si fanno con esso d’in- torno all’ancora. La grossezza di un millimetro è una grossezza giusta. Con questo diametro più il numero de’ giri è grande, e più l’effetto è deciso. Ad assicurarlo però basta un filo della lunghezza di otto metri ed anche meno. A meno di non avere in vista qualche ricerca particolare , le spirali si fanno di filo di rame ricotto e coperto d’ uh giro di filo di seta per isolare le spire l’ una dall’ altra ; e per impe- dire il contatto metallico fra queste spire e 1’ ancora di ferro su cui è applicato il primo ordine delle medesime. Tale isolamento basta ordinariamente per ritenere l’ elettricità eccitata dal ma- gnetismo sulla via metallica delle spire ; ed allora non vi ha scintilla fuori del luogo destinato all’ interruzione del circuito. Nel caso però d’ eccitamenti maggiori , come sono quelli operati da grandi calamite, la scintilla compare in altri luoghi, e special mente fra le parti nude dell’ ancora e i poli corrispondenti della calamita. Non si potrà forse evitare questa specie di straripamento elettrico che isolando maggiormente il filo conduttore, massime sul luogo dove si trova ad immediato contatto coll’ ancora , che è il sito dell’ isolamento meno perfetto. Quivi infatti la gros- sezza dello stato isolante si riduce a quella del filo di seta , men- tre fra spira e spira questa grossezza è raddoppiata. ‘VI. Corrente e scintilla. Fra questi due effetti esiste sicuramente una relazione molto intima ; uno si converte nell’ altro , e marciano quasi sempre di pari passo , verificandosi generalmente che dove si sviluppa mag- 69 gior corrente ; ivi pure scocca scintilla più vivace. Con tutto ciò bisogna qui fare una distinzione per non esser tratti in errore. Un filo molto grosso e molto corto , come sarebbe uno. grosso più di tre millimetri, e lungo meno di due metri , avviluppato d’ intorno ad una delle nostre ancore più efficaci, è capace di produrre una corrente di 10 e più gradi. Se questa corrente de- rivasse da un filo tre o quattro volte più lungo , vi sarebbe già su quel filo , più forza che non occorre per avere la scintilla. Così corto invece non scintilla per nulla. Di qui si vede che non si può ridurre di molto |’ elemento della lunghezza del filo senza compromettere il fenomeno della scintilla, mentre la stessa ridu- zione risulta molto meno fatale alla forza delle correnti. Egli è su questi dati che deve regolarsi la pratica dei nuovi apparec- chi, fintanto che tutte le misure entrino nella scienza come co- rollari d’ una sola teoria. VII. Natura delle correnti magneto-elettriche. La scienza possiede ora quattro specie di correnti elettriche : 1.° Le correnti che si succhiano dalle macchine ordinarie , éccitate dal fregamento. 2.° Le voltaiche o idroelettriche eccitate dall’ azione de’con- duttori umidi. 3.° Le termoelettriche eccitate dal calore. 4.° Le magnetoelettriche infine eccitate dal magnetismo. Queste quattro specie posseggono delle proprietà in parte co- muni , in parte differenti. L’ analisi di queste differenze è del massimo interesse per la scienza ; lo è talmente ch’ essa soltanto può somministrare gli elementi necessari per chiarire ; se non ri- | solvere completamente, il gran problema relativo alla natura del- I’ elettricità. Troppo angusti sono i confini di quest’ opuscolo per introdurvi un lavoro di tanta estensione ed importanza ; lo con- serviamo poco meno che intatto per un’ altra occasione limitan- doci qui ad indicar qual sia delle tre specie antiche di correnti elettriche quella che più si assomiglia alla nuova. Indipendentemente dall’inversione che sembra finora un carat tere particolare delle nuove correnti, queste sono istantanee come quelle che si traggono dalle ordinarie macchine elettriche : non basta; vi ha, fra le due specie, comune di più la facilità di con- vertirsi in scintilla ; come anche la difficoltà d’incanalarsi per la via del galvanometro: Ecco dunque tre proprietà che si combi- nano sulle due specie , l’istantaneità , la facilità di scintillare , 70 la difficoltà di farsi sentire al galvanometro. Colle correnti voltai- che le magnetoelettriche sono già meno concordi in grazia delle | differenze acceunate nel paragrafo precedente. La disparità cresce ancora di più , confrontate colle termoelettriche. Va dunque con- chiuso che le correnti, le quali si avvicinano più alla natura delle nuove produtte dal magnetismo , sono quelle delle macchine | elettriche ; come le termoelettriche al contrario le altre che se ne scostano di più. Oltre l’ importanza , questo risultato contie- |. ne qualche cosa di piccante che eccita vivamente la nostra cu- | riosità. Concep'amo infatti assai facilmente come l’elettricità delle macchine di confricazione si costituisca in correuti piuttosto istan- tanee od intermittenti che continuate e durevoli. La natura della causa che le determina, il fregamento, e più ancora il passaggio che ha Inogo fra due conduttori così diversi, come sono il vetro ed il metallo, rendon sufficiente ragione di quella intermittenza o fugacità d’effetti. Ma il magnetismo è pur, fra le cause che co- nosciamo, una delle più costanti e permanenti, e le correnti che sì sviluppano da esso non hanno mai da uscir fuori della via me- tallica. A_frovte dunque d’ una causa così perenne applicata co- stantemente a conduttori così perfetti , come mai quelle correnti appartengono alla classe delle più fugaci ch’ esistano ? Sarà que- sto uno de’punii più scabrosi ed importanti da discutere nell’ Ana- lisi generale delle correnti. Firenze dal Museo li 6 Maggio 1832. Rinnione dei due meccanismi dell’attacco e distacco dell’ancora. Mentre il presente articolo era sotto i torchi, siamo riusciti a combinare un tal giuoco di molle da ottenere con esso le due scintille dell’ attacco e distacco. Queste molle sono rappresentate nella fig. 8. : sono due al solito , l’ una circolare M M fissata verticalmente sull’ ancora ; l° altra orizzontale M' M' applicata alla calamita , ed incurvata un poco in t t' per impegnarsi sotto il punto p dell’ anello M M ; il qual punto porta una piccola asta verticale p P_ terminata in una pallottolina. La molla cir- colare M M è vista di faccia: ma sull’ ancora è collocata di co- sta, e in modo da scorrere , nel movimento ordinario di va e vieni dell’ ancora, sull’ arco t t' della molla della calamita. Nel di- stacco dell’ ancora il punto p dell’ anello MM abbandona la molla ZI orizzontale in t, e qui si ha la scintilla in quel tempo. Nell’at- tacco , il punto p arriva in t' ; e qui si ha l’ altra scintilla in grazia del tremito che separa un tantino le due molle, tremito, come si vede , aiutato dal sopraccarico P.. Questo meccanismo manca rare volte al suo uffizio, e può considerarsi come una soluzione completa del problema delle due scintille. È per altro da avvertirsi che esso conviene di più alle calamite vigorose che alle deboli, dove non si può perder nulla senza compromettere l’ effetto. Perchè , all’ atto dell’ attacco del- i l’ ancora , il solo tremito faccia separare le due molle M M, M'M', bisogna che la pressione di queste due molle sia leggieris- sima , che vale quanto dire incapace di chiudere esattamente il circuito della spirale magnetoelettrica. Manca per questo il con- tatto necessario : dove però si ha corrente in abbondanza , ne ri- mane di essa , anche dopo qualche perdita , quanto occorre per . l’ effetto ; non così dove è scarsa la corrente ; ivi ogni intoppo , ogni sottrazione diventa fatale , e sono, in tal caso, sempre da preferirsi i primi artifizi, ne’ quali la condizione del contatio è molto meglio soddisfatta. In questi ultimi tentativi ci siamo pure accorti. che dalle grandi calamite si può avere la scintilla dell’ attacco senza ag- giunger nulla alla prima disposizione della molla m (fig. 2. ), sempre però che s'impieghi il meccanismo della leva PQ ( fig. 5) e si dia con essa un colpo così secco e brusco che riesca a far rinculare un tantino la molla dal polo, ad onta delle forze che tendono a tenervela congiunta. Li 20 Maggio 1832. Nuovo ConDENSATORE ELETTRODINAMICO Del sig. Lroporvo Noziti. Per risolvere il problema della scintilia magnetica noi par- timmo per i primi , il cav. Antinori ed io, da una proprietà o non osservatà innanzi o trascurata come, un accidente di nes- suna o lieve importanza. La proprietà, a cui si allude, consiste nella differenza che si osserva fra i due momenti del chiudere ed aprire il circuito voltaico d’ un solo elemento alla Wollaston : nel primo caso manca sempre la scintilla; nel secondo invece comparisce ogni qual volta 1’ elemento sia d° una forza discreta. 72 Questa proprietà, che ci condusse alla scoperta della scintilla magnetica , non è posta in fronte della presente notizia , per al- tro motivo che perchè da essa pur trae origine il nuovo con- densatore. Nella teorica italiana d’ un solo fluido elettrico , questo fluido gira sopra i circuiti voltaici, a modo di qualunque circolazione che rientri in sè stessa, e quando gli si tronca tutt’ a un tratto il cammino , il fluido, ch'era in giro , si condensa sul luogo del- l’ interruzione , e sbocca fuori nella sua forma ordinaria di scin- tilla. Fissiamo le idee sovra un solo elemento voltaico composto al solito di due lamine , rame e zinco , congiunte, al di fuori del liquido in cui pescano , con un filo di metallo ; egli è di quì che si trae la scintilla quando s’ interrompe il circuito col se- parare in due la via del filo congiuntivo. Supponiamo che questo filo sia da principio lungo un metro , indi due, tre, quattro . . . Coll’ allungar questo filo già si sa dalle misure galvanometriche l’ effetto che ne nasce ordinariamente : consiste questo in una lesgiera diminuzione di corrente. Senza dubbio sopra fili molto sot- tili questa perdita non è tanto leggiera, e merita d’ essere valu- tata; ma sopra fili di maggior grossezza si riduce a molto meno, e può , dentro certi limiti, trascurarsi impunemente. Si trovi il nostro elemento in questa condizione, ed il filo congiuntivo, bre- ve o Tungo che sia , si vedrà trascorso in ogni suo punto dalla stessa quantità di corrente. Non è questo il luogo di ricercare come la medesima sorgente d’ elettricità voltaica possa mantenere una corrente eguale o presso che eguale sopra un lungo come so - pra un breve circuito; ma lo è bene per riflettere che, se la cor- rente d’un lungo circuito è in ogni suo punto efficace come quella d’un più breve, si dovrà nell’ interruzione del primo circuito ottenere una scintilla più forte che nell’ interruzione del secon- do, per l’ evidente ragione; che il condensamento di fluido , da cui nasce la scintilla , è operato nel lungo circuito da una massa d’ elettricità maggiore di quella che circola sopra il più ristretto. Di qui l’idea di condensare 1’ elettricità voltaica con un mezzo semplicissimo , /” allungamento del filo congiuntivo. Si pre- para per più comodo una lunga spirale di filo di rame , s° ag- giunge al circuito, e ciò basta per operare il condensamento di cui si tratta. L'efficacia di quest’appendice si riconosce subito sopra de’pic- coli elementi di uno a due pollici di superficie, i quali danno la scintilla coll’ aggiunta del condensatore , e non la danno senza. Jo soglio fare l’esperienza nel modo seguente: attacco due corti fili 73 ai poli, rame e zinco dell elemento , e delle due estremità libere di questi fili ne unisco una ad uno de’ capi della spirale desti- nata all’ uffizio di condensatore, avendo l’ avvertenza di fare questa giunta un poco al disotto dell’ultima estremità. Servo po- scia fra le dita di una mano le due punte della spirale, tenen- dole parallelamente e ben vicine l’una all’altra; preso in fine col- l’altra mano il capo libero del filo corto non attaccato alla spirale lo striscio or sopra l’ estremità libera della spirale, ora sull’ al- tra. Nel primo caso la spirale fa parte del circuito, e comparisce la scintilla al momento dell’ interruzione 5 nel secondo caso la spi- rale vien esclusa dal circuito, e manca la scintilla. È indifferente per l’effetto che la spirale sia attaccata al filo positivo o negativo dell’ elemento. Da amendue le parti il momento dell’ interruzione è accompagnato da una scintilla sensibilmente egua'e. La condizione, da cui dipende quasi tutta l'efficacia del condensatore, consiste nella lunghezza del filo impiegato alla sua costruzione. La grossezza del filo vi ha poca parte, e giova molto più perdere qualche grado di forza nella corrente per soverchia lunghezza di filo, che conservare tutta la corrente a pregiudizio di quella dimensione. Si trova infatti che un elemento della forza per esempio di 50.° non dà la scintilla a circuito breve, e la dà distintissima ‘a circuito lungo, quantunque, per questa lun- ghezza , la corrente di 50.° discenda ai 45.° o 40.0 Se prima d’ avere messo in evidenza questo risultato ci fosse stato proposto il problema di condensare l'elettricità degli elementi voltaici a pregiudizio della corrente che danno , avremmo probabilmente ri- sposto che si chiedeva 1’ impossibile. Ora si vede la possibilità non solo della cosa, ma di più che nulla vi ha di più facile che mandarla ad effetto. Firenze dal Museo 8 Maggio 1832. SULLA SENSIBILITÀ DEL TERMOMOLTIPLICATORE Nota del sig. Lrororvo Nozizi. Il termomoltiplicatore si compone di due parti principali , d’ un galvanometro cioè a due aghi sensibilissimo ; e d’una pila termoelettrica eseguita secondo il principio delle alternative che dichiarai la prima volta. che feci conoscere quell’ istrumento. Sin T. VI. Aprile. 10 74 d’ allora avvertii che il termomoltiplicatore superava di gran lunga i più squisiti termometri, giacchè manifestava una sensibilità da quindici in venti volte maggiore di quella del termometro me- tallico di Breguet. La pila di quel primo termomoltiplicatore era composta di pochi elementi e destinata più specialmente a rap- presentare un termometro di contatto che a servire per il calo- rico raggiante. L'istrumento subì, poco dopo, un miglioramento notabile per le cure riunite del prof. Melloni e mie. Vi si ag- giunse una pila costruita espressamente per l’azione del calorico raggiante, la quale, munita da una parte di uno specchio cunico, ridusse l’ istrumento così delicato da sentire 1’ influenza del ca- lore naturale d’una persona alla distanza di venticinque a trenta piedi. Un apparecchio termoscopico di tal forza non meritava di rimanere inoperoso , e noi intraprendemmo , il prof. Melloni ed io, una serie d’esperienze i cui risultati furono resi di pubblica ragione dopo essere stati comunicati all’ istituto di Francia (1). Non si trascurò in quell’ occasione di paragonare il nuovo istru - mento coi migliori termoscopi che si avessero, nè i risultati furo- no punto dubbiosi: la superiorità più decisa si sostenne in ogni caso dal lato del termomoltiplicatore , oltre ai vantaggi partico- lari della sua costruzione , per eni si presta a ricerche incom- patibili coll’uso dei mezzi ordinari. Non si dee per altro dissimu- lare una circostanza, ed è che in tali confronti la pila termoelet= trica era munita del suo specchio metallico, mentre questo mez- zo di concentrazione de’raggi calorifici mancava alle palle de’ter- moscopi. Conoscevamo per descrizione l’etrioscopio di Leslie armato, da una parte, d’ uno specchio parabolico, e destinato ; come si sa, a misnrare la freschezza del Cielo, ossia 1° irraggiamento della terra verso quelle regioni vuote di materia. Per costruzione egual- mente che per uffizio, l’etrioscopio veniva ad essere l’istrumento il più consimile al termomoltiplicatore , ed un paragone con esso era veramente indispensabile. Sentivamo fin d’ allora questo bi- sogno; ma la mancanza materiale dell’ apparecchio di Leslie c’ impedì di soddisfarlo. La necessità in somma ci fece lasciare aperta una lacuna , che intendo ora di riempire col mezzo del- l’ etrioscopio di questo R. Museo, il primo di cui abbia potuto disporre liberamente (2). (:) Annales de Chimie et Phisique tom. 48 ottubre 1831. (2) Questo istrumento è stato costruito a Londra dal sig. Newmann : si trova in ottimo stato per le cure del prof. Gazzeri , che lo portò seco dall’ In- " 75 La sensibilità dell’ etrioscopio è tale che, aperto lo specchio per l’esperienza del raffreddamento notturno , la colonna del flui- do colorato ascende nel tubo 30, 40, e nelle circostanze più fu- vorevoli per fino 5o gradi della divisione, che è millesimale. ‘Così asserisce lo stesso Leslie , e tale è realmente il movimento che si osserva nell’ etrioscopio di questo Museo. La pila del termomoltiplicatore, rivolta col suo specchio verso del cielo, fa scorrere all’ indice magnetico uno spazio di 120 e più gradi , il quale indice si fissa poi vicinissimo ai g0.°, che è il luogo del maximum, il punto estremo della scala galvanore- trica. Da ciò si vede che 1’ irraggiamento notturno è già per il termomoltiplicatore una forza eccessiva che spinge l'indice al- 1’ estremità della scala. Rivolgendo i due istrumenti verso sorgenti calorifiche che va- dano scemando gradatamente, si arriva a un punto, in cui il flui- do dell’ etrioscopio resta stazionario , mentre 1’ indice del termo- moltiplicatore percorre ancora. degli archi di 25 a 30.° Pri- ma di ginngere a un tal segno si nota nel termomoltiplicatore l escursione che corrisponde a un grado dell’ etrioscopio : essa è di 66.° circa ; quella di mezzo grado si riduce a 44.° La divisione dell’ etrioscopio è millesimale e spaziosa al se- gno da prendersi facilmente a stima il mezzo grado. Il movimento d’ un quarto di grado è incerto ; se non del tutto insensibile. Ar- restandoci dunque alla prima suddivisione avremo nell’etriosco- pio due mila divisioni ben distinte fra il ghiaccio fondente e l’acqua in ebullizione. Ognuna di quelle divisioni corrisponderà per conseguenza a Z di grado della scala di Reaumur. Sarà que- sta la frazione che indicherà la sensibilità dell’ etrioscopio : si dirà cioè che quest istrumento è sensibile a 2 di grado ottan- tesimale. Un movimento di 25.° del termomoplicatore passa inosservato sull’ etrioscopio. Supponiamo però che invece d’ essere del tutto indistinto, si vegga su quest’ ultimo istramento al segno di cor- ghilterra, e consiste, siccome è noto , in un termometro differenziale conter- minato al solito da due palle, le quali si trovano sulla stessa linea verticale , 1’ una al disopra , l’ altra al disotto. L” inferiore è coperta da un inviluppo di legno che la garantisce dall’ irraggiamento ; la superiore , che è la senziente, occupa il fuoco d’ uno specchio parabolico forbito al di dentro, ed inverni- ciato al di fuori. Lo specchio porta un coperchio , che si mette o si leva co- me, più piace. 36 rispondere alla metà della frazione or ora ritrovata: essendo que- Sta 3; di grado, la sua metà sarà y;- In questa supposizione ; tutta a vantaggio dell’ etrioscopio , avremo un cinquantesimo di grado ingrandito sul termomoltiplicatore per modo da occupare uno spazio di 25.°, i quali, divisi a stima in due, danno So suddivi- sioni visibili per quella frazione di grado. Supposto quindi per un momento , che i gradi del galvanometro fossero percorsi in virtù d’ eguali aumenti di temperatura, ciascuna di quelle 50 divisioni corrisponderebbe a zlzo = ago di grado reaumuriano. Ma la sup- posizione è tutta a pregiudizio de’ primi gradi della scala, per la natura delle indicazioni galvanometriche , le quali seguono una legge così rapida da segnare l’infirito ai 9g0.°, comir:ciando dal zero sul principio della scala. In forza quindi d’una tal legge, non sarà certamente una larga concessione che si farà all’istrumento, ridu- cendo a 343 la frazione };5; che indicava la sua sensibilità, nel- l’ erronea supposizione che ad ogni grado di deviazione corrispon- desse un egual grado di forza calorifica. Siamo già molto innanzi, ma non ancora al punto estremo della forza del termomo!tiplicatore per il nuovo sussidio ch’essa ri- ceve da un artifizio particolare agli strumenti di quella specie. Sup- poniamo che il galvanometro segni un certo grado di freddo o di caldv col suo indice deviato alla dritta della divisione 0,° In- vertiamo i fi'i della corrente termoelettrica , e l’indice passa alla sinistra per segnare da questo lato una deviazione eguale a quella di prima. In tal modo i movimenti incerti ed equivoci divengono distinti ed apprezzabili, e così la sensibilità dell’ istrumento si trova per lo meno raddoppiata , tale cioè da non valutarsi meno di 3353 di grado, mentre era soltanto di x; senza l”artifizio dell’inversione. Il termomoltiplicatore, che ho posto a fronte dell’ etriosco- pio , è il mio particolare, di cui soglio servirmi nelle ricerche le più delicate. Il galvanometro di quest’ apparecchio è d’ una sen- sibilità tale, che dubito assai di riuscire a renderla maggiore. La pila termoelettrica parmi piuttosto suscettiva di qualche miglio- ramento , e penso già a sostituirgliene un’ altra di maggiore ef- fetto. Vedremo a lavoro compiuto che cosa si guadagnerà , stan- do fermo per ora che il termomoltiplicatore è un istramento sen- sibile a 3353 di grado di Reaumur. Questo risultato lascia poca speranza di pervenire , colle ri- sorse de’ termoscopi ordinari , a un così alto grado di squisitezza : la spegne anzi del tutto se bene si osservi alla natura diversa dei 7? due istrumenti. Le palle senzienti dei termoscopi sono di vetro , eil il vetro per sottile che sia, non si lascia traversare dai raggi calorifici che partono da sorgenti di calore estremamente deboli. I medesimi raggi diretti sulle pile termoelettriche non trovano sopra di queste alenn inviluppo isolante ; colpiscono immediata- mente i due metalli und’ è composto ciascun elemento, e dove agiscono come forza elettromotrice mettendo in giro una corrente che va al galvanometro per la via dei fili di comunicazione. In questo caso il calore è la causa primitiva ; la corrente elettrica l’effetto. E quest’ effetto ( bisogna or dirlo (con qualche insisten- za) è così facile da determinarsi che non sa lo crederebbe, senza riflettere che ad eccitare una corrente termoelettrica sopra un circuito composto di due metalli differenti basta a tutto rigore ri- scaldare, sul luogo della loro giuntura, due sole molecole, una dell’ uno, e 1’ altra dell’ altro metallo. Le indicazioni termosco- piche dipendono tutte dallo stesso principio, da condensamento cioè o da rarefazione d’ una massa di fluido, che ora è aria , ora spirito di vino, ora mercurio, ma sempre massa, ad agire ef- firacemente sulla quale occorre in ogni caso un tempo ed una forza immensamente maggiore che non si esige per disequilibrare termometricamente un paio di molecole. Le punte estreme degli elementi termoelettrici , per acuminate che sieno , sono senza dub- bio ben lontane dal finire in due sole particelle, pure tutto si fa chiaro insisterdo sulla circostanza che i movimenti termuscopici non si determinano che in virtù di condensamento o di rarefa- zione di masse, grandissime sempre a fronte di quelle, su cui bisogna agire per avere dal termomoltiplicatore le sue indicazioni. Questo è il motivo principale della superiorità del nuovo appa- rato; l’ altro motivo, dipendente dalla natura poco permeabile del vetro, è anch’ esso di non lieve momento , ma tale, per quanto ci sembra , da registrarsi in secondo luogo. Ad ogni modo biso- gnava dichiararli amendue per rendersi ragione dell’istrumento , e per apprendere, dalla giustificazione de’ suoi effetti, a trarne tutto il partito possibile nelle diverse circostanze che si pre- sentano. Firenze dal Museo 11 Maggio 1832. 78 Opere complete di Niccorò Mac#ravetri | fanno parte della Bi- blioteca portatile del Viaggiatore ) volume unico. Firenze Passigli, Borghi e C. 1831 in 8.° fig.® Il Machiavelli, che per alcuni è ancora un essere semifa- voloso , per altri è almeno un essere enigmatico. Pur ciò che avvi in lui d’ oscuro o di dubbio è chiarito abbastanza dalle sue opere, ove queste si guardino secondo l’ ordine de’ tempi in cui furono composte. Ove cioè si guardin prima l’ opere ch’ ei compose co- me diplomatico e uomo di stato, poi quelle ch’ ei compose co- me pubblicista ed istorico , all’une o all’ altre delle quali si le- gan più o meno l’ opere semplicemente letterarie o di genere fa- miliare. Così ne pensò , non ha guari, un ingegnoso francese , l’Avenel, che nella Rivista Enciclopedica scrisse aleuni ragio- namenti intorno al Machiavelli, prendendone opportunità dalla. bella versione delle sne opere data alla Francia dal Pèriés. Così non ne pensò propriamente un membro illustre del parlamento inglese , il Macauly , che un poco innanzi scrisse nella Rivista d’ Edimburgo un ragionamento intitolato Machiavelli e il suo se- colo. Ma, riferendo al suo secolo ciò che più offende nell’ opere ch’ ei compose come pubblicista ed istorico , parve consigliarei egualmente di guardar prima l’ opere ch’ ei compose come diplo- matico e uomo di stato, nelle quali 1’ inflaenza del suo secolo è più manifesta. Giova raccogliere le principali idee de’ due re- centissimi scrittori, non obliando le più notabili d’ altri che li precedettero , e aggiugnendo quelle che ci venissero suggerite da alcune particolarità, a cui essi non poser mente, dell’ opere di cui si è detto, o da qualche documento ch’ essi non ebbe1* mano. La vita del Machiavelli si comprende, come ognun sa, in quel periodo di tempo, che trascorse dalla morte del primo Piero de’ Medici all’innalzamento d’ Alessandro; dall’ insidiata all’ estinta libertà della sua patria. Verso la metà di quel periodo, quando il secondo Piero , fatto vile alla patria , si esiliò da sè stesso (1494) e la libertà parve sicura, il Machiavelli, non avendo ancora che 25 anni, fu dal vecchio Adriani a lui maestro nelle lettere , e autorevolissimo fra quei che reggevan la patria , ini ziato al maneggio delle cose pubbliche. Indi a quattr’ anni circa fu eletto cancelliere d’ una delle cancellerie de’ Signori, poi a segretario de’ Dieci di Libertà e Pace , ond’ ebbe tosto commis va sioni e legazioni ch’ei descrive, e nelle quali cominciamo ad avere il suo ritratto. Prima fra le sue commissioni fu quella del 1498 al signor di Piombino (Iacopo Appiani ) per indurlo a venire con nuove forze all’ impresa di Pisa, mentre il Vitelli generale dell’ impre - sa, col meglio di quelle che già erano adunate , correva in Ca- sentino a difender la repubblica assalita da’ Veneziani. Nella lettera di credenza a quel signore il Machiavelli è chiamato da’ suoi committenti. rostro carissimo cittadino , espressione di grande affetto, onde apparisce la gran fiducia che avevasi in lui. Ma questa apparisce pure abbastanza dalla commission medesi- ma che gli veniva affidata, e che non era senza difficoltà. Poi- chè quel signore, che già altri servigi avea resi, e ancor ne stava aspettando la ricompensa, non solo potea sentirsi poco di- sposto a renderne de’ nuovi, ma sdegnarsi fortemente d’ esserne richiesto. Quindi nell’ istruzione, che leggiamo subito dopo la lettera di credenza , è detto al Machiavelli: se si venisse @ rot- tura , lascialo scorrere e poi ripigliare, e fa forza di disporlo ad avere pazienza ec. Ciò peraltro gli si sarebbe detto inntil- mente , s’ ei non avesse assai bene saputo fire da sè. E il suo saper fare, che nel mostra . beuchè sì giovane ; già pari ai pro- yetti, nel mostra pure , s’ io non m’ inganno , singolarmente tem- prato a quella che suol chiamarsi politica pratica, la quale avremo spesso occasion di vedere che fosse nel suo secolo. Essa , per ricerdarne qui una qualità molto generale, si com- poneva principalmente d° accortezza o d’ astuzia. Non sempre, è vero, n° era esclusa la passione: sempre n'era escluso quello che altra volta fu sì potente, 1’ entusiasmo. Accadde nondimeno verso il tempo della prima commissione del Machiavelli che an- che l’ entusiasmo vi si mescolasse un istante. Ciò fu allora che il Savonarola profetava , e; non cha. il popolo , la Signoria , era dominata dalle parole del profeta. Il Machiavelli fu ei pure ad ascoltarlo , ma freddo , impassibile fra la commozione di tutti. Ciò sappiamo da quella sua lettera ad un amico (8 marzo 1497) che ci si presenta seconda nella troppo scarsa raccolta che finora abbiamo delle sue familiari. Egli, ardisco dirlo , non intese ab- bastanza il profeta, poichè conchiuse quella lettera: così, se- condo il mio giudizio ,' vien secondando i tempi e le sue bugie colorendo ec. Tutto certamente nel profeta non era bugia o ar- tifizio. Ma l’ artifizio pur v? era ; e il Machiavelli lo scoprì con terribile penetrazione; e , dopo aver letto quel ch’ ei ne scrive, so quasi non si ha d’ uopo di legger altro per sapere ov’ egli, trat- tando la politica , sia per riuscire. L’ amico, a cui scrive, e ch'egli non nomina, trovavasi , giusta alcune frasi della lettera , nella città onde già erano uscite minacce fatali contro il Savonarola, cioè in Roma. Ed era forse il dotto Roberto Acciajoli, di cui ho fra le mani una lettera inedita , mezzo latina e mezzo volgare, e quasi tutta stupenda, mandata di là ne’ primi di gennaio 1499 con questa soprascritta Prudenti Viro Nicolao Machiavello ec. La qual soprascritta, ben- chè nella lettera il Machiavelli non sia lodato che per /° officio del silenzio cl’ ei sapeva osservare come si richiede al buon se- gretario, parmi pure alludere a qualche singolar prova o di pe- netrazione o d’ abilità. Di prudenza propriamente detta , o previdenza che voglia- mo chiamarla, gran prova abbiam noi nell’ ultima specialmente delle tre lettere, che il Machiavelli scriveva , nell’ aprile, giu- gno , luglio del 1499 già detto, a Francesco Tosinghi commis- sario nell’ Agro Pisano, compendiandogli gli avvisi che manda- van di varie parti gli oratori della repubblica. Ch’ io credo do- ver attribuire al Machiavelli egualmente che a’ capi della re- pubblica ciò ch’ei loro pone in bocca, commentando per così dire quelle parole della lettera già detta : il duca (di Milano) fa forza perchè vi dichiariate , e voi usate ogni termine per disco- starvi, parendovi (in grazia della Francia ) pericoloso ec. Alla qual lettera, che sola dovrebbe stare fra le sue familiari, es- sendo l’ altre due da porsi fra quelle ch’ ei chiama pubbliche , duo'mi assai che non s’ accompagni un’ altra in esse indicata, siccome contenente gli avvisi di Venezia, e che dovrebbe pur essere delle più importanti. Veduto il comento ch’io accennava , ciascun sente che il Machiavelli è maturo per qualsiasi gran legazione. Gliene toc- cò innanzi una piuttosto ardua che grande, ma pur tale che in essa ebbe luogo di mostrarsi anche più maturo. Fu egli inviato ( nel luglio stesso del 1499 ) a Caterina Sforza signora di Forlì, per giustificar i capi della repubblica di non aver mantenute le condizioni , alle quali alcun tempo innanzi Ottaviano suo pri- mogenito era stato condotto a’servigi della repubblica stessa, e per condurlo di nuovo, ma a condizioni più scarse e niente più sicure. L’ inviato , cume apparisce da una delle prime sue lettere componenti questa legazione , usò , fin dalla prima udienza , di singolare abilità. Ma all’ abile inviato fu abilmente risposto per dI sua signoria (donna abhilissima) come le parole ha avuto in ogni tempo (da’ capi della repubblica ) le hanno sempre soddisfatto , ma che le sono bene sempre dispiaciuti i fatti ec. Si accrebbero intanto le difficoltà pe’ maneggi segreti degli agenti del Moro, pa- rente a Caterina ed offerente per Ottaviavo assai migliore con- dotta. Quindi 1’ inviato , dopo molti sforzi per appianarle , pro- ponendo a’ suoi committenti nuovi mezzi per riuscirvi, dubitava che /’ opinion sua potesse esser vana (lettera quarta ), sì per es- sere stata sempre sua eccellenza sull’ onorevole , nè avere mai ac- cennato di voler manco di quello le offera il duca di Milano ; sì ancora per essere difficile giudicar Vl’ animo suo dove ella sia più inclinata o a Milano o alla repubblica, ec. Mirabile è la sa- gacia con cui egli (nella lettera medesima ) pone i suoi com- mittenti in istato di recarne quel più probabil giudizio ch’ era possibile. E se 1’ amico suo Biagio Buonaccorsi, uno di questi cancellieri, dopo aver veduto le lettere antecedenti, gli scriveva : voi avete eseguito insino a ora (ciò leggo in una sua inedita dei 19 luglio già detto ) con grande vostro onore la commissione injunctavi, di che io ho preso piacere grandissimo ec., vedendosi da ciò che ci è altri ancora che, benchè non sia così pratico, non è inferiore ec. ec.; è facile imaginare quel che gli avrà scritto, veduta l’ altra che accennai, e ch’ è di data alcun po- co posteriore. La lettera del Buonaccorsi , come quella che già allegai de!- l’Acciajoli, come più altre che avrò in seguito occasion d’alle- gare (questa digressione mi è necessaria ) appartiene a quella raccolta che l’Avenel, avvisatone dal Valery , il quale ancor non avea pubblicato il suo Viaggio in Italia, disse trovarsi in una libreria particolare di Firenze, e da cui non sapeva esser deri- vata in parte quella ch’ ei pur nomina del sig. Salvi in Parigi, e la doviziosissima ch’ ei dice donata da lord Guilfrod all’ uni- versità di Corfù., ma che passata agli eredi di quel signore fu, mi si narra, messa in Londra all’ incanto. La raccolta del sig. Salvi contiene più lettere inedite e autografe del Machiavelli ; non so poi dir di che genere; quella di lord Gui!frod più lettere gover- native o cancelleresche , non so dire se tutte inedite, ma tutte autografe , al Machiavelli; quella che qui resta, e che dalle mani d’ un peritissimo collettore è passata pocanzi in quelle d’un giovane e colto signore, che gentilmente mi concede di farne uso ; contiene lettere tutte inedite e tutte autografe e di genere vario al Machiavelli medesimo. Sarebbe troppo desiderabile che T. VI. Aprile I ‘82 i possessori di tutte queste lettere ,, e quanti si trovano posse- derne altre che con esse possano accompagnarsi, convenissero insieme per dar finalmente un carteggio del Machiavelli e de’suoi corrispondenti il più compito e ordinato che fosse possibile. In- tanto sarebbe pur stato desiderabile. che i nuovi editori del- l’ opere del Machiavelli, ai quali fu aperta la Rinucciniana , d’onde trassero il facsimile che ci danno d’ una lettera del Ma- chiavelli, e fu offerta ad un tempo la raccolta ch'io ho fra le mani ; si fossero più largamente giovati della prima, s’ è. vero che le lettere autografe del Machiavelli in essa contenute pas- sino fra edite e inedite le nove diecine } e non avessero trascu- rata l'altra , che si compone d’ un centinaio ‘circa di lettere al Machiavelli , autografe e inedite come già dissi, e fra le quali n'è pur qualcuna ch’ era lor necessaria. Tale si è quella del. vecchio Adriani ( Marcello Virgilio ) ch’ io trovo innanzi all’ altre nella raccolta già detta, e che ha la data dei 16 luglio 1499. Essa è la lettera, di ‘cni il Machia- velli, nella terza di quelle che compongono la sua legazione a Caterina Sforza, scrive: questa mattina di poi ebbi una per Tommaso Totti, per la quale vv. ss. mi sollecitano della pol- vere e salnitro dovevo trarre di Castrocaro ec. ec. Il qual nome di Castrocaro mi fa pensare ad un incidente di quella legazione , la commission speciale cioè , ch’ egli ebbe per quel luogo , nella sua andata a Forlì, e che non fu solo di polveri e di salni'ro. I lettori, che vogliano ben conoscere il Machiavelli , non si fer- meranno forse inutilmente ai due paragrafi di mezzo nella pri- ma delle lettere che compongono la legazione già detta, il pri- mo de’ quali incomincia : Circa le cose seguite fra ser Guerrino del Bello e il capitano ec., e delle altre occorrenze di qui, ne ho ritratto questo , e da uomini di ogni qualità , tale che io cre- do averne ritratto il vero ec. ec. Chè in que’ paragrafi , oltre una nuova testimonianza della sua accortezza e ‘abilità; è pure un indizio di gravità e, com’ oggi direbbesi:, di amor dell’ ordine , che servirà forse in seguito a intender meglio alcuni suvi giudizi e alcune sue sentenze. Pare che al fin della legazione dovrebbe trovarsi qualch’al- tra sua lettera da Castrocaro ; poichè 1’ ultima scritta da Forlì il giorno innanzi alla partenza è da lui terminata con queste parole: Domattina mi trasferirò a Castrocaro, jer vedere se posso assicurare quei di Corbizo da Dionisio Naldi e suoi partigiani ; a che madonna si è offerta fare ogni opera; e di quanto seguirà vostre signorie fieno avvisate ec. La mancanza ch’ io qui suppen- 83 go , e quelle pure che s’ incontrano in altre sue legazioni e com- missioni , per non dir nulla di quelle del suo carteggio propria- mente detto , sì privato e sì pubblico, non potrebbero dunque esser riparate ? Que’ che diedero nel 1813 1’ edizion fiorentina delle sue opere , alla qnale poi seguì conforme quella del 1826 e la presente , rivisitarono, lo so, con molta diligenza e non senza’ frutto le fonti già visitate da chi nel 1767 diede in luce le prime commissioni e legazioni che del Machiavelli siensi ve- dute, e da chi poi aggiunse loro le altre nelle edizioni famose delle sue opere fatte qui nel 1782 e 1796. Il rivisitarle con di- ligenza novella, massime dopo le cure che si son date in que- sti ultimi anni per accrescerle o restaurarle bibliotecarii , archi- visti ec., non dovrebb’ essere senza nuovo frutto. Quanto al car- teggio privato, grazie al gran numero ch’ oggi è in tutta Euro- pa di raccoglitori di lettere autografe , poco forse riman nascosto, benchè per la cagion medesima tutto forse sia più che mai di- sperso. Quanto al carteggio pubblico , di cui si ebbe un primo saggio nel 1760 , le sue fonti son conosciutissime ; e se gli edi- tori del 1813 , e gli altri che gli hanno seguiti, pensarono che quello e qualch’ altro saggio posteriore fosse già troppo , altri oggi potrebbero , e per molte ragioni, esser di parere diverso. Chè quel carteggio, quando pure è meno importante , ha per lo meno l’ importanza medesima d’ una gran parte delle let- tere , dirò così, secondarie, che compongono le. commissioni ed anche le legazioni, alla prima delle quali ci è d’ nopo ritornare un istante. Parrebbe doversi ascrivere ad accortezza del Machia- velli il suo troncarla d’ improvviso , dopo aver mostrato in un’ul- tima udienza e con parole e con gesti il suo malcontento, poi- chè . siccome può vedersi nella legazione medesima , ciò pro- dusse quel frutto, che il prolungarla non avea prodotto. Se non che più volte , scrivendo a’ suoi committenti , egli aveva mostrato gran desiderio del ritorno. E il suo amico Buonaccorsi nella let- tera inedita già citata dei 7 luglio, dopo avergli detto : 70 ron credo abbiate a soprastare costò lungo tempo, che qui è necessità di voi ec., aggiugneva con certo mistero queste parole: io vi conforto a tornare più presto potrete , che lo stare costì non fa per voi ec. E in altra dei 27 anch’ essa inedita : e vi conforto, gli replicava , ad espedirvi con quanta più prestezza si può , che non è il fatto vostro a stare cost, di che, gli soggiugneva, 4 bocca vi ragguaglierò ec. , facendogli intendere, com’ egli avea quì degli invidiosi, a confondere i quali era necessaria la sua pre- senza. i Tornato stette un anno circa senz? altre legazioni o commis- sioni, il che non vuol dire con molto ozio, come sembra cre- dere chi ascrive a quell’ anno la più originale e la più amena fra le sne opere di amena letteratura. Varie di queste opere so- no senza dubbio anteriori. 11 dir però quali è ancor men facile che il determinare la data dell’ altre della medesima specie , ch’ egli in seguito compose. Anteriore p. e. parrebbe la Serenata ( poetica imitazione della favola ovidiana di Vertunno ) e assai cara, sembra, ai muovi editori, che |’ hanno onorata d’una delle quattro. belle vignette, onde adornasi la loro stampa. Ci lascia però dubbi il cominciamento d’una dell’ultime ottave: Non è /a sua età(del poeta) vecchia e matura ec. , il che parrebbe significare che il fior della giovinezza era scomparso, per non dir nulla del .tono della composizione, i cui versi più belli (come questi che si leggono fra’ primi: Avanti che l° italica virtute Ponesse il suo ben auspicato nido Ne? sette colli ec.) son tutt'altro che gli amatorii. Anteriore forse qualcuno de’ Canti Carnescialeschi , come quello de’ Diavoli, in cui bocca son posti questi versi che paion fatti pel famoso carnevale del Savonarola : E "n questa città vostra Abbiam preso il governo, Perchè quì si dimostra Confusione e duol più che in Inferno, ec. Non anteriore sicuramente quel degli Spiriti Beati, incwi bocca son posti versi allusivi , se non m’in- ganno , al principio del pontificato di Giulio, Ma ( Iddio ) vede il suo regno Mancare a poco a poco e la sua gregge Se pel nuo. vo pastor non si corregge , ec. Di data più difficile a congettu- rarsi, ma probabilmente assai giovanili , quel de’ Romiti , quello de’ Ciurmadori , quel degli Uomini che vendono le pine, i quali a me sembrano i più belli, e in cui non è, direi quasi contro l’uso dello scrittore. allusione alcuna. Le allusioni ed altre particolarità dell’ Asino d’ Oro e de’Ca. pitoli ( ne dirò poi altrove una paro!a ) me li fan credere più o men posteriori all’ anno già detto, sebben li trovi in lor genere assai men belli che i canti che suppongo assai giovanili. Ma questi dovean pur riuscire più belli, poichè derivati dalla mi- glior vena poetica di cui fusse dotato lo scrittore , vena poten- tissima, che si manifesta, come vedremo , fin nelle sue scrit- ture più gravi; prorompe talvolta nelle sue familiari ( alcune delle quali , oggi perdute o nascoste, faceano, per quel che apparisce dalle inedite degli amici che ho sott’ occhio , perdere ogni gravità a questi gravi personaggi ) ; scorre infine copiosissima nelle sne Commedie , e nella Mandragola specialmente. Avvi di questa commedia un’edizion rarissima, che supposta 35 del 1499 o del 1500 { ne parla il Fossi nel Cat. delle Ediz. Ma- gliabechiane del sec. 15.%) fece credere e questa e quindi |’ al- tre sne commedie, poichè meno eccellenti, opera della sua gio- ventù. Se non che opera della gioventà non è forse che la sua Andria tradotta da quella di Terenzio, e la sua Commedia in versi e senza titolo che si direbbe anch’essa una traduzion dall'autico. L’ altra Commedia senza titolo e in prosa, bluette spiritosissima come direbbero i Francesi, nella cui lingua ha avuto da chi ul- timamente la tradusse il titolo di Entremetteuse maladroite, a me par opera d’ età più matura. E forse è scritta dopo la Man- dragola e la Clizia , posteriore indubitatamente alla Mandragola, e dalla quale intendiamo ( v. il prologo e la scena prima) che la Mandragola non può essere scritta prima del 1510. Per ciò forse alcuni la credettero scritta verso il tempu in cui si rap- presentarono la Cassaria e i Suppositi deil’ Ariosto (1513), qual- ch’ anno dopo che fu rappresentata la Calandria del card. Bi- biena, citata poi spesso in iscusa delle licenze della Mandra- . gola stessa e dell’altre commedie de’ primi tempi. Altri intanto, guardando ad alcune lettere del Machiavelli al Guicciardini, s0- spettarono ch’ essa fosse scritta assai più tardi, cioè nel 1525 o poco innanzi; e ad accrescere per me il sospetto s’ aggiugne vra una lettera inedita di Filippo De Nerli al Machiavelli, della quale poi a suo luogo parlerò. Del tempo della gioventù del Machiavelli potrebbero essere i Capitoli per una compagnia di piacere , in cuni l’Avenel non vede che una facezia indegna di luni, ma può anche vedersi una satira coperta e ingegnosissima del pubblico costume ; cosa che gioverà forse ricordar più tardi, quando si tratterà d’un’ opera ond’egli eb- be e più fama e più infamia. Di quel tempo indubitatamente è il Discorso morale per una compagnia di devozione, ove nulla forse è a notarsi che certo color biblico, il quale poi riappare in altri suoi scritti posteriori; e l’ Allocuzione ad un Magistrato che prende l’officio, nella quale può parer notabile quel ch'egli imagina della retribuzione de’ giusti secondo la teologia poetica di Dante, e quel che dice della giustizia: questa difende i poveri e gl’ im- potenti, reprime iricchi e i potenti ec., questa genera negli stait quella egualità che a volerli mantenere è desiderabile ec. ec. , onde. vedesi con quali idee cominciò la sua vita pubblica , di cui or ci accostiamo ad un grand’ atto , la sua prima legazione alla corte di Francia, preceduta da una commissione in campo con- tro i Pisani. Nessun dubbio per quelli che allor sedevano al governo della 80 repubblica (ne ho testimonio più d’ una delle lettere già alle- gate del Buonaccorsi) intorno alla giustizia della causa per cni teneasi quel campo. Nessun dubbio nemmeno pel Machiavelli , come può vedersi ne’primi due de’ così detti suoi Frammenti sto - rici, ch’ io non so bene a quel tempo della sua vita mi riferisca, e nel suo Discorso al Magistrato de’ Dieci sopra le cose di Pisa ,, il qual è probabilmente del tempo a cui siam giunti. Se per le cose interne la giustizia era intesa dal Machiavelli meglio forse che da altri del suo tempo, dominati quasi sempre da amor di parte; per le cose esterne era da lui pur ridotta alla politica utili- tà, coonestata sovente col nome di necessità. Quindi il comincia- mento del discorso indicato : Che riavere Pisa sia necessario a voler mantenere la libertà , perchè nessuno ne dubita, non mi pare da mostrarlo con altre ragioni , ec. Quindi pure quel che fa intendere in seguito, che il riaverla per tradimento di qual- che difensore non gli parrebbe disdicevole , benchè il tradimento gli sembri sì brutto da non poter':o creder possibile : mon mi pare da credere che alcuno fosse per rompere loro la fede, e sotto nome di volerli difendere li tradisse ec. Stabilito di do- verla riavere per forza, ei va discorrendo con accortezza grandis- sima, quale e quanta sia da adoperarsene , quali ostacoli da te- mersi ec. ec. , nè l’ avvenimento smentì le sue previsioni. Il Buonaccorsi in una delle sue inedite ricordate pur dianzi, dopo aver dato al Machiavelli notizie di Francia, del Turco, ec, venuto alle cose di Pisa, si stima certo , gli diceva, Pisa essere pressochè in potestà di questa magnifica Signoria , benchè loro (i Pisani) stieno ancora durissimi ec. Passò nondimeno un al- tr’ anno senza ch’ essi si mostrassero più arrendevoli ; sicchè si credette necessario invocar gli aiuti di Francia , i quali giunsero appunto quando il Machiavelli era in campo per commissione straordinaria fra’ commissari ordinari. Se non che gli aiuti non recarono che scompiglio ( ne parla il Buonaccorsi medesimo nel suo Diario , il Guicciardini nel libro quinto della sua storia, ec. ), furon causa che si levasse l’assedio , finirono coll’ offendere quelli stessi ch’ eran venuti a soccorrere , facendo prigione un lor com- missario , Luca degli Albizi, ed esigendo per esso un forte ri- scatto. Di quest’ offesa parla il Machiavelli nell’ unica lettera ch’ ei sottoscrive fra quelle che compongono la commissione già detta. Sappiamo però da chi primo ci diede in istampa questa commissione , il cui autografo è nell’ archivio delle Riformagioni, essere in parte di mano del Machiavelli anche le lettere a cui è sottoscritto Luca degli Albizi , tutte o quasi tutte pubblica- 87 te. e quelle pure a cui è sottoscritto Gio. Batista Ridolfi altro de’ commissari , e che gioverebbe pubblicare. Sarebbesi intanto’, pubblicando quelle dell’Albizi, potuto contrassegnare i passi che son di mano del Machiavelli, benchè forse non sia difficile il di- stinguerli, come que’della prima: Tutti questi modi non tendono ad ultro che a disperarci di Pisa e a farci dubitare di peggio; e però.... è bene pensare a tutto il giuoco, e de’ più cattivi partiti pigliare il manco rio, ec. ec. La commissione ; di cui si tratta, è del luglio 1500 , al qual tempo non giungono i così detti frammenti storici. ( parlo qui pure de’ primi due), che giugnendo però sin verso la fine del 1499 posson credersi o in tutto in parte dell’anno antece:lente a questa commissione. Ai secondi di questi frammenti è nella stampa dato ‘per titolo “ Estratto di lettere ai Dieci di Balìa ,,. Ma un simil titolo potrebbe pur darsi ai primi, ove in mezzo alla gravità della narrazione e delle riflessioni si trovan di con- tinuo le espressioni e sin le facezie dello stil familiare; ove le forme epistolari simili a queste: ed essendo di già venuti gli Or- sini con li vosiri ribelli nel Cortonese ec.; eransi per questi so spetti de’° Medici ridotte la maggior parte delle vostre genti dal lato di sopra, ec. ec. son frequentissime. Se gli estratti, onde compongonsi i due frammenti, sieno stati fatti anticamente o modernamente ; se le lettere , onde ci vengono gli estratti, an- cor si conservino intere, nessun ce l’ ha detto, e volendoci dare un’edizione dell’ opere del Machiavelli veramente completa gio- vava indagarlo. Così giovava e gioverebbe indagare come la storia di sei anni fosse fatta soggetto di lettere ai Dieci, i quali, se essi medesimi la richiesero per norma del presente, \prescrivendo che cominciasse appunto di là d’ onde cominciavano i gran ‘cangia- menti d’Italia, cioè dalla discesa di Carlo VIII , ben si mostra-: rono sapienti. Nessuno intanto potea.corrisponder meglio al lor desiderio, che il lor più giovane segretario, destinato a diventare non ardisco dire il primo storico ma certo il primo politico della nazione. Nella famosa raccolta di Giuliano-de’ Ricci , parte composta d’ autografi del Machiavelli, parte di copie fatte sugli autografi ‘da Giuliano medesimo, e che dall’ archivio de’suoi discendenti è, qualch’ anno fa , passata alla Palatina, trovavasi, mi si dice, e probabilmente ancor trovasi, gran numero di relazioni d’ amba- sciadori fiorentini, ond’è verosimile che il Machiavelli prendesse i fatti che leggiam nelle lettere di cni si compongono i due fram- menti già detti. 11 collegamento dei fatti medesimi , l’ avvicina- 88 mento industrioso delle lor circostanze più notabili, il modo di vederli, debbon essere cosa tutta sua. Que’fatti son tristi la più parte , come provenienti da’ tristi, che tutti si somigliano nella voglia d’ingannarsi a vicenda e sol differiscono nell’ abilità. Un’ abilità grande è dal Machiavelli, come dagli altri del suo secolo, grandemente ammirata. Non però è lodata la mala fede, benchè , generalmente parlando; non sia da lui vituperata che ove si aggiunga all’ inabilità, come in Piero de’ Medici, e talvolta nel Moro, contro di cui è ne’ secondi frammenti un passo ve- ramente stupendo. Che se la mala fede a lui sembra necessità , allor serba silenzio, chè la necessità, com’ ei fa dire a questi Signori in una risposta agli oratori di Cesare, mon vuol essere nè laudata nè biasimata. Delle piccole astuzie, de’raggiri diplo- matici, a cui qualche volta accenna , egli ha l’aria di beffarsi. Ma le piccole astuzie, i raggiri diplomatici, erano forse ine- vitabili ai piccoli stati d’Italia , aggirati da qualche tempo anzi tiranneggiati da stati esteri più grandi. La repubblica di Firenze stava, e non senza suo gran pericolo , a discrezion della Fran- cia, onde il Machiavelli in una postilla al primo de’ due fram- menti poneva quel celebre detto: la buona fortuna de’ Francesi ci tolse mezzo lo stato; la cattiva ci torrà la libertà ec. Nella sua triste dipendenza , ella non potea risentirsi delle offese , che non le fosse apposto a colpa ; non riceveva, starei per dire, offesa, che non fosse contro di lei motivo d’accusa. Qui non si pensa ad altro che alla giustificazione del re (Luigi XII) con nostro carico ec. ec., scriveva o l’Albizi , o forse il Machiavelli, nella prima delle let- tere che compongono la commissione in campo contro i Pisani. Per levarsi questo carico , siccome accenna un Diario della Signoria; e più distesamente quello del Buonaccorsi, fu mandato il Ma- chiavelli ( nel luglio del 1500 ) in compagnia di Francesco della Casa alla corte di Francia, legazione ch’ ei compì solo , e nella quale, ad onta d’alcune piccolezze che gli eran prescritte , ei si mostrò veramente, siccome attestano le lettere in cui la descrisse, difensor dignitoso della sua patria. Erano già alla corte di Francia oratori ordinari, ai quali il Machiavelli col Casa fu dapprima indirizzato per più ampie istru- zioni che quelle con cui lo accompagnava la signoria. Curiose veramente quelle prime istruzioni , ove gli è per così dire trac- ciato il piano di difesa; ed ove apparisce quanto la difesa fosse difficile, non potendosi accusare nè il principale offensore , il Bel- monte, protetto dal cardinal di Roano , nè il principale insinua- tor delle offese, il Triulzio, che avrebbe fatto costar cara l’accusa. 8g Più curiose ancora le istruzioni degli oratori ordinarii, ove sono prescritte le particolarità dell’esecuzione di quel piano; ov è mostrata indirettamente la nullità del re, l’onnipotenza del car- dinale, a cui il Machiavelli col Casa dovea presentarsi prima che al re, e coi piedi del quale gli è raccomandato d’andare in tutte le cose ec. Come gli oratori non erano astretti, per quel che sembra , a continuare le lor legazioni oltre il tempo che fosse lor con- veniente , di che ci è indizio la seconda fra le lettere compo- nenti la legazione di cui si ragiona ; così non pare che il fossero a seguire in ogni cosa le istruzioni ricevute, di che ci sono indizio la nona lettera ed altre , in alcune delle quali il Mach'nvelli si fa consigliere egli medesimo a quelli che lo avean mandato. Non si fa però consigliere prima di aver mostrato che poteva esserlo; e in vero chi considera quelle particolarmente fra le sue lettere, in cui riferisce con singolar semplicità le sue conversazioni col cardinale, deve formarsi questo concetto, che mai non fu ingegno più alta- mente politico del suo. Simili lettere non solo valgono, come parmi che rifletta il Macauly, la maggior parte de’documenti diplomatici moderni ; ma, per la cognizione degli nomini e de’ tempi a cui si riferiscono, valgon più della storia stessa. Dir quanto avvi in esse di vivezza, d’evidenza , ec. sarebbe impossibile. Dir quanto avvi di prudenza o di sapienza non si potrebbe facil- mente. Ma basti ricordare l’ ultima parte della lettera 26, ov? è pur riferita una conversazione col cardinale , il qual dovè ri- manere ben meravigliato di trovar il giovane segretario sì al fatto delle relazioni e delle mire de’diversi stati, sì intendente de’ veri interessi della Francia medesima, sì abile a legarli con quelli della repubblica. Ma alla conciliazion delle parti si op- ponevano le informazioni di chi era stato mandato dal re per informazioni in Italia. Si opponevano soprattutto l’avarizia o il bisogno del re medesimo e '!a parsimonia della repubblica. Se non che questa parsimonia, scemate da un pezzo le fonti della pubblica ricchezza, e cresciuti a dismisura i dispendii , era più forzata che volontaria. E angustiava indistintamente tutte le cose in cui la virtù opposta sarebbe stata più desiderabile; come ap- punto le legazioni. Quindi le istanze continue del Machiavelli, a cui la legazion presente non è che d’ aggravio, i debiti ch’ egli è costretto. di far qui per mezzo del fratello, da cui gli è alfine ot- tenuta, siccome apparisce da lettera autografa e inedita che ho sotto gli occhi ( è dei 25 agosto 1500); alquanto miglior provvi- T. VJ. Aprile. 12 90 sione. Il Machiavelli, pensando intanto che le spese fatte a tempo son risparmio d’ altre maggiori, consigliava che nessuna; purchè utile, paresse increscevole, e. poichè tutto e nell’esercito e nella corte era venale, vi si comprassero senza indugio i fautori. Ciò ch'egli dice a questo riguardo , e più ancora quel ch’ ei riferisce de’ discorsi d’ un agente del re in Italia ( let- tera 11) ci dà la più trista idea de’ costumi di que’ tempi. Ciò ch’ ei dice in seguito de’ doppi disegni del re , dei repentini can- giamenti degli amici vicini, come Giovanni Bentivoglio , che sì larghe promesse avea fatte quando il Machiavelli passò di Bolo- gna ec. ec. , ci mostra al vivo quali spettacoli continui di mala fede avess’ egli dinanzi, sicchè può ascriversi a molta altezza del suo animo la dignità con cui egli sempre si coutenne. La venuta di Pier de’ Medici a Pisa (nel novembre del 1500) par che facesse al Machiavelli raddoppiar lo zelo. Sospettavasi che questa venuta fosse per ordine o con favore del re. Era in- vece , come il Machiavelli potè accertarsi, per chiamata del Va- lentino (lett. 27), che sperava in questo fatto gli potesse riusci- re qualche cosa a suo proposito. Quindi non poteva esser favo- rita dal re, che Za prosperità del Valentino avea fatto risenti- re, e che d’altra parte era stato o era per essere soddisfatto de’danari richiesti alla repubblica , sicchè il Machiavelli potè fra poco far ritorno dalla sua legazione. Tornando però egli scriveva (lett. 28, che non dovrebbe esser |’ ultima): mentre che /o es- sere vostro con questa maestà è tenero e in aria , pochi vi possono giovare e ciascuno vi può nuocere. ec. ec., e seguitava a dare, ben- chè non chiesto, que’consigli che credeva opportuni, scusandosene coll’ affezione ch’ei portava alla patria, e che avrebbe, parmi, voluto estendere a tutta Italia. Non è a tacersi infatti, come eccitato dalle istruzioni de’ suoi committenti ad aggravare gl’ Italiani (ei Luc- chesi, per vero dire, gliene davan cagione assai grave ) nol fece che tardi ed a stento, dolendosi certamente delle nostre discor- die, e sapendo ch’ esse eran trionfo dello straniero, secondo :l celebre detto, ch’ egli già in una delle sue lettere , componenti il primo de’ due frammenti storici , avea riferito del padre del re nell’ atto di scendere in Italia : andiamo adunque dove ci chia- ma la gloria della guerra , la discordia de’ popoli , ec. ec. Circa le commissioni ; ch’ indi quasi ad un anno egli ebbe per Pistoia, turbata dalle fazioni de’Cancellieri e de’Panciatichi , non si hanno lettere che si possano dir sue. Chè tali certamente non sono, ma d’ un Niccolò d’ Alessandro Machiavelli suo cu- , 9a gino ( avvertivano quelli che procurarono l’ ediz. delle sue opere nel 1813 ) le tre che si trovano in un codice della Magliabe- chiana e che taluno potrebbe attribuirgli. Quindi in quell’edizione e poi nelle posteriori si è supplito con alcune lettere del magistrato de’ Dieci. ai commissari d’ allora, fra i quali non so se ancor fosse quel Niccolò d’ Alessandro , ma era forse Niccolò Valo- ri, di cui nella raccolta inedita più volte allegata è una lette- ra barbarica insieme ed elegante ( dei 2 ottobre 1501), ove si vede la molta stima che da’ commissari facevasi del Machiavelli. Egual stima se ne faceva dai Dieci, i quali in tutto mostrano attenersi al giudizio ch’ egli ha fatto delle cose, benchè non vorrei dire in tutto a’ suoi consigli, vedendo che fra le loro arti di pacificazione altre son conformi alla rigoresa giustizia , altre hanno d’ uopo d’ esser scusate colla necessità. Forse all’anno, che terminò pel Machiavelli con queste com- missioni , son da riferirsi alcune delle sue opere letterarie mento- vate più sopra , e fra esse taluna delle Commedie. A queste mi fa ripensare una frase intorno alla lepidezza del suo scrivere, che trovo in una lettera autografa e inedita mandatagli di Roma nel- l’estate dell’anno già detto da un Agostino, che poi in altre po- steriori si dice cancellerie della fiorentina repubblica. Questa let- tera mezzo latina e mezzo volgare, mezzo lepida anch’essa e mezzo severa, e da ultimo veemente non che eloquente , sembra , per ciò che narra de’ costumi di quel tempo, un’ altra giustificazione del'a licenza delle commedie del tempo medesimo, giustificata pure da alcuni principii d’arte, ch’or non voglio discutere, e che posson vedersi esposti (ubliai di dirlo più sopra) nel prologo della Clizia. Alle commissioni del Machiavelli a Pistoia dovrebbe succe= dere nella raccolta delle sue opere la sua commissione a Siena ( ha la data dei 26 aprile 1502), alla quale son fatte precedere, benchè di data posteriore, le sue commissioni ad Arezzo, e una sua legazion troppo celebre, a cui il Macauly e l’Avenel si sono forse troppo affrettati di giugnere, e di cui poi si dirà. Fra le sue commissioni a Pistoia per altro e quella a Siena o quelle ad Arezzo par che possa sospettarsene un’ altra ad Urbino o in quelle parti, affidatagli nel dicembre dell'anno giò detto. Me ne da indizio una lettera autografa e inedita del Buonaccorsi scritta di qui ( ma senza indirizzo di luogo ) gli $ gennaio 1502 , e prece- duta , com’ ivi si accenna, da più altre. Come queste eran rima- ste senza risposta , ed eran frattanto giunti avvisi di non so qual caso disastroso, mon si stava senza sospetto (così nella lettera ) per la vita di lui. Quando alfine giunse una sua dell’ ultimo di- 92 cembre data in quel d° Urbino ad un viandante , poichè il messo del Machiavelli fu soaligiato , e capitata per sorte al Borgo, d’onde si ebbe qui con gran contentezza di tutti e della Ma- rietta specialmente ( Marietta Corsini moglie del Machiavelli ) alla quale il Buonaccorsi mandò wno correndo acciò non stessi più sospesa, ec. ec. Lo scopo di questa commissione, ch' io suppongo, ‘potrebbe congetturarsi da quello della commissione datagli per Siena ; e della quale non abbiamo’ nelle sue opere altro documento che una lettera dei Dieci.Significherai al magnifico Pandolfo (Petrucci), e se a lui pare anche alia Balìa, gli dicon essi in quella lettera, come da buon tempo in qua siamo stati ricerchi dalla santità di nostro signore e dal duca di fare amicizia con loro e lega con tutti gli altri di casa Borgia ec. La pratica , per diverse ragioni, e specialmente per rispetto alla Francia, come narra il Buonac- corsi nel sno Diario , non ebbe effetti. Si volle intanto s.pere quel che ne pensavano i vicini, e il Machiavelli, in cuii Dieci aveano special fiducia , fu mandato forse ad esplorarne gli animi anche altrove che a Siena. Se non che (mi giova avvertirlo ) come la data de'la com- mission di Siena è forse anticipata d’ un auno, così può esser quella della lettera del Buonaccorsi, che, parlando di non so che caso disastroso , volle per avventura alludere all’ orribilissi- mo , di cui il Machiavelli fu quasi testimonio sulla fine appunto del 1502 nella legazione che ebbe dopo le commissioni d’ Arezzo. Nel Diario del Buonaccorsi infatti o , come talun crede , del Ma- chiavelli medesimo , non è alcun indizio della commission ch'io suppongo , o per Guido duca d’ Urbino o per alcuno de? vicini. E, stando a quel Diario, allorchè dal papa e dal figlinolo fu ri- chiesta 1° amicizia della repubblica . nè Guido era più in Urbi- no, nè, se ben mi rammento, il Petrucci stesso era più in Siena, nè ad altri sarebbesi spedito un mandato. Come però il Diario potrebb’essere manchevole o inesatto, bisugnerebbero de’confronti ch’ io ora non ho agio di fare. Così, per chiarir finalmente se il Diario sia del Buonaccorsi o del Machiavelli , bisognerebbero de’ confronti d’ autografi, ch’io ora non saprei dove prendere, ma che i futuri editori , raccogli tori ec., dovranno pur ricercare. In un esemplare del Diario stam- pato, che fu già dal Sarchiani, ed ora è del prof. Calvelli da cui l’ ho in prestito , è un ricordo del Sarchiani medesimo che dice : « È fama che il presente Diario sia di Niccolò Machiavello , il qual lo mettesse insieme per continuar la sua storia, e, non po- 93 tendo per le circostanze ciò effettuare , ne facesse dono al Buo- naccorsi amico suo. Pone la cosa fuor di dubbio Giuliano de’Ricci, diligentissimo raccoglitore, dell’ opere e delle memorie del Ma- chiavelli, perchè fra i suoi mauoscritti ( ora esistenti presso di monsignor Scipione de’ Ricci ) si trova pure il Diario ch e’ dice d’ aver copiato dall’ autografo del segretario fiorentino , ed è so- stanzialmente identico a questo , pubblicato col nome del Buo- naccorsi ;,. Non ostante però una tale autorità , confesso che la cosa è per me più che dubbia, per ciò principalmente che fra lo stile del Diario e quello delle relazioni anche men pensate del Machiavelli non trovo alcuna vera conformità. Ad ogni modo, lo ripeto ,.mi par cosa che meriti qualche esame , ed io stesso l’avrei cominciato , se il Bibliotecario della Palatina . ove suppongo che quanto di relativo al Machiavelli fu raccolto da Giuliano de’ Ricci sia conservato, non fusse in questo momento sul Tamigi o sulla Senna., ond’ io troncando la mia già lunga digressione torno alle commissioni ad Arezzo. Queste commissioni sono dell’ estate del 1502 già detto. An- ch’ esse ci son descritte o ; piuttosto attestate da alcune lettere dei Dieci ai commissari e ad altri, ai quali il Machiavelli fu spe- dito. Si è pensato con certa verosimiglianza che nov vi sien let- tere relative alle sue commissioni a Pistoia , per ch’ egli, come uom di confidenza , facesse tutti i suoi referti a voce. Men ragio- nevolmente si è pensato che per l’ istessa ragione non vi sien lettere di suna mavo relative alle sue commissioni ad Arezzo ; poichè di qualcuna è pur fatto cenno nelle lettere dei Dieci. Più giustamente si è avvertito che queste e molt’ altre lettere del Machiavelli oggi ci manchino per la poca cura avutane finchè il Pagnini (l’autor rinomato della Decima), preposto all’archivio delle Riformagioni ne’primi anni di Pietro Leopoldo, pensò a raccoglierne e custodirne quante in quell’ archivio ne avanzavano. Non è in- tanto a disperare che in quell’ archivio e altrove, grazie a nuo- ve ricerche , si trovi di che empire più lacune , e chi volesse oggi pubblicare un Carteggio del Machiavelli non dovrebbe nelle sue ricerche stancarsi così facilmente. Il motivo delle commissioni ad Arezzo fu l’ insurrezione de’ popoli della Valdichiana , di cui parlano distesamente il Guic- ciardini nel libro 5.° e il Buonaccorsi nel Diario. Già un’altra volta que’ popoli erano insorti (nel 1498), e insorgendo erano essi pure stati cagione che mal riuscisse l’ impresa di Pisa, di che par che il Machiavelli rimanesse molto irritato. Irritatissimo fu questa seconda, che distrassero da Pisa le forze de’Fiorentini quando già, 94 com’ ei dice in una nota al protocollo delle lettere dei Dieci , la maggior parte de’ Pisani vellet potius ad pristinam sed quietam servitutem redire quam in pracsenti turbulenta libertate degere. Ma l’irritazione sua era specialmente contro gli Aretini, ch'egli per ciò avrebbe voluto che si trattassero come i Veliterni e gli An> ziati il furono da’Romani, di che veggasi il suo fiero Discorso “ del . modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati. ,, J Dieci fecer richiamo al papa, creduto autor principale della som- mossa , siccome quello la cui ambizione per far grande il figlio non avea limiti, e non ne trassero , com’ era da aspettarsi, che scuse mendicate e negative d’ aiuto. Nel tempo medesimo por- taron querela al re di Francia, a cui il papa e il figlio già eran divenuti sospetti, e il re mandò sue genti in quel d’ Arezzo con ordine che tutto fosse restituito a’ Fiorentini ec. Se non che la restituzione mai non avveniva, e i Francesi avean piuttosto aria d’ intendersi cogli insorti e con Vitellozzo , strumento borgiano della sommossa ec. Quindi nuovi richiami, e intanto replicate missioni del Machiavelli or ai commissari fiorentini, or ai com- missari e comandanti francesi, all’ un de’ quali è raccomandato con parole di gran stima, che il solo discorso mentovato pocanzi bastava per vero dire a meritargli. Quel discorso infatti, non ostante l’ irritazione che vi si manifesta, è a molti riguardi sapientissimo , e qual poteva aspettarsi da chi un giorno avrebbe composti i discorsi sopra le Deche di Livio. Z Romani (non ne cito alcuni periodi per solo diletto ) pensarono una volta che i popoli ribelli si debbano beneficare o spegnere, e che ogni altra via sia peri- colosissima. A me non pare che voi agli Aretini abbiate fatto nessuna di queste cose, perchè e’ non si chiama benefizio ogni dè farli venire a Firenze, avere tolto loro gli onori, vendute loro le possessioni , sparlarne pubblicamente, avere te- nuti loro i soldati in casa ; non si chiama assicurarsene lasciare le mura in piedi, lasciaroene abitare e’ cinque sesti di loro, non dare loro compagnia d’ abitatori che li tengano sotto , e non. st governare in modo con loro che negli impedimenti e guerre, che vi fussero fatte , voi non avessi a tenere più spese in Arezzo, che all’ incontro di quello nimico che vi assaltasse ec. Indi , pas= sando ad esaminare se la repubblica abbia nemici che debba particolirmente temere , viene a parlare del più terribile di tutti, il quale sarà presto per noi soggetto di lungo discorso. Chi ha osservato Cesare Borgia, detto il duca Valentino, vede che lui, quanto a mantenere gli stati ch’ egli ha , non ha mai disegnato 95 far fordamento in su amicizie italiane , avendo sempre stimato poco i Viniziani e voi meno ; il che quando sia vero, conviene ch’ e’ pensi di farsi tanto stato in Italia che lo faccia sicuro per se medesimo, e che faccia da un altro potente l’ amicizia sua desiderabile ec. Or resta a vedere , ei dice proseguendo , se sia questo per lui il tempo accomodato di mandar ad effetto i dise- gni fatti indubitabilmente sopra Ja Toscana. Mi ricorda avere udito dire al cardinale de’ Soderini che fra le altre laudi, che si potevano dare di grande uomo al papa e al duca, era questa, che siano conoscitori della occasione, e che la sappiano usare benissimo , la quale opinione è approvata dall’ esperienza delle cose condotte da loro ec. Se si avesse a disputare se gli è ora tempo opportuno e sicuro a stringervi , direi di no ; ma conside- rato che il duca non può aspettare il partito vinto, per restar- gli poco di tempo rispetto alla brevità della vita del pontefice , è necessario ch’egli usi la prima occasione che se gli offerisce, e che commetta della causa sua buona parte alla fortuna ec. Manca di questo discorso il rimanente, o che sia perito , o che il Machiavelli non lo scrivesse , ciò che a tutti dee dispia- cere. Vi supplisce però in parte quello che s’ intitola «Parole da dirle sopra la provvisione del danajo ,, tratto diec’ anni sono dall’ archivio di casa Ricci, inserito nel 7.° vol. dell'Antologia, non inserito peraltro ( di che ciascuno si farà meraviglia ) nella nuova edizione dell’ opere del Machiavelli. Questo discorso, fatto, come si ve:le , pochi mesi dopo le sue commissioni d'Arezzo . e pochi giorni innanzi alla sua legazione al Valentino , non è pro- babilmente che un abbozzo o tessera di quel ch’ egli propone- vasi di dire al cospetto de’ reggitori della repubblica. Ma è di- scorso prezioso, come quello in cui trovasi un impeto per noi an- cor nuovo nel parlar suo , un primo disegno preciso de’ suoi pen- sieri politici. La cagione, che da due mesi indietro mi faceva stare in buone speranze, era lo esempio che voi avevate avuto per il pe- ricolo corso, pochi mesi sono , e l’ordine che dopo quello avevate preso ; perchè io vidi come perduta Arezzo e le altre terre e di poi recuperate (la restituzione fu fatta in agosto) voi desti capo alla città , e credetti voi avessi conosciuto che per non c'es- sere nè forza nè prudenza avevate portato pericolo, e stimai, co- me voi avevate dato qualche luogo alla prudenza, doveste an- cora dare luogo alla forza ec. Indi proseguendo: E di nuovo vi replico che senza forza le città non si mantengono, ma vengono al fine loro; e il fine è o per desolazione o per servitù. Voi siete stati presso quest anno a l’ uno e l’altro , e vi ritornerete 96 se non mutate sentenza , io ve lo protesto : non dite poi e’ non mi fu detto. E se voi rispondete : che ci bisognano forze ? noi siamo in protezione del re ; i nemici nostri sono spenti ; il Va- lentino non ha cagione d’ offenderci ; vi si risponde, tale opi- nione non poter essere più temeraria , perchè ogni città , ognt stato debbe riputare inimici tutti coloro che possono sperare di poterle occupare il suo, e da chi ella non si può difendere. Nè fu mai nè signoria, nè repubblica savia che volessi tenere lo stato suo a discrezione d’ altri, 0 che tenendolo le paresse averlo si- curo ec. ec. Bisognavano forse queste poche citazioni per intendere ove, nella condizion della sua patria e fra le opinioni del suo secolo, fosse giunto il Machiavelli colle sue vedute politiche, all’atto di partire per la sua legazione presso quello che suol chiamarsi il principal rappresentante della politica di quel secolo. (La continuazione in altri quaderni). M. Nuovo SAccIO SULL’ ORIGINE DELLE IpEE. Roma sSalviucci , Vol. IV. Importanza della questione. Tra le più belle e meno evitabili questioni filosofiche è questa dell’origine delle idee , sì perchè conduce il ragionamen- to ai primi cardini della scienza; e aiuta a scomporre le nozioni troppo complicate , a sviluppar le confuse ; sì perchè lo studio della genesi delle cose porta necessariamente con se, che se ne mediti e la natura e l’ordine; sì perchè la detta questione non si potrà sciogliere pienamente senz’osservare in ogni età, in ogni stato della vita le operazioni dello spirito umano , e quindi. l’osservazione collocare per base di tutta la scienza. E possiamo affermare che in tutte quante sono le discussioni filosofiche que - sta dell’origine delle idee più o meno direttamente entra an- ch’essa a far nodo e ad accrescere le difficoltà , cosicchè se que- sta non si tenti di sciogliere, le altre ancora rimangono poco meno che inestricabili, e oggetto di disputazione continua. Così nelle cose politiche abbiam veduto che, per definire alla meglio la lite dei diritti e dei doveri, uu invincibile istinto sospinse molti scrittori dello scorso secolo, a risalire alla prima origine de’governi e delle società : nè la questione prossima e urgente si rischiarò, se non 5 97 quando si vide un po’ chiaro in quell’altra apparentemente lon- tanissima, quando cioè la teoria del contratto sociale incominciò a parer favolosa. Similmente ognuno s’ accorge che la perpetua disputa tra spiritualisti e sensisti, dalla risoluzione del quesito sul- l’origine dell’idee verrebbe a ricevere una diffinizione soddisfa- cente , quando fosse dimostrata l’impossibilità che certe idee ven- gano propriamente da’ sensi, e fosse fatta distinzione precisa tra occasione ed origine. Indagando altresì ciò che v’abbia nella ra- gione umana di preesistente all’ uso della stessa ragione , si viene a dedurne i limiti dell’umana intelligenza, e la dipendenza di lei dagli enti fuori di se, sieno superiori o inferiori alla sua natura; e per conseguenza i doveri che la stringono a se stessa e ad altrui. Conosciuti da ultimo i processi della mente nell’acqui- sto delle idee e nella loro concatenazione ed ordinamento, si viene ad agevolare e a perfezionare quasi di lancio la scienza diffici- lissima dell’educazione , la qual dovrebb’essere un aiuto alla na- tura perchè si sviluppi, ed è sovente un inciampo alle opera- zioni di lei, appunto perchè se ne ignorano i procedimenti e le norme. Del.nuovo saggio che tratta un sì grande argomento, io darò come posso un’idea, attento sempre a recar fedelmente le dottrine dell’A. e spesso con le sue stesse parole ; a commentarle talvolta , ma sempr» in modo che i suoi principii riescano, per più chia- rezza e sicurtà del lettore, nettamente distinti da’miei com- menti. E in questo breve lavoro, consacrato non all’amicizia che mi lega dolcissima al virtuoso autore, ma alla divina causa del vero, io m’asterrò da ogni lode, persuaso che la lode più desi- derabile deva dall’ esposizione di tali idee risultare spontanea. Assunto dell’ opera. Qui mi si presenta un’osservazione sul titolo stesso del libro; e credo non inutile esporla. Chi si proponesse di trattare propria- mente dell’origize delle idee, assumerebbe forse un troppo gra - voso incarico , almen per ora, e certamente troppo più grave che l’autore del Nuovo Saggio non abbia inteso d’assumersi. Egli non altro si propone (e lo vedrem poi) se non di rispondere alla domanda: “ quali elementi son necessarii perchè l’ani- ma giunga a formarsi le idee che possiede ?_,, Per rispondere a questa domanda era necessario entrare in molte importan- ti particolarità sul principio generatore di tutte le idee, sulla T. VI. Aprile. 13 98 formazione e sulla natura di certe idee madri; ma non indagare di tutte l’origine, nè tesserne la storia cronologica, e descrivere le leggi secondo le quali avviene la genesi loro. In un primo saggio, co- testo sarebbe riuscito assolutamente impossibile, giacchè mancano ancora le osservazioni’e le esperienze necessarie; osservazioni ed esperienze che un uomo solo non può certamente raccogliere, ordi- nare, ridurre in sistema. Il titolo dunque del Nuovo Saggio è un po’ più ampio che forse. l'A. non avrebbe desiderato, ma egli credette, io penso, conveniente attenersi, anco nella posizione della questione , all’ uso comune de’ filosofi, contento di poi limitarla nel corso dell’ opera. Stato della questione. Non basta , dice l’A., che le difficoltà sien poste in qua- lunque modo dinanzi all’attenzione dell’uomo, perchè siano sciolte: bisogna che sien poste bene (1). E non son poste bene se non sono conosciute intimamente , nè sono intimamente conosciute se mon ricevono un principio di soluzione almeno (2). Or la questione sull’origine delle idee fu mal posta finora: quasi da tutti toc- cata, ma così per isbieco; nessuno l’ affrontò direttamente , nè questa dall’altre questioni distinse. L’A. la pone così. -- Noi abbiam delle idee: come si pro- ducon esse ?. Come si trovano in noi ? (3) — La difficoltà del ri- spondere a. tale domanda, ben la vede chi pensi alle cose se- guenti. L’uomo ha delle idee generali: come le acquista? In due modi (dice , o potrebbe dire il filosofo ) per via dell’ astrazione, e per via del giudizio. Ma l’astrazione che cos’ è ? L’atto di di- stinguere in un oggetto dai caratteri propri suoi, quelli ch’ esso ha comuni con altri oggetti, di lasciare da parte i propri, e por mente a’comuni. Questi caratteri comuni son le idee generali. Ma il generale non è nel particolare se non in quanto la mente ve lo riconosce; e per distinguere l’ nino dall’altro convien già sen- tire a qualche modo che cosa sia generale. L’ astrazione dunque non crea le idee generali, chè astraendo cioè dividendo, nulla si crea (4); non fa che osservarle , adoprarle. Jo vi domando come (1) T. I p. 1y2. (2) P. 319. (3) P. as. (4) T. IL p. 75. 99 il generale abbia origine ; e voi mi rispondete : nella separazione del generale dal particolare , dal | roprio. Cotesto è un supporre quello ch’ è in questione (5). Donde, ripetiamo, donde vengono dunque le idee generali ? — Dal giudizio, si risponde. =* E per giudizio che cosa inten- dono gli nomini? — L’atto con cui la mente accoppia un pre- dicato a ur soggetto. — Ora per accoppiarli, conviene averli mentalmente distinti, convien possedere del predicato un’idea generale. Per dire che una mano è bianca convien già sapere che sia bianchezza. Il giudizio dunque non forma tutte le idee generali, ma ne suppone taluna (6). Ecco la difficoltà: quì bisogna o spiegare donde venga nel- l’uomo quella qualunque idea generale che deve preesistere neces- sariamente al giudizio, o provare che il giudizio non può farsi senza idee generali. Il secundo è un assurdo : tutta la questione riducesi al primo; e tutti i filosofi rincontrarono per vie diverse e in modi diversi la difficoltà che indichiamo. Locke trova nella lingua e nello spirito umano l’idea di sostanza; vede di non la poter derivare nè dalla sensazione nè dalla riflessione; e piuttosto che ammettere qualch’altra origine di lei, e così modificare il proprio sistema, che fa egli? la nega. Dice che c’è questa idea, ma che non è punto un’idea. Lo spe- diente è assai comodo , e sarebbe anche sufficiemente filosofico se non lasciasse intatta la difficoltà che si tratta di sciogliere. L’ idea di sostanza inchiude in se l’idea d’esistenza, cioè d’ac- cidenti che non possono stare da se, e d’un ente che in se li raccolga, e nel quale essi sieno. Io non posso percepire alcun ente senza dire a me medesimo ch’esso esiste, senza attribuirgli l’universale proprietà d’esistenza ; e non posso sentir ch’esso esiste, senz’avere appunto l’idea d’ esistenza(7). Non solamente dunque le idee generali suppongono di necessità quest'idea, ma le idee stesse degli enti iudividuali la suppongono: appena io sento l’esistenza d’un d’essi, io gli ho già applicato l’idea gene- rale. dell’essere. Se dunqae l’idea di sostanza inchiude in se la essenzialis- sima idea d’esistenza , non può non essere anch’essa veramente un’ idea. Il Condillac rincontra la medesima questione, laddove af- (5) P. go. (6) T. I p. 25. (7) P. 4r. J00 ferma che le idee non si possono avere senza un giudizio ; ed infatti non havvi idea d’ una cosa finchè lo spirito non pronunzi internamente : la tal cosa è (8). Dall’ altra parte, per formare un giudizio si vogliono delle idee (9). Ora se le idee non sono possibili senza un giudizio, nè un giudizio è possibile senza idee , questo circolo vizioso come si rompe ? Il Reid , vedendo la difficoltà, tentò di trovare un giudizio anteriore alle idee (10), un giudizio primitivo , instintivo , quasi meccanico, col quale lo spirito afferma esistenti gli oggetti esterni. Ma questo giudizio, per primitivo che sia, è un’affermazione del- l’esistenza dell’oggetto , quindi suppone formata l’idea d’ esi- stenza. Come poss’ io giudicare ch’esista cosa di cui non ho al- cuna idea? (11). A questa terribile interrogazione non rispon- de nè il sistema di Reid nè quello d’ a'tri filosofi insigni. Reid ammette un giudizio misterioso , anzi assurdo, un giudizio fatto senza idee generali: e lo ammette senza provarne la necessità , la possibilità (12). Insomma , Locke dice da un lato: + le idee debbon essere prima de’giudizi, perch’è assurdo supporre un confronto tra due cose prima ch’ esistan le cose da confrontarsi ,,. E fin quì dice il vero. Reid dall’ altro soggiunge: ,, i giudizi precedono le idee, perch’ è impossibile formarsi l’idea d'una cosa prima di pensare, vale a dire di gindicar ch’essa esiste ,,., E cotesto pure ha la sua verità (13). Ma le sono due verità affatto opposte : vedremo più sotto come l’A. n. riesca a conciliarle e a spiegarle con la propria dottrina. Locke e Condillac e Reid rincontrarono la difficoltà che trat- tiamo, l’uno nel cercare che sia idea di sostanza, 1’ altro nel parlar delle idee generali, il terzo nel notare l’errore di Locke che dalle idee acquisite comincia lo sviluppo dello spirito umano. Stewart la incontra laddove s’ accinge a spiegare come l’ uomo si formi le idee generali imponendo i nomi alle cose. Egli vuole cioè che le idee generali sien meri nomi ; e non pensa che un'idea è sempre un’idea; che i nomi esprimenti idee generali, non si- gnificando individui, se non significassero idee generali non avreb- (8) P. 52. (9) P. 89. (10) P. 131. (11) P. 153. (12) P. 163. (13) P. s70. IOI bero sen'o, non si potrebbero pronunziare da uomini ragione- voli ; che le idee di specie e di genere, necessarie per imporre un nome generale, non si possono avere senza l’idea d’una qua- lità comune, nè l’idea d’ una qualità comune a più oggetti si può mai formare senza un giudizio. Ora un giudizio, ripetiamolo, suppone già l’idea d’una qualità comune: dunque com’ è che idee generali non v’abbia senza giudizio, nè giudizio senza idee generali ? (14) Per uscire di un tale andirivieni, sarebb’egli forse necessario ammettere qualche idea generale, 4 noi nota natural- mente, e che preceda il giudizio ? (15). V° ebbe de’ filosofi che ammisero appunto questo principio , non propriamente per ispiegare l’ origine delle idee , ma per altre ragioni. E primo di tutti Platone, il quale intravvede la que- stione che ci occupa laddove domanda, come l’ uomo possa cer- car di conoscere quello ch’ egli ignora se esista; e se lo ignora affatto, come può farne ricerca? Per cercare infatti una cosa, bisogna a qualche modo conoscerne una parte, una qualità, un che qualunque. E questa difficoltà, che non è tutt'una con quella di cai ragioniamo, vi si accosta nondimeno moltissimo (16). Pla- tone s’ accorse che tutta la difficoltà dello spiegar l’origine delle idee riducevasi allo spiegar l’esistenza in noi d’ una potenza ca- pace a produrle (17): ma le idee innate, poi, ch'egli ammette non sono a scioglierla necessarie. Aristotele, per contraddire a Platone, nega ogn’idea innata; e non potendo spiegare come si formi in noi la percezione delle verità prime; indimostrabili, quelle a cui la mente deve invin- cibilmente un assenso, ammette una potenza capace d’immedia- tameute percepirle, una potenza molto simile alla riflessione di Locke (18). Ma quì torna la medesima difficoltà: come mai for- mare le idee generali, astraendole dai particolari, se esse nei par- ticolari non sono? Se anzi per percepire i particolari, convien giudicarli esistenti; e se questo giudizio suppone già hell’ e for- mata la generalissima idea d°’ esistenza? (19) Così quando l’Hume si sbraccia a combattere l’idea di causa, non s’avvede di far fatica perduta. O s’° abbia o no un’idea esatta (14) P. 235. (15) P. 325. (16) T. IL. p. 6. (17) P. 14. (18) P. 42. (59) P. 72. 102 della causalità (e si dica il medesimo di tutte le idee generali), o vabbia o no qualche cosa che le corrisponda nella realità , riman sempre a spiegare di questa idea, qualunque ella siasi, l’ori- gine. I sensi non la danno; l Hume lo confessa , ed è appunto perciò che vorrebbe negarla. Dunque o bisogna modificare il principio lockiano che tutte le idee vengono dai sensi, 0 affer- mare che il principio di causalità non solo non è vero, ma non è neppur tenuto per vero da nessun uomo, nè pur pensato da mente umana, che nessuno mai lo immaginò , nessuno ne parlò mai al mondo (20). Kant, fra i molti errori del suo criticismo dommatico, colse una verità importante, laddove affermò che pensare è giudicare ; e che intendimento è la facoltà di giudicare, nou altro 21). Egli poi considerò la questione che ci occupa sott’ altra forma; e per iscioglierla conchiuse che que’ giudizi suppongono un predicato a priori, un’ idea preesistente e al giudizio e all’esperienza dei sensi, natural dote dell’ umana ragione (22). Kant , per iscioglie- re il nodo , pone per vero troppo più che a scioglierlo non bi- sogna. E il modo di porre e il modo di sciogliere la questione è inesatto ; ma la questione è sentita ; e ciò basta per noi (23). Per definirla , altri, dice VA. n., concedono troppo , altri troppo poco. Platone , e Aristotele in parte, e Leibnizio e Kant son de’ primi ; de’ secondi Locke, Condillac, Reid e Stewart (24). Nessuno poi determina il punto vero della controversia , libe- randolo dalle questioni accessorie : « Convien rammentare che ., noi abbiamo bisogno d’ un’ idea generale fino dal primo giu- dizio che noi facciamo colla nostra mente , perchè senza una tale idea non si dà alcun giudizio. Il nodo dunque della que- stione sta tutto nel primo passo che fa la mente, nel suo primo e più semplice giudizio. I filosofi all’ incontro, che hanno essi fatto? Sui primi passi della ragione sono passati con tutta facilità , non supponendo che in essi dovesse cer- carsi il nodo ; e sono corsì agli ultimi passi e ragionamenti che fa la mente quando stabilisce de’ principii scientifici. Essi si sono sbracciati a spiegare la formazione di questi principii scientifici ; e ci sono , a dir vero , riusciti ; giacchè tutto ciò 29 bk) 29 5) bb) 2) 23 bel 29 29 (20) P. 233. (21) P. 275. (22) P. 285. (23) P. 3 o. (24) T. I. p. 3. 103 s; ch’ era difficile , cioè il primo passo del ragionamento, l'hanno ») supposto e uon ispiegato ,, (25). Osservazioni. E dall’averlo supposto, non ispiegato, provengono i tanti equivoci e dispareri. Le difficoltà che si evitano sono le più ter- ribili, diventano (mi si perdoni la comparazio ne) diventano nella scienza quello che nella società sono i delitti impuniti. Ma l° incontrare che tutti fecero, camminando per diverse strade, que- sta medesima difficoltà sotto forme varie; e le verità e gli errori a cni furono condotti o per volerne render ragione o per volerla dissimulare ; dimostrano l’importanza vitale della que- stione, la sua varietà , la vastità, la bellezza; e come in essa si racchiuda un non so che di elementare insieme e di profondo, che comanda la meditazione e la provuca. Le idee genera'i: ecco il nodo. Negarle non si può; dar loro un’ origine indipendente dal giudizio è del pari impossibile. E si noti che l’astrazione medesima suppone già formata una serie lunghissima di giudizi : talchè la distinzione fatta dall’A. più sopra, là dove pone per origine delle idee generali o l’astra- zione o il giudizio , nun ha per fine, cred’io, che di accomo- darsi al linguaggio di certi filosofi per meglio convincerli. Abbiamo dunque veduto che il problema è rimasto finora insolubile, che le meditazioni di tanti womini insigni ne fanno viemeglio sentire la difficoltà e 1’ importanza. Ora vediamo come l’A. lo sciolga: come trovi un’ idea generale la qual non ha punto bisogno d’un giudizio per esistere e per formare il primo giudizio della mente. Dell’ idea generale d’ esistenza. Egli è un fatto che l’uomo può pensare e pensa all’ esi- stenza , all’ essere in universale , pensa cioè alla comune qualità di tutte le cose, l’essere : fatto innegabile. Quando io dico : “ ia 3; ragione è propria dell’ nomo, il sentire è comune colle bestie , 3; il vegetare colle piante , ma l’essere è comune a tutte le co- 3) se ;) io considero l’essere delle cose indipendentemente. dal resto. Se l’ uomo non potesse considerar l’ essere in universale , (25) T. II. p. siro. 104 questo discorso sarebbe impossibile. — Sopra un fatto così sem- plice fonda l'A. tutta la teoria delle idee (26). Pensare all’ essere in universale , non si può senz’avere l’idea dell’ essere in universale: e senza questa idea l’uomo non può pensare a nulla , perchè da tutte le qualità e le proprietà d’ un oggetto si può bene astrarre , ma non da quella dell’essere ch'è la più generale di tutte ; tolta la quale, non resta che il nulla. Astraendo tutte le altre qualità, e alla sola esistenza pensando, si penserà un essere affitto indeterminato, un’ incognita, ma sempre si penserà un qualche cosa, si penserà un essere che avrà o potrà avere le qualità necessarie per esistere, sebbene inco- gnite a voi o da voi tralasciate. Questa è un idea generalissima, indefinita , ma pure un’ idea. Tolta questa , è tolto il pensare (27). E quando diciamo idea , non intendiamo giudizio. Io posso avere l’idea d’ una cosa che non esiste, e però pensarla senza giudicar ch’ essa esista , come d’ un cavallo imaginario , di qua- lunque cosa possibile. Negli enti determinati che ci vengono presentati da’ sensi , là sì che l’idea è inseparabile dal giudizio : ma l’idea dell’ essere in universale , ognun vede che non è l’idea di tale o tal ente determinato , è una mera possibilità. Quand’io astraggo o prescindo dal giudizio della sussistenza d’ un ente, mi resta ancora qualcosa; mi resta il pensiero della possibi lità di quell’ ente. Quand’ io dico dunque!: idea dell’ essere uni- versale intendo dell’ essere possibile. Tale idea non esige nessuno assenso o dissenso, perchè non afferma e non nega ; solo è istru- mento alla facoltà di affermare e negare (28). Quest’ idea, siccom’ è la più generale, è altresì la più sem- plice , e non ha bisogno d’ alcun’ altra per essere concepita. Noi non ci possiam dunque formar di lei alcuna imagine sensibile , chè allora la non sarebbe più semplice, sarebbe determinata , e individualizzata : ma se noi volessimo negare tutte le idee ge- nerali che non portan seco forme sensibili, si negherebbe la mi- glior parte dell’ umano sapere. E a questo non possono eontra- dire gli stessi sensisti, giacchè quand’ anco nun fossero enti spi- rituali, non lascerebbero però d’ esistere le idee degli enti spiri- tuali: tali idee si possono tacciare d’ inesatte , di false; non mai negarle. Pensando |’ ente in universalo , io penso la cosa in sè, non (26) T. III. p. 6. (27) DI II. (28) P. 226. 105 in relazione coll’ esser mio nè con altri. O falsa o vera sia ta- le credenza, ell’è un fatto (29). Ora da questo principio de- duco che l’idea dell’ essere non viene da’ sensi , perchè tutto ciò che le sensazioni ci fanno provare , non è che la relazione delle cose con noi, la potenza ch’ esse hanno a modificarci : e son due cose manifestamente distinte /’ esser sentito e l’esistere in sè. Il provar sempre unita l’ idea alla sensazione, ci fa confondere l’una cosa con l’ altra: ma, ben pensando , si trova che nell’ idea è considerata la eosa in un senso non contrario ma contrapposto a quello in cui la sensazione ce 1’ offre. Che 1° idea dell’ essere non venga da’ sensi, lo si prova in- noltre dall’ esser questa l’ idea di cosa possibile , mentre la sen- sazione non ci dà che cose sussistenti (30). Il possibile è inte- ramente indeterminato , il sussistente è individuale, concreto. Quand’ io penso a una statua , convien ch'io la pensi di tale 0 tale determinata grandezza, forma, colore ; quand’ io penso l’esse - re, fo più che astrarre dalla statua , la grandezza , la forma, il co- lore, tutte le sue qualità. Astraencdo da un oggetto individuo le sue qualità, ma semjre pensandolo in quanto io lo sento , non posso mai concepire l’ essere in generale. La sensazione mi dà , ripetiamolo , oggetti individui : |’ idea «dell’ essere possibile è universale, perchè riguarda quel ch’ hanno di comune gli enti tutti, l’ esistere. Ell'ha innoltre in sè il ca- rattere della necessità , essendo recessario che una cosa possa es- sere perchè sia. Ciò che non può esistere, certo non è: e perchè si possa pensar qualche cosa, è necessario il pensiero dell’ente. Ora nella sensazione nulla è necessario, perchè tutte le sensa- zioni sono accidentali modificazioni dell’ ente che pensa, come non necessarii sono pure gli oggetti che le producono. Ricapitoliamo. L'idea universale dell’ essere , sebbene sem- plicissima , ha in sè due elementi: un qualche cosa . un essere indeterminato affatto, e la possibilità di quest’ essere indetermi- nato , cioè il poter esso determinarsi venendo a sussistere. Due elementi, uniti insieme in modo affatto indisgiungibile, e dimo- stranti che la detta idea non può venire dal senso. Ma può ella venire dal sentimento della nostra propria esi- stenza? Nemmeno (31). L’ Io è un sentimento ; quindi partico- lare di natura sua: | idea dell’ Zo è uu’ idea particolare; nè (29) P. 22. (30) P. 33. (3:) P. 48. T. VJ. Aprile. 14 100 l’ universalissima delle idee può venire da quella. Con l’idea dell’ Zo, i’ penso d’ esistere , mi classifico tra gli enti ; non penso l’ essere in comune , ma applico l’ idea dell’ essere in comune a me stesso. Si badi innoltre che il sentimento dell’ Zo è innato sì; non però l’ idea dell’ Zo, la quale è acquisita e, di necessità, poste- riore all'idea dell’ ente (32): distinzione importantissima a farsi. Il sentimento della propria esistenza non è la cognizione intel- lettiva della propria esistenza, non è che materia di detta co- gnizione , allorchè vi si applica l’idea dell’ essere. Egli è tutto l’ /o che sente inseparabilmente sè medesimo: egli è 1’ Zo come intelletto, ch’ ha in se l’idea d°’ esistenza. L° /o sentito è sog- getto , l’ Zo giudicato è oggetto a sè stesso (33). Se noi non co- noscessimo noi stessi che per sentimento , nun potremmo ragio- nare sull’ anima nostra, e considerarla come un ente, un sog- getto del nostro pensiero. E perchè da questo sentimento nasca un’ idea , è necessaria un’altra idea , quella di cui disputiamo. Ma questa idea dell’ essere potrebb’ ella forse venir prodotta dalla riflessione lockiana , cioè dalla attenzione fissata sulle ester- ne sensazioni, o sull’interno sentimento , senza però nulla ag- giungere a questo 0 a quelle ? — No: la cosa è ben chiara. Se l’idea dell’ essere non può venire dalle sensazioni, se non può dall’ interno sentimento ; e se la riflessione, quale Locke la pre- senta, nulla aggiunge nè ai sensi nè all’ Zo , certo è che que- sta idea non potrà mai dalla riflessione prodursi. Innoltre , una riflessione siffatta è impossibile ; giacchè, per acquistare , riflet- tendo , «lelle cognizioni , convien confrontare le sensazioni tra loro e giudicarle ; nè giudicarle si può senza una regola del giudizio, senza un'idea generale ch° è appunto l’idea dell’essere (34). Altri potrebbe supporre che l’idea dell’ente sorgesse improv- visa nello spirito all’ atto primo della percezione : e così pensa Reid a un dipresso. Ma perchè alla sensazione succeda la per- cezione , che si richied’ egli ? Un giudizio che affermi esistente l’ oggetto motore della sensazione : e questo giudizio che cosa sup- pone ? L’ abbiam detto più volte : 1’ idea dell’essere. La quale idea deve necessariamente precedere la percezione , che non si può formare senz’ essa. Trasportiamoci al primo primo de’ giudizi che 1’ nomo può (32) P. 54. (33) T. II p. 51. (34) T. III. p. 62. 107 - fare bambino. Qualunque sia esso , comunque si faccia, non può consistere che nel pensare all’ esistenza di tale o tal altro og- getto. E che cos’ è pensar l’ esistenza d’ un oggetto ? non già ri- cevere l’ idea d’ esistenza, ma farne uso, applicarla (35). E il farne uso suppone l’ idea già formata , perchè non sg’ usa nè ‘ s' applica cosa che non esiste. Fra il dire a sè stesso: questo è un ente , e il non dirlo, non si può pensare alcun passo inter- medio (36). Cotesto supporre la subitanea creazione d’un’idea sì impor- tante è supporre gratuitamente uno strano prodigio (37). O si pretende che Dio la:crei nella mente , come volevano gli arabi ; e l’ ipotesi d’ una creazione sì inutile non merita d’ essere con- futata. O si vuole con Kant ch’ ell’ esca dalla natural fecondità dello spirito; e anch’ allora (lasciando la stranezza del sistema ) rimarrebbe sempre; che se lo spirito produce l’ idea dell’ essere, n’aveva in sè il germe, che all’ occasione si venne svolgendo. Più : se l’idea dell’ essere è cosa diversa affatto dalla sen- sazione , come può ella sorgere in noi all’occasione di questa ? Convien ricadere nel sistema dell’ armonia prestabilita o in quel delle cause occasionali , sistemi che ricorrendo ad un agente fuori della natura umana ripugnano alla Kanziana filosofia. Da ultimo la mente umana non può produrre da sè l’ idea dell’ essere , perchè la mente è individuo, l’idea universale ; l'una contingente , l’ altra necessaria ; quella. esistente , 1’ altra riguarda il possibile ; quella soggetto, 1’ altra oggetto, vale a dire che la mente umana vede l’idea dell’ essere, ma non la produce. L’ essenza sua è così indipendente dalla mente che la contempla, come una stella del firmamento dall’ occhio che la mira. E analizzando in astratto l’operazione intellettuale del ge - neralizzare , si trova ch’ essa non è\mica un’ vperazione la. qual produca qualche cosa, ma una semplice visione di quello ch’ è già. L’ intendere non è che un vedere interiore: il vedere non è produrre (38). Se dunque l’idea dell’ essere è necessaria alla tormazione di tutte le idee, e nulla si può pensare senz’ essa; se non si trae dalle sensazioni , non dall’ interno sentimento , non dalla rifles- sione, non è creata da Dio a bella posta, non sorge improvvisa (35) P. 78. (36) T. I. p. 56. (37) T. III p. 82. (38) T. II. p. 105. 108 da incognita virtù della mente , ell’è dunque innata. L’ argo- mentazione non ammette risposta. Quest’idea esiste: egli è un fatto. O comincia ad esistere insieme con noi, vale a dire ch'è innata, o no. Se fu prodotta di poi, non può venire che da noi stessi o da cosa di fuori; qui non c'è mezzo. Non da noi : dun- que da cosa di fuori: vale a dire, o da oggetto sensibile, l’ a- zione de’ corpi; o da oggetto che non cade sotto i sensi, l’azione di Dio. Anche questo dilemma non ammette uscita. Se dunque s’esclude l’azione e de’corpi e di Dio, che rimane? Che la de- v° essere innata. i Non inorridiscano i filosofi a questo epiteto. Quando la voce idea si serbi a significare una percezione generale determinata in qualunque maniera , si può conceder benissimo, che nessuna idea innata si trovi nella mente dell’ uomo , perchè questo del- l’essere è germe affatto indeterminato. Chiamiamolo germe , lume, facoltà, 0, come i’ A. lo chiama più spesso, forma: invece di innato chiamiamolo concreato, connato , essenziale; non giova di- sputar di parole. Che se 1’ uomo all’idea dell’essere non fa, se non tardi, av- vertenza , egli è che le cose di fuori assorbono in sulle prime tutta l’ attenzione di lui; sì che ad altre ancor più sensibili ope- razioni dello spirito egli non dà punto retta: or si pensi a que- sto germe, che, per essere considerato , richiede la più semplice e però la più difficile delle astrazioni. Altro è vedere un'idea: altro è accorgersi di vederla (39). Ma di ciò poi. Osservazioni. Alcuni filosofi che pensano con certe parole, e perdute quelle , par che smarriscano la facoltà di pensare, grideranno contro questa teoria, pur perchè v’ entrano quelle sei lettere : innato. To non risponderò, che quando diciam tutto giorno , 1 a- mor del bene essere innato all’ uomo , nessun uomo ragionevole rie ride o ne freme ; e pure dall’ amor del bene è indivisibile } idea indefinita dell’ essere. Dirò solamente : neghino il fatto’, se possono, di quest’ idea ch’esiste nell’ uomo, o ne spieghino in altro modo l’origine. Far la guerra a una parola è impresa, se così piace , coraggiosa e filosofica ; ma per vincerla veramente questa parola, bisogna distruggere i fatti ch’ essa ha la temerità d°’ in- dicare. (39) T. III. p. 9°. 109 S’ osservi del resto che dovendo pure ammettere qualche cosa d’ innato , questo dell’ idea universale dell’ essere è il meno che ammetter si possa , è l’ elemento più semplice che dia la ragione umana: ed è però la più filosofica delle dottrine. Quel che ripugna nel sistema delle idee innate, è primieramente la moltiplicità loro ; poi quel supporle belle e determinate e quasi individuali ; che è troppo e insieme troppo poco: troppo per il nu- mero ; troppo poco per la natura di tali idee , le quali, così de- terminate, non hanno quella fecondità che alla’ sola idea uni- versalissima è propria. Dell’ esistenza poi di tale idea se ne può persuadere non solo il filosofo abituato alle difficoltà della meditazione, ma qualunque siasi unmo di retto senso, quando pensi ch’ ell’ entra come par- te essenziale di tutte le idee. Al par che tutte le cose essenziali , la vi è nascosta, coperta da elementi più estrinseci, ma questo appunto prova la su’ intima necessità. Così vediamo la radice na- scosta nella terra, il seme nel frutto, la vita nel corpo animale. Ma io la posso separar col pensiero quest’idea dalle altre tutte, e tutti possono separarnela purchè vogliano. Ella non. potrebb' =:- sere più facile a cogliersi e più ovvia, senz’ essere men gene- rale , senza perdere la natura sua. Non è ovvia ed evidente in sulle prime e per sè ; ma è la ragione e il criterio d’ ogni evi- denza , perchè senz’ essa nessuna idea di nessun ente sarebbe per- cettibile. E si noti la concatenazione di questi principii. L'idea del- I’ essere non esisterebbe se non fosse affatto indeterminata, per- chè qualunque determinazione verrebbe a particolareggiarla , a mutarla in un’ altra idea. L'idea dell’ essere non può dunque conservarsi affatto indeterminata , senza riguardare il possibile , giacchè Ja sussistenza reale è una determinazione dell’ essere. E appunto poichè riguarda il possibile, essa idea è adequata alla vastità della mente umana , e costituisce la natura ragionevo- le; perchè non havvi oggetto che le si presenti, cui essa non possa. in qualche parte comprendere. Limitata l’ umana ragione agli enti sussistenti, non sarebbe più dessa. La generalità delle idee suppone l’ idea del possibile ; e 1’ idea del possibile, gene- ralizzata , è 1’ idea generale dell’ essere. Questo è il sistema più consentaneo a’ principii dell’indefinita umana perfettiblità : giac- chè , qualunque soggetto alla mente si presenti, coll’ idea del- 1° essere questa se ne impadronisce, e lo riconosce informato di quel suggello. Ell’è un’ indeterminazione sublime che tiene de'- l’ infinito ; che rende l’ uomo capace dell’ entusiasmo e del de- 130 siderio, due fiumi reali che scendono dalle altezze interminate del possibile. Tutto ciò ch’ è grande, abbraccia e par che ravvicini glì estremi ; però pare contraddittorio ad occhio men veggente. L’idea dell’ essere , per poter determinare tutte le altre idee, deve ap- punto essere affatto indeterminata : e d’ altra parte perchè sia l’idea dell’essere possibile, deve inchiudere in sè stessa un prin- cipio di necessità , 1.° perchè non si potrebbe concepire l’essere possibile senza enti sussistenti, 2.° perchè un'idea così irrecu- sabile come questa dell’ essere , con la energia sua stessa incute il sentiminto della necessità ; 3.° perchè, come dice l’A., ciò che può essere deve poter essere ; altrimenti sarebbe impossi - bile: e d'altra parte ciò che dev’ essere , deve aver tutti affatto i gradi di possibilità. Questa contradizione apparente tra il pos- sibile ed il necessario è un’armonia veramente essenziale all'idea, e rende evidente il passaggio che fa la mente con sì mirabile fa- cilità dall’ essere possibile a Colui che è ed è necessario, a Dio. L’A. ha notati nella grandissima semplicità di quest’ idea du’ elementi : un essere indeterminato , e la possibilità di que- st’ essere. Ognun vede però come quelli siano elementi che l' a- strazione stessa non può separare. Io potrei bene imaginare la possibilità d’ un ente determinato , non mai un essere indeter- minato che sia nun possibile ma sussistente. Nel primo caso iv mi formerei l’ idea particolare di un cert’ ente possibile , di che qui non si tratta : ma nel secondo, s’ io voglio pensare ad un oggetto semplicemente in quanto ha 1’ essere , convien ch’ io prescinda da ogni determinazione , e quindi dalla stessa sua real sussistenza. Quand’ io penso un oggetto in quanto ba l’ essere , io deb- bo pensarlo non in quanto esso ha relazione con me, ma in sè stesso , debbo pensarlo cioè non soggettivamente ma oggettiva- mente : e se le inevitabili associazioni delle idee vengono a me- scolarsi con questo mio pensiero , puro e semplice, dell’ essere , ciò non fa ch'io non possa in un momento della mia riflessione presciadere da quelle, e considerar l’ essere in sè. Questo mo- mento è brevissimo , ma c’è: e si può farne e rinnovarne l’ e- sperienza a piacere. Così si trova che l’idea più oggettiva di tutte, quella che più nettamente prescinde da ciò che riguarda all’ io senziente, al soggetto, è l’ idea dell’ essere ; senza la quale anzi non vi sarebbe oggettività , perchè le cose non si potreb- bero considerare in quanto sono , ma in quanto noi le sentiamo ; in quanto paiono modificazioni dello spirito nostro. SII E , considerata appunto l’ oggettività della detta idea , la sua universalità, la fecomlità inesauribile, e la vitalità che diffonde nel mondo vastissimo delle idee , alle quali tutte fa corrispon- dere l’esistenza, e, per dir così, ve la infonde ; si può bene affermare che quest’ idea è più sublime dell’uomo ; ch’ è nata con esso, perch’ è la sua dignità , l’ anima dell’ anima sua ; e che il farla sorgere o da’sensi o da altra cagione posteriore al- l’ esistenza di lui, se non fosse un assurdo , sarebbe un mi- stero cento volte più inesplicabile dell’ ammetterla a lui con- creata. ES (Il seguito ad altro quaderno). OssERVAZIONI SULLA PUBBLICITÀ DELLE PROCEDURE CRIMINALI, ' E SUL PROCESSO INQUISITORIO. Quelques observations de M. De Srrtow sur l’ouvrage intitulé: Du maintien de la peine de mort tant pour les crimes pu- litiques que pour les crimes privés. Gèneve. Decembre 1831. DeLLa PENA DI Morte. = Sessione del Parlamento d’ Otaiti. Quanto più si alza rabbiosa la voce dei nemici del vero , quanto più i campioni della menzogna si fanno forti ed uniti, tanto più deve suonar coraggiosa la voce di chi ama di cuore il bene reale degli uomini, nè altro premio aspira ad ottenere, che quel grato senso che viene all’ animo umano per aver vo- luta ed eseguita una azione giovevole al bene sociale. E il dire quello che ne par vero con franchezza e lealtà è debito d’ogni buon cittadino. E tanto è nobile questa missione, che il sapiente Pitagora ebbe a dire “ due cose assomigliano l’ uomo alla divi nità ; l’ operare il ben pubblico ; il dire la verità ,,. Detto sa- pientissimo , che vorrebbesi scolpito nell’ intimo cuore di tutti gli uomini, onde ne avessero al bene stimolo incessante. Egli è nn adempire in parte a questa santa missione l’ in- sistere sopra certe teorie che sembrano da una lunga esperien- za provate sicuramente vere; quando specialmente con buone e con maligne intenzioni si prosegue a porle in problema. La pub- blicità dei giudizi criminali è soggetto ancora di controversie fra 112 li scrittori. Ma è teoria tanto strettamente legata colla pubblica e privata sicurezza , che utile assai deve riuscire il circondarla, quanto è possibile, di argomenti che ne dimostrino sempre più la verità e la necessità, onde aprasi la via a traverso degli osta- coli, che alla di lei universale attuazione oppongono i pregiu- dizj di ogni maniera. L’Antologia ha parlato più volte di que- sto soggetto. In tre distinti articoli segnati da Patrofilo (V. An- tologia, N.° 79, 93 e 95) fu egregiamente dimostrato , che la pubblicità der criminali giudizi è conforme al patto sociale (1), impedisce la corruzione dei giudici e dei testimoni, resiste alla prevccupazione dell’animo , agevola la scoperta del vero , sostiene la libertà civile, giova a prevenire i delitti; come pure furono confetate le principali opposizioni che sogliono proporsi a sere- ditare la pubblicità delle criminali procedure. -In altro articolo del Romagnosi , che era stato pubblicato fino dal 1814 (V. An- tologia N. 87) fu magistralmente dimostrato , non esser vero, che la pubblicità dei criminali giudizi non convenga alla monarchia; . ma la procedura essendo fatta per non confondere 1’ innocente col reo, e ciò essendo di essenza della cosa indipendentemente da ogni forma di governo, purchè in esso si voglia il trionfo della verità e della giustizia, quel metodo di procedure meglio garantisce la pubblica sicurezza, che meglio tende a porre in luce la verità, a persuadere l’ animo dei giudici, e a rattenerli da una male intesa pietà, o da una comprata indulgenza, E questo metodo è sicuramente quello della pubblicità. Ciò è di- mostrato in detto articolo , e in quelli di Patrofilo. La prosperità e la sicurezza pubblica sono i due grandi og- getti che ogni bene ordinato governo dehhesi proporre di conse- guire. Le procedure nei giudizi criminali vogliono procurare la sicurezza. Perciò la quistione che potrebbe farsi ragionevolmente non è, per quanto a me pare, quella che indaga qual metodo di procedura convenga a un dato governo , ma sì piuttosto qual metodo di procedura tende meglio a scuoprire il vero , e a per- (1) Si avverta bene , che io non intendo di sottoscrivermi alla teoria del patto sociale » considerato come un fatto positivo ed espresso, riferibile alla storia ; anzi in questo senso lo riguardo come una chimera ; non lo rigetto ove si adoperi come modo accorciato di significare. il complesso dei dritti e dei doveri , che stipulerebbersi dagli uomini, quando illuminati di mente e ben temperati di cuore volessero fissare le condizioni necessarie per giungere al fine della felice conservazione mediante il più rapido e più completo perfeziona mento in società e per mezzo della società. In questo senso non è una cosa diversa dal principio della necessità naturale, ru. gprer-o 113 .suadere l’animo dei giudici, e quindi in qual forma di governo possa meglio effettuarsi quel metodo di miglior procedura. Ma per buona sorte fino dal 1587 provava Pietro Ayrault luogote- nente generale in Angres (e lo provava colla storia ) che non è veramente la diversità di governo che produce la differenza di istruzione segreta o pubblica, e che gli antichi servironsi della seconda , non perchè si reggessero a comune, ma perchè sembrò loro al fine dei giudizi essere la pubblicità più propria, più utile, e più convenevole. E il Romagnosi nel citato articolo aggiunse , che mediante la pubblicità nulla si detrae alla prerogativa reale, e che la pubblicità deve essere adottata, quando sotto la mo- marchia si voglia 1’ abitualè e sicuro trionfo della verità e della giustizia , e la sicurezza generale dei cittadini. E questa stessa opinione godo di trovar professata in un MS. che ho sott’occhio, e che contiene un rapporto fatto nel 1820 sull’ argomento. in di- scorso da un distinto Sa GC. torinese ad un distinto Ministro di S. M. Sarda. Gli elementi del giudizio -( ivi è detto ) sono gli stessi appo tutte le nazioni, gli stessi sono i diritti del sovrano e de’ sudditi per la pubblica ed individuale sicurezza ; lo stesso è il fine che si propongono le leggi per le varie forme di giudizi, e debbono i giu- dici del fatto , quali esse siano, pronunziare la sentenza con morale certezza del fatto ; quindi pare che il modo di procedere e di giuu- gere a questa meta dovrebbe essere lo stesso appo le varie nazioni. In tutte le procedure volendosi ottenere lo scuoprimento del. vero , la pubblicità è la più sicura garanzia di questo nobile e necessario fine. Ma il vero non discuopresi che aduperando tutti quei mezzi di prova che l’arte di verificare i fatti ha riconosciuti come a ciò conducenti. Quando trattasi del valore che attribuirsi deve ai vari generi di prova autorizzati dalle leggi, è nota la distinzione della convinzione naturale dell’uomo , e della convin- zione della legge. È anche noto , che nel sistema della convin- zione naturale il legislatore può stabilire. che un dato mezzo di prova non potrà produrre convinzione, ma non dirà mai, che posti tali e tali dati debba il giudice pronunziare della esistenza positiva del fatto controverso ; chè anzi, valendosi delle parole dell’Imperatore Adriano riportate nel Dig. tit. de testibus, dirà s) ex animi tui sententia te existimare oportet, quid ant credas, s, aut parum prubatum tibi opinaris ,,. All’ opposto nel sistema della convinzione legale il legislatore prescrive , che, posto il coucorso di tali resultati e non d’altri, si dovrà pronunziare es- ser provato il fatto o la circostanza controversa ; e che nella T. VI. Aprile. 15 114 mancanza di questo concorso la prova non s° intenda conclusa. Intendesi agevolmente, che questo secondo sistema tiene alquanto dell’ assurdo, richiedendo una convinzione materiale esistente fuori della coscienza del magistrato , e pure dichiarata sufficiente per pronunziare un giudizio. È ormai riconosciuto da tutti i mi- gliori filosofi della scienza, che il sistema giudiciario allora sarà da pertutto perfezionato, quando la dottrina della intima con- vinzione avrà rimpiazzato l’ assurdo metodo della tariffa delle prove. Ma è altresì riconosciuto , che soltanto là dove la pub- blicità dei giudizi serve di guarentigia ai diritti dei cittadini può farsi valere il calcolo naturale delle prove; ma là dove si usano le procedure scritte fuori degli occhi del pubblico e delle parti, l’unica garanzia, che può correggere in qualche parte il metodb d’ informare a porte chiuse , si è di dare alle rispettive prove il valore speciale indicato dalla legge. Senza questa garanzia il sì- stema del segreto si farebbe pessimu, e sarebbe deteriorato al massimo segno. = Che se l’ unico mezzo ragionevole per discuo- prire il vero nei giudizi è quello di far valere il sistema del cal- colo naturale delle prove, onde nasce la certezza morale del giu- dice, intendesi ancora, che la pubblicità dei giudizi riesce ne- cessaria per stabilire questo sistema. Però con molto senno 1’ egregio giureconsulto, che dettò il MS. rammentato , pone sul principio le seguenti parole. Nella disamina dei motivi, pe’ quali si debbe anteporre la pub- blica discussione tra 1’ accusatore e il reo coi documenti che fanno il corredo dell’ accusa e della difesa all’ attuale processo d’ inqui- sizione, prima dì svolgere gli inconvenienti che da questo ne deri- vano, e per l’abuso onde sono violate le istituzioni, e perchè le istitu- zioni difettose hanno sempre congiunti i vizi e gli abusi del pote- re , fa d’uopo dimostrare che la morale certezza , in que’molti casi, nei quali non è patente la prova contro il reo, non si procaccia col procedi- mento scritto, ed è unico mezzo della verità la discussione pubblica. A far pienamente convinti di questo vero i lettori dell’An- tologia , io andrò estraendo dal citato MS. tutti quei rilievi, i quali o non furono fatti negli articoli menzionati , o furono ap- pena toccati di volo. La materia è della massima importanza , perchè si vuol garantire quella sicurezza , e quella opinione di sicurezza , a cui tutti i cittadini hanno diritto; nè potrà esser tacciato di troppa lunghezza l'esame a cui mi abbandona, trascrivendo quasi sempre le parole stesse del MS. dettato da un momo, in cui la esperienza si accoppia alle cognizioni scien- tifiche. 115 Il procedimento criminale comincia dall’ inquisizione , e termina colla sentenza. La società, in virtà del diritto alla propria esistenza ed alla pubblica sicurezza, rintraccia ed accerta il fatto che costituisce il de- litto, ne indaga gli autori , raccoglie i documenti , onde convincere il reo della fattagli imputazione , e lo sottopone al giudicio. Dal diritto di sicurezza inerente al sovrano deriva l’accusa , e dal diritto alla propria conservazione , cui nessun individuo rinunzia , na- sce il diritto alla difesa ; quindi s’institnisce un necessario dibattimento tra l’accusatore ed il reo, ed amendue procedono con pari ed opposto diritto. La prima parte del procedimento preparatoria all’accusa debbe es- sere occulta, affinchè il fatto fuggitivo possa diventare permanente , e l’autore del delitto non dilegui le tracce sulle quali viene inseguito ; l’accusa poi non può rimanersiin segreto , nè fra gli arcani la difesa. I giudici posti fra l’accusatore ed il reo debbono al pari di essi rico- noscere gli opposti argomenti, onde proferire nell’intima notizia della verità e con morale certezza la sentenza, termine del giudizio. I giudizi sulle scritte informazioni, quand’ anche lascino in potere del reo i mezzi di difesa, hanno però la loro base sull’autorità del giudice procedente. Il reo è provato colpevole o per propria confes- sione , 0 per que’fatti materiali, pe’quali porta seco la testimonianza del delitto, o per la serie dei connessi indizj colla deposizione dei te- stimoni. Che egli abbia confessata la propria colpa, che esistessero fatti di convinzione , che lo attestassero testimoni, o deponessero degli indizi , ciò tutto riferisce l’inquisitore in scritto , ed i giudici pronun- ziano sull’autorità di quanto stà negli scritti espresso. Il solo pensiero del giudice di potere avere presente il reo , in- terrogarlo in faccia all’accusatore., e porgli in confronto i testimoni, dovrebbe eccitargli esitazione e timore, quando debbe pronunziare il tremendo voto sull’autorità della muta scrittura. In questa non altri- menti può credere di giungere alla verità se non se per la fiducia ri- posta sulla coscienza dell’inquisitore; presume perciò che il proceden- te alla somma probità accoppii i necessari lumi; laonde sostituisce al- la testimonianza della propria coscienza la presunta integrità , i pre- sunti lumi dell’inquisitore. Nel sistema delle segrete procedure I giudici non hanno altro fondamento del loro giudizio , tranne la coscienza dell’inquisitore, ed il reo debbe parimente la intiera sua fiducia riporre in lui solo, garante della verità fino al giudicio defini- tivo, nè gli è dato di potere in alcuna guisa declinare , salvo che avesse in pronto le prove di falsità , lo che gli è assolutamente im- possibile. E operazione della mente umana il bilanciare nel discernimento le opposte ragioni, e quindi darne giudicio. Così appunto accade in ogni collegio deliberante e decidente. Ma ne’giudizi occulti la parte più grave degli argomenti non è sottoposta alla disamina dei giudici. 116 Quante risulta dal procedimento in scritto non può essere oggetto di discussione, e la disamina si rivolge unicamente agli argomenti che ne risultano. L’amore della verità , e la innata tendenza della umana men- te a tutto discernere, fanno desiderare una rinnovazione dì esami ; eppure conviene riferirsi alla scrittura. Ogni deposizione del testimonio è attestata quale stà scritta con- forme a quanto si depose dall’ inquisitore. Vi ha dunque un testimonio del testimonio , e quindi la probabilità della probabilità. È questa nel- la cognizione di fatto in ragione inversa del numero de’mezzi, pe’quali vengono ì fatti tramandati ; il giudice perciò , che ode egli stesso il reo ed i testimoni , allontana i mezzi, che si frappongono tra lui che de- ve acquistare certezza per la serie dei gradi di probabilità , ed il reo che debbe essere convinto del delitto. Non sì ritraggono in scritto il muto linguaggio del reo e dei te- stimoni , il gesto, il tuono della voce, il turbamento , ie parole in- terrotte , la esitazione, il circuito del discorso , la renitenza nel di- scendere ad esporre tale o tale altra circostanza, l’affettata reticenza. I segni in somma più espressivi delle stesse parole non si riferiscono in scritto, e quando pure ne facesse menzione l’inquisitore nello scritto esame , non è per organo altrui che le impressioni de’ segni sì fanno nell'animo dei giudici. Dopo che nel citato MS. sono noverati molti altri ostacoli che nel sistema delle segrete procedure si oppongono alla certezza morale dei giudici, vi è detto: Quand’anco si supponga integerrima la fede dei testimoni , del- la deposizione dei quali vi ha sempre Inogo a dubitare fra le tenebre del mistero, sì possono eccitare i seguenti dubbi. 1.° Che i testimoni sen- za punto avvedersene siano stati indotti ad affermare o negare dal modo con cui era concepita la interrogazione. 2.% Che non sia accaduto equi- voco fra la interrogazione e la risposta. 3.° Che le parole accompagnate da segni non abbiano espresso altrimenti di quanto stà scritto. 4.° Che l’inquisitore nel raccogliere i detti dei testimoni, e nel farne scelta, nulla abbia omesso di quanto compie la narrazione. 5.° Che non abbia supposti termini aventi appo lui significazione identica colla espressio- ne del testimonio o del reo , ma proferiti con altro significato, e la vera idea non si trovi rappresentata da vocaboli nell’ idioma in cui sì è scritto. 6.° Che lo scrivente nulla abbia aggiunto , cangiato od omesso di quanto venne dettato dall’ inquisitore , o. non siansi nella fretta riempite lacune a talento. 7.° Che l’ inquisitore sia dotato di somma probità, di retto senno, e ponga netl’esame sommo studio e di- ligenza , da che nel segreto egli solo con persone a lui ligie e dipen- denti è arbitro del procedimento coll’ unico freno della propria co- scienza. 8.° Che serbi questo carattere d’ integrità, benchè lo spinga il proprio interesse a dirigere le informazioni allo scopo che si è pre- fisso, onde avere il vanto di sollecito e sagace indagatore. Se a questi UT? dubbi si aggiungono quelli che sorger possono anche dagli atti dello stesso procedimento, se per la deposizione di un testimonio si fa palese qualche segreto maneggio , o per interrogazioni una parziale preven- zione del procedente , se il processo concerne qualche persona di con- siderazione , e traluce da esso un cotale spirito di partito o contro il reo , od a pro della di lui causa , non vi ha certo alcun giudice che rappresentandosi la serie di tanti dubbi possa pronunziare il tremendo voto con tranquilla coscienza. Un breve scritto , in cui si esprimono pochi articoli di convenzio- ne , va sovente sottoposto a difficili interpretazioni, e si vorrebbe poi affidare l’onore , la libertà , e la vita ai volumi di scrittura ? L’abitudine di giudicare sullo scritto, come sopra tavole irrefra- gabili, non lascia a chi vi è avvezzo comprendere come egli metta a cimento la propria coscienza , ma se, tolto il velo , scorresse con se- vera analisi i diversi gradi di probabilità, pe’quali debbe giugnere al- la morale certezza , si turberebbe l’animo suo de’passati giudizj, e sa- rebbe per arrestarsi nel pronunciare in avvenire il voto fatale. La esperienza fece palese il difetto del procedimento scritto , ed i legislatori , le leggi, e l’uso de’magistrati ne attestano la insnfticien- za. Vacillanti questi ne’loro giudizi, mentre doveano procurarsi la pro- va dalla muta e manca scrittura, tranquillarono la loro coscienza con certi canoni, e regole, le quali ebbero il nome di prova legale. Chi ha meditato la storia della legislazione ebbe a convincersi che furono introdotte come supplemento dell’ imperfetto procedimento scritto la prova legale , la prova privilegiata , e le pene straordinarie. Con questi supplementi al procedimento scritto , il giudice non ebbe più motivo di esitazione nel giudicare ; o era manifesta la prova di reità, o il reo era confesso di confessione spontanea, o in delitto atrocissimo , pertinace nelle negative nonostanti i tormenti della tor- tura, era punito di pena straordinaria; la minor parte del giudicio era riserbata al criterio dei giudici. Euumerati in seguito i vantaggi della pubblica procedura, che qui si omettono per essere stati egregiamente dimostrati ne- gli articoli rammeutati di sopra , dicesi nel MS. Tolti perciò gli ostacoli alla verità , perchè vien posto rigido fre- no alle umane passioni, e perchè essa è raccolta da presente vivissi- ma discussione nella quale parlarono in compiuto linguaggio il reo ed i testimoni , i giudici sentono quasi senza avvedersene sorgere la ve- rità , e la persuasione scendere nel loro cuore colla convinzione della mente. Al retto giudicio nel procedimento orale cospirano la ragione e il sentimento. Dopo di che l’ autore fa avvertire ai difetti dell’ inquisito- rio processo , quale all’ epoca in cui egli scriveva era in uso in Piemonte. Molte di quelle osservazioni sarebbero anche opportu- ne per altri luoghi , ma le ometto, perchè o furono già nutate Ì 118 negli articoli surriferiti, o sono tanto facili a rilevarsi da chi auche per poco abbia usato nel foro, che riuscirebbe inutile il farne qui proposito. Non è inutile però il ripetere , che fra i caratteri più degni, che ha in sè la procedùra orale, quello è specialmente da segualarsi della sollecita spedizione del giudizio. Se la pena non è prossima al delitto , perde nella sua efficacia , e ne manca il principale oggetto , 1’ esempio , freno ai malvagi. Le cause criminali si spedisconò lentamente col procedimento scritto ; le conclu- sioni fiscali, le deduzioni in difesa , gli esami , i supplementi , il cìr- cuito per la comunicazione a’ vari uffizi , difensore e relatore , arre- cano ad ogni tratto imbarazzo alla celerità della spedizione; e gemono intanto i rei lungamente in carcere, cruciati dal più crudo dei suppli- zi , la incertezza. 4 Molte e varie sono le opposizioni che si fanno contro la pub- blicità delle procedure criminali. Tra queste le principali furono già combattute vittoriosamente da Patrofilo con armi proprie o prese da Bentham. Io ne andrò rammentando alcune altre omesse da Patrofilo, e proposte e risolute nel MS. in discorso. Opposizione. Le prime deposizioni dei testimoni che vengono rac- colte nel procedimento scritto debbono essere le più veridiche , poi- chè non sì ebbe campo di aggirarli e sedurlì ; laddove nella pubblica discussione possono i testimoni , se compri o sedotti, ritrattare impu- nemente le dichiarazioni scritte nelle informazioni. Risposta. 1.° Le prime deposizioni dei testimoni ( nella procedura pubblica) sono purraccolte in scritto, e su di esse poggia l’atto di accusa , direzione e norma a’ magistrati nella pubblica discussione. 2.° Il breve intervallo fra il termine dell’istruttoria , e la discussione pubblica non lascia vasto campo agli aggiramenti. 3.° La verità non si ritratta di leg- gieri. 4.° Non la ritratta l’uomo dabbene. 5.° La deposizione di un testi- mone è necessariamente col detto d’altri testimoni collegata ; difficil- mente egli è testimone unico , e su di circostanze isolate , e non s’ interrompe la serie degli indizi senza che si sveli la menzogna. 6.° Per la sola ritrattazione il testimone cade in sospetto appo i giu- dici, e questi nella narrazione menzognera scuoprono tosto la parte manca e debole , nella quale il testimonio vacilla ; quivi lo assalgono colle interrogazioni , e costretto a divincolarsi nelle risposte fa palese la verità che sì sforza di occultare. 7.° I magistrati confrontano quanto sta scritto colla deposizione orale , la quale in sostanza ne è la inter- pretazione , colgono il punto di divergenza onde svelare la verità , e giudicano anche su questo confronto per intima convinzione. 8.° Alla sanzione interna derivante dal sentimento della verità si aggiunge il freno della già fatta dichiarazione nelle scritte informazioni. 9.° Quan- d’ anco il testimonio per male intesa commiserazione , od altronde se- dotto , si recasse alla pubblica udienza col disegno di occultare la ve- 119 rità, la maestà del luogo , l’ aspetto dei giudici, il pubblico che tiene gli occhi fissi sopra di lui , la forza armata che custodisce il reo , il magistrato del pubblico ministero , il solenne giuramento, gli inspirano salutare timore , e vacillando in proposito cangia il reo di- segno ; a ciò si aggiungano le esortazioni del presidente , le ripren- sioni , l’ essere appartato da che cadde in sospetto , il veder collocare liberi gli altri testimoni , il continuare. ad assistere al giudicio , la meditazione sul di lui stato ove pertinace persista nella menzogna, e quindi la convinzione che senza neppure avvedersene scende in lui della colpa del reo; e si argomenti poi, se alle seduzioni, alla corru» zione dei testimoni vi abbia più possente freno ; se giovi più a conte- gno de’testimoni l’averli presenti un momento in secreto. 10.' La falsa deposizione del testimone si fa palese per varj modi, nè certamente si porrà egli di leggieri al cimento , frenato dalla sanzione penale. 11.° L’esempio altrui rende in breve tempo cauti i testimoni. 12.° Che se il testimone osò ritrattare la dichiarazione scritta, la fede che avrebbe il giudice in lui riposta non poteva essere fondamento al giu- dizio. Il secreto adunque protegge le false deposizioni, ed il pubblico giudicio le rimuove. E qui l’autore conferma la sua asserzione culla più potente prova , quella di fatto. Egli dimostra , che dal tempo in cui col governo francese furono. stabiliti in Piemonte i pubblici dibatti- menti pel corso di anni 13 furono condannati come sperginri soli 17 individui. All’ opposto nei sei anni del ristabilito pro- cesso inquisitorio (l’ autore scriveva nel 1820) dalle corti crimi- nali composte delle provincie sottoposte alla giurisdizione del senato di Piemonte turono condannati come falsari individui n.° 31, senza contare gli individui detenuti e contumaci, con- tro i quali in quell’ epoca del 1820 stavasi procedendo per de- litto di falsa testimonianza , e il cui numero eccedeva quello di dieci. Vedesi dunque , che le condanne per falsità sono state per tre quarti di più sotto il sistema inquisitorio , che sotto quello della pubblicità. Opposizione. Il reo colto all’ impensata , interrogato dal procedente vien posto nell’ imbarazzo ; si è appunto nel divincolarsi tra la verità e la bugia che si fa quella palese. Al contrario nel tardo pubblico costituto può egli mutar sistema, combinarlo colle variate deposizioni de’ testimoni , e l’ accorto difensore suggerisce al reo più congruo e verisimile metodo di difesa. Risposta. Il reo nelle secrete informazioni od ha confessato , o negato ; è adunque manifesto che per variar sistema dovrebbe porsi in aperta contradizione; i magistrati poi, che giudicano per intima loro persuasione, saprebbero pure apprezzare qual fede si procacci 1’ accu- sato col contradire se stesso. Se egli ha confessato nell’ istruttoria , e 120 neghi dappoi nella discussione pubblica , ove collimino colla confes- sione gli indizi, non otterrà veruna fede la ritrattazione , salvo che provar sì volesse , che la confessione fu estorta per timore o violen- za. Che se negò nell’ istruttoria , e confessa in pubblico costituto , potrebbe tutto al più variare le circostanze che accompagnano il de- litto ; forse cotal confessione è conforme alla verità, ed è un nuovo argomento onde convincerlo. Il reo non ha poi alcerto sì ligi i testi- moni, perchè cangi ad un tratto lo stato della causa; su tal circo- stanza appunto la pubblica discussione tragge in aperta menzogna l’uno dei testimoni , confonde l’ altro , e convince il reo. L* accorto difen- sore può cogliere alcune favorevoli circostanze, ma certamente non aggira , nè seduce , nè il potrebbe fare di nascosto , poichè i testimo- ni svelano d’ ordinario quanto fu loro suggerito. Al mentire in pub- blico manca l’ardimento , salvochè si trattasse di taluno audace , e to- sto svelato falsario. Chi fece esperimento de’pubblici giudizi vede nel fatto se l’accennata opposizione richiedesse seria confutazione. Opposizione. Le informazioni scritte , che precedono la pubblica discussione , possono andar soggette agli stessi inconvenienti , che rin- tracciar si vogliono nel procedimento scritto, l’accusa poggia su quelle informazioni assunte dal solo inquisitore , e possono pur essere li stes- sì i vizi di redazione , o trattisi delle deposizioni dei testimoni , ovvero del costituto del reo. Risposta. La discussione pubblica porrebbe in chiara luce gli errori ed il mal talento del procedente ; l’autorità e la sagacità di chi dirige il dibattimento , e la energia dell’avvocato difensore ne svelerebbero apertamente i vizi. Allorchè il tutto debbe comparire agli occhi de’ ma- gistrati e del pubblico , invano si ordirebbero nel secreto i maneggi , ed il procedente mal riporrebbe la sua fiducia nei testimoni , e nel reo sot- toposti alle sollecite indagini de’ giudici , anzi porrà egli più sollecita cura nel redigere le dichiarazioni dei testimoni, poichè avranno a deporre al cospetto de’giudici, i quali ben tosto scorgeranno se v’avesse mai al- cuna divergenza. I pubblici dibattimenti, coll’ispirare ai magistrati più nobili sentimenti della propria dignità, li rendono eziandio più vigili su quanto operano i subalterni. In somma il procedente per nuocere e giovare si debbe valere del segreto; e ne’giudizi pubblici il tutto sì svela. Opposizione. Riuscir debbe difficile ai giudici che intervengono al giudizio di ritenere a mente in lunghissima discussione , senza distra- zioni, tutte le circostanze narrate da’testimoni, e classificarle nella se- rie degli indizj coi gradi della pena. Risposta. 1.° Alla discussione precede la lettura dell’atto di accusa , in cui sono raccolte nell’ordinata serie gli indizi resultanti dalle infor- mazioni. 2.° Segue lettura de’ processi verbali , da’ quali è accertato il fatto che costituisce il delitto. 3.° Dal pubblico ministero viene quindi svolto l’atto di accusa colla designazione delle circostanze , alle quali debbe essere specialmente rivolta l’attenzione dei giudici. 4.° Su questa norma e con tale direzione s’incomincia la discussione pel lungo costi- I2I tuto del reo , i di cui detti si confrontano tosto colla risultanza dell’ac- cusa. 5.° Depone poscia il querelante , ovvero la parte lesa , colla espo- sizione del fatto. 6.° Si odono dappoi i testimoni presentati dal pubblico ministero , ed a ciascuna deposizione risponde il reo con analoghe os- servazioni. 7.° Si producono i testimoni a difesa. $.° Se è richiesto in qualche circostanza il confronto per spiegazioni , osservazioni fra i te- stimoni , si ottiene la pronta spiegazione 9.° L’accusatore pubblico rias- sume ì risultamenti della discussione cogli appositi argomenti , pe’ quali o persiste , o si desiste dall’accusa , ed il difensore svolge tosto gli argo- menti in difesa. 10.° In causa di gravissima discussione il presidente rias- sume anch’egli prima della votazione tutte le risultanze della causa , e pochissime sono quelle , nelle quali il numero dei testimoni essenziali chiamati a deporre richiegga dal presidente questo riepilogo. Per tal guisa le azioni ed i fatti si stampano nella memoria quasi in vivissima ordinata rappresentanza ; e se privati cittadini presso altre nazioni so- no per criterio e retto cuore giudici del fatto , che si debbe dire ove pronunziano i magistrati ? Da qualunque lato si riguardi il subbietto è forza il rico- noscere , che nel sistema delle segrete procedure il malvagio solo può guadagnare, l’uomo probo non può che perdere. La verità odia e fugge le tenebre, ama e cerca la piena luce. La pubbli- cità è la garanzia dei diritti e dei doveri umani; essa, invece di spegnere, come avviene nel secreto , il senso comune, viene in soccorso di lui e ne avvalora i precetti ; serve a garantire la sicurezza dei cittadini e della società, e ad inspirare di questa sicurezza la ferma opinione, senza la quale non può avere la città quella pace e tranquillità, a cui ha un diritto assoluto. Quindi il giureconsulto che dettava il MS. in discorso con- cludeva per la introduzione dei giudizi pubblici, e chiamava in ‘appoggio la esperienza dei 13 anni, duranti i quali nella sua patria essendo stati in vigore avevano provato col fatto la loro capacità a proteggere il reo , e a porre in sicurezza la società. E ogni buon cittadino , che ami il bene della sua patria, deve ripetere questo voto con tutta franchezza ; tanto più se la for- tuna lo fece figlio alla relisione santissima dell’ Evangelio inspi- ratrice dell’ amor coraggioso del vero, e promotrice di ogni so- ciale perfezionamento. A questo carattere di quel libro divino ponendo mente, è forza il riconoscere che altamente bestemmiano contro la Provi- denza divina tutti coloro ji quali vorrebbero , che si retrocedesse alle idee dei secoli di maggiore ignoranza, e che le società , le quali con lena tanto affannata giunsero ad esser civili, ridi- ventassero teocratiche; e poi fan voti, perchè il Tribunale del T. VJ. Aprile. 16 122 S. Uffizio, la feudalità , le primogeniture , i fidecommissi , ova abolironsi, sì ristabiliscano; e suno dolenti ( inorridisco a dirlo) che non si ritorni da per tutto all’ uso della tortura , alla pena del fuoco, della ruota , e di altri supplizi allungati e pe- nosì , e che in fatto di teorie governative quelle per tutto il mondo non si professino di Filmer e di Hobbes. A questi scrit- tori, che si ostentano tutti compresi da una grande carità di patria, e da un gran sentimento di religione , noi che ci faccia- mo gloria di esser nati e di vivere in ‘l'oscana , e di essere go- vernati dalle leggi di quel Grande che essi insultano, diremo francamente che Iddio pose loro il buio nel pensiero, e che vi- vono in stato abituale di delirio. Se così non fosse, oserebbe uno ‘fra essi più impudente paragonarsi empiamente al Divino Salva- tore, al Dio, venuto in terra a fondare il regno della giustizia e della uguaglianza fra gli uomini? Una bocca che vomita sen- tenze infernali di terrore e di esterminio si vorrà confrontare con quella bocca divina, che dettava una legge di mansuetudine , di amore, e di fratellanza ? E ardite chiamarvi aununziatori della verità ? Mentite. La verità è sole che scorre placido e maestoso, e colora e scalda e vivifica e muove tutte le cose create. Le vo- stre parole non suonano che morte. Dunque la vostra parola è menzogna. Ciò si disvela ancor più manifesto da quelle ingiurie e da quel tuono di scherno, con che insnultate la filosofia. La vera , la sola filosofia vnole la prosperità e la sicurezza sociale, come sono pur volute dai precetti della cristiana religione. Al- l’ordinamento sociale essa religione addita lo scopo, amore, ugua- glianza. La filosofia assume quello scopo santificato , e col soc- corso della esperienza, della osservazione, e della induzione, discnopre ed insegna i mezzi atti a conseguir quello scopo. Ma la divisa vostra è terrore, disuguaglianza. Ditemi dunque se que- sto è un servire la religione, o se non è piuttosto un bestem- miarla. == To non nego che l’ uomo colla divisa e col nome di filosofo abbia delirato e peccato sovente. Ma qual cosa avvi mai così santa, della quale non abbia questa umana razza abusato ? I malvagi, che per ciò declamano contro la filosofia , sono tanto ragionevoli quanto quegli che predicasse contro la religione, per- chè gli uomini ne abusarono spesse volte e ne abusano , adul- terandola colla superstizione , e snaturandola col fanatismo. È quando sarà finalmente che ristabilitasi in ogni umano studio la buona fede si chiameranno le cose col loro legittimo nome ? L’ uomo spregiatore della morale, nemico della religione, che ami le permanenti turbolenze dell’ anarchia , non sarà da chia 123 marsi veramente filosofo , come non sarà meritevole del titolo di cristiano il superstizioso , il fanatico , il cannibale. — La filosofia vuol conoscere le cose secondo le loro cagioni assegnabili, ed è per questo che a taluni dà tanta noia. Questa filosofia , quando vede delle piaghe in società, vuol risalire alle sorgenti; e all’oc- casione di certe turbolente agitazioni , invece che le soccorra il feroce pensiero di frenarle col ferro e col fuoco, dubita che siano forse applicabili quelle parole di Montesquieu: - “Un prudente legislatore previene (o megliò , dee prevenire) te disgrazia di diventare un legislatore terribile. Appunto perchè li schia- vi non poterono avere presso i romani fidanza nella legge , la | legge non potè fidarsi di loro. ,, Facciasi dunque , dice la filosofia, facciasi da per tutto in guisa che i popoli abbiano giuste leggi su cui fidare, e la legge potrà allora fidarsi di essi. Sodisfacciasi con eque leggi ai biso- gni tanto materiali quanto morali dell’ uomo; siano rispettate tutte le sne naturali proprietà ; sia premiato soltanto il merito civile; i lumi, la bontà, e Ja potenza si diffondono nel più gran numero dei cittadini; i ladii, i traditori. e li schiavi riducansi al meno possibile, e si verificherà quella facilità d’ impero, che deve essere il voto di ogni saggio governo, e niuno vi sarà che brami turbolente innovazioni. Togliete le cause se volete, estir- pare gli effetti; ma finchè le cause sussisteranno , invano spe- reremo pace e tranquillità, seppure non fate delle società un deserto, sul quale (e questo par che sia il vostro ardentissimo desiderio ) rimanga a dominare il solo carnefice. = Voi ci pro- ponete un ferreo dispotismo cum: necessario per conservare in certi luoghi l’ attuale sistema politico. Ma avvertite, che non ogni necessità dà diritto. Alla sicurezza di un invasore del trono è necessario lo estirpare tutti i rampolli della famiglia che re- gnava prima di lui, scrive Machiavelli. Direte. per questo che egli abbia diritto a farlo? Al diritto dà origine una necessità che sia non solo di attual posizione, ma aucora di anteriore natu- rale derivazione. Lascian:lo l’empie tevrie di Filmer e di Hobbes, formatevi una giusta idea della natura dell’ associazione . poli= tica, e del!o scopo ultimo che vuolsi con essa conseguire , e vi convincerete , che la potenza vera delli stati non può essere ge- nerata se non là dove avvi cospirazione di volontà e di forze per la cospirazione degli interessi, e per la partecipazione delle uti= lità. Che se col vostro sistema di permanente terrore sperate man- tener tranquille le società. sentite le parole di Seneca “ Tem- » peratus cohilet timor ; assiduus, acer, extrema admovens, in 124 so audaciam jacentes excitat ,, o sentite le parole molto più an- tiche di Salomone € Qui vehementer emungit , elicit sanguinem; 3; et qui provocat iras , producit discordias ,,. Ah! studiamo un poco più lo spirito della legge santissima dell’ Evangelio , amia= moci e trattiamoci come fratelli, perchè figli di un solo e me- desimo Padre, e sia Homo homini Deus, non homo homini lupus, come merita essere appellato chiunque professa i disumani pen- sieri, coi quali, invece di dirigere a scopo sociale il progressivo sviluppo dello spirito umano , si vorrebbe riporre in fasce la ci- viltà , opera della matura che è figlia di Dio. Ma da questa fastidiosa sozzura di massime antipolitiche ed anticristiane , onde una razza pervertita vorrebbe far puntello ad usurpazioni di ogni maniera , l’ animo piacevolmente mi di- stoglie il grato richiamo di una voce tutta piena di umanità, che muove dalle deliziose altezze di quella città , la quale si vanta di aver dato al mondo l’ eloquente oratore del Patto So- ciale. Questa voce è di un nobile filantropo ;, di nno di quei rari uomini , pei quali è un vero bisogno il consecrarsi tutti al mi- glioramento di questa umana razza infelice , è del Conte De Sel- lon, membro sovrano del Consiglio di Ginevra, che fino dal 1816 combatte instancabilmente contro 1’ uso della pena di morte. — Non essendo a me dato di discutere a lungo sul fondo dell’ ar- gomento , spero di non far cosa discara ai lettori dell’ Antologia, se mi trattengo piuttosto sopra alquanti cenni istorici. Una voce potente si alzò nel secolo passato in Italia a _se- gnalare come non giusta, non utile, e non necessaria la pena di morte. Il Marchese di Beccaria combattè questa pena in quel suo libro dei delitti e delle pene , in quel libro, che , a dispetto dei latrati della operosa calunnia, come oggi è applaudito, me- ditato', tradotto nell’ uno e nell’ altro emisfero , così sarà monu- mento eterno alle future generazioni, che in Italia nacquero sempre i pensieri generosi ed umani , che l' Italia fu madre e maestra sempre d’ ogni sociale perfezionamento. Non vi ha certamente chi non ricordisi con qual ragiona- mento il Beccaria volle dimostrare ingiusta la pena di morte. La sovranità e le leggi, egli diceva, non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno. Ma nel mini mo sacrificio della libertà di ciascuno non vi potè esser quello del massimo fra tutti i beni, la vita, perchè l’uomo non essendo padrone di uccidersi non poteva dare questo diritto alla società intiera. Non è dunque la pena di morte un diritto. — Il qual x ragionamento è conseguenza dei principii di quella scuola favo- 125 losa che seguivasi dal Beccaria, e che fa nascere i diritti e i doveri da patti espressi e da rinunzie. La vera idea del diritto nasce dalla naturale necessità. Ma non i bisogni soli e i doveri dell’ individuo danno origine alla idea del diritto. In una buona società civile coesistono le esigenze degli individui, del consor- zio, e del governo. Tutti i poteri degli individni , del consorzio, e del governo debbono cospirare e concorrere allo scopo della più grande prosperità , sicurezza, e potenza civile. Il resultato di tutti questi poteri atteggiati a cospirare e concorrere a quello scopo finale dà a ciascun membro dello stato, al consorzio, e al governo una forza regolata, e in questa forza regolata sta la nozione del diritto (2). Secondo la quale se a conseguire la si- curezza di una società bene organizzata è necessario anche il punire colla morte, ne ha la società il diritto. Ma il Beccaria pose come cose distinte il diritto, e }a neces- sità. Nel che avrebbe pensato bene, quando per necessità avesse inteso soltanto una necessità procurata , non naturale. La neces- sità naturale , e il diritto non sono due cose distinte, più di quel che lo siano la causa e l’ effetto. Ma il Beccaria pare ve- ramente che facesse quella distinzione anche nel concetto di ne- cessità naturale della associazione politica. Siccome ‘però è pro- prietà del genio l’accostarsi ai veri resultati della scienza anche quando la mente è traviata da un falso criterio, perchè fra lo spirito umano ed il vero avvi una attrazione prepotente, che nelle menti robuste non è annientata dalla falsità dei metodi , quindi il Beccaria entrò anch’ egli nel retto sentiero, occupan- dosi della necessità della pena di morte. Sentiamo le sue stesse ‘parole. La morte di un cittadino non può credersi necessaria che per due motivi ; il primo , quando anche privo di libertà egli abbia ancora ta- li relazioni e tal potenza, che interessi la sicurezza della nazione ; quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nel- la forma di governo stabilita. La morte di qualche cittadino divien dunque necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell’anarchia, quando i disordini stessi tengon luogo di leggi; ma durante il tranquillo regno delle leggi, in una forma di go- verno , per la quale i voti della nazione siano riuniti ; ben munita al di fuori, e al di dentro dalla forza, e dalla opinione forse più ef- ficace della forza medesima , dove il comando non è che presso il ve- (2) La genesi della idea di diritto, che io qui accenno, è di quell’altissimo ingegno del Romagnosi. Vedila esposta magistralmente dalla bella mente di Giu- seppe Sacchi nel primo trimestre 1831 degli Annali Universali di Statistica. 126 re sovrano , dove le ricchezze comprano piaceri e non autorità, io ‘mon veggo necessità alcuna di distruggere un cittadino , se non quando la di lui morte fosse il vero ed unico freno per distogliere gli altri dal commet- tere delitti: secondo motivo , per cui può credersi giusta e necessaria la pena di morte. Dopo queste parole , secondo le quali pare che il Beccaria non faccia più la distinzione di giusto e di necessario, erede pro- vare coll’ antorità dell’ esempio , che l’ ultimo supplicio non ha mai distolto gli uomini determinati dall’ uffendere la società : e quindi con una analisi della natura del cuore umano vuol di- mostrare , che più del terribile, ma passeggiero spettacolo della morte di uno scellerato, sia freno contro i delitti il lungo e sten- tato esempio di un uomo privo di libertà , che ricompensa colle sue fatiche la società da lui offesa. Dice poi, che-non è ntile la pena di morte a causa dell’ esempio di atrocità che «là agli no- mini. = Avverto di passaggio, che il Conte De Sellon, come egli stesso dichiara. attinge specialmente i suoi argomenti a com- battere la pena di morte da questa ultima osservazione del Bec- caria , dall’ effetto morale delle pene su i costumi pubblici. Se ben si considera il riferito passo del Beccaria , noi rile- viamo , che egli in sostanza ha toccato il vero punto della que- stione, ed ha stabilita la giustizia della pena di morte sulla provata di lei necessità. Dicendo poi, che essa può infliggersi quando sia riconosciuta unico freno a distogliere i cittadini dal commettere delitti, afferrò la vera natura del magistero penale. Questa analisi della opinione del Beccaria mi è piaciuto di qui offrire per un doppio oggetto; primieramente per rammen- tare a quelli che a combattere la pena di morte si fanno forti sulla opinione del Beccaria , che anch’egli riconobbe il principio della giustizia di questa pena nel caso della naturale necessità; secondariamente per rendere un omaggio alla forza di quel som- mo ingegno , e per allontanarci dall’ uso di coloro, che assunta una parte di un ragionamento di un grande uomo credono , riu- sciti a confutarla , di essersi alzati al di sopra di lui; quando egli, a guisa di sole che nel fitto meriggio saetta e distrugge quelli strati di ghiaccio che sul mattino illuminava, abbatte colla po- tenza del vero rivelato al suo genio quell’ errore che pot’ anzi abbelliva con uno splendido sofisma. Fra i nomi sacri alla venerazione dei posteri, che in tutti i petti gentili risvegliansi al suono di quello di Beccaria, è il nome del Grandnca Pietro Leopoldo , che fece beato col suo re- gno questo bel paese di Etruria. Fu egli sollecito a far tesoro 127 di quanto dal labbro era uscito di Beccaria, ed appena ascese al trono della Toscana sentì nell’ animo un forte sospetto , che la pena di morte non fosse necessaria naturalmente ; sentì che, togliendo , o diminuendo le cause dei delitti, le pene moderate congiunte alla sollecita immancabilità del castigo , ed alla esatta vigilanza per prevenire le ree azioni , sarebbero riuscite a dimi- nuire i delitti meglio che la durezza , e l’ eccessivo rigore. Il semplice dubbio, che per difetto di naturale necessità man- casse nella società il diritto di infliggere la pena di morte , ba- stò perch’ Ei la abolisse almeno provisoriamente , del che non ebbe a pentirsi, chè anzi nel 1786 la abolì definitivamente, com’ ebbe veduto che il sistema da esso adottato produceva ot- timi effetti. Abolirono la pena di morte nei loro regni la Impe- ratrice delle Russie Caterina JI, 1’ Imperator d’ Austria Giu- seppe II, il Margravio di Baden e di Dourlach Carlo Federiga, e se non era la rivoluzione , che interruppe le spontanee riforme dai sovrani a quell’epoca instaurate , forse il libro del Beccaria, come altri osservò , riusciva a cangiare la legislazione penale di tutta intiera |’ Europa. La stessa Francia, onde quel trambusto venne di rivo!uzione , fu sul punto «di segrare nel numero delle sue riforme anche quel'a sulla pena di morte Lepelletier di Saint-Fargeau, nel maggio 1791, ne propose con eloquente di- scorso la abolizione alla Assemblea nazionale. L’ Assemblea de- cretò , che la pena di morte sarebbesi intesa abolita il dì della pace generale; e la pice non fu. Ma poichè cadde lo sterminato colosso , che il genio di un uomo straordinario avea fatto sorgere dai disordinati elementi della francese rivoluzione , fra le anti- che abitudini ritornate , non tutte ugualmente lodevoli, non tutte ugualmente utili al progresso della civiltà, quella fa tra le più degne che si occupò non solo della sospesa riforma rela- tiva alla pena di morte, ma di introdurre pur anco un modo di pena più conveniente alla dignità della umana natura. 11 De Sellon, membro del Consiglio Sovrano di Ginevra, propose offi- cialmente a quel Consiglio nel 1816 la abolizione della pena di morte. La qual proposizione non fu allora decisa, perchè il Con- siglio giudicò di non poterla prendere in considerazione se non all’ epoca della revisione delle leggi penali. Frattanto nel 1821 il Portogallo aboliva la pena di morte in quella legislazione che scomparve colle Cortès; nel 1822 in quel nuovo mondo , ove fino dal 1681 aveva il virtuoso Penn ridotto al solo omicidio preme- ditato il numero dei casi capitali. il Senato della Luigiana adot- tava il lavoro , in cui 1’ ottimo Livingston proponeva la totale 128 abolizione della pena di morte; nel 1825, in Francia, la Sucietà della morale cristiana prometteva un premio a chi meglio ragio- nerebbe sulla pena di morte; e nel 21 gennaio 1826 il Conte De Sellon, fermamente determinato di rinnuovare la sua pro- posizione al Consiglio rappresentativo di Ginevra, e volendo ag- giungersi dei compagni in questa nobile causa , prometteva un premio a chi meglio avrebbe saputo combattere la pena di morte, pena che nel 1826 era dall’Autocrata di tutte le Russie abolita nel suo Ducato di Finlandia. =. Questi cenni istorici dimostrano, che dai tempi del Beccaria si è resa molto più generale la opi- nione contraria alla pena di morte. Del che ha fatto anche fede il doppio concorso apertosi a Parigi e a Ginevra, ove i molti concorrenti quasi tutti risposero per la abolizione di quella pena. La Memoria premiata in ambidue quei concorsi fu del ch. Avv. Carlo Lucas, memoria, nella quale quanto è preziosa una ricca collezione di fatti, altrettanto ne parvero inesatti e falsi i prin- cipii sul diritto di punire, e sulla natura del magistero penale. Ciò fu provato in questa Antologia (ottobre 1827) dalla cara me- moria del prof. Giovanni Valeri colla scorta dei principii , che il sempre laudato e venerando Gio. Domenico Romagnosi stabi- liva fino dal 1791 in quel suo libro , nel quale con una analisi severissima, rara e fors'anche nuova in quel tempo nelle scienze morali e politiche , investigava la genesi del diritto penale. — Dopo le celebri giornate di luglio in Francia , mentre discutevasi il processo contro i ministri di Carlo X, il sig. Vittore di Tracy domandò alla Camera dei Deputati la abolizione della pena di morte. Poco dopo, nel 1831, è comparso un Progetto di riforme penali, ove essa pena è mantenuta, ma diminuisconsi i casi , nei quali sarà applicata. Usciva frattanto un libro del sig. Avv. Urtis, nel quale voleva mostrare la necessità di mantenere la pena di morte tanto per i delitti politici che per i delitti pri- vati. A questo libro rispondono le osservazioni del Conte De Sel- lon annunziate in capo di questo articolo. To non mi tratterrò ad esporre tutti i motivi, pei quali la pena di morte si vorrebbe conservata , e le ingegnose, se non sempre convincenti , risposte , con cui il De Sellon combatte i contrari argomenti. Io mi limito a richiamar qui le cose osser- vate in questo stesso giornale ( ottobre 1831 pag. 55 ) ove è detto del diritto di punire, e della natura di quella necessità che ne è fondamento; come pure ripeterò ciò che dissi in quel- l'articolo, che cioè la abolizione della pena di morte deve es- sere una delle conseguenze del progredito incivilimento. Collo : 129 spirito delle cose ivi discorse godo di veder concorde lo spirito, con cui sono dettate le parole seguenti del De Sellon. Io credo , egli dice , che i costumi del XIX secolo potrebbero per- mettere, che si abolissero ad un tempo le pene irreparabili , e le pene perpetue , senza che la sicurezza pubblica ne soffrisse , perchè il mi- glioramento della sorte di un gran numero di uomini li rende più sensibili alla privazione anche temporaria della libertà. Se ciò è vero per gli uomini capaci di commettere dei delitti privati , lo è anche più per uomini appassionati, pei quali questa libertà è un bisogno as- soluto , e per i quali la detenzione è forse più terribile della morte. Queste parole stabiliscono che la legge della abolizione della pena di morte non può essere una legge assoluta , propria di tutti i tempie di tutti i luoghi, ma una legge da farsi secondo la opportunità , la quale altro non è che la forza stessa della natura operante nel tempo e per il tempo. Dopo ciò mi sia permesso di notare , che non è troppo esatto il parlare, come fa il De Sellon, della inviolabilità della vita dell’ uomo in senso assoluto, quasi che non esistesse mai nella società il diritto di togliere ad un cittadino delinquente la vita. Quando manca la necessità naturale di punire colla morte, al- lora soltanto si verifica Ja inviolabilità della vita dell’uomo. La quale necessità pare che debba mancare in una forma di go- verno , per cui, come dice il Beccaria, è voti della nazione siano riuniti, ben munita al di fuori e al di dentro dalla forza, e dalla opinione forse più efficace della forza medesima. - Riconoscendo pertanto nei governi il diritto di punire anche colla pena di morte, quando però si verifichi la naturale neces- sità, ripeterò quel che dissi nel citato articolo, che il deter- minare la necessità di una pena dipender deve dai dati statistici, dai quali apparisca specialmente lo stato del perfezionamento in- tellettuale e morale di un dato popolo ; e quindi, non osando pronunziare , per mancanza di esatte informazioni, in qual luogo si renda necessario mantenere l’ uso ,, benchè moderato, della pena di morte, mi farò ardito soltanto ad emettere il voto , che da tutti i governi si esamini con retta coscienza , se credesi fatto quanto è nelle loro forze e nei loro doveri per prevenire le oc- casioni di commetter delitti, e se , avendo tutto questo eseguito, pensano che la minaccia della pena di morte , di una pena ir- reparabile , sia unico freno a distogliere gli uomini dal commet- tere alcune specie di delitti. E qui non posso astenermi dal dire alcune parole sul siste- ma del regime penitenziario , non tanto perchè si propone come T. VI. Aprile 17 130 da surrogarsi al sistema del patibolo, quanto perchè sembra il più opportuno sistema praticabile da ogni governo benchè non disposto ad abolire la pena di morte. Il regime penitenziario serv: mirabilmente ad uno degli oggetti, che dovrebbero aversi in mira. colle pene temporarie , e che è generalmente trascurato. La so- cietà ha potuto conoscere ; che la minaccia di una pena non è stata atta a reprimere le male intenzioni di chi ha violata la legge , e però ha ragione di temere, che accada lo stesso, quando costui avrà un’ altra tentazione a nuovo delitto. Coloro adun= que , i quali hanno già infranta la legge, debbono richiamare specialmente le cure deila società; e poichè la sola minaccia di un male non ha giovato a trattenerli dal delinquere , devesi pro- curare la loro riforma morale. A questo fine è diretto il sistema penitenziario. Fiuo dal 1791 il generoso Caleb Lownes diede alla Pensilva- nia questo sistema. il quale si diffuse quasi nel tempo stesso i: tutti li Stati della Unione. Nella sua celebre opera delle Prigioni di Filadelfia ci attesta il Duca di Larochefoucanld-Liancourt , che la esperienza ha dimostrato tre grandi cose; 1.° Che I° or- dine pubblico può essere mantenuto in un grande stato senza che la pena di morte sia impiegata per la repressione dei de- litti ; 2." Che il numero dei delitti , invece di essere aumentato in forza della dolcezza della legge, è anzi diminnito ; 3,° Infine, che questi individui , i quali, secoudo |’ antica giurisprudenza , sarebbero andati a finire o sopra un patibolo, o in un esiglio perpetuo dalla società , o non vi sarebbero rientrati che per es- serne il flagello , divengono oggi quasi tutti dei membri utili a lei. Questi resultati, quando fossero veri, come sembrano guar- dando alla buona fede di chi li narrò; quelli che ci si riferi- sconv avuti anche nelle carceri penitenziarie di Ginevra, ove anch’ essi siano veri; uniti all’ altro, se pur esso è vero, che rarissimi sono i recidivi fra le persune che sono state detenute nelle carceri di penitenza, pare che potrebbero servire di re- plica a coloro, che tenendo giustamente per principio che la pena debba essere tanta quanta basti a reprimere i motivi di delinquere , dubitassero non potersi trovare nel sistema peniten- ziario questa virtù , ed essere un sistema penale di troppa dol- cezza (3). (3) H prof. Rossi; nella sua celebrata opera T'raité de Droit penal ec., là dove parla della pena di morte, dice che gli esperimenti del sistema penale rigeneratore fatti in America, in Inghilterra, a Losanna, a Ginevra, sono 13I La ignoranza e la miseria sono state.in tutti i tempi le cause primarie e più comuni dei delitti. Ora nelle carceri di penitenza si combatte la prima colla istruzione morale e religiosa , si com- batte la seconda coll’ abituare al lavoro, e col rendere così i delinquenti capaci ,di avere un valor sociale, quando saranno riposti in libertà. In ess» carceri 1’ uomo è ricondotto a sentire la dignità della propria natura che avea vilipesa., a calcolare il proprio interesse, e ad intendere che può trovare la sua felicità nell’esercizio soltanto della virtù , e nel rispetto dei suoi simili. In esse carceri in somma si fa tutto il contrario di ciò che quasi sempre avviene nelle altre prigioni, d’ onde i malfattori escono più demoralizzati di prima , più inetti al lavoro per lunga de- suetudine, e quindi rientrano in società per nuovamente infe- starla con delitti forse meditati e concertati coi compagni nel castigo e nella corruzione. Avvi anche in questo necessità di non tarda riforma. I delinquenti sono malati morali, diceva 1’ ottimo Valeri; quindi i luoghi di pena debbono essere ospedali morali , e morali medicine le pene, alla amministrazione delle quali deb- bono essere adoperati medici morali. Alla pena di morte, presso quelle nazioni che non hanno mezzi per la deportazione , si propone di sostituire la pena della reclusione solitaria nelle carceri penitenziarie. La efficacia di que- sta pena ci si afferma provata dalla esperienza. Il Dottore Esqui- rol riferisce, che non solo in Pensilvania, ma in tutti li Stati Uniti dell’ America , confessano i delinquenti , che la. reclusione solitaria, benchè pena temporaria , perchè si eseguisce a inter- valli, è la più difficile a sopportarsi. Ne attesta Miss Wright nel suo viaggio alli Stati Uniti, che |’ imprigionamento solitario è più temuto della morte; che esso è riuscito a domare i più grandi delinquenti, e loro ha fatto provare dei dolori mentali , pochi e troppo recenti, ed il resultato loro troppo vario ed incerto., perchè la fredda ragione possa dedurne conclusioni positive e sicure. Così egli viene a farsi in parte oppositore ai consolanti resultati che si narrano ottenuti in quelle prigioni, quali resultati trovansi però confermati dalle più recenti pa- role del De Sellon. Mancando del mezzò di verificare questi fatti, io noterò con piacere , che anche il prof. Rossi è d’ opinione , che verrà. il giorno, in cui l’ ordine pubblico essendo efficacemente protetto dai sentimenti, dai lumi, e dall’ agiatezza dei cittadini, non domanderà più alla giustizia penale che castighi rarr, temporari , e che abbiano principalmente in mira la correzione morale dei colpevoli. Là quistione dunque è sempre di tempo ; ed è sempre là politica necessità che sta a fondamento del magistero penale | sempre che sì tratti di politica necessità naturale, non procurata e mantenuta da mala amministrazione. 134 che avrebbero voluto cambiare coi doloti passeggieri del patibolo. Testimone l’ ottimo Livingston della felice esperienza fatta di questa pena propose al Senato della Luigiana di sostituirla alla pena di morte, e fu la sma proposizione unanimemente accettata. Si appoggia su questi fatti il De Sellon quando sostiene la effi cacia del sistema penitenziario come castigo, come misura com- minatoria, come misura esemplare. lo non affermerò , che altrettanto si otterrebbe da questo sistema in tutte le palti d'Europa. La esperienza soltanto può far parlare con sicurezza. Dirò nondimeno che in un governo ben organizzato non veggo ragioni per disperare del buon suc- cesso. In ugni modo tutti i referiti fatti, attestati come veri da momini di tanto buona fede , debbono invitare la seria attenzio- ne di quanti propongonsi di giovare ai loro simili, e che deb- bono sentire quanto sarebbesi guadagnato per la sicurezza indi- viduale , quan:lo con una pena egualmente efficace alla repres- sione dei delitti potessimo evitare l'inconveniente gravissimo che ha la pena di morte , la irreparabilità. A questo proposito il De Sellon nel citato libro di osserva- zioni rammenta molte e molte condanne capitali per delitti po- litici, che quasi tutte han fatto torto alla memoria degti uomi- ni che le provocarono, e che tutte militano contro la applica- zione delle pene irreparabili. Le esecuzioni contro Roussel e Sidney , per recar due esempi fra mille, furono dichiarate veri assassinii dalla Camera dei Pari d'Inghilterra , ma le teste di quei due infelici erano ormai spiccate dal busto . . . Ah ! chi ha sen- so di umanità freme al pensiero di tauto sangue versato degli uomini, senza mai far con questo più felici e più potenti le so- cietà, e sente nell’intimo petto quella grave sentenza di Guizot : Quando sì portano li sguardi sopra la storia, quando si domanda ragione di tutto il sangue versato sul patibolo politico, egli è ben ra- ro che la società passata si alzi e risponda ‘ questo sangue fu versato per me ,,. A chi ha considerato questa sentenza nei fasti luttuosi che ne presenta la storia antica, moderna e recentissima non dee far meraviglia se nel petto dell’ottimo De Sellon si è destata una nobile indignazione contro lo spargimento del sangue umano. Quanto a me , lo lodo, lo ammiro , e simpatizzo con lui, anche quando a sostegno della sua cansa parmi che adoperi di quelle ragioni che ad una severa discussione forse non reggerebbero. Ma dice ad un tempo tante verità, le annunzia con tuono co- sì fermo, così pacato ; così cristiano , che spesso ne costringe 133 ad aderirsi a Imi. Ed io non saprei tributargli lode maggiore, che proponendolo come nobile esempio di filantropia e di patriot- tismo ai sinceri amici del bene sociale , e come confutazione a quei malvagi, i quali vanno gridando; che patriottismo e filan- tropia altro in oggi non sono che barbarismo e irreligione. Non potrei chiuder meglio questo articolo che confermando ciò colle stesse parole del De Sellon: “ Nella epoca di transizione che si sviluppa ai nostri occhi, l’autore sì è domandato quale era la bussola più sicura per condurre la propria barca fra gli scogli che incontransi ad ogni passo sul cammino , e non ne ha potuto trovare nè segnalare una più sicura , una più protettrice del- l’Evangelio , che ha fondato la civiltà moderna, e che deve ancora sal- varla, come la salvò già nella irruzione dei barbari del Nord e dell’Orien- te ; l’Evangelio che insegna ai popoli come ai re , che debbono rinun- ziare all’impiego delle forze brutali ,,. Siena li 2x Marzo 1832. Celso Marzuccaui. Aveva già scritto questo mio articolo , quando il sig. Vieus- senx mi ha fatto pervenire italianamente tradotto il ragguaglio di una sessione del Parlamento di Otaiti, riportato nel fascicolo di Ottobre 1831 della Revue Britannique. La quistione che fu trattata e decisa in quella sessione era la seguente: Dovrà es- sere condannato a morte l’ assassino, oppure esiliato in perpetuo ? E fu risoluto per l’esilio. Fu discusso snl diritto della Sccietà di punire colla morte; la discussione nou avea altri appoggi che l esempio dell’ Inghilterra, i libri antichi della Bibbia, e il Vangelo , e coll’autorità dello spirito del Vangelo fu votato con- tro la pena di morte. Chi non dirà , che gli Otaitiani intendo- no lo spirito del Vangelo assai meglio che certi nostri dottori magni ? i quali nei libri della nostra religione non altro cerca- no , non altro anelano di trovare che qualche parola, la quale sembri giustificare la loro sete di sangue umano, senza ricor- darsi mai di quelle parole di s. Paolo “ la lettera uccide e lo spirito vivifica, ,, Nè si creda che quelli Otaitiani abbiano de- liberato senza conoscere la natura del magistero penale. Si tro- veranno nel discorso di Pati queste parole “ è obbligo de’ capi della nazione il punire i rei, e il mettere ostacoli onde il cattivo esempio non sì propaghi. ,} Questo ragguaglio della se- duta Otaitiana è tanto interessante sia per la gravità dell’argo- 134 mento , sia per il modo con cui è stato fatto , che merita di fer- mare l’ attenzione dei lettori dell’Antologia. E però crediamo far loro cosa grata , riportandolo quì per l’intiero. Sessione del Parlamento d’Otaiti. \ Mettendo di bel nuovo fedelmente in luce il ragguaglio di una memorabile seduta dell’ Areopago d’Otaiti, ove venne decisa una delle più importanti questioni dell’ordine sociale , questione che dalla metà del secolo XVII esercita potentemente i più sublimi ingegni di Europa , non abbiamo certamente in mira di ammaestrare con que- ste discussioni i nostri legislatori nè di stabilire tampoco un prece- dente; ma noi offriamo questa nuova e vivace dipintura ai nostri lettori quasi argomento di curiosità, e come notevole esempio di quella potente inclinazione di progresso che signoreggia attualmente tuttii popoli. L’abolizione della pena capitale, che tutti i filantropi sì istantemente ri- chiedono , è pur stata subietto di meditazione pei saggi di Otaiti; ma fra quel popolo ancor novello, la cui natura è assai mite, e appo cui le teorie speculative sono assai circoscritte, la quistione fu presto risoluta. Non abbastanza versati nella scienza del diritto pubblico ci asterremo dal dar sentenza sulla sollecita decisione del congresso di Otaiti , non avendo altro scopo dettando queste poche pagine che quello di mostrar- ci istorici fedeli di uno spettacolo che nell’ animo nostro lasciò una potente impressione. Nessuno senza dubbio s’ imagina di trovar negli oratori della Polinesia quella logica stretta e incalzante che è la dote dei nostri dicitori parlamentarj , nè di udir in quei semplici discorsi gli argomenti di cui si armarono i Montesquieu , i Beccheria, i Mably , i Filangeri, i Bentham , i De’Rossi : benchè, pensando alla condizio- ne di civiltà di quei popoli, debba ammirarvi certa franca e na- tia facondia che dà buon argomerto di sottile ingegno e di retto giu- dicio, In fatti quale sviluppo d’idee possiamo noi aspettarci da uomini usciti pur dianzi di braccio alla natura , e che altra scorta non ebber che la Bibbia la quale i più a stento sono in grado di compitare ? La maggior capacità consiste fra essi nel legger corrente , e nel ben capire qualche precetto di quel gran libro , e nel distinguere qual differenza passi fra l’antico ed il nuovo testamento. Ma con questo primo procedere nella via dell’ incivilimento qual lezione non danno essi alla antica Eu- ropa , a quella antica Europa che non seppe rinvenire nell’ Evangelo (?’ autore qui allude particolarmente agli Spagnuoli nel nuovo Mondo ) che funeste ispirazioni di sangue ? Essi al contrario nor altro finora vi seppero leggere che questo insegnamento : Non fare altrui ciò che non vorresti che a te fosse fatto , compendio di quella soave ed umana filosofia segnata in ogni pagina di quel gran libro, e troppo sovente posta in dimenticanza nel medio eyo. 135 Ora con la coscienza di fedeli istorici daremo principio dipingendo il luogo ove l’onorevole consesso si raccoglie. Nulla di più singolare e pittoresco di quell’ edificio che serve ad una e di tempio e di sede al parlamento. Posto ai confini della città verso mezzo giorno sorge come un bel chiosco sotto verdissimo per- golato di banani e di alberi di cocco che il cuoprono con l’ ombra delle foltissime fronde. Lo diresti il tempio ove Numa venia a prendere le ispi- razioni di Egeria. La bianchezza delle pareti esteriori , ed i vivaci colori delle tettoie fanno mirabil contrasto col verde cupissimo degli alberi cir- costanti. Tutta la fabbrica è di legno , e ci parve di figura ottagona ; il tetto è formato da un leggiero tessuto di fronde di banani, e di fusti di bambri sì bene intralciati che la pioggia non può penetrarvi. Otto grandi finestroni senza vetri illuminano 1’ interno della sala ove non iscorgi or- namento veruno : in faccia all’ingresso stanno la cattedra ed il pergamo, servendo la prima di seggio al preside , l’altra di bigoncia all’ oratore. Un abitante di Londra, che abbia assistito alle sedute delle nostre camere, difficilmente saprebbe immaginarsi il prospetto che offre il par- lamento Otaitano. Figurisi pertanto cento venti persone , non già ve- stite , ma racchiuse in lembi di logri abiti europei, o insaccate in coper- te di cotone : il principale di costoro ornato il capo di piume di struzzo o di pavone , o coperto di un cappello di qualche militare inglese ri- formato, ed avrà un’idea alla lontana dell’aspetto bizzarro di quel grottesco congresso. Meglio si rassomiglia a un conciliabolo di mendichi e di giullari che a una riunione di legislatori; ciò nonostante , vuolsi pur dire , l’ aspetto grave , ed il severo contegno di quei patrizi con- trasta assaz con la meschina pompa dei panni. Il più degli abitanti di Otaiti non si avvisa della ridicolezza di un addobbo sì strano. Essendo vestiti all’Europea , o portando piuttosto dei lembi dei nostri abiti, si danno a credere di far parte di culta nazione. Nella ristrettissima sfera delle loro idee un’addobbo più o meno completo del nostro vestiario è segnale del maggiore o minor progresso d’ incivilimento. Regna il più alto silenzio nella sala , e solo risuona la voce del- l’oratore. Non s’interrompe , non si bisbiglia ; tutti stanno intenti , ar rectis auribus adstunt. Nè meno è da lodare il comportarsi degli oratori sempre reverenti all’assemblea; e quando oppugnano la sentenza del preopinante, la controversia è tanto inzuccherata di modi encomiastici, che l’uomo più irascibile non può trovare pretesto per dimandar la pa- rola per un fatto personale. Tanta urbanità contrasta con le forme della polemica europea che di giorno in giorno diventa più grossolana € più irritante. L’esprimersi degl’oratori Otaitiani è semplice e franco, € le loro parlate di un estremo laconismo ; in somma non havvi politico consesso in Europa che consacri minor tempo alle discussioni oziose e che rispetti le convenienze parlamentarie più religiosamente dei sena- tori di quella terra. Quando ci fu dato accesso nella sala , un vecchio annunziava al 136 ragunato consesso che il dibattimento era per incominciare intorno alla presente questione : Dovrà esser condannato a morte l’ assassi- no, oppure esiliarsi in perpetuo? L’ uditorio compiuta 1’ allocuzione del preside si tenne in profondo silenzio , e sebbene fosse noto da molti giorni che tale proposizione aveasi a discutere, niuno oratore erasi dato in nota. Quest’usanza , per quanto sembra , non s’è per anche in- trodotta negli usi parlamentari di Otaiti. Nondimeno tutti gli occhi eran rivolti ad uno dei caporioni , uomo di senno e molto in grido nella con- grega. Ei tosto si alzò , e volonteroso di corrispondere al tacito uni- versal desiderio montò risoluto al luogo degli oratori. Era questi un tale Hitoti solenne promotore della riforma religiosa e capo della tribù dei Papiti. Gran fallo commetterei nella. mia qualità d’ istoriografo di quella sessione se passassi sotto silenzio il come questo personaggio fos- se vestito. Abito da insegna di vascello, casacca scozzese , borzac- chini, cappello tondo. Voi altri Europei credereste che con tal addobbo sia impossibile di serbare contegno e gravità in discutere questioni legislative di somma importanza. Ridete quanto volete, uomini frivoli, ma lasciate parlare Hitoti. “ Io non dubito, diss’egli, dopo aver salu- tato il presidente e l'adunanza, che, essendo noi omai un popolo rige- nerato , oggi a noi non si addica di cercare i modi di rattemprare i ga- stighi che le nostre antiche leggi infliggono all’ assassinio. Da che simile questione per noi si agita, io vi ho maturamente pensato , e poichè mi avete mostrato desiderio di sapere quello che a me ne sembri, eccomi pronto a sodisfarvi. Le leggi d’Inghilterra, paese da cui abbiam tolte tante utili cose, non denno forse esser buone ? Queste leggi puni- scono l’assassinio con la pena capitale. Ora ciò che vien praticato in Inghilterra può molto a proposito praticarsi anche fra noi. Ecco il mio parere ,,. Un profondo silenzio tenne dietro alle parole dell’ oratore , che a noi non spetta di censurare. Osserveremo soltanto che nel tem- po di questa sessione non sì sono mai trovati due oratori che si alzas- sero insieme e si disputassero la parola. Quindi , solo dopo aver gira- to attorno gli sguardi , per vedere se taluno si accingesse a favellare, Utami, il sommo capo di Buanama , si fè innanzi esprimendosi in tali sensi. “Il capo dei Papiti ha reso uno splendido tributo alla verità dicendo esserne stati resi larghi benefizj dal popolo cristiano della Gran Brettagna. E non ci ha egli recato l’ Evangelo ? Hitoti però troppo ha trascorso proponendo aversi a prender per norma le leggi dell'Inghilterra. Se l’Evangelio è divenuto la nostra guida, qual uopo delle leggi inglesi ogni qual volta troviamo in questo libro regole egregie per ben condurci? E l’ Evangelo ci dice forse di dannare a morte colui che s’ introduce furtivo per le case, o segna un nome falso , o ruba pecore da una tenuta? E chi di voi, io ve fo diman- do, chi di voi condannerebbe a morte un uomo che si fosse fatto reo di simil colpa? ciò non ostante questa è la pena che le leggi degli In- 137 glesi gli riserbano. Nò , lasciamo a quel gran popolo le sue leggi , buone forse rispetto al suo grande incivilimento (1), ma troppo crude per noi. L’Evangelio sia la nostra scorta. Tale è il parer mio ,,. Passati alcuni istanti di silenzio, Upuparu (di soprannome /a gran lucertola) non meno lodato per la facondia che grato ad ognuno per la gentilezza e la cortesia dei modi , si levò in piedi, e fatti i consueti elogi ai precedenti oratori trattò la quistione nella maniera seguente. “ Quantunque io adotti le conclusioni del mio fratello Hitoti , io non vorrò mai approvare le ragioni che lo hanno ad esse condotto. Infatti, come ottimamente lo dimostrò Utami, le leggi inglesi , per buone che siano , non son quelle che ci hanno a servir di norma: da noi medesimi , aiutati dal codice il più augusto, vogliono emanare le leggi destinate al nostro governo. Aprite quel codice voi tutti che omai sapete trovarvi utili insegnamenti , e vi leggerete questo passo ; Colui che spargerà il sangue di un uomo avrà sparso il suo proprio. Queste parole sono chiare e significanti , e non danno luogo a inter- pretazioni : nonostante , prima di emettere la mia opinione innanzi a questo consesso, piacquemi prendere avviso dai missionarj. Ebbi a tal effetto più d’una conferenza con Mitti Truttu il Pellicano (nome dato ad uno dei missionarj inglesi ) , ed egli mi ha assicurato che questo passo della Scrittura avea condotti a punir di morte l’assassinio i legi- slatori dell’ Inghilterra. Io propongo di adottare questo temperamento , e lo ripeto , non perchè le leggi inglesi puniscono di morte l’ assassinio , ma perchè la Bibbia vuole che il sangue dell’ omicida sia sparso. (Acclamazioni so- lenni ). Questo discorso proferito con voce ferma e vibrata produsse una grande impressione nell’uditorio , perchè |’ oratore aveva fondato la sua opinione non sul disposto delle leggi inglesi, ma sull’ autorità (1) Sarebbe una cosa scoraggiante , e che dovrebbe concorrere nelle mire dei campioni dell’oscurantismo , il formarsi dello incivilimento la idea che pare essersene formata l’Otaitiano. È stato assai volte, e anche recentemente, ripetuto da taluni Europei , che l’incivilimento è aumento di cupidigie , e perciò di de- litti. Costoro non avvertirono \ai freni che sorgono a mano a mano che cresce la vera civiltà. Essi, a dir vero, citarono e citano dei fatti, che sembrano conferma- re la loro opinione , ma non han posto mente al vero carattere della civiltà , re- putando nazioni pienamente incivilite quelle chie non lo sono , ed attribuendo a civiltà quello che è difetto di civiltà. L’incivilimento è un resultato solidale del perfezionamento economico , morale , e politico. Diffusione dei beni, dei lu- mi, e della potenza ; libera universale concorrenza economica , e assicurazione delle giuste» espettative , sono altrettanti elementi indispensabili a costituire la idea del vero incivilimento. V. un articolo di Romagnosi negli Ann. Unio. di Sta- tistica di Milano, vol. 19. p. 1. alla 25. Nota di Celso Marzucchi. T. VI. Aprile. 18 138 della Bibbia , e tosto si formarono dei capaunelli e colloquj partico- lari molto vivaci, e l’uno ricambiò l’ altro con segni di adesione da ogni angolo della sala. Ed un bisbiglio misto a gutturali inflessioni molto spiacenti alle orecchie erasi sollevato , quando il presidente ri- chiese il dovuto silenzio , annunziando al congresso che uno dei suoi membri chiesto aveva la parola. Tosto tornò la calma, e noi vedemmo salire in bigoncia un uomo il cui aspetto fece tosto porre in dimenticanza i discorsi degli antecedenti oratori. Tutti gli sguardi furono a lui ri- volti, e la viva ansietà espressa in tutti i volti degli astanti fu ma- nifesto segno del comun desiderio di udirlo favellare. Quest'uomo era Tati, colonna dello stato , e uno de’più abili consiglieri della corona. L’elevata statura ed il capo sno muscoloso comparivano con grazia sotto un ben disposto panneggiamento di una coperta di cotone. L’espressione un poco eruda dei sembianti era rattemprata dall’ombra che gettavagli sulla faccia una ghirlanda di penne di struzzo, e quel- l’ombreggiamento rendea più mite il fulgore degli sguardi. Ornavagli il collo una collana di conchiglie bianche e turchine , insegna dell’al- to ufficio di che era investito , e due braccialetti di rame stringevan- gli le nude braccia, e dalla cintola pendeagli un grembialetto in- tessuto di fila di banani con piume di più colori ; in somma questo Tati per l’ eleganti fattezze , pel fiero contegno , per la gentilezza dei modi, e l’aggiustatezza del vestire ci si rappresentava come uno di quei tipi di natia beltà che tanto dagli artisti desideransi , e onde piaccionsi i pittori di far beili i loro dipinti. Per ogni riguardo quel suo vestiario era più decente , e adattato di quello de’ suoi colleghi , chiusi gretàamente in laceri panni , vero spurgo di qualche bottega di rigattiere di Londra. Almeno aveva avuto l’ accortezza di liberarsi da quel ridicolo incomodo . Fatti i consueti complimenti al consesso ed agli oratori, Tati ripigliò in questi termini la questione. ‘ Dovete senza dubbio ma- ravigliare che uno dei priucipali di Otaiti, che un congiunto alla real famiglia non abbia per anche preso parte alla controversia cui siamo intesi. Prima di aprirmi con voi intorno a sì grave subietto, pia- cquemi di conoscere l’opinivne dei saggi che in questo consesso presero a parlare innanzi a me ; e molto meco stesso mi congratulo di avere in simil guisa operato , giacchè i loro detti e le loro osservazioni mì hanno suggerito pensieri che forse non mi sarebbero venuti in mente per se medesimi. Io sono ben lontano dal biasimare alcuno de’discorsi da noi ascoltati : ma non saprei venire a parte delle opinioni di Upu- paru , nè di quelle di suo fratello Hitoti. Se adottare in tutti i casi le leggi d’Inghilterra , come saviamente avvisò Utami , avrebbe gravi inconvenienti, parmi clie la proposta di Upuparu condurrebbeci ad in- convenienti non minori. La Bibbia, dice egli, è la nostra più sana gui- da , di che non è da dubitare. Prima di ogni altra cosa però vuolsi ben entrare nel vero senso di queste parole : Colui che versa il sangue 139 di un uomo avrà sparso il suo proprio. Se noi ce ne stiamo alla let- tera del precetto, saremo tratti inevitabilmente per fallaci sentieri e con difficoltà ci riuscirà disbrigarcene. Udite : Io son giudice come vi -è noto. Un uomo che mi vien condotto innanzi resta convinto di omi- cidio ; ordino che sia messo a morte. Io verso o fo che sia versato il suo sangue. Dovrò io pure esser condannato a versare il mio ? Voi capite quanto simil cosa riuscirebbe infame, barbara ed anco im- praticabile. Non è, dunque, qual si suppone, siatene ben certi, il vero senso di quelle parole. D’altronde , poichè molti dei precetti del vecchio Testamento furono mitigati dal nostro Signor G. G., non avrem luogo di credere che questo appunto di cui parliamo sia uno di quelli ? ( Segni di stupore. ) Certo io non posso affermarlo perchè non ha familiari le s. Scritture quanto è mestieri : ma qualcuno di voi potrà forse darcene prova. Comunque ciò sia, ancorchè un simil pre- cetto si trovasse letteralmente espresso nel nuovo Testamento , io opino che non bisognerebbe interpretarlo in modo assoluto, perchè sarebbe mettersi in opposizion manifesta colle vere intenzioni della nostra nuova religione che comanda la dolcezza e il perdono dell’ in- giurie. ,, Quest’ardita confutazione , quest’appello evangelico uscito di boc- ca ad un uomo che nelle discussioni parlamentarie aveva sì grande au- torità, commossero gli animi degli uditori. Unironsi capannelli intorno a Tati per fargli riverenza , e ciascuno veniva avanti a lui per dimo- strargli, sebbene con esclamazioni alquanto rumorose , il provato di- letto nell’udirlo in tal modo favellare. Quando ascoltammo una voce chiedere la parola per Pati, capo e giudice di Eimeo , già gran sa- cerdote di Ora, che con pericolo della vita aveva abiurato il primo l’idolatria. Allora tutti tornarono all’ordine ed alla calma, e vedemmo a lento passo incamminarsi al luogo degli oratori un vecchio che ap- poggiavasi ad un giovine , il quale per quanto ci fu detto era il maggiore de’ suoi quattordici figli. L’aspetto di costui mosse vivamente tutta la congrega, che con triplicati applausi dimostrogli il contento di averlo in mezzo a sè. ‘ Grande è la gioia che io sento , esclamò egli, mirando i prin- cipali di nostra gente raccolti nella casa di Dio colla santa intenzione di muovere una riforma tanto utile a’ progressi della nostra nascente civiltà. Da gran tempo, voi lo sapete , non prendo parte al vostro deliberare ; ma questa volta posi in non cale la vecchiezza e le infer- mità per trovarmi presente a un dibattimento , onde in gran parte di- pende la prosperità del nostro avvenire. ‘ Il gran giudice Tati vi propose un quesito cui sentomi capace di rispondere ; il perchè son sollecito a recarvi il debole tributo delle mie cognizioni e della mia esperienza. Penso , diss’egli, che il No- stro Signore G. C. abbia temperato alcuni precetti dell’antico Testa- mento. Ciò è vero : in fatti io ravvisai nella nuova legge molti passi 140 che vietano di uccidere : non ne conosco alcuno che imponga di trattar d’ una stessa misura colui che uccise. Ma perchè fermarci ai particolari ? Considerate nel suo tutto la nostra novella religione ed il suo verace intendimento , e vedrete che in ogni occorrenza essa raccomandaci di amare il prossimo , di non fare altrui male , d’ essere indulgenti verso i colpevoli. Ora, continuando a punire di morte 1’ assassinio , ed arbitrando di una vita che non è nostra , egli è ante- porre alla vera religione 1’ idolatria. (Segni di stupore). “ Uditemi ; non dico già che s’abbia a lasciare impunito l’ucciso- re, e che abbiasi a tenere in mezzo alla società. Ben altro io chiedo e consiglio. Un uomo, che è stato tanto poco padrone di se da commet- tere sì grave colpa , vuolsi, a mio avviso, segregare dal corpo so- ciale , giacchè sarebbe perduta ogni sicurtà ove contro le offese dei malvagi i buoni non fossero assicurati. È obbligo de’ capi della na- zione il punire i rei, e il mettere ostacoli onde il cattivo esempio non si propaghi. Fino a che fummo idolatri, credemmo che il miglior mezzo di giungere a questo scopo fosse di mettere a ‘morte il reo , error funesto che sorti solo deplorabili conseguenze. Hitoti vi disse che le leggi d’Inghilterra condannano a morte l’assassivo , e che senza peri- colo potremmo adottare gli stessi provvedimenti di quella gran nazio- ne. Ma egli senza dubbio ignorava che in quel paese ognun possiede assai ricchezze , bei vestiti, case , bestiami ec., e che per appropriarsi queste cose si ricorre all’ omicidio e a mille nefandi artifizii, che conducono chi le possiede a perdita certa e spesso assicurano l’impu- nità del colpevole. Fra noi poi, come vi è ben noto , nessuno si fa reo di omicidio per venire al possesso della barchetta , della freccia , dell’amo del vicino , nè per usurpargli la casa , 0 i suoi banani : que- ste son cose troppo facili ad aversi per poter eccitare l’altrui cupidi- gia. Tal delitto è in generale effetto di risse , d’ odii implacabili , o di smodata sete di vendetta ; e queste passioni sono tropppo violente perchè il solo timor della morte raffreni colui che le prova. In que- sto caso , come allorchè si corre alla pugna , fa ognuno volontaria an- negazione della propria vita , giacchè non sempre avviene che 1° ag- gressore trionfi. In Inghilterra chi uccide vuol godere del frutto del misfatto : in Otaiti l’assassinro è pago ove giunga a consumarlo. Or dunque qual vorrà essere il gastigo , richiederete voi, che al delinquente infliggeremo ? Eccolo : chi d’ora in poi commetterà un assassinio , venga per sempre disgiunto dalla famiglia, dalla moglie , dai figli: venga trasportato in quelle isole lontane e deserte ove la pesca è difficile , ove la terra non frutta che a forza di fatica. Colà almeno non potrà commettere un nuovo misfatto. Credete voi che l’idea di questa vita solitaria non sia per riuscire più potente ad ar- restare la mano dell’omicida che la certezza di una morte pronta cui necessariamente esser lee rassegnato riserbandogliela la spada della giustizia se non soccombe nell’aggressione ? Se adottate il divisamento I4I da me proposto, qual sarà l’abitante d’ Otaiti che avendo maturato sì reo disegno , non ne sia remosso pensando a questa subitanea separa- zione, a questo perpetuo esiglio ? Lungi dal natio suolo, privato d’ogni domestica dolcezza , tornando a sera dalla caccia o dalla pesca, non vedrà più la consorte cinta dalla numerosa prole venirgli incontro per porgergli una tazza di refrigerante liquore di tautte (2) , nè udrà lei e i figli cantare in coro quegl’inni che appresero dal suo labbro. Re- duce alla capanna , non più quella sua fronte accoglierà il bacio del vecchio genitore ; e la sera, dopo aver fatta la preghiera, resterà solo col delitto e coi rimorsi! Ah! credetemi, questo provvedimento avrà un effetto felice , e tutti ad una voce vi benediranno per averlo adottato . . . . ,, Questa vera e commovente pittura della vita degli uomini di Otaiti avea molto commosso l’ oratore , che piangeva e singhiozzava , sicchè ne fu tolto di udirne gli ultimi accenti. Tutta la congrega era venuta a parte di quel suo tenero perturbamento ; e quando il fi- glio mosse per aiutarlo a scendere , molti de’suoi colleghi , attempati al par di lui , vennero per congratularsi seco. Abbracciavansi gli uni gli altri , mentre il resto dell’adunanza rispondeva a quei teneri mo- ti, a quella effusione di cuore con reiterati evviva. Questo fu un vero trionfo per Pati , giacchè il suo dire aveva dissipato tutti i dubbi fa- cendosi padrone degli animi di tutti. Dopo questa eloquente concione sembrava che il dibattimento dovesse aver fine, quando un Taata-rii ( capo di distretto ) doman- dò la parola. Il preside era perplesso se avesse o nò ad assentire; giacchè stavasi tutto in se raccolto per riepilogare le discussioni e passare ai voti. Ma perchè il congresro diè segni di desiderio che l’ oratore fosse ascoltato , ne corre l’ obbligo di referire quello ch’ ei disse. ‘ I principali capi , diss’ egli, hanno di già espresso la lor sentenza : ma a parer mio omisero cosa di non picciola considerazione, ed io mi ascrivo a ventura di essere in grado da riparare a tale omis- sione. Secondo che mi ha significato un missionario, è costume in In- ghilterra che coloro che sono condannati a morte non siano giustiziati, ma sì trasferiti in gran parte ad espiare il delitto in lontane regioni. Ora, secondo quello che avverti Hitoti in principio di questa sessione, e secondo pure l’ ammirabile discorso del capo di Eimeo , io son di parere che noi saviamente opereremo togliendo in ciò ad esempio il popolo cristiano della Gran Brettagna. Ecco quanto io voleva avver- tire. ,, Questa concisa osservazione, chiusa con una vivace allusione, andò a grado dell’assemblea, e recò nuova luce alla discussione. Nonostan- te certi senatori mossero molte. obiezioni. Chiedevano gli uni la re- (2) Bevanda rinfrescante composta di varie specie di frutta. 249 clusione a vita del condannato ; altri volevano che fossegli recisa la mano destra , o che fossergli cavati gli occhi. Ma siccome tutti que- sti oratori avevano poco seguito , e gli animi erano stati vivamente commossi dal discorso di Pati, e dall’osservazione fatta da Taata-riî , il presidente domandò al congresso se credeva opportuno di chiudere la sessione. Ricevutone consenso, annunziò che nell’attual sessione non d’ altro si deciderebbe se non di questo ; cioè se alla pena di morte avesse a sostituirsi o nò la pena dell’esilio a vita; ‘‘ giacchè, soggiunse, in questo solo aspetto tutti gli oratori trattarono la questione, e in questo solo credo pure che la riguardino tutti i primarj capi, non che i capi di distretto ,,. Dopo tale epilogo , Fati prese la parola, e fece di bel nuovo osservare ,, che il parlamento era stato convo- cato a deliberare sul pieno di questa proposizione, avendosi in un’ altra sessione a discutere le questioni secondarie ,,. Dopo di che il presidente lesse la legge: ma aveva la voce sì fiacca, che non fummo da tanto di raccoglierne la formula : ed era questa sì esornata di espressioni tecniche e bizzarre , che a comporne il commento molto tempo ci sarebbe stato necessario , e molte cognizioni delle quali man- cavamo. Allora ogni senatore si alzò con molta dignità, e fattosi avanti al presidente pronunziò queste parole sollevando la mano: io dico di si se votava pro : io dico di nò se votava contro. I primi schieravansi alla destra del presidente, i secondi a sinistra. Fra cento venti membri novantotto furono per il sì, sette per il nò, e il resto non prese par- te alla deliberazione. Gli ultimi raggi del sole omai al tramonto illuminavano il tempio, quando il presidente annunziò la chiusura della sessione, che sarebbe stata riassunta il dì seguente. Noi ce ne partimmo de’primi per veder meglio i padri di Otaiti quando uscirono. Stavano fuori donne e fan- ciulli in gran numero che erano venuti per incontrare i padri e gli sposi. Comparivano qua e là anco de’gruppi di uomini, forse i novel- listi della contrada, che attendevano la risoluzione del congresso. Uscendo dalla sala ogni membro fu accolto con acclamazioni e grida festose dalla propria famiglia, che faceagli corona, offrendogli delle frutta o delle bevande refrigeranti; indi avviavansi a piccioli drappelli verso uno o l’altro quartiere della citta ; ma la folla dopo poco si disperse, nè più udimmo se non gli inni cantati in coro da quelle famiglie patrizie. 143 Geschichte des Romischen Rechts ec. Storia del Diritto Romano nel medio evo di F. C. per Savieny. Art. V (P. 1) Vol. V pag. X. 574. Ripreudendo dopo sì lungo intervallo di tempo a pubblicare i miei estratti di questa bella istoria del Romano Diritto nel medio evo, mi è d'uopo rammentare ai lettori dell’Antologia quanto già dissi in principio del precedente articolo IV, ove incominciano. le particolari notizie delle vite e degli scritti de’glossatori; cioè, che queste particolari notizie servendo di fondamento alla istoria dei dogmi onde poi nasce il gius positivo, e rappresentando inol- tre le operative oggi smarrite forze degli andati secoli, debbono considerarsi come utilissime a tutti e segnatamente all’Italia no- stra, ove lo studio della civile giurisprudenza venne da parecchi anni in manifestissimo decadimento. Come poi nel sec. XIII, del quale adesso dee ragionarsi , se da un lato scemar si vede il vi- gor d’ animo degli scrittori e il pregio intrinseco dei loro libri, tanto dall’ ultro cresce il numero degli autori e 1° abbondanza delle opere da essi lasciate all’ uso della presente età, così, vo- Jendo esattamente riferire il giudizio che di ciascheduna delle medesime ebbe a portare uno de’primi civilisti de’ nostri giorni, reputai necessario alla comodità dei lettori di dividere in due parti questo mio non breve lavoro intorno al volume quinto. Massime che a ciò mi dava consiglio e buona occasione quanto adoperò lo stesso Savigny: il quale non discende a favellare di Accorso e della sua Glossa, che segna il più chiaro limite tra il primo e il se- condo stadio della rinnovellata nostra letteratura legale, se non dopo avere sostato un poco e tolto a rivedere quanto operarono i glossatori in que’ primi e benedetti cencinquant’anvi che pas- sarono da Irnerio ad Accorso. Ciò detto, riprendiamo il filo della istoria al cap. XXXVII ove si ragiona di Azzone. Azzone (Azzo, Azo, Azolinus) fu cognominato dei Ramenghi in iscambio d’ un Canonista più moderno di questo nome. L’al- tro suo cognome poi Porcus o Porcius ha per se anche antiche testimonianze (1). Fu bolognese epperò si trova impiegato in pa- (1) MS. Bamberg. in Dig. Vet. (D. 1 6). Quì stanno più glosse segnate Az. Porcus. E nella rubrica di un MS. parigino della Somma (N.° 4544) del sec. XIV sta per dnum Azonem Porcam. 144 recchi rilevanti affari di questa patria. Fu scuolare di Giovanni e lesse soltanto in Bologna , abbenchè alcuni scambiandolo col Pillio o il Piacentino lo facciano ezianilio professore negli studii di Modena e di Monpellieri. Tanto la sua vocazione era quella di ammaestrare che egli non si ammalava se non in tempo delle ferie. Udito con grandissimo favore ne nacquero poi le esagera- zioni che dovè leggere nella pubblica strada ed ebbe insino a diecimila scuolari per volta. I più celebri tra’suoi discepoli fu- rono Iacopo Baldovini, Roffrelo, Accorso, Martino da Fano, Goffredo da Trani, Iacopo Ardizzoni, Bernardo Dorna e Giovanni Teutonico. Di lui disse in più luoghi Odofredo che si conosceva poco in arti, epperò lo reputa in questa parte inferiore a Gio- vanni, cui lo pareggia per acutezza d’ ingegno (2). La morte di lui non può dirsi accaduta o nell’ anto 1200 0 nel 1220 come vuole il Sarti, ma al più presto nell’anno 1230 per la ragione che in un luogo della sua lettura al codice (3) rimprovera ad Iacopo Baldovini, che fu eletto Potestà di Genova nell’anno 1229, di avere in questa città proferito una sentenza stando a cavallo armato. Vogliono alcuni che avendo egli ucciso in rissa uno de’ suoi colleghi (Ugolino) fosse pubblicamente decapitato. Ma contro loro sta Odofredo di lui contemporaneo che lo dice morto di malattia naturale nelle ferie autunnali, e che per fargli onore si ritardarono le prelezioni insino ai Santi. Probabilmente l’equi- voco nacque dal fatto che suo figlio Améo venne decapitato nel- l’anno 1243 (4). Di Azzone nacquero cinque figli e si han no- tizie de’ suoi discendenti per tutto il secolo XIV: ma la prosapia di lui non fu mai nè ricca nè ragguardevole. Le opere di Azzone vennero in tanta fama che quasi fecero scordare gli antichi glos= satori, ed anche tra i forensi fu così celebre che venne in pro- verbio: Chi non ha Azzo non vada a palazzo. Restano di lui le Glosse , la Lettura sopra il codice, la Somma alle instituzioni, la Brocarda e le Questioni. 1.° Le G/osse che ne abbiamo a più parti dei libri del di- ritto distingnonsi in questo che formano un proprio apparato, una continuata dilucidazione del testo a guisa di vpera perfezionata. Incominciando dalle Glosse al Digesto vecchio , che più special- mente sono scritte come apparato, noteremo con Odofredo che Azzone scrisse prima dei brevi apparati alla guisa dei precedenti (2) Odofr. in G. L. 15 de Episc. et in C. Rubr. Tit. Mandati. (3) Leg. 1 de Sentent ex peric. (VII. 44). (4) Sarti I 97 98 sulla fede di una vecchia ‘cronaca MS. 145 glossatori, poscia la somma e finalmente un grande apparato al Digesto vecchio (ed è il migliore) e al codice (5). Del grande ap- parato si trovano sempre MSS. (6). I brevi poi sembrano essere quelle glosse mescolate ad altre di altri lettori che si trovano nei MSS. parigini N.° 4450 e 4458 a. Anche all’ Inforziato il Savigny vide glosse di Azzone nel MS. parigino N.° 4458. Ri- guardo poi al Digesto nuovo quantunque Odofredo non dica che Azzone vi scrivesse un grande apparato; è certo che questo si trova in due MSS. (7) dilavati per. sostituirvi la glossa di Ac- corso: una parte di questo apparato (il commentario al Tit. de Reg. Juris) pare che si riputasse come opera di per se stante, trovandosi in MSS. che non hanno il resto dell’apparato di Az- zone al Digesto nuovo (8). La G/ossa o l’apparato di Azzone al codice si trova anche oggi in parecchi MSS. del codice: in al- cuni de’ quali venne copiato tutto di segnito e con molta cura : il meglio conservato e più pieno è quello di Bamberga (D. I 12). Altri MSS. contenevano originariamente glosse del sec. XII e l’ap- parato di Azzone fuvvi posteriormente aggiunto ma non tutto e assai trascuratamente. Si han finalmente di Azzone ancora delle Glosse al Volume e stanno nei 'MSS. riferiti dal Savigny a pag. 15 e 16. 2.° Lettura sopra il codice. Alessandro da S. Egidio , di cui sappiamo soltanto che fu scuolare di Azzone , scrisse di memoria le prelezioni del suo maestro sul codice, e diffuse poscia i propri quinterni come se fossero un libro. Il Conti avendone trovato un testo a penna lo fece stampare; ma la edizione è così im- perfetta che in alcuni luoghi non s’intende il senso: onde è da rammaricare che sino ad ora non se ne sia rinvenuto verun ma- noscritto. Particolarità della medesima sarebbe che (in contrario a quanto operavano gli antichi glossatori, i quali considerando i primi IX libri del codice come tutta un’opera relegavauo gli ultimi tre all’ Authenticum) quivi si espongono tutti e XII i li- bri del codice. Ma il Savigny provando che la esposizione degli ultimi tre libri è di Ugolino (perchè vi ha spesso la sua sigla % (5) Odofr. in Dig. Vet. L. 60 de Cond. Indeb. (XII 6) e in altri luoghi. (6) MSS- parig. N.° 4451 4459 4463. Bibl. Trevir. Bamberg. D. 16 Vati- can. 1408. | (7) MSS. parig. 4458 e MS. Bibl. pub. Trevir. In un terzo MS. (Bamberg. D. 1 19) vi sono delle glosse staccate al Dig. nuovo. (8) MS. parig. 4458, 445 e 4886. MS. Bibl. pub. Trevir. MS. Vienn. Ius. Giv. 16. MS. Bibl. Cath. Prag. e XXV. T. VI. Aprile 19 146 ed in alcune glosse separate hugelinus) giustamente avvisa che Azzone glossò soltanto i IX libri del codice , secondo il costume de’ suoi predecessori ; senonchè il Conti e il Fontanoni gli attri- buirono tutta l’opera, perchè ai IX libri di Azzone tenevan die- tro senza distinzione i tre di Ugolino. Considerando poi qual sia il rapporto che passa tra quest'opera e le glusse e 1’ appa- rato al codice di Azzone rileva il Savigny che lo stesso Ales- sandro , ora citando le glosse ed ora l’ apparato , distingue e le une e l’altro dall’ opera presente, quantunque la diversità che tra loro corre , sembri soltanto quella che di necessità dee cor- rere tra un libro scritto a tavolino e l’esposizione a voce che. di giorno in giorno facciasi della istessa materia. Potrebbe però es- sere che un assiduo ed esatto confronto tra queste opere portas- se a idee più generali intorno al metodo adoperato dai glossa- tori in dare le prelezioni. Anche il Conti dai MSS. che ne avea presenti conobbe il proprio e vero apparato e lo distinse dalla lettura di che parliamo: errò peraltro nell’avvisarne la differenza in questo che la dichiarazione della materia sia più compiuta nella Zettura che nell’ apparato, riscontrandosi soventi volte il contrario. È da notarsi poi che nell’opera parla Alessandro e non Azzone: sicchè la citazione dominus meus ivi appella non al mae- stro di Azzone ma ad Azzone istesso. Alessandro peraltro fu fe- dele insino alla parola del suo maestro, nè si permise di fram- mischiare a quelle di lui le proprie opinioni. La compilazione di Alessandro non può dirsi più antica dall’a. 1229 e così degli ultimi tempi di Azzone, posciachè vi si riferisce un fatto acca- duto in detto anno. Grande è il pregio di quest’opera al cui confronto non regge alcun’ altra de’glossatori; e molto c’importa ancora, perchè serve a più chiaramente dimostrare il metodo dei glossatori nelle loro dichiarazioni, perchè muove dal maestro di Accorso, e perchè naturalmente ebbe gran peso nella compila- zione della glossa fatta da questo suo scuolare. Dà molte varianti lezioni, di cui niun editore del corpo civile si avvalse ancora a dovere. Vi si citano Virgilio , Giovenale, Persio, le fonti del gius canonico, la Lombarda, statuti e costumanze di Spagna, Francia e massime d’Italia, segnatamente di Milano e Ferrara, le somme o l'apparato dello stesso Azzone, e le opinioni di parecchi altri legisti. 3.° Somma al codice. 4.° Somma alle instituzioni. Queste due opere che più specialmente fondarono la fama di Azzone e che espovevano la parte più apprezzata allora del romano di- ritto si hanno da reputare anco a mente di Azzone come un sol 147 tutto. Nella prefazione a queste due somme che oscurarono le pre- cedenti, loda egli in parte e in parte biasima il Piacentino per errori da lui attribuiti alla umanità. Vennero in tanto grido che alcuni posteriori lettori, come Ugolino e Odofredo, ci fecero delle ag- giunte e furono poste per prime in quella collezione di somme che poi si fece e che comprendeva : 1.° Il codice. 2.° Le in- stituzioni di Azzone; 3.° I tre Digesti di Ugolino. 4.9 I tre li- bri incominciati dal Piacentino e proseguiti ma non compiuti dal Pillio 5.° Le novelle di Giovanni. — Le ultime tre parti di que- sta collezione consideravansi per mere appendici (extraordinaria). I molti MSS. e le edizioni di queste due somme di Azzone si noverano dal Savigny a pag. 3o 35. 5.° La Brocarda di Azzone si compone di brevi regole di ragione sotto a ciascuna delle quali vengono di molti esempi tratti dal corpo civile. Spesse volte, ma non sempre , si adduce la sua regola contraria munita ugualmente d’ esempi. Succedono speciali osservazioni di Azzone per esporre e dichiarare le dette regole , e non di rado tentasi di conciliare le contradittorie. Cac- ciavillano contemporaneo e forse scuolare di Azzone scrisse ap- pendici alla Brocarda, e si procurò distinguerle mediante la sigla Caz o Caza. I MSS. e le edizioni se ne citano dal Savigny a pag. 36 e 37. 6.° Questioni. Azzone stesso citò le sue Questioni Sabbatine che, negli attuali MSS. (p. 38) non coincidono nè pel numero nè per l’ ordine. Di Azzone perderonsi alcune opere meno rilevanti cioè le de- finizioni e distinzioni , ed altre gli vennero attribuite per errore (v. pag. 39 e 40). Dalla vita di Azzone passa il Savigny ad esporci quelle di Ugolino e alcuni de’suoi contemporanei (cap: XXXVIII) che come lui lavorarono alla parte teoretica del romano diritto. I. Ugolino (Hugo, Ugo, Hugolinus, Hugelinus) porta in alcuni luoghi il cognome Del Prete (presbyteri, de presbytero) da Uguccione prete di sua famiglia che ebbe gran fama. Con- temporaneamente a lui e dello stesso lignaggio visse un altro Ugolino che fu legista ma non lettore e che potrebbe confon- dersi col nostro Ugolino. La sigla di questo glossatore è sempre la h e per essa le sue glosse distinguonsi da quelle di Ugo della Porta, la cui sigla dicemmo essere 7, Ug , Ugo. Fu bolognese, impiegato negli affari della patria e, come Azzone , scuolare di Giovanni. Tra’snoi discepoli risplendono i chiari nomi di Rof- fredo, Iacopo Ardizzoni , e Odofredo. Molto operò Ugolino non 148 solo come lettore , scrittore e giudice, ma eziandio come amba- seiator di Bologna in Roma, Firenze e Reggio. Della sua vita poco sappiam di certo. Pare che fosse molto amico ai frati do- menicani avendo regalato a S. Domenico lire 200 per la fabbrica del suo convento in Bologna. Da un racconto non troppo cre- dibile che il Diplovatazio fa dietro Baldo avrebb’egli avuto commercio illecito con la moglie di Accorso , onde tra’ due pro- fessori nacque la tanta inimicizia che portò al bando di Ugo- lino (9). Della sua morte sappiam soltanto che non accadde pri- ma dell’anno 1233 perchè vien rammentato in un documento di quell’ anno, e, come Iacopo Ardizzoni attesta aver lui soprav- vissuto ad Azzone, è certo che non potè venir morto da questi. Il suo sepolero dicesi che fosse nel duomo di Bologna. Erede di se lasciò l’unica figlia Feliciana. Gli scritti di Ugolino sortiron fato singolare che pochi sol- tanto ne fossero stampati e questi per errore attribuiti ad altri. Di lui conosciamo principalmente : le Glosse , la Somma dei Di- gesti, la Somma del codice, distinzioni, questioni, una colle- zione di controversie, ed appendici alla somma di Azzone. 1.° Le Glosse da lui scritte a tutte parti del corpo civile, meno le no- velle, hanno foggia di un proprio e vero apparato, e quelle al- 1 Inforziato si reputarono dall’ Odofredo come il migliore di tutti. Nel Digesto nuovo cita antichi scrittori (come la Topica di Ci- cerone , Vegezio e Virgilio) il decreto e i proprii scritti, talchè questa al Digesto nuovo sembra l’ ultima opera che conducesse o almen ripulisse. 2.° La somma dei Digesti è per dir vero in- feriore alle altre somme della grande anzidetta collezione, ma in alcune sue parti è stupenda. Ve n’ ha molti MSS. e fu stam- pata nel 1484 con la somma di Azzoue (ro). Questa opera di Ugolino per vari equivoci notati dal Savigny venne attribuita a Gio. Bassiano, a Gio. de Deo, ad Azzone e ad Irnerio , ma che sia di Ugolino è certo. perchè quì spesso abbiamo la sua sigla (4); perchè in un antico catalogo dei MSS. di S. Vittore in Parigi dove apertamente si descrive un testo a penna della grande col- lezione di Somme leggesi: Azonis Summa codicis. Item quaedam parva Summa super certis titulis. Quaedam Summa extraordi- naria a domino Ugolino composita. Azonis Summa institutionum Io. in Auth. cum addition. Accursii e finalmente perchè in un luogo della Somma (Tit. de adquir. hered.)l'autore rinvia a due (9) Diplovat. N.° 62 manca nel Sarti. (10) Papiae. in fol. Christ. de Ganibus etc. 149 passi di altre sue opere, e queste indubitatamente sono di Ugo- lino. 3.° Che una Somma al codice fosse scritta da Ugolino si raccoglie da altri suoi libri, ma non se ne ha MSS. 4.° Le sue distinzioni sono mere e proprie glosse a vari passi staccati del codice e dei Digesti, e perchè scritte in forma di distinzioni , han questo nome che non si addice a tutte. Di queste distinzioni se ne dà saggi all'appendice III di questo volume tratti dal Sa- vigny dal parigino MS. N.° 4605 di queste distinzioni (11). 5.° Le questioni di Ugolino sembra che anco a mente di lui formassero una collezione , e tal son certo nei MSS. ove si appellano ora quae- stiones, ora quaestiones insolubiles, ed insolubiles. Al Savigny pare che siano tredici di numero. Non vi si citano altri scrit- tori, ma bensì i decretali, ed è un’opera di piccol momento. 6.° La collezione delle controversie (diversitates, dissensiones dominorum) è uno dei principali lavori di Ugolino e ne parle- remo tra poco al cap. XLI. 7.° Le giunte alle somme di Azzone vennero rammentate di sopra in parlando di Azzone. — Che poi Ugolino lavorasse una X collezione al Volume sì è detto altra volta (12). II. Niccolò Purioso fu zelantissimo e benemerito discepolo di Gio. Bassiano. In un parigino MS. (N.° 4601) stanno delle glosse o prelezioni al Digesto nuovo che probabilmente sono di lui vedendosi contrassegnate della sigla n. A lui si attribuiscono per errore glosse al libro de’ feudi. Si occupò anche di ragion canonica e l’Ostiense lo cita con biasimo. Alberico nomina in due luoghi un Niccolò da Cremona dottore in Decretali che pare appunto essere il nostro Furioso, avvegnachè a lui diasi per pa- tria Cremona. I III. Lanfranco da Crema fu di quei professori che nell’an- no 1203 emigrarono da Bologna al nuovo studio di Vicenza. Tor- nò poscia in Bologna e vi morì canonico nell’anno 1229. Il Sa- vigny si accosta al Diplovatazio contro ;il Sarti a credere che fosse lettore di ambe le leggi per motivo delle glosse che ne ha vedute in molti MSS. parigini dei Digesti, ove si riferiscono le dichiarazioni di Lanfranco, le quali pongono fuori di dubbio che fu civilista, come le citazioni dell’Ostiense lo dimostrano ca- nonista. E così Lanfranco sarebbe un antichissimo esempio della unione delle due facoltà nello stesso lettore e scrittore. (11) Altri MSS. di queste distinzioni citansi dal Savigny a pag. 59. Il ci- tato parigino MS. ne contiene 151, ma varian tra loro nel numero. (12) Art. 3 pag. 33. 150 IV. Cacciavillano prestò nel 1199 il solito giuramento (13) dei professori bolognesi. Nondimeno lasciò quella città per an- dare a leggere in Vicenza, ma ritornò a Bologna pochi anni dopo. E nominato come lettore dal celebre suo scolare Roffredo. Fece, come dicemmo, delle aggiunte alla Brocarda di Azzone che si hanno a stampa e contraddistinte per la sua sigla Caz o Caza. V. Guizzardino fa di Bologna ed impiegato negli affari di questa patria. Prestò giuramento nel 1206 (14) e morì nell’an- no 1222. Si hanno nei MSS. glosse di lui al codice e al Digesto nuovo con la sigla Gz, Wz, Wiz. VI. Alberto da Pavia lesse in Modena dall’anno 1211 insino all’auno 1240 secondo la fede d’ importanti documenti relativi ad affari legali. Il Sarti lo dà senza prova anche per lettor Bolo- gnese. Il Diplovatazio gli ascrive acutissime lezioni sopra il co- dice e i Digesti, e riferisce luoghi di antichi scrittori che lo ci- tano e lo contrappongono anche ad Iacopo Baldovini suo con- temporaneo. Aggiunge il Diplovatazio che Uberto da Bobbio rag- giustò gli scritti di Alberto e che egli stesso possedea siffatte riaccomodate prelezioni sul codice. In un MS. parigino del Di- gesto nuovo (N.° 4458) si veggono molte glosse con la sigla al pa che si addicono al nostro Alberto, il quale vi cita Uberto da Bobbio. Nello stesso MS. stanno anche glosse di Omobono che cita Alherto e lo chiama suo maestro. VII. Iacopo di Ardizzone fu veronese, come egli stesso dice, scuolare di Azzone e di Ugolino, e fiorì ai tempi di Federigo II Imperatore da lui rammentato (15) , onde la età che gli assegnano il Papadopoli e dopo lui il Maffei ed il Mazzucchelli è mani- festamente sbagliata. Fondò la sua fama in un lavoro al libro de’ feudi, in aggiunta al quale avea riunito un numero grande di estravaganti al dritto feudale, passate poi nelle moderne edi- zioni che abbiamo del gius feudale longobardico. Si distingue dagli scritti de’ glossatori in questo che conosce e nota parecchi libri di diritto germanico. Ve ne ha dei MSS. in Parigi citati dal Sa- vigny in un con le varie edizioni a pag. 78: scrisse ancora in dritto romano e ne è prova quella elaborata Somma al titolo del codice de Decurionibus che vien dietro al Piacentino e al Pillio, ma è del nostro Iacopo, poich’egli stesso rammenta altrove questo (13) Ap. Muratori Antiq. III pag. 902. (14) Ap. Sarti II 70. (15) Summa Feudor. G. 137 in f. abi suo lavoro (16). Cita egli inoltre una sua Somma ad un titolo dei tre libri non pervenuta a noi, e nella detta Somma de De- curionibus ricorda altri suoi lavori sul codice. Che poi fosse an- cora lettore ce lo attesta lo stesso Iacopo in principio della sua Somma de Decurionibus, ma dove insegnasse non ci ha soddisfa- ciente autorità che lo dica. VIII. Lacopo Colombi è quello tra i legisti del medio evo in- torno la vita e gli scritti del quale sianvi più dubbi. Da parec- chie testimonianze di altri giureconsulti addotte dal Savigny ab- biamo che un Colombi visse, che dichiarò i libri del gius e se- gnatamente il codice o in glusse o in prelezioni, e che i lavori suoi correvano nel sec. XIII come libri. Essendo lui nominato in un col Piacentino, Giovanni, Azzone, e Lanfranco può con- ghietturarsi che vivesse nella prima metà del sec. XIII. Secondo altre memorie un Iacopo Colombi o Colombini, od un Colombo avrebbe trattato il gius feudale, fattevi delle glosse e migliorato inoltre la Somma del Pillio. Il Diplovatazio poi credè ci fossero due Colombi, l'uno civilista (Columbus) e l’altro feudalista (Lac. Columbi). Al Savigny peraltro sembra che fossero una sola e istessa persona, e crede ravvisar lui anche sotto l’altro nome di Goffredo o Jacopo Goffredi (17). Ad Iacopo e non ad Accorso si attribuisce la glossa ordinaria de’ feudi, ma siccome nei MSS. e nelle edizioni la sigla di Accorso si trova apposta anche alle glosse del gius feudale pare al Savigny verosimile che Accorso trovando già fatta da Iacopo la Glossa de’Feudi si attenesse a questo lavoro, facendovi soltanto delle giunte e variazioni che gli apparvero bastanti per poter mettere la sua sigla a tutta la glossa. Alvarotto e Giasone danno Reggio per patria di Iacopo. Il vocabolario del gius e Mencuccio , che ne ordinò la glossa al libro de’ Feudi, Bologna. Nel cap. XXXIX si ragiona di Iacopo Baldovini ed alcuni de’ suoi contemporanei. I. Jacopo Baldovini ( Balduini, de Balduino, nome di suo pa- dre) si cognomina per alcuni da San Barbaziano, ma. senz’al- cuna istorica testimonianza che lo accerti. Fu di nobile fami- glia, come dimostrano le cariche da lui sostenute in Genova, e bolognese, come rilevasi dal protocollo dei giuramenti (an. 1213) (16) Summa Feudor. GC. 137 verso la fine e Summa de Decurion. verso la metà. (17) Si appoggia principalmente alla GL. 1 Feud. 7. Sed Iac. Goffredi alias Columbi hane glossam non habet. 152 dalle gravi bisogne in che si travagliò per questa repubblica, e dalla fede che ne fanno Iacopo de’Ravani suo scuolare , e Cino scuolare di questo Iacopo. Prestò il giuramento di pro- fessore nell’anno 1213, ma precedentemente era stato eletto ar- bitro in una lite che s’agitò tra l’arcivescovo di Ravenna e la città di Cesena. Il Panzirolo esagerando i detti di Odofredo (18) lo accagiona di essere stato cattivo cittadino, perchè prese a di- fendere la causa di un privato contro il suo comune, quantun- que membro del consiglio. Eletto a potestà di Genova cessò per due anni dalle sue lezioni. Zelantissimo - della sua carica pro- cacciò tanta fiducia che a li si diè la cura di riformare le leggi della città, per la qual distinzione levatasi contro l’insidia di parecchi membri del consiglio impedirono costoro con un popolare tumulto che fosse dipoi confermato nella sua carica. Fu scuo- lare di Azzone , ma talvolta tenne in gius opinion contraria al maestro , ed ebbe tre celebri scuolari Odofredo , 1’ Ostiense (in dritto civile) e Iacopo de’Ravani. Secondo il necrologio (19) morì nell’anno 1235 pochi anni dopo Azzone suo maestro. Gli scritti di Iacopo Baldovini parte sono essegetici e parte toccano alla procedura. 1.° Che Iacopo Baldovini conducesse la- vori essegetici lo abbiamo da Odofredo che spesso cita le sue pre- lezioni, le quali per la fama grande dell’autore furono probabil- mente in corso. Pare inoltre che egli scrivesse alcune poche glosse, ma quelle che vanno come giunte alle glosse di Accorso debbono essere estratti od appendici che altri posero alla glossa di Accorso, troppo giovine e di poco nome quando visse Iacopo, perchè questi volesse da se apporle alla glossa di lui. Non si scorge che Accorso ricevesse nella sua glossa quelle di lacopo , altra prova che non furono nè molte in numero nè di gran prezzo. Il detto del Tritemio che questo Iacopo scrivesse de’ commen- tarii ai tre digesti non ha fondamento , come non lo ha ne an- che il detto del Diplovatazio che commentasse il Digesto vecchio ed il codice. Si desidera poi di vedere quella stampata edizione bolognese de’suoi commentarii rammentata dal Lipeinio senza citar l’anno della edizione. Toccante alla procedura scrisse inoltre Jacopo 2.° Un libretto per la istruzione degli avvocati ( Libell. Instruct. Advoc.) che non pare gli fosse dato di condurre a fine, posciachè tratta soltanto dell’ azione; nè il difetto può dipen- dere dalla imperfezione dei MSS., i più di quelli riscontrati dal (:8) Odofr. iu Dig. Vet. L. 106 1 de postulando. (59) Sarti P. II pag. 197. 153 Savigny coincidendo al principio e alla fine. 3.°, Del 1.0 e 2. Decreto scrisse prima Iacopo un trattatello che poscia accrebbe, e di che molto si giovò il Durante in quella parte della sua ope:- ra che tocca di questi due gradi della missione in possesso. Un parigino MS. (N.° 4604) combina nell’insieme aile ediziuni (20) che se ne hanno, sennonchè in fine sonovi undici righe di più. 4° Dei rimedi contro la sentenza (MS. parig. N.° 4604 f. 74). 5.° Delle confessioni: una distinzione su quest’ ultima materia attribuendosi a lui dal Durante (21). II. Tancredi Decretalista fu di Bologna, ma scambiato alcu- ne volte col più moderno Tancredi da Corneto. Nel 1214 lo si rammenta come un soggetto ragguardevole e Decretorum Mu- gister. Fu canonico del Duomo di Bologna ed elettone nel 1226 Aicidiacono da Onorio III per comporre la lite insorta nel Ca- pitolo rispetto a!la scelta per tal dignità. Bologna e il Papa lo impiegarono in affari assai rilevanti. A lui mandò Onorio JII la V. collezione delle Decretali acciò vedesse che fosse adoperata nelle scuole e nei giudizi. Suo maestro fu Lorenzo Canonista, e in diritto romano udì Azzone. Non vi ha prova che abbia vis- suto e letto in Parigi ed ivi scritte le sue opere, il che dedu- cono alcuni dal vedere che spesso cita gli esempi e le monete di Parigi: tutto al più crede il Savigny che Tancredi visitasse da giovine quella famosa scuola teologica. L’ anno di sua morte igno- LU rasi, ma più non si vede rammentato nei documenti posteriori all’anno 1234. Scrisse Tancredi 1.° un Sistema di procedura ( Ordo judi- ciarius) fondato sovra il dritto civile e canonico , e partito in IV libri. Quest’ opera si riporta per terza da (zio. d’ Andrea laddove espone la procedura: se ne ha moltissimi MSS. e varie edizioni che dal Savigny si citano a pag. 111-113. Fu Ja medesima di poi raffazzonnata per Bartolommeo da Brescia, il quale secondo Gio. d’Andrea avrebbe lasciato tale quale il testo, e sostitnito sol- tanto alle citazioni del!e antiche raccolte di Decretali le nuove. Ma dietro l’esatto confronto del lavoro di Bartolommeo con l’o- pera originale istituito dal Puchta professore a Monaco ne ac- certa il Savigny che Bartolommeo abbreviò l’opera nei partico- lari, omettendo per esempio le eccezioni alla regola e rinviando ai citati senza riferirli. Le altre mutazioni poi son queste che egli alcune parole e alcune citazioni , caogiò , aggiunse o levò ad ar- (20) Tra le altre V. Tractat. Univ. Iuris. Venet. 1594 T. 3 P. a f. 136. (21) Spec. Lib. 2 ‘Tit. de Confess. $ 3. T. VI. Aprile. 20 154 bitrio. Onde il lavoro di Bartolommeo non pare avesse scopo di- verso da quello di molti altri suoi scritti, che fu di sostituire con poca spesa e meno fatica il suo nome a quello di un frut- tuoso scrittore. Un ms. parigino (n.° 7347) contiene la versione di Tancredi in antica lingna francese , e il Gottsched ne posse- deva un altro in antica lingua tedesca (22). In Parigi vi ha pure una glossa anonima a Tancredi, ma condotta a guisa di separato lavoro. Che 1’ opera di lui fosse scritta sol dopo l'a. 1234 e non nell’a. 1227 lo prova il Savigny per le molte citazioni delle De- cretali di Gregorio IX che vi ha osservate nel molto antico e buon testo a penna del Biener, illustre professore di diritto in Berlino. 2.° La Somma del matrimonio fu scritta da Tancredi ve- rosimilmente intorno all’ a. 1210, e venne dedicata a Ottone pre- posto di Gurk. Gio. di Andrea ne dice essere una molto breve e bene ordinata spusizione del IV libro delle Decretali, teoretica | e non pratica. I mss. e le edizioni della medesima citansi dal Sa- viguy a pag. 118-119. 3.° L’apparato a tre antiche collezioni (I. IT. HI.) di Decretali fatto da Tancredi si rammenta da Gio. d’ Andrea e dal Diplovatazio (23), onde per errore il Sarti (II. 31 ) lo credè sconosciuto a tutti. 4.° Scrisse finalmente Tancredì un Catalogo ( Provinciale ) di tutti i vescovadi secondo 1’ ordine delle provincie trovato dal Gessner ( Bibl. f. 607) in un ms. Oltre a queste opere altre se ne attribuiscono a Tancredi , che il Savigny dichiara o spurie, o come errate citazioni delle pre- dette, ed una ( Summa quaestionum o Compendiosa ) è opera di Tancredi da Corneto. III. Bagarotto, che molti de” moderni donarono del prono- me' di Vincenzo , Domenico e Gottifredi fu della famiglia dei Corradi e probabilmente di Bologna, come parrebbe dagli inca- richi da lui sostenuti per questa città. Nei documenti del 1200 e 1202 ha il titolo di giudice e dopo l’ a. 1206 vi si ricorda come Legum Doctor. L’ ultimo documento che lo rammenti vivo è dell’ a. 1249, e verosimilmente morì pocostante e vecchissimo. Chi fosse il suo maestro s’ ignora ; de’suoi scolari fu certamente Odofredo. Gli scritti di Bagarotto che nell’ insieme riguardano alla pro- cedura sono riechi per la materia e ben lavorati. Il Savigny ne (22) Io. Ghr. Gottsched , Programma de antiq. versione theotisca mag. Tan- credi. Lips. 1750. 4. (23) Jo. And. Alani. . . et Tancredi glossas abundanter habemus. Diplov. num. 67. Glossavit Antiquas collectiones Decret lium. 155 discorre distesamente, perchè nei miss. giacciono in tal confusio= ne da prendere di gravi abbagli (24). Si diparte il Savigny dalla assai precisa notizia di Gio. d'Andrea, il quale narra come Baga- rotto scrisse due opere; la prima che incomincia: Precibus et instantia riguarda alle eccezioni dilatorie e tratta innanzi tutto dell’ attore. La seconda principia con le parole cum periculosum sit mihi e tratta sulle prime della ricusa del giudice. Gio. d’An- drea dà a questa seconda opera il titolo di Cautele ( Cavilla- tiones ) che il Savigny dimostra convenir meglio alla prima. La detta seconda opera coincide poi siffattamente a quella: de prae- ludiis: di Uberto di Bonaccorso , che uno dei due dovè invo- larla all’ altro. Fece Bagarotto anche un terzo opuscolo ( de re- probatione testium ) che incomincia : testium falsitati et varie- tati... obviare sanctum est: ed è stampato nelle due grandi collezioni di trattati stampati a Lione e a Venezia (25). A luisi attribuiscono altre opere equivocate con le già dette, ed il Li- penio ne cita glosse , prelezioni e questioni a stampa che non esistono. Il Savigny non incontrò mai nei mss. glosse di Ba- garotto. IV. Uberto da Bobbio era già professore a Parma nell’a. 1214 e nell’ a. 1227. Nell’ a. 1228 fu inviato a fermar pace per quella città con Cremona. Poco dopo andò a leggere in Vercelli , e quì sarebbe stato consultato sopra la questione di stato ; se la Regi- na Bianca dovesse perdere o nola tutela di Luigi re di Francia che fu santo , perchè non poteva dare idonei mallevadori (26). Nell’ a.. 1234 vedesi professore in Modena e nell’ a. 1237 di bel nuovo in Parma professore a un tempo ed in pubblica carica. Qui ebbe egli a scuolare Simone di Brion che fu poi Papa Mar- tino IV. In un documento del mese di Giugno dell’a. 1245 lo sì rammenta come già morto: fu seppellito in san Giovanni di Parma. Scrisse Uberto 1. G/osse 0 prelezioni (Lecturae) al Dig. Vec- chio e al codice che in alenni mss. parigini si videro dal Savi gny munite della Sigla Z%. do. 2.0 Una teoria della procedura ( Cavillationes sc. Libellus) raffazzovata poi da Gio. de Deo. (24) I mss. si novertano dal Savigny a pag. 127-128. Le due edizioni del- ‘ l’opera: Precibus etc. stà nelle Collez. dei Trattati Lugd. 1545 T. 9. f. roo. Venet. T.. 3. P. 2 f. 108 ma sono difettose alla fine. Nell’ Appendice V il Sa- vigny corregge il principio di quest’ opera secondo i mss. (25) Lugd. 1549 f. T. 5. £. 253. Venet. 1584 T. 4. p. 298. (26) Alberic : in C. L. 27 de Episc, Aud. 150 3.° Delle posizioni (27): 4.° Questioni e determinazioni per quanto dice il Tritemio. Secondo il Diplovatazio avrebbe eziandio raggin - stati gli scritti di Alberto da Pavia. V. Uberto di Buonaccorso modenese fu scolare di Azzone e si ricorda professore in patria dai documenti negli anni 1231, 1234 e 1236. Scrisse: De praeludiis Cansarum : opera che fu detto coin- cidere con l’ altra Cum periculosum ec. di Bagarotto , e che Gio. d’ Andrea riporta per sesta tra le stupende in procedura. Se ne ha un ms. in Roma nella Barberiniana (n. 578) un altro in Pa- rigi (Coll. S.* Germ. n° 1368) e quattro edizioni. 1l Tritemio gli attribuisce ancora alcune cose scritte intorno ai giudizi. VI. Bernardo Dorna provenzale fu scuolare e amico di Az- zone e scuolare eziandio di Ugolino , e professore in Bologna an- che ai tempi del suo maestro Azzone. Scrisse : de libellis et conceptione libellorum: accomodata- mente alla pratica, nella quale opera seguita l’ ordine di Gio- vanni nell’ Albero delle azioni, di modo che può considerarsene come il commentario pratico ; e poichè si giova poco del gius ca- nonico , così disvelasi che professò dritto civile. Una delle sue Questioni si rammenta da Azzone (28) che cortesemente lo rim- brotta per non avere ben trattato il suo suggetto e mescolatovi fuor di proposito della poesia. i VII. Ponzio di Lerida fu professore in Bologna com egli stesso dice. Fece all’ albero delle azioni di Giovanni nn Commentario che incomincia : Quoriam , ut ait Seneca , fragilis est hominum memoria. Se ne hanno dei mss. dal Savigny veduti e notati a pag. 145. VIII. Grazia di Arezzo si novera dal Durante tra gli serit- tori di procedura. Nei documenti di Bologna si rammenta spesso un Grazia professore in dritto romano che fin dall’ a. 1206 è detto Magister, e mel 1213 Magister Decretalium, primo esempio che abbiasi di cotal titolo. A_ Grazia sono indiritte parecchie De- cretali d’ Innocenzo III e di Onorio SMI. Nel 1218 era cappel- lano del Papa nella corte romana ; nel 1219 arcidiacono di Bo- logna, e tale si ricorda infino all’ a. 1224. Al tempo ch’ egli ne cuopriva la carica vedesi accordato all’ arcidiacono di Bologna l’ eminente privilegio che tutte le promozioni abbiausi a fare con (27) Tractat. Venet. 1584. T. 4 f. 7, (28) Az. Quaest. n. 11. 157 suo beneplacito (29). Dipoi nell’ a. 1224 vediamo scelto a vesco- vo di Parma un Grazia che da un vecchio cronista è nominato per Fiorentino. Vuole il Sarti che questi Grazia siano una istessa persona. Ma il Fattorini sull’ autorità del Monti tiene che fos- sero due Grazia, 1’ Aretino autore del libro toccante la proce- dura e professore, e il Fiorentino arcidiacono e poscia vescovo. IX. Damaso , Damasio o Damasco dal Durante si dice Boe- mo, dal Diplovatazio Ungaro. Che vivesse in Bologna lo attesta un ms. parigino ( n.° 3925 ) delle sue opere intorno all’ ordine dei giudizi. Scrisse Damaso. 1.° Dell’ ordine dei giudizi 2-° Una Bro- carda o Regole Canoniche , che son pel dritto canonico ciò che pel civile è la Brocarda di Azzone, e se ne han quattro edizioni. 3.° Una Somma allu prima collezione dei Canoni 4.° Questioni sopra le Decretali , allegate da Gio. d'Andrea. 5.° Istorie sopra il libro dei Decretali (secondo il Diplovatazio ) che più spesso van sotto il nome di Bartolommeo da Brescia che il Sarti crede se le sarebbe appropriate raffazzonnandole. «X. Eilberto da Brema tedesco insin quì sconosciuto scrisse in esametri un libro sulla procedura (30) dedicato a Wolfkero vescovo di Padova che tenne questa sede tra il finire del XII ed il principiare del secolo XIII. XI. Anselmo da Orto fu figlio del celebre Uberto, cui de- dicò lo scritto con che incomincia il secondo libro de’ fendi. La- vorò un libro: de /Instrumento Actionum: descritto dal Sarti (I. 66) ma solo in quelia parte che rappresenta in superbo quadro 1’ università di Bologna, e non per ciò che riguarda alla scienza ed alle relazioni del libro con le altre opere di gius precedenti e contemporanee. Al Blume, il quale ne vide un ms. nella Vaticana (772 f. 85-91), parve trattare delle azioni. ‘ Nel capo XI racconta il Savigny le vite di tre Napoletani Legisti, Carlo di Tocco , Roffredo di Epifanio e Pier delle Vigne. I. Carlo di Tocco (la cui sigla è K. Ka. C. Ca. e il cogno- me ora Toccus, ora de Tocco e Cottus per traspusizione ) na- cque in Tocco terra vicina a Benevento e fu cognominato anche Siculo, avvegnachè del regno delle due Sicilie. Suo padre il cui nume ignorasi , fu anch’ egli legista (31). Dal suo libro sappiamo che Carlo udì quattro maestri , il Piacentino , Cipriano , Giovanni (29) V. Art. III pag. 41. (Antolog. N.° 101). (30) Ms. Bibl. di Vienna Ius. Can. N.° 119. (31) Karolus in Lombarda I. 5. 1. 158 e Ottone, e un quinto poi che nelle errate edizioni si chiama Bartolo pare che sia uno sconosciuto Bartolommeo glossatore della Lombarda : scuolare di lui fu il celebre Roffredo. fostenne Carlo la carica di giudice in Salerno, ma non correndo gli an- ni 1160 e r162 come taluni vogliono con manifesto anacroni- smo ; nè fu tampoco giudice della Gran Curia in Napoli lo che di Imi si disse forse, come conghiettura il Sarti, in iscambio di suo padre. Carlo fu professore in Bologna e in Piacenza. Si hanno di lui: 1.” G/osse ma poche al gius romano, dal Savigny vedute in vari mss. noverati a pag. 159. 2.° Somme, a detta del Diplovatazio ; 3.° E un Apparato alla Lombarda (*) che nelle edizioni stà in margine del testo. Quasto apparato (0 glossa ) è l’opera che procacciogli gran fama, e della quale il Savigny desidera una più corretta edizione ad emenda degli errori e delle interpolazioni che stanno nelle precedenti per difetto dei mss. e col- pa del primo editore. Cita Carlo in questa opera parecchi de’suoi predecessori e contemporanei, Irnerio, Bulgaro, Alberico, Ugo Aldrico, Rogerio, Vacario , Azzone , Gio. Bassiano , Cipriano (e non Cino ) e i suoi già detti maestri. JI. Roffredo d’ Epifanio, ( Roffredus , Roffridus) c che taluni scambian con Odofredo ed altri pariiscono in due Roffiedi , fa com’egli stesso dice di Benevento (32). Udì sette professori da lui mentovati , cioè ; il Piacentino, Giovanni , Ottone, Cipriano , Azzone, Carlo di Tocco , ed Ugolino , onde è manifesto che stu- diò in Bologna, ma se anche altrove ignorasi. Lesse dapprima in Bologna e poscia in Arezzo dov’ era professore non più tardi al- meno dell” a. 1215 (33). Lasciata Arezzo vedesi nell’ anno 1219 andare in un cogli oratori bolognesi a Pistoia per ajutarli a fer- mar pace tra Bologna e Pistoia. Nella incoronazione di Federi- go II e nell’a. 1220 era in Roma al servizio dell’ imperatore e in quella città trovossi anche negli anni 1224 e 1227. Abbando nò poscia l’ imperatore e si voltò alla parte di Gregorio IX che in una circolare d’incerto anno lo appella clericum camerae no- strae (34) onde può credersi che Roffredo, la cui moglie Truc- cia rammentasi in quella inscrizione dell’a. 1233 (e non del 1230) che stava nella chiesa da questi coniugi donata ai Domenicani (*) V. Appendice. (32) Libell. j. civ. P. I. Tit. qualiter lib. sit. concip. e Tit. Quae deb. con- tin. lib. (33) V. più sotto pag. 161. (34) Sarti P. II. p. 122 not. c. % 159 di Benevento; fosse già vedovo. In corte del Papa spedì molti affari legali da lui stesso ricordati e nel 1241 Federigo II avendo presa Benevento invitò Roffredo a tornare al suo servigio , invito che gli fu ripetuto ancora da Pier delle Vigne (35), ma pare che si tenesse fedele al pontefice. Tanto di Roffredo dice il Sarti. Rileva per altro il Savigny come nell’ intervallo di questi anni spesso si rivegga Roffredo in Benevento : posciachè nell’ a. 1222 vi mempérò una casa e terreni per 76 once di oro: nel 1236 fu tra’ giudici della città che giurarono l’ osservanza dei nuovi sta- tuti. Nel 1233 fabbricò con la sua donna Truccia la chiesa do- nata ai Domenicani : e a Benevento pur si ricorda in parecchi al- tri documenti, l’ ultimo dei quali è dell’ a. 1237. Roffredo viveva ancora nell’a. 1243, poich’ egli narra la elezione di papa Innocen- zo IV accaduta in quest’ anno. Poco dopo morì e molto vecchio in Benevento ; ma l’ anno di sua morte è omesso nelle iscri- zioni sepolcrali che, in un con l’altra di donazione dalla primiti- va chiesa dei Domenicani fuor Benevento , passò nella nuova che è dentro la città. Le opere di Roffredo che a detta del Ficardo e del Panci- rolo, i quali in ciò lo scambiarono con Odofredo , sarebbero piene di facezie , si redarguiscono piuttosto dal Savigny perchè condotte in modo non troppo scientifico, quantunque per la copia della materia siano di molto utili ed istruttive. Dividonsi dal Savigny in tre classi e sono : Illustrazioni delle fonti del gius : Vaste opere pratiche : Opuscoli pratici. Alla prima classe ( illustrazioni delle fonti del gius) appartengono 1. Le g/osse delle quali una ape pena ne vide il nostro A. che sicuramente fu di Roffredo e viene esibita nell’ appendice VI a questo volume. 2.° Le prelezioni a quattro libri del Codice che stanno nel ms. parigino di n.° 5436, e quantunque ivi sieno attribuite a Giovanni il Saviguy le re- stituisce a Roffredo anche perchè munite spesso della sua sigla A. Quanto in detto ms. ci ha di Roffredo ( perchè alcuni quiderni paiono d’ altro autore ) dal Savigny si reputa quel che di me- glio ci sia giunto da questa età in illustrazione dei libri del gius; ed è inoltre molto importante ed utile per la storia dei dogmi, avvegnachè spessissimo ivi si riportano le altrui opinioni col no- me dei respettivi autori. 3.° Le prelezioni al Digesto nuovo, di che un frammento si conserva nel ms. parigino n.° 4601 (f. 38-46) che si stende dal titolo 2 infino al tit. 8 del. lib. 41 ed ha spes- sissimo la sigla A 0 Ro. — Alla seconda classe o alle grandi (35) Ep. lib. 4. 81. Ed. Basil. 160 » opere pratiche si riferiscono gli scritti intitolati : 1.° De lidellis et ordine judiciorum. 2.° Libelli de Iure canonico. Roffredo avea concepito di buon ora il disegno di una grande opera pratica intorno al R. Diritto: Una introduzione dovea rappresentare il si- stema della procedura e l’opera tutte le azioni co’ formulari re- spettivi a ciascheduna. Avea egli compita questa sua opera, che è la prima delle due suddette , quando venuto a Roma ideò la seconda che doveva contenere il formulario delle azioni secondo il gius canonico, ma non potè portarla a fine; ed è curioso a notarsi come nella prefazione e in fondo di quanto potè scrivere .si ricusa il titolo di Canonista. L’ unico rapporto che passa tra le due spere questo si è che insieme formano un gran lavoro intorno alle une e alle altre azioni, quantunque in origine la prima venisse ideata come un opera di persestante e completa , e non già come prima parte della seconda. In quella riguardò Roffredo all’ Albero delle azioni di Giovanni, e alla Brocarda di Pillio, ma più che alla Brocarda all’ Albero , ricevendo e com- mentando tutte le azioni di Giovanni ed accrescendone il nu- mero. Il disegno è a un dipresso simile a quello di Bernardo Dorna, ma non rilevasi se Roffredo conobbe 1’ opera di Bernardo e ne cavò partito. Nella seconda non pare che Roffredo seguitasse le tracce d° aleun suo predecessore. Le varie parti dell’ una e dell’ altra opera descrivonsi accuratamente dal Savigny. Quanto al tempo della prima, Roffredo nella prefazione dice che comin- ciolla in Arezzo città che chiama nobile e curialissima (36) : una formula della prima parte ha l’ anno 1227, un altra della parte ottava l’ a. 1235. In quanto al tempo della seconda dal suo prin- cipio raccogliesi soltanto che venne incominciata dopo 1’ ante- detta : una formola della sua prima parte ha l’anno 1236, e nella settima molte parlano dell’ a. 1237. Qui si rammentano le elezioni accadute dei papi negli anni 1241 e 1243, e Roffredo ci dice d’ aver lungamente lavorato intorno alle medesime opere. I mss. di queste si noverano dal Savigny a pag. 184 e 185. In que- sta seconda classe vengono ancora. 3.° Ze questioni Sabbatine ; rispetto alle quali narra nel proemio lo stesso Roffredo il co- stume de’ suoi tempi di far fondamento alle dispute ordinarie le questioni del Pillio, ond’ egli lavorò una nuova collezione , per- chè riputava più instruttivo di proporre veri casi di gius, anzichè finti come avea fatto Pillio. Cinquantaquattro sono le questioni (36) Lib. j. civ. Proem 4 et P. 1. Tit.Qualit. Lib. sit. concip. In et Tit. de Act. publ. - 101 di Roffredo, il quale per assicurarsi d’ogni plagio scelse in guisa la prima lettera di ciascheduna questione, che combinate insieme dicono : Roffredus Beneventanus juris civilis professor factor operis. Questo libro fu cominciato e finito in Arezzo e nella prefazione vi ha l’anno 1215 come il tempo o della composizione o ‘del suo principio. I mss. e le edizioni di quest’opera si ricordano secondo il solito dal nostro A. a pag. 187 e 188. Alla terza classe degli Opuscoli pratici appartengono gli scritti. 1.° De pugna che tocca le contradizioni del gius longobardo ed essere di Roffredo espressamente il dicono Jacopo Ardizzoni, Alberico e a ben leg- gerla la glossa ; e ad esso parimente accennano quei due mss. pa- rigini ( N. 4489 f. 104 e N. 4604 f. 76 ) in che l’ autore, celando il nome, chiamasi Beneventano e scuolare di Carlo Beneventa- ino. Questo opuscolo fu dall’ autore suo diviso in XII capi per analogia con le XII once della eredità, le XII tavole, e i XII apostoli. 2.° De positionibus : ed è quello che nella grande colle - zione dei Trattati per errore ascrivesi a Odofredo Beneventano (37). 3.° De bonorun possessionibus (38): scritto in Arezzo da Rof- fredo (39) il quale trattò di bel nuovo questa materia nella sesta parte della sua grande opera dei Libelli. 4." Una somma de actio- nibus, preludio quasi alle altre grandi sue opere e con la quale molti moderni scambiano l’altra che gli attribuiscono ed intito- lano: summa juris o juris civilis. Altre opere si assegnano a Roffredo ma per errore. III. Pier delle Vigne nacque in Capua di basso lignaggio, e forse da un vignaiuolo come indica il suo nome, e la tradizione che campasse in Bologna di elemosine quando era scuolare. Gui- | do Bonatti, autore contemporaneo ; dice di lui che dopo avere | studiato in Bologna fu prima notaio e poscia protonotaio appresso | Federigo II, Studiate allora le leggi diventò giudice della Gran Curia. In un documento dell'a. 1248, e così poco avanti la sua morte, è detto: Imperialis Aulae protonotharius et Regni Siciliae Logotheta (40). Che si levasse alto in grazia dell’imperatore, acqui- stasse molte ricchezze ed una grande importanza nei pubblici af- fari è chiaro per le sue lettere. Vuole il Sarti, ma senza fonda- mento , che studiasse leggi in Bologna. Il Savigny piuttosto crede che qui fosse ricevuto maestro d’ Arti; come pare anche dal ti- | (37) Venet. 1584. T. 4 f. 2. (38) Ms. Bambersg. P. II 17. (39) Io. Andr. in Dur. spec. Lib. 4 Tit. de Raptor. (40) Giustiniani p. 264. I T. VI. Aprile 2I | 102 tolo di magister che a lui vien dato nell’ epilogo del codice di Federigo. Nell’ anno 1249 caduto. iu) disgrazia fu spogliato dei beni e vuolsi che l’imperatore facessegli cacciar gli occhi e. si uccidesse da sè stesso in prigione. Le notizie per altro rispetto, alla suna disgrazia e morte sono di molto incerte e contradittorie. Delle sue opere nel dominio della istoria del diritto cade sol- tanto il codice! o libro delle costituzioni di Federigo, raccolte e or- dinate da Piero in Amalfi verso l’anno 1231 e pubblicate. lo stesso anno in Amalfi e il seguente in San Germano. La parte più rilevante di questo libro riguarda al gius pubblico ed è con- dotta in un ordine tutto nuovo e pregevole. La parte che concer- ne al giue privato è molto inferiore in merito. Rispetto a molti principj non tenne per necessario di cangiare le condizioni dei sud- diti, dimoduchè anche per questo codice i romani dovevano vi- vere secondo il gius romano i lombardi secondo’ il lombardo. In alcuni pochi luoghi è dettata una regola comune a tutti e segna- tamente per le prescrizioni, governate secondo le dottrine del ro- mano diritto. Dette così le vite dei glossatori che furono da Irnerio ad Ac- corso fa qui l’autor nostro; come dissi in principio, una breve pausa nel cap. XLI per dare una rivista alla scuola’ dei. glos- satori. ‘* La storia dei glossatori ( così l’A., i cui sensi io rendo adesso quasi parola per parola ) venne infin qui condotta per uno spazio di tempo di circa a cencinquant’anni. Ma verso la metà del sec. XIII un visibile mutamevto si operò nella letteratura legale. Infino a questo punto i grandi e generosi sforzi d’ ogni scrittore per procacciare una decisa originalità avean portato la scienza ad una grande e da lung’ ora smarrita altezza. Da indi in poi tutto si perde in una indefinita generalità ed invece della prerogativa insin:quì dominante si vede spendere ogni fatica in ammucchuare smisurata copia di materiali che s’ intralciano e di persestessi e quel cattivo metodo della espusizione. Siccome al tempo istesso companisce nella glossa di Accorso un’opera che tirando a sè tucta l’attenzione quelle mandò in oblio dei predecessori si po- trebbe essere inclinati a considerare quale effetto della medesi- ma quell’infausto cangiamento della nostra letteratura. Ma. se a così fatta causa non può attribuirsi tale effetto, come vedremo nei capitoli seguenti, nondimeno è certo che l’opera di Accorso dee riguardarsi come il segno d’ una distintissima separazione, In - tanto la importanza della discorsa età è tale che avanti di pro- seguir |’ istoria mi è mestieri di dettar su quella alcune generali 163 considerazioni. Di queste le toccanti agli estrinseci vennero già proposte nel II volume, sì perchè potevano anche ivi intendersi, e perchè dovevano agevolar la strada alla istoria dei particolari scrittori e delle loro opere: ma le altre che riguarilano alla in- teriore essenza non potean trovare suo vero luogo altrove che quì. ,) (Origine e Decadenza.) Come sorgesse e venisse in fiore la scuo- la de’glossatori per forza propria e senza che ci avessero prece- dentemente o scrittori o cattedre di giurisprudenza è già detto. Rimane adesso a considerare se i glossatori almen si giovarono del- la materia onde alimentavasi la pratica de giudizj, che attualmen - te riprendea vita ed era fatta onoranda per le nuove sue forme scientifiche; e si dee dire che nò. I Glossatori infatti non mirarono a rappresentare la pratica de loro tempi: essi fecersi avanti come riformatori addottrinati dai libri; toccava alla pratica di trarre ad utilità i loro migliori lumi. Nè a dir vero potevan questi venire ap- prezzati rispetto a que’ passi del romano diritto in che la muta- ta condizione dei popoli aveva di necessità vperato dei cangia- menti; ma sibbene in que’tanti e più frequenti casi rispetto a'quali il D. R. era rimasto od oscurato è speuto per la stupi- dità ed ignoranza degli andati secoli. Può dirsi che per questa prova dei glossatori s’ingenerasse quella rivalità tra la teo- ria e la pratica che d’allora in poi vestì multiformi sembiaa- ze, ma non cessò giammai; rivalità la quale secondo che è o drittamente o malavvedutamente governata , conduce o a-buono o a mal partito, così la scienza come la pratica. Anche i glossa- tori per la posizione da loro scelta corser pericolo di misconosce- re la sana indole della giurisprudenza e di ridurre a un vero passatempo lo studio da essi fatto sui libri; ma gli salvò e la pratica che sempre unirono allo studio del diritto, e la parte che (atteso il grado e la dignità di loro) poteron prendere ai pubblici affari. ,, » Notevolissima eziandio si è la regolarità dei progressi che in questo spazio di tempo fecersi di generazione in generazione. I posteriori scrittori prendevan sempre a loro modelli ed autori i precedenti che mai non furono nè trascurati nè male adoperati: si traea profitto di quanto essi avevano recuperato e si ponea per fondamento di nuove indagini , mai non ponendo impaccio ad ulteriori progressi esagerando l’ autorità dei nomi. Ma nelle età seguenti si fece appunto il contrario. Mentre ne’ primitivi e migliori tempi ogni lavoro s1 raggirava intorno alle fonti del gius, 164 da indi in poi si tennero in pari grado le illustrazioni traman- date da quella età, provviste com'erano di sragionati e scarsi rinvii alle fonti. Così accettossi come perfetto e si tenne saldo tutto quello e quanto nell’ edifizio di questi primitivi giorni ci avea di non finito o difettoso. L'esempio che era da imitarsi de’ predecessori , la indefessa indagine delle fonti con dritto e sano intelletto, si trascurò: all’opposto, ricevendo senza esame le loro opinioni ed illustrazioni, si usò di loro laddove non si doveva: e per tal guisa si rendè impossibile ogni progresso. ,, « Causa del male fu, come quasi sempre avviene in somi- glianti casi, che si lasciò la via retta per la falsa. E che ciò fosse accaduto anco avanti il termine del già discorso periodo di tempo è chiaro per la sua istoria. In tutto quel tratto d’anni noi considerammo come parte la più rilevante della operosità dei legisti, illustrare i libri del gius per via di glosse. Ora Ugolino fu 1° ultimo che ne scrivesse delle ragguardevoli tanto per la co- pia quanto pel valore intrinseco. Coloro i quali o contempora- neamente o poco dopo lui levaronsi in gran fama, Jacopo Bal- ovini, Roffredo ed altri, ne scrissero o poche o niuna; dimo- dochè anche avanti la metà del XII Secolo era cessata quella attività che insino allora erasi reputata come la più onorevole. Vero è che a quella sembra mancasse più presto il genio del vi- gore; posciachè lo stesso Roffredo, di cui non resta quasi veruna glossa, nelle sue prelezioni adopera l’ antico buon metodo, du- rato a quanto pare più lungamente nella scuola che nell’arte di scrivere . . .. ,, ( Indole Scientifica dei glossatori. ) “ Instituendo adesso il confronto tra i periodi di tempo rappresentati dal principio di que-. st’opera insino al punto attuale, vi si ravvisa la seguente note- volissima differenza. Nei primi secoli (del medio evo) venne con- servata appena la lettera del Romano diritto. .... per tramandarla ad una migliore età, e tal fù quella dei glossatori, i quali pro- cacciarono con ogni sforzo di addentrarsi nel vero senso degli antichi legisti paragonandoli e collegandoli e così ravvivando con l’antichità quello spiritual commercio che ha durato insino ai dì nostri. Punto di passaggio da un tempo all’altro segnano que- gli scritti in che si vede proposto e raggiunto lo scopo d’in- tendere alcune cose particolari, ma senza quel girar d’occhio che tutto abbraccia ; cioè la glossa torinese alle instituzioni , il Bra- chilogo e Pietro, e specialmente parecchie Glosse interlineari che spiegano una parola con un’ altra che era o più chiara o in voga 165 al tempo di chi ne usava. In questo rispetto si hanno precipna- mente da notare le glosse di Irnerio in che anco più chiaro scorgesi il suddetto passaggio... .. 3 « Venghiamo adesso a considerare nelle loro specie le opere dei glossatori. Di queste, alcune riguardano alla teorica, ed altre alla pratica della giurisprudenza. Le prime suddividonsi in es- segetiche e in dogmatiche. Le seconde in teorie di procedura e formulari. ,, « Le opere essegetiche si hanno da riguardare come la pri- ma e principale delle loro produzioni, aneo perchè la essegesi fù l'esclusivo oggetto dell’orale ammarstramento. Travagliandosi continuamente in questa i glossatori conseguirono la più vivifi- cante e consumata idea dei libri del gius, diehiarando i quali gli vediam sempre confrontare 1’ un testo all’ altro, e spesso con grande acutezza d’ingegno e prospero evento. Ma ciò che in par- ticolare dee considerarsi come nota caratteristica di molte glosse egli è quel mirar dritto al subietto tolto a dilucidare, che anche nel confronto copiosissimo di testi e di casi affini , mai non si perde nel vago e nell’indefinito. In questo punto essenzialissimo spesso dai glossatori addietro lasciansi i più dotti interpetri della scuola francese e olandese, ed anco i tedeschi potrebbero al dì d’ oggi impararci assai. Meritano poi la massima lode per aver conosciuto l’ importanza di un saldo fondamento critico alla es- segesi, onde lavoraron tanto a dare una corretta lezione del corpo civile (41) ed è sperabile che anco il material valore che, per noi hanno le loro collezioni di varianti verrà col tempo meglio ap- | prezzato e posto a profitto. ,, ‘« La essegesi portò ben presto ad opere dogmatiche, onde le più vaste e complessive sono le Somme, specialmente al codice ed alle instituzioni. Fra gli autori di Somme risplende. princi- palmente il Piacentino per la tanta sua penetrazione e sagacia in concordare i principj del gius. In questa classe vengono ezian- dio quelle opere che intorno ad alcune parti del gius ed in ispe- cie alle azioni. veggonsi lavorate con un sistema : sennonchè la stessa loro essegesi che procura di ridurre ad un sol punto di vista una quantità di sparpagliati luoghi del gius ha già un deciso e distintivo carattere sistematico. Sopratutto poi ne” loro lavori splende la cognizione delle varie direzioni ed operosità della scienza, dall’armonia delle quali soltanto può escirne la perfezione. La sola direzione istorica è sbagliata; e questo di- (41) Gujac. Observ. Lib, 3 Cap. 11 e.lib. 12 G. 26 ‘1606 fetto troverem ch'era inevitabile se si consideri quanto la inte- riore storia del R. D. sarebbe anco a noi sconosciuta, ove (per tacermi delle posteriori scuoperte) il secolo XVI non avesse ri- portato in luce Ulpiano e le altre fonti del gius antegiustinianeo.,, « Quanto al valore delle teorie di procedura ,, e dei Formu- larj di questa età mal si potrebbe apprezzarlo adeguatamente altrove che in una completa istoria della procedura. Ne’ Formu- larj poi e massime in Roffredo scorgonsi i germi della posterior decadenza: imperocchè se miran sempre alle teoretiche esposizio- ni del gius delle azioni (e segnatamente a Giovanni) nondiman- co e pel prolisso trattar della materia e pell’aperto sforzo che vi è fatto di servire a que’lettori i quali senza pensar del pro- prio volevano meccanicamente giovarsi del libro dan saggio dei dì- vegnenti quando siffatte male qualità divennero predominanti. ,, « Che i glossatori per un tratto «li tempo si occupassero del solo dritto civile, che la scuola dei canonisti si tenesse prossima a loro ma separata, che dimano in mano questa divisione addi- ventasse meno distinta, e finalmente che uno istesso professore (e Baziano che morì nell’anno 1197, il primo) levasse cattedra in ambedue le scuole è già detto. ,, « Ma il valore de’ glossatori per la età loro non potrebbe mai venire bastantemente innalzato. Non solo si richiamò per essi a nuova vita la giurisprudenza; ma ebbero eziandio sovr’altre » scienze come un salutarissimo influsso ; in quanto che eglino prin- cipalmente dieder moto a quella retta vperosità che dappertutto sì sviluppò in numerose e fiorentissime scuole. Nè quantunque per molti secoli ed in più prospere condizioni siasi proseguito il loro lavorio scarso dee riputarsi il profitto che attingendo im- mediatamente in loro possiam derivarne. Imperocchè molto ci ha nella teorica e nella pratica giudiziaria delle seguenti età che non potrebbesi bene intendere senza ricondurci aiì principj che stanno negli scritti dei glossatori. Ragione che fù se io non esti- mai di poco momento il riferire qualsivoglia ancorchè minuta par- ticolarità che giovasse a compiere la nostra conoscenza di questa parte della nostra letteratura. ,, (Loro Difetti.) I glossatori durarono ad aversi in grande ono- re insino al secolo XVI. Ma quando i legisti poteron conseguire e porre a profitto quelle cognizioni che mancaron loro una siffatta ri- verenza dovè per necessità scemare. Vero è bene che coloro i quali erano più che gli altri pieni di queste nuove cognizioni diedero luminose testimonianze dell’ onore in che tenevano i glossatori. Ma per contrario altri ci furono che tanto più duramente gli 167 giudicarono quando meno erano a ciò competenti .... Si rac- colse buon numero di passi per provare che i glossatori non si conobber punto nè d’ istoria nè di filosofia, e che, mancarono eziandio di sano intelletto e di buon gusto .... Ma primiera- mente tutti que’ passi che servirono di fondamento a, tal biasimo si ricavarono dalla glossa di Aecorso, da una collezione ‘cioè « che, senza scelta o critica, del buono e del cattivo formò un appa- rente sol tutto. Or se volevasi avere giusta cagione di proferire una sì grave condanna contro di quella età sarebbe stato mestieri cavar le prove da alcuni particolari scrittori e libri e segnata mente dai miglibri; cioè da Bulgaro de regulis juris' dal Piacen- tino delle azioni ec. Tentisi la prova su questi autori e vedremo se indi avrassi uno spicile gio di errori pari a quello che potè farsi in Accorso. In secondo luogo poi non può è vero negarsi che anco i più conspicui tra’ glossatori, non ebbero alcun sentore di molte cose che tutti sanno alla giornata. Ma"per ciò appunto che a malgrado di queste sostanziali privazioni toccarono a quell’al- tezza di pregio e perfezione che ogni persona spregiudicata dee riconoscere in loro hanno i glossatori il diritto di esigere i nostra ammirazione .. --3) i (Biblioteca dei glossatori.) Degli scritti dei glossatori-ho di mano in mano particolarmente ragionato narrando col Savigny (che adesso torno a compendiare) le vite di ciascheduno dei me- desimi. Riunendo adesso in un sol prospetto la biblioteca che in- torno alla metà del secolo XIII lasciaronessi a benefizio degli stu- di in giurisprudenza vien fuori-Ja seguente tavola. *‘opalgoy C) euIO(I opieu1og *1910092UONY Ip 0paqg ‘ 0tq =T0g ep _0x1°gN “03301edeg “ 1u -tA0p[eg 0doser “1dv9 1un9o d494 "0319 «Tra fosemeg “ip -219Ue], ‘2009 ‘o11jta ‘01eSjag f agvssaoniun 7 49q VINATIOOUI 1a IILOH.L *Op913 -JoY a 0uroSg “ auozzy “oI][id :(su13 ap eorgeid ©Ije etI093 VI -[ep 018Fessed 1p o3und. jr cuen SIOg9H9 +2 WE tp esind e asnyig) INOILSANO *(ouer[raero -9eD) auozzy “ 01][tg : vpun904g ‘ourpodg a c9ouagqpy “080 : 1u012u13517 *‘ot1aFoy :20012149584d 3112 (otzu0g) tuueAOI9) ‘“ourguaoerg II :?U0220 2/12 *sn19 1p 21497 DU 140]09131Vd 3UNI]P 4005 1371198 _° *TUUBAO19) :2UN917UIINF 117 ‘OTT 9 SOUTZUSOBIT * JI 1191/ 042 1 ‘ourto9Q ‘125991 19 ‘auozzy 9 Ouruaderg [I ‘20022313507 211F ‘2U0ZZY 8 OUIZ -u29erg Jr “onsdoY : 292702 77 : UWUOS IHOILVNIOK TUTO *‘otIgOR A : a[rato odio) [9p tuorzepiduorn 9 ipuadwo9 *‘opi9g ‘g ep ‘ss0[y ‘OSOLI -N] ‘99IN (t03e|idwor)) : auoz -ZV 8 IUUFAOIO (L103NV) : LIqU Ip ©9390; e asngip “‘ 240129/924] *‘ourjod a suozzy tarato odi109 [I 03303 è ‘170u0ddp *‘oj1er) £ orIe3zO]T ‘ 200330 ‘oueridir) ‘orf[rq ‘tuuBAOIS “09II -ug ‘ outzuaoerg | ‘ OwI[ar]ing ‘oor1aqy ‘orradoy ‘ 110770p 013 -qenb 1 ‘ortauiy (1107NY) : 255079 AHOILIOUSSI AITIdO | 169 ( Controversie. ) Rispetto alle loro controversie (dissensiones , diversitates Dominorum) si è creduto in tempi più recenti che i primi glossatori formassero scuole e sette continuate dai loro disce- poli (Bulgaristi e Gosiani). Nè queste scuole e sette sarebbonsi te- nute'tra loro discoste soltanto per amore alle persone ma eziandio per la loro indole nell’universale, aderendo l’una alla lettera della legge e promuovendo 1’ altra 1’ esame libero della medesima. Ma di ricevere questa opinione , manifestamente nata dall’ analogia coi Sabiani ed.i Proculeiani, non vi ba ai dì d’ oggi alcun fon- damento. Per contrario è certo che tra’ glossatori furonvi molte particolari controversie , e che per serbarne viva la memoria ne furon fatte collezioni nelle loro scuole, due delle quali giunsero insino a noi, l’ una più antica e l’ altra più recente. Della più antica ci han tre manoscritti che a malgrado le loro differenze il Savigny dimostra come nella sostanza rappresentano la medesima collezione (42). Nell’ordine di questi mss. si ravvisa una doppia recensione che 1’ una di Rogerio e l’altra di un ano- nimo. E due distinte prefazioni anco più apertamente chiarisco- no che l’ un de’ due tentò far suo il lavoro dell’ altro: Discor- rendo adunque del plagio , pare al Savigny doverne accagionare Rogerio anzichè l’ anonimo, sì perchè Rogerio sè stesso. nomi. nando nella sua prefazione pecca di vanità ma non così quel- l’ altro autore che si tiene anonimo , e perchè appo quest’ ulti- mo si citano soltanto Martino e Bulgaro, e ad essi appella la prefazion di lui, onile 1’ anonimo sembra autore più antico. di Rogerio. Le particolari controversie che stanno dentro questa col- lezione non hanno tra loro alcuna sistematica relazione e suno condotte in modo dogmatico e non essegetico: una massima cavata dalla relativa teoria stando quasi sempre a capo di ciascheduna controversia per dimostrare di che si tratti, e i luoghi delle leggi venendo appresso come fondamento della decisione: e viceversa i testi delle leggi, rade volte essendo proposti come argomento della disputa. Probabilmente questa collezione si fece verso la metà del secolo XII, come si rileva e dall’aver Rogerio, autore di una delle anzidette due recensioni vissuto intorno a quel tempo e dal- (42) Sono 1.9 Il ms. di Niccolò Rodio che or più non esiste o non si trova, ma se ne hanno quattro edizioni l’ultima delle quali fatta nell’ a. 1821 per cura dell’ Haubold. 2.° Il ms. dell’ Collegio spagnuolo di Bologna ( n.° 73). 2.° Il parigino segnato di n.° 4534. T. VI. Aprile 22 170, l’ esservi soltanto riferite le opinioni di Irnerio, Bulgaro Martino e Iacopo; le tre citazioni della ‘Iglossa d’° Accorso ; che occorrono in Rogerio e non appresso l’ anonimo, essendo manifestissime in- terpolazioni. La più moderna collezione secondo la fede di un testo a penna è di Ugolino, e quindi si dee riporre nei primi venticinque anni del sec. XIII , come eziandio consiglia il vedersi in essa citate so! lamente le antiche collezioni di decretali e i più ragguardevoli pro- fessorichefiorirono in quel tempo. Questa collezione, naturalmente più copiosa della prima, onde Ugolino si giovò non poco è con- dotta in guisa intieramente essegetica ; ad ogni controversia ve= nendo preposto per soggetto della disputa ora un passo ‘del co- dice, ed ora ( ma più raramente ) del \digesto. Ha la medesima una prefazione in versi , e se ne desidera una edizione. (Questioni.)Infino dai primi tempi costumavasi nelle scuole de? glossatori di tenere sopra proposti casi di gius dispute occasionate in parte dalle cognizioni teoretiche e in parte dalla pratica , onde appellaronsi quaestio , disputatio, quaestio disputata. Parecchi professori riunirono le loro in libri, che servirono poi di base alle dispute scolastiche: ed anco quelle questioni che dai respettivi au tori non si eran mai pubblicate come libri vennero di buon’ ora unite in collezioni, due delle quali vide il Savigny in due mss. uno dei quali è il parigino segnato di num. 4603 e ci hanno 162 que+ stioni; e l’altro è il manoscritto della biblioteca di Grenoble num. 255 e vi hanno 162 questioni. In queste due collezioni dal Savigny osservate si riferiscono principalmente le decisioni dei quattro dottori : nel ms. parigino poi s’ incontra anche il Piacen- tino, e nel grenoblese, Irnerio , Alberico , il Piacentino e Gu- glielmo. Il testo contiene soltanto la massima, le autorità si addu- cono copiosamente in margine, senza però vedervisi con precisione accennato per qual modo le si colleghino alle diverse massime che, dissi , scanno nel testo. Poco è l’ ammaestramento che può ritrarsi da queste collezioni al paragone di quant’ altro abbiamo della scuola dei glossatori: ma il difetto probabilmente è colpa dei co- piatori ,.come argomentasi dal vedere che venne persino omessa la decisiene di non poche questioni. A parecchie vien dietro la decisione di un sol professore, ad altre di molti; ed in que- st’ ultimo caso non di rado ci ha disparere , sicchè allora somi- gliano alle controversie { Dissensiones dominorum) che fu detto di sopra, quantunque non reggano al confronto nè per la sostanza , nè pel valore , nè per la utilità che se ne può ricavare. Di que- 171 ste due collezioni esibisce il Savigny per saggio nell’ appendi» ce VII la prima questione che stà in ciascheduna delle me- desime. i Avv. P. Caper, ( Sarà Continuato. ) APPENDICE. Ci è grato di annunziare ai lettori della Antologia che la Lombarda si viene adesso ad aumentare di due leggi ed un pro- logo di Rachi e di nove leggi di Astolfo insino ad ora inedite. Di tanto rilevante scoperta và l’Italia debitrice al chiarissimo sig. Carlo Troya cui fu dato spigolare la ricca messe in quello stesso famoso codice Cavense che negli andati tempi fu tra le mani, non ch’ altri, d? un Cammillo Pellegrini e di un Pietro Giannone! Le nuove leggi e il prologo pubblicavansi per la prima volta nel Vol. I. (v. pag. 104 e segg.) del giornale Napolitano che s’in- titola : ZZ ProcrEsso delle scienze delle lettere e delle arti : opera periodica per cura di G. R. Napoli 1832 dai torchj di Porcelli. Al sig. Carlo Troya parvero e giustamente parvero di molta importanza, storica il prologo di Rachi, dove ha parola di Marche in Italia, e la legge IV di Astolfo in che si proibiscono i traf- fichi tra i sudditi del re Longobardo ed i romani delle vicine pro- vincie in tempo di guerra con essi. Da questa quarta legge di Astolfo il sig. Troya prende bella occasione di pubblicare la opinion sua, a dir vero divisa da altri molti valentuomini , che i vinti romani non serbassero sotto i re Longobardi propria cittadinanza; appoggiato all’argomento rega- tivo, che un popolo intero di vinti se avesse conservato i diritti di cittadinanza romana sarebbe stato più numeroso del popolo vin- citore: il fatto adunque di questa che poteva esservi romana cit- tadinanza sarebbe stato tale e tanto che non poteva rimanere occulto. Storia leggi e/c. ne avrebbero fatto viva e continua te- stimonianza. .... E una testimonianza di tal natura dee risul- tare dalla maggior parte dei documenti non da qualcuno, non da qualche ambigua parola cui fosse lecito apporre una dubbiosa interpretazione efc. ;, Questo ragionamento che vien contro alla opinione del Savigny (riferita in questo giornale N. g1 p. 35 e 36) non manca certo di avere il suo peso. Ma poichè i lavori del signor Carlo Troya intendono a chiarire “ questo massimo punto della storia europea ,, non crediamo fuor di proposito il notare che il 172 ragionamento del sig. Carlo Troya, dl’ indole meramente negativa, può da altri reputarsi non bastante a distruggere la contraria te- stimonianza, abbenchè risulti dal poco, abbenchè qualcuno e non molti documenti la comprovino, abbenchè vi sia soltanto qualche ambigua parola che sembra confermarla. Massime che a queste ambigue parole altre e non tanto ambigue ne aggiunge adesso la X legge di Rachi, da lui donataci , ove si raccomanda indistin- tamente a tutti, arimanni o liberi , di andare a ragione nella sua città e segnatamente dal giudice suo. (Propterea praecipimus omni- bus ut debeant ire unusquisque causam habentes ad civitatem suam simulque ad judicem suum et nunciare causam suam ad ipsos judices suos). Poichè se Longobardi e Romani erano pressochè i soli sudditi di Astolfo, se e gli uni e gli altri doveano andare a ragione nella sua città dinanzi al giudice suo, e’ mi par proprio che i romani avessero serbato i loro particolari giudizj ossia la principalissima delle loro franchigie municipali, delle loro civili prerogative (1). Serbisi adunque l’animo scevro di preconcette idee, e allora avremo (per dirla con le auree parole del signor Carlo Truya) la storia vera d’Italia non la ideale che tutto afferma e tutto ardisce ma senza pruove. ,, Nè qui voglio che mi sfugga il destro di notare che la detta legge X di Rachi è importante ancora per un altro rilievo ; di- mostrando vera la opinione del Moser, seguitata dal Savigny e da tanti altri dotti alemanni, che arimanno od uomo libero si- gnificassero lo stesso. (.Sî enim vero arimannus (2) aut liber homa ad judicem suum prius non ambulaverit.) E non sono da mandarsi in silenzio il frammento della seconda e la terza legge d’Astolfo dove si fà precetto ai sudditi di recarsi all’oste con ar- matura tanto più copiosa e valida quanto più ricche sieno le so- stanze di chi abbia a indossarla. Analogia bellissima con la co- stituzione di Servio Tullio e che dimostra come coloro i quali in difetto di documenti, seguitano l’ analogia, prendono una scorta che nel bujo de’ secoli è la meno fallace di tutte. P. C. (1) Se la parola civitas fosse qui usata, come non è impossibile nel pro- prio significato di comune, e non nell’ improprio di terra, di che lasciamo agli altri il giudizio la quistione sarebbe decisa. (2) Probabilmente Arimanno significa più specialmente l’uomo libero longo- bardo; Ziber homo i liberi delle altre nazioni. 173 Dei ProcreEssi DELLA GEOGRAFIA E DELLA SUA LETTERATURA NEL TRIENNIO FINITÒ COLL’ ANNO 1831. +... Labori faber ut desit, non fabro labor. Phaedr. Parte Prima. Rivista generale. Nella presente epoca di universale disagio, duve pare, che un turbine avvolgendo lv spirito umano vada scagliando , quasi loro malgrado , gli uomini in un tempestoso pelago di lacrime, di sangue, e di stoltizie, è un vero miracolo di quella sapientis- sima Provvidenza la quale alterna quaggiù contentezza ed affan- ni, e con giusta bilancia tutte le sue operazioni mena ad effetto, che l’amena letteratura, e le scienze non siano interamente scom- parse dalla faccia del mondo incivilito. E veramente in mezzo a tanta lotta di opinioni, e di affetti, a tanto ribocco del così detto movimento europeo, è cosa che sorprende ad un tempo e riconforta il vedere uomini chiarissimi, e di ottima volontà in- volarsi alle cose che stanno loro d’intorno, per occuparsi dello studio, e dell’incremento delle utili cognizioni; provando così a chiunque abbia fior di senno, che se le cose letterarie non si possono oramai dalle morali, e dalle civili interamente disgiu- gnere, le tempeste che sconvolgouo la macchina politica del mondo, non hanno però forza che basti a spegnere nell’ uomo scienziato quell’ irresistibile bramosia di estendere sempre , e dap- pertutto, i limiti del suo sapere, e di rintracciare nuovi soggetti alle sue scientifiche meditazioni. In questa categoria fa d’uopo mettere la Geografia, e l’in- negabile avanzamento ch’ella ha fatto in questi ultimi anni, tenendo dietro al passo progressivo, infinito, illimitato dello spi- rito umano. Già in uno dei quaderni dell’ Antologia (n. 104 ago- sto 1329 p. 2 ec.) accennammo in genere il cangiamento quanto felice altrettanto improvviso , e quasi meraviglioso ; negli anni addietro operatosi nelle scienze, che più spezialmente insegnano a conoscere, e descrivere la terra; e le nazioni che ne occupano la superficie. Il quale cangiamento ‘avea principalmente inco- minciato dall’epoca in cui erasi foudata nella città capitale della Francia la celebre, e benemerita Società di Geografia; nè sonusi 174 d'allora in poi alcunamente arrestati i progressi della scienza, cui quella dotta, ed instancabile società si dedica esclusivamente. Anzi dessa, che sempre procede a pubblicare il suo mensuale bullettino , ed a stabilire e dispensare annualmente premii vi- stosi agli autori delle migliori geografiche scoperte, ha pure dato alla pubblica luce , nell’anno 1830, un terzo volume della sua Raccolta di Viaggi e di Memorie, il quale contiene l’ orografia dell’ Europa, opera esimia composta dal sig. Luigi Bruguieres, e coronata nella seduta generale del dì 31 marzo 1826. Della quale opera daremo quì sotto un più esteso ragguaglio. Oltre quella veramente benemerita Società sono pure nel de- corso triennio state fondate, ed incamminate due altre in due delle primarie città dominanti della cara nostra Europa , cioè nel 1828 in Berlino, e nel 1830 in Londra. Le quali due già illustri com- paguie, unitamente ad un altra quasi congenere associazione, in- titolata Società francese di statistica universale, eziandio in Pa- rigi nel 1829 institnita, non cessano di adempiere l’orrevole ed utilissimo mandato che hannosi da se medesimi prescritto, e di acquistarsi con ciò sempre nuovi titoli alla pubblica stima, e riconoscenza. Ed invero non si vnole, nè si può negare, che per esse la Geografia non abbia pigliato un più vasto campo ; e per le diligenti loro fatiche, associandosi a tutti i rami dello scibile umano, si è dessa fatta, in qualche modo, una nuova scienza. Di fatto, ella non s’arresta più alla nuda, e semplice descrizione del globo nostro ; ‘ma si adopera bensì a penetrarne i più recon- diti misteri, ed a spiegarne i varii, e più curiosi fenomeni. Nei tempi più remoti la Geografia era debitrice, per lo più, de’suoi progressi all’ ambizione dei conquistatori, ch’esploravano la terra devastandola. Più tardi, e di poichè il genio d° un italiano, va- licati mari infino allora non conosciuti , ebbe, se non donato al= meno restituito all’antico un mondo nuovo, si vide la sete in- saziabile dell'oro desolare a sua volta le due Americhe. Ma in oggi, non ostanti le morali procelle, sembra che motivi, ed in- teressi più nobili dirigano lo spirito dell’uomo incivilito ; e mon è più, come già notollo, e disse il sig. barone Hyde de Neuoille, l’avido specolatore che scuopre la misteriosa Tombuctù; gli è anzi un giovine ed intrepido pellegrino, spinto da uno zelo ar- dentissimo per le geografiche scoperte, ed acceso fortemente dalla brama di condurre a buono fine una intrapresa gloriosa, dove tanti generosi, e fortissimi animi erano stati. costretti a succumbere. Laude immortale , altissima; diasi però ai, coraggiosissimi Ales- sandro Gordon Laing, e Renato Caillié, che esponendo le mille 179 volte la loro vita, giunsero finalmente a disvelare cotesto Eldo- rado della Geografia moderna ! Ed in quella nuovissima parte del globo che l’immortale ma sventurato Cook fece manifesta all’Europa sorpresa di am- mirazione, quali cangiamenti non vi si sono fatti sì morali, che scientifici! La religione dolce, e benefica del figliuolo di Dio v’in- fragne gli altari dei falsi Dei, e gli abitanti dell’Oceanica imparano a coltivare le arti, ed a sentire il bisogno dell’ ordine, e del- l’industria. All’ arbitraria potestà del dispotismo succedono go- verni regolari fondati sulla pietà, e sulla giustizia, ed allato a quei tempii dove uomini semiselvaggi vengono per adorare l’ u- nico Dio vivente, si ergono pubbliche scuole dove fanciulli, ab- bandonati prima d’ora alla più stolida ignoranza, ricevouo ora- mai quella prima educazione, senza la quale nessun popolo mai si può incivilire. E di tutto questo a chi vanno debitrici 1’ uma- nità, la morale, e le civili dottrine , se non allo zelo ; ed alla perseveranza di pochi missionarii cristiani, che già ‘in tempi an- dati, come nei moderni , seppero, combattendo sotto ‘armi più dolci , e sovente più vittoriose, estendere i limiti della Geogra- fia, molto più che i conduttori di poderosi eserciti, e talora con uguale efficacia degli stessi viaggiatori, i qua!i per terra, e. per mare a bello studio si accinsero a rintracciare, e far conoscere nuove contrade, e nuove popolazioni. Se si eccettua la guerra fra la Russia e la Turchia nel 1829, e le spedizioni dei francesi nella Morea, e sulla costa setten- trionale dell’Affrica, per cui la scienza potè fare alcuni acquisti, le imprese militari del triennio spirato furono sterilissime di nuo- ve geografiche cognizioni. Se però poco utili furono quelle imprese, di altrettanti preziosi lumi ci fornirono non solo molti viaggia- tori, ma molti uomini anche sedentarii, dedicati a pacifici studii , che ricapitolando i fatti, e le scoperte degli esploratori, o correg- gendo coi loro trovati i planisferi, e le carte geografiche, ridussero a’ sistema, e ad ‘uso pratico le specolazioni teoriche, e le descri- zioni odeporiche degli uomini intrepidi ; che salvi tornarono da lontane, e faticose peregrinazioni. Ma uno degli avvenimenti più memorabili del triennio or’ora finito si è la notizia sicura dell’ essersi; dopo quarant’anni d’in- fruttuose ricerche , ritrovato il luogo preciso dove perì nel 1788 lo sventurato Laperouse. J nomi dei capitani DrLLon, e Dumont d’ UrviLLE saranno eternamente ricordati insieme con quello del- l'isola di Varikoro, Vanicolo, o Manicolo, fra gli arcipelaghi di Santa Croce, e delle Nuove Ebridi, e con quelli dei due cele- 179 bri navigatori Zaperouse e Delangle, che perdettero colà, od in altro arcipelago poco distante , la loro vita. È dunque un fatto indubitato, che il primo naufragò nella detta isola di Vanikoro, come già sapevasi che il secondo fu trucidato in quella di Mauna, dell’ arcipelago di Hamoa; ma rimane dubbia sempre la sorte dell’ equipaggio, e la morte del comandante, non essendosi po- tuto mai accertare, $’ egli fosse del. numero di quei bianchi, che s’imbarcarono nel bastimento fabbricato | nell’ isola di Vani- koro, ovvero se soggiacesse ‘al destino fatale di quei francesi tru- cidati nel momento che, salvatisi dal naufragio, credevano «di abbordare sovra una costa ospitale. Tutte le indagini dei capi- tani Dillon, e d’Urville non riuscirono a scoprire la menoma no- tizia intorno il luogo dove fosse andato il bastimento, sul quale i naufraghi erano partiti dall’isola. Il capitano Ze Goarant de Tromelin, che visitò anche più tardi l'isola di Vanikoro, non ha neppure egli potuto saperne altro. È innegabile , che ai viaggiatori si debbe il primo rango fra coloro che concorrono attivamente nei progressi della Geografia ; e fra i viaggiatori conviene annoverare non solo quelli che at- traversano i mari, e che visitano le coste, e le interne regioni dei continenti, ma quelli uomini coraggiosi aucora , i quali, per propagare la fede di Cristo ; si espongono a pericoli anche più evidenti, stabilindosi fra mezzo a popolazioni od interamente sel- vaggie , o di costumi più o meno rozzi, ed efferati. Nel secondo luogo poniamo gli autori di opere, e di carte geografiche, tanto quelli che isolatamente le danno alla pubblica luce, quanto quelli che riuniti in iscientifiche, e letterarie so- cietà contribuiscono al. positivo avanzamento della scienza. Nel terzo ordine in fine collochiamo le opere periodiche, ed i giornali unicamente, od in massima parte, dedicati ai progressi della Geografia , e degli studii, che hanno con essa relazioni più o meno determinate. i E tornando a ragionare dei viaggiatori, li distingueremo. in nautici, mediterranei, ed autori di giri attorno al mondo. Riser- bandoci però di discorrere in appresso dei rispettivi risultamenti etnografici di così fatti viaggi eseguiti , o terminati nel triennio, accenneremo iquì fra i nomi de’viaggiatori nautici quei di Ross, Beechey, Graah, Litke, Kolff, Owen, Benard, Roussin, Pré- dour, King, e Garden ; fra i mediterranei quei di Caillié, dei fratelli Lander, di Girardin, Duranton, Brocchi, Cowper Rose, Rifaud, Douville, de Capell Brooke, Siebold, Hodgson, Gamba , Botta, Humboldt, Ehrenberg, Rose, Schulz, Michaud , Callier, = Tad Stamati, Carcel, Parrot, Guys, Fontanier, Vidal, Macklot , d’Orbigny, Hardy, Thompson, Parchappe , Frank, Young , Fel- dner, Lhotsky , Le Prieur, d’ Acosta, Coulter , Ternaux, Bel- trami, S. A. il Principe Paolo di Virtemberg , Sturt , Sherwill, Gauttier , Bertolotto, Bohr, Conway, Ewerett, Alexis, Tay- lor , ec. ; e fra i navigatori, che fecero il giro del mondo not abbiamo laudi che bastino a celebrare i meriti dei Ireycinet, dei Duperrey, Dumont d’ Urville , Legourant de Tromelin , Ot- tone di Kotzebue, Austin, Stanikowitz, Steward, Darlue; Dus- sumier , Poultier, La Place, Chromischensko, e d’altri, che nei lunghi, e faticosi loro viaggi hanno arricchito la scienza di pre- ziose scoperte, sì per terra che per mare, delle quali daremo più minnto ragguaglio, parlando delle rispettive regioni del globo, dove saranno state fatte. Fra i missionari si sono specialmente distinti quelli della so- cietà di Basilea, colla pubblicazione, nel 1829, d’una raccolta di carte di varie parti del mondo. E non meno utili furono quei delle missioni straniere francesi, dei quali il Superiore, signore abate Langlès, ha somministrato alla Società di geografia di Pa- rigi, edagli Annali dell’associazione per la propagazion della fede, ragguagli sommamente curiosi ed importanti, da lui avuti dai missionari stabiliti nell’impero Cinese, nella Cocincina, e nei re- gni di Cambodja, Ciampa,; e Siam, non che sulla costa del Ma- labar, ed a Pondichery sovra quella del Coromandel. In Londra poi è stato, nell’ anno scorso dal signor James Montgommery, pubblicato un giornale interessantissimo di navigazioni, e di viaggi fatti dall’anno 1821 fino al 1829 da Daniele Tyerman, e Gior- gio Bennet, diputati dalla società dei missionarii di quella ‘ca- pitale per visitare i loro stabilimenti nelle isole dell’ Oceano Pa- cifico , nella Cina , nell'India, ec. Il quale giornale contiene no- tizie in altissimo grado interessanti, ed utilissime alla Geografia. In Russia pure è ritornato da una missione alla Cina 1 arciman- drita Giacinto Bitsciurinski, già celebre per le preziose sue opere intorno il Tubet, la Dsongaria, la Mongollia, e la Tataria cinese, in parte tradotte dalla lingua cinese, e pubblicate in francese dall’ egualmente celebre, ed eruditissimo nostro. antico amico, il signor Giulio Klaproth, uno de’più dotti sinologhi di Europa. Non possiamo pertanto finire di parlare dei viaggi eseguiti, senza tributare i dovuti elogii agli uomini laboriosi, che sonosi occupati a radunare, e pubblicare in raccolte le navigazioni, ed i pellegrinaggi già eseguiti nei tempi che furono. Fra le quali raccolte non si vogliono qui passare con silenzio 1.° quella del T. VJ. Aprile. 23 178 i signor barone di Walckenaer , già pervenuta al suo 22.” volu- me; 2.° quella del signor Montemont terminatasi in sei volumi, 3.0 quella dello spagnuolo D. Martino Fernandez de Navarrete, tradotta, e pubblicata in francese, e 4.° Quella, che in Milano siegue a pubblicare lo stampatore Lorenzo Sonzogno, dei viaggi più interessanti, eseguiti nelle varie parti del mondo, tanto per mare quanto per terra, dopo quelli del celebre Cook; della quale raccolta vennero già dati fuora cenquaranta volumi. E qui non possiamo astenerci dall’esprimere un nostro vivo desiderio, che in Italia,dove da tanti secoli esistono tante e poi tante preziose re- lazioni di viaggi,e già stampate e tuttavia manoscritte, sorgesse un uomo intelligente, e laborioso, il quale volesse, e potesse intrapren- dere di raccoglire e pubblicare, sotto forme allettevoli, e corredato di opportune mappe ed annotazioni, un corpo completo di tutti i viaggiatori italiani dai primi tempi fino a nostri giorni , dietro il modello appunto di quella pubblicata dal sig. Navarrete per gli spagnuoli. Nel mentre però siamo iti formando questo voto; un benemerito scrittore francese , il sig. Bajor, direttore degli Annali marittimi e coloniali, che si stampano in Parigi, ha compo- sto, nel 1829, e dato alla pubb'ica luce un compendio istorico e cronologico dei principali viaggi di scoperte iutraprese per la via di mare , dall’ anno 2122 prima di Gesù Cristo fino al principio del secolo decimonono ; opera commeudabile pell’ intenzione , e pel piano , ma troppo manchevole nell’ esecuzione per numerose lacune ; gravi equivoci, e non pochi inescusabili errori. Fra le opere generali di geografia, nel decorso triennio com- parse alla pubblica luce , occuperanno il primo luogo i due ul- timi tomi settimo, ed ottavo dell’eccellente Précis de la géogra- phie universelle, del fu polistore danese Malte Corrado Brun; opera classica , già tradotta , compendiata , e talora trasfigurata in tutte le più colte lingue dell’ Europa, e spezialmente in ita- liano. Colle sue bilancie politiche del globo, ed altre opere si- mili, il signor Adriano Balbi ha pure continuato a rendersi be- merito della geografia politica. In Italia il signor Pietro (astel- lano ci ha, nel suo Specchio geografico-storico politico, del quale già si parlò nell’ Antologia, forniti d’aun corpo metodico di de- scrizioni della terra, sul quale nulla ci si offrirebbe a ridire, se tutte le parti della voluminosa opera corrispondessero per im- portanza, e per esattezza, alle descrizioni di certi Stati d’Italia, e se lo stile, e la forma dell’opera non si risentisse un poco troppo della malavventurata situazione dell’ autore. Altra opera consimile , pure italiana, possediamo nel Quadro geografico, fisico, i 179 istorico, e politico di tutti i paesi, e popoli della terra, con carte geografiche e stampe, dal signor Luigi Bossi cominciata a pub- blicarsi a Milano nel 1829, e che dovrà contenere un grande nu- mero di volumi , di cui per altro ignoriamo quanti siano fin qui usciti dalle stampe. In altre parti di Europa si sono altresì pubblicate opere pre- ziose di geografia universale, come, verbigrazia, in Portogallo dal sig. colounello Gira/dès ; in Isvezia dal sig. C. W. Palmblad , in Danimarca dal signor cav. d’A»rahamson, in Alemagna dal si- gnor Sommer, nel Belgio dal signor Van-der-Maelen,ed in altre re- gioni da altri dotti, ed eleganti scrittori; ma nessuno può, per nostro avviso, competerla col signor Denaix, che in idioma francese ha pubblicato già varii volumi di Saggi di geografia me- todica, e comparativa, lavoro immenso, affatto nuovo, e merite- vole di una seria, e studiatissima attenzione. = Anche nella categoria dei dizionarii geografici ha fatto non pochi progressi la scienza mediante i lavori dell’anzidetto signor Van-der-Maelen , che ne sta pubblicando dodici, li quali insieme formeranno più di cento volumi ; dei tedeschi Bischoff e Muller; degli spagnuoli Mignan, e Caballero; dell’americano Darby; dei fran- cesi Langlais , ed i compilatori d’un Dizionario geografico univer- sale del quale si prosegue la stampa in Parigi presso i librai Kilian e Carlo Piquet; e finalmente della società dei dotti italiani che in Venezia va pubblicando, per associazione, un Nuovo dizionario geografico universale statistico-storico-commerciale. conforme alle ultime politiche transazioni, ed alle più recenti scoperte; il quale dizionario, cominciato a stamparsi nel 1827, dai tipi di Giuseppe Antonelli, sarà diviso in nove volumi, ogunno dei quali conterrà due parti, e n’è stato pubblicato il fascicolo 61 che serve di compimento alla undecima parte, cioè la prima del sesto volume, e termina colla lettera Nac. Ma per quanto sia grande il merito di tutte coteste opere sì generali, che particolari, per ordine di materie o di alfabeto, poco o niun’ uso se ne potrebbe fare senza buone mappe , che rappresentino fedelmente le diverse parti del globo terracqueo. Ed appunto in questo ramo si sono fatti dalla Geografia, in que- sti ultimi tre anni, progressi sovra modo importanti. E se fra gli uomini sommi che con nuove carte, od appartate o riunite in atlanti , seppero contribuire a questo avanzamento , citeremo i nomi di Lapie, di Brué, di Van-der Maelen, di Berthe, di De- naix, di Wahl, di Schlieben, di Ewing, di Abrahamson, di Blunt, di Forsell, di Segato, di Michaelis, di Viard, di Char- . 180 3 les, del P. Znghirami, di Zuccagni-Orlandini , di Galanti, e di Gaetano Recchi, avremo nominato solo i più benemeriti di quelli, clie colle utili loro fatiche concorsero nel rendere più sicuro , e più facile lo studio della corografia , e della topografia. | Nella geologia , e nella geografia fisica produssero poi ottimi libri l'inglese dottore Ure , il tedesco Zeune, il belga d'Omalius d’ Halloy , il danese Schow, ec. mentre nella nostra Italia si ado- prarono in importanti ricerche, e parte ne pubblicarono anche nell’ Antologia, il prussiano sig. Hoffman, ed il dotto nostro toscano sig. Emanuele Repetti. A quali illustri nomi c’ incresce il non potere aggiungere quì pubblicamente quello d’un altro valente nostro collaboratore, che nei nostri N. 107 110 e 125 ha sviluppato, e sostenuto con uguale acutezza d’ingegno, e lucidità i due principii orografici , e potamografici, l’ uno cioè, che non esistano monti primordiali, i quali diano passaggio a fiumi scatu- rienti su uno dei loro fianchi, perchè poi corrano nelle valli del fianco opposto , e l’altro , che tutte le acque vadano dalla terra al mare sempre dal lato istesso del fianco delle montagne d'onde finiscono. Al quale proposito noi medesimi, che allora differimmo secolui di opinione, perchè non conoscevansi ancora le ultime scoperte fatte nell’ Imalaja, siamo in oggi poco meno che di- sposti a ricrederci , e ad adottare per massima generale 1’ inge- gnosa , e plausibile sua proposizione. Nella geografia comparata si sono nel triennio distinti per opere studiatissime l’inglese Butler, l’ olandese Van der Chys, e 1’ anzidetto danese Schow, mentre al francese Coulier è rimasta debitrice la scienza esatta d’ una curiosa serie di tavole delle principali posizioni geonomiche del globo, le quali, pubblicate nel 1828, non furono però conosciute se non che nell’anno se- guente. In materia finalmente di globi artificiali non sapremmo par- lare che di un solo, cioè di quello eseguito dal sig. A. H. Du- four, e pubblicato nell’anno scorso in Parigi dal sig. Carlo Dien. Pareva difficile, che si potessero vincere in beltà , preci- sione , ed acconcezza i globi del francese Poirsor, del tedesco Sotzmann , dello svezzese Akerman , degli inglesi Adams e Wri- ght, e dell’olandese Cover; e pure ha saputo non solo il si- gnor Dufour mettersi nella parte matematica del suo a livello degli ultimi progressi della scienza , ma il sig. Dien ha trovato modo eziandio di perfezionare le forme, ed i comodi dell’assetto, e delle incastrature , con fabbricare i meridiani , l’orizzonte, ec. di bronzo, onde sottrarli a qualunque influenza dell’ atmosfera. i 181 La mostra oraria incisa sulla superficie stessa del globo , è un ritrovamento nuovo, ed utilissimo, che renderà molte dimo - strazioni più facili, e soprattutto più accurate , siccome lo è del pari l’ invenzione dell'inglese sig. Giovanni Jump d'un quadrante verticale fissato sul meridiano, coll’ ajuto del quale si possono sciogliere oramai problemi di astronomia sferica della più grande importanza. Alcuni sperimenti più o meno felicemente tentati in Ger- mania, di costruire di solida materia tavole geografiche di rilievo per l'istruzione elementare, sono riusciti forse più curiosi, e maestrevoli , che veramente giovativi all'insegnamento ; e se non siamo in errore debbe avervi adoperato molto il dotto geografo prussiano professore Zeune, che già ventun’ anno fa costrusse un siffatto globo di rilievo, da 15 pollici di diametro , simle a quello del quale si serve attnalmente per l’ istruzione de’ ciechi nel suo instituto. Ma gli è soprattutto al sig. Kummer di Ber- lino, che si debbe il perfezionamento di questo trovato, mediante l’ esecuzione di molti elegantissimi globi del diametro di 26 , di 16,e di 2 1 pollici, e di sezioni sferiche del globo , rappresen- tanti l'Europa , le due Americhe, 1’ Affrica, 1’ Asia, il polo boreale colle più recenti scoperte, 1° Alemagna, la Francia, 1 Elvezia , il Monte Bianco, l'isola di Rugen, la montagna di Harz, ec. In Francia , questa bella invenzione, già quivi pre- sentata , e quasi effettuata , dal fu Lartigue , tiene già occupati molti valenti, ed ingegnosi artefici. Su quei globi, e quelle carte il colore turchino distingue i mari, i laghi, ed i fiumi; il bianco indica il ghiaccio intorno ai due poli, e la neve perpetua sulle montagne ; il bruno chiaro è il colore della terra, e l’oscuro quello dei luoghi pantanosi. Il verde fa conoscere le foreste, il giallo i terreni sabbiosi , il pagliarino le arene moventi, ed il giallo oscuro quelle più rassodate. I terreni sassosi in fine sono bigii , ed inuguali. La quale idea di cosiffattamente colorare quei globi , e quelle carte, fu suggerita dai sigg. Zeune, e Ritter. Meritate laudi si debbano conseguentemente , e senza niun dubbio , ai valenti uomini d’ ogni paese da noi rapidamente ci- tati, pei progressi reali che le opere loro hanno fatte fare alla Geografia; ma molte di queste medesime opere sarebhono per av= ventura rimaste o non incominciate , o meno utilmente conilotte a termine, se gli studii, e le fatiche dei loro autori non fossero da diverse geografiche società state promosse , incoraggite, pa- trocinate , e secondo i meriti altamente guiderdonate. Fra quali dotte ed ornatissime società il primo rango debbesi per certis- 182 1 simo a quella che da dieci anni trovasi fondata, e stabilita in Parigi, e che già tanto ha contribuito, e col suo Bullettino men- suale , e coi volumi delle sue Memorie, e colla proclamazione e distribuzione dei suoi vistosi premii, ad estendere i limiti, e promuovere l’ avanzamento della Geografia. Una seconda presso che consimile fu, come già dissimo , nel 1828 instituita in Ber- lino, sotto la presidenza del celebre sig. Ritter, forse e senza for- se il principe dei geografi ora viventi; ed una terza si formò in maggio del 1830 a Londra dall’ illustre e benemerito Sir John Barrow, e dal dutto ed elegante viaggiatore capitano Arturo de Capell Brooke. La quale ultima siegue a rendersi ugualmente meritevole di ogni commendazione , gareggiando colle. maggiori sorelle prussiana, e francese, nelle investigazioni, negli studii e nelle ricompense, che tendono a disvelare, e descrivere le parti ancora incognite del nostro globo. Dobbiamo concedere, che igno- riamo quali sono i premii distribuiti dalle società di Berlino e di Londra; ma da quella di Parigi si sa, che furono premiate colla gran medaglia d’oro di 1000 franchi . nel 1829il capitano inglese Franklin , per le scoperte da lui fatte nell’estremità set- tentrionale del continente americano , ove giunse a riconoscere, e disegnare sulla mappa le coste dell’oceano glaciale, dalla pun- ta di Beechey fino al capo Turnagain ; nel 1830 oltre il francese sig. Renato Caillié pel suo viaggio di Tombuctu, che pur gli fruttò altro premio di quindicimila franchi, anche la vedova del fu maggiore Gordon Laing , la quale per altro era già essa pure a migliore vita passata; e nel 1831, non essendovi soggetto abile a ricevere il grande premio, fu data una medaglia d’oro di cinquecento franchi al danese capitano Graah , per avere risco+ perta ; ed esplorata la costa orientale del Groenland, fino all’ al- tezza di sessantacinque gradi e diciotto minnti di latitudine ; scoperte , che negli anni 1830 e 1831 sono state riandate, e pro- seguite, ma senza notabile accrescimento, dal medesimo beneme- rito navigatore. Oltre questi premii annui per la più importante scoperta , la società geografica di Parigi tiene aperto un concorso di molti altri, da distribuirsi a misura che saranno adempiute le condi- zioni dei programmi pubblicati. În primo luogo ve ne sono at- tualmente tre diversi , cioè uno di settecentocinquanta , e due di cinquecento franchi, per le scoperte nell’ Affrica centrale ; quindi una medaglia d’oro di franchi 2400 per un viaggio nella Caramania meridionale ; un’ altra di 7000 per un viaggio nel- l’interno della Gujana; una di 2400 per le antichità americane ; 183 una di 1000 per l’origine de’neri asiatici; ed oceanici; una di 800 ed una di 400 per la descrizione d’ una porzione del territorio della Francia ; tre altre di roo franchi ognuna perle livellazioni barometriche ; una di 600 per la storia matematica, e critica delle misure dei gradi del meridiano. I quali premii sommano attual- meute insieme a più di venti mila franchi. In ultimo luogo s ma non perciò con minore commendazione, ci occorre parlare delle opere periodiche, e dei giornali, che in diverse parti del mondo incivilito hanno attivamente coope- rato a seguire il movimento progressivo della scienza, con farlo di mano in mano registrare, e conoscere pubblicamente. Fra que- sti giornali si sono in particolare distinti nella nostra Italia gli Annali universali di statistica, che continuano a pubblicarsi in Milano ; la nostra Antologia di Firenze ; la Biblioteca Italiana , e l’Indicatore Lombardo pur di Milano, ed il Nuovo Giornale Li- gustico di Genova ; nell’ Elvezia la Biblioteca Universale di Gi- nevra, e quella della più recente geografia pubblicata dal signor Malten in Arau; nella Francia il Giornale ,, ed i Nuovi Annali dei viaggi, i Bullettini geografico e gelogico del barone di Fe- russac , la Rivista Enciclopedica, quella di Parigi, quella dei due mundi , e talora anche quelle dette Britannica, e Germanica ; il Nuovo Giornale asiatico, gli Annali marittimi e coloniali, il Navi+ gatore di Havre de Grace, la Gazzetta spagnuola di Bajona, il Tem- ps, il Corriere. francese, ed il Messaggiero di Galignani; in Inghil- terra l’ Araldo orientale, la Rivista straniera trimestrale, il Giornale asiatico , il Times, ed il Giornale di Edimburgo ; in Alemagna le Nuove Effemeridi geografiche di Weimar, il Giornale nomi- nato Hertha ; il Taccuino per la diffusione degli studii geografici del sig. Sommer di Praga, e gli Annali della Letteratura del sig. Deinhardstein di Vienna; in Russia le Memorie pubblicate dal dipartimento della marina russa sulla navigazione, le scienze e la letteratura ; in America il Registro ebdomadario di Nile, nell’ India 1’ Hurcaràù di Bengala, la Cronica di Singapore, ec. nell’Oceanica l’ Australiano, ela Gazzetta di Sidnei della Nuova Galles meridionale , la Gazzetta di Hobartstown , ed il Tasma- niano, o sia Gazzetta della Terra di Van-Diemeu, ec. Senza parlare dei fogli politici, che in ogni paese, e di ogni colore e- scono alla giornata , e di tempo in tempo hanno raccolto, e resi pubblici molti fatti importantissimi per la più esatta cognizione della terra , delle nazioni che la popolano , e dei fenomeni della natura, che ne cangiano l’ aspetto, l’ordinanza, e la consti- tuzione. 184 Tra i quali fenomeni non vogliono essere passati sotto silen- zio i tremuoti, e le eruzioni dei volcani, che nello scorso triennio, sconvolsero , o pure disfigurarono , in varie parti , la superficie del globo. Dei primi fu terribile quello che nel 1829 desolò in Ispa- gna la Murcia, e ne rovinò molte floride popolazioni. Altri stra- ziarono nel 1830 le provincie di Dehli, e di Tscittigong nel- l’India ; e diverse scosse più o meno spaventose e micidiali so- nosi pure manifestate, e si manifestano tuttavia, nell’intera esten- sione dell’ Appennino dal Porto Maurizio sul golfo di Genova fino alle spiaggie meridionali delle Calabrie, mentre dal seno della terra romoreggiano tremendamente l’Etna, ed il Vesuviv in Italia, ed i volcani glaciali dell’Islanda. Nell’Oceanica ezian- dio, oltre l'apparizione d’un vulcano fummifero nella Nuova Olanda, si sono pur date a conoscere scuotimenti della terra facendo crollare monti, ed aprire voragini, segnatamente nell’iso- la di Giava, dove un vasto territorio è stato subissato intera- mente. Termineremo pertanto qui la parte generale del nostro sunto con ricordare le gravi perdite, che hanno fatto le scienze geogra- fiche, nei tre anni or’ora finiti, per la morte di molti valorosi, ed indefessi loro promotori. Troppo lungi ci menerebbe il parlare di tutti; chè molte , ed acerbe furono quelle perdite. Ma non possiamo tralasciare di esprimere l’ immenso dolore che provammo, e che certamente provarono con noi tutti gli amatori delle buo- ne lettere, e delle scienze utili e dilettevoli, all’udire passati ad altra vita uomini così profondi in dottrina, e benemeriti della scienza nostra, come furono gli italiani conti Vidua, Filiasi, Baldelli Boni, e Galeani Napione; cavalieri Agostino Pareto, Gio. Batista Giusta, e Girolamo Scaccia, professori Montucci', e Raddi; lo svizzero L. Simond;i francesi Pacho, barone Fourrier, Coquebert de Montbret, Poirson, Rousseau, Duprè, ammira- glio De Rossel, e conte di Hauterive ; gli inglesi maggiore Ren- nell, colonnello Denkam, Sir Onofrio Davy, e lord Mulgrave ; i tedeschi Hassel, Gaspari, Schulz, Stein, Ebel, Reuth, dott. We- stphal , ed Ignazio de Sturmer; gli svezzesi conte di Platen pro- fessore Odmann, e cavaliere de Bergstedt; il bramino Ram-Mo- hun-Roy, e qualche altro del paro benemerito geografo, od etno- grafo, gli amici del quale ci perdoneranno gentilmente , : se qui non ne facciamo più distinta commemorazione. Jay. (Verrà continuato). hi a Lo VI NECROLOGIA G. F. CHampoLcion IL Minore. Allorchè nella morte dei nostri cari spargonsi amare lagrime , a sfogo d’ inutile affanno , gli uomini si commuovono a pietà dell’altrui pianto , pur ripensando a simile sventura che loro stessi colse altra volta , o aila quale ogni uomo è soggetto per crudele necessità di que- sta vita. Ma quando la morte perchè si piange è di tale che per altezza d’ingegno e di virtù ottenne fama ed affetto universale , allora non è la pietà dell’ altrui lagrime che ne commuove, ma proprio è di ognuno il compianto per l’ affannoso senso della comune sventura. E tale e tanta è la cagione di queste mie lagrime per la morte che a noi ti ha tolto sul più bel fior della vita, o mio caro Champollion, che io debba anzichè temere di esser solo a piangere , o di essere leggermente com- pianto , credere piuttosto che la mia voce lamentosa appena si ascolti, soffocata dal grido di mestizia che per tutta Europa risuona, Nè a me fia grave che si perdano i miei lamenti nell’ universale compianto; poichè , te estinto , sola e ben inutile consolazione mi resta, quella di vedere in tutti veemente e lungo desiderio di Te che teco ne porti tante speranze! Nè io potrò mai pianger tanto che , o il dolore sì di- sacerbi, o le lagrime agguaglino l’ immensità del danno. Pur sappia il mondo che il dolor mio è pari all’amore e alla riconoscenza che di Te serbo nel petto ; e sappia ancora che se i modi mi mancano per esprimerlo , colpa è dell’ingegno che a tanto non vale; ma non già del cuore , che tutta ne comprende la cagione e la forza. Nacque Giovanni Francesco Champollion nell’ anno 1790 da one- sti parenti in Figeac , territorio del Lot nella Guienna. Egli fu di buon’ ora, per opera del maggiore fratello Champollion-Figeac , rivolto a quegli studi coi quali suole informarsi la prima età dei giovanetti per prepararli a meditazioni più profonde e più gravi. Alle quali mo - strò di essere psecocemente inclinato, accoppiando all’amor dello stu- dio un carattere alieno da quei divagamenti che sogliono maggiormente appetirsi nell’ adolescenza. Ed io ho inteso dai suoi condiscepoli rac- contare più volte che, studiando. egli le umane lettere, cominciò a sentir vaghezza di conoscere la storia e le dottrine dell’antico Egitto, celebre piuttosto per quanto intorno a quelle ignoravasi, che per ciò che se ne trovi scritto nella classica antichità. Pareva che l’ ingegno del giovinetto diventasse ogni dì più insofferente di quell’ antico mi- stero ; e trascurando spesse volte l’ insegnamento e le minacce del fa- stidioso pedante , dilettavasi di raccogliere, come meglio poteva, no- zioni sulle cose d’ Egitto; e quelle forme di caratteri geroglifici che T. VI. Aprile. 24 186 gli era avvenuto di vedere, disegnavale puerilmente suì libri e sui cartolari della scuola. Fatto più adulto, fu ascritto tra gli alunni del Liceo imperiale di Grenoble, ed ivi potè con tanto ardore applicar l’ animo a’suoi stu - di più cari, che dell’età di sedici anni fu in grado di presentare alla Società di scienze e d’ arti della stessa città il progetto di un’ opera tutta consacrata ad illustrare 1’ Egitto sotto il dominio de?’ Faraoni ; ed unì al suo progetto una Carta generale della valle del Nilo, se- condo le divisioni di quella remota epoca. Poco dipoi, fatto dottore in lettere e abbandonato il Liceo , recossi a Parigi; e il 13 di settem- bre dell’ anno 1807 fece conoscere il progetto de’ suoi lavori al dotto Langlès, ed all’illustre Silvestro di Sacy, professori di lingue persiana ed araba alla Scuola speciale delle lingue d’ Oriente. In Parigi non valsero gli allettamenti di un mondo incantatore a raffreddare in lui 1’ amor degli studi; e, indulgente al suo genio, si fece uditore dei due professori sopra lodati per apprendere le lingue della dotta antichità. Ma sopratutte le altre coltivò con studio perse- verante la lingua copta, non ignorando che, conservandosi in quella gli avanzi dell’antico idioma d’ Egitto , avrebbe per essa acquistato il migliore strumento a penetrare in quei segreti ai quali già contendeva con tutti i suoi desideri. E invero non gli fallì la speranza; poichè, se di tutti i filologi che sudarono sulla bilingue Iscrizione di Rosetta, egli solo pervenne a discuoprire , non parzialmente, ma in modo ge- nerale e quasi completo, il gran segreto del sistema grafico degli Egizi', ciò debbe ascriversi non solamente all’ acume del suo ingegno vera- mente temprato a questa investigazione, ma eziandio alla profonda scienza della lingua ‘copta della quale si era arricchito con inestimabile fatica. Imperocchè quantunque avesse potuto giovarsi dei più recenti e dotti lavori dell’Iablonski, di Giorgio Zoega, di Giambernardo de’ Rossi e di Stefano Quatremère , nulladimeno insufficiente e mal- digesta era la grammatica copta dello Scoltz, atta piuttosto a tra viare che a ben condurre in questo studio; povero il lessico del La- croze, e, per difetto di analisi e di ordinamento delle radici, di lieve soccorso a chi desideri farsi di quella lingua posseditore. Ma il giovane Champollion , rinforzando il vigore all’ aspetto degli ostacoli, penetrò tanto addentro, che poscia , collo studio e cogli anni, divenne abile a creare egli stesso una nuova via, onde sarebbe altrui facile e piano il giungere alla meta. Parecchi filologi hanno veduto, ed io per sua generosa amicizia ho studiato una grammatica copta da lui composta e ancor manuscritta , nella quale l’indole e il carattere di quel sin- golarissimo idioma è , per severità e lucidezza di analisi, ottimamente svelato. E dipoi compose in quattro grossi volumi, che pur manuscrittì rimangono, un Dizionario della medesima lingua per ordine di radici, delie quali aveva raccolto un tal numero, che da niun’altro lavoro voto di quell’idioma si agguaglia. 187 Ma, per riprendere il filo della narrazione , Champollion; giovane ancora di circa venti anni, meritò per la fama del suo sapere e pel desiderio universale dei cittadini di Grenoble , di esser. prescelto dal Governo a reggere in quella città la cattedra di Storia , e a sostenere l’uffizio di Secondo Prefetto nella pubblica biblioteca. Fu 1’ insegna- mento del giovane professore avidissimamente ricevuto da tutta la gioventù della provincia, e le sue lezioni brillarono sempre per copia di dottrina non meno, che per l’ardore del quale ispiravasi nel ricor- dare i fatti di che più sì onora l’ umana specie. Nell’ anno 1814 diede in luce in due volumi il suo primo lavoro, parte della grande opera già divisata fin da più giovine età, e le im- pose titolo l'Egitto sotto i Faraoni, proponendosi di trattare in tante speciali opere , della Religione , della Lingua ; della Scrittura e della Storia civile e politica di quel famoso paese, innanzi l’ invasione di Cambise. Trattò in questo primo lavoro della Geografia; e dimostrando rara perizia nella lingua e nella erudizione copta , stabili con la sa- viezza di critico sagace le posizioni , i nomi e l’etimologie delle città, villaggi ed altri luoghi notabili della valle del Nilo ne’ più antichi tempi , cominciando dal Mediterraneo e risalendo ordinatamente fino alla prima cataratta, natural confine all’ Egitto. Ma questa prima opera fu somigliante a un gran fiume , che seb- bene d’ ampie fonti scaturisca, pur nel principio discorre in picciolo letto , finchè coll’ andare per nuovi sbocchi ch’ei riceve s° ingrossa , e divien poi vasto e maestoso per immenso tragitto , a dissetare lar- gamente uomini e campagne. Le descrizioni e i disegni riportati d’E- gitto dai Dotti che fin colà seguitarono l’ esercito di Francia , offri- rono a Champollion ampia materia di studi più profondi e men vaghi. E già nell’anno 1821 fece pubblico un lavoro intorno alla Scrittura geratica degli antichi Egiziani, nella quale contraddicendo alla sen- tenza dei dotti Rigord, Montfaucon , Gaylus , Barthélemy, Zoega e d’ Humboldt , sostenne che la scrittura geratica degli Egizi si compo- neva di segni che esprimevano idee di cose e non lettere. Errore in- vero gravissimo, come le sue stesse scoperte dimostrarono in progresso; ma questo errore medesimo fu necessaria conseguenza di un suo bellis- simo trovato, che fu poscia fecondo d’inestimabili risultati. Pretendevasi dai dotti sopra lodati che i caratteri delle scritture geratiche , i quali a prima vista presentano l’aspetto di segni arbitrari e bizzarri, non del tutto dissimili, in quanto”al materiale accozzamento delle linee che li compongono , agli antichi caratteri delle lingue d’ oriente, pre- tendevasi , dissi , che ciascun di quelli avesse il valor di una lettera, e che in ciò differenti fossero dai caratteri geroglifici , i quali avendo forma per lo più di oggetti esistenti e reali, da tutti giudicavasi che significassero non già lettere , ma idee e sentimenti. Ma Champollion, concorrendo ugualmente in questa stessa sentenza intorno al valore delle geroglifiche scritture, aveva scoperto , e ben lo dimostrò nell’ opera di ch” io parlo , altro non essere i geratici se- 188 gni che una semplice modificazione dei geroglifici , dai quali immedia- tamente formaronsi per la commodità di scrivere speditamente ; dimo- dochè nient’ altro fosse la scrittura geratica che una tachigrafia gero- glifica. Or poichè tenevasi ferma, opinione da tutti che il valor dei segni geroglifici fosse ideografico ; la nuova scoperta di. Champollion dimostrava doversi anche ai geratici segni un valore medesimo attribuire. Facile sarebbe stato a moiti in sì. ditficili. studi esser tratti in er- rore ; ma a ben pochi è concesso ritrarre il piede dal falso sentiero , allorchè una lunga deduzione di fatti vi ci abbia condotto. Nè questa lode è tra le meno preclare del mio Champollion , che seppe da tal prevenzione , la quale insormontabile ostacolo avrebbe bpposto ne’suoi progressi , sì bravamente svilupparsi. Altri lo accagionarono di seguace della nuova dottrina accennata dal Dottor Young intorno al valore dei caratteri geroglifici. Poichè dall’ illustre Inglese fu per la prima volta mostrato al pubblico che i regi nomi di Tolomeo e di Berenice nel te- sto geroglitico della Iscrizioue di Rosetta erano espressi per geroglifici segni di lettere. Ma fu poi dichiarato da Champollion medesimo (1), ed io stesso ne ho vedute co’ miei occhi chiare testimonianze nelle sue note manuscritte , ch’ egli pervenne contemporaneamente a discuoprire i fatti medesimi che per il dottor Young pubblicaronsi. Non parve allo Scuopritore francese atto proporzionato alle sue speranze il dare al pubblico un risultato così elementare e dì così brevi confini ; e come colni che sentivasi animato dalla certezza di scuoprire cose maggiori , temperò il desiderio di cogliere i primi onori colla certa speranza di più nobile e meglio meritata palma. Infatti i geroglifici segni di lettere scoperti dal dottor Young, erano in sì picciol numero , e alcuni di essi sì male sicuri, che nè lo Scuopritore inglese nè altri mai seppero legger per essi un solo nome dei tanti che nell’ egiziane Iscrizioni tro- vavansi col sistema medesimo espressi. Ma pochi mesi erano corsi dalla scoperta pubblicata in Londra, che Champollion dava all’ Europa la sua Lettera intitolata al venerando Dacier (2) , per la quale si dimo- strava che gli Egiziani usarono dei geroglifici, come di caratteri alfa- betici, a scrivere sui lor monumenti i nomi e i titoli dei Greci e dei Romani ; ed alla Lettera andava congiunto un alfabeto pel quale leg- gevansi facilmente tutti questi nomi , quanti sugli egiziani monumenti se ne incontrano. I dotti membri dell’ Istituto di Francia ascoltavano attoniti il pro- cesso dell’ insperato scuoprimento. Imperocchè non a questo limite sol- tanto sì trattenevano gli stupendi trovati di quel preclaro ingegno , (1) Introduzione al Précis du système hiéroglyphique etc. (2) Lettre à M. Dacier secrétaire perpètuel de l’ Académie Royale des Inscriptiones et Belles Lettres , rélatice à V alphabet des hiéroylyphes pho- nétiques employés par les Egyptiens pour inscrire sur leurs monuments les titres , les noms et les surnoms des Souverains grecs et romains ; par M. Champollion le Jenne , Paris 1822. 189 ma già senza ostacolo correva trionfante nell’ aperta carriera , e in più e diverse memorie, ch’ ei leggeva nel consesso di quei sapienti, dimo- strava : che i nomi stessi ed i titoli dei Faraoni e di ogni altro indi- gena dell’ Egitto scrivevansi ugualmente per geroglifici segni di let- tere : che coi segni medesimi aventi lo stesso valore si esprimevano i nomi , le qualità e le attribuzioni degli Dei dell’ egizia mitologia : che similmente per alfabetici caratteri significavansi i nomi comuni , gli adiettivi e tutte le forme grammaticali che la lingua parlata dagli Egiziani costituivano : disvelava non essere i caratteri alfabetici i soli che nelle egiziane Iscrizioni si adoperassero , ma quelli essere nella Iscrizione medesima usati simultaneamente con caratteri di differente natura , vale a dire coi simbolici e coi figurativi : ordinava le diverse scritture egizie , indagandone e svelandone il segreto ; e dimostrava i caratteri geratici procedere dai geroglifici per abbreviamento di forme e dai geratici derivare quell’ ultima più spedita scrittura che demotica o epistolografica si appella : richiamava infine a memoria i cenni che la classica antichità ci lasciò scritti intorno al grafico sistema degli Egizi, e gli mostrava totalmente conformi ai suoi gloriosi scuo- primenti. A tanta luce di nuova dottrina dimostrata per un cumulo di evi- dentissimi fatti e per applicazioni felici e costanti fatta ognora più chiara , facile fu a tutti il vedere come la smorta scintilla del dottor Young si convertisse per opera dello Champollion in face preclarissima. Laonde tuo è , o Francia , l’ onore del mirabile scuoprimento ; tua è la gloria d’ aver prodotto questo Colombo novello , scuopritore di un mondo di sapienza , al quale i desideri e gli sforzi di tanti secoli non valsero a giungere. Ed abbine giusto orgoglio ; poichè questo è tuo proprio trovato che aggiunge inestimabile dovizia al tesoro delle uma- ne dottrine ; nè alcun se ne lagna , poichè a moltissimi giova , a nes- suno è nocevole. E qui tolga Dio che pur si pensi ch’ io voglia detrarre nè meno menomamente alla lode giusta e dovuta a quel primo trovato del dot- tor Young, uomo sapientissimo , che la morte ha pur rapito recen- temente ai tanti e sì diversi studi nei quali ottenne fama eccellente. Intorno al quale tutti in questa sentenza convennero , ch’ egli fu sa- pientissimo : solo si lasciò in dubbio se più grande egli fosse nelle ma- tematiche discipline , o nelle scienze mediche e naturali , ovvero nel sapere di antichità e d’ alta filologia. Ma rifulga it vero del quale io medesimo ebbi coscienza di testimonio oculare ; nè il cenno del dottor Young diede origine e movimento alle scoperte dello Champollion che di tanto era già sicuro innanzi di conoscere lo scritto del celebre In- glese , nè pel trovamento di quest’ ultimo era sperabile che si facesse nella nuova scienza maggiore ed utile avanzamento , se per l’ ingegno dello Champollion non si fosse levato il velo che densissimo ancor ri- maneva sull’ indole di quelle scritture, E siccome la eccellenza e la cultura dell’ ingegno raramente vanno 190 disgiunte dalle più amabili doti dell’ animo , così ho inteso poscia io medesimo dalla bocca del sapiente Inglese parole di altissima stima ch’ ei faceva della persona e delle opere dello Champollion ; e con lui conversando in Parigi ed ammirandone non meno il candore dell’ ani- mo che la chiarezza dello ingegno , non ristavasi dal ripetere a chi udir lo volesse , ch’ ei di buon animo cedeva la palma allo Scuopritore francese , e che desisteva di travagliarsi nei geroglifici studi, ben co- noscendo che poco oramai poteva aggiungere a tanta copia di fatti e a tanta altezza di scoperte dottrine. Le Memorie già lette nelle adunanze dell’ Accademia d’ Iscrizioni e Belle Lettere, videro , riunite insieme , la luce in Parigi nell’ anno 1824 sotto il modesto titolo di Compendio del sistema geroglifico degli antichi Egiziani (3). Alla fama di tanto scuoprimento levossi un grido di plauso per tutta Europa , pur rimanendo attonita piuttosto che cre- dula al vero: nè molti erano i dotti, i quali avendo coltivato studi sì peregrini , potesser portarne giudizio autorevole. Ma ( duolmi invero per l’ umana natura a ricordarlo ! ) non poche furono le invidie che sursero in mezzo egli applausi, e osò pure mostrarsi in qualche mo- mento or bassa e paurosa , ora insolente e sfacciata la vile calunnia. Imperocchè la nuova scoperta scuoteva le basi di molti malfondati scientifici edifizi ; contradiceva con prove manifeste a molte opinioni nuove , o già inveterate tra gli archeologi ; dimostrava doversi con al- tri principii e con più faticosa dottrina ricominciare lo studio di molte parti delle scienze archeologiche ; cagioni pur troppo solite a concitare nella pervicacia e nell’ orgoglio degli uomini invidie e sdegni (4). Ma queste cagioni medesime non in tutti operarono gli stessi ef- fetti ; poichè molti furono i dotti e gli studiosi che in ogni parte d’Eu- ropa accolsero avidamente la nuova dottrina ; e non fu ultima Italia a vederla tenuta in pregio e propagata dai suoi. E qui siami indulgente il Lettore se ricordo che io medesimo pochi mesi dopo che la bell’ o- pera fu data in luce in Parigi, e innanzichè conoscessi di persona quel raro Ingegno , che è ora cagione del nostro pianto , mi studiai di propagarne per le pubbliche stampe le dottrine , proponendomi di ren- derne ad ognuno facile e piana la intelligenza (5). (3) Précis du systéme hiéroglyphique des anciens Egyptiens, ou Re- cherches sur les élémens prémiers de cette écriture sacrée , sur leurs diverses combinaisons , et sur les rapports de ce système avec les autres méthodes gra- phiques égyptiennes ; par M. Champollion le jeune , avec un volume de plan- ches. Paris 1824. Una seconda edizione fu pure pubblicata a Parigi nel 1827 che vien preceduta dalla lettera a M. Dacier. (4) Tra le cause , che suscitarono in Francia la contradizione alla nuova sco- perta , fu l’ essersi per quella dimostrato che il famoso Zodiaco di Denderah, mo- numento che per alcuni dotti pretendevasi dover risalire ad un’ antichità stermi- nata , apparteneva all’ età dei primi Imperatori romani. (5) La mia operetta fu inserita in due successivi numeri XXIV e XXV del Nuovo Giornale dei Letterati , e fu stampata a parte in un salo opuscolo | | IQOI Champollion sicuro nella coscienza del vero . da sè disvelato , e contento al voto di quei pochi ai quali il mondo consente l’ onore di veri sapienti , non commovevasi menomamente ai sarcasmi , 0 alle cri- tiche rabbiosé del volgo degli scrittori , se non in quanto il rispondere giudicasse necessario od utile a confermare ed ampliare le sue dottrine. Intauto il Governo di Francia , mosso dalla fama del gran trovamento, non ne aveva lasciato senza premio di onoranza l’illustre Autore; e della reale volontà si fece, per virtù propria, zelante interprete il Duca di Blacas d’ Aulps, insigne amatore delle ottime discipline , e degl’ ingegni che le coltivano largo proteggitore. Ghampollion , caldis- simo com’ era di amor della patria , aveva innanzi la sua gloriosa sco- perta fermamente tenuto a quella parte che meno era gradita al Go- verno ; e già fino da non breve tempo , male accetto ai ministri e pri- vato dei pubblici impieghi che esercitò nel Liceo di Grenoble ; vivea ritirato nella tranquillità del paese natìo ; non ad altro badando che a’ suoi diletti studi e avvicinandosi sempre più a quella meta ove di- venir doveva sì chiaro. Nè a Parigi per altro fine aveva fatto ritorno, che per maggior comodità di studi e per recare le sue scoperte a no- tizia dell’ Istituto , innanzi di farle pubbliche. Ed ora che la univer- sale estimazione lo collocava tanto alto che non fosse più lecito ai mi- nistri di non far eco al grido della pubblica fama, Champollion rice- veva senza viltà i non richiesti onori; e i favori non provocati, da chi darli sapea senza fasto. Svelata l’ arcana dottrina e sviluppato il nodo dell’ egiziane scrit- ture , abbisognava allo Champollion gran copia di monumenti originali che gli prestasser materia a confermare ed estendere i suoi scuopri- menti , ed a farne la desiderata applicazione a profitto della Storia. La nuova collezione di egiziane antichità, acquistata dal Re del Piemonte, veniva opportunissima a’ suoi desideri. Recavasi egli al reale Torino, e trovava in quei Dotti, dei quali più l’ Italia si onora, avidità di sapere e mente accomodatissima a giudicare. Con lui usavano più fa- miliarmente coloro che per somiglianza di studi e d’ ingegno lo ave- vano più caro , ed in più mesi che durò il suo soggiorno in quella città , ebbe specialmente in gran pregio l’ amicizia dei chiarissimi Pey- ron e Gazzera ; a tutti poi che desiderio ne avessero , largo e cortese com’ era per natura , apriva il tesoro de’ suoi trovati e di quelli ezian- dio che noti ancora non erano per le pubbliche stampe. Stimolato in Torino da desiderio ardentissimo di applicare la nuova luce a schiarimento della Storia d’ Egitto ,, mentre nulla d’ inosservato lasciava tra quei monumenti , applicò l’ animo più specialmente a ri- comporre la serie dell’ egiziane dinastie , comparando le figurate au- col titolo , il Sistema Geroglifico del Sig. Cao. Ghampollion il Minore, di- chiarato ed esposto alla intelligenza di tutti dal D. I, ‘ppolito Rosellini, Prof. di Lingue Orientali nella I. e R. Università di Pisa. Pisa » presso Sebastiano Nistri 1825. 192 torità originali e contemporanee con i frammenti della storia scritta. Frutto di questo confronto furono le due celebratissime Lettere ch'egli. intitolò ( ampia e splendida testimonianza di gratitudine al suo Mece- nate ) al Duca di Blacas (6); nelle quali fece conoscere î nomi ed i titoli di molti Faraoni scritti sui taurinensi monumenti e li riordinò in dinastie , secondo i cataloghi di Manetone , cominciando dalla de- cimasettima tebana , fino alla vigesima seconda dei Bubastiti. Nel qual lavoro , se il sedusse il desiderio di offrire al pubblico le più impor- tanti scoperte che concernono la storia innanzi di conoscere maggior copia di monumenti , onde poi il viaggio in Egitto ha dato occasione a correggere in varie parti le cose stabilite in quelle due Lettere, egli mostrò nulladimeno quanto sperar;si potesse dall’ applicazione del nuo- vo sistema ai grandi monumenti dell’ Egitto. Un’ altra opera aveva cominciato nello stesso anno , la quale, lungamente interrotta a cagione del suo viaggio in Egitto , fu ripresa ma non terminata dopo il ritorno. Questa aggirasi intorno alle figure, ai nomi ed ai titoli delle Divinità dell’ Egitto (7) , e se molto vi è in essa da correggere per li studi successivi fatti sui monumenti dell’ E- gitto e della Nubia , nulladimeno molte idee giuste e certe vi si tro- vano intorno alla mitologia degli Egizi fino allora oscurissima. Intanto era giunta in Livorno una vasta collezione di antichità egiziane , e il Duca di Blacas per dar nuovo favore agli studi dello Champollion, e per compensare il danno di che si lagnava la Francia per la non acquistata collezione di Torino, fu operatore , secondato in ciò dai ministri di quel tempo , che il Re Carlo X ne facesse acqui- sto per arricchirne i Musei di Parigi. Fu commesso allo Champollion di recarsi a Livorno , per fare stima e recensione precisa di quelli og- getti di antichità ; e allora fu che per la prima volta il conobbi. Quel sommo Ingegno accolse con tanto cortese animo il giovane espositore del suo sistema che, fino da quel momento, non so se fosse più grande I’ ammirazione , o l’ affetto che a Lui mi strinse. Fin d’ allora, avido di apprendere la nuova dottrina meglio di quel che farsi poteva pei snoi pubblici scritti, desiderai ardentemente di seguitarlo ovunque andasse ; ed al mio desiderare , facile e generoso condiscese il Sapien- tissimo Principe , il quale , non contento di aver onorato il grand’Uo- mo di affabilissimo accoglimento , diede a me facoltà di seguitarlo , de- (6) Lettres à M. le Duc de Blacas d'Aulps, prémier Gentilhomme de la Chambre , Pair de France etc. , rèélatives au Musée royal égyptien de Turin ; par M. Champollion le Jeune. Première et seconde Lettre Monuments hi- storiques. Paris, 1824 et 1825. Unisconsi a queste lettere due dotte IVotizie cronologiche scritte dal maggiore fratello Champollion-Figeac. (7) Panthéon Egyptien , Collection des Personnages mythologiques de l’ ancienne Egypte d’ après les Monuments , avec un texte explicatif par M. J. F. Champollion le Jeune , et les figures d’ apres les dessins de M. Lu J. J. Dubois. Di quest’ opera sono state date al pubblico quindici dispense. 193 iiaito: ancora di aggiungere a favor mio parole di raccomandazione. D’ allora in poi ebbe principio quella dolcissima e per me tanto pre- ziosa consuetudine fraterna .che ci tenne inseparabili per oltre quattro anni , e che ci fè, per amor della scienza, dividere tanti pericoli e tanti travagli. La recensione e lo studio delle antichità, che componevano la nuo- va collezione , prolungò di circa tre mesi la dimora in Livorno , nei quali coll’ opportunità di sì preziosi monumenti io riceveva dal som- mo maestro e dal generoso amico insegnamento d’ inestimabile prezzo. Da Livorno imprendemmo un viaggio nella Bassa-Italia , notando e raccogliendo nei Musei tuttociò che avesse relazione coi nostri stu» di; e Champollion , desiderato e riverito da tutti, trovò tra i dotti d’ Italia estimazione non minore che di lui facessero Silvestro di Sacy e Letronne in Francia , lo stesso Young in Inghilterra , i d’Humbolt , Creuzer , e Kosegarten in Germania , e tanti altri chiarissimi che trop- po lungo sarebbe il ricordare. Quindi tra noi , oltre i sopra lodati Pey- ron e Gazzera ed altri dotti membri della celebre Accademia di To- rino , lo conobbero di persona e ne ammirarono i maravigliosi scuo- primenti , Cattaneo a Milano ; Mezzofanti ed Orioli a Bologna ; Zan- noni , Niccolini, Micali , Migliarini , e Inghirami a Firenze ; Mai, Fea, Testa e più altri del paese , o stranieri illustri che dimoravano in Ro- ma ; Carelli e Gell a Napoli, e quanti altri furono o letterati di fama o insigni amatori de’ buoni studi. Non erasi Champollion per anco ridotto in patria , che dal suo Re fu prescelto a Prefetto del nuovo Museo Egizio che per la collezione acquistata in Livorno doveva fondarsi con regia pompa nel palazzo del Louvre. Ma la novella scoperta del sistema geroglifico aldomandava di uscire dai limiti di un’ opera elementare. Molti erano ancora i carat- teri malcerti od ignoti ; povera la materia che servir potesse di su- bietto alle applicazioni che la filologia e la storia desideravano. E la grande opera pubblicata in descrizione dell’ Egitto valeva a far cono- scere quanto mai sperar si potesse da un viaggio a quei grandi monu- menti per copiarne correttamente le innumerabili iscrizioni e sculture che li ricuoprono. Champollion sentiva profondamente la necessità di possedere questi documenti; e se io al suo desiderio mi sforzassi di aggiungere persuasione e stimoli , è facile a pensare. Tracciavasi tra noi in Parigi il disegno , già concepito in Italia, di recarci noi stessi in Egitto a certo acquisto di un tanto tesoro. Ma nè poche nè lievi erano le difficoltà che vi si opponevano per parte del Ministero di Fran- cia, occupato piuttosto a comporre le interne agitazioni dei partiti che a favorire gli studi. Nè sarebbe stato possibile di colorire il nostro disegno senza la immediata cooperazione di un qualche Governo. Fu allora che nella speranza si ordinasse dal Re di Francia una scientifica Spedizione in Egitto guidata dallo Champollion , piacque alla sapienza del munifi- centissimo Granduca Nostro , di ordinare Egli ancora una Spedizio- T. VI. Aprile 25 194 ne Toscana alla mia guida affidata , la quale collo scopo medesimo alla Francese si congiugnesse. Il qual generoso atto rappresentato in Fran- cia dallo Champollion e da me, e dalla efficace mediazione del Duca di Blacas fortemente avvalorato, valse a far deliberare ciò che ancora pendevasi incerto. Così pieni di gioja, di ardore e di speranza, il giorno 31 di Luglio dell’ anno 1828, riuniti essendo sei Francesi e sei Toscani, sciogliemmo da Tolone sopra un regio vascello , ‘e la sera del 18 del mese seguente salutammo e baciammo la desiderata terra d’ Egitto. Quindici mesi di soggiorno sulle sponde del Nilo fino nel cuor della Nubia , offrirono ai nostri studi frutti anche maggiori delle concepite speranze. Appena eravamo giunti ad un monumento , ne considerava- mo insieme tutte le parti attentissimamente , e distribuendo tra à no- stri compagni disegnatori le diverse particolarità delle quali interes- sava aver copia , fra noi due dividevamo l’ opera di descrivere il mo- numento e di copiarne le Iscrizioni, Poscia il lavoro nostro scambie- volmente nelle ore notturne , o navigando sul Nilo , comunicandoci e trascrivendo , venivasi dall’uno e dall’altro a possedere l’opera intera. Con simile vicenda si copiavano dai Toscani i disegni fatti dai Fran- cesi e viceversa ; onde due portafogli formavansi completi e identici. È già noto al pubblico quanta sia la copia e l’importanza di questa im- mensa collezione di preziose memorie , che la civile e politica storia e le dottrine religiose dell’ antico Egitto concernono. La scoperta di Champollion che con noi venne certa ne’ suoi principii , ma in brevi limiti ristretta, e non per anco arricchita dei frutti di una larga e ge- nerale applicazione , presto acquistò alla prova dei grandi monumenti d’Egitto una tale capacità ed ampiezza , da schiudere immenso tesoro di storico e filosofico sapere. Le memorie e i documenti raccolti nel nostro viaggio e per vicen- devoli comunicazioni da entrambi possedute , destinavansi a formare una comune opera che , apportando grandissimo frutto fIla scienza del- l’ antichità , onorasse ugualmente Francia e Toscana : poichè una me- desima cooperazione , uno stesso ardore congiunse i due Governi a co- spirare amichevolmente nel fine medesimo , e nonostante (dicasi a lode rarissima di quel plecaro Ingegno) eravamo sul medesimo campo Francesi ed Italiani a dividere una preda di gloria e di vanto per la non comune Patria. In Alessandria ci lasciammo, non senza amarezza di questa prima separazione per il ritorno ai propri paesi ; e Champollion rendevasi al desiderio de’ snoi sul principio dell’ anno 1830. I dotti ed i curiosi della immensa Parigi se gli affollavano intorno per vedere e conoscere ì preziosi disegni che noi mostravamo dal lato nostro ai Toscani ; dai quali davasi all’ illustre Francese nuovo segno di stima e aggradimento dell’ accomunata impresa , proclamandolo , a proposizione del meritis- simo Presidente Commendatore Ramirez di Montalvo , Membro Onora- rio della Fiorentina Accademia di Belle-Arti. La qual pubblica testi- 195 monianza veniva con maggior segno d’ onore cumulata dalla magnifi- cenza del Principe , che creavalo Cavaliere dell’ Ordine del Merito. A tante prove e sì chiare che allo Champollion tuttogiorno offerivansi della universale estimazione , quasi vergognando l’ Istituto di Francia di non aver:nel suo seno quell’ Uomo del quale già si onoravano tutte le più famose Accademie d’ Europa , lo ascrisse tra’ suoi Membri Ordi- nari nella Sezione d’ Iscrizioni e Belle-Lettere ; e verso il cadere del- l’anno 1830 , il Re Luigi Filippo lo creò Professore di lingua e anti- chità egiziane al Collegio di Francia. I mutamenti e le incertezze politiche non lasciarono lo Champol- lion in tanto ozio e tranquillità di studi, quanto pei progressi della nuova scienza desideravasi. Ma non tanto dai pericoli della patria fu distratto che non applicasse 1’ ingegno a comporre la Grammatica egi- zio-geroglifica che io stesso vidi compiuta in Parigi sul declinare del- l° anno decorso , allorchè , o mio Champollion, ti rividi per 1’ ultima volta!... Ah! voi, dolentissimo fratel suo , Champollion-Figeac, non fate che troppo lungo sia il desiderio di questa preziosissima Opera ! Affrettatevi ad innalzare al nostro caro il monumento indestruttibile ch’ ei preparò col suo grandissimo ingegno , e che produrrà frutti im- ‘ mensi negli studi di tutte 1’ età che verranno. Avevano le politiche vicende di Francia preparato a quel paese tempi così difficili e male adatti alle opere di pace, che sembrava frapporsi tra Champollion e me ostacolo insormontabile a far pubblici per comune accordo i frutti del nostro viaggio. Ma a me, che viveva nella tranquillità di questo cielo sereno , e dove d? alta protezione ai buoni studi la sapienza dell’ ottimo Principe non fa patire difetto , non era più lecito lasciare ancor più a lungo senza complemento la im- portante commissione affidatami. Doveva alla Patria , doveva al Prin- cipe , doveva a me stesso il produrre a notizia del pubblico e ad uti- lità degli studi le memorie e i monumenti raccolti dalla scientifica Spedizione. Perciò solo accingevami all’ opera, sotto gli auspici del Principe ; e già uno stampato manifesto cominciatosi a pubblicare sol- tanto in Germania , ne annunziava il disegno. Nel medesimo tempo in Francia stessa le speranze di pace cedevano ogni. di più ai timori di guerra , e lo Champollion accostandosi nuovamente al primiero consi- glio, mi richiedeva che ci giovassimo della presente opportunità a far pubblici i nostri identici portafogli in una comune opera. L’ invito era in tutto conforme ai miei desideri ; nè mi fu difficile ottener facoltà dall’ Augusto Protettore di fare accordo collo Champollion, perchè il comune viaggio fosse per comune lavoro illustrato e fatto pubblico. Perciò convenimmo in Parigi di quanto fosse per ciascun di noi da operarsi a un simile effetto , e la distribuzione e il modo dell’ opera disegnata venne a cognizione del pubblico col già noto manifesto bi- lingue , francese ed italiano (*). (*) V. Antologia N.° 129. p. 160. 196 Frattanto io stava intento a prepararne in Toscana le prime parti, le quali avevamo ordinato che di qui uscissero in luce , per cominciar tra Pisa e Parigi la vicenda delle successive pubblicazioni ; quando giunsemi acerba e inaspettata novella che implacabile morbo minac- ciava la cara vita di Champollion. Lenti e replicati accessì di paralisi, provenienti, per quanto sembrò , da mala disposizion della midolla spi- nale , afflissero in brevi giorni le forze del suo corpo , libere e integre lasciando le facoltà dello spirito. E benchè la crudel malattia lasciasse nel periodo primo qualche speranza di salute , pur, corsi appena due mesi dalla prima minaccia , tornò ad assalirlo più fiera; e all’ appres- sarsi della quinta notte, di Marzo , dato 1’ ultimo addio alla moglie infelicissima e ai dolenti amici che gli accerchiavano il letto , tran- quillo e sicuro scambiò le tempeste di questa vita colla pace dell’ e- ternità. Nè a Voi, miserabilissimo Champollion-Figeac , fu dato racco- gliere l’ultimo sospiro dell’ amato fratello! Chè gli amici, pietosi al- 1’ ineffabile dolor vostro , Voi disperato e quasi fuori di mente strap- parono a forza dal miserando spettacolo! Nè io, mal conoscendo i diritti degl’ infelici, voglio presumere di arrecare consolazione a dolore sì smisurato ; nè darvi potrei ciò che non valgo a trovar per me stesso. Ah no! che il danno è immensamente maggior d’ ogni pianto , e il tempo solo, che distruggendo soccorre alle miserie di questa vita, può col suo balsamo consumatore , disacerbar ]’ amarezza di tanta sventura. Il giorno settimo del medesimo mese fu accompagnata la cara spo- glia nella Chiesa parrocchiale di S. Rocco (8). Un gran numero di membri dell’ Istituto e del Collegio di Francia, i prefetti dei. Musei e della Biblioteca , Deputati alla Camera dei Comuni , e forestieri illu- stri, facevano lungo ed onorevol corteggio al feretro. Silvestro di Sacy , d’ Humboldt , Arago , il conte di Forbin reggevauo i quattro lembi del funebre panno. La mestizia che dipingevasi sul volto dei Dotti esprimeva il tristo sentimento della perdita irreparabile che ha fatto la Scienza colla morte di sì raro Ingegno ; ma il dolore dei mol- tissimi amici dava bene a divedere quanto Ei fosse buono , indulgente, servizievole , onesto e degno in tutto di quella stima , amore e ri- spetto che conseguì nella vita. Il numeroso corteggio l’ accompagnò fino alla tomba nella quale , innanzichè fosse deposto , gli dissero con ap- posite parole l’ ultimo vale Walckenaér e Letronne. Fu a tutti com- passionevole la presenza e il dolore dei giovani che accompagnarono Champollion in Egitto , ai quali fu per tante prove manifesto quanto Egli avesse di generosità e disinteresse. Ah perchè non potei io insieme con loro bagnare di lagrime il tuo sepolcro ; o mio buon Champollion, e baciare per l’ ultima volta quel petto che mi fu sì largo di amore e d’ insegnamento! (3) Journal des Débats , 7 Mars 1832. 197 Tali furono la vita e le opere di Giovanni Francesco Champollion il Minore. Modesto , leale , costante nell’ amicizia , ebbe tanto in pre- gio la lode che procede dalle opere virtuose, quanto tenne a vile i beni e le grazie della fortuna dei quali non fu mai ricco, nè gliene increbbe. Ai mali e in special modo alla indigenza del prossimo fu compassionevole e pio , e per quanto le poche sue facoltà il concedes- sero , soccorrevole. Delle massime eterne fu piuttosto osservator ri- spettoso che indagator miscredente : nella vita futura ebbe fede e speranza. Nell’ amare le patrie glorie ( e di quelle , che dalla cultura degli studi procedono , era egli gran parte ) fu generoso e giusto , nè mai a depressione degli altri ne menò vanto : e come colui ch'era della patria amantissimo , alle prevaricazioni degli uomini che potevano farla inonorata ed abietta , accendevasi di generosissimo sdegno. I meritati onori e il favor dei Potenti nè sprezzò nè richiese. Fu casto , sobrio, laborioso : delle convenienze socievoli non rigido osservatore : delle dottrine da sè scoperte , anzichè esser geloso custode , fu non sospet- toso e largo dispensatore ; ed a quelli eziandio ne fe’ copia, i quali mostravano averle in piccola stima , o che erano soliti di usurparsele. Fu di donna gentile e culta marito ed amico confidentissimo ; e mori tenero padre di una cara fanciulletta. Per l’ amoroso fratello il quale, avanzandolo di età , era stato proteggitore e guida della prima sua gio- ventù , ebbe tenerezza costante mista di gratitudine e di rispetto: tale fu insomma Giovanni Francesco Champollion il Minore , che in lui ri- fulsero con rara concordia le più nobili facoltà di preclarissimo Ingegno, e le più amabili doti di cuore candidissimo (9). IrroLITO ROSELLINI. APPENDICE. Articolo estratto dalla Gazzetta di Firenze del 17 Maggio 1832. Nel foglio del di 24 marzo di questa Gazzetta è stato reso conto di un articolo dei giornali di Francia relativo alla morte del sig. Cham- pollion il minore , ripetendo le giustissime lodi dovute a quell’ uomo sommo e le dimostrazioni di dolore che si sono fatte in Parigi per ‘tanta perdita. Ma in quel medesimo articolo si trovano ‘omissioni ed inesattezze che noi ci crediamo in dovere di correggere. Nel giornale francese si dice che il Granduca di Toscana voleva pubblicare a sue spese i portafogli del Champollion, e che egli rifiutò questa offerta. Or tutti sanno , benchè i Giornalisti di Francia non abbiano preso mai gran pensiero di farlo noto, che il Granduca nostro ad istanza del professor Rosellini e del medesimo Champollion; che poco sperava in quel tempo» di ottenere dal suo governo di che intraprendere un viaggio in Egitto, (9) L° Opera Y Monumenti dell’ Egitto e della Nubia , della quale si tro- vano già pronte le prime parti , si comincerà a dare al pubblico tra brevissimo tempo. 198 ordinò quella spedizione scientifica Toscana che si congiunse poi. alla Francese , della quale era capo lo Champollion. Le due spedizioni com- ponevansi di un medesimo numero di persone, potevano disporre degli stessi mezzi, ed eseguirono in perfetta comunanza l’opera di disegnare i soggetti e di copiare le iscrizioni dei Monumenti d’Egitto in modo, che i lavori originari dei disegnatori di una Spedizione si copiassero a vicenda da quelli dell’ altra. Da questa cooperazione vicendevole ri- sultarono due portafogli identici ai quali corrispondono due copie iden- tiche di note originali prese e vicendevolmente comunicatesi dai capi delle due spedizioni. Che anzi, una maggiore attività nei disegnatori toscani aveva prodotto un più gran numero di disegni originali di quello che pei disegnatori francesi si fosse fatto ; onde avvenne che a questi mancò il tempo di copiare tutti i disegni dei nostri, e perciò il portafoglio della spedizione toscana riuscì più ricco di quello della francese. Infatti essendo stato convenuto che se ne pubblicassero i ri- sultati dai professori Champollion e Rosellini in una comune opera, fu necessario al primo, per completare la serie dei soggetti storici, che gli fosser mandati di quì circa 200 disegni ch’ei non aveva, e che essendo giunti a Parigi nel tempo della sua malattia furono deposti in un luogo terzo, d’onde saranno restituiti, Fu dunque talmente lontano il Granduca di Toscana dal voler pubblicare i portafogli dello Champollion che, possedendo egli per la Spedizione da lui ordinata tutto quanto trovavasi possedere lo 'Cham- pollion stesso, aveva pur anche il di più che fu necessario a comple- tare il difetto dei portafogli francesi. Non è in conseguenza esatto ciò che l’ autor di quell’articolo asserisce, che lo Champollion rifiutasse l’offerta la quale non gli venne mai fatta. Che anzi sapendosi da lui che in Toscana, a cagione dei politici mutamenti di Francia, proce- devasi a pubblicare dal professor Rosellini, sotto gli auspici del no- stro Governo, l’intero portafoglio , egli scrisse al suo collega e fece istanze al Granduca per ottenere che l’ opera si pubblicasse di comune accordo. Quindi risultò quel manifesto francese ed italiano dato in luce a Parigi nel settembre dell’anno decorso , il qual manifesto avreb- be pur potuto illuminare in parte almeno l’autore di quell’articolo. Sappiamo poi che dal momento che fu intesa la morte dello Cham- pollion, il professor Rosellini scrisse alla famiglia del defunto per as- sicurarla , che quantunque rimanesse tutta a suo carico la composizione dell’opera, intendeva però di non separarsi da loro nella convenuta pubblicazione ; e l’ offerta è stata accettata dal fratello Champollion- Figeac. Per la qual cosa l’opera sarà data al pubblico in quel me- desimo modo che fu annunziato nel manifesto (*). (*) Di quest’opera (della quale il sig. prof. Rosellini sarà l’ unico redattore) sarà probabilmente fatta una traduzione francese, e così l'edizione procederà nelle stesse forme già annunziate nel manifesto. Ma intanto (così ci vien scritto da Pisa) l’ edizione originale italiana è per uscire tra breve , perchè il primo 1:99 Dobbiamo pertanto rendere nuove grazie alla munificenza di S. A. I. e R. l’ottimo Granduca nostro che, avendo. validamente protetto questi studi importanti , ed avendo fatto eseguire la spedizione scien- tifica Toscana in Egitto, ha aggiunto gloria e soddisfazione novella al nostro felice paese, quella di poter conservare agli studiosi tante dottrine, memorie e documenti che periti sarebbero colla morte del- l’ illustre Champollion. Cavaliere Giuseppe DEL Rosso. Da Zanobi di Giuseppe Ignazio, ambidue architetti fiorentini, e da Francesca Stradetti pittrice pratese nacque in Roma Giuseppe del Rosso il 15 aprile 1760. All'età di 5 anni fu condotto a Firenze «al padre , alla cui scuola studiò architettura: e dall’ insegnamento e dal- l’esempio apprese come quell’arte potesse ricondursi a quei sani prin- cipj, da’quali non poco era deviata. Nella sua età di 24 anni cominciò a dar saggiò di sua perizia, ese- guendo varie commissioni affidategli da Leopoldo I, e diede prove di suo sapere rispondendo ad un programma dell’Accademia di Parigi: Quale fosse l'architettura presso gli Egiziani, e ciò che i Greci appresero da quella nazione. Ad oggetto di studiare gli antichi monumenti dell’ arte, all’età di 30 anni tornò a Roma, ove contrasse relazione co’ più cospicui ar- chitetti, e segnatamente con Leonardo de’ Vegni, giudizioso restaura - tore dell’architettura, e col D’Agincourt, il quale per la sua gran- d’opera non ricusò valersi delle cognizioni del Del Rosso. Reduce da Roma nel 1791, molti furono i lavori da lui successi- vamente eseguiti. Addetto alla R. Corte di Toscana, per essa disegnò ed edificò un quartiere da inverno al Palazzo Reale de’ Pitti: fu in- caricato per le grandi esequie per l’Imperatore Leopoldo , e quindi per quelle dell’ Imperatrice vedova. Furono opere sue e la Scala scoperta al Casino del Cavaliere in Boboli, e i restauri e ricrescimenti alla R. Villa dell’ Appeggi, e la riduzione del locale dell’Accademia delle Belle Arti, e per l’ officina delle pietre dure e per l’abitazione de’professori. Convertì in caserma per un corpo di cavalleria un antico Spedale di Pellegrini nel Corso de’ Tintori ; ridusse ed aumentò la R. villa del- l’ Ambrogiana , ed alcune stanze della R. Galleria, introducendovi un conveniente lume col porvi le lanterne. Essendo stata danneggiata la città di Siena dal terremoto dal mag- | gio 1798, per ordine sovrano vi si recò a farvi necessari risarcimenti h tomo (con i caratteri nuovi di Didot e con inchiostro di Parigi) anderà sotto il torchio i primi giorni di giugno. Conterrà la serie delle dinastie d’Egitto com- poste in ordine cronologico a cominciare dai tempi di Abramo. E la prima dispensa delle tavole darà, coerentemente al primo volume , il primo saggio d’ Iconografia, vale a dire, la svrie dei ritratti dei Faraoni. 200 ed eseguì la commissione in guisa che ricevè non dubbi attestati della sovrana approvazione. Governata la Toscana dal re Lodovico, continuò a servir la Corte; e gli fu dato l’incarico delle esequie per Ferdinando I duca di Parma ; del pari che della festa ed apparato funebre per la morte del detto re ; le prime nella Chiesa della SS. Annunziata , il secondo in quella di S. Lorenzo. Passata la Toscana sotto la dominazione francese, in qualità di architetto della città restaurò il Palazzo Vecchio, e i pubblici acque- dotti; aprì nuove fonti per provvedere di acque vari quartieri della città, che ne mancavano. Progettò ed eseguì il Deposito di Mendicità, e un Liceo capace per 250 alunni; e diede opera a rivedere e restan- rare i teatri, ove il bisogno esigeva. I due campanili di S. M. Novella e di Badìa furono ristaurati, e all’ ultimo pose la spranga elettrica per salvarlo dal fulmine. Nè vi fu festa pubblica, di cui non fosse affi- dato a lui il disegno e l’ esecuzione. Ridusse le pubbliche carceri, dividendole in varie classi, e aumentandone il locale; e progettò una Casa municipale di correzione per 200 individui, da eseguirsi nel mo- nastero della Pietà in via del Mandorlo. Dopo quest’ epoca concepì varii progetti, e tutti grandiosi, per abbellire la città. Tali furono l’ allargamento della via detta dei Gal- zaioli; la prolungazione della via Lungo l'Arno , che guarda il mezzo giorno , dal ponte alla Carraia sino alle mulina della Pescaia ; in fronte alla quale strada aveva immaginata una porta per dare accesso al pas- seggio delle Cascine. Aveva pure progettata una piazza avanti la porta a S. Gallo, ove sboccar dovea la via Larga ; e quella avrebbe occupato il convento di S. Agata , l’ orto di S. Marco, e quello dei Semplici e della SS. Annunziata ; aveva pure proposto l’ allineamento della fab- brica della Misericordia, lavoro non ha guari eseguito ; come la demoli- zione della volta al ponte a S. Trinita, che fu uno degli abbellimenti posteriormente eseguiti ; nell’ occasione del qual lavoro si vuole che fosse stato trovato un lastricato 14. braccia sotto il livello attuale della strada. Aveva pure proposto di prolungare la via degli Arazzieri, inter- secando le lunghe vie del Campaccio, e di S. Reparata; di ampliare la piazza del Duomo col demolire il vecchio episcopio , essendone già stato edificato un nuovo ; e in quel luogo erigere un grandioso portico, e collocar nel centro della piazza una nuova fontana. Fu parimente suo il progetto di demolire il così detto portone d’ Annalena ; lo che poi fu eseguito, e diede luogo al bell’ ingresso , che oggi si vede , al R. Giardino di Boboli. Parevagli che la piazza del Granduca non corrispondesse nè al maestoso Palazzo Vecchio , bel monumento architettonico di Arnolfo di Lapo, nè alla singolar Loggia de’ Lanzi inalzata dall’ Orgagna, or- nata già dal Del Rosso di statue. Ad eseguire tal disegno era di ne- cessità demolire tre isole di casamenti, una di faccia al Palazzo, l’al- 20I tre laterali volte a mezzogiorno , rimanendo la bella Loggia dell'Or- gagna in faccia al Settentrione, la quale avrebbe voluto continuare sino a‘tutta la via di Vacchereccia. Queste ed altre di più lieve momento, e che per servire alla bre- vità ometteremo , furono le opere dal Del Rosso o immaginate o ese- guite per ordine superiore. Tornata poi la Toscana sotto il veramente paterno} e felice governo di Ferdinando III di gloriosa memoria , fu eletto a professore di architettura nella R. Accademia delle Belle Arti. E per quanto nell’ intervallo in cui tante opere eseguì, e tanti piani disegnò , e tanti progetti produsse, sembri non aver potuto trovare il tempo di occuparsi in altri lavori per private commissioni , pure, in- defesso come era nel disegnare, e fecondo nell’immaginare , eseguì altre opere importanti a lui da vari particolari commesse ed affidate. E qui giovi il rammentare come fino dal 1792 diede principio alla gran cappella, che colla spesa di trentamila ducati 1’ avvocato Pietro dalle Pozze fece erigere nella terra di Dicomano ; nella quale assunse l’ar- chitetto l’ impegno di trasportare una imagine dipinta a fresco sopra un muro dalla cappella distante. Venendo al fatto di segare la mura- glia, si trovò esser questa costruita di sassi e terra ; circostanza che rendeva impossibile il trasporto. In tal caso il del Rosso riuscì a farla demolire, salvando però l'intonaco su cui era il dipinto, e dietro al quale fece fare un nuovo soprammattone, dopo di che si rese fattibile il trasporto. Di non minore impegno fu la costruzione della nuova cappella annessa al Duomo di Arezzo per collocarvi la famosa immagine di no- stra Donna. | Ornò di un nuovo altar maggiore la chiesa di S. Maria Novella, il quale, a malgrado di qualche difetto, spiega magnificenza e nobiltà. Deplorava la barbarie di avere. anticamente scoperchiata e desti- nata ad uso di cimiterio una vecchia basilica di S. Alessandro semi- ‘diruta a Fiesole. I Fiesolani affidarono al Del Rosso l’incarico di riattarla , lo che egli fece con molto piacere , dirigendo non solo gra- tuitamente quel lavoro , ma costruendo a proprie spese una cappella di faccia al destro portico, ove preparò una celletta sepolcrale sotto altare per se , e per la sua moglie. Produsse pure il totale progetto di riduzione dello stabilimento Goldoniano nel soppresso monastero di Annalena , ed eseguì special- mente il teatro notturno non omettendo di dirigere il rimanente dei lavori di quello stabilimento. Molti altri lavori di minor conto furono dal Del Rosso disegnati ed eseguiti per privati tanto in Firenze che fuori, de’ quali non pare che metta conto di fare parola , bastando quel che abbiam detto a mostrare quanti bei concetti egli abbia formati nell’esercizio della sua professione. Se poi lo vorremo considerare sotto l’aspetto di architetto erudito, e di varia dottrina, basterà il rammentare le opere da lui scritte x T. VI. Aprile 26 202 nelle quali ridondano le notizie archeologiche , storiche e teoretiche che ali’arte appartengono. E fra queste il primo luoso , sebbene sia delle ultime in ordine cronologico, pare che possa assegnarsi al nuovo Trattato d’ Architettura che servir doveva di norma agli studiosi d’architettura dell’Accademia delle Belle Arti. Ci risparmieremo la storia del come detto trattato ve- nisse alla luce sotto altro nome che quello del Del Rosso, il quale ne fu il solo autore, se si eccettuino le tavole, delle quali fu affidato il disegno al suo aiuto ; storia che il Del Rosso accennò in suo opuscolo intitolato: Esercitazioni sulla Voluta Ionica. Nè l’ aver rammentata questa opera. del Del Rosso, farà sì che sì trascuri di dare il catalogo delle sue scritture , affinchè sia mani- festo qual profondo conoscitore egli fosse di tutte le discipline che all’ architettura appartengono, e per eccitare alcun dotto architetto , o almeno alcun tipografo a riunirle tutte in una collezione , essendo esse per la massima parte sparse in giornali, ed altre , a malgrado le diverse edizioni fatte , rese rarissime , nel tempo che sono universal- menta desiderate. E questo è un voto che ci godrebbe 1’ animo se si vedesse adempito da’ suoi eredi, per mezzo di qualche affezionato di- scepolo del Del Rosso. Le molte sue produzioni letterarie e scientifiche gli meritarono le considerazioni del Governo. Infatti nel 1820 fu nominato regio consul- tore architetto , e successivamente fu destinato per architetto della Guardia del fuoco , per la quale si occupò con ‘somma attività ed in- telligenza , inducendo quelle innovazioni che i moderni lumi gli sug- gerirono per menomare i danni e procurare la pronta estinzione de- gl’ incendi. Su di che fece pubbliche e grandiose esperienze che riscos- sero l’ universale approvazione. Fu quindi nominato per uno dei com- ponenti il Consiglio degl’ Ingegneri; e nella organizzazione dell’Uftizio di acque e strade insistè per la matricola da darsi agl’ ingegneri. Fi- nalmente fu decorato della croce di cavaliere del R. Ordine di S. Giu- seppe , distintivo degli uomini di un vero merito. i Gelibe fino al 49.° anno dell’età sua, nel 1809 elesse a compagna de’ suoi giorni la Giuseppina Barsotti Zittella di gentil prosapia, e d’in-. dole secondo il suo cuore e i suoi costumi. Fu di carattere festevole e sociabile , amò gli studiosi e cercò sin- golarmente la società dei dotti; fu così costante nell’amicizia, che co- loro, che scelse ad amici nei primi suoi anni giovanili, se li mantenne tali sino agli ultimi giorni del viver suo. Non gli mancarono però de’malevoli e degli invidiosi. La sua schiet- tezza gli procurò i primi , il suo sapere i secondi. Ma in compenso la sua lealtà piacque a molti buoni, e anzi al maggior numero , e gli conciliò l’amore e la stima di molti benevoli. Furono oggetto della sua tenera affezione i propri genitori, e della sua gratitudine la loro reminiscenza, stendendo le memorie per servire 203 alla vita di suo padre, e testificando la sua affezione col consacrargli un monumento sepolcrale. Comunicò la sua istruzione ai giovani alunni con pazienza e con amore , non desiderando altro che per quanto in lui era si mantenese e propagasse la buona architettura. Fu un vero filantropo, e non fu ultimo suo pregio la beneficenza, singolarmente verso i suoi congiunti, i quali soccorse tanto per la sussistenza. che per l'educazione. Nel settembre del 1831 incominciò a soffrire di affanno e di tu- mefazione edematosa nelle estremità inferiori, segno di un vizio ne’pre- cordi. Così fu necessitato a stare in letto per più di tre mesi, nel qual tempo soffrì pazientemente e con rassegnazione il suo male ; e né’? momenti di calma si occupava singolarmente in parlare di cose per- tinenti alla sua professione , e nell’ incoraggiare i giovani agli studi ar- chitettonici. Dopo una penosa, e lunga malattia, munito dei soccorsi spirituali, e dotato di una forza d’ animo fortificata dalla integrità della propria coscienza, cessò di vivere il dì 22 del mese di Dicembre 1831 fra le lacrime della tenera sua consorte e dei suoi amici, e singolarmente de’ suoi scolari , alcuni de’ quali seguirono il funebre trasporto: della sua spoglia mortale , la quale fu depositata nella cappella di S. Ales- sandro a Fiesole. ) Appartenne a varie società accademiche, fra le quali alla Economica Agraria dei Georgofili di Firenze, la quale, seguendo il proprio isti- tuto, ne tesserà a suo tempo il funebre elogio. La libreria copiosa di preziose opere di arte fu con suo testa- mento destinata in premio a colui che nei cinque anni dopo la sua morte scrivesse la migliore istoria dell’ architettura toscana ; de- siderando che, nel caso che in detto tempo niun’ opera si presen- tasse a questo concorso , potesse venire dal governo concesso un in- dugio di altri 5 anni ; e che dopo i ro anni la libreria tornasse ad essere di proprietà de’ suoi eredi, eccettuati 130 tomi di preziose mi- scellanee , da lui legati alla libreria Riccardiana. Catalogo degli scritti pubblicati alla stampa del cav. Giuseppe Del Rosso. 1. Ricerche sull’architettura degli Egiziani, e su ciò che i Greci hanno preso da quella nazione. Firenze 1787 e Siena 1800. 2. Osservazioni sulla basilica Fiesolana di S. Alessandro. Firenze 1790. 3. Descrizione e disegno della facciata eseguita alla chiesa di S. Spirito di Firenze. Firenze 1792e Roma 1793 nell’ Antologia romana. 4. Della pittura delle cupole e volte. Roma Antologia romana 1795. 5. Pratica ed economia dell’arte di fabbricare. Firenze 1789, e 1827. 6. Dell’ economica costruzione delle case di terra. Firenze 1794. 204 n. Della facile costruzione dei ponti di legno per torrenti o piccioli fiumi, applicabile anco ai ponti di materiale murato di qualunque estensione. Firenze 1797. 8. Lettera architettonica al sig. Leonardo de’ Vegni sopra alcune costru- zioni barbare. Roma Antologia romana 1795. 9. Aneddoto istorico relativo alla facciata. del Duomo di Firenze. Fi- renze 1805. 1o. Architettura. Compendio istorico di questa scienza. Giornale pisano. 11. In qual conto si debbano tenere i monumenti che si osservano nelle medaglie. Accademia italiana 1808. : 19. Lettera d’ un accademico etrusco , all’ occasione delle solenni esequie per il re Lodovico I. Firenze 1804. 13. Saggio di osservazioni sui monumenti dell’antica città di Fiesole. Fi- renze 1814. 14. Ragguaglio di alcune particolarità ritrovate nella costruzione dell’an- tico Palazzo della Signoria di Firenze, detto Palazzovecchio, con un aneddoto di antiquaria. Siena 1815. 14. Esercitazioni sulla voluta del capitello ionico. Firenze 1817. 17. Elementi di architettura per uso dell’I. e R. Accademia delle Belle Arti di Firenze. Firenze 1818. 18. Descrizione di alcuni disegni di architettura ornativa di classici au- tori. Pisa 1818. 19. Trattato sopra la forma, posizione e misura dell’Inferno di Dante Alighieri. Firenze 1818. 20. Memoria per servire alla vita di Leonardo Massimiliano: de’ Vegni. Firenze 1802. 21. Idem. di Niccolo M.* Gaspero Paoletti , architetto fiorentino. Fi- renze 1813. 29. Idem. di Zanobi Del Rosso architetto e poeta fiorentino. Firen- ze 1816. 23. Singolare scoperta di un monumento etrusco nella città di Fiesole. Roma 1819. 24. Di alcune singolarità architettoniche ritrovate in un ipogeo presso l’an- tica Chiusi. Perugia 1819. 25. Considerazioni sulla convenienza degli ornamenti dei giardini italiani, rapporto a quelli delle altre nazioni. Firenze 1818. 26. Della vera denominazione derivata dagli Etruschi di Monsummano ir Toscana. Roma 1820. 27. Rilievi architettonici sopra i disegni di due monumenti sepolcrali del- l antica Oreola. Bologna opuscoli letterari, e Roma 1820. 28. Ricerche storico-architettoniche sopra il singolarissimo tempio di San Giovanni di Firenze. Firenze 1820. 29. Annotazioni ed aggiunte all’opera l’Osservatore Fiorentino. Tiren- ze 1821. 30. Della necessità di riformare Vargano comune per uso delle fabbriche. Pisa 1822. 205 31. Dell’anfiteatro di Pola. Pisa 1822. 30. Lettere antellane sopra le opere e gli scritti di Francesco di Giorgio Martini architetto, pittore e scultore sanese del secolo XV. Ro- ma 1822. 33. Dell’ Odeo di Catania. Pisa 1823. 34. Annunzio del primo volume dell’ architettura generale del cav. de Wiedeking. Pisa 1823. 35. Di un castello per battere i paloni inclinati. Pisa 1824. 36. Osservazioni e rilievi intorno all’ architettura fiorentina del medio evo. Pisa 1824, e 1825. 37. Saggio sulla superiorità dei Toscani negli apparati per pubbliche feste. Pisa 1824. 38. Annunzio della nuova edizione udinese del Vitruvio latino. Pisa 1827. 39. Una giornata d’ istruzione a Fiesole, ossia itinerario per osservare gli antichi e moderni monumenti di quell’ antica città. Firenze 1827. 4o. Dell’ acquedotto e della fontana maggiore di Perugia ec. estratto con osservazioni. Pisa 1827. 4x1. Nota ai colti viaggiatori in Egitto ec. Pisa 1828. Opere attribuite al cav. Del Rosso, cioè stampate senza, il suo nome. 4o. Aggiunte alla ferza edizione del trattato delle case de’ contadini di Ferdinando Morozzi. Firenze 1817. 43. Descrizione delle pitture ed altre particolarità dell’I. e R. Teatro Goldoni. Firenze 11817. 44. Metodo facile spedito ed economico per cuocere in un tempo molta quantità di patate per nutrimento del bestiame. Firenze 1817. 45. Idee per un monumento di Dante Alighieri. Lucca 1818. 46. L’edituo di S. Croce in Firenze. Italia (Venezia) 1819. 47. Illustrazioni ed aggiunte ed annotazioni. ‘alla Metropolitana fioren- tina. 1820. 48. Parere intorno la descrizione del carro inventato da Gio. Ceccarini. Pisa 1822. i 49. Aneddoto d’ antiquaria relativo al moderno disfacimento dell’ antico teatro de’ Fiesolani. ‘Pisa 1825. 5o. D’un ritrovamento fatto a Napoli ; che è cosa vecchia a Firenze. Pisa 1826. I quì notati scritti sono stati pubblicati a tutto l’anno 1827. Man- cano notizie di altre scritture che dopo quell’ anno è supponibile che abbia pubblicate o a parte o in giornali. 0. 200 TRANCHETTI In un Giornale, consacrato al vero incivilimento delle umane so- cietà, non debbesi render conto solamente delle opere scientifiche , che provano lo incremento progressivo dei lumi, o delle letterarie che divertono , istruendo lo spirito ; ma debbesi , puranco , far conoscere i frutti, che la società raccoglie dall’ incremento , e dalla diffusione dei Inmi. Quanto sarebbe prezioso per noì di occuparci , spesse volte, a mettere in nobile mostra quei fatti, che onorano il genio sociale, e lo elogio contengono della filosofia del secolo ; la quale, col predicare la fraternità universale , a similitudine della santa religione di carità, gode, benchè radamente, di qualche trionfo sulle opinioni ; e sulle an- tipatie , che dividono gli animi, e mette in dolce armonia i cuori, che sembravano i più discordanti. Un esempio recente di heneficenza illuminata. dalla ragione lo somministra la città di Livorno ; ed è questo esempio tanto più glorioso, quanto più la differenza dei.culti e delle opinioni poteva essere di ostacolo alla vittoria della ragione e del cuore. Nel trenta Aprile milieottocento trentadue cessò di vivere, ‘in ‘età di settant’ anni, il sig. Isach Franchetti , di religione Isdraelita , e di professione nego- ziante. Originario di Livorno, commorava da qualche tempo in Pisa , per cercarvi salute , e vi trovò la morte. Fu sempre in vita di costu- mi semplici e antichi, benchè favorito largamente dalla fortuna, che corrompe sempre i migliori col dono delle ricchezze. Seppe usarne da saggio, come beni affidati dalla Provvidenza all’ amministrazione della virtù. Il commercio, che arricchivalo giornalmente, non potette ispi- rargli nè avarizia, nè lusso: resisteva alla prima la indole del suo cuore amico della giustizia e della carità : resisteva al secondo la tem- peranza , che presiede al buon governo delle famiglie , e aborre di umiliare pubblicamente la miseria con il confronto della soprabbon- danza negli uni in ogni genere di comodità, e di privazioni negli al- tri. Ei riservava le cumulate ricchezze ad erigersi, per dopo morte un monumento perenne , e intorno al quale le benedizioni della pri- vata e pubblica riconoscenza mista alle lacrime di tenerezza , procla- massero il di lui funebre elogio. Simigliante monumento quanto val più dei marmi effigiati sulle, tombe dei. Cresi, e di quelli Apicj, di cui l arte rende memorabili i vizi, che la storia del giorno ,dimentiche- rebbe coi loro nomi, appena terminati i funerali! Sulla, pietra, sepol- crale del Franchetti basterebbe per onorarlo questa laconica iscrizione: Alla virtù generosa la povertà beneficata. E perchè il mio lodare non sembri esagerato , ecco il compendio dell’ ultima sua volontà, che rammenta i secoli dell’amor patrio in una età nella quale-la patria è in bocca di molti, e nel cuore di pochi. . 207 1. Distribuzione di elemosine in contanti da farsi nel giorno della sua morte agli indigenti cattolici ed ebrei di Pisa e di Livorno per la somma di Lire Toscane... L. 5400 2. Sovvenzione di Pezze mille al nuovo Ospedale degli infermi del Culto Ebraico , che si va fabbricando in Livorno , cioè o 5750 3. Pezze trecento annue da impiegarsi in pastrani , len- zuola , e coperte , per distribuirsi ai poveri di Livorno, e per lo spazio di anni 10, la qual somma rappresenta un capitale in anni 10 di Pezze 3000 33 (17250 4. L’ annua rendita perpetua di Franchi 2500 per dote a un Istituto di educazione civile e religiosa per la gio- ventù Isdraelita di ambo i sessi, a forma di un Rego- lamento da comporsi secondo le indicazioni testamen- tarie; la qual rendita di Franchi 2500 ragionata al 5,per 100 suppone un capitale di Fr. 50,000 33. 60000 5. Un Legato di Pezze 600, per una sola volta, a favore di uno ebreo studente di medicina e chirurgia nella Università di Pisa » 3450 6. Pezze 400, per una sola volta, a ciascuno di due gio- vani Ebrei, che studiano il disegno nella I. e R. Ac- cademia delle belle Arti in Firenze , Pezze 800. 33 4600 Oltre queste liberalità interessanti la beneficenza , la istru- zione, e la educazione pubblica, i legati particolari ai suoi domestici salariati, ed altri ascendono alla som- ma di 33 40000 ————_—_—_É_____—tò>b Totale L. 136,450 Io presento, che il lettore dirà fra se stesso ; ecco un Isdraelita, che insegna a fare i testamenti ai ricchi di ogni religione. Ed io, a rinforzare questa osservazione , aggiungo, di buon grado , non esser nuova tra gli Isdraeliti la testamentaria generosità , senza distinzione di culti a favore della indigenza, la quale, colla voce dell’ umanità , parla a tutti i cuori sensibili, e rammenta ad essi la fraternità della vatura. La distribuzione di pane ai poveri della parrocchia, nel di cui circondario ha domicilio la famiglia del banchiere Fermi di Firenze, è quasi una legge domestica nell’ infausta circostanza della morte di ogni individuo appartenente a quella onorata e stimabile casa di culto giudaico ; e ai poveri della sua comunione , dietro 1’ esempio di Moisè Fermi, che mancò ai viventi nel 5 Aprile 1826, si dispensano dalla medesima casa , in quelle luttuose vicende, pani e denari. E debbo finalmente qui rammentare , ad onore della moderna storia ; che 1’ ebreo Salomone d’ Isach Abudarchan di Livorno fece un legato per fondare uno spedale per gl’ infermi israeliti di pezze 10000 au- meutate da altrettanta sumina mediante sottoscrizioni volontarie ; e che 208 un altro ebreo di Livorno sig. Montell donò col. suo Testamento Pezze quindicimila pari a Lire Fiorentine 86,250 al comune di quella città, per impiegarsi nella costruzione dei nuovi aquedotti , e così concorrere generosamente al meglioramento della salute di una popolazione, in cui la tolleranza religiosa assicura a tutte le nazioni la libertà di coscienza. Io ho citato tutti questi fatti, onde profittare della circostanza per rendere sempre più il dovuto omaggio alla filosofica legislazione del Gran-Duca Pietro Leopoldo, la quale, emancipando gli Isdraeliti, e incorporandoli civilmente alla nostra nazione , abolì col fatto le vec- chie antipatie popolari, e gli Ebrei trasformati in cittadini toscani sentirono la obbligazione di mostrarsi degni della nuova loro costitu- zione sociale. A. ALpoBRANDO PaoLINI. ERRATA CORRIGE Al fascicolo precedente. +» Pag. 45 lin. 16 Pandaro leggasi Troilo 3» 53 ,, 19 voleva voler sopra 3) voleva sopra sci o ayegli: è 53 e si è . ene: AREA peppino Pre nizpa sii tire iena di ni A 4 » + 2 n lai \ È i PI bip 4 gii, ” î ) } . + A P } ì LAI AT ii Osservazioni meteorologiche fatte abiribilcazioni to pi delle | Scuole Pie di Firenze, alto sqpià it livello del mare Bre? si gut Ì ti ‘ Li [| PRC) ti | LI È ì ù t i) î * 1 x i . [ ì 2 map x Dea PAPA SI NPA E MPANOSE TNT ERENICT CIO SPERA Cn teo Aprine 1852. il } I i 9 I SIRIA x ci A | 3° ; SS E i S ‘ | [2 Ora 5 E E EE 5 3 Stato del Cielo | [o 5 S ded a © S | [©] © c I 1 | pi poll. lin gradi gradi gralli TiNago | | 7 mat. | 28. 0,8] 9,6 | 8,8 | 95 Sciroc. |[Nuvolo-Nebb. Calma | i 1| mezzog. | 28. 0,6 [10,2 |13,5 | 68 Lev. {Nuvolo Ventic.|B | 11 sera | 28, 1,5 [10,8 {11,0 | 84 Tram. |Sereno-Nebb: Calma 7 sat. | 28, 2,7 10,6 {10,0 | 90 Tr. M°.|Sereno-Nebb. Calma | 2] mezzog. | 28. 53,2|11,2 |16,0 | 41 Sc.Lev.|Sereno-Nebb. Ventic | 11 sera | 28. 53,9]12,5 |11,0 | 90 Gr. Tr.!Sereno Ventic 7 inat. | 28, 4,6|12,2 [10,2 | 90 Macst. [Sereno-Calig. Calma |} 5| mezzog. | 28. 456 |12,5 [15,9 | 63 Os.Lib.|Ser. con caligine Ventic.|? 11 sera |28, 4,6|15;8 [14,0 | 60 Tram. |Sereno Calma 7 mat. | 28. 456|12,4 [10,3 | 85 Lev. |Sereno-Nebb. Calma i 4| mezzog. | 28. 4,1 [13,8 |17,1 | 55 Maest. [Nebbia alta Ventic. | --|«T4, sera #28,04,5 14,2. 12,8 | 56 Gr.Le, [Screno_ Calma 7 mat. | 28. 4,4|15,8 |10,5 | 69 Lev. Safengiti i Ventic.|f 5| mezzog. | 28. 3,7 (14,0 |15,9 | 47 Libec. |Sereno Ventic.|f 11 sera |28, 3,0|14,6 |12,0 | 80 Os.Li. |Sereno i Ventic. | 7 mat. | 28, -2;0114,2 ' 8,81 93 Sc.Lev.|Sereno Ventic.If 6| mezzog. | 28. 0,9|14,2 |14,9 | 62 Po.Lib;|Nuvoloso! Ventic.| 11 sera |28. 0,2|14,7 [11,0 | 68 Lib. Ser. con Nebbia Calma |{' # | 7 mat. | 27. 11,5|14,0 | 9,9 | 92 Os.Lib.{Nuv. nebbioso Calma 7| mezzog. | 27. 10,6 14,0 [14,5 | 54 Tram. |Ser. con nuvoli Ventic.|P” 11 sera |27.:11,4|12;7 | 8,80] 41 Greco |Nuvolo-Sereno V.fortc|f | 7 trat. | 27. 11,4/11,1 | 6,1 | 48 Tram. [Nuvolo-Sereno V.fortell | 8| mezzog. | 27. 11,5 10,7 8,2 | 36 Tr. Gr.|Ser. con nuvoli V.forte È | | 11 sera {27. 11,5|10,7 | 6,4 | 47 Tr. M°.[Sereno-Nuvolo Vento 7 imat. | 27. 11,0] 9,5 | 6,2 | 50 Tram. |Sereno Vento | 9| mezzog. | 27. 9,6| 9,6 [10,8 | 38 Greco [Sereno Vento |f°l 11 sera Ts (9,0 10,1 17,0.) 55 Greco |Nuvolo V.fortelf | 7imat. #27; 9,3] 9,0 1 49.1 58 Tram. [Sereno-Nuvolo V.fortelf | 110| mezzog. | 27. 9,7| 8,8 | 6,8 | 46 Tram. |Ser. cotr nuvoli V.fortelf| | 11 sera 72° /9;71-8,0 | 5,1 | 56 Maest. |Nuvolo Vento | 7 mat. | 27, 9,6| 8,0 | 6,8 | 58 Tr. Gr.|Nuvolo Calma 11 mezzog. 7..9,9| 8,5 10,1 45 Tram. {Nuvolo Vento | 11 sera | 27. 10,9} 8,5 | 7,9 | 55 Tram. {Sereno-Nuvolo Vento Ì =grTtgt ER I I | i Termom. il * Stato del”Cielo onamo1f] -aurorAn -oosowruy || 01) wWo1eg if |owxoSg Ù =| CLI m » (SI gradi ( Tram. |Nuvolo-Nebb: Ventic. Greco |Nuvolo Calia Gr. Tr.|Sereno con Nuv. Ventic. 7 mat. litezzog: *|441 serà o —_ Faala CI 00 N Oa N Tr. M°.|Sereno-Nebb. Vento Tr. M°.|Sereno con Nuv. Vento Gr. Le:{Sereno-Nebb. Ventic, 7 mat. 15 mezzog. 141. sera Ta DD Ss w Tr. M°.|Nebbioso Vento Tram. {Scr. con Nuv. Vento Greco |Nuvolo-Sereno Ventic. 7 nifat. 14] mezzog. | 11 sera dè -— “Md da caA-o » "| 7 mat. pi15 inezzog. [14 sera Greco {Nnvolo i Ventic. Tram. |Nuvolo Caligé Vento Sc.Lev.|Sereno-Nebb. Ventic. 5) 05 S$S SSS Gi Di > ON 7 mat. 16 mezzogi | *|11 sera ‘{Scir. {Sereno Galma Ponen: [Sereno Ragnato Ventic. Sc. Le.|Sereno con Neb. Calma Scir.. |Nebbioso-Ser. Galma | Lib. Sereno con Nuvw. Ventic. Scir.. |Nuvolo-Sereno Calma 7 mat. itiezzog. 11 sera MON DON SON («oe Mon 7 nati 18 mezzog. [11 sera Scir. |Nuvolo- Nebb, Calma Ponen. | Nuvoloso Calma Ostro INuvolo Calma Sciroc. |Sereno | Calma Lib. Ser. con Nuvoli Ventic. Sciroc. |Nuvolo Ventic. 7 mat. 19 mezzog. 11 sera WNW 60: NOD Doe —_. —_ —_ "as + Ponen. |Sereno.con Neb. Ventic. Tr. Gr {Nusioloso :. Ventic. Os. Sc.|Serenò Ventie. l 7 mata 20| mezzog. È 14. sera > - roo > hO | 7 mati R21 mezzog. 11 sera Sc:Le: {Sereno Nebb: Ventic. Pon.L. {Sereno con Nuv. Ventic. Ostro {Nuvolo Calma è —_ Sd» ITSNINSI = —> — s “ AN RR [io 0) © è NT 7 mat. 22 mezzog. ‘11 sera . Seiroc. |Nuvolo-Sereno Calma Tr. M°.|Nuvolo Vento Os: Sc.|Sereno-Nuvolo Calma RENE MINI - 5 SDA Oo Arrive 18352. Termom. = ca Si i s =: |=[3]|.5[48 2]. Ora z S| |3 |Fs| 3-8 Stato del Cielo 2h} 2 stila (ISaltoed FE s S 3 è A c) na poll. lin. | gradi gradi. ‘gradi ) | A | 7 mat. |28. 1,0]11,6 [10,1 | 65 Tr. M.°|Sereno Ragnato Vento | 23] mezzog. | 28. 0,0|12,1 [14,0 | 35 Tram. |Sereno | Vento. | 11 sera | 27. 11,4|12,8 [10,0 | 75 Os. Li. |Sereno con Neb. Calma ' 7 mat. | 27. 11,5|12,6 | 8,5 | 85 Sc,Lev.|Sereno __ Ventic« 24 mezzog. | 27. 10,5 |12,7 14,3 | 41 Po. M.°|Sereno con Nuv, Calma 11 sera |27. 10,7|13,3 {10,3 | 65 Tr. M.°|Sereno Calma {: 7 mat. | 27. 10,9 [13,2 |10,8 | 77 Sciroc. {Sereno con Neb. Calma 25| mezzog. {| 27..10,6 [13,2 |15,7 | 48 Lib. |Sereno con Nuvy. Ventic,{ 11 sera |27, 10,6 {14,1 |11,3 | 94 [0,06 [Ostro |Pioggia Calma 7 mat. | 27. 10,5 {13,8 [10,1 | 95 [0,07 [Gr. L. |Nuvolo Calma 26]. mezzog. | 27. 10,1 [13,8 [12,5 | 90 [0,06 [Os.Lib.|Pioggia sig Mentiei {11 sera |27. 10,0|13,4 [10,3 | 68 Tr. M© [Sereno Ventic. 7. mat. | 27. 10,0|13,0 | 9,3 | 85 Sciroc. |Sereno Calma 271 mezzog. | 27. 9,1 13,1 |14,0 | 55 Tr. M° [Sereno con Nuv. Calma 11 sera | 27. 9,5.(13,8 [11,0 | 80 Lib. |Nuyolo , Galma : 7 mat. |27. 9,1|13,8 [11,9 | 78 Ostro |Nebbioso .. . Calma | 28| mezzog. | 27. 9,0|13,7 [14,2 | 54 Lib. |Nuvolo Vento | 11 sera |27. 9,9|13,8 [103 { 80{ [Lib. [Nuvolo Calma | 7. mat. | 27. 10,0|13,2 | 9,9 | 88 Lib. |Sereno Nebb. Calma | 29| mezzog. | 27. 10,5 [13,5 |14,5 | $2 [0,09 |[Lib. |Piovoso . Calma | 11,sera |27. 10,5 ]13,5 |10,9 | 95 [0,09 [Os. Li.|Nuvolo Ventic. 7.mat. | 27. 9,9|13,1 [11,0 | 88 Sc.Lev.{Nuvolo Ventic 30| mezzog. | 27. 9,0 [13,1 {13,6 | 76 Ostro |Pioggia Ventic.|f 11 sera | 27. 8,9]|13,1 |11,5 | 88 |O,24|Lib. [Sereno con Nuv. Calma | ©| Medie |28. 0,1|12,1 [10,9 | 68 Giorni Sereni DU | Massime] 28. 4,6 |14,7 |17,2 | 95 con Nuvolo 17 2 | Minime | 27. 8,9] :8,0 { 4,9 | 35 Piovosi 8 =| della Pioggia in pollici Francesi . . 1,39 |Vento Dominante Tramontano ' vete "e >-- CILLITZ PE IRZZA ANTOLOGIA No 157 DELLA COLLEZIONE. cenno N° 47 DEL SECONDO DECENNIO SWaggio 1832, RIVISTA LETTERARIA. Costantinopoli nel 1831, ossia notizie esatte e recentissime intorno a que- sta capitale ed agli usi e costumi de’ suoi abitanti, pubblicate dal ca- valiere avvocato Antonio BarartA. Genova dalla tipografia Pallas ; coll’ epigrafe olim meminisse jubabit. Ore all’ aver dato origine allo scadimento degli ordini feudali, ed alla manceppazione dei comuni, le crociate riuscirono di grandis- simo giovamento all’introduzione ed ai progressi della civiltà nel- l’ Europa, mercè delle frequenti corrispondenze per esse istituite tra gli uomini d’ Occidente e quelli d’Oriente. I padri nostri , presso dei quali era spento ogni lume di lettere e di scienze , andavano guerreg- giando contro ai Saraceni : dimesticatisi a poco a poco con loro impara- vano alquanto delle dottrine ad essi lasciate quasi in eredità dagli antichi abitatori della Siria e dell’ Egitto e quindi tornavano a rifio- rirne l’ Europa. Quanto da allora in poi mutarono le sorti reciproche! Maggior profitto ora possono senza dubbio ricavare gli Orientali strin- gendo vincoli di fratellanza cogli Europei, ed avvezzandosi ad acco- glierne le istituzioni, di quello che per noi acquistar non si possa, studiando le loro usanze , le loro leggi e i riti loro. Tuttavia l’ andar peregrinando in quelle parti non è cosa priva di diletto e d’istruzione; chè molte e care e sante memorie ridestano; e il veder da vicino le province , dove gli uomini sono ancora in una condizione che tocca i confini della barbarie , c’insegna a benedire la Provvidenza che ci 2 sia dato percorrere lo stadio di questa vita mortale in tempi e presso genti colte ; c’insegna a tenere nel dovuto disprezzo e ad oppugnare, potendo , gli sforzi di coloro che pongono ogni studio affine di pro- fondarci di bel nuovo nelle tenebre dell’ignoranza e fra gli orrori della rozzezza che ne sono natural conseguenza. Quindi sempre volen- tieri si accolgono le relazioni dei viaggi nelle contrade d’ Oriente , e benemeriti chiamar sì vogliono quelli che le agevolano, e i compila- . tori di esse ogni volta che le fanno di pubblica ragione. Perciò rendiamo grazie al governo Sardo che abbia restituito ai Genovesi il modo di trafficare in quelle parti, dov’ ebbero altre volte emporii frequentissimi e signoria di dominio, e ci accostiam di buona voglia alla contentezza che il n. A. spiega nei termini seguenti: “ Un ;, sentimente di ben giusto patriottismo ci obbliga quì ad osservare »» che il commercio del Levante , sorgente primaria delle glorie e delle ») ricchezze dei nostri padri, ripristinato e fiorente sotto l’egida del ») Tegio vessillo, oggetto di specialissime predilezioni, va a giorni no- 3; stri toccando il lustro antico, e che le bandiere sarde superano 3» Spesso, e sempre agguagliano in numero, quelle delle altre nazioni 3» più grandi e commercianti, che trafticano in quelle regioni ,, (p. 15). E nel tempo stesso diremo anche benemerito il cav. Antonio Baratta , per avere egli appena reduce dall’ Oriente , e mentre era ancor calda la fantasia per la rimembranza delle impressioni ricevute , dato alla luce i primi due fascicoli della sua relazione di (Gostantinopoli nel 1831. L’ intendimento dell’ A. si è di raffigurare lo stato presente di quella città , tanto per ciò che ragguarda la parte materiale , quanto la parte morale di essa. Molte per non dire infinite sono le antiche e le recenti descri- zioni che se ne hanno ; e sembra che gli autori di esse abbiano ga- reggiato tra di loro a chi sapesse meglio ritrarne il bellissimo aspetto, senza infonderne però nell’ animo dei lettori un’idea perfetta. Che lo stile poetico con tutti i suoi colori non arriva la pompa delle ameni- tà , cui piacque alla natura spargere sopra que’siti , con deliziosa be- neficenza uguale alla pertinace ferocia , colla quale da sei secoli in- teri gli uomini s’ impegnano a guastarli e farli poco men che deserti. Il giovane A. non difetta della vivezza e del calore necessario per entrar nell’ aringo. Tuttavia ci sembra ch'egli abbia osservato le cose troppo alla sfuggita, e che abbagliato e rapito in estasi egli abbia creduto vedere ciò che più non è, e che per effetto dell’ amor suo abbia fatto gli abitatori e le odierne istituzioni partecipi dell’ .indul- genza o, per meglio dire , dell’ affetto dovuto soltanto a quel cielo tanto benigno , ed alla bellezza della natura. Non è voglia nostra mo- lestarlo con minute sofisterie ; ma se gli userebbe una maniera d’ in- ganno se , facendoci a parlare dell’ opera sua , si lasciassero passare senza osservazione alcune cose, dalle quali con un poco più di solle- cita cura si sarebbe potuto guardare. 3 Per esempio magnificando 1’ entrata dell’ Ellesponto , o come ora dicono , canale dei Dardanelli, egli parla dei resti di Troia (p. 2) come se apparissero tuttavia. Ma noi visitando il sito dove sorgeva l’ antica reggia di Priamo non ne abbiamo saputo trovare il più pic- colo vestigio ; chè tali non sono i sepolcri d’ Aiace , di Patroclo e d’ Achille i quali sono in riva al mare sulla sponda dell’ Asia, e quello di Ecuba che s’ alza sull’ npposta marina d’ Europa. Nè il Che- valier, che esaminò a palmo a palmo quei luoghi, e li riscontrò minu- tamente colla topografia dei poemi omerici , fu più avventurato di noi. Chè anzi pare fossero già interamente spariti ai tempi di Virgilio il quale , rammentando i campi dove fu Troia , non fa alcun cenno delle reliquie della città donde era uscito ramingando il protagonista del suo maggior poema. Se l’ A. aveva vaghezza di fare descrizioni pompose sarebbe stato meglio, a parer nostro, toccare alcun poco delle ruine d’ Alessandria Troas che si vedono tuttodì, e andar pennel- leggiando con amore quella pianura che dalle falde dell’ Ida -vien declinando sino al mare, e il soavissimo pendio del monte, di cui al certo Omero non avrebbe potuto rinvenire il più splendido per la rinnovazion delle nozze tra gli augusti parenti degli uomini e de- gli Dei. Sarebbe stato meglio che parlando della difesa dei Darda- nelli (p. 6) avesse dato la precisa misura del grandissimo cannone di Maometto , fuso dal celebre Orbino Valacco , che fece tanto strepito , e portò tanto spavento nell’ animo dei Greci a’ tempi dell’ ultimo Co- stantino, che , rimasto inoperoso per ben quattro secoli , fu poscia, con somma maraviglia dei Turchi, sparato dal barone di Tott, e tacque poi sino al giorno che scassinò una delle navi inglesi le quali venti- cinque anni fa andarono a fare solenne bravata sin sotto alle mura di Costantinopoli. L’ aspetto esteriore di questa città ci sembra assai felicemente de- scritto dall’A. Ma nel parlar del porto, e della facilità ch’ei porge alle navi mercantili di accostarsi tanto dall’ una quanto dall’ altra parte della riva , l’ A. avrebbe potuto soggiungere che , a mantenerlo sem- pre netto , giova moltissimo il Berbice , umile fiumicello che versa le sue acque alla punta di esso. Ei dice che nell’interno la città è sozza, ed offre un aspetto altrettanto deforme , quanto è vago quello di fuori, e ne assegna per cagione l’ irregolarità del sito. In verità non avremmo aspettato questa osservazione da uno scrittore nato e cresciuto in Ge- nova , dove gl’ innumerevoli sontuosi edifizi , per cui essa non va se- conda a verun altra città d’ Italia, sono continua vittoria ottenuta sulla difficoltà del suolo ; che non v’ ha paragone tra 1’ asprezza dei liguri scogli e gli ameni poggi sui quali Costantinopoli è fondata. L’ar- chitettura di un paese dipende in gran parte dall’ indole del governo dal quale fu retto ; così nelle città di repubbliche tempestose anche le case dei privati hanno sembiante di fortezze , perchè servivano di luogo di difesa dalle ingiurie degli emoli ; i templi e i palazzi delle pubbliche istituzioni , quantunque eretti da semplici cittadini, sono , 4 splendidi e maestosi , perchè mercè di essi i fondatori intendevano gratificarsi la moltitudine e conseguirne i suffragi per salire ai gradi più sublimi. Ma da poi che Costantinopoli diventò capitale di vastis- simo imperio fu, per lo più, governata da. principi sospettosì e di- spotici, i quali non amavano che i sudditi potessero trovare, nelle loro abitazioni, modo d’insolentire, nè via di schermirsi, ogni volta che fosse lor venuto occasione o sol talento di offenderli. Quindi colà più che altrove abbondano le case di legno che circondate di stipa si possono di leggeri ridurre in cenere senza speranza di salute a chi den- tr’ esse sì chiude. Del resto meglio assai che non in verun altro sito gli edifizi eleganti avrebbero potuto far di se bella mostra nel terreno disuguale di Costantinopoli; nè altrove con maggior comodo nè in maggior copia sì sarebbero potuti procacciar marmi ed altre materie atte alla costruzione , giacchè appunto dall’ isola, che vi sta in mezzo ricchissima di marmi e poco discosta da Bisanzio, piglia nome oggidì il mare della Propontide. E sì gl’imperatori greci edificavano per se regali palagi come, per tacer degli altri, quelli di Bucoleone e delle Blacherne, di cui le vestigie si chiamano oggi Tahir Serai, e di cui }’ A. n. non fa parola, come neppure delle famose cisterne, avvegna- chè sieno fra le più belle reliquie d’ antichità che ancor là sì vedano; e noi vorremmo fossero esaminate attentamente da persona pratica, come quelle che potrebbero forse dar materia a qualche dotta disqui- sizione sulla greca architettura dei secoli di mezzo. Alla cattiva co- struzione delle attuali case dei Turchi avrà per avventura anche con- tribuito l’indolenza, che l’ A. n. chiama beata (p. 17) contro la sen- tenza d’ Aristotile il quale riponeva-la felicità dell’uomo nell’impiego delle sue nobili facoltà. Vi avrà forse contribuito quella massima ov- vero adagio, che corre per la bocca degli orientali ed insegna “ che non conviene fabbricare dei caravenserai dentro di un caravenserai ,,, significando che questo nostro passaggio sopra la terra non è altro che il momentaneo soggiorno d’un viaggiatore all’ osteria. E sì la vita nostra fugge come una saetta, ma non si collega forse con quelia degli uomini che furono prima di noi? E se c’è cara la memoria di coloro che provvidero al vivere, alle fabbriche, all’agiatezze nostre; se godiam delle cose fatte da essi, perchè non lasciare eredità di af- fetti, e monumenti onde godano quelli che ci terran dietro? Ma io non m’avveggo che quì predico ai Turchi, i quali non mi ascoltano; torniamo all’A. e non facciamoci troppo a disputare sul gusto delle case di legno, le quali per avventura gli vanno meglio a’versi, che non le altre, giacchè egli pone trai pregi singolari di Costantinopoli (per l’effetto pittoresco, l’ intendiam bene) la frequenza degl’incendi ai quali è soggetta (p. 25). Per lo contrario a lui rincresce che le mura di Costantinopoli sieno troppo debole schermo contro le offese degli assalitori (p. 35). Ed anche in ciò siamo di sentenza dalla sua molto diversa, poichè dopo i progressi fatti nell’arte dell’ attaccar le piazze, e dopo che sono 5 di tanto cresciuti i mezzi di gettarvi dentro materie incenditrici , egli è impossibile custodire le popolose città dalla furia degli assedi formali, e solo si desidera che sieno circondate da un muro di cinta, come appunto è Costantinopoli, affine di porle in salvo, come si suol dire, da un colpo di mano, e per troncare troppo facile uscita agli scellerati che vi si fossero appiattati dentro, e cui premesse alla pubblica autorità d’aver tra le mani. Siamo pure di parere di- verso dal suo allorchè dice che le mura, le quali guardano verso il mar di Marmora, sieno le più antiche di tutte (p. 32), perchè appun- to, dal vederle costrutte di colonne e di altri rottami di monumenti accatastati, giudichiamo che non sieno state fabbricate dai Greci, ma piuttosto dai Turchi, ovvero, due secoli e mezzo prima dal gran con- quisto di Maometto II, dai Latini i quali; al dire di Niceta Coniate , guastarono con tanta rabbia i più bei fregi della regale città. Inoltre. non pensiamo, insieme coll’ A., che la parte interna di Costantinopoli venga rattristata dai sepolcreti che in essa tratto tratto s’ incontrano. Verona non è meno lieta pei depositi degli Scaligeri ; chè i sepolcri non mettono disperazione nel cuore di chi tien ferma credenza d’ una vita futura. E se presso di noi era cosa insalubre sep- pellir la gente nelle chiese, dove le esalazioni dei morti mescolate coll’ alito dei vivi corrompevano l’aere , cruda cosa sarebbe porre le tombe fuor de’ guardi pietosi, e cacciar quasi in esiglio le sacre re- liquie delle persone che care ci furono. E i sepolcreti , di cui si ragio- na, sono all’aria aperta, chè i Turchi hanno un’arte così maravigliosa di ombreggiarli di piante diverse , per cui l’ oscuro verde dei cipressi si marita col men fosco colore dei platani o d’ altri a]beri, che l’a- spetto della città invece di. rattristarsene se n? abbella. Il più vasto fra 1 campi dei morti è nelle circostanze di Scutari nell’ Asia; ma non entrava nelle mire dell’ A. di rammentare che i più abbienti fra i Turchi dispongono che al di là dello stretto sia dato sepoltura alle loro spoglie. È voce comune che a tal desiderio gl'inviti un se- creto presentimento ch’ essi hanno di essere semplicemente accampati in Europa, e che, temendo di doverne essere quando che sia cacciati fuori, non vogliano che dopo morte il. corpo loro sia esposto a venir turbato dal placido riposo di cui in vita ebbero tanta vaghezza. Ed ancor noi siamo andati alcuna volta passeggiando giù pei lunghi viali di cipressi tanto al di quà quanto al di là del Bosforo, lasciando spie- gare. all’interprete le funebri iscrizioni piene talvolta di poetica me- lanconia, e più sovente ancora di lodi smodate. Ma non ci accadde mai , come all’A.n. (p. 100), d’incontrar famigliuole piangenti sulla tomba del genitore, o giovani spose su quella dell’ estinto compa- gao ; onde siamo partiti di là col pensiero, che l’idea di quest’u- sanza, tema consueto a flebili elegie , fosse 1’ effetto della sdolci- nata teneritudine d’ alcuni nostri scrittori, anzichè costume dei Tur- chi, presso dei quali, ci fu detto ed abbiam trovato scritto dappoi , esservi una legge che comanda di onorare i congiunti trapassati, e 6 vieta ad un tempo stesso di piangerli al di là del termine di due giorni. Non intendiamo di seguitare 1’ A. nel rimanente della descrizione ch’ei fa della città di Costantinopoli, nè di avvertire gli altri abbagli in cui è caduto, come v. g. allora quando egli disse che la po- tenza turchesca piglia il nome di porta ottomana dalla gran porta che mette nel palazzo del gran signore (p. 55), sapendosi per altro che già prima dell’occupazione di Costantinopoli un tal titolo ve- niva dato al governo dei Turchi. Questa ed altre simili inavvertenze fanno vedere che, prima di porsi al lavoro, egli non ha stimato bene di recarsi in mano le classiche descrizioni stese da suoi prede- cessori, nè di fare uno stndio profondo della storia di quelle con- .trade attingendone la cognizione particolareggiata al fonte degli scrit- tori originali sì Greci e sì Turchi, e di quelli che a’tempi nostri , 0 almeno a noi più vicini, intorno a quello studio posero attentissima cura , come, per tacer degli altri, sono il Banduri, il Ducange, e l’Hammer. Uno studio preparatorio di tal fatta è quasi la veste nu- ziale, di cui ragion vuole s’adorni chiunque si fa a trattare di pro- posito un argomento qualsivoglia. L’età nostra è vaga quant’altra mai d’apprendere il vero, e lo vuole giustificato coll’ autorità ‘di va- lide testimonianze. Fedele osservatore di tale precetto fu il P. Ingigi, e l’ erudita opera sua intorno alle villeggiature dei Bizantini sul Bo- sforo Tracio , recata in italiano dal P. Aznavor, uno di quegli umili fraticelli armeni che menano vita laboriosa e solinga nell’isoletta di S. Lazzaro presso a Venezia, vide nell’ anno scorso per la seconda volta la luce. Opere di tal fatta sono sempre e con piacere consultate dai dotti; intanto quelle, che invece di fatti ti danno sogni o semplici ri- flessioni, hanno vita più breve. Il difetto di notizie preliminari si scorge eziandio nella parte in cui l’A. tratta della religione, del governo e dei costumi dei Turchi. Accagiona le relazioni di malevoli autori della cattiva idea che di essi sì ha generalmente in Europa (prefaz. p. VI e VII), ne accagiona eziandio le opinioni tradizionali tramandate da padre in figlio presso le genti di Europa, soggiungendo che da principio tutto l’Occidente fu in guerra contro di essi, e che ‘allora appunto pigliarono radice le contrarie e men giuste opinioni , cui lo stato di pace e le relazioni di commercio , ch’indi seguirono , non ebbero forza bastante a divellere dalle menti dell’ universale (p. 138 e seg.). A dir vero ci siamo tal- volta abbattuti anche noi in certi libri che troppo si scatenano contro dei Turchi. Ma, per ciò che concerne alla seconda parte di questo giu- dicio ;$ ci -pare che 1’ A. confonda le età , e scambi sovente i Saraceni coi Turchi. Di fatto le cronache dei Cristiani, che recitarono le cose operate nella prima Crociata, furono ostili e pregiudicate. Ma chi può negare che non sieno più sincere e specchio di moderazione le crona- che della seconda Crociata e di quelle che vennero appresso? Chi non ha presente al pensiero i modesti giudizi di Massimo Tirio ? Chi non 7 ricorda la splendida magnificenza di Saladino così ben descritta da Gio- vanni Boccaccio nella novella di Messer Torello? Già fin dal secolo de- cimo. secondo e decimo terzo furono trattati di pace tra Genovesi e Veneziani coi soldani d’ Egitto. Per ciò che concerne ai Turchi i quali, dalla credenza in fuori, nulla hanno di comune coi Saraceni, ben si può dire che coetanee al primo sorgere della loro potenza furono le relazioni di commercio di queste due nazioni navigatrici d’Italia con essi; poichè e Genovesi e Veneziani fermarono patti con Urcane un secolo avanti che i successori di lui occupassero Costantinopoli. Non ci facciamo a discorrere la religione e le leggi dei Turchi; chè il Mouradhja d’Ohsson nel suo codice religioso e politico dei Turchi ne ha scritto tanto che basta a soddisfare il desiderio dei dotti, e nell’introduzione alla storia delle rivoluzioni seguite nel 1807 e 1808 il Juchereau ne diede idea sufficiente onde appagare la curiosità dei lettori meno pazienti. Hanno tutti due fama di scrittori imparziali e coscienziati, di maniera che chiunque avesse talento di giudicare della veracità dell’ A. può confrontarlo con essi. Ma quest’ ultimo è pure in quella di volere al tutto tergere i Tur- chi dalle macchie, che, per mal concette prevenzioni, loro vengono at- tribuite dagli Europei. Egli a noì li presenta come cultori delle scien- ze (p. rtt e 115), mentre ci pare che si sarebbe assai meno dilungato dal vero, se avesse osservato che l'istruzione pubblica si restringe aì rudimenti elementali delle cose, i quali sono diffatto insegnati a tutti i giovani della nazione, col mezzo delle pie istituzioni , i cui redditi sono affetti alle moschee. Del resto se si tralasciano alcune storie; alcune opere di tattica e di medicina tradotte per la maggior parte da libri europei e stampate dopo il 1785, di che cosa sono piene le biblioteche assai numerose di Costantinopoli, se non se di chiose e commenti al Corano, libri che, a nostro giudizio, molto s’ assomi- gliano a quelli dei casisti, ed alle sottigliezze derivate dallo studio esclusivo di Aristotile, che lasciava bambine le scienze , ed inceppata la filosofia, prima che i generosi ingegni di Giordano Bruno, di Bacone e di Cartesio la sprigionassero da quelle strettoie e la facessero madre e sorgente di tante specolazioni e di tanta coltura presso di noi? L’A. n. vorrebbe anche indurci a pensare, che il fatalismo non è dogma presso l’universale dei Turchi (p. 265). Converremo volentieri con lui, ch’esso non è proclamato nel Corano; ma chi potrà negare che ap- punto questa falsa credenza, sparsa nel volgo, non sia quella, ch’im- pedisce sino ad ora al governo di adottare i regolamenti sanitari, che già da molti anni preservano la colta Europa dal flagello della peste, e ne rendono i danni senza fine minori, ogni volta che giunge ad in- frangerli ? . Con animo di restaurare l’ imperio e farlo meglio atto a resistere agli assalti degli stranieri, il sultano Selim III aveva deliberato d’in- dirizzare i sudditi suoi alla milizia secondo gli ordini di Europa. Ma l’opera gli venne contrastata, giusta ciò che narra l'A. n. dai gian- 8 nizzeri (p. 94), e, giusta ciò che abbiamo imparato da storici. aceredi- tati del tempo, dagli ulema, di cui s’era fatto caporale l’astuto Mufti. Le guerre infelici sopraggiunte dappoi, la vergognosa pace di. Bucha- rest, e quel dover sempre piegare il capo alle moltiplici inchieste degli avversari, avevano dato agli ulema motivo di ricredersi, e di rima- nersi dall’ opporsi più innanzi alla nuova riforma. Dei modi usati dal regnante sultano Mahmud, affine di proseguire l'impresa dell’infelice suo zio, il grido fece raccapricciar tutta Europa. Il n. A. dà a Mah- mud il titolo di principe mite e moderatissimo (p. 190). Ma contro a siffatta lode fecero protesta i cadaveri di ventinove mila giannizzeri, sgozzati su per le piazze , e che gittati nel mare, colla puzza, cor rompevano l’aria, e galleggianti ingombravano la. via ai navigatori, ond’ era drizzata la prora alla volta di Bizanzio. Assegnano per iscusa che l’ orrenda strage era necessaria a cessare più gravi pericoli sovra- stanti all’ imperio. Ma contro a tale opinione sta quella di Niccolò Machiavelli, cui niuno riprende com’ uomo troppo dolce di cuore, e nondimeno va predicando che, dove la moltitudine pecca, nissuno è punito. Sta contro alla pretesa necessità del fatto l’ indole dorilissima dei Turchi, e il grandissimo cambiamento già fattosi nelle menti degli ulema, i quali a posta loro gli aggirano ; sta l’esempio di Galib-Pascià, morto non è molto reduce dal suo pascialich d’Erzeroum, dove giunse a disarmare i giannizzeri e a mandare ad effetto la nuova riforma, senza spargere nemmeno una goccia di sangue; e tale moderazione manteneva nei termini della fede quelle province , nelle quali gli Ar- meni già da due anni s’erano avvezzati a rumoreggiare. Ma Galib-Pascià era degno d’ essere paragonato agli antichi. Se però riuscisse a Mah- mud di riformare e di rinvigorire il declinante imperio, il benefizio sarebbe troppo grande perchè la posterità gli. venisse chiedendo ra- gione dei modi adoperati. Ma questa restaurazione vuol essere opera del tempo e frutto di lunga costanza. Del resto sin d° ora s’è visto che i rimedii crudeli usati da Mahmud non utile ma danno gravissimo par- torirono allo stato suo. Imperocchè, mentre a questi ultimi tempi l’eser- cito moscovita occupava Adrianopoli, e che percosso dalla peste s’an- dava ogni dì assottigliando per modo che sarebbe stata assai facile im- presa lo spegnerlo , il soldano si contentava di mnovere parole minac- cevoli, ma non aveva ardimento d’ uscire dal sobborgo d’ Ejub, te- mendo che, durante la sua lontananza, non sorgessero le turbe a fare le loro vendette ; e così invece di pigliar l'occasione , che gli dava vinta la guerra , gli toccava calare a duri e vergognosi patti. In- signe ammaestramento sia questo a frenare i principi dal metter mano senza ritegno nel sangue dei popoli a loro soggetti; chè di molte umi- liazioni ai regnatori, e di molti sconvolgimenti nelle città incolpare soventi volte si possono i multiplicati supplizi. Forse a’tempi suoi non mancarono encomiatori al duca d’Alba, che lo chiamassero savio e be- nigno governatore ; le Fiandre intanto, contaminate d’esigli, di morti, e di carnificine d’ ogni maniera , si sottraevano per sempre al dominio 9 di Spagna. Noi siam d’avviso che l’operazione della riforma sarebbe riuscita promettitrice di frutti migliori , dove si fosse trovato lo spe- diente di concedere terreni atti alla coltivazione ai giannizzeri , che non si sarebbero potuti incorporare nelle truppe novelle, dopo che il sultano avesse onorato l’agricoltura, seguitando , con pompa orien- tale, l'esempio di Romolo, e di quei re Cinesi che, dicesi, maneg- gino l’aratro nell’ atto stesso che vengono assunti al trono, e dopo che avesse renduto quell’arte quasi oggetto di religione col mezzo di un opportuno fetwa (o bolla diremmo noi ) del Mufti. E se pure gli esempi severi si riputavano indispensabili, era assai più spediente e più giusto far piombare i rigori sul capo degl’ ingordìi pascià, anzichè sulla plebe, per lo più innocua, e la quale , ove manchi per essersi fatto cieco stromento alle intenzioni di pochi malearrivati e faziosi , vuol essere punita mercè di provvidenze gagliarde e repentine , ma non mai per via di lunga e meditata perfidia. Poichè giudichiamo, che le oppressioni dei pascià, e la legge che sottopone l’aratro ad una de- terminata gravezza , e non già l’ amor della pipa , come, scambiando )’ effetto colla causa, 1’ A. n. pretende (p. 147 159), sieno in Turchia i veri ostacoli all’ esercizio e ai progressi di questa prima nutrice del- l’ uomo e primo fonte della prosperità dei popoli. L’A. n. non intese di stendere la storia della riforma operata dal sultano Mahmud ; ma a lui siamo tenuti per averci dato il ritratto e la biografia dei personaggi, di cui il gran signore si è principalmente servito per un tal fine, come a dire Kosrew-pascià, Mustafà Ser- Kiatib, Halil-pascià, Hussein-pascià , e Tachir-pascià. L’amore di patria non ci consente di passar sotto silenzio ciò ch’ egli narra d’un valo- roso italiano , il quale contribuì moltissimo a indirizzare le schiere turchesche alle buone istituzioni della milizia. ‘ A questi nomi turchi dobbiamo aggiungere , e con piacere, un nome italiano , parlando del piemontese Timoteo Calosso , antico mi- litare nelle armate francesi , e quindi ufficiale in quelle di S. M. il Re nostro signore. Giunto, dopo avere assaporato tutto il calice della disavventura, in Costantinopoli verso il mezzo del 1826, egli trovò nel Sultano dapprima un mecenate benefico , e quindi un docile disce- polo , ed un padrone affettuoso. L’ origine di una mutazione di sorti così singolare è troppo curiosa a conoscersi perchè noi la omettiamo ; nè alcuno più di noi potrebbe saperla , siccome quelli che abbiamo lungamente e famigliarmente conversato col protagonista della felice catastrofe, e ne udimmo più volte il racconto dalla sna bocca mede- sima. I bisogni imperiosi , che circondavano Calosso al sno arrivo ;in Costantinopoli, non valsero ad invilire il suo animo, nè a piegarlo ad alcuno di quegli atti lagrimevoli, senza de’ quali è tanto difficile il trovare un soccorritore nelle ore della miseria, in questo mondo bar- baro e senza cuore. Le abitudini della milizia, profondamente scolpite nel di lui animo da una pratica di trent’ anni, avevano data alle sue T. VI. Maggio. 9 10 idee quella /nobile ma dura tempra, la quale fà parere più dolce il tollerare con decoro , che l’ accattare conforti a prezzo di umiliazioni. Le sue disgrazie e le ristrettezze della sua situazione non potevano es- sere un mistero per chicchessia, nè egli le dissimulava ad alcuno per superbia , come per viltà non le magnificava ad alcuno. — Ma se niu- - na mano si stendea amorevolmente a rialzarlo, e se coloro , a’quali la comune patria pareva dovesse pur consigliarlo , non erano primi a di- schiuderne il labbro consolatore, Calosso non sapeva nè piangere, nè battere con mano incerta e tremante la porta di chi forse voleva e non osava, 0 forse ancora ignorava. Così stando le cose sue , spinto da uno di quegli urti prepotenti della tristezza che noi abbiamo as- sai volte provati senza imparare a descriverli, Calosso uscì un mat- tino da Pera, e si avviò, senza precedente disegno, verso i nuovi Quartieri militari sovrastanti a Dolmà-Baccè. Scoperto dietro ad essi un corpo di cavalleria che manovrava , si fermò ad osservare. Era un reggimento delle guardie imperiali, recentemente formato, il quale veniva addestrato ne’primi rudimenti della tattica; e per una ineffa- bile combinazione di circostanze Sultan Mahomud assisteva in persona a quegli esercizj. Ci è occorso altra volta di parlare dello sguardo di questo principe e lo abbiamo chiamato veggeutissimo ; espressione che è sembrata troppa a taluni cune non ne conoscono che il nome ed il ritratto, ma che è poca e fredda a descrivere la penetrazione e 1’ in- telligenza evidentemente dipinta in quelli occhi grandi e fiammanti. Quest’ occhi viddero Calosso , e ravvisarono in esso il militare e l’ in- felice. Il Sultano mandò uno de’ suoi ufficiali ad informarsi dalla di lui bocca medesima chi egli fosse ; dietro le prime informazioni ven- nero le seconde; Calosso fu invitato ad accostarsi, e potè darle diret- tamente al Sultano. È innegabile in questo personaggio un esteriore prevenientissimo, un fare sciolto ed eminentemente militare , un dire rispettoso , ma franco, e pieno di quella ingenua schiettezza tanto più dolce delle adulazioni, tuttochè melate. Animato a dare il suo pa- rere su ciò che vedeva, Calosso lodò le intenzioni , disapprovò gli er- rori, indicò i rimedj. Si parlò delle campagne fatte , e di Napoleone; piacquero al Sovrano le maniere dell’ incognito , e gli fu detto nella più cortese forma di andare il domani al Serraglio. Fu allora ch’ egli ricevette la nomina di istruttore in capo della Cavalleria, ed orga- nizzatore speciale .di quel primo corpo di essa che dicono Bostangi a Cavallo , ossia Guardia Imperiale. Calosso cominciò l’adempimento del- 1’ onorevole incarico coll’ ammaestrare alle regole europee il Sultano stesso in privatissime lezioni ; fortuna cui nessun Franco certamente era giunto prima di lui, Nel che riuscì con quella felicità che tutti sanno , essendo Mahomud uno de’ migliori equitatori del mondo. Am- maestrò del pari, dopo di esso, i principali personaggi della Corte, e tra questi Achmet-Pascià, Abny-Bey ed Hafiz-Agà, giovani già chia- mati dalla fortuna ad alte destinazioni, e disposti a maggiori nell’av- venire. Formata così quella prima , diremmo, radice della pianta , II passò poco stante ad istruire il comune di. que’ scelti cavalieri, e tanto sudò ed ottenne, che essi sono in oggi maraviglia dell’armata, e di tutti’ che con equo animo li contemplano. Queste truppe non ismentirono, nell’ultima guerra, la generale espettazione, e manten- nero tuttochè novellamente formate, a fronte del nemico , l’ ordine e la discipllna imparata da Calosso nelle tranquille prove della scuola. Calosso , ritolto alla condizione ordinaria degli istruttori, è passato da gran tempo a far parte della Casa Militare del Sultano , e merita, pello speciale favore di cui gode , il posto che gli abbiamo dato in queste pagine. Molte e grandi sono le prove di amore dategli dal So- vrano: primo fra tutti gli Europei egli cinse la spada alla sua pre- senza : primo fu fregiato della nuova decorazione del Turrah, e pri- mo la portò pendente al collo, circondata di ricchi diamanti. Con documento autentico , firmato dal pugno suo stesso , il Sovrano lo rese padrone di uno de’più nobili palazzi di Pera, e, distrutto questo nel- l’ ultimo incendio , ne ebbe in iscambio un secondo nella bellissima Scutari. Sultan Mahomud gli ha dato il nome turco di Rustan, e la qualificazione di Bey, e coglie le occasioni più pubbliche e più solen- nì per dargli ad ogni poco nuove prove di stima e di affetto. Ci è oc- corso più volte di vedere e mangiare alla sua tavola pane specialmente preparato pel gran Signore, dona privilegiatissimo , e quasi senza esem- pio. È atroce calunnia quella di cert’ uni i quali trovarono la spiega- zione di tante grazie nella sognata apostasìa religiosa di Calosso: Sul- tan Mahomud è troppo discreto, e Calosso ha troppo onore per di- scendere ad un atto vile, contro al quale si solleva l’ esecrazione di tutte le opinioni. a Non possiamo finire di parlare di quest’ Italiano , senza tributar- gli un’ altra lode , grande, e dovuta. Dopo sei anni di prosperità Ca- losso non è ricco. Nelle sommità , in cui la fortuna lo ha collocato, egli non ha mai dimenticate le ore dell’infortunio, nè quel sublime precetto che spinge a beneficare chi sente il prezzo del beneficio. Tutti pli stranieri infelici hanno costantemente ritrovato in lui un sostenitore amorevole, largo non di sterile compassione e di ipocrite lusinghe , ma di opere efficaci, e di fatti. Se questa virtuosa consue- tudine ha minorate le sue sostanze , essa ha acquistato a Calosso un bene più durevole e prezioso , la stima di tutti, e la riconoscenza di molti. ,, Nel trascrivere questo passo abbiamo anche avuto in mira di far conoscere ai nostri lettori la maniera franca e spedita del n. A. La lodevole modestia ch’ egli professa (p. 135) ci dà motivo di sperare che le osservazioni , scombiccherate da noi intorno all’opera sua, non gli riusciranno sgradite, e che anzi vi scorgerà la pruova dell’attenzione colla quale l’abbiamo letta. A lui ride innanzi il fiore di giovinezza piena sempre di belle e di liete speranze. Forse i casi o i suoi desi- derii lo condurranno altra volta in Levante , ed allora , esaminati a suo bell’ agio gli effetti della riforma operata dal sultan Mahmud, po- 53 trà offrirci, sulla nuova condizione di quelle contrade , uno specchio sincero dipinto colla vivezza e coll’ evidenza , che s’ ammira nelle me- morie del Barone' di Tott, e nel celebrato romanzo inglese detto Anastase. * x Notizie statistiche intorno l’ agraria del Pesarese raccolte da Luier BeR- ruccioLi Segretario del Comune di Pesaro. Pesaro pei tipi di An- nesio Nobili 1831. L’Accademia Agraria di Pesaro, propostasi di conoscere tutta la somma delle annue produzioni naturali della Provincia Accademica , per quindi apportare gli opportuni provvedimenti a quelle guise di coltivazioni che avessero dimandato alcuna opera soccorritrice , pose un premio a chi avesse mostrato la condizione dell’ agricoltura di que’ distretti che compongono la provincia di Urbino e Pesaro , ov- vero di Rimino. Il signor Bertuccioli scrisse una memoria sì dili- gente ed esatta intorno lo stato dell’ agricoltura nel distretto di Pe- saro, da meritare che il generale Consiglio di quella città decre- tasse a pubbliche spese la stampa dell’ operetta, la quale aveva anche riportato il premio accademico. Incomincia dal dare i confini del distretto Pesarese , parla della popolazione in genere la quale ascende al numero di 33,320 indi- vidui, e fa osservare come dall’ anno 1780 la medesima sia accre- scinta di 6,417 giacchè a quell’ epoca non superava il numero di 26,903. E di questo aumento assai saviamente assegna cagione i ma- trimoni numerosi fatti per fuggire le coscrizioni sotto il Governo Ita- lico, la vaccinazione che risparmia la vita a un infinito numero di bambini, e lo scendere de’ montanari al piano per amore di gua- dagno. Viene poscia a mostrare quanta sia la popolazione agricola, ed apparisce che , quantunque essa ammonti al numero di 16,509 , pure a coltivare i terreni non sono più di 10,180 individui i quali mandano 2460 colonie. E in questo computo egli non pone nè i malati che sono per lo più il mezzo per cento, nè que’ che si recano alle cam- pagne di Roma, nè Ja sospensione de’ lavori per parte delle donne par- torienti o lattanti. Trova che nel distretto esistono 791 oziosi i quali stanno alla popolazione come 1 a 42 #8. Mostra che sarebbe utile po- terlì aggiungere alla classe degli agricoli, quantunque non gli caggia agevole cosa. Tuttavia scemerebbe questo numero se fosse vietato a’ villani pezzenti accasarsi in città, e provveduto alla vita di quei miseri fanciulli, che rimasti orfani o deserti da’ genitori sì mettono ad accattare per vivere , consuetudine che poi non lasciano per ro- busta che abbiano la persona. Scende a parlare della pubblica istru- 13 zione, e comincia con queste solenni parole : Dove regna ?’ ignoranza non è în fiore l’ agricoltura, indi segue che la istruzione nei conta- dini accresce in essi l’ industria, quindi la fecondità della terra e il capitale del pubblico. Nella popolazione territoriale pesarese ascen- dente a 21,941 individui non vi ha più che 345 fanciulli i quali imparino a leggere e scrivere. Il 345 sta nell’ animato come 1 a 96 399, oppure come un individuo per ogni famiglia 18 133. E in questo pic- colo numero si comprendono anche gli abitatori dei castelli e delle terre, i quali non esercitano l’ agraria , cosicchè , detratti i giovani non esercenti agricoltura , hassi a girare per ben trenta case prima di trovare un solo che sappia leggere o scrivere. E ne’ castelli Gab- bicce, Granarola, Casteldimezzo, Monteluro, Montelesecchie , Tor- neto, quasichè ivi avesse a dominare esclusivamente l’ ignorauza , non vi è neppure una scuola elementare. È dunque necessario illu- minare un po’ quei luoghi, e per fare ciò vorrebbe il ch. antore che si distribuissero a’ contadini gratis libri d’ istruzione a guisa d’alma- nacchi. La spesa ne sostenesse il pubblico , gli scritti desse 1’ acca- demia. E ciò bene starebbe e tornerebbe a gran pro. Converrebba però prima che il pubblico ponesse ivi pertutto scuole normali, pro- ponesse premi a quelli che facessero istruire i loro figliuoli , e una società filantropica non isparmiasse cure e danaro perchè ratta si di- stendesse l’ istruzione , e si togliessero que’ vecchi pregiudizi che cre- scono la schiavitù de’ coloni, e di troppo scemano la fertilità de’campi e la copia de’ prodotti. Passa dall’ istruzione a discorrere del bestiame, e perchè le sole braccia d’ uomo non bastano a fecondare la terra, di questo egli tiene esattissimo calcolo. Dà uno specchio in cui si vede quanto bestiame da campagna vive nel pesarese: 2396 buoi, 1383 manzi , 1732 vacche, 796 vitelli, 226 castrati, 4091 pecore , 16 capre e 2676 maiali. Il valore capitale di questo forma la somma di scudi 145 958 : 10, da cui annualmente se ne ricava un utile com- plessivo di scudi 36,629 : 65. 4. Il maggior profitto però , dice, aversi dai castrati e dai maiali. E qui , ragionando del bestiame che serve a’ lavori di terra, trova che fatte le debite detrazioni non vi ha che 2396 buoi , 1505 vacche , 691 manzi de’ quali possa l’ agricoltore valersi. Instituisce quindi un calcolo per vedere a quanto ascenda il lavoro di tal numero di bestie, osserva che non possono lavorare più che 6,498,800 canne, le quali sottratte dalla» superficie arativa del distretto che è di canue 7,302,594 : 74 , non poste a calcolo 1,468,755 : 04 canne di terreno messo a pascoli, a prato, o abbandonato, rimarreb- bero non lavorate 803,794 : 74 canne per mancanza di bestie da la- voro. Nullameno tutta la superficie arativa del distretto è lavorata ; ma il volere far di più di quello che si dovrebbe, porta che una parte di terreno sia malissimo coltivata con danno dell’ agraria, con- sumo maggiore de’ buoi lavoratori, e ritardo di que’ lavori , de’ quali x se un solo è ritardato, ne viene che tutti gli altri ne sentano danno, ‘4 e i prodotti della terra siano sempre minori. Evvi dunque nel distretto pesarese difetto di bestiame da lavoro , al quale potendo supplire tutta la coltura dell’ agro pesarese ne sentirebbe vantaggio. Viene poscia ad esaminare il consumo che si fa annualmente di bestie, e trova che per l’ ordinario si consumano 1297 bestie. Calcolatii frutti che si hanno dal numero su accennato delle vacche, ogni anno sì pos- sono avere 980 bestie da consumo e non più. Ne mancano adunque al bisogno 317 , per l’ acquisto delle quali esce dal distretto pesarese ogni anno una somma di scudi 6300; 37; 5, ponendo che ogni capo , preso in corpo , valga scudi 19; 87; 5. Facendosi poi al minuto bestia- me, incomincia ad osservare che il numero de’maiali è 2676, ed il con- sumo annuale di 2308, sicchè ne restano al commercio 368 calcolati al prezzo di scudi 2392. Ma questo guadagno si perde subito perchè, mancando le scrofe, i marcheggiani ed i fiorentini per 1600 piccioli maiali se ne portano 2250 scudi, ponendoli |’ un per l’ altro a scudi 1. 50 per capo. Aggiungasi ancora che dalla Romagna e dal Fanese, e dai monti vicini s’ introducono ogni anno nel pesarese ottomila lib- bre di carne salata , la quale , considerata in ragione del 4 al cento, equivale all’estrazione di scudi 320. Ed ecco che il commercio de’ primi presenta una passività annua di scudi 158. Nè questo è tutto. Si con- tano 226 castrati, se ne consumano 442. A supplire al bisogno i roma- gnoli ne portano 216 pei quali estraggono scudi 432. Per cinquecento agnelli che mancano all’annuo consumo escono pure dal pesarese scudi 200. Vorrebbe quindi per adempiere a questo difetto migliorare le razze onde avere doppi i parti, ed il consumo necessario , ed anche alcun lucro alla popolazione. Osserva che le pecore nell’ anno 1827 erano 7109 , ed or sono solo 4091, e trova che questa diminuzione è perchè molti proprietari forse non conoscendo che fruttano più del 111 per 100, le hanno dimesse, e perchè per la mala custodia avutane spe- cialmente nelle invernate molte furono ridotte a perire. Inculca quindi la pulitezza delle stalle ove hanno a riposare , la quale oltre alla sa- lute giova anche alle lane. Perchè laddove con buona custodia sì avreb- bero da ogni pecora annualmente tre libbre e mezzo di lana, non se ne ha che due e mezzo, il qual danno a capo d’ anno equivale alla perdita di scudi 490. 92. Per le cose discorse è chiaro che all’ agraria, al vitto all’ in- teresse de? possidenti e del pubblico sarebbe d’uopo accrescere il numero del bestiame sì grosso che minuto. All’ acquisto del secon- do basta ogni piccolo possessore, all’ acquisto del primo le ricchez- ze de’ grossi possessori, o di qualche negoziatore. Mostra che il porre in coltura ogni terreno senza lasciar pascoli e prati riesce a dan- no , poichè :/ prato è la nutrice dell’ armento e del campo secondo la sentenza di Catone. Accenna ancora come abbia a tenersi economia maggiore de’ foraggi, e come gioverebbe inventare rustiche capanne di facile erezione , e di poca spesa per tenervi al coperto le paglie e i fieni che sogliono tenersi allo scoperto, onde la pioggia, il vento, la 15 neve, ne sperde, ne infracida, ne guasta gran parte. Vorrebbe ancora si proponesse un premio a chi offre il migliore e più economico mo- dello di tali capanne. Parlando del concime , la cuì utilità è grande quanto la fertilità delle terre, mostra che alla superficie del terreno arativo, la quale è, come fu detto, di canne 7,302,594; 74 ; dell’ or- tivo 8197. 78, abbisognerebbero 292,103 carri di concime per l’arativo, 819 4 per l’ortivo , in ragione di quattro carri ogni cento canne d’ arativo, e di dieci ogni cento d’ ortivo. Calcolato poscia il concime che si può avere annualmente , si trova che non ascende a più che 85,083 carri, dai quali detrattine -819 per gli orti, ne restano solo 84,264 pei campi arati. E però ne viene che manchino all’ agraria del luogo 207,839 carri di concime , senza porre qui quanto ne occorre- rebbe ai pascoli ed ai prati. Doversi quindi moltiplicare il bestiame al possibile, porre ogni diligenza perchè i concimi riescano vigorosi , ristorare i prati colla polvere delle strade, e col terriccio de?’ fossi , ingrassare il terreno arenoso col cretoso, e viceversa. Le terre del pe- sarese avere grande fame di concime; per saturarle doversi apporre ogni mezzo , giacchè sfamare in tal guisa i terreni, è provvedere allo sfamo delle popolazioni. Riguardo agli istrumenti campestri, trova che gli agricoltori del luogo mancano affatto di alcuni come di picconi e di mazze, di altri il numero non è bastevole. Mancano 614 birocci, e 829 veggie da uva. E a questa mancanza dovendo supplire i birocci e le veggie di altri coloni, ne viene manco all’ agricoltura quel tempo che essi impiegano ne’ trasporti e nelle fazioni stradali. Però è che consi- glia i possidenti a visitare più spesso i rusticani istrumenti , e a fare che non manchino all’ opere degli agricoltori, perchè pure da questo sì hanno i suoi frutti a fin d’ anno. La malagevolezza delle strade rurali, rendendo più difficili ed affaticati i trasporti , accresce il prezzo delle cose trasportate, il getto di tempo per parte de’ trasportatori , il consumo delle carra e del bestiame, perocchè il ch. A. visto lo stato pessimo delle strade rurali del pesarese, le quali solo alla state sono praticabi- li, annuncia che presto si darà mano a risarcirle e ristorarle. E per- chè non incresca la spesa ai Comuni, pone loro sott’occhi che, solo che ne venga un utile d’ un baiocco per ogni carro di trasport), ogui anno avvantaggia scudi 2444. 89, giacchè calcolati tutti i trasporti annuali salgono al numero di 244,489. Il quale avvantaggio se i Comuni spen- dessero nella ristaurazione delle strade sarebbe con pubblica utilità , e perchè porterebbesi sulla terra una ricchezza maggiore della spesa , per la massa maggiore degli ingrassamenti portati ai terreni ; e per lo rendere agevole al padrone visitare i suoi fondi , perchè come diceva quell’ antico / occhio del padrone ingrassa il campo. Vorrebbe anche si pensasse ad una migliore costruzione de’ carri o birocci, onde fossero resì più leggieri senza perdere di solidità , e più capaci di peso. Si fa in appresso a parlare de’ prodotti in genere, e dai difetti su 16 accennati comincia a far vedere che non è maraviglia se i prodotti non sono ubertosi. Accusa giustamente l’infingardaggine de’coloni, e l’incuria de’ possidenti i quali nel vinco, nella canna, e ne’ postimi che po- trebbero avere nei loro terreni spendono annualmente scudi 1615 per acquistarli al di fuori, rendita che ridotta a capitale formerebbe una somma dì scudi 30,375. La rendita annuale delle terre dice essere, non esclusa la parte colonica , nè alcuna spesa , di scudi 275,371. 36. 6, per ottenere la quale conviene lasciare impiegati nelle sementi scudi 45,641. 47. 5. Uno specchio posto in fine (IV) offre a colpo d’ occhio che per la esportazione di seta, frumentone, frutta ec. entrano an- nualmente scudi 21,774. 61. 6, e come per l’ importazione di grano , legna , olio, mosto, canapa, pollami, castagne , burro , formaggio , postimi, seme di lino, ed erbaggi escono scudi 62,855. 93. 6. La ren- dita adunque è minore dell’ uscita di scudi 41,081. 32. Viene poi a parlare partitamente de’ prodotti, ed incomincia dal grano. Occorre allo sfamo della popolazione un” annua quantità di grano di staia 32,145. 03. La raccolta libera dalle semente è di 26,617 staia. Ecco dunque una mancanza di 5528,03 staia, per le quali escono del pesarese scudi 22,113. Esamina le cagioni di questa scarsezza di grano , e trova che la prima è la mancanza del concime , la seconda l’ ignoranza de?’ coloni che non conoscono bene la natura de’ terreni, la terza la niuna cura che sì usa nella scelta della semente, e nel conservarla; indi la poca avvedutezza de’contadini che per alleviare il mal presente consumando alquanto della semente sì gettano in un mal peggiore, il seminar più o meno di quel che il terreno vorrebbe , la quantità de’ polli che de- cimano la semente, il carbone che infetta ogni anno il mezzo per cento di grano , le zuccare che lo rodono, le guazze che lo suggono. Rischiara la questione se i campi pesaresi rendono solo il 2 e mezzo ; se arrivino al 3, e fatto diligente calcolo trova ‘che rendono più del tre, giacchè il terreno seminato a grano fatte le debite detrazioni non è che canne 3,218,524. 37. Scende poi a discorrere alcuna cosa del fru- mentone e de’ brastimi, e osserva che il prodotto del frumentone sta a quello del grano come 1 a 143149 , unico genere che dia annaal- mente un di più di staia 32000. 02, pel quale messo in commercio ne possono venire scudi 64or. 16. 5 di entrata. Esso rende più del 47 per uno. Parla de’ vantaggi avuti da questo genere in molti anni di carestia, l’ utilità che si trae dalle foglie pei bestiami, e dai gambi per difen- dere le loggie contadinesche dal sole, dalle nevi, dalla piova e dai venti, e per ardere sui poveri focolari. Dice che i lavori fatti per la piantazione del frumentone, ove siano esatti, aiutano d’assai la ricolta del grano. Quanto a’brastimi comincia dalla fava e dice che la sua se- mente è di staia 908 , il suo raccolto netto di 1973. Sicchè il suo pro- dotto è di tre staia due bernarde e due libbre per ogni staio. Sta poi al frumentone come 1 a 8 269. La sua coltivazione favorirebbe, è vero, i prodotti del grano, ma richiedendo molti ingrassi non si può aumentare per la deficenza che vi ha di concime. Riguardo ai fagiuoli, 7 se ne seminano annualmerte 249 staia e se ne raccolgono 853. Uno staio adunque ne dà 4, bernarde 5, e libbre 3. I fagiuoli poi stanno alla fava come 1 a 1 399840, al frumentone come 1 a 14 7549; al grano come 1 a 26 z1369_. Gli altri brastimi insieme hanno una semente di staia 275,04, da cui se ne ritraggono nette 767, 11 ossia staia 3 bernarde 9 e mez. per ogni staio. Sono ai fagiuoli come 1 a 1161024, alla fava come 1 a 2 213%, al frumentone come 1 a 28 Te» al grano come 1 a 42 313522, Il prodotto di tutti questi generi, tranne il grano, è di scudi 71,009; 36 , quello del grano di scudi 106,448. Il grano adunque li supera di scudi 35,458; 64. Assegna poi il ch. A. per cagione di ren- dita sì ristretta data dai brastimi il volere forzare ogni guisa di ter- reno alla coltura de’ generi necessari al consumo de?’ villani, e de’ pro- prietari, senza secondare l’ inclinazione che hanno i terreni ad una piuttosto che ad un’ altra coltivazione. Discorrendo del vino afferma che il bisognevole al consumo è di 70,000 some pari a scudi 46,620. In vini esteri e navigati si spendono scudi 1ooo. Il prodotto del pesarese è di some 64,904, eguale a scudi 43,226; 06; 4 il quale sta a fronte del grano co- me i a 2 29916, Manca adunque al consumo una quavtità di some 6,096 di vino, per le quali bisogna ricorrere al di fuori, e ciò è tanto più doloroso quanto che prima il pesarese abbondava di vini tanto da potervi commerciare con vantaggio. E, quantunque alcuni af- fermano che le nuove piantagioni presto potranno togliere quest’annua passività, egli teme che, mancando le vecchie, le nuove non basteranno al difetto. Perciò inculca che si pianti molto, si osservi la natura del suolo onde rendere al vino il vigore da riviaggiar per mare come pri- ma, o almeno per terra. Bramerebbe che l’ Accademia ponesse un pre- mio a chi pubblicasse un opuscolo in cui fossero in elenco tutti i nomi coi quali i pesaresi chiamano le varie uve, vi corrispondessero i nomi latini, e quelli attualmente in voce de’ toscani, de’ lombardi, de’ na- politani e di quelle provincie francesi sì eccellenti nell’ arte de’ vini. Alla nomenclatura di ciascun’ uva seguisse una descrizioncella delle qualità e natura dell’ uva istessa, e della coltura necessaria. Con ciò egli crederebbe ritornare i pesaresi nell’ abondanza de’ vini, e di tali da farne traffico e per terra e per mare come solevano in antico. Giunto a ragionare della coltura degli alberi dice che utilità assai maggiore ne viene dal coltivare gli alberi nostrali che le piante esotiche, le quali esigono molta spesa, e non si naturalizzano mai a segno di dare nei nostri terreni quel frutto che danno nel nativo. Gli alberi poi che più servono alla nostra coltura, dice il ch. A., sono l’ olivo, il gelso, la quercia e l’ olmo. Si ha dalla coltivazione degli olivi un prodotto di 950 some d’ olio equivalente a scudi 11,400 che sta all’ uva come 1a 3 75, ed al grano come 1 a 9 #86. Non è però tale rendita sufficiente al consumo, e però annualmente escono del pesarese scudi 66000 per some d’ olio 550. È d’uopo quindi aumentare la coltivazion degli olivi, T. VI. Maugio 3 18 vietare che a queste piante si estraggano gli ovoli (le stecche ) onde poi rimangono sterili per molti e molti anni. Senza privare delle così dette stecche gli olivi vi ha modo di mantenerne ed aumentarne la coltura. Porre opportunamente le verghe, delle quali ogni anno se ne può avere un'10000, usarvi le diligenze prescritte dall’ arte, basta all’au- ‘mento necessario, ed a minorare d’ assai la spesa necessaria ad acqui- stare quant’ olio manca al bisoguo della popolazione. Il gelso è pure un’ altra sorgente di ricchezza. Rende ogni anno colla sua foglia scudi 11,520 , cioè a dire libbre 2,160,000 che alimentano tanti filugelli da averne 120,000 libbre di bozzoli, i quali conciati ne’ debiti modi acqui- stano un valsente di scudi 28,380. Il ch. autore molto saviamente in- culca che si abbia miglior governo de’ filugelli , si diffondano le istru- zioni del Dandolo, sì piantino gelsi in copia, giacchè i terreni vi sono acconci , e la rendita che ne viene è grande. Essere il traffico delta seta il primo del paese, potersi di questo avere una risorsa ai difetti degli altri generi agricoli, doversi procurare che le sete nostrali avan- zino di pregio le molte straniere. Aversi modo di diminuire 1’ uso smo- dato de’ cottoni, col manifatturare e convertire a nostr’ uso gli strusci, le spellature ; e gli altri cascami della seta. Osserva che non è da noi manifatturare le sete. Sarebbe dannoso aggravare l’estrazione della seta greggia , perchè in poco tempo noi perderemmo anche questo ramo di commercio, potendo facilmente le sete straniere supplire alla mancanza delle nostre, Considera 1’ utilità che abbiamo dalla quercia, e prova che le sue ghiande ci danno un utile annuale di scudi 12,002; 63; 4. Mostra che conviene venire accrescendo questa pianta per la riprodu- zione de’ suini necessaria allo stesso consumo della popolazione, esserne con grave danno l’ atterramento. Doversi porre un eccitamento perchè l’ ignoranza de’coloni si vinca, e si coltivi quest’ albero così fruttifero. Il bisogno di mantenere in piè le quercie fa ch’ egli non metta a cal- colo il valore delle legne che se ne cavano. L’ olmo essere uno de’più benemeriti alberi. Per lui si fortifica la siepe , con lui sì marita la vite, i buoi e le pecore si nutrono delle sue foglie , il suo legno serve a costruire strumenti d’ agricoltura, e dà legna abbondanti per 1’ inver- nata. Trova che la rendita distrettuale degli olmi è calcolata a 350,000 sacchi di foglia , e 30,000 fascine per ogni anno, e questa equivale a scudi 3740. Esorta anche a darsi più cura di coltivare questa pianta benefica tanto più che il suolo delle pesaresi colline vi è molto adatto. Dice che anche il fico e il mandorlo sono giovevoli al commercio del pesarese. Finalmente viene a parlare delle api e delle patate. Solo 655 arnie trova nel distretto, le quali rendono ogni anno 9825 libbre di mele, e 3725 libbre di cerume , prodotto equivalente a scudi 524. La spesa che si fa nello zucchero è di scudi 9500, nella cera lavorata di scudi 3240 sicchè rimane una perdita annuale arìiche in questo di scudi 12,216, per minorare la quale non vi è modo più pronto e sicuro quanto l’ estendere la coltivazione delle api. Se ogni colonia (e il potrebbe 19 di leggieri ) tenesse 4 alveari, se ne avrebbero 9840: questi fruttereb- bero 147,600 libbre di mele, e 49;200 di cernme, il che sarebbe quanto dire si accrescerebbe una rendita di scudi 7872, e non vi sarebbe d° u- scita più che scudi 4344, al che si porrebbe pure riparo togliendo l abuso dell’uccidere le api, perchè con tal metodo si aumeuterebbero in breve quasi del terzo i prodotti. Le ultime considerazioni dell’ au- tore sono portate sulla cultura delle patate. Ne mostra l’ utilità e in- sieme la renitenza de’ nostri villani in usarne, i quali piuttosto mo- iono di fame, e per quattro mesi dell’anno mangiano pane di ghianda, che approfittarsi di questo pomo benefico che la natura e la terra ne offrono a conforto non lieve. Nel pesarese aversene sì tenue raccolto da non farne caso, poichè non ammonta a più che a libbre 1700. Savio è il rimedio che egli suggerisce perchè si diffonda questa coltura sì utile. Porgasi, dice egli, una tassa a tutti i coloni, e se ne esentino quelli che si diano'a piantare le patate e a coltivarle ne’ debiti modi. L’ava- rizia de’ contadini vincerebbe la lor testardaggine , e così senza gravarli si provvederebbe ottimamente al loro sfamo , e si propagherebbe que- st’ utilissima coltura. Dopo queste cose egli viene alla conclusione del- l’ opera la quale ci piace recare intera onde i nostri lettori abbiano un saggio anche dello stile di questo giudizioso scrittore. Prima però noi daremo a lui quelle lodi che merita , e pregheremo l’Accademia agraria a promovere sempre gli studi agronomi, e fare che scrittori, come que- sto, schietti ed esatti diano ogni anno alcun utile saggio che meriti i premi proposti, e giovi a togliere que’ pregiudizi che tanto muocciono, e ad estendere que’ metodi che la civiltà, e lo studio di profondi sa- pienti ci hanno portati. Conclusione. “ Le cose di sopra ragionate , e gli specchi (1) che vauno uniti alla presente memoria, mettono in chiaro la forza fisica del nostro ter- reno distrettuale. Se la varietà degli oggetti legati alle fila del mio la- voro mi rende dall’ un canto pauroso d’ aver potuto trascorrere in qual- che errore, il testimonio della coscienza mì assicura dall’ altro di non avere omessa la più studiosa precisione nel raccogliere tutte quelle no- tizie, che o basate sul vero, o le più prossime alla verità, conducevano allo scuoprimento delle coguizioni e de’fatti , la cui ricerca era lo scopo per cui mi volsi ad operare. Le quali cognizioni ed i quali fatti, por- tando luce come le passività del distretto avanzino di gran passo l’at- tività, ci consigliano ad aumentare le rendite della terra per far mi- nore l’ introduzione de’ prodotti altrui, che vengono tutto giorno a i Ù (1) Nel fine vi sono sei specchi, cioè il I sulla popolazione ; il II sulla superficie e qualità del terreno censito ; il III sul bestiame ; il IV sui prodotti agrari; il V sulle imposte pagate in un decennio dal terratico pesarese ; il VI sulle distanze dei Comuni e sul valore de’ pesi e delle misure locali. 20 rastellare il nostro denaro. Le forze dell’ agraria sanno supplire alle mancanze della natura; né vi'è fra noì terra così trista ed ingrata, che per mezzo dell’ottima coltivazione non possa rendersi cortese e feconda. Ma per migliorare la nostra agricoltura , la quale per noi che non ab- biamo miniere è la sorgente dell’ oro , bisogna scuotere i possidenti e i coloni coll’ istruzione , cogli onori, e co’ premi. L’ istruzione per ot- tenere il fine della pubblica utilità deve lasciate nel gabinetto de’suoi studi la sublimità delle imaginazioni, de’sistemi, de’ calcoli, e discen- dere tutta semplice nel campo a dettare in mezzo agli aratri, ed alle vanghe le lezioni dell’ esperienza , a reggere la mano degli agricoli e ad eccitare l’ attività di essi e il desiderio de’ possessori col porre in- nanzi alla loro vista un qualche reale vantaggio. Gli onori hanno una luce sì bella, che niuno la disprezza, ognuno di lei s’innamora, e tutti assottigliano il proprio ingegno per meritare una parte de’ raggi di lei. Anche il rozzo villano brama che la sua ruvida spoglia sia tocca dì quel fulgore. Il premio poi è il gran principio agitatore degli umani intel- letti. E se i comuni del distretto dovessero spendere una qualche som- ma nel premiare chi aceresce le rendite del terreno, la loro munificenza non potrebbe essere in miglior modo impiegata poichè |’ accrescimento degli agrari prodotti porta maggior ricchezza ne’ possidenti : il maggior lenaro di questi giova alle arti, aì mestieri, e alle manifatture : il più frequente giro del numerario per le classi del popolo costituisce la pub- blica prosperità : ed i comuni non sono mai poveri, quando i cittadini sono ricchi. Coloro i cui pensieri non passano oltre il loro domestico risparmio, e per vestire la loro avarizia col manto della pubblica eco- nomia assomigliano un comune ad una privata famiglia, grideranno con- tro alcune massime, che ho palesate come dannose alle casse mumici- pali. Ma essi s’ inganvano. Non è mai gettata quella spesa, che sia per conseguire un utile maggiore. Nè può dirigersi il ben de’ comuni col procedere economico delle particolari famiglie. Queste sono felici quan- do hanno copia di generi, e ad alto prezzo li vendono in mezzo anche alle lacrime e al rumore del popolo. Quelli dovendo mirare al bene universale, e non de’ particolari, al vantaggio della moltitudine, e non al risparmio degl’individui, non possono godere felicità se non quando tutto il loro popolo è in piena fortuna. Lo spendere per migliorare I’ agronomia non è un aggravio per le classi povere. Le ricchezze della coltivazione sono il sostegno della miseria, le vincitrici della carestia, l’ origine della ricchezza di ogni ordine di persone, e danno il moto a tutta la macchina de’ sociali interessi. ,, “ Il denaro corre in traccia de’ frutti della terra: chè di questi e non di quello l’uomo vive, si veste e si mantiene. Se coll’ istruzione, coll’ onore e col premio si otterrà che il nostro distretto risponda con messe più larga della presente, non più partirà annualmente dal ter- ritorio pesarese la somma vistosissima di scudi 62,859; 93; 6 per gire a trovare i prodotti degli altri. ,, “ Quel popolo, che compra molto e vende pochissimo, se indugia a 2I cangiar di consiglio, si trova senza avvedersene al passo funesto della propria ruina. E d’ onde procede, mi si risponde, che noi all’estremo della miseria non siamo ancora pervenuti? Le arti, le manifatture , 1’ industria, ed il commercio hanno fin qui riparato all’ equilibrio dei nostri interessi, facendoci rientrare per altra parte quel denaro che ci fugge per l’ importazione de’ generi che ci mancano. Queste arti e manifatture , quest’ industria e questo commercio potranno sempre ca- minar d’ egual passo? Le terre stanno, e non temono l’ira delle umane vicende. Ma le manifatture e il commercio si rovesciano e sì distrug- gono a un soffio solo dell’ avversa fortuna ,,. E qui a noi non resta che animare tutte le città e le terre dello stato e dell’ Italia a procurare che da’ savi e diligenti ingegni si scri- vano le statistiche municipali, guisa di studio che solo può dare giusta idea delle ricchezze e della povertà , degli avanzi e de’ bisogni di una popolazione , guisa di studio che giova ai presenti e ai futuri, ed è la base più solida su cui inalzare l’edificio di una storia statistica nazio- nale che faccia conoscere agl’ italiani le doro dovizie , i loro tesori, e quanto potrebbero se l’ industria e 1’ agricoltura fossero protette ed animate. Giuserre Icnazio MONTANARI. Gheftàr Màrcùs Antonin Pàdisciàh der hàl nefsi chùd a’li dsciàh. — Mdpuov ’Avrovivov Autoxp&iopos "i wr els éaurév fuPàia $B' reporoti peSepuyvesgavto: INZEH® ‘AMMEP. — cioè : Soliloquio dell’Imperatore Marco Antonino con se medesimo, libri dodici, tradotti in persiano , col testo greco a fronte, dal sig. Giuserre pe Hammer. Vienna d’Austria , dalla tipografia della Vedova di Antonio Strauss , 1831 in 8.° massimo. Per assai volte debbono i leggitori dell’Antologia essersi rammari- cati di non incontrare in essa quasi mai notizie di letteratura orien- tale. Avremmo , egli è vero , potuto discorrere più o meno acconcia- mente d’ una sessantina di opere arabe , turche , o persiane nel pas- ‘ sato quinquennio usciti alla pubblica luce , in diverse parti dell’ Eu- ropa , e dell’Asia , se non ci avesse disanimati la poca sollecitudine , che apparentemente si ha in Italia per questa bella, ed utilissima fi- lologica erudizione. Almeno sappiamo di certa scienza , che dei ses- santa e più libri testè accennati niuno è stato composto, e pubblicato dentro i confini della nostra penisola. E però cogliamo con singolare compiacenza il destro , che ci si offre, d’annunziare una nuova opera del chiarissimo signor consigliere cav. De Hammer, senz’ altro uno dei principi delle lettere orientali in Europa , e già d’altronde bene- merito delle cose italiane ; opera eseguita con un lusso , ed uno stu- dio tipografico , che nulla , o quasi nulla lasciano da desiderare. Noi confesseremo di buon grado di non essere competenti a farla © 22 da giudici inappellabili , sul merito della traduzione persiana del clas- sico testo greco di Marco Aurelio. Pur nondimeno sappiamo assai be- ne essere il dottissimo traduttore partito dal principio fondamentale di non rendere parola per parola il senso dell’ originale, ma di tra- slatarlo secondo il gusto , ed il genio dell’odierna lingua persiana , e nello stile appunto di cui Marco Aurelio stesse» sì sarebbe servito , s’ egli avesse dettato il suo Soliloquio nel ricco , ed ornatissimo lin- guaggio moderno della Persia. Ma rispetto all’ esecuzione tipografica basterà un semplice guardo per riconoscere la perfezione dei tipi, accresciuta pur anco nel progredimento stesso del lavoro , di cuì gli ultimi fogli sono di molto superiori ai primi, attesochè molti carat- teri sono stati di bel nuovo intagliati, e rifusi. I quali caratteri bel- lissimi , detti dai persiani Vesta?lik , sono non solamente unici infino ad ora sul continente europeo, ma gareggiano ancora in bellezza con quelli deli’ Inghilterra e dell’ India , e li vincono certissimamente in finezza , nitidità, e leggiadria. Non ignoriamo, che un venerando, e celebre orientalista ha trovata la loro composizione tipografica un poco lassa , o troppo spazieggiata ; ma noi, d’accordo in ciò perfettamente col sig. de Hammer , crediamo , che lungi dall’ essere cotesto un di- fetto , è all’opposto un vero servigio, ch’ egli ha renduto ai leggitori del suo libro. Quindi è , che con questo bel monumento d’ orientale tipografia l’ egregio Editore ha fatto un vero benefizio alla persiana letteratura, non meno che all’ arte della stampa. Sarà forse , e senza forse, vano il lusingarsi , che i persiani, dai quali è stata portata al più alto grado di perfezione la calligrafia , divengano ad adottare giammai l’uso della stampa ; essendo che la loro bellissima scrittura , cambiando del continno di piano , e di foggia , resisterà troppo alle forme tipogra- fiche. E di fatto come persuaderci, che vogliano essi, o direm me- glio , che possano , leggere ciò che infino ad ora è uscito dai torchii europei , se ad ogni passo si abbattono in sillabe d’ un medesimo vo- cabolo, divise fra loro per ispazii più grandi di quelli che separano le stesse parole 1’ una dall’ altra, e non solo alla fine dei versi, ma delle pagine ancora , in parole spartite in due , senza neppure un se- gno di divisione , o di riunione ? Difetti questi, che il sig. de Ham- mer ha saputo evitare colla più grande accuratezza , talchè abbiamo certa lusinga , che i persiani d’ oggidì leggeranno con frutto , e con piacere un libro stampato, il quale avvicinandosi quanto più si può al carattere manoscritto , mostrerà loro che, mentre in Europa si stu- diano i dotti uomini ad erudire le loro menti, si applicano pure a contentare i loro sguardi coll’ eleganza dell’ impressione. Indipendentemente però dal merito della traduzione, e del magi- stero tipografico del libro che stiamo esaminando, tutti gli amici delle lettere orientali debbono applaudire alla generosa ed utilissima im- piesa del sig. cav. de Hammer. Dai bei tempi in poi del califfato , ‘allorchè le opere scientifiche dei greci, e dei latini venivan tradotte 23 in siriaco ed in arabo, nessuno avea divisato di traslatare in una lin- gua dell’ Oriente un classico greco , tranne per avventura il solo po- liglotto silesiano Giovanni Elichmann , che nel 1639 tradusse in arabo la famosa Tavola di Cebete, ed i pretesi versi aurei di Pitagora; tra- duzione stampata dopo la morte di lui, nel 1640, con una dotta pre- fazione del celebre Salmasio , che ci assicura essersi l’autore proposto di aggiungervi ancora una versione metrica in lingua persiana, se nel fior degli anni non ne fosse stato da prematura morte distolto. ‘E per certissimo è stato divisamento ottimo quello del sig. Ham- mer , di far conoscere all’ Oriente un classico del grido , e del me- rito di Marco Antonino , e di pagare , in cosiffatta guisa, una por- zione dell’ antico debito dell’ Europa inverso la madre Asia, cui ella va debitrice di tanti lumi, e di tanti letterarii tesori, ma che può ricevere , e riceve infatti da lei solide lezioni di buon gusto , e di scelta dottrina. Infatti, una traduzione della presente opera del roma- no imperatore debbe comparire agli occhi di giudici imparziali molto più meritevole di plauso, e di encomio, che una moltitudine di trat- tati metodistici , dei quali l’Asia trovasi inondata per opera delle so- cietà bibliche, e proselitiche della Gran Bretagna. Si sono pure tradotti in arabo Tommaso a Kempis, Ugone Grozio , le omelie di San Gio- vanni Grisostomo , e di Sant’Anastasio gerosolimitano , il catechismo di Lutero , la liturgia anglicana , ec. ed in turco lo stesso Tommaso a Kempis; e perchè dunque non si tradurrebbe in persiano Marco Aurelio ? È desso, alcerto, di tutti i classici da noi conosciuti, quello di cui la stoica filosofia , e la morale abbiano ila maggiore analogia con quelle degli orientali. Oltreacciò , il sig. de Hammer ha il merito incompensabile di avere eseguito la presente magnifica edizione inte- ramente a sue proprie spese, senza soccorso nè di regnanti, nè di asiatiche società ; mentre anche il sommo orientalista sig. barone Sil- vestre de Sacy , nella pubblicazione dei Macamat o Consessi del Ha- riri, fù aiutato da liberali soscrizioni degli Imperatori di Austria, e di Moscovia, e dei Re di Francia, e di Prussia. Oltre il titolo persiano qui sopra descritto , l’ illustre traduttore, per uniformarsi allo stile , ed al genio degli orientali, ha posto in fronte della sua versione un elegantissimo capolibro foggiato alla per- siana , e contenente in se la seguente iscrizione rimata. = Esciai fànusi efànin der vessàiùi Màrcùs, Antonin : che tradotta letteralmente vuol dire: Raggi del fanale delle cognizioni, sul Commentario di Marco Antonino. Osserveremo però a proposito di questo nome. di, Commentario , che già il celebre Dacier avea detto essersi spiegato in; venti diversi modì, e tutti egualmente cattivi, il titolo di questo libro. Il testo greco dice semplicemente: Dodici libri dell’ Imperatore © Marco Antonino a se medesimo : e di fatto quel sovrano filosofo non vi parla mai se non che a se medesimo. E però la prima traduzione latina di Xilandro, pubblicata nell’ anno 1558 a Zurigo , portava il titolo di M. Antonini imp. de se ipso. Gli inglesi Collier e Gataker lo 24 intitolarono Conversazione ; ma la forma del dettato è quella di rifles- sioni morali piuttosto the di famigliare trattenimento. Noi abbiamo preferita la versione di Soliloquio , perchè non ci attalenta punto quella di Commentario , gia perchè non, converrebbe in ogni caso se non se unicamente al primo libro , composto nel paese dei Quadi; ma più spezialmente perchè il titolo di Commentarii era già stato, dall’Au- tore , dato ad altra sua opera, scritta pell’ ammaestramento di suo figlio Commodo, ma che il tempo, inesorabile distruggitor delle cose , non ha permesso di arrivare infino a noi. J. G. H. Catechismo di storia sacra per uso dei fanciulli. Siena 1831 in 12.° di pag. 49. Catechismo di storia antica per uso dei fanciulli. Siena 1831 in 12.° di pag. 47. Catechismo di storia moderna per uso de’fanciulli. Siena 1831 in 12.° di pag. 52. Catechismo di geografia per uso dei fanciulli. Siena 1831 in 12° dì | pag. 62. Catechismo di cronologia per uso dei fanciulli. Siena 1832 in 12. di pag. 38. (Tutti tradotti dall'inglese , se si eccettua quello di storia sacra che uon porta alcuna indicazione nel frontespizio , e stampati da Pan- dolfo Rossi, il quale pubblicherà altri consimili catechismi). Noi facciamo plauso di vero cuore a Pandolfo Rossi, il quale con savio intendimento ha pensato di pubblicare , tradotti in italiano , questi diversi catechismi tanto utili per la prima istruzione della gio- ventù. Facile e netta esposizione , buon metodo, e quanto altro fa di bisogno, perchè operette di siffatta specie giungano pianamente e sicuramente al loro scopo , tutto, sembra a noi, che in essi si ritrovi. Non è quindi meraviglia se tanto buono effetto abbiano prodotto in Inghilterra, e non è quindi irragionevole lo sperarne altrettanto fra di noi. Quantunque è amaro il riflettere che questa nostra Italia, la quale, se molte cose ha imparate dagli stranieri, molte più ne ha insegnate loro, debba mendicare dagli altri fino gli elementi del pri- mitivo insegnamento. Ed alla vergogna, se male non ci apponiamo , sì aggiunge ancora un danno , il quale quantunque forse non avver- tito che da’ più delicati e di eletto sentire , non è per questo men vero. Sebbene i principii delle scienze sieno eguali per tutte le nazioni, cosicchè paia a prima vista che poco importi che gli elementi delle scienze medesime siano originalmente pensati ed esposti piuttostochè accattati da una lingua straniera, noi però opiniamo che questi do- vrebbero essere frutti indigeni perchè fossero intesi senza il minimo intoppo, perchè le osservazioncelle dalle quali posson venire accompa- gnati nascessero spontanee e. adattate veramente alla qualità delle 25 persone da istruirsi, perchè più da vicino toccassero certi nazionali bisogni. E chi non vede l’ applicazione di questi principii, per esempio, al catechismo della storia, della geografia, e della cronologia, in quella parte che riguarda la patria nostra istoria , geografia, e cronologia? (1) Del resto se l’ onore ed il vantaggio nazionale italiano ci ha dato co- raggio ad emettere questo nostro sentimento, non per questo vogliamo diminuita la lode data in principio all’ editore che stimiamo. Seguiti egli la sua degna impresa, perchè la causa della istruzione , e più specialmente di quella che ha per iscopo d’ insinuarsi con eflicacia fra’?l1 popolo più minuto, preziosa parte pur esso della società, è sacro- santa, e deve stare a cuore di tutti i buoni. Se poi avverrà, che qual- che ingegno italiano, vergognando dei rimproveri che ci possono giu- stamente fare gli stranieri, ponga mano a’lavori della specie che si è detto , e li faccia di pubblica ragione, come ne sarà più grande il vantaggio , maggiore sarà la nostra riconoscenza. GiusePPE PoRrRI. Origine della Lingua Italiana, opera di Ortavio Mazzoni Tosetti. Bologna pei tipi della Volpe 1831-1832. Fasc. 3.° Ogni studio che risguarda le patrie antichità , che tende ad isco- prire la vera origine delle cose, è degno di vera e sincerissima lode , tanto più .se le ricerche sono esatte , e 1’ erudizione trascelta all’uopo. Però è che di questa operetta noì sapremo grado all’ illustre autore , il quale ficcando gli occhi nelle tenebre dell’ antichità più rimota ha cercato di rintracciare la vera origine della favella italiana. E, non pa- rendogli buona la sentenza di quelli che la vogliono derivata da una corruzione del latino , inclina a credere che ella sia indigena a’ primi abitatori d’ Italia , anzi quella stessa in origine che venne parlata da quell’ indomabile popolo boico , che fu tanto tempo martello della do- minatrice del mondo. Lontani noi dall’ immischiarci in tali questioni, che non offrono in fondo vera utilità nazionale, ma solo fruttano onore presso gli eruditi, diremo che, comeché possa avere contradittori forti, e grandi contradizioni l’ antica sentenza, noi non saremo per abbrac- ciare senza ulteriori autorità la novella, giacchè allo stretto del ragio- nare come si proverà l’ assunto , se del gallico antico non ci rimane pur orma ? Se appena potrà immaginarsi qual fosse la lingua de’ Galli Boi? Tuttavia noi siamo pronti a cedere alle nuove dottrine quando vi abbiano ceduto i dotti d’Italia, a cui più che a noi spetta dare conveniente giudizio di tali materie. G. I. M. (1) Pare che tale osservazione non sia totalmente sfuggita al traduttore di questi catechismi , giacchè a quello della storia moderna ha aggiunto un? ap- pendice sulla Italia. Ma è doloroso il vedere in un libro di prima istruzione parlato per appendice delle grandezze e delle sciagure della Italia; quasichè quelle fossero un episodio nella storia, queste non meritassero che un breve com- pianto ? T. VI. Maggio 4 26 Il Procresso delle scienze, delle lettere e delle arti, Napoli 1832. Vol. I fasc. I. e II. Questo nuovo giornale che sorge abbellito dei nomi di Galanti, Cesare, Troya, Tenore , Avellino, ed altri stimabili uomini, e il cui nascimento è in gran parte dovuto alle cure dell’ egregio sig. co. Ric- ciardi ,. oltre agli altri lodevoli fini che si propone , ha pur questo che giova indicare con le sue stesse parole. ‘ Dei valent’uomini che sono fra noi partitamente, e in silenzio, e quasi nascosi , la più parte coltivano i buoni studi ; per il che non con- forti scambievoli han luogo fra loro, non desiderio continuo , caldo, po- tente, come quello di molti insieme congiunti, che intendano a giovare il progresso delle civili dottrine. Ora quest'opera , per quanto sta in noi, lì raccoglie , li ravvicina , almen negli scritti; laonde ponendo in cortese, fratellevole comunanza le speculazioni del loro intelletto, a vicenda, a pro della patria nostra, a pro della patria italiana s’ adopereranno. Oltre di che molti giovani abbiamo, i quali con quanto ardore nell’età loro scalda le vene , fann’opera intorno al sapere ; ma non han verun campo , dove far mostra, e agevolmente, ed a gara, di lor valentia. Imperò divisammo aprire tal campo, ove anch’essi emulando scendano in lizza. ,, Quanto alle disposizioni morali con cui gli egregi napoletani al- l’ impresa s’ accingono , le sono assai bene assicurate dal nome loro, e dalle parole seguenti. ‘ Avvertiremo altresì, che non ai dotti soltanto intendiam favel- lare, ma a ogni uomo che ha fior di cultura , il perchè in modo pia- no ed acconcio sporremo le cose tutte , e in quel tratto medesimo , svariatamente , dal che se di poco fia guasto l’ ordinamento generale dell’opera , crescerà d’altra parte l’allettamento , il quale è gran pre- gio in qualsivoglia maniera di scritti, massimo in questa. ,, ‘ Ultimamente diremo ch’ella è nostra mente schifare a gran cura la disgustosa ed ingrata polemica, e urbanamente dettare, notare, e non sentenziare , e non lacerare, perocchè a chi professa l’umane let- tere conviene fuggire Ogni parola che non sia gentile ,,. Questo primo fascicolo di dieci fogli di stampa (e n’uscirà sei all’anno) contiene alcuni discorsi quasi preliminari sulla filosofia spe- rimentale , la botanica , la scienza militare , la geografia, gli studi archeologici, la poesia , l’ architettura ; discorsi tra i quali ci parvero segnatamente notabili il prospetto dello stato della botanica in Italia al cadere dell’ anno 1831, prospetto che possono anco i non inizia- ti alla scienza leggere con diletto , perchè presenta 1’ immagine delle botaniche ricchezze della nazione , in istituti, in giardini, in uomini; 27 in libri. I discorsi sulla scienza militare, quello sugli studi storici, e quello sugli archeologici, contengono delle idee molto-savie, esposte con senno: l’altro sull’ architettura dà sulle fabbriche napoletane al- cune notizie buone a sapersi. Il frammento sulle divisioni naturali del Globo non è che unsaggio delle aggiunte che alla quinta edizione della sua geografia fisica e politica sta preparando il benemerito ab. Ga- lantì. Quello però che attira principalmente a se l’attenzione dei dotti d’Italia ed oltremonte, è la pubblicazione di alcune nuove leggi longobarde che trae dal codice Cavense il sig. Troya, e che orneranno il suo tanto aspettato codice diplomatico longobardo. Dal breve com- mento che il sig. Troya vi appone noi preghiamo i critici troppo severi, non vogliano giudicare tutto intero lo storico suo sistema. Le opinioni d’un uomo sì dotto, concordi con quelle d’ Alessandro Manzoni.e. di Cesare Balbo, giova almeno discuterle ;} innanzichè rigettarle. Que? valentissimi collaboratori non hanno certamente bisogno di consigli, e meno de’nostri: ma non sarà, speriamo; illecita cosa il pregarli che quanto più dalle generalità scenderanno nel campo della scienza positiva e de’ fatti, tanto più dilettevole ed utile riuscirà l’opera loro. Il sig. Blanch , per esempio , che con tanto senno ragiona sull’ arte militare (contemplandone, a dir vero, il lato più bello, e lasciando ch’ altri mediti sulle vie di prevenirne o ripararne gli abusi), il sig. Blanch non potrebb’egli darci un bel prospetto dello stato pre- sente delle milizia nel regno di Napoli, dell’ educazione , degli eser- cizii militari , del modo di rendere proficua anco ad imprese pacifiche quella parte sì bella della patria, e d’incorporarla alla vita sociale da cui trovasi un po’ disgregata? Il sig. Ruggero, che nel suo discorso sull’ architettura ci accenna e la nuova piazza e la chiesa di S. Francesco di Paola costrutta in Na- poli dal luganese P. Bianchi ; e il rifatto teatro di S. Carlo ; la ‘cui nuova facciata è disegno del Pisano A. Niccolini; e il palazzo degli uf- fizi di S. Giacomo; compiuto dai fratelli Gasse ; e 1’ osservatorio astro- nomico di Stefano Gasse; e la nuova dogana, opera di ambedue insie- me i fratelli; e il palazzo da Pietro Valente disegnato accanto alla marina di Chiaia, e l’altro da Gaetano Genovesi in Toledo ; e le belle speranze che danno i due giovani architetti Saponieri e Angelini; il sig. Ruggero, non potrebb’ egli brevemente esporci lo stato delle altre arti belle nel regno di Napoli? E la musica segnatamente , non meri- terebbe un prospetto da se? : Far conoscere alla patria comune i costumi e gli esempi ; le bellezze e i difetti, gl’istituti e le tradizioni, i monumenti e i documenti di co- testa sì bella parte d’Italia; ecco assunto , angusto in apparenza, ma veramente amplissimo e nobilissimo, al quale il Progresso può con grane de onore dar mano. Egli comincia intanto dal darci a conoscere i lavori delle accade- demie napoletane, e questo è buon saggio della sua tendenza avvenire. 28 Il secondo quaderno contiene de’ cenni affatto elementari sulla sto- ria delle matematiche ; un elenco d’ opere zoologiche e zootomiche di recente pubblicate in Italia, alcune osservazioni del Bar. Galluppi sul metodo della filosofia intellettuale , elementari ma saggissime ; una nar- razione interessante d’ una gita al Vesuvio ; l’ ingegnoso progetto del sig. Capocci d’ un nuovo modo di scrivere più brevemente i nomi dei paesi nelle carte geografiche , progetto che merita d’ esser discusso e perfezionato al bisogno , e ampliato ; un frammento inedito del cav. de Thomasis; sulle corti di cassazione , nel quale si svolgono molto a lungo idee molto evidenti e vere; un bel catalogo steso dal sig. Libe- ratore delle cognizioni storiche più necessarie a chi scrive storie d’Ita- lia; un lungo articolo del sig. Imbriani su gl’ improvvisatori, e un cenno del sig. Dalbono sopra alcuni poeti italiani ; un pregevole arti- colo del sig. Ruggieri sopra una dissertazione del cav. Carelli trattante dell’ architettura sacra ; l’annunzio consolante dei lavori dell’accademia reale delle scienze e dell’ accademia pontaniana, e di un corso di belle lettere al qual presiede il march. Basilio Puoti. Questi annunzi con- verrebbe trascriverli per intero, tanto sono onorevoli alle due accade- mie , e allo zelo del sig. Puoti , il quale “ ;; mumerosa schiera di giovani a’ quali va per amore insegnando il bello ,; e corretto scrivere . .. Tutti gli esercita a traslatar dal latino , e ta- ;3 Juno più valoroso ancor dal greco; e, quando a sì dotto e a sì gen- ;; til precettore par tempo, a quegli che mostrano d’avere più svegliato raduna intorno a sè una ;3 1 ingegno , commette di trattar con breve discorso qualche argomento, 5 letterario , e talvolta ancora dà loro a narrar qualche fatto o tolto +, dalle storie , 0 pure tutto d’ invenzion dell’ autore. Non contento di ,; questo , egli raccoglie di quando in quando in sua casa molte per- ,; sone dotte e cortesi , e loro mostra con pubblico esperimento il frutto 3; che da siffatti insegnamenti ritraggono î suoi giovani allievi ,,. Pos- sano i dotti d’altre città d’ Italia imitare sì nobile esempio, e non solo nelle cose della lingua , ma nelle più gravi dottrine, aprir di siffatte accademie giovanili, che più delle molte virili e senili porteranno buon frutto. X. Erremerini scientifiche e letterarie per la Sicilia. Anno primo. Palermo (n’ esce un fascicolo al mese , di quattro fogli in ottavo). Bella ed utile impresa, degnamente cominciata dai quattro altrove da noi nominati compilatori. E il proemio posto in fronte al priîno vo- lume contiene sì nobili idee, che non possiamo a meno di non ripor- tarne una parte. “ La prima parte dell’Effemeridi contener dovendo memorie ori- ginali di Siciliani, estratti e giudizi di opere che quì si van publi- cando , notizie di scienze lettere ed arti intorno alle Sicilia , richiede S5 cure ed ajuti non pochi perchè riesca a laudevole fine. Noi lo diciamo ingenuamente , pochi compilatori a tanto bastar mai non potranno ; se i dotti tutti della nazione coll’ opera loro, coi loro travagli , con zelo ed amor patrio in fine , non cospireranno costantemente a questa bel- la ed onorata intrapresa. Difatti se noi nella capitale, dirizzando do- vunque le nostre istanze e le nostre ricerche, siamo venuti felicemente a capo di ottenere da più valentuomini che qui riseggono, e dotte memorie, e l’ opera loro, che è più ; e se dalle pubbliche e private bi- hlioteche abbiamo tratto pregevoli manoscritti di dotti trapassati, con che la Sicilia in molte parti s’illustra , e se notizie di ogni genere abbiamo frugato diligentemente e frugheremo mai sempre; uopo è che î grandi uomini ancora e i dotti in generale sparsi per le varie città di Sicilia , larghi ci sieno ancor essi e di scoverte che per lor si faran- no, e di peculiari notizie, e delle loro memorie e delle opere loro ci onorino. ;) . . ... “ Le scienze fisiche e naturali, che al nobile scopo che debbono avere di descrivere un paese, siccome il nostro, non ancora sotto que- sto aspetto ben conosciuto , quell’altro utilissimo aggiungono di appre- stare potenti lumi e soccorsi alla medicina , all’agricoltura , alle arti ed ai mestieri, richiameranno precipuamente la nostra attenzione. E ben siamo venuti in una stagione in cui questi belli ed utili studi con ardore e con successo coltivansi da molti e valenti ingegni in Palermo ed in altre città di Sicilia, e da un’ accademia di dotti in Catania, che fondata sol da pochi anni, è già in onore e in rino- manza salita. Però le nostre Effemeridi, tanto speriamo, di queste scienze non saranno manchevoli, anzi un ‘pregiato opuscolo di questo genere, riveduto dall’illustre autore, reputiamo non piccol vanto di quì riprodurre; ed un lavoro veramente originale di un naturalista di cui pure la Sicilia si onora , abbiamo già pronto per le stampe intorno a conchiologia Siciliana. ,, ‘ Le scienze mediche anch’esse avranno luogo onorato nelle nostre pagine ; ed a quest’uopo provocato abbiamo l’opera de’migliori professo- ri della Sicilia, e di quei specialmente che al cessato giornale medico cooperavano, che si stampava lo scorso anno in Palermo; e di alcuni gio- vani valorosi che da paesi stranieri ritornati in patria, coi loro travagli sostener promettono il nome che colà chiaro ritengonu. ,, “ L’agricoltura, che esser dovrebbe la scienza de’Sic.liani , uopo è confessarlo con nostro dolore , è ben poco da noi studiata ; e pochi sono gli scritti agrari degni di lode , e poche e lente le migliorie che qui si vanno eseguendo nell’ economia e nelle pratiche agrarie , e nelle mac- chine e negli strumenti. ,, . ... ‘ Lo studio delle antichità, she occupò nel passato setolo i primi ingegni della nazione, viene ora fervidamente promosso da un sapiente magistrato, con provido consiglio istituito, sono pochi anni , dal gover- no, e porge ampia materia alle dotte ricerche degli antiquarii ; delle 3o quali volentieri faremo tesoro : ed a ciò ne spigne l'onore nazionale non solo , ma l’ utile divisamento ancora d’incoraggiare altri studi a quello delle antichità intimamente congiunti. ,, “ Siffattamente daremo saggio dello studio delle lingue dotte , poi- chè la latina e la greca che sono in sommo onore tra noi, servono mira- bilmente all’antiquaria; ed anche 1’ arabica vi si adopera , che a somi- glianza de’più grandi licei si coltiva con onore e s’insegna pubblicamente in Palermo. ,, ‘ Di memorie storiche siciliane di vario genere saremo non poco sol- leciti , e della biografia specialmente , scrivendo di qualche valentuomo non ricordato per essa , e il doloroso ufficio adempiendo di onorare così e cogli articoli necrologici la memoria di coloro che mancheranno alle lettere , alle scienze , ed alle arti. ,, Il primo fascicolo contiene alcune idee del celebre Piazzi sui si- stemi spieganti le facoltà dell’ anima umana ; idee non profonde ma saggie , e che dimostrano come quel sommo cultore delle fisiche verità non istimasse di abbassarsi credendo ad un’anima: una memoria sui vortici dello stretto di Messina, dell’illastre Scinà , già pubblicata nella B. Italiana, ma ora ritoccata dal medesimo autore : un discorso di Mons. Testa sul linguaggio de’ primi abitatori della Sicilia , cosa più erudita che profonda o concludente : una buona pagina del Tognini sulla mu- sica: una spiegazione d’epigrafe greca scolpita in un cammeo, dell’ab. Crispi. Nella parte dedicata alle notizie del resto d'Italia e straniere, sono alcune interpretazioni Dantesche di Costanza Perticari, se: non tutte accettabili, tutte ingegnose, e alcune evidentissime; poi due let- tere del celebre de Sacy a due Siciliani. Il secondo fascicolo contiene alcune notizie estratte dall’opera MSS.. di conchiliologia del sig. barone Bivona Bernardi; una lettera del ba- rone Mortillaro sui MSS. arabici delle biblioteche di Sicilia ; le ricer- che sopra un anfiteatro nella città di Terme; il Gicisbeo , graziosa no- vella dal march. Gargallo ; e varie notizie consolanti, e con molto senno annunziate circa le cose della bella Sicilia. Quanto più gli egregi compilatori si ristringeranno alle cose sici- liane ; tanto più d’ utile faranno e alla patria , che di fatti più che di generalità curiose ha bisogno; e all’Italia che vuole e deve cono- scere nei varii giornali segnatamente il paese nel quale si stampano. Però la parte italiana e straniera, quando non riguardi anch’ essa in- direttamente le cose siciliane , noi ardiremmo consigliarli ad ometterla: chè quattro fogli al mese per parlare della Sicilia non sono già troppi. E s’accertino che, più siciliane saranno, e più diverranno italiane quelle loro sì bene incominciate effemeridi. Xx. dI La vita attiva e contemplativa di Frare Grorpano , testo di lingua la prima volta stampato. Verona per Valentino Crescini 1831. Rime del CoppertA che nelle felicissime nozze del nob. cav. e conte Giovanni de’ Bernini co/la nob. dama Isotta Buri /a prima volta escono in luce. Verona dalla stamperia Tommasi 1830. Comechè noi non avessimo un dubbio al mondo che il sig. Paolo Zanotti, per la molta e fine conoscenza , ch’ egli ha di nostra lingua; e per la diligenza che suol por grandissima nell’ andare in traccia dei migliori codici , e ragguagliandoli accuratamente fra loro , sceglierne sempre la lezion più sana, non fosse per darci ottime stampe di qua- lunque cosa , che e’ pigliasse a pubblicare de’ nostri vecchi scrittori ; niente di meno provammo gran piacere in leggendo questa predica di fra Giordano , dove abbiamo scorto una assai bella, lezione , ed una esattezza , e correzione ortografica grandissima , le quali doti, tanto necessarie alla presta e netta intelligenza delle scritture , renderanno sempre più palpabile, e vie meglio faranno sentire la verità di quella sentenza , che intorno alle prediche di fra Giordano pronunciò il Sal- viati ; cioè che e/leno sono cosa finissima , e che d’ opera di purità e di semplice leggiadria, quanto la materia il patisce, rasentano il primo segno. Questa predica vien dedicata dal sig. Pietro degli Emilj ( che l’ebbe dal Zanotti ) alla signora Maria Sparavieri sua nipote , nel dì che andava sposa al sig. Giovannantonio Campostrini, non già , dice nella dedica- toria , per fare in sì lieto giorno del moralista ; ma perchè desiderando i0 di lasciar viva e continua memoria della presente mia consolazione, mi fu avviso, che ad avere il mio intendimento entrasse innanzi ad ogvi altra cosa l’unirne la testificazione ‘‘ ad uno scritto di quel secolo, che col nome d’ aureo viene onorato ; e che voi nella sceltissima biblio- teca del vostro sposo collocar potrete fra la raccolta dei così detti Testi di lingua ,;. È vero ; da che questa predica, oltre all’esser dettatura del principio del secolo XIV, è altresì, come ivi in una noterella è detto , ci- tata in Vocabolario alle voci godevole, e scandalezzo. Quello però che per noi non è così vero, come era per l’editore, è questo , che essa non fosse stata mai prima d’allora pubblicata. Noi 1’ avevamo già letta nel primo volume (è la XXIII) delle Prediche di fra Giordano date fuori alquanto prima dello scorso giugno dal benemerito sig. canonico Moreni. Ben è vero che la lezione zanottiana a questa è assai più bella ed espressiva. Ma oltre 1’ averla tratta da un buon codice (il 28 del pluteo 61 della Laurenziana , veduto troppo tardi dal Moreni , che ce ne diede le va- rianze alla fine del secondo volume ) ebbe altresì il vantaggio di po- terla collazionare con altro codice parimenti buono della biblioteca Gianfilippi , coll’ aiuto del quale il testo potè riuscirgli più netto e sincero. 32 Nè meno accurata e diligente abbiamo trovata l’ edizione dell’ an- nunziate Rime di Francesco Beccuti detto il Coppetta , procurataci dal prefato sig. Paolo Zanotti , che le trasse da un codice in pergamena della libreria Gianfilippi. Queste rime ,. scritte come pare in consimile occasion di nozze , consistono in una ballata , in venzette stanze , ed in un sonetto. Egli è inutile per avventura il dir quì , che il Coppetta è scrittor leggiadro , pure , sincero. Sa ognuno (e lo nota anche il Za- notti ) lui essere stato, come maestro di bel dire , dai signori acca- demici della Crusca in Vocabolario allegato. Ben conforteremo quanto sappiamo e possiamo il più i nostri lettori a far ritratto dall’ Emilj , e dal Zanotti ; se mai cadesse loro in desiderio d’ onorare un qualche maritaggio , o altro ricordevole successo ; certi che oltre al rendere un bel servigio alle lettere faranno altresì più gradito agli sposi il dono, e nel tempo più durevole la memoria della loro allegrezza. G. Manuzzi. Compendio di Storia universale dalla creazione fino all’ anno 1831 del- l’ era cristiana diviso per secoli, opera dell’ abate BorwE tradotta dal francese da Gio. FaBreTTI. Pesaro 1832. Dopo il compendio fatto con tanta esattezza dal Tursellino , dopo il discorso sulla storia universale dell’immortal vescovo di Meaux , que- sti piccoli lavori pare che poco più richiamino l’attenzione del pubblico. È provato che questi compendi non sono e non possono essere che pron- tuari per la memoria , nè valgono alla istruzione della gioventù. A_ che dunque perdervi tempo e fatica ? Queste sono tutt’ al più pleonasmi let- terari. L’ acerbità poi con cui l’ ab. Borne parla degli ultimi avveni- menti della Francia mostrano apertamente che egli non è nato per es- sere istorico. Che è infatto la storia quando è dettata dalla passione e dallo spirito di parte ? Non è altro che uno specchio delle private af- fezioni , il quale lungi dal render 1’ imagine del vero , non dà che l’i- magine delle torte opinioni di colai che scrive. I savi la sprezzano , e il tempo la seppellisce nell’ oblio. X. Rime di MARIA GiuseppA Guacci Napolitana. Napoli 1832 in 12.° Maria Giuseppa Guacci , una delle più eleganti rimatrici viventi; ha fatto un dono prezioso al Parnaso italiano col rendere di pub- blica ragione questi suoi versi. Felicità nella invenzione , nobiltà di lingua, e di stile, proprietà di vocaboli, abbondanza di pensieri, e molta armonia di numero , sono le doti, che felicemente riunite formano della poetessa Napolitana uno de’ più veri e nobili orna- menti del sesso gentile. X. 33 . Prime Letture pe’ Fanciulli di tre in quattro anni pub. da Branca Mi- resi Morown. Milano , Fontana 1831 in 16.° Un libro di prime letture pe’ bambini è di tutti i libri quello che non si può far bene che da una madre. Da una madre però molto abile, che sappia star bene co’ bambini, spiare 1’ andamento de’lor pen- sieri , secondarne all’ uopo o captivarne l’ incostanza , coglierne oppor- tunità d’ ammaestramenti diversi, usare un linguaggio che sia inteso e gradito. E questa madre si è trovata nella signora Milesi Mojon, a cui le altre madri già debbono più libri utilissimi per la prima educazione, ed ora un nuovo, che potrà a molti riguardi servir d’ esempio. Esso ‘componsi d’ una triplice serie di conversazioncelle semplicissime , a principio più brevi e per così dir più vaganti, come son pure a prin- cipio i pensieri de’ bambini , poi più prolungate e legate fra loro , ove sono introdotte molte utili idee in modo assai naturale e piacevole , e con parole sì proprie e accomodate , che qui pure , d’ onde son prese , posson recare non so qual grata meraviglia. Debbo credere che ogni madre non incurante e non rozza vorrà avere presso di sè il libretto delle prime letture. M. L’ Italiano in Parigi ossia la Lingua Francese con nuovo metodo sem- plificato insegnata agli Italiani , operetta di Forr1 e Porrawo. Lione, Boursy 1831 în 12.° Per ben insegnare una lingua straniera ai connazionali credo che giovi moltissimo 1’ averla studiata parte nel proprio paese , parte in quello di cui è indigena. Nel proprio paese una lingua straniera (cia- scun l’ intende ) non s° impara mai bene. Pur bisogna aver sentito le difficoltà che s’ incontrano studiandola nel proprio paese , per star at- tenti, quando si è fuori, a tutto quello -clie può aiutare a vincerle L e quindi communicarlo ai connazionali. Ciò parmi che abbian fatto gli autori del nuovo metodo , il quale , se in altro non parrà nuovo, il parrà almeno per alcune particolari avvertenze , introdottevi a luogo opportuno , onde gli viene ad un tempo e compitezza e semplicità. Il prodotto del piccol libro, composto per sollievo d’ozii non grati , si destina, sento dire, al sollievo di più ingrati e non personali bisogni. M. Intorno una versione della Poetica di Geronimo Vida e l’ arte di tradurre epistola di FerpinanDo Marvica , sec. ed. Palermo » Solki 1831 in 8.° Non si potrà quind’ innanzi nominar la Poetica del Vida , scrive T. VI. Maggio 5 34 il Malvica al Romano , traduttor della Poetica stessa , senza che si pensi alla vostra versione. Non sì potrà nominar quind’innanzi, può dir altri, la version del Romano senza che sì pensi all’epistola del Malvica. Essa, in proposito della versione già detta, discorre quasi tutte 1’ altre versio- ni più celebri fatte in nostra lingua , risale ai principii dell’arte stessa del tradurre, scende ad applicarli alla version novella , ec. ec. Una risposta , che vien dopo , dell’ autor della versione , partendo a un di presso da’ medesimi principii , si ferma alle applicazioni che nell’epi- stola ne sono state fatte, ec., e accresce l’ istruzione che dall’ epistola posson trarre ì giovani a cui è dato di dedicarsi agli studi più ameni. M. Memorie della vita d’ Anronio De Sorario detto il Zingaro pittor viniziano. Firenze all’ insegna di Dante 1831 in 8.° fig.” Il Zingaro fu pittor per amore , come sa chi ha letta e forse chi non ha letta la vita che già ne scrisse il Dominici , e che il Moschini ha or rescritta. Fino a’ venzett’ anni ( era nato circa il 1382) avea fatto come i suoi ( e vagando forse com’ essi , ond’ ebbe il sopranno- me di Zingaro ) 1’ arte del magnano. Capitato a Napoli, e messosi a lavorare in casa d’ un pittore allor rinomato, Lucantonio del Fiore , e innamoratosi d’ una sua figliuola bellissima , e veduto di piacer al- l’uno come valente , e confidando o sapendo di piacere all’altra come gentile , sì fa ardito a chiederla per moglie. Lucantonio , beffandosene com’ io m’ imagino : diventa , gli disse, buon pittore com’io, e ti farò contento. Fra dieci anni, adunque , replicò il Zingaro : fra die. ..ci... an... ni par che replicasse con molta rassegnazione la ragazza che pur era di sangue napoletano : fra dieci anni replicò pure una principessa protettrice del Zingaro,che si fece mallevadrice del patto di matrimonio. Lucantonio prudente disse allora: Zingaro caro , in casa mia saresti un po’ distratto: non impareresti forse di pittura quel che t’ è d’uopo : va a impararla un po’lontano. Il Zingaro, non potendo contradire, partì: fu a Roma, fu a Firenze , fu a Ferrara, fu a Bologna, ove si fermò presso Lippo delle Madonne, che dopo l’ amore fu il sno miglior maestro. In capo a quasì diec’ anni , sapendo anch’ egli far Madonne assai belle , eccolo di nuovo in Napoli, ove ne fa una bellissima per la sua prin- cipessa la qual ne rimane stupita, e manda a chiamar Lucantonio che n’ è stupito egualmente , e al pittor per amore non può negar la fi- gliuola così ben meritata. Dopo ciò il Zingaro visse poi sempre in Na- poli , ove fece non»poche opere bellissime , benchè non tutte quelle che gli sono attribuite ; fondò una scuola che fu celebre ec. ec. Quindi fu detto dai più pittore napoletano ; da pochi qual era veramente, e po- tea provarsi facilmente, pittor veneziano. Or basta per ogni prova | An- tonius de Solario Venetus f., posto sotto una sua tavoletta di Madonna ( iegna quasi di far riscontro a quella dell’ Uccellino ) , cancellatovi da chi sperava forse farla passare per cosa di Leonardo o di Raffaello, risuscì- 35 tatovi ultimamente dal sig. ab. Celotti, raccoglitor rinomato di simili preziosità, il quale , non so se se in Napoli o altrove , l’ha acquistata. Essa vedesi incisa per sua cura da mano abilissima in fronte alla nuova vita del Zingaro , di cui il Moschini gli fa dono come ad accrescitore de’ fasti della veneta pittura. M. Volgarizzamento di due Pistole di SenwECA testo inedito ec. Venezia, Pi- cotti 1831 in 8.° Già altre volte si è parlato di queste Pistole, che dal 1820 in poi l’ erudito E. Cicogna va pubblicando a due , a tre, a quattro , per nozze d’ amici , traendole dal testo Guicciardini ch’ è in Udine , e raf- frontandole con un testo della Marciana di Venezia. Or abbiamo da lui, col solito accompagnamento delle varianti , delle note esplicative ec. , la vigesimasesta e la vigesimasettima , che agli studiosi della lingua tor- neranno così gradite come le antecedenti. M. Della miseria umana Sermone di S. BerwARDO volgarizzato nel buon secolo della lingua. Firenze all’ insegna di Dante 1832 in 8.° Non men gradito a quelli che studian la lingua tornerà il Sermo- ne che quì si annunzia, pubblicato dal Manuzzi pel dì che un suo amico , il quale è pur uno di quegli studiosi, prese 1’ officio di sacro pastore , e a lui intitolato con pulitissima lettera, di cui giova riferire quasi tutta la parte filologica. “ La scrittura, che vi presento, è un bellissimo Sermone , che fece S. Bernardo ec. , recato a volgare nel secolo 14.° da scrittore ignoto , ma al certo Toscano, e , secondo che ne pare da questo volgarizzamento, assai esperto e valente ; nè prima d’ ora, ch’ io sappia , stampato mai. E dico che io sappia ; da che non sarebbe da maravigliare , che altri ne trovasse qualche vecchia stampa da me non conosciuta ec. , come già del Fiore o Fiorità d’ Italia di Frate Guido da Pisa, il cui secondo libro, come cosa inedita , venne lo scorso anno pubblicato in Venezia dal ch. sig. Gamba , ne trovai una io fatta in Bologna per Ugo dei Rugerii nel 1490 ; per nulla dire dell’ altra uscitane parimente in Bo- logna nel 1824, ec. Questo Sermone , ei seguita a dire ‘ 1’ ho tratto da un codicetto Laurenziano ec., il quale mostra essere stato scritto poco dopo la metà del 14.° secolo ; e contiene sopra questo un Trattatello spirituale chiamato il Tesoro de’ Poveri, da un Frate Girolamo da Siena in bel- lissima lingua composto , del quale, non ha dubbio , si potrebbero utilmente giovare , spogliandolo pel loro Vocabelario , i Signori Acca- demici della Crusca ec. Quanto al tempo , ei prosegue , in che ( il Ser- mone ) fu fatto volgare , egli è incerto affatto, nè il determinarlo è 36 cosa tanto facile ec. Ben è vero che Leonardo Salviati nel cap. r2 del 2.° libro de’ suoi Avvertimenti ; ricordando un Sermone di S. Bernardo, mostra di crederlo volgarizzato nel 1300 o in quel torno. Io per ve- rità non so bene, se il presente sia quel desso ; tuttavia ne dubito forte ; da che la lingua mi sembra tutta di quell’ età , anzi pure del sapor medesimo delle Meditazioni della vita di Cristo , colle quali ap- punto , in un volume di Pier del Nero , egli dice che era legato. Del resto , quantunque il codice Laurenziano sia di bella lettera , e scritto con molta diligenza e correzione ; tuttavolta i riscontri , che ne feci con altri codici ( uno Riccardiano e singolarmente uno Magliabechiano ch’ ei descrive ) mi.tornarono assai in acconcio ec. ec. Se agli studiosi , ei dice da ultimo, non sarà per disgradire la pub- blicazione di questo nuovo testo , ne piglierò coraggio “ di dar loro tra poco la prima Catilinaria di Cicerone , volgarizzata , secondo che mi penso , da Ser Brunetto Latini, ed in Vocabolario assai volte citata ora sotto il nome di Salust. Catell. R., ora di Tav. Dicer. , ora di Dic. diver. , ed ora finalmente di Libr. Dicer. Al qual proposito non vo’an- che tacere , come io l’ avrei già bella e pubblicata ( avendone già da un pezzo finito la copia ed i ragguagli opportuni ) se il desiderio, che mi ho grandissimo, di darla fuori unitamente alla notizia certa ed accurata delle opere che si contenevano nel Libro di Dicerie , il qual venne ben 167 volte in Vocabolario allegato , non m’ avesse fino a quì fatto soprassedere. Intanto , se mai bramaste saperlo , posso ren- dervi certo che il suddetto testo , il quale non si sa dove al presente sì conservi , è quel medesimo indubbiosamente , che la Crusca recò in mezzo eziandio sotto nome di Dicer. div. ; e di Tav. Dicer., e che , ol- tre all’Orazione contro Catilina, ed alcune cose volgarizzate di Sallu- stio , le quali io darò colla Catilinaria medesima , conteneva altresì le Orazioni, che M. Tullio disse dinanzi a Cesare , in difesa di Q. Liga- rio 3 di M. Marcello e del Re Deiotaro; le quali furono similmente recate in volgare , secondo che ne fanno fede vari codici fiorentini , da Ser Brunetto, ed in Lione nel 1568, coll’ Etica d’ Aristotile , la pri- ma volta messe in luce. Di cose parimenti stampate , per nulla dire al presente delle inedite , conteneva inoltre una lettera di Gregorio nono a Federigo secondo , una lettera di questo a’ Principi d’ Italia, la sen- tenza o bolla d*Innocenzio quarto contro il detto Federigo , e da ul- timo la elezione di Currado in imperadore fatta da’Principi della Ma- gna con volontà di Roma. Ed ho detto stampate, da che si trovano tutte , ma assai scorrette , nella Delicize Eruditorum del Lami , e voi per avventura vi darete meco maraviglia , come il ch. sig. Gamba non abbia loro fatto luogo ne’ suoi Testi di lingua ec. ec. Vedesi da questi brani di lettera (e presto ne avremo altri segni) che gli studiosi della lingua possono ormai aspettarsi dal Manuzzi uti- lissimi servigi. M. 37 Della vita e delle opere d’ Anronro Crsari cenni di Giuseppe Manuzzi, quinta impressione ricorretta. Firenze , Ciardetti 1832 in 8.° Questi Cenni , fin da quando comparvero la prima volta nell’An- tologia, furon trovati molto belli , e l’essere stati ristampati in seguito più volte e in luoghi diversi lo prova. abbastanza. L’ autore , volendo farne egli medesimo una ristampa , che il bisogno di correggere alcuni errori corsi nelle ristampe altrui rendea necessaria, si è studiato di farli ancor più belli. Ei li intitola, con una di quelle garbate iscri- zioni ch’ ei sa fare, a Tommaso Azzocchi = lodato traduttore + nitido espressivo elegante - di Cornelio Nipote ec., ben degno che gli si inti- tolino cose nitide ed eleganti. M. Consulti medici di Francesco ReDpI scelti e comentati da Lorenzo Martini. Capolago , Tipografia Elvetica 1831 in 8.° “ Ne’ suoi studi filosofici e medici (dice elegantemente il trasce- glitore e comentatore di questi Consulti nella vita dell’autore lor premessa ) non cessò mai il Redi di sagrificare alle Grazie. E veramente nelle scritture di lui si è in dubbio quale prevalga delle due, la scienza o l’eloquenza. ,, Se i suoi Consulti ( che si danno trascelti affin d’evitarne le ripe- tizioni ) ‘° in quanto spetta alla teoria sono temprati al meccanismo e all’umorismo ( così nella vita medesima ) , per quello ragguarda alla pratica sono in generale un bel modello anche a noi, che abbiamo od almeno vantiamo di avere la patologia e la terapeutica quasi nel grado di certezza matematica. ,, Affine però che riescano ad ogni riguardo più utili, son essi corredati di osservazioni, ov’è esposta (così nella pre- fazione ) la maniera di spiegare di cui valgonsi i moderni ec. ec. ,, E queste osservazioni , che saggi medici so che trovan saggissime , e che per certa lor nitidezza posson piacere anche a’ letterati , parranno una doppia prova della bontà degli esempi lasciati dal Redi, e dei quali il trasceglitore e comentatore de’suoi Consulti (già rinomato per altre opere) ha molto ben profittato. M. Saggio di poesie alemanne recate in versi italiani da Antonio BerLATI, ediz. nuoviss. Milano , Fontana 1832 in 12.° Un saggio di questo saggio , se così possiamo esprimerci , compar- ve nel 1828 , e 1’ Antologia ne parlò. Esso non comprendeva allora che alcune composizioni del Cramer , del Klopstok, del Goéthe , dello Schil- ler , del Birger , del Matthison , tradotte senza particolar disegno , e 38 appartenenti a due epoche diverse della poesia alemanna , quella che il traduttore chiama della poesia d’ imitazione e quella ch’ ei chiama della poesia nazionale. Altre composizioni gli accadde in seguito di tradurre o per semplice diletto , o per abbellimento di giornali lettera- rii, e tutte delle più moderne , cioè appartenenti alla seconda epoca. Volendole alfin raccogliere ed unire alle prime , delle quali avea ricor- retta la versione, si avvide che , separandone le pochissime della prima epoca, ed accrescendo il numero di quelle della seconda , potea dare un saggio quasi compito, se non di tutta la poesia, almeno della lirica alemanna dell’ epoca medesima , e ciò fece. Quindi vediamo in questo suo saggio ( ove alle composizioni già dette del Cramer e del Klopstok è dato luogo a parte ) aggiugnersi a quelle del Goéthe , dello Schiller, del Birger e del Matthison le più belle del Jacobi, dell’Hòlty, del Tièedge, del Salis, dell’ Uhland , dell’Ebert , nè mancar forse a maggior compimento che alcune celebri del Kòrner, il Tirteo dell’Ale- magna , e del Riikert, altro poeta bellicoso , che per speciali ragioni non furono tradotte. Il saggio è corredato di notizie biografiche , d’os- servazioni critiche ec. , perchè serva in qualche modo di continuazio- ne ad una parte del saggio di letteratura alemanna, che sulla fine dello scorso secolo ci diede il Bertola. Chi vorrà confrontarlo con quel più breve che quattr’ anni sono lo precedette , vi troverà certa- mente un progresso nell’ arte del traduttore, ch’ebbe, e, continuando, avrà pur sempre a vincere terribili difficoltà. Chè Ja musa alemanna e l’ italiana appena posson dirsi sorelle , nè all’ una forse potrà mai farsi parlar senza sforzo il linguaggio dell’altra, e nondimeno, alla sola condizione che l’ una parli propriamente come l’altra, può ottenersi che sia ben accolta presso di lei. M. Di alcuni Trattati del Beato F. Jacopo DA Topr con altre pie scrit- ture del buon tempo della lingua. Modena , dalla Tipografia Came- rale 1832. Lettera di Gruserre Manuzzi al suo Tommaso AzzoccuÙi, a Roma. La vostra lettera del 17 dello scorso mese , come suole ogni cosa che mi vien da voi, mi fu carissima , e ve ne ringrazio con tutto l’ a- nimo. Alle molte cose che in essa mi venite chiedendo , risponderò breve quanto potrò il più; tuttavia senza lasciar addietro cosa , che a saper sia bene. Innanzi tratto non solo ho veduto il libretto intito- lato Alcuni Trattati ec., ma e l’ ho letto e riletto. Il perchè potrò darvi intorno al medesimo tali notizie , che altri per avventura non potrebbe. E primieramente , quanto alle cose di F. Jacopone , io non m’ accordo punto al loro egregio editore , che elleno ci rimaressero în volgare quali per avventura furono scritte dall’ autore , o almeno per al- tri dalla sua bocca raccolte. Com’ io presi a leggere in esse , così dissì 39 meco medesimo ; Questa è ben lingua bella.; ma non mica del princi- pio dei XIV secolo ; anzi nè anche di quel secolo , se già io, come amo assai quella henedetta lingua , così me ne conosco eziandio punto nulla. E seguitandone poi la lettura venni sempre più confermandomi nella conceputa opinione , intanto che al presente non ne ho un dub- bio al mondo. Ma quello che dette proprio il tratto alla bilancia fu questo , che nel codice 2959 della Riccardiana , appresso alle Laudi spirituali di questo Beato , riovenni un suo trattato latino : Qualiter homo potest cito pervenire ad cognitionem virtutis , et perfecte pacem in anima possidere ; al quale conseguitano tosto i Detti del medesimo , con queste parole : Dicta fratris Jacobi de Tuderto : et primo de signo ca- ritatis. E questo Trattato, e questi Detti si trovano altresi latina- mente scritti nel codice 29 del plut. 90 inf. della Laurenziana. Ora datomi a ragguagliar la stampa colle prefate operette , m’accorsi di tratto, quella altro non essere che una traduzione dei Detti mento- vati; ma tale che il traduttore , sperando forse di renderla più vaga e gentile , aggiugne qui e quà del proprio non poco ; e , quello che è più , il fa di sorta, che io in qualche luogo penai a ben raccogliere la sua sentenza. il che dee essere intravvenuto anche al dotto editore, che con sensatissime osservazioni non manca d'’ illustrarne alcuni. Nè vi deste a credere , che tutto quello che la stampa attribui- sce a F. Jacopone sia veramente suo , se già non voleste credere il falso. suo non dee essere che sino alla metà della faccia 17. Del re- stante , che si ha solamente dal codice Riccardiano , in cui sono al- tresì alcuni capitoli parimente latini della dottrina di Frate Egidio , se ne fa autore un non so quale altro frate di S. Francesco. E come delle altre cose , così la traduzione di questi capitoli è tanto lardel- lata qui e quà dal volgarizzatore di sue giunte , che per poco ne tor- na affatto un’ altra cosa. Che poi questi ultimi Detti non sieno vera- cemente opera di F. Jacopone , si può eziandio dedurre da questo, che nel codice 2627 della Riccardiana si trova bensì un volgariz- zamento molto letterale delle cose che i nominati codici fanno di questo Beato , ma non già di quelle che si attribuiscono all’ altro Francescano. E acciocchè possiate per voi medesimo vedere quanto i Detti di Jacopone sieno nell’ edizion modenese alterati, eccovi il vol- garizzamento del primo capitolo , che ho tolto dal. menzionato codi- ce 2627. ‘“ Io esamino me medesimo se sono in carità , e avvenga che per certo io nol possa sapere , ho niente di meno alcune pruove. Imperò che dell’ amore di Dio ho questo segno , o vero pruova , che se alcuna cosa gli addimando , et egli me la dia, più l’ amo che in prima. Se egli fa il contrario, l’ amo dieci cotanti più che prima , considerando che ciò che fa, lo fa per lo meglio. Dell’? amore del prossimo ho que- sto segno ; che se egli m’ offende, non meno l’amo ; però che se meno 1’ amassi , questo sarebbe segno , che io non l’ amavo prima , ma amavo me. Debbo adunque amare il prossimo per sè, e non per me ; e amare 4o il bene suo , e l’ utilità sua , e in queste godere. E così facendo , più conseguito e acquisto de’ suo’ beni , che lui proprio. Però che del re- gno di Francia meglio n’ ho io, che il re : imperò che godo del suo bene , del suo onore , e della sua comodità : ed egli ha questa letizia con molta sellecitudine , e con molti dolori ed affanni, i quali non ho io ,,. Or che vi pare , amico dilettissimo , di questo scrivere ? a me ne pare assai bene ; cotalchè non dubito punto che il volgarizzatore non sia uno di que’ pochissimi , che nel secolo XV seppero per poco con- servarci tutt’ esso il candor natio , e la purità ingenua , che ammiria- mo con istupore in tutte 1’ opere del secolo precedente. Ora tra gli scrittori che fiorirono verso la metà di quel secolo, ‘io non conosco alcuno , che in opera di lingua pura e leggiadra, entri innanzi a Feo Belcari. Il perchè mi si è fitto in capo un forte sospetto , non forse ei ne sia il traduttore. sospetto che mi viene poi raffermato da più al- tre ragioni, le quali non vo’ qui tacere. E primieramente dal saper di certo , lui aver non solo volgarizzato , per consolazione de’ poveri Ge- suati , il Prato Spirituale ( opera degnissima d’ essere ristampata sopra quante mai ebbero vita in quell’ età ) ; ma ancora altri divoti libri. E comechè nessuno de’ suoi bibliografi ci faccia sapere quali sieno que- sti divoti libri ; nientedimeno egli è certo, lui averli volgarizzati ; da che 1’ afferma egli medesimo nel proemio della vita del B. Gio. Co- lombini. Il sig. canonico Moreni dando fuori nel 1829 il Trattato di Riccardo da S. Vittore de’ quattro gradi della carità (che tolse dal mentovato codice Riccardiano 2627 ) , si diede a credere che questo Trattato fosse uno di que’ divoti libri. E per verità gli argomenti che addusse in prova , mi sembrano assai forti e calzanti. Ben è vero che egli lasciò addietro il più acconcio , e forse l’ unico da ben definir la cosa ; io dico la ricerca sottile , se lo stile e la lingua di questo Trat- tato; sia di quella vena medesima , che Feo Belcari reca in uso nelle altre sue scritture. Io per me non mi sarei certamente recato mai a credere che il volgarizzamento delle operette di fra Jacopone potesse esser fattura del Belcari, dove la lingua e lo stile non mi fossero sem- brati del medesimo sapore ed indole della vita del B. Gio. Colombini , e dell’ altra inedita di Frate Egidio, la quale io copiai, come sapete, lo scorso anno da un codice Chigiano, segnato L. IV 128; il cui auto grafo vidi poi, per opera del nostro Giuliari, in cotesta Vallicelliana, dov’ è altresì quello ( stato già di S. Filippo Neri ) della Vita del sud- detto Colombini, e dell’Aggiunta al Prato Spirituale. Anche il tro- varsì questo volgarizzamento non tanto nel mentovato codice Riccar- diano , quanto nel suddetto Chigiano, unito ad altre cose di Feo, può rafforzar non poco il mio sospetto. Ma quello che per me il rafforza sopra ogni altra cosa si è un capitolo , che conseguita a’ Detti , nè tro- vasi in nessuno de’ Testi latini , intitolato : Come il predetto Beato Ja- copone desiderava tutti i mali per amore di Cristo. Ora in esso la lin- gua, la cucitura delle voci, l’ andamento del periodo, ed una certa ZA foggia semplice e graziosa di legar le clausole piuttosto con questa , che con quella particella, mi pare che tenga tanto del far di Feo, che per poco scommetterei ; questo esser cosa sna. E poichè egli non è gran fatto lungo , così io vo” trascriverlo , affinchè recandovi anche voi, a farne colle altre scritture di Feo , quel paragone accurato che ne feci io ; possiate per. voi medesimo rendervi certo , se io me n’apposi ; 0 no. ‘ Essendo una volta domandato il Beato Jacopone da Todi d’ una quistione a lui proposta da uno Frate Minore , rispose così: Con ciò sia che il Signore m?’avesse dato ferventissimo desiderio di se- guitarlo per la via della tribulazione , e di sostenere ogni tribnlazione con letizia , cominciai ferventemente , e senza intermissione orare e pregare il Signore per impetrare questa grazia. e alquanto tempo di- giunai in pane ed acqua , acciò che essa grazia più felicemente e per- fettamente ottenessi. Ma che fece questo graziosissimo Iddio ? Sì come io impazzai nella instanza e importunità dello addimandare , così egli ancora molto più impazzò nel: modo di donarmi essa grazia tanto tempo desiderata. Imperò che prima mi dimostrò se medesimo. e in verità co- nobbi, lui essere ogni bontà ; anzi essa bontà. E d’allora innanzi, lui sopra ogni cosa, con tutto il cuore amai, non per alcuno premio; ma semplicemente per la sola bontà sua , senza considerazione , o espet- tazione d’ alcuna remunerazione. Di poi mi dimostrò me medesimo , e vidimi in verità essere vilissimo, puzzolentissimo , e abbominevole so- pra tutti gli sterchi. E così concepetti sommo odio contra me medesi- mo. e d’allora innanzi non fui mai senza quello vero amore di Dio , e questo perfetto odio di me. Ma oltr’a questo, volendo questo Dio più pienamente satisfarmi , ancora più impazzato meco , mi dette ezian- dio in verità uno tale desiderio con perfetta pace , e vera letizia di mente. Però che non solamente le tribulazioni del mondo , le quali si possono nominare ; 0 vero pensare , io desidero patire ; ma ancora do- po la tolleranza , e sopportazione di tutte le tribulazioni del mondo 9 desidero in verità., che nell’ ora della morte mia veughino i demoni, e con grande pena e tormento piglino l’ anima mia, e portiula nel piggiore luogo che sia in inferno. e ivi satisfaccia per se medesima y e per tutti i demoni, e per tutte l’ anime dannate , e che si doves- sino dannare , se. fusse possibile. e per tutte l’'anime che sono , e che debbono essere in purgatorio , sostenendo tutte le pene , e’ tormenti di tutti i demoni, e di tutte le predette anime in sino alla fine del mondo, e più oltre, quanto: bisognasse e piacesse a Dio, insino a tanto che perfettamente fusse satisfatto per tutti; purchè fusse possibile così satisfare. E quando fussino andati tutti a ‘vita eterna per la mia sati- sfazione, io vorrei essere l’ ultimo. e quando io entrassi nella porta del paradiso , vorrei che tutti quelli che sono salvati per me , stessino quivi congregati , e/gridando dicessino : Nè gradi, nè grazie , nè an- cora alcuno merito iabbi di’ queste cose ., che hai patito per noi gloria che abbiamo perte. E vorrei èziandio che tutti mi m T. VI. Maggio 6 , e clella aladices- 42 sino, se possibile fusse. e così desidero in verità tutte queste cose pa- tire, senza alcuno merito ; si come ancora Cristo , senza alcuna mer- cede , graziosamente patì per noi, lasciando a noi l’ esemplo ; acciò che seguitiamo le vestigie sue ,,. “ Dicesi e credesi, che questo Beato Jacopone merì d’amore di Cri- sto, e che per troppo amore il suo cuore crepasse. imperò che , con ciò sia cosa che per molti anni innanzi alla morte continuamente pian- gesse ; dimandato perchè così piangesse , rispose : Io piango perchè 1 amore non è amato. Ancora disse ; la maggiore. beatitudine. che l’ anima possa avere in questa vita, è quando continuamente è occu- pata di Dio. E a questo stato si crede la sua anima essere pervenuta ,,. Ma venendo ora a toccare alcun che delle altre cose contenute nell’ edizion modenese ; egli è inutile per avventura, che io vi dica qui il parer mio, intorno alle scritture del Beato D. Giovanni Dalle Celle, di cui abbiamo in essa una lunghissima lettera con assai va- rianti dall’ edizion di Firenze del 1736, da che mi ricorda assai bene d’ avervi detto altre volte , che io tengo il Dalle Gelle per uno scrit- tore finissimo, e degno al tutto d’ esser posto in mano della studiosa gioventù. Però che que’ suoi parlari-, e quella dettatura che appaiono , come già diceva il Salviati ,. così novelli, che 'per moderni in tutto per poco si prenderebbono , se il tempo non fosse espresso ; sono per me tale dote da doverlo render carissimo eziandio a’ più schifi di quel secolo felice. E certo egli è da dolersi assai, che nessun degli Italiani pensi di dar fuori il volgarizzamento, che egli fece, della Somma Pisanella,, o Maestruzzo , che è un tesoro di natie proprietadi ; secondo che po- tei verificar io medesimo , leggendolo ne’ codici. E questo vero il co- nobbe altresì, da quel solo piccol saggio, che se ne può avere dagli esempi allegati in Vocabolario, il nostro amatissimo , e non mai ab- bastanza pianto Antonio Cesari; al quale fin dal 1815 era già en- trato gran desiderio di recarlo in pubblico. il che ho io ritratto da una sua lettera al ch. sig. prof. Del Furia. Ecco le sue parole. “ Il. Mae- 5 struzzo (0 Somma Pisana) tante volte citato nel Vocabolario della Crusca , è egli più a questo mondo? certo , se e c' è , Ella il dee sapere. Or oda, io ne son così innamorato ; che al tutto vorrei git- tare quanto m’ ho al mondo , per pubblicarlo stampato. Or le di- ;s mando 5. è egli grosso volume ? quanta spesa bisognerebbe a farlo +, copiare ? ,, E qui senza cercare della cagione, per cui il nostro Ce- sari si tolse giù da questo divisamento , dirò solo che meriterebbe as- sai e della lingua nostra , e di quanti hanno in amore lo scriver pro- prio ed elegante , chi prendesse a pubblicarlo. Ma a proposito di que- sto scrittore ; io non vo’ anche tacere, come testè m’ avvenni in una sua lettera, colla quale interpreta certa profezia del papa che allora vivea, e del successore ; e della fine del mondo dice alcuna cosa : la qual lettera, comechè sia citata in Vocabolario ‘alla v. cartuccia , e'sì trovi in tutti i codici ricordati dal Biscioni , pure non solo non venne 2) 23 23 43 da lui pubblicata ; ma nè eziandio menzionata. il che per verità come a me, così dee a voi e ad altri recare non poca meraviglia. Ho messo ultimamente (dice l’ editore facc. V) î Detti attribuiti a S. Bernardo, e due Lettere da lui scritte ec. Anche qui, amico mio, v'è qualche erroruzzo ; io vo” dire , questi Detti non sono già attribuiti a S. Bernardo , ma sono suoi in verità ; singolarmente il primo , che è quasi un intero volgarizzamento del Sermone , che il Santo fece in- torno alla miseria umana, che ho veduto parimente smozzicato in due codici del secolo XV, l'uno Magliabechiano, che fu già di casa Dini, ed è per avventura quel medesimo, che il Vocabolario allegò sotto no- me di Nobiltà dell’ anima, e di Sermoni, come si ritrae aperto dalle voci danneggiare , fanteggiare , potenzialmente , schiuma ec. le quali fu- rono tolte non dalle predette opere , ma dal libro delle Meditazioni quivi contenute. l’altro Riccardiano, segnato col N.° 1413; e tutte e due danno moltissime varianti; come parecchie ne dà il Magliabe- chiano e delle due Lettere , e dell’ altro Detto ,.i cui primi versi sono traduzione d’un capitolo del libro della Coscienza del Santo medesim». A cagion d’esempio, dove l’ edizione modenese, alla faccia 59 , legge : giottonie, e giottoncelli, voci che io non conosco, il Magliabechiano ha: ghiottornie , e ghiottoncelli. 0! anche voi vi deste meraviglia in leggendo la nota, che dal- l’ egregio editore Modenese dell’ Antidoto del nostro Cesari ( Mod. per G. Vincenzi e Compagno 1830 ) fu posta a’ miei Cenni, là alla faccia 150, dove, fra |’ altre cose , si afferma : ‘° L’ avverbio moltissimo si riscontra fino dai tempi dell’ Alighieri. Coment. Dant. Ott. Parad. 30. Quello grado dei Beati ch’ è presso al circuletto della luce , s’ egli è così capace di prendere e di ricogliere così grande luce, quanto dee essere nelle stremitadi, cioè in su l’ orlo? Di vero , moltissimo ,,. Ma che di- rete ora, ch’ io posso rendervi certo , che , finchè non si trovi altro esempio , resterà pur fermo quello che il nostro Cesari mi scriveva nel maggio del 1828; e ch'io allegai alla faccia 154 della suddetta ri- stampa; cioè che ‘ moltissimo , per avverbio non fu mai usato nel 300; sì assaissimo ; come il latino, che avendo mu/tum, non ha però multis- sinmum , ma plurimum ,,. E dico finchè non sì trovi altro esempio ; però che il codice, dell’Ottimo non dà altrimenti il prefato esemplo ; sì il se- guente. Quello grado de’ Beati ch’ è presso al circuletto della luce, s’ egli è così capace di prendere e di ricogliere così grande luce , quanto dee nelle stremitadi , cioè in su V orlo. L’ altre parole vi furono aggiunte dall’ editore , sull’ autorità d’ altro codice Laurenziano , dove si legge non moltissimo. avverbio ; ma moltissima aggettivo; sottintentendovisi luce. Io medesimo , co’miei occhi , verificai la cosa, e fecila eziandio notare al sottobibliotecario della Laurenziana, ch? era meco sulla fac- cia del luogo. Ora andate, e fidatevi delle stampe ! Chi poi volesse di-. fendere |’ uso del moltissimo avverbio , colla semplice autorità della Crusca, come già l’ annotatore difende quello di partito, adoperato dal Cesari in significato di parte, fazione ( notate però che esso Cesari con- +4 fessò meco ingenuamente d’ aver errato ogni qualvolta l’ usò in que- sto senso), non dee che recare in mezzo la dichiarazione del 6. XXVI del v. Cavare ; è l’altra del 6. XII della v. Più. Quanto a quello che nella prefazione è detto del Boccaccio; che ne volete voi? Io per me (già il sapete) non posso essere nè del pa- rer dell’Olivieri, le cui parole si arrecano in mezzo dall’ editore, nè degli altri, che tengono in discredito un tanto scrittore. Concedo di buon grado, lui aver talora dato alla liugua nostra un giro ed anda- mento , che l’indole sua semplice e naturale, non comporta gran fatte ; ma che per questo? Lasciando anche stare , che il solo Decamerone , come dice il Cesari, somministra esempi d’ eloquenza sì calda, risentita, vivace , che Cicerone dovrebbe farsene bello , se quell’ opera fosse sua : e mettendo in conto le sole voci senza più, e i modi del dire, chi può negare, che egli non abbia arricchita, e grandemente nobilitata la lingua nostra? Di grazia, quali altri scrittori mai le fecero pigliare tante forme risentite, tanti costrutti efticaci, tante scorciatoie e tra- getti, quanti il Boccaccio ? e sempre con tanto nerbo e grazia , quan- to negli altri non suole avere ? E ben a ragione il cavaliere Clemen- tino Vannetti (come ritraggo da una sua’ lettera inedita) scriveva il 1794 ad un colto giovane: ‘ In opera poi d’autori del buon secolo iu prosa, non sì dilunghi mai dalle /Vovelle, e dal Laberinto del Boc- caccio , poichè quivi è la miniera d’ogni eleganza, d’ogni numero, e d’ogni stile, nè mai tante volte 1’ nom le rilegge , che non v’impari in questa materia qualcosa di nuovo ,,. Sed haec hactenus. Con questa vi mando un piccol libretto , uscito ieri in luce per opera mia. Egli è un Sermone , che fece S. Bernardo intorno alla miseria umana; ed è quel medesimo di cui ho sopra parlato ; ma fatto volgare da ben altra penna, e certamente nel XIV secolo, secondo che è detto nella lettera , che ad esso mando innanzi. Dalla medesima voi saprete (senza che io vel ripeta qui) ogni cosa del perchè ho soprasseduto fin qua a mettere sotto il torcolo il volgarizzamento della prima (Cati- linaria. Non altro per ora; se non riverirvi ed abbracciarvi di cuore , pregandovi d’ amarmi sempre, come fate. Pitture di vasi fittili esibite dal Cav. Francesco InGHIRAMI, per servire di studio alla mitologia ed alla storia degli antichi popoli d’ Europa. Fasc. I. Poligrafia Fiesolana 1832. Se d’altro non fossero i dotti d’ Europa debitori al cav. Inghirami che dei tanti e importantissimi monumenti da lui veramente donati alla pubblica luce, con fedeltà ed eleganza, basterebbe ciò solo a me- ritargli riconoscenza ; quand’ anco non s’ aggiungessero le sue illustra- . zioni, ingegnose sempre, e degne d’essere considerate anche da coloro che tengono-opinione diversa. Parlando del presente fascicolo io rammenterò la bella illustrazione della tavola terza, rammenterò le osservazioni con le quali modestamente combatte la scienza d’ un dotto Aleman- 45 no, che î vasi arcaici vorrebbe d’ uso atletico tutti. Quanto alla di- stinzione che vorrebbe porre il cav. Iughirami tra i vasi a figure nere in fondo rosso, e i vasi a figure rosse in fondo nero, col fare i primi appa- rentemente più antichi, ma veramente imitati dall’ antico e più recenti di questi, non offrendo ancora la scienza tante riprove che bastino , gioverà tenere sospeso il giudizio, e intanto raccogliere i fatti e or- dinarli. Altra questione , al parer nostro, importante , e della quale si potrebbe facilmente abusare per ispargere un dubbio mortale su tutta la scienza dell’ antichità figurata si è quella promossa dal cav. Inghi- rami , laddove afferma che in certi vasi alcune delle figure son poste per mera simmetria, e nessuna relazione hanno col fatto dalle rima- nenti figure rappresentato. Questione che l’ osservazione attenta e il confronto di moltissimi monumenti può sciogliere adequatamente. X. Opere del P. Paoro SecwErI. V. I p. cxr412. Torino dalla Società Tipografico-libraria 1832. La Società torinese della quale abbiamo altra volta parlato con lode , offre per primo lavoro questo tomo del Segneri, con molta ni- tidezza e con sufficiente correzione stampato. Potevasi forse compen- diare un poco la vita del Mìssei , che occupa più di cento pagine ; on- d’ è più lunga della vita medesima di G. Cristo : e discende a certe par- ticolarità, che si potevano omettere senza scemar punto la venerazione dovuta alle rare virtù di quest’ uomo. Nella prefazione degli editori, non sì rammenta punto la bella edizione del quaresimale fatta in Padova dal sig. Sicca. Non era lecito agli editori del Segneri nè l’ignorarla; nè , posto se ne sieno giovati , il tacerne. K. X. Y. Al Direttore dell’ Antologia. Ho letto le obiezioni del sig. K. X. Y. contro al mio povero Vel- tro nonnato (*); ed imitando l’ onorevole critico nella sua franchezza, dirò , che se il mio discorso non ha vinto i suoi dubbi, questi nonchè farmi ricredere , mi fecero anzi sempre più confermare nell’ opinio- ne mia. Debbo trascrivere un pezzettino della sua critica , perchè non avendo avuto la sagacità di bene intenderlo , non vorrei travisarne il senso facendogli dire ciò che egli forse non disse ; cosa della quale lo posso alquanto dolermi di lui, come or ora si vedrà. (*) V. Antologia. num. 15 del a.° Decennio pag. 167 e 168. 40 € £ sua nazion? O nazione sì intende per luogo di nascita , e sa- 3» rebbe troppo strano che Dante ad nomo non ancor nato volesse fis - »» sare i confini fuor de’ quali non sarebbe potuto venire al mondo. 0 33 Sì intende per popolo , e credendo al veltro ideale parmi sì contra- 3. dica a Dante collo stringere la sua {talia in. sì brevi confini: a 3 Dante che nella Italia comprendeva anche 1’ Istria, che dalla Ytalia 33 bella non avrà certo escluso la bella Trinacria , che piange le terre > d’ Italia tutte piene di tiranni, e vuole che il Veltro vada cacciando 3 la Lupa per ogni villa. ,, Rispondo. Nel primo intendimento., non son sagace a veder stra- nezza in assegnare un luogo di nascita ad uno il quale , dovendo an- cora nascere , può venire al mondo in un punto @ in un altro. Oltre- aciò, è Virgilio quello il quale prediceva il Veltro ; e Virgilio, al pari di tutti i morti nella Divina Commedia, conoscendo il futuro, poteva sapere ove nascerebbe il Veltro suddetto. Ma se vi è stranezza , essa è di Dante e non mia, perchè non io dissi ma Dante disse E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro. Nel secondo intendimento di popolo poi, se vi è la contradizione che mì si rimprovera , essa è pure del Poeta , che disse tra Feltro e Feltro. Non mi pare infine, the io dicessi nel mio articolo ciò che il sig. K. X. Y. crede che io vi abbia detto; che cioè , le sole terre in- terposte fra’ due Feltri e 1’ Adriatico , fossero Italia per l’Alighieri. Io volli andar congetturando le ragioni per le quali il Poeta desse alle terre suddette, in preferenza di tutte le altre provincie italiane, 1’ o- nore di dover essere la patria natia del Veltro , e non punto intesi ad andar ristringendo |’ Italia. Quelle mie congetture son forse inverosi- mili improbabili erronee false , checchè si vorrà insomma ; quella mia frase Italia di Dante , seguìta dalle altre Italia prediletta da Dante, l° Italra in cui un poeta sì maschio vedea forse più maschia vita, ener- gia ed azione , è forse un tropo inesatto difettoso fallace ; ma certa- mente nè le congetture suddette, nè le suddette frasi non dicono che il Poeta non credeva Italia la Toscana la Sicilia la Lombardia ec. Nel vocabolo nazione, da me inteso per nascita, o se si vorrà an- che per luogo di nascita , ho meco tutti gli interpetri, tutti i comen- tatori della Divina Comedia , e tutti i partigiani de’ Veltri istorici , meno che il sig. K. X. Y. Questa significazione , così universalmente ricevuta , fu infatti la ragione maggiore per cui sì interpetrarono nel Veltro Can Grande, Benedetto XI ed Uguccione ; perchè cioè , nati i due primi l’ uno in Verona l’ altro in Treviso , città intermedie fra due Feltri, e il terzo perchè natio fra la Feltria urbinese e la mace- ratese. Nè ciò basta. L’Ottimo Comento dice che il Veltro deve essere uno nato, non fra’ due Feltri geografici , ma in basso stato fra due feltri , ossia fra rozzi panni composti di lana compressa insieme e non tes- suti, come dice il Vocabolario della Crusca. Con questi esempi e suf- fragi in mio favore , la conclusione del sig. K. X. Y. dunque le pa- role del P. non provano che il Veltro non fosse ancora nato , poteva essere 47 wa tantino meno sentenziosetta e men duretta ; e ciò tanto più in quanto che egli , per combattere la mia lezione letterale del Veltro nonnato nella frase sua nazion sarà, pretende che nella frase suddetta vanno inteso i popoli stretti in quella lega di cui Cane fu capo. Non vo io qualificare questa interpetrazione , perchè spetta al Pubblico di decidere quale de’ due significati è il più naturale, il più ammissibile, il vero. Lascio anche al Pubblico la decisione se il Veltro. non altro do- vea lare se non vincére.l” avarizia. A me pare che nella Lupa intendesse il Poeta a qualche cosa di più; ed anche in questo parere non son solo, ma ho meco moltissimi comentatori ed interpetri. L’ oppostomi verso del 33. del Purgatorio Che solveranno questo enigma forte non distrugge punto la mia opinione. Esso può calzare e tornar bene egualmente al mio Veltro ideale e ronnato, che allo Scaligero ad Uguc- cione ad Enrico VII.°, nulla non impedendo nè ripugnando , che del pari di Enrico , di Uguccione e dello Scaligero , anche il mio Veltro risolvesse il forte enigma , ove ivi l’ enigma forte riguardi il misterioso personaggio allegorico. Se il sig. K. X. Y. dicendo che Dante profetava guai a Firenze pri- ma che un bambino giungesse a pubertà , faceva allusione alle parole di Forese nel 23.° del Purgatorio Prima... . che le guance impeli Colui che mo si consola con nanna... risponderò che esse non solo non distruggono il mio Veltro ideale, ma bensì che non si possono in veruno modo interpetrare in favor di Can della Scala. Il Poeta intende ‘lì evidentemente ad un tempo di 16 in 17 anni, quanti ve ne vogliono perchè un bambino, il quale è nella culla, incominci a mettere la barba; ed in questo senso non si conviene a Gan Grande il quale nel 1300 non era cullato col canto della ninna nanna, ma avea nove anni secondo alcuni , e .18 secondo altri. Non inen evidentemente intende lì il Poeta ad un vescovo o parroco da cui - . « « sarà in pergamo interdetto Alle sfacciate donne fiorentine L’ andar mostrando con le poppe in petto. Così infatti l intese 1’ Ottimo Comento interpetrandovi, non senza qualche anacronismo , l’arcivescovo Acciaioli , che realmente fece que- sta interdezione. Or , concederei forse che Can Grande potesse essere il Veltro e tutto ciò che si vorrà., menochè però prelato o pievano sul pulpito. Il sig. K. X. Y. infine generosamente conchiude Ecco i miei dubbi ; lascio che altri ne giudichi. Ed io , assentendo all’ appello a cosiffatto giudizio, non vo’ essere da meno in una sì leale generosità. Dirò dun- que anche io. Ecco le mie risposte ; lascio che altri le giudichi. Poche altre parole. Il mio Veltro nonnato stà nella vostra Anto- logia sotto il giudizio del Pubblico. Esso si difenderà da sè solo se il 48 . potrà, nulla non avendo io da aggiugnere a quanto scrissi nell’ arti- colo ed ho scritto in risposta a’ dubbi dell’ onorevole sig. K. X. Y. Non prenderò più dunque la penna in sua difesa, non perchè io mì dessì per vinto se si ritornerà all’ assalto, ma perchè non amo polemi- che, e per non togliere al vostro Giornale pagine che possono essere assai più utilmente impiegate. Quì aggiugnerò solamente , che Dante scrivea poema e non istoria ; e che in un poema è assai più probabile che il Poeta fingesse un personaggio ideale , che un’ allusione ad un istorico tirannotto o ad un parassito venturiere. Il mio Veltro oltreaciò ; do- veva ancora nascere el era nel. futuro. Or, in un poema un eroe ideale che stà nell’ avvenire , ‘è ‘assai ma assai più poetico di ogni famoso personaggio istorico. Imperocchè , non nel secondo , ma bensì nel primo l’ immaginazione del lettore può supporvi e ricamarvi chec- chè vuole. E così dico perchè la vera poesia consiste assai meno ne’co- lori del poeta, che nella costui abilità a lasciar fondo di quadri , in cui possa la fantasia di chi legge pennnelleggiare e colorire a suo pia- cere. To sono G. P. CORRISPONDENZA E MOTIZIE BPILOGATE entorno allo stato € a progreft delle serciipe, delle lettere, delle arti, dell snduotrea, del commento e della pulblica ccononua nelle varte provnae d'Itala. PIEMONTE. Nuova carta della Savoia e delle valli circonvicine , lavoro di PaoLo CGHAIX di Ginevra. P. 6 fr. , con la notizia storica. Dificilissimo dovett’ essere a chi primo intraprese una carta della Savoia, presentar fedelmente sopra un foglio l’imagine di quelle tante e tanto intralciate montagne. Ma i re di Sardegna, che sempre amarono di speciale amore la topo- grafia, non risparmiarono in ciò nè cure nè spese. Fu da Borgognio pubbli- cata una carta degli stati sardi in venticinque fogli : e tre o quattro n° occupa la Savoia. Anche Mallet diede una parte dello Sciablese, lavoro pregevole. Nella grande raccolta delle carte d’ Italia di. Bacler Dahle, la Savoia ne ha due: ma non irreprensibili affatto. L° Atlante nazionale di Francia. pre- senta le frontiere della Savoia in modo che fa torto alla scienza. Nel 1802. fu commesso a valenti uffiziali 1’ incarico di levare la carta del Piemonte, della Savoia , e dell’ altre parti d’ Italia novellamente assoggettate alla Francia. Il sig. Raymond , nella sua carta delle Alpi ch'è di dodici fogli circa , offerse il frutto de’ suoi be’lavori, che ammettono ancora qualche correzione od aggiunta, ma, nel richiederla, la facilitano insieme d’assai. Quest'opera, egregiamente im- pressa sulla scala di uno a dugentomila, segna accuratamente e i boschi e molt’ altre particolarità topografiche. Ma così voluminosa, non è di comodo de? viaggiatori, e forte n’ è il prezzo. Mancava dunque una carta tascabile della Savoia. Molto s’ era già fatto per la topografia militare , poco per il viag- giatore e per l’ amator della scienza. Però giunge opportuna la nuova carta del ducato di Savoia e delle valli circonvicine, che il sig. Chaix ha, non è molto, pubblicata in Londra con tale dispendio che ben dimostra non essere impresa commerciale la sua. Così finito è il lavoro , e così nettamente segna le inugua- T. VI. Muggio. 7 So glianze del suolo, che non al viaggiatore soltanto ma ed al capitano può ve- nire utilissima. — In tal modo ne giudica il sig. generale Dufour. Fin quì il giornal di Ginevra, —. Questa delle carte geografiche è cosa im- portante, che strettamente si riferisce ai bisogni più generali e più minuti della vita pubblica e della privata. In una recente adunanza della camera de” depu- tati fu discusso a lungo sulla carta di Francia, che da quindici anni si sta la- vorando , e non n°é fatto ancora l’ottava parte. Nel 1817 Laplace presiedeva a quella commissione che stabilì fosse fatta la carta sulla scala di uno a ventimila: ch’era un volerla finire di lì a cent'anni. Il maresciallo Soult affermò che dal 1817 al 1830 furono a quest'opera impiegati 54 uffiziali; nel 1831 unitisi gli uffiziali di stato maggiore agl’ingegneri geografi , furono in tutto 83; nel 1832 saranno 90; nel 1833, saliranno a 100, nel 1834 a 110, e nell’ anno seguente a 120. La Francia ha 25,000 leghe quadrate e ne son compite tremila. Le carte ne usci- ranno tra poco. Dal 1833 in poi, occupandovi 120 persone ; in sedici anni sarà terminato ogni cosa. Posto che il lavoro duri trentaquattr’ anni , la spesa è il ministro che parla) fa valutata di presso a nove milioni di franchi: se n° è speso più d’ uno e mezzo: rimangono più di sette. La vendita di 500 esemplari a nove franchi per foglio renderà più di nove milioni : il guadagno sarà dunque di mezzo milione e più. î Queste cose abbiam credute doverle accennare , perchè dopo i. he’ lavori dell’ Inghirami si può bene in Toscana parlar senza rossore di lavori topugra- fici; e perchè l’ esempio degli errori commessi e delle spese sostenute e de’ soc- corsi ottenuti da altri può facilitare a’ dotti italiani un lavoro quale il cel. Inghirami lo aveva ideato ed esposto nel suo lodato disenrso che 1’ Antologia riportò (1). Vedendo impossibile il dare una carta, la cui grandezza fosse il ventimilesimo della grandezza di tutta la Francia, si venne alla proporzione di uno a qua- rantamila, poi si scese all’ 80: e così fu scemato di due terzi il numero de? fogli da darsi. Quello, che il sig. Demargay rispondeva al gen. Soult intorno agl’inconvenienti militari d’uma carta esattissima, la quale facilita al nemico l’accesso ne’più riposti luoghi del paese, e toglie ai nazionali il vantaggio della miglior conoscenza, è argomento che distruggerebbe tutte quelle scienze le quali servono ad illuminare insieme col cittadino lo straniero , col pretesto che lo straniero debba ignorare ogni cosa acciocchè non possa abusarne quando divenga nemico. Quello , ch’egli soggiunge intorno all’inutilità e alle incomodità della carta che si stà preparando, non interessa direttamente noi altri italrani: ma la sua conchiusione ci par me- ritevole d’ essere riferita. Giacchè ; dic” egli , dopo tanto lavoro non n°è potuta ancora uscire alla luce nè anche una carta, non sarebb’ egli meglio troncare il lavoro e la spesa ; tenere in serbo le cose raccolte , finattanto che venga una società la qual s’ assuma l’incarico di pubblicar questa carta con l’ aiuto di molte soscrizioni offertegli dal governo ? Se non a tutti i lettori italiani queste notizie possono ‘oggi parere opportune , verrà forse il giorno di rivolgere ad esse il pensiero. L’ ingrossare strabocchevole ‘e minaccioso dei fiumi d’Italia richiederà tra non molto de’ grandi lavori ‘topografici, i quali e giova e conviene eseguire con tutta la scientifica precisione , sì per assicurarne il successo , e sì per ot- (1) Vol. XLII. B. p. 68. 5I tenere due vantaggi ad un tempo, l’economico ed il geografico. I crescenti bisogni dell’ industria e del commercio , e il gran danno che al commercio non solo ma alla civiltà stessa proviene dalle difficili e lente e rare comunicazioni tra pro- vincia e provincia , richieggono e comandano grandi lavori di canali e di strade, che senza la esatta cognizione del terreno da percorrersi non si potranno nè con risparmio nè con sicurezza nè con prontezza compire. L° Italia ha bisogno d°’e- mulare anco in questo le vicine nazioni: e deve, applicare a se medesima il detto dell’ antico filosofo , ch’ è il compendio della privata e della pubblica fe- licità : conosci te stessa, Statistica della provincia d’ Alessandria. La Statistica, che dagli uni viene definita Descrizione di un paese in tutte le sue parti d’ amministrazione sì pubblica, che pricata, e da altri, Economia politica , ossia quadro della estensione, della popolazione , delle ricchezze di uno Stato , e sua descrizione , è uno studio ed un genere di occupazione, a cui pochi attesero per lo addietro, ma che fece rapidi progressi, dal princi- pio specialmente di questo secolo, per la provata sua grandissima utilità. Se ogni provincia avesse la sua statistica particolare , sarebbe agevole di formare la ge- nerale del regno , gli elementi della quale richieggono esatte nozioni del vario carattere fisico e morale degli abitanti, del clima , dei terreni, dell’ agricol- tura, del commercio , dell’industria , degli usi, delle consuetudini, della por- zione eccedente o deficiente delle cose di prima necessità in ciascuna località , nozioni che più agevolmente si possono procacciare da varii che facciano l’abi- tuale loro dimora chi in uno, e chi in un altro distretto , che non da un solo, quand’ anche abitasse nel centro dello Stato , ed avesse estese relazioni colle provincie. Lode pertanto al Conte Antonio Piola, Segretario al Consiglio di Stato, e Membro della R. Società Agraria di Torino , il quale ha pubblicato il primo dei quattro fascicoli, che conterranno la Statistica della provincia di Alessandria ( sua patria ), divisa in otto quadri sinottici corredati di note. Il primo di essi presenta in un colpo d’ occhio la topografia terracquea, idrau- lica e atmosferica della provincia , ed è preceduto da una carta geografica della medesima ; succede la circoscrizione amministrativa e religiosa di essa, accom- pagnata da due specchi, l’ uno nominativo dei Comuni, della quantità della superficie, e delle distanze tra i Comuni e la capitale della provincia , e tra essi ed il capo-luogo del Mandamento, da cui dipendono ; 1’ altro indicativo de’ Comuni , della loro popolazione , del numero delle parrocchie e della dio- cesi, a cui appartengono ; vien quindi la descrizione delle città e de’ Comuni, divisi per Mandamento ; quella d’Alessandria ne abbraccia la storia, e si estende a quanto vi ha in essa di più notevole , comprende i sobborghi, ed è adorna di due tavole litografiche , l’ una disegnata dall'ingegnere Mina, ed intagliata sulla pietra dal robusto disegnatore e dipintore Gonin, rappresentante la città, veduta dal colle di Pavone , e l’ altra il piano della battaglia di Marengo. La descrizione del convento, e della chiesa di S. Croce , ufficiata dai PP. Do- menicani del Bosco , eccita il desiderio di visitarla, nè meno esatti, tuttochè rapidi , sono i cenni dati delle cose notevoli negli altri Comuni. Venendo alla topografia idraulica , premessa 1’ indicazione de’ fiumi e tor- renti, ed il quadro che mostra la sorgente, il corso e la foce dei rivi, 1° Au- tore si fa, con pesato giudizio , a ragionare dell’ azione dannosa o vantaggiosa 5a de’ fiumi e torrenti, e prende quindi occasione di proporre la derivazione dalla Bormida di un canale , in surrogazione dell’ antico detto del Betale , che un tempo irrigava, con tanto profitto de’ possedenti e del pubblico, più di seimila giornate di terreno coltivate a prato. Quest’ idea fu già gustata dal Governo di S. M. il quale, nel 1817, fece procedere dall’ ingegnere Pernigotti alle operazioni idrauliche per la proposta derivazione , unitamente ai calcoli della spesa , e dei vantaggi che se ne dovevano ritrarre; ma, sia che mancasse la pecunia , sia che l’ opera fosse stornata dagli sconvolgimenti del 1821, non se ne fece più motto fino al 1829, anno in cui il conte Piola, stampando nel suo Annuario Statistico-Amministrativo d’ Alessandria un cenno storico sul- l’ anzidetto canale del Bertale , stato sorgente di ricchezze per la provincia alessandrina in fin chio dtd , eccitò ne’ suoi paesani il desiderio di vedere in- trapresa e compita un’ opera di tanto momento col mezzo di una Società per sorti ( azioni ) la quale verrebbe ad impiegare il contante con un frutto supe- riore a quello che si potrebbe sperare da qualunque altra più proficua specu- lazione. Dai calcoli fatti dall’ ingegnere Pernigotti , le spese per la formazione del nuovo canale ascenderebbero a L. 594,000, ed independentemente dal mag- gior valore che verrebbero ad acquistare 13,000 giornate irrigabili, dato che non se ne inaffiassero in sul principio che sole 6,000, 1’ annua rendita da ripartirsi fra i socii sommerebbe a 100,000, lire , la quale farebbe ascendere l’ interesse del capitale impiegato al 16 e due terzi per cento. Le opere per la deriva- zione del canale di cui si tratta sono indicate in una carta topografica , nella quale sono segnati in tutta la loro estensione i terreni che verrebbero ad essere da esso fertilizzati. Provveduto così all’ incremento dell’ agricoltura , il conte Piola, instan- cabile nel ricercare sicure vie di prosperità pel commercio e per 1’ industria , non solo della sua provincia , ma altresì dello Stato, propone quella di deri- vare dal Tanaro un canale di navigazione , il quale , abbreviando ed agevo- lando la comunicazione col Po , aprirebbe a parecchie popolazioni uno sfogo per trasportare le loro derrate in varie parti della nostra Italia, ed anche più oltre ; che se si risolvesse di incanalare il Po da Casale a Torino , le barche stesse comunicherebbero con altre province del Piemonte , e colla stessa capi- tale. Per la formazione di questo canale , già ideata nel 18r1, i°Autore indica le opere a farsi, e la spesa, che $arebbe di 554,680 lire, e dimostra come sarebbe certo e considerevole 1° interesse del danaro che vi s’° impiegherebbe , sia che Ja derivazione si faccia dal Governo , sia che venga effettuata da una Società ; ma per mettere in pratica questo secondo partito , converrebbe introdurre nei Reali dominii, o per meglio dire far nascere ne’ facoltosi abitanti il genio , che finora non c’ è, delle utili intraprese , onorevoli del pari che luerose per chi vi attende , e vantaggiosissime per lo Stato , in cui si fanno , sia per lo sfogo che si dà a capitali spesse volte infruttuosi, sia per le braccia che vi sono occupate ; sia per l’ utilità generale che nasce dal consegnimento del fine; per cui s° imprende a fare questa o quell’ opera. Dalla nostra restaurazione in poi, di sì fatte Società non se ne contano fra noi che tre sole ; quella della Navigazione a vapore sul Lago-Maggiore , che si era pure sperato di veder estendere sul Po 3 un” altra, sotto la Ditta Agnelli, Pelisseri e Compagnia per la grandiosa Raffineria dello Zucchero stabilita nella città di Carignano; e la terza di Assicurazione contro gl’ incendii : una quarta ne avea combinata lo stesso conte Piola , anche di Assicurazione contro la grandine; ma , tuttochè 55 importantissima per un paese così soggetto alla gragnuola , tuttochè ideata ed ordinata in modo da ispirare la massima fiducia ai pessedenti, non si aveva potuto finora attuarla diffinitamente 3 ora però è vicino l’ istante di poterci giovare di così utile riparo ai danni di quel distruggitore flagello , S. M. es- sendosi degnata di autorizzare , con R. Patenti de) 28 di aprile ora scorso, l° Amministrazione temporanea di questa Società assicuratrice ad entrare in attività , sebbene non abbia ancora assicurato tanti raccolti che uguaglino il minimum del valore stabilito dagli Statuti, Il fascicolo che annunciamo termina colla topografia atmosferica , e vi si parla dei mezzi di rinsanire 1’ aria della città capo-luogo, e di non poche si- tuazioni nella pianura ; delle stagioni e de’ loro effetti , e de’ venti dominanti. Ogni amico della sua patria dee desiderare che 1’ esempio dato dal Conte Piola di un lavoro così utile per la provincia di Alessandria sia imitato da dotti uomini nelle altre ; quanto più presto ciò avverrà, tanto più tosto il Governo sarà in grado di ordinare , con tanto suo vantaggio e de’ sudditi, la Statistica generale del Regno. (Gazzetta Piemontese). Esportazione della seta. Commercio italiano. Dalla stamperia Fodratti è uscito un ragionamento. sull’ esportazione della seta greggia dal Piemonte ; opera d’ un piemontese valente , il quale dimo- stra come gli stranieri gelosi del favore che ottengono le sete piemontesi ri- dotte ad organzino e a trama nei propri filatoi, a paragone delle lavorate al- trove , vorrebbero ottenere la libera uscita della seta gseggia ; dimostra quanto un tale provvedimento nuocerebbe ai possessori de’ filatoi , che spesero e spen- dono somme immense per costruirli e per farli andare ; a tante migliaia d’ ope- rai , i quali, avvezzi da giovanissimi a quest’ unico mestiere , si ridurrebbero ad accattar ‘sulle vie ; ai possidenti stessi, i quali sotto il governo france- se , quando l° uscita delle sete gregge era libera , sperimentarono gravi dan- ni. L°’ autore s’ appoggia all’ editto del 1751 promulgato da Garlo Emanue- le III, e confermato da’ suoi successori. I fatti accompagnano le affermazioni del ch. Autore. Noi non abbiamo ancora veduto !’ opuscolo, e ne parliamo sul semplice annunzio d’ un giornal torinese. Possiamo però dire fin d’ora che ogni nuova idea potrà sempre per tutti i secoli essere con questo argomento mede- simo combattuta ; che certamente non si può tutt’ a un tratto operare nem- manco il bene senza che male ne segna; ma che chiunque non osa pre- parare il bene, non osa educare ad esso gli animi e gl’intelletti, non osa sgom- brargli chetamente la via , costui non fa che aggravare quelle sventure che viene con tanta circospezione evitando. Ma questo sia detto in massima gene- rale ; chè noi non osiamo applicarlo ad un caso nel quale non potremmo per ora portare giudizio. Rechiamo intanto Je seguenti notizie che giungono oppor- tune al proposito del nuovo opuscolo piemontese. Il sig. Meynard, relatore alla camera dei deputati intorno alla nuova legge proposta sulle dogane, tocca nel suo discorso alcuni particolari che possono inte vressare 1’ Italia. Incomincia dal desiderare che le questioni politiche, acquetate un poco, dien luogo a que’ miglioramenti dell’ agricoltura e dell’ industria che veramente promovono la prosperità dello stato, e fanno il popolo esser con- tento de’ governanti e di se. Poi viene a raccomandare 1’ importanza del man- è P. 94 tenere i «dazi dell’importazione delle lane straniere, ma non in modo da eccitare tra popolo e popolo una guerra di tariffe a tutti dannosa. Venendo alle sete, il più florido ramo dell’ industria francese , che ne trae 1’ annua somma di 240 mi- lioni, e da rro a 115 milioni ne esporta, nota che la coltura con tutti gli aiuti promossa del gelso in Francia non è mai bastata al consumo ; e che dal- l’Italia, dalla Spagna , dalla Turchia , dall’ India si traggono da 32 a 35 mi- lioni di seta greggia. Non già che l’industria agraria sia punto scemata , @ 1’ educazione dei bachi negletta, ma gli è il grande accrescimento dell’industria che fa lo shilaneio. Per esempio in Lione nel 1801 erano 10,000 le officine ; nel 1829 34,000 : e al presente 25,000 , si crede: scemamento prodotto dalla dispersione degli operai ne’ villaggi vicini, e dalla concorrenza degli esteri. Il dazio d’ importazione è di un franco e 25 centesimi per chilogramma per le sete gregge ; di due franchi e centesimi 42 per gli organzini e le trame, La seta dell’ Indie non paga che 55 centesimi il chilogramma. L’importazione fat. tane in sei anni dal 1825 al 30 dà la media quantità di 540,395 chilogram- mi, che fruttarono al tesoro 1,034,800 franchi. ll governo francese nella nuova legge propone l’ abolizione del dazio , lasciandovi soli cinque centesimi per le gregge , e per l'altre, dieci. La commissione crede questo provvedimento dan- noso alla già danneggiata industria delle meridionali provincie. Tolta quella gra- vezza ;, dicon essi, le sete d’ Italia inonderebbono Lione ; e coil’ abbassare il prezzo delle sete abbasserebbe quello altresì delle stoffe. Onde i negozianti do- vrebbero arrestare il lavoro , o scemare il prezzo della man d’ opra. Che se nel 1817 e nel 1818 i dazi furon sospesi senza gran danno , egli è perch’allora le fabbriche di Lione eran senza rivali, perchè le richieste dal Settentrione d’ Europa e dall’ America erano grandemente cresciute , e mancava la materia prima, per lo scarso ricolto fattone due anni di seguito in Francia e in Italia, Il chilogramma, che ora vale 45 franchi, ne valeva allora e 95 e fin cento. Ora le fabbriche dei paesi vicini sorgono ad emular le francesi, che han meno spac- cio e valgono meno, perchè il prezzo è scemato insieme con la quantità della materia greggia portata di fuori. Se il prezzo scemasse ancora, l’agricoltore tra- scurerebbe la piantagione del gelso, e dugentomila persone che vivono del lavoro della seta sarebbero in un giorno ridotte all’ estrema indigenza. E tanto più dannoso sarebbe il provvedimento , che la importazione permessa non apri- rebbe però alle sete francesi 1’ accesso ne’ paesi stranieri; i quali sono ancor meno della Francia preparati ad un’ assoluta libertà di commercio. Ma intanto il basso prezzo della man d’ opra in Piemonte, in Isvizzera ed in Germania , costringe l’ industria lionese ad abbassare le sue pretensioni per avere uno spaccio di fuori. A fine di rinvigorire questo ramo importantissimo di commercio, la commissione propose, in luogo dello spediente ideato dal governo , che la somma raccolta dal dazio sulle sete straniere sia riversata in tanti premii da distribuirsi agli esportatori delle stoffe e de’nastri di pura seta. H crespo , il tulle e la blonda non avrebbero parte in questo vantaggio. Tali incoraggimenti, soggiunge la commissione , son rovinosi allo stato quando lo stato non ha come compensarsene: ima sovente essi sono un dovere, quando cioè si rende alla seta nazionale il dazio che il governo ritrasse dalla seta straniera importata. I tessuti semplici sui quali dovrebbe cadere 1’ incoraggimento , tra stoffe e nastri, si esportano nella somma annua di circa 57 milioni e mezzo. L’ im- portazione è di 31,741,422 franchi, che danno al tesoro una rendita di 55 1;034,800, Quest’ ultima somma distribuita per sussidio all’ esportazione , 3a- rebbe di uno e tre quarti per cento , restando innoltre 25000 franchi per le spese solite di dogana. L’incoraggimento si limita alle stoffe semplici, come quelle che più rivalità trovano in Italia ed altrove. Quanto all’ altre , la Francia non teme rivali. E non è già da imaginare, dice il sig. Meynard , che il governo venga mai a pagare in sussidi d’ esportazione più di quello che dai dazi d’ importazione ritrae. Più se ne fabbricherà della seta, e più sarà necessario introdurne. Questo per riguardo al governo. Spetta poi a’ medesimi fabbricanti vedere se la peggiorata tessitura delle sete non sia una cagione dello scemato spaccio > e delle nuove commissioni affidate ai fabbricanti di Napoli e di Zurigo. Merita osservazione quest’ultimo avvertimento. Del resto, degli sbagli econo- mici del citato rapporto non è qui luogo a farne parola. Ognun vede che cre- scendo in Francia la coltivazione del gelso , il governo verrebbe a pagar più in sussidi per esportazione che non ritrarrebbe dai dazi della seta straniera; ognun vede che l’importazione verrebbe scemando col moltiplicar delle fabbriche in Na- poli, in Piemonte ed altrove; ognun vede che un sussidio minore del due per cento non è cosa da rianimare il languente commercio ; ognun vede che gli argomenti dal relatore addotti contro l’ abolizione del dazio , con poca varietà si dovreb- bero ripetere in favore di tutti i vincoli che inceppano la libertà del commercio ; e che se la detta abolizione non e nel momento presente opportuna, questo non toglie che non possa diventare opportuna di quì a pochi mesi : onde giovava ap- profittare frattanto della disposizione del governo , e solo differirne a qualche tempo la pratica esecuzione, rendendone prima avvertiti i fabbricanti e gli operai, e provvedendo con efficaci ripari allo stato degli uni e degli altri : ognun vede da ultimo che la gran piaga del commercio e dell’ industria e della società fran- cese è troppo più profonda e più pericolosa di quello che agli economisti appari- sca, e che a’ loro impiastri non è serbato l’ onor di guarirla. R. Aceademia delle Scienze. Classe fisico-matematica. Adunanza del 29 aprile. 1l professore Vittorio Michelotti , a nome di una Giunta , lesse il parere intorno a una memoria in- titolata: Analyse d’une Tdocrase violette de la vallée de Ala, lavoro del signor Angelo Sismonda, professore sostituito della Scuola Mineralogica in Torino. Il cavaliere Giacinto Carena , a nome pure di una Giunta , fece relazione intorno a una memoria del signor medico Borelli, nella quale vien proposto e descritto un Apparato per diminuire î gravi danni a cui, per difetto d° aria respirabile , possono ‘esser esposti coloro che danno opera ad estinguere gli incendii. Il predetto accademico , Segretario , lesse quindi una parte della Notizia Storica intorno ai lavori della Classe, dal 1830 in poi. In questa stessa adunanza fu fatta. comunicazione di un Programma di Que- sito , trasmesso dalla I. R. Accademia delle Scienze di Pietroburgo ; il qual quesito è espresso nei termini seguenti : Déterminer le mouvement de l’Océan ;, en considérant toutes les forces dont l’influence peut étre sensible ; et comparer à l’obseroation les hauteurs des marées et les instants de leurs ‘arrivées déduits de la thèorie. 56 Il tempo del concorso termina al 1 di agosto , 1833; il premio è di due- cento ducati, con una medaglia d’ oro del valore di cinquanta ducati. Adunanza del dì 13 di maggio. Il professore Moris, a nome di una Giunta, fece relazione intorno a una memoria sur le mouvement de la sève , lavoro del conte e cav, Giorgio Gallesio. Quindi il Segretario continuò la lettura della /Votizia storica intorno ai lavori della Classe , dal 1830 in poi. In quella stessa adunanza fu presentato , a nome di una Società di Nova- resi; il Disegno della Statua colossale decretata dai INovaresi in onore del Re GarLo Emanuere III, scultura di Pompeo Marchesi, al qual. disegno è unito un testo in foglio massimo , ove è la ragione del decreto e.l’ elenco dei Soscrittori. i Adunanza del 27 maggio. Il Segretario , cav. professore Carena , terminò la lettura della Notizia Storica dei lavori di essa Classe, negli anni 2830, 1831, da pubblicarsi nel prossimo Volume Accademico XXXVI. Il cavaliere Alberto Della Marmora lesse : Description et détermination des différens ages de lu nouvelle espèce d’ Aigle, connue chez les Iatu- ralistes sous le nom de FaLco BoneLLI. Nella stessa adunanza fu pure letta una Memoria stata presentata all’Ac- cademia dal signor Angelo Sismonda , professore sostituto di mineralogia , in- titolata : Analyse d’une Idrocrase violette de la Vallée d’ Ala. Classe di scienze morali , storiche e filologiche. Adunanza ordinaria del 3 di maggio , nella quale sono stati letti i seguenti lavori : 1.° Saggio di alcune espressioni figurate , e maniere di dire vivaci della barbara latinità ; del cav. D. Giuseppe Manno. 2.° Continuazione del Discorso intorno ad alcune rare monete dei Mar- chesi di Ceva, Incisa , e del Carretto : Zecca, e monete dei Marchesi di Cortemiglia ; del prof. Costanzo Gazzera. Intaglio di un quadro di Raffaello , eseguito dal celebre Cavaliere Toschi. È finalmente giunta al negozio del sig. Vallardi una prova avanti lettera dell’ intaglio eseguito dal signor cav. Toschi del quadro di Raffaello noto ora- mai sotto il nome della Madonna della Tenda. Ricordiamo ancora d’ aver par- tecipato al giubilo che il signor Angelo Boucheron , valente disegnator tori- nese , sentiva per avere scoperto quel prezioso lavoro dell’ Urbinate , giubilo ch’ egli spiegava tra noi con quei suoi modi tanto vivi, e che in esso si fa- ceva maggiore , secondo che dai nostri veri conoscitori dell’ arte veniva corro- borata 1’ opinione da lui concetta al, primo scorgere quella pittura : abbiamo assistito ai piccioli restauri eseguiti qui in Milano dal nostro bravo Molteni, mercè dei quali emendavasi dai lievi danni patiti per l’ incuria dei primi pos- seditori , e restituivasi al suo nativo splendore ; abbiamo poscia applaudito alla liberalità , colla quale il Principe, ora regnante in Piemonte , accoglieva, ospite generoso , nelle auguste sue soglie , e serbava così all’ Italia. quel prezioso tesoro di cui Ja bella Torino non conosceva ancora 1’ eguale. Ben si può dire che poche opere di Raffaello sieno state con tanto amore condotte , e sog- giungere che poche ebbero in sorte di venir riprodotte con egual cura. L’in- taglio del cav. Toschi serba e ritrae tutte le. bellezze dell’ originale ; ed ora 97 che verrà tra le mani dell’ universale , ognuno , che non sia cieco degli occhi e della mente, potrà considerare se sia lecito attribuir quel dipinto ad al. tri se non che al sacro ingegno dell’ Urbinate,, a cui fu dato attingere i proprii concetti alla beatissima calma «del Paradiso. Quanta modestia negli oc- chi della Verginel quanta soavità nella bocca! quanta morbidezza nella ciocca di capelli che si lascia vedere per poco, prima di nascondersi sotto la ricca acconciatura del capo ! quanta grazia nella mano che stringe il Bambino Gesù! E quantunque all’ uria devota, che spira da tutto il sembiante, ogni profana idea si dilegui, pure è impossibile rimanersi dal pensare di quanta dolcezza sarebbe piena la vita di chi potesse passarla contemplando così pura angio- letta. Celeste del pari è la figura del Bambino, serenissima la fisonomia, è ad un tempo stesso pietosa, massimamente nel volyere ch’ ei fa lo sguardo al fanciullo S. Giovanni, |’ aspetto del quale, ayvegnachè nobilissimo , ri- tiene nondimeno assai più dell’ umana natura, In tutto quanto l’ intaglio regna un’ armonia così perfetta che sembra una maraviglia, e difficilmente si po- trebbe esprimere con parole. Noi crediamo. far cosa grata (ai nostri lettori annunziando che quest’ insigne lavoro d’uno dei primi fra i chiarissimi in- tagliatori viventi verrà tra breve fatto di pubblica ragione , e che i veri amici cell’ arte e del bello potranno arricchirne le loro raccolte , ed ornarne la parte più eletta dei loro gabinetti, INuovo monumento a Novara. Novara era città d’aria cattiva e mal sana per le molte paludi: il re Carlo Emanuele le rasciugò; e dopo quel tempo questa città acquistò di sa- lubrità quindi di popolazione e d° ogni prosperità sociale. Gli attuali cittadini che ne sentono il benefizio, a mostrare gratitudine alla memoria di quel prin- cipe , gli innalzano una statua colossale: ne hanno allogata la commissione allo scultore milanese Marchesi che nel programma chiamano giustamente con- tinuatore del secolo di Canova. Il re sarà rappresentato in attitudine di chi, deposto il brando nella vagina con cui fè tremare i nemici, stende la destra per dare ordinanze che valgono al miglioramento de’ propri stati. Tutto an- nunzia che la statua riescirà magnifica. Anche questo monumento si deve a quello spirito che ravvicina i cittadini ne’ sentimenti più nobili dell’animo : e l’ ottima loro scelta sia di buon esempio a quelli che desidereranno pari retribuzioni dai nipoti. Da lettera. Spedali a Torino — A Lugagnano pe’ poveri — Individui professi nelle case religiose. Volete notizie ? eccovene alcune raccolte nella mia gita a Torino, ed in una passeggiata di questa settimana a Velleia. A Lugagnano presso Velleia non vi ha spedale , ma un legato in forza del quale i poveri di quella parrocchia ammalandosi hanno spesati medico , chirurgo , speziale, e 2 lire vecchie di Parma al giorno. In questo modo gli ammalati sono assistiti dai proprii parenti senza grave danno nei lavori. \T. VI. Muggio 8 08 Di Torino non vi darò per ora che due notizie. Io ho truvato una cosa rimarchevole (almeno per me ), ed è che nello spedale di S. Luigi ‘hanno praticato un’ apertura dietro ogni letto , della larghezza poco maggiore del letto stesso, la quale apertura resta co- perta da un tavolato. Il tavolato si ritira in caso di morte o di operazioni chirurgiche : in modo che il letto sostenuto da ruote viene ritirato in stanze dietro alla sala. E ciò si eseguisce senza che gli ammalati vicini se ne ac- corgano ; poichè le cortine dei letti stessi sono affatto staccate dal letto e sono sospese a spranghe di ferro infisse nel muro. Vedete qual differenza vi è tra quest’ uso e quello d’ un altro spe- dale della stessa città, quello di S. Giovanni, nel quale invece , appena morto un individuo , si piegano le cortine , si copre il capo al defunto , e poi'si ac- cende una lucerna ai suoi piedi, ed in questo stato si lascia per 6 ore almeno. Io vidi uno di questi casì! ‘Immaginatevi lo stato dei malati vi- cini a questo spettacolo. Non dico che per tutti si debba introdarre |’ uso di S. Luigi; il che non sarebbe combinabile in tutti gli spedali vecchi. Ma nei nuovi certo si può introdurre ; e nei vecchi si può togliere uno spet- tacolo sconfortante. Numero degli individui professi nelle Case Religiose di Torino. Maschi. S. Domenico P. P. Domenicani N.° 30 S. Dalmazio P. P. Bernabiti ri E; Alla Consolata Monaci Cisterciensi Fani Ai SS. Martiri Gesuiti ID S. Salvatore Servi di Maria TE S. Pelagia Ignorantelli sont 29 Lesioni S. Tommaso . Minori Osservanti egli) Alla Madonna degli Angioli. Minori Riformati sara S. Lazzaro detto la Rocca id. >» 16 AI Monte P. P. Cappuccini 5 gh 15) Alla Madonna di Campagna id. Meg» Un terzo circa sono non celebranti la messa ma professi. Monache. Santa Croce - Rocchettine N.° 30 AI Sagro Cuore Monache del Nome di Gesù ,, 40 S. M. Maddalena Cappuccine a 40 Queste notizie le ebbi da un religioso il dì primo di quaresima di que- st’ anno, VARIETA”. Incoraggimenti , premi , privilegi , onori resi al merito. Il re di Sardegna, considerando che i privilegi concessi alle manifatture perfezionate da nuove invenzioni o da nuovi metodi possono nell’ andar del / 99 tempo, rendere , con la sicurezza dello spaccio ,; troppo trascurante il privile- giato nella esattezza e perfezion del lavoro , per prevenire 1° abuso , e fa» she il, privilegio non divenga un vincolo dannoso alla libertà comune senza che 1’ arte ne tragga, alcun utile; per proteggere insieme quei nuovi lavori princi- palmente che con prodotti indigeni occupano le braccia men robuste , o quelli che , adoprando prodotti stranieri, possono almeno essere più sicuramente e più continuamente alimentati; ordina che le domande di nuovi privilegi, passino dalla, segreteria di Stato alla Camera di agricoltura e, di commercio, quindi al, consiglio di Stato.; che i saggi da scegliersi, per l’ esposizione annua, delle manifatture, privilegiate sien presi da commissioni , a ciò scelte, in varii tempi; e in varie visite fatte inaspettatamente nelle fabbriche le quali chieggono, il privilegio 3 che tali saggi depositati all’ accademia delle Scienze possano servir di confronto co’ lavori che mette in commercio la fabbrica stessa ,, per, vedere se siano d’uguale bontà ; che queste cautele abbian luogo anco pe? privilegi an- tecedenti non ancora scaduti. Al sio. Gautier fu concesso privilegio di dieci anni per una. macchina da mondare il grano senza lavarlo. La Società delle scienze, fisiche e chimiche di Parigi, per un nuovo me- todo proposto dal genovese sig. prof. Mojon per estrarre la placenta \in caso d’ emorragia dopo il parto,,.che consiste nell’injezione d’ acqua treddissima leg- germente acetata nella vena del cordone,ombilicale , gli aggiudicò la grande medaglia d° oro del valore di franchi 500. Il re di Sardegna concesse allo scultore Marchesi il titolo di cavaliere deì,SS. Maurizio e Lazaro. Al valente pittore cav. Bagezti fece un'iscrizione il prof. Boucheron » nella quale sono le seguenti parole : Quo nemo melius regionum varietates , aerem, nimbos et fluminum vapores: aquatis coloribus depinxit. . . Nec minus scienter pulverulentas solitudines ardoribus exustas ,, quam egelidos lacus et. sinuosos montium recessus .. expressit. Lutetiam ineunte saeculo accitus , illustriores aevi sui pugnas, capto locorum prospectu,, exhibuit tanta evidentia , ut spatiis leni penicillo distinctis , fumidos tormentorum ignes , castrorum metationes , mariosque praeliantium discursus oculis subjiceret. Jam, senex propagata no- minis fama , de arte scripsit... sli | Al. co. Cesare Ceva, scrisse questa iscrizione il sig. co. Somis ,.della quale rechiamo le parole che danno in breve il ritratto dell’uomo, non è molto tempo mancato a’ vivi: Watus D. III Non. Jun. A. MDCCXLII, postquam Modo- etiae litteras latinas didicit , et J. U. D. Aug. Taur. est renuntiatus, adjutor a procuratione regis electus fuit a Vict. Amedeo, IIT, dehinc judex in curia rationalium, idemque causurum vectigalium .. Nunquam voluptatem sensit ex malo alterius , quantumvis merito , immo infelicissimos quosque consolatione et miseratione recreavit . .. In publicis officiis gravitatem conditam .comitate exhibuit. Facilitate sermonis et exquisita urbanitate semper rectam dixit sententiam . . In otio a publicis occupationibus, negotia pauperum egit , 0sor desidiae.... Animos temere concitatos suaviter retinuit, catus atque cordatus homo , qui vi religionis et intus ipse percussus , et alios, vel invitos , com- movebat. Torino ci offre un esempio che la Toscana vorrà certamente imitare. Un tipografo pubblica jin litografia una collana d’ IJ/lustri Piemontesi , contenente ì ritratti d’otto chiari uomini, morti ne’due scorsi anni; il Napione, il Sineo, 60 îl Bonelli, il Ralbis, il Rolando , il Grassi, il Barovero, il Capelli. Buoni sono i disegni del pittore Gonin: ma alcuni ritratti , per difetto de’ modelli , non molto somiglianti. L’ iconografia contemporanea di Firenze è idea simile , ma si potrebbe ampliare. To de’°viventi, amerei per dir vero, i ritratti ‘senza le vite: e non vo? dire il perchè. Educazione. Istruzione. Non si potrà d’ora innanzi aprire nello stato sardo, istituto d’educazione e d’ istruzione per le fanciulle senza l’approvazione del ri- formatofe provinciale : e i già fondati debbono anch’ essi chiedere approvazione. S'eccettuano lè case affidate a società religiose o a pie fondazioni', o a direttori nominati dal re. Perla città e la provincia di Torino 1° approvazione deve ve- nire dal capo della Riforma, ed esser diretta alla segreteria dell’ Università. Notiamo questo nuovo decreto solo per avvertire che tale approvazione non era negli stati Sardi necessaria finora. Il Museo di Storia naturale offerse quest’ anno tali nuove ricchezze da potersi collocare tra’ più insigni d’ Europa. Al qual S'aggiungono, in molte sale disposti, i monumenti dal piemontese cav. Drovetti raccolti in Egitto se dalla liberalità de’ a di Savoia richiamati a Torino. Al museo tag?” h’ è il primo d’ Europa, s’ aggiunse quello d’ antichità greche e romane * te: sori tutti raccolti nel ia tal dell’ Accademia delle scienze : e due nascenti istituti; il museo anatomico , e il patologico. Vie di comunicazione. La costruzione sul Tanaro d’ un ponte presso Nù- ceto , attraversante la strada provinciale d’ Oneglia; e il corso giornaliero pe- riodico di vettura in posta, nuovamente stabilito , da Novara ad Arona, ci an- nunziano che questo delle comunicazioni, mezzo importantissimo di civiltà , è negli stati italiani sempre meglio apprezzato. Cholera. TI dottore Bouquet} laureato in questa università, e dopo aver fatto la pratica nell’ ospedale maggiore ‘di san Giovanni Batista , è partito an- ch'egli; è qualche tempo, per Parigi, ove si reca ad acquistar Jumi intorno, i modi di curare il cholera , e tornare a valersene in patria a pro de’sioi paesani) ové il wiòrbo ‘venisse sgraziatamente a superare la finora presetvatrice catena delle Alpi. , LIGURIA. Da lettera di Genova. Il gratuito servigio della ‘nuova società che consacra le sue cnre al soc- corso de’ poveri a domicilio , società di cui v° ho parlato altra volta, è già cominciato , con grande utilità sopra tutto di quella indi genza che arrossisce di chiedere . Nei primi tre mesi ‘del corrente’ anno, come apparisce dal rapporto che al consiglio d’ amministrazione presentarono i medici e ì chi- rurghi de’ sei quartieri della città , furono assistite ‘148 persone : 47 guariti , 19 morti, 74 rimasti ammalati, otto passati ullo spedale per assoluta marì- canza ‘di mezzi. I più dei morti finirono per lunighe croniche malattie ; dalla povertà e dal rossore di farsi trasportare all’ ospedale già rese incurabilil'I due terzi dé’ morti mancarono nel gennaio : 0nd’ è ‘da sperare che il numero 6I ne vada sempre scemando. Intanto ile cure presenti onorano e gli amministra- tori e i dottori, e ‘debbono ieoragioie tutti i benestanti ‘ad aiutare con nuove Targizioni sì bello istitàto; Alla salita di Belvedere ‘in Sampierdarena 's’ aperse approvato dal re un pio ‘istituto dove le fanciulle povere del comune avranno l'educazione 'oppor- tuna : apprendono leggere, scrivere , far di conto, cucire ; ricamo, far guanti alla francese, e altri femminili Javori. Possono ‘entrare anco fanciulle nun po- vere ; e pagano le minori di 14 anni, venti franchi al mese :'per le ‘maggiori di quell’ età si conviene \sécondo i''casi. Ameno è il luogo, è l’aria salubre. Il nostro re ha già creata una giunta straordinaria che prendesse infor- mazione di tutti i pii istituti di Genova. Da queste nuove informazioni sem- pre utili è da sperar sempre nuovi miglioramenti. Egli ha poi approvato una società d’'assicarazioni marittime , nominata compagnia del Mediterrane.. Ora però le assicurazioni vitalizie temo diventino unria' troppo bella spe- culazione se il cholera pensa di visitare anche noi: Qui s’ è tradotta l’istru- zione popolare sui principali mezzi di difendersi da questo flagello : e i prof. M'ojon e Accame , corsero, a proprie spese , ‘a’ Parigi, per istadiarne "l’ in- dole ‘e ‘il ‘corso. Il generoso ‘disinteresse ‘ di questi due ‘uomini rispettabili ‘,'ai quali ‘ora ‘s’ aggiungono ‘il ‘dottore Trompeo giù membro della spedizione me- dica piemontese in'Ungheria, il dot. Caffarelli e il sig. Derolandis ‘principal compilatore del’ repertorio medico-chirurgicò” di Torino, merita bene anche i vostri E | ‘ Giorni ‘sono } s'è aperto il nuovo palazzo dell’Accademia ‘d’ arti helle per 1’ annua esposizione e la distribuzione de’ premii. Suntuoso edifizio. Il numero degli allievi ‘è eresciùto 3 ‘e il buon gusto sarà , speriamo , da ‘éssi diffuso in tatti gli ordini della società. Nell’ esposizione," ‘oltre’ a quelli degli ‘allievi, ve- devanisi lavori di' professori ‘e di dilettanti nazionali ‘é'stranieri'; oltre ‘a quelli premiati nell’ anno scorso, tutti i premiati !ldal 1824 in | poij' talchè' poteva îiconoscervisi la storia ‘del progresso operato ‘dalla scuola nostra nell’ atte. Po- chissimi sono gli argomenti mitologici : ‘e ‘imé ‘ne gode l’ animo. ‘Fra le pittrici di professione noi ‘yantiamo tre donne valenti, ‘Ja sig. ‘Carrea 'Bucigalupi, Va sig. Sciorati Campodonico ;' reduce dalle ‘scuole’ di Roma e'di‘ Napoli; la sig. Capurro-Piaggio: Faceva ‘poi piacere a contethplare i principii' della nascente Pinacoteca , che cunta già opere del’ ‘Castiglione , del Piola, ‘del’ Tavella', del Fiasella, dell’Assereto, del Cambiaso; e un' bel'getto del Cristo morto di Michelangiolo' ; tutti Moran a benemeriti ‘doliatori. =) fi VARIETÀ”. Macchina idraulica. '— Questa macchina inventata tempo fa ed ora per- fezionata dal sig. ‘‘cav. Gio. Romeo, fu ‘posta in Genova ad esperimento con molto successo. È metallica; senza’ stantuffo, e dà un getto d° acqua conti- nuato , da dirigersi a piacère ! opera per effetto d’ un movimento di rotazione impresso con ‘ùn manubrio ‘il quale può’ esser ‘messo in azione dalla’ forza dell’ uomo , de’ cavalli, del vento. Può' servire a molti usi, specialmente a innaffiare campagne vicine ad un lago , ‘ad un fiume. ‘Beneficenza. = |Abbiamo altra ‘volta lodate le cure del' P.' Chargros, ‘a'pro degl’ incendiati di Pera, e quella soscrizione alla quale i ‘più ricchi cit- 62 i tadini di. Genova. volonterosi concorsero. Il buon, missionario è al presente in Torino a, promovere la medesima, opera .pia. La somma raccolta, sarà per le debite vie spedita in soccorso de’ poveri di Pera, e al ristabilimento ,d’ una istituzione religiosa, che fin dal secolo tredicesimo è in, quel sobborgo ,;e, che colle largizioni spontanee de’ fedeli, provvedeva alla, ;.cura spirituale di dodi- cimila cattolici, e al sostentamento ; all’ educazione e. al collocamento de’tro-, vatelli.. La chiesa e la casa distrutta dall’incendio ,;i,poyeri. di Pera mancano nella sventura fin de’ religiosi conforti. Possa e nel Piemonte ed altrove , come in Inghilterra , diffondersi ;l’ impuiso di sì magnanima carità. sh LOMBARDIA. Quadro di alcuni nuovi miglioramenti fatti nell’ Italia superiore .) mercè lo. spirito di associazione. Nell’ Italia superiore formata dalle provincie venete, c lombarde , è sparso universalmente un desiderio di miglioramenti ed uno spirito \di associazione per ottenerli, che merita essere ricordato , perchè e. ne abbiano merito quelli che lo accendono e sia-utile esempio alle altre parti della penisola. Ove alle in- troduzioni di muove invenzipni,, di salutevoli instituzioni mancano mezzi pub- blici , vi soccorrono i privati, unendosi in varie società, commendate di, azio- nisti s;le quali provvedono .con energia a queste nuove intraprese , o alla dif- fusione di utili invenzioni. Infatti una di queste società ordinò in Milano una are vi pdleriiad razione per gli incendi , che; omai ha sì acquistato di assicuranti e di credito che le azioni guadagnarono forse il venti sopra ;il valore. A, questa ne secondò un’ altra, instituita pei vicendevoli ;compensi, dei, danni della grandine, che ac- cresce, ognora di, credito, e può riescire utilissima in un paese sovente percosso da sì terribile flagello. Una, società simile ordinata dal valente ingegnere Parea, zelatore, d° ogni utile invenzione ,, introdusse i velociferi, A questa succedette un’ altra diretta dal signor Franchetti per. le Diligenze:\ed omai, mercè. queste e le Diligenze celeri erariali, ;è resa velocissima la;comunicazione delle città del regno, Lombardo, Veneto fra loro in modo, straordinario; e .già all’ utile esempio si stanno ordinando in altre parti, d’ Italia. Finalmente una società , pure ordi nata dall’ ingegnere Parea, introdusse la navigazione a vapore sui laghi,e, fiumi settentrionali d’ Italia. Questo valente ingegnere coi mezzi che gli fornia la so- cietà , provvide a far giungere dal)’ Inghilterra le macchine , a far costruire i vascelli che ne doveano esser mossi ; ed ove qualche macchina patì alcun gua- sto , od ebbe mestieri di variazioni, trovò nel professore Crivelli , tolto non ha molto alle scienze, sì destro meccanico, che, non solo potè rifare gli interi pezzi della macchina che nulla scadeano. al, confronto degli inglesi ,,ma vi introdusse in tutto il, sistema del meccanismo miglioramenti notevoli e mirabili, Con queste cure vincendo tutti i forti e numerosi ostacoli che da ogni parte insorgevano , giunse la società a porre in breve due, battelli a vapore sul lago di Como. A questi seguirono ; uno sul lago Maggiore, uno su quello di Garda ,, uno;sul Po, uno sulla Brenta ,, e due nelle acque dell’ Adriatico che viaggiano da Venezia a Trieste; e.questi tutti sono profittevoli alle società che 63 li posero in opera, di conveniente utile } oltre la retribuzione del quinto degli introiti che ne fa all’ erario. Questi battelli che hanno , secondo la loro gran- dezza, la forza di dodici, di venti, di trenta cavalli, corrono di consueto dieci miglia all’ora, computando anche le fermate che que’ de’ laghi fanno ai paesi per raccorre e deporre viaggiatori : i battelli poi di lago si aiutano anche delle vele quando hanno il vento favorevole, e allora accrescono assai di ve- locità. Per non dir nulla de’ vantaggi a tutti noti , basti osservare che il bat- tello a vapore del Lario fa ogni dì il giro di tutto il lago e ritorna ; ‘e oltre a ravvicinare le comunicazioni di tutti i paesi, assicura quelle della Valtellina. Prima della navigazione. a vapore, partiva da Como due volte la settimana una barca corriera che trasportava al littorale di Valtellina i viaggiatori , e' partiva di notte con infiniti disagi e infortuni : e non passava quasi mai anno che non soffrisse naufragio. Dopo il battello a vapore non v° ebbe mai alcun sinistro , poichè fra le più furiose tempeste che si sogliono gittare su quel lago e rove- sciare la fortuna de’ naviganti, la barca a vapore progredì sempre sicura‘, e al più rallentò alquanto di moto. Per questo mezzo e mercè il velocifero, un viag- giatore parte da Milano alle due dopo mezza notte , giunge a Como alle sette; sale il vapore , corre tutto il lago fino a Domaso, torna a Como, risale il ve- locitero che lo attende , ed a sera è di ritorno a Milano avendo corse cento trentadue miglia, al più in diciotto ore , essendosi fermato due ‘ore, una a Como ed una a Domaso. Lo stesso avviene nel lago di Garda e sul Maggiore; poichè si toccano le rive del Tirolo e della Svizzera, e si ritorna in un piccolo giro di tempo. n Un breve battello a vapore fu nel 1832 posto sulla Brenta per la rapida comunicazione fra Padova e Venezia, sebbene si tema che essendo la Brenta in certe stagioni poverissima di acque, debba dare il vascello nelle secche colle ruote. Questo piccolo battello da Venezia risalendo il Po e il Ticino, e da Pavia correndo pel canale artificiale o naviglio , andò nel dicembre del 1831 a far una visita alla capitale lombarda : fu per provare se convenisse tentare una rapida comunicazione fra Pavia e Milano con questo mezzo. La barca infatti era sostenuta a convenienza dalle acque, e andò a Milano . con buon viaggio , ma nel ritorno lo ebhe cattivo e vi spese forse sei ore , perchè le ruote s’ im- pegnavano sovente nel fundo : ciò non avvenne per difetto del battello, ma perchè gli altri impresari delle barche di trasporto sul Naviglio , d’ accordo coi custodi del canale vi levarono forse cinque o sei once d° acqua poche ore prima che sapevano dovervi navigare il loro rivale. Ad ogni modo vincendo queste malignità private, un battello a vapore sul Naviglio fra Milano e Pavia potrebbe far il viaggio in tre ore : due si perderebb ero nel cammino, dandovi la cele- rità di dieci miglia all’ ora, e una si vorrebbe per gli otto sostegni, ove si trovassero sempre pronti al tragitto, come si usa ora colle corriere : quindi si farebbe il viaggio in minor tempo che si usì co’ cavalli: ed ove non si spen- dessero più di due lire austriache ( franchi 1. 19), riescirebbe di certa conve- nienza al viaggiatore , e di buon aspettativa alla società. Si propose da alcuni fino dal 1820 la comunicazione per mezzo di vapore fra Venezia e Pavia sul Po, ma pare il progetto difficile ad eseguirsi, e finora ritentato invano, perchè il Po ha un giro sì tortuoso ; e talora le acque sì di- lagano e quindi perdono ‘di profondità , che' è malagevole dirigere il battello nella rapidità del cammino , ‘ed è facile il dare in'secco. Pure queste diffi- coltà si vincerebbero , se non fosse quella di certe nebbie le quali si gettano 64 sì dense sul fiume , che non si vede un palmo .oltre la nave, sicchè riesce im- possibile prendere ogni direzione, e sono costretti fermarsi anche i carichi che vanno .coi cavalli finchè non siano, diradate : quindi fino ad ora non, si, potè porre in attività che un battello il quale viaggia da, Governolo fino a Venezia. Ad ogni modo potrebbe essere ancora conveniente speculazione quella di ado- perare i battelli a vapore. per rimurchio : i carichi commerciali che da Ve- nezia risalgono il Po fino a Pavia, tirati dai cavalli vi spendono , quando hanno buon viaggio, ventotto giorni, e vi usano almeno dieci cavalli : quando hanno nebbie , ‘0 poca acqua, sono stretti fermarsi lungamente, e procedere a piccole giornate 3 e spesso vi, consumano fino due mesi, con immenso dispentlio pel mantenimento delle bestie e. de’ molti uomini che le guidano. Gon una barca a vapore che avesse la forza di venti cavalli, un carico di mercanzia farebbe il viaggio da Venezia a Pavia in sei giorni , concessovi il doppio tempo che vi metterebbe isolata e carica di uomini; potrebbe navigare anche fra le nebbie , perchè diversu è il guidare cavalli su una sponda rovinosa , diverso è il condurre una barca in mezzo alla corrente: e finalmente, costretto a fermarsi, non avrebbe la spesa che degli uomini, che sarebber sempre pochi in confronto di que’ che si vogliono per condurre i cavalli. Gosì un battello a vapore e la squadriglia di navi che trascinerebbe , formata di tre barche grosse da carico e di tre battelli, potrebbero fare cinque viaggi al mese con grandissimo profitto per la celerità del commercio , mentre ora una squadriglia giunge a stento a fare un solo carico. Altre acque sulle quali sarebbe utile ed a’ commercianti e alla società introdurre, i battelli a vapore, sarebbero le lagune adriatiche per le comuni- cazioni fra Mestre, Fusina e Venezia. Per andare da Venezia a terra ferma , conviene prendere una gondola, e perdervi per lo meno un’ ora e mezzo e an- che due, con pericolo se la laguna è burrascosa. Una barca a vapore potrebbe ad ogni ora andare e tornare dalla terra ferma a Venezia , potrebbe far il viag- gio almeno sei volte al giorno ; e al forestiere tornerebbe conveniente aspettare a quelle ore determinate : e invece di pagare per una gondola quattro franchi non ne spenderebbe che uno ; e la società avrebbe buon mercato , perchè tutti si yarrebbero del vapore. Veramente questo progetto avrebbe la maledizione dei gondolieri come, la ebbe dai barcaiuoli de’ laghi; ma in simili instituzioni di utile universale conviene compiangere i primi sgraziati, ma non perciò desistere : tutto si pone in equilibrio col tempo. I fiumi d’ America e i canali artificiali d’Olanda sono tutti navigati da barche a vapore che servono al tra- sporto de’ viaggiatori e delle merci. L° Inghilterra e la Francia velocitarono mirabilmente le loro comunicazioni marittime per mezzo di sì utile ritrovato , e giacchè riescono di tanto vantaggio le barche a vapore che solcano il Medi- teraneo e l'Adriatico ed alcuni nostri fiumi ; giova non si stanchino le private associazioni a moltiplicarle pel miglioramento industriale e commerciale della nazione, Un altro giovevole frutto dello spirito di associazione nella Lombardia è la introduzione de’ pozzi artesiani o modenesi. Si sono già ordinate in Milano due società le quali si propongono di tentare lo scavo di questi pozzi nelle pro- vincie lombarde , mentre l’ Ingegnere Jappelli ne sta forando uno a Padova nel caffè. Pedrocchi. La prima di queste società ordinata dall’ ingegnere Parea si propone di seguire il metodo de’ pozzi artesiani, e ne sta preparando gli istru- menti, addestrando gli uomini per, tentare qualche scayo. L altra diretta dal- 65 l’ ingegnere Brey., si propone di scavare questi pozzi (chiamati pozzi fiaminghi) col metodo di Joubard, e già da alcuni mesi ne fa scavare uno nel parco di Monza cogli strumenti appositamente fatti lavorare a Brusselles. Certo ove queste imprese riescissero , ove questi pozzi ministrassero conveniente acqua e non si esaurissero, ne potrebbe tornare grande utile e nell’alto milanese e nelle provincie al di là del Po ove si ha scarsità di acque ; poichè moltiplicando que- ste sorgenti artificiali, non solo potrebbero giovare ai comodi. della vita ma anche ai miglioramenti dell’ agricoltura. Per rendere meno dispendioso il combustibile per le macchine a vapore, e per supplire alle legne che già in alcuni luoghi si fanno- scarse, una nuova società riunita dall’ instancabile ingegnere Parea fè scandagliare molti terreni per trovare del carbon fossile e della lignite, e ne conseguì i desiderati risultamenti , giacchè potè trovarne in vuri luoghi e in molta copia , talchè non riescirebbe di grave dispendio lo scavarne. Per questo modo una compagnia privata scoprì quanto valga in ogni evento a ministrare il combustibile nell’ economia du- mestica e nelle arti, in province ove non si aveva mai pensato si potesse ot- tenere un succedaneo alle legna. Allorchè il sistema continentale introdotto da Napoleone fè pensare ad estrar lo zucchero da’ vegetabili del nostro clima , que’ cui pare strano ogni novità, tacciarono di delirio quel pensiero. Eppure nel 1812 una società ordinata in Padova e presieduta dall’ integerrimo magistrato e caldo zelatore d’ ogni van. taggiosa e patria invenzione, il Prefetto Ferdinando Porro, ne ottenne coll’ olio di Caffreria coltivato nella provincia padovana , dello zucchero che e per la bianchezza e per la dolcezza e per tutte le qualità regge al confronto de’ migliori zuccheri esotici. Nello stesso mezzo il chimico Gavezzali di Lodi tentava cavare lo zucchero dalle molte uve che Sommariva gli largiva gratui- tamente de’ propri fondi delle colline di S. Colombano : venne da altri pro- posta per lo stesso uso la barbabietola ; e si ottenevano in que’ primi tentativi lusinghevoli risultati , i quali forse avrebbero proseguito in meglio , ove tutti non fossero stati troncati dalla stessa catastrofe. Ora una nuova società di- retta dal signor Gramer , ritenta di cavare in Milano ancora lo zucchero dalla barbabietola , e potè già ottenere zucchero di sì buona qualità che rinascono certe speranze d’ introdurre in Italia un nuovo genere di prodotto. Già alcune commandite istituirono in Milano quattro raffinerie le quali ministrano al com- mercio zuccheri raffinati di tanta bellezza che nulla invidiano a’lavorati in Francia ed in Inghilterra : e se pur si giunge a rendere indigeno in Italia questo prodotto , certo se ne avrà un utile compenso , e si menomerà il nu- mero delle derrate per cui la penisola è tributaria alle altre nazioni. Non sarà inutile forse altra volta dimostrare come ora in Lombardia si sieno introdotte molte manifatture le quali prima bisognava ritrarre dallo stra- niero , € quanto prosperino ; ora giovi solo ricordare 1’ ultima tentata appunto da una società. Questa si propose colla terra dell’ alta Italia di fabbricare in Milano stoviglie di porcellana d'ogni genere; ed i saggi che già ne diede nel 1832, e specialmente di chicchere e simili vasellami, miniate ed arabescate in oro, son sì belli che non scapitano presso a que’di Francia e di Germania. Quanto giova sperare se questa società prenle attività, e intraprende grandi fabbricazioni nel paese ov’ è tanto buon gusto di arti ? potrà certo vincere quelle di ol- tremonte per gli accessori , per gli ornati e per le forme. T. VI. Maggio. 9 06 Non v° ha città certamente dopo Parigi, nve sieno maggiori negozi e ma- gazzini di minuterie , di oreficerie come a Milano, ma non hanno un ]Juogo aglato ‘vasto , ove sieno riunite come in un grande Bazar. Una società sentì questo difetto , pensò nel calare del 1831, di provvedervi con un locale che unisse al comodo de’ cittadini la sicurezza de’ commercianti. Aprì a tal uopo una nuova lunghissima contrada , fiancheggiata da botteghe fornite de’ migliori comodi ed abitazioni: essa sarà inoltre coperta da cristalli perchè vi si possa in ogni tempo e stagione passeggiare con agio , sarà chiusa di notte , avrà con- tinue guardie ed illuminazione. Quindi a un tempo presterà sicurezza a quel- li che vi recheranno i propri tesori (e son tesori i magazzini degli orefici e de’ mercanti di minuterie di Milano ) e offrirà magnifico spettacolo al viag- giatore . In pochi mesi procedette sì rapidamente il fabbricato che oinai è con- dotto quasi a termine; nè vi volea che una società di azionisti per sostenere l’ immenso dispendio. © Non è a dirsi poi quanto questo spirito di associazioni crei nella capi- tale lombarda stabilimenti di beneficenza, scuole pei fanciulli , istituti di ri- covero. Forse di tutti questi daremo altra volta numerata relazione ; per ora ne piace ricordare l’ ultimo , ordinato a benefizio degli artigiani che prestano la loro opera nei regi teatri. Questi sgraziati allorchè venivano nella vecchiezza e quindi erano inabili al lavoro, oppure vi erano impediti per qualche di- sgrazia tanto facile a accadere in simili operosità , erano stretti elemosinaye colla povera famiglia la pubblica compassione per accattarsi il pane. Or A sero tre anni, un manovale, per un infortunio, rimase cieco ; e la pietà di quel caso miserando suggerì a qualche anima benefica di trovar modo ad assicu- rargli una pensione. Da questo pensiero ripullulò tosto un secondo , di for- mare un’ istituzione la quale provvedesse per tutti in simili eventualità : si unirono infatti i lavoratori dal direttore Duca Visconti , si propose loro di fare una società di vicendevole sussidio : e tosto que’ buoni operai furono d’ac- cordo ; e si trovarono i modi per fornire i fondi a quell’ instituto. Tutti gli individui ascritti all’ instituto si obbligarono di lasciare il tre per cento sui Joro salari mensili e sulle loro mercedi giornaliere. A questi si aggiunse il ri- tenere l’ uno per cento , però di grazioso contributo , sulle paghe de: così detti virtuosi: si manda pure alla cassa le ammende, multe e riteunte fatte agli Operai per castigo : si aggiungono alcune serate a benefizio dell’ istituto che l’ impresario concede nelle varie stagioni dell’ anno , e le elargizioni di alcuni privati ai quali diede 1° esempio lo stesso Duca. Con questo fondo si danno pensioni agli operai ammalati, agli operai incapaci , alle vedove , ai figli: e seb- bene l’istituto non sia fondato che da tre anni, annovera già molti pensionati, e fa sentire largamente a que’che si associarono per istituirlo, il benefizio d’una savia comunanza d' interessi. Dopo tutte queste recenti associazioni, non vuolsi porre termine senza ricordarne due antiche che tuttora si tengono floride in Milano, e sono la so- cietà dell’ Incoraggimento e quella de’ Filodrammatici. La prima , che nel se- colo passato pubblicò un giornale , propose premi e fece utili lavori , dura tuttavia formata de’ migliori e scelti cittadini ; e si occupa di ottime letture, di riunire florida biblioteca, e di spargere col conversare buone e savie dot- trine. La seconda fa educare molti dilettanti nella declamazione, e produce ogni settimana sulle proprie scene le migliori commedie moderne per ispargere e mantenere fra’ cittadini il buon gusto nella drammatica. 67 L Queste cose abbiamo annoverate,, perchè valgano di esempio a tutte le città italiane, e perchè ognuno si persuada che un ben ordinato spirito di associazione è nel nostro secolo una nuova potenza dalla quale ne ponno ridondare i maggiori miglioramenti alla società. DEFENDENTE SACCHI. Milano. Da lettera. Avrei bisogno che la Provvidenza mi concedesse una mezza dozzina d’anni ancora per trarre a termine alcuni lavori che io particolarmente destino ai miei cari figli, e che gioveranno. forse a tutta questa sgraziata famiglia del bel paese. Trattandosi d’ opere popolari , mi abbisognerebbe di fare una gita costà per un paio di mesi. Notizie di qui nessuna. I poveri torchi non gemono più : stanno lì begli e asciutti a far festa. Manzoni fa tremendi studi di lingua. Quanto è stato libero da prima, altrettanto vuol essere rigido in avvenire. Adesso vedremo che faranno quelli tra i suoi seguaci i quali hanno la disgrazia di fare quel ch’ egli ha o ripro- vato o per lo meno modificato ... Qui si stampano due giornali pe’ fanciulli; ma probabilmente avranno poca vita perchè mancano di soscrittori (1). I ricchi di qui non hanno gran commercio co’ libri, e non si occupano che di cavalli e di caccia ; o sono studiosi, e al- lora non hanno per le mani che libri francesi. Io vivo pieno di fiducia nella bontà dei tentativi che vedo adoperarsi dai galantuomini. Batti e batti: qualche cosa di buono ne uscirà. Predichiamo morale e poi morale. Rialziamo questo povero popolo che noi letterati italiani fino ad ora abbiamo barbaramente dimenticato ; compiamo insomma il nostro, dovere, e lasciamo che la Provvidenza faccia il resto. Corso di studi per la gioventù italiana. — Saranno 50 volumi, di pagine 360, ad austriache lire 3 al volume. =. Biblioteca del cuore. = Saran- no volumi 12 in carta velina, a lire 3 austriache al volume. Sono pubbli- cati ì primi 2 volumi. = Biblioteca degli artisti. - Saranno tre serie , ognuna di 20 volumi. Prezzo di associazione , lire 3 austriache per vo- lume. = Fasti musicali italiani. = Rossini, Giuditta Pasta, Pagani. ni. — Un volume in tre distribuzioni con ritratti. Lire 3 austriache per fascicolo o distribuzione. = Panteon veneziano. - Saranno ra ritratti litografici di Veneziani illustri, con brevi cenni sulla loro vita, a lire 3 austriache per ogni ritratto. Niccolò Bettoni nel corso di venticinque anni pubblicò cinque milio- ni di volumi dalle sue cinque tipografie di Brescia, Padova, Milano, Al- visopoli e Portogruaro : vale a dire ‘molti più volumi di quello che vi sieno teste capaci di leggerli. Credereste ch’ egli fosse contento ? Quest’ uomo in- faticabile , quest’ uomo benemerito delle lettere italiane , e mal fortunato , eccolo pronto a dar fuori, così per divertimento , in poco più di due anni, (1) Sentiamo ora con piacere che uno principalmente di questi promette di vivere. 608 un cento e cinquanta mila nuovi volumi, ove trovi chi lo soccorra nelle sue imprese. E veramente egli merita di essere favorito da un pubblico ri- conoscente , perchè niuno forse più di lui giovò a rendere popolari gli studi e a diffondere le utili cognizioni: e se ama di ripeterlo ne’ suoi mani- festi, ha ragione, ed ha torto chi non gli crede. Nel Corso di studi , egli si propone di < trovare il più sicuro e fa- cile mezzo , per cui i bennati giovani italiani possano seguire , quasi senza aiuto di maestri , un regolare ed ordinato corso di studi elementari , pei quali sieno abilitati a percorrere poscia quella ualunque carriera a cui la sorte e le circostanze saranno per destinarli. ,, Dalla dissertazione che deve precedere questa biblioteca di opere ele- mentari di quasi tutto lo scibile umano , noi ci faremo un’ idea più chiara dell’ordine e delle intenzioni particolari della stessa. Ce ne lasciano ad ogni modo presagire assai bene , fino da questo momento , ‘i nomi di quelli che presiederanno alla edizione : Malacarne, Mauri, i due Sacchi, Ambrosoli , Cominazzi, Toccagni, Nicolini, Uberti, Arici, Romagnosi. Sotto il titolo di Biblioteca degli Artisti , io propongo di dare alla luce una raccolta delle migliori opere tanto italiane che straniere intor- no all’architettura , la pittura , la scultura , l’ intaglio in rame, in som- ma sopra ogni arte che appartiene al disegno. . Eccellente pensiero , se si. pensa che d’ ordinario queste opere sono ven- dute ad un carissimo prezzo per molti insuperabile , e dal Bettoni si avreb- bero ad un prezzo accessibile a tutti. Ma per effettuarlo , egli ci dice in latino con molto pudore : da udì consistam, che si potrebbe tradurre sfac- ciatamente : < fatemi spalla un mille soci; e andrò innanzi ,,. I Fasti Musicali del nostro secolo non hanno bisogno di essere racco- mandati. Chi non ama in Italia la musica, e i nomi di Rossini , della Pasta e di Paganini ? Le vite di questi tre principi dell’ armonia usciranno separata- mente da tre tipografie in italiano , in francese e in tedesco , e saranno ador- ne de” tre ritratti, incisi da valenti artisti. Se le biografie avranno l’ ombra dello spirito e una favilla del sentimento musicale onde ribocea quella di Rossini scritta dallo Stendhal, al piacere dei lettori non è a desiderare di vantaggio. Il Panteon veneziano è ricco di così bei nomi ch’ egli merita l’ amore e la venerazione di tutti gl’ italiani. Della Biblioteca del cuore parleremo , per amore del titolo , più distesa- mente altra volta. Dall’ Eco. Annali di Statistica, Economia pubblica ec. — Febbraio e Marzo. Questi due fascicoli contengono fra l’ altre cose alcune savie osservazioni del sig. Sacchi sull’Archeografo Triestino : una rettificazione proposta dal me- desimo alla descrizione di ricchezza , rettificazione che certo la migliora, se non la rende precisa e semplice affatto come forse potrebbe : degli avverti- menti dal sig. Sacchi stesso aggiunti alla bella memoria del sig. Poggi stam- pata negli atti de’ nostri Georgofili : una bella pagina del sig. Sacchi ( ci è forza ripetere le molte volte questo nome stimabile ) sopra alcune omissioni da notarsi nella storia d’ Italia del sig. co. Balbo: una correzione importante 69 del Sacchi anch’ essa al quadro statistico d’ Adriano Balbi, che agli stati del Papa dà 30;000,000 di franchi di rendita e 350,000,000 di debito pubblico , mentre che ’1 debito pubblico è di 132 milioni dopo il nuovo prestito dell’anno scorso, e la rendita lorda è di 43 milioni, il terzo de?’ quali assorbito dalle spese di riscossione : contengono delle notizie consolanti sull’ istituto senese de’ sordo-muti , scritte dall’ avv. Nannini; e due lunghi articoli del ch. Ro- magnosi ne’ quali si definisce che cosa è l’ incivilimento ? ; articoli i quali gio- veranno a promovere molte questioni, se non a scioglierle, cosa, nel presente stato , impossibile. Di cinquansette articoli, fra lunghi e brevi, che compon- gono i due quaderni, ventidue riguardano l’Italia : tutti son più o meno pia- cevoli ed utili. Biblioteca Italiana. Il quaderno d’ aprile , oltre a un pregevole estratto dell’ opera calcografica del cav. Cicognara, oltre ad un savio e moderato articolo sugli scritti del prof. Meneghelli , contiene un bel discorso a proposito d’ una ristampa dell’An- dres ; discorso dove lo studio della italiana e di tutte le letterature è consi- derato assai da più alto che molti critici passati e presenti non facciano. L’ano- mimo autore si dà chiaramente a conoscere e allo stile e alle idee. La saggezza e la moderazione virtuosa , lo spirito di toleranza e di concordia che regna sì in questi e sì in altri scritii dell’ annunziato quaderno , lo fanno uno de’ più riguardevoli del giornale, e segnano, oserei dire, una nuova e bell’epoca nell’ andamento della critica italiana. Parecchi articoli di scienze naturali e di filologia e d’arti belle e di scienze morali contiene lo stesso quaderno che noi abbiamo creduto debito nostro ad- ditare con lode schietta » @ 3 diciamolo pure , con gioia vivissima. Pavia. Nuovo lavoro di Garavaglia. — Accademia del nudo. — Ristaura- zione dell’Arca di S. Agostino. = Gabinetto del Marchese Malaspina. L° incisore Giovita Garavaglia che pubblicò non ha molto la Madonna della Seggiola di Raffaello, lavoro allogatogli dal calcografo Bardi, e dopo questa il Giacobbe d’ Appiani, opere che tanto gli accrebbero di riputazio- ne ; sta ora incidendo l’ Assunzione della Vergine di Guido Reni quadro ma- gnifico che è in Genova. E lavoro innoltrato : e fu appunto appositamen- te a Pavia il calcografo Bardi per tirarne delle prove; giacchè Garavaglia , come Toschi e gli altri più distinti incisori non affidano i loro lavori che a questo bravo toscano , mentré non vi è nessuno che possa ‘competere con lui. E ne sia prova l’incisione del Giacobbe , le cui prime copie tirate in Milano non aveano nè forza , nè nitore; giunse Bardi e 1’ incisione parve altra cosa; ei ne tirò oltre mille copie , ed il rame è sì conservato che pare ancora intatto. Non vuolsi tacere a lode poi dell’ incisore Garavaglia e della sua patria due cose: ch’ egli col professore Anderloni instituì a Pavia una scuola di disegno la quale già produsse valenti scolari: ma a questa scuola mancava quella del nudo , e quindi gli scolari non poteano toccare a quella perfezione che solo può dare questo studio. Alcuni cittadini vi provvidero formando una società di azionisti, la quale soccorre alle spese per siffatto esercizio ; e il sucennato Garavaglia vi attende con ogni solerzia. Nella stessa città di Pavia mercè molte azioni dai cittadini si rialza ora TO Ki un magnifico monumento in marmo, del secolo XIV, dedicato a S. Agostino. E il più gran lavoro di questo genere di quel secolo , ed era con grave danno che giaceva negletto. ;E noto e caro alle lettere e alle arti il nome del Marchese Luigi Ma- laspina di Sannazzaro per le opere di vario genere che pubblicò. Esso raccolse ‘un gabinetto di belle arti ove trovansi numerosi quadri de’ migliori maestri dei vari secoli , una ricchissima raccolta di stampe dall’ origine di quest’arte fino al presente , più ottimi saggi di nielli , di lavori in avorio, di vetri co- lorati, e di tutte le arti figurative. Esso ora fabbrica appositamente nella sua patria Pavia un’ accademia ove collocare questi preziosi oggetti d’ arti , siechè valgano a pubblico uso degli studiosi e degli intelligenti. Questo è un vero benefizio ch'egli fa al suo paese, che, siam certi, gliene sarà grato: e cre- diamo meriti essere qui commemorato, perchè, mentre gliene darà lode ogni buon italiano, valga d’ esempio ai signori suoi pari. La nostra patria ha bisogno di lumi sparsi concordemente dai buoni. VARIETA?”. Scoperte. Il sig. Bassi di Lodi, che aveva promesso un nuovo modo di co- moscere quella malattia de’ bachi da seta ch’ è detta calcinaccio o calcinetto , mal del segno , mostardino , cannellino, malattia desolatrice ; propose un asso- ciazione all’ opera sua, fissando a otto lire austriache il prezzo di ciascuno esemplare : ma perchè questa non verrebbe che tardi ad offrirgli un compenso della sua invenzione, egli offre ai proprietari de’ gelsi od ai coltivatori de’ fi- lugelli una delle due condizioni che seguono. Sottoscrivere per una somma ec- cedente il prezzo del libro, a patto di pagarla dopo sperimentata 1’ efficacia del nuovo rimedio. O cedere al Bassi un quinto per esempio del ricolto , per una volta tanto, la qual cessione vada a carico tanto del proprietario de?’ gelsi quanto dell’ educatore de’ bachi. Allora il sig. Bassi, avvisato dagl’ interessati della quantità delle uova che pongono annualmente a covo ; calcolerà 1’ utile che potrà derivargli dalla manifestazione del secreto , e si presterà egli stesso al buon esito della cosa co’ propri consigli, sebbene la lettura del libro sia per riuscire sufficiente da sè. Da questa malattia, che può togliere fin la metà del prodotto, il sig. Bassi libera i bachi in presenza altrui senza che gli astanti pur se n’accorgano ; e ciò per gli studii fatti sul processo di questa caleinazione, i quali lo condussero a tale ch’ egli può fin dare la malattia ai bachi che non 1’ avessero, dando loro da mangiare una foglia che non pare punto diversa dal- l’ altra. Queste son le promesse del sig. Bassi medesimo : ma le condizioni, ch’ egli appone alla sua mercede, son guarentigia della sua lealtà. — Ferdinando Fornara ottenne privilegio per aver migliorata l’arte di spaz- zare ì cammini. E i miglioramenti consistono : in una forbice con protuberanza da ambedue i lati — nel metodo d’ ammorbidir la fuligine con vapori d’acqua per meglio raschiarla == in un vestito a ciò, con maschera al viso e con lastre di vetro , per preservare il lavoratore dal fumo. — Alla fabbrica diretta da Francesco Madrid Davilla in. Milano fu dato privilegio per il ritrovato d’ una macchina da fabbricare le punte de’ denti nei pettini. Premi ed onori resi al merito. L’ Ateneo bergamasco di scienze , lettere e arti si aggregò lo scultore Marchesi. ZI — Il consiglio comunale di Como decretò l'erezione della statua del Volta, Tra i disegni fu scelto quello del sig. Durelli : Marchesi sarà lo scultore. Il monumento verrà collocato sulla più grande piazza della città. Educazione. L’Ab. Raccagni, già professore di fisica nel liceo di s. Ales- sandro in Milano, lasciò per testamento un premio da darsi ogni anno a quello studente di fisica nel detto liceo, che meglio saprà rispondere in iscritto al quesito proposto da una commissione di dotti a ciò scelti. L’ istituzione ha il suo effetto; ma il giudizio della commissione dev’ essere approvato dall’I. R. Governo. — Il Governo austriaco apre un concorso per la compilazione d’ un trat- tato di pedagogia , specialmente adattato alle scuole del regno Lombardo-Ve- neto. Il premio è di 1oo zecchini, a patto di cedere allo Stato la proprietà dell’ opera. Una cattedra di pedagogia non so quanto sia necessaria ; ma un libro di pedagogia potrebbe pur essere un bello e buon libro. Commercio. Fra il governo austriaco e quello d’Annover fu conchiusa con- venzione, per cui ne’ porti de’due stati la bandiera de’ due governi sarà trat- tata ad uguali condizioni. Questi trattati , che dovrebbero essere un’ ovvia e implicita conseguenza del diritto delle genti, speriamo saranno estesi tra poco a tutti i popoli della terra. Teatri. Il valente scrittore melodrammatico F. Romani pubblica in sei vo- lumetti i più scelti tra i drammi suoi, quali egli li compose, non quali i maestri o i cantanti li vennero mutilando. « Un discorso preliminare , dic’egli , mostrerà in quale abiezione fu da me trovata l’ opera per musica , e con quante difficoltà ho dovuto combattere per farla comparire men disonesta ; indagherà le cagioni per cni cadde in dispregio , e indicherà i mezzi per »» restituirla in onore. Tutti i melodrammi saran corredati delle opportune s, MOtizie ; le quali , insieme col discorso , verranno a formare una storia del 23 55 23 >» teatro musicale di questi ultimi tempi ,,. VENEZIA. Dizionario classico di Medicina. — Nuovo fucile. — Assicurazioni per gli artisti. Il dizionario francese di medicina , di chirurgia , d’ igiene , compilato’ dai chiarissimi Adelon, Andral, Béclard, Biett, Breschet, Chomel,. Gloquet, Coutanceau , Desormaux , Ferrus, Georges, Guersent, Jadelot , Lagneau , Landré Beauvois, Mars, Marjolin, Murat, Olivier, Orfila ; Pellechon, Raige Delorme , Rayer , Bichard, Rochoux, Rostan , Roux , Raullier , per la prima volta ci viene tradotto dal sig. Levi ; tradotto con giunte, riguardanti spe- cialmente la. medicina italiana. Merita d’ essere annunziato 1’ invito che fa il traduttore, e il coraggioso editore Antonelli a tutti i dotti italiani, perchè con le cure loro concorrano a rendere l’opera sempre più piena e compiuta. Sa- rann° eglino ilor desiderii soddisfatti ? O toccherà ‘a questo pure la sorte di simili inviti ®?_ + Speriamo che no. Dall’ arte di guarire a quella di ferire è naturale il passaggio, e voi 72 sapete perchè. Feho era il dio della medicina e il dio dell’arco d' argento. Per nove giorni continui egli saettò il campo Achéo: e per sei scariche 1’ una dietro all’ altra potranno i nostri guerrieri , grazie all’ invenzione del sig. Rosaglio, ingegnarsi di liberare i loro fratelli Da questa morte che si chiama vita. Lo schioppo del sig. Rosaglio , esposto già in Milano e in Venezia , premiato, privilegiato, fu posto a sperimento dal comando genera] di marina nel campo di S. Francesco della Vigna , e con esito felicissimo. Felicissimo ! Già nell’ arsenal di Venezia si osserva una macchina simile composta di sei piccole canne che corrono intorno a una canna più lunga : ma la mac- china antica è pericolosa ed incomoda ; quella del sig. Rosaglio offre la co- modità di ammazzare bestie e cristiani con più sicurezza che non collo schioppo comune. Son sei cannette lunghe quattro dita trasversali, disposte in cerchio , e 3’ aggirano sopra un pernio, e vanno l’ una dopo l’ altra a incastrarsi in una lunga canna: un manubrio, che si tiene colla sinistra, regge 1’ arma comoda- mente al viso; e mosso innanzi e indietro, fa mutar sito alle canne senza che bisogni mover punto lo schioppo dalla mira. Pesa quant’ uno degli schioppi comuni a due canne, si ricarica prontamente con un battipalle fermo nel mezzo delle cannette, e che si gira a piacere, sovra la bocca di ciascuna di loro. Fu inventato per: uso di caccia: ma l’ associazione delle idee è la qualità che distingue l’ uomo dal bruto. Presiedeva all’ esperimento una commissione di militari valorosi’, tra’quali il contr’ ammiraglio co. Vincenzo Dandolo ; e vi assistevano molti militari e dilettanti. di caccia. Le sei scariche si facevano in cinque secondi; e le sei can- nette si ricaricavano nel tempo che un soldato caricava e scaricava due volte il suo schioppo. Per provar la portata dell’ arma , il bersaglio fu passato a cencinquanta passi da tredici palle : e notate che lo schioppo del sig. Rosaglio non è a palla forzata. Rallegriamoci, mio caro amico , di queste micidiali scoperte. L’arte della guerra diverrà tra non molto così perfetta che non si potrà più esercitare ; e i San-Simonisti avranno vinto ; vale a dire avrà vinto quella dottrina che diciotto secoli innanzi annunziò la pace alla terra. Il nuovo fondo che a Venezia s’ istituisce per assistere le famiglie degli artisti del nostro principale teatro, mi richiama all’ animo la imperiosa neces- sità di provvedere in modi varii, ma stabili ed efficaci, ai bisogni degli ar- tigiani o vecchi o impotenti o malati , e delle loro famiglie. Converrebbe de- terminare un sistema di corporazioni che non nuocesse punto alla libertà del- l’ industria, ma che ‘assicurasse i presenti e i futuri interessi degli artigiani , dell’ arte, e della società. Meditateci; io ci ho già pensato. Università. mi Giornali. = Giudizi sull’ Italia. Non vi dispiaccia se talvolta io vi comunico notizie forse non molto degne del vostro riputato giornale : ma se importanti non paiono per sè stesse, certo il fine per cui ve le comunico può esser tenuto importante. Quand’ io vi dirò per esempio, che in Padova gli studenti dell’ università diedero una festa da ballo ai cittadini, voi riderete della mia diligenza nell’ avervi informato di sì preziosa particolarità: ma di grazia ascoltate il commento. L’università, sem- pre finora in lotta con la città di Padova, e gli studenti disprezzati e fug- 73 giti da tutti fuori che da qualche ragazza soverchiamente filantropa , erano oggetto di dolore e insieme di rossore a chiunque considera come propria vergogna tutto ciò che fa torto alle speranze avvenire della società e della patria. Ora comincia a sorgere un po’ di fiducia: e questo è buon segno, perchè dimostra che negli scolari incomincia a pulirsi quella rozzezza che sì male li dispone ad essere custodi delle nostre case e dei nostri diritti. Egli è ben vero che io vorrei questa fiducia dimostrata meglio che con feste da ballo : e perciò appunto vi scrivo , perchè voi nella vostra Antologia propo- niate i più opportuni mezzi e più convenienti di affratellare la nostra gioventù con la parte più matura e più colta della società , di avvicinare la dottrina crescente alla già provetta , e i poveri più ingegnosi ai ricchi meno inurbani ; di congiungere ne’giovanili trattenimenti agli esercizi del corpo quelli del cuo- re, e fare che gli uomini si uniscano per amarsi non per tradirsi, per migliorarsi scambievolmente e non per corrompersi. Gettando l’ occhio sulla nostra gazzetta ch’ io non son disposto ad ammi- rare per amore di patria, trovo che quel notarvi il nome e l’età delle persone, che muoiono di giorno in giorno, è consuetudine che gioverebbe imitare. Que- ste note raccolte ,.e confrontate tra loro, darebbero sulla vitalità e sulla morta- lità de’ varii paesi, delle varie stagioni , dell’ età varie e de’ sessi , molte os- servazioni importanti , e da arricchirne veramente la scienza medica e 1’ eco- nomica. Finalmente chi potesse ad esempio del vostro giornal di commercio e del nostro gazzettino e della gazzetta di Genova e del diario di Roma, , ma con più precisione e costanza, notare gli arrivi e le partenze de’ bastimenti, i ca- richi, le direzioni del viaggio , lo stato de’ prezzi e de’ cambi, delle fiere e de’ raccolti , offrirebbe gli elementi di un eccellente prospetto da pubblicarsi di semestre in semestre. Ma le cure di un uomo solo o di pochi non bastano : e in questa Italia è molto facile trovar degli uomini che si occupino , ,ma tro- varne che s’ occupino ad un fine comune , difficilissimo. Ma io non ho ancora finito di parlar di giornali. In un foglio francese, il Deébats , leggo una novità singolare; ed è: che ai tre comici italiani Ma- chiavelli, Ariosto, Aretino, non altro successe che Ze pale et fade Goldoni. Preporre le commedie dell’ Ariosto a quelle del Goldoni è soverchia modestia. Dire che il Goldoni è scolorito e scipito, non è certamente un delitto ; ma non è cosa da dirsi due volte. Si può rimproverare al Goldoni 1’ ineleganza dello stile, de’ caratteri talvolta esagerati , molta negligenza , e qualche goffaggine non sua ma del secolo : ma scipitezza e languore, oh no certamente. Dei giu- dizi degl’ oltramontani sull’ Italia non è , per dir vero, da fare gran conto: il male si è che questi torti o precipitati giudizi dimostrano come l’Italia è mal conosciuta. E tale ignoranza , in un secolo qual è il nostro , può portar seco molt’ altri inconvenienti più che letterari od estetici. Da questo punto io con- sidero quelle due parole del valente critico francese ; e così considerate, mi fanno dispiacere assai più che dispetto. VARIETA”. Ateneo di Venezia. Nell’ adunanza del 30 di aprile il sig. Sagredo lesse I° elogio di Giustina Renier. Furono presentati in dono i seguenti libri: Estratti di relazioni e osser- T. VI. Muggio. Io 74 vazioni compilate dai medici spediti dalle provincie venete per conoscere l’an- damento e la cura del cholera morbus. — Ragionamento del co. Diedo, nel quale si cerca come la facilità del comporre non produca negligenza , e il molto stu- dio non sia a danno della naturalezza. = Memoria del prof. Svegliato , della diffusione e studio del latino in Europa da Carlo Magno in poi , e congetture del futuro suo stato. In quella del 7 maggio il dott. Zannini lesse un saggio sulla vita e gli studii della Michiel. Nel 14 il sig. B. Gamba lesse: della letteratura vernacola veneziana. Nel 21 il prof. Federigo fece leggere una sua memoria sulla Cianosi o morbo ceruleo. Il sig. Neu-Mayr fece presente de’Cenni sulle antiche stampe classiche dal Finiguerra al Baroccio ; il sig. Conti, del Saggio sul rapporto tra le vicende della medicina e quelle della civiltà; il sig. Czernig l' opera tedesca sul Porto franco di Venezia, con notizie sul commercio marittimo degli stati austriaci, e sulla loro industria paragonata con quella dell’ Inghilterra e della Francia. — Belle Arti. Il tempio di Possagno da Antonio Ganova eretto nella sua povera patria, compito nel 1830, fu aperto non è molto a uso di parrocchia dall’ egregio fratello del grande scultore , che a sue spese condusse magnifica la pompa, in mezzo a foltissimo popolo accorso da tutti i luoghi vicini. Festa dop- piamente religiosa ! Elisabetta Bressa di Padova, che fin dall’ età di quindici anni dimo- strava mirabile amore alle arti del disegno , ora in età d’ anni diciassette diede bel saggio di sè con la copia dell’Aurora di Morghen, grazioso lavoro. L’ab. Pa- strovich in vederlo dettò un epigramma, dove fa dire all’Aurora: ‘Io che nunzia del giorno il carro affretto , Un meriggio di gloria a te prometto. Possano 1’ arti del bello ricevere dalle donne quell’ ispirazione di vita che in tanti degli uomini comincia a languire,. Astronomia. Il passaggio del pianeta Mercurio sopra il disco del sole, avve- nuto il 5 maggio, è stato compiutamente osservato nel Reale Osservatorio di To- rino. I dati più importanti che somministra questa osservazione sono i seguenti : Nell’ ingresso , avvenuto , verso le ore 9 e mez. del mattino, gli istanti pre- cisi, osservati con un orologio regolato sul tempo sidereo, sono: il contatto esterno a ore 23’ 20”, ed il contatto interno a ore 26° 26”. Nell’ egresso, avvenuto verso le ore 4 e un quarto pomeridiane , il contatto internò ebbe luogo a 7 ore 10° 6”, ed il contatto esterno a 7 ore 13° 19” di tempo sidereo. La differenza in ascensione retta fra il centro di Mercurio ed il centro del sole era di 5” 97 ( in tempo ) nel preciso istante di mezzodì. Dessa è stata os- servata col cannocchiale del circolo meridiano , mentre si misurava con un cir- colo moltiplicatoré la differenza in declinazioni dei medesimi centri, la quale si trovò di 8° 38”. Nuovo gabinetto di lettura. A Vicenza si è ordinato un nuovo gabinetto di lettura : ha più di cento venti soci fra i vicentini, che tengono un lodevo- lissimo spirito di associazione. Vi sono in questo gabinetto tutti i migliori gior- nali , molte opere nuove : ed è sempre frequente di giovani soci che desiderano istruirsi colla lettura e coll’ utile conversare. Valga 1’ esempio per altre città della parte settentrionale d’ Italia. PARMA. Relazione del tremuoto che ha danneggiata la Città di Parma ed i luoghi vicini nel mese di Marzo 1832. Erano scorsi più di 13 anni che il tremuoto non si era fatto sentire in queste contrade (1), quando nella passata estate cominciò ad infierire replica- tamente , per cui tutti quanti gli abitanti ne rimasero atterriti in orribile modo. Le prime scosse accaddero nel giorno 13 luglio, ma furono piuttoso leggiere e di ondulazione; ma nel giorno seguente alle ore 3 e mezzo pomeridiane esse divennero sì violente, che staccarono persino l’ intonaco esterno di molte case e ‘fecero sortire alcuni abitanti fuori di città ....... Passarono quasi due mesi che la terra parve. rassodata perfettamente , ma in tutto quel frattempo fummo desolati da turbini spaventevoli , da grandini sterminatrici e da uragani fulminanti che gli uomini anche i più vecchi non viddero gli eguali ; basta il dire che nella notte dei 18 agosto in meno di 2 ore venti villaggi situati al S. SO. di questa città furono rovinati quasi intieramente da una grandine enorme; da un vento turbinoso e dalle saette che ripetevansi orrendamente di/10 in 10 minuti. Nella sera degli 11 settembre alle ore 7 e un quarto si sentì improvvi- samente un’altra violentissima scossa di terremoto che durò più di 8 minuti se- condi nella direzione del NE. al SO. Essa cominciò con un movimento ondu- latorio e quindi sussultorio pronunciatissimo ed accompagnato da un. fragore assai somigliante alla detonazione di un cannone in qualche lontananza. Tutte quante le case traballarono , (40 e più fummaioli precipitarono nelle strade, un pezzo di cornicione , piastre di marmo grossissime , e gran quantità di tegole rovinarono in più luoghi. In molte chiese le volte si spaccarono : in S. Quintino 3 grosse catene di ferro che attraversavano il largo del coro, sortirono dal. muro più di 4 pollici dal lato di NE. e la maggior parte delle aste delle banderuole poste su diversi casamenti, furono inclinate nella dire- zione opposta del tremuoto. Nei villaggi adiacenti i danni furono maggiori, specialmente a Sorbolo dove alcuni individui furono leggermente feriti. Pri. ma della scossa alcuni osservarono che molti cavalli nitrirono ( era giorno di Domenica ) ed i cani fuggirono per le strade ululando , come se fossero stati inseguiti. Dopo il tremuoto il barometro segnava poll. 27 ; 11, 5, (2) il termometro R. gr. 15, 2 e l’ anemoscapio segnava un SO.: il cielo era perfettamente sereno , solamente la parte di ponente estivo era occupata da una luce infuocata dell’ altezza di 18.° circa che fu sempre costante dopo i pri- mi giorni di agosto. Nella sera stessa e durante la notte si risentirono al- tre piccole scosse e nella mattina seguente del 13 alle ore 6 precise un’ altra che durò quasi 4 secondi. Dalle notizie che ne pervennero si vide che in altri luoghi anche distanti , la scossa delle 7 e un quarto fu sentita, ma debolissi- (1) IVell’ anno 1818 nella sera degli 8 dicembre alle ore 7 si sentì una sensibile scossa, che venne risentita più debole nel primo giorno di Febbraio del 1819. (2) Mella mattina del 10, il barometro era basso a poll. 27; 8, 5 e l’acqua dei pozzi e delle fontane si trovò torbida assai : il sole era pallido e una forte elettricità dominava nell’ atmosfera. SL 70 ma , per cui stando al fatto positivo vediamo essere stato tale scuotimento per- > fettamente centrale tra il Parmigiano ed il Reggiano. Nel mese di novembre a Fornuovo e luoghi limitrofi furono sentiti i tremiti della terra, che continuarono per alcuni giorni; inoltre fu osservato che 1° atmosfera era quasi sempre velata da una caligine asciutta e quasi pol- verosa. Durante il tremendo flagello di Foligno ( 13 gennaio ), noi pure sen- timmo più d° una scossa, ma appena percettibile ; solamente in quel frattempo il barometro fu sensibilmente oscillante all’ abbassamento fino dal giorno tt, ma questo fenomeno fu in altre città d’ Europa sotto differenti latitudini osser- vato , sebbene fossero esenti dalle scosse. In quel nese come nel febbraio non si ebbero grandi variazioni nell’ atmosfera , poichè furono pochii giorni di piog- gia e di neve e conseguentemente l’ igrometro di Saussure si sostenne allo stato medio. I primi 5 giorni di marzo furono sereni perfettamente col barometro ele- vato : nel giorno 6 insorse un forte vento grecale che portò un poco di. piog- gia , la quale , benchè interrotta, continuò ne’ giorni seguenti ; nella matti- na poi dell’ 11 alle ore 7 e min. 55, mentre il cielo era coperto da oscure nubi piovigginose provenienti dall’ E. SE., si sentì una sensibile e lunga scossa di tremuoto ondulatoria nella direzione del S. SE. al N. NO., la quale venne poscia seguita alle ore g e min. 50 da un’ altra violentissima della durata di 6 a 7 secondi , accompagnata da cupo fragore e da un moto misto di orizzontale e verticale , che ne’luoghi alti od isolati non era per anco cessato alle ore 10 e un quarto. La sua direzione fu dal SE. al NÒ. Molti fam- maiuoli. caddero in parte , e si fecero dei crepacci in alcuni edifizi, ma nessuno fu colpito nella persona. Verso le ore g della sera e alle 5. mat- tutine del giorno 12 altre piccole scosse ; e alle 9g e 45 minuti un? altra della durata di 3 secondi circa e colla direzione delle antecedenti : un vapore denso ingombrò il cielo durante la giornata e nella sera con un leggero vento di SO. e dal lato di SE. si viddero dei fuochi meteorici. Verso la mezzanotte la Luna era circondata da un aureola informe di colore nero sanguigno la quale si andò dileguando verso le ore .3, tempo in cui 1’ atmosfera , divenuta più tranquilla, prese a poco a poco un colore ros- siccio che alle 3 e mn quarto era infuocato e nel tempo stesso si sentì la terra a tremare col solito rombo che svegliò la maggior parte di questa popolazione. Subito dopo il cielo si oscurò , e solamente la Luna, che era vicina al tra- monto , tramandava attraverso la nebbia 1’ ultimo raggio che leggermente pin- gevasi sulle alte torri e su gli edifizi esposti alla parte occidentale del cielo. Alle ore 4 e un quarto tornò la luce infuocata e dopo 5 minuti ; con cupo rombo strisciò un lampo vivissimo unito ad una fierissima scossa di tremuoto che durò quasi 10 minuti secondi : il suo movimento fu da prima ondu- latorio accelerato e quasi avvicendato da fortissimo sussulto che parve sce- mare , ma che rincalzato.più deciso a tutta forza , terribilmente sconquassò ogni più sodo edifizio , portando per tal modo nel cuore degli abitanti il col- mo del terrore! Dopo pochi istanti la terra tornò a tremare col solito rom- ho ed in allora la maggior parte delle persone più atterrite fuggirono. ra- pidamente all’ aperto, ed in quel momento si viddero taluni girare nelle pub- bliche passeggiate colla semplice camicia. I fabbricati tutti quanti più o meno furono danneggiati gravemente. Quasi due mila fummaiuoli rovinarono parte nelle strade e parte nell’ interno delle CATA case e nelle corti, i tetti di tre o quattro casupole si sfondarono , spac- caronsi in ampie fenditure molti muri e volte, tra le quali quelle dello scalone del palazzo del sig. Poldi Pezzoli che precipitò. Tra gli edifizi che furono più maltrattati dal tremendo scuotimento , contansi il Gonvento dei PP. Benedettini una parte del quale divenne inabitabile ; il palazzo delle Se- greterie , quello dell? Amministrazione delle Finanze, 1° Università , il palazzo del Tribunal civ. e crim., le chiese di S. Uldarico , la Steccata, S. Rocco, 1’ Annunziata, S. Quintino, S. Triburzio, S.Maria e S. Groce ec. Dalla sommità della facciata di S. Giuseppe caddero due grossi vasi di marmo di for- ma etrusca che profondaronsi nel terreno sottoposto per alcuni piedi, e da quella di S. Antonio , della Madonna del Ponte, della Steccata e di S. Giovanni dei pezzi di marmo di singolare grossezza. Nell’ altissima torre di S. Giovanni si scostarono dalla perpendicolare due guglie con globi enormi di marmo che furono atterrate il giorno apresso per ordine del governo; e in quella di S. Se- polero , nella cui estrema elevazione sono collocate 4 grosse, spranghe di ferro con 4 lettere che rappresentano i principali punti dell’ orizzonte , le 2, che se- gnano il meridiano , cioè il N. e ’1 S. si suno curvate, mentre le altre due sono quasi nel primiero stato (3). Nella casa di forza cadde verso le, 6, ore una volta sulla quale \eranvi 5 prigionieri , ma per loro fortuna salvarono la vita, provando solamente danno di poco momento ; nel rimanente della città non vi furono che alcuni individui, leggermente feriti. Dobbiamo ringraziàre l’Al- tissimo perchè sì tremendo flagello sia succeduto di notte, altrimenti quante vittime ! Notizie del contado portarono che a $. Leonardo cadde un pavimento, un altro a S. Lazzaro, dove due. o, tre individui rimasero contusi ; in questo, stesso comune , l’ albergo detto del Portone rimase inabitabile. A. Poviglio, cadde un tetto e a Traversetolo fu danneggiata principalmente la chiesa, parrocchiale , precipitando pezzi della volta, e, nel rimanente, del paese dirroccarono alcune case e. tutte quante le altre furono sconquassate .orribilmente. Anche colà vi furono diversi feriti. Nell’ oratorio di S.Pietro in Marciano cadde la volta intiera e le. case. provarono, danni ragguardevoli: nel comune di Rossena, il sasso enorme che era di, sostegno al maschio del castello ,,si spaccò in più luo- ghi , cosicchè. minacciava rovina ad una borgata sottoposta, ma dopo superiori disposizioni , si fa presentemente saltare colle mine. Presso la canonica di detto luogo formaronsi delle, fenditure nel terreno le quali, girano per circa 2. mi- glia all’ intorno dei;beni barrocchiali ed ‘altrui. I danni sono immensi ec. ec. Alle. ore 6 pomeridiane del, giorno stesso 13 si sentì una piccola scossa (3) Alcuni pensarono che V’ inclinazione di queste due spranghe verso il suolo . potesse dipendere dal magnetismo , dall’ elettricità , ec.; ma, ben considerando , sì smentisce quella supposizione e si vede che la cosa è pura- mente meccanica. Queste 4 spranghe sono assicurate al perno della cupola mediante fasciature di ferro, e tenute orizzontali con cuvicchie simili con- fitte nelle fasciature suddette. a forza di martello. Le due spranghe che cur- varonsi , sono collocate superiormente alle altre e per conseguenza meno rassodate : il moto di sussulto sì pronunciato del tremuoto ha fatto che le ca- vicchie si sona innalzate , e il loro sporto, unito al peso delle lettere , le ha fatte un poco piegare. Presentemente anche le due vanno di giorno in giorno ripiegandosi verso le estremità esteriori, 78 a i ondulatoria e questa fu la cagione che tutti quanti si allarmassero , per cui temendo una rinnovazione del flagello, pensarono di mettersi in salvo nella notte ove sì ricchi che poveri si ricoverarono nelle piazze , nei pubblici pas- seggi , nelle spianate , nei baluardi, ec. chi racchiuso in carrozza ; chi sotto carri , chi sotto tende e baracche d’ ogni genere. Alcune, scosse ebbero luogo nella stessa notte ma debolissime ; ma alle 8 e min. 41 della mattina seguente se ne sentirono due di pronunciatissimo sussulto ; per cui anche in quella notte molti abitanti pernottarono all’ aperto: tre scosse difatti replicarono, 1’ ul- tima delle quali fu la più sensibile ed accompagnata da lampeggio. Inoltre si vuole che in quella notte la terra ondulasse continuamente: Nella giornata del 15 gli animi sembravano generalmente un poco rinfrancati ,, per cui quasi tutti si ritirarono nella città alle loro case. Piccole scosse ondulatorie nelle notti del 15, 16, 17, 19, ar e 28 colla solita direzione, eccetto l’ ultima che deviò un poco all’ oriente. Il numero totale delle scosse, cominciando dal giorno 11 al 28, am- monta a = 25. Il danno medio per la sola città di Parma è di un milio- ne di franchi. Dopo il forte tremuoto delle ore 4 e min. 20, il ‘barometro segnava nella Specola dell’ Università poll. 27, 10, 5 ed il termometro R. + 5, 5. I pozzi della città' si trovarono generalmente alti di livello, anzi un sacer- dote toccava dal primo piano colla mano 1’ acqua del proprio. In alcuni luoghi di campagna usciva l’ acqua dalla terra e specialmente in alcune cantine chè era anche torbidissima. È notabile che nell’ atmosfera , durante i primi 4 giorni ( dall’ 11 al 14 ) non vi era elettricità percettibile , sebbene venisse esplorata e colla fiamma e col condensatore. Solamente nel giurno 15, dopo una leggera pioggia , ella fu sensibile all’ elettrometro armato di asta metallica acumi- nata e col soccorso di un zolfanello acceso. Ne’ luoghi aperti od elevati , si udiva nelle prime giornate un sordo rumore. nell’ atmosfera che potrebbe as- somigliarsi alla detonazione di molti cannoni sentiti in qualche lontananza ; e gli animali tutti erano inquietissimi e spaventati (4). Nel Reggiano o poco lungi sembra collocato il centro di questo terribile fenomeno , perchè ivi ha infuriato al massimo segno e prodotti casi veramente lagrimevoli. A Bologna e a Lucca le scosse furono appena percettibili e molto meno, ne’ paesi limitrofi. Così dicasi della maggior parte della Toscana che an- dò esente affatto , ciò che fa supporre che questo tremuoto sia stato estraneo a quello di Foligno e Catanzaro. Nella notte istessa fu sentito lo scuotimento a Milano , Pavia, Cremona, Verona, Mantova; Venezia; Torino ec. e per- fino a Genova e Lugano, ma in nessuno di detti luoghi produsse danni ri- marcabili. A. Cocna. (4) Alcune scosse si’ sentono ancora di tratto in tratto ma assaîi deboli le quali però tengono una certa estensione ; le più sensibili furono nella notte dell’ 11 al 12 del corrente Aprile, e alle 3 e un quarto del giorno 19. L’ atmosfera è costantemente velata dalla mattina alla sera , ma domina po- chissima elettricità nell’ aria. 79 MODENA. Istituti e atti di beneficenza. == Il sig. dott. Moscatelli pubblicò in Reg- gio un discorso sui Sordo-muti , dove attesta d’ essere stato dal governo inviato a’ primarii stabilimenti d’ Italia e di Francia, per raccoglier notizie. L’ A. omette di rammentare lo stabilimento per le sordo-mute aperto nel 1822 , che ne conta ora diciassette , e altre di quest’ infelici a cui si provvede con edu- cazione privata. Il prof. Fabriani , primo istitutore de’ sordo-muti in Modena, ragionò di queste cose nell’ opuscolo sui berefizi della religioue cristiana a istruzione de’ sordo-muti. — Nel recente tremuoto la sola città di Reggio ebbe danno di un milione e mezzo di lire italiane : nella qual somma ai poveri toccò la perdita di lire 180,000. E nominata una commissione per raccoglier le offerte della carità. Quelle che furon raccolte a soccorso dei poveri di Fuligno ascendono a lire italiane 8811. Accademie. Nell’ accademia delle scienze , lettere e arti, il sig. pro- fessor Bianchi lesse una memoria sull’ influenza che si attribuisce da’ fisio- logi alla bile nel processo della chilificazione ; conchiudendo col confermare l’o- pinione dell’ Haller sul concorso della bile nel detto processo. L’ altro sig. prof. Giuseppe Bianchi lesse una descrizione dell’ ecclissi to- tale della luna avvenuta nel 1830. ROMA. Archeologia. — Nell’ adunanza dell’ accademia d’ archeologia , il cav. Vi- sconti, segretario perpetuo , riferì intorno a un singglar monumento , presentato dal march. Crosa di Vergagni , ministro del re di Sardegna : monumento che a giudizio de’ sigg. Sarti e Lanci, è del secolo XIII , da attribuirsi o a’templari od agli arabi. Il prof. Lanci vi scorge una copia del famoso Eleogabalo, pie tra adorata in Siria come imagine del sole, della qual parla Erodiano ; e spiega le figure del monumento come tante allusioni al. corso solare. Indi il dot. Fea ragionò sulla casa aurea di Nerone, e sulla torre Cartularia, recentemente distrutta. Disse d’ avere scoperto di dove partiva il gran ponte che congiungeva la casa imperiale del Palatino all’altra sul monte esquilino ; appunto dov’era la detta torre. Fece di questi la storia ; come fosse fortezza de’Frangipani nel tempo delle guerre civili , nelle quali alcuni pontefici v® ebbero asilo ; come Gregorio IX la devastasse : ne raccolse insomma tutte le più importanti notizie. In altra adunanza della stessa accademia il sig. cav. Visconti illustrò un’ an- tica epigrafe in bronzo dedicata a Mercurio Augusto , e mostrò questa esser me- moria di offerta fatta a Mercurio da’ Seviri Augustali della colonia setina. Raro monumento rinvenuto nei dintorni di Sezze. Arcispedale di S. Spirito. = Roma, Aprile 1832. Voi sapete che il nostro grand’ Arcispedale di S. Spirito contiene tre fa- miglie : infermi , esposti e pazzi. Eccovi i dati statistici d’ esse nel 1831 scorso. ' 1831 GORSIE DE’ FEBBRICITANTI RIMASTI il 1." Gen. S. Carlo, braccio nuovo e Gran Corsia Spedaletto de’ Feriti . . Sala degli Operati. . . Spedale de’ Tisicloeggio Sala per gli Scorbutici. | Sala Clinica Sala de’ Cronici l Iofermi di Famiglia. . £ (e°) (ee) 4 5 (S) BS RIMASTI IL 1.° GEN. 1831 Land n (è) (7) < È In S. Spirito 5) : In Viterbo 59 Esposti in tutto il 1832 Somma SÌ in campagna 1176 Somma 1512 Legittimi renduti ai ge- Da latte 380 Concessi ad arte d Usciti da Viterbo adulti Slattati 1132 Rimessi in Conservatorio Morti a balia e in $. Sp. Torna la Somma 1512 Rimasti pel 1832 In Viterbo 12 Torna la Somma Totale 1524 RIMASTI RIETI 52 13 fav; 25 12 Totalel 364 77 Dunque il 1832 presenta un aumento di 228 Infermi , 36 Esposti, 21 Pazzi. VARIETA”. Tremuoto. Dal cinque al quindici di marzo si sentirono continue ma leggere scosse in Perugia. Dal vicino colle di Torgiano insino a Fuligno furon veduti moltissimi fuochi vaganti per 1’ aria. La notte del 12 verso il 13 quattro furon le scosse e fortissime: e le due più forti, una alle due, l’altra verso le cinque. Questa durò dieci minuti secondi. Fu leggiera in Fuligno, ma da Fuligno a noi finì di rovinare ogni cosa. Cannara , Bevagna , Bastia, Assisi, soffersero molto. Arti. Il sig. Luigi Canina piemontese, professore d’architettura, in beneme- renza delle opere pubblicate sull’ architettura greca e romana e della sua dili- gente descrizione di Roma antica , ebbe in dono da Gregorio XVI quattro me- daglie , e 1’ ordine dello Spron d’ oro. —- L'architetto sig. Luigi Rossini pubblica gli Archi di trionfo degli an- tichi Romani, e cinque principali vedute di S. Pietro: la prima delle quali rac- colte non fu mai da alcuno data compita nè con disegni architettonici: Pietro Santi Bartoli solo ne diede la parte figurativa che il Bellori illustrò. L’autore ha ir animo di dare oltre agli archi di Roma quelli d’ Italia tutta, e farvi conoscere le diverse epoche dell’ arte ; cosa , dic’ egli, omessa nell’ arco di Co- stantino, i cui bassirilievi non tutti son dell’età di Trajano, e ve n’è da ascri- versi al tempo dell’ arte già decaduta. Ogni arco magnifico formerà un fasci- colo di dieci tavole ; e i più semplici, di quattro a cinque : tutto inciso a con- torni, con un foglio d’illustrazione per ogni fascicolo : e i fascicoli saranno da quindici a diciassette. L’autore è già noto per la sua opera di Pompei in set- tantacinque gran rami, e per l’ altra dei romani monumenti dal decimo secolo al decimottavo. î — {l poeta estemporaneo sig. Luigi Cicconi nell’ Accademia di Perugia improvvisò un Antonio Foscarini ei n° ebbe in premio medaglia d’ onore. In An- cona l’ Ippolito , in Pesaro la Francesca da) Rimini. » % ROMAGNA. Da lettere. Il bolognese sig. Gaetano Canuti propone di rintracciare tutti i monumenti di arti belle, che sono tuttora inediti nella sua patria, disegnarli fedelmente, e comunicarli all’ Italia innanzi che vadan perduti: opera utile e agli artisti e agli amatori degli storici monumenti. Ha già compiuto di disegnare le pitture dell’ oratorio di San Rocco; illustre lavoro della scuola de’ Garacci: e a’ di- segni aggiunse una prefazione, con cenni che illustrano il soggetto ne’rami trat- tato. Questo raccogliere e pubblicare e illustrare i monumenti , sian di lette- ratura sian d’arte, questo riparare, come meglio è possibile, la negligenza grave con cui si conservano e sì riguardano dagli italiani le cose patrie, mi pare esem- pio degno che l’Antologia lo commendi, e v° aggiunga le sue lodi, i suoi de- siderii, tutti que’ sentimenti de’ quali a lei spetta rendersi in Italia interprete degna. T. VI. Maggio II 82 A proposito d’ arti, vi dirò che \la Pinacoteca del Vaticano s’ è arricchita d’ un nuovo Coreggio. Il quadro presenta il Redentore seduto sull’ iride , cir- condato da Angeli , stendente le braccia in atto d’ accogliere 1’ umanità. Lavoro ordinato dal comune di Coreggio, poi passato a Venezia , e da Venezia a Bo- logna : lavoro non de’ più finiti, ma certamente del Goreggio, e pregevolissimo. Tale lo dicono i monumenti storici , tale 1" attestano i dotti dell’ arte, I soccorsi finora giunti a consolare gl’ infelici paesi desolati dal tremuoto son lievi al bisogno ; son grandi, se si guardi alla miseria de’ tempi. Ginquemila scudi dal Governo, mille dal Papa, quattromila e più raccolti in Roma, dal comune di Spoleto trecento, da varie diocesi dello stato più di 4600: in tutto 15,700. Dal Ponte di Lago Scuro a Venezia, è, grazie al cielo, stabilita la navi- gazione a vapore. La nuova barca l’ Ote/lo passerà anco pegl’ interni canali. Da Venezia si parte due volte alla settimana, e due dal Pante ; e in sedici ore fa il viaggio montando , in dodici scende. Dodici lire è il maggior prezzo del posto. Questa:novità mi rallegra quanto 1’ annunzio di una bella scoperta. Vi annunzio inoltre una bella operazione chirurgica del vostro Bellini ,: ora in Lugo, che sopra una inferma di carcinoma all’ utero , e disperata da tutti i professori italiani e stranieri , eseguì una difficilissima. operazione con rara destrezza , segnatamente col mezzo del suo cucchiaio tagliente, strumento semplicissimo ed efficacissimo. Il sig. Rosi rettore del collegio di Spello presso Fuligno, insieme col sig. Inconnati, promettono un Introduzione ad un corso di studi elementari, che pare voglia esser dettata con intenzioni nuove e pratiche. Cose necessarie am- bedue. Il sig. Galvagni propose in Ferrara l’ istituzione d’ una Casa pia di la- voro e la riedificazione del rovinato antico palazzo della Ragione , già sede de’ tribunali fin dal tempo de?’ principi d’ Este. Possa il suo nobile desiderio essere , come fu da’ dotti ferraresi lodato, così da quella illustre città onore- volmente compiuto. Monumento al P. Cesari. — Ravenna 31 maggio 1832. Sono tre giorni, che è qui giunto da Milano il Busto del Padre Antonio Gesari sculto in marmo dal nostro Gaetano Monti. Il padre Cesari morì, e certo le sarà noto , nella villa del collegio a 5 miglia da Ravenna, ed ebbe poi se- poltura in Ravenna nella chiesa del collegio medesimo. Poco dopo la sua mort» , nacque desiderio in molte pietose e culte persone di erigergli qui un monu- mento , e quel desiderio fu tanto efficace che il monumento fu ordinato , e il busto del Monti è destinato a farne parte. Parmi anche questo un bel testi- monio della ravegnana civiltà. == Verona patria del Cesari non ha ancora pen- sato di rendergli onore ; nè so darmi a credere che alcune parole contro di essa sfuggite dalla penna del Cesari, per natura irascibile, potranno allontanare quella nobile città dalla soddisfazione di un tanto debito. Non sono a confondersi le ragioni de’ vivi con quelle degli estinti ; e il padre Cesari eminentemente be- nemerito degli italiani studi è quel tal uomo, cui onorando , piuttosto che dare , si riceve onore. 33 NAPOLI Da lettera. o Bellini , l’autore della Straniera, condotto dall’amor patrio a rivedere Ga- tania, che aveva già con una medaglia d’ oro onorato il suo cittadino, Bel- lini vi fu accolto con entusiasmo d’ amore. Il Principe di Manganelli, ‘colto magistrato ; gli andò incontro fuori della città, e nella propria carrozza lo con- dusse alla casa paterna tra la folla del popolo. In teatro , seduto nella, loggia dell’ intendente, ebbe ‘saluto di acclamazioni e d’applausi 3 che più forti si rin- novarono quando furon cantati alcuni pezzi del. Pirata e della Straniera. For- tunati que’ popoli dove si sente ancora l’ ammirazione e l’ amore, dove l’ in- gegno crescente non è amareggiato , ributtato s compresso ; dove la patria ha una voce per dimostrare ch’ essa non è morta del tutto; L’ esempio del giovane Bellini non è stato infecondo. Un nuovo maestro sorge in Catania, Antonio Coppolu, che col suo Achille in Sciro , rappresen- tato sere fa nel Teatro del Fondo, promette assai bene di sè. E non è maraviglia che ad un valente maestro di musica si profondano onori, i quali si temerebbe di offrire ad uno scrittore più valente di molto. E gli onori ei vantaggi stanno a’ dì nostri pel suono. Vedete , per esempio, un impresario di Napoli che paga secento cinquanta ducati al mese ad una cantante per diciotto recite; ed è costretto a. citarla a’ tribunali perchè sotto l’ uno o sotto l’ altro pretesto non canta nemmen dodici al mese, e vuole:intero il suo soldo. Non v° è letterato in Italia che co’suoi lavori guadagni secento cinquanta scudi per anno. Non v° è libraio , per gentile che sia, il qual non tratti i più rispettabili letterati con meno riguardi di quelli da un impresario di teatro usati ad una cantante, E poi v’è chi sì lagna dello stato delle lettere e delle scienze ? V° è da ammirare ancor più che da piangere. Non già che le arti del bello sensibile convenga:sprezzarle. Tutt? altro: non v° è educazione più efficace di questa. Per queste l’ Italia ancora si fa rispet- tabile al mondo, e si mostra potente : ma l’ arte del canto, quale dai più dei nostri uomini di teatro viene esercitata, è ella un’ arte, 0 non piuttosto un mestiere ? Ho detto che l’Italia per l’arti ancora occupa fra le nazioni un luogo onorevole ed eminente. Vedete i teatri di tutte le capitali d’ Europa: vedete l'Accademia data testè dal Fétis di Parigi, nella quale doveva presentare come la storia della musica drammatica in Italia, in Francia, in Germania. In que- sta accademia eseguita dai primi cantanti del teatro italiano e francese; una delle prime cose è 1’ Euridice composta in Italia nel 1590. La musica profana, come la sacra, qui nacque ; qui crebbe , qui sorse modello di grazia e di soavità. Fu impotente, è vero, a destare affetti magnanimi di patria e di virtù: ma la colpa non è dell’ Italia. Un giornale di scienze che si pubblica dal R. Istituto della Gran Bretagna, nel quale trovo inserito una memoria del nostro cav. Sementini sull’ esistenza del gas azoto nell’ acque minerali di Castellamare , invita i dotti di tutte le nazioni a concorrere con memorie e notizie. Esce per trimestri, ed è al quarto numero : che contiene molti scritti importanti. Possano anco i dotti ita- 84 liani rappresentare degnamente, in quel giornale ed altrove, i diritti della scienza, e que’ della patria. Abbiamo vacante nella nostra università la cattedra di diplomatica. Vi si concorre senza gli esami richiesti nelle università di Padova e di Pavia. ì VARIETA”. Invenzioni. Il sig. Marantonio , squisito lavoratore in oriuoleria, costrusse una ingegnosa macchina detta uranometro ;, con la qual sottopone alla misura del tempo medio , la meccanica , il corso della terra e della luna, e mostra tutti i fenomeni celesti che procedono dal movimento de’due pianeti. Per conformarsi alla realità egli ha inclinato di gradi ventitre e mezzo circa sul- l’equatore celeste il piano dell’ eclittica ; per la qual traccia facendo girare la terra, presenta l’asse di lei sempre perpendicolare al piano dell’ equatore : e così gli fa compire i due movimenti annuo e giornaliero , nel modo che natu- ralmente li compie, a differenza di tant’altri planisferi ne’quali la terra è rap- presentata coll’ asse inclinato, per evitar la difficoltà d’innalzare e d’abbassare, secondo l’inclinazinne del detto piano, il meccanismo che la fa movere in giro, Ò Per ispiegare i fenomeni geografici ed astronomici del nostro globo, il signor Marantonio fece l’equatore e il meridiano ambedue immobili, e due altri cerchi massimi, uno de’ quali movesi a piacere, e può servir d’ orizzonte sensi- bile giacchè può fissarsi a qualunque latitudine ; 1° altro fa le veci di cerchio terminatore della luce solare , e con moto suo proprio s’ inclina sempre ad an- golo retto sul piano dell’ eclittica e al raggio del sole, che siede immobile nel centro di tutto il sistema. Però questo cerchio dalla parte che guarda il sole è più lucido , oscuro dall’ altra. Con tale artifizio, si dimostrano facilmente le tre principali posizioni della sfera , le varie stagioni , la lunghezza de’ giorni e delle notti , insomma l’ aspetto e la posizion del globo in ogni latitudine, e in ogni punto del- l’orbita sua. Parallelo al piano ideale dell’ equatore sta. fissato nella nuova macchina un cerchio orizzontale, su cui stanno scolpiti, e additati da due indici opp»sti, i segni dello zodiaco, i gradi in cui trovansi la terra e il sole, entrando in essi, ì mesi e i giorni corrispondenti alla posizione della terra , e all’apparente po- sizione del sole. Havvi poi il globo lunare che s’aggira sulla propria orbita inalzata cinque gradi circa sull’orbita dell’ eclittica, e si volge come la terra d’ occidente in oriente , coll’ asse perpendicolare all’ equatore. Così si dimostra evidentemente allo scolaro come la luna tien sempre l’ una metà del sno disco nelle tenebre , la sna congiunzione, l’ opposizione col sole, il principio e il progresso delle sue fasi, in modo che nessun’ altra macchina lo dà sì chiaro. La luna ha un moto retrogrado, per imitare la rivoluzione de? suoi nodi nel cielo fissato dagli astro- nomi , e per ottenere da questo terzo moto l’approssimazion delle ecclissi. Tutti questi movimenti dipendono da un solo motore , il qual rimontasi di quattro in quattr’ anni. Vie di comunicazione. Un ponte sul Garigliano ; il fiume più grande, del regno di Napoli, sarà finalmente costrutto. Altre volte si tentò il lavoro, prima in legno, poi in ferro : e la spesa del secondo sarebbe sulita a 180,000 ducati. 85 Nel 182% si pensò ad un povite sospeso a catene di ferro, e il sig. Giura nel 1326 e nel 1827 viaggiò l’Inghilterra e la Francia per prendere le necessarie no- tizie. Nel 1828 fu cominciata la costruzione, nel 1832 montate le catene, Le son quattro , ciascuna di palmi 518, dei quali 212 appartengono ai due rami di ritenuta, 306 formano un arco rovescio sul fiume , della corda di palmi 303, della freccia di palmi 20. Le quattro catene son pisperte in due piani Lav paralleli, e distanti 1’ una dall’ altra 22 palmi, quant’ è la lar- ghezza del ponte. Questa costruzione, la prima di tal genere in Italia, riuscì so- lida non men ch’ elegante. I ferri sono stati lavorati con rara precisione nelle ferriere del principe di Satriano, dirette dal sig. Carascosa. L° opera fu tutta eseguita da artisti del paese con materiali del paese: resse a vari sperimenti, ad un peso di 600 cantara; al passaggio della cavalleria e delle artiglierie dell’eser- cito. Onde al signor Giura e al signor Carascosa il re concesse le insegne del l’ ordine di Francesco I. Beneficenza. Nel dì natalizio del re il cav. De Capua , ricevitor generale della provincia di Molise:, volle festeggiare la solennità col donar vestimenti a 3o carcerati, e fornir di letti 60 di loro. Questo fatto prova e la bontà del De Capua e lo stato di quegl’ infelici. — La somma raccolta a favor de’ calabresi danneggiati dal tremuoto è di 17,020 ducati, cioò 74890 franchi. , — Un orfanotrofio è aperto in Foggia per educarvi gli orfani della provincia di Capitanata, ch’ abbian passati i sett’ anni. E due ospedali nuovi si fondano nell’ Abruzzo esteriore, uno nel comune di Lanciano, e l’altro di Vasto. — Un’istituzione bellissima osserviamo in Napoli, di scegliere tra i po- veri infermi dello spedale della Misericordia quelli ch’ hanno bisogno de’ bagni e delle stufe d’ Ischia , e mandarveli. Anco quelli, che non sono nell’ ospedale , possano concorrere a tal benefizio. Antichità. L° accademia ercolanese propone un premio di 600 ducati al mi- gliore discorso che descriverà esattamente i privati edifizi di Pompei, confron- tando la vita domestica degli antichi con la moderna , vale a dire determinerà le classi in cui distinguere le case pompeiane finora scoperte, dall’ampiezza e dagli usi: sceltene delle più magnifiche da un lato , e delle più povere dal- 1’ altro, ne noterà le parti , 1’ uso di ciascuna di quelle, indicando i mezzi ado- prati per godere della luce, del fuoco ; dell’ acque , le stanze destinate ai figli, alle donne , ai servi, e simili cose. Conviene illustrar l’argomento con le notizie dell’ antichità greca e latina, e coi confronti dell'antica arte e della moderna. Le memorie , seritte in latino od in italiano, debbono essere presentate nel maggio del 1833 , non più tardi. — Il gran musaico seoperto a Pompei nella casa detta del Fauno, monu- mento bellissimo ed unico, illustrato già dai ch. Avellino e Quaranta , che am- bedue lo vogliono rappresentazione d’una battaglia d’Alessandro, il primo quella al Granico, l’altro quella d’Isso, diede materia a un discorso del cav. Niccolini, letto all’ accademia di belle Arti: dove dimostra che il musaico doveva esser copia d’ un quadro ; che dalla grandezza e finezza del lavoro si deve dedurre più d*uno esserne quì stato 1’ artefice , ‘e inuguale in fatti esserne il merito d’ arte; loda la chiarezza del concetto, il risalto delle principali figure ; Ja maestria degli scorci , la precisione degli accessori ; l'economia dello spazio. Accompagnano la memoria tavole nitide ed’ accurate rappresentanti e l’insieme, e ; in più larga proporzione, le parti che possono più importare all’ artista ed 86 all’ archeologo : s’ indicano i colori dl quadro, e in un breve trattato, si di- sputa dei vari colori della porpora: Il cav. Niccolini move de’ dubbi sulle opi- nioni degli archeologhi che lo precedettero; e reca i passi d’ antichi dov? è parlato delle battaglie d’ Alessandro. ) Tre fanciulli geometri. Ignazio, Landolina; non ancor giunto al decim’an- no d’età, fece pubblica prova dello straordinario suo talento matematico, rispon- dendo con mirabile franchezza a dimande d’ alta geometria, fattegli da’ pro- fessori Napoli ; Scuderi ed Alessi: spiegando non solo le operazioni ma la ra- gione di quelle , penetrando cioè nella metafisica della scienza. Interrogato so- pra quesiti difficili, anco fuori del catalogo delle proposizioni sulle quali cadeva l’ esperimento , rispose con franchezza ‘e con senno. — Vincenzo Zuccaro. Questo maraviglioso fanciullo, matematico per istinto, che ventidue mesi fa ngn sapeva nè legger nè scrivere; ora per le cure del- l’ab. Minardi destinatogli istitutore dalla liberalità del Governo intende e spiega _ i men facili fra gli autori italiani e latini ; prosatori e poeti: e ne diede pub- blica prova. Possa l’ educazione ‘avvenire e la lode non guastare un sì prezioso ingegno. — Il ragazzino Giuseppe Puglisi d’ anni sette, emulo di Vincenzo Zuccaro nell’ improvvisare lunghi calcoli aritmetici, ha dato saggio del suo singolare talento in accademie pubbliche e in case private. Il mirabile si è che nell’ atto che ascolta le domande e dà le risposte , e’ si perde in ba- locchi puerili ; e dimostra così che intuitiva è in lui la facoltà calcolatrice , vale a dire che rapidissima e regolarissima ha l’ associazion delle idee. Sarebbe da studiare attentamente ingegni siffatti, non già come eccezioni alle leggi ge- nerali dello spirito umano, ma come ‘esempi che le danno più compendiate e più evidenti ; quindi più acconce alla dedazione di conseguenze importanti. SICILIA. Accademia Gioenia di Scienze naturali in Catania. Seduta del dì 16 Gennaio 1831. — . . . . Il Direttore Can. Alessi conti nuò la lettura della sua memoria sopra le Ossa fossili di Siracusa, dimostran- done i caratteri distintivi, in quelli che gli è riuscito di acquistare ; e che erano schierati innanzi agli occhi degli Accademici. Seduta dei 14 Luglio. = Si lesse alla Accademia la lettera di riscontro di S. A. R. il Principe D. Leopoldo Conte di Siracusa, Luogotenente generale di S. M. in Sicilia, all’ invio della Patente di Socio Protettore, e Mecenate della Gioenia , colla quale si degnava l'A. S. di accettare l’ omaggio dell’Ac- cademia....... Il Socio professore Maravigna continuò la lettura del swo' lavoro orittognostico per l’Etna , colla memoria terza che racchiude i Sideriti , i Clo- ridi , ed Idrogenidi sparsa di nuove osservazioni ed utili all’ esatta conoscenza de’ minerali dell’ Etna. Si passò quindi a Jeggere una porzione della memoria patologica del Socio Collaboratore Zappalà. Seduta degli 11 Agosto. = Il Socio Corrispondente dott. Alessio Sciliano da Catania lesse all’ Accademia la prima memoria sopra la pomona etnea. che versa sulla descrizione del ciregio , e de’ suoi frutti, di cui ha noverato non 37 men che 30 varietà, presentando nel tempo stesso il disegno a colori di ognuna. Favellò pure della vegetazione di quest’ albero nelle falde dell’ Etna, delle malattie cui va soggetto , de’ rimedi e dell’ uso del frutto anche in medicina, ‘con alcune particolarità che : accresce pregio al layoro. : Seduta del dì 15 Settembre. = . . . . Il prof. Maravigna continuò la let- tura della sua memoria orittognostica de’ minerali dell’ Etna. Seduta dei 23 Novembre. = . . . . Il Direttore Can. Alessi cominciò la lettura di altro suo discorso sulla Storia. critica delle erruzioni dell’ Etna, il quale abbraccia tutte quelle avvenute nel secolo XVII , sopra di cui scris- sero Massa , Carrera, Boltoni e molti altri. L'analisi delle di costoro opinioni ha il prelodato Alessi con sommo giudizio e sana critica esposto, ed ha fatto vedere così, come in un quadro , il progresso de’ lumi nella scienza de’vulcani. Seduta de’ 2> Dicembre. = . ... Il Direttore Alessi continuò la lettura del suo discorso sulle eruzioni dell’ Etna, esatta descrizione presentando di quella famosa del 1669 3 analizzando in seguito quanto di essa scrissero prin- cipalmente il Borelli e il Carrera ; passò ad accennare tutte le altre eruzioni di quel secolo , di cui quella del 1693 fu compagna del terribile terremuoto che distrusse tante città di Sicilia... .. Seduta del 19 Gennaio 1832. = Furono annunziate due memorie ; una sul carbonato di soda che rinviensi nelle lave dell’ Etna , del Socio Salvatore Platania, ed un’ altra del Socio prof. Maravigna che porta per titolo : Alcune idee sull'azione del Calorico nella produzione di alcuni membri nella serie _geognostica ; sui rapporti del terreno trachitico e basaltico con quello dei vulcani estinti ed attivi. Il Socio Platania leese la prima cennata memoria , e dopo l’analisi di quel carbonato di soda passò a manifestare le sue idee sulla probabile for- mazione di esso , ricorrendo agli aiuti che presenta la chimica alla spiega- zione de’ fenomeni naturali; e conchiuse che questo sale naturale è preferibile nel commercio a quello artificiale. LUCCA. Igiene. Edilità. Lucca mancava di buon’acqua potabile: nè l’antica repubblica pensò mai a riparare il difetto. Sotto i principi Baciocchi fu tentato il lavoro , ma grettamente : 6000 soli barili d’ acqua si sarebbero avuti al giorno, e a li- vello sì basso che Je fontane sarebbero state due braccia sotterra ne’ luoghi elevati della città. Per ordine di Maria Luisa e del suo successore, i lavori fu- rono rinnovati in modo che 20000 barili al giorno si gode la città: e 1 acqua è sostenuta a tale livello che la porta ai primi piani delle case ne? luoghi più alti, e ne’ più bassi a’ secondi; è condotta per ben due miglia sopra belle ar- cate in linea retta alte fino a braccia venticinque dal suolo. Il sig. Nottolini , regio architetto , diresse il lavoro ; il sig. cons. Giorgini, come gonfaloniere della città, lo propose. Il lavoro è compiuto in men di dieci anni, e Lucca nel giugno prossimo godrà dell’acqua desiderata. Ci faremo un vero piacere di rac- cogliere ragguagli più estesi su quest’ importante argomento, 8 TOSCANA. Società per la diffusione del metodo dì Reciproco Insegnamento. == Rapporto letto dal sig. march. CarLo Pucci, Soprintendente alle scuole, nell? adu- nanza annuale della Società , tenuta in Firenze il dì g Marzo 1832. « Le scuole mantenute dalla nostra Società sono in stato tanto sodisfacente quanto può esser conciliabile con le abitudini del nostro popolo, sia per l’istra- zione come per la disciplina. N.° 286 alunni si trovano inscritti sui registri dei quali N.° 180 sono addetti alla Scuola della Nunziatina, e N.° 106 a quella di S. Zanobi. Merita attenzione particolare la divisione in classi della numerosa scuolaresca della Nunziatina, che è appunto quale meglio conviene al buon an- damento del nostro sistema , e la circostanza che appena la settima parte degli alunni inscritti sul registro manca ai giornalieri esercizii. Le seguenti informazioni , che ho l’ onore di comunicare alla Società, circa allo stato morale delle Scuole basteranno a farne convenientemente apprezzare il miglioramento. Gli alunni, che attualmente vi intervengono; sono quasi tutti appartenenti a famiglie dell’ ultima classe del popolo: non ostante si distinguono da quelli del tempo passato per aspetto di miglior salute , per maggiore nettezza di vesti e di persona , e per una più continua osservanza dei regolamenti: vantaggi tutti che non possono attribuirsi a nessun’ altra circostanza , se non che ad un mi- glioramento morale delle famiglie cui quei fanciulli appartengono : sicchè ac- cade che son meglio educati all’ obbedienza , meglio nutriti e più assuefatti a tenersi in una certa proprietà. Le punizioni son divenute rarissime: appena si ha l’esempin di alcuno confinato al Banco di Penitenza , essendo rimasto quasi scordato il sistema di giudizio stabilito per le colpe gravi, impedite da una costante e ben mante- nuta disciplina. Al contrario i biglietti di premio giornalmente dispensati sono , proporzionatamente al numero degli alunni, moltissimi. Gli scuolari stati ammessi nel decorso anno alla Scuola della Nunziatina sono 125. Ne sono usciti 85: dei quali N.° 51 a istruzione completa, e 34 a istruzione non ancora completa. Questo inconveniente troppo spesso ripetuto che molti alunni lascino le Scuole a istruzione non terminata , e l’obbligo in cui io sono di render conto alla Società dello stato delle Scuole medesime nella parte istruttiva, mi ricon- ducono ad alcune avvertenze che ebbi 1’ onore di esporre alla Società mentre nel 1821 occupavo la carica di Presidente , avvertenze che tendevano a porci in guardia da un pericolo al quale si può talvolta esser esposti spingendo senza certe cautele il nostro sistema d’ istruzione ; dal quale d’altronde derivano moltis- sime incontrastabili utilità. La straordinaria sollecitudine con cui si giunge dagli alunni che prestano attenzione, e son forniti di buona volontà, al termine del corso d’istruzione ele- mentare somministrata nelle nostre Scuole, può condurre gli alunni medesimi a giudicar non rettamente delle difficoltà che circondano 1’ acquisto di una istruzione più solida, e a presumere troppo delle forze proprie per giungervi. In questo caso ne può derivare la tristissima conseguenza che alcuno , il quale sarebbe ottimamente riuscito non elevandosi a qualche professione per esercitar la quale gli mancano i necessarii requisiti , trovasi in una strada sbagliata , e d9 allora sicuramente disgraziato, perchè sembra essere impossibile nella nostra na- tura ogni atto spontaneo che tenda a farci minimamente retrocedere da un grado sociale al quale in qualunque modo ci sia riuscito poterci spingere. Quindi mi sembra essere obbligo nostro il far di tutto perchè gli alunni delle nostre Scuole si persuadano che l’ istruzione somministrata da noi è cosa piccolissima , che è appena quanto può bastare ad un mediocre manifattore per il disbrigo delle sue incumbenze : onde non accada che ingannati dalla presun- zione di troppo sapere non ardiscano spinger le loro mire a troppa altezza , e per sostenervisi poi siano quasi forzati all’ immoralità. Gli esercizii di lettura , scritto, aritmetica e disegno lineare son divisi in due parti. Nella prima , col metodo così dettu di imitazione, ogni alunno ripete o copia immediatamente quel che è stato detto dal Monitore, o che da esso gli è mo- strato in scritto: nella seconda, secondo il metodo d’ applicazione , gli alunni leggono senza la preventiva lettura del Monitore o scrivono a dettatura. Il solo esercizio d’ortografia , non suscettibile della divisione come sopra indicata , si fa sempre coll’ antico sistema. La Classe dei Monitori , cui appartengono N.° 60 individui , e che è divisa in tre sezioni è instruita nel disegno lineare e nell’ortografia in differenti giorni della settimana. E questa classe importante dei nostri alunni viene instruita colla veduta di formare dei buoni Sotto-Maestri, come son difatti i Monitori, de- stinati a correggere ed instruire gli altri alunni. Per questo la Società volle no- minare un Maestro supplente, particolarmente incaricato di insegnare ai Moni- tori il modo col quale debbono essi medesimi farsi precettori dei loro. compagni. La Scuola dei Monitori è in piena attività, e il Maestro supplente nei giorni di Martedì, Giovedì e Venerdì instruiste dalle ore 9g alle 11 antimeridiane N.° 12 Monitori scelti per turno fra tutti quelli della Scuola della Nunziatina , e limitandosi solamente al numero di 12, perchè durante questa lezione non resti la scuola troppo sprovvista di monitori. La Società del merito, che ha il vantaggio di esser pochissimo numerosa , ha per questo appunto prodotto il gran vantaggio di eccitare negli alunni un vivo desiderio di appartenervi: come accade sempre quando si tratta di distinzioni ac- cordate con parsimonia. Di questa instituzione dovuta ai suggerimenti di un di- stinto viaggiatore Francese, il sig. Du-Fresnel, noi abbiamo già tanto apprez- zata l’ utilità che io non debbo dipiù trattenermi su tale argomento. Nella Scuola di S. Zanobi, che conta sul suo registro N.° ro5 alunni, si fanno eguali progressi nell’ istruzione, e la disciplina vi è egualmente ben conser- vata, I Monitori di questa Scuola sono 50; cioè sono in numero maggiore rela- tivamente a quello degli alunni che non nella Scuola della Nunziatina, perchè , essendo la sala che contiene la Scuola di S. Zanobi molto lunga e stretta, vi sono in conseguenza molti banchi e corti, e quindi ne deriva la necessità di un maggior numero di Monitori. Anche in questa Scuola non v° è da molto tempo esempio di gravi mancanze; i biglietti di premio sono meritati e dispensati in numero considerabile: e la Società del Merito serve di grandissimo stimolo ai buoni portamenti. Vi sono stati ammessi nel passato anno 46 alunni: e ne son partiti 74: dei quali 50 a istruzione completa e 24 senza averne compito il corso. L’ istruzione dei Monitori si fa , essendo compita quella degli alunni, nel medesimo locale e dal medesimo Maestro , il quale con esemplare zelo si è offerto spontaneamente per questo nuovo incarico. T. VI. Maggio 12 as Queste consolanti notizie risguardanti allo stato delle nostre scuole servi- ranno ad animare vie maggiormente il nostro zelo per 1’ educazione del popolo : lento ma sicuro mezzo di migliorare la società : e contemporaneamente daranno coraggio ai Direttori e ai Fondatori di congeneri stabilimenti d’ istruzione a proseguire con insistenza nella buona via che si sono segnata. Nel corso del passato anno fu di lire 5671 la spesa, di 6044 l’entrata; superiore perciò di lire 373. Aggiunto a queste il valore delle masserizie, de’ mo- bili, e di tutte le cose che seroono ad uso delle scuole nella Pia Casa di La- voro ; si ha la somma di lire 8933. Le piccole spese per bidello , legatore , e lavori d’ altri artisti salzono a 1379; quelle della pigione, dell’onorario per il maestro alla seuola della Nun- ziatina (che ha lire mille dugento) dell’ onorario ai monitori e ispettori gene- rali e ai monitori di classe (ch’ è in tutto di lire 367); quelle di carta e penne, di libri e stampe, d’ utensili per la scuola (ch’è di lire 243), fanno salire ? uscita per la detta scuola a lire 2376. L’ altra di S. Zanobi paga per il maestro 960; somma che, aggiunta alle altre spese della medesima scuola, mon- ta a lire 1705. Il tutto insomma dell’ uscita, ripetiamo, è di lire 5671 Del- le 6044 d’ entrata 5780 si raccolgono dalle tasse mensuali de’ soci ordinarii che sono 73: dalle soscrizioni al mantenimento delle scuole si traggono lire 229), dagli oggetti venduti per uso delle scuole 29 circa, dalla carta scritta venduta a peso 5, 15. I soscrittori al mantenimento delle scuole sono in numero di diciannove. Corso di Geometria e meccanica applicata alle arti e mestieri. Lettera al Direttore dell’ Antologia. Non vi è occasione più favorevole onde rendere anche in quest’ anno una qualche contezza su i progressi della nostra Scuola di geometria e meccanica applicate all’ arti ai molti leggitori del vostro meritevole Giornale. Una opera recentissima intitolata Manuale di geometria per le arti e per i mestieri venuta alla luce questo stesso anno per i torchi di Antonio Fon- tana, e composta dall'ingegnere Alessandro Majocchi professore nell’ I. e R. Liceo di S. Alessandro in Milano , mi è stata graziosamente inviata in dono. In questa , preceduta da un Discorso intorno allo studio delle scienze appli- cate all’ industria, viene rammentato il corso delle mie pubbliche lezioni in un modo molto sodisfacente per chi ne fu l’istitutore, e molto onorevole per la nostra città, esprimendosi 1’ Autore che « ogni qual volta trattasi »> di mettere in opera delle utili istituzioui , Firenze non è mai seconda alle »» città italiane ; per cui corre il quart’ anno che vide aprire nel suo seno 3; un pubblico Corso di geometria e meccanica applicate all’ arti ed ai me- »» stierì per le cure di un privato il sig. Marchese Luigi Tempi ,,. Provi questo fatto quanto le buone azioni sono ovunque ed in ogni tempo apprezzate e lodate ; e serva d’ incitamento a risvegliare negli altri quell’amor patrio che induce l’ uomo ad impiegare sè e le sue fortune a vantaggio della Società, risolvendo così quel gran problema, tante volte rammentato dall’istesso Carlo Dupin nell’ apertura delle sue lezioni in Parigi avanti un consesso di varie centinaia di persone: Come arriverò io allo scopo per me il più vantag- gioso , spandendo su la via, che da me sarà calcuta, il maggior bene possibile? 91 Per non perder però di vista il mio scopo primario , quello cioè di ren- der conto dello stato della nostra Scuola, io vi porrò sotto gli orchi un quadro statistico che la riguarda dall’ epoca dell’ incominciamento fino al presente. Statistica della Scuola di Geometria e Meccanica applicate all’ Arti dal- l’anno 1829 fino a tutto il mese di Marzo del 1832.—= NB. Si distinguono gli Alunni dai semplici ascoltanti dall’ essere i primi soggetti a far le ripe- tizioni delle lezioni. NUMERO DEGLI ASCRITTI NUMERO DEI TOTALE EFFETTIVO MANIFATTORI sul totale a metà | a fine TOTALE In qualità In qualità d’ Alunni |d' Ascoltanti del corso Dall’ ispezione di questo quadro si rileva che , non contando qui il primo anno, il numero delle persone, che si ascrivono nell’annuo ruolo della scuola , va discretamente aumentando , e cesì pure, per quanto inferiore al totale, il nu- mero di quelli che seguono il corso fino al suo termine: che il numero dei ma- nifattori, a cui principalmente è diretta l’ istruzione , è sempre d’ alcun poco superiore al rimanente: e forse può ritrovarsi una qualche spiegazione della superiorità di numero degli ascritti nel prim? anno in quella curiosità ch” è na- turalissima alla nostra nazione , trattandosi di cose nuove. ) Alle notizie surriferite si aggiunga, che in ciascun anno le sere di riaper- tura del corso la folla degli accorsi è grandissima ; che il numero delle per- sone che assistono seralmente alle lezioni è molto superiore a quello degli ascritti ; e che le lezioni di meccanica poi sono in generale più frequentate di quelle di geometria, forse perchè quelle di geometria sono più comuni, facendo parte dell’ istruzione elementare. Terminerò qui di esaminar i fatti riguardanti i progressi relativi alla nostra Scuola. Aggiugnerò soltanto che fino a. quest’ anno , che è il quarto , da che gli artisti di Firenze godono i vantaggi d’ un? istruzione pubblica e gratuita, io posso chiamarmi contento della frequenza e del rispetto delle persone tutte che hanno concorso alle mie lezioni. I primi artefici della città , fabbricatori di carrozze, falegnami , ebani- sti, magnani, bronzisti , orologiari » pontai , ec. hanno assistito ed assistono al mio corso ; e tutti meritan lode per la loro assiduità e il loro lodevole contegno. La merita poi particolarissima uno di essi, il sig. Lorenzo Turchini , la cui assiduità è stata ancor più costante e lo studio quasi direi indefesso , se si abbia riguardo alla necessità per lui indispensabile di attendere al suo opificio. x 92 Quest'ultimo unitamente ad alcuni fra gli artefici surriferiti ha fatto dono di varii arnesi e piccoli modelli per le dimostrazioni di geometria , i quali formano parte attualmente dell’ intera collezione , esistente nella Scuola, dei modelli delle principali macchine ed istrumenti , la cui costruzione fu par- ticolarmeute dall’ istitutore affidata al detto Turchini, Firenze , Maggio 1832. é Antonio Croci. Strada nella Lunigiana. — Fivizzano , Aprile 1832. La Lunigiana-Toscana per mancanza di facili comunicazioni è stata fino al presente isolata e disgiunta , non solo dal così detto T'erritorio riunito dal quale dipende , ma ben anche dai diversi paesi che la circondano e la in- tersecano. Quindi non è meraviglia se i suoi abitanti non hanno provato per lo addietro tutto quello sviluppo morale di cui sarebbero pur capaci; nè dee sorprendere se l’ agricoltura ha fatto in essa meno progresso che altrove, se le arti vi hanno debolmente prosperato , e se il commercio vi è rimasto per lungo tempo pressochè stazionario. Tutti sanno che lo sviluppo della intelli- genza e dell’ attività di un popolo stà in ragion composta del contatto che è fra gli uomini che lo costituiscono , non che di quello che è fra esso e gli al- tri popoli; e niuno forse ignora che la mancanza di buone strade, aumentando la spesa dei trasporti , lascia ai privati minor capitale disponibile per la pro- duzione , che è quanto dire per la materia prima della civiltà. Non è molto tempo che il governo nostro unitamente a quello di Modena ha intrapreso la costruzione di una strada militare e che è destinata a congiun- gere la nuova strada di Genova con le strade della Lombardia Estense , attra- versando il vicariato di Fivizzano. Da quest’ opera , per quanto non ancora definitivamente compiuta , resultano già a favore della nostra provincia non pochi vantaggi i quali, ove aumentino con progressivo andamento , non tar- deranno certo a rendere la sua condizione eguale o poco dissimile a quella delle altre più floride provincie toscane. Anzi, quantunque in massima sia un assurdo il pretendere che, appena ultimata una strada rotabile in un paese che del tutto ne mancava, debbano tosto vedersene in pratica i favorevoli effetti ; pure è manifesto che la sola scossa , prodotta su questa popolazione dal re- lativo avvenimento , ha già segnato qualche utile novità nell’ agricoltura , ha fatto sì che in più punti si provveda all’ aumento del fabbricato, ha sviluppato in un grado maggiore l’ attività e la capacità dei manifattori di più specie, ha richiamato in Fivizzano nuovi speculatori , ha dato vita nel luogo stesso ad una società tipografica, che potrebbe facilmente ottenere l’an- damento di quella che è stata non ha molto stabilita in Torino per cura del sig. Pomba , e va quanto prima ad attivarvi una fabbrica di ferro ed una car- tiera. Ma la nuova strada militare non attraversa che il solo territorio di Fi- vizzano , il quale d’ altronde è affatto disgiunto per la intersecazione degli ex-feudi imperiali dai territori di Pontremoli e di Bagnone. L’ utile esempio di cresciuta attività economica nel Fivizzanese mosse mma certa emulazione fra gli abitanti di Pontremoli e di Bagnone, i quali con pra» tiche ben dirette e con ogni maniera di sacrifizi ponendo a contributo le forze 93 delle respettive comunità e quelle della privata associazione , sono pur perve- nuti a conseguire la bella speranza di potere aprir ben presto una comunica- zione rotabile con la nuova strada militare ; comunicazione tanto più im- portante alla prosperità della provincia in quanto può agevolmente fornire 1’ effetto di un altro sbocco nella Lombardia, col mezzo della strada già con tutta magnificenza intrapresa e non ultimata dal governo francese fra Pon- tremoli e Parma. Che se il governo di Modena condurrà al suo termine quella che ha incominciata e che prosegue fra Carrara e Fosdinovo per i così detti Monti della Spolverina , e se verranno aperte per opera di queste comunità o per gli sforzi privati delle popolazioni dei diversi villaggi ( come ne fornisce a quest’ ora il bell’ esempio il villaggio di Mommio nel Fivizzanese) delle strade traverse che scorrano in vari sensi e dappertutto, a guisa delle vene nel corpo © umano , non anderà forse gran tempo che anche la Lunigiana potrà godere di tutto il benessere possibile , e le sarà dato di poter entrare a buon dritto in concorrenza di lumi e di prosperità con le altre più ‘incivilite parti del Gran- ducato, } Fivizzano , 16 Giugno 1832. In appendice a ciò che le dissi sulle nuove strade di Lunigiana dehbo pre- venirla, che una sovrana risoluzione del 10 maggio ultimo perduto ha approvato il progetto per la costruzione del braccio di strada rotabile, destinato a porre in comunicazione Pontremoli ed altre comunità della provincia con la nuova stra- da militare per Fivizzano. E S. A. I. e R. per agevolare alle comunità interessate i mezzi di esecuzione si è degnato conceder loro un sussidio in tronco di lire 24 mila a carico del regio Erario. Credo che non sarà fuor di proposito di aggiungere nel suo Bullettino una tal notizia come quella che realizza un fatto di cui io non parlai che con espressioni di desiderio e di speranza. Di una notizia relativa alle ultime scoperte magneto-elettriche data in due Giornali Modenesi. « Nella adunanza della Reale Accademia di Scienze, Arti e Lettere 3 di Modena, tenuta il giorno 5 maggio 1832 , il sig. prof. D. Liberato 9, Baccelli ha ripetute le nuove Esperienze Magneto-Elettriche : seguendo £ »» metodi ingegnosi trovati dai Fisici Fiorentini per verificare le scoperte del 3» chimico inglese Faraday, ed altri da lui ideati ,, ( Mess. Mod. 16 Maggio; e Voce della Verità 22 Maggio num. 124 ). Che in Inghilterra 1’ amor patrio acciechi taluno al segno di attribuire a Faraday tutto quello che è stato fatto e si farà per 1’ avvenire nel nuovo ramo di Fisica dal Magneto Elettricismo ( Vedi Antol. di Fir. Marzo 1832, pag. 173 ), è tal genere di stravaganza e di parzialità che desta poca mara- viglia. Ma che in Italia, e specialmente nella vicina Modena, sede della So- cietà Italiana delle Scienze , si parli dei lavori dei Fisici Fiorentini, in guisa da qualificarli tutto al più come metodi ingegnosi per verificare le scoperte di Faraday ; è cosa che fa gran torto a chi la dice, e poco meno che dispetto agli orecchi italiani che la sentono. Chi il primo scoprì la forza elettro- motrice del magnetismo terrestre ? Chi trasse dai dischi d’ Arago i primi se- 94 gni elettro-dinamici per la via non ancora tentata degli scandagli galvano- metrici ? Chi fissò prima di tutti la natura del magnetismo di rotazione , che da Faraday \ien così stranamente paragonato a tutt’ altro fenomeno , cioè al giro continuo che si produce nel conflitto elettro-magnetico ? Queste ed altre scoperte si debbono unicamente ai due Fisici Italiani Nobili e Anti- nori , ai quali non si può nemmeno contrastare l’ onore d’ aver ritrovato @ priori la scintilla magnetica. Sia pure che Faraday abbia veduta una scin- tilla in un caso particolare: ma qual è questo caso, e come, ottenuta una volta quella luce , riprodurla a piacimento ?_ All’ epoca di cui si parla, la scintilla del magnetismo era il fatto più straordinario e importante: e non è presumibile che Faraday avesse annunziata una scoperta di quell’ ordine con espressioni così vaghe, e sotto la forma, per dirlo in frase legale , di un semplice incidente, se egli fosse stato padrone del fenomeno a segno di dominarlo e riprodurlo a volontà. Chi non si arresta a fior di superficie , e penetra un tantino entro alla sostanza delle cose, si arcorge facilmente , che Faraday fece il primo |’ importante scoperta dell’ influenza del magne- tismo sui fili metallici, ma che più chimico che fisico si arrestò sul prin- cipio della carriera , per non aver trovato il filo di questo intricato laberinto. Ora dove si rinvenne quel filo se non a Firenze ? E d’ unde se non da Firenze si sparse per tutta l’ Europa scienziata la luce che ora rischiara Je questioni più ardue del magnetismo ? Ne duole che uno dei XL della Società Italiana , il prof. Baccelli, abbia giudicato così leggermente dei la- vori dei suoi Colleghi. Ma probabilmente le espressioni di quell’ annunzio non appartengono a lui; e giova sperare che egli medesimo si affretterà a rettificarle pubblicamente. Scambiando le Patrie, si chiamino pure Fioren- tini o altrimenti ambedue i Fisici Italiani che hanno fatto in Firenze le ultime scoperte sul magnetismo, poco importa; ciò che importa si è, che a loro si renda giustizia , e si rivendichi alla non troppo ricca Italia il patrimonio scientifico che le appartiene. Firenze ag Maggio 1832. E. Giorci peLLE ScuoLe Pix. Prof. di Fisica. . 9 Società scientifiche e letterarie. Società Colombaria. Nell’ adunanza solenne del dì 25 di maggio il dott. Rigoli lesse 1’ elogio del benemerito avv. Rivani, donatore alla detta accademia di un appartamento ove tenere le sue sessioni, d’una bella biblioteca , e di vari preziosi antichi arredi: per la quale liberalità gli accademici eressero a lui vivente un busto scolpito dal sig. Giovannozzi. Accademia della Valle Tiberina. Nell’ adunanza del dì 11 di maggio il sig. D. Strivieri lesse una prosa : delle riforme da adottare nel sistema d’agri- coltura della valle del Tevere. Dove provò che i contadini di cotesta valle deb- bon perdere grandissimo tempo, per la pessima divisione e distribuzione de’cam- pi, che con reciproche permute si potrebbe facilmente rimediare ; e così ren- dere men facili i furti de’ contadini rapaci. Provò che i poderi sono poco ben coltivati, quasi mai vangati; che dividendo i più vasti di tali poderi s° acere- scerebbe 1’ agiatezza de’ pigionali : provò che l’ affrettata vendemmia , la ri- 95 tardata semente , gli obblighi soverchi imposti dal padrone al contadino, vanno sempre guastando la più importante dell’arti. E ai detti mali additò saviamente il rimedio. : Il sig. D. Pietro Piccini lesse la sua traduzione del libro XVI dell’ ele- gantissimo Graziani de scriptis invita Minerca ; e il sig. canon. A. Cuccioli lesse le notizie storiche d’alcuni uomini illustri di San Sepolero. Oltre a’quattro sonetti e ad una elegia. Dopo queste letture furono rammentatii doni di scudi ro e di ‘scudi 30 fatti all’ accademia da due soci benemeriti; e presentata la traduzione della geometria del Dupin, e della vita di Poggio, mandata l’una dal march. Tempi, 1’ altra dall’ avv. Tonelli. Se non parliamo de’versi in questo nostro annunzio, non è già che ne di- sprezziamo gli autori : è un’ omissione della quale nessuno può lagnarsi, poi- ch’ è generale ; omissione che noi non vogliamo difendere , ma che non manca forse di ragioni od almeno di scuse. Quando i verseggiatori di San Sepolcro e d’alt:e parti di Toscana e d’ Italia avran fatte pubbliche/le cose loro , noi po- tremo allora discorrerne ; ma nognun vede che il tacere di quelle tante poesie , e molte al certo Jodevoli , ch’ escono in ogni italiana città , non è già un far onta al merito degli autori , merito del quale noi d’ altra parte non potremmo in modo alcuno decidere , senz’ avere i lor versi sott’ occhio. Noi sentiamo molto lodare la cantica del sig. Piccini , recitata nell’ adunanza del marzo, e crediamo che non questa sola sarà degna di lode. Non vogliamo però dipartirci dal nostro istituto , e preghiamo i gentili accademici di San Sepolcro , che vo- gliano perdonarcelo. Aggiungeremo intanto che nella detta adunanza del marzo fa letto dal sir. Marco Pacini un elogio di Pietro della Francesca. VARIETA”. Arti Belle. — Collezione dei progetti d’ architettura premiati nei grandi concorsi triennali dall’ Accademia di Belle Arti in Firenze. — Esce di questa lodevole collezione, della quale si è parlato altra volta , esce il nono fascicolo e il decimo. Gontengono il disegno d’ una dogana; d’ una borsa mercantile ; d’ una piazza marittima , con in mezzo una colonna rostrata , invenzione del sig. Paccagnini. I disegni sono del signor Pasqui, del sig. Gappiardi le inci- sioni : lavoro pregevole. Alle invenzioni il buon gusto non manca, e una certa magnificenza ; troppa forse , per essere a’ giorni nostri possibile. Quanto all’ uso delle colonne rostrate , a que’Tritoni, a quel Mercurio, a quel Nettu- dino , noi non istaremo a questionare se sia questo il tempo di ornare le piazze marittime con Mercurii e con rostri; e se le colonne rostrate sieno cosa ve- ramente conforme alle idee della eterna ed universale , non della imitativa bellezza. Fabbrica di acque minerali artificiate del sig. La Riviere, in. Firenze. I metodi nella sua fabbrica adottati dal sig. La Riviere ebbero 1’ approvazione e la lode delle più celebri società scientifiche di Parigi. L’ acqua di Seltz forte e dolce , quella di Sedlitz, 1’ acqua alcalina gazosa , quella di Spa, l’ acqua acidula , l’ acqua di Barège , quella di Napoli, l’ acqua idrosulfurea , la limo- nata gazosa , e altr’ acque ancora escono da questa fabbrica riputata. L” in- conveniente di tali fabbricazioni sta nella. difficoltà di conoscere per l’ appunto i principii salutari dell’ acque e la loro proporzione : nel che finora i chimici 96 più esatti variarono più d’ una volta. Ma la scienza più s’andrà perfezionando, e più l’arte potrà darsi vanto anche in ciò d’ imitar la natura. Arti, industria. — Ferruminatorio idrostatico. = Il dì 30 d’aprile fu pre- sentata all’ Accademia di Belle Arti, e segnatamente alla sezione dell’arti. e mestieri la detta macchina , che tra parecchi altri usi ha questo principale : di potersi servire de’ gas per aiutare le fusioni con facilità e sicurezza. N°è in- ventore il siy. Chellini, che ne pubblicherà la descrizione con esatti disegni. Giornali a Siena. In Siena l’uffizio d’indicazione recentemente aperto pub- blicherà sotto il titolo d’Indicatore senese e grossetano un foglio che uscirà tutte le settimane, contenente notizie di commercio e d°’ agricoltura , ed anco di scoperte o di progressi delle scienze e delle arti. Ogni mese poi uscirà l’Os- servatore medico senese , dove si darà conto in breve di novità chirurgiche, mediche, farmaceutiche , e specialmente di operazioni, osservazioni e cure fatte dai professori senesi nello spedale di S. Maria della Scala. Il primo giornale costa due lire, 1’ altro due lire e mezzo per trimestre. — L’ uffizio d’ indica- zione è per se stesso un eccellente giornale. ) — Il sig. Manetti toscano, dimorante ora in Bordeaux, scoperse poco lon- tano da Angoulèéme cave ricchissime d'’ alabastro , non men bello che quel d’ Italia, scavato finora in piccoli frammenti da artigiani ignoranti. Le cave si stendono , dicesi, per ben quattro leghe. E , mentre il sig. Manetti stava per operarvi coi processi usitati in Toscana, una compagnia di capitalisti francesi venne a togliergli il frutto della scoperta. L’ esportazione che si farà d’ora in- nanzi in Inghilterra e nel nord d’ un alabastro sì bello , ad un prezzo mode- ratissimo, promette a questa società un gran guadagno. Così il Moniteur ed altri giornali francesi. Spedizione francese-toscana in Egitto. — Rapito alla scienza 1° illustre Champollion (*) , rimane a consolarcene il suo compagno ed amico, il prof. Rosellini , il quale , solo, compilerà la grande opera a cui dovevano insieme dar mano, Del lavoro del Rosellini è probabile si faccia NERA traduzione in fran- cese. Intanto l’ originale italiana è per uscire tra breve £ il primo tomo , stam- pato con inchiostro di Parigi, e coi caratteri nuovi del Didot , andrà sotto il torchio i primi di giugno. Gonterrà la serie cronologica delle egizie dinastie dai tempi d’ Abramo. La prima dispensa delle tavole, corrispondenti al volume primo , darà , per primo saggio d’ iconografia , la serie de’ ritratti de’ Faraoni. Correzione. Il valente e rispettabile sig. canon. Pasquini di Chiusi, raccoglitore di epigrafi, etrusche moltissime, amante e delle cose antiche, e di statistiche no- tizie che della diocesi, ov’abita, raccoglie ogni anno con cura, ci avverte cortese- mente d’ uno sbaglio fuggito nel settimo numero del secondo decennio dell’An- tologia , circa Farinata vincitore ghibellino, non guelfo perditore : e nel fa- scicolo ottavo a p. 50, circa Alberto non di Sartene ma di Sarteano , terra cospicua e per arte e per commercio , a sei miglia da Chiusi. Notiamo la correzione e per se stessa , e perchè ci viene da uomo sì gen- tile e sì dotto. *) V. fascicolo precedente pag. 185. ) P è Nota sopra une REMARQUE des Annales de Chimie et de Physique. Sulla fine del fascicolo di Marzo tomo 49 si legge alla pagina 335 quanto segue. Remarque sur l’article de M. NogiLi inseré dans les Annales de Chimie et de Physique , cahier de décembre 1831 p. 428. « La briéveté de l’extrait de la lettre, écrite le 17 décembre 1831 à M. Ha- »» chette par M. Faraday, a pu induire en erreur le rédacteur de l’article de M. 3» Nobili en ce qui concerne la rotation d’un fil de cuivre autour d’un aimant. 33 Cette rotation, découverte par M. Faraday en septembre 1821, ne doit pas étre », confondue avec celle du disque métallique soumis à l’influence d’un aimant , > que M. Arago a fait connoître le 7 mars 1825 ,». L’estensore dell’articolo del sig. Nobili non ignorava punto che la scoperta del giro continuo d’ un filo voltaico d’ intorno ad una calamita aveva preceduto di alcuni anni quella del magnetismo di rotazione del sig. Arago ; ed anzi che confondere insieme queste due rotazioni, lo stesso estensore supponeva che il sig. Faraday avesse dieci anni fa eseguito un qualche altro esperimento che avesse maggior relazione colla scoperta del sig. Arago. Le parole dell’ estratto della lettera scritta al sig. Hachette dicono apertamente che il sig. Faraday consi- dera il magnetismo .'i rotazione come intimamente legato ad un fenomeno ch’ egli scoperse dieci anni sono. Ora veggiamo benissimo che qui si allude alla rotazione d’ un filo elettrodinamico d’ intorno ad una calamita ; ma in al. lora, lo replicheremo , la nostra mente si rifiutava talmente all’idea di questo confronto che, piuttosto che supporla in altri, sospettavamo che si trattasse di qualche altro fatto a noi sconosciuto. Questa e non altra fu l’ origine del- l’ equivoco. Che poi realmente i due fenomeni non abbiano fra loro nulla di comune; è cosa resa troppo evidente dai lavori successivi per non avere da insistere d’ avvantaggio intorno a questo punto di controversia. Dal Museo. Firenze li 24 Giugno 1832. L. N. xe V. A. NEGROLOGLIA TorzINO Il Cav. Teodoro Cavezzini , di Voghera , colonnello ne? reali eserciti, com- battè sul finire del secolo contro l’ armi francesi ; delle scienze matematiche ed astronomiche coltivate con cura approfittò segnatamente nella difesa d’One- glia, assalendo il nemico con gli antiveduti vantaggi di nebbia e d’ altri ac- cidenti atmosferici. Dopo il 1814, datosi con più d’ ardore agli studi astrono- mici, inventò due tavolieri, geocentrico ed eliocentrico , 1’ uno ch’ ha per centro la terra e l’ altro il sole, con l’ aiuto de’ quali insegnava la scienza agli alunni della militare accademia, e ad altri giovani, in modo da meritarne le lodi di celebri dotti italiani e stranieri. Invenzione arrogatasi da altri poi; ma veramente sua. ( Questi due tavolieri sono esposti alla vendita in Torino presso la signora Cervetti). T. VI. Maggio. 13 98 Il card. Ferrero della Marmora nato in Torino nel 1757 ; nel 1779 lau- reato in diritto civile e canonico, nel 1789 rettore dell’ università ,, nel 1781 sacerdote , elemosiniere del re Vittorio Amedeo , e ascritto al collegio di fi- losofia e di belle lettere. Amante delle patrie antichità, fornì molte notizie all’au- tore della Biografia piemontese , opera che prende le mosse dal sesto secolo e viene al sedicesimo. Amante della paleografia e della numismatica, compose una cospicua collezione di monete patrie , coniate nelle zecche principesche e abaziali dello stato, e in quelle di molte nobili famiglie , compresa la pro- pria. A tal fine gli giovò la corrispondenza tenuta per mezzo dell’erudito cav. di Priocca, primo segretario di stato agli affari esteri, col celebre monetografo co. Viani, che gli comunicò non pochi disegni e memorie spettanti partico- larmente le zecche dei Ferrero in Masserano , in Crevacuore ed in San Beni. gno. Onde all’ ab. della Marmora il cav. Giampi dedicò le notizie della vita e degli scritti del conte Viani. Vescovo di Casale nel 1797 , fu vero pastore; supplì personalmente alla mancanza de’sacerdoti , soccorse gli afflitti; ed egli, delicato di complessione e mal reggentesi in piè , non temette nè fatiche nè pene. Raccolse ad ospizio Pio VI strascinato in Francia ; difese dal furor po- polare i francesi che in Casale erano a presidio , rifuggiti in un tempio: ed ebbe del benefizio crudel ricompensa. Nel mezzo della notte strappato dal suo letto e condotto a piedi da Casale a S. Germano , quindi portato in Alessan- dria, e costretto ad essere spettatore allo strazio d’ alcuni contadini incolpati della tentata sommossa , e fatti passare per l’ armi. Quindi rinchiuso nella cit- tadella, e a” preghi d’ una dama sua cugina liberato a gran pena. Nel 1804 per nuova circoscrizione delle diocesi chiamato al vescovado di Saluzzo , a cui venne aggregato pur quello di Pinerolo , alternò tra Saluzzo e Pinerolo il suo veramente pastorale soggiorno: e con l’autorità della virtù potè rendere men dura a parecchi cardinali la prigionia in Fenestrelle. Nel 1814 disgiunto da Pinerolo il ‘vescovado di Saluzzo , in Saluzzo visse fino al 1824 ; poi, chiesta licenza , si raccolse in una sua villa, donde , fatto cardinale, recossi a Torino, Crebbe in carità ed in bontà col crescere degli onori e degli anni. par. Genova Giovanni Enrico Carrega, di nobile e antica famiglia , nipote del noto istorico ab. Oderico , dedito da’ primi anni alle matematiche , quindi innamo- ratosi della nautica , prese servizio nel naviglio olandese. La franchezza, l’ur- banità , la fermezza, la leale giustizia lo resero degno di affetto e di stima. Fu capitano di vascello; combattè gloriosamente nei mari dell’ Indie contro navi inglesi di forza prevalenti , e ne riportò molte onorevoli cicatrici. Creato cavaliere dell’ ordine della riunione , visse in Genova gli ultim’ anni, bene- fico e amico agli amici, che piansero l’ immatura sua fine, G. B. Badarò, studiò lettere in Genova, medicina in Pavia ed in Bo- logna : dove il ch. Bertoloni lo avviò alla botanica. E nella Liguria occiden- tale e in Sardegna raccolse di belle specie. A lui 1? amico prof. Moretti in- titolò una muova pianta scoperta ne’ contorni di Sassari. Nel 1826 spedì egli al Moretti dieci centurie di piante raccolte nella Liguria occidentale; e fu- rono inserite nel Botanico italiano. Gli diresse ancora’ una lettera sopra una specie di drassica abondante nelle rupi maritime della Liguria, Nel 1327 recatosi a Rio-Janeiro, vi esercitò medicina, e professò botanica nell’ univer- 99 sità di S. Paolo: quivi per politici odii ebbe di man di sicario misera fine. Oltre un copioso erbario di piante liguri, che si conserva nella famiglia di lui, e una collezione di piante e animali d’America, che s’ aspetta in Genova an- ch? essa , lasciò una lettera sull’ importanza di alcune parti del fiore pel clas- sificature botanico , inserita nel giornale che si stampava in Pavia ; le osser- cazioni sopra varie piante liguri e sarde, le dieci centurie sopraccennate, e la lettera sulla brassica, tutte cose inserite nel medesimo giornal di Pavia. Lugano Santo Tralli di Lavenna sul lago di Lugano , pittore di belle speranze, disegnatore già franco , modesto e buono , nella verde età d’ anni 28 morì, compianto , in Parigi. VeRONA Il march. Francesco Carlotti , di bella indole, di raro ingegno, d’ in- faticabile amore allo studio , già nell’età di diciott’ anni conoscitore del latino, del greco , di molte lingue viventi d’ Europa , deliéato di fibra e di cuore , solingo , malinconico , da lunga malattia fu rapito all’Italia che di tali patrizi abbisogna. VenEZzIA Giustina Renier Michiel dama veneta, una delle più colte donne italiane, nipote d'un doge , e figlia di tale che giovò a V. Monti nel collocarlo presso il Falconieri ed il Braschi, alunna di M. Gesarotti, traduttrice di Shakspeare, autrice dell’ Origine delle Feste Veneziane, ingegnosa donna e gentile, cara a Venezia, nota oltremonte, amica a molti uomini dotti, morì d’anni LXXVIII, vivamente pianta. Indulgente, benefica, forte nella sventura, amantissima della patria. Rispose con dignità a Chàteaubriand detrattore delle venete glorie. FERRARA Marietta Scutellari, mata in Zara il 1752 di Sebastiano Rossi veneziano ; amante fin dalla prima età più della lettura che delle opere femminili, ma- titata in Ferrara , coltivò con ardore gli studi sotto la direzione del Migliore e del Fortis. La sua casa, sebbene non nobile , fu gradito ed ambito ricetto ad illustre società , di ricchi, di titolati, di magistrati d’ ogni ordine, da’ quali Ottenne , pia e cortese com’ era ,° grazie di beneficenza e. di giustizia segnalate. Il Canova le ebbe grande stima ed affetto , e in sua casa albergava , di Ferrara passando ; e se alquanto avesse indugiato, nella casa di lei, anzichè in Venezia, avrebbe reso 1’ ultimo spirito. Vincenzo Monti, Leopoldo Gicognara , Lord Byron, e il Varano elo Stratico e il Savioli e i due Pindemonte ed il Foscolo ed altri chiari uomini ebbero con lei commercio di lettere : ed ella raccoman- dava loro i giovani di belle speranze , che li aiutassero di protezione e d’ ammae- stramenti. Liberalissima, e avveduta a rivolgere la liberalità in presentar la- vori a chi ne mancava; pronta a soccorrere e di suo e di sussidi raccolti fra gli amici ogni giovane che mostrasse non infelice amore per le arti : amica sincera, 100 in ogni varietà d’ opinioni e di fortuna, e per gli amici disposta a sacrificare i propri comodi e la propria volontà, fu nella seconda sua patria e venerata ed amata. Nè la bellezza delle forme eragli conciliatrice d’ amore , ma il senno e la gentilezza dell'anima. Ella conciliatrice di inimicizie e di rancori, annodatrice di belle amicizie e parentele: ella il vanto e la gioia di Ferrara che la piange, e già le prepara un pubblico monumento. E, nell’occasione appunto di do- verglielo erigere, lesse il dott. Petrucci un discorso dal quale abbiam tratte queste notizie. Napotri Giacomo Farina, nato in Pietramelara nel 1749; avvocato in Napoli riputato , poi nel 1797 Capo Ruota della famosa commissione straordinaria so- pra sette provincie del Regno , si recò a Trani, donde nel 1798 chiamato a Napoli a compilare il codice di Polizia. Quindi avvocato generale de’ poveri del Regno , poi Visitatore degli Abruzzi in una straordinaria commissione , poi consigliere alla corte di Giustizia e procurator generale, da ultimo elettone vice-presidente ; latinista lodato 5; morì nello scorso febbraio. Luigi Diodati , autore d’ una vita di Ferdinando Galiani pubblicata. nel 1788, diede nel 1790 l’ opera Dello stato presente della moneta del regho di Napoli, opera alla quale la repubblica genovese s’attenne nel fissare il va- lore delle monete d’ oro : rivoltosi poscia alla numismatica , mise insieme una preziosa raccolta delle monete del Regno nei bassi tempi, dai Normanni alla dinastia dominante. Giureconsulto valente, uditore in Chieti, poi giudice di polizia , giudice del tribunal civile , vice-presidente della gran corte civile di Napoli. Fu membro della commissione consultativa di finanze , e sopranten-. dente alla zecca. Dal 1825 tolto agli affari da crudel malattia , visse alla reli- gione e agli amici, i ——T 0 È morto in Varsavia un degno figlio della Toscana, il sig. prof. Chiarini. Al- tre perdite e più vicine dobbiamo deplorare pur troppo: il riputatissimo prof. di anatomia Filippo Uccelli, ed il celebre numismatico Sestini, morti in Fi- renze ; il dotto filologo march. Cesare Lucchesini morto a Lucca , il bene-_ merito chimico Campana di Ferrara, i quali tutti meritano bene nell’Anto- logia più particolareggiata commemorazione di lode. Poi dovremo pagare un tri. buto a quegli uomini che , stranieri ‘all’ Italia , riempirono però del nome loro l’Europa. Prima di tutti dovevamo noi toscani parlare di Champollion , e l’ab- biamo fatto nel fascicolo di aprile ; ci resta a farlo de’due grandi, Goethe e Cuvier. Possa la gioventù nascente , nel piangere sì grand’ uomini, accendersi nel desiderio di seguirne con animosa modestia gli esempi. IOI ANNUNZI BIBLIOGRAFICI (*). ED TOSCANA. CG1ULIETTA E ROMEO, No vella storica di Lurcr da Porto di Vicenza. Edizione XVII , colle va- rianti fra le due primitioe stampe ve- nete; aggiuntavila Novella di MartEO BanpreLLo , il Poemetto di CLizia ve- ronese, ed altre antiche poesie su lo stesso argomento ; col corredo d? illu- strazioni storiche e bibliografiche per cura di Aressannro Torri; e con sei tavole in rame. ( Pisa, coi Tipi dei Fra- telli Nistri e Ge. 1831, in 8. IL’ editore del volume annunziato qui sopra si propose principalmente di mettere sotto gli occhi del Pubblico tut- t° insieme i documenti , sì pro che con- tro, del processo concernente il tragico caso di Giulietta e Romeo narrato da Luigi da Porto di Vicenza, e riferito da Girolamo dalla Corte nelle sue Storie di Verona. Altro scopo dell’Editore si fu di ri- produrre qui a un tratto stesso il testo originale della Novella del Da Porto co- me fu stampato da Benedetto Bendoni cli Venezia senza data d’ anno , ma che verosimilmente venne in luce il 1530 ; e quello pubblicato nove anni dopo nel- la stessa città da Francesco Marcolini , che per le tante mutazioni a cui sog- giacque può riguardarsi come scritto in gran parte rifatto e quasi altro origina- le , ma diverso da quello dell’Autore. Nella Lettera preliminare si fa cen- no delle cure impiegate nel confrontare quelle due principali edizioni per trar- ne le varianti rispettive , che han dato luogo ad alcune brevi annotazioni ; in cui fu pure registrata qualche discre- panza fra le posteriori comuni edizioni, da nessuna delle quali fu genuinamente rappresentata la lezione primitiva del- })Autore. Dimanierachè chi vorrà d’ ora in- nanzi conoscere nella sua integrità e fedeltà lo scritto di Luigi da Porto, non potrà far a meno di procurarsi la pre- sente edizione ; nella quale altresì tro- verà unito a piè di pagina nelle sue va- rianti,il testo del 1539, cui vuolsi aver posto mano lo stesso cardinal Bembo, al quale venne dedicata quella stampa ; benchè sienvi altre opinioni già dall’E- ditore riferite sul proposito dei cangia- menti che v” ebbero luogo. Varie altre cose di qualche impor- tanza sono da vedersi nella surriferita Lettera, ove si discorrono le ragioni e i particolari di questo volume , e le il- lustrazioni di cui è corredato ; fra le quali non sembra priva d°’ interesse la serie dei fatti ehe hanno qualche analo- gia col tristo avvenimento di Giulietta (*)I giudizi letterari , dati anticipatamente sulle opere qui annunziate, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono da’sigg. Librai ed Editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima , come estratti 0 analisi, o come an- nunzi di opere. Il DirerroRE DELL’ANTOLOGIA rammenta a’ sigg. Librai , ed a’ respettivi «Autori e Editori di opere italiane , ch’ esse non posson essere annunziate in questo giornale , che previo l’ invio di una copia dell’ opere medesime; e, trat- tandosi di manifesti da inserirsi per intero, o di qualunque altro avviso tipo- grafico , mediante il pagamento di soldi due per ogni riga di stampa. Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’ Antologia , essa potrà aver luogo, per il prezzo da convenirsi se- condo il numero de’ fogli. 102 e Romeo, addotti a comprovarne la possibilità 3 senza parlare che parecchi altri avrehbe potuto riferirne a maggior appoggio del suo assunto. Qualche cu- riosità può destare il Catalogo biblio- grafico delle precedenti edizioni della Novella di Luigi da Porto, segnatamen- te della milanese 1819 del celebre pit- tore G. B. Gigola tirata a soli sette e- semplari in pergamena coll’ ornamento di stupende miniature; quello delle tra- duzioni fatte della Novella suddetta in diverse lingue; non che la notizia di al- tri componimenti italiani e stranieri sì in prosa che in verso sull’argomento in discorso ; nè meno interessante dee ri- guardarsi la descrizione dei rami ag- giunti a fregio dell’opera. Prezzo delle copie. In carta velina de’ Classici . .L. 6 In carta papale. . . +. + +3, 12 Detta coi rami incarta dellaChina. ,, 14 In carta colorita di Francia . +. +. 16 SU LA PIETOSA MORTE di Giu- LIA CappeLLETTI e Romeo MonTtECCHI, Lettere critiche di FiLippo ScoLARI : aggiuntovi un Poemetto inedito di TE- resa ALsareLLI Vornoni, con altre poesie di varj Autori su l'argomento medesimo. ( Livorno, coi tipi di Glau- co Masi, 1831 in 8.°). Il volumetto presente forma la par- te moderna dei principali scritti sul la- grimevole caso-di Giulietta e Romeo ; mentre la Novella di Luigi da Porto , quella di Matteo Bandello , ed altri componimenti sul medesimo soggetto anteriori a questo secolo costituiscono la parte antica alla quale si riferisce il precedente annunzio. Lo scopo essenziale delle tre Lette- re del Dot. Scolari si è di provare non solo la possibilità , ma ben anche la ve- rità dell’ avvenimento , che altri volle porre in dubbio ed altri ancora negare del tutto : e con quale forza di ragioni abbia egli saputo abbattere le. opposi- zioni degli avversarj , potranno da sè convincersene i lettori, i quali, oltre alla finezza della critica, troveranno pure diletto nella varietà dell’erudizio- ne , e nella vivace eloquenza del ‘suo discorso. Quanto alle aggiuntevi poesie, al- cune delle quali inedite finora , è in fi- ducia l’Editore che ne verrà applaudita la collezione per la leggiadria di stile e di pensieri onde più o meno risplendono i versi degli Autori, che veggonsi qui ravvicinati a modo di accademia; e i nomi onorati che portano in fronte sono certamente di bnon augurio alla favo- revole accoglienza del libro. Prezzo delle copie. In carta velina de’ Classici. . L. 2 In carta papale... .° e 0. 394 In carta colorita di Francia . ,» 5 Le sole Lettere a parte , senza le poesie , metà del prezzo. NUOVI VERSI di Teresa ALBA- rELLI VorDONI veronese. (Pisa, Fratelli Nistri e Ge. 1831 in 8.” con ritratto ). Essendo state le presenti poesie con- cedute in dono all’ Editore dalla egre- gia Autrice , ha egli creduto ben fatto di metterne a parte il Pubblico, il qua- le dopo la festosa accoglienza già usata alle primogenite sorelle (*) , mostrerà senza dubbio buon viso anche a queste, non meno adorne di quei pregi emi- nenti che meritarono alla giovine mu- sa un seggio onorevole fra il Gozzi ed il Pindemonte. Prezzo delle copie. In carta velina grave. . Paoli 3 1/2 In carta fine . . . . dan) Le suddette opere trovansi vendibili in Pisa presso Massimiliano Wagner; in Livorno presso Glauco Masi; in Firenze presso Guglielmo Piatti, e nelle altre città di Toscana e fuori presso i princi- pali Librai. TEORIA delle leggi della sicurezza sociale di GrovannI CARMIGNANI, prof. nell’I. e R. Unmversità di Pisa, Pi- sa 1332 F. Nistri e C. in8." TomoIII-® NB. Il Tomo IV.° ed ultimo vedrà la luce nel prossimo mese d’ agosto. DELLA VITA e delle opere di Antonio Cesari, cenni di GrusePPE Manuzzi: quinta impressione novella- mente riveduta dall’ autore. Firen- ze 1831, L. Ciardettiin 8.° DELLA MISERIA UMANA, ser- mone di San Bernardo volgarizzato nel buon secolo della lingua. Firenze 1832, Tip. all’Insegna di Dante 8.° di pag. 20. OPERE COMPLETE di P. Mera- srasio, volume unico , e IV.® della Bi- blioteca portatile del Viaggiatore. Firenze 1831, G. Borghi e C. 8.° fascicoli VII e VIII. (*) Versi di Teresa Albarelli Vor- doni. Padova , 1825 in 8.° POESIE ITALIANE di vari autori (Petrarca; Filicaia; Monti; Foscolo; Pindemonte; Leopardi ; Berchet; Man- zoni; Borghi): ediziune seconda. Fi- renze 1832, Tip. Magheri Volumetto di pag. 305. NUOVO DIZIONARIO de’ Sino- nimi della lingua italiana ; di Niccorò Tommaseo. Firenze 1832 , presso Ri- cordi e C. 8.° fasc. VII.® (L-NU). STORIA NATURALE di G. L. LecLerc Conte DI Burron, classifi- cata giusta il sistema di Carlo Linneo , da Renato RicciarDo CasseL, autore del Poema le Piante, e proseguita da altri ch. scrittori: edizione completa con. rami. Firenze 1832. V. Batelli e Fi- gli 18.° Tomo XII.° Volumetti Numeri 58 e 59. DIZIONARIO DELLE SCIENZE naturali con regia privativa. Firenze 1832, V. Batelli e Figli 8. 14% distri- buzione, fascicolo 2.° del volume III.® e 14. distribuzione delle tavole. Prez- zo della presente distribuzione: fogli 6 cent. 3o L. 1 80 tavole 8 cent. 50 L. 4 — L. 5. 80 ATLANTE GEOGRAFICO fisico storico della Toscana, del dott. Ar- TILIO Zuccacni-OrLAnDINI. Firenze 1850-32, St. Cambiagi in f.° mass. (Ta- vola III Valle della Magra). PITTURE A FRESCO già con- dotte con sublime lavoro nell’ Atrio della SS. Annunziata di Firenze da | ANDREA DEL SARTO , ora disegnate e incise da Alessandro Ghiari, e illu- strate del prof. M. Missirini. Firen- ze (832 Gregorio Chiari e Figli, in f.° mass.° dispensa 1.* con tre tavole. Il prezzo di ciascuna lunetta è di 1 fiorino; saran 12 in tutte. PIEMONTE SULL’EDUCAZIONE della prima infanzia nelle classe indigenti, brevi cenni dedicati alle persone caritate- voli. Torino 1832, Chirio e Mina in 8.” di pag. 60. OPERETTE VARIE di G. Grassi torinese. Torino 1832, G. Marietti in 18.° di paj. 210. 103 MÉMOIRE sur la force élastique de la vapeur du mercure à différentes température , par M. le Chev. Avo- capro. Turin 1832, de l’Imprimerie Royale 4.° di pag. 72 con tavole. SAGGIO intorno ai Sinonimi della lingua italiana, di Giuseppe Grassi torinese : undecima edizione , coll’ag- giunta di nuovi articoli. Torino 1832, Giacinto Marietti, 18.° di pag. 220. STORIA DI SARDEGNA, scritta dal cav. D. Giuserre Manno. Tori- no 1832, presso Giuseppe Fodratti editore : terza edizione in tre volumi in 8.° adorna del ritratto dell’ autore (manifesto di associazione). Ogni vo- lume sarà circa 25 fogli di stampa, al prezzo di lire 4 per volume. LOMBARDIA. VARIETA?» letterarie , o saggi in- torno alle costumanze , alle arti , agli uomini e alle donne illustri d’ Italia del secolo presente di DeFENDENTE SaccHni. Milano, 1832, Stella e F. in 12.° Volumi II. prezzo I. 4. it. SCRITTI editi ed inediti di FRAN- cesco ReGLI , operetta dedicata al sig. Conte Folchino Schizzi. Milano, 1832, L. Nervetti 8.° di p. 234. FAMIGLIE celebri italiane , del Conte Lirra. Milano, 1832, Tip. del Dott. Giulio Ferrario, in f.? massimo. Fascicolo XXIV.° (Alighieri di Firen- ze; Visconti già Ajcardi di Milano , Vitelli di Città di Castello). INDICATORE, ossia Raccolta pe- riodica di scelti articoli sì tradotti che originali intorno alla letteratura stra- niera , alla storia, alle scienze, ec. Milano, 1832, presso la ditta A. F. Stella e F. N.° XXIX Febbraio 1832, che contiene i seguenti articoli. Art. I. Letteratura francese. Di Vit- tore Ugo e del romanticismo in Fran- cia, commento di Ces. Gantù. Art, II. Scienza del diritto. Del diritto penale (dal Globe). Art. III. Lett. inglese. Di Richardson e dell’indole de’suoi roman, zi (dalle lezioni di Villemain). Art. IV. Economia pubblica. Condizione politi- ca ed economica degli Stati Uniti d’A- merica (dal Westminster Review). Art. V. Letteratura tedesca. Klopstock, art. originale di A. Mauri, Art. VI. run 104 mento del terzo canto della Messiade (tr. del Gav. Maffei). Art. VII. Varie- tà. Notizie intorno al sig. Fourier. — Lampade di sicurezza.=Luettera con un rapporto sul numero dei pazzi e stupidi in Inghilterra. — Del genere così detto musicale francese e della Guerra dei Gluckisti e Piccinisti. = Dello stato musicale di Bellini, Album della letteratura straniera, — Bibliografia ita- liana. VENEZIA. SE siano abbastanza dimostrate alcune opinioni del prof. Lieri, e se valgano ad abbattere le osservazioni del prof. PanIZZA , circa il sistema as- sorbente le clavicole e le membrane muccose, Memoria di Gracinto Na- mias letta all’ I. e R. Accademia delle scienze lettere ed arti di Padova, nella seduta del 21 febbraio 1832, ed inse- rita nel bimestre III , 1832 degli An- nali delle scienze del regno lombardo veneto. Padova 1832, Stamperia de.'a Minerva in 4.° CANTONE DEL TICINO. DISCORSO SULL’ ORIGINE e natura della poesia, e saggio del Gusto e delle Belle Arti, da Francesco Ma- r10 Pacano. Lugano 1832, Ruggia e C. Vol. unico e IV.° delle opere di F. M. Pacano. STORIA delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, di I. G. L. Si- smonpeE DE’ SismonpI, traduzione dal francese. Capo Lago » presso Mendri- sio 1831-32, Tipogr. Elvetica, in 12.° Sono pubblicati Vol. I a XIII di cir- ca pag. 400 l’uno, che arrivano all’an- no 1509. ROMA e ROMAGNA. NOTIZIE STATISTICHE intorno all’ agrario pesarese, raccolte da Lurci BerticcIoLI segretario del comune di Pesaro. Pesaro 1831, An. Nobili 8.° di pag. 52 con 6 specchi. NB. Il generale consiglio di Pesaro decretò a pubbliche spese la stampa di questa memoria , la qual riportò il premio dall’ Accademia agraria della stessa città. RISPOSTA dell’ avvocato Rarraz- LE Savetti alla deduzione del proces- sante nella causa di omicidio nel conte GianNINI , per l’ incolpato Giovanni Gaccia al tribunale criminale di Pe- saro. Sinigaglia, 1830 ; C. Morganti e C. 8.° di pag. 40. NAPOLI. | IL PROGRESSO, Giornale: è pub- blicato il N.° II. NUOVO studio metodico delle leg- gi civili del Regno delle Due Sicilie , di AntoNnI9 Lonco regi professore di pubblica economia e professore privato di giurisprudenza. Napoli , 1831, St. Fibrero 8.° Vol. I." di p. XXIV e 340. Prezzo per gli associati a tutta 1’ opera D. 1. 20, ORIGINE e progresso delle società e delle legislazioni: Ragionamento ana- litico di Anronio Lonco prof. di eco- nomia pubblica, ec., in cui sì fa servire alla dimostrazione dell’assunto la storia delle leggi, e particolarmente quella delle leggi di Roma e del nostro Regno, ordinata per epoche, per principii e per materie. Napoli, 1830, St. Fibreno 8.° di p. 160. Prez. Carl, 10. ANALISI ragionata delle conse- guenze rovinose che produrrebbe 1° af- francazione de’ canoni fiscali sul tavo- liere di Puglia , e de’ provvedimenti nell’ interesse pubblico più economico a migliorarlo, di Antonio Longo , ec. Napoli, 1832, St. Fibreno 8.° di p. 120. ORATIO auspicalis in Regio Nea- politano Atheneo , studiis instauratis nonis novembribus anni 183, ab. AN- ron10 Lonco, etc. eapoli, 1832, St. Fibreno 4.° di p. 35. QUADRO in musaico scoperto in Pompei a dì 24 ottobre 1831, descritto ed esposto in alcune tavole dimostrati ve dal Cav. Antonio NiccoLini, archi» tetto di Casa Reale, direttore del Reale Istituto delle belle arti. Napoli, 1832, St. Reale 4.° di pag. 92 e XXIV cou tavole X in rame. COMPONIMENTI in morte del marchese Orazio Cappelli. Iapoli, 1831, St. e Cartiera del Fibreno. 8.° di P. XLIV e 79. - i I pin n PO ITIOOETRTI - ei ner apr nfa 1 € i x v ì ke | i rd il { È 3 : à . : i i A n vò ll ® 94 rotvaanni ; x . : 54 A ti vi t i 1 i y 4 3 i ti | ì 4 n ) i 1 r O sii : i Gi Ti te) 4 Su : i i RAI » ì ir. i “ i Osservazioni meteo;ologiche fatte nell'0 sservalorio Ximeniano detto ) ole Pie di pre alto Fafegi + livello del mare Hindi 205... i Ud . ' o È È i A.» È ‘ | atta i . : ) » x , 4 ) AS . \ al E % sal î . . . t $ “ : : ‘ x i È n x ì (9) |: N i i ' LI A Do È N : 4 7 5 \ a _ Il - i ps è | è : Ù % LI 4 i é ; } i È ; H 3 l n : 19 Li 1 ì di E . Ò ‘< SALE b n PaeT: Maccto 1852. Termoni beni la°) Pa te een 1° mi 5 = = 2 mn SI mu z n» 5 Di dr e Stato del Cielo e 3 Sic VE RE TI È gradi gradi | gradi 7 mat. | 27.95 15,0 11,8 88 Ostro |Nuvolo Calma | i 1 mezzog. pio 10,4 15,2 15,8 59 Po.Lib. Ser. con nuvoli Ventic.| i |11 sera | 27. 10,6/10,8 [11,0 | g0 Sciroc. |Sereno » Calma | 7 mat. | 27. 10,8 [15,9 |10,8 | 92 Sciroc. |Sereno-Ncebb, Culmili pi; niezzog. 27.10.6 [14,2 [16,9 65 Os.Li. |Nuvolo Ventic. 41 sera | 27. 11,5 [14,6 {13,5 | 82 Libec, !Sereno-Nuvolo Vento 7 mat. | 28. 1,0|14,5 [14,0 | 78 Os.Li. |Sereno-Nebb. Ventic. | 5 mezzog. | 28. 1,1 [14,5 [16,0 | 54 Lib. Nuvoloso Vento 141 sera |28, :1,6|15,1 |12,5 | 85 Sciroc. |Ser. con nuvoli Ventic 7 mat. | 28. .1,6 [15,0 {14,5 | 75 Ostro |Ser. con Nebbie Calma | 4| mezzog. | 28. 1,2|15,2 [17,5 { 60 Libec. [Nuy. nebbioso Vento | 11 sera |28. 0,915,8 [14,2 | 85 {Os.Lib.|Nuvolo |. Ventic. | 7 mat. | 28. 1,7 15,7 15,8 | 91 |0,04|Sciroc. |Ser. con Nebbie Calma | 5 mezzog. 28. 2,1 16,0 17,8 47 î Pon.M. Ser. con nuvoli Ventic. 11 sera | 28. 4,2|16,8 {14,0 | 50 Lev. |Sereno Calma | 7 mat. | 28. 4,5/16,0 (11,7 | 7 Sciroc. |Sereno Calmali : 6| mezzog. | 28. 4,0[16,1, [18,1 59 Ponen. [Sereno Ventic.| 11 sera |28. 3,6|106,8 [153,1 55 Ustro |Sereno Calma 7 mat. | 28. 3,4[16,3 {11,2 |'80 Sciroc. [Sereno ragnato VenticJ i 7| mezzog. | 28, 2,6|16,6 |18,1 553 Pon.Li.}Sereno Venti 11 sera | 28. 2,5|17,4 |14,1 | 68 Os.Lib.|Ser. caliginoso Calma 7 mat. | 28. 2,6/16,9 |153,3 78 Os.Lib.|{Sereno Ventic| 8| mezzog. | 28. 2,2 17,0 |18,0 | 60 Libec. |Sereno Ventic. 11 sera | 28, 1,4|17,8 |14,1 85 (re.L, |Sereno Calma, 7 mat. | 28." 1,0{17,5 |12,5 | 91 Scirc. |Nuv. nebbioso Ventie, 9] mezzog. { 28. 0,5|17,3 |18,5 | 25 Libec. |Sereno Vento | | 11- sera .f 27, 11,5.117,5-<115,2 | 55 Os.Lib.|Velato Calma | 7 mat. | 27. 10,4|17,0 |15,0 | 50 Ostro |Nuyvolo Calma i 110] mezzog. | 27. 10,0|17,2 |17,9 | 47 Maest, [Nuv. nebbioso Ventidi 11 sera | 27. 10,0|16,1 {10,0 | 95 |1,05 {Gr.Le, [Pioggia Vento | 7 mate | 27. 9,4]13,5 | 8,5 | 85 [0,65 [| Tram. |Nuvolo V.impil 11| mezzog. |:2Z, 9,1 [12,9 | 9,1 52 [0,01 | Tr. M°.|Piovoso V.fortel 14° sera! | 27009; 210;7 | 6,8 | 90 [0,25 | Maest. | Pioggia Vento | n i IERI een MaAccio 1852. z| Ora 3 ={w|8s |a] 285 Stato del Gielo zi 2 I È d 5 D = =! sa] (se) a a Sat] RA DL Aa poll. lin gradi gradi | gradi . 7 mat. | 27. 9,2[10,3 | 6,7 | 96 [0,07 Greeg, |Pioggia Vento 112 mezzog: 27. 9,1 [10,6 |11,0 | 69 [0,05 [Tr. M°.|Sereno con Nuv. Vento 41 sera | 27. 9,9[11,0 | 9,3 | 95 |0.03 [Ostro_ |Nuvolo Calma 7 mat. | 27. 10,0]11,0 |} 9,0 | 94 [0,04{Ostro |Nuvolo-Sereno Calma 15 mezzog. | 27. 10,0 {11,7 {12,1 7 {0,02 |Os.Lib.|Nuvolo . V.forte 44 sera |27. 10,0 {10,6 {10,2 | 92 Os. Sc. {Nuvolo Calma 7 mat. | 27. 9,5 [11,3 {10,1 | 94 Maest. | Nuvolo Calma i4|‘mezzog. | 27. 9,212,1 [14,2 | 64 Lib. Nuvoloso Ventic. 14-sera. | 27. : 9,7 {12,7 |11,0 | 7 Lib. {Nuvolo-Rotto Calma i 7 mat. 7. 10,5 |12,5 | 9,9 | 88 Scir. |Nebbioso-Ser. Calnia 15 mezzog. | 27. 10,5 |12,9.|14,5 | 42 Po. M°. {Nuvoloso Ventic. 11 sera 7. 10,8 {15,3..|10,1 | 72 Os. Li.|Sereno con Neb. Calma 7 mat. 127. 11,7 |13,2 {10,1 | 89 [0,01 |Os. Li.|Pioggia Calma 6] mezzog. | 27. 11,7 [13,2 {15,8 | 60 {0,07 |Pon.L. {Nuyoloso Vento 11 sera | 28. 0,0]11,0 [13,8 | 40 Gr. Tr.|Nuvolo-Calma Calma | 7 mat. | 28. 0,3 153,5 |12,4 | 79 Ostro |Sereno con Nuv. Calma ;17| mezzog. | 28. 0,1 |153,6 [14,2 | 56 Os. Li.| Nuvoloso V.forte 11 sera | 28. 0,6|15,5 |10,2 | 85 Os. Li.!Nuvolo Ventic. 7 mat. | 28.. 1,2|13,4 [11,2 | 92 |0,08[Sciroc. [Nebb. Sereno Calma 118| mezzog. | 28. 1,4|15,7 |15,0 | 59 Os. Lì. |Nuyoloso Vento 11 sera |28. 2,0 14,0 {10,1 | 87 Lib. . [Sereno con Neb. Calina 7 mat. | 28.. 2,5 [13,8 10,3. 95 . [Scir. |Pioviggine . Calma 19] mezzog. | 28. 2,9|13,6 |i2,9 | 61 [0,05 [Sc.Le. {[Nuvolo Calma 11 sera | 28. 2,9|15,2.[10,1 | 88 Lev. |Sereno Calma - 7 mat. | 28, 2,8 12,9 {10,0 | 81 Sc. Le.|Sereno . Calma 20| mezzog. | 25. 2,7 |15,1. {16,2 | 32 Lev. |Scr. con Nuv. Ventic. 11 sera |28. 2,8|14,2 [15,1 | 48 Lev. |Sereno con Neb. Calma 7 mat. | 28. 3,4|14,2 |11;5 | 68 Sc. Le.|[Nebb. Sereno. Ventie. 21| mezzog. | 28. . 3,1 [14,6 |17;3 | 30 Os. Li.|Ser. con Nuvoli Ventic. f1.sera |28, 5,0115,5 |14;2 | 41 Tr. M°.|Sereno Calma i | 7 mat, |28. 3,0/15,3 [14,5 46 | = |Tram. [Sereno con Neb. Ventie. |22| mezzog. | 28. 2,3|15,7 [17,9 | 30 Gr. Le.|Sereno con Nev. Calma | 11 sera |28. 2,2|16,6 14,2 50 Os. Sc.|Sereno Calma ©“ Micero 1852. = E tc e | l'enae 0 OI Di ro > Q a IMRE CAN PE I 5 3 S| Ora s st prata p'Es Stato del Gielo E ai S Rui È 5 v si s 5 é î c) fa ce a poll» lin gradi gradi gradi \ 7 mat. { 28. 2;0 16,0 [12,7 | 7 Sc.Lev.|Sereno Ventie. 23 mezzog. | 28. 1,0 {16,3 {19,0 | 53 Maestr.|Sereno con Nuy, Ventic.' 11 sera | 28. 0,4[17,0 |12,8 | 62 Sciroc, |Sereno con Neb; Ventie. 7 mat. | 28. 0,4|17,3 13,1 78 Sc,Lev.|Nuvolo - Ventic. 24 mezzog. | 28, 0,5 [16,4 16,2 | 65 Tr, M,°|Serono con. Nuy. Vento | 11 sera | 28. 1,8/16,4 {12,4 | 86 Sciroc, |Sereno Ventic. 7 mat. | 28,: 2,0|16,0 |15,5 | 62 Tram. |Sereno Ventic. 25 mezzog. | 28. 2,0 16,5. 18,5 | 40 Tram, |Sereno con Nuy, Ventic.i 11 sera | 28. 1,4|17,3.|14/7 | 59.| <|Os.Li. |Velato. Ventic. | 7 mat. | 28, 1,2/17,0 |14 ,0| 7 Tram. |Sereno Calma | 26] mezzog. | 28, 0,1 {17,1 18/5 45 | Lib. Nuvoloso Vento 11 sera | 27, 11,7|17,6 .|15,0 | 57.| Lib. Nuvolo Calma | 7 mat. | 27. 11,0|17,3 {12,0 | 95 {0,57 |Lev. |Pioggia. Ventic. 27| mezzog. | 27. 10,6 [17,2 16,14 .5% 0,01 |Lev. Nido Vento | 11 sera {27, 10,5 |16,5 |11,8 | 95 {0,56 Lev. {Sereno con Nuv. Ventic. * 7 mat. } 27. 41,1|15,9:|12,3 | 92 Ostro |Sereno con Neb. Calma | 28] mezzog. | 27. 10,8 [15,9 |16,6.| 58 P. Lib. [Sereno con Nuv. Ventic.i 14 sera |27, 11,9|16,7 [14,0 | 81 |0,02 |Lev. [Sereno Ventic. 7 mat. | 28. 0,4|16,2 [13,8 | 85 Sc.Lev.|Sereno Calma 29 mezzog. | 28. 0,6 16,5 [18,5 | 45. Sc.Lev.{Sereno con Nuy.Ventie.' 14 sera 28. 1,1}17,2.]14,4 | 60| = |Grecal.[Sereno con Neb. Calma 7 mat, | 28. 1,5|17,0 {13,2 | 67 Sc.Lev.|Sereno Calma 50] mezzog. | 28, 1,3 [17,0 [18,5 | 40 Lib. . [Sereno con Neb. Ventie.! 11 sera | 28. 1,2|17,8. {14,7 | 61 Lev. |Sereno-Nuvolo Calma | 7 mat. | 28. 1,0|17,2 [15,0 | 68 Sc.Lev. pren Sereno Calma mezzogi { 28. 0,7 17,8 |19,0 | 52 Lev. Nuvolo- Nebb. Ventic.; pene sera | 28, 0,4 era | 28. 0,4 |18,0 15,0 | 85 !0,02 | Lev. INuyvolo Calma | { mb é è a gn 4 {©} Medie |28. 0,5}15,1 |13,6 | 68 Giorni Sereni TI ‘| Massime| 28. 4,5 {18,0 [19,0 | 96 con Nuvole (i 5: Minime | 27, 9,1 10,3 6,7 25 Piovosi = 30 I >| della Pioggia in pollici Franeesi . « 53,12 [Vento Pominante Ostre Liò. | "a | e e APRILE È ta Sa ‘Sep Vanta AE a i Federico m Re di Sicilia la s Centa del Para svga pentieri sopra un gni metsfizica Siogla. della storia. ae $ 3) : Dubbi ai Rubiana > so sia Dubbi intorno “alla” ‘direzione morale e; civile» del romanticismo. Agi LET ce OLI COL) Forti) EE i Pi i Descrizione delle nuove calate: slettriche * a osservazioni sulle me- 2 desime; 0 | ‘ i “(L Nobili.e V. Antinori) ,; Nuovo “diadet sletiroginaieo: i MEO ol Nobili) > Na Sulla sensibilità ‘del termomoltiplicatore: i i; AI IO | Opere complete di:N. Machiavelli; | 0 <> SAI Nuovo saggio sull’ ‘origie delle ideos |. © i (a X.Y. I ‘Osservazioni sulla pubblicità delle procedure finali se sul processo . ‘inquisitorio.: pen io DE di ‘morte. — Sessione del parlamento di Otaitri ic (C. Marzucchi) + 3,. ‘Storia del 1 diritto romano o nel fnedio è evo di P. a. De Savigny. Dei Juni ‘della. geografia e della sua a letteratura nel triennio finita sa tra: Chamipollion ilminore: | - (IwRosellini) ;, «Cav. Giuseppe del Rosso... fi RL Oa Se ci bach Franchetti. si SERA Pioli); Teva Metrorologiche. SIETE: SR , SITI pia Ag x A nica MAGGIO. RIVISTA. LETTERARIA i cI È 7 - ci " Qoatimpali vat 1831 > delPAtv: da Reratit AAT) Pag. Notizie» statistiche intorno. all agraria. ge. 3 raccolte da. Luigi, ‘’Berticcioli, | WEA aa sre <.(G. PF. Montanari) i BE ae dell’ Imperatore Marco Antonio con ‘se medesimo , libri dodici traidotti in -Porgiano ; col testo. “preso Ci ponte s’del sig. Des SRTABRGRAIIA + (1.0 "> GU x ; (7. G (Ho); ‘ Gatechismi vari: ad uso. da tatoo; n pubblicati sa Pandolfo ‘Rossi di ‘ diso , ec. Art, ‘ode (A Ax) Pag: AR lap def; de - DRS (P. Capei) ce ‘coll’ anno. 1831. SUONERIA Ap 0 Se) Ba Origine della lingua latita, Hei di Oitaclano Mazzoni-Toselli. (G.I.M) .;;° ;ffTemeridi scientifiche ‘e«letterarie per Ja Sicilia, 33 Sil La 12 CARSUNERI e TI Cavipaitio: di Storia paivanile delb'ab.. Acinani Rime di Maria siae Guacci Napoletana. | ac +EItaliano in ‘Parigi Dada lingua Francese, insegnata agi Italiani, ) VE operetta di Forti e Pollano, .. ta Ferdinando” Malgica, ‘Memorie della vita d' Antonio de A da: il Ziogro. . Volgarizzamento di due epistole di Seneca. (080) < Della miseria umana > ‘sermone di SP Bernardo: SSR + Della vita e delle opere d'Antonio fn, di 6. Maniazi: Consulti medici di P. Redi. i Saggio di poesie alemaune recate in versi italiani i A. Rellati Di ‘alcuni: trattati del Beato.F. iHacopo da Todi: (6. Monta) n° Pitture di vasi fittili esibiti dal cav. F. Inghitami. RESA (A) I — Opere di Paolo Segneri. Ed, della Società Seo di Torino, "A 3 Fi i al Direttore SERA Gtolggia: gna, e Hai > »n CORRISPONDENZA. E Notare n PPILOGATE:. -. Piemonte. Musa: carta delta: data pi cir - Beatiatica della P pi d'Alessandria, p. Sr, Esportazione della seta i | Commercio italia: na ‘DO, p: 53, — R. Accademia delle Scierize, p, 55, = Intaglia di: ‘aa quadro di. Raffaello eseguito dal Toschi » Ps 66. -_ di monu- Pe : mento a Novara, p. 57. sdissii Si ; È ARE SA a - Liguria. Corrispondenze.@ varietà, |.» ; a Lombardia. Quadro di alcuni. ‘miglioramenti fate ° nol talia superiore ui "e. mercé lo spirito di associazione, p. 6a. — Corrispondenze; | Pi 67 Niccolò Bettoni ; corso di studi, pi 67. Anbali di apo i ARE > Biblioteca: italiana; p. 69.< Varietà Si A x Venezia. Varietà p. 71: — Corrispondenze, < È a Parma. Relazione del Tremuoto: che, ha davneggiato he là. i Parma sa . nel mese di Marzo 1833, > Modena. Varietà. 3 ta © Roma. Statistica dell'Arvispedalo di 8. Sio, p pi 79, - Vaie ® ca Rowiagna:. Da lettere; Varietà. . i pica ai ini « IVapoli, Da lettere; varietà. SRI E ; sti RE VER V Sicilia: Accademia: Gioenia. |. "SP RCOR CE SULA area Lucca. Igiene, edilità , acque. CA EGEO 7 Toscana: Società: per il mutuo: insegnamento , 3 pi 88 Cel "ogine. di fem E tria e Meccanica , p. 90, Strada, nella Lunigiana; pg Ri NEO, Sposta a due. Giornali Modenesi s p.9g93, = ‘ggiatà scientiiolie; P. DI a = Varietà.; p. 95. * JVecrozosra. = IR Gînora; Logan ; Vetona Vonciia; Ferrara è A Napoli ; ec, i Annunzi bibliografici; Coe, CRE È Tavole Meteorologiche; . i E: AL GABINETTO ua TIFICO E LETTERARIO DI "G. P. VIEUSSEUX | Direrrone Epironn. (PIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. | S A ee RR ; tf pesa PACI ELIO sn) RR i do Pabpro ig pigri anticipalamente, dr “Per la. Fodana | O Lire i uti anno. SOR n) SA; €D è 2: DERE 9 Froi SESES E "ÎSSON. AZIESMIETE i iu) È Zasgse | vas Sa = #9 ist: 8 o È Se ® Ò ù pa] EIA S morì. o » “n È 8 vice È; rasi Li < SAC e) ! fit pe- "3-0: (Ma ra VIN dA ‘erdrai. lo e. Per- “IN ( le, Signore . Pere av _lag®*/ NMIIN s. 1. ci" Maitre, Précépteur, s. f. Cosa perduta, NIN Chef , Superieur , Mas | Perdizione .. Chose Li] 2N Pa INN s. f. Qualunque cosa, : che sia ordinata ,opo- sta, 0accatastata l’ una appres- so l’altra, come legna, matt- oni,ec. out ce qu'il est arran- | ge, owentasse l’un après l’au- tre, ou sur l’autre, comme les bais , et les carreaux. Vr. SA (20) s. m. Padre, Autore, ” Primo Inventore, Dottore, Suocero, Avo, Proavo - Père Superieur , Fondateur , In- venteur, Auteur, Beau- Père, Grand - Père, Aieul, Bisa- ieul. Plu:M28, Padri ec. Péres eci Const. ‘38. Padre di. Pè- re de *“>%.Padre mio. Mor père ‘38. Per NINNI, e 77028 IN (35) s.m. Freschezza , ver- dura, frutto fresco, verde; O) bellezza, estate, 0 fiore! O) frutto, 0 pianta. Biniasae, era fruit frais, vert, ou beauté , éte , fleur ; fruit, plante; 33% Freschezza sua. Sa frdicheur. SN. DIN c.3A ‘7a* Un certo ornamen- T to Donnesco di varie co- se composto. Certain orne- ment de femme compose de plusieurs choses. c. IN s. m. Quinto mese lunare, che si combina fra il Lu- glio, e l’ Agosto. Cinquieme mois Hora o quicorrespond à Juillet } et Aout. c. 3N ) s. m. Padre, Mae- E stro, Capo, Principa- le, Signore . Père), PI NIN Maitr e, Pr ecépteur, Chef , Superi leur , Seigneur. Plu :; jD2N NDNIN Pa- dri ec. Péres ec. N3% Pidre mio. Mon Père. NIN V. © G NIN (33x 21) s. m. Frutto, gambo. rit, tige c NIN s.m. Bosco, selva, ha i Gelo ‘Homo fore, saule. G DIUZNIN (wins) s.f. Cattivo stato, mala dispo- sizione , 0 Alione Mauvais état , LA Vle disposition , ou affliction. c. DIN Fece, produsse il primo frutto. // produisit les premices. c DIN. 33 È NI2N s.f. Frutto, prodotto. Le fruit, le produit c. DIIIN s f. Freddo, caldo * e freddo insieme, or- rore. Froid , chaud, et Di; ST ensemble pred frisson. c. DI3'32N VAR 1ODIP22N ox Si perse, perì, morì. e perit , il mourut 93% Fece perire, disperse. // fit pe- rir ,il perdit, il ruina Y9X per NN Perderò. Je perdrat. c. II° 7.128 T2N SU Perdizione. Per- NIN ( dition. o. NIN) NAS s. fi VITIN \ s. £. Cosa perduta, Perdizione . Chose AB A, prep. «bbx cm) da, au. Per ap- presso 2». 5g». 57, ds, c. *3a. NI), in3.1PDI- Prés, auprés. Per a modo, a guisa di, 79, 7283, +5. c. MI, PI2, MMI? PI. MPI. Comme, à la facon. Per circa, 290, S8NA03 c. MI. Er viron. Per con DV, 2 Avec ; à. Per contro ©). ? Contre. Per contra, verso bin bp. da ma:3, n, nby>. map DR c. 082». 19. Vers, envers, du coté. Per da *m.byp. Dv. -P.79; De, par. Per di bw De, à. Per dopo. "NS. c. 03, Après. Per in ty. «3. 0» dj az, en. In significato di per «5. Pour. Per sotto NON c, NNN d, sows. Per sopra by sur, à. Per tra 099. PI. «2. Par, entre. Per conforme 3."9? c. Did». à , selon. Per infra, a capo, in termineD>, NN, TDI c.03 à bout, au bout, de là. A Anecti, 7. Inanellare. A. Argento, 7. Inargentare A Armaconto , INDY DE DPI ANI. En bandouliere. Az, 7. in Vocab. Latino. A Bagsoccro , N71 o5. pap. Inconsidérement,etourdiment imprudemment. A Baccnerta, /. Bacchetta. A Bacio, 199) N° NMUN DIPRI bs pipn3 wow Kn lieu ombragé, ou placé au nord. Araco, s. mn. IVIVA MINI mb Pail- loir , abaque. ARADA, Ss. 1. IVO PINI MOTP Aba- da. Animal feroce de la basse Ethiopie. * AB A Bapa, Tenere a bada, NN. mwpn DD c. 295P, fu, mr. Mn, Suspendre quelqu’ un , le te- nir en suspens, faire perdre le temps , amuser. Stare a bada mEnENA DIM ANS e, MI .NAY pis 120, {DD N23, ]30.29). Lanter- ner, s'entretenir, s'amuser , attendre. Asapessa, 77. abbadessa, e Ba- dessa. A BapaLucco, 7. a bada. A Barre, /. a Barella. A Barocco, /. a Bada. A Bamzera, Z. a Vanvera. A. Banco, sederea banco, 17? 3V Ténir séance , ou sieger Az Antico, DIPI. 729 DuDD . c. param Jadis , autrefois, an- ciennement. Aao,s. m. NVI, PSP. TA. c. NI 231. Chef , Conducteur , Pré- sident, qui preside. A. Baratto, fare a baratto 9. qoNN.MV. Cc. AMIV, 05.500 Zro- quer, changer, brocanter. A Barposso, cioè montare a cavallo ignudo 2 a Db by Dim» Monter un chevalànu, à dos nu.Per met.vale Alla peggio. A Barerna,D"99N, DIAM. 23,29. Co- pieusement ; abondamment. A Basta LENA, N29) "99 IMI DI, De toutes ses forces, tant qu'on peut. A-BasrAnTE:)) V. Abbastanza. A Basranza ) Arare ; ED ABBATE, S. Mm, NWI, 8. c. NIN Abbe. ABATONE, S. 1. Dima aswaiv ax, Un grand, et gros Abbe. AB A”. prep. «bbc me A. al, ad. A°, pour aprés IN, MAS. Cc. ma. Dopo, appresso. Pour avec «2. DD Con. Pour dans, en dà bed, A, in,nel. Dans le Sign. de pour 793 bp 4, da , per. Pour selon, suivant "5a *p9 1 0. DID. A, al, se- condo , a tenore. Pour sur by Sopra , in. Pour vers mani. nos be. bo ba o, 909 185 Verso, circa. Aarser, CABRER 77 Arar, s.m. Man borbspoe mie oe DI. Villano turco impie- gato sul mare. A5AcA, s. m. DUI NINIPN NIN NV, Sorta di lino, che ci capi- ta dall’ America. Ataco, s.m. Z7, ApAque. Azacot, s. m. DONI ‘NV NMSI AND Sorta di ornamento da testa in guisa di due corone , che usavano anticamente i Re d’ Inghilterra. ABapa,s. m. 2372 PISIMND Aba- da, Animale feroce nell’Etìo- pia. Asapir, s.f. 13ND? Nome di Pie- tra, della quale si favoleg- gia, fosse ingojata da Sa- turno , invece di Giove. Azasour, s. m. N93, man 235y pbn D'IINO "UP c, MIND. SMEN Abba- ino , spiraglio; Persiana , cioè riparo di piccole tavole orrizzontali. ABMISSE, s. f. NN NINNA Quel- la massa di pasta , che ser- ve a formare la crosta di sot- to de’ pasticci. AB Asarsser, 77. ApPAISSER. ABAISSEMENT, S. M. movi. mbay, Abbassamento, calamento; di- minuzione. Fig. Humiliation volontaire, ou forcée Y3, Depressione avvilimento, bas- sezza. ABAISSER, Vv. a. NON, bon. own, nen. A4bbassare, calare, man- dare giù , avvallare. Pour déprimer, humilier, ravaler PIT, MPN. NT, MP Cc. PN. IONN, Umiliare , rintuzzare , avvili- re, deprimere. ABAISSÉ, m. 993. bow o. 7. De- presso, basso , abbassato, umi- liato, sottomesso, AsaissEUR, s.m. WY8 3 pbn ba pw 19 porn niwa men) no 1 No me di diversi muscoli la cui funzione è di abbassare le parti alle quali sono attac- cati, Depressore , Umile. AsaLourpi, m. DPYUN Stordito. AsALOURDIR, v.a.MONC.D9YW, Stor- dire gridando. ABANDON, s.m. MADW, pu. Map c. NpIV. Abbandono, abban- donamento. ABANDONNEMENT, Ss. m.PWDP , 1INY nonv c.NP37 Abbandonamento, cessione , abbandono. Pour Ri pi déréglement dans a vie, dans les moeurs Mpy Dissolutezza , disordine , sfre- natezza. ABANDONNER, V. a. MIn.WoI, MI, DIV I? Cc. IDN. VW. PIV. Abban- donare, lasciare in abbando- no, lasciare. Aranponnée, 33 Abbandonato ANTOL LOGIA N° 158 DELLA: COLLEZIONE. N° 18. DEL SECONDO DECENNIO State 1852, ! Der. PROGRESSI DELLA GEOGRAFIA: E DELLA SUA LETTERATURA: NEL TRIENNIO FINITO COLL'ANNO 1831, Parte Siconpa (*).: Rivista Speziale: LUI , : t + RDopo di avere ‘additato ai' nostri leggitori ciò che ‘in ‘genere hanno contribuito ai progressi della Geografia i navigatori, gli scienziati ; le società dotte e letterarie , e le opere periodiche, faremo in'questa seconda parte mostra dei’ risultamenti' ‘speciali ed.etnici ; chele fatiche loro hanno ‘protatciatòo per ‘la migliore cognizione delle, diverse regioni della terra. E contuttochè i' più importanti si presentino helle altre parti del globo , comincieretmò nondimeno da quella che per. noi debb’essere , ed è la più in- teressante ;-dimostrando.in primo htogo ciò che abbia Epi la scienza ‘geograficanella nostra Europa. E senza dubbio fra gli accrescimenti della Geografia non v'ha nessuno, che possa competerla con ‘quelli somministrati dall’opera bi (*) Vedi Ant. aprile 1832 pag. 478, 2 del sig. Luigi Brughiere intitolata Orografia dell’ Europa , opera coronata dalla società di geografia in Parigi fino dall’ anno 1826 , ma pubblicata'solamente’nel 1830 come terzo volume della rac- colta di viaggi, e di memorie di quella dotta società , con carta geografica , disegni orografici , e tavole metodiche , sinottiche, e dimostrative. Da La mossa , ed il sistema dall’autore addottati sono semplici , e metodici. Incomincia dal gettare, come stante in cima del monte Bianco, un’ occhiata ‘d’ insiemè ‘sulle montagne dell'Europa , e conchiude da questa osservazione generale , potervisi ricunoscere sette principali masse , o sistemi d’ ineguaglianze , che distin- gue coi nomi seguenti: 1.0 Esperico , 2.° Alpino, 3.° Sardo- Corso , 4.° Taurico , 5.° Sarmatico , 6. Britannico , e 7.0 Scan- diravico. Una carta generale mette sotto gli occhi del leggitore il complesso di questi sistemi di divisione orografica dell’ Euro- pa : dodici tavole dimostrative ne fanno vedere i gruppi , le loro catene e ramificazioni, colle rispettive loro-situazioni , direzioni, e da quali valli ed acque correnti sono circoscritte. In guisa che si vede il sistema alpino , diviso in cinque gruppi, cioè occiden- tale ; centrale, australe:, orientale e boreale, soddividersi nel primo in tre rami, le Cevenne, i Vosgi, ed'il Jura; nel secondo in Alpi marittime , cozzie, greche , pennine , elvetiche, retiche, noriche , carniche, e giulie ; nel terzo in Apennino settentrionale, centrale, e meridionale colle isole siciliane ; nel quarto in Alpi dinariche, monti del Balcan, di Rodope o Despoto Dagh,, di Stancesdaghi, del Pindo, e della Morea.; le nel quinto finalmente in monti Carpazii;, Sudeti , e. germanici occidentali. eil Un prospetto d’ insieme e. lo sviluppo, descrittivo accompa= gna. ciascheduna tavola, e precede quella delle altezze :dei‘punti .culminanti sovra il liyello,dell’oceano.| Quivi trovansi caratteriz» zate le divisioni dei varii gradi annessi nella. tavola generale. Al- cune ‘osservazioni ; più o meno importanti, illustrano iquesta:parte descrittiva, nella. quale l’autore. ha. saputo riumire molti ‘fatti della geografia fisica, e'dell’orittognosia., che s’attenevano:al'suo soggetto. A norma poi dell’ ordine. metodico delle. divisioni, ‘è suddivisioni naturali da lui addottate per ogni sistema o gruppo, regi-tra pure tutte le altezze numeriche venute a sua cognizio- ne, indicandune sempre le autorità , i precisi punti misurati , il metodo per ciò impiegato, la longitudine |,.e la latitudine dei principali punti culminanti. Le quali altezze .così specificate; sommauo a 7205 , in molta parte dallo stesso autore misurate, e conseguentemente per lo innanzi non mai conosciute. Per curio- 3 sità soggiungeremo quì l’ estratto seguente di queste altezze dei punti più culminanti, nei sette sistemi orografici dell’ autore. 1.° Sistema esperico. Catena peno-betica. Cerro di Mula Hassan. Metri 3954 — marianica. La Foja, Sierra de Monchique. ,, 1243 — oreto-erminia. Sierra de Guadalupe. 33 1559 — carpeto-vettonica. Sierra de Gredos. ss 3216 — iberica — Sierra de Moncajo. 33 3000 — isole Baleari. Majorca. 33 1550 — — Minorca. >> 1450 Pirenei galliberici, Vignemale 553353 — cantabrici. Sierra d’Aratar. so 2144 — asturici. Pegna di Penaranda. »» 3362 — callaici. Sierra di Mondonedo. 99.897 2°. Sistema delle Alpi. Cevenne. Monte d’ oro nell’ Alvernia. » 1897 Vosgi. Ballone di Guebviller. » 143 Giura. Il Reculeto. | i 33 I71O Alpi marittime. Monte Pelvo ia 2030 — cozzie. Monte Olano: >> 4216 — gracche. Monte Iserano. 33 4046 — pennine. Monte Bianco. » 4795 — — Monte Rosa. >» 4618 — elvetiche. Finster Aar-horn. »» 4300 — retiche. L’Ortler. 3 3917 — noriche. Il Gran Glockner. » 3394 — carniche. Marmolata. » 2984 — giulie Monte Terglou. » 1699 Appennino settentrionale Monte Cimone >» 2126 — centrale. Monte Corno del GranSasso ,, 2902 _- meridionale. Monte Amaro. » 2783 — Monti siciliani L’ Etna. i 593343 Emo, ossia Balcan Tsciar-dagh. 33 3200 — Monti ellenici. Il Pindo. 3 2550 Monti Carpazii orientali —Rusca Poyana. 135703021 — occidentali. Lomnitz. 33 3598 — Sudeti. Riesenkoppe. » (1644 — . Germaniche. Schneeberg, contea di Glatz. ,, 1458 _ Feldbery , Selva Nera.. » 1453 3.° Sistema sardo-corso. Monti di Corsica. Monte Rotondo. » 2704 — diSardegna. Genargentu. Punta Sciusciù. sd 1830 4:° Sistema taurico. Monti di Crimea. Tsciatir-dagh. 3 1540 5.° Sistema sarmatico. Monte Valdai, punto più elevato. so 34I 6.° Sistema britannico. Monti scozzesi. Bein Nevis, nel Grampian. 9. 1329 — inglesi. Lo Snowdon, nel paese di Galles. so. 1084 — irlandesi. Carran Tual. 391 ,1040 7.° Sistema scandinavico. Monti di Svezia. Syltoppen nel Jemtland. 30, 19770 —_ Helagsfjallet, nell’ Herjedalen. sia FORO _ Areskutan, nel Jemtland. 30 r:31439 —_ Svuckustot, nella Dalecarlia. so. FARI —. di Norvegia. Skastre-Tind , nel Sognefield. 37/2139 - Snohatten , nel Dovrefjeld. mor 2479 — Sulitielma ; nel Kiòlen. PIRRO :1:}:) ti Oost-Vaagen, isola di Lofoden, sy, 3188 A questa egregia opera del sig. Bruguière succede per im- portanza , utilità , e bellezza di esecuzione il magnifico Atlante dell'Europa dal sig. Filippo Van-der-Maelen costruito sovra una scala di. uno per secento mila, e colla projezione modificata di Flamsteed. Del quale atlante sonosi già pubblicate ventisei di- spense, delle quaranta ed una, che conterrà tutta l’ opera, com- posta così di censessantacinque mappe, e d’ un quadro di, as- sembramento. Altro atlante non meno bello,.e bene eseguito, sulla scala di uno per cinquecentomila:, si sta similmente pub- blicando a Friborgo , dal sig. J. H. Weiss. , in 122 fogli litogra- fizzati dal sig. J. E. Woerl. L’ Italia conterrà sola diciotto carte, con più tre speciali della Toscana , tre del Regno lombardo ve- 5 neto ; sei della monarchia Sarda, due di Parma, Modena, e Lucca ; cinque dello Stato pontificio, e sette del Regno delle due Sicilie, Le strade , i limiti, ed i luoghi abitati sono impressi con inchiostro russo. I. Irania. Oltre il Nuovo Specchio già da noi accennato del signor Pietro Castellano ; pochi altri libri metodici di geografia sonosi nell’Italia stessa pubblicati nel decorsv triennio , e vera- mente utili ai progressi della scienza. Cionondimeno per la coro- grafia possono poche regioni far mostra di opere così belle come la nostra Toscana, cui fanno, e faranno, onore, vero ed altissimo, in primo luogo l’ Atlante geografico istorico del Gran-Ducato in venti mappe del. sig. dottore Attilio Zuccagni Orlandini , il quale , incominciato nel 1829 , progredisce con lento sì ma co- stante passo verso il suo fine, essendone già pubblicate dicias- sette mappe, colle rispettive statistiche illustrazioni ; «e quindi la Slatistica agraria del Val di Chiana, del sig. prof. Giuseppe Giuli già nell’ Antologia notomizzata dal dotto , ed ingegnoso no- stro geologo sig. Emmannele Repetti. Un’inglese , sir Richard Colt Hoare, ha pubblicato alcuni ottimi ragguagli intorno l’isola del- l’Elba; e per gli stati di S. M. Sarda uscì nel 1830 in Torino, una seconda edizione della Guida itineraria del. viaggiatore in quelli stati, con sei tavole, e carte. geografiche. Per lo Stato pon- tificio il sig. Gabriello Colindro ha pure pubblicato in. Perugia 'un Saggio geografico, e pel. Regno delle Due Sicilie ‘si sta pub- blicando attualmente a Napoli una Corografia specificata in 22 grandi mappe ; opera del sig. Benedetto Marzolla , impiegato: nel Reale Officio topografico. Fino dal 1830. compatve colà un in- teressante Viaggio in Abruzzo fatto 1’ anno. precedente dal signor cav. Tenore , autore già di varii altri viaggi, e di un opuscolo sulla geografia fisica , e botauica! di. quel regno, mentre un si- gnor R. Duppa stava pubblicando a Londra i suoi Viaggi in Si- cilia ed alle isole di Lipari; e nel 1830 uscì puranche a Napoli una buona descrizione di quella Dominante, e dei suoi contorni, del sig. L. M. Galanti,. già noto pei suoi Elementi della storia e geografia del Regno delle due Sicilie. Altro viaggio in Italia , ma piuttosto, storico e letterario, che utile alla geografia ; fatto negli anni 1826,1827 e 1828 sta pure pubblicando, in. francese , ed a Parigi, il sig. Valeri , conservatore delle biblioteche, reali; dei tre tomi finora, usciti , 1° ultimo tratta della Toscana. Anche in Londra il signor Josiah Conder pubblicò , 1’ anno, scorso ; un libro assai buono sotto il titolo d’Ztalia, 3 volumi in 8.°, che me- rita. tutta l’attenzione dei viaggiatori, contenendo (un sunto 6 critico, e sostanzioso molto, di tutto ciò che di meglio è stato in- fino ad ora scritto, e stampato intorno la nostra bella penisola. Ma più profittevole per gli stranieri, che amano di conoscere atil- mente l’ Italia, sarà la Nuovissima Guida dei viaggiatori pub- blicata nelle due lingue italiana e francese appartatamente, negli auni 1829 e 1830, in Milano ; edizioni commendabilissime, e le più lodevoli che da noi si conoscano , soprattutto per la miglio- rata forma, ed esecuzione delle carte itinerarie.; e delle piante topografiche delle principali città , non che per le più esatte de- scrizioni locali che in sè contengono. A quale proposito si è letto già nell’Antologia (n. 124 ) un articolo di uno dei suoi più dotti collaboratori , dove alcuni ottimi pensieri ; e molti fatti anche’ per la geografia importanti j si trovano con varia, e peregrina erudizione acutamente esposti. E se infine ci venga permesso di parlare anche di traduzioni italiane di opere eelebri in ol- tramontane lingue composte , accenneremo qui solamente quel- la compendiata della Geografia universale di Multe Brun, che parimente in Milano ‘ha pubblicato il sig. Giuseppe Belloni, e quella del Corso elementare di geografia antica e moderna del sig. Letronne, ristampata in Firenze da un librajo specolatore , il quale, per una parsimonia troppo male intesa , vi ha lasciato correre molte inescusabili mende . tanto nella dettatura italiana della traduzione, quanto nel senso , e nelle particolarità di varii ragguagli scientifici , che invece di dare a principianti nozioni chiare ; ed adeguate, li introducono anzichè nò in un bosco d’ errori. Ma se ci duole amarameute di vedere strapazzata così nel- l’Atene d° Italia un’ opera d’ altronde , e per metodo , e per so- lidità d’ istruzione , commendevole, ci gode sinceramente 1’ a- nimo di potere qui tributare alti, e meritati encomii al dottissi- mo , e celebre nostro astronomo e geografo ; il P. Giovanni Zn- ghirami delle Scuole pie, il quale colla sua impareggiabile Carta geometrica della Toscana ricavata dal vero, nella proporzione di uno a dugentomila , ha innalzato alla scienza , ed alla patria , un monumento magnifico quanto glorioso } degno del secolo , e più del bronzo durevole. Lavoro immenso , frutto di nove anni di veglie e di fatiche , questa Carta, divisa in quattro grandi fogli , diligentemente disegnata, e con esattezza e grandissima ni- tidezza incisa, è innegabilmente una delle più belle mappe co- rografiche venute finoggi alla luce in Europa, ed ebbe già ra- gione l’ Antologia ; nell’ annunziarla pubblicata, di givire nel- l’idea ; che un così prezioso ed utilissimo lavoro sia stato con- 7 dotto a termine in Italia, e per l’ appuuto nella cara nostra To- scana; e ciò tanto più, chè nessun altro paes: del mondo può far mostra di un capo d’opera consimile. Di questa medesima carta è stata poi fatta una riduzione ad un quarto. cioè nella proporzione di uno a quattrocentomila, dal valente geometra il sig. Girolamo Segato, ad un tempo disegnatore, incisore, e calligrafo abilissimo; e di altro Atlante corografico della Toscana si propone pure la pub- blicazione, sotto la direzione «del sullodato P. Iughirami, in cen- sessantacinque mappe ; mentre il sig. Repetti si occupa di darci un Dizionario geografico fisico-storico di questa hellissima parte dell’Italia, con tanta ragione denominata il giardino dell'Europa. Pei ducati di Parma, Piacenza, e Guastalla dobbiamo pure al- 1’ Istituto geografi.o, e militare di Milano una bellissima carta to- pografica in nove.grandi fogli, nella proporzione di uno a 86,400 levata trigovometricamente »fin dagli anni 1820 e 1821, ma ter- minata, e pubblicata solamente nel 1829. La quale magnifica carta somministra notizie di sommo pregio intorno Ja struttura dell’ Appennino , la fisionomia del suolo presentandovi un? imma- gine talmente perfetta, che pare a prima vista un bassorilievo . itra carta dell’ intera Italia sta preparando in Milano il sir. Antonio Litta Biumi, già vantaggiosamente conosciuto per le sue belle carte geografiche degli stati pontificii. Sarà dessa composta di ottantaquattro mappe nella proporzione di uno a du- gento venti due mila dugento ventidue e due noni, e conterrà, come quelle di Lesage, di Buchon, e di Zuccagni la topografia delle città, Ja statistica, la geografia fisica, e la storia dei Inoghi più cospicui. Questo gran lavoro dev'essere già terminato, e re. sta solo a finire l’ incisione di alcune mappe. SI. GERMANIA. Questa è, generalmente parlando, Ja regione d’ Europa ove più indefessamente si lavori per estendere i limiti della geografia. Se non che nel triennio decorso non troppo so- nosi occupati della patria loro i dotti geografi tedeschi. Dopo la bella opera del sig. Crome sulla forza degli Stati componenti la Confederazione germanica , e quella del sig. Rokrer per 1’ impero austriaco , e dopo la livellazione barometrica della selva nera e delle sue adiacenze , eseguita e descritta dal chiarissimo capi tano cav. Ernesto H. Michaelis, nei mesi scorsi stanziato in Firenze , nessun’ altra opera d’ un interesse generale non ha ve- duta la luce in Alemagna ; tranne un Atlante manuale gevgra- fico e statistico della Germania , da) General maggiore RiAle ldi Lilienstern nel 1831 pubblicato a Berlino in nove grandi mappe; una Carta pure della Germania , compresivi , come di ragione , (5) 1 Paesi Bassi , e la Svizzera, in 25 fogli composta, e pubbli- cata dal consigliere Adolfo Stieler, sovra la scala di uno per ot- tocento mila; ed infine una Carta geologica della parte mae- strale dell’ Alemagna , pubblicata in 24 fogli dal sig. Federigo Hoffmann, cui VAntologia va debitrice di alcuni Cenni dottissimi sull’ Appennino centrale , e sulla nuova isola volcanica apparsa e poi svanita, l’ anno scorso, dirimpetto a Sciacca nella Sicilia. Ma nelle diverse monarchie , e provincie germaniche si sono dati alla pubblica luce , entro il nostro trierinio , varii lavori non senza importanza per la geografia locale. Così , verbigrazia, per l’Austria, dobbiamo al sig. G. N. Schnabel una Statistica generale degli stati germanici, e princi- palmente dell’ Austria ; al Colonnello Traux una Carta itineraria delle poste di quell’ impero , piena zeppa di notizie pregevolis- sime per la corografia ; allo stato maggiore austriaco in Milano una magnifica Carta in 25 fogli del Tirolo , e del Vorarlberg; al dottore Streinz una eccellente Statistica dell’ arciducato d’Au- stria al di quà dell’ Enns, e del ducato di Salisborgo; al sig. Fr. Schweikhardt , ‘cavaliere di Sickingen, un quadro del medesimo arciducato al di sotto dell’Enns , e finalmente al sig. Martiny un Manuale pei viaggiatori nelle montagne sudetiche della Silesia. Per la Prussia dobbiamo al sig. F. de Restorff un’ ottima Descrizione geografica, e statistica delle provincie prussiane del Reno ; pubblicata nel 1831 a Berlino; al sig. barone L. di Zedlitz una Guida dei viaggiatori negli stati prussiani, e provincie cir- convicine , ed alla signora Giovanna Schopenhauer un Viaggio sul Basso Reno. Di nuove carte geografiche però non sapremmo in- dicare che una sola in dodici fogli, comparsa in Berlino nel 1831, e della quale ha fatto grandi encomii la gazzetta di stato prussiana. Nel regno di Baviera il sig. Jak pubblicò , due anni sono, in Augusta, una Descrizione istorica, statistica, topografica, e geo- grafica, composta da una società di letterati ; ed in Eidelberga uscì pure una compilazione del sig. J. D. A. Hoeck, intitolata Prospetto statistico della Baviera, di cui il merito sembra per lo meno equivoco. Nel regno di Vurtemberg il sig. G. D. Memminger va non solo continuando i suoi Annali vurtemberghesi per la storia, la geografia , la statistica , e la topografia della patria , stampati an- nualmente a Stocarda ; ma sta pure attnalmente pubblicando , dai torehi del celebre Colla, una Descrizione minuta delle otto provincie o prefetture di quel Regno, in altrettanti volumi con carte , figure ; e tavole statistiche. 2) Pel regno di Annover abbiamo acquistato una buona De- scrizione geografica generale, é speciale, in quattro discreti vo- lumi, del sig. H. D. A. Sonne; pel Granducato di Baden alcuni buoni Cenni statistici di tempo in tempo inseriti negli Annali di Storia e di politica ; e per quelli di MeX/emborgo Schwerino, e Strelitz, una non ispregevole Descrizione geografica del sig. Gustavo Lempel; mentre nell’Assia Elettorale si sono avuti ot- timi Materiali per servire alla sua geografia e dei luoghi cir- convicini, raccolti e stampati nel 1831 dal sig. C. L. Gerling , e che nell’ Assia- Darmstadt. sì sta pubblicando una bellissima Carta di quel Granducato, per opera dello stato maggiore as- - siano , sulla scala di uno per cinquantamila. Per le due monarchie oramai formate dai Paesi Bassi, dopo 1’ eccellente Descrizione datane dal sig. Van Kampen, dobbiamo al, sig. Quetelet alcune buone Ricerche, statistiche s ed. al sig. Van-der-Maelen nn gran Dizionario geografico in quattro, grossi volumi; il quale peraltro, non meno che il Saggio geografico e statistico dei Paesi Bassi nel, 183‘. pubblicato a Parigi dai sigg. Adriano Balbi, e De-la-Roquette dovrà soggiacere ad alcuni: no- tabili cangiamenti, a contemplazione. dell’ essersi, nel triennio scorso, in questa parte dell’ Europa, aggiunto al novero dei suoi corpi politici indeperdenti una nuova monarchia costituzionale, cioè , quella del Belgio. Per la Svizzera finalmente. ha. somministrato il sig. L. E. André un Saggio sulla .tatistica del cantone di Berna ; il sig. Hirzel-Escher un! Giro per diverse parti (fin qui poco visitate dell’ Elvezia; il sig. I. G. Z%el una bnona. Carta delle nuove strade del cantone dei. Grigioni, e 1’ italiano sig.. T. Dandolo un’ opera intitolata. la,Svizzera occidentale, che si pubblica in Milano. ella III. Francia: Dopo l’Alemagnaè questa la regione dove più d'ogni altrove si occupito i buoni setittori. di cose geografiche patrie. Cionondimeno sono poche le opere veramente maestrevoli ed importanti ;, che nel triennio finito abbiano veduta quivi la pubblica luce. Ed'invero , se astrazion fatta dei Javori delle sne scientifiche, e letterarie società, è di qualche articolo ‘inserito nelle opere periodiche, è nei fogli politici ;.nomineremo qui la bella \ed ‘importantissima Storia della navigazione. interna della Francia » dettata dal sig. I. Dutens, le Statistiche speciali, eigli Annuarii di alcuni dipartimenti, come quello del sig. conte Chabrol-Volvic per la Senna, l’ Annuario di quello di Corsica , T. VI. Giugno 2 10 la Carta speciale delle Poste di Francia del sig. C. Viard, quelle idrografiche pubblicate dal sig: U. De Brewa nel Deposito dei ponti, strade, e miniere, ed alcune altre mappe corografiche , e topografiche, avremo ‘accennato quasi tutti.i documenti, dai quali può formarsi un idea dei progressi della. geografia patria di una nazione, la quale ; comunque benemerita della scienza in generale, sembra che si diletti più che della propria, di quella d’ altre meno prossime regioni. IV. PenisoLa IBERICA. Sulla Spagna si sono letti nella Gaz> zetta di Bajona molte belle, e preziose notizie geografiche e sta tistiche ripetute nel Bullettino del sig. barove di Férussac, prin- cipalmente intorno le miniere di quelle montagne , che, ove si facessero debitamente valere , sarebbono nel noveru delle più do- viziose dell’ Europa. Fra le opere speciali, che nel triennio ab- biano aggiunto qualche documento alla cognizione fisica, ed etno- grafica: della penisola | accenneremo in primo luogo il Dizionario geografico e statistico di Spagna e Portogallo, dal dottore Seba stiano; de Mignan'incomineiato a pubblicarsi nel 1826 ; ma ter- minato; nel 1829 in undici volumi in 4.°, ai quali è stato ag- giunto un duodecimo dal: sig. Caballero , contenente un Supple- mento critico di grave rimarco;; quindi una terza edizione stam- pata nel 1830 rimoderata ,'ed accresciuta del celebre Itinerario descrittivo della Spagna pel sig. conte Alessandro De la-borde; in sei volumi in 8.% con'molti intagli ed un atlante di. qua- | rantuna carte o piante; poscia ‘il Viaggio pittoresco dell’ inglese Sir Arturo de Cappell Brooke; e finalmente le: belle Carte nau- tiche e costiere, che 'siegue ‘a’ pubblicare il Deposito Reale idro- grafico \di Cadice ; di quali ‘carte una è comparsa nel trienuîo sovraila costa del Portogallo e della Gallicia, ed un'altra su quella del Mediterraneo , dallo stretto di Gibilterra fino al pro- montoriò di Gata. Altra-buona Carta geografica ‘e fisica dei regni di Spagna, e di Portogallo; è stata. nel 1830 pubblicata, in un foglio: massimo, dal francese sig. Saverio Girard. ‘Delle: Isole. Azore!;' attualmente centro, e sede del Governo della Regina Donna Maria »isi è avuto negli Annali marittimi e; coloniali del. sig. Bàjot pel 1830. un’ ottima Descrizione nautica, già dettata in lingua spagnuola da D. Vincenzo Tofigno ; ma poi: tradotta. in francese dal sig. Urvoy de Portzampare , con anno- tazioni; (del sig. (Duwssy; dalla quale Danensernant rapporteremo qui le seguenti generalità. di TI pro Nomi delle Isole|ne appros- simativa . San Michele| 54,000 |GCereali Delgada Santa Maria 4,000 |Vino e grano San Lorenzo Terzera 29,000. | Frumento Angra San Giorgio 11,000 |Vino e bestiami |...» Graziosa 7.700 |Orzo, Vino, ec. {Santa Croce Pico 21,000 |Vino, ignami, ec. {S. Maddalena Fajale 16,500 |Frumento Orta Flores 7,000 {D.° ed oricello Santa Cruz Grano e bestiami |. . è - TTI eeee”e c=<=x---- Popolazione 151.000 anime. Prodotti Ai . |Città capitali principali I 2. 4. 5. 6. là 8. > V. Isore BriranNIcHE. Anche qui occupandosi unicamente i geografi d’ investigare, e studiare lontani paesi piuttosto che il loro proprio; che già molto bene conoscono , pochi sono i pro- gressi che vi possa fare la patria geografia. Contuttociò merita qualche attenzione il Nuovo Dizionario geografico della Gran Bretagna, che contiene la descrizione di ogni città, borgo, e casale dei tre regni, pubblicato nel 1830 dai sigg. J. Gorton e W. Wright, con 48 mappe geografiche ; e molti fatti nuovi e curiosi contiene pure un Opera del sig. T. Price intitolata Sag- gio sulla fisionomia, e la fisiologia degli abitanti attuali della Gran Bretagna. Al sig. Adriano Baldi poi si è dovuto uno dei soliti suoi Prospetti , rappresentante il Mondo comparato coll’im- pero britannico, pell’ anno 1830. La gran questione del Bill di riforma che è oramai decisa , produrrà forse e senza forse notabili cambiamenti nella divisione amministrativa ‘de’ tre regni, già provocati fin dall’ anno 1825 dal sig. Kelsall, in un suo eccellente libro sulla Geografia delle isole britanniche, e sulla gerarchia ecclesiastica della Gran Bre- tagna ; su quale libro abbiam letto nel Bullettino 69 della So- cietà geografica di Parigi alcune dotte, e giudiziosissime Annota- zioni del sig. Barbié du Bocage. VI. Scamprmavia. Nel suo Specimen geographiae physicae comparativae il professor danese Gioacchino Federico Schow, che abbiamo veduto più volte a Firenze. avea già nel 1828 accre- sciuto di molto le cognizioni, che si aveano delle alpi scandina- viche, dei loro punti culminanti , dei loro declivii ed arquapen- denti, e più spezialmente della geognostica loro costituzione. Lo svezzese cav. Guglielmo de Hisinger ha dipoi dato alla scienza 12 limiti molto più estesi, non solo in quelle parti, ma in molte altre provincie ancora della penisola, principalmente riguardo alle altezze verticali delle montagne. Così pure dopo le belle mappe generali di Akrell, di Hallstrom, di Hagelstam, e del colonnello cav. Carlo Gustavo di Forse/l, il tenente colonnello cav. Guglielmo Massimiliano Carpelan ha pure dato alla luce, nel 1830, una bellissima Carta generale della penisola scandi- nava, cioè della Norvegia , della Lapponia, della Svezia, e delle isole danesi. Come opera però di massimo pregio, e che più spezialmente abbia esteso i limiti della geografia fisica, descrittiva, e politica della penisola scandinava , non dobbiamo , nè possiam passare qui sotto silenzio un libro studiatissimo, e pieno zeppo di pre- ziose , e peregrine notizie, pubblicato nel 1831 a Stocolma dal testè nominato signor Colonnello cav. di Forsell, col titolo di Statistica della Svezia fondata sovra documenti pubblici ed au- tentici, ed accompagnata da una bellissima Carta geometrica di tutta quella penisola, nella quale sono distinte, per mezzo di diversi colori, le varie altezze di ciascheduna provincia sopra il li- vello del mare. E veramente non possiamo resistere al piacere di rapportare qui almeno le iscrizioni dei diciassette capitoli, che compongono quest’ ecceliente manuale statistico , e che espongo- no successivamente , 1.° La costituzione fisica del paese in ge- nerale ; 2.° il clima , e la vegetazione; 3.° l’ origine, e le vi- cende del popolo svezzese ; 4.° il governo ; e 1’ amministrazione attuali; 5.° il carattere , ed il numero della popolazione, nascite, morti, matrimonii contratti, e disciolti, ec. 6.° la forza armata di terra, e di mare; 7-° il novero dei poderi rurali (hemmantal) di tutto il regno; 8.° l’ agricoltura, la pastorizia , i boschi, e le foreste ; 9.° lo scavo delle miniere ; 10.° le fabbriche , le arti, ed i mestieri ; r1.° il commercio; 12.° le gravezze pubbliche, il budget ; 23.° la ripartizione del popolo per classi, secondo la ricchezza , ed i mezzi di sussistenza; 14.° la cura dei poveri, gli stabilimenti di correzione, le carceri , ec. 15.° la statistica delle città, giusta i censi dell’anno 1828 ; 16.° la popolazione della Norvegia nel 1823, e 17.° le tavole comparative fra i pesi e le misure di lunghezza, di superficie, e di capacità, che si usano nella Svezia, e quelli de’ paesi esteri , ec. Del novero dei viaggiatori, che nel triennio visitarono quelle interessanti provincie, accenneremo gli inglesi Riccardo Ewerett, e Derwent Conway, che ambedue pubblicarono Relazioni dei loro viaggi, come fece altresì un anonimo svezzese, che nel 15 1829 andò visitando la Dalecarlia. Nella Svezia varie opere più o meno estese di geografia , e corografia patria uscirono dalle stampe di Palmblad e C. di Upsala, ma poco o nulla aggiun- sero alle nozioni positive, che già possedevamo di quella regio. ne. Della provincia di Ostrogozia peraltro si è acquistata una Nuova Descrizione di autore anonimo , che la va pubblicando a Linkòping; ma della Svezia antica e moderna del sig. Ther- sner, non sortì nel triennio altro che tre sole dispense , cioè la 34.2, la 35.* e la 36.* Ad usò e comodo dei viaggiatori si pubbli- cò , nel 1830, a Stocolma, una Compiuta Guida per tutte le pro - vincie del Regno , coll’ Itinerario di Norvegia, e di Finlandia ; e nel tempo medesimo comparì un Manuale per servirsi util- mente della Carta itineraria ridotta di Akerlind. Altra carta co- rografica di molto merito del territorio detto Luled Lappmark , è pure stata pubblicata in due fogli dal sig. Francesco De Scheele; a tacere di molte picciole topografiche mappe, e descrizioni di distretti, podesterie , parrocchie, e tenute della penisola , segna- tamente in Isvezia, dove, per un’ ordinanza del Governo, cia - scheduno agrimensore postulante d’ impiego ; è tenuto a levare e descrivere una Carta topografica di qualche parrocchia, o d’un predio della penisola. La scala di queste carte è comunemente nella proporzione di uno a diecimila, ed ognuno vede che, con- tinuando in siffatta guisa, la Svezia finirà con possedere un a- tlante, che non avrà il suo uguale nel mondo intero. Varie Ac- cademie, e nominatamente quella d’agricoltura di Stocolma, vanno pubblicando nelle loro Memorie le descrizioni dei territorii così fattamente rappresentati sulle carte ; ed in Norvegia si occupa pure in modo particolare della corografia patria la Società delle Scienze, sedente in Trondheim. E che nella Danimarca eziandio si coltivino con impegno le scienze geografiche , lo prova esu- berantemente il bel Trattato elementare di Geografia del sig. colon- nello cav. d’Abrahamson, accompagnato da 32 carte, delle quali diciotto rappresentano le diverse provincie della monarchia da- nese , e servono all’ insegnamento della patria corografia nelle pubbliche scuole. VII. Moscovia. Già si conoscono per l’Antologia i lavori com- parativi degli italiani sig. Adriano Balbi, e Gaetano Recchi , pubblicati nel 1829. Ma d’ allora in poi sonosi fatte nella geo- grafia di quel colossale impero progressi, di cui poche altre re- gioni dell'Europa possano mostrare gli uguali. Debbono essi prin- cipalmente ascriversi ai nobili, ed indefessi lavori dell’Imperiale Accademia delle Scienze di Pietroborgo, e di alcune altre dotte 14 e letterarie Società della Russia, non che al Dipartimento im- periale dell’Ammiragliato. Più di tutti però vi ha contribuito per avventura l’ illustre, ed instancabile sig. Barone Alessandro di Humboldt; ma come i resnltamenti delle sue scoperte; e delle odeporiche sue fatiche appartengono più all’ Asia che all’ Euro- pa; ne parleremo più a proposito trattando della Siberia. Così pure il norvegiano professore Hansteen ed il prussiano dottore Ermann, fecero in quelle poco note regioni scoperte d’altissimo pregio sul magnetismo terrestre , per le quali s° è vennto a sa- pere; che l'Impero Russo è l'unico paese del globo attraversato da due linee senza declinazione dell’ ago calamitato , cioè, sulle quali egli è diretto precisamente verso i veri poli della terra. Una delle quali linee passa fra Murum e Niscenei Novogorod in Europa, e la seconda poche leghe distante da Irkutsk, fra Par- kinskaja e Jarbinski. Oltre questi studii del magnetismo terrestre si è pure arrichito in Russia di molti nuovi resultamenti quello dell’ atmosfera , e della configurazione del suolo. È un fatto co- nosciuto , ma sommamente notabile nella geografia fisica ; che gran parte della superficie del globo nelle vicinanze del Volga, e del Mare Caspio è inferiore di molto al livello del Baltico, e del Ponto Eusino ; e che quello appunto di quest’ ultimo mare sta realmente a più di trecento piedi al disopra di que!lo del Caspio. Ma tinoggi non è ancor apparso chi abbia saputo spie- gare accuratamente questo curioso fenomeno; avvegnachè il dot- tissimo sig. barone di Humboldt abbia già in molta parte solle- vato il velo che ne cuopre il mistero, attribuendo questo all’abbas- samento «li certe porzioni di quelle terre, prodotto dal vuoto la- sciato nel seno del globo pell’ innalzamento simultaneo, in altre parti vicine, delle più gigantesche fra le montagne. Per la Moscovia , ossia la Russia in Europa , dopo le dicias- sette belle Tavole istoriche, eronologiche, geografiche, e stati- stiche del sig. Alessandro de Weydemeyer, che già ridussero a soli cinquantatre i sessanta e più milioni di abitanti delle Ta - vole de’ sigg. Balbi e Recchi, e la Geografia dell’ Impero di Russia del fu sig. Alfonso Rabbe, opera più che mediocre , il migliore libro che nel triennio siasi pubblicato , si è il Saggio di una Statistica generale dell’ Impero di Russia del sig. J. H. Schnitzler. Da esso, e da documenti officiali più tardi fatti di pubblica ragione dal medesimo Governo Russo , nel Giornale del suo Ministero dell’interno , resulta, che la vera popolazione di tutto l’ Impero, compresa la Polonia, era nel 1829 di soli qua- rantanove milioni , divisi come siegue : 15 Nella Russia europea, ed asiatica ——43,700,000 Nel gran principato di Finlandia 1,250,000 Nel regno di Polonia 4,050 000 Totale 49;000,000 Un altro giornale russo intitolato delle Vie di comunicazione pubblicò nel 1829 una bellissima Descrizione dei canali; e della navigazione interna della Moscovia, sulla quale si legge una eccellente. Notizia del' sig. Augoyat nel Bullettino del sig. ba rone di Férussac tomo 22 pp. 252 fino a 284. — Alcuni fatti curiosi possono pure leggersi nel Viaggio in Russia; e residenza in San Pietroborgo, ed in Olessa duranti gli anni 1827, 1828 e 1829, dall’ inglese sig. Edoardo Mor/on pubblicato nel 1830. Fi- nalmente dobbiamo al sig. E. Taitbout de Marigny , attuale con- sole olandese in Odessa. un buonissimo Portulano del Mar-Nero e di quello di Azof', un volume in 8.° con atlante di 32' piante di golfi, baje , porti, e rade, pubblicato nell’ anzidetta città , in francese, ma che crediamo stiasi ora traducendo ‘in italiano a Livorno. Nella descrizione. delle! bocche del Don si conferma ivi il fatto, che l’antica Tana esistesse non già nel sito dell’ 0- dierna città d’Azof, sul braccio meridionale del finme, ma bensì sulla destra di quello settentrionale detto Mertvoi Donetz, presso il villaggio di Nedrigovka, come già lo'ha dimostrato un nostro dotto amico; in'una Notizia delle colonie italiane del Mar-Nero nel medio evo, inserita nel Nuovo giornale de’ Letterati di Pisa. VIII Poronia. L’unica opera che abbia'in questa regione ac- cresciuto un poco le cognizioni; che già se ne possedevano ; è probabilmente la Statistica del regno di Polonia tale qual venne fondato nel 1815, opera del sig. J. A. Gallois pubblicata nel- l’anno ultimo passato. Molte notizie per avventura più curiose ed utili si ritroveranno in un altro libro dal sig. barone di Zed- litz pubblicato pure nel 1831 a Berlino, col titolo di Polonia , o manuale istorico, geografico, e statistico ad uso dei viaggiatori. Ed anche inun Viaggio in Polonia ‘ed'in Crimea, pubblicato a Londra dal sig+James Webster, 2' volumi in 8.9, ed'iù un'altro, stampato a Firenze, eseguito e scritto dall’eruditissimo sig. pro- fessore cav. D. Sébastiano Ciampi , si possono leggere, sebbene rare , alcune notizie non dispregevoli di topografia polacca. Fra le migliori carte poi nel triennio pubblicate, vorremmo! collocare al primo rango quella del sig: Simonneau intitolata» Carta 'iti- neraria , istorica, e statistica degli stati dell’ antica Polonia, de- 10 dicata allo storico e geografo Gioacchino Lelewel da Dufour , geografo francese, e Leonardo Chodzko, polacco , e da loro pub- blicata l’anno scorso in Parigi; alla quale poco inferiore sti- miamo quella del sig. Carlo Piquet, quasi contemporanea. Ma dove maggiori particolarità si cerchino nella corografia , converrà forse dare la preferenza a quella già pubblicata nel 1810 da F. B. Engelhardt, in quattro fogli reali, e nel 1831 riprodotta con numerose correzioni ed importanti aggiunte. Per la geografia com- parata poi è unica nel suo genere quella pubblicata; nell’anno medesimo, a Monaco di Baviera; dal sullodato sig. cap. E. H. Michaelis, sotto il titolo, di Comparazione scientifica; e statistica della Polonia antica, e moderna; IX. Carpazia. Non v'ha regione dell'Europa di cui la co- rografia abbia fatto nel triennio tanto progresso quanto questa; che secondo noi comprende l’ Illiria, 1! Ungheria; lai Gallicia , la Transilvania; la Moldavia ., e la Vallacchia..In} primo luogo il valente sig. Giovanni di Csaplovicz vi ha pubblicato, a Pesth ed in lingua, tedesca, un Quadro dell'Ungheria in:due grossi volumi, con carta, etnografica ; opera veramente patriottica, ed eseguita con amore, avvegnachè! dettata in uno stile per avventura trop- po panegirico. Comunque.sia, si trovano in essa ragguagli quan- to nuovi altrettanto preziosi, del sito geografico, del clima, e suolo, delle, produzioni, dei monti, laghi, fiumi, canali; miniere ed acque minerali, saline ,, e soprattutto. delle grotte e delle pubbliche strade. Pesth e Debreczin sono. le città più popolate del regno; Presborgo è in ordine la terza , e Buda appena;la.sesta. Ma vi sono quivi grossi borghite villaggi; che hanno da venti/a tren. tamila anime di popolazioni;, come , verbigrazia Kecskemet, con 31,339, Hodmezo Vasar-hely con 25,286, ed il villaggio di Csaba con: 20,187. La popolazione generale è di. 10;070,000 jani- me distribuite come siegue Nel regno di Ungheria, 8,5359,770!. Nelle provincie militari. ,, 864,670 Nella parte della Croazia, restituita nel 1822, 184,200 Il clero ie la nobiltà, separatamente (435,360 Sommano 10;070,000 cioè, un, terzo di tutta la monarchia austriaca, ed il, ventesimo | di tutta l’ Europa. La quale popolazione è poi divisa per nazioni come segue ili Magiari, o veri ungheresi 3,000,000 Slavi, slovacchi , ruteni, vendi, ec. 4,000,000 Vallacchi, e macedoni . 1,300,000 Zingari, ebrei, greci armeni, italiani, ec... 570,000 Alemanni ,, 0 d’ origine tedesca 700,000 Totale 10,070,000 Intorno i monti carpazii, o Krapaks centrali, dobbiamo agli ingegnosi prussiani sigg. Sydow e Wolf, una laboriosa e forbitissima carta, pubblicata in Berlino nell’ anno 1830, sulla scala di uno per 200,000, e che per la. geografia fisica, e l’oro- grafia dell’ Europa è un documento d’ altissimo pregio. Anche della Servia, della Bosnia , della Croazia, dell’ Erzegovina , e del paese dei Montenegrini, si è avuta nel 1829 una assai buona carta del sig. Fried, in due fogli; ed un’altra mappa itineraria della Transilvania, è stata pubblicata in Vienna, sovra cinque fogli; ma non pare che abbia contribuito gran fatto ai progressi della corografia. i n X. RumiLia, o Turchia di Europa. Corrono già dieci anni dacchè il maggiore prussiano sig. Ciriaci pubblicò, in Berlino, il suo lodatissimo Saggio duna descrizione topografica, statistica, e militare dell’ Europa ottomana; e quattro dacchè il fu genera- le conte Andreossy diede alla luce la sua bellissima opera intito- lata Costantinopoli, ed il Bosforo di Tracia. D’ allora in poi la corografia di questa regione ha fatto molti progressi, non tanto in particolare, per le province che furono nel 1829 il teatro della guerra fra la Russia e la Porta Ottomana , quanto in ge- nerale per le descrizioni geografiche dei tedeschi sigg. I. Hirz, e Massimiliano Federigo Thielen, i viaggi dei francesi barone Felice de Beaujour, e sig. Renouard de Bussierre, e V. Ponta- - nier, e degli inglesi R. Madden, Giorgio Keppel, Colville, Frank- land, e Carlo Macfarlane. Anche un italiano sig. B. Margaroli ha pubblicato in Milano in due volumi /a Turchia ovvero l’im- pero ottomano osservato; ma di poco valore per la corografia. Dove peraltro questa ha fatto non pochi progressi è stato per ‘una bella carta dei fiumi, e delle montagne dell’impero turco in Europa, ed in Asia, dal prussiano sig. F. A, de Witzleben pubblicata nel 1829; e forse più spezialmente ancora per quella bellissima in quattro fo- gli, del russo generale maggiore Khatoff,della Vallachia, Bulgaria,e Romelia, sulla scala di uno per 840,000. Anche l’instituto geografico di Weimar ha pubblicato diverse carte di varie parti della Turchia; T. VI. Giugno. 3 18 ma la più utile di tutte sarà senza dubbio quella che dal 1829 in poi si va successivamente pubblicando a Milano da quell’im- periale stato maggiore austriaco, in ventuno fogli; disegnata dal tenente colonnello F. de Weiss. In Francia si pubblicò nel medesimo anno 1829 dal sig. colonnello Zapie , una leggiadris- sima carta dei contorni di Costantinopoli; e per la topografia di quella vasta metropoli, abbiamo avuto un libro assai interes- sante pubblicato in Genova dal sig. Avv. cav. Antonio Baratta, col titolo di Costantinopoli nel 1831, ossia Notizie esatte, e re- centissime intorno a questa Capitale , ed agli usi e costumi dei suoi abitanti; del quale libro è già stato reso conto nell’ultimo fascicolo dell’ Antologia pel mese di Maggio. Nella Grecia poco o nulla si è fatto pei progressi della pa- tria geografia, non ostante l’urgenza del caso , e la facilità delle operazioni ; e se facciamo ‘alcuna onorevol menzione dei lavori geodetici del francese colonnello Bory Saint-Vincent, direttore della commissione scientifica in Morea, e di quelli del generale Brossier, e del capitano Puillon Boblaye per la triangolazione di quel nuovo statò ; lavori descritti nel bullertino della società geografica di Parigi, ma dei quali non sono tuttavia pubblicati i resultamenti ; non sapremmo indicare alcuna opera, che nel triennio decorso abbia quivi esteso i limiti della corografia. La missione topografica francese peraltro si propone di fare apparire, quanto prima, una carta di circa 30 fogli, nella proporzione di uno a cinquantamila. Frattanto si è già incominciata, in Parigi, la pubblicazione d’ una storia della spedizione scientifica di Morea in due parti, la prima delle quali , abbracciando le scienze fi- siche, conterrà tre volumi in 4.°, ed un atlante in foglio di cento mappe almeno. La carta generale è già stata disegnata dal si- gnor :Lapie, ed incisa nel regio deposito della guerra. TÈ @ IE (Verrà continuato). si, Nuovo sAGGIe SULL’ orIcINE DELLE IDEE. Roma , Salviucci. Arr. II° Vedi fasc: N.° 136. p. 96. Confronti. Ora paragoniamo il principio dell'A. co? principii de? filosofi che lo precedettero , e indichiamone le differenze. i La prima è nel metodo. Locke e Condillac.: incominciano dall’ analizzare le facoltà dell’ intelletto, e poco si curano di analizzare le umane cognizioni. All’ incontro 1’ analisi delle co- gnizioni deve precedere l’ analisi delle facoltà, perchè queste non sì conoscono se non da’ loro effetti, che sono appunto. le cognizioni e le idee (1). Gli altri filosofi innoltre per ispiegare 1’ origine delle idee, ammettono troppo più o troppo meno che non bisogni: ma tutti, qual più qual meno s’ accostano ‘all’ idea dell’ A., tutti in certa guisa concorrono a confermarla. Locke. Locke, il quale facendo uscire tutte le idee dalla sensazione e dalla riflessione ; quasi come sgorgano da due ampi fori l’acque d’ un fonte (2); e vedendo che l’idea di sostanza non può nè dall’ una nè dall’ altra ‘venire ; la nega; (3) Locke, io dicevo, dopo averla negata; ne'ammette unà qualche oscura nozione (4), e concede ch’ essa è frequente argomento de’ragionamenti: uma- ni. Necessaria infatti’ è tale ‘idea per formarsi 1’ idea de corpi esteriori , nella quale entra ‘sempre 1’ idea di sostanza; cioè d’un . Soggetto che unisce 'in sè le sensibili qualità (5). L'osservazione di Locke sull’impossibilità di dedurre’ da’corpi l’ idea di sostanza, era buonissima : ma’ rimase per molto tempo infeconda. D’Alembert; méditando più addentro sul principio “ che le sensazioni ci danno immediatamente l’idee de’ corpi al di fuori di noi',, s'principio ammesso da' Loelte senza prove, com’ov- (1) T. I p. 8. T. IL p. 191. T. IV. p. 512. (2) T.I. p. 26. (3) P. 35. (4) T. III p. 398. (5) T. I. p. 57. 20 vio, trovò difficilissimo a spiegare come mai, le sensazioni es- sendo modificazioni dell’ esser nostro , non essendo che in moi, l’ uomo possa uscir di sè, e farsi l’idea di qualche cosa al di fuori, egli che non ha altro fonte d’idee che le sensazioni, tutte, ripeto , ivteriori. Questa ed altre difficoltà mosse dal D’Alembert sono, sott’ altra forma, le medesime che incontrò Locke a spie- gare l’ idea di sostanza; conducono a cercare un principio di cognizione , mediante il quale l’uomo apprenda a considerare le cose fuori di sè ; in quanto esistono , non in quanto gli danno tale sensazione o tal altra. Il sistema di Locke non è dunque contrario alla verità ; n’ ha il germe .in sè: basta svolgerlo. Posta con..Locke , e non negata, la potenza ch’ è nell’intelletto di produrre le cognizioni, conveniva cercare se possa esistere una potenza pensante che non abbia punto bisogno di alcuna nozione) primitiva; se insom- ma si possa concepire un pensiero il qual sia. cosà diversa dalla veduta o dall’ applicazione :d’ un’ idea generale (6). Non convien negare all’ uomo la facoltà, di passare dalle sensazioni alle idee astratte ; anzi giova partirsi di qui per vedere se in tale opera- zione l’ uomo abbia bisogno di punto d° innato (7). Già Locke istesso, quando distingue la cognizione umana in due specie , a priori e a posteriori, contraddice alla propria idea , della riflessione, unica madre delle cognizioni umane (8). E ad ammettere una qualche cosa a priori sarebbero stati i lo- ckiani.tutti condotti ben. facilmente , se un loro avversario, in vece di contraddire ad :essi, di fronte ; avesse/cetcato quali sieno le qualità neressarie alla, potenza dell’ intelletto per trarre dalla, sensazione le, idee. Si sarebbero allora facilmente accordati. nell’ ammettere che una potenza nuda d’ ogni nozione primitiva non sarebbe atta a prestar tale uffizio : e la differenza (ben conciliabile.) si sarebbe ridotta! a questo: = se la. detta primitiva nozione, recessaria a far ch’ essa potenza esista ed operi, abbia o no a dirsi idea in- nata. E si poteva anche conchiudere che no; giacchè 1° idea uni versale dell’essere è così diversa da quelle idee innate che i filo- sofi ammisero, da potersi senza sbaglio comprendere nel general titolo di potenza delle stesso intelletto (9). (6) T. II. p. 42. (7) T. I. p. 136. (8) P. 211. 234. (9) Opuscoli filos. del medesimo A, T. II. p. 498. 2I Condillac. Il domandare con d’Alembert, come noi possiamo dalle in- terne sensazioni trasportarci fuor di noi e formare le idee de’cor- pi, era domandare: « come si possa: formar un giudizio prima d’ essere forniti d’idee ,,. Per avere infatti un'idea di cosa fuori di noi, convien fare; voglia o non voglia, i seguenti giudizi = esiste qualche cosa = questo, ch’esiste è fuori di me , di- stinto da me = questo ch’ esiste è il soggetto che in sè unisce - le qualità sensibili da me percepite (10). Per formare tali giudizi io debbo già possedere delle idee generali; dunque per aver delle idee , io debbo posseder già formate delle idee precedenti. Esiste dunque una nozione primitiva. Condillac inculcò sulla prima parte, del ragionamento: vide la necessità de’ giudizi per formare le idee, ma non usservò che il giudizio presuppone un’ idea generale. E invece di approfittare del piccolo passo fatto dalla questione; sil.pensò di sciogliere il nodo, affermando che. il senso giudica: ch’ è molto. più che affermare. che il senso dell’ odorato percepisce i colori. Il sin- golare si è ch' egli distingue nel senso le due funzioni, del. sen- tire; e del giudicare: avrebbe fatto meno male a confonderle. Egli distingue innoltre 1’ attività dalla, passività; e poi pretende che la sensazione si muti da, se in attenzione, . che la passività si trasformi. in attività , e il sì e il no sien tutt'uno (11), Egli di- stingue 1’ attenzione della memoria, dall’ attenzione,;del, senso , chiamando l’ una attiva , l’ altra passiva,; poi vuole che la. me- moria sia una specie!di sensazione ;, ch? è come volere che l’uo- mo, e. il ritratto dell’ uomo siano una, cosa. Confonde il; giudizio con la semplice attenzione , quasichè per, essere due operazioni contemporanee (enon: sempre son tali), dovessero ridursi a una sola! Dà al tatto.il privilegio di fare che le sue sensazioni :siano idee, e di trasformare le impressioni degli altri sensi in, idee : e ciò per la ragione che il tatto giudica gli oggetti esterni (12). Con questa teoria, fondata sopra una metafora;, della, sensazione tra- sformata (13); con una teoria che dando alla sensazione il giudi- zio, fa che la sensazione senta un’ altra sensazione, giacchè non (10) Saggio T. I. p. 62. (11) P. 70. (12) P. 88. (13) P. 128. 22 si dà giudizio senza confronto; fa che il senso d’una sensazione sia quello stesso che ne sente contemporaneamente un’altra ; fa che il rapporto sentito fra due idee, rapporto ch'è il termine del giudizio , sia lo stesso giudizio (14); con una teoria tale, doppia- mente singolare in un uomo ch'è celebrato per precisione filosofica e per evidenza ; le difficoltà non si sciolgono ; e riman sempre a decidere questo punto : se il giudizio è necessario ‘a formare le idee , e ‘le idee a' formare un giudizio , qual è il primo de’ due? Date al tatto la facoltà di pensare, datela allo spirito ; la dif- ficoltà riman sempre la stessa (15). Il Condillac si. pensa forse di scioglierla col trattar de’giudizi prima che delle idee generali: e dopo aver trattato in tre luoghi diversi d-Ile idee, de’ giudizi, e delle idee ‘generali, conchiude con ammirabile semplicità: « da ciò si vede quanto sia facile il formarsi le idee generali ,,. Quello che avrà forse condotto l’ab: di Condillac a confon- dere il giudizio ebl senso , sarà stato il doppio significato della parola impressione ‘che ‘8’ applica e al corpo e alla mente (16); il doppio significato della parola impulso (17); il doppio signifi- cato della parola sentire che s’ usa e per avere. opinione e ‘per provare un affetto ‘e per giudicare (18): Ma! la filosofia» non dovrebbe amare! gli equivoci. Del resto quando ‘la parola sentire e altre simili s° applicano alle idee generali ; ‘ allora. apparisce evidente 1’ incongruenza dell’ ammettere che il senso formi, senta , possegga le idee ge- nerali:(19). Il senso ‘ha sempre per termine . un oggetto ‘singolo; tutto ciò dunque che noi troviamo fornito di qualche univer= salità‘, è fuori ‘affatto ‘del dominio de’ sensi '/(20). Ma considerand’ anco la cosa da un altro lato ; ognun ve- de ‘che, l’ impressione essendo esteriore al tatto ‘e alla' vista ‘e agli altri sensi, non è da confondere con la sensazione ch'è interna. Il sistema' de’ sensisti non è punto più filosofico della faritasia A’ Epicurò immaginante gl’ idoletti ch’escono de’corpi}'e‘svolaz zano e vengono a noi ; 0 di quella di' Hook'il ‘qual dice le. idee della vista formate d’una materia simile alla pietra ‘di ‘Bologna od al fosforo; quelle dell’ adito d’ ana materia simile alle corde (14) P. 105. (15) P. 93. (16) T. III p. 771. (17) P. 781. (18) T. II. p. 68. (19) P. 79. (20) T. III. p. 731. 23 di violino, e così discorrendo. Tutti co'oro che paragonavo l'im- pressione fatta dagli oggetti esterni su noi, a quella che fa sulla cera il suggello, o ad una contrazione , irritazione , configura- zione, non pensarono che tutti questi effetti son più o meno visibili. o sensibili al tatto; ma che le idee nessuno ancora le ha potute aocchiare nè brancicare. Tutti i materialisti confon- dono grossolanamente l’ oggetto «della sensazione col soggetto di lei. Cabanis parla del cervello come d° un viscere che digerisce il pensiero. Noi veggiamo , dic’ egli, le wmpressioni pervenire al cervello per mezzo de’ nervi; esse sono allora isolate, incverenti: questo viscere ertra in azione , agisce sopr’ esse, e ben tosto le rimanda cangiate in idee. Questo si chiama proprietà filosofica ! Questo si chiama evidenza di dire! Questo si chiama attenersi allo studio de’ fatti! Ma finchè le esperienze dello Spallanzani sulla digestione non s’ applichino con successo alle idee, finchè non si trovino nel cervello le idee più o men digerite come si trova la pasta de’ cibi nello stomaco de” polli , fino a quel momento sarà lecito dubitare dell’ infallibilità del sig. Cabanis (21). Distinta 1’ impressione dalla sensazione ; resta a distinguere la sensazione dalla cognizione: quella non è che materia di que- sta (22,. Alla sensazione manca l’unità, 1’ universalità, che sono i caratteri delle idee (23): manca il suggello della necessità ; ond’ è , che riducendo tutto alla sensazione, sempre accidentale e attuale, si cade nellu scetticismo (24); perchè il necessario e il possibile sono , come s° è detto più supra , congiunti in modo che tolta l’ idea del possibile , l'idea del necessario anch’ essa vien meno. Quindi è che un filosofo con sublime accorgimento attribuisce l’ origine del materialismo alla confusione della po- tenza coll’ atto (25). Gli è un’ illusione del resto il credere che Condillac non abbia fatt’ altro che continuare, modificandolo , il sistema di Locke (26). Condillac in ciò faceva inganno a sè stesso. Le for- mole quà e là sono uguali, il criterio è diverso. Locke, dice un autore francese, si chiude in sè , e lascia venire le imagini di fuori; Condillac si colloca al di fuori a fianco della sua statua, (21) P. 786. (22) T. IV. p. 7. (23) P. 106. (24) P. 136. (25) P. 158. (26) T. III. p. 400. 24 e le compone un’ anima colle sensazioni che mano mano le por- ge. L’ uno riman sempre dentro ; l’ altro fuori Seti Locke trova i corpi nel fatto interiore delle idee; Condillac s” ostina a dedurre i fenomeni della mente dal fatto esterno della sensazione. Quindi è che la teoria della sensazione in Inghilterra produsse l’ idealismo di Berkeley, di Hume; in Francia il materialismo di Cabanis , di Tracy. Ma qualunque sieno le varietà del sistema di que’ due va- lentuomini, si può senza taccia di soverchio ardire sospettarlo sbagliato. Convien distinguere il cammino che percorre la mente del bambino infante nell’ acquisto delle idee, dal cammino che nell’ analisi delle idee fa la scienza. Per misurare tutti i passi del primo, converrebbe tornare bambino : e chi vuol cominciare la filosofia dal trattato delle sensazioni, convien di necessità che s’ aiuti a forza di fantasia , che indovini que?’ fatti ch’ egli non può più certamente osservare in sè stesso. Cominciando all’ in- contro dall’ analisi delle idee quali le ha 1’ uomo adulto, e ve- dendo non di negarle ma di spiegare se i sensi soli le abbian potute produrre , allora veramente la filosofia s’ appoggia all’os- servazione, ed è, come Bacone raccomanda, induttiva (27). Quel- l’ esattezza perciò con la quale i sensisti vanno a poco a poco creando le idee, e dal particolare conducendo lo spirito al ge- nerale, non è che imaginaria : giacchè dal particolare al gene- rale è un salto immenso a cui non si passa per gradi. Chi vuol ragione di ciò, rammenti quel che s’è detto più sopra: “ che non si può pensare un solo particolase senza l’ aiuto d’ un’ idea generale ,,. Egli è impossibile lo sviluppo delle cognizioni senza un germe intellettivo; e chi toglie questo germe , toglie l’ intel- letto, ed è costretto a supporre cosa incomprensibile , cioè che _V intelletto nasca nell’ uomo col nascere della sensazione , che l’ uomo diventi, non sia, ragionevole (28). Ma basti di Condillac. Le leggere modificazioni al Lockismo fatte in Francia dopo Condillac, inviluppandolo di medicina e di notomia e di chimica (ch’è ben peggio che applicare la cosmo- gonia alla medicina), non danno nessuna nuova spiegazione del- l’origine delle idee (29). (27) T. IV. p. 595. (28) Principii di scienza morale del medesimo A. p. 24. (29) Saggio T. I. p. 113. 25 Reid e Stewart. Reid, il primo e il più forte tra gli oppugnatori di Locke, per tutto negare al suo avversario, negò fin l’esistenza delle idee: assuuto non molto conforme a quel senso comune al quale egli pur vanta di sempre attenersi (30). Per isciogliere il problema dell’ origine delle idee , Reid e Stewart ammettono che |’ nomo conosca gli oggetti esterni non perchè la sensazione gliene presenti l’ imagine , ma per una quasi ispirazione o facoltà di genere tutto suo , la quale all’ occasione delle sensazioni fa sì che l’ uomo giudichi esistere il corpo. Que- sta ispirazione in prima è troppo misteriosa ; e poi non basta a spiegare il fenomeno (31). Ho detto: misteriosa ; perchè in que- sto naturale giudizio primitivo ch’ esce dell’ intrinseca virtù della mente , è il germe di quel kantismo che tropp» a ragione è an- tipatico a molti (32). Il sistema scozzese infatti non vince punto quello scettici- smo che pur tende a combattere. Ammettendo che la sensazione nulla ha che fare con la percezione dell’ esistenza de’ corpi , si viene a mostrare ii fianco allo scettico , il qual può franca- mente opporre : che una percezione così eterogenea alla sensa- zione, risica d’essere infida e ingannevole ; che un giudizio cieco, qual è il primo giudizio voluto da Reid , è una necessità ine- splicabile , da cui non ci viene alcuna sicurezza della verità delle cose giudicate ; che il veru così si commuta col necessario, sen- za prova nessuna che il necessario sia vero (33). Non vince nè anco il sensismo, perchè laddove Reid si la- menta che alcuni filosofi facciano preesistere il giudizio al senso e il senso al giudizio , ha ragione pienissima ; ma laddove pre- tende che la frase: il senso giudica, sia esatta, quivi certamente s’ inganna. Giacchè non avendo il senso idee generali, ed es- sendo queste idee necessarie al giudizio , ognun vede che il senso non può giudicare (34). Se non che egli si trova contraddicente a sè stesso quando distingue la sensazione dalla percezione così fortemente che ne fa due cose affatto diverse (35). (30) P. 121. (31) P. 319. (32) T. IL. p. 38 e 331. (33) T. IV. p. 12. (34) T. IL p. 721. (35) P. 741. T. VI. Giugno. 4 26 Del resto quel medesimo errore che trasse Reid a originare la prima delle umane idee da un giudizio cieco e inesplicabile , quell’ errore poteva essere un passo verso la verità ; giacchè così si ammetteva la necessità d’ un giudizio primitivo , semplicissimo ; e si confessava l’ impotenza del senso a somministrar gli ele- menti tutti di tale giudizio. Non è nuova già cotest’ idea di derivare da nna cieca po- tenza i primi elementi della cognizione : anche Dante intese a questo modo la sentenza scolastica (36): e da Reid a Galluppi; la filosofia moderna a questo principio tornò. Galluppi chiama appunto soggettive le idee dell’ unità , dell’ identità , ed altre tali ; quasichè dal soggetto medesimo traggano l’ esistenza (37). Ma se i primi elementi della cognizione non sono indipeudenti dal soggetto , e non hanno un oggetto a cui riferirsi, la scienza umana è scrollata da’ fondamenti; e lo scetticismo , sistema im- possibile dall’ una parte , dall'altra è irreparabile. A porre una base ferma all’ mmana cognizione e certezza , il n. A. non ve- die che quest’ unico mezzo : stabilire che un oggetto hanno i no- stri pensieri, universale, necessario, indipendente: e quest’è l’idea concreata dell’ essere (38). Quanto al metodo di Reid, il qual consiste nell’ osser- vazione è nell’ osservanza de’ principii dei senso comune, non è quì luogo a trattarne. Diremo soltanto che, come metodo ausilia- rio; può tornare utilissimo ; come criterio unico , è talvolta fal. lace ; che le grandi difficoltà di conuscere il senso comune, l’opi- nione degli uomini tutti, le grandi ambiguità e gli arbitrii dell’ in- terpretarlo , !a sua stessa naturale incertezza e varietà, frutto dell’ umana degenerazione ; la sua insufficienza intrinseca che lo rende ‘abbisognante d’ un criterio più certo , tutte queste ragioni con altre non poche. concorrono a rendere sovente arbitraria l’ap- plicazione che ta di questo principio la scuola scozzese alle pro= prie dottrine (39). Platone. I filosofi de’quali è detto finora, peccarono alquanto uel po- co ; quelli di cui ci resta a parlare, nel troppo (4o). (36) Purg. XVIII. Ogni forma ec. (37) T. II p. 233. (38) T. III. p. 825. (39) T. IV. p. 160. 163. 173. 174. 315. 317. 321. 323. 333. 336. 428. 429. 430. 452. 453. 605. 606 ; ed altrove. (40) T. II. p. 4. 27 La difficoltà posta da Platone = come mai l’uomo possa cer- car di conoscere quel che ignora = porta naturalmente a inferire che una qualche idea generale , almeno quella dell’ essere , deve aver l’ uomo per poter pensare agli enti che le sensazioni gli pre- sentano sussistenti. Un tale discorso conduceva ad ammettere qualche cosa di medio tra il perfettamente conoscere e l’intera mente ignorare ; e in questa cognizione mista di luce e d°oscu- rità, di tanta luce che basti a far riconoscere ciò che si cerca , e di tanta oscurità che renda necessario il cercare la cosa per veramente conoscerla, doveva consistere la soluzione del proble- ma. Giarchè tra il conoscere chiaramente e il non conoscer punto, è una serie di gradi lunghissima : e nessuno lo nega :(41). Platone scioglie la difficoltà col supporre una cognizione pos- seduta dall’ uomo in una vita precedente , e poi dimenticata na- scendo ; e comprova l’ ipotesi coll’ esempio del fanciullo , al quale per via d’ interrogazioni avvedutamente dirette si possono far pronunziare delle verità geometriche prima facili , poi anco dif- ficili, ch’ egli non aveva mai sentite da alcuno. Questo fatto di- mostra che 1’ uomo ha la facoltà di giudicare anco di cose che mai per l’innanzi non vide : e fa conchiudere a Platone che tutti questi giudizi eran già nella mente , ma obliterati (42). La difficoltà è posta quì troppo largamente : non è necessa- rio spiegare tutti quanti i giudizi che l’ uomo fa di cose a lui nuove ; basta spiegare quel. giudizio primo col quale s’ acquista la prima idea : o se questo spiegar non si può ;) ammettere un'idea madre. Fatto il primo giudizio, rimane spiegata la possibilità d’ acquistare innumerabili altre idee , materia ad altri giudizi. Non era necessario ammettere ingeniti i tipi di tutte le verità : hastava ammettere un tipo ; a cui raffrontando le cose , poter co- noscere la verità loro ; bastava trovare un criterio della verità in genere , e non tanti criterii quante sono le verità : ‘cosa falsa ed assurda (43). Tutte le nostre idee sono composte di dne elementi, l’ uno invariabile, necessario , comune a tutte, 1’ idea dell’ es- sere ; l’ altro variabile , singolare , le determinazioni aggiunte al- l° idea dell’ essere, che ne costituiscono 1’ idea del tale o tal ente. Il secondo elemento ci viene da’ sensi, e non occorre am- metterlo innato : non così il primo (44). Platone confonde il sa- (41) T. IV. p. 469. (42) T. II. p. 12. (43) P. 23. (44) T. VII. pi 46. 28 pere in atto col sapere in potenza ; vuol che la mente già sap- pia perch’ ha in sè la facoltà di sapere. Quel giovanetto che ri- spondendo alle interrogazioni ben disposte trova da sè una ve- rità geometrica , non la sapeva egli prima ; ma aveva i principiì che a saperla conducono (45). Se Platone del resto, invece di re- care ad esempio una verità geometrica e di deduzione , avesse recata una veriià metafisica e di prim’ ordine, avrebbe preve- nute le obbiezioni d’ Aristotele , e si sarebbe molto più avvici- nato alla retta via ; giacchè questa specie di verità più immedia- tamente dipende dall’idea d’ esistenza, l’ unica necessaria per tutte figliarle. ‘(Sarà continuato). K. X. Y. (45) T. II p. 34. DI UN BUSTO COLOSSALE DI MECENATE ESCAVATO SULLA VIA FLAMINIA. Al Conte Cav. Digny di Cambray. Nulla v° ha di più proprio per conservare la memoria degli avvenimenti quanto il poter contemplare le effigie degli nomini grandi che vi ebbero parte ; cosichè la posterità non ha più pre- zioso retaggio delle tradizioni avvalorate col mezzo delle imagini divenute inseparabili dalla parte moral della storia. Questo pos- sente soccorso presso tutti i popoli e in ogni età fu apprestato dalle arti con mezzi diversi, che sempre incitarone all’ onore , furono sprone alla gloria, ed eressero al merito un perenne tri- buto di riconoscenza e di culto coi lineamenti tratti dall’ uma- no aspetto, mediante l’ imitazione. Le monete, le gemme, i bronzi, le tavole, le pareti, le pagine s’ impressero coi tratti delle varie fisonomie; nè v° ha cura che basti per rintracciare imagini cospicue, se, fatalmente smarrite , non trovinsi nell’Ico- nologia delle grandi nazioni; difetto che costituisce un’ evidente mancanza nelle più integrali pagine della storia. Le rivoluzioni dei popoli, le invasioni degli stranieri e dei barbari , 1’ orgoglio sfrenato , la diffidenza e la gelosia degli occupatori, e 1’ abruti- mento della servitù , manomettendo i monumenti , seppellirono spesso nella terra , provida e pietosa custode di auguste memo- rie, ciò che racconsolar doveva le età più fortunate; e per que- 29 ste combinazioni gli scavi divennero un oggetto sì rilevante di pubblico interesse, come se medianti questi trovamenti preziosi venisse restituita una parte di quella venerazione di cui si frau- darono per molti secoli le avite imagini de’ padri nostri. Voi avete di ciò una prova ben luminosa sig. Commendatore fra le vostre domestiche pareti, di cui fu fatto parola da ingegnoso ed egregio scrittore, e a cni non potrò a meno di non rivolgere il pensiere, gittato ch’ io m’ abbia uno sguardo sovra più antica imagine , della quale ho tanto ammirato un’ impronta tolta da preziosissimo marmo; restituito non ha guari alla luce dei secoli, il quale ci racconsola coll’ aspetto d’ uno dei più gran personaggi che illustrarono il secolo di Augusto. Non è molto che il Dott. Pietro Manni ebbe la ventura singo- lare di trovar in uno scavo un busto colossale di marmo , che trae molto pel colore e la grana al pentelico , intatto mirabilmente , senza menda o bisogno di alenn ristauro , il quale tanto a prima vista, quanto dopo maturo esame, ricorda, a chi alcun poco co- nosce l' Iconografia Romana , l’ effigie di Mecenate. È tradizione e fama che nel luogo occupato dall’ antica città di Carsoli, posta sulla via Flaminia fra le città di Narni e Todi, esistesse una villa di Mecenate, e, se pur giova a consolidare questa credenza la copia di oggetti preziosi escavati in quel luo- go che possedeva a delizia l’amico dei letterati e degli artisti del più bel secolo del mondo ; sappiasi pure che quel terreno fu per questa messe uno de’ più ubertosi, essendosi ivi trovato un Bac- co, una Venere, una Minerva, ed altri frammenti di statue di prima sorte, restituiti al culto delle arti, e frequentissime poi trovansi ad ogni escavo lapidi romane , ruderi di buona archi- tettura, e antichi oggetti d’arte, che sempre compensano le cure , e rispondono all’ avidità degli investigatori. ) Ennio Quirino Visconti nel!a sua Iconografia Romana, di- scutendo sulle altrui conghietture , e in mancanza di argomenti atti a convincere con evidenza , non riconosce abbastanza chiaro, e ci permette di dubitar fortemente che in Roma, e particolar- mente nei busti antichi raccolti e disposti nelle sale del Campi- doglio , si possa fra questi annoverare e riconoscere l’ effigie di Mecenate ; e quel busto, che pareva essere su tal proposito og- getto di controversia , propende a crederlo piuttosto l’ imagine di Pollione. Noi non possiamo in tal caso far contò di sì debole ipotesi, cioè che amando Pollione i monumenti e i capi d’ opera degli artisti greci, e i ritratti degli uomini illustri ; s° abbia per questo soltanto a credere che il ritratto di Mecenate scolpito da 30 abilissimo artefice fosse posto nella sua biblioteca sull’ Aventino, € per ciò unicamente gli si possa attribuire il busto in que- stione : tali considerazioni , che sembrano deboli al Visconti me- desimo , sembrano anche a noi debolissime a fronte della com- parazione che si può fare sulle stesse tavole dell’ Iconografia , le quali ci raffigurano il capo di Mecenate sempre calvo, mentre non le è punto) il busto indicato; e non già calvo soltanto negli ultimi anni, ma per precoce e conosciuta calvizie ( come ci ri- ferisce Seneca ep. C, CXIV) abituato sempre a gettarsi il pallio sopra la testa nei luoghi pubblici e scoperti. Soccorre però al nostro scopo un miglior argomento anzi in- vincibile , poichè fra i resti, che 1’ antichità ci presenta , hanno sfuggito opportunamente l’ ingiuria del tempo alcune pietre incise che il Visconti produsse ne!la tav. XII alli numeri 4 e 5, le quali offrono |’ effigie di Mecenate tanto in una corniola della collezione Farnese incisa da Solone , quanto in un ametisto in- tagliato da Dioscoride che vedesi nel R. Gabinetto di Francia. Me- cenate nomo di gusto squisito , amantissimo di ogni eleganza e d’ ogni raffinamento, doveva essere vago di possedere lavori di- stinti per opera dei più famosi incisori del secolo, e avrà pro- vato tutta la soddisfazione di passare alla posterità nelle opere di Solone e di Dioscoride come nelle odi del Venosino; e ben anche ragion voleva che si fosse offerto a modello di qualche egregio scultore per lasciare il suo busto, se non la sua statua, in aleu- na delle sue ville. È bevsì vero che la manìa dei ritratti non agitava altret- tanto le menti e la vanità degli uomini nel secolo d° Augusto siccome in quello degli Antonini, che fu 1° epoca delle imagini, divenute presso che la sola risorsa degli senltori: ma serabra altresì ben verosimile che dovesse in qualche parte trovarsi il busto del protettore degli womini d’ ingegno , dell’ amico di Vir- gilio , di Orazio e di Properzio , e bisognava invocarlo da quel sempre fecondo e inesauribile suolo romano, che forse il chiu- deya nelle recondite sne viscere. Diremo anche di più che mo- tivo maggiore a sperarlo offrivano le ville di Mecenate le più lon- tane, di quello che le più prossime alla capitale dell’ impero ; mentre era assai maggior verecondia in ostentare il lusso delle imagini in quella età , e in quella sede immediata del governo del mondo , di quello che in tempi e in luoghi più lontani , il che potrebbe far sorgere persino il dubbio se il busto non fosse stato posto in onore anche dopo la morte di Mecenate, sebbene scolpito lui vivente. 3I D’ altrende si vede evidentemente |’ anteriorità delle geme intagliate, che non esposte alla pubblica vista , senza eccitar ge- losie, e senza mancar di riguardo alle consuetudini, ebbero og- getto soltanto di compiacenza privata , e particolarmente quella di Solone si vede incisa nella più verde età di Mecenate; e, s: le pietre dure vennero forse iutagiiate per vaghezza di farne do- no agli amici , ragion vuole che fosse miglior consiglio dell’ età più matura di mandar poi alla posterità un busto colossale , che nella fedeltà delli rassomiglianza imprimesse anche il carattere rispettabile dell’ età, nell’ epoca appunto della maggior cel-brità di quest’ uomo insigne. Che se il busto trovato dal D. Manni di - mostra per le guaucie cadenti e la gola avvizzita l’ uomo già vecchio , lo stesso Visconti ci fi osservare , citando 1’ Elegia di Paolo Albinovano , come per due volte venisse in quei versi dato a Mecenate 1’ epiteto di vecchio, quale il dimostra anche l’ ametista di Dioscoride. Piacerà all’ osservatore di questo busto conservatissimo rico - noscervi quella maschia fermezza di modellare che caratterizza l epoca in cui fu fatto, avanti che un raffinamento maggiore nelle meccaniche dell’ arte introducesse un non so che di lezioso (se è permisso di servirsi di questo vocabolo ) nelle opere po- steriori. Infatti i bellissimi ritratti del secolo degli Antonini sono condotti cou una verità, e una ricercatezza sorprendente , le barbe e i capelli sono d’ un lavoro mirabile , e la cute vi è espressa con tutta quella morbidezza che indica il vero scopo dei perfe- zionamenti meccanici. Ma il busto di Mecenate è trattato d’ una maviera visibilmente più larga , le squalrature sono pronunciate con più magistero , e lo stile è visibilmente più severo e più grande. Sono in questo busto assai rimarcabili quell’ orme, che per l’ accresciuta età e la perduta pinguedine appariscono sotto la gola, in alcuni tese a guisa di corde, e in altri cadenti e ondeggianti come una giogaia. Nelle persone pingui il vernacolo toscano dice papagorgia a quel doppio o triplo mento che rive- ste precisamente la gola, ma non ci consta che abbiavi una pa- rola esprimente il contrario effetto della vecchiezza e del dima- grimento. Che se ben anche si volesse indagare 1° etimologia del citato vocabolo papagorgia , i Toscani nol derivarono da alcuna significazione anatomica, ma fecero una parola composta , che non saprebbesi meglio spiegare e applicare se non che gola da papa, ritenendo che i papi attempati , agiati, e tranquilli, siccome difatti furono pel corso di molte generazioni , offrissero dal loro aspetto un argomento di supposta beatitudine a tal segno di pas- 32 sare in proverbio ; e leggesi in prova di ciò l’ esempio del Mal- mantile , ove in proposito del porsi în agio, e godere il papato “vien detto nel C. II , s. 44. Ben pascìuto , servito , e ringrassato Rimase quivi a godersi il papato. Ciò che osserviamo su questo busto di sorprendente bellezza è l’ incassatura dell’ occhio , e i frontali pronunciati in tal guisa, che, rispondendo perfettamente alle gemme indicate, ci fanno av- visati di un carattere pensante , e di un genio superiore , sicco- me dalle linee che solcano alcun poco le guancie , e da certo qual vezzo della bocca , traspare quella mollezza che perfetta mente si associa coll’ indole di un uomo di profonda dottrina , e amico della voluttà. Le sale del Campidoglio non potrebbero arricchirsi d’ un monumento più prezioso di questo fra i tanti avanzi che racchiudono della grandezza di Roma, monumento tanto più caro quanto meno sperato ; e perchè, oltre il non tro- varsi almeno il busto di lui presso il quale facevano centro l’ele- ganza , gli studi , e gli ingegni tutti dell’ aurea età, per istrana fatalità, lo straniero, che mette il piede nel suolo di Roma, cerca finora invano al museo Capitolino, alle sale Vaticane o nelle vuote nicchie del vestibilo della Rotonda la statua di colui che ebbe il secondo posto nell’ impero del mondo , vuol dirsi di Marco Agrippa. Il secolo, che più d’ ogni altro torna a gloria del genere umano , deve per molte ragioni dirsi quello d’Augusto , giacchè fra i priocipi, che dominarono su tanta parte del mondo sotto- messo all’ impero di Roma, nessuno meritossi al pari di Augusto la gloria e la benevolenza universale. La guerra, la politica, le arti, le lettere spiegarono d’ intorno a lui tutto il potere e la magnificenza , e meglio d’ ogni altro che il precedette o il seguì conobbe l’ indispensabile necessità di circondar la sua reggia, e legarsi iu intimità coi luminari del secolo, nè d’ altri amici fi- darsi che di coloro, i quali soli per la elevatezza e la nobiltà dell’ animo , e la forza dell’ ingegno potessero garantirlo dalla viltà e dalla bassa adulazione , che assediano le corti e i monar- chi deboli ed ignoranti. Amico dei letterati del suo tempo, i quali avevano accesso libero alla sua corte , strinse i vincoli d’a- micizia i più intimi con Mecenate e con M. Agrippa , il cui si- mulacro, che non vedesi a Roma, si conserva tuttora a Venezia nel palazzo Grimani. La statua semicolossale di Agrippa è della proporzione di metri 3, centimetri 17 e millimetri 5. Essa ebbe fra queste la- 33 gune per lunga età un onorevole asilo, e stette e vedesi an- cora ricordare in faccia a tutte le nazioni e tutte le età le qua- lità che possono desiderarsi nel ministro, nel generale ; e nel- l’amico d’ un gran sovrano. Le memorie parlanti delle Gallie pacificate , delle ribellioni sedate , delle flotte navali che vinsero Pompeo e M. Antonio, le irruzioni dei barbari represse in Dal- mazia, e finalmente la battaglia d’ Azio avrebbero in un? altra età multiplicati all’ infinito i simulacri di Agrippa ; ma la vere- condia e la modestia del gran capitano non permisero che lni vivente venissero neppur coniate le poche medaglie che ci ri- mangono colla sua effigie; cosicchè, ammirando le virtù singolari, convien deplorare la troppa rarità delle imagini degli uomini i più chiari del mondo per valore e per sapienza, ed applaudire alle fortuite combinazioni che fanno di tempo in tempo scatu- rire dalla classica terra alcun resto dell’ antica grandezza. Nella storia dell’ arte Wiukelmann così scrisse di que- sta statua (prima però di averla veduta, poichè altramente e seuza dubitaziuni ne avrebbe parlato; siccome fece in appresso) Evvi a Venezia nel palazzo Grimani una statua eroica, che di- cesi di Agrippa, ma se così a Venezia a ragion nominata , la- scierò che ne giudichi chi potrà ben esaminare se la testa sia la vera antica della statua , e se somigli alle altre note teste di quel celebre Romano: da’ quali informi cenni e dubitativi poteva pur dispensarsi quel «lottissimo archeulogo, se, non avendo allora veduto il monumento, non aveva neppure avuto da’ suoi corri- spondenti notizie esatte, che la testa non fu mai separata dal busto, e che, pienamente corrispondendo alle altre imagini, im- primeva a questa statua il suo genuino carattere e la sua ap- partenenza : il qual dubbio verosimilmente era insorto nell’ani- mo di Winkelmann, poichè la maggior parte delle antiche sta- tue nella loro caduta, per le vicende che subirono, rimasero mutilate , e colla testa separata dal torso; e nella restaurazione non di rado successe che il capo dell’ una venne adattato ad un’ altra, o ne fu sostituito uno a capriccio, il che cagiouò nou rari sbagli negli studi archeologici. Non così però ne lasciò scritto il Cavaceppi, romano scultore e più insigne restauratore d’ antichi marmi, che, sebben meno celebre per dottrina, fu però più esatto del citatu archeologo , e disse in proposito di questo marmo : Oltre che la maniera di questa statua è veramente sublime, essendo produzione de’ mi- gliori tempi dell’ arte, essa era appunto quel simulacro che lo stesso Agrippa aveva fatto porre sul Panteon di Roma , poichè T. VI. Giugno 5 34 da lui fu eretto o ristorato , come ancor oggi si vede. Per ac- certarmi di quanto io dico, io mi diedi a fare varie osservazioni confrontando la misura del piedestallo che è al Panteon colla pianta di quella statua , e sin riscontrando i buchi dei perni che l’ uno all’ altra congiungevano , e tutto trovai corrispondente a meraviglia. Tuttavia non ardirei asserir ciò se non si fosse alla mia opinione unito l’ erudito compagno Winkelmann con altre ragioni ancora da suo pari, ch’ ei diceva co’ suoi scritti voler far pubbliche. Il qual parere appoggiato da osservazioni di fatto è di qualche peso , e potrebbe tutt’ al più dubitarsi se veramente Agrippa stesso abbia fatto collocare Ja propria statua nel vesti- bolo del Panteon, quantunque Dione abbia scritto che Agri;pa statuam Augusti et suam in vestibulo posuit (lib. LIM e. 27) essendo noi piuttosto inclinati a persuaderci che ciò abbiasi -a riferire dopo la morte di Agrippa, sembrando inverosimile la so- lennità d’ nina tal statua colossale accanto a quella d’ Augusto vivente, e ciò per comando d’ un uomo sì grande per modestia e per verecondia, il quale non tollerò che gli fossero coniate me- daglie fiuchè la di lui volontà poteva esser ritegno a questa pub- blica dimostrazione di stima: che se così non fosse, come da noi volentieri si crede, amiamo di scusare un errore che nulla toglie all’ integrità del monumento, ed onora le virtù dell'eroe figurato. E qui riporteremo pur anche le parole di Ennio Quirino Vi- sconti, come si leggono nella Iconografia romana: La testa d'una celebre statua, che conservasi nel palazzo Grimani a Venezia, si riguardò sempre come quella di Agrippa pel confronto delle teste poste sulle medaglie. Il delfino attribuito a Nettuno, che veduto abbiamo sopra altri monumenti diventare il simbolo dell’ eroe di Salumina, e de’ distruttori de’ pirati, stà a’ piedi del vincitore d’ Azio. La testa, che non fu mai staccata dal corpo , offre i me- desimi lineamenti delle due teste di marmo ora indicate, una delle quali trovasi intagliata sopra questa tavola. É probabile che questa bella statua sia stata portata dalla Grecia, ov’erano stati consecrati alla memoria di questo illustre Romano tanti mo- numenti de’ quali ancora ci rimangono le iscrizioni. Dovunque fosse questa statua, importa che rappresenti l’in- signe personaggio , e in quanto al luogo le conghietture più ra- gionevoli stapno in favore delle verificazioni di Cavaceppi e di Winkelmann. Ma dove siamo assistiti da confronti di gemme , di medaglie , od altri marmi, siccome si è fatto parlando di Me- cenate , e di M. Agrippa, la cosa procede chiara altrettanto co- 35 me una dimostrazione matematica. Le difficoltà maggiori insor- gono in quei casi ov’ è molta incertezza , oscurità di tempi, po- vertà di monumenti , infanzia d’arte , imperizia d’ artisti: allora davvero è forza acuire l’ ingegno , farsi tesoro d’ una linea, trar splendore dal raggio della luce più tenue, e ben se ne avvide il vostro ospite Missirini, sig. Commendatore, allorquando mi diresse così gentilmente quel suo dottissimo commentario sul ritratto di Beatrice, a favore del quale se non istanno le geometriche evi- denze è un cumulo di assai belle e convincenti ragioni. Questa circostanza del ritratto di Beatrice mi richiama al pensiero le faticose prove che io dovetti accumulare, per rettificare alcune mal fondate opinioni, e tra loro anche divergenti, in proposito del ritratto di Laura, ben degna sorella di Beatrice nei cori angelici, se anche Petrarca mandò Simone da Siena in Pa- radiso fra gli Angeli per ritrarre 1’ amata donna Ma certo il mio Simon fu in Paradiso Onde questa gentil donna si parte, Ivi la vide e la ritrasse in carte Per far fede quaggiù del suo bel viso. E, quel che è più ‘singolare, Simone non ritrasse Laura fra’cori angelici col pennello e i colori, ma ne fece un contorno, simil- mente forse a ciò che Dante fece di Beatrice puramente collo stiletto , come si usava sulle tavolette bianche, preparate per dipingervi a tempera , siccome il provano i versi d’ un altro so- netto dello stesso Petrarca. Quando giunse a Simon l’ alto concetto Gh’ a mio nome gli pose in man lo stile... Non sappiamo che Petrarca disegnasse, ma in vece abbiamo prove non dubbie che Dante fu artista e poeta, e per ciò non ebbe bisogno di affidare ad altri ciò che sentivasi egli inspirato a far da sè stesso, e le doti inseparabili in lui di pittore e poeta ele- vando la sua imaginazione gli facevano vedere Beatrice sotto le forme d’ un Angelo, fattasi già angelicata creatura: nè mai la lingua nostra potè servirsi di un’ espressione più significante li questa per dinotare il sommo della beliezza , ed ecco perchè mi sembra che amendue i poeti abbiano vedute le donne da loro amate o in Paradiso, o col volto d'un Angelo. Non saprebbesi quindi vedere con quale scopo e con quali buone ragioni, dopo una serie copiosa d’ argomenti luminosi ab- bastanza, voglia taluno opporsi al credere che Dante abbia real- mente tracciato un profilo di Beatrice , mentre ciò pare indubi- tato: che se si fosse tra i molti codici della Divina Commedia, 36 ricchi di miniature, trovato un ritratto di donna, come si trova in quel di Petrarca alla Riccardiana, non opporrebbesi alcuno per giudicarlo tratto da quello delineato da Dante: ma le pic- cole figurine, le quali su molte pagine di codici antichi ricordano Beatrice, per la loro dimensione non danno luogo a confronti , e si vedono esser cose meramente ideali, essendosi attenuti que- gli artisti a qualche sola forma e colore dei vestimenti per al- lusione ai detti del chiarissimo poeta. Le tavolette però possedute e illustrate dal Missirini pro- vengono da antichissimi tipi, e rivestivano l’ antica custodia del codice della Divina Commedia che appartenne al cultissimo mar- chese Stiozzi , ma chi ha una certa pratica delle cose dell’ arte ha debito di riconoscere in quelle due teste ciò che propria- mente dicesi due ritratti, non mai due teste a capriccio. Per ciò che riguarda quella di Dante, noi abbiamo , siccome ognun vede, una folla di prove e di confronti onde poter riconoscerla, ma certamente la mancanza di queste prove e di questi con- fronti non è bastevole ad escludere che l’altra effigie sia quella di Beatrice. Troppe sono le osservazioni diligentissime che ven- gono fatte, per le quali questo ritratto coincide con quanto scrive il poeta della sua amata, e a noi conviene attenerci a quelle prove palmari ed evidenti che possono ravvisarsi in una copia, la quale conserva tutt'al più un assieme dei contorni, una esat- tezza nel colore e nella forma degli abbigliamenti , ma difficil- mente può averci trasmesso e conservato la sfuggevole finez> za dei tratti originali e gentili d’ una creaiura angelicata, che non presentava nel suo dilicato profilo un punto d’ appog- gio fermo abbastanza, e forme pronunciate con evidenza per un artista mediocre , e certamente non altrettanto inspirato come il poeta della Divina Commedia. Questa mediocrità dell’artista, que- sta specie d’ infanzia dell’ arte non basterà certamente a farci hruscamente escludere che le tavolette trovate assieme sullo stesso codice , e verosimilmente più antiche del codice stesso , dipinte dalla stessa mano, aventi gli evidentissimi caratteri di dune ritratti, non rappresentino l’ una l’ effigie di Beatrice, qua- lora nell’ altra ognun riconosca quella dell’ Alighieri. Dante che può benissimo aver disegnato quell’ angelico viso, com’ egli stesso racconta, penetrato della nobiltà del suo sog- getto, ne sentiva altamente tutte le bellezze; ma il valore della sua mano non poteva in quell’ età pareggiare la forza del som- mo intelletto, e quand’ anche fosse stato maggior maestro che non era nell’ arte del disegno , la forte contenzion dello spirito 37 è dubbio se avesse giovato o piuttosto \nociuto all’ espressione dei contorni delicati , che vedeva e sentiva assai più che non poteva aver mezzo di esprimerli: le quali cose possibili e comuni ad uomini in epoche dell’ arte più adulta accader dovevano più facilmente nell’ infanzia dell’ arte; e piace qui ricordarle acciò non abbiasi a pretendere in opere di tal fatta che la forza dei lineamenti pareggi quella delle parole , che se ai dì nostri, con tanti mezzi, che abbiamo molto ci corre dal detto al fatto, nel XIV secolo la distanza ragionevolmente doveva ben essere mag- giore. L° assettamento però e gli ornati pienamente combinano colle descrizioni del poeta , le chiome sono crespe e dorate, or- nate di perle, e in ciò l’ artefice non ritrasse in fallo , poichè, sebbene non cadono in anella, poichè non sono abbreviate nè sciolte, ma bensì lunghe , costrette , ed acconciate alla distesa, ognuno però vi scorge quel bell’ ondeggiamento sì proprio de’ca- pelli crespi, che non perdono mai quantunque ritenuti da na- stri o da treccie. Il contorno del naso vi è profilato , il color delle carni e la soavità vi si travede quanto dall’ arte in quei tempi sapeva esprimersi, e il colore delle vestimenta esattamente è quale dal poeta è descritto. Certamente sarebbe un pretendere troppo, anzi un lottar inurbano contro d’ ogni verosimiglianza, e contro tali conghietture che pareggiano l’ evidenza, se si vo- lesse esigere che un dipinto di quell’ età potesse presentarci oggi quelle finezze dell’ arte, quella soavità di fisonomia , quell’ im- pasto di tinte, quella verginità di contorni, siccome avrebbe po- tuto operarsi dagli artisti dell’aureo secolo. Non ci dimentichia- mo d’ un’arte bambina , che andava timidamente cercando un’ imitazione , la quale le era facile allorchè gli originali avevano forme pronunciate, e caratteristiche, ma non siamo ingiusti a volerla quando la mano ancora mal ferma doveva andar molto a rilento nel fissar sulle tavole i dilicati contorni e sfuggevoli ; e pensiamo che il sublime dell’ arte sta appunto nelle piccole differenze le quali producono i grandi effetti. Alle quali cose bi- sogna aggiugnere anche le inevitabili alterazioni che 1’ aria, la luce, il tempo, e le vernici ingiallite hanno prodotte sui di- pinti che spesso noi veggiamo a guisa di larve di ciò che furono. Cosichè se quanto apparisce ha una ragionevole analogia alle espressioni del poeta , è consentaneo alla rettitudine dello inten- dimento , e si concilia colla storia dei tempi, sembra che in tal caso le probabilità e le deduzioni acquistino il diritto della certezza. 38 E, per confermare l’esposto, ritengasi indubitato ; che molti ritratti di Dante, per quanto in questi potesse esser vario l’as- settamento del capo e della persona , offrirebbero opportuna ma- teria a confronto pei soli lineamenti, e si potrebbero tutti rico- noscere facilmente, ma lo stesso non sarebbe mai se molti di Beatrice aver ne potessimo dinanzi, quand’ anche non fosser privi delle indicate foggie e del colore dei vestimenti, che in tal caso sussidiano però molto le cure di un diligente investigatore. Nè certamente dopo sì fatti studi e confronti noi potremo neppur supporre che il ritratto in questione sia opera di fanta- sia, ma certamente dedotto da un originale preesistente, non facendo contraria prova il non trovarlo. Di fantasia , senza cu- rarsi di tradizioni, saranno bensì i nielli, tanto di Lanra posse- duto dal Malaspina in Milano, come di Beatrice conservato dal Rizzo in Venezia; di fantasia furono i busti di queste due donne immortali scolpite da Canova, e dipiuti da Agricola; ma le ta- volette del Missirini, abbianselo in pace gli oppositori se ve ne avessero, noi riputiamo dedotte da antico tipo, che non pos- siamo escludere , se per difetto dei tempi e delle circostanze ci viene impedito il toccarlo e vederlo. Nè tampoco è interesse de’ buoni studi l’escludere che possa in queste tavolette riconoscersi l’ imagine di Beatrice armandoci di sospetto o di diffidenza, chè basta dare il loro giusto valore agli argomenti prodotti per comprovarlo anche agli increduli: ma, se questi argomenti non presentassero una luce abbagliante co- me quella del sole, potremo più pacatamente fissarvici , e ripo- sare gli occhi e la mente su d’ uno splendore soavemente ra- diante come quello d’ un pianeta secondo. E, se il comprovato con evidenza foss’ anche un’ ipotesi per gli occhi di qualche se- vero , è sempre da preferirsi un’ illusione gradevole ed innocua a una dubitazione ingrata e noiosa, e per ciò io penso, mio caro Commendatore , che si possa tranquillamente , e senza paura di mettere il piede in fallo, riposare opinando a favore di questa interessante scoperta. Se un cimelio così prezioso fosse nelle mani dei rigattieri d’ antichità , potrebbesi anche dubitare che fosse stato a disegno illustrato, ma la penna del Missirini, che non fu mai mercena- ria e servile, non sarebbe stata a ciò propria, nè egli conserve- rebbe per bassa lusinga di lucro un oggetto che potesse eccitare le voglie degli amatori di curiosità italiche; egli che, circondato di preziosità d’ ogni maniera , converte il suo censo ad aumen- 39 tarle, egli che con moltissimo disinteresse e con tanta munifi - cenza illustra le opere dell’ arte e i nomi più sacri alla gloria del secolo. Che se le opere de’ primi tempi dell’ arte non possono ga - reggiare per lo splendore dell’ esecuzione con quelle dei Leonar- di, dei Raffaelli, dei Tiziani, non sono però meno preziose per aver dato incitamento e aperta la strada ai secondi, e per averci conservato preziose memorie che altrimenti sarebber perdate ; memorie che, se non la vincono per la splendida e classica ese- cuzione , hanno un altro pregio inestimabile per la loro sempli- cità, innocenza, e per quell” unzione di dolce espressione che l’ arte forse perdette a misura che potè lussureggiar con più pompa nelle sue pratiche. Di questa primitiva timidezza convien far tesoro, e ben se ne avvide il Dott. Manni nel suo viaggio di recente fatto in molti paesi della Toscana, che fruttò alle sue ricerche una collezione preziosa di antiche tavolette anteriori a Giotto , e agli insigni antichi pittori toscani di quell’ epoca, anello quasi sconosciuto , o poco ancor celebrato degli incuna- buli di queste arti nostre. E se dalla felice scoperta del busto colossale di Mecenate ebbe principio questa mia lettera, scoperta fatta da questo med:co romano, avrà fine applaudendo ai pre- ziosi frammenti per lni raccolti de’ pennelli italiani, sui quali è da bramarsi vengano fatte le più accurate ricerche per illu- strarli. LeoroLno CICOGNARA. Nell’ atto di mandare sotto il torchio quest'ultime pagine riceviamo dal sig. dott. Giovanelli la seguente nota che ci facciamo un piacere di pub- blicare. « A. confermare con più evidente dimostrazione la sembianza della Bea- trice concorre altro tipo posseduto in Siena dal sig. Stanislao Grottanelli De Santi professore in quella I. e R. Università ,,. “ Questo tipo è inciso in lamina di rame dorata; e trovasi parimenti in compagnia di Dante ,,. «« La somiglianza è perfettamente eguale al ritratto pubblicato dal sig. Mis- sirini sì pel profilo greco, come per tutte le forme del volto e l’acconcia- mento de’ capelli. «° La lamina è scritta delle seguenti parole.: ;, Diva | Beatrix Dantis Poeta Dantes Florentinus. Così questi due monumenti si fanno mutuamente prova e dimostrazione di verità ,,. (L’Editore.) do ConsIDERAZIONI SULLA STORIA (1vILE E SUI FONDAMENTI DI ESSA NELLA MonaARCHIA DI SAVOJA. (*) Fra le varie spezie di storia che vengono dagli autori an- noverate, e nel numero immenso delle storie antiche e moderne che vennero date alle stampe , nissuna è più scarsa della storia civile, nissuna abbonda più che la genealogica, e la militare. Molti furono che scrivendo d’ una nazione non hanno tolto a parlar che dei principi ; laddove , se si vuol scriver altro che una privata biografia, non si può parlare degnamente de’ prin- cipi senza parlar molto della nazione , dalla felicità della quale solamente vera gloria ad essi deriva. Separare la storia de’ prin- cipi da quella della nazione è assurdità manifesta , non per al- tro chiamandosi essi principi se non perchè sono i capi della nazione, e non per altro-essendo le opere loro tanto più impor- tanti di quelle de’ privati , se non perchè quelle opere hanno, secondo l’ indole loro., virtù di crescere, o di scemare la feli- cità di tutto il popolo. Molti altri furono che promettendo storie recarono in mezzo le sole. narrazioni de’ miserandi casi di guerra, e di quelli più miserandi delle intestine discordie e della guerra civile ; nel che compiacquero alle inclinazioni degli nomini, che amano parlar di quelle cose che più sollevano la loro imaginazione, non di quelle che hanno più ponderosi e più universali effetti. Ma in realtà che s'impara dalla minuta narrazion d’ una guerra? assai poco. Pochi sono icasi in cui siffatta narrazione possa riuscir utile all’ar- te militare, perchè di gran capitani come Eugenio di Savoja ; Fe- derigo di Prussia, e Napoleone, il cui esempio serva ad altri di scuola Dio ce ne manda appena un per secolo, ed ancora vi vorrebbe un gran capitano per iscriverne fruttuosamente. Del rimanente le guerre si somiglian tra loro come si somigliano i (*) Andiamo debitori del presente articolo alla gentilezza d’ uno dei più attivi fra’ piemontesi studiosi delle cose patrie , il quale fra’ molti suoi titoli alla pubblica fiducia ha pur quello della carica da lui coperta, che gli faci- literebbe le più minute ricerche , anche quando i pubblici archivi non fosse- ro nel Piemonte liberalissimamente aperti agli eruditi e agli studiosi d”ogni specie. (11 Dir. dell’Ant.) 4I monti ; e le valli ; e quando si sono esposte le cagioni della guer- ra, e detto l’esito d’una battaglia, e le sequele della medesima, lo storico che non fa professione di scrivere pe’ soli militari ha detto abbastanza. Eppure i due terzi di quasi tutte le storie, parlo delle storie generali , son piene di fazioni guerresche , e l’altro terzo è in gran parte formato di narrazioni appartenenti alla storia genealogica, di modo che esiguo affatto è lo spazio, che v’ occupa la storia civile. Il fine della storia parmi debba esser quello di ritrarre l’in- dole de’ tempi andati, non meno che di riferirne gli avvenimenti, di mostrare la felicità o l’infelicità de’ popoli ; e. d’ assegnarne o di lasciarne veder le cagioni. Fiuchè non adempirà, tal ufficio non potrà giustamente chiamarsi maestra dela vita. 7 Ora la felicità ,, 0 la miseria d'un popolo non dipende solo dalla guerra ,,o dalla, pace. Può. essere infelicissimo in pace ed in, parte anche per cagione d’ una lunga pace. All’ incontro può essere , non dirò fortunato, ma in una condizione supportevole in tempo di guerra, perchè ed in pace ed in guerra vi sono altre cause, non, accidentali, ma costanti , di felicità, o d’infelicità , quali. sono le leggi, le arti politiche usate dal governo, ed i co- stumi che sono più potenti delle leggi, e dell’ arti di governo, e che finiscono. per prevalere. Queste sono le, cagioni onde move direttamente, onde, per- petuamente s’ informa il bene, od il mal essere delle nazioni; nè sarò ripreso dai scienti delle cose pubbliche. affermando che una lunga. guerra suscita spesso minori mali che una cattiva legge, che un tributo eccessivo, o mal collocato. Ai precipui mali della guerra molti possono sfuggire; alcuni più fortunati sfuggono eziandio alle più gravi immediate conseguenze della medesima. La cattiva legge invece tutti lincatena!,, tutti offende e colpisce il. tributo eccessivo, o mal posto. Li Ma vero è quel che ho accennato di sopra. L’immaginazio- ne degli uomini si turba e si solleva alla vista, per esempio , d’ un omicidio, perchè la conseguenza n° è visibile ed immedia- ta, nè v’ha d’uopo del ragionamento e. del calcolo che aiuti a discoprirla. Perciò molto rumore se ne fa, e lungamente se ne discorre. All’incontro ad una cattiva legge di procedimento criminale, che. può dar luogo a molti omicidii legali ,.0 poco, o debolmente si move ; quantunque siffatto genere d’ omicidio sia mille volte più terribile !e. spaventoso del primo, perchè s’ incontra dove un innocente dee sperar protezione ed aiuto , perchè .si mostra T. VI. Giugno 6 42 vestito delle sembianze della giustizia , e rare volte può esser conosciuto , e quasi mai riparato. Questa è la vera cagione per cui la guerra ha avuto tanti narratori , e per cui pochissimi ne ha avuto la storia civile de’ popoli. Gli scrittori compiacquero agli umori de’ tempi, ed all’indole dell’ universale. Sl primo loro desiderio non è pur troppo ordinariamente quello d’ esser utili, mà sibbene quello d’esser letti, ed applauditi ; perciò d’uopo è ‘conformarsi all’ in- clinazione del popolo il quale plaude a ‘ciò che gli piace , non a ciò che gli giova. Infatti, se si considera quali sienoi libri storici più ricercati e più letti, vedremo essere le storie universali, e poi le storie generali, ed infine i compendii. Storie appunto , e massime’ le prime, le meno utili di tutte, perchè non vi son descritti che que’ grandi avvenimenti che non giovano’ all’ammaestramento d’alcunò, come sono le guerre , le sollevazioni, le' mutazioni de’ regni, le rabbie de’popoli, e perchè per l’ordinario chi scrive siffatte storie non sa nè può sapere i particolari di ciascuna, ne’ quali particolari sta l’utile ammaestramento, il moto; la vita. Le occulte cagioni delle cose l’autore le cava allora dalla pro- pria funtasia , ‘è per collegare tra” loro i rumorosi casi di cui ra- giona, ed unirli in bel corpo di narrazione } adopera gli artifizi rettorici, e trae il lettore e se medesimo in’ continui ed iufi niti inganni. Io per me credo che nissiino possa scrivere una buona storia universale ‘perchè non è in'poter di nissuno ‘di ben conoscere tutte le storie particolari, le quali in dre parte ‘suono ancora da farsi, e non si trovano che sparse ne’ monumenti. Non credo che si possà scrivere una buona storia generale d’ un popolu 0 d’una monarchia, se l’autore non ha studiato lungamente i particolari della storia d’’ogni città un po’ importante; e tutte lo furono dal secolo XI al XVI in Italia; nè solo le città, ma in certi luoghi: fin le terre, e'le ville. Credo infine che nissuno possa scrivere un buon compendio d’una storia, se nor è iu grado di ‘scrivere, ‘o se non ha séritto la storia intera del popolo o della monarchia di cui si tratta; e perciò il libro del presidente He- nault è forse il solo buon compendio che s’abbia d’ una storia qualunque. E quì mi conviene avvertir due cose ; la prima che queste dottrine non si possono applicare che alle storie de’tempi di mezzo, e de’ seguenti , non alle antichissime , per le quali pochi e rari sono! i monumenti che ci rimangono; e le storie scritte da’con= 43 temporanei o da altri tuttavia molto antichi rispetto a noi si debbono per forza tener in luogo di monumenti ; la. seconda ch'io non voglio già affermare che d’ una storia non si possa fare un buon sommario eziandio da persona non perita de’ par- ticolari di quel popolo o di quella monarchia; ma sibbene che non debba esser allora altro che un puro sommario, e non aver aspetto di storia abbreviata, non contener giudizi, non paralleli. Ancora debbo pregar chi legge ad avvetire di non confon- dere i compendi o sommarii o sunti, di cui ragiono, con que’libri in cui una serie più o men lunga di fatti storici è chiamata a dimostrazion d’un sistema; de’ quali scritti ve n’ha in gran copia, sebbene pochi, o forse niuno ve n’ abbia di così rara bontà come il discorso sulla storia universale di Bossuet. La qual maniera d’ opere non appartiene alla storia propriamente detta, e non giova ad inseguarla; perciocchè chi invoca la storia in prova d’un assunto sceglie i fatti che gli cadono in acconcio, i contrarii li tace, o li travisa. Il che massimamente accade ne’ tempi agitati dal furor delle sette politiche, e religiose , ne’ quali riesce d’ ordinario difficile anche ai più saggi tenersi lontano da quelle passioni che sono di tanto impedimento nella ricerca del vero. La universale parzialità, che abbiamo testè notata per la parte genealogica e militare della storia, provasi eziandio dalla qualità de’ monumenti che altri raccolse per servirle d’istromento, o per dir meglio di materiali. I fondamenti delle prime storie , o cronache furono la tra- dizione , ed i ricordi che i privati. più solleciti delle memorie domestiche andavan notando ne’ loro diarii. Ora la tradizione non si compiace dell’ utile , ma del maraviglioso, e tanto di que- st’ ultima si compiace , che s’° abbraccia con incredibile facilità alle favole più assurde. Ne’ diarii i privati tengon memoria delle vicende domesti- che, e notano le nascite, i matrimonii , le morti degli individui delle loro famiglie ; le nascite, i matrimonii, e le morti de’prin- cipi; le comete ed altri segni celesti, le guerre, le pestilenze , e le fami. Ed è buona ventura se; per dimostrare la grandezza di quest’ ultimo flagello , si rammenta quanto. valesse il grano. Ma di tutto ciò che appartiene alle leggi, ai costumi, all’ eco- nomia pubblica , alle negoziazioni politiche non v'ha parola. La necessità di raccor documenti, perchè si potesse acconciamente e con pubblico vantaggio scriver la storia , fu sentita in Italia 44 nel secolo XVI, e parecchie collezioni ne furono pubblicate e in Francia e in Italia nel secolo XVII, secolo in cui fiorì la vera filosofia , ed in cui nacque la critica , ed incredibile è il frntto che anche al dì d’oggi se ne ritragge. Nondimeno in sì fatte collezioni s’ illustrò assai più la storia genealogica , e la di- plomatica, che. quella dell’economia pubblica e delle leggi; onde non frequenti vi si rinvengono i documenti che abbiano con una parte sì sostanziale della storia diretta corrispondenza. Le prime raccolte di documenti, appartenenti in gran parte alia monarchia di Savoia, è dovuta ad un forestiere. Samuele Guichenon, il quale stampò a Lione nel 1661 col titolo di Bi blioteca Sebusiana una copiosa scelta di carte pubbliche e pri- vate ragguardanti al Lionese ed al Delfinato , parte delle quali province ha lungamente obbedito ai sovrani di Savoia ; ed an- che non poche concernenti gli altri stati di Savoia al di là da’ monti. Verso la metà del secolo scorso Pasini, e Rivantella pubblicarono il cartario della chiesa d’Oulx da cui ricevono non picciola illustrazione le storie del Piemonte e del Delfinato de’se- coli XI e XII; e più tardi il Teologo Moriondo stampò in \due grossi volumi moltissimi documenti che riguardano principalmente la storia del Monferrato col titolo di Monumenta Aquensia. In- fine Ludovico Costa ha dato, non son molt’anni, alle stampe il cartario di Tortona sua patria. Che se dalle raccolte di soli documenti faremo passaggio a quelle opere nelle quali o dentro al corpo della narrazione ven- nero inseriti documenti, o recati in piè di pagina, o tutti in- sieme ragunati dopo il testo, col titolo di prove, troveremo una serie di autori vie più numerosa. Faremo capo dal più antico, Benvenuto S. Giorgio, il quale sul principio del secolo XVI scrisse la cronaca del Monferrato, che fu stampata nel corso di quel secolo, ristampata nel finire del secolo scorso , ed illustrata dal Vernazza ; e per quell’ uso da lui introdotto con tanto senno di recar in disteso le prove della sua storia fu poi meritato di co- piose lodi dal Maffei, e dal Muratori.‘ Tenne lo stesso stile il San Giorgio in un altro suo libro intitolato: de origine gentilium suorum,cioè de’conti di Biandrate da cui discendea; possenti baroni le di cui vicende sono stret- tamente congiunte con quelle delle repubbliche di Novara ; di Vercelli, di Chieri, e di Torino, e colla storia del Canavese. Seguitò in qualche parte quel savio esempio Monsignor della Chie- sa, le opere stampate del quale non sono che sunti di altre prin» cipali ch’ egli avea con incredibile fatica e diligenza preparate , 45 e di cui serbasi manoscritta l'ampia descrizion del Piemonte ; ac- crescinta da Monsignor Ignazio Della Chiesa vescovo di Casale; opera di grande importanza e perciò degna che dal governo ne venga prescritta , ed aiutata la pubblicazione. Molti documenti contiene altresì la storia dell’Alpi marittime di Pier Gioffredo, opera di non minor importanza che la precedente, e degna d’u- guali favori , di cui s’° hanno due esemplari ne’regii archivi di corte. Qualche altro se ne trova nella /Micea civitas sacris mo- numentis illustrata libro stampato dallo stesso Gioffredo , e nel- l’Amedeus Pacificus del Monod; ma degni di particolar memoria son quelli che il già lodato Sua Guichenon stampò in gran numero nella sua storia della Bressa e del Bugey, e molto più nella storia genealogica della Real Casa di Savoia. Opera grande molto , lodata allora, e rimunerata con generosità reale da Ma- ria Cristina Duchessa Reggente di Savoia; troppo forse vitupe- rata dipoi da quelli che giudicano de’tempi antichi colla misura de’ nostri, e che non avvertono che in tutte le cose il più ar- duo è il buon cominciamento. Infine s’° hanno di quel secolo il Caprè autore del Traité historique de la Chambre des Comptes; il Tesauro autore della storia di Torino ; la storia di Cherasco del Voersio , ed altre storie municipali fornite di qualche docu- mento , ed il Rochaix autore del libro intitolato: G/loire de 1’ A4b- baye de la Novaloise, opera di poca fatica e di minor critica, ch’io non avrei ricordatd, se un celebre scrittor moderno non avesse fatto gran fondamento ad un suo sistema sopra una carta del secolo XI, che v° è pubblicata. Ma nel secolo scorso con maggior possanza di critica e corredo d’ erudizione sorse Tommaso Ter- raneo, che non pochi e preziosi documenti espose nell’ Adelaide illustrata, e lasciò in Giuseppe Vernazza un allievo degno di lui. Verso gli stessi tempi pubblicava la storia di Trino Giovan Andrea Jrico, diligente raccoglitore di carte antiche , ed autore d’una storia tipografica manoscritta della stessa città ; poco doppo Jacopo Durandi Vercellese, illustrando con molta acutezza d’in- gegno e non minor dottrina la geografia antica del Piemonte nel- l’opera intitolata Piemonte Cispadano e Traspadano , dava luce, recando in mezzo molti nuovi e sicuri riscontri, a parecchi oscuri punti della storia nostra ; e così pure facea con minor larghezza di disegno, ma con maggior diligenza, in moltissimi la- vori editi ed inediti il già lodato Vernazza. Anche Megranesio, e Nasi cominciarono con metodo e con critica eccellente la storia ecclesiastica del Piemonte col titolo di Pedemontium Sacrum e 40 la fiorirono di documenti; ma non ne uscì che il primo volume. AI di là dell’ Alpi ebbe lv stesso pensiero il Besson e pub- blicò le memorie per servire alla storia delle Diocesi di Ginevra, Moriaua, Tarantasia, ed altre, e con esse un bel numero di carte importanti. Una copiosa raccolta di documenti aggiunse il canonico Grassi alle sue memorie della Chiesa Vescovile di Mondovî. Infine lo stesso Grassi nella dissertazione sull’Univer- sità degli studi di Mondovi; Coda, e Mulatera nelle loro memorie sulla città di Biella ; Giuseppe Muratori nella storia di Fossano; Ponsiglione nel saggio sopra i Tempieri, stampato negli Ozi let- terarii ; Malacarne nelle lezioni sopra la città d’Acqui stampate nella medesima raccolta ; lo Sclavo nella illustrazione della la - pide di Ferrania, ed in altri pregevoli scritti che rimangono tuttavia inediti, e qualche altro autore riferirono ancora do- cumenti non disutili alla storia. In tempi a noi più vicini al- cuni documenti pubblicò il Degregory nella storia della Lette- ratura Vercellese; il Biorci nella storia d’Acqui; il Datta nella spedizione/d’ Amedeo VI in Oriente; lo Sclopis nella sna elegan- te memoria sopra Tommaso conte di Savoia. Un intero volume di monumenti, riguardanti massimamente la condizione delle città libere Piemontesi del medio evo, pubblicò il Cibrario nella storia di Chieri: ed un numero non meno notevole di carte che illu- strano specialmente la storia de’ discendenti famosi d’ Aleramo 4 pubblicò nella storia di Saluzzo il Muletti. Infine è da soggiungere che di molte carte importanti ap- partenenti alla storia nostra son fornite le opere insigni del Du- chesne, del Mabillon, de’Sanmartani, dell’ Ughelli, e del Mu- ratori; e spezialmente la storia del Delfinato del signore di Val- bonnet, uno de’ pochi, i quali furono persuasi che vera notizia de’ tempi antichi aver non si possa, dove non se ne conosca la condizione politica, economica, e civile. Queste sono le principali collezioni di carte antiche concer- nenti la storia della monarchia di Savoia, ed i libri ne’quali si trovano sparte. Nella Biblioteca Carlo Emmanuele trovo ancor ricordato un codice diplomatico della chiesa d’Asti, che si dice impresso senza data e senza luogo di stampa; ma io non ho potuto finora aver- ne contezza. Serbansi altresì manoscritti il codice diplomatico del Monferrato raccolto dall’ Irico ; un’opera intitolata: .Serzes Antistitum Taurinensium, che è lodata da Angiolo Carena ne’suoi stupendi discorsi storici inediti, come erudita, ed abbondante di documenti, e che debb’essere nella biblioteca del Seminario di To- 47 rino; e parecchie altre opere di simil fatta, di cui sarebbe uti- lissima la pubblicazione. E qui giova avvertire che; sul finire del secolo XIII, molte fra le città libere italiane pig'iarono consiglio di far trascrivere per mano di notaio in uuv 0 più volumi i privilegi, i trattati, gli statuti, e le altre scritture del comune; e questi preziosi volumi , che dal colore della co- perta ebber nome di libro rosso, libro verde, libro nero , o dalla catena di ferro con cui erano attaccati si chiamarono libro della catena , o preser nome dallo stemma che su v'era dipinto, co- me i famosi Biscioni di Vercelli, pervennero in gran parte fino a noi, mentre gli originali andarono quasi tutti smarriti. Gli ar- chivi di alcune città Piemontesi come Mondovi, Asti, Cuneo, Chieri, Ivrea, Novara, Torino ; e più di tutte Vercelli, e al di là dai monti quello di (Miamberì abbondano perciò di docu- meuti rari e sconosciuti, dalla notizia de’quali piglierebbe larghi incrementi la storia patria. Più ancora ne abbondano gli archivi vescovili , e que delle cattedrali, dai quali ultimi una non sa- via nè scusabile gelosia tien lontani gli occhi de’ pochi inve- stigatori di simili antichità. Ma tra i fondamenti della storia tengono il primo luogo le leggi, siccome quelle , dalle quali al postutto pende la buona o la rea sorte de’popoli; e siccome ne’ secoli XII, XIII e XIV moltissime furono in Piemonte le terre che si ressero a comune, e ridussero in iscritto le antiche loro consuetudini, cousidere- vole è anche il numero degli statuti stampati ‘e’ manoscritti de’quali serba una preziosa collezione il sig. conte Balbo. Quanto copiosa suppellettile d’ utili notizie ne possa attin- gere la storia patria non è mestieri ch’ io lo dica. Osserverò so- lamente che iu tali codici municipali trovasi l’origine della legge che esclude le femmine dalla successione, legge aristocratica; di cui que’ cittadini si mostravano gelosissimi; e che perciò appunto fu trasferita nelle leggi e costituzioni generali della monarchia. Da molte carte del: principio del secolo XIV, che si serbano nel copioso archivio della R. Camera de’Conti di Torino, si può argomentare che una collezione di leggi o regolamenti per la monarchia di Savoia, col nome di statuti, fosse fatta fin dal se- colo precedente. Serbansi quelli che Amedeo VI ordinò nel corsò del lungo e glorioso suo regno. Riordinolli poscia e li ampliò un altro gran Principe , Amedeo VIJI nel 1430; poche aggiunte vi fecero i suoi successori fino ad Emanuele Filiberto , secondo pa- dre della monarchia, il quale molte né promulgò col titolo di decreti e costituzioni nel 1565 e negli anni seguenti , e fra le 48 altre ne stabilì due savissime indirizzate ad appurar legalmente giorno per giorno il numero delle nascite e delle morti, ed il prezzo delle derrate , le quali, perchè forse troppo più savie di quel che comportasse la civiltà de’ tempi ; furono in breve tra- scurate. Altri codici col titolo di leggi e costituzioni pubblicò Vittorio Amedeo II prima nel 1723 poi nel 1729, nè fu opera meno illustre di tant’ altre. del memorabile suo regno ; perocchè fu, credo, il primo a ristringere ad una non numerosa condizion di persone la facoltà d’instituir primogeniture e fidecommessi ; a ridurne a pochi gradi la durazione, a proibire di vincolar .in tal guisa le cose mobili. Un altru codice più copioso promulgò Carlo Emanuel III nel 1770. Ma perchè i tempi; che valicaron di poi, siccome furono sopra ogui altro famosi per grandi e per terribili avvenimenti , così anche lo furono pe’ rapidi progressi dell’ umana sapienza ; il re Vittorio Emanuele aveva orditata, ed in parte già preparata, una generale riforma della legislazio- ne, ed il presente re Carlo Alberto , al gran senno del quale nulla sfugge di ciò che può render felici i popoli e glorioso un regno, ha già rivolto a questa importantissima parte del pubblico bene le sue sollecitudini. Finora si è parlato delle collezioni di leggi fatte dai Prin- cipi. Ora di quelle che dai privati si fecero. Nel 1679 Bally stampò a Ciamberì un libro intitolato : Re- cueil des édits et réglemens de Savoie depuis Emmanuel Philibert jusqu’à présent. Tolly nell’anno e nel luogo medesimo un altro volume in folio intitolato : Compilation des ‘anciens édits: des Princes de Savoie. Nel 1681 il senator Borelli pubblicò un grosso volume ‘in folio col titolo di Editti antichi e nuovi. Ma queste opere fatte per comandamento di Madama Reale Maria Giovanna Battista; furon ben lunge dall’ esser compiute e fedeli. Ai nostri giorni un valente giureconsulto (Cauda) ne intraprese la conti- nuazione, ma passato in breve di vita sottentrò in suo luogo l’av- vocato Duboin ; uomo di molta erudizione e diligenza; il quale secondato dai reali favori s’ adoperò con tanto amore che già ne vide la luce il tomo IX. L’opera è fornitissima di documenti importanti eziandio antichissimi, di regolamenti, d’ istruzioni , di provvisioni segrete. Gran conforto dee quindi tornare agli studiosi della storia, perciocchè molte cose che tenea chiuse non una necessaria ge- losia di stato, ma un’avida brama di occultazione che è stato il più gran vizio de’ padri nostri, le rivela ora il tempo ; o le disserra la sapienza de’ governanti, i quali ottimamente cono- 49 scono che a combatter le false dottrine nulla è più potente che la scoperta «el vero; che questo vero nelle buone storie si ri- vela e trionfa; e che le buone storie non sorgono se non dal lungo studio d’ogni maniera di documenti, e massime di quelli che sono alle leggi, alla economia pubblica ; ed ai negozi poli- tici appartenenti. L. C. Le ALPI ELvETICHE (*). Dalle rive del Mediterraneo in Provenza prolungansi l’Alpi pel tratto di quasi dugentocinquanta leghe sino agli ultimi con- fini dell’ Ungheria: e dannosi alle varie parti di quell’ immensa catena nomi diversi a seconda de’ paesi che percorrono. Sino al Monte Viso chiamansi Marittime ; oltre a quello sino al Cenisio Cozie; dal Cenisio al Col di Bonhome Greche; Alte Alpi o Pennine appellansi sino al Rosa; Elvetiche sino al Bernardino; Retiche sino alle frontiere della Carintia ; Moriche sino alla pianura d’ Oedenburg in Ungheria; Carniche dal Pel- legrino a Terglou ; Giulie dall’ antica città di Forum Julii si de- nominano quelle che separano il Friuli e 1’ Istria dalla Croazia, dalla Carniola e dalla Schiavonia ; Dinariche per ultimo diconsi da alcuni le montagne che da Klek spingonsi lunghesso la riva dritta della Sava, e dal Danubio sino al Balcan con cui si con - fondono. I Romani avevano praticato attraverso l’Alpi vie militari da Aquileja all’ Illirio; da Genova a Nizza; dal Piemonte alle rive del Lemano , valicando il Gran-San-Bernardo ; dalla Lombardia per lu Val d’ Adige al Tirolo. A Carlomagno debbesi la strada (*) Dobbiamo il seguente scritto ( in forma epistolare ) alla cortesia del sig. Conte Tullio Dandolo,e godiamo di attestargliene la nostra riconoscenza, alla quale parteciperanno non pochi de’ nostri lettori. Esso fa parte di due nuovi volumetti che il ch. A. sta per dare in luce sulle cose della Svizzera, dove avran luogo quelle considerazioni generali che nelle descrizioni dell'uno o dell’altro cantone non sarebbero credute opportune. Desideriamo che la ristabilita salute del Co. Dandolo gli dia agio a compire questo suo lavoro , nel quale egli ha mostrato tanto e .sì assennato amore della Svizzera, e di tutto ciò che ri- guarda il bene degli uomini. (Il Dir. dell’ Ant.) T. VI. Giugno 7 50 del Cenisio. Aprironsi in tempi posteriori i passi del Sempione , del S. Gottardo, del Bernardino, del Septimer, della Spluga , che vedemmo tutti di recente, con ardimento e sforzi appena da credersi; conversi in ampie e comode vie. L’ Alpi vincono in elevazione ogni altra cateria di monti europei: avvegnachè il Monte Perduto, ch’ è la cima più alta de’ Pirenei, non oltrepassa i 10978 piedi di Parigi; nè il Velino re degli Apennini 7668, nè 1’ Etna 10,000; nè la vetta di Lom- vitz nei Krapachs 8100; il Finsteraarhorn invece agginnge a 13234 piedi, il Cervino a 13842; il Rosa a 14479; il Bianco a 14807. La Svizzera è situata a settentrione dell’ Alpi. Suoi confini a mezzodì souo il baluardo che dà riva al Lemano, entra nel Vallese, e si spinge per le valli d’Aosta , di Sesia, e d’Antigori sino alla Furca; proluugasi di là oltre il Gottardo pel Lucumone e l Adula ve’ Grigioni; e fiancheggiando la Val di Bregell passa tra la Valtelliva e l’ Engadina. Codesta catena s' abbassa in al- cune parti a formar gole per cui si scende in Italia, nè dilun- gasi meno di cento leghe; e può rispetto alla Svizzera chiamarsi Meridionale. La Settentrionale ha principio in riva al Lemano presso la stretta di S. Maurizio, s’ innoltra a mezzodì , poi piega a levante separando il Canton di Berna dal Vallese; ed arriva anch’ essa alla Furca che altri monti pongono in comunicazione col Got- tardo, e da cui dipartesi il Crispalt che sorge tra’ Grigioni e ì Cantoni d’Uri e di Glaris; s’ abbassa a Sargans; ergesi poi con masse scoscese tra i’ Appenzell ed il Tockenburg, ed ha termine in riva al lago di Costanza. Da queste due maggiori catene staccansene in diverse dire- zioni altre men lunghe, ma spesso egualmente alte. Dalia Meridionale declinano verso il Mar d’Italia ramifica- zioui tra la Savoia, la Val d’Aosta, e il Piemonte ; altre metton capo al Vallese e formano le valli laterali d’ Entremont, di Ba- gues , d’ Anniviers, di S. Nicola; oltre la Furca, le ramificazioni che si dipartono dal gran centro dell’Alpi son tante, che sarebbe difficile e tedioso numerarle. La catena Settentrionale ha essa pure sue ramificazioni, che è cosa men ardua lo indicare. La prima fiancheggia a mezzodì la Val d’° Ormont; la seconda circoscrive a settentrione la Val di Mosset; la terza sorge tra questa valle e Castel d’ Oex; la quarta tra Gsteig e Lawenen ; la quinta tra Lawenen e Sibben- thal; la sesta tra 1’ Adelboden e Kandersteig; la settima fian- e ____———È e a 5I cheggia la Val di Kien; 1° ottava forma la Sheidech; altra più estesa segna i confini del Cantone di Berna, d’ Uri e d’ Unter- vald ; si spigne tra 1’ Emmenthal e il lago di Thun. Altra ra- mificazione serpeggia tra Uri e Glaris, si volge a Schwitz, so- vrasta all’ Albis a Zurigo; poi si abbassa e s’ annienta presso il lago di Costanza. i Oltre alle due grandi catene; di chi sin qui ti ho tenuto di- scorso ; ergonsi quà e là (Alpi isolate; e. le principali sono i montî di Gruyères, il Righì, e l’Appenzell, che, a differenza dell’ Alpi denominate Alte, di lor natura: scoscese e per. gran parte ‘nevose alla cima, ascrivonsi a quella categoria d’ Alpi che chiamansi comunemente medie od avanzate, le quali, di statura men gigantesca e di furma più arrotondata, si chinano alle valli con pendìo men :dirupato. La lor conformazione è pressochè uni- forme cioè a grandi scaglioni. Il lor clima temperato favorisce la coltivazione de’ cereali, ed anche, in alcuna parte più riparata , delle viti. I boschi non vi si mostrano composti unicamente d’al- beri, coniformi ;; ma cresconvi altresì elci, castagni, quercie. Ar- busti, di cui le sementi furonvi trasportate dall’acque, accennan la ‘vicinanza di regioni più elevate. Le fiumane acquistanvi più forza, e produconvi maggiori guasti di quello che tra le sublimi balze ove s° ebbero le scaturigini. Città e ville trovanvi facile e vantaggiosa situazione: e vedute gioconde allegrano queste Alpi Medie , sia chel’ osservatore s’ affacci ad. uno de’loro scaglioni più elevati contemplando il sottostante paese ; sia che spignendo lo,sguardo in sull’ alto scopra quasi aerei gruppi di case ,; e ca- scate e boschi e nugoli che. ricingon gli osgetti di magica cornice. L° Alte Alpi son generalmente di nuda roccia in sulla cima: vestonsi di pascoli a mezzo, ed alla base di boschi. Lor balze maggiori presentano da luuge aspetto di piramidi isolate ed am- mantansi di neve d’ abba.liante candore, al disotto della quale distendonsi strati di. ghiaccio che, accerchiandole alla base; cor- rono vastissimi tratti pressochè piani; e. paion piani abbenchè mascondansi per essi burroni profondi: perciocchè le nevi, che durante nove mesi dell’anno accumulansi sul pendio circostante, scivolano ad ogni soffiar di vento nelle bassure, disponendovisi in istrati che hanno centinaia di piedi di spessore; che la bre- vissima sopravvegnente state non vale. a-sciogliere altro che in parte, e che nuovo verno addoppia ; sinchè tutta intera la valle n'è ingombra , e si presenta insieme alle vette , che dianzi' co: ronavanla, in forma di pianura. 52 Nè solamente le: ghiacciaie occupan le cime dell’ Alpi, ma scendon di lassù ver le valli sin dove maggior calore nell’atia e nel suolo; pone confine ‘alloro innoltrarsi , e n’ avviene ‘che le si veggon talvolta durante anni consecutivi scemare ; tal al- tra per lo contrario: s’innoltrano a conquidere parti di suolo che aveano fin allora rispettato : nè v’ ha alcuna regolarità in siffatto avanzarsi o retrocedere delle ghiacciaie, essendone causa la varia temperatura e la maggiore o la minore quaritità di neve caduta. Gli è d’.ordinatiovin primavera ‘che le:ghiacciaie crescono, e nel verno rimangonsi. stazionarie: nellà state fendonsi;. feno meno; a cui, s’ accompagna, uni fragore simile. al | tuono ;.e :spa- ventose scosse di che tremano. i vicini monti. Que? fessi , che ag- giungono .spesso a profondità incommensurabile , e che alcuno spruzzo di neve vale sovente ad ascondere, presentano i maggiori perigli.a, cui espongansi i viaggiatori che ardimentosa curiosità spinge a mezzo, delle ghiacciaie. I rapidi balzi di temperatura danno origine a' correnti di frodi dissimo vento, che -sbucando fuor da’fessi trascinano seco parti- celle minutissime di ‘neve: e disperdonla in’giro a foggia di nube. Scorgonsi sovente disseminati sul ghiaccio frammenti di scogli’, che le valanghe precipitate! da sovrastanti balze e l’azione ef- ficace ‘del. gelo. spezzarono'; trascinarono ;‘ e ‘sul lembo estremo della ‘ghiacciaia formansenemuraglioni alti. perfino. cento piedi. Di:codesto fenomeno , non che di molti ‘altri maravigliosi e gisanteschi, ‘che al. formarsi; 'allo sciogliersi j ‘allo spaccarsi de? ghiacci, e al rovinar delle valanghe in sull’ Alpi si riferiscono;' ti terrò ragionamento allorchè ti deseriverò 1 Oberlattd Bernese: Tenterò! allora di farti spettatore di scene imponenti :>strapparle alla magia de’ luoghi onnipossente, sarebbe spogliarle di quella maestà ; e di quel terrore di cui le improntò'laimano di Dio. Ogni ghiacciaia ha la sua'cavità, ove l’acqua; filtrando ‘goecia: a goccia’, si ‘raccoglie’; e 'trovanvi nascimento i ruscelli alpini! Allorchè ilitiepido fiato della primavera accelera lo sciogliersi delle. nevi ; ‘torrenti e fiumi si gonfian d’ improvviso, con pericolo: delle valli che bagnano, particolarmente se um. temporale ac+ compagnato da fenomeni elettrici 0 lo scirocco concorrono a. fa» vorire la rapida conversiorie in acqua delle masse agghiacciate. Anco lle abbondanti piove, che precipitano dalle nubi allorchè il vento ; ‘innalzandole dalle valli, lè addensa intorno le cime, producono simigliante effetto. Cupo romore s’ ode da lunge an- nunziare il giugnere della tremenda piena ; alberi e rupi son 53 trascinati; e il, montanaro, avvertito dal mugghio dell’ imminente pericolo; ha tempo , dal. fondo della, valle; di cercarsi scampo nell’ altura. Talvolta immane mole di ghiaccio serra cadendo con colos- sale muraglione tutta»la valle; sicchè vi. si accumulan 1’ acque a foggia di lago, subbissando. campi ;- casolari. ey abitatori. — E chi saprà rappresentare con colori! abbastanza vivi. l’ orrendo e sublime spettacolo ‘di’ quel muraglione che si'spezza; e dell’ e- norrhe cumulo ‘dell’acque che'rovina ‘al basso: ad'un' tratto ? Io tenterò di descriverti a suo luogo ‘codesto spettacolo , ‘e vedrai allora che soli forse il subbissamento di Pompei e il terremuoto di'Lisbona presentar poterono nel regno tutto bri naturà aspetti egualmente tremendi. BI La struttura interiore dell’ Alpi favorisce grandemente 1a confluenza dell’acque: le roccie superiori son fesse in ‘mille parti, da'che colan’le piove ‘a comun centro sovra piaho ‘inclinato; sic- chè formasi il rio ;' che cresce ad ogni passo pel tributo ‘che por= gongli altri rivoletti inaumerevoli!; si ‘scava dapprima'tn letto poco profondo) poi ‘calando nelle! valli, ove’ non trova''chée ‘rer- riccio, le solca di precipizi ; ‘e; diventato torrente, balza di cate ratta in cateratta ; spuma ; ribolle) ‘e giuritoal ‘piano vi' depone frammenti di:rupi che strappò a’ Basiohii delle montagne) e tovie di rovine il terreno; sinchè perdesi in qualche’ gran RAGA o in qualche gran fiume maggiore. Gi! sio vata Incontran.:i di frequente laghetti ‘appiè delle ghiucciaie, al- cuni: de’ quali scaricansi per mezzo di condotti sotterranei, ed offrono il: duplice vantaggio di favorirel lu conversione în ‘vapore d’ nina porzioni dell’ acque ‘che vi si' ricettino | e, meglio ancora, di frenare! 1’ impeto con | che Li pda verso ‘lé ia centi) valli. laneit sai 190 IG0e1 ‘Gli ‘oragariio'tormente raggirano spesso ra Alte: Alpi im- mensi vortici: di neve; ‘serrancon'questi le ‘strette, seppelliscono i viaggiatori : edio ti narrerò avventure le quali ne’ luoghi che ne furon' teatro tutta occuperannoti l’anima: di spavento? e' pietà. Udrai la guida '‘qui:raccomandarti profondo slenzio, segno di va langa che ‘minaccia : là»; pria di‘porre il' piè nella stretta, farvi oscillare l’aria d’;unicolpo di pistola: ‘talora strapparti 'al''sotino avanti che i:primi raggi del sole‘ abbian resi ‘umidi ‘è sdracciole= voli gli strati.di neve ; tal altra icon ‘rapido! balzo indicarti; un asilo contro la: valanga che ‘già fischia da lunge. Le grandi masse delle Alpi si compongono: d’'un'raceozza- mento informe di monti, che alcun poeta direbbe far testimonianza 54 della lotta mitologica de Gisanti contra Giove. Il quarzo abbonda sulle vette ; volle conì esso Ja natura opporre ;la.durezza della silice alla continua guerra degli elementi. Predomina lo schisto negli strati medii ; la calce negli inferiori; frammista ad'ammassi di ciottoli rotondi che. duro cemento unisce: Le: valli tappezzansi della .sahbia ch’ è provvista. dalla lenta |polverizzazione delle roccie; e dà strati d'un argilla azzurrina impermeabile all'acqua. Le pietre arrotondate fanno,testimonianza d’antichi straripamenti di grandi finmane;.e.i tronchi d’.alberi ch» dissotterransi ne’lno- ghi umidi ,, indicano che |prati. paludasi appiè,; dell’ Alpi. erano altra volta. |; Sui Il vero terriccio vegetale è raro tra 1’Alpi, e.lo, sarebbe an cor più se 1’ industria di tutti i secoli non 1’ avesse per dir.così creato, con; render feconde a, forza, d’ ingrassi le argille medesime ed anche le ghiaie. Che se dalla, conformazione, dell’ Alpi noi.ci, volgiamo alle osservazioni, di fisica, di cui son esse vasto inesauribil. campo,,.il nome immortale di Saussure presentasi opportuno ;;e la memoria del suo ardimento, della sua, perseveranza e de’ fortunati studi ch’ egli, consecrò tutti, ad; esplorare la sublime ed arcana natura dei monti ne occupa.la, mente di, gratitudine e di ammirazione. Lui beato .d’.aver associato sua fama a moli che dureranno sin- chè la terra, non tornerà al caos antico! Lui beato: d’ aver con- sacrato sua vita innocente a nobile, imprendimento. così pieno d’ alte e pure soddisfazioni ! Sulle vette più elevate dell’, Alpi 1’ effetto dicano dei raggi solari è lo stesso che, al piano: causa poi di lor pora| efficacia lassù si è la temperatura assai. più fredda, dell’ aria ,. derivante 1.° dalla sua rarefazione e. trasparenza ;esterna ; sicchè i raggi attraversanla siccome vetro convesso senza riscaldarla ;2.° dalla considerevol: distanza che separa .l’ aria sugli alti. monti dalla gran, pianura orizzontale, ove il calor naturale della. terra agisce immediatamevte e j raggi som riflessi con più forza; 3. dai piani inclinati, che la più parte; de’ monti presentano dappertutto ai raggi|solari, i quali perciò battonvi sempre più ‘obliquamente che sulla pianura; 4.0 dalla grandissima ;tacilità con.cui 1’ evapora- zione.ha luogo nell’aria.rarefatta; e la quale per effettuarsi non è mestieri ch’ io dica quanto abbisogni e rubi di calorico, e quindi, ingeneri di freddo : ;e. vuolsi che codesta evaporazione sia tre volte maggiore di quello; che, al piano ; a' che attribuisconsi lo spossamento e. il mal stare :che provasi in salire le balze ele- vatissime;;perciocchè. il respiro ;v’.è affannato } e sentesi il biso- rTttoom(um'——-eee—=— 6w0=——@—————@—@—@—2—1—— ’__..__.. 55 gno imperioso di posa; e forte eccitamento al sounv; tutte con- seguenze d’ nua. respirazione affrettata e violenta. Sull’ Alpi non meu che al piano il momento. più freddo della giornata si è quello del levar del sole ; il più caldo quel che precede di cinque ore il tramonto. Codesti punti estremi di temperatura discostansi però assai meno sull’Alpi che al piano; perciocchè Saussure osservò avervi tra essi snl Col-del-Gigaute, alto 10500 p.. quattro soli gradi di differenza ; mentre a Ginevra, alta 1162 p., ve ne aveano uudici. Anche la differenza tra la temperatura estiva ed invernale è assai minore sull’ Alpi che al piano; a modo che a 3100 tese sovra il lago di Ginevra, cioè ad altezza doppia del Col-del-Gigante, rlelucesi per analogia; quella differenza dover essere soltanto di un nono della sovra ‘indicata; sicchè poco più in su la temperatura deil’ aria sarebbe press’ a poco la stessa così di giorno come di notte , cusì d’ estate come d’ inverno. Si è esposti sull’ Alpi a strane illusioni d' ottica relativa- mente agli oggetti lontani i quali credonsi più ravvicinati di quello sianlo veramente ; lochè deriva dalla maggior trasparenza dell’ aria causata dalla sua rarefazigne; ed anche dalla mole enorme delle masse verticali ed inclinate da cuni si è circondati, e il piccol numero de’ corpi interposti tra 1° osservatore e gli og- getti, di maniera che manca ogni punto di confrouto. Talvolta siffatto ravvicinamento è così meraviglioso da parer fenomeno di non facile spiegazione ; e sovvienmi ch’ io in allora studente a Pavia interrogava su di esso l'illustre Volta, ed egli m’ andava dimostrando come i vapori vescicolari trovinsi più o meno dis- seminati per l’aria e faccianvi effetto di lente; sicchè, quand’ella n'è pregna, lo sguardo aggiugne più loutano; indizio pressochè infallibile di pioggia vicina. -— Nè mancano tra l’ Alpi altri pronostici nunzii di vicino cambiamento. — Allorchè la sera veg- gonsi nugoli trascinarsi lunghesso i monti o velare in sull’ al- beggiare le balze, o circondar queste di vapori trasparenti che paiono appianare loro scabri contorni; la pioggia è imminente. — Nella state il sereno torna soltanto dopo che l’ Alpi s’ am- mantaron di neve. Su! pendìo così meridionale che settentrionale soffian , nelle valli trasversali, venti periodici spesso violenti: allorchè il sole tramonta, scendono, poi si acquetano ; poi soffian di nuovo poco prima dell’ alba. Verso il mezzodì sceman di forza ed ascen- dono: que’ primi adducon sempre il sereao; questi sovente le piove e i temporali. 56 Il vento di Sud-Est, che nella Svizzera tedesca chiamasi Fon ( Favonius) , è sempre procelloso tra l’Alpi; e vî è causa di tal trambusto da sradicare alberi colossali, smmnovere rupi, e dar Ja spinta a terribili valanghe. Allorchè dall’altura scende al basso, dissecca , stordisce, riscalda } rende 1’ aria più trasparente, rav- vicina gli oggetti di maniera che gli aspetti alpestri presentansi a foggia di quadro su cui passò la spugna a rimuoverne la pol- vere e a farne più risaltare le tinte. Sul pendìo meridionale le procelle accompagnate da tuono infuriano d’ ordinario il mattino; sul settentrionale a sera. La quantità d’ acqua che cade sull’ Alpi del Piemonte ag- giugne entro un anno dai 42 pollici ai 90; nell’Istria e nel Friuli ne cadono da 100 a 106; a Berna incirca solamente 4o. Or che colla scorta di Saussure t’ andai brevemente ragio- nando d° alcune osservazioni di fisica tra 1° Alpi, ci sta bene considerar quei monti sotto aspetto ben più sorprendente. Non è colle, e quasi palmo di pianura, nella Svizzera da cui non iscovrasi alcuna delle vette che giganteggiano all’orizzonte, simili a candide colonne cui s’ appoggi la volta azzurra del cielo. L’Alpi vincono in maestà lo stesso Thibet, le stesse Cordigliere. — Nel Thibet, l’Elvezia asiatica , una punta d’Himalaya presso le sorgenti del Gange vuolsi arrivi all’enorme elevazione di 25m. p: sopra il livello del mare ; con che supererebbe il Chimborazo di 5m. p. = Il Cotopaxi alto 17712 p. è rivale del Chimbora- zo; ed al paragone di codesti giganti possono parere umili a prima giunta il Finsteraarhorn co’ suoi 13m. p., il Rosa e il Bianco co’ lor quattordici. Senonchè poni mente alle seguenti osservazioni ; e vedrai i monti elvetici vincere , com’ io ti diceva, in maestà gli americani. Humboldt scrive così nella suna grand’ opera sulla Nuova Spagna. — “ Il fondo della valle longitudinale , che separa le Cordigliere in due catene parallele, è alto 3m. metri (circa gm. p.) sovra l’ Oceano; di maniera che il Chimborazo ed il Cotopaxi, veduti dallo spianato di Lican e di Mulalo , non paiono aversi maggiore elevazione del Col-del-Gigante e del Crammont. L’ele- vazione enorme degli spianati, che circondano i colossi delle Cor- digliere, scema per tal maniera grandemente l’ impressione pro- dotta dalle lor masse sull’ animo dell’europeo avvezzo alle mae- stose scene dell’ Alpi e de’ Pirenei ,,. Berna è alta in sul terrazzo della cattedrale 1708 p.: la Iungfrau presentavisi adunque con 11164 p., ed il Finsteraarhorn con 11604. Nella valle stessa di Lauterbrunnen, che le giace ap- 97 piedi, quella prima lanciasi ancora a rom. p.; e V'Eiger veduto da Grindelwald a più che gm.: mentre il Chimborazo da Quito presentasi con meno di rIm. p., l’ Antisana con gm., il Coto- paxi con 8700. Le Cordigliere abbondano di vulcani, di che l’ Alpi van prive: il Cotopaxi butta fiamme a quasi 3m. p.; e se node il sotterraneo mugghio dugento leghe discosto. Ma in iseambio qual calma imponente regna tra 1° Alpi! Come allungan esse pittorescamente Jor baluardi d’ argento! Qual varietà di forme presentano lor balze frastagliate, ‘squarciate, irregolari, a con- fronto. de’ coni monotoni de’colossi americani! Nè questi, a dir de’ viaggiatori, presentano ad ogni tratto superbe c::scate, o spec- chiansi in deliziosi laghi, o rinserrano tra’ lor burroni mari di ghiaccio di sublime ed orrido aspetto, siccome l’Alpi elvetiche. Limite inferiore alle nevi eterne sulle Cordigliere sono i 14m. p. d’ elevazione sopra il mare: codesto limite nella Sviz: zera trovasi ad 8m. p: Anche sotto questo aspetto dunque l’Alpi non cedono alle Cordigliere; perciocchè la colonna candida, che è di 6m. p. sul Chimborazo, lo è pure di 6m. e più ancora sul Rosa e sul Bianco. La massa di neve portata da’ monti americani s’ allarga più ed è più imponente : mostrasi altresì più uniforme } più povera di contrasti colla base. Anco la loro enorme altezza l’impicciolisce per un effetto d’ ottica, scemando così l' impressione che pro- ducono. sull’ animo dell’ osservatore. Checchè ne sia però di tutto quanto sin qui t° esposi, l’at- trattiva possente dell’ Alpi e lor sublime maestà non deve di- mostrarsi con paragoni che lasciano campo troppo vasto al di- verso sentire. Ci è mestieri fare uno sforzo sovra noi medesimi per. non abbandonarci troppo all’ impressione che ne cagiona la vista di lor cime e il sentimento di lor grandezza. La nostra anima, at- tignendo alle fonti della sua essenza, s’innalza sovra questi im- ponenti. colossi, ed è conscia di tutta la sua superiorità. == « Se lo spettacolo dell’Alpi;, scrive Stapfer, ne opprime per l’istinto di nostra debolezza ; l’ intelletto, alzandosi con forza contro lo scoraggimento che già s’ impossessa di nostre facoltà, pone la nobiltà di sua origine a confronto di quelle masse inanimate, e sua divina essenza a contrasto di loro inerte natura. Noi provia- mo allora una sensazione mista; penosa per la vista di quei gi- ganti la cui durata pare schernire nostra effimera esistenza; con- fortatrice per la superiorità che dalla ragione ci deriva: sovra T. VI. Giugno 8 58 quelle moli. Spaventati dapprima a solo contemplarle, per la co- scienza di nostra fralezza, se una lotta fisica, se un urto materiale potesse aver luogo tra esse e noi, il senso morale, dandoci la misura di ciò che vagliamo, ci fa escir vittoriosi dal paragone, e ci alziamo a volo col sentimento di nostre. forze immortali , sovra la materia bruta le cui dimensioni paiono doverci an- nientare , ,)- ; Gli è per tal maniera che rinnovasi ogni dì pel viaggiatore, ciò che Muller ha sì hene descritto. = Più si si avvicina al- Alpi, più l’anima sentesi tocca e conquisa dall’ immensità della natura. L'idea di loro antichità, di tanto maggiore a quella dell’uman genere, l’ineffabile impressione che ne cagiona la loro eterna immobilità, risvegliano il sentimento malinconico del nulla di nostra essenza corporea ; ma nel medesimo tempo lo spirito s’ eleva, come per opporre sua nobiltà al cumulo enorme della materia (};- Ma lo spirito umano. spignesi ancor più oltrè; ed. osando sollevar:(quasi il velo, in cui s'asconde l’ infinito; scovre ben tosto esser piccolo e meschino ciò che dianzi pareagli immenso: Esso, che misura i soli ed aggiugne sino a’ confini del. creato , nè vede sulla terra altro che un globo in mezzo a milioni d’al- tri globi., altro che un atomo errante nello spazio; lo spirito umano; che sa concepire e calcolare tai cose; non dovrà risguar- dare i monti siccome punti impercettibili nella creazione ?_.. + E veramente la circonferenza della terra all’ Equatore è di 20 milioni e mezzo di tese ; e il Chimborazo, ch’ è il più alto monte icon esattezza misurato sinora, occupa la millesecentesima parte di quell’estensione; in conseguenza di che trovasi rispetto alla terra nella proporzione d’ un granello di sabbia alla super- ficie d'un globo di ventun piedi di circonferenza, il quale non cesserehbe di parerne rotondo anco se fosse disseminato di siffatti granelli a cento (a cento; e lo stesso accadrebbe alla terra se fosse coverta d’una moltitudine di Chimborazi. == Il nostro globo che è.mai rispetto al sole? Se il sole fosse vuoto capirebbe in sè la terra ; e la luna; alla distanza in cui trovasi dalla terra, potrebbe entro quella cavità immensa continuare sue rotazioni intorno;a noi , e rimarrebbesi ancora di superfluo uno spazio alla periferia di; cinquantamila leghe in giro. -— E il sole è un punto anch’ esso mell’ edifizio dell’ universo ; perciocchè nella Via Lat- tea sovra ùn tratto lungo 3o diametri apparenti del sole, e largo quattro:, discernonsi 50 mille stelle fisse. Che se paragoniamo tra Joro le dimensioni de’ tre corpi ce- 59 lesti del nostro sistema planetario, i quali son più piccoli della terra, e ci facciamo ad osservare la proporzione dell’ elevazion di lor monti colla massa del pianeta, troviamo l’altezza de’ no- stri sorpassata mirabilmente; avvegnachè l’altezza perpendicolare del Chimborazo sta al diametro della terra come 1 a 1023; nella luna quella proporzione è da 1 a 126, in Venere da 1 a 144: in Mercurio i monti sono proporzionalmente alti otto volte il Chimborazo. Ma da siffatte considerazioni, tra le quali si smarrisce quasi il pensiero schiacciato dall’ immensità della creazione, noi ci vol- giamo ad altre che mistica oscurità avviluppa. L’ Alpi perchè son esse qui? come sursero ?.... Ecco il problema che l’ uomo ha osato proporre a sè me- desimo. « Ogni osservatore, scrive Herder, si rimarrà meravigliato che la terraferma non si trovi situata sotto l’Equatore come ac- cader dovrebbe secondo le leggi della formazione d’una sferoide liquida o semiliquida ; conciossiachè gli è appunto Jà che la terra ha suo maggior diametro , sua forza mobile più concentra- ta, suo sfregamento più grande. Là dovrebbono dunque trovarsi i suoi monti più elevati. Ma ciò non s’avvera: i giganti dell’Asia trovansi lunge dall’ Equatore; le Cordigliere attraversanlo per iscostarsene ; l’° Alpi stannogli 4o gradi discosto ,,. Se la terra, come sembra verosimile, fu dapprincipio un corpo liquido v semiliquido, non ha dubbio che le maggiori masse so- lide abbiansi dovuto formare ove il movimento di rotazione è più fortemente sentito: e, siccome cotesta deduzione trovasi smen- tita dal fatto, l’ipotesi, che I° asse della terra abbia mutato po- sto, acquista probabilità. I paesi settentrionali sarebbono stati per tal maniera più ravvicinati altra volta alla zona torrida, sic- come lor fossili paiono indicarlo; e gli aridi deserti dell’emisfero meridionale non discosti dal polo antartico. Codesto cambiamento di giacitura dell’ asse avrebbe fissato 1’ ordine delle stagioni , de’ climi, non che la successione della notte e del giorno quale è ora. Nè s’ardirebbe a codesta causa attribuire asseverantemente la formazione de’monti: Leibnitz anzi se ne discosta affermando la superficie della terra essere stata dapprincipio piana; acque e fuoco aver prodotto dappoi rialzi e solchi nella materia. Altri, per ispiegare l’origine dei monti e della terra stessa, suppone che dopo la formazione della materia primitiva, che mo- veasi in masse per lo spazio, taluna di queste, attirata da mo- vente ignoto fuor della sfera di sua forza centripeta , si raccoz- 60 zasse con altre; da che sarebbon derivate al nostro globo ine- narrabili metamorfosi; od anzi il nostro gloho medesimo non sarebbe altro che il prodotto di siffatti raccozzamenti fortuiti e successivi. A misura che nuova pioggia di materie sovraggiugnea, la natura cacciata «da inconcepibil forza cominciava ad animar la pianura, ad ornare i luoghi alti d’ ogni maniera di vegeta- bili: altra pioggia annientava codesta creazione, e la seppelliva sotto immense rovine. Spiegherebbesi così come trovinsi traccie d’ antiche foreste sotto frammenti giganteschi, ed avanzi d’ani- mali di cui più non si conoscono le spezie sotto cumuli di sco- gli. E siffatta pioggia di materie , di cui tuttodì potremmo veder la conferma nel cader degli aeroliti, avrebbe sepolto valli, scam- biato regioni calle in glaciali, pianure in catene di monti, il mare in terraferma, la terraferma in mate : ed all’ urto spaven- toso le rupi spezzaronsi , disseminaronsi , e l'Oceano costretto a straripare effettuò sue devastazioni di cui serbansi dappertutto le impronte. Fenomeno singolarissimo, che varrebbe in certa qual guisa a conferma di quest ardita supposizione, sarebbe il giacersi appiè del Jura de’colossali pezzi di granito , i quali furono divelti dal- l’Alpi a cui evidentemente per la loro composizione appartengono, o trovansi colà in conseguenza di fertuito e primitivo cadere della materia. Per qual caso strano que’ massi avrebbon valicato valli e laghi per condursi così lunge dalla lor primiera giacitura? Qual leva formidabile avrebbe, dopo che le guglie granitiche dell’alpi spezzaronsi, lanciato cubi di 20 a 30 p. di luugo oltre munti e burroni per farli piombare sulle falde del Jura? Un Geologo Svizzero, respingendo l’ opinione della fortuita caduta , opinò che il nare, da cui le regioni elvetiche furono coverte un dì , fu mar glaciale ; che dalle vette de monti, che formavano come altrettante isole, precipitareno massi granitici sulla crosta agghiacciata;che questa spezzatosi, e galleggiando suoi enor- mi frammenti in balia de’venti e dell’onde, trasportava lunge que’ massi a quella foggia che gli orsi bianchi navigano pe’ mari boreali; e sia che si spezzassero, sia che si disciogliessero, depo- sitavali dappoi qua e là alla ventura. Checchè ne sia de’ mezzi di cui la mano creatrice si giovò per introdurre sì mirabil varietà nell'opera sua, e per formare il teatro su cui avessero a svilupparsi le meraviglie dell’ onnipo- tenza ne’ minerali, ne’ vegetabili, negli animali, e sovra tutto nell’ uomo, gli è certo che l’Alpi furon testimoni di gigantesche 61 s metamorfosi, dacchè sembra provato ch’esse sono state le primo- genite delle moilificazioni ancora esistenti della materia: imper- ciocchè, se è provato che i monti più dappresso alla loro origine doveano aggiugnere alla maggior elevazione (nessuno ignora quanto l’azione del tempo e degli elementi sia valevole a decom- porli) l’Alpi portano impresso codesto suggello di remota antichi- tà che manca alle Cordigliere ed al Thibet. Manto di ghiaccio le preserva dai raggi del sole : illoro abbassarsi è lentissimo; ep- pure vasti tratti di territorio mostransi disseminati di frammenti di lor guglie, di lor roccie spezzate : la Svizzera fino al Jura non è che un bacino ingombro delle rovine dell’ Alpi. A quale spaventosa profondità non duvea giacersi quel ba- cino pria che rovinassero le sommità da cui era accerchiata! Là dov’oggi vezgonsi colli, boschi, campi, ville, città, trovavansi in fondo all’Oceano primitivo incommensurabili abissi, che la na- tura pareva avere scavato appositamente per accogliere gli enor- mi scoscendimenti dell’Alpi.; le quali infrante da tremuoti, da scosse terribili che smuoveanle dalle fondamenta, sfacellavansi da ogni banda. La dimora delle acque anco nelle regioni più elevate della Svizzera è fatto di cui la storia naturale sembra addurre assai prove; benchè novelli sistemi tentino di spiegare in altra guisa ciò di che finora niuno degli studiosi della natura avea dubitato. Bellissime ammoniti rinvengonsi petrificate nella Jungfrau , onde cautava un poeta. ‘ Quelle rupi, nell’età senza confini del mondo primitivo, udirono i canti delle Naiadi; vider Nettuno agitar suo tridente sulle vette dell’ Alpi; e il popolo scherzoso . delle conchiglie cercar pascolo per le umide rupi; e il corno di Ammone allegrarsi della vita, priachè la spegnesse uno sguardo di Medusa. ,, e A poco a poco si formò un piano inclinato che dipartendosi dall’Alpi scendeva siuv appiè del Jura, posto rimpetto, a modo di baluardo. Un lago generale distendeasi sovra tutta Svizzera .il quale comunicava coll’ Oceano primitivo, o facea fors’ anche da se solo tra’ monti elevatissimi un Mediterraneo. Il corso de’ secoli fece ingombro suo bacino di rovine , e 1’ acque scolarono in parte pegli sfondi che trovavansi naturalmente scavati nel circostante ricinto ; e quel Mediterraneo durò lunga pezza; i coralli e le conchiglie che lo popolavano serbansi ancora petrificati a far- ne fede. Poichè le correnti ebbero in fondo a quel mare preparate le 62 colline e le valli alla futura terraferma, le dighe de’ monti s’in- fransero, sia che fossero rose per dissotto, sia che cedessero alla pressione dell’acqua: gli enormi fiotti precipitaron al basso verso l’Atlantico. Gli è per tal maniera che 1’ Elvezia si andava asciugando con processi lentissimi, che doveano accompagnarsi a fenomeni d’inesprimibil violenza. Bisognaron certamente anni a migliaja, perchè le alluvioni, l’azione e il movimento dell’ acque sien valsi qua a spezzare le pareti calcari di Halti , di, Grindewald , di Lauterbrunnen ; là a solcare di burroni le masse granitiche del Grimsel. Mano mano che l’ acque abbassavansi , laghi, più numerosi altra volta di quel che oggi sono, rimaneansi disseminati dap- pertutto ove eran bassure: col volger de’ tempi alcuni scolarono per essersi loro schiusa una via , altri asciugaronsi per la evapo- razione , i fiumi scavaronsi letti più profondi, e rialzarono le loro sponde con depositarvi le materie che seco trascinavano ; i vegetabili, che il terreno paludoso produceva , petrificaronsi alla sua superficie : strato di fertile terreno cominciò quindi a for- marsi, e l’ Elvezia potè finalmente allegrarsi della presenza del figlio primogenito della creazione , dell’ uomo. Qui pria d’ investigare sue prime orme per quelle immense solitudini , ascolta Muller descriverle con tutta la pompa della sua poetica eloquenza. — ‘ Le cime dell’ Alpi oppongono al Sole che le sferza lor corazza di ghiaccio. Se materia sconosciuta brucia in sotterranei ove non aggiugnerà mai lo sguardo curioso de’ mortali. sue fiamme sono impotenti ad agire all’ elevazione di que’ colossi. Sotto masse enormi di gelo colano rivoletti che si raccolgono in abissi, ed agghiaccianvisi; e da ann', di cui non è dato all’uomo d’ esprimere il numero, formanvi le fondamenta di gigantesche piramidi. Il calor benefico della natura opera mai sempre in que’ gorghi, e dal lor seno tenebroso escon fiumane. L’ umana fralezza saprà ella nemmen quasi col pensiero spignersi sino a quegli antri in cui regna la notte eterna? Al bagliore di fuochi contemporanei dell’ universo, le fondamenta delle Alpi penetrano nelle viscere della terra ove cavità s’allargano, pre- parate , allorchè l’ora fatale sarà scoccata , ad inghiottire i Gi- ganti che alzavano dianzi loro testa orgogliosa nella region delle nubi. (1) In quelle grotte immani precipitaronsi forse 1’ acque (1) Nè già m’attento di tua vasta mole Spiar l’ intime parti, e nelle occulte 63 che coprivan la terra. Ma la razza umana non esiste che da jeri: i tuoi occhi sono ancor troppo infantili per iserutare i misterii della natura. ,, « Allorchè il Sole lanciò suoi primi raggi appiè dell’Alpi (2), colli innumerevoli di sabbia; di limo, covrivanvisi di piante acquatiche , di cenchiglie, di pesci, di tronchi putrefatti; s' al- lungavano per ogui verso paludi infette e profonde ; alberi di vasta circonferenza ottenebravano deserti immensi di folte fore- ste ; precipitavansi fiumi con irresistibil impeto, non rattenuti da diga alcuna; eran torbide 1’ acque de’ laghi; nugoli oscuri ) gla- ciali, pestiferi ingombravano il cielo; cresceano spontanee in ogni parte erbe malefiche ; da cui insetti, rettili e vermi traea- no veleno; il grido ‘degli avoltoi, il muggito de’ bufali, il gru- gnir dell’ orso rompean soli il silenzio delle spaventose solitudi- ni delle montagne. — ,, Viscere tue lanciar cupidi sguardi. Da que’ caliginosi e tetrii abissi Rifugge fantasia , ch’ ivi le soglie Teme scontrar della region vetusta De’ morti, e le capaci urne dell’ ira Laggiù chiuse e bollenti infino al giorno Ghe , de’ secoli piena la misura, L’ angelo destruttor levi il suggello Alle ree bocche, e con fragore immenso In crepitanti vortici prorompa La gran tempo repressa orribil fiamma. ( Luic1 Carrer = Inno alla Terra.) (2) E tale al cenno creator porgevi Il capo fuor dalle divise spume , Nè ancor scotea l’ arboree chiome il bosco All’ impeto de’ venti : ancor ‘non era Nata la rosa a imporporar le valli; Ma come venne ad incontrarsi un primo Raggio di Sol, la resoluta gleba Di vegetanti innumerabil prole Espose al giorno ; e fu l’ esca sicura Di non nati animali , e un infinito Delle nari diletto , e delle ciglia Apparecchiato all’ uomo : ed ei la fronte Ancor levata non avea, nè , scosso All’ impulso divin , prendea le belle Umane forme il fecondato limo. ( L. Carrer. etc.) 64 Ma ecco l’uomo (3) farsi dominatore delle regioni alpestri, e alla sua voce possente le paludi scambiarsi in mag.esi, cader le foreste, rasserenarsi il cielo, perire i semi dell’erbe venefiche ; l’ orso e l’ avoltoio ricovrare tra le rupi inaccesse. Le prime memorie, che sieno state tramandate all’uman ge nere, accennan di monti; nè v’ha cosmologia che non li supponga abitati per primi. Sul Caucaso Prometeo infuse all’uomo la scin- tilla rapita al sole; la terra partorì il divin Pelagio sovra scogli sublimi ; Sciti e Frigii vantavansi d° antichissima origine perchè abitavano regioni elevate. Non è mitologia in cui i monti non sieno sagri e rispettati siccome patria e dimora degli Dei; .non è storia che non li accenni siccome sede delle primiere coltiva- zioni , stanza delle prime associazioni umane : il Paradiso Terre- stre, da cui scaturivano quattro gran fiumi , dovea giacersi sovra catena elevatissima di monti. Allorchè , siccome sopra io dissi, i fiotti del primitivo me- diterraneo scolaron in parte pe’ fessi dell’ accerchiante baluardo di scogli, le balze e le catene, che a foggia d’ isole e di pe- nisole alzavansi fuor dell’ acque , non furon nè agresti nè ste- rili, nè trovavansi entro il confine di ghiacci eterni; perciocchè il mare, che copriva le regioni inferiori , rendea più temprato lo strato d’aria che avviluppava le vette; e la fecondità del suolo n’ era conseguenza. Ma l’ abbassamento dell’ acque, allorchè le dighe de’ monti s’infransero, trascinò seco pur quello dell’ aria che cedette il posto ad altro più leggiero, più freddo. Nevi piog- gie , bufere signoreggiarono allora 1’ alture ; il terriccio vegetale fu trascinato da’ torrenti; la roccia mostrossi dappertutto arida e nuda; le piante perirono ; gli animali fuggironsene al basso : (3) Sorse 1’ uom quindi, e mansueto e pio Il dente astenne dalla belva , e visse Pago de’ doni tuoi : fatto cogli anni Dell’ armi amico , e di ferire esperto , Prima la scure insanguinò nei tori , E dall’ ara sottratte a se fè pasto Le cruenti reliquie ; indi, volgendo Anni e delitti, le fraterne vene Ruppe securo, e al genitor la gola ; E rea chiamò necessità la guerra , Dritto la forza; ed abbellì coi lauri L° empie conquiste, e immortalò coi carmi. ( Garrer. = Inno alla Terra. } “% 65 nè ancora l’ime pianure, condannate a più lento rasciugamento, eransi fatte abitabili, quando , cacciata dal suo moltiplicarsi e dall’imperioso bisogno di aceresciute produzioni del suolo, la razza umana cominciò ad emigrare dall'Asia ch’ era sua culla ; e, pi- gliandosi a guida le catene de’ monti, si diffuse sulla superficie della terra. La mitologia, ch’ è per ogni popolo madre della Storia e contemporanea delle prime generazioni , vale quì a confermare codesta ipotesi. Narrano i pastori per antichissime tradizioni (e le tradizioni tra 1’ Alpi hanuo alcun che di stazionario a paro di lor mo'i, che le fa risalire a remotissimi tempi) narrano , dico, i pastori che i‘monti, pria de’ fenomeni che poserli svssopra, pre - sentavansi in ogni lor parte con aspetto rideute : che prati uber- tosi tappezzavano ugni bassa; che l’ aconito tornava salutare alle giovenche ; che gli armenti fornivan maggior copia di latte, al- lorchè s° eran pasciuti del titimalo avvelenato. Ma i vizi degli uomini suscitarono la collera del cielo, che ad oggetto di pu- nirli fece scomparire sotto il cumulo delle ghiacciaie il verde tappeto smaltato di fiori di che s’ ornavano le alpestri vette. Le scientifiche osservazioni e le scoperte , di cui tuttodì si va facendo più doviziosa la storia naturale ; convalidano l’'opi- nione di cui t'additai primamente a prova la mitologia dell’Alpi: perciocchè giacciousi a grande altezza indizii d’antica vegeta - zione, d’antica coltura, là dov’ oggi regna il perpetuo silenzio delle ghiacciaie e del caos. « Sulle vette più elevate delle nostre Alpi, scrive Bonstet- ten, ove nun rinviensi ora vestigio alcuno di vegetazione, veg- gonsi tratto tratto reliquie d’ alberi colossali. Aveanvi dunque lassù terra e vita, ed ora scomparvero ! — Fu trovato nel Val- lese un ponte,'che dovea necessariamente addurre a valli che ora giaccionsi inabissate nel gelo eterno. Osservansi per l’Alpi orme d’antiche strade che guiderebbon oggi a precipizi. Aveansi dun- que stanza un tempo’ vegetabili e uomini a mezzo di quella natura che da tanti secoli è morta ! = Il volo più audace della fantasia soffermasi dinanzi |’ abisso del passato. Chi oserebbe al- lora sognar sistemi sull’ origine del mondo! ,, La fiaccola della storia spande luce anch'essa per que’tem- pi in cui sulle vette dell’ Alpi piovea più benigno! l'influsso del sole. — La ghiacciaia di Lauteraar fu altra volta gioconda valle che aveasi nome di Blumbisalp ovverosia pascolo fiorito. - Nel burrone d’ Urbach, tutto disseminato d’ enormi scogli, narrano i montanari aver udito lor vecchi ricordare che un pustorello non T. VI. Giugno 9 606 v’avrebbe trovato un ciottolo solo da buttar dietro ad un ca- pro disubbidiente. == Vie ,. che a memoria d’ uomo poneano in comunicazione alpestri distretti, son diventate impraticabili per ghiacci perpetui. -- Haller ripete più volte aver veduto monti che nella sua giovinezza coprivansi di neve il solo verno, ammantarsene , allorch’era diventàto vecchio, anco la state, = Portavansi dal Vallese bambini per esser battezzati a Grindel- wald; sentiero che per l’ enormi ghiacciaie da traversare condur- rebbe oggi alla morte. — Sulla vetta di Sulwald aveavi un mo- lino, di cui continuavasi a pagare il tenue censo perpetuo anco quando ogni coltura di cereali era da gran tempo scomparsa da quelle regioni. = E sotto a’ nostri occhi medesimi sullo Schwal- mern e sullo Schwarzhorn formansi piccole ghiacciaie azzurre a presagio di future distruzioni. Nè ‘solamente il progressivo raffreddamento elle plaghe ele- vate dell’Alpi e l’innoltrarsi delle ghiacciaie, ma più tremendi e impreveduti fenomeni, poservi alcuna parte sossopra così ne're- moti, tempi, come ne’ moderni. Lo sfacello di Tauretunum nel. Lemano è ricordato dagli storici, di Ruma. «= La città di Plurs nella Valtellina, la bor- gata di Filsnau, Grenchen, Warten, Schillingdorf, Ammerten furon inghiottite ; nè altro ora se ne ricorda che il nome. -— Pla nalp sovra Brienz , Sausalp sovra Lauterbrunnen furon distrutti da torrenti. — Sulle rive del lago di Thun la, tradizione indica il luogo ove sorgea la città di Roll che un, monte seppellì, — E a’ dì mostri non vedemmo noi forse il Rossberg, il Lavihorn , il Rutiberg covrire di rovine fertile pendio allegrato da villaggi? «= Là(dove a’ tempi andati pascolavano armenti, spandeano lor ombra lieti boschetti, menavan dì felici semplici tribù di pastori; s'avvera chimè ! il canto malinconico d’ un poeta : Qui, now olezzerà più mai il tepido fiato di primavera ; nè 1° augelletto si dondolerà più mai sul verde ramoscello; ma il musco. ed il, li- chene cresceranno a fatica, e, serpeggieranuo soli sulle rovine! Ma.se 1’ Alpi presentano, in alcune loro parti le tremende impronte dell’eterna dissoluzione, diresti che siffatte scene impo+ nenti sieno quasi vaste ombre gettate nel quadro a renderlo più svariato , più pittoresco : avvegnachè ne derivano tai, contrasti l’orridoe di gentile, di tetro e di ridente, che a,niuna altra regione dell’ universo potremmo per avventura affermate aver la natura prodigalizzate bellezze in.sì gran copia. Attraverso ricche praterie, campi , frutteti, collinette., gra ziose valli, già t’ avvicini all’Alpi; già seì asceso sovra lor primo 07 spianato. Rovine di castelli coronano intorno le balze; gruppi disseminati di scogli presentansi in giro mezzo ascosi in sul pen- dio boscate: qua ti riposi sull’erba di cui si tappezza un dossetto allegrato da filari di vite : là t° accoglie barchetta con cui scorri per delizioso lago. Sue rive offronti in ogni parte lo spettacolo dell’ abbondanza , della fertilità; e mentre già ti stai in sulle soglie delle rupi e de’ ghiacci, credi rivedere le sponde coronate di pampini di cui è lieto il Lemano , o i magnifici frutteti che si specchiano nel lago di Zug. T’ inoltri, e tuoi piè calpestano le reliquie di vetusta città che i secoli coversero d’ erba e di spine. Penetri in appartata valle : romantici monasterii, cappellette del medio evo , frammenti di mura merlate trasportano la tua immaginazione a’ lontani tempi: tranquille solitudini, squallidi deserti succedentisi intorno: ora immensi fessi apron la via a cascate di cui nè pennello nè matita sapranno ritrarre mai la magnificenza: ora, fatto testimonio della felicità della vita pasto- rale, ti sta innanzi a mezzo di quella natura maestosa e gio- conda il tipo d’ un Idillio. Appiè delle vette elevatissime, le ineffabili meraviglie della regione dei ghiacci ti atterriscon dapprima, e ritrai con involon- tario palpito il passo d’infra le guglie brillanti al cui piè s’ as- conde forse un abisso: mn ti riposi da quelle nuove e forti sensazioni nella valletta che confina colla ghiacciaia; vi respiri la fraganza delle silene , delle mente; il latte spumante ti è re- cato dalla mano di pastorella brillante di freschezza, d’innocen- za: t’accoglie la capanna ospitale; e, mentre siedi al rustico desco, tuo sguardo spingesi per la schiusa porta al magnifico arco di trasparente ed azzurrino cristallo sotto a cui sbocca dalla vi- cina ghiacciaia il rio fragoroso. Che se tu fossi poeta, ogni casolaretto, ogni villaggio sa- prebbe ispirarti gentili concetti da non invidiar que’di Teocrito e di Sannazaro: ed allorchè , riacquistata lena e coraggio, tu af- fronti di nuovo i deserti agghiacciati, credi vedere il Dio del fiume giacersi maestosamente sovra suo trono d’eterno gelo; nè, colpito da stupore, agitato da sconosciuto diletto, ti rimani dal cacciarti avanti , per que’ luoghi che pareanti dianzi formidabili, sinchè la guida non frena tua foga all’ accostarsi. del periglio : e reduce di là , in pensando a ciò che provasti in quelle fugge- voli ore, ti parrà sogno tutto quanto vedesti, e crederai; novello Astolfo, aver posto il piè sovra pianeta sconosciuto. La narrativa de’ viaggiatori, i carmi de’ poeti cosa son essi 68 mai rispetto alle Alpi, senonchè monumento dell’ impotenza del- l’arte ad esprimere le sublimi bellezze della natura? Chi mai saprà trasfondere in altrui colla magia dell’eloquenza la quiete che si respira lassù? Chi mai descriverà degnamente l'aspetto di que’ colossi ammantati di mugoli e di ghiacci, e la moltita- dine di fiori che smaltano i pascoli elevati e contrastano per la vivacità di lor tinte co'lo scuro verde degli abeti, de’larici, de’ cimbri; e le solitarie capanne che s’ addossano a’scogli gi- ganteschi ; e le gregge che pascolano in sull’orlo de’ precipizi ; e i rivi che piombano da’ fianchi delle montagne, segnando le rupi di lunga striscia candida; e i laghetti alpini che s’infuocano a’ raggi del sol nascente e direbbonsi liquido argento al patetico lume della luna ? Nè quì ha fine il mio dire intorno la vaghezza delle Alpi. I cwntrasti bizzarri della lace e dell’ombre, la fantasmagoria delle nubi, delle nebbie; l'armonia, la guerra degli elementi ecco gentile argomento di cui mi rimane tuttora a ragionarti. L’ abitator della pianura, che non pose mai piede tra’ monti, non può farsi alcun’idea de fenomeni atmosferici di che son essi teatro; ed in udirne la descrizione fedele tienli in conto di so- gni d’ una fantasia esaltata. Gli è bensì vero che sono così lievi quelle forme, così fuggevoli quelle apparenze, così mobili quegli aspetti, che gli è mestieri cogliere a volo l’istante oppor- tuno di osservarli. Le nubi sono per dir così i principali attori sul vasto qua- dro dell’Alpi; e, per tener dietro a’ loro aspetti svariati , io sup- pongo dapprima lo spettatore situato in fondo della valle. — Talora i vapori velan le cime, e tagliano orizzontilmente il pen- dìo a modo da impiccolire e circoscrivere il paese che si presen- ta; talora, cignendo i monti a lor mezzo, offrono seconda regione separata da quel'a in cui ti trovi, sospesa come nel vuoto , ed alla quale parrebbe non potersi aggiungnere altro che coll’ ale; illusione che cresce in vivezza, allorchè nella parte, che la bianca ed aerea fascia separa dal basso, dispiegansi allo sguardo ca- panne, armenti, pastori. I vapori, cacciati dal pino verso alcuna valle elevata, ora gettano un velo uniforme sul paese che scompare, ora ne la- scian travedere sfumati gli alberi, le case , le rupi; ne rammor- bidiscon le forme, ne arrotondano gli angoli ; e ad ogni soffiar di zeffiro paion le cose vacillare entro quel sipario grigio ed on- deggiante. Cresce in forza il vento? S’ allontanan le nebbie in colonna , si dissipano in fiocchi, o svenguno siccome fumo: so- 69 vente occupano le gole; e diresti, a vederle aggirarsi intorno agli scogli, che tentino da quella fortezza d’opporre resistenza al soffio prepotente., Caso frequente in autunno gli è vedere a mezzo d’un per- fetto sereno tenda vaporosa allargarsi sovra il paese, a guisa che non sannosi più scerner gli oggetti pochi passi discosti; poi ri- piegarsi con eguale rapidità, e ricomparire incantevoli scene, quasi giuoco di magica verga: nè gli è raro che un pendìo della valle perdasi nella nebbia, intantochè l’altro illuminato dai raggi più brillanti, oppone magaitica prospettiva di luce, di verde e di vita al sipario scolorato che gli sta rimpetto. E accade altresì, che denso nugolo passeggi solitario pel cielo con maestosa lentezza, e segni suo cammino in sul terreno gran macchia oscura per cni vasti tratti successivamente s’ ec- clissano. E vedesi talvolta meraviglioso ponte di nubi appoggiare suoi colossali pilastri a’lati opposti della valle ed arcuarsi regolar- mente, a mudo che sotto !a gran volta vago paese presentasi fatto lieto di boschetti, disseminato di ville, inaffiato da correnti d’acque che scintillano a’raggi del sole. Saremmo tentati di cre- dere, che esseri d’una natura più nobile della nostra abbiano edi- ficato quel fantastico ponte per comunicar tra loro da una vetta all’ altra senza calar nella valle. Piacquemi collocare sin qui lo spettatore al basso: or l’ad- duco sul monte. Magnifico panorama gli sta d’ intorno se il cielo è puro: chi saprà indicare quai diverse scene succederannogli innanzi se l’aria è pregna di vapori? Qua un mar biancastro, ondeggiante; là un arcipelago, da mezzo a cui scogli nudi o boscati alzan la testa; e, spuntan anche talvolta i tetti delle case, le cime de’cam- panili; e a mano a mano che il sole dissipa i vapori, l’isole spar - pagliate si raccozzano insieme e scambiansi in terraferma. « Per godere di questo spettacolo, scrive Saussure, ne’suoi viaggi per le Alpi, sarebbe mestieri vederlo quale mia buona ventura me lo presentò dalla sommità della Dole. Fitta nube co- priva il lago, i colli che lo fiancheggiano ed anco i monti men alti. Il sole battea ne’ vapori; e la mia situazione aveasi qual- cosa di strano e di terribile; avvegnachè pareami d’esser sulo sovra uno scoglio a mezzo d’ un mar burrascoso; e a gran di- stanza da una riva che lungo ordine di gioghi nevosi faceano inaccessibile ,,. E quale scena mai potrei paragonarti ad un temporale ve- 70 duto dall’alto, e che infuria sotto a’piè dello spettatore? L’aere,- in mezzo a cui egli si trova, rimansi sereno e tranquillo, intan- tochè poco lunge muovonsi tremenda guerra gli elementi. Manto d’un rosso cupo covre il basso: il vento caccia ed accumula nubi d’ogni forma e grandezza, che spezza tosto, e confonde in un solo strato. Dal loro cozzo spiccia la scintilla che le squarcia e le solca per ogni verso; ed ecco rimbombare il tuono, e serpeg- giare i lampi incrociando lor rapide strisce brillanti, e la fol- gore precipitarsi. Le bassure sono innondate di pioggia , deva- state dalla grandine, e fumano per le saette ; nel tempo stesso che sulla vetta sublime regna calma profonda. Se l’uomo si di- scostasse meno dal suo tipo primitivo; se sua divina essenza bril- lasse pura, quale escì dal soffio onnipossente ; ei sederebbe sulla balza spettatore della formidabil scena , sereno siccome il raggio che lo rischiara ; e il suo sguardo , con abbassarsi alla procella che gli mugge sotto a’ piedi , farebbegli provare alcun che del- 1’ ineffabile sensazione serbata un dì forse alle intelligenze beate, allorchè da lor sedi d’eterno gaudio volgerannosi , attraverso gli spazii infiniti, al picciol globo su cui fecero lor prove, su cui arde tuttora la guerra delle passioni. Ma non partecipa lo spet- tatore di quella calma: suo cuore palpita con affannosa violenza: emozione indescrivibile lo domina, che, misti insieme, terrore e meraviglia ingenera. Ciò che si prova in assistere alla bizzarra scena è cosa sì nuova e complicata da richiedere , per esprimerla, che apposita parola s’ inventi; e questa parola istessa potrebbe ella comprendersi da chiunque non vide a par di lui l’infernale spettacolo ? Dense nubi ascondono un temporale che rimbomba lontano; apresi d’ improvviso a mezzo di quel tetro velo un foro , e sco- pronsi per esso come attraverso di finestra hrillar lampi, guizzar folgori, cascar gragnuole. —- Un dipintore si prova di ritrarre sulla tela ciò di ch’ egli è testimonio oculare; e il suo lavoro , abbenchè fedelissimo , meritasi da ognuno che il vede taccia di strano sogno pittorico: tant’ egli è vero che nè colori nè pen- nello nè bulino saranno unqua capaci di rappresentare siffatto genere di fenomeni atmosferici. La natura si mostra avara di co- deste sue meraviglie : vuole che non se ne possa conservare l’im- pronta altro che nella memoria: le dipigne sovra tela mobilissima; ed, allorchè quella tela si ripiega o si sperde, l'imponente scena è cancellata per sempre. « Queste maravigliose fantasmagorie (scrive Bridel) avrebbon esse per avventura alcun’analogia con uno spettacolo mille volte 7! più grande e più sublime, di che un giorno si bceeranno forse i nostri sguardi; di cui noi vedremo distintamente gli attori, e che mostrerebbe vera la credenza di tanti popoli, che esseri d’un ordine superiore dirigano i temporali., volino sull’ ale tenebrose della procella , dispongano i varii elementi che son dispersi per l’aria, a modo di creare ed annientare siccome lor piace una moltitudine di forme e di apparenze fantastiche ?. Quanti enimmi nel tempo , che l’ eternità saprà sciorre ! ,; I fiumi e i torrenti veduti da lunge pigliano tinte mutabili a seconda dell’ ore del giorno: quì segnano una striscia azzur= rina a par del cielo; che vi si riflette : là , quando tramonta il sole, direbbonsi volger per le valli onde di fuoco : talvolta nou ne indovini il corso , che per la serpeggiante nuvoletta che se ne alza , e da cui sbucan fuori.le cime degli alberi che fannogli ala; tal altra le acque, che romponsi contro le rupi e le covron di spuma, terrebbonsi per neve accumulata in fondo ai burroni. — Trasparenti rigagnoli scivolano mollemente sul pendìo boscato: lanciasi il ruscello dalla rupe fra mezzo un gruppo ondeggiante di salici e frassini: precipitasi il torrente da balza velata da va- pori ; lo diresti piombare da’nugoli. La luna , nelle notti serene , abbella mirabilmente col dolce suo raggio gli alpestri paesi, e a poco a poco li, rischiara dal vertice de’ mouti sino al fondo delle valli, e vi fa brillar l’acqua, e scambia lor meandri in tortuoso fil d’ argento ;. ed imbianca la cima degli alberi : e ne scintilla la ‘rugiada. disseminata sul velluto de’ pascoli , e se ne allegra tutta natura. L’arcobaleno non presentasi. mai così splendido e vivace come tra | Alpi, nè si può altrove avvicinarlo cotanto; nè fa pompa mai di fascia più larga e trasparente. Dopo le pioggie estive l’iride è così diafana che tu scerni, distintamente sovra il pendio da cui ella ti separa 1’ albero che. il vento dondola , la cascata , il casolare: e quegli oggetti attraverso il prisma ce - leste rivestonsi in magica guisa delle sue tinte. I laghetti alpini di quai vaghezze non isplendono, sia che la luna infrangendovi entro suo mobil; disco faccia luccicare lor piccole onde , trasformandole in fasci luminosi ; sia che 1’ ura- gano rimescoli sin dal:fondo lor acque; sia ‘che una colonna di pioggia od un velo ‘di nebbia 8° avanzino ‘lentamente ad oscu- rarli ; sia che l’ immagine degli abeti, delle rupi, delle nevi circostanti riflettansi in lo? polito cristallo! I massi enormi, degli scogli, lor creste dentate , lor guglie altere presentano sovente bellissimi aspetti. Quante volte gigan- 72 tesca. mole di granito si ricinge al sno piè di nubi , siechè pen- seresti vedere fortezza magica edificata neli’ aria, di cui siedono a guardia i negri abeti in lunghe file distribuiti ! E quai parole varrauno: ad esprimere l'incanto d’una scena a cui non altra agguagliasi per bellezza e maestà ; le ghiacciaie illuminate dal sole che tramonta ? Il verno; che distende sì monotono e malinconico manto sulla pianura, dona all’ Alpi un genere di vaghezza che è lor propriò. Sl candor della neve vi è frastagliato dalla scura chioma de'pini: strati di ghiaccio d’ argenteo splendore vestono scogli e pendii ; e .il raggio solare scintilla è si rompe in. prismi innumere - voli (4). (4) Quando largo si stende e la ridente Vista de’ cieli denso. ocupa il nembo E dove l’ api ronzano inquiete Al beato alitar dell’ aure amiche , Fiocca la neve in dilatate falde E indistinto un color sul ricrescente Dorso delle colline , e nél riposto Grembo s° accoglie delle valli opache ; E il famelico augel, che più non trova Nell’ erette pendici onde si pasca , Batte radendo il suol 1’ ala raminga, «0. + + All’arator meschino, Gui sorge albergo di ‘stipate ‘canne Acuminato ; tra le viti e gli olmi, Danno gli, annosi ;tronchi onde consoli Nelle gelide notti la sedente pa Picciola prole al focolar d’ intorno ; E grata fiamma di sarmenti adusti Grepiti e sorga , e le fumose mura Allieti, e ‘della sposa e della suora Brilli vermiglia sulla gota bruna. Per le vie fragorose e per le piazze Delle città traggono i cocchi ai balli Le vergini leggiadre e le matrone Nelle sale frequenti , ove d’ imposti Specchi , e di lumi penduli dall’ alto Nelle gemme infinite e ‘nei monili Si ripercuote e si rifrange il raggio! Al rimbombo de’ timpani, al suon acre Delle trombe , che i vortici e le pose Modera della danza , alle affannate Donne e donzelle ondeggiano incessanti Le piume in testa , e cedono le armille Preziose del collo e delle braccia, 73 L’aquilone ; agitando le foreste; le spoglia di lor verde ; gl’insetti 8’ accovacciano in seno a’frutti sotto la scorza degli al- beri , ‘o nello spessore di lor tronchi : altri cangiati in ninfa, e zimbello de’ venti, sospesi a fili, ‘trovano lor riposo in una per- petua agitazione ; buon numero d’ uccelli si rifugia nelle ca- verne , o sotto il fogliame sempre verde degli abeti; e la mar- motta s’ addormenta ne” fossi degli scogli ‘o in ‘fondo alla sua tana. — Ma’, quando determinato numero di rivoluzioni della luna e del sole annunzian loro ‘una notte che debb’essere eter- na , ciascun d’ essi ‘cerca di finire suoi giorni presso sua dimora abituale. La mosca domestica » amica della luce , spira presso a’ vetri dell’ imposte ; la farfalla coll’ ale stese, appiè del fiore amato ; il cane fedele abbandona suo angolo ; e provasi a ver- sare il fiato estremo presso a’ luoghi di cui sedette a guardia ; appiè del suo padrone che guarda gemendo. E l’uomo anch'esso cerca di morir nella patria; e spirando volge gli ultimi sguardi al cielo, e brama che mano amica gli componga le palpebre al sonno eterno e gli innalzi una tomba. Ma ecco coi primi soffi di primavera il disgelo cominciare: ogni albero, ogni rupe , distillar goccia ‘a goccia suoi nmori, scender da ogni colle suo fil d’acqua; ogni stretta aver suo ruscello ; suo torrente ogni valle, gonfiarsene i fiumi, intorbidarsene il lago, e la valanga staccarsi dalla balza e calar. nelle valli ap- portatrice di spavento. E fra la brune treccie e fra le bionde I serti del corallo e delle perle, Stringe i fiumi al di fuori e. le lacune Il gelo intanto., che a stagion men dura Si fende ; e vanno le reliquie sparse Col torrente ad urtar che le travolve Argini e ponti. Diè sovente un crollo. Tentennando a quell’ urto la capanna Del mandrian , che già più non credea Addur la greggia all’ erte rupi in cima Ed allegrar del suo rustico metro Le pascolanti capre. Ma protesse L’ indifeso tugurio quella pia Donna del ciel , poveramente espressa Nella parete col divin suo pondo , Gui riverente,, quando, il, nembo freme s La famigliuola intuona : Ave Maria. (GarrER. = Inno allu Terra.) T. VI. Giugno 10 74 Già spunta il maggio (5). L’ aurora inghirlandata di rose schiude nel cielo le porte d’oriente, ed annunzia alla natura lil mattino del giorno, e quel dell’anno. Lo Zeffiro si desta e. fa ondeggiar l’erbette smaltate di rugiada, scintillante, per mille colori. Legioni d’ insetti , vestiti di brillanti assise , sbucan fuori da lor nascondigli, e lieti di riveder la luce spandonsi sussur- rando sovra le piante che lor sono destinate. Le colline risuo- nano del belar dei greggi; le praterie del muggir degli armenti. La lodoletta fa echeggiar la vallata del giocondo suo canto. Il sole s' alza con tutto il suo splendore, ed ogni stadio dell’arco che percorre fa germogliar nuove vite, desta novelli amori. (5) Già l’ aspettata mandorla verdeggia Vaga d’ aprile messaggera ; e trema Sotto le siepi violetta ascosa Al par di verginella che d° amore Sente il primiero palpito , e' sospira... O gelsomini candidi, o ricciuti Garofani., o ranuncoli fastosi , Gome.ridon per voi pinte le aiuole ‘ A color mille ? è chi tutta de? fiori Oseria numerar l’ ampia famiglia ? Segua la state e mostri al desioso Occhio 1’ ér della spica. Abbia rispetto A quelle spiche il turbine e la pioggia, Se crescono ai mendichi . ... d +08. è + + + + + Ecco diverse Dall’ uno all’ altro sol d’ usi e di nome Maturar frutta: ecco ciriegie e ‘pesche ; E mele verdeggianti e rubiconde Far alla mano coglitrice invito! Come rubino che legato\in oro Trema all’ orecchio di gentil donzella ; Sul gracile pedunculo tentennano Ad ogni aura albicocche e melagrane. E chi salisse a’ più remoti gioghi L’ armento pascolar vedria tranquillo , E il pastor coll’ armento. errare in traccia Delle note radici; infin che al primo Spirar de’ venti avversi , agli stallaggi Il popolo belante si riduce , Cui move il fido condottier da .tergo , Stimolando i ritrosi . . . (Garner. = Inno alla Terra.) 75 S’ odono per l’aria, sull’acque, in seno alle rupi; voci che chia- mano e voci che rispondono. La notte istessa ha suoi accordi , sue armonie. L’usignuolo amico della solitudine e del silenzio modula al lume della luna suoi canti melodiosi.. Invano il cu- culo geloso oppone ad essi suo monotono grido; non fa che ad- doppiare col tristo contrapposto il loro incanto: e l’araldo, il nunzio di primavera fa ripetere all’eco lontano sue gioie, sue pene e suoi amori. L’ udito ha dunque anch’esso sue voluttà tra 1’ Alpi. — Come indicare quell’ assoluto silenzio della natura, in cui l’ani- ma d’ una divina calma si bea, allorchè per una notte tranquilla acque , venti, foglie taccionsi rispettando come il sonno del- l’uomo e degli animali; ed a fine quasi di lasciar libero il campo a quel religioso raccoglimento , a quelle soavi meditazioni che sono voluttà suprema d'ogni animo delicato e sensitivo , d’ogni mente degna di riconcentrarsi in se medesima ? — Che se l’alba comincia ad imbiancare le vette de’ suoi raggi ancor pallidi, il general silenzio è interrotto dal gurgogliare degli augelletti, dal tintinnio de campanacci , dalle voci de’ pastori che si chiamano e si rispondono, dall’ abbaiar di mastini che corrono in volta frettolosi e lieti, dal suono de’ rustici stromenti che annunziano lo svegliarsi di tutta natura. Sovente ver sera il mormorio dell’ acque si rinforza ; cresce il fragor delle cascate ; muggisce più cupo il torrente ; e a poco a poco si diffonde per le foglie un legger fremito; e sorda e con- fusa armonia s’aggira per la foresta ; ed aerea musica sembra errare per lo spazio, grave, malinconica: son questi i segni precursori della proceila. Prepàrati a udir sua voce; imperciocchè il vento fischiando attraverso i boschi ecciterà in breve romorosa guerra tra’ rami ; e le caverne invase da soffio veemente respingeran- nolo mandando gemiti profondi, e scoppierà il tuono: e terrai dietro con una spezie di voluttà al suo rimbombo, d’eco in eco ripetuto , che di valle in valle si prolunga , e a poco a poco s° affievolisce e tace. Ed allora, poichè cessa l'infuriare del temporale, e la natura stanca da sue tremende convulsioni si ri - conduce alla quiete primiera , l'orecchio se ne avvede : il mug- ghiar del torrente diminuisce; scema il fischiar della foresta ; distillan le foglie goccia a goccia la piova che le innondò; nè rimansi per l’aria altro che lieve reminiscenza , un ultimo so- spiro della precedente universal commozione. Chi saprebbe descrivere i movimenti che l’ aria imprime a’vegetabili! Quante volte lunge dalla città , in fondo a valle 76 solitaria coronata di foreste , assiso in riva a. prato agitato dal vento, non mi compiacqui in vedendo i papaveri; le gramigne, le margherite ondular simili a fiotti , e presentarmi aspetto d’un oceano di fiori e di verzura ! E intanto Borea faceami. oscillare sul capo le cime maestose degli alberi, chè ognuno avea .suo movimento. La quercia dal nudo tronco incurvava suoi rami ; l’ abete elastico agitava sua alta piramide; il pioppo robusto. don- dolava suo mobil fogliame ; e il tiglio lasciava ondeggiare il. suo siccome cappellatura. Pareanmi animati da passioni. Uno china- vasi dinanzi al suo vicino ; l’altro parea. volerlo abbracciare a foggia d’ amico: il rispetto, l’amore, l’ ira sarebbonsi detti pas- sar dall’uno all’altro siccome nel cuor dell’uomo; e quelle versatili passioni eran giuoco del vento. Talvolta albero gigante alza a mezzo del bosco sue vaste ramificazioni denudate di foglie , ed immobili. Esso non prende più parte alle agitazioni che lo circondano: è vissuto in altro secolo. É romori indeterminati, profondi, malinconici volan pe’ boschi, a che s’accompagnano la voce dell’usignolo , il fragor del torrente: armonia ispiratrice di voluttnosa tristezza. La mia anima vi si abbandona .. . . Maestose foreste , tranquille so- litudini, che calmaste sì spesso la foga di mie passioni, possa il grido di guerra non turbar mai vostra pace! E. vostro religioso mormorio non s’accompagni mai che alle canzoni degli augelletti, o ai dolci colloquii degli amici e degli amanti che vengono a riposarsi sotto vostr’ ombra! In ogni ora del giorno i boschi, che veston 1’ Alpi al lor piede , presentano aspetti eminentemente pittoreschi. I tronchi d’° albero somigliano a magnifiche colonne: lor volti di verzura vincono in grazia ed ampiezza que’ de’ nostri monumenti. Di giorno veggionsi i raggi del sole penetrarvi attraverso molte tinte e pinger sul terreno ombre frastagliate di luce. La notte scor- giamo gli astri alzarsi qua e là sovra le cime, quasi ch’ esse avessersi stelle sovra lor. rami: tempio augusto che ha sue co- lonne, suoi portici, suoi santuarii, sue lampade: ma le fon- damenta di sua architettura sono più maravigliose ancora di sue decorazioni. L’ immenso edifizio è mobile; soffia il vento ,. son agitate le foglie: i tronchi scrosciano, e si spande lunge non so qual solenne mormorio. Chi mai serba in piè quelle colonne co- lossali, mobili? Lor radici. Son esse che da secoli crearono sovra arida plaga lo strato vegetale; son esse che , per l’intlusso del sole, cangiano aria ed acque in succo, il succo in foglie e rami; son elle i cordami , le leve , le trombe aspiranti di codesto gran- {4A de meccanismo della nafura.; son esse che vincono l’impeto del vento capace d’atterrate le torri. L’Alpi sono sublime , indescrivibil teatro delle. magnificenze della natura, dell’ onnipotenza del Creatore. PorsiA DELLE TRADIZIONI. N. III. Canti popolari della Norvegia. Cariddi e il mostro di S. Olao. Dammara e Creusa. Dallo. studiare la storia e la letteratura de’ popoli che con noi misurano l’arduo ed affannoso cammino della. vita civile, non pur letterarii ma civili vantaggi possono derivarci; perchè la co- gnizione non è mai senz’ amore; e sarebbe già tempo che le na- zioni tutte, riconoscendo e sentendo gli antichi e i novelli vincoli che ne fanno una società sola, una sola famiglia, im- parassero a rispettare la propria nell’ altrui gloria, a cercare la propria felicità nell’ altrui. Poi, studiando le varie ma non di- verse vie dallo spirito umano tenute sotto i varii climi nelle opere della fantasia e dell’ affetto, del valore e del senno , più e più si conferma questa verità sacra : che in tutti i tempi, in tutti i luoghi, dal popolo, sempre dal popolo escirono le grandi ispirazioni del genio poetico e del militare ; dal popolo, sempre dal popolo i germi delle forti imprese e dell’alte speranze. Non è dunque da reputare trastullo della critica rude ed erudita lo studio delle tradizioni e delle poesie popolari che spandono sì nuova luce e sì bella sulle tenebre dei secoli andati , sulle ori- gini e sulle cognizioni de’ popoli, sui processi dello spirito umano. E giacchè per autorevole mediazione del nostro Prof. Ciampi ci venne fatto di ottenere da un dotto della lontana Norvegia, il sig. Mersell, un saggio di canti popolari, canti che e nella | forma e nella sostanza s’ accostano più che non si crederebbe alla maniera delle meridionali letterature , noi volentierissimo' ne facciam parte ai nostri lettori, il cui desiderio aspetterà dal cor- tese straniero nuova ricchezza di simili doni. Il primo canto di cui darem saggio è Za morte di Dammara, 78 moglie «del re Valdemaro ; il celebre Danese del secolo decimo- terzo, principessa di Boemia, della qual parlano a lungo molti nazionali romanzi. Vicina a morire, così la canzone, ella chiama a sè Cristina di Risa, nome storico anch” esso ne’ canti di quella età. Riferiamo con leggerissime mutazioni la traduzion letterale fatta dal medesimo sig. Mersell ; la qual ci mostra come nella lin- gua dell’originale sien collocate le parole , e quale il giro della frase. 23 «« Ecco entra Cristina, che tutta d’oro risplende. Nè ve- dea lo splendore della corona , perchè gli occhi avea pieni di lagrime .... La regina le dice: “ Se legger tu sai e scrivere , se trarmi tu sai di questo affanno , di purpurei panni vestita sarai, e sopra i miei destrieri andrai cavalcando . . . . ,; Cristina legge, ma invano, e sempre esclama: Più duro del ferro è vostro tormento... ,, Allora la regina manda a cercare del re suo consorte, manda il suo paggio fidato. — © Il re dal ponte del castello gli 9, 29 29 » 1 2) I > > 33 29 bb) 29 bb) 53 bb) 33 29 bb) 5) be) bei 9 5) occhi lungi volgendo : colà , disse , io vedo il giovine paggio, che mesto cavalcando sen viene. Iddio omai decida in cielo quale ha ad essere il destino di Dammara .... ,, Il paggio al re che sedeva al tavoliere da gioco, espon imbasciata. “ Il re percosse il tavoliere di tal colpo che ri- sonarono tutti i dadi. Non faccia il padre eterno in paradi- so , che tanto giovane Dammara muoja. Quando il re da Scanderburgo partissi , l’ accompagnaron cento cavalieri; e giunto che fu al ponte di Gristeda, solo rimasegli il paggio di Dammara .... Grande condoglienza era tra le donne che tutte sedevansi piangendo. Dammara in braccio a Cristina spi- rando stava, mentre per la via il re se ne viene a cavallo. Ec- co il re del popolo danese , ch’ entra ; ed ecco Cristina leggia- dra e bella che la mano gli porge. — E dico a voi, grazioso mio sire : deponete il cordoglio e 1’ ambascia. Quest’ oggi un figlio v’ è nato : dal fianco di Dammara egli pare reciso. = Vi pre- go, signore e verginelle , tutte io vi prego, per l’ anima di Dammara preci porgete acciò che meco ella parli. Ed ecco si prostrarono colle nude ginocchia tutte quante eran ivi. Le preci loro e il real pianto furon graditi: gli toccò in sorte di vederla ancor viva. Dalla bara 8’ alza la reina , gli occhi tinti di sangue: deh, generoso sire Valdemaro , perchè mi dai que- sto affanno ? (1) Il primo prego ch’ io vi porgo, di buona vo- (1) Quid tantum insano juvat indulgere dolor, O dulcis conjux ? Aen. II. 777. 23 79 glia concedetelmi : che al fuoruscito pate. 8° accordi » al cat- tivo si tolgano i ceppi. Il secondo prégo ch*iv vi porgo , sarà in pro vostro. Deh non toccate Berengaria quest’ anno 5 ch’essa è fiore tenero e acerbo (2). La terza e più fervente mia bra- ma , esauditela : deh non mandate il caro figlio a guerreg- giare quest’ anno. In Danimarca createlo re; quando sarete a morte ; chè nato vi sarà da Berengaria un altro ‘figlio, il quale baderà a porgli insidie (3). La giovane Cristina ‘prendete per consorte, ch’è sì gentile donzella e leggiadra. Se altro avverrà , ricordatevi almeno di me, — Quello di che ‘mi pre- gate, io vel consento di buon grado: nè la giovane Cristina io sposerò , nè (altra vergine mai. ==. Nè la giovane Cristina nè altra mai donna al mondo voi dite ‘di non isposare ? E pure in Portogallo andaste a cercare una vergine acerba ancora (4)... Che più volete ch’io vi manifesti ? Stannosi i santi angioli in cielo aspettaudomi impazienti. Egli è tempo ormai; ch'io da voi mi diparta ; nè più m’ è lecito d’ intertenermi (5). (Le cam- pane nel cielo già suonan per me; già mi tarda il giungere fra le anime beate, — A Rinsteda » Dammara ‘reina riposa. ;, Quest ultimo verso è quasi un intercalare più d’ una volta ripetu:o nella canzone: ed è cosa notabile come la poesia popolare (2) Berengaria principessa di Portogallo ; seconda moglie di Valdemaro ; ram- mentata . anch’ essa nelle canzoni popolari. Pop (3) - Iamque vale ; et nati serod communis amorem. Ivi 789. (4) Ad terram Hesperiam vénies... Tllic res’ laetae... et regia conjux Parta tibi. Lacrymas ‘dilectae ‘pelle Creusae. b Ivi 779. (5) Haec ubi dicta dedit , lacrymantem et multa volentem Dicere deseruit. 7 Ivi 790. Non me impia namque Tartara habent ... sed’ anicena piorum Concilia Elysiumque colo. .. È Tamque vale : torquet medios nox humida cursus Et me saevus equis oriens afflavit anhelis. Aen. V. 733. En iterum crudelia retro Fata vocant , conditque natantia lumina somnus. Iumque vale; feror ingenti circumdata' nocte n Invalidasque tibi tendens, heu non tua, palmas. Georg. IV. 495. 80 ami gl’ intercalari e le ripetizioni , incominciando dalla Bibbia e da Omero, e venendo all’ “Apyers fdwuoAnds s al Ppateò peso di Teocrito ; all’ Wpyere ciedina? di Mosco; all’ a;4%w Tèv ‘Adwviy: di Bione ; all’ Zo Hymen (6), al Currite ‘ducentes (7), al Ducite ab urbe , all’Incipe Maenalios (8); poi dagl’ inni della chiesa scendendo alle canzoni de’ popoli del: mezzogiorno, se- gnatamente a certe cantilene storiche-riguardanti'i. fatti de’re di Castiglia ,. che dalle maggiaiuole si cantano ancora in certe cam- pagne toscane; e delle quali diremo altra volta. Tra i poeti dell’arte l’ unico ch’ abbia sentita la potenza dell’ intercalare è Beranger, il qual però ne ha sovente abusato. Quanta gentilezza di-sentimento in quelle gelose preghiere di, Dammara ; quanta nobiltà in quella raccomandazione di richia- mare i .proscritti ; quanta spontaneità ne’ passaggi dal dialogo alla narrazione ; quanta ‘analogia. tra le ultime parole di' Dam- mara ,e, quelle di Creusa , tra la prima moglie di' Valdemaro e la prima moglie d’ Enea:; tra. quel. suo alzarsi dalla ‘bara, e.i simili miracoli narrati‘ in Italia di S. Antonio e d’altri santi; quanta serenità in questo quadro d’un-ingegno nordico, come qualche amenissimo critico lo chiamerebbe ; ognuno sel sente. La leggenda che segue, riguarda un ‘miracolo del re di Nor- vegia S. Olao, vissuto sul principio del secolo undecimo : ed è canzone certo anteriore a Lutero. “Con forte passo il gigante viene pe’ monti e per le rupi »» azzurre : quand’ ecco Sant’ Olaò gli va incontro. Occhi ave- »» va simili a rogo acceso; la bocca deformemente ampia : ugne 3) aveva che corno di becco pareano , tanto uscivano fuor delle »» dita. La barba folta/ come criniera di cavallo fino alle ginoc- s» chia gli scendeva ; coda aveva lunga e irsuta ;: zanne che pure ,, a vedere fanno spavento. = Mai legno a queste spiagge ap- 3» prodò ; nè ora nè a’ tempi andati , ch’ io non'avessi con que- 3) Sta mia mano tirato a me dentro al monte ,,. S. Olao gli presenta un bove da afferrare ; e mentre egli lo afferra : ‘ Ecco nella rupe s’ affonda, e immerso rimansi sino alle s) ginocchia. ... Statti , spietato mostro ed iniquo :' or in pietra ,, tu se’ mutato. Statti colà sino all’estremo giudizio , chè danno > non farai più ad uom di Cristo ,,. (6) Gatullo LX. LXI. (7) Id. Garn. Nupt. Pel. (3) Virg. B. VIII 81 L’ intercalare della canzone è : “ In Nidarosia (9) l’or puro , come sole , lampeggia ,,. Ognun vede quanta fratellanza s’ abbia questo mostro pie- triticato dal re, con Cariddi, con Scilla, con le metamorfosi an- tiche, e con quelle che la tradizione de’ volghi cristiani ripete ancora , mostrando ne’massi le figure de’ mostri trasformati , e le impronte e le orme della mano ; del piede, del corpo de’ santi. Dalla mediazione del cav. Ciampi e dalla cortesia del colto straniero nvi possiamo aspettarne altre di siffatte canzoni e guer- riere e amorose , e domestiche e pubbliche, e fantastiche e sto- riche, e religiose e satiriche ; delle quali daremo volontieri al- l’ Italia qualche saggio , quelle prescegliendo che sono più anti- che e più popolari. Ora che il sig. Saint-Mare Girardin e il sig. Am- père rivelano con tanto successo alla Francia le ricchezze lette- rarie di popoli che ben meritano d’ essere studiati ed amati ; ora che lo studio di tutte le più riposte e più varie letterature si riconosce fecondo di tante e letterarie e civili utilità ; ora che in tutta 1’ Europa, la lingua italiana, con più affezione che mai si vien coltivando (e,cel provano questi saggi medesimi che ab- biam pubblicati dal sig. Mersell, mandatici italianamente tra- dotti, con cura doppiamente gentile ) , il tralasciar di stringe- re con tutte le nazioni che ci osservano e ci amano , nuovi vin- coli d’ intelligenza e d’ amore , sarebbe atto di non perdonabile sconoscenza. A ciò s’ aggiunga che tali studii giovano sempre a scoprire e a rannodare in modo innocuo e onorevole gli antichi legami che l’Italia o per forza o per elezione strinse o fausti od infausti con le altre genti. E per non dipartirci dal saggio recato, quella Dammara o Dankmar , moglie del vittorioso legislatore Valdema- ro, figliuola d’ un Ottocaro di Boemia , ci richiama al pensiero l’ altro Ottocaro di lui successore , rammentato da Dante (10), il qual dominò , oltre alla Boemia e alla Stiria, un lembo d’Ita- lia, un ramo certamente della famiglia italiana , l’ Istria io vo’di- re; quell’ Ottocaro che con infelice ma coraggioso valore combattè la fondazione della casa d’Ausburgo , la qual doveva un giur- no e l’ Istria e altre parti d’Italia coprire con le larghe ali del- (9) Il moderno Drontheim. (10) Purg. VII. Nessuno dei comentatori di Dante ha colto il senso di que- sto passo. Ne parlerò nel commento. T. VI. Giugno II 82 laquila dal doppio rostro. Poi trapassando di pensiero in pen- siero, a quest’ Ottocaro della famiglia di Dammara noi vedia- mo succedere Venceslao, pasciuto d’ ozio e di lussuria (11), a’cui piedi vien gettata la corona di Polonia e d’ Ungheria , ed egli con mano tremante, una se la posa sul capo e la lascia ca- dere al soffio del gran prete , di Bonifazio VIII ; l’ altra la col- loca in capo al giovane suo figlio , e il gran prete glie la toglie e la dona alla figlia della bella Clemenza (12), a Maria regina di Napoli. Così le settentrionali memorie si uniscono alle italia- ne; così l’ Italia apparisce sempre attrice nel dramma sanguinoso che avrà con la fine de’ secoli il suo scioglimento ; così nel se- colo decimoterzo , ch’ è quasi il compendio ideale delle glorie e delle sventure italiane, noi troviamo già profetate dalla storia le più recenti vicende di corone gettate a’ piedi di chi non sa raccoglierle o non sa ritenerle , di nozze patteggiate tra il vinei- tore ed il vinto, di re fanciulli , di legittimità novizie , di pro- vincie cambiate o cedute come i fanciulli cedono e cambiano e ripiglian per giocu ; di un uomo, di pochi uomini , che danno e tolgono le corone, che scomunicano dalla comunione europea non tanto i re colpevoli quanto i popoli sventurati. N. IV. Varianti Poetiche. Amori di Lavinia e d’Enea (*). La donna di Virgilio, e la donna d’ Armannino. Gli antichi copisti, uomini più capricciosi de’ nostri moder- ni stampatori , ma simili in questo a non pochi de’ moderni li- brai , riguardavano talvolta le altrui opere come materia bru- ta da potersi raffazzonare ad arbitrio , aggiungendo , ometten- do, mutando , chiosando , e di due o più libri diversi facen- (1:) Ivi. (12) Parad. VIII. (*) In questa raccolta di documenti non inutili a dilucidare la storia delle fonti poetiche, senza la quale la storia stessa della Poesia sarà sempre misera cosa , io non seguo , come ognun vede , alcun ordine ; e pubblico le notizie se- condo che mi torna più facile ed opportuno. 83 do un solo. L’abbiam.veduto in alcuni codici della storia di Troia; lo vedremo in uno della Fiorità di Gnido Pisano (1): dove il co- pista attenutosi fino a più che la metà del. lavoro alla lezione di Guido , la abbandona a un tratto per innestarvi una narrazione poetica tolta dalla Fiorità d’Armannino (2). Là dove Guido com- pendiando 1’ Eneide , narra come Turno si esponesse ‘a singolare battaglia , la qual doveva decidere le sorti d’Italia ;-eccoti in quella vece narrata da Armannino una tregua , durante la quale Lavinia invaghita di Enea lo avvisa per un singolar modo del tradimento che. gli si sta preparando. Ma il nostro copista pi- gliando da Armarnino 1’ invenzione , non piglia però le parole, e la racconta così (3). « Allora vanno i Troiani per la fidanza della triegua intorno alla terra , sì come piace loro: edi Rutoli intorno ‘all’oste sanza contraddetto. Lavinia , la quale molto amava Enea ; spesse fiate si facea alle finestre ;'solo per vedere Enea , se potesse. ;, € Un dì cavalcava Enea con suoi certi compagni, colle spade a collo sanza‘altre armadure, intorno alla città. Come Lavina il vide , incontenente corse alle finestre d’ una torre la ‘quale era sopra il muro della città reale , e chiamò uno arciere e disse- gli: che tu gitti questa saetta tra ‘coloro che tu vedi cavalcare insieme. = L° arciere rispose : Madonna, io non potria, però che quello è il barone Enea con cui noi abiamo triegna. Se. il re il sapesse , egli'mi farebbe male. = Disse Lavina: non dubitare. Fa sopra di me, ciò ch'io ti comando. — L’ arciere disse ‘che il farebbe , ma che non gitterebbe la saetta per modo che potesse loro nuocere. Allora disse Lavina : se tu volessi tu, non vorrei io che tu facessi loro male. Ma gittala loro presso, sì che non tocchi nessuno. «= Allora l’ arciere gittò la saetta al luogo dove coloro erano. Vedendo Enea quella saetta , volle vedere onde ve- , mia. E levando il ‘capo inverso la torre y vide Lavina la quale mai prima non'avea veduta. Fecesi gran maraviglia della sua bel- lezza , e molto più, di quella saetta ; e fecela ricogliere ; e .te- neala in mano riguardandola ‘d’ ogni parte: E vide che sotto le penne della saetta, ella era assai più grossa che l’ altre, e di ciò ancora si maravigliò forte.E ruppela in quello luogo ov’era sì grossa, e trovovvi dentro uno brieve scritto, che dicea cosiffatte parole ; ‘‘ Colei che t° ama sopra ogni uomo del mondo, ti fa assapere (1) Cod. Magliab. Pal. I_. cod. 124. 4 (2) Lib. XXVII. = Armannino scrisse nel 1324; Guido dopo il 1330. (3) Pag. 113 del cod. detto. 34 che ti guardi da’ falsi traditori ,,, — Avendo letto Enea quello brieve, riguardò inverso la finestra dove colei ancora stava , e sor- ridendo con lei, le ’nchinò col capo (4). E per questo intese che da lei venia. Allora molto copertamente le rende salute. Ma non però sa Enea chi ella sia. Allora domandò pianamente uno pa- store che passava quivi , chi fosse quella donna che stava alla finestra; - Il pastore. rispose ch’ era Lavina , la reale figliuola per cui cagione si fa questa guerra. Udendo Enea questo, molto s’ allegroe , e molto la guardoe. Ma poi partitosi , pensò al brieve a lui mandato; e prese cura di fare migliore guardia. Lavina avea inteso che Enea dovea essere tradito in su la, battaglia, la quale dovea fare con Turno: però pensò di mandare il brieve.,, Questa narrazione più prossima al gusto de’ romanzi caval- lereschi che a quello delle antiche epopee, non è però men poe- tica, e meno gentile. E s’ osservi la differenza che tra la Lavinia di Virgilio e la Lavinia d° Armannino pongono i tem- pi e i costumi mutati. Nell’ Eneide la figlia di Latino non è che, la donna fatale ;. destinata a fondare la schiatta ro- mana; i miracoli e. le profezie a lei prescelgono uno straniero marito (5) ; ella, la cagione di tauta guerra , non fà che ire al tempio di Pallade con la madre, chinando a terra i begli oc- chi (6); per pregare, non sai se per Turno o per il marito di Creusa , per I’ amator di Didone ; elia al sentire la madre che sconsiglia Turno dal cimentarsi.a singolare battaglia, non fa che lagrimare e arrossire (7). Gli è ben vero che questo rossore e queste lagrime , appunto perchè la cagione vera n° è ignota, son più poetiche d’ ogni lunga querela: gli è ben vero che tutta l’ Jliade non ha due versi che vincano in, bellezza i seguenti: Illum turbat amor, figitque in virgine vultus : Ardet in arma magis , paucisque affatur Amatam. Quel pianto ; quel rossore lo. turbano ; non è ira che lo. tur- bi ;' non terror del pericolo, è amore. Egli la guarda ; e quel viso ‘che . < « «di pietosi color farsi Non so se vero o falso gli parea, lo infiamma a battaglia. E pur non le parla, esi volge alla madre. Divino ! (4) Meglio Armannino : la quale sorridendo lo ’nchinò col capo. ;, (5) VII. 72. (6) XI. 479. (7) XII. 64. — In altri luoghi Lavinia non è nominata che di volo XII, 17. 194. 605, 937. VII. 314. 359. VI. 764. II Mi. Ma la Lavinia dell’ Italia rigenerata è tutt’ altra. Ella va- gheggia dall’ alto di una torre il gentile straniero : perchè già troppo familiare e troppo dolce cominciava parere alle donne ita- liane la vista di stranieri soldati. Ella. scopre le trame d’ un tra- dimento , e vuol palesarglielo , perchè il cristianesimo aveva por- tato nel. mondo una nuova parola, della quale, come di tutte le cose grandi, si sarebbe abusato , una parola di cui nè Ulisse nè Achille nè Enea non avrebbero inteso il senso: 7’ Onore. Ella trova il coraggio di far volare':con una saetta il suo avviso all’ uomo che non la conosce ; perchè già la donna incomincia ad emanciparsi da quel timore che la rese infelice , sospettosa , simulatrice , potente più al male che al bene. Ella non fa che avvertirlo del pericolo , non gli chiede amore villano come Tar- pea al duce Gallo , come all’Avaro duce Romilda ; ma solo gli s’ inchina e sorride. E se noi prendessimo similmente a considerare la donna quale ce la dipingono la Genesi , la Cantica ; il Vangelo, l’ Iliade, l’ Odissea, Eschilo, Sofocle, Euripide, Saffo , Teocrito , Ovi- dio, Tibullo , Stazio; e via via tutti i poeti, gli storici, i, mo- ralisti de’ varii luoghi e de’varii tempi, troveremmo nella donna raccolto e vivente quasi l’ ideale del secolo. K. X. Y. ScuoLa DI Mutvo InsecnaMmENTO A Pisa. \ Rapporto letto dall’ ispettore sig. dott. Rarmonpo Mrconr (*). Delle tante e varie instituzioni, onde si onora a giusto di- ritto il secolo nostro, quella del mutuo insegnamento tiene so- pia ogn’altra il primato. Che vero io parli, lo:dice il tributo di venerazione che ‘ai nomi immortali: di Bell e di Lancaster ren- dono le incivilite nazioni. Nomi immortali / imperocchè se vi ha gloria che tragga l’uomo dal sepolcro e'in vita il serbi, quella è-che nasce da’ quel trovato per cui l'umanità tutta senza distin- zione di età, di sesso, di stato potè a gran passi avanzare nella via del perfezionamento intellettuale e morale. Non vi dirò ; o signori, che a tal gloria partecipano quanti s’ adoprano in diffon- dere i vantaggi di quel trovato. Erigendo in Pisa una scuola di reciproco insegnamento, non foste già mossi da desiderio di fama, (*) Vedi qui sotto nelle Notizie epilogate 1° art. Toscana. ‘86 ma solo da carità del. natio Imogo. È di poco trascorso quel tem- po in cui ad ogni bnon cittadino piangeva il cuore per dolore, scorgendo non allignare in tanta mitezza di cielo una. pianta che ne’ climi più nordici cresceva a grandezza e portava frutti maturi. Ben ‘meritaste della patria quando non scoraggiati da doppio tentativo, sventuratamente tornato vano, ritentaste sotto augurii migliori l’impresa ‘e non disperaste vincere la prova. Qualunque effetto però avessero sortito tali sforzi, la vostra coscienza po- trebbe.tranquillizzarsi nel pensiero d’ aver. rettamente operato. Ma non contenti al testimonio della propria eoscienza , in- vocate il giudizio altrui chiamandomi a render conto del. già fatto, e ad aprirvi i pensamenti miei sul quanto è da farsi per il buon andamento’ della scivola ‘cui vegliate custodi e protettori. Ed io soddisfarò all'incarico per modo da non pagare con la men- zogna |’ onore che mi largite. Un anno omai è corso dal giorno in cui il chiarissimo Pre- sidente inaugurava il rinascimento della scuola. Le sue parole furono parole d’incoraggimento ! La società vostra che ‘allora componevasi di centodieci soci; oggi è cresciuta fino al numero di centosettantacinque. Questo aumento fa. sperare che nuovi nomi' s'aggiungeranno ai già inscritti. Voglia il cielo che le nostre speranze non vadano in ciò fallite! Voi sapete che se la gene- sosità d alcuni a cui il ben piace , non avesse soccorso ai bi- sogni dell’ intrapresa, questa sarebbe andata a vuoto prima che tentata. Anime bennate le quali non misurano le loro bene- ficenze con la terra. che le vide nascere, si fecero a. noi concit- tadine nel momento opportuno. Era mio debito ricordarle alla vo- stra memoria, perchè non, fossero defraudate del .tributo della gratitudine. Dal passato non traggasi per questo motivo a timori. Le .gravi.spese, che fu forza «il sostenere per fornire lo stabili mento de’necessari utensili; non potevano, come impreviste, ca- dere sotto un calcolo esatto. Ma ora che alla Scuola è stato dato. quell’ avviamento che più le era proprio.,, sarà facile conseguire una maggiore regolarità mell’amministrazione. Tutte le spese 'es- sendo divenute ordinarie, noi.sortiremo dallo stato d’incertezza che ne travaglia. Previsti i bisogni , provvederemo per.tempo ai mezzi per soddisfarvi; ed allontanando ogni precipitazione, raggiu- gneremo quella saggia economia ch’è dovere sacro dell’ammini+ stratore. Se concepisco speranze sul successivo aumento dei, soci, io sodisfò alle ispirazioni del cenore, e se vi animo a porre in opra ogni sforzo acciò tali speranze si compiano; obbedisco al dovere. 37 «Fa di mestieri ch’altri 'unisca a noi non per dividere le conseguenze del passato, ma/per dividere in parte gli oneri dell’avvenire. Poichè miriamo al miglioramento della scuola, conviene aggiugnere alle altre parti dell’istruzione quella che riguarda il disegno lineare, la cognizione del quale frutterà largamente agli alunni; qualun- que sia la professione cui saranno per darsi. Non ignorate al- tresì come, a malgrado della buona volontà , alcuni fra noi sor= titi al grado d’ ispettore (0 visitatore) non hanno potuto adem- piere esattamente |’ ufficio loro ; distratti da pubbliche o pri- vate cure. Se altri verranno affratellandosi , non ci sarà nega- to di scegliere fra i novellamente venuti chi , libero da occu- pazioni, tutto diasi ad un ufficio che tanto influisce sui progressi del mutuo insegnamento. Ben è vero che il direttore sig. abate Del Carradore ha saputo a ciascuna cosa supplire col suo zelo. Gli alunni rassegnati ascendono al numero di trecento, de’ quali centosettanta frequentano le lezioni. Nel che è da rim- proverare la negligenza dei padri di famiglia, i quali contenti alla vana ambizione d’ avere il figlio del bel numer’ uno, non fanno poi uso o di comando o di consiglio per toglierlo all’ozio domestico, e così frudano lui della debita istruzione , noi del contento d’avviarlo nella via della scienza e della virtù, se stessi dell’allegrezza che nasce dall’ adempimento di un dovere. Ciò non ostante, centosettanta scolari bastano per fornire le quattor- dici classi in che si divide al presente l’insegnamento. Alcuni fra questi vennero spogli di qualunque educazione letteraria ; altri sebbene dirozzati, furono sottoposti ai più elementari eser- cizi, affinchè abbandonassero viziose abitudini contratte col se- guire un metodo fallace. Perlochè i loro progressi non sono meno da apprezzarsi. Uno stato di movimento, redatto dal direttore con la maggiore esattezza che perlui si poteva, verrà sottoposto all’occhio di chiunque veglia conoscere il profitto dei giovaui. Con tal mezzo è reso noto il grado d’istruzione dell’alunno nel giorno dell’ ammissione, la classe che occupa, il numero delle lezioni, delle assenze, delle funzioni esercitate. Giusta oculate osservazioni , il tempo di mesi diciotto e più si addimanda per ammaestrare il fanciullo nelle tre parti del sapere , in cui versa l’insegnamento mutuo. Questo tempo non è decorso perchè io possa parlarvi del namero dei giovani sortiti a istruzione com- pleta. Nondimeno quattro fra gli alunni, cni gli anni e po- che elementari nozioni agevolarono il cammino , giunsero alla meta quando gli credevamo in via. L'esame da essi pubblica- 88 mente sostennto ha corrisposto alle cure del direttore, ai desi- deri vostri, all’ espettativa dei loro genitori. I saggi dati dello scrivere nei tre caratteri meritarono l’ammirazione degl’ intelli- genti, e la giustezza del franco rispondere alle interrogazioni degli esaminatori sulle frazioni , proporzioni, estrazione di radice quadrata ec., gli fece acclamare meritevoli d’un premio ; sì che il conferirlo fu atto di giustizia non già d’incoraggimento. L’ e- sempio loro ha cresciuto animo in tutti ; altri in breve lo rin- nuoveranno. Al sig. Giuseppe Berti in special modo, e ai signori Pasquale del Punta, Angiolo Ceccherini , Faustino Barli (pre- miati) non renderei intiero il debito onore se non vi dicessi che un sentimento generoso di affetto e di gratitudine gli ritiene tuttora nella scuola nostra per giovare dei loro lumi i compagni di studio. Questi felici risultamenti sono dovuti alla retta applicazione del metodo. Ad ottenerla, il direttore non lasciava cosa intentata. E per vero dire il progresso degli alunni nel leggere non suol essere proporzionato all’avanzamento loro nello scrivere. La spro- porzione potrebbe giustificarsi con quel detto di Duclos “ chiun- que sa leggere sa la più difficile di tutte le arti ,,, se meglio nol facesse l’oraziana sentenza “ quanto va per l’orecchio, colpisce l’animo più tardamente di ciò che è esposto allo sguardo ,,. Così essendo, ragion voleva che a minorare siffatta differenza , le due parti dell’insegnamento s’agguagliassero il più che si po- teva fra loro , nel modo onde sono comunicate; ragion voleva cioè, che dietro i precetti dell’ Hamilton non solo si tentasse tenere sveglia l’attenzione e soccorrere la memoria con la fre- quente ripetizione de’ suoni , ma che venissero altresì senza in- terruzione posti sott'occhio i segni che li rappresentano, acciò dalla mente fosse appresa con facilità la corrispondenza de’segni scritti coi suoni pronunziati. Al doppio oggetto mal provvedeasi con tavolette stampate amovibili, per mezzo delle quali esegui- vasi da prima l’esercizio del sil/labare , perchè la piccolezza della loro dimensione non permetteva agli scolari tutti della classe, d’ac- compagnare con l’ occhio ciascuna sillaba successivamente ripe- tuta. Fu saggio pensiero del nostro Direttore il sostituire quadri in tela, fissi al muro, la cui grandezza come ha servito per dare al carattere una forma maggiore , così dà luogo all’ occhio del giovane, di raffrontare la sillaba pronunziata alla scritta. L’eser- cizio di calligrafia per la prima classe mira ad esercitare la mano nella formazione delle aste e delle curve. Ciò si operava un tempo sulla rena. Dal che duplice danno derivava ; e del facile 89 cancellarsi delle lettere, e dell’offrire ai fanciulli motivo di scherzo. Raccomandavasi invece della rena l’uso della lava- gua marcata di linee orizzontali e verticali. Ma come spesso avviene, la fuga di un vizio, se manca d’avvedutezza, conduce in errore. La mano mal ferma dello scrivente, condotta suo mal- grado a seguire la traccia delle linee verticali, gli niega lo eser- citarsi nelle curve: per la qual cosa è rallentato il progresso che deve attendersi dalle classi superiori nell’ asteggiatura delle let- tere, onde allo scritto tanta parte di bellezza deriva. É mio dovere l’invitarvi a secondare in questo i cangiamenti che dal Direttore vi saranno proposti. Troppo gli raccomanda l’esperienza perchè non siano negligentati. Se a rassicurare i meticolosi d’ogn’in- novazione vale non poco l’esempio ; ricorderò che il sistema di numerazione s'è reso chiaro e spedito per un trovato del diret tore, dell’ utilità del quale meglio è convincersi coll’occhio che con inesatta descrizione. Ora m'è grato parlarvi de’ vantaggi ottenuti nell’istruzione morale, che nell’insegnamento reciproco si lega in bel modo alla letteraria. Il voto dei buoni si è finalmente adempiuto. Corse già lungo tempo in cui tutta la cura fu data all’istrazione della meute, e niuna all’educazione del: cuore. Come poteva mai l’una dall’al- tra disgiungersi? Ben andarono errati coloro che sperarono di rag- giungerla col soccorso di regole, le quali mal percepite da te- nere menti, erano seme che cadeva sulla pietra. Fecondo d’utili resultamenti fu quel pensiero, che la buona educazione non scende da regole ma viene da abitudini. E le abitudini all’ or- dine, allo studio, alla fatica, all'adempimento de’proprii doveri si naturano nel cuore del giovane col reciproco insegnamento. Niun chiederà come s’ acquistino le prime là dove tutto è ordine, là dove ogni cosa ha un posto, e niun’altra in sua vece lo tiene: Une place pour chaque chose, et chaque chose à sa place. Cento, al pari che mille giovani, si muovono in varie dire- zioni in un silenzio rotto soltanto dal suono di un bronzo che li guida. Qual confronto da questi a coloro che negli andati tempi, anzichè la voce , ebbero a guida la sferza del precettore! Le abitudini allo studio, all’occupazione, alla fatica nascono da una varietà d’esercizii , per cui si mantienè costantemente viva l’attenzione, e quell’attività si alimenta che frutta al corpo robu- stezza: nascono da una emulazione che cresce del continuo coi successivi passaggi di classe in classe, emulazione che non è mai scoraggiata dall’ingiustizia, perchè l’ignoranza altrui non è di ritardo all’avanzamento d’alcuno , e perchè il premio e la pena T. VI. Giugno 12 90 si distribuisce a secunda del merito o del demerito, non secondo mal intese simpatie. Alla prevaricazione , al favore, alla frode è negata ogni via dalla pubblicità degli esami, dalla libera facoltà del re- clamo, dalla sorveglianza degl’ispettori sui monitori, del di- rettore sugl’ispettori, del visitatore su tutti. E, ciò che più monta, l’emulaziove non è di poche classi, è di tutte; perchè in tutte una «listinzione or maggiore or minore viene all’ottimo concessa; è stimolo che manca solo al cessar dello studio , allorquando ha destato nell’ animo del fanciullo quel desiderio temperato di lode, che può in società essergli sprone a belle ed onorate im- prese. Qual meraviglia se persone d’ integra fede testimoniano d’avere in dì festivo, rinvenuto alunni occupati in descrivere sul terreno e lettere e cifre algebriche , nei luoghi stessi ove prima allargavansi nel divagamento dei sensi o nell’ uzio ?_ Che meraviglia se i figli dell’agricoltore per lungo cammino si recano dalla campagna alla scuola per trattare la penna con la mano usa a trattare la vanga? Non parlerò dello studio indefesso di costoro, che molti vorrebbero dannare all’ilotismo ; gioverà ri- cordarne un solo, il quale giunse nel corso di quarantadue le- zioni dall’addizione alla regola del tre. I giovanetti crescono all’adempimento de’proprii doveri, scorgendo che per esso dalle più infime classi ascendono alle più elevate, divengono precettori a quelli che un giorno ebberoa compagni di studio; condotti un tem- po ; sono destinati a condurre. Nè ciò sveglia soverchio amor di se stesso, perchè il monitore non resta d’esser discepolo, e la condotta di lui a più rigido sindacat» è soggetta. Le mie riflessioni scendono da’ fatti. Un monitore della classe tredicesima veniva redarguito del poco profitto de’ giovani affidatigli. Un profitto non ordinario si manifesta in poco tempo nella classe: se ne indaga la cagione; e si trova nella diligenza del monitore, il quale non contento all’esercizio della sua funzione nella scuola, radunava in privato i volonterosi, e a nuove prove sottoponeagli. Molti fra noi hanno raccolto dalla bocca stessa dei padri testimonianza sincera de’ cangiati costumi de’ figli loro, da che divennero alunni. Nè fattizia in essi è l’osservanza all’ordine, allo studio, al dovere: La pochezza de’ mezzi non ci permette largheggiare nei premii : le pene sono miti, e raramente usate, perchè il castigo più perde della sua forza quanto più spesso si spende. Così non è il timore della pena, non è l’esca del premio che moralizza la gioventù. È potenza mirabile del metodo , non altro! 9I Queste abitudini intanto che non si apprezzano, perchè niuno scruta i segreti effetti delle cose e solo dà fede all’ apparenza , si cangiano poi nelle masse in costumi, che valgono più delle leggi; nel cittarlino in civiche, nel magistrato si mutano in pub- bliche virtù. Potrei scendere a più minute considerazioni, chè largo campo mi si offrirebbe. Le cose discorse saranno di contento al cuor vostro, ed al cuore di quanti aspirano al nobile assunto di perfezionare gli uomini istruendoli ; e serviranno per conci- liare al reciproco insegnamento quel favore che taluno negò con- cedergli. Quel favore voi nol reclamate da coloro i quali parteg- giano per l’oscurantismo e s° applaudono del nome di retrogradi , poichè nella patria comune ove tanta protezione ai buoni studi è largita, niun v’ha che non creda, l’ignoranza nelle masse esser fomite al fanatismo , al delitto. I cittadini d’ogni stato , d’ ogni condizione , d’ ogni età hanno porto soccorso chi di de- naro , chi di cure, chi di voti. Il sesso gentile anch’esso ha ri- sposto all’invito: fatto che svela, non che un desiderio, un bi- sogno. Se la donna divide l’ onere di un’istruzione che tutta torna a nostro vantaggio , ella ci grava del debito del contrac- cambio , e ne richiede egual benefizio. Ben avventurosa sareb- be Pisa se potesse in questo non esser seconda alle altre città del del paese. Il vostro esempio non sia perduto, e guari non anderà che sorga fra i nostri concittadini chi presti mano ad opera di tanta carità! Deh venga il tempo che a noi sia dato di rinvenire sotto il tetto del mendico la donna dei proverbi quella cui non ciba il pane della pigrizia , ma che veglia gli andamenti della casa, e fa lieta la famiglia del frutto delle sue mani usate all’ago , alla conocchia, alla spola ,,. Il favore pertanto di che sentite il bisogno, voi reclamatelo da coloro stessi i quali non credono all’ efficacia del metodo di reciproco insegnamento o perchè alla pubblica la privata istruzione antepongono , o per- chè presi d’ amore smodato per le antiche cose ; non curano le istituzioni del secolo. Io nutro fiducia ch’ eglino a noi si strin- geranno d’animo , di benevolenza ; di fratellanza , solo che in- chinino la ragione al testimonio della vista. Vengano essi, e spettatori si assidano in mezzo della scuola nostra. Qui vedranno come sia tolta all’ozio una generazione di giovani, come si sve- glino ingegni sopiti, i quali fatta prova delle proprie forze; po- tranno ardimentosi tentare il cammino delle scienze , delle let- tere, delle arti; come si gettino i semi del bene in anime che sapran fecondarli. Dott. Rarmonno MeconI Ispettore. 92 Teoria delle leggi della sicurezza sociale di Giovanni Canmi- ewani. Volumi quattro. Pisa presso i Fratelli Nistri 1831-1832. VoLume Primo. = ArtIcoLo PRIMO. Esame delle dottrine fondamentali. fin Introduzione. Quando il Beccaria applicava l’ingegno all’immortale sua opera dei delitti e delle pene , la forza intellettuale di un nuoyo secolo scuoteva dai fondamenti il vecchio ordine delle cose: e dall’un dei lati la luce del nuovo giorno che risplendeva. agli occhi dell’ Europa civile, dall’altro un fondo tenebroso di og- getti, una notte maestosa ed immensa , in cui andavano a per= dersi a poco a poco i superstiti avanzi della vita del medio evo, faceano alla mente del filosofo il più grande e maraviglioso con= trasto. Compariva fra queste due estremità il risorgimento della sapienza e dell’ arte greca e latina: i re, liberi dagl’ impacci feu» dali, si erano inalzati sulla faccia della terra, come esseri che usciti dalla confusione del caos, e pieni di un incredibil vigore, abusino con giovenile superbia le loro forze e godano gli uni a danno degli altri il nuovo piacere della loro individuale e sepa- rata esistenza: i vincoli della cristiana repubblica erano stati di- sciolti dall’ urto poderoso della riforma , e quella legge tevcra- tica e religiosa che per lungo giro di secoli avea governato quasi dall’ alto il corso dei sociali interessi, perdata per quelle cause l’antica virtù , avea fatto luogo alle dottrine dei pubblicisti. E già dopo i vaticinj filosofici di Bacone, e l’ardimento di. Car- tesio, e le invenzioni e le scoperte del Galileo 1’ autorità avea fatto luogo al supremo impero della ragione , al culto supersti- zioso di Aristotele era succeduta la libera religione del vero, ai libri ed alla erudizione l’ interpretazione della natura e la sincera sapienza. Già un continuo e necessario incremento di co- gnizioni, una costante e generale cospirazione «d’ingegni edi cose umane, un ardore , una bellissima emulazione di riforme 93 e di miglioramenti civili, mn fastidio del passato , una compia- cenza nel presente, un insolito e certo presentimento di un lu- minoso avvenire, annunziavano un nuovo ordine di vita all’Eu- ropa, e vicina l’epoca dei popoli e della comune partecipazione ai grandi beni dell’ esistenza dopo quella dei privilegj del potere e della ricchezza e della coltura. Ma se delle utili instituzioni o delle magnifiche rigenerazioni degli stati sono forieri i progressi dell’ attività nazionale e i libri dei filosofi ; se i moti dell’ inge- gno e gli ordini delle idee sono pronti e non impediti da mate- riali ostacoli, tardi e difficili e spesso pericolosi i cangiamenti dei corpi politici; se nel passato, come sono le basi del futuro, così è una cieca forza d’inerzia che inceppa il libero procedi- mento della natura: quanto lenti e cauti e contrastati non deb- bono essere i miglioramenti sociali , dove abbiano contraria la re- sistenza di molti secoli, e il genio dell’ antichità , a guisa di uno smisurato gigante, incateni con le sue braccia l’umanità che si avanza , o come un vecchio cnpido ed impotente le si faccia iu- contro per ogni lato per gelarne la vivacità dell’ardore cun la freddezza de’ suoi abbracciamenti infecondi ? Laonde, quando il Beccaria poneva i principii della nuova scienza dei delitti e delle pene , il medio evo era presente , il medio evo opponeva ancora la sua morale e materiale resistenza al magnanimo divisamento di quel grande nostro concittadino. Egli adunque è l'ingegno che illuminato dalle altrui dottrine, portato dalla forza del se- colo , mosso dalle ispirazioni sue proprie, si frappone fra il vec- chio mondo ed il nuovo, e da questa parte divide l’ uno dall’a!- tro con felicità di filosofico ardire. Egli rappresenta 1’ umanità, che invoca la protezione del dritto contro 1° arbitrio, e quella della ragione contro le instituzioni di una feroce ignoranza: e spezzando , per così dire, nelle mani della sociale giustizia una spada barbaramente contaminata di savugue, apre una splendida e larghissima via ad una nuova legislazione penale. Egli final- mente è lo scrittore che, ponendo il suo indipendente criterio alla scienza da lui creata, la covdiziona a mostrare la suna propria e individuale entità nel generale sistema delle cognizioni uma- ne. E questa scienza, uscita dalle sorgenti della politica , libera da ogni influenza del principio teocratico, e che non dee con- fondersi con la morale, è pianta di questa ubertosa terra d’Ita- lia; questa scienza ebbe sempre nobilissimi coltivatori fra noi; e da questa scuola, quasi letterario monumento che debba rap - presentarla nel suo intero valore, esce ora alla luce l’opera del prof. Carmignani. 04 Se la prima origine di questa scienza non fosse una gloria nazionale della nostra Italia ; se nell’ opera del prof. Carmignani non si vedesse il disegno di un compiuto sistema di dottrine che possono dedursi dai fecondi principj del Beccaria; se trattando le gravissime cose , che saranno l’argomento di questo nostro la- voro, non dovessimo ancora trattare de’ più solenni interessi della società e de’ più augusti dritti del cittadino: non avrem- mo cominciato così dall’ alto il nostro ragionamento, non do- vremmo aggiungere altre considerazioni istoriche a quelle già tatte, e leggiermente toccando le materie fondamentali non vor- remmo eseguire con un rigore tutto scientifico l’intiero esame del libro, che abbiamo tolto a considerare. Ma un uomo a cui la chiarezza del nome è premio della lodata virtù dell’ ingegno; che all’ abito delle investigazioni scientifiche aggiunge il patri- monio di una vastissima erudizione, ed ai meriti della pubblica esposizione delle dottrine, le corone di una pratica luminosa nel foro ; un nomo, che giunto al termine, ov’ è dato alla co- scienza dello scrittore di vedere il riposo di una laboriosa car- riera , rivolge indietro il suo sguardo, e con provido intendi- mento si arresta ; raccoglie in un sistema i risultati di una lunga meditazione e di una illuminata esperienza, e paga il tributo del suo amore alla patria con la pubblicazione della sua opera: un’ opera, che ci si presenta come il testamento letterario di que- sto scrittore; che piena di un sentimento magnanimamente super- bo di alcune glorie nazionali (1) è indirizzata a risvegliarne per tutto il mondo civile le simpatie con la voce della ragione e la solenne autorità dei principii; che straniera ad ogni studio di parte, e contenta nell’imparziale investigazione del vero fra i tanti dissidj che perturbano questa provincia dello scibile , dee produrre una filosofica conciliazione di sistemi, (2) e risolvere un gran problema di scienza e d’arte sociale: quest’ opera e quello scrittore non possono certamente giudicarsi con troppa velocità di mente, nè con disconvenevole economia di discorso criticamente esporsi alla osservazione del pubblico. Noi adunque non diremo i risultati delle discussioni e riflessioni nostre par- ticolari, ma esamineremo : non pronunzieremo sentenze, ma espor- remo le cause dei giudizj nostri: confuteremo le falsità come ne- miche della conosceriza, e Joderemo l'Autore, non come l’uomo col quale da lungo tempo abbiamo comune il sentimento dell’a- (1) Vol. T. Introd. pp. 7-24. 2) Vol. I, Introd, p. 8 seg. 95 micizia, ma come il ritrovatore del vero, di cui luminosamente apparisca la presenza al nostro intelletto nella sua opera. Per- chè non piccioli o privati interessi ne inducevano a dover pren- dere questa. fatica ; ma l’amore nobilissimo della scienza , quello santissimo degli uomini e della patria, il desiderio del bene, la causa della civiltà e del progresso. E quando la vita dell’uo- mo si è trasformata nel pensiero dello scrittore; quando la pen- na di questo, collocata in certo modo fra esso ed il pubblico, e ponendoli in comunicazione fra loro, è divenuta nelle sue mani quasi direi un conduttore della folgore di quel pensiero: allora i suoi tempi sono quelli dell'umanità, la sua parola è quella della ragione , la sua ragione è l’espressione della necessità delle co - se: e in queste necessità hanno i loro fondamenti gli stati, le loro speranze i popoli, il loro superiore e lo spavento loro i ti- ranni, l’ umanità la sua legge, il dritto un impenetrabile scu- do. — Divideremo in due parti il nostro lavoro. Esamineremo nella prima le dottrine fondamentali: nella seconda, il resto dell’ opera del cav. Carmignani. 6. II Storia del passato, e divisamento scientifico dello scrittore. La profonda cognizione del passato è necessaria allo scrit- tore, che, volendo migliorare una scienza, dee intendere le presenti occorrenze di essa, e la legge del progresso , alla quale la sottopongono i destini della civiltà universale: è necessaria al critico, che a giudicare il divisamento scientifico dello serit- tore, dee sapere s’egli intese profondamente la sua missiune e la legge istorica di quel progresso. == Vediamo dunque come il prof. Carmignani fù l’ interprete del passato: come conobbe i de- stini a cui è chiamata la scienza nostra dalla voce della presen- te sapienza. Caldissimo ammiratore e illustre seguace del Beccaria , egli discorre la storia delle criminali discipline dai tempi di quel grand’ uomo fino ai dì nostri; e connettendo le sorti loro con quelle politiche degli stati, e notando la virtù di quello spirito di riforma, che dalla vita sempre più civile dei popoli e dalla moderna filosofia parve diffuso nel campo della legislazione, egli divide in tre classi le opere, che, sorto il secolo decimonono, furono consacrate al perfezionamento dì quelle discipline. Vede il profess. Carmignani nelle opere della prima classe un dommatismo arbitra- gu rio e quasi presuntuoso , e le aberrazioni della fantasia impru- dentemente sostituite al severo studio e alla critica indagine delle cose (3). Nelle seconde non le declamazioni della retorica. non i sogni della immaginazione , ma un certo misticismo ideo- logico, e i lavori di una ragione contemplativa che disprezza le testimonianze dei sensi (4). Nelle ultime quella modesta curio- sità, con cui le scienze osservatrici procedono , e quella critica e quella erudizione , che non possono non accompagnare i lavori , che, come questi, sono destinati all’esame dei libri , delle leggi , e delle antiche e moderne instituzioni dei popoli (5). Questi tre ordini di scritture sono anco riguardati per altri rispetti carat- teristici (6): ma la scissura delle opinioni, e la discordia delle sette è principalmente notata là dove insorgono le questioni del metodo giudiciario ; dove la scienza e la coscienza gli si presen- tano come due nemiche irreconciliabili; dove tuttii sistemi deb- bono in ultimo metter capo e spiegare la loro pratica e relativa efficacia (7). Quì più che altrove vede l’autore rinnuovata l’an- tica guerra fra la scuola empirica e la dommatica, fra i mate- rialisti e gli spiritualisti, tra i fatti e i principii, fra l'istinto - e la speculazione (8). Quì egli vede lo studio intemperante di parte fare abuso dei nomi per denigrare la riputazione degli scrit- tori, o trarre i loro principii a peggior sentenza che non fos- sero concepiti. Quì vede il principio morale, surrogato cieca- mente a quello politico , divenir quasi il dominatore nelle pe- nali materie, e alzare indebitamente il suo tribunale nella scuola dommatica. Pei quali errori potrebbe la scienza nostra retroce. dere ai tempi della barbarie, © dipendere da quel criterio, da cui nell’infanzia delle società era animata la criminale legisla- zione (9). Il lusso di un’inesauribile e onnigena erudizione da lui spie- gato nelle annotazioni a questa sua opera, l’ indole essenzial- mente critica e dottrinale del metodo con cui la scrisse, onde ad ogni nuova questione , e quasi ad ogni incominciar di capitolo sono esaminate le opinioni degli altri (10); il capitolo nono del (3) Vol. I. Introd. p. 10 seg. (4) P. 11. (5) P. 12. (6) P. 13 seg. (7) Pag. 18 seg. pp. 115. 121. 122. (8) P. 20. e lib. 1. cap. 1. p. 32. (9) P. 64. (10) Vedete specialmente i primi capitoli del secondo e del terzo libro. 97 primo libro, dov’ egli mostra il corso del pubblico diritto in Eu- ropa sotto il magistero delle scuole che lo coltivarono (11), co- stituiscono una-specie di supplemento a quella sua spiegazione o ricognizione del passato fatta preliminarmente : e noi vedia- mo da questo complesso di cose com’egli giudicasse le vicissitu= dini della sua scienza, com’ egli le intendesse nel presente or- dine della civiltà, e pel disegno e per l’ esecuzione del suo lavoro. Egli fra tanto movimento d’ingegni, fra tanta moltiplicità di libri, e mostra di opinioni, e contrarietà di sette , e filosofi- ca denominazione di scuole, non trovò cagioni assai splendide sicchè dovesse riscaldarsi di quella fiamma, congratularsi seco medesimo di un grande e reale progresso di quella scienza, crederla nuovamente indirizzata a recare qualche desiderato vantaggio all’ umanità. Egli non apprese che gravi pericoli, da cui debba guardarla il sapiente coltivatore di essa, e si con- sigliò di serbarsi in una severa e fredda imparzialità, sicchè il fumo delle passioni non venga ad ottenebrare il lume della ragione. Riprovò nella scuola analitica una invereconda esa= gerazione di dottrine (12), che tolgono all’uomo tanta parte della sua diguità, e vide nella dommatica applicazione della morale alle penali materie un corrompimento della vera e schietta indole dei loro principi, una confusione di elementi discordi, un cieco disordinamento di cose. Credè suo debito esclu= dere in un modo solenne e definitivo l’ incompetente azione di quella facoltà dalla provincia nostra, e di conciliare il domma- tismo con l’ empirismo per porre nell’intera sua luce la preroga- tiva del principio politico (13): di dare una maggior precisione alla nomenclatura scientifica (14): di perfezionare la teorica dei cri- mivali giudizi: di ordinare insomma tutti questi oggetti in un grande e regolare sistema, conservando all’Italia la gloria della scuola politica già fondata dal Beccaria (15), additando nelle leggi penali della Toscana un esempio di saviezza legislativa, degnis- simo dell’attenzione dei dotti, degnissimo della filosofia del se- (11) P. 134. (12) Lib. I. cap. 9. Vol. I. p. 146 seg. (13) Vol. I. Introd. p. 20. 21 seg. (14) P. 21. (15) Non bisognava peraltro confondere Ja scuola politica del Beccaria con quella antica italiana e del Machiavelli (P. 19). Chi vede in esse una me- desima cosa confonde secoli che hanno differente natura , e guarda più all’ap- parenza che alla sostanza delle dottrine. T. VI. Giugno 13 98 colo, in cui già fu dato all’Europa (16). Lo che, se per una parte debbe equivalere a una nuova e sapiente ricostituzione di que- sta disciplina sulle vere sue basi; dee farlaci vedere per l’altra così costante e invariabile fra le varie forme di governo che le na- zioni possono assumere o comportare nelle varie epoche del loro incivilimento , come universali ed eterni sono i principii sui quali immobilmente riposa (17). Così discorse il passato l’egregio Carmignani nella sua opera: questo è il divisamento che ci rap- presenta il progresso della scienza da lui concepito nelle pre- senti condizioni della civiltà e dello scibile umano. Ponete mente alla gravissima difficoltà del soggetto da lui trattato, ed ai lenti progressi della scienza in comparazione dei tauti scrittori, che dopo il moderno suo nascimento la coltiva- rono : considerate in quali errori essi caddero, le inopportune questioni che mossero ; le vane dottrine dalle quali, furono il- lusi: pensate, dopo queste considerazioni, al divisamento scientifico del n. A. ; e ditemi se io posso non pregiarne il valere, e non ral- legrarmi che la nostra patria debba potere aggiungere questo fregio ai tanti monumenti della sua gloria. Ma s' io dopo questi primi schietties:mi sentimenti ritorno ad esaminare il passato dal Beccaria fino a noi, e vastamente comprendendo nel mio pensiero quelia magnifica deduzione di cose in cui si risolve il corso dello spirito umano per questo spazio di tempo, mi faccio interprete da me stesso delle grandi necessità della scienza nostra, o di quella sua possibile perfezione che debba corrispondere alle presenti condizioni dei tempi ; io candidamente confesso che la pittura istorica disegnata e colorita dal prof. Carmignani non parmi l'in - (16) Pag. 14. (17) « Tenendosi a questa via, può, per quanto io ne penso , sperarsi di dare alle teorie scientifiche del dritto criminale un carattere generale perma- nente ; assoluto , che niuno ha sperato in esse fin qui, essendo stata opinione di tutti, che esse debbono avere una tempra , la quale si adatti ai luoghi, ed ai bisogni delle nazioni,,. Vol. I. Intr. p. 18 e 87.— Vol. 2. Lib. 2. cap. ultimo p.- 412. = E, parlando di quel che poteasi fare per la scienza, così avea dimo- strato il suo animo. “e Altro dunque non resta ad un’ opera , la quale voglia , come nuova , comparire alla luce con qualche titolo di buona coscienza , se non proporsi o di difendere un pregio nazionale , che ella abbia creduto dalle altre o minacciato o dimenticato ; o di sostenere un criterio, ch’ ella creda più vero al confronto di un nuovo , il quale intenda accreditarsi come miglio- re ; 0 di farsi conciliatrice di una gran disputa, la quale divida tra loro gli autori delle opere già pubblicate ,,. p. 7. — Noi abbiamo ordinatamente espo- sto in un solo uspetto , quel ch’ egli uvea detto o fatto sentire in più luoghi della sna opera. 99 tera e spirante immagine della verità delle cose, nè il pensiero della sua opera, dirò così, pienamente consapevole della vita e dei destini di questo secolo. Non basta certamente parlarmi di empirismo e di dommatismo : di declamazioni, o di fantasie, o di visioni idealistiche che possono costituire il capitalissimo vizio di alcune scuole. Non basta mostrarmi l’audacia filosofica e l’in- competenza del principio morale, che ritorni ad oscurare il cri- terio della legislazione, e quindi argomentare semplicemente la necessità di rivendicare i dritti e le prerogative del principio politico. Io voglio intendere tutti quei moti nel sistema della civiltà moderna, e come una parziale manifestazione , come un fruttifero e bello elemento della vita universale d’ Europa. Vo- glio vederli progredire con questa vita, tendere a qualche gran- de e nobilissimo scopo con lei , obbedire a quella nuova legge che l’ umanità abbia dovuto produrre a se stessa con l'esercizio della sua attività sul creato , col concorso delle volontà, con 1’ associazione delle forze , nel commercio. degli interessi , per la comunicazione di tutti i popoli: e che sia presupposta dal sentimento , rappresentata dal pensiero , invocata dalla parola , attestata dalle resistenze , fatale nel corso della natura, giu- rata dalla provvidenza di Dio, la legge del nuovo ordine sociale delle nazioni. Ora quella storica indicazione di oggetti, quella designazione caratteristica delle varie scuole del dritto sono va- ghe , generalissime , incerte, e quasi perplesse ; corpi che ci ap- pariscono fra la caligine , spettri senza verità di colori, e senza distinta proprietà di contorni. Il solo studio di parte , il tristo intendimento di denigrare la fama altrui, avrà introdotti i nomi di materialismo e di spiritnalismo nelle scuole dei pubblicisti ? Non un bisogno più generoso, non un progresso della ragione, non qualche nuova forza sorta a regolare i destini dello sci- bile? Non vedremo noi in quella vicendevole ripugnanza di sistemi che una rinnuovazione della guerra fra la Jonica e l’Italica setta , o il principio morale sarà ritornato a pertur- bare le dottrine della legislazione penale per quelle medesime cause , che ve lo avessero introdotto, con quelle stesse intenzioni con le quali vi esercitava il suo impero innanzi all’epoca del Beccaria? Crederemo noi queste cose? Chiuderemo gli occhi per non vedere gli avanzamenti della civiltà nostra, e la su- prema legge da cui dipendono? Oblieremo noi stessi, per negare l’ incredibile incremento dell’ umano sapere; per non sentire la vivente forza del secolo? Questo dunque bisognava interrogare; 100 questo dovea rispondere: e così chiaramente rispondere alla ra- gione , come un metallo con vigoroso colpo percosso fa chiarissi- mamente sentire la sua squilla alle orecchie dell’ uomo. Tutte le cognizioni presuppongono, come necessario principio per cui sussistono, le leggi naturali ed eterne dell'umano intel- letto: e quando la cognizione dell’umano intelletto è una scien- za , questa allora è la base universale di tutte le altre. Finchè la risuscitata filosofia degli antichi fu la sola sapienza dei no- stri maggiori ; nè gli antichi potevano essere giudicati con li- bertà di mente, nè i moderni godere il patrimonio della cono- scenza come una essenziale proprietà della vita. Ma quando lo spirito umano cessò di cercare in se stesso le testimonianze delle imparate dottrine, e quasi il commentario filosofico dei vecchi libri, e studiò le sue leggi ed i suoi fenomeni per tessere la sua storia ; allora furono gettate le vere basi del moderno sapere, e sorse per l’ Europa l’epoca dell’ analisi, e di una bellissima gioventù di pensiero : ma i vincoli del mondo morale furono intimamente disciolti come opera del passato, e l’ antichità par- ve separarsi e quasi allontanarsi da noi. E allora in quel primo orgoglio della libertà filosofica era necessità nelle menti un su- perbo fastidio delle cose antiche ; e la ragione moderna, scam- biando la sostanza loro con le forme che non aveano più valore per lei, non dovea intendere che se medesima. Sarebbe un errore il non riconoscere ‘nelle ideologiche scuole del secolo XVIII e specialmente nel sensualismo francese questo fondamentale co- minciamento della moderna sapienza , questa radicale separazio- ne del mondo antico dal nuovo , questa forza distruggitrice da un lato, dall’altro creatrice degli elementi primi per l’ ordine della nuova civiltà delle genti. Il diverso genio e sviluppamento, le diverse instituzioni e coltura delle nazioni ; 1’ immensa esten- sione dell’ albero enciclopedico dello scibile; un mondo antico che gravita col peso di molti secoli sul moderno , e questo che di mano in mano si forma e si manifesta seguendo l’ impeto della vita e la feconda necessità delle cose ; tutta questa infi- nita e complicatissima varietà di valutabili oggetti rende som- mamente difficile lo scuoprire il limite istorico che divida quel che propriamente è antico da quel che propriamente è moderno, e sodisfaccia perfettamente alla varia disposizione dei diversi in- telletti. Ma chi non vede da una parte quel vecchio ordine di cose che dee separarsi affatto da noi, dall’ altra la vera civiltà nostra che debbe unicamente vivere del proprio suo spirito ; chi IOI non ha in mente che la filosofia razionale è la base neces- saria di tutte le scienze , che il pensiero è il rappresentatore universale della vita dell” uomo , e che il sensualismo del se- colo XVIII è il vero principio della moderna filosofia, non at- tinta alle classiche sorgenti dei libri, non mista di elementi ete- rogenei, ma uscita vergine e semplicetta dai puri fonti della na- tura, non potrà mai conoscere la moderna istoria dello spirito umano, non potrà intendere la vera legge del progressivo suo corso. Quel sensualismo non era un compiuto sistema di cogni- zioni, ma un solo cominciamento di esse : era bello finchè rap- presentava la prima età della nuova filosofia: avea deriso e su- perbamente conculcato l’ antichità che non intendeva, e presto non dovea più intendere, l’ umanità che progrediva , ed essere disprezzato da lei. Vedete la mano quasi onnipotente che. rego- lava i destini dell’ Europa ; e che facea della guerra un mezzo di comunicazione fra i popoli, mancare quasi per fatale incanto al governo di essi: vedete all’ attività militare succedere uno straordinario commercio di cognizioni: vedete la ragione moderna , ammaestrata da tante lezioni dell’esperienza, avendo intesa suffi- cientemente se stessa , diventando ogni giorno più seria , e più dignitosa, giustificare 1’ antichità, sentire il vizio della presente dissoluzione del mondo morale, cercare con avidità le più solenni verità della vita, percorrere tutta la scala dell’ intima osservazio- ne dell’ uomo, pervenire non con la scorta, dell’ autorità, ma sempre, portata dal. proprio vigore , uegli ultimi penetrali, e quasi nel santuario dell’ anima, dov’ ella celebra i misteri del- l’ esistenza , dov’ ella è religiosa in un primo, e necessario, e ineffabile sentimento del vero. Le dottrine germaniche erano al- lora studiate ed intese , e l’ umanità moderna e l’antichità pa- reano incontrarsi fra loro nel medesimo punto intellettuale : era stato vinto un’ altra volta dalla giustizia il principio esagerato dell'utile, come avea ceduto il sensualismo a più razionali prin- cipii: tutte le scienze morali e politiche pareano animate da un nuovo spirito, e domandavano un nuovo sistematico ordinamento sotto leggi più luminose e comuni, desunte dalle più profonde e vitali sorgenti della conoscenza : un politico rivolgimento di cose diede nn nuovo impulso , un nuovo coraggio alle menti: e (cosa certamente da non potersi approvare in se stessa, ma de- gna della più seria attenzione, chi voglia intendere profonda- mente la storia) un sistema religioso parve essere 1’ ultimo ri- sultato di tanti moti ; il quale, facendo delle cognizioni umane una nuova sintesi teologica , presunse di somministrare a tutte 102 un nuovo criterio come volea rigenerare la vita delle nazioni (18). Ora ponete a fronte di questo filosofico procedimento della ragione quello particolare della scienza nostra in Europa; dopo il libro del Beccaria. L’ epoca di questo grand’ uomo è quella di una vecchia confusione e di una moderna separazione di oggetti e della prima e isolata individualità della scienza. Non dettava egli il suo libro con sistematico divisamento di scuola : non aspi- rava ad essere empirico , com’ è chiamato dal Rossi, nè, come gli fu apposto dal Bentham , si consigliava talvolta d° esser dom- inatico : usava egli le più celebrate dottrine dei pubblicisti per porre su nuove basi la legislazione penale , e non credeva che sopra basi d’ altra natura potesse avere la debita consistenza il bello edifizio da lui felicemente inalzato. Non era quello il tem po della varietà e della guerra filosofica delle scuole , ma del- l’ origine di un sistema : non potea parlarsi di un nuovo e ge- nerale ordinamento della scienza sociale, quando il nuovo mon- do civile era più in potenza che in atto , più nella necessità di esistere , che nel fatto positivo dell’ esistenza : nè potea vera- mente sorgere il pensiero generatore dell’ ordine fra la discordia delle cose e la dissoluzione dei loro vecchi legami, fra il superbo trionfo dei filosofi , e il superstizioso terrore e la cieca e mecca- nica reazione del mondo antico. La scuola analitica del Bentham rappresenta in legislazione il principio sensualistico della moder- na filosofia: ma quella serie di cause , onde questa era fatta sempre migliore , e quasi più grandemente umana , ravvicinava ogni giorno più la politica alle discipline morali; facea viemeglio sentire il vizio di una dottrina che trascura la metà dell’ uomo in valutando la virtù delle leggi, e che scambia spesso i fatti coi principii spiegando 1’ ordine della città ; disponeva , per così di- re, le criminali discipline a ricevere una nuova forma che si- gnificasse la loro proporzione istorica con quello sviluppamento di umanità. Le quali cause erano mirabilmente avvalorate da un sentimento della dignità nostra fatto sempre più universale , da un ardente desiderio del dritto , che facea sempre più rifuggire gli spiriti dalla bruta superiorità della forza , dal bisogno di mi- gliori ordini pubblici e di leggi migliori, dalla efficacia dei fi- (18) ..... «6 De méme, chaque phénoméne a eu sa science , chaque groupe de phénomènes sa spécialité; mais il y aura une science universelle , lien de toutes les sciences spéciales , de tous les phénomènes, donnant à tous une cause et une fin communes ;,. Doctrine de S. Simon ec. Bruxelles 1831. p. 418. 103 lantropici stabilimenti, dalla insufficienza e dalla stessa bontà delle opere già composte , e delle cose eseguite , dalla gara e dalla libertà degl’ ingegni , e da quel naturale impulso , che non gli fa esser contenti finchè non giungano alle più alte e remote origini del sapere. Quindi il principio morale era nuovamente introdotto dov' è il magistero della politica , e non fu creduto che recasse danno al criterio del legislatore penale , perchè so- disfaceva a una grande necessità degli spiriti , parea sottoporre la forza all’ impero della giustizia, annunziava un tempo mi- gliore di società , rappresentava nell’ ordine della scienza un po- sitivo progresso dell’umanità nella vita. Quindi un’opera (19), per mio avviso , o di sbagliate o di non intere dottrine , ebbe una vera importanza istorica , e fu ricevuta con grandi lodi dal pubblico , perchè seppe misurare col pensiero un passo che faceva il secolo per la sua via (20). Quindi la scuola empirica ebbe a fronte la scuola dommatica , e lo spiritualismo fu riputato tanto più per- fetto del sensualismo, quanto le nuove dottrine aveano maggior convenienza con la presente disposizione degli animi. Ma non era questa la guerra fra la italica e la jonica setta: non erano queste le intenzioni di chi voglia, per parlare un’ altra volta con Dante , calunniare la verità, o nuocere all’ altrui fama con l’ odioso privilegio e quasi con l’ insolenza dei titoli. Era quello un tempo di transizione , un giudizio sul passato, e un vatici- nio dell’ avvenire ; era la manifestazione solenne di un gran bi- sogno dell’ umanità , la quale cercava nelle canse delle più alte e nobili simpatie le viventi forze di una nuova organizzazione so- ciale , la fine de’ più tremendi suoi mali , la legge dell’ ordine , l’ ordine della universale giustizia , 1’ armonia , la felicità della vita. E a questo grande bisogno si argomentarono di provvedere quegli arditissimi uomini che vollero essere i nuovi maestri, i rigeneratori delle nazioni: dei quali se non possiamo approvare il religioso divisamento , dobbiamo storicamente valutare il siste- ma scientifico. Perchè in questo tu vedi un’ altra volta i destini dell’ uman genere governati da una sola e medesima legge , e le scienze tutte informate e vivificate da un solo e comune princi- pio : tn vedi le religioni nuovamente considerate come l’ organo della generale associazione degli nomini , e il criterio delle leggi penali un’ altra volta sotto 1’ impero della morale o del principio teocratico , come già lo vedemmo essere ai tempi del Beccaria. (19) Traité de droit pénal par P. Rossi. (20) Dante nel Purgatorio. 104. Singolarissima corrispondenza di cose! che rende la più luminosa testimonianza alla storia dello spirito umano da noi superior- mente discorsa ; che spiega le ragioni per le quali cominciammo così dall’ alto il nostro ragionamento ; che mostra la vera posi- zione della scienza nostra nell’ ordine della civiltà universale ; che fa intendere allo scrittore la legge istorica del suo progresso; che ci fa, malgrado nostro , concludere che quella legge non fu pienamente intesa dal prof, Carmignani. L’ autore sentì la necessità di separare la morale dalla po- litica, ma non distinse i tempi del Beccaria dall’ età nostra , nè osservò il vivente corso della morale nelle nazioni, consideran- dola come un principio organizzatore della vita sociale. Parlò delle religioni, ma non vide abbastanza neppure in queste 1’ ef- ficacia di quel principio , o non lo valutò che nelle società pri- mitive , o ne’ periodi della comune ignoranza e della barbarie. Intese alla perfezione della sua scienza , inalzandola al di sopra di tutti i luoghi e dei secoli e dei governi : ma non parve ricor- darsi quanto facea di mestieri , che tutto attesta , tutto dimostra nella storia dell’ uman genere la perpetua dipendenza della le- gislazione dalle condizioni morali degli uomini che fanno , o pei quali son fatte le leggi, e dalle sorti dei popoli, e la necessa- ria proporzione delle dottrine coi vari tempi della civiltà progres- siva. Non considerò forse quanto era richiesto , che se il delit- to è il dato fondamentale della scienza nostra, le pene sono uno stromento dell’arte politica nelle mani del legislatore ; se quella è ferma ne’ suoi principii , questa dee proporzionare i suoi mezzi alle varie circostanze fra le quali è costituita , e desumere la ragione e la virtù dei primi dalla mutabile natu- ra delle seconde; e se il delitto non avrà disgraziatamente mai estinta ogni causa nella società e negli umani individui, potrà divenire così raro, o essere un male così leggiero, da rendere af- fatto inutili i severi provvedimenti della politica. Ed avrebbe anco potuto non affatto inutilmente riflettere che, facendosi della scien- za un’astrazione così solitaria per cercare la sua perfezione assoluta, si corre rischio di cangiarla in parte in una bella uto- pia dov’ è l'eternità del pensiero, ma non sempre efficace nel tempo e fra le nazioni, o di perdersi in un dommatismo superbo, a cui debba perpetuamente uniformarsi la mutabile attività della umana natura nelle sue infinite trasmutazioni e vicissitudini. Nè per questo rechiamo a vizio della sua opera i pericoli ai qua- li egli l’espose , e dai quali avrà saputo certamente guardar- la un uomo di tanta esperienza e dottrina, un uomo che so- 105 prattutto volea renderla utile per la pratica , e che, ponendo in giusto discredito le visioni idealistiche, si consigliava di dover es- sere il conciliatore dell’ empiriche dottrine e delle dommatiche. Ma noi stimiamo che fosse principalissimo debito dello scrittore il considerare che, se l’epoca del Beccaria fu quella della prima e isolata individualità della scienza, il presente tempo dovrebbe es- ser quello della sua perfezione individuale nell’ ordine. Ch’ egli dovesse cercare, e riconoscere finalmente quest’ ordine in una nuova e splendida rigenerazione dell’ intera scienza sociale, e ri- guardare tutto il precedente corso dello spirito umano, tutti i presenti moti degl’ ingegni , come una necessaria preparazione a questa grand’ opera. Ch’ egli dovesse riputare la sua scienza come una parte integrante di quel sistema, sentirla piena di questi alti destini, indirizzarla a quel sublime suo scopo ; trasfonderne il sentimento nell’ anima dei lettori , scrivere un libro che fosse un elemento , una forza del nuovo mondo civile, non un eco dei passato , non una dotta interpretazione e testimonianza del mondo antico. Noi abbiamo parlato abbastanza di quel che il N. A. avreb- be dovuto o potuto fare : vediamo ora quel ch’ egli ha fatto. Ri- salire alle origini delle leggi: separare la morale dalla politica : conciliare 1° empirismo col dommatismo , il fatto della forza con la ragione del diritto: trovare e somministrare in tal guisa alla forza stessa il titolo del suo legale esercizio: ecco i primi oggetti delle sue scientifiche indagini, ecco la conseguente materia del nostro esame. 6. II. Diversa origine delle leggi: vizio logico delle dottrine preliminari. L’autore, scrivendo una teoria delle leggi della sicurezza so- ciale, vede nella legge il capitalissimo oggetto di cui egli debba primieramente occuparsi: ed elevandosi con l’intelletto al più alto punto, a cui stimasse possibile di pervenire, osserva le leggi nel sistema muiversale degli esseri. Là egli vede che uzto tende a prosperare ed a conservarsi: distingue perciò i moti di prospe- rità da quelli di sicurezza : ne discorre brevemente la serie nel- l’ attrazione e nella ripulsione, nell’ affinità e nella ripugnanza che si scorgono nella inorganica e bruta materia , e nell’ unione e nella fuga degli animali; e trova in tal guisa la legge primi- T. VI. Giugno 14 106 tiva e fondamentale della nostra socievolezza uelle ‘istintive ne- cessità della umana natura (21). Ma se l’effetto il più generale e costante delle relazioni di prosperità , e de’ moti che esse pro- ducono , è nelle umane società l’ ordine, non è da dire però, che il disordine sia impossibile , e che non nasca , e non abbia la sua radice in quei bisogni medesimi , che rendono all’ uomo la società necessaria per sodisfarvi ,. (22). Quindi la necessità di un principio producitore dell’ordine, e diverso dalla natura sen- sitiva. dell’uomo, da cni que’ moti dipendono ; di un principio combinatore per sè stesso , il quale trovasse le regole .dell’ ot- dine nella sua natura medesima: nè questo principio fuori della umana ragione poteva trovarsi (23).... Laonde { parla sempre l’Autore ) il bisogno di provvedere alla sicurezza , cosa o di opi- nione o di fatto, e in verun modo razionale o scientifica , fu il vero e primo creatore delle leggi sociali. — La ragione umana dovette allora elevare al grado di diritto quel che le sole forze della sensitiva natura , o colla creazione delle persone , o colla industria delle cose (24), divenuti mezzi di privata prosperità , aveano già prodotto , e guidar le forze sociali alla perfezione di questo dritto contro l’ astuzia e la forza di chi, volendo rom- pere questo nuovo equilibrio, si dichiarava nemico dell’ altrui sicurezza. Nè ciò l’ mmana ragione poteva ottenere se non pro- clamando come leggi le relazioni di sua creazione , nelle quali questo nuovo equilibrio. fondavasi. Or queste relazioni o come oggetti di contemplazione , o come scoperta dello spirito umano poterono essere da lui in varia maniera considerate. O indipen- dentemente dai bisogni e dui fitti, dai quali nella loro origine prima nella mente umana eran nate , come le relazioni di quan- tità possono essere affatto estratte dai corpi, ai quali sono ine- renti, divenendo idee capaci di star per sè sole, e di dare nelle loro diverse combinazioni un ordine su cui la mente si appaga : o come dipendenti sempre dai bisogni e dai fatti che ne avean (21) VI. I pp. 39; 40, 42. (22) P. 44. (23) Pag. 47. (24) Non si comprende assai chiaramente come ]’ industria umana possa svi- lupparsi con le sole forze della sensitiva natura ; distinta dalla ragione , 0 non aintata naturalmente da essa. Quì ed altrove |’ uomo è considerato per, metà , e si procede per astrazioni che non rappresentano la verità delle cose. Non è questo il luogo di fare la storia dell’ uomo sensitivo e pensante : ma tutti ves- gono che una necessità primitiva d’ intelligenza, una ragione istintiva, è così na- turale nell’ uomo come la facoltà di sentire, 107 prodotta la necessità. Di guisa che , rispettato sempre in questi fatti e in questi bisogni il voto della natura nel progressivo svi- Jnppamento dell’ numana sociabilità , le combinazioni di sicurez= za, divenute dettami della ragione , non perdessero mai cosa al- cuna del loro pratico oggetto, e; anzichè idee di quantità facili troppo a isolarsi dai corpi ai quali si riferiscono, fosser piutto- sto idee di qualità che dall’ indole dei corpi; ai quali appar- tengono, non possono dividersi mai; onde il loro ordine, se da quello della natura sensibile si allontani troppo , urta troppo la realtà delle cose , la cui cognizione più dal retto uso de’ sensi che da quel della ragione dipende. «= Le leggi prime emanano dallo speculativo raziocinio dell’ uomo: le seconde , dal; pra- tico 3) (25). Prima di parlare di queste diverse leggi, parliamo della du- plice sorgente da cui derivano; dalla quale se per caso non'fos- sero scaturite le ‘pure onde del vero , anco il campo che. ne fu iniigato non potrebbe darci il frutto della scienza di cui ora ab- biamo bisogno. Il raziocinio speculativo converte adunque /e;re- lazioni in idee, le quali di per sè stanno indipendentemente dalle cose medesime : dà a queste idee un impero assoluto su i fatti : le ammette come tesi. e come ipotesi le società: lo diresti un con- quistatore , il quale invadendo un paese non concedectitolo di le- gittimità se non alie leggi ; ed agli usi ch’ egli vi porta», quando pur si trattasse di farli regnare nella solitudine ;.in cui questa pretensione fosse per convertirlo. Il raziocinio pratico non! abban- dona mai l’ istinto ed i bisogni dell’ uomo , lo considera; non nel- l'individuo, ma nel'a specie : indirizza le leggi alla convenevole sodisfazione di quei bisogni; avendo sempre nella società V uni- co oggetto del proprio studio : ed è proprio il coltivatore che per- feziona il suolo alle sue cure commesso (26). Amici , come noi siamo ; dell’ ordine e della pace ./non do- vremmo esitar lunga pezza a seguire le parti di questo-secondo raziocinio e più condiscendente e più mmano : ma un primo mo- vimento simpatico può talvolta esser cagione di errore} è noi dob- biamo saviamente ‘resistere a questa prima inclinazione ‘del sen- timento. Laonde domanderemo all’egregio uomo ; di cui ci è forza combattere le opinioni : e cos’ è egli dunque quel vostro tazio- cinio speculativo ? Che sono le dottrine che derivanò'dalle' sue fonti inte'lettuali ? Se il primo concepimento di quelle'‘sué'idee i anti : (25) Cap. 3 p. 54 segg. (26) Cap. 3. p. 56. 108 presuppone certe relazioni da esso scoperte fra le cose che non sono in lui, egli dunque ammette qualche non so che di este- riore, a cui debba perpetuamente riferire le sue operazioni, di cui debba spiegarmi la natura ; della cni natura o valore debba farmi razionale misura o rappresentazione l’ ordinamento di quelle idee. Ma s’ egli, nel tempo stesso che riconosce questo non so che di esteriore , lo vuo] sottoporre all’ assoluto suo impero , io non saprei sufficientemente comprendere com’ egli in verità possa farlo con buona coscienza filosofica. Perchè s’ egli comincia da quelle cose esteriori , egli dee chiamarle antecedenti a quelle sue idee , e s’ egli le chiamerà antecedenti; come potrà credere in buona fede alla sua indipendenza da quelle cose, come potrà dire le sue /eggi anteriori all’ ordine di questi oggetti , da cui dedusse i primi elementi delle sue dottrine ?_ Eppure egli lo fa : forse senza saperlo : ma evidentemente lo fa ! Perchè l’ordine ra- zionale delle cose è quello delle loro cause ed effetti, o della necessaria loro progressione : e dove una di queste sia posteriore ad-un’ altra in quella loro serie continua ; ella dipenderà. sem- pre da essa , non che potesse mai averla sotto il sno impero. Non bisogna certo confondere i pensieri dell’uomo con gli oggetti del mondo esteriore : ma questo non è il luogo di spiegare le. ori- gini della conoscenza ; e a tener salda quella legge razionale dei tempi con cui procede l’ ordine delle idee, basterà 1’ osservare che dove il nascimento e il valore. di un’ idea presupponga sem- pre ‘nella mente dell’ uomo un oggetto del mondo esteriore , al quale si riferisce, e senza del quale non possa intendersi, ella sarà sempre posteriore all’ oggetto, e dipendente da esso. Avreb- be dovutovadunque farci sapere questo raziocinio speculativo con qual dritto scientifico ammette come tesi le sue idee e come ipo- tesi le società: egli che non fece aperta professione di un asso- luto idealismo, che non partì da un fondamentale principio in cui. potessero. aver consistenza le sue ragioni, che non esaminò la questione. astrusa , infinita; capitalissima della necessaria an- teriorità: dell’ idea alla materia o della materia all’ idea , che ri- mase incerto fra queste due cose., e, come sono. tutti i filosofi, dubitativi , quasi sospeso in un limbo scientifico ; , talchè non puoi veramente dire s’ egli sia il materialismo dello spirito ,,0.lo spiritualismo della materia.,, Ma è senza dubbio una, fallacia,, una mostruosità , un diavolo filosofico di far paura alle menti, che , come l’ Alighieri con la divina Beatrice , cercano il para- diso della sapienza : se non debba dirsi uno di quei cattivi — A Dio spiacenti ed a’ nemici sui . Quel raziocinio adunque è 109 un raziocinio falso, cieco, indeterminato, vero ermaftodito in> tellettuale , che non conosce. metodo scientifico,, che non può produrre scientifici risultati, che non è degno che un dotto uo- mo ne faccia il soggetto delle serie. sue, occupazioni. Queste sole. considerazioni ‘avrebbero potuto. indurre gravi sospetti nell’ animo del N. A. su quel suo raziocinio ; del quale non so in verità quanto dovessero parer contenti quegli stessi scrittori, i cui sistemi scientifici egli vide uscire, da. questa nou troppo felice sorgente. Distinsero., come.tùtti sanno ;. gli antichi, le cognizioni pratiche dalle teoriche: e il pratico e lo specula- tivo intelletto ,sono cose conosciutissime dagli scolastici (27). Ma volendo prescindere da ogni altro rispetto, e tosto sentire,la sem- plice verità delle cose, basta solamente riflettere che la specu= lazione è lavoro essenzialmente scientifico ; il, ragionamento pra- tico «è della vita. Può la mente umana sollevarsi, alle più uni- versali. e sublimi contemplazioni del. vero e stimarsi finalmente contenta in quella dell’ assoluto; malla diversità degli oggetti, il grado più o meno elevato della loro. \indole spiritale non can- gia l’ essenza dell’ operazione :. e speculare sarà sempre un, voler conoscere la. verità, mn vederla, uti contemplarla nell’ ordine dei pensieri che la rappresentano all’ iutelletto com’ è nell’.or- dine, delle cose. E questo è il debito ,. questo. il valore.}, questa la facoltà della scienza. La quale non produce nulla. che debba es- sere arbitrariamente nuovo o diyerso da ciò, che, ella considera : passa dalle fuggitive apparenze all’ occulta, virtù delle cose), e dagli effetti alle. cause, e alle forze prime e alle. costanti leggi di cui tutto questo dipende: ma ella studia, riconosce,, spiega, l’ ordine delle cose; non ilo crea da sè stessa o, lo crea stimando d’imitar la natura:, e d’ interpretare quell’ordine : ella presuppone sempre qualche cosa di anteriore e d’ indipendente dalle sue ope- razioni, a cui queste debbano conformarsi: re può ben credere posteriore allo spirito la materia, può assoggettare il ‘mondo este- riore alla prepotente tirannia del pensiero; ma ella dovrà. allora, ? (27) Et huic sententiue contordat''Averrois în Comento super iis , qudei de anima :potentia enim; intellectiva , de qua \loquori yv'non solumbest ad;fonmas unioersales , aut specìes ,;.sed et per quandam, exterisionem ad -particulares. Unde solet dici, quod intellectus speculativus extensione fit practicus ; cujus finis est agere atque facere : z quod dico propter agibilia, quae politica pru- dentia regulantur, et propter factibilia, quae regulantur arte. Quae omnia spe- culationi ancillantur , tanquum optimo , ad quod humanum genus prima bo- nitas în esse produxit. ,, i Dante, de Monarch. lib, L 110 dedurre da questo le sue dottrine , elia avrà sempre fuori di sè . cioè fuori del presente centro deil’operazione scientifica, ‘qualche cosa da speculare , ella dovrà esserne la fedele misura . non fal- sificarne il valore nell’ atto delle sue percezioni o nelle combi- nazioni delle sue idee , non farla indebitamente dipendere dal- l’ illegittimo impero di esse. Tal è il raziociniv speculativo 0 scieitifico: L’Autore volea scuoprire nella mente umana le prime'origini dell’ empirismo e del dommatismo ; vo'ea dedurre dai più ‘alti principii il suo sistema scientifico : ma egli preoccupato da que- sta sua idea fece servire ad essa l’ indipendente verità delle co- s:, e, anzichè vrivelarci una eterna legge della ragione, non fece in sostanza che considerare nell’ intelletto 1’ empirismo stesso ed il dommatismo e di riprodurli sott’ aitra forma e con altro-nome, parlando di quel suo duplice raziocinio. E così trascorrendo in più errori fece infelice uso di bellissime coguizioni , e un grand’'a- buso d’ ingegno ; confuse le'scienze coi soggetti loro ; e le ‘idee con le cose ( errore, da cui non sanno guardarsi i più canti), ed espose i lettori al rischio di perdersi nelle più gravi illusioni; ove il lume della critica filosofica non sorga ‘a ‘dissipare questi fantasmi. Ma scoperto il vizio e riconosciuta la vera indole di quel suo duplice raziocinio, noi abbiamo i necessari argomenti per iscoprire ‘anco il vizio logico di queste fondamentali dottri- ne , noi abbiamo il filo per uscire dal labirinto , in cni egli c’in- trodusse senza saperlo. Proviamo la verità della colpa con la te- stimonianza dei fatti; ma solamente perchè altri abbia una pri- ma norma per un giudizio più pieno e più ‘universale. Le leggi divine ( egli dice ) e quelle della morale , il dritto di natura e ‘quel delle genti emanano dal raziocinio' speculati- vo (28): e queste leggi debbono dirsi assolutàmente morali (29), comè quelle, che dal pratico raziocinio derivano, debbono assolu- tamente ‘dirsi politiche (30). Ma se il raziocinio ‘speculativo ( io concludo ) ‘è un lavoro della mente affatto scientifico , le leggi morali, che ne derivano, non altro dunque saranno che le grandi verità delle scienze, della religione, della morale, del, dritto di natura:;. e di que) delle genti. Lo che non potremo dire: delle leggi politiche ; perchè dalla foute loro non viene la scienza , e queste produzioni del pratico raziocinio' saranno fatti leglslativi, (28) Lib. I. cap. 4. Mo (29) Ivi p. 62. (30) Cap: 5 p. 70: JII nobilissimi. soggetti di cognizioni, ma non saranno la scienza stessa: non quella del diritto pubblico , non quella della sicu- rezza sociale, non quella del civile diritto. Precisamente come il libro del prof. Carmignani; ch’ è un lavoro scientifico , non è opera, appunto per questo, del pratico raziocinio. Ed egli cercò il vero nella natura dell’ uomo e degli ordinamenti politici, e lo volle far conoscere al pubblico: parlò dei grandi oggetti della legislazione penale: ne coutemplò 1’ ordine necessario per inten- derne filosoficamente il valore : e così potè darci nna scienza. Ma egli non fece il legislatore , non protesse con la sua opera la pubblica sicurezza , non i dritti privati. Ora non sarei estrema- mente ingiusto, non sarei anzi sommamente ridicolo, se dalle sue dottrine scientifiche domandassi la difesa interna della città? Se dalla impotenza loro a proteggerla argomentassi un vizio nei loro principi, e volessi farne carico allo scrittore? Ma udite di gra- zia queste parole “ Ma se l’ uno o l’ altro sconcerto avvenisse ; ( parla di sconcerti nella società per abuso di forza ) il dritto di natura non avrebbe nel sno razionalismo mezzi per riparar- vi ,; (31). Che scriveste mai, egregio prof. Carmignani ? 0 che volete voi da una scienza ? Ch’ ella si armi splendidamente co- me l’Asamennone Omerico , e vada a combattere in difesa del- l’ordine e della giustizia? Qui voi parlate di un sistema di co- gnizioni , e ne parlate come se fosse una forza vivente della na- tura. Ma questo dritto che voi non vedeste che nelle astrazioni o vei libri ; questo diritto che, prima di essere inteso dalla ra- gione e risoluto e misurato in idee , era certissimamente fra le necessità della vita ; questo dritto rimane eterno fra queste ne- cessità, e non manca mai in un modo o nell’ altro, ora prima ‘vra dopo, alla giusta difesa o protezione dell’uomo. E se voi ces- serete di riguardarlo soltanto in quella regione idealistica nella quale, come diremo meglio in appresso, fu da voi, certo con non troppa cortesia, confinato; se da quello stato di scientifico monachi- smo lo lascerete ritornare dov’ è la frequenza ; ed il fuoco, e la perenne mobilità della vita, e dove primitivamente fu nato ; voi vedrete con quanto animo, con quanto valore, con quanta effi- cacia saprà difendere le sue ragioni, e combattere generosamente contro la forza; finchè questa non abbia conculeato le più sante leggi della natura , offuscato vell’ uomo tutti i lumi dell’ intel- (31) Gap. 5 p. 66 e p. 62 63 67 79 103 ee. 112 letto, estinto la coscienza; annientato nelle anime di tutti quel sentimento di moralità e di giustizia che v infuse il soffio ‘crea- tore di Dio. Ma. vogliamo noi chiaramente conoscere quella mostruosa confusione dell’ idea con la cosa, ch'è il principio capitalissimo di ogni errore negli umani ragionamenti , e della quale potrei mostrarvi infiniti esempi nelle opere le più celebrate s’ io le as- soggettassi ad un analisi rigorosa ; volete , dico , chiaramente co- noscere questo vizio logico , da cui non fece immuni le sue dot- trine il cav. Carmignani ? Si legsa le altre parole , che immedia- tamente sieguono dopo quelle trascritte. Conciossiachè a re- primere una forza , 0 un fatto qualunque che lo ha violato (che ha violato quel dritto) il rimedio non può nascer da una giustizia che non è più (32), e che, se stata fosse sufficiente a riparare alle pre- senti sconfitte, avrebbe avuto mezzo di tenerle lontane, impedendo che avvenissero, ma è necessaria una forza di previsione, la 'quale si spieghi per modo , che la giustizia , contenta di sè medesima , ma impotente a proteggersi , non sia sovvertita. Questa forza di previsione non può desumere la sua indole e le proprie combina- zioni dagli speculativi principii del gius di natura , i quali si contentano d’ esser le basi della giustizia, ma dee desumere l’una e le altre dalla prudenza , chela pratica indole delle umane pas- sioni e de’ bisogni dell’ ordine sociale consiglia ,,, Notate bene, o lettori, infelice rimescolamento di cose! Il dritto di natura (32) Da qual parte vedete voi cessare questa vostra giustizia ? Se da quella dell’ offensore , voi direste cosa che ha senso , perchè l’ offensore conculcò le ragioni , o la legge del dritto con la sua violenza. Ma voi la vedete cessare dalla parte dell’ offeso , dal quale non saprei certo indovinare cosa possiate preten- dere. Ma egli o si difenderà, o sì porterà in pace l’ offesa. Se si difende , egli usa debitameute, giustamente, il suo dritto; se si lascia offendere senza far nulla, sarà egli un timido, un pusillanime, un vile; un uomo ingiusto non mai: nè la sua viltà sarà lo stesso che una cessazione della giustizia. E quando le leggi penali non giungono a reprimere col terrore la volontà del facinoroso , ed egli offende la sicurezza sociale , a che serve ella mai quella vostra forza di previsione? Potrà ella far sì che il delitto non sia commesso, che la giustizia, per dirlo con le vo- stre frasi , non abbia cessato di esistere ? Facta infecta fieri non possunt. — Nasce l'errore dal non vedere il dritto che nelle idee , e dal dovere nel tempo stesso, per l’invincibile necessità delle cose, considerarlo nelle vicissitudini della vita. Onde l’idea è inevitabilmente confusa con la cosa (perchè altrimenti non avrebbe valore alcuno ), il dritto è confuso col fatto: e il N. A. li volea con tanto studio distinti l’uno dall’altro! Vedete quel ch’ egli disse nel lib. 2. cap. 2. vol. 2. p. 20 28. 113 concepito dal N. A.è un dritto ideale (33), un dritto puramenté; scientifico : e noi qui lo vediamo violato dalla forza; e, quel ch’ è più siugolare , auzi inconcepibile affatto , cessar di esistere (una giustizia che non è più ) dopo quella violazione certo mi- racolosa. La vulnerabilità delle idee ( dalla novità del fenomeuo viene il bisogno della novità dei vocaboli ) fn cosa finquì impos- sibile sopra la terra: e sarebbe questa la più importante sco- perta di cui dovesse menar tripudio la forza , la quale allora col filo della spada saprebbe facilmente distruggere 1’ invincibile ne - cessità dei principii. Ma I’ Autore parlava in questo luogo di fatti materialissimi e positivi,e ne confondeva inavvertentemente il valore con le scientifiche nozioni del dritto: parlava di una giustizia che più non è dove fu la scelleraggine della forza, e ne parlava come di un morale principio. che in verità sarà sempre eterno ed invul- nerabile. Dalla quale falsità di concetti nascevano le stranissime cose ch’ egli non vide. Perchè in questa posizione di oggetti da lui presupposta , e non pienamente intesa , il dritto protettore dell’ uomo è solamente nei libri o nelle dottrine scientifiche , e per questo è impotente a proteggerlo : la vita rimane aduuque senza quell’implicito dritto che debba recarsi in atto e mani- festarsi per l’ impeto della offesa natnra , perch’ egli non è che in idea : e a questa idea si fa debito di nun aver saputo difen- dere 1’ umanità , e si crede distrutta per la violenta brutalità della forza , quando era sicurissima ed immortale nelle verità della scienza: Ed ella s° è beata e ciò non ode! Esempio, che mi dispensa dal riferirne più altri, sicchè lumi- nosamente s’ intenda il vizio logico di quella mostrnosa confu- sione dell'idea con la cosa, delle dottrine con la materia discor- sa, dal quale non so quanto felicemente saprà guardarsi il volgo degli scrittori, quando lo veggo così fecondo di errori nell’opera di un dottissimo uvumo, com’è l’autore di essa. Costretti dalla necessità delle cose a considerare le /eggi morali ch'egli vide nascere dal raziocinio speculativo quali oggetti essenzialmente scientifici, e quindi non potendo noi ‘collocarle in una medesima serie con le leggi politiche , non sappiamo inten- dere com’egli abbia potuto ragionevolmente immaginar questa serie, e in questa progressione di cose far posteriori queste /eggi politiche a quelle scientifiche verità (34), e credere incominciato (33) P. 104. (34) « La interna economia di queste leggi diverse ( politiche ) ha i suoi T. VI. Muggio. 15 114 l'ufficio del raziocinio pratico dove lo speculativo si arresta. Que- sto modo di contemplare e di ragionare le cose ci fa finalmente comprendere ch'egli non vedesse in quelle /eggi morali che le pra- tiche massime , che i pratici precetti , che il nativo sentimento della religione, della morale, del dritto e della giustizia (35). Ma ciò non toglie le mostruosa confusione di questi oggetti con le dot- trine scientifiche che ne dimostrano l’ ordine e la natura , e la principj , i quali, rivolti ad oggetti ignoti al raziocinio speculativo , muovono di là dove esso si sofferma impotente a progredire più oltre ,, ec. cap. 5. p. 70. (35) « Le leggi (egli scrive in un altro luogo) considerate non come re- gola di condotta per gli uomini, ma come oggetto di scienza, assumono il nome di dritto (cap. 6. pr. pag. 71) ;,- Ma le leggi morali non derivarono, com? egli ha già detto, dal raziocinio speculativo? Non sono elle dunque, si voglia o non si voglia, si creda o non si creda, oggetti scientifici? E se già essenzial- mente lo sono, che bisogno hanno di essere nuovamente considerate come og- getti di scienza? Egli dunque le considerò allora come semplici regole di con- dotta. Ma in questo caso non debbono essere verità scientifiche, non debbono perciò necessariamente nascere dal raziocinio speculativo. Sono verità pratiche, conosciutissime a tutti, non dedotte le une dall’ altre per una serie continua; non intese in questo loro ordine filosofico ; non insomma scientifiche cognizioni di un sistema di cose: ma sono propriamente regole, massime, principii deter- minatori e regolatori della volontà e della vita, applicabili secondo la varia con- tingenza delle occasioni e che possono stare separati gli uni dagli altri. == « In questa categoria (egli continua) non si comprenduno nè le leggi divine, nè le leggi della morale, come quelle che stabiliscono più doveri che dritti... ,, Bella, bellissima in verità! Nonassunsero elle queste leggi il nome di dritto, perchè furono considerate come oggetti di scienza? Ed ora lo assumono perchè pre- , scrivono più diritti che doveri! Lo che in sostanza vuol dire che assumono il nome di dritto, perchè l’ oggeito loro principalissimo è il dritto. Come chi di- cesse, che il bello è bello perchè è bello: il buono è buono perchè è buono! E già lo dicea Platone; ma con altro altissimo intendimento. Fatto è che tutti questi ragionamenti son falsi, quasi tutte queste spiegazioni o distinzioni di 0g- getti, sbagliate. E duolmi di dover distruggere questi errori quando è questione del dritto — del dritto! — Quelle leggi non prendono il nome di dritto perchè o quando sieno considerate come oggetti di scienza; non perchè prescrivano più dritti che doveri: lo che sarebbe una certa nuova battologia ( Montibus illis erant, et erant in montibus illis): ma perchè hanno la loro base nella giustizia; perchè ne spiegano e ne rappresentano l’ordine e il magistero nella generale economia degl’ interessi sociali; perchè si collegano con un sistema di mezzi, i quali ne assicurino l’ adempimento nella interna vita della città; e ne difendano le ra- gioni fra popolo e popolo. Nè per questo è da confondersi la nozione di legge con quella di dritto: nè io posso in questo luogo dichiarare la differenza di queste due cose. Ma chi ha mente, e di Lieve favilla sa far nascere molta fiamma, (Lieve favilla gran fiamma seconda) vedrà in questi cenni un filosofico fonda- mento per intendere il vero spirito delle leggi, Ed altre cose che il tacere è bello, Uome bello il parlar, se tempo il chiede. 115 falsità del principio da cui si vollero derivati. Ciò non distrugge il gravissimo errore di fare anteriore la speculazione al pratico pensamento dl vero nell’universale progressione e sviluppamento dell’umanità, sconvolgendo in tal guisa tutto l'ordine della vita, e rendendone impossibile la cognizione. Ciò non impedisce che tutta quella parte di vita, che non è governata dalle leggi politi» che ci comparisca positivamente priva di religione, priva di mo- rale , priva di dritto nell’ atto stesso che ci viene rappresentata come sottoposta solamente all’ impero di queste /eggi morali; e ci comparisca tale , perchè a tutte quelle leggi non fu dato che, un’entità razionale, un valore affatto ideale e speculativo. Non impedisce finalmente che tutto il campo sociale ; soggetto alle leggi politiche, ci comparisca del pari privo di religione, pri- vo di morale, privo di giustizia e di naturale diritto, perchè tutte queste santissime leggi, tutte queste forze morali della umana natura furono solamente vedute al di là del confine, don- de comincia l’impero delle leggi politiche : e furono solamente vedute al di là di quel termine, perchè non furono considerate che come idee, o semplici esistenze scientifiche. Laonde l’ uma- nità parve che restasse di fatto senza religione , senza morale , senza dritto, e la società affatto in balìa della forza. Quasichè dov’ è l’azione delle leggi politiche. non fosse per necessità anco quella simultanea delle morali; quasichè il dritto politico, non per meccanismo d’idee, non per l’artificiose combinazioni delle dottrine, ma per questa medesima necessità, ma per legge della vivente natura non dovesse avere un’intima unione col naturale diritto, non dovesse in parte supplirlo , in parte rappresentarlo nella sapiente economia della vita sociale , e potesse apparir la forza nel vero ordine della città senza legittimo nascimento, vale a dire senza esservi introdotta dalla giustizia ; quasichè vi potes» sero essere governi fondati sulla semplice forza , cioè divisa af- fatto dalla ragione, o ia giustizia, riconosciuta una volta come misura razionale degli umani ‘interessi nella reciprocità della vita, e quindi come la prima legge sociale, e divenuta un | giorno una morale necessità nella persuasione di tutti, com’è una primitiva necessità nel seno della natura, non dovesse finalmente vincere tutte le forze contrarie ; e risplendere puris- sima e luminosa dopo l’orrore delle tempeste, quasi stella che guida l’umanità al sicuro porto della salute. Tutte queste stranissime cose, come non furono mai nello spirito dello scrit- tore, del quale dovemmo impugnare i principii, così ora gli paranno affatto incredibili: ma elle dipendono , elle necessaria- 116 mente derivano dalla natura de’ suoi discorsi, e dal suo modo di conside are filosoficamente gli oggetti. Ed io dovetti , mio mal- grado, trarle fuori da. quella specie d’ inviluppo in cui erano impensatamente nascose più per provvedere alla logica delle scien- ze , che a’ più sacri interessi della società, i quali occuparono certamente un principalissimo luogo nella mente del prof. Car- mignani. — Risponderà egli forse che quelle sue leggi morali non furono da lui riguardate, che come regolatrici degl’ indivi- dui, e così poste di fronte a quelle della città? Ma non senti- rebb’ egli oramai la vanità di questa inefficace risposta? La quale non è in sostanza che un’astrazione, o si fonda sopra un’astra- zone, fondata anch’ essa sopra mere cognizioni ipotetiche, E se fra quegl’individui dobbiamo comprendere le nazioni , e il gius delle genti è la Zegge morale a cui elle obbediscono o dovreb- bero obbedire, non vedete che ciascuno di questi individui, com'è un collettivo soggetto a' cui movimenti interni presiedono le leggi politiche , così le presuppone col semplice fatto della sua indi- viduale esistenza? Non vedete che la legge morale, a cui lo diceste subordinato, è necessariamente posteriore a quelle po- litiche , che sono parti integranti, parti organiche , e quasi il vivente intelletto di questo corpo sociale? Come dunque poteste voi dire che dove finisce l'impero delle leggi morali comincia quello delle politiche ? Domandavano l’amore del vero, e il desiderio di giovare alla scienza ch’ io ponessi in luce questi vizi fondamentali delle preliminari dottrine. Avremo illustri occasioni di tributare le no- stre lodi all’egregio uomo che scrivea quelle cose, delle quali abbiamo ‘ardito rivocare in dubbio la verità. E certissimo com’e- gli debb’essere nella sua anima, che solamente quelle gravi e solenni cause, che ho detto, m’inducevano a confutare le sue opinioni con filosofica libertà, non vorrà meco sdegnarsi ch'io l’abbia usata: ma illaminarmi, dov’ io medesimo fossi caduto in errore, e non argomentare dalla franchezza dei modi, ch'è pro- prietà di schietta natura, una superbia di pensamento, da cui abborriscono le mie intenzioni. —. Non tutti avrebbero potuto veder con chiarezza nei metafisici ravvolgimenti, mei quali. il n. A. stimò suo debito di passare, o dai quali forse avrebbe tenuto lontano lo spirito di molti lettori quel non so che di misterioso orrore che naturalmente inspira la muta solennità delle tenebre. Nè l’oscurità , della quale, parliamo, è nel linguaggio con cui egli dettava, il suo libro. Chè. un, uomo della sua tempra non può che profondamente intendere il suo pensiero, e lucidamente si- 117 gnificarlo nelle parole. Ma è quella che risulta da _nna interpre- tazione ipotetica dell'ordine delle cose, onde le menti, non aju- tate dal senso naturale del vero , mancano del necessario fonda- mento per intendere il pensiero dello scrittore, e rimangono co- me sorde al suono inutile del linguaggio. Che s’ egli meno im- pedito dalla copia delle imparate dottrine, e più indipendente e più libero nella schietta osservazione degli oggetti, e nella in- vestigazione dei veri scientifici, non avesse troppo attribuito a quelle preoccupazioni intellettuali, nè troppo fattosi solitario in quegli astratti concepimenti , tengo per certo che le sue parole avrebbero sempre avuto l’eloquenza della filosofia, perchè il suo spirito, illuminato sempre da quella luce che dirittamente prorom- pe dalla presenza della natura, non avrebbe mai avuto bisogno di quella luce riflessa che viene dai libri. 6. IV. Morale : dritto di natura: giustizia: conciliazione di dottrine. Il vizio logico , del quale abbiamo mostrato l’ indole nel pre- cedente paragrafo, è un vizio primitivo e quasi organico in que- ste preliminari dottrine; un vizio che non si potea combattere di mano in mano che ci venisse innanzi nel libro ; che bisognava porre in tutto il suo lume una volta per sempre, abbandonando il resto alla critica sagacità dei lettori; del quale perciò parlam- mo molto più lungamente, che non avremmo desiderato di fare. Ora dobbiamo occuparci di grandi e nobilissimi oggetti : la mo- vale , la giustizia , il diritto! Degni in verità che la luce della sapienza gli manifesti in tutta la loro bellezza all’ umanità, e che i umanità , innamorata di quella divina bellezza, la riceva, come sua cara proprietà , nella mente, e la riproduca schiettis- sima ed immortale nell’ ordine e nelle operazioni della sua vita! E con quanta letizia di spirito , con qual sodisfazione di volontà non avremmo noi ragionato di queste cose, se le avessimo ve- dute così belle e splendide e vere nell’ opera del prof. Carmi- gnani, come sono nell’ordine e nelle prime e costantissime inten- zioni della natura ! S’ egli ci avesse somministrato questa nobile occasione di onorar lui con la loile, e di godere quel che gudo- no i gentili spiriti convenendo insieme nella beatissima compren- sione del vero! Ma quella cieca confusione , o non precisa di- stinzione di oggetti che superiormente abbiamo notato , quel non saper con certezza s’ egli parla delle cose, o dei sistemi scien- 118 tifici che ne rappresentano razionalmente il valore, quel vederlo risalire alle origini delle dottrine , e vivere nelle astrazioni e per- dersi nelle ipotesi, e non venir mai ad un’ analisi rigorosa , con- tinua , compiuta, veramente filosofica dei fatti primi e fondamen- tali, quel sentir parlare della reciproca inconciliabilità di alcuni priucipii, paragonare fra loro le leggi e le discipline , escludere, ridurre a concordia le scienze o le facoltà, e non aver mai la piena e costante nozione di quei principii , e rimanere incerti su quelle leggi, e veder le scienze già derivate da una stessa sor- gente , non derivar poi da una sola e trasformarsi ad ora ad ora quasi per arte magica, e quando sei per tenerle fuggirti via come Tetide , e lasciarti inaspettatamente deluso: queste cose , che dovemmo notare con vivo nostro rincrescimento nella sua opera , come ci tolgono quella compiacenza da noi vivamente desiderata , così ci fanno sentire quanto è ingrato il debito della critica, quando ella non possa essere favorevole alle persone che più si abbiano in pregio. Avevamo veduto due ordini di leggi, quelle morali , e quelle politiche emanare da due fonti diverse , lo speculativo , ed il pratico raziocinio. Dovevamo far conoscere gli errori in cui ci par- ve trascorso il rispettabile Autore e gli equivoci , le perplessità, le contradizioni in cui parvero, per dir così, avviluppate le no- zioni di questi oggetti: ma ad ogni modo la religione, la mo- rale, il dritto di natura e quel delle genti rimaneano tutti da un lato, e si offerivano all’ occhio della mente in una medesi- ma serie. Credemmo che, come produzioni del raziocinio specula- tivo, fossero cose essenzialmente scientifiche, ma tali certamente non erano nell’intelletto del n. Autore: il quale si era ingan> nato (o che c’inganniamo noi stessi ) nel determinare la natura del loro originario principio ; ma volea parlar di leggi, non di scienze morali. Ed ora finalmente sono esse considerate come og- getti di scienze (36): ma quasi che questa filosofica speculazione o considerazione di cose fosse un fascino dell’invidia , o spar- gesse in loro improvvisamente i tristi semi della discordia, noi le vediamo di concordi sorelle, di compagnevoli amiche che pri- ma erano, venire a manifesta inimicizia e rottura; e la religione e la morale bruscamente dividersi dal dritto di natura e da quel (36) Cap. 6. pr. pag. 70. Vedete per altro quel ch’ egli disse del razioci- nio speculativo in comparazione col pratico : giudicatelo co’ suoi stessi princi- pii : e ditemi se quel raziocinio è altra cosa che una facoltà , o un lavoro af- fatto scientifico ( pag. 56 seg. ) 119 delle genti, e questi , e segnatamente il primo , obliando le in- veterate antipatie, rimettendo alcun poco dell’ orgogliosa sua di- gnità , implorare il soccorso (37), pattuire una lega, e dive- nire confederate del dritto politico. Non saprei veramente as- serire così per tempo se quelle cose che derivano da uno stesso principio ;, e che sono insieme congiunte per legge e nell’ ordine della natura , possano poi, non che debbano mai , provenire da una causa diversa, e farsi dissociate ed inconciliabili per virtù della mente umana che le percepisce , e che le risolve in pen- sieri (38). Non saprei facilmente indovinare, nè fondatamente di- scorrere le ragioni di quella subita e vicendevole ripugnanza fra le cognizioni che razionalmente misurano il valore di quegli og-- getti concordi , quando le idee non possono, nè debbono mutar natura alle cose , ma fedelmente valutarla e rappresentarla. Sarà forse questa la naturale efficacia del raziocinio speculativo , il quale considera come tesi le sue idee, e come ipotesi le società: sarà forse il n. A. occultamente dommatico nel tempo stesso che disvela le visioni idealitiche del dommatismo : sarà questo il con- quistare 1’ ordine delle cose con la forza degli assoluti pensieri, ed assoggettarlo irremissibilmente alle leggi dell’ intelletto. Ma io non veggo tosto aperta una via per uscire da questo imbroglio ; e lascerò che i lettori sciolgano il nodo da sè medesimi, o che il prof. Carmignani con la spada di Alessandro lo tolga di mezzo con un solo risolutissimo colpo. Stricto gladio, ruptis omnibus nodis , sortem oraculi vel elusit , vel implevit (39). La morale adunque è cosa dal dritto di natura affatto di- versa. ‘ Qualunque siano i limiti che la umana ragione può trarre tra l’ ufficio della morale e quello del dritto della natura , il cri- terio di questi limiti sarà sempre il titolo legittimo dell’uso della (37) Pag. 81. (38) So peraltro che le medesime cose possono considerarsi sotto più aspetti. Ma quì da una parte abbiamo le cose, dall’ altra le scientifiche cognizioni di esse, 0 le cose medesime nelle idee delle scienze. E certamente non si compren- de come quelle cose debbano essere unite, e venire a scissura queste idee. Se poi la diversità nasce da questo che la religione e la morale prescrivono più do- veri che dritti, e piuttosto questi che quelli il dritto di natura e quel delle genti ; la diversità allora è essenziale , debb’ essere tanto nelle leggi che ema- nano dal raziocinio speculativo , quanto nelle scienze che le contemplano , e quelle leggi dovevano essere primitivamente distinte le une dall’ altre , o non esser distinte di poi quelle scienze, delle quali sono gli oggetti. Vedete quel «ch’ egli scrive a pag. 72. pr., e procurate d’intender bene quel che a pag. 106 7 è discorso della diversa origine della morale e del dritto. (35) Quint. Curt. 120 forza a sostegno di un dritto: a meno che non si voglia fare una confusione di tutto, e punir colla pena della galera la ingrati- tudine ,, (40). Così egli dice , nè certamente con falsità di con- cetto, se non con piena ricognizione del vero. Ma qual’ è que- sta morale di cui egli vuol mostrare l’ incompetenza in legisla- zione; qual'è questo diritto di natura , ch’ egli mette a com- parazione con la morale, che divide affatto da essa, che concilia col dritto politico ? Della morale non è parlato , o principal- mente non è parlato , che notando le sue differenze dal drit- to: (41) del dritto posso recarvi innanzi le proprie e individuali sembianze e quasi la separata persona come fu posta in essere dal n. Autore. « Il dritto non è , nè potra mai essere cosa di fatto, seb- bene dall’ esame dei fatti, e dal loro confronto, la sua idea possa nascere nello spirito umano. Esso è un ente di ragione, il quale, con un grado maggiore d° intellettualità di quel che abbiano le idee astratte, non ha principio o base di realtà nella natura sensibile delle cose: per il che è certo, che mna legge sociale , indipendentemente dalle relazioni della natura sensitiva dell’uo- mo, e atta a dar norma ai moti che ne risultano, ha tutta la propria esistenza nel di Ini spirito ,, (42). Figuratevi ch’ io dicessi : 1’ uomo non potrà mai essere una vera e corporale persona , sebbene dall’ esame delle umane per- sone e dal loro confronto la sua idea debba nascere nel nostro intelletto. Egli è un ente di ragione . .. Sì lo sappiamo ! ( ripi- gliereste voi interrompendomi ). L’ uomo-idea , 1° uomo-genere, 1° uomo, che non è nè Lodovico, nè Massimo, nè Beniamino, non esiste che nell’ umauo intelletto. Ma balestrate :pure quest’uomo- idea al di là dei naturali confini dell’ astrazione a spiritualizzarsi quant’ egli vuole nell’ eteree regioni della metafisica, ricondu- cetelo a ritroso fino alle idee archetipe di Platone, fino al pen- siero creatore ed assoluto di Dio: quest’ uomo-idea non potrà mai non avere principio 0 base di realtà nella natura sensibile delle (40) Pag. 74. (41) «° Non avrebbero però i due sistemi cosa alcuna di comune tra loro , nè per l’ origine, nè per i mezzi, nè per lo scopo, nè per la sfera della loro attività respettiva ,, Cap. 7. p. 106. ec. ,, Ricondotti alla loro razionale origine come sistemi di principj e di regole la morale ed il dritto , essi non hanno mestieri di aver circoscritti , e segnati i lor respettivi confini , perchè sono tra loro due cose essenzialmente diverse. ,, Ivi p. 111. (42) Gap. 3. p. 49. 12I cose. Il delitto ; come dice il ch. Autore (43) è cosa sperimenta- le e di mero fatto. Ma l’idea che dobbiamo avere di esso, ma l’ attributo che il delitto acquista sotto l° impero e sotto l'in- fiuenza della legge politica, quella sua imputabilità (44) che il prof. Carmignani ci fece conoscere con tanto studio , ma il delitto in somma puro ente legale , non è cosa da vedersi coi soli occhi del corpo , è certamente qualche altra cosa che non esiste che nello spirito umano. Diremo noi che il delitto non ha principio o base di realtà nella natura sensibile delle cose? L'Autore si fonda in questa natura sensitiva dell’ uomo : attribuisce ad essa, nè a torto, la prima formazione della società: vede da essa dipendere è moti di prosperità , come vede nascere dalle umane passioni il delitto. Il quale è perciò concepito da lui come fatto appartenente a un ordine di cose niente affatto razionale e speculativo. Ma qui è il vizio che radicalmente infetta queste dottrine scientifiche : quì visibilmente apparisce una certa filosofica spezzatura del- l’uomo , sicchè da una parte si vegga soltanto quella sua sensitiva natura, dall’ altra il sistema della ragione; quì si scopre che questo sistema , che l’ufficio, che i diversi usi della ragione non furono nettamente, precisamente , pienamente in- tesi e significati. Perchè fu conceduto alle forze dell’ una tutto il campo sociale, e non veduta la proporzione di esse col magistero dell’altra : e non fu avvertito che se questa non crea primitiva» mente, e quasi speculando la società, ne interpreta peraltro e ne spiega l’ ordine necessario, e lo rappresenta con quello delle sue idee. Le quali se non si possono toccar con mano, come i fatti che spiegano , ne concluderemo noi che non hanno base di realtà in questi fatti ? Dire adunque che i/ dritto non potrà mai essere cosa di fatto , non è altro che dire (chi non voglia parlare invano) che le idee delle cose, che le razionali interpretazioni di que- ste non sono le cose stesse che le fanno nascere nel nostro spirito. È ella questa una bella scoperta ? E in questo caso non è follia il perdersi nell'immenso vuoto idealistico per doverci rac- cogliere questa nozione ? Che se quelle idee nou hanno base di realtà che nello spirito umano , saranno fatti della interna vita dell’ anima : e dovremo allora vedere se questa naturale produzio= ne degl’intelletti è necessaria , è opportuna, è conducente allo scopo scientifico , all’ intelligenza degli oggetti che abbiamo preso a discorrere. Ma il solo cervello umano; la mente che (43) Vol. 2. lib. 2. c. 2. p. 28. (44) Ivi p. 30. 33. T. VI. Giugno 16 122 non contempla che i suoi pensieri , 1’ individuo che non conosce che sè medesimo , potrà mai concepire | idea, potrà mai sentire la necessità del diritto? del diritto , io dico , che necessariamente importa un idea di correlazione , una comunicazione di vita ? Io gravemente ne dubito. — E cos'è egli mai questo dritto che nasce nello spirito umano dall’ esame dei fatti, e che a furia di volare per gli spazj metafisici si stacca tanto dall’ ordine delle cose, da non aver più in esse principio o fondamento di realtà ? Egli non può essere che una creazione di quel raziocinio specu- lativo, del quale già mostrammo la dommatica onnipotenza , e la ermafrodita natura: e come creazione di esso fu di fatti esposto all’ osservazione del pubblico. « Mirando a un ordine assoluto, invariabile, non dubita di ere- dersi un pensiero dalla mente divina, e come la idea della curva e della parabola e delle lor proprietà non può esser diversa nella mente di Dio da quel ch’ella è nella meate degli uomini, nè altrimenti del vero e del giusto negli oggetti morali può essere , il raziocinio speculativo tende a rintracciare, a stabilir. questa idea, e a convertirla in perpetua ed inflessibile regola della le- gittimità di tutti i movimenti morali degli uomini ,,. (45) Notate bene, o lettori , che si scriveano queste cose prima di considerare le leggi morali, delle quali abbiamo parlato, come oggetti di scienza. Ova io domando : tutto ciò che viene da questo razio- cinio può esser mai altra cosa , a chiarissima confessione del no- stro Autore, che produzione essenzialmente scientifica, o nata nelle filosofiche scuole ? Quelle leggi morali erano dunque cose scien- tifiche prima di diventare oggetti di scienza : erano concordi in una medesima serie quando erano cose scientifiche, e vennero a brutta discordia quando furono considerate come oggetti scien- tifici!.... Ma vediamo come questo raziocinio produce il suo dritto: assistiamo a questa creazione intellettuale. « Per formarsi Ja idea astratta d’un dritto competente al- l’uomo, al rispetto del quale debba unicamente mirar la legge, sicchè altro principio regolatore , ed altra base che questo diritto non abbia, convien supporre nell’ uomo una facoltà , senza l’e- sercizio della quale il suo carattere di agente morale verrebbe ad essere v indebolito o distrutto: quindi una facoltà indipen- dente dal fatto dell’ uomo, e derivante dal voto della natura , e del suo eterno fattore: una facoltà da uomo a uomo sosten- tabile con la forza, mentre altrimenti essa sarebbe elusoria ed (45) Cap. 4. p. 58! 123 inntile: nna facoltà finalmente che, considerata eguale in tutti, dasse risultati eguali bensì, ma d’ indole intellettuale sì gene- rale e sì forte, che ninna mente ancorchè rozza , potesse con- trastarne la verità: perciocchè questa legge fatta per gli uomini individualmente considerati, dovrebbe esser guida della loro con- dotta in qualunque situazione o istruiti, o non istruiti si ritro- vassero; onde le astratte verità legali, considerate come regola di condotta dell’ individuo, dovrebbero agguagliare per la evi- denza le astratte verità delle scienze esatte , e dovrebbero vin- cerle per la prontezza e per la facilità dello svolgersi nell’animo umano: mentre se queste inerenti ai moti dei corpi gli regolano senza bisogno (46), che la mente umana con facilità ne conosca le leggi , quelle comecchè necessarie a regolare i moti dell’ani- mo non potrebbero aspettare ad essere conosciute, dopochè l’ani- mo avesse prese le sne determinazioni ad agire ,, (47). . Sarà la corta veduta del mio intelletto, sarà la soverchia difficoltà di queste cose ipotetiche « dell’.ipotetito modo di ra- gionarle, sarà la. mia naturale ripugnanza dalle supposizioni quando si tratta di conoscere la verità : ma io sinceramente con- fesso che non saprei veder chiaro in tutto questo ragionamento. Bisognerebbe ch’ io prima intendessi cos'è la /egge, che dee avere il suo principio ed il suo fondamento in questo diritto: la quale peraltro , sio ben lo raccolgo dalla ragione del discorso, è la legge stessa della natura. A concepire adunque l’idea astratta di questo dritto fondamentale suppongo col N. A. una facoltà nell’ uomo , senza la quale ogni suo carattere di agente morale o sarebbe quasi cancellato o pienamente distrutto. Lo che vuol dire in altre parole, che, ove si tolga all’ uomo questa sua facoltà, egli non offrirebbe più indizio di moralità nelle sue ope- razioni, egli perderebbe ‘quel che costituisce 1° eccellenza della sua natura , egli non sarebbe più uomo. Quella facoltà è dun- que la stessa moralità dell’uomo, o la causa da cui ella imme- diatamente e necessariamente deriva. Ora'io non comprendo co- me si debba ipoteticamente considerare una facoltà ch’ è la più vera e l'ottima parte della nostra natura : io non comprendo per- chè , a formarsi l’ idea astratta di un dritto naturale nell’uomo, si debba fare dell’uomo stesso un ipotesi. Cresce poi la mia dif- ficoltà, e la mia maraviglia quando in questa facoltà indipen- (46) Non si comprende assai bene come le astratte verità delle scienze esatte , possano essere inerenti ai moti dei corpi! (47) Cap. 4. p. 60. 61. 124 dente dal fatto dell’uomo, e, quel ch'è più inconcepibile nel mio spirito , derivante uel tempo stesso dal voto della natura, e del suo eterno fattore debbo vedere /a base di una legge , che 8° è quella della natura, è certamente anteriore al diritto, cioè a que- sta facoltà (intendete bene , se vi riesce ) ipotetica e necessaria, o si risolve in una stessa cosa con loro (48): quando questa fa- coltà, indipendente dal fatto dell’ uomo, ma derivante dal voto della natura, debbo supporla sostentabile da uomo a uomo con la forza, io che di due forze uguali e contrarie non so vedere qual possa essere la vincitrice dell’ altra, e quindi la violatri- ce, v la protettrice del dritto: quando finalmente per concepire una facoltà, ch'è base della legge naturale degli uomini , deb- Ììo passar con la mente per tutte queste supposizioni, e con tutte queste supposizioni non mi riesce di acquistare una con- venevole idea di una legge; e di un dritto (49), da cui do- vranno dipendere le sorti della giustizia, in cui dovrebbero avere la loro regola di condotta gli uomini tutti individualmen- te considerati, in qualunque situazione o istruiti o non istruiti si ritrovassero ,, e che dovrebbe dare risultati d’indole intellet- tuale sè generale e sì forte, che niuna mente, ancorchè roz- za ,.putesse contrastarne la werità; risultati , che uguali di evi- denza ulle astratte verità delle scienze esatte, le vincessero per la facoltà e per la prontezza dello svolgersi nell’animo umano. E.cosa è mai questa ipotesi ?_—— Dic aliquem, sodes, dic, Quin- tiliane, colorem. «« La ragione umana ha potuto invero spingersi a contem- plare un nuovo ordine di cose intellettuali, trovando in esso la vrigine e la indole di un dritto, o di una attiva moral qualità nell’ uomo, che ad esso sia titolo e mezzo onde far passar l’or- dine, dalla contemplazione del quale deriva , nelle azioni sue , e in quelle de’ propri simili, scuoprendo nella eterna legge della giustizia quella della natura. Ma questa legge, sebbene nella sua astrazione come generale principio abbracci e vinca la mente di tutti, nelle pratiche applicazioni sue presenta spesso inestrica= bili difficoltà ,, (50). (48) E il n. A. la confonde altrove col dritto, e la chiama inereata, eter- na, inerente all’indole dell'animo umano. Vedi più innanzi a pag. 126. (49) E inutile l’ avvertire che quì, non si parla del vero dritto di matura, ma di questo ipotetico. (50) Pag. 62. 129 Perchè dunque fabbricar quella ipotesi, se la legge, che con questo metodo intellettuale si seuopre, è una legge anch'essa in buona parte ipotetica, e di così poca efficacia nelle sue pra- tiche applicazioni? Non si comincia tosto a sentire che questa ipotesi è principalmente fine a sè stessa, perchè non conduce che ad ipotetici effetti? Ed un’ ipotesi ch’ è fine a sè stessa, non è ella una sterilissima cosa, una vanità dell’ ingegno , un ipotesi insomma , e non altro? E cosiffatto crederemo noi essere il dritto? O come mai questo dritto potrà esser creato, cioè concepito dal- l'umana ragione, se non lo fu prima dalla natura ? Cos’ è un’ or- dine di cose intellettuali che non ha i suoi fondamenti nel vero? di cui non veggo prima nell’ ordine delle verità naturali i ne- cessarj elementi, e quasi il modello? Un’ ipotesi «= e sempre un’ ipotesi. << L’artifizio ideologico del raziocinio speculativo per giun- gere a questo scopo consiste in questo: che esso. considera gli uomini non come unità del computo sociale, ma come unità se- parate e distinte tra loro aventi ciascuna la importanza e il va- lore medesimo. Riilotte così le facoltà dell’ uomo al carattere di una quantità aritmetica , o algebrica , per la intellettuale sua in- dole inalterabile , il raziocinio speculativo deriva da, questo dato e dai morali calcoli che far se ne possono, la indole delle leggi di sua creazione , le quali per questa maniera elevano lo spirito umano alla contemplazione di una giustizia assoluta, onde nè azione d’ individuo, nè azione di corpo morale, nè azione di corpo politico giusta può essere , se a quell’assoluta regola con- forme non sia ,,. «« Il raziocinio speculativo chiama i valori identici che esso ha assegnati alle unità de’ suoi calcoli o dritti o doveri degli ‘momini, i quali poi converte da quantità come esso gli avea considerati in facoltà attive, ed in facoltà. passive correlative tra loro, le quali obbligando per loro indole al concetto di un’as- soluta eguaglianza. reciproca, formano di questa eguaglianza la base fondamentale delle leggi. In questo senso» la legge non va dalle cose allo spirito, ma dallo spirito discende alla legge ,, (51). Non so se fosse precisamente questo il dritto natnrale dei pitagorici : ma io non credo molto fecondo di filosofici risultati un? artifizio ideologico , per cui veggo trasformati gli uomini in aritmetiche ed in algebriche quantità ; poi negl’ identici valori di esse, cioè in doveri e in diritti } quindi in facoltà attive e (51) Pagg. 58. 5g. PAU passive ; e fatti simili finalmente @ un punto matematico , cioè quasi quasi ridotti alla misera e nullissima condizione di zeri (52). Jo non mi capacito bene della necessità di tutte queste meta- morfosi metafisiche , quando il dritto , di cui si vuol mostrar la natura, è un dritto , una legge (sono parole del N. Autore ), increata , eterna, immutabile, inerente all’ indole dell’ animo umano , cosicchè dato l uomo e le sue intellettuali facoltà non sia possibile prescindere da questa legge (53). E non oserei nep- pure asserire senza ombra di dubbio o senza nessunissima restri- zione che questo ‘ dritto di natura, cume regola di condotta per gli uomini, ingenita alla loro natura , e indipendente da ogni civile e politico stabilimento, non capì nello spirito degli antichi i quali non seppero mai astrarre dall’ uomo le qualità morali , che in lui avevano impresse le leggi positive esistenti ,, (54). Prima, perchè trovo presso gli antichi luminose testimonianze di questo dritto (55): poi, perchè non parmi molto eoerente all’ordine (52) < Considerato (l’uomo) in questo quasi indivisibile punto , in questo stato di mero ente di ragione , come il dritto di natura può contemplarlo ec. ,, Lib. I. cap. 5. p. 65. (53) Lib. I. cap. 9. p. 145. (54) Cap. 9 p. 135. E vedete quel ch” egli dice in questo capitolo dell’ i- storia del dritto. | (55) Non, so comprendere come il n. A. che ha studiato profondamente gli antichi, e che cita anco l’opera de legibus di Cicerone non si ricordasse mai di aver letto nel secondo libro di essa, per esempio , i luoghi seguenti: Est enim unum jus, quo devicta est hominum societas, et quod lex constituit una, quae lex est recta ratio imperandi atque prohibendi; quam quis ignorat, is est injustus, sive est illa scripta uspiam, vel nusquam. Quod si justitia est obtem- peratio iscriptis, legibus institutisque populorum, et si, ut iidem dicunt (quei filosofi dei quali combattea le dottrine ) utilitate omnia metienda sunt , ne- gliget leges easque perrumpet, si poterit , is, qui sibi eam rem fructuosam putabit fore. Ita fit ut nulla sit omnino justitia (qualora non si risalga al di là degli stabilimenti politici, e delle convenzioni sociali a cercare la legse della giustizia nel seno stesso della natura, della quale è certo nobilissima par- te il genere umano), si neque natura est, et ea, quae propter utilitatem con- stituitur, utilitate alia convellitur. Questo luogo non parrebbe, fatto apposta per illustrare le dottrine del n. A. che vede nel dritto di, natura la teorica del giusto assoluto ? - E i sensualisti politici, oltrechè sono già vecchi pel nostro secolo , non erano già stati confutati eziandio dagli antichi ? Consti- tuendi vero juris'ab illa summa lege capiamus erordium, quae saeculis omni- bus ante nata est, quam scripta lex ulla, ant quam omnino civitas con- stituta. Come dunque, potè il dottissimo uomo asserire che dritto di natura, come regola di condotta per gli uomini, ingenita alla. loro natura e indipen- dente da ogni civile e politico stabilimento, non capì nello spirito degli anti- Chi? = Ma Cicerone soggiunge : Sed profecto ita se jes habet, ut quoniam vi- tiorum emendatricem, legem esse oportet commendatricemque virtutum, ab ea . 127 della natura che una legge eternamente impressa nella mente del- l’uomo, una legge in cui si conchiudono tutte le più nobili prerogative della sua essenza, a cui debbono uniformarsi tante sue operazioni, in cui debbono avere le loro basi tanti stabili- menti seciali, da cui dipende tanta parte della felicità della vi- ta, sia rimasta occulta per lungo spazio di secoli, non abbia an- cora uno stesso valore nelle varie opere dei filosofi , e non possa esistere che come cosa affatto ideale, nè venire in luce che per la virtù di un’ ipotesi. Ma esaminiamo questa ipotesi un poco più addentro , veliamo quel che veramente ella sia, e ciò che pro- priamente sia quel diritto che quindi risulta ; del quale non ve- demmo fin quì in verità che quasi un vago, cieco, e pallido simu- lacro, non molto atto ad essere percepito in un preciso e lucido pensiero dell’ intelletto. « La ipotesi poggia sul presupposto d’ una eguaglianza as- soluta e perfetta di dritti tra gli uomini: sublime ipotesi , la quale opererebbe il prodigioso e consolante spettacolo di un nu- mero immenso di eguali tra loro, i quali obbedirebbero a leggi che essi medesimi avrebbero 0 conosciute o consentite libera- mente. Ancorchè questa ipotesi fosse un sogno , ella lo sarebbe di un retto cuore, e di una grande anima ;, (56). L’ ipotesi per esser sublime anco troppo sconvolgerebbe tutto (vorreste di più?) vicendi doctrina ducatur. Leggiamo ancora quest'altro luogo: Hanc igitur video sapientissimorum fuisse sententiam, legem neque hominum ingeniis excugitatam, nec scitum aliquod esse populorum, sed aeternum quid- dam, quod unicersum mundum regeret, imperandi prohibendique sapientia. E quest'altro? Lex autem illa cujus vis explicavi, neque tolli, neque abrogari potest. Eil luogo nobilissimo citato, se ben mi ricorda da S. Agostino, nella Gittà di Dio, e celebre nelle bocche di tutti? E quante altre solenni testimonianze non po- trei aggiungere a queste ? Nè sarebbe lecito apprendere false difticoltà per l’asso- luta universalità di quella legge eterna della ragione: si pensi piuttosto che il na- turale diritto dell’uomo fa parte di questo grande sistema, si pensi che l’uomo è considerato, come faceano gli stoici, qual cittadino dell’universo, cioè in una ne- cessaria consociazione con l’ordine d«lla natura esteriore; si pensi finalmente che quando sì scrivevano quelle cose era vicina la pienezza dei tempi,in cui dovea nascere il cristianesimo. — Del resto molti non veggono chiaranente nelle dottri- ne degli antichi scrittori, perchè guardano più alle forme, che all’essenza delle cose : e perchè la sapienza antica , ond’essere compiutamente intesa da tutti, avrebbe bisogno che un qualche grand’ uomo , o una società di dotti che sa- pessero pensare e scrivere e avessero profondamente inteso quella sapienza , Ja distribuissero ne’suoi ordini necessarii e quasi la facessero rifiorire pe’ diversi suoi rami in un grand’ albero enciclopedico , come potrebbe disegnarlo la mano della moderna filosofia. (56) Gap. 6. p. 75. 128 l'ordine delle cose: e per esser la teoria della giustizia as- soluta (57), sarebbe finalmente la suprema ingiustizia. Le qua- li cose basterebbero di per sè sole a farne pienamente sen- tire la vanità. Il vizio primigenio e sostanziale di questa ipo- tesi è in un falso concetto dell’ eguaglianza che si pone a ba- se del dritto, la quale non dovea vedersi dove non è , cioè negli umani individui , naturalmente, ch’ è quanto dire necessa- riamente, ineguali 1’ uno dall'altro ; ma solamente dov’ ella può essere ed è di fatto , cioè nella reciprocità degli umani interessi, e nella vicendevole comunicazione della vita (58). E allora non vi era bisogno d°’ ipotesi. Ond’ ella è irragionevole perch'è vana; ed è vana , perchè volle nascere senza necessità } e farci cono- scere un vero, che non potea intendersi che per la profonda com- prensione del sistema della natura. Del qual sistema non mo- streresti di avere lo schietto senso ravvisando la perfezione degli esseri in una loro eguaglianza , che parmi contraria alle leggi del moto , all’ esercizio delle forze , alla fecondità, al vi- vente meccanismo e alla stupenda economia della stessa natura nella infinita deduzione e nell’ eterna conservazione dell’ esisten- za. Gli antichi, che conobbero troppe più cose che non è cre- duto da molti, videro in questa naturale ineguaglianza degli uo- mini un primo e grandissimo fondamento della società : e Dante che avea studiato profondamente ed inteso Aristotele, scriveva nel suo divino poema che l’ uomo divien cittadino,, perchè qui si vive Diversamente per diversi uffici (59). ‘: ... Il dritto della pura ragione come facoltà di agire , come titolo legittimo d’ una forza necessaria a proteggere il suo eserci- zio, non ha bisogno per sussistere di un dovere che vi corrispon- da, come vna forza qualunque, ond’ esser tale, e produrre gli effetti ai quali la natura la destinò , non ha bisogno che tale la rendano le cose che sono fuori di lei. La esistenza de’ diritti de- rivanti dalla pura ragione debbe esser tale nella ragione di tutti, e se ciò di fatto potesse ottenersi , i movimenti morali degli ue- mini sarebbero tutti nel senso de’ dritti : tutti seguicebbero le li (57) Pag. 72 ec. (58) Apparirà meglio in appresso il valore di questo nostro principio. Ma sarà posto nella debita luce in una nostra opera , della quale ci occupiamo con- temporaneamente a questo lavoro , e che sarà intitolata: Dell’ origine, della natura , dei limiti , e delle vicendevoli correlazioni della morale , della giu- stizia , e del dritto. (59) Parad. GC. 8. 1209 nee che i diritti prescrivono ; nè perla regolarità di questi mo- vimenti sarebbe necessaria la teoria e neppur la idea de’ doveri : essendo certo , che i dettami della pura ragione , dai quali i dritti desumono la loro esistenza , hanno una prerogativa ingenita; tutta lor propria, eguale in tutti, e perciò senza bisogno di correla- tivi, i quali meglio ne assicurino l’ autorità ,, (60). La facoltà dell’ astrarre , non solamente necessaria , ma fe- conda di nobilissimi effetti all'intelligenza, quando è debitamente usata, riesce ad essa pericolosa quando un ha il principio del suo vigore in un profondo senso dell’ordine delle cose, e si fonda nelle sue idee come in solitarie e pur certissime verità. Torno a ripetere che quel considerare le forze della natura così divise, così isolate l’una dall’ altra, come se ciascuna potesse stare fuori dell’ordine , non è il miglior mezzo per intendere veramente quest’ ordine delle cose ; lo che vuol dire per possedere la scienza. E quel che dico generalmente delle forze della natura , io lo dico particolarmente del dritto. L’ ipotesi, che combattiamo, non contenta in quella sua monotona ed infeconda eguaglianza degli umani individui, prorompe a'rditamente più oltre, e ci fa vedere in quegli esseri mutilati, in quegli enti di ragione, la vicendevole adeguazione de’ dritti senza la corrispondente reciprocità dei doveri. Lo che è un fabbricare una nuova ipotesi sull’ ipotesi primitiva ; e un renderla incompreusibile allontanandola dal'a veduta dell’ intel- letto. Perchè se potemmo fingere quella comune eguaglianza di tutti gli uomini per avere un primo dato , un primo fondamento alla conseguente indagine della natura del dritto , nvi volevamo vedere e chiaramente intendere come in questa ipotetica condi- zione dell’ uman genere potesse nascere il dritto. Ma noi vedem- mo soltanto nelle dottrine del N. A. trasformati gli nomini in quantità , attribuiti valori identici alle quantità, e risoluti tosto 1 valori in dritti e in doteri, senz’ altro necessario nascimento e considerazione di fatti , senza una causa manifesta per cui que- sti valori identici avessero la razionale necessità di essere que’do- veri, e que’ dritti. Laoude questo dritto della ragione è diitto anch’ ei perchè è dritto ; e tntto /’ artifizio ideologico dell’ ipo- tesi è una nuova ipotesi del raziocinio speculativo. E se noi guar- diamo bene a tuttociò ch’ è stato detto fin quì dal prof. Carmi- gnavi per farci acquistare Ja vera nozione del dritto , noi do- vremo contessare ch’ ella è sempre in verità presupposta , ma non posta realmente in luce giammai. Cosicchè anco sotto l’ipo- (60) Cap. 7. p. 102. T. VI. Giugno 7 130 tesi ne stà un’ altrà nascosta , ch’ è quella della natura del'dritto da noi investigata in. una regione ideale, e che restava di fatto nell’ ipotesi primitiva , o nella presupposizione dell’ essere , cioè nell’ ordine della vita, dove certamente era da ricercarsi, chi avesse voluto vederlo e riconoscerlo nella sua veracissima essenza. Ma vo- lendo fare l'ipotesi era debito del filosofo di usarla siccome un me- todlo per iscuoprire un vero che si desidera di sapere, e al quale o non si possa giungere per altra via, o più prontamente , od age- volmente si debba pervenire per questa. Era suo debito elimina, re, come i matematici fanno, l’ipotesi dopo che avesse scoperto la verità, e farci contenti del divino aspetto di essa dopo avere sgom- bratogliostacoli chec'impedivano di contemplarla: nella stessa guisa che si staccano i cavalli dal cocchio , o si lascia presso la marina sponda la nave quando siamo giunti al luogo che si volea visitare, o alla cara patria dopo felice navigazione. Ma quì le dottrine che s’ imparano o le verità che si seuoprono, rimangono affatto ipoteti- che: ipotetica la facoltà morale dell'uomo: ipotesi il dritto, che dee servire di legittimo titolo all’ uso della forza : ipotetica la forza che non può esercitarsi senza quel titolo: ipotetico per conseguen- za il dritto di punire : ipotetica l’ amministrazione della giusti- zia , che ne dipende : quasi tutta la scienza della sicurezza so- ciale , ipotetica. Infatti (come già vedemmo) quelle verità , quelle leggi del naturale diritto dovrebbero agguagliare per la evidenza le astratte verità delle scienze esatte ; dovrebbero svolgersi pron- tissimamente nell’ animo nostro , dovrebbero servir di norma alla condotta di tutti gli uomini: ed ora vediamo che se /a esistenza de’ dritti derivanti dalla pura ragione potesse essere nella ragio- ne di tutti com’ è richiesto , è movimenti morali degli uomini sa- rebbero tutti nel senso dei dritti, tutti seguirebbero le linee che dritti prescrivono ec. e sempre dovrebbe , sarebbe, seguirebbe , e non mai quel che è di fatto , quel che è per necessità di na- tura, quel che è necessariamente nell’ ordine. Dalle quali cose soltanto potrà derivarsi la scienza. Ma nna scienza che si occu- pa di quel che debb’essere, è una scienza futura, una specie di weltro non nato, un ente che non è , una larva dell’ intelletto. Ed io so benissimo che le dottrine o le leggi morali guardano al meglio della vita o alle operazioni dell’uomo in cui per la loro ef- ficacia dovrà mostrarsi quel migliore stato di essa : ma non confon- diamo , di grazia, quelle azioni umane con le verità della scienza, non questa coi precetti che hanno fondamento in essa e che deb- bono regolare le azioni. E si tenga per fermo che conoscere presup- pone già l'essere: e che non un futuro ed intrinseco valore ha WE È N n —_ _ n N La e seo 131 la scienza (cose da non potersi intendere con troppa chiarezza ) ma i suoi eterni principi, ed una possibile utilità ch° è quasi un? immagine: dei possibili effetti di cui son piene le grandi forze e le costanti leggi della natura ; e quelle cause feconde e univer- sali, dalle quali dipende la successiva e mutabile deduzione dei fenomeni nella coesistenza delle cose) e nel circolo'quasi fatale dell’ ordine. A queste forze prime , a queste leggi universali ‘e ‘co- stanti. avrebbe adunque dovuto rivelgetsi , chi volea veramente conoscere il dritto:» quì avrebb’ egli trovato l’ente della scienza, nè gli sarebbe stato:bisogno di.alcuna ipotesi. Avrebbe certo inter- pretato il voto della natura: ma non avrebbe potuto mai trovar questo fatto, questo medesimo ente da lui ricercato , è’ che ‘non potea: non essere il‘idritto (‘perchè gli scientifici fatti ‘sono assai diversi da quelli che. cadono sotto''i sensi); ‘non l'avrebbe} dico } trovato mai nélla ragione solitaria dell’uomo; ma con la'ragione e nel.commercio degli umani individui-re avrebbe veduto in esso unt’ idea: ;; ma non l'avrebbe confusa?con’ l'oggetto o con‘quel che rimanea; indipendente e distintissimo:dal'pensiero, nelle ‘necessità dell’ umana matura; e’ nelle testimoniarize ‘dei fatti: ‘avrebbe veduto la violazione! del dritto nell’ vomo:; ‘ma ‘non l’ avrebbèé mai supposta nel dritto puro; ente:della ragione: e si sarebbe 'nè- eéssarissimamente:;' naturalissimamente ,'facilissimamente ‘guar dato; da questo ‘errore ; perchè non ‘avrebbe veduto solamente: il dritto in idea.) ma; ancora nel fatto nelle intenzioni } nelle rea- zioni), nell’ ordine; nel grido stesso della natura. i {2 Nel: sistema. di questo dritto gli domini considerati: come puri enti razionali; astrazione: fatta da tutti i bisogni idella.;lor sensitiva. natura siesercitàno le loro morali facoltà. comeiagenti; }. il, potere dei\quali ‘è misurato dall’egnaglianza‘di tutti, é sarebbe, ridicolo, dire che. tra dué quantità eguali itra loro, 1° una:lo.è ri- spetto \all’ altra. perchè ..1° una ha verso. dell’ altra il dovere d’es-. seri quel ch’ ella è. Che!se per dovere! $ intende il non poter un momo opporsi all’ esercizio «del dritto :d’ un'altro ; il concetto. è male spiegato e leonvien dire piuttosto , che niùn’ momo. relati vamente al. suo simile può avere umodritto maggiore, di sui ch’ egli ha .,, (61)... 91 -« E se zzon., può avere un dritto maggiòre. i fgziei ch’ egli da non.dee: precisamente avere quel ch’ egli ha ? (e non sarà, questo il suo vero e necessario dovere , di possedere cioè un dritto per- fettamente uguale a quello degli altri ? L'Autore si fa illusione (61) Cap. 9. p. 104. 132 con.l’ astrazione , e crede che non. si possa parlar di dovere so- lamente perchè si parla:di dritto: e non si accorge che così fa- cendo, si, musa nn inutile violenza con 1’ intelletto all’ eterna ne- cessità, delle, cose , e si scamb'a un-nostro pensiero , un arbitrio nostro ,; un fantasma. con l'ordine delle verità naturali. A poter slire, che il dritto è cosa, che. debba stare da sè ; senza reciprocità di doveri, bisognava scuoprire in quell’ ordine la causa genera- trice del dritto.stesso, ,; il fatto in cui egli necessariamente si ma- nifesta , e riconoscere:senza iriganrio che questa genesi primitiva del, dritto esclude ogni correlazione , non importa messunissima idea,,del dovere. Ma questa genesi razionale del dritto, questo piacerg che viene alle menti innamorate del vero dal felice di- scuoprimento, di esso, nè ci fu mostrato ; nè lo godemmo mai in intra, questa ipotesi del raziocinio speculativo. La quale se avesse avato;la virtù, che doveva avere, del vero metodo filosofo, avreb= be,posto in atto) avrebbe fatto muovere per qualche verso que’snoi adegnati individui :.e.in! qualche loro opportunissimo incontro, in, qualche! azione sapientemente. scelta, in qualche loro segno:di vita. con sagacità suscitato; avremmo veduto vil primogenio; ele> mebto,;, € quasi.un prime lume di; questo, dritto tante. volte:re- cato.inhanzi.; e mon mai pienamente disvelato all’ occhio del no- stro. intelletto. Era!;forse il.male in quella loro. eguaglianza, la quale.togliesse: loro ogni occasione di. movimento ?. Ma suppo- niamo!che finalmente cori. qualche utile intendimento si muovano. Fuggiranno essi 1’ unosdallìaltro; vorranno! vivere! solitari come: uniremito nella sua cella ?_Ma qual’ uomo , finchè rimanga solo sopra la'.terra., potrebbe dire ragionevolmente a sè stesso : vio ho; dritto di rivolgermi da! questo Jato :'io ho dritto di fare questa cosa zio ho dritto di preridere; di ritenere:quest? altra? Qualiuo- mo potrà mui! dire con ‘vero senno : io ho dritto: se non colni che può»apprendere (notate bene ) un’opposizione di volontà; che possa ;e che non:debba impelire il libero esercizio delle sue: forze una volontà insomma che possa-e che non debba: esser ‘contraria ‘alla sua 2. E: monsentite voi la fecondità filogo@: fica di questo ‘semplicissimo: cenno , non avete già nel pensie- ro le grandi conseguenze che necessariamente dipendono» da) questo ‘primo vindizio» di. cose è Quegl' individui | pertanto deb- lionomuoversi(62) ‘1° nino verso dellì altro, essi che hanno una x I i (62) È facile il vedere che anco l’ ipotesi dovea olbedire ad una legge : non potea procedere a caso : aveva in certi determinati oggetti o movimenti di oggetti quelli appunto che dovea esaminare. 133 facoltà sostentabile con la forza da uomo a uomo essi che deb- bouo esercitare questa. loro facoltà morale come agenti, il po- tere dei quali è misurato dall’ eguaglianza di tutti. Chiameremo noi dritto questa lor facoltà? Ma ciò ( come abbiamo già dimo- strato ) sarebbe un ciecamente presupporre quel che si cerca , sarebbe un voler non sapere giammai quel che più si desidera di conoscere. Il dritto adunque dee manifestarsi in qualche fatto della loro vita, in qualche incontro yin qualche. collisione , 0 vicendevole. partecipazione d’ interessi. Questi uomini dell’ipotesi hanno tutti uno stesso valore j non possono essere , ‘nè più nè meno, che quel chie sono : hanno tutti segnate le loro linee per le quali debbono dedurre il moto progressivo della lor vita: così gli-ha fatti l’ ipotesi, e questa è come la legge organica di quella loro natura. Nasceràquindi mai nulla, che possa chiaramente si- gnificarci cos’ è il diritto ? No! ed egli ci sarà sempre prima di nascere : sarà in qhella eguaglianza ; in quelle linee', in'que’mo- vimenti , per tutto: e ci sarà perchè. ci ‘sarà ,° e stirà ‘sempre l'ente ehe è ;‘un’assoluto di cui non si può vedere'l origine y'è che non si conoscerà ‘mai quel che sia. E sapete perchè ? Perchè questi enti razionali di questa sterilissima ipotesi sono essì me- desimi ‘nel concetto del N. A. 1’ assoluto ‘di’ cui vi parlo’, sono essi medesimi i loro dritti. E perocchè questi ‘individui ‘ipotetici son quel che sono , cioè quel che gli ha fatti 1’ ipotesi, e ‘non 'val- gono tuti che un’ idea; quella della loro eguaglianza ; l'Autore, che confuse coi loro dritti questivindividui , non ‘potè vedere in essi che dritti senza correlazione di doveri cioè' loro stessi } il loro valore identico, quella sola e sempiterna , ed assoluta ‘sua idea. Laonde questa nuova teorica del dritto della ragione , ri- dotta ai veri e necessari suoi termini }' ci comparisce come una nùova'scienza ‘dell’ente rappresentato da una solissima ‘idea’ rela- tiva e assoluta, che si misura in sè stessa, e ch'è misura degli altri e ‘della quale potiete avere un!classico commentario nel Parme- nide di Platone ; a ‘cui certo non parea riserbata la sorte di can- giarsi in una dottrina del dritto. — Ma supponiamo che ‘debba nuscere questo dritto pei moti di quegli uguali individbi: sup- poniamo ( come idee: farsi ) di non avere nella mente 1’ idèa ‘di quel dritto: prima ch’ ella sia nata : vediamo comè possa 'ragiòtie- volmente acquistarsi. Questi enti razionali ( si dice’) non posso- no oltrepassare le linee che furono: segnate all’ esercizio delle lor facoltà. Dunque non debbono :' io rispondo. E perchè dovremo noi preferire una frase ad un altra ? ‘Perchè non potrò io estluidere la vostra idea di non potere, come voi volete escludere la mia di 1534 non dovere? Non possono perchè sono eguali: voi direte. E se non) possono ; io ripiglio, vuol dire che. debbono , assolutamente debbono; obbedire a questa loro necessità in cni gli ha costituiti l° ipotesi ?. Talmente che. non «è (possibile prescindere dalla’ pri- ma idea di nn dovere, di una necessità ., di una legge ; fosse quella soltanto di. una ipotetica. creazione di oggetti. E perchè 1° ipotesi }. 0 piuttosto quel:suo infelice generatore , il raziocinio speculativo ; ridusse a quella comune eguaglianza tutti questi in- dividui:? Con qual consiglio, per quali cause; ‘su quali. filosofici fondamenti ? 0. questo: raziocinio adunque , ‘abusando ‘al solito del suo potere, mutilò a vicenda ed: accrebbe il naturale valore di quegli enti suppositizj perchè tutti fossero uguali, e ‘li sot- topose arbitrariamente (ad una. legge violenta ed irrazionale, e li ridusse alla deplorabile condizione di anitomi: 0 se noi vogliamo conservare a questi individui'la loro facoltà di agenti morali , se vogliamo non toglier, loro 1’ intelligenza!, Ja volontà .,.la li- bertà umana , cioè la natura stessa dell’ uomo; per adeguarli a quella dei bruti, dobbiamo. assolutamente dire ch” essi. non pos+ sono oltrepassare il termine di quelle, linee ;; perchè non. debbo- no; e, non debbono, perchè veggono ;; perchè intendono che sa- rebbe cosa contraria;‘alla ragione , contraria «alla legge».dei loro comuni interessi, contraria al bene di ciascheduno l’oltrepassarle. Laonde, si sottopongono: volentieri , come ragionevoli creature, ;a questa; medesima legge ,, che fui, loro conceduto; .d*intendere., e che,in; sostanza è quella, dell’:ordine della loro vita., ‘e della loro felicità. Con qual nome.chiamerete voi questa loro volontaria sog- gezione alla legge , questa loro persuasione di non poter trascor rere oltre, quelle linee segnate loro dalla. ragione? Chiamatela pure , come volete: ella sarà sempre jil dovere. i 'aIù Appresa,questa necessità del dovere , il raziocinio specula-, tit avrebbe potuto progredire più, oltre, con qualche probabi- lità di lieto successo. Infatti se quelle linee , segnate dalla .ra- gione agli uomini dell’ ipotesi, rappresentano quasi.la via, per la quale debbano essi progressivamente dedurre;il, moto dell’esi- stenza , e sono nel tempo stesso la misura dei loro dritti ; egli avrebbe compreso senza difficoltà che questa misura dei loro dritti, è anco quella dei loro doveri: perchè 1° uomo, che, movendosi per, quella linea, esercita nn dritto che dee rispettarsi dagli altri; ha anco il dovere di non passarla. , 0 di restarsi! sempre in quella sua via, per non offendere il dritto degli altri. ch’ egli dee! ri- spettare, E.in questa, vicendevolè misura del: dovere: e del dritto avrebbe quel raziocinio facilmente seoperto la legge della loro 135 reciprocità necessaria. Se poi quelle linee non seguano che i con- fini , oltre i quali; non sia lecito di trascorrere alla virtù opera tiva dell’ essere razionale , gli sarebbe stato facile anco questa volta comprendere ; che, dati uomini perfettamente uguali fra loro , sarebbe stoltezza il supporre che al dritto di uno sia pos- sibile una maggior latitudine di esercizio che a quella di un’al- tro: e posta una comune eguaglianza di dritti in persone uguali, è indispensabile la coesistenza di una comune egualità di doveri. Laonde avrebbe veduto riprodursi sotto una nuova forma:quella vicendevole misura o adeguazione di valore fra il dovere ed il dritto, che si era manifestata nell’ altro caso: avrebbe «un’ altra volta scoperto quella legge della loro reciprocità necessaria. Allora il raziocinio speculativo, o l’ uomo in cui questa facoltà eseguis- se queste intellettive funzioni, quasi avvertito dal ritorno e dall’identità di quegli effetti della sua indagine, gli avrebbe. esa- minati con nuovo e singolarissimo studio : avrebbe sentito che quì è il fondo della questione e la verità che si cerca ; e che un dritto che si adegua con un dovere , e un dovere che adeguasi con un dritto, sono cose che possono essere e sono di fatto, non solo per finzione d’ ipotesi, ma per necessità o disposizione di na- tura : ed avrebbe disprezzato un ipotesi, che può in qualche mo- do rappresentare con l’ equilibrio delle forze de’ suoi individui il regno della giustizia; ma che sarà sempre infeconda di effetti pienamente utili per la scienza , perchè non ci farà mai piena- mente conoscere l’ origine , la formazione , 1’ intero ordine di quel desideratissimo regno , ella, che presuppone sempre già na- to quel che avrebbe dovuto far nascere nella mente mostra con una successiva e continua e necessaria deduzione d’ idee, e con -la filosofica virtù del suo metodo. Lasciamo adunque da parte ( avrebbe finalmente concluso ) queste vuote e ingannevoli apparenze di spettri, che non possono immaginare la spirante ve- rità della vita: usciamo da questa regione scarsamente illuminata da un pallido e smorto chiarore , che non rallegra i sensi, che non illustra convenevolmente il pensiero : venghiamo a respirare le aure serene del cielo, a godere il divino e fulgidissimo sole della sapienza. Vedete quegli esseri bellissimi e vigorosi di forme , e di tutta la disposizione del corpo : dritti su due piedi: pieghevo- lissimi delle membra: con due mani abili ad ogni industre artifi- cio : con gli occhi rivolti al cielo, e da’ quali balena un fuoco ce- leste: con un volto in cui si dipingono diversamente i più intimi affetti: con un cuore nato alle dolci simpatie dell’ amore : con 136 una mente preordinata ad intendere il magistero dell’ordine : con una fantasia che imita pensando la virtà creatrice di Dio per le infinite trasformazioni e rinnuovazioni dell’ esistenza ? Sono gli uomini ! i principi di tutti gli altri animali ; i sovrani della terra, gli angeli di questo pianeta nel sistema universale del cielo! Ve- deteli tutti nomini, e ciascuno individuo da sè: tutti simili, e non un solo uguale ad un’ altro : ciascuno isolato di persona da- gli altri; e tutti con la necessità di vivere congregati. Considerateli come, viventi forze, la cui azione debba spiegarsi fuori de’ corpi in cui sono: come forze che sentono ciascuna sè stessa: come forze che riflettono; 0 possono riflettere ciascuna in sè stessa questo sentimento dell’ esistenza : come forze che intendono sè medesime. E che altra cosa è l’intendere, se non è ritrovare in una sensazione nna rimembranza , se non è misurare un peu- siero con un pensiero ? (63) Quelle forze adunque, non solo cia- scheduna sè stessa, ma tutte scambievolmente si sentono; come segue nei bruti per semplice virtù di natura: non solo intendono sè medesime, ma ciascuna intende il suo comunicare con le altre, e tutte misurano vicendevolmente il loro valore nel commercio della vita e nella cooperazione degl’ interessi. Togliete ad esse questa facoltà di sentirsi a vicenda l’ una nell’ altra, e voi di- struggendo ogni mezzo di possibile comunicazione fra loro, le avrete fatte incapaci di società: togliete loro quella facoltà d'iu- tendere sè medesime, e voi avrete loro tolto ogni possibile argo- mento di convenzione ; soppresso il fecondo germe da cui am- piamente si svolge la ragion sociale, e cresce ad un altezza ma- ravigliosa ; cangiata la società umana da un politico stabilimento ordinato con le leggi, governato con la giustizia e col dritto, indirizzato ad una perfezione progressiva, in una congrega istiu- tiva, e stazionaria e senz’ arte, come quella di alcuni animali. Ella è dunque preziosa questa misuratrice facoltà del pensiero , onde un uomo può infendere il suo proprio valore, e quello de- gli altri uomini e dei comuni interessi, e delle sensibili cose che lo circondano! -— Ma questi uomini, queste forze nsci= te allora allora dal seno della creatrice necessità , ebbero elle la piena conoscenza di sè medesime? Elle furono; e sentirono (63) Interrogate i filosofi e vi diranno le più grandi e strane cose del mondo: tutto, fuorchè 7’ intendere. Almeno non ebbi Ja fortuna di vederlo nettamente, veramente, profondamente spiegato nei loro libri, prima che, stanco dei loro li- bri, mi dessi tutto allo studio di me medesimo. == Il Tracy dice qualche cosa che ha somiglianza col vero parlando del giudizio: ma non vede l’ intera verità delle cose; o scambia l'una con 1° altra. 137 il divino piacere dell’ essere : e questo. sentimento era la natu- rale espressione e misura del valore di quella loro esistenza : e questa individuale proprietà di esistenza. unicamente possi- bile prima che fosse (64), divenne la loro necessità di natura, quando fu un fatto nell’ ordine delle cose , e in loro il princi- pio fondamentale dell’ jo. Quelle forze adunque hanno una leg- ge in sè stesse, alla quale primitivamente obbediscono senza sa- perlo; come a cosa anteriore all’intimo sentimento che hanno di sè ; ma potranno quindi conoscerla , giovandosi delle lezioni dell’esperienza , usando debitamente il lorv intelletto, o la na- turale facoltà dell’ intendere. Trasformeranno dunque in idee il sentimento primitivo dell’essere: e lo intenderanno misurandolo con quelle idee. Ma questo lavoro della ragione è posteriore alla primigenia ed ineffabile apparizione del sentimento , come que- sto, non considerato nella potenza , ma nell’atto estetico in cui si risolve e quasi si riassume naturalmente la vita, è posteriore alla costituzione o essenziale disposiziune delle forze, della quale è misura. Queste adunque si perfezionano, ma la legge primi- tiva rimane; elle finalmente la sanno, ma non possono arbitra- riamente prescinderne: la seguivano ciecamente come gli. altri animali , e la rispetteranno con l’ ossequio della ragione, e vi obbediranno come libere creature , cioè come uomini, poichè l’ avranno compresa. Vediamo muoversi queste forze e quando ignorano, e quando conoscono quella legge, a cui naturalmente ed in ogni loro condizione sono soggetti: vediamo come nella cooperazione o nel conflitto delle loro volontà ed interessi sorge la legge, che per eccellenza può veramente dirsi legge sociale ; la legge, ch'è la ragione misuratrice dei valori e degl’ interessi di quelle forze nel consorzio della vita comune; la legge della giustizia , ed il dritto, S. CENTOFANTI. (Sarà continuato). (64) Ella sarebbe detta necessaria dal Fichte: ma noi ora esaminiamo le cose non solamente alla nostra maniera, ma con un intendimento particolare, domandato dall’ indole della materia che discorriamo. T. VI. Giugno. 18 138 - Sopra vari PUNTI DI MAGNETO-ELETTRICISMO; Dei sigg. L. Nobili e V. Antinori I. Somma delle correnti Magneto-elettriche. Queste correnti appartengono alla classe delle istantanee e si misurano dall’ escursione totale che 1’ indice del galvanometro fa all’atto in cui la corrente agisce sopra di esso. Una tale escur- sione esige un tempo per compiersi, ed una volta compiuta può continuare nell’ istesso senso, e crescere fino a un certo segno coll’ajuto d’ un’ altra corrente istantanea, la quale cominci ad agire sull’indice al momento che sarebbe per retrocedere dopo la prima escursione. Supponiamo che una data corrente istantanea produca nel- l’indice un movimento di 5.°, e che appena compiuta questa de- viazione venga ad agire sull’ago una nuova corrente eguale alla prima per direzione ed energia: 1’ indice salirà di 4 0 5 nuovi gradi , segnando un’. escursione totale di 9 a 10.° per l’ effetto de’ due impulsi successivi. Questo è evidente, come chiaro è parimenti che si può a dirittura ottenere la stessa deviazione di 9 in 10.° mediante l’ azione d’ una sola corrente più forte di ciascuna delle due impiegate poc’ anzi. I due casi sono ben differenti; eppure il galvanometro non li distingue, presentando, nell’una come nel- 1’ altra circostanza , il medesimo risultato. Di qui si vede che se il galvanometro va. consultato sulla forza delle correnti, pure può nelle sue risposte restare una certa ambiguità , e venirne in errore chi non faccia le necessarie di- stinzioni. Toccammo altra volta questo punto delicato (1); ora lo ripigliamo per chiarirlo maggiormente coll’ aggiunta delle os- servazioni che ci è accaduto di fare in seguito. Dopo d’ aver messa in comunicazione col galvanometro una spirale magneto-elettrica avvolta ad una delle nostre ancore , distacchiamo bruscamente quest’ armatura dalla sua calamita, e notiamo sull’ istrumento la deviazione che ha luogo in tale cir- costanza. Riattaccata l’ ancora, distacchiamola di nuovo, uon più bruscamente come dianzi, ma più lentamente strisciandola sui poli a cui era attaccata. Il galvanometro segnerà a un di- (1) Antologia N.° 136. 139 presso la deviazion di prima. Ne’ due modi di distacco , l’ effetto galvanometrico è dunque il medesimo, eppure le correnti che si hauno nei due casi godono di proprietà differenti. La corrente eccitata, dal, distacco brusco è più istantanea e capace di pro- durre la scintilla ; la corrente prodotta dal distacco meno rapido è all’ opposto più continuata , ed incapace di convertirsi in scin- tilla. Qualunque sia il modo con cui si succedono gl’ impulsi che costituiscono ciò che chiamiamo corrente elettrica, si potrà dunque conchiudere che. tali impulsi si sommano per gli effetti galvanometrici, e non si sommano per la scintilla. Questa con- segnenza acquisterà un nuovo lume dal seguente esempio tratto dai. quattro esperimenti che si possono fare con una spirale di- nanzi al polo d’ una calamita. Supponiamo per semplicità che la spirale abbia la forma d’un anello. Quest’anello avrà due faccie che designeremo colle lettere D, S iniziali delle due parole destra e sinistra. Quando si avvicina la faccia D al polo maguetico, si produce sul filo una corrente che va per un dato verso , e che contrassegneremo col «simbolo +0. Quando si allontana dalla calamita la stessa fac- cia D, si riproduce la corrente contraria ==C. Sottopnnendo adesso all’ azione del magnetismo l’ altra faccia $, si ottengono gli ef- fetti inversi, cioè all’ atto della presentazione una corrente pro- dotta colla direzione = C, ed all’ atto dell’ allontanamento la corrente riprodotta + C. Ecco dunque in che consistono i risul» tati che si ottengono dalle quattro combinazioni. { Corrente prodotta |! +: ) Corrente riprodotta +—— GC su Corrente prodotta CC accia S sar Corrente riprodotta + © Faccia D Da ciò si vede ben chiaro che la corrente riprodotta — C della faccia D avendo la medesima direzione della corrente pro- dotta — C della faccia S, si riuscirà a sommarla con quest’ ul- tima operando nel modo conveniente dinanzi al polo magnetico. Il qual modo consiste nell’ allontanar prima la faccia D per pre- sentar dopo la faccia S, rovesciato |’ anello in quest’ intervallo. Se ciascuna delle quattro correnti è per. esempio della forza di 5.°, operando come si è detto, se ne sommano due che producono al FRONTE una deviazione di 9 a 10.0 Non così l’ una al- l ‘altra s’ unisce per raddoppiare l’effetto della scintilla , la quale o non si ha punto nell’istesso caso , o quella unicamente si ha che corrisponde all’ azione d’ una sola eorrente. 140 \ II. Scintilla magnetica a circuito aperto. Dopo d’ avere ottenuta la scintilla dalle calamite ordinarie aprendo , al momento opportuno , il circuito delle spirali ma- gneto-elettriche , abbiamo tentato d’ ottenere lo stesso fenomeno a circuito aperto. Avevamo già montata una grossa calamita nel modo il più conveniente per avere a piacimento le due scintille dell’ attacco e distacco dell’ ancora, e fu con tale apparecchio che si fecero'i nuovi tentativi. L’ ancora applicata ad un ino- vimento di va e vieni, conforme a quello che si descrisse in un altro articolo, presentava all’ esperimentatore tutta la faci- lità per operare nelle circostanze più favorevoli (2). La forza dell’ apparato , misurata al galvanometro compara- bile, era di 25 a 26.9, ed immancabili sempre erano le scintille dell’ attacco e distacco dell’ ancora, e visibilissime sempre in pieno giorno non diversamente da quelle che si traggono dalle macchine elettriche. Tirate a parte le molle del meccanismo per operare a cir- cnito aperto , si disposero le estremità della spirale magneto-elet- trica in modo che si guardassero 1’ una 1’ altra; e fossero sepa- rate dla un picciolissimo intervallo. Si fece buio hella stanza, e si cominciò il solito ginoco del distacco e dell’ attacco per veder se un luce fra le due punte. Non ne apparì mai la ben- chè più debole traccia. i Poteva darsi che l’aria frapposta fosse, nella sua qualità di mezzo isclante ,, un ostacolo troppo forte al passaggio della Ince elettrica. Si portarono le punte della. spirale dentro una campana pneumatica: si fece il ynoto , e ripetuto più e più volte l’ esperimento non si ottenne, nemmeno in MESE circostanza , Ince di sorte alcuna. In questi esperimenti il filo della spirale era coperto, come si suole, d’ un semplice filo di seta. Sul timore che tale isola- mento non hastasse in un fenomeno di tensione elettrica come diveniva quello di cuì si trattava, si preparò a bella posta un tilo vestito prima di seta, a cui poscia si fuse intorno unu strato di cera per isolarlo perfettamente. Avanti d’ avvolgere questo filo d’intorno alla parte centrale dell’ancora, si coperse questa parte con una striscia di taffetà , e fu poi sopra di quest’ incerato che si applicò la spirale. Toccando col ventre di questa spirale un (a) Antologia N.° 136. Tavola annessa fig. 5. È ibi elettrometro a paglie divergente per elettricità ricevuta ; tale divergenza scemava di ben poco , il che provava che l'isolamento delle spire era tale , quale poteva desiderarsi. Ad onta di queste cure il risultato non fu più felice di prima; mancò sempre; e nel pieno e nel vuoto. la luce elettrica fra le punte della'spirale. Caso particolare del sig. Faraday: Il primo annunzio che si ebbe della scoperta del sig. Fara- day diceva che questo celebre fisico aveva ottenuta una scintilla in un caso particolare. Ora sappiamo dall’ estratto della prima memoria del sig. Fataday, inserito ‘nell'ultimo fascicolo della Bìi- blioteca Universale , in che consista questo caso. Il sig. Faraday ha preso un grosso ‘anello di ferro , ch’ egli ha coperto di due sistemi di spirali A, B divisi da un intervallo di mezzo pollice circa, e per modo che il primo A ocenpasse una metà dell’anello, e il secondo B il rimanente. Le spirali A, messe in comunvica- zione coi poli d’ una pila erano destinate ‘a calamitare tempora- riamente l’anello di ferro ; la spirale B, disposta 'colle ‘sue estre- mità a picciolissima distanza l’una dall’ altra } era invece desti nata a sentire l’ influenza del magnetismo leccitato nell’ anello. Le estremità, di cui si parla, non erano precisamente ‘quelle dei due capi della spirale ; erano due punte di carbone aggiunte a questi capi, e da quelle punte poi (così dice 1’ estratto) usciva una debole scintilla’ al momento ‘în cui ‘si sospendeva 1’ azione della pila, o si rimetteva (3). | Varie sono le riflessioni da farsi intorno a questa disposizio- ne. Primieramente ‘deve osservarsi, che la scintilla, ottenuta. a quel modo , verrebbe non già direttamente dal magnetismo delle calamite ordinarie ', ma indirettamente da quello che le eorrenti voltaiche sono in grado d’ eccitare sul ferro dolce ; sicchè, am- ‘messo anche il fatto Senza eccezione, ‘non si sarebbe con esso riempiuta la lacùmà più importante , restando sempre da scoprire il modo di trarre‘a dirittura la scintilla dal magnetismo ordinario senza il concorso dell’ elettricità. In secondo luogo'è da avvertirsi; che quella luce si mani- festava 4 circuito aperto, fra le puute cioè di carbone aggiunte ai.capi della spirale; mentre noi non avevamo mai potuto otte- ner, nella medesima circostanza il più tenue barlume di luce, sia operando nel. pieno , sia operando nel vuoto. È bensì vero (3) Bibl. Univ. Gahier' d’Avril 1832 pag. 348. ida che non erano mai state, da,noi impiegate le punte di carbone, ma. questa mancanza anzi che diminuire di forza avvalorava i nostri risultati. Il carbone appartiene di certo alla classe de buoni conduttori , ma fra questi è ben lontano dal figurare fra i primi; si trova invece alla coda, qualunque cura si prenda nello sce- glierlo e nel prepararlo. De? pezzetti di ottimo carbone introdotti ne’ circuiti delle nostre armature o fanno mancare totalmente il fenomeno della scintilla, o l’ indeboliscono nel modo il più notabile (4). L’ armatura magneto elettrica, che si trova ora ap- plicata alla grossa calamita del Museo, dà al galvanometro com- parabile una corrente della, forza di 25 a 26.° Questa corrente si riduce a soli 5.° .coll’ introdurre nel suo circuito un fuscel- lino di carbone della lunghezza di sei linee. Una sola linea di quesca sostanza basta per far soffrire alla corrente una perdita enorme , poichè dai 25. ai 26.° la fa discendere sino ai 9.° Passeremo in terzo luogo a notare il risnltato che abbiamo ottenuto esperimentando ;l’ anello del sig. Faraday prima colle punte di carbone , indi senza, che secondo noi è disposizione più vantaggiosa. Sì nell’ uno come nell’ altro caso non ci è mai avvénuto di veder luce fra le punte separate della. spirale.ma- gneto elettrica. Cinque,sono gli esperimenti che abbiamo eseguito sopra l'anello del sig. Faraday, vestito alla sua maniera, e fatto della grandezza e, grossezza indicate nell’ estratto della sua me- moria. Nel primo esperimento abbiamo impiegato una pila di 14 elementi; nel secondo un solo, grande elemento alla Wollaston d’ un piede e mezzo quadrato di superficie; nel: terzo una pila di sedici elementi; nel, quarto e quinto una pila di trenta ele- menti. La grandezza degli elementi delle pile fu in ogni caso la medesima , vale \a.dire di,14 pollici quadrati, di superficie. Si misurò la forza, della corrente magneto-elettrica , eccitata dalle due prime combinazioni ,\,ed. una tal;forza., risultò di 90.° circa del nostro galvanometro comparabile , tanto, nel caso della pila di..14 elementi, quanto nell’altro del solo grande elemento alla Wollaston. Questa, forza dil;90:°. sorpassa: di molto quella di, 25 a 30.° che si ha dalle nostre armature, magneto-elettriche ,, ed appena. noi l’ avemmo misurata , speravamo, di vedere senza dif- (4) L'acido nitrico e muriatico introdotti nel circuito indeboliscono l'effetto molto meno che non fa îl carbone. Anche 1’ acido ‘solforico diluito val meglio di quest’ ultima sostanza! ‘Per più ‘motivi sarà ‘utilè per la scienza di fissare il potere conduttore delle varie sostanze rapporto alle nuove correnti. Noi cercheremo d’ occuparci di questo lavoro tosto che il tempo ce lo permetterà, 143 ficolttà la luce annunziita dal sig. Faraday;, ad onta che la di- sposizione del circuito aperto non ci avesse mai condotto a que- sto risultato. Il fatto non rispose all’ aspettativa :' non, comparve mai luce nell’ intervallo aperto ‘dalla spirale , ‘e solamente que- sta luce appartìù, quando, chiuso prima il circuito metallico, lo aprivamo al momento opportuno , all’ atto stesso cioè in cui la pila cominciava o cessava d’ agire sull’ anello. Ed è pur da no- tarsi intorno a questa luce' ottenuta nel modo consueto , eh’essa mancava quando s’introducevano nel circuito le punte di car- bone, e si tentava d’ averla fra queste punte all’ atto di sepa- rarle nel momento opportuno. Per rinnovare l’effetto ci convenne sempre sopprimere quelle punte poco conduttrici ed operare al solito sul nudo metallo. Nè la scintilla , che si osservava in tal caso, era più brillante e voluminosa di quella che si trae dalle nostre armature magneto elettriche: era invece più debole mal- grado la superiorità della forza della corrente da cui derivava, no- vella ‘prova da registrarsi accanto alle osservazioni del paragrafo precedente , relativamente agli errori in cui si può cadere rite- nendo che abbia a verificarsi generalmente il principio ; che le correnti magheto-elettriche più forti danno le più grosse scintille, Dopo l’esposizione di questi risultati noi verremo ad una di Seppi tre conclusioni : .° O che il sig. Faraday ha impiegato delle forze di gran niluia superiori a quelle di cui ci siamo serviti noi nel ripetere il suo dea (5): ° O chela luce da lui osservata proveniva da straniera sisi dall’elettricità cioè della pila che straripava dalla spi- rale A sulla spirale B, all’ atto di sospendere 1’ azione. del cir- cuito , straripamento che accade anche nelle nostre armature magneto-elettriche , e da cui l’esperimentatore non è abbastanza garantito dall’osservare che la corrente voltaica, incanalata sulla spirale A, non passa per l’ altra B avvolta sullo stesso anello, essendo il più imperfetto isolamento sufficiente a ritenere le cor- renti voltaiche sulla via metallica de?’ fili congiuntivi, mentre lo stesso isolamento non vale più al momento, in cui interrom- pendo il circuito la corrente acquista | repentinamente una. ten» (5) Non appare dall’estratto che il sig. Faraday abbia impiegate delle forze straordinarie: la pila più forte, di cui si faccia menzione nelle sue esperienze, sembra di cento piccoli elementi di quattro pollici quadrati di superficie (luogo citato pag. 347, 348. 144 sione così grande da nseire fuori de’ ripari che la contenevano ‘prima senza alcuna difficoltà (6): 3-° O che il. sig. Faraday, invece d’operare a circuito aperto, operava realmente a circuito chiuso , il quale si apriva al mo- mento opportuno in grazia di qualche tremito o scossa acciden- tale che riceveva la sua disposizione nel punto di far agire la pila o di sospenderne l’azione. A noi è avvenuto più volte que- sto caso; ed anzi, la prima volta che ci accadde, credemmo real- mente doversi aggiungere questa combinazione all’ altra del cir- cuito chiuso, che avevamo scoperta molto prima. Non dubitiamo punto che i fisici e lo stesso sig. Faraday interpreteranno queste nostre. osservazioni nel vero loro senso. Si tratta di verificare un fatto, anzi un principio, e noi nou dovevamo ometter nulla di ciò che può servire a schiarimento d° una questione che deve pur risolversi in un modo o nell’al- tro per i futuri progressi della scienza. Questa poi sarà la sola risposta che indirizzeremo a coloro, i quali, contrastandoci la sorte d’ avere scoperta la scintilla del magnetismo, non temono d’ asserire che noi abbiamo ottenuto questo bel fenomeno seguendo l’ esempio del sig. Faraday. Fin dal momento, in cui cominciammo ad occuparci delle nuove cor- renti, esternammo il rammarico d’ essere entrati in una carriera prima di conoscere tutti i passi che poteva aver fatto in essa l’ illustre fisico che 1’ aperse (7). Ora amiamo di ripetere qui le stesse parole, aggiungendo solamente in via di compenso , che l’ ignoranza di que passi, più che pregiudicievole, fu, forse van- taggiosa alla scienza. Conoscendo le traccie del cammino battuto dal sig. Faraday, le avremmo probabilmente seguite nelle nostre ricerche, senza pensare ad aprirci una nuova via che conducesse direttamente allo scopo, scuprendoci il punto di vista da cui si doveva partire per risolvere il problema delle, scintille magne- tiche. III. Magnetismo terrestre. -_ | x Le prime spirali, ch’esponemmo alla forza elettro motrice del magnetismo. terrestre , ci presentarono de’ segni distinti di que- st’ azione, e c’ invogliarono a progredire innanzi intraprendendo un corso d’ esperienze ideate sopra una scala piuttosto estesa , (6) Bibl. Univ. Cahier d’avril 1832 pag. 348. — Antologia N.° 136. (7) Antologia N° 131. 145 giacchè si trattava di spingere le prove a spirali del diametro di 10 a 12 piedi, avvolte sopra gran cerchi o tamburi fatti espres- samente. Tre sono gli elementi da considerarsi nelle spirali elettro di- namiche ; 1.0 la grossezza del filo; 2.° la larghezza o diametro delle spire; »" infine il numero di queste spire dipendente dalla lunghezza del filo impiegato. Noi abbiamo esaminato uno ad uno questi elementi, ed i risultati che abbiamo ottenuti, sono registrati in un quadro ge- nerale , ch” esporremo a momenti, non dovendo premettere che poche parole intorno al modo d’ eseguire questo genere d’ espe- rimenti. Il metodo è semplicissimo : esso consiste in una sola ope- razione che è di rovesciare le spirali dopo d’ averle collocate col proprio asse parallelamente all’ ago d’ inclinazione. Abbiamo ve- duto nel primo paragrafo di questo scritto ciò che accade ad una spirale, in forma d’anello, che si toglie dall’ influenza di un polo magnetico per ritornare a subire la stessa azione dal lato opposto, dopo d’ averlo rovesciato. È questo per appunto il caso delle nostre esperienze sul magnetismo terrestre. Il piano delle spirali guarda precisamente il polo Nord, dal momento che l’asse delle spire è parallelo all’ ago d’ inclinazione, e quel piano , ca- povolto nel rovesciamento del sistema , si toglie prima dall’influen- za del magnetismo terrestre , indi vi ritorna colla faccia opposta rinnovando sopra di sè 1’ accidente di due correnti che vanno per lo stesso verso , e si sommano al galvanometro , come si di- chiarò nel paragrafo citato. Le deviazioni, che si ottengono operando in tal guisa, ap- partengono dunque allo sviluppo di due correnti, 1’ una delle quali è la riprodotta che risulta dal togliere la spirale dall’ in- fluenza del magnetismo terrestre, 1’ altro la prodotta che si svi- luppa sulla spirale allorchè essa ritorna, rovesciata, a risentire l’azione dello stesso magnetismo. Per aver distinto |’ un effetto dall’altro basta dividere in due tempi il mezzo giro di 180°, che le spirali fanno nel rovesciarsi completamente. Nel primo tempo si fa fare alle spirali un solo quarto di giro, e si ha in questo movimento l’ effetto della corrente riprodotta ;' quello poi della corrente prodotta si ha compiendo il secondo quarto di giro in un altro rempo. Le deviazioni galvanometriche, che spettano a ciascuna delle due correnti , sono la metà circa di quelle che si hanno dal rovesciamento totale eseguito in un solo tempo. Sinchè si tratta di spirali d’ un diametro discreto, le spe- T. VI. Giugno 19 146 rienze si fanno con molta facilità. Col crescere del diametro con- viene adattare le spirali d’ intorno a dei tamburi o gran cerchi sostenuti convenientemente , e le sperienze allora divengono in- comode per la difficoltà di maveggiare con prontezza de? sistemi così voluminosi. Ad ogni modo i risultati, che si ottengono, pos- sono considerarsi abbastanza giusti per una j}sima approssi= mazione. Ci siamo serviti di due galvanometri per la misura delle cor- renti , l’ uno sensibilissimo a due aghi , quello del termomoltipli- catore, per le piccole spirali, l’altro molto meno delicato ad un ago solo, # comparabile, per le spirali più grandi. L’ effetto misu- rato è quello che si ha dal totale rovesciamento delle spirali; essendo quest?’ effetto doppio di quello che spetta a ciascuna delle due correnti che si sviluppano in quella circostanza, basterà di- mezzarlo per avere la misura d’ una sola di queste correnti. Dopo questi preliminari ecco il quadro dei risultati ottenuti. QUADRO GENERALE DEI RISULTATI GROSSEZZA DEL FILO DIAMETRO DELLE SPIRALI Deviazioni Deviazioni è ; 7 i Deviazioni n : ona. Filo di Rame Spirale | al galvanom.® Fili di Rame Spirale al galvanom.® Fili di Rame al galvanom» N. del EE N.9 del n È Gross.*| Lung.*|Diam.°| delle |'rermo- E°" || Gross.2| Lung." | Diam.°| delle |rermo-|©9MP9- ri rabile rabile rabile Spire|moltip. Spire |moltip. linee | piedi linee 1 piedi | pollici piedi | pollici L) 2° 17 71 14° I 120 225 4 3 320 39 SI 30 44 17 È Pro 61 20 50 | È ; 1 È 65 13} 165 s ; $ = 126 5 3 20 I I } 330 L È i 330 10 126 10 63 80 I 3 495 5 È 495 15 126 I 148 Questo quadro, come si vede, è diviso in tre compartimenti o tavole che contengono i resultati relativi ai tre elementi delle spirali, grossezza del filo , diametro, e numero delle spire. Dalla prima tavola , relativa alla grossezza del filo , si vede che le correnti crescono con questa grossezza e crescono notabil- mente. Prescindendo dai primi risultati, che seguono una legge più rapida, può ritenersi che, fra i limiti di mezza linea a due linee , le correnti crescono più del doppio sulla doppia grossezza. Dal più al meno era questo un risultato da aspettarsi : non così quello posto in evidenza dalla seconda tavola, dove si vede che le correnti si raddoppiano al raddoppiarsi del diametro delle spire , rimanendo costanti gli altri due elementi della grossezza e lunghezza del filo. Sl maguetismo terrestre è sicuramente sparso da per tutto, ela sua intensità resta pure la medesima in tutti i punti occupati dalle spirali, grandi o piccole ch’ esse sieno. D' onde vien dunque il grande aumento che ha luogo nell’ ef- fetto per la circostanza del solo allargamento delle spire ?_ Non lo sappiamo, o lo sappiamo troppo imperfettamente per non ag- giunger parola a questo riguardo. Passando in fine alla terza parte relativa al numero delle spi- re, si vede che la corrente cresce bensì con questo numero , ma che la legge degli aumenti cala così rapidamente da divenire in- sensibile, passato un certo segno. Nel caso per esempio del filo più grosso di 1 di linea di diametro si ha da una spirale di 25 giri una corrente di 20. ; 1’ aggiunta di 5 giri aumenta l’effetto d’ un 3 grado appena. Più che sul numero di spire convien dunque , per l’ingran- dimento degli effetti, contare sopra gli altri due elementi , gros- sezza del filo e diametro delle spire. Il risultato più forte de’no- stri esperimenti è quello di 20 a 21.9 avuto da una spirale di 25 a 30 giri avvolti d’ intorno a un gran cerchio di dieci piedi e mezzo di diametro, che si era imperniato sopra due sostegni per poterlo rovesciare con facilità. Il risultato dei 20.° comprende l’effetto delle due correnti riprodotta e prodotta che si determi- nano nel caso del rovesciamento totale , e si sommano come si dichiarò al principio del paragrafo ; l’ effetto d’ una sola delle due correnti risponde a più di 10.° In altro lavoro avvertimmo già d’aver ottenuta la scintilla da combinazioni magnetoelet- triche della sola forza di 5.° (8). Poteva quindi credersi d’ avere in una forza superiore a 10.° più che non fosse occorso per l’ ef- (8) Antologia num. 136. 149 fetto. Tentato per altro l’esperimento, non riuscì sia per la man- canza della rapidità necessaria nel rovesciamento del gran cer- chio di dieci piedi e mezzo, sia per la difficoltà d’ aprire il cir- cuito al momento opportuno , eseguendosi a mano e l’ una e l’ altra operazione. Sarebbe un bel vedere escire la luce elettrica del semplice rovesciamento d’ una spirale in mezzo allo spazio! La cosa non è solamente possibile; è poco meno che assicurata dai risultati a cui siamo pervenuti. A quel che pare , non rimangono che delle difficoltà d’ esecuzione da superare. IV. Magnetismo di rotazione. Noi non abbiamo nulla da aggiungere alla teoria fisica che abbiamo data di questo magnetismo in uno de’ nostri precedenti articoli. Giustificheremo unicamente un’ ommissione che facemmo in quell’ occasione tacendo il nome di Faraday a proposito del metodo degli scandagli galvanometrici , che noi credevamo d’ a- vere per i primi applicato ai dischi metallici del sig. Arago : cre- denza ch’ era in noi, non tanto perchè la prima notizia delle sperienze del sig. Faraday non faceva alcun cenno di quel mezzo d’ esplorare le correnti elettriche del magnetismo di rotazione , quanto perchè un tal magnetismo veniva in quella medesima no- tizia paragonato ad un fenomeno , che non aveva a nostro giu- dizio alcuna relazione col risultato a cui conducevano gli scan- dagli galvanometrici. Ora vediamo dall’ estratto della prima me- moria del sig. Faraday , che questo fisico si era , dinanzi a noi, servito dello stesso mezzo , e noi non tardiamo un momento a rendergli anche in ciò la giustizia che merita. Che se questo era un meritato tributo da pagargli , non ci pare men vero che i ri- sultati da lui ottenuti col metodo degli scandagli galvanometrici fossero ben lontani dal fissare la natura del magnetismo di ro- tazione : la stessa sua opinione emessa su questo proposito ci sem- bra giustificare pienamente una tale asserzione. Bisognava ne- cessariamente dare agli scandagli galvanometrici un’ estensione maggiore , è risolvere la questione col mezzo di tutti que’ dati sperimentali, che ci riuscì fissare al momento di sviluppa- re i principii del magnetismo di. rotazione , dichiarati fin dal principio delle nostre ricerche intorno al nuovo ramo d’ elet- trodinamica. E qui è pur giusto e conveniente d’aggiungere che, mentre noi completavamo la nostra dottrina , il sig. Ampere in- terpretava dal canto suo i fatti scoperti dal sig. Arago allo stesso 150 modo che facevamo noi , colla sola differenza che le sue spiega- zioni erano sostenute dalla sola forza del ragionamento e dell’ana- logia , mentre noi ci eravamo studiati d’ appoggiare le nostre ad esperienze dirette. V. Effetti fisiologici. Nell’estratto della memoria del sig. Faraday si legge, che tutti ì tentativi fatti per ottenere dalle correnti magneto elettriche de- gli effetti fisiologici sia sulla lingua sia sulla rana, furono senza ri- sultato, quantunque si fossero prese tutte le precauzioni per farli riuscire. Si aggiunge in seguito che nel ripetere le esperienze con una calamita naturale della forza di 30 libbre si pervenne a de- terminare delle convulsioni nella rana .... (9). Questa difficoltà ci sorprende: noi ottennemmo ed otteniamo sempre le contrazioni della rana, preparata alla solita maniera del Galvani, con piccolis- sime calamite di qualunque specie si sieno , naturali od artifi- ciali. Una calamita capace di sostenere poche oncie di peso basta all’ nopo. Quella di cui ci serviamo ordinariamente , ha la forma d’un piccolo ferro da cavallo ; i suoi poli sono molto vicini , di- stanti cioè appena tre linee, ed essa non pesa più di tre oncie compresa la sua ancoretta. La spirale è avvolta a due poli: si mette la rana nel circuito , e all’ atto dell’ attacco o distacco della piccola ancora, non mancano mai le convulsioni sopra quel- l’animale preparato di fresco. Rispetto all’ effetto fisiologico sulla lingua deve avvertirsi che, se esso è dovuto, come par certo , alla decomposizione de- gli umori di quest’ organo , non potrà determinarsi che nel caso in cui abbiano luogo tali decomposizioni. Sotto questo punto di vista la sensazione sulla lingua è un fenomeno da registrarsi ac- canto agli effetti chimici, e per ottenerlo bisognerà aspettare d’ave- re ottenuti questi ultimi, VI. Tensione elettrica. I primi tentativi che facemmo per ottener segni di questa ten- sione, sia col mezzo degli elettroscopi più delicati , sia coll’ uso dello stesso condensatore di Volta, furono infruttuosi. Abbiamo in segnito rinnovato i nostri tentativi ma con successo non più soddisfacente di prima. Il sig. Faraday aveva pur egli fatto delle (9) Bibl. Univ. Cahier d’Avril 1832 pag. 356. Pi 15I ricerche nell’ istesso senso, ma senza riuscire meglio di noi. Ad onta di tanti risultati negativi ci guarderemo bene dal supporre che non esista lo stato di tensione nel modo d' eccitare 1’ elet- tricità col mezzo del magnetismo. Non si saprebbe infatti, nello stato attuîle delle nostre cognizioni, immaginare una corrente elettrica sopra un circuito senza un precedente effetto di tensio- ne. Rimane piuttosto da cercare il motivo per cui, supposta la tensione , mancano i soliti segni che le corrispondono. Due sono i motivi per cui possono mancare i segni elettro- metrici; il primo per essere l’elettricità eccitata troppo debole , il secondo per essere quest’eccitamento, intenso quanto basta, ma fugace al segno da non comunicarsi all’ elettrometro. Il primo caso è per sè stesso evidente ; l’altro poi lo diventa egualmente col mezzo d’un’osservazione delle più semplici. Si passi un cor- po bene elettrizzato al disopra d’ un elettroscopio , e le foglie d’oro non divergeranno punto, se quel passaggio venga effettuato con molta rapidità. Perchè si aprano, è necessario che il corpo elettrizzato resti un tantino in presenza dell’ istrumento : ‘se vi resta un tempo più breve, l’elettroscopio non ne sente l’azione, e tace come se il corpo avvicinatogli fosse stato privo affatto d’ elettricità. Ciò posto esaminiamo prima la forza dell’ eccitamento elet- trico prodotto dal magnetismo entro il filo delle spirali, e la riscontreremo , se non debole , poco almeno potente , perchè non ne csce la scintilla a circuito aperto , come si dichiarò nel pa- ragrafo II. Passando in seguito alla durata dello stesso eccitamento , la troveremo brevissima , giacchè se in uno de’casi tutto l’ effetto ha luogo nell’ affacciarsi della spirale alla calamita , convien sup- porre che succeda altrettanto nell’ allontanarsi; in guisa tale che stato di tensione e stato di corrente duri complessivamente un tempo incomensurabile per la sua brevità (10). Non par dunque che abbia a rintracciarsi altrove la causa per cui non riescono i tentativi sopra la tensione : consisterà essa nella troppo breve durata di quello stato , piuttosto che nella de- bolezza della tensione medesima , la quale alla fine non si po- trebbe presumer minore di quella d° un elemento voltaico , da cui si trae una corrente capace di convertirsi in scintilla all’atto dell’ interruzione del circuito , come si verifica sulle spirali ma- gneto elettriche. x (10) Questo punto è trattato più distesamente nel paragrafo seguente. 152 Del rimanente basta il solo fenomeno della scintilla per di- mostrare sino a qual alto grado di tensione può salire 1° elettri- cità eccitata dal magnetismo. Egli è vero che quella non è la tensione primitiva , da cui trae origine la corrente; ma in ogni modo è tensione , e poichè questa esiste nel caso dell’ interru- zione del circuito , non saprebbe negarsi la sua esistenza a cir- cuito aperto , sebbene in un grado molto più debole, ed in modo sempre, per la sua fugacità , da non farsi sentire all’ elettro- metro. VII. Legge di presenza o stato elettro-tonico. Che accade egli al filo delle spirali durante quel tempo ch’esse si conservano in presenza delle calamite (11)? Il galvanometro non dò in tutto quel tempo alcun segno di corrente ; nè il sig. Fa- raday è riuscito a scoprire in que’sistemi alcuna traccia benchè piccola d’ elettricità di tensione , impiegando in ciò gli elettro- scopi più delicati. I nostri esperimenti lasciano la questione allo stesso pun- to: non così il ragionamento , il quale ci fa fare in essa un passo che ci sembra interessante, conducendoci alla conseguenza che non debb’esservi realmente nè tensione nè corrente elettrica, per tutto il tempo che i fili metallici soggiornano in faccia del magnetismo. Dal momento infatti che i due punti estremi di quest’intervallo , il principio e la fine, sono segnati da due cor- renti d’ egual forza e contrarie , bisogna necessariamente che il tempo compreso fra i due opposti ed eguali effetti scorra senza 1° uno e senza l’altro. E ciò che il principio della ragion suffi- ciente giustifica per il fenomeno delle correnti, s’ estende per forza d’ analogia alla tensione , che deve precedere le due cor- renti. La tensione da cui trae origine la prima corrente, la pro- dotta , non esisteva prima del presentarsi del filo metallico alla calamita ; si determina in questo punto, e non resta un mo- mento solo sospesa nel suo esercizio, essendo immediatamente susseguita da una corrente che va per un dato verso. All'atto dell’ allontanarsi della spirale dalla calamita non succede altro che il fenomeno inverso. Inversa dunque sarà in questo caso la tensione ma istantenea come la prima, e siccome questa nasceva per la sola circostanza dell’ affacciarsi del filo alla calamita, cosi nascerà |’ altra per la sola circostanza dell’ allontanarsi. (11) Il sig. Faraday chiama elettro-tonico il nuovo stato, in cui si costi- tuisce la materia in tale circostanza (Bibl. Univ. Avril. 1832 pag. 357). 153 Esporremo fra poco l’idea che ci siamo formata dello stato elettro tonico ; ma prima crediamo conveniente di passare ia ra- pida rivista que’ pochi fatti, che potrebbero a primo aspetto sup- porsi avere una tal qual analogia con quello di cui si tratta. I fatti a cui alludiamo , sono di due specie; l uno ci è sommi- nistrato dalla rana; gli altri dai conduttori metallici) e circuiti voltaiti. Cominciamo da questi ultimi. Fili conduttori. I fili metallici che hanno servito a condurre sia l’elettricità delle macchine'ordinarie, sia le correnti termo-elettriche, non conservano sopra di se alcuna traccia del passaggio al quale fu- rono esposti. I fili congiuntivi degli apparecchi voltaici non sono in questo differenti dagli altri conduttori metallici. Nelle sole parti, in cui detti fili si fanno pescare nei liquidi del circuito, soffrono essi un'alterazione , la quale dura più o meno anche dopo l'immersione, ‘e percui quelle:‘parti immerse. acquistano una forza elettro motrice differente dalla primitiva. L’alterazione, di cui si parla; è ‘superficiale , e nasce dal: modo col quale le cor- renti voltaiche decompongono i liquidi ch’ esse traversano , ser parandone gli elementi elettro-positivi dagli elettro-negativi. e trasportando ciascuna specie al suo \polo rispettivo ,i dove, agi» scono chimicamente‘o si distendono in. veli più 0 meno, visibili secondo la natura delle sostanze. È questo un risultato generale che 1’ analisi delle apparenze elettro chimiche ; scoperte da uno di noi, rende evidentissimo , e che liberando il fisico dalla: ne- cessità di ricorrere ‘a. forze ignote ; dà | piena ragione delle. pile secondarie di Ritter; non che di 'tutti gli altri fenomeni dipen- denti dello stesso: principio (12). 0 (12) Il sig. Dela:/Rive:era stato; da’ .certe sue esperienze, indotto. ad, am- mettere: che -l’ alterazione, che, soffrono i. conduttori metallici entro i liquidi inicui pescano, si estendesse al di fuori delle parti immerse, e sviluppasse quivi un nuovo potere da lui chiamato elettro-dinamico per distinguerlo dall’ordinaria forza elettro-motrice di Volta (Bibl. Unio. T.35 pag. 94). Jo cercai di’ verifi care tempo fa questo risultato ) ma non mi riuseì'di farlo, ad onta che impiegassi nella ricerca i più delicati de’ miei galvanometri.: Trrovai sempre i conduttori metallici ‘alterati unicamente, là;dove \avevano,. pescato | ne’liguidi, e non mai fuori. Il prof. Marianini aveva prima di me limitata la stessa alterazione alle parti immerse; nè io feci realmente che estendere il principio a tutti i, casi, e ren- derlo più concludente in grazia degl’istrumenti RR a verificarlo. ' (Bibl. Unio, T. DI nota alla pag» 126). L. N. T. VI. Giugno 20 154 Dopo dunque d'avere ricordato ciò che accade sopra i fili voltaici,, nelle parti immerse. ne’ liquidi e fuori, quale ana- logia troveremo noi fra questi due casi e lo stato elettro-tonico? Nessuna per quanto ci pare: non nelle parti immerse , perchè alterate in questo luogo da un giuoco chimico , dalla. presenza cioè idi nuove sostanze, che non esistono nel .caso de’ circuiti interamente metallici delle spirali magneto-elettriche : non nelle parti esistenti fuori del liquido, perchè esplorate cogli scandagli galvanometrici fanno vedere che appena esse si tolgono dal cir- cuito, cessa su di loro la primitiva corrente, e cessa interamente, senza dar luogo allo sviluppo di. verun altra corrente, come pur dovrebbe accadere , se la.corrente che percorreva prima quel filo avesse indotto dentro di esso uno stato in qualche maniera ana- logo all’ elettro-tonico di cui si tratta. Rana. È noto da una delle antiche esperienze di Volta che la rana stata per lungo tempo esposta all’azione d’una pila; non si scuote più all’atto in cui s’ interrompe o si chiude il circuito della pila medesima : si scuote invece se s’ inverte il circuito , esponendo così l’animale all’ azione della corrente contraria. Questo fatto prova che la corrente nel traversare i nervi della rana determina su di‘loro un’alterazione a cui i nervi stessi 8° abituano , dopo un certo tempo, in guisa dal non risentirsi più di quell’ azione che gl’irritava grandemente da principio. Questo risultato è troppo conforme alle note leggi di fisiologia. sulla tolleranza degli, sti- moli per eccitare maraviglia; la eccita invece considerato sutto il punto di vista fisico, essendo unico in tutta la classe, de'con- duttori umidi traversati dalle . correnti. elettriche. Sopra. tali conduttori non resta infatti, dopo quel passaggio, maggior traccia di quelle che rimangono sui fili metallici. La sola rana ne con- serva, per così dire, l’ impronta; e questo sarà per ‘éssa uno stato , a cui converrà il nome d’ elettro-tonico fors’anche più che non, conviene ai fili del sig. Faraday. In ogni modo la maggiore o minore proprietà dell’ espressione non ci farà trascorrere sulle differenze reali ch’ esistono fra i due fenomeni. Comincieremo dal ‘ricordare che le correnti elettriche producono entro le s0- stanze per cui passano , certi effetti che non hanno alcuna re» lazione, coll’ influenza ch’esse esercitano al di fuori. Prova ne siano le decomposizioni chimiche che si eseguiscono entro i li- quidi conduttori, indipendentemente dall’ effetto elettro-diua- 255 mico che gli stessi liquidi producono al di fuori. Se non per sempre importa per ora tenere distinti gli effetti interni dagli esterni, e guardarsi per conseguenza del ravvicinare più che non conviene i due stati elettro-tonici della rana e dei fili del si- .gnor Faraday, essendo l’uno un effetto interno, e l’altro un effetto esterno relativamente alla causa che li produce amendue. Oltre a ciò si ha la differenza di conducibilità da valutare, essendo la rana un conduttor di 2.% classe, ed i fili metallici di 1.* Del resto può darsi che ad onta delle diversità accennate sussista fra i due stati elettro-tonici qualthe analogia , e basta una tale possibilità per far sentire il bisogno di sottoporre la questione ad un esame più severo. E ciò diventa tanto più necessario che non si tratta d’una questione puramente fisica: si tratta d’un fatto che si lega alla economia animale, e potrebbe trovare in medicina le più utili applicazioni. Non è già che siasi tardato sin qui ad introdurre il magnetismo nell’arte salutare, ma lo fu in un modo troppo vago ed incerto per inspirare fiducia. Ora si apre un’arena meno spaziosa, ma più elevata e sicura; e giova sperare non lontano il tempo di registrare , accanto ai servigi resi dall’elettricità, le cure intraprese col magnetismo non già cieca- mente come prima, ma secondo i lumi somministrati dalle nuo- ve leggi di questo ramo di scienza. VIII. Viste teoriche. Una corrente elettrica che passi vicino ad un pezzo di ferro o d’ acciaio, tende a produrre su di esso due effetti, che si di- rebbero a prima vista contrari 1’ uno all’ altro. L' uno di questi effetti consiste nella calamitazione ordinaria dipendente, secondo la dottrina del sig. Ampère , da correnti elettriche che si ecci- tano d’intorno alle particelle del metallo magnetico nel senso della corrente produttrice. L° altro effetto è quello scoperto ulti- mamente dal sig. Faraday , e consiste nella corrente istantanea che si manifesta entro la sostanza del metallo nel senso contra- rio alla corrente produttrice. Sarebbe assurdo il supporre che la medesima causa producesse due contrari effetti nel medesimo tempo sal medesimo corpo: eppure nell’ annunziare i due feno- meni come si è fatto e si fa ordinariamente ; viensi in tal quale maniera a commettere siffatta incongruenza. È vero che si di- chiara che le correnti del magnetismo sono molecolari, mentre le altre, quelle del sig. Faraday; sono generali; ma alla fine le une siccome le altre sono correnti elettriche , e ia contrarietà 156 della loro direzione non diviene , in forza di quella distinzione, un' risultato meno inconcepibile nella taeita supposizione che si fa, che l’ azione de’ corpi elettrizzati e calamitati, s’ eserciti a dirittura sopra il fluido elettrico dei conduttori, vicini, senza pensare alla parte che può avere nell’ effetto la materia propria de’ corpi sottoposti a quel genere d°’ influenza. Sinchè si mette in giuoco il solo fluido elettrico, niun dubbio che tutto riesca oscuro, e poco meno che contradittorio. Perchè dunque non si chiama in scena la materia propria de’corpi? Perchè, invece di dire che la calamitazione consiste in correnti elettriche che gi- rano d’ intorno alle particelle de’ metalli magnetici, non si as- segna questo giro alle medesime particelle ? Perchè, ammesso que- sto giro, come conseguenza dell’impulso ricevuto dalle particelle alla presenza delle correnti elettriche, non s’ammette, come con- seguenza del medesimo impulso; un piccolo spostamento in tutte le particelle nella direzione della corrente, e non si cerca in tale spostamento la causa della nuova classe di fenomeni ? Se l’ elettricità agisce sui corpi, i corpi reagiranno necessariamente sull’ elettricità, ed un fenomeno elettrico sarà sempre un feno- meno misto, dovuto in parte al fluido elettrico , ed in parte al corpo sia considerato in massa , sia nelle singole sue particelle, secondo le circostanze. Tutto sta nel ben distinguere ciò che tocca a ciascuno dei due elementi, e quale è nei singoli casi il primo ad essere posto in azione. Nella questione , che ci oc- cupa , sarebbero le particelle del metallo che, sotto l’ influenza delle correnti esteriori, si sposterebbero le prime, inducendo nel fluido elettrico che le circonda a guisa di piccola atmosfera, uno stato di tensione qual converrebbe, per la durata e la di- rezione, allo sviluppo della prima corrente del sig. Faraday. Se- condo questo modo di vedere lo stato elettro-tonico consisterebbe nello spostamento di quelle particelle; spostamento che dure- rebbe per tutto il tempo che resta il filo metallico in presenza della corrente, e che poi al togliersi di questa corrente cesserebbe immediatamente retrocedendo le particelle al lor posto , e ripro- ducendo in questo ritorno il fenomeno inverso; cioè una ten- sione ed una corrente contraria a quella del primo momento, nel quale le particelle. furono tutte strascinate un passo innanzi dalla corrente produttrice. Lo stato elettro-tonico non sarebbe così uno stato veramente elettrico che nei due istanti del suo nascere e del suo sparire : in tutto il resto del tempo sarebbe nno stato di stiramento, uno stato di violenza per le particelle metalliche trasportate fuor di posto clalla corrente, e mantenute in quella 157 forzata posizione sintanto che dura la cansa che ve le ridusse. In questo stato non vi è così a tutto rigore nulla d’ elettrico : il principio e la fine si converte unicamente in tensione elettrica per la rapidità dei movimenti che hanno luogo in que’ due mo- menti , e per cui si sbilancia momentaneamente il fluido’ elettrico intorno alle rispettive particelle. È difatti evidente per la natura eminentemente conduttrice delle sostanze metalliche che quello sbilancio, quella tensione, non potrà durare d’ intorno alle par- ticelle che un solo momento: il fluido sbilanciato tenderà im- mediatamente a mettersi in equilibrio , e passando rapidamente dall’ una all’ altra particella determinerà nella massa ‘una cor- rente istantanea , conforme ai risultati dell’ esperienza. Non è questo il luogo d’ entrare in maggiori dettagli. in- torno a siffatto modo di vedere. Sia in un articolo destinato spe- cialmente alla teoria delle nuove correnti, sia in un lavoro più generale che comprenda tutti i rami dell’ elettricità e del ma- gnetismo, daremo alle nostre idee lo sviluppo che possono me- ritare , avendo qui dovuto limitarci a darne un semplice an- nunzio. Dal Musco. Firenze li 10 luglio 1832. Rrvsta Loiterarea. Delle finanze della monarchia di Savoia nei secoli XITI e XIV: Di- scorsi quattro ‘di Lvrer Cisrario. Torino dalla Stamperia Reale ( 1832 ) pag. 78. Il dotto Cibrario considerando ( proemio ) che ‘ gli scrittori delle memorie nostre, diligenti indagatori di genealogie e di blasoni, non fu- rono ugualmente solleciti di rappresentare, nè le forme con cui si reg- geva la monarchia, né le leggi che regolavano i pubblici ed i privati interessi , ond’ è che le storie genealogiche ed in parte anche le mili- tari furono esposte più volte in varie lingue e con vario successo; ma la storia civile , alla quale più principalmente s’ appartiene l’ intito- larsi maestra della vita ..... venne:infelicemente finora trasandata ; ,; sì propose di ritrarne gli ‘ ordini con cui si governava la riscossione e 1’ amministrazione delle entrate della corona ne’primi secoli della monarchia . .. . dalla morte di Amedeo IV (1263) fino ai primordii del pacifico regno di Amedeo VIII verso il 1400. Ma perchè troppo imper- fette riuscirebbero siffatte notizie, ove non sì conoscesse qual fosse al- 158 lora la forma di questo governo ,, incomincia egli a trattare nel primo discorso (unico finor pubblicato ) ‘ della forma della monarchia di Savoia: ,, Ci dice adunque il Cibrario 1. In principio del sec. XIV la monarchia di Savoia era divisa in otto baliati , sei al di là, due al di quà delle Alpi.... Ogni baliato consisteva di molte castellanìe , il balio governava per sè medesimo quella che venia creduta la più importante , ed aveva impero su tutte le altre. ... 2. Notevoli acerescimenti ricevè la monarchia dall’ immortale Ame- deo VI .... 3. Il balio era general comandante nella sua provincia. In tempo di pace mantenea la pubblica tranquillità. Attendea sopratutto ad im- pedire le risse e le prepotènze de’ nobili e de’ comuni. Sopravvedea le esecuzioni della giustizia. Prendea segrete informazioni sui portamenti de’ castellani e degli altri ufficiali. Visitava ed afforzava le rocche e le terre .... poteva, quando lo credesse necessario, fare eserciti e ca- valcate. In tempo di guerra chiamava il bando e il retrobando , ed era- no i baroni e i castellani tenuti di far capo a lui e di marciare sotto alle sue bandiere. 4. I castellani erano comandanti nel distretto della loro castellanìa; sopravvedevano la riscossione delle entrate del principe che si facea dai mistrali, salterzi, stradieri, pontonieri , pedagieri , corearj ed altri esattori (1). Appaltavano dazi, gabelle , pescagioni , forni, molini; amministravano le tenute demaniali dipendenti da ciascuna castellanìa. Giudicavano soli o col consiglio dei Savj (2) o per mezzo di un giudice le cause sì civili che criminali, che richiedeano d’ essere spedite som- mariamente , ed aveano eziandio facoltà di comporre queste ultime per moneta eccettuatone i soli misfatti capitali (3). “ I balii ed i castellani duravano per l’ ordinario un anno in uffi- cio, e più o meno secondo il piacer del sovrano. Aveano stanza nella fortezza che governavano, e provvisione più o meno copiosa secondo il (1) Salteri ( così il Cibrario ) si chiamavano i gastaldi o massai. Coreari gli economi, di beni o di rendite in terre ecclesiastiche. Aggiungerò che i mi- strali di Savoia sono la stessa cosa che i ministeriali degli altri paesi. (2) La ragione perchè i castellani si giovassero del consiglio di questi Savi la trovo troppo bella in Beaumanoir ( Contumes de Beauvoisis p. 11 ) per non ridirla ai lettori dell’ Antologia : Or disons nous ainsint que les lier là où li baillis font les jugemens quandli bailly a les paroles receues , et elles sont appuiées en jugement il doit appeler a son conseilg des plus sages et fere le jugement par leur conseilg. Car se len appelle don jugement et li jugement est trouviés mauoés li bailly est excusé de blasme quand on set que il le fist par conseilg des saiges gens. (3) Da un documento quivi riferito dal Cibrario si rileva che i misfatti ec- cettuati sono l’ omicidio , il tradimento e la ribellione. Si rileva inoltre che avevano eziandio la volontaria giurisdizione ( Zegitimorum actuum eramen etc.) 159 novero dei sergenti e delle guardie, di cui erano obbligati di fornir- la.... Aveano inoltre per l’ ordinario i castellani parte nelle pene pe- cuniali ed eziandio l'autorità d’ imporne pe’ loro precetti non osservati, la quale autorità era in certi casì ‘attribuita perfino ai mistrali. Infine da tutti gli atti a cni procedeano in virtù del loro ufficio ricoglieano con ragione o senza qualche provento. Ogni castellania sì componea di varie terre. ,, Lo” ; 5. ‘ La divisione giudiciale seguitava per l’ ordinario la. politica , vale a dire che ciascun baliato aveva un giudice.... Giudicavano essi sia le cause civili sia ‘le ‘criminali, le quali per la maggior parte si risolvevano in condannazioni pecuniali ; essendone per le carte di fran- chezza molte delle terre libere , e per gli statuti di Savoia eccettuati- solamente i malefizi più gravi, cioè le varie spezie di omicidi, di fal- sità e di ruberia. ... (4). 6. © Perle cause civili e per le criminali della specie men rea:po- tevasi , secondo la importanza della causa 0 dei contendenti ed inqui- siti, appellare dalle sentenze de’ giudici provinciali al giudice delle ap- pellazioui ‘o ricorrere per supplicazione al consiglio, il quale talora chia- mava a ‘sè la ‘causa ; talora mandava al giudice di dar .nuova:sentenza dopo d’ aver meglio considerate le ragioni. delle parti. Le cause crimi- nali di questa specie erano per lo più definite (0 ‘per sentenzai;o per accordo ) nelle ‘assise che i giudici provinciali dovean tenere nelle va- rie terre ‘di loro ‘giurisdizione almeno quattro volte all’ anno:; 0bbligo da savia considerazione introdotto;iperchè ‘i popoli nell’'andare a ragione in luoghi lonitani non paàtissero troppo disagio :. ... Ma nelle cause che potean trat seco grave pena corporale ‘e massime quando: il colpevole era ‘Sostenuto in carcere , siccome dagli statuti era lodevolmente: pre- scrittà la massima’ ‘speditezza ,-e che' troppo sovente accadea che il giu- dice fosse occupato in ambascerie o in altri‘ negozi pel Conte', 0. per diversa cagione impedito, si usavà in simili ‘casi, appena un delitto era commesso ed il presunto colpevole carcerato, deputare un commissario che sentenziasse .... “ Non di rado'il giudice teneva altresì una castellanìa soil stesso baliato o fuori ; cosa che’... potea nuocere arniche grandemente al bene della giustizia, postochè ‘come'castellani erano subordinati al balio e te- nuti ad obbedirlo e ‘come’ giudici ‘nd... “In tutte le giudicature era an procuratore del Conte ed a Ciamberì (4) Seguono i modi con che si pùnivano i'rei! ‘Omicidi. e grassatori \ap- piccavansi o decapitavansi. Rei di stato si tormentavano e poi!decollavano. Fal- sari eran morti 0 col fuoco , o nell’ olio od arqua bollente. Gli ebrei:talora ap- piccati pel piede, le donne annegate. Talora! per. più infamia si appiccava un’a- sino insieme al colpevole. Il furto avea mille modi di pena. La confisca accom- pagnava sempre. le pene eapitali. Nel processo informativo si adoperava talvolta I’ aiuto della tortura. 160 un procuratore generale ; 1’ ufficio loro pipiellona: in parte alla mo- dea carica di avvocato fiscale . . . “Non aveano le cause demaniali tribunale privilegiato; usava sola- mente il Conte commetterne. talvolta la sugniziono a più di un giudi- ce, affinchè nella comunione vel consigli s’ avesse maggior fondamento di retta giustizia. > isral osnol 9. “ Sedeva infine appresso il Conte un consiglio composto di pre- lati , di baroni e:!di giurisperiti ; il quale oltre al consultare nelle cose di stato provvedea sui ricorsi concernenti materie di grazia e di giustizia... . oltre a ciò avea balia di chiamare a sè e di giudicare ogui causa sì civile ‘che; criminale coni autorità suprema. ,;., , ‘ Un altro uffizio dei consiglieri nè certo il meno importante era di levare il conto che rendeano sovente al cospetto dello stesso. sovrano i castellani , i mistrali ed ogni altro amministratore , di riscontrarne le ragioni.e le partite e, dove il bilancio battesse, d’approvarli. ,;. ‘ Ma vie più grande era la potestà del consiglio quando il Conte as- sentavasi dallo stato , perocchè allora assumeva il reale esercizio della sovranità..!.... A questo temporaneo esercizio dell’ assoluto potere non partecipavano nè la contessa di Savoia nè il principe ereditario ancorchè in età abile al governo... La più antica notizia di quel consiglia, a cui mi sia abbattuto è del 1288... .. 1» di 10y:°5 Non: ad Aimone, come;fi creduto finora, ma panico po conte Odoardo; si vuole. attribuire la, costituzione dii un:consiglio residente a Ciamberì (:che 1’ altro seguitava la persona del sovrano )... terra che già dal principio! del secolo potea, considerarsi, come una capitale, ben- chè l’ ordinaria. dimora del principe e della sua, famiglia e. la stanza del suo:.tesoro fosse ancora al Borghetto ... Del consiglio residente a Ciamberì s’° ha memoria sin dal 1337 ... . Poco dopo, la metà di quel secolo Amedeo VI... credette forse opportuno, di, stabilire un consì- glio anche al di quà dei monti. ». ed ebbe sede (,1374.) vtalara a Ri. violi:;:talora a:Tonino:s}. Late ngino sluventoo ctuutort.li ho ‘ 1r. ‘° Del rimanente non aveano ancora i principi PR" tecn l’an- tica consuetudine di esercitare personalmente, la più nobile prerogativa della sovranità ; quella del giudicare. Onde nelisecolo XIIL.si, ha me- moria dei placiti tenuti dai conti di Savoia. or, nell’. una or, nell’ altra parte dei loro domini.... Furono meno, frequenti ne’tempi che vennero poi questi parlamenti, generali. Narra il Capré che, durante la tutela dì Amedeo VI nel 1345 fu ordinato che si tenessero una volta all’ anno e non: più. Del rimanente men, vivo doyette risentirsene il bisogno , poi- chè con'savieleggi.si mn ge forma ai tribunali, ‘maggiore regola- rità ail'‘giudizi.'.,, i tiom r9. Eldi tal benéficio fa la Savoia dbbiittoò a' quel gran principe Amedeo VI il quale non'si'sa bene in quale' anno pubblicò uno sta- tuto di séssantacinque capi, pieno ‘di ‘savissimi ordinamenti (breve, mente esposti dal nostro A. ) il primo dei quali è la deputazione d’un 261 avvocato provvisionato da lui che patrocinasse gratuitamente le cause de’ poveri : pietosa instituzione che stà ancora ai dì nostri... 13. “ Sedeva nel grado supremo il conte di Savoia, il quale eserci- tava solo o per mezzo del consiglio da lui nominato 1’ assoluta sua au- torità, la quale non ricevea la menoma alterazione dalla sua dipenden- za verso l’ impero : dipendenza che non si stendea a tutte le parti «de? suoi dominii , e che era stata sempre più di riverenza che di sog- gezione. Non avea la sovrana potestà altri confini che quelli che le im- poneano le leggi e le consuetudini feudali, e le franchezze che ella medesima avea conceduto ai comuni, o che i comuni nell’atto di dedi- zione aveano avuto cura di riservarsi , e delle une e delle altre pro- metteva il principe l’ osservanza con giuramento. ,, Ritratte così le magistrature dalle quali erano governati gli stati del conte di Savoia nei secoli XIII e XIV , vien poscia il sig. Cibra- rio a ragionare le condizioni dei sudditi e delle terre soggette. ‘I sudditi de’ contì di Savoia ( così egli ) erano più anticamente divisi in cinque ceti. Il primo dei religiosi ( ecclesiastici?) Il secondo de’ baroni e de’cavalieri banderesi il terzo dei nobili; il quarto dei cen- suarii e dei livellari, 1’ ultimo dei taghiabili. |‘ “Tutti i vescovi tutti i capitoli, tutte le case religiose avean feudi e signorie con maggiore o minor giurisdizione e per conseguenza vas- salli e sudditi. Lo stesso conte di Savoia tenea feudi moventi dal di- retto dominio de’ vescovi di Sion e di Losanna , ai quali ne faceva omaggio . . . ‘ Baroni e cavalieri banderesi erano quelli che alzavano in battaglia bandiera propria, sotto alla quale ‘convenivano i nobili di minore stato che oe feudi da lero..... ‘ Il ceto dei nobili era composto dei signori di piccioli feudi con Mi s dì quelli che per ufficio o per gradi accademici si era- no inalzati a tal dignità e dei discendenti degli antichi uomini libe- ri -.... La franchezza di ogni tributo , od accatto fuorchè da quello ch’ essi medesimi consentivano a titolo di dono , la giurisdizione più o men piena sulle terre o ville o vicinanze che possedeano , il privile- gio-d’ essere deputati balii o castellanî, di venir decorati dell’ alto grado della cavalleria costituivano le principali prerogative di dora Mione d’ uomini. “ Il quart’ordine era composto di quelli che teneano case e poderi in ragione di feudo rustico di censo o di livello ed erano obbligati a certe annuali prestazioni dì danaro di grano ec .... Oltre a ciò avean debito di servizi personali per le fortificazioni del castello ee. ... ‘ Veniano in ultimo luogo i tagliabili, la miseranda cognizione dei quali consistea non tanto nel pagare un annua taglia ..... ma sibbene nell’ essere considerati come veri servi, anzi come stromenti affissi ed incarnati a quelle tali possessioni con le quali si vendevano ec. . . . 14. .... Fino dal secolo XH hanno i conti di Savoia conceduto a T. VI. Giugno 21 ì) 162 qualche terra di reggersi a comune , le prime franchezze di Susa ri> salgono.ad Amedeo III morto nel 1148; e le prime d’Aosta concedute da Tommaso hanno la data del 1188. Nel secolo XITI le concessioni di franchezza e di libertà anche alle ville di minor riguardo furono sicu» ramente in gran numero. Queste carte di franchezza e di libertà con- tenevano il novero de’ diritti politici , 1’ esercizio ‘de’ quali era conce- duto ai loro abitanti, come di formar corpo di comunità, di elegger sin- daci ed economi che lo rappresentassero e che amministrassero le ren- dite comunali ; e talora di levar qualche gabella o qualche tassa. per sopperire alle spese necessarie , ed ancora di assistere .il castellano a render ragione, massime in quelle congiunture, sulle quali non prov- vedendo lo statuto era necessario ritrarsi alle antiche osservanze. Con- tenevano ancora quelle carte l’ assoluzione delle taglie \ec.... Attri- buivasi ai borghesi la facoltà di testare , si dichiarava che morendo al- cuno intestato non il tisco ma i prossimiori gli succedessero sino, al quarto , ovvero sino al quinto grado inclusive ... Detinivasi da quale gravezza dovessero i borghesi andare esenti, quali pagare e in che som- ma ..... Assegnavasi ancora in quelle carte di libertà la durazione del servigio militare .... Determinavansi eziandio i contini della terra franca... Ma il nerbo e la sostanza di tali franchezze si facea consi- stere in ciò | che un borghese non potess’essere imprigionato ad arbi- trio degli ufficiali del Conte .... Opportunamente nelle concessioni di tali privilegi s° aggiungeva la correzione degli abusi che. 1’ avidità de- gli agenti fiscali aveva introdotti . . .. E siccome i privilegi di cui go- deano i borghesi dovean renderne molto desiderata la condizione era- no ‘eziandio definiti il tempo e le forme, con cuni si potea dagli strani acquistare nella terra libera il dritto di naturalità, ed era la dimora di un anno e un dì senza richiamo del loro antico signore ; al che in al- tri luoghi si aggiungeva l’ obbligazione di comprar casa e beni della valuta che veniva assegnata... .. »; Dopo le quali cose tutte venendo il Cibrario a ragionar dell’ ordi- ne di successione nella monarchia conclude questo suo discorso primo dicendo . 15. £ La contea di Savoia cogli stati annessi solea trasmettersi di maschio in maschio per ordine di primogenitura. . .. L'esclusione delle femmine fu similmente sempre osservata .... Ma non sempre invece fn atteso 1’ ordine della rappresentazione . ... Finalmente Amedeo VI nel suo testamento del 27 febbraio 1383 volle ed ordinò, in conformità delle disposizioni de’suoi predecessori, che finchè saranno figliuoli ma- schi della stirpe e del nome de’ conti di Savoia , non vengano mai chia- mate a succeder le figlie. ,, Tali furono le magistrature, le condizioni dei sudditi e delle città, e l’ ordine di successione nella monarchia. di Savoia nei secoli XII e XIV ; secondo il dotto ., chiaro e bene ordinato discorso primo del sig. Cibrario , di che mi piacque dare un non breve estratto in queste carte, acciocchè i cultori della civile istoria delle nazioni veggano, co- 103 me il Cibrario seppe in ‘tutta la sua lucidità mostrare quell’anello che, nella catena dei tempi, lega l’età della signoria de’ popoli germanici e la feudale, con l’altra; nella quale. i principi di Savoia giunsero ad esercitare nei loro stati il più assoluto potere. Osserveran costoro co- me la gerarchia:dei balii e de’castellani serbi in:miniatura qualche sem- hianza di quella déi dirchi e dei conti che furono ai tempi di Carlo Magno , e loderanno il conte di Savoia perchè , conferendo quegli uf- fici di balii e castellani per un solo anno e non a vita, impedì che i medesimi non si rendessero a'poco a poco pressochè independenti, co- me. appunto ne? precedenti secoli aveano. fatto i duchi e i conti del rea- me di Francia. Noterantio inoltre chie i conti di Savoia per diminuire il numero dei feudi ie dei riottosi baroni non isdegnarono (appunto come i re di Francia ) di fare omaggio ai loro grandi vassalli (i ve- scovi.) per averne la investitura dei feudi di lor diretto dominio, e riu- nirli così alla, corona.:|e che, come per diminuire il lustro dei baroni medesimi concederono ai; semplici nobili , e non ad. essi baroni o a’ca- valieri banderesi , le magistrature di balio e di castellano ; così accor- darono, franchigie le. libertà (alle terre soggette, ed ai loro abitatori per averle più obbedienti, più affezionate e. più soccorrevoli nelle discordie intestine e nelle guerre cogli stranieri. Tornando adessu al sig. Cibrario dirò che a lui si dee grandissima lode anco perchè trasse la materia di questo suo Discorso primo: della forma della monarchia di Savoia: dalle vere e genuine fonti, ossia dai documenti contemporanei ;: di che non. solo si:fa larghissimo uso nelle note apposte al discorso medesimo } ma se ne ha quì pubblicati nove inediti, pre- ziosissimi e ‘copiosi a segno che delle 78 pagine onde componesi il suo libritto., più che la metà si tiene da questi Documenti inediti (5). Uti- lissimo esempio e dal quale ormai non è dato dipartirsi a coloro che vogliano scrivere opere d’ istoria da meritare e considerazione e plauso. . Perchè poi questa rivista del lavoro al quale pose mano il sig. Ci- brario riesca: ancora’ di. maggiore utilità , ne piace di francamente esporre quali sieno i dubbi la risoluzione dei quali parmi che sì possa (5) Eccone 1° elenco , I. Nota de’ baliati e delle castellanie di Savoia nell’ a. 1329. IT. Patti de- ditizi della città d’ Iyrea 16 nov. 1313. TII. Convenzioni di Pietro vescovo di Luvsanna con Amedeo V e Odoardo suo figliuolo ( 17 Giugno 1316 ), IV. Con- Venzioni di Amedeo V con Ricciardo della Camera Visconte di Moriana ( 25 Gennaio: 1309)! VI Confermazione delle ‘francliezze e libertà del comune di Evian (1 Febb.'1324 ). ‘VI. Carte delle :franchezze e libertà del comune di'Bil- Jen ‘conceduta da Qfloardo C: di S. (15. marzo 1324 ) VII. Amedeo V_ conferi mala concessione [della borghesia di. Rivoli, in favore di. Nicoleto, Becenti e de) suoi figliuoli (,3.,Genn. 1323 ). VIII. Convenzione dell’ Ab. di S. Ramberto con Tommaso G. di S. (30 Nov. 1196). IX. Confermazione. degli ordini sta- biliti da Amedeo V rispetto, alla successione alla ‘contea di Savoia (5 Mar- zo 1324 ). 104 desiderare da chi attentamente legga il suo libro. Questi dubbi adun- que sono. r.° Quali fossero i rapporti che passavano tra il balio , e il giudice del baliaggio , tostochè questi non essendo subordinato al. balio come gindice non pare che ne fosse un delegato per decidere le cause civili e criminali, alla stessa guisa che nelle castellanie il giudice deputavasi a beneplacito dal castellano (66.4 e 8). .° Tra i giudici delle castellanìe , e il giudice del baliaggio qual relazione correva? Era forse il giudice del baliaggio il giudice delle ap- pellazioni di che al $. 6: E se non lo era quali furono le differenze , e i limiti delle reciproche giurisdizioni , tra il giudice del baliaggio e i giudici delle castellanie ? Chi fu il giudice delle appellazioni e dove risiedeva ? 3.9 Nei placiti o. nell’ andare a ragione i particolari v’ interveni- vano soltanto come parti e testimoni , o (lo che può invero argomen- tarsi da quanto è detto ai $5. 4 e 14) eziandio come assessori dei giudici ? 4.9 I sudditi al di quà delle alpi repartivansi nelle stesse classi che quelli al di Jà delle Alpi ( come pare dal non essere in ciò notata dif- ferenza alcuna ) oppure ci avea qualche differenza , atteso. la varietà della provincia e nazione ? Voglia di grazia perdonarci il sig. Cibrario ; se ;.. appunto perchè tanta è la dottrina di che ha: dato prova in questo suo Discorso primo osammo di proporgli siffatte questioni ; certi che di risolverle sarà fa- cil cosa a lui che seppe sì accuratamente attingere alle vere istoriche fonti, e che pronta ne avrà l’ occasione quando sia ch’ egli mandi in luce gli altri suoi tre desideratissimi discorsi intorno alle finanze della monarchia di Savoia. Avv. P. Gaper. Quadro in musaico scoperto in Pompei il dî 27 Ottobre 1831 ; descritto ed esposto in alcune tavole dal cav. Antonio INIiccoLINI Architetto di Casa Reale, Direttore dell’ Istituto di Belle Arti ec. Napoli St. R. 1832 in 4.° ‘È ormai troppo celebre la bella casa di Pompei, che da una fi- gura trovata fra le sue reliquie si dice del Fauno. Ivi ( come appari- sce in parte dal disegno onde .s’ adorna il frontespizio del libro di cui ci fa dono il cav. Niccolini ) era, mè ancor tutta è perita, una ma- gnifica stanza (il triclinio ) sostenuta da quattro colonne d’ ordin co- rintio , ‘posta fra’ dne spaziosi quadrati con larghi portici , l’ uno di ventotto colonne d’ ordine jonico ; 1’ altro di quarantadue d’ ordine! do- ricò } aperta interamente dall’ un de’ lati maggiori che serviva d°’ in- gresso , non chiusa dall’ altro che da un parapetto di tre palmi d’ al- tezza, e vero luogo di delizie e di meraviglie. Chi in essa trattenevasi, di qui aveva il prospetto del cortile , del tablino , dell’atrio , nel quale, 165 come nel cortile , zampillavano limpide fonti; e in maggior distanza quello del vestibolo della casa abbellito da due graziose edicole ivi a tal uopo simulate ; di là quello del viridario co’ suoi alberi, i suoi fiori, le sue acque, le sue statue , i suoi ornamenti diversi, e in lon- tananza quello pure de’ colli , de’ vigneti ec. ec. : vedeva alzando lo sguardo due bellissimi cieli, ai quali, dall’ n de’ lati specialmente ; le antefisse de’ ben adorni tetti facean quasi ghirlanda |, e ‘d’ onde pio- vea una luce , che i' veli degli intercolunni temperavanio e variavano în gratissima guisa : mirava , rivolgendosi alle pareti e all’ intorno , squisite decorazioni ‘architettoniche , tavole marmoreéè , statuette di bronzo , vasellami di cristallo ‘e d’ argento , suppellettili d’ ogni ma- niera in bell’ ordin disposte, ed egualmente preziose per la materia che pel lavoro : contemplava infine sotto î suoi piedi (chè i piedi degli antichi posavano ove appena in qualche reggia posano le mani de’mo- derni ) opere non men preziose e anche più stupende. Fra quelle che avanzano ( e che il cav. Niccolini si propone di de- scriver tutte , unitamente all’altre belle reliquie della casa‘ del Fauno ) è } quasi all’ingresso , fra le due linee ‘che’ partono dalle due colonne che lo fiancheggiano } un gran quadro , non meno lungo di ventun pal- mì, e non men largò di dieci e mezzo ove vi ‘si comprenda anche la cornice , e, ove questa non vi si comprenda, lungo tuttavia più' di di- ciannove , e largo più di dieci ; tutto composto di pietre ‘marmoree, e tutto così figurato , che ancor non sì vide in suo genere opera sumi! gliante. È questo il quadro che fu scoperto il di 27 Ottobre 1831) con tanta meraviglia degli studiosi dell’ arti ‘e dell” antichità , che mai forse per opera antica non si provò la maggiore. Esso fu tosto soggetto di bell’ articolo al cav. Avellino che ne parlò nel Giornale delle Due Si- cilie ; lo fu in seguito di dotti ragionamenti al cav. Quaranta , che volle modestamente ‘intitolarli cenni, e ne diede in Napoli due edi> zioni ; lo è ora d’ un' pregevolissimo libro al cav. Niccolini , il qual vi aggiugne opportunamente e l’ articolo ‘e i cenni; poichè il libro più volte serve lor di comento ;, e questi servono al libro di supplemento. Rappresentasi nel’grtan quadro (dice il’ ‘cav: Niccolini, ‘d’ accordo cogli altri che ne parlarono prima di lui, e dirà chiunque vegga la prima delle tavole annesse al libro ) una battaglia quasi al suo termi- ne, cioè dall’una parte già presso alla vittoria, dall’ altra alla ‘sconfitta. Dall’ una di queste parti (a manca di chi guarda, ed ove, per tre- muoto antecedente all’ eruzione che seppelli Pompei , il quadro ha molto sofferto )vedesi tra sfrondati alberi ; ‘armi atterrate e itfrarite |, corpi di feriti ‘0 ‘d’estinti, venir su focoso destriero e accompagnato' da molti combattenti un duce supremo, è trapassar con ‘l’ astà ‘un''giova> ne nobilissim» nell’ atto che scende dal suo cavallo già abbattuto. Ve- desi dall’ altra , sovr’ alto cocchio , a cui |’ auriga , sferzando con' gran forza i cavalli, fa dar volta fra molti caduti, un altro dute supremo, il ‘qual d’una mano stringe, ma non in atto ostile, un grand’arco ,'col- l’ altra, non men che col volto, dà segni di terrore o'di'‘ dolore , )60 espresso pure, ne’ volti de’ combattenti che con vessillo spiegato gli stanno, all’ intorno, , e .d’ uno specialmente che. a piè del cocchio, tien fermo a stento un destriero da cui è sceso. Qual battaglia è questa ? quai combattenti , quai ducì si stanno a fronte ? All’abito, all’armi (in ciò pure il cav. Niccolini è d’aceordo coi due che ne parlarono innanzi, a luì) i combattenti dell’una parte sem- brano Grecì., anzi alle lunghe, loro aste,, che ci ricordanile sarisse ma- cedoniche , sembran, Macedoni. All’ abito, all’ armi, ,i combattenti del- l’altra sembrano. Asiatici , anzi ai loro pilei 0,.tiare o, coperte di tiare, come pensa il cav. Niccolini, che nelle tavole reca esempi di)tiare men note tratti da’ bassirilievi di Persepoli ; ai lor capiri o, tuniche strette con larghe maniche ; alle lor, cappe , che al cav. Quaranta sembrano aver, somiglianza colla stola, doriforica , al cav. Niccolini colla elena che pur si vede in aleuni monumenti persepolitani ; al lor credemno o cappuccio che in una figura soltanto è attaccato alla cappa; alle lun- ghe lor brache o anassiridi ; alle lor collane e agli altri ornamenti del loro, abito , ai grifi specialmente che veggonsi, sulle anassiridi del giovane ,nobilissimo che già si disse e fin sulle selle e sul cocchio (e fors'anche sul vessillo ove si è creduto vedere una testa di gallo) e il cui nome vien da un verbo persiano che significa, afferrare , sì direb- bero, Persiani. Or. a capo di Macedoni edi Persiani quali ‘altri duei è verosimile che stieno se non i due , che appena è d’ nopo di nominare, cioè Ales- sandro e. Dario ? E veramente il duce de’ Greci, dice il cav. Avellino , è quale, Alessandro suol rapprese tarsi con torace ornatissimo , con cla- mide, svolazzante, con testa di Medusa sul petto ec.; ha, dove agli omerì si. congiungon le braccia, perfino il simbolo a dui proprio del fulmine che Apelle, come, sappiamo, gli pose in mano. Alessandro egli è senza;dubbio, dice i) cav.; Qnaranta, e lo riconosco, al volto, imberbe, allo sguardo leo- nino, al candor della pelle, al color biondo de’ capelli, alla foggia onde sono elevati suila sua fronte, alla piegatura forzata della testa, ai tratti iusomma ,che ci han serbati di lui i bronzi , le, gemme , i marmi ec., alla bellezza stessa , al torvo aspetto, alla criniera mozzata del suo de- striero, ch) è Ja stessa di quello che .il sostiene. tin. un, bronzo del Mu seo, Ercolanese. E ame, pure , dice il cav. Niccolini, sembra Alessan- deo , Ja, cui memoria, pttenne culto sì lungo; e sì universale ( ancor nel quarto, secolo , fin., presso i Cristiani,, se, ne portavano indosso le imagini come amuleti) e;a cuì tutto mi fa pensar nel musaico , persin la cornice, che nella parte più vicina all’ ingresso rappresenta il ser; pente sacro , il cocodrillo:, l’ippopotamo , 1’ ibi, i fiori di loto, ch’ è quanto dire il corso del Nilo, con che sembra alludersi al conquisto che 1’ eroe, fece (dell’Egitto. Se non che, per tacer del torace, che, sehben sembri, potersi annoverare fra quelle corazze di lino di cui parlan gli storici,,. mai ch’ io sappia si vide in altri suoi monumenti,; per. tacer pure che il supposto fulmine delle spallette, poichè il musaico fu ben rinettato dalla terra , si vide esser piuttosto una specie di croce, mi 107 tien sospeso , egli dice , il veder che in questo musaico ei non è pro- priamente imberbe' come nelle medaglie e in altri monumenti (e qui in una tavola ne dà incisi alcuni ) ma ha le barbefté ( basette o fe- dine come qui si dicono ) fin sotto il' inento ; ciò che non potreb- be convenire ‘ad Alessandro se non anteriormente alla sua legge che i soldati si radesser la barba, onde non'venir per essa presi da’ ne- mici. Il duce de’ Persiani non è dul'cav. Avellino chiamato Dario , è ne vedremo a luogo opportuno il perche. Lo dice Dario il cav. Qua- ranta , argomentandolo dal candi 6 manto purpureo che a lui solo svò- lazza sulle «palle e ch” è proprio de’ re ne’ monumenti persepolitani dalla sarage o sarapi , tunica ‘anch’ essa purpurea , attraversata da bianca striscia, e tra i Persiani al re solo riservata; dalla cidari o tiara eretta, sì dissimile da quelle degli altri che son ripiegate, e an- ch’ essa propria del re solo ; dalla grande e bella persona sì conforme al ritratto che di Dario ci fan gli storici ; dal posto elevato ch’ei tiene sul cocchio , punto rigoroso , egli dice , dell’ etichetta persiana , qual gli storici pur ce l’ han descritta ; dal grande suo arco finalmente , maggior di quanti se ne veggano nel suo esercito, e qual si conviene ad un discendente de’ re Kaianidi ( dall’ arco forte), al parente d’ un altro Dario che nell’ epigrafe del suo sepolcro è detto il più forte degli arcieri. Né dal cav. Quaranta dissente gran tatto il cav. Nicco- lini. Solo , in proposito. della tunica , la qual sembra a lui pure aver somiglianza colla tunica listata di bianco dere persiani , dice che non gli sembra aver lo splendore della porpora tiria (in fin del libro ei dà saggio del colore e della tunica e del manto ) e aggiugne che tutto l’abito mal corrisponde a ciò che gli storici ne dicono della ricchezza di quello di Dario , anzi neppur corrisponde alla ricchezza di quello d’ alcuni de’ guerrieri minori che veggonsi nel quadro. Non nega però che la tunica, di cui si parla, possa essere anch’essa vera tunica regia, nel qual caso 1’ archeologia verrebbe per questo musaico a conoscerne una specie di più, come forse per esso, dice il cav. Quaranta, l’ iconografia viene ad arricchirsi del ritratto finor sconosciuto di Dario. Se non ché lo scioglimento della questione, che riguarda i due duci supremi, dipende in parte dallo scioglimento di quella, che riguarda la battaglia rappresentata nel quadro , come Jo scioglimento di quella di- pende più che in parte dallo scioglimento ell’ altra. Il cav. Avellino ha creduto di veder rappresentata nel quadro la battaglia del Granico © piuttosto quel momento , in cui Alessandro , dopo aver ferito nel volto e rovesciato da cavallo Mitridate genero di Dario , trapassò col- l’ asta il torace d’un persiano detto Resace, che, volendo ferir lui , gli aveva infranto alcun poco la galea. Vedesi infatti, egli dice , nel nostro quadro il guerriero vincitore. aver vicino uno ferito nella testa (chè il mostrarlo ferito nel volto parve forse sconcezza ) trapassare ad un altro il torace, e gli altri Persiani, come si aggiunge da qualche storico, volgersi in fuga. Ma al Granico,osserva il cav. Quaranta, si combattè nella state, e gli alberi sfrondati del quadro sembrano indicare il verno ; al 168 Granico si usarono dai satrapi molti carri e falcati, e qui vi è un solo carro e, senza falce ; al Granico ;infine, Alessandro non si scontrò con Dario ; e qui è Dario sicuramente, come provano le particolarità che già si son notate e che a luì solo possono convenire. Il cav. Niccolini, che non è sicurissimo della persona d’Alessandro, e più che dubbio intorno a quella di Dario, non si mostra menomamente inclinato a credere che qui si rappresenti la battaglia del Granico. Aderendo però al cav. Quaranta , dice cosa che potrebbe sembrar favotevolissima all’opinione del cav. Avel- lino. Osserva cioè che gli alberi, o piuttosto l’unico albero che ancor si vede, ma che ne fa supporre degli altri, anzichè sfrondato per la sta- gione sembra inaridito per vecchiezza , e che supposto senza compagni potrebbe prendersi come indizio di luogo , il qual forse da esso pren- deva il nome, come fra noi Campo del Fico, Via delle Querci , Poggio del Castagno ec. E osserva pure che il duce de’Greci frena un destriero di color sauro chiaro, e simile a molt’altri della sua specie, e però non Bucefalo, il quale era nero, avea testa bovina, e una macchia bianca in fronte ; ed è notato nella storia come Alessandro, appunto alla battaglia del Granico , frenava altro destriero che quello con cui combatte le altre battaglie contro i Persiari. Che se non è qui rappresentata la battaglia del Granico , dice il cav. Quaranta , non è pur rappresentata quella d’Arbela, poichè in essa Alessandro fece uso dell’ arco , col quale ferì , scontrandosi in Dario , il cocchiere di lui ; poichè in essa pure vi furono molti carri e fal- cati; poichè in fine essa fu data undici giorni dopo l’ eclissi lunare avvenuta nel ventesimo del Boedromione , cioè il primo d’ Ottobre , quando gli alberi hanno tutte le loro foglie. Quest'ultima osservazione, per ciò che già si è detto, non dovea sembrare di gran momento al cav. Niccolini. Più convincenti dovean sembrargli le altre due, per non dir nulla di quelle che risultan naturalmente da quanto ei medesimo ha già osservato intorno alla persona d’ uno specialmente dei duci su- premi rappresentati nel quadro , e al cavallo prediletto dell’ altro. Escluse intanto la battaglia del Granico e quella d’ Arbela, non rimane , dice il cav. Quaranta , che quella d’ Isso. E ad essa appunto, ei prosegue, convengon sì bene tutti i particolari del quadro , che non sembrano lasciar luogo a dubbiezze. Fu data quella battaglia nel mese Memectarione , cioè in Novembre secondo il ciclo d’Arpalo, in Dicembre secondo quel di Metone, e ciò sembra indicato nel quadro non solo degli alberi sfrondati ma anche del ravvolgimento delle tiare (per mezzo di fascie o cocche) sotto il mento e fin sopra le labbra a di- fenderle dai rigori del verno. Un solo carro, senza falce, e ricchissimo per oro, per argento, per ornamenti d’ogni guisa, entrò in quella batta- glia, e uno solo, e quale a un dipresso è descritto dagli storici, si vede nel musaico. Fan gli storici menzione dei dorifori o lancieri che accompa- gnavan Dario in quella battaglia; e i dorifori, per ciò che apparisce dalle lor vesti, dalle loro auree collane ec.,sono pur nel musaico. Narran gli storici che Alessandro in quella battaglia, dopo aver molto cercato Dario, 169 vedutolo alfine eminente sul cocchio incoraggiare ì suoi, gli sì spinse incontro per ucciderlo ; che allora Ocsatre fratel di Dario si slancio in- nanzi col cavallo e la battaglia si fece terribile ; che molti duci no- bilissimi de’ Persiani vi perirono per man d’ Alessandro ; che Dario al- fine , deposti prima , per non esser riconosciuto , l’ arco ed il candi, e montato a cavallo , si volse in fuga ; che Alessandro ne riportò in un fianco lieve ferita ec. Quest’ ultimo particolare , dice il cav. Qua- ranta, non può vedersi nel quadro , poichè pel danno sofferto non vi riman d’ Alessandro che il busto. Ben possono vedersi intorno al coc- clio di Dario i nobilissimi duci additati dagli storici, e da un lato del cocchio stesso , che tra i feriti e gli estinti mal può farsi la via, Ocsatre o altro de’ Persiani che tien fermo il cavallo, perchè Dario lo salga scendendo dal cocchio e si salvi ; ben possono vedersi più altre particolarità che dagli storici sono accennate. Non ostanti però le par- ticolarità che nel quadro e nella narrazion degli storici si fan riscon- tro , non sembra al cav. Niccolini che possa asserirsi con sicurezza es- ser la battaglia del quadro quella che si è detta. Ove il fosse , egii pensa , poichè il suo esito, come sappiam dagli storici, fu deciso dalla cavalleria , e la cavalleria persiana , come pur sappiamo da loro , andava gravemente armata di ferro onde riesciva men agile della ma- cedonica , le sue gravi armature dovrebbero pur vedersi nel «quadro. Dovrebbe in esso, ei prosegue , lo scontro di due sì gran rivali come Alessandro e Dario esserci mostrato con maggiore evidenza; dovrebbero i loro atti, i loro volti, esprimer tutt’ altro di quello che esprimono. Infatti il duce supremo de’ Macedoni è tutto inteso nel quadro al gio- vane da lui, come già si disse , trapassato coll’ asta ; e ad esso pure (come, ancor meglio che nella tavola di tutto il quadro, si vede in una delle tavole particolari ) è tutto inteso il duce supremo de’ Persiani. Al che se aggiungasi che , secondo gli storici, Dario nella battaglia d’ leso non solo era armato d’ arco ma anche di scudo, vedendo che il duce supremo de’ Persiani nel quadro non ha che l’ arco , cresce ra- gion di dubitare se nel quadro veramente sia rappresentata quella battaglia. Ma se non vi è rappresentata nè questa nè alcuna delle grandi battaglie che si son nominate , qual’ altra sarà ! Se nel quadro non tro- vansi a fronte Alessandro e Dario , quali altri duci si troveranno? Avvi, egli dice , chi ha pensato ad un avvenimento particolare delle guerre macedoniche in Persia, ad un episodio della battaglia d’Arbela. Forse, dicesi , è rappresentato nel quadro il momento , in cui i prigionieri Persiani , liberati da un soccorso lor mandato da Mazzeo , riprese l’ar- mi, assaltarono impetuosamente i Greci, e venner respinti da una squadra comandata da Arete, cui poi uccise il capitano de’Caucasii; nel qual caso, avendo i Persiani ricuperate le loro spoglie, può immaginarsi che qualche gran satrapo sì ponesse sul regio cocchio e fosse circou- dato da’ dorifori pur resi liberi; come può rendersi ragione non sov- lo dell’ albero sfrondato , che sarebbe posto ad indicare e il tempo T. VI. Giugno - 22 170 e il luogo dell’ avvenimento , ma anche di quella specie di bagaglia , che vediam dietro il cocchio , e che ha fin qui impacciato non poco gli artisti e gli antiquarii. Fors' anche , dice il cav. Niccolini , esiì- tando alcun poco , e non sapendo risolversi ad escluder del qua- dro Alessandro, vi è rappresentato un tratto di magnanimità di qualche capitano de’ Persiani, incurante del proprio pericolo e sol curante dell’ altrui ; e il capitano magnanimo potrebb? essere il gio- vaue trapassato dall’ asta del duce supremo de’ Macedoni, giova- ne nobilissimo veramente , che il luogo quasi centrale da lui occu- pato nel quadro , il vedere in lui rivolti gli sguardi di tutti ,- ec. fanno, creder qui il personaggio più principale. Così il Le Gros, egli prosegue , nel suo insigne quadro della battaglia delle Piramidi scelse un episodio della battaglia,medesima , un tratto d’ amor figliale d’Achmet pascià , e collocò il suo eroe medesimamente nel centro del quadro , che tradotto anch’ esso in musaico , sepolto per qualche caso , e poi discoperto quando si fosse perduta la memoria del fatto rap- preseutatovi, darebbe luogo alle medesime dispute che il mostro , poi- chè ciascuno vi cercherebbe il sultano Selim e il celebre conquistatore dell’ Egitto , come qui si cerca Dario e Alessandro ec, ec. Intanto , se per mancanza di speciali memorie , per non intera con- formità degli storici che ci narrano le battaglie de’ Macedoni co? Per- siani (il cav. Niccolini reca in calce al suo libro le lor. narrazioni ) per discrepanze inevitabili fra 1’ autore o gli autori del quadro e gli storici stessi , tutti e di non poco tempo a lui o a loro posteriori , si disputa sul significato del quadro, non si disputa pufito sull’ insigne suo merito , benchè , grazie appunto alla diversa opinione che si ha . del soggetto , si differisca alquanto nell’ additarne i pregi particolari. Pel cav. Quaranta , a cagion d’ esempio , è soggetto d’ ammirazio- ne l’ arte con cui è espresso il terrore di Dario alla vista del giovane trafitto da Alessandro , e quindi il suo chiamar a difesa i proprii com- battenti, e il prepararsi a salire il cavallo che Resace o altri a rischio della vita tien fermo presso alla destra rota del suo cocchio. Pel cav. Niccolini invece è soggetto d’ ammirazione l’ arte con cui è espresso il dolore del personaggio medesimo ch’ ei non ardisce chiamar Dario , lo sporgersi ch’ ei fa colla metà superiore del corpo verso il trafitto , mentre dall’ auriga è strascinato altrove col cocchio , dal cui improv- viso rivolgimento sono atterrati più guerrieri che altrimenti, sarebbero in piedi, e fra essi il supposto Resage che appena è risorto. Gran lode certamente dà il cav. Quaranta a tutto il quadro per la forza dell’ espressione . Grandissima la dà il cav. Niccolini, che ( secondo l’ idea che si è fatta del suo soggetto) vi trova espresso tal- volta ciò stesso che non potea rappresentarsi. Mirate , dice , quel gio- vane che sembra il personaggio principalissimo del quadro. Il suo ca- vallo } trapassato dall’ asta del duce supremo de’ Macedoni ; parte della quale gli riman confitta nella spalla , è caduto e morente. Egli stava per sbarazzarsene e saltare in piede. Ma il feroce assalitore (feroce 175 per 1’ atto , ci sia lecito notarlo , chè al sembiante ha la calma di un Nume) con altra asta trapassa lui medesimo da parte a parte. Il misero afferra colla mano quell’ asta micidiale , ma non fa che dilaniarsi. E già prevedete che il possente braccio di chi la spinge contro di lui il tascierà, nel ritrarnela, boccheggiante sul suolo sotto le pesta de’ so- pravegnenti cavalli ec. Dall’ altra parte , i guerrieri che fiancheggiano il cocchio serbano intatto 1’ ordine della battaglia. L’ elevazione del cocchio (probabilmente una quadriga) impedisce di vederli. Ma le loro aste , rivolte in minacciosa ordinanza contro i nemici, vi fan com- prendere una resistenza bastante a dar tempo di porre in salvo il duce supremo per la cui guardia sono impugnate ec: ec. Ponendo mente alla giusta disposizione delle masse ( or mi giova riferire, abbreviafdolo , tutto quello in che il cavi Niccolini ha con- cordi o.almen non discordi i due dotti che parlaron del quadro pri- ma di lui) alla varietà de’gruppi, alla distribuzion de’ lumi e dell’om- bre , parrebbe che l’autore o gli autori del quadro avessero avuto in mira soltanto l’effetto pittorico. Guardando a’ suoi scorci meravigliosi ( quello specialmente del cavallo presso la ruota del cocchio, lodato senza fine dal cav. Quaranta e dal cav. Avellino ) parrebbe che aves- sero avuto in mira principalmente di vincere le difficoltà del disegno. Scendendo infine a considerarne le più minute particolarità, parrebbe che a queste avessero unicamente rivolte le loro cure. Vedete infatti , egli dice, come alla dolorosa immobilità di chi sta eminente sul cocchio dia risalto l’ operosa sollecitudine del vicino guidatore ; come l’ uno tutto nell’ ombra , 1’ altro rischiarato da viva luce colpiscano la vi- sta e l'animo con doppia forza grazie al lor contrapposto. Vedete fra i rovesciati sotto il cocchio quello che , volgendo la schiena , si specchia in uno scudo circolare, il qual riflettendo pur altri oggetti (im- piccolendoli per la sua convessità ) accresce la confusion della scena. Vedete come quel cavallo del giovane ferito dall’ asta del duce supre- mo de’ Macedoni, cadendo, incespa col piè sinistro anteriore nella sua redina che gl’ impedisce di muoversi ; come l’ altro piede è già morto per la ferita ricevuta; come il sangue , ch’ esce da essa , non cola imme- diatamente a terra, ma sceude per disotto al ferro dell’asta spezzata che vi è rimasto confitto , ec. ec. Quello intanto che fra i tanti pregi (effetto d’ avvertenza squi- sita), che si potrebber notare nel quadro, ci sembra notabilissi- mo , si è che non apparisce traccia veruna di studio ; che 1’ artifizio con cui tutto è condotto vi è con arte ancor più bella occultato. La naturalezza , p. e. , con che il cavallo del giovane ferito cade inginoc- chiato in avanti, non lascia luogo a riflettere che per sostenere, qual ve- desi , il giovane medesimo semisospeso all’ asta micidiale che lo tra- passa , bisognavano appunto .i punti d’ appoggio che presta il cavallo cosà*caduto. Se non che , dopo aver fatta questa riflessione , non par che il cavallo ferito potesse cadere se non così, e che il giovane, sor- 172 preso, nell’ atto di scenderne, dal colpo che lo trafisse, dovesse neces- sariamente rimanersì in quell’ atteggiamento. Veramente tutto ciò che ci si presenta in questo quadro conferma più che mai l’opinione che avevamo della grande abilità degli antichi, e specialmente di quella spontaneità per cui le loro opere sono in- comparabili. Chi infatti confronti p. e. gli scorci di questo quadro con quelli stessi de’ quadri di Michelangiolo e del Coreggio , che fra’ moderni furon nell’ arte di scortare sì gran maestri; chi ne confronti i gruppi, i movimenti ec. , con quelli delle grandi composizioni del medesimo genere del Lebrun, del Rubens, di Giulio Romano e del- l’ istesso Raffaello , vedrà quali sieno più spontanei , ed abbian quindi col vero maggior somiglianza. Ed è pur gran ventura che siasi finalmente scoperto un antico lavoro che possa mettersi a fronte di tali composizioni. Ch’ esso , quantunque mancante forse d’ una quarta parte (supplita in alcuni pochi luoghi da un musaico alquanto più grossolano, e nel resto con semplici stuccature di calce ) ancor ci presenta su bianco fondo ( privo di lontananze , impossibili forse a rappresentarsì in musaico senza nuocere alle figure dell’ ultima linea) ventisei figure d’ uomini , grandi non men di tre quarti del vero , e quindici di cavalli , per non dir nulla delle cose inanimate che vi sono frammiste , e de’ larghi spazii in cui e le une e le altre son collocate, e ond’ha riposo la vi- sta ed ingrandimento il pensiero. Appena è duopo notare che un lavoro sì ampip fatto di minutis- simi pezzi ( ne ho contato , dice il cav. Niccolini , dai 78 agli 89 nello spazio d’ un’oncia quadrata di palmo , ch'è quanto dire che in ciascun | de’198 palmi quadrati, onde componsi tutto il lavoro, non compresa la cornice, se ne contengono da 6942) fu opera di più artefici; ciò che pur si manifesta dal merito vario dell’ esecuzione. Quest” esecuzione , an- che quando è più bella, mal potrebbe venire al canfronto di quella del dipinto che probabilmente ne fu il tipo. Ciononostante non è diffi- cile per mezzo di essa giugnere a formarci un’ idea di quel che fosse il dipinto medesimo. Le due teste chiaroscurate in alcune delle tavole aggiunte al libro , dice il cav. Niccolini, mostrano abbastanza , co- me dovevano in quel dipinto esser grandiose le forme , energica |’ e- spressione ec. Un’ altra testa diligentemente lucidata e fedelmente co- lorata sul musaico , la qual pur sì aggiunge nelle tavole, prova, ove sì guardi con lente impiccolitrice, che tutto il quadro guardato allo stesso modo può ( pel solito effetto dell’impiccolimento) apparirci così vivo, così armonico , per luce, per ombre , per colori, come l’ opera del di- pintore. Chi e di qual tempo fosse questo dipintore non è facile congettu- rarlo. Il cav. Quaranta , pel quale non è dubbio che il quadro rappre- senti una battaglia fra Alessandro e Dario , va pensando a Nicia, a Protogene , ad Eufranore, a Filosseno, ad Apelle che dipinsero Ales- 173 sandro , e l’ultimo de’ quali, per quanto può dedursi da un pas- so dì Plinio, forse lo seguì in alcune delle sue spedizioni. Il cav. Nic- colini pensa anch’ egli che se il dipinto non fu opera di qualche contemporaneo d’Alessandro , il fosse almeno di qualch’altro, e de’più famosi, poco a lui posteriore. Così d’ artefici poco posteriori pensa che sia il lavoro di musaico , stupendissimo, veramente, e insiginissimo fra quanti lavori di simil genere sono a noi pervenuti dall’antichità. M. Catalogue des pierres gravées antiques de S. A. le Prince StANISLAS Ponrarowsxki. (Florence 1831 in 4.9) Ciò che Plinio ci dice delle pietre preziose in generale (così nelle osservazioni preliminari al Catalogo) in arctam coacta rerum naturae majestas conviene particolarmente alle pietre incise. In esse non solo preziosità di materia, ma anche preziosità di lavoro , imitazion com- pendiosa dell’ opere più belle della natura , e prodotto finissimo del- l’ingegno ch’è ciò che la natura ha di più nobile. In alcune talvolta il lavoro è imitazione di belle opere dell’arti ; nè ciò scema, anzi, trattandosi di pietre antiche, accresce incredi- bilmente il lor pregio. Chè senza un tal lavoro quell’ opere sarebbero per noi perdute interamente, e quindi perdute le sembianze di persone famose , la memoria di costumi, d’idee ec. , di cui quell’ opere erano la rappresentazione o il testimonio. Poco pur troppo ci rimane dell’ arti degli antichi. Dell’architettura anzi pochissimo , e nulla d’intatto , o di cui possa indovinarsi più che la general costruzione. Della scultura , che pur oppose al tempo mag- gior resistenza, pochissimo forse di veramente originale, e poco si- curamente che non sia da restauri più o meno alterato. Della pittura alcune opere sulle pareti, cioè a dire le meno belle (chè le più belle, secondo Plinio, erano portatili) o alcune traduzioni in musaico mal atte, generalmente parlando , a mostrarcene le squisitezze. Ora, se non dell’opere dell’ architettura , certo di quelle dell’altre due arti sorelle furono in qualche modo conservatrici le pietre incise, che preferibili alle medaglie per numero, per varietà, per conserva- zione , lo sono pure (poichè le pietre per la lor resistenza meglio si intagliano che i metalli) per finezza e per vivacità di lavoro. Non tutte le pietre incise , o sieno le lor rappresentazioni prese dalla natura, o sieno imitazioni d’ altre opere dell’arti, son d’ eccel- lenti maestri. Grandissimo è però il numero di quelle degli eccellenti, e a convincersene basta la loro eccellenza medesima, a cui certo non potean giungere i mediocri. E l’ eccellenza apparisce a chiunque abbia occhio per ravvisarla, e sappia usar del suo occhio (aggiugnesi oppor- tunamente nelle osservazioni ) giacchè non di qualunque modo ed a qualanque luce van riguardate le pietre incise, ma a quella che fa- cendone apparir l’ombre ne favorisca l’effetto ec. 174 Molto posson giovarsi di queste pietre gli studii archeologici , poetici ec.; e molto più le arti del disegno. Tre delle più insigni opere del più grande artefice de’nostri tempi, Venere e Marte, Ercole e Lica, e il Napoleone colossale, sono imitate da tre incisioni in pietra, Ve- nere e Marte (cornalina orientale) di Dioscoride; Ercole e Lica (altra cornalina orientale) d’ Apollonide ; 1’ imperador Domiziano (altra cor- nalina orientale) figurato in un Giove da autore ignoto, e visibili tutte e tre nella raccolta del principe Poniatowski. Questa raccolta famosa , componsi, giusta il Catalogo, di più di 2600 pietre, incise da antichi maestri (1233 delle quali in forma di gran- di medaglie, e, tranne 20 cammei, in incavo) la più parte col nome de’ maestri stessi; fra cui i nominati da Plinio e gli altri più celebri o che più meriterebbero d’ esserlo. Essa è distribuita in 20 classi , che altri potrebbe variare piacendogli, ma che tutte pur hanno una particolar ragione, e in ciascuna delle quali si trovano in abbondanza i modelli (le osservazioni preliminari ne additano alcuni più preziosi) che potrebbero anch’oggi esser in qualche modo riprodotti da artefici differenti. Infiniti ne sono in tutta la raccolta che potrebbero servir di stu- dio e copiarsi per quelle collezioni di calchi , che dall’ autore delle os- servazioni sì vorrebbe in ogni accademia di belle arti fra l’altre co- pie di modelli antichi , i quali, per molte ragioni che nelle osserva- zioni vengon ricordate, sono pur sempre gli eccellentissimi de’ modelli. Tanto infatti era il gusto e il sentimento , la libertà insieme e la correzion degli antichi, che le loro opere meno elaborate possono ser- vir di modello a’ moderni. Tale si è p. e. fra l’opere non appartenenti alla raccolta delle pietre incise, ma che per caso si trovano unite a questa raccolta, la Minerva galeata d’ una gran medaglia in terra cot- ta, che ridotta ad un quarto del vero vedesi incisa nel frontispizio del Catalogo. L’autore delle osservazioni preliminari non pensa che nessuna rac- colta o studio nè di pietre incise nè d’ altri modelli antichi possa ba- stare a ritornar le arti all’antica eccellenza. Anch’egli vede come a ciò debban concorrere sopra tutto le istituzioni, i costumi, ec. ec. Ma egli pensa che, poste propizie circostanze, quelle pietre, que’mo- delli riuscirebbero tanto più utili, che, mentre sono esempii di gran- de eccellenza, sono pure in gran parte esempi dell’ uso che può farsi dell’ arti a ingentilire i costumi, ad accendere l’ amor della pa- tria , a tener vive tutte le civili virtù. M. 175 Inni in prosa per fanciulli di A. Lucra BarbavtD, traduzione di Bianca Milesi Mojon dalla 26 edizione inglese. Milano, Fon- tana 1831 in 18.° Non tutta la poesia si fa in versi; quindi non sì può dire che le due parole inni e prosa insieme unite contengano una contradizione. I versi però sono il compimento della poesia ; quindi si può pensare che agl’inni di madama Barbauld manchi una cosa molto importante per essere interamente poetici. Avvi in essi infatti molta e bella poe- sia. I versi l’avrebber resa più bella, e impedito forse che vi si me- scolassero cose aliene dalla poesia. Forse con alcune avvertenze la prosa stessa (che fu prescelta, m’imagino, come più facile ad inten- dersi) poteva o dall’egregia autrice o dall’ abilissima traduttrice pie- garsi meglio a far l’ufficio de’versi. I versi, ad ogni modo, sarebbero stati per gl’inni tante ale di più, ed anche una specie di paracadute nel loro volo. Questi inni hanno per iscopo di sollevare l’imaginazione e il cuor de’ fanciulli alla più alta sommità delle umane idee, ove perverrebbe men facilmente il lor raziocinio. Nel linguaggio in cui sono dettati par troppo spesso che prendano a guidare il raziocinio; ciò che , se non è una caduta, è almeno una deviazione. Quindi, giudicandone col sentimento dell’arte, non si è di essi pienamente sodisfatti. Giudicandone secondo alcune vedute morali, convien pur dirlì un bel dono fatto a’ fanciulli e a chi dirige la loro educazione. M. Il Prurarco e il Vasari dell’ edizion portatile del Passigli con note. Il Plutarco (già al 6.° fascicolo) procede com’avea cominciato, cioè bene. Il Vasari (ch’è al fascicolo 3.*) procede ognor meglio, benchè incontri ad ogni passo nuove difficoltà. Ma la buona sua sorte vuol pure .ch’ei trovi di giorno in giorno nuovi ajuti. Il cav. commend. Antonio Ramirez di Montalvo, attual direttore della nostra Galleria; ha già somministrato per esso più d’una notizia ; il cav. prof. Sebastiano Ciampi ha conceduto per esso alcune giunte inedite alla sua Sagrestia de’ Belli Arredi ; il cav. Lorenzo Adami ha permesso che si faccia uso d’alcune postille del senatore Anton Filippo Adami ad un esemplare dell’ edizion romana del Vasari oggi da lui posseduto. Se gl’intelligenti , che sono in ogni città d’Italia, vorranno avvisare il Passigli di quello che or nell’uno or nell’ altro de’ fascicoli del suo Vasari sarebbe da mu- tarsi o da aggiugnersi per ciò specialmente che riguarda le cose d’arti del- le loro città , i fascicoli avranno un’ appendice che sodisferà quasi tutti i desideri. Egli promette intanto le correzioni e i supplementi che di- pendon da lui , e all’uopo la ristampa delle pagine ove fossero corsi gravi errori tipografici, com’ è avvenuto nella 98 (nota si alla Vita d’ Arnolfo) e 108 (nota 24 alla Vita di Niccola a Gio. Pisani) del 2. e. fascicolo. Altre pagine egli ne ha già ristampate (e brama che il pub- blico ne sia avvertito) la 51 e 52 del primo fascicolo del Vasari per qualche errore corso nelle note all’ Introduzione, e la 175 e 176 del 4.° fascicolo del Plutarco per qualche errore corso nella numerazion delle note alla Vita di Pericle. Di queste sue sollecitudini egli spera che il pubblico voglia sapergli non meno grado che dell’ altre ch’ ei s’ è già date, così pel Plutarco come pel Vasari, e degli ornamenti di cui gli ha fregiati, fra i quali possono additarsi con compiacenza le belle vignette incise sul disegno del Nenci. Intanto, come il Vasari vuol da lui sollecitudini speciali, lo raccomanda in ispecial modo al favore de’ nazionali ed anche degli stranieri. Ei vede le notizie delle nostre arti e de’ nostri artafici molto gradite anche altrove che in Italia; te- stimonii , per es. varie opere assai recenti, pubblicate dal Quatremére in Parigi; una applanditissima del barone di Rumohr (Indagini sulla storia dell’Arti) stampata gli ultimi due scorsi anni a Berlino, ec. ec. Vede eruditi stranieri (il sig. Reumont, p. e. , segretario dell’ amba- sciata prussiana, che sta scrivendo una nuova vita d’Andrea del Sarto) consecrar fra noì alle nostre arti e ai nostri artefici le loro wigilie. Vede il Vasari stesso tradotto in Germania (n’è uscito pocanzi a Stut- tagard il:primo volume ) e corredato di note da uno de’ primi dotti di quel paese , il prof. Schorn. Egli quindi si confida che corredato di quelle. note, che verosimilmente non posson farsi che in Italia, ab- bia ad incontrare fra gli stranieri non men favore che fra noi. M. L’ Avventuroso Ciciliano di Busone Da Gusrio romanzo storico scritto nel 1311 ed ora per la prima volta pub. da G. F. Nott socio del- VP Accad. d’ Antiqg. di Londra. Firenze , all’ insegna di Dante 1833 in 8.° Ecco un libro desideratissimo fin da’ giorni del Lami e del Manni, e di cui forse ancora saremmo privi senza le cure dell’ erudito stra- niero che 1)’ ha pubblicato. Corrisponde esso all’ aspettazione , che in questi ultimi tempi specialmente se n’ è destata nel pubblico ? È esso veramente dell’ autore e dell’ anno che si dice? Può fondarsi sovr’esso . alcuna prova novella dell’ universalità di una lingua culta in Italia fi- no da’ primi tempi della lingua medesima? A queste domande potrei ri- spondere io stesso alcune cose, parte da me notate prima che il libro si stampasse, parte dopo. Ma già si apparecchia a rispondervi non bre- vemente chi può farlo assai meglio di me. Ond’io mi restringo a dire che il libro in vero è curiosissimo ; pieno di bei fiori di lingua (ciò che apparirà meglio ove la lezione ne sia una seconda volta emendata), e di molta antichità. Esso par composto fra le politiche agitazioni, per confortare gli uomini, cui grava il presente, a non disperar del futu- ro; è pubblicato con molte illustrazioni per servir specialmente al- l’ uopo degli stranieri , che volessero studiarvi con noi un passo non ILE ancora osservato della nostra nascente letteratura ; è dedicato ad un illustre poeta , che molto onora questa nostra speriam risorgente , e la cui ultima tragedia s’ intitola pur essa del gran Ciciliano, che dà titolo al libro col fausto nome d’ Avventuroso. M. La Divina Commedia di Danre ALiGHIERI co’migliori comenti, scelti ec. da Giuseppe Bozzo. Palermo, Pedoni e Muratori 1332, t. 3 in 12.° Intorno ad una nuova edizione della Divina Commedia di DanrE ALr- GHIERI rapporto di Giuseppe Bozzo alla Commissione Suprema di Pubblica Istruzione in Sicilia. Palermo, Tip. del Giornal Lett. 1832 in 8.° Intorno al verso di Dante = Poscia più che ’] dolor potè il digiuno — lezione accademica di Tommaso Gargallo. Palermo, Solli 1832 in 8.° Gli studi intorno alla Divina Commedia , che ridestati da certo nu- mero d’ anni nel settentrione e nelle parti centrali d’ Italia sono ivi già tanto innanzi , che già cominciano ad andar più lenti , in Sicilia , dice il march. Gargallo nella sua lezione accademica, “° sono ancora al pri- mo stadio ,, onde procedon fervidissimi. Fra i loro promotori più instan- cabili è certamente il sig. Bozzo , che dopo aver dettati discorsi or in- torno ad una or intorno ad altra parte del gran poema, di taluno de’ quali fu reso conto anche in questo giornale , pubblica oggi un’edi- zion novella del poema medesimo , recando la lezione più approvata da’ dotti uomini, con brevi comenti, scelti dai migliori che ne sono stati fatti sin qui , di che discorre eruditamente nel suo rapporto alla Commission Suprema di Pubblica Istruzione. Non ultimo promotore degli studi stessi sarà chiamato il march. Gargallo per la sua lezione accademi- ca da lui già detta in Pisa nel 1826 (quando fu chiesto mediatore fra i due professori di quell’ università , Carmignani e Rosini , disputanti pro e contro la nota interpretazione data dal Niccolini nel suo discorso sul sublime di Michelangiolo al Poscia più che ?1 dolor potè il digiuno); lezione che per anco non era uscita in istampa. Egli difende , parmi, assai vigorosamente tale interpretazione , che il sig. Bozzo si contenta di riferire coll’ altra più generalmente adottata; ciò che fa pure d’ al- tre interpretazioni opposte e controverse , e quindi stimolo anch?’ esse agli studi ch’ egli promove. i M. T. VI. Giugno 23 ManoscrITTI ITALIANI IN Parici. Al Direttore dell’ Antologia. Vedete se non è da sperar sempre qualche cosa dal caso! Il no- stro Bibliotecario Palatino va a cercar nelle librerie di Parigi certa lettera , che il Cellini scrisse di qui al Cardinal di Ferrara , per dir- gli come spese i danari ch’ ebbe in varii tempi da’tesorieri dì Fran- cesco I, e però enumerandogli i lavori fatti per quel Re , documento importantissimo ad illustrar la Vita dell’ artefice , che riscontrata una seconda volta coll’ autografo sta per uscir di nuovo dalla stamperia all’ insegna di Dante. Egli non trova questa lettera desiderata ; ma nella libreria del Re ne trova una scritta dal Gran Signore a Francesco medesimo nel 1526 , della quale il Sig. Reynaud , conservatore de’ma- noscritti di quella libreria , gli rimane intinitamente obbligato , poi- chè un’ altra lettera che., secondo la storia della Diplomazia France- se del Flassan, credeasi il più antico documento diplomatico turco esistente ‘in Francia , le è posteriore di nove anni. Nel tempo stesso egli trova non so qual documento inedito relativo al Machiavelli ch’ei tosto communica al Cav. Artaud (il traduttore di Dante ), da cui sarà pubblicato colla nuova Vita che ha scritta del gran politico , e clie voi farete , se vi piace , ch’ io possa leggere unitamente a quella che ne ha scritta il Periés. E trova cento e cent” altri documenti italiani, inediti pur essi e preziosi , ch’ egli , beffandosi un poco di me, m° in- vita ad andar a leggere e trascrivere , e de’ quali mi dà intanto un piccolissimo saggio , promettendomene uno assai maggiore. Già fin da’ primi di Marzo egli mi avea scritto alcun che di que- sti documenti , facendomi ripensare a quel nostro vecchio progetto , o piuttosto al progetto del Marchese Gino Capponi , accolto da noi con tanto trasporto , di pubblicare una seconda serie di Scrittori delle cose italiche , da aggiugnersi a quella del Muratori. Ultimamente ( il 27 Maggio ) due giorni dopo che Guglielmo Libri scriveva a voi pur di Parigi, d’aver trovato colà e in altre città di Francia cose del Pe- trarca ; del Campanella, del Sarpi , del Galileo , del Magalotti , d’altri de’ nostri Accademici del Cimento , ec. , egli scrive a me d’ aver tro- vate, e credo trascritte, lettere di Lodovico Sforza , di Galeazzo Vi- sconti , del Maresciallo e del Cardinal Triulzio (il piccol saggio, ch’ ei mi manda , è appunto una lettera dì questo Cardinale a Francesco I , la quale avrà poi il suo pendent in altra di Gabriel Simeoni a Ca- terina de Medici ) , d’ Andrea Doria, di Renzo da Ceri ec., e mi ad- dita le raccolte ove, senza uscire dalla libreria del Re , ha pur trovate altre cose non poche. La raccolta, ch’egli ha finora meglio esaminata, è quella che Filippo Conte di Bethune , fratello di Massimiliano Duca di Sully , cominciò nelle sue legazioni in Italia , in Germania, in Iscozia , e che Ippolito 179 suo figlio accrebbe fino ai 1200 volumi >» € lasciò poi nel 1665 a Lui- gi XIV. L’altra, che ha pur cominciato ad esaminare » è quella d’ 800 volumi che Caterina de’ Medici comprò (non pagò) dal Maresciallo Piero Strozzi, che l’ aveva o tutta o in gran parte avuta per eredità dal Cardinal Ridolfi. Ma a queste due grandi raccolte se ne aggiungon pur altre più o meno copiose, quella che Carlo VIII portò seco da Napoli, quella che Luigi XII portò seco da Milano, quella che il Bud- deo e il Lascaris formarono per Francesco primo , quella finalmente di 300 volumi che il Sig. di Brienne ed altri composero in varii tempi. E in esse pure l’amico non dubita di trovar cose per noi importantis- sime , come si confida di trovarne in quelle d’ altre librerie e di di- versi archivii, tornato ch’ ei sia d’Inghilterra , ove a quest’ ora deb- b’ esser giunto. Ivi ei si offre di guardar per me, se il desidero » 1 codici di Dante, che unitamente ad altri, ch’ eran del Canonici di Venezia 3 trovansi ora ad Oxford nella Bodlejana , come s’ è offerto al Witte di Breslavia di guardar per lui quelli delle librerie di Parigi, ove sarà forse di nuovo al principio d’ Agosto. E il Witte può accet- tare l’ offerta, chè i suoi studi su Dante sono forse più graditi in Germania che qui non sieno i miei. Io, dopo aver parlato già troppo, per quel che dicono, di codici di Dante Pucciani, Tempiani, ec. , sarei mal accolto se venissi a parlar per giunta di Bodlejani o d’altri. Però mi sono astenuto dal far pur cenno di due preziosissimi, uno della metà del secolo 14.°, l’altro del principio del seguente col comento del Buti, che ho veduto pocanzi nella libreria Martelli , ove , Oltre varii testi a penna che furon già di que” gentili spiriti di Ludovico e di Vincenzio, ho gran ragione di credere che si trovin pure varii de’ più belli che furono di Pier del Nero. . è . . . . . . . . . . . . . . . A Londra l’amico, se non potrà di più , cercherà almeno di pren- der nota degli autografi di cui vi diceva; edi quelli specialmente che fossero del Machiavelli o ‘a lui relativi, “ Sappi, ei mi dice, ch’è uno de’ miei antichi progetti di dare una compiuta edizione dell’ Opere del Machiavelli ec. ‘,, Al qual proposito èi vien manifestando quasi le stesse idee , ch’io già ho manifestato in un primo articolo, a cui diede occasione l’edizion recentissima e leggiadrissima, ma tutt'altro che compiuta , fattane qui per la Biblioteca portatile del Viaggiatore. Tor- nato a Parigi, prenderà almen nota, spero, di quanto o di mano del Machiavelli o di relativo a lui è posseduto (se pur lo è ancora) dal Sal- vi, e di quanto pur si trovasse nelle ‘raccolte che vi ho descritte, o in altre a cui già sembra aver l’ occhio. 1260 Delle cose già trovate aspetto di giorno in giorno quel maggior sag- gio che vi ho detto , e che so esser già a Livorno in quarantina. Avu- tolo ;, ve ne darò qualche notizia, che comunicata al pubblico nel vo- stro Giornale potrebbe destare in molti il desiderio di quella seconda serie, che voi già desiderate abbastanza, di Scrittori delle cose italiche. M. Dell’ amore verso la patria , del conte GramBartIstA RogerTI. Milano per Giovanni Silvestri, 1831. Vol. 269 della Biblioteca scelta. Scrivendo dell’ amor della patria mi sembra che non sì debba giammai perder di vista la propria, e che anzi il primo intento debba esser rivolto o a rimediare ai mali ed agli errori di essa, o ad aumen- tarne la prosperità e la gloria. In ogni tempo è salutare la voce del savio cittadino , utile nei secoli di feroci virtù e di libertà tempestosa per temperare e reggere a buon fine la violenza d’ indomate passioni; utile nei secoli di mollezza e di servaggio per ridestare il senti- mento della propria dignità nei fiacchi e inviliti , ispirando la ver- gogna e lo sdegno della turpe esistenza. A tempre diverse ed a bisogni diversi mezzi varì ugualmente fan d’ uopo. Allorchè nel seno della Italia si agitavano gli elementi discordi della forza, della libertà e della tirannide , sorgeva sdegnosa e fulminante la rampogna di Dante e di Dino a scuotere i malvagi cittadini fra il fremito delle armi civili, le contese del popolo e le scuri dei tiranni. Ma all’ Italia vecchia, oziosa e lenta non si può ministrare sì forte ed agra medicina, per- chè il debol palato la sdegna ; altri rimedii quindi alle sue altre fe- rite deve apprestare la mano esperta dello scrittore che si sente cuore ed ingegno per l’ ardua cura. E siccome l’;amor della patria ci co- stituisce depositari del passato e responsabili dell’ avvenire , perciò lo scrittore prenda in esame la storia dei nostri avi, onde ritrarre da quella ammaestramenti pe’ nostri nipoti. E, se le sue parole suonano pietose quanto la sventura , siano altresì severe quanto il gastigo. Che giova omai magnificare le glorie, mascherare gli errori e nasconder le colpe ? sì possono forse cancellare ugualmente dai nostri annali i secoli di sangue e di sventure , che ci fruttarono sì amaro retaggio? Ma 181 amavano pure i nostri antichi ardentemente la patria; sì, ma come l’ama- vano? ecco l’ utile e vasta indagine che per la prima si presenta allo scrittore italiano. Col lume della storia penetri francamente nella varietà e moltitudine dei governi , costumi ed opinioni del medio evo ; non l’ab- bagli splendore di nomi o grandezza di fatti ; chiami a rassegna quelle virtù e quei delitti non con animo ghibellino o guelfo , ma col giudizio imparziale ed austero dell’uomo, che svela gli errori dei padri ai figli, perchè questi discendano a migliori consigli, e si addirizzino in più sicuro cammino. Quella energia di patrio amore racchiusa nel breve cerchio delle proprie mura era essa ben intesa e regolata? Quando la prosperità di una città si voleva mantenere e aumentare colla rovina di un’ altra, quando il valore e la potenza degl’Italiani sì andava consumando contro altri Italiani, poteva sperarsi il mante- nimento non dirò della libertà , ma della esistenza di un popolo? Ba- lenò mai in mente anche ai più grandi, che tutti eran cittadini di una medesima patria ; che nell’ unione di tutti stava la forza e l’indipen- denza di ciascuno ; e che gli odi e le discordie preparavano una facile preda allo straniero, che gli avrebbe poi tutti uguagliati in un im- mensa sciagura? Se le crudeltà del Barbarossa avean fatto gustare la dolcezza dell’ altrui dominazione, la battaglia di Legnago nou mo- strava chiaramente ciò che era da farsi per respingerla iu eterno dalla sua patria? Dimostrato pertanto nel suo vero aspetto quale fu quell’amore di patria, bisogna vedere quali effetti partorì, a quali conseguenze con- dusse. E qui sì che l’anima sarà lacerata da profondo dolore. Se af- fliggeva la vista delle italiane discordie , consolava pure ad ogni tratto un nome glorioso ed una bella impresa ; ma dopo la caduta di Firenze che rimase della gloria, della ricchezza, della industria e del commer- cio? quali guerre! quali contese! quale stato fu il nostro! la pittura di quei tempi avvilisce , e le rapine, le uccisioni, gl’insulti esercitati lmpunemente sopra un gregge di tanti milioni fanno orrore e pietà. Non per questo ci risparmi lo scrittore la vergogna e l’ affanno , chè le colpe vanno espiate; riapra pure le antiche ferite, additi i ferri che squarciarono il seno della misera patria , disveli la felicità della bella Italia, e i benefizi de’ suoi mille amatori. Contemplato nelle sue cause ed effetti un male inteso amore di patria, scenderemo con miglior fondamento ad indicare del vero amore la natura, i principii, lo scopo ; ‘a stabilire i doveri del cittadino in qualunque condizione della sua patria, a dirigere li studi e li sforzi parziali ad un bene generale e durevole , a distinguere i vanti superbi dalle opere coraggiose, le parole dello zelo da quelle del tradimento, le ciarlatanerie del codardo dal senno dell’uomo di cuore ; verremo in- fine a conoscere in quale stato possa e debba esser posta l’Italia per la sua maggiore prosperità, e per l’ esercizio di quelle virtù che acqui- stano forza e rispetto ad una nazione. Queste ed altre simili idee , se sviluppate da un valente ingegno 182 nel modo più conveniente alla comune intelligenza, mi sembra che potessero dar materia ad un trattato dell’ amor della patria utilissimo in tempi, in cui il parlarne è si comune e il veramente giovarle sì raro. Il trattato del conte Roberti non sodisfa al bisogno. Manca di pre- cisione e di forza, di stabili principj sulla convenienza dei diversi go- verni e quindi sulla natura dei diversi doveri dei cittadini, manca in- fine d’una applicazione delle sue dottrine all’Italia. I filosofi francesi in quel tempo dispntavano molto dell’ amor della patria; il gesuita Ro- berti volle un poco scendere a parole con essi, e questo forse, se non l’unico, fu il principale suo scopo. Divise il suo trattato in tre parti; dimostrando nella prima che 2’ uomo il quale vive in uno stato di civiltà ha una patria cui debbe amore ; nella seconda quale è l'amor falso ; e nella terza quale è l’amor vero della patria. Se la divisione è assai buona, nel distendere il suo concetto peraltro ei non usò l’ordine ela brevità convenienti. Temendo di annoiare coll’ aridità dì filosofiche di- scussioni, non serbò modo negli ornamenti e nelle digressioni, e scom- pose così male a proposito tutta 1’ architettura del suo lavoro. Non starò a citare alcune opinioni ed alcune massime che , almeno ai no- stri giorni, non sarebbero sì facilmente approvate, giacchè, dando lode alle buone intenzioni del conte Roberti; stimo però che il suo trattato non diverrà mai popolarmente utile, e che vi sarà sempre campo a scriverne uno migliore per l’Italia presente. L. L’ amico dei Fanciulli di Arnarno Berquin nuova traduzione italiana adorna di figure. Venezia presso Antonelli 1831. Ecco un’operetta che deve interessare chiunque ama di vedere i fanciulli fino dalla prima età formare a bene il cuore , e porgersi or- nati di buoni costumi. Io non posso recarmi ‘alla mente que’ primi passi della umana vita senza dolore. Si lasciano i fauciulletti alla ba- lìa di sè stessi, o se ne dà il governo a persone incapaci , e piene di pregiudizi. Appena il fanciullo sa leggere, gli si pongono in mano in- sipide storielle , stravaganti racconti i quali anzi che empiergli il capo di utili cognizioni , glielo imbarazzano senza pro , e glie l’ ingombrano di torte fantasie e de’ più strani giudizi. Qual vi ha fanciullo che non sia pasciuto di maravigliosi avvenimenti , della potenza delle fate, di simili altre simplicità? 0, se pure ciò non avviene, quali sono i primi libri che gli si pongono a mano ? Si pongono alla tortura que’ tenerelli in- gegni, se ne carica la memoria obbligandoli a riporvi lunga serie di fatti, che. vincono d’assai la forza del loro intelletto , e quando sì vede che essi arrivano a recitarti , o della Lupa ultrice de’figliuoli di Marte, o delle mura di Tebe fabbricate al suono della lira d’ Anfione , si comincia a venire in isperanza che diverranno grandi uomini, bellissimi dicitori. Eppure queste letture a nulla varranno loro nel processo della vita. 185 Dalla Grecia e da Roma madri gloriose di un feroce eroismo qual prò potran eglino ritrarre ? Che varrà loro leggere la santità di Socrate che intrepido vuole la tazza micidiale; che la fortezza di Regolo che si nega agli amplessi de’ suoi per volare fra le catene ? Certo niun prò, perchè fintanto ch’essi non giungano a conoscere ciò che l’uomo deve alla pa- tria, e i rapporti della società, tante narrazioni per loro non sono che suoni vani , e tal essi le mostrerebbero , se avessero a dipingere, come un cieco se improvviso acquistasse la vista dipingerebbe i colori del- l’ iride. Niun confronto è tra i nostri costumi e quelli di genti sì remote , ed è difficile assai anche a provetti poter misurare i gradi della civiltà delle nazioni per giudicar rettamente de’ fatti che in quelle sono avvenuti , e portarne l’ applicazione alla società dell’ og- gidì. E si pretenderebbe che questa operazione che richiede tutta la forza del raziocinio si possa eseguire da un fanciullo ? Dirà qui talu- no : che hassi dunque a dare a’ fanciulli per le prime letture ? se le storie antiche non fanno per quella età , volete voi forse si ponga lor fra le mani alcuno di que’libretti di prime cognizioni, alcune di quelle enciclopediucce compilate a bella posta ? Neppure questo : que? libretti non faranno che porre in capo al giovinetto un ammasso di oscure ed im- perfette idee, le quali se non si rischiareranno, o non si rettificheranno negli anni vegnenti appresso ; la lettura gli tornerà in danno , come l’erbe nocive e la gramigna di fertili campi. Abbia poche cognizioni il fanciullo, ma le abbia sincere e rette ; sappia condurre bene per via di ragionamento ; intenda e senta quel che apprende ; e questo gli basti. L’ ingegno così educato percorre rapidamente e senza ritegno ovun- que si volga, e, avezzo a ragionamenti retti, non si lascia di leggieri trascinare in errore. Nè so pure approvare quelle lunghe dicerie di precetti civili e morali che loro sogliono darsi, perchè ( si dice comu- nemente ) abbiano la regola delle loro operazioni. Conciossiachè que- sti precetti non sono che corollarj , e deduzioni , le quali derivano dalla cognizione de’ bisogni sociali, de’ vincoli che legano uomo con uomo , de’rapporti che sono tra l’uomo e la società degli uomini, tra questa e un Essere Superiore. Or come un fanciullo potrà egli avere idea di società, di convenienze e di diritti sociali ? E perchè vorremo noi tra- volgere l’ordine naturale nella informazione della prima età ? Non è egli vero che i fatti hanno sempre prevenute le teorie ?_Insegnate un po’ad uno il come formar con pietre e con calce un edificio , dategli quante regole e Palladio e Vitruvio e il Barozzi ci hanno lasciate, fornitelo di squadre , di compasso , e di quanti istrumenti quell’ opera può do- mandare ; poi ditegli che innalzi l’edificio. Potrà egli senza aver vi- sto prima molte fabbriche , senza esser esercitato nell’ arte soddisfa- re la vostra inchiesta ? Così è dei fanciulli. Voi date loro delle nor- me per vivere ; essi non conoscon la vita, se non inquanto che sen- tono d’ esistere e d’ avere de’ bisogni. Voi parlate loro di virtù, ma come possono essi concepire questa astrazione se non li portate al caso concreto , se loro non fate sentire questa che voi chiamate virtù ? I 194 fanciulli dapprima non giudicano se non in quanto sentono , e il ser- tire è la base fondamentale degli umani raziocini. Come pretendere adunque che .il giudizio precorra al sentimento ? Voi volete adunque che i fanciulli seguano il retto e l’onesto, perchè voi lo ponete loro per legge , non perchè essi ne comincino a sentire la convenienza. E per- chè non fare che essi stessi ne sentano non solo la convenienza ma il bisogno e la necessità ? E ciò non è difficile ottenere se voi reggete la ragione loro a dare i primi passi , e se prima di esercitarne le fa- coltà della mente voi venite formandone il cuore. A questo principal- mente siano volti i nostri pensieri, a questo i nostri studi. E però le prime letture de’ fanciulli abbiano questo scopo , scopo veramente san- to , veramente sociale. Date a’ fanciulli de’ libri ove essi trovino di- pinti sè stessi , le loro inclinazioni , i lor costumi , i bisogni , que’lor trastulli , que’ passatempi , que’ vizietti. Mostrate loro un fanciullo il quale ha mille beni dall’ essere obbediente a’ suoi genitori , mostrate- ne uno cui la disobbedienza ha mal fruttato. Fate che nei racconti trovino belle virtù, adattate alla età , alla condizione loro. Empite il lor cuore di sentimenti di carità con narrazioni semplicissime e ve- rissime. Quel poverello cui il fanciullo diè parte del suo desinare sia liberatore dello stesso che si trova in pericolo ; il fanciullo vedrà in fatto che bisogna far bene per aver bene. E così via discorrendo. Nè questi racconti si cancelleranno sì presto dalla memoria , perchè ogni passo nell’età sua glieli richiamerebbe. E, se anche alla memoria sfug- gissero; il cuore, memore delle soavi comozioni che sentì in quella let- tura raddoppiando i suoi palpiti, ridesterebbe nel fanciulletto quei sentimenti di virtù , di obbedienza e di gratitudine che fin da quella lettura gli penetrarono fin nel fondo. Ecco i libri che io bramo vedere dati ai fanciulli, ecco le storie, ecco le dottrine. Il giovanetto, che ad ugni pagina trova sè stesso , si modella senza avvedersene sull’ origi- nale che gli si propone. S’ imbeve di rettissimi principj , e il suo cuore si forma. Questo sarà buon cittadino in appresso, e sopra di lui si po- tranno fondare non vane speranze. Nè il solo vantaggio è questo. Trat- tandosi di materie, che sono bene conosciute, instituisce il fanciullo ragionamenti , li conduce con rettitudine , e giudica delle cose con ve- rità. La sua ragione quindi passo passo viene sviluppandosi , e per la contratta abitudine comincia poi a ragionar dirittamente di tutte le cose di cui acquista idea in appresso. Così formati il cuore e la mente i giovinetti risentono per tutta la vita i vantaggi delle prime letture, nè loro accade (il dico vergognando , perchè il veggio avvenire ne’più de’ nostri fanciulli italiani ) di perdere i primi preziosi momenti della vita. Letterati italiani se vi cale della più cara, della più soave porzione del popolo, di quella a cui sono appoggiate le speranze di un avventu- roso avvenire , datevi pensiero della istruzione de’ fanciulletti. Lodo i vostri libri pieni di sublimi idee , e di elevate dottrine , mi compiaccio delle vostre scoperte , leggo con soddisfazione l’ eleganti vostre serit- ture, ma più di voi mi loderei se, umiliandovi un poco, non isdegnaste 185 trattar co’ fanciulli. Non vedete voi gli stranieri quanta cura di ciò si danno ? Non sentite voi rossore nel vedere o mal pasciuta , o pasciuta dagli stranieri la prima età de’ fanciulletti italiani ?_ Arnaldo Berquin scrisse /’Amico de” fanciulli e ottenne dall’ Accademia Francese il pre- mio promesso all’ opera più utile che si darebbe in quell’anno alla luce; Arnaldo Berquin ottenne la riconoscenza del genere umano. Ogni nazio- ne recò il suo libro nella propria favella , lo propose ai fanciulli come il libro più aureo che aver si potesse. Anche l’ Italia, è pure costretta a ricorrere a questo tesoro ; quell’ Italia i cui tesori si profusero per l’ universo , non ha del suo un libro che valga a’ fanciulli! A. B. C. Una solennità nuziale in Costantinopoli nel secolo XVI descritta da un anonimo veneziano, ed ora corredata d’ illustrazioni. Venezia, Al- visopoli 1832. Questa descrizione a trovarsi rarissima, mon conosciuta nem- meno dal dotto de Hammer, delle feste fatte in Costantinopoli per oc- casion delle nozze della figliuola primogenita di Sultan. Amurat Impe- rator de’ Turchi in Ibrahim Bassà alli 19 Maggio 1586 , questa descri- zione il sig. Gamba ce la ristampa ora in occasione di nozze ,. fornita d’illustrazioni, opportune. Vi si. raccontano le strane maniere di barba- rica magnificenza usitate da quella corte : “ come il compare portasse », in presente alla sposa cinquecento figure d’ animali ‘terrestri e ce- »» lesti, di zucchero, a dodici per sorte; un castello di zucchero gran- 3» dissimo, portato da gran numero d’ nomini di mare; una soma di ar- 3» chenda con la quale queste donne si dipingono mani, piedi , ed al- », tre parti del corpo per maggiore bellezza ; e quattro some; di confet- 3, ture. Il dono della comare era una macchina grandissima d’ argento ,; dorata, lavorata con molte turchine rimessevi, e distinta in diverse 3» forme tonde e lunghe e quadre, in maniera d’un doppiere da scuola, sy ma dell’altezza di venti braccia, e larga in più parti da un braccio »; e mezzo fin a due. Era adornata di fiori e verdure; tutto fatto ad oro »» argento e seta ;, e di bellissima e maravigliosa vista. Questo cero , 3» portato e sostentato con molte lance da numero grande di uomini, »3 stimasi della valuta di più di ventimila zecchini... Infine cin- »> que some di quelle tele che queste signore. principali usano. per 33 muraglie , quando smontano da’ loro cocchi , onde entrar nelle loro », Case e giardini , frammezzo le quali tele passano poi senz’ esser ve- 3 dute da alcuno. La contraddota era di trecento mila zecchini. Ve- 3 nivano per dote assegnata alla sposa cento donne schiave a cavallo, »» Vestite riccamente di broccato , che gettavan denari per le strade , »» e cavalcavano come fanno gli uomini, accompagnate da cinquanta »» mori eunuchi bellissimi a cavallo , questi pure per ragione di dote 3, di essa-serenissima sposa. Dietro le schiave veniva uno che portava » un libro d’oro sopra uno sgabello pure d’ oro e con molte gioie ; T. VI. Giugno 24 186 e questo libro è il corano , o, come diciamo noi , officio della spo- sa... Veniva poi uno che portava in mano uno spiede d’ argento con un castrato inspiedato in esso, e tre altri che portavano molti fornimenti da fuoco , il tutto d’ argento. ,, — Tra i presenti di (14 43 nozze , oltre al gran cero predetto “‘ ve n’era un altro che, per con- ,; durlo, è abbisognato tagliare coperte di case che sporgevano in fuori, alberi ed altri impedimenti , acciocchè potesse passare. Queste mac- chine vengono ordite di legname tavole e carta , sopra alberi di galee sottili, dipinte in diversi ordini e forme , compartite con di- versità di figure e di lavoro , adornate al di fuori di figure di seta e di carta ; e principiando l’ ornamento dal piede , in tanta lar- ghezza quanta può occupare la strada , la macchina sì va poi re- stringendo in forma di piramide verso la cima sulla quale sta posto ;; il cereo. Sono portate da numero grande di uomini , i quali a spalle »; con lacci le sostengono, mediante una tessitura di travi fatta al pie- ,; de... È poi sostentata la macchina da molti uomini con lance ,; e traversì lunghissimi, perchè non rovesci a cagione di tanta altezza; e tutti questi uomini sono comandati dall’ ammiraglio dell’ arsenale, il quale pure è portato sopra una di quelle tessiture di legname a piè della macchina dov’ egli sta a comandare. ,; Il senso di tristezza che ispirano queste sontuose miserie è tempe- rato dalla consolazione di vedere che non è lecito spender male il da- naro altrui, non è lecito essere in nessuna maniera tiranno , senza DI 29 25 DI 23 23 2) 23 23 23 rendersi un po’ ridicolo. Di tali relazioni riguardanti la corte di Costantinopoli , nella Ric- cardiana io ne osservai non poche le quali meriterebbero di essere pub- blicate. Per ritrovare l originale , il vario , il profondo, l ameno, per fecondare la nostra letteratura presente , basta rivangare l’antica, come fanno i coltivatori che la parte del terreno più fonda, riportando alla superficie, ravvivano il campo sfruttato. K. X. Y. Ragionamento su di uno scritto di G. Gozzi ; îndiritto al prof. G. Wirre da P. A. Paravia. Verona. Ramanzini. P. 20. In questa lettera dove il sig. Paravia dimostra al solito la sua molta intelligenza delle cose letterarie , egli presenta al dotto alemanno uno scrittarello quasi inedito di G. Gozzi, nel quale il brav’uomo dichiara non esser complice de’rami ingiuriosi che accompagnano la difesa di Dante, e si dichiara estimatore sincero dell’ingegno de’tre avversari dell’ Ali- ghieri , 1° Algarotti , il Bettinelli , il Frugoni. Io non crederei per dir vero che tanto belli quant’ egli dice , paressero al Gozzi gli sciolti di que’ tre : ma credo onorevolissimo alla prudenza e alla bontà dello scrittor veneziano l’ essersi fermato sui pregi de’suoi avversarii, e l’a- verne sorvolati i difetti; accorgimento sempre nobile, e allora più quando l’ animosità ed il rancore sien venuti ad intorbidare le lette- rarie contese. 187 Nella sua lettera il sig. Paravia si lamenta del soverchio disprezzo con che da taluni fu trattato il co. Algarotti, disprezzo venutogli ad- dosso, ancor prima che dall’Ugoni e dal Foscolo, dal Baretti: ma con- verrà sempre confessare, soverchia essere stata altresì la riputazione di cuì godette 1’ Algarotti vivente, e lui non essere dei tre quegli che più sovrasta per forza d’ingegno, com’ è più da lodare per castigatezza di stile. K. X. Y. Della diffusione e studio del latino in Europa da Carlo Magno in ap- presso; e congetture del futuro suo stato, memoria dell’ab. G. B. Svr- eLIATO. Padova. Con alte e nobili considerazioni tratta 1° A. il suo tema: egli ri- guarda il latino come il principal mezzo , là ne’ secoli ferrei , di “‘ ri- +, acquistare que’ lumi che, se non tolgono , alleggeriscono almeno la 3; Schiavità deile menti ,,. ‘ Riposando le genti un poco dal travaglio di una lotta sì lunga, e tanto più vivaci dispiegando le forze d’ ogni nobile sentimento e d’ ogni intendere più gagliardo, quant’ erano state più compresse e neglette , avvisarono pur anco i vantaggi che sorgerebbero da un ») collegamento reciproco, e da un vicendevole aiuto ; e quindi l’indi- ») spensabile bisogno d’ uno strumento il più universale ed agevole che »» aver si potesse di comunicazione... ;, Il vincolo dunque di letteraria e civile e religiosa alleanza che in quel tempo stringere si potesse più forte ed universale degli al- tri, era appunto il latino ; non solo perchè più comune del greco , ma perchè certa forza di religiosi e morali e politici. sentimenti era da trovare più viva ne’ romani che ne’ greci modelli. E qui lA. di- fende la lettere romane dalla censura di poca originalità, censura in 23 29 23 alcune parti. vera; ma calunniosa al certo se estesa a tutti quanti gli antori dell’ antica Italia : ‘“ chè Cicerone certamente , e T. Livio 3 e Seneca e Tacito e Plinio , faranno prova a tutti i secoli, che ,», qualche passo di più aveano saputo fare ancor essi i conquistatori 3» e i reggitori del mondo. ,, A che, poteva l’ A. aggiungere la musa tutta italiana del buono Ennio; e l’anima e lo stile tutto italiano d’uno tra’ più mirabili uomini di tutte le età ,, Giulio Cesare ; e il cuore e lo stile di Virgilio, e il cuore e il verso di Tibullo, e la dot- trina di Varrone, e l’ovidiana fecondità, e il sermone oraziano; e Vitru- vio, e Columella , uomini che alla Grecia mancano , s’ io non erro; e il profondo sentimento che spira da’ motti di Giovenale, di Persio, di Lucano ; e la sapienza del diritto , tutta romano tesoro; e la sa- pienza del cristianesimo , meno elegante, ma più magnifica forse e più varia e più continua che ne’ greci , ne’ padri latini. Questo della giurisprudenza è vantaggio notato anche dall’A. n., il quale osserva come “ tanti vocaboli spettanti singolarmente ad agri- 188 ;; coltura , a manifatture , a costituzioni politiche , ad arti belle, a ,; religione , dal latino fiume si diffondessero in tutte le lingue d’Ea- ropa ,,. Solo verso la fine del secolo XVII cominciò la lingua latina a cessar d’ essere lingua diplomatica , e nel 1682 si ruppero al congresso di Francoforte le trattative per il rifiutar che facevano gli ambascia- tori francesi il latino: dissensioni e gelosie mantenutesi, dice l’A. , fino alla metà del secolo scorso. Le ragioni che contro il presente nso del latino combattono, sono dal ch. A. accennate con imparzialità molta e con senno. Solo egli rac- comanda agl’ italiani ; che ‘° conservato il debito seggio d’onore alla ,, bellissima figlia , non divenghiamo sì ingrati da abbandonare la ma- ; dre ; sì che non ci avvenga di perdere anche questo che, restaci pa- ,, trimonio e documento dell’antico impero del mondo, la lingua ita- ;> liana e latina ,,. = Nè solo come documento è da amare questa bel- lissima lingua, ma come vincolo d’unità religiosa (chè quand’ anco si concedesse al popolo cristiano l’uso della patria lingua nelle preghiere e nelle solennità religiose , sioverebbe sempre serbare stretto un nodo comune tra tutte le nazioni cristiane del mondo), ma come lingua tut- tavia necessaria a molte delle scienze naturali, necessaria a parlarsi ed a scriversi in luoghi dove il francese non è comune quanto si pensa; necessaria a bene intendere e adoprare questa italiana medesima, che, di figlia se le è fatta sorella e rivale. RE SRY, Operette varie di G. Grassr Torinese. Torino, Giacinto Marietti 1832 p- 210. All’elogio del co. Saluzzo , s’agginngono in questo libretto la descrizione della battaglia di S. Quintino e della battaglia di Guastalla, combattuta l’una nel XVI secolo da Emanuele Filiberto con gli Spa- gnuoli e contro î Francesi, l’altra nel XVIII da Carlo Emanuele coi Francesi e contro i Tedeschi ; ravvicinamento singolare , e che sveglia molti e molti pensieri. S’' aggiunge una dissertazione erudita intorno a certe armature scoperte in Sardegna, dissertazione nella quale 1’ A. protesta d’essersi giovato della dottrina dell’ill. Peyron: s’aggiungono le notizie intorno al Porporati, noto intagliator piemontese; la corre- zione d’un passo di D. Compagni; due articoli necrologici; altri dram- matici sul Marchisio, sul Marenco, sul Manzoni; e altre noterelle, dove non è da ammirare nè novità nè profondità di pensieri, ma da lodare il senno , il candore, l’urbanità , lo stile limpido ed accurato. Nes- suna di queste coserelle quì raccolte fa torto al Grassi, ma forse una raccolta più sobria sarebbe stata migliore. Io non avrei amato però che se ne togliesse quell’articoletto sul Carmagnola scritto nel 1820, innanzi il giudizio di Goethe, dove questa tragedia è giudicata con molta sicurezza di senno : “ Quel giusto desiderio da noi più volte in ;3 questi fogli manifestato di veder gl’ingegni italiani rivolgersi alle 189 nostre antiche istorie. . . questo desiderio è stato ora e assai più presto s, di quello che ci aspettavamo , soddifatto dalla nobil penna del signor A. Manzoni. La nazione italiana ha acquistato nel corso di otto se- +, coli un tempo che osiam dire eroico .... L'atto secondo è una > bellissima pittura de’tempi e degli nsi de’ condottieri. Tra questo ,, e il terzo atto l'A. ha frapposto un magnifico pezzo di poesia lirica, ,» nel quale si canta la battaglia. Questo pezzo si può chiamare sublime ,; nel suo genere. ... Son questi i fatti sui quali s’aggira la tragedia ; so fatti che mi sembra doversi toccare assai più che non le perpetue », cene di Tieste e i delitti dell’ infausta razza d’ Agamennone. Da 3» questo rapido cenno i lettori avranno veduto che 1’ A. nou ha vo- s, luto farsi carico di nessuna regola d’unità di luogo o di tempo. ». De’principii che lo guidarono in questa bella composizione discorre »» egli stesso nella prefazione; e l’indole di questo giornale non ci 33 lascia luogo a discutersli pouderatamente. Lasciamo al giudizio e ,3 molto più al cuore del lettore il decidere dello stile e della sceneg- 3) giatura di questa tragedia ,,. Kiri. Della patria di San Girolamo, seconda ed ultima risposta di D. GrovAnNI Caror Dalmatino al Canon. Piero Srancovic®a Istriano. Zara Tip. Battara p. X. 163. Osservazioni critiche sull’ opuscolo del sig. Canon. SrancovicH, intito- lato : Trieste non fu villaggio Carnico, ma luogo dell’ Istria; distese da un Dalmata. Padova dalla Minerva 1832 p. 46. In ambedue questi libri diretti contro le opinioni di un erudito istriano, è da lodare la cognizione delle cose patrie e lo zelo; ma, se il primo libro fosse più breve e più cortese il secondo, sarebbero da lodare ancor più. Rammentino gli egregi autori che pochissimo in Dalmazia si stampa , pochissimi sono i dalmati ingegni che 1’ Italia conosca , e a questi pochi sì conviene dimostrare co’ fatti di quanto sarebbe capace, meglio educata , quella sempre infelice provincia. In vece di conten- dere acerbamente tra loro per cose da poco , cospirino tutti al santo fine della nazionale felicità , scrivano per illuminare il popolo e. per migliorarlo , indichino i mali della patria, li facciano vivamente,sen- tire ; e s’ accertino. che il vivo sentimento de? mali. ispirando; il desi- derio d’ uno stato men tristo , è per sè stesso un benefico. e forse più di tutti potente rimedio. DE di 190 CORRISPONDENZA x NOTIZIA BPULOGATE entorno allo stato è a progrefti delle deveipe delle lettere, delle arti, dell'in Ultra, del commercio e della pubblica economia nélle vare fronnae d'Uaha. PIEMONTE. Esposizione degli oggetti d’ arte e d’ industria | ee degli oggetti d’ arte e d’ industria si è aperta il dì 20 di Maggio nel castello del Valentino. Non so se abbiate presente alla memoria questa villa reale. Nel piazzale d’ ingresso, ch’ è circondato da loggie circolari, si son collocate dentro una piccola montagnetta tutte le piante la cui cultura venne a questi ultimi anni introdotta in Piemonte, e vi so dire che questa maniera d’ esposizione fatta così all’ aria aperta piace moltissimo all’ occhio. Entrando poi nelle sale colla memoria di quella che fu l’ esposizione di tre ‘anni fa non si può a meno di restar maravigliati dei progressi fatti dalle no- stre manifatture. I nostri corami possono gareggiare con quelli dell’ Inghilterra a'della Svizzera. Abbiamo cristalli lavorati ricchissimamente e degni di ornare qualsivoglia banchetto , dei vasi in oro e in argento che non istanno sicura- mente ‘a ‘paro di quelli che lavorati dall’ immortale Cellini ornano la galleria degli Ufizi , ma/che nondimeno fanno di se bellissima mostra. Le nostre opere in ferro fuso non sono così finite come quelle di Berlino, ma sono però un pe- gno di assai liete speranze. Ma la parte, in cuii nostri progressi sono maggior- mente sensibili, si è quella delle manifatture della seta. Gli sconvolgimenti ac- caduti, or son ben presto due anni, in Francia fecero partire di colà molti ope- rai che vennero cercando presso di noi lavoro e mezzi di sussistenza; e così v? ha ben donde rimaner pieni di maraviglia ad immensa e svariatissima copia di nastri e di stoffe per le vesti. Si ammira una pezza di velluto scarlatto di tre rasi d’ altezza , cosa non più vista altrove. Ogni qualsivoglia facoltosa persona, che avesse voglia d’ addobbarsi elegantemente, vi troverebbe le più I 9 il ricche tappezzerie tessute con una maniera solida e con disegni eleganti, I no- mi dei fabbricanti Ganueci, Rossi, Cerruti ed altri di cui non mi sovviene meritano molta lode. V? era un antico pregiudizio presso di noi, che la natura delle nostre acque fosse d° impedimento alle buone tinture dei panni. La chi- mica ha dileguata questa falsa credenza. I panni lavorati dai sigg. Solla e Arduins possono stare a fronte di qualsivoglia altro panno d’ Europa. Il signor Rigois di Vercelli ha esposto un mantile per tavola , sopra del quale v’ ha il disegno d’ un trionfo di Bacco, molto Jodato dai conoscitori di quelle maniere d’ eleganza. Il nome di lui vuol esser molto noto poichè ha ricevuto grandi commissioni dall’ estero, e, per tacer degli altri, del gran Signore, il quale gli commise di tessergli un mantile che serva a coprire una mensa di cinquanta convitati. Il Re nostro pare che si diletti molto dei progressi della nostra industria, poich’ egli si conduce sovente alla sala dell’ esposizione, e vi ha comprato molti oggetti, della qual cosa molto si compiacciono non solamente i fabbri- canti i quali vi trovano il loro profitto , ma eziandio i veri amici della patria, perchè confidano che 1° esempio di S. M. sarà seguìto da molti altri compra- tori e che così s’ accrescerà l’ impegno di ben fare nei nostri lavoratori , e il paese sarà non tributario degli altri. E si condurranno anche a ricredersi per questo rispetto le nostre damine , alle quali natura diede vaghezza di forme e bellezza di maniere e nel tempo stesso capriccio di mente, per cui pensavano non essere ornate a sufficienza se la stoffa entro cui si avvolgevano non era stata lavorata al di là delle Alpi. Ebbero in quest’ occasione campo di vedere alcuni tessuti di cui tanto e tanto la loro leziosità si contenterebbe. L’ amore di patria non m’acceca, e vi dirò schiettamente che nel fatto delle arti belle noi non meritiamo tanta lode come nel fatto dell’ industria. Non so se sia difetto del clima , poichè ad onta delle infinite pene che si diede il padre Della Valle in quelle sue prefazioni alle Vite del Vasari onde cele- brare le antiche glorie del Piemonte per ciò che concerne all’ arti belle, non mi sembra che questa subalpina terra possa stare a fronte con altre contrade d° Italia. Questa nostra inferior condizione nacque forse dagli accidenti per cui i nostri maggiori ebbero quasi sempre a star sulle armi , nel trattar delle quali non abbiamo rivali in Italia. Nacque forse dall’ indole dei pubblici isti- tuti per cui, le terre essendo molto divise , tra noi di rado s’ incontrano nulla tenenti , ma nemmeno di quegli straricchi che possono spendere ragguardevoli quantità di danaro nel pagare artisti, che per avventura, dove avessero avuto speranza d’essere rimunerati , avrebbero anche fiorito presso di noi. Se togliete il march. Cambiano , il march. Della Ghiesa di Sinsano, e il conte D’Arrache, non v° ha nissun signore che faccia raccolta di quadri. Havvi in Torino il sig. Ayres di Savigliano abile artista ; la signora di Seyssel gli commise il ri- tratto defsuoi fratelli e sorella , e ne riuscì un quadro maraviglioso che venne lodato giustamente a cielo. Che ebbe egli commissioni dappoi ? nissuna eccet- to che di qualche ritratto. Il governo spende molti danari pel progresso delle arti belle. Mantiene una scuola e stipendia professori in Torino, apre concorsi, e tra gli allievi chi è giudicato il migliore riceve una pensione mercè della quale può condursi in Roma a perfezionarsi nell’ arte. Questa largizione sovra- na partorì qualche buon effetto; chè tra gli allievi mandati a Roma il Ca- valleri nella pittura e Canigia nella. scultura conseguirono una certa qual lode. Ma quando gli allievi che si presentano al concorso sono tutti debolissi- 192 mi, anche colui che la vince è al disotto del medivere , eppure la giustizia vuole che abbia la sua pensione. Il povero diavolo studia , ma i suoi progressi dimostrano poi sempre che la diligenza e il buon volere non possono supplire al difetto della natura. V° ha chi pretende che i danari sarebbero con miglior frutto spesi dove s° impiegassero nel commetter lavori ai valenti artisti e ad ornarne le pubbliche gallerie. Havvi poi qui un accademia di belle arti , i . membri della quale in parte sono pittori , scultori , 0 architetti, in parte sono semplici dilettanti che ne sanno chi più chi meno, ma tutti buona gente e dolci di condizione. Anticamente fu presidente di una tale accademia il conte Alfieri solenne architetto ; quello stesso che diede il disegno del teatro regio , magnifico edinzio a cui molti anni niun altro teatro poteva contendere il pri- mato. Il caso aveva fatto sì che il conte Alfieri fosse chiamato primo ciamber- lano ; quindi ne derivò l’ usanza che il primo ciamberiano dovesse poi sempre essere presidente dell’ accademia di belle arti. Sin ui non c’ è male, ma se per isventura succedesse che il gran ciamberlano non fosse amante dell’ arti del disegno ovvero che fosse cieco, come mai potrebbe giudicar dei colori ? La cosa è affatto diversa in Genova. L'accademia di belle arti elegge da per se il presidente per due anni, al quale si dà cred’ io il titolo di priore. La scelta cade sempre sopra qualche signore molto addanajato il quale prima che fi- nisca il suo triennio fa magnifici regali all’ accademia. Tutti i gessi, tutti i quadri , tutte le statue che l’ adornano sono il frutto di doni siffatti. E chi non sa che l’ amore di essere distinto e il pungolo d’ onore sono sovente il fonte di lodevoli operazioni ? Ma, quantunque l’ esposizione per ciò che rag- guarda i lavori di belle arti sia inferiore alla parte che concerne all’ industria, pure non è a dire che le pareti di quelle sale sieno nude di disegni e di qua- dri. L’ occhio degli spettatori si ferma non senza piacere sopra un quadro che rappresenta la morte di Massinissa dipinto dal sig. Mosca, sordo e muto ; sul quadro dipinto dalla contessa Massino di Mombello che rappresenta Erminia nell’ atto che attende a fasciar le ferit: di Tancredì ; e su quello della mede- sima pittrice dov’ è raffigurata S. Margherita che alza gli occhi al cielo e calca col piede un brutto serpente id est il peccato ; in questi due quadri si vorrebbe che il viso dell’ Erminia mostrasse un affetto un po’ più profondo e più pre- muroso , e che il peccato non si rappresentasse così brutto, perchè allora qual merito v° ha di calcarlo co’ piedi ? Quando il diavolo ci tenta ci mette sempre innanzi immagini seduttrici , è poi il rimorso che ci addita tutta la deformità della colpa. Il ritratto del conte Napione è dipinto dall’Ayrez con molta bra- vura, e ritrasse benissimo i lineamenti e la fisonomia di quell’ insigne lettera- to ; parimente bellissimo è il ritratto della signora Caselli vostra gentildonna fiorentina dipinro dal Mensi ; il ritratto dello scultore Lavy , e quello d’ una contadina albanese del sig. Cavalleri sono due capi d’ opera ; il sig. Miglio allievo del collegio Caccia ha ricopiato assai lodevolmente la Madonna di Fo- ligno ch’ è uno de’ più bei quadri, se non il più bello di Raffaello ; non fu vinto dal sig Cusi che ricopiò felicissimamente la Deposizione del Salvatore nel sepolcro, del medesimo Urbinate. Quel Raffaello fu un gran demonio che quando compare o in originale o ricopiato abbatte tutti gli altri. Il conte Cesare Della Chiesa di Benevello ha preso a dipingere Garlo VIII nell’ atto che sta vagheggiando il ritratto d’ una donzella di Ghieri, seduta a lui vicino e da esso amata mentre scendeva in Italia nel 1494. La testa della ragazza dimostra tutta quanta l’ estasi d’ amore. Egli ritrasse pure la signora contessa 193 Groucis in un quadro dove s° ammira la bella acconciatura del capo , e la ricchezza dell’ abbigliamento. Il sig. Biscarra primo pittore di S. M. espose un ritratto del Re d° altezza naturale in piedi, e un quadro dov’ è dipinto Ulisse quando viene a strappare Achille dalle lascivie della corte di Licomede , e la disperazione di Deidamia, quadro che conserva la classica maniera degli an- tichi bassi rilievi. Il Monticoni espose un riposo della Sacra Famiglia nella fuga in Egitto , e il vecchio Tobia risanato dall’ angiolo. Fra i quadri del signor Gonin si Joda molto quello che rappresenta due bambini che scherzano insie- me sopra di un letto , quadro che vien volgarmente e non so perchè detto il quadro delli due Raimondi. Abbiamo due quadri del march. Roberto Taparelli d’Azeglio, uno che rappresenta il Conte di Carmagnola nell’ atto che gli vien letta la sentenza di morte, e l’altro il dolore di quel Toniotto che ci ha fatto piangere nelle famose novelle narrate da un maestro di scuola e scritte con tanto amore dal nostro Cesare Balbo. Tutti e due sono dipinti con una dili- genza infinita che toccherebbe i confini del leccato dove si trattasse di figure al naturale, ma che piace trattando di figure che non giungono a un palmo e mezzo d’altezza. Ognuno pensa che il nobile pittore sia uno specchio d’amor coniugale e d’amore paterno perchè nella moglie del conte che sviene egli ha ritratto la propria consorte , e nella figlia caduta pel dolore al suolo egli ha dipinto la propria figliuoletta , due bellissimi modelli ch’ egli ha fatto bene di ritrar ivi abbenchè gli avesse di già ritratti ed esposti in altri quadretti sepa- rati. Vi sono all’ esposizione altri quadri di figura e di storia, ma io non me ne ricordo ora. Più ricca è la collezione dei quadri di paese. Metto fra questi i quadri del celebre cavaliere Migliara che rappresentano le parti interne di antichi conventi e di castelli e pubbliche piazze. La bravura di questo valente artista a chi non è nota ?_ Il Reviglio ci ha rappresentato una veduta. di To- rino uscendo dalla porta di Po col prospetto del convento del Monte,.e della nuova bellissima chiesa della gran madre di Dio ; Storelli il figlio ci ha rappre- sentato la vista anche di questa città presa dalla parte della chiesa della Con- solata, e quando esistevano ancora i baluardi ombrosi dove ci conducevamo co- me in luogo solitario a studiare nel bel tempo della passata giovinezza , e vedendo quei cari siti mi veniva quasi da piangere perchè sono andati a terra quegli alberi, e la memoria di essi mi dà una stretta al cuore perchè corre voce che vogliansi anche gettare a terra i baluardi del mezzodì che ‘sono il più caro e il più bel passeggio della città, per quella benedetta furia di met- | ter tutto a piano orizzontale e a livello , come se Gostantinopoli e Roma, che sono le più magnifiche e splendide città dell’ universo, non fossero’ edificate sopra terreni disuguali e fatti a onda. Proh pudor ! Il marchese Sartirana di Breme, il Gubernatis ed altri possono aver luogo fra i valenti paesaggisti di qualsivoglia contrada . Il Righini poi dipinge con una nobiltà che può gareggiare con quella del Claudio Lorenese, e del Poussin. Ed io se avessi credito e voce conforterei volentieri i miei concittadini a darsi alla pittura del paese , che veramente. nissun’ altra terra quanto il Piemonte offre tanti aspetti di luoghi ora ameni; ora terri- bili, in niun altro luogo le meteore sono tanto svariate come in queste su- balpine provincie. S’ affaccino solo. ai balconi del Valentino e dicano se non meritano d° essere ritratti , e il placido corso del Po che lambe le radici del castello , e gli ameni colli sovrapposti, la Superga , la chiesa del Monte , e il ritiro delle vedove che non abbisognano d?’ altro che d’ essere descritti da T. VI. Giugno. 25 104 qualche poeta valente; od. avere «qualeh’ altro Platone che vi spieghi i mis steri della filosofia per essere celebrati quanto lo furono il monte d’ Ida e il Seracione (1). Ma m’accorgo di non avervi detto cosa alcuna dei lavori dei nostri macchinisti. Lo spazio mi manca. Però non voglio passar sotto silenzio l’in- gegnoso cembalo del sig. Mazera che scrive la musica mentre che si suona, e 1’ altra ingegnosissima macchina colla quale egli viene a’ conoscere se |’a- nime dei cannoni sono ben regolari, e se ne’mortai delle bombe 1’ assè della linea è perpendicolare al piano dell’ orifizio. Queste macchine sciolyono e vanno al di là di un quesito ch’ era stato proposto dal governo di Francia. V? ho scombiecherato qui piuttosto male che bene qualche cosa intorno alla nostra esposizione. Il catalogo sarà tra breve condotto a termine (*). Sull’ istesso argomento. Da altra lettera. Questa esposizione è riuscita oltre ogni eredere ricca e magnifica. Sonovi dei giorni in cui è visitata da. più di dodici mila persone. Ho voluto cavarmi un capriccio, ed avendo contato , stando nell’ ingresso , quanti individui vi sono entrati domenica ora scorsa dalle ore quattro pomeridiane sino alle sette e mezzo, emmi risultato essere state queste sale visitate in queste poche ore da settemila duecento e nove persone , senza contare quelle che nello stesso giorno vi sono state dalle sette alle dieci del mattino. Il pubblico vi è am- niesso indistintamente i giorni di domenica, martedì e giovedì di ogni setti mana, le entrate privilegiate con biglietti hanno luogo tutti i lunedì ed i venerdì ; e 1° esposizione sta cliinsa il mercoledì ed il sabato per aver campo di Javorarvi in pace. Il re, accompagnato dalla regina , e dalla principessa Cristina vi è venuto in gran treno il 26 di maggio. Tutti gli espositori che erano presenti in Torino erano stati posti accanto agli oggetti da Joro espo- sti, e furono quindi , ognuno alla sua volta, presentati à Sua Maestà , che parlò con tutti con tutta l’ immaginabh le bontà, entrando nel merito di ciascun oggetto , ‘ed esternando il più vivo interessamento per la prosperità di questo nostro felicissimo paese. Degnaronsi quindi non solamente il re, ma la regina , la principessa Cristina, la duchessa di Lueca, e le loro Altezze Reali il duca di Savoia e di Genova di tornare per ben due volte a rivedere gli og- getti esposti per poterli esaminare con maggiore attenzione , e ne fecero quindi tra tutti una compra veramente reale , ed ascendente ad una somma egregia, permettendo inoltre che gli oggetti comprati continuassero a stare esposti sino al fine di questo mese , cioè sino al chiudimento dell’ esposizione , e si appo- (1) 72 conte Burcoelli stesso, che in alcune parti de’ suoi quadri di sto- ria si mostra valente artista , e che in altre dà a vedere che gli manca la pazienza necessaria per condurle egualmente a perfezione , sarebbe uno dei primi pittori di paese se volesse appigliarsi a questo genere, e ben lo fanno vedere i due quadri da lui esposti, uno dei quali rappresenta una scena tratta dai romanzi di Walter-Scott e V altro V esequie cantate da un prete in un cimitero; mentre ‘il cielo è nebbioso. (*) Ja questo momento ci perviene questo catalogo j in altra dispensa se ne renderà conto. Il Dir. dell’Ant.® 105 nesse a ciascuno intanto un Diglietto con queste parole Scelto da S. M. — Scelto da SA. KR. ec. ec. VARIETÀ”. Istituti di pubblica utilità e beneficenza. — La società d’ assicurazione mutua contro gl’ incendii, nella sna generale adunanza, riconobbe che i danni d’ incendio furono esattamente risarciti ; che il servizio della società è reso con regolarità molta ed economia; che il suo capitale monta a sessanta milioni circa ; che il fondo sociale, acerescendosi ancora, permetterà la diminuzione delle con- tribuzioni annue o la restituzione ai soci, giunto il termine del loro impe- gno, d°’ una parte delle somme da essi pagate. — Una congregazione di carità è creata nella Villa-della-Costa-d’ Ovada ; e una giunta straordinaria fu creata per gl’ istituti pii del comune di Caraglio. Questo rinfrescare con nuovi esami gli antichi istituti è provvidenza benefica. — S’apre un orfanotrofio in Arona per i poveri fanciulli abbandonati , quanti ne potrà mantenere un lascito fatto da pia persona, e le largizioni de’ buoni. Fu presa dalla Commissione sanitaria ogni possibile precauzione nel caso che il cholera sgraziatissimamente pervenisse sino a noi. Fu provvisto per gli spedali appositi, e fu fatta una organizzazione generale per la città, i sobborghi , ed .il territorio. Fu divisa la città in varie sezioni di cui cia- seuna ha la sna direzione particolare con i suoi ufficii di soccorso. Il ma- teriale ed il personale sono in pronto, e non restaci più altro a desiderare se non che di aver preso delle precauzioni inutili. Arti. — È invenzione ‘che si crede nuovissima il far buona carta grossolana da involti con segatura di legno bollita nell’aleool vegetabile o minerale: ed era già nota in Piemonte, per merito dei fratelli Cappuccino , che da varii anni godono privilegio per fabbrica di carta più o men fine, composta di raschiature e di trucioli. — Anche ne’ sobborghi di Torino; rarcogliamo da recente notizia, che i nuovi edifizi da costruirsi sono assoggettati ad una certa norma che valga a rendere regolari gli scompartimeti e l’aspetto della ‘città. Gioverebbe che, senza nocumento di quella libertà ch’ è dovuta all’ arte , in altri luoghi ancora , si- mili metodi s’ adottassero. — Fin dal 1824 sono destinati per i giovani piemontesi de’ posti di studio in Roma: e i concorrenti a taii posti debbono essere sudditi di S. M., non pas- sare gli anni vensette, aver presentata un’opera di pittura, di scultura o d’ar- chitettura non solo miglior dell’ altre, ma tale da offrire del concorrente non leggere speranze. Il giovane scelto ha secento lire per il viaggio , e annue lire mille dugento per anni tre 3 pensione da rinnovarsi per altri tre anni secondu il merito del giovane e il regio volere. Se i progressi del giovane non son ‘certi, la pensione cessa: egli manda ogui anno un lavoro; il'quale, se gindica- tone degno , dà luogo ad una straordinaria ricompensa. L'esame del. concorrente vérsa sopra cose di storia e di mitologia: se scultore, sopra la notomia; se pit- tore, sopra la notomia ela prospettiva, oltre a ‘un saggio che deve offrire sull’at- to. L'architetto deve aver sostenuti nelle università di Torino o di Genova gli esami richiesti ad ottener patente d architetto civile. Onori resi al merito. = Furono ascritti all’ ordine civile di Savoia il cav. Avogadro e il co, Cesare Balbo. = Il prof. Beraudi, autore d’ un commenta- 190 rio sulla china-china fu eletto socio corrispondente dell’Accademia medico- chirurgica di Ferrara. = Il sig. march. Roberto d’Azeglio è nominato direttore delle gallerie e delle cose d’ arte che si conservano ne’ reali palazzi. Antichità. — Nel paese d’ Inverio , provincia di Pallanza, una donna , zappando la terra trovò, frammiste alle zolle, non poche grosse monete; frugando più sotto, più ne trovò: ma, veduto alle monete mescolato del carbone, le corse alla mente la superstiziosa credenza che de’tesori nascosti sia possessore il de- monio, onde presa da terrore fuggì, seco recando trecento di quelle monete che avea nel grembiule raccolte. Risaputa la cosa, tutti corsero al campo; e delle monete se ne trovò più di mille. Son tutte di rame; stavano in un vaso d’ar- gilla, che non può essere stato infranto se non da pochi anni , giacchè molte sono ben conservate. Par non ve n’abbia di anteriori ad Antonino Pio, nè po- steriori ad Elvio Triboniano, Le più portano il nome e 1’ effigie d’ Antunino Pio, di Commodo ,-di Settimio Severo , di Massimino , di Gordiano terzo, di Giulio Filippo, giusta alcuni storici, il primo degl’ imperatori romani che rice- vesse il battesimo. Ve n°è parecchie di Faustina , di Lucilla , di Giulia Mam- mea : altre poche , di M. Aurelio, di L. Vero , di Pertinace, di ‘Triboniano Gallo. Son di mezzana grandezza. R. Accademia delle Scienze di Torino. i La Classe di Scienze morali, storiche e filologiche ha tenuto il di 14 giugno adunanza ordinaria, nella quale sono stati letti i seguenti lavori: 1.° Continuazione del Saggio di alcune espressioni figurate , e maniere di dire vivaci della barbara latinità, del cav. D. Giuseppe Manno; 2.? Dichiarazione di una lucerna fittile Tusculana, del marchese Luigi Biondi. ? — Nell’ adunanza della Classe fisico-matematica, del dì 24 giugno, il ca- valiere Alberto Della-Marmora continuò e terminò la lettura della sua memo- via: Description et détermination des différens dges de la nouvelle espèce d’aigle , connue chez les naturalistes sous le nom de FaLco BoNELLI. Il profes. Moris terminò pure la lettura del suo lavoro sulle PZantae chi- lenses novae minusve cognitae. Il profes. Genè lesse una parte dell’ elogio storico dell’accademico profess, Bonelli. LIGURIA. Genova. Da lettera. Vi dirò che il numero de’vaccinati nella provincia di Genova nel corso del 1831 son quasi la metà dei nati nell’anno. E il numero andrà, speriamo, sem- pre crescendo; tanto più che la fiducia del popolo è confermata da’ fatti. Le vaccinazioni perioiliche del corrente anno son già cominciate; e con esse si di- stribuisce il certificato, senza il quale nessuno può essere ammesso a luoghi d’ istruzione o di educazione pubblica; nè i padri, che hanno trascurato verso i lor figli 1° adempimento di tal dovere, possono ricevere soccorsi gratuiti dalle so- cietà di pubblica beneficenza. 197 Una specie di benefica vaccinazione morale potrebbe diventare il teatro : certo è che, sia benefico, sia pernicioso l’innesto, non si può il teatro guardare con indifferenza in nessun paese del mondo, e meno in Italia dove la classe de’ comici, de’ cantanti, degli artisti d° ogni genere che al teatro si sacrificano è, proporzionalmente, più numerosa che in Francia, in Inghilterra, in Germa- nia. Non vi sia dunque indifferente il sapere che in Genova è stato fabbricato un nnovo teatro diurno, in pietra e calce, nello spazio di soli tre mesi. Occupa il luogo che finora occupavano le Montagne Russe in un’ amena passeggiata ; ‘e fra i cinque teatri della città è per grandezza il secondo. La platea conterrà tremila spettatori, le gradinate mille cinquecento, i palchi cencinquanta circa. Le proporzioni sono armoniche ed eleganti. La facciata del palco scenico è de- corata d’un bugnato con trabeazione dorica in rilievo; e anche il resto dell’edi- fizio con bassirilievi sarà forse ornato. Non manca una vasta scuderia per gli esercizi d’ equitazione. A. spese d’ un privato, il sig. Bruno, sorse quest’ opera, e per cura del sig. Porto architetto. Io credo che se i teatri diurni «si moltiplicassero sempre più per l’ Italia, e’ sarebbe un bene. Più rari spettacoli, e migliori, e in piena luce; e all’aperto: questo sarebbe forse un passo verso il miglioramento dell’arte. Ma io certamente non amerei che s’innalzassero teatri per farvi saltar de’cavalli: e credo che dopo il ballo non vi sia spettacolo più sciocco di questo. = Oh se nell’ equitazione si esercitassero pubblicamente i giovani nostri, se dessero, eglino, pubblici spet- tacoli di prove ginnastiche, oh allora sarebbe altra cosa. Abbiamo avuto in brevissimo tempo due nuove opere in Genova; la Gab- briella di Vergy; musica di Mercadante, applaudita; e l’Elisa di Montaltieri del genovese maestro Granara, ch’ ebbe un grande successo. Il. giovane artista è sulla buona via: ama l’ espressione e l’ affetto, non la. soprabbondanza e lo strepito. In tutte le cose che ne circondano si sente il bisogno di novità; ma si corre rischio sovente di scambiar la novità con la varietà, o piuttosto con qual- che variazione infelice di cose vecchie. Tale non sarà certo la (Dama:-bianca d’Avenello nuova musica di Pavesi, ondeggiante un poco tra Bellini e Rossini, applaudita però. Tutto considerato, la musica è quella che in Italia fiorisce sovra tutte l’al- tr° arti. E pure non mi par questo il secolo dell’ armonia! LOMBARDIA. Stato delle lettere e delle scienze in Lombardia. Dalla Revue des deux mondes. Giugno:1832. Art. del sig. G. Luisa. LI Alla metà dello scorso secolo, Milano , scossa quasi da lungo sonno , diede all’ Italia Beccaria, Verri, Parini, Volta , Spallanzani, e altri chia- ri uomini che resero memorabile il governo del conte di Firmian. Sotto Napoleone le scienze e le lettere furono in Lombardia favorite : \a Milano), capitale allora d° un regno abbracciante ben otto milioni d’ abitanti; a Milano sede di una corte e d’ un governo che amava gl’ingegni, concorrevano molti 198 de’ più valenti d’ ogni parte d’ Italia. Paradisi, Aldini, ed altri dotti o let- terati che maneggiavan gli affari, protessero la gioventù ; altri coi loro lavori onorarono l’ istitato. Questa celebre società , fin dal nascere abbellita de? nomi di Volta, di Scarpa, d’ Oriani, di Monti, di Longhi, alla quale il gran capi- tano voll’essere anch'egli ascritto, poteva gareggiare con qualunque d’Europa..... Ma la capitale della Lombardia vanta ancora parecchi uomini insigni. TI più caro forse all’Italia , il più noto all’ Europa è Manzoni. Nato d’una figlia di Beccaria, il celebre autore Dei delitti e delle pene, visse con lèi vari anni a Parigi: l’ ispirazione dell’ anima sua lo fece divenire il poeta della reli- gione , d’ una religione maschia ed amica a tutte le idee generose. Sfogo di sozve. pietà sono gl’ Inni di lui ; sfogo di quell? ammirazione che il genio ispira sempre al penio, è l’ode notissima: il Cinque Maggio. Scrisse due tra- gedie , il Carmagnola e 1° Adelchi , piene di grandi bellezze , ma ribelli alla regola delle unità ; da taluni censurate, degnamente difese da Goethe ; che del Carmagnola diede un’ analisi , e lo collocò tra le migliori opere del teatro moderno. La fama del Manzoni andò sempre crescendo , gli conciliò imita - tori e seguaci. Ma egli non è solamente un poeta: co’ suoi Promessi Sposi divenne in Italia uno serittor popolare. n Alla letteratura italiana , che in altri generi d’ invenzione è sì ricca, mancavano romanzi in prosa: gli antichisimi non son noti che a qualche erudito , gli altri a nessuno. Tra le Novelle del. Boccaccio , del Bandello e degli altri, a’ quali attinsero Shakspeare e La Fontaine, ve n'è di bel- le; ma romanzi non sono. Il vero romanzo italiano è nel. Bojardo , nel. Pal- ci, nell’ Ariosto. Sul principio del secolo , il: Foscolo tentò riempie que- sto vnoto, ma |’ Ortis non-è che un’.imitazione del Werther: e senza ori- ginalità non si fonda una scuola. Il campo era dunque poco. meno che in- tutto. Il snecesso unico del libro del Manzoni ben prova com’ egli abbia colto nel segno. In Italia tanto applaudito , e. popolare tuttavia; in Fran- cru accolto con molta freddezza ; e Ja cagione non è forse da cercare nel libro ‘stesso.’ ‘Un’ opera che | voglia ‘essere popolare dev? (esser fatta. per un popolo in ispecialità , non in massa per tutti. Certe. delicatezze d’ intenzio- ne, soli gl’ italiani le possono intendere, perchè soli si trovano mel caso d’ accorgersene. Un traduttore non poteva far altro che rendere la bellezza dello stile, la verginale purità dell’ affetto.:: cosa che non pare sia riuscita al sig. Rey-Dusseuil. Le tragedie del Manzoni ebbero un interprete degno , il sig. Fauriel, il noto traduttore dei Canti popolari della Grecia, il sig. Fauriel al quale 1’ autore aveva dedicato il suo Carmagnola. Manzoni attende ora ad ‘altr’ opere, ma, gracile com’ è di salute , non può reggere a un assiduo lavoro. Non esce quasi mai solo; e dicesi ch” egli di quando in quando imagini, dover cadere come in un precipizio. Quelli che sospettano in tali apprensioni un? affettata contraffazione di Pascal, non co- noscono la semplicità, la cara modestia di quest’ uomo, che. all’ aspetto di persona nuova , alla menoma lode s’ imbarazza e si turba. Uno de’ più cari amiei di, Manzoni è Tomma:o Grossi, autore di due affettuose novelle poetiche, I/degonda e La Fuggitica; felice scrittore in dia- letto milanese, dialetto sì comicamente Imaneggiato dal, Porta. Il poema del Grossi i i Lombardi alla prima Crociata, sebbene sparso di bellezze, non ebbe tant’ esito quanto le sue novelle. Ora egli sta lavorando sopra un fatto della storia di Como. 199 Il nome e l’ esempio di Verri e di Beccaria mossero gl’ ingegni lombardi allo studio delle scienze politiche ed economiche: studii ch'ora fioriscono meno. Gioia e Mengotti sono\morti ; rimane il forte spirito di Romagnosi, « Il quale, »;3 nato ne’ dintorni di Piacenza , si fece ; giovane ancora, conoscere con la ,; sua Genesi del diritto penale. Nelle guerre, che afflissero gli ultimi anni ,: del secolo andato , ritiratosi a Trento in Tirolo, si diede a studii di + fisica e di storia naturale. Quivi nel 1802 egli osservò , primo di tutti, 3 la deviazione dell’ ago calamitato, operata dall’ azione d’ una corrente 3» galvanica , importante fenomeno ; base dell’ elettro-magnetismo. Il Governo 33 italiano lo richiamò; e gli commise la compilazione d’un codice di procedura 3» penale : lavoro che gli meritò molte lodi. Di lì a poco e’ pubblicò la bella 3» Introduzione allo studio del diritto pubblico unicersale , ed altre opere. 3 Fatto professore a Parma , e poscia a Pavia , sostenne anco degli uffizi im- 3» portanti al ministero della giustizia in Milano ,,. Mutate le cose , nelle carceri di Venezia scrisse dell’ insegnamento delle matematiche. Tornò quindi a Milano , dove soggiorna tuttora in onorevole povertà ; sebben vecchio, seri- vendo ancora e lavorando forte. Pubblicò non e molto una collezione d’ opu- scoli antichi e recenti riguardanti le scienze morali. Dirige gli Annali Sta- tistici del sio. Lampato ; e scrive in altri giornali. Trai cultori di studii storici è da nominare il conte Pompeo Litta, che ha consecrate e le ricchezze e l’ ingegno a una grand’ opera : le Famiglie ce- lebri italiane ; opera. che non è solamente una serie di genealogie, ma una raccolta delle vite de’ più illustri uomini delle famiglie d’Italia, corredata di molti notabili monumenti. Il sig. Ferrario pubblicò varie cose storiche , il sig. Bossi variissime ; il sig- Sacchi, editore dei Classici metafisici , stese in- sieme con Giuseppe Sacchi sno parente , alcnne considerazioni importanti sul- l’ architettura longobardica. Hl co. Castiglioni descrisse con erudizione le me- daglie cufiche del museo milanese ; diede parecchie memorie su vari punti della letteratura orientale ; e mise in luce, non è molto , un frammento d’Ul- fila , trovato da M. Mai nella biblioteca ambrosiana: Il sig. Cattaneo , bene- merito della fondazione del hel museo nnmismatico milanese , scrisse pure al- cune cose che riguardano 1° antiquaria. << A Milano soggiornò per qualch’ anno un filologo rinomato; Mons. Mai, 3» scopritore d’ importantissimi scritti antichi. Ne’ secoli barbari che la per- »» gamena era molto rara, i monaci ignoranti rastiavano i vecchi mano- » scritti, per far de’ classici greci e latini tanti libri di liturgia o di sacri »,» sermoni. Il Mai che fino al 1812 stette quasi ignoto in una provincia del 3, veneto , chiamato all’ ambrosiana , studiò segnatamente quei palimpsesti > s, e con grande successo. In pochi anni diede il Frontone, i frammenti di > Dionigi d’ Alicarnasso , e altre cose importanti. Quindi chiamato alla Va- »; ticana di Roma , scoperse la Republica di Cicerone, della quale fu tanto parlato dai dotti. Pubblicò poi altre cose non tratte da’ palimpsesti: un itinerario e storia romanzesca d’Alessandro, singolarissima. Insieme col dotto Armeno , p. Zohrab , ridiede una parte d’ Eusebio, perduta nell’ originale ma che si conserva tradotta in armeno. Ora M. Mai stampa a Roma una serie d’antori antichi; e già n’ uscirono cinque volumi. L’ultimo contiene 2) 3, un catalogo de’ mss. orientali della Vaticana , catalogo importante pe’dotti si di cose asiatiche ,;. L «e Sebbene in Milano gli studii non abbiano quella certa unità che a To- 23 33 3» dI 200 rino, pure le scienze matematiche e le fisiche vi si coltivano con molto frutto. Oriani, il celebre vecchio, tuttavia conserva tutto il suo fervor giovanile. Nato povero ne’ dintorni di Milano , si diede ben presto a co- noscere , e ancor giovanissimo , fu annoverato agli astronomi dell’ osserva- torio di Brera. Nel 1783 pubblicò le tavole del nuovo pianeta, 1? Urano scoperto da Herschell : quindi fece in Francia e in Inghilterra un viaggio scientifico, donde tornato , ebbe dal Governo l’ incarico di dirigere insieme con Cesaris la misura dell’ arco del meridiano. Scrisse la teoria d’ Urano , quella di Mercurio , e altre memorie importanti sulla perturbazion de’pia- neti. Nel 1801 primo di tutti annunziò che la Gerere, dal Piazzi creduta una cometa, era un pianeta veramente. I suoi elementi di trigonometria sferoidale, sebbene di venticinqu’ anni fa, sono opera nel suo genere clas- sica. Inserì molte memorie nelle Efemeridi di Milano e in altre raccolte siffatte. Oriani è de’ primi astronomi osservatori ch’ abbiano insieme profon- damente studiata la meccanica celeste. == Tanta era la fama di lai che fin dalla prima discesa di Bonaparte, Carnot, allora del direttorio, gli racco- mandò specialmente l’ astronomo di Milano ; e il giovane generale , entrato in Milano, volle vedere 1’ Ab. Oriani, e gli fece larghissime offerte ; ma egli le ricusò, non chiedendogli altra grazia che di poter continuare in pacéè i suoi studii. Napoleone gli chiese in ricambio che ogni qualvolta egli desiderasse alcuna cosa dal governo francese , e’ s° indirizzasse a lui. Po- co dopo , i professori dell’ Università di Pavia, che non tiravan più paga, scelsero per intercessore Oriani, il quale scrisse a Bonaparte a Livorno , domandandogli se sua intenzione era di prendre les sciences par famine : e le paghe furon tosto contate. Qualch’anno dopo, Napoleone, tornato in Mi- lano a cingere la corona di ferro, si rammentò della cosa, e domandò ad Oriani 'se le pensioni continuavano a correre. — Il re d’Italia gli offerse un ricco vescovado , il ministero dell’ istruzion pubblica ; ed egli ricusò : non potè rifiutare i titoli di senatore e di conte ; conservò però sempre la sua modesta bontà. Nessuno. fu in Italia più accetto a Napoleone, nessuno di tal favore fece più nobile uso. Per sua raccomandazione Brunacci ebbe in Pavia la cattedra di matematica , e Carlini , giovanissimo allora, fu fatto secretario dell’ Istituto italiano, Oriani vive ancora in Brera là dove durò ad osservare gli astri pel corso di cinquant’ anni: e i giovani amici della scienza, che vengono ad ispirarsi in cotesto luogo sacro per belle memorie , a malincuore si partono dall’ uomo dotto che ne’ tardi anni conserva intera e l’ operosità e l’ amenità giovanile ,,. «e Altri chiari astronomi vanta l’ istituto di Brera. Carlini, osservatore infaticabile, ebbe a mezzo con Plana il premio proposto dall’ istituto di Francia. Impedito da molte occupazioni , non potè finora stampare il la- voro; ma ora e’ comincia a pubblicarlo per capi nelle Éfemeridi di Mi- lano , da lui dirette , è grantempo : raccolta pregevolissima , che, cominciata nel 1775 da Cesaris, rinchiude dotte memorie e di Oriani e di Garlini e d’ altri astronomi henemeriti ; raccolta molto simile alla Connoissance des temps che l’ uffizio delle longitudini pubblica in Francia. Io vidi mano- scritto un trattato di Carlini, Delle funzioni periodiche , il quale ai gio- vani geometri gioverebbe moltissimo : ma le tante occupazioni di quel va- lent° uomo gli tolgono il tempo di attendere all’ edizion delle opere pro- prie ,3- DI v ivi 201 ec L? ab. Cesaris (*) , sottentrato ad Oriani come direttore di Brera , non attende ora più che alle osservazioni meteorologiche :. dalle quali egli crede poter dedurre che la quantità media della pioggia la qual cade in Milano venne dopo Ja fine dello scorso secolo variando. Le sue osservazioni della temperatura ; fatte da più di cinquant’ anni col inedesimo termometro , sempre nel medesimo posto , son preziose : ma converrebbe , senza movere l’ istrumento ; veder di determinare il quanto della elevazion dello zero. E ora che si fanno osservazioni magnetiche fino in Siberia , speriamo che in Brera questo ramo importante di fisica terrestre sarà coltivato ,,. «e Merita una menzione anco il sig. Frisiani addetto a Brera anch’ egli ; inventore d’un ingegnoso strumento per determinare la verticale per mezzo di fenomeni ottici, senza piombino , nè livello a bolla d’ aria ; nè galleg- giante. Egli pubblicò la descrizione del suo strumento nella Biblioteca ita- liana ; e tutti gli osservatorii lo adotteranno, speriamo 3,- « L°’ istituto di Brera sofferse , non è molto , delle perdite gravi. Mos- sutti, un de’ più valenti geometri di Lombardia, dovette lasciare la patria, e cercò rifugio e pane in, America. Brambilla, cooperatore stimabile alle Efemeridi , perì d’ immatura morte, Il sig. Piola anch’ egli lasciò Brera, ma attende” ancora alle matematiche con molt’onore. Anni fa, ottenne il premio dall’ istituto milanese per l’ applicazione dei principii di meccanica anali- tica a problemi meccanici e idraulici. Scrisse parecchie memorie assai dotte sulle integrali definite ed altri importanti argomenti. Egli raccoglie in sua casa parecchi giovani matematici, Casali, Bassi, Frisiani; e ogni cosa nella sala dell’ adunanza è un emblema della scienza : io vidi quasi tutti i mobili servire da’ quadri analitici : i parafuoco del caminetto tutti coperti d’ integrali definite ,,. Tra i dotti più rispettabili di Milano è da porre il modesto professor Belli, che con pochi mezzi seppe fare delle osservazioni di fisica impor- tantissime. Gli è innoltre un forte geometra : applicò agl’ istrumenti geode- tici ed astronomici un’ osservazione fatta già prima di lui sulla ripulsione dai corpi riscaldati prodotta nelle gocce d’ un liquido ; e dimostrò come una piccola differenza di temperatura nello strumento bastasse a far anilar l’ indice dalla parte opposta a quella donde viene il calore. Il Belli stese sull’ attrazione molecolare uno scritto che, mandato all’ Istituto di Fran- cia, pare si sia smarrito, per via. Pensò anche a determinare la legge del raffreddamento de’ corpi operando sopra una scala di temperatura molto maggiore di quella che per le loro belle esperienze adottarono i sig. Du- long e Petit. Egli mi mostrò gentilmente questo suo apparecchio ; oltre ad una macchina elettrica ingegnosissima , nella quale il primo svolgimento della elettricità segue un contatto di due differenti metalli, o 1’ elettricità viene indefinitivamente accresciuta dall’ azione delle atmosfere elettriche, siccome nel condensatore del Volta. Speriamo che il Belli darà luogo a tutti quest’ importanti lavori nel trattato di Fisica, cominciato a stampare : e de- sideriamo che la condizione d’ un tal uomo divenga corrispondente al suo merito ,,. (*) Mancato a’ vivi dopo che il sig. Libri scrisse la presente notizia. Nota del Dir. dell’Ant.* T. VI. Giugno. 26 23 23 35 29 23 33 53 202 «e Il canonico Bellani, amico del Belli, notissimo pe’ suoi strumenti me- teorologici , e per importanti indagini fisiche , studiò molto i perfezionamenti da tentarsi nella costruzion de’ termometri : ed egli primo confermò questo fatto notabile :/ che 1° acqua entra in bollore a temperature differenti se- condo la natura de’ vasi. Fu egli innoltre che notò lo spostamento il qual segue col tempo nello zero de’ termometri , spostamento che rende erronee le osservazioni tutte. Il sig. Bellani ci mostrò de’ termometri, dove lo zero s’ era elevato di non poco , quindici giorni soli dopo graduati. Ora egli studia specialmente sopra que’ vetri sì ben colorati, che si trovano in luoghi dove si sprigiona gag idrogene solforato , vetri sui quali il sig. Bossi. stampò una dotta dissertazione , è più anni ,,, «e Prima di lasciar tali studii, giova rammentare i be’ lavori del cavaliere Morosi. Nato ne’ dintorni di Pisa ,, mostrò ben presto una grande disposi- zione d’ ingegno alla meccanica pratica , e si conciliò 1’ affetto del ministro Manfredini, al qual poi presentò 1’ automa famoso ; giocatore di scacchi , che fece tanto romore sul finire del secolo. Nel 1799, temendo il furore degli aretini, Morosi si rifugiò in Francia, dove con la costruzione delle sue macchine si mantenne, e potè giovare a’ compagni d° esilio. Sotto il regno d? Italia fu chiamato a Milano, e diresse la costruzione delle belle mac- chine della Moneta , dove le monete da una leggera corrente d’ acqua son portate sotto il conio ; e ritirate da una man di metallo , che , quando ha finito il lavoro, suona un campanello per averne dell’ altro. Fece mol- t° altre ingegnose macchine , ispirategli da quell’ istinto creatore che agita di tempo in tempo cert’ anime italiane , quell’ istinto ch’ educò un Fon- tana in Roma, un Mazera in Torino. Aggregato all’ istituto italiano, studiò la teoria della scienza, dal suo genio divinata ; nè v? ha chi meglio conosca ogni sorta di costruzione fin nell’ ultime particolarità. Di lui è l’ osserva- zione importante dell’ azione dell’acqua nelle macchine idrauliche : cioè che l’acqua, scendendo perpendieolarmente sopra un corpo che faccia ostacolo, non perde tutta la sna velocità , talchè l' effetto se ne può notabilmente ac- crescere , aggiungendo una sponda all’ estremità del piano sul quale essa opera. La scoperta tornò utile in pratica. Morosi studiò anco sullo svol. gimento del calore nello stropicciar de” metalli, e sulle applicazioni che se ne può fare nell’ arti: venne a produrre così un calor sufficiente alla fabbrica della seta, Egli continua le indagini; le quali, se riuscissero a trar dalla forza motrice il calore, condurrebbero nell’arti una rivoluzione non men grande di quella che venne dall’ artifizio di far del calore una forza motrice nelle macchine dal vapore animate ,,. « Il capo d’ una nuova scuola medica italiana , il parmigiano Rasori, vive da gran tempo a Milano. Giovane, viaggiò 1’ Inghilterra e la Francia , per istudiar medicina sotto i maestri più celebri. In Edimburgo s’innamorò del sistema di Prown; lo abbracciò. Nominato protomedico e direttore degli ospedali militari di Milano, sentì l’ insufficienza del sistema scozzese , lo modificò , compose insomma la teoria del controstimolo che in Italia ha non pochi seguaci. Scrisse poco; e più con la voce che con la penna propagò i suoi principii. Gli opuscoli di lui furono di corto raccolti in un corpo a Milano. Fece la storia del tifo di Genova , tradotta in francese : varie sue memorie sono negli Annali di scienze e di lettere , che per due anni di- resse. Nella fortezza di S. Giorgio a Mantova scrisse il bel Trattato della 203 s» infiammazione + ora. sta svolgendo in una grand’ opera tutta intera! la sua 3) teoria ,,. «In Milano ; più iche.in altrecittà d’ Italia ;--il. commereio librario. ha s» vita; e vi si stampa assai più che altrove. Sotto. Napoleone fu data ‘una 3» forte somma agli editori de? Classici italiani:;le per quella degli economisti », italiani, sessantamila franchi al Bar. Custodi. Ancora nondimeno si pubbli- »;3 cano opere d’ importanza ;,,. Si moltiplicano le. edizioni economiche + non senza frutto. Qualche signor milanese ne procurò delle magnifiche ; e il Tri- vulzi fra gli altri. ) Oltre gli Annali statistici rammentati; escono ‘altri giornali. a Milano; il più ‘reputato è la Biblioteca italiana, fondata nel: 1816 da Breislaky da Gior- dani e da Monti. « La città di Milano è ragguardevole non solo. pei chiari scienziati, è ‘,3 scrittori che vanta, ma per l'educazione intellettuale, diffusavi più forse che ») in altre città d’Italia. Convien però confessare:che ine’ ricchi segnatamente , 3, non ‘domina quel vivo ‘amore agli studii gravi che abbiamo lodato in To- ss rino ;,. I più de’ giovani agiati, non vedendosi aperta innanzi una \viapros- sima e lusinghiera d’ onore, si danno ad oziosi , trastulli. Il teatro della; Scala è per molti il più bello degli studi. E non si. crederebbe quanta importanza dieno certuni in Milano a’teatrali spettacoli. Si fanno almanacchi ove. descriver le geste di questo 0 di quel teatro : una prima donna mette in moto,ìi partiti; rivaleggiano ; si piccheggiano; si bisticciano, (e intanto non, pensano, al meglio. Iscrizioni, medaglie , busti si consacrano alle cantanti; e gli uomini ,benemeriti della patria giacciono intanto negletti. Mentr’ io ero a Milano, si coniava una medaglia in onore di madama Lalande. In;Como; dove ogni passo di mad. Pasta era un’ ovazione , in Como se ne visse. inosservato gli ultim? anni di sua vita il celebre Volta. \«exMa non tuttii dotti dii Lombardia son ‘raccoltiv in Milano. L’ uni- versità di Pavia, che vantava, nello scorso secolo Volta} Spallanzani; Paoli, Scarpa (ed altri, sebbene’ men fiorente; vanta. ancora degli uomini ‘stima- bilissimi. Primo ;fra tutti Scarpa; celebre fra gli anatomici perle indagini | felici sull’ organo dell’ udito ; sulla: vista; sui nervi. Un fatto della vita di Scarpa ; men noto delle, sue opere, merita d’ ‘esser qui rammentato. Egli, ch’ era. già professore al moménto dell’ invasione francese; non volle prestar giuramento al nuovo governo , e fu deposto. Qualch® anno dopo, Napoleone, venuto a'incoronarsi în. Milano , visitò l’ università. di Pavia., si. fece pre- sentare i professori; e domandò di Scarpa. «Gli si disse la cosa. ++ Eh: che 33 Împorta , riprese, il giuramento e le opinioni; politiche ? Scarpa onora l’uni- 3 versità ed il mio stato. == D’ allora e’ rimase sempre professore; ie ‘continuò, s3‘sebben ‘veechissimo:} irsuoi studi: e il sig. Cuvier }. pochi giorni ‘innanzi di 33 morire .,. espose ‘all? Istituto di Francia le nuove ‘osservazioni \e deduzioni ss dell’ illustre anatomico intorno alla natura’ e all’ uffizio de nervi .,3. < Bordoni professore. di matematica stampò \degl’ importanti lavori; sul- 4 1? equilibrio delle volte , sulle ombree altri tali argomenti. Le \opere di 33 Borgnis ‘professori di meccanica sono e note e stimate. da tutti gl° ingegneri » d’Europa. = Panizza diede un volume di cose fisiologiche che gli meritò l’anno 3» scorso un premio :dal francese Istituto. Anche il sig. Rusconi ebbe: un premio »» dall’ Istituto per le belle! osservazioni sulle salamandre è le: rane, «La niorte 3» recente del naturalista Mangili è' una perdita. Fu egli che spiegò la singola. 29 23 33 33 33 >> 33 233 204 rità dallo Spallanzani osservata per primo, dimostrando che il volo de' pi- pistrelli, sebben ciechi, è diretto non già da un sesto senso , ma dall’udito ch’hanno dilicatissimo. = Gli è ùn danno che per mancanza d’ associati abbia dovuto finire quel giornale di fisica e chimica diretto da Configliachi e da Brugnatelli, professori valenti ,,. « L’ università di Padova ha Santini, autore d’ un buonissimo trattato d’astronomia , e d’una bell’ opera sugli strumenti ottici: benemerito innoltre per il dotto lavoro sulle perturbazioni di Vesta. Il. prof. Melandri Contessi stampò un corso di chimica molto stimato, e delle importanti memorie. A Padova escono gli Annali delle scienze del regno lombardo-Veneto, diretti dal sig. Fusinieri , fisico. ben noto per le helle esperienze sul trasporto della materia ponderabile operato dall’ elettricità ,,, Vive in Padova anco, 1° ab. Barbieri, predicatore de? più reputati. w NI v - ‘ Im 33 bi ù PE « Verona deve al sig. Pollini una bella Flora Veronese, delle importanti esperienze sulla vegetazione, e altri egregi lavori. Il professore. Zumboni veronese anch’ egli, lavorò molto sulla costruzione d’una pila voltaica senza conduttore umido: e, combinando l’attrazione elettrica. col magnetismo ter- restre ; venne a creare un moto che si priò quasi dire. perpetuo,,, giacchè dura più ‘anni. Ora ‘egli studia }'elettromagnetismo, e, speriamo, com utilità deila scienza. Verona perdette: di corto il Padre: Cesari , che spese tutta, la vita in istuilii di Jinguay stampò: yarì scritti. antichi, e diede una nuova edi- zione della Crusca, notabilmente'arricchita. Egli era il purista per eccellenza: gli mancò talvolta il gusto -vero e la critica; ma. i suoi lavori non furono senza frutto ,,. i «La piccola città di Bassano! perdette anni:sono 1’ illustre. Brocchi i. cni meriti son poco noti al di quà-dell’Alpi. Egli nacque nel 1772, studiò legge in Padova; ma annoiato di legge , se n’andò a Roma e si diede alle cose, fi- lologiche. Nel.1792 pubblicò a Venezia importanti. trattati sulla ‘scultura egizia: ma poi ; lasciati anche questi studii; si dediéò tutto ‘alla storia ma- turale , ela insegnò parecchi anni in Brescia. Nel. 1808 diede un bel libro sulle: miniere di ferro nel dipartimento del Mella. Aggregato, poi all’ Istituto italiano ; consiglier!delle miniere , pubblicò varii discorsi sulla | geologia; ti- rolese e lombarda. Nel 1811 fece un viaggiogeologico nel mezzogiorno, idel- Italia; e dopo infinito:studio: diede nel:.1819' la Conchiliologia» suba- ipennina. Poi visitò: di nuovo .la- Toscana e Roma: e nella. terribile epidemia del 1818 fece in Roma ‘delle: coraggiose esperienze. sulla mal’aria; Quindi seorse la:Sicilia, e osservò un’ eruzione »dell’Etna. Nel 1820, stampò il Saggio sullo stato fisico di Roma; importante. perla patologia e per la storia fisica del paese. Avendo perdute in Lombardia le sue cariche; risolse..d’ andare in Egitto, di- rettor: delle miniere d’ Ibrahim: ma prima visitò la. Carintia per. ben cono- scere la costruzione e»l’uso de’fornelli a riverbero. Neli 1822 giunse .in; Ales- sandria., e tosto partì per la Nubia. Le sue prove non: gli riuscirono. Spe- ravavegli di fondere i' metalli coll’Olchus dura, virgulto del. Nilo!; del quale gli antichi Egizii pare:!si servissero alla cottura, della porcellana :.. ma rion servì all’uopo. Il Brocchi allora viaggiò sul Libano, dove trovò miniere abòn- darti di carbone di: terra. Imparato ch'egli. ebbe ben 1’? arabo, studiò le usanze: religiose de’ Drusi, e tradusse parecchi manoscritti importanti. Nel 1825 viaggiò nel Sennaar.; (dove il clima micidiale gli tolse la vita./Morì a Ghartum nel settembre deli 1826; lasciando le sue ‘raccolte e i manoscritti. e 2» “ Im » ùu “ vi 205 una grossa somma a Bassano sua patria; perchè vi sia eretto un museo di storia naturale. Uomo di raro ingegno e di instancabile operosità , che tutto ne’suoi viaggi osservava 3 e le maraviglie della natura , e i monumenti del. l' arte ,,. « Ora che Venezia non è più centro di governo, pochi nomi celebri vanta. Il co. Cicognara , già presidente dell’ accademia d’ arti belle , scrisse una Storia della scultura, ch’è pregiata, e che ottenne le lodi del francese Istituto. Il professore Marianini , uno de” primi fisici italiani, pubblicò un bellissimo Saggio d’ esperienze elettro-magnetiche , e parecchie memorie inserite negli Atti del Veneziano Ateneo. Il sig. Bizio è autore di alcuni pregevoli opu- scoli di chimica e di fisica : il sig. Filiasi già morto, fece delle singolari 0s- servazioni sui cambiamenti atmosferici di Venezia },. « Il cardinal Zurla veneziano illustrò dottamente il Mappamondo di fra Mauro, i Viaggi di Marco Polo e di Cadamosto , e altri punti di ve- neta geografia. Il sig. Gamba dotto bibliografo rese servizio alle lettere co’ suoi studii sulle edizioni de’classici,ie colla, sua raccolta d’opere d’istru- zione e di piacere , raccolta ché contiene parecchi scritti inediti 0 poco noti. Il sig. Tiepolo diede alcuni discorsi sulla: storia veneta;i quali sono un sup- plemento necessario alla storia del Daru, H sig. Cicogna sta pubblicando una raccolta d’Iscrizioni Veneziane, nella qual si trovano delle dotte biografie. — In una isoletta vicin di Venezia è un convento di monaci armeni , con stamperia, dalla quale escirono , non è molto,, i frammenti d’ Eusebio e di Filone in armeno ; pubblicati dal padre Aucher, e un buon quadro della letteratura armena , opera del padre Suhitis !Somal. Il, padre Ciachiah , autore d’ una grammatica armena, diede una nuova edizione del suo dizionario armeno- italiano , lJodatissimo da tutti i dotti ,,. | ,, ti: €: Il quadro che abbiam qui presentato della. letteratura}lombarda , non è già così compiuto come noi avremmo,|desiderato d’ offrirlo. S° è dovuto omet- tere de’ lavori che interessano più propriamente le particolari provincie, che la Francia e 1’ Europa ; altri,più importanti forse ci passarono inosservati , per la molta difficoltà e la lentezza, coni cui si diffondono per Italia le lette- rarie notizie. Ma bastano questi cenni a, mostrare cle ; a dispetto de’ molti ostacoli, la Lombardia non è priva d’ uomini nelle lettere e nelle scienze degni di riverenza e di fama. Qui cadrebbe d’indicare cotesti ostaroli che all’ incre- mento della nazionale letteratura s’oppongono, e i;mezzi di vincerli : ma que- sto non è uffizio che noi vogliamo nelle circostanze presenti adempire..... ,,. Milano. Da lettera. Credo di farvi piacere, trascrivendovi per: saggio delle nuove poesie del sig. Colleoni questo coro, ch'egli in lode di Cristoforo, Colombo pone in bocca a’cit- tadini di Genova dopo il suo terzo viaggio; - Da quel loco ove l’ Eterno: Comandò = la luce sia = 0 dal ciel che più superno E più lieto d’ armonia Qui fra noi scendevi! o. Grande . . . . . ella e. 206 Già di lui fra suoni e canti Profetavano la storia Quegli spiriti beati Cui de’ mondi innominati S’ affidarono i destin. Qual eroe ch’ appena entrato Nell’ olimpico recinto N°” ha lo stadio misurato D’ un sol guardo, e dice: ho vinto; == Già tu sei dell’ Oceano Giunto al termine lontano Goll’ indomito desir. Quante volte al snol natio Ripensando i naviganti , Ripensando al mesto addio Delle madri e delle amanti , Esclamàr: con preste vele Deh si fugga un mar:erudele , Deh si torni al patrio suol. Quante volte contemplando Strano augel dipinto il seno , Gli fean subito dimando In qual aere sereno, Su qual rupe, su qual lido, Fi formasse il dolce nido; E seguivano il suo vol! Ma qual zefiro olezzante Incontrar le stanche prore! O Golombo, a te davante Portan 1’ onde estranio fiore. { Oh spettacolo giocondo ! T” annunziaro il nuovo mondo Solo i zefiri ed i fior. ‘ Se di noi, del patrio ostello Vive in te la ricordanza, A quel fiore che sì bello Spande incognita fragranza, Avrai posto il più gentile De’ bei nomi che l’ aprile Di Liguria t° insegnò. Ecco il tuo promesso! cielo! Nuove stelle, un nuovo giorno? Ecco i fior d’ ignoto stelo! Ecco il suol di gemme adorno! Giunto al fin del gran tragitto , Dal tuo core, o duce invitto Qual pensiero a Dio volò? Quel pensiero deh ci svela 207 Gui null’ altra idea somiglia Qual trofeo d’ un innocente, Vuoi serbar le tue catene? Tu le guardi; e volgi in mente Il desio, la lunga spene Dell’ evento, il lieto giorno Che salpasti, e del ritorno L° ineffabile dolor. Da questi versi parmi si possa dedurre che il sig. Colleoni ha spirito di poe- ta; e che dal suo ingegno sempre meglio coltivato molto si può a buon diritto aspettare. VARIETA’. Beneficenza. - I dottori che si sono più segnalati nel lavoro della vacci- nazione hanno in Lombarbia chi 300, chi 400, chi 500, chi 600 lire di premio. Havvi delle opere di carità nelle quali lo stimolo dell’ interesse può venir senza inconveniente adoprato. — Bergamo dalla metà del secolo XIV ebbe un ospizio pe’ pazzi, sempre poi s’arricchì d’istituti ragguardevoli. La direzione di questo ospizio fu rinnovata fin dal 1808, e fu trasportata in luogo più sano l’ infermeria. Ora 1’ ab. Adela- sio avendo lasciate all’ istituto cinquantamila lire italiane , l’ ospizio fu traspor- tato in luogo ameno poco lontano da Bergamo. Accanto alla casa pe’ pazzi po- veri sarà fabbricata un’ altra pe’ pazzi agiati, e già n’è stato presentato ed ap- provato il disegno. Arti. — Il sig. Silas, valente calligrafo, è benemerito con le sue cure, d’ aver ottenuto all’ arte calligrafica un diritto ai premi soliti distribuirsi in Mi- lano all’altr’arti d’industria. La calligrafia, specialmente se unita all’ortografia , alla tachigrafia, agli studii del disegno che ne rendano il gusto più semplice in- sieme e più puro, diventa infatti un’arte d’ industria, un’ arte liberale. bi prolungato ad altri dieci anni il privilegio d’ Ang. Osio per fabbrica di carta con la paglia. — Il privilegio del sig. Bossi per nuovo apparecchio di distillazione era do- nato in grazia delle circostanze seguenti. L’ apparecchio serve per distillare nel tempo stesso acquavite di diversi gradi, varie qualità di rosoli e l’acqua di mare. A tal uopo la caldaia è divisa in due parti con una parete nel mezzo; e dall’una parte si pone il vino da trarne acquavite, dall’ altra 1’ acqua marina. La repli- cata distillazione, semplice o con aromi, si ha per mezzo di tubi che comunicano con vari lambicchi posti entro la caldaia medesima e riscaldati dai fluidi. Frat- tanto si ottiene anche l’ acqua distillata. — Giorgio Bossi ottenne privilegio per il meccanismo di spingere innanzi i bastimenti a forza di ruote. Le due ruote a paletta, fermate da un asse ai lati della barca, son mosse da una terza ruota con due manubrii. — Nel prossimo ottobre avrà luogo a Milano la solenne distribuzione de’pre- mi a chiunque avrà fatto utili scoperte meccaniche o agrarie, o portate nuove industrie nel regno Lombardo-Veneto, e a que” proprietarii che meglio avranno dimostrato il loro zelo nel dissodare e piantare terreni incolti. I premi saranno medaglie d’oro, d’ argento, menzioni onorevoli. Le opere e le domande debbono 208 essere presentate nel luglio. Anche quelli che non concorrono a’ premi possono esporre le loro manifatture anch” essi. Igiene. — L’ acqua minerale che scaturisce abondante dalla viva pietra, in Gollio, ultimo paese della valle Trompia nella provincia di Brescia, è stata da medici e da infermi riconosciuta da più anni efficace. Se ne sta facendo l’ analisi. Como. Da Lettera. Finalmente la città ha decretato che si eriga nn monumento ad Alessan- dro Volta : pare che molti siano scontenti del luogo ove si collocherà la statua, ciò è una piazza, punto architettonica nè di gran passaggio. Intanto però fac- ciamo voti che alla città ridano i tempi così da poter ridurre in atto la volon- tà (1). Fra non molto incomincerà a stamparsi qui un giornale d’industria e di scienze, la cui intenzione pare quella di diffondere le utili verità fra la classe più bassa. Come sarà però adempiuto questo bel voto ? Attendo a dirvelo quando ne sarà comparso alcun fascicolo. Gira anche il manifesto di certi Aovertimenti filosofici sperimentali intorno l’ ecunomia della vita sociale , ne’ quali si propone di analizzare i principali doveri civili per giungere a conseguire i vantaggi , comodi ed onori che la società offre ad ogni uomo in ogni stato. Il soggetto è ben bello: ed io che esulto, sempre che vedo togliersi a meditare le cose morali, non posso non desiderare che questo lavoro riesca pari all’ importanza dell’ argomento , e sia scritto un po? meglio che non promette il manifesto. Le cose dell’ istruzione camminano bene. Ben pochissimi comuni mancano di scuole primarie : e ventimila maschi e dumila dugento femmine frequentano le scuole elementari minori. Il ginnasio e il liceo sono ben ordinati secondo il prescritto; e fiorisce singolarmente il collegio Gallio che contiene da dugento allievi, che tutti s° accordano in lodare la bontà e la dottrina del rettore Pa- gani. Pe’ chierici v° è un seminario minore ed un teologico. Tutti questi luoghi sono popolati pe) molti che qui traggono sì dalla vicina Valtellina, sì dal vicino cantone Ticino. Nel quale sull’ istruzione, per quanto da un pezzo gridino i ben disposti, a niun bene si riesce. Anche ultimamente se ne trattò pubblica. mente: ma per dirvi quest’ una , oltre il molto declamare a voce, si fè girare anche in istampa una diatriba contro il mutuo insegnamento , come avverso alla religione; che è cattivo appunto perchè facile e rapido; che più sono buoni i sistemi quanto più son lunghi e faticosi. Forse un’altra volta ve ne dirò più a lungo. La parte che più fa è il luganese , sì pei molti forestieri, sì pei giornali ed altro. Se volete un ragguaglio dei condannati ; eccovelo quale io 1" ebbi dall’ er- gastolo cantonale di Bellinzona al fine del 1831. V’ erano dunque ventinove (1) L’ inscrizione deo’ essere : A_ Volta la città di Como ; ma perchè non è accennato che in Como nascesse il Volta, e perchè non pare usitato l’ac- cennare il luogo dove il monumento si fa , però saggiamente proponeva ta- luno A Volta la patria. E meglio ancora se si aggiungesse il nome, chè quello A Volta così secco , è più laconico che attico. 209 condannati, tutti maschi, de’ quali ventuno ticinesi, uno svizzero d’ altri can- toni, sette forestieri. Di questi un solo sapeva leggere. I loro delitti erano un omicidio, un’ esposizione di fanciullo, una complicità di tentato avvelenamento, vensei furti. E la lor pena era a tre i ferri in vita, a tre la semplice deten- zione, a ventitre i ferri per un tempo determinato. Havvi dunque un condan- nato ogni 3500 anime, e specificatamente del distretto di Lugano 2, ‘cioè uno per 15,000; di Lucerna nove , uno per 2200; di Mendrisio tre, uno per 4460; di Leventina tre, uno per 4000, VENEZIA. Giornali. — Negli ultimi due quaderni del veronese giornale il Poligrafo , ch’ abbiam sott’occhio » ci parvero segnatamente notabili gli seritti che ri- guardano le cose naturali de? sigg. Bellani, Zantedeschi, Mayer, e Naccari. Vogliano que’ valenti compilatori trattare principalmente le cose patrie , occu- parsi delle parti men conosciute della storia e dell’antichità ; pubblicare inediti scritti e monumenti; correggere gli errori che intorno alle cose venete sogliono spacciare così francamente e stranieri e italiani 3 gli annunzi delle opere meno importanti ridurre a maggior brevità , conservare quella moderazione di censure e di lodi ch’è la miglior guarentigia di tali giudizi ; associarsi e tra i giovani e tra i vecchi non solo i più dotti, ma i più caldi e animosi (poichè l’amore del bene è l’ottima delle dottrine), fare insomma del loro giornale un veicolo d’idee Benerose , un vincolo di nobili affetti, E poichè siamo a giornali , annunzieremo che degli Annali delle Scienze del Regno Lombardo-Veneto » diretti dal prof. Fusinieri da Padova, è uscito il fascicolo Marzo e Aprile 1832: essi contengono i seguenti scritti. Fusinieri: Continuazione e fine della memoria sulla causa delle rugiade, — Mallerier: Interferenze del calorico raggiante. — Melandri: Metodo di pre- servare la fodera delle navi dalla corrosione. == IVobili e Antinori , sopra la forza elettromotrire del magnetismo. == Del Regno: Nuovi esperimenti elettro- magnetici, = Schirmache: Circolare, premio per la scoperta di ogni nnova co- meta talescopica. = Ridolfi: Lettera sopra le scintille elettriche prodotte dal magnetismo. Aggiungeremo ch’è cominciata ad uscire in Verona una Gazzetta eclettica di farmacia chimica-medica, compilata dal sig. Sembenini. Vi si registrano tutte le novità e le scoperte anco quelle dove la chimica può giovare al commercio e all’ industria. Ad oyni fascicolo è unito un bullettino terapeutico, e una bi- bliografia farmaco-chimico-medica. Il prezzo è di sei lire all’anno. Ateneo di Venezia. Nell’ adunanza del 28 maggio, l’ ab. Dezan lesse un saggio della sua Bio- grafia del clero veneto. Fu presertata in dono la memoria del prof. Zandonella sul metodo di scri- vere Vite morali, politiche, letterarie, T. VI Giugno 29 2T0 In quella del 4. gingno, fu letta una memoria’ sull’ andamento del cholera a Vienna. In altra il sig. Battaglia lesse, Cenni storici e statistici sopra l’ isola della Gindecca, In quella del 25 giugno, fu letta la seconda delle memorie sul cholera,, e fu eletto tra gli altri a socio ordiuario il sig. Derchich protomedico in Venezia e membro della facoltà medica di Vienna, a socio corrispondente, il sig. Fabio Mutinelli. Il sig. march. Baldassini; segretario dell’Accademia agraria di Pesaro mandò quattro suoi opuscoli in dono, Il 2 di luglio lesse l’ab. Moschini: «° Difesa de veneti in argomento sa ro- letterario contro gravi recenti accuse di uno straniero. VARIETA”. Istituti benefici. — La società di soccorso degl’ invalidi fondata a Vienna nel 1814, società a’cui benefizii partecipano gl’invalidi di tutta la monarchia (soli però quelli delle campagne fatte dal 1813 al 15); la detta società possele ora un capitale, bene assicurato, di 1,145,280 fiorini, che frutta annui fiorini, 44,675, distribuiti a 5: uffiziali invalidi, a 200 sott’uffiziali, a 1073 soldati. ‘— Dalla gazzetta triestina raccogliamo che in Parenzo città dell’Istria, oltre a una scuola per le fanciulle e una pe’fanciulli, v'è un’ospizio de’poveri. Molte città d’Italia più grandi e più ricche, mancano di siffatti istituti. Vie di comunicazione. — Un battello a vapore tragitta sui lago di Garda, costeggiando ‘due giorni della settimana la sponda veronese, gli altri la sponda bre- sciana. Si ferma a tutti i paesi intermedii. — Un ‘nuovo gran ponte di pietra a triplice arco fu dall’i ingegnere Lorenzi eretto sull’Atdo presso Belluno. Arti, Industria. = Le lampade dal sig. Locatelli inventate, e sì bene ac- colte in Parigi, si trovano vendibili anco in Venezia. Non consumano che quat- tro quinti di. centesimo d° olio per ora; conservano sempre il lume brillante ; son pulite e facili a pulirsi ; hanno forme varie adattate a vari usi domestici, e rendono un lume sempre uguale e tranquillo. Quelle da un solo beccuccio, co- stano franchi ‘venti. — Nella gran fabbrica triestina di saponi a olio de’sig. Chiozza, «lella quale s’introdussero le caldaie galleggianti all’uso di Genova, i saponi bianchissimi son portati a tal grado da gareggiare con que’ di Marsiulia. — I grandi vivai di gelsi istituiti dal siy Travani nel Friuli, e premiati nel concorso del 1831, possono propagare nelle nostre contrade, che vi sono at- tissime,, sì proficua coltura. Tali vivai in Azzano, luogo sei miglia al mezzodì di Pordenone, occupano più di quindici campi. Tra quest'anno e il passato le, pianti- celle nate, ascendono ad un millione: quattordici a quindici mila già d’alto fusto sono opportune al trapianto per la ventura stagione: dodici mila sono gl’ innesti di quest’ anno, quaranta mila saranno nell’ anno venturo. Bene educate sono le piante e danno buonissima foglia: vi si pratica un nuovo ingegnoso metodo di propagini, ma si preferisce la moltiplicazione per via di sementa. I semi si rac- colgono da ottanta piante bellissime a ciò destinate. L°innesto è fatto con una varietà di foglia, grande, abbondante, di forma cordata intera, sottile, levigata e consistente, sì che mostra contenere molta parte gommosa nel parenchima, e promette ai bachi sanissimo nutrimento. Questa varietà è tratta dai gelsi sì bene 254 coltivati in Oderzo dal bar. Galvagna, dove pure si ha il gelso delle Filippine, introdotto nel veneto dal sig. Maupoil, gelso che pare molto adatto a’ terreni feraci ed umidi. , Il sig. Travani altri simili vivai istituì nelle vicinanze di Treviso , di Padova, di Adria, dai quali furon tratte trecentoventimila pianticelle o piantate o de- stinate a creare altri vivai nel Veneto e fuori. Rimangono ancora dugentoses- santamila piante adulte; con più d’un milione e mezzo nate lo scorso anno, ol- tre a quelle seminate di poco che vanno a due milioni. Questa per le provin- cie venete e per il regno illirico è fonte di sempre più copiosa ricchezza. Invenzione del medesimo Travani è quella delle siepi a più ordini di gelsi sulla scarpa de’ fossi. MODENA. Da lettera. Di che volete voi ch’io vi parli? De’tremuoti? Che scuotono tanta parte d’Italia, Torino e Foligno, Genova e Napoli, Venezia e Modena? Volete voi ch’io vi parli di frane? Di seminati e di pascoli rovinati, di piante divelte ; di case atterrate? Di un danno di cinquemila zecchini? O dell’occasione che que- sto danno offerse ai paesi vicini, d’esercitare con nobile gara la più bella tra le vittù e la più rara, la carità? O dei settemila o più franchi nel modanese raccol- ti, per soccorrere al tremuoto di Foligno? O vi parlerò della rocca di Montecuc- colo in parte rovinata; e dell’estremo disertamento che minaccia le stanze ove nacque e visse i prim’anni il celebre Raimondo? O vi dirò della negligenza che gl’italiani non solo ma tutti i moderni popoli, ebbri del presente, usano nel serbare alla venerazione o alla meditazione di nepoti più degni i monumenti o gloriosi od infausti del tempo che fu? O vi parlerò io della nostra accademia, della quale il prof. Cavedoni lesse testè una memoria intorno a varie monete di Vespasiano e di Tito? Tutto considerato, io credo che convenga riparlar del tremuoto. Quello del tredici di marzo fu accompagnato da un vivissimo lampo; e a settentrione il cielo ardeva tutto di striscie di nebbia infuocata e vermiglia. La scossa più forte durò circa dodici minnti secondi, e tutto il tremito più di mezzo minuto. Era ondulato- rio e succussorio il moto, ma più ondulatorio: la direzione fra ponente e levante ma pur si seniiva aleun poco anco tra mezzodì e tramontana. Dall'alto delle chiese caller palle di marmo; sonar da se le campane, seriechiolar volte e pareti. Ma fu più grave lo spavento che il danno, Nessuna persona offesa, nessuno edi- fizio minacciante rovina. Ma in Reggio, a quel che pare, era il centro del ter- remoto. Caddero in buona parte le mura della città, caddero nomini moltissimi; grandi spacchi nelle volte delle chiese, alcuni edifizi non son più da abitare. Sette persone ferite dalle rovine; nessuna morta sull’ atto. I più de’ cit- tadini corsero alla campagna, gli altri s'attendarono per le contrade all’aperto. Ne’dintorni ancor peggio: case e chiese diroccate; colline, già ridenti, ora tristo spettacolo. Nella sola parrocchia di S. Paolo il danno passa i mille cinquecento zecchini: e l’arciprete del luogo, consultando un registro che si conserva , delle calamità dalle quali fu il paese afflitto dal 1400 a’dì nostri, ritrova che mai 2592 non v’ebbe in quattro secoli sì rovinoso tremuoto. Molte antiche rocche danneg- giate e crollanti; gran danni a Carpi e a Carreggio. Nel 14 alle ore sei tremò forte la terra, e al sussulto si univa come un fischio di vento. L'aria calda e pesante ; il termometro ed il barometro variabilissimi : umido sempre il cielo , il sole quasi velato e bianchiccio, e mesta la luce. Anche altrove il tremuoto venne con aria soffocante e conun tempo nebbio- so. A Parma dopo cinque giorni di pioggia e di vento. Quivi fu ondulata la scossa ma nella direzione del meridiano magnetico, che fu poi seguita da altra più vio- lenta nella direzione di S. E. N. O. Il vento che tirava in quel punto era est sud-est. La seconda scossa fu prima ondulatoria, poi l’ondulazione unita a sus- sulio con gran fragore: e durò dalle 9 e 53 alle 10 © un quarto ne’luoghi ele- vati. In quel mentre piovigginava, e il vento tirava nella direzione medesima del fenomeno. Prima del tremuoto i cavalli nitrirono, i cani correvano urlando, e varii uccelli si mostravano inquieti e tremanti. Ne’luoghi aperti ed alti, tutte e due le giornate! che altre scene minori si rinnovarono il giorno dopo fu sen- tito tratto tratto un sordo muggire come di più cannoni lontano. La notte se- guente fn nebbiosa : e la luna verso mezza notte coronata di un cerchio tra scuro e sanguigno, e da E. S. strisciavano fuochi per l’aria. Verso le due la ghirlanda sanguigna si dissipò, il cielo si tinse quasi dì porpora, e alle tre ros- sessiò un lampo terribile, a cui succese da $. E, a N. O. un tremuoto con cupo rimbombo. Il cielo annerò subito, e la terra di nuovo leggermente si scosse; e il fremito durò, al dir di molti, fino a oltre le quattro. Allora con cupo fragore strisciò un vivissimo lampo , e di lì a cinque minuti tuonò nella direzione me- desima una lievissima scossa, Il primo movimento fu ondulatorio accelerato, ma brevissimo, e quasi alternato da forte sussulto che scrollò per quasi dieci mi- nuti secondi ogni più saldo edifizio. Poco dopo tremò di nuovo la terra col so- lito rombo sino alle cinque, a riprese. Un migliaio di camini, alcuni tetti, e un pezzo di vòlta di un palazzo crollò. Tutti illesi. Nella campagna non piccoli danni e di terreni e di case; un gran masso che sosteneva il maschio del Ga- stello precipitato. Alle sei della sera stessa del 13 leggera scossa ondulatoria 3 la mattina seguente due scosse di sussulto e gagliarde, poi tre nella notte, alle ore undici, alle due, alle quattro. Verso le quattro lampeggiava a Levante. Nella notte tra il 12 e il 13 il barometro segnava pollici 27 10 5; il termometro Reanmur + 5, 5. De’ pozzi altri abbassarono di molto , altri crebbero. In tutti e quattro questi giorni nessun segno nell’atmosfera di elettricità; solo il dì 15 nella direzione del meridiano magnetico; nella notte altre ma piccolissime ; dopo una pioggierella si manifestò all’elettrometro armato di punta. Il dì 16 pioggia e vento sud ovest: la mattina una debole scossa dal S. E. al N. O. Le scosse in tutto furono venti. Da questo spettacolo di terrore togliamo un istante lo sguardo per portarlo sul registro consultato da quel buon arciprete, e per domandare: se i parrochi tutti, se gli uomini più colti di ciascun municipio trovassero il tempo di segna- re in un breve diario i fatti più memorabili o più singolari del mondo fisico, del morale e del politico; se imitassero la dilivenza e (chiamatela pur se vo- lete) la vanità di que’ buoni uomini del mille, del dugento, del trecento; quante preziose notizie, ch’ora vanno o smarrite o disperse, verrebbero raggruppate in- sieme ad aiutare la scienza e l’esperienza del tempo avvenire! Se delle cose na- turali tutti 1 parrocchi avessero una leggera tintura tanto da saper osservare i fenomeni, e conoscere il linguaggio scientifico e l’uso de’più ovvii istru- 2153 menti, quanto non diverrebbe più facile e più importante lo studio meteoro- logico, finora sì scarso di documenti, e ristretto in pochissime parti del mondo colto? E senza questa diffusione di cognizioni scientifiche non avrà mai successo, ered’io, il bel disegno di quel'dotto svizzero che le meteorologiche osservazioni desiderava contemporaneamente fatte in molti e varii punti del globo, per co- noscere l’insieme de’fenomeni, le loro relazioni, la lor dipendenza, senza che diventa impossibile spiegarli, intenderli, e trarne conseguenze sicure. E poichè siamo nel campo larghissimo dei desiderii, poco mi costerà pale- sarvene un altro. Quì nella nostra celebre biblioteca noi possediamo ancora let- tere inedite del Tasso, e moltissime del buon Tiraboschi. Fra le tante inutili spese che i nostri signori intraprendono , fra i tanti libri inutili o peggio, che stampano i nostri librai, sarebb’egli un delitto desiderare che alcune almeno di queste tante lettere, con maturo giudizio scelte, sien date alla luce ? Non è so- lamente un uomo che in una lettera, anche mediocre, si viene a conoscere : è l’umana natura. Sto leggendo l’Indicateur Italien del sig. Valery; e tra le cose che mi fe- cero piacere non poco, vi rammenterò quel ch’ e’dice della Secchia rapita, poema troppo leggermente disprezzato da Voltaire, che degnò d’imitarlo. «« On a peine »» à eroire comment un pareil juge a pu déclarer que cet ouvrage était sans 33 imagination, sans variété, et sans grace, tandis qu’elles y brillent dans une 33 multitude de passages, et y suppléent à l’invention et à l’interèt. Mais si ss le merite poètique de Za Secchia est incontestable, et superieur (questo forse 3; è un po’troppo), on sent dans l’ame du poète une sorte d’infériorite et de 33 décadence. Ce poète de cour, logé au palais du duc Frangois I; pensionné 3» par lui, et son conseiller, parle avec moquerie des vieillies moeurs et de l’an- s» cienne liberté de la patrie ,,. = I nostri critici italiani (se se ne eccettuino le poche parole d’un vostro valente collaboratore) non hanno ancor dato della Secchia un giudizio sì retto e sì vero. ROMAGNA. Da lettera. Tremuoti. — Alcune particolarità sul tremuvto che desolò parte degli stati soggetti al pontefice, non vi saranno, io credo, discare. Le piogge soverchie dell’anno scorso, repentinamente prosciugate da un insalu- bre autunno, predisposero forse nell’ Umbria il tristo fenomeno. Il dì vensei d’ot- tobre , sotto densa nebbia, si fece sentire la prima scossa gagliarda; altre poi più leggere, spirando il caldo vento del sud, con quel di settentrione a brevi vi- cende. Il dì sei di novembre furiosa fu la lotta de’ due venti; e la notte del dì 7, all’intervallo di pochi minuti, si sentirono tre altre scosse, che per parec- chi giorni continuarono più o men gagliarde. L’anno ebbe fine tranquilla: quando il dì 12 di gennaio, successe alla procella un forte scirocco, e coperse di nube immensa la valle, che si sciolse in pioggia ed in grandine. E di bel giorno, per un istante annottò. Alle due della sera del giorno stesso insorge un fiero ura- gano, e dopo cinque minuti un tremuoto succussorio, ondulatorio; e dura per 214 dodici minuti secondi. Le case parevano voler dalle fondamenta crollare. Nel dì 13 il flagello d’ora in ora imperversava; e fino al dì 25 di febbraio varie scosse finirono di crollare molti edifizi di Foligno, d’ Assisi, di Spello, di Be- vagna, di Bastìa, di Cannara. In Perugia fu piccolo il numero de” feriti; sebbene dne torri. della città fosser vedute ondeggiare com’alberi agitati dal vento, e altri molti edifizi ne fossero danneggiati. A Bastia, antico borgo di 280 abitanti, crollarono tutti i bastioni; le carceri, le scuole pie, le case, sono informi ro- vine. Mons. Ferri preside della provincia perugina, accorse al bisogno di quel luo- go infelice, con cento scudi. La mattina del 15 di gennaio altra scossa, che portò il danno a scudi cen- tomila. Il gonfalonier di Perugia cav. Baldeschi, con uno degli anziani, il mar- clese Monaldi, benemeriti cittadini, corsero a conoscere i bisogni del povero po- polo, lungo tutta la strada per insino a Foligno. Due dotti e buoni deputati frattanto, accordatisi in città co’capi delle societa religiose e con le famiglie più rieche, pensarono a provvedere i più miseri di albergo e di vitto. Una so- scrizione aperta diede in pochi giorni 250 scudi; l’ accademia de’ Filedoni portò Ja somma di scudi 200, destinata ai musicali divertimenti di quel carnevale. Mons. Cadolini eletto dal papa a presiedere a una commissione di carità, la com- pose di diciassette membri; la scelta de’ quali, incolpata di non rappresentare i bisogni nè gl’interessi de’ paesi più danneggiati, diede luogo a dicerie non poche. Assisi, la patria di Metastasio, molto sofferse del flagello: il cenobio de’cap- puccini ebbe danno di 2000 scudi. In S. Maria degli Angeli, di bella architettura, il tetto del coro fu veduto alternamente aprirsi e chiudersi, la cupola e la torre far quasi a cozzi tra loro; otto colonne ne furono spezzate come fragili canne, qual- che pilastro affettato come una midolla di pane; le catene ferree del refettorio sj ezzate. I novanta frati passaron la notte all’aperto intorno a un gran fuoco; la mattina seguente ne partirono trentacinque. Le riparazioni necessarie ascendono a! valore di scudi quarantamila. In Spello, città di 4,200 abitanti, distante da Foligno una lega, il pre- giato collegio , elegante teatro moderno, le case piene d’antichi monumenti, son tutte rovina. La moltitudine passò la prima notte a cielo scoperto sotto di- rottissime piogge, poi sotto povere capanne di tavole. Il borgo di Cannara, di goo abitanti, con nove chiese, fu quasi distrutto. Nella torre della Morte le due campane furono sbalzate, l’una sul tetto della chiesa, l’altra sulla pubblica via. Il magistrato municipale stava in un casotto di lesno. Un pozzo, cavato appena, e fin allora asciutto, si trovò pieno d’acque, che per le seguenti scosse ingrossarono. = Nel borgo di Betona il danno è di scudi sedicimila. La molto commerciante città di Foligno, in mezzo alla pianura dell’Um- bria, donde quasi da centro si partono le vie romana, toscana, marchigiana, toditana, ebbe pochissime case intatte. Un convento di monache crollò tutto: un campanile, quasi troncato da scure, dopo elevatosi un poco sopra se mede- simo, corse a precipitarsi sul tetto, lo sfondò, venne ad abbattere l’altare e di- sperdere dalla pisside le ostie consacrate, che furon tutte raccolte. Questa chie- sa era degli olivetani, soppressi a istanza del card. Zurla per dotarne i mo- naci camaldolensi. Quattro soli furono i morti, sebbene fosse giorno di mercato, e piene di vetture le vie. Il 15, il 18, il 27, il 29 di gennaio, il ro e il 25 di febbraio ebbero la loro soossa. 235 In Budine, borgata dal tremuoto' distrutta, fu veduta in due luoghi un’a- pertura eruttante verticalmente a molti palmi d’altezza, arene acqua e melma. Tredici persone morirono. si Mentre nel castello di Ripe , verso Perugia, erano secento infelici, fra’quali cinque famiglie mancanti di pane, un ricco fulignate dicesi che pensasse a incet- tare i mattoni e le tegole del territorio: ma quasi tutte le famiglie benestanti concorsero ad opere di carità. Quel che facessero i consigli provinciali di' fresco istituiti in Romagna, non si può dire, perchè gli atti loro sono tutti secreti. Il parroco di Ripe, vero pastore, intanto che i suoi popolani stavan tutti a dormire allo scoperto, accorre a liberar dal pericolo due giovani spose, colte del tremuoto nei dolori del parto. Domandò scudi ottanta di sovvenzione; lo fecero presidente della commissione, alla quale vedendo membri un illetterato e un assente credendo forse di poter fare per altre vie più di bene , 'rinunziò la presidenza, e piuttosto che ‘andar'a ricoverarsi in una casa offertagli dal ye- scovo di Perugia, volle dividere col suo popolo i pericoli e tutti i disagi. Nell’antica città di Bevagna, la cappella del Carmine piena di buoni di- pinti, fu diroccata; diroccata la chiesa di S. Silvestro, costrutta al tempo del- l’imperatore Enrico nel XII secolo. Una nuova scossa rese inabitabili le dase tutte. Il delegato di Spoleto mandò professori alla cura di dagento cinquanta feriti. Due soli fanciulli e due donne morirono. Durante l’intera notte la terra tremò. Sei torri abbassate, cencinquanta case diroccate, due contraile distrutte. Alle monache di Bevaguo chè nel pericolo non vollero lasciare il lor nido, un genovese donò cinquecento scudi. I magistrati intanto si rifugiarono in un sot- terraneo mulino da olio, formato ‘sugli avanzi d’un anfiteatro romano ; e quivi accoglievano chi volesse calarvi. A Trevi città di 4247 abitanti, gran guasti; nel borgo di Montefalro di 3398 abitanti, non fu grave il danno, ma furon veduti innanzi la catastrofe strani fenomeni: due sorgenti d’acqua mista ad estranee materie sgorgarono dalla terra, ed elevatesi di parecchi piedi , corsero per due ore a guisa di rapido e grosso torrente. Lunghe fenditure ne’campi; come in Spello e in Gormara; ie al dir di taluni, ne usciva odore di zolfo. Di una famiglia d’ otto persone, un solo ebbe salva la vita. Due vacche poco innanzi la scossa, s’arrestarono in via, senza che il pungolo potesse cacciarle innanzi: e altri simili segni dati ila’bruti sarebber notabili, se la popolare loquacità non gli avesse alterati. Nella valle e nell’alture la perdita non passa le sessanta persone: tra queste una sposa colle treccie de’ capelli in bocca, una vecchia tagliatasi la lingua co” denti. — Vensette furono in tutto le scosse: il danno a un dipresso di due milioni di scudi. Come riparare a tal danno? Gioverebbe che le camere di com- mercio d’Italia tutte e d'Europa imitassero l’esempio di quella d’Ancona. Gl.im- presarii fecero anch’essi la. parte loro serbando a pro .degl’infelici il. frutto d’ una teatrale serata. Giovava del resto che il governo pontificio interrogasse del fenomeno i dotti, e del modo di porvi riparo , quanto all’umane forze è possibile. Il sig. Rutili Gentili gli dà per causa non l’accensione di materie sotterranee 0 i vapori, ma Velettricità; e, per provarlo, accenna come nel suolo dell'Umbria non son:da so- spettare materie accensibili; e dai fenomeni meteorologici che accompagnarono e seguirono i tremuoti, deduce che la discesa dei vapori e delle nubi dall’alta parte «lell’atmosfera nella valle soggetta, conduttrice dell’ elettricità, ne sia stata la causa. {l sig. Rutili Gentili spiega a questo modo il fenomeno. 216 La valle dell’ Umbria era un tempo coperta dall’ acque; gl’ interramenti portati dai fiumi o ruscelli scendenti dall’ alto delle circostanti montagne, ne le cero una seconda pianura, non però sì che nelle viscere della terra grandi vene d’acqua non iscorrano ancora. Nell’ estate del 1831 piovve molto: nell’autunno la celere evaporazione prodotta dai venti boreali, asciugò la superficie del tec- reno, lasciando nelle profondità le vene d’acqua abondanti come furono sempre. Nell’ ottobre i vapori molto bassi aggravandosi sulla valle; sempre che vi si posa- vano immobili, aveva luogo un tremuoto. Così nel novembre, così nel gennaio; ogni volta che Ja valle era da nubi molto basse velata, si rinnovava il feno- meno. Ecco dunque la cosa. L’ elettricità nel mettersi in comunicazione tra la terra umida e le nubi, trovando un cattivo conduttore, qual è il suolo asciutto, produceva le scosse, più violente nei luoghi più bassi, dove più s’annidano i va- pori acquei, dove sono più argillose le terre. Il mezzo dunque d’evitare il tre- muoto era, o bagnare il suolo con artificiali alluvioni ben facili in tanta vici- nanza di fiumi, o scavar de’ pozzi artesiani; 0, meglio, porre de’ conduttori metallici) spediente usato fin da’ tempi antichissimi. Commercio di Urbino. Una dissertazione letta all'Accademia d’Urbino da Leopoldo Staccoli, gio- vane di molto ingegno, testè rapito da morte agli amici che ne rammentano con desiderio la molta bantà , ci porge alcune non inutili notizie intorno allo statò della provincia d° Urbino, Ora l’ efficace amor patrio degli urbinati vede bellamente cogliersi.i frutti delle sue cure per la nuova fondazione della nostra. università : ora per nobile esempio e liberale molti fra i cittadini hanno. generosamente con- corso ad abbellire una parte della città , allargando la piazza e fondando una nuova via interna : ora molte città della nostra provincia si sono unite ad aprire una nuova comunicazione fra loro col mezzo di una strada che darà facilissimo accesso alla nostra città dalla poco lontana via Flaminia: ora finalmente il saggio nostro Soorano ; unitosi al Granduca di Toscana ha già ordinato che pongasi mano alla veramente reale impresa di una strada che unisca con comoda comunicazione i due Stati fra mezzo agli scoscesi Appennini della Massa Trabaria. Ed in tali circostanze , 0 signori, qual migliore argomento poteva essermi prescritto che il parlaroi del commercio ? Gominciando da alcune idee generali ; stabilito ch’ egli ebbe, essere ne- cessario in chi vorrà farsi capo di un utile impresa agricola ; lo. studio pro- fondo e indefesso della scienza dell’ agricoltura; e di tutte le arti che le sono di necessaria compagnia ; e che non sarà prospera l’ industria manifut- trice là dove poche sono da natura le materie. greggie, o pochi î capi- tali per potersene procurare al di fuori ; dove non sia comune l’ insegna- mento delle scienze fisiche e chimiche e matematiche applicate alle ‘arti : dove poche ‘braccia vi siano e pochi capitali altresì per fondare un qual- che opificio, per lo stabilimento del quale fa spesso d’ uopo impiegare così gran capitale cui difficilmente alcun particolure potrebbe aggiungere senza V opportuno soccorso della pubblica amministrazione ; soggiunge lo Staccoli: Non sarà. inutile oltre a ciò l’ osservare che l'industria ha sempre. più facili e maggiori profitti ove si eserciti sopra cose più vicine alla necessità che al lusso. Onde non male osseroava Giambattista Say, celebrato eco- 2:n nomista francese , ‘che i mercanti di mode e di chincaglierie quasi tutti fal- liscono, e che i fornai, i beccai, i muratori e simili comprano la metà dei poderi e delle case che si vendono a Parigi , e ne’dintorni. ( Econom. polit. l. 2. c. 6). Qui viene ad Urbino. La fertilità del suolo non è il maggior pregio della patria nostra ; ma sì è felicissima la sua posizione , stando essa nel bel mezzo tra le pianure della marina e 4; scoscese alture de’ monti. Se non che ne?” secoli scorsi ed anche sul principio del secolo presente questa fortunata posizione era resa infruttuosa per la mancanza totale di facile comunica- zione. Una sola via aperta per le cure della beata memoria di Clemente XI conduceva a Pesaro ; e questa in certi punti era così irreparabilmente scoscesa , che, quando l’ amor patrio del non mai abbastanza pianto da noi cav. Fulvio Corboli pensò ad agevolarci sul principio del secolo presente questa comunicazione , convenne por mente ad una linea totalmente diversa. E questo fu principio felice , perchè in non molti anni abbiamo vedute intraprese altre due strade utilissime , voglio dire quella che ci pone a con- tatto colla via Flaminia, e l° altra che ci condurrà fra breve in Toscana per cammino non solo comodo per noi, ma sì ancora per parte de’ roma- gnoli, pe’ marchegiani e pegli umbri. E forse il vedere il buon effetto, che sortiranno per noi queste nuove strade , porrà in cuore ai vicini abi- tatori del Montefeltro il desiderio di assomigliarci , ‘e togliere con una comoda via quel fortissimo ostacolo che nella maggior parte dell’ anno vieta loro ogni comunicazione non solo co’ vicinì paesi e specialmente con Ur- bino loro capoluogo , ma sì ancora fra loro stessi. Questo è lo stato fisico di Urbino ; parte presente , parte facilmente futuro. Gli stabilimenti poi di pubblica industria sono assai pochi fra noi. Poichè non abbiamo grandi fittaiuoli che all’ uso de’ lombardi facciano spe- culazione sui profitti delle terre ; non abbiamo grandi opifici , se ne to- gliamo la fabbrica degli spilli e la cartiera di Fermignano. Non sono fra noi grandi case commerciali ; ma due o tre ve ne sono che mostrano potersi godere buon credito sulle piazze commercianti anche stando nelle nostre piccole città , e non possedendo estesissimi capitali , solo che all’in- tegrità della fede, prima base del ‘credito , si unisca attitudine d’ ingegno ed operosa volontà. Affidata di nuovo la cura dell’ istruzion primaria ai RR. PP. delle Scuole pie , che in altri tempi così belli esempi ci davano di zelo. per edu- care la nostra gioventù; ristaurata e dirò così ringiovenita in modo soddi- sfacentissimo la nostra Università , che sembrava per vecchiezza languen- te; chiamati ad illustrarla professori abilissimi ; corredati î gabinetti e la biblioteca di quanto si potea a proporzione de’ mezzi. Ed è solo colpa della mancanza de’ mezzi se le scienze fisiche e matematiche non sono insegnate come applicabili alle arti ed alla agronomia, e se l’arte agra- ria.non è insegnata di sorte alcuna. Non intendo perciò dire che mi paia opportuno l’ abbandonare del tutto al rozzo ingegno de’ nostri contadini il pensiero della campagna: Dio non permetta simile incuria fra noi. Anzi lo- derò altamente chiunque si darà a tutt’ uomo alla coltura de’ suoi campi, e procurerà d’introdurre nuovi generi di coltivazione e d’estendere maggior- mente i già conosciuti : come chi attendesse agli olivi che nelle campagne T. VI. Giugno 28 218 urbinati allignerebbero facilmente , e per la qualità del terreno, leggero per la maggior parte e sassoso , e per la esposizione al mezzo giorno di molte delle nostre colline. Forse potrebbe essere che , accrescendosi per altro lauto le ricchezze della patria nostra, si potesse ancora volger la mente a pro- curarci i mezzi d’ istruzione per le arti ; ed: allora saggiamente si pen- serebbe a qualche stabilimento d’ industria manifattrice. Finalmente , essendo necessario pel maggiore profitto dell’industria com- merciale cover capitali sì , ma non grandissimi, perchè è stato osservato che î mercadanti che godono buon credito possono torre a prestanza dieci volte più di quanto posseggono , sarà più facile per questo lato in Ur- \ bino , dove non sono grandi possessori di capitali , veder fiorire questa che ogni altra industria. Aggiungasi a ciò la felice posizione di Urbino poco fa dimostrata, e la poca difficoltà di apprendere quali siano le cose man- canti o sovrabbondanti ai nostri vicini. Essendo noi situati tra i popoli marini e quei del monte, qual cosa più naturale che il portare in monta- gna le mercanzie e derrate che ci vengono dal mare , e condurre alla marina i prodotti, per esempio, dell’agricoltura e della pastorizia de’monti? Conchiude : facciamo che ritornata la prosperità fra noi, possiamo emu- lare î beati tempi de’ nostri maggiori , i quali resero colle famose loro azioni celebrata la patria nostra al di là delle alpi e del mare. Chè questo è ancora quel suolo che sosteneva i Sanzi, i Baldi, i Bramanti ; questa è l’ aria che essi beveano , questo il ridente cielo che gli allegrava. Ma di que’ tempi, oltre al vantaggio della presenza del principe che colle pa- role e co’ fatti confortava i cittadini ad essere operosi , v° erano non pochi stabilimenti di manifatture, fra’ quali mi giova solo accennare le numerose e profittevoli fabbriche delle maioliche , i cui prodotti erano ricercati dai più famosi re di que’ secoli. Se vogliam dunque emulare le virtù de’nostri avi, diamo principio dall’ emularli nell’ amore alla fatica, e nell’ abborri- mento all’ ozio. Queste due sole qualità ci renderanno degni loro nepoti. Possano questi voti essere un giorno compiuti ! Possano le religiose forze e le morali ; applicate anche al materiale benessere, dimostrare in questo nuovo modo la loro negata efficacia! Possano gl’ italiani e gli uomini tutti esser fe- lici perchè religiosi, e tanto più religiosi quanto più si veggono sorridere in- torno le gioie della sociale e della domestica vita! ROMA. Da lettera. Statistica. = Milizia. == Ebrei. == Giornali. Il valentissimo sig. Giuseppe Sacchi, nome caro a tutti quelli che inten- dono ad utili studi, trascrivendo negli Annali di Statistica un lungo brano della circolare di cui mi faceste parte e commendando il vostro pensiero de’ miglio- ramenti da introdursi nell’ Antologia, manifesta il desiderio che voi aécolghiate nel vostro giornale le cose statistiche riguardanti 1’ Italia centrale e meridio- nale , com’ egli usa fare negli Annali milanesi quanto all’ Italia settentrio- nale. Aggiunge ancora che senza invidia vorrebbe si ricambiassero fra i due 2,7 9 giornali gli articoli ; onde aver l’ insieme delle notizie statistiche italiane. Voi avete applaudito alla bella proposta e dato segno di quell’ amichevole fratel- lanza che dee congiungere tutti gl’italiani: non imitando punto l'esempio d’un giornale italiano che ha incominciato ad uscire in pubblico con una tiritera contro i suoi fratelli. Mandai al sig. Sacchi la rettificazione delle cifre che riguardano il debito pubblico e la rendita dello stato pontificio , e leggo con piacere che un vostro corrispondente ha notato queste cose fra le più impor- tanti che sono negli ultimi fascicoli degli Annali. Ora, stante l’alleanza de’due giornali, io sono certo che farò cos grata al sig. Sacchi non che a Voi, se vi dirigerò altre notizie statistiche su i dominii romani, i quali non hanno an- cora una statistica compiuta e sono sì mal conosciuti e giudicati dagli stranieri, Negli Annali di statistica vol. 31 p. 313 si rapporta un quadro statistico del benemerito sig. Adriano Balbi: il quale quanto alle provincie ecclesiastiche, posso accertarvi, è errato. Il debito pubblico e la rendita dello. stato romano sono corretti nella nota/che seguita il quadro: dee però correggersi ancora la cifra delle forze di terra e di ‘mare che si fanno ammontare a seimila uomini. È ben vero che il quadro appella al 1830 non al corrente 1832: ma già in quell’ anno le milizie pontificie sommavano quasi al doppio della cifra scritta dal sig. Balbi. Ora però; stanti le circostanze de’tempi, si ‘sono notabilmente aumentate e le sole forze di terra giungono al 18 mila ripartite come segue. Dieci battaglioni di linea composti di compagnie di granatieri, fucilieri e cacciatori ammontanti in tutti a ottomila uomini. Un battaglione di cacciatori. montati alla tirolese, che ha 700 uomini, ma non è ancor compiuto. Un.battaglione di artiglieri forte di 1000 uomini. Un reggimento di dragoni a cavallo composto di 800 uomini. Due reggimenti di carabinieri parte a piedi, parte a cavallo sommano a 2500. Finalmente due.reggimenti di Svizzeri non ancor pienamente attivati, che giungeranno ai 4400. A questi devonsi aggiungere 400 uomini chia- mati fazionieri, i quali tolti dalla guardia civica prestano ora il lor servigio militare colla linea e sono com’essa a soldo. Se voi sommate. queste cifre. avrete un insieme di 18 mila uomini , ch’è il maggior numero di milizie che abbian mai avuto i pontefici. Se paragonate questo numero. all'intera. popola- zione, che può valutarsi a 2,700,000 ‘abitanti; avrete un soldato ogni 150 ani- me. In Francia, se non m’ inganno, hassi la ‘prooprzione di r a 755 dunque la Francia ha ragguagliatamente alla popolazione il doppio di soldati. In Francia un soldato costa 600 franchi ; quì costa ‘poco meno perchè può valutarsi. che l’uno per l’altro richieda 100 piastre romane. Gli Svizzeri però costeranno al- meno il doppio: cosicchè non andremo molto lungi dal vero se computeremo a 2 milioni di scudi ossia a 10,7 50,000 franchi la spesa annua delle milizie, cioè ad un quarto dell’entrata totale dello stato. Le forze di mare non sono d’ al- cuna considerazione. Ebrei = Voi avrete osservato che in tutte le statistiche di Roma sono stati sempre esclusi gli ‘ebrei. Il timor del cholera ha fatto che si pensasse agli ebrei, i quali sono stipati in un piccolissimo spazio chiamato ghetto. È stata fatta una commissione composta di un presidente regionario , un medico e due mercadanti israeliti. La prima cura è stata di conoscerne il numero e lo spazio ch’essi abitano. Si sono pertanto noverati 3500 individui, i quali oc- cupano un luogo così ristretto, che se il rimanente della città fosse popolata quant’ è il ghetto accoglierebbe mezzo milion d’ anime. Leon XII avealo già 220 allargato concedendo agli ebrei un nuovo quartiere. Ma ciò nonostante egli è troppo piccolo, ed ottanta famiglie da nove a tredici individui abitano una sola stanza. Quindi è che il governo saviamente opina allargar di nuovo a sufficienza il luogo destinato ai discendenti d’Abramo. Gli ebrei formano nn comune chia- mato Università, i cui rettori diconsi Cacam. L° Università eroga annualmente 7 mila scudi per le spese del culto, per le scuole, per i professori dell’arte sa-) lutare e per i poveri a prò de’ quali è impiegata la maggior somma; giacchè in ghetto è affatto proseritto l’accattonaggio secondo il disposto del Deuteronomio 15. 4 et omnino indigens et mendicus non erit inter vos. Le spese dell’ Uni versità sono sopportate da sole 109 famiglie di mercadanti, che sono i più agiati fra gli ebrei, ai quali in Roma è interdetto posseder beni stabili. L° Università prenderà a fitto un luogo poco distante dal ghetto per farvi l’ ospitale, se mai avvenisse che fosse Roma visitata dal temuto malanno. Siccome il maggior traf- fico che faccia la plebe giudaica sono gli stracci, merce sozza e fetente; si è prescritto che i magazzini non debbano contenerne più che nna certa quantità e s’ abbiano a nettare al miglior modo possibile. Si è pensato anche a riparare ad un? altra cagion di sozzura che procede da un rito religioso. Alcuni ministri detti sciattini sono incaricati .d’ ammazzare i polli nelle case private, e perchè ciò fanno con poco garbo, avveniva che le piccole abitazioni rimanevano lorde di sangue e di piume. Si è pertanto stabilito che i polli abbiano in ghetto un’am-, mazzatojo, ove. gli sciattini esercitino il loro ministero. Giornali. = I giornali sia politici sia scientifici e letterarii non hanno mai avuto tanta importanza quanto a’ dì nostri, Roma quanto al numero non è scarsa di giornali. Il più antico e l’ unico politico che vi.si, abbia è la gazzetta romana; ch’esce or col.nome di Diario or con quello di Motizie del giorno, e son certo: che voi ben lo conoscete. onde mi dispenso dal farvene parola. Se- guita per. ragion d? età il Giornale Arcadico, che incominciò a venire in luce con begli auspici il gennaio del. 1819 e pertre anni sostenne la gara d’un suo rivale; che!fu il giornal dell’ Effemeridi Letterarie, il {juale poi venne meno. L’ Arcadico: ha 1240 associati ed una .sovvenzione annua dal governo di 300 piastre: Le materie mediche , archeologiche e di amena letteratura me.occupano la \maggior. parte. Nella guerra classico-romantica 1’ Arcadico pugnò agramente pei classicisti: Molti articoli hanno il merito di. essere scritti in buona lingua. ita- liana. Sebbene questo. giornale ; ch? è più vecchio della vostra Antologia , cam mini lentamente , sembra però che, non si fermerà coll’ anno) 1832. L’Av. Pietro Castellano prosegue un giornale incominciato il 1826 col titolo di Giornale del Foro, nel quale si dà principalmente carico delle decisioni e sentenze de’tribu- nali superiori, e segnatamente della S, Rota che nelle cose civili sono di gran- dissima autorità. L’Archeologia ha due giornali compilati da dotti uomini stra- nieri e romani : il Bu/lettino dell’ istituto di corrispondenza archeologica che data dal 1829 ; e le Memorie, che incominciarono a vivere nel 1824. Oltre i detti giornali, gli studi archeologici hanno gli atti dell’ Accademia di que- sto nome, la cui pubblicazione incominciò il 1821, e son già cinque volumi as- sai pregevoli. Nessun’ altra accademia in Roma pubblica i suoi atti: nemmen quella de’ Lincei , la quale , notate bene, è più antica di tutte quante sono società ed accademie d’ Europa. Finalmente vi dirò che un novello Giornale di commercio , arti , agricoltura ed industria vuol pubblicarsi in Roma, e n’è già uscito il manifesto, il quale promette che si daranno 1,° le notizie, scoperte 4 invenzioni, progetti, tentativi, stabilimenti relativi al commercio , arti, in- 221 «lustria , agricoltura , riguardanti sì lo stato che 1° estero: 2.° gli arrivi de’ba- stimenti di generi e mercanzie in tutti i porti del Mediterraneo e dell’Adria- tico e le partenze di essi con le indicazioni de’loro carichi e destinazioni per ordine di date : 3.° le tabelle amnonarie «elle piazze più commercianti dello stato coll’ indicazione de’ prodotti o raccolti, affluenza o inopia di generi tanto indigeni che stranieri : 4.° 1° elenco e. corso delle manifatture dello stato per facilitarne il commercio. interno e le richieste all’ estero ; 5.° gli avvenimenti o fenomeni della natura utili o nocivi all’ agricoltura e al commercio : 6.° le notizie relative al commercio de’ generi di mode: 7.° le vendite pubbliche 0 private di beni ed oggetti di entità effettuate o da effettuarsi e che vengono continuamente commesse al nostro stabilimento: 3.° il corso de’ fondi pubblici e cambj: 9.° tutti infine gli articoli che interessa aiì particolari d’ inserirvi, mediante una modica tassa ec. Auguro ai novelli giornalisti buon numero di so- scrittori e tanto coraggio da superar le difficoltà che incontreranno), nella loro lodevolissima impresa : auguro insomma che il giornale romano possa stare al lato del fiorentino e del milanese — sì che sia terzo fra cotanto senno. Sil NAPOLI. VARIETÀ’. Commercio. == Si raccoglie da lettere, 1° esportazione dell’ anno scorso, esa sere stata nel regno più abondante che mai, specialmente del ‘frumento e del- l’olio, nei porti francesi e a Trieste. Onde il corso dei cambi ribassò per modo, che da Maisiglia da Genova da Trieste si dovette ricorrere a forti rimesse di danaro che fecero montare il valore de’ colonnati. I consolidati ‘passan 1” 80. Si spera che le rendite dello stato pareggino tra poco le spese, le quali vengono rego- late con economia più che prima. Viva è la circolazione del danaro; e le ban- che pubbliche in movimento. Tra spese scemate e rendite cresciute, si ha l’ an- nuo vantaggio di 300 e più mila ducati. Gl’interessi del debito pubblico e delle obbligazioni anglo-napoletane sono anticipatamente assicurati; parte del debito non consolidato è pagata. L’ avvenire si spera sempre più prospero. Partì peri porti. del Brasile‘e di Rio della Plata unì bastimento napoletano carico di napoletani prodotti, alla cui spedizione sono interessati molti nego- zianti e capitalisti di Napoli. Gli amministratori delle due compagnie di assi- curazioni marittime promossero questa spedizione con disinteresse raro. Vediamo con piacere che sempre nuove fiere e mercati si vanno aprendo nel Regno, e sempfe muove indennità si concedono per terreni appropriati a uso di pubbliche strade. Indizio certo. di moltiplicate o agevolate comunicazioni commerciali e civili. Per troncare gli artigli all’ usura vorage che nelle grandi città specialmente fa strage, là dove il vizio accresce ed irrita i fittizi bisogni, e per yincerli non con impotenti divieti ma per indirette vie di prevenzione, che sono le più ef- ficaci, fu aperta in Napoli una Banca Fruttuaria; la quale porterà, poi seco il vantaggio di dar moto a una gran massa di capitali, e suddividerli, e. farli scor- rere quasi-ruscelli per tutte le parti del corpo sociale, a scemare i bisogni, a moltiplicar gli agi, ad eccitare l’ industria e le buone speranze. E gli usurai 222 ? altra parte, perdendo ogni giorno più le lor vittime, si vedranno costretti a rivolgere i capitali in migliore uso, e così la morale stessa ne avrà i snoi vantaggi. La società è anonima: il Governo l’ autorizzò e la protesse; e per- sone specchiatissime la dirigono: In sette mesi, cosa forse unica nella storia commerciale, distribuì diecimila azioni; raccolse un mezzo milione circa di du- cati, ch’ è più che la metà del primitivo capitale; fece sentire 1° influenza sa- lutare de’ grandi stabilimenti di commercio sulla civile economia, offrendo nelle anticipazioni de’ soldi e delle pensioni un sollievo agl’impiegati ed a’ pensio- narii; e preparando i mezzi di aprire a condizioni molto eque un sistema di pignorazione minuta. La generale adunanza testè tenuta, composta di regi im- piegati, di giureconsulti, di negozianti, di proprietarii ragguardevoli, riconobbe questi grandi vantaggi. La commissione mostrò come il valor delle azioni era asceso da ducati sessanta a settantacinque, mostrò che 1’ utile dei soli tre ul- timi mesi dello scorso anno passa il dodici per cento; espose infine i mezzi di consolidare e perfezionare l'impresa. — Nell’ ammortizzazione. del debito pubblico del Regno dovevano essere impiegati nel primo semestre di quest’ anno ducati 710,907; e ne furono im- piegati 710,891, con che s’acquistò l’ annua rendita di ducati 44316. Dunque il debito pubblico (non compreso il prestito Rotschild) è recato a 4,4643770 ducati. Gon decreto del 1826 la rendita da ammortizzarsi fu stabilita di 3,770,856: finora ne furono ammortizzati 426,070; rimangono dei destinati all’ ammortiz- zazione 3,344,780. Le obbligazioni 25000, ciascuna di 100 l. sterline, rappresentanti il pre- stito Rotschild di 2 1fa milioni di lire sterline, erano ‘al. primo di gennaio 22;971; nel semestre se ne ammortizzarono 176. Restano 22,795, cioè Il. ster- line 2,279,500. Il seguente agosto saranno ammortizzate altre 181 di dette ob- bligazioni, cioè 18,100 l. sterline. Per il secondo semestre i fondi d’ammortiz- zazione, saranno 732,125 ducati. Meteorologia. La sera del 5 giugno comparve sopra città Ducale nel 2.° Abruzzo ulteriore una meteora poco men chiara della luce del giorno, durò un minuto, prese verso settentrione, e si sciolse con fragore di tuono, RAMI DELLA FAMIGLIA ITALIANA. DALMAZIA. Anche di questa più ch’altre sventurata colonia italiana, ch’ ebbe con voi comune la lingua e le abitudini e l'educazione e il governo e le speranze e i dolori; non''vi sia discaro ricevere di quando in quando novelle. Da italiani li- bri e da italiani maestri attingemmo noi quella langnida civiltà che ci mantiene la vita dell’intellizenza: e fu tempo che i dalmati ingegni tennero tra quelli d’Ita- lia non inionorato e non ultimo luogo. Col nuovo aprile ebbe principio la gazzetta di Zara sotto la protezione dell’Im- periale e Reale governo austriaco. Escirà due volte per settimana ; compilata da un giovane milanese il prof. Brambilla. Si promette un'appendice letteraria, e a mandare articoli #’invitano quanti hanno a cuore il bene e l’onor della patria. I compilatori certo non mancheranno: mancheranno ‘ piuttosto i lettori; perchè 223 pochi sono ancora che intendano come una verità teorica influisca sulle borse degl’ individui, e come una rivoluzione e una istituzione che pigli piede in Ame- rica possa aver che fare col pane che in Dalmazia si mangia e con l’olio che se ne esporta. E io credo che non sia solo questo, popolo in tale stato di intel- ligenza e di volontà. Abbiamo avuto quì ospite il co. di Mailatte, magnate ungarese, che viag- giava raccomandato dal governo per raccogliere documenti e diplomi riguar- danti la dominazione ungarica in questa provincia. Autore di una riputata sto- ria del regno d’ Ungheria, scritta in lingua tedesca. A proposito di documenti, il sig. ab. Mori pubblicò mesi fa un manifesto nel quale annunziava una raccolta di storici dalmati: e perchè la cosa può in- teressare anco la storia d’Italia , ve ne vo?trascrivere parte. «e Non si può veramente amare la patria senza desiderar di conoscerne alla >» meglio la storia, senza rivolgere un pensiero e un affetto alle gioie e agli »» affanni de°nostri maggiori, alle consuetudini e alle leggi da cui furono go- vernati gli uomini a’quali noi sulla terra medesima succediamo. Non si pos- sono veramente conoscere nè i bisogni del proprio paese, nè le cause dei mali che lo minacciano, nè i mezzi d’ottenere que’beni a’quali gli è lecito d’aspi- 33 Yare, senza studiar profondamente il passato, nel quale, com’altri affermò, si racchiudono i germi del più lontano avvenire ,,. «* La Dalmazia manca d° una storia compiuta: non manca però d’ inedite storie municipali e d’autorevoli documenti. Raccoglierli, farne la scelta, or- »3 dinarli, compendiarli al bisogno, e pubblicarli o ricorretti dello stile o tra- 3» dotti, quest'è l’impresa alla quale, incoraggito ne’miei viaggi dalla. coope- »» razione di parecchi colti dalmati , volentieri mi accingo. Ed a questo fine mi 33 rivolgo a tutti coloro che possedessero o codici o carte inedite riguardanti la »» storia della Dalmazia o d’alcuna città o paese o d’alcun? illustre famiglia o »» celebre letterato, perchè me ne vogliano cortesemente indicare il soggetto. s> Qualunque siasi minuta notizia può essere importante per noi. Niente di ciò 3 che riguarda la patria è spregevole. E la verità, per quanto insignificante >» apparisca, è sempre feconda di belle ed utili conseguenze, purchè sia verità. > Egli è perciò che non solamente letterario, ma morale e civile io considero »» essere lo scopo di questa picciola impresa... . ,; (*) E di morali miglioramenti il paese nostro segnatamente abbisogna. Un gior- nale riputato affermò che la Dalmazia è la Corsica dell’impero austriaco. Sif- fatti paragoni non sono mai veri in tutto ; ma questo non è in tutto falso. I delitti contro le persone sono, come in Corsica, assai più frequenti tra noi, che i delitti contro le proprietà, o almeno in questi due paesi la proporzione dei primi ai secondi è più forte che in altri. Aggiungete che la licenza ai conta- dini concessa di portar sempre addosso schioppo e coltella e pistole, facilita gli omicidii e le risse. La pena poi del delitto non è tale che valga a fre- mare uomini poveri e ardenti. Poveri » ho detto, e dovevo aggiungere così miseri (*) In questo programma l’Editore nomina il sig. Tommasèo come socio all’ impresa. Il sig. Tommasèo ci prega di notare, aver lui promesso de’docu- menti e delle illustrazioni alla raccolta , se pur si farà , ma non avere in- teso d’entrarvi qual socio. Nota del Dir. dell’Ant.® 224 che il pane della prigione è per essi un regalo ed un premio. Or che fare d’uo- mini i quali si trovano meglio in prigione che fuori; d’uomini i quali, se non avessero un freno nel sentimento religioso, sarebbero tentati a commettere un delitto per non morire d’inedia? Già sapete che, secondo il codice austriaco, il reo, se non confesso, non può essere tratto a morte. I delitti però sono men rari di prima: e sebbene ne agevoli la impunità la vicinanza del confine ottomanno, oltre il quale facendo un salto il colpevole è salvo; nondimeno la superstizione terribile della vendetta viene un po”rallen- tando. Ma scema insieme con la fierezza la lealtà del Morlacco. E que’carat- teri omerici, sì affettuosamente lodati da Garlo Nodier, si vanno ormai sfor- mando e perdendo. Il buon Morlacco d’ un tempo, andando alla città dava nelle mani al mercante il borsellino perch’egli vi pigliasse il suo giusto. Ora con la malizia sottentra la diffidenza; il costume; segnatamente ne’dintorni della città e nelle parti marittime, si corrompe e ammollisce: all’antica ospitalità si costituiscono magri alberghi: e della civiltà s’hanno i mali senza ritrarne i van- taggi. Quì converrebbe che l’incivilimento operasse a guisa d’ una incursione guerriera e invadesse prepotentemente il paese: e quel benemerito uomo di Vin- cenzo Dandolo aveva già a questo modo concepita la sua missione; e perpetua de’ beneficii di lui rimarrà la memoria. Ma due intoppi s’innalzano più molesti degli altri ad ogni cangiamento efficace , due muri di separazione ben forti: la differenza della lingua, e la differenza della religione e del culto. In un popolo non colto l’uomo che parla italiano sarà sempre guardato con diffidenza dall’uo- mo che parla illirico; e il greco odierà sempre accanitamente il cattolico. Il go- verno austriaco aveva tentato di togliere questa seconda barriera, mandando dalla Gallizia quattro rispettabili sacerdoti del culto greco unito, perchè istituissero un seminario , e allevassero a concordia la generazione novella. Uno di loro, il più dotto e il più avveduto , morì vittima dell’intolleranza barbarica per mano di prezzolati assassini: gli altri dovettero ritornarsene dolenti alla patria. Mesi fa nel distretto di Sebenico due parochi greci si riunirono alla religion dominante spontanei: ma voglia il cielo che sia da altri imitato l’esempio. Questo vescovo rispettabile condusse l'affare con veramente cristiana prudenza: ma saggio, com'è, intende bene che a lui spetta l’accogliere chi si presenta, e non già, predicanda importunamente l’unione , attizzar la discordia, come tanti pur fanno in tanta parte di mondo. IsoLe Ionmir. Frammento di lettera. Un opuscolo del professore Emidio Cassese, intitolato Proposta di pubblica istruzione su lo scheletro naturale, mi richiama alla mente molte e assai do- lorose memorie, Il benemerito professore, che ben dimostra come nè lo scheletro artificiale, nè lo scheletro naturale non preparato possano fornire a’ giovani allievi tutte così esattamente le notizie anatomiche , come fa lo scheletro natu- rale preparato dall’ arte, volle donarne uno all’ università delle isole ionie , e n’ ebbe i ringraziamenti del buon Guilford; la cui lettera è in quest’ opuscolo riportata. Parlando della sua diletta università, dice il Guilford:< Ardisco assicurarla che » abbiamo delle teste e delle mani non indegne della cura ad esse commessa. I ss nostri professori di medicina, di anatomia, di fisiologia, di chimica e di bota. 225 »» nica , benchè greci di nascita, sono stati educati nelle diverse università di s» Europa. Gli studenti, se non mi accieca l’amor quasi paterno che ho per loro, »» non fanno arrossire i loro educatori ,,. E in altra lettera singolarissima scrive lord Guilford al medesimo professore. : Il sig. cav. Ghurch mi ha promesso di porgere a S. E. il sig. cav Medici 33 qualunque memoriale, ch’Ella si compiacesse di scrivergli sull’oggetto del per- 33 messo di far le preparazioni osteologiche naturali per la nostra università; e 3» di appoggiarlo presso quel ministro ,,. Quest’ opuscolo, io vi diceva, sveglia in me dolorose memorie. Le cure del buon Guilford come miseramente perite! E l’educazione della nostra gioventù sa il cielo a che fine potrà riuscire! MALTA. Ti governo inglese ordina per quest’ isola la compilazione di cinque codici a un tratto: criminale, civile, commerciale, di procedura commerciale , di pro- cedura civile. Si raccomanda di rispettare le consuetudini del paese: preziosa catu- tela, se saggiamente osservata. Lucano. Un privato nella nostra città offre un esempio a tutte le città d’ Italia, aprendo una scuola di geometria pratica e di disegno. La vostra Firenze per benefizio d’un cittadino rispettabile ha già prima dato l’ esempio di cosa che, applicata più prossimamente ai bisogni dell’ arte e all’ intelligenza degli arte- fici, sempre più diverrà pregiata e proficua. Trroto. Ditemi di grazia: avete voi un’opera che illustri i castelli della Toscana, nido di tante memorie, di tanti esempi? Che dicono al passeggero, che al cit- tadino quelle moli di guerra e d’ orgoglio, di delitto e di grandezza, belle e terribili all’ occhio dell’ artista e dell’ uomo? Un nostro tirolese porge a voi, a tutta l’ Italia un nobile esempio colla sua illustrazione de’ castelli del Tirolo, che gli dà occasione a tesser la storia delle più illustri famiglie del luogo; gli Arciduchi d’ Austria, i Co. d’ Andeck, di Gorizia, d’ Eppau, d’ Ulten, d’ Al- tenburg, di Greinfenstein, di Flavon. TOSCANA. Corso di filosofia nel Seminario Fiorentino. Abbiamo altre volte toccato della rettitudine e del savio zelo che nelle sue lezioni dimostra il sig. prof. Corradini; e il lettore potrà giudicarlo da alcuni tratti che quì riporteremo d’un «uo discorso sul presente stato della filosofia, letto all’accademia Golombaria. La filosofia è la scienza del vero : ma d'altronde egli è un fatto umi- liante a pensare; non esservi stranezza la quale da un qualche filosofo non sia stata detta, siccome già notò sino da suoi tempi l’oratore romano. E T. VI. Giugno. 29 226 a’ tempi da noi non molto lontani non mancarono gli strani pensamenti di Berkeley, è di Hume. L’uno negava l’esistenza de’ corpi, l’altro col negare l’idea di causalità veniva ad asserire che nè anco saper si possa se in realtà sieno ‘i nostri calzari i quali premano e serrino il piede. Follie in vero son queste che il volgo consolano di sua ignoranza e il muovono a riso ; ed egli ha ben ragione di ridersi de’ filosofi ogni volta che affermano cose contrarie al buon senso. Però da chi ha fior di senno questo delirare, agli uomini anzi che alla scienza viene attribuito. Io non mai ho potuto comprendere in che modo uomini di criterio pos- sano dar biasimo e mala voce alla filosofia razionale, quasi che le sue in- dagini fossero inutili e vane; non si avvedendo costoro che la filosofia è alla morale, alla politica , all’ economia , alla legislazione , alla letteratura come le matematiche alle scienze fisiche. Quì percorrendo le epoche della scienza, venuto al secento, saviamente osserva: i Ciò non ostante deesi osservare ehe i progressi dello spirito umano no si arrestarono , perchè se nelle arti e nelle lettere eravi gusto falso e de- pravazione , le scienze particolarmente in Toscana progredivana. Scende da ultimo a’ tempi nostri: In Francia sino a dieci anni addietro, e in Italia presso non pochi fino al dì d’oggi si credeva che la filosofia di Condillac avesse una certezza ma- tematica, e che omai intorno all’ideologia tutto si fosse conosciuto, nòn am- mettendo le teorie di Condillac e di Tracy dubbio veruno. Siffatta credenza è stata alla scienza di nocumento ; perocchè in filosofia guai a chi uffidan- dosi all’autorità di uno scrittore, lascia di leggere il libro originale del fi- losofo, il mondo e l’uomo. Fu meglio poi conosciuta in Europa la scuola Scozzese: Tommaso Reid non solo ebbe per discepolo Stewart, ma wvarii altri di Scozia, Brown, Beattie, Scott, Oswald; per lo che la sua scuola venne chia- mata Scozzese: la quale si vanta figlia legìttima di Bacone di Verulamio, e per se reclama il mal compreso titolo dì filosofia esperimentale. Giacchè i Con- dillacchiani pare che poco seguissero omai l’ esperienza e l’ osservazione , meditando più sopra i principii del maestro che sopra l’uomo. Reid soprat- tutto si applicò a ribattere l’idealismo di Berkeley e lo scetticismo di Hume; e mostrò , se non si andava alla radice, l’impossibilità di superare i loro ben dedotti ragionamenti , perciocchè i sistemi di Berkeley e di Hume (chi mai l° avrebbe creduto ?) sono basati su la teoria delle idee, di Locke.... Volevasi, essere la morale basata sopra un principio unico: tanto la ma- dre che piange la perdita del figlio quanto colui che soccorre un infelice, ope- rano solamente per amore di se, per interesse. Tutto parte da questo prin- cipio. Amiamo gli amici, e at mendico diamo soccorso , perchè le dolcezze dell’ amicizia e dell’ umanità ci consolano nelle nostre pene: noi ne’ piaceri ancora saremmo troppo miserabil senza avere con chi dividerli. — Non havoi dubbio, dicono i pensatori di Scozia, che l’uomo è spinto ad agire dall’amore di se; ma egli è del pari guidato da un intriseco amore disinteressato verso de suo simili: non havoi dubbio essere più felice Vl uomo probo , benefico, virtuoso; ma il virtuoso, allorquando opera, non agisce in vista del proprio înteresse, non è spinto a fare il bene da un calcolo interessato: altrimenti Washington e l’apostolo Giovanni non sarebbero stati più virtuosi di Robe- 227 spierre e di Giuda, ma solamente migliori calcolatori. No, la virtù non è posta nell’esperienza, ma è un pri:cipio essenziale all’ umana natura, prin- cipio immutabile, inconcusso, sublime e superiore a tutte le esperienze e a tutte le incertezze dell’interesse ; perchè V’ interesse varia al variare delle circostanze , e quello che oggi giova, può non più giovare dopo il volgere di pochi lustri. Le dottrine di Scozia stettero incognite al continente europeo sino al 1811: Royer-Collard fu il primo dall’Inghilterra a portarle in Francia, allorchè , fatto professore, principiò le sue lezioni illustrando Reid; e dalla sua scuola in brece sorsero giocani di bella espettazione. Cessato l’Impero, la Francia nuovamente rivolse Vanimo alle scienze politiche, morali, economiche , giacchè in que’tempi di grandi avvenimenti, erano solamente in onore le ma- tematiche e le scienze fisiche. Prima della rivoluzione del luglio, la scuola dominante ricevè il movi- mento da Reid e Stewart , seguendoli, chi più chi meno fedelmente; come Royer-Collard, Massias, Droz ,' Dégerando, Bérard, Virey , Jouffroy, Da- miron, e varii altri. Ciò non ostante vorrebbe Cousin trapiantare in Francia la filosofia alemanna, adornandola con la sua platonica fantasia di nuoce maniere e di colori più ridenti. Poi, così dipinge la scuola scozzese : In lei si raocisa sempre , e particolarmente nel suo illustre capo, molta buona fede, sincerità, e un grande amore pel vero e non per la propria opi- nione. Il suo linguaggio è semplicissimo, chiaro, usando i vocaboli nel più comune significato della favella. Essa non pretende che farsi la costante alleata dal buon senso, e aiutarci a legger, chiaro nel fondo della co- scienza quello che in confuso e indistintamente ognuno vi sente e può rao- visaroi. Questa scuola non è che un passaggio a più pratiche insieme e più pro- fonde teorie: ma comodo, e per molti forse necessario passaggio. Così riguar- data, merita la stima e !’ amore de’buoni. Da ultimo : Chiudiamo il discorso con le parole del ch. prof. Agatino Longo di Catania. Italiani! Ricordatevi che la scienza del pensiero ha avuti in questa penisola de’cultori rinomatissimi. Ricordatevi che le produzioni degli stranieri colpiscono sovente per l’eloquenza dello stile , per la bizzarria dell’ espres- sione , per le novità de’concetti , più che per la profondità delle idee e per l'esattezza del raziocinio. Ricordatevi che sono ancor viventi Galluppi, Ro- magnosi , e l’autore del nuovo saggio sull’ origine delle idee ; e persuadeteovi che le grandi scoperte , e le luminose verità in molti rami delle scienze sono opera desl’ingegni italiani, 0 devono ad essi, come a’ primi inventori , ut- tribuirsi. ,, 1taliani! io soggiungerei , non dimenticate le patrie glorie ; i nostri grandi vi siano ognor presenti al pensiero. — Maledetti ed infami per sempre que’ vigliacchi che si vergognano di portare il bel nome d’Italiano. Ma studiate i ritrovati e i pensamenti delle straniere nazioni, emulatene alcune nel progresso della civiltà. Leggete le opere degli stranieri, on- de possiate con cognizione di causa o ammirarne imparzialmente i pregi o deciderne la assurdità. Gran nomi, sono quelli di un Galileo ,- di un Ma- chiavelli, di un Vico, d’un Beccaria, di un Volta e dì molti altri ; vi ricordi però che il manto della gloria degli avi si raccorcia se di giorno in giorno non vi si appone. 228 La filosofia si renderà sempre più pregevole e benemerita dell’ umanità, qualora i filosofi avranno ben fermo in mente che la missione loro è di ren- dere gli uomini più virtuosi e più felici. Pensino seriamente a giovare 1’ at- tuale società. Belli sono alcuni sistemi degli antichi e della passata età: ma, ripetiamolo , filosofi e scrittori di qualunque genere devono giovare agli uo- mini co’ quali vicono, devono giovare alla presente generazione; lasciare il passato essere il passato, come diceva Goethe. Nuovo quadro di G. B. BezzuoLi. Sotto un albero fronzuto, sull’ alto d’ uno scoglio stà inginocchiato pre- gando un povero frate ; altri fraticelli son dietro a lui , quale in atto di devo- to raccoglimento , qual di placida sicurezza : scorre un fiume al di sotto, e nel fiume un barcainolo che regge da’ piedi un uomo annegato , mentre che un altro lo solleva perle braccia, ritto sulla rupe di contro ; un terzo ferma di sotto col canapo il barchetto alla riva. A sinistra dell’ annegato , che per le preghiere del frate riviene alla vita, è la moglie , turbata della recente ango- scia e della presente speranza , la figlia , il padre, la vecchia madre che corre a baciare il lembo della veste del santo ; a destra è il figlio, un fanciullino che dietro al braccio del padre nasconde il viso. San Francesco è quel frate : e la rappresentazione di un tal fatto è stato commesso al nostro pittore dalla città di Livorno. La luce pura del cielo, che sembra rallegrato dal mite raggio della più serena tra le affezioni dell’ animo, la speranza ; il contrasto fra il verde cupo dell’ albero che adombra il Santo , e ’l verde più vivo dell’ erbetta che veste le rive , e che pare a ogn’ istante ringiovanita dal moto dell’ acque correnti , diffondono su tutto il quadro una non so qual aura di placida gioia, e allontanano dal pensiero. quant’ ha di lugubre (umanamente guardato ) lo spettacolo della morte. E già comincia nel volto di quel ch° era cadavere a spargersi ii color della vita ; e la mossa del capo, e lo sguardo affettuoso ri- volto alla moglie , e la mano posata sulla spalla di lei, già ti dicono che l’in- felice è rinato all’ amore delle cose mortali. Colla pietà religiosa, colla vivacità degli affetti di padre , di madre » di figlia , di marito, di sposa, par che con- trasti la durezza fredda di que’ due che lo reggono, siccome uomini avvez- zi a riguardar da vicino il pericolo, la morte, il dolore altrui: par che que’ due stiano come a rappresentare la forza fisica tutta occupata di sè, ferma y immobile , e che non può senza sforzo far mostra della propria energia. Quel bambino accanto al barcaiuolo ritto sullo scoglio , che strin- ge il braccio del padre, quel cane che si mostra anch’ egli quasi meno in- differente de’ due che trassero il suo padrone dall’ acque , rendono più gra- dita l’armonia dell’ intero, Il braccio destro dell’ annegato , la mano del l’ uomo che sotto ie ascelle lo sostiene a gran pena, il capo del figliuoletto, formano un piccol gruppo ch’ è pieno di grazia ; il braccio sinistro che posa sulla spalla alla moglie , e sotto al braccio la man che lo regge , e al di sopra tra la moglie e il risuscitato la testa della giovane figlia , che si mostra e par quasi sparire , come in una grave melodia il breve suono d’ uno strumento più gaio ; eccovi un altro gruppo non men grazioso. La palma alzata dal vecchio pa- dre che dietro alla moglie si leva in punta di piede in atto d’ ansietà e di stu- pore , la mano tesa della moglie , la mano raccolta del barcaiuolo , la sinistra 229 distesa dell” annegato , la destra pendente , e la destra del fanciullo che stringe il braccio di lui , queste mosse tutte insieme ravvicinate con bella varietà , sod- disfanno e l’ occhio e il pensiero. L’ uomo che ferma il barchetto alla riva , e il barchetto medesimo con un remo che lambe la schiuma dell’ acque , riem- piono convenevolmente il disotto del quadro ; e il fiume corrente v? infon- de una vita simile a quella che spira dal tranquillo sereno del cielo. I colo- ri fanno anch’ essi contrasto e armonia ; la bigia veste de’ frati col verde dell’ albero delle rive ; il rosso più vivo del vestito della moglie col bianco languido di quel della madre. Le figure son tutte disposte con arte, e negli at- teggiamenti è molta varietà: e fu buon senno nascondere il viso del fanciullino, e presentar sola e come nell’ ombra la testa gentile della fanciulla , per non ri- petere con soverchia uguaglianza le mosse, e 1° espressione del medesimo affetto. La parte più bella del lavoro è la più semplice , la più quieta: dall’ un lato abbiamo la forza fisica a cui troppo costa sollevare un cadavere , dall’ al- tro la forza spirituale ben più efficace nella sua modesta potenza ; dall’un lato il timore , Je lagrime ; dall’ altro la fede o la vita ; dall’ uno il movimento e 1’ ansietà, dall’ altro la preghiera e la pace. Quello del povero fraticello che con le mani giunte e tese un po’ verso il cielo, sta pregando rapito nella gioia della fede, e dall’ alto dello scoglio domina tutta la scena, è atteggiamento che ad un volgare artista sarebbe sembrato volgare ; ed è la più poetica parte del quadro. La natura religiosa ispirò meglio il Bezzuoli che non facesse la na- tura fisica ; e i suoi frati son opera che tiene non so che dell’antica unità ed eleganza, Il santo co’ suoi compagni è nell’ ombra , e tutta la serenità della luce si versa sopra il cadavere quasi ad illuminare il miracolo. La vecchia madre partecipa anch’ essa di questa religiosa bellezza ; è più tranquilla perchè più devota , patisce meno perchè spera più: mentre che gli altri dubitano , ella è già consolata , e ringrazia. Oh gli è pure tormentoso , gli è pure insoffribile il dubbio ! Oh la fede è pur necessaria alla pace , alla forza, alla libertà dell’ anima umana! Spargete il dubbio nella società , ed ella è sciolta ; il dubbio sull’ arte, e l’arte non vive. Quando vedete un uomo che comincia a scoraggirsi , ad errare, un uomo al quale un’ impresa riesce a vuoto , dite ch’ egli ha dubitato. E quanti pensieri non desta il vedere che dopo secento e più anni , una ricca e fiorente città, commette all’ arte un monumento in onore del semplice fraticello lodato da Dante , dell’ umile credente che con una istituzione tutta popolare tendeva a un gran fine, e a’ suoi tempi l’ ha in parte ottenuto ! Sorgan uomini che la religione di nuovo ravvicinino al popolo ; e la gloria loro germoglierà fiorente co’ secoli. K. X. Y. Tragedie improvvisate dal sig. Cicconi in Firenze. Un giovine egregio il sig. Luigi Cicconi romano ha fatto in Firenze del suo valor poetico bell’ esperimento con due tragedie improvvisate. Di queste pa- role ci siamo serviti a disegno , volendo nell’improvvisatore lodare il poeta, pe- rocchè negli improvvisatori noi questo appunto cerchiamo quali potrebbono , es- ser poeti, cerchiamo indagare qual sia la tempera di quel fuoco, del quale veggiamo le faville al vento disperse. L'arte dell’improvvisare a questo è venuta che appena il secolo si degna riporla tra le arti che danno fama, s’ella non pro- mette l’ impossibile, tanto son mutati gl’ ingegni italiani dopo il Perfetti. A 230 tavola non sì ride più , per le strade non sì canta: e la gioventù italiana ac- cusata e pentita de’troppo vani diletti, ora par che si vergogni se cede al diletto. Nella fonte delle grazie un non so che si è mescolato di amaro e dì tetro ; o tale apparisce al palato. E appunto la tragedia estemporanea contava pochi anni fa tra le cose im- possibili. Per questa sua mirabile novità , e anche per la varietà del genere , per cui pare si prometta agli uditori piuttosto una meditazione che un passatem- po » oggi de’ pochissimi che ancora improvvisino , se alcuno si sente da tanto , null’ altro improvvisa ehe tragedie. Sembra che fugate le turbe e disperse dalle pianure dell’ arte , siensi i fortissimi rifuggiti in queste ultime sommità : som- mità inaccesse , e neppur pensate ; quando era un popolo d’ improvvisatori. Così alla facilità poetica della lingua nostra, e dei nostri ingegni, è tolto il far pompa di frivolezze ; scemato forse il diletto , ma puranche impedita la sazietà. Non serve ii promettere de’ versi sonori , e null’ altro, che niuno si movereb- be ; si corre alla prova della tragedia estemporanea , non già per la tragedia in sè stessa, bensì per udire quanta copia w quanta forza di vive passioni, di ma- schi pensieri , e d’ impeti bollenti abbia in sè raccolto e possa produrre ad un tratto il giovine audace che cliede un tema per isfogargli. Questa età cri- | tica, disgustata e sdegnosa , nulla più ammira , ogni cosa indaga , e nella com- posizione cerca l’ uomo. \ Da questa indagine il nostro sig. Cicconi doveva uscir glorioso , e tale n°è uscito. Anzi una circostanza è venuta a far prova dell’ animo suo nobile e schietto , e ha cresciuto fede alla sua sincerità , la quale si vuole anco in chi improvvisa, dappoichè nemmen l’ improvvisare si soffre s’ egli è un mestiere , fastiditi come siamo d’ ogni apparato di spettacoli composti a trastullo nostro. La prima sera, il sig. Cicconi disse nel teatro del Cocomero , a udienza pie- rissima — Il Duca d’ Atene — Non avrebbe mai creduto , diss’ egli candida- imente , che quel tema gli toccasse. Perciò non lo aveva studiato abbastanza , îra que” delle nostre istorie , e a un tratto non gli sovvenne ciò ch’esso potea somministrargli di belle situazioni , di scene caratteristiche del fatto e de’tempi. Non lo trattò quindi a suo modo , e perch’ egli ben sapeva non essere stato quella volta pari a sè stesso, non volle esser gindicato sopra quella prova, ri- cusò , combattè la lode che il pubblico benevolo ed intelligente gli concedeva. Disse, so far meglio, e volle mostrarlo, e pienamente vi riuscì. Non innanzi ad nn teatro pieno , che incalorisce ed affida, ma in una sala privata , e pure ca- pace a contenere quanti sono giudici imponenti e difficili, disse il primo tema che la sorte designasse, e gli uditori volessero, e fu - Lodovico il Moro — tema che forse egli avrebbe evitato , se avesse saputo che l’autore del Fo- scarini e del Procida, lo ha scelto a subietto d’una sua nuova tragedia , ch’ è quasi in pronto. Il sig. Cicconi conosce ottimamente quanto possa la tragedia e quanto l’improvvisare; quindi egli il primo si sdegnerebbe con noi , se noi volessimo encomiarlo senza quelle restrizioni che sono dovute sempre al dire estemporaneo. Ma francamente lo loderemo perchè la dizione era colta e sem- pre poetica , l’azione animata, i cori bellissimi , applauditi, due sopra tutti. Ed alcuni tratti dierono grande speranza ch’ egli sappia poi fare anche la tra- gedia scritta. Fu detto che un bravo improvvisatore può essere buon poeta , quando egli non improvvisi più. Il nostro sig. Cicconi ha fermo in mente ces- sare a trent’ anni: e quando gli studii necesarii a quest’ arduo esercizio giova- nile saranno da lui chiamati a servire a più grave vocazione , noi gli auguria- DO mo fama stabile, la quale gli è anche presagita da pochi suoi versi usciti a stampa e dal pubblico gustati. X. Accademia della Valle Tiberina, Un prospetto che da mano gentile ci vien presentato dei lavori intra- presi dalla novella accademia di San Sepolcro , offre non poche notizie che faranno piacere a’ nostri lettori perchè dimostrano la buona direzione già presa da cotesta rispettabile società. Noteremo dunque non tutte ( che troppo lungo sarebbe), ma alcune delle lezioni fatte nella prima annata. Il dottor Tuti lesse: dei donificamenti agrarii da farsi nella valle Tiberina; parlò della cultura de’terreni, della custodia de’bestiami, con molto senno. — Il sig. Sediari di città di Gastello fece leggere : dei lavori che occorrerebbero per incanalare il Tevere , memoria assai chiara e molto applaudita. — Il ca- valier Bufalini fece leggere una dissertazione, dove, dimostrata 1’ antica flori- dezza de’ campi latini, parlò del presente loro deplorabile stato, notò le ca- gioni del male e i rimedii. In altra adunanza il vicepresidente sig. Gherardi Dragomanni lesse intorno all’ eccellenza della religione cristiana umanamente considerata, la dimostro, nemica all’inuguaglianza ingiusta , alla schiavitù, alla tirannide, all’ignoranza all’inerzia; amica d’ogni verità, d’ogni industria. Fu molto applaudito. ll prof. Gennaioli espose in sestine le georgiche della valle Tiberina, scherzò sui pregiudizii e le superstizioni rusticane che converrebbe estirpare. Il dott. Giorni lesse: dei difetti dell’ arte agraria nella valle del Tevere. Il dott, Polcri, l’elogio del pittore Gherardi.Il prof. Soleri, dei vantaggi della stagione invernale. Il dott. Amidei, l’introduzione alla statistica della valle Tiberina superiore, nella qual opera darà notizie agrarie, botaniche, filologiche, e mediche; lavoro che fu molto lodato. Il can. Barciulli, l'elogio storico di Fra Luca Pacioli di Borgo S. Sepolcro , matematico insigne , perfezionatore dell’algebra, al quale molto deve la scienza italiana. In altra adunanza il canon. Mercanti lesse delle costumanze che si oppon- gono ai progressi della civiltà nella valle del Tevere ; provò che la caccia del toro tanto amata in S. Sepolcro, è un divertimento crudele e pericoloso ; parlò della crudeltà con le bestie domestiche , de’ fanciulli improvvidamente ammessi negli ammazzatoi ad assistere all’ uecision delle bestie da macello: memoria graditissima, dopo la quale non si son più vedute caccie del toro. — Il sig. Iacoponi fece leggere alcune osservazioni sul Padrone contadino del Proposto Malenotti. = Il sig. avv. Sediari fece leggere di nuovo: dei lavori da farsi per l’incanalamento del Tevere. — Il dott. Amidei lesse il primo capitolo della statistica della Valle Tiberina, n’ esaminò il dialetto, recò alcuni squarci di canzoni popolari, li confrontò con passi di classici, con gli usi del dialetto interpretò alcuni luoghi di Dante. = Il canonico Martelli 1’ elogio storico di Luigi Gherardi vescovo di Cortona. = L’ab. Piccini alcune osservazioni alla nota prima della Gatorceide del Nomi, invitando i suoi concittadini a far dì questo poema un nuovo commento. Lo sta seriveudo il sig. Gherardi Drago- manni , vicepresidente benemeritissimo. In altra adunanza il dott. Poleri: dell’ utilità dell’ insegnamento reci- proco , dove esortò i cittadini ad aprire una scuola: e la sottoscrizione aperta a tal fine è condotta a buon termine; onde la scuola sarà forse aperta tra breve. 233 — Il dott. canonico Mercanti , l’elogio del card. Stefano Macciachelli. == Il si- gnor Gherardi Dragomanni: dell’uso del perticaio , strumento simile al col- tro, ma nella valle Tiberina per lo più imperfettissimo, = L’ab. Buratti, una prima lettera sulla formazione d’una biblioteca. Nell’adunanza seguente il sig. avv. Ziabagli, degli usi della valle tiberina nella coltura deì boschi. Il sig. Gherardi Dragomanhi, alcune osservazioni in- torno alla prima lettera sulla formazione d’una biblioteca. L’ab. Buratti , la seconda lettera su questo stesso argomento. Lab. Pacini, dell’obbligo ch’ hanno i padroni d’ istruire i lor contadini. : Molti doni furono all’ Accademia presentati; tra gli altri, de’ prof. De -Gregoris di Roma, Giamboni di Perugia, dott. Fabbroni d’ Arezzo, cav. Man- cini, Luigi Muzzi, cav. Ciampi, march. Gargallo. Da questo sunto ognun vede che molto di cose economiche e morali e sta- tistiche s’occupò l’accademia. E delle stesse poesie le più riguardano argo- menti morali: e del non le nominare abbiamo addotte altra volta le ragioni o le scuse. Se poi l'accademia vorrà determinare ancor più particolarmente un si- stema a cui collimino tutti i varii lavori de’ socii suoi, se vorrà pubblicare di biennio in biennio non le intere memorie lette, ma i fatti e le verità cardi- mali che giova diffondere ed inculcare; darà, speriamo , ad altre accademie più famose un esempio che le più ragionevoli non arrossiran d’imitare. Reclamo del Sig. Prof. ZantEDEscHI di Verona. « Nel marzo dell’Antologia di Firenze, ch’ella con sommo lustro ed onore delle scienze e delle lettere italiane dirige, ho riscontrato alla pagina 173 un articolo dato da Firenze il primo maggio 1832 segnato G. Gazzeri, che ha per titolo: Sulla priorità delle ultime scoperte elettro-magnetiche in risposta ad alcuni articoli della Litterary Gazzette di Londra. In esso alla pag. 174 trovasi una nota che mi risguarda, intorno alla quale non posso a meno di non fare le seguenti osservazioni, ch’ ella, sig. Direttore guidato da nobilissimi sen- timenti del vero, confido che si degnerà d’inserire nel suo riputatissimo giornale ,,. « Voglio innanzi tutto supporre col valente sig. prof. Gazzeri, che co’miei congegni non si ottenga effetto di sòrta; e per questo l’ idea che ne diedi non si dovrà considerare come il primo tentativo, che dopo la batteria magnetica del Ritter siasi fatto dai fisici per ottenere col magnetismo fenomeni elettrici ? Non si dovranno considerare i miei lavori come l’ eccitamento precipuo, che ne potè avere l’ illustre fisico Faraday per procedere tant’ oltre in questo nuovo campo delle fisiche? Qual differenza infatto va tra il procedimento dell’ Inglese ed il mio? che io avvolgeva ai poli delle calamite le spire, ed egli ne le ap- pressava. Su tutto il rimanente nel fatto fondamentale non scorgo differenza alcuna ,,. « Ma la supposizione che ho fatta alla prova dell’esperienza non regge; pe- rocchè coi moltiplicatori del sig. Mayer, de? quali mi fu cortese, più volte nel gennaio e febbraio trascorso ed ora nel giugno si ottennero, alla sua presenza e di altre persone che assistettero alle mie esperienze , effetti sensibili. Io con- cedo, che esperimentando per altra guisa si avranno fenomeni intensivamente maggiori; ma non per questo son nulli quelli , che si ottengono col mio modo primitivo di esperimentare; e però ove avvedutissima ritrovo la sospensione del 233 cav. Nobili, non legittima mi pare la deduzione che ne fece l’ illustre nota- tore, francamente affermando che nella mia disposizione non esiste alcuna delle. due correnti del Faraday ,,. « Nella ricordata nota come si sia proceduto a rinnovare le mie esperienze non lo si dice , nè io tutte accennai in quel breve mio post scriptum le cir- costanze , perchè era mio intendimento che dovessero servire d’ argomento di estesa memoria, ma che dovetti intermettere per altre mie occupazioni. Non sarà ora del tutto inutile che io osservi, che ritenuta la disposizione dell’ ap- parecchio quale venne da me pubblicata, ho costantemente veduto che se il cir- cuito si compiva all’ istante o subito dopo che si levava il grimaldello della calamita si ottenevano deviazioni sensibilissime, le quali andavano a mano a mano infievolendosi fino a che divenivano nulle ; ed ora io rimetteva il grimal- dello, interrompeva il circuito e lasciava trascorrere alcuni minuti, perchè la calamita ripigliasse, come io diceva, il suo vigore, essendomi nota la perdita che in tale stato suol fare: tutte queste circostanze ritrovai in adesso esser vere nelle rinnovate mie esperienze, le quali mi riconfermarono che 1’ azione che esercita sull’ ago il polo nord è opposta a quella, che sullo stesso dispiega il polo sud; il qual fatto ora veggo essere stato verificato dal valente fisico, il sig. professore Dal Negro con qualche sua particolare veduta, come si ha dal marzo ed aprile del (832 degli Annali delle Scienze del Regno Lombardo-Veneto pag. 109; per il che io non so vedere come l'illustre sig. professor Gazzeri affermi puramente che il mio risultamento fù la deviazione dell’ ago magnetico per otto 0 nove gradi; e molto meno io vaglio a penetrare in quelle tuttavia riposte idee, che mi dovevano guidare nella mia ricerca. Da tutto il mio lavora egli è manifestis- simo che io considerava la calamita come una specie di pila elettrica; bramava di vederne la polarità, lo stato in cui si trova l’elettrico in questo, agente della natura, cioè se in movimento secondo Ampère, ovvero stagnante secondo Con- figliachi: ecco le idee che mi condussero ad un tale lavoro; ma se altre propor ne doveva, io peranco non lo veggo dopo tutti i lavori che sono stati fatti sin qui, perchè da niuno di essi si manifesta in quale stato si trovi l’ elettrico nelle calamite; e però chieggo per grazia di essere illuminato dalla saggezza del sio. professor Gazzeri ,,. 1 «In questa io non mancherò d’interrogare la natura di nuovo sulle proposte che avea fatte a me stesso, e, se mi verrà fatto di riconfermare quanto in alcuni casi con rane squisite mi parve nel corrente giugno aver riscontrato, io sarò ben avventurato di aver potuto satisfare a questi importanti quesiti, e tosto mi pro- curerò il piacere e l’onore di trasmetterle, sig. Direttore, i risultamenti ottenuti;,. Il prof. Gazzeri avendo steso per il solo amore del vero e del giusto l’ar- ticolo quì sopra citato Su/la priorità delle ultime scoperte elettro-magnetiche, e fattolo vedere, prima di pubblicarlo, ad un fisico distintissimo,, questi scrisse la nota di cui si lagna il sig. prof. Zantedeschi , ed invitò il prof. Gazzeri ad aggiungnerla a quell’articolo, come fu fatto. Ora l’autore della nota, udito il reclamo del sig. prof. Zantedeschi, dichiara che cederà volentieri alle di lui rimostranze, quando le condizioni essenziali che questo fisico aggiugne ora al suo esperimento di marzo 1829 saranno giustificate in guisa da assicurargli la priorità che reclama. In mancanza di ciò 1’ Autore della nota spera che niun fisico gli darà torto se si attiene strettamente al contenuto di essa. T. VI. Giugno 30 234 Reclamo del sig. G. Wanna di Firenze. Un reclamo fattomi dal sig. Giuseppe Vannini attual maestro d’ architet- tura in questa I. e R. Accademia di Belle Arti, per essere stato aununziato il sig. cav. Giuseppe del Rosso come autore del Trattato di Architettura che servir doveva di testo alle lezioni che davansi in quella Accademia ( V. Aut. num. 16, II.° dicennio pag. 202), mi pose nella necessità di conoscere con quali fondamenti avesse ciò asserito |’ autore di quell’ articolo necrologico ; e di fare delle indagini, per le quali risultasse che il sig. Vannini, e non il Del Rosso fosse l’ autore di detto Trattato. i. In un Repertorio , stampato dopo il 1821 , delle operette scritte per suo passatempo dall’arhitetto Giuseppe del Rosso, e già pubblicate, si tro- vano al num. 16 notati gli Elementi d’ Architettura per uso dell’ imperiale e R. Accademia delle belle Arti di Firenze , e di questi specialmente la parte istorica ed erudita. Va sotto il nome dell’ ciuto dell’ autore signor Giuseppe Vannini disegnatore ed espositore delle tavole. Firenze, presso Giovacchino Pa- gani, 1828. 2. Nel Catalogo degli scritti del cav. Giuseppe del Rosso pubblicato nel Giornale de’ Letterati di Pisa per l’ anno 1828 , sono riportati come suoi gli Elementi di Architettura per uso dell’ I. e R. Accademia delle Belle Arti di Firenze. Firenze 1818. 3. Come opera del Del Rosso erano questi Elementi notati negli appunti da me dati al compilatore dell’ articolo necrologico , ed io pure ho raccolto da persone degne di fede che nell’ atto della pubblicazione di essi nascesse con- troversia e difficoltà che fossero attribuiti al sig. Vannini come opera di lui. 4. Nella lettera, colla.quale il Del Rosso indirizza al sig. Giovanni Ristori le sue Esercitazioni sulla voluta del capitello jonico , diverse espressioni ac- cennano che egli si attribuisse una gran parte della compilazione di quel trat- tato , eccettnata la prefazione d’altra mano ; rendendo poi giustizia al sig. Van- nini per la sua abilità in euritimia, in simmetria , in sciogrofia, nelle quali cose dice che esaurì la sua pazienza , intelligenza e perspicacia , costante atti- vità e geometrica freddezza. Per altra parte trovo in detta lettera che a favore del sig. Vannini rinun- zia di buon grado a tutto quel poco che il Del Rosso ha contribuito sia con l’o- pera che col consiglio. Più precise informazioni mi hanno persuaso che se il Del Rosso fece delle rimostranze , e produsse titoli per essere egli considerato come autore degli Elementi d’Architettura, pure in fine recedè da queste sue pretese 3 e assentì formalmente che 1’ opera fosse pubblicata sotto nome del sig. Vannini. Quindi è che conosciuto in qual modo fosse indotto in errore il compila. tore dell’ articolo necrologico stampato nell’Antologia, cioè da due cataloghi posteriormente pubblicati, ne’ quali davasi il Del Rosso per autore di quelli Elementi, e dalla notizia delle prime pretese del medesimo ; e da alcune espres- sioni di lui nella lettera posta in fronte alle citate esercitazioni sulla voluta del capitello jonico : e informatomi poi da buone fonti della vera storia di questa controversia ,s intendo far ragione al reclamo del sig. Vannini e riconoscerlo .co- me autore degli Elementi di Architettura per uso della I. e R. Accademia delle belle Arti di Firenze , e pubblicati sotto suo nome ; dei quali son certo 235 che il manoscritto originale del sig. Varmini è depositato nella biblioteca di quella Accademia, Il Dir. dell’Antologia. pari CARTA CEOMETRICA DELLA Toscana accresciuta d’ indicazioni, ed incisa da GiroLamo Secato. Firenze 1832. Un foglio, alto 63 centimetri, e largo 54. Proseguendo con salda perseveranza , in mezzo ad altre occupazioni non meno utili, i, suoi lavori geometrici e calcografici applicati al delineamento del globo terrestre, l’ ingegnoso ed indefesso Autore della carta, che abbiamo sotto gli occhi non resta. di meritare la riconoscenza di tutti gli amici della scienza pel suo zelo, e per la perfezione che mette in tutte le sue produzioni. Noi abbiamo già, e nell’Antologia ed altrove, parlato col dovuto en- comio della sua bella carta dell’ Affrica settentrionale , e la stessa Antolo- gia nel suo N.° 125 pp. 90 e gr, e nel presente quaderno annunziò quasi compiuta la presente riduzione in un ‘foglio, dai quattro che formano la gran Garta geometrica della Toscana già xpubblicata dal celebre, e dottissimo no- stro professore Padre Giovanni Inghirami delle Scuole Pie. La quale ri- duzione,, a questo. punto, venuta fuori alla. pubblica luce ; ci affrettiamo a raccomandare all’ attenzione dei nostri leggitori, ed a quella di tutti gli amici della patria corografia. Non entreremo qui a descrivere minutamente i caratteri materiali. della riduzione , e del delineamento , stantechè già se ne parlò alla distesa nel primo luogo testè citato dell’Antologia, ed ora si ripete in una an- notazione stampata sulla stessa. carta ridotta; ma non possiamo astenerci dal dichiarare , che dietro il più accurato ; e studioso esame da noi fatto, e della parte geometrica, e del disegno corografico, e dell’ esecuzione calligrafica e cal- cografica, è nostra fermissima, opinione, che restan dovute al signor Segato le più meritate landi per la correzione del disegno lineare ,' pell’ ombreggiamen- to delle montagne , per la gradata ed apposita distinzione delle lettere , e dei segni convenzionali, pel finimento, la nitidezza, e l’eleganza della incisione, e per la bellezza della carta : in guisa che, se l’accuratezza della nomenclatura, e delle nuove indicazioni, che la ristrettezza del tempo non ci lasciò campo di dprntindea per sottile , corrispondono al resto . del lavoro , senz’ altro la Garta;miuna cosa lascierà. da invidiare i più, bei lavori geografici d’oltremonti, e.l’Autore isi meriterà muova rinomanza , e 1° universale stima di chiunque fa plauso alle utili , ed ingegnose imprese., Se però di molte nuove indicazioni egli ha fatto ricco il suo lavoro, non poco ci duole di vederne escluse parecchie località , che singolarmente i viag- giatori stranieri, amerebbono. di trovarvi segnate , come s Verbigrazia , qualche villa, o casino. di S. A. I. e R. il Gran-Duca ; ma, non ego paucis offendar maculis.s ec. La carta si trova vendibile dall’Autore , nel Gabinetto scientifico e lette- rario, e dall’Editore del Giornale di Commercio , piazza S. Trinita, al prezzo di paoli 20, J. G. H. VARIETA?. Scuola di mutuo insegnamento in Pisa. = Dal discorso riportato più sopra del ich. sig. Meconi uno deglilispettori, si veggono i buoni effetti che la nuova 236 scuola comincia. a produrre. Grande è 1° ardore de’ soci. . Nuovi regolamenti si stanno preparando da una commissione eletta a ciò: la Guida promette di riu- scire buonissima. Per impedire frattanto gli abusi sono eletti sei ispettori di fiducia. Il comitato è composto delle seguenti persone. == Cav. prof. Dal Borgo, presidente; Gan. prof. Bonaini, vice-presidente; D. Andrea Cosi, prov- veditore; sig. Ermenegildo Prato, camarlingo , sig. Ranfagni computista; seyre- tario; sig. Avvocato Baldasseroni. Arti. = La fonderia di caratteri stabilita in Firenze da Boyer e comp. ha dato un bel saggio de’ suoi tipi eleganti e variissimi, co’ quali già si fanno e in Firenze e in Livorno edizioni pregevoli. Ripeto che eleganti e variissimi sono i tipi: e l’arte per essi acquisterà, speriamo, in Toscana nuova vita e bellezza. Corrispondenza straniera. = Il cav. Ciampi eletto di recente accademico di Cristiania ci comunica alcuni opuscoli da quella università pubblicati in va- rie occasioni; tra’ quali meritano particolare attenzione i discorsi del sig. Bugge intorno ad alcuni passi di Terenzio , di Tullio, di Giovenale. Dai discorsi recitati per laurea si conosce quanto più difficilmente e però quanto più saggiamente che altrove sieno distribuite queste che dovrebbero es- sere le insegne del merito. Nel. catalogo de’corsi che nella università medesima son dati, si trova molta più varietà d’ insegnamento, che in altri simili istituti d’ Italia non abbiamo. Il prof, di lingua latina in un corso spiega le Verrine , i Fasti d’ Ovidio e ‘Tibullo; quel di lingua orientale, Samuele , Isaia, e il Gulistan ; quel di lingue viventi, il Metastasio; in altro corso quel di teologia insegna 1’ enciclopedia teo- logica, quel di lingua greca illustra Omero; i dialoghi di Patone, il Prometeo; quel di storia insegna insieme gli elementi dell’antica lingua norvegica. Il diritto maritimo patrio, la storia danese, la norvegica, la svedese ; Sterne, Aristofane, 1° Ariosto, sono illustrati or da questo or da quel professore: e molti dei detti nomi nell’ università italiane appena si sentono rammentare. Tra gli statuti della società di Norvegia, ve n° è di notabili anche per noi. Scopo della Società si è congiungere le forze degl’ ingegni disperse , e stringerle in vincolo d’ amicizia, diffondere nella più settentrional parte della Norvegia Ja coltura e il sapere; conservare i monumenti della natura e del- I arte; favorire le utili cognizioni e l’ industria. Alla Società è annessa la biblioteca di cui tiene le chiavi uno solo, raccolte tutte. in un mazzo con serrame; e la chiave del serrame la tiene il secretario. Molte precauzioni son prese nella morte del bibliotecario, acciocchè le chiavi non vadano in altra mano. Se libri si danno a prestito, se ne deve descrivere esattamente ogni particolarità, perchè non sieno scambiati ; e devono essere resi nel, corso di due mesi circa. Ogni libro porta la scritta della biblioteca alla quale appartiene. Il bibliotecario deve stare in giorno di quanto si pubblica d’ importante, e darne nota all’ accademia ; cosa che dovrebbe farsi ancora tra noi. I membri dell’ accademia debbono eglino medesimi dare una breve no. tizialdi lor vita, che si conserva per memoria e per documento. Altre utili in- stituzioni avrei da. notare; ma bastano queste poche per saggio, K. X. Y. Al sig. Direttore dell’ Antologia. Permettetemi poche parole ancora, non per disputare con l’onorevole e da me stimatissimo: sig. G. P., se persona Ja qual doveva tosto ‘mostrarsi co? fatti, 237 debba credersi non ancor nata, cioè se fosto significhi tardi; ma solo per at- testare che non fu intenzion mia torcere le sue parole a mal senso, nè rispon- dere con dure sentenze. E credo che la lettura della mia risposta possa provarlo abbastanza. Questa protesta io mi stimo non tanto in diritto quanto in dovere di farla. Adilio. K. X. Y. NECROLOGIA Prof. ANTONIO CAMPANA. Ai generosi Giusta di glorie dispensiera è morte Foscolo. Ferrara, la quale tutto dì va dolente per la perdita de’suoi mi- gliori, vidde rapirsi nel giorno due del corrente mese di maggio , alle ore 6 e tre quarti dopo il meriggio , un diletto, e benemerito suo figlio, il professore Antonio Campana. — L’ età sua, giunta di un mese oltre l’anno ottantesimo primo , e lo stato compassionevole , a cui da non breve tempo implacabili e penose infermità lo condussero, avevano già tolta ogni speranza di possederlo più lungamente: ma non si è po- tuto, ciò malgrado, non considerare siccome immatura la di lui morte. Perciocchè per essa è mancato alla gioventù il maestro per eccellenza; alla università degli studi il primo ornamento; alle scienze naturali l’ animoso cultore; alla medicina il miglior conforto di eonsigli; alla città il più forte propugnatore della pubblica salute; alla patria l’ ot- timo cittadino. E difatti chi mai non riconobbe in lui siffatte insigni ed eminenti qualità ? Il suo nome risuonò per fama universale ; la sua Farmacopea Ferrarese , quindici volte ristampata in parecchie città d’ Italia , due in Parigi, e, per quanto ne dice la fama, una in Inghilterra, ed un al- tra per fino nella Russia : le sue varie memorie o di chimica, o di botanica , o di agraria, o di pubblica igiene per ovunque diffuse: le sue relazioni al di quà ed al di la dei monti e dei mari lo resero caro e venerato nelle scuole; nelle accademie, nei licei , negli istì- tuti di scienze italiani, e stranieri. Giusto divisamento si fn quello di onorare la sua sepoltura con un pubblico attestato di estimazione e di cordoglio. E fu veramente solenne l’ estremo ufficio che si rese all’ illustre trapassato ; degno di lui ; decoroso per la città. Conciossiachè, sull’ imbrunire del giorno quattro , furono levate le mortali sue spoglie dalla chiesa parrocchiale di San Gregorio, ove la mattina religiosi suffragi si offrirono al suo spi- rito : aprivano la funebre ordinanza le solite , ma più numerose, con- fraternite della Buona Morte , delle Sagre Stimate e di San Carlo, alle 238 quali seguiva la banda della civica milizia , accordata in lugubre con- cento: a questa succedevano il collegio medico , i componenti la com- missione della pubblica sanità , 1’ Accademia medico-chirurgica, i pro- fessori dell’Università , ed il collegio filosofico , del quale quattro di- stinti membri, disposti intorno il feretro , recavano i lembi dello strato funereo cho lo copriva. Appresso immediatamente, in luogo del signor canouico Agostino Peruzzi rettore dell’università impedito da mal ferma salute, veniva il signor dottore Don Luigi Buzzoni che ne fa le veci, cui teneva dietro una moltitudine di medici, di chirurgi, di farmacisti, e di studenti : sì aggiunsero spontaneamente altri cittadini, che in persona intervennero , 0 mandarono per essì ì loro famigli; e chiudevasi il corteo con una schiera di militi. Le faci risplendevano a centinaia immenso era il popolo degli accorrenti. Così fu trasportato il corpo di quell’ egregio al comunale cimitero, dove fu deposto dopo le ultime preci, che i filarmonici della città in buon numero adunati nell’ attiguo tempio con iscelta musica innal- zarono all’ Onnipossente ; avendogli decretato il municipio un luogo distinto , e senza spesa degli eredi , nella cella destinata , come civico panteo , a raccogliere Je reliquie , e le memorie di quelli, che la patria illustrarono con le loro virtù. Per verità lacrimevole è sempre il caso della perdita di cittadini di codesta sorte ; e non sono giammai soverchie le dimostrazioni del dolore che se ne prova: ma non di rado avviene, che queste o non sono complete, o restano oscure, ond’è che l’esempio «della nostra Ferrara è degnissimo di lode e da seguirsi ovunque, e finchè sia tenuto in pregio il valore in ogni maniera di opere e di studi. Quindi prendendo ar- gomento del come per noi gli si renda il debito onore, ravvivando aì feraci intelletti la speranza di future glorie , ed alla rugiada delle lodi (premio di belle azioni) facendo crescere le virtù, siccome a quella del cielo crescono le piante , trarremo al prospero destino della patria, non manchevoli auspici. Di Ferrara 8 Maggio 1832. Giuserre PerRUCCI. Caro MuLLER. Carlo Muller , pittore paesista , nacque nella Svizzera; ma uscito della patria sua giovinetto , venne in Italia, non a studio , bensì cer- cando più largo esercizio dell’ arte sua. Questa tra’ suoi monti ed in povera fortuna , egli aveva imparata da sè solo , come giova a’ pochi veri artisti, E tale era il Muller, il cui viso alquanto raffigurava Mi- chelangelo , benchè con impronta meno italiana ; e tutto 1° animo e l’ esser suo era unicamente temperato ad intendere il bello pittorico ch’ è sparso nella matura , e a rappresentarlo. Stato parecchi aani in Roma tra quelle grandezze della natura e del tempo, e veduto le ma- gnificenze del cielo di Napoli, andò a Parigi ‘negli anni mararigliosi 2309 del Consolato. Ma quelle agitazioni di fortuna erano spettacolo che poco gradiva al Muller. Trovò in Parigi e si fece amico , chi già era stanco di que’ moti e volea sottrarvisi , il cav. Abgiolini, a cui toccò la ventura d’ assaggiare l’ ambizione , e dopo breve corso e ristretto 4 a tempo disgustarsene. Insieme si ricovrarono in Serravezza , che al- l’ Angiolini era patria, e fu stanza opportuna e carissima al Muller 5 per le qualità pittoriche del sito, forse sopra ogni altro di Toscana ricco di soggetti bellissimi a’ paesisti. Quivi si trattenne il Muller sin dopo la morte dell’ amico , tramezzando all’ esercizio dell’ arte sua le pratiche dell’agricoltura della quale egli era intendentissimo , siccome colui che amava ogni cosa della campagna, e sapeva ottimamente ca- varne ogni frutto di delizie e di pace, Poi venne a stare in Firenze 5 ma spesso ne usciva a disegnare dal vero, e ardiva, benchè vecchio, lunghissima impresa ; un viaggio pittorico della Toscana, che manca, e pochi forse desiderano , perchè i molti neppur degnano cercar le bellezze e riaffacciarsi le memorie , le quali intorno ci abbondano: che sarebbe agli oziosi non troppo grave fatica. Il Muller amava congiunte alle memorie le speranze: volle cominciare la sua impresa ritraendo in vedute incise nel rame la risorgente nostra Maremma ; dove avendo faticato più che non voleva l’ età sua di sessantotto anni , al termine delle sue corse in quella provincia, ma non peranco condotto alcun disegno a finitezza , morì tocco di morte improvvisa, nel suo stesso calesse , sulla via che da Manciano conduce a Pitigliano. Lo pian- sero gli amici a’ quali mancò l’ esempio benefico quanto raro, d’ un animo sempre sereno, sempre operoso, quindi necessariamente buono. E chi dopo lui vorrà imprendere ad illustrare pittoricamente la Tosca- na, e chi quanto lui saprà? Alla pratica dell’acquaforte univa il Maller una profonda intelligenza nello scegliere e comporre le sue vedute 3 atteggiava egregiamente le figure d’ uomini e d’ animali, e aveva con- dotto a insolita perfezione la scienza dell’ acquerello. X. GENOVA. L° Ab. Piccone, socio dell’Accademia italiana, di quella di Genova, della società d’agricoltura di Parigi, nato in Albissola marittima, d’antica famiglia, ebbe a educatori e quindi a colleghi i Padri delle scuole Pie: ma ‘dalle fatiche scolastiche indebolito, dovette lasciarli. Visitò le città principali d’ Italia , di Francia, d’ Inghilterra , d'Olanda. Scrisse sull? economia oleare , sulla restau- razione dell’agricoltura dei boschi nel Genocesato , con erudizione, con senno, con patrio zelo. Ricusò cariche lucrose per dedicarsi all’ istruzione filosofica de’ giovanetti. Visse anni LXII nella stima. de* buoni, 240 Mictanmo. Il co. Giulio della Somaglia, allevato nel collegio Tolomei di Siena, amò le matematiche in modo da meritare la stima e l’ affetto dell’ illustre Orian ; e in verde età finì di vivere fra dolori con rara forza d’ animo sostenuti » la sciando a’ giovani nobili d’Italia un esempio di modestia, di bontà, di soavità troppo raro. Angelo Cesaris, primo astronomo dell’osservatorio milanese, direttore delle due classi dell’I. Istituto, uno de’ quaranta della Società italiana, morì più che ottuagenario d’ infiammazione a’ bronchi, complicata d’ altri mali penosi, e vir- tuosamente sofferti. Assiduo a’ propri uffizi, sinceramente buono, dotto d’astro- nomia, delle lettere amico. L° Effemeridi astronomiche di Milano da lui com- pilate, le Memorie della Società italiana e del regio Istituto, vantano molti suoi scritti importanti. Gesuita ancora , attese a quell’ osservatorio, dove il suo no- me rimarrà sempre unito a quello d’Oriani, di Carlini, e d’altri men celebri, ma valentissimi. All’ esequie assistettero alcuni membri dell’ Istituto, gl’ impiegati dell’ osservatorio, gli uditori della scuola d’ astronomia, e cittadini d’ ogni con- dizione non pochi. Il vice-segretario dell’Istituto disse sopra la tomba di lui po- che ma affettuose parole. Rammentò l’ affabile cortesia e la benefica liberalità di quell’uomo che fin dalla prima età discepolo del Serra e del Bovio, quindi del Boscovich, per ben sessant’ anni visse nell’osservatorio di Milano, e dal 1787 attese ai lavori trigo- nometrici del territorio lombardo, lavoro poi ripigliato dopo la pace d° Europa, e nel quale egli, già vecchio, accompagnava con benevolenza amichevole suî più disastrosi luoghi i suoi giovani allievi. Numerò tra le opere sue principali la descrizione della fabbrica e delle macchine dell’ osservatorio , le indagini sul clima di Milano; fondate sulle continue osservazioni. meteorologiche fatte dal 1803; e le ricerche sul moto oscillatorio delle fabbriche. Disse come il buon Cesaris del favore goduto appresso i regnanti approfittò per arricchire il suo di- letto osservatorio , come nella modestia e nella temperanza potè toccare l’ottua- gesimo terzo anno, lasciando di sè cara ed onorata memoria. Fedele Albertolli , nacque in Bedano , terra a Lugano vicina, nel 1789 : fin da’ prim’ anni dimostrò quella potente inclinazione alle arti del disegno, che nella sua famiglia era quasi un istinto. Fu dal fratello Fer- dinando, ora professore d’ ornato nell’ Accademia milanese , condotto a Vene- zia nel 1807, e fece nell’ arte progressi ben rapidi sotto il valente Borsato. Nel 1818 ebbe in Milano il gran premio d’ ornato: e d° allora si diede ad abbellire del suo pennello molti insigni palazzi della Lombardia e del Piemonte, con mi- rabile fecondità. Rammentiamo i lavori suoi nella villa di Monza. Agli ornati aggiungeva (pitture a tempra 0 a buon fresco o ad olio, di uccelli e d’animali alla maniera di Gio. da Udine, con verità, con brio, con bel colorito. Preso da un’ infiammazione di fegato, morì nella verde età di 42 anni, tra le braccia dello sconsolato fratello. Gentile ingegno, anima sincera e modesta. In età di quarantott’ anni dopo penosa malattia morì in Milano Virginio Soncini, gentiluomo bresciano e letterato, autore della Storia di Scandinavia, traduttore di Molière , del Macbeth di Shakspeare , di parecchi romanzi di Walter-Scott. Pavia. Eustachio Fiocchi, grecista valente, nato nel Pavese il 1759, aggre- gato all’ istituto delle scuole pie, v' insegnò belle lettere in Volterra nell’ età di vent’anni; indi in Firenze, indi in Siena nel collegio Tolomei, dov’ebbe cat- tedra di filosofia e di matematica , e lungamente la coprì con onore. Nel 1800 fu dalla regina d’ Etruria nominato professore di lingua greca è d’ eloquenza nella senese università. L’ Alfieri lo conobbe in Siena , e lo visitò varie volte , per gridargli: le mie tragedie sono mie. Nel 1812 passò a Milano professore di matematica nella R. Casa de? Paggi; la quale soppressa dopo tre anni di pacifico ozio letterario , nel 1815 fu eletto dal co. di Saurau professore di lettere greche e latine nell’ università di Pavia. Di lì a non molto, chiese pensione, e l’ ottenne. Il Fiocchi fu de?’ Fisiocritici di Siena, de’ Georgofili di Firenze, degli Ac- cademici di Pistoia, della società italiana di scienze, lettere ed arti. Tradusse in ottave 1° Iliade , l’ Odissea , Quinto Calabro; e scrisse altre cose pregevoli. Fu schietto e buono e modesto , amico de’ giovani e de’ disgraziati. Queste no- tizie togliamo da un articolo del sig. Regli, amico suo. MANTOVA. Nel luglio del 1747 nacque in Mantova il co. Girolamo Murari dalla Corte, fu educato in Verona da’ Somaschi ; nel trentesimo anno acciecò. Non per que- sto abbandonò la poesia che grandemente amava: fu pure consiglier comunale e provinciale , direttor de’ teatri , presidente ai pubblici studi, prefetto della mantovana accademia , di cui fino alla morte sostenne la corrispondenza, det- tando. Le due centurie di sonetti pubblicati nel 1789, l’una sulla storia romana, l’ altra sui sistemi filosofici, gli ottennero il titolo di accademico fiorentino. Nel 1793 stampò il poema della Grazia in quattro canti e in decima rima, metro suo. L’Arcadia pose il ritratto di lui in mezzo a quelli della Bandettini e del Bet- tinelli. Nel 95 pubblicò i due volumi degli atti accademici, il primo trattante la storia dell’ accademia mantovana dalla fondazione , col codice di essa. Nel 1802 diede il poema in ottave: le geste di Pietro il grande; ristampato nel 14. Molti altri versi compose: manoscritta lasciò la traduzione dell’opera di Malebranche: della natura e della grazia; l’ elogio del Bettinelli, e altre cose: tra le quali le visioni psicologiche e storiche in terza rima, PADOVA. Enrichetta Treves, nata di ricca famiglia in Venezia, maritata in Mantova; di lì, morto il marito, passata a Verona; quindi, ne’tempi della rivoluzione, riti ratasi in Padova, strinse amicizia co’ più illustri professori, il Gesarotti fra’primi. Amò la botanica , e vi educò alcuni giovani, tra gli altri il dott. Mazzucato che nella sua memoria sopra alcune specie di frumento, una di esse chiamò triticum trevessium. Nulla pubblicò la modesta donna; ma fu numerata tra le più colte d’ Italia. E la bontà del cuore abbelliva 1’ ingegno. Antonio Garcia nato in Castiglia il 1746, di quattordici anni ascritto a’ge- suiti, lasciò co’ suoi fratelli la Spagna e venne a soggiornare in Bologna, quindi T. VI. Giugno. dI 242 nel Veneto, vivendo in una villa tra Venezia e Treviso, s’ occupava tutto della letteratura spagnuola. Nel 1789 tradusse in isciolti il poema d’Yriarte, la Musica; nel 1807 stampò tradotta la commedia di Gasp. Jovellanos: il Delinquente ono- rato; nel 1792 i Giardini del Delille, gli epitalamii di Glaudiano. Giace inedita di lui una grammatica spagnuola, e la versione di Fra Gerundio dell’ Isla, ro- manzo diretto contro i predicatori di pessimo gusto che inondavan'la Spagna. Visse fino all’ LXXXV ‘anno, sano di corpo e di mente. TRIESTE. Abramo Cologna rabbino del collegio di Trieste e cavaliere della corona ferrea, nato in Mantova il 1755 da buona famiglia, fin da giovanetto nominato rabbino in patria e giudice del tribunale civile israelitico , sostenne parecchi uffizi d’amministrazione in Mantova, in Milano, in Lione: eletto membro del collegio de’ dotti, fu nel 1806 a Parigi nell’ assemblea generale degl’ israeliti, e uno dei due assessori del grande sinedrio; nel 1808 uno de’ tre gran rabbini del concistoro centrale , nel 1812 presidente , carica che ritenne fino al 1826. Nei 1815 tenne in francese un discorso sulla morte di Luigi XVI, rammentando essere questo re stato il primo a concedere agl’israeliti i diritti civili e sociali. Scrisse nel giornale: l’Israelite frangais; e vari opuscoli. Parla di lui la bio- grafia de’ contemporanei, e quella degl’ illustri viventi. Nel (827 venne rab- bino a Trieste, e vi fece prova non solo d’ ingegno, ma di cuor buono ; affabi- le, caritatevole, promotore di pie istituzioni. Morì nell’anno LXXVII fra cru- deli dolori. Roma. Camillo Mariani, valente maestro nella scuola de’ sordo-muti di Roma, visse lunghi anni nel ben fare: e merita che se ne deplori la perdita. Fu caro all’ avv. Pasquale di Pietro, fondatore dell’ istituto, e ne adempì fedelmente i voleri. Eduardo Dodwell, autore del celebre viaggio in Grecia, morì in Roma nel- 1’ età d’ anni 65: lasciò inedita un’ opera molto elaborata sulle mura poligone, Ursino, Ottavio Zollio, patrizio e vescovo riminese , morì d’ anni LXXI; ebbe uf- fici anche fuori d° Italia, fece ripristinare l’ università d’Urbino, della quale fu Visitatore Apostolico. CoreGcIOo. Bonifazio Asioli nato in Coreggio il 1769; nell’età d° ott’ anni senza sa- pere di contrappunto componeva ia musica e la improvvisava; di dieci , otte- neva dal celebre Morigi di Parma maestro suo segnalate lodi; di dodici si of- friva alla maraviglia di Venezia e di Bologna con pubblici sperimenti di suono e di composizion musicale, applauditissimi. Innanzi i quindici anni ebbe titolo in patria di maestro di cappella, e fu precettore del collegio ducale, na- scente allora. Diede in Coreggio drammi teatrali, musiche sacre in gran nu- mero, e degne di vita; di diciott” anni passò presso il maestro Gherardini in Torino, e vi stette sino al 1796. Morto il suo precettore, n° andò a Venezia, 243 ove si perfezionò sempre meglio nell’arte. Nel 1799 passato a Milano, fu poi dal vicerè d’ Italia eletto a suo maestro , quindi direttore e censore perpetuo del conservatorio di musica : nella qual carica si conciliò la stima de’ più celebrati maestri d’ Europa. Nel 1813 ‘tornò alla patria, ove visse buon figliuolo e buon fratello, buon amico e huon cittadino. Modena lo volle direttore della società filarmonica: Reggio lo aserisse alle sue accademie e alla sua nobiltà. BAGNOREA. Mons. Jacobini, vescovo di Bagnorea, caritatevole e prudente, ampliò il ‘seminario, edificò dalle fondamenta un bello spedale in gran parte a sue spese. Questo è il più magnifico de’ monumenti che possano a’ posteri raccomandare il suo nome. BAGNA-CAVALLO. Ennio Marmani, uno de’ più valenti chirurghi d’Italia, allievo della scuola toscana, successore del Nannoni fin dal 1794 ; invitato con onorevoli offerte da Forlì, da Ravenna e da altre cospicue città di Romagna: morì in Bagna-cavallo sessagenario, lasciando un figlio educato da sè nell’ arte, e cresciuto sotto la disciplina e nell’ amore dell’ illustre Vaccà. FasRIANO. Il co. Carlo Rosci, patrizio fabrianese, amantissimo delle scienze matema- tiche e naturali, ampliatore del ricco gabinetto mineralogico e fisico, esperto nei pubblici affari, stimabile e per ingegno e per senno e per rettitudine, reli- gioso , infaticabile , morì non ancora compiuto il 67 anno , amato da’ buoni, non odiato da’ tristi, compianto da tutti. Giuseppe Cinotti, nobile sacerdote frabrianese, entrato ne’gesuiti.ebbe nome di buon letterato. Tornato in patria, presiedè all'Accademia dei Disuniti; ret- tore del seminario , predicatore zelante , maestro di filosofia , giovò molti col consiglio e con l° opera. Richiamato in Roma da Leone XII suo concittadino ed amico , v’ ebbe onorevoli cariche , e quivi morì d’ anni 88. Son pregiati i suoi filosofici e letterarii manoscritti. SICILIA. Ignazio Scimonelli, valente avvocato, presidente dell’ accademia palermi- tana nacque nel 1756. Di forte tempra e vivace ++ * + Curtu e chinu comu un varrilottu. Lu nasu l’ aju picciulu e cugnottu, E aperti l’ ali soi mustra in prospettu ; IL’ occhi mei fannu focu senza bottu , E lu culuri miu quasi è vrunettu. E a stari seriu aju bisognu d? arti. Così si dipinse egli stesso. == Amante di storia, di musica, di pittura , dici- tore facondo, buon poeta vernacolo, e già caro alla Sicilia, vivente ancora il Meli. Assalito da cupa malinconia, egli sì gajo e sì lepido, morì nel LXXVI anno dell’ età sua. Lasciò moltissime cose inedite, fra le altre un poema sul di- luvio, in ottave. 244 Francesco Strano, nato in Aci-Catria il 1766, nel 1811 professore di let- tere latine nell’ università di Gatania , sacerdote nel 1817; nel seguente, cano- nico ; nel 1820 bibliotecario della Ventimigliana, ne intraprese il catalogo, ci stu- diò ben dieci anni, nel 1831 lo diede alla luce in 580 pagine in foglio grande. In esso catalogo sono non solamente notizie bibliografiche, ma biografiche e let- terarie, imitabile esempio: con in fine un opuscolo inedito del veronese Gua- rino. Alla biblioteca donò tutti i suoi libri, i suoi mss., e quanti potè rac- coglierne ‘di autori viventi e di trapassati. Anche questi mss. sono indicati nel catalogo , il quale contiene così notizie riguardanti anco i vivi, e la storia let- teraria degli ultimi tempi. Fu il suo lavoro lodato dai principali bibliotecarii d’ Europa. Meditava egli un nuovo catalogo per ordine di materie, e sulle più scelte edizioni: sperava di poter arricchire la biblioteca, sollecitando i dotti a lasciarle i lor libri. Ma rifinito dalle fatiche morì. Fu scrittore colto e maestro valente, buon cittadino e buon prete, con tutti buono, ottimo con gli amici. IL’ attestano gli amici suoi, il can. Alessi e il comm. Cesare Borgia, I deputati dell’ università posero l’imagine di lui fra quelle de’ benemeriti, e gli decreta- rono pubblico elogio. Toscana. Il senatore cav. Gianni Mannucci, nato nel 1758 in Prato di nobili ge- nitori , laureato in Pisa nella facoltà legale, amò le lettere e segnatamente le scienze economiche, Fu caro al celebre cons. Gianni, che lo lasciò suo erede: giovane ancora ebbe da Leopoldo varie commissioni a mministrative, e onorati uffizii anco da’suoi snecessori; commissario de’R. Spedali, direttor delle poste, provveditore nel magistrato supremo. ERRATA Nel fascicolo dell’ Aprile da pag. 6 a pag. 13 manca la corrispondenza fra le note e la loro indicazione nel testo. Cominciò 1° errore con la nota quinta la quale con la sesta non dovea essere che una sola. Dimodochè il n.° 6 del testo corrisponde alla 7.% annotazione , e sempre così fino alla 21. Fascicolo presente pag. 134. lin. 3 e 4. in cui gli ha costituiti l’ipotesi ? = Zeggasi — in cui gli ha costituiti 1’ ipotesi. [e] &- ni ANNUNZI BIBLIOGRAFICI (*). 33 PIEMONTE MANUALE dell’artificiere del cor- po Reale d’ artiglieria di S. M. il Re di Sardegna, del cav. L. Z. QuaGLia tenente colonnello d’ artiglieria, diret- tore del R. Laboratorio, e membro del- la R. Società agraria di Torino. T'ori- uo, 1832, Tip. Fodratti 8.° Vol. II.° (Definizione e disegno) con tavole. ANNALI di medicina, chirurgia, e farmacia, compilati dal professore Lorenzo Martini, e dal dottore G. GaxnerI Torino, 1832, Tip. Fodratti (fascicoli di Maggio e Giugno). ILLUSTRA TIONESrariorum Ster- pium horti botanici R. Univ. Taurino auctore professore Joserx Moris. T'ori- no, 1832, St. Reale in 4.° di p. 26 con 6 tavole (fa parte del T. XXXVI delle Mem. della R. Acc. delle Sc.) OSSERVAZIONI intorno alla Ti- liguerta o Caliscortula de’ Celti ( La- gerta Tiliguerta C. M.), del prof. Gius. Gene. Torino, 1832, St. Regia. 4.° di p. 6 (fa parte del Tom. XXXVI delle Memorie della R. Accademia delle Scienze). STORIA dei principi di Savoja del Ramo d’ Acaja, signori del Piemonte, dal 1294 al 1418, del sig. Intendente DartA, premiata dalla R. Accademia delleScienze di Torino. Torino, 1832, St. Regia in 8.° volumi II di p. XV —364 e 298. DELL’ECONOMIA del frutto del- l’oliva e suo prodotto di Giuseppe Gi- BELLO meccanico. Torino, 1832. Tip. Pomba pag. 30. TEATRO TRAGICO di Corro- LANO Da Bacmoto. Torino, 1830-52. G. Ballini 8.° Volumi due. LIGURIA. IGEREMEI x : LAMBERTAZZI, Dramma storico di G. B. Danietti. Genova, 1832, Gravier. 8.° LOMBARDIA. VIAGGIO per diverse parti d’Ita- lia, Svizzera, Francia, Inghilterra e Germania, del prof. TENORE; seconda edizione con rami coloriti. Milano , 1832, L. Sonzogno. Tomi IIl — 47.9, 48.°, 49.° del III.° Biennio della Rac- colta di Viaggi. OPERE poetiche di Giovanni Cor- LEONI. Milano perV.Ferrario1382in8.° ANNALI Universali di Statistica. Fascicolo di Aprile 1832. Milano, (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere qui annunziate, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono da’sigg. Librai ed Editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano spar si nell’ Antologia medesima , come estratti o analisi, o come an- nunzi di opere. IL Direrrore DELL’ANTOLOGIA rammenta a’ sigg. Librai , ed a’ respettivi Autori e Editori di opere italiane , ch’ esse non posson essere annunziate in questo giornale , che previo l’ invio di una copia dell’ opere medesime; e, trat- tandosi di manifesti da inserirsi per intero, o di qualunque altro avviso tipo- grafico , mediante il pagamento di soldi due per ogni riga di stampa. Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’ Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenirsi se- condo il numero de? fogli. 240 1332, Società degli Annali delle Scienze. ANNALI universali d’agricoltura, industria ed arti economiche. Milano, 1832, Editori degli Annali delle Sienze ed arti sudetti. Fascicoli di Marzo e Aprile 1832. DEL rapporto tra le vicende della medicina e quelle dei lumi. Saggio del D. Carro Conti. Mantova , 1832 , Caranenti 8." di p. 35. INNI in prosa per fanciulli di A. Lucia BarBAULD, traduzione di Bian- ca Milesi Mojon. Milano, 1832, per Antonio Fontana in 18.° DIALOGHI classici, familiari ed altri per uso degli studenti della lin- gua francese ed italiana, con esercizi preliminari seguiti da un Vocabolario geografico, e da una raccolta di nomi propri i più usitati, da G. Moranp, professore nel collegio imperiale de’no- bili, ed altri stabilimenti di educazio- ne di Milano, autore del Nuovo me- todo di lettura, del Trattato ge- nerale di pronuncia , degli Esercizi , e Quadro intero delle Conjugazioni. Milano , 1832 , G. Silvestri. Vol. di T:- 440. Prezzo 1. 8. 25. it. STORIA DI COMO, scritta da Maurizio Monti professore nel liceo diocesano della stessa città. Como,1832, G. Ostinelli , in 8.9 Vol. II parte 2.% ed ultima, dalla pag. 458 alla 896. FIORE di Storia ecclesiastica, ra- gionamenti di A. CrsarI, coi cenni su la vita e su le opere dell’ autore , pubblicati da Giuseppe Manuzzi. Mi- lano G. Silvestri. Vol. I.U=IT.° 301.%== 302,° della Biblioteca Scelta. RACCONTI e pitture de’costumi, di Davipe BertoLoTTI. Edizione nuo- vamente riveduta dall’autore. Milano, G. Silvestri. Vol. umico 298.0 della Bi- blioteca Scelta. Prezzo 1. 2. 60 it. TRAGEDIE di Davine BERTOLOTTI dall’ autore in parte rifatte, e per la prima volta insieme unite. Milano , 1832, G. Silvestri. Vol. unico. 299.9 della Biblioteca $celta. Prezzo |, 2. it. LEZIONI due sul Cholera Morbus, lette dal prof. Broussars nella clinica dell’ospitale Val di Grace a Parigi, tra- dotto dal Moniteur. Milano, 1832, G. Silvestri 8.° it. 1. 1. So. VIAGGIO al Capo-Nord , fatto l’ anno 1799 dal Cav. GiuseepE AckR- BI, ora Console generale in Egitto, compendiato, e per la prima volta pub- blicato in Italia da Gruserre BELLONI medico militare italiano. Milano, 1832, Lorenzo Sonzogno. Tomo unico. 144.5 della Raccolta di Viaggi dopo quello di Cook eseguiti tanto per mare che per terra. INTRODUZIONE allo studio della filosofia per uso dei fanciulli, del Baro- ne PasquaLe GaLLuPPI da Tropea. Mi- lano, 1832, L. Sonzogno. Opuscolo di p. 30. LETTERE di M. T. Cicerone di- sposte secondo l’ordine de’ tempi : tra- duzione di Antonio Gesari P. 0. con note Milano, 1831, Stella e F. in 8.9 Vol. X.° di p. 690 dell’ ediz. bilingue in ro volumi. Prezzo de’1o vol. l. 77. 90 it. NUOVE questioni sull’architettura rituale in relazione alle opinioni del Gonte Cordero di S. Quintino , e del- l’ Avvocato Robolini, proposte da Der. Saccni, con un appendice di Gian Domenico Romacnosi. Milano, 1832 , presso la Società editrice degli Annali delle Scienze di Milano. OPUSCOLI matematici e fisici di diversi autori. Milano , 1832. P. C. Giusti 4.° Tomo I.° fase. I.° pag. 96 con tavole. MORTI dei persecntori della Chie- sa, e beni grandissimi che la Religione Cristiana portò a tutti gli stati degli uomini , spingendo le società al loro più alto punto di perfezione, Disserta- zioni di AnronIo Cesari P. D. 0. Mi- lano, 1832, Giovanni Silvestri. Volume unico. 300.° della Biblioteca scelta. Prezzo l. 4 austr. L’ ARCHITETTURA di Virruvio tradotta in italiano da Quirico Vivia- NI, illustrata con note critiche ed am- pliata di aggiunte intorno ad ogni ge- nere di costruzione antica e moderna, con tavole in rame, per opera del tra- duttore e dell’ ingegnere architetto Vincenzo Tuzzi. Udine , 1832, Fra- telli Mattiuzzi, in 8. Libro VIII.® di pag. 168 con ra tavole che appar- tengono a’ libri V. VI e VII. Prezzo d’associazione |. 7. 09 it. INDICATORE LOMBARDO. Elenco degli articoli di detto Gior- nale, fascicoli di Aprile, e Maggio. Filosofia. Intorno al modo di seri- vera la storia della filosofia, di M. P. — Letteratura Francese. FENELON. Dagli opuscoli di ViLLemaIN, trad. di M. S.- Il Kespeach francese per l’anno 1832. Trad. di G. SaccHI, — Letteratura Italiana. Ragionamento sulla Storia Lombarda del secolo XVII per commento ai Promessi Sposi del Manzoni, di C. CANTU. = Scene di costumi. L’uomo politico. (Dalla Re- vue Britannique, trad. di G. I.) — Statisticacommerciale. Dalcommercio degli europei colla China. (Dalla Bi- bliothéque Unioerselle, trad. di L. B. — Vurietà. I primi due mesi di matri- monio, scene di costumi, dell’autore del Giorno delle nozze. == Gita al Vul- cano Havvoiinell’Arcipelago Sandwich. — Scoperta di una caverna di ossa fos- sili nella Nuova Olanda. —- Attuale condizione interna dalla Gran Bretta- gna. (Dal New Monthly Magazine). = Gita aereostatica ed osservazioni sulle correnti d’aria nelle regioni su- periori. = La strada di ferro da Liver- pool a Manchester (Bibliothéque Uni- verselle ). = Appendice all’antecedente articolo. (Annales des Voyages.) — Album delle Letterature Straniere. Bi- bliografia Italiana. Fascicolo di Giugno. Novelle. La prediletta del villag- gio e novelle di WasHincron Irvine (Bull. Inglese). — L’elisire di lunga vita, fantasia di BaLzac. — Statistica sociale. I Negri. (Dalla Revue de Pa- ris, trad. di G. I.) — Filosofia. Della dottrina politica e religiosa di Saint- mon. (Dalla Reoue de Paris, trad. di G. I.) — Letteratura Italiana. Ragio- namenti di G. Cantù intorno alia sto- ria Lombarda del secolo XVII. — Il cardinale Federico Borromeo. == L’In- nominato. «== La Monaca di Monza. — Dei Governatori di Milano, — Leg- gi economiche, fame e sollevazione di Milano. == Politica. Guerra del Mon- ferrato. I ministri Olivares e Richelieu. — Letteratura antica. Ovidio. (Dalla Revue de Paris). Varietà. Mac- chine locomotrici. (Dalla Revue Brit- 247 tanique. = Madama de Stael, giudi- cata da Gòthe, e de Schiller. (Da un giornale inglese). — Viaggio al Thi- bet e ai monti Himalaya del dottore Gerarp. (Dal Jour. des Vaj'. — Al- bum delle Letterature Straniere). — Bibliografia Italiana. VENEZIA. TOTIUS latinitatis Lexicon con- silio et cura JacoBI FaccIoLATI; opera et studio ArecipIiI ForcELLINI semi- narii patavini alumno Jucubratum in hac tertia edit. auctum et emenda- tum a JoserHo FurLANETTO alumno eiusdem seminar]. Patavii, 1832. Tip. Seminarii 4.° di pag. 192. (S-Sacius). ESAME CRITICO intorno a tre pitture recentissime esposte nello scorso anno al pubblico giudizio in Venezia. Venezia 1832, Giuseppe Picotti. CANTONE DEL TICINO. NUOVO GALATEO di MerezIon- rE Gioya. Edizione diligentemente ese- guita sull’ultima milanese dell’autore. Lugano, 1832. Ruggia e C. Tomo I.° DISCORSO SULL’ORIGINE e na- tura della poesia, e saggio intorno alle Belle Arti, di Francesco Mario Pa- cano Lugano, 1832. Ruggia e C. Vol. unico, 14.° delle opere di Fr. Mario Pagano. NAPOLEONE A S. ELENA; ov- vero estratto de’ memoriali de’ signori Las Cases e O°Mrara, volgarizzato con note originali che servono di con- futazione alla storia di Napoleone scrit- ta da VaLrer-Scorm. Lugano 1832 , G. Ruggia e C. Tomo IX.° ROSAGNA. ISTORIA EVANGELICA scritta in latino con le sole parsle dei sacri Evangelisti, spiegata in italiano, e de- lucidata con annotazioni, Opera del conte MonaLpo Leoparpi di Recanati, Pesaro, 1832. Annesio Nobili 8.° parte seconda, di pag. 3068-xxx. LE TRENTA GIORNATE musi. cali, ossia la vera teoria della musica, 248 divisa in trenta tre lezioni di Lurci FrontorI. Bologna 1831. St. di S. Tom- maso d'Aquino. Vol. unico di p. 546 in 8.° OPERETTE di Francesco ILARII. Macerata 1832. St. di Antonio Cor- tesi. Volumetto di p. 200. RACCOLTA delle principali mac- chine idrauliche sparse per la provin- cia di Bologna, e dell’arte di fab- bricare. Gonta il sesto mese da che mi trovo assente dalla città per interessanti la- vori di mia professione, e soltanto alla fine di Agosto. p. v. saranno questi ul- timati. Egli è perciò che solo a detta epoca potrò assistere alle opere da me intra- prese, per cui mi tengo in dovere di darne avviso facendo le ben dovute scuse pel ritardo delle intraprese a4- sociazioni, e nello stesso tempo accer- tarla che verranno immancabilmente ultimate ; troppo standomi a cuore di non perdere quella qualunque stima , procacciatami con tali lavori. Bologna li 29 Giugno 1832. INGEGNERE ANGELO ZAMBONINI. ELOGIO del cav. Vincenzo Mon- TI, composto da G. F. RamgerLi lu- ghese ed. seconda. Bologna 1832. Tip. Bertolotto 8.° pag. 14. IN MORTE di Marietta Rossi Scu- tellari, Discorso del dott. Giuseppe Pe- tRrUccI. Bologna 1832, Nobili e C. ROMA. PRINCIPII del diritto commerciale secondo lo spirito delle leggi pontificie, opera di Emmio CesariNI curiale ro- tale. Roma, 1832 presso l’autore 8.° Tomo VI.° prezzo baj. 50. CENNI STORICI di alcuno pe- stilenze, raccolti da A. Coppi. Ro- ma 1832. Tip. Salviucci in 8.° STORIA DEI VASI FITTILI di- pinti che da 4 anni fa si trovano nello stato ecclesiastico, in quella parte ch'è nell’ antica Etruria, colla relazione della colonia Tidia che li fece per più secoli prima del dominio dei Romani , Discorso dell’avv. D. CarLo FEA com- missario delle antichità, presidente al Museo Gapitolino , bibliotecario della Ghigiana , accademico archeologico , diretta all’Instituto di corrispondenze archelogiche in Roma di cui è socio. Roma, 1832. St. delle Belle Arti 8.° DELLA LODE di Romolo e Ro- ma secondo l’idea di una nuova storia romana, Discorso dell’avv. D. GarLo FeA, recitato nell’ accademia de’ Sa- bini la sera del 21 aprile 1832, cele- brando la solita ricorrenza dei natali di Roma all’anno MMDLXXXI dalla sua fondazione 8.° NAPOLI. RELAZIONE del viaggio fatto in alcuni luoghi di Abruzzo Giteriore , nella state del 1831 dal cav. TENORE. Napoli, 1832. Tip. Pasquale Tizzano 8.0 di pag. 132, IL PROGRESSO delle scienze , delle lettere e delle arti, Opera perio- dica compilata per cura di G. R. N- poli, 1832. Dai torchi del Torcelli fa- scicolo III.® RAGIONAMENTO per lettera di pensieri filosofici a Marcella ; volgariz- zato daMarcHERITÀ Tapi D’ALTEMPS: Napoli, 1833. Del Torcelli 8.° POEMETTO di Giuseppe Geva Grimarpi a RarraeLe Perri. Napo- li, 1832. St. de’ Turchini. SICILIA. RELAZIONE de’fenomeni del nuo- vo Vulcano sorto dal mare fra la costa di Sicilia e l’ isola di Pantalleria nel mese di luglio 1831 , letta nella gran sala della R. Università degli studi in Gatania il dì 28 Agosto 1831, dal D. CarLoGemmELLARO, prof. di storia na- turale , nella stessa università , segre- tario generale dell’acc. Gioenia ec. Ca- tania 1831 G. Pastore 8.° p. 72 con 2 tavole. LA Divina Commedia di Dante ALIGHIERI con i migliori comenti scelti ordinati ed esposti da GiusePPE Bozzo. Palermo, 1832, St. Peduni e Muratori. Tomo I.° (Inferno). Prezzo Car. 4. INTORNO ad una nuova edizione della Divina Commedia di Dante A- LicHmeri, Rapporto di Giuserre Bozzo alla commissione suprema di pubblica istruzione in Sicilia. Palermo, 1832, Tip. del Giornale letterario. 8.° GIOBBE poema eroico dell’abate A nronio Sarao. Seconda edizione cor- retta dall’ autore. Messina, 1832, St. Pappalardo. 8° di p. 460. ATTI dell’ Accademia Gioenia di Scienze Naturali di Catania. Catania, 1831, Tip. di G. Pappalardo in 4.° Tomo V.° con tavole. RELAZIONE accademica per l’an-. no VII dell’ Accademia Gioenia letta nella seduta ordinaria de’ 12 maggio 1831 dal D. GemeLLARO segretario ge- nerale dell’Accademia, prof. di Storia naturale, ec. Catania, 1531, G. Pap- palardo. SE il verso di Dante — Poscia più che’ dolor potè il digiuno — meriti lode di sublime o taccia d’inet- to, lezione accademica di Tommaso Gargallo. Palermo , 1832, Tip. di Filippo Solli in 8.° LUCCA. OPERE edite e inedite del Mar- chese Cesare LuccHssIniI. Lucca,1832, in 18.° Tomi IV. V e VI. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL'ESTERO. DEL metodo di comporre le idee e di contrassegnarle con vocaboli pre- cisi per potere scomporle regolarmente a tine di ben ragionare ; e delle forze e dei limiti dell’ umano intelletto. == Dedicato alla gioventù delle Isole io- niche da PaoLo Gosra. Corfù ; 1831. Vol. unico , di pag. 299. VERSI di Lorenzo da Ponte in morte d’° Anna Gelestina sua mo- glie. Nova York presso J. H. Turney 1832 in 32.” TOSCANA. NUOVO DIZIONARIO de’ Sino- nimi della lingua italiana; di N. Tom- maseo. Firenze, 1832. Le associazioni si ricevono presso Iticordî e C., e presso T. VI. Giugno 240 G. P. Vieusseur. È pubblicato il fa- scicolo VIII. (O-QU) di fogli 7. CATECHISMO agrario per uso dei contadini e dei giovani agenti di cam- pagna, di Iacopo Ricci, paroco di S. Maria a Ontignano nella diocesi di Fie- sole, socio ordinario della R. Accade- mia de’ Georgofili di Firenze. Seconda edizione con aggiunte e note conside- rabili. Firenze 1832. Volumi II in 12. Prezzo Paoli 9g e mez. VITA pi BENVENUTO CELLI- NI scritta da lui medesimo tratta dal- l’ auto rafo per cura di Giuseppe Molini, edizione seconda collazio- nata di nuovo coll’ originale e ricor- retta , con brevi annotazioni e una scelta di documenti. Firenze 1832, a/- l’Insegna di Dante, t. 2 in 8.° FORTUNATUS SICULUS, ossia l’Avventuroso Ciciliano di Busone DA GUBBIO. — Romanzo storico scritto nel M.CCGC.XI., ed ora per la prima volta pubblicato da G. F. Not socio del- l’ Ace. d’ Antiq. di Londra. Firenze, 1832, T'ip. all’ insegna di Dante in 8.0 di pag. XXXVI e 360. Prezzo franchi 6 in carta velina. to 3o in carta inglese. OSSERVAZIONI sul Comento a- nalitico della Divina Commedia , pub- blicate dal sig. GaBrIELE RossertI, tradotte dall’inglese con la risposta del sig. Rossetti , corredate di note e re- plica. Firenze , 1832, L. Marchini. ISTORIA dell’ Europa di Pier Francesco Gramzutcari dall’anno 887 al 947. Sesta edizione purgata da molti errori delle precedenti. Volume III.® ( fa parte della Biblioteca scelta di Storici italiani). Livorno, 1832, Glau- co Masi, DOCUMENTI officiali relativi alla Fonte Artesiana di Pontedera. Pi- sa 1831, Fratelli Nistri e C. 8.° COLLEZIONE di romanzi storici originali italiani. Firenze 1831 1832, G. Veroli e C. Vol. IX e X. (Sisrnca OpaLETA , episodio delle guerre d’Ita- lia del fine del secolo XV.®) Vol. Iell. DIZIONARIO delle Scienze Natu- rali. Firenze, 1832, Vincenzo Batelli e F. 8.0 Vol. III.* fascicolo 3.° e xv.® distribuzione delle tavole. 32 250 OMERO. L’Iliade, testo greco ar- ricchito della traduzione letterale in latino dell’HeynE; della versione me- trica del CunicH parimente in latino, e delle più accreditate nelle cinque prin- cipali lingue d° Europa firenze 1832, Borghi e C. in 4.° Fascicolo VI.® con tavole. OPERE complete di P. MerastASIO, volume unico , e :V.° della Biblioteca portatile del Viaggiatore.Firenze,1831. Borghi e C. fasc. g e 10. L’ITALIA poesie di Lurci Cicconi analoghe a diversi quadri storici în ra- me. Firenze, 1832. Tip. all’Insegna di Dante 8.° (manifesto). COLLEZIONE DI NOVELLIERI italiani. Volume unico e V.° della Bi- blioteca portatile del Viaggiatore. Fi- renze,1831. Borghi e C. fasc. 6 e 7. MANZONI. Opere scelte. Volume unico, con ritratto e vignette. Firen- ze, 1832. T°. Passigli e Socii. fascico- li6789e 10. LE VITE dei Pittori, Scultori e Architetti di Grorcio Vasari con note. Firenze, 1832. D. Passigli e Sociì 8.° fasc. 2.0 e 3.9 LE VITE DEGLI UOMINI illustri di PLurarco, versione italiana di Gr- RoLamo Pompei con note de’ più celebri letterati. Volume unico. Firenze, 1832. D. Passigli e Socii fasc. 3 4 5 e 6. OPERE del P. DanietLLo BartoLI della Compagnia di Gesù. Firenze, 183 1- 32. L.Ciardetti 8.° Volumi XVIII, XIX e XX. (continuazione del Giappone. ) MANIFESTO Gomunicato. Criniquene L’HoprraL SAINT-L0v1!8, ou traité complet des maladies de la peau, renfermant la description de ces maladies et leurs meilleurs modes de traitement: Quvrage publié en 12 li- vraisons , grand in-folio , sur papier jésus vélin fort ; orné de 62 planches graoées au burin, parfaitement colo- riées au pinceau , par M. Le Baron ALiseRT , médecin en chef de cet hé- pital , premier médecin du collège de Henri IV, professeur a l’ école de médecine de Paris, membre de l’ Acu- démie rotale de médecine , etc. Chez B. Cormon et Blanc, Libraires , à Pa- ris , rue Mazarìne , num. 70 , à Lyon, rue Roger ,num. 1. Avis des Editeurs. — L’ouvrage, que M. le professeur Alibert avait don- né il ya plusieurs années, n’était qu’une collection provisoire de faits et d’obser- vations, une pierre d’attente au grand et complet ouvrage qu’l vient de ter- miner , et dont nous sommes éditeurs. Nous allons nous occuper de cette publication avec tous les soins , le zéle et 1’ exactitude qu’une maison jalouse de sa réputation et de ses vrais intérèts se doit à elle-mème. L°’ ancìen ouvrage que nous venons de rappeler n’avrait été tiré qu'à un très-petit nombre d’ exemplaires ; il ne se vendait pas moins de 600 fr. , et il est totalement épuis . Bien que celui que nous annoncons soit enrichi de 6 à 8 planches nouvelles, augmente de 15 a 20 feuilles de texte , imprimé avec encore plus de luxe et d’élegance que le premier, et égale- ment tìré à un petit nombre d’exemplai- res, son prix ne sera cependant que de 300 fr. Les progrès rapides que l’industrie a faits depuis quelques années ; la baisse considérable de la main d’ oeuvre et du papier ; la concurrence qui a forcé les artistes à diminuer le prix de leur tra- vail, et surtout le parti que nous pou- vons tirer des matériaux amassés pour le premier traité, nous permettent de contribuer aux progrès des sciences, en réduisant le prix de ce bel ouvrage de manière à en faciliter l' acquisition au plus grand nombre des médecins. Il sera divisé en 12 livraisons , qui paraìtront régulièrement de 2 mois en 2 mois. La première sera publiée fin juin prochain. Le prix de chaque livraison sera , pour les souscripteurs , de 26 fr. paya- bles comptant. On ne paiera rien d’a- vance. Lorsque la g livraison sera mise en vente , la souscription sera fermée , et le prix total de l’ ouvrage sera irrévoca- blement fixé a 400 fr. , pour ceux qui n’auront pas souscri à cette époque. , S’adresser, pour les demandes, Aux Editeurs , à Paris, rue Mazarine , num. 70 ; èà Lyon, rue Roger, num. 1. Ou souscrit également chez les prin- cipaux libraires de la France et de l’é- tranger. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XLVI: _—=neae=—_ Scienze Moratti, Poriticne ED Economicne. A iconi pensieri sopra un’ ultra-metafisica filosofia della storia. (Romagnosi) A. Pag. Dubbi intorno alla direzione morale e civile del romanti- cismo. (FP. Forti)! };",, Nuovo saggio sull’ origine delle idee , pubblicato dal Sal- viucci di Roma. Art. I. (RIVARA 9,995, À Art. II. dodo iù Osservazioni sulla pubblicità delle procedure criminali, e sul processo inquisitorio: e della pena di morte. (C. Marzucchi) A. ,, Storia del diritto romano nel medio evo, di Fr. De Sa- vigny. Arti V. (2; Capei) ,, ,, Catechismi varii ad uso de’ fanciulli ; ed. Rossi di Siena. (G. Porri) B. ,, Compendio di Storia Universale dell’ ab. Borne. (CETO ci Prime letture pei fanciulli di tre o quattro anni, di Bian- ca Milesi Mojon. CLI. > Esportazione della seta. Commercio italiano. ore Quadro di alcuni nuovi miglioramenti fatti nell’Italia su- periore mercè lo spirito di associazione. (D. Sacchi) ,; , Società per la diffusione del metodo di reciproco insegua- mento , ad. del 9 marzo 1832. igi Corso di geometria applicata alle arti e mestieri. (G: Cioci) (,, ;, Strade nella Lunigiana. PIA Considerazioni sulla storie civile e sul fondamento di essa nella monarchia-di Savoia. (L. CY ;, Scuola di mutuo insegnamento di Pisa. Rapporto del D. i (Raimondo Meconi) ,, ,, 23 36 052 Teoria delle leggi della sicurezza sociale, di Giovanni Carmignani. Art. I. (S. Centofanti) C. Pag. 92 Delle finanze della monarchia di Savoia neì secoli XIII, XIV. Discorso di Luigi Cibrario. (P. Capei) 3 >») 157 Dell’ amore verso la patria, del Co. G. B. Roberti. (L.) ;; » 180 L’ amico dei fanciulli, di Arn. Berquin. (A..B. C.) ,, » 184 Stato delle lettere, e delle scienze in Lombardia , estratto dalla Revue de deux Mondes. sica DET Commercio d’ Urbino. 0°» 216 Statistica romana. 33 35° 218 Corso di filosofia nel seminario fiorent no. 33 225 Scuola di mutno insegnamento in Pisa. 33 3 235 Grocraria , VIAGGI, STATISTICA è EC. Dei progressi della geografia e della sua letteratura nel triennio finito coll’ anno 183r. Art. J. (JI. G. H.) A. Pag. 173 53 Art. II. sole ia I Costantinopoli nel 1831, del Cav. A. Baratta. (**Y Bo I Notizie statistiche intorno, P agraria del Pesarese , di L. Bertuccioli. (J. G. Montanari) ,3. 3». 12 Nuova carta della Savoia. seo rod Statistica della provincia d’ Alessandria. sioni BI Le Alpi elvetiche. (C. T,: Dandolo) C. ,, 49 Carta ridotta della Toscana del sig. Segato. .\(J. G. H.) 3 35 235 LerTeRATURA è l'iLoLoGra ,, CRITICA LETTERARIA Ec. Se Dante dedicasse a Federico III, Re di Sicilia la can- tica del Paradiso , ec. Art. II. (X. X.) A. Pag. 3 Opere complete di Niccolò Machiavelli. Editori Passigli Borghi e C. (34): bor 78 Soliloquio dell’ imperatore Marco Antonio con sè mede- simo, tradotto in persiano dal sig. De Hammer. Jo:G.;H) Bi, swbadI Origine della lingua italiana, opera di Ottavio Mazzoni Toselli. (G.I. M.) 3. »0:25 Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti, gior- nale napolitano. (fia Ma1Fa):3, 15, Deb Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia. Gior- nale. usi piena8 La vita attiva e contemplativa di frate Giordano. — Rime del Coppetta. (G. Manuzzi) ;,) 3; 31 Rime di Maria Giuseppa Guacci napoletana, (Kja L’ Italiano a Parigi, ossia la lingua francese insegnata 253 agli Italiani, opera di Forti e Pollanì. (MM.) B. Pag. 33 Intorno ad una versione della poetica di Ger. Vida, di F. Malvica. ga gi stai Volgarizzamento di due pistole di Seneca , inedito. da as tari 35 Della miseria. umana, sermone di S. Bernardo, volg. 33/33 >» Della. vita e delle opere di Antonio Cesari, Cenni di Gius. Manuzzi. sì: sxolz;s0g97 Consulti medici di Francesco Redi , com. da L. Martini. ;; ,; 3°» Poesie alemanne, volg. da A. Bellati. 3, lid aggati93 Di alcuni trattati del Beato F. Jacopo da Todi. (G. Manuzzi) ,, ,, 38 Opere del P. Paolo Segneri. (LP IO e) e A Sul Veltro allegorico, Lettera al Dir. dell’ Ant. (G. P.) ,, ,; » Canti popolari della Norvegia. (ali) caoigpion 77 Amori di Lavinia ed Enea. Varianti poetiche. 7 saliss- nggpin 93 Inni in prosa pei fanciulli, di A. L. Barbauld, trad. di Bianca Milesi. (IM) 050175 Il Plutarco ed il Vasari dell’ edizion portatile del Passi- gli, con note. 73 39 39 33 L’ Avventuroso Ciciliano di Busone da Gubbio, romanzo scritto nel 1311, pubblicato per la prima volta da G. F. Nott. 33 3000 170 La Divina Commedia di Dante , cocomenti di G. Bozzo. ;3 33 5 Intorno al verso di Dante, Poscia più che ’l dolor potè il ‘digiuno, del M. Gargallo. 3, (13319310877 Manoseritti italiani in Parigi. sa 105; 03y0t198 Una solennità nuziale a Costantinopoli nel secolo XVI descritta da un ;anonimo veneziano. (IG Xod®) ,, ,, 185 Ragionamento su di uno scritto di G. Gozzi, di A.Paravia. ,, ,,) 3, 186 Della diffusione e studio del latino in Europa, dell’ ab. Svegliato. 33 3) 3 187 Operette varie di G. Grassi. 33 33 33 188 Della patria di S. Girolamo. — Polemica in Dalmazia. ,;, 33. 33, 189 Poesie del sig. Colleoni. 20 ap 205 Giornali di Venezia. ax) i 20% Tragedie improvvisate dal sig. Cicconf. da Sat SO Lettera del K. X. Y. 2> 30 236 BeLLe ArTI, ARCHEOLOGIA , EC. Memorie della vita di Antonio De Solario detto il Zin- garo. (M.) B. Pag. 34 Pitture di vasi fittili esibite dal cav. Inghirami. (A) 00! 44 Intaglio di un-quadro di Raffaello, del cav. Toschi. Spiga 56 254 Nuovo monumento a Novara. i B. Pag. 57 Di un busto colossale di Mecenate escavato sulla via Fla- minia. (Cicognara) G. ,, 29 Quadro in musaico scoperto a Pompei, da Antonio Nicco- lini. (IM.) > 33 164 Catalogue des pierres gravées antiques du Prince Ponia- towsky. 33 33039 173 Esposizioni degli oggetti d’ arti o d’ industria di Torino. ,, .,,3 190 Nuovo quadro di G. B. Bezzuoli. » 3» 228 Reclamo del sig. G. Vannini. » » 234 Scienze Narurari, TFisicne E MATEMATICHE. Descrizione delle nuove calamite elettriche ed osserva- zioni sulle medesime. (IVobili‘e Antinori) A. Pag. 58 Sulla sensibilità del termo-moltiplicatore. (Nobili) ,; x, 73 Relazione del tremuoto che ha danneggiata la città di Parma nel marzo 1832. (A. Colla) B. ,, 75 Di una notizia intorno alle ultime scoperte elettro-ma- gnetiche data dal giornal modenese. (P. Giorgi) B. Pag: 93 Nota sopra une remarque des Annales de Chimie et de Phisique. j (L. N. e V. A.) -3408,,4097 Sopra vari punti di magneto-elettricismo. (IVobili e Antinori) G. ,, 138 Tremuoto di Modena. 23° 9511228 'PFremuoti. di Romagna. 190053 213 Reclamo del Zantedeschi. 33 3» 282 Società ScrentIFIoHE , LETTERARIE EC. R. Accademia delle Scienze di Torino. Ad. dal 29 Aprile al 27 Maggio 1832. B. Pag. 55 Fà 14 e 24 Giugno. G. ;; 300 Accademia Gioenia delle Scienze naturali di Catania. Se- dute dal 16 Gennaio 1831 al 19 Gennaio 1832. DL grane Società Colombaria. Ad. del dì 25 Maggio. ss “» >> 238 Ab. Piccone. TTI 239 Conte Giulio della Somaglia. ao Angelo Cesaris. 33 39 23 Fedele Albertolli. 39. 3) 2) Virginia Soncini. CLIC O Eustachio Fiocchi. 39, 39 YI 256 Conte Girolamo Murari della Corte. Enrichetta Treves. Antonio Garcia. Abramo Cologna. Camillo Mariani. Eduardo Dodwel. Ottavio Zollio. Bonifazio Asioli; Mons. Jacobini. Ennio Marmani. Conte Carlo Rosci, Giuseppe Cinotti. Ignazio Scimonelli. Francesco Strano. Senatore Cav. Gianni Mannaucci. Annunzi BisLiocrariCi. Aprile e Maggio. Giugno. Fine del Tomo XLVI. 0. Pag. 241 DI 39 33 33 » 33» 242 » 33 99 09 >» DI 2) 2> >» DE >» » 268 39 3» bed >> 2) >” » » SS 3900 3 >> >> 244 » 39 7” B. Pag. C. ,, 365 Osservazioni meteorologiche fatte nell'Ossercatorio Ximeniano delle Sevole Pie di l'irenze, alto sopra il livello del mare piedt 205. Giverno 1852, i I | | Jermom. Stato del Cielo 01) -QUI 01AN[q] IUJOLr) © = n 0172 01eg 00.197U] | \ u ing 0110001] ord -03S0W12U\ | pell. lin. | gradi gradi | gradi 7 mat. | 27. 11,8 7,8 |15,0 | 89 Sciroc. |Nuvolo Calma 1| mezzog. | 27. 11,5 |17,9 |19,0 | 60 Pon.Li.{ Nuvolo Calma | 11 sera | 27. 11,1|17,8 [14,0 95 [0,12 [Sc. Le.{Nuvolo Calma | 7 mat. | 27. 10,6 [17,3 |14,8 | 85 Lev. {Nuvolo Ventici] 2| mezzog. | 27. 10,2 17,0 14,0 | 94 |0,16[Lev. |Pioggia > Ventic 11 sera | 27. :9,7|16,1 |12,9 | 84 [0,08 [Gr. Le.|Sereno-Nuvolo Calma | T®mat:| "274 9,7 15,8 12,9 | 88 Lev. Nuvolo Caltisa S| mezzog. | 27. 9,5 [15,9 [16,6 | 68 Gr.Le. | Nuvoloso Ventie, 11 sera | 27. 9,6 15,9 13,2 | 93 [0,10|Os.Lib.|Ser. con nuvoli Ventic. i 7 mat. | 27. 9,6|15,8 [14,9 | 80 Ostro |Nuyolo Ventic.|| il 4| mezzog. | 27. 9,5 15,8 16,5 | 61 Ponen. | Nuvolo Vento 11 sera | 27. 9,5|16,8 12,3 | 90 {0,09 [Lev. Nuvolo Calma 7 mat. | 27. 9,9 15,2 13,5 | 92 Sc.Le. {Sereno con Nuv. Calma il 5| mezzog.|27. 10,5|15,6 [16,2 | 68 Libec. |Nuvolo Vento | 11 sera 7. 1454159 112,5 | 92 Libec. {Sereno con Neb. Ventic. i 7 mat. | 28. 0,0 15,7 13,8 | 87 Ostro {Sereno con Neb. Ventic. :i 6] mezzog. | 28. 0,3 16,0 19,1 51 Lib. Nuvoloso Vento i 11 sera | 28. 1,0|16,9 [14,9 | 69 Lib. |Pioggia leggiera Calma 7 mat. | 28. 0,7|16,8 [15,0 | 83 Sc. Le.| Nuvoloso Calma 7| mezzog. | 28. 0,1|17,0 |20,0 | 49 Os. Li.| Nuvoloso Vento 11 sera | 28. 0,7|17,8 [16,8 94 Lib. Nuvoloso Ventic.| 7 mat.’ 1128. 1,2117:6 116,5 1-94 Lib. {Sereno con Neb. Calma | 8| mezzog. | 28. 1,6|18,1 |20,0 | 54 Pon.L. | Nuvoloso Ventic.|] 11 sera | 28. 1,6|18,5 [14,6 | 95 Os. Sc.[Nuvolo-Sereno Ventic. 7 mat. | 28. 1,8|18,0 |15,2 | 92 Os.Lib.{Ser. con Nebbie Ventic. 9| mezzog. | 28. 1,4|18,1 |19,5 | 55 Pon.M.{Ser. con nuvoli Ventie. 14 sera | 28. 1,0 18,8 15,3 | 78 Maest. {Sereno con Nuv. Ventic. i 7 mat. | 28. 1,0|18,8 |14,9 | 87 Tram. {Sereno Ventic. {1G| mezzog. | 28. 0,6|18,7 |19,6 | 53 Po.Lib.|Ser. con nuvoli Vento | 11 sera | 28. 1,0[19,0 |15,5 | 62 Ponen. | Velato Calma | Ì ii 7 mat 128. ‘0/9098.7 115,14 7 Ponen. | Nebbioso Ventic. {11| mezzog. | 28. 0,6|18,8 {20,0 | 51 P. Lib. |Ser. con Nuvoli Calma | | 0;6119;1 15,4 L31 Libec. {Sereno Calma | 11 sera | 28. Gruoso 1 852. | Termo, E n dini Lin > E CE n 5 Gi ee lg S Oia 3 E n 3 |col z:8 Stato del Cielo È 5 5 Si î pi n I MITE poll. lin. gradi gradi | gradi "| 7 mat. | 28. 0,6|18,8 116,0 .| 7 Sciroc. |Sereno Calma 12) mezzog. | 28. 0,3 [18,8 |20,8 | 44 Ponen. [Sereno Ventic. 11 sera | 28. 0,219; 16,9 | 7 Poren. [Sereno ragnato Ventic. | 7 mat. | 28. 0,2|19,4 16,8 | 78 Ostro |Sereno-Nebb. ©Ventic. 15! mezzog.|28. 0,0 19,8 122.1 | 45 Os. Li. |ixagnato Ventic. 11 sera | 27: 11,7 {20,5 15,5 | 65 Os. Sc.[Nuvolo- Nebb. Calma 7° mat, | 27: 11,3 20,4 18,0 | 85 Lib. Nuvolo Vento 14| mezzog. 27: 11,0 |20,2 20,0 | 62f Lib. Nuvoloso Vento 141 sera |28. 0,3 [20,4 16,8 82 Maest. |Sereno Ventic. 7 mat. | 28. 0,5 |19,8 15,0 | 94 Ostro |Nuv. nebbioso Ventic. 153 mezzog. | 28. 0,5 19,8 19,6 | 61 Po, Li.{Sereno Ventic. 14 sera | 27. 11,9 [20,0 16,3 | 68 Lib. Sereno Ventic. 7. mat. 2.492 (1%6 15,4 | 85 Ostro |Sereno Ventic. 16! mezzog. | 27. 10,8 19,8 21,8 | 48 Os. Li. |Nuvolo Ventic. 11 sera | 27. 11,3 [19,6 15,0 | 75 Tr. M.©|Sereno con Nuv. Ventic. 7 mat. 127. 11,4 15,0 15,0 | 79 Tram. {Sereno Calma 17] mezzog. | 27. 11,5 19,2 20,0 | 35 Tram. |Sereno)ragnato Vento 11 sera {;28. 0,0 19,5 15,0 | 68 Lev. Sereno Ventic. 7 mat. | 28, 0,5 19,2 14,5 | 78 Sc.Lev.|Sereno Ventic. 18| mezzog. | 28. 0,5 19,5 21,0 | 40 Maest. | Nuvoloso Ventic. 11 sera | 28. 1,5 19,0 15,7 | 68 Ostro {Sereno coi Nuv. Ventic. 7 mat. | 28: 1,9|[19,5 14,0 | 86 Os. Sc.{Sereno Calma 19] mezzog. | 28. 2,0 19,9 21,0 | 46 Ponen. |Nuvolose Venatic. 11 sera | 28. 2,1 |20.0 15,2 | 63 Sc.Lev.{Screno Ventic. 7 mat. {28. 2,1 19,5 15,3 | 85 |0,07 |Sc.Lev.|Sereno-Nebb. Calma 20| mezzog. 25. 1,9 19,5 19,0 | 65 Os. Li. {Ntvoloso Calma Ni sera |28. 1,5 19,6 17,0 1:72 Lib. Nuvolo Calma I 7 mat. |28. 0,6|19,2 [14,9 | 93 Sciroc. |Navolo Ventic. 21] mezzog. | 28. 0,3 19,1 |18,1 | 81 Ponen. | Nuvolo Ventic.| 11 sera | 27. 11,7 19,2 17,8 | 82 Lib. Nuvolo Calma 7 mat. 27. 11,4] lo: 17,2 | 85 Ostro |Nuv. Sereno Calma 22| mezzog. 27. 11,0 19,5 20,2 | 75 Maest. | Nuvoloso Ventic.! 11 sera |27. 10,8 19,6 [16,8 92 Po, Li.|Sereno Nuv. Calma | Giuoxo 1852. | Termom. | J = ——_ = RE NAPO \ È Ora 3° "p 3 È pel (S.S Stato del Cielo z S e IR RE SIE Ù È Sig delli vi | CS LS PRI 1 | DI0) S s poll lia gradi gradi Brawl sun a 7 mat. | 27. 10,5.]19,4 16,8 | 90 Lib. Nuvolo Calma 25) mezzog. | 27. 11,0 {19,6 19,0 69 [0,01 {Tr. Gr.| Nuvoloso Vento | 11 sera | 28. 0,6|19,2 [14,6 | 68 Tram. |Sereno Ventic.| “7'mat. | 28. 0,9/18,2 15,6 | 68 P. Lib. {Sereno Calma | 24] mezzog. | 28. 0,8 [19,1 [21,3 | 39 M°. Tr.|Sereno Ventic. 11 sera | 28. 0,4/20,0 [16,8 | 60 Ostro |Sereno Calma 7 mat. | 28. 0,2[19,5 |16,8 | 68 Sciroc. | Sereno Calma 251 mezzog. | 27. 11,9 [20,0 | 22,0 | 47 P. Lib.|Sereno Ventic.! 11 sera | 27. 11,6|20,9 [18,2 } 60 Ostro |Sereno con Neb. Calma 7 mat, | 27. 11,9|20,6 {18,3 | 71 Ostro |Serena Calma 26| mezzog. | 27. 11,0|21,0-|21,8 | 52 Gr. Tr.| Nuvoloso Calma 11 sera | 27. 11,0|20,5 [16,8 | 68 (0,06 [Gr. Tr.|Nuvolo nero Ventie. 7 mat. | 27. 11,2|19,6 [13,5 | 88 {9,63 [Tr. M°.|Nuvolo sereno Ventic.! 27| mezzog. | 27. 11,9 [18,9 [15,3 | 65 Tr. M°.| Nuvoloso Ventie. 11 sera | 28. 0,7|18,2 |14,2 | 61 Greco. |Nuvolo Sereno Ventic, ‘7 mat. | 28. 1,5|18,0 |15,2 | 68 Gr. Tr.{Sereno con Neb. Calma 28] mezzog. | 28. 1,7 |18,0 {18,0 | 40 Greco |Nuvoloso Ventic. 14. sera | 28, 2,7 |18,2 {14,8 | 52 Lev. |Sereno con Neb. Ventic. 7 mat. | 28. 2,7 17,9 [13,6 | 78 Lev. |Sereno Ventic. 29| mezzog |28. 2,5 {18,0 |19,1 | 46 P. Li. {Sereno con Nuv. Ventic. 11 sera | 28, 2,5 [18,7 |14,2 | 74 Os. Li.|Sereno Ventie. 7 mat. | 28. 2,4|18,3 {45,3 | 78 Scir. |Séreno Calma 50] mezzog. | 28. 2,0 [18,5 {19,9 | 50 Os.Li. [Sereno con Nuy. Veutic. 11 sera |28. 1,9419,2 [15,5 | 84 Libec. |Sereno Ventic.| £| Medie |28. 0,2)18,6 |16,7 | 71 Giorni Sereni 40. 5 Massime] 28. 0,7 |21,0 122,1 | 95 con Nuvolo 13 =.| Minime #27. 9,3 {15,2 |12,3 | 35 Piovosi 7 ù 2} della Pioggia in pollici Francesi . . 1,52 ]Vento Dominante Libeccio INDICE È Di “progressi della geografia. Art. Il. (J. G: H.) Pag. - Nuovo. saggio sull’ origine delle idee. Art. IL KA. L.) Di un busto colossale di Mecenate. —- ‘ (Cav. Leopoldo Cicognara) ‘,; Considerazioni sulla storia” civile della monarchia di Savoia. -(L. CI “Le Alpi elvetiche.. | |. “g SZ (Cab. T. Dandolo) ‘3, : Canti ‘popolari della Norvegia. Poasie delle tradizioni; (KE. X.Y): ‘Scuola di mutuo Insegnamento di Pisa, ©. pr (R. Meconi.) | Teoria delle: leggi della’ sicurezza: sociale del:prof. (G. Carmignani, SP te 19) PRC ana n i (S. Centofanti.) >». Sopra. varii punti di magneto-elettricismo. x = (N der) ps Vi RIVISTA LETTERARIA. CLagao |afgci E finanze della monarchia di Savoia neì secoli XI XIV, «discorso t*di Luigi Cibrario. SSR ag ‘(Pi Capei.) Clio in niusaico scopertò in Pompei; descritto dal cav. Antonio Nic- 15 edlimi; x - Tod.) - Catalogue des pierres gravées de S.A. le Prence Poniatowsky. # Inni e prose per fanciulli di Lucia Barbaud, trad. di Bianca Milesi- . “ Mojon. i 7 n Plutarco; ced il Vaioli delP ed, pl del Passigli. ps $ La Divina Commedia co’ migliori comenti scelti dal sig. Bozzo. 33: . L’Avventuroso Ciciliano di Busone-da Gubbio > pubb. da E FF. Nott. 3; Sion. italiani i in Parigi, î st Dell’. amore, verso la patria , del co. G. B, Roberti. (L.) - L'Amico. de’ fanciulli si A. Berquin ; Nuova traduzione. (A. B, C.) Sopra d uno stritto di G. Gozzi ; di P. A. Paravia. pi ‘Dello studio del latino in Europa, dell ab. Svegliato. x ‘)perette” varie di G. Grassi. i s i tea patria di S. Girolamo, ù Sg n Una solennità ‘nuziale i in Costansinopoli nel secolo XVI. (K.X. Y.) II CORRISPONDENZA È E NOTIZIE EPILOOATE. Piemonte. Esposizione , di progetti o) rietà 3 p. 195. i Liguria, Varietà. 70 i i — Lombardia. Stato delle lettere ‘e delle « seienze , » del sig. ‘Colleoni ;‘p: 205. == Varietà P. 207. Venezia. Giornali , p. 207. _ - Ateneo. > 209: = Varietà pi 2IO.. Modena. Tremuoti, arte » industria 2 190. - Var © 197. Nuove Hun DE Romagna. Tremuoti., p. SRO Commercio d' Urbino p. dre -Roma.. Statistica. «= Milizia. -_ Ebrei. = ga Napoli. V. Varietà. — Isole onice, 1 p: nali - Malta. 3° De pgo Lugano 5 D 295. + Tirolo , P cod Poscana. Corso di filosofia nel seminario fiorentino. ; Nuovo quadro di C. B. Bezzuoli. “ue x. x) I Tragedie improvvisate. dal sig. Cicconi. Ne i () pi 29 È ‘Accademia della Valle Tiberina. ie sì LS Cc ; va gi Reclamo del'prof. Zantedeschi di Verona. © Agi Reclamo del sig. Vannini dì Firenze... (8 Dir. sarda) 3» Rami della famiglia ifaliana. Prime ‘p. 123: Garta della Toscana di G. Begator-, a At 6. BH. to Varietà” e Lupia straniera . 5 Ae N 6 c R 0 LO c I A; Prof, Antonio Campana; i MRS, (05 pi, - Garlo Muller. > R) Genova. Ab. Piccone: »P 239. San Milano. Pea Giulio ‘della Somaglia. , p. 240.7 ‘Angelo. Cesaris , p. 240: = Fedele] Albertolli iP albo.» ni “Virginia Soncini ; p. ago, = Pavia. ‘Eustachio Fiocchi 5 p. dhri S Mantova. Conte' Girolamo Murarì della Corte ; p. hr - - Padova, ? Enrichetta Treves, p. hi. Antonio Garcia , p- ost. ini Trieste: ve ‘Abramo Cologna, p. 249. — Roma. Camillo Mariani, pi ‘obo. - mi Dodwell, pi 242,» Urbino. Ottavio Zollio spi 2 oha. " Coregglo. $ ì Bonifazio Asioli ; p.. 25. = Bagrorea, Mons. Jacohiui , $ P 1043 LaPi ros Bagna-cavallo, Ennio Marmani :p248. | Fabriano. OS ‘ darlo! Rd! det Ù sci > p. 248: - Giuseppe Cinotti , p. 243. — Sicilia. Ignazio | Scimo». va 3 nelli., 243. - Francesco Strano , Pi 14h: = —_ Firgnce Senatore La de Gianni Mannucci , p. 244. E i èfinnunzi bibliografici. Tavole Moteotologiche. 1 Da urlato sta usi e A tra ” POTENTI |