MICRA Agra ve di HSGMARENNA Pai rto di { SO ARIDI fi LAS NIUE PURO NICINIRLA RENOOI n } DAINO SECO Ù ” PURI MAG î Vi KON IRRDINI VO OOC HOMO: NACOIA tacitvisoo i Psi NA Ihcole Be SÙ be RR MIR DL VICI È ‘i MENA FMMICN CRCR IO ORNATA i ta NI Psa ra terto IU LA Ù tu Pa It vini A SUTALI SLA IMMA BRIO ih ANO AGIO MARA MA VEGANI data OLI ANI Vi ) edi, ” n asse si sssogiSazinni e ri atsdetotsto? Di MIO i edi VR SRI di (RIDI mo: Î ARI ON AI NI0NI 5 (4 PES Y wit trata +szts asd i 3 = 4 i LORA sue WARRALINA MA GUAI) VOCI OCA UDO SL NOUCOOR ICONA O INICA NRE ROGO CHOIR O Neue i UI UU Y M " 6A, po LIL tura Cn LEICA GA RA x SON NALACd get de dt Veio 7 { i "9° |pedh 07 95 IONI ia RIO LLICALgA BA ALA COEN, ca NI UNEMAUATICHON UR VI RIEN Ni PAS VARO, apt pivgiza di, PA: I vi vd SUR] MI et HU MA, Dito DIR) HU ISTONI LIONE, TIA ni NON (H ti si IRPRER ORO SIOSTS* SIE N 5a ES i ui di. 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MARGHIERI THEODOR OSWALD WEIGEL Libreria Nuova Verlag und Kommissions Buchhandlung i GALLERIA UMBERTO I KONIGSTRASSE 1. NAPOLI LETPZIG NAPOLI R. TIPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI & FIGLI Cisterna dell'Olio Pi Ì Si Ì O q 1909 INDICE DEL VOLUME Ill FaAscicoLo 1. (pubblicato il 25 Luglio 1906) Orlandi S. — La rigenerazione della SAT. spallanzanii Viv. - Tav. Le due figure nel testo . ? Massa D.— Materiali per una Revisione del genere shoes. On: 2-3, Rosa D.—Sui nefridii con sbocco intestinale comune dell’A/loZobophora Antipae Mic8z. - Tav. 4 ed una figura nel testo FascicoLo 2. (pubblicato il 9 Luglio 1907) Noè G.— Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo.- Tav. 5-6 e tre figure nel testo . Comes S.— Ricerche sperimentali sulle zii Morto Gaicho della zona pellucida e degli inclusi dell’uovo dei mammiferi. - Tav. 1-8 FascicoLo 8. (pubblicato il 20 Maggio 1909) Porta A. — Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili. - Tav. 9 Arcangeli A. — Contributo ‘alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco del Box salpa Lin. secondo lo stato funzionale. - Tav. 10-11 ed una figura nel testo. FascicoLo 4. (pubblicato il 25 Gennaio 1909) Masi L. — Descrizione di alcune Cypridae italiane. - Tav. 12. Police G.— Alcune nuove do di Halacaridae del Golfo di Napoli.- Tav. 13-14 s 3 Marcucci E. — Della inserzione medie del nasale gran Lea in alcuni Saurii- Tav. 15 . ‘ Poso O.— Ricerche biologiche ed iosmsucho sugli Echini sari - Tav. 16-18 o Jacino A. — Uovo e larva di Tr sign iCni us Sp. - dan 19 e Liu foto nel testo. pag. 101 pag. È » 165 . 547 409 445 453 479 ARCHIVIO OOLOGIC PUBBLICA LO:SCLTO GLI AUSPICII DELLA UNIONE ZOOLOGICA ITALIANA PER CURA DEL COMITATO DI REDAZIONE VOLUME If. FASCICOLO PRIMO (pag. 1-98) CON 4 PLAVOLE E 3 INCISIONI NEL LESTO per l’Italia per l’ Estero _R. MARGHIERI | _W. JUNK ‘Libreria Nuova Verlagsbuchhand[ung_ GALLERIA UMBERTO | KURFURSTENDAMM 201 NAPOLI BERLIN W. 15. NAPOLI R. TIPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI & FIGLI Cisterna dell'Olio 1906 Pubblicato il 25 Luglio 1906 INDICE Orlandi S. — La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Vv. - Pav.ct-e. duesfigure nélitesto ire ee a a e IS 1 Massa D.,-- Materiali per una Revisione del genere Trochopus.- 14 37Y-o ig 153 MARRA SIP MENSOLA GANGI ni Se DOSI IO SSA TS RR a Rosa D. — Sui netridii con sbocco intestinale. comune dall’ Allolodbo- phora Antipae MicH.- Tav. 4 ed una figura nel.besto===" asa Fear 1) Gli Autori avranno n.° 50 estratti dei lavori pubblicati nell’ Ar-- chivio; non potranno richiederne un numero maggiore a BIONDE? spese. COMITATO DI REDAZIONE Dott..C. BeLLortI , Prof. C. CATTANEO, Prof. 0. Emerx} Prof; Fr. i; Sav. MoxnriceLEI, Prof. C. Parona, Prof. -D. Rosa i Per la pubblicazione dei lavori dirigersi al COMITATO DI REDAZIONE. Estratto dallo Statuto 6 dal Regolamento DELLA UNIONE ZOOLOGIC:A ITALIANA FONDATA NEL 41900 STATUTO >» Arr. 1.°— È fondata un'associazione allo scopo di promuovere e diffondere È la Zoologia intesa nel suo più ampio significato; di agevolare i rapporti DA Rea, cultori di questa scienza e difenderne gli interessi nell’ insegnamento. RES Essa prende il nome di UNIONE ZOOLOGICA ITALIANA ART. 2.0 — Il numero dei Soci dell’ Unione è illimitato. ci Arr. 3.° — La qualità di Socio si acquista con la proposta fatta da > Soci e e coll’approvazione del Consiglio direttivo. : Art. 4° — La quota sociale è fissata in Lire cinque, da pas, enitro i 10 primo trimestre dell’anno, anche per esazione postale. È socio perpetuo chi versa, in una sola volta, lire cento. Oltrechè perpetuo diviene socio benemerito se la somma si versa si eleva Ea a lire einquecento. Re Le due ultime annualità già versate si computano nella somma per diventar FRE socio perpetuo, o benemerito. (segue in 3.° pagiria della covertina) La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. Sbud'ro: del Dott. Sigismondo Orlandi (Libero docente d’ Anatomia comparata nella R. Università di Genova) Con la tavola 1. Introduzione Collo studio della rigenerazione nello Spirographis spallanzanti Viv. non mi proposi di dimostrare l’esistenza del fenomeno in que- sto anellide, perchè dalle esperienze di VanEY e Conte non solo è provato come sia possibile ottenere la rigenerazione tanto cefa- lica che caudale, ma è pure chiaramente definito il processo se- guito nella Pd. delle parti perdute. Le mie osservazioni invece sono dirette piuttosto @ stabilire i limiti entro i quali la rigenerazione è ancora possibile e, sopra tutto, a far rilevare le differenze, che a me sembrano grandissime e degne di osservazione, fra il modo di manifestarsi di questo fe- nomeno nello Spirographis spallanzanti, e nella maggior parte degli altri Policheti non solo, ma anche degli Oligocheti. Se riguardo a questi ultimi l'argomento è stato già ampiamente trattato da nu- merosi e valenti naturalisti, per i primi non si hanno che scarse notizie, di casi rinvenuti per la maggior parte naturalmente, sparse nei lavori che trattano dei Policheti. Solo ultimamente il MricHeL li riunì in un elenco, che io ho cercato di completare con altri casi recentemente descritti, corre- dandolo, per quanto mi è stato possibile, di tutte quelle indicazioni riferite dagli autori e riguardanti tanto la regione perduta che quella rigenerata. E questo con un duplice fine: prima di tutto perchè mi sembrava necessario riunire tutti quei dati che possono servire di base a nuove ricerche; poi per facilitare il confronto tra gli effetti della rigenerazione nello Spirographis spallanzantii e nelle altre specie descritte e metterne quindi meglio in evidenza le differenze. Se esistono tali differenze, e molto rilevanti, è naturale il ri- cercare le cause dalle quali possono essere prodotte, ma questo presenta ben gravi difficoltà, che non pretendo certamente di aver totalmente superato, per cui mi limito ad esporre le mie opinioni in proposito, indicandole solo come probabili cause determinanti. Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. L. 5 2 Sigismondo Orlandi Riferisco per ultimo le mie esperienze sulla rigenerazione delle branchie, considerando specialmente la stabilità del ramo maggior- mente sviluppato, sopra l’uno piuttosto che l’altro lato del capo, ed il ripetersi della primitiva disposizione nelle rigenerazioni suc- cessive di questo organo. Storia Una rassegna degli studi fatti sulla rigenerazione caudale nei Policheti sarebbe di scarso interesse nel caso presente, perchè le mie ricerche sono rivolte in modo speciale alla rigenerazione ce- falica e branchiale. Se la rigenerazione dell’estremità posteriore è tanto comune, specialmente in alcune specie, non si può dire lo stesso per quella che riguarda l'estremità anteriore, sia perchè molto più rari sono gli esemplari naturalmente rigeneranti conosciuti, sia perchè troppo scarso è il numero delle esperienze finora tentate. È il QuarreFAGES (1844, pag. 99) che per primo ha rilevato questo fenomeno in una Eunice sanguinea, la quale presentava la testa ed i primi anelli del corpo del colore particolare, che caratterizza i segmenti posteriori di nuova formazione, deducendo da ciò che i Policheti, come rigenerano facilmente l'estremità posteriore, pos- sono, in circostanze rare ed eccezionali, ricostruire anche la parte anteriore. Tani Riafferma in seguito (1865, pag. 342) questa sua convinzione, attribuendo la grande scarsità di esemplari naturalmente rigene- ranti l’estremità cefalica, al fatto che gli animali, i quali hanno perduto la parte anteriore del corpo, devono essere più sovente divorati dai nemici. Ha tentato in proposito esperienze, ma con risultato negativo, da lui attribuito» alla difficoltà di mantenere gli animali amputati nelle condizioni di vita più favorevoli. Però nella collezione del « Muséum » ha trovato una Diopatra uncinigera che, avendo rigenerato 18-20 segmenti con una testa ben conformata, prova chiaramente che non solo questa rigenerazione è possibile, ma che può effettuarsi per un numero abbastanza considerevele di segmenti. Rigenerazione cefalica hanno riscontrato nella Sabella pavo- nina il DaLveLt (1853, pag. 231) ed il GruBe (1868-69, pag. 109), ed anzi dal primo è stata seguita la rigenerazione di una testa e delle branchie da un’estremità posteriore del corpo 4). 1) Dal CLAPARÉDE (1868, pag. 30). La rigenerazione dello Spiîrographis spallanzanii Vv. 3 Kinpere (1867, pag. 53) ammette questa facoltà rigenerativa per i Policheti e cita un caso di un esemplare, appartenente alla famiglia Amphinomea (Lycaretus neocephalicus), il quale, avendo perduto i primi 32 segmenti, ne rigenerava 9 e la testa !). Il CLapAREDE (1868, pag. 30) ammette che, senza dubbio, un gran numero e forse anche tutti gli Anellidi possono rifare la re- gione anteriore e la testa, come egli ha riscontrato molte volte in alcuni Anellidi marini (Etfeone, Nephtys, ecc... Quindi pone la que- stione, se la parte posteriore rigenera sempre un numero di seg- menti uguale a quelli della regione anteriore perduta. Secondo il suo parere questo è verosimile, tanto più avendo riscontrato un Eteone, il quale aveva rigenerato un moncone anteriore di circa 50 segmenti. Quanto al processo seguito nella rigenerazione crede che la testa sia la prima ad apparire e che quindi i nuovi segmenti si formino successivamente, nel punto di riunione di questa colla regione posteriore, però conclude che questo fatto dovrebbe essere appoggiato da osservazioni positive. Altri casi sono stati descritti dall’ EnLEeRS (1869) per la Dio- patra fragilis, dal BosretzgY (1870) per lo Spio laevicornis, dal JacoBI (1883, pag. 30) per la Polydora quadrilobata, dal LANGERRANS per la Ehlersia rosea, Opisthosyllis brumea (1880, pag. 538 e 542) e Typosyllis variegata (1881, pag. 102). Questa ultima presentava il corpo biforcato all’ estremità anteriore, con due teste, la sinistra seguita da quattro nuovi segmenti e la destra da due. Numerosi sono i casi, tutti di rigenerazione cefalica naturale, registrati dal Sarnt-JosrPH nei suoi lavori sugli Anellidi policheti. Una Syllis variegata (1896, pag. 147) di soli 40 segmenti seti- geri, con una piccolissima testa ed un breve segmento boccale ri- generato, manca di probiscide e di proventricolo; una SyIlis prolifera (1896, pag. 150) ha rifatto la testa, ancora piccola, e manca pure di proboscide e proventricolo. Uguale rigenerazione ha trovato in molti esemplari di Sylls alternosetosa (1896, pag. 154). In uno di questi la testa, molto piccola, ha due palpi, tre antenne moniliformi e quattro occhi, ed è seguita da quattro segmenti rigenerati piccoli ed incolori. Egli crede probabile, sebbene non abbia potuto assicurar- sene, che, continuando la rigenerazione, sarebbero stati rifatti tanti segmenti, quanti ne erano stati perduti e con essi la parte corri- spondente del tubo digerente. Però in un altro caso, in cui pure erano stati rigenerati, oltre alla testa, tre segmenti anteriori, manca 1) Dal CLAPARÉDE pag. 31. 4 Sigismondo Orlandi sempre la proboscide , il proventricolo ed il ventricolo. In una Odontosyllis fulgurans (1595, pag. 176) la testa ed i tre segmenti rigenerati che la seguono sono uniti ad un bottone che comincia a segmentarsi in 3 anelli, i quali non mostrano ancora traccia di parapodi, nè. di setole. Un frammento posteriore di Syllis gracilis (1895, pag. 191) rigenera la testa con 4 occhi, 3 antenne e 2 grossi palpi, un segmento boccale con bocca e 4 tentacoli, 5 segmenti setigeri ed infine 2 segmenti senza setole. Non vi è nè probosci- de, nè proventricolo, ma solamente un rudimento di intestino retti- lineo. Una Lysedice minetta (1888, pag. 211), composta di 50 seg- menti, ha rigenerato la testa ed i primi due anelli, e porta una sola antenna e due enormi occhi, ma è ancora priva di mascelle. Manca invece di occhi un esemplare di Eulalia macroceros (1888, pag. 302) a testa rifatta, col solo primo paio di cirri tentacolari ancora rudimentali. Sopra 7 esemplari di Sabella pavonina (1894, pag. 283), nei quali manca la regione toracica e probabilmente parte dell’ad- dominale, la testa è rigermogliata sul segmento addominale ante- riore, il quale ha i due scudi ventrali, divisi dal solco longitudinale, e da ogni lato setole ventrali marginate ed uncini dorsali non ac- compagnati da setole a zappa. Sopra uno di questi esemplari, a livello del ponte cartilagineo che riunisce i due lobi branchiali dal lato dor- sale, ha rilevato che al 1.° segmento, che è addominale e setigero, vi era un cervello bilobo, portante 2 occhi pigmentati in rosso; inoltre al lato ventrale esisteva la catena gangliare con due fibre tubulari colossali, che non sembravano ancora in comunicazione col cervel- lo. Alle volte gli è capitato anche di trovare qualche esemplare di Potamilla torelli (1894, pag. 298) che stava rifacendo l’estremità ce- falica. In quanto al processo di rigenerazione, gli sembra il seguente: Il 1.° segmento, che è addominale, viene sormontato da un altro senza setole, dal quale si innalzano 4 monconi, rudimenti delle branchie; da queste ricomincia la rigenerazione, appunto perchè esse sono necessarie alla vita dell’ animale. Appariscono quindi i primi segmenti toracici, che si completano a poco a poco, mentre le branchie raggiungono lo sviluppo normale !). Infine ricorda anche una Pota- milla reniformis (1894, pag. 296) che rigenerava le sole branchie. 1) Non è spiegato abbastanza chiaramente se i segmenti toracici vengono totalmente rigenerati, oppure se essi sono dovuti (come mi >:sembra più proba- bile) ad uwua trasformazione dei primi addominali, allo stesso modo che nello Spé- rographis spallanzanii e nella Sabella pavonina. La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. 5 Dal Pruvor (1890, pag. 52) è stata ottenuta la rigenerazione cefalica nella Syllis prolifera e dal Maraguix (1893, pag. 366) nella Syllis (Typosyllis) hyalina *) e nell’ Autolytus longeferiens. Il SouLieR osserva (1891, pag. 46) che pel Branchiomma vesi- culosum la rigenerazione, nei casi nei quali l’animale venne sezio- nato, si verifica generalmente all’estremità posteriore del moncone anteriore. Ha potuto però constatare anche un caso nel quale un moncone posteriore di 35 segmenti, corrispondente alla metà del- l’addome, aveva rigenerato due piccolissime branchie sul segmento addominale anteriore, divenuto primo segmento cefalico. Dalle se- zioni del primo anello ha rilevato la presenza di un cervello assai ridotto e di un esofago molto largo. Mancavano i palpi, le ampolle labbiali, il vestibolo boccale e le glandole periesofagee. In acquario invece non ha. mai veduto prodursi la rigenerazione delle parti perdute, sopra esemplari di Branchiomma sezionati. Ricorda anche uno Spirographis spallanzanii (1891, pag. 48) di grandi dimensioni, che ha rigenerato le branchie, i palpi e le labbra; e molti esem- plari di Potamilla torelli (1903, pag. 6) nei quali il processo di re- integrazione dell’estremità anteriore è lo stesso di quello indicato dal Sarvm-JosEPH. F. BucHanan (1898, pag. 541) ammette di aver frequentemente veduto alcuni Policheti rigeneranti testa o coda (e fra gli altri 4 o 5 Amphinomea, 1 Halla ed 1 Lumbriconereis impatiens), senza pre- cisare in quali casì vi era la rigenerazione dell’ una, piuttosto che dell’ altra estremità. Mesvit (1896, pag. 201) descrive il processo di rigenerazione cefalica osservato in molte Polydora giardi, che principia con un bottone arrotondato e molto irrorato di sangue, il quale in seguito si allunga, dividendosi trasversalmente, mentre compariscono sui lati le setole. Quanto al numero dei segmenti rifatti, ne ha contato 7 in uncaso, nel quale mancavano ancora le setole, 8 in tre esem- plari, nei quali le setole cominciavano ad apparire e 9 negli altri due, nei quali queste erano bene sviluppate. Il numero dei segmenti componenti questi monconi posteriori variava da 23 a 36. Anche un frammento di Polydora armata (1896, pag. 209), di soli 11 setigeri a destra e 10 a sinistra, aveva riprodotto un’ estremità anteriore di 9 futuri setigeri, dei quali solo gli ultimi tre avevano 1,2 o 3 1) Questi due casi della S. prolifera e S. hyalina, sono indicati dal Mic®eL (1898, pag. 405) come ottenuti sperimentalmente, ma a me non è stato possibile consultare i lavori del Pruvor e del MALAQUIN, perciò devo limitarmi alla pura citazione dei due casi. 6 Sigismondo Orlandi setole capillari, molto finì e brevi. Il prostomio era di forma se- micircolare e senza pigmento. Più avanti (pag. 271) esprime la convinzione che nelle specie da lui particolarmente studiate, Neri- ne cirratulus, Pygospio elegans e le Polydora, una parte qualunque dell’anellide possa rigenerare tanto una estremità posteriore, che una anteriore, perchè questi fenomeni sì producono frequentemente ed egli ha potuto realizzarli molto facilmente in acquario per la Nerine cirratulus. Ma di speciale importanza è il caso riferito di una Syllis gracilis (1901, pag. 268), in rapporto alla questione della rigenerazione della proboscide nelle Sillidi, che da alcuni autori, come il Sarnt-JosEPH è ammessa come o da altri come il MavaQuix è negata. Questo frammento di Syllis gracilis, trovata dal MesxIL, apparteneva alla regione media del corpo ed era composto di soli 8 setigeri, probabilmente staccati dopo il 25.° segmento. Da esso era stato rigenerato una estremità posteriore di 8 setigeri, con cirri anali ben sviluppati ed un cirro impari mediano, ed una estremità anteriore !) composta di un prostomio ben conformato con quattro occhi muniti di cristallino e tutte le appendici portate da un individuo normale, d’un metastomio comprendente 14 seti- geri e di una zona, abbastanza lunga, ove i segmenti non erano riconoscibili. Questa regione anteriore racchiudeva inoltre una pro- boscide con tutte le sue parti tipiche, perciò egli conclude che questa osservazione mette fuori di dubbio la possibilità di rigenerazione della proboscide nelle Sillidi e lascia supporre che probabilmente lo stesso deve avvenire anche per le altre famiglie di anellidi rapaci. CauLLERY e MesnIL (1897 pag. 488) riferiscono intorno ad un caso di biforcazione anteriore nella Dodecaceria concharum, nella quale un frammento di 4 setigeri ha rifatto una estremità posteriore di 31 segmenti ed una anteriore di 11. Fra quest’ultima e la regione mediana, a destra si stacca un altro ramo di 32 setigeri. Essi spiegano questo fenomeno come verificatosi per la presenza , all’ estremità anteriore dei quattro setigeri, di un frammento di un quinto, troncato a cuneo, del quale il lato sinistro avrebbe rigenerato una testa ed il destro una coda. E questo sarebbe un caso di eteromorfosi, che si distingue da tutti i casi di biforcazione prima pubblicati, nei quali si era sempre in presenza di monconi che avevano rigenerato al- | l'estremità anteriore due teste od alla posteriore due code. Inoltre 1) Casi di simultanea rigenerazione cefalica e caudale in un frammento di 5-6 segmenti della regione media del corpo, li ha osservati molte volte anche in altri Policheti e particolarmente nella Polydora flava e nell’ Heterocirrus vi- ridis. La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. % in questo la rigenerazione si può considerare come completa, per- ché la Dodecaceria concharum adulta consta in generale di 50-55 segmenti setigeri e l’ asse principale dell’ individuo rigenerato ne conta 49. Rilevano quindi in una nota, che la rigenerazione è molto fre- quente per i Cirratulus e che si trovano di sovente individui con una testa od una coda oppure anche con testa e coda di nuova forma- zione. In un Heterocirrus viridis, un frammento di 6 setigeri, aveva rigenerato le due estremità. Nell’esteso lavoro del Mrc®st (1898) sono riferiti i risultati delle ‘esperienze di rigenerazione, ottenuti specialmente sugli Oligocheti e solo in piccolo numero sui Policheti. Per questi ultimi egli con- stata la difficoltà di rigenerazione con sezioni lontane dalla testa (pag. 280). Monconi posteriori molto numerosi, specialmente di Nephtys o Phyllodoce maculata , che pure avevano in generale la lunghezza di metà dell'animale, sebbene sembrassero molto vivaci nei primi giorni, sono morti ben tosto senza mostrare mai rigene- razione cefalica. Così pure avvenne di un’ Eulalia viridis, vissuta parecchi mesi. Nota però che gli animali non si trovavano nelle condizioni più favorevoli, non essendo costantemente rinnovata l’acqua degli acquarii e che d’altra parte certi esemplari che pre- sentano rigenerazione cefalica naturale, sembrano indicare una per- dita anteriore molto notevole, quantunque questi esempi siano rari. A questo proposito rileva giustamente che la rigenerazione con sezioni metodiche nei Policheti non è stata ancora intrapresa. Egli crede che, nelle parti anteriori di nuova formazione dei Policheti, manchino ordinariamente le corrispondenti: regioni del tubo digerente ‘(proboscide ecc.) e sovente alcune appendici del prostomio e gli occhi. In un C'rratulus (pag. 266 e pag. 282), al quale aveva asportato i primi 5 segmenti, ha veduto formarsi, in due settimane, un bottone rosso, ma l’animale è morto prima che fosse possibile di contare il numero dei segmenti rigenerati. Ha tro- vato inoltre uno Spiophanes bombyx (pag. 266) vivente nel suo tubo, con un bottone cefalico ancora poco sviluppato. Perchè la sezione era stata obliqua, era rimasto un mezzo segmento a sinistra e quindi il bottone era perpendicolare alla sezione e cioè obliquo rispetto all’asse del corpo verso destra. con 6 anelli setigeri da questo lato e 5 dall’altro. Anche il prostomio era anormale, per l’ esistenza a sinistra di tre palpi supplementari. VANEY e Conte (1899) riassumono brevemente i risultati delle loro importanti esperienze relative alla rigenerazione dello Spirographis spallanzanti. Premesso che si debba, secondo il loro parere, abban- 8 Sigismondo Orlandi donare, il metodo dei tagli, per attenersi invece a quello delle lega- ture, essi indicano come procedevano nelle loro esperienze. L’anima- le, estratto dal suo tubo, veniva legato al punto voluto, quindi rimesso nel tubo ed abbandonato nei vivai natanti nella rada di Tamaris. Dopo una diecina di giorni, qualunque fosse la regione dell'addome legata e qualunque la grandezza dell’individuo, l’ani- male si divideva in due parti, l'anteriore che rigenerava un’appen- dice caudale, e la posteriore, della quale il segmento anteriore non tardava a produrre due bottoni, abbozzo di un nuovo pennacchio che in breve si completava, colla prevalenza di un ramo branchia- le sopra l altro. Da questo segmento erano prodotti in seguito i palpi, le labbra, il collaretto , la regione prostomiale ed il seg- mento boccale. Ma specialmente interessanti sono le loro osserva- zioni sul modo col quale i primi segmenti addominali si trasfor- mano in toracici. Tale modificazione incomincia dal primo anello , posto immediatamente vicino alla nuova regione cefalica, e si com- pie progressivamente negli altri. Irami uncinigeri dei parapodi vanno scomparendo, mentre il rilievo dei rami ventrali si attenua grada- tamente e le setole cadono. Allora appariscono nuovi rami uncini- geri toracici sopra aree biancastre poste alla base ed al lato ven- trale degli antichi rami addominali. 1 Negli individui rigenerati rilevano che il numero dei seg- menti toracici non è sempre di 8 e che il solco ventrale arriva fino all’ estremità anteriore del corpo, mentre negli individui nor- mali non oltrepassa il 1.° anello addominale. Infine, avendo tro- vato di sovente in un solo tubo due od anche tre animali sovrap- posti, come pure individui con un certo numero di strozzature lungo il corpo, senza che il tubo presentasse lesioni, concludono che essi sarebbero propensi a credere che la scissiparità possa prodursi natu- ralmente, senza intervento di traumatismi, per cause determinanti che essi ignorano. HS Un caso di rigenerazione cefalica abbastanza strano è descritto dal Fauver (1901, pag. 64) Un frammento di Diopatra neapolita- na che conta 38 segmenti branchiati e 60 abranchiati ed ha per-. duto la testa ed i 4 segmenti che la seguono, ha rigenerato, al margine dorsale del primo segmento, una piccola appendice per- pendicolare all’ apertura dell’ intestino, il quale sembra funzionare da bocca provvisoria. Questa appendice, che misura solo mm. 1 di lunghezza per mm. 0,5 di larghezza, rappresenta una testa e di- versi segmenti setigeri. La testa porta già 3 grandi antenne arti La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. 9 colate alla base e 2 ancora semplici. La bocca manca ed i 4 palpi frontali sono rudimentali. Dei 9 segmenti, che seguono, i primi 3 hanno parapodi e setole, mentre gli altri sono appena dun ZaLENY (1902, pag. 597) ha ottenuta sperimentalmente la rigene- razione della estremità anteriore nell’Hydroides dianthus, con sezioni praticate a diversi livelli della regione toracica, notando che il pro- cesso di ricostruzione della parte perduta progredisce tanto più ra- pidamente, quanto minore è la porzione asportata. Ma le sue osser- vazioni riguardano particolarmente le modificazioni che avvengono negli opercoli rigenerati di questo anellide, il quale ne possiede, allo stato normale, uno sviluppato e funzionante ed uno rudimentale, il primo dal lato destro ed il secondo dal lato sinistro o viceversa. Se è tagliato alla base 1’ opercolo funzionante si sviluppa l’ altro rudi- mentale, fino a raggiungere le dimensioni del funzionante, mentre il primo si riduce ad un bottone della stessa forma del rudimen- tale. Se invece si taglia il rudimentale alla sua base, nessun effetto si produce sul funzionante ed il primo si rigenera. Ma se invece vengono tagliati tanto l’uno che l’altro, entrambi si sviluppano, e quattro giorni dopo l’ operazione la gemma dell’opercolo rudimen- tale è lunga quanto quella del funzionante. Infine se è tagliato il’ corpo nella regione toracica, pare tenda a produrre due opercoli pie- namente sviluppati, ciascuno rassomigliante ad uno funzionante normale. Fra le Maldanidi da me raccolte nel 1895 alla Stazione zoolo- gica di Napoli (OrLANDI, 1908, pag. 160) ho rinvenuto quattro casi di rigenerazione naturale cefalica. In una Clymene collaris, che aveva perduto i primi 3 segmenti, il quarto aveva rifatto un bottone poco sviluppato, ancora senza traccia di segmentazione. Un altro bottone simile al precedente era portato da un’altra CI. collaris alla quale mancavano non meno di 4 segmenti. In una CI. palermitana, che aveva perduti i primi 2 segmenti, invece la parte rifatta, per quanto di diametro trasversale ancora molto minore di quello dei segmenti vicini, era già ben distinta in 2 anelli, cioè il capo munito di pia- stra cefalica con carena e lamina verticale ed il primo segmento setigero, ancora mancante di aculei. Il quarto esemplare Clymene sp. ?, mancante pure dei primi due segmenti, aveva rigenerato la parte perduta e nella testa, oltre alla piastra cefalica con carena e lamina verticale, si poteva distinguere una proboscide ben svilup- pata; però anche in questo il secondo segua era ancora privo di setole e di uncini. i Prospetto riassuntivo delle indicazioni date dagli | SEGMENTI ANTERIORI | SEGMENTI ANTI AUTORE | GENERE 0 SPECIE DESCRITTA ESEMPLARI soon rigira o UE | KINBERG Lycaretus neocephalicus il 32 10 3 BUCHANAN Amphinomea (gen. e sp. ?) 5) (i ? EHLERS Diopatra fragilis —- — iS FAUVEL » neapolitana Il 5 Testa e 6 seg QuUATREFAGES | Eunice sanguinea 1 ? Testa e prim; menti Sant-JosEPH| Lysidice ninetta 1 ? Testa e 2 seg BUCHANAN. Halla 1 ? ? » Eriol: impatiens 1 n ? CLAPARÉDE Nephtys ? n ? LANGERHANS | Syllis (Typosyllis) variegata 1 5 Biforcazione.! 4 segmenti stra e testa menti a sil SAINT-JOsEPH » » » 1 numerosi Testa e 1 seg » » » prolifera 1 p Testa | Pruvor * » » » - = = | SAINT-JOSEPH » » alternosetosa 1 1° Testa e 4 se » » » » AL ? Testa e 3 se; » » » » parecchi ? Testa e ? seg MALAQUIN * do » hyalina e nr 2a | LANGERHANS » (EAhlersia) rosea - =; e SAINT-JOSEPH » gracilis 1 ? Testa e 9 se MESNIL » » il 25 Testa, 14 segi zona indivi LANGERHANS | Opisthosyllis brumea — = ire SAINT.JosEPH | OdontosylMlis fulgurans 1 ? Testa e 6 se MALAQUIN Autolitus longeferiens = = A SAInT-JosePH | Eulalia (Pterocirrus) macro- di ? Testa ceros CLAPARÈDE Eteone 1 o 50 segme » » parecchi ? ie | MicgEL * Cirratulus 1 5 Bottone ind N.B. Con * sono segnati è casi di rigenerazione sperimentale; con? è indicata la n nerazione ; con — è indicata una uguale mancanza di dati dovuta invece all’ autore d Li | CI GENERE 0 SPECIE DESCRITTA ESEMPLARI SEGMENTI ANTERIORI SEGMENTI ANTERIORI PERDUTI RIGENERATI Dodecaceria concharum 1 ? Testa e 10 segmenti Heterociîrrus viridis 1 numerosi numerosi Clymene collaris Il 3 Bottone indiviso » » Il 4 » » » neapolitana 1 2 Testa e 1 segmento » Sp. ? 1 9 » » Spio laevicornis — E - Spiophanes bombyx 1 ? Testa e 5 segmenti Nerine cirratulus ? ? n Pygospio elegans ? ? ? Polydora quadrilobata eo ia RE » giardîi 1 numerosi 7 » » VO » 8 » » 2) i » 9 » armata il » 9 » fava ? ? ? Sabella pavonina — = Testa e branchie » » Di NA 1 » » ‘ Testa, torace e par- | Testa e branchie te dell'addome Branchiomma vesiculosun 1 ? Testa e branchie Potamilla torelli parecchi | Testa, torace e par-| Testa e branchie te dell'addome » » » » Testa e branchie » reniformis 1 Branchie Branchie Spirographis spullanzaniti nl ? Branchie, palpi e labbra » » parecchi numerosi Testa e branchie Hydroides dianthes parecchi | Capo e regione to- | Capo e regione to- racica racica ‘elativi al numero dei segmenti, dovuta all’autore che ha descritto il caso di rige- resa la citazione. Prospetto riassuntivo delle indicazioni date dagli aj i casi di rigenerazione cefalica nei Policheti SEGMENTI ANTERIORI I SEGMENTI ANTE] AUTORE | GENERE 0 SPECIE DESCRITTA ESEMPLARI E RIGENERA ATTORE a 1 32 10 KinBERG Lycaretus neocephalicus ULLERY E 7 2 2 ESNIL BUCHANAN Amphinomea (gen. e Sp. ?) 5 +13 — SN » FEHLERS Diopatra fragilis = ; DANDI FAUVEL » meapolitana 1 ) Testa e 6 segni ; ; ? Testa e primig ? 9 ice sanguinea 1 : primi QuarreraGes | Eun U/ menti n. da P 9 Samm-Josern | Lysidice nimetta 1 ? Testa e 2 Segna » ? | BUCHANAN. Halla 1 : È \OBRETZKY o SUE a 0) » Lumbriconereis impatiens 1 5 ? [icHEL a D) 5) È CLAPARÉDE Nephtys ? 5 E ISNIL * n n . 9 Sip 20 LANGERHANS | Syllis (Typosyllis) variegata 1 £ Biforcazione. 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Con sono segnati î casi di rigenerazione sperimentale; con? è indicata la mati, relativi al n nerazione ; con — è indicata una uguale mancanza di dati dovuta invece all’ autore I GENERE 0 SPECIE DESCRITTA Dodecaccria concharum Heterocîrrus viridis Clymene collaris » » » neapolitana » Sp. 2 Spio laevicornis Spiophanes bombyxa Nerine cirratulus Pygospio elegans Polydora quadrilobata » 9 iardi » » » » » armata » fava Sabella pavonina Branchiomma vesiculosum Potamilla torelli » » » reniformis Spirographis spullanzanii » » Hydroides dianthus ESEMPLARI | SEGMENTI ANTERIORI PERDUTI SEGMENTI ANTERIORI RIGENDRATI . ? Testa e 10 Segmenti ! numerosi numerosi I 3 Bottone indiviso 1 4 x $ 1 2 Testa e 1 segmento 1 2 5 a 1 D Testa e 5 segmenti 2 ? ? ? ? 9 1 numerosi 7 È » 8 2 » 9 1 » 9 2 ? 2 = — Testa e branchie 7 Testa, torace epar- | Testa e branchie te dell'addome 1 ? Testa e branchie parecchi | Testa, torace e par-| Testa e branchie te dell’addome » » Testa e branchie 1 Branchie Branchie 1 5 Branchie, palpi e labbra parecchi numerosi Testa e branchie parecchi | Capo e regione to- | Capo e regione to- racica racica a 1 numero dei segmenti, dovuta all’ autore che ha descritto il caso eni Presa la citazione. 12 Sigismondo Orlandi Riassunto delle Esperienze (Spirographis spallanzanii Viv.) Rigenerazione cefalica Esperienza I. -(1.° marzo 1902). 14 esemplari vengono tagliati trasversalmente fra la regione toracica e l’addominale; il giorno 6. sono morti tutti i monconi anteriori ed 8 dei posteriori e due giorni dopo altri 3 di questi ultimi. Per gli altri ho notato: N.° 1. Alla fine di marzo la ferita è cicatrizzata all’estremità anteriore, ma non è comparsa ancora nessuna parte di nuova for- mazione. In aprile comincia ‘il processo di rigenerazione ed al prin- ‘ cipio del mese susseguente il primo segmento addominale ha rifatto la testa e le branchie. Dopo 18 giorni è completa anche la tra- sformazione dei parapodi dei primi 6 segmenti in parapodi toracici. + N.° 2. Dopo 28 giorni che il moncone posteriore è stato stac- cato dall’anteriore appare all’ estremità del primo un piccolo bot- tone. Al principio di maggio sì sono formate tanto la testa che le branchie ed al 15 dello stesso mese è completa la trasformazione dei primi 6 parapodi. N.° 3. Un piccolo bottone compare all'estremità anteriore dopo 20 giorni ed alla fine di marzo anche due piccoli ciuffi di branchie, le quali si completano dopo un mese. Al 13 maggio è avvenuta anche la trasformazione dei primi 6 parapodi addominali in toracici. Esperienza II.®-(26 aprile 1902). Due esemplari vengono legati con filo, uno fra la regione toracica e l’addominale, e l’altro, avente branchia spirale destra, all’ estremità posteriore, ad un quarto della lunghezza totale del corpo, che corrisponde all’ incirca alla metà dei segmenti addominali, perchè se ne contano 100 sotto la lega- tura e 102 sopra. Dopo un mese il primo individuo si divide, ma 1 due monconi in pochi giorni muoiono. Nell’altro il distacco delle due parti avviene al 5 maggio. | N.° 4. (Fig. 3 e 4). Dopo 14 giorni il moncone posteriore ha gia rigenerato un bottone, che porta a destra un piccolo ciuffo di filamenti branchiali della lunghezza di mm. 1. Questa branchia al 26 maggio ha raggiunto i mm. 2 di lunghezza' e tende a ravvol- gersi a spirale. A sinistra pure vi sono filamenti branchiali, ma La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. 13 molto più brevi. Al 7 giugno è sempre più accentuata la spirale destra e sì sono rigenerati anche i palpi, le labbra e del collaretto 1 due soli lobi anteriori. Fra il segmento boccale ed il primo ad- dominale del moncone, sono stati rigenerati inoltre due nuovi seg- menti, di colore biancastro, più brevi dei seguenti e muniti di | piccoli parapodi. (Fig. 4, sr1, sr°) Essi posseggono però il solco | mediano, caratteristico degli addominali, invece dello scudo trasver- | sale dei toracici. L’ animale muore il 10 luglio, senza che sia com- pleta la trasformazione dei parapodi anteriori. Esperienza IIIa -(26 maggio 1902). 8 esemplari, dei quali 3 ven- gono legati all’ estremità posteriore del corpo (da !/ ad 1/3 della lunghezza totale) e 5 vengono tagliati trasversalmente (8 fra la re- gione toracica e l’addominale, 1 fra il 7.° e 1'8.° segmento toracico ed 1 obliquamente fra il 5.° ed il 7.° segmento toracico). Nello spazio di 6 giorni sono tutti morti. Esperienza IV.a-(20 novembre 1902). 14 esemplari a branchia spirale sinistra sono legati fra la regione toracica e l’addominale e 8 esemplari, a branchia spirale destra, nella regione addominale, ad 1/1 della lunghezza totale. Dopo 7 giorni tutti sono morti. Esperienza V.8-(13 dicembre 1902) 2 soli esemplari sono messi in osservazione. N.° 5. Un individuo completo a branchia spirale destra viene tagliato trasversalmente fra la regione toracica e l’addominale. Solo al 6 gennaio (1908) il segmento addominale del moncone posterio- re ha rifatto 2 piccoli bottoni !). Dopo 22 giorni si distinguono 1 filamenti delle branchie, che sono ancora simmetriche e della lun- ghezza di mm. 1. Raggiungono i mm. 3 !/s al 5 febbraio, allorchè anche il collaretto comincia a venire rigenerato. Il ravvolgimento a spirale nella branchia destra si manifesta solo all’ 11 marzo, ma è bene definito al principio di aprile, quando i suoi filamenti hanno raggiunto i mm. 17 di lunghezza. Contemporaneamente si com- pleta il collaretto e comincia la trasformazione -dei primi 6 pa- rapodi. N.° 6. L'animale completo e normale, con branchia spirale si- nistra, viene sezionato fra il 4.° ed il 5.° segmento toracico. Al 6 gennaio (1903) si ha a sinistra un piccolo ciuffo branchiale di mm. 1) L'acquario si trovava in un ambiente nel quale la temperatura si era molto abbassata durante il mese di dicembre. 14 Sigismondo Orlandi 1 di lunghezza, il quale va sviluppandosi in seguito, raggiungendo i mm. 4 al 5 febbraio, senza che a destra sia ancora comparsa l’altra branchia. Solo dopo 9 giorni, da questo lato compare un bottone e poco tempo dopo anche i filamenti branchiali. I due pen- nacchi si mantengono però sempre molto disuguali in lunghezza ed al 27 febbraio il sinistro raggiunge i mm. 7, il destro solo i mm. 3. Contemporaneamente appare il collaretto, che si completa solo al 3 aprile, ed incomincia la trasformazione dei parapodi dei primi 3 segmenti addominali , i quali si completano verso l’ 8 di maggio. Esperienza VI.®-(10 giugno 1903). 4 esemplari sono tagliati fra la regione toracica e l’ addominale, un quinto si divide natural- mente nella regione posteriore dell'addome. Dei primi uno muore dopo 4 giorni ed un altro dopo 10 giorni. N.° 7. Questo individuo, di dimensione media, con spirale de- stra, dopo 9 giorni che gli è stata asportata la regione toracica , ha già rimarginata la ferita e rigenerato 2 piccoli ciuffi branchiali simmetrici , lunghi mm. 0,5. Dopo 11 giorni, quando le branchie hanno raggiunto la lunghezza di mm. 1, sono di nuovo asportati i primi 18 segmenti, per osservazioni anatomiche, ed il nuovo mon- cone posteriore al 9 luglio ha di nuovo rifatto le due branchie di mm. 0,4 di lunghezza, con accenno di spirale destra, le labbra ed in piccola parte il collaretto. N.° 8. Anche questo individuo, con branchia spirale destra, ha rifatto due ciuffi branchiali di mm. 1 di lunghezza dopo 11 giorni dall'operazione, ma al 5 luglio muore senza aver rigenerato altre parti del corpo. N.° 9. (Fig. 5 e 6). Nel moncone, staccatosi naturalmente dal- l'estremità posteriore del corpo di un animale di grandi dimensioni, dopo 8 giorni la ferita è rimarginata. Esso misura cm. 1 di lun- ghezza e consta di soli 50 segmenti, ma probabilmente, deve averne perduti, precedentemente, altri all'estremità posteriore, essendo gli ultimi del moncone di lunghezza ancora abbastanza rilevante, in paragone dei corrispondenti degli esemplari completi. Al 9 giugno sono rifatti già dei ciuffi di branchie di mm. 0,5 di lunghezza, i quali alla fine dello stesso mese raggiungono i mm. 5. Nello stesso tempo comincia a formarsi il collaretto e fra questo ed il primo segmento del moncone si scorge un altro segmento di nuova for- mazione (Fig. 6, sr), con piccoli parapodi e solco ventrale come La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. 15 nel N.° 4. Dei parapodi addominali si trasformano in toracici quelli portati dai primi 6 segmenti (Fig. 6, pt). Esperienza VII.=-(26 novembre 1903). 3 esemplari normali ven- gono legati alla loro estremità posteriore, in modo che il moncone addominale non conta che 50-55 segmenti ed ha una lunghezza di soli mm. 5. N.° 10, 11 e 12. (Fig. 8). Uno di questi si stacca dal corpo dopo 5 giorni, un altro dopo 7 ed il terzo dopo 8. La ferita non tarda a rimarginarsi, si forma alla estremità anteriore un piccolo bottone : bilobo, di color giallo, ma i tre esemplari muoiono dopo 2 mesi senza aver rigenerato nessun’ altra parte. Rigenerazione delle branchie. Esperienza II=-(30 aprile 1902). N.° 13. (Fig. 7). Ad un moncone anteriore, naturalmente stac- catosi nel tubo, sono tagliate alla base le branchie, delle quali la sinistra è ravvolta a spirale, e dopo 13 giorni si ha a destra una piccola gemma biancastra con qualche filamento, ed a sinistra un piccolo ciuffo branchiale. Al 19 maggio queste due branchie hanno raggiunto i mm. 5 di lunghezza e la sinistra si ravvolge già su se stessa al margine ventrale. Questa sola viene tagliata di nuovo alle base e dopo 5 giorni, al suo posto, sono rifatti già alcuni nuovi filamenti brevi (br.s.) mentre la destra (0r.d.) accrescendosi, sembra tenda a ravvolgersi pure a spirale. Però al 7 giugno, quando le due branchie hanno raggiunto la lunghezza di cm. 1, al lato ven- trale si ha bensì un principio di ravvolgimento interno in entrambe, ma la prevalenza è ancora della sinistra, sebbene ripetutamente amputata. | Dopo un mese l’animale muore senza che si verifichi un no- | tevole accrescimento branchiale. Esperienza V.8 - (13 dicembre (1902). N.° 14. All'esemplare N.° 5, a branchia spirale destra, il quale ha già rigenerato il doppio pennacchio con prevalenza del ramo destro, al 20 aprile vengono di nuovo tagliate le sole branchie alla loro base. Dopo un mese sono rigenerati nuovi filamenti branchiali con barbule, ma i due rami non sono ancora abbastanza svilup- pati, perchè uno abbia una prevalenza sopra l'altro, quando l’ani- male muore al 7 giugno. 16 Sigismondo Orlandi N.° 15. Al 4 marzo sono di nuovo tagliate alla base le branchie anche all’esemplare N.° 6 che, come $i è visto precedentemente, è stato sezionato fra il 4.° ed il 5.° segmento toracico ed ha rifatto il pennacchio branchiale, ripetendo la primitiva disposizione della spirale sinistra. In un mese si hanno due nuovi ciuffi di mm. 12 di lunghezza, con tendenza del sinistro a ravvolgersi a spirale. Esperienza VIILa - (27 gennaio 1904). Sono messi in esperienza 6 esemplari, tagliando loro la sola branchia spirale sinistra; 5 sono mantenuti nel loro tubo, ma al sesto questo viene tolto. N.° 15-20. Dopo due settimane sono comparsi al lato sinistro brevi filamenti, i queli vanno gradatamente sviluppandosi e rag- giungono in 2 mesi cm. 2 di lunghezza , con ravvolgimento del margine ventrale di circa mezzo giro di spira. Solo nell’esemplare tenuto fuori dal tubo si nota uno sviluppo minore nella lunghezza dei filamenti rifatti. Al principio di maggio la lunghezza delle due branchie, destra e sinistra, è quasi uguale e la seconda descrive un giro completo di spirale, senza che nell’altra si sia verificata al- cuna modificazione, in conseguenza dell’amputazione della sinistra. Rigenerazione caudale. Esperienza I.8- (1 marzo 1902). 14 esemplari vengono tagliati fra le regioni toracica e 1’ addominale, ma tutti i monconi ante- riori muoiono dopo 6 giorni. Esperienza IL?-(26 aprile 1902). N.° 21. (Fig. 7) Questo è un esemplare che si era diviso na- turalmente verso la metà del corpo. Il moncone anteriore rigenera presto un’estremità caudale, che al 7 giugno è distintamente divisa in 25 segmenti, ma ancora di un diametro trasversale molto mi- nore di quello dell’ estremità che lo porta e di forma conica (er.). Contemporaneamente rigenera anche le branchie che gli vennero amputate. i N.° 22. Un esemplare normale perde, in seguito ad una lega- tura, gli ultimi 75 segmenti. La ferita guarisce in 13 giorni e dopo altri 6 si è formato un bottone conico costituito di numerosi seg- menti, ma l’animale muore prima che si completi maggiormente la parte che sta sviluppandosi. N.° 23. Anche in questo è stata praticata una legatura, in modo che restano al disopra di essa 110 segmenti e al disotto 100. Av- venuta dopo 9 giorni la separazione delle due parti, si forma nello La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. 17 spazio di altri 14 un bottone conico, diviso in 12 segmenti, ma poco tempo dopo anche questo esemplare muore. N.o 24. La sezione in questo esemplare è stata praticata obli-. quamente dal 7.° parapodo toracico destro al 5.° addominale sini- stro. Al 18 maggio la ferita del moncone anteriore è completa- mente rimarginata, ma dopo 12 giorni l’animale muore senza aver rigenerato alcuna parte, nè aver completato i segmenti tagliati per metà. Esperienza III.* - (26 maggio 1902). 3 individui sono tagliati fra la regione toracica e l’addominale ed un quarto fra il 5.° segmento di sinistra ed il 7.° di destra, ma tutti i monconi anteriori muoiono dopo 4-6 giorni. Confronto fra la rigenerazione degli Oligocheti e quella. dei Policheti Per uno studio ordinato e metodico della rigenerazione nei Policheti, quale finora non fu peranco tentato, non è necessario solamente conoscere tutti i casi descritti, ma occorrerà pure di so- vente confrontare il modo di manifestarsi di tale fenomeno in questi anellidi, con quello meglio studiato e conosciuto di altri animali e specialmente degli Oligocheti. Sarà utile quindi ricordare il lavoro del Mrcast (1898), il quale si occupò della rigenerazione negli Oligocheti in modo speciale , riassumendo e discutendo le osservazioni e le esperienze fatte prece- dentemente da altri autori sopra questi anellidi. Egli afferma che le sue ricerche lo hanno condotto alle stesse conclusioni della maggior parte degli autori antichi e moderni, i quali ammettevano la realtà di questo potere rigenerativo e l’ esistenza di un limite per la ri- generazione. Per il limite della sezione, nella rigenerazione caudale, crede che allorquando il moncone anteriore è troppo breve e si è raggiunta la regione differenziata, gli animali muoiono senza traccia di rigenerazione. Quando invece è possibile la formazione di nuovi segmenti, il numero di questi aumenta per un certo tempo all’ e- stremità della gemma, ma poi si arresta (AlWlolobophora foetida). Inol- tre, nella coda, il numero degli anelli nuovi aumenta col numero di quelli levati, almeno quando questo non è troppo grande. Per la rigenerazione cefalica crede che tuttii Lombrici siano capaci di rigenerazione, e riguardo al limite così si esprime « On peut conclure avec Sparnanzani, Morgan, HescHELER que le po u- Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 1. 2 18 Sigismondo Orlandi voir régénerateur diminue en s’éloignant de l’extrémité anté- rieure, et que sì on ne peut pas tracer de limite absolue, il n’en est pas moins vrai qu’ il y a une limite relative, cor- respondant à l’extrémité postérieure de la région géni- tale; en arriére de cette limite, la régénération ne se fait presque jamais, et peut-étre en fait ne s'achève jamais; en avant elle se fait presque toujours, d’autant plus facile qu'elle est plus antérieure » (pag. 280). I primi anelli sarebbero poi rigenerati in numero un poco va- riabile, che di solito è uguale o quasi a quello dei perduti, ed oltre un certo limite, la rigenerazione metterebbe capo ad una reintegra- zione ridotta di 3-5 segmenti. Quanto ai differenti gradi di rigenerazione più o meno com- pleta egli li definisce nel modo seguente:- Riparazione: Cicatriz- zazione, nuova formazione degli orifici, - Rigenerazione (pro- priamente detta): Gemmazione, Segmentazione, Reinte- grazione (totale quando la parte è completamente rigenerata con tutti i suoi segmenti ed i suoi organi, parziale, e ridotta. al minimo). Passando ai Policheti noi possiamo prima di tutto rilevare per essi la grande frequenza della rigenerazione caudale, tanto che viene generalmente considerata come possibile per tutte le specie, ma va ricordato che il FauveL (1898, pag. 2 e 1899, pag. 296) non V’am- mette per l’Arenicola ecaudata e per l’Arenicola grubu, perchè non ha mai veduto anellidi di queste specie, che presentassero una estre- mità posteriore rigenerata. quantunque essi si dividano molto. fre- quentemente per autotomia. Manchiamo però di dati sperimentali, che possano confermare con certezza questa ipotesi. Per la rigenerazione cefalica non si conosce che un numero molto limitato di casi, la maggior parte dei quali, rigenerati na- turalmente, si riferiscono a 36 specie e gli altri, ottenuti sperimen- talmente, riguardano solo 6 specie, come si può rilevare dall’ unito prospetto, nel quale ho cercato di riunire tutti questi casi cono- sciuti, colle indicazioni date dagli autori e già da me riassunti nel capitolo storico. E questo ho fatto per vedere di fissare, per quanto è possibile, qualche dato relativo ai differenti gradi, nei quali può presentarsi la rigenerazione cefalica nei Policheti, confrontata con quella degli Oligocheti. Così, mancando di dati sperimentali, che ci conducano a sicure conclusioni, possiamo tuttavia già stabilire almeno per 40 specie La rigenerazione dello Spiîrographis spallanzanii Viv. 19 la possibitità diunarigenerazione cefalica. Inoltre pare possibile, per molte di queste, una reintegrazione totale come per Diopatra neapolitana, D. uncinigera, Eunice sanguinea, Dodeca- — cerîa concharum, Syllis gracilis, Eteone, Clymene neapolitana, Clymene sp.?, Hydroides dianthus e forse altre, le quali oltre alla testa hanno rifatto un numero rilevante di segmenti, colla corrispondente regio- ne anteriore del tubo digerente, talora ben distinta. Per altri esemplari invece il numero dei nuovi segmenti è molto inferiore a quello dei perduti, così che sembrano piuttosto casi di reintegrazione parziale quelli della Sylls alternosetosa, S. gra- cilis, Lycaretus neocephalicus ecc., e di reintegrazione ridotta quelli della Syllis variegata, S. prolifera, Eulalia macroceros, Sabella pavonina, Branchiomma, Potamilla torelli, Spirographis spallanzani. Ma qui va notato che, se si può attribuire grande valore ai primi dati positivi, altrettanto non si deve accordare agli altri ne- gativi, quando si tratta di rigenerazione naturale, perchè eviden- temente ci rimarrà sempre il dubbio che gli stessi animali, se ave- sero continuato a vivere nel loro ambiente naturale ed in condi- zioni favorevoli, forse avrebbero completata la parte manéante, anche quando la sola testa è rigenerata, perchè si crede (CLAPARÈDE, Sannt-JosePH), almeno per alcune specie, che essa sia la prima a formarsi e successivamente vengano rigenerati gli altri segmenti, fra questa ed il segmento che l’ ha rifatta. Dove è stata trovata costantemente una rigenerazione che si presenta sotto un aspetto tutto affatto speciale e che si può ascri- vere con certezza alla reintegrazione ridotta, tanto nei casi rinvenuti naturalmente, che in quelli ottenuti sperimentalmente, è nello Spirographis spallanzanii e forse in tutte le Sabellidi, ma di essa tratteremo in seguito. Sempre in causa della mancanza di osservazioni sperimentali, nulla sappiamo riguardo ai limiti oltre i quali non è più possibile la rigenerazione. Per la cefalica il MrczeL ha constatato difficoltà di rigenerazione per sezioni lontane dalla testa, tanto che monconi posteriori di Nephtys, di Phyllodoce maculata e di una Eulalia vi- ridis, che pure avevano la lunghezza di metà del corpo, sono morti senza presentare mai rigenerazione cefalica. Egli non esclude però che si possa attribuire questo insuccesso al fatto, che gli animali non si trovano nelle condizioni più favo- revoli, perchè non era costantemente rinnovata l’acqua degli ac- 20 Sigismondo Orlandi quarii, tanto più che il MesnIL ottenne la rigenerazione di bottoni cefalici. in monconi di qualsiasi lunghezza per la Nerine cirratulus. Esempi di rigenerazione cefalica e caudale simultanea, che nello Spirographis spalanzani è abbastanza frequente e facile ad otte- nere sperimentalmente, si hanno nella ,Syllis graceis, Dodecaceria concharum ecc. Considerazioni sulla rigenerezione cefalica dello Spirographis spallanzanii Dalle esperienze di VanEv e Conte è stato dimostrato che , provocando la divisione del corpo dello Spirographis spallanzanti in un punto qualsiasi, il moncone anteriore rigenera una coda ed il posteriore una testa colle branchie e tutte le appendici da essa portate, e sempre questa sola, per quanto grande sia il numero dei segmenti perduti. In seguito i primi segmenti addominali (6-8), che seguono immediatamente la nuova testa, subiscono una trasforma- zione dei parapodi, i quali, coll’ inversione dei due rami portanti setole od uncini, assumono la forma propria dei toracici 4). Sarebbe dunque questo un caso di reintegrazione ri- dotta in massimo grado, se non si rigenera mai più di un seg- mento, il prostomio, anche per perdite di parti rilevantissime del corpo, e mi è sembrato che meritasse di essere attentamente stu- diato, perchè differisce da quanto avviene negli altri Policheti, ec- cetto le Sabellidi, nei quali oltre alla testa è generalmente rigene- rato anche un certo numero di segmenti. I risultati delle mie esperienze mi porterebbero a concludere che, allorquando la parte anteriore asportata si riduce ai soli seg- menti toracici od a questi ed un piccolo numero di addominali (vedi numeri 1, 2, 3, 5, 6,7 e 8) non viè dubbio che tutto pro- ceda nel modo indicato dagli autori sopracitati, ma se il moncone posteriore si compone di un numero di segmenti inferiore alla metà di quelli dell’intero corpo, si comincia a notare qualche variazione nel modo di rigenerazione , come si può vedere nei due casì se- guenti : L’esemplare N.° 4 (Fig. 3 ) era stato legato posteriormente ad un quarto della lunghezza totale del corpo, mentre rispetto al nu- 1) Per maggiori particolari vedi il capitolo storico. La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. 21 ‘ mero degli anelli se ne contavano all’incirca 110 al disopra della legatura e 100 al disotto. Avvenuto il distacco delle due parti, il moncone posteriore in breve rigenera le labbra, i palpi ed i due lobi anteriori del collaretto, ma fra il segmento prostomiale ed il primu addominale, che l’ha rigenerato, si sono formati anche due nuovi. segmenti, ancora molto brevi, di color bianco, e già muniti di pic- coli rilievi laterali. al posto dei parapodi (Fig. 4, sr!, sr?). Sul lato ventrale però mancano dello scudo proprio dei toracici e presen- tano invece il solco mediano, come gli addominali. L'animale muo- re dopo un mese, prima che sia avvenuta la trasformazione dei primi parapodi addominali in toracici. L’ altro esemplare N.° 9 (Fig. 5), staccatosi naturalmente dal corpo di un animale di grandi dimensioni, non misurava che cm. 2 di lunghezza e si componeva di 50 segmenti, ma molto proba- bilmente doveva averne perduti precedentemente parecchi all’estre- mità posteriore , perchè questi nell’ anellide completo sono molto più brevi ed avvicinati, che non fossero quelli componenti questo moncone. In breve tempo si ha la rigenerazione del prostomio con palpi, labbra, branchie ed un piccolo collaretto (Fig. 6). Ma fra il prostomio ed il primo segmento addominale si è formato pure un nuovo segmento privo di scudo ventrale (sr.), e con solco me- diano, come nel precedente esemplare. In seguito i parapodi dei primi 6 segmenti addominali si trasformano in toracici (pt.). Questi risultati dimostrano che non si può dire in modo asso- luto, che la rigenerazione si riduce in tutti i casi, qualunque sia il punto di divisione del corpo, alla ricostruzione del solo prosto- mio colle relative appendici, ma che quando la sezione è molto arretrata, forse oltre la metà dei segmenti componenti l’ intero corpo, come: nei due casì sopra descritti, oltre al capo può essere rigenerato anche qualche altro anello addominale. Pare però che si possa escludere assolutamente la rigenerazio- ne dei segmenti toracici, collo scudo ventrale ti- pico. Quanto al limite delle sezioni, le esperienze che ho potuto con- durre a termine non sono abbastanza numerose per poterlo stabi- lire con precisione, ma tuttavia ho osservato che, allorquando la divisione era praticata nella regione toracica o fra. questa e l’ad- dominale, i monconi anteriori potevano anche vivere per un certo tempo, ma non si aveva mai la rigenerazione di al 22 Sigismondo Orlandi cuna parte perduta, per quanto la ferita sembrasse bene ci- catrizzata 1). Riguardo al limite per la rigenerazione cefalica ho già detto che è possibile anche per monconi posteriori, che contano meno della metà del numero totale dei segmenti del corpo, ma essa cessa se il numero di questi ultimi diminuisce di molto. Così ho veduto in tre esemplari completi e normali che, praticando una legatura ad !/3 della lunghezza del corpo, in modo che posteriormente ri- manessero solo 50 segmenti, i monconi caudali, di circa mm. 5 di lunghezza, si sono staccati dopo 5-8 giorni e la ferita in essi non tardò a rimarginarsi. (Fig. 8). Tutti gli esemplari (N.° 10, 11, 12) rigenerarono anteriormente un piccolo bottone bilobo di color giallo- pallido, ma gli animali morirono dopo 2 mesi, senza aver rifatta la testa, nè alcuna altra delle parti perdute. Adunque per una sezione molto arretrata (in questo caso oltre i 4; delnumero totale dei segmenti) il moncone poste- riore perde il potere di rigenerare anche la testa. Ma anche entro questi limiti, come ho già detto, la rigenera- zione mette sempre capo solamente ad una reintegrazione ridotta, a differenza di quanto avviene nella maggior parte dei policheti e conseguentemente si deve ammettere l’ esistenza di una causa, che determini una simile differenza nella manifestazione di tale fenomeno in animali dello stesso ordine. Ma noi ignoriamo quale sia tale causa determinante, nè mi sembra facile l’indicarla, perciò mi limiterò ad esporre le ipotesi che mi sembrano più pro- babili. A tutta prima si potrebbe credere che questo fatto fosse da attribuire ad una diminuzione del potere rigenerativo di questi anellidi. Ma se si considera un segmento qualunque del corpo, entro i limiti nei quali si effettua la rigenerazione tanto ce- falica che caudale, ad esempio il segmento 100°, si vede che ta- gliando il corpo al disotto di questo , cioè fra il 100° ed il 101°, il primo ha potere di rigenerare un'appendice caudale composta di un numero rilevante di segmenti, mentre se si divide il corpo fra il segmento 99° ed il 100°, quest’ultimo, che nel caso precedente avrebbe rifatto una coda, ora non rigenera mai numerosi segmenti, ma solo una testa ed in casi eccezionali uno o due segmenti Ora, se tale riduzione del numero degli anelli anteriori rigenerati fosse 1) Vedi il « Riassunto delle esperienze ». La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. 23 da attribuire ad una diminuzione del potere rigenerativo, lo stesso segmento 100°, che in questo caso avrebbe perduto in gran parte tale potere, dovrebbe pure essere incapace di rifare un’estremità cau- dale composta di numerosi segmenti. Si deve adunque senz’ altro escludere questa dalle cause probabili che possono determinare tale reintegrazione ridotta. Maggior valore a me sembra si possa attribuire , almeno in parte, al dlfferenziamento dei segmenti nelle diverse regioni del corpo ed alla costituzione anatomica, con accentramento nella re- gione toracica di date funzioni, come a fatti che vanno sempre più accentuandosi nei Policheti tubicoli, e specialmente nelle S er- pulacee. Riguardo alla morfologia esterna sono notevoli nello Spiro- graphis spallanzani le differenze metameriche nelle regioni cefa- lica, toracica ed addominale. Per questa ultima, che si può dire costituisca quasi la totalità del corpo, le differenze fra segmento e segmento sono minime e si riducono ad una minore grandezza degli ultimi rispetto ai mediani. Differiscono invece notevolmente dai precedenti i segmenti della regione toracica, per la presenza di uno scudo ventrale, non diviso dal solco mediano e per l’inver- sione dei rami dei parapodi, con uncini ventrali e setole dorsali. Ma i più notevoli differenziamenti morfologici esterni si trovano nel prostomio il quale, oltre alla bocca, labbra, palpi e collaretto, porta uno sviluppatissimo pennacchio branchiale. Ma a questa localizzazione esterna di organi differenziati nella estremità anteriore, ne corrispondono altre, e ben più importanti, nella organizzazione interna, alle principali delle quali accennerò brevemente. Il-tubo digerente (SouLier, 1891, pag. 107-117) comincia con una bocca apicale, formata da due labbra cigliate ed il labbro dor- sale porta due palpi. L'esofago si estende dall’orificio boccale fino al diaframma che separa il secondo dal terzo segmento e ad esso seguono lo stomaco e l'intestino , formato da una serie di sacchi ovoidi. Per la forma non vi è distinzione fra stomaco ed intestino, solo le papille sono più numerose nella regione toracica, che nel- l’addominale. L’ano è terminale e si apre liberamente a livello del- l'estremità posteriore del solco ventrale. Il sistema circolatorio (JAQUET, 1885, pag. 359-392) è costituito da un vaso longitudinale ventrale, che decorre lungo tutta la re- ‘gione addominale, mentre nella toracica nou esiste più sotto forma 24 Sigismondo Orlandi p=1 di vaso unico, ma si divide in piccoli rami, perchè qui avviene la mescolanza del sangue venoso coll’arterioso. Nell'intervallo fra due diaframmi il vaso ventrale emette da ogni lato un ramo sinuoso, che si porta alla base dei fasci di setole. Quivi si divide in una quantità di ramuscoli che si estendono in tutte le direzioni. L’ intestino è circondato da una guaina vasco- lare, che compie l’ufficio di vaso dorsale. Inoltre ad ogni lato della linea dorsale mediana vi è un altro vaso, di dimensioni abbastanza grandi, a pareti proprie ed a percorso sinuoso, dal quale partono ad ogni segmento due rami; uno dal lato esterno, che si ramifica nella pelle delle pareti laterali del corpo ed alla base degli uncini, e l’altro che si dirige all’interno verso quello del lato opposto. Un solo grosso vaso sanguigno corre nei filamenti branchiali, inviando ramificazioni ad ogni barbula, la quale pure contiene un canale sanguigno unico. Quanto al meccanismo della circolazione il CLapareDE (1873, pag. 81) dà questa spiegazione ; Le onde di contrazione del seno intestinale spingono il sangue dall’indietro in avanti, come è facile riscontrare sull’animale vivo. Questo sangue riempie il plesso esofageo ed i vasi che da esso nascono al disopra. Questi, in particolare i due rami branchiali, hanno le pareti contrattili e un’ onda di contrazione percorre dal- l’indietro in avanti i vasi branchiali, cacciando il sangue fino alle ultime estremità dei raggi branchiali e vuotando in gran parte i due tronchi principali. Quindi un’onda di contrazione in senso con- trario riconduce il sangue nel plesso, nel quale il sangue ossige- nato si mescola col venoso, essendo questo plesso un serbatoio co- mune. In seguito il sangue s’ introduce in tuttii vasi che nascono dal plesso ed in particolare nel vaso ventrale, il quale lo porta al- l’indietro fino all'estremità posteriore del corpo. Anche il reticolo di vasi sanguigni, straordinariamente sviluppato nel collaretto e nei tentacoli, coperti da ciglia vibratili, compirebbe la funzione di vasi branchiali secondari. Stando a questa descrizione, il seno intestinale dovrebbe essere considerato come funzionante da vena ed il vaso ventrale da arteria, ma in questo il sangue sarebbe misto. Tutti gli anelli dell'addome sono provvisti di organi segmen- tali (Sourier, 1891, pag. 35) per mezzo dei quali ha luogo l’emis- sione dei prodotti sessuali, tanto che si dà loro anche il nome di tubi genitali. Nella regione toracica (SouLIER, 1891, pag. 29) invece vi sono le glandole periesofagee, disposte una a destra e l'altra a sinistra del tubo digerente, lungo tutta la regione toracica. Cia- La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. 25 scuna di esse si compone di due rami, uno interno cigliato , ter- minante con un imbuto che si apre nella cavità generale, l’altro esterno, formato di cellule cigliate, che si unisce con quello del lato opposto a formare un canale escretore comune, sboccante all’esterno per mezzo del poro dorsale, posto in vicinanza dei lobi dorsali. Queste glandole periesofagee si devono considerare come organi segmentali modificati ed hanno funzioni di reni, non prendendo nessuna parte alla secrezione del tubo, come si credeva prima. Ora è facile comprendere come, asportando all’animale la re- gione toracica, non solo lo si priva dello sviluppatissimo pennacchio branchiale e degli altri organi portati dal prostomio, ma gli si leva anche una. parte molto importante del sistema circolatorio , cioè tutto il plesso esofageo, nel quale avviene la mescolanza del sangue venoso coll’arterioso, oltre alla regione anteriore del tubo digerente, cioè bocca, esofago e stomaco, ed agli sviluppati organi renali. Perdite così gravi di organi tanto importanti alla vita devono necessariamente produrre un grande squilibrio funzionale, al quale l’animale è obbligato di riparare prontamente, rigenerando per primi gli organi più necessarii alla vita, come un nuovo pennacchio bran- chiale, e trasformando successivamente i primi segmenti addominali in toracici cogli organi in questa regione contenuti, processo pel quale occorre un tempo molto più breve di quello che sarebbe ne- cessario per rifare completamente i segmenti perduti. È vero che, se invece di tutta la regione toracica si asporta solo parte dei suoi segmenti, questi non sono rifatti, per quanto gli organi interni di essa non siano andati perduti che parzialmente, ma qui va notato che ciò vale in fine per il solo sistema circola- torio, del quale rimane ancora parte del plesso toracico, e per le glandole periesofagee, sebbene queste colla perdita della loro re- gione anteriore vengano private dell'unico sbocco esterno, mentre le branchie, il collaretto, la regione anteriore del tubo digerente vanno perdute completamente. “we D'altra parte sta il fatto che in alcuni Policheti morfologica- mente ed anatomicamente molto simili allo Spirographis spallanzanti e pure appartenenti alle Sabellidi, cioè Branchiomma vesiculosum, Sabella pavonina, Potamilla torelli, P. reniformis, la rigenerazione cefalica non mette capo che ad una eguale reintegrazione ri- dotta, mentre nella maggior parte dei Policheti erranti, nei quali non si hanno ‘tanto marcate localizzazioni di organi maggiormente differenziati nella sola regione anteriore, la rigenerazione cefalica è più completa e si avvicina di più a quella degli Oligocheti, tanto 26 Sigismondo Orlandi che oltre al capo sono , di solito , rifatti altri segmenti anche in numero rilevante. Solo per l’Hydrowles dianthus, che pure appartiene alla Fam. Serpulacea (tribù Serpulidae), sarebbe stato ottenuto dal ZeLenY (1902) la rigenerazione della regione toracica, oltre al capo. Sembrerebbe adunque che la maggiore importanza fosse da attribuire alle branchie, considerate come organo respiratorio, anche perchè esse sono le prime ad essere rigenerate, ed in questo senso si esprime anche il Samt-JosePH (1394, pag. 298) a proposito della Potamilla torelli, nella quale giudica che la rigenerazione incominci appunto dalle branchie perchè, essendo necessarie alla vita dell’ani- male, è da esse che ha principio il lavoro di ricostruzione. Ma anche alle branchie non si dovrebbe accordare grande im- portanza, quale causa determinante questa rigenerazione speciale, se si accettano le conclusioni delle ricerche fatte dal BounHIoL (1902) sulla respirazione dei Policheti. Io non credo però di poterle ammettere integralmente, senza discussione, tanto più che non trovo sempre sufficientemente rigo- rosi e corrispondenti allo scopo i metodi usati nelle esperienze. Accennando solamente ai punti principali del lavoro, ricorderò come egli escluda (pag. 106) che la maggior parte degli organi designati col nome di branchie abbiano uno speciale ufficio respi- ratorio. Esse sarebbero in alcuni casì dei semplici diverticoli cuta- nei, i quali aumentano solamente la superficie respiratoria del te- gumento, in altri casi organi differenziati per altre funzioni, ossia organi di presa o di tatto. La respirazione tipica, fondamentale degli anellidi policheti, sarebbe invece la tegumentale, comune a tutte le specie. Solo qualche genere superiore avrebbe branchie con ufficio respiratorio notevole, maggiore di quello della pelle (Zunz- cidae, Arenicolidae, Terebellidae), ma questi casi sarebbero eccezioni alla regola generale, secondo la quale i Policheti non posseggono organi respiratori propriamente detti. Arriva a queste conclusioni determinando il coefficiente del- l’attività respiratoria 1) di 29 specie di Policheti (pag. 33), da lui riunite in gruppi, secondo che sono munite o sprovviste di siste- ma circolatorio ben definito e di apparato branchiale e che hanno sangue e liquido cavitario colorato od incoloro, riguardo alle quali afferma (pag. 483) che: | 1) L'attività respiratoria di un animale è da lui determinata, ricercando il peso in milligrammi dell’ anidride carbonica prodotta in 1 ora e da 1 grammo del corpo dell’anellide (pag. 35 e 121). 5 La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Vv. 20 a)- Le specie sprovviste di apparato circolatorio, ma possedenti emazie nel celoma, sì comportano, fisiologicamente, come se posse- dessero sangue colorato. 6) - Le specie a sangue colorato respirano più attivamente delle specie a sangue incoloro. c)- Le branchie delle specie a sangue incoloro non sono vere branchie, ma semplici pieghe cutanee, nelle quali gli scambi re- Spiratorii non sono più attivi che nelle regioni vicine del tegu- mento. d)- La presenza o l’assenza delle branchie sembra influenzare molto debolmente la respirazione in forme molto vicine, egualmente vascolarizzate, come Marphisa sanguinea branchiata e Lumbrico- nereis impatiens abranchiato , perchè a peso eguale essi hanno un coefficiente respiratorio pure eguale. Già riguardo a questa prima parte, che si riferisce ai Policheti in generale, io devo fare qualche osservazione. Ammettendo pure, oltre gli enunciati dei paragrafi a) e 8), anche quello del paragrafo c), se si considera che il liquido incoloro contenuto nell’ apparato circolatorio non sia sangue fisiologicamente paragonabile a quello delle specie provviste di emazie, non mi sembra sufficientemente giustificata l'affermazione del paragrafo d). Secondo questa il solo fatto che due specie vicine ed egualmente vascolarizzate, ma una munita di branchie e l’altra mancante, hanno eguale coefficiente respiratorio, basterebbe a provare che le branchie hanno nessuna o piccolissima influenza nella respirazione. A me sembra invece naturale che, a peso eguale, il coefficiente respiratorio sia pure poco differente, per animali molto affini siste- maticamente ed anatomicamente; poco importa in questo caso il modo col quale è compiuta tale funzione, se quello branchiato re- spira in modo preponderante colle branchie, l’altro, che ne è privo, supplirà a questa deficienza con una più attiva respirazione cutanea, senza che il solo fatto di essere questa esclusivamente cutanea in uno, debba condurre alla conseguenza di una eguale attività della respirazione tegumentale e della completa inutilità delle branchie nell’altro. Credo piuttosto che il metodo di ricerca non si adatti troppo allo scopo che il BounHIOL si era prefisso, perchè questo coefficiente respiratorio, essendo ricavato dalla quantità di anidride carbonica prodotta dall’ intero animale, potrà fornirci dati esatti, riguardo all'attività maggiore o minore, per la respirazione totale, ma non sì presta affatto per la determinazione dell’ attività respiratoria 28 Sigismondo Orlandi parziale, ossia di quella di un dato organo o di una determi- nata regione del corpo. Per le specie di grandi dimensioni, con branchie ben svilup- pate (p. 49), cerca mettere meglio in evidenza l’attività respira- toria, sia delle branchie che del tegumento, usando alcuni reattivi colorimetrici, come la fenolftaleina ed il bleu C, 4, B, e trova che l Amphitrite edwardstii, VAudovinia tentaculata, la Sabella pavonina, l’Arenicola marina non respirano solo colle branchie, ma anche col tegumento. Per lo Spirographis spallanzanti usa un apparecchio (pag. 51) composto di un tubo di vetro perforato sui lati, sormontato da un allargamento ad ampolla e costruito in modo che nel primo si adatti esattamente il corpo dell'animale, estratto dal suo tubo, e nel secondo possano espandersi le branchie. Il tubo inferiore alla sua volta pesca in un recipiente di capacità eguale a quella del- l’ampolla sovrastante. L'intero apparecchio viene riempito di acqua di mare, nella quale è stata disciolta della fenolftaleina, ed allora per l’azione dell’ anidride carbonica prodotta dall’ animale il liquido. viene decolorato. Ma siccome ciò avviene molto più rapidamente per il liquido contenuto nel vaso inferiore, ove respira il corpo, che non per quello del vaso superiore, nel quale respirano le bran- chie, sembra che l’attività respiratoria cutanea sia preponderante in confronto di quella branchiale. Un secondo metodo di esperienza (pag. 58) consiste nell’aspor- tare le branchie ad uno Spirographis spallanzanii , determinando quindi l’ attività respiratoria , col primo metodo. già accennato e consistente nel misurare la quantità di anidride carbonica prodotta dall’animale amputato, e ricavandone un coefficiente inferiore di 1/4 da quello dell'animale normale. Oppure estraendo l’anellide dal suo tubo, nel quale veniva in seguito nuovamente rimesso, dopo avergli accuratamente ricoperto di vaselina tutto il corpo , ad eccezione delle branchie , affinchè l’animale non potesse respirare che con questo, ed ottenendo un coefficiente ridotto di */1 dal normale. Naturale conclusione sarebbe dunque che la respirazione di questo anellide si effettuasse per 3/4 per mezzo del tegumento e . per !/4 per mezzo delle branchie, le quali si dovrebbero piuttosto considerare come filamenti tentacolari, modificati a formare un or- gano di presa. Queste sono le esperienze che a me più interessano , perchè ‘sì riferiscono allo Spirographis spallanzanii e sopra di esse dovrò La rigenerazione dello Spirographis spullanzanii Viv. 29 intrattenermi in modo particolare, non sembrandomi che i risultati ‘con essi ottenuti si possano accettare come decisivi nella questione, perchè : Nel primo apparecchio la separazione dei liquidi dei due vasi, superiore ed inferiore, è troppo imperfetta, per essere certi che non si mescolino in causa delle inevitabili contrazioni dell’animale. Ma ammessa anche una separazione completa dei liquidi, l’esperienza sarebbe persuasiva, qualora si determinasse la quantità di ossigeno consumato in un dato tempo dalle branchie e dal corpo, mentre la determinazione dell'anidride carbonica da essi prodotta non ci fornisce dati esatti. Infatti non si può affermare in modo assoluto che l’anidride carbonica sviluppatasi nel vaso, ove stanno il corpo o le branchie, sia esattamente proporzionale all’ ossigeno da essi consumato separatamente, perchè se vi è corrispondenza fra la quan- tità di anidride carbonica prodotta e quella di ossigeno consumato dall'intero animale, può invece accadere che le branchie, ad esempio, tolgano all'acqua grande quantità di ossigeno e che non restitui- \1scano ad essa una quantità corrispondente di anidride carbonica, potendo invece questa venire eliminata da altri organi ed in dif- ferenti regioni del corpo, lungo il decorso del sangue. L’altro metodo, consistente nel determinare il coefficiente re- spiratorio delle due regioni separatamente, amputando ad un ani- male le branchie o rivestendone il corpo con vaselina, potrebbe fornire dati più esatti, se non avesse il grave difetto di operare sopra animali che si trovano in condizioni troppo anormali. Per quanto dal BounHIoL non sia stata rilevata alcuna alte- razione nell’attività respiratoria degli animali sottoposti a tali ope- razioni, non mi sembra possibile che essi non abbiano a risentire una notevole perturbazione nelle loro funzioni, ponendoli in con- dizioni tanto differenti dalle normali, col ricoprirne il corpo di va- selina e specialmente coll’asportare loro le branchie. Se si vogliono ottenere dei dati attendibili, io credo che si debba fare in modo che l’ animale durante l’ esperienza sì trovi, quanto più è possiblle, in condizioni normali. Confesso però che ho sempre trovato difficile il mantenere uno Spirographis nelle sue condizioni normali e nello stesso tempo fare in modo che esso re- Spirasse in due vasi di acqua distinti, in uno colle branchie e nel- l’altro col corpo, ragione per la quale avevo rinunciato a qualsiasi ricerca sulla respirazione di questo anellide. Se non che ultimamente ho pensato di applicare un metodo di esperienza il quale, per quanto semplice, soddisfa a questi più 30 Sigismondo Orlandi essenziali requisiti. Si tratta cioè di disporre uno Spirographis entro due palloni di vetro a doppio collo (Zig. 1), fra loro comunicanti per mezzo di uno di questi, in modo che le branchie vengano a collocarsi in uno ed il corpo nel- l’altro pallone. La separazione dell’acqua, in mezzo di una lamina di gomma elastica, interposta fra le due boc- che dei palloni nel punto di riu- praticato un foro di diametro cor- rispondente a quella specie di pe- duncolo, formato dal restringi- mento che sta alla base delle lamina elastica, il foro si allarga di tanto che le branchie possono passarvi comodamente; rilascian- do la lamina il foro si restringe di nuovo, tanto che l anellide chiale, senza che per questo ri- Fig.1.— Apparecchio formato dai due pal- senta alcun disturbo , dovuto a loni di vetro riuniti in modo ehe lo Spi- essi contenuta, si ottiene per. non può più ritirare il ciuffo bran-. nione, al centro della quale è stato branchie. Stirando i margini della | rographis si trovi a respirare colle bran- compressione della lamina, quan- | chie nell'acqua contenuta in uno di essi, do il foro è di larghezza conve- e col corpo in quella contenuta nell’altra. o j i niente. Occorre però fare in modo di evitare la ben che minima per- dita di acqua sia durante l’esperienza, che all’atto di separare i due palloni, quando si deve levare l’animale, e per questo mi sono ser- vito di speciali morsette di legno. La lamina di gomma, alla sua volta, veniva mantenuta aderente all’imboccatura di uno dei pal- loni, sovrapponendovi una sottile lastra metallica (avente al centro un apertura circolare corrispondente alla grandezza del collo del pallone), la quale veniva fissata alla morsetta di legno, tanto che capovolgendo per qualche istante il pallone, non si perdeva acqua, quando l’anellide, imprigionato per le branchie, ostruiva anche il piccolo foro centrale. La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. sl Riempiti completamente d’acqua di mare i due palloni, l’ani- male non dimostrava di trovarsi a disagio in queste condizioni e, specialmente negli esemplari di grandi dimensioni, il pennacchio branchiale ben sviluppato, sporgendo in gran parte dal collo del pallone, si spiegava completamente, come se l’animale si trovasse libero in acquario. Solo occorreva impedire che l’ anellide potesse ritirarsi del tutto nel suo tubo, perchè allora, spingendo l’ estre- mità anteriore di questo contro il diaframma di gomma, riusciva a ritirare le branchie attraverso al foro, ciò che dimostra per altro che la cempressione della lamina sulle branchie non era troppo grande. Per evitare questo inconveniente bastava cucire con un sottile filo il tubo al disotto dell’ estremità posteriore del corpo, così che l’animale non potesse retrarsi di più, mentre l’acqua po- teva circolare liberamente, anche per l'apertura posteriore, come avviene in condizioni normali. L'animale veniva mantenuto in esperienza per un tempo che variava dalle 4 alle 24 ore, e quindi veniva levato staccando i due palloni senza che si avesse perdita di liquidi. L'animale, tolto dal pallone, veniva rimesso in acquario cogli altri mantenuti per espe- rienza, ed alcune volte colla lamina elastica, senza che dimostrasse di soffrire in queste condizioni. L’ acqua dei due palloni, in uno dei quali avevano respirato le sole branchie e nell’altro il solo corpo, era così pronta per le ricerche. Ripeto che non mi sono proposto di ottenere determinazioni qualitative e neppure quantitative per i singoli gas contenuti in quest’acqua, A me bastava conoscere il volume complessivo dei gas, esclusa l'anidride carbonica, che erano contenuti in una data quantità di acqua, come era stata presa dal mare, e quello dei gas contenuti in una eguale quantità di acqua di mare, dopo che vi aveva respirato per un dato tempo il solo corpo dell’anellide, op- pure le sole branchie. È chiaro che essendo stata eliminata l’ani- dride carbonica in tutti e tre i casi, se si verificava una diminu- zione nel volume gassoso, residuo della respirazione branchiale o tegumentale, in confronto del volume di quello dell’acqua di mare, prima che fosse usata nella respirazione, essa non si poteva attri- buire che ad una sottrazione di ossigeno, consumato appunto nella respirazione. L’estrazione dei gas dalle acque la ottenevo colla ebollizione, per mezzo di questo semplicissimo procedimento. 32 Sigismondo Orlandi Fissato uno dei palloni sopra un apposito sostegno (Fig. 2.) adattavo al collo superiore un tappo, al centro del quale passava una squadra di vetro ripiena di acqua distillata bollita, onde fos- sero scacciati tutti i gas. L’altra estremità del tubo della squadra Fig. 2. — Apparecchio pronto per l’estrazione dei gas dall’ acqua di mare, contenuta nel pallone di vetro, mediante ebollizione. piegata in alto a V, veniva introdotta in una campanella graduata riempita di una soluzione di potassa al 50 °/o, la quale campanella alla sua volta pescava per qualche centimetro in una bacinella contenente pure la identica soluzione di potassa. Riscaldando l’acqua contenuta nel pallone con una fiamma a gas, dopo circa m! 30-40 essa entrava in ebollizione ed .i gas ve- nivano scacciati sotto forma di piccole bolle, attraverso il tubo della squadra, andando a raccogliersi nella campanella graduata , in modo che l’anidride carbonica veniva trattenuta dalla potassa, mentre gli altri gas contenuti nell'acqua di mare si raccoglievano nella campanella. i Riassumo nel seguente prospetto i risultati delle esperienze da me eseguite sopra 12 esemplari: Tg'lg go e e '00GT giro Ut tegte8 EL 99°TZ tuo mmueguoo ses ‘008T gUo UI ie) - è] ozuoniodso oqppu egqesn oIeuI Ip enboy 33 | PIO «| 089 «| 5649 GIOIE SISSA 8I oGI È TOT «| GE « | 967 < | 9F8I «| SFZI < i olL È Sos e I i lava SS II 9 007 = ce e UG o o VI « | 08° «| 769 « | TOT ene 03 08 È CA e O Si O LT 9 ol L DO RO eo DIV 8I 09 s soi n e rl | €G 06 È co°0 | 00 AMI ie ee iz of O È 690 < SII < | 990 Galizia È È O 8I 06 5 €640 UO | E8% SE OE « | €8°8I Sa LOGIA s 8I o fi 0 a ge'e = gio | FR glo | 80°8T swo | 2881 suo | 56 oT od109 19p OTTOMEIA OTIOP odI09 J3p oTTONEIA 2T1UP od109 10p OIUNIqQ eTOp panna ON ezuoriodso J1op , 7 eIe]dures QI0ABJ NI eZuoI0Jl (AI OqBHINSTOO SB) @uoIZBIIdsot ej[om ososes onpIso eqeInd I U Base. di. 3. € Archivio zoologico, Vol. 34 Sigismondo Orlandi È bene ricordare che i dati numerici esprimenti i volumi ga- sosi ricavati, sia dall'acqua, come era stata presa dal mare, sia da quella nella quale avevano respirato le branchie od il corpo, si riferiscono sempre a volumi di cm. 1200 di acqua, corrispondenti alla capacità dei palloni usati nelle esperienze, Questi dati inoltre sono perfettamente paragonabili fra di loro, essendo stati ridotti alla temperatura di 0° ed alla pressione di 760mm, secondo la nota formola. i V(P—m_— h) a P(1+a 1) Passando ora ad esaminare i risultati ottenuti in queste espe- rienze ed indicati nella tabella, comprendo che potranno essere fatte queste osservazioni e cioè che, se per 10 casi si ebbe preva- lenza della respirazione branchiale, per gli altri 2, invece, questa è superata dalla tegumentale; che negli stessi 10 casi indicati i ri- sultati sono alquanto oscillanti; che per alcuni di essi la prevalenza è minima. Anch'io riconosco queste deficienze, le quali non mi permet- tono di determinare con tutta esattezza quale parte spetti alle branchie e quale al corpo, nella respirazioue. Per raggiungere questo fine occorrerebbe ripetere le esperienze sopra un numero ben maggiore di esemplari, scegliendo solo quelli di grandi dimen- sioni, che meglio si prestano allo studio, mentre invece ho dovuto sospendere per ora le esperienze, perchè in questi mesi gli animali si dimostrano molto meno resistenti che nell’inverno, essendo il loro corpo rigonfio di prodotti sessuali maturi, ed anche perchè se si vuole avere disponibile un abbondante materiale, quale occorre per numerose esperienze, è necessario disporre di ampi acquarii, come si possono avere solamente nelle stazioni zoologiche marine. Ho riportato qui questi risultati, perchè, sebbene incompleti, non mi sembrano del tutto privi di valore, relativamente alla que- stione della respirazione branchiale. Infatti basandomi sopra di essi io credo di poter escludere la grande prevalenza della respirazione cutanea sulla branchiale, nella proporzione di 3/4 ad 1/4, come fu stabilita dal BouwntoL. Nella peg- giore delle ipotesi si potrà invece ammettere una attività eguale, però va notato che le differenze minime si hanno nelle prime 6 esperienze, per le quali avevo dovuto servirmi di esemplari di di- pri pprvene La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. 35 mensioni appena medie, tanto che le branchie, della lunghezza di em. 3-4, sporgevano ben poco dal collo del pallone e quindi non potevano spiegarsi bene. Al contrario nelle successive esperienze, nelle quali gli anellidi erano tutti di grandi dimensioni, con bran- chie della lunghezza di cm. 7-8, anche le differenze fra i volumi gasosi sono generalmente maggiori e tutte in favore delle branchie. . Se anche in questi ultimi si riscontra poca uniformità, va però rilevato che le variazioni maggiori sono dovute alla respirazione tegumentale, mentre la branchiale si dimostra molto più costante. Infatti nelle esperienze ‘*, 10°, e 11*, della durata di 4-6 ore i volumi di ossigeno consumati dalle branchie sono rappresentati da cm. 4, 55; 4,21; 4,36 e nelle esperienze 88, 9° e 122 della durata di 18-21 ore da cm.? 5, 24; 5,82 e 6, 94. Pel corpo al contrario le differenze sono molto maggiori, variando da cm.3 2,00 a cm.3 6, 80, e, secondo me, questo indica che la respirazione tegumentale, senza essere preponderante in condizioni normali, può facilmente crescere di attività, tanto da supplire alla respirazione branchiale, se questa viene momentaneamente impedita; e così nei periodi lunghi di espe- rienza, quando le branchie hanno quasi esaurito l'ossigeno dell’ac- qua, aumenta il consumo dell’ossigeno neli’altro pallone, ove respira il corpo, come nelle esperienze 5® e 122, Infine se da alcuno fosse espresso il dubbio che vi possano essere errori nella determinazioni da me fatte, causati da una pos- sibile compressione della lamina elastica, io osserverei che ciò non tornerebbe a danno che della respirazione branchiale, perchè la compressione, esercitata alla base delle branchie, avrebbe per ef- fetto di ostacolare la circolazione del sangue in questo organo, di- minuendone di conseguenza l’attività respiratoria. Inoltre colla respirazione del tegumento è stata computata anche -quella del collaretto e dei tentacoli, considerati dal Cnapa- REDE (1573) come organi respiratori, perchè straordinariamente va- scolarizzati e coperti di ciglia vibratili , mentre queste appendici del prostomio dovrebbero essere escluse sia dalla respirazione bran- chiale, che dalla tegumentale. Ma anche prescindendo da qualsiasi esperienza, non si può negare che le branchie per il loro grande sviluppo, per l’abbon- dante vascolarizzazione e per la regione del corpo dalla quale sono portate, rappresentino l’organo più adatto alla respirazione. Ed in- fatti pel grande numero dei filamenti che le compongono, i quali alla loro volta portano ramificazioni secondarie, a guisa delle bar- 36 Sigismondo Orlandi bule di una penna, coperte di ciglia vibratili in continuo movi- mento, e percorse da ramificazioni dei vasi, il sangue si trova di- stribuito sopra una superficie molto grande, in un organo a con- tatto coll’acqua continuamente rinnovata, mentre le altre regioni del corpo stanno rinchiuse in un tubo, nel quale l’acqua deve ri- cambiarsi con molto minore facilità. Per tutte queste ragioni io non credo poter negare al pen- nacchio portato dal prostomio l'ufficio di organo respiratorio e ritengo che ad esso sia correttamente applicato il nome di branchia, che gli è stato finora attribuito. ‘Rigenerazione delle branchie Lo Spirographis spallanzanii, come a tutti è noto, porta al- l'estremità anteriore del corpo un doppio pennacchio branchiale, i due rami del quale hanno uno sviluppo molto diseguale. Uno di essì ha il margine anteriore ravvolto internamente sù se stesso, in modo che i filamenti branchiali sì dispongono sopra una linea spi- rale, la quale può compiere un numero variabile di giri, cioè da uno fino a sei o sette. L’altro ramo invece è atrofico, si compone di un numero molto minore di filamenti ed ha il margine ante- riore che non è mai ravvolto a spirale. Può essere maggiormente sviluppato tanto il ramo destro che il sinistro, indifferentemente, senza che si attribuisca a questo fatto alcun valore per la distinzione nè di specie, nè di varietà. Il CLaparÈDE (1868, pag. 416) dice però di aver notato l’atro- fia della stessa branchia nella maggior parte degli individui rac- colti da un solo pescatore, nella stessa località. Per parte mia, fra . gli esemplari che ho avuto per lo studio, tutti catturati nel porto di Genova ed in punti poco lontani l’uno dall’ altro, non ho no- tato una superiorità rimarchevole nel numero degli individui por- tanti branchia spirale destra, piuttosto che sinistra. Tuttavia mi proposi di determinare la stabilità di questo carattere nell’individuo, osservando se nella rigenerazione si ripete sempre la disposizione primitiva dei due rami branchiali e se ritardando lo sviluppo del ramo maggiore, l’altro subisce mo- dificazioni ed aumenta di ampiezza. In tutti i casi nei quali, avendo asportato le sole branchie, oppure anche un certo numero di segmenti, ho ottenuto la rige- nerazione del pennacchio branchiale abbastanza avanzata da poter 22 station La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. 37 rilevare la prevalenza di un ramo sull’altro, ho osservato costan- temente un maggiore sviluppo della branchia sinistra, quando anche nelle primitive da questo lato si aveva la forma spirale (vedi N.o 6 e 13); ed una prevalenza della destra, quando la spirale si tro- vava da questo lato nelle branchie asportate (vedi N.° 4, 5, 7). Questo indica già una certa stabilità di tale carattere nell’in- dividuo, ma per avere una prova più convincente del fatto, allor- quando le nuove branchie erano sviluppate di tanto, che si rendeva palese il predominio di una di esse sopra l’altra, ho tagliato di nuovo i due rami alla loro base, constatando ancora il ripetersi della di- sposizione primitiva (vedi N.° 7, 14, 15). Per quanto obbligato a mantenere in osservazione un numero molto limitato di animali, volli spingere più oltre le mie ricerche, onde stabilire se, col ri- tardare la ricostruzione del ramo prevalente, si favoriva o provo- cava un maggiore sviluppo dell’altro ramo atrofico. Infatti tagliate le sole branchie ad uno Sptrographis (N.° 13, Fig. 7) con spirale sinistra, appena i nuovi ciuffi branchiali hanno raggiunto i mm. 5 di lunghezza e si è resa palese la prevalenza della sinistra nella destra, la prima viene di nuovo amputata. Nello spazio di 5 giorni al posto di questa spuntano dei nuovi filamenti brevi, e la destra si accresce tanto da presentare un prin- cipio di ravvolgimento all’interno. Però dopo due settimane entrambe hanno raggiunto la lunghezza di cm 1 e la sinistra, quantunque ripetutamente amputata, ha già ripreso la prevalenza sull’ altra , tanto che sono indotto a credere che avrebbe continuato nel suo accrescimento normale, se l’animale fosse vissuto più a lungo. Infine ho potuto avere una riconferma di questo fatto aspor- tando ad animali normali la sola branchia spirale ed osservando se nell’altra ridotta si manifestavano modificazioni. Ma mentre il ZeLenY (1902) ha constatato che nell’ Hy@roides dianthus l’opercolo rudimentale si sviluppa completamente in seguito alla perdita del funzionante, nello Spirographis spallanzanti (N.° 15-20), se si asporta il ramo spirale (in questi esemplari era il sinistro) esso rigenera i filamenti branchiali di lunghezza quasi eguale a quelli dell’ altro ramo e si ravvolge già per un intero giro di spirale, senza che nella branchia dell’altro lato siasi verificato nessuna modificazione, nè alcun aumento di ampiezza. Questi risultati mi inducono a concludere, chela differenza nello sviluppo dei due rami branchiali nella Sperogra- phis spallanzanii, se non ha valore per la distinzione di specie e 38 Sigismondo Orlandi di varietà, deve però essere considerata come un carattere ab- bastanza persistente nell’individuo, e non come un carattere dovuto solo ad una prevalenza, quasi casuale, che una branchia, prederebbe sull’ altra al principio del loro sviluppo, de- terminando l’atrofia di quest’ultima. Laboratorio di Anatomia comparata della R. Università di Genova. Luglio 1905. Ro en n - La rigenerazione dello Spirographis sp lanzanii Viv. 39 Bibliografia 1844. Quatrefages (de), A. — Sur le système nerveux des Annélides: Ann.iSc: N. Tome"2 pag. 81, Ple. 1-2. 1853. Daly ell, J. G. — Powers of the Creator displayed in the creation: London. i 18565 Quatrefages, A. (de) — Histoire naturelle des Annelés: 8 Vol. Atlas 20 Ple. Paris. 1867. Kinberg, J. G. 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Sigismondo Orlandi Buchanan, F. — Peculiarities in the segmentation of certain Po- lychaets : Q. Journ. Mier. Sc. (2) Vol. 34, pag, 529, Pit. 42. Malaquin, A. — Recherches sur les Syllidiens. Morphologie, Ana- tomie, Reproduction, Développement: Mém. Soc. Sc. Art. Lille, 477 pag. 13 Fig. 14 Plc. Saint-Joseph, A. (de). — Les Annélides polychètes des còtes de Dinard. -3 Partie.: Ann. Sc. N. (7) Tome 17, pag. 1. Ple. 1-13. Saint-Joseph, A. (de) — Les Annélides polychètes des còtes de Dinard. - t Partie. Appendice: Ann. Sc. N. (7) Tome 20, pag. 185, Ple. 11-13. Mie sine, — Etudes de morphologie externe chez les Annélides. 1. Les Spionidiens des Còtes de la Manche: Bull. Sc. France Belg:Tome29MpagJI10PleR715 Caullerv, M.—Mesnil, F.— Sur un cas de ramification chez une Annélide (Dodecaceria concharum Oerst.): Z. Anzeiger, 20. Bd. pag. 438, 2 Fig. . Fauvel, P. — Les stades post-larvaires des Arénicoles: C. R. Acad. Paris, Tome 127; pag. 738. . 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Soulier, A. — Revision des Annélides de la région de Cette: Cette, dò pag., 10 Fig. La rigenerazione dello Spirographis spallanzanii Viv. dl Spiegazione della Tavola 1, Lettere comuni a tutte le figure. ta, branchie. br, branchie rigenerate; d. destra, s. sinistra. e, collaretto. appendice caudale rigenerata. , parapodi toracici. ra, regione addominale. t, regione toracica. r, segmenti rigenerati. ‘Tutte le figure riguardano lo Spirographis spalla zanii. ig. 1. — Animale normale completo. 2. — Animale che ha rigenerato naturalmente l’estremità anteriore. >» 8. — Esemplare n.° 4; grand. nat., con branchie rigenerate. «| » 4 — Esemplare n.° 4: ingrandito, con due segmenti e b anchie rigenerate. - SAC Esemplare n.° 9: grand. nat., con branchie rigenerate. >» 6.— Esemplare N.° 9: molto ingrandito, con parapodi addominali trasfor- “AR mati in toracici, un segmento, collaretto e branchie rigenerati. |» ©. Esemplari n.° 13 e 21: grand. nat., con branchie ed appendici cau- à dali rigenerate. 4 ._» 8. — Esemplare No 10: grand. nat. Ricevuto il 12 Agosto 1905 — Finito di stampare il 14 Luglio 1906. E n si Mii Ra age Rea cet frei. i ‘pt rinrann Materiali per una Revisione del genere Trochopus Studio del Dott. Donato Massa Con le tavole 2-3, I. Introduzione Il genere Trochopus fu fondato dal Drrsine nel 1850 (2, pag. 428) per una specie di Tristomide da lui precedentemente descritta nel 1863 col nome di Tristomum tubiporum (4, pag. 14, tav. 1, fig. 14-16), su esemplari raccolti dal KoLLar sulle branchie di una Tri- gla hirundo. Nel 1878 il TascHEnBERG credette che anche il genere Trochopus, come gli altri della sottofamiglia da lui creata dei Tristomidi, non fosse da ritenersi differente dal genere 7yistomum, e considerò conseguentemente anche il Trochopus, come tutte le altre specie appartenenti ai diversi generi di Tristomidi allora noti Niteschia, Phyllonella, Epibdella, Placunella, Encotyllabe), quale specie del- l’unico genere Tristomum. Nel 1888 il MoxtIceLLI (1, pag. 86) di- mostrò che non poteva accettarsi la conclusione del TAscHENBERG, perchè tutte le forme da lui riunite a costituire il genere Tresto- mum, com’egli l’intendeva, rappresentavano altrettanti tipi generici ben distinti l’uno dall’altro: quindi reintegrò, insieme agli altri, il genere Trochopus del Drnsine. Questa reintegrazione degli antichi generi proposta dal MontIcELLI è stata accettata dal Braun (pag. 528), dal Saint Remy (1) e da tutti gli altri autori che si sono occu- pati di monogenetici in generale (Heterocotylea). Non è molto che Parona e MonmickLLI (1) esaminando le specie del genere Placunella fondato dal van BenEDEN ed Hesse nel 1363 (pag. 71, 72, ple. 5, fig. 9-18; pag. 73, plc. 5, fig. 1-7) per dei Tristomidi trovati sulle Trigla e sul Ehombus, son venuti alla con- clusione che il genere Placunella è la stessa cosa del Tyrochopus. Cosicchè il primo rientra fra i sinonimi del secondo, cioè di Trocho- pus più antico, che acquista, in tal modo, una maggiore estensione ar- 44. Donato Massa ricchendosi di tutte le specie del genere Placunella; eccetto la Placu- nella valle Parona e PeruGIA che rappresenta il tipo di un nuovo ge- nere (Ancyrocotyle), come hanno dimostrato Parona e MontICELLI (2). Sulla pelle e sulle branchie delle Trigla corax del golfo di Napoli, principalmente di quelle che sono nelle vasche della Stazione Zoologica , vive una forma di Trochopus, sopra la quale il Dott. Lo Bianco richiamò, or sono alcuni anni, l’attenzione del professore MonmrIceLLI che ne raccolse buon numero di esemplari, riconoscendo in essi una nuova specie del genere. Di questa specie il prof. MonticeLLI volle affidarmi lo studio, incoraggiandomi a fare delle ricerche sulla struttura anatomica di essa, come un primo contri- buto allo studio dell’ organizzazione del genere Zrochopus finora sconosciuta; perchè tutti gli autori si sono limitati a un. esame più o meno completo delle sole caratteristiche esterne. Da tale studio sono stato spinto ad una ricerca comparativa delle specie del genere Trochopus come ora va inteso. E siccome molte sono ancora insufficientemente note anche per le loro caratteristiche esterne , ed altre ho riconosciute per forme nuove, mi è parso opportuno, in seguito allo studio fatto, di tentare una revisione sistematica del genere. Tale revisione mi è stata pos- sibile mercè la cortesia del prof. PARONA, al quale sono grato per aver egli messo gentilmente a mia disposizione il materiale di Trochopus della sua ricca collezione privata, e per avermi il prof. MontIckELLI concesso di esaminare tutte le forme di Trochopus della sua raccolta, tra le quali ho avuto opportunità di studiare un tipo autentico del 7. tubiporus del Dresine proveniente dal museo di Vienna. Ciò che mi ha permesso di identificare con sicurezza il genere come fu inteso dal suo fondatore. Ho esposto il risultato delle mie ricerche in una Nota preli- minare riassuntiva nel Monitore zoologico italiano del settembre 1903, riservandomi di pubblicare più tardi il lavoro completo ac- compagnato da tavole illustrative. Mentre attendevo al completamento di questo, ho avuta op- portunità di esaminare un’ altra forma di Trochopus, raccolta dal prof. A. VALLE di Trieste e comunicatami dal prof. MonTICELLI, nella quale ho riconosciuto un’ altra nuova specie del genere che propongo di chiamare Trochopus onchacanthus. Ed ancora, mercé la cortesia del prof. FrcaLsi, che colgo l’ occasione di ringraziare, ho potuto studiare da vicino un esemplare di 7. differens del Materiali per una Revisione del genere Trochopus 45 Sonsimo e completare la descrizione molto sommaria datane da questi; ciò che non avevo potuto fare nella mia nota preliminare. Il, Aspetto esterno Nel genere 7rochopus prevale la forma ellissoidale del corpo: vi sono, pertanto, delle specie, come il 7. yhombi e il T. herucan- thus (Fig. 1, 15), che assumono forma allungata a fuso, oppure, come il 7. diplacanthus ed il T. lineatus (Fig. 3,5), quella sub-rettan- golare. Il corpo termina posteriormente, restringendesi a mo’ di gambo che dà attacco ad una grossa ventosa (ventosa posteriore): anteriormente finisce subtroncato , e porta, nella faccia ventrale, due ventose di mediocre grandezza e di varia forma (ventose anteriori). Queste sono subsessili: ora più, ora meno indipendenti dal lembo anteriore che intercede tra di esse e che costituisce il margine anteriore del corpo sul quale sono inserite (Fig. 1, 2, 3, 5, 18, 24, 28, 39 pel primo caso, e Fig. 5, 8, 12, 21, 29, 30, 31, 82 pel secondo). Nel primo caso si muovono esse liberamente cam- biando aspetto e pare che si ergano su di un breve peduncolo. Le ventose anteriori ordinariamente hanno la forma di sco- della circolare più o meno profonda e con margine ora più ora meno ispessito (Fig. 5, 8, 12, 21); alle volte assumono invece anche l’aspetto di una coppa (Fig. 2, 3, 15, 13, 34). Intorno al margine, e sporgente oltre questo, si osserva un sottile merletto a contorno intero che, esaminato al microscopio con forte in- grandimento, presenta l’aspetto rappresentato nella Fig. 35. La ventosa posteriore è discoidale e relativamente abbastanza grande: essa è circondata da un fine merletto pieghettato come quello descritto in altri generi di Tristomidi (Zristomum, Acan- thocotyle ecc.). Nel suo interno si osservano dei raggi muscolari emergenti, varii di numero (da 6 a 10), e di spessore differente, ma disposti fondamentalmente sullo stesso tipo in tutte le specie. Essi convergono al centro fondendosi insieme in caratteristico modo; cosicché la ventosa resta come divisa in tanti settori cavi di varia ficura. Centro del sistema è il paio di raggi posteriori; questi in- contrandosi oltre il punto medio della ventosa si fondono ad arco, costituendo, nel loro insieme, come un ferro di cavallo, sul dorso e sui lati del quale vanno ad inserirsi tutt'intorno gli altri raggi muscolari. Ne consegue che la cavità più grande è quella che in- 46 ‘ Donato Massa tercede fra i due raggi posteriori, variando le altre, di forma e di grandezza, secondo. il numero e la maniera d’ inserirsi dei rima- nenti raggi (Fig. 1, 2, 3, 5, 8, 12. 15. 18, 21, 24). Nel 7. rhombi (Fig. 1), in cui i raggi secondo van BenEDEN sono al numero di sel, ì settori si mostrano pressochè eguali; sono invece disuguali nel 7. heracanthus (Fig. 15) in cui i raggi sono sette , e negli altri nei quali sono al numero di dieci. Oltre i raggi principali ve ne possono essere anche dei supplementari che intercedono tra i prin- cipali e non si collegano al centro con questi, come in 7. lneatus (Fig. 5), nella quale specie fra i due raggi posteriori se ne osserva un altro paio; questi ravvicinati tra loro e ben distinti alla loro origine dal margine posteriore della ventosa, vanno lentamente evanescendo verso il centro della ventosa. Lungo i due raggi posteriori si osservano degli uncini varii per numero e grandezza, e diversamente disposti. D’ ordinario sono due paia collocate uno dopo l’altro; ma in alcune specie, come p. e. T. pini, T. heteracanthus, T. hexacanthus e T. differens, (Fig. 2,8, 10, 11, 15, 16, 17, 24, 25, 26) possono essere anche tre paia asseriate. Nel primo caso, generalmente, quelli del primo paio sono più grandi e più robusti di quelli del secondo, come in 7. lmeatus, T. onchacanthus, T. tubiporus e T. micracanthus (Fig. 5, 6, 7, 12, 13, 14, 18, 19, 20, 21, 22, 33); ma può anche darsi il caso opposto, come in 7. rhombi e T. pini (Fig. 1, 2), oppure che gli uncini delle due paia siano pressochè eguali ed entrambi anche molto sviluppati e ravvicinati tra loro da occupare tutta la lunghezza del raggio, come in 7. diplacanthus (Fig. 3, 4). Gli uncini del terzo paio sono d’ordinario più esili e più piccoli di tutti (Fig. 11, 17, 206). Secondo le mie osservazioni e da quanto ho potuto ricavare dalle descrizioni, il colorito dei Trochopus è bianco lattiginoso, ja- lino, trasparente ; bianco tendente talvolta al roseo, secondo il SONSINO. Ill. Organizzazione interna Dallo studio fatto dell’interna organizzazione del genere 7ro- chopus ho potuto rilevare che le singole specie non differiscono ‘essenzialmente tra loro. Prendo, perciò, per tipo nella descrizione delle caratteristiche anatomiche del genere il 7°. heteracanthus, del quale ho avuto più abbondante materiale a mia disposizione. nen 7° 07 edile e e rn Vit Li dei i Ei Pi: si o. A Materiali per una Revisione del genere Trochopus 47 Rivestimento cutaneo eglandole.— Lo strato ecto- dermico si mostra di mediocre spessore, con una distinta mem- brana basale. Il sacco muscolare cutaneo è abbastanza sviluppato nei tre sistemi di fibre che ordinariamente entrano a costituirlo. Anche nel 7rochopus si osservano delle glandole cutanee, sia lungo i lati del corpo, diffuse in piccole masse nella zona di pa- renchina esterno alle braccia intestinali, che si comportano come quelle descritte in altri Tristomi, sia nella parte anteriore , dove si raccolgono in due gruppi allogati nel mesenchima del corpo di sotto e dietro le ventose, nelle quali sboccano coi loro dotti escre- tori (Fig. 36). Queste glandole anteriori di Zvockopus furono per la prima volta descritte e figurate dal MoxriceLLI nel Trochopus heracanthus (Placunella hexacantha) (2, pag. 104 e 107, tav. 6, fig. 31). Apparecchio digerente.— La bocca, con orifizio cir- colare, è situata nella parte anteriore ventrale del corpo, poco die- tro il margine posteriore delle ventose anteriori. Essa si continua in una tasca faringea, o prefaringe, abbastanza ampia, nella quale sporge il faringe fortemente muscoloso, di forma sferoidale. al- quanto appiattito ai due poli. Questo presenta una complicata strut- tura nelle fibre muscolari forti e robuste che entrano a costituirlo, fra le quali si osservano delle grandi cellule come quelle descritte dagli autori in altre forme di Trematodi, éd interpetrate per cellule nervose (confr. in proposito MontICELLI, 8, pag. 98). Manca un vero esofago e dal faringe si passa direttamente nell’ intestino, che è caratteristico per il suo grande arco e per il modo di comportarsi delle braccia, le quali decorrono fin presso l’attacco della ventosa posteriore col corpo : esse sono fra loro molto divaricate ad arco a livello degli organi genitali, specialmente dei testicoli, che rasen- tano all’esterno ravvicinandosi fra loro subito dopo e decorrendo paralellamente per la restante loro lunghezza. Esternamente, così dall’arco dell’ intestino, come dalle sue braccia, lungo il loro de- corso, partono numerosi diverticoli ramificati e ramificantisi. Di- verticoli radi e poco ramificati hanno origine anche dalla parte interna delle braccia (Fig. 27). : L’ectoderma s’inflette nella tasca faringea ricoprendo inoltre la parte del faringe sporgente in questa, e si continua poi col ri- vestimento del cavo faringeo che ha lo stesso aspetto e la stessa struttura dell’ectoderma; e forma, a sua volta, continuità, passando insensibilmente in questo, coll’ epitelio intestinale, nel quale si scorgono bene i nuclei, ma non si distinguono i limiti cellulari, 48 Donato Massa come è stato osservato in altri Tristomidi (p. e. negli Acanthocotyle dal MonTICELLI, 8). Sistema nervoso.—Ilsistema nervoso si compor- ta in generale sul tipo degli altri Tristomidi, come si ricava dalla Fig. 27, nella quale ho riassunto tutto ciò che mi è riuscito di os- servare della sua disposizione. Noterò solo che anche nel 7. hete- racanthus ho riconosciuto una commessura fra i nervi laterali in- terni (ventrali), che passa innanzi e sotto il faringe (Fig. 27, cnfy). Delle cellule nervose come quelle descritte nel faringe, se ne osservano anche nelle ventose così anteriori che posteriori, le quali, poichè si comportano come quelle già descritte dal Goro (2, pag. 266, plt. 20, fig. 5-7) non ho creduto di raffigurare. La distribu- zione dei nervi nelle ventose e la presenza di queste cellule la- sciano supporre una localizzazione sensoriale in esse. Gli occhi, in numero di quattro, sono disposti a trapezio sul dorso del cervello: gli anteriori più piccoli, i posteriori più grandi. Organigenitali.—L'’apparecchio genitale dei Trocho- pus se ha dei caratteri comuni con quello di altri generi di Tri- | stomidi, ne differisce per disposizioni anatomiche proprie che fa- cilmente lo distinguono. Difatti per le aperture genitali maschili e femminili, situate a sinistra della linea mediana nella faccia ventrale del corpo, esso si avvicina ai generi Tristomum, Epibdella Nitzschia, Ancyrocotyle, pur differendo da questi pel punto di sbocco e si distingue dai generi Acanthocotyle ed Encotyllabe. Con que- t'ultimo il Trochopus ha, invece, di comune la caratteristica di due soli testicoli, per cui rassomiglia pure al genere Epibdella, e diffe- risce perciò da Tristomum, Acanthocotyle e Nitzschia che hanno più testicoli, e da Ancyrocotyle che ne ha uno solo. Come ho detto, le aperture genitali sì trovano ventralmente a sinistra: esse sboccano Are poco dietro l’orlo po- steriore della ventosa anteriore sinistra (Fig. 27). Sono molto rav- vicinate e ben distinte tra loro, disposte una dietro l’altra in una sorta di fovea comune, nella quale spesso emergono all’ apice di un piccolo cono. Dall’apertura anteriore si vede di frequente pro- trudere il pene; la posteriore è lo sbocco della vagina: manca un distinto sbocco esterno per le uova. Il condotto dei prodotti ge- ‘nitali femminili si apre, invece, nel terzo anteriore della tasca del pene, inferiormente ; così che l’ apertura anteriore serve alla fuoriscita del pene e per l'emissione delle uova (Fig. 27, 37, 38, 39). Condizione questa che ripete quanto sì osserva in alcune spe- Materiali per una Revisione del genere Trochopus 49 cie del genere Epibdella, secondo ciò che descrivono Goro 1, 2 (p. e. in Epibdella sciaenae, hippoglossi) ed HratH (in Epibdella squa- multa). L'ultimo tratto della tasca del pene potrebbe interpetrarsi perciò, come una cloaca genitale molto profonda e tubulare, corri- spondente funzionalmente a quella che può osservarsi in altri Tre- matodi, ma non ad essa morfologicamente paragonabile. Dati i rapporti descritti fra le due aperture ed il valore di que- ste, considerando come il pene protruda molto all’esterno e si ri- volge serpentinamente in tutti i sensi ripiegandosi ad arco in sotto ed in sopra lungo i margini del corpo, nasce spontaneo il sospetto che avvenga un’ autofecondazione per diretta immissione del pene nella vicina sottostante vagina. Maschili.-I due testicoli, di forma ovoidale o sferoidale, va- riano di grandezza da specie a specie, e sono fra loro ravvicinati ed appaiati ai due lati della linea mediana del corpo. Essi trovansi im- mediatamente dietro l’ ovario, nella metà anteriore del corpo ; in alcune all’estremo di questa, in altre spostati più o meno innanzi (vedi le Figure d’insieme della Tav. 2 e la Fig. 27). Dal margine ante- riore dorsale ed interno di ciascun testicolo parte un breve efferente Questi si fondono presto in un unico condotto, di calibro assai maggiore, il quale, rasentando a sinistra l’ovario risale in avanti, e ripiegandosi ad ansa si slarga a formare un ricettacolo seminale collocato innanzi all’ ovario e dorsalmente al ricettacolo vitellino. Poi si continua, risalendo ancora con decorso tortuoso, ravvolgendosi più volte su sè stesso, ed all’altezza dell’ootipo, descrive un arco da sinistra a destra; quindi, passando dietro di quello, ridiscende per raggiungere la tasca del pene ed immettersi dorsalmente in que- sta nel suo primo terzo (Fig. 37, 38). Penetrato nella tasca, con- tinua il suo cammino per raggiungere il fondo di questa, dove sì ripiega ad S, ravvolgendosi su sè stesso e dilatandosi a formare una vescicola spermatica : risale poi fino alla base del pene e si continua in esso, costituendo il condotto eiaculatore, e lo percorre in tutta la sua lunghezza (Fig. 37. 38, 39, 41). La vescicola spermatica, abbastanza grande, occupa tutta la base della tasca del pene, che si dilata a forma di bulbo rigonfio o di fiasco, per poi ridursi gradatamente di calibro stirandosi a misura che decorre verso lo sbocco. La tasca del pene è molto lunga, e nel suo insieme ricorda, alla grossa, una pipa capovolta. Trovasi diretta da sinistra a destra verso l’ ovario , presso cui è Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 1. 4 50 Donato Massa collocato il bulbo, raggiungendo quasi col suo fondo cieco il mar- gine anteriore del testicolo destro (Fig. 27, 37, 38, 41). Il pene s’inizia dove termina il bulbo e dove la tasca comin- cia a diminuire di calibro, come una ripiegatura circolare delle pareti di questa, che si sollevano a cono, e risalgono formando un corniuolo cilindroide, molto allungato ; il quale, terminandosi « punta subrotondata, decorre nella tasca sorpassandola in lunghez- za, e fuoriesce, svaginato, per un tratto più o meno lungo (Fig. 37,38, 39). Esso si retrae, invaginandosi in sè stesso nel suo tratto iniziale, a dito di guanto, di tanto per quanto sorpassa la tasca in lunghezza, nella sua massima estensione, nel fuoruscire da questa. Cosicchè, quando è retratto, affiora appena colla sua punta l’aper- tura della tasca. Femminili. - L' ovario, situato sul finire del primo terzo della lunghezza del corpo innanzi ai testicoli, è sferoidale o subpiri- forme. Dorsalmente , nella sua parte medio-anteriore, sì origina l’ovidutto che risale con decorso ondulato, e, passando dorsal- mente ai vitellodutti trasversali ed al ricettacolo vitellino, decorre paralellamente al bulbo della tasca del pene. All’altezza dove que- sto comincia a restringersi, l’ovidutto aumenta di calibro slargan- dosi ad ampio fuso irregolare per costituire. l’ ootipo a forma di bulbo o fiasco, che rasentando a sinistra e lateralmente la tasca del pene si restringe per breve tratto (metraterm) e sbocca in quella all’inizio del suo ultimo terzo (Fig. 27, 38, 39, 41). Nel tratto in cui l’ovidutto passa a formare l’ootipo, sboccano numerose e grosse le glandole del guscio (Fig. 37, 38, 41). La vagina di calibro considerevole, dal suo punto di sbocco all’ esterno decorre per un certo tratto di sotto e paralellamente alla tasca del pene ed all’ootipo spostandosi verso sinistra. Passa di sopra al vitellodutto trasverso di questo lato e sul ricettacolo vitel- lino, poi sotto al deferente (ricettacolo seminale), e, diminuendo bruscamente di calibro, s'immette nell’ovidutto accanto allo sbocco del vitellodutto impari, poco oltre 1’ origine di questo dall’ ovario (Fig. 27, 37, 38, 39, 41). I vitellogeni sono sparsi per tutto il corpo, e si estendono da dietro le ventose anteriori all'estremo posteriore fin presso l'attacco della ventosa posteriore, insinuandosi anche nell’ ambito dei geni- tali. Gli acini sono di forma sferoidale molto numerosi e assai fitti tra loro (v. tutte le Figure della Tav. 2 e Fig. 27). Mu ge 1 Materiali per una Revisione del genere Trochopus 51 I vitellodutti longitudinali hanno decorso tortuoso : dapprima ravvicinati, dietro: i testicoli, si discostano ai lati di questi per circondarli esternamente. Subito innanzi ad’ essi convergono ad arco; costituendo i vitellodutti trasversali che si ricongiungono, risalendo avanti all’ovario nel ricettacolo vitellino. Questo, arcuato e più o meno rigonfio, è situato ventralmente rispetto agli altri or- gani genitali. Dalla sua faccia dorsale ed inferiormente parte il vitellodutto impari, che raggiunge l’ovidutto, e sbocca in questo nel punto già descritto precedentemente (Fig. 27, 37, 38). Le uova sono piramidate con un prolungamento filiforme di discreta lunghezza che parte da uno dei vertici (Fig. 40). Ho tro- vato solamente uova a termine, pronte ad esser deposte, nell’ ute- ro; per quante ricerche avessi fatte non mi è riuscito di rinve- nirne già deposte attaccate pei filamenti alla pelle ed alle branchie di Trigla corax. Ho esaminati, invece, giovanissimi individui di 7. heteracanthus aderenti alla pelle della 7yigla, evidentemente di fresco sgusciati, misuranti appena 306 p sprovvisti del tutto di ogni traccia di organi genitali e tutta una serie progressiva in grandezza di in- dividui. Cosicchè ho potuto seguire il formarsi dei genitali che si iniziano con la comparsa dei testicoli (mill. 1 circa) e poi con quella dell’ ovario (mill. 1,05 circa). IV. Sistematica Le caratteristiche del genere Trochopus possono essere così rias- sunte in seguito allo studio fatto : Gen. Trochopus Drrsine [1850] Sinonimia. 1840. Capsala NoRDMANN. 1878. Tristomum TAScHENBERG. 1864. Placunella vAN BENEDEN ED HessF. Diagnosi: Corpo: allungato ellissoidale, o subrettangolare. Colorito: bianco, lattiginoso trasparente : alle volte bianco roseo (SonsIno). Ventose anteriori: subsessili, di mediocre grandezza , di varia forma ed aspetto, con margine integro circondato da merletto; ora più ora meno indipendenti dal lembo anteriore intercedente fra di esse. 3 52 Donato Massa Ventosa posteriore: subsessile, terminale, grande, discoidale, con- fine merletto marginale; con raggi muscolari di numero variabile, da 6 a 10, convergenti sull’ arco formato dai due posteriori e dividenti la ventosa in settori cavi varii per forma e numero. Vi possono essere raggi supplemen- tari, intercedenti tra i principali (posteriori). I raggi posteriori portano degli uncini disposti in serie e diversi per numero, forma e grandezza (2 a 3 paia). Bocca: anteriore, ventrale, piccola, subcircolare , situata poco dietro il margine posteriore delle ventose anteriori. Prefaringe: (tasca faringea) abbastanza ampio. Faringe: di forma sferoidale, alquanto appiattito. Esofago: manca. Intestino: bifido, con braccia molto lunghe e con diverticoli late- rali esterni ed interni ramificati e ramificantisi. Aperture genitali: maschili e femminili a sinistra della linea mediana della faccia ventrale del corpo, submarginali, con orifizio unico per il pene e per il metraterm: questo si apre nella tasca del pene. Vagina sboccante accanto all’orifizio della tasca del pene. Testicoli: quasi sferici od ovoidali, in numero di due, relativamente grandi, situati ai due lati della linea mediana del corpo, nella metà ante- riore di esso, od all’estremo di questo oppure spostati più o meno innanzi. Ovario: sferoidale o subpiriforme, di mediocre grandezza, situato nella linea mediana del corpo, innanzi ai testicoli. Vitellogeni: aciniformi, sparsi per tutto il corpo. Uova: piramidate con prolungamento da un dei poli vertici. Habitat. — Vivono sulla pelle e sulle branchie di diversi Teleostei ma- rini (Trigla, Rhombus, Cantharus, Mugil, Serranus), aderendo sull’ospite colle ventose, specialmente con la posteriore, attaccandovisi per mezzo degli uncini dei quali questa è armata. Stabilite in tal modo le caratteristiche generiche, possono rag- grupparsi nel seguente quadro quelle che principalmente valgono a distinguere fra loro tutte le specie (nove) che mi risultano oggi note del genere: S| Ventosa posteriore con dieci raggi muscolari. 2 ‘ Ventosa posteriore con meno di dieci raggi muscolari. 9 Con raggi accessorii fra i due posteriori. Due paia d’uncini lungo i 9. raggi posteriori. T. lineatus Scort. [6] Senza raggi accessorii fra 1 due posteriori. Due o tre paia di uncini \ lungo i raggi posteriori. 5 Materiali per una Revisione del genere Trochopus 53 3 Tre paia di uncini lungo i raggi posteriori. 4 ‘ ( Due paia di uncini lungo i raggi posteriori. 6 Ventose anteriori indipendenti dal lembo anteriore. 5 4. CM - È Ventose anteriori coalescenti col lembo anteriore. T. heteracanthus Massa. [7] Uncini del paio anteriore molto più grandi di quelli delle paia po- \ steriori. T. differens Soxsino. [5] ) Uncini delle paia posteriori assai più grandi di quelli del paio an- \_ teriore. T. pini van Benep. Hesse. [2] 6 Ventose anteriori del tutto indipendenti dal lembo. ql ‘ ( Ventose anteriori coalescenti col lembo. 8 . Le due paia di uncini della ventosa posteriore molto grandi ed ugual- mente lunghi, ravvicinati e contigui fra loro. T. diplacanthus Massa. [9] Le due paia uncini della ventosa posteriore di diversa lunghezza e i grandezza collocate una dietro l’altro : quelli del paio anteriore più grandi dei posteriori. T. tubiporus Disse. [4] | Uncini del paio posteriore piccolissimi, sigmoidali. 8. T. micracanthus Massa. [8] Uncini del paio posteriori grandi terminati a gancio. T. onchacanthus n. sp. [10] | Con sei raggi. Due paia di uncini lungo i raggi posteriori. 9 ) T. rhombi van Benep. Hesse. [8] i Con sette raggi. Tre paia di uncini lungo i raggi posteriori. T. hexacanthus Parona Pervera. [4] Descrizione delle singole specie 1. T. tubiporus Diesine 1836 (Fig. 18, 19, 20, 34) Sinonimia : 1840. Capsula tubipora NoRDMANN, pag. 602. 1836. Tristoma tubiporum Diese, 1, pag. 14, taf. 1, fig. 14-16. 1845. Tristoma tubiporum DusarDpin, pag. 323. 1850. Trochopus longipes Diese, 2, pag. 428. 1858. Trochopus tubiporus Dirsine, 3, pag. 865. 1864. Trochopus tubiporus van BENEDEN ed Hesse, pag. 15, plc. 6, fig. 8-13. 1878. Tristomum tubiporum TAscHENBERG, pag. 563. 1891. Trochopus tubiporus MontICELLI, 2, pag. 124, tav. 6, fig. 14, 15-16. 1891. Trochopus tubiporus SAnNT-REMy, 1, pag. 16, 77, plc. 10, fig. 5. 1889-93. Trochopus tubiporus BRAUN, pag. 528. 1902. Trochopus tubiporus Parona e MontIcELLI, 1, pag. 47, 1903. Trochopus tubiporus Massa, pag, 254. (> lea 54 Donato Massa Diagnosi. Corpo: di forma ellissoidale. Colorito: bianco (roseo Soxsino). Ventose anteriori: piccole rispetto al corpo , a forma di coppa, alquanto allontanate fra loro e quasi del tutto indipendenti dal lembo ante- riore che è mediocremente sviluppato. Ventosa posteriore: con dieci raggi: Uncini in numero di due paia disposti in doppia serie: gli anteriori più grandi, fatti a corno, i posteriori più piccoli ed a forma di cetriolo. Aperture genitali: submarginali. Testicoli: ovoidali, situati molto innanzi nella prima metà del corpo, circa nel terzo anteriore, quasi di un terzo più grandì dell’ovario. O vario: sferoidale, piuttosto piccolo. Lunghezza: 8 mill. Habitat. — Sulle branchie della Trigla hirundo: ubi? (KòLLar) Brest (van BewneDEN Hesse). Note. Questa specie descritta per la prima volta dal Drrsine nel 1836 col nome di Tristoma tubiporum su esemplari raccolti dal KòLLaAR sulle branchie di Trigla hirundo fu da lui illustrata con figure, per i suol tempi, molto dimostrative e che la fanno facilmente riconoscere. Fu poi ritrovata e ridescritta da van BeNEDEN ed Hesse nel 1864; ma la descrizione di questi Autori non è molto soddisfacente ed incompleta ed i disegni che l’accompagnano non sono troppo corri- spondenti al vero, e per quanto riguarda gli uncini della ventosa po- steriore del tutto erronei e fantastici. Il MontIceLLI (2) nel 1891, parlando incidentalmente di questa specie (Nota V, pag. 123) portò un primo contributo alla migliore conoscenza del suo aspetto esterno esaminando un esemplare tipico del Dresine della collezione elmintologica di Vienna avuto cortesemente in istudio dal prof. MarenzeLLER. Egli ha data la prima descrizione. completa e la figura esatta della ventosa posteriore riconoscendone la vera architettura nella disposizione dei raggi, ed ha messo in rilievo la presenza di un secondo paio di uncini più piccoli dietro a quelli più grandi già veduti da van BenEDEN ed Hesse e di que- sti come di quelli ha disegnata una esatta figura. Dopo van Bx- NEDEN ed Hesse, per quanto è a mia conoscenza, nessuno ha più ritrovato questa specie. lla Materiali per una Revisione del genere Trochopus 55) Il Sonsino (1) nel 1890 scrive di aver trovato un Trochopus che egli chiama /orngipes Dresie sulle branchie di Tyrigla hirundo BLoc®, del quale dice di aver incontrato « difficoltà a farne la diagnosi a causa dello stato poco buono di conservazione della ventosa po- steriore che non mostra bene distinti i raggi ». Più tardi nel 1891 (2), ricordando la specie raccolta l’anno precedente su. Trigla hirundo | BLocH corregge la determinazione in 7. tubiporus e dice « Un esem- plare dello stesso verme, . . . l'ho raccolto di recente anche dalla Trigla cuculus » e soggiunge « ne do nuovamente i caratteri trat- tandosi di specie che non credo sia stata per anco descritta com- pletamente ». Egli difatti descrive la ventosa posteriore ed i suoi uncini, del quali riconosce tre paia, 1’ aspetto delle ventose ante- riori e quel tanto della organizzazione che gli è riuscito di vedere. Ora dato che lo esemplare delle Trigla hirundo BLock era in cat- tive condizioni come il Sonsino afferma (1), è evidente che la de- scrizione di cui sopra (2) è fatta sull’esemplare della Trigla cuculus Lin. Ciò posto, considerando che Trigla cuculus Lin. è sinonimo di Trigla pini BLoca, si avvalora il sospetto che nasce dallo esame della descrizione del Sonsino (2) che cioè si tratti, invece, appunto del Trochopus pini van BenEDEN ed Hesse, come dimostrerò par- lando di questa specie: essendo, in ogni modo, da escludersi possa il Trochopus della Trigla cuculus Linx., illustrato dal Soxnsimo, rife- rirsi al 7. tubiporus per i caratteri assegnatigli dal Soxsmwo del numero di paia di uncini e della disposizione di questi. Quanto all’ altro esemplare di Trochopus raccolto dal Sonsino (1) sulla 7rigla hirundo BLock e riferito, come sì è visto al 7. (lon- gipes) tubiporus, tenuto presente che Tyigla hirundo Brock, è sino- nimo di Trigla corax Ronp. !), ho tutte Je ragioni per sospettare che, nel caso si tratti, invece, del Tr. heteracanthus Massa da me descritto di Trigla corax (v. N.° 1) 1) Per stabilire la sinonimia di queste specie di 7)igla mi sono valso di: Carus, J. V: — Prodromus Faunae mediterraneae: Vol. 2, 1889-93. Morra, E. — Histoire naturelle des Poissons de la France: Tome 2, 1881. 56 Donato Massa 2. T. pini Hesse e van BenepbEN 1864 (Fig. 2, 2a, 2b) Sinonimia : 1864. Placunella pini van BeneDEN ed Hesse, pag. 72, ple., 5, fig. 9-18. 1878. Tristomum pini TascHENBERG, pag. 562. 1891. Placunella pini Samr-Rewy, 1, pag. 16-17. 1879-95. Placunella pini BRAUN, pag. 528. 1901. Trochopus tubiporus Sonsino, 2, pag. 200. 1902, Trochopus pini Parona e MoxmegLti, 1, pag. 48. 1903. Zrochopus pini Massa, pag. 254. Diagnosi. Corpo: ellissoidale. Ventose anteriori: assai grandi, a forma di coppa. Ventosa posteriore: con dieci raggi: Uncini in numero di tre paia, quelli del paio anteriore più piccoli, quelli delle paia posteriori molto grandi, allungati e ravvicinati tra loro; l’ esterno più breve e meno forte, l’interno più lungo e robusto e con le punte rivolte in dentro. Aperture genitali: marginali. Testicoli: ovoidali, mediocremente grandi, situati nella metà circa del corpo. Ovario: sferoidale, della grandezza quasi dei testicoli. Lunghezza: 5-8 mill. Habitat.— Sul corpo di Trigla pini, Trigla hirundo : Brest (van BenepEN- Hesse), Trigla corax: Napoli (Massa). Note Questa specie, dopo che fu descritta dall’Hesse e van BENEDEN non è stata più rinvenuta. Parona e MonmIcELLI (1) hanno dimostrato dall’esame delle fi- gure e della descrizione del van BenEDEN ed Hesse che questa specie non costituisce un genere distinto (Placunella) dai Trochopus, ma rientra in questo e ne va considerato come sinonimo , perchè istituito di data più recente (1864). Le forme determinate per 7. piri, raccolte dal Parona a Ge- nova sulla 7yigla hirundo, e gentilmente comunicatemi, sì riferi- scono, invece. al 7. diplacanthus e al T. micracanthus. 1 | Materiali per una Revisione del genere Trochopus DI Riferisco al Trochopus pini il Trochopus tubiporus dal Sonsino (2) raccolto sulla Trigla cuculus Lin. per le ragioni esposte in propo- sito nella nota critica alla specie 7. tubiporus e qui aggiungo che l'argomento maggiore in favore di questo riferimento lo ritraggo da quella parte della descrizione che riguarda la disposizione de- gli uncini dalla quale si ricaverebbe che, come appunto nel 7. pini, 1 grossi uncini sono posteriori. Difatti, 11 Sonsino scrive « offre per lato (la ventosa) due grossi uncini marginali oltre un uncino per lato più piccolo e leggermente forcuto situato più verso il centro del disco ». Stando però alla descrizione del Sow- sino, se ben la intendo e non fraintendo, i grossi uncini sareb- bero invece di uno, come affermano van BenEDEN ed Hessk, due per lato. Parona e MontIosLLI (41, pag. 47, Nota 1) esprimono il dubbio che questa forma descritta dal Sonsino non debba forse considerarsi come un’altra specie di Trochopus e diversa dalle fi- nora note che aspetta di essere meglio illustrata. Penso, invece, che le differenze dal 7. pini, che risultano dalla descrizione del Sox- sino, possano attribuirsi alla deficienze della descrizione e delle fi- gure date dal van BenEDEN ed Hesse. Mentre correggevo le bozze di questo lavoro, esaminando delle Trigla corax delle vasche dell’ acquario della Stazione zoologica di Napoli [invase da un numero così grande di Trochopus aderenti su tutta la superficie del corpo perfino sugli occhi, da determinare la morte anche delle più grosse 7'yigla] ho potuto constatare che, oltre al Trochopus heteracanthus Massa (v. pag. 62, N.° 7), su questo Tri- glide vive anche un’altra specie di Trochopus che per l'aspetto ge- nerale, per la forma e modo di comportarsi delle ventose anteriori e di quella posteriore, specialmente per avere questa gli uncini del paio posteriore molto grandi, non esito a identificare col T. pini van BenEDEN ed Hesse: quantunque gli esemplari raccolti presen- tino, invece di uno, due paia di uncini posteriorifcome il 7. tubi- porus del Sonsimo (2) che ho riferito al 7. pinî. Ma considerando che data la posizione reciproca degli uncini posteriori non riesce agevole distinguere le due paia a prima giunta e tenuto presente che la specie del van BenEDEN ed Hesse è ritratta, nelle loro fi- gure, di poco ingrandita, traggo argomento per confermare l’ipo- tesì innanzi espressa e ritenere che sia difatti sfuggita all’osserva- zione dei citati autori la presenza del secondo paio di grandi uncini posteriori. Avendo così potuto ristudiare il 7. piri, ho profittato di essere ancora in tempo per completare la diagnosi innanzi riassun- 58 Donato Massa ta — che avevo ricavata dalla descrizione del van BenkbEN ed Hessk e dalle loro figure — in base ai nuovi fatti osservati, di dare una figura originale di questa specie, e conseguentemente di mo- dificare anche il quadro diagnostico delle specie del genere 7ro- chopus. i 3. 7. rhombi van Bexepen e Hrsse 1864 (Fig. 1) Sinonimia. 1864. Piacunella rhombi van BENEDEN e Hesse, pag. ‘3, ple. 6, fig. 1-7. 1878. Tristomum rhombi TAscHENBERG, pag. 562, 1891. Placunella rhombi SAmt Remy, 1, pag. 17 plc. 10, fig. 6. 1879-93. Placunella rhombi BRAUN, pag. 528. 1902. Trochopus rhombi Parona e MonmiIcELLI, 1, pag. 48. 1903. Trochopus rhombi Massa, pag. 255. Diagnosi. Corpo: fusiforme. Ventose anteriori: piccole, a forma di coppa, molto ravvicinate fra loro ed indipendenti dal lembo che è abbastanza sviluppato ed a margine anteriore a punta. i Ventosa posteriore: con sei raggi: Unciniin numero di due paia disposte in doppia serie : il paio anteriore più piccolo, il posteriore più grande falciforme e colle punte rivolte in fuori. Aperture genitali: marginali. Testicoli: ovoidali, grandetti, situati nel terzo anteriore del corpo. Ovario:? i Lunghezza: 10-12 mill. Habitat.— Sul corpo del Rhombus maximus: Brest (van BenepeN ed Hesse). Note: Questa specie descritta e figurata per la prima volta da Hesse e van Bunepen col nome di Placunella rhombi, non è stata che io mi sappia più rinvenuta da alcun altro Autore; nè a me finora è riuscito di ritrovarla su Rhombus marimus del Golfo di Napoli. ParonA e MonTICELLI (1), stabilita l’identità del genere Pta- cunella con Trochopus, hanno aggregata’ la specie a questo genere. Materiali per una Revisione del genere Trochopus 59 La descrizione che ne do è ricavata da quella del vaw BeNnE- DEN ed Hxrssk ricostruita sulle loro figure con i dati tratti dallo studio comparativo delle altre specie del genere. Così pure la figura che riporto è combinata da quelle di van BenEDEN ed Hesse. 4. T, hexacanthus Parona e Perugia 1889. (Eig. 15, 16, 17, 28, 36). Sinonimia : 1889. Placunella herxacantha Parona e PeruUGIA, pag. 1, fig. 1. 1891. Placunella hexacantha Sant Remy, pag. 17. 1801. Placunella hexacantha. MontIcELLI, 2, pag. 104-107, tav. 6, fig. 31. 1599-93. Placunella hexacantha Braun, pag. 328. 1902. Trochopus heracanthus Parona e MonticeLLI, 1, pag. 476. 1908. Trochopus hexacanthus Massa, pag. 255. Diagnosi : Corpo: a forma di fuso raccorciato. Ventose anteriori: abbastanza grandi, a forma di coppa, moltis- simo ravvicinate fra loro ed in massima parte indipendenti dal lembo che è ‘a margine anteriore alquanto incavato. Ventosa posteriore: con sette raggi: Uncini in numero di tre paia, disposti in doppia serie: quelli del paio anteriore grandi, cuneiformi ed a punta acuta; quelli del secondo paio esili, allungati ed a punta ricurva in dentro; quelli del terzo più robusti dei precedenti e terminati a gancio ri- volto in dentro. Aperture genitali: marginali. Testicoli: ovoidali, il doppio più grandi dell’ovario. O vario: sferoidale, piuttosto piccolo. Lunghezza: 6-7 mill. Habitat. Sulle branchie di Serranus gigus: Genova (Parona-PERUGIA). Note. Questa specie, ben distinta da tutte le altre, fu trovata la prima volta da Parona e Perugia nel 1889, che la descrissero al- quanto sommariamente , dando solo una figura degli uncini. Rie- saminati gli esemplari più tardi da Pagona e MontIceLLI (1902) ri- conobbero che si trattava di un Trochopus ed annoveravano la specie in esame fra quelle di questo genere. Grazie alla cortesia del Prof. 60 Donato Massa Parona, che ne ha messi a mia disposizione parecchi esemplari, ho potuto completare lo studio di questa bella ed interessante forma. 5. 7. differens Soxsino 1891 (Fig. 24, 25, 26) Sinonimia. 1890. Trochopus longipes Sonsimo, 1, pag. 15. 1891. Trochopus differens Sonsimo, 2, pag. 260. 1902. Trochopus differens Parona e MontIcELLI, pag. 47. 1903. Trochopus differens Massa, pag. 254. Diagnosi : Corpo: fusiforme allungato. Ventose anteriori: grandi, slargate, aperte a scodella distanti fra loro ed indipendenti quasi del tutto dal lembo, che ha margine anteriore rotondato. 3 Ventosa posteriore: condieci raggi: Uncini in numero di tre paia disposti in doppia serie : quelli del primo paio molto grandi a punta. ricurva a gancio: quelli del secondo paio piccoli esili aghiformi allungati: quelli del terzo paio più brevi, ma tozzi ed appuntiti. Aperture genitali: marginali. Testicoli: ovoidali, più grandi dell’ovario. Ovario: sferoidale. Lunghezza: 4 mill. Habitat. — Sulle branchie del Cantharus lincatus : Pisa (Sonsimo). Note. Questo Trochopus, per la prima volta rinvenuto dal Sonsimo nel 1890 sulle branchie di Cantharus lineatus, fa da lui riferito alla stessa specie che egli aveva raccolta sulle branchie di Tyigla hrundo [|Trochopus (longipes) tubiporus]. Ma nel 1891 ristudiando meglio gli esemplari riconobbe che. il Trochopus del Cantharus è una specie diversa dal 7. tubiporus e la distinse col nome di 7. differens. Quantunque la descrizione del Sonsixo sia molto incompleta, pure da essa, data anche la dif- ferenza di ospite, mi convinsi subito, che realmente è una specie ‘ distinta dal 7. tubeporus e dalle altre del genere. Convinzione che ha ribadita e confermata l’esame di un esemplare tipico della specie gentilmente concessomi dal Prof, FrcaLsi; dal quale ho tratto così Materiali per una Revisione del genere Trochopus 61 la figura che la descrizione di questa specie a complemento di quella alquanto sommaria e riassuntiva data dal Sonsrxo. 6. 7. lineatus Scorr 1901 (Fig. 5, 6, 7, 32, 35) Sinonimia : 1901. Trochopus lineatus Scott, 1, pag. 148, plt. 8, fig. 18. 1902. Trochopus lineatus ParonA e MonticELLI, 1, pag. 48. 1903. Trochopus lineatus Massa, pag. 254. Diagnosi. Corpo: subrettangolare. Ventose anteriori: abbastanza sviluppate, a forma di coppa, al- quanto allontanate fra loro e del tutto aderenti al lembo che ha margine anteriore tondeggiante. Ventosa posteriore: con dieci raggi; fra il paio posteriore vi sono inoltre due raggi supplementari che, partendo dal margine della ventosa, si sperdono prima di raggiungere l’ arco centrale. Uncini in numero di due paia, disposte in doppia serie; il paio anteriore ensiforme e edile punte rivolte in dentro, l’inferiore semilunare e colle punte rivolte in fuori. Aperture genitali: sub-marginali. Testicoli: grandi, ovoidali, posti nella metà del corpo, alquanto più grandi dell’ovario. Ovario: sferoidale. Lunghezza: 8 mill. Habitat. — Sulle branchie della Trigla lineata: Scozia (Scort). Note. Grazie alla cortesia del Dott. Scort, che mi ha gentilmente inviato per mezzo del Prof. MownriceLti un esemplare di questa specie, ho potuto completarne la descrizione , ponendo meglio in evidenza le caratteristiche degli uncini di tale forma, che si distin- gue pure assai facilmente dalle altre per la presenza dei due raggi supplementari, fra quello del paio posteriore, nella ventosa posteriore. 62 Donato Massa 7: T. heteracanthus Massa 19083 (Fig. 8, 9,-10, 11, 27, 31, 37, 38, 39, 40, 41) Sinonimia : 1890. Trochopus longipes Sonsino, 1, pag. 15. 1891 Trochopus tubiporus Sonsino, 2, pag. 260. 1803 Trochopus heteracanthus MASSA, pag. 254. Diagnosi : Corpo: ellissoidale, molto allungato. Ventose anteriori: piccole rispetto al corpo, a forma di scodella circolare, di poco allontanate fra loro e del tutto aderenti sul lembo che è discretamente sviluppato ed a margine anteriore diritto. Ventosa posteriore: con dieci raggi: Uncini in numero di tre paia, disposti in doppia serie: i due del paio anteriore grandi, colle punte con- vergenti al centro della ventosa e fatti a testa di piccone; le due paia poste- riori a forma di baccello, terminati a gancio colle punte rivolte in fuori. Aperture genitali: submarginali. Testicoli: ovoidali, situati poco innanzi la metà anteriore del corpo e piuttosto piccoli, il doppio circa più grandi dell’ovario. Ovario: sferoidale, piuttosto piccolo. Lunghezza: 7 mill. Habitat.—Sulla pelle e sulle branchie della Trigla corax: Napoli (Massa). Note: Questa specie è anch’essa assai ben distinta da tutte le altre, specialmente per la caratteristica del numero e forma delle paia di uncini. Pertanto ad un esame superficiale, poichè per abito generale molto rassomiglia al 7. tubiporus, potrebbe facilmente venir con- fuso con questo. E poiché il Sonsrwo (4, 2), come ho innanzi detto a proposito di questa specie (v. pag. 55), riferisce al 7. (longi- pes) tubiporus una forma trovata da lui sulle branchie di Trigla M- rundo BLocH, che è sinonimo di Trigla corax Ronn, è assai proba- bile che il Trochopus illustrato dal Sonsino non sia altro che il Trochopus heteracanthus da me descritto, al quale perciò lo rife- risco. Materiali per una Revisione del genere Trochopus 65 8. 7. micracanthus Massa 1903. (Fig. 21, 22, 23, 29) Sinonimia. 1903. Trochopus micracanthus Massa, pag, 255. Diagnosi. Corpo: ellissoidale. Ventose anteriori: di mediocre grandezza, a forma di scodella. molto ravvicinate fra loro e del tutto aderenti sul lembo che è a margine anteriore leggermente incavato. Ventosa posteriore: con dieci raggi: Uncini in numero di due paia situati in doppia serie: il paio anteriore a forma di testa di piccone e colle punte rivolte in dentro, i posteriori sigmoidali, più piccoli dei pre- cedenti e colle punte rivolte in fuori. Aperture genitali: marginali. Testicoli: sferoidali, assai piccoli, situati molto innanzi nella metà anteriore del corpo, quasi nel terzo anteriore. Ovario: sferoidale, molto piccolo. Lunghezza: 8-9 mill. Habitat. — Sulle branchie della Trigla hirundo: Genova (Parona). Note: Ho riconosciuta questa specie in alcuni degli esemplari della collezione Parona, raccolti sulla Trigla hirundo e riferiti al Tro- chopus (Placunella) pini. Come facilmente si ricava dalla descrizione, essa è, invece, molto differente da questa specie, per tuttii caratteri generali, come per disposizione degli uncini (essendo gli anteriori più grandi dei posteriori) e per la forma e grandezza di questi. 64 Donato Massa 9. T. diplacenthus Massa 1903 (Fis. 3, 4, 33). Sinonimia : 1901. Placumella pinî Scott, 2, pag. 544 , figura. 1903. Trochopus diplacanthus Massa, pag. 254. Diagnosi : Corpo: subrettangolare. Ventose anteriori: a forma di coppa, di mediocre grandezza, molto allontanate fra loro e pressochè indipendenti del tutto dal lembo, che ha margine anteriore rotondato. Ventosa posteriore: con dieci raggi: Uncini in numero di due paia, molto grandi e allungati; entrambi gli uncini costituenti ciascun paio sono tra loro ravvicinati e contigui; l’esterno più lungo terminato a gancio colla punta rivolta in dentro, l'interno a forma di bastoncello. Aperture genitali: marginali. Testicoli: ovoidali, molto grandi, situati nella metà del corpo, il doppio più grandi dell’ovario. Ovario: -subpiriforme. Lunghezza: 6-8 mill Habitat. — Sulle branchie della Trigla hirundo: Scozia (Scorm). Note: Lo Scort ha raccolto sulle branchie della Tyigla harundo (Jellow Gurnard) un Tristomide che ha riferito con dubbio alla Placunella pini van BenepeN-Hesse. Per cortesia dell’ autore, avendo potuto esaminare degli esemplari originali della forma da lui illustrata, mi son convinto che questa non può riferirsi al Trochopus (Placunellta) pini, ma rappresenta invece una nuova specie e diversa dalle altre del genere per la caratteristica degli uncini che sono assai ben di- stinti da quelli di tutte le altre. Ho riconosciuta questa specie anche in alcuni esemplari raccolti a Genova dal Prof. Parona sulla Trigla hirundo. MR bi Materiali per una Revisione del genere Trochopus 65 10. 7. onchacanthus n. sp. (Fig. 12, 13, 14, 30.) Diagnosi. Corpo: ellissoidale. Ventose anteriori: a forma di scodella circolare, abbastanza gran- di, ravvicmate tra loro e quasi del tutto indipendenti dal lembo che è a margine anteriore leggermente incavato. Ventosa posteriore: con dieci raggi: Uncini in numero di due paia, l’ anteriore più grande e colle punte rivolte in dentro, il posteriore più piccelo, a forma di gancio e colle punte rivolte in fuori. Aperture genitali: marginali. Testicolì: grandi, ovoidali, situati poco innanzi la metà anteriore del corpo, tre volte circa più grandi dell’ovario. O vario: sferoidale, molto piccolo. Lunghezza: 9 mill. Habitat. — Ospite sconosciuto : Trieste (VALLE). Note: Mi è stato possibile studiare questa specie, perchè gentilmente comunicatami dal Prof. MonriceLLI al quale è stata inviata dal Prof. A. VaLLE di Trieste. Essa è ben distinta dalle altre e diffe- risce specialmente per la forma degli uncini del paio anteriore. L'unico esemplare avuto in esame non portava indicazione di ospite. Come si rileva da questo elenco delle specie finora conosciute di Trochopus, se se ne eccettuano quattro, una di ospite sconosciuto (T. onchacanthus) e tre ospiti di Pleuronettidi , Percidi e Sparidi, (T.rhombi, T. hexacanthus, T. differens), tutte le altre sei specie sono ectoparassite dei Triglidi. E di queste tre si troverebbero sullo stesso ospite, Trigla hirundo; cioè: T. tubiporus T. micracanthus, T. diplacanthus, sulla quale il vav BeveDpEN ed Hesse avrebbero ritro- vato anche il Tr. pini parassita della Trigla pini, se l'osservazione è esatta, o la determinazione della specie di Trigla è corretta. Che sullo stesso ospite si trovino più specie parassite dello stesso genere non è fatto nè nuovo , nè strano fra i Trematodi etero- cotilei; ma prima resta a sapersi con certezza quale è la forma di Triglide che è stata determinata per Trigla hirundo da coloro che Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 1. 5 66 Donato Massa hanno raccolti [PARONA (Tr. microcanthus)} od illustrati [Dresina: Hesse e van BenEDEN (Tr. tubiporus), Scort (T. diplacanthus)] i Tro- chopus in questione. Come rilevo dal MorrAau e dal Carus la specie Trigla hi- rundo non sarebbe registrata nel genere e riconosciuta dagli Ittio- logi; ma, col nome di autori diversi cade in sinonimia di diverse al- tre specie: cosicchè ben potrebbe darsi che tutte quelle specie di Trochopus ora indicate di Trigla hirundo siano invece parassite di specie diverse di Triglidi. E ciò sarebbe necessario metter bene in sodo per poter trarre delle conclusioni sul habitat delle singole spe- cie di Trochopus e costatare se realmente la stessa specie si trovi su ospite diverso (come sarebbe il caso del 7. pini van BENEDEN ed Hesse), e quali specie vivano realmente, oltre quelle accertate, sulla stessa specie ospitante come innanzi ho detto. Nel qual caso, bene assodato, potrebbe indagarsi se le diverse specie di Trochopus con comune ospitatore siano, per dir così, forme vicarianti l’ una dall’altra reciprocamente sulla stessa specie’ ospite in mari diversi. Se le specie di Trochopus sono ben distinte fra loro resta con- seguentemente, per quanto ho innanzi detto, ancor dubbia la per- tinenza di molte di esse all’ospite al quale furono attribuite. Occor- rerà quindi istituire delle ulteriori ricerche per ben identificare con la più scrupolosa esattezza, l’ospite sul quale si rinviene il parassita. Nel por termine a questo scritto sento il dovere di ringraziare il Prof. MonriceLLI che mi fu guida e consigliere amorevole, nonchè il Dr. TagLianI per la benevola assistenza che mi ha prestata. Napoli. Istituto Zoologico. R. Università Maggio 1906. Materiali per una Revisione del genere Trochopus 67 Bibliografia 1889-1893. Braun, M. — Wiirmer (Vermes) in: Bronn’s Class. Ordnungen des Thierreich: 4. Bd. 1836. Diesing, C. M. — 1. Monographie der Gattung Tristoma: Nova Acta. Acad. Caes. Leop. Carol. Tomo 18, Pt. 1, pag. 1-16, Taf. 1. 1850. Diesing, 0. M.— 2. Sistema helminthum: Vol. 1, Vindobonae. 1858. Diesing, C. M.— 3. 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Il genere Acanthocotyle: Arch. Pa- rasitol. Tome 2, pag. 75, Tav. 1-3. 1840. Nordmann, A. (de) — Helminthes in: Lamarcx. Histoire naturelle des Animaux sans Vertèbres: 2. Edi. Tome 3. 1902. Parona, C.-Monticelli, Fr. Sav. — 1. Sui generi Placunella e Trochopus : (Rend. Conv. Unione Zool. Roma) Monit. Z. Ital. Anno 13, Supplemento, pag. 46. 1903. Parona, C.-Monticelli, Fr. Sav. —2. Sul genere Ancyroco- tyle n. gr.: Arch. Parasitol. Tome 8, pag. 117, Tav. 3. 1890. Parona, C.-Perugia, A.— Dei Trematodi delle branchie dei pesci italiani: Atti Soc. Lig. Sc. Nat. Genova, Vol. 1, pag. 1. 1900. Pratt, H. S. — Synopsis of North-American invertebrates. XII- The Trematodes: American Nat. Vol. 84, pag. 645. 1901. Scott, Th. — 1. Notes on some parasites of Fishes:/38 Ann. Rep. Fish. Board Scotland, pag. 129, Plt. 7-8. 1902. Scott, A. — 2. Some additions to the Fauna of Liverpool bay: Trans. Liverpool Biol. Soc. Vol. 15, pag. 542, 5 Pit. 1890. Sonsino. P. — 1. Studi e notizie elmintologiche: Atti Soc. Nat. Pisa, Proc. Verb. Vol. 7, pag. 118 (adunanza 4 Maggio). 68 1891 1891 1898 Donato Massa . Sonsino, P.— 2. Parassiti animali del Mugi! cephalus e di altri pesci della collezione del Museo di Pisa: Atti Soc. Nat. Pisa, Proc. Verb. Vol. 7, pag. 253 (adunanza 1. Maggio). . Saint Remy G.— 1. Synopsis des Trématodes monogénèses : Re- vue Biol. 3 Année, pag, 405, 449, Plc. 10, 4. Année, pag. 1, 90, 136, 184. 224, 253 (Extrait pag. 92, 1 Plc.). . Saint Remy, G.— 2. Complément du Synopsis des Trématodes monogénèses: Arch. Parasitol. Tome. 1, pag. 521. . Taschenberg, 0.— Zur Systematik der monogenetischen Tréma- toden: Zeit. Gesammte Naturw. (3) 4. Bd. pag. 232. . Van Beneden, P. J.-Hesse, C. E. — Recherches sur les Bdel- lodes ou Hirudinées et les Trématodes marins: Mem. Acad. Belg. Tome 34, 142 pag. 14 Ple. Materiali per una Revisione del genere 7rochopus Spiegazione delle tavole 2 e 3. Lettere comuni a tutte le figure. US, vtdi, vtdl, vtdt, vtlg, , ampolle escretorie. aperture genitali. bocca. braccia intestinali. cervello. commessura nervosa faringea. dotto ejaculatore. deferente. efferenti. faringe. glandole anteriori. glandole del guscio. guscic di un uovo. lembo anteriore. merletto delle ventose. metraterm. nervi laterali esterni. nervi laterali interni. ootipo. ovario. ovidutto. pene. primo paio di uncini secondo paio di uncini \ della ventosa posteriore. terzo paio di uncini ramificazioni intestinali. paio posteriore di raggi della ventosa posteriore. ricettacolo seminale. ricettacolo vitellino. sbocco comune del pene e del metraterm. sboceo della vagina. testicoli. tasca del pene. vagina. vescicola spermatica. vitellodutto impari. vitellodutti longitudinali. vitellodutto trasverso. vitellogeno. uovo, 70 Donato Massa Tavola 2. Nelle figure che rappresentano uncini isolati, sono sempre figurati quelli di sinistra di ciascun paio. La fig. 1. è riprodotta dal van BENEDEN ed Hesse. Fig. 1. — Trochopus rhombi van BeNnEDEN ed Hesse. X 4. » 2. — T. pinî van BENEDEN ed Hrsse. x 15. » 2a. — Uncino del primo paio. x 200. » 2b. — Uncini del secondo e terzo paio. x 200. » 3.— T. diplacanthus Massa. »< 17. » 4.— Uncini dello stesso. X 150. » 5.— T. lineatus Scott. x 12. » 6. — Uncino del primo paio dello stesso. Xx 280. » 7.— Uncino del secondo paio dello stesso. X 280, » 8.— T. heteracanthus Massa. X 8. » 9. — Lo stesso visto di lato. X 5. » 10. — Uncino del primo paio dello stesso. x 130. » 11 — Uncini del secondo e terzo paio dello stesso. x 150. SOI ignchacanthustin isp » 18.— Uncino del primo paio dello stesso. x 110. » 14.— Uncino del secondo paio dello stesso. x 110. » 15.— 7. hexacanthus Parona e PerveIA. X 11. » 16.— Uncino del primo paio dello stesso. X 198. » 17.— Uncini del secondo e terzo paio dello stesso. x 198. » 18.— 7. tubiporus Diesine. X 6. » 19.— Uncino del primo paio dello stesso. x 198. » 20.— Uncino del secondo paio dello stesso. x 198. » 21. 7. micracanthus Massa. x 1. » 22.— Uncino del primo paio dello stesso. X 120. » 28.— Uncino del secondo paio dello stesso. x 120. » 24. — T. differens Sonsmo. X 16. » 25.— Uncino del primo paio dello stesso. > 320. » 26.— Uncini del secondo e terzo paio dello stesso. x 320. Tavola 3. Tutte le figure, eccetto la figura 41, sono ricavate da preparati 7 foto e completate, come nella figura. 27, da ricostruzione di serie di sezioni. Fig. 27. — Figura d’insieme della organizzazione di Trockopus heteracanthus. X 25. » 28. Estremo anteriore del 7. heracanthus; dal dorso. X 20. i » -29.— Estremo anteriore del T. micracanthus ; AMI. » 80.— Estremo anteriore del 7. onchacantus ; Pao dI » 31. Estremo anteriore del 7. heteracanthus ; O 2 » 82.— Estremo anteriore del 7. lineatus ; » IS420) Materiali per una Revisione del genere Trockopus foi Fig. 38. — Estremo anteriore del 7. diplucanthus; dal dorso. x 20. 34. — Estremo anteriore del 7. tubiporus; a 2: 36. — Una porzione di ventosa anteriore del 7. lineatus che fa vedere di- stintamente il merletto e 1’ aspetto di questo. >< 160. 36. — Estremo latero-anteriore destro fortemente ingrandito di Tr. heracan- thus, in cui si osservano le glandole anteriori. x 70. 37. — Insieme degli organi genitali di 7°. heteracanthus; dallato ventrale. x 44. 38. — Gli stessi dal lato dorsale. x 44. s 39. — Sbocchi esterni dei genitali di 7. heteracanthus con pene svaginato. x 90. 40. — Uovo isolato di 7. heteracan'hus. >< 140. 41. — Sezione frontale degli organi genitali di T. heteracanthus. Xx 90. Ricevuto il 10 Gennaio 1906, Finito di stampare il 19 Luglio 1906 f vec di, A i pone (clan di È ' mo I i alri ari Se n Sui nefridii con sbocco intestinale comune dell’ Allolobophora Antipae Micx. (Lumbricidi) del Prof. Daniele Rosa (in Firenze) Con la tavola 4 Introduzione Il presente lavoro fa seguito alla nota preliminare che ho pub- blicato nel marzo 1903 sotto il titolo di « Nefridii di rotifero in giovani lombrichi » (Rosa, 2). In quella nota io annunciavo una curiosissima disposizione dell’apparato nefridiale da me riscontrata in giovani esemplari di una specie (che lasciai allora indeterminata) di lombrico dei din- torni di Modena. La disposizione che avevo constatata era essenzialmente questa: partendo da un certo segmento tuttii nefridiisboc- cano in due canali longitudinali che scorrono con- tro le pareti interne del corpo, l'uno a destra Vl al- tro a sinistra, per un centinaio di segmenti all’in- dietro per poi confluire in un'unica ampolla me- diana dorsale sboccante nell'intestino a pochi seg- menti di distanza dall’ estremità posteriore del GOTpo. Le osservazioni che espongo nel presente lavoro confermano ed illustrano più largamente questi dati. Esse correggono però la mia nota preliminare in due purti che desidero sin d’ora accennare. 1)-Io aveva detto in quella nota che i canali longitudinali non persistevano nell’adulto. Ciò è errato: essi invece persistono. L'errore è facilmente spiegabile: tutti i competenti sanno che i lombrichi giovani sono in generale indeterminabili; ora nessuno dei lombrichi adulti che io trovava insieme con quei giovani pre- sentava una simile disposizione dell’apparato nefridiale, nemmeno (4: Daniele Rosa taluni che appartenevano ad una nuova specie [poi descritta da me col nome di Allolobophora nematogena] e che, concordando con quei giovani in tutti i caratteri che anche prima della maturità sono visibili, io credetti specificamente identici ad essi. Invece mi risultò poi che quei giovani appartenevano ad un’al- tra specie di cui solo più tardi trovai esemplari adulti. Questa specie è l’Allolobophora Antipae Mic®. !) mai trovata sin allora in Italia e di cui anzi non si conosceva che un esemplare incompleto proveniente da Jassy (Rumenia) che è conservato nel museo di Amburgo. Avendo esaminati questi adulti trovai che il loro ap- parato nefridiale (fin allora ignoto) era identico a quello dei gio- vani prima osservati. Frattanto questa constatazione è molto importante. Infatti se quella curiosa disposizione dell’apparato nefridiale non si conser- vava nell’adulto, essa aveva per ciò stesso un carattere di primi- tività che poteva far pensare ad un’omologia fra i condotti lon- gitudinali ed i canali dei pronefridi. Il loro persistere nell’adulto rende già a priori meno probabile quell’omologia che del resto le mie ricerche ulteriori mi hanno condotto ad abbandonare. 2) - Nella stessa nota ho detto che i due canali longitudinali negli individui non giovanissimi comunicano anche coll’esterno per mezzo di nefridiopori segmentali; ora questo fatto è vero ma è un'eccezione. Tali nefridiopori esistevano indubbiamente in un esem- plare che aveva servito di base alla mia nota preliminare e di cui conservo i preparati (Fig. 11 e 12) ma non li ho più ritrovati in nessun altro. Notevole il fatto che in quell’ esemplare era anche anormale la posizione dei canali longitudinali come dirò più oltre. Avrei vivamente desiderato poter seguire lo sviluppo embrio- nale delle notevoli strutture da me descritte; in questo desiderio sta anzi la causa del ritardo frapposto alla pubblicazione di que- sto lavoro. Disgraziatamente i tentativi di allevamento di questi delicatissimi lombrichi non riuscirono ed i bozzoli che si possono trovare nel terreno sono sempre troppo rari e del resto non si può sapere a quale specie appartengano fra le molte che si ritrovano nella stessa zolla. 1) Vedi la descrizione di questa specie in appendice al presente lavoro. Sui nefridii con sbocco intestinale comune ecc. 75 Parte anatomica I nefridii dell’ Allolobophora (Eophila) Antipae MicH. si trovano, come al solito, in un paio per segmento incominciando dal 3°, sul quale si apre il primo paio di nefridiopori, e terminando col pe- nultimo segmento del corpo. : Nei segmenti anteriori sino al 34° inclusivo i nefridii sono indipendenti, sboccando ciascuno per se all’esterno per mezzo di nefridiopori che si aprono presso al margine anteriore dei singoli segmenti sulla linea delle setole dorsali; dal 35° segmento in poi i nefridii sboccano invece nei canali longitudinali che descriverò più oltre. Tanto i nefridii anteriori liberi come i posteriori collegati pre- sentano una singolarità interessante cioè la mancanza di ve- scica o sacco muscolare terminale. Non consta finora che tale vescica manchi in alcun altro lum- bricide vero. Ho verificato che essa non manca nemmeno (anzi è grossissima) nell’ A. nematogena Rosa, la quale appartiene allo stesso sottogenere (Eophila) che la nostra specie. Dubitando che l'assenza della vescica potesse dipendere dalla piccola mole dell’animale (che spesso basta da sola a determinare fenomeni di semplificazione) ho esaminato sotto quest’ aspetto A. minuscula Rosa (più piccola ancora dell'A. Antipae) ed anche in essa ho ritrovato le vesciche dei nefridii molto ben sviluppate. Dell’ assenza o del minimo sviluppo di tali vesciche si cono- scono tuttavia esempi nei terricoli non appartenenti ai lumbricidi veri, p. es. nel Criodrilus e sopratutto nelle forme in cui i pri- mitivi nefridii si sono suddivisi in molteplici micronefridii. Il tratto terminale dei nefridii dell'A. Antipae col quale i ne- fridii anteriori sboccano all’esterno ed i posteriori nei canali lon- gitudimali è dunque un semplice tubo formato di una filza di cellule bucate e rivestito da una sottile membrana peritoneale. Nei nefridii anteriori liberi lo sbocco di questo tubo allo esterno è orlato da una leggerissima introflessione epidermica la cui profondità è uguale al doppio del diametro del tubo stesso e anche circa al doppio dello spessore medio dello strato epidermico (Fig. 1). Salvo quest’assenza di una vescica terminale, il corpo dei ne- fridii dell'A. Antipae non presenta notevoli differenze da quello degli altri lombrichi. 76 Daniele Rosa Prendiamo come termine di paragone i nefridii del Lumbricus terrestris Lin (= L. herculeus:SAv.) i quali ci sono ben noti pel diligentissimo studio che ne fece il BenHAw (2) !). Se si confrontano le figure di questo autore colla mia Fig. 2 si vede subito la corrispondenza sostanziale dei nefridii di queste due specie. Nella mia figuva mi sono limitato a riprodurre esatta- mente il sistema dei canali nefridiali , adombrando solo le parti connettive e peritoneali ed ommettendo il plesso dei vasi sanguigni. La figura è tratta da un nefridio destro, di quelli che sboccano già nei canali longitudinali. Da questa mia Figura 2, si vede che il corpo del nefridio è, come al solito, piegato due volte in modo da raffigurare una lettera Z ‘che nei nefridii di sinistra sarebbe naturalmente rovesciata), no- tando però che i due rami anteriori sono concavi l’uno verso l’altro formando insieme un cappio e che il terzo ramo si prolunga verso l'esterno (verso il dorso) molto più del resto del nefridio. Possiamo chiamare ab, de, cd i tre rami della Z incominciando dal principio del ramo anteriore. Il tubo (narrow tube di BenHAw) che parte dal padiglione del nefridio (o nefrostoma) collocato nel segmento precedente a quello in cui sta la gran massa del nefridio, dopo aver attraver- sato il dissepimento, si collega subito col corpo del nefridio in @ e, con cammino molto tortuoso, percorre tutti i tre rami ab, de e cd, poi, ripiegandosi su se stesso rifà tutta la strada in senso in- verso: de, ch, ba; ritornato in @ esso si ingrossa (middle tube) e si porta, questa volta direttamente, a raggiungere il terzo ramo cd ad una certa distanza da c e lo segue sino all’estremità d, poi si ripiega ancora su se stesso (diventando il wide tube di Ben- HAM) per rifare ancora una volta tutta la strada de, cb, da; infine in 4 esso si stacca dal corpo del nefridio e diventa indipendente dirigendosi per via tortuosa verso lo sbocco nei canali longitu- dinali. VIA Come si vede, nel decorso dei canaletti 1’ unica particolarità un po’ vistosa, (ma in se insignificante) dei nefridii dell'A. Ant.pae sta in ciò che i due tubi maggiori che scorrono nel ramo poste- riore cd non si accompagnano (come succede invece nel L. terrestrts) 1) Sul nefridio dei lombrichi cfr. anche l’opera di K. C. ScanEMER (4, pag. 416-428) in cui sono anche riprodotte le figure principali del lavoro di BeNHAM. Sui nefridii con sbocco intestinale comune ecc. Lari per tutta la lunghezza del ramo, ma invece si separano ad una certa distanza da c, talora quasi a metà del ramo stesso cd. Si può ancora notare che nella nostra specie il tratto corri- spondente al wide tube di BenHAm non è su per giù più ampio del middle tube. Infine è da notare che nella nostra specie il wide tube è parzialmente ciliato; ciò nei nefridii posteriori è solo per un breve tratto terminale presso al loro sbocco nei canali longitudinali. Quanto alla posizione dei nefridii essa è affatto normale. Anche qui i nefridii giungono coi loro padiglioni sulla linea delle setole ventrali ed occupano tutto lo spazio fra le setole ven- trali e le dorsali, estendendosi oltre a queste per un tratto uguale od anche maggiore verso il dorso. La stessa posizione è conservata anche dai nefridii degli ultimi segmenti i quali dunque, non mu- tando la loro posizione ma solo allungando sempre più il loro tubo terminale, riescono a sboccare nei canali longitudinali laterali che in quei segmenti si sono spostati verso il dorso per dirigersi verso il loro sbocco mediano dorsale nell’intestino. Diamo ora qualche cenno, anch’esso di indole essenzialmente topografica, sui due canali longitudinali in cui sboccano i nefridii posteriori. Questi canali incominciano nel 36° segmento del corpo perchè quello che sembra essere il loro prolungamento anteriore nel 35° è già parte del nefridio di questo segmento. Essi se l’ani- male è disteso sono dritti, se è contratto serpeggianti colle sinuosità giacenti in un piano verticale; sono cilindrici, rigiduli, non con- trattili e il loro diametro è approssimativamente uguale a quello del vaso dorsale salvo verso la loro estremità anteriore dove essi vanno gradatamente attenuandosi sino a non aver più che il dia- metro del tubo ampio (wide tube) del nefridio. Quanto alla posizione dei canali, essi stanno normalmente (per eccezioni vedasi più oltre) presso alla linea delle setole laterali del corpo, dal lato dorsale di esse; per una stretta striscia longitudi- nale essi aderiscono al peritoneo rivestente i fasci muscolari che sovrastano immediatamente all’interruzione longitudinale in cui sta la serie dei follicoli setigeri; nel resto essi bagnano liberamente nella cavità celomica, nascosti tuttavia parzialmente dai nefridii, perchè essi canali stanno fra i nefridii stessi e la parete del corpo. Solo negli ultimi segmenti questi canali longitudinali sì scostano gradatamente dalle setole laterali (o dorsali), per portarsi verso la linea mediana del dorso. 78 Daniele Rosa Veniamo al collegamento di questi canali longitudinali coi nefridii. Abbiamo già detto che nei segmenti anteriori fino al 34° in- clusivo (che è il primo segmento postelitelliano) i nefridii sboccano direttamente all’esterno per mezzo del loro « wide tube» senza l’ intermediario di una vescica terminale. Invece il nefridio del 35° segmento e tutti quelli posteriori ad esso sboccano col loro « wide tube » nei canali longitudinali comuni. Il collegamento dei nefridii coi canali longitudinali avviene però diversamente secondo che si tratta del primo paio di questi nefridii (35° segmento) o di quelli successivi. Il nefridio del 85° segmento si collega col relativo canale lon- gitudinale imboccandone l'estremità anteriore per cui questo canale sembra continuarsi direttamente col tubo che forma l’ultimo tratto del nefridio. Come si vede dalla Fig. 3 il canale longitudinale, che nei seg- menti anteriori era andato gradatamente attenuandosi, giunto a metà del 36° segmento perde il suo carattere e si trasforma in un vero tubo nefridiale (fatto di una filza di cellule assilmente bucate e ciliate); non si ha però al punto di passaggio alcuna brusca di- minuzione di diametro per cui a prima vista il cambiamento di natura può sfuggire. Questo tubo nefridiale è già il wide tube del nefridio del 35° segmento; esso, attenuandosi ancora un poco, seguita a dirigersi all’avanti attraversando il setto 35-36 e giunto a metà, od anche verso alla parte anteriore, del segmento 35° si ripiega verso il ventre arrivando sino a poca distanza dalle setole ventrali e qui, descrivendo la stessa curva che si nota anche nell’ ultimo tratto libero del wide tube di tutti gli altri nefridii, si ripiega verso il dorso per entrare a far parte del corpo del nefridio. Propriamente dunque i nefridii del 35° segmento sboccano nel canale longitudinale a metà del segmento 36° per cui tali nefridii non si estendono come al solito per due soli segmenti ma per tre; il primo ed il secondo contenendo, secondo il solito, 1 uno il ne-. frostoma e l’altro il corpo del nefridio, mentre il terzo, a differenza di quel che avviene normalmente, è ancora occupato dall’ ultima parte libera del grosso tubo del nefridio (wide tube). In questo tubo la ciliatura si estende per molto maggior tratto che nei ne- fridii posteriori ad esso. Sui nefridii con sbocco intestinale comune ecc. 79 I nefridii posteriori a quelli del 35° segmento sboccano invece nel canale longitudinale nel segmento stesso in cui sta il corpo del nefridio; in questi lo sbocco è laterale, per cui il canale longi- tudinale e quei tubi nefridiali formano insieme come un pettine a denti molto discosti. Gli ultimissimi nefridii sboccano poi nel ca- nale longitudinale per mezzo di tubi sempre normali ad esso ma aventi rispetto all’ asse del corpo una direzione obliqua e infine quasi postero-anteriore perchè l’estremità posteriore dei canali lon- gitudinali descrivendo una curva per portarsi verso il suo sbocco mediano dorsale dell’intestino piglia nel suo ultimo tratto un corso quasi trasversale. L'ultimo paio di nefridii (il quale sbocca nei ca- nali laterali a brevissima distanza dallo sbocco di questi ultimi nell’intestino) appartiene morfologicamente al penultimo segmento del corpo. Vediamo in ultimo come avviene lo sbocco delle estremità posteriori dei canali longitudinali nell’intestino. Questo sbocco avviene per l'intermediario di un’ampolla ovale allungata in senso longitudinale e che trasversalmente ha un dia- metro massimo uguale a circa 4 volte quello dei canali longitu- dinali. L’ ampolla sbocca direttamente, mediante un’ apertura ab- bastanza ampia che termina la sua estremità anteriore, nell’ in- testino ; lo sbocco avviene proprio sulla linea mediana dorsale di esso, per cui l’ ampolla deve spostare da un lato il vaso dorsale. (Qui non esiste già più il typhlosolis). Posteriormente l’ ampolla si restringe e forma un breve collo che presto biforcandosi dà origine al due canali longitudinali i quali descrivono una curva colla con- cavità in avanti e frattanto si portano poco alla volta fin presso alla linea delle setole laterali per scorrere di qui in linea retta verso l'estremità anteriore del corpo. (Fig. 5). L'esatta posizione airiclozior dell’ampolla e delle parti vicine dell'apparato nefridiale non è facile da stabilire. Guardando per Co un giovane esemplare (Fig. 5) sem- bra che l’ampolla occupi il quint’ultimo segmento; ma le sezioni lon- gitudinali (Fig. 6) mostrano che essa occupa morfologicamente il terz'ultimo segmento al cui limite anteriore essa sbocca nell’ inte- stino. La suddetta illusione è dovuta al fatto che in questa regione 1 dissepimenti sono alquanto spostati verso l’avanti e che il setto fra i segmenti 3 e 4 (contando dall’indietro) è in parte saldato col dorso dell’ampolla per cui sembra inserirsi a metà di essa mentre invece l’accompagna fino allo sbocco anteriore. 80 Daniele Rosa Al limite posteriore dell’ ampolla si inserisce il setto che sta fra i segmenti 2 e 3 (sempre contando dall’indietro); tale dissepi- mento è attraversato dal collo posteriore dell’ ampolla stessa per cui i canali laterali si dipartono da questo collo nel penultimo segmento ed in questo ricevono lo sbocco dell’ ultimo paio di ne- fridii collocati essi pure nel penultimo segmento del corpo 1). Naturalmente la metà anteriore dell’ ampolla è sepolta nelle pareti dell’intestino; vedremo poi che il collo anteriore di essa è propriamente formato da un’estroflessione dell’epitelio intestinale. Minuta struttura Occupiamoci ora della minuta struttura dei canali longitudi- nali e delle parti che li collegano da un lato coi nefridii e dal- l’altro coll’intestino. Nella parete dei canali longitudinali si distinguono tre strati: 1° uno strato esterno peritoneale, 2° una membrana anista, 3° uno strato cellulare interno (Fig. 7). Lo strato peritoneale esterno non presenta nulla di particolare essendo affatto simile a quello che riveste p. es. le pareti interne del corpo del quale strato esso è una diretta continuazione. I suoi nuclei non hanno quasi mai forma circolare ma son quasi sempre nuclei ovali o, più spesso, fatti a mandorla, il cui diametro (ridu- cendoli a forma circolare) è di 4-5 p. Il nucleolo è piccolissimo, poco maggiore dei granuli di cromatina i quali del resto sono piut- tosto grossi. Sotto a questo strato sì trova una sottilissima membrana ani-. sta (0 membrana basale) la quale coll’azzurro di toluidina si colora in rosso, precisamente come fa la membrana anista interna del vaso dorsale e come fanno, in grado minore, anche altre sostanze 1) La posizione dell’ampolla nel terz’ ultimo segmento è costante sia negli adulti che negli esemplari giovanissimi. Ciò dimostra che, almeno in questa specie, cessa di buon’ora la formazione di nuovi segmenti. i Ma il fatto dev'essere più generale: io ho fatto contare i segmenti in un numero grandissimo di A/lolobophora foetida; ora la media ottenuta negli esem- plari molto giovani era uguale a quella data da quelli perfettamente adulti. Ho creduto necessario notare ciò perchè è opinione diffusa che nei lombrichi il numero dei segmenti possa crescere per tutta la vita; in talune forme di glossoscolicidi si è persino parlato di un accrescimento intercalare mostratosi poi insussistente. Sui nefridii con sbocco intestinale comune ecc. 81 connettive del corpo dei lombrichi. Essa si deve considerare come un prodotto delle cellule dello strato interno. Infine si ha lo strato cellulare interno, che è più spesso, il quale tappezza direttamente il lume dei canali: esso non è ciliato e la sua superficie libera è leggermente mammillonata presentando dei rilievi in corrispondenza dei suoi nuclei. i I nuclei di questo strato sono molto grossi (diametro medio 7-8 |), tondi o più spesso ovali, di forma regolarissima. Essi, a dif- ferenza di quelli dello strato peritoneale, si colorano pochissimo e la loro cromatina si presenta in minutissimi granuli uniti da un reticolato molto delicato. Poichè questi nuclei sono più grossi dello spessore medio dello strato cui appartengono, essi, sebbene appiat- titi, producono in questo strato le ondulazioni cui si è sopra accennato. Le cellule a cui essi appartengono non hanno limiti discernibili, ma dalla scarsezza dei nuclei si vede che esse se son sottili sono tuttavia molto ampie. In una sezione trasversa di un canale è difficile trovare più d’un nucleo e spesso non se ne trova alcuno. Su un tratto di ca- nale della lunghezza di un segmento (verso l’ estremità posteriore) ho contato circa 40 nuclei equidistanti disposti senza ordine spe- ciale. Il citoplasma di queste cellule non presenta inclusi ma, so- pratutto presso il nucleo, è torbido e finamente granuloso. Notiamo espressamente che nelle pareti dei canali non vi sono affatto fibre muscolari. Non si devono confondere con cellule facenti normalmente parte deila parete dei canali le cosidette « cellule a batteroidi », (CuenoT, 1, pag. 111 e ScENEDER, 1, pag. 411), che stanno spes- so applicate in grande numero su essa parete. I nuclei di queste si distinguono da quelli del rivestimento peritoneale per essere più piccoli, con granuli di cromatina molto più grossi ed addensati. Il contorno della cellula è quello d’ un ameba a lobi grossi e ton- deggianti. Tali cellule sono fittamente riempite di inclusi a reazione acida che han per solito la forma di bastoncini lunghi in media quasi la metà del nucleo, talora anche di globuli più o meno elit- tici (Fig. 8). Esse del resto si ritrovano anche in altre parti, come p. es. sui nefridii e fra i fasci muscolari. i Notiamo ancora che, a differenza dei tubuli nefridiali pro- priamente detti, i canali longitudinali non sono quasi affatto va- scolarizzati. Come è noto i nefridii dei lombrichi (non quelli degli Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 1. 6 82 Daniele Rosa oligocheti inferiori) sono invece riccamente irrorati per opera di una complicatissima rete sanguigna. Veniamo in ultimo alla struttura dell’ ampolla terminale me- diante la quale i due canali laterali sboccano in comune nella pa- rete dorsale dell’ intestino alla parte anteriore del terz’ultimo seg- mento. Se si conduce una sezione attraverso l’ intestino là dove sbocca in esso obliquamente il collo dell’ ampolla (Fig. 9) il taglio non interessa che la parete dorsale (o dorso-anteriore) del collo stesso. Qui si vede che la parete del collo si presenta come una sem- plice estroflessione dell’ epitelio intestinale distinta solo pel fatto che in essa i nuclei sono molto più addensati e che il corpo delle cellule è più compatto e perciò si colora più intensamente. La struttura e la dimensione dei nuclei sono del resto le stesse che nell’adiacente epitelio intestinale. Una sezione trasversa alquanto posteriore alla precedente e tagliante per intero il collo dell’ampolla (Fig. 10) ci mostra i nuclei divenuti più scarsi e più ovali, col maggior diametro parallelo alle pareti del collo. In questa prima regione le pareti proprie dell’ ampolla si ri- ducono all’interno epitelio il quale è direttamente a contatto colla massa delle pareti intestinali in cui questa parte anteriore del l’ampolla sta affondata. Invece sezioni della parte posteriore libera dell’ampolla ci mo- strano la stessa struttura dei canali longitudinali, cioè uno strato interno con scarsi nuclei ovali e più piccoli, uno spesso strato in- termedio di struttura fibrillare corrispondente alla sottile membrana anista che sta nello spessore dei canali longitudinali e su tutto una membrana peritoneale. Nelle sezioni longitudinali (Fig. 6) si vede che il passaggio dalla prima alla seconda parte dell’ampolla è molto repentino ; il primo tratto, con nuclei addensati e simili a quelli dell’ epitelio intesti- nale, si estende dorsalmente sino ad un buon terzo della lunghezza dell’ampolla, ventralmente arriva a meno di un quarto. Da notare in ultimo che adiacente all’epitelio del primo tratto dell’ampolla corre un largo fascio dorsale di fibre muscolari lon- gitudinali che, a quanto pare, derivano dal dissepimento tra il ter- z'ultimo e quart’ ultimo segmento, dissepimento che in questa re- gione è quasi saldato col dorso dell’ampolla; del resto anche l’am- polla, come i canali longitudinali, non ha fibre muscolari proprie. Sui nefridii con sbocco intestinale comune ecc. 83 Anomalie 1. Individuo con nefridiopori segmentali Fra tutti gli esemplari da me esaminati uno differiva dagli altri pel fatto che in esso i canali longitudinali, oltre al presentare lo sbocco posteriore comune nell’intestino, comunicavano anche di- rettamente coll’esterno per mezzo di nefridiopori segmentali. In questo esemplare era anche anormale la posizione dei canali stessi; mentre in tutti gli altri esemplari i canali longitudinali scor- rono poco sopra alla linea delle setole dorsali, in questo essi scor- revano poco sopra alla linea delle setole ventrali aderendo alle masse muscolari che limitano superiormente il solco che contiene la serie dei follicoli setigeri. Tale anomalia si può connettere col fatto che in molti lom- brichi i nefridiopori sì possono aprire un po’ superiormente alla serie delle setole ventrali o a quella delle dorsali, variando talora la disposizione da un segmento all’ altro o anche da un lato al- l’altro dello stesso segmento. Più notevole è la suddetta anomalia di questo stesso esemplare per cui da ciascuno di questi canali partiva in ciascun segmento un breve diverticolo sboccante all’esterno (Fig. 11 e 12). Questi diverticoli partono dal canale longitudinale presso a poco in faccia al punto ove sbocca in esso un nefridio ; essi sono ora tubulari ora un po’ rigonfi ad ampolla ovale allungata, presentano un diametro presso a poco uguale a quello del tubo nefridiale (wide tube) sboccante nel canale longitudinale, e si insinuano fra gli strati muscolari e cutanei in modo da raggiungere un nefridioporo esterno aprentesi un po’ dorsalmente alla linea delle setole ventrali a circa */3 della distanza tra le setole ed il limite anteriore del segmento. La strutturà delle pareti di questi tubuli è la stessa di quella dei canali longitudinali di cui sono certo dei diverticoli; nes- sun indizio fa supporre che si tratti di invaginazioni epidermiche salvo per quanto riguarda proprio l’orlo del nefridioporo. Forse in questa anomalia bisogna vedere un parziale ritorno alla disposizione primitiva, a quella cioè in cui ciascun nefridio sbocca indipenden- temente dagli altri all’esterno per mezzo de?’ soliti nefridiopori. 84 Daniele Rosa 2. Individui con estremità posteriore in via di rigenerazione In due esemplari ben adulti facendo sezioni dell’ estremità posteriore trovai che i due canali longitudinali giungevano sin nell'ultimo segmento conservandosi perfettamente laterali e sboc- cavano nell’ intestino indipendentemente l un dall’ altro, l’ uno a destra, l’altro a sinistra. Era facile accorgersi che si trattava di due individui che ave- vano subito un’amputazione caudale: infatti in entrambi il typh/o- solîs si estendeva sin quasi al termine del corpo invece di fermarsi ad una dozzina di segmenti più avanti. All’ esame esterno queste due estremità apparivano normali; veramente una presentava questa particolarità che l’apertura anale si prolungava in avanti su quasi tutta la faccia ventrale dell’ ul- timo segmento, però la stessa particolarità la ritrovai anche in un individuo inalterato. In questi due individui non era però avvenuta una vera rige- nerazione con neoformazione di segmenti, come lo dimostrano già le grosse setole presenti sull'ultimo segmento; era solo avvenuta una cosidetta « riparazione », cioè i margini dell’intestino si erano fusi con quelli della parete somatica senza più lasciar riconoscere la linea di passaggio. Nell’uno dei due esemplari l’amputazione doveva essere stata relativamente recente per cui nell'interno non erano avvenute mo- dificazioni notevoli. In questo esemplare i due canali longitudinali giunti nell’ultimo segmento si piegavano semplicemente in dentro sboccando l’uno dal lato sinistro l’altro dal destro nell’intestino. Nell’altro esemplare (quello con fessura anale prolungata ven- tralmente in avanti per cui la sezione trasversa dell’ultimo segmento anzichè circolare appariva fatta a ferro di cavallo , come si vede nella Fig. 14) il lavoro della riparazione era più inoltrato, tantochè anche per breve tratto prima della regione in cui la fessura anale attraversava la faccia ventrale, l'intestino era saldato ventralmente e dorsalmente alle pareti del corpo; non v'era più traccia di vaso dorsale nè di-catena gangliare e la cavità celomica dell'ultimo seg- mento era posteriormente occupata da masse di tessuti. Ora in questo secondo esemplare i canali longitudinali giunti al termine del loro percorso facevano una piccola ansa ritornando Sui nefridii con sbocco intestinale comune ecc. 85 un poco verso l’avanti per sboccare poi (sempre nell’ ultimo seg- mento) l’uno dal lato destro, l’altro dal sinistro nell’intestino. Pat ciò nella sezione rappresentata in Fig. 14, ciascun canale longitudi- nale si trova tagliato due volte, il canale esterno è quello discen- dente, l'interno è quello che risale per brevissimo tratto prima di sboccare nell’ intestino. Mi sembra che nei due casi e sopratutto nel secondo (che ho studiato per mezzo di sezioni trasverse) si sia rifatto un breve proctodeo; certo è che in quest’ultimo individuo per breve tratto posteriore allo sbocco dei canali longitudinali l’epitelio intestinale conserva la stessa struttura che ha anteriormente a quello sbocco e che è ben diversa da quella dell'epidermide. L'osservazione di questi due casi, e sopratutto del secondo, rende affatto inverosimile l’ipotesi che per via della rigenerazione sì possa mai riprodurre lo sbocco normale dei canali nell’intestino per mezzo della caratteristica ampolla comune dorsale. Interpretazione dei fatti osservati Una questione molto dibattuta fra gli zoologi è quella del modo con cui i nefridii degli anellidi sono ‘derivati da quelli dei platel- minti, nemertini, rotiferi ecc. Perciò tutte le comunicazioni relative a collegamenti fra i singoli nefridii degli anellidi sono sempre state accolte con interesse nella speranza di poter riconoscere in esse una disposizione primitiva. Questa speranza 1’ ho avuta un momento anch'io quando per la prima volta osservai questi nefridii sboccanti in canali longitu- dinali, tanto più che questi canali sboccavano alla loro volta nel- l'intestino posteriore come nei rotiferi. Si ammette abbastanza generalmente che i nefridii dei proge- nitori degli anellidi (nefridii rappresentati ora nelle larve o negli embrioni di questi da pronefridii o reni cefalici transitorii) sboccas- sero nelle forme progenitrici ancora aprocte, alla estremità posteriore del corpo (come avviene ora nei platelminti) e invece nell’intestino posteriore in quelle già provviste di apertura anale (come nei ro- tiferi) !). Anzi il Wirson (2) nel 1890 in una nota preliminare 1) Questa non è l’opinione di Lan (2, pag. 105-106) il quale propende in- vece a credere che il sistema escretore degli anellidi derivi da un nefridio simile a quello della Gunda segmentata e comunicante coll'esterno per nefridio- 86 Daniele Rosa comunicava di aver osservato che i nefridii cefalici delle larve di Hydroides dianthus sboccano nel proctodeo, trovando da ciò con- fermata l’omologia tra i reni cefalici della Trochophora e quelli per- manenti dei rotiteri. Ammettendo ancor io questa base supposi allora che i canali longitudinali della A. Artipae rappresentassero dei condotti di ne- fridii cefalici che si fossero qui per eccezione (quasi per neotenia parziale) conservati in tutta la loro lunghezza primitiva. Questa supposizione mi sembra oggi insostenibile. Anzitutto io so ora che questi canali sì conservano anche nel- l’adulto; cade dunque il principale argomento che mi aveva fatto credere alla loro primitività. Inoltre so ora che questi canali non incominciano che al 36° segmento. Dei pronefridii non si sarebbe dunque conservata che la parte posteriore, il che sarebbe contrario a quando vediamo nelle larve od embrioni degli altri anellidi dove i pronefridii, anche se siano lunghissimi come quelli del Criodrilus figurati da BerGEH (4, tav. 14, fig. 12), sono contenuti nella parte anteriore del corpo. Perciò, ed anche per la grande rassomiglianza che c’è fra questi canali longitudinali e quelli (molto meno estesi) della Lanice e di altre forme, sono ora piuttosto disposto a credere che qui si tratti ancora una volta di connessioni stabilitesi secondariamente fra i nefridii definitivi; però nel nostro caso la struttura che ne è risultata è senza paragone più complessa che in tutti gli altri casì sinora conosciuti. Mancando, per le ragioni esposte nell’ introduzione , qualsiasi dato embriologico per spiegare il modo di formazione di questa struttura, siamo ridotti a fare delle congetture e l'ipotesi che mi sembra più accettabile è la seguente : Nell’A. Antipae gli abbozzi dei nefridii definitivi (dal 35° segmento in poi) si saldano insieme durante illoro sviluppo, dando origine da ciascun lato ad un condotto longitudinale che, per accogliere tutto il liquido che vi affluisce, stallarga ed acquista unlume intercellulare. pori metamerici, nefridio che deriverebbe a sua volta da abbozzi separati ana- loghi (e forse omologhi !) alle trachee. Sui nefridii con sbocco intestinale comune ecc. 87 Questi condotti nell’embrione, primache si formi il proctodeo, devono sboccare in comune all’estre- mi ponposteriore del'icorpo nel'ehe. l'ultimo tratto’ co- mune si rigonfia ad ampolla per effetto meccanico dell’ interna pressione del liquido. Ammessa questa semplice disposizioneembrionale, si può facilmente immaginare come si produca la disposizione più complicata dell'adulto. Questa infatti sarebbe dovuta alla in- vaginazione del proctodeo in seguito alla quale l ampolla terminale viene a sboccarenel- l’intestino posteriore, subendo una rotazione per culessa fini- sce peravere lo sbocco alla sua parte anteriore e ricevereidue canalilongitudinali dalla sua parte posteriore. Le considerazioni seguenti chiari- scono e rendono, credo, accettabile que- st? ipotesi (Fig. 1) Fig. 1. TRA ipotetico cena for- mazione dell’ apparato terminale Anzitutto l'ipotesi che i canali longi- dei nefriaii nell'4. Artipae. tudinali nascano da fusione degli abboz- ®* pian, siate ducora proclogeo; Bea: nali longitùdinali sboceano in co- zi del nefridii definitivi é la sola che mune all’ estremità posteriore (ve- rimane, nua volta scartata, Peo le ragio- sa dia, il proctodeo che | nil dette, l’ipotesi che quei canali rappre- trascina con se l’ampolla terminale sentino. dei condotti eccezionalmente da ta permanenti di pronefridii. e. Si è stabilita lo comunicazione fra tnole i digimmaili. fusioni fra ine. (Neto deine reo de proctodeo) ed intestino medio (ve- fridii permanenti sono già noti fra gli duta dal dorso (efr. Fig. 5 della ta- anellidi parecchi altri esempi. vob Nefridii ramificati ed anastomosati in modo da formare una rete che può in certi casi estendersi anche da un segmento all’al- tro sono stati descritti nella Pontobdella ed in altri Ittiobdellidi da Bourne (1) e JoHANSSON (1). Credo anch’io col Lane (2) e con- trariamente all’opinione di JoHANsson che tali strutture non siano poggi A 88 Daniele Rosa primitive, ma la dimostrazione, per quanto riguarda gli irudinei, non ne è ancor stata data. Tra gli oligocheti molti lombrichi appartenenti alla famiglia dei megascolicidi hanno dei cosidetti nefridii diffusi (plectoo mi- cronefridii) che in ciascun segmento sì presentano in numero su- periore a due, talora molto grande. E stabilito ora che tali plectonefridii derivano durante lo svi- luppo da meganefridii normali presenti in un sol paio per segmento. Ciò risulta dalle osservazioni di Vespovsky (2) sul Megasco- lides australis, di BepparD (4) sull’Acanthodrilus (Octochaetus) mul- tiporus e di Bourne (2) sul Malbenus (= Megascolex) imperatria , mentre la sistematica ha finalmente messo in chiaro che le forme che presentano tali plectonefridii non sono le forme più primitive di lombrichi. Ora in molte specie si notano fra questi plectonefridii delle connessioni le quali possono in parte dipendere da incompleta di- visione dei primitivi meganefridii ma in parte devono essersi sta- bilite secondariamente. Tali connessioni sono certo di quest’ultima categoria quando esistono fra i nefridii di due segmenti o tra quelli di un lato e dell’altro del corpo. Ora connessioni di questo genere sono state descritte da Bep- DARD (1) in una forma da lui attribuita alla Perschaeta aspergillum (che è invece la Pheretima hawayana) e nell’ Acanthodrilus (= Octo- chaetus) multiporus e da SpencER (1) nel Megascolides australis. Connessioni fra nefridii di diversi segmenti o fra quelli di un lato e dell’ altro del corpo si trovano pure in lombrichi con soli meganefridit: così nel Lybiodrilus violaceus; qui esse riguardano solo i condotti terminali dei nefridii i quali nella parete stessa del corpo, oltre a ramificarsi (come spesso accade in altri lombrichi), si anastomosano anche formando una rete in cui si differenziano quat- tro condotti longitudinali. Il BeppARD (8) cui dobbiamo questi dati nota espressamente che tali disposizioni mancano ancora negli in- dividui giovani; si tratta dunque anche qui di fusioni secondarie che però sarebbero meno precoci che nell’A. Antipae. Si può anche ricordare il fatto che in certi lombrichi i due rami - del tubo stretto (narrow tube) del nefridio sono ramificati e si anastomosano fra di loro. Ciò fu osservato del BenHAM (1) nella Microchaeta Rappi (M. microchaetus), da me stesso (Rosa, 1) nel De- Sui nefridii con sbocco intestinale comune ecc. 89 smogaster Doriae e poi da Bourne (3) nel Moniligaster (=Drawida) grandis. Ma esempi di fusioni tra nefridii molto più simili a quella pre- sentata dell’A. Antipae ci sono offerti da alcuni policheti. Non alludo qui ai famosi canali longitudinali che erano stati descritti dall’HarscHEKk nel Polygordius e che certamente non esi- stono più di quelli che lo stesso autore aveva descritti nel Cs0- drilus. Lascio anche da parte i canali longitudinali descritti da GiLson nell’Owenia i quali sarebbero solo dovuti a ripiegature longitudi- nali dell’epidermide; alludo invece ai canali longitudinali di alcuni terebellidi (Lanice e Loimia). I canali della Larnice conchilega furono scoperti dal MeyER e ne diede la prima notizia (d’ accordo con esso) il Lane (41). Ne diedero poi indipendentemente l’uno dell’ altro e quasi contempo- raneamente una minuta descrizione il CunnInGHAm (1, 2) e lo stesso MevER (1) che nel medesimo lavoro descrisse pure i canali simili della Lowmia medusa. La disposizione nella Lanice è questa: da ciascun lato i quattro nefridii posteriori (appartenenti ai segmenti 6, 7, 8, 9) sboccano in un grosso canale longitudinale che termina all’avanti ed all’in- dietro a fondo cieco e che va dalla metà del 5° segmento sino (per solito) alla metà od alla fine del 16° (secondo CunxnIinGHAM solo sino al 13°) e che comunica, per mezzo di quattro condotti trasversali, con altrettanti nefriodiopori. Un altro canale longitu- dinale (più breve) connette insieme da ciascun lato i tre nefridii anteriori (segmenti 3, 4, 5), ma esso comunica coll’esterno mediante un solo condotto. La stessa disposizione si ha nella Loîmia medusa salvo che i canali longitudinali che connettono i nefridii posteriori (che qui son solo tre) sono molto brevi e terminano nell’8° segmento. La rassomiglianza di questi canali longitudinali della Lanzce e della Loîmia con quelli dell’ A. Antipae è grandissima ed appare anche maggiore se si prende a raffronto quella forma anormale di A. Antipae in cui vi ha una comunicazione segmentale dei canali stessi coll’ esterno [cfr. la fig. 3, tav. 23 di MevER (1)o la fig. ll, tav. 18 di CunninaHAM (2) colle mie Fig. 11 e 12]. Ora riguardo all’origine dei canali longitudinali di questi te- rebellidi tutti gli autori si accordano per ammettere che essi siano dovuti a secondaria fusione dei nefridii definitivi. 90 Daniele Rosa VeJspovsKy (1, pag. 335) ammette che la parte del nefridio che si è fusa per formare i canali longitudinali debba essere la vescica terminale (la cui natura epiblastica egli tiene per dimostrata). Tale però non potrebbe essere il caso per la nostra specie: 1.° perchè i nefridii anteriori liberi dell'A. Antipae non hanno vescica e perciò è poco verosimile che ne avessero una i posteriori; 2.° perchè qui i canali longitudinali mancano affatto delle fibre muscolari che sono caratteristiche della vescica. La parte dei nefridii che qui si è fusa per formare i canali longitudinali deve dunque corrispondere al tubo ampio (wide tube) dei nefridii, col quale essi hanno comune la struttura fon- damentale, salvo che il lume di essi è diventato intercellulare. Anche l’ ipotesi, secondo la quale i due canali longitudinali prima che si formi il proctodeo devono sboccare direttamente al- l'estremità posteriore del corpo, è resa molto probabile da varie considerazioni. Premetto che il punto in cui avviene lo sbocco dei canali lon- gitudinali nell’ intestino per mezzo dell’ampolla mediana deve certo attribuirsi all’ intestino posteriore derivato dal proctodeo. Infatti questo sbocco si trova morfologicamente al margine anteriore del terz’ ultimo segmento. Ora, per quanto sulla formazione del pro- ctodeo nei lombrichi ben poco ci sia noto, tuttavia le osservazioni concordano per attribuire ad esso un'estensione di almeno 3 o 4 segmenti [cfr. Horrmann (1), Vempowsky (1) e WiIxson (1) |. Ora è noto che nei lombrichi il proctodeo sì forma tardissimo; io stesso p. es. ne constatai la completa assenza in un embrione lungo 3mm i cui nefridii già grossi e circonvoluti mostravano un at- tivo moto ciliare. Se dunque i canali longitudinali non sboccassero dapprima all’esterno essi dovrebbero fino ad uno stadio di sviluppo abbastanza inoltrato, quando già i nefridii sono funzionanti, ter- minare a fondo cieco, non potendo già aprirsi nell’intestino poste- riore che allora manca ancora. Inoltre la detta ipotesi ci offre un modo semplicissimo di spie- gare la strana disposizione dell'apparato terminale di questi canali. Infatti se noi immaginiamo che lo sbocco dei due canali all’esterno mediante un’ampolla terminale comune sì trovi cappa nella re- gione in cui deve formarsi il proctodeo (e un po’ dorsalmente ri- spetto al centro di questo), l’ invaginazione del proctodeo deve necessariamente trascinare con se l’ampolla e farla rotare în modo che essa finisca per avere lo sbocco all’ avanti facendo descrivere Sui netridii con sbocco intestinale comune ece. nl una curva concava verso l’avanti a ciascuno dei due canali, come si vede dalle mie figure schematiche (pag 15). Tale fenomeno avrebbe una notevole rassomiglianza con quanto avviene per i vasi malpighiani di certi insetti. É noto che questi vasi, p. es. nei generi Apiîs e Chalicodoma, sboccano dapprima al- l’esterno e solo più tardi sono trascinati all’interno della forma- zione del proctodeo, venendo così a sboccare nell’ intestino ter- minale. Che poi l’ampolla terminale sia dovuta a semplice causa mec- o canica, cioè alla pressione del liquido la cui uscita è ostacolata dalla resistenza dell’apertura, è una semplice ipotesi. Aggiungo in fine che il caso di nefridii sboccanti nell’ultima porzione dell'intestino non è interamente nuovo fra i lombrichi. Se ne conoscono esempi fra i megascolicidi con plectonefridii. Precisamente tale disposizione fu segnalata nell’ Octochaetus multiporus da BepparD (2, 4). In questa specie i plectonefridii, come sboccano all’esterno per molti pori, così nella parte posteriore del corpo, ma non proprio negli ultimi segmenti, sboccano pure con molti pori nell’ intestino. Nel suo ultimo lavoro su questo argomento il BeppArRD (4), nota però che questa regione dell'intestino non sembra derivata dal proctodeo e che la comunicazione fra i nefridii ed il lume del- l'intestino non si stabilisce che tardi. È notevole il fatto che l’ul- timo tratto di ciascuno di questi tubuli nefridici è costituito da un piccolo diverticolo dell’epitelio intestinale perchè, come abbiamo visto, nell’A. Antipae il collo mediante il quale l’ampolla in cui conflui- scono i canali longitudinali sbocca nell’ intestino ha pure una si- mile origine. Conclusione Le disposizioni descritte in questo lavoro e delle quali abbia- mo cercato di spiegare ipoteticamente la genesi mi paiono inte- ressanti per due riguardi. In primo luogo l’apparato nefridiale dell'A. Antipae ci presenta (per pura convergenza, s'intende) una disposizione affatto simile a quella che troviamo nei vertebrati. I due canali longitudinali ri- ceventi lo sbocco dei nefridii e sboccanti nell’ intestino terminale, che così diventa una specie di cloaca, sono perfettamente analoghi ai condotti di Wolff. 992 Daniele Rosa Una tale rassomiglianza era già stata notata da CUNNINGHAM e da MeyER per la Lanice ma qui essa è molto più completa. In secondo luogo mi pare che in questa disposizione noi ab- biamo un vero caso di mutazione nel senso di De VRIES, 0, per parlare meno modernamente, un caso di evoluzione saltuaria e pre- cisamente nel senso che era postulato da KéòLLIKER pel quale no- tevoli differenze nell’ adulto possono essere la necessaria conse- guenza di una leggera deviazione embrionale. Mi pare infatti che non abbiamo ragione di supporre che la disposizione anormale presentataci dall’ apparato nefridiale dell'A. Antipae abbia avuto una lunga filogenesi. Tutta l'anomalia potrebbe essenzialmente dipendere da ciò che in questa specie (dove i nefridii mancano di vescica) gli abbozzi dei nefridit posteriori hanno tendenza a saldarsi insieme dando ori- gine a canali longitudinali. Data questa leggera deviazione iniziale, la complicata disposizione che si trova nell’adulto può prodursi con meccanica necessità come si è cercato di spiegare più sopra. Tuttavia malgrado questa mutazione la nostra specie rimane sempre un’ A/lolobophora che per tutto il resto non si scosta dalle altre e certo tali aberrazioni non hanno lo stesso valore di quelle differenze che dipendono dalla non stretta parentela. Secondo me l’importanza che possono avere tali mutamenti saltuarii per la produzione di nuove stirpi è sopratutto indiretta: essi costituiscono pel resto dell’ organismo un ambiente al quale esso nella sua evoluzione ulteriore deve adattarsi. Come in un animale passato dalla vita acquatica alla vita ter- ragnola fra le variazioni che si producono sono conservate dalla scelta naturale solo quelle adatte al:nuovo ambiente per cui l’evo-. luzione prende un altro indirizzo, così in un organismo in cui sia apparsa per mutazione una nuova disposizione saranno conservate dalla scelta naturale le ulteriori lente modificazioni che siano in armonia con quella nuova disposizione per cui anche da ciò l’evolu- zione può essere indirizzata in una nuova via. Con ciò non è naturalmente escluso che il carattere apparso per mutazione non sì mostri tosto o tardi incompatibile col resto dell'organismo e che perciò debba esso stesso sparire. Sui nefridii con sbocco intestinale comune ecc. 93 Appendice Descrizione della specie studiata. Do qui una descrizione un po’ minuta dell’ Allolobophora An- tipae Mica., che è la specie la quale ci presenta il curioso appa- rato nefridiale studiato in questo lavoro, perchè si abbiano elementi sufficienti per giudicare con sicurezza delle sue affinità. La descri- zione datane da MicHaELsEN sebbene esattissima era basata su un solo esemplare e perciò naturalmente molto concisa. Allolobophora (Eophila) Antipae Mrcx. 1891. A. Antipae MicHaeLsEN, Oligochaeten des naturhistor. Museum in Ham- burg, IV: Jahrbuch Hamburg. Wiss. Anstalten, 8. Bd. pag. 16. 1893. A. Antipae Rosa, Revisione dei lumbricidi: Mem. Accad. Se. Torino (2) Tomo 43, pag, 46. 1899. A. (Eophila) Antipae Miczarrsen, Die Lumbriciden Fauna Nordamerikas. Abhandl. Nat. Ver. Hamburg, pag. 9. 1900. Helodrilus (Helodr.) Antipae MiczAELsEN , Oligochaeta: Tierreich, 10. Lief. Berlin, pag. 498. 1903. H. (Eoplila) Antipae Mic®AEzLseN, Die geographsche Verbreitung der Oligo- chaeten: Berlin, pag. 141. É Località — Rumenia (Jassy) e Italia (Modena). Lunghezza — 30-35", diametro 2Mm, Segmenti — 116-128, Colore— complessivamente bianchiccio 0 roseo o anche un po’ grigio- giallognolo pel trasparire delle parti interne attraverso alle pareti del corpo estremamente sottili ed incolore; (sopratutto la coda appare gialliccia pel trasparire degli eleociti); il clitello è bianchiccio o un po’ nocciolino. Prostomio—con processo largo, trapezoide intaccante per circa + il primo segmento. Setole—strettamente geminate: le dorsali quasi affatto sulla linea la- terale (un poco sopra). Gli intervalli fra le paia'di setole sono espressi dal rapporto aa: bc: dd:. 4: 3: 10 cioè lo spazio ventrale aa è poco maggiore del laterale be. (MicHarLSsEN, in « Tierreich » dice aa = ab, ma voleva certo dire aa = bc senza di che le setole non sarebbero geminate). * Setole copulatrici—sono segnalate da Mrc®arLsen solo al segmento 10 (setole c, d), io trovo costantemente trasformate in copulatrici le setole a, b, dei segmenti 30 e 31 e, meno costantemente, quelle del 33 e del 7, 94 Daniele Rosa 8 e 9. Queste setole copulatrici sono lunghe circa +", leggermente ricurve e munite di un solco longitudinale nella parte distale (Furchenborsten di MicHAELSEN). Clitello— (25-33)=9, talora (26-33)=8, abbastanza rilevato seb- bene vi restino ben distinti, anche sul dorso, i solchi intersegmentali. Tubercula pubertatis—ai segmenti 30 e 31 formanti da ciascun lato due cuscinetti rigonfii a contatto fra loro, ma distinti; un leggero solco ne segna il limite dorsale verso il clitello; questi tudDercula sporgono dai lati negli individui un po’ contratti e riescon visibili dal dorso come in Alloto- bophora rosea (Sav.). Aperture maschili. —al 15° segmento su rigonfiamenti stretti, al- lungati che si estendono anche sui segmenti 14 e 16 e che sul 15 si allargano in modo da comprendere anche le setole ventrali. Papille copulatrici.— (portanti le setole copulatrici ventr ali) sì trovano costantemente (nei miei esemplari) sui segmenti 30 e 31 fra i tuber- cula pubertatis cui rassomigliano molto, spesso anche sul segmento 33 e sui segmenti 7, 8, 9. Pori dorsali— dall’intersegmento 4-5, grandi, spesso visibili anche sul clitello. ì Questo verme emette abbondante muco proveniente dalle sue ghian- dole cutanee; dai pori dorsali emette pure linfa resa giallognola dalla pre- senza degli eleociti. Caratteri interni —L’epidermide è ricca di enormi cellule muci- pare riunite in larga fascia sulla regione mediana di ciascun segmento. Il liquido celomico contiene, oltre ai soliti amebociti, anche abbondanti eleociti semplici a goccioline gialle e privi del filamento caratteristico degli eleociti della vicina Allolobophora (Eophila) nematogena Rosa; non vi esistono mucociti. I dissepimenti anteriori dall’ intersegmento 5-6 al 9-10 sono molto inspessiti — Le ghiandole salivari, molto sviluppate , giungono colle loro estremità fin nell’ 8° segmento. Le ghiandole di MorREN occupano i cinque segmenti 10-14 e non pre- sentano diverticoli laterali. Lo stomaco occupa il segmento 15 ed' il ven- triglio occupa i segmenti 16 e 17. Il typhlosolis è semplice e cessa a 10-12 segmenti dall’estremità posteriore. 1 cuori moniliformi sono in 5 paia nei segmenti 7-11. I vasi intestino- tegumentari partono dal vaso dorsale alla parte posteriore del 12° segmen- to e portatisi ai lati si estendono poi all’ avanti rimanendo qui sepolti fra le masse delle ghiandole salivari. (Questi vasi non han parete muscolare, non sono moniliformi e mancano di valvole). i È Le spermateche sono globose e stanno in due paia nei segmenti 10 e 11, aprendosi agli intersegmenti 9-10 e 10-11 sulla linea delle setole dorsali. pe Sui nefridii con sbocco intestinale comune ecc. 95 I testicoli ed i padiglioni dei vasi deferenti collocati nei segmenti 10 e 11 non sono chiusi in capsule seminali; i vasi deferenti subito dietro al padiglione contro alla faccia anteriore dei dissepimenti 10-11 e 11-12 si ravvolgono formando un grosso gomitolo (epididimo). Le vescicole seminali, mediocri e subeguali, stanno in due paia nei seg- menti 11 e 12. Gli ovarii (nel 13° segmento) presentano uova molto grosse; di fronte ad essi stanno le tube degli ovidotti, munite di receptacula ovorum i quali giacciono nel 14° segmento. Pei nefridit vedasi quanto è detto nelle pagine precedenti. Da questa descrizione appare che l° A. Antipae, per quanto non riguarda i nefridii, non presenta nulla di particolare. In tutti i caratteri non speci- fici essa non si allontana dall’ AZlolobophora (Eophila) nematogena Rosa colla quale convive, e che tuttavia non si scosta per nulla, nel suo apparato ne- fridiale, dagli altri lumbricidi. Firenze, R. Istituto di studi superiori. 96 Daniele Rosa Bibliografia 1888. Beddard, F. E.—4. On certain points in the struetur of Uro- chaeta, r. P. and Dichogaster nov. gen., with further remarks on the nephridia of Earthworms: Q. Journ. Micr. Sc. (2), Vol. 29 pag. 235. 1890. — — 2. On the structure of a new genus of Oligochaeta (Deodrilus) - and on the presence of anal nephridia in Acanthodrilus: ibid. (2) Vol. 51, pag. 467. 1891. — — 8. On the structure of an Earthworm allied to Nemertodri- lus: ibid. (2) Vol. 32, pag. 539. 1892. — — 4. Researches into the embryology of the Oligochaeta. N. 1. On certain points in the development of Acanthodrilus multipo- rus: ibid. 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Ingr. circa 40 diam. » 4.--Sezione trasversale d’un’ A. Antipae alquanto giovane. Ingr. circa 40 diam. » 5.— Coda di un’ A. Antipae giovane vista per trasparenza dal dorso. Ingr. circa 40 diam. î » 6.— Sezione sagittale (un po’ obliqua) della coda di un’A. Antipae adulta: amp. ampolla terminale dei canali longitudinali, Ingr. circa 40 diam. » 7.— Sezione trasversa di un canale longitudinale di un individuo molto giovane; negli individui più adulti le pareti sono relativamente molto più sottili. Ingr. circa 900 diam. » 8.— Veduta superficiale di un tratto di canale longitudinale; sono sup- posti contemporaneamente a fuoco i varii strati: a. cellule a bacte- roidi, &. nuclei delle cellule peritoneali, c. nuclei delle cellule dello strato interno. Ingr. circa 1000 diam. » 9.— Sezione trasversa della parete dorsale dell’intestino colla parte an- teriore del collo dell’ampolla: vd. vaso dorsale, diss. dissepimento fra 8° ultimo e 4° ultimo segmento, ca. collo dell’ampolla. Ingr. circa 3820 diam. i È » 10.— Sezione un poco posteriore alla precedente: stesse indicazioni. » 11. — Sezione longitudinale dei canali longitudinali di un individuo anor- male (v. pag. 11), coi canaletti che vanno da essi verso i nefri- diopori. Ingr. circa 70 diam. » 12.— Sezione successiva alla precedente mostrante il vero sbocco dei ca- naletti all’esterno. Ingr. circa 70 diam. » 13.— Sezione longitudinale dei canali longitudinali di un individuo nor-. male ben disteso. Ingr. circa 70 diam. ; » 14.— Sezione trasversa d’una coda di A. Antipae in rigenerazione: ec. parte discendente, c’. parte risalente dei canali longitudinali (v. pag. 12) Ingr. circa 40 diam. Ricevuto il 10 Aprile 1906, Finito di stampare il 21 Luglio 1906. PER CURA (0 101 - 224) ; con 4 i MAVOLE Do) 9 | INCISIONI NEL TESTO per V Estero Mw JUNK. | Verlagsbuchhandiung KURFÙRSTENDAMM 201. BERLIN W. 15. Cisterna dell Olio 1907-73 $ Noè G.—- és nuove specie di ditteri una ti È un genere nuovo < — PAyv:0:0 ‘e tre feuro nelesto o ie ra ai Comes S. — Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche della zona pellucida e degli inclusi dell’ uovo dei mammiferi, — Tav. 1-8. | chivio; non elia richiederne un numero maggiore a SSDESE. ad ì COMITATO DI REDAZIONE Dott. c. -.... Prof. C. CATTANEO, Prof. c Bunny, Pro i SAV. MoyricETLI, Prof. C. Parona, Prof. D. Rosa di a “Per la pubblicazione dei lavori dirigersi al COMITATO DI Li I Estratto dallo Statuto e dal Retna — DELLA FONDATA NEL 1900 STATUTO cultori. “di questa scienza e difenderne gli interessi sal insegnamento. È; — Essa prende il nome di UNIONE ZOOLOGICA ITALIANA. SI Arr, 2° — Il numero dei Soci dell’ Unione è illimitato. {°° Art. 3° — La qualità di Socio si acquista conla Paoposta fatta da e coll’approvazione del Consiglio direttivo. SE ART. 4° — La quota sociale è fissata in Lire cinque, da pagarsi n primo trimestre dell’anno, anche per esazione postale. 3 È socio perpetuo chi versa, in una sola volta, lire cento. ate Oltrechè perpetuo diviene socio benemerito se. la somma che versa si i ei a lire cinquecento. dp STARS Le due ultime annualità già versate si i computano DA somma; a pe ; ‘ socio perpetuo, o benemerito. FR Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo Studio del Dott. Giovanni Noè Con le tavole 5-6. I. Descrizione delle specie Genere Myeterotypus, Noè, 1904. Sulla fine della primavera e nella prima metà dell'estate, so- no frequentissimi nella campagna romana due specie di ditteri ematofagi, assai minuti, i quali godono il poco ambito privilegio della generale esecrazione. Essi infatti riescono oltremodo molesti alla popolazione rurale, sia perchè assalgono spesso a sciami com- patti, sia ancora perchè determinano colla puntura. dolorosissima, fenomeni infiammatori locali, molto più appariscenti e senza para- gone più duraturi di quelli provocati dalle stesse zanzare. Il volgo, senza perdersi in minuzie specifiche, lì chiama serapiche. Ma, cosa piuttosto strana, non ostante la loro frequenza e la notorietà loro, veramente imprecata, nessun zoologo ebbe mai ad occuparsi di questi insetti intéressanti. Come è detto nel titolo di questa nota, si tratta infatti di specie nuove: di più, ricerche che ho fatto colla maggior cura mi hanno indotto nell’opinione che siamo davanti anche ad un genere nuovo,. per il quale propongo il nome di Mycterotypus 1). i Addurrò più innanzi le ragioni giustificative di questa mia conclusione ; ora mi sembra più opportuno procedere senz'altro Lavoro eseguito nell’ Istituto di Anatomia comparata della R. Università di Roma. 1) Da puxti)p = proboscide e tirog = percossa, trafittura. Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 2. 8 102 Giovanni Noè alla descrizione delle specie, rilevandone in questa prima parte la morfologia esterna !) il più minutamente mi sarà possibile. Alle due specie in discorso ho assegnato ì seguenti nomi : M. bezzu e M. irritans. Siccome, però, trattasi di due specie molto simili tra loro così mi sembra più opportuno semplificare la descrizione minuta delle caratteristiche esteriori limitandola al M. bezza del quale posseggo anche i maschi e di far rilevare dell’ altro, M. irritans, le diffe- renze più appariscenti nei riguardi della sistematica. Mycterotypus bezzii, Noè, 1904. Dimensio n1. gemma. $ gJ': mm. 3,6—4 Lunghezza DC i Apertura alare } { 2: mm. 2,2— 2,5. P i Ome Testa » Il capo, ben proporzionato, sembra alquanto spostato in basso a causa di una convessità piuttosto pronunciata della metà ante- riore dorsale del torace. Il piano frontale costituito dalla fronte e dal clipeo è verticale, non inclinato, come nei culicidi; la proboscide quindi è diretta in basso, quasi verticalmente, non all’innanzi come in questi. Gli occhi, grossi, marcatamente reniformi, non si incontrano sul piano mediano, nè dorsalmente, nè ventralmente, ma lasciano libero uno spazio discreto pressochè uguaie su ambo le superficie ; per modo che non vi è alcuna interruzione nel passaggio dalla fronte alla nuca e dalla proboscide, o meglio dal labium alla gola. Le antenne sorgono dalla fronte proprio in corrispondenza all’ incavatura degli occhi. Il colore fondamentale è nero pece; però il clipeo, la probo- scide, i. palpi mascellari, le antenne, la.gola hanno una tinta ge- nerale meno oscura, volgente al castagno. Tutta la superficie del capo e delle sue appendici, non diver- samente di quella del tronco, è coperta da una finissima e cortis- 1) Devo premettere che lo studio morfologico quì fatto non ha altro scopo che quello di fissare il numero maggiore di punti di confronto con altre even- tuali specie dello stesso genere o con generi affini. Ricerche morfologiche di maggior momento eseguirò in seguito, se, come spero, riuscirò a trovare le larve e le ninfe di questi interessantissimi ditteri. Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 105 sima peluria, invisibile ad occhio nudo. Sulle appendici, però, esi- stono anche peli lunghi, setolosi, dei quali ci occuperemo a suo tempo; di più, dal culmine frontale parte e ricinge, a breve distanza, il bordo convesso degli occhi, una serie di setole mediocri e rade, che termina al culmine ventrale. Dopo questi cenni sommarii sul capo, passiamo a conside- rarne le appendici. Proboscide. — La sua lunghezza è un po’ meno dei tre quinti di quella del capo (misurata dal vertice alla base della pro- boscide); è relativamente grossa, tozza e, veduta di lato, sembra conica, inquantoché il /@ebrum, molto elevato alla base, va man mano abbassandosi verso l’ apice (Fig. 4). A poco più della metà, partendo dalla base, si distinguono i labelli, ognuno dei quali consta di due articoli corti e grossi, di lunghezza pressochè uguale. La sezione frontale mediana del pri- mo (ossia del prossimale) è trapezoidale , col lato maggiore verso il piano mediano ; quella del secondo è ad un dipresso un qua- drante di cerchio (Fig. 17). Tra i due labelli, nel piano inferiore del labiwm giace la lin- ‘guetta, assal più breve dei labelli; questi, poi, la abbracciano completamente, poichè i loro uni inferiori si toccano. La doccia dorsale del lubium non è così ampia da compren- dere tutti gli stiletti; infatti, il labrum sta affatto fuori di essa O, per esser più esatti, è, in riposo, adagiato sul /abium in modo che i suoi margini combaciano con quelli della doccia. Gli stiletti, come nei culicidi, sono in numero di sei, quattro pari e due impari. Il labrum, largo alla base poco meno della proboscide, va restringendosi man mano verso l’apice ma non termina in punta; l'apice infatti appare come troncato e presenta un’intaccatura nel mezzo, sicchè ne risultano due punte. La superficie dorsale (cioè esterna) è costituita da due piani inclinati l’ uno sull'altro ad an- golo diedro , di modo che il labrum è percorso dorsalmente da uno spigolo: vedi la Fig. 19, indicante questo particolare in M. writans, il quale non presenta differenze su questo punto. (La tron- catura e l’intaccatura terminale, molto piccole, sono state tralasciate); la superficie ventrale (cioè interna) è incavata nel senso dell’an- golo diedro. 104 Giovanni Noè Gli altri stiletti hanno una forma che ricorda più o meno da vicino quella di una daga corta e grossa. Le mandibole constano ognuna di un pezzo laminare, la cui estremità è fatta a punta di lancia ottusa, colla curva ester- na più convessa dell interna. Sulla prima sono scavate molte in- senature regolari, che determinano altrettanti dentelli, per modo che esso assume l'aspetto di una sega: questa sega, dall’apice sì prolunga per un certo tratto fin sul margine rettilineo della man- dibola. I dentelli, poi, grossi all'estremità, vanno man mano im- picciolendo verso il limite prossimale della sega: vedi la Fig. 20, rappresentante la mandibola di M. irritans, nella quale, come si vedrà a suo tempo, il numero dei dentelli è maggiore che in M. bezzti. Le mascelle hanno pure l’ estremità fatta a punta di lan- cia acuta; sul margine esterno di essa, più obliquo di quello interno, e sulla superficie dorsale sono impiantate tante sporgenze brevis- sime, coniche, acuminate, leggermente incurvate all’ indietro; in- somma dei veri dentelli, i quali disposti come sono, serrati ed in un’ unica serie, danno luogo ad una sorta di sega, ben diversa, naturalmente, da quella che si osserva sulle mandibole. Tale sega, poi, è lunga circa il doppio di quella mandibolare; vedi la Fig. 21, per la quale occorrono le stesse osservazioni fatte a proposito della Figura 20. L’ipofaringe, perfettamente simmetrica, è larga alla base; segue poi un lungo tratto in cui i margini decorrono paralleli ; finalmente, questi si incontrano dopo una breve curva, in modo però da costituire non una punta acuminata, ma una punta ottu- sa, laminare, tagliente. Verso la metà dell’ ipofaringe si osserva una rientranza dolce e curvilinea dei margini che dà al pezzo un aspetto caratteristico. La linea mediana è occupata in tutta la sua lunghezza da un canale completo, il quale si apre all'apice e che serve, come si sa, all’eliminazione della saliva (Fig. 19). Il labium, dopo quanto si è detto della proboscide in gene- rale, non offre nulla di notevole, eccetto la distribuzione costante delle rare setole, quale è rappresentata nella Fig. 17. Il colore fon- damentale è castagno oscuro. I palpi mascellari, i quali hanno la medesima direzione della proboscide, cioè verticale, ‘constano di tre articoli. Il primo, breve, è grossolanamente cilindrico e, ad un’osser- vazione superficiale, sembra risultare di altri due, dei quali il se- Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 105 condo sarebbe cortissimo (Fig. 4 e 13): un esame accurato dimostra però che si tratta di un articolo solo. L’ inganno è determinato da una piega che si forma sovente sulla superficie esterna dell’ar- ticolo a circa due terzi dalla base; tale piega si rende possibile per causa di un notevole assottigliamento della chitina di questa regione. L'assenza di una vera articolazione è confermata dallo studio della muscolatura e dall’osservazione dell’articolo, fatta di sbieco, in modo che siano vedute contemporaneamente la superficie interna (cioè quella attigua alla proboscide) e la superficie dorsale. La Fig. 14 rappresenta appunto l’articolo veduto nella maniera qui indicata. Il secondo articolo è lungo, assai stretto ai due capi articolari, ‘rigonfiato nel mezzo; il rigonfiamento però è forte soltanto in senso antero-posteriore, ossia secondo un piano sagittale, poco sensibile in senso perlaterale, ossia secondo un piano frontale. Il secondo articolo, dunque, ha una sezione elittica, ed aggiungerò, a larga elissi. Per questo motivo si possono distinguere in esso due superficie convesse e due margini. dei quali ci occuperemo tra breve. L’ ultimo articolo, pressochè cilindrico, è lungo come il secondo o poco meno. Generalmente il secondo articolo è tenuto un po’ obliquamente all’innanzi ed il terzo invece un po’ obliquameute all’ indietro, sicchè questi due articoli formano un angolo ottuso. I palpi della femmina, nella loro lunghezza superano la pro- boscide della metà dell'ultimo articolo (Fig. 4). Il colore fondamentale è castagno-oscuro : tuttavia, in corri- spondenza all’ articolazione del secondo col terzo articolo ove la chitina delle rispettive estremità è piuttosto sottile, il colore è bianco, come pure è bianca la cuticola sottile del primo articolo, ossia la dove ha luogo la piega testè descritta. Quanto al primo articolo -è d’uopo osservare che la porzione precedente alla piega è bruno-chiara, mentre la porzione susseguente è bruno-oscura. È molto interessante lo studio delle superficie. Eccettuata la superficie triangolare interna del primo articolo e gli estremi di- stale e prossimale, rispettivamente del secondo e terzo articolo, che sono nudi, tutto il resto dei palpi è coperto di peluria finissima. Oltre a questa peluria si notano: tre setole robuste e lunghe sulla porzione distale del primo articolo disposte, come indica la Fig. 13, al di sopra e sulla superficie esterna. Sono desse setole veramente caratteristiche, poichè non mancano mai e son presenti anche nei 106 Giovanni Noè maschi e nell’altra specie; alla quale appartiene il palpo rappresen- tato nella Fig. 15. Quanto al secondo articolo, la superficie esterna possiede tre o quattro grosse setole; qualche altra sì nota sui margini. La su- perficie interna è invece alquanto più complicata. Precisamente, la metà inferiore di questa superficie è occupata da una fossa, abbastanza profonda e larga, elittica e lunga quasi quanto l’articolo. I margini di questa fossa, costituiti da chitina spessa, sono sinuosi ed irti di setole brevi, ma robuste, spiniformi. Sul fondo e sui lati della fossa sono scavate tante altre fossette circolari, una trentina all'incirca, da ognuna delle quali si eleva una brevissima sporgenza conica a larga base che si prolunga in un lungo pelo trasparente. Questo pelo arriva sino all'apertura della fossa comune, ove si dilata in un’espansione a clava o piuttosto, a quel che sembra, in un’espansione piatta, elittica, foliacea (Fig. 16). Nella Fig. 18, che rappresenta il palpo destro osservato ‘dall’ e- sterno, le fossette, non tutte, sono vedute per trasparenza. I mar- gini della fossa comune, le fossette ed i peli relativi sono ripro- dotti con sufficiente fedeltà nella Fig. 16, semischematica, tratta dal secondo articolo dei palpi maschili, nel quale tuttavia noteremo tra breve alcune differenze. L'aspetto delicato dei peli in discorso, il loro modo di im- pianto , il loro aggruppamento mi inducono a considerarli come veri sensilli e sarei per ritenerli sensilli olfattorii, avuto riguardo specialmente alla posizione da essi occupata. Il terzo articolo possiede due setole verso il mezzo e sulla superficie anteriore (o dorsale) una setola lunga all’ estremità ed una corona di tre o quattro setole poco al di sotto di questa. Nel maschio si rilevano alcune piccole differenze quanto alla lunghezza ed alla forma degli articoli, nessuna quanto al colore. Il primo articolo è alquanto irregolarmente cilindrico; il secondo, lungo quasi la metà di tutto il palpo, presentasi rigonfiato appena nella metà prossimale, mentre nell'altra è più o meno cilindrico ; il terzo articolo è notevolmente più breve del secondo, quasi i due terzi di questo e leggermente rigonfiato all’ apice (Fig. 15). La distribuzione ed il numero delle setole sono pressochè come nelle femmine ; soltanto, esse sono molto più lunghe e robuste, specialmente le tre del primo articolo. Quanto ai sensilli claviformi del secondo articolo, essi differiscono da quelli della femmina soltanto per il numero, essendo una quindicina al più, e per la disposizione; Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 107 precisamente, ad una fossa comune, lunga e stretta, che occupa il secondo ed il terzo quinto dell’ articolo, precedono due fossette semplici, cioè provviste ognuna di un solo pelo, scavate l’una dopo l’altra nel prolungamento della linea mediana della fossa comune: in questa, poi, i pelî sorgenti alle estremità e le relative fossette sono impari, mentre quelli del mezzo sono disposti è coppie. Tanto nella femmina, quanto nel maschio le clave dei sensilli ora descritti hanno direzione acropeta, ma molto più accentuata in questo che in quella. Fosse contenenti un numero più o meno grande di bastoncelli e messe in relazione col senso dell’olfatto, furono rinvenute da varii autori, e, primo d’ogni altro da Mayer, il quale, contrariamente alle vedute di GraBER, 1878, che le riteneva otocisti, dimostrò la loro reale struttura; dette fosse furono scoperte nel terzo articolo delle antenne di alcune Muscinae. Hauser nel 1880 descrisse in una classica memoria fosse ol- fattorie simili nel terzo articolo antennale di Cyrtoneura stabulans, Fan. e di Surcophaga (Cynomyia) mortuorum, L. In quest’ ultima specie mise anzi in rilievo molte piccole sporgenze sul tondo e sui lati della fossa, sulle quali stanno impiantati i bastoncelli: Vom RarH andò più oltre e nel 1888 riscontrò fosse di questo genere sul terzo articolo dei palpi mascellari di un 5:00; lo stesso Autore nel medesimo lavoro raffigura un organo analogo in forma di fiasco all’apice dei palpi labiali di Pieris brassicae Oggigiorno, fossette di tal genere sono notissime sia sui palpi, sia sulle antenne. Recentemente Ernst RoHLER (1906) descrisse fosse analoghe sul terzo articolo delle antenne di Musca vomitoria. Queste fosse, molto numerose. sono di due sorte: fosse semplici e fosse plurime, ossia suddivise in fossette secondarie. Le fosse semplici e le fos- sette secondarie delle fosse plurime contengono, un certo numero di bastoncelli, i quali pure, secondo l’opinione di RézLER, rappre- senterebbero altrettanti sensilli olfattorii. Però, tra tali fosse olfattorie e quella da me testè descritta corrono alcune differenze, almeno nei caratteri esteriori — chè della struttura interna mi occuperò, se sarà il caso, in un altro lavoro — Innanzi tutto si tratta nel Mycterotypus di una fossa relativamente più grande di quelle sopra menzionate, perchè occupa quasi tutta la lunghezza del secondo articolo; poi essa non è nè a forma di fiasco, nè sferoidale coll’apertura ristretta. 108 Giovanni Noè Di più, ciò che interessa maggiormente, non esistono, nelle fosse descritte dagli Autori citati, fossette secondarie per ogni ba- stoncello olfattorio, nè questo è claviforme. Se nonostante queste differenze persisto ad interpetrare tali organi come olfattorii, la ragione devesi ricercare nella loro struttura a fossa e nella loro posizione, le quali circostanze non sembrerebbero in vero giustificare altre ipotesi. Antenne — Le antenne della femmina constano di tredici articoli, compreso il torulo antennale o scapo. Il fla- gello perciò risulta propriamente di 11 articoli. Il primo (torulo) è, come sempre, grosso, breve, cilindrico, a margine superiore arrotondato. Il secondo (pedicello)ha una curiosa forma a nassa rovesciata, dal collo molto lungo, il quale, però, giace quasi per intero nell’ incavatura infundibuliforme del torulo. Il collo presentasi al suo inizio un poco rigonfiato (Fig. 10). la nassa, tuttavia, non è del tutto regolare, inquantochè il ventre è più prominente da un lato che dall’altro, e, precisamente, è man- chevole dorsalmente. Gli articoli, dal terzo al dodicesimo compresi, sono fatti e di- sposti ad un dipresso come i grani di un rosario; però, mentre i primi sono alquanto depressi, cioè più larghi che alti, gli altri vanno gradatamente diventando sferoidali o addirittura sferici, per una graduale diminuzione della loro larghezza; anzi il dodicesimo e l'undicesimo sono talvolta leggermente più alti che larghi. L’ ultimo articolo è invece assai allungato , lungo all’ incirca quanto i due articoli e metà del terzo che lo precedono. Cilindrico per due terzi, va poi restringendosi in punta a mo’ di cono. La lunghezza totale dell'antenna è a un dipresso quella di tutto il capo, misurata dal vertice all’apice della proboscide. Questo, quanto all'architettura dell'antenna. Il colore è uniformemente castagno oscuro con tonalità più intensa allo scapo: quello che ho chiamato collo della nassa è di un color bianco sporco ; il brevissimo colletto dei singoli articoli è chiaro trasparente. Molto interesse offre la distribuzione dei peli e dei sensilli. Intanto, vuolsi notare che nel bordo superiore ed esterno del to- rulo sono impiantate tre o quattro ‘setole nere, rigide, robuste, ma corte; una rada corona di grosse setole (quattro o cinque) si scorge pure sul rigonfiamento del secondo articolo, corona che è però in- terrotta nella parte interna-superiore; anch’ esse sono nere, robuste, Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 109 ma un po’ più lunghe delle prime. Di tali setole se ne trova una sola anche sul terzo, sul quarto e qualche volta anche sul quinto articolo, impiantata verso il mezzo della superficie esterna-supe- riore (vedi più innanzi la spiegazione di tale nomenclatura) (Fig. 6 e 6a). Setole simili a queste non si trovano più che sull’ ultimo articolo e, precisamente, una prossima all’apice e quattro o cinque disposte a corona irregolare intorno alla base della porzione éo- nica distale. Per ben comprendere la distribuzione degli altri peli dell’an- tenna è d’uopo descrivere innanzi quella dei sensilli. Su ognuno degli articoli dal secondo al dodicesimo, compresi, si scorgono al microscopio, con mediocre ingrandimento, due grossi sensilli diametralmente opposti e che sorgono presso a poco a metà dell’altezza. Sono chiari, trasparenti, vitrei, estremamente delicati, cilindrici e terminati in punta ottusa; di più sono incurvati all’in- nanzi nel bel principio e decorrono poscia rettilinei, paralleli al- l’asse longitudinale dell'antenna o leggermente divergenti da esso, arrivando circa fino all’altezza dell’origine del paio successivo. Que- sti sensilli, evidentemente olfattorii, ricordano molto, nel loro aspetto se non nella loro distribuzione i grossi sensilli descritti nell’'Anop/- talmus da Hauser. Il piano longitudinale nel quale cadono interamente i due sen- silli di ogni articolo, dividono questo in due parti quantitativa- mente uguali. Debbo aggiungere che, supposta l'antenna non ricurva com’ è all'infuori ed in alto, ma diritta all’ innanzi, tutti questi sensilli sì troverebbero situati in due serie longitudinali giacenti su di uno stesso piano verticale o meglio sagittale. L'orientamento normale dell’antenna, invece, comporta uno spostamento di questo piano e precisamente, supposto questo come uva vera superficie, ce- devole e malleabile e tenuto fisso alla base rappresentata dal se- condo -articolo (pedicello), comporta, ripeto, una torsione sull’ asse longitudinale dell’ antenna, sempre più accentuata a misura che sì estende verso l’apice. Per questa torsione la falda superiore del piano si inclinerebbe verso l’interno, ossia dall’alto al basso, mentre la falda inferiore subirebbe naturalmente uno spostamento verso ‘ l’esterno, ossia dal basso all’alto. L’inclinazione, ripeto, è graduale per ogni articolo e raggiunge circa i 45 gradi al dodicesimo. Per questo motivo mentre le facce del secondo articolo possono essere designate come esterna edinterna rispetto alla posizione verticale mantenuta dal piano ipotetico, negli articoli successivi le facce omo- 110 Giovanni Noè dinamiche diventano, e vieppiù sensibilmente coll’ allontanarci dal secondo, facce esterne-superiori e facce interne-inferiori. Se ora si aggiunge che il piano suddetto avrebbe subito oltre alla torsione, anche un incurvamento dell’asse all’esterno ed in alto, si avra un’ idea dell’orientamento e della disposizione dei grossi sensilli testè descritti. Le due facce di ogni articolo sono uguali per conformazione ed estensione, diverse però quanto al numero ed alla disposizione dei peli e degli altri sensilli. Le superficie esterne-superiori posseg- gono infatti una sola serie di peli come mostrano le Fig. 6a e 7; mentre le interne-inferiori hanno un numero di peli molto mag- giore, disposti almeno in due serie e non sempre regolarmente. Sono questi peli, esili, chiari, trasparenti, leggermente incurvati , lunghi quasi come due tico sovrapposti e tenuti per lo più dal- l’animale obliquamente all’asse, come le bacchette di un ombrello. Anche le due facce dell’ ultimo articolo non si corrispondono quanto alla distribuzione dei peli. Quel che si è detto dei peli vale anche per g cr altri sensilli, i quali variano di numero e di posizione sulle facce di un medesimo ar- ticolo. Questi sensilli delle facce, in numero da uno a quattro, per ognuna, sono molto brevi e piccoli rispetto a quelli appaiati descritti testè; alcuni poi terminano in punta ottusa, altri in punta affilata; anch’ essi sono chiari, trasparenti, vitrei, delicati. Il loro numero e la loro disposizione è lungi dall’essere costante nei vari individui. Ora incominciano al quarto, ora al quinto, ora anche al sesto articolo. In generale sulle facce interne-inferiori, incominciano più presto. Sull’ultimo articolo il numero di questi sensilli è, natu- ralmente, maggiore; di più sono meno lunghi e più larghi alla base, insomma più conici. I sensilli delle facce ricordano molto da vi- cino altri già descritti specialmente negli imenotteri, e di nuovo studiati recentemente da ScHENK, il quale diede loro la nuova de- nominazione di sensilli basiconici. Le antenne maschili constano di quattordici articoli, com- preso il torulo antennale; il flagello propriamente detto risulta quindi di dodici articoli. I primi sei rassomigliano nella loro strut- tura a quelli della femmina, eccetto che il secondo ha la porzione allungata prossimale più sviluppata che nella femmina, cosicché il flagello acquista nel maschio maggior distacco dal torulo antennale; di più gli articoli 3°, 4°, 5°, 6° sono più depressi e ravvicinati dei corrispondenti femminili. Il settimo presentasi già leggermente più Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 111 lungo dei quattro che lo precedono e da questo l’allungamento va prendendo sempre maggior sviluppo, fino a che il penultimo cor- risponde in lunghezza ai due che lo precedono, presi insieme, e V’ul- timo ragguaglia tutti e tre gli articoli ora menzionati (Figure 9 e 10). Occorre però notare che è soltanto la porzione anteriore (0 su- periore) al verticillo di peli che si allunga: ciò fissato, si rileva che dapprima, ossia negli articoli più brevi, questa porzione prende all’ incirea la forma di un tronco di cono, nell’undecimo essa già si allunga al di sopra del cono a mo’ di breve cilindro , disposi- zione che va man mano più accentuandosi fino a raggiungere il suo massimo sviluppo nel tredicesimo, il quale viene ad assumere la forma di un fiasco a collo molto lungo. L'ultimo articolo, mentre presenta una riduzione nelle dimensioni della parte globosa e co- nica, prende invece grandi proporzioni nell’altra, che potrebbe pa- ragonarsi ad una sorta di clava a lungo manico. La colorazione, parlo ora soltanto dello scapo, è fondamental- mente castagno-oscura. Occorre però mettere in rilievo le seguenti particolarità. Il tratto ristretto del secondo articolo, il collo della nassa, è, come nella femmina di un bianco sporco, che volge poi al bruno-chiaro nella metà prossimale del rigonfiamento a nassa ; la metà distale di questo è invece di un color bruno-oscuro, a volte quasi nero. Tra l’una e l’altra metà esiste una zona circolare bianca, la quale non forma un anello completo, ma si interrompe in cor- rispondenza alla maggior sporgenza ventrale della nassa asimme- trica (vedi più sopra). Questo tratto di interruzione costituisce una sorta di ponte, attraverso al quale la tinta passa gradatamente dal- l’una all'altra delle due colorazioni ora ricordate. Nel terzo e nel quarto articolo la fascia bruno-chiara al di qua della zona circolare bianca è molto esigua, mentre è più svi- luppata la fascia distale bruno-nera. Anche in questi articoli l'anello chiaro è incompleto, sempre in corrispondenza alla linea mediana ventrale; però il ponte che riunisce le due fasce non offre più gradazioni di tinta, ma una netta distinzione delle colorazioni ap- partenenti alle rispettive fasce. Finalmente, nel quinto, la zona bianca circolare si insinua decisamente nel ponte tra l’una e l’altra fascia, separandole distintamente; dimodochè quì 1’ anello chiaro è intero e la colorazione dell'articolo è distribuita in tre zone circolari com- plete. Tuttavia, la zona distale bruno-nera conserva ancora in molti articoli una sorta di propaggine, di promontorio nella zona chiara, quasi ad indicare la traccia di un ponte scomparso. Questo promon- 1102) Giovanni Noè torio va però man mano riducendosi fino a sparire negli articoli più distali dell'antenna. In questi, poi, è avvenuto ancora che la fascia bruno-chiara si è anche più rischiarata mentre la zona bianca si è leggermente oscurata, sicchè le due colorazioni si fondono in un’unica bianco-sporca. La fascia distale bruno-nera la ritroviamo invece ancora negli ultimi articoli; soltanto, essa è andata un poco impallidendo, sicchè finisce per volgere al castagno. La distribuzione e la lunghezza dei peli risultano abbastanza chiaramente dalle figure riportate nella tavola. Il torulo è sprovvisto di peli lunghi; invece è coperto di peluria finissima, che si riscontra anche sul secondo articolo , ma soltanto nella metà prossimale del rigonfiamento al di sotto cioè della zona bianca; in tutto il resto dell'antenna, tale peluria manca affatto. I peli propriamente detti sono di due sorta: peli lunghi del pennacchio e peli relativamente brevi che non contribuiscono a formare il pennacchio. Il pennacchio , elegantissimo per forma e per colore, è costi- tuito da un folto ciuffo di peli che decorrono lungo il flagello, cir- condandolo fino all’apice della clava, ove il pennacchio ha termine - anch’ esso. I peli, ond’ esso risulta, sono robusti, morbidi, assotti- gliati per buon tratto prima della punta e partono da ogni arti- colo. La loro lunghezza varia a seconda della loro situazione, pre- cisamente, i peli dei primi quattro o cinque articoli son di lunghezza pressochè uguale, ancorchè nascano ad altezze diverse; ciò si com- prende perchè soltanto i peli del quarto o del quinto articolo raggiungono l’ apice del pennacchio, mentre quelli degli articoli precedenti se ne distanziano di un tratto proporzionale. Quanto agli altri, siccome non sorpassano l’ estremità della clava, così è evidente che vadano gradatamente accorciandosi di una quantità corrispondente alla distanza della base dei singoli articoli da cui nascono. Ognuno comprende come per questa disposizione di cose il pennacchio debbasi presentare all’osservatore ristretto alla base e più largo verso 1’ estremità. Del resto l’animale può a volontà ren- dere ancora più sensibile questo contrasto, allargando il pennacchio verso l’estremità, col divaricare dal flagello i peli degli ultimi ar- ticoli e disporli come le bacchette di un ombrello (Fig. 9); il che è possibile perchè i peli degli ultimi articoli, e massimamente quelli dell’ultimo, a cagione della loro brevità, non accompagnata da una Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 113 corrispondente sottigliezza, acquistano una certa rigidità che manca al peli lunghi. I peli sin’ora descritti sono impiantati soltanto nella zona chiara, ove essa esiste, un poco al di sotto della zona oscura, ove quella ha perduto la sua autonomia. Già a priori, quindi, può imma- ginarsi che i verticilli saranno incompleti nei primi due o tre ar- coli, laddove. cioè, esiste un ponte che interrompe la zona chiara; devesi però aggiungere che anche su tutti gli altri articoli, in cor- rispondenza allo stesso tratto, ossia, come si è visto, alla linea mediana ventrale, 1 verticilli sono interrotti. È interessante a notarsi che sulla superficie esterna ed interna del primo articolo (secondo dell'antenna), sta impiantato un pelo nel mezzo di una macchiolina chiara, situata sotto e quasi ad immediato contatto coll’ anello chiaro testè descritto. Sono due peli lunghi all’ incirca come quelli del verticillo soprastante, ma sono alla base incurvati a gomito; ciò permette, data la loro lo- calizzazione, di decorrere paralleli al pennacchio, anche quando esso è serrato. La Fig. 10 non lascia vedere questa curva, perché il pelo è veduto quasi di prospetto. Il colore del pennacchio è nero intenso per una buona metà (la prossimale); candidissimo, addirittura niveo, nella metà distale. È evidente quindi che vi saranno peli tutti bianchi — precisamente quelli la cui origine cade nella metà bianca del pennacchio — e vi saranno peli in parte bianchi ed in parte neri con una propor- zione delle due tinte in ragione dell’altezza della loro origine. Quanto ai sensilli dell’ antenna maschile, sembra che possano ridursi a tre sorta. Sugli articoli 2-13 si osserva un sensillo che ricorda quelli baso-conici, a punta affilata, che esistono sulle facce, degli articoli antennali femminili; sono però assai più lunghi ed esili, e, come quelli, vitrei, chiari, trasparenti. Essi sorgono, uno per articolo, laddove il verticillo dei peli è interrotto e, precisamente, al margine inferiore della zona oscura nel 2° articolo, sul promontorio bruno negli articoli successivi, allo stesso piano del verticillo negli ultimi (Fig. 10, 11). L’ultimo arti- colo, il 14°, ne è assolutamente privo (Fig. 12). Viceversa, su questo troviamo altri sensilli basoconici, simili, o poco dissimili da quelli che rinvengonsi sull’ultimo articolo delle antenne femminili. Sono questi sensilli molto brevi, rispetto alla loro grossezza alla base, quindi spiccatamente conici; di più, pre- sentansi leggermente incurvati, all’apice, verso l’ estremità distale 114 ; Giovanni Noè dell'articolo. Tali sensilli non sono abbondanti; la Fig. 12 ll rap- presenta quasi tutti, poichè nella faccia opposta non ve ne è che uno 0 due; di più sono limitati soltanto alla porzione terminale, ingrossata dell’articolo. Essi non sono, però, esclusivamente disposti sull’ ultimo articolo. Anche il penultimo e, qualche volta, anche il terzultimo ne posseggono uno o due, laddove l’articolo va assot- tigliandosi a costituire il collo della figura a fiasco. Invece sono particolari dell’ultimo articolo altri sensilli , che almeno io ritengo per tali, i quali possono riportarsi ai sensilli tricodei di ScHENK (Fig. 12, tr.). Questi sensilli sono, all'opposto dei precedenti, molto abbon- danti, come indicano i cerchietti dell’ anzidetta figura, i quali se- gnano i punti del loro impianto. Come si è visto, esiste nel Mycterotypus un notevole dimorfismo sessuale quanto ai sensilli; il quale, oltre che nel numero e nella distribuzione consiste anche nella presenza o nella asseuza di alcuni di essi. Nel maschio mancano i sensilli delle facce a punta ottusa ed i grossi sensilli apparenti della femmina. Nella femmina, invece, mancano 1 sensilli tricodei che possiede il maschio nell’ultimo ar- ticolo. : Del resto, un dimorfismo sessuale, concernente i sensilli, abbiamo gia osservato nel numero e nella distribuzione dei sensilli dei palpi. a Torace. Il torace, slanciato, ben proporzionato, presentasi leggermente ristretto nel mezzo. Come fu già detto, esso si prolunga all’ in- nanzi in una sorta di gobba che copre una parte del capo. Il me- sotorace è alquanto sporgente sul piano del protorace ed assume verso il bordo posteriore uno sviluppo notevole. Il metatorace si va gradatamente restringendo all’indietro, a mo’ di scudetto. La superficie del torace è coperta di radi peluzzi. Il colore è nero pece, dorsalmente, castagno oscuro, lateralmente e ventralmente. Ali. — Le ali, larghe e robuste nella femmina sono invece esili e deboli nel maschio. Distese sul dorso, in riposo, arrivano fino al- l'estremità posteriore dell'addome. Soltanto allorchè l'addome della femmina è inturgidito dal sangue o dagli ovarit a sviluppo avan- zato, in procinto di evacuare le uova, gli ultimi uromeri dell'addome sporgono fuori dell’apice delle ali. Il colore bianco niveo di queste, Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 115 reso ancor più spiccato dal color nero del torace e bruno dell’ ad- dome, contribuisce non poco a conferire vaghezza a questa mole- sta bestiuola. L’ ala è uniformemente cosparsa di fitti peluzzi su ambo le superficie; verso il margine anteriore però questi vanno facendosi più spessi. Dal margine anteriore, poi, sporgono dei peluzzi radi e forti, quasi spinescenti nella prima metà mano mano più deboli e frequenti nella seconda. Questi peli, disposti in un'unica serie ed in continuazione del piano alare, formano una sorta di bordura fino all’apice. Di qui, tornano i peli ad allungarsi — e vieppiù coll’ avvicinarsi alla base — orlando il margine posteriore fino all’alula esclusa e costituendo quella che io altra volta ho chiamato la frangia dell’ala. Questi ultimi peli, considerevolmente più lunghi nel maschio che nella femmina, sono esili, delicati, di due lunghezze e disposti in modo che si alternino regolarmente. Essi non si originano dall’estremo margine del lembo alare, sib- bene da un piccolo rilievo, da una sorta di orlo interno chiaro, che accompagna a breve distanza il margine posteriore dell’ala. Con tuttociò, i peli della frangia non prendono distacco dalla mem- brana alare appunto che all’ estremo margine, inquantochè tra questo e l’orlo suddetto corrono perpendicolarmente, scavati nello spessore del lembo alare, o meglio tra le due membrane che 4o costituiscono, tanti tubicini, i quali inguainano la porzione basale dei peli (Fig. 27). Anche l’alula è coperta di peluzzi simili a quelli delle super- ficie alari; nella metà prossimale possiede peli più lunghi e sottili, inoltre, quasi al confine tra l alula e la radice dell’ ala e sulla pagina superiore-si attacca una lunga setola rigida (Fig. 22). Interessantissimo riesce lo studio delle nervature. Premetto che per non cadere in inesattezze di nomenclatura, date le contro- versie esistenti quanto all’interpretazione delle omologie, adotterò il metodo dei numeri già felicemente usato da Ficausi per i Culicidi. Ciò posto, le nervature primarie dell’ala (cioè quelle che arri- vano fino al margine) sono sei. Parlo di nervature longitudinali, poichè una caretteristica di queste ali è quella di non possedere nervature trasversali congiungenti le prime 1). 1) Se ne eccettui una, la cosidetta trasversa marginale, degli Autori, la quale, più che altro, è costituita, in questo caso, dalla confluenza in un punto della terza e quarta, come si vedrà dalla descrizione. 116 Giovanni Noè La prima nervatura, la marginale o costale degli Au- tori, parte dalla radice dell’ala e termina costeggiando il margine anteriore (od esterno) a circa i %/5 della lunghezza dell’ala (misu- rata dalla radice all’apice). La porzione estrema di questa nerva- tura, alquanto dilatata dalla confluenza delle altre due sottostanti va leggermente, ma progressivamente scostandosi dal margine (Fi- gura 24). La seconda nervatura sembra partire dalla radice dell’ala, alquanto larga, robusta, a parete chitinosa molto rilevata, di colore bruno. Essa sembra rapidamente ridursi in larghezza, per attra- versare poi, divenuta più sottile, un ispessimento chitinoso molto robusto, ricurvo a semicerchio, pressochè semilunare e proseguire, chiara e delicata sino al margine anteriore. Innanzi di conti- nuare debbo aggiungere che l’ ispessimento chitinoso in discorso, a convessità esterna, presenta due corni, uno posteriore, breve, grosso ed appuntito con direzione pressochè trasversale, un altro anteriore assai lungo ed appuntito che arriva alla radice del- l’ala con percorso longitudinale, pressochè parellelo al margine. La Fig. 24 non dimostra con troppa fedeltà la cosa, ma in prepa- rati montati da qualche tempo in glicerina par di osservare attra- verso all’ ispessimento semilunare la comunicazione tra la porzione prossimale grossa e breve e la porzione distale della seconda ner- vatura. Può darsi però che ciò non sia che il risultato di un’illu- sione ottica, trattandosi di pezzi chitinosi molto spessi e di color nero; dico questo perchè mi sembra più logico ammettere che la nervatura seconda prosegua, anzichè verso la radice dell’ala piut- tosto verso la terza longitudinale unendosi ad essa. per il tratto che si osserva sotto al corno posteriore dell’ispessimento a semi- cerchio. La terza si origina a poca distanza dalla punta del braccio inferiore dell’ ispessimento chitinoso testè descritto. Si dirige dal- l’ indietro all’innanzi ed all’infuori fino quasi a toccare la seconda, poco dopo la sua uscita reale od apparente dall’ ispessimento ; poi volge bruscamente all'infuori, cioè verso l’apice dell’ala con decorso rettilineo, leggermente divergente rispetto alla marginale. Si viene così a costituire una prima curva. Giunta in corrispondenza della dilatazione della marginale, si incurva dolcemente all’ infuori e termina fondendosi coll’apice di quella, costituendo così, dapprima una seconda curva e poscia la seconda confluenza della marginale. Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 117 Delineato così il comportamento della terza nervatura riusci- rà più facile interderci per ciò che riguarda la seconda. Questa, uscita dall’ ispessimento semilunare o girando sotto di esso, si di- rige verso la concavità della seconda curva della terza nervatura, ma con decorso leggermente arcuato, a convessità anteriore. Quivi si fonde colla terza, indi si spicca e si individualizza di nuovo, dirigendosi alla marginale e costituendo la prima confluenza. Tra e due porzioni distali della seconda e terza nervatura e la mar- ginale è lasciato libero uno spazio abbastanza ampio. La quarta nervatura (Fig. 28) si origina alla concavità della prima curva della terza nervatura con decorso quasi parallelo al margine anteriore, e poscia con curva dolcissima ed ampia, va a perdersi nelle vicinanze del margine poco al di sopra dell’apice dell’ ala. La quinta nervatura nasce vicino alla radice della terza e prende subito la direzione del margine posteriore distale, ma a metà lunghezza muta cammino e, con breve curva a concavità anteriore, trasferisce la sua direttrice più in alto andando a rag- giungere il margine con larga curva, parallela quasi a quella della quarta, al di sotto dell’apice dell'ala. La direzione della prima metà della nervatura è ressochè continuata da una nervatura secondaria che sembra staccarsi da quella, là ove muta cammino ; sicchè parrebbe a primo aspetto che la quinta si biforcasse. Ad un'osservazione accurata, massime coll’aiuto della colorazione pi- crica si rileva però che la nervatura secondaria in discorso nasce autonoma a distanza più o meno breve dalla quinta. La sesta nervatura nasce vicino all'estremità del ramo posteriore della terza nervatura ; dopo notevole percorso rettilineo, obliquo e diretto verso ìl quarto distale del margine posteriore, traccia una curva molto accentuata a concavità postero-basale, tendendo alla metà circa del margine posteriore ; senonchè, poco dopo la curva si biforca in due rami cospicui, dei quali il più di- stale, con un nuovo arco di cerchio segante il primo, raggiunge il margine a poca distanza dalla nervatura secondaria testè nominata, mentre il prossimale seguendo perfettamente la direzione dello scapo termina appunto verso la metà del margine posteriore. Le nervature secondarie sono quattro, tutte longitudinali. La prima giace tra la quarta e la quinta e tiene, per un gran tratto, percorso così prossimo a questa che sembra connata con Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 2. b) 118 Giovanni Noè essa, come indica la Fig. 23, termina circa alla falsa biforcazione della quinta. La seconda è quella già ricordata, apparentemente dipen- dente dalla quinta. Le altre due sono .connate alla base in una grossa e robusta nervatura a pareti chitinose molto spesse e di color bruno. Dopo la separazione, l'anteriore decorre parallela e molto vicina allo scapo della sesta nervatura, terminando poco prima della bifor- cazione ; la posteriore fa invece una leggiera curva a concavità anteriore e va a terminare relle vicinanze della biforcazione. Debbo aggiungere, che di tutte le nervature fin’ora descritte, soltanto la prima, la seconda, la terza ed il tratto comune delle ultime due secondarie sono cave e rispondenti quindi alla proprietà di vere venature, ‘n esse circola il sangue, si avanza- no nervi e trachee. Tutte le altre non sono che ispessimenti delle membrane alari o, per essere più esatto, nervature originariamente cave, obliteratesi durante lo sviluppo. Così, mentre le prime sono alquanto sporgenti sul piano alare e precisamente sul piano dor- sale nervature convesse di Aponpr®) le altre lo sono in mi- nima parte (nervature concave di ADOLPH). Ho trascurato fin’ora di parlare di un’altra nervatura, giacente tra la marginaie e la seconda, perchè merita bene un cenno speciale. Nella Fig. 24 si vede abbastanza chiaramente disegnata al di sopra della seconda, una nervatura bruna a parete chitinosa spessa e robusta, rigida e terminata in punta, quasi una lamina ensiforme. Questa nervatura sarebbe la cosidetta nervatura acces- soria dei sistematici (v. capitolo: « Sistematica »): essa giace tutta nella cella costale ed ha un'origine del tutto indipendente ; il che però non è sempre apparentemente ben chiaro, poichè essa toglie sovente alla vista la seconda, per tutto il tratto che dal suo distacco dall’ ispessimento a semiluna va alla sua fusione colla terza; di modochéè talvolta sembra che la seconda, quale fu da me descritta, manchi e sia rimpiazzata da quella, di cui sto occupan- domi, la quale parrebbe così prolungarsi fino alla marginale. Questo equivoco deriva dal fatto che l’ ala, normalmente, non è affatto piana, ma, come indica la Fig. 29, forma delle pieghe longitudi- nali, delle quali la più accentuata è quella al cui fondo giace la ner- vatura in parola. La seconda allora, od almeno il tratto di essa in questione, trovasi, specialmente se la piega è esagerata, sopra uno Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 119 dei declivi della piega; sicchè, essendo trasparente, sfugge alla vista; mentre la nervatura robusta a chitina bruna del fondo risalta su- bito. La Fig. 26 mostra appunto la seconda nervatura parzialmente sottratta alla vista dalla fiervatura accessoria; la Fig. 23, poi la rap- presenta quasi del tutto mascherata da questa. Quindi, per di- stinguere bene la disposizione di cose che ho descritta e che verrò meglio delineando più sotto, occorre comprimere bene l’ala sotto il vetrino coprioggetti, non solo, ma colorare leggermente l'ala con acido picrico. La nostra nervatura, dunque, è completamente autonoma. Essa si origina alla radice dell’ala e con decorso rettilineo giunge fin presso al punto di fusione della seconda e della terza; nel suo percorso va mano mano facendosi più stretta fin che termina in punta. Non è facile farsi un'idea chiara della conformazione di questa nervatura osservandola soltanto dall’alto o dal basso, ma . occorre procedere alla sezione trasversale dell’ala. Allora si vede che questa nervatura non differisce nei con- torni dalle nervature pervie sin’ora descritte e che, come queste, contiene trachee, nervi e sangue. La sua parete dorsale, però, quella, cioè, che appartiene al piano dorsale dell’ala, è alquanto ispes- sitae colorata in bruno ; di più, da questa parete si stacca, e pesca nella cavità della nervatura, una cresta chitinosa robusta, la qua- le, su di una sezione trasversa, costituisce insieme colla parete dorsale una sorta di T maiuscolo. La cresta, pure di color bruno, e molto alta alla base della nervatura, la ove la lamina dorsale è larga e va man mano abbassandosi fino a scomparire, verso l'apice, ove non esiste che l’ ispessimento dorsale. Questa cresta non è in sostanza che un apodemo, alla cui costituzione non pren- de quindi parte altro che il derma; ma al quale non si attaccano fibre muscolari di sorta, molto probabilmente, si tratta di un mezzo di rinforzo alle nervature e quindi all’ala. Simili apodemi sono fre- quenti, come è noto, nelle ali degli insetti, ma, per quel che io so, soltanto alla base per dare impianto ‘ai muscoli. Quel che ho detto sulla struttura a T della lamina bruna della nervatura ora descritta; debbo ripetere per il tratto comune delle ultime due nervature secondarie. Anche questo tratto, come ho già detto, è pervio, ma la cavità cessa all’inizio delle due ra- mificazioni ; inoltre la parete dorsale, che abbiamo già veduto es- sere ispessita e bruna, possiede anch’essa una robusta cresta simile a quest'altra menzionata di sopra. ) . c ‘ 120 Giovanni Noè Nel maschio, le cose vanno un po’ diversamente. L’ apice della prima nervatura o marginale, infatti, non riceve le estremità della seconda e della terza, ma bensì una grossa dira- mazione della seconda. : La seconda e la terza hanno una configurazione molto si- mile e decorso parallelo. La seconda, dopo aver inviato alla marginale il ramo di cui si è tenuto ora parola, prosegue molto pallida e sfumata andando a perdersi vicino al margine a circa due terzi dalla radice dell’ala La terza, come la seconda, invia un ramuscolo a questa, poco dopo la sua biforcazione, ma senza toccarla; poscia continua molto più pallida della seconda e si perde nella membrana alare in cor- rispondenza all’estremità di questa. In complesso tutte e tre le nervature ora descritte e la nerva- tura a parete dorsale ispessita, soprastante alla seconda, sono molto più deboli. Le nervature secondarie sono cinque anzichè quattro; inquan- tochè tra la quinta e la sesta nervatura primaria oltre al falso ramo della apparente biforcazione, esiste un’altra nervatura molto pallida che segue dappresso la sesta. Altra differenza esiste nelle due ultime nervature secondarie, poichè qui, diversamente che nella femmina, il ramo prossimo alla sesta è più lungo dell'altro, anzi accompagna tutto lo scapo ed il ramo prossimale fino al margine. Tanto le ali femminili, quanto quelle maschili, allestite in gli- cerina, lasciano scorgere ad un ingrandimento piuttosto forte, una grande quantità di corpicciuoli prominenti e trasparenti nell’angolo radicale anteriore. Si tratta di papille cilindro-coniche od a capoc- chia di spillo, che sporgono, soltanto dalla pagina inferiore dell’ala; le prime, più numerose, sono sormontate da un peluzzo lungo e sottile (Fig. 28) le seconde, più grosse, più scarse e limitate alla parte più prossimale dell’area papillare sostengono due o tre pe- luzzi simili. La distribuzione di queste papille è la seguente : tutta la mar- ginale e la metà prossimale della cella sottostante, tutta la seconda e la porzione della terza, precedente il punto di fusione colla se- conda, il tratto comune delle ultime due nervature secondarie e con nervatura a robusta armatura soprastante alla seconda. Di più, tra la radice della terza ed il tratto comune delle ultime due seconda- Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 121 rie, che formano insieme una sorta di angolo, esiste un aggrup- pamento circolare di tali papille. I sensilli da me trovati sull’ala dei ditteri e di cui ho par- lato in una nota preliminare (2, 1905), sono giacenti sulla terza nervatura longitudinale nella disposizione indicata dalla Fig. 24. 4). Bilancieri grossi, a clava, neri sul manubrio, bianconivei sulla parte dilatata. Zampe Sono ben proporzionate, robuste, atte alla corsa, nelle femmine, relativamente più lunghe e meno forti nei maschi. È notevole in queste zampe la ricchezza di setole e di spine, sulle quali non mi tratterrò troppo minutamente per non dilun- garmi; dirò soltanto che peli e setole sono in maggior quantità sulla superficie posteriore delle zampe, eccetto che sul femore e sulla metà prossimale della tibia, ove sono più numerose e svi- luppate. L’estremità distale della tibia possiede una serie di quattro a cinque grosse setole (setole calcarine, o semplicemente sproni), la quale dal margine esterno si estende a circondare il margine infe- riore-posteriore. Sul margine interno (sempre all’estremità distale) | esiste un robustissimo sprone ricurvo. La serie delle setole calcarine è preceduta da un’ altra di setole assai meno grosse ma più fitte le quali costituiscono il pettine; questo è a sua volta preceduto da una o due altre serie di setole mediocri (Fig. 30). . Gli articoli tarsali sono pure ricchi di setole grosse, spinose, di- sposte in serie longitudinali abbastanza regolari. in maggior copia, come è già stato detto, sulla superficie posteriore. All’estremità di- stale ed all'incontro dei margini interno ed inferiore si trovano due grosse spine ricurve, le quali non mrncano se non sull’ultimo ar- ticolo; sul penultimo esse diventano piuttosto esili. Ogni articolo tarsale, eccettuato il primo, è provvisto alla base ed all’ interno, immediatamente al di sotto dell’articolazione, di un apparecchio che merita di essere descritto. Sì tratta di un rilievo ellittico (a larga ellisse) nel 2.0, 3°, 4° articolo, ad ellisse stretta nel 5°. La chitina che lo costituisce è sottile, chiara, trasparente e ri- 1) Colgo l’ occasione per riparare ad un’ omissione bibliografica fatta nella i ota preliminare in discorso. GiintHER aveva già trovato nel 1901 degli organi di senso sulle ali delle farfalle: quelli però da me sommariamente descritti , e sui quali ritornerò fra breve più a lungo, hanno una struttura alquanto diversa. 192 Giovanni Noè corda nell’aspetto vitreo e delicato quella dei sensilli. Dalla super- ficie ellittica, leggermente incavata, sporgono tre peluzzi delicatis- simi, uno impari distale, due pari prossimali, ricurvi in senso di- stale. Che cosa sia questo organo, il quale rinviensi tanto nei ma- schi quanto nelle femmine, non mi fu possibile di determinare , È uno speciale apparecchio tattile, oppure i peli servono ad una funzione ghiandolare ? La mancanza di materiale fresco od oppor- tunamente conservato nel momento in cui mi sono accorto della sua esistenza non mi ha permesso di assodarlo. Spero di poter ri- tornare sulla questione, ma prevedo che la ricerca sarà alquanto ardua, sia per la estrema piccolezza dell’ organo stesso (5 |), sia per la sua delicatezza, le quali circostanze non costituirebbero per sè stesse difficoltà insormontabili ove non andassero unite alla po- sizione sfavorevole dell'organo , circondato com’ è, da ogni parte, da chitina molto spessa e dura ed incassato quasi tra spine nu- merose e robuste. i L'apparecchio ungueale consta di due unghie e di un empo- dio. L'apparecchio è fiancheggiato da un paio di setole lunghe lesiniformi, flessibili. Le unghie, nude, cioè non ricoperte di peli, sono uguali in grossezza ed in forma nella femmina; disuguali nel maschio, ma soltanto nella forma. L’unghia della femmina consta di un robusto uncino ricurvo al terzo inferiore. Inoltre, dalla base, si solleva, nella concavità della curva, un grosso e corto dente, il quale a sua volta è prov- veduto di una spina esile e più breve, impiantata poco al di sopra dell’origine di quello (Fig. 33). IL’ empodio non offre nulla d’ interessante a conoscersi. Delle unghie del maschio, l'anteriore è formata da un uncino grosso, lungo, a larga curva. Alla base si scorge una breve e grossa sporgenza a mo’ di tubercolo, dalla superficie esterna della quale sorge un lungo dente appuntito e due volte ricurvo come indica la Fig. 34. L’unghia, così, veduta di lato, rassomiglia ad una di quelle forcole che sostengono i remi sui fianchi delle barche. L’unghia posteriore differisce dall’ altra in ciò soltanto , che invece di un vero dente, o ramo che sia, esiste al luogo corrispon- dente una semplice spina, breve, ricurva, lesiniforme (Fig. 34). Due parole sopra i sensilli degli arti: sul trocantere, sul fe- more e sulla tibia si osservano, con ingrandimento piuttosto forte, degli organi particolari che io non posso riferire se non ad organi cordotonali o timpanali. Precisamente sul trocantere e sulla Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 125 tibia vedonsi dei cerchietti, qualche volta rilevati sul piano, sopra i quali è distesa una membranella esile e trasparente : di tali or- \gani se ne osservano in due o tre gruppi sul trocantere; in nu- mero di cinque sulla porzione prossimale della tibia, come viene indicato dalle Fig. 1 e 8 del testo: i sensilli segnati in tratteggio sono situati nella superficie opposta. Un altro sensillo simile, ma più grosso, rinviensi. alla base del femore, sulla faccia posteriore del medesimo CANGOID 299 00 ® 0090960 Fig. 2. Fig. 3. Fig. 1— Anca (spezzata), troncatere ed estremità pro-sin.ale del femore di M. irritans: ì sensilli sono indicati dalle figure a cerchietto. Fig. 2— Sensilli della superficie ventrale prossimale del femore di M. irritans. In questa figura Ja superficie in discorso viene immaginata distesa sopra un piano; il margine di destra che potrebbe rappresentare una linea di frattura, corrisponde alla regione prossimale del femore, - Fig. 3— Tratto prossimale della tibia di UM. irrifans. Ma sulla superficie inferiore e basale del femore esistono altri sensilli di forma e di colore diversi da quelli precedentemente descritti, quantunque io ritenga debbano avere analoga funzione. Si tratta di cerchietti il cui vano è occupato da una sorta di co- perchietto convesso, che ricorda per forma e disposizione un vetrino da orologio. Queste cupolette sono costituite però di chitina assal più robusta che non quella che copre & mo’ di timpano i sensilli descritti più sopra; di più, sono provvisti di un puntino oscuro nel mezzo, che non ho potuto stabilire se rappresenta un forellino, od una variazione di tinta, o la terminazione nervosa sottostante, ve- duta per trasparenza, La cupola ha pressochè la stessa colorazione 124 Giovanni Noè della chitina circostante. Questi sensilli, che ho ritrovato anche nei culicidi ed in molti altri ditteri, anzi in molti altri insetti, come sarà facile ad ognuno di riscontrare, sono disposti in due serie pa- rallele, terminate distalmente da un sensillo impari. Come indica la F?9. 2, i sensilli in discorso sono di varia grossezza. Quanto al colore, l’anca, il trocantere, il femore e la tibia sono uniformemente di color castagno-oscuro; dei tarsi, quelli del primo paio sono uniformemente bruni, quelli del secondo e terzo paio hanno il primo articolo e spesso anche il secondo per circa due terzi chiari: in tutto il resto sono bruni. Vuolsi avvertire tuttavia che le variazioni nella distribuzione e nella gradazione delle tinte sono molteplici. Addome L’addome richiede uno studio minuzioso ed abbastanza lungo, specialmente per ciò che riguarda l’ apparecchio sessuale esterno, tanto del maschio , quanto della femmina. Siccome, però, molte particolarità di questo apparecchio non possono precisarsi che per mezzo delle sezioni, così mi limiterò in questo lavoro il quale ha essenzialmente pretese sistematiche a dare una descrizione, dirò così, superficiale ed empirica delle appendici e delle disposizioni varie , nel modo cioè come si presentano all’ osservatore. Maggiori rag- guagli anatomici produrrò eventualmente nella seconda parte di questo lavoro, possibilmente insieme all’interpetrazione del signifi- cato dei varii pezzi componenti un apparecchio, come si vedrà, abbastanza complicato. L’addome consta di 10 uromeri!). Generalmente, il numero degli uromeri dei nemoceri viene stabilito dai sistematici in 8 o 7. Molto probabilmente si tratta di un errore; nè la cosa deve recar mera- viglia, poichè precisare il numero dei segmenti addominali non è sempre facile e richiede non di rado l’uso di mezzi a cui i siste- matici ricorrono raramente. 1) Quando dico 10 uromeri, intendo parlare di quelli che si vedono in realtà, secondo 1’ avvertimento dato sopra; qui non posso fermarmi, data 1’ indole del lavoro, sulle quest'oni morfologiche che concernono la riduzione o mero del numero delle parti, la trasformazione di esse, ecc., che possono soltanto trattarsi convenientemente in uno studio di anatomia comparata. Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 125 Il fatto sta che gli ultimi segmenti—ciò è noto all’anatomico -— sono così spesso ritirati l’uno nell’altro a telescopio, che possono sfuggire anche del tutto ad un esame superficiale. Questo però, si badi, vale in generale soltanto per la femmina, poichè gli ultimi uromeri dei maschi sono per 'o più bene svolti. Cominciamo dalla femmina. L’addome della femmina, quando non sia inturgidito dal sangue ingerito o dalle uova mature, presentasi fatto a cono leggermente ricurvo in basso, coll’estremità molto appuntita. Veramente, esso, poco dopo la sua origine, si rigonfia un poco, mantenendosi così dilatato fino a tutto il quinto segmento, poi va rapidamente re- stringendosi; l'ottavo ed il nono sono quasi completamente nascosti nel settimo. L’addome non va, così, attenuandosi dolcemente; tut- tavia esso è realmente acuminato, poichè dall’ ultimo uromero si dipartono due cerci (almeno io credo di poterli interpretare come tali) lunghi all’ incirca un quarto della lunghezza totale dell'addome (misurata cioè dalla base all’apice dei cerci). Questi cerci, sui quali tra poco dovremo ritornare a lungo, sono laminari e disposti se- condo due piani sagittali e nel senso della lunghezza del corpo. La loro superficie esterna è convessa, quella interna è concava. I loro margini (superiore ed inferiore) non sono paralleli ma inclinati verso l’ apice che però non riesce appuntito ma smussato. L’ incli- nazione dei margini continua presso a poco quella della superficie dorsale e ventrale dell'addome; per tale ragione questo sembra at- tenuarsi in un lungo apice conico-acuminato. La superficie dorsale, sempre ad addome non inturgidito , è fortemente convessa, in senso longitudinale, mentre la superficie ventrale è leggermente concava o piana, o leggermente convessa. Ciò, del resto, dipende più che altro dalla reciproca disposizione dei segmenti com’ è voluta dall’ animale, o com’ è richiesta dallo stato fisiologico del momento; ossia secondo che gli uromeri siano più o meno svolti e che i cerci siano tenuti inclinati in giù od in direzione perfettamente orizzontale. i L’estremità morfologica dell'addome, però, trovasi alquanto più in dietro dell’apice dei cerci; precisamente, arriva a un dipresso ad un quarto della lunghezza dei cerci. Questa estremità, fatta a cono, dall’apice smussato, nel quale si apre l’ano, è nascosta tra . due cerci laminari coll’asse leggermente inclinato verso l'alto; essa! però non sporge mai in condizioni normali al di sopra dei cerci 126 Giovanni Noè Del primo uromero non riesce evidente che il tergite ; esso corrisponde alla parte ristretta della base e sta in parte nascosto sotto il metatorace che si protende all’indietro a mo’ di scudo; il 2°, il 8°, il 4° ed il 5° sono all’ incirca delle stesse dimensioni; il 6° ed il 7°, alquanto più piccoli dei precedenti, sopratutto più ri- stretti, sono pure pressochè delle stesse dimensioni. L'8°, il 9° ed il 10° sono invece assai diversi per forma e di- mensioni e richiedono una descrizione un po’ più particolareggiata. Premetto che il nono, l’uromero genitale, sembra, ad un’osser- vazione superficiale, una dipendenza del decimo che è il segmento anale. Eccettuato questo, l'ottavo ed il nono sono quasi sempre na- scosti entro il settimo ì cui margini possono giungere apparente- mente a contrar rapporto col decimo. Tanto il decimo con i suoi cerci, quanto l'ottavo con particolari strutture che passerò subito a descrivere, servono da ausiliarii al nono, nella sua funzione specifica. Distendendo, ossia svolgendo gli ultimi tre segmenti addomi- nali ed esaminandoli al microscopio dal lato ventrale, si scorge subito, anche con un ingrandimento medio, un infossamento , la fossa genitale. Ricorrendo a più forte obiettivo (8* KorIs.), si distin- guono perfettamente tutte le parti che fan da contorno a questa fos- sa. Precisamente si vede che la fossa è posteriormente incompleta, come sfiancata, cioè a dire priva di parete. Il suo margine perciò, anzichè circolare od elittico è ridotto ad un semicerchio, o meglio ad una curva a ferro di cavallo le cui branche tendono a diver- gere. Le pareti sono fornite dall’ ottavo (parete anteriore e parte delle pareti laterali) e dal nono che dà le due estremità divergenti delle branche (Fig. 36 e 37). Il pavimento è costituito in piccola parte soltanto dall’ottavo, il resto dal nono in totalità; il piano di questo pavimento è continuato dallo sternite del decimo uromero, verso il quale appunto la fossa è sfiancata. Per farci un’ idea chiara della disposizione delle parti ora no- minate e di ciò che verremo esponendo in seguito, sarà bene rap- presentarci la cosa in plastica. i _Raffiguriamoci l'addome in un grosso modello di creta, nel quale gli ultimi tre segmenti non posseggano alcuna delle parti- colarità testè accennate. Essi allora, disposti come i pezzi di un cannocchiale, senza accidentalità sulle pareti, non romperanno l’ uniformità della su- Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 127 perficie conica dell’addome. Suppomamo ora di esercitare con un dito o con qualsiasi oggetto cilindrico ad estremità arrotondata e di conveniente grandezza una pressione al lato ventrale fino ad improntare l oggetto per una metà circa del suo diametro nella creta cedevole, e supponiamo ancora che l'impronta interessi sol- tanto la metà distale dello sternite dell’ 8° uromero e gli sterniti del 9° e del 10°. - | Noi otterremo una disposizione di cose molto simile a quella che riscontriamo nel Mycterotypus. La negativa dell'oggetto rappre- senta in certo qual modo la fossa genitale dell’ animale. Infatti, lo sternite dell’8° segmento partecipa appunto soltanto nella sua meta distale alla formazione della fossa. Il suo margine posteriore trovasi quasi tutto interessato nell’infossamento, mentre ciò che della superficie ventrale del segmento rimane sul piano superficiale dell'addome assume l'aspetto di due alette poste a dritta ed a sinistra della fossa. È facile comprendere come l’infossamento determinerà la costituzione di un nuovo margine, ossia di un bordo sulla superficie stessa dello sternite (Fig. 36, ma); questo bordo sta a confinare tra il piano generale ventrale dell’ addome , ossia della superficie dell’8° segmento rimasta in sito e la concavità del supposto affondamento; è un bordo ispessito e, come vedremo, ricco di setole e di altre produzioni chitinmose molto interessanti. Il nono uromero, o genitale, è dal lato ventrale completamente con- cavo e costituisce come abbiamo detto la maggior parte del pa- vimento della fossa ed i tratti divergenti della parete di questa. La fossa, ho detto, non è completa verso il 10° segmento, il cui sternite è in prosecuzione del fondo della fossa. Un oggetto, che fosse in grado di rotolare sul pavimento di questa fossa, par- rebbe quindi poter prendere tre direzioni: od uscire, girando in- torno alle ‘estremità delle pareti laterali o proseguire sul piano del 10° segmento, sempre supposto l'addome rovesciato sul dorso— perchè , in posizione normale, quel che ho chiamato pavimento della fossa ne diviene in realtà la volta — Senonchè, a precludere 1 passaggi laterali, si avanzano fin quasi a combaciare cogli estremi delle branche laterali della fossa, i cerci, i quali, per essere in forma di lamine concave sulla superficie interna, incanalerebbero per così dire l’ ipotetico oggetto per la via del 100 uromero. Dopo queste generalità, converrà insistere alcun poco, partita- mente sui tre uromeri dei quali ci siamo occupati fin’ora. 128 Giovanni Noè ‘ L’ottavo uromero, veduto dorsalmente, non differisce gran fatto dagli altri che lo precedono, eccetto che è più piccolo e che il margine posteriore scende obliquamente all’ indietro, sui fianchi, . sicchè la parte ventrale dell’ uromero è più lungo della parte dor- sale (Figure 39 e 40). Osservato ventralmente 1’ uromero in discorso presenta l’ infossamento già descritto. Siccome però l’ infossamento è limitato , alla parte mediana, al,solo sternite, così le porzioni laterali, che non prendono parte all’infossamento, appaiono sotto sembianze di alette disposte ai fianchi della fossa; girando opportu- namente l’ animale sul fianco, si capisce però subito che questa apparenza non è che un' illusione ottica. Il bordo della fossa appartenente all’ 8° uromero consta, come ho già accennato, di chitina molto ispessita, la quale produce cinque processi, quattro pari ed uno impari (Fig. 37). I quattro pari por- tano ognuno una grossa e lunga setola e le quattro setole, essendo dirette obliquamente in dentro ed all’ indietro, si inerociano in modo caratteristico. Come vedremo più innanzi, esse molto proba- bilmente, costituendo una sorta di pavimento inclinato nell’ atto della deposizione delle uova, servono ad accompagnare le uova fino al canale risultante dai cerci oltre che ad impedire che esse cadano giù per l’ apertura della fossa. Il processo impari non è che una lieve sporgenza a debole curva. Negli intervalli tra i processi an- zidetti e sul restante bordo corrispondente alle alette sono impian- tate delle setole fine e flessibili, lunghe all’ incirca la terza parte delle grosse setole descritte di sopra. Altre setoline ancor più brevi e più esili si staccano dal margine ricurvo del processo impari. Inoltre, le pareti ed il fondo della fossa, che appartengono all’ 8° uromero , sono coperte di setole fine e flessibili come quelle del bordo: la Fig. 36 mostra, invece di queste setoline , i loro punti di impianto. Il nono uromero , o genitale, il più breve di tutti, ha una struttura tutta particolare. Intanto, il tergite è molto spesso e ro- busto; di più, contrariamente all'8°, la porzione laterale del tergite è molto meno sviluppata della dorsale, che è più lunga. Le estremità laterali del 9° tergite: causa della loro ristret- tezza, sembrano, osservando l’ addome dalla superficie ventrale, apofisi, anzi vere appendici articolate all’ 8° tergite : 1’ illusione è prodotta dal fatto che le alette (dico alette per brevità) dell’ 8° le ricoprono in parte, In realtà, volgendo opportunamente l’ addome Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 124 e mettendo bene allo scoperto il segmento, ogni traccia di artico- lazione sparisce. Debbo aggiungere che il tergite del 9° uromero è spesso tenuto in modo che il lembo anteriore non solo sta nascosto sotto il ‘margine posteriore dell’ 8°, ma prende anche direzione obliqua al basso e dall’indietro all’ innanzi e perciò i suoi fianchi, ristretti sono a lor volta diretti obliquamente dall’ avanti all’ indietro, tantò che vanno spesso a coprire i fianchi del tergite del 10° segmento; il che non accade mai per il margine dorsale (Figure 39 e 40). In- somma, sembra che il tergite del 9° uromero abbia leggermente girato sopra l’asse perlaterale in modo da portar innanzi la parte dorsale ed indietro le sue estremità inferiori, fiancheggianti la fossa. Lo sternite contribuisce a formare, anzi forma la maggior parte del pavimento e delle pareti laterali della fossa genitale. Ora, mentre il pavimento (che è, in realtà, la volta, lo si ricordi bene) è costituito da chitiua sottile, glabra, pieghettata, trasparente, le pareti — alle quali, come s'è visto, corrisponde all’esterno la parte stretta e prominente del tergite— sono irte di peluzzi; le estremità ad apofisi del 9° uromero, che costituiscono anche i limiti estremi delle pareti laterali della fossa, sono provvedute di due setole (Fig. 37). j L’ ultimo uromero, il segmento anale, ha una struttura al- quanto più complicata. Per comodità di esposizione distinguo il segmento in due parti: luna prossimale, grossa, robusta ed una distale, esile e delicata costituente il cono anale, quantunque questa divisione in regioni non sussista in fatto come disposizione anatomica. La parte prossimale, fortemente convessa dorsalmente, è, invece, molto incavata ventralmente. Ricordando l’ artificio esplicativo a cui abbiamo ricorso, dovremo concludere infatti che la parte ven- trale, come nel 9° uromero, è costituita da un piano incassato tra due pareti: così è infatti. ; } Il piano del fondo è fornito in totalità dallo sternite; le due pareti sono formate nella loro parte essenziale e più robusta dal tergite della prima porzione dell’ uromero. Tra i margini inferiore e posteriore di queste pareti prominenti ed il margine laterale dello sternite, affondato tra di esse, si articolano 1 cerci, dei quali avremo a discorrere alquanto in seguito. 180 Giovanni Noè Per farci un'idea chiara della struttura del 10° uromero e della topografia delle parti che lo compongono ricorrerò ad un esempio. Supponiamo di avere un cono a cui abbiamo troncato l'apice; disponiamo il cono in modo che |’ asse sia pressochè orizzontale, indi tagliamo la parte inferiore del cono così orientato in maniera da determinare una faccia di. prisma e questa faccia di prisma abbia sull’ asse un’ inclinazione maggiore di quel che abbia la su- perficie del cono. Immaginiamo ora che la superficie conica della prima metà, laddove è stata tagliata dal piano in discorso continui in basso con leggerissima curva all’indentro, ed avremo lo schema del 10° uromero. La faccia di piramide corrisponde allo sternite; la prima metà fornisce le due pareti del supposto affondamento come i fianchi di una barca; la seconda metà rappresenta il cono anale. Ciò premesso , esaminiamo partitamente queste varie regioni. La parte del tergite corrispondente alla prima metà dell’uro mero, che per brevità chiamerò d’ ora innanzi, per quanto la de- nominazione sia impropria, tergite anteriore, è molto stranamente conformata. Sulla linea dorsale mediana sì osserva una regione « V, con apertura posteriore, nella quale la chitina è esilissima, deli- cata, trasparente, pieghettata longitudinalmente; ha insomma tutte le apparenze della chitina articolare, per modo che si direbbe che in questa regione del corpo due parti omonime si articolino tra di loro. Il resto della chitina del tergite anteriore è al contrario robustissima ed i contini tra l'una e l’altra qualità sono netti e segnati da un orlo robusto di quest’ ultima. L'illusione quindi che si tratti di una articolazione sembrerebbe aumentare; senonchè , in corrispondenza al margine anteriore del tergite la chitina esile cessa e la chitina robusta di un lato passa uniformemente nell’al- tro. In altre parole il vertice del V non si trova sul margine an- teriore del tergite ma un poco posteriormente ad esso e la parte ispessita di destra del tergite, colla parte di sinistra non contrae un rapporto articolare ma di immediata continuità. La chitina esile continua, poi, invariata al di là della profonda e larga intac- catura a V, andando a costituire la seconda parte del tergite, ossia la parte corrispondente al cono anale e che, per brevità chiamerò tergite posteriore del 10° uromero Ritengo di avere compreso T vero spalla dell’ intaccatura del tergite anteriore. Due nuove specie di ditteri appartenenti al un genere nuovo 151 Durante la deposizione delle uova, i cerci, insieme al tergite del 10° segmento, debbono molto verosimilmente ripiegarsi all’in- giù, poichè è evidente, come sì capirà in seguito che i cerci eser- citano in questo caso funzione di ovopositore. È chiaro, che, in simile operazione il cono anale sarebbe d’impaccio, situato com’ è tra i cerci; d'onde la necessità che possa spostarsi dorsalmente o. più esattamente, che possa esser conservato nella sua posizione normale, quando cerci e tergite anteriore vengono abbassati. Si ca- pisce infatti come, durante la deposizione delle uova, il cono venga a sporgere al di sopra dei cerci, mentre normalmente è sì- tuato tra questi, e che tale spostamento --- spostamento apparente, poichè in realtà si tratta invece dell’ abbassamento dei cerci e del tergite anteriore, come è stato spiegato —è reso possibile dall’in- taccatura a V descritta dianzi. Senza di essa, la chitina dura e resistente del tergite anteriore, nel movimento anzidetto, verrebbe a comprimere e forse a lacerare il tergite posteriore. Ciò detto, continuiamo la descrizione della prima parte del 10° uromero. La restante chitina del tergite anteriore — esclusa cioè la chi- tina dell’intaccatura a V — non è uniformemente spessa; lo è mag- giormente lungo i margini dell’ intaccatura e lungo i margini posteriore ed inferiote; di più, si riscontra un ispessimento che attra- versa da ambo i lati il tergite, al confine tra la regione dorsale e laterale di esso andando dal margine anteriore al margine posteriore (Fig. 39). Il tergite si protende lateralmente in basso a costituire, come sì è gia veduto, le pareti del noto infossamento, anzi sol- tanto la superficie esterna di esse. Il punto d'incontro tra il bordo inferiore del tergite anteriore ed il suo margine posteriore, che si incontrano presso a poco ad angolo retto, funge, come vedremo da fulero ai cerci. A completare lo studio della prima parte del 10° uromero, dovrei parlare dello sternite; senonchè questo, essendo uniforme per ambedue le regioni, sarà bene descriverlo a parte. Il tergite posteriore fornisce la superficie dorsale e laterale del cono anale; la sua chitina è esile e trasparente come quella del- l’intaccatura. Al suo confine col tergite anteriore, il tergite poste- riore presentasi alquanto più ristretto ai fianchi di quello, sicchè, in una sezione orizzontale, si vedrebbe, in corrispondenza a questa regione un rientramento da ogni lato, una sorta d’angolo; questo 139 Giovanni Noè angolo però è virtuale, essendo occupato dai cerci che vi si arti- colano. L’ano si apre sulla troncatura del cono, già accennata di sopra. Lo sternite del 10° uromero si può schematicamente rappre- sentare come un triangolo isoscele, la cui base corrisponde al margine anteriore ventrale dell’ uromero. La superficie consta di chitina chiara, sottile, trasparente, pieghettata, simile a quella dorsale distale; questa delicata mem- brana è sostenuta e mantenuta tesa da una robusta intelaiatura formata da due briglie chitinose spesse, le quali, articolate cogli angoli anteriori-inferiori del tergite, corrono posteriormente in alto ed in dentro, avvicinandosi alla linea mediana e costituendo così i limiti laterali dello sternite. Le due briglie, giunte in vicinanza all’apertura anale, che sta sopra, si uniscono a curva. Le briglie non sono perfettamente: rettilinee, come se rappresentassero real- mente i lati uguali del triangolo iscoscele, ma sono leggermente ricurve ed hanno tal forma da ricordare, nella loro normale posi- zione, ed osservate ventralmente, il profilo di un’ anfora senza manico. Il bordo, svasato corrisponderebbe all’articolazione ante- riore col tergite; la parte più ristretta all’ ano. Passiamo «ai cerci 1). 4 1 cerci assomigliano a lamine, più larghe alla base che all’e- stremità, la quale è arrotondata. Le due lamine sono disposte ai fianchi del cono anale in due piani sagittali. Dire però che si tratta di due semplici lamine è un errore, perchè ognuno possiede, in realtà, due pareti, l’una esterna con- vessa, l’altra interna concava. Le due pareti si incontrano dorsal- mente e ventralmente, costituendo due margini. Abbiamo quindi da considerare nei cerci: due facce , due margini, due estremità. Le facce sono ricoperte di peli di due sorta: precisamente, sulla faccia esterna, convessa, trovansi, sparsi uniformemente sulla superficie, peli corti costituenti una sorte di peluria e peli lunghi, vere setole, disposti in ordine seriale come indica la Fig. 39; le 1) Veramente, io sono ancora molto in dubbio sul significato reale di questo appendice; ma la loro articolazione all’ultimo uromero mi ha fatto propendere per questa intrepretazione, che, tuttavia intendo dare con riserva. Le sezioni e lo studio dello, sviluppo, quando possegga le larve e le ninfe decideranno se trattasi veramente di cerci o di gonapofisi. Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 159 setole dell’estremità apicale sono più lunghe; la Fig. 39 non di- mostra della peluria, che quella recingente i margini. Sulla faccia interna, concava, non esiste che la peluria; questa però consta di peli molto più lunghi di quelli esterni. Questi peli più lunghi, delicati e flessibili sono incurvati dolcemente verso l'apice (Fig. 36). Anche le setole esterne sono, normalmente , ri- volte verso l’ apice. 1 Dei margini non vi è nulla a dire eccetto che son ricinti da una serie delle setole già trovate sulle facce. Anche l’ estremità apicale non offre nulla di notevole. Piuttosto, dobbiamo alquanto intrattenerci sull’ estremità prossimale; l’ estremità, cioè, articolare. Se ci proviamo a distaccare un cerco, ci accorgiamo che esso contrae aderenze col cono anale e col tratto pleurale situato tra il tergite anteriore e lo sternite. I cerci, così, hanno un esteso margine articolare. Se osserviamo un cerco di lato, distinguiamo, alla sua base ed in corrispondenza al cono anale , una sorta di apertura ovale , giacente sotto il piano della faccia esterna. Essa è una porzione della porta di comunicazione tra la cavità del cerco ed il lacunoma. La forma ovale di tale porta di comunicazione non è però che un’apparenza, o meglio non è che la proiezione su di un piano delle curve che eseguisce in questo punto il mar- gine articolare, come si comprenderà seguendo questo in tutto il suo tragitto. Il margine articolare esterno, dalla superficie laterale del cono anale scende, quasi verticalmente, a ricingere il margine posteriore del tergite anteriore; giunto all’ angolo postero-inferiore di que- sto, si ripiega all’avanti, quasi ad angolo retto e continua a ricin- gere il margine inferiore del tergite, fino a sorpassare l'angolo infero-anteriore di questo. Il margine articolare interno, dall’incontro dorsale col margine esterno, .segue per un certo tratto la parte laterale del cono ana- le, incurvandosi verso l'estremità distale; poi passa ventralmente ed al di sotto del segmento, andando a congiungersi col margine esterno. In sostanza, la proiezione su di un piano di questo mar- gine accidentato, raffigura all'incirca una cifra 8 stranamente con- torta (Fig. 39). In tal modo si comprende l’apertura ovale che sì intravede alla base del cerco ed in corrispondenza al cono anale; in realtà la porta di comunicazione col lacunoma è segnata da tutto il margine. Si capisce, da questa disposizione di cose, che la Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 2. 10 154 Giovanni Noè branca superiore dell’ articolazione viene a trovarsi in quel tale an- golo, tra il tergite anteriore ed il posteriore, testè indicato. Per semplicità, ho detto che i cerci si articolano al cono anale; in realtà ciò non è completamente esatto. Infatti, se così fosse, il cono non avrebbe l’autonomia di movimento che ho spiegato più sopra. L'articolazione si effettua per lo meno indirettamente col cono e precisamente nell’angolo anzidetto tra le due regioni del tergite, nella qual regione la chitina articolare è ricchissima di pieghe; in tal modo, il movimento dei cerci non induce necessa- riamente quello del cono. , Il margine articolare esterno nella parte che corrisponde al margine del tergite è molto ispessito e liscio; i rapporti immediati tra questi due margini sono soltanto di contiguità, eccetto all’ango- lo infero-posteriore del tergite anteriore, dove esiste una sorta di articolazione diversa dalle solite. Si tratta di un'articolazione con processo articolare una sorta di cavità glenoidea; il primo è rappresen- tato dall'angolo stesso del tergite, la seconda da un’incavatura prati- cata nello spessore del margine stesso del cerco e nella curvatura che corrisponde al processo del tergite. Quest'ultimo adunque dà l’appoggio, il fulero al cerco nel suo movimento autonomo. Ed ora, due parole sulle reciproche relazioni delle varie parti tra di loro e sul probabile loro funzionamento. Ad addome non inturgidito, l’ottavo ed il nono uromero sono spesso nascosti nel settimo, sicchè non isporge fuori di questo al- tro che il decimo; ad addome inturgidito, invece, gli uromeri sono più o meno bene svolti. ‘ In tal caso, però, si osserva che il nono segmento tiene la disposizione già descritta al disopra, cioè come se avesse rotato alquanto sull’ asse perlaterale; anche il decimo appare rotato ma in senso opposto al nono, sicchè i loro tergiti rimangono, dorsalmante, contigui, mentre le estremità ad apofisi del nono tergite si sovrap- pongono spesso ai fianchi del decimo (Fig. 40). I tergiti del nono. e del decimo segnano così in una sezione mediana un angolo ottuso. Quanto al funzionamento , quantunque non l’ abbia mai sor- preso, pure ritengo che possa spiegarsi fondatamente nel seguente modo. -Durante la deposizione delle uova, i cerci si abbassano e colle loro estremità prossimali, ventrali, insieme alle due sporgenze del decimo tergite, si dispongono a ridosso delle due estremità ad apofisi del nono tergite. Le uova, cadute nella fossa genitale sono Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 155 avviate dalle quattro lunghe setole, che formano il vero pavimento della fossa ad orientamento normale dell’ addome, verso il decimo segmeuto, dove vengono abbracciate ed incanalate dai cerci per la via costituita dalle loro concavità. Maggiori e più precisi ragguagli morfologici, del resto, potranno essere rivelati dalle sezioni. Passiamo finalmente al maschio. I dieci uromeri dell’ addome maschile hanno una configura- zione ben diversa da quelli femminili. Qui essi sono tutti bene svolti, ossia non nascosti l'uno nel- l’altro come i pezzi di un canocchiale; soltanto il primo e l’ultimo richiedono, per essere osservati, un po’ di attenzione: quello, sia perchè è in massima parte nascosto dal metatorace che sporge alquanto posteriormente, sia perchè non lascia scorgere lo stermite; questo, perchè, piuttosto piccolo, sta nascosto in parte nel nono, del quale sembra una dipendenza!). Anche il 10° uromero maschile, come quello femminile, è fatto a cono, cono anale, ma i suoi rapporti col nono sono però assolutamente diversi. Quanto alle dimensioni relative dei varii uromeri, dirò che eccettuati il 1” ed il 10°, di cui abbiamo già parlato, la loro lun- ghezza non è gran fatto diversa; si può dire soltanto che vanno gradatamente, quasi insensibilmente, accorciandosi dall’ avanti al- l’ indietro; il terzo, veramente, sembra il più lungo di tutti, però non deve trattarsi appunto che di un’apparenza topografica. Invece, la larghezza va abbastanza sensibilmente diminuendo, però grado grado, non bruscamente come nella femmina; si può quindi paragonare la proiezione dorso-ventrale dell'addome ad un trapezio di grande altezza. Questo perchè, ripeto, il cono anale è quasi completamente nascosto nel.9° uromero; sicchè l’addome sem- bra posteriormente troncato, illusione che è resa più facile dalla grossezza dei forcipi. Veduto di fianco, l'addome si presenta alquanto rigonfiato per il tratto che comprende i primi cinque articoli, basso e depresso nella sua metà distale; il profilo dorsale è rettilineo, non curvili- neo come nella femmina, per modo che il rigonfiamento in parola 1) Ritengo inutile ripetere l’avvertimento già dato di sopra sull’esattezza o meno dell’interpretazione da me prescelta sul valore delle parti qui nominate Lo studio delle omologie non può pretendersi in un lavoro di indole prevalen- temente sistematica. 156 Giovanni Noè non interessa i tergiti, ma soltanto le pleure e gli sterniti, che sono nei primi uromeri molto allontanati da quelli. Dell’ apparecchio sessuale esterno farò qui una descrizione som- maria, perchè non tutto vien messo bene in luce dall’ osservazione superficiale. Come dimostra la Fig. 42, il nono segmento, l’uromero ge- nitale, va, posteriormente, restringendosi a mo’ di imbuto. Ai lati e ventralmente si attaccano le grosse gonapofisi ma- schili (forcipi, secondo FicALBI), mentre nell’apertura ristretta del-. l’imbuto sta innicchiato il cono anale, ossia il 10° uromero. L’a- pertura ristretta dell’ imbuto non è circolare ma alquanto sinuosa, specialmente dal lato dorsale, come dimostra benissimo la Fig. 42. Il margine dell’apertura in discorso si prolunga poi ai lati del cono anale in due palette caratteristiche, la cui disposizione è general- mente secondo un piano verticale. I forcipi constano di due robusti articoli; il prossimale molto rigonfio e ricco di lunghi peli; il distale, lungo circa i tre quarti del primo, rigonfio alle due estremità, maggiormente però a quella prossimale. Dal lato interno e ventrale del primo rigonfiamento sporgono due palette, di cui la più distale è maggiore, le quali fanno parte di uno speciale apparecchio a forcola, in massima parte nascosto nell'interno dell’ articolo; un’ altra paletta sporge dal secondo rigonfiamento, preceduta da una grossa spina, un po’ più corta della paletta stessa. Il secondo articolo è relativamente po- vero di setole. Il cono anale, nascosto in parte dalle palette del nono uromero, ma ben visibile dal lato dorsale, è limitato da una chitina pieghe- vole e sottile. All’ estremità, tronca, del cono sta l’ apertura anale, intorno alla quale si distinguono abbastanza chiaramente le valve, come mostra la Fig. 44. Fra la valva tectoria e la valva laterale si osserva da ogni parte un processo, una sorta di apofisi, ricca sulla super- ficie interna, di peli, che mancano invece sulla superficie esterna. Il. Sistematica Dopo la precedente minuziosa descrizione delle caratteristiche esterne del Mycterotypus bezzii, ritengo inutile il descrivere, secondo lo stesso metodo, il Mycterotypus irritans, perchè questo, nelle sue caratteristiche generali, non si distingue affatto da quello. Darò Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 157 quindi soltanto una brevissima descrizione che faccia risaltare le differenze specifiche del M. 2rritans; anzi, per maggior semplicità e chiarezza nel confronto, riassumerò brevemente anzitutto i carat- teri speciografici del M. bezzz. Mycterotypus bezzii, Noè, 1904. (Fig 2-4, 7-9, 10-12, 15-17, 22, 24, 27-31, 38, 42-44) Lunghezza :0° mm. 2,7-3 —Q- mm. 2.2—2,5 Apertura alare: 9 mm. 3,5-4—9- mm 38—3,5 Corpo snello ed elegante. Capo ben proporzionato con proboscide ver- ticale, lunga un po’ meno dei tre quinti della lunghezza del capo (misurata dal vertice alla base della proboscide), tozza, grossa e, veduta di lato, ap- parentemente conica. I palpi, in ambedue i sessi, più lunghi della probo- scide, che superano della metà dell’ultimo articolo. Il primo articolo bre- ve; il secondo lungo tre volte il primo; il terzo come il secondo. Questo poi è rigontiato nel mezzo, di più nella femmina, meno nel maschio. Il loro colore è, in complesso, bruno nero; la base del primo articolo però è bianco- sporca e l'articolazione del secondo col terzo, coi rispettivi estremi artico- lari, bianco neve. Antenne femminili aventi l’ ultimo articolo molto lungo, equivalente circa ai due articoli che lo precedono, presi insieme, più la metà del terzo. Setole rigide, spinose soltanto ai primi tre o quattro articoli. Il torace, slanciato, presenta un leggiero restringimento nel mezzo Areola tra la nervatura marginale dell’ala, la trasversa marginale e la se- conda e terza longitudinale, abbastanza grande (Fig. 24). Le unghie in numero di due per ogni zampa ed in ambedue i sessi ; quelle della femmina, uguali in forma e dimensioni, sono fatte ad uncino. ricurvo al terzo inferiore. Dalla base si solleva, nella concavità della curva un grosso e corto dente, che è provveduto a sua volta di una spina esile, più breve, impiantata poco al di sopra dell’origine di quello. Delle unghie del maschio, l’anteriore è fatta a grosso uncino, lungo a curva larga; il dente della base è ricurvo leggermente ad S. L’unghia posteriore differisce per il fatto che invece di un vero dente esiste al luogo corrispondente, una sem- plice spina breve, ricurva, lesiniforme. Margine anteriore della fossa genitale conformato come indica la Fig. 37. Colore: testa e torace nero-pece ; addome bruno-nero Ali candidis- sime. Zampe bruno-castagne ; tarsi del secondo e terzo paio bruno-chiari, 138 Giovanui Noè Mycterotypus irritans, Noè, 1899 (Centrotypus irritans, Noè, 1899) (Fig. 1,5, 8, 13-14, 18-21, 23, 32, 41) Di questa specie non posseggo che la femmina, Lunghezza gna Lo, Apertura alare : mm. 2. Proboscide relativamente più lunga che in M. bdezzii, cilindrica, in complesso più snella (Fig. 18). Palpi non più lunghi della proboscide. Primo articolo lungo quasi come il secondo; terzo articolo più lungo di tutti. Quanto al colore, vi è poca differenza tra questa e la specie congenere, il terzo articolo è soltanto più chiaro del secondo; in alcuni individui è quasi bianco. | Antenne con ultimo articolo relativamente un po’ più breve di quello del M. bezzii, più grosso e più tozzo. Setole rigide, spinose, su tutti gli articoli. Torace senza restringimento nel mezzo. Areola dell’ala piuttosto piccola. Unghie nude e ricurve come nella specie precedente ; il grosso dente della base è quì però sostituito da una setola robusta, fiancheggiata come in quella da una setolina esile, più breve (Fig. 32). Margine anteriore della fossa genitale conformato come indica la Fig. 4l. Colore: testa e torace nero-pece. Addome bianco isabellino dorsal- mente e ventralmente, bianco candido ai lati. Ali candidissime. Zampe ca- stagno-chiare; tarsi di tutte le paie bruno-chiari: * * Allo stato attuale delle nostre cognizioni sistematiche, il genere Mycterotypus devesi ascrivere alla famiglia Chironomidae. Debbo però confessare che tale collocazione è tutt’ altro che soddisfacente, ‘non già perchè manchi negli ordinamenti varii della famiglia la casella che si addica al nostro genere, ma perché la famiglia stessa è a mio avviso assai male costituita. Infatti, un paragone istituito fra i membri eterogenei della famiglia conduce a questa singo- lare constatazione e cioè che non esiste un carattere anatomico di qualche importanza e quindi fondarmnentale che li tenga colle- gati. Il più frequente che ricorre è il numero (4) degli articoli dei palpi;ma ognuno vede che facendo di questo solo carattere il cardine per la costituzione di una famiglia si creerebbe un ordinamento assai Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 159 artificioso; in questo caso poi si dovrebbero escludere alcuni generi che fin’ ora vi sono stati compresi, per quanto sotto la riserva della qualifica di forme aberranti, intendo parlare dei generi : Halirytus (Eaton), Psamathiomyia (DeBv), Clunio (HaLIiDAY), Ter- sesthes ('TowNSEND ); i primi due dei quali rappresentano forme con due, gli altri con tre articoli palpali. Ma accogliendo anche questa esclusione vediamo che, accanto alla costanza del carattere surriferito, esiste nella famiglia Chironomidae una grande variabi- lità negli altri caratteri che sogliono avere importanza in simili raggruppamenti; quali la forma dei palpi, la torma delle antenne ed il numero dei loro articoli, la forma e la costituzione della proboscide, il numero e la disposizione delle nervature alari ecc... Ma non basta: in uno stesso gruppo sono affratellate forme asso- lutamente dissimili nei riguardi biologici, il che potrebbe anche esser un criterio sistematico di ben poco momento, se non fosse av- valorato dalla grande verosimiglianza che entri in gioco come de- terminante differenziale la correlatività organica. Così, il genere Ceratopogon comprende specie fitofaghe ed altre ematofaghe, l’ap- parecchio boccale delle quali è verosimilmente modificato nell’uno e nell’ altro caso dalla funzione particolare a cui è legato. Sono fatti, questi, non facili a mettersi in luce nelle descri- zioni specifiche, ma certamente la sistematica non può più oggi- giorno appagarsi di osservazioni troppo superficiali ed affrettate; il metodo analitico deve, anche in sistematica, acquistare quel grado di precisione che ha raggiunto negli altri rami biologici. Ora, un'indagine accurata dimostra quanto sia poco omogenea la fa- miglia Chironomidae e quanto ne sarebbe opportuno lo smem- bramento. Senonchè un rimaneggiamento sistematico non può farsi così su due piedi : occorre , per compiere un lavoro serio, abbondanza di materiale ed una minuziosa revisione della specio- grafia, e siccome a me fa difetto il primo e la seconda esce dal genere di studii ai quali attendo, così mi basta di avere avvertito la necessità di tale lavoro. . * ® Premesse queste riserve sulla adottata collocazione del genere Mycterotypus e prescindendo d’ora innanzi da esse, è chiaro che detto genere deve porsi nel novero di quelli che si raggruppano intorno al genere Ceratapogon Mergrn, da cui prende nome la sot- 140 Giovanni Noè tofamiglia istituita da Skuse nel 1889. Ecco infatti le caratteri- stiche attribuite dall’ Autore alla sottofamiglia Ceratopogonina : . Third longitudinal !)vein entirely wanting or rudi- mentary (a fork only being often indistinetly visi- ble). Fourth longitudinal vein furcate. Marginal cross- vein usually present, often wanting. Posterior cross- vein wanting ». : Dopo ciò, non vi sarebbe bisogno di procedere a paragoni tra i varii generi conosciuti della sottofamiglia; non mi sembra tuttavia inopportuno rilevare le differenze tra il genere Myctero- typus ed il genere Ceratopogon, che è il più cospicuo per numero di specie ed il più comunemente conosciuto. I caratteri del genere Ceratopogon MEI. possono riassumersi così: Antenne di 14 articoli, dei quali i primi nove più o meno globosi od ovalari, gli ultimi cinque general- mente allungati, ovali o cilindrici. Nel maschio, gli articoli dal 2° al 9° compresi, forniti di lunghi peli costituenti un fitto pennacchio. Palpi con quattro ar- ticoli, dei quali il secondo è il più lungo. Ali con otto nervature longitudinali (compresa la marginale), di cui la quinta e la sesta biforcate; soltanto la seconda e la terza raggiungono la marginale, che non arriva mai all'apice dell’ala. La quarta, che può anche man- care, è molto pallida, poco distinta e giacente per in- tero nella metà distale dell'ala. Nervature trasverse in numero non maggiore di due: la trasversale margi- nale tra la seconda e la terza longitudinale, la tra- sversale mediana tra la terza e la quinta longitudi- nale; la prima di queste può anche mancare. co con N segmenti. Come si vede, le differenze tra questo ed il genere Myctero- typus sono abbastanza notevoli; l’unico carattere che li ravvicina trovasi nelle ali, essendo anche nel genere Mycterotypus la quarta nervatura longitudinale (terza di Skusr) affatto indipendente dalla marginale, mentre invece in altri generi, ad es. nel Chironomus e 1) La nervatura designata qui come terza longitudinale corrisponde alla quarta longitudinale, poichè lo SKusE seguendo la nomenclatura di SCHIENER trascura nel computo la marginale, Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 141 nel Tanypus la quarta raggiunge la marginale. Di più, mentre nel Ceratopogon e nel Mycterotypus la stessa nervatura è affatto secon- daria, nei generi ora citati essa è una delle principali. Viceversa, nel Mycterotypus, sia la terza longitudinale, sia la quarta hanno un comportamento diverso quanto alla loro origine; altra differenza sostanziale, nelle ali, non esiste. Mentre dunque le differenze tra i due generi ora considerati sono piuttosto numerose, il genere Mycterotypus presenta invece molti punti di contatto con due altri Ceratopogonini ossia col ge- nere Leptoconops (Skuse) 1889 e col genere Tersesthes (TownsEND) 1895. Ecco la diagnosi del Leptoconops secondo l'Autore : « Antennae in Q292—+11—-jointed; first joint of scapus large, disciform; second smaller globose; flag el- lar joints globose, gradually diminishing in size, more ovate towards apex, terminal joint elogante-ovate. Pro- obscis prominent. Palpi 4 — jointed; first and second joints small, third greatly incrassated, about three ti- mes the length of first or second; fourth not as long as last, slender, cylindrical. Wings naked. All longi- tudinal veins taking their origin at the base of the wing. Marginal cross-vein present. Middle cross-vein wanting fourth and fifth longitudinal-veins only forked». Lo Skuse descrive una sola specie, il L. stygîus e soltanto il sesso femminile. Di questa descrizione ci interessa soltanto il se- guente particolare: « Auxiliary vein not distinguishable, apparently wanting ». i È facile accorgersi come, accanto ad alcune differenze, corrano tra i generi Leptoconops e Mycterotypus delle somiglianze molto grandi, che risultano maggiormente, quando si osserva la figura dell’ala- disegnata da Skuse e da me riportata nella Fig. 25. Le differenze consistono specialmente nel numero degli arti- coli dei palpi e nel fatto che le ali del Leptoconops sono nude e che la quinta (quarta di Skusk) nervatura, nella descrizione e nella figura dello Skusk, si stacca dall’origine della sesta (o quinta). Tuttavia, gli altri caratteri coincidono tanto, che sono stato molto tempo in forse se Leptoconops e Mycterotypus non dovessero considerarsi veramente come sinonimi. Mi ha indotto nel dubbio il fatto che, a proposito del Mycterotypus, io mi era ingannato, alle prime osservazioni, sul numero degli articoli dei palpi, che ap- 13 parentemente è di quattro, mentre è in realtà di tre, come è spie- gato nelle prime pagine. 142 Giovanni Noè Ora, non potrebbe anche lo Skuse esser caduto in un errore, facile del resto a verificarsi, se non si ricorre alle dissezioni, ciò che molto probabilmente lo Skuse non ha fatto? Anche la nervatura ausiliare potrebbe essergli sfuggita, per le ragioni già note. E poi, quantunque lo Skuse non riferisca il minimo particolare biolo- gico, non significa già di per sè stesso il nome generico che la specie da lui descritta, diversa comunque dalle due qui studiate, è ematofaga ? 1) È vero che lo skuse parla di ali nude, mentre quelle del Myete- rotypus sono pelose, ma questo potrebbe tutt’ al più valere come carattere specifico. Deblo confessare che tutti questi rilievi mi avevano indotto | senz'altro ad abolire la donominazione da me adottata, se non 4 avessi anch'io sentita, come in casì simili tanti altri prima di me, la grande difficoltà di dare un giudizio definitivo; difficoltà, de- rivante dalla mancanza di esemplari di confronto, che del resto non saprei come procurarmi. Le difficoltà sono poi aumentate nel nostro caso perchè lo Skuse non ha data la descrizione dei maschi. Questo Autore inoltre, parlando del terzo articolo dei palpi dice che è lungo circa tre volte il primo od il secondo; orbene, il riferire il paragone invariabilmente all'uno od all’altro di que- sti ultimi fa supporre che essi abbiano la medesima lunghezza, mentre nel Mycterotypus — ammessa la stessa distinzione numerica degli articoli—il secondo sarebbe invece molto breve rispetto al primo. Ma vi è un altra ragione che mi ha trattenuto dall’ascrivere le mie due specie al genere Leptoconops ed è la mancanza nell’ u- nica specie descritta dallo Skuse dei cerci, che pure sono così cospicui nelle forme nostrane. È impossibile ammettere che essi siano sfuggiti all’ Autore; d’altra parte, nella descrizione manca qualsiasi accenno ad una disposizione analoga a quella lungamente descritta da me. Per questi motivi, confortati anche dall’obiezione logica che potrebbe essermi rivolta, che cioè l’esser io una volta caduto in PO AE SV RP _I O ['TPPOTE ERRO errore sul numero degli articoli dei palpi non mi dà il diritto di sospettare dell’altrui esattezza, per queste ragioni, ripeto, mi sem- 1) Leptoconops da Xemtés = sottile, piccolo, acuto, e xOvnp — zanzara Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 143 bra opportuno mantenere il genere Mycterotypus, in confronto al genere Leptoconops. Maggiori sembrano le somiglianze tra il Mycterotypus ed il Tersesthes (rownsenp), il quale è stato creato in base ad una spe- cie provvista di ovopositore; senonchè l’ovopositore è così descritto: « ovopositor exserted, consisting of two clavate pie- ces, joined laterally on the basal half, and termi- nally divergent ». Confrontando questa colla mia descrizione è agevole constatare le differenze. Così pure, l’ A. parlando delle ner- vature dell’ala, così termina: « no crossveins, except one at extreme base of wing which, connects the first and sixth veins, marginal vein not extending beyond the tip of the wing». Come si vede, manca qui la trasversa mar- ginale, presente invece nell’ala del Mycterotypus. Questa, perciò, si avvicina di più, per tale carattere, all’ala del Leptoconops (Fig. 25 ); viceversa coincide col Tersesthes, per la presenza della nervatura ausiliare. Ora, mi domando, sono le differenze notate imputabili ad inesattezze di descrizione od a reali differenze morfologiche ? Ri- peto, non posso risolvere questo punto; a me basta di aver ma- nifestato, per scrupolosità scientifica, i miei dubbii e le mie ri- serve. Ad altri che si trovi in migliori condizioni per istituire indagini comparative, il risolvere gli uni e tener conto delle altre. Che se poi risultasse dimostrata una lieve e reale differenza fra i tre generi in discorso, non mi sembrerebbe inopportuno creare, accanto alla sottofamiglia Ceratopogonina, un’altra che li compren- desse (e che potrebbe chiamarsi Leptoconina) basata sulle affinità presentate essenzialmente dalle antenne, dai palpi e dalle ali. Ill, Biologia La vita delle due specie di Mycterotypus descritte, le quali, pure, sono così comuni, così note nell’ Agro romano, è ancora per massima parte avvolta di mistero. E qui mi si permetta una bre- ve parentesi. Chi conosce la campagna romana sa che le sue condizioni di viabilità e di abitabilità, specialmente nel piano maremmano, sono tutt'altro che agevoli per chi voglia istituire regolari escursioni scientifiche a qualche distanza dalla città. É per questo motivo senza dubbio che manchiamo tutt'ora di studi faunistici regionali 144 Giovanni Noé di qualche rilievo; eppure l’Agro romano offre al ricercatore una meravigliosa ed infinita varietà di forme animali e spessissimo le condizioni più favorevoli di studio, in senso zoologico, ben inteso. Occorre quindi soggiornare sui luoghi se si vuole giungere a qual- che risultato positivo. È quel che ho fatto quest'anno, ma in sta- gione troppo avanzata e per troppo breve tempo perchè potessi raccogliere abbondante copia di fatti. Molti dati mi sono perciò necessariamente sfuggiti ed alcuni quesiti restano appena posti. Quel che non ho potuto fare quest'anno spero però di poter com- piere l’anno venturo, riempiendo le lacune rimaste nella biologia di questi ditteri tanto interessanti per l’uomo. Larve e ninfe sono ancora completamente sconosciute. Non già che ne sia stata trascurata la ricerca, che anzi fu iniziata da parecchi ed a varie riprese, ma appunto essa non andò mai al di là dell'inizio. Tuttavia, per via di eliminazione ed un po’ anche per lo studio dell’apparecchio di deposizione delle uova, mi sembra molto verosimile l'ipotesi che la vita larvale trascorra nel terreno. È da escludersi affatto l’acqua, poichè il numero delle serapiche è così enorme che le acque, poc'anzi la comparsa delle alate, do- vrebbero addirittura brulicare di larve e di ninfe, mentre nessuna forma venne mai raccolta dalle acque stagnanti che sviluppasse il Mycterotypus e, badisi, la ricerca nelle acque è, in generale, abba- stanza facile. Di più, nella stagione, in cui le serapiche incomin- ciano ad apparire, le acque sì sono già notevolmente ritirate, molte paludi si sono diseccate ed in complesso l’acqua sì fa relativamente scarsa. All’opposto, le serapiche vanno gradatamente aumentando di numero sino a raggiungere proporzioni numeriche che sembre- rebbero inverosimili. Il volgo dice che vengono dalle erbe e potrebbe forse esser sulla via della verità se, come penso, le piccole tiranne dell’ aria sorgessero dal terreno. Il mondo vegetale fu largamente perlustrato ma senza frutto, per quanto io abbia trovato costantemente il Mycterotypus bezziw sul fiori carnosi di Evongmus, del cui nettare sono ghiottissimi i maschi e si appagano anche le femmine in mancanza di meglio. La questione delle larve delle serapiche minaccia così di di- ventar grossa, come fu sino a poco tempo fa quella delle larve di Phlebotomus, a rintracciar le quali non ci voleva di meno della te- nacia e della passione che il prof. Grassi mette nelle sue ricerche. Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 145 È questione essenzialmente di tempo e di pa- zienza », andava Tiporendo il prof. Grassi dopo quella scoperta. Lo stesso giudizio può anticiparsi per le serapiche e se l’anno ven- turo non mi farà difetto il tempo, posso assicurare che le larve delle serapiche saranno scovate dal loro habitat misterioso. Le serapiche fanno la loro comparsa sulla fine di maggio Scarse dapprima, vanno abbastanza lentamente aumentando di nu- mero e solo a giugno avanzato incominciano a rendersi moleste ; sulla fine di giugno sono già a coorti sterminate, tanto da riuscire insopportabili. Incomincia allora un periodo, che dura fino a tutta la seconda decade di luglio, nel quale sono un: vero flagello della campagna, flagello che, non di rado mette in fuga l’uomo più co- Lasa e resistente. Infatti, come vedremo meglio in seguito, non ce’ è salvazione, ed il viaggiatore inesperto, che malauguratamente si avventurasse indifeso nei loro regni, potrebbe tornar a casa assai malconcio. I Mycterotypus sono animali diurni; almeno soltanto di giorno danno segno sensibile della loro attività. Di notte, di sera o di mattina non pungono. È verso le sette del mattino che le sera- piche incominciano le loro ingrate visite all'uomo ed agli animali domestici. Un particolare molto singolare: sulla limea ferroviaria da Civitavecchia a Roma, ed entro un raggio di non più di 30-40 Km. dalla capitale, i ferrovieri interrogano uno strano orologio per pre- ‘venire i primi assalti dei temuti ditteri ed è, precisamente, il di- retto N.° 1, che arriva a Roma appunto verso le 7,40. È questo il cosidetto treno delle serapiche. e qualche ingenuo non na- sconde l’idea che esso in realtà se le trascini dietro a nugoli, aspi- randole addirittura dal piano, per cui passa veloce; se non che le serapiche fanno la loro apparizione mattutina contemporaneamente nei punti più diversi della campagna. Dalle sette in poi le sera- piche vanno facendosi sempre più numerose e fastidiose. Premetto che, delle due specie, il M bezzz è la meno temibile perchè limitata soltanto ai dintorni delle case e dei cascinali, entro i quali può anche penetrare, mentre il M. irritans, la serapica del- l aperto, è veramente quella che eseguisce le grandi persecuzioni all’ uomo. Le serapiche, pervenute che siano ad adagiarsi sulla pelle, in- cominciano a correre, leste e sicure come formiche, ciò che è loro permesso dalla robustezza, dall’agilità delle zampe, ben pro- porzionate. In questo hanno una grande superiorità sulle zanzare, 146 Giovanni Noè le quali e per le maggiori dimensioni e per l’esilità e la lunghezza delle zampe che mal concedono loro di camminare , son costrette a molta circospezione e si staccano subitaneamente al minimo mo- vimento della parte aggredita. Le serapiche, invece, sono piuttosto poco curanti dell’agitazione e delle scrollatine che provocano nella loro vittima colle dolorosissime punture infertele; ma, quasi si sen- tissero sicure della forza di resistenza delle loro zampe, si mettono a correre e sì fermano ove possono con maggior agio fare il loro banchetto. I luoghi preferiti all'uopo sono, nella faccia, tutti i punti che possano offrire qualche riparo, così il solco auricolare posteriore, le pieghe del padiglione, gli angoli degli occhi, delle alette del naso , ecc... la barba ed i capelli sono per loro foreste senza segreti e non vale avere i peli lunghi, chè le avide bestiuole sanno sempre rinvenire tra il pelo più arruffato la via alla cute. Ma la petulanza delle serapiche non si arresta a questo punto; le indemoniate bestiuole, appunto perchè corrono come formiche, s insinuano tra le più strette aperture, giungendo sovente anche alle regioni più recondite della superficie cutanea e non di rado, per guadagnare la superficie della pelle, son costrette a fare, come le pulci, lunghi viaggi per le pieghe della biancheria, tra le quali sono impegnate; dimodochè non è difficile avvertire la puntura di una serapica, anche parecchio tempo dopo l'abbandono dei luoghi di loro dimora. Normalmente, esse risalgono le braccia, arrivando anche più sopra il gomito, penetrano tra le aperture del colletto, delle brache , attraverso le calze di maglia larga, sicchè possono pungere sulle braccia, sul petto, sul ventre, sulle gambe ecc. finchè la pressione degli indumenti non le ammazzi in flagranza di ap- propriazione illecita. Occorre qui l’osservazione che, se è difficile evitare il loro con- tatto col movimento è però assai facile liberarsi dalle ingorde , schiacciandole; al quale scopo basta strofinare le mani l’una contro l’altra o strofinarle sul viso ed ovunque si senta il pizzicore. Le. serapiche sono, per questo riguardo, abbastanza stupide, tanto che spesso non vale neppure lo stuzzicarle coll’estremità di un dito o con una pagliuzza, mentre stanno succhiando ; esse, così, in luogo di allontanarsi, si lasciano sopprimere senza che l’ istinto di con- servazione le prevenga del pericolo; tanto grande è l’ingordigia di queste signore dell’aria! Signore dell’aria, è la qualificazione esatta, poichè, come ho già avvertito più sopra, in certe ore del giorno, e particolarmente di taluni giorni, è assolutamente impossibile V’in- Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 147 trattenersi all’aperto ad eseguire lavori che non richiedano rapidi movimenti del corpo. Gli operai del mantenimento delle strade fer- rate son costretti sovente a buttar via gli strumenti del lavoro e a darsi ad una ginnastica comica quanto inutile per liberarsi dalla atroce gragnuola di trafitture. Questi operai seguono di estate un orario ridotto di lavoro, guadagnando in intensità quello che per- dono in tempo ; la ragione consiste nel caldo eccessivo delle ore in cui il sole è alto, ma bene spesso essi sono costretti dalle serapiche ad anticipare la desistenza dal lavoro ed a rifugiarsi frettolosamente a casa, sgranando tutto il rosario di maledizioni che tengono in riserbo per le circostanze solenni. In migliori condizioni sembrano trovarsi — quanto alle sera- piche, si intende —i lavoratori delle aie, poichè il loro lavoro ri- chiede larghi movimenti del corpo e l'agitazione continua dell’aria, colla sollevazione dei covoni, colla raccolta e 1 ammucchiamento della paglia ecc... Però ho udito sovente anche questi operai la- gnarsi ed imprecare contro le serapiche. Guai al malcapitato cittadino dalla pelle delicata che si met- tesse in queste ore per l’ aperta campagna! In pochi secondi sa- rebbe così bene conciato dalle minuscole ed affamate predatrici, da non riconoscere più sè stesso allo specchio. Ma vedremo in se- guito gli effetti determinati dalle punture delle serapiche. Le serapiche, quando l’ atmosfera non è in forte movimento, assalgono a sciami, ad orde sterminate. D’ onde vengono, nessuno lo sa, per il semplice motivo che non si vedono volare alla distanza di pochi decimetri; sembran figlie dell’aria, secondo l’espres- siva immagine di uno dei guardiani del mantenimento delle fer- rovie, il quale mi poneva il quesito colla più grande serietà. Ma quel che parrà strano è che, in realtà, è riuscita vana, quest'anno, ogni ricerca per sorprendere le serapiche nei loro luoghi di ri- poso in quelle ore in cui non pungono, dirò meglio, di sera ed al primo albeggiare, chè di notte non ho fatto indagini. Ciò è veramente singolare; le zanzare sono sempre reperibili nei loro nascondigli in qualunque ora del giorno, Ie serapiche invece no ed io ho perlustrato attentamente le erbe, le stoppie, i cespugli, le macchie. Debbo però ricordare quanto ho già detto più sopra e che cioè ho fatto le mie ricerche a stagione quasi terminata, cioè quando le schiere delle serapiche si erano già notevolmente diradate. 148 Giovanni Noè Del resto non è improbabile che l infruttuosità delle ricerche sia dovuta al fatto che le serapiche, giunta l’ ora del riposo, gua- dagnino le screpolature del suolo, che son sì numerose sul terreno dell’ Agro romano, o le tane degli animali. Mi ha fatto pensare a questo il comportamento particolare, che a questo riguardo, è pro- prio del M. bdezza. Debbo infatti avvertire qui che tutto quanto è stato detto fin’ ora sulla biologia delle serapiche concerne spe- cialmente il M. 2rritans, la specie cioè dell’ aperto, infinitamente più numerosa e quindi assai più molesta di quella. Qualche cosa di più siamo in grado di riferire intorno al M. bdezzià. Questa specie, come ho detto, è circoscritta ai cascinali ed all’ abitato in generale ed è particolarmente frequente là dove, come non è raro nella campagna romana, sì coltivi qualche arbu- sto di Evonymus, come ho già detto più sopra. Verso sera e poco prima che si mettano in movimento le zan- zare, queste serapiche volano ai ripari della notte e, precisamente, - nei pollai (non ho potuto fare osservazioni analoghe per le stalle), dove possono rinvenirsi a centinaia gli individui dei due sessi e donde non escono che al mattino, verso l'ora già indicata. Nè cio si verifica soltanto quotidianamente al cadere ed al sorgere del giorno, ma durante od in seguito anche ad eventuali perturbazioni atmosferiche; basta che un acquazzone abbia rinfrescata l’ aria, che spiri un vento freddo, perchè queste serapiche riparino nei pollai ; almeno questo ho verificato in due caselli ferroviarii situati alla distanza di 8 Km. l’un dall’ altro , sul tratto Pontegalera — Mac- carese. Circostanza veramente singolare, fra la casa ed il pollaio, at- tigui, essi scelgono quest’ ultimo; una volta soltanto, durante un temporale vidi i maschi in gran copia ripararsi alla casa; essi però non vi penetrarono ma si adagiarono semplicemente sulle reticelle delle finestre e delle porte, disponendovisi in un modo curioso e cioè nei vani della rete secondo una delle diagonali dei quadretti; i vetri e l’uscio interno erano aperti e parecchi maschi stavano ada- giati sulla superficie interna della rete, eppure nessuno si avanzò dentro le stanze. Nessuna femmina fece altrettanto; esse si erano tutte rintanate nel pollaio. | In sostanza, sembra che questa specie di Mycterotypus ami molto il caldo, poichè di giorno sfida le temperature più alte e di notte, od appena la temperatura accenni ad abbassarsi, sceglie, fra i varii Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 145 ambienti, quel riparo ove il caldo si conserva ancora relativamente forte. È per questo motivo che ho avanzato testè l’ ipotesi che il M. irritans debba rifugiarsi nelle crepature della terra—la quale conser- vasi d’estate per tutta la notte abbastanza calda —e nelle tane degli animali; solo così si potrebbe infatti spiegare la ragione, per cui non mi fu possibile rinvenirlo all’ aperto nelle ore in cui esso non punge. Le serapiche, ho detto, assalgono a sciami; non è però sempre così, perchè i movimenti dell’ atmosfera influiscono assai sul loro modo di aggredire ed esercitano un’ azione moderatrice od inten- sificatrice, a seconda dei casi. In generale, le cose passano in questa guisa. Se l'atmosfera ri- stagna afosa, arsiccia, come accade di frequente nell’ estate, le se- rapiche hanno buon gioco e riescono assai fastidiose; ma molto più temibili esse divengono allorchè spira una leggera brezza di mare: parlo naturalmente di quel che si verifica nell’ Agro romano maremmano ; altrove, potranno forse avere maggior influenza altri venti. Chi conosce questa regione sa che la brezza marina inco- mincia abbastanza per tempo; già verso le otto o le nove del mat- tino essa sfiora lieve la campagna, scuotendo dolcemente le erbe. È allora che la persecuzione delle serapiche raggiunge la massima intensità. La ragione è semplicissima: il vento le porta e le adagia sugli ostacoli che incontra, sia che esse si abbandonino volonta- riamente in sua balia (obbedendo ad un vero istinto) sia che ven- gano involate dalla brezza (11 che realmente mi sembra poco vero- simile, data la robustezza delle loro zampe, che sanno resistere una volta appoggiate sul nostro corpo a ben altri colpi di vento). Il fatto è che l’ uomo trovasi ad un tratto coperto di serapiche , cor- renti per ogni verso sugli abiti e sulla cute e, se pone attenzione s'accorge che l investimento ha luogo dalla parte d’onde il vento spira. Quando però la brezza marina si fa più forte, le serapiche in movimento vengono disperse, le altre, come fanno le zanzare, molto probabilmente se ne stanno nei loro ripari; allora la molestia cessa 0 diminuisce notevolmente. Per fortuna, nell’ Agro romano maremmano, questa successione di fatti si verifica quasi quotidia- namente e dalle 10 all’incirca fino alla sera la brezza spira con discreta forza, talvolta anche con violenza. A questo proposito os- servo che nei luoghi ove la brezza spira più forte, è anche meno Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 2. Tel, 150 Giovanni Noè sentito il flagello delle serapiche; questo si verifica lungo il litorale ed a poca distanza da esso, come ad Ostia, Fiumicino, Porto ecc. Però questa subordinazione dell’attività delle serapiche alla forza del vento è soggetta a qualche eccezione; così, possono darsi giornate relativamente calde, senza che le serapiche si facciano sentire od almeno si rendano insopportabili, come talvolta non ostante la violenza del vento, l’uomo non può liberarsi dalla mo- lestia; ma sono, ripeto, vere eccezioni. Il fatto è che le serapiche sono perennemente vigilanti ed appena il vento accenna a dimi- nuire, eccole invadere l’aria e cacciarsi sull’ uomo; quando il vento non spira continuo, ma a folate, separate da intervalli di quiete più o meno assoluta , anche le serapiche attaccano con intermit. tenza. Io non so di altri ditteri ematofagi che si buttino a coorti così sterminate sugli animali, all’ infuori delle simulie. Le punture delle simulie sono dolorosissime (sono ematofaghe soltanto le femmine) e rendono furiosi gli animali assaliti, i quali si buttano rabbiosamente contro gli alberi, grattandosi a sangue. Accade qualche volta che gli sciami dei terribili ditteri siano così vasti e così fitti da costituire vere nubi, oscuranti il sole; è facile immaginare quel che può diventare in pochi istanti un povero ani- male sorpreso da si spessa gragnuola di trafitture; colpito da ogni lato — le voraci bestinole guadagnano anch’ esse, come le serapiche, attraverso i peli, la cute, introducendovi tutta la proboscide e pa- scendosi di sangue fino a scoppiare—, e mezzo soffocato da un vero torrente di ditteri che introduce, inspirando, nelle vie aeree e nei polmoni, è sovente soggetto a soccombere. Ciò si verifica non di rado nella bassa Ungheria ed in Serbia ove la causa di tanto malanno è il S. columbacremis SCHONBAUER. Così pure l’isola di Anticosti, all'imboccatura del S. Lorenzo è resa quasi inabitabile dalle simulie che l’ infestano dalla metà di giugno alla metà di agosto all’ incirca. Simulie a sciami sterminati, peri colose anche per l’uomo, furono incontrate in Lapponia, in Groen- landia, a Terra Nuova, nell’Assam, ecc. Le serapiche si comportano in un modo analogo e se non rie- scono così nocive come le simulie è certamente in virtù delle loro esigue dimensioni e per la minor robustezza del volo che le rende facilmente preda del vento. Ma le serapiche non sono moleste soltanto per le razzie col- lettive che fanno; anche singolarmente prese, rappresentano un’en- Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 151 tità malefica non tanto trascurabile. La loro puntura infatti riesce assai più dolorosa di quella delle zanzare stesse, — che pure sono tanto più grosse! — e produttrice di fenomeni locali e generali molto più importanti. Anche per le serapiche occorre far quella distinzione che esiste, come è noto, per le zanzare, nei loro rapporti coll’uomo; esse, cioè, mentre manifestano una predilezione per alcune persone, sentono invece ripugnanza per certe altre e quanto alle vittime anche qui vale la regola che in generale le persone più bersagliate son quelle che vanno soggette a fenomeni locali infiammatori, più rilevanti; con altre parole, mentre v’ ha chi non risente che un momenta- neo bruciore dalle punture delle serapiche, altri invece, e sono i più perseguitati, ne prova addirittura uno strazio, che difficilmente più immaginarsi e deve subirne per più giorni conseguenze flogi- stiche abbastanza fastidiose. Ho seguito su di me e su molte altre persone di città il pro- cesso infiammatorio determinato dalla puntura delle serapiche. La puntura, come ho detto assai più dolorosa di quelle delle zanzare; da luogo subito ad una flogosi che si manifesta con un eritema leggero dapprima e circoscritto al punto colpito, ma che presta- mente si estende. Poco dopo segue la formazione del pomfo, il quale si inizia sotto forma di un piccolo sollevamento dell’ epidermide , di una sorta di vescichetta biancastra, o bianco-rosea, o bianco- giallastra, la quale va sempre più aumentando in dimensioni fino a ricoprire quasi tutta l’area eritematosa. Nello spazio di un paio d’ore all’ incirca — la durata di tempo è soggetta a variazioni in- dividuali — si vanno producendo gradatamente alcune trasforma- zioni in seno ai tessuti più profondi, in seguito alle quali l’edema vescicolare e relativamente cedevole alla pressione, vien a poco a poco rimpiazzato da un turgore assai più consistente, fortemente eritematoso, duro e dolente sotto la pressione digitale, coinvolgente quindi gli strati più profondi del derma. Il pomfo, che nella prima fase, che chiamerò per intenderci meglio vescicolare, poteva essere irregolare, frastagliato ai margini (ognuno che sia stato punto dalle zanzare l’avrà osservato). acquista nella seconda, che chiamerò di turgore, limiti ben circoscritti; esso assume la forma di un rilievo più o meno accentuato a superficie liscia, che passa insensibilmente nella circostante superficie intatta della pelle. L’eritema, ripeto, è molto forte e s’estende anche al di là del pomfo; in alcune regioni come nelle pieghe del padiglione auricolare, può accentuarsi in 152 Giovanni Noè una colorazione quasi cianotica. Il dolore è anche di natura di- versa nelle due fasi: nella prima sì avverte un forte bruciore, nella seconda una dolorabilità diffusa, prodotta dalla forte tensio- ne a cui sono sottoposte le parti. La temperatura del pomfo è, naturalmente, alquanto elevata. È singolare come la puntura di un animale così esiguo, le cui dimensioni sono appena la quarta parte di quelle delle più piccole zanzare, è singolare, ripeto, come la sua puntura possa determinare pomfi che superino in estensione quelli prodotti dalle zanzare stesse. Fin qui però non vi è nulla che esca dalla nor- male successione di fatti che ognuno può osservare dopo la pun- tura di una zanzara, se non la dolentia maggiore ed appunto al sorprendente grossezza del pomfo. Ma ben tosto insorgono delle manifestazioni patologiche a cui non giunge la puntura delle zan- zare. Il pomfo provocato da queste ha generalmente il suo più alto grado di sviluppo nel secondo stadio suaccennato; in breve, entro 48 ore o poco più l'edema sì riduce, l’eritema va a poco a poco impallidendo e non resta del processo infiammatorio che una papuletta rosea che sparisce anch’essa rapidamente. Questo, ben inteso, ove il pomfo non venga irritato meccanicamente. Il pomfo prodotto dalle serapiche entra invece in un terzo stadio, nello stadio cioè colliquativo; anche questa fase si svolge gradatamente. In un primo momento, circa 24-86 ore dopo la puntura, nel centro del pomfo, che perdura rosso, duro e. dolente, ossia intorno al punto ove è stata praticata la trafittura, si produce una piccola areola discoidale , trasparente, si effettua quindi in questo punto la raccolta di un liquido che scolla 1’ epidermide dal derma. Quest’areola, dapprima rosea, per la trasparenza del liqui- do va a poco a poco facendosi gialla, in seguito all’ immigrazio- ne nel liquido anzidetto di fagociti tra i quali predominano quelli a nucleo polimorfo e gli eosinofili. La raccolta siero-purulenta, andando a poco a poco aumentando, anche l’areola va man mano sporgendo dal piano del pomfo ed assumendo la forma di una vescichetta a calotta. Questo stadio è completo entro le 48 ore dalla puntura. Tutte le altre condizioni del pomfo restano immu- tate. A questo punto, o spontaneamente, od in seguito ad un lie- ve urto, la vescichetta si rompe e lascia fuoruscire il contenuto, sotto forma di una gocciola, in prevalenza costituita di siero. Nel siero si notano, come ho detto, abbondanti fagociti e detriti di tessuto connettivo in isfacimento. La produzione e l’ eliminazione TE Due nuove specie di ditteii appartenenti ad un genere nuovo 159 di pus non si arresta qui ma può anche ripetersi tre o quattro volte ed a distanza di parecchie ore (8-10) l'una dall'altra; ogni emissione è tosto seguita dalla formazione di una crosta. Fuoru- scita la prima raccolta siero-purulenta, il pomfo si mette sulla via della guarigione; incomincia col farsi meno dolente, ed a poco a poce si riduce ed impallidisce, sicchè al terzo giorno — in alcuni casi di più forte reazione al quarto giorno — esso è generalmente ridotto ad una pustoletta, colla punta gialla, capace di eliminare ancora pus. A questo stadio segue quello della rigenerazione del tes- suto, che al sesto od al settimo giorno è completa. Allora l’ultima crosta formatasi cade e rimane allo scoperto il tessuto nuovo in un’ areola rosea che prende però in breve una tinta bruniccia e questa tinta può esser visibile su pelle chiara ancora due o tre mesi dopo la puntura. Come si vede, si tratta di un processo abbastanza laborioso di necrosi localizzata al punto della ferita con conseguente rigenera- zione dei tessuti. Le zanzare, che io sappia, non ingenerano nulla di simile, nep- - pure sulle persone oltremodo sensibili alle loro punture. Le mie osservazioni sono controllate dai confronti fatti sui medesimi in- dividui tra gli effetti dell’una e dell’altra sorta di puntura. Quale sia il principio attivo, nel secreto che l’insetto inocula, capace di produrre tali effetti non saprei veramente neppure indi- care per approssimazione. La questione del resto è ancora molto controversa a proposito delle zanzare. Come è noto, alcuni autori ritengono che la proprietà di con- servare liquido il sangue ingerito sia posseduta semplicemente dal secreto salivare, altri, come ScHAUPINN , ritengono sia dovuta a fermenti figurati contenuti nel liquido che insieme ad alcuni gas riempie gli stomaci succhiatori. Molto probabilmente sono gli stessi principi che agiscono flogisticamente, quindi, come si vede la stessa incertezza che regna sull’ origine dell’azione anticoagulativa esiste anche per la determinante della flogosi. A proposito delle osservazioni di Scnaupinn debbo avvertire che non ho mai trovato negli stomaci succhiatori fermenti figurati costanti. Per lo più non ne ho riscontrato la minima traccia ; altre volte vi ho rinvenuto dei saccaromiceti, ingeriti certamente dal l’animale insieme alle sostanze zuccherine che esso può succhiare dai fiori e dalle frutta. 154 Giovanni Noè Non ho fatto ricerche particolari dirette a vedere se il secreto salivare abbia azione emolitica, come sembra aver dimostrato Bruno GauLi-VaLkrIO per le zanzare — NurrALL nega quest’ azio- ne — È certo però che il secreto — salivare o degli stomaci suc- chiatori che sia — delle serapiche esercita un’ azione istolitica nei tessuti coi quali viene ad immediato contatto, come dimostrano le mie osservazioni sopra riportate. L’anno venturo completerò anche su questo punto molto interessante lo studio della biologia di questi ditteri. È facile immaginare in quale stato può esser ridotto una per- sona da un assalto di serapiche, quando si tenga presente che il pomfo può raggiungere persino la larghezza di un pezzo da 10 centesimi. Sette od otto punture sul dorso della mano possono sol- levarne tutta la superficie in un unico edema dolentissimo. Alcune diecine di punture sulla faccia possono alterare del tutto, e per alcuni giorni di seguito, i tratti fisionomici di una persona, tanto da renderla addirittura irriconoscibile. Accadde a me un giorno un incidente che merita di essere raccontato. Or sono alcuni anni, ‘mi ero recato a Maccarese a far raccolta di serapiche. Arrivai nelle prime ore del mattino ad un casello ferroviario dove catturai sopra una pianta di Evorymus in fiore molti esemplari di M. dezzà, di ambedue i sessi. Verso le otto mi avviai per l’aperta campagna in cerca dell’altra specie. Ma venni male accolto dalle perfide domi- natrici del luogo; spirava una leggera brezza ed io camminavo spienserato fischiettando un arietta. Ad un tratto, non mi ero al- lontanato ancora 100 passi dal casello, una vera nuvola, come di nebbia tenue, quasi trasparente, mi avvolge ed ancor non mì ero rimesso dallo stupore che centinaia di trafitture strazianti mi ar- restano di botto e mi fanno pensare ai casi miei. Fu un attimo, ma mi parve un secolo e mi sembrava di impazzire all’atroce spa- simo. Mi agitai come un ossesso, strofinando le mani l’una contro l’altra e sulla faccia, mi sventolai col fazzoletto , fatica inutile : ogni folata del vento delizioso del mattino pareva mi battesse sul viso fluido rovente; non mi restava che un partito: fuggire dinanzi al nemico impalpabile e fuggii, con quanta forza avevo nelle gambe a ripararmi nel casello. Nel tempo di due o tre ore ero ridotto in uno stato compassionevole. Le mani e le braccia tumide fin sopra il gomito, avevan perduta la loro configurazione, la mano e le dita non potevano esser piegate per la forte distensione della pelle. La faccia ed il collo erano orribili a vedersi, Breve; ebbi la febbre Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 155 per due giorni continui e l’infiammazione non cedette che all’ ap- plicazione incessante di compresse fredde. Le serapiche mi avevano dato una lezione di patologia dermatologica ! D’allora in poi non mi sono mai più avventurato per la cam- pagna romana , durante la stagione delle serapiche, senza le op- portune precauzioni. Adottai come mezzo di difesa, e mi ha sempre servito ottimamente, un velo di mussola bianco o violetto, confe- zionato come quelli usati dal prof. Grassi contro le zanzare, cioè con un elastico da serrare intorno al cappello al di sopra dell’ala; il velo deve essere abbastanza lungo da potersi introdurre como- damente sotto la giacca, acciocchè le serapiche non infilino l’aper- tura; di più, conviene che sia abbastanza ricco, per non impacciare i movimenti del capo. La maglia del velo non deve essere troppo esigua, altrimenti offusca la vista degli oggetti e determina il ri- stagno di aria intorno al capo e di conseguenza un calore insop- portabile. Basta che le maglie del velo siano appena sufficienti a non lasciar passare le serapiche, ed allora chi lo porta non ne ri- sente alcun fastidio. Per riparare le aperture delle maniche ho adottato dei manichini dello stesso tessuto, provvisto di due ela- stici, l’uno da serrarsi intorno al polso, l’altro sulla manica della giacca. Con queste precauzioni ha potuto impunemente sfidare la ferocia delle orde aeree indiavolate. Consiglio a tutti coloro che devono viaggiare in aperta campagna, in quei luoghi ove abbon- dano le serapiche, il mezzo semplicissimo di difesa usato da me, mezzo che varrà specialmente a sollevare da un’ inutile tortura le centinaia di ferrovieri che debbono attendere nelle ore diurne ai lavori di manutenzione delle linee. Le serapiche non pungono soltanto l’uomo ma anche gli ani- mali domestici e verosimilmente tutti gli animali. Così, io le ho vedute aggredire i buoi, i cavalli, i cani, i polli ed uscire turgide di sangue fresco da alcune conigliere. Agli animali non debbono però recar grandi molestie, poichè i buoi ed i cavalli dell'Agro romano, i quali, come è noto, vivono allo stato brado, non manifestano mai alcuna inquietudine non ostante che le serapiche vi si buttino sopra a migliaia colla solita fame rabbiosa. Evidentemente , le serapiche son lungi dal provo- care in essi l’ irritazione che vi suscitano invece le simulie, A questo riguardo debbo osservare che anche i campagnuolì, non ostante che vadano soggetti essi pure alle persecuzioni delle serapiche e che avvertano intensamente il dolore delle punture , 156 Giovanni Noè non son tuttavia molestati come le persone di città da manifesta- zioni flogistiche così imponenti. Forse, la loro pelle è meno sen- sibile agli stimoli che richiamano per via rifiessa i fenomeni va- somotorii descritti più sopra, oppure essi hanno acquistata una certa immunità per gli abituali rapporti che subiscono colle sera- piche. Fatto sta che la gente di campagna viene in generale meno maltrattata di quella di città. Terminerò questa parte che si riferisce allo studio dei pomfi col riprendere il paragone colle simulie. Ho detto già sopra che gli animali possono essere investiti da tale quantità di simulie da soccombere alle punture. Tomsérvary imputa la causa della morte all’ avvelenamento del sangue prodotto dal secreto eliminato dai ditteri terribili nella ferita. Anche qui non si sa nulla di sicuro sulla natura di queste sostanze tossiche: di più, son queste tossine di origine microbica o di origine puramente organica? Tutte domande, come sì vede, rimaste fin qui senza risposta, Certo, però, una sostanza tossica esiste, poichè anche le punture delle simulie sono seguite dalla formazione di un pomfo, che può essere anche molto considere- vole, da una raccolta siero-purulenta, e possono provocare, quando siano numerose un elevamento febbrile. La tumefazione della fac- cia e delle palpebre può esser tale da cagionare la completa chiu- sura degli occhi, tanto che si narra di viaggiatori ì quali, aggre- diti dalle simulie, in regioni disabitate, siano periti per le gravi conseguenze a cui una causa si futile ha potuto condurre. Come si vede, esiste un perfetto parallelismo tra l’azione eser- citata sugli organismi animali dalle serapiche e quella determinata dalle simulie. L'unica differenza, ripeto, sta nelle minori dimensioni di quelle e quindi in una minor capacità di nuocere. Le serapiche non sono meno maligne delle simulie; sono soltanto meno di esse potenti. Fortunatamente l’Italia, ai tanti flagelli che devastano le sue campagne non ha da aggiungere questo che potrebbe veramente costituire una iattura non trascurabile per la sua agricoltura! Fino a quando durano le serapiche ? Nella seconda decade di luglio il loro numero è già conside- revolmente diminuito. Il volgo dice che non resistono al sol leone, ma la spiegazione è illogica, poichè le serapiche, assai meno nu- merose è vero, si mostrano anche in agosto ed io ebbi ad incon- trarne un anno qualche raro esemplare anche ai primi di settem- Due nuove spccie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 157 bre. La spiegazione più probabile è che entro la prima quindicina di luglio le serapiche abbiano già in gran maggioranza depositate le uova, ma che vi siano molte ritardatarie, nate successivamente alle prime, fatto non raro a verificarsi, come si sa, tra le specie animali. Del resto, l’anno venturo avrò modo di dilucidare anche questo punto. 158 Giovanni Noè Bibliografia 1825. 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Mario Bezzi, il quale mi fornì molte indicazioni bibliografiche, indispensabili e mise a mia di- sposizione la sua biblioteca, mettendomi così in grado di cor:sultare molti lavori non facili a procurarsi. All’esimio ditterologo nostro ho dedicato una specie per dimostrargli, in certo qual modo, la mia gratitudine. 1882 1885. 1883 1884. 1888. 1888. 1889. 1889. 1891. 1893. 1893. 1893. 1894. 1896. 1898. 1898. 1899. 1900. 1901. 1903 1903. Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 159 Graber. V. — Die chordotonalen Sinnesorgane und das Gehòr der Insecten: Arch. Mikr. Annt. 30. Bd. pag. 506. Weyenberg H.—Gattung Didymophleps: Stett. Ent. Zeit. 44. Jahrg. pag. 108. Adolph, G. E. — 1. Zur Morphologie der Hymenopterentliigel: Nova Acta Leop. Car. Acad. 46. Bd. pag. 43. — — 2. Die Dipterenflitigel, ihr Schema und ihre Ablei- tung: Nova Acta Leop. Car. Acad. 47. Bd. pag. 271. i Vom Rath, O. — Ueber die Hautsinnesorgane der Insecten: Zeit. Wiss. Z. 46. Bd. pag. 413, Taf. 30-51. 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IPSE y DA Due nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo 161 Spiegazione delle tavole 5-6 Lettere comuni alle figure : b, sensilli basoconici. ca, cono anale. CERNSCErCI: re forcipi. hy, ipofaringe. o, labium. tr, labramm. md, mandibole. ma, mascelle. D, palette. Pr, processi del cono anale. tr, sensilli tricodei. Tavola 5 Fig. 1 — Mycterotypus irritans. ©) >» 2. — Mycterotypus bezzii. Q >» 3. — Mycterotypus bezzii. SA > 45 — Schemi dimostranti le rispettive e reciproche proporzioni della pro- boscide e dei palpi: Fig. 4 in M. bezedi; Fig. 5 in M. îrritans. » 6-6 a. — Figure semi-schematiche dimostranti la forma e le dimensioni degli articoli dell'antenna femminile di M. dezzii. I punti indica- no l'impianto dei peli, i cerchietti quello dei sensilli basoconici. In 6 l'antenna è veduta dalla superficie infero-interna; in 6a dalla superficie supero-esterna. » © — Un articolo dell’antenna femminile; veduto dalla superficie esterna. » 8. — Pedicello e terzo e quarto articolo dell'antenna femminile di M. èrri- tans; veduti dalla superficie esterna. >» 8a. — Gli ultimi quattro articoli della medesima antenna; veduti come sopra. I peli ed i sensilli sono stati tralasciati. » 9. — Antenna maschile di M. bezziî alla quale manca soltanto il to- rulo o scapo. » 10. — Articoli dal secondo al sesto della medesima antenna. I peli sono stati tolti, eccetto che dal secondo. » 11. — Dodicesimo articolo della medesima’ antenna. » 12. — Ultimo articolo della medesima antenna. I cerchietti indicano i punti occupati dai sensilli tricodei. Le figure delle tavole sono state disegnate dal preparatore dell'istituto, si- gnor Giuseppe RiccIoLI. 162 Giovanni Noè >. 15. — Palpo destro di M. irritans 9; veduto dall’esterno. 14. — Primo articolo del medesimo palpo osservato dalle superficie dorsale ed interna 15. — Palpo destro di M. bezziîî Y7; semischematico. 16. — Fossa olfattoria del medesimo, mostrante le tossette secondarie con i relativi peli a clava; semischematica. 160. — Pelo a clava; veduto nel suo tratto distale. 17. — Labium di M. bezzii 9, veduto di sotto. 18. — Labium di M. irritans 9; veduto di sotto. 19. — Apparecchio boccale di M. irritans. 20. — Estremità distale di mandibola di M. irritans 9. 21. — Estremità distale di mascella di M. irritans 9. 22. — Ala di M bdezzii ZJ'; osservata dorsalmente. 23 — Ala di M. iîrritans 9; osservata dorsalmente. 24. — Particolari della struttura dell’ala femminile di M. bezzii: 18,28,38, rispettivamente la prima (marginale o costale), la seconda (subco- stale), la terza nervatura. A: nervatura accessoria 25. — Ala di Leptoconops skusti, secondo SKusE. 26. — Particolari, come nella Fig. 24; si osserva che la scconda nervatura è per gran parte nascosta dalla accessoria. 27.— Lembo posteriore di ala di M. bezzii 9. 28. — Papille corrispondenti ai cerchietti segnati nella Figura 24. 29. — Sezione trasversa dell’ala di M. bezzii 9; praticata in corrispondenza alla tratteggiata a-b della Figura 24. Le indicazioni come nella Fi- gura 24. 30. — Estremità distale della tibia di M. bezzii 9; veduta dal lato poste- ro-interno. 81. — Articolazione fra due articoli tarsali di M. bezziî 9. All inizio del- l'articolo distale si osserva l’organo di incerto significato descritto nel testo. 32. — Unghia di M. irritans 9: 58. — Uughia di M. bezzii 9. 34. — Unghie rispettivamente posteriore a), ed anteriore 0) di M. dezzzi Lg. Tavola 6. 85. — Primo articolo tarsale di M. bezzîz, 9; a. veduto anteriormente, b. veduto posteriormente. 36. — Apparecchio sessuale esterno di M. bezziî 9; i numeri 8. 9; 10 in- dicano i corrispondenti uromeri: ma. margine anteriore della fossa genitale, pertinente all’8° uromero. 37. — Particolari della configurazione del margine predetto. 38. — Gli ultimi tre uromeri di M. dezzii 9; osservati dal dorso. 39. — Estremità posteriore dell'addome di M. bezzii 9; osservata di lato. I numeri indicano i rispettivi uromeri. ‘40. — Rappresentazione sahematica della topografia dell’estremità addomi- nale di M. dezzii 9. 43 Due nuove specie di ditteri appartenenti al un genere nuovo 168 . — Margine anteriore della fossa genitale di M. irrifans; schema- tica. .— Gli ultimi due uromeri maschili di M. bezzii; osservati dal dorso. . — Gli stessi osservati di lato. .— Il cono anale, di M. dezì; g; osservato di lato. Ricevuto il 7 Novembre 1906. Finito di stampare il 12 Giugno 1907. Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfolo- giche e chimiche della zona pellucida e degli inelusi dell’ uovo dei Mammiferi del Dott. Salvatore Comes . Assistente nell'Istituto di Zoologia ed Anatomia comparata nella R. Università di Catania Con le tavole 7-8. Sommario I. Introduzione. II. Materiale e metodi di studio. III. Prima serie di ricerche. IV. Seconda serie di ricerche. V. Comparazioni e considerazioni morfologiche. VI. Ricerche microchimiche. VII. Significato fisiologico della zona pellucida e degli inclusi ovulari. VII. Conclusioni. IX. Bibliografia. I, Introduzione In due note precedenti, nell’ una direttamente (28), indiretta- mente nell’ altra (29), mi sono occupato dell’ argomento che vien trattato nel presente lavoro. Nel quale mi propongo di svolgere ciò cui accennavo nelle precitate ricerche, cioè che « la pellucida dell'uovo dei Mammiferi, riguardo alle sostanze fo- sforate -da essa contenute, stia in rapporto diretto principalmente col regime ‘alimentare di ciascuna specie, collo stato di nutrizione individuale e con quello funzionale dell'organo in quistione ». É ciò natu- ralmente, premesse le conclusioni a cui ero già venuto anche prece- dentemente e cioè : 1.° La pellucida, morfologicamente considerata, non è un sem- plice prodotto cuticolare delle cellule follicolari, come si legge in molti trattati, ma contiene nel suo interno uno strato continuo o Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 2. 12 166 Salvatore Comes discontinuo, più intensamente colorabile, che i reattivi dimostrano ricco di fosforo. 2.° Tali sostanze, con molta probabilità, appartengono al gruppo delle lecitine. Avrò occasione di meglio illustrare queste conclusioni nel corso del presente lavoro, descrivendo più minutamente i dettagli chimici, morfologici e fisiologici insieme che la pellucida mostra durante la vita dell’ uovo, anche nelle sue relazioni col follicolo da una parte, e con l’ovoplasma dall’ altra. Con questi propositi iniziai delle ricerche sperimentali intese a sorprendere le diverse modificazioni cui vanno incontro la zona pellucida dell’ uovo dei Mammiferi e quegli inclusi ovulari deno- minati, con termine generico, corpi cromatici dell’ ooplasma, nei diversi momenti dell’ attività nutritiva dell’ animale. Siccome quest'attività può interessare esclusivamente, o almeno molto da vicino, l’ovaia, o può invece farsi risentire da tutto l’intero organismo, la glandola genitale compresa, bisognava procedere a due categorie di ricerche. In una prima categoria erano da esami- nare tutte quelle condizioni fisiologiche dell’ organismo atte a pro- durre effetti locali od esclusivi sulla ovaia, in una seconda quelle che, producendo effetti generali, sì ripercuotevano sull’organo stesso. Alla prima appartengono le ricerche fatte su individui normali e lontani dal periodo degli amori, o esaminati durante questo periodo, ovvero su individui sacrificati in diversi momenti della gestazione. Il criterio che m’ indusse ad iniziare questa prima serie di ricerche è semplicissimo e scaturisce dal fatto, che ogni organo è modifica- bile dalla funzione in esso compiuta, tanto più se l'organo sta alla funzione come l’ effetto alla causa. Anche la glandola ovarica è suscettibile di una variabilità funzionale. Per tralasciare il periodo mestruale, di cui non mi son occupato ,: ricordo 1’ epoca dei calori, l’ epoca della gravidanza, e l'epoca d’un incondizionato riposo sessuale, in cui è presumibile che questi diversi momenti fisiologici, interessanti così da vicino l’ organo ovarico, dovessero apportare in esso una correlativa mo- dificazione morfologica e chimica insieme. I risultati ottenuti confermano, come vedremo, la mia ipotesi, che, cioè, la glandola ovarica sia un viscere variabile nella sua intima struttura, la quale è subordinata, come quella di tutti gli altri visceri ed organi, alla funzione che compie. Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 167 Alla seconda categoria di ricerche appartengono poi quelle esperienze atte a modificare la nutrizione dell’ organismo intero, sia aumentandola, sia diminuendola. Tali sarebbero ad es: le iniezioni di sostanze nutritive, possibilmente della stessa costituzione chimica di quelle che normalmente si riscontrano nelle parti studiate; però gli effetti di queste iniezioni furono già esposti, in due note recenti, dal Prof. A. Russo (113, 114) e si mostrano talmente evidenti ch’io credetti inutile procedere allo stesso trattamento pel mio materiale di studio. Son ricorso invece all’ azione del digiuno, condotto per diversa durata e praticato in diversi momenti della vita dell’ or- ganismo , ì cui effetti sono non meno interessanti e visibili. Ho pensato che, in considerazione della natura nutritiva delle sostanze colorabili della pellucida e dei corpi cromatici dell’ovoplasma, queste sostanze dovessero dipendere dall’ attività metabolica dell’ organo ovarico, e questo, alla sua volta, dalle condizioni di nutrizione del- l’intero organismo. Avrei forse in tal modo ottenute modificazioni meno ri!evabili di quelle avute. esaminando la glandola ovarica di individui normali nei diversi stati funzionali, ma se ne avessi ot- tenuto, esse sarebbero state della massima importanza, perchè avrebbero messo in luce un fatto mai sinora chiaramente dimostrato: la modificazione sperimentale della struttura dell’ uovo nei Ver- tebrati superiori, e quel che è più nei Mammiferi. Ebbene, annunzio sin d’ ora che le modificazioni, che avevo intuito dovessero avvenire durante il digiuno , furono ottenute e in un modo non meno evidente di quelle causate dalle differenti condizioni fisiologiche dell’ organo. Si riusci persino ad invertire, come meglio sì vedrà in seguito , la costituzione morfologica e chimica di alcune parti dell’ uovo in rapporto allo stato normale! Queste modificazioni son convinto che costituiscano il reperto più importante e forse anche più originale del presente lavoro. In ultimo, mettendo a confronto i fatti osservati nelle singole esperienze; cercherò di rilevare, in rispettivi capitoli, le modifica- zioni morfologiche e chimiche di importanti parti dell'uovo, e di ricavarne il significato fisiologico. In questo. stesso capitolo non tralascerò d’ occuparmi di alcune quistioni di indole biologica, a cui le presenti ricerche potrebbero dare una probabile spiegazione. Così pure discuterò la recente ricca bibliografia sull’ argomento, e delle opinioni già emesse e delle mie farò una critica, per quanto mi sarà possibile, completa. 168 Salvatore Comes Debbo in ultimo far rilevare che questo lavoro, ed altri, che furono pubblicati in questo Laboratorio di Zoologia, sarebbero stati superflui dopo la grande mole di ricerche eseguite sullo stesso sog- getto, ma sta nel fatto che molte affermazioni dei morfologi non vengono suffragate da esperienze dirette, ma sono invece una con- seguenza di induzioni logiche che potrebbero essere e non potrebbero essere vere. Prima di finire la presente introduzione, sento il dovere di dichiarare che molti tra i fatti che da me verranno esposti, furono già riscontrati e descritti dal Prof. A. Russe, Direttore di questo Laboratorio. Pertanto, il mio lavoro è da considerare, sotto un certo riguardo, come controllo di tali ricerche, condotte con criterii affatto nuovi, e di ciò vado massimamente lieto. I fatti diversi però da me messi in luce, il diverso materiale studiato e l'indirizzo stesso del lavoro, già tracciato nelle mie note precedenti, mi lusingano conservino sempre al lavoro stesso l’ im- portanza dell’ originalità. Al Professore Russo, il quale in queste ricerche volle e seppe alutarmi con i suoi autorevoli consigli e colla sua nota generosità, dedico con affetto di scolaro , il lavoro, in segno di gratitudine e ’ di riconoscenza. Il. Materiale e metodi di studio Le mie osservazioni furono portate preferibilmente su ovaie di Felis domestica e ciò non a caso. Nella lista dei Mammiferi, nell'uovo dei quali riscontrai più o meno le particolarità, alle quali accennavo nella mia nota preventiva, anche dal rapido esame fatto, dovetti accorgermi che quelle particolarità erano tipicamente pre- sentate dalla gatta. Cosicchè le presenti ricerche furono eseguite su questo animale, ben atto alle esperienze cui pensavo assogget- tarlo. Ebbi sempre cura di fornirmi di individui che avessero subito uno o due parti e questo per esser sicuro che l’animale fosse giovane, e che il suo organo ovarico si trovasse nel migliore periodo dello sviluppo e dell’ attività. Le gatte uccise durante queste ricerche furono abbastanza numerose e se io in seguito mi servirò della parola soggetto, per indicare l’animale esaminato in quelle determinate condizioni fisio- logiche, essa deve intendersi come tipo a cui sono riferibili le Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 169 osservazioni portate su varii individui sacrificati su per giù nelle medesime condizioni. Le ovaie venivan fissate o con sublimato alcoolico fortemente acidulato (formola del Mineazzini) o con sublimato alcoolico poco acidulato, od infine col solo sublimato alcoolico. Però di ogni in- dividuo fissavo una delle ovaie con la soluzione molto acidulata, l’altra con la soluzione leggermente acidulata o privata affatto di. acido acetico. Questa precauzione di tecnica valse a spiegarmi certi fatti, sino ad ora rimasti inesplicabili, e contribuì alla migliore co- noscenza della struttura istochimica degli elementi studiati. Debbo notare che mi son servito preferibilmente di fissatori al sublimato, perchè convinto del loro vantaggio sugli altri, sia per la rapidità, sia per la precisione della fissazione. Risultati meno sodisfacenti infatti ottenni adoperando altri fissatori, quali il liquido di MiiLLer, il liquido di PranesE, o lo stesso liquido del FLemmING. Che se poi a questa circostanza s’ag- giunge il bisogno di adoperare soluzioni di sublimato per poter in seguito servirmi di determinati reattivi coloranti per ottenere con questi una buona colorazione (ematossilina ferrica, liquido del Bronpr l’uso di questo fissatore si rendeva indispensabile. Piuttosto numerosi furono i reagenti usati nella colorazione che si faceva sempre sulle sezioni. Su larga scala mi son servito della ematossilina ferrica HEmENHAIN, al cui uso riuscitissimo debbo ascrivere la maggior parte delle osservazioni fatte e nello stesso tempo le più delicate e le più precise. Mi son servito pure della ematossilina ferrica con susseguente colorazione di eosina: si met- teva così bene in evidenza il protoplasma delle cellule. Talora mi valsi della ematossilina acida ErLicH, sola o con l’ immersione posteriore in eosina. tal altra, e per vedute istochimiche, della fuxina acida secondo FLemmING, del carminio ammoniacale, della miscela Browxpi-HerpENHAIN, del metodo micro-chimico del LiLiex- rigLb e MontI, solo, o secondo la modificazione del PoLLacor, o di quello preconizzato da MacaLium. Di alcuni di questi interessanti metodi, atti a rilevare la costituzione chimica degli elementi presi in esame, parlerò di proposito nel capitolo in cui mi occuperò ap- punto delle ricerche microchimiche fatte. 170 Salvatore Comes III, Prima serie di ricerche Studio dell'organo ovarico in relazione alle sue funzioni peculiari caratteristiche. 1.0- Soggetto. — Individuo esaminato in un periodo lontano dall’epoca dei calori. Le ovaie di questo individuo sacrificato nel primi di dicembre, cioè molto tempo prima della frega, furono fissate con sublimato alcoolico leggermente acidulato. Dei preparati ottenuti, sezionando le ovaie, alcuni furono colorati con l’ ematossilina acida ERLICH, altri col carminio ammoniacale, altri ancora con ematossilina eosinica o con la miscela Bronpi-HEIDENHAIN, oppure con la fuxina acida. | La maggior parte però furono colorati coll’ ematossilina ferrica HerpeNHAIN, o furon trattati col metodo del PoLnaccr. Le colorazioni con la sola ematossilina o con la ematossilina eosinica non rilevarono particolari degni di nota. Con questi me- todi la pellucida presenta un colorito rosso rifrangente, molto debole. l’ooplasma un rosso scuro più marcato, la vescicola germinativa, e la sua macula si coloravano in violetto. Col carminio ammoniacale si colorarono in rosso intenso i nuclei delle cellule follicolari, la vescicola germinativa, ed in minor grado, ma ancora molto vivamente, i corpi cromatici dell’ ovopla- sma, la zona pellucida ed i corpi figurati del liquor folliculi. In rosso rosa poi si notavano l’ ooplasma ed il liquor folliculi mede- simo. Con la miscela Bronpi-HrmpeNHAIN la zona pellucida assumeva una brillante colorazione in rosso insieme con i corpi figurati del. liquor folliculi ed i corpi cromatici dell’ ovoplasma (Fig. 1). Pure in rosso, ma molto meno intensamente, si colorò 1’ ooplasma , la vescicola germinativa, il liquor folliculi. Colorati in verdino si no- tavano i nuclei delle cellule follicolari e, collo sbiadire della colo- razione, alcuni corpi del liquor folliculi, mentre altri assumevano una bella tinta violetta. Coll’ ematossilina ferrica HEIDENHAIN sì ottenne, come sempre, una svariata e nitida colorazione delle parti su ricordate. Con que- st' ultimo metodo di colorazione nessuna particolarità degna di nota si riscontrò nell’ ovocite di primo o di secondo ordine. Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. rai In quello era rimarchevole la costanza del nucleo vitellino sotto forma d’ un granulo nero, di posizione variabile, circondato o no da area chiara. Nell’ ultimo, 1’ ovoplasma presentava qualche raro corpo cromatico e la pellucida, che si manifestava come una diffe- renziazione basale della corona radiata , offriva talora una par- ziale o totale colorazione in nero, tanto più rilevante, quanto più sviluppato era l’ ovocite stesso. Dopo di che passerò alla descrizione dettagliata d’ un uovo florido, vicino a maturità, trattato anche col metodo in parola, che prendo come tipo al quale sono poi ri- feribili tutte le uova dei soggetti susseguentemente osservati (Fig. 2). Procedendo dall’ esterno verso l’ interno dell’ uovo, si notava una corona radiata costituita da cellule cilindriche un po’ più slar- gate nella porzione distale, dove risiede anche il nucleo di forma ovale, sprovvisto quasi sempre di nucleolo , in altri casi, come vedremo, visibilissimo. La porzione prossimale dellà cellula follico- lare contiene un citoplasma molto granelloso in diretto rapporto colla zona pellucida di cui sembra una dipendenza. Viene poi la zona pellucida abbastanza ispessita. In essa non è facile vedere una vera e propria struttura raggiata; molto gra- nulosa e scolorata nella sua porzione periferica, acquista invece di compattezza e di colore verso l’ interno, il colorito di questa por- zione è grigio-giallastro. Ma il fatto notevolissimo e pel quale mi son incoraggiato a continuare, una volta iniziate, le presenti ricerche, si è, che, intercalata in questa pellucida di natura mucosa, — io non saprei chiamarla cuticolare in vista della sua grande permea- bilità — sta uno strato nero, d’un bel nero lucente, continuo o discontinuo, a tratti od a granuli. Infatti, mentre talora esso occupa tutta 1’ estensione della pellucida (caso raro per altro nel soggetto in esame), sia restandovi immerso, sia diffondendosi per tutto il suo spessore e mascherando interamente lo strato mucoso incolore di essa, vi forma sovente delle calotte semilunariche interessano un maggiore o minore circuito (Fig. 3). Molto spesso poi incontriamo placche nere fra di loro disgiunte, che in sezione presentano anch’ esse una forma semilunare. Insieme con le calotte o con le placche si notano poi frequentemente dei granuli ugualmente neri rotondeggianti o uniti a corona o sparsi e separati l uno dall’ altro. Sempre però essi notansi in quella porzione della pellucida che è sfornita della parte colorata compatta. 172 Salvatore Comes La posizione dello strato nero descritto con tutte le modalità ac- cessorie varia, nell’ uovo, da quella tipica su ricordata. Talora questi ammassi colorati (calotte, placche, granuli) sono periferici rispetto alla zona pellucida, tal altra essi sono disposti all’ interno della stessa ed in rapporto diretto coll’ coplasma, come dimostra appunto la Fig. 3. Queste parti colorate, quando sono abbondanti, si trovano sparse per tutta l’estensione della pellucida, ma in maggior quantità sono disposte all’ ilo del disco ooforo, che è maggiormente vascolarizzato; quando sono scarse esse si riscontrano più specialmente presso la vescicola germinativa, sia questa o no rivolta dalla parte ilare del disco (Fig. 3). Lo strato nero, tanto quando esso è abbondante, tanto quando è poco vistoso, tanto quando è continuo che discontinno, si riscontra nella maggioranza delle uova del soggetto considerato, nello stadio preso in esame. Ma vi sono dei casi, per quanto poco frequenti, anzi rari, di uova, normalmente sviluppate, la cui zona si mostra completamente sco- lorata, costituita cioè del solo strato mucilaginoso o cuticolare descritto da tutti gli Autori (Fig. 8). Con questa differenza altre concomitano , come esporrò in seguito. Veniamo all’ ooplasma di quelle uova che io chiamerò, tanto per intenderci, melazonate, cioè con zona nera in tutto o in parte, per distinguerle dalle altre che, per la mancanza di essa, saranno denominate leucozonate !) L’ovoplasma di tali uova presenta all’osservazione importanti parti- colarità. In esso sono da distinguere due strati. Uno strato esterno, granuloso e molto colorato, fornito qua e là di vacuoli e di corpi cromatici colorati intensamente in nero (Fig. 2) con sfumatura violetta ; essi presentano quindi la stessa colorazione della pellu- cida. Questi corpi cromatici si conservano quasi sempre periferici, alcuni, i più piccoli, in diretto rapporto col limite interno della zona, altri, i più grossi, o immersi direttamente nell’ ovoplasma granuloso, o compresi ognuno in uno dei vacuoli sudetti. I corpi cromatici sono più numerosi lì dove è più ispessita la parte nera della pellucida e presso la vescicola germinativa ; quando questa assume una posizione periferica. L'altro strato ovoplasmico, l'interno, è meno colorato e meno granuloso, generalmente esso è privo di vacuoli e di pseudocromo- 1) Questa distinzione sarà in ultimo sostituita da un’ altra più generale e comprensiva, Ricerche sperimentali sulle modificazioni mortologiche ecc. 178 somi, contiene sempre la vescicola germinativa fornita spesso d’un vistoso nucleolo. Nelle uova leucozonate (Fig. 8) non si ha la differenzia- zione dell’ovoplasma nei due stratti descritti, ed i corpi cromatici sono meno numerosi e meno colorati, sono però nello stesso grado rappresentati i vacuoli. Un’ altra distinzione caratteristica tra le due specie di uova è la seguente ; le melazonate sono fornite di un follicolo nella cui cavità il liquor folliculi presenta numerosi corpi figurati, colorabili in nero violetto con l’ematossilina ferrica HemeNHaIn (Fig. 3), in violetto carico e quindi in verde chiaro, ma spesso anche in rosso, colla miscela Broxpi-HeIDENHAIN (Fig. 1). Questi corpi sono di grandezza variabile, alcuni raggiungono i 80 n. di diametro, altri sono piccolissimi, la loro forma è nel primo caso ovulare, nel secondo rotonda. Le uova leucozonate sono prive affatto di tali corpi. Delle ovaie del medesimo soggetto, furon fatti dei preparati ulteriormente sottoposti al reattivo molibdico-stannoso del PoLLaccr. In generale la zona pellucida si colorava in azzurro ora intenso, ora sbiadito o verdino. La vescicola germinativa, nella sua porzione cromatica, i corpi cromatici dell’ovoplasma, la parte più periferica di quest’ultimo, nonchè i nuclei delle cellule follicolari ed i corpi figurati del liquor folliculi offrirono la stessa colorazione (Fig. 4). 2.°-Soggetto. — Individuo sacrificato durante il periodo dei calori. L'epoca dei calori, va, per le gatte dal gennaio al febbraio durante l'inverno, dall’agosto al settembre nell’autunno. Ebbi cura di procurarmi una gatta ben nutrita e giovane verso il quindici del mese di febbraio, vale a dire in un momento in cui la glan- dola genitale si sarebbe dovuta trovare nel massimo eccitamento funzionale. Sacrificato l’animale, dopo essermi assicurato che non si trovava in stato di gravidanza, ne asportai le ovaie abbastanza sviluppate e vascolarizzate. Procedetti quindi alla loro fissazione. Una delle due ovaie venne fissata con sublimato alcoolico acidu- lato (formola del Mingazzizi), l’altra con sublimato alcoolico molto leggermente acidulato; il materiale venne poi trattato e colorato con ì metodi precedentemente usati. Riferirò solo i fatti osservati colorando colla ematossilina ferrica HEIDENHAN o facendo agire il metodo micro-chimico del PoLracci. Però questi fatti avevano una portata diversa, secondo che si esaminavano preparati dell’ovaia 174 Salvatore Conîes fissata col liquido del Mingazzini, e preparati dell’ovaia dove Vl a- cido acetico era poco o niente rappresentato, Nel primo caso ho notato, per le uova mature o prossime a maturità, la man- canza quasi assoluta di corpi cromatici, questa mancanza veniva però rimpiazzata dalla presenza di un grande numero di vacuoli che conservano una posizione periferica, Per quanto riguardava la pellucida essa era enormemente sviluppata in spessore e si metteva in diretto rapporto colle cellule follicolari. La pellucida così fatta era scolorata quasi per tutta la sua estensione, lo strato colorato era semplicemente ridotto a qualche placca nera, se pur esisteva, disposta nella regione ilare del disco ooforo (Fig. 9). I nuclei delle cellule follicolari mancavano di un ben delineato ‘ nucleolo, la loro cromatina era disposta in piccoli e numerosi granuli. I corpi figurati del liquor folliculi mancavano pure sostan- zialmente. Pure vacuolizzati erano gli ovociti di secondo ordine, meno dei precedenti progrediti nello sviluppo ; nulla di speciale e di dif- ‘ferente dal corrispondente stadio normale si trovava invece negli ovociti di primo ordine. In tutte le cellule ovariche poi, dalle me- no evolute alle più sviluppate, l’ovoplasma non offriva distinzione di strati e si colorava pochissimo. Fissando con sublimato alcoolico, ho dovuto constatare fra certi caratteri, rimasti costanti, l’assoluto antagonismo di certi al- tri. Così per esempio, la zona pellucida era molto frequentemente fornita d’ uno strato nero bene sviluppato, invadente, nel maggior numero dei casì, tutto il suo spessore. La percentuale delle uova melazonate rispetto alle leucozonate si elevava in confronto a quella del primo soggetto, e se la presenza dei vacuoli persisteva nelle uova mature, essa non si mostrava più negli ovociti di se- condo ordine dove, in loro vece, esistevano numerosi e vistosi corpi cromatici colorati perfettamente in nero. Nei nuclei delle cellule follicolari era sempre visibilissimo un nucleolo, centrale od: eccen- trico, talora parietale, spesso doppio. Nel resto le osservazioni fatte diedero identici risultati. Darò in seguito la spiegazione di questa apparente e, bisogna confessarlo, anche profonda contradizione, in considerazione dello stato fisiologico dell’ individuo. | i Tali i fatti messi in luce col metodo di colorazione dell’Hri- DENHAIN. Col metodo PoLLacci i risultati ottenuti furon meno evi- denti e categorici. Si colorarono in azzurro, sia con l’uno che con l’altro metodo di fissazione, i nuclei delle cellule follicolari, la z0- Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 175 na pellucida nel maggior numero dei casi, i corpi cromatici, quan- do esistevano, e la sostanza cromatica della vescicola germinativa specialmente la macula del Wacxner. Se una differenza potei notare tra i preparati tratti dalle due ovaie diversamente fissate, questa fu che in generale gli elementi su ricordati si colorarono in azzurro meno intenso per quei preparati riferentisi alla fissazione col liquido del MincazziNI. 3.0-Soggetto. — Individuo esaminato durante il periodo degli amori ed al principio della gestazione. Come la precedente, si trattava d’ una bella gatta giovane e nutrita, tanto da sembrare al termine della gestazione, mentre poi il conseguente esame mi fece notare che, visto le piccole dimen- sioni dei tre embrioni contenuti nell’ utero ed il loro poco svilup- po, la gestazione doveva considerarsi al suo inizio. Gli embrioni in fatti non potevano avere più di quindici giorni di vita, due di essi mostravano con probabilità di appartenere al sesso femminile, l’altro al maschile. Prese e fissate le ovaie della madre con subli- mato alcoolico molto leggermente acidulato — l’esperienza preceden- te avendomi convinto che non potevo usare il liquido di MincAZZINI senza alterare, come dirò, la buona conservazione del tessuto — furono allestiti dei preparati che subirono un trattamento identico a quello dei soggetti precedenti. I risultati ottenuti nel soggetto in esame non furono meno importanti di quelli ottenuti in questi ultimi. La zona pellucida si colorava in nero in qualche ovocite di primo ordine, nel massimo numero degli ovociti di secondo ordine e in molte uova mature. Però la colorazione sudetta non era totale, ma solamente parziale, in quanto comprendeva, nel mag- gior numero dei casi, una grande calotta della sfera ovulare ; il suo tono inoltre era debole, risultando da un ammasso di globuli per lo più riuniti. anzi fra di loro addossati. Dal suo margine esterno partivano e sì interuavano tra il protoplasma delle cellule follicolari delle sottili propaggini, variamente conformate, che andavano per- dendo, in questa direzione, di nettezza, di colorito e di spessore (Fig. 10). Il massimo spessore colorato della zona siffatta si met- teva in relazione con la parte del cumulo ooforo che era in con- tatto colla cavità follicolare. L’ovoplasma non presentava la dif- ferenziazione nei due strati caratteristici descritti pel primo sog- getto, ma sì mostrava più granuloso in corrispondenza della parte della pellucida più colorata in nero e più ispessita. Nel suo inter- |" 176 Salvatore Comes no si notavano, nel secondo ordine degli ovociti specialmente, rari corpi cromatici, distinguibili per colore, per struttura e per forma, da quelli sinora riscontrati. Infatti essi non erano tutti perfetta- mente neri, alcuni offrivano una colorazione nera sbiadita, altri una colorazione bigio oscura, questi ultimi poi contenevano nel loro interno due o più granuli neri come se tutto il cromidio fosse in via di disgregazione. Mi fermerò per altro di più su tali parti- colari nel soggetto seguente, dove essi furono più frequentemente e più tipicamente osservati. Piuttosto rari erano i vacuoli ovoplasmici, specialmente riscon- trabili in ovociti di secondo ordine non molto sviluppati. La ve- scicola germinativa si orientava sempre dalla parte del maggiore ispessimento della zona pellucida colorata, essa quindi era per lo più eccentrica. Riguardo al follicolo di Graar ed alle sue parti, è bene ricordare che non si notavano corpi figurati nel liquor fol- liculi, che però i nucleoli dei nuclei delle cellule follicolari eran visibilissimi e relativamente grossi; coll’ ematossilina ferrica essi si coloravano perfettamente in nero. Il metodo micro-chimico del LiurenrieLp e Monti, modificato da PoLLaAcci, fu anche in questo usato per colorare parecchi preparati. Esso diede risultati identici ai precedenti, colorando indistintamente in azzurro le medesime parti colorate in nero col metodo dell’HkipenHarn. 4.°-Soggetto. — Individuo sacrificato al termine della gesta- zione 1). La gatta in esame fu comprata ed uccisa nella seconda metà di febbraio. Si trovava nell’ ultimo periodo della gravidanza ed invero potevano mancare due o tre giorni al parto. Dei cinque embrioni che le si rinvennero nell’utero, tutti egualmente e bene sviluppati, quattro eran femmine, uno maschio. Asportate le ovaie della madre, ne fissai una con sublimato leggermente acidulato , l’altra con sublimato alcoolico semplicemente. Ricorsi a tutti e due questi fissatori, e non esclusivamente all'ultimo, per notare sino a qual punto l’acido acetico poteva scio- gliere certe particolari sostanze, come i cromidii dell’ovoplasma e la porzione colorabile della pellucida, e se, eliminandolo, queste stesse sostanze si presentavano anche dove era presumibile non si 1) Ho tralasciato la descrizione di uova di gatte sacrificate in uno stato medio di gravidanza, perchè presentavano tutti i caratteri del tipo in esame, Ricerche sperimentali sulle modificazioni mortologiche ecc. Led presentassero , o almeno si mostrassero in minore quantità. Però debbo avvertire sin da ora che, tanto i pezzi fissati con l’ uno, quanto quelli fissati con l’altro liquido fissatore, mi diedero i me- desimi risultati 1). Sezionate le ovaie e sottoposte ai medesimi trattamenti già descritti, ecco quali osservazioni erano più rilevabili. La zona pel- lucida delle uova mature e degli ovociti, dove essa sì fosse tipica- mente formata, offriva una costante, completa assenza dello strato: colorato in nero : essa mostravasi quindi nel massimo numero dei casi colorata per tutta la sua estensione di quel grigio giallastro che mostravano le uova leucozonate del primo soggetto (Fig. 15). Infatti della ventina di follicoli maturi, riscontrati nell'esame dei preparati, solo due o tre presentavano nella pellucida lo strato nero e questo tuttavia in una formazione troppo ridotta. L’ovo- plasma delle uova mature non era distinguibile in due strati, esso era però fortemente vacuolizzato e talora fornito di grandi vacuoli; scolorato per tutta la sua estensione, soltanto alla periferia sì pre- sentava alquanto più granuloso. In questa sua porzione ed anche più verso l’interno conteneva esso alquanti cromidii, alcuni dei quali mostravano una forma rotonda, altri una forma allungata si da ac- quistare l’aspetto di cristalloidi. Nello stadio in esame questi cromidii si presentavano completamente scolorati, risaltando però dalla mas- sa ovoplasmica, ancora più scolorata, ‘ovvero mostravano spesso nel loro interno una massa centrale colorata in nero od in violetto intenso risolubile, con un forte ingrandimento in due, tre, o quat- tro granuletti neri od in un aggrovigliamento di sostanza cro- matica (Fig. 16). 4 Talora la porzione centrale era circondata da una zona meno colorita della porzione periferica dello stesso cromidio. Questa for- mazione è identica a quella descritta dal Van DER STRICHT (124 e seg.) nelle uova dei Chirotteri. Cromidii così descritti si riscontravano, come s'è detto, o da soli, o insieme con granuli colorati completamente in nero nelle uova prossime a maturità. Cromidii, esclusivamente od in maggioranza, colorati in nero, si ri- scontravano però nell’ovoplasma di ovociti di secondo ordine prin- 1) Da ciò bisogna dedurre che una piccola quantità di acido acetico non pregiudica la conservazione dei tessuti durante la fissazione, ma agevola la pe- netrazione per parte del fissatore e diminuisce il tempo dell’immersione del pezzo nel fissatore medesimo. 175 Salvatore Comes cipalmente alla periferia o presso la vescicola germinativa. Negli ovociti di primo ordine tali formazioni erano rare; essi eran forniti invece d’un nucleo vitellino visibilissimo, o di due o più granuletti neri, tanto quello che questi riscontrabili in qualunque porzione dell’ooplasma e spesso alla sua periferia. Il liquor folliculi era, anche in questo caso, molto scolorato, di struttura jalina, omogenea e privo di corpi figurati. I nucleolì erano ben visibili nell’ interno dei nuclei delle cellule follicolari. Verdastra, e non azzurra, si manifestava la colorazione della zona pellucida e dei cromidii, sottoponendo preparati di ovaia di questo soggetto al trattamento del metodo PoLuacci; anche con questo reattivo la differenza con le parti analoghe dei soggetti in prece- denza esaminati era abbastanza notevole. IV. Seconda serie di ricerche Studio dell'organo ovarico in relazione allo stato nutritivo di tutto l’organismo. 5.°-Soggetto. — Individuo sottoposto a dieta durante l'epoca dei calori. Una gatta ancora giovane, apparentemente nutrita, fu acqui- stata il dodici del mese di febbraio. Essa fu sottoposta ad una dieta rigorosa di cinque grammi di pane al giorno e di poca acqua; dieta che negli ultimi quattro giorni dell’ esperienza fu ridotta alla somministrazione di tre grammi di pane appena. Tale dieta fu protratta per undici giorni, bastevoli per altro ad impri- mere nell’animale visibilissimi segni d’inedia: dimagrimento, cram- pi muscolari, debolezza di vista, eccessiva stitichezza. Malgrado il relativo digiuno, dovetti accorgermi che le condizioni nutritive dell'animale non erano così deperite, come esso dimostrava alla fine dell’esperienza. Il mesentere infatti era ancora abbastanza adiposo ed adiposa pure, quantunque in quantità molto minore che nel normale, la regione dei lombi. i Comunque, le ovaie, bene sviluppate, furono estirpate e fissate con sublimato alcoolico molto leggermente acidificato. Esaminati i preparati fatti, si riscontravano notevoli differenze morfologiche, differenze che riguardano tanto gli ovociti, quanto le uova mature od in via di maturazione. Negli ovociti di primo ordine le diffe- renze non sono rilevabili: ognuno di essi è fornito di un nucleo Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 179 vitellino tante volte doppio, triplo, di posizione variabile (Fig. 11). Nell’ovoplasma degli oociti di secondo ordine, dai meno sviluppati al più sviluppati, si riscontrano numerosi cromidii alcuni dei quali rotondi, altri allungati, tanto da assumere forma ed aspetto di cristalloidi. In complesso quivi la differenza con i corrispondenti ovociti normali, è data dal trovare nell’ovoplasma granuli più numero- si. Nelle uova mature le differenze colle normali sono più rilevanti ed interessanti. Nel caso considerato l’ooplasma si presentava sco-- lorato per tutta la sua estensione, non presentava vacuoli nè alla periferia, nè altrove , era sfornito di cromidii, specie di cromidii colorati, mostrando tutt'al più dei grossi globuli molto scolorati, in via di disfacimento. Per quanto concerneva la zona pellucida, as- sumeva anch’ essa un comportamento caratteristico, in quanto la porzione più ricca di sostanze nutritive non si presentava nè a livello dell’ilo del disco proligero, nè presso la vescicola germi- nativa, bensi costantemente in corrispondenza del cumulo ooforo (Fig. 12). Lo strato nero era continuo e delineato, specialmente a livello del suo massimo spessore, da un contorno esterno irre- golare fatto di bozze e di protuberanze che sì insinuavano , per sottili prolungamenti, fra le più prossimali delle cellule del disco. I nuclei di queste cellule, più che non quelli degli strati fol- licolari più esterni, eran provvisti d’un visibilissimo nucleolo, co- lorabile in nero; il liquor folliculi era privo di corpi figurati cro- matici. Il metodo del PoiLacci controllava benissimo in ogni par- ticolare il metodo di colorazione dell’ HripenHAIN all’ ematossilina ferrica: la pellucida assumeva una intensa colorazione azzurra. Come si può notare dalla fatta descrizione, le modificazioni osser- vate in questo soggetto coincidono con quelle che furono rilevate nella gatta sacrificata nel periodo degli amori ed all’inizio della gestazione. 6.°-Soggetto. — Individuo sottoposto a digiuno completo du- rante l’epoca dei calori, con accenno di gravidanza. Nel soggetto precedente avevo avuto l'occasione di notare quali modificazioni potesse apportare una dieta rigorosa nell’orga- no ovarico rispetto alla normale costituzione delle uova nel pe- riodo di riposo sessuale e nel periodo degli amori, l’ esperienza essendo stata condotta appunto in quell’ epoca. Queste modifica- zioni, bisogna confessarlo, erano, specialmente riguardo alla costitu- zione delle uova nell’epoca della frega, poco rilevanti. Pensando che 180 Salvatore Comes ciò dovesse attribuirsi alla mite azione della dieta, per quanto essa fosse stata rigorosa, nel disturbo dell'economia dell’organismo, la volli sostituire con l’azione più energica d’un digiuno completo. Una gatta, acquistata nelle medesime condizioni in cui si trova- vano le precedenti, fu legata e rinchiusa in luogo appartato, dal sedici al ventisette di febbrajo, vale a dire in pieno periodo di frega, senza somministrarle in questo frattempo la benchè minima quantità di cibo solido o liquido. Scorso quest’intervallo, essendo l’animale troppo dimagrito e molto abbattuto e temendo perciò che gli elementi sessuali potessero andare incontro ad una atrofia o ad un qualsiasi processo patologico che avrebbe alterato il eri- terio esclusivamente fisiologico dell’esperienza, l’ ho ucciso. Però mi son dovuto accorgere, aprendo l’utero — operazione ch’ io se- guii per ognuno dei soggetti presi in esame, onde potermi mettere nella migliore conoscenza dello stato funzionale di tutto | or- gano genitale —,che in esso vi erano zone più iperemiche e più ispessite, le quali accennavano apertamente a formazioni placen- tari. Insospettito per tal fatto di poter ritrovare gli embrioni, esplorai l’ utero e quindi la vagina, dove, con mio stupore, gli em- brioni piccolissimi in numero di quattro furono rinvenuti in spe- ciali ripiegature della mucosa. La loro picciolezza impedì che se ne potesse conoscere il sesso macroscopicamente o con l’aiuto di un leggiero ingrandimento; io non ebbi cura di sezionarli. Eviden- temente il digiuno prolungato aveva provocato l'aborto. Ad ogni modo, casualmente potevo disporre d’un’altra condizione a cui non avevo pensato, la gestazione, che in concomitanza col digiuno, po- teva complicare ed accentuare le modificazioni strutturali dell’ uovo. Le ovaie, poco sviluppate ed abbastanza anemiche, furono manipo- late, seguendo gli stessi trattamenti usati per quelle dei soggetti precedenti; ed ecco i fatti notati. Per quanto riguardava gli ovo- citi di primo ordine, specialmente i meno sviluppati, non fu no- tata al solito una sensibile differenza con i corrispondenti degli altri soggetti. Negli ovociti di primo ordine più sviluppati ed in quelli di secondo ordine si notava l'assoluta mancanza di cromidii e di vacuoli, i quali invece, in maggiore od in minore quantità, erano contenuti dall’ovoplasma degl’ individui esaminati anterior mente. L'ovoplasma era scolorato, a struttura leggermente granu- losa. Nelle uova vicine alla maturazione (Fig. 12) la zona. pellu- cida era fornita dello strato nero molto sviluppato, per altro, sì da mascherare la sostanza fondamentale, mucosa della pellucida Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 181 stessa. Esso presentava le stesse particolarità e le stesse disposi- zioni che mostrava nel quinto soggetto, su cui pertanto è inutile insistere, del resto le Figure 15 e 14 ben le dimostrano ed illustra- no. I nucleoli, anche in questo caso, erano grossi e coloratissimi, nei nuclei delle cellule del disco ooforo più che altrove; il liquor folliculi mancava di corpi figurati. Evidentemente la sola differen- za che c'è tra la struttura delle uova del soggetto precedente e quella delle uova del soggetto in esame, si riferisce alla mancanza, in questo ultimo, di cromidii, anche negli ovociti di primo ordine, mentre essi cromidii furono riscontrati nel corrispondente stadio della gatta tenuta in dieta. Questa differenza devesi attribuire all’azione più efficace del digiuno completo, ovvero a quella della gestazione, per quanto essa fosse all’inizio ? La quistione, come vedesi, non potrebbe avere una facile spiegazione ed io preferisco «non darne alcuna. Ricordo infine che il reattivo micro-chimico del PoLLacci diede anche per questo soggetto gli stessi risultati. Lù Fig. 5, tratta da un preparato con questo metodo, quando an- cora le sezioni erano imparaffinate, dimostra appunto un uovo vicino a maturazione, dove la pellucida, la vescicola germinativa ed i nuclei delle cel'ule follicolari sì presentauo colorati in azzurro. (.2-Soggetto.—Individuo sottoposto al digiuno completo dopo esser trascorso il periodo della frega. Nelle due esperienze precedenti si era conservata costante una condizione, la quale mascherava in gran parte il valore e l’effetto dei risultati conseguiti. Questa condizione era l'esame dell’organc ovarico durante l'epoca dei calori; chè, se il digiuno o la dieta avevan di mira la denutrizione dell'organismo e quindi della glan- dola genitale, l'epoca dei calori, in cui l’animale si trovava durante l’esperienza, producendo nella stessa glandola una maggiore atti- vità funzionale, provocava in essa un aumento del ricambio dei materiali, come lo addimostrava per altro l'abbondanza dei mate- riali stessi accumulati nella zona pellucida. Bisognava quindi eli- minare, diremo così, tale causa d’errore. D'altra parte non si poteva seriamente sostenere che la dieta o il digiuno praticato fossero sufficienti, nell’effettuazione delle mie premesse, a far scomparire quei materiali nutritizii che per caso si fossero accumulati nel- l'uovo. Effetti positivi se ne raggiunsero, come s'è visto , ma sino a qual punto sarebbe arrivata questa azione denutriente del digiuno Archivio zoologico, Vol. i}, Fasc. 2. 15 182 Salvatore Comes sull’ uovo? In considerazione di ciò, vinte le riluttanze, che la cre- denza in un processo oolitico regressivo od involutivo m’ aveva fatto nascere, acquistata una gatta come le precedenti giovane e nutrita, it giorno sedici aprile, epoca molto posteriore a quella lella frega, decisi di farla morire assolutamente d’inedia. L'animale fu tenuto in luogo appartato, a nessuno accessibile, legato per giunta; non gli si somministrò cibo alcuno, nè liquido né solido. Visse in questa maniera ancora ventidue giorni, dopo questo tempo le sue condizioni erano talmente deperite, la morte era così prossima, che, con l'uccisione, non feci che precorrerla di due o tre giorni. Infatti al termine dell’esperienza la gatta non cam- minava più, non vedeva, non avvertiva nessun rumore ; il suo miagolio era un rantolo fioco, basso, affannoso ed in ultimo quasi impercettibile anche per la posizione prona che essa conservava ; poggiando il muso inerte sul pavimento. Salvo nei primi giorni dell'esperienza, in cui defecò due volte, se ben ricordo, conservò, in seguito, una completa stipsi, mentre le urine si protrassero con una certa abbondanza sino al giorno della morte. Insomma si poteva ben dire che l’animale era stato esaurito dal lungo digiuno, come dovetti accorgermi oltrechè dai predetti sintomi , osservati sul vivente, dai reperti fatti sul ca- davere. Per dare una idea di quanto fosse avanzato il dimagri- mento, basta ricordare che il pannicolo adiposo del mesentere, tanto abbondante nel normale, era scomparso, che anzi nessuna traccia di adipe circondava i visceri. Un sottile velo sieroso aggrovigliava gl’ intestini rinsecchiti e ripieni di sterco durissimo, le ossa del pube facevan risalto all’esterno, i fasci nervosi dello sciatico eran visibilissimi sotto l’aponevrosi cutanea, come se fossero stati ana- tomicamente preparati. Le ovaie, di piccole dimensioni, visibilmente ridotte ed ane- miche, furono fissate e sottoposte ai consecutivi trattamenti, come praticai per quelle dei soggetti precedenti. Anzi, per vedere se, ove modificazioni di struttura si presentassero, queste fossero da attri- buirsi piuttosto all’acidità, per quanto minima del fissatore, che alla condizione fisiologica, fissai un’ovaia con il solo sublimato al- coolico; ed a preparati da questa ottenuti, si riferiscono tutte le osservazioni fatte. Negli ovociti di primo ordine rulla notai di rimarchevole, tranne una certa rarità del nucleo vitellino che nel corrispondente stadio normale è costante. Negli ovociti di secondo ordine, ancora piccoli. l’ovoplasma si presentava molto incolore, SEG Ricerche sperimentali sulle modificazioni mortologiche ecc. 183 nel suo interno però si potevano distinguere molti corpi cromatici generalmente scolorati, sebbene ve ne fossero anche colorati in nero. La pellucida. che si comincia qui ad accennare come diffe- renziazione plasmica basale” delle cellule della corona radiata, non manifestava affatto alcuna colorazione nera. Negli ovociti di secondo ordine più sviluppati e nelle uova in via di maturazione (Fig 17), di cui un certo numero però si presen- tava in degenerazione !), notavasi l’ovoplasma ugualmente scolo- rato, contenente nella sua porzione periferica una gran quantità di cromidii. Questi cromidii, alcuni dei quali potevano sorprendersi nel loro passaggio dalla pellucida all’ovoplasma, avevano una strut- tura caratteristica, prima di allora mai da me riscontrata. Quasi ognuno di essi era scoloratissimo e portava nel suo interno uno o più corpi centrali che avevano l'apparenza» di cristalli o di for- me cristalloidiche. Infatti, come dimostra la Fig. 188, tali corpi, se sono in numero rilevante, formano una specie di macla o di drusa cristallina, che talora è apertemente stelleriforme; se unici in ogni cromidio, acquistano forme rombiche caratteristiche. Rom- bi e druse poi si uotavano con più facilità nei mitocoudrii delle uova più mature, dove potevano assumere uno sviluppo tale da mascherare tutto il corpo mitocondriale. È caratteristico che que- sti cristalli, specialmente i rombici, sono in massimo grado rifran- genti, ma per poco che si sposti l’oculare dalla messa al fuoco, essi acquistano un colorito bruno metallico. Oltre a queste speciali formazioni, si riscontravano, nell’ in- terno dei cromidii, specialmente negli ovociti di secondo ordine, dei granuletti rotondi. nero-violetti, molto simili a quelli riscon- trati nei mitocondri delle uova mature del quarto soggetto (Fig. 188) Per quanto riguarda la zona pellucida delle uova più svilup- pate, essa si poteva dire costantemente scolorata e si presentava costituita dalla sola porzione mucoide o cuticolare che si voglia dire, di colorito giallastro. Solo in qualche caso la pellucida mostrava rari indizii di co- lorazione nera (Fig. 19) Eppure bisogna, ricordare che il liquido fissatore nou conteneva acido acetico, riconesciuto, dopo quanto 1) Forse a tale aumento di prodotti connettivali ed alla probabile scompar- sa di materiali plastici (grassi, sostanze proteiche) con relativa neotormazione di cristalli, devesi attribuire la eccezionale durezza, presentata dal tessuto ova- rico, quintunque ben fissato e manipolat>, al taglio del microtomo. 184 Salvatore Comes si è detto, solvente delle sostanze colorabili in nero. Così pure debbo ricordare che ebbi sempre cura di non colorar molto col- l’allume ferrico le sezioni, perchè non, sembrasse che la decolora- zione della pellucida fosse dovuta ad un espediente di tecnica, che anzi le sezioni erano abbastanza spesse, presentando il tessuto , come dicevo, una singolare durezza al taglio del microtomo. Le cellule follicolari erano enormemente sviluppate in altezza, assu- mendo l’aspetto piriforme delle glandule unicellulari, il loro pro- toplasma granuloso era ridotto in vicinanza del nucleo che occu- pava la posizione distale. Il resto della cellula era rappresentato dai soli limiti cellulari che individualizzavano per tanto una spe- cie d’imbuto vuoto. I nucleoli delle cellule follicolari mancavauo in parte nel disco ooforo, totalmente nella granulosa (Fig. 15a). Il liquor folliculi intolore era assolutamente privo di corpi fi- gurati. Adoperando il metodo del PoLLAccI, con i la modificazione di sottoporre ai reattivi le sezioni ancora imparaffinate , e ciò per- che, secoudo mia esperienza, con tale modificazione il metodo riesce più sensibile, ottenui il controllo più scrupoloso dei risultati ottenuti col metodo Hemenzain. Realmente, dopo aver fatto agire il riducente per un tempo più lungo dell’ordinario, notai che la colorazione azzurra mancava assolutamente e costantemente alla zona ed ai cristalloidi (Fig. 7). Soltanto la vescicola germinativa presentava la sua cromatina leggerissimamente colorata , quasi avesse perduto anche essa parte del suo nucleo fosforato. Si può dire che di colorato in azzurro nell'uovo non persistevano che i nuclei delle cellule follicolari. Evidentemente quivi il metodo PoLLaccI non si è comportato come nei casi in precedenza con- siderati. V. Comparazioni e considerazioni morfologiche Come risulta dalle esperienze fatte, gli elementi, dalle stesse esperienze particolarmente influenzabili e da me presi in esame, sono i corpi cromatici e la zona pellucida. Siccome la loro pre- senza e la loro costituzione si mette in stretta relazione coi di- versi stadi dell’ ovocellula, esaminiamo questi stadii, facendo la comparazione delle diverse modificazioni che l’ovoplasma presenta per lo stesso stadio nei diversi soggetti considerati, e riassumendo in parte quanto prima si è detto. Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ece. 185 Ovocite di primo ordine.—Si può dire che in questo non si siano ottenute, in nessun soggetto, modificazioni notevoli. Solamente ne- gli ovociti a questo stadio della gatta esaurita da lungo digiuno, in un’epoca posteriore alla frega, si notò una certa rarità del nu- cleo vitellino. Debbo qui far rilevare che la descrizione fatta di quest’ organite dall’ HoLwersm (56) differisce da quella che io ne ho data, essendo il nucleo vitellino, anche per questo Autore, la differenziazione d’una speciale « couche vitollogène » in con- tatto col nucleo dello stesso ovocite. Cosicchè , unico o multiplo, questo nucleo vitellino avrebbe per l’ HorweREM una posizione con- dizionata da quella della « couchevitellogène », anche quando questa è scomparsa, e in ogni modo sarebbe sempre avvicinato al nucleo cellulare. Ovocite di secondo ordine. — L' ovoplasma era scolorato quasi ugualmente in tutti i soggetti. I corpi cromatici eran pochi ma coloratissimi in nero nel primo soggetto. ugualmente colorati, ma più numerosi nel secondo. Nella gatta al principio della gravi- danza, sacrificata nel periodo dei calori, i corpi cromatici erano meno frequenti e molti fra di essi meno colorati, alcuni si trovavano in via di disgregazione presentando, nell’interno della loro massa molto scolorita, due o più granuli centrali, colorati in nero. Que- ste modificazioni erano più accentuate nel soggetto seguente cioè nella gatta esaminata al termine della gestazione, come dimostra la Fig. 16. Nel quinto soggetto, riferentesi alla gatta sottoposta alla dieta durante il periodo degli amori, la quantità dei corpi cromatici cresceva, alcuni anzi assumevano un aspetto cristalloidi- co. Nella gatta a cui si fece subire un digiuno completo, ma non molto prolungato, i corpi cromatici mancavano affatto. Finalmente, nell’ultimo soggetto, dove il digiuno fu fatto agire molto più a lungo, in modo da esaurire l’animale, i corpi cromatici appariva- no in una certa quantità, ma scolorati e contenenti, nell’ interno, quelle speciali formazioni cristalloidiche su cui m’intrattenni più sopra. Il comportamento dei vacuoli è subordinato a quello dei corpi cromatici. Essi, rari uel primo soggetto, erano relativamente numerosi nel secondo e più ancora nel terzo e nel quarto, mentre gli ovociti del quinto, sesto e settimo soggetto, erano molto scarsi di formazioni vacuolari. Per quanto riguarda la zona pellucida, sebbene a questo sta- dio non si possa parlare d’una vera e propria pellucida, s' è no- 186 Salvatore Comes tato ch’ essa si colorava molto parzialmente e molto raramente nel primo e nel secondo soggetto, che invece più frequentemente e più estesamente si colorava nel terzo soggetto ed era affatto incolore nel quarto, nel quinto, nel sesto e nel settimo. Ova prossime a maturazione. - In questo stadio, che è il più interessante per le nostre ricerche sia perchè gli elementi da noi studiati (pellucida, follicolo) vi raggiungono il massimo sviluppo, sia perchè, salvo poche modificazioni, la struttura presentata dal- l’uovo non differisce sostanzialmente da quella che lo stesso pre- senta durante lo scoppio, la caduta nella tuba falloppiana e la fecondazione, ci occuperemo al solito dell’ ovoplasma e dei suoi inclusi, della zona pellucida, del follicolo e delle sue parti, che quivi, in vista dello sviluppo raggiunto e delle modificazioni nei varii soggetti riscontrabili, meritano uno speciale riguardo. OVvoplasma. — Esso era distinguibile in due zone, nell’animale sacrificato anteriormente al periodo degli amori. Una zona perife- rica meno spessa ma più granulosa e più colorabile dai reagenti, riccamente fornita di vacuoli e di corpi cromatici, visibile colo- rando con ematossilina ferrica o colla miscela Bronpi-HEIDENHAIN come pure, ma meno perfettamente, adoperando il metodo del Pox- LACCI ; una zona interna, più sviluppata, meno colorata e gra- nulosa, sprovvista di vacuoli e di corpi cromatici. Questa diffe- renziazione in due zone distinte diventa meno netta o si perde affatto in tutti gli altri individui sperimentati. Solo nel caso in cui la zona pellucida era fortemente ed estesamente colorata si notava una maggiore colorabilità dell’ovoplasma fatto in corrispon- denza anche più granuloso. Però non era nettamente distinguibile dal resto questa porzione periferica. Tale particolarità notavasi nel secondo, nel quinto e nel sesto soggetto. L’ ovoplasma era pertauto d'una costituzione om>genea, granulosa , poco colorata. Così pure, se si eccettua il primo s0g- getto, dove si riscontravano numerosi vacuoli e più frequentemente nella zona periferica, ed il secondo soggetto, dove i vacuoli erano non meno numerosi, in tutti gli altri indivîdui a questo stadio l’ovoplasma non presentava coteste formazioni vacuolari. Passiamo ai corpi cromatici. Nella gatta uccisain dicembre, periodo di riposo sessuale, i cromidii avevano una forma tondeggiante ed una colorazione costantemente nera, alcuni erano piccoli ed iu- Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 18% clusi in vacuoli; mancavano essi però nell’ individuo esaminato all’e- poca dei calori, dovein compenso vi erano numerosi vacuoli, ed in quello esaminato nella stessa epoca ed al principio della gravidanza. Riappariscouo invece nel quarto soggetto, vale a dire nella gatta gravida al termine, ma con notevoli modificazioni. Infatti essi sono più grossi di quelli descritti nel primo soggetto, ma molto più scolorati, tanto da poter essere confusi col circostante ovoplasma, se non fosse per la loro struttura compatta e i loro netti limiti. Nell’interno di cromidii così couformati si poteva vedere un nu- cleo colorato, risolubile, con l'obbiettivo ad immersione, in due, tre o più granuli colorati in nero violetto. Però, anche con un ingrandimento comune, si notavan talora tre ed anche quattro di questi granuletti. Talora pure s'è visto che questo nucleo colorato era circondato da un'area più chiara e perciò distinguibile dalla parte periferica del cromidio. Rari cro- midii scolorati si presentarono nel quinto soggetto, non se ne ri- scontrarono affatto nel sesto. L'uovo maturo della gatta esaurita dal digiuno presentava nel suo ovoplasma i eromidii, come si è visto, molto più modificati di quelli della gatta al t-rmine della gravidanza. In essi il nucleo centrale persisteva, ma invece di es- ser costituito da uno o più granuletti rotondi, neri, e sparsi nel corpo stesso del cromidio, constava di uno o più cristalloidi di forma rombica o aciculare, riuniti in questo caso a drusa o a stella, scolorati e rifrangenti. Qualunque fosse la forma, il colore, e la struttura dei cromidii, la loro posizione era periferica nel primo e nel quarto soggetto, spesso interna e perivescicolare nel- l’ultimo individuo da me esaminato. Zona pellucida. — La zona pellucida presenta, insieme coi ero- midii, le più interessanti e notevoli modificazioni. In essa dobbia- mo distinguere due parti: l'una, inalterabile in ognuno dei sog- getti esaminati, è la pellucida normalmente riscontrata e descritta dagli Autori quali il WaALDAJER (138), il PaLapino (91), il NAGEL (88), il Rerzius (107), il SerLen (120), il KoLosow (66), l’IawosIK (60), il Van BevEDEN (16), il Crery (31), il Von EBNER (35). l Honork (38), lo ScHotTLAENDER (119), il Mincazzini (86), il VAN DER STRICAT (186), lo ScansIDEr (118) e recentemente il Levi (68), il Cesa BrancHI (23) per tacere di molti altri. Questa porzione è quella parte basale pla- smica e più compatta, differenziata dalle cellule della corona ra- diata, la quale si accenna negli ovociti di secondo ordine, Qui la 188 Salvatore Comes differenziazione si è accentuata: essa è raggiunta, come han dimo- strato il PALADINO (88), il RerRIUS (108), il Vox EzBnER (85), da pro- lungamenti delle cellule follicolari adiacenti che, per il primo dei citati Aa., si metterebbero in diretta relazione coll’ovoplasma. To nou mi fermerò su queste particolarità istologiche, del resto ben note, però debbo ricordare che nella pellucida della gatta non ho riscontrato la struttura veramente raggiata che molti ritengo- no ed affermano per cosa certa, come fa per es. il Von EBNER (35). La pellucida è bensì una differenziazione prossimale delle cellule della corona ridiata, ma è dessa un prodotto cuticolare , fornito anche di bastoncelli, perciò stesso resistente e poco per- meabile? Io credo che la sua permeabilità, ammessa da tutti gli A. come una necessità apodittica, e non mai provata, escluda l’idea della cuticolarizzazione! Tanto più poi se questa permeabi- lità fosse provata. E chi lo ha provato egregiamente è stato il prof. Russo in una nota preliminare (113) ed io stesso nella mia nota preventiva (28). Dopo ciò bisogna modificare il concetto di prodotto cuticolare che si ha della pellucida. Essa è una differen- ziazione permeabile, plastica , modificabile ed atta a far passare materiali di nutrizione, e questo, per non crearl: una denomina- zione che possa pregiudicarne la natura chimica, credo che basti. Questa prima porzione, costante in tutte le uova mature esami- nate, colorabile in grigio-giallastro col metodo HrIpenHaIN, si può ritenere come la parte fondamentale, il contenente; la ganga della seconda porzione. La seconda porzione è costituita dallo strato nero, formazione non mai vista o non mai tenuta in conto da alcuno, prima di noi, nell’ uovo normale dei Mammiferi. Questa omissione: degli Autori è tanto più notevole in quanto molti di essi si son serviti appunto, nelle loro ricerche, del metodo di co- lorazione all’ ematossilina ferrica. Bisogna perciò giustificare tale omissione con un eccesso di decolorazione da parte dell’ allume ferrico. Debbo però ricordare, ad onore del vero, che una colorazione nero - violetta intensa si osserva nella zona pellucida di uova di gatta secondo quanto vien detto e figurato nel terzo volume dell’ Istologia umana di Kokuui- cHERr (64), colorando con ematossilina ferrica dopo aver fissato con una soluzione di sublimato. Il Von Ener che l’ha redatto, non diede per altro a questo modo di presentarsi della zona il valore chimico e funzionale da me rilevato. Del resto pare che egli abbia visto sempre la pellucida forse per l'esiguità dei preparati fatti, Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ece. LS9 o per la poca decolorazione di questi, incontrando l’ inconveniente opposto notato negli altri A. (tief schwarz blau gefàrbt); mentre essa, come risulta dalle mie precedenti descrizioni, è va- riabile, oltrechè nella forma, anche nel colore, e la parte colorata in nero può comprendere tutto il suo spessore, od esservi qua e là localizzata, sotto diversi aspetti, o mancare affatto. Piuttosto il KoELLIKER 0, per esser più precisi, l’ Esnek che compilò il terzo volume della sua Istologia, adduce la forte co- lorazione della pellucida come una prova dimostrativa ch’ essa ri- sulta dall’ insieme d’ una specie d’ ispessimento del vitello periferico e dei filamenti prodotti nella parte basale delle cellule follicolari della zona radiata, che ivi si ramificano, come vogliono FLem- MING (39), PaLADINO (91), WaLDEYER (138), ReTzZIUS, (108). Secondo l’EBNER poi questo strato vitellino ispessito , crescendo colla cre- scita dell’’uovo, non potendosi ispessire uniformemente, perchè ostacolato dalle contigue cellule follicolari, manderebbe delle pro- tuberanze verso l’ esterno che-si risolverebbero in filamenti inter o iutraepiteliali. Con tutto il riguardo dovuto all’ illustre Istologo tedesco, io credo che questi filamenti, e le connesse protuberanze, si formino per provenienza d’ un maggior materiale nutritivo, e quindi la loro formazione avverrebbe in senso centripeto. Basta pensare soltanto che quando il materiale nutritivo non si trova in eccesso , quantunque sia rilevante — gatta in quiete sessuale — o quaudo esso manca affatto — gatta in gravidanza od in digiuno — non si formano nè protuberanze, nè filamenti, tanto meno poi co- lorati in nero; mentre essi si mostrano vistosamente nel periodo della frega. Un attento esame delle mie figure sarà più co vin- cente di qualsiasi spiegazione. Da che cosa è prodotto, come si presenta, come si comporta questo strato nero? Esso è prodotto dall’ ammassarsi di granuletti, ugual- mente neri, che ogni cellula follicolare porta, mediante la sua parte basale alla pellucida, tali granuli sono più o meuo visibili nelle fig. 14 e 19. Questa secrezione è data probabilmeute in gran parte dal nucleolo della cellula follicolare che in fatto scomparisce quando la secrezione è dovuta alle sole cellule follicolari. Ciò si avvera nell’ individuo normale, non gravido. ucciso nel riposo sessuale. Quando però si esige una maggiore nutrizione, o che fosse venuta meno quella delle cellule follicolari, prende parte attiva alla formazione dello strato nero il liquore follicolare. Io ho notato, come aveva del resto descritto prima il Russo, delle correnti in- 190 Salvatore Comes tercellulari sottili al loro inizio, ingrossate alla loro confluenza colla massa dello strato nero (Fig. 18); tali correnti derivano senza dub- bio dal liquor folliculi e principalmente dai corpi figurati di questo. Infatti a nessuno sfuggirà che i corpi ricordati, mentre erano ab- bondanti là dove mancavano i nucleoli delle cellule follicolari del disco e della granulosa, cioè nelle uova del primo soggetto, man- cavano alla loro volta in tutti gli altri soggetti, dove erano, ad eccezione dell’ ultimo , costanti i nucleoli delle cellule follicolari. Comunque, la secrezione pervenuta alla pellucida, vi si addensava nei casi che possiamo chiamare di denutrizione, in granuli roton- deggianti, isolati; alcuni dei quali si formano prima di penetrare nella stessa pellucida, rappresentati nella Fig. 14 e tipicamente nella Fig. 19. Ricordo per altro che, trattando ovaie in condizioni di denutrizione (gatta di media gravidanza ) colla miscela Bronpi HreIDENHAIN, la pellucida, che nel normale si colorava in un rosso vivo caratteristico, si presentava d’ un colore roseo sbiadito quasi in tutto le uova (Fig. 6) ed in essa si constatava l’ assenza asso- luta di granuli colorati. Quando però penetra nell’ uovo un eccesso di nutrizione , il superfluo si condensa nella pellucida, in modo che i granuli, am- massandosi insieme, formino placche o strati più o meno estesi, intercalati nella pellucida incolore , spesso però anche disposti al suo limite interno od esterno (Fig. 2 e Fig. 3). Questi strati in determinati casi crescono in spessore ed in estensione, riunendosi insieme a formare uno strato unico che maschera la pellucida primordiale (Fig. 12, 13). Quindi dall’ esposto risalta principal mente che il materiale colorabile in nero della pellucida è un materiale di riserva, formatosi in essa quando l'uovo è saturo dei materiali nutritivi provenienti dall’esterno, e che filtra per essa a poco a poco nell'interno stesso dell’ uovo, specialmente quando questo è denutrito. Esaminiamo ivfatti il comportamento di questo accumulo di sostanze nei soggetti esaminati. Nella gatta normale, uccisa anteriormente all’epoca dei calori, le uova melazonate contenevano nella pellucida placche , strati discontinui o granuli neri; nella gatta sacrificata nel periodo dei calori ed in quella uccisa nello stesso periodo, ma con inizio di gestazione, lo strato nero era unico ed invadente la pellucida fon- damentale, nel secondo caso esso era meno compatto e faceva notare una certa disgregazione in granuli. Nella gatta gravida al termine, le uova leucozonate erano in grande maggioranza sulle Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 191 melazonate, in cui per altro lo strato nero era ridotto a placche di poca estensione od a granuli. Nei due individui, tenuti rispet- tivamente a dieta o in digiuno, e sacrificati durante la frega, la zona era fortemente ed uniformemente colorata in nero. Nell’ ultimo, sottoposto al digiuno esauriente, le uova leuco- zonate, nei precedenti casi ridottissime in numero, ebbero il più grande sopravvento. Spazio perivitellino.—Questo spazio negato da molti autori, con- fermato da altri, basta ricordare il NAgEL (60) ed il Von EBNER (35), fu da me riscontrato in modo da non lasciare alcun dubbio sulla sua esistenza. La Fig. 20 dimostra benissimo lo spazio in parola ripieno di materiale filtraute per la pellucida. Questa figura fu tratta da un uovo maturo di gatta in media gestazione. Spesso però lo spazio perivitellino non si vede, non per questo bisogna arguire la sua mancanza: esso è semplicemente allo stato di spazio virtuale. To credo che l ovoplasma sia in molti casi ‘casi di nutrizione) in turgore, ed allora esso si adatta colla sua periferia direttamente sulla pellucida, sicchè lo spazio perivitellino scompare. Se però l’ovoplasma è denutrito, esso allora perde in volume, si allontana dalla pellucida e lo spazio riappare. L' esistenza dello spazio pe- rivitellino, ch’ io incontrai pure in altri Mammiferi, esclude che la pellucida sia una differenziazione ovoplasmica come molti sosten- nero [(Van BenepEN (16), EbnER (35))] e col materiale mucoso che contiene dimostra, come ben disse il Russo, il passaggio delle so- stanze nutritive attraverso la sostanza fondamentale della pellucida stessa. i Follicolo. — S'è detto in gran parte a quali modificazioni vanno incontro le sue parti nei diversi individui sottoposti alle mie espe- rienze. Qui è ben ribadire sul fatto che i nucleoli delle cellule della corona radiata mancavano nel primo individuo e parzialmente an- che nell’ ultimo, esistevano in tutti gli altri. Nel capitolo riservato al significato fisiologico della pellucida e dei varii inclusi dell'uovo in senso lato, mi occuperò di questo vario comportamento del nu- cleolo. Così pure ricordo che le cellule costituenti la corona radiata erano in tutti i soggetti glanduliformi, ma acquistavano spiccata- mente questo carattere nella gatta esaurita dal digiuno dove la loro lunghezza era circa il doppio della corrispondente degli altri 192 Salvatore Comes soggetti (Fig. 184) Quivi i granuli plasmatici si riducevano attorno al nucleo, la parte basale della cellula era vuota. La forma e più specialmente la funzione glandulare delle cellule del follicolo fu già descritta da Regaun e PoLicarD (106), nelle uova delcane !). Questi Autori giunsero ad ammettere, come del resto molto tempo primo aveva fatto il PaLapINO (89) e poi anche il Crery (34), che le sostauze secregate pissassero nell’ ovoplasma per mezzo della pellucida, non diedero però una prova diretta di tal passaggio. Nei Rettili il Trvci (132) dimostrò la forma glandulare di alcune cellule della granulosa e, quantunque additasse la via che il loro secreto avrebbe dovuta percorrere per arrivare all’ uovo, di tal secreto non parlò affatto, mentre di esso più ch» della forma glandulare delle cellule follicolari mi occupai io stesso nei Pesci (26). Il liquor folliculi colorabile in violetto chiaro ed in verde, e parzialmente in nero od in azzurro intenso ) nei punti dove ba- gnava le cellule del disco ooforo nel primo soggetto , era sempre incolore negli altri. Dei suoi corpi figurati ho detto sopra, ora aggiungo che nel follicolo si notano speciali disgregazioni cellulari da cuì opino derivino in parte i corpi figurati stessi. Nel complesso, da questo esame’ comparat vo, risulta che moltissimi caratteri in comune presentano le uova mature della gatta gravida al termine e quelle della gatta morta di inedia. VI. Ricerche microchimiche Per facilitare l’ interpretazione più esatta del significato fisio- logico delle parti sopra studiate, per poter dare uu giudizio il più verosimile che fosse possibile del compito da loro sostenuto nella nutrizione dell’ uovo, ho creduto opportuuo, in questo capitolo, di intrattenermi sulla natura chimica di queste parti medesime. Non voglio dissimularmi che ricerche microchimiche di questo genere hanno sempre un valore approssimativo, principalmente pel fatto di non poter portare le osservazioni sul materiale fresco; ma nutro la convinzione che esse, insieme coi fatti esposti, costituiscono 1) I reperti di quest. A. sono in gran parte simili a quelli descritti, non conoscendo i loro lavori, ma per la interpretazione data agli stessi nonchè per l'indirizzo chimico-fisiologico che ci ha guidati, siamo convinti che esiste una grande diversità fra le loro e le nostre ricerche. i 2) A seconda che si colorava coll’ematossilina tferrica HEMENHAIN, 0 col metodo del PoLLacci, i Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 193 preziosi dati e servono a dare importanza al complesso di quelle considerazioni su cui si basa del resto anche la più incrollabile delle teorie fisiologiche. Per spiegare la natura chimica della pellucida e degli inclusi dell’ uovo io mi son avvalso dei metodi della microtecnica, convinto sempre più del principio che ad un diverso comportamento d’ un tessuto verso un reattivo colorante risponde un diverso comporta- mento chimico, e mi son servito poi di quei metodi che, per avere una reazione chimica caratteristica, danno una colorazione selettiva, e per questo e perchè furono controllati e sanzionati da chimici o da chimici-fisiologi, furono detti microchimici. Come dissi anche nella mia nota preventiva, gli effetti ottenuti dalla colorazione colla ematossilina ferrica furono una prima guida per la determi- nazione della natura chimica delle sostanze contenute nella pellu- cida e negli altri organiti. Infatti la zona pellucida si colorava, come si è detto, in un nero intenso simile alla colorazione con la quale si presentavano la sostanza cromatica dei nuclei delle cellule in genere e della vescicola germinativa in specie. Tale colorazione presentavauvo pure i cromidii ovoplasmici del primo soggetto e parte di quelli riscontrati negli altri soggetti, tale colorazione si riscon- trava infine nei corpi figurati del liquor folliculi dello stesso primo soggetto. Dopo questa constatazione era verosimile credere che, come c'era tra gli elementi ricordati identità di colorazione, ci do- vesse essere ugualmente identità di costituzione chimica. Ora di questi elementi si conosce solo la costituzione chimica della nucleina, che è il componente essenziale della cromatina ve- scicolare. Essa è una sostanza proteidica , riccamente fosforata, dove il fosforo perciò entra in combinazione orgavica. Da ciò si potrebbe venire alla deduzione che i componenti chimici della pel- lucida, dei cromidii e dei corpi figurati del liquore follicolare ap- partengano al sruppo delle nucleine. Ma perchè si possa affermare sicuramente questo asserto, bisogna dimostrare, andando dal più implicito al più esplicito : 1.° Che queste sostanze contenute dagli elementi in parola siano fosforate. 2.° Che, verificata la prima condizione, tali sostanze fosforate siano contenute in combinazione organica, e non in com- binazione inorganica. 3.0 Che ove non siano sostanze minerali, cioè verificata in parte la seconda condizione , ricercare se esse sostanze apparten- 194 Salvatore Comes gano al gruppo delle sostanze proteiche o proteidiche (nucleina). 4.0 Cercare di identificare e di classificare le sostanze mede- sime qualora esse non appartengano alle sostanze proteiche. Per dimostrare la prima condizione basta servirsi di un me- todo microchimico unico atto a mettere in evidenza il fosforo dei tessuti anche nella traccia meno sensibile. Ho preferito il metodo di LiLienrIELD E MonTI, modificato dal PoLLacci (97) su tutti gli altri metodi, più o meno imperfetti, com » io stesso ho potuto constatare riguardo al metodo stesso di Li- LIENFIELD E MoxtI (70), e come altri hanno constatato pel metodo del reattivo triplo (miscela di solfato di magnesio, cloruro d’ am- monio ed ammoniaca 0 di Zimmermann) (140) su quello di HAxsEN e di SrrasBurGER (123) ecc. Il metodo di LiLinrIELD e Monti non mi diede coll’ azione riducente del pirogallolo snl fosfo-molibdato una colorazione soddisfacente e selettiva, lo abbandonai subito. Gli altri metodi non furono praticati perchè troppo noti gl’ inconve- nienti a cul andavano incontro. Il metodo più esatto chimicamente e più comodo per l’ evidenza della colorazione fu per me il metodo del PoLLaccI. Siccome in due note apposite (29, 30) ho sostenuta la verità e la sensibilità di questo metodo contro le obiezioni di egregi oppositori, mi ritengo adesso esentato dal farlo, rimandando il lettore, che voglia interessarsi più minutamente di tale quistione, alle note sudette, dove per altro è esposto il processo adoperato da me nel- l’ usarlo, insieme con qualche opportuna modificazione apportatavi. Qui è interessante notare che, in seguito al trattameiuto del tessuto col reattivo molibdico-stannoso, la cromatina vescicolare si colo- rava fortemente in azzurro ed un ugiale colore presentavano i cromidii nell’ ovoplasma, la pellucida o qualche sua parte, ed i corpi figurati del liquor folliculi, nonchè i nuclei delle cellule follicolari e connettivali. L’ovoplasma invece presentava un colorito verdino che passa all’ azzurro nella sua porzione più esterna Il metodo del PorLLacci fu controllato ancora con quello di MacaLLum (78). Varietà anch’ esso del metodo del LiLtENFIELD e MonTI, consiste s0- stanzialmente nel sostituire all’ azione riducente del pirogallolo, l’azione di una soluzione dall’ uno al quattro per cento, dopo due giorni dalla sua preparazione, di cloridrato di fenil idrazina. Con tale modificazione il molibdato sì colora in bruno, il fosfo-molibdato in verde. Di modo che, se, dopo aver lavato a lungo in acqua, previo trattamento col reattivo molibdico , sì sottopone il tessuto al reagente indicato dal MacaLLum e non si ottiene colorazione Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 105 bruna, siguifica che tutto il molibdato si scioglie nell'acqua, men- tre, se si ha una colorazione verde, significa che il fosfo-molibdato formatosi non si scioglie nella medesima, confermando così il me- todo del PoLLacer, checchè ne dica l’ AucanebtI (7). Avendo col fatto sottoposto al reattivo molibdico preparati di ovaia di gatta in avanzato periodo di gravidanza, dopo aver praticato un lungo la- vaggio, ad una soluzione acquosa al 2%/o di cloridrato di fenil- idrazina per ventiquattro ore circa, otteuni una leggiera tinta verde sempre abbastanza visibile nella pellucida, leggiera per lo stato peculiare fisiologico dell’ovaia, ma nessun accenno nel tessuto di colorazione bruna. Allora son passato alla contro prova: dopo aver fatto’ agire il reattivo molibdico sul preparato per mezz'ora circa, passai quest’ultimo direttamente nella: soluzione in parola; ottenni quasi subito una colorazione bruna o bruno-rossastra dovuta allo eccesso del molibdato ammonico che persisteva nel tessuto. Ciò è completamente in armonia con quanto scrive lo stesso MaAcaLLUM < ..... It gives with the former, (il molibdato ammonico) in powder, the brown oxide at once in solution, a brownish precipitate wich may or may not appear immediately, depending on the strength of the solution, but in a solution, of. the molybdate coutaiuing nitric acid e. g., that used as the reagent for phosphoric acid, it as no apparent effect on the molybdenum compound, althoug, in a few minutes, a soluble, reddish, aromatic compound may be for- med in the solution. On the other hand, with phosphomolybdates, either in the presence or in the absence of ammonium molybdate, or nitric acid, or of both, it gives at once the dark-green oxide of molybdenum ». Auche dopo questo importantissimo controllo ogni critica contro il metodo del PonLacci sembrami insostenibile. Iutanto, per i fatti esposti, bisogua venire alla conclusione che non solo la cromatina vescicolare o nucleare contiene fosforo (cosa nota del resto), ma che fosforo, ed in quantità ragguardevole, vi- sto il tono della colorazione, era contenuto: nei cromidii, nella pel- lucida, nei corpi figurati del liquor follicoli. Riconosciuto che le sostanze contenute negli elementi sudetti sono fosforate, bisogna vedere se il fosforo, che entra nella loro costituzione, vi si trova in combinazione inorganica, cioè per for- mare un composto minerale, od in combinazione organica. Sì tratta d’un composto minerale? No. È li ad attestarlo il fatto che la colorazione azzurra persiste negli elementi in quistione anche do- 196 Salvatore Comes po che i preparati, sottoposti al reattivo molibdico, son lavati tre giorni e più in acqua rinuovata spesso, prima d'essere immersi nel riducente. Ora la Chimica insegna che i sali di bario e di calcio, ed in genere i sali alcalino-terrosi, qualunque sia il loro radicale, sono solubili in acqua fredda. Pertanto bisogua escludere i fosfati alcalino terrosi, anche perchè, se fossero tali, si dovrebbero pre- sentare cristallizzati iu foglietti splendeuti e madraperlacei, ciò che no. avviene. E questi sono i fosfati normalmente riscontrabili negli organismi, ma non si potrebbe trattare d’un fosfato alcalino, come p. es. il tosfato di sodio, di potassio o di ammonio? Anche questo potrebbe darsi. Però si sa che questi ultimi, se non sono solubili in acqua semplice e fredda, sono solubili invece in acqua acidulata con acido nitrico o cloridrico, formaudo allora i rispet- tivi composti di decomposizione, clorati e nitrati. Ebbene, ho avuto cura di eseguire il lungo lavaggio in acqua acidulata con ognuno dei detti acidi, ed in esperienze diverse , prima di sottoporre al riducente, e questo provocava nei medesimi elementi la medesima colorazione azzurra. Si dovevano quindi escludere anche i fosfati alcalini. Se a queste constatazioni di fatto si aggiunge poi la considerazione che i fosfati nell'organismo dei Mammiferi sono localizzati per lo più nelle ossa, nel saugue, nei muscoli; che le sostanze fosforate in parola, trovandosi in. parti attive di consumo, debbano appartenere alla categoria delle sostan- ze plastiche o, come ora si direbbe, debbono concorrere a formare dei priucipii immediati, piuttostochè costituire dei composti di sta- sì (sali minerali), si può bene affermare che in esse il fosforo en- tra esclusivamente in combinazione organica. Risoluta tale questione , risolveremo implicitamente l’ altra, se cioè le sostanze fosforate, contenute in combinazione organica nella pellucida, nei cromidii, e nei corpi figurati del liquor folli- culi, possono entrare nella categoria delle nucleine della vescicola germinativa o delle nucleo-albumine, le qnali nucleine e nucleo albumine sono fra i proteici î principali composti organici conte- nenti fosforo. Bisogna intanto escludere che si possa trattare di proteine: le albumine, le globuline e l’istone, che vi appartengono sono solubili rispettivamente in acqua, anche priva di sali. od im acqua acidulata. Non si può parlare nemmeno di proteine dena- turate — fibrina, miosina, acido-proteine ed alcali-proteine — giac- chè anch’esse sono solubili in acqua acidulata. Or, come s'è visto, Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. LO l’acqua semplice od acidulata fu usata da me lungamente nei la- vaggi ed il metodo del Porraccr continuò a manifestare la colora- zione azzurra. In breve, non si può trattare nè delle sostanze sudette, né delle nucleo-albumine, nè delle altre sostanze proteiche che sotto il nome di proteidi contengono tante categorie di com- posti più o meno ricchi d’un nucleo fosforato, i nucleo-proteidi, le nucleine, i nucleoglicoproteidi, i glicoproteidi, i cromoproteidi. i fosfoglicoproteidi. E ciò perchè tutti questi composti presentano energicamente le reazioni delle sostanze proteiche. Io ho sottopo- sto dei preparati di ovaia alle reazioni sudette (tintura iodata, al- coolica, reattivo di MiLLown, reattivo del biureto ecc.) senza che la pellucida, i cromidii, i corpi figurati del liquor folliculi assumessero le caratteristiche colorazioni russe, gialle, rosso mattone, violetto ecc. delle sostanze proteiche. Dall'altra parte ricordo qui che la colorazione della ematos- silina ferrica per la cromatina vescicolare era diversa, per tonalità, da quella presentata dagli elementi sudetti. Bastava infatti, com’'io dissi altrove (29), prolungare l’ immersione del preparato, tolto dal- l’ematossilina, nell’allume ferrico, per notare la scomparsa parziale o totale dello strato nero della pellucida e la persistenza del ca- ratteristico colore d’inchiostro di China nella cromatina vescico- lare. Questa diversità di colorazione si deve forse alla maggiore quantità di fosforo contenuto dalle nucleine sulle sostanze orga- niche fosforate della pellucida e degli altri elementi, e quindi alla produzione diun composto di ferro più stabile. Ricordo in fine a questo proposito che si può desumere la natura diversa delle sostanza accumulata nella zona, cromidii, cor- pì figurati del liquor folliculi, da quelle nucleari, colorando le se- zioni colla miscela Bronpi-HemENHam. Con tale metodo di colora- zione il Prof. Russo (113) trovò che la zona si tinge intensamente in rosso vivo, così i cromidii ed il nucleolo, mentre la rete della vescicola germinativa si colora in verde azzurro come i nuclei delle cellule follicolari. Da parte mia, usando lo stesso reagente trovai che la colorazione dei corpi figurati del liquor folliculi era spesso rossa ma anche verde, violetta o bleu, quella della pellucida e dei cromidii rosso-viva; rosso-verdastra la colorazione della cromatina vescicolare. Dopo tutto bisognava escludere che le sostanze fosforate de- gli elementi in esame fossero proteiche, e quindi nucleine o nu- cleo-albumine. Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 2. 14 198 Salvatore Comes Ed escluso, come s'è dimostrato, che sì possa trattare di so- stanze proteiche, a quale categoria di altre sostanze fosforate. si possono ascrivere quelle contenute dagli elementi da noi studiati? Come è noto , fra le sostanze ternarie le sole contenenti fosforo sono la lecitina fra i grassi ed altre sostanze mieliniche quali la cerebrina e il protagono. | La cerebrina, per quanto si sa, fu riscontrata nel sistema ner- voso, il protagono si è riscontrato ugualmente fra le sostanze con- tenute nel cervello. Cosicchè , non solo per esclusione, ma per dati fisiologici e chimici, bisogna ammettere, com’ io già nella mia nota preventi- va (28) dicevo, che tali sostanze si debbano far entrare nel gruppo delle lecitine. Si è visto, infatti, dalle ricerche del Russo, che le uova di coniglio, iniettate di lecitina MERK, presentavano costan- temente tanto la pellucida che l’ovoplasma fortemente forniti della parte colorabile in nero, costanza che negli’altri casi, nemmeno nel periodo degli amori, fu riscontrata 1). Nel dubbio che la lecitina iniettata potesse essere assorbita, previa decomposizione, lo stesso Russo volle vedere se, sottopo- nendo la lecitina MERK, da lui usata nelle iniezioni, ai reattivi del Ponvnacci e dell’ HrIDENHAIN, essa si colorava caratteristicamente in azzurro od in nero violetto. L'esperienza, come precedentemente fu detto, confermò questo fatto; la lecitina si presentava, 2 vitro, in forma di goccioline colorate rispettivamente in nero od in az- ZUITO. Il graduale decoloramento, o la scomparsa di colore nero od azzurro nella pellucida, nei cromidii, e nei corpi figurati del liquore follicolare, in casi speciali di denutrizione dell'organo (gestazione al termine, digiuno prolungato) dimostra che queste sostanze sono mobilissime ed influenzabili da un variabile metabolismo. Quali altre sostanze, più dei grassi o dei loro composti, possono essere talmente influenzabili ? Depone inoltre per quest’ultima ipotesi il progressivo vacuolizzamento dei cromidii; le sostanze proteiche non danno, nelle loro trasformazioni anaboliche, tali vacuoli. Diremo pertanto che la lecitina è portata principalmente dal sangue, che la contiene in grande quantità, ai vasi follicolari; quindi passerebbe 1) E bene qui ricordare che anche le sezioni di uova di pollo, ricche come si sa di lecitina, attraverso l’area germinale, presentano col metodo di PoLacci e con quello di HripENHAIN una colorazione rispettivamente azzura e nera. Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 199 (direttamente, o dopo scissione nei suoi prodotti di costituzione ?) nelle cellule follicolari, donde, dopo una serie di trasformazioni, su cui naturalmente è buio completo, passerebbe in parte direttamente nella pellucida, in parte nel liquor folliculi, ivi formando speciali ammassi di riserva che sarebbero i corpi figurati. 1) Anche la leciti- na di questi ultimi, come si vide, scomparirebbe in determinati momenti, coincidenti con un notevole aumento delle sostanze fosfo- rate della pellucida Un notevole compito nella secrezione lecitica delle cellule follicolari della coroua radiata è certamente assunto dal nucleolo di queste cellule che scomparisce in condizioni di minima attività nutritiva e funzionale dell’organo (prim) e ultimo soggetto) e che coi reattivi si mostra colorato come la pellucida e i cromidil. j Questi infine deriverebbero dalle lecitine della pellucida per passaggio diretto, molto probabilmente, cioè senza che avvenga una scissione e una succassiva sintesi dei componenti della lecitina. Mi spinge a tale opinione il fatto che spesso cromidii isolati rotondi stanno o in seno alla pellucida o fra questa e l’ovoplasma o immersi in quest’ultimo, senza che in questa lenta gradazione di posizione ci fosse differenza di colore o di forma. Quando però le sostanze fosforate della pellucida filtrano per essa sotto forma di minutissimi gravuli colorati che costituiscono nel loro insieme lo strato periferico granuloso dell’ovoplasma, sul quale m' intrat- teuni parecchio, è probabile che avvenga una condensazione, di- ciamo così, di granuletti per formare il cromidio e che questa con- densazione avvenga col mezzo di una parte dell’ ovoplasma che costituirebbe così il cemauto, lo scheletro del cromidio stesso. Iu- fatti, quando il cromidio è in via di decolorazione, si nuotano spesso tre o quattro granuletti neri (con l’ematossilina ferrica) nell’inter- no di un corpo ovoide, incolore, che è certamente ovoplasma dif- ferenziato. Quando tale decolorazione e disgregazione è portata sino alla scomparsa dei granuletti, resta il solo corpo cromidiale ovoplasmico poco colorato. Ora tale costituzione dei cromidii ci spiega la loro colorazione iu rosso con la safranina e l’identica colorazione della pellucida in cui c’era tuttavia un substrato pla- 1) Secondo il PaLapino (89), il Regan e PorigarD (106) e specialmente se- condo gli studii recenti del Russo (115, 116) l’epitelio germinativo ovarico avrebbe una funzione di assorbimento e di successiva secrezione interna. a cui sarebbe legata la formazione dei materiali di nutrizione dell’uovo. 200 Salvatore Comes smico (porzione fondamentale) poco colorabile coi reattivi. Questa colorazione è propria delle lecitalbumine, ma, dopo quello che si è detto, non basta questo solo fatto per comprendere tra le lecital- bumine le sostanze fosforate dei cromidii e della pellucida. Pri- mieramente queste non manifestano le reazioni delle sostanze pro- teiche a cui appartengono le lecitalbumine, in secondo luogo la colorazione della safranina è dovuta sia pei cromidii che per la pellucida a substrato plasmico. Del resto nel coniglio il Prof. Russo ha trovato che tanto i cromidii che la pellucida rimanevano in colori colla stessa safranina, mentre i primi si presentavano colo- rati in nero, fissando col liquido di FLemmInG e colorando col me- todo ordinario della ematossilina eosinica: ciò prova che essi con- tengono grassi. Depone a favore della opinione che le sostanze fosforate in parola siano lecitine, il fatto, già ricordato, che i fis- satori molto acidificati con acido acetico, conservano male le so- stanze stesse e pertanto, in seguito all’azione dei reattivi coloranti, la pellucida si mostra poco o niente colorata, i cromidii ridotti in vacuoli, laddove l’organo ovarico dello stesso animale fissato con liquido poco o niente acidificato, mostrava colorati nei suoi ele- menti sessuali pellucida e cromidii. Or è noto che l’acido acetico esercita una caratteristica azione solvente sulle lecitine e non sulle proteine. Dopo tutto bisogna ascrivere indubbiamente nel gruppo delle lecitine le sostanze fosforate contenute dalla pellucida e dai cromidii, nonchè dai corpi figurati del liquore follicolare. Se poi siano esse allo stato di lecitine vere e proprie, ovvero ridotte al nucleo fosforato di queste ultime, vale a dire all’acido fosfo-glice- rico o a qualche sale minerale di quest’acido, io non ho potuto determinare. Due fatti però ricordo: in primo luogo che i sali di bario e di calcio dell'acido fosfo-glicerico hanno la proprietà di esser solubili in acqua fredda, perciò non si dovrebbe ottenere, dopo il trattamento dei reattivi coloranti, specie di quello del PoLrAcci, in cui occorre un prolungato lavaggio. la colorazione caratteristica che invece si ottiene. Resterebbe solo il caso che si potesse trattare di glicero-fosfato di Soda sotto la cui forma, com’ è noto, l'acido fosfo-glicerico è specialmente assimilabile. In secondo luogo se non è certo, è molto probabile che al nucleo fosforato di dette sostanze si accompagni sempre l’acido grasso. To ho notato spesso dei cromidii compresi in vacuoli, fissando an- che con sublimato alcoolico leggermente acidulato, e spesso, come Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ece. 201 dissi, invece di cromidii, col medesimo fissatore, si notarono sol- tanto vacuoli. Non potrebbe pensarsi che il grasso s'incorpori al nucleo to- sforato per essere assimilato ( Bortazzi, 22) e quindi passi nel- l’ovoplasma per esser digerito, e che in questa continua trasfor- mazione tutto il cromidio si'risolva in grasso ? Naturalmente noi non vediamo i globuli di grasso ma i vacuoli, perchè il grasso si scioglie cogli alcooli e le essenze occorrenti durante le manipola- zioni e più specialmente col calore abbastanza elevato della stufa (60°), atto a far sciogliere i grassi meno solubili, quando sì pensi. che il più alto punto di fusione dei grassi, dato da quello a cui si scioglie il sego del cammello, è solo di 49°; donde deriva che in luogo dei grassi si riscontrano i vacuoli. Niente infine di sicuro si potrebbe affermare sulla natura chimica dei corpi cristalloidici contenuti nei cromidii decolorati del soggetto morto per inedia, non avendo potuto operare sul fresco, nè avendo altri caratteri diagnostici. ; VII, Significato fisiologico della pellucida e degli altri inclusi ovulari Per affrontare questa importante ed ultima quistione ritengo opportuno, come già aveva fatto il ParapINo nei suoi lavori sul- l’ovaia dei Mammiferi (89), dividere la vita dell’ovocellula in tre momenti corrispondenti, su per giù, ai tre stadi da essa attra- versati nello sviluppo: ovocite di primo ordine, ovocite di secondo ordine, uovo in via di maturazione. Questi tre momenti, come risulta dalle osservazioni fatte, si possono determinare nel modo seguente : 1.- Periodo di stasi. — A questo stadio, corrispondente all’ovo- cite di primo ordine, non si ha ancora una forte attività nutritiva. L’oocite di primo ordine richiama la cellula germinale rispetto alla quale poco s'è differenziato; in esso il ricambio dei materiali è molto limitato. Per siffatta ragione, l'elemento sessuale, a questo stadio, era pochissimo influenzabile dalle condizioni fisiologiche speciali del- l'organo ovarico (periodo degli amori, gravidanza) o generali del- l'organismo (digiuno). Infatti, in seguito alle osservazioni fatte in tutti i casì presi in esame, altra modificazione non incontrai che 202 Salvatore Comes la rarità del nucleo vitellino nelle uova a questo stadio, nel sog- getto sottoposto al digiuno esauriente. Ciò del resto si connette alla funzione nutritiva del nucleo vitellino (centrosoma ?) da mol- tissimi Autori attribuita a quest’organite. 2.- Perwodo di assorbimento. — A questo secondo momento fisio- logico corrisponde lo stato morfologico di ovocite di secondo ordi- ne. L'uovo, a questo stadio, è nel massimo della sua attività. Il suo nucleo si presenta in continua attività cinetica per trasfor- marsi gradatamente nella vescicola germinativa, il suo protopla- sma, per fenomeni interessanti, in maggioranza ignorati, di meta- bolismo, sì trasforma in vitello. Tutto questo lavoro deve essere compensato da un'equa nutrizione, la quale nutrizione gli proviene esclusivamente dal follicolo già formatosi, le cui cellule vanno acquistando la forma glandulare, perdendo la cubica propria del- l’epitelio cui appartengono, in esse infatti è più granulosa la por- zione basale posta in relazione coll’ovoplasma. Per il grande biso- gno di sostanze nutritive da parte dell’ ovoplasma, le sostanze medesime non si rendono visibili che solo allora quando furono segregate in eccesso. L'ovoplasma si saturerebbe di queste sostanze, l'eccesso sì condensa nei cromidii che sono spesso visibili a que- sto stadio. Non essendosi differenziata ancora una vera pellucida la cui maggiore consistenza farebbe sostare i materiali nutritizii nel loro passaggio, questi ultimi difficilmente si colgono sulla dif- ferenziazione basale della corona radiata. I cromidii cosiffatti rap- presentano dunque dei veri materiali di riserva, accumulati nell’o- voplasma in seguito alla secrezione follicolare, materiali che ver- ranno adibiti alla nutrizione dell’ uovo nel successivo momento di maturazione. Naturalmente la loro quantità è in rapporto alla condizione fisiologica della glandola; pertanto essi mancavano nel soggetto sottoposto a digiuno limitato, e si presentavano profonda- mente modificati nella gatta morta per inedia e nei soggetti in gravidanza; poco frequenti, ma colorati benissimo in nero, si ri- scontravano nella gatta normale, uccisa anteriormente alla frega, appunto perchè quivi troppo limitata era l’attività degli elementi sessuali, molto più numerosi si presentarono nel periodo della fre-. ga in cui tale attività aumentava, sebbene aumentasse nel con- tempo il bisogno della reintegrazione. Alcuni di questi eromidii vengono trasformati pei bisogni dell’ ovocite in grassi, secondo lo speciale processo anabolico di cui parlavo al capo terzo; altri riman- Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 203 gono a questo stadio, accrescendo di più la loro massa, per subire il processo di trasformazione grassa nel seguente periodo. Dopo quanto si è detto, è opportuno far notare che i cromidii da îme descritti hanno tutt'altra origine da quella attribuita a formazioni analoghe da Van BamBkcK& (8), da Van DER SrgIcHT (125 e 128), da Limon (71), da Cesa-BrawcHI (28). Il primo di questi A. con- siderò i cristalloidi dell’ovocite di Pholcus phalangivides come or- gani segregati dal citoplasma o dal nucleo, col probabile compito di riserva nutritiva e gli speciali frammenti colorati riscontrati nell’ovoplasma dello stesso Pholcus come disgregazioni del nucleo vitellino primitivo. Il VAN DER STRICHT, in una serie di pubblica- zioni sull’ ovocite del pipistrello e di altri Mammiferi, ha cer- cato dimostrare che questi condriomiti o pseudocromosomi hanno origine dalla « couche vitellogène entourante la vesicle germinative, couche » che sarebbe a sua volta determinata da una differenziazione del nucleo vitellino. Il Limon, che riscontrò i cristalloidi nel coniglio, pare che non nutra opinione diversa dalle precedenti sulla loro origine. In breve questi A. ed altri molti, suppongono che i detti cromidii abbiano origine nucleare, più o meno direttamente [HenscHEN (58), D’ HoLLANDER (34), KokLLIKER (637)], o siano prodotti in seno all’ovoplasma per uno speciale me- tabolismo [GrarpInA (47)]. Il Cesa BrancHI (26) poi, occupandosi della esistenza « di alcune particolari formazioni nell'uovo di al- cuni Mammiferi », ebbe a dire, che, nell’ovocite di cagna, i corpi cromatici riscontrati nell’ ovoplasma fuoriescono dall’ uovo attra- verso la pellucida , portandosi fra le cellule della granulosa ed anche dello stroma ovarico. Veniva a questa conclusione, basan- dosi sulla osservazione che i corpi cromatici son tanto più grandi quanto più periferici e tanto più omogenei nel colore, quanto più si trovano sulla pellucida o al di fuori di essa, mentre nell’ inter- no questi corpi appaiono formati da un corpuscolo centrale colorato e da un’area chiara adiacente. Io non so perchè il Cusa BrancHI, tanto vicino a me nella descrizione di tali corpi, attribuisca loro un comportamento così strano e poco spiegabile che pare arieggi la vieta ed antica veduta di SABATIER (167), pel quale i cromosomi fuoruscenti dall’ uovo diventerebbero nuclei delle cellule follicolari. Senza tener conto dei miei reperti sulla gatta, è facilissimo osser- vare la inverosimiglianza della ipotesi del Cesa-BrANCHI, ritorcendo contro di essa la giusta interpretazione dei fatti messi in vista dallo stesso. In vero l’essere i corpi cromatici tanto più piccoli e 204 Salvatore Comes tanto meno colorati quanto più sono interni nell’ uovo dice, a senso mio, che essi si disgregano a benefizio dell’ovoplasma. Lo mostra- no” chiaramente i corpi disgregantisi dell'uovo di gatta in gesta- zione ed in digiuno. Quasi mai io osservai pseudocromosomi al centro dell’ovoplasma, bensi e sempre alla sua periferia. Del resto io posso apportare nella quistione messa innanzi dal Dott. Cesa- BrancHI un contributo personale. Avendo sezionato anch'io delle ovaie di cagna, vi riscontrai, è vero, i corpi descritti dal sudetto Autore, sempre però omogeneamente colorati con grandezza certo non proporzionale alla loro vicinanza colla pellucida, all’interno, al di fuori, e nel seno della quale potei sempre notare piccole granulazioni dello stesso colore dei corpi riscontrati nell’ovoplasma. Tale disposizione, non ricordata affatto dal suddetto Autore, ci significa che sono queste piccole granulazioni le quali. filtrando man mano per la pellucida, formano, coll’ammassarsi nell’ovopla- sma, l corpi in quistione. Che ciò sia puossi verificare ricorrendo alle iniezioni delle lecitine, iniettate anche nella cagna al di sotto del peritoneo. Dopo questa esperienza, ripetuta in due o tre volte, s'è potuto vedere, nelle sezioni dell'organo, che i granuli minuti si disponevano al. di sopra, dentro, e specialmente al di sotto della pellucida, formando quivi uno strato a corona di rosario: 1’ ovo- plasma poi ne era del tutto gremito. Dopo di che bisogna accet- tare che anche nella cagna, la marcia di questi granuli è cevtri- peta e non centrifuga. | Se poi i corpi cromatici dell’ovocite, da me riscontrati, siano da considerare come cellule follicolari degenerate già introdotte nell’ovoplasma, non è quistione seria da dimostrare, dopo i lavori del Mincazzini (86), deila Lovez (75), del TRINcI (131) ecc. dimo- stranti che nello strato normale non esiste una fagocitosi follico- lare, per quanto sostenuta dal KoLBrUGGE (62) e dall’ Osst (88) ed ammessa in trattati generali, come quello recente dell’ Houssay (59). Così pure dobbiamo escludere l'opinione che questi cromidii in specie e le sostanze colorabili della pellucida e del follicolo in genere, siano granuli o materiali di pigmento come dei primi ha pensato il Levi (68) pei gonociti di Salamandrina, e con lui tanti altri. Dalle ricerche chimiche e dalle considerazioni morfologiche fatte, tale opinione pel caso in esame, non potrebbesi accettare. 3.- Pertodo di auto-nutrizione. — In questo periodo l'uovo, in via di maturazione, ha bisogno d’un ricambio di materiali auche Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 205 più abbondante di quello che esigeva nello stadio precedente. I materiali assorbiti attraverso la pellucida, già differenziata, sono ben presto usufruiti e trasformati dall’ovoplasma. Ora. se si produce un eccesso di questi materiali, oltre alla formazione dei cromidii nell’ ovoplasma stesso, noi avremo una condensazione di materiali sulla pellucida, riservati a filtrare nel- l’ovoplasma in momenti di carestia. Così un eccesso di questi ma- terieli ritroviamo certamente nelle uova della gatta in frega, ed in quelle dei due soggetti tenuti rispettivamente in dieta ed in breve digiuno, nella stessa epoca dei calori; dove si potrebbe dire che l’azione poco intensa della fame avesse stimolato di più l’as- sorbimento da parte dell'uovo in attività Un leggie v eccesso di tali materiali si riscontrò pure nelle uova di gatta uccisa in un periodo anteriore a quello degli amori, dove, se poco abbondante era il ricambio, minima era l’attività funzionale della glandola e minimo aucora il bisogno della reintegrazione. Quando però il ricambio dei materiali è profondamente dimi- nuito, per deviazione di questi stessi materiali in luogo di maggior consumo, o per denutrizione dell'intero organismo, non solo nella pellucida non si manifesta deposito alcuno di materiali, ma quegli stessi che, sotto forma di cromidii, si erano condensati nell’ovocite dì secondo ordine, sono usufruiti; quindi si presentano scolorati, disgregati, profo:\damente alterati. E il caso della gatta al termi- ne della gestazione e di quella morta per inedia. Che i materiali che si trovano nella pellucida passino nel vi- tello, ci vien dimostrato dallo strato granuloso e colorato, perife- rico di questo, dalla maggior quantità di cromidii in corrispon- denza delle parti più colorate della pellucida, dalla presenza di cromidii nella zona, o fra questa e l’ovoplasma, dalla medesima colorazione dei materiali dei cromidii e di quelli della zona, dal medesimo comportamento coi reattivi microchimici. À tal riguardo si potrebbe paragonare l’ ovoplasma ad un solvente, il materiale lecitico che passa attraverso la pellucida ad un solubile. Sino a quando non fu raggiunto da quello il punto di saturazione non sì ha nessun condensamento di materiale, ma se il limite del po- tere solutorio del solvente fu oltrepassato, l'eccesso del solubile si condensa: quindi i cromidii, quindi lo strato colorato della pel- lucida. La presenza dei vacuoli nell'uovo è, come fu detto, testi- monianza d’un processo ulteriore di trasformazione del corpo cro- midiale, che si avvera dove è massima l’attività funzionale dell’ele- 206 Salvatore Comes mento sessuale. Ecco perchè le uova mature, all’epoca dei calori, sì presentano piene zeppe di vacuoli e sfornite di cromidii, pur manifestando un eccesso di materiali nella pellucida. Da ciò emerge che tanto i materiali della pellucida quanto quelli dei cromidii rappresentano sostanze di riserva, usufruibili all’ uopo, e che 1 ero- midii derivano direttamente dui materiali provenienti dalla pellu- cida. Quest’abbondanza di materiali nutritivi che, con ogni proba- bilità, son delle lecitine, ci spiega il deperimento delle persone in cui fu praticata l'estirpazione delle ovaie e il rinvigorimento di quelle cui fu iniettato l estratto ovarico, difendendo la tesi di F. MagsaLL e di W. IoLLy (82) che l’ovario sia un organo a secre- zione interna. Questa stessa abbondanza di materiali nutritivi nelle parti su ricordate e specialmente nella pellucida è verosimile che sostituisca il vitello nutritivo delle uova dei Sauropsidi che manca nell’ uovo dei Mammiferi; è verosimile inoltre che i materiali in parola co- stituiscano un prezioso accumulo di riserva nutritizia usufruibile, dopo lo scoppio del follicolo di GraAr e la caduta dell’ uovo nelle trombe uterine, anche nei primi stadi delle formazioni embrionali, oltre a quello fornito in tali stadii dalla neoformazione deciduale, come dimostrò il PaLADINO (89). Adesso vediamo da quali parti l'uovo richiama questi mate- riali, avendo sfruttati già in gran parte quelli delle cellule folli- colari sim dallo stadio precedente. Un compito certamente importante nella nutrizione dell’ uovo sostiene il nucleolo delle cellule follicolari costituenti la zona ra- diata. Pare che esso contribuisca a formare il secreto versato da queste cellule nella pellucida: infatti esso manca nella gatta sa- crificata anteriormente alla frega, dove sono le cellule follicolari le principali ed esclusive sorgenti nutritive, ed è raro anche in quella esaurita dalla lunga inedia. Nel periodo degli amori, com- presi i due soggetti sottoposti a dieta ed al limitato digiuno, du- rante lo stesso periodo, esso è sempre visibilissimo, come se in questo periodo anche per le cellule follicolari ci fosse, com’ è ve- rosimile che ci sia, un aumento del ricambio. La presenza del nucleolo si notava anche nelle uova delle gatte gravide, forse per- chè da un lato la poca distanza dallo stato d’ipernutrizione della frega, dall'altro lo stato di letargo funzionale dell’ uovo, che dura per tutta la gestazione, non facciano sentire il bisogno d’un atti- Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ece. 207 vo ricambio, bastando solo i materiali di riserva dei cromidii e della pellucida. ; Questa funzione nutritiva più o meno diretta del nucleolo , anche come elemento di secrezione fu riconosciuta da molti Auto- ri, come p. es. CARNIER (41), Henry (52), MARTINELLI (83), PHISALIX (94), PrenANT (99). Vicar (137, 13 >), Beer (14)—che diede pure un riassunto delle nostre attuali conoscenze sul nucleolo. — ALBRECHT (1) IansEnss (61), LusosH (76), CoLpscamIDT (48) ecc. Ma non sempre il nucleolo basta a soddisfare le esigenze nu- tritive dell’uovo e spesso non vi si presta. Donde l'uovo richia- merà questi materiali? Ve ne sono altri usufruibili? Io ho ricor- dato che a proposito del primo soggetto, nel liquor folliculi esistono speciali corpi, colorabili coi reattivi come i cromidii e come le sostan- ze di riserva contenute dalla pellucida. Questi corpi mancavano in tutti gli altri individui esaminati, dove il liquor follicoli era par- ticolarmente decolorato. Ora è lecito pensare che i corpi figurati del liquido follicolare, formatisi in un periodo di riposo (primo soggetto) vengano poi disciolti nel liquor folliculi, quando |’ atti- vità funzionale dell’ovaia è accentuata (periodo degli amori), od è deperito il suo stato nutritivo (periodo della gravidanza, dieta , digiuno ecc.) Il liquor folliculi poi manderebbe direttamente, per correnti intercellulari, questi materiali nutritivi che contiene. Le correnti, nella gatta, sono visibili spesso alla loro confluenza nella pellu- cida, sotto forma di protuberanze ramificate, essendo quivi più cariche di sostanze fosforate, ma anche fra le cellule follicolari spesso notansi in forma di lacune colorate in nero (Fig. 11) od in azzurro, secondo il reattivo usato. Si possono vedere al completo tali correnti se si decolora poco con allume ferrico il preparato gia colorato con ematossilina H«IpeNHAIN: è facile osservare allora un bel reticolato nero limitante le cellule follicolari, che si mette in relazione colla pellutida da un lato, col liquor folliculi dall’ al- tro (Fig. 10) e che scompare colla successiva decolorazione. Que- sto reticolato è forse identico a quello messo in vista dal PaLa- DINO (89) e ben a ragione da lui considerato come un classico siste- ma circolatorio per la distribuzione dei succhi, o che arrivino dal sangue, o che si formino sul luogo; che nei casi di denutrizione dell’ uovo i materiali provengano ad esso esclusivamente dal liqui- do follicolare è evidentemente provato dal fatto che nei soggetti di digiuno più o meno prolungato, la zona pellucida è coloratissi- 208 Salvatore Comes ma e spessa dalla parte del disco che si trova in contatto diretto colla grande cavità follicolare, mentre verso l’ilo del disco essa è meno o per nulla colorata (Fig. 18). Eppure dissi, e fu detto pri- ma di me dal Prof. Russo, che nel normale i materiali di riserva sono maggiormente accumulati nella pellucida proprio in corrispondenza all’ilo stesso del disco. Ciò è spiegabile pel fatto che nel normale l’arteriola follicolare, più robusta verso l’ ilo, come ho notato, porta un’abbondanza di materiale nutritivo che arriva più presto all’uo- vo nel punto più vicino; nei casì di denutrizione il sangue è po- vero di questo materiale e l’uovo per nutrirsi ricorre al liquido follicolare. Quanto ai cromidii, essi a questo stadio raramente si presentano neri, essi vengono adibiti dall’uovo ed ulteriormente trasformati; ben lo prova l’ incipiente vacuolizzamento che qual- cuno di essi presenta, o la disgregazione o la decolorazione. Così è spiegabile lo stato vaculare caratteristico delle uova mature. I cromidii accelerano di più le modificazioni sudette quanto più gran- de è il bisogno di nutrizione dell’uovo (gatta in gestazione), e se essi non preesistevano, non si formano affatto (gatta in digiuno). Cromidii e materiali nutritivi della zona si riscontrano nel mag- gior numero di uova di gatta, solo qualcuno ne è sfornito, donde la distinzione da me fatta, in principio di queste ricerche, di uova malazionate e leucozonate, distinzione che sarebbe più marcata e precisa se, in vista della relativa costituzione chimica , dessimo alle prime la denominazione di uova lecitozonate e alle seconde quella di ‘alecitozonate. Questa doppia specie di uova, già no- tata dal Russo (114) nel coniglio, potrebbe avere, come questo Autore ebbe a dire, una notevole influenza negli ulteriori processi ontogenetici. Un’ ultima interessante quistione può essere rischiarata dai reperti di queste ricerche. Già ricordai. che la posizione della ve- scicola germinativa si notava sempre in corrispondenza della mag- gior colorazione e del maggiore ispessimento della pellucida ed in vicinanza “dei corpi cromatici, sia perciò all’ilo del disco, sia dalla parte opposta del cumulo ooforo (casi di deperimento) od in posizioni intermedie. Ciò premesso si possono intendere altrimenti quei movimenti eseguiti dalla vescicola germinativa o del nucleo su cui sì è fermato tanto il Giarpina (46). Abbandonando l’opi- nione del RHumBLER (109) che considerava questi movimenti deter- minati meccanicamente dall'azione inibitoria del centrosoma, quella Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 209 del PerrumogewrrscH (92) o del Rarrak&L® (103), secondo i quali il ‘centrosoma, modificando il circostante protoplasma, chimicamente stabilisce al nucleo una via direzionata, quella del GerasIMoFe (45) pel quale il movimento del nucleo si dovrebbe alla prevalenza di forze da esso emanate che gli fornirebbero la strana qualità dinamica d’una forza vitale, quella stessa del GrarpINA che dà una spiegazione non meno meccanica, considerando i movi- menti del nucleo prodotti nel senso d’una minore tensione super- ficiale della parte del protoplasma verso cui si muove, diremo più semplicemente e forse più verosimilmente: la vescicola germinativa ha bisogno di nutrirsi per compiere la sua cinesi, quindi sì muove verso il luogo di maggior nutrizione; il chemotattismo invocato è una funzione della pellucida e dei corpi cromatici, questo chemotat- tismo, essendo determinato da materiali eminentemente nutritivi, può assumere la denominazione più pratica di trofotattismo. Ciò accorda con la affermazione del Loew (74), riportata dal Bor- tAZZI (22), che l'ufficio biologico dell’acido fosforico —contenuto, da solo o in combinazione, dalla p-llucida e dai corpi cromatici—sia di favorire la formazione della nucleina attiva del nucleo cellula- re, che perciò a quegli elementi che-lo contengono si avvicina. Certamente la mia osservazione non elide, ma appoggia invece quella del GrarpINa e di altri, di una influenzi, cioè, chemotattica eserci- tata sul nucleo dal protoplasma nel senso che la pellucida, venen- do a modificare la costituzione chimica dell’ovoplasma, ne fa va- riare la tensione superficiale ed in proporzione alla quantità di materiali che contiene. L’ HapkrLaNDT (49) trovò che i nuclei» delle cellule vegetali meristematiche si avvicinano di più là dove più attivo è l’accre- scimento in spessore della membrana cellulare, dove massima è l’attività chimica esercitante sul nucleo azioni chemotattiche: non bisogna dimenticare però che quivi l’ accrescimento dello spesso- re della membrana si fa a spese del protoplasma periferico che perde quindi di tensione, mentre nel caso in esame è la pellucida che riversa nell’ovoplasma dei materiali che ne aumentano la ten- sione. Dopo le mie considerazioni non avrebbe più forma dubita- tiva il seguente periodo del GrarpIinva « quantunque non si possa dir nulla di preciso sulle cause dello sposta- mento della vescicola germinativa pure resta sempre plausibile che anche in questo caso si tratti di tattismi 210 Salvatore Comes di determinata natura chimica, per l’esistenza dei quali sì trovano nell'uovo condizioni favorevoli ». VIII. Conclusioni Le ricerche fatte si possono così riassumere: l.-La struttura dell'uovo nei Mammiferi è influenzabile, sia morfologicamente che chimicamente, da funzioni peculiari dell’or- gano genitale, (periodo della frega, gravidanza, periodo di riposo sessuale). 2.-Quest’ influenza viene anche presso a poco esercitata da processi sperimentali condotti in modo da alterare le condizioni nutritive, sia della glandola ovarica, sia dell'organismo intero (azio- ne del digiuno, iniezioni di lecitine secondo ha dimostrato il Russo). si 8.-Conseguentemente l’ uovo, come ogni altra parte istologica dell'organismo, è variabile nella sua costituzione col variare del ricambio dei materiali che ad esso direttamente o indirettamente provengono. 4. -Questa variabilità nella struttura chimica e morfologica dell’uovo riflette particolarmente alcune sue parti. Queste parti sono: la zona pellucida, i cromidii, i nueleoli delle cellule follico- lari, 1 corpi figurati del liquor folliculi. 5.-La zona pellucida è morfologicamente costituita da due porzioni. L'una, che possiamo considerar come fondamentale, è colorabile poco coi reattivi e risulta da una differenziazione del protoplasma basale delle cellule della corona radiata. Essa non è una produzione strettamente cuticolare, avendo struttura piuttosto granulosa ed essendo permeabile. Essa si riscontra in tutte le uova, anzi è la sola costituente della pellucida di quelle uova che sì dissero alecitozonate (leucozonate). L'altra porzione è generalmente intercalata nella prima, co- stituendo uno strato, continuo o discontinuo, più denso, non ra- diato, più colorabile dai reattivi, e precisamente colorabile in nero coll’ematossilina ferrica, in azzurro col reattivo del PoLvacci: si riscontra nella maggioranza delle uova in maggiore o minore ab- bondanza, queste uova furono perciò dette lecitozo nate (mela- zonate). 6.-Questa seconda porzione scompare durante il periodo della gravidanza e coll’azione del digiuno prolungato, cioè sotto condi- Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche ecc. 211 zioni particolari di denutrizione, essa aumenta durante il periodo della frega. La sua posizione varia col variare di tali momenti fisiologici: da ciò si ricava che tale porzione costituisce un accu- mulo di materiali di riserva per l’ uovo, da questo usufruibile quando ne abbia di bisogno. 7.-Direttamente legati all'esistenza della porzione trofica o di riserva della pellucida, e non considerabili come prodotti metabo- lici dell’ooplasma o di suoi inclusi caratteristici, esistono, alla pe- riferia dell’ooplasma stesso, speciali corpi cromatici, risultanti dal condensamento dei materiali di quella porzione, passanti per la pel- lucida. Questi corpi sono ugualmente influenzabili dalle medesime condizioni fisiologiche o sperimentali che modificano il ricambio dei materiali, e possono aumentare di numero, diminuire, modificare la loro costituzione, e scomparire affatto. Essi constano d’ una por- zione fondamentale, da considerare come differenziazione ovoplasmica che cementa il materiale trofico, e di quest’ultimo il quale vi si ‘condensa e, condensatovisi, sì disgrega a seconda dello stato fisiolo- gico dell’ovaia, e dell'organismo, con modalità caratteristiche. 8.-Pare che nell’ ulteriore modificazione i corpi cromatici por- tino alla formazione del grasso che si presenta, nei preparati, sotto forma vacuolare, contribuendo alla formazione del vitello nutritivo. Anche i vacuoli si trovano in relazione diretta con le diverse con- dizioni fisiologiche studiate. 9.-L’ovoplasma distingue una sua porzione periferica più gra- nulosa e più colorata della centrale, dovuta alla continua filtra- zione di materiale trofico della pellucida. Quindi la presenza di questa zona ovoplasmica sta pure in relazione con la porzione trofica della pellucida medesima. 10.-Esiste uno spazio perivitellino, dove talora si condensa del materiale proveniente dalla pellucida, spazio che può in deter- minate condizioni diventare virtuale. 11.-I nucleoli delle cellule follicolari, e in special modo quelli del disco proligero sono, non meno delle parti precedenti, influen- zabili dallo stato fisiologico dell'animale. Similmente si comporta- no i corpi figurati del liquor folliculi dovuti anch'essi al conden- samento di sostanze sciolte nel liquido follicolare. 12.-A meglio dimostrare la funzione nutritiva di questi corpi e del liquido che li contiene, bisogna ricordar l’esistenza d’un ricco reticolato che fa comunicare la pellucida col liquido stesso ed è 912 Salvatore Comes invero un sistema circolatorio, come disse PaLapINO, e nutritivo nel tempo stesso. 13.- Tanto la seconda porzione della pellucida o porzione trofi- ca, i cromidii in parte, ed i corpi figurati del liquor folliculi, sono chimicamente delle sostanze fosforate. 14.-Tali sostanze, con molta probabilità, dalle ricerche micro- chimiche fatte, appartengono al gruppo delle lecitine. Esse, elabo- rate dalle cellule follicolari che assumono forma e funzione glan- dolare, arrivando a queste cellule sia per le vie sanguigne, sia dal liquor folliculi, vanno a benefizio dell'uovo durante la sua matu- razione. 15.- Conseguentemente la membrana pellucida dell’ uovo dei Mammiferi è analoga e chimicamente omologa al tuorlo delle uova dei Sauropsidi, ricco, come si sa, di lecitine, e ne sostituisce il deutoplasma nell'uovo dei Mammiferi poco rappresentato. 16.- La vescicola germinativa è regolata,’ nei suoi movimenti, da un tattismo trofico che la fa avvicinare al punto della pellu- cida o dell’ovoplasma maggiormente nutrito. cioè contenente un maggior cumulo di materiali lecitici. IT.-In ordine alla distinzione fatta delle due specie di uova in lecitozonate ed alecitozonate, distinzione che si riferisce alla loro diversa costituzione chimica, si può pensare, col Russo, che esse abbiano una peculiare importanza nella successiva onto- genesi. 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Lettere comuni a tutte le figure. arteriola follicolare. corpi cromatici. cellule follicolari. corpi figurati del liquor folliculi. correnti nutritive che alimentano la pellucida cristalloidi. disco proligero. granulosa. vescicola germinativa. liquor folliculi. materiale nutritivo della pellucida. nucleolo: nucleo vitellino. ooplasma reticolo interepiteliale. spazio perivitellino. teca follicolare. vacuoli. vitello. zona ovoplasmica esterna. zona ovoplasmica interna. zona pellucida. zona radiata. l’obiettivo ad immersione omogenea. Fig. » Tavola 7. 1. — Sezione di uovo maturo di gatta sacrificata anteriormente al periodo dei calori. Fissazione con sublimato alcoolico leggermente acidula- to: colorazione colla miscela Bronpi-HEIDEINHAIN. X 620. 2.— Sezione di follicolo maturo di gatta esaminata nelle condizioni pre- cedenti ed in corrispondenza del disco proligero. Fissazione con su- blimato alcoolico leggermente acidulato : colorazione ematossilina ferrica HEMEINHAIN. Xx 620. 3. — Sezione di follicolo maturo di gatta osservata come nei casi prece- denti. 1l taglio cade trasversalmente e nella posizione più bassa, od ilare, del disco proligero. Fissazione e colorazione come sopra. ><620. 4.— Sezione di un follicolo quasi maturo di gatta nelle condizioni pre- cedenti. Fissazione come sopra: colorazione dovuta al trattamento 221 Tutte le figure furono ritratte con la camera lucida Zrrss, e con l’uso di un microscopio Zeiss grande modello. Le figure 16, 18, 19, 20, furon osservate con col reattivo molibdico stannoso fatto agire sul preparato. 350 ‘922 Salvatore Comes Fig. 5. — Sezione di uovo presso a maturazione di gatta esaminata dopo un- dici giorni di completo digiuno. Fissazione con sublimato alcoolico: colorazione ottenuta sottoponendo le sezioni ancora impuraffinate al reattivo molibdico stannoso del PoLaccr. >< 620. » 6. — Sezione di ovocite di secondo ordine molto sviluppato di gatta sacri- ficata durante la gestazione (periodo di mezzo). Fissazione con su- blimato alcoolico: colorazione colla miscela Bronpi-HEMDEINHAIN. ><620 » ©.— Sezione di uovo quasi maturo di gatta esaminata dopo un digiuno esauriente di ventidue giorni. Fissazione come sopra: colorazione ottenuta con il trattamento del metodo Porracci sulle sezioni im- paraffinate, < 620. Tavola 8. » 8.— Sezione di uovo maturo (alecitozonato) di gatti esaminata anterior- mente al periodo della frega. Fissazione con sublimato alcoolico : colorazione con ematossilina ferrica HEDENHAIN. >< 620. » 9. — Ovocite di secondo ordine molto sviluppato ‘di gatta, come sopra: se- zione interessante il disco proligero. Fissazione con liquido di Mixn- GAZZINI: colorazione con ematossilina ferrica HEMENHAIN. X 620. » 10.— Sezione d’ un follicolo molto sviluppato in corrispondenza del disco proligero. Ovaia di gatta all’inizio della gestazione. Fissazione con sublimato alcoolico leggermente acidulato: colorazione con ematos- silina ferrica HEMENHAIN. Xx 620. » 11. — Sezione di ovociti di primo ordine di gatta tenuta in dieta undici giorni. Lo strato follicolare primordiale fu disegnato in parte. Fis- sazione con sublimato alcoolico leggermente acidulato: colorazione con ematossilina ferrica HEMENHAIN. x 620. » 12.— Sezione di un follicolo quasi maturo di gatta esaminata nelle condi- zioni precedenti: del follicolo fu solamente disegnato il disco proli- gero. Fissazione con sublimato alcoolico : colorazione con ematos- silina ferrica HEIDENHAIN. x 620. » 18. — Sezione d’ un follicolo maturo di gatta esaminata dopo un digiuno completo di undici giorni con inizio di gestazione. Fissazione. e co- lorazione come sopra x 620. » 14.— Sezione d’ un uovo maturo di gatta nelle precedenti condizioni. Fis- sazione e colorazione come sopra. >< 620. » 15.— Sezione di uovo maturo di gatta nelle precedenti condizioni. Fissa- zione e colorazione come sopra (i particolari furono disegnati con Nu obbiettivo ad immersione omog.). x 620 : » 16.— Corpi cromatici di gatta gravida al termine. Fissazione e colorazio- ne come sopra: A. corpi cromatici di ovocite di secondo ordine in diverso stato di disgregazione; B. corpi cromatici di novo maturo (Obbiettivo ad immersione omogenea). x 620. 17.— Sezione di uovo maturo di gatta tenuta ‘in digiuno esauriente di ven- tidue giorni. Fissazione con sublimato alcoolico: colorazione con ematossilina ferrica HremeNHAIN (Obbiett. ad immersione omoge- nea). X 620. Na Ricerche sperimentali sulle modificazioni mortologiche ecc. 228 Fig. 18. — In a. Porzione della zona radiata e della pellucida dell’uovo prece- dente osservata con l'immersione omogenea: i nuclei delle cellule follicolari, glanduliformi son sprovvisti per lo più di nucleolo.—Iu B. furon disegnati con l'immersione omogenea alcuni corpi cromatici : di questi i più sbiaditi appartengono allo stesso uovo, i più colorati ad uova floride meno sviluppate di gatta tenuta in digiuno per ventidue giorni. Fissazione e colorazione come sopra. > 620. » 19. Porzione di un ovocite di secondo ordine abbastanza sviluppato di gatta uccisa nelle condizioni precedenti. Fissazione e colorazione come sopra (il disegno della figura fu eseguito con l'immersione omoge- nea). X 620. l » 20.— Porzione periferica di un uovo maturo di gatta uccisa in uno stadio di media gestazione. Fissazione con sublimato alcoolico: colorazione con liquido Bronpi-HEDENHAIN (Immersione omogenea.). x 620. Ricevuto il 20 Ottobre 1906. Finito di stampare il 9 Luglio 1907. pal Dral "O & i E 5 = Lil {5 (©) (D] Sr D = [oi i (2) (oi pel [oi lai cp Sì i E ri fi ° (2a s Z i o. SOTTO @LI AUSPICÙI DELLA PER CURA - — voLume Il. “FASCICOLO TERZO : (pag. 295- 348). VA VOLE ED UNA INCI STONE NEL TESTO | per l Estero . THEODOR OSWALD WEIGEL "Verlag und Kommissions® Buchhandiung KONIGSTRASSE 1. | LEIPZIG NAPOLI TIPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI Na FIGLI - Cisterna dell'Olio 1908 Arcangeli A TE alle conoscenze sana sor minifa Agla di ‘stomaco del Box. salpa L. secondo lo stato funzionale. - Tav. 10- tu ed una figura nel testo. Ì x, i non ‘potranno richiederne un numero maggiore. 5; “spese. Si gi i Dott. : 0. o. Prof. O. Lu Prof. o, Ha ni Sav. Movrioni. Prof. Gi PARONA, Prof. Di Rosa. de - Bstrtl dallo Siatuto Ù dal Rosanna | DELLA VOI DATA NEL 1900 - STATUTO. la. Z Zoologia a nel suo più ampio Lio di agevolare i rapporti > cultori di questa scienza e difenderne gli 3 nell’ insegnamento. - ; Essa prende il nome di UNIONE ZOOLOGICA ITALIANA. Arr. 2° — Il numero dei Soci: dell’ Unione è illimitato. : Arr. 8° — La qualità di Socio si acquista con: la PISDOE fatta ‘da du e ‘coll’approvazione del Consiglio Ainetoro, Art. do primo trimestre dell’anno, anche per esazione postale, (SES) È socio perpetuo «chi versa, in una sola ‘volta, lire. cento. Oltrechè perpetuo diviene socio. benemerito se la somma ‘che. versa si 2 Live ru ROGLIO(DI NA NINUNZII per le inserzioni dirigersi alla Redazione: Istituto Zoologico R. Università NA BOTTE A datare dall'anno 1905 | Unione Zoologica Italiana pubblica il REPERTORIO di Specie nuove di animali italiani descritte in Italia ed all’Estero La 1.a parte del Repertorio per il 1905 (specie nuove di ani- mali italiani descritti in Italia) redatta dal prot. E. Ficalbi (Pisa) è già pubblicata (M. Z. Ital. Anno 18, N. 4). Gli estratti sono in vendita presso la Segreteria dell’U Z. I. al prezzo di Lire 3,00. È in corso di stampa la 2.2 parte del Repertorio 1905, (specie nuove di ani- mali italiani descritti all’ estero) ed il Repertorio completo pel 1906. Spazio disponibile ARICHINIO/ AZ 0D0DG1CO pubblicato sotto gli auspicii della UNIONE ZOOLOGICA ITALIANA per cura DEL COMITATO DI REDAZIONE volume Lo INDICE. — Enriques P. Digestione, circolazione e assorbimento nelle Oloturie.- Tav. 1-2 e due fisure nel testo. — Coggi A. Sviluppo degli organi di senso laterale, delle ampolle di Lorenzini e loro nervi rispettivi in Torpedo.- Tav. 3-4 — Pierantoni U. L’ovidutto e la emissione delle uova nei Tubificidi (Contributo alla biologia degli Oligocheti marini). - Tav. 5. — Diamare VW. Meta- plasma ed immagini di secrezione nelle capsule soprarenali.- Tav. 6-7. — Police G. Sul sistema nervoso stomatogastrico dello Scorpione.- Tav. 8. — Rosa D. Le valvole nei vasi dei Lombrichi.- Tav. 9. — Emery ©. Quale è l’omologo dell’osso quadrato nello scheletro dei Mammiferi ? - Tre fi- gure nel testo. — Pierantoni U. La gestazione esterna (Contributo alla biologia ed alla embrio- logia dei Sillidi),- Tav. 10-11. — Emriques P. I corpi pigmentali del Sipureulus nudus.-Tav. 12.— Ghigi A. Contribuzione alla biologia ed alla sistematica dei Phasianidue.- Tav. 13-10. — Cecconi G. Vertebrati della foresta di Vallombrosa. — Mola P. Su di un Cestode del Carcha- rodon Rondeletii M. Hle.- Tav. 18-19 e sette figure nel testo. — Polara 6. Sull’organo genitale e sulle lacune aborali della Synapta inhaerens.- Tav. 20. — Balducci E. Osservazioni sullo sterno dell’Atfrene chiaradiae.- Quattro figure nel testo. vVolu:tme IL INDICE — Issel R. Sui Rotiferi endoparassiti degli Enchitreidi - Tavola 1. — Emnriques P. Della circolazione sanguigna nei Tunicati. — Mazzarelli G. Contributo alla conoscenza delle larve libere degli Opistobranchi.- Tavole 2-4 — Barbieri €. Ricerche sullo sviluppo del midollo spi- nale negli Anfibi. - Tavole 5-6 e nove figure nel testo. — Emery €. Le affinità del genere Lepta- nilla e i limiti delle Dorylinae.- Nove figure nel testo. — Monticelli Fr. Sav. Il genere Lin- tonia MonTIC. - Tavola 7. — Issel R. Intorno agli escreti dei linfociti (Osservazioni sui linfociti di A/lolobophora nematogena Rosa).-T v. 8. — Armenante Z. Osservazioni sul Protodrilus hypoleucus ARM.- Tav. 9.— Porta A. Gli Echinorinchi dei Pesci.- Tavole 10-12. — Goggio E. Intorno al genere Clavella OkEN (Hatschekia PocHE). Descrizione di due specie nuove ed una inedita. - Tav. 13 e quattro figure nel testo.-— Pierantomi U. Oligocheti del fiume Sarno.-Ta- vole 14-15. — Semma A. Contributo alla conoscenza dei Chirotteri Eritrei.- Tavole 16-19 — Cogzgi A. Sullo sviluppo e la morfologia delle ampolle di Lorenzini e loro nervi.- Tav. 20-22 e quattro figure nel testo. — Tagliami G. Le fibre del Mauthner nel midollo spinale dei Vertebrati infe- riori (anamni).- Tav. 23. — Ghigi A. Ricerche sulla dentatura dei Teleostei.- Tav. 24 e cinque fi- gure rel testo. — Sterzi A. I. I gruppi midollari periferici degli Uccelli.- Tav. 25-26 e quattor- dici figure nel testo. volunae III INDICE — Orlandi S, La rigenerazione della Spirographis Spallanzanii Viv.-Tav. 1 e due figure nel testo. — Massa Db. Materiali per una Revisione del genere Trochopus.- Tav. 2-3. — Rosa D. Sui nefridii eon sbocco intestinale comune dell’AZZolobophora Antipae Mica. - Tav. 4 ed una figura nel testo — Noè G. Dué nuove specie di ditteri appartenenti ad un genere nuovo. Tav. 5-6 e tre figure nel testo. — Comes S. Ricerche sperimentali sulle modificazioni morfologiche della zona pellucida e degli inclusi dell’uovo dei mammiferi.- Tav. 7-8. — Porta A. Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili.- Tav. 9. — Arcangeli A, Contributo alle conoscenze della struttura mi- nuta dello stomaco del Box salpa Lin. secondo lo stato funzionale. - Tav. 10-11 ed una figura nel testo Il fascicolo quarto a complemento di questo volume è in corso di stampa s& L'abbonamento all'Archivio zoologico è i L. 40 al Volume (che si pubblica in tre 0 quat- tro fascicoli), Commissionarii e rappresentanti: per l’Italia alla « Libreria nuova» di Riecardo Manu Galleria Umberto I Napoli. > l'estero alla Libreria Th. 0. Weigel: Konigstrasse 1. Leipzig. —___ eo. nn È E ni Redazione dirigersi al Prof. FR. SAv. MonTICELLI— Istituto Zoologico R. Università i Napoli. OOO rr Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili per Antonio Porta Con la tavola 9. Sommario I. Prefazione. II. Acantocefali degli Anfibii. III. Acantocefali dei Rettili. IV. Indice sinonimico degli Acantocefali degli Anfibii e Rettili. V. Quadro riassuntivo degli Acantocefali degli Anfibii e Rettili. VI. Bibliografia. I. Prefazione Le forme di Acantocefali parassite degli Anfibii e dei Rettili si possono riferire a poche specie. Negli Anfibi osserviamo otto specie di Acantocefali, di cui una in comune cogli uccelli (Coryno- soma hystrix Brems.), due in comune coi pesci (Neorhynchus rutili Miiu1., Pomphorhynchus lacvis Zorga), una coi chelonî (Ech. anthuris Duy.), e quattro sole riscontrate fino ad ora esclusivamente negli Anfibî (Ech. bufonis SareLev, Ech. lutzii Ham., Ech. ranae Soaz., Ech. tigrinae StmeLev ). Oltre a queste otto specie, negli Anfibî Anuri osserviamo una forma (E. lesiniformis Mol. = mirabilis Po- Lonio) la quale vi si trova allo stadio larvale, e raggiunge poi la maturità sessuale, come dirò, negli uccelli rapaci ( Ch. aluconis Miu.) È Degli Ofidiani sa i Rettili, sono state descritte varie forme allo stadio larvale, e queste io le riferisco a'sole tre specie le quali raggiungono la loro maturità sessuale precisamente negli Uccelli rapaci (Ch. aluconis Miiu., Ch. buteonis Scur., Gig. compressus Rup.). Che gli Acantocefali degli Ofidii raggiungano la maturità sessuale negli Uccelli, fu già intuito dal Drrsima (1), e dal MonTICELLI il quale così si esprime: « Son d’opinione che gli Echinorinchi degli Ofidii debbano considerarsi forme transitorie o larvali che raggiun- gono il loro completo sviluppo negli uccelli »; infine fu mediante infezioni dimostrato o dal SABBATINI. Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 3. 16 226 Antonio Porta Gli Acantocefali degli Uccelli oltre avere stretti rapporti con alcune forme parassite nei Rettili, hanno pure rapporti con alcune specie che rinveniamo allo stadio larvale nei Mammiferi, ed io credo che lE. appendiculatus WestR. del toporagno (Crocidura ara- nea Wacn.), debba considerarsi come una forma larvale del C%. buteonis dei Rapaci, le cui forme larvali sì troverebbero quindi in Rettili e Mammiferi. Specie sessualmente mature di Acantocefali nei Rettili, furono riscontrate nei Chelonî e nei Crocodilini. Dei primi sono state de- scritte tre specie (Ech. hamulatus Luv, Ech. inflerus CoBBonp, Ech. anthurîs Duy.); di queste una (£. anthuris Duy.) si trova anche negli Anfibî: dei Crocodilini una sola specie (E. rRopalorhynehus DIESING). Ringrazio vivamente il Prof. C. Parona e il Prof. Fr. Sav. MonrIceLLI che mi inviarono il materiale della loro collezione , e il Prof. D. Carazzi che gentilmente mise a mia. disposizione Ja collezione esistente nel Museo Zoologico di Padova. Il, Acantocefali degli Anfibii ‘) Descrizione delle specie 1. Neorhynchus rutili MùrreR [1780] E. clavaeceps Zeper (1803) Tralascio le sinonimie, la bibliografia e la descrizione già da me riportate in altro lavoro (1) Questa specie fino ad ora nota dei Pesci e principalmente dei Cyprinidae venne dal MiALING (pag. 54 e 65) citata anche della Runa esculenta L. La cattura è in- vero importante perchè toglie, a mio modo di vedere, il pregiudizio che gli Acantocefali si trovino solo in determinati ospiti, cosicchè dato l'ospite fosse facilissimo classificare la specie parassita. Questo concetto, come già dissi, creò non poca confusione, e questa cattura come le altre a cui accennerò ne dimostra la superficialità. 2. Echinorhynchus anthuris Dusirnn |1845] (Fig. 1-2) Echinorhynchus anthuris DUJARDIN: pag. 528, N. 52, Plc. 7, fig. D-- Diese: 1. pag. 48, N. 65--MoLin: 1. pag. 148--PoLonio: pag. 10--Dirsina: 3. pag. 747, 1) Nella enumerazione delle specie seguo la classificazione da me proposta (2). Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 227 N. 31--Moumn: 4. pag. 266, N. 94--Camrrano : N. 65-- Stossica: 2. pag. 54-- Parona: 2. pag. 254--CossoLp: 1. pag. 162-163, Tab. 33, fig. 54-56. Proboscide cilindrica, lunga mm. 0,5; armata di 24-26 serie tras- verse, e 16-18 serie longitudinali alterne di uncini, di cui gli anteriori sono . forti, adunchi, con radice della lunghezza della lama, i posteriori (2-3 serie) hanno una lama più sottile, meno adunca e radice corta, — Collo conico, inerme, lungo mm, 0,1-0,2. — Corpo inerme, fusiforme, un po’ arcato, ot- tuso alla estremità. — Borsa copulatrice campanulata, sorretta da 24 processi lanceolati — Uova molto strette, fusiformi , lunghe da mm. 0,04 a mm, 0,9-0,10. Lungh. g' mm. 3,5-4,5; largh. mm. 0,5; Lungh, 9 mm. 7,5-8,5; largh. mm.. 0,8-0,9. Habit. — Triton taeniatus Scanem., T. cristatus Luur. [Intestino] 1). Note. — Questa specie trovata dapprima a Rennes dal Dusarpin nel Triton taeniatus e cristatus, venne in seguito raccolta dal Mocin e dal Po- ronio nel Veneto abbastanza frequentemente nei due citati tritoni; dal Nixwi pure nel Veneto nel 7. cristatus e nell’Emys lutaria (Stossicn); dal Came- RANO in Piemonte nel 7. cristatus subsp. Karelinii. Fra il materiale del Museo Zoologico di Padova, ho osservato degli esemplari di echinorinco, senza indicazione di ospite, con più di 20 serie longitudinali di uncini, che dubitativamente riferisco all’ anthuris. 3. Echinorhynchus bufonis SweLev [1903] (Fig. 3-4) Echinorhynchus bufonis SrPLEY: pag. 150-151, Plt. 16, fig. 1,2, 4. Proboscide ovoide, armata di 14-16 serie longitudinali di uncini.— Corpo curvato. Lung. 15 mm. (probabilmente) nella 9; 9 solo mm. 5. Habit. — Bufo melanosticus Scanrm., Bufo penangensis Wirson e Gray. [Intestino]. Note. — Non conosco questa specie, ne riporto la descrizione e le figure date dallo SareLey. 4. Echinorhynchus /utzii Hawanw [1891] (Fig. 5) Echinorhynchus lutziî HAMANN: 1. pag. 208, Taf. 12, fig. 30, 37, Taf. 13, fig. 5,15 — IRERING: pag. 46. 1) Vedi pure E. anthuris in Acantocefali dei Rettili (pag. 233). 228 Antonio Porta Proboscide anteriormente appuntita, cilindrica, lunga nelle femmine adulte mm. 0,5; armata di 12 serie di uncini (8 per serie) fortemente adunchi, con lama più lunga della radice la quale è divisa in due parti. — Collo corto, della lunghezza di mm. 0,3.—Corpo con molteplici solchi trasversi, che però non accennano ad alcuna segmentazione interna. Lungh, delle femmine cm. 2,6, larg. mm. 2; maschi più piccoli. Habit. — Bufo agua Larr. [Intestino]. Note — Non conosco questa specie; ne riporto la descrizione e le fi- gure date dall’Hamann, il quale aggiunge anche interessantissime notizie sulla sua struttura anatomica. 5. Echinorhynchus ranae Somrank |1788] (Fis. 6) Haerucula Panras: 1. pag. 52-- SanpIrorT: pag. 247---Liinr: pag. 334-885. Taenia haeruca PaLLas: 2. pag. 415; 3. pag. 452, Tab. 9, fig. 2 a; 4. pag. 109, Tab. 3, Fig. 37-- Lùnn: pag. 336-337. Echinorhynchus ranae temporariae Visora : pag. 244, N. 211-212--Liine: pag. 292 E. ranae GorzE: pag. 158-162, Tab. 12, fig. 10-11 -- ScHRANK : pag. 25, N. 88-- GwmELIN: pag. 3046, N. 19--Bosc: pag. 7-- Zeper: 2. pag. 152, N. 9-- LùHE: pag. 290-291. E. falcatus FrosLIcH: 1. pag. 117-119, Tab. 4, fig. 22, 24-- Guerin: pag. 3046, N. 20-- Bosc: pag. 8--ZepER: 2. pag. 155, N. 18-- RupoLpnI: 4. pag. 271-272, N. 17; 6. pag. 68, N. 21 -- WesrrumB: pag. 19, N. 35 -- Dusar- DIN: pag. 527-528, N. 51-- Drrsine: 1. pag. 39, N. 56 -- Line: pag. 203-204. E. haeruca RupoLPHI: 2. pag. 56-57; 4. pag. 265-266, N. 12; 6. pag. 67 e 317-318, N. 18-- WestRUMB: pag. 13, N. 33. Tab. 3, fig. 18-2)-- BREMSER: pag. 2, Tab. 6, fig. 11-14-- SieBOLD: pag. 196 -- CrEPLIN: 2. pag. 284-- DusaRDIN: pag. 526-527, Plc. 7, fig. E--Dirsine: 1. pag. 29, N. 26 -- NEUMANN: pag. 44 -- MoLin: 3. pag. 16 -- PoLoNnIo: pag. 10-- KorHLER: pag. 1192-1194-- KwiuPrreR: N. 12, Taf. 1-2-- Srossica: 2. pag. 54-- HamanN: 1. pag. 113-231, Taf. 5-14-- PaRoNA: 2. pag. 254-- Srossica: 8. pag. 135; 9. pag. 137, N. 12--Misune: pag. 55, 64-65-- Lune: pag. 225. E. praetextus Morin: 1. pag. 142-- PoLonIo: pag. 11-- Diesine: 3. pag. 747, N. 29-- Morin: 4. pag. 264, N. 91, Tav. 8, fig. 5-- PARONA: 2. pag. 254. Proboscide cilindrica, arrotondata all’apice, lunga inm. 0,4-0,5 ; ar- mata. di 6-9 serie trasverse di uncini (6-7 per serie) e 12 serie longitudi- nali alterne distinguibili in due tipi: gli anteriori (5-7 serie) forti, robusti, con lama affilata un po’ più lunga della radice; i posteriori, molto più pic- colì, sottilissimi, con radice corta a moncone. — Collo inerme, lungo mm. 0,1-0,2.-—-Corpo inerme, cilindrico,ingrossato anteriormente,spesso ricurvo, — Borsa copulatrice campanulata, sostenuta da processi digitiformi, — Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 229 Uova molto allungate , sottilissime, con triplice invoglio, con |’ estremità arrotondate , lunghe mm. 0,07-0,09. Lungh. y7 mm. 5-12; Lungh. 9 mm. 5-85. Habit.— Rana temporaria L., KR. esculenta L., Bombinatur igneus Waer., Bufo vulgaris Lavur., B. viridis Lavr., Salamandra atra Lavr., Triton taeniatus Scanem., T. cristatus Laur., T. lobatus Bonaparte [Inte- stino]. Il Drgsime l’indica pure dell’ Anas fusca « in intestinis, e rana depasta ». Note. — La larva vive nell’addome dell’ Asellus aquaticus L. Le dimensioni dell’E. ranae sono variabilissime, le minime da me os- servate raggiungono i 7 mm., le massime 35 mm.; il Duyarpin però dà come minimo 5 mm.; il Gorze come massimo fino 67 mm.! Secondo il Karser le serie di uncini varierebbero da 8-12. Il RuporpÒi e il Gorze lo trovarono più comune in estate che in in- verno; il Brewser dice di averlo trovato presso a poco egualmente in tutte le stagioni. In Italia è stato rinvenuto raramente, ne ho osservati alcuni esem- plari del Piemonte, del Veneto e di Trieste; lo Srossica lo dice « raro nel- l’intestino di Rana esculenta >»; il PoLonio ne rinvenne esemplari anche nel Bufo viridis. L’echinorinco descritto dal Baenrs (rinvenuto nella Rana escu- lenta in Provincia di Roma) e riferito all’E. haeruca, deve forse riferirsi al E. lesiniformis (Ved. Ch. aluconis pag. 234). Raro pure è in Francia (DusarpIn); comune invece sarebbe in Germania ed Austria, specialmente nella Rana temporaria. Il Migtine (pag. 69) considera l’ E. ranae come uno dei parassiti più comuni della Rana esculenta; il 50 0, ne sarebbero infette. Avendo il Parras col nome di Taenia haeruca indicate più specie di echinorinchi, il RuporpÙ®i limitò questo nome di E. haeruca alla specie già chiamata dallo Scarank E. ranae ; per la priorità la specie deve quindi avere, come giustamente rileva il Line, il nome di E. ranae. Col nome di E. falcatus il FrogLIica descrisse un echinorinco, trovato nel duodeno di Salamandra atra della lunghezza di circa 11 mm., che si differenzierebbe dall’E. ranae per il corpo più uniformemente arrotondato, per la lunghezza della proboscide, e per mancanza di collo. Il Dusarpin in- clina a credere che i dati della lunghezza della proboscide siano errati, e che la specie sia identica all’E. ranae. Io condivido le idee del Duyarpis, tanto più che la mancanza del collo può essere dovuta al fatto che la pro- boscide non fosse completamente svaginata, e la unisco all’E. ranae. Questa specie è stata trovata solo due volte ( FrorLica, BrEWSER ) nella Salaman- dra atra. ALPE. ranae riferisco pure lE. praetextus che il Moni così descrive: « Proboscis cylindrica, basi reflexa , uncinorum seriebus 12; collum nullum; corpus retrorsum sensim attenuatum, inerme; bursa maris campa- 230 Antonio Porta nulata, limbo praetexto. Longit. mar. 0,004; crassit. 0,0005; Longit. fem. 0,006; crassit 0,001, — Triton lobatus, in intestino ». La differenza dall’ E. ranae sarebbe data dal numero di uncini; ma come già ha dimostrato il KArseR e come io pure ho osservato, detto nu- mero può variare da 8 a 12, rimarrebbe quindi la mancanza del collo, ca- rattere questo che non può essere sempre ben valutato. Fra il materiale appartenente alla collezione elmintologica del Morin esistente nel Museo Zoo- logico di Padova, dell’E. praetextus esiste il solo recipiente che lo conte- neva, e in esso vi è un’altra specie che non ha nulla a che fare con quella. Manifestamente sono stati scambiati i vasi, ma negli altri recipienti non vi trovai che lE. ranae con la proboscide più o meno estroflessa e quindi col collo più o meno visibile. Io credo che lE. praetextus non sia altro che lE. ranae col collo non evaginato. 6. Echinorhynchus tigrinae Surrey [1903] Echinorhynchus tigrinae SarpLEY: pag. 151-152. Proboscide corta, sottile, armata di 4 o 5 serie di uncini (pochi per serie. — Corpo trasversalmente rugoso — Uova fusiformi lung. mm. 0,8; largh. mm. 0,2. O Lungh. mm. 10; largh. media mm. 2. Habit.— Rana tigrina Davp. |Intestino]. Note. — Riporto la descrizione del SuipLev non conoscendo questa specie. 7. Chentrosoma aluconis MùuLer [1780] (Fig. 9-11) Forma larvale (Ch. lesiniformis Morin = mirabilis Poronio) rinvenuta libera o in cisti ovali sul peritoneo di Rana esculenta L., ed Hyla arbo- rea Cuv. (Vedi: Ch. aluconis, fra gli Acantocefali dei Rettili pag. 234). 8. Corynosoma hystrix Brewsrr [1819] (Fig. 7) Echinorhynchus hystrix BrEMSER: in RouporpnI: 6. pag. 75 e 332, N. 46 -- WE- strUMB: pag. 29-30, N. 55, Tab. 1, fig. 4, Tab. 3, fig. 16-17 -- BREMSER: Tab. 7, fig 22-23 -- Scamazz: Tab. 11, fig. 14 -- SteBOLD: pag. 196 -- Daum- MoND: pag. 63 -- Bel.LINGHAM: pag. 259 -- GurLT: pag. 223 -- DUJARDIN : pag. 522, N. 44-- CrePLIN: 4. pag. 129--Driesima : 1. pag. 45, N. 70-- Carus: pag. 187-- Srossica : 2. pag. 54-- BRAUN: pag. 97 -- PARONA : 2. Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 291 pag. 253 -- MunLIine: pag. 65 -- Linstow : 5. pag. 271-- MARvaL: 2. pa- gina 577, N. 10; 3. pag 281, Ple. 2, fig. 78-80. Corynosoma hystrix BremsER-LinE: pag. 229-232. Proboscide subconica, rigonfiata alla base ristretta all’estremità; ar- mata di 18 serie longitudinali di uncini (8-10 per serie) dei quali i mediani sono più forti e adunchi. — Collo inerme, conico della lunghezza della pro- boscide. — Corpo molto rigonfio in avanti e ristretto posteriormente, quasi piriforme; armato di numerosissimi uncini corti ed avvicinati i quali si esten- dono maggiormente verso il lato ventrale. Lungh. mm. 3,5—8. Habit.— Questo echinorinco proprio degli uccelli Natatores (Merganser serrator L., M. castor, Phalacrocorax carbo L., Ph. auritus Less., Ph. bi- cristatus Pauu., Ph. graculus L., Plotus anhinga L., Podiceps griseigena Bonn.) è citato dal Mtinnine (pag. 55 e 65) anche della Rana esculenta L. Note. —Il Mine cita questa specie della Rana esculenta, però non ci dà alcuna altra indicazione, non ci dice se detto esemplare fosse imma- turo o a completo sviluppo. Io credo si tratti della forma larvale, e allora il rinvenimento di questa specie non ci sorprende affatto. Il ciclo di svi- luppo del C. hystrix dagli ospiti in cui è stato rinvenuto, credo si potrebbe così riassumere : i a) l’ uovo contenente l'embrione è ingerito da un artropode, non an- cora noto, che è il primo ospite. b) con questo può essere ingerito da un pesce d’acqua dolce, o da un anfibio, che costituirebbero il secondo ospite 1). c) col pesce o l’anfibio perviene nell’ uccello, ospite definitivo, in cui raggiunge la maturità sessuale. Potrebbe avvenire anche che il secondo ospite, ad esempio la rana, sia ingerita da unofidio, allora la larva si incista in questo terzo ospite. Cito questo caso perchè credo che l’ E. pyriformis Brews., rinvenuto dal Sasparmi nel peritoneo di un Zamenis atrovirens Grar, non sia altro che VE. hystrix. Il SagpaminI ci dà invero di questo parassita una figura del tutto iden- tica all E. pyriformis però egli ci dice che detta figura fu ricostruita da sezioni in serie, e che la proboscide era introflessa. Ora pur facendo omaggio alla esattezza d’osservazione del Sasparini, non credo che nelle condizioni in cui era l’esemplare si potesse in modo sicuro classificare, poichè grande è l’affinità fra le due forme, e il De Marvar nella sua ottima monografia sugli Acantocefali degli uccelli ci dice che: « VE. hystrix présente des états 1) Il MùgLING (pag. 55) avendo osservato nello stomaco di rane resti di pesci, dubita che la larva viva nei pesci e che per mezzo di questi pervenga nelle rane, 232 Antonio Porta de contraction très variés et souvent si intenses que le faux-cou disparait completement è l’intérieur du corps qui prende la forme d’une poire et res- semble énormément alors à E. piriformis ». Questa è la mia opinione che non mi autorizza però di unire il pyri- formis del Sagpamini all’ E. hystrix, bensi di metterlo fra le specie inquirende per quanto si tratta del suo rinvenimento in un rettile. 9. Pomphorhynehus Jaevis Zoraa |1776] E. proteus WrstR. (1821) Di questa specie dello Zorea descritta dal MiiLer (4, pag. 215, N. 2601 2, tab. 37, fig. 1-3) non do nè la descrizione, nè le sinonimie e la biblio- grafia già data in altro lavoro (1, pag. 193). Note. — Fra il materiale inviatomi gentilmente dal Prof, C. Parona ho trovato alcuni esemplari di echinorinco con l’indicazione: « E. haeruca (collez. Gorze); Rana temporaria [Pavia] ». Detti esemplari non molto ben conservati (raccolti da oltre un secolo!) mi lasciarono lungo tempo in dubbio a che specie sì riferissero, ma poi scorgendo in alcuni la traccia della bulla mi convinsi che non differivano per alcun carattere dall’. laevis (= proteus). Anche questa forma è nuova per gli Anfibii, e la cattura tanto di questa come del N. rutilinon deve meravigliarci, quando si pensi che i loro ospiti intermedì (la larva di Scialis niger Latr. per il N. rutili; il Gammarus pulex L. per il P. laevis) possono facilmente essere ingeriti anche da Anfibî 4) Species Inquirendae 10. Echinorhynchus tritonis Wesrrume [1821] Echinorhynchus tritonis WestRUMB: pag. 42, N. 90-- Drssine : 1. pag. 57, N. 104 —- Lune: pag. 817. Con questo nome il Westrum indicò una larva di echinorinco, trovata nel peritoneo di Molge alpestris Laur., che « ob proboscidem amputatam » non potè essere determinata. i Io credo, pel suo habitat, si riferisca al Oh. aluconis (= lesiniformis Motm). L'unione però dell’E. tritonis con la citata specie non credo possa farsi, mancando ogni altro elemento che conforti questa supposizione. 1) Il MiHELING (pag. 54) avendo osservato nello stomaco di rane resti di pe- sci, dubita che il N. rutilî pervenga nelle rane per mezzo di pesci. Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 233 11. Echinorhynchus sp.? Cir [1877] Habit. — Rana esculenta L. (Torino). 12. Echinorhynchus sp.? SmeLey [1908] Il SampLey così ne parla; « Some small fragments of another Echinorhyn- chus, too small to admit of identification, were taken from the intestine of the toad CaQllula pulchra Gray ». III. Acantocefali dei Rettili Descrizione delle specie 1. Echinorhynchus anthuris Dusarpin |1845] (Fig. 1- Fig. 2) Habit.— Emys lutaria Br. [Intestino]. Note. — Vedi bibliogratia e descrizione negli Acantocefali degli Anfibii: (E. anthuris N. 2, pag. 226). 2. Echinorhynchus hamulatus Lemy [1851] _Echinorhynchus emidis Lemy: 1. pag. 207. E. hamulatus Lemy: 2. pag. 48-- Diesime: 3. pag. 742, N. 7. Proboscide subglobosa, armata di due serie di uncini; la prima serie è composta da sei uncini molto forti e robusti, la seconda da uncini piccoli, rudimentali. — Collo brevissimo, inerme. — Corpo bianco, subcla- vato, ristretto posteriormente, curvato, con pliche anulari, Lungh. 2-14" lin. (circa 5-30 mm.). Habit—Emys insculpta Leconte, E. guttata' Becasr., E. serrata ScawEIG66., Clemmys geographica Wan... Cistulo carolina Gray. [Intestino]. Note. — Non possedendo questa specie riporto la descrizione data dal Ley. 234 Antonio Porta ” 3. Echinorhynchus inflexus Cossorn [1861] (Fig. 8) Echinorhynchus inflexus Cossop: 2. pag. 124, Plt. 20, fig. 9, 10. Proboscide cilindrica, armata di sei serie di uncini. — Collo nul- lo. — Corpo allungato, debolmente compresso, rigonfiato in avanti, ristretto posteriormente, con rughe trasverse. Lungh. 1/, — 1 une. (20 mm. circa) Habit. — Halichelys atra Firz, [Intestino]. Note. — Non conosco questa specie, riporto la descrizione e le figure del Cossop. 4. Chentrosoma aluconis MiivLer [1780] [Forma larvale] (Fig. 9-11) Echinorhynchus aluconis MùLLER: 2. Fasc. 2, Taf. 69, fig. 7-11-- GmeuiN: pag. 3045, N. 7--RupoLp®HI : 1. pag. 13-14-- Bosc: pag. 6-- FròHLICH : 2. pag. 65-66 -- De MaRvaL: 2. pag. 573-574; 3. pag. 217-229, Ple. 1, fig. 1-4, 15, 18, 19-- LiuùBE: pag. 167-170. . stridulae Goxze: pag. 153, Tab. 11, fig. 8-12-- LùnE: pag. 308. . strigis auriculatae Gorze: pag. 154, Tab. 11, fig. 13-- Liar: pag. 309. . nycteae ScHRANK: pag. 22-23, N. 75-- LùHBE: pag. 265. . otidis SCHRANK : pag. 28, N. 76-- LùnE: pag. 267-268. mergi SCHRANK: pag. 27, N. 90--GmELIN: pag. 3045, N. 13-- Bosc: pag. 7 —- Lune: pag. 251-252. scopis GMELIN: pag. 3045, N. 6-- Bosc: pag. 5--LùnE: pag. 300. . strigis GueLIN: pag. 3045, N. 8-- Bosc: pag. 6 -- Liar: pag. 308. . globocaudatus ZepERr: 1. pag. 128-130; 2. pag. 153, N. 13--RuporpÒÙi: 4. pag. 264, N. 11; 6. pag. 66 e 314, N. 13-- BLAINVILLE: pag. 204-211 -- WesTRUMB: pag 29, N. 13-- Menus: pag. 68-98 e 169-171-- DUJARDIN : — pag. 507, N. 17, Plc. 7, fig. C-- Gurit: pag. 223-325--CreEPLIN: 4. pag. 129-160 -- Dresixe: 1. pag. 29-30, N. 28; 3. pag. 744, N. 15-- Gie- BEL: pag. 254-278-- PARONA: 1. pag. 363-364, N. 75-- StossicuI: 2. pag. 54; 3. pag. 129-136; 4. pag. 219; 5. pag. 4 (estratto); 6. pag. 66 -- Conpo- RELLI: 1. pag. 31-35--Srossicn: 7.-- Parona: 2. pag. 252--Srossica : 8. pag. 135; 9. pag. 133-134, N. 2-- WoLrraùeeL: pag. 10-71-- Parona: 3. pag. 16-17-- Linsrow: 7. pag. 278--LiBE: pag. 215-221. E. tuba RuporpHi: 2. pag. 57-59--ZepER: 2. pag. 153, N. 14-- Ruporpul: 4. pag. 275, N. 21; 5. pag. 95-98; 6. pag. 70 e 324, N. 30-- BLAINVILLE : pag. 204-211 -- WesrRruMB: pag. 23, N. 41-- Dusarpin: pag. 508, N. 17- GurLT: pag. 223-325 -- CrEPLIN: 6. pag. 163-165 -- Diesime : 1. pag. 37, N. 50-- Conporeti: 1. pag. 31-35 -- Lime: pag. 320-321. SES EHEH ba Wes kb GERA Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 235 . aequalis Zeper: 2. pag. 154, N. 15 -- Ruporpai: 4. pag. 277, N. 22; 6. pag. 70, N. 31 -- BLAINVILLE: pag. 204-211 -- WestRUMB: pag. 23-24, N. 42-- GurLT: pag. 223-325 -- DuJARDIN : pag. 509, N. 17 -- Drssina : 1. pag. 38, N. 51-- Lune: pag. 163. . bacillaris Zeper: 2. pag. 159, N. 31-- RupoPHI: 4. pag. 301, N. 88; 6. pag. 67, e 316, N. 15-- BLAmNvILLE: pag. 204-211-- WestRUMB: pag. l4, N. 24-- MeHUIS: pag. 68-98 e 169-171-- GurLT; pag. 223-325 -- DUJARDIN: pag. 525, N. 46-- Dresine: 1. pag 32, N. 33--Linstow : 6. pag. 271-291 -- Line: pag. 180. . inaequalis RuporpHi: 3. Tab. 4, fig. 2; 4. pag. 261, N. 8; 6. pag. 66, N. 12-- BLAINVILLE: pag. 204-211 -- WestRUMEB: pag. 14, N. 22 -- GurLT: pag. 223-325-- DuzagDIN: pag. 505, N. 14-- Drgsine: 1. pag. 27, N. 20--ParoNA: 2. pa- gina 254-- SABBATINI: pag. 207-209, Tav. 11, fig. 1-4, 10 e 15-- Mingaz- ZINI: pag. 179-- ConporeLLI: 3. pag. 3-4-- Srossica : 9. pag. 135, N. 6 -- LuùHE: pag. 252-233. . cinctus (in parte) RupoLpHI: 6. pag. 66 e pag. 314-316, N. 14-- WESTRUMB : pag. 13, N. 21--BremsER: Tab. 6, fig. 7-8-- DusarDIN: pag. 526, N. 50-- Drrsine: 1. pag. 26, N. 18-- PARONA: 1. pag. 367; 2. pag. 253 -- SABBATINI: pag. 211 e 217-- Lùnr: pag. 189-190. . caudatus BremsER (nec ZeDER): Tab. 6, fig. 17-20. . polyacanthoides CrEPLIN : 1. pag. 24-25 -- MenuIs: pag. 169-171--GuRLT: pa- gine 223-325 -- LiBE: pag. 169 e 340. . contortus Monin: 2. pag. 287-302-- Dresine : 3. pag. 744, N. 12-- Motin: 4. pag. 266, Taf. 8, fig. 6-- Line: pag. 195 e 338. . lesiniformis Moun: 3. pag. 15-16-- BaenIs: pag. 77-78 --Srossicz: 1. pag. 44-45, Tav. 15, fig. 65-- Parona: 2. pag. 254-- ConporELLI: 8. pag. 1-2 -- Stos- sich: 9. pag. 137, N. 13. . mirabilis PoLonio: pag. 11-- Parona: 2. pag. 254 . lobiancoî MontIcELLI: pag. 27, fig. 5-7-- Parona: 2. pag. 254. .- heterorhynchus PARONA: 1. pag. 367-368, N. 80, Tav. 7, fig. 57-58; 2. pag. 253-- SABBATINI: pag. 212 e 217. E. dipsadis Linstow: 3. pag. 240-241, Taf. 16, fig. 12. E. croaticus Stossicz: 10.-- Lins: pag. 220 e 339. Allo stadio adulto il Ch. aluconis presenta il corpo liscio, bianca- stro, lungo nel 77 15-25 mm., nella 9 30-45 mm. La proboscide è ovoide lunga mm. 0,5; armata di 24-26 serie longitudinali di uncini (7-8 per se- rie. —Il collo è cilindrico armato di 24-26 serie longitudinali di uncini (3-12 per serie) sempre privi di radice, sottili e affilati. — Uova oblunghe, piccole, con triplice invoglio, lunghe mm. 0,0364; larghe mm. 0,0182. di Habit.— È parassita specialmente degli Uccelli rapaci [Intestino]. La larva può essere libera, o racchiusa in cisti ovali, della lunghezza mm. 1-1,14 larghe mm. 0,70: isolata è fusiforme, un po’ ristretta ante- riormente, rigonfia nel mezzo, molto assottigliata nella parte posteriore; della lunghezza di mm. 3-3,5, alle volte anche 4 mm, 236 Antonio Porta Habit.— È ospitata da Anfibii: Rana esculenta L., Hyla arborea Cuv., e da Rettili: Vipera aspis L., Elaphis quaterradiatus Gwen. , Calopeltis longissimus Laur., Zamenis atrovirens Grur., Z. viridiflavus Dum., Dryophis blaudingii, Tropidonotus viperinus Larr., Seps chalcides Cuv. 1) [Peritoneo, fegato, polmone, pleura, tunica muscolare intestinale]. Note. — Alla forma larvale di Chentrosoma aluconis io riferisco gli E. lesiniformis Movin, mirabilis PoLonio , lobiancoi MontIcrLLI, heterorhynchus Parona, dipsadis Linsrow, cinctus Ru. (in parte). 1.-Il Motin così descrive lE. lesiniformis: « Proboscis medio constricta, apice rotundata, uncinorum seriebus 24, ante stricturam seriebus 18, posti stricturam 6, uncinulis anticis majoribus, posticis minoribus; collum inerme; corpus fusiforme, inerme, extremitate posteriori lesiniformi, recurvata,—Lon- git. 0,003; crassit. 0,001 ». — Rana esculenta L. Il Morin lo rinvenne in cisti ovali sul peritoneo, lo Srossica invece li- bero sul peritoneo. Il Morin e lo Srossica considerano erroneamente il collo come la parte posteriore della proboscide. Lo Srossica assegna la lunghezza massima di mm, 3,5, e 29 serie di uncini, di cui 20 anteriormente (probo- scide) e 9 posteriormente (collo), Nel 1874 il Prof. Morieeia rinvenne nella Rana esculenta un echino- rinco incistato nel fegato, fra le pareti del cuore, le tuniche dei grossi vasi e principalmente nel mesentere, Di questo echinorinco il Baenis ne diede la seguente descrizione: « A mio giudizio mi pare appartenente al genere Echi- norhynchus, nè lo trovai rassomigliante all’E. haeruca Rud. . «+ ++... «+ Corpo giallastro oblungo, alquanto depresso. Testa armata di uncini da 10 a 17 file ed anche più, disposti a spirale e formanti una co- rona nella sommità della testa. Gli uncini sono rivolti all’ingiù. Ho trattato molti di questi parassiti per ventiquattro ore col succo gastrico di cane assai potente nella stufa, ed il corpo venne intaccato ad eccezione degli uncini che rimasero intatti ed in numero di 150 a 220. La forma di questi è co- nico ricurva. La parte superiore del collo è pure uncinata, mentre è affatto liscia quella inferiore, il corpo è poi tutto liscio , ed il disegno che ne dò varrà a dare una più giusta idea », Il Prof. O. Parona (2.) lo riunisce all’E. haeruca (=E. ranae); 10 invece condivido l’opinione del Conporztti (3.) che si debba riferire all E. lesinifor- mis; questa opinione è avvalorata primieramente dal numero delle serie di uncini assegnati dal Baanis « da 10 a 17 file ed anche più », mentre nel- lE. ranae si riscontrano solo da 8 a 12 serie di uncini, poi dall’ habitat perchè. E. ranae si trova a completo sviluppo nella cavità intestinale, men- 1) 11 Prof. GieLio-Tos mi inviò gentilmente in esame alcune larve di echi- norinco racchiuse in cisti aderenti al fegato di Lacerta muralis Laur. (Cagliari), che riconobbi per larve di Ch. aluconis. Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 237 tre l’echinorinco descritto dal Baenis ed il Zaesiniformis furono trovati in- cistati, fuori dell’ intestino. 9. TL’ E. mirabilis evidentemente si riferisce al lesiniformis, ecco la descrizione che ne da il Pononro: « Corpus obovatum-fusiforme ; proboscis coryliformis uncinorum majorum seriebus 14; collum cylindricum longum semiarmatum seriebus 7 uncinorum minorum; apertura vulvae papillosa , papillis sex; bursa maris . . . . .2 — Long. 0,003; prot. 0,0005; cras. 0,001. Habit.: Rana esculenta in follicolis inclusis in vescica urinaria; Hyla viridis in follicolis peritonei ». 3_IL’E. lobiancoi trovato dal Monricetti nel peritoneo di Tropidonotus viperinus Larr., « ha la proboscide subovata con 9-10 serie di uncini spessi e ricurvi; ed il collo corto e conico armato di 4 serie di uncini più piccoli, sottili e quasi diritti. Il corpo è allungato, fusiforme un poco ristretto an- teriormente, nel mezzo molto rigontio, posteriormente molto ristretto ; esso sì mostra finamente striato per traverso. Lungh. 3-4 mm. >. 4.-Il Parona così descrive VE. heterorhynchus: « Proboscis eylindrica, antice attenuata, postice crassiore, uncinorum seriebus 11 in parte anteriore, 16 in posteriore. Collum breve. Corpus subovale. Longit. 1/, a 1 mm. ». Detta forma fu trovata dall'A. in piccole cisti della lungh. da 1/a 1 mm., sul peritoneo di Zamenis viridiflavus Dum. -— Il Parona considera il collo come la parte posteriore della proboscide. 5.—AN' E. dipsadis il Lissrow riferisce alcune larve di echinorinco rin- venute in cisti ellittiche (lunghe 1,14 mm., e larghe 0,72 mm.) sulla tunica intestinale di Dryophis baudingii. In detti echinorinchi la proboscide è ar- mata di molte serie di uncini, gli anteriori molto robusti, lunghi mm. 0,088 costituiscono 12-14 serie trasverse (10 ognuna), mentre i posteriori (0,072) sono a forma di spina e costituiscono 20 serie trasverse di 12-16 aculei; il numero però è solo approssimativo essendo la proboscide invaginata. Le cinque specie di echinorinco di cui ho riportato la descrizione si riferiscono senza alcun dubbio alla forma larvale del Chentrosoma alucomis Micumr, o del Ch. duteonis Scrrang. Esporrò ora le ragioni che mi hanno indotto a riferire di preferenza le forme citate al Ch. aluconis augurandomi che ulteriori ricerche sperimentali valgano a confermare questa mia opi- nione, basata del resto non solo sulla descrizione. ma anche su alcune espe- rienze di infezione che confermano pienamente i reperti ottenuti dal Sas- BATINI. Anzitutto devo far osservare che la differenza nelle serie di uncini date dagli Autori per le varie forme, potrà far sembrare non fondata questa mia ipotesi; però se noi consideriamo che di questi uncini furono sempre contate le serie trasverse , il cui numero oscilla di molto in una stessa specie, e 238 Antonio Porta non le serie longitudinali invariabili, ci faremo una idea come sia avvenuta questa divergenza nell’apprezzamento del numero degli uncini. Considero lE. lesiniformis Mouin, come larva del CR. aluconis: per le dimensioni, che nella larva di C%. duteonis sono sempre maggiori; per il numero delle serie di uncimi pure superiore nella larva del C4. duteonis ; per la forma della proboscide ovoidale nell’aluconis, conica, arrotondata all’ estre- mità nel Ch. duteonis; infine per il corpo che posteriormente nel dufeonis si allunga a formare una coda mobile in tutti i sensi e retrattile, invece nel- l’aluconis il corpo è semplicemente assottigliato all’estremità posteriore. L'E. mirabilis PoLonio pure parassita nella Rana si riferisce senza alcun dubbio al lesiniformis. L'E. lobiancoi Moxmic., di cui per la cortesia del Prof. MonmiceLLi ho potuto osservare un esemplare ed alcune sezioni, non differisce dall’E. le- siniformis; a questa conclusione vi sono indotto: dalle dimensioni, dalla forma del corpo e della proboscide, e dal numero delle serie di uncini. Ciò fu intuito dal Prof. MovxriceLLI il quale a proposito fa notare che « è pos- sibile che questo echinorinco pervenga nel Tropidonotus viperinus a mezzo delle ranocchie di cui si ciba questo ofidiano e però sarà necessario far delle ricerche in proposito ». Considero pure come forme larvali del Oh. aluconis, VE. heterorhynchus Parona, e lE. dipsadis Linsrow, per il numero delle serie di uncini e per le dimensioni delle cisti (mm. 1-1,14); infatti nel duteonis maggiore è il nu- mero delle serie di uncini, e superiori sono le dimensioni della cisti (mm. 1,90-2). Riguardo alla forma della proboscide nell’ E. Reterorhynchus devo dire che questa non ha nessuna importanza, poichè tanto la manipolazione come la pressione maggiore o minore del coprioggetti, può modificare la forma della proboscide. Che ciò sia vero lo prova il fatto che di due esem- plari di E. heterorhynchus in uno stesso preparato inviatomi dal Prof. Pa- RONA, uno presenta la proboscide cilindrica, l’altra ovoidale. Infine il numero delle serie di uncini assegnati dal Parona al: heterorhynchus corrisponde ap- pieno col numero dato dal Sasparmi per le larve di E. inaequalis (—aluconis). Il Ruporp®zi chiamò col nome di E. cinctus una forma larvale di echi- norinco racchiusa in cisti bianche del diametro di 2/3 di linea (circa 1,5 mm.), trovato a Rimini nel mesentere e nel perituneo di Coluber atrovirens (= Zamenis atrovirens Grar.). L’echinorinco isolato misurava 1 1/,-1 1/3 di linea (circa 2,5-3 mm.) e presentava una proboscide ovale armata di 12-14 serie trasverse di uncini; un collo « cingulo aculeis armato », con uncini « ma]o- ribus et laxius dispositis » che nella proboscide. Il Ruporpui riferì poi alcuni altri echinorinchi a questa specie, colla quale io credo però non abbiano nulla a che fare. Infatti io propendo a credere che la specie descritta, sia per le dimen- sioni che per la forma della proboscide, e per il numero degli umcini, debba riferirsi alla forma larvale del CR. aluconis, mentre gli altri echinorinchi de- Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 239 scritti in seguito sotto il nome di £. cinetus, si riferiscono al Ch. buteonis. (Vedi questa specie). Da quanto ho esposto, e dagli ospiti in cui il CR. aluconis è stato rin- venuto, credo che presumibilmente si potrebbe ammettere in detta specie il seguente ciclo di sviluppo: a) L'uovo contenente l’embrione è ingerito da un artropode fino ad ora sconosciuto (forse un insetto), il quale è il primo ospite. b) Con l’artropode è trasportato in un anfibio, che è il secondo ospite. c) Con l’anfibio, in un otidiano che è il terzo ospite. d) Il terzo ospite è divorato da un uccello rapace, ospite definitivo, nell’intestino del quale raggiunge lo stadio adulto. Io credo però non sia necessario che intervengano tanti ospiti in- termedii per lo sviluppo del parassita; ciò si osserva in natura perchè dato il numero maggiore di ospiti intermedì, maggiori sono anche le probabilità che il parassita possa raggiungere lo stadio adulto in cui è sessualmente maturo; ma sperimentalmente io penso che si possa accorciare il ciclo di sviluppo. E questo accorciamento può venire anche in natura. Il SasparINI trovò nel peritoneo di Seps chalcides Cuv., le cisti di CR. aluconis (=inae- qualis Run.); e il Giesro-Tos le rinvenne aderenti al fegato di Lacerta mu- ralis Laur. Ora noi sappiamo che la Luscengola e la Lucertola si nutrono specialmente di insetti (coi quali forse si infettano), e che d’altra parte sono insidiati da Rettili e Uccelli; dato questo si può arguire che la Luscengola e la Lucertola , costituiscono come gli anfibii, un secondo ospite, il quale può pervenire in rettili (terzo ospite) o in uccelli rapaci (ospite definitivo). 5. Chentrosoma buteonis Scurang [1788] [Forma larvale] (Fig. 12-14) Echinorhynchus buteonis Gorze: pag. 154-155, Taf. 12, fig. 1-2. A -- SCHRANK: pag. 23, N. 70--GueLN: pag. 3045, N. 5-- Bosc: pag. 5-- FROELICH: 2. pag. 63-64 — De MARvAL: 2. pag. 575, N. 4; 3. pag. 240-249, Ple. 1., fig. 7-10, 17, 22-23-- LiBE: pag. 184-186. E. caudatus Zaper: 2. pag. 153, N. 12-- Ruporpm: 4. pag. 274-275, N. 20; 6. pag. 70 e 323, N. 29, e pag. 667, N. 54-- BLAINVILLE: pag. 204-211-- We- sTRUMB: pag. 22-23, N. 40, Tab. 1, tig. 5, Tab. 3, fig. 1-3-- MeHLIS: pag. 170 -- CREPLIN: 3. pag. 325-336-- Duyzarpin: pag. 505-506, N. 15-- GuRLT: pa- gine 223-325 -- Dissina: 1. pag. 30-31, N. 30--Stossica: 6. pag. 67 -- Cox- DORELLI: 2. pag. 79-82 --Srossicz: 8. pag. 136; 9. pag. 134, N. 5-- WoLr- FHiGEL : pag. 10-- De MarvaL: 1. pag. 432-437--InkRING: pag. 46: Line: pag. 185-188. E. cinctus (in parte) RupoLpHIi: (Vedi bibliografia in C. aluconis pag. 235). E. tumidulus RupoLeHI: 6. pag. 69 e 320, N. 25, pag. 666-667, N. 53 -- WESTRUMB: pag. 22-23, N. 40-- GurLt: pag. 223-325 -- Drssine : 1. pag. 30, N. 29 -- TarRrING: pag. 46--LùHE: pag. 322-324. 240 Antonio Porta E. soricis RupoLpn: 6. pag. 76, N. 51-- Lune: pag. 302. E. megacephalus WestRUMB: pag. 14, N. 23, Tab. 1, fig. 6-- DuyArDIN: pag. 525, N. 47-- Diese : 1. pag. 27, N. 21--IreRING: pag. 46.-- Lung: pag. 250 e 324. E. appendiculatus WestRUMB : pag. 15, N. 25 --Duyarpin : pag. 500, N. 5, Plc. 7, fig. A-- Dresine: 1. pag. 31-- LùnE: pag. 75. E. polyacanthus CREPLIN: 1. pag. 22 -- GurLT: pag. 223-325--DuJARDIN: pag. 506-507, N. 6-- SABBATINI: pag. 209-211, Tav. 11, fig. 5, 6, 9, 14, 16-- MinGAzZINI: pag. 179, Tav. 12, fig. 3-5-- CoNDORELLI: 3. pag. 4-- LùnE: pug. 169 e 340. . acanthotrias LiNsTOW : 2 pag. 305, Taf. 9, fig. 47-- LùnE: pag. 338. . înaequalis MontIceLLI (nec RupoLPHI): pag. 28. . tenuvicaudatus MarotEL: 1. pag. 226-228; 2. pag. 291-302--LiBE: pag. 169, 221 e 340. Gao IN Ch. buteonis allo stato adulto presenta un corpo liscio, biancastro o bruno, rigonfio anteriormente, in addietro si allunga rapidamente in una sorta di coda diritta che misura fino 28 mm. di lunghezza; nel g' termina con una grande borsa copulatrice. I maschi sono più piccoli delle femmine raggiungendo 15-25 mm. di lunghezza, mentre le femmine arrivano fino ai 40 mm. La proboscide (lunga mm. 0,5-1,2) è conica, leggermente rigon- fiata alla base, armata di 30-32 serie longitudinali di uncini (‘7-16 per serie). Il collo è conico o cilindrico (lungo mm. 0,34-0,72 armato di 30-32 serie longitudinali di uncini (5-6 per serie) lunghi ed esili.— Uova ellittiche con triplice invoglio, delle dimensioni di mm. 0,06 di lungh., e mm. 0,0182-0,02 di larghezza. Habit.— È parassita specialmente degli Uccelli rapaci [Intestino]. La larva è liberao racchiusain cisti ovali della lunghezza di mm. 1,90-2, e della largh. di mm. 0,90-1; isolata presenta un corpo subcilindrico, lungo 4,5-9 mm.; posteriormente si allunga a formare uua coda mobile in tutti i sensi e contrattile. Per le dimensioni della cisti e della larva isolata, per il numero mag- giore delle serie di uncini e per la presenza di una sorta di coda, si -diffe- renzia facilmente dalla larva di CR. aluconis. Habit.— È ospitata da Rettili: Tropidonotus natrix Kuan., Zamenis atrovirens Grar., Elaphis quaterradiatus Gue., Vipera aspis L., Coronella girondica Daup., Pantherophis zeae Frrz., Lacerta viridis Laur., Platydactylus muralis Dum. , e da Mammiferi: Crocidura aranea Wasex., Canis vulpes L. [Peritoneo, fegato, pleura, pericardio, tunica muscolare intestinale]. Note. — Alla forma larvale di Chentrosoma buteonis riferisco VE. cinctus Rup. (in parte), 1’ E. megacephalus Wesrr., l E. Ped WESTR., e lE. insequalis MontIceLLI (nec RupoLPAI). Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili DAI Il RupoLp®i descrive col nome di E. cinctus alcune larve di echinorinco, che io credo debbano riferirsi al Of. aluconis (Vedi: Ch. aluconis). A. questa stessa specie il Rupovpuni riferì pure alcuni echinorinchi della lunghezza di 2 1/4 linee (circa mm. 5,5 ) trovati liberi in un Zumenis atrovirens, fissati solo con la proboscide al peritoneo. L'A. ne dà la seguente descrizione: « Pr 0- boscis longissima, teres, in tres partes divisa, quarum media crassior , tertia autem anteriores duas longitudine fere superavit. Uncini minutissimi densissimi, reflexi, quadraginta circiter seriebus transversis dispositi. Collum nullum. Corpus oblongum, antrorsum angustatum, apice caudali longo tenuiore et obtuso terminatum ». A questa specie riferi ancora alcuni echinorinchi trovati incapsulati nel mesentere di Vipera redii (= V. aspis). Dalla forma della proboscide, dal numero delle serie di uncini, dalle dimen- sioni, e dalla forma posteriore del corpo , mi pare che l’ echinorinco descritto si debba riferire al dufeonis. Il NarreRER trovò, in Brasile, nel peritoneo di Coluber maculatus ( = Pantherophis zeae Frez.) una forma larvale di echinorinco lungo 1-2 lmee (circa 2-4,5 mm.), con la proboscide lunga più dei ?/; della lunghezza totale, e armata di circa 30 serie trasverse di uncini, che il Wesrrums descrisse col nome di megacephalus. Il Lire a proposito di questa forma dice : « Ich vermute, dass dieser Er. megacephalus die Larve ist von jener Echinorhynche- nart aus brasilianischen Raubvogeln, die Runorem zu E. tumidulus Run. (= Ch. buteonis) gerechnet hat ». ì Io condivido pienamente la sua idea e riferisco l’ E. megacephalus al Ch. buteonis. i Col nome di appendiculatus il WesrrumB indicò un echinorinco trovato nel toporagno (Crocidura aranea Wasax.) una sol volta. A questa forma il RupoLPHI aveva provvisoriamente dato il nome di E. soricis. Il Dusarpin lo rinvenne in seguito due volte: la prima in un toporagno , la seconda nel l intestino di una volpe che probabilmente aveva mangiato dei toporagni. Riporto la descrizione del Dusarpm: « Corps long de 4 mm. à 9 mm., large de mm 0,82 à mm. 2; rapport de la longueur à la largeur 4 ou 5; compose d’une partie ovoide, plus renflée au milieu et de deux parties ter- minales, entièrement rétractiles è l’intérieur, savoir: 1.° une partie posté- rieure également longue, mais quatre fois plus étroite, cylindrique, un peu amincie en arrière, contractile et mobile en différents sens comme une trom- pe; 2.° une partie antérieure aussi de méme longueur que les deux autres, composée d’un cou plus mince en còne tronqué, nu et rétractile, et d’une trompe en massue, également rétractile, armée de trente-deux rangées tran- sverses ou vingt-huit rangèes longitudinales de seize crochets, qui sont plus grands sur la partie renflée, plus minces sur la partie étroite ou basilaire, qu'on peut nommer le cou ». : Alla descrizione della specie il Dusarpin aggiunge anche una figura (fig. 13) che toglie ogni dubbio circa l’ identità dell’ E. appendiculatus con la forma larvale del duteonis. Il Dusarpin intuì forse che questa forma do- Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 3. 17 249 Antonio Porta vesse raggiungere la maturità sessuale in un uccello rapace poichè dice : « Jai d’ailleurs été toujours frappé de la ressemblance des jeunes Echinorhyn- ques des Strix avec celui-là, quant à la structure de la trompe ». Il MoxmiceLLI così descrive un echinorinco trovato nel Tropidonotus natrix, e che egli riferisce all’. inaequalis (=aluconis). « Lungo le pareti esterne del tubo digerente, ho trovato moltissime cisti bianchicce , piccole ed ovalari che misurano da 2-3 mm. Queste cisti contengono incapsulata una larva di echinorinco, con la proboscide invaginata e l’estremità caudale del corpo ripiegata. Rompendo la cisti e leggermente premendo fra due vetri l’ Echinorhynchus, ho potuto riconoscere la forma, e specialmente per la proboscide e per il gran numero di serie dei suoi uncini, nonchè per l'aspetto generale del corpo, mi pare che esso possa riferirsi all’inaequatis Rup. trovato nel ventricolo di Falco duteo ». Per le dimensioni della cisti e per la parte posteriore del corpo for- mante una specie di coda ripiegata, riferisco questa forma al Ch. duteonis. Quindi l’inaegualis MonticeLLI (nec RuponpHI) è sinonimo del Buteonis. Dagli ospiti in cui il Ch. buteonis è stato riscontrato, mi pare sarebbe logico il supporre in questa specie il seguente ciclo di sviluppo : a) L'uovo contenente l’embrione è ingerito da un artropode, fino ad ora sconosciuto, il quale è il primo ospite. 0) Con l’artropode passa in un rettile (Ofidî, Saurî), o in un mam- mifero (Crocidura aranea Waen.), che costituiscono il secondo ospite. c) Col rettile o col mammifero perviene in un uccello rapace, ospite definitivo. Di questo ciclo di sviluppo si potranno avere alcune modificazioni , come lo prova il rinvenimento della larva di CR. buteonis (= appendieulatus Wesrr.) nell'intestino di una volpe, che verosimilmente aveva mangiato dei toporagni 1). 6. Gigantorhynchus compressus Ruporeni [1802] [Forma larvale] (Fig. 15-16) Echinorhynchus compressus RupoLPHI: 2. pag. 48-49--Zeper: 2. pag. 150, N. 3— RuporpÙi: 4. pag. 255-257, N: 4; 6. pag. 64, N. 5-- WesrRrUWB: pag. 6-7, N. 7, Tab. 8, fig. 28-- GurLt: pag. 223-325 -- DuzARDIN: pag. 514, N. 28 -- Diesine: 1. pag. 23, N. 9-- De MARvaL:1 pag. 422-423 -- Line: pag. 193-194. E. ricinoides RunoLPHI: 4. pag. 253-254, N. 2; 6. pag. 64, N. 3-- WEsTRUMB : - pag. 7-3, N. 10--GurLt: pag. 223-825 -- DusarDIN : pag. 516, N. 32-- 1) La larva di echinorinco trovata dal WepL (pag. 236, Taf. 2. fig. 25-26) e dal Sonsino (pag. 4388 e 448), in capsule ellittiche: nel peritoneo di Erinaceus auritus Parr., e distinta dal Sonsimo col nome di Erhinorhynchus : Wedli, credo si riferisca pure al Ch. duteonis. Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 243 CrePLIN:5. pag. 289-300 -- Dinsina: 1. pag. 24, N. 12-- Sonsino: pag. 437-449. Lune: pag. 292-293. E. oligacanthus RuporpH1: 6. pag. 64 e 311, N. 6--WesTRUMB: pag. 5, N. 4-- Dusarpn: pag. 526, N. 49-- Drrsme: 1. pag. 24, N. 13 -- Parona: 2. pag. 253-- SaBBamINI: pag. 217 -- Lùne: pag. 266. E. oligacanthoi.les RuporpHI: 6. pag. 6£ e8311-312, N 7, pag. 666, N. 52-- WESTRUMB: pag. 5, N. 5--Dusarpin: pag. 526, N. 48-- Desa: 1. pag. 24-25, N. 14 — MovnmceLLI : pag. 29-- Inprine: pag. 46 -- Liar: pag. 265-266. E. falconis cyanei Ruporpai: 6. pag. 76, N. 56 -- Line: pag. 204. E. cornicis Ruporeni: 6. pag. (6, N. 59-- Lùnk: pag. 196. E. coraciae RuporpÙ®i: 6. pag. 77, N. 61-- Ling: pag. 196. E. charadrii pluvialis RuporpnI: 6. pag. 78, N. 77; Lins: pag. 189. E. lagenaeformis WesrRUmB: pag. Y, N. 8--Duyarpin: pag. 505, N. 13 -- Diesina: i 1. pag. 23, N. 10--Inerina: pag. 46--Liinn: pag. 238-240. E. macracanthus WestRuMB; pag. 7, N.9, Tab. 1, fig. 7 e Tab. 3, fig. 27 -- Dusar- DIN: pag. 517, N. 35 -- Dresme: 1. pag. 23-24, N. 11 -- Lung: pag. 248-249. E. pici-collaris Lemy : 1. pag 98-- Diese: 3. pag. 746, N. 25-- Line: pag. 239 e 339. E. spira Dresine: 1. pag. 34, N. 38; 2. pag. 283, Taf. 2, fig. 10-17 --; 3. pag. 745, N. 21-- Hamann: 2. pag. 3-26, Taf. 2 fig. 16-18 e Taf. 3, fig. 1, 2, Db Line: pag. 240 e 340--ItkRrine: pag. 45. E. taenioiles Desine: 1. pag. 23, N. 8--CrePLIN: 7. pag. 59-68-- DinsiN&: 2. pag. 282, Taf. 1, fig. 10-20; 3. pag. 742, N. 5 HAMaNN: 2. pag. 3-26, Taf. 1, fig. 1-27, Taf. 2. fig. 1-11-13-15, Taf. 3, fig. 3--InERING : pag. 49 -- Line: pag. 240, 340, 342. E. manifestus Ley: 2. pag. 48-- Dinsine: 3. pag. 746, N. 23-- Lins: pag. 239 e 339. uromasticis Framont: pag. 6-7, fig. 8-10: Linn: pag. 240 e 340. patani SereLev: pag. 149-150, Plt. 16, fig. 9-10. renopeltidis SapLev: pag. 151, Plt. 16, fig. 3. igantorhynchus compressus RupoLpni-De MaRvAL: 2. pag. 581-582, N. 30; 3. pag. 337-352, Plc. 4, fig. 124-133, 139-141. E. KE E G Il G. compressus a completa maturità sessuale raggiunge la lunghezza di 150 a 250 mm, Presenta un corpo appiattito con segmentazione super- ficiale che si affievolisce tanto verso l’estremità anteriore che posteriore. La proboscide è sferica, lunga mm. 0,82-0,4, armata di 12 serie longitudi- nali di uncini (3 per serie), di cui gli anteriori sono molto grandi, robusti e adunchi;i posteriori esili a forma di spina. Il collo è inerme, conico della lunghezza di mm. 0,48-0,608.—Le uova sono ovali, con triplice invoglio, lunghe mm. 0,0702, larghe mm. 0,0494. Habit.—È parassita di tutti gli Uccelli ad eccezione, pare, dei Pal- mipedi. La larva è libera o in cisti ovali che possono raggiungere le dimen- sioni di 10 mm. di lunghezza e 5 mm. di larghezza. Isolata misura da mm. 2 D4A. Antonio Porta a mm. 25. Nello stadio della lunghezza di 2-4 mm. presenta un corpo liscio, a forma di sacco ottuso o lanceolato. La proboscide indipendentemente dalla lunghezza del corpo, conserva sempre presso a poco la medesime dimen- sioni e forma. Si distingue facilmente dal Ch. aluconis e buteonis per il nu- mero delle serie di uncini. Habit.— È ospitata da Ofidii: Bothrops iaracca WasLer, B. neuwiedii Wasen., Elaps corallinus Nruwrsp., Boa constrictor L., Oxyrhopus plumbeus Grar., Pseudophis cinerascens Frrz , Ophis coeruleus Frrz., O. merremii WaGL., Dryophylax nattereri Waer., Philodryas olfersiù Waar., Elaphis quadrili- neata Frrz., Coluber lichtensteini NeuwieD., Erythrolamprus venustissimus Bore, Dipsadomorphus dendrophilus Bore, Xenopeltis unicolor Remw.—Saurii: Uromastix acanthinura Beru, [Peritoneo, mesentere, intestino]. Note. — Riferisco alla forma larvale del G. compressus gli E. uro- masticis Fraront, E. patani Suprey, E. xenopeltidis SepLey. Il Frarpont col nome di E, uromasticis descrisse un echinorineo, rinvenuto nell’ Uromastix acanthinura Beu., che presentava i seguenti caratteri « me- sure mm. 4,5 de long et mm, 0,75 de large en son milieu. Corps élargi au milieu, puis s'amincissant en une queue. Corps strié transversalement. Trompe massive, peu allongée, tronquée à son extrémité libre , armée de quatre rangées de forts crochets. Le deux premiéres rangées supérieures sont for- mées chacune de 6 crochets volumineux , bien disposés sur deux rangées inférieures comprenant 6 crochets beaucoup plus petits. Cou court et mas- sif ». La descrizione e le figure date dal Frarponr corrispondono perfetta- mente al G. compressus; egli indica solo sei serie di uncini, non avendo contato le sei alterne; l'A. accenna però sulla figura a 12 serie di uncini.— Anche il De Marvar unisce l’uromasticis al compressus, L’ E. patani descritto dal SareLey presenta una lunghezza di mm. 25 ed una largh. di mm. 2. La proboscide è armata di 12-14 serie longitadi- nali di uncini, quelli della 2* e 3? serie molto robusti. In cisti di 10 mm. di lunghezza e 5 mm. di larghezza. Nella cavità addominale di Dipsado- morphus dendrophilus Bore. — Ascrivo senza alcun dubbio questa specie al G. compressus, per il numero delle serie di uncini e per la forma ddl pro- boscide di cui lA. ne riporta una figura. Al G. compressus ascrivo pure l’ E. xenopeltidis descritto dal SipLey su tre esemplari: uno lungo 25 mm., uno 17 mm., l’altro 15 mm.; nei tre esemplari la proboscide era invaginata, tuttavia per mezzo di sezioni potè calcolare il numero delle serie di uncini da 8 a 12. Nel Xenopettis unicolor Ramsw.; lA. non indica con precisione l’organo infetto perchè « un- fortunately, the part of the host's body infested by the parassite is unna- med » tuttavia dice che presumibilmente « it vas the intestine ». Dati gli ospiti in cui è stato osservato il G. compressus, credo che in esso si possa supporre questo ciclo di sviluppo : Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 245 a.) artropode (fino ad ora sconosciuto) — primo ospite. b.) rettile o anche un uccello — secondo ospite. c.) uccello rapace — ospite definitivo. Oppure si può avere la mancanza del secondo ospite, cioè : a.) artropode — primo ospite. b.) uccello — ospite definitivo Nel primo caso l’ospite definitivo sarà un uccello rapace; nel secondo, uccelli di tutti gli ordini. Che l'infezione possa avvenire per l’ingestione diretta del 1° ospite, senza intervento di un 2.° ospite, lo prova il rinvenimento in uccelli delle prime forme larvali del G. compressus che furono un tempo riferite a specie diverse, quali gli E. macracanthus (lungh, 2-4 mm.), ricinoides (lungh. 7-8 mm.) Pervenute le larve nell’ospite definitivo vi raggiungono a poco a poco la maturità sessuale e le dimensioni grandi dell’adulto. 7. Gigantorhynchus (2) rhopalorhynchus Diese [1851] (Fig. 17-18) Echinorhynchus rhopalorhynchus Dissine: 1. pag. 46-47, N. 75; 2. pag. 286, Taf. 3, fig. 1-9; 3. pag. 749, N. 39. Proboscide lunghissima, clavata, armata di circa 40 serie di robusti uncini. — Collo nullo. — Corpo lunghissimo, subeguale. Negli individui giovani è flagelliforme ingrossato anteriormente, armato di 8-10 serie di uncini che scompaiono nell’adulto. Lungh. g adulto 5-8” linee (circa mm. 180); Lungh. 9 adulta 3 1/2-10", linee (circa mm, 200).. Habit.— Champsa fissipes Waeter, 0. gibbiceps WaeLeRr, C. punctulata WaaLer, Caiman palpebrosus Gray, C. trigonatus Grar, Jacare nigra Grav, J. sclerops Gray | Intestino |. Note. — Riporto la descrizione e la figura del Drrsime, non avendo avuto questa specie in esame. Per le dimensioni l’ascrivo dubitativamente al genere Gigantorhynchus. Species Inquirendae 8. Echinorhynchus sp.? (larva) Wepx [1861] pag. 232-234, Taf. 2, fig. 17-20 Le cisti misurano 2 mm, La proboscide è armata di 8-10 serie di un- cini divisibili in due tipi: grandi con un lungo processo superiormente alla radice; piccoli con radice a moncone; la lama è più forte ed adunca nei primi che nei secondi 246 Antonio Porta Forse si riferisce al Gigantorhynchus compressus Run. Habit. — Cerastes aegyptiacus Duw. |[Mesentere, Peritoneo (incapsulato), Intestino]. 9. Echinorhynchus sp.? (larva) WepL |1861] pag. 234-235, Taf. 2, fig. 21-24 Capsula ellittica; proboscide lunga, cilindrica. Habit.— Naja haje MerrEm. [Peritoneo]. 10. Echinorhynchus sp.? (larva) WepL [1861] pag. 237, Taf. 2, fig. 31-32 Forma del corpo ellittica; proboscide armata di 50 serie di uncini. Que- ste due forme descritte dal WepL si riferiscono certo o all’ E. aluconis 0 all’. dbuteonis. Habit.— Naja haje Merrem. |Mesentere]. 11. Echinorhynchus sp.? (larva) Mfexin [1882] 5 pag. 348, Plc. 6 Habit.— Varanus arenarius Dum. |Mesentere]. 12. Echinorhynchus pyriformis Brenser [1824] Echinorhynchus pyriformis BREMSER-SABBATINI: pag. 211-212, Tav. 11, fig. 11,12. Il Sagpamini ascrive a questa forma un echinorinco rinvenuto nel peri- toneo di un colubro (Zamenis atrovirens Grar). Pongo questa forma, citata dal SaspatIni, fra le specie inquirende poichè dubito che si riferisca invece al Corynosoma hystrix (Vedi Acantocefali degli Anfibi a pag. 230: 0. hystrix). 13. Echinorhynchus sp.? (larva) Sowsmmo [1896] pag. 449 Habit.— Naja haje MerREW. [Peritoneo]. 14. Echinorhynchus sp.? (arva) Sonsino [1896] pag. 449 Habit.— Zamenis parallelus Larasre [due forme incistate nella sierosa intestinale e nell’ intestino]. Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 247 15. Echinorhynchus raphaelis (larva) Sonsmo [1896] pag. 449 Con questo nome il Sonsino indica, senza dare alcuna descrizione, un echinorinco rinvenuto nel Varanus arenartus. Duw. e Bigr., e che forse. si riferisce all’echinorinco rinvenuto pure nel Varanus dal Mfenm. 16. Echinorhynchus curvatus Lissrow [1897] Bir dba bee, Echinorhynchus curvatus Linstow: 5. pag. 34, Taf. 5, fig. 24. Proboscide armata di 5 serie di uncini (6 per serie); gli anteriori con radice robusta misurano 0,35 mm., i posteriori a forma di spina 0,11 mm. — Corpo posteriormente assottigliato e alquanto curvato. Lungh. fino 5,353 mm., largh. mm 1,22. Habit. — Plestiodon aldrovandii [Intestino]. Note. —Gli esemplari sono immaturi e non presentano uova. Dubito si riferisca al G. compressus, per la forma degli uncini; il numero minore di questi è forse dovuto al fatto che non sono state contate le serie alterne. Metto in ogni modo questa specie fra le inquirende, trattandosi di una forma larvale. Nota aggiunta Il presente lavoro era già impaginato quando il Dr. O. v. Linstow , con consueta squisita cortesia, mi inviò una sua nuova pubblicazione [Hel- minthen von Herrn Epwarp Iacozsoy in Iava (Semarang) gesammelt : Notes from the Leyden Museum, Note x: Vol. 29, 1907, pag. 83-84, Pit. 1, fig. 4-7] in cui descrive due nuove specie di Echinorinchi di rettili : Echinorhynchus serpenticola Lissrow [1907] pag. 83, Taf. 1, Fig. 4-5 Grossa forma larvale, lunga 24 mm., larga mm. 1, 2; corpo con seg- mentazione superficiale , i pseudosegmenti sono lunghi circa mm. 0,24. La proboscide corta, a forma di mazza, lunga mm. 1,88, larga mm. 0,99, è armata anteriormente di 4 serie trasverse di grossi uncini, e posteriormente di 5 serie di piccoli uncini (15 per serie). Gli uncini anteriori più grossi crescono in dimensioni dall’avanti all’ indietro (mm. 0,12-0,15) e sono muniti 248 Antonio Porta di radice; i posteriori più piccoli, diminuiscono invece (0,11-0,10) e mancano di radice. Habit. — Arrotolato nel tessuto connettivo di un Ofidio Psammodynastes pulverulentus Fisca. Echinorhynchus mabuiae Lissrow [1907] pag. 84. Taf. 1, Fig. 6-7 Lungo 32 mm., largo 1,90, l’estremità posteriore arrotondata è alquanto ingrossata, larga mm. 2,05; mancano pseudosegmenti, Proboscide anteriormente ingrossata, lunga mm. 0,83 e larga mm. 0,75 armata anteriormente di 6 serie trasverse di uncini più grossi, e posterior- mente di 11 serie trasverse di uncini più piccoli (8 per serie). Anche in questa specie gli uncini anteriori più grossi, crescono in di- mensioni dall’avanti all’ indietro (mm. 0,097-0,141); i posteriori più piccoli, in cui manca una radice, invece diminuiscono (mm. ‘0,079-0,053). La proboscide è poco più lunga che larga. — Gli organi sessuali non sono sviluppati. Habit.—In posizione estesa fra i muscoli della regione ventrale nel Mabuia multifasciata KvaL. Note — Ambedue queste specie sono da porsi fra le inquirende; dubito si riferiscano al G. compressus. Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 249 IV. Indice sinonimico degli Acantocefali degli Anfibii e Rettili ‘) Acantocefali degli Anfibii Chentrosoma aluconis MùLLER lesiniformis Morin mirabilis PoLonro Corynosoma hystrix BreMmsER Echinorhynchus anthuris Dvs. E. bufonis SureLEY E. lutzii HamanN E. ranae SCHRANK falcatus FroELICA praetextus Motin tigrinae SHIPLEY tritonis WeESTR. sp. ? Cini . Sp. ?_ SHIPLEY Neorhynchus rutili Munn. clavaeceps Zen. Pomphorkynchus laevis Zora proteus WesTRUMB Acantocefali dei Rettili Chentrosoma aluconis MirLeR 4 cinetus Rup. (in parte) lesiniformis Motin mirabilis PoLonro lobiancoi MoxnrIcELLI heterorhynchus Parona dipsadis v. Liystow O. buteonis ScHRANK 5 - cinctus Rud. (in parte) soricis Rup. megacephalus WrasrR. appendiculatus WesTR. inaequalis Moxtic. (nec Rup.) Echinorhynchus anthuris Dvus. 1 E. curvatus Lixsrow 16 E. hamulatus Las 2 E. inflerus CosoLp 3 E. pyriformis BrENSER 12 E. raphaelis Soxsino 15 E. sp.? Wapl 8 E. sp.? WepL 9 E. sp.? WepL 10 E. sp ? Mienin Il E. sp ? Sonsino 13 E. sp. ? SonsIno 14 Gigantorhynchus compressus Run. 6 uromasticis FRAIPONT | patani Supupy xenopeltidis SHIPLEY G. rhopalorhynechus Diesina ‘ 1) Non tengo conto che delle specie da me messe in sinonimia le quali fi- guravano, prima del presente lavoro, come distinte. Riporto la sinonimia com- pleta nella descrizione delle singole specie. 250 Antonio Porta V. Quadro riassuntivo degli Acantocefali degli Anfibii e Rettili. | Zchinorh. lutzii HAMANN, SRI: Echinorhynchus anthuris Duy. Echinorh. ranae SCHRANK Echinorh. tritonis WESTR. Neorhynchus rutili MùLn. Echinorh. bufonis SHIPLEY Echinorh. ranae SCHRANK Echinorh. tigrinae Chentrosoma aluconis MiùLLER Corynosoma hystrix BREMS. Pomphorhynchus laevis ZoEGa Echinorh. anthuris Duv De Echinorh. hamulatus LEYD.: Rana temporaria Lux. \ ) ORsSiP4MTE Anfibii Urodeli Triton taentatus ScHNED. » cristatus LAUR. Salamandra atra LaAuUR. Triton taeniatus ScaNEM. » lobatus BoNAPARTE » cristatus LAUR. Triton alpestris LAUR. Anuri Rana esculenta Lux. Bufo melanosticus SCHNEIDER » pemangensis Wirson Gray Bufo agua LarR. » esculenta Lx Bombinatur igneus WAGL. Bufo vulgaris LauR. » viridis Laur. Rana tigrina DauD. Rana esculenta Lux. Hyla arborea Cuv. Rana esculenta L. Rana temporaria L. Rettili Chelonii Emys lutaria Bp. Emys insculpta LEcoNTE » guttata BecHsT. » serrata SCHWEIGG. Osservazioni Si trova pure nei Chelonii Specie inquirenda, forse si riferisce alla forma larvale del Chentr. alu- conis (= lesiniformis). Di solito nei pesci e spe- cialmente nei Ciprinidi. Forma larvale ; adulto negli Uccelli rapaci. Di solito negli uccelli Natatores. Di solito nei pesci e spe- cialmente nei Ciprimidi. Di solito negli Urodeli. Gli Acantocefali degli Antibii e dei Rettili 261 SPESE Echinorh. hamulatus LevD. i Echinorh. inflexusCoBBoLp Gigantorhynchus (2) rho- palorhynchus Diesine Chentrosoma aluconis MiuùLLER Chentrosoma buteonis SCHRANK Gigantorhynchus compres- sus Rup. i | | \ | OSPITE Clemmys geographica WaAGL. Cistudo carolina GRAY Halichelys atra Frrz. Crocodilini Champsa fissipes WAGLER C. gibbiceps ? C. punctulata W AGLER Caiman palpebrosus GRAY C. trigonatus GRAY Iacare nigra GRAY J. sclerops GRAY Ofidii Vipera aspis L. Tropidonotus viperinus LATR. Elaphis quaterradiatus Gwet. Ualopeltis longissimus Laur. Zamenis atrovirens GTER. » viridiflavus- Dum. Dryophis blaudingii ? Tropidonotus natrix KusL. Zamenis atrovirens GTER. Elaphis quaterradiatus GmEL. Vipera aspis L. Coronella girondica Daup. Pantherophis zeae Frrz. Bothrops jaracca WAGLER » neuwiedii WAGL. Elaps corallinus NEUWIED. Boa constrictor L. Oxyrhopus plumbeus GrER. Pseudophis cinerascens Fitz. Ophis coeruleus Frrz. » merremii WAGL. \ Dryophylax nattereri WA6GL. Philodryas olfersii W AGL. Elaphis quadrilineata Frrz. Coluber lichtensteinii Neuw. Erythrolamprus venustissimus Bor Dipsadomorphus dendrophilus Bore Xenopeltis unicolor REINW. Osservazioni Ascrivo dubitativamente questa specie al gene- | re Gigantorhynchus Forma larvale; adulto negli Uccelli rapaci. Forma larvale ; adulto specialmente negli Uc- celii rapaci. Questa larva è ospitata pure da Mammiferi (Orocidura aranea, Ca- nis vulpes). Forma larvale; adulto in tutti gli Uccelli, ad eccezione dei Palmi- pedi. Antonio Porta SRIEIGHE Echinorh. pyriformis BREMSER Echinorh. raphacelis SONSINO Echinorh. curvatus Linstow Chentrosoma aluconis MiiLLER Chentros. buteonis SCHRANK Gigantorhynchus compres- sus RuD. \ O1SiPalatse Zamenis atrovirens GTH. Sauril Varanus arenarius Dum. Plestiodon aldrovandii Seps chalcides Cuv. Lacerta viridis LauR. Platydactylus muralis Dum. Uromastix acanthinura BELL. Osservazioni L’echinorinco citato dal SABBATINI con questo nome forse si riferisce al C. hystria. Forma larvale, renda. Specie inquirenda, forse, si riferisce al Gig. com- pressus. Forma larvale. inqui- Forma larvale. Forma larvale. Laboratorio di Zoologia dell’Università di Camerino, Maggio 1907. Gli Acantocefali degli Anfibii e dei Rettili 253 VI. Bibliografia 1793. Abildgaard, P. 0. — Allgemeine Betrachtungen ùber Eingeweide- wiirmer u. s. w.: Schrift. Naturf. Ges. Kopenhagen. 1. Bd. 1. Abtlg., pag. 24. 1874. Bagnis, C.— Di due nuove specie di elminti ritrovati nella Rana esculenta: Ateneo, Rivista mensile Sc. Lett. Roma, Anno 1. N° 83, DA gE Ar 1844. Bellingham, B.— Catalogue of Irish Entozoa, with observations: Ann. Mag. Nat. Hist. Vol. 15, pag. 254. 1819. Blainville, de H. — Echmnorhynchus. Dictionnaire des Sciences Naturelles : Vol. 14, pag. 204. 1802. Bose, L. A. G. — Histoire naturelle des Vers. (Suite è Burron, Tome 64): Tome 2, Paris, An. 10, pag. 1. 1891. 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Fig d 2 d 4 5) 6 Ti 1. — Echinorhynchus anthuris: proboscide. x 52; a. b. uncini. X 135 (Orig.). . — E. anthuris: borsa copulatrice. x 76 (da DUJARDIN). . — E. bufonis: forma del corpo. x 8 (da SHIPLEY). . — E. bufonis: parte anteriore del corpo. x: 17 (da SHIPLEY). . — E. luteti: proboscide; a. uncino (notevolmente ingrandito) (da HAMANN). . — E. ranae: proboscide. x 52; a. db. uncini. X 135 (Orig.) . — Corynosoma hystrix : forma del corpo. 10; a. 5. uncini 270 (da DE MARVAL). 8. — Eckhinorhynchus infexus: grandezza naturale ; Fig. 8 @. proboscide (da CoBBOLD). — Chentrosoma aluconis (= lesiniformis Mot.): parte anteriore del corpo X20; a. b. uncini (Orig.). — Ch. aluconis (= lobiancoi MontIC.): forma del corpo. X 20; Fig. 10 a. parte anteriore del corpo. X 125; bd. c. uncini. Xx 220 (Orig. Mon- TICELLI disegnò). .— Ch. aluconis (adulto): parte anteriore del corpo. X 11; a. d. uncini Xx 1535 (Orig.) . — Ch. buteonis: larva. 13 (Orig.). 15. — Ch. buteonis (= appendiculatus WeSsTR.) X 16 (da DuJARDIN). 14. — Ch. buteonis (adulto): parte anteriore del corpo. X 20; d e. uncini. x 185 (Orig..). 15. — Gigantorhynchus compressus (larva). x 10 (da De MaRvaL). . — G. compressus: a. db. c. uncini. x 135 (da DE MARVAL). . — G. rhopalorhynchus : proboscide di individuo adulto. x 32 (da DrrsINe). . — G. rhopalorhynchus: proboscide di giovane individuo con serie di acu- lei nella parte anteriore del corpo. X 8 (da Diese). . — E. curvatus: uncini a. bd. c. (da LinsTow). Ricevuto il 27 Maggio 1907. Finito di stampare il 9 Maggio 1908, Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco del Box salpa L. secondo lo stato funzionale. Ricerche del Dott. Alceste Arcangeli Ainto nell'Istituto Zoologico della R. Università di Pisa Con le tavole 10-11. Sommario I. Scopo ed intendimenti del lavoro. II. Tecnica. III. Forma, struttura e delimitazione dello stomaco. IV. Aspetti diversi del lume stomacale e della struttura delle pieghe della mucosa. V. Cambiamenti morfologici degli elementi dell’epitelio di rivestimento nelle diverse fasi della secrezione. VI. Cambiamenti morfologici degli epiteli glandolari nelle diverse fasi della secrezione. VII. Sulla presenza dei leucociti nella mucosa stomacale. VIII. Interpretazione dei reperti in confronto con quelli dei precedenti osser- vatori. I. Scopo ed intendimento del lavoro Intrapresi nei primi del 1906 il presente studio, mentre ero Assistente nell’ Istituto Zoologico di Padova !). L'ho portato a compimento nell’ Istituto di Pisa. Sopra la struttura dell'epitelio di rivestimento dello stomaco dei pesci riferiscono Epincrr, StéHR, GLINSKY, TRINKLER, PILLIRT; esiste inoltre una serie di notizie sparse nella letteratura, le quali, come ben dice OPPEL, poco o niente di nuovo possono aggiungere alle indicazioni di Edinger che se ne occupò in special modo. Per quanto riguarda il mio studio, io mi son riferito quindi sopratutto al riassunto che OppeL dà delle notizie raccolte nella letteratura e di quanto egli stesso vide. Non tralascerò neppure di fare le dovute 1) Vedi Bibliografia (2) in altro mio analogo lavoro pubblicato quivi. Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 3. 18 262 Alceste Arcangeli comparazioni fra quello che ho osservato io e ciò che trovarono parecchi osservatori riguardo all’epitelio stomacale di altri verte- brati. Per quanto io mi sappia nessuno finora ha dato importanza alla differente forma, al differente volume, alla differente struttura che la cellula epiteliale di rivestimento dello stomaco, non solo dei pesci, ma anche di altri vertebrati presenta nella stessa specie, non nelle diverse. Mi sembra quindi lecito di poter avanzare il sospetto che gli Autori spesso abbiano considerato e descritto, come carat- teristica di dati vertebrati, una forma di cellula epiteliale, la quale non rappresentava altro che l’aspetto della stessa cellula in una determinata sua fase, eliminando e non considerando quindi tutte quelle che non si presentavano secondo lo schema dagli stessi autori ammesso come tipico della specie. In fin dei conti si tratta di un fatto che abbiamo già riscontrato essere avvenuto riguardo all’epitelio intestinale; anche qui, prima del MinGgAZZINI (80, 81, 82) non sì erano presi abbastanza in considerazione î cambiamenti mor- fologici della cellula epiteliale. Nè vi è bisogno di spiegare come ed a quali errori d’ interpretazione deve aver condotto questo metodo di studio, che eliminava la possibilità dell'esame e dell’interpreta- zione del funzionamento dell’elemento epiteliale. È mio dovere qui anzitutto richiamare l’attenzione al fatto al quale già accennal in un mio precedente lavoro, che comunque cioè noì operiamo nello studio sia dell’ assorbimento come della secrezione, ci mettiamo sempre in condizioni di sperimentazione che non sono quelle normali. « I risultati degli esperimenti, io dissi, « saranno dunque sempre discutibili, ma ciò non vuol dire che deb- « bano trascurarsi. Basterà aver sempre presente che essi hanno un « valore relativo e limitato, il quale potrà crescere , via via, col « crescere e col variare dei metodi di esperimentazione e del ma- « teriale adoperato, in modo che questo controllo ci permetta di « scevrare il vero dal falso ». Noi non dobbiamo quindi credere che i cambiamenti morfologici cellulari, i quali noi possiamo os- servare nei preparati microscopici, rappresentino precisamente quelli che avvengono nel tessuto vivente. Di questi ultimi i primi non rappresentano altro che le modificazioni generate dai diversi rea- genti e dalle diverse manipolazioni cui va soggetto il preparato. È però lecito credere che alle differenti fasi traversate dall’ ele- ‘ mento cellulare corrispondano pure differenti modificazioni da parte della tecnica; tenendo quindi conto delle ultime noi possiamo dare Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 263 ai diversi aspetti morfologici dell'epitelio visibili nei preparati una interpretazione che ha una probabile corrispondenza con i diffe- renti momenti funzionali. La maggior parte degli studi sopra l’epitelio di rivestimento dello stomaco dei vertebrati trattano della secrezione del muco, ossia di una sostanza in gran parte costituita da un glicoproteide, ossia più precisamente da mucina. La mucina certo non è la sola sostanza secreta dall’epitelio di rivestimento. È forse l’unica che può essere abbastanza apprezzata. Come ognuno sa, essa può es- sere spesso messa in evidenza con la muciemateina, con il muci- carminio , nonchè con la tionina ed altre sostanze coloranti. Ma non sempre ciò è possibile ed infatti si hanno sensibili differenze nella colorabilità della sostanza mucosa dell’ epitelio stomacale in confronto di quella degli altri organi produttori di mucina (Brepe- rRMANN, HeipenHAIN, PesraLozzi, WaRrBURG); non solo, ma anche da una specie animale ad un’altra (anche prossime) si hanno notevoli differenze nella colorabilità del muco con i reagenti della mucina e persino passando da una parte ad un’altra dello stomaco dello stesso individuo (Cremer). Si tratta. verisimilmente di differenze chimiche del muco, le quali, come ben dice CREMER (26), ancorchè piccole possono essere di significato. D'altra parte non è improbabile, come ritennero HoyER (57) e WarBURG (128), che il fatto per cui il se- creto mucoso dell’ epitelio stomacale molto spesso non si colora con i reagenti della mucina dipenda da una modificazione operata dal succo stomacale acido sulla mucina stessa. In generale però si deve ritenere che la maggiore o minore colorabilità dello stesso secreto mucoso sia in rapporto con la minore o maggiore ricchezza in albuminati delle cellule epiteliali dello stomaco (che sono più ricche di albuminati di quelle delle glandole mucose), quindi quanto più - albumina contengono le stesse tanto meno mucina e quindi tanto meno spiccata la colorazione della stessa negli elementi. Con le ultime ricerche di CREMER si può dire che si esaurisca quanto agli osservatori fece riconoscere nell’epitelio di rivestimento dello stomaco la ricerca con i reagenti della mucina. Quasi niente, per lo meno di concreto, noi troviamo presso i diversi ricercatori circa la funzione di assorbimento (dal lume stomacale) dell’elemento epiteliale e di assimilazione da parte del connettivo sottostante. Senza dubbio anche questa funzione esiste ma ci mancano del tutto gli elementi di fatto per prendere in con- siderazione anche questo lato del problema, precisamente come 264 Alceste Arcangeli non fu possibile prendere in considerazione la funzione emun- toria dell'elemento epiteliale dell’ intestino. Con la secrezione della mucina si riattacca la questione circa il significato che deve attribuirsi a quella parte della cellula epite- liale rivolta alla superficie libera, il Pfropf di BrepermANN, l’Obe- rende di OPEL, e la speciale attività con la quale essa partecipa alla secrezione mucosa. Le ricerche da me effettuate sulla mucosa sto- macale di Box Salpa Lin. mi hanno permesso di portare un modesto, ma forse non disprezzabile, contributo allo schiarimento di questa questione , in ciò agevolato dal fatto di aver dato importanza ai cambiamenti morfologici assunti dall’elemento epiteliale nelle sue diverse fasi, cosa che non era stata fatta, almeno con accurattezza, da precedenti osservatori nello studio della mucosa gastrica sia di pesci, sia di altri vertebrati. Numerosi pure sono i ricercatori che si sono occupati delle glandole stomacali dei pesci: Topp, Grammi, STANNIUS, LEYDIG, VaLatovr, Grimm, Epincer, PrLLier, CATTANEO, OppeL, MACALLUM, DEecKER, YunG, tutta una schiera di nomi onorevoli. Si hanno inoltre sulle glandole stomacali dei pesci notizie sparse in memoria anche recenti, ma di carattere troppo generale. Posso dire con abbastanza sicurezza che nessuno ha studiato i cambiamenti morfologici delle cellule delle glandole stomacali di questi animali, almeno con ac- curatezza, se sì accettuano alcune ricerche di LaneLEY (64) sulle cel- lule glandolari dello stomaco di Gasterosteus trispinatus, ricerche che, sebbene abbozzate, avevano tracciato la via allo studio della formazione dei granuli di pepsinogeno; nessun ricercatore seguì tali ricerche sui pesci. Io credo opportuno insistere sul fatto, che deve riuscire poco proficuo, ed anche impossibile senza cadere in errori o inesattezze, lo studiare istologicamente le glandole stomacali (come tutte le vere glandole) di un animale senza tener conto dei cambiamenti mor- fologici che subisce la cellula glandolare. Come risulterà dalle mie ricerche essi sono molto accentuati e possono dare alla glandola stessa un aspetto nelle singole fasi molto differente. Si capisce che limitando la descrizione istologica a glandole o parte di glan- dole le cui cellule si trovano in una data fase, si seguirebbe un pro- cedimento molto inesatto e non si verrebbe per niente a caratte- rizzare con ciò la struttura delle glandole stesse. Purtroppo in molti lavori si vedono riportate descrizioni di glandole non solo con dati di forma e di struttura, ma persino con misure di altezza e lar- Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 265 ghezza delle cellule, e ciò senza preoccuparsi di quale fase glando- lare essi siano caratteristici. Con tali descrizioni si viene a dare un carattere di fissità per l'aspetto della cellula glandolare che non è proprio di questa. Lo studio istologico dunque della glandola non può e non deve esser fatto senza tener conto dello stato funzio- nale della stessa. I cambiamenti morfologici delle cellule glandolari sono stretta- mente collegati alla produzione del fermento o dei fermenti digestivi ; essi ci possono, fino ad un certo punto dare una spiegazione del meccanismo della formazione degli stessi, ragione per cui furono gia da tempo tali cambiamenti presi in considerazione specialmente per i vertebrati superiori. Le mie ricerche, effettuate sopra Box uccisi sia in diversi periodi della digestione sia in stato di digiuno, tendono a stabilire fino a qual punto esistano relazioni fra i fenomeni osservati nei vertebrati superiori e quelli da me constatati in questo sparide in pressochè analoghe condizioni. Dobbiamo tuttavia sempre tener presente che lo stato di digiuno di un pesce non può paragonarsi in senso stretto (e già lo dissi nel mio precedente lavoro) con quello di un vertebrato omotermo, perchè mentre per questo lo stato di digiuno è uno stato cui non corrisponde il regolare funzionamento dell'organismo, per un pesce come per un rettile ed un anfibio non è certo anor- male stare un mese senza nutrimento. Per la esposizione dei fatti osservati dovrò naturalmente pro- cedere anzitutto ad una descrizione della forma, struttura e deli- mitazione dello stomaco dell’ animale preso da me in considera- zione; descrizione non certo inutile, poichè non essendo stata fatta da alcun autore , spero possa portare un piccolo contributo alle conoscenze dell'anatomia microscopica del tubo digerente dei pesci. Il. Tecnica ; Il materiale di cui mi son valso per le presenti ricerche, mi è stato fornito per la massima parte dagli stessi esemplari di Box salpa Lixn., che servirono per il mio precedente studio sull’ assor- bimento intestinale !). Lo stomaco di alcuni di questi esemplari 1) Riguardo ai Box esperimentati che dovrò citare in seguito rimando il lettore al mio precedente lavoro (2), nel quale assegnai a ciascun di essi un numero in corrispondenza all’ordine delle esperienze, 266 Alceste Arcangeli mi ha procurato dei dati abbastanza interessanti. Mi procurai inol- tre altri esemplari di Box vivi pescati lungo la spiaggia di Li- vorno, come pure altri ne ricevetti dalla Stazione biologica di Fiume, i visceri dei quali furono fissati parte con il solito metodo dei primi, parte in liquido di ZENKER, ottenendo buonissime fissa- zioni. Lo stomaco di tali animali non sottoposti ad alcuna espe- rienza servì come verifica necessaria per lo stomaco degli animali tenuti in esperimento. Riguardo alla fissazione dei pezzi non sarà inutile che io dia qui un avvertimento suggeritomi dalla pratica. Questa mi ha in- segnato che quando si lavora di anatomia microscopica del tubo digerente di piccoli vertebrati, come i pesci da me esaminati, non si deve ricorrere per la fissazione al taglio di piccolissimi pezzetti di parete stomacale ed intestinale , come sembrerebbe più oppor- tuno a prima vista per ottenere una fissazione più rapida e pe- netrante del tessuto. Operando in tal modo, non si ottengono in generale buone fissazioni e ciò dipende a parer mio da varii in- convenienti. In primo luogo 10 credo che lo Shock operatorio debba influire in modo ragguardevole specialmente sull’ epitelio glando- lare ed alterarne l'aspetto funzionale quanto più il pezzo tagliato è piccolo, e ciò mi è dimostrato dal fatto che in pezzi relativa- mente grandi (1 cm.) è molto più facile trovare nelle parti più lontane dal taglio un punto dove gli elementi si presentino bene fissati. In secondo luogo abbiamo che gli strati a fibre circolari e longitudinali della tonaca muscolare subiscono una forte con- trazione (e susseguente curvatura) cagionata specialmente dal fis- satore ed aumentata anche dalle successive operazioni che portano all’ imparaffinamento. Per questa contrazione avviene che mentre il pezzo tagliato si presentava prima curvato normalmente, cioè con la concavità della curvatura rivolta verso il lume del tubo digerente dal quale è stato tolto, dopo la fissazione si presenta curvato in senso opposto, cioè in modo da presentare la concavità della curvatura rivolta all’e- sterno. Per seguire tale curvatura la mucosa (che mentre prima presentava una superficie concava ora la presenta convessa) subisce un forte stiramento e contemporaneamente contrazioni dovute al fissativo, azioni che agendo in più sensi ne alterano profondamente la struttura. Ed infatti procedendo in tal modo notevoli altera- zioni dei tessuti si rendono visibili, mentre queste (pur esistendo, poichè è impossibile con qualsiasi metodo evitarle del tutto) sono Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 267 molto meno accentuate quando noi tagliamo dei piccoli, ma interi segmenti di tubo digerente (lunghi fino ad I cm.) Quantunque anche in questo caso si abbia una contrazione non indifferente specialmente dovuta allo strato a fibre muscolari longitudinali, per la quale nei punti del pezzo corrispondente al taglio si ha spesso un rovesciarsi della parete intestinale all’esterno, nei punti inter- medi del segmento noi troviamo che i rapporti di contiguità dei diversi strati della parete, come pure la loro posizione rispetto al lume intestinale sono abbastanza ben conservati, dal che proviene una minore alterazione degli elementi componenti tali strati. I pezzi fissati furono imparaffinati e tagliati in sezioni di 5 p. di spessore. La colorazione fu fatta sempre sulle sezioni. I migliori risultati mi furono dati dall’ematossilina ferrica di Heidenhain sola o con eosina o bordeaux R. per lo studio dell'epitelio di rivesti- mento, meutre l’ emallume (Mayer) ed eosina o bordeaux R. si presta molto più per lo studio delle cellule glandolari; molto meno il carmallume. Per la differenziazione della mucina mi sono servito con buon risultato del mucicarminio, non della tionina ed altre aniline le quali non si prestarono quasi affatto per il mio caso. La cellula epiteliale oltre mucina dimostrò di contenere abbondante albumina perchè per il trattamento con acido acetico non sì in- torbida, ma si gonfia e si rischiara, mentre si intorbida con acido nitrico. I granuli pepsinogeni che si rinvengono nella cellula glan- dolare sono ben differenziati dall’emallume specialmente ed anche dalla tionina. Ill Forma, struttura e delimitazione dello stomaco Bisogna anzitutto premettere che quando si parla di epitelio stomacale di un dato pesce vuol dire che esiste in questo differenziato un vero stomaco, non tanto per la forma, quanto per la sua struttura. La presenza di glandole (a pepsinà) in primo luogo !), e la natura dell’epitelio superficiale ch'è caratteristico ogni qualvolta le prime esistano, sono sicurissimi distintivi dello stomaco. La forma esterna è da considerarsi in linea molto secondaria e spesso inganna circa la presenza o assenza di un vero stomaco nel senso dell’ intima struttura. 1) Si può anche dire che quando l’ epitelio superficiale è ben differenziato si hanno glandole. 268 Alceste Arcangeli Nel Box salpa Lin. come in tutta la famiglia degli Sparidi, esiste un vero stomaco ben distinto sia per la struttura delle sue pareti sia per la forma. La Fig. 1 rappresenta al naturale lo stomaco di un Box di 11 cm. di lunghezza insieme all’esofago ed alla prima porzione d’intestino. Tuttavia se la stessa figura ci dimostra che lo stomaco nel complesso è ben differenziato, dimostra altresì che macroscopicamente non sarebbe facile delimitarlo con precisione. Al faringe segue un esofago molto corto. Il passaggio fra esofago e stomaco esternamente non è caratterizzato altro che da un restrin- gimento , il quale peraltro si presenta più o meno evidente secondo lo stato di contrazione della parete; dopo questo restringimento il tubo digerente si dilata a poco a poco e contemporaneamente a questa dilatazione sopraggiungono cambiamenti nella struttura delle pareti. Lo stomaco sia per la struttura delle sue pareti, sia per la posizione delle sue diverse parti può esser suddiviso in tre porzioni: una cardiaca, una del cul di sacco ed una pilorica. La prima e l’ultima passano l’una all'altra sotto un angolo molto acuto; al disotto di questo passaggio giace un sacco cieco bene sviluppato. La porzione pilorica è limitata posteriormente ed internamente da un cercine o piega valvolare della mucosa, alla quale segue un corto tratto spettante all’intestino pr. d., ma che esternamente non si differenzia dalla porzione pilorica altro che per un restringimento ora abbastanza marcato, ora graduale che lo stesso subisce. Questo tratto è limitato posteriormente da quattro appendici piloriche 1): esso fu chiamato da taluni autori, per altri pesci, duodeno, senza che però esista alcun carattere tari per così denominarlo. La mucosa dell’ esofago, esaminata dall'interno, forma delle pieghe longitudinali abbastanza rilevate, l’orlo libero delle quali è fornito di sporgenze a guisa di papille o verruche: talora queste pieghe sono unite fra loro da altre pieghe trasversali, le quali del resto sono molto più piccole. Tali pieghe per il genere Box furono constatate da SrannIUS (116) e le papille da SrannIUS stesso e da OwzEN (95). Microscopicamente osservata la mucosa dell’ esofago presenta un epitelio pavimentoso stratificato in mezzo al quale si trovano cellule caliciformi; questo epitelio diminuisce di grossezza 1) In un solo esemplare, fra circa 40 esaminati, ho rinvenuto cinque appen- dici piloriche, Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 269 progredendo in basso verso lo stomaco e predominano allora le cellule caliciformi che rimpiazzano completamente le altre cellule sino a costituire quasi una sola l’ intera altezza dell’epitelio. Il pas- saggio allo stomaco è caratterizzato dal comparire di un epitelio ci- lindrico semplice di particolare natura. Quasi subito dopo l'inizio di tale epitelio compariscono le glandole a pepsina. Queste si pre- sentano in forma di tubi semplici, talora, ma non spesso, ramifi- cati; più spesso in numero di due o tre sboccano in una fossetta epiteliale comune. Dapprima corti e radi i tubi glandolari vanno rapidamente facendosi più lunghi e più fitti, e vengono così a co- stituire un tratto glandolare di considerevole altezza , nel quale i tubi sono densamente stipati fra di loro. Oltrepassato questo tratto essi diminuiscono di nuovo in lunghezza e numero, tantochè prima di giungere all’ angolo sotto il quale la porzione cardiaca passa alla pilorica gli stessi sono quasi scomparsi e del tutto più oltre. Solo verso il fondo della porzione ciecale ricompariscono piccoli e radi tubi glandolari, un poco più addensati proprio al fondo. Do qui una figura che rappresenta se- mischematicamente una sezione longitudinale dello stomaco con l’esofago e la parte ini- ziale dello intestino. Le lettere indicano ri- spettivamente: oe. - esofago, st. - stomaco, 4. - intestino, «p. - appendici piloriche. La gros- sa linea nera esterna indica la tunica mu- scolare, al di dentro della quale la tinta di fondo più chiara rappresenta la mucosa, la quale in corrispondenza della tinta di fondo più scura contiene le glandole peptiche. L’e- pitelio che riveste la mucosa spettante allo stomaco è segnato con linea punteggiata, mentre l’ epitelio intestinale e quello esofageo lo sono con linea continua. i 4 Al termine dell’esofago le pieghe longitudinali e trasversali della mucosa si continuano con quelle dello stomaco (parte cardiaca), ma quivi diminuiscono di numero specialmente le prime e le une e le altre aumentano di grossezza. Le longitudinali crescono considere- volmente in altezza ed il loro aumento in grossezza è dovuto in grande parte allo strato glandolare; man mano che si scende verso il fondo dello stomaco e che quindi diminuiscono le glandole sino a sparire o quasi, noi vediamo che le stesse pieghe si mantengono 270 Alceste Arcangeli presso a poco nello stesso numero quantunque più irregolari, ma diminuiscono di altezza pur conservando più o meno la stessa lar- ghezza, poichè se in esse diminuiscono le glandole sino a sparire, in compenso aumenta lo stroma connettivale. Le pieghe trasversali sono molto sviluppate nella parte pret- tamente glandolare, diminuiscono nel resto dello stomaco mante- nendosi sempre meno accentuate delle longitudinali, ricompariscono però distintamente più marcate nel fondo del cul di sacco in cor- rispondenza di quel piccolo tratto glandolare menzionato. Delle pieghe, e più specialmente delle longitudinali, noi pos- siamo distinguere due ordini: le prime più grandi, le seconde al- quanto più piccole, le quali per lo più si alternano irregolarmente con le prime. Si hanno poi nelle parti dello stomaco prive di glan- dole pieghe relativamente piccolissime, le quali interessano la mu- cosa delle prime e delle seconde e che non hanno una direzione determinata. Queste ultime costringendosi vengono a costituire fra loro tante piccole fossette o cripte rivestite dal solito epitelio di rivestimento dello stomaco, cripte che a prima vista possono sem- brare glandole. La Fig. 6 ne dà un esempio evidentissimo. Quanto ho descritto circa le pieghe si riferisce ad uno sto- maco vuoto o contenente scarsa quantità di alimento. Le pieghe tutte, specialmente quelle delle parti non glando- lari dello stomaco, devono essere considerate come qualche cosa di mobile e di precario, perchè le ho trovate quasi sempre scom- parse nella mucosa di stomachi ripieni di alimenti e le cui pareti quindi si presentavano distese. È nella parte cardiaca dello sto- maco che le pieghe, quantunque per la distensione spesso si ridu- cano, si presentano più stabili: ciò forse deriva da due circostanze. Per prima la tonaca muscolare dell’esofago in corrispondenza del passaggio allo stomaco si presenta molto grossa e generalmente contratta: la contrazione si estende alle parti vicine e, dello sto- maco, molto più alla contigua parte cardiaca che alle altre parti. In secondo luogo la porzione cardiaca per lo più è dilatata solo temporaneamente dal passaggio dell’alimento che si accumula nel resto dello stomaco, il quale è quindi soggetto ad una dilatazione relativamente più permanente per l’accumularsi in esso dell’ ali- mento. Solo nel caso verificatosi in alcuni stomachi nei quali si aveva una tale ripienezza di alimento che il cumulo di questo risa- liva sino nell’esofago anche nella parte cardiaca (come pure nel- Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 271 l’esofago) si constato, una notevole distensione delle pareti con pur notevole riduzione delle- pieghe. Tornerò in seguito sopra le pieghe della mucosa stomacale per dimostrare quali relazioni esistano fra esse e 1° aspetto funzionale degli elementi istologici. Se ora noi passiamo ad un esame ancor più profondo della struttura delle pareti dello stomaco vediamo facilmente che esse presentano caratteri alquanto differenti nelle diverse parti, ma specialmente differenti fra la parte cardiaca e le altre due. Proce- dendo dall’esterno in una sezione trasversale dello stomaco noi tro- viamo una sottile membrana sierosa costituita da un semplice strato di cellule appiattite e da scarso connettivo, segue quindi la tonaca muscolare costituita da due strati, i quali presentano le fibre disposte nell’uno in senso longitudinale, nell'altro in senso trasversale ossia circolarmente. La struttura e la disposizione di questi strati varia dalla porzione cardiaca alle altre due porzioni. Segue la mucosa. Lo stroma connettivale di questa è costituito da un connettivo fibrillare a fasci più o meno intrecciati, ricco di fibre elastiche, nel quale serpeggiano numerosi vasi e si trovano lacune linfatiche. Una muscularis mucosae è sempre presente in tutto lo stomaco. Essa consiste di fibre lisce riunite in piccoli fascetti, quasi sempre cor- renti longitudinalmente. È un poco più sviluppata nella parte car- diaca dove appunto i fascetti di fibre formano uno strato quasi continuo molto ravvicinato alla parte inferiore dello strato glando- lare e che quindi s’ interna nel connettivo formante l’ asse delle pieghe della mucosa. Nella parte ciecale e pilorica essi fascetti for- mano uno strato quasi continuo ravvicinato alla base dell'epitelio di rivestimento quando la parete stomacale e quindi la mucosa, è distesa, mentre sono disposti più irregolarmente, allontanati gli uni dagli altri ed anche dall’epitelio stesso quando la mucosa è sollevata in pieghe per la contrazione della stessa parete. Per la presenza di questa muscularis mucosae si potrebbe fare specialmente nella parte cardiaca una distinzione in submucosa e tunica propria, ma solo per posizione, non per struttura. La tunica propria nella parte cardiaca contiene le glandole a pepsina ed in tutto lo stomaco poi è rivestita alla superficie da epitelio cilindrico di un solo strato. La tunica muscolare, come ho detto, non si mostra egual- mente costituita nelle varie parti dello stomaco. E peraltro sempre costituita di due strati, nell’uno dei quali le fibre scorrono longi- tudinalmente, nell’ altro circolarmente, ma la loro posizione reci- 272 Alceste Arcangeli proca e la struttura delle fibre stesse varia. Infatti la porzione cardiaca possiede una tonaca muscolare che si può considerare come la diretta continuazione di quella dell'esofago, cioè come in questo essa è costituita di due strati, dei quali l'esterno è quello le cui fibre scorrono iu senso circolare, l’ interno , cioè quello a contatto con la mucosa, presenta le fibre che scorrono in senso longitudinale. Le fibre di tutti e due gli strati sono trasverso-striate. Poco prima di giungere all’angolo sotto il quale la parte car- diaca passa alla pilorica si verifica l’ inversione della disposizione degli strati muscolari o cambiamento di struttura delle fibre che le costituiscono ; cioè esternamente si viene ad avere lo strato a fibre longitudinali, internamente quello a fibre circolari ed in am- bedue le fibre non sono più trasverso-striate, ma lisce. Tale inversione non avviene, almeno in parte, tutto ad un tratto e ce ne possiamo fare un’idea abbastanza esatta osservando la Fig. 2 che rappresenta appunto una sezione longitudinale della parete stomacale in corrispondenza della stessa inversione. Da essa figura noi vediamo che lo strato interno di fibre striate longitudi- nali della parte cardiaca, corrispondentemente al diminuire delle glandole, va assottigliandosi ed in corrispondenza a questo assot- tigliamento al di fuori dello strato esterno a fibre circolari si va costituendo uno straterello di fibre lisce scorrenti longitudinal- mente, il quale a poco per volta cresce in spessore. Lo strato di fibre striate circolari si interrompe nettamente e secondo una linea obliqua (inclinata verso l’ interno) in contatto dello strato susseguente pur a fibre circolari, ma lisce: in questo punto sopra questo ultimo strato ed internamente passa lo strato a fibre longitudinali striate per andare sempre più assottigliandosi e perdersi ben presto nella sottomucosa del resto dello stomaco. Corrispondentemente lo strato esterno di fibre longitudinali lisce che sì era formato nell’ ultima porzione della parte cardiaca, ingros- sandosi va a costituire lo strato di fibre muscolari longitudinali lisce della parete ulteriore dello stomaco. Questa disposizione poi degli strati della tonaca muscolare si mantiene in tutto il cul di sacco , in tutta la parte pilorica, e si prosegue anche nell’ inte- stino. Nella parte pilorica lo strato a fibre circolari in ispecial modo subisce nella seconda metà gradatamente un aumento fino a pre- sentare una considerevole grossezza in corrispondenza della piega valvolare limitante lo stomaco. L’epitelio stomacale si interrompe Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 273 circa alla sommità di tale piega per dar posto all’epitelio intestinale di ben altra natura. Le Fig. 4 e 5 rappresentano le sezioni longi- tudinali della parete della parte pilorica in punti opposti corrispon- dentemente alla piega valvolare; la parete tuttavia è alquanto in stato di estensione, non di contrazione, nel quale ultimo caso si avrebbe più marcata la stessa piega e più larga la tonaca muscolare in forza della contrazione. IV. Aspetti diversi del lume stomacale e della struttura delle pieghe della mucosa Dall'esame dei Box esperimentati risulta evidente che le pareti dello stomaco e quindi il lume stomacale presentano un aspetto diverso a seconda dello stato di ripienezza dello stesso organo. Vediamo come stanno le cose. Nel Box n. 1, cioè quello tenuto per 20 giorni a digiuno naturalmente lo stomaco fu rinvenuto vuoto, contratto. Le pareti alquanto grosse presentavano una mucosa fortemente pieghettata, lo stroma connettivale ben aderente all’epitelio e compatto, il decorso dei capillari sanguigni difficilmente riconoscibile. Più distintamente riconoscibile nella parte prettamente glandolare o cardiaca dello stomaco, quantunque anche qui sì osservasse una scarsa quantità di globuli sanguigni nel lume dei vasi. Il lume stomacale era molto ridotto , ma nella parte cardiaca più ancora che nel resto dello stomaco: peraltro non tanto ridotto che in essa le pieghe longitudi- nali opposte della mucosa venissero a toccarsi con i loro apici. Queste pieghe erano assai larghe. Nel Box n. 2 lo stomaco si presentò molto dilatato nella parte ciecale, ed in quella pilorica specialmente, per una grande quantità di Ulva ivi accumulata. Le pareti, molto sottili in confronto del n. I in tutte due le parti ciecale e pilorica, presentano una mucosa leggermente pieghettata, direi quasi ondulata; lo stroma connet- tivale pur essendo ben aderente all’epitelio è molto diradato, il decorso dei capillari sanguigni distintamente riconoscibile, le tu- niche muscolari molto assottigliate. Un visibile aumento di globuli sanguigni nel vasi si osservò nella parte glandolare, la quale del resto "presentò lo spessore delle pareti alquanto diminuito e la mu- cosa con pieghe ben marcate, delle quali specialmente le longitu- dinali si presentarono alte, ma più strette di quello che si osser- varono nel n. 1. 274 Alceste Arcangeli Nel Box n. 3 lo stomaco era ancor più dilatato dal cumulo di alimento e questa dilatazione comprendeva anche la parte car- diaca, quantunque in minor grado: quivi, pur esistendo evidentis- sime le pieghe della mucosa, esse si presentavano più basse ed un poco più larghe che nel numero precedente. Lo stroma connetti- vale specialmente nelle parti non glandolari era molto diradato, il decorso dei capillari sanguigni difficilmente riconoscibile, abbon- dante tuttavia il contenuto in globuli dei vasi. Tuniche muscolari molto assottigliate. Nel Box n. 4 si rinvenne lo stomaco alquanto meno dilatato, quantunque contenesse ancora una mediocre quantità di Ulva nel cul di sacco specialmente e nella parte pilorica. Le pieghe della mucosa della parte cardiaca sono più allungate e marcate, alquanto più strette: la mucosa del resto dello stomaco si presenta legger- mente pieghettata, non così liscia come nel caso precedente e ciò in corrispondenza alla minor ripienezza dello stomaco. I preparati di questo esemplare riuscirono i migliori. Nel Box n. 5 lo stomaco fu trovato con un contenuto di ali- mento molto scarso, quasi vuoto, quindi contratto. Le pareti al- quanto spesse presentarono una mucosa fortemente pieghettata. Le pieghe nella parte ciecale e pilorica erano molto larghe, più. irregolari che nella parte cardiaca, dove erano tanto strette ed alte da venire quasi a trovarsi nel centro del lume. Lo stroma con- nettivale era molto compatto, ben aderente all’epitelio, solo in po- chissimi punti si notò un distacco alla sommità di una piega (ar- tefatto prodotto dai reagenti), il decorso dei capillari sanguigni ben distinto. Il lume stomacale , specialmente nella regione car- diaca, era molto ridotto: le tuniche muscolari molto grosse. Nel Box n. 6 si trovarono presso a poco le stesse condizioni del n. 4. Il Box n. 7 il cui stomaco, privo di residui di Ulva, conteneva un liquido giallo trasparentissimo, fornì dei dati interessanti in- quantochè, tanto nell'aspetto del lume stomacale e delle pieghe della mucosa, quanto nell’intima struttura deì tessuti, si notò un ritorno a quanto osservammo nel Box n. 1. Anche l’esame dello stomaco di Box non sottoposti ad alcuna esperienza mi confermò che l'aspetto della mucosa gastrica varia a seconda della quantità di alimento contenuto nello stesso; e pre- cisamente posso siuo ad ora stabilire che l’attività secretoria del- l’epitelio di rivestimento dello stomaco si verifica in' grandissima Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 275 parte quando lo stomaco è quasi vuoto, non disteso dal cumulo alimentare. A scanso di equivoci e per evitare confusioni è intanto mio dovere avvertire che nell'esposizione di quanto segue, per la parola secrezione si deve fare una netta distinzione secondo che io la im- piego in senso generale, cioè comprendo con essa l'insieme di tutte quelle attività, per cui l’epitelio produce ed espelle il muco, oppure, mi riferisco ad uno stadio speciale della cellula, stadio durante il quale si compie il fenomeno secretorio nel senso stretto della pa- rola; cioè presa di materiale dal mezzo interno, trasformazione di esso e depositarsi dello stesso nella sostanza cellulare !). Dico per contrapposto escrezione, sempre in senso stretto, lo stadio nel quale la cellula elimina il prodotto della secrezione e viene quindi a completarsi il ciclo fisiologico della secrezione (in senso lato). E, sempre per bene intenderci sino da ora, sì tenga presente che tutte le volte che io parlo di mucosa o pieghe stomacali in via di secrezione, non voglio proprio dire che tutte le cellule del- l’epitelio di rivestimento siano in questo stadio e quindi che non vi sia parte delle stesse cellule in escrezione od in riposo. Avverto anzi che mentre una parte delle cellule epiteliali sono in stadio di secrezione e di escrezione, e più specialmente quelle che occu- pano la sommità ed i lati delle pieghe, quelle dei fornici sono in- vece in riposo. Con il cambiare di fase delle cellule di tratti epi- teliali cambiano anche le pieghe della mucosa, in modo che tutte le cellule compiano il loro ciclo fisiologico, e cioè quando le cellule degli apici delle pieghe avranno compiuto la fase di escrezione, in corrispondenza delle stesse che passeranno allo stadio di riposo, la piega si abbasserà sino a scomparire, mentre un'altra se ne for- merà in corrispondenza delle cellule in riposo dei fornici, le quali entreranno in attività. In tal modo le pieghe sono da considerarsi costantemente mobili. e precarie e sono sempre condizionate a spe- cial stadio degli elementi epiteliali che le rivestono. Naturalmente i cambiamenti accennati non sono proprio assolutamente netti e spiccati, poichè la mucosa non ha movimenti regolari, ma sono 1) PreNANT (104) all’atto della secrezione per il quale si verifica il depo- sitarsi della sostanza trasformata in seno al protoplasma dà il nome di secre- zione o escrezione intracellulare, termini ambedue adatti, ma volendo sottiliz- zare si dovrebbe ritenere molto più confacente all'espressione del fenomeno il secondo. 276 Alceste Arcangeli tuttavia in generale strettamente collegati alla funzione secretoria dell'epitelio di rivestimento dello stomaco. Oltre le differenze dell’aspetto della mucosa visibile nello sto- maco, a seconda della sua maggiore o minore ripienezza, si possono notare differenze anche nelle varie parti di uno stesso stomaco a seconda che esse sono più o meno dilatate dal cumulo alimentare, dimodochè ad una porzione nella quale gli elementi epiteliali sono in riposo od in ricostituzione segue o precede un’altra in cui sono in secrezione od escrezione. Noi possiamo appunto renderci conto con una certa approssimazione ed all’ingrosso di tali differenze di stato della mucosa anche dall'esame microscopico della parete sto- macale. Infatti quando e dove la stessa si presenta sottile e tra- sparente per distenzione prodotta dall’ alimento noi troviamo che le pieghe sono poco sviluppate ed anche del tutto mancanti e la secrezione del muco è nulla o quasi. Quando invece la parete è grossa perchè contratta, come nel caso di stomaco vuoto, le pieghe sono ben rilevate e l’epitelio di rivestimento trovasi in piena at- tività secretoria. Se posso dare a titolo di illustrazione la Fig. 6 rappresentante una sezione trasversale della porzione ciecale dello stomaco privo o quasi di alimento, non posso fare altrettanto per una sezione trasversale della stessa parte di uno stomaco dilatato, perchè verrei ad occupare uno spazio troppo grande senza poi ot- tenere lo scopo di maggior chiarezza. Basterà quindi che ripro- duca solo una parte della sezione della parete stomacale. Credo sufficienti le indicazioni date sul grossolano aspetto ana- tomico della parete stomacale, passo quindi ad esaminare i cam- biamenti morfologici dell’epitelio superficiale dello stomaco, cambia- menti che sono strettamente collegati alla fase di metabolismgQ dell'elemento. Le figure alle quali mi riferisco nella seguente descrizione sono state tolte dai preparati ottenuti dal Box n. 5, i quali si presta- rono bene allo scopo sia per il momento funzionale della mucosa, sia per la fissazione riuscita ottima. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 277 _ V. Cambiamenti morfologici degli elementi dell’ epitelio di rivestimento nelle diverse fasi della secrezione Bisogna anzitutto che io. premetta una breve descrizione del- l’epitelio di rivestimento dello stomaco del Bor Salpa L. È un epitelio cilindrico ad un solo strato, il quale per la sua struttura e funzionalità si separa nettamente dall’epitelio dell’eso- fago e da quello intestinale. Innanzi tutto non si trovano mai in esso cellule caliciformi: una sola qualità di cellule lo forma e queste sono cellule prismatiche che non portano mai ciglia, prive di una vera membrana e di sostanza cementante interposta. Poggiano esse direttamente sul connettivo, dal quale si separano mediante una linea più o meno marcata. La cellula consta sempre di una parte basale prettamente protoplasmatica contenente il nucleo e di una parte ben differenziata situata alla estremità superiore. OpPEL (89), che dà un riassunto sopra tutto ciò che trovò nella letteratura ed egli stesso vide riguardo all’epitelio di rivestimento dello stomaco dei pesci, chiama la seconda parte < Oberende ». Essa si distingue dalla parte basale non tanto per il suo contegno rispetto alle materie coloranti, quanto per il suo aspetto che varia secondo lo stadio funzionale dell’ele- mento cui appartiene. In generale essa ha un aspetto molto più brillante della parte prettamente protoplasmatica: si colora vivamente con i colori acidi come l’eosina: con la doppia colorazione di emal- lume e mucicarminio si colora in violaceo. Nel suo interno sidiscerne un finissimo reticolo, nelle maglie del quale sta la sostanza mucosa in forma di globuli rifrangenti; tale reticolo è una diretta conti- nuazione di quello della parte basale. Verso il lume stomacale è sempre nettamente limitata da una linea ora pianeggiante ora più o meno convessa, ma sempre marcata. Dalle mie osservazioni sono indotto quindi a credere che si abbia da fare se non con una membrana sottilissima, almeno con un addensamento della sostanza contenuta, il quale funzioni come tale. Una membrana manca pure nelle parti laterali della cellula intera. La parte basale, racchiudente il nucleo , è quasi sempre più sviluppata della prima. Apparisce come costituita da un reticolo citoplasmico a filamenti alquanto più grossi rispetto a quelli che costituiscono il reticolo dell’ Oberende; in alcuni casi abbastanza Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 3. 19 278 Alceste Arcangeli compatto , in altri diradato da una sostanza in forma di globuli rifrangenti poco colorabile con i colori acidi. Nelle doppie colorazioni formate di una tinta basica ed una acida, il reticolo assume in preponderanza il colore basico. Con i reagenti della mucina, per es. il mucicarminio, la parte basale non assume colorazione caratteristica ed anzi perciò si differenzia dalla parte superiore od Oberende. Del resto vedremo nei singoli casi come variino 1 caratteri della cellula. A ragione OppPeL considera l’Oberende come'un organo im- portante della cellula sia per la funzione di secrezione che di as- sorbimento, non come uno « Schleimpfropf », ma confessa che non è stato ancora chiarito il suo funzionamento. Nè io pretendo di chiarirlo del tutto: credo peraltro con il presente studio di por- tare in luce alcuni fatti, che mi sembrano non privi di valore e tali da potere condurre ad una ipotesi un poco più prossima al vero di quello che sono le ipotesi fino ad ora espresse. Ma sopra ciò tor- nerò in seguito. Intanto posso affermare che la cellula epiteliale ha diversi aspetti secondo che è in stadio di secrezione !), di escrezione o di riposo, non solo, ma per meglio precisare si possono distinguere cinque fasi ben distinte, 1 riposo, 2 secrezione, 3 escrezione, 4 esere- zione compiuta, 5 ricostituzione dell’ elemento e poi riposo. Pas- siamo ad esaminare ciascuua di queste fasi. 1. — Fase di riposo (Fig. 8-9). — L’elemento in questa fase ap- pare nelle sezioni come un piccolo rettangolo con il lato maggiore sempre perpendicolare alla superficie dell’ epitelio. Esso si presenta ben differenziato in due parti: una parte superiore essenzialmente mucosa, una parte inferiore essenzialmente protoplasmatica. La pri- ma che corrisponde all’ Oberende di OppeL spicca abbastanza per il fatto che è brillante. Con la colorazione con emallume od ema- tossilina ferrica ed eosina vi si può differenziare un reticolo finissimo e debolmente colorato in bigio, nelle maglie del quale, più larghe verso l’esterno, appare colorata in rosa la sostanza mucosa in forma di globuli. Con il mucicarminio ed emallume la stessa sostanza ap- pare colorata in rosso pallido , mentre il reticolo appare azzurro pallido, si ha quindi nel complesso che l’Oberende ha una tinta 1) Riguardo all’ interpretazione che deve darsi a queste espressioni vedi sopra. 1 Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 279 violacea. La linea di separazione di questa parte da quella basale è più o meno concava. La parte basale, che si presenta in linea generale alquanto più grande e contiene il nucleo, presenta una struttura relativamente più omogenea, inquantochè è costituita da un più denso e più grosso reticolo citoplasmatico, nelle maglie piccole ed irregolari del quale sì osservano piccoli globuli debolmente colorati in rosa dall’eosina. Un addensamento di questo reticolo si avverte immediatamente sotto all’ estremità superiore, della quale forma il limite concavo. onde si ha quivi, specialmente in preparati all’ematossilina ferrica, una colorazione più scura che in tutto il resto della cellula (ec- cettuato il nucleo). Il nucleo è largamente ovale, spostato verso la base, largo quasi quanto la cellula che lo racchiude e con la maggiore dimen- sione parallela a quella della stessa cellula: oltre a ciò si caratte- rizza per la sua struttura e colorabilità. Esso possiede una mem- brana fortemente colorabile, a contorno netto e nel suo interno un reticolo cromatico a filamenti grossi ed intensamente colorati, costituenti maglie irregolari e. offrenti specialmente lungo l’ asse mediano longitudinale grossi punti nodali di varia forma e gran- dezza. I limiti fra cellula e cellula sono ben distinti e così pure quelli fra la base delle cellule ed il connettivo sottostante, senza peraltro che si possa riconoscere una membrana basale. 2.— Fase di secrezione (Fig. 8-9-10). — La cellula presentasi in questa fase molto più allungata (spesso anche più del doppio), leggermente conica e con un aumento notevolissimo di volume sia nella parte superiore che nella basale, ma in questa specialmente. L'Oberende apparisce ancor più brillante, ma molto meno dif- ferenziato dalla parte basale: il reticolo citoplasmico della stessa è molto- più marcato e colorabile, le sue maglie abbastanza larghe contengono la sostanza mucosa in forma di grossi globuli alquanto più colorabili con l’eosina che nella fase precedente. Il mucicarminio fa conoscere in questa parte una maggiore quantità di mucina del caso precedente; questa si mostra localizzata più specialmente nel reticolo citoplasmico o nella parte dei globuli vicina ai filamenti dello stesso. Il limite superiore dell’ Oberende è alquanto con- Vesso. La parte basale mostra una struttura molto meno omogenea che nella fase precedente, poichè il suo reticolo citoplasmico si è alquanto assottigliato, mentre le sue maglie si sono allargate per 280 Alceste Arcangeli dar posto ai globuli molto rifrangenti e che si colorano molto de- bolmente o niente affatto con l’eosina, più colorabili nel punto di pas- saggio all’ Oberende. L’addensamento citoplasmico che marca la linea di separazione di questa parte dalla superiore è molto più diradato, si ha quindi qui una colorazione meno scura di quella che si presenta nella prima fase e le due parti della cellula sono quindi alquanto meno nettamente delimitate. Con i reagenti della mucina entro i filamenti del reticolo citoplasmico sovrastante al nucleo si avvertono piccolissimi globuli di mucina che aumentano di grossezza e di colorazione verso l Oberende. Il nucleo ha seguito nel suo allungamento la cellula e si è cambiato da ovale in ellittico, talvolta, ma raramente, anche in pi- riforme per un restringimento che si verifica nella parte inferiore. Pur mantenendosi sempre largo quasi quanto 1’ elemento che lo racchiude, è quindi aumentato sensibilmente in volume. Nella struttura pure si è alquanto modificato, poichè la sua membrana ora si colora più debolmente pur restando ben distinta, il reticolo cromatico è costituito da filamenti più sottili, disposti in modo da formare maglie allungate nel senso del maggior diametro, di dimensioni molto minori ed in minor numero sono i punti nodali, il succo nucleare è molto meno colorato, anzi quasi brillante. Oltre a queste particolarità che danno al nucleo un aspetto tutto dif- ferente da quello della precedente fase, esso occupa nella cellula una posizione ben differente, inquantochè non è più spostato verso la base, ma si presenta sollevato rispetto a questa, non tanto pe- raltro da arrivare ad occupare la parte media dell’elemento piuttosto della parte inferiore. Questa diversa posizione è collegata al fatto per il quale, essendo aumentata in altezza e quindi in volume la cellula, i due segmenti che in questa vengono delimitati dal nu- cleo, cioè segmento esterno ed interno, hanno naturalmente preso parte a questo aumento, ed il segmento interno, relativamente alle dimensioni primitive, ancor più dell’esterno. I limiti fra la cellula ed il connettivo sottostante, come pure fra la stessa e le cellule adiacenti si presentano nettamente di- stinti. i 3.— Fase di escrezione (Fig. 10-11) — L’allungamento che si verificò nella fase precedente è aumentato in questa, tantochè la cellula raggiunge talora un’ altezza più di tre volte quella primi- tiva. Il corpo cellulare è più ristretto in confronto della fase prece- dente, massimamente verso la base e tale fatto dà luogo al distacco Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 281 delle pareti laterali di ciascun elemento da quelle dell’altro, origi- nandosi così dei piccoli interstizî intercellulari, che, esilissimi nella parte superiore, vanno leggermente e gradatamente aumentando verso la base , corrispondentemente alla diminuzione del volume della cellula stessa. In questi interstizî , astrazione fatta dai leu- cociti, le colorazioni non hanno messo in evidenza alcun partico- lare prodotto di secrezione : piuttosto verso la parte media delle cellule fra i detti interstizî talora si osservano, ma non sempre, delle specie di filamenti esilissimi, i quali sembrano continuarsi nell’in- terno degli elementi che essi collegano. L’Oberende apparisce ancora brillante, ma comincia ad as- sumere caratteri alquanto differenti. Esso intanto tende ad appa- rire più distinto dal resto della cellula; poichè l’ addensamento citoplasmico che marca la linea di separazione di questa parte dal- l’ inferiore è meno diradato e più colorabile; e poichè il diametro trasverso va diminuendo dal limite superiore a quello inferiore, esso tende ad assumere una forma a calice. Il limite dell’ Oberende verso il lume stomacale è sempre segnato da una linea curva, ec- cettochè per le cellule che sono sorprese nell’atto in cui una goccia del muco fuoriesce od è da poco fuoriuscita dallo stesso O berende previa rottura della pseudomembrana, poichè allora lo stesso li- mite è segnato da una linea pressochè diritta o poco curva, dimo- strando così che la curvatura è cagionata dalla pressione del muco. Il reticolo citoplasmico nell’Oberende apparisce ancor più rado, più sottile che nella fase precedente; quasi invisibile verso il lume stomacale, si rende più visibile dalla parte opposta dove passa al- l’addensamento citoplasmico che marca la divisione fra le due parti della cellula. Tale addensamento ora è molto più fitto, quindi più colorabile. Il mucicarminio dà alla sostanza mucosa interposta al reticolo dell’ Oberende una colorazione più accentuata che nella fase precedente, mentre appaiono molto meno distinti i globulini di mucina situati entro i filamenti dello stesso reticolo. La parte basale mostra ora un reticolo citoplasmico meno diradato e cioè a filamenti più grossi e globuli interposti più pic- coli, e ciò specialmente all’ estremità inferiore, corrispondentemente alla maggiore contrazione che ivi ha subito il corpo cellulare. Su- periormente al nucleo sono molto meno visibili globulini di mucina entro i filamenti del reticolo citoplasmico. Il nucleo ancor più ristretto, talora più allungato di quello che era nella fase precedente, specialmente nella parte inferiore 282 Alceste Arcangeli sì presenta un poco più colorabile e con filamenti cromatici un poco più grossi, nonchè con punti nodali più accentuati: il suo volume è alquanto diminuito. Del resto i cambiamenti di forma o di struttura che caratte- rizzano questa fase vanno accentuandosi con il progredire della escrezione fino a raggiungere il massimo grado nella fase seguente. 4.— Fase di escrezione compiuta (Fig. 11) — È l’aspetto più caratteristico che assume la cellula epiteliale. Ora abbiamo un corpo spesso ancora più allungato, ristrettissimo, contratto, con contorno sovente irregolare: più largo nella parte superiore (la quale però è sempre ancora più ristretta che nella fase precedente), va immediatamente restringendosi sotto questa sino ad assumere nel segmento inferiore al nucleo l’ aspetto di un filamento. Nella parte profonda dell’ epitelio noi osserviamo che questo filamento si slarga all’estremità inferiore in modo da formare un piccolo cono, la base del quale aderisce al connettivo della mucosa. Corrispon- dentemente alla contrazione della cellula, gli spazî intercellulari sono così ingranditi da isolare la massima parte dell’elemento; per tal modo le cellule sono connesse solamente al connettivo sotto- stante con la parte più distale del segmento interno e fra di loro forse con la parte più distale dell’Oberende, quantunque anche qui spesso sia visibile un piccolissimo spazio intercellulare nel quale la colorazione non mette in evidenza alcuna sostanza cementante. Questi spazì cominciano un poco al disotto dell’estremità supe- riore dell Oberende e vanno aumentando in larghezza verso la base dell’ epitelio in corrispondenza della diminuzione di volume, che subisce il corpo degli elementi. L’Oberende in questa fase apparisce ancor più distinto dalla parte basale sia per la forma, che per la struttura e la colora- zione. Oltre essere molto diminuito in grandezza ha assunto quella forma a calicetto che aveva cominciato ad acquistare nella fase precedente. Limitato verso il lume stomacale da una linea spesso pressochè diritta, mostra nel suo interno un finissimo reticolo ci- toplasmico a maglie larghe occupate ancora da sostanze mucosa, assal vivamente tinta dal mucicarminio. La linea di separazione dalla parte basale è ancor più distinta, poichè, oltre il notevole restringimento e quindi cambiamento di diametro che si ha passando dalla prima alla seconda, immedia- tamente sotto all’Oberende si ha un forte addensamento cito- plasmico, come lo dimostra l'intensa colorazione: per tale fatto Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 283 ivi si ha un forte contrasto fra la diversa colorabilità delle due parti della cellula. Del resto in tutta la parte basale il reticolo | citoplasmico appare fortemente addensato corrispondentemente alla contrazione del corpo cellulare, e più colorabile: sono però ancor visibili piccoli globuli rifrangenti massimamente nella parte supe- riore al nucleo. Il mucicarminio per lo più non mette in evidenza granuli di mucina in questa parte. i Il nucleo, che ha subito una contrazione ed un allungamento corrispondente a quello della cellula, si presenta più o meno de- formato con i filamenti del reticolo cromatinico tanto ravvicinati da assumere una colorazione uniformemente intensa. La contra- zione della parte basale talvolta arriva al punto da dare a questa l'aspetto di un sottilissimo fuso a contorno più o meno irregolare, del quale il nucleo occupa la porzione più rigonfia. 5. — Fase di ricostituzione. — Relativamente alle dimensioni della fase precedente la cellula si è ora molto raccorciata, ma è au- mentata in larghezza specialmente nell’Oberende e nel segmento, della parte basale, superiore al nucleo. In queste parti essa ha co- minciato già ad assumere i caratteri che aveva nella prima fase (riposo) sia per la larghezza che per l'aspetto complessivo, e nel- l Oberende anche per l’ altezza. Il nucleo di forma ovale si è alquanto dilatato e presenta un contorno molto più regolare: il re- ticolo cromatico, la membrana, il contenuto nucleare amorfo sono bene distinguibili e tendono a riacquistare i caratteri che hanno nella fase di riposo della cellula. Il segmento della parte basale, sottostante al nucleo si è molto accorciato e, quantunque più largo di prima, è più stretto del resto dell'elemento. Gli spazîì intercel- lulari ancora accentuati alla base dell'epitelio, vanno diminuendo con il salire verso la parte superiore della cellula, corrisponden- temente .al dilatarsi della stessa. Le maglie del reticolo citopla- smico della parte basale cominciano ad allargarsi, a rendersi più visibili. Una maggiore quantità di sostanza mucosa occupa l’Obe- rende che appare sempre ben distinguibile dalla parte basale per la forte colorazione dell’ addensamento citoplasmico limitante le due parti. In conclusione l'elemento epiteliale in questa fase mo- stra di riacquistare quei caratteri che ha nella fase di riposo. Credo inutile riportare qui le misure effettuate sulle cellule epiteliali nelle diverse fasi, bastando a dare un’ idea dei cambia- menti morfologici delle stesse cellule le figure riportate nelle ta- 284 Alceste Arcangeli vole; più utile invece fare alcune considerazioni sopra le stesse descritte fasi 1). Le diverse forme assunte dall’elemento dimostrano che esso è dotato di movimenti propri quantunque limitati: questi movimenti si manifestano specialmente nella parte basale. Di questa il segmento inferiore al nucleo è quello massimamente devoluto alla funzione di assorbimento dal mezzo interno. La trasformazione della sostanza assorbita, per quanto dimostrano le colorazioni, si effettua princi- palmente nel segmento superiore al nucleo e questa trasformazione avviene in due sensi, dando luogo cioè a due prodotti distinti : uno costituito principalmente di albumina *), l’altro di mucina. La sostanza assorbita dal mezzo interno sì rende visibile nei globuli rifrangenti, poco colorabili, interposti al reticolo citopla- smico della parte basale nella fase di secrezione della cellula. Ha essa sostanza già subito una prima modificazione nell’atto dell’ as- sorbimento ? È probabile : ma poichè io mi debbo attenere a ciò che mi può far vedere la colorazione diversa .nelle singole parti dell'elemento, tralascio di considerare tale quistione. Ciò che invece appare manifesto è che la mucina si forma in foggia di granuli sui filamenti del reticolo citoplasmico il quale sceglierebbe e tra- sformerebbe gli elementi necessari per la costituzione della stessa mucina dalla sostanza assorbita e quindi nel tempo stesso modi- ficherebbe quest’ ultima. I globuli della sostanza interposta al re- ticolo citoplasmico così modificata passando nell’ Oberende da- rebbero luogo al prodotto albuminoso e questa trasformazione sa- rebbe indicata dall’affinità con i colori di fondo che essi presentano nella stessa Oberende. I granuli di mucina formatisi sui filamenti del reticolo citoplasmico passano nell’ Oberende seguendo il de- corso degli stessi filamenti che si continuano in quest’ ultima. Se- gregata così per opera della cellula mucina ed albumina nell’Obe- rende, ha luogo la diffusione della prima nella seconda, venendo quindi a formarsi quel prodotto misto, cioè il muco, che l’elemento epiteliale fornisce nell'atto dell’escrezione alla cavità stomacale. 1) Il lettore tenga sempre presente che io non pretendo, riguardo a quanto descrivo e tento di spiegare, di avere seguito la via reale tenuta dal fenomeno; stabilisco una successione, dirò così, logicamente ragionevole, la quale, per quanto possono additarci le condizioni di osservazione e sperimentazione, ci possa almeno provvisoriamente contentare. 2) Uso anche io senza particolare specificazione questa parola, come fa qualche altro Autore, quale per es. HEIDENHAIN. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 285 Da tutto ciò si può arguire che l'Oberende non ha soltanto l'ufficio di riserva della sostanza mucosa. Il reticolo citoplasmico in esso contenuto oltre servire di via conduttrice ai globuli di mu- cina deve probabilmente operare su di essi una ulteriore elabora- zione, come pure contribuire alla formazione dell’albumina e re- golare la composizione del muco. Abbiamo visto che l’ elemento epiteliale nella fase di escre- zione si restringe: questo restringimento , che sì va aumentando sensibilmente verso la base tanto da dare alla cellula una forma di cono allungato, sta a dimostrare un movimento di contrazione, in senso del minor diametro, contrazione la quale incomincia dalla base e si prosegue verso la parte superiore in modo da costringere a salire la sostanza interposta al reticolo citoplasmico. Verisimil- mente è questo che con il suo restringersi determina la contra- zione stessa del corpo cellulare. La linea di separazione della parte basale dall’ Oberende, come dicemmo, è per lo più marcata da un addensamento del re- ticolo citoplasmico della prima , avvertibile per una più intensa colorazione. È da questo addensamento che si dipartono filamenti citoplasmici, i quali vanno a costituire il reticolo citoplasmico del- l Oberende: questo ultimo non è dunque che una continuazione del reticolo della parte basale e le sue maglie vanno diradandosi verso l’estremità libera della cellula. Ora noi non possiamo negare una speciale importanza al nominato addensamento poichè dai suoi movimenti dipende in parte l'aspetto di forma e grandezza del- l Oberende. Mi spiego. Abbiamo visto che nella fase di secrezione tutta la cellula ha subito un notevole aumento di volume e quindi cam- biamento di forma: corrispondentemente, per accogliere la sostanza assorbita dal mezzo interno, il reticolo citoplasmico della parte ba- sale ha dovuto allargare le sue maglie pur assottigliando i suoi filamenti. In conseguenza a ciò l’addensamento citoplasmico limi- tante si è alquanto diradato (pur restando sempre più addensato del restante reticolo citoplasmico) e la linea di separazione della parte basale dall’Oberende è alquanto meno nettamente delimitata che nelle altre fasi della cellula. Ora in forze di questo dirad usi ed espandersi quindi del reticolo costituente tale addensamento noi abbiamo che nell’Oberende, insieme all’ accrescimento di grandezza e volume per l'aumento notevole della sostanza mucosa nella stessa contenuta, si verifica l'accrescimento del reticolo cito- 286 Alceste Arcangeli plasmico in diretta continuazione di quello della parte basale, ra- gione per cui l’Oberende acquista un aspetto meno omogeneo che nelle altre fasi. Quando sopraggiunge la fase di escrezione la cellula comincia a contrarsi, sopratutto nella parte basale, in senso trasversale al maggior diametro: contrazione, già dissi, che è determinata da un restringersi del reticolo citoplasmico e che costringe la sostanza interreticolare a salire nell’Oberende. Contemporaneamente alla contrazione del reticolo citoplasmico della parte basale (e quindi anche di quella porzione dello stesso formante l’addensamento li- mite), si ritira dall’Oberende, in una certa misura, il reticolo che come sì sa è una continuazione del primo. La sostanza mucosa contenuta nell’ Oberende è costretta ad uscire dalla sua estremità libera in forza della pressione a tergo cagionata dalla contrazione. È all’addensamento citoplasmico sottostante all’Oberende, alla sua contrazione che si deve il fatto per cui questa parte della cellula assume una forma più o meno a coppa, diminuendo parimente in grandezza. Finita la fase di escrezione l'elemento epiteliale si ritrae verso la base ed accorciandosi notevolmente si viene ad allargare in modo che tutte le cellule tornano a trovarsi fra di loro a contatto ed assumono l’aspetto di riposo. L'Oberende pure si è allargato non perchè esso diminuisca in altezza, ma per il fatto che esso oltre trattenere ancora del prodotto di secrezione ne riceve del- l’altro dalla parte basale nel movimento di ritrazione verso la base, movimento che porta con sè la ricostituzione della ‘struttura del protoplasma allo stadio di riposo. Il limite fra le due parti della cellula se non è segnato più dalla differenza di diametro trasverso delle stesse, è ancora ben marcato dalla colorazione intensa che presenta l’addensamento citoplasmico limitante: questo si è abbas- sato in forza dell’aumentata copia di muco dell’ Oberende (e quindi accrescimento dello stesso), ma manda sempre in questo come suo proseguimento un finissimo reticolo. Dalla descrizione delle fasi si comprende bene che anche il nucleo prende parte ai cambiamenti morfologici che accompagnano la cellula epiteliale nella secrezione del muco, con le modificazioni che presenta sia nella forma sia nella struttura del suo carioplasma, sia per la posizione che occupa nel corpo cellulare. Non mi è rie- scito però avvertire una partecipazione dello stesso nucleo alla se- crezione in forma di sostanza figurata. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 287 Giova mettere in evidenza la stretta relazione che esiste fra i cambiamenti morfologici della cellula dell'epitelio di rivestimento dello stomaco e quelli, che già osservai e descrissi , della cellula epiteliale dell’ intestino di questo pesce. Se noi portiamo l’ osservazione sopra la mucosa stomacale del Box digiunante, vediamo che le cellule epiteliali di rivestimento sono manifestamente più grandi nelle fasi di secrezione ed escre- zione di quello che si trovò negli animali a normale alimentazione. Questo aumento in grandezza, e più che altro in altezza, interessa tutto il corpo della cellula ; quindi non solamente l’Oberende, la quale mantiene con la parte basale presso a poco gli stessi rap- porti che negli animali alimentati. Non ho potuto convincermi se tale aumento di grandezza si verifichi nelle cellule sorprese nelle altre fasi, anzi lo escluderei. Quanto ai sottili filamenti visibili negli spazì intercellulari specialmente di cellule epiteliali in fase di escrezione , la natura dell’epitelio di questa specie non mi ha permesso di approfondire le ricerche. Sarei purtuttavia indotto a ritenere che essi filamenti 1) rappresentino connessioni fra le cellule ; connessioni che avrebbero un doppio ufficio e cioè di tenere uniti fra loro gli elementi e di stabilire dei rapporti fra il ricambio materiale che subisce il pro- toplasma degli stessi. VI. Cambiamenti morfologici degli epitelî glandolari nelle diverse fasi della secrezione Le glandole stomacali, come già dissi, hanno forma di tubi semplici, più di rado ramificati, spesso sboccanti in numero di due o tre in una fossetta epiteliale comune. La lunghezza ed il numero di esse varia secondo la regione dello stomaco in cui si considerano: le più lunghe e più fitte sono nella parte cardiaca; scendendo da questa verso il fondo dello stomaco vanno diradandosi e diminuendo di altezza tantochè le ultime, le quali si‘estendono siuo ad un li- vello di poco superiore all’angolo sotto il quale la parte cardiaca passa a quella pilorica , sono formate da pochissime cellule (7-8) 1) Questi filamenti possono forse omologarsi ai ponti intercellulari che KoLosow (Eine Untersuchungsmethode des Epithelgewebes, besonders der Drii- senepithelien, und die erhaltenen Resultate: Arch. Mikr. Anat. 52. Bd. pag. 1-43 1898) ha messo in evidenza per gli epitelî degli Anfibî e dei Mammiferi. 288 Alceste Arcangeli Proprio nel fondo del sacco cieco ricompariscono piccoli tubi glandolari un poco più addensati e più alti degli ultimi della parte cardiaca. L’epitelio di queste glandole è costituito da una sola qualità di cellule, cellule produttrici di pepsinogeno. Cellule del collo della glandola (Halszellen) non esistono affatto. Talora si riceve l’im- pressione al microscopio di trovarci davanti a cellule del collo nella parte superiore della glandola, ma ciò è una semplice illusione, poichè tali cellule non sono altro che elementi dell’epitelio super- ficiale i quali si sono invaginati nella formazione delle pieghe che accompagnano la contrazione delle pareti stomacali. Infatti tale ap- parenza si può avere solo in quelle parti dello stomaco dove le glandole sono diradate e allontanate le une dalle altre da ampie distanze , perchè ravvicinandosi le stesse glandole nel seguire la contrazione della mucosa l’epitelio superficiale è obbligato ad in- vaginarsi. Del resto, dove la parete stomacale è distesa dal cumulo dell’alimento, non si ha più tale apparenza appunto perchè l' epi- telio superficiale non può invaginarsi in forza della distensione della mucosa. Se le cellule occupanti le invaginazioni dimostrano un’ apparenza diversa dalle altre dell'epitelio di rivestimento , ciò dipende, oltre che da differenze di fase del ciclo fisiologico cellu- lare, dalla costipazione e dai mutui rapporti di posizione, che esse cellule debbono assumere nell’ introflettersi; senza contare poi la direzione secondo la quale è stata sezionata la glandola. Ora, quantunque si siano riscontrate per le glandole peptiche di molti pesci vere cellule del collo, le mie osservazioni mi auto- rizzano a sospettare che per molti altri pesci si siano descritte come tali semplici cellule dell’epitelio di rivestimento dello stomaco. Mi basterà rimandare per ciò il lettore alle figure riportate dal- l’OpPeL nel 1.° volume del suo trattato (89). Quivi a pag. 84 nella fisura 100 che rappresenta glandole della regione del fundus ‘sto- macale di Zeus faber le cellule designate come Halszellen fanno molto sospettare che siano semplici cellule invaginate dell’ epitelio superficiale; e lo stesso si dica per la figura 74 a pag. 59, dove sono rappresentate glandole della stessa regione stomacale di Raza miraletus e per la figura 55 a pag. 52 nella quale sono rappresentate corrispondenti glandole di Alopecias vulpes. Se poi tali cellule si vogliono considerare come Halszellen, come Halszellen dovreb- bero essere riconosciute quelle delle introflessioni epiteliali corri- Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 289 spondenti alle glandole peptiche del luccio, rappresentate nella fi- gura 83 a pag. 69. Quanto ho detto deve rendere cauti nell’osservazione e asse- gnare la meritata importanza alle pieghe della mucosa, alle con- trazioni che essa subisce per opera dei reagenti della tecnica isto- logica. Chi sa quante cripte, quante glandole sono state descritte non solo nei pesci, ma anche in altri vertebrati, che una osserva- zione più accurata dimostrerà non esistere, almeno nel modo de- scritto ! Le cellule glandolari hanno sempre un'altezza molto inferiore a quella delle cellule dell’epitelio di rivestimento, ed una larghezza molto superiore. La forma di queste cellule è prismatica accorciata; ma essa varia insieme alla grandezza ed al volume nelle varie fasi che attraversa l'elemento. Sono disposte in un solo strato e giac- ciono direttamente sul connettivo della mucosa; non posseggono alcuna membrana. Esse inoltre dimostrano per mezzo degli ordinarî coloranti di essere costituite da due zone: una zona interna o ba- sale scura, una zona esterna o superiore chiara. Il citoplasma pre- senta un reticolo il quale più grosso e denso nella parte basale, si dirada e si assottiglia sino a non avvertirsi quasi più nella zona superiore: tale reticolo giace in mezzo ad una sostanza fondamen- tale (per modo di dire) colorabile con i colori acidi, la quale è massimamente sviluppata nella parte esterna inversamente al reti- colo. Queste due zone sono variamente sviluppate nelle diverse fasi ed assumono diverso aspetto; con le doppie colorazioni di emal- lume ed eosina, emallume e fucsina, carmallume ed acido picrico esse non sono nettamente staccate l’ una dall’altra, ma passano per gradi di colorazione. Invece .con l’ematossilina ferrica ed eosina o Bor- deaux R. il distacco è quasi netto, poichè la zona interna assume una intensa colorazione nera, mentre l’esterna una intensa colora- zione rosea. Il nucleo occupa sempre la parte basale ed offre nelle singole fasi aspetti diversi in relazione con quelli presentati dalla cellula. In tutta la cellula ed in tutte le fasi, quantunque in maggiore o minor numero , si osservano delle granulazioni più o meno fini, giallognole a fresco, colorantisi vivamente in bleu scuro con l’emal- lume, l’ematossilina, la tionina nel tessuto fissato. Questi granuli, per quanto dirò in seguito, debbono ritenersi come granuli pepsi- nogeni: sono sempre più abbondanti nella parte più profonda della glandola. 290 Alceste Arcangeli Esiste sempre, quantunque più o meno distinto, un lume glan- dolare; anzi gli aspetti sotto i quali si presenta il lume glandolare sono in relazione con le fasi delle cellule secernenti e con l’aspetto generale della glandola diverso nelle stesse fasi. Non solo, ma esi- stono relazioni fra le singole fasi delle cellule glandolari e l’aspetto delle pieghe della mucosa, che contengono tali glandole. L’epitelio glandolare si separa nettamente dall’ epitelio di rive- stimento o superficiale dello stomaco. Facciamoci ora ad esaminare i cambiamenti morfologici della cellula epiteliale della glandola stomacale. Essi sì possono riassumere in tre fasi benissimo distinte e ca- ratterizzate da aspetti speciali, e che precisamente sono: 1 fase di riposo, 2. fase di secrezione, 3. fase di escrezione. Esistono fasi in- termedie, ma poichè esse non presentano caratteri ben decisi per comodità ho creduto meglio richiamare l’attenzione sui tre punti culminanti del ciclo fisiologico dell'elemento. 1. — Fase di riposo (Fig. 14, 15) — La cellula si presenta molto bassa, tanto bassa che il suo diametro trasversale è molto più grande del diametro in altezza. Il citoplasma è molto chiaro spe- cialmente nella porzione superiore: solo finissimi e scarsi granuli colorati dall’emallume o ematossilina si osservano in esso. Le due parti o zone della cellula sono ben distinguibili nei preparati alla ematossilina ferrica ed eosina, poco in quelli all’emallume ed eosina, nei quali si ha solamente una colorazione debolmente maggiore nella parte basale. La parte superiore è sempre maggiore o per lo meno eguale all’ inferiore. In questa ultima sca il ‘nucleo piut- tosto intensamente e diffusamente colorato, di forma ovale, con il maggior diametro parallelo al maggior diametro della cellula, sta cioè posto trasversalmente , a contorni talora non molto regolari, in modo da avere aspetto come se fosse contratto. I limiti fra cellula e cellula non sono ben distinti. Il limite di ogni elemento verso il lume glandolare è netto. Questa fase è talmente caratteristica, come appare dalla figura riportata , che non può lasciare alcun dubbio sulla sua esistenza. 2. — Fase di secrezione (Fig. 16, 17, 19, 21) — Questa fase comprende una serie di cambiamenti che potrebbero autorizzare a suddividerla in due tempi. Nel primo tempo la cellula mostrasi molto più alta ed un poco più stretta che nella fase precedente, specialmente nella parte superiore, in modo da assumere in sezione Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 291 LI una forma grossolanamente triangolare: la sua altezza è cresciuta tanto da superare la larghezza, ed il suo volume quindi si è con- siderevolmente accresciuto. Tutto il corpo cellulare ha assunto una colorazione alquanto più intensa, specialmente nella parte basale, che si presenta più colorata dal colore basico, mentre la parte superiore assume principalmente il colore acido: considerevolmente accresciute tutte due queste parti hanno tuttavia conservato nel- l’accrescimento pressochè lo stesso rapporto di dimensioni e cioè è sempre un poco più sviluppata la parte superiore. Nella parte infe- riore sta il nucleo il quale ora si presenta a contorno rotondeggiante, regolare e dimostra di essersi alquanto ingrandito. Con il crescere della parte basale esso si è portato alquanto più in alto, tanto da non trovarsi mal addossato al limite basale della cellula; è inten- samente e diffusamente colorato. Tolte le piccolissime granulazioni che esistevano già nella fase di riposo, non si osserva di esse un ulteriore accrescimento; piuttosto una diminuzione. I limiti fra cellula e cellula sono bene distinti: il limite verso il lume glandolare è sempre netto. La Fig. 8 mostra appunto una sezione di alcuni tubi glandolari, nei quali le cellule sì presentano in questo primo tempo. Nel secondo tempo noi avvertiamo un fatto importantissimo. I caratteri di forma della cellula non :sono cambiati, la struttura considerevolmente. Anzitutto il nucleo, dapprima intensamente e diffusamente colorato, comincia ad apparire più chiaro e con reticolo cromatico più distinto , si presenta forse anche più grande. Nel citoplasma si è formata una zona scura perinucleare tinta forte- mente dal colore basico , la quale si prolunga nei filamenti del reticolo citoplasmico basale, il quale pure è intensamente colorato dallo stesso colore. Questi filamenti hanno assunto una direzione parallela alla maggior dimensione della cellula: più grossi alla base di questa vanno assottigliandosi nella parte superiore, nella quale svaniscono. Spesso essi presentano diversi rigonfiamenti successivi che danno loro un aspetto nodoso. Questi rigonfiamenti accennano evidentemente alla formazione di granuli ‘ed infatti questi ultimi specialmente nella parte superiore appaiono bene individualizzati e tinti intensamente in bleu cupo dall’emallume, inoltre molto spesso sì trovano non più sui filamenti citoplasmici, ma dentro le maglie del reticolo dagli ultimi costituite. La maggior chiarezza del nucleo appare nella parte sua centrale e diminuisce verso la periferia, 292 Alceste Arcangeli quasi a dimostrare che essa si produce per una eliminazione di sostanza cromatica dalla periferia stessa del nucleo nel citoplasma. 3. — Fase di escrezione (Fig. 18, 20) — La cellula si presenta di varia grandezza secondo che essa ha espulso più o meno il ma- teriale di secrezione, e naturalmente varia anche l'aspetto. Si può dire però che l’atto della escrezione è rappresentato dalla maggiore comparsa nella parte superiore .della cellula di granuli bene indi- vidualizzati e intensamente colorati dall’ emallume, i quali inoltre si presentano abbondanti nel lume glandolare. Questo aumento di granuli è collegato ad una diminuzione di colorazione della parte basale e ad un aspetto ben differente del nucleo. Questo si presenta molto regolare, rotondeggiante, con reti- colo cromatico ben distinto dal succo nucleare, con un grosso nu- cleolo e diverse granulazioni che corrispondono nell'aspetto a quelle del citoplasma. Alcune di queste granulazioni si trovano proprio addossate internamente ed esternamente alla parete del nucleo, come se da questo fuoriuscissero. Per il suo aspetto chiaro il nucleo spicca sullo scuro della parte basale. Il limite verso il lume glan- dolare non esiste più netto, ma quivi la cellula si presenta come aperta, sfrangiata e nella fase inoltrata di escrezione si osserva come un distacco di particelle della parte superiore colorata dal- l’eosina che insieme alle granulazioni basofile formano evidente- mente il prodotto glandolare. È da avvertire il fatto che con il differenziarsi dei granuli basofili va di pari passo scomparendo l’ insieme dei filamenti pure basofili nella porzione basale della cellula. Dopo che la funzione escretoria è finita, la cellula glandolare, che si è in forza della stessa funzione notevolmente ridotta, torna allo stato di riposo, di cui riacquista tutte le particolarità di strut- tura già descritte, per poi ricompiere il solito ciclo. Il fatto di un distacco di particelle dalla parte superiore della cellula potrebbe indurre a riportare questa alla categoria delle cel- lule olocrine nel senso di PRENANT: ma poichè a senso mio tali particelle non rappresentano la sostanza citoplasmica della parte superiore dell'elemento, ma una parte del materiale secretivo che ha preparato l’ attività metabolica dello stesso, credo più conve- niente riferire queste cellule alle merocrine. Le due parti della cellula che come dissi si differenziano per struttura e colorabilità rappresentano forse due parti devolute alla elaborazione di materiali secretivi differenti, rappresentati dalle par- Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 298 ticelle colorabili con eosina e dai granuli basofili, i quali ambedue si trovano nel lume glandolare. I filamenti scuri, basofili che si osservarono nella parte basale della cellula possono interpretarsi come omologhi ai filamenti ba- sali o ergastoplasma.già descritti da GARNIER ed altri, specialmente in cellule glandolari. Poichè secondo GarNnIER la differenziazione: di tali filamenti precede l’ apparizione di depositi di secreto, noi vediamo nel caso nostro che tutto corrisponde a tali vedute poichè con l’apparire dei granuli colorabili con l emallume diminuisce la intensità di colorazione della parte basale dell’ elemento, diminu- zione dovuta al costituirsi in granuli della sostanza basofila, che costituisce i filamenti della parte basale. Questa sostanza è peraltro fornita con grande probabilità anche dal nucleo, come lo dimostra oltre che l’apparente uscita della stessa dal nucleo, la variabilità di colorazione di questo nelle fasi di secrezione ed escrezione. Data la piccolezza degli elementi glandolari in esame non ho potuto approfondire le mie ricerche sino a poter accertare per quale processo avvenga la costituzione in granuli della sostanza costi- tuente i filamenti basali ergastoplasmatici, ma non credo anche per elementi più grandi che ciò si possa coscienziosamente fare. La partecipazione del nucleo alla secrezione appare evidente da quanto ho descritto e del resto non può far meraviglia, poichè già da tempo diversi Autori hanno dimostrato che esso contri- buisce alla secrezione operata dal citoplasma; e se molto spesso vi contribuisce con il cedere una sostanza in un certo modo più sot- tile, che non si presenta sotto forma figurata (come è il caso della cellula epiteliale di rivestimento dello stomaco del Box), in altri casi, come il presente, il nucleo partecipa alla secrezione con una sostanza che si presenta sotto una forma figurata e quindi in modo appariscente. I granuli colorati dall’emallume già menzionati con tutta pro- babilità rappresentano non l’ enzima o pepsina che si trova nel succo gastrico , ma lo zimogeno o pepsinogeno cioè la sostanza proteica dalla quale si forma la pepsina dopo che è stato eliminata dalla cellula e forse in massima parte nell’ atto escretorio della glandola. Quantunque io non abbia fatto ricerche qualitative chi- miche sopra il contenuto stomacale di questo sparide, non è nem- meno da dubitarsi che si formi pepsina dalle glandole stomacali dello stesso, come lo dimostra il fatto che KRUKENBERG trovò questo enzima nello stomaco del Boops vulgaris (o Box boops Lin.), che Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 3. 20 294 Alceste Arcangeli insieme al Box salpa Lin. costituisce i due rappresentanti nostrali del genere Box. Se noi portiamo l’ esame sulla mucosa della parte cardiaca dello stomaco di Box in digiuno, e facciamo il confronto con quella degli animali alimentati troviamo delle differenze interessanti. Contrariamente alle previsioni, secondo le quali avrei dovuto trovare l’epitelio glandolare in fase di riposo, tutte le fasi or ora descritte si presentano, quantunque predomini la seconda cioè la fase di secrezione. In generale si può asserire che la cellula di tale epitelio si presenta un poco più piccola, ma molto più intensa- mente colorabile di quello che era negli animali alimentati; e ciò vale tanto per la parte basale, come per la parte superiore ed il nucleo. La maggiore colorazione sta in rapporto ad un maggiore sviluppo della sostanza ergastoplasmatica della parte basale della cellula nella fase di secrezione e ad una maggiore produzione di granuli zimogenici che si verifica nella fase di escrezione. Special- mente nella fase di secrezione si verifica una così forte colorazione basofila nella parte inferiore dell’elemento che il nucleo resta quasi affatto oscurato. Questo fatto avveratosi in sezioni sottili più del diametro del nucleo, come appare dalla Fig. 21, sta a dimostrare quasi direi una soluzione di continuità fra la sostanza nucleare e quella perinucleare. Oltre di ciò è notarsi in questa fase una mag- giore produzione di granuli zimogenici nella zona esterna di quello che si aveva per la fase corrispondente negli animali alimentati : in parecchi casi alcuni di questi granuli sono accumulati proprio sotto al limite superiore della cellula. Nella fase di escrezione la cellula non presenta mai il limite superiore sfrangiato, ma leggermente ondulato e sempre distinto, quasi a dimostrare che il secreto costituito dai granuli pepsinogeni e da una sostanza fluida colorantesi vivacemente con l’eosina lascia l'elemento a poco a poco senza che si produca la rottura del li- mite superiore. Il lume delle glandole, le cui cellule si presentano in fase di riposo, massimamente nella parte inferiore è sempre ripieno di se- creto, cosa che non verificai per i Box alimentati. Questo fatto come pure la maggior produzione di granuli pepsinogeni che carat- terizzano le glandole dello stomaco del Box digiunante, stanno, se- condo me, a dimostrare che l’attività secretoria della glandola è alquanto rallentata in ragione della diminuzione degli stimoli esterni ed interni che la mucosa subisce. Invece di essere sotto- Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 295 messe ad attività secretorie frequenti, le cellule glandolari passano per attività secretorie più lente e quindi meno frequenti, ma che implicano una maggiore concentrazione ed elaborazione della so- stanza secreta, la quale perciò si rende più visibile e abbondante 1). Dobbiamo ora lasciare da parte i cambiamenti morfologici della cellula e confrontare i preparati dei diversi Box esperimentati, per vedere se da tale confronto si può stabilire quali relazioni esistano fra l’aspetto delle glandole nel loro complesso e quello della mu- cosa stomacale. Nel Box n. 1 già notammo che lo stomaco si presentò vuoto di alimenti, con la mucosa fortemente pieghettata in forza della contrazione delle pareti. Le pieghe della mucosa della parte car- diaca assai larghe ed alte presentano la maggior parte delle glan- dole con le cellule in fase di secrezione od escrezione. Quantunque si osservino alcuni tratti, specialmente all’apice delle pieghe, dove le cellule glandolari sono in riposo, il lume della glandola, eccetto che qualche volta nella parte superiore, è sempre ripieno di secreto: La grande quantità sia di granuli di pepsimogeno che si trovano entro la cellula glandolare o nel lume, sia di sostanza basofila con- tenuta nella parte basale della stessa cellula fa sì che con la colo- razione specialmente all’emallume le glandole assumono un aspetto eminentemente caratteristico in confronto agli altri Box esaminati. Sono in gran numero i leucociti penetrati nella mucosa e tra questi se ne notano molti eosinofili. Nel Box n. 2 che aveva tutto lo stomaco, eccetto la parte car- diaca, pieno di alimento si riscontrano condizioni alquanto diffe- renti. Mentre infatti la parete di tutto il resto dello stomaco si presenta dilatata dall’alimento, quindi assottigliata, con poche pieghe della mucosa poco spessa, con tonache muscolari assottigliate, la parete della parte cardiaca sì presenta contratta , con la mucosa più grossa, formante pieghe abbastanza elevate. In queste pieghe le glandole presentano in predominanza le cellule secernenti in fase 1) È dimostrato che glandole a lungo stimolate contengono meno residuo s0- lido delle glandole in riposo e ciò dipenderebbe in parte dalla maggior quantità di acqua che le glandole assorbono durante la secrezione; d’altra parte le glan- dole in riposo contengono una maggior quantità di sostanze proteiche assorbite. [Vedi Lucrani, (77)]. Naturalmente non bisogna intendere qui le parole riposo e secrezione, nel senso adoperato da me per designare una delle fasi della cellula, ma nel senso di riposo in quanto la glandola non si scarica del suo secreto, nel senso di secrezione in quanto la glandola emette lo stesso. 296 Alceste Arcangeli di escrezione e di riposo ; più di rado di secrezione. La quantità di granuli pepsinogeni visibili e nel lume glandolare o nelle stesse cellule come pure la sostanza basofila o ergastoplasma si presenta considerevolmente minore, tanto minore che i particolari della cel- lula sono sempre ben distinti. Il connettivo della mucosa è alquanto più rado che nel n. 1 ed i vasi e capillari sanguigni contengono abbondante copia di sangue. Nel Box n. 3 le condizioni si presentano ancora alquanto di- verse. Lo stomaco tutto si mostra fortemente dilatato dal cumulo alimentare, quindi a parete sottile. Le pieghe della mucosa della porzione cardiaca sono in massima molto meno accentuate che nel numero precedente e presentano le glandole quasi tutte con le cel- lule in fase di riposo e ciò tanto all’apice delle stesse pieghe come nei fornici. Le glandole che occupano la parte più elevata delle pieghe presentano però il lume glandolare privo di secreto, mentre ciò non accade in quelle più basse ed in quelle che occupano i fornici dove è più facile rinvenire fasi cellulari di escrezione. Fasi di secrezione esistono ma rarissime. Oltre essere meno accentuate le pieghe della mucosa non hanno più una direzione regolare, cioè il loro asse non passa più per il centro del lume stomacale, ma sono come stirate, contorte, quasi a testimoniare che la parete dello stomaco ha subito una pressione, una distensione, della quale ultima sono indici la maggiore sottigliezza delle tonache muscolari e del connettivo, il quale si presenta alquanto diradato. Riguardo alla irrigazione sanguigna, si osserva che 1 vasi sono ripieni, non così i capillari che contengono scarsi globuli. Nella mucosa in genere si verifica poca affluenza di leucociti. Nel Box n. 4 lo stomaco conteneva minore quantità di alimento; le sue pareti quindi sono alquanto più contratte specialmente nella parte cardiaca dove le pieghe della mucosa sono molto più accen- tuate e regolari del numero precedente. In tutto il resto dello sto- maco si ha pure una maggiore, sebbene leggera, pieghettatura della mucosa. Procedendo dal principio dello stomaco al disotto del ter- mine dell’esofago e arrivando sino alla fine della stessa parte cardiaca, in linea generale noi troviamo le glandole prima con le cellule epi- teliali in fase di escrezione incipiente, poi in fase di escrezione avan- zata, di nuovo in escrezione incipiente, quindi per ultimo in fase di secrezione. In linea generale, ho detto: ciò non vuol dire che si possa trovare qualche raro e piccolo sruppo di glandole con le cel- Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 297 lule in fase di secrezione in mezzo ad altre in fase di escrezione e viceversa. Il connettivo della mucosa è abbastanza compatto, con una mediocre irrigazione sanguigna, ma con grande abbondanza di leucociti fra i quali se ne osservano degli eosinofili, specialmente numerosi poi nei linfatici esterni alla parete stomacale. Nel Box n. 5 lo stomaco era quasi sprovvisto di alimento. Le pa- reti sì presentano più grosse che nel numero precedente, la mucosa sollevata in pieghe ben marcate; marcatissime quelle della regione cardiaca dove si ha la massima contrazione. In queste ultime si verificano tutte le fasi cellulari, delle quali nei fornici predomina la fase di secrezione, ai lati delle pieghe la fase di escrezione, al- l’apice delle stesse la fase di riposo. Abbondante l’affluenza di sangue nei vasi e capillari del connettivo, che si presenta molto compatto. Nel Box n. 6 si rinviene lo stesso aspetto microscopico delle parti stomacali del n. 4. Nel box n. 7 ricompariscono le stesse condizioni di struttura, quantunque meno spiccate, del n. 1: del quale quindi si può considerare come riprova. Come si può notare dalle succinte indicazioni riportate circa i diversi aspetti funzionali della mucosa nei diversi numeri, se non esistono differenze molto grandi, nondimeno possiamo dalle stesse trarre alcuni dati di una certa importanza. Intanto si può con sicurezza accertare che la grandezza delle pieghe della mucosa nella porzione cardiaca dello stomaco è sog- getta a variazioni. Queste variazioni dipendono dallo stato di di- stensione delle pareti e stanno in una certa relazione con le fasi che attraversano le cellule epiteliali delle glandole. Si capisce che quando la parete stomacale è contratta (e ciò sl verifica quando non è distesa da un cumulo esuberante di alimento) le pieghe della mucosa sono sempre molto sviluppate. Al contrario quando la parete stomacale è dilatata da cumulo alimentare che non si limita ad occupare la parte ciecale e quella pilorica, ma risale oltre la parte cardiaca, le pieghe della mucosa (che nelle prime due parti spari- scono) in questa ultima sono più piccole in forza del distendersi della stessa mucosa; e corrispondentemente è aumentata la larghezza dei fornici cioè degli spazî interposti alle pieghe. Sono queste pieghe cardiache persistenti, oppure sono soggette a sparire per lo stirarsi delle pareti stomacali? Di questo non mi sono potuto accertare in modo assoluto, perchè negli esemplari esa- minati, se si presentava dilatata dal cumulo alimentare la parte ciecale e quella pilorica dello stomaco (e quindi ho potuto constatare 298 Alceste Arcangeli che ivi le pieghe della mucosa erano quasi scomparse per la di- stensione), così non era per la parte cardiaca che specialmente nel tratto superiore si presentò sempre contratta. Fa eccezione il Box n. 3, quantunque anche in questo la distensione dello stomaco non raggiunse un grado tale da fare scomparire le pieghe nella parte cardiaca ; tuttavia essa presenta un accenno della possibile scom- parsa delle stesse. Ho avuto occasione di esaminare lo stomaco di 9 Box di 40 cm. di lunghezza, il quale in tutti sì presentava enormemente dilatato dal cumulo dei materiali ingeriti 1) anche nella parte cardiaca e, a giudicare dalla trasparenza della parete che lasciava intravedere il contenuto, sembrava che le pieghe della mucosa fossero scomparse per seguire le distensione della stessa. Fissai l’intero organo, con il contenuto, di uno di questi Box, ma senza ottenere alcun risultato per l'osservazione microscopica. Infatti nelle sezioni che ottenni della parte cardiaca potei constatare un notevole rimpiccolimento delle pieghe, ma queste pur esistevano. Nonostante ciò sono indotto a credere che, anche se non esistevano le pieghe nello stomaco fresco, esse potevano essersi prodotte nella fissazione e trattamento con gli alcool dello stesso in forza della contrazione che questi determinano. D'altra parte tagliando una piccola parte della parete cardiaca il taglio stesso determinava la formazione delle pieghe della mucosa per la contrazione che sopravveniva nel pezzo tagliato al cessare della forza distendente. Io sono quindi molto proclive a credere non solo che pieghe in discorso spariscano per la disten- sione, ma che, a parte la distensione, esistano nella mucosa dei movimenti, per i quali le stesse glandole si trovino ora ad occupare l’apice di una piega, ora un fornice; inoltre non è improbabile che tali movimenti siano in una certa relazione con lo stato funzionale delle glandole. Ciò apparisce dal fatto che non ho mai trovato le glandole prive del loro prodotto di secrezione nel loro lume in corrispondenza dei fornici, mentre tale mancauza sì verifica molto facilmente agli apici delle pieghe. Se le pieghe della mucosa non fossero soggette a movimenti, a cambiamenti di posto, resterebbe difficile spiegare tale reperto ; invece sarebbe facile se si ammet- tesse che le glandole dei fornici, in seguito ad un movimento della mucosa che determina in corrispondenza alle stesse una piega (con- 1) Questi materiali erano costituiti pressochè in totalità da Vlva ed altre alghe grossolanamente tagliuzzate, e risalivano sino nell’esofago: Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 299 temporaneamente le due pieghe laterali al fornice primitivo si ab- basserebbero per formare i due fornici laterali alla nuova piega), andassero ad occupare l’apice di questo ed espellessero quindi per tale movimento più facilmente il loro prodotto. D'altra parte men- tre le glandole situate all’apice delle primitive pieghe passano ad occupare i fornici, le loro cellule epiteliali riprenderebbero il ciclo fisiologico ripassando quindi dalla fase di riposo a quella di secre- zione. Se noi ci facciamo ad esaminare la Fig. 14, rappresentante una piega con le glandole le cui cellule epiteliali sono in fase di riposo, non possiamo disconoscere che essa presenta un aspetto caratteristico. Anzitutto noi notiamo che il lume delle singole glan- dole si presenta molto ampio, le cellule secretrici sono molto basse, in fase cioè di riposo. Il canale di sbocco delle glandole è cortis- simo e molto più stretto del lume glandolare, cosicchè la glandola ha all’ ingrosso l’aspetto di una bottiglia a collo corto. Questo collo è formato da una tenue ripiegatura o avvallatura che subisce l’epi- telio di rivestimento dello stomaco in corrispondenza di ciascuna glandola. Il connettivo interglandolare è molto ristretto, tanto ri- stretto che pochissimi giobuli sanguigni si trovano entro i capillari che lo percorrono e non più di un globulo ne occupa il diametro. Anche il connettivo formante lo stroma assiale della piega è molto ristretto. Non v'ha dubbio quindi che quando le glandole sì tro- vano in riposo si ha una scarsa irrigazione sanguigna del connet- tivo e specialmente di quello di sostegno delle glandole: questo fatto sta in perfetta corrispondenza con la fase dell'elemento se- cretore specifico, come pure con l’ elemento epiteliale di rivesti- mento, il quale in questo caso si trova per lo più in fase di riposo. Differenze grandissime dall’esempio or ora descritto sì riscon- trano se ci facciamo a considerare una piega della mucosa, nella quale -le glandole non si presentano con le cellule in fase di riposo, ma in fase di secrezione o di escrezione. Anzitutto il lume glan- dolare si mostra abbastanza piccolo; ridotto, quando si considerino le glandole con le cellule in fase di secrézione : o se non tale, qua- lora si considerino le glandole con le cellule in fase di escrezione, ripieno di materiale escreto. Le cellule secretive sì mostrano sempre più alte. Il condotto di sbocco è alquanto più lungo e non molto più stretto del lume glandolare, cosicchè la glandola non ha più l' a- spetto di una bottiglia ma di un semplice tubo a collo un poco più stretto. La maggiore lunghezza del canale di sbocco dipende 300 Alceste Arcangeli dalle maggiori dimensioni che in questo caso assume l’epitelio di rivestimento dello stomaco limitante orlo superiore della glandola, maggiori dimensioni dovute al fatto che gli elementi dello stesso epitelio sono in fase di secrezione o di escrezione. Il connettivo interglandolare è molto più largo che nel caso precedente, tanto più largo da far riconoscere benissimo il decorso dei capillari san- guigni i quali contengono numerosi globuli. Anche il connettivo formante lo stroma assiale delle pieghe è molto più largo e ricca- mente irrigato. Quanto sopra basti, senza andare a considerare le particolarità di struttura delle cellule glandolari, le quali in special modo si presentano estremamente diverse da quello che sono nel caso precedente. Le Figure 16,17, 18, 19, 20, 21, illustrano abba- stanza chiaramente le cose esposte. Un altro fatto interessante è che esiste una certa corrispon- denza fra la fase di un certo tratto di elementi dell’epitelio di ri- vestimento dello stomaco e la fase delle cellule epiteliali delle glan- dole che a detto tratto corrispondono. Non è sempre assoluta questa corrispondenza, non si ha cioè sempre, per esempio, fase di secre- zione degli elementi dell’ epitelio di rivestimento e fase di secre- zione pure negli elementi specifici corrispondenti, ma nemmeno si trovano opposizioni di fase fra le due sorta di elementi. È una cosa del resto spiegabile quando si pensi che tutti due questi epitelî traggono le sostanze necessarie alle loro funzioni da una sorgente comune e cioè dai liquidi che irrigano lacune e vasi del connettivo della mucosa. Restringendosi il connettivo interglandolare viene diminuire la quantità di umori apportata alle glandole e di conse- guenza quella necessaria agli epitelî di rivestimento dello stomaco. D'altra parte venendo a riallargarsi il connettivo interglandolare e ad aumentarsi quindi l'irrigazione dello stesso, tanto le cellule glandolari quanto gli epitelî di rivestimento tornano ad avere a disposizione quei materiali che sottratti al sangue e alla linfa sa- ranno da essi trasformati per la produzione dei diversi secreti. Debbo altresì far notare che, malgrado osservazioni ripetute, non ho potuto mai rinvenire figure cariocinetiche sia negli epiteli di rivestimento che in quelli specifici, nè mai ho potuto constatare una distruzione di elementi degli stessi. Per tale fatto, come pure per ricerche eseguite su altri vertebrati, per es. Tyopidonotus natrix Lin. posso esprimere l'opinione che la rinnovazione degli elementi secretori non è frequente nè continua, ma avviene in certi periodi non facilmente determinabili. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 301 Vil. Sulla presenza dei leucociti nella mucosa stomacale Come già osservai nell’ intestino così nella mucosa stomacale del Box Salpa Linn., si nota la presenza di numerosi leucociti, na- turalmente in molto minore quantità e con ubicazione alquanto di- versa, quantunque con caratteri molto simili. Vi sono leucociti generalmente mononucleari, con nucleo pic- colo, intensamente e quasi uniformemente colorabile, di forme di- verse; talora plurilobato. Il soma può dirsi nullo, perchè, se talora esiste un alone chiaro perinucleare, che può interpretarsi come soma, altre volte manca. Una seconda varietà di leucociti presenta il nu- cleo un poco più grosso, che si colora leggermente e quindi più chiaro, generalmente tondeggiante, mai plurilobato; il soma è pic- colo, ma meno della varietà precedente, e pochissimo colorabile. Queste due varietà si trovano tanto nel connettivo come alla base dell’epitelio di rivestimento della mucosa come nell’epitelio stesso. Anche qui, quantunque in minor numero che nell’epitelio intesti- nale, si possono osservare alla base dell’epitelio diversi leucociti di queste due varietà che si sono scavati un nido, proprio nello spes- sore dello stesso epitelio, riunendosi spesso in piccoli cumuli. Una terza varietà di leucociti diversifica molto dalle due pre- cedenti in quanto che ha un soma distinto e ben limitato alla pe- riferia, di forma pressochè circolare e quindi facilmente distingui- bile. Il nucleo è polimorfo e di solito intensamente colorabile; per lo più quando il nucleo è piccolo, rotondo od ovale, e molto co- lorabile, il soma è molto più sviluppato che in altri leucociti meno frequenti nei quali il nucleo è più grosso, meno colorabile ed il soma allora più piccolo. Si ha quindi un rapporto inverso fra lo sviluppo del soma e quello del nucleo. Il soma si presenta varia- mente colorabile con i colori acidi ed anche questa colorabilità è in rapporto diretto con quella del nucleo per i colori basici: tal- volta esso presenta delle granulazioni colorate vivamente dall’eo- sina, poste sopra un fondo pallidamente colorato in azzurro dallo emallume ed in questo caso il leucocita è alquanto più grosso. In alcuni casi, ma più di rado, il nucleo si presenta in foggia di ba- stoncino curvato e addossato con il lato convesso al perimetro del soma citoplasmico, oppure in foggia di bisaccia, od anche si mostra diviso in due parti ovoidali riunite da un filamento, oppure anche diviso in due nuclei distinti. Queste ultime apparenze si riscontrano 302 Alcerte Arcangeli più frequentemente nei vasi linfatici esterni alla parete stomacale che nel connettivo della mucosa. Come è facile rilevare, di questa terza varietà si potrebbe dunque farne diverse basandosi sulle diffe- renti apparenze del soma e del nucleo, ma, poichè l'esame del sangue di questo ed altri pesci mi hanno dimostrato che esistono fra tutte queste diverse apparenze numerosi termini intermedi, io sarei pro- penso a credere che debbano le stesse rappresentare diversi aspetti funzionali di uno stesso elemento. Tutte tre le descritte varietà si trovano nel connettivo della mucosa, negli epitelì solo le due prime. Quale di queste due pre- domina e quali rapporti esistono fra il numero e l’ ubicazione dei leucociti con le varie fasi dell’attività funzionale degli epitelî ? In generale si può con certezza dire che nello stato di digiuno sono molto abbondanti i leucociti sia nel connettivo sia nell’epitelio di rivestimento ed in quello glandolare, e che per lo più essi appar- tengono alla prima varietà. Con una certa approssimazione si può constatare che la frequenza di essi è in rapporto diretto con le fasi di secrezione ed escrezione degli stessi epiteli. Nei tratti di epitelio di rivestimento i cui elementi si trovano in fase di riposo, come pure nelle glandole il cui epitelio si trova in fase di riposo, si può notare anche nelle figure riportate che si ha poca affluenza di leucociti. Invece dove le glandole e l’epitelio di rivestimento presentano fasi di secrezione ed escrezione, i leuco- citi sono molto abbondanti. Questi, oltre che penetrare fra ed entro gli elementi dell’epitelio di rivestimento, si addentrano nell’epitelio glandolare: onde non è difficile trovare una cellula glandolare che presenta nel suo interno un leucocita della prima varietà, quindi a nucleo intensamente colorabile e lobato, il quale spicca sul cito- plasma della stessa cellula per un alone chiaro che lo circonda. Questi leucociti si rinvengono specialmente nella parte basale del- l'elemento; inoltre se ne possono rinvenire alcuni che, pur essendo per una parte del loro corpo ancora nel connettivo di sostegno della glandola, per l’altra parte fanno ernia nel citoplasma basale della cellula secernente. | Riguardo all’epitelio di rivestimento dello stomaco i leucociti arrivano non di rado a sorpassarlo migrando nel lume stomacale, ma non così di frequente come si verificò nell'intestino: non sì può certo trattare affatto di un trasporto meccanico dovuto al taglio ed alle manipolazioni delle sezioni, ma si tratta certo di un feno- meno avvenuto durante la vita. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 3083 In tratti dello stesso epitelio i cui elementi si trovano in fase di secrezione ho riscontrato più di frequente, fra od in essi elementi, leucociti della 22 varietà, mentre quelli della 1® varietà si rinven- gono più facilmente in o fra le cellule epiteliali in fase di escre- zione Nelle altre fasi degli elementi epiteliali i leucociti di ambe- due le varietà appaiono in minor numero. Non si rinvengono affatto nella mucosa stomacale, e sia nel connettivo, sia a più forte ragione negli epitelî quei grossi leucociti osservabili nell’ epitelio intestinale e che meritavano il nome di megalociti. VIII. Interpretazione dei reperti in confronto con quelli dei precedenti osservatori Riassumendo quanto ho esposto nei capitoli precedenti e fa- cendo i dovuti confronti con le osservazioni anteriori dei diversi Autori, io debbo da prima riferirmi agli epitelî di rivestimento dello stomaco, in secondo luogo agli epitelî specifici o glandolari. Da quanto ho esposto si comprenderà facilmente quale è l’in- terpretazione che io do alle diverse modificazioni dell’ epitelio di rivestimento in rapporto con la funzione che esso compie. Nel passare dal riposo alla secrezione la cellula si allunga quasi del doppio non tanto per il crescere del segmento esterno (o su- periore al nucleo) quanto dell’interno (o inferiore), il quale fa sì che il nucleo non occupa più la base dell'elemento, ma è alquanto spostato in alto. L'aumento della cellula in lunghezza in realtà corrisponde ad un aumento di volume, perchè in larghezza non differisce che poco o. niente dall’elemento in riposo: e il maggior volume è conseguenza della sostanza assorbita dall'ambiente interno e trasformata o in via di trasformazione. Il nucleo che prima aveva una forma largamente ovale è diventato un ovale della stessa lar- ghezza del precedente, ma di lunghezza anche doppia; il suo mag- gior volume sta conseguentemente a dimostrare che anche esso si è caricato di materiali. Compiuto il lavoro di assorbimento della sostanza dal mezzo interno e già essendo a buon punto la trasformazione della stessa, succede la fase di escrezione, l’inizio della quale viene indicato da un notevole allungamento cellulare, che si fa sempre più pronun- ciato finchè l'elemento arriva ad avere talora quasi il triplo della 304 Alceste Arcangeli primitiva lunghezza. Ora non si ha però alcun aumento di volume, anzi diminuzione , poichè l’ allangamento si fa a spese della lar- ghezza. Così le cellule si distaccano l’una dall’altra cominciando dalla base e via via risalendo verso l’orlo esterno: in tal guisa diventano piriformi, strettissime neHa parte inferiore che appunto per ciò si differenzia ancor più dall’ Oberende, la quale pur rimpiccolendo rappresenta la parte più slargata, a coppa della cellula; il nucleo assume l’ aspetto di un sottile bastoncino Contemporaneamente a questo assottigliarsi l’elemento spreme il muco dall’estremità libera dell’Oberende in forza della pressione a tergo che esercita la con- trazione della parte basale. Compiuta la fase di escrezione |’ ele- mento si ritrae verso la base e, accorciandosi notevolmente, sì al- larga in modo che tutte le cellule tornano a trovarsi fra di loro a contatto e assumono di nuovo l’aspetto di riposo. Credo cpportuno pertanto insistere sul fatto, da me ormai ac- certato, che mai si trova la cellula epiteliale priva dell’Oberende: Esso, quantunque più o meno, è sempre distinguibile, nè mai si trova svuotato; anzi da quanto sono venuto esponendo apparirà chiaro che esso si può considerare non semplicemente come organo di riserva della sostanza mucosa, ma come un organo di speciale importanza in quanto che in esso si costituirebbe l’ albumina che mescolata alla mucina forma il muco e di questo . ne regola l’ e- missione nel modo già descritto. Se noi diamo uno sguardo alla letteratura concernente l’epi- telio di rivestimento dello stomaco dei Pesci dobbiamo in verità riconoscere che nessun ricercatore ha messo in evidenza i cambia- menti morfologici dello stesso epitelio. Senza menzionare le ricerche di Epincrer, Stonr, Guinsgv, TrinkLeR, Piutier, Yuno ed altri, noi possiamo riferirci al riassunto che OpPEL (89) nel suo magistrale trattato dà di tutto ciò che egli trovò nella letteratura e lui stesso vide. « Die Zellen bestehen aus einem basalen protoplasmatischen Teil und einem besonders differenzierten, gegen die freie Oberflàche zugekehrten Teil, den ich das Oberende nenne ». E questa divi- sione dell’ elemento epiteliale in due parti data da OPpkL è stata giustamente accettata dagli istologi, abbandonando quindi il nome di Pfropf dato da Brepermann all'estremità superiore della cellula; il quale nome non corrispondeva più al concetto in cui si tenne tale estremità dai ricercatori posteriori a BIEDERMANN. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 305 « Bei verschiedenen Fischen, soggiunge OPPEL, ist verschieden einmal die Grosse der Epithelzellen, die Gròsse des basalen (pro- toplasmatischen ) Teiles und die Gròsse des Oberendes, endlich Grosse und Lage des Kernes. Doch konnte ich bisher noch keine bestimmten charakteristischen Merkmale fiir verschiedene Ordnun- gen oder Familien aufstellen. Auch bei ein und demselben Tiere zeigen diese Zellen kleine Verschiedenheiten. Doch nicht so, dass etwa eine Zelle mit grossem Oberende neben einer solchen mit Kleinem Oberende stànde, vielmehr sind die Uberginge stets ganz allmahliche und meist durch die Lage auf der Hòhe der Falten oder in der Tiefe der Gruben gegebene ». In queste parole, come si vede, è contenuto un accenno alle differenze esistenti nelle cellule epiteliali e niente più. Queste dif- ferenze intravedute, ma non specificate, non rappresentano altro che i cambiamenti morfologici da me descritti e che stanno a di- mostrare fasi consecutive che attraversa 1’ elemento epiteliale. A me pare che se fossero stati osservati questi cambiamenti e, metten- doli in relazione con la diversa struttura cellulare corrispondente ad essi, fossero stati interpetrati, si sarebbe fatta un poco di luce sopra il funzionamento dell’Oberende. Almeno per l’ epitelio di rivestimento stomacale del Box Salpa Lux., la questione sopra tale argomento io credo venga ad essere io dilucidata, tanto da poter modificare l’ asserzione di OPEL (giusta allora), secondo la quale riguardo alla funzione di secrezione dell’Oberende « die fei- neren Vorginge hierbei sind noch nicht aufgeklirt ». Lasciando ora 1 pesci e dando uno sguardo alla letteratura riguardante l’epi- telio di rivestimento dello stomaco dei vertebrati superiori, ben poco o niente si trova che possa compararsi ai dati da me riferiti; e si può dire che la secrezione del muco nello stesso epitelio sia stata semplicemente constatata, ma non seguita nei diversi momenti della sua formazione. Il lettore potrà farsi un?idea sopra ciò leggendo l’esteso riassunto che dà OPpeL per gli epitelî di rivestimento dello stomaco dei vertebrati, il quale mi risparmia di esporre metodica- mente la bibliografia sull'argomento, poco essendo stato aggiunto dalle ricerche posteriori alla pubblicazione del trattato dello stesso Autore. Tuttavia è mio dovere accennare ad alcune questioni riguar- danti la struttura di questi epitelî, questioni che divisero in campi opposti i ricercatori. 306 Alceste Arcangeli F. E. ScHuLZE (1867) considerò le cellule epiteliali dello stomaco di tutti i verbetrati come prive di membrana alla loro estremità li- bera (o aperte) e lo stesso fecero EssreIin (1870), BLaveRr (1874) R. HerpeNHAIN (1880): RoLner (1871), Warwy (1877), SròHR (1880) ed altri le considerarono come provviste di membrana (o chiuse). Non mancano autori, come BarLagi (1881) che, al contrario di quanto era già stato dimostrato, anche da vecchi ricercatori, che cioè l’epitelio di rivestimento dello stomaco dei vertebrati adulti non è ciliato, lo ammisero tale non solo nei pesci ma anche nei mammiferi. L'opinione che vuole le cellule di questi epitelî prive di membrana alla loro estremità libera fece sì che alcuni ricerca- tori vollero vedere nelle stesse cellule, elementi mucosi dello stesso tipo di quelli esistenti nell’ epitelio intestinale, cioè delle cellule caliciformi o Becherzellen, e Becherzellen le chiamarono ; altri Autori pur dando loro questo nome forse non vollero omo- logarle alle vere Becherzellen. Le differenze di queste vedute dipendono da molte cause. Una, fra queste, importantissima risiede nel fatto che molti Autori hanno descritto come epitelio stomacale un epitelio che rivestiva parti del tubo digerente da non doversi considerare per la loro struttura come stomaco o porzioni di stomaco. Quantunque sì possano avere differenze strutturali nei vari epitelî stomacali, in generale si può dire che in tutti i vertebrati adulti nei quali si ha una parte del tubo digerente ben differenziata strutturalmente in modo da po- tersi considerare come stomaco , gli epitelî di rivestimento della stessa sono ben distinti da quelli delle altre parti 1) e si presentano in generale con caratteri tali da poterli tutti ricondurre ad un tipo. Questo tipo è rappresentato da un elemento in realtà bipar- tibile, cioè composto di una parte basale o protoplasmatica e di una parte superiore od Oberende (OppeL). Se per la situazione, 1) Brzzozzero (Sulla rigenerazione dell’ epitelio intestinale dei pesci: Atti Accad. Sc. Torino, Vol. 38, pag. 966-978, Tav. 1903) crede opportuno insistere sul fatto, che « nei pesci contrariamente a quanto si verifica nei mammiferi , non esiste apprezzabile differenza fra le cellule mucipare dello stomaco e quelle dell’ intestino ». Questa affermazione io ritengo errata. Infatti p.es. egli raffi- gura (vedi fig 5 della tav.) un tratto di epitelio che attribuisce allo stomaco di Scyllium canicula e che invece appartiene all’intestino. Se BizzozzERo avesse co- nosciuto la bibliografia sul soggetto, dal lavoro di Yuxe (130), che appunto ha studiato la istologia del tubo digerente di Scyllium canicula, ‘avrebbe appreso che esistono spiccate differenze di struttura fra gli epitelî stomacali e quelli intestinali di questo selacio. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 307 e talvolta anche per la forma, l’Oberende può ricordare la teca delle Becherzellen dell’intestino, devono entrare in questione le conoscenze sopra la genesi e il comportamento con i reagenti della microscopia del primo, in confronto con la seconda, per eliminare qualsiasi omologia fra le due sorta di elementi. Quanto poi alla esistenza o no di una membrana alla estremità libera degli elementi epiteliali ben si esprime OPPEL (89) dicendo « Durch meine Auffassung des Oberendes als eines wichtigen Zel- lorganes (nicht eines Schleimpfropfes), erweisen sich alle Fragen nach einer Zellmembran an dieser Seite der Zelle als unnéòtig. Eine solche besteht hier nicht, vielmehr vermittelt eben das Oberende zwischen Zelleib und Mageninhalt ». Nè si deve trascurare un’altra importante causa di errore per le diverse vedute. L'esame degli epitelî stomacali, come riconosce anche OPPEL, è cosa difficile perchè occorrono metodi di conservazione molto adatti per esaminarli non in uno stato somigliante alla vita, ma per lo meno in uno stato di relativamente piccola alterazione (io credo questa alterazione inevitabile con qualunque metodo). L’O- berende se si opera con poche cautele e principalmente con liquidi fissatori non adatti si disfa, poichè sembra che possegga solo poca consistenza ; inoltre la maggior parte degli studiosi esaminò gli epitelî stomacali nei vertebrati superiori e nell'uomo, nei quali essi si presentano più difficili a trattarsi che nei vertebrati più bassi.— To credo che non mi si possa accusare di poca accuratezza nel metodo di preparazione usato per le presenti ricerche, poichè le cellule epiteliali non furono mai trovate da me mancanti di Obe- rende o questo privo di limiti definiti, come dovrebbe essere il caso di un epitelio danneggiato. Lasciando ora da parte la questione di una membrana all’e- stremità libera della cellula, le cose si complicano quando si con- siderino le vedute degli Autori riguardo all’origine dell'O berende. Alcuni immaginano che l’attività mucinogena della cellula consista nel produrre a poco per volta l’Oberende (che dovrebbe essere a contenuto mucoso o consistere affatto di muco) fino al punto nel quale in corrispondenza di esso la cellula scoppierebbe , si vuote- rebbe il contenuto e poi la cellula andrebbe in disfacimento o di nuovo ripeterebbe l’atto secretorio (come ?). Altri ritengono a più forte ragione che l’Oberende della cel- lula è un organo della stessa, il quale si conserva durante tutta 308 Alceste Arcangeli la vita dell'elemento. Secondo BrepERMANN (10) l Oberende da lui chiamato PrroPr è una formazione preformata esistente in ciascuna fase della vita della cellula; SaceRrDOTTI (110, 111) ed Ascoti (4) dimostrarono poi che la porzione superiore od Oberende esiste sino dalla nascita delle cellule. Le mie ricerche vengono ancora di più a confermare l’opinione che ritiene l Oberende un organo importante dell’elemento, per- chè, come ho detto, l’Oberende esiste sempre, in qualunque fase si trova la cellula e dalle stesse ricerche si può argomentare, con abbastanza verisimiglianza, che le diverse fasi cellulari, distinte da aspetti speciali di struttura, devono esistere non solo negli altri pesci, ma bensì in tutti i vertebrati provvisti di vero stomaco, na- turalmente con varianti che sono inerenti alle diversità di strut- tura degli epitelî di rivestimento di questo organo. Gli Autori non le hanno descritte per lo meno minuziosamente e quindi non hanno potuto vedere con chiarezza come si compie l’ attività secretrice della cellula; quantunque vi sia stato qualcheduno che ha seguito la formazione del muco, senza però constatare altri cambiamenti, specialmente morfologici, dell'elemento. Qua e là nei singoli lavori vengono descritte e raffigurate le cellule epiteliali di rivestimento dello stomaco dei singoli vertebrati, ma non è stata assegnata im- portanza alla diversa forma e grandezza che esse presentano nello stesso animale; o tutto al più si è accennato al fatto che in una regione della mucosa esse appaiono più grandi, in altra più pie- cole, e non si è pensato di collegare queste differenze a differenti stadî della funzione secretoria. Gli osservatori poi che hanno de- scritto questi elementi come tutti della stessa forma e grandezza devono avere fissato la loro attenzione sopra una forma e grandezza di cellula che loro sembrava tipica, mentre devono avere conside- rato le altre come deformazioni del preparato, e quindi trascurate; senza di ciò è difficile spiegare tali risultati di ricerche Tralasciando la discussione di altri lavori meno importanti, prenderò in considerazione un lavoro abbastanza recente ed inte- ressante di BiaGuIn (9), il quale ha studiato l’intestino di Bufo cala- mita Laur. e quello di Lacerta stirpium Daup. durante il digiuno e durante la digestione, comprendendo in questo studio non solo la mucosa dell’intestino in senso stretto, ma anche quella della bocca, lingua, faringe, esofago, stomaco. Per conto mio interessano sole le conclusioni alle quali è giunto l’ Autore per l’ epitelio di rive- Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 309 stimento dello stomaco, riservandomi in altro lavoro di occuparmi delle sue conclusioni riguardo all’ intestino. Così conclude Bécuin: « 1. Les cellules épithéliales de l’estomac sont manifestement plus grandes chez les animaux inanitiés que chez les animaux en digestion. Cette difference de taille correspond probablement è une différence d’àge dans le éléments épithéliaux. 2. La portion muqueuse des cellules épithéliales gastriques est d’autant plus petite, la portion protoplasmique est d’autant plus grand que l’animal a plus fortement digéré ». Come risulta anche dalle mie ricerche in realtà le cellule del- l’epitelio di rivestimento dello stomaco di Box sono manifestamente più grandi negli animali a digiuno che in quelli alimentati. Non posso tuttavia trovarmi d’ accordo con lo stesso BiGuin riguardo la spiegazione di queste differenze. L° Autore si basa sulla teoria di Bizzozzero per la quale l’epitelio si rigenera grazie alla moltiplica- zione dei piccoli elementi tappezzanti il fondo delle cripte, per concludere che le cellule giovani hanno necessariamente un piccolo volume ed è solo invecchiando che esse acquistano le loro dimen- sioni definitive. Gli elementi epiteliali dello stomaco sarebbero più giovani negli animali in digestione che in quelli in stato di inani- zione e quindi, sempre secondo Békeurn, durante la secrezione sto- macale le cellule epiteliali si distruggerebbero in gran numero e sarebbero rimpiazzate da elementi più giovani venuti dal fondo delle cripte, mentre negli animali a digiuno le cellule stesse non si di- struggerebbero e, non dovendo fornire una secrezione attiva, si contenterebbero di crescere a poco a poco per arrivare alle loro dimensioni definitive e restare da allorain uno stato stazionario. « La cellule, soggiunge BecuIn, peut sécréter sans périr, elle peut perdre une partie de sa masse muqueuse, et la régénérer ensuite. Tout éléement naît, grandit, élabore les substances qu’ il est chargé de produire , puis finit par mourir, laissant la place è des éléments plus jeunes fournis par une prolifération incessante. De cette facon, les épithéliums se renouvellent constamment. Lorsqu’ elles sont astreintes è un travail intense, les cellules s’usent plus vite et meurent en plus grand nombre. Voilà tout simplement pourquoi l’on trouve les éléments épithéliaux les plus petits, c’est-a-dire les plus jeunes, chez les animaux suralimentès ». Se noi ci riportiamo a quanto sopra ho descritto apparirà su- bito che l’Autore francese ha trascurato un lato importantissimo del problema, cioè egli non ha dato la necessaria importanza ai Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 3. 21 310 Alceste Arcangeli cambiamenti morfologici che debbono pure verificarsi negli epitelî da lui studiati. La differenza di grandezza delle cellule epiteliali (considerata in una stessa specie animale) può essere dovuta a ben altre cause che non quella dell’età e principalmente allo stato fun- zionale delle stesse. Béeuin non ha osservato le diverse fasi che passa l'elemento epiteliale, poichè, se lo avesse fatto, avrebbe ve- duto che la cellula non solo può escretere, ma può dopo l’ esere- zione ritornare benissimo allo stato di riposo per poi ricominciare: il suo lavoro. La miuore grandezza delle cellule è vero che può dipendere dall’ essere più giovani, ma anche dal non trovarsi in fase di secrezione o di escrezione. Ammettendo che negli animali a digiuno le cellule epiteliali sono più vecchie perchè più grandi, bisognerebbe che si presentassero tutte più grandi di quello che si presentano nell’animale alimentato, il che non è. In linea gene- rale io posso dire che se è vero che gli elementi epiteliali dei Box digiunanti, considerati specialmente nelle fasi di secrezione e di escrezione, si presentano più grandi che nei Box alimentati , esiì- stono però fra gli stessi elementi differenze sensibili secondo che si trovano in una fase o nell’altra, nè mai una cellula in fase di riposo dei primi è lontanamente paragonabile per la grandezza con una cellula in fase di secrezione dei secondi. Anche qualora sia vera la teoria di Brzzozzero, che cioè l’epi- telio si rigeneri grazie alla moltiplicazione dei piccoli elementi tappezzanti il fondo delle cripte, essa non porta alcuna conferma alle vedute di Bkeurn. Infatti, per sopperire alla enorme perdita di cellule epiteliali negli animali in digestione bisognerebbe che fosse avvertita una forte proliferazione delle cellule nelle cripte. Ora nè Bkeuin nè io abbiamo potuto constatare nè la enorme per- dita né la forte proliferazione: si può quindi venire ad una tale. conclusione senza fondamento di fatto ? Si aggiunga che lo stesso Braun non ha pensato che le pieghe stomacali, così negli animali da lui esaminati come nel Box, sono qualche cosa di mobile e pre- cario, che quando l'alimento distende le pareti stomacali esse non esistono quasi più, o per lo meno sono piccole ; che 1’ epitelio è quasi tutto costituito in molti casi da cellule in fase di riposo o di ricostituzione e di dimensioni quindi relativamente piccole. In questo caso bisognerebbe ammettere che tutto l’epitelio stomacale è costituito da cellule giovani che hanno rimpiazzato completa- mente le vecchie cadute in disfacimento. Ed allora questo contrad- dice pienamente alla ipotesi di una differenza di età; perchè, a Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 311 parte il fatto che non sì osservano forme di divisione, non si pos- sono avere estensioni di epitelio costituito tutto da cellule giovani altro che con l’ammettere che si siano esse cellule formate tutte contemporaneamente, il che è assolutamente impossibile. Tutto quanto ho sopra detto non implica che io sia contrario ad ammettere che nella secrezione degli epitelì dello stomaco si distruggano degli elementi e che questa distruzione sia compen- sata da una proliferazione degli stessi: ma devo insistere sul fatto che mai distruzione o proliferazione appaiono così intense come vorrebbe Bkeuin. Anzi ricerche sopra gli epitelì di rivestimento dello stomaco di Tropidonotus natrix Lin. (oltre dimostrarmi come nel Box, che la distruzione delle cellule non è facilmente avver- tibile) mi hanno condotto ad ammettere che le cellule godono di una relativa longevità, durante la quale compiono parecchie volte la loro funzione secretoria, e la proliferazione delle stesse, indicata dalle figure di cariocinesi, non avviene continua, ma ha luogo in determinati periodi difficilmente determinabili, probabilmente fuori del periodo di digestione massima come mi hanno dimostrato i preparati di mucosa di stomachi sprovvisti di scarso alimento e in digestione inoltrata. D’ altra parte non ho mai potuto riscontrare figure cariocinetiche in epitelio stomacale di animali digiunanti e neppure distruzione delle stesse. Ciò sta in contraddizione con le ricerche di GuLLanp (48) secondo le quali la mucosa stomacale od in- testinale di Salmone al tempo delle migrazioni cadrebbe in uno stato catarroso di guisa che le cellule epiteliali si distruggerebbero e questa distruzione potrebbe attribuirsi al fatto che 1’ animale non si nutre mentre migra. Ma contro tali affermazioni stanno oltre Brown (16) le ricerche di BARTON (6), secondo il quale il « Ka- tarrh » di GuLLanp non sarebbe altro che il prodotto di fissazione inadatta dell’epitelio diventato più delicato per il lungo digiuno durante la migrazione nei fiumi. Quantunque poi GuLLanD (49) abbia tentato di sostenere la sua tesi, essa è stata ancora abbattuta da ulteriori osservazioni di BARTON (7); e d’altra parte ciò è ragio- nevole e tanto più che, a mia conoscenza, non esistono serie ri- cerche che confermino il reperto dello stesso GuLLAND, reperto quasi unico nella letteratura. « Le développement relatif des deux portions qui caractérisent «< les cellules épithéliales de l’estomac n'est pas constant chez une « méme espéce. Il se montre au contraire en rapport intime avec « l’état physiologique de l’animal qu'on étudie. La portion mu- 312 Alceste Arcangeli « queuse est d’autant plus petite, la portion protoplasmique est « d’autant plus grande que l’animal a plus fortement digéré ». Questa conclusione di BkGuIN 10 credo che sia giusta, ma solo in parte; però credo opportuno aggiungere che le relazioni di gran- dezza fra le due parti componenti la cellula sono da considerare non solo in relazione allo stato fisiologico dell'animale, ma altresì alla fase che attraversa la cellula stessa. Certamente noi non sappiamo a quale fase della cellula si ri- feriscono le misure comparative che Biaurn ha dato riguardo alle due parti costituenti le cellule degli epitelì stomacali dei diversi individui di Bufo e di Lacerta: poichè si deve ammettere quasi con sicurezza che, anche negli animali esaminati dal nominato Au- tore, tanto negli individui a digiuno quanto in quelli alimentati si trovino le varie fasi dell’attività secretrice negli elementi degli epi- telì in parola. Io purtuttavia propendo a credere che tali misure si riferiscano a cellule in fase di secrezione o di escrezione, essendo appunto in queste fasi che gli elementi si presentano più elevati: e quantunque io non possa contraddire direttamente i reperti di Bkeuin, alla cui attendibilità voglio credere, io non avrei osservato come lui che le grandezze delle due parti della cellula, considerate negli animali che hanno fortemente digerito in rapporto agli ani- mali digiunanti, stiano tra loro in rapporto di ragione inversa, ma piuttosto nello stesso rapporto; perchè l’ aumentare della cellula nei secondi ed il diminuire nei primi non dipende dal fatto che sia aumentato o diminuito solamente l Oberende 1), ma dal fatto che tutta la cellula, e Oberende e parte basale, si è accresciuta o diminuita. Quali le cause di ciò? Quando l’animale è nutrito normalmente l' epitelio stomacale si trova soggetto a ripetute attività secretorie, intramezzate da periodi di relativo riposo. Questi periodi di riposo e di attività secretoria non devono intendersi proprio in senso stretto, ma un po’ lato. L'attività secretoria si effettua massimamente quando lo stomaco contiene pochi alimenti o ne è quasi privo, anzi si può dire che stia in ragione inversa della ripienezza di questo organo: 1) Gargano in un recentissimo e pregevole lavoro (38) nel quale ha con- fermato le mie ricerche sull’assorbimento intestinale, ha riscontrato per le cel- lule dell’epitelio di rivestimento della mucosa stomacale di Lacerta muralis che « la teca mucosa è di lunghezza variabile sia secondo lo stato di digestione o di digiuno in cui si trova l’animale, che secondo la stagione nella quale si fanno le osservazioni ». Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 313 allorchè gli alimenti in esso pervengono , sia per stimoli nervosi prodottisi, sia per un'azione meccanica dagli stessi alimenti eser- citata sulle pareti stomacali che essi tendono ad allargare , sot- traggono all’ epitelio di rivestimento una certa quantità di muco che sta in ragione diretta con la quantità di detti alimenti. L’epi- telio entra allora in uno stadio di riposo relativo, il quale andrà cessando per dar posto ad attività secretoria con il diminuire della copia del contenuto stomacale e quindi della pressione esercitata sulla mucosa, la quale allora può sollevarsi in pieghe. Durante l’i- nanizione l’epitelio stomacale non si trova soggetto a ripetute at- tività secretrici intramezzate da periodi di riposo, ma in un’ atti- vità secretoria lenta e continua: mancano, o, per meglio dire, di- minuiscono gli stimoli nervosi, mancano le stimolazioni meccaniche; avviene quindi che gli elementi possono caricarsi di sostanza secreta e perciò ingrandire molto più che nel primo caso. Nel Box, come ho detto, l’ ingrandimento della cellula nel caso del digiuno avviene, e per l'aumento dell’ Oberende, e per l’au- mento della parte basale; ma questo reperto non può infirmare quello del Bieuin perchè a parer mio il digiuno cui fu sottoposto il Box non può paragonarsi al digiuno di un anfibio e tanto meno di un rettile. Nel caso del pesce si ha sempre una introduzione di acqua nel tubo digerente, acqua che con i suoi sali e le particelle organiche ed inorganiche in essa sospese deve esercitare uno sti- molo non trascurabile sugli epitelî. In conclusione il lettore da quanto sopra ho esposto avrà ca- pito che, se io mi discosto in alcuni particolari dalle vedute del Professore francese, nelle linee generali sono concorde con lo stesso ed anzi è mio dovere mettere in rilievo l’ importanza del contri- buto alle conoscenze sugli epitelì da lui apportato. Giunti a questo punto ci dobbiamo domandare: Come si forma l’Oberende? A questa domanda io non posso che ripetere le pa- role del Becuin: « Je sais bien que nous sommes ici dans le do- maine de l’hypothése, et que nous nous appuyons presque unique- ment sur l’aspect des deux portions de la cellule pour expliquer leur mode de formation ». Come ho già accennato, SAaceRrDOTTI (1896) ed Ascori (1900), il primo per l’epitelio di rivestimento dello stomaco di Rana, il se- condo per l’epitelio di rivestimento dello stomaco di Homo, dimo- strarono che la parte superiore od Oberende esiste sino dalla 314 Alceste Arcangeli nascita della cellula. HeipENBAIN (55) poi, studiando la mucosa stomacale di un esemplare di Triton taeniatus trovò, nell’ epitelio di rivestimento alcune cellule differenti dalle altre in quanto che invece di avere la porzione mucosa o, come lui la chiama, la theca o Schleim pfropf, possedevano un orlo striato quale si osserva nelle cellule epiteliali dell’intestino medio. In alcune di queste cellule, piccole masserelle di muco si svilnppavano nell’orlo striato fra i bastoncini discostandoli l’uno dall’altro, il che rappresentava lo stato primitivo o rudimentale della porzione superiore. Questa si mostrava più caratterizzata in altre cellule ad uno stadio più avanzato, dove delle gocciolette di muco apparivano nella parte più distale della porzione protoplasmica immediatamente al disotto del- l’ orlo striato. Queste gocciolette in seguito diventavano più grosse, aumentavano in numero e presto non restava tra di esse che dei tenui filamenti protoplasmici formanti un reticolo a maglie più o meno larghe. In questo modo la porzione superiore raggiungeva a poco per volta la grandezza definitiva quando i filamenti proto- plasmici e i bastoncelli dell’orlo striato erano quasi scomparsi. Questo reperto, che a prima vista può apparire di una certa importanza, non è stato favorevolmente accolto. Già OpPEL (91) fece osservare che le cellule prive di porzione mucosa e provviste di orlo striato non possono essere elementi giovani, che le stesse dovrebbero piuttosto riferirsi a cellule vecchie, nelle quali la massa mucosa avrebbe seguito un processo regressivo trasformandosi in orlo striato; cioè i differenti stadi descritti da HEeIpENHAIN dovreb- bero verificarsi in un ordine inverso. Però anche tale opinione di OpPeL fu giustamente confutata dal Béeur, il quale ritenne il Triton taeniatus del Professore tedesco un esemplare anormale, nel quale l’epitelio dell’ intestino medio avrebbe invaso il sacco stoma- cale per ricoprire completamente la mucosa gastrica. Le conclu- sioni di HrIpENHAIN sì applicherebbero quindi non alle cellule del- l’epitelio stomacale ma a quelle dell’intestino medio ed allora sa- rebbero giuste, perchè lo stesso Bieury ha riscontrato una meta- morfosi delle cellule cilindriche dell’intestino in elementi caliciformi mucosi 1). Ed io posso aggiungere che sono probabili altre due cause di errore che possono avere condotto HEIDENHAIN a tali os- servazioni: od una alterazione dell’epitelio per parte dei reagenti, !) Anche io ho riscontrato tale fatto, di cui spero fornire le prove in un prossimo lavoro. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 315 od aver preso per mucosa stomacale la mucosa del principio del- l’intestino medio. Ad ogni modo il reperto del nominato Autore è troppo isolato e privo di conferme per potere essere accettato. Onde formarsi una idea approssimativamente giusta di come sì forma l Oberende degli epitelî stomacali, a parer mio occorre trasportare la ricerca sopra il tubo digerente degli embrioni o delle larve degli animali da studiare tenendo dietro alle differenziazioni che l’epitelio di rivestimento assume nelle diverse parti che ben si caratterizzeranno in seguito come esofago, stomaco, intestino. Ricerche sopra l’ epitelio di rivestimento di diversi animali , ma specialmente di Lepus sono state eseguite da VERMAAT (125). Io non ho potuto consultare il lavoro originale e mi sono dovuto atte- nere al riassunto che vien dato nel Zoologischer Jahresbericht fiir 1904, dal quale appare che l’Autore non si è trattenuto sulla questio- ne della formazione dell’Oberende (pur avendolo osservato) e della secrezione del muco. Riferisce invece che le estremità basali delle cellule sono appuntite a cono e lasciano fra di loro canalicoli umo- rosi, i quali sono attraversati da fini filamenti. Mancherebbero mitosi. ) . Il terminarsi a punta della parte basale della cellula epiteliale oltre che da VERMAAT era già stato riscontrato da BéGun, ma, a parer mio, probabilmente tale reperto deve dipendere da un errore di osservazione, poiché, come appare dalle mie sovraesposte osser- vazioni, la cellula epiteliale mai si termina a punta in contatto del connettivo, ma anche nella fase di escrezione compiuta, quando cioè essa si riduce quasi fibriforme e ciò specialmente nel seg- mento inferiore al nucleo, poggia sempre sul connettivo per una superficie slargata. Oltre che da errore di osservazione tale reperto può dipendere da artefatto del preparato, perchè in seguito ad una cattiva fissazione si può avere il distacco dell’epitelio dal connet- tivo e quindi la base della cellula si può foggiare a punta. Certo è che, volendo paragonare strettamente la osservazione di VERMAAT con le mie, apparisce che gli elementi considerati dallo stesso Au- tore forse si devono riferire a quella fase che io ho designato di escrezione. E tale supposizione è convalidata dal fatto che anche io ho osservato i fini filamenti attraversanti i canalicoli umorosi o spazî intercellulari, ma solamente nella fase di escrezione de- gli epitelì. i Quanto al fatto osservato da VermaAr che gli epitelî stomacali possono assorbire grasso e verisimilmente in forma disciolta, non 316 Alceste Arcangeli posso pronunziarmi per la ragione che io non ho fatto ricerche sopra tale argomento. Ad esso però si opporrebbero i reperti di VeRSON (126) nel cane e nel gatto, secondo i quali il grasso com- pare nella mucosa gastrica prima ancora della nascita ed allora sarebbe adipe che non proviene dall’assorbimento; di più il grasso si troverebbe anche nella mucosa gastrica degli animali ibernanti. Credo utile accennare al fatto che nella funzione di assorbi- mento dello stomaco possono avere una certa importanza i canali- coli intercellulari, che più distinti si fanno tra cellula e cellula in fase di escrezione. Se noi ora ci facciamo a confrontare i reperti dei diversi Au- tori con quelli miei, mi sembra che questi rappresentino un con- tributo alla conoscenza della funzionalità degli epitelî di rivestimento dello stomaco. L'importanza assegnata da OpprL, BkGun, ed altri alla parte superiore od Oberende della cellula è resa ancor più manifesta dalle mie osservazioni secondo le quali nell’ Oberende non solo verrebbe ad accumularsi la mucina ma anche l’albumina che con la prima costituisce il muco. Ma non basta. Probabilmente l’Oberende è anche un organo dove si compie una funzione regolatrice della emissione e composizione del muco. Infatti nella fase di escrezione non tutto il prodotto dell’attività secretrice della cellula viene eliminato, ma una piccola parte è trattenuta nell’Obe- rende: e forse un’altra parte gli vien ceduta dalla’ parte basale nell’atto di ricostituzione dell’ elemento, perchè nella fase di riposo troviamo l’Oberende molto più grande di quello che sia nella fase di escrezione. Quando poi l'elemento epiteliale dopo essere ritornato in fase di riposo rientra in fase di secrezione si vengono ad avere nella cellula due prodottidi secrezione uno più abbondante, il nuovo, uno molto meno abbondante, il vecchio. Questi due prodotti ven- gono espulsi nell’atto di escrezione; il vecchio tutto per l’ubiquità sua nella cellula, del nuovo soltanto una parte (l’ ultima secreta rimane). Il prodotto di escrezione dell’epitelio stomacale rappresen- terebbe quindi una parte del prodotto di due attività funzionali consecutive. E nemmeno è improbabile che il muco non espulso dalla cellula e che persiste nell’Oberende, dove si ha un fine reticolo citoplasmico, subisca una ulteriore elaborazione sia per po- tere proprio sia per attività di cotesto reticolo: coll’ unirsi quindi al nuovo prodotto di secrezione infonderebbe a questo ulteriori ca- ratteri specifici. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 317 Veniamo ora agli epitelî glandolari. La diversa struttura ed il diverso comportamento con i varî colori della microscopia delle cellule epiteliali delle glandole stomacali dei pesci furono causa di vivaci discussioni fra gli Autori, discussioni che tendevano a ri- solvere se e a quali delle due specie di cellule epiteliali delle glandole stomacali dei Mammiferi (cioè alle Belegzellen o alle Hauptzellen) corrispondano quelle dei pesci; ma nessun istologo sino al giorno d’ oggi ha potuto modificare la regola esposta da EpIncER (32) secondo la quale manca nelle glandole stomacali dei pesci una distinzione in due qualità di cellule epiteliali. « Die Magen- drisenzelle der Fundusdriise der Fische, così dice OPPEL, ist eine eigenartig gebaute Zelle. Wir kònnen uns heute noch keinerlei Vorstellung machen, wie der Bau dieser Zelle ihre Funktion er- moglicht ». Dal tempo di queste parole di OppEL (89) ben poco o niente si è aggiunto che spieghi il funzionare delle cellule secernenti delle glandole stomacali dei pesci, per il fatto che questi elementi sono stati considerati da quasi tutti gli Autori indipendentemente dalla funzione che essi compiono. D'altra parte esistono lavori di quasi pura chimica fisiologica sulla digestione dei pesci, lavori che potrebbero servire di regola e fondamento per lavori più complessi. Già Epincer (32) mise in evidenza le sranulazioni del ci- toplasma delle cellule peptiche dei pesci e gli Autori posteriori non fecero che confermare tale reperto. Solo il LaneLEY (61) peraltro mise in rapporto tali granulazioni con l’attività cellulare. Nel Ga- sterosteus trispinatus questo Autore riscontrò che nello stato di di- giuno i granuli diminuivano dal centro delle glandole stomacali verso la periferia ed i lumi erano indistinti. Tre sino a cinque ore dopo somministrazione di cibo (vermi) i lumi glandolari sì presen- tavano molto più grandi, i granuli erano’ accumulati intorno al lume e lasciavano libera una zona periferica chiara 1). 1) Ulteriori ricerche eseguì lo stesso Autore (63) in Rana temporaria, Bufo vul- garis, Triton taeniatus, Tr. cristatus, e Coluber natrix, per le quali venne alla conclusione che la capacità in pepsina delle cellule glandolari sta in relazione con le granulazioni delle stesse, che consistono di zimogeno. Durante la dige- stione avrebbero luogo contemporaneamente, ma in diverso modo, negli animali esaminati, tre processi, che consisterebbero in un accrescimento del protoplasma, formazione di zimogeno e trasformazione di questo in prodotto di secrezione. 318 Alceste Arcangeli Yuna (130), per non citare altri, notò una forte granulosità nelle cellule peptiche di Scyllium canicula , granulosità messa in evidenza dall’eosina; ma non fa cenno di aumento o diminuzione della stessa, non si occupa insomma dei cambiamenti di forma e di struttura delle stesse cellule. Dà egli invero alcune indicazioni sulla cavità assiale dei tubi glandolari, sulla forma, l’ aspetto di questi; indicazioni che probabilmente subirebbero delle modifica- zioni qualora lo studio delle stesse glandole fosse fatto secondo diversi criterî. « Im allgemeinen ist das Protoplasma stark gekòrnt , sei es nun, dass sich in Protoplasma gròssere Kéòrner zeigen, wie bei manchen Selachiern, oder kleimere, wie bei manchen Kuochenfi- schen. Es ist diese Kérnelung der Zellen ein besonderes Kennzeichen, welches die Magendriisenzellen auch bei hòheren Vertebraten zeigen. Es kann daher wohl von einem Vergleich der Magendriisenzellen der Fische mit den der Amphibien, Reptilien und Vògel die Rede sein, nicht aber mit der Magendriisenzelle der Sàuger, da dort ganz andere Verhàltnisse bestehen, welche heute einen direkten Anschluss an die niederen Vertebraten nicht gestatten. Zufallige Alhnlichkeiten in Farbenreaktionem diirfen bei so verschiedenen Dingen nicht als Stiitze fir einen Vergleich herangezogen werden ». Queste parole di OpPEL (89) sono, senza dubbio, giuste: nonostante io credo possibile una comparazione fra tutti i vertebrati riguardo all'andamento della secrezione stomacale, ai cambiamenti citologici che subiscono gli elementi secretori per effetto del digiuno e del processo digestivo e più precisamente riguardo ai cambiamenti che subiscono le cellule peptiche delle prime quattro classi dei verte- brati e le cellule principali dei Mammiferi, inquantochè ambedue secernono la pepsina, lasciando in disparte le cellule di rivestimento degli stessi Mammiferi, come quelle nelle quali si è specificata la funzione di secrezione dell’acido cloridrico. — Se si eccettuano le ricerche di LanaLky, di CARLIRR, di Bieuin, la maggior parte degli Autori ha preso in esamei Mammiferi per studiare i cambiamenti citologici degli elementi secretori specifici dello stomaco. A questi studi-si connettono i nomi di HemenHain, EpIincER, Essen, Grimz- NER, LaneLev, TakozarI, Srinzina, Cape, Monti A. Monti R., Corri, Pirone, PueLisse. Sarebbe inutile aggiungere che la mas- sima parte di questi Autori sono lungi dall’essere d’accordo ed io non mi sento capace di fare una critica tanto coscienziosa quanto Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 319 giusta. Mi contenterò quindi di accennare alle ricerche che a parer mio interessano di più per ciò che riguarda il presente lavoro. CarLIER (19, 20, 21) descrisse i cambiamenti strutturali delle cellule peptiche di Tritone durante la digestione. Immediatamente dopo il pasto comincia la secrezione nelle glandole acide (« oxyn- tic glands) » della parte esofagea dello stomaco e progredisce in una ora e mezzo a due ore verso il ‘piloro. Poichè entro 3-4 ore è raggiunto il massimo di secrezione per ciascuna eellula subentra un periodo di riposo e ricostituzione di 4-5 ore, poi si ha un nuovo periodo di attività, se è presente nello stomaco ancora del cibo non digerito. Durante la secrezione non ha luogo una partecipazione del citoplasma, la quale si verifica ben presto allorchè si è sorpas- sato il massimo di essa secrezione. Il nucleo produrrebbe per ri- duzione della sua cromatina prozimogeno, mentre lo zimogeno viene espulso dalla cellula come zimina. L’espulsione dei nucleoli starebbe a dimostrare la sua attività ed 1 suoi chimici cambiamenti e consisterebbe in una espulsione di materiali usati che tosto scom- parirebbero nel citoplasma. Lascerò da parte le discussioni sopra il modo con il quale CarLiER ha interpretato la partecipazione del nucleo al fenomeno della secrezione, argomento che tratteremo più avanti. Riguardo al modo con cui avviene la secrezione delle glandole gastriche nel Tritone, a parer mio, le ricerche di CARLIER trovano, in parte, una conferma in quanto fu da me rinvenuto nel Box n. 2 e massima- mente nel Box n. 3, nei quali, lo stomaco essendo ripieno di ali- mento, la massima parte delle glandole era in riposo; ma del resto la successione delle attività glandolari dal principio dello stomaco al termine della parte glandolare nel Box non si dimostrerebbe con quella regolarità !) che CarLIER riscontrò nel Tritone dopo il pasto, come lo dimostra il reperto del Box n. 4 ed anche gli altri numeri; anzi debbo confessare che la successione non mi ha per- messo di formulare delle conclusioni soddisfacenti. Békeuin nello stesso lavoro sopracitato riferisce che le cellule delle glandole peptiche di Lacerta e di Bufo sono più piccole negli animali a digiuno che in quelli alimentati (ed in ciò io sono concor- de), ed ammette che durante il tempo in cui lo stomaco è vuoto di 1) La ragione di ciò forse si deve riguardare nel fatto che gli esperimenti sui Box dovevano essere condotti in modo diverso e d’altra parte in un pesce fitofago è difficile stabilire la regola nella somministrazione del pasto. 320 Î Alceste Arcangeli sostanze alimentari le stesse cellule sì trovino in un riposo rela- tivo, cioè che non elaborino che poco succo digestivo. Ritorna poi alla vecchia idea, secondo la quale quando gli alimenti vengono ad accumularsi nello stomaco essi esercitano l’ufficio di un potente eccitante. Allora le glandole entrerebbero in attività ed il lavoro interno che vi si manifesta, come pure l’accumularsi delle sostanze prodotte (?!) condurrebbero necessariamente all'aumento di volume delle cellule. Veramente questa spiegazione del fatto per cui le cellule peptiche sono più grandi negli animali in digestione non è affatto soddisfacente e tanto meno chiara, nè mi riesce capire come l'Autore possa aver formulato una tale spiegazione così, senza aver fatto alcuna ricerca sul modo di funzionare delle cellule glan- dolari negli animali presi in esame. Non posso fare a meno di citare le belle ricerche di Pirone (102) sulla funzione secretiva degli epitelî specifici dello stomaco del cane, le quali segnano un indirizzo affatto nuovo in questi studî. L'Autore con parole molto chiare dimostra come fosse falsa la via sulla quale i precedenti ricercatori si erano messi con il cercare di fissare la struttura delle cellule secernenti dello stomaco allo stato di riposo esaminando la mucosa nel digiuno più o meno pro- lungato, o negli animali ibernanti. Giustamente egli fa osservare che le cellule secernenti durante il digiuno non si trovano vera- mente in riposo, perchè anche quando non vi è cibo nello stomaco, anche quando non vi è secrezione di succo da parte delle glandole non è cessata ogni elaborazione di secreto da parte delle cellule. L'elaborazione del secreto e l'espulsione di esso sono cose netta- mente distinte, onde è erroneo giudicare dello stato di attività o di riposo di una glandola e delle sue cellule soltanto dalla espul- sione o no del secreto. Egli ricorda che le ricerche eseguite da allievi del PAvLov hanno concluso che le stimolazioni meccaniche di qualsiasi natura della mucosa dello stomaco non eccitano la secrezione del succo gastrico, e, « nel digiuno assoluto, anche pro- lungato, indipendentemente da qualsiasi atto digestivo , per pure influenze psichiche, può verificarsi da parte della mucosa gastrica una-secrezione di succo che per acidità e potere digestivo non differisce affatto dal succo che vien segregato durante la dige- stione ». PironeE inoltre ricorda che uno dei fatti costantemente osservati dal PawLow fin dalle sue prime ricerche è che a stomaco vuoto, se nessuna influenza psichica eccita la secrezione del succo gastrico, la mucosa dello stomaco presenta una reazione alcalina. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 321 La ricerca istologica deve essere basata sopra questa nozione. È poiche la reazione acida denota che vi è secrezione di succo ga- strico nel senso di espulsione del secreto, la reazione alcalina in- vece indica che questa espulsione tace. La ricerca istologica, dunque, secondo l’Autore, deve essere rivolta alla conoscenza delle modi- ficazioni strutturali degli epitelî specifici dello stomaco nei momenti funzionali diversi delle glandole gastriche e quindi delle cellule , momenti indicati dai cambiamenti di reazione della mucosa. Con- clude che la funzione degli organi secernenti dello stomaco è in- dipendente dalla funzione digerente dell’ organo ed a questa cor- risponde l'espulsione del prodotto, la elaborazione del quale avviene in principal modo fuori del periodo digestivo. Nelle mie ricerche io non ho potuto tenere dietro ai muta- menti di reazione della mucosa, i quali, come ben dice PIRONE, sono l'indice esterno dell’intimo lavoro funzionale delle sue glandole. Però debbo fare osservare che in nessuno dei Box esaminati sì verificò che tutte le glandole si trovino in identiche condizioni del loro lavorio funzionale: per tale ragione saggiando la reazione della mucosa io credo che non ci saremmo potuti fare un’ idea abba- stanza esatta circa lo stato funzionale delle glandole. D'altra parte non posso ammettere per il caso del Box e di altri bassi verte- brati, dove le glandole stomacali si trovano collocate entro pieghe della mucosa così sottoposte all’ influenza della pressione e della dilatazione operate dal cumulo alimentare sulle pareti stomacali, che la secrezione delle stesse glandole sia del tutto indipendente da azioni meccariche. Le. conclusioni di PrgRone, a parer mio, ap- plicabili giustamente ai vertebrati elevati, dovrebbero subire mo- dificazioni riguardo ai bassi vertebrati. Tornerò in seguito a parlare delle modificazioni strutturali che l’ Autore osservò nelle cellule specifiche dello stomaco del cane. In generale si può dire che l’accumularsi di granuli nelle cel- lule fondameritali delle glandole gastriche dei Mammiferi e nelle cellule glandolari gastriche dei bassi vertebrati allo stato di digiuno è un reperto riscontrato dalla maggior parte degli Autori. Questi granuli rappresentano le sostanze proteiche dalle quali si forma la pepsina, sono cioè pepsinogeno. Le mie ricerche vengono a confermare in parte reperti pre- cedenti, ma credo anche che portino in luce alcuni fatti finora non avvertiti, almeno nei pesci, specialmente per ciò che riguarda le diverse fasi dell’ elemento secernente. Queste fasi, lo ripeto, si 322 Alceste Arcangeli possono osservare sempre nella mucosa stomacale del Box salpa sia in digiuno sia in digestione, e in digestione naturalmente con preponderanza ora di una fase ora dell’altra: ho potuto abbastanza bene differenziare le stesse e sopratutto mettere in evidenza una fase, quella di riposo, che è assolutamente caratteristica. Per fase di riposo io intendo lo stadio della cellula glandolare nel quale, dopo avvenuto l’ atto escretorio, essa entra in uno stato di vero riposo riguardo all’attività secretiva e forse si riorganizza, ripara le perdite subite. Dal fatto di avere osservato che nella mucosa stomacale di qualunque dei Box esaminati le fasi cellulari delle glandole possono essere differenti nelle diverse regioni, mi è sorto il dubbio che gli Autori abbiano spesso descritto lo stato delle cellule glandolari dello stomaco di un animale sia digiuno che alimentato servendosi di un piccolo tratto o pochi tratti di mucosa gastrica (ciò che molti osservatori hanno fatto specialmente per lo stomaco di Mam- miferi). Da un esame così parziale io credo che siano derivate, se non degli errori, delle inesattezze di osservazione, perchè può darsi benissimo che il tratto preso in esame dimostrasse uno stato delle glandole che non era comune a tutto il resto dello stomaco. Al- cuno può osservare che io con ciò esagero, ma dal canto mio posso obiettare che nessuno ha dimostrato e può @ priora dire che in tutto lo stomaco per es. di un cane le glandole del fondo o le piloriche si trovino tutte in un medesimo stato. I filamenti basali (SoLeER) o filamenti ergastoplasmici (GARNIER) . da me messi in evidenza nelle cellule delle glandole stomacali del Box salpa non sono una formazione cellulare speciale alle glandole stomacali, come ognuno sa, e tanto meno può essere alle glandole stomacali del Box fra i pesci. Come già THkoHARI (120) trovò che nel cane la più grande analogia con le cellule principali delle glandole gastriche è presentata dalle cellule pancreatiche, appunto per la struttura della zona basale, così devo io ritrovare in questo sparide una grande analogia fra ie cellule pancreatiche e le cellule peptiche per- la struttura di tale zona La struttura filamentosa della zona basale delle cellule glan- dolari fu già descritta da numerosi osservatori, quali EBERTH e MiLLeR (29), SoLcer (113, 114, 115), HENNEGUY (56), GARNIER, (39, 40, 41, 42, 43), P. ed M. Bourx (12, 13, 14, 15), THÉoHARI (120), Cape (17, 18), MarHEWS (80), ViGIER (127), ZIMMERMANN (131), Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 3285 JouvENEL(58), Limon (75, 76), Launoy, (65, 66, 69), GurwITSCH (50). I filamenti basali furono designati da GARNIER con il nome di « er- gastoplasma », vale a dire protoplasma elaboratore. Essi furono ri- scontrati da Tafozari (il quale accettò la denominazione di GARNIER, insieme ad altri Autori ) nelle cellule fondamentali delle glandole del fondo dello stomaco del cane; da Cape nelle cellule fonda- mentali delle glandole del fondo di Homo, Felis, Mus, Arctomys ed Erinaceus; da Launoy, oltre che in altre glandole, in glandole ga- striche di Vipera, Lacerta, Anguis, Triton e Trachinus; nei pesci, se si eccettua il reperto dello stesso Launov per rachinus non mi risulta da nessun altro Autore. Poichè, come appare da quanto ho esposto nel sesto capitolo, le formazioni ergastoplasmiche degli epitelì specifici dello stomaco di Box sono in stretta relazione con la formazione dei granuli di pepsinogeno, non sara inutile che io richiami alla memoria le ipo- tesi emesse dai principali Autori sopra le relazioni dei granuli di secrezione con l’ergastoplasma. Già fu constatato per le cellule produttrici di fermenti che quando l’ elemento si trova vuotato di secreto si ha il massimo di sviluppo dell’ ergastoplasma ed inversamente , contemporanea- mente all’ accumularsi in esso elemento di granuli di zimogeno, scompariscono i filamenti ergastoplasmici, i quali non sono più visibili al più alto grado della secrezione. GarnIER (42, 43) tentò di dare una spiegazione circa le relazioni che esistono fra l’erga- stoplasma e i granuli zimogenici. Egli non ammise che i granuli si formino per una diretta trasformazione dei filamenti basali negli stessi, ma per una serie di termini intermedî. Infatti secondo lui dopochè i filamenti basali hanno ricevuto dal nucleo un ricco ma- teriale cromatico , si dedicano insieme al citoplasma alla elabora- zione dei granuli di secreto: essi distribuirebbero sopra tutto il reticolo citoplasmatico con il quale stanno in connessione le sostanze elaborate , il reticolo citoplasmatico diventa corrispondentemente basofilo , finalmente sì formerebbero nei punti nodali dello stesso piccoli cumuli basofili ; in questo mentre i filamenti basali dimi- nuiscono sempre più di cromaticità e basofilia. È dai piccoli cumuli basofili che si originerebbero i primi granuli, i quali crescendo, ad un certo punto cadono negli spazî delle maglie del reticolo cito- plasmico. In questo modo GARNIER viene ad accordare al reticolo cito- plasmatico una grande importanza nella elaborazione dei granuli, 324 Alceste Arcangeli come già molto tempo prima era stato fatto da LanGLEY (64), RaANVIER (106) e altri Autori 1); con la differenza che secondo Gar- NIgR invece il materiale per la formazione dei granuli deriva da una sostanza basofila, amorfa, la quale esce dal nucleo, invade la sostanza del reticolo citoplasmico che funziona da sistema di dre- naggio ed è trasformata da questa ultima in granuli di zimogeno. Secondo MarHEWws (80) il processo di derivazione dei granuli di zimogeno avviene diversamente. La cellula pancreatica alla fine di ogni periodo di secrezione e completamente priva di granuli o ne contiene piccolissima quan- tità; tutto il corpo cellulare consiste di un denso feltro di contorti filamenti. Il primo apparire dei nuovi granuli nella parte interna ?) della cellula e il progredire della loro formazione verso la base va di pari passo con lo scomparire dei filamenti del reticolo. Questa coincidenza sta a dimostrare che i granuli di zimogeno ed il ci- tomitoplasma della zona interna sono da ritenersi come prodotto della decomposizione del reticolo di filamenti. Un tale fatto non è stato mai osservato e non si concilia con la spiegazione data da GARNIER, nè con altre di altri Autori. Chi di questi ora avrà mag- giore ragione? Probabilmente GARNIER è quello che si è avvicinato di più alla verità, ma, come ben dice Gurwrrsca (50, pag. 181) « Wenn auch die Forschung, soweit sich iibersehen lisst, keine der Garnier’schen Schilderung direkt widersprechenden Tatsachen an- zufihren vermag, so wird ja mit Oppel zugegeben werden miissen, dass ein guter Teil der Aufstellangen von Garnier’s den Charak- ter geistreicher Hypothesen tràgt ». 1) PRENANT (104, pag. 491) attribuisce a LANGLEY e RANVIER una -spiega- zione del modo con il quale sembra effettuarsi nella cellula glandolare la pro- duzione del secreto, la quale in realtà questi Autori non hanno dato in tali termini. « Il consiste essentiellement en ce que le produit de sécrétion apparaît en premier lieu sur les travées mèmes de la charpente cellulaire sous la forme de petits grains qui ne sont encore qu’un état tout à fait préparatoire de la substance définitive; qu’ ensuite ces grains grossissent, se transforment chimi- quement, en s’ hydratant par exemple, et tombent dans les mailles du rèseau cellulaire, où ils forment le produit parfait ». Ora devo far notare che LANGLEY ammise le cellule glandolari essere costituite da un reticolo protoplasmatico, da una sostanza ialina e da granuli da questa inviluppati. La sostanza ialina sa- rebbe prodotta dal reticolo e produrrebbe a sua’ volta i granuli. RaNvIER poi ammette per le glandole merocrine che il protoplasma elabori realmente il pro- dotto di secrezione e niente più. 2) L'Autore chiama interna la parte che io dico esterna. Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 325 Secondo le osservazioni di Nico&Lu (88) sulle glandole cutanee velenose degli Anfibî, di MòLLER (84) sopra le cellule di Paneth, di ELLERMANN (85) sopra le cellule mucose dell’ovidutto degli An- fibî, in un primo stadio si trovano sopra il reticolo citoplasmico dei piccoli granuli albuminoidi intensamente colorabili; questi gra- nuli si trasformano in un secondo stadio in grani più grossi che cadono nelle maglie del reticolo e che vanno a costituire le sostanze definitive. Ma si può dire con Gurwirsce (50, pag. 82): « Die grosse Bedeutung all dieser Befunde ist jedoch darin zu suchen, dass ein Stadium im Leben der Driisenzellen aufgefunden wurde , wo man von Granula schlechtweg nichts entdecken kann; wir sind somit dadurch in der Erkenntnis des Vorgeschichte der Prozymo- genkérner einen Schritt weiter vorgedrungen, als es z. B. durch die Ergebnisse von E. MiLLeR ermòglicht wurde. Hilt man sich somit an den strengen tatsichlichen mikroschopischen Nachweis , so muss der Satz von der urspriinglichen Natur der Driisengranula als hinfallig erkannt werden ». Lo stesso GurwirscH riferisce una osservazione, molto impor- tante invero, che egli ha fatto sulle cellule delle glandole velenose della pelle di Salamandra. Accanto a cellule nel primo stadio della secrezione , con filamenti basali copiosamente sviluppati e scom- pigliati, si possono rinvenire, secondo l'Autore, cellule vuotate, il protoplasma delle quali contrasta con quello delle prime per la sua natura amorfa, omogenea. Il reticolo basale della cellula era in questo caso distrutto nel processo di secrezione ed espulsione, per poi essere rifabbricato al principio del prossimo ciclo. L’osservatore confessa che solo vaghe supposizioni si possono fare sopra la qua- lità, il modo e le cause di questo processo di ricostituzione e non sa sino a qual punto esso si possa estendere a tutte le specie di cellule glandolari. Fa inoltre rimarcare che i nuclei delle cellule velenose di Salamandra dimostrano un sorprendentissimo aumento di volume e contenuto cromatico, specialmente al momento della comparsa dei filamenti. | Come apparisce dal confronto delle mie ricerche con quelle sopra accennate dei diversi autori, se esistono delle differenze , esistono però anche molti punti di concordanza. Il ciclo da me de- scritto delle fasi della cellula glandolare dello stomaco di Box si concorda con quello di GarNIER in quanto che il materiale per la formazione dei granuli zimogenici è fornito da una basofila ed amorfa sostanza che viene ceduta al reticolo plasmatico dal nucleo. ‘ Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 3. 22 326 Alceste Arcangeli Una prova di ciò si avrebbe nel fatto che nella prima parte della fase di secrezione il nucleo appare molto scuro, il reticolo citopla- smico basale un poco più colorato. che nella fase di riposo, ma sempre molto più chiaro che nella seconda parte della fase di se- erezione, quando esso appare intensamente colorato mentre intorno al nucleo , ora abbastanza chiaro e a reticolo cromatico distinto, si ha tutto un alone scuro il quale sì continua con i filamenti erga- stoplasmici e apparisce proprio come una sostanza che sia stata espulsa dal nucleo. Che i granuli provengono dal fatto cha la so- stanza amorfa si raccoglie, si configura, se ne può avere la prova nel vedere che essi compariscono sui filamenti dapprima come piccoli rigonfiamenti i quali vanno facendosi sempre più distinti, sino ad apparire come veri granuli man mano che salgono verso la parte superiore della cellula. Il fatto stesso di foggiarsi in granuli della sostanza cromatica amorfa, starebbe, secondo me, a dimostrare una partecipazione del citoplasma alla elaborazione della stessa, Le fasì da me osservate però non si accordano con quelle raffigurate da GARNIER le quali si riducono a due, mentre io ne ho osservate tre, per il fatto che ho caratterizzato una fase di riposo, quale egli pare non ammetta.-Ma se per questo, i miei reperti soffrono una impor- tante diversità da quelli del nominato Autore, per altro lato si accordano con quelli di GurwrrscH già menzionati, poichè quelle cellule che Egli riscontra e raffigura con citoplasma di natura amor- fa, omogenea, rappresentano, a parer mio, la fase di riposo. Quanto poi al fatto, messo in evidenza dallo stesso Autore, per il quale i nuclei delle cellule subirebbero uno straordinario. aumento in volume e cromatina proprio al momento della com- parsa dei filamenti ergastoplasmici, dirò che esso viene ad intral- ciare alquanto la via alla ipotesi emessa da GARNIER e da me se- guita, poichè si verrebbe allora ad escludere una fuoriuscita di sostanza cromatica dal nucleo per la formazione dei filamenti er- gastoplasmici. D'altra parte, quantunque ritenga esatti i reperti di GurwirscH, debbo riconoscere che la figura riportata non è molto chiara, nè l’ Autore raffigura un nucleo, nè dà spiegazione della struttura dello stesso in quella cellula, delle due rappresentate, a citoplasma omogeneo, senza granuli o filamenti ergastoplasmici, provvisto di grossi vacuoli. Per ciò che riguarda la diretta partecipazione del nucleo alla secrezione sotto forma di granuli che in esso sì formano e poi fuoriescono nel citoplasma, portarono contributo notevole GaALEOTTI Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 327 (37) e TramBUSTI (122), per i primi, i quali la osservarono nelle glan- dole velenose della pelle di Spelerpes; GaLzoTTI poi, oltre che in dette glandole potè osservarla nel pancreas, nelle glandole del cir- cuito cardiaco, nelle cellule mucose del piloro e dell’intestino, nelle cellule epiteliali dello stomaco e dell’intestino, in alcune cellule dei canalicoli renali (sempre di Spelerpes). In queste ultime come pure nelle cellule glandolari del circuito pilorico , si trovano probabil-_ mente due specie di secrezione: l’una consiste nella produzione di granuli, l’altra nella produzione (mediante formazione di vacuoli) di una sostanza fluida. Più tardi PrÒisarix (100) per le glandole velenose di Salamandra e Vicrer (127) per le glandole della pelle della coda di Tritone trovarono che i granuli sono prodotti dal nucleo ed anzi Vierer ammise che fossero pezzi di nucleoli che at- traversassero la membrana nucleare fornita di una o più aperture di differente forma. Nè meno importanti sono le ricerche di Launoy. Questo Autore (66) studiò le cellule glandolari dello stomaco di Vipera berus e venne alla conclusione che la formazione dei grani di zimogeno nella cellula è completamente indipendente da ogni azione riflessa (secondo il senso di PAwLow) o meccanica ed ha luogo anche allorquando il tubo digerente è stato lasciato in uno stato di riposo assoluto per prolungata astinenza di cibo. L’elabo- razione dei granuli di zimogeno sembra endonucleare. La trasfor- mazione del zimogeno in fermento si compirebbe nel citoplasma; questa funzione sarebbe solo funzione delle azioni riflessa, mec- caniche, degli eccitanti fisici o chimici agenti sopra la cellula. Stu- diando poi la elaborazione del venenogeno e del veleno nella glan- dola parotide della Vipera aspis Launov (67) ammise due fasi, una nucleare ed una citoplasmica. Nella prima vi partecipano la cromatina, il carioplasma e il nucleolo, e si ha 1’ emissione nel ci- toplasma di granulazioni, safranofile circondate da un alone di so- stanza ialina che sembra essere di carioplasma , granulazioni che costituiscono i granuli di venenogeno. Nella seconda fase i granuli di venenogeno emigrati nel citoplasma vi si accumulano e al mo- mento dell’attività glandolare le reazioni citochimiche trasformano il venenogeno in veleno elaborato. In ricerche ulteriori LAuNoY (69) modificò alquanto ed ampliò le sue osservazioni. Da queste risul- terebbe che nella parotide di Vipera, Zamenis e Tropidonotus la cromatina in una «< phase nucléaire » dapprima cambia le sue pro- prietà di colorabilità e si può inoltre sciogliere parzialmente nel plasma nucleare, apparentemente con partecipazione del nucleolo, 328 Alceste Arcangeli il quale però non sparisce mai. Ben tosto escono poi dal nucleo dei granuli di venenogeno nella zona plasmatica perinucleare ed ivi sì sciolgono. Nella « phase cytoplasmique », la quale per una parte è ancora compresa nella fase precedente, il citoplasma ela- bora, trasforma i granuli di venenogeno in definitivi granuli di veleno. Analoghe condizioni si verificherebbero nelle glandole ve- lenose di #rifone. Quivi cariosomi endonucleari fuoriescono nel ci- toplasma per partecipare alla formazione del secreto. La formazione dello zimogeno nelle glandole peptiche dello stomaco di Vipera, la quale avviene nell’embrione indipendente- mente da ogni stimolo di riflessione e meccanico, lascia parimente riconoscere ambedue le tipiche fasi. Il nucleo delle cellule di queste glandole fornisce « grains de caryozymogene » solubili, e talora an- che i filamenti ergastoplasmici sì dividono in corrispondenti gra- nuli, i quali indirettamente prendono parte insieme con i primi alla elaborazione della « prozymase » nel citoplasma, specialmente della zona perinucleare. Nelle glandole stomacali di Lacerta il ca- riozimogeno è costituito quasi solamente nella forma ergastopla- smica e condizioni analoghe per la formazione del zimogeno si hanno per le stesse glandole di Angwis, Triton e Trachinus. Nelle glandole salivari sierose di Zamenis e Tropidonotus il nucleo for- nisce al citoplasma un « élément générateur », che costituisce i de- finitivi granuli di secreto. Studiando poi la secrezione del veleno in parecchi artropodi Launoy constatò simili fatti. In Scolopendra morsitans il venenogeno fuoriuscito dal nucleo si accumulerebbe intorno ad esso come venenogeno ergastoplasmico e più tardi si. scioglierebbe, i granuli di veleno si formerebbero nella zona attorno al nucleo; anche il nucleolo potrebbe passare tutto o in parte nel citoplasma e quivi disfarsi in granuli, i quali sarebbero simili al granuli di veleno. In un altra nota (71) lo stesso Autore, dallo studio delle modifi- cazioni che si verificano nella struttura del nucleo delle cellule glan- dolari durante la fase di attività di queste cellule, avrebbe potuto distinguere due ordini di fenomeni, gli uni passivi, gli altri attivi. I fenomeni passivi concernerebbero le modificazioni di volume e di situazione del nucleo della cellula glandolare. I fenomeni attivi comprenderebbero le modificazioni profonde di struttura che sono in correlazione con la partecipazione diretta del nucleo all’ atto secretorio. Essi interessano la cromatina ed il nucleolo. Nel nucleo in riposo assoluto (animale a digiuno ) si avrebbe la cromatina Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 329 propriamente detta, allo stato quiescente; nel nucleo in attività si avrebbe oltre questa cromatina, la cromatina differenziata dipen- dente da un atto di elaborazione endonucleare in relazione diretta con i fenomeni di pirenolisi (e principalmente l’ emissione nel ca- rioplasma di vacuoli ossifili) presentati dal nucleolo. Le due cro- matine presenterebbero diversa affinità peri colori e precisamente la prima avrebbe affinità peri colori basici, la seconda per i colori acidi !). Queste ricerche concorderebbero con quelle antecedenti di Recaup ed altri Autori, le quali per brevità credo opportuno tacere. Le osservazioni di Launoy sono senza dubbio molto interes- santi, ma le conclusioni dell'Autore sono eccessive in relazione ai fatti osservati, e quindi debbono essere accettate con molto ri- guardo. Quantunque io non abbia potuto nelle cellule peptiche del Box fare osservazioni così minute riguardo alla formazione dei granuli di zimogeno, esse trovano una certa concordanza con quelle di Launoy per le cellule peptiche di Trachinus, inquanto che il nucleo fornisce al citoplasma una sostanza (cariozimogeno) che for- merà l’ersastoplasma dal quale traggono origine i granuli zimoge- nici. Non sono però d’accordo con lui nel ritenere che il nucleo, in animale digiuno , sì trovi in riposo assoluto , ciò che del resto è contrario a quanto lo stesso Launoy enunciò per le cellule peptiche di Vipera berus. PrronE (102), a differenza di THhoHARI (120) e di Cape (17, 18), non ammette nel citoplasma delle cellule principali delle glandole stomacali del cane una porzione basale a struttura filamentosa (er- gastoplasma) da cui trarrebbe origine il secreto per trasformazione dei filamenti im granuli. In nessun caso i granuli gli sono apparsi come una trasformazione del citoplasma o di parte di esso; il cito- plasma opera una ulteriore elaborazione dei granuli di secreto la cui origine è endonucleare. Anzi, nelle stesse cellule principali si possono distinguere due momenti della elaborazione del secreto : 1) Si ricordi quanto è messo in evidenza dalla pratica istologica e nei trattati di tecnica microscopica, che cioè le diverse parti della cellula possono subire una totale inversione nell’affinità colorante asseconda delle sostanze con le quali il tessuto è trattato dalla fissazione in poi e a seconda del modo con il quale si fa la colorazione. Vedi per es. Carazzi, D.—-Manuale di tecnica microscopica, Milano, 1899, a pag. 51 e Corti, A. e FeRrRATA, A. — Di una totale inversione dell’affinità colorante col mutare del liquido fissatore. Monit. Z. Ital. Anno 16, pag. 319-320, 1905. 330 Alceste Arcangeli l'iniziale o nucleare ed il secondario 0 protoplasmatico. « Solo in seguito, a secrezione cellulare compiuta, per l’intermediario di or- degni nervosi, si verifica il periodo escretivo cellulare o secretivo esterno, ul che ordinariamente sogliamo denominare secrezione gastrica ». Sia che la sostanza fornita dal nucleo si presenti amorfa o figurata, tutte le recenti ricerche tendono a dimostrare quale grande importanza abbia lo stesso nel processo della secrezione. Le diffe- renti trovate, in proposito, degli Autori, oltre che a differenza di fenomeni citologici, debbono riferirsi anche a differenti metodi impiegati nella ricerca ed al fatto che non sempre può essere messa in evidenza la partecipazione del nucleo. Anche qualora i diversi metodi di colorazione non rivelino questa partecipazione, il ricer- catore deve esserne avvertito dalla forma, dalla struttura di esso nucleo, che varia con il variare della struttura del citoplasma ed anche della forma dell’intera cellula. Nel caso della cellula peptica del Box, due sono i prodotti del fenomeno secretorio: uno di ori- gine endonucleare rappresentato dai granuli colorati dall’ ematos- sifina, l’ altro di origine puramente citoplasmica rappresentato da una sostanza amorfa avente affinità per l’ eosina ed in generale per i colori acidi. Rimane ora da rispondere alla seguente domanda. il prodotto, che forniscono alla digestione le glandole, è costituito unicamente dall'attività secretoria delle singole cellule glandolari ? Può pren- dervi parte ancora un materiale fornito dall'attività escretrice dei leucociti e dalla distruzione di ess1? Assorbono o escretono essi ? Arduo problema a risolvere: limitiamoci quindi a constatare dei fatti e sopra di essi fondare qualche ipotesi. Possiamo intanto dire che la presenza di cellule migranti non sì limita soltanto alle parti essenzialmente assorbenti del tubo di- gestivo, ma oramai le ricerche di numerosi Autori le hanno avver- tito anche in organi gli epitelì dei quali non hanno funzione di- gestiva od assorbente come gli organi respiratori, la mucosa bron- chiale. Già ARNnSsTEIN (8) trovò cellule migranti nell’ epitelio del- l’ esofago e dello stomaco di Rana e dei Sauriani. EpINGER (32) per i rettili ed i pesci osservò che rotonde cellule bianche conti- nuamente migrano dai vasi nello stomaco attraverso l’ epitelio. SroHR (119) rinvenne cellule migranti nell’ epitelio stomacale del- l’uomo ed osservò che esse sono nella stessa proporzione numerica negli animali nutriti ed in quelli a digiuno. PrenANT (103) rin- Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 331 venne cumuli di leucociti invadere l’epitelio faringeo ed esofageo di Anguis fragilis. BeGuin (8) segnalò degli elementi migratori fra le cellule epiteliali gastriche di Tropidonotus tesselatus a digiuno. Io li ho riscontrati nell’epitelio stomacale (oltre che in quello in- testinale) di Gongylus ocellatus a digiuno, nell’epitelio e nelle glan- dole gastriche di Tropidonotus natrix (molto più frequenti in ani- mali a digiuno che in quelli alimentati), nell’epitelio pavimentoso stratificato dell’esofago di colombo. Anzi per l’esofago del colombo lo sarei indotto ad attribuire ai leucociti una funzione di escrezione quasi sicura, perchè, se in un epitelio cilindrico semplice come quello intestinale o stomacale si può pensare ad un ritorno in esso epitelio di leucociti migrati nel lume per ivi assorbire sostanze nutritizie, ciò è da escludersi per un epitelio pavimentoso stratifi- cato, il quale è soggetto ad un continuo sfaldamento dello strato più esterno, che per la sua struttura poi, si deve ragionevolmente credere che non possa permettere ai leucociti di attraversarlo in senso contrario allo stesso sfaldamento. Di più, come già Hasse aveva constatato ed io confermai (1), nell’epitelio dell’ esofago di colombo genitore all’ epoca del cosidetto «< allattamento » (nella quale epoca si ha un enorme sviluppo dell’epitelio che subisce una degenerazione adiposa), si trovano delle cellule speciali grandi, in- farcite di gocciole adipose, che uno studio più accurato mi ha dimostrato essere leucociti. Questi leucociti che accompagnano la degenerazione adiposa dell’ epitelio, non vanno forse a formare parte del prodotto di sfaldamento dello stesso epitelio? Questo pro- dotto non risulta in fin dei conti simile per lo scopo a quello di una secrezione ? Già dissi che nel Box i leucociti, oltre invadere l’ epitelio di rivestimento dello stomaco, si annidano nelle cellule peptiche delle quali occupano più specialmente la parte basale, e ciò avviene con maggior frequenza nel digiuno e durante l’attività secretoria degli elementi. Che forse questi leucociti vanno nei sopracitati epitelî per assorbire, per caricarsi di materiali nutritizî? Ma allora perchè vi si trovano in un momento così poco propizio per una funzione di assorbimento, quale è la fase di secrezione e quella di escrezione degli elementi ? Per l’epitelio intestinale del Box già feci osservare che i leu- cociti vi sì trovano più abbondanti nel digiuno e non potei farmi la convinzione che essi compissero |’ ufficio di trasportatori ; piut- 332 + Alceste Arcangeli tosto espressi l’ opinione che essi abbiano la capacità di apporta- re degli enzimi, che sarebbero utilizzati durante il metabolismo alimentare che si compie nell’epitelio intestinale e si continua pro- babilmente anche nello stroma connettivale ad esso sottostante 1). A maggior ragione non si può ammettere che la maggior presenza di leucociti nella mucosa e nel lume stomacale di animale a digiuno dimostri un ufficio di trasportatori di nutrimento per parte dei luecociti stessi. Piuttosto si può pensare che essi abbiano l’ ufficio di apportare enzimi di utilizzazione durante il metabolismo della secrezione o forniscano prodotti di escrezione. Questa ultima ipotesi fu sostenuta con dotti argomenti da De WAELE (28) in un lavoro riguardante |’ ufficio dei globuli bianchi dei vertebrati nell’ assorbimento e specialmente nell’ assorbimento intestinale, il quale Autore sarebbe venuto alla conclusione che in tutte le mucose la funzione dei leucociti è.la stessa: escrezione e protezione per l'organismo. Nè meno importanti sono le ricerche di EnrIquEs (36) il quale dimostrò sperimentalmente che nella rana i granuli pigmentati che si formano per distruzione di globuli- rossi nella milza sono trasportati via dai leucociti, i quali li con- ducono, probabilmente seguendo le vie linfatiche, all’intestino (duo- deno) ed attraverso all’ epitelio di esso nel lume del canale dige- rente: essi dunque compirebbero il trasporto dell’escreto della milza. In favore della ipotesi di una funzione escretoria operata dai leuco- citi sarebbero i seguenti fatti. Nella mucosa stomacale di Box i leucociti sono più abbondanti quando gli epitelìî di rivestimento sì trovano in attività secretoria (quindi specialmente nel digiuno): e così nella mucosa intestinale quando minore è la funzione di assorbimento e. maggiore la funzione di secrezione operata dalle cellule caliciformi (quindi Nagelainente nel digiuno). « Il semble, dice Béeuin, (9), qu'au moment où la cellule eylin- drique se met à recueillir les matiéres alimentaires répandues dans 1) Gargano (vedi lavoro citato) riguardo ai leucociti che si trovano nella mucosa intestinale di Lacerta così si esprime : « Secondo me i linfociti non sono certamente i portatori delle sostanze assimilate, credo che durante il digiuno siano destinati a produrre degli enzimi speciali che digeriscano e distruggano i numerosi microorganismi (che albergano le cellule cilindriche) e che durante la digestione oltre che enzimi difensivi, ne segreghino altri che hanno la facoltà di digerire meglio le sostanze assorbite dalle cellule intestinali ed assimilate da esse », Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 339 la cavité intestinale, elle repousse les leucocytes qui se trouvaient dans sonsein ou sur ses còtés. Ceci se comprend en somme: lorsque les matiéres alimentaires parviennent dans les cellules épithéliales, le contenu de celles-ci se trouve subitement augmenté ; comme d’ailleurs les parois ne permettent pas une distension indéfinie, il y a une augmentation de pression qui détermine l'expulsion des éléments migrateurs. Plus tard, ceux-qui ne tardent pas è revenir en grand nombre ». Ma se questa osservazione dell'Autore francese è giusta riguardo alle cellule epiteliali dell'intestino, non può ap- plicarsi alle cellule epiteliali dello stomaco, dove i leucociti pene- trano in o fra di esse quando si trovano in attività secretoria, non ostacolati nel loro cammino dal turgore delle stesse cellule, ma favoriti dalla corrente delle sostanze che procede durante la se- crezione in senso inverso a quella che si verifica nell’epitelio inte- stinale durante la funzione di assorbimento. Non posso certo accordarmi con Bau riguardo all’ ipotesi da lui espressa per spiegare l’ufficio delle cellule migranti : « Les leucocytes, dice l'Autore, peuvent servir è la nutrition des élé- ments épithéliaux en apportant aux cellules les substances qui leur sont nécessaires. Il est probable que, chez un animal dont la mu- queuse intestinal est en train d’absorber, le cellules migratrices n’ont pas è nourrir cette muqueuse; elle s'incorpore directement ce dont elle a besoin sans l’intermédiaire des leucocytes. Chez un animal è jeun au contraire, l’épithélium de l’intestin moyen n'a rien è absorber dans le canal alimentaire, et les cellules migratrices doivent venir le nourrir. Ainsi s'expliquerait la raretè des leucocytes chez les animaux nourris, leur grand nombre chez les individus inanitiés. Cette hypothése n’exclurait d’ailleurs pas celle d’aprés laquelle les éléments migrateurs joueraient un ròle d’excrétion en venant deverser dans le canal intestinal des substances inutiles, récoltées soit a l’intérieur de l’épithélium, soit è tout autre endroit de l’organisme ». Lasciando da parte questo ultimo periodo che io considero concorde alle mie vedute, tutto ciò che precede non parmi sia sostenibile quando si pensi che i leucociti esistono, quantunque in minor numero nella mucosa intestinale, fuori del digiuno, cioè nell’ alimentazione normale; onde si dovrebbe allora dire che le cellule epiteliali nelle quali i leucociti migrano, sono cellule che, pur avendo a disposizione nutrimento contenuto nel lume dell’in- testino, lo prendono dai leucociti, e ciò sembrami assurdo. 334 Alceste Arcangeli Con questo io non voglio dire che la ipotesi enunciata da me sia immune da possibilità di critica ; anzi, quantunque essa possa appagare la logica nel tentare la spiegazione dei fatti, deve essere riguardata come ipotesi nè io nascondo il dubbio che noi siamo ancora ben lontani dalla risoluzione del problema della funzione dei leucociti nella mucosa del tubo digerente 1). Ed ora, per finire, io debbo far osservare che i miei reperti non debbono essere presi in un senso assoluto; nè le considerazioni fatte in proposito ad essi sì possono estendere rigorosamente agli altri vertebrati tutti. A. ciò si oppongono a parer mio, oltre la particolare costituzione anatomica e istologica dell'apparato digerente, il genere di vita degli animali considerati. Più specialmente potranno pre- sentare condizioni pressochè eguali i pesci ossei che come il Box salpa sono fitofagi e dotati di un vero stomaco. E nemmeno lo stato di digiuno dei pesci, in genere, può a parer mio offrire con- dizioni della mucosa stomacale paragonabili non solo con i vertebrati omotermi, ma anche con i vertebrati terragnoli. Già scrissi in pre- cedenza che se il digiuno prolungato è uno stato anormale per gli individui che hanno bisogno di alimentarsi a brevi intervalli di tempo, come è per gli omotermi, non lo è per i vertebrati inferiori che attraversano normalmente lunghi periodi di digiuno. Or debbo aggiungere che anche riguardo agli eterotermi le condizioni devono cambiare molto a seconda che si considera il digiuno in un rettile, in un anfibio, in un pesce. Basti il pensare agli stimoli sensibili che deve esercitare sulla mucosa stomacale di un pesce la sicura introduzione di acqua salsa o dolce che sia in virtù dei sali che tiene disciolti. Se qualcuno volesse poi vedere nelle differenze morfologiche degli epitelî della mucosa stomacale del Box, da me osservate, un. artefatto risultato dell’azione sui tessuti dei reagenti adoperati nella fissazione e indurimento ete., anzichè l’espressione di diversità fun- zionale, dirò che tutti i pezzi di mucosa stomacale furono trattati identicamente; e mal si presterebbe tale opinione per spiegare le differenze così notevoli nelle dimensioni, nella forma, nella colo- 1) In riguardo a tal funzione, io eredo che dovranno acquistare una grande importanza gli interessanti fatti osservati da Corti nelle cellule mononucleate migranti nell’ epitelio intestinale (Vedi Corti A., — Granulazioni e fatti morfo- cinetici delle cellule mononucleate migranti nell’ epitelio del villo intestinale di mammiferi: Biologica, Vol. 1 pag. 265-291, Tav. 4, Torino, 1907). Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 335 rabilità, nella struttura che si verificano negli elementi epiteliali. Posso quindi concludere che l’interpetrazione da me data ai diversi aspetti morfologici degli epitelî, e di rivestimento , e glandolare dello stomaco del Box salpa abbia una corrispondenza alquanto prossima con i diversi momenti funzionali. Pisa, 1 luglio 1907. 336 Alceste Arcangeli Bibliografia 1904. Arcangeli, A. — Ricerche istologiche sopra il gozzo del colombo all'epoca del cosidetto « allattamento » : Mon. Z. Ital. Anno 15 pag. 218. (4) 1906. — — I cambiamenti nell’epitelio intestinale del Box salpa L. durante l'assorbimento: Arch. Anat. Embriol. Vol. 5 pag. 150, Tav. 7. (2) 1867. Arnstein, C. — Ueber die becherformigen und wandernden Zellen des Darmes: Inaug. Diss. 34 pag. 1 Taf. Dorpat. (3) 1900. Ascoli, C. — Uber die histologische Entwickelung der menscehlichen Magenschleimhaut: Verh. Anat. Ges. 14. Vers. pag. 149. (4) 1881. 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Tutte le figure, ad eccezione della prima che è stata disegnata al naturale, furono da me disegnate con la camera chiara di ABBE-ApatHY di KoRISTKA, tranne la fig. 21 che fu eseguita dal disegnatore dell’Istituto sig. A. CRISTOFANI. La carta era tenuta a livello del tavolino del microscopio. Lo spessore delle se- zioni disegnate era sempre di 5 p. Gli ingrandimenti notati sono approssimativi. Tavola 10. Fig. 1. — Rappresenta al naturale lo stomaco di un Box di 11 cm. di lunghezza insieme all’esofago ed alla prima porzione di intestino con le ap- pendici piloriche. Scarso il contenuto di esso. » 2. — Box n. 4. Sezione longitudinale della parete stomacale nel punto di passaggio della parte cardiaca (in alto) alla parte ciecale (in basso). Colorazione con emallume ed eosina. X 27. » 5. — Box n. 7. Sezione trasversale della parte ciecale dello stomaco circa alla metà della stessa. Colorazione con emallume ed eosina. x 27. » 4 — Box n. 4. Sezione longitudinale lungo la linea ventrale della parte pilorica dello stomaco in corrispondenza del passaggio all’intestino (in alto). Colorazione con emallume ed eosina. X 30. » » » dr » » » » » » Contributo alle conoscenze della struttura minuta dello stomaco ecc. 345 5. — Box n. 4 Sezione longitudinale lungo la linea dorsale della parte pi- lorica dello stomaco in corrispondenza del passaggio all’intestino (in alto). Colorazione con emallume ed eosina. >< 30. 6. — Box n. 5. Sezione trasversale della mucosa della parte ciecale dello stomaco. Colorazione con emallume ed eosina. >< 240. 7.— Box n. 4. Sezione longitudinale della mucosa della parte cardiaca dello stomaco vicina al passaggio alla parte ciecale. Colorazione con emallume ed eosina. x 420. 8. — Box n. 5. Epitelio di rivestimento di un fornice della mucosa della parte ciecale dello stomaco, con gli elementi nel mezzo in fase di riposo ed ai lati gradualmente passauti alla fase di secrezione. Co- lorazione con ematossilina ferrica ed eosina. >< 1300. 9. — Box n. 5. Epitelio di rivestimento della mucosa della parte ciecale dello stomaco con gli elementi più piccoli in fase di riposo ed i più grandi in fase di secrezione. Calorazione con ematossilina fer- rica ed eosina “ 1300. 10. — Box n. 5. Epitelio di rivestimento dell’apice di una piega della mu- cosa della parte ciecale dello stomaco. A sinistra le cellule sono in fase di secrezione, a destra sono al principio della fase di escre- zione. Colorazione con ematossilina terrica ed eosina. x 1300. 11. — Box n. 5. Epitelio di rivestimento dell’apice di una piega della mu- cosa della parte ciecale dello stomaco. Le cellule sono in fase di escrezione avanzata L’ultima a sinistra è al termine della escre- zione. Colorazione con ematossilina ferrica ed eosima. x 1300. 12. — Box n. 1. Epitelio di rivestimento di una larga piega della mucosa della parte ciecale dello stomaco. Le cellule in parte sono state colte nel momento che espellono il muco in forma di grosse goc- cie. A sinistra (crepr) si ha una cripta epiteliale dove le cellule propabilmente sono in fase di riposo. La direzione tangenziale (ri- spetto ad essa) del taglio la fa sembrare a prima vista un bottone epiteliale. Colorazione con emallume ed eosina. x 1300. Tavola 11. 13.-— Box n. 1. Sezione trasversale della mucosa della parte cardiaca dello stomaco. Colorazione con emallume ed eosina. x 100. 14. — Box n. 4. Sezione trasversale di una piega longitudinale della parte cardiaca dello stomaco. Colorazione con emallume ed eosina. x 100. 15. — Box n. 4 Sezione trasversale di parecchi tubi glandolari della mu- cosa della parte cardiaca dello stomaco con le cellule secernenti in fase di riposo. Colorazione con emallume ed eosina. x 480. 16. — Box n. 4. Sezione trasversale di parecchi tubi glandolari della mucosa della parte cardiaca dello stomaco con gli elementi secretori in fase di secrezione (2.° periodo). Colorazione con emallume ed eo- sina. X 430. 17. — Box n. 7. Sezione trasversale di altrettanti tubi glandolari della mu- cosa della parte cardiaca dello stomaco con gli elementi secretori in fase di secrezione. Colorazione con emallume ed eosina. X 4530. 346 Alceste Arcangeli Fig. 18. — Bor n. 4. Sezione longitudinale di alcuni tubi glandolari della mucosa della parte cardiaca dello stomaco con le cellule secernenti in fase di escrezione. Si noti l’epitelio di rivestimento della mucosa con gli elementi in fase di escrezione. Colorazione con emallume ed eosina. x 275. » 19. — Box n. 4. Sezione trasversale di alcuni tubi glandolari della mucosa della stessa parte stomacale con gli elementi secretori nel secondo periodo della fase di secrezione che in due (a sinistra in alto) passa a quella di escrezione. Colorazione con emallume ed eosina. > 1300. » 20. — Bow n. 4. Sezione trasversale di alcuni tubi glandolari della parte car- diaca dello stomaco con le cellule secernenti iu fase di escrezione. Colorazione con emallume ed eosina. x 620. » 21. — Box n. 1. Sezione trasversale di alcuni tubi glandolari della parte cardiaca dello stomaco con le cellule secernenti in fase di secre- zione. Si noti il grande sviluppo dell’ergastoplasma. Colorazione con emallume ed eosina. x 620. Ricevuto il 16 Agosto 1907. Finito di stampare il 19 Maggio 1908. Napoli, R. Tipografia Francesco Giannini & Figl (E n $ — È; ? n 7 , s | FASOICOLO quarto. Si ul 484) due d TAR O per V Estero Ro i mi IRGHIERI n THEODOR OSWALD WEIGEL. KONIGSTRASSE 1. LRIPZIG NAPOLI Ri TIPOGRAFIA | FRANCESCO GIANNINI (al FIGLI - Cisterna dell Olio. - 1909 Masi L. a Ga ‘alcime "Day (alano - Tav. 12: TT ui a | Police G. — Alcune nuove specie di Halacaridae del Golfo di Napoli. - po Mari ISTE RO LE Re 3 LE TRE ra Marcucci E. IPA inserzione mediale del assi gran pettorale LICIA Ca caltunio Sabri = Tay 16 ara È LAN) | Poso O. — Ricerche biologiche ed stogenesiche E Rchini regolari. PIO Tav. 16-18. MENO i ì (> 458) % J acino A. Uovo e larva di Trachypter US'SP. - O 19 e sale SER del testo > Gli Autori avranno n.° 50 estratti dei lavori pobbliist nell’ Ar- i chivio; non potranno richiederne un numero DAS Dr a (PIOBNIO ‘spese. RESERO Vi eg COMITATO DI REDAZIONE so Dott... (G: Bentomm, Prof. GC. cal Prof. C. Emery, Prof. Do I Say. Mownicetn, Pros - PARONA, Prof. D. Rosa Per la pubblicazione dei lavori ui. COMITATO DI REDAZIONE - Estratto dallo Statuto e dal Regolamento UNIONE ZOOLOGICA ITALTANA. FONDATA NEL 1900 DE: SOA STATUTO . } ARP. Rn fondi un'associazione allo scopo di promuovere e. diffondere di da Zoologia intesa nel suo più ampio significato ; di agevolare i rapporti. ira Topi cultori di questa scienza e difendeme gli interessi nell’ insegnamento, E Essa prende il nome di UNIONE ZOOLOGICA ITALIANA. Arm 2° — Il numero dei Soci dell’ Unione è illimitato. vi Art. 3° — La qualità di Socio si acquista conla proposta fatta ‘da due. or Ss È e coll’approvazione del Consiglio direttivo. È RR | Arr. 4° La quota sociale è fissata in Lire cinque, da pagarsi. onto 1-45 primo trimestre dell’anno, anche per esazione postale. ERE È socio perpetuo chi versa, in una sola volta, lire cento. ARIE ut Oltrechè perpetuo diviene socio benemer ito se la somma che versa si eleva % a lire cinquecento. i META Le due ultime annualità già versate si computano nella dii diventar socio perpetuo, o benemerito. pae ot; (segue in 3.* pagina della covertina TE sn RS i TE "E 5 < 80. 2. — Valva destra di Eurycypris bispinosa, veduta dal lato dorsale.X 24. 8. — Struttura di una porzione del lato anteriore del guscio d’ Euryeypris bispinosa (valva destra). x 52. 4. — Valva destra di Cypriîs onusta. x 52. 5. — Valva destra di Cypris intermedia var. latialis. x 65. 6. — Valva sinistra di Cyprîs intermedia var. latia'is. x 65. ©. — Struttura di una porzione del lato anteriore del guscio di Cypris in- termediu var. latialis (valva sinistra). x 220. 8. — Valva sinistra di Cypridopsîs crassipes. x 85. 9. — Valva destra di Cypridopsis crassipes. x 85. 10. — Zampa del primo paio, di Cypridopsis crassipes. x 360. 11. — Sruttura di una porzione del lato posteriore della valva destra di Ilyocypris decipiens. x 475. 12. — Guscio d’Ilyocypris decipiens, veduto dal lato ventrale. x 90. 13. — Valva d’/lyocypris decipiens. x 115. 14. — Palpo del piedemascella d’/lyocypris iners var. affinis X 405. ..— Valva destra d’/Ilyocyprîs iners var. affinis. x 90. Ricevuto il 28 Marzo 1908. Finito di stampare il 19 Dicembre 1908. pigola ST BIOvsÌ” sllsb” amo i wi Ra Y ù dh ur 3 è 4 citati fat part eb S Ep na i sa li tia Aleune nuove specie di Halacaridae del Golfo di Napoli descritte dal Dott. Gesualdo Police Libero docente, Assistente nell’ Istituto Zoologico della R. Università di Napoli (Con le tavole 13-14) La fauna del Golfo di Napoli, non abbonda di Alacari, ani- mali che si riesce a trovare solo con pazienti ricerche ed in rari esemplari. Epperò su di essi sono stati fatti soltanto dei tentativi di studio, che si riassumono nella breve descrizione dell’ Halacarus trouessartii Vornov, contenuta nelle due note del Vornov (1, 2). Io ho ricercato sulle alghe di vari punti del golfo ed a varie profondità, ma principalmente ho potuto raccogliere degli Alacari sulle floridee della costa dell’isola di Nisida, dove anche il Vornov rinvenne l’animale da lui descritto. Ho trovato ivi tre specie, ricer- cando nei mesi di agosto, settembre ed ottobre dello scorso anno. Due altre specie mi furono favorite dalla cortesia del dott. Lo Branco una rinvenuta nel plankton profondo a circa due chilometri da capo Sorrento, nel 1902, ed un’altra nel plankton della superfi- cie due mesi or sono. Di un’altra specie, alcuni esemplari mi fu- rono favoriti dall'amico prof. PreranToNI, che li trovò nella sabbia della costa -di Posillipo, conosciuta sotto il nome di « sabbia d’Am- phioxus », dove, ricercando ulteriormente, ho ritrovati ancora altri individui. In questo studio ho seguito la classificazione proposta dal Lor- MANN (4): classificazione che è stata pienamente accettata dal TrovessaRt. Il LonmannN ed il TrovEssART sono, difatti, i soli natura- listi che si sono occupati particolarmente di Alacari; gli altri hanno semplicemente ‘descritto qualche specie che è loro capitata. Nelle sei specie da me riconosciute sono rappresentati tre ge- neri: Rhombognathus Trovrss., Halacarus Gosse, ed Agaue LoHMANN. 410 Gesualdo Police Alla descrizione degli animali da me osservati, è necessario premetta la esposizione della nomenclatura italiana che propongo per le varie parti del corpo, tenuto conto che la nomenclatura francese, adottata dal TrovessART, non sempre coincide con quella tedesca, seguita dal LonMANN, e non posso quindi attenermi ad alcuna delle due in particolare. Nel corpo dell’ intero animale si distinguono due parti, il rostro (Capitulum del Lonmann; rostre del T'rourssarT) ed il tronco (Ru::pf del Lonmann; trone del TROUESSART). Nel rostro sì distingue una porzione basale, (Fig. 3, 4, pbr) su cui si articolano le mandibole (Fig. 3, 4, m) ed i palpi mascellari (Fig. 3, 4, p), parti le cui denominazioni corrispon- dono a quelle usate da tutti gli autori. Ventralmente la porzione basale del rostro si prolunga in avanti in un ipostoma (Fig. 4, 7) (Schnabelteil del Lo#- MANN; hypostome del Trouvzssart). Dorsalmente la parete della porzione basale del rostro spesso si prolunga anch’ essa, anterior- mente, in un epistoma (Fig. 23, ep). Il LoHMANN nel suo primo lavoro sulla famiglia degli Alacari (1, pag. 33) chiamò anch’ egli questa parte epistom, ma nei lavori seguenti si limitò ad indi- carla come parete dorsale del rostro (Dorsale Wand des Ca- pitulum), probabilmente per evitare confusione con ciò che il TrovessarT chiama epistome, e che, come vedremo, è altra cosa. A me, però, sembra più conveniente adottare la parola epistoma per questa porzione del rostro, perchè per la sua posizione è proprio opposta a quella che si è convenuto di chiamare ipostoma. Nella faccia ventrale del rostro sì nota una zona mediana ben distinta per il suo contorno a rilievo: questa è la piastra faringea (Fig. 4, pf). Nel tronco , dorsalmente e ventralmente, si delineano delle zone ristrette finamente striate (le indico col nome di zone stria- te interpiastrali) che dividono tutta la superficie in tante aree chiamate piastre. Di queste alcune sono dorsali, altre ve n- trali: delle altre piastre, latero-ventrali, stanno alla base dei piedi e costituiscono le piastre epimerali (hintere Epimeralplatte del LonmanN; plaques coxales del Trovrssart) (Fig. 1, 2, pe). Le piastre dorsali sono quattro, due impari e due pari. Le impari sono una anteriore (Fig. 1, pda) (vordere dorsal- platte del Lonmann; plaque de l’épistome del TrovrssarmT) ed Alcune nuove specie di Halacaridae del Golfo di Napoli 411 una posteriore (Fig. 1, pdp) (hintere Dorsalplatte del Lox- MANN ; plaque notogastrique del TrourssarT): la piastra dor- sale anteriore spesso si prolunga in un margine frontale (fig. 1,3, mf) (Stirnrand del Lonmanwn; epistome del Trousssarm). Le piastre dorsali pari sono le due piastre oculari, poste ai due lati della piastra dorsale anteriore (Fig. 1, po). Ventralmente si nota una piastra ventrale anteriore Fig. 2, pva) (vordere Epimeralplatte del Lonmann; pla- ques sternales del TrourssaRt) e una piastra genito-anale Fig. 2, pga) (Genito-analplatte del Lonmann, plaque ve n- trale del TrovESSART). Al sesto articolo dei piedi sono attaccati due uncini. Questi possono articolarsi ad un pezzo mediano (Fig. 19, 20, pm) (Kral- lenmittelstick del Lonmann; piéce mediane del Trouzs- sart), che a sua volta può articolarsi con un altro pezzo che va ad inserirsi all’articolo terminale dei piedi, il pezzo supplemen- tare. (Fig. 19, 20, pa), (Awischenstick del Lonmann; piéce additionel del TrovESSsART). Descrizione delle specie Genere Rhombognathus TROVESS. Il genere si distingue per i seguenti caratteri del rostro e dei piedi: Rostro corto, palpi mascellari corti aderenti alle mandibole; piedi con tarsi separati dal doppio uncino terminale da un pezzo supplementare cilindrico allungato. Questo genere, definito stabil- mente dal TrovessART (1), fu prima indicato dal Gosse col nome di Pachygnathus e poi dal LonmanN (1) con quello di Aletes. Una sola delle specie da me studiate appartiene a questo genere : Rhombognathus sphaerorhynchus n. sp. (Fig. 14-20) Diagnosi Palpi brevi e grossi ripiegati verso le mandibole. Pare- te dorsale della porzione basale del rostro interrotta nella linea mediana, in modo da lasciare parte delle mandibole Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 4. 28 412 Gesualdo Police allo scoverto. Margine frontale avanzantesi fino a ricoprire lametà della porzione basale del rostro. Piastre ocularilar- ghe con due cornee. Piastre ventrali fuse in una sola pia- stra. Uncini faleiformi con dente laterale è pettine; forni- ti inoltre di pezzo mediano senza uncino, e pezzo supple- mentare cilindrico. Due peli piumosi al quinto articolo di ogni paio di piedi. Descrizione Dimensioni. — L'animale è di piccole dimensioni. La sua lunghezza totale è di 300 w1l., misurando così la medesima lun- ghezza del Rhombognathus apsteinti Lonm., che, insieme al Rhom- bognathus minutus Hopar (che è lungo 280 pl) sono i più piccoli dei Rombognathus. Forma del corpo. —Il corpo è di forma tozza, con troneo ellittico e grosso, relativamente all’insieme dell’animale, con piedi corti e grossi, tutti delle medesime dimensioni. Rostro. — Il rostro è superiormente libero, poichè il margine frontale della piastra dorsale anteriore, si arresta alla metà della base di esso. (Fig. 16). Il rostro nell’insieme, sì presenta di forma approssimativamente sferica poichè i palpi mascellari con gli ultimi articoli grossi, brevi e rivolti in dentro, ne arrotondiscono la por- zione anteriore (Fig. 16, 17). I palpi mascellari (Fig. 16, 17, p) sono molto brevi e grossi, a base assai larga. Il primo e secondo articolo più brevi e grossi che nel Ahombognathus notops Gosse, col quale l’animale ha parecchi caratteri in comune. Il quarto articolo è conico ed il suo estremo è rivolto in dentro. Una setola sulla faccia esterna del secondo articolo ; tre setole sul terzo. Le mandibole (Fig. 16 mm, Fig. 18) sono a forma di cono tronco allungato, rigonfie nella porzione posteriore: anteriormente sono arrotondate; sulla porzione convessa dell’estremo anteriore sì inserisce un’ unghia di forma auriculare, che si termina a punta. La parte concava di ogni unghia è rivolta verso l’imterno, in modo che le due concavità delle unghie si guardano. Una simile forma di unghia ha riscontrata il LoHMANN (1) per il Rhumbognathus (Aletes) pascens, come si desume dalla sua fig. 45, tav. 1. Il fatto più caratteristico, che si nota nel Rhombognathus che qui descrivo, sta nel modo di comportarsi della parete dorsale della Alcune nuove specie di Ha/acaridae del Golfo di Napoli 413 porzione basale del rostro. Questa parete non solo non si prolunga in un epistoma, ma non è neanche intera al disopra della porzio- ne posteriore delle. mandibole come negli altri Alacari. Essa in- vece dorsalmente si presenta interrotta nella linea mediana, con due margini regolari e simmetrici (Fig. 16), che lasciano scoverte le mandibole per buon tratto della loro porzione prossimale. L'e- pistoma conseguentemente manca. L’ipostoma piccolo, di forma triangolare, è breve e si ar- resta a livello della base delle unghie delle mandibole (Fig. 17, 150. 2.— Tronco e rostro veduti ventralmente. »< 150. € 4. — Rostro veduto ventralmente. >< 480. 3. — Rostro e margine frontale, veduti dorsalmente. x 480. 5.— Quinto e sesto articolo del primo paio di piedi. x 480. 6. — Quinto e sesto articolo del secondo paio di piedi. x 480. Halacarus (Copidognathus) cribrosoma n. sp. ©.— L'animale intero veduto dorsalmente. »< 150. 8. — Trouco e rostro veduti ventralmente. x 150. 9. — Rostro veduto ventralmente. X 480, Alcune nuove specie di Halacaridae del Golfo di Napoli 443 ig. 10. — Mandibola isolata. x 480. 11. — Quinto e sesto articolo del primo paio di piedi. x 480. 12. — Quinto e sesto articolo del secondo paio di piedi. x 480. 13. — Quinto e sesto articolo del quarto paio di piedi.» 480, Rhombognathus sphaerorhynchus n. sp. ig. 14. — L’animale intero veduto dorsalmente, »< 150. 15. — Tronco e rostro veduti ventralmente. » 150. 16. — Rostro e margine frontale veduti dorsalmente. x 480. 17. — Rostro veduto ventralmente. X 480. 18. — Mandibola isolata. x 480. 19. — Quinto e sesto articolo del primo paio di piedi. x< 480. 20, — Quinto e sesto articolo del terzo paio di piedi. x 480. Tavola 14. Halacarus (Copidognathus) sculptus n. sp. . 21. — L’animale intero veduto dorsalmente. »< 150. 22.— Tronco e rostro veduti ventralmente. x 150. 23. — Rostro e margine frontale veduti dorsalmente. »< 480. 24. — Rostro veduto ventralmente. x 480. 25. — Terzo, quarto, quinto e sesto articolo del primo paio di piedi. xx 480. 26. — Terzo, quarto, quinto e sesto articolo del secondo paio di piedi. x 480. Halacarus (Halacarus) longiunguis n. sp. . 27. — L’animale intero veduto dorsalmente. x 150. 28: — Tronco e rostro veduti ventralmente. x 150. 29. — Rostro veduto ventralmente.x 240. 30. — Mandibole isolate. »< 480. 81. — Quinto e sesto articolo del primo paio di piedi. >< 480. Halacarus (Copidognathus) magnipalpus n. Sp. . 32. — L'animale veduto dorsalmente. x 150. 33.— Tronco e rostro veduti ventralmente. x 150. 33. — Rostro e margine frontale, veduti ventralmente. x 480 84. — Rostro veduto ventralmente. >< 480. i 36. — Quinto e sesto articolo del primo paio di piedi. >< 480. 37. — Quinto e sesto articolo del secondo paio di piedi. >< 480. 38. — Quinto e sesto articolo del terzo paio di piedi. x 480. 39. — Quinto e sesto articolo del quarto paio di piedi x 480. Ricevuto il 20 Maggio 1908. Finito di stampare il 29 Dicembre 1908. Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 4. 30 Della inserzione mediale del muscolo gran pettorale in alcuni saurii Ricerche del Dott. Ermete Marcucci Con la tavola 15. Studiando l'incrocio dei muscoli del cinto pelvico nei saurii, ho voluto osservare se, in quelle specie, che detto incrocio presen- tavano, esistesse anche un simile comportamento in qualcuno dei muscoli del loro cinto toracico. Con le mie ricerche ho potuto di- mostrare che, nelle specie da me studiate, soltanto il gran pettorale può presentare detto incrocio ; per la qual cosa nel presente la- voro mi occuperò solo del gran pettorale e sopratutto in quanto riguarda l'incrocio delle sue fibre sulla linea mediana del corpo. Mentre per i muscoli del cinto pelvico , precedentemente ai due miei lavori (1, 2, 1906-07), il fatto era stato accennato dal PerrIN; nessuna notizia si trova nella bibliografia, dell’esisten- za di un incrocio sulla linea mediana delle fibre del gran petto- rale nei saurii. Per citare solamente i lavori più importanti che si sono occupati dell'argomento nei generi nei quali io ho riscontrato l’ incrocio, ricordo che il SanpeRS scrive (1870, pag. 415) che il pectoralis major del Platydactylus japonicus « arises from the whole length of the middle line of the sternum ». Quanto al FirBrIincer, nel suo lavoro pubblicato nel 1876 (1, pag. 713) dice semplicemente che il gran pettorale. sì inserisce sulla linea mediana. Da una nota poi pare egli avesse avuto sotto gli occhi l'incrocio delle fibre del gran pettorale, senza però riconoscerne il comportamento. Infatti egli così sì esprime: « die von dem Episternum entspringenden Fasern hàngen hàufig sehnig mit denen der Gegenseite zusammen ». Ciò non è esatto, almeno per i saurii da me studiati. Nel lavoro pubblicato nel 1900, in cui ritorna con maggiori particolari sullo stesso argomento, afforma che nei Lacertilia kionocrania (2, pag. 415-16) il gran pettorale si in, serisce allo sterno « vorn mehr immedialen Bereiche desselben, 446 Ermete Marcucci hinten in seiner gròsseren bis ganzen Breite und erstreckt sich von da auf die mit dem Sternum verbundenen Sternocostalien ». Come si vede, ciò che descriverò è quindi del tutto nuovo, essendo finora passato inosservato, forse perchè può sfuggire Gall mente a chi non rivolga particolare attenzione a questo possibile comportamento dei muscoli situati lateralmente alla linea mediana del corpo. Le specie da me studiate per il gran pettorale sono le stesse esaminate nei due lavori precedenti nei quali mi sono occupato dell’ incrocio dei muscoli nel cinto pelvico, cioè: Lacerta viredis, L. muralis, Acanthodactylus sp., Gongylus ocellatus, Scincus offici- nalis, Platydactylus mauritanicus, Hemidactylus verruculatus. Oltre a queste ho potuto sezionare anche un esemplare di Ecphymotes torquatus, che debbo alla cortesia del Prof. MontIceLLI, direttore dell’ Istituto Zoologico di questa R. Università. Il muscolo gran pettorale in tutti i saurii da me studiati, partendo col suo capo distale da una sporgenza della test» dell’o-. mero , dirige le sue fibre, divergendo in forma di ventaglio, in parte verso la linea mediana del torace, per attaccarsi all’episterno, allo sterno ad allo xifisterno, in parte nel senso longitudinale per inserirsi sulle ultime costole sternali od anche sull’aponevrosi che ricopre i retti interni dell’ addome. Naturalmente io non ho quì in mira di occuparmi minutamente dei varii punti di attacco di questo muscolo della superficie ventrale del torace, perchè desidero soltanto richiamare l’attenzione sulla diversità della maniera nella quale si comporta l'inserzione delle sue fibre rispetto alla linea me- diana del corpo. Sotto questo punto di vista le specie da me stu- diate si possono riunire in due gruppi: il primo comprende quelle con inserzione del gran pettorale sino alla linea mediana del corpo, senza oltrepassarla in alcun punto, ed a questo gruppo va riferito il Gongylus; l’altro gruppo comprende quelle nelle quali il gran pettorale presenta dei fasci più o meno grandi di fibre, le quali oltrepassano la linea mediana, incrociandosi con quelli del muscolo del lato opposto: questo gruppo comprende tutte le altre specie da me studiate; ma è da notare che non in tutte l’ incrocio av- viene ugualmente. Perciò sarà bene descrivere in ciascuna specie il comportarsi del gran pettorale rispetto alla linea mediana del corpo, indicando in che punto ad essa si arresta ed in quale la oltrepassa. Della inserzione mediale del muscolo gran pettorale in alcuni saurii 447 n) Dove si riscontra più notevole incrocio è nel Platydactylus. maurttanicus. Come si può vedere dalle figure (Fig. 1, 2, p.), esso sì estende lungo tutta la linea mediana. Ma mentre sull’episterno i fasci sono piccoli, numerosi e di poco oltrepassano la linea me- diana; sullo sterno sono molto più grandi ed oltrepassano di molto la linea mediana, sino quasi a raggiungere il margine opposto dello sterno. Posteriormente allo sterno poi diventano nuovamente pic- coli e brevi; e si inseriscono sullo xifisterno, e più indietro sull’a- ponevrosi che ricopre i retti interni dell'addome, lungo la linea alba, di poco oltrepassando la linea mediana. Nell’ Ecphymotes torquatus, invece, (Fig. 3, p.) le fibre anteriori st arrestano alla branca trasversale dell’ episterno ed alla linea mediana di questo. Sulla parte anteriore dello sterno esse formano dei piccoli fasci (Fig. 3, /Z); i quali oltrepassano di poco la linea mediana, incrociandosi con quelli del muscolo del lato opposto, mentre sulla rimanente parte dello sterno tornano ad arrestarsi sulla linea mediana. Ma all'altezza dello xifisterno (Fig. 3, f2), men- tre in gran parte le fibre si arrestano a detto osso, una porzione di esse forma dei fasci laminari, che, oltrepassando lo xifisterno, si portano nello spazio triangolare compreso tra le due parti che lo costituiscono, passando al di là della linea mediana, quasi sino a raggiungere il pezzo del lato opposto, e prendendo inserzione sulla lamina aponevrotica, che ricopre i retti interni dell'addome. Nella Lacerta viridis, e muralis, Acanthodactylus sp. e Scincus officinalis il gran pettorale si comporta quasi ugualmente. L’incro- cio delle sue fibre avviene solo all’altezza dello xifisterno (Fig. 4, 5, p.); mentre le fibre situate anteriormente a questo punto si ar- restano sulla linea mediana dello sterno e dell’episterno e sulla branca trasversale di quest’ultimo. I fasci che sì incrociano si com- portano come quelli del Platydactylus; cioè essi, oltrepassando la linea mediana, si inseriscono sulla porzione opposta dello xifisterno. Nello Scincus questi fasci sono molto più.grossi e più lunghi che non nella Lacerta e nell’Acanthodactylus, essendo maggiore la di- stanza tra i due pezzi che costituiscono lo xifisterno. È da notare che i fasci, che oltrepassano la linea mediana, sono costituiti dalle fibre più superficiali; mentre le più profonde si arrestano alla linea mediana ed anche più esternamente di questa. Così il gran pettorale del Platydactylus e dell’ Hemidactylus all’altez- za dello sterno si comporta in modo che le sue fibre più profonde si . inseriscono sulla metà dello sterno del proprio lato; ma a misura 448 Ermete Marcucci che esse diventano più superficiali vanno ad inserirsi sempre più al di là della linea mediana, cioè sulla metà opposta dello sterno. Così pure avviene posteriormente allo sterno: mentre le fibre più superficiali vanno ad attaccarsi alla porzione -dello xifisterno del lato opposto, le più profonde si arrestano a quella del proprio lato. Lo stesso si riscontra nelle altre specie, studiate, dove esiste l’ incrocio. Ricapitolando; il gran pettorale nelle specie da me studiate, può non presentare affatto incrocio (Gongylus); oppure può in- crociarsi. In questo caso, o l’ incrocio avviene su tutta la linea mediana del torace, con incrocio maggiore sullo sterno (Platyda- ctylus ed Hemidactylus), o sopra la porzione anteriore dello sterno e sullo spazio compreso tra i due pezzi dello xifisterno (Ecphymo- thes), oppure soltanto sullo xifisterno (Lacerta, Acanthodactylus e Scincus). I fasci che si incrociano sono formati sempre dalle fibre più superficiali. Comparando l’incrocio del gran pettorale con quello dei mu-. scoli del cinto pelvico nelle specie da me studiate, si osserva che: nel Platydactylus e nell’Hemidactylus al massimo incrocio del gran pettorale corrisponde il massimo incrocio dei muscoli del cinto pelvico. Ma ciò non si riscontra nel Gongylus e nello Scincus; poichè mentre in entrambi si comportano ugualmente i muscoli del cinto pelvico, nel Gongylus manca l’ incrocio del gran pettorale. Nella Lacerta muralis, e viridis e nell’ Acanthodactylus i muscoli del cinto pelvico presentano un incrocio minore che nello Sc:neus, tuttavia il gran pettorale in queste quattro specie si comporta ugualmente rispetto all’incrocio. Infine l’Ecphymotes, che nel gran pettorale pre- senta un incrocio più esteso sulla linea mediana che non la La- certa viridis e L. muralis, si comporta tuttavia ugualmente a queste per i muscoli del cinto pelvico. Infatti ho potuto osservare come nell’ Ecphymotes è il solo rotatore accessorio che si incrocia. Dal confronto quindi risulta evidente che non vi è uno stretto rapporto tra l’ incrocio dei muscoli del cinto pelvico e quello del gran pettorale. Finora era stato osservato l’ incrocio di fibre muscolari sulla linea mediana della regione ventrale del torace, come fatto nor- male, nella muscolatura cutanea dell’ Echidna (Rusa, 1895, 1, fig. 5, 10; Scnurman, 1908, taf. 6, fig. 1-3); come fatto anomalo nel muscolo sternale dell’uomo. Della inserzione mediale del muscolo gran pettorale in alcuni saurii 449 Secondo il Ruee però le fibre incrociate della muscolatura cu- tanea dell’Echidna non sono da riferirsi propriamente alla musco- latura del petto, ma da considerarsi invece come una estensione verso la. parte posteriore dello sphinceter colli, essendo innervate dal n. facciale. Anche lo ScHunman le fa innervare dal n. facciale e da nervi cervicali. i Per lo sternale invece (che ripetute osservazioni hanno dimo- strato come esso abbia la tendenza ad oltrepassare la linea me- diana e ad incrociarsi con quello dell’ altro lato, quando esiste) è degna di attenzione la conclusione a cui viene il RugE, cioè che sia da considerarsi con molta probabilità quale un residuo del pan- nicolo carnoso cutaneo ventrale del tronco, derivato alla sua volta dal gruppo del pettorale. Ora l incrocio del gran pettorale, da me trovato nei saurii, già per se stesso interessante, quando si tenga presente l'origine che il Ruar (2) ammette per lo sternale, potrebbe anche avere valore per chi volesse sostenere l’ipotesi che l’incrocio dello sternale possa considerarsi non come un fatto secondario , ma invece come una condizione primitiva di questo muscolo, che sarebbe ad esso derivata per la sua origine indiretta dal gruppo del pettorale. Basterebbe infatti considerare che nei saurii non ancora è avvenuto intera- mente il differenziamento tipico del pannicolo carnoso cutaneo ventrale del tronco; e che, come sopra ho fatto ripetutamente no- tare, le fibre che si incrociano nel gran pettorale sono proprio le più superficiali. ‘ Napoli. Istituto di Anatomia e Fisiologia Comparata, Giugno 1908. 450 Ermete Marcucci Bibliografia 1876. Fùrbringer, M. — 4. Zur vergleichenden Anatomie der Schulter- muskeln: Morph. Jahrb. 1. Bd. pag. 636, Taf. 23-27. Li 1900. — — 2. Zur vergleichenden Anatomie des Brustschulterapparates . und der Schultermuskeln. 4 Theil: Jena Zeit. Naturw. 34. Bd. pag. 215, 141 figg. Taf. 13-17. 1906. Marcucci, E. — 1. Sull’inerocio dei muscoli nel cinto pelvico dei . sauri: Attì Acc. Napoli (2) Vol. 13, N.° 7, pag. 10, Tav. 2. 1907. — — 2. Sull’incrocio dei muscoli nel cinto pelvico dei saurii, seconda nota: Afti ‘Acc. Napoli (2) Vol. 13, N.° 14, pag. 10, Tav. 1. 1895: Ruge, G. — 41. Die Hautmuskulatur der Monotremen und ihre Be- ziehungen zu dem Marsupial-und Mammarapparate: Denkschr. Med. Nat. Ges. Jena, 5. Bd. pag. 75, 38 figg. Taf. 12. 1905. — — 2. Zusammenhang des M. sternalis mit der Pars abdomina- lis des M. pectoralis major und mittels dieser mit dem Achselbo- ha ‘gen: Morph. Jahrb. 33. Bd. pag. 348, 4 figg. 1870. Po A. — Notes on the myology of Platydactylus japonicns: Proc. Z..Soc. London, pag. 415. 1908. Schulman, H. — Ùber die ventrale Facialismuskulatur einiger Spena besonders der Monotremen; Festschrift Prof. J. A. Palmén, 2. Bd. N.° 18, pag. 1, Taf. 8. Della inserzione mediale del muscolo gran pettorale in alcuni saurii 451 Spiegazione della tavola 15. Lettere comuni a tutte le figure a, aponevrosi che ricopre i retti interni dell'addome. c2, seconda costola sternale. €P, episterno. f1, fasci del gran pettorale, che si incrociano sulla porzione anteriore dello sterno. f2, fasci sulla lamina aponevrotica che ricopre i retti interni dell'addome. p, grande pettorale. st, sterno. %, xifisterno. In tutte le figure la porzione di muscolo colorata in rosso rappresenta il gran pettorale. Nelle Fig. 2, 5 è stato asportato in parte il gran pettorale-di un lato, per mostrare l’inserzione dei suoi fasci muscolari, che oltrepassano la linea mediana del corpo. \ Fig. 1-2. — Platydactylus mauritanicus. » ds. — Hecphymotes torquatus. Muscoli del torace : faccia ventrale. >» 4-5. — Scincus officinalis. Ricevuto il 30 Giugno 1908. Finito di stampare il 31 Dicembre 1908. Bardi 5 SITR De AAT Ve e etica nia: “ica Luogo »” = oi: te db; orrrate Tab 10 4trte cntibato alice cri is eta er Le Sionaetlob. forata pui San ic anita we sota i tia can . È ng î cy SOLITA sti Vash. i tie 1a »i i sa 3 i id rg uao LE ela bo NI D sbnccniggni, cli Saito: “eine moon = f SI, pet 2 ibi sù È # Mast «ii e rela or “ion Lab oltre Giada & Raf suole ponil $ i Onseanasiila ur: pinna Via Lone jnb su È D'E IAT are CARSON e Rari CN ? EARAITOAN 13 tosta ) pereptionn } 4% d 13 pista 2 IR è DIRT 39 RIDI ST MSA SERE A DE i grape ie MERE RISI on rt6: CR = li Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari per la Dott. Ofelia Poso Con le tavole 16-18. Può l’intero scheletro calcareo del riccio rinnovarsi dopo di- struzione sperimentale? Possono gli Echini presentare fenomeni di autotomia ? Si rigenerano i pedicelli ? La biologia sperimentale non ha ancora risposto a queste domande: la letteratura sugli Echini ha pochi e fugaci accenni ad esse relativi, ma nulla di determi- nato. Lo scheletro degli Echini è stato bensì un campo feracissimo di ricerche; queste, però, hanno avuto sempre come fine di allar- gare e precisare la conoscenza istologica, laddove hanno trascurato quella d’indole assolutamente biologica ed istogenetica. Le prime notizie sul processo rigenerativo degli aculei e delle pedicellarie si riscontrano in Provo 4) nel lavoro sul Dorocidaris papillata. Egli dice: « quando un aculeo in via di sviluppo è tron- cato accidentalmente si ripara presto ». Più tardi MortENSEN ?) nel suo lavoro sistematico scrive a pag. 66 « .... Salmacis bicolor Agas. Var. YAVISPINA ...... 1 observed on several of them a little crab, which devours the spines (probably the muscles only), pedicellariae and tube feet, quite cleaning the test; it mostly follows one area from the top downwards. Where it has been, one may find young sta- ges of pedicellariae in enormous numbers, quite covering the test; also young spines may be found in such places. If the tube feet are regenerated, I cannot ascertain beyond doubt, but it seems so ». Anche DeLacr ed Hfkrovarp 3) affermano il potere rigenera- tivo degli Echini in quanto riguarda lo scheletro appendicolare, ma basandosi specialmente sulle ricerche di ProvszO. 1) Provzo, H. — Recherches sur le Dorocidaris papillata et quelques autres Echinides de la Méditerranée: Arch. Z. Exp. (2) Vol. 5, pag. 213, Ple. 13. + 2) MortENSEN, TA. — The Danish Expedition to Siam 1899-1900 (2) Echinoi- dea (1): Vid. Selsk. Skrifter Kj6benhavn (7) 1. Bd. 124, pag. 10 Fig.7 Tuf. 3) DeLaGe, Y. — Hsrovarp, E. — Traité de Zoologie concrète; Tome 3, Pa- ris, 1903. 454 Ofelia Poso Oltre questi brevi richiami la letteratura, per quanto .io sappia, non offre altro, e per molto. tempo ancora la. mente del ricerca- tore sarebbe stata forse distratta dall’ argomento, se un avveni- mento importante, quale fu l’eruzione del Vesuvio (aprile 1906), non avesse, dirò così, aperto ed illuminato la via a nuove ricerche sugli Echini. | Il Lo Branco 1), in una sua memoria circa l’azione della ce- nere sulle specie commestibili marine, dice « furono (gli echini) gli animali maggiormente danneggiati dalla cenere; la massima parte morirono, pochi sopravvissero , ma in condizioni miserevoli, ridotti cioè al. solo dermascheletro ». Doveva dunque destar mera- viglia:l’aver pescato, parecchi mesi dopo l’eruzione, alcuni Sphae- rechinus granularis con aculei e pedicellarie. Queste formazioni erano così piccole (un aculeo primario misurava 4 o 5 mm.) in confronto al diametro dell’ animale (9 a 10 cm.) da non potersi considerare come vecchie e da giustificare il dubbio d’ una .com- pleta rigenerazione dello scheletro appendicolare. E poichè i citati accenni letterarî non davano una sufficiente dimostrazione del fe- nomeno , incoraggiata dal Lo Branco, iniziai, in proposito, una serie sistematica di prove sperimentali, che mi condussero ad una ben più ricca messe di conclusioni di quel che avessi preveduto, Perciò sento il bisogno di ringraziare il Lo Branco prima per avermi guidata su d’ un .campo fertile di ricerca , secondo per l’ abbon- danza di materiale messo a mia disposizione. E mi sia concesso di rivolgere qui i sensi della mia gratitu- dine anche al Prof. P. Mayer che, vigile maestro, mi ha guidata nella ‘difficile tecnica istologica. I. Ricerche sperimentali Materiale di studio Sarebbe stato mio desiderio estendere le ricerche ad entrambe le divisioni degli Echini: ho dovuto però limitarmi ai soli Rego- lari, essendo stati gli Irregolari completamente distrutti dalla ce- nere. Dei primi ho avuto in gran numero Paracentrotus liwidus 1) Lo Bianco, S.— L'azione della cenere caduta durante l’eruzione del Ve- suvio nell’aprile 1906 sulle specie commestibili marine: Mitth. Z. Stat. Neapel, 18. Bd. pag. 73. Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 455 (Mortensen), Parechinus microtuberculatus (Mortensen); *) Sphaere- chinus granularis ; tutti in stadî di sviluppo variabilissimi: da indi-, vidui di poco più che 1 cm. di diametro, sino & o di 12 cm. di diametro. i i PROSA Essi, tenuti sotto circolazione in vasche profonde: 12 o 18 cm. fornite al fondo di piccole pietre ed abbondantemente provviste di alghe, specialmente Ulva lactuca, vivono a lungo, dando esempio di. grande adattamento. Nessuno ignora come siano animali abituati a maggiori profondità, 10 sino a 20 m., ad un nutrimente molto più variato; e non può non destar meraviglia il vedere un grosso: Sphaerechinus vivere per mesi e mesi in poco più di 10 cm. d’ac- qua. Aggiungo che resistono bene anche al disseccamento : spesso. ho messo alcuni individui fuor della vasca, sulla nuda terra, ed ho osservato com’ essi non scolo si muovono, ma, rimessi nell'acqua, ridistendono i pedicelli e non danno segno di alcuna irritabilità. Nei ricci messi appena pescati sotto circolazione, l'adattamento al nuovo ambiente o si manifesta subito .0 non si manifesta affatto; e nel secondo caso segue inevitabilmente la morte. Quali sieno le cause che favoriscono od ostacolano siffatto adattamento io non posso dire: esse sfuggono completamente all’ osservazione ; tuttavia. è d’ uopo ritenere che un’ azione importante spetti alla maggiore: o. minore resistenza dell’animale. Infatti, nel mese d’agosto 1907, con una temperatura di 32° o 33° C., misi in una gran vasca, profone. da 26 cm., 4 Sphacrechinus di 10 cm. di diametro: due morirono: qualche giorno dopo, gli altri due sopravvissero sino all'ottobre! Quale la causa? non l’ambiente, non l'alimentazione, non la tem- peratura, ma un quid inerente all'animale ‘stesso. i SRO Considerate tutte ‘e tre le specie da me studiate, sotto tale rapporto; il Paracentrotus si dimostrò il più resistente: pochi degli: individui operati morirono, gli altri rigenerarono le partì: perdute e continuarono a vivere. Non così il Parechinus. e lo Sphaerechi- nus. La differenza è inerente forse al grado . di. spessore del: der= maschieletro : il guscio del Paracentrotus, più solido, difende meglio l’animale, mentre quello del Parechinus e Sphaerechinus', sottile e fragile, fa risentire al riccio più facilmente l'influenza distruggi trice delle forze esterne. Ed è differenza questa che ‘bisogna tener: ben presente e nella ricerca sperimentale e nella tecnica ‘istologica; a QUPOR 1) Finora conosciuti comunemente: sotto “il-nomeldi Strongylocentrotus Ti vidus ed Echinus microtuberculatus. 456 Ofelia Poso poichè il trascurarla implica quasi sempre la morte dell'animale nel primo caso, la cattiva riuscita dei preparati istologici nel secondo. Passo ora all’ esposizione delle mie ricerche che, per maggiore chiarezza, raggruppo nel seguente modo : 1) distruzione e rigenerazione degli aculei a varia distanza dal tubercolo articolare ; 2) distruzione e rigenerazione dello scheletro appendicolare; 3) distruzione e rigenerazione di piccole zone del derma- scheletro ; 4) distruzione e rigenerazione di pezzi della lanterna di Aristotele ; 5) autotomia e rigenerazione dello scheletro appendicolare; 6) risecazione e rigenerazione dei pedicelli ambulacrali. Distruzione e rigenerazione degli aculei a varia distanza dal tubercolo articolare Una serie sistematica di ricerche deve sempre cominciare dalle osservazioni più semplici , le quali conducono gradatamente alle più complesse. Perciò, ad affermare la rigenerazione degli aculei, ho stimato opportuno di provare prima se, troncato l’aculeo in un punto qualsiasi della sua lunghezza, il moncone era capace di rifor- mare la parte perduta. Alcuni Paracentrotus, subito dopo pescati e messi in bacinelle di vetro con acqua di mare in quantità tale da ricoprirli intera- mente , si sottopongono al taglio degli aculei: ordinariamente sì adoperano un paio di forbici e con esse sì troncano successiva- mente gli aculei alla distanza voluta dal tubercolo articolare. Ma una pinza può ugualmente soddisfare allo scopo: ciascun estremo acu-: leare si stringe forte fra le branche della pinza sino a determi. narne la rottura. Nell’un modo e nell’altro il riccio sembra quasi non accorgersi delle perdite, se l'operazione procede con una re- lativa calma e delicatezza, in caso contrario reagisce con un più rapido movimento di tutto il rimanente scheletro appendicolare. Si limiti la distruzione degli estremi aculeari ad una parte degli aculei o la si estenda a tutti, il riccio non ne risente e, messo sotto circolazione nella maniera innanzi descritta, ridistende i pe- dicelli e ripiglia la sua vita ordinaria. Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 457. Lia rigenerazione si manifesta dopo 6 o 7 giorni: il moncone presenta, in corrispondenza del centro midollare, una piccola spor genza conica che pel suo colore chiaro spicca bene sul fondo oscuro del resto dell’aculeo (Fig. 9 @). Di giorno in giorno la piccola punta conica si fa sempre più sporgente, perde il colorito ‘chiaro e acqui- sta una: striatura longitudinale, dovuta a proliferazione del rive- stimento epiteliale esterno del moncone che , guadagnata la base della punta in rigenerazione, la riveste (Fig. 9 5). In questo stadio, essendo ancor piccolo il diametro del nuovo estremo aculeare in confronto di quello del moncone, l’epitelio, nel passare da questo’ a quello, inclina prima dalla direzione verticale all’ orizzontale e quindi nuovamente alla verticale. Si ha perciò l’illusione di veder come una punta nel centro ed una dentellatura tutt’ intorno alla base. MortENSEN a pag. 99 relativamente al Microcyphus eigzag osserva « The spines (plt. 2, fig. 20, 25, 26) end abruptly in a not very long central thorn, ast ithrog a distinet circle of small thorns at its base ». Piobalilmorte più che d’un aspetto normale degli aculei, si sarà trattato-di estremi aculeari in via di rigenerazione. In stadî successivi di sviluppo la strozzatura fra il moncone e la punta diviene sempre meno accentuata, finché dopo circa 20 giorni dall’ operazione, entrambi appaiono un tutto con- tinuo Fig. Ted) i SETT: Quanto si osserva nel. Par duro sì ripete, in condizioni uguali, anche nel Parechinus e Sphaerechinus , sicchè non credo opportuno insistere nella descrizione di processi identici. ProuHo, che per primo ha descritto la rigenerazione degli aculei rel Dorocidaris, dice che son capaci di pronta riparazione soltanto l giovani aculei in via di sviluppo accidentalmente troncati. Di più osserva che se l’aculeo troncato è stato Spogliato dello strato epi- dermico esterno, si possono verificare due casi : o la rottura si pro- duce verso l’estremo, è non v'è riparazione; o non lontano dalla base, ed allora il moncone ‘si distacca dal tubercolo articolare per la Si puiazione d’una membrana trasversale, che parte dall’epidermide del manicotto e traversa l’aculeo in questa regione. | Per semplice desiderio di controllo ho anch’io tenuti in espe- rimento alcuni Dorocidaris e, mentre confermo in parte le osservazioni di ProvHo, aggiungo quelle mie personali. Aculei di Dorocidaris in via di sviluppo 0 già vecchi, troncati ad un cm. dall’estremo ‘acidi leare, sono capaci di rigenerazione, anche dopo distruzione del rivestimento epiteliale esterno; troncati invece a poca distanza 458 Ofelia Poso dal tubercolo articolare perdono l’attività rigeneratrice ; il moncone è rigettato ed il nuovo aculeo spunta nel centro del vecchio tuber- colo articolare. Proùvno può essere stato indotto in errore per il fatto che la caduta del moncone si osserva subito (8 o 9 giorni dopo), mentre il processo .rigenerativo dell’ estremo aculeare è lento e preceduto, per la. mancanza del rivestimento epiteliale esterno, da un periodo di.durata variabile, non apprezzabile esteriormente per nessun fatto. Un! esame comparato con quanto ho osservato nel Paracen- trotus; Parechinus e Sphaerechinus mi permette di concludere che in questi: la rigenerazione è più rapida (si compie in 20 o 30 giorni al massimo) ed avviene sempre, anche quando gli aculei sono tron- cati a pochi mm. dal tubercolo articolare. Le Fig. 25 e 26 lasciano vedere numerosi aculei troncati a varia distanza dal tubercolo arti- colare e tutti in via di rigenerare la parte perduta. Quindi si sa- rebbe quasi portati ad ammettere, negli esemplari da me studiati, un più accentuato potere rigenerativo; ma si pensi alle colossali proporzioni d’ un aculeo di Dorocidaris e le lievi differenze osser- vate nel fenomeno rigenerativo troveranno in esse la loro giusta spiegazione. Distruzione e rigenerazione dello scheletro ei appendicolare La distruzione sperimentale si può fare tenendo il riccio o in una. bacinella con acqua marina, oppure a secco: nell’uno e nell'altro caso con un bisturi ben pulito e tagliente si raschia una zona limi- tata del dermascheletro, mantenendo il riccio fermo fra il pollice e: l'indice o fra le branche d’ una pinza. Nel raschiare bisogna avere gran delicatezza, specie se si tratta di Parechinus e di Sphae- rechinus, in modo da asportare aculei e pedicellarie, ma senza alte-, rare il rivestimento epiteliale del guscio; nel qual caso, tutta la; zona di distruzione cade in necrosi, la rigenerazione non s’ effettua e, a breve distanza di tempo, segue la morte dell’animale. . Le mie prime prove fecero molte vittime , il che più d'una volta mi fece disperare del risultato; ma la pazienza, la perseve-. ranza e sopratutto la cura nell’operare e mantenere in vita i varî individui mi ricompensarono largamente dei fugaci momenti di. sconforto.. Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 459 Come risponde l’ animale allo stimolo meccanico del raschia- mento ? Il Paracentrotus, se a secco, o abbassa verso il guscio il resto degli aculei, quasi volesse farli sfuggire alla distruzione , 0 li agita con moto disordinato; quando invece è nell’ acqua non reagisce in maniera apprezzabile. Il Parechinus, in acqua, muove violentemente i pedicelli ambulacrali e le pedicellarie, ed è vera- mente interessante osservare queste ultime nel loro affannoso dime- narsi qua e là, nel rapido aprire e chiudere delle mascelle, quasi in ansia smaniosa di afferrare ed annientare il nemico. Nello Sphaere- chinus si osserva oltre al moto difensivo delle pedicellarie, un’ ab- bondante secrezione bianca, fluido-vischiosa, evidentemente prodotta dallo svuotarsi dei sacchi glandulari delle globifere (gemmiformi). Del resto l’intensità della reazione varia non solo col variare del ric- cio, maggiore nell’ Echinus e Sphaerechinus, minore nel Paracentrotus, ma anche con l’età e l’estensione della zona di distruzione ; quanto più giovane è l’animale, e più ampia la zona colpita dal bisturi, tanto più sensibile è la reazione. Tuttavia in piccoli Paracentrotus e Pare- chinus (appena 1 cm. di diametro) con gran cura, ho estesa la di- struzione dello scheletro appendicolare a tutta la superficie del der- mascheletro e, qualche volta, senza gravi conseguenze per l’animale. La zona del dermascheletro colpita da distruzione è nuda: non pedicellarie, non aculei, non pedicelli ambulacrali, in massima parte coinvolti nella distruzione. I ricci, rimessi in queste condi- zioni sotto circolazione, ripigliano immediatamente la vita ordina- ria: alcuni 5’ attaccano alle piccole pietre, altri risalgono lungo le pareti delle vasche e rimangono quasi a fior d’ acqua, altri infine si nascondono fra i verdi talli laminari dell’ Ulva. Quest’ ultima rappresenta , in captività , il loro alimento preferito : mangiano anche, se vengono loro dati, piccoli Molluschi (Lamellibranchi gen. Tapes e Tellina), Tunicati (gen. Botryllus), Idroidi ecc. Ho tentato di dar loro anche sardine, ma le rifiutano assolutamente. In giorni di magro, quando si trascura di somministrar l’ ordinaria razione alimentare, i piccoli e deboli fanno le spese della mensa ! L’ individuo operato ripara, se non sopraggiunge la morte, iù un tempo relativamente breve, le parti perdute dello scheletro ap- pendicolare. Piccoli Paracentrotus e Parechinus (1 o 2 cm. di dia- metro) circa 10 giorni dopo la distruzione , mostrano già i primi accenni di rigenerazione, che, se tutto procede bene, fra 30 o 40 giorni è completa. Anche neî giovani individui con distruzione di Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 4. sl 460 î iui i Ofelia Poso tutto lo scheletro appendicolare, la rigenerazione procede rapida, e fra 25 o 30 giorni, al massimo, il processo volge al suo termine. Negli individui adulti, Paracentrotus di 4 a 7 cm. di diametro, Parechinus di 8 a 5 cm., il processo rigenerativo è più lento: in media si inizia 20 giorni dopo la distruzione e si completa in 2 o più mesi. Nello Sphaerechinus il processo rigenerativo si manifesta quasi contemporaneamente a quello del Paracentrotus e Parechinus, ma sì completa in un tempo più lungo. Del resto non intendo stabilire dei dati precisi, essendo il fenomeno rigenerativo dipendente, come si sa, da una serie di con- dizioni estrinseche od intrinseche all'animale stesso 1). La tempe- ratura elevata, nel caso degli Echini, ritarda il processo di rigene- razione, anzi, direi, l’ostacola, provocando un intorpidimento di tutte le energie vitali dell'animale. Durante i mesi caldi (giugno , luglio, agosto e settembre) le mie ricerche han dovuto subire una sosta, pochissimi essendo stati i superstiti! I migliori risultati li ho. ‘ottenuti durante l'inverno del 1906 e durante l’inverno, la prima- «vera e l'autunno del 1907. Nel periodo che precede.il primo accenno rigenerativo degli acu- lei, l’epitelio, tutt'intorno al tubercolo articolare, prolifera e finisce col rivestire. questo completamente. Se si seguono giorno per giorno Je «diverse fasi del fenomeno e si fissa l’attenzione sui tubercoli ar- +ticolari degli ‘acaleì primarii; come i più adatti ad un'osservazione ‘macroscopica, si vede 'che il tubercolo articolare, dapprima sporgente sul dermascheletro, a poco à poco s'appiana e non è più duro, ma cede alla leggiera pressione della punta d’un ago. Che cosa signi- «fica ciò ? 31700 TAMA Riserbandomi di spiegar meglio il fenomeno in seguito, nella parte istologica, dirò qui brevemente che, dopo lo strappo dell’a- culeo l’epitelio proliferante sul tubercolare articolare viene a rive- stire un focolaio di elementi in involuzione, che rappresentano tuttavia il germe del novello aculeo. Dal centro infatti del vecchio tubercolo articolare spunta il giovane aculeo come una piccola .gemma conica che diviene sempre più appariscente. 1) KorscHELr, E. — Regeneration und Transplantation, 286 pagg., 144 fig. Jena, 1907, Morgan, T. H. — Regeneration: New York, 1901. Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 461 ‘ Nelle Fig. 25 e 26 sono fotografati due Paracentrotus, uno subito dopo la distruzione dello scheletro appendicolare, l’altro dopo rigo- nerazione dello stesso. Le pedicellarie sono apparse soltanto in un secondo periodo della fase rigenerativa, quando cioè gia tutti gli aculei erano ri- generati. Esplorando attentamente con la lente la zona del derma- scheletro, colpita da distruzione, ho notato fra i giovani aculei una quantità di pedicellarie, le cui pinze, impiantate su peduncoli bre- vissimi, piccole anch’ esse e poco attive, sfuggono ad un’osserva- zione grossolana. i Distruzione e rigenerazione di piccole zone del dermascheletro Anche il dermascheletro è capace di rigenerazione, purché la zona asportata non sia molto estesa e l'individuo non eccessiva- mente cresciuto. Il Paracentrotus dà i migliori risultati: 10 piccoli individui (1 a 2 cm. di diametro), privati di tutta una zona inter- ambulacrale, sono stati capaci di rigenerarla, col corrispondente scheletro appendicolare, in poco più di due mesi. In individui di 4 o 5 cm. di diametro, l’ asportazione deve limitarsi soltanto a' pic- coli pezzi (6 o 7 mm. lunghi, 3 o 4 mm. larghi), perchè la rige- nerazione avvenga. Nel Parechinus e Sphaerechinus le cose procedono con mag- giori difficoltà: con le numerose prove ho ottenuto rigenerazione completa in qualche Parechinus, rigenerazione limitata in parec- chi Sphaerechinus, la morte di questi non avendomi mai permesso di seguire, in quest’ultimo genere, il fenomeno sino alla fine. Le dimensioni degli individui d’ esperimento non superavano 1 o 2 cm. di diametro (individui più grandi muoiono senza mostrare alcun inizio di rigenerazione), e il risultato è dipeso da due circostanze: l'asportazione di pezzi piccolissimi del dermascheletro, e l’ integrità del rivestimento peritoneale che tappezza la faccia interna del .guscio calcareo. Quest'ultima è condizione sine qua non: l’animale, così protetto dal contatto con l’ambiente esterno, è sottratto alle possibili cause d’ infezione e quindi d' bilità maggiore e può lentamente rifarsi della perdita subita (il processo di rigenerazione dura 3.0 4 mesi). Dimostrata dunque la rigenerazione nei generi da me studiati, «ecco come si manifesta: qualche giorno dopo l’operazione, s'osserva, 462 Ofelia Poso nella zona priva di dermascheletro, una sottile membranella d’oc- clusione , evidentemente formata dagli orli strappati del rivesti- mento epiteliale interno del guscio, i quali, proliferando, sì vanno incontro e si saldano. Su questa membranella si può seguire giorno per giorno la comparsa di piccoli nuclei chiari, certo i centri for- matori delle placche scheletriche in via di rigenerazione. Col tempo essi si fanno sempre più grandi, s'incontrano, si fondono e tutto assume l’aspetto d’una massa omogenea, dapprima più chiara del resto dello scheletro, poi sempre più oscura, finchè finisce col ri- vestirsi del suo apparato appendicolare. Nella Fig. 27 sono fotografati 4 Parechinus: il 1.° subito dopo l'asportazione del pezzo scheletrico ; il 2.° dopo la formazione della membranella d’occlusione; il 3.° e 4.° dopo l’accentuata comparsa dei nuclei calcarei. Distruzione e rigenerazione di pezzi della lanterna di Aristotele Per completare lo studio scheletrico rimaneva un’ultima prova sperimentale: dimostrare se la lanterna d’Aristotele poteva anch'essa esser sede di fenomeni rigenerativi. Tardi nella mia mente si è formata questa idea, quando già la parte sperimentale del lavoro era finita : tuttavia non ho voluto tra- scurarla. Nessuna lacuna doveva rimanere nel campo delle mie ricer- che, che, se da una parte confermano osservazioni precedenti, rispon- dono dall’altra a parecchi nuovi quesiti d’ indagine. In tre soltanto dei Paracentrotus sottoposti all’ operazione un dente della lanterna è venuto fuori intero: la reazione è stata piut- tosto violenta. Fortunatamente però nessuno è morto , ed io ho potuto nei primi di maggio 1908 (lo strappo era stato fatto nel febbraio) constatare l’ intierezza dell'apparato boccale. Sicchè con DeLAGE ed HérovaRD posso anch’ io concludere, ma basandomi sul risultato di ricerche sperimentali e sistematiche fatte per la prima volta su tale questione, che negli Echini « la po- tenzialità rigeneratrice interviene per riformare lo scheletro appendicolare, quando venga distrutto per un'azione meccanica qualsiasi, e, ove occorra, per rifor- mare anche parti poco estese del guscio medesimo e del. la lanterna d’ Aristotele ». Tale potenza rigeneratrice appare straordinaria se si pensa che io, in un solo individuo, ho ottenuto Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 463 per ben tre volte la rigenerazione dello scheletro appendicolare, conseguente a ripetuta distruzione sperimentale. E si badi che gli Echini , costretti in vasche anguste e ad una alimentazione artificiale, non erano nelle migliori condizioni d’ambiente e d’inte- grità organica! E così nel mare, ove le condizioni stesse di vita espongono questi animali alla furia delle onde che con forza si fran- gono contro il litorale, la potenzialità rigeneratrice dev’esser genero- sa fonte di riparazione agli insulti delle onde, base della stessa vita. Autotomia e rigenerazione dello scheletro appendicolare. Le ricerche di valenti scienziati hanno affermato l’autotomia in quasi tutte le classi degli Echinodermi: Crinoidi , Asteroidi, Ofiuroidi, Oloturie; giacchè i pregevoli lavori sull’interessante argo- mento si sono seguiti con prodigiosa fertilità, arrecando sempre nuove conquiste nel campo della biologia sperimentale. Ma nessuno ha mai speso una parola riguardo agli Echini: possono per avventu- ra anche questi animali dar luogo a fenomeni di autotomia ? Nella mia nota preliminare !) descrissi la prima prova coronata da suc- cesso. A quella ne seguirono altre , estese a tutti e tre i generi (Parechinus, Paracentrotus, Sphaerechinus), che io esporrò classifican- dole a secondo degli stimoli impiegati. Stimoli meccanici. — Il semplice cambiamento d’ ambiente basta il più delle volte a determinare l’autotomia. Individui messi sotto circolazione in piccoli bacini, dopo due o tre giorni reagiscono con la parziale o totale caduta degli aculei e pedicellarie; ugualmente sì comportano se, messi dapprima in grandi bacini, si trasportano qualche tempo dopo in ambiente più angusto. Si è sempre creduto che la caduta degli aculei, in tali circostanze, preludiasse la morte degli animali. E ciò è vero in moltissimi casi. Io ho potuto os- servare però, e più d’una volta, che il riccio, dopo questo stadio di completo abbandono di ogni energia vitale, quasi un letargo dovuto allo stato patologico dell’animale (dura dalle 24 alle 48 ore), si risveglia, e rapidamente riacquista tutta la sua energia. Avendo allora cura di mantener pulita la vasca, di rinnovare l’ alimento, di non accumulare insieme molti individui, si riesce spesso a pro- 1) Poso, O. — Distruzione e rigenerazione degli aculei e pedicellarie negli Echini: Z. Anz, 32 Bd. pag. 14, 1907. 464 Ofelia Poso lungare di parecchi mesi la vita del riccio e ad osservare anche, in tal caso, il processo di rigenerazione. Due Sphaerechinus son vissuti circa due mesi dopo l’ autotomia: messi sotto circolazione in una grande vasca, il 4 settembre 1907, insieme con altri tre (tutti d’un diametro di 11 cm.), subirono una parziale perdita dello scheletro appendicolare; ma dopo il conseguente periodo letargico, sì riebbero e vissero sino al novembre successivo. Due Paracentrotus ed un Pareckinus son vissuti sino a quattro mesi dopo l’autotomia. Altro stimolo meccanico energico è la risecazione dei pedicelli ambulacrali. Il riccio vien messo in una bacinella con acqua di mare, in modo da coprirlo interamente , e collocato nel centro, lontano dalle pareti. Non appena i pedicelli son distesi, si tagliano con un paio di forbici sottili, badando di non tagliare contempo- raneamente gli aculei o le pedicellarie: le forbici devono colpire solo i pedicelli. Dopo i primi tagli, il riccio ritrae nell’intern> del guscio il resto dei pedicelli; si aspetti allora che li ridistenda per. continuare l'operazione. È un lavoro lungo, che richiede una buona dose di pazienza. L'animale, tormentato così per parecchie ore, reagisce contro la crudeltà del ricercatore; abbassa verso il dermascheletro tutti gli aculei, agita violentemente le pedicellarie e, nel caso dello Sphae- rechinus, produce un’ abbondante secrezione bianca, fluido-vischiosa. Nelle prime prove non mi son curata di questo segno di pro- testa: ho continuato a tagliare, finchè mi è stato possibile, finchè un solo pedicello veniva fuori, spingendo evidentemente l’irritazione nell’animale fino ad un massimo, per cui 24 ore dopo lo trovavo con lo scheletro appendicolare caduto, ma anche morto. Non era questo certamente lo scopo della mia ricerca, ed allora, nelle prove successive, meno crudele e più prudente, ho desistito dall’opera di distruzione prima ancora che l’animale reagisse e mi sono affret- tata a rimetterlo sotto circolazione. Gli effetti sono stati meravi- gliosi: 24 ore dopo ho trovato il riccio con una parziale autotomia dello scheletro appendicolare, ma in piena energia vitale. Conti- nuando poi nelle ricerche, ho potuto constatare ch’esiste, fra pedi- celli tagliati ed aculei caduti, (dico aculei, perchè son quelli che più colpiscono l’ osservazione macroscopica), primo un rapporto numerico: il numero degli aculei caduti è proporzionale al numero dei pedicelli tagliati. e va da un minimo sino ad un massimo oltre il quale segue la morte; secondo, un rapporto locale: limitando Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 465 il taglio dei pedicelli ad una determinata zona, ivi si verificano fenomeni di autotomia e non altrove. La caduta dunque dello scheletro appendicolare rappresenta la maniera con cui il riccio risponde allo stimolo: è un atto riflesso provocato dall’ irritazione conseguente alla risecazione dei pedicelli. Ma quest’atto riflesso si compie esclusivamente per la via nervo- sa (intimi sono i legami nervosi fra pedicelli e scheletro appendi- colare) o non è determinato per caso da un disturbo nervoso e trofico insieme ? La risoluzione dell’ importante quesito mi trar- rebbe lungi dal campo dell’ attuale mia ricerca: mi limito quindi semplicemente a porre la questione , lasciando ad altri, od a me stessa, la cura di darne poi la giusta interpetrazione. Per il mo- mento affermo solo il fenomeno dell’autotomia e della conseguente rigenerazione. Autotomia parziale segue anche dopo asportazione di picco- lissimi pezzi del dermascheletro : in molti Paracentrotus e in al- cuni Parechinus, contemporaneamente alla rigenerazione della parte asportata del guscio, ho anche osservato rigenerazione degli aculei e pedicellarie caduti autotomicamente (Fig. 27, 0). Stimoli termici. — Il riccio, trasportato dall'acqua in circolazione in una bacinella contenente acqua di mare a 20-25° O. ed ivi lasciato per un’ora, rivela, con il moto attivo degli aculei e con la tendenza a portarsi verso la superficie, tutta 1’ irritazione conse- guente all’elevata temperatura dell’ambiente ; rimesso dipoi nuova- mente nell'acqua in circolazione, torna alle condizioni normali. Se invece viene a trovarsi in un ambiente la cui temperatura è più elevata, da 30 a 40° C., essendo in conseguenza l’ azione irritante più energica ed il disturbo organico più intenso, l’animale muore dopo poche ore. Altro stimolo termico è il bruciare, con un cerino acceso o altra fiamma qualunque, le punte degli aculei e, se riesce, le pinze delle pedicellarie, tenendo il riccio a secco. Si osserva allora, avendo rimesso in circolazione l’animale, che i monconi non rigenerano la parte bruciata, e dopo qualche giorno cadono, insieme col mani- cotto di muscoli che circonda il tubercolo articolare. Se lo stimolo è stato eccessivo, alla rapida e quasi contempo- ranea caduta degli aculei segue, dopo qualche giorno, la morte del riccio; ma se la fiamma ha colpito solamente una limitata zona di scheletro appendicolare, senza danneggiare il rivestimento epi- teliale del dermascheletro , allora la zona colpita si spoglia lenta- 466 Ofelia Poso mente e successivamente degli aculei e pedicellarie e, il più delle volte, torna a rivestirsi di nuove formazioni scheletriche. Il Paracentrotus dà quasi sempre risultato positivo; il Pare- chinus e lo Sphaerechinus quasi sempre negativo ; in quest’ ultimo solo una volta ho ottenuta rigenerazione dopo l’autotomia dei mon- coni bruciati. Stimoli chimici. — Le prove sono state numerose e gli agenti chimici adoperati svariatissimi (alcool, etere, cocaina, cloroformio, benzolo , xilolo, acido acetico, ammoniaca ecc.). Non mi fermo a descrivere il modo con cui reagiscono i ricci ai varîì stimolanti chi- mici, poichè esso è stato già oggetto di studio per parte di altri ricer- catori !), con le osservazioni dei quali le mie s'accordano completa- mente. Lo scopo della mia ricerca è di constatare la sopravvivenza o no del riccio in caso di autotomia dello scheletro appendicolare e la conseguente rigenerazione. L'ammoniaca, anche in proporzioni minime (poche gocce sulla superficie dell’acqua in cui trovasi il riccio), determina sempre, 24 . ore dopo, la morte dell'animale. La mancanza assoluta di qualsiasi movimento reattivo può forse attribuirsi all’azione troppo energica dello stimolo, per cui tutte le attività vitali dell’ animale ne ri- mangono paralizzate, e il riccio, anche se rimesso sotto circolazione, non riesce a riaversi e s’avvia rapidamente alla morte. Il cloroformio , il benzolo, lo xilolo, cosparsi in gocce sulla superficie dell’acqua, determinano nel riccio una reazione energica, giammai la morte immediata. I ricci rimessi sotto circolazione, dopo due o tre ore, non danno più segno d’ irritazione e per pa- recchi giorni la loro vita sembra svolgersi senza incidenti, come in condizioni normali; al decimo o dodicesimo giorno, però, s'osserva un’ abbondante caduta dello scheletro appendicolare, cui segue la morte. L’alcool, l'etere, la cocaina non inducono nell’ animale altro effetto che un momentaneo agitarsi degli aculei e pedicellarie. Il riccio, rimesso poi sotto circolazione, continua a vivere a lungo, nè subisce perdita alcuna. 1) PrziBsRAM, H.—Experimentelle Biologie der Seeigel: Bronn's Class., Ord. 2. Bd. 3. Abth., Echinodermen, pag. 1169, 1902. UrxKiLL, I. von— Die Physiologie der Pedicellarien: Zeit. Biol. (2) 19. Bd. pag. 334. Taf. 4-5, 1899. — — Die Physiologie des Seeigelstachels: Ibid. 21. Bd. pag. 73, 4 Pig. 1889. Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 467 L'acido acetico induce nell’animale una reazione più intensa, e già in un primo momento si osservano, al fondo del recipiente, molte pedicellarie e qualche aculeo. La caduta degli aculei continua anche dopo rimesso l’animale nei bacini in circolazione ; a quella però non segue subito la morte: il riccio continua a vivere ancora per dieci, dodici, anche quindici giorni, indi muore, senza aver manifestato alcun accenno di processo rigenerativo. Uno stimolo adunque meccanico o termico qual. siasi determina sempre l’autotomia dello scheletro ap- pendicolare, allaquale segue la rigerazione di questo (Fig. 28 e 29). | Prouno e Morrensen hanno entrambi osservato fenomeni di autotomia, ma li hanno erroneamente interpetrati. ProvRo attri- buisce la caduta in massa degli aculei, verificatasi in parecchi Do- rocidaris, ai Mugil che con quelli si trovavano nello stesso bacino. Egli pensa che i Mugil, con piccoli morsi, divorino il cuscinetto muscolare che circonda il tubercolo articolare, minando quindi dalle fondamenta quel colossale edifizio che è l’aculeo d’un Dorocidaris e determinandone la caduta. Debbo alla squisita cortesia del Dott. Lo Branco, se ho potuto anch’ io rifar la prova in identiche condizioni : in una gran vasca ho messo insieme alcuni Mugil e parecchi Dorocidaris. Da buoni amici, questi rappresentanti di due classi così diverse d’ animali, son vissuti per circa quattro mesi, senza ch'io abbia potuto osser- vare il fatto affermato da ProvHo : anzi ho notato come i Mugi! sfuggano i Dorocidaris, piuttosto che avvicinarli. Trascorso quel lungo periodo di tempo, ho tolto dalla vasca i Dorocidariîs e messo invece alcuni Paracentrotus, Parechinus e Sphae- rechinus , sui quali i Mugil avrebbero potuto più facilmente far preda. Ebbene solo uno Sphaerechinus subì la perdita parziale dello scheletro appendicolare dopo due giorni, e neppure in quest’unico caso credo se ne possa attribuire la causa ai Mug?! Questo fatto come quello osservato da ProunO si possono piuttosto interpetrare come fenomeni di autotomia dovuti al rapido cambiamento d’am- biente. MorrENsEN spiega il fenomeno , osservato in Selmacis bicolor var. rarispina, alla stessa maniera di Provo; senonchè per lui i divoratori dei muscoli sono piccoli crostacei. In tutti e tre i generi di Echini da me studiati, si presentano in gran numero, circolanti fra lo scheletro appendicolare , i piccoli crostacei a cui accenna 468 i Ofelia Poso” MorrENsEN; ma, secondo me essi, non sono capaci di un’ azione divorante così energica, nè possono determinare la caduta in massa dello scheletro appendicolare. Quando sui Paracentrotus, Parechinus e Sphaerechinus non agisce nessuna azione stimolante esterna, essi vivono a lungo nelle vasche (4 o 5 mesi) senza dar segno alcuno di autotomia; eppure i piccoli crostacei s' aggirano loro intorno sem- pre numerosi! Forse essi non sono estranei invece a quella perdita dello scheletro appendicolare, che i ricci subiscono d’ ordinario in proporzioni minime. Per due anni ho sempre osservato al fon'lo dei bacini, da me stessa puliti tutti i giorni, singoli aculei e pe- dicellarie, e l'esame degli individui pescati di fresco ha rivelato sempre questo minimo, ma continuo rinnovamento. Nelle serie di aculei primarî si riscontrano sempre dei vuoti, alcune volte riem- piti dall’abbozzo del giovane aculeo. Per i ricci che vengono di- rettamente dal mare, ciò può essere attribuito alle svariatissime cause meccaniche; ma nei bacini d’ osservazione tali cause non esistono , eppure quando il riccio non è irritato artificialmente e s' adatta al nuovo habitat, la caduta lenta ed il lento rinnovamento delle formazioni scheletriche continua e cade sotto l’ osservazione dello studioso. Concludo quindi che lo scheletro appendicolare degli Echini, mentre è in lento, continuo rinnovamen- to. può, per determinati stimoli, essere rigettato au- totomicamente in proporzioni maggiori e di poi rige- nerato, purchè lo stimolo non abbia superata la capa- cità reattiva dell'animale. Risecazione e rigenerazione dei pedicelli ambulacrali Nel capitolo « autotomia dello scheletro appendicolare » ho già descritto il modo come si risecano i pedicelli ambulacrali; dirò qui semplicemente del fenomeno rigenerativo. Ventiquattro ore dopo la risecazione (alcune volte 3 a 4 ore dopo il taglio), i pedicelli risecati sono distesi e si riconoscono facilmente per l’ assenza della ventosa, l’ estremo essendo arrotondato, chiuso per rapida proliferazione dell’epitelio esterno. Le successive fasi della rigenerazione non si possono seguire sul riccio vivente, poichè l’esame nei bacini di circolazione è estre- mamente difficile, e d’ altra parte le condizioni d’ irritabilità del riccio non consentono, senza ostacolare il risultato della ricerca, Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 469 di trasportarlo tutti i giorni, fuori circolazione , in una bacinella con acqua di mare. Son riuscita quindi meglio all'intento prepa- rando molti ricci, distribuendoli in varì bacini, uccidendone ogni giorno, a partire dalle prime ventiquattro ore, uno o due con la mi- scela cromoacetica n.° 2 del Lo Branco, affine di ottenere i pe- dicelli ben distesi, e quindi fissandoli rapidamente nella soluzione di bicloruro di mercurio al 3 °/o in acqua distillata. I piccoli ricci non si prestano bene per un tale studio; i pe- dicelli son troppo delicati e lasc:an veder poco: io ho preferito i Paracentrotus, Parechinus e Sphaerechinus da 3 a 6 cm. di diametro. L'esame dei ricci già fissati si fa in bacinelle con alcool a 60 °/o. Le osservazioni fatte, seguendo il suaccennato procedimento tecnico, mi autorizzano a distinguere, nel processo rigenerativo dei pedicelli tre fasi o stadî principali: 1.° occlusione della ferita, 2.9 allungamento del pedicello , cioè riparazione della perdita subita in lunghezza, 3.° rigenerazione della ventosa (Fig. 12, @, d, c, d, e). Alcune volte l'estremo in rigenerazione assume l'aspetto rap- presentato dalla Fig. 12 (d), cioè si mostra come biforcato: non è così realmente, e l'anomalia dipende da una irregolarità del taglio. Non sempre, dato il rapido movimento dei pedicelli, si riesce a risecarli con un taglio esattamente perpendicolare al loro asse longitudinale; sovente. il taglio risulta, invece, inclinato rispetto a quest’asse. Il lato allora del pedicello rimasto più lungo, nel con- trarsi, determina una gobba o meglio una specie di grossa gemma, che si trova a fianco dell'estremo in rigenerazione: col tempo subi- sce un’involuzione e finisce con lo scomparire del tutto. I, Ricerche istogenetiche Appunti di tecnica. — Per lo studio dei dettagli riguar- danti lo scheletro mi sono valsa di’ preparazioni 2 toto: aculei, pe- dicellarie, pezzi dell’ intero dermascheletro dopo fissazione del riccio in soluzione di formaldeide a circa 4%/ (1 parte formolo e 9 parti acqua di mare) si colorano con picro-magnesia-carminio, per evitare qualsiasi traccia di acido, indi si lavano rapidamente , sì disidratano e si iucludono sul vetrino portaoggetti con trementina veneziana, o con balsamo del Canadà o con Euparal. Si potrebbero anche includere senza colorarli, data la naturale ricchezza di pig- mento; col tempo, però, diventano troppo diafani e molte particola- rità sfuggono all’ osservazione. 470 Ofelia Poso Per le preparazioni in toto di pedicelli, occorre che il riccio sia rapidamente ucciso nella maniera più su accennata, allo scopo di ottenere quelli ben distesi; dopo di che il riccio viene rimesso nel liquido fissatore.L’ulteriore procedimento tecnico è lo stesso. Per le sezioni microscopiche, alla fissazione, quasi sempre in soluzione di sublimato al 3 "o in acqua distillata, deve seguire la decalcificazione. Non ripeto qui le numerose prove fatte per ottenere una rapida e buona decalcificazione. Mi limito solo all’e- sposizione dell’unico procedimento che mi ha dato i migliori ri- sultati. Tanto singoli pezzi scheletrici, quanto ricci interi (fino ad un diametro di 3 cm.) dopo fissazione e disidratazione, vengono rivestiti di celloidina al 2 o. I blocchi così formati e racchiudenti l'oggetto, dopo un soggiorno di 24 ore in alcool a 70 %/o, si tra- sportano in una miscela di alcool a 70 °/o (100 p.) e acido. nitrico al 33 °/o (10 p.). La decalcificazione dura da pochi giorni sino a 2 o 3 mesi, secondo l’oggetto ; il liquido decalcificante va rinnovato ogni 2 o 3 giorni. Alla decalcificazione è necessario far seguire un lavaggio in una miscela di alcool a 70 °/o e carbonato di calcio. L'ulteriore trattamento è lo stesso, come se si trattasse di semplici oggetti da includere in paraffina. Le sezioni di pezzi così trattati non mostrano nessuna altera- zione o raggrinzamento degli elementi, e colorate con Emallume del Mayer ed Kosina od Orange rispondono benissimo per l'esame istologico. La decalcificazione senza previa inclusione in celloidina non è da consigliarsi perchè i tessuti privi di sostegno subiscono fa- cilmente dilacerazione. Essa si può , se mai, tentare , senza gran danno, nel caso di Paracentrotus che ha un guscio più resistente. Il riccio, dopo un soggiorno di 24 ore in alcool a 70 °/o, sì sotto- pone alla decalcificazione in alcool a 90 °/, con l aggiunta di poche gocce d’acido nitrico. Il liquido, come sempre, va rinno- vato e, se bollicine di acido carbonico rimangono imprigionate nelle maglie del tessuto, conviene farle uscire, perchè esse ritar- dano il processo impedendo l’attacco delle particelle calcaree. Per scacciarle basta esercitare sul riccio una leggiera pressione con una bacchettina di vetro: le bollicine scappano per i due fori praticati in vicinanza della regione apicale prima della fissazione. Del resto le bollicine si possono evitare con una decalcificazione lenta (2 o 3 gocce di acido in 100 cme. di alcool). Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 471 L’acido nitrico è il migliore decalcificante: e tale affermazione viene come conseguenza d’una lunga serie di prove comparative. I pedicelli, di cui si vogliono ottenere le sezioni, s’ includono prima in celloidina al 2 °/0, ove s’orientano bene nella posizione voluta, indi si procede all’ inclusione in paraffina. Fenomeni istologici nella rigenerazione delle punte degli aculei Nelle sezioni microscopiche di aculei, fissati qualche giorno dopo la rottura (2 o 3 giorni), si osserva che, mentre l’epitelio esterno del moncone proliferato ha rivestito con un sottile strato tutta la superficie di frattura, nella zona corrispondente al midollo del- l’ aculeo, si vede una moltiplicazione cellulare. Questa, in stadî successivi (9 o 10 giorni dopo la rottura), è più accentuata e, spin- gendo innanzi a sè l’epitelio, determina un accumularsi o una gemma sporgente sul livello del moncone, a guisa di piccola pira- mide. In seguito, la punta in rigenerazione, aumentata di diametro e di lunghezza, mostra nell’ interno un reticolo connettivale ben definito (sezioni trasverse) e all’ esterno un rivestimento epiteliale nettamente differenziato. O I preparati in toto, relativi a stadî corrispondenti a quelli delle sezioni microscopiche, permettono di sorprendere non solo l’inizio del deposito calcareo, ma anche di concludere ch’ esso avviene su- bito dopo la formazione organica, in modo che i due reticoli, con- nettivale e calcareo, procedono, quasi di pari passo, nella rigenera- zione (Fig. 8). Lo scheletro calcareo, nel periodo d’accrescimento, ha margini irregolari, dentati, 1 quali, come prima ha osservato MoRTENSEN re- lativamente a tre stadî evolutivi dello scheletro calcareo d’una pe- dicellaria trifoliata, divent.no netti e continui a mano a mano che il reticolo si completa e cessa quindi la sovrapposizione di nuove particelle alle già preesistenti. É Ù Istogenesi dello scheletro appendicolare e del dermascheletro dopo distruzione sperimentale Aculei. —Il primo processo istologico è la formazione d’ una membranella epiteliale che ricopre il tubercolo articolare, rimasto nudo dopo l'asportazione dell’ aculeo. In seguito, le sezioni fanno 472 Ofelia Poso osservare, sotto il rivestimento epiteliale neoformato, la involuzio- ne dei manicotti muscolari. I muscoli, finita la funzione, si fram- mentano, si riducono in masse più o meno grandi e perdono del tutto la loro struttura istologica (Fig. 6). In una fase successiva i frammenti assumono gradatamente l’ aspetto d’ una rete, di cui i nuclei rappresentano i punti nodali (Fig. 1). Non è raro di notare la migrazione di alcuni di tali frammenti muscolari verso l’ epi- telio esterno, ove forse subiscono l’ulteriore involuzione. Nel centro del tubercolo, verso la fine dell’istolisi muscolare, sotto l’epitelio, si nota una proliferazione cellulare che, accentuan- dosi sempre più, determina una punta conica sporgente sul livello del tubercolo stesso (Fig. 2 e 7). È questo il primo abbozzo del nuovo aculeo che. nelle successive fasi della rigenerazione, acquista sempre più in lunghezza e in diametro, mentre dagli elementi stes- si dell’ abbozzo si differenziano i nuovi muscoli. Sicchè la rigenerazione dell’ aculeo implica due processi: uno d’involuzione ed assorbimento di tessuti già preesistenti; l’ altro di neoformazione di altri tessuti. I fenomeni sono identici così in aculei primarî, come in aculei secondarî; solo i miliari presentano una lieve differenza dipendente dalla loro variabilità di posizione e di numero. Quando vengono di- strutti, i vecchi tubercoli articolari subiscono completa involuzione, ed essi si riformano ex novo, qua e là, e si accennano come piccoli cumuli cellulari, giacenti sotto l’ epitelio ispessito (Fig. 10). Tutti gli aculei poi, siano primarî, secondarî, o miliari, s° al- lungano dalla base verso l'estremo , la parte più giovane essendo sempre l’estremo dell’aculeo. i i La formazione del reticolo calcareo segue, come ho già detto, quella del reticolo connettivale: si accenna sotto forma di piccoli granuli che poi s’ingrandiscono, diventano stellati, si anastomizzano e formano così la rete calcarea. Pedicellarie. — Il primo abbozzo è uguale a quello d’un aculeo miliare: l’epitelio del guscio prolifera in un dato punto, diviene a più strati di cellule e sì solleva sul livello del rimanente. Nell’ul- teriore sviluppo però le due formazioni, aculeo e pedicellaria, s’in- dividualizzano: la gemma che darà origine ad un aculeo rimane semplice, mentre quella che dovrà trasformarsi in pedicellaria as- sume prima un aspetto quadrangolare (Fig. 3), e successivamente per solchi mediani, l'aspetto mostrato dalle Fig. 4 e 5. La gemma così biforcata rappresenta in abbozzo la testa della pedicellaria che, pro- Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 473 liferando sempre alla base , s' innalza sul dermascheletro e forma il peduncolo (Fig. 13 e 14). Quest’ ultimo è dunque la parte più giovane. Qualunque sia l’aspetto ultimo della pedicellaria, gemmiforme, tridactila, trifoliata ecc., la serie dei fenomeni istologici, durante la rigenerazione, non muta. i I muscoli, anche qui, come nel caso dell’ aculeo, si originano per differenziazione degli elementi dell’abbozzo. Lo scheletro calcareo non si forma così presto come nell’aculeo: la pedicellaria è già differenziata nelle sue varie parti, quando si manifesta il primo accenno di formazioni scheletriche. Lio scheletro della testa procede dalla base verso l’estremo delle mascelle, la forma- zione del bastone calcareo dalla parte distale (rispetto al derma- scheletro) alla prossimale: la deposizione calcarea compare cioè nello stesso ordine della formazione organica (Fig. 15). Sferidi.— La nota del DeLage !) mi ha invogliata a rivolgere l’attenzione anche su queste piccole formazioni, sul cui significato fisiologico non è ancor detta l’ultima parola. DELAGE -dice d’avere osservato in un Paracentrotus, dopo tre mesi dalla distruzione spe- rimentale di tutte le formazioni appendicolari, la rigenerazione di aculei e pedicellarie, ma non di sferidi. I ricci lasciati in esperi- mento non hanno dato in seguito risultato migliore: conclude quindi « il est extrémement probable que cette régéné- ration n’aura pas lieu». Nelle mie prove gli sferidi, come gli aculei e le pedicellarie, non sono stati esenti da distruzione , il bisturi ha colpito i primi come gli altri, e tutti si sono ugualmente rigenerati. Difatti, se gli sferidi sfuggono all'osservazione macroscopica, sono subito messi in evidenza dalle sezioni microscopiche relative alla zona in rige- nerazione. Lo sferidio s’accenna, come l’ aculeo e la pedicellaria , mediante un cumulo cellulare che sporge sul livello del rimanente ri- vestimento epiteliale del dermascheletro: la forma dell’ abbozzo è sferica, quale si conserva poi nell’ulteriore sviluppo (Fig. 20). Dermascheletro. — Per la difficoltà d’ottenere sezioni microsco- piche, non è stato possibile un vero esame istologico e le osserva- zioni sono tutte da riferirsi ai preparati în toto. La membranella d’oc- clusione che sì forma nei primissimi stadî risulta d’un sottile strato 1) DeLaGE, Y. — Sur la non-régéneration des sphéridies chez les Oursins: C. E. Acad. Sc. Parîs, Tome 137, pag. 681, 1903. 474 Ofenia Poso epiteliale, continuazione dell’epitelio interno del guscio, il succes- sivo ispessirsi del quale è dovuto alla sovrapposizione di strati con- nettivali, per proliferazione dei margini liberi del dermascheletro tutt'intorno alla zona in rigenerazione. - Nel connettivo appena formato si vede qua e là qualche granulo calcareo , piccole masse chiare, sferiche, che negli stadî ulteriori sono allungate, falcate, stellate (Fig. 18). In seguito, ciascuno di quei granuli diventa il centro d’irradiazione della sostanza calcarea ; i piccoli noduli chiari che s'osservano ad occhio nudo sul brandello in rigenerazione, sono altrettante stelle calcaree a rami molteplici ed intrecciati (Fig. 17 e 19). Piccole dapprima e isolate, lanciano poi l’una verso l’ altra piccoli rami anastomotici, e si fondono in una massa reticolare continua, la piastra calcarea (Fig. 21 e 22). La fine del processo è segnata dalla formazione dei tubercoli arti- colari, che sporgono sulla piastra già formata per continuata de- posizione dei sali di calcio (Fig. 23). Fenomeni istologici della rigenerazione nei pedicelli Per lo studio istologico dei pedicelli sono necessarie sezioni perfettamente parallele all'asse longitudinale del pedicello e relative ai tre stadî rigenerativi: occlusione della ferita, allungamento, for- mazione della ventosa. Sezioni di pedicelli, fissati 24 o 48 ore dopo la risecazione, mo- strano la ferita, comunque sia stata determinata, o con taglio obliquo o con taglio trasversale, occlusa da un doppio strato, il quale è pro- liferazione dell’epitelio interno ed esterno del moncone, e racchiude gli estremi sfrangiati dei muscoli longitudinali. In uno stadio succes- sivo (4 o 5 giorni dopo la risecazione) lo strato d'occlusione diviene sede d’una cospicua moltiplicazione cellulare, per cui i nuovi ele- menti, spingendo sempre più innanzi a loro i già formati, originano una punta conica con la base rivolta verso il moucone. Finchè il pedicello non riguadagna in lunghezza quanto ha perduto, le sezioni mostreranno la stessa punta conica, successiva- mente più lunga, formata da due strati epiteliali soltanto, ì quali sì continuano con quelli del moncone mediante strozzatura sempre meno accentuata (Fig. 12). Nel caso di sezioni microscopiche relative a taglio obliquo dei pedicelli (Fig. 12 f, e Fig. 24), la gobba determinata dalla contra- Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 475 zione della parete, osservata a forte ingrandimento (Fig. 16), pre- senta un tessuto in degenerazione. L’ inizio della ventosa si osserva quando |’ allungamento del pedicello è completo: s'accenna nelle sezioni microscopiche , come nei preparati in toto, mediante un ispessimento dell’epitelio esterno verso l’estremo della punta rigenerata. Un tale ispessimento, accen- tuandosi sempre più, finisce col costituire un manicotto epiteliale che, nelle ulteriori fasi, assume l’ aspetto ordinario di ventosa. Dimostrata la rigenerazione in tutte le formazioni scheletriche, inclusi i pedicelli, studiata la maniera com'essa si compie, conclu- do che la sede di neoformazione è il tessuto epitelia- le, con l'evidente partecipazione del connettivo sott o- stante. Dovunque si pratica una rottura, uno strappo, un taglio, è sem- pre l’epitelio che, proliferando, occlude, rimargina e poi provvede, per continuata moltiplicazione cellulare, ai nuovi elementi per i giovani organi. Di qui la necessità, nelle prove sperimentali, di non dan- neggiare l’ epitelio circostante alla zona operata, perchè con esso si distrugge la possibilità della rigenerazione. Il moncone degli estremi aculeari bruciati cade, ma non rin- nova la punta; la zona del dermascheletro raschiata è invasa da necrosi, se il bisturi rovina troppo l’epitelio di rivestimento. Ma nell’epitelio in attività rigenerativa quale dei processi di moltiplicazione cellulare è in gioco? Le mie osservazioni non con- sentono di dare una risposta: nei territorî in rigenerazione non ho sorpreso mai una mitosi, per quanto lunga e paziente sia stata la ri- cerca; nè ho mai osservato una vera scissione diretta; ma solo, qua. e là, masse plasmiche polinucleate, specie di piccoli sincizî, ed ele- menti migranti senza netto contorno. Ho sempre visto i cumuli cel- lulari, dapprima appena accennati sotto l’epitelio ispessito, poi in- granditi e sporgenti come gemme sferiche, coniche, quadrangolari, ma nulla più di questo. i All’argomento della « metaplasia »; come da alcuni è stata affermata, io non posso portare alcun serio contributo, perchè 1 fatti osservati da me non sono stati sufficientemente chiari e quindi completamente dimostrativi. Napoli Stazione Zoologica, luglio 1908 VI DO Archivio zoologico, Vol. 3, Fasc. 4. 476 Ofelia Poso Spiegazione delle tavole 16-18, Lettere comuni a tutte le figure. aba, abbozzo dell’aculeo. abp, abbozzo della peticellaria. abs, abbozzo dello sferidio. bac, bastone calcareo c0a, tubercolo articolare. cue, cumulo cellulare. ep, epitelio, epin, epitelio interno. epes, epitelio esterno. esr, estremo rigenerato. gol, gobba laterale. luc, lume centrale. MEEPO, membrana epiteliale d’occlusione. MO, moncone. MU, muscoli. mudeg, muscoli degenerati. nuc, nuclei calcarei. pr, punta rigenerata. pe, peduncolo. piac, piastra calcarea. reorgderm, reticolo organico del derma. schte, scheletro della testa. te, testa. XY, direzione del taglio. Tavola 16. Fig. 1. — Tubercolo articolare d’un aculeo primario. Manicotti muscolari in se- conda fase degenerativa. Ingrand. 115 d. » 2.— Tubercolo articolare d’ un aculeo primario con l’ abbozzo del giovane aculeo. Ingrand. 50 d. » 3. — Rigenerazione d’una pedicellaria. Secondo stadio. Ingrand. 320 d. » 4 — Rigenerazione d’una pedicellaria. Inizio del terzo stadio. Ingrand. 320 d. » 5. — Rigenerazione d’una pedicellaria. Pinza già formata e inizio del pe- duncolo. Ingrand. 320 d. » 6. — Tubercolo articolare d’un aculeo secondario. Manicotti muscolari in prima fase degenerativa. Ingrand. 115 d. » 7. — Abbozzo del giovane aculeo ingrandito (Vedi fig. 2). Ingrand. 460 d. » 8.— Due stadî rigenerativi d’ un estremo aculeare. Sviluppo del reticolo calcareo. Ingrand. incirca 65 d. Fig. Fig. » » Ricerche biologiche ed istogenetiche sugli Echini regolari 477 9. — Rigenerazione d’ un estremo aculeare. In a primo accenno; in d la punta è più accentuata; in c ha guadagnato molto in lunghezza e diametro; in d passa insensibilmente nel moncone. Ingrand. 25 d. 10. — Cumulo cellulare che rappresenta il primo stadio rigenerativo o d’una pedicellaria o d’un aculeo miliare. Ingrand. 320 d. 11. — Aculeo miliare. Secondo stadio rigenerativo. Ingrand. 320 d. 12. — Pedicelli in fasi successive di rigenerazione. In 4 occlusione della ferita; in d, c allungamento; in d, e formazione della ventosa; in f pedicello, amputato con taglio obliquo, in rigenerazione. Ingrand. 40 d. 13-14. — Giovani pedicellarie rigenerate. Successivo allungamento del pe- duncolo. Ingrand. 320 d. 15. — Pedicellarie rigenerate. Formazione del bastone calcareo e dello sche- letro della pinza. Ingrand. 115 d. Tavola 17. io. 16. — Gemma parietale ingrandita (Ved. fig. 24). Ingrand. 320 d. 17. — Pezzo del dermascheletro rigenerato con nuclei calcarei. Ingrand. 27 d. 18. — Primi accenni di formazioni calcaree. Ingrand. 80 d. 19. — Nuclei calcarei ingranditi (Vedi fig. 17). Ingrand. 125 d. 20. — Abbozzo d’uno sferidio. Ingrand. 320 d. 21-22. — Piastre calcaree. Ingrand. 125 d. 23. — Tubercolo articolare. Ingrand. 80 d. 24. — Sezione longitudinale di un pedicello con estremo rigenerato e con | gobba parietale. Ingrand. 50 d. Tavola 18. [da Fotografie] 25. — Paracentrotus lividus. In 2 zona del dermascheletro in cui lo sche- letro appendicolare è stato distrutto. 26. — Paracentrotus lividus. In 2. r., zona del dermascheletro con manifesta rigenerazione delle formazioni appendicolari. 27. — Parechinus microtuberculatus. Rigenerazione di pezzi del dermasche- letro; a, riccio. dopo asportazione del pezzo scheletrico; d, formazio- ne della membranella epiteliale decclusione; c, d, successiva com- parsa dei nuclei calcarei, 28. — Paracentrotus lividus. Autotomia dello scheletro appendicolare. 29. — Sphaerechinus granularis. Rigenerazione delle formazioni appendico- lari dopo autotomia. Ricevuto il 2 Luglio 1908. Finito di stampare il 5 Gennaio 1909. / MA ( Sr, vl | i i \ Muro: diro. Lea i | . dI P n° “abba tu WIiTI ba È p î via (4 (0 yi : 1 ELIS ’ it pasti i $ Gavi / i VSMZICA È < ' 1000) Mn: ne" HA La o Uovo e larva di Trachypterus sp. Osservazioni del Dott. Antonino Jacino Con la tavola 19, | Studiando da qualche tempo le uova dei Teleostei che sì rin- vengono nel plancton del porto di Messina, il 10 febbraio di que- stanno ebbi dal preparatore di questo Istituto Sig. Marco CIALONA, che attende giornalmente alla distribuzione del materiale plancto- nico pescato, un uovo ben diverso da quelli che comunemente so0- levo ricevere. Il materiale, nel quale l’uovo fu rinvenuto, era stato raccolto alla superficie col « retino di Miiller » alle 8 del mattino, due ore dopo entrata nel porto la corrente. Il cielo era coperto , il mare calmo e il vento di S.0. La temperatura dell’acqua era di 13° C. L’uovo (Fig. 1) aveva un dia- metro di mm. 3,013, la sua mem- brana perivitellina era trasparente come lo era il vitello, e non esiste- va traccia di spazio perivitellino. ‘In corrispondenza di tutta la superficie dell’ uovo la membrana presentava un sottile reticolato a maglie piuttosto grandi e di forma poliedrica irregolare, e nel punto ‘ più culminante di esso si vedeva una calotta a contorni irregolari. Tale calotta, d’aspetto vescicolare e trasparente, misurava un massì- mo diametro di n 687, ed era in tutta la sua superficie cosparsa di piccoli punti leggermente scuri. L'uovo messo in un bicchiere senza circolazione si mantenne per 28 giorni a tre dita sotto il pelo dell’acqua, poi andò man mano scendendo, finchè raggiunse il fondo del bicchiere. Per tutto Fig. 1. Uovo di Trachypterus sp. X 17. 480 Antonino Jacino il tempo che stette in acqua sì mantenne sempre con la sudde- scritta calotta rivolta in alto, e tutte le volte che ne veniva spo- stato vi ritornava sempre. Il 30 marzo, dopo 49 giorni, trovai nel bicchiere la larva, la quale per i suoi caratteri si dimostrò subito come appartenente al gen. Trachypterus. La larva (vedi la Tavola) nuotava vivacemente nel bicchiere con rapidi movimenti. Tolta dal bicchiere , collocata in un vetro da orologio con un poco d’acqua di mare, e anestesizzata aggiun- gendo all’ acqua stessa qualche goccia di soluzione al 2 °/o di clo- ridrato di cocaina in acqua di mare, sì presentava al microscopio molto trasparente , e di forma tozza. A luce incidente dava dei riflessi argentei su tutta la superficie del suo corpo. Essa presentava inoltre delle macchie nerastre di pigmento in corrispondenza del margine dorsale della corda , nella sua porzione anteriore , della metà anteriore dell’intestino, del capo e delle lacinie delle pinne dorsale e ventrali. Il profilo anteriore del capo era leggermente concavo, e si univa a quello dorsale formando un angolo ottuso e molto ar- rotondato. L'occhio, piuttosto grande in confronto del capo, era di co- lore celeste intenso e pigmentato in nero ai margini, e l’iride era intensamente nera. La bocca, ampia, presentava le ossa bene sviluppate e quelle della mascella inferiore trasversalmente striate. La mascella infe- riore, quando la bocca era aperta, era foggiata a squadra, di cui il lato prossimale correva parallelamente al profilo anteriore del capo, e l’angolo col lato distale sporgeva alquanto dal margine ventrale del corpo. L’intestino, molto grosso e bitorzoluto nella sua por- zione media, correva immediatamente al disotto della corda; esso era poco visibile nella sua porzione anteriore, ed arrivato quasi all'altezza della metà del corpo s'incurvava leggermente per sboc- care sulla linea mediana ventrale. L'opercolo era trasparente tanto da lasciar intravedere gli or- gani sottostanti, ed aveva il suo margine postero-dorsale liscio e arrotondato. Fra le pinne ventrali e la branca prossimale del mascellare inferiore notavasi un residuo di vitello di colore giallo-verdastro e foggiato a scarpa. Del sistema circolatorio si notava sul vivo il cuore bene svi- luppato e pulsante. Uovo e larva di Trachypterus sp. 481 La porzione dorsale della pinna primordiale s’ iniziava quasi dopo la massa cerebrale all’altezza del quinto posteriore dell’occhio, e si suddivideva poi in altre due porzioni, di cui una anteriore più corta e l’altra posteriore più lunga. La porzione anteriore di essa presentava cinque raggi molto alti e distanti alla loro estremità, ed il primo, con la sua lacinia, era quasi tre volte la lunghezza della larva, mentre il secondo non era che la terza parte di detta lunghezza. Gli altri tre raggi andavano pure gradatamente dimi- nuendo in lunghezza, finchè l’ultimo di essi era appena i ?/5 del secondo. Immediatamente dopo seguiva la porzione posteriore di detta pinna primordiale dorsale, che, dapprima molto bassa, andava man mano aumentando in altezza, finchè in corrispondenza della metà dell’intestino raggiungeva i 687, 50 p. d » . ® » » » . . . . » D Ù ’ inaso 1562,50 3593, 15 unghezza lo lale $312,50 1050 Fig. 2. Schema della larva di 7rachypterus sp. con le misurazioni eseguite in micromillimetri. In corrispondenza dell'ano detta porzione di pinna si vedeva di nuovo diminuire in altezza, e dopo di avere descritto una curva con la concavità verso la corda la si vedeva unirsi alla primordiale caudale, che era più larga e foggiata a clava con gli angoli molto arrotondati. Sulla parte anteriore della pinna primordiale dorsale si notavano dei raggi, che facendo seguito a quelli della porzione anteriore, si estendevano con una inclinazione dall’avanti all’indie- 482 Antonino Jacino tro fino al terzo posteriore della larva. Questi raggi colla loro estre- mità libera raggiungevano il margine esterno della membrana co- mune fin quasi all’ altezza della metà del corpo, poi andavano gradatamente raccorciandosi e diminuendo in. grossezza tanto da essere indistinti all'estremo ove terminavano. Di questi raggi fino all'altezza dell'ano se ne contavano una sessantina. La porzione postanale della pinna primordiale, poco più alta della dorsale, presentava delle leggiere curve. Le pinne ventrali avevano due raggi, di cui l'anteriore più lungo era munito di la- cinia, e nell’ insieme aveva una lunghezza quasi di una volta e mezza quella del corpo della larva. Le pettorali, di forma ovoidale molto irregolare, s’ inserivano immediatamente dopo l’opercolo e a ?/5 della distanza del margine ventrale della corda a quello periferico dello stesso lato. Era da notarsi inoltre una sottile e poco visibile striatura su tutte le pinne. Questa striatura sulla pinna primordiale andava dai margini dorsale e ventrale della corda ai corrispondenti margini liberi della pinna e con una inclinazione dall’ avanti all’ indietro; nelle pinne ventrali correva lungo il senso della lunghezza, e nelle pettorali si disponeva a raggi partenti dal punto d’inserzione di dette pinne. Sulla pinna primordiale caudale, e propriamente sul margine ventrale della corda, si notava un accumulo di elementi, che era l’inizio dei raggi definitivi. Il margine compreso fra l’ ano e le pinne ventrali accennava ad un lobo in prossimità dell’ano stesso, e quello compreso fra le dette ventrali e la mascella inferiore era sinuoso e più alto del primo. Uccisa la larva in formalina, colorata con tionina e rischia- rata, non si osservava nulla di più di quanto ho già descritto ; solo si vedeva meglio la porzione anteriore dell’intestino e si potevano contare i miomeri, che riscontrai al numero di 9L. Larve di Trachypterus, e precisamente del 7. faenza, sono state descritte dall’Emery !) e dal Lo Branco ?); non così l’ uovo che solo il Lo Branco ha ultimamente descritto anche nel 7. taenza. 1) Emery, C.—Contribuzioni all’Ittiologia: 1. La metamorfosi del Trachypte- rus taenia: Mitth. Z. Stat. Nenpel 1. Bd. 1879, pag. 581, Taf. 18 2) Lo Branco, S.— Uova e larve di Trachypterus taenia BI.: Mitth. Z. Stat. Neapel, 19, BA. 1908. Uovo e larva di Trachypterus sp. 488 Ma tanto l’uovo che la larva del Trackhypterus da me studiati sono ben differenti da quelli del 7. taenia secondo l’ accurato studio fattone testè dal Lo Branco. Il Lo Branco infatti non ha punto rinvenuto sull’uovo da lui studiato quel caratteristico reticolato da me descritto, e nemmeno la calotta da me osservata. Quanto poi alla larva da me studiata essa differisce nettamente da quella del 7°. taenia. Infatti essa presenta il profilo anteriore del capo leggermente concavo, e l'angolo che forma col profilo della mandibola, a bocca chiusa, è alquanto ottuso. Noto di più che l’ angolo esterno del mascellare inferiore, oltre ad essere alquanto sporgente dal mar- gine ventrale della larva, porta una sporgenza mammillare, ed il profilo ventrale, compreso fra la mandibola e le pinne ventrali, è alquanto sinuoso. Le pinne ventrali inoltre, composte di due raggi, presentano una linea d’inserzione alquanto sinuosa e divisa in due porzioni, di cui sull’anteriore si vede bene inserirsi il raggio anteriore e sulla porzione posteriore il raggio posteriore. Noto in fine che il margine ventrale. compreso fra le pinne ventrali e lano accenna ad un lobo e precisamente in corrispon- denza dell’ano stesso. Confrontando poi la suddescritta larva con parecchi Trachy- pterus taenia Bu. e Trachypterus cristatus BonnLLI a diversi gradi di sviluppo esistenti nelle collezioni dell’ Istituto , osservo che i suddetti caratteri mentre non hanno niente da fare con quelli del Trachypterus taenia, sono perfettamente identici a quelli del 7. cristatus, dove si riscontra anche esistere quasi la stessa propor- zione in lunghezza e grossezza fra i raggi delle pinne primordiali dorsali, porzione anteriore, e ventrali. Solo in quest’ultime si con- tano al posto del raggio posteriore parecchi raggi variabili in numero e di dimensioni eguali fra loro. Queste osservazioni mi fanno supporre che la larva da me descritta appartenga al Trachypterus cristatus BoNELLI. Colgo l'occasione per rendere sentite azioni di grazie al sig. Prof. MazzareLLI per avermi gentilmente ospitato nel suo labora- torio, e per essermi stato largo di consigli; estendo anche i miei ringraziamenti al preparatore Sig. Marco CraLona per il materiale cortesemente per me scelto. Messina, Istituto Zoologico della R. Università , luglio 1908. vario ) da URAS i dr sel fi si ta SIIT IT di vu la N Eri È Napoli. R. Stabilimento Tipografico Francesco Giannini & Figli ce Ia _ chivio Loologtco ol.3 lit.Tcchinardie Ferrari- Pavia Lit.Pini e Rizzoli-Bologna. iarini lit. F.Ch 15. Antonucci Boi ud tion La tavola 3 riuscita difettosa sarà sostituita con altra che verrà spedita col fasc. 2. > ail st09 stistiteoa dna oi asini 8 papi de i Antonucci e Massa dis. F.Chiarinì It. Lit.Pini e Rizzoli Bologna. difettosa del 1° Archivio Zaologico, Vol.3. Tav. 3. Antonucci e Massa dis. F.Chiarini lit. Lit.Pini e Rizzoli—Bologna. Do i e Ferrari , Fr bl fo) A.lacno di 8 E Di = === Bologna - Lit Pini e Rizzoli. TE s 4454 VPI] ea DATI INA! E) NEVIO VI) Sl DI hg (O) N01) v (id N) N° s Ò CA SAI DI Archivio Zoologico, Vol.3 Bologna- Lit Pinte Rizzoli. E. Chiarini lib. Rosa dis. f n Id i RENE AV: gi RARA HA) IRA 1J) firenze litANuyfonifezza Slroce ZA «In du 7 # | I | 1) i Sil | Archivio Loologico Vol 3. i LA dii HA firenze lit AKuffppiRawa Slrace ZA | «drehivio Loologico Vol 3 Hay: 6 Srenze bt Af)foriliona Sloe2) 7 RES È; Archivio Zoologico VoL. lavate J Sol: Comes ds i lib lacchinandi e Ferrari -favia ti i i urehivio Zoologico Vol. 3. VIVA r e | liblacchinardi e lemuri -favia Salv Comes dis . ciretvto Loologic Tav È. IAN € Ik utreluvio Zoologieo 01.3 è Saadinardi e Farano Stia VGT À L'ARMA Carta PIA ur: AN Rat e ì . ani e aatirardi © iraniana: spa Er IS RSS see, di | Mi Catinande e Rarare Fura: 219, a VIENE ANNI] OLII f co OGI / Loo d »* i da ì n ile DI c A % 5 zi = so 1 sb Zodlogico VAM Se SÙ ) Pa È TRO sal i Up fartinardi e Ferrari Favino . lav 12 Lu lachnardi e Ferari-Rwia Archivio Loologico Vol. 3 35 VT lav: 12 Lulachnandi e Rerari-Ruvia Sirogze, Liv ARyffori Vezza Slrace NA DA " ‘ ve i pi to Pa TANG lg Mei È ali Ù i #v î id { *.2d dI Ù 4 V'TRMITA 1, mu i So rus i) Daf ai SIRPAITA] "n = e, ML A ASSI My ° hi } Di firegaz LitA (/£ vpi icaà Sace: KR Irehivio Loologico Vol. 3. firepze, liAfuffopj Aazzas. 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Arm. 13° — L'Unione pubblica annualmente un Rendiconto delle sue adunanze, contenente gli atti sociali ed i processi verbali delle Assemblee, nonché un sunto dei lavori presentati nei convegni annuali 1). Ogni socio ha diritto ad una copia del. Rendiconto. L'Unione si riserva inoltre di fare quelle pubblicazioni di Memorze scien- tifiche che i suoi mezzi permetteranno. ' REGOLAMENTO Titolo IH.- Soci 1. Possono appartenere all’ Unione tutti coloro, italiani o stranieri, che s'interessano di Zoologia, intesa nel suo più largo significato. 92. Chi desidera far parte dell’ Unione deve farsi presentare da due Soci mediante lettera indirizzatà al Presidente. Questi comunicherà la domanda al Segretario ed il richiedente sarà senz'altro ammesso come Socio. Il Consiglio, nella sua prima adunanza, ratifitherà 1’ am- missione. Il Segretario invia;al nuovo socio lettera di nomina, firmata da lui e dal Presidente. © : 3.— L'impegno di Socio s'intende preso per un anno sociale, che coincide coll’anno solare. Volendo cessare di ‘appartenere all’ Unione, devesi trasmettere la dimissione scritta entro il mese di ottobre al Segretario, che la comunicherà al Presidente e ne informerà il Cassiere-economo. In caso contrario l’ obbligo continuerà per tutto l’anno successivo. Titolo IV. = ASSEMBLEE 1. — L'Unione; nelle Assemblee, tiene due serie di sedute: quelle scie n- tifiche (pubbliche) e quelle amministrative (private). Nelle pubbliche vengono fatte le comunicazioni scientifiche, e dettate le conferenze. E NOVA RETE Nelle amministrative si procede: alla designazione della località e del tempo in cui si terrà l'Assemblea nell’anno successivo; alla. elezione delle cariche ed alla amministrazione della Unione. Gonsiglio direttivo dell’ Unione Zoologica Italiana per il 1908 Prot. Achille Russo — (Catania) PRESIDENTE Prof. Guglielmo Romiti .— (Pisa) VICE-PRESIDENTE Prof. Daniele Rosa — (Firenze). VICE-PRESIDENTE Prot. E'r- Sav. Monticelli — (Napoli). SEGRETARIO Prof. Alessandro Grhigi — (Bologna) Vice-SkGRETARIO Prot. Umberto Pierantoni-(Napolì) —’ Cassterk-Economo 1) L'organo ufficiale dell’ Unione Zoologica italiana è : il Monitore Zoologico Italiano. 1 e di i LORIA PERS RRRCIVAIII | » / A e ARGHIVIO ZOOLOGICO | È dh | | 1 è in vendita: | UA Pr per l’Italia: rappresentante e commissionaria la « Labrptioi nuova DAI RICC. MARGHIERI Napoli, Galleria Umberto I sr per l Estero: esclusiva rappresentanza e commissione presso la libreria AS Aa THEODOR O0SWALD WEIGEL sa È LIST: RI Leipzig - Kònigstrasse 1- Leipzig RENDFCONTE] DEI - CONVEGNI DELL’ UNIONE ZOOLOGICA ITALIANA: PAVIA: — 23-25 Aprile 1900 (Fowpazione DELL’ UNIONE ZooLoGica) Monit. Zool. Ital. — Anno X, 1900. N, 4 BOLOGNA — 24-27 Settembre 1900. — 1.2 Assemblea ordmaria. Monit. Zool. Ital. — Anno XI, 1900, N. 12; Suppl. | NAPOLI — 10. 13 He 1901. — 2.8 Assemblea ordinaria. Monit. Zool. Ital. — Anno XIF, 1901, N. 7-8. una ROMA -- 31 Ottobre-3 Novembre 1902 — 3.2 Assemblea ordinaria, STI ACRI Monit. Zool. Ital.— Anno XII, 1902, N. 12, di ci i i RIMINI — 14-16 Settembre 1903 — 4a Assemblea ordinaria. | i Monit. Zool. Ital. Anno XIV, 1903, N. 12, Suppl. PORTOFERRAIO — 15-19 Aprile 1905 — 5.* Assemblea ordinaria. Monit. Zool. Ital. Ano XVI. 1905, N. 7-8. In tend a L. 5. ciascuno presso la segreteria dell’ Unione. 3 Prezzo del presente fascicolo persidpubblico. a. SO N NI | per i Soci, della Unione nadia O Ct ._ IN B_-- Il ribasso s'intende fatto alla persona dei Soci; essi volendo usi fruirne devono richiedere l'Archivio, nella loro qualità, al Segretario della Unione Zoologica Italiana (db) AT PETRA AGIRE AZ otuae BEN 40 (per i soci L. 30 pi (1) Attualmente: Prof, Fr. Sav: MonsrceLLI — Istituto, Zoologico. R. Università di Napoli. # Se ni a "IVRINENMSACOR