*r * ? il* M fi* PI t IM ' ' M*' ARCHIVIO ZOOLOGICO ITALIANO l'I liBLir.ATO SOTTO GLI A-USPICI1 DF-LLA UNIONE ZOOLOGICA PER CURA DEL COMITATO DI REDAZIONI: REDATTORE D.' Fr. Sav. Monticelli Prof. ord. di Zoologia nella R. Università di Napoli VOLUME X. CON 8 TAVOLE E 70 FIGURE NEL TESTO Commissionari e rappresentanti: LIBRERIA INTERNAZIONALE FRATELLI TREVES dell'Anonima Libraria Italiana Via Roma, 258 NAPOLI NAPOLI R. TIPOGRAFIA FRANCF.SCO GIANNINI «S: FIGLI Cisterna dell'Olio 1923 INDICE DEL VOLUME X Art.. i. - Vivanti A. — Sul comportamento dei condriosomi nel rene del Tritoli crislatus durante le varie fasi di attività secretoria - Tav. 1-2 pag. 1 (Pubblicato il 30 Maggio 1021) 2. - Genna M. — Ricerche sulla nutrizione rfell' Ano- pheles claviger, - Tav. 3 e cinque figure nel testo ,, 15 (Pubblicato il 'i Giugno 1921) 3. - Lo Giudice P. — Sulle espansioni nervose negli organi ciatiformi dei barbigli del Barbo (Barbus plebejus Valenc). - Tav. 4-5 „ 35 (Pubblicato il 2 Giugno 1921) 4. - Baldi E. — Ricerche sulla Fisiologia del sistema nervoso negli Insetti. - III. Osservazioni ed espe- rienze sui moti di maneggio dei coleotteri. - Con venti figure nel testo „ 53 (Pubblicato il li Febbraio 1922) 5. - Cotronei G. — Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli Anfibi anuri in riferimento a esperienze d' innesti. - Tav. 6 e due figure nel testo „ 85 (Pubblicato il 31 Maggio 1922) „ e. - Nardi-Rinaldi A. — Osservazioni sui Tilurus - Con diciannove figure nel testo „ 127 (Pubblicato il i Agosto 1922) 7. - Vram G. U. — Sul genere Theropythecus - Con tre figure nel testo „ 169 (Pubblicato il 30 Agosto 1922) „ 8. - Pierantoni U. — Simbiosi, Biofotogenesi e Bio- cromogenesi. - Stato delle conoscenze e nuove ri- cerche sui Pirosomi „ 215 (Pubblicato il 30 Agosto 1922) 9. - Zirpolo G. — Sul ringiovanimento dei rami colo- niali del Zoobotryon pellucidum Ehrb. - Con cinque figure nel testo , 223 (Pubblicato il 30 Novembre 1922) *-!3/*u iv Indice Art. io. - Corti A. - Alcune osservazioni sullo sviluppo del tratto ileocolico in embrioni di mammifero sden- tato Dasypus novemcinclus L. — Con quattro figure nel testo pag. 239 (Pubblicato il 10 Marzo 1923) il. - Arcangeli A. — Revisione del gruppo degli Haplo- phthalmi, Isopodi terrestri - Tav.- 7-8 e dodici fi- gure nel testo » 259 (Pubblicato il 4 agosto 1923) Sul comportamento dei condriosomi nel rene del Triton cristatus durante le varie fasi di attività secretoria. Ricerche della Dott.a Anna Vivanti A:iito nell'Istituto dì Anatomia e Fisiologia Comparate della lì. Università di Pavia con le tavole 1-2 Numerose ed importanti sono le ricerche dei citologi sul condrioma delle cellule secernenti, e, scorrendone la vasta bi- bliografia, noi vediamo come controversi siano i risultati a cui essi sono pervenuti, in seguito agli studi sul comportamento dei condriosomi e sulla loro partecipazione alla differenziazione cellulare. Desiderando portare un lieve contributo all'argomento, accennerò brevemente ai reperti che ho avuto studiando 1' appa- rato mitocondriale nel rene del Triton cristatus in vari mesi dell' anno. Avrei voluto presentare un lavoro più completo e potere così controllare le osservazioni sui preparati con quelle fatte su cellule viventi, ma, non avendo perii momento ultimate tali ricerche, mi limito a pubblicare questa memoria preliminare 1). Le mie indagini si riferiscono sempre al Triton cristatus (maschi e femmine) che ebbi a mia disposizione in ogni mese dell' anno. Sezionavo 1' animale senza anestetizzarlo e prima che mo- risse, ne asportavo i reni per immergerli nel fissativo. Per 1' esame istologico ricorsi qualche volta al liquido di Maximow-Levi, ma di preferenza a quello del Mùller. Feci sempre sezioni molto sottili, da tre a cinque u, circa, e, dopo t) Sento il dovere di ringraziare i chiarissimi Prof. R. Monti e R. Issel, i quali mi furono larghi di aiuto durante il corso del mio lavoro. Archivio Zoologico Italiano Voi. X Art. 1 2 Anna Vivanti averle imbiancate con il metodo Veratti, le coloravo con l'e- matossilina ferrica di Heidenhain. Per accertarmi, come già vide il Levi (1912), che nella parte genitale del rene i condrioconti mantengono le medesime caratteristiche che dimostrano nel segmento urinario, sezionai ripetutamente l'intero organo in senso longitudinale e feci anche delle sezioni trasversali dopo avere diviso il rene in due porzioni. Ottenni i migliori risultati con il liquido di Mùller per quanto, poco usato per tali ricerche, non venga annoverato tra i migliori fissativi da coloro che stu- diarono il problema dal lato tecnico. Debbo ricordare tuttavia che già tale fissativo fu adoperato con brillanti risultati dalla De-Castro (1918), la quale nel suo lavoro sulla struttura dell' oocite di Albarnus dice che riuscì a mettere in evidenza splendide immagini di formazioni condrio- somiche con la fissazione in liquido di Mùller a lungo tratta- mento e successiva colorazione all' ematossilina ferrica di Hei- denhain. E poiché con giusta ragione viene ora data molta impor- tanza ai risultati che si ottengono con 1' uso di fissativi diversi, credo opportuno, prima di entrare in argomento, accennare brevemente alle immagini ottenute fissando con vario metodo. Premetto, però, che deliberatamente non intendo con ciò entrare nella questione che oggi tanto si dibatte sulle molteplici cause che possono determinare una differente apparenza nelle cellule e sulle diverse ipotesi emesse in proposito, per quanto anche io, come già il Levi, abbia potuto osservare, pure con lo studio sul vivente, che basta una piccola variazione nei componenti del fissativo, perchè cambi l'aspetto degli elementi del condrioma. Ripetutamente osservando al microscopio preparati fissati con Maximow-Levi, ero stata colpita dalla enorme quantità di for- mazioni granulari, che, addensate nella massa citoplasmatica, potevano essere ritenute a prima vista come granuli di secreto. Esse apparivano di volume ineguale, variamente distribuite nelle cellule; si sovrapponevano le une alle altre ammassandosi nella zona sottonucleare, mentre solo poche se ne osservavano in quella sopranucleare (Fig.l); tal'al tra invece vediamo poche grosse granulazioni sparse nella regione basale ed un numero piuttosto considerevole di piccole nella regione mediana ed apicale della cellula (Fig. 2). Ciò che aveva sempre rilevato in tali preparati era la completa assenza di differenziazioni mitocondriali. Sul coniDortomenlo dei condriosomi nel rene del Triton ecc. 3 Il medesimo materiale tolto dallo stesso individuo e trattato col Mùller assumeva un aspetto completamente diverso. Le cellule, ben conservate, mostravano un citoplasma più jalino, meno vacuolizzato e dotalo sempre di un ricco condrioma, tra i filamenti del quale si osservava un numero esiguo di granuli di secreto. La presenza di un condrioma così evidente nei preparati fissati in Mùller, e l'assenza dello stesso in quelli trattati con il Max imow- Levi, mi fecero sorgere il dubbio che tale apparente scomparsa, che si effettuava in qualsiasi epoca e sempre colle medesime caratteristiche, fosse dovuta al reagente, che nel mio caso dovetti ritenere come poco consigliabile per lo studio del condrioma. Nelle mie ricerche mi valsi quindi del Mùller, dove i pezzi venivano lasciati per un mese circa; le sezioni mi davano sempre delle figure molto nitide, che potei ritrarre senza diffi- coltà e con l'aiuto della camera lucida per le tavole annesse al mio lavoro. Debbo però notare che i condrioconti riprodotti nei disegni corrispondono soltanto a quelli che si vedono in una sezione ottica determinata, che potevo perciò disegnare facilmente con la camera chiara. I vari esemplari vennero tenuti in piccoli acquarli di vetro e sacrificati dal novembre al giugno, durante i quali mesi la temperatura dell' acqua e quella dell' ambiente oscillarono dal 7° ai 20° circa. Gli animali, senza trovarsi in un vero letargo, assumevano nella stagione rigida uno stato di torpore che li faceva rimanere quasi immobili ed in gruppo compatto sul fondo del recipiente, mentre nella stagione mite acquistavano una grande vivacità e si spingevano talvolta sino all'orlo, per tentare la fuga. Venne loro somministrato sempre il cibo che consisteva in lombrichi. Mentre nel periodo freddo ne veniva consumato pochissimo, nel periodo caldo i tritoni si disputavano ferocemente il cibo e lo facevano sparire in pochi istanti. Volli però nel dicembre sottoporre due tritoni al completo digiuno per la durata di venti giorni, durante i quali ebbi cura di cambiare molto spesso 1' acqua del recipiente che tenevo in un locale freddo. Gli ani- mali restavano immobili e solo stuzzicati abbandonavano per alcuni minuti la pietra sulla quale rimanevano intorpiditi. 4 Anna Vivanti Come già dissi, io mi occupai in modo specifico dell'ap- parato mitocondriale del rene, che comincerò a descrivere dal novembre, allorché l'animale è in periodo di minima attivila secretoria e quando la temperatura dell'acqua è più fredda. In sezioni trasversali di tubuli contorti, il condrioma delle cellule è rappresentato da filamenti corti, ricurvi, volti in ogni dire- zione : scarsi sono quelli lunghi e flessuosi. Ad eccezione di una sottile zona al disopra dell' orletto a spazzola, essi sono estesi a tutta la cellula, ove per lo più si intrecciano e si ag- grovigliano fra di loro. Pochissimi sono i granuli di secreto, alcune cellule ne sono assolutamente prive, altre ne presentano soltanto uno ed altre ancora quattro o cinque al massimo. I condrioconti nel segmento a struttura bacillare sono sottili, lunghi, paralleli fra di loro, diretti perpendicolarmente alla base della cellula. L'esame dei preparati ottenuti da soggetti sacrificati nel dicembre mostra i tubuli renali con lume ampio e le cellule con orlo a spazzola ben conservato, dotato di plasma jalino ed omogeneo; appaiono numerosissimi i condrioconti, sparsi irre- golarmente in tutto il citoplasma. La loro forma e dimensione è varia: più o meno lunghi, ricurvi, biforcati a forma di L\ di S o di granuli, se tagliati trasversalmente, essi decorrono in tutte le direzioni intrecciandosi tra loro, mai però in modo da for- mare " un gomitolo assai compatto „ come riscontrò il Levi nel Geotrilon. Nelle sezioni superficiali e che non tagliano il nucleo si osservano filamenti più lunghi, alcuni dei quali dall'apice della cellula raggiungono circa la sua porzione mediana senza spezzarsi; nella regione sopranuclearc i condrioconti, spesso più numerosi e con decorso parallelo all'asse maggiore, si ad- densano ed intrecciano in modo da formare una zona che si presenta molto oscura (Fig. 3). La regione basale della cellula è sempre libera da filamenti condriomitici. Nel segmento a bastoncini il condrioma, sempre abbondante, appare con varii aspetti. In alcuni casi esso è co- stituito esclusivamente da condrioconti fitti e paralleli fra di loro che decorrono senza interruzione dall'alto al basso della cellula; in altri casi i condrioconti sono più corti, alquanto piò grossi e limitati a poche cellule, mentre le altre sono occupate in parte da formazioni mitocondriali ed in parte da piccole Sul comportamento dei condriosomi nel rene del Triton ecc. 5 sfere destinate probabilmente a trasformarsi in granuli di se- creto (Fig. 4). Alla fine di gennaio, con temperatura poco più elevata, gli animali sono sempre in uno stato di torpore e rimangono in gruppo compatto sul l'ondo del recipiente. All'esame mi- croscopico osservo che le cellule dei tubuli contorti, a lume ampio, presentano un plasma jalino ed il nucleo grande, ve- scicolare spostato verso la base della cellula. Il condrioma, ric- chissimo, è costituito da condrioconti lunghi e flessuosi oppure corti e leggermente ricurvi, orientati in vario modo, intrecciati o no tra di loro. Molte cellule sono prive di granuli di secreto, in altre se ne riscontrano parecchi, situati per lo più all'altezza del nu- cleo, talvolta aderenti al margine di questo (Fig. 5). Nel seg- mento a bastoncini del canalicolo urinario i filamenti condrio- somici, piuttosto sottili ed ondulati, si susseguono gli uni agli altri in serie parallela , mantenendo un andamento molto re- golare e non lasciando alcuno spazio libero nel citoplasma. Le osservazioni che riguardano il condrioma nel febbraio poco differiscono da quelle del mese precedente. Gli elementi condriosomici sono sempre in numero molto notevole, sparsi in tutta la massa citoplasmatica, appaiono di rado lunghi, ondulati, più spesso sono invece corti, ricurvi e bene individualizzati (Fig. 6), talvolta occupano di preferenza la zona mediana, lasciando un alone chiaro alla periferia (Fig. 7), tal altra la regione basale ove decorrono con una certa regola- rità secondo l'asse maggiore della cellula (Fig. 8). Solo di rado il condrioma è rappresentato quasi esclusivamente da mito- condri alcuni dei quali si trovano alla periferia della cellula; in tali sezioni si rinvengono pochi condrioconti foggiati a ba- stoncino od a semiluna (Fig. 9). I granuli di secreto sono molto scarsi. Nel segmento a bastoncini i filamenti hanno il solito an- damento. Nel marzo lo stato di torpore dell' animale è sempre lo stesso; l'attività secretoria non aumenta ed i granuli di secre- zione che si riscontrano non accennano ad aumentare di nu- mero e si mantengono all'altezza del nucleo. Tutto il citoplasma appare occupato da un numero gran- dissimo di condrioconti brevi e tozzi, dei quali molti assumono 6 Anna Vivant! l'aspetto di mitocondri; essi non hanno un' orientazione de- finita, né predominano in una zona piuttosto che in un'altra, e non si sovrappongono mai. Le osservazioni che si riferiscono a preparati ottenuti con individui sacrificati verso la metà di aprile dimostrano che la funzione secretoria è di poco variala; i granuli che si notano nelle cellule sono scarsi, di volume vario ed irregolarmente distribuiti; si trovano ordinariamente al disopra del nucleo, ma non molto discosti da esso, ed anche al disotto, disposti a guisa di coroncina, lungo il margine nucleare (Fig. 10). In quasi tutte le cellule il condrioma si mantiene abbon- dante; i condrioconti per lo più si intrecciano (Fig. 11), ma talvolta sono scarsi, isolati ed orientati con prevalenza lungo l'asse maggiore della cellula (Fig. 12). Essi non raggiungono mai l'orletto striato. Alla fine dello stesso mese le cellule, poco rigonfie, con citoplasma trasparente, omogeneo e spesso vacuolizzato, hanno un nucleo grande e vescicolare. I condriosomi appaiono con la solita frequenza: nelle cellule sezionate superficialmente ho veduto condrioconti lunghi e sottili attraversare senza inter- ruzione un tratto considerevole del corpo cellulare (Fig. 13), in altre invece li ho osservati sotto forma di filamenti tozzi, corti e con l'aspetto di mitocondri. Nel segmento a bastoncini per- mane la solita disposizione dei filamenti condriosomici in serie parallela; in qualche cellula però si notano parecchi mitocondri, e tra questi mi fu dato distinguere alcune piccole sfere colo- rate dall' ematossilina ferrica più intensamente alla periferia che al centro, le quali credo siano destinate a trasformarsi in granuli di secreto. Nel maggio si osserva un aumento, ma poco considerevole, di granuli di secreto. Le cellule ad orlo striato sono ora molto rigonfie, sporgono come lunghe protuberanze frangiate nel lume cellulare, lasciando uno spazio chiaro tra l'ima e l'altra. Il pro- toplasma in alcune cellule è molto vacuolizzato, in altre meno; ha sempre un ricco condrioma costituito in minima parte da filamenti lunghi e per la maggior parte invece da filamenti corti, bacilliformi e da mitocondri sparsi irregolarmente sotto e sopra al nucleo. Non si osserva mai un intreccio fra i con- drioconti; questi lasciano un alone chiaro alla periferia della cellula. Nel segmento a bastoncini le singole cellule, di cui i Sul comportamento dei condriosomi nel rene- del Triton ecc. 7 limiti non sono ben chiari, sporgono alquanto nel lume con il loro grosso nucleo, ed i condrioconti , con decorso rettilineo, occupano tutto il corpo cellulare aderendo anche alla mem- brana nucleare. Nel mese successivo il condrioma appare alquanto più ricco che in quello precedente. I condrioconti di rado sono lunghi e con decorso sinuoso; più spesso appaiono frammentati e, riunendosi a piccoli gruppi, si raccolgono in parte nella re- gione sottostante ed in parte in quella sovrastante al .nucleo (Fig. 14 e 15). In alcune cellule si notano anche mitocondri sparsi nel plasma. I granuli di secreto sono pochissimi. Nel segmento a bastoncini non tutti i tubuli hanno il me- desimo aspetto, ma presentano delle variazioni abbastanza no- tevoli che riguardano i condriosomi. Questi sono sempre in quantità considerevole, ma mentre in alcuni tubuli i condrio- conti mantengono per tutte le cellule la disposizione tipica di filamenti in serie parallela, ammassati in tutto il plasma, in altri invece mi fu dato osservare dei granuli nei sottili inter- stizi tra i condrioconti (Fig. 16). Nei mesi successivi non potei fare ulteriori ricerche; ag- giungerò ora i risultati ottenuti con gli animali sottoposti al digiuno per venti giorni, per trarre poi dalle mie ricerche al- cune conclusioni. I reni, fissati e colorati con il solito metodo, mi permisero di mettere in evidenza nella cellula ad orlo a spazzola un ric- chissimo e nitido condrioma, ove i filamenti, più o meno lunghi, con andamento flessuoso, occupano tutto il corpo cellulare, ad eccezione di una stretta zona nella regione apicale della cellula. Si intrecciano nel modo più vario e senza legge determinata formando per lo più un intricato groviglio sotto e sopra al nucleo ed aderendo al margine di questo. In ogni caso si ri- velano all'esame per la loro enorme abbondanza. Riscontrai pochissimi granuli di secreto. Nel segmento a bastoncini i con- drioconti hanno il solito andamento; i filamenti rigidi e retti- linei si estendono dall'alto al basso delle cellule, mantenendosi in serie parallela. In seguito a tale esame mi potei convincere che il con- drioma si comporta nella stessa maniera, sia in animali nor- mali, sia in animali sottoposti a digiuno prolungato. 8 Anna Vivanti Dal confronto tra il periodo più freddo e quello in cui la temperatura è più elevata, tra un periodo cioè di massima ed uno di minima attività dell'animale, mi pare risulti con evi- denza che gli elementi del condrioma non abbiano alcuna re- lazione col processo secretorio. Non ho mai riscontrato un parallelismo tra la presenza più o meno abbondante dei granuli di secreto e la quantità dei filamenti condriomitici ; né mai un massimo di accumu- lazione degli uni corrispondeva ad un minimo di accumulazione degli altri. I granuli di secreto sono sempre in numero molto scarso e mai superano quello degli elementi del condrioma; i primi non riescono in alcuna porzione della cellula a mascherare questi ultimi. II condrioma invece, sempre molto ricco, è soggetto nel rene del Tritoli cristatus a subire senza dubbio delle variazioni di sede, quantità e forma. Non si può assolutamente parlare di una forma tipica, per quanto con una certa frequenza appaia quella filamentosa, giacché, come abbiamo veduto, i suoi ele- menti si rivelano ora con l'aspetto di filamenti per forma e dimensione svariatissimi, ora con l'aspetto di granuli o mito- condri propriamente detti, mai però sotto forma di filamenti costituiti da più granuli allineati in serie o condriomiti. Risulta però manifesto che i condriosomi, sempre presenti, sia nella zona apicale che in quella basale della cellula, nei mesi freddi prevalgono sotto forma di filamenti lunghi e fles- suosi intrecciantisi fra di loro, mentre con l'avanzare della stagione appaiono bensì con l'aspetto di filamenti, ma per lo più frammentati, brevi, tra di loro indipendenti e moltissimi con la forma tipica di granuli. Ciò dipende certamente dal fatto che, con l'aumentare dell'attività secretoria, le cellule fornite di abbondante materiale di elaborazione si rigonfiano, causando una frammentazione dei lunghi filamenti condriosomici e la scomparsa di quell'intreccio che si poteva notare in periodi anteriori. Ricordo in proposito le immagini osservate da Levi (1912) in oociti di Geotriton fuscus, che, con la scomparsa di grande quantità di materiale deutoplasmatico, presentavano i condrioconti non più aggruppati, ma ben individualizzati e bene discosti l'uno dall' altro. Più recentemente ciò veniva confermato dalla De-Castro (1918), la quale, studiando oociti di Albiirims Sul comportamento dei condriosomi nel rene del Triton ecc. 9 vide che, nel momento che questi erano forniti di abbondante vitello, il condrioma appariva costituito da innumerevoli con- drioconti di calibro uniforme e lisci che occupavano tutto l'oo- plasma. Tali variazioni che si rivelano nei tubuli del segmento a bordura striata si ripetono, per quanto con minore frequenza, nei tubuli del segmento a bastoncini. Queste trasformazioni avvengono indipendentemente sia dalla temperatura, sia dal- l' attività secretoria, giacché, come abbiamo veduto, si riscon- trano tanto durante il periodo freddo con una temperatura di 7° circa e quando l'animale si può ritenere come ibernante, quanto nei mesi più caldi , con una temperatura di 20° circa, quando J' animale si può ritenere in una fase di piena attività. Da queste ricerche sul rene del Triton cristatus, eseguite ripetutamente nel corso di due anni nelle varie stagioni, credo di poter giungere alle seguenti conclusioni : {.— Il condrioma si rivela nel Triton cristatus in qualsiasi fase di attività. 2. — I condrioconti appaiono come elementi variabilissimi e sono soggetti a cambiamenti di quantità, di sede e di forma. 3. — In nessuna cellula presa in esame ho veduto una ri- soluzione dei condrioconti in granuli di secreto. 4. — Esistono differenze notevoli tra i condrioconti ed i gra- nuli di secreto; questi appaiono solo temporaneamente, mentre quelli sono costanti ; inoltre i granuli di secreto hanno sempre un ma<ì<ùor volume e sono in molto minor numero dei mito- condri. 5. — Nel rene di animali a digiuno completo il condrioma presenta il medesimo aspetto che nel rene di animali nutriti. 6. — Tali reperti, per quanto non completati dal confronto con lo studio sul vivo, mi fanno ritenere che il condrioma non abbia alcuna parte nella funzione secretoria, e che i suoi ele- menti non si trasformino direttamente in granuli di secreto. Pavia, 10 luglio 1920. 10 Anna Vivanti Bibliografia 1913 Arnold, J. — Das Plasma der somatisctien Zellen ini Lichte der PJasmasomen- Gran illaidire und der Mitochondrien- forschung: Anat. Anz. Bd. ì3, p. \33. 1916 A z z i, R. — Sul comportamento (lei condriosomi del rene nel digiuno e sotto determinali stimoli ed in animali trattati con lecitina: Arch. Se. Med. Voi. W, p. 22. 1917 C a 1 a b r e s i, E.— Sul comportamento del condrioma nel pan- creas e nelle ghiandole salivari del riccio (Erinaceus en- ropeus l.) durante il letargo invernale e l'attività estiva: Arch. Ital. Anat. Embr. Voi. 17, p. 29. 1920 C a razzi, D. — Ancora sulla struttura del protoplasma: Rass. Se. Biol. Anno 2, p. ti. 1909 Champy, Ch. — A propos des mitochondries des cellules glandulaires et des cellules rénales: C. R. Soc. Biol. Paris, Tome 66, p. 185. 1918 Corti, A. --Per la tecnica e la conoscenza del condrioma: Areh. Ital. Anat. Embr. Voi. 16, p. 279. 1918 De'-C astro, E. --Sulla struttura dell'ovario nei Teleostei: Areh. Ital. Anat. Embr. Voi. 16, p. 1. 1911 1) u 1) reui 1, G. — 1. Les mitochondries des cellules adipeuses: C. R. Soc. Biol. Paris, Tome 10, p. fiS. 1911 — — — — 2. Transformation dircele des mitochondries en graisse dans les cellules adipeuses: C. R. Soc. Biol. Paris, Tome 70, p. 26l 1913 — 3. Le chondriome et le dispositif de 1' acti- vité sécrétoire: Arch. Anat. Micr. Tome Io, p. 53. 1910 Ho ve n, H. — Contribution à 1' étude du fonctionnemenl des cellules glandulaires. Du ròle du chondriome dans la sécré- tion: Anat. Anz. Bd. 31, p. 3Vò. 1911 Levi, G. --1. Sulla presunta partecipazione dei condriosomi alla differenziazione cellulare: Arch. Ital. Anat. Embr. Voi. 10, p. 16S. 1912 — — — 2. I condriosomi delle cellule secernenti: Anat. Anz. Bd. Ì2, p. 516. 1912 — — — 3. I condriosomi ned' oocite di anfibi: Monit. Z. Hai. Anno 23, p. 149. 1915 Lewis, W. H. --Lewis, M. R. — Mitochondria (and other cyloplasmic structures) in tissue cultures: Amer. Journ. Anat. Voi 17, p. 339. Sul comportamento dei condriosomi nel rene del Tritoli ecc. 11 1913 Lù n a, E. — Lo sviluppo dei plastosomi negli Anfibi: Arch. Zell- fprsch. Bd. 11, p. 583. 1910 M a y e r, A.— R a 1 h e r y, Fr.— Schaeffér, G.— Sur l'aspect et les variations des granulations ou mitochondries de la cellule hépatique: C. R. Soc. Biol. Paris, Tome 68, p. ff27. 1913 Mi slawsky, A. M. — Plasmafibrillen und Chondriokonten in den Stàbchenepithelien der Niere: Arch. Mikr. Anat. Bd. 8.3, p. 361. 1914 Pensa, A. — 1. Condriosomi e pigmento antocianico nelle cel- lule vegetali: Anat. Anz. Bd. i5, p. 81. 1919 — — — 2. Osservazioni di morfologia e biologia cellulare. Monit. Z. Ual. Anno 30, p. 181. 1910 P o 1 i e a r d, A. — Contribution à 1' étude du mecanisme de la sécrction urinaire.— Le fonctionnement du rein de la gre- nouille: Arch. Anat. Micr. Paris, Tome 12, p. 177. 1908 Regali d, Cb. — 1. Variations des formations mitocbondriales dans les tubes a culicule striée du rein: C. R. Soc. Biol. Paris, Tome 65, p. 1145. 1909 — — — 2. Participation du chondriome à la forma- lion des grains de ségrégation dans les cellules des tubes contournés du rein (chez les Ophidiens et les Ampbibiens): C. R. Soc. Biol. Paris, Tome 66, p. 105 ì. 1912 T e r n i, T. — Dimostrazione di condrioconti nel vivente: Anat. Anz. Bd. il, p. 511. 12 Anna Yivanti Spiegazione delle Tavole 1-2 Tavola 1 Fig. 1. — Cellula di segmento a bordura striala con l'orinazioni granulari sparse irregolarmente in tutta la massa citoplasmatica. Fissa- zione in liquido di Maximow - Levi, colorazione con l'ematossi- lina ferrica. Oc. 6comp. Obb. imm. — Koritska. Altezza tubo 16. 15 „ 2. — Cellula di segmento a bordura striata con grosse formazioni granulali nella regione basale e piccole nella regione mediana ed apicale. Fissazione in liquido di Maximow-Levi, colorazione all' ematossilina ferrica. Oc. 6 comp. Obb. imra.rrKoR. Altezza 15 tubo 1G. „ 3. — Cellula di segmento a bordura striala: condrioconti ammassati di preferenza nella zona basale. Animale sacrificalo nel dicem- bre. Oc. 12 comp. Obb. apocr. 1, 5 mm. Zeiss. Altezza tubo 16. Fissazione in liquido di Mùller, colorazione all' ematossilina ferrica. „ 4 — Segmento a bastoncini : condrioconti e formazioni granulari. Ani- male sacrificato nel dicembre. Fissazione e colorazione come la precedente. Oc 4 comp. Obb. imm.— Kor. Altezza tubo 16 lo „ 5 — Cellula di segmento a bordura striata: condrioconti e granuli di secreto. Animale sacrificato in gennaio. Fissazione e colorazione come sopra. Oc. 6 comp. Obb. imm.— Kor. Altezza tubo 16. I o „ 6 — Cellula di segmento a bordura striata: condrioconti corti, ricurvi e bene individualizzati. Animale sacrificato nel febbraio. Colo- razione e fissazione come sopra. Oc. 12 comp. Obb. apocr. 1,5 mm. Zeiss. Altezza tubo 16. „ 7 — Cellula di segmento a bordura striata: condrioconti raccolti nella zona mediana; alone chiaro tangenzialmente alla periferia. Animale sacrificato nel febbraio. Fissazione e colorazione come sopra. Oc. 12 comp. Obb. apocr. 1,5 mm. Zeiss. Altezza tubo 16. „ 8 — Cellula di segmento a bordura striala: condrioconti ammassati nella zona sottonucleare. Animale sacrificalo nel febbraio. Fissa- zione e colorazione come sopra. Oc. 12 comp. Obb. apocr. 1,5 mm. Zeiss. Altezza tubo 16. Tavola 2 „ 9 — Cellula di segmento a bordura striata: molti mitocondri e po- chissimi condrioconti. Animale sacrificato nel febbraio. Fis- sazione e colorazione come sopra. Oc. 12 comp. Obb. apocr. 1,5 mm. Zeiss. Altezza tubo 16. Sul comportamento dei condriosomi nel rene del Triton ecc. 13 Fig. 10 — Cellula di segmento a bordura striata: granuli di secreto dispo- sti a ino' di coroncina lungo il bordo nucleare. Animale sa- crificato nell'aprile. Fissazione e colorazione come sopra. Oc. 12 comp. Obb. apocr. 1,5 mm. Zeiss. Altezza tubo 16. .. 11 — Cellula di segmento a bordura striata: condrioma ricchissimo. Animale sacrificato nell'aprile. Fissazione e colorazione come sopra. Ce. 12 comp. Obb. apocr. 1,5 mm. Zeiss. Altezza tubo 16. „ 12 — Cellula di segmento a bordura striata : pochi condrioconli orien- lali secondo l'asse maggiore della cellula. Animale sacrificato nell'aprile. Fissazione e colorazione come sopra. Oc. 12 comp. Obb. apocr. 1,5 mm. Zeiss. Altezza tubo 16. „ 13 — Cellula di segmento a bordura striata: condrioconti lunghi e sot- tili orientali secondo l'asse maggiore della cellula. Animale sacrificato alla fine di aprile. Fissazione e colorazione come sopra. Oc. 12 comp. Obb. apocr. 1,5 mm Zeiss. Altezza tubo 16. „ 14— 15— Cellula di segmento a bordura striata: condrioconti fram- mentati. Animale sacrificato nel giugno. Fissazione e colora- zione come sopra. Oc. 12 comp. Obb. apocr. 1,5 mm. Zeiss. Altezza tubo 16. „ 16 — Segmento a bastoncini; tra i filamenti condriosomici sono in- terposti i granuli. Animale sacrificato in giugno. Fissazione e colorazione come sopra. Oc. 4 comp. Obb. ira ni. y? Kor. Altezza tubo 16. Ricevuto il 2 Novembre 1920- Finito dì stampare il 30 Maggio 1921. Ricerche sulla nutrizione dell' Anopheles claviger della dott.a Maria Genna Istituto (li anatomia comparata della P>. Università di Roma con la tavola 3 e cinque incisioni Sommario Introduzione. Alimenti. Alimenti dei maschi. Alimenti delle femmine. Alcune condizioni di presa dell'alimento. Digestione del sangue. Il processo digestivo osservato dall'esterno. Il processo digestivo osservato dall'interno. Digestione di alimenti diversi dal sangue. Conclusioni. Introduzione Ho fatto oggetto del mio studio alcune questioni non ben definite o non ancora trattate riguardanti la nutrizione del- V Anopheles claviger, dato lo speciale interesse che presenta il modo di nutrirsi di questa zanzara, appartenente al genere da cui dipende la diffusione dell' infezione malarica 1). Riunisco le mie ricerche in tre gruppi: quelle del primo gruppo vertono sull'alimentazione in generale; quelle del se- condo e terzo gruppo vertono sul processo digestivo propria- mente detto del sangue e di altri liquidi. Ho considerato que- sto processo esclusivamente dal punto di vista morfologico, tendendo a mettere sopratutto in evidenza da una parte le modificazioni dell'epitelio dell'intestino medio, come di quello J) Una nota preventiva sull'argomento è stata da me pubblicata nei Read. Acc. Lincei, Voi. 29 p. .~ì01, 19W. Art. 2 16 Maria Gonna che ha maggioro importanza nella l'unzione della digestione del sangue e del suo assorbimento, dall'altra l'importanza dei succhiatoi nell'alimentazione con liquidi diversi dal sangue. Le ricerche di natura essenzialmente biologica e sperimen- tale sono state eseguite in gran parte nei mesi di luglio e di agosto del 1919, presso la stazione antimalarica di Fiumi- cino, diretta dal Prof. Sen. B. Grassi, al quale sento il do- vere di esprimere i miei ringraziamenti per la liberalità con la quale mise a mia disposizione tutti i mezzi tecnici necessari per lo svolgimento delle esperienze e delle osservazioni e per i preziosi consigli coi quali accompagnò le mie ricerche. Le indagini microscopiche sono state eseguite dall'ottobre 1918 al maggio 1920, presso l'Istituto di Anatomia Comparata di questa R. Università, dove ebbi affettuoso aiuto dalla Prof. A. FoÀ e per il quale le sono vivamente grata. Alimenti Il genere di alimentazione è differente per i due sessi. Questa differenza trova la sua ragione nella diversità della loro funzione biologica, in rapporto specialmente alla conservazione della specie. Il maschio, difatti, ha una vita breve, perchè, com- piuta la fecondazione, è finito lo scopo della sua esistenza ; mentre la femmina deve anche maturare le uova ed eventual- mente svernare. Alimenti dei maschi. — Si ritiene da alcuni che i maschi degli anofeli si nutrono anche di succhi di erbe. Questa opi- nione però non sembra ben fondata ; difalli all'esame micro- scopico del loro apparalo digerente non si trova mai clorofilla, né amido, né cellule vegetali. Mettendo i maschi nati in cat- tività in apposito barattolo di vetro coperto con garza, in pre- senza di rametti di Juniperus macrocarpa e di Phyllirea va- riabilis (piante che costituiscono gran parte delle macchie sem- pre verdi della spiaggia di Fiumicino e sulle quali al crepu- scolo sono stati visti posarsi gli anofeli liberi), di erbe grasse e di altre piante raccolte lungo i canali dove VAnopheles si sviluppa, come Eaphorbia lerracina, l) Amaranthus relroflexus, Sporobuhis piingens, gli anofeli sono morti tutti dopo qualche giorno, senza essersene mai nutriti. ') Queste erbe mi sono state gentilmente classificate dal prof. Carano. Ricerche sulla nutrizione dell' Anopheles claviger 17 Il giudizio di inanizione, già evidente all'esame esterno per la secchezza dell' addome, è stato confermato dall' esame mi- croscopico a fresco degli intestini e dei succhiatoi, i quali fu- rono trovati tutti .vuoti. Potrebbe obiettarsi che la condizione di cattività possa avere influito a determinare il rifiuto da parte degli anofeli a nutrirsi; però questa obiezione cade di fronte al fatto che gli anofeli maschi, nelle stesse condizioni di cat- tività, prendono succhi zuccherini, vivendo per un lungo pe- riodo di tempo. Un anofele maschio, nato in una vaschetta in cui tenevo larve e ninfe, onde mi fosse facile avere sempre del materiale pronto per gli esperimenti, è stato messo in apposito barattolo in presenza di un batuffoletto imbevuto di acqua e zuc- chero e poi di un pezzetto di pera cotta e successivamente di acqua zuccherata; l'insetto se ne è nutrito ed è vissuto diciotto giorni. Un altro anofele maschio, subito dopo la nascita messo in presenza di erba grassa, l'ha rifiutata ostinatamente ; dopo qualche giorno, sostituita l'erba con un batuffoletto di cotone imbevuto di acqua e zucchero, vi si è attaccato avidamente e con questo nutrimento è vissuto ventidue giorni. Quanto precede riguarda essenzialmente le condizioni spe- rimentali, cioè quelle di cattività. Nelle condizioni di naturale libertà, invece, sembra che l'anofele maschio si nutra pochis- simo o non si nutra affatto; difatti i maschi, osservati imme- diatamente dopo la cattura, mostrano nella quasi totalità un addome molto secco; all'esame a fresco dell'apparato digerente una piccola percentuale presenta nei succhiatoi un po' di li- quido frammisto a gas, mentre l'intestino è vuoto. In armonia con ciò sta l'atrofia di alcuni stiletti della proboscide e quella dell'intestino. Alimenti delle femmine. — Allo stato di cattività V Anophe- les femmina si nutre volentieri, oltre che di sangue fatto suc- chiare direttamente sugli animali, anche di soluzioni zucche- rine e di succhi di frutta; essa prende anche l'acqua semplice, ma, messa in presenza di un batuffoletto imbevuto di acqua zuc- cherata e di un altro imbevuto di acqua semplice, preferisce senz'altro il primo. Le anofeli femmine, come i maschi, non si nutrono di succhi di erbe : alcune di esse digiune, catturate in un porcile e messe in un barattolo in presenza di quelle stesse piante di cui mi sono servita per gli analoghi esperimenti per i maschi, Archivio Zoologico Italiano Voi. X. 2 IN Maria Genna sono morte dopo alcuni giorni, senza aver preso affatto cibo. Anche con le foglie di Sambnciis ebuliis, delle cui drupe pren- dono volentieri il succo, l'esperimento ebbe esito negativo. An- che qui il giudizio di inanizione venne confermato dall'esame microscopico. In condizione di naturale libertà, l'alimento prediletto dalle femmine è il sangue dell'uomo e quello degli animali dome- stici; infatti quelle catturate nelle case, nelle stalle e nei porcili si trovano o coli' intestino vuoto, o più o meno ri- gonfio di sangue ; rarissime sono quelle che si nutrono di altre sostanze. L'alimentazione di sangue è in condizioni na- turali necessaria alla maturazione delle uova; quindi nutrirsi di sangue è per la zanzara un bisogno fisiologico, istintivo, per la conservazione della specie. Anofeli di ambedue i sessi, nati in cattività, messi in pre- senza di frutta, volentieri se ne nutrivano; ma le femmine non maturavano le uova; all'esame microscopico risultava che la femmina non era fecondata; la condizione di cattività, infatti, pare che non sia favorevole alla fecondazione di questi insetti. Che la mancata maturazione delle uova fosse dovuta al genere d' alimentazione e non alla mancata fecondazione fu poi pro- vato dal fatto che anofeli prese nei porcili e sicuramente fe- condate si nutrivano abbondantemente di succhi di frutta, senza mai maturare le uova. Dunque 1' alimentazione zuccherina è insufficiente alla ma- turazione delle uova, mentre è sufficiente quella del sangue. Ma, quest'ultima, se è sufficiente, è anche indispensabile? Sens S. Iv. l) sostiene che non lo è. Egli dice che " l' ipotesi che il sangue sia necessario alle femmine dei culicidi per la formazione delle uova cade dinanzi al fatto che femmine di Stegomyia albopicta, sgusciate in cattività e nutrite con latte e peptone addolcito con zucchero di canna, hanno deposto regolarmente le uova „. Si può obiettare, in primo luogo, che il risultato dell' esperi- mento sulla Stegomyia non può estendersi senz'altro all' Ano- pheles. In ogni modo 1' esperienza di Shns. S. K. proverebbe che il sangue, essendo sostituibile con il latte peptonizzato e 1) Sens, S. K. - Benginnings in insect Physiology and their economie significance : " Agr. II. India. „ Pisa Voi. 13, N 4, p. 6W , 1918 (citato in Rivista di Biologia, maggio-agosto 1919, p. 479). Ricerche sulla nutrizione dell' Anopheles claviger 19 zuccherato, non contiene sostanze specifiche indispensabili per la maturazione delle uova. D'altra parte, questo latte modifi- cato avendo in comune con il sangue ricchezza in sostanze pro- teiche, si può pensare che siano queste sostanze, necessarie per 1' accrescimento di tutti gli organismi, che lo fanno preferire istintivamente ai succhi zuccherini da parte delle femmine per la maturazione delle uova. Alcune condizioni di presa dell' alimento. — L' Anopheles femmina appena nata presenta un addome rigonfio , che nel- 1' estate si mantiene per circa 24 ore. In questo stato essa non pensa a nutrirsi, ma lascia trascorrere un tempo più o meno lungo, secondo la stagione. Io riuscii a farmi pungere da un'a- nofele dopo 5 ore dacché era nata, ponendola in una piccola provetta aderente al braccio; però se le anofeli, anzicchè essere costrette in provettine, vengono lasciate libere in una stanza, trascorre qualche giorno prima che vengano a pungere. È da notarsi che le anofeli per pungere non hanno bisogno di essere fecondate, contrariamente a quanto si ritiene da qual- cuno : io, che ho dovuto compiere parte delle mie esperienze con zanzare nate in cattività, per evitare il pericolo di un'in- fezione malarica, ho ottenuto sempre la puntura di anofeli raccolti all' uscita della spoglia ninfale e quindi sicuramente non fecondate. Il fatto che le zanzare libere che vanno a pun- gere sono generalmente fecondate non prova che la feconda- zione sia un fattore essenziale perchè la zanzara punga. In generale, le anofeli pungono quando hanno digerito completamente o quasi il cibo ingerito prima; però, se durante la suzione vengono allontanate, tornano a pungere fino a che non si sono saziate. Se le uova non sono mature, 1' anofele suc- chia volentieri, ma rifiuta ogni cibo quando le uova sono ma- ture o quasi. Ciò risulta, oltre che dall' esperimento (anofele con uova mature messe in presenza di cibi svariati), anche dall' osservazione di un grandissimo numero di zanzare cattu- rate a Fiumicino nella scorsa estate: quelle con le uova mature presentavano sempre 1' intestino vuoto. 20 Moria Gè una Digestione de! sangue La temperatura dell'ambiente ha una grandissima influen- za sul tempo che 1' anofele impiega perla digestione. Questa in estate può compiersi anche in soli due giorni, mentre nei mesi freddi ne occorrono parecchi. In luglio ed agosto, in uu casotto di legno posto sulla spiaggia di Fiumicino, la digestione si compiva in due giorni e mezzo; in un porcile, invece, dove la temperatura era sensibilmente più elevata, si compiva in 48-50 ore. Ho tenuto conto di quelle anofeli che avevano succhiato fino a riempirsi di sangue, perchè, se l' insetto, per una ragione qualsiasi, prende solo una piccola quantità di sangue, è natu- rale che la digestione si compie in un tempo molto minore. // processo digestivo osservato dall' esterno.-- Ho rivolto la mia attenzione al processo digestivo del sangue. In estate la digestione si compie molto rapidamente. In generale, in questa stagione, la femmina matura le uova dopo aver preso sangue una sola volta, per cui, seguendo il processo della digestione, si assiste al graduale sviluppo delle uova. Inoltre, allorché la zanzara si è nutrita di sangue, il suo addome lungo e cilindroide si rigonfia, talvolta sino a divenire globoso. Esso presenta un colore rosso più o meno vivo, secondo che l'insetto ha suc- chialo da poco o molto tempo; il sangue occupa un numero di segmenti dell' addome maggiore o minore, secondo che la digestione è meno o più avanzata. Lo svolgimento del processo della digestione si può seguire osservando dall'esterno l'insetto, nel cui addome lungo, sottile, cilindroide, si contano facilmente otto anelli. Per trarre appunto dalla osservazione esterna indicazioni precise sullo svolgersi nel tempo del processo digestivo, ho esaminato gran numero di Anopheles che venivano giornalmente catturate a Fiumicino, dividendole in gruppi, a secondo dello stato di ripienezza dell' addome, e inoltre ho seguito diverse zanzare nelle varie fasi della digestione , dal momento della presa del sangue sino alla sua completa scomparsa dall'inte- stino, per determinare a quante ore dalla presa del cibo ogni singolo grado di ripienezza dell' addome veniva a corrispon- dere. Ricerche sulla nutrizione dell' Anopheles claviger 21 In un I gruppo ho messo tutte quelle zanzare che pre- sentano I' addome completamente vuoto e le uova molto arre- trate nello sviluppo. A questo gruppo ho stabilito che appar- tengono zanzare appena nate e zanzare che hanno di già suc- chiato, digerito e deposto le uova (Fig. 1). Fig. 1. — Disegno sche- matico : aspetto esterno della femmina di anofele con addome cilindroide, privo di sangue e con le uova molto arretrate nel- lo sviluppo (I stadio). Sarwud ma~ - -Lmi Fig. 2. — Disegno schematico : aspetto esterno della femmina di anofele con addome rigonfio di sangue e uova in via di sviluppo (li stadio). — Lina: limite massimo che può occupare il sangue in questo stadio. — Lini : limite minimo che può occupare il sangue in questo stadio. In un II gruppo si trovano tutte quelle anofeli che pre- sentano 1' addome rigonfio del sangue succhiato: questo, che forma una massa di aspetto trapezoidale, guardando l'animale lateralmente, lascia liberi alcuni dei segmenti posteriori dell' ad- dome e precisamente due o tre ventralmente e da due e mezzo a cinque e mezzo dorsalmente. Le uova cominciano a crescere. In questo stato si trovano le anofeli dacché hanno succhiato sino a tutto il primo giorno e mezzo della digestione (Fig. 2). Nel III gruppo il sangue, che ha un colore nerastro, occupa nell'addome dell'anofele un terzo circa del volume primitivo. Esso lascia liberi da due e mezzo a tre segmenti ventralmente e da sei a sette dorsalmente. Le uova sono di molto sviluppate. 22 Maria Genna L'anofele si trova in questo stato da un giorno e mezzo a due dacché ha succhiato sangue (Fig. 3). In un IV gruppo vediamo che il sangue ingerito è ridotto solo alla regione ventrale;. sono liberi tutti i segmenti dorsal- mente e tre o quattro ventralmente. Le uova sono quasi ma- ture. Le anofeli si trovano in questo stato da due giorni a due giorni e mezzo dacché hanno succhiato il sangue {Fig. 4). Oà nr/ue Fig. 3. - Disegno schematico : aspetto esterno della femmina di anofele con addome con sangue e con le uova grosse. (III. stadio). — V : superficie occupata dalle uova. — Zina: limite massimo che può occupare il sangue in questo stadio. Lini: limite minimo che può occupare il sangue in questo stadio. Fig. 4. — Disegno schemati- co : aspetto esterno della fem- mina di anofele con addome che presenta sangue limitato solo in alcuni segmenti ven- tralmente e uova quasi ma- ture (IV stadio). U: super- ficie occupata dalle uova. In un V gruppo, il sangue, completamente digerito, non è più visibile dall'esterno. Le uova sono apparentemente ma- ture. Le anofeli si trovano in questo stato, nell'estate, appena terminata la digestione, cioè dopo due giorni e mezzo circa. (Fig. 5). Ricerche sulla nutrizione dell' Anopheles claviger 23 77 processo digestivo osservato dati interno. — Come in tutti gli insetti, così anche nell' anopheles, i principali fenomeni della digestione e dello assorbimento si compiono nell'intestino medio. Difatti, nell' epitelio che riveste questo tratto del tubo digerente si verificano notevoli modificazioni morfologiche, delle quali io mi sono occupata in modo speciale. La via più razionale per studiare queste modificazioni è quella di osser- vare al microscopio le sezioni degli ano- feli nei vari stadi successivi del processo digestivo. Particolari difficoltà tecniche s' in- contrano nella esecuzione delle sezioni al microtomo del corpo di anofeli piene di sangue, per la resistenza offerta al taglio non tanto dal rivestimento chiti- noso del corpo dell' insetto, quanto dalla massa coagulata di sangue che ne riem- pie l' intestino. Ho tentato anche di fare le sezioni degli intestini fissati e isolati separatamente; ma , nel togliere l'inte- stino, il suo epitelio facilmente si altera. Però, malgrado tutto, dato il grande nu- Fig 5_ Disegno schematico mero di anofeli esaminati , mi è Stato aspetto esterno della femmina .... , ,, • i- • di anofele con addome eom- possibile ottenere delle serie di sezioni pletameirte privo di sangue, ri- sufficienti per studiare il comportamento gonfio di uova mature (V. sta- ,,,, ..i- • .• i j . -i dio). — 17: superficie occupata dell epitelio intestinale durante il prò- dalle uova cesso digestivo. Ora nello studio di queste modificazioni morfologiche, di- verse nelle varie fasi della digestione, come vedremo, mi sono sempre più convinta che anch' esse si possono dividere in vari stadi ben determinati e che appunto vengono a corrispondere più o meno esattamente agli stadi della digestione osservati dal- l'esterno; onde ritengo ben fondata una divisione del pro- cesso digestivo del sangue nell'anofele, durante il periodo estivo, in cinque stadi successivi. Questi stadi differiscono tra di loro essenzialmente per 1' aspetto e- sterno dell' addome e per le modificazioni dell' epitelio dell' in- testino medio e sono diversi secondo il grado di maturazione delle uova. Ognuno di essi corrisponde ad un certo periodo di 24 Maria Genna tempo dall' inizio del processo digestivo, periodo di tempo che, come ho detto, ho determinato sperimentalmente durante i mesi di luglio e agosto. Nel I stadio, cioè allorché l'insetto presenta l'intestino vuoto e uova molto arretrate nello sviluppo, il tratto ristretto del- l' intestino medio *) si estende in gran parte nel torace e per quasi i primi due segmenti dello addome. L'epitelio della parte ristretta presenta una secrezione evidentissima, visibile anche a piccolo ingrandimento (fig. 1); le cellule di questo tratto hanno una forma cilindrica regolare, sono alte, con un grosso nucleo, fornito di membrana, e presentano un orletto di ciglia. Il pro- toplasma è denso ugualmente in tutta la cellula e, con la doppia colorazione con ematossilina ed eosina, assume un colore rosa violaceo. Alcune di queste cellule sono in piena attività: pre- sentano delle gocce di secreto che non si colorano né con 1' eosina né con 1' ematossilina e che si staccano dalla parete intestinale, lasciando nella cellula come una boccuccia pur essa incolora. L'epitelio della parte dilatata è tutto ripiegato e villoso; i villi sono determinati dall' aggruppamento di cellule allun- gatissime, in perfetto stato di riposo, scarse di protoplasma, con nucleo molto grande. Per questo l'atto i nuclei delle varie cellule rimangono molto avvicinati tra di loro. I nuclei sono forniti di membrana e presentano la cromatina in parte ade- rente alla parete e in parte raggruppata al centro in modo da assumere l'aspetto di un nucleolo. (Fig. 2). Il II stadio si differenzia subito dal primo per la presenza del sangue, il quale vi è pervenuto dopo essere passato in un primo tempo nei succhiatoi (Fig. 4). Allora il tratto medio del- l'intestino si presenta rigonfio; la parte dilatata anteriormente occupa quasi tutti i segmenti dell' addome, mentre quella ri- stretta si estende nel torace e per breve tratto nella parte an- teriore dell'addome. Le cellule della parte ristretta non pre- sentano più alcun secreto, a differenza di quelle della parte dilatata, nelle quali appare la secrezione. In questo stadio nella massa del sangue, che assume una colorazione rosa con l'eosina, si possono distinguere abbastanza J) Per l'anatomia dell'apparalo digerente dell'anofele si veda: Grassi, G. B. — Studi di uno zoologo sulla malaria : Roma, 1901. Ricerche sulla nutrizione dell' Anopheles claviger 25 bene i corpuscoli rossi e le varie forme di nuclei dei globuli bianchi colorati in bleu dalla ematossilina.. Contemporanea- mente l'epitelio della parte dilatata dell'intestino medio si mo- stra fortemente appiattito. La parete delle cellule che guarda il lume intestinale ha evidente un orletto, che si colora in rosa con la eosina; attraverso questo fuoriescono dalle cellule le gocce di secreto, che sono rotondeggianti e assumono una co- lorazione in bleu con l 'ematossilina. Questa secrezione la tro- viamo nel tratto posteriore della parte dilatata ; essa comincia dapprima in quella parte dell'epitelio della parete intestinale che è in rapporto agli ovari e poi si estende dorsalmente (Fig. 3). Nel III stadio il maggiore sviluppo delle uova, che occu- pano gran parte dell'addome, fa sì che il lume della parte dilatata dell'intestino medio è più limitato posteriormente. La massa del sangue è sempre bene evidente, però si presenta molto modificata nella parte che è in contatto con 1' epitelio intestinale e soprattutto nella sua parte posteriore. Il trattori- stretto dell'intestino si estende solo nel torace e un po' anche nell'addome; esso presenta nel suo lume una grande quantità di secreto, le cui gocce hanno un'aureola bianca incolora, tal- volta contenente dei granulini colorati in bleu con l'ematossi- lina. Le cellule dell'epitelio che rivestono questo tratto di inte- stino, in questo stadio, sono piuttosto alte, fornite di un orletto di ciglia nella parte guardante il lume intestinale; il loro nucleo è grande, vescicolare con poca cromatina lungo la parete e al- quanta, invece, raggruppata nel centro. L'epitelio della parte dilatata non è così appiattito come nel precedente stadio; le cellule sono più alte, con un proto- plasma vacuolizzato e un nucleo ricco di cromatina. In questo stadio esse non presentano secreto alcuno. Nel IV stadio, nel quale le uova sono grosse, quasi mature, il sangue è molto modificato, tanto da non riconoscersi più : nelle sezioni con doppia colorazione con ematossilina e con eosina, guardate al microscopio, appare trasformato in una massa grigia bluastra ; i globuli sono totalmente scomparsi. Il tratto ristretto dell'intestino si estende nel torace e per circa i primi due anelli dell' addome ; esso non presenta affatto secreto ed ha il solito epitelio cilindrico, cibato, con grossi nuclei. 26 Maria Germa Il tratto dilatato è molto meno rigonfio che non nel pre- cedente stadio ed è ricchissimo di secreto in tutta 1' estensione del suo epitelio ; questo secreto è in forma di goccioline, che si colorano intensamente in bleu con l'ematossilina. L'epitelio è molto alto; le cellule non presentano una parete ben distinta e il protoplasma è vacuolizzato. Nel V ed ultimo stadio l'intestino si presenta completa- mente privo di sangue e le uova, a differenza che nel I stadio, sono molto grosse, mature. Oltre che per la grossezza delle uova, questo stadio si distingue dal primo per una differenza funzionale: la secrezione, che abbiamo visto essere abbondante nel tratto ristretto nel primo stadio, manca in questo quasi del tutto. Il tratto ristretto si estende oltre che nel torace, anche nei due anelli anteriori dell'addome; il suo epitelio risulta di cellule cilindriche regolari, col solito orletto di ciglia. L'epitelio della parte dilatata è tutto ripiegato; le cellule sono allungate; non si distingue bene la parete di separazione fra cellula e cellula, onde l'epitelio ha quasi l'aspetto di un sincizio. Il protoplasma è granuloso , vacuolizzato ; i nuclei stanno generalmente nel centro della cellula e presentano quasi tutta la cromatina addensata nel centro. In alcune sezioni si notano come due piccole masse, di dubbio significato, addos- sate ai due Iati opposti della parete nucleare; esse si colorano con l'ematossilina. Questa divisione, da me fatta in base ad osservazioni ed esperimenti, può dare un'idea dei mutamenti principali che si verificano nel corpo dell'anofele durante la digestione del san- gue. Naturalmente non si passa d'un tratto dall'uno all'altro stadio, ma attraverso a tutta una serie di passaggi graduali. Così, se esaminiamo un' anofele fissata mentre succhiava, si vede come il sangue nel tratto ristretto dell'intestino viene a frammischiarsi al secreto, che qui trova abbondante; conti- nuando ad osservare le zanzare fissate subito dopo che hanno finito di succhiare, e poi dopo mezz' ora, dopo un' ora, dopo due ore e così via, si vede che il sangue lascia a poco a poco la parte ristretta, per raccogliersi in quella dilatata. In questa vediamo, già dopo mezz'ora dall'ingestione del sangue, inco- minciare a comparire qualche goccia di secreto, dapprima cor- rispondentemente alla parte posteriore ventrale adiacente agli Ricerche sulla nutrizione c\elY Anopheles claviger 27 ovari; poi il secreto gradualmente aumenta e si estende anche nella parte dell'epitelio posteriore dorsale. Pertanto, considerando sinteticamente le caratteristiche mo- dificazioni morfologiche dell'epitelio dell'intestino medio nei vari stadi, scaturisce chiaramente che vi è un'alternanza di funzione secretiva fra la parte ristretta e quella dilatata: quando è in attività l'ima, è in riposo l'altra. Inoltre le goccioline di secreto delle due parti hanno diverso aspetto e si comportano in modo diverso rispetto alle sostanze coloranti. In accordo con quanto si sa per altre forme d'insetti, è possibile che il secreto della parte ristretta serva ad attivare o a preparare la secrezione di quello della parte dilatata. Probabilmente, mentre il tratto ristretto ha solo funzione di secrezione, il tratto di- latato ha funzione secretiva e di assorbimento; difatti, il sangue si trova nel tratto ristretto solo per pochissimo tempo, quasi di passaggio, per fermarsi definitivamente, nel tratto allargato ; con ciò è in armonia la differenza di aspetto degli epiteli relativi. Concludendo: la digestione del sangue ne\V Anopheles si compie nella porzione dilatata dell'intestino medio, e precisa- mente comincia nella parte posteriore di quest'ultima, pro- cedendo poi in avanti. La massa del sangue subisce i processi digestivi gradualmente dalla periferia verso il centro. Ciò si può osservare seguendo il processo digestivo, oltre che col microscopio a mezzo di sezioni di anofeli e coli' os- servazione esterna del corpo dell'insetto, anche coli' esame a fresco del suo apparecchio digerente nei vari stadi. Con questo esame si vede che il sangue è nero superficialmente e nella metà posteriore, mentre internamente e anteriormente si mantiene rosso vivo. Secondo Schaudinn (1) la massa di san- gue non verrebbe a diretto contatto con le cellule dell'epitelio, ma ne sarebbe separata da una membrana gelatinosa che lo avvolge; attraverso questa membrana avverrebbe lo scambio fra sangue e cellule. Sempre secondo Schaudinn , le sostanze non assorbite del sangue assumono l'aspetto di granuli cri- stallini giallo-bruno fino a nero, che rifrangono la luce; quando la digestione è quasi terminata, essi si trovano come conte- nuto dello stomaco e vengono man mano trasportati verso 1' intestino posteriore. !) Arbeiten aus dem kaiserlichen Gesundheitsamte, 20 Bd. p. WS. 28 Maria Genna Nella seguente tavola riassumo le caratteristiche sia esterne che interne di ciascuno stadio : « - .-H = ~z — C3 o o br CO = ~ 4! - 01 1 =->' «="2 t, — -* Q '_' o <-H - e - in 4> -v ri 83 r. - — ~ — o 41 ~. - o 4) — a — ed co Oh 3. cu •§* O cu cu e ■S-2 2 O ci 3 ^> Suo ci O o « 3 •ri -ri ~-« — ci "-1 o E > 3 "3 N CU «■> — So ° s o.2 3 +-1 o ^ .3 'oc se 3 o£ ^ zz B ri co 3 et — Ori N C/3 i - O N-i 3 «o-— te ri ri c G~ 3 « cu M o 3-£ 5 ci g 'OC o o 3 '7 * ^ ■« co O - =C ri. O E o -e N.p- o 3 o CO rv o£ e e/; O co O e w o — 1 -ri e — i — 1 el tra creto — - ri 7*. o o — — co Si — ' 0) ^- CD "■ — C/3 ■1—1 C/3 ri ri z — ■ c e . CO 1 — aco u 3 O Jj u O c/3 *- E CS u — x ci « - — co (7) O G Ci o ri to il tretto tto di o co o C CO — 3 y r. co O co r =« ci co - u ,, 73 ^* ■— o « <_ o Zi s. ;_, 0) co C/3 C/3 3 « P ■ri — ■ ci ° O 73 ri _ oc: "Se ,, .2 w .ri -,.ri "3 cu ri o.S§ «è O O- ri 3 ^ > 1.TÌ o O ri 3 DCÌ.2 _o oTj o"T o o Is B "53 co ~ ai O -f-' ti rt CO «0 C CU C/3 S u ri p ri 3 3 E.3" Ì3 *J C71 r- ri ri > "" ^^ C/3 O O "Z u ryi rt o ^ — ntes n tu rte e C/3 3 «0 CU "F z3 i ~ i— — ■ F-~ ci co O o o ^ o — — 3 -M to in retto tratt to co ossili della to ma istret ere risi nel ere ii a t lio CU « r o CO *j ■* ^ "3 ri « ^ .ri -g 3 co letamente : cilindro 3 3^- « 3 31? T3 "ri E evi o ^ o .2 co r- S i sangue limi e ventrale : utti i segmen e e 3 o 4 ve npletaniente uè, rigonfio ' ure. 3* co Z 3 "3 io — — 55^3 C/3 — ^ Ci « ri 3CC Ofj— x 3 o"0- C/3 o--^ s °'J- ZJ M co a o HH 1— l p— 1 > p— i > aiisuus pp 3uo]isaSui B||9[) UUITJC1 oiìouns pp auoi}soSui u[ ocIoq Ricerche sulla nutrizione dell' Anopheles claviger 29 Digestione di alimenti diversi dal sangue Durante le ricerche sulla digestione dell'anofele, più volte m'è venuto il sospetto che la digestione del sangue e quella dei liquidi diversi da questo dovessero aver luogo in parli di- verse del tubo intestinale. Per definire la questione ho dovuto ricorrere a tutta una serie di esperienze dirette, giacché nulla in proposito è stato ancora da altri accennato. Difatti, all'esame microscopico delle sezioni di anofeli, nel caso in cui esse avevano succhiato sangue, questo si ritrovava nell'intestino, che appariva dilatato e il cui epitelio presentava le suddescritte modificazioni ; nel caso, invece, in cui le anofeli avevano succhiato altri liquidi, l' intestino medio appariva non dilatato, anzi, spesso, insolitamente ristretto, tanto da non di- stinguersi più, con un esame superficiale, la differenza tra la parte ristretta e quella dilatata (Fig. 5). Con 1' esame micro- scopico accurato si poteva stabilire però, in quest'ultimo caso, che le cellule del tratto posteriore avevano un aspetto un po' diverso da quelle del tratto anteriore, nel quale si notava la presenza di quel secreto che abbiamo visto trovarsi in tutti oli intestini di zanzare digiune e senza uova mature (I stadio), ed ancora si osservava una notevole dilatazione dei succhiatoi. Io avevo già constatato che i liquidi più o meno zuccherini, vengono assorbiti in molto minor tempo che non eguale quan- tità di sangue, nelle stesse condizioni d'ambiente. Inoltre, esa- minando a fresco l'apparato digerente di anofeli catturate, che all' osservazione esterna apparivano ripiene di liquido inco- loro, avevo notato che questo era sempre contenuto nei suc- chiatoi. Mettendo insieme tutti questi risultati dell'osservazione macroscopica e microscopica, risultava abbastanza fondato il dubbio che i liquidi diversi dal sangue non passassero o per lo meno passassero in minima quantità dai succhiatoi nell'in- testino medio. Per risolvere il quesito, non restava altra via che quella dell'esperimento. Mi sono provvista di un buon numero di anofeli sia maschi che femmine , in parte nati in cattività , in parte catturati, ì maschi nelle grotte, le femmine al crepuscolo, quando vanno nelle case a pungere. Ho dato loro da mangiare succo di bar- 30 Maria Genua babietole rosse zuccherato e succo di ciliege, liquidi che, pre- sentandosi intensamente • colorati, sarebbero stati facilmente osservabili, se fossero penetrati nell'intestino. Disposi tutti gli anofeli, che avevano succhiato una forte quantità di liquido, in varie provette ed esaminai a fresco il loro apparato dige- rente: di alcuni subito dopo la succhiata, di altre dopo un'ora, dopo due ore, fino a che il liquido non era più visibile dal- l'esterno. Questo assorbimento, nel periodo estivo, con una temperatura di 30° C, si compie in 24 ore circa; in settembre, quando la temperatura è meno elevata, in un giorno e mezzo. Ho trovato gli intestini non dilatati, spesso di un colore bianco gialliccio proprio dell' intestino digiuno, mentre il succhiatoio principale e quelli accessori presentavansi di un colore rosa o rosso secondo la qualità del liquido ingerito, e più o meno gonfi, secondo che era trascorso un tempo più o meno lungo dalla succhiata. La presenza di escrementi colorati mi in- dusse a ripetere ancora molte volte l'esperimento, servendomi di altri liquidi; dando da succhiare una soluzione di fuxina zuccherata, mi è stato possibile osservare come l'intestino medio, pur non essendo affatto dilatato, presentasse una leggera co- lorazione rosa. Probabilmente, essendo ben piccola la quantità di liquido che a poco a poco viene a passare nell' intestino medio, essa è poco visibile quando i liquidi non sono assai intensamente colorati. L' intestino del maschio e quello della femmina si com- portano a questo riguardo in modo del tutto analogo. In relazione con questo fatto si possono mettere certe os- servazioni, fatte da Schaidinn x), riguardanti il meccanismo dell' ingestione degli alimenti. Secondo Schaudinn, V Anopheles, quando succhia sangue, ri- sentirebbe inevitabilmente le conseguenze della presenza del- l'atmosfera di anidride carbonica che circonda il corpo degli animali, conseguenze consistenti in una eccitazione a contrarsi della muscolatura di tutto il corpo dell'anofele. Una prima contrazione generale avrebbe l'effetto di una compressione delle prime vie dell'apparato digerente (succhiatoi e ghiandole salivari), il cui contenuto gassoso o liquido verrebbe spinto all'esterno. Succederebbe, quindi, necessariamente, un J) Luogo citato Ricerche sulla nutrizione dell' Anopheles claviger 31 rilasciamento generale, durante il quale entrerebbe in contra- zione la muscolatura della faringe, con 1' effetto di spingere il sangue, proveniente dall' esterno, nei succhiatoi decompressi. Poscia si avrebbe una seconda contrazione generale, molto meno intensa della prima, con l'effetto di comprimere i suc- chiatoi, il cui contenuto sanguigno verrebbe spinto nell' esofago e quindi nell'intestino medio. Succederebbero, quindi, altre fasi di contrazioni, sempre meno intense, e di rilasciamento, con risultati analoghi. Nel caso dei liquidi diversi dal sangue, Schaudinn mette in rilievo che non si osserva la prima violenta contrazione. Ciò potrebbe esser dovuto alla mancanza dell' anidride carbonica, capace di eccitare la musculatura del corpo a contrarsi. In questo caso funzionerebbe soltanto la musculatura della faringe, con l'effetto di spingere il liquido nei succhiatoi. Si può arguire che, per la mancanza delle suddette contrazioni generali, il sangue non possa passare che con molta difficoltà nell' intestino medio; le eventuali contrazioni respiratorie normali del corpo dell' anofele, contrazioni indipendenti dalla presenza dell' ani- dride carbonica, non sarebbero sufficienti a spingere tutto il liquido dall'esofago e dai suoi diverticoli nell'intestino medio. Le idee di Schaudinn, quindi, si accorderebbero coi risultati delle mie ricerche, concorrendo a mettere in luce una diffe- renza essenziale nel modo di comportarsi dell'in- testino delle zanzare rispetto al sangue e rispetto agli altri liquidi. Per meglio studiare il comportamento dei succhiatoi e del- l'intestino medio rispetto ai due generi di alimentazione, ho tentato ripetutamente di far succhiare sangue all'anofele dopo che aveva succhiato piccole quantità di liquidi zuccherini; ma, malgrado l' insistenza, non vi sono finora riuscita. In caso po- sitivo, sarebbe interessante di osservare il comportamento del liquido accumulato nei succhiatoi di fronte al sangue entrato dopo. 32 Maria Genna Conclusioni I 1. — Gli anofeli sia maschi che femmine non si nutrono di succhi di erbe, come si afferma da alcuni AA., bensì di liquidi zuccherini (frutta, acqua zuccherata) ed eventualmente di acqua semplice. Queste ultime sostanze costituiscono l'alimento esclu- sivo del maschio, non però della femmina, la quale non matura le uova se si nutre esclusivamente delle suddette sostanze. 2. - - Non occorre che le femmine sieno libere e fecondate prima di succhiare sangue; anche quelle nate allo stato di cat- tività e vergini succhiano facilmente. 3. — La femmina quando ha le uova mature o quasi, non tende più a pungere fino a che non le ha deposte. 4. - - La femmina, se viene scacciata quando ancora non è sazia, torna a succhiare fino a riempirsi completamente di sangue. II 1. - - La durata della digestione dipende dalla temperatura ambiente, dalla quantità e dalla qualità del cibo ingerito. 2. — Il processo digestivo del sangue si svolge nell' intestino medio. In base all'aspetto esterno dell'addome, alle modifica- zioni dell'epitelio dell'intestino medio e al grado di matura- zione delle uova, si possono distinguere nel processo digestivo del sangue nell' anopheles, durante il periodo estivo, in cui l'animale matura le uova dopo una sola succhiata, cinque pe- riodi principali , come risulta dalla tabellina riassuntiva nel testo. In particolare, nell'intestino medio si ha una alternanza di secrezione fra la parte ristretta e quella dilatata. Il secreto della parte ristretta è differente da quello della parte dilatata; sembra che, mentre questa ha funzione di secrezione e di as- sorbimento, il tratto ristretto, invece, ha solo funzione di secre- zione. In accordo con quanto si sa per altre forme d' insetti è possibile che il secreto della parte ristretta possa attivare e preparare la secrezione della parte dilatata. Il processo digestivo del sangue, in complesso, si svolge dall' indietro all' avanti, dalla superficie della massa del sangue Ricerche sulla nutrizione dell' Anopheles claviger 33 che ha più diretto contatto con l'epitelio intestinale, verso il centro. 3. — Il modo di comportarsi dell' intestino dell' anofele nella digestione del sangue e in quella dei liquidi diversi dal sangue è hen differente: mentre il sangue, dopo poche ore dall' inge- stione, lascia completamente i succhiatoi, per raccogliersi nella parte dilatata dell' intestino medio, dove viene digerito, i li- quidi diversi dal sangue, invece, passano molto lentamente nell'intestino medio e la massa del liquido si trova nei suc- chiatoi anche dopo 24 ore dall'ingestione del cibo, cioè fin verso la fine della digestione. Archivio Zoologico Italiano Voi. X 34 Maria Genna Spiegazione della Tavola 3. Lettere comuni a tutte le figure. C.a., corpo adiposo E.L, epitelio intestinale I.m.. intestino medio I.p., intestino posteriore L.L, lume intestinale Nuc, nuclei Psucch , parete del succhiatoio Sb., sambuco Secr., secreto Sn., sangue T.d.int.m., tratto dilatato intestino medio T.r.int.m., tratto ristretto intestino medio T.m., tuboli malpighiani T.niusc, tunica muscolare della parete dell' intestino V., uova V.c, valvola cardiaca Fig. 1. 9 _ „ 4. Sezione longitudinale del tratto ristretto deirinleslino medio dell'anofele femmina (piando ha le uova molto indietro nello sviluppo e intestino vuoto ( I stadio ). Ingrand. obb. 5, oc. 3, Koristka. Sezione di un tratto di epitelio della parte dilatata dell'inte- stino medio dell'anofele femmina con uova molto indietro nello sviluppo (I stadio). Ingrand. obb. immers. — - , oc. 4 comp., Koristka. Sezione longitudinale di un tratto della parte dilatata dell'inte- stino medio di anofele femmina al II stadio (sangue nell'in- testino). Ingrand. obb. 5, oc. 3, Koristka. Sezione longitudinale dell' intestino medio e del succhiatoio prin- cipale di una anofele dopo due ore dall' ingestione del sangue : questo è in parte nel succhiatoio principale e in parte nel- l'intestino medio e int. post. Ingrand. obb. 2 oc. 1 Koristka. Sezione longitudinale dell'intestino medio e del succhiatoio prin- cipale di un'anofele che ha succhiato una drupa di Sambuciis ebnhis eia quasi 7 ore: il sambuco non è penetrato nell'inte- stino, ma trovasi nel succhiatoio che è dilatatissimo. Ingrand. obb. 2 oc. 3. Koristka. Ricevuto il 26 Novembre 1920— Finito di stampare il il 4 Giugno 1921 Sulle espansioni nervose negli organi ciatiformi dei barbigli del Barbo {Barbus plebejus Valenc). Ricerche del Dott. Pietro Lo Giudice Assistente nell'Istituto Zoologico della R. Università di Pavia con le tavole 4-5 Gli organi ciatiformi, scoperti dal Leydig (14) nella pelle di alcuni pesci d'acqua dolce, e studiati meglio in seguito da F. E. Schulze (27), hanno in questi ultimi anni acquistato an- cora una speciale importanza dal punto di vista sistematico per i lavori del Sanzo (28) e della Mortara (19), in quanto che essi organi, per la loro particolare distribuzione sul corpo dei Pesci, hanno un valore diagnostico nella determinazione della specie. Mentre ai bottoni terminali, detti anche epiteliali in senso lato, il Leydig attribuì il significato di organi di senso tattile, lo Schulze invece li ritenne meglio adatti alla percezione delle eccitazioni chimiche delle sostanze disciolte nell' acqua, piut- tosto che a quella delle azioni meccaniche, almeno per quegli animali per i quali l'acqua è il loro habitat naturale. Ormai gli Autori considerano gli organi ciatiformi dei Pesci e degli Anfibi come organi prettamente gustativi , e ciò non solo per la loro struttura del tutto simile a quella dei bottoni gustativi delle labbra, del palato, della lingua, ecc., e per i rap- porti di innervazione, ma anche perchè la loro funzione è stata sperimentalmente ricercata dal Nagel (20) e dall'HERRiCK (10). Del resto fin dal 1868 Io Schwalbe rilevava la grande concor- danza dei bottoni gustativi dei Mammiferi con gli organi cia- tiformi scoperti dal Leydig. Art. 3. liti Pietro Lo Giudice Queste esperienze sono suscettibili di critica : ma per porre una base ad una eventuale revisione, bo creduto opportuno far precedere allo studio sperimentale una più minuta analisi ana- tomica, soprattutto per quanto riguarda il modo di distribuirsi delle fibrille nervose ed i rapporti di queste con oli elementi costituitivi del bottone terminale. Per risolvere siffatti quesiti ho scelto i barbigli del Barbo, che, sorprendentemente ricchi di bottoni, sono un materiale assai adatto per simili ricerche. Infine debbo dire che ho creduto conveniente abbandonare l'espressione " terminazione nervosa „ adoperata dagli Autori che mi hanno precedute in simile studio, per adottare quella di " espansione nervosa „ [Ruffini (25-26)] che, per i più recenti risultati delle indagini sugli apparati nervosi periferici, risponde meglio all'esattezza dei fatti. Le prime ricerche sulle espansioni nervose nei bottoni ter- minali dei Pesci, per quanto mi risulta, furono fatte dallo Zim- mermann (30), il quale le ha studiate nel Fierasfer acus usando il metodo Ramon y Cajal. I risultati furono brevissimamente comunicali nel 6° Congresso di Anatomia tenutosi a Vienna nel 1892: L'À. ritiene le cellule sensitive del bottone di natura epi- teliale e pertanto paragonabili con quelle dell'organo del Corti, e non con quelle della mucosa olfattiva, le quali invece deb- bono essere considerate come cellule ganglionari rimaste nel- l'epitelio. La ragione di siffatta interpretazione, secondo 1' A., deve trovarsi nel fatto che egli non ha riscontrato nessun col- legamento tra le cellule sensitive del bottone con fibrille nervose. Contemporaneamente il Lenhosshk (16) metteva in evidenza, col metodo rapido di Golgi, nei bottoni gustativi della cavità della bocca di giovani Conger vulgaris di 12 cm. di lunghezza, una speciale forma di terminazione nervosa, denominata " cu- pida „, specie di coppa o tazza risultante di un ricchissimo e fitto reticolo di fibrille che in determinate circostanze circonda il polo inferiore del bottone. Più tardi lo stesso Autore (15), ritornando sul medesimo argomento, dimostrava che 1' apparato gustativo dei Pesci ri- sulta di bottoni terminali, i quali, a simiglianza di quelli dei Mammiferi, constano di cellule di sostegno e di cellule sensi- tive; quelle di forma cilindrica con l'estremità anteriore assot- Sulle espansioni nervose negli organi ciatiformi dei barbigli del Barbo 37 figliata e Ja posteriore espansa con 2-3 ramificazioni ; queste, all'opposto, a forma di bastoncino, con una parte più allargata in cui sta il nucleo, che si colora meno intensamente del resto della cellula. A ciascun bottone terminale arrivano 2-3-4 fibre nervose, le quali , giunte alla base del medesimo , si suddivi- dono ciascuna in 3-4 fibrille, che si espandono lateralmente, e quindi risalgono lungo la superficie esterna del bottone me- desimo, per terminare liberamente a pallina o semplicemente appuntite. Nel loro insieme queste fibre mostrerebbero la forma di un candeliere. Il Retzius (24) nella sua monografia sulle terminazioni ner- vose nei bottoni terminali dei giovani Gobius, Gasteroslens ed Anguilla, giunse alle stesse conclusioni dei precedenti Autori. Tanto nei bottoni gustativi della mucosa delle labbra e dei barbigli dell' Acipenser ruthenus e dell'A. Guldenstadti, il Do- giel (6) trova che a ciascun bottone arrivano, dal reticolo sub- epiteliale, fibre nervose midollate di differente specie: alcune, ordinariamente più grosse con varicosità di diversa forma, dopo avere perduta la mielina, si dividono alla base del bottone medesimo formando il reticolo subgemmale (subbasale) ; altre si distribuiscono all'interno del bottone gustativo e costitui- scono, circondando tanto le cellule di sostegno che quelle sen- sitive, il reticolo intragemmale; e finalmente altre fibre che, avvolgendo esternamente il bottone e dividendosi tra gli inter- stizi delle cellule epiteliali, formano rispettivamente il reticolo perigemmale ed il reticolo intraepiteliale. Il reticolo subbasale sembra essere più a diretto rapporto con le ramificazioni partenti dai processi centrali delle cellule gustative, e pertando, secondo il Dogiel, deve essere ritenuto, come una modificazione terminale dei nervi sensitivi di gusto. Il reticolo intragemmale sta in diretto rapporto col reticolo perigemmale e come questo dev'essere costituito di fibre sen- sitive. Il materiale che mi ha servito nelle presenti ricerche fu sempre preso dall'animale vivente. Fra i vari metodi adoperati (impregnazione cromoargen- tica di Golgi, metodo fotografico di Cajal, impregnazione aurica secondo Raffini - Ceccherelli, colorazione vitale al bleu di me- tilene di Erhlich) ho dato la preferenza a quello del Golgi, 38 Pietro Lo Giudice avendo ottenuto migliori e più costanti risultati. Dopo un sog- giorno di 24-48 ore dei pezzi nella miscela cromo-osmica e successivo passaggio per 2 giorni nella soluzione di Nitrato d'Argento al 0,75 % si avevano nitide impregnazioni , senza deposito di precipitati nell'interno del preparato, onde era pos- sibile seguire le singole fibrille per tutto il loro decorso tanto nel bottone quanto nell'epitelio ad esso circostante. I barbigli del Barbo, secondo la distinzione generalmente adottata del Blainville, sono, come si sa, un paio angolari ed un paio labiali. I primi, della lunghezza di 2 cm. circa, sono più lunghi dei secondi, ed entrambi hanno 1' aspetto natural- mente liscio, e la forma conica. Sovente i barbigli labiali pre- sentano all'apice una piccolissima appendice rivolta indietro, di maniera che questo appare bifido. Ho avuto anche occasione di osservare un barbiglio angolare provvisto verso la sua metà di un barbiglio accessorio. r) Nella parte assiale di ciascun barbiglio trovasi un grosso tronco nervoso, risultante di fasci situati gli uni accanto agli altri, il quale, dalla base all'apice, va sempre più assottiglian- dosi per il ripetuto e successivo distacco di numerosissime fibre. Attorno a questo tronco nervoso principale si nota uno strato di tessuto connettivo alveolare, formante logge e trab- becole più o meno ampie, ripiene di sangue. In ogni caso pos- siamo distinguere due zone separate 1' una dall' altra da una zona intermedia stretta formata di fibre connettivali longitu- dinali e circolari frammiste a fibre elastiche a decorso sinuoso. La zona connettivale esterna presenta areole relativamente piccole a pareti sottili, in mezzo alle quali se ne trovano altre proporzionalmente assai più vaste : mentre nella zona interna le areole stesse hanno un'ampiezza più uniforme, a pareti più inspessite, e che alla loro volta comprendono altre logge più piccole a pareti sottili. Questo tessuto ha dunque 1' aspetto del tessuto spugnoso, di natura erettile, per cui non senza ragione fu paragonato ai ') Negli esperimenti di rigenerazione dei barbigli dello stesso pesce ho avuto dei casi in cui il barbiglio presentava due rami principali e un altro ramo accessorio, per cui esso si mostrava tripartito. Sulle espansioni nervose negli organi ciatiformi dei barbigli del Barbo 39 corpi cavernosi della verga dei Mammiferi. (Desmoulins et Ma- GENDIE, JOBERT). Nella zona conneltivale esterna, in prossimità dello strato di fibre circolari, si notano altri piccoli fasci nervosi secondari. Distinguiamo pertanto nei barbigli due sorta di innerva- zione : una superficiale ed una profonda. All'innervazione super- ficiale provvede, come è noto, un ramo collaterale della branca del mascellare inferiore del trigemino; mentre a quella pro- fonda provvedono rami della branca mascellare superiore dello stesso nervo cranico. La porzione esterna del connettivo forma una serie di pa- pille coniche, la cui altezza decresce verso l'apice del barbi- glio, dove esse assumono piuttosto la forma di verruche. Dalla base dalle papille principali spesso prendono origine 2-3 pa- pille secondarie. Nella parte anteriore e laterale esterna del barbiglio nel connettivo subepiteliale si trova uno strato piuttosto denso di pigmento bruno o giallo scuro. I barbigli sono ricoperti da epitelio pavimentoso pluristra- til'icato. Esternamente esso non è perfettamente liscio, ma si notano piccoli rilievi , che sono messi in evidenza anche ma- croscopicamente col metodo di Sanzo (28) all'acido cromico. Questi rilievi, nella loro parte estrema, presentano un avvalla- mento a forma di imbuto, in fondo al quale lo strato epite- liale si arresta determinando così un'apertura quasi circolare (poro gustativo), dove si apre l'apice del bottone terminale. Questi bottoni occupano quasi i 2/3 esterni dell' epitelio, hanno la forma molto simile ad un fiasco con collo più o meno lungo; e mentre verso la base del barbiglio misurano circa 100 [x di altezza; man mano che ci avviciniamo verso 1' apice di esso, diventano più corti e meno voluminosi. La minore al- tezza in questo caso è principalmente dovuta all'accorciamento della parte più sottile del bottone. Essi sono ancora più ser- rati e più numerosi all'apice del barbiglio che alla base e si mostrano in maggior numero nella parte anteriore e laterale esterna del medesimo. Sono situati all'apice delle papille con la loro parte basale ; la estremità più stretta, come abbiamo visto, si apre alla superficie esterna dell'epitelio nel poro gu- stativo. 40 Pietro Lo Giudice Come è noto, i bottoni terminali risultano di cellule di sostegno e di cellule sensitive. Le prime, col metodo di Golgi si colorano più difficilmente delle seconde. In quanto al loro mutuo rapporto le cellule di sostegno non si trovano soltanto alla periferia del bottone in modo da comprendere le cellule sensitive, ma si trovano ancora nelle parti centrali di esso in- tercalate fra le cellule sensitive. Solo quelle della periferia sono incurvate verso l'esterno, mentre le centrali sono quasi diritte. A questo proposito le mie osservazioni coincidono con quelle del Dogiel (6) sui bottoni terminali dei Ganoidi. Le cellule di sostegno si presentano di forma allungata, quasi cilindriche, con margini frastagliati più o meno profon- damente ; si assottigliano gradatamente o bruscamente verso la parte anteriore ove si terminano a punta. Nella parte poste- riore invece si allargano in un'espansione che presenta 2-3 corti e robusti processi digitiformi, di cui alcuni stanno diret- tamente in rapporto con la papilla che sostiene il bottone. I processi terminali posteriori delle cellule di sostegno si divi- dono ancora in processi secondari più tozzi e più brevi che si intrecciano svariatamente con quelli delle cellule vicine della medesima specie, costituendo così una sorta di base su cui pog- giano le cellule sensitive. Verso il terzo posteriore di ciascuna cellula di sostegno si nota una dilatazione del corpo cellulare , entro la quale si trova il nucleo di forma ovale generalmente, talvolta anche rotondo, che, quando esse cellule rimangono impregnate col metodo di Golgi, si colora più pallidamente del resto della cel- lula stessa. Le cellule sensitive risultano di un corpo cellulare fusi- forme od ovale nel quale è compreso il nucleo, che, a simi- glianza di quello delle cellule di sostegno, si colora, nei pre- parati con il Golgi, molto pallidamente. Al corpo di queste cellule sono annessi due processi: uno centrale e l'altro periferico. Questo ha la forma di un baston- cino più o meno lungo, dipendendo la sua lunghezza dalla di- versa altezza alla quale è situato il corpo della cellula sensi- tiva, ma in ogni caso è sempre più lungo del processo cen- trale. Il processo periferico verso l'estremità esterna del bot- tone va sempreppiù assottigliandosi per terminare al poro gustativo piuttosto appuntito. Non ho osservato, come Dogiel, Sulle espansioni nervose negli organi ciatiformi dei barbigli del Barbo 41 per i Ganoidi una biforcazione di questo processo. Esso pre- senta alle volle lungo il suo percorso sinuosità ad angolo più o meno acuto, che io ritengo esser dipendenti dall'adattamento delle cellule sensitive ad una minore altezza del bottone. Il processo centrale o posteriore si presenta di forma dif- ferente secondo l'altezza alla quale si trova il corpo cellulare. Quando questo è più vicino alla base del bottone, allora quello è corto e tozzo, quando invece il corpo della cellula si trova pili in alto, il processo medesimo è lungo e sottile. Comunque, il processo centrale alla base del bottone si ispessisce alquanto e presenta 2-3-4 grosse e corte ramificazioni, qualcuna delle quali non di rado si suddivide ancora in 2-3 ramificazioni se- condarie della stessa natura Dirò in seguito del rapporto fra le cellule sensitive con le fibre nervose. Infine, anche nell'epidermide si trovano qua e là cellule ciatiformi isolate, ma in iscarso numero, più frequenti si mo- strano alla base che all'apice del barbiglio. Rapporto dei nervi con gli organi ciatiformi. — Dal tronco nervoso centrale traggono origine fasci di differente grossezza, che, dapprima scarsi, vanno sempreppiù aumentando di nu- mero, man mano che ci avviciniamo all'apice del barbiglio; cosicché il tronco principale va continuamente assottigliandosi finché alla punta del barbiglio, si risolve esso stesso in singole fibre nervose. Questi fasci in vario senso, ma sempre dall'alto in basso, si dirigono verso l'esterno, e raggiunta la parte infe- riore dell' epitelio, divengono più lassi, meno compatti, per il continuo staccarsi di ramuscoli più sottili od anche di sem- plici fibre isolate. Di queste fibre alcune si dirigono verso la papilla più vicina, altre continuano il loro cammino sempre nello strato subepiteliale insieme a ramuscoli e fibre prove- nienti da altri fasci. Dalla varia direzione dei ramuscoli e delle singole fibre, specialmente in corrispondenza delle papille, si forma un ricco e complicato intreccio nervoso subepiteliale. La Fig. 1, ripro- dotta da preparati trattati col metodo di Golgi, ci dà un' idea di questo intricato groviglio di fasci e di fibre; ma purtuttavia ci è possibile seguire 1' ulteriore destino tanto degli uni che delle altre. Delle fibre nervose che si dirigono verso la papilla, ^2 Pietro Lo Giudice come venne dianzi detto, nei preparati ottenuti col metodo di Golgi, se ne contano 5-6, mentre in quelli trattati col metodo di Cajal, se ne contano ancor dippiìi. Ad ogni modo però, esse si distinguono di due sorta : alcune sono midollate, più grosse delle altre e col trattamento di Golgi mostrano varicosità od ingrossamenti di diversa forma e grandezza, altre, già sprov- viste di midollo, sono sottili e lisce. Le prime si distribuiscono alla periferia del bottone terminale, le seconde penetrano in- vece nell'interno di esso; onde, per il rapporto che queste fibre contraggono col l'organo ciatiforme, distinguiamo fibre peri- gemma 1 i e fibre i n t r a g e m m ali. Fibre perigemmali e fibre interepiteliali o ultraterminali:— Osservando un buon preparato, ottenuto col trattamento del metodo di Golgi, si scorge che l'organo ciatiforme è racchiuso entro un certo numero di fibre nervose a decorso assai sinuoso, provviste di varicosità di forma e grossezza differente, e che hanno direzione quasi rettilinea dal basso verso l'alto rispetto all'organo stesso. (Fig. 2 e 6). Queste fibre provengono da quelle grosse e varicose staccatesi dai fasci sottoepiteliali e delle quali ho parlato più sopra. Queste fibre nel loro decorso dentro la papilla cominciano a dividersi in 3-4 fibrille più sottili ma sempre varicose, che, dopo aver perduto il midollo ad una di- stanza più o meno maggiore dalla base del bottone, raggiun- gono, per la maggior parte, con un percorso più o meno incli- nato, e sinuoso, la parte basilare dell'organo ciatiforme; mentre qualcuna di esse si dirige al contrario verso 1' epitelio circo- stante alla papilla e del cui destino mi intratterrò più avanti. Ciascuna fibrilla pervenuta alla base del bottone si sud- divide ancora in 2-3 rami, e tutti si espandono lateralmente in ogni senso variamente intrecciandosi fra di loro, formando una rete a larghe maglie, di cui però è possibile seguire il cam- mino di ogni singola fibrilla (Fig. 2-6-7). Per cui io non credo che sia il caso di parlare di un vero reticolo, ma piuttosto di un intreccio, in gran parte rassomigliante a quello subepiteliale, dato dal vario decorso e dalla sinuosità delle fibrille stesse. Tutte queste fibrille principali, raggiunto che abbiano l'e- stremo limite laterale del bottone, risalgono lungo le pareti esterne di esso, inviando, a differente altezza, ramificazioni la- Sulle espansioni nervose negli organi ciatiformi dei barbigli del Barbo 43 ferali, le quali, alla loro volta, possono ancora dividersi ulte- riormente. Mentre le fibre laterali principali hanno la spiccata ten- denza ad innalzarsi in senso quasi perpendicolare verso il poro gustativo, le successive ramificazioni hanno invece un decorso nello stesso senso piuttosto obbliquo, mentre qualcuna ha un decorso anche orizzontale; e ciascuna, dopo essersi variamente intrecciata con le altre, finisce per contrarre anastomosi con un'altra fibrilla proveniente da una diversa fibra laterale prin- cipale. Queste ultime, raggiunto l'apice del bottone, al limite del poro gustativo, ripiegano lateralmente e talvolta anche poste- riormente per entrare subito in rapporto di continuità con la fibra laterale della stessa specie più prossima od anche con una fibra secondaria, derivante però da un'altra fibra princi- pale, talvolta anche lontana. In maniera che queste fibre non terminano liberamente, come risulta dalle osservazioni degli Autori che mi hanno pre- ceduto in queste ricerche, ma costituiscono nel loro insieme una vera e propria rete chiusa, che avvolge esternamente l'or- gano ciatiforme. Ora siccome nella parte più ristretta dell'or- gano in parola, le fibrille secondarie, per loro direzione sono più numerose, ne viene che in questo punto il reticolo anzi- detto appare più sottile, più serrato, a maglie più strette che non nella parte più allargata dell'organo stesso (Fig. 6-7). Siffatto comportamento delle fibre perigemmali non è ben visibile in quei preparati trattati col metodo di Golgi, dove il bottone terminale è fortemente impregnato ; ma siimene in quelli nei quali o essi bottoni sono restati perfettamente inco- lori, ovvero si sono impregnate pochissime cellule o di soste- gno o sensitive. Sulla vera essenza delle anostomosi tra le varie fibre pe- rigemmali io credo che non vi possa essere dubbio di sorta, in quanto che il rapporto di continuità è chiaramente nitido e completo onde non si possa imputarlo ad imperfetta o par- ziale impregnazione delle fibre stesse. Quanto ho descritto circa il comportamento delle fibre perigemmali è illustrato dalle figure che corredano il presente lavoro. 44 Pietro Lo Giudice Nelle Fig. 3, 4, 5, (3 e 7 sono rappresentati dei bottoni terminali le cui cellule sono restate affatto impregnate o solo qualcuna ha subito l'azione del trattamento cromo-argentico. Sono però ben evidenti le fibre nervose. Nella Fig. 3 sono rappresentate tre fibre perigemmali che provengono dai fasci sottoepiteliali, le quali, dopo essersi espanse alla base del bottone, ne contornano verso l'alto la sua superficie esterna, inviando ramuscoli laterali, di cui, quelli verso il bottone, due a due entrano in anastomosi fra loro. Nella Fig. 4 è solo una fibra perigemmale restata impre- gnata. Questa, raggiunta la base dell'organo ciatiforme, si divide in tre fibrille principali le quali alla loro volta si suddividono in parecchi ramuscoli secondari. Fra due di essi si nota una perfetta relazione di continuità e dà l'aspetto come se si trat- tasse di un'unica fibra trasversale. Le Fig. 5-6 e 7 offrono caratteristiche interessanti sia sulla maniera assai complicata dell'intrecciarsi delle fibre perigem- mali alla base dell'organo ciatiforme, sia anche sul vario modo di anastomizzarsi delle medesime. Nella Fig. 5 sono riprodotti tre rami di una stessa fibra perigemmale, due dei quali sono riunite da una fibrilla trasversale, mentre uno di questi nel suo decorso verso 1' estremo apicale del bottone si ripiega verso l'esterno e va ad unirsi direttamente con il terzo ramo ascen- dente. Le Fig. 6 e 7 offrono un beli' esempio del complicato intreccio basale delle fibre in discorso , ed anche del reticolo perigemmale nella parte più ristretta del bottone. Si scorgono le fibre perigemmali principali ascendenti contrarre anasto- mosi non solo fra di loro, ma ancora fra fibrille secondarie provenienti da altri rami perigemmali ascendenti. Nelle papille composte, sulle quali gli organi ciatiformi sono alquanto ravvicinati fra loro, accade talvolta che una fibra perigemmale, prima di raggiungere la base di uno dei bottoni, si sdoppia provvedendo così un ramo al bottone vicino , il quale ramo si accompagna quindi alle altre fibre che a que- st'ultimo provengono dai fasci sottoepiteliali. Nella Fig. 1 e nella Fig. 2 si vede appunto una fibra divi- dersi in due altre e ciascuna avanzarsi verso uno dei bottoni. Ho precedentemente detto che nell'epitelio si trovano pure cellule ciatiformi isolate. Queste cellule vengono innervate da un ramuscolo che proviene da una fibra perigemmale. In si- Sullo espansioni nervose nc^li organi ciatiformi dei barbigli del limbo 45 mili casi difatti si scorge che da qualcuna delle libre perigem- mali, hin^o il suo decorso nella papilla, si slacca un piccolo ramo, che, attraverso l'epitelio, si dirige alla cellula ciatiforme. Questo minuscolo nel suo cammino può sdoppiarsi, però giunto alla base della cellula in discorso, esso si dirama in un certo numero di fibrille che avvolgono la cellula stessa in vario senso con delle ramificazioni secondarie. Si è visto più sopra che dalle prime divisioni delle fibre perigemmali entro la papilla, qualcuna di queste anzi che avan- zarsi verso il bottone, si dirige all'opposto verso l'epitelio cir- costante. Sono appunto queste ultime fibre che per distribuirsi fra gli elementi epiteliali furono chiamate interepiteliali od an- che ultraterminali. Però 1' origine di queste fibre dalle peri- gemmali non ha luogo soltanto nella papilla ma ancora dalle fibre perigemmali laterali che circondano il bottone. Le Fig. 5, 8 e 10 ci rappresentano il comportamento delle fibre interepiteliali ed il loro rapporto con le fibre perigem- mali. Nella Fig. 10 si osserva un plesso di fibre interepiteliali che si origina dalle fibre perigemmali nella papilla. Qualcuna delle prime si stacca da una delle seconde dalla base quasi dell'organo ciatiforme. La Fig. 5 mostra chiaramente l'origine di una fibra interepiteliale da una fibra perigemmale ascen- dente lungo le pareti del bottone. Nella Fig. 8 si osserva una fibra perigemmale che invia successivamente diversi rami fra gli elementi epiteliali, mentre una fibra interepiteliale raggiunge la base del bottone, lo circonda per un breve tratto lateral- mente e quindi replicatamente dividendosi, si distribuisce nel- l'epitelio adiacente al bottone. Del resto l'origine delle fibre interepiteliali dalle perigem- mali può rilevarsi dall'osservazione di sezioni trasversali di bottoni terminali : si vedono le fibre perigemmali contornare i limiti esterni del bottone e da esse originarsi ramuscoli che si espandono nell'epitelio circostante al bottone stesso. Allorquando gli organi ciatiformi sono relativamente un po' distanti fra loro, come avviene per es. nelle parti laterali interne del barbiglio, alcune fibre interepiteliali anzi che pro- venire dalle perigemmali, traggono origine direttamente dai fasci nervosi sottoepiteliali. Le fibre interepiteliali si presentano con gli stessi carat- teri delle fibre perigemmali, sono cioè piuttosto grosse e prov- 46 Pietro Lo Giudice viste di numerose varieosità di differente grandezza e di forma generalmente rotonda. Solo ho potuto osservare che le prime sono più sinuose delle seconde. Le numerosissime fibrille interepiteliali vengono a costi- tuire il reticolo intraepileliale, in quanto che avvolgono le sin- gole cellule epiteliali entro sottili maglie. Fibre intragemmctli. - Oltre alle sopradescritte fibre, dai fasci nervosi sottoepiteliali ne arrivano altre, in numero di 2-3, che sono relativamente più sottili ; posseggono rarissime vari- eosità e non presentano diramazioni secondarie prima che esse abbiano raggiunto la base del bottone. Quivi pervenute, ciascuna si divide in 7-cS fibrille, di cui la maggior parte penetra nel- l'interno del bottone, distribuendosi tra le cellule che lo com- pongono. La Fig. 9 rappresenta un bottone terminale in cui si sono impregnate due cellule di sostegno e due cellule sensitive. Si è impregnata anche una sola fibra intragemmale proveniente dalla papilla, la quale fibra si vede dividersi solo alla base del bottone medesimo, ed i minuscoli penetrare tra le cellule di esso. Ho detto che la maggior parte delle fibre intragemmali penetra nell'interno del bottone, perchè in alcuni preparati si può facilmente scorgere che una o due di dette fibre entrano in rapporto di continuità con una delle appendici con le quali si termina il processo centrale della cellula sensitiva. Siffatto rapporto è chiaramente rappresentato dalla fig. 10. Nel pre- parato dal quale fu ricavata la figura, del bottone terminale si sono impregnate due cellule sensitive. L' osservazione per- tanto non è ostacolata da formazioni secondarie o dalla ecces- siva impregnazione degli elementi del bottone. Si scorge molto distintamente come una fibrilla nervosa penetri direttamente nella cellula sensitiva. Le opinioni dei diversi Autori che hanno studiato il rap- porto tra le fibre nervose e gli elementi cellulari dei bottoni terminali, sono alquanto discordi. Le nostre conoscenze a que- sto proposito sono più vaste per quanto riguarda i bottoni gustativi dei Mammiferi, mentre per i Pesci esse sono relati- vamente scarse. Diretto rapporto tra fibre nervose e cellule sensitive fu già ammesso dallo Schulze, dallo Schwalbe, dal Lóven ecc., per citare i più noti fra gli antichi Autori; mentre il Ranvier, il Sulle espansioni nervose negl'i organi ciatiformi dei barbigli del Barbo 47 Kbause, il Drasch ammettevano siffatto rapporto come pro- babile, ma non certo. Escogitati nuovi metodi di colorazione e di impregnazione delle fibre nervose, I'Erhlich (Deutsch. Medie. Wochenschr. 1880) colla colorazione vitale al bleu di metilene, ritenne che fra le cellule gustative e le fibre nervose esista solo rapporto di con- tiguità e non di continuità. L'Arnstein (1), adoperando Io stesso metodo, riuscì invece a dimostrare che fra le cellule gustative e le fibre nervose esiste un vero e diretto rapporto. Anche Fitsari e Panasci (8), ado- perando il metodo di Golgi, giunsero alle stesse conclusioni. Però I'Arnstein (2) ritornando sullo stesso argomento, nega quel diretto rapporto dianzi dimostrato, e ritiene come fallaci le immagini ottenute col metodo di Golgi, per l'uguale colo- razione tanto delle cellule gustative come delle fibre nervose. Lo Zimmermann (30), che ha studiato gli organi sensitivi del Fierasfer acus, potè osservare nessuna cellula sensitiva in rapporto con fibra nervosa, onde ritiene che le dette cellule sensitive possono bensì paragonarsi alle cellule dell'organo del Corti, ma non a quelle dell'olfatto; poiché mentre queste sono cellule ganglionari rimaste situate nell'epitelio, e vanno con i loro processi basali centralmente, le altre sono cellule epite- liali, le quali hanno una funzione intermedia. Il Lenhóssék (14-15), per i bottoni gustativi tanto dei Mam- miferi che dei Pesci, giunge alla conclusione che i nervi che penetrano nell'interno del bottone terminale non hanno alcun rapporto di continuità con le cellule gustative. Anche il Ret- zius (24), è dello stesso avviso. Diretto rapporto fra le cellule sensitive e le fibre nervose non è ammesso neppure dal Dogiel (6), il quale ritiene il re- ticolo perigemmale ed intragemmale come formati da nervi sensitivi, mentre il reticolo subbasale deve considerarsi come la terminazione dei nervi sensitivi di gusto. Le mie osservazioni pertanto si avvicinano a quelle del Fusari e Panasci e tendono a dimostrare rapporto di continuità fra le cellule sensitive del bottone terminale e le fibre nervose, laonde quelle potrebbero ritenersi come cellule nervose bipo- lari e queste come espansioni nervose di senso specifico. Ritornando alle fit)re nervose intragemmali, che penetrano nell'interno del bottone, dirò per ultimo che queste fibre si In Pietro Lo Giudice trovano intercalate fra le cellule del medesimo e mostrano la tendenza ad adagiarsi sulle pareti di queste, attorcigliandosi talvolta con più volute attorno ad esse. Le singole fibre intragemmali mandano, alla loro volta, sempre dentro il bottone, ancora altre fibrille il cui decorso non oltrepassa giammai i limiti di quest'ultimo. In complesso tutte queste fibre finiscono per avvolgere tutte le cellule del bottone entro una fitta rete nervosa, che nelle sezioni trasver- sali di bottoni terminali, trattati col metodo di Cajal, si mostra ancora più fitta e più sottile che negli stessi preparati trattati col metodo di Golgi. In simili sezioni, eseguite specialmente per mettere in evi- denza quale rapporto vi poteva essere fra le fibre perigemmali e le intragemmali, io ho potuto constatare che mai una fibra pe- rigemmale manda propaggini entro il bottone, le une fibre e le altre hanno confini ben definiti onde fra loro vi può essere solo rapporto di contiguità. Ciò si vede molto bene in sezioni tra- sversali a diverso livello di bottoni terminali trattati col metodo di Golgi. Al margine del bottone stanno le fibre perigemmali che, mentre inviano rami all'epitelio circostante, nessun ramo, al contrario, trae da esse verso l'interno del bottone. Al centro di esso si vedono le fibre intragemmali variamente intrecciantisi da costituire il reticolo perigemmale. Dalle surriferite mie osservazioni derivano conclusioni circa il carattere e la natura sia degli elementi costitutivi il bottone terminale, come dei nervi che ad esso pervengono. I bottoni terminali nei Teleostei risultano di cellule di so- stegno e di cellule sensitive. Queste per il loro comportamento e sopratutto per il diretto loro passaggio in una fibra nervosa hanno tutto il carattere di cellule nervose bipolari. A ciascun bottone terminale arrivano due sorta di fibre nervose: le une, più varicose, relativamente più grosse, for- mano l'espansione perigemmale ed interepiteliale, le altre, più sottili, quasi lisce e che non presentano diramazioni prima di giungere alla base del bottone, si distribuiscono, con le loro ramificazioni secondarie, entro il bottone, formando 1' espan- sione intragemmale ; mentre qualcuna di queste ultime contrae diretto rapporto con una cellula sensitiva. Sulle espansioni nervose negli organi ciatiformi dei barbigli del Barbo 49 Circa l'interpetrazione fisiologica da assegnare agli organi ciatiformi io non oso per ora esprimere opinioni, né formu- lare giudizi, poiché con la sola scorta dei dati anatomici non pos- sono trarsi che deduzioni del tutto ipotetiche e facilmente di- scutibili. Allo stato attuale delle nostre conoscenze in propo- sito solo possiamo dire ehe questi organi sono deputati alla recezione di stimoli sensitivi, sulla natura dei quali può sol- tanto illuminarci la indagine sperimentale. Pavia, dall'Istituto Zoologico della R. Università, luglio 1919. 50 Pietro Lo Giudice Bibliografia 1887 Arnstein, C. - - Die Methylenblaufàrbung als histologische Methode: Anat. Anz. 2 Jahrg. p. 125. (1) 1893 — — — Die Nervenendigungen inden Schmeckbechern der Sàuger: Arch. Mikr. Anat. M Bd. p. 195. (2) 1908 Baglioni, S. -- Zar Physiologie des Geruchsinnes und Tast- sinner der Seetiere: Zenttalbl. Phys. 22 Bd. p. 719. (3) 1880 Chat in, J. — Les organes des sens dans la serie animale: Paris, ./. B. Baillière et Fils. (4) 1903 D'Evant, T. --Appendici dactiloidi delle Tryglae: Atti Acc Med. Chir. Napoli, Anno 57, N.° 2, 50 pp. 3 Tao. (5) 1897 Dogiel, A. S. — Ueber die Nervenendigungen indenGesch- macks-Endknospen der Ganoiden : Arch. Mikr. Anat. ì9 Bd. p. 769. 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Gli elementi di un bot- tone sono fortemente impregnati, dell'altro si sono impregnate tre cellule di sostegno. — Gruppo di fibre perigemmali ai due bottoni. Una di esse si biforca e provvede un ramo a ciascun bottone. X 525. Fig. 3 — Bottone terminale trattato col metodo di Golgi. Si è impregnata una sola cellula sensitiva. Anastomosi di fibrille perigemmali, provenienti da tre fibre perigemmali ascendenti, x 525 Fig. 4 — id. id. Bapporto di continuità fra le fibrille perigemmali nella parte più larga del bottone, y 525. Tavola 5 Fig. 5 — Bottone terminale. Anastomosi diretta di due fibre perigemmali ascendenti e di due altre a mezzo di una fibrilla trasversale. X 525. Pia .6-7— id. id. Espansione nervosa perigemmale. Comportamento delle fibre perigemmali alla base del bottone. X 525. pig, g — id. id. Comportamento delle fibre interepiteliali : mutuo rapporto di esse con le perigemmali. x 525 e. a. Fig 9 — Bottone terminale trattato col metodo di Golgi. Impregnazione di due cellule sensitive e di due cellule di sostegno. Compor- tamento delle fibre intragemmali. x 250. Fig. 10 — id. id. Sono impregnate due cellule sensitive. Bapporto diretto di queste con le fibre nervose intragemmali. Compor- tamento delle fibre perigemmali ed interepiteliali. x 525 Ricevuto il 17 Gennaio 1921 -Finito di stampare il 2 Giugno 1(121 Ricerche sulla fisiologia del sistema nervoso negli insetti. III. Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri del Dott. Edgardo Baldi (con venti incisioni) Del moto di maneggio dei coleotteri , considerato come reazione generale dell'organismo dell'insetto ad una determi- nata e laterale lesione dei suoi gangli sopraesofagei, mi sono altrove occupato, tentando di disegnarne un quadro generale e tipico che contenesse tutti gli elementi comuni ai casi sin- golarmente osservati e che , grazie a questa stessa sua unità, permettesse una interpretazione fisiologica generale degli at- teggiamenti assunti dalle singole parti ed appendici dell'insetto. Rimandando per i dettagli alla nota originale *) riassumerò brevissimamente quei concetti conclusivi che mi sembrano autorizzati dalla comparazione dei singoli casi e delle oppor- tune esperienze , avvertendo però che di essi io non intendo affatto fare norma generale ed applicabile sic et simpliciter a tutti gli insetti e forse neppure a tutti i coleotteri, ma che ne circoscrivo la portata— ad onta di talune suggestive rispondenze con fatti osservati in altri artropodi, che sembrerebbero par- lare appunto in favore di una più larga loro applicabilità — r) Baldi, E. — Studi sulla fisiologia del sistema nervoso negl'insetti. II. Ricerche sui moti di maneggio provocati nei coleotteri, (in corso di pubblicazione nel Jonrn. Exper. Z., 1922). Art. 4. 54 Kdgardo Baldi all'ambito di quelle forme di coleotteri che sono state oggetto di studio da parte mia ed alle quali parimenti si riferiscono le osservazioni e le esperienze che qui riporto 1). Contrariamente all'opinione di precedenti studiosi, lo Yung, il Demoor, il Bethe che ritenevano essere il movimento di maneggio, nelle sue cause determinanti, manifestazione stret- tamente laterale, antimerica, dell'organismo, credo aver potuto dimostrare che l' insieme delle alterazioni onde consta il ma- neggio stesso sia diffuso a tutto 1' organismo leso, sia in esso un fenomeno d' assieme, in buona armonia con quella con- tinuità di connessioni che i morfologi ci hanno mostrata fra le diverse parti del sistema nervoso degli insetti e che fa sì che la lesione anche laterale dei gangli sopraesofagei non possa avere effetto limitato a quella metà della catena nervosa ven- trale che decorre lungo il medesimo lato, 1' opposto compor- tandosi come se non l'avesse tocco alcuna alterazione della sua normale funzionalità. Lo studio dettagliato dei moti dei singoli arti nel coleot- tero leso ed impegnato nel maneggio , posti a confronto con la motilità dei medesimi arti in condizioni normali, mi ha mo- strato come all'instaurazione del moto in circolo in varia misura cooperino tutti gli arti dell' insetto, da entrambi i suoi lati e con precise modalità di impiego, differenti dalle normali e che si possono così riassumere. Maggior flessione , rispetto al normale, degli arti dal lato opposto a quello della lesione ed attività prevalentemente attrattiva dell' articolazione tibio- femorale, in contrapposto alla motilità degli arti dal lato della lesione, la quale prevalentemente si esplica in moti propulsivi — o ad arcata. L' incurvamento del corpo così da farsi convesso verso il lato della lesione ed il particolare portamento del capo mi hanno suggerito che il meccanismo neuromuscolare del moto di maneggio sia dovuto ad un generale prevalere, nel- l'organismo, dei muscoli e dei gruppi di muscoli flessori, nello l) Le specie su cui principalmente ho lavorato sono la Blaps morti- saga , la Pimelia undiilata , il Carabus morbillosus , YAromia moschata, la Cetonia floricola, e poche altre per il cui preciso elenco rimando alla precedente nota " Studi sulla fisiologia del sistema nervoso degli insetti. I. L'influenza dei gangli cefalici sulla locomozione dei coleotteri (Atti Soc. Hai. Se. Nat. Milano, Voi. 60, 1921). Osservazioni ed esperienze sui moti eli maneggio dei coleotteri 55 antimero opposto alla lesione, per disturbati fenomeni di in- nervazione e di tono, il cui meccanismo dettagliato deve ancora essere indagato. Ulteriori esperienze mi hanno dimostrato come io fossi nel vero supponendo che a tali relazioni si dovesse una parte fondamentale nella produzione dei moti in circolo; 1' artificiosa soppressione delle azioni flessive traeva seco la scomparsa dei moti di maneggio. Né d'altro canto era possi- bile creare artificialmente in un insetto sano le condizioni indi- spensabili al maneggio, realizzando in esso, mediante opportuni dispositivi, quei disquilibrii puramente dinamici della locomo- zione, cui precedenti autori avevano creduto di poter ridurre la determinazione dei moti in circolo. Delle esperienze attinenti a questo capitolo delle mie ri- cerche ho reso conto nella nota già citata. Nella presente, pas- serò in rassegna i casi più dimostrativi dei quali trovo menzione fra i miei appunti, così da porgere quella dettagliata documen- tazione delle mie asserzioni che, per ragioni di brevità e di chiarezza, non ha potuto trovar posto nella precedente. Né ciò varrà solo a fine dimostrativo, poi che nella successiva disa- mina dei singoli casi, non più preoccupati dalla schematicità di una descrizione tipica, potremo aver agio di studiare il moto di maneggio non solamente come un fatto d'assieme e di struttura, per così dire, omogenea, ma di osservarlo bensì nelle com- plesse sue condizioni reali, nella sua molteplice varietà di ma- nifestazioni. Ed il porre a fronte i casi più conformi alla norma con quelli che più se ne discostano significherà— né può altro si- gnificare— tentar di porli in relazione con le condizioni fisio- logiche generali dell' organismo , significherà abbozzare un quadro complessivo delle alterazioni presentate non dalla sola attività degli arti, ma da tutte le regioni ed appendici dell'or- ganismo, così da porre in luce ancora una volta quale sia 1' unità dei processi vitali in questo e come il loro smembra- mento classificativo sia forse buon sussidio per 1' analisi dei fenomeni, ma non sappia sempre con completa adeguatezza rielevarsi dai procedimenti tecnici alle conclusioni teoretiche. Tra i principali compiti dell'esposizione sarà infine il tentar di porre in relazione il quadro complessivo delle alterazioni con la localizzazione della regione che nel cervello è stata lesa. 56 Edgardo Baldi E poi che il procedimento non è qualcosa di completa- mente estraneo alle conclusioni, ma anzi, poi che da una analisi del metodo si possono trarre criteri di giudizio generale circa la validità e l'estensibilità delle conclusioni, mi farò anzitutto a dire della tecnica che ho usata nei miei esperimenti. Il Bethe, il Matula, che hanno operato su insetti di grossa taglia e provvisti di cuticola relativamente sottile, hanno age- volmente potuto aggredire il cervello, ritagliando dalla parete superiore del capo un rettangolo di chitina, così da aprire nel capo stesso una finestra, per cui fosse abbastanza facile, mercè l'aiuto di una lente, aggredire direttamente le regioni visibili dei gangli nervosi. La falla veniva indi turata, riponendo in sito il frammento escisso di cuticola e saldandovelo con un poco di cera. Tale operazione era impossibile per la maggioranza delle mie specie, fornite di tegumento duro, scheggioso, contro il quale la mano non può operare delicatamente, saldamente con- nesso alla muscolatura sottostante; specie, infine, nelle quali era principale ostacolo la picciolezza della taglia. Forza mi è stato quindi ricorrere ad un procedimento più indiretto ed aggredire il ganglio attraverso la parete chi- tinosa del capo. Individuata ad un dipresso — mediante precedenti disse- zioni— l'ubicazione dei gangli cerebrali, rispetto alla configu- razione esterna del capo, servendomi di un robusto ago im- manicato, maneggiato a guisa di trivella, aprivo un foro in regione corrispondente al ganglio da colpire, indi, servendomi di un secondo ago più fino ed acuminato, cercavo di raggiun- gere il tessuto nervoso. La ottenuta lesione del ganglio imme- diatamente si esplica nell'alterazione del comportamento dello insetto. Ma un siffatto procedimento implica una serie di opera- zioni successive, dirette a correggere gli errori impliciti nella relativa casualità della lesione. È infatti ignoto all'operatore qual parte del cervello egli abbia lesa e — finché 1' animale viva — egli non possiede criterio alcuno per discriminare ciò che è essenziale e ciò che è accessorio nell'alterazione del por- tamento dell' animale e deve obbiettivamente tener conto di ogni particolare di esso portamento. Tale impossibilità di le- dere volutamente una precisata regione del cervello imprime Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 57 alla ricerca un certo carattere statistico ; moltiplicando le espe- rienze, varieranno naturalmente anche i punti di lesione ; un loro successivo accertamento permetterà di istituire tra il ma- teriale così raccolto operazioni di classificazione, le quali pos- sono essere considerate come analoghe a quel procedimento deduttivo dell'indagine, che controlla con i fatti i preveduti risultati di una lesione volutamente localizzata. Il nostro me- todo, come appare, è rigorosamente e costantemente induttivo; né sono in esso possibili operazioni di controllo , operazioni suggerite da criterii deduttivi e sopratutto quella particolare forma di esperienza decisiva, che da Bacone va sotto il nome di experimentum crucis. Il riconoscimento della regione lesa è infatti successivo ad ogni operazione sul vivente. Morto , od ucciso 1' animale me- diante vapori d' etere, gli viene asportato il capo, avendo cura dì reciderlo nella regione della membranella che lo congiunge al protorace. 11 capo stesso viene quindi portato su di un bloc- chetto di paraffina dura, dove viene fissato in posizione na- turale, con la parte dorsale rivolta, cioè, verso l'alto, con qualche altra goccia di cera. Il blocco di paraffina è fissato al fondo di una vaschetta di vetro ed a tale altezza che allorché essa venga riempita di soluzione fisiologica, tutto il capo si trovi sotto il pel dell'acqua. La vaschetta così preparata viene portata sotto il binocu- lare a braccio di Zeiss ed illuminata da una molto intensa sorgente luminosa (lampada Nernst di 100 candele). E così ho proceduto, per ogni individuo preso in esame, alla dissezione del capo, per sincerarmi delle avarie dei gangli sopraesofagei. Opero dapprima mediante un paio di sottili for- bicine, ritagliando piccoli frammenti di chitina dal dorso del capo e cominciando dalla parte posteriore, nell'individuo inte- gro nascosta sotto il corsaletto, ove la cuticola è più sottile e tenera. Ogni frammento staccato viene allontanato mediante una piccola pinza. Giunto dietro il cervello, laddove la chitina si fa più resistente, con due colpi di forbici ritaglio sui lati la cassa cranica, spaccandola sino all'altezza del margine po- steriore delle cornee. Non è prudente andare più oltre, poi che ivi hanno sede gli estremi dei lobi ottici. Indi, sia proseguendo nel ritagliamento del coperchio chi- tinoso, operato partendo dai lati, perchè le punte delle forbici, 58 Edgardo Baldi dirette allo innanzi, non vadano a colpire i gangli, causando loro lesioni di dissezione, sia tentando un taglio trasverso fra gli occhi ed asportando d'un sol pezzo tutto quel che resta della volta cranica, apro completamente la testa dell'animale. È opportuna cosa, per poter indi asportare l'intero cervello, far saltare le cornee, il che si ottiene, isolandole- un poco con qualche taglio verticale dal resto del cranio ed appoggiandovi indi contro, dall'indentro all'infuori, con certa forza, la punta dell'ago. Poco importa se la retina e le altre membrane della coppa ottica si presenteranno dilacerate: esse non ci interes- seranno. Conviene indi isolare i sopraesofagei, il che si ottiene asportando il corpo adiposo con le pinzette, indi strappando il plesso e le diramazioni tracheali che più disturbano, reci- dendo infine con precauzione i ciuffi di fibre muscolari che, espandendosi nel liquido, turbano la netta visione del prepa- rato. Si tratta infine di togliere il cervello dal suo posto, per riporlo in un fissativo istologico. Volendo conservare l'insieme dei gangli cefalici sopra e sottoesofagei , qualora le loro con- dizioni di integrità lo permettano , conviene recidere tutti i tronchi tracheali che vincolano i gangli alle regioni circostanti, tagliare il tubo esofageo subito dietro i gangli stessi; indi, con un ago o con una pinza, afferrato l'esofago sul davanti del cer- vello, lo si fa scorrere entro l'anello periesofageo e, recisolo anche anteriormente, lo si asporta. Si libera analogamente il sottoesofageo dalle aderenze tracheali, si sollevano (o si reci- dono, se del caso) i lobi ottici e, passato un ago smussato entro il collare, con cautela lo si solleva, togliendo con esso tutto il cervello dal capo. Solamente poche volte e laddove le dimensioni relativa- mente vistose del capo me lo permettevano, ho scoperchiato sul vivo il capo dell'animale. Tale procedimento , se ha dei vantaggi di tecnica, offre svantaggi di altro ordine: ove, per vario motivo , non sia possibile effettuare la ricopertura del pertugio, la intensa chitinizzazione che si manifesta nei pro- cessi riparativi può comprendere e danneggiare le regioni nervose. È inoltre più difficile evitare lesioni dirette del ganglio. Ho voluto accennare a questi particolari non tanto per farne norma, poiché ogni materiale ed ogni ricercatore esigono tecniche speciali, quanto per mostrare come condizione pura- Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 59 mente esteriori della indagine ed inerenti a difficoltà pratiche possano influire sul metodo e su tutto l'andamento logico della ricerca. Conserverò all'esposizione dei miei reperti la forma do- cumentaria dell' osservazione diretta , anzitutto perchè nella concreta singolarità dei quadri di anormalità presentati da cia- scun individuo, per sé risaltino le caratteristiche del fenomeno — in secondo luogo, perchè non tutto il materiale di osservazione è ugualmente elaborabile, non ogni atteggiamento od ogni par- ticolarità di portamento sono tanto costanti o tanto stereotipi da prestarsi ad una interpretazione generale. Ed i fatti che ri- mangon fuori da una interpretazione data come ipotesi di la- voro, se si voglia, possono domani suggerire nuove vie alla ri- cerca ed essere i primi documenti di qualche complesso di fatti e di relazioni che alle attuali mie osservazioni siano sfuggiti. Trasceglierò, fra i casi osservati, i più significativi ed i meglio documentati , senza — beninteso — menomamente far forza alla realtà dei fatti, consapevole, d'altro canto, come non vi sia mai tanto da dubitare come di una interpretazione che u spieghi tutto „. Mi limiterò ad ordinare i casi che presento in due serie, comprendendo nella prima quelli che meno si discostano dal tipo che precedentemente ho schematizzato, così che dal con- fronto tra il modello e la realtà, meglio s'intenda il valore e la portata di quello. Nella seconda serie riunirò i casi atipici. La distinzione fra le due serie rimane pertanto alquanto ar- bitraria, come si vedrà. Manterrò alle singole diagnosi il nu- mero d'ordine con cui esse si sono susseguite nelle mie osser- vazioni. 60 Edgardo Baldi Prima Serie Blaps mortisaga. — (N.° 77) Caso di maneggio tipico , senza distinte tracce di ripresa della locomozione normale. L'animale viene ucciso dopo quarantatre ore dalla ferita, senza manifestare una notevole cessazione dai movimenti di maneggio. La ferita è stata inferta nella re- gione indicata dalla Fig. 2 con immissione profonda dell'ago. Il maneggio sinistrorso le è seguito immediatamente, senza perturba- zioni secondarie, con netto mec- canismo di attrazione del primo e secondo arto di sinistra. Il terzo arto mostra alterazioni nella pro- pria funzionalità , per aver al- quanto ridotte, nel moto, le am- piezze massime degli angoli com- presi fra il femore e la tibia. Il maneggio si compie rapidamente e con velocità quasi costante ; la coordinazione dei moti è ben man- tenuta. L'ampiezza del circolo de- scritto è, secondo il diametro, di quindici, venti centimetri. Il capo è flesso sulla sinistra e pure sulla sinistra è leggermente obliquo tutto il corpo. L'animale, rovesciato, manifesta il riflesso di raddrizzamento, al quale però effettivamente non prendono parte gli arti sinistri e particolarmente il primo ed il secondo, assenza eh' è dovuta al perdurare in essi dell'atteggiamento flesso che loro impedisce di toccar terra. Tale manifestazione si mantiene per tutta la durata delle osservazioni. Leggere pressioni esercitate sulle elitre provocano una abdu- zione del primo e secondo arto di sinistra, i quali vengono man- tenuti e trasportati così estesi dall'animale, per qualche tempo, mentre dura il moto di maneggio. L'antenna destra che all'inizio del maneggio è portata immobile ed afflosciata, dopo ventisei ore dà lievi segni di qualche mobilità spontanea. A tale data, anche il moto del secondo arto sinistro si è un poco più simmetrizzato a Fig. 1. — Capo di Blaps mortisaga scoper- chiato che mostra i gangli sopraesofagei con i peduncoli ottici ed il nervo anten- nario (normale). Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 61 quello del corrispondente destro, il che non è avvenuto negli arti pel primo paio. Alla dissezione, il cervello si dimostra leso nella metà destra dei sopraesofagei, anteriormente, superficialmente, presso la stroz- Fig. 2. — Rappresentazione schematica della regione del capo in cui venne inferta la ferita del N. 77. Le macchie reticolate rappresentano le cornee, la retta la traccia del piano sagittale del capo, il circolo nero il luogo di lesione. zatura che segna il limite fra le due metà del cervello. Nei pressi della ferita si nota una piccola extrusione di sostanza nervosa, sfuggita dal ganglio attraverso la ferita stessa. I lobi ottici appaiono intatti (Fig. 3). Blaps mortisaga. — (N.° 88). Caso di maneggio netto, continuativo, senza tracce di ri- pristino della locomozione normale. Ucciso dopo settantotto ore di maneggio continuato. La ferita è caduta in regione omologa a quella del caso precedente, il ma- neggio sinistrorso le segue immediatamente. La meccanica dei sin- goli arti si svolge tipicamente nei piani che ho indicati nella ci- tata precedente nota. È da notare però che il moto di maneggio dura anche allorché, per pressione sulle elitre, gli arti sinistri ven- gano irrigiditi in posizione estesa, posizione che però non dura a lungo. Il capo è volto a sinistra ed inclinato a sinistra ed in basso. Anche tutto il corpo è leggermente obliquo sulla sinistra, il che si deve all' essersi fatti più acuti entrambi gli angoli : fiala pleura ed il femore, fra il femore e la tibia dalla parte sinistra. La ve- locità del maneggio non è costante ed il moto si accelera per pres- sione sulle elitre. L'antenna destra mostra attività molto abbassata rispetto alla sinistra. Credo non privo di interesse riportare alcune esperienze miranti ad esplorare la funzione delle flessioni tra i segmenti dell'arto nel maneggio. Immobilizzata in posizione estesa l'ar- ticolazione femorotibiale del primo e secondo arto di sinistra 62 Edgardo Baldi mediante un avvolgimento elicoidale di fine fil di ferro attorno all'arto, l'arto stesso si immobilizza e neppure il femore, che tuttavia sarebbe libero di muoversi sull'articolazione coxale, compie più alcun movimento. La coordinazione viene rotta ed il moto di maneggio si trasforma in un moto di rotazione in posto. Allo scopo di isolare l'attività degli arti sinistri onde giu- dicare se essa sola sia sufficiente a determinare il maneggio, vincolo fra di loro gli arti di destra. Benché 1' equilibrio ge- nerale del corpo sia tanto compromesso da provocare rove- sciamenti dell' animale sul dorso, nei tratti in cui la stazione normale è mantenuta, persiste la tendenza dell' animale a gi- rare a sinistra. Più evidentemente si manifesta il fenomeno dopo avere immerso in paraffina fusa l' intera metà destra del corpo. Gli arti destri, sia per accollamento reciproco, sia per ustioni tendineomuscolari vengono immobilizzati e benché la coordinazione abbia subiti gravi disturbi, appare come la sola attività attrattiva e flessoria degli arti sinistri sia sufficiente a far girare l'animale sulla sinistra. Dopo ventiquattr'ore circa, l'animale ha riacquistato un uso parziale del primo e del secondo arto destro e benché le tibie siano fuor d'impiego e l'attività muscolare dei destri sia molto indebolita, il maneggio viene fati- cosamente compiuto nel medesimo verso. Anche in questa Blaps, V antenna destra ha scarsissima attività, rispetto alla sinistra. Fig. 3. — Lesione del cervello corrispondente alla fig. 2 nell'esemplare N.o 77. (semischematica) Alla dissezione, il cervello si mostra leso anteriormente e superiormente, nella metà destra del ganglio e presso l'inizio visibile della strozzatura che lo divide trasversalmente, in re- gione , cioè, molto prossimamente omotopa a quella del caso Osservazioni ed esperienze sui moli di maneggio dei coleotteri 63 precedente. La ferita è beante e t'occhio all'oculare segue age- volmente la punta dell'ago che vi può penetrare senza incon- trare alcuna resistenza (Fig. 4). Il lobo ottico destro che nel disegno appare reciso, lo è stato durante la dissezione. Pimelia undiilala. — (N.° 115). In questo caso il quadro tipico del maneggio , che pure esiste e si rivela nella dissimmetria di impiego degli arti, è stato leggermente turbato dalla sovrapposizione di altri fenomeni (di retromarcia, di immobilità, di automatismi) dei quali è ragio- nevole ritenere responsabile la grave lesione della parte po- steriore della metà destra del ganglio. Ucciso dopo novantasei ore dalla ferita. Nell'ultimo periodo di vita ha manifestata qualche alterazione del maneggio genuino, che però non accenna affatto ad una rigenerazione fisiologica. Alla fe- rita, inferta dietro la congiungente gli occhi, a destra e quasi me- dialmente, segue quasi subito una rotazione sinistrorsa quasi in posto, in cui è ben evidente il movimento attrattivo degli arti si- nistri , permanentemente e fortemente flessi. Il corpo è alquanto abbattuto sulla sinistra ; la locomozione, coordinata, è talora com- plicata da fenomeni di arresto e di retromarcia. Eccitando l'ani- male, per pressione sulle elitre, il giro si fa per breve tratto più largo ed è seguito da certo riposo. Del resto, il moto ha periodi spontanei di pausa, con riprese pure spontanee. Il terzo arto sini- stro si mantiene pressoché immobile, anche l'attività del secondo sinistro è scarsa e prevalentemente attrattiva. Il giro si mantiene stretto; nei periodi di pausa e prima della ripresa della locomo- zione, gli arti e segnatamente i destri, hanno moti di martella- mento , oppure moti locomotorii in posto, che non sortono alcun effetto per mancata od insufficiente aderenza al terreno. Le Pimelia normali presentano, al toccamento, nettissimi fenomeni di immobilizzazione riflessa. Nella Pimelia lesa, in cui, secondo la nota ipotesi del Bethe, era prevedibile l' im- possibilità od almeno l'attenuazione della condizione d' immo- bilità dal lato destro, non noto che una maggiore fugacità nella durata del riflesso, ma nessuna differenza fra i due antimeri nella rapidità in cui la condizione di immobilità riflessa si sta- biliva o nella sua durata. Né la reattività generale delle ap- pendici, ad uguali stimoli, sembra asimmetrica. 64 Edgardo Baldi Alla dissezione, la metà destra del cerebron si mostra profonda- mente lesa, posteriormente quasi bipartita e con cospicuo spappola- mento di sostanza nervosa {Fig. 5). La metà anteriore del ganglio ; Fig. h. — Lesione del cervello nel caso N.o 88. è invece relativamente illesa: conserva la sua forma ed intatto ap- pare il lobo ottico del quale sono salvaguardate le due connessioni: con la retina e con il ganglio. Ora, nella parte sana del ganglio, an- teriormente, un poco superiormente ed ancora presso la strozzatura del cervello, si nota una piccola ferita, in regione omotopa a quella dei precedenti casi, con una piccola extrusione di sostanza nervosa. Fig. .). — Lesione del cervello nel caso N.o 115. A tale piccola lesione anteriore, corrispondente alle precedenti (che isolatamente determinavano il maneggio) potrebbe venire riferito anche qui il maneggio manifestato dall'animale, con gli abituali sintomi , pure fra la complessità delle manifestazioni secondarie. Blaps moiiisaga. — (N.° 64). Ferito dietro la congiungente delle cornee, più a destra che ne' casi precedenti, come mostra il disegno (Fig. G). L'animale Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 65 Fig. 6. — Regione di ferimento nel caso N.o 64. immediatamente si pone in moto, descrivendo un netto maneggio sinistrorso, in cui sono evidenti gli atteggiamenti flessori degli arti sinistri e 1' esagerata atti- vità impellente dei destri. Il maneggio misura da 4 a 6 centimetri di diametro ; la velocità del moto è no- tevole ; le soste sono brevi ed infrequenti. Il corpo è obliquo verso sinistra; il capo è pure flesso ed incli- nato verso sinistra. È no- tevole come, dinante la pri- ma ora di maneggio, le so- ste ad intervalli si vadano facendo sempre meno in- frequenti , aumentando di durata. L'animale viene uc- ciso dopo trascorsa un'ora. Alla dissezione la metà de- stra del cervello si mostra lesa , in regione anteriore un poco superiore , quasi fosse stata ivi sfiorata dall' ago. Tale regione è più spostata sulla destra delle precedenti. La connessione del cervello con il lobo ot- tico destro ed il decorso di quest'ultimo non hanno sofferta alcuna lesione. Converrà far notare come anche qui la lesione efficace sia caduta in regione superficiale ed anteriore del cervello. Blaps mortisaga. — (N.° 74). Ferito come mostra il disegno (Fig. 7). Nei primi minuti do- po la ferita, questo Blaps mi ha data una curiosa alternanza di moti in circolo e di moti in linea retta. Ad una prima ferita esso risponde con un solo giro in circolo sulla si- nistra e riprende indi tosto la deambulazione retta. Ad una seconda ferita ottengo similmente un rapidissimo maneggio a sinistra per una diecina di giri, il quale va man mano allargandosi , così che in capo a due minuti viene ripristinata una marcia quasi normale. Ma qualche minuto dopo, 5 Fig. 7. — Schema della regione lesa nel caso N.o 74. 66 Edgardo Baldi senza ulteriori eccitazioni, viene ripreso un maneggio più lento, regolare e costante, con coordinazione ben mantenuta. L'attività degli arti destri, anche nel terzo, è notevolmente esaltata. Il primo arto sinistro compie deboli moti di attrazione e talora si immobi- lizza, strisciando sul terreno; in esso sono però completamente scomparsi i moti ad arcata del femore. I moti di attrazione sono nettissimi nel secondo arto sinistro ; il terzo destro infine si flette e si estende in misura molto maggiore del terzo sinistro. Il corpo è poco disquilibrato. Il capo è nettamente volto verso sinistra; tale curvatura si mantiene in esso, anche sollevando il corpo dal terreno. Il maneggio continua regolarmente senza alcuna sosta , facendosi un poco più stretto dopo tre ore dalla ferita sino al momento della eterizzazione (dopo cinque ore). Poste l'una dentro l'altra due scatole tonde di vetro l'ima del diametro di venti centimetri, l'altra di cm. 14,5, concen- tricamente, così da lasciare una sorta di corridoio tra i loro bordi esterni, vi pongo la Blaps. La larghezza del corridoio non è sufficiente perchè essa vi si possa comodamente voltare. Se l'animale è posto nel corridoio circolare come mostra la freccia A {Fig. 8), esso prosegue regolarmente il movimento di maneggio, insensibile, a quanto pare, all'obbligata maggiore sua curvatura. Ma se l'animale vi sia collocato nell'opposto senso, secondo In freccia B esso fa qualche passo, insistendo con il capo contro la parete ester- L. ■ i na , indi , sempre arrancando con I gli arti, si solleva anteriormente, ^ ~>a sino a capovolgere la posizione Fig. 8. - schema deiia disposizione originaria. Ciò fatto , riprende il delle scatole di vetro nella espe- mane££ÌO nel SenSO COIlSUetO. La rienza con 1 esemplare N.» /4. . • • j • t-^t-^ esperienza si riproduce immutata in un corridoio di curvatura molto maggiore, ottenuto collocando una scatola di 9,5 cm. entro quella di cm. 14,5. Togliendo dalla scatola maggiore l'interna, così che il coleottero sia libero di percorrerne a suo agio il fondo, esso ne segue, girando, quasi esattamente il perimetro e solo, per forti inclinazioni del fondo della scatola sul piano orizzontale (20°-25°), la traiettoria del maneggio subisce un ap- piattimento secondo la linea di maggiore pendenza. Se la diminuzione della curvatura del maneggio sembra non avere influenza sull'animale, il suo aumento ne ha forse Osservazioni ed esperienze sui moli di maneggio dei coleotteri 67 un poco. Poslo l'animale, infatti, nella scatola di 9,5 cm., esso pur continuando a girare, mantiene una posizione sbieca del corpo contro la parete (di circa 45°) che sembra accennare ad un tentativo di allargamento del girotondo. Fig. 9. — Lesione del cervello nel caso N.o 74. Alla dissezione il cervello si mostra leso frontalmente sopra ed avanti l' inserzione al ganglio del lobo ottico destro, che è intatto (Fig. 9). Dopo un periodo iniziale, d'altronde brevissimo, di esita- zione, l'animale ha dunque mostrato un maneggio regolare e continuativo con tipica dissimetria bilaterale locomotoria, senza tracce di rigenerazione. Blaps mortisaga. — (N.° 85) Manifestazione di un buon maneggio, dopo un lungo pe- riodo iniziale di disturbi sovrappostigli, i quali, datane la sim- metricità, si possono forse riferire alla presenza di lesioni se- condarie e simmetriche nel centro dei due emisferi. Esiste ancora una ferita analoga ad altre già descritte, in regione fron- tale destra presso la strozzatura che divide i due emisferi del cerebron. A ferite ripetute, l'animale non reagisce subito che con immo- bilità accompagnata da nettissimi moti di tasteggiamento e da moti pendolari degli arti. Ripresa l'osservazione nelle ventiquattro ore successive, trovo essersi stabilito un maneggio sulla sinistra, che risponde sufficientemente ai requisiti del maneggio tipo. Il corpo è leggermente piegato sulla sinistra. Gli arti sinistri descrivono arcate meno ampie dei destri ed hanno accentuati moti di fles- sione. Una pressione sulle elitre accelera ed allarga il maneggio. 68 Edgardo Baldi Allo scopo di determinare quanta parte abbiano i moti flessorii degli arti sinistri suìla determinazione del moto in circolo, con esperienza analoga ed inversa ad una precedente- mente descritta (immobilizzazione degli arti destri) amputo completamente le tibie di tutti gli arti, così da eliminare ogni attività flessoria. La coordinazione dei moti non cessa; l'animale, camminando sui femori, non descrive più che un paio di giri sulla sinistra, subito dopo l'operazione, indi mantiene variissima marcia, durante le ventidue ore che seguono all'amputazione. >"* Alla dissezione, il cervello presenta nella parte mediana anteriore ed un poco inferiore (la Fig. 10 lo mostra un poco ruotato all' indietro) una sorta di sollevamento che nel lato destro è leso da una ferita in cui agevolmente può penetra- re la punta dell'ago. Si scor- gono inoltre nel mezzo dei due cerebroidi, sia a destra che a sinistra, due frammenti di chitina molto minuti, i quali certa- mente hanno lesa la cortica dei gangli, benché la ferita non sia nettamente visibile. Sono intatte le connessioni con i lobi ottici. a Fig. 10. — Lesione del cervello nel caso N.o 85 (v. testo). Blaps morlisaga. — (N.° 75). Dopo lungo periodo di incertezza, con inversione di senso, il maneggio sinistrorso si afferma durevolmente e tipicamente. Nei primissimi minuti dopo la ferita, moti flessorii laterali del primo e del secondo arto di sinistra spostano di lato l'animale. Sopravvengono indi moti di tasteggiamento. Ed infine si stabilisce un maneggio regolare sulla sinistra, stretto, con inclinazione a si- nistra del corpo e piegamento, pure sulla sinistra, del capo. Il ma- neggio è lento, interrotto da pause e da moti di pulizia. Ma non dura oltre il quarto d'ora, in capo al quale la deambulazione si fa normale. Riposto l'animale nella sua vaschetta di vetro, noto, dopo un' ora, che esso vi descrive moti di maneggio verso destra, cioè in senso opposto al precedente. Tale moto è pure contrassegnato da attività flessone del primo e del secondo arto di destra. Ecci- tato per pressione sulle elitre e sui fianchi, rettifica temporanea- mente ed accelera la locomozione, restituendo la simmetria dina- mica dei moti degli arti. Lasciato a sé, riprende il maneggio. Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 69 Ma dopo ventiquattr' ore il maneggio a sinistrasi è ristabilito e con carattere di durevolezza; infatti non cessa più per le sessan- totto ore successive di vita dell'animale. Lo accompagnano i sintomi caratteristici già più volte descritti, di piegamento del corpo a si- nistra, per acutizzazione degli angoli coxofemorali e tibiofemorali sinistri ed il solito impiego flessivo degli arti sinistri, sopratutto evidente nell' arto anteriore. Anche fra i terzi arti sussiste il di- squilibrio più volte descritto. Per eccitazione dell'animale (pressione sulle elitre e sui fianchi) il maneggio viene allargato e talora la deambulazione per poco rettificata. Ma tale reazione si dimostra assai meno vivace che nelle ventiquattro ore precedenti. Sembra che il " momento flessivo „ degli arti sinistri abbia preso in essi certa durevolezza e costanza. Per stimoli violenti applicati nello stesso modo, gli arti destri vengono irrigiditi in estensione, immo- bili; i sinistri, primo e secondo, si danno a movimenti vivi e scoor- dinati. Naturalmente la deambulazione si arresta. Fatti da confron- tare con quelli riportati a proposito della Pimelia N. 115. Fig. il. — Lesione del cervello nel caso N.o 85. L' animale viene ucciso senza manifestare traccia di decisiva rigenerazione fisiologica. Alla dissezione, il cervello mostrasi ma- croscopicamente illeso. Solo frontalmente, ed esattamente nell'in- senatura fra i due rigonfiamenti del ganglio, si nota una piccola extrusione di sostanza nervosa (Fig. ti). I mezzi ottici a mia disposizione non mi hanno permesso di scorgere la ferita del cervello, poiché ferita vi deve essere stata come dimostra la presenza del versamento di sostanza nervosa. È verosimile, data la posizione esaltamente mediana della extrusione, che la ferita sempre in posizione frontale, abbia a un tempo inte- ressate regioni finitime nervosamente appartenenti alle due metà del sopraesofageo e che, aggravatasi l'una o sanatasi l'altra ('?), uno dei due comportamenti possibili ed effettivamente verificatisi si sia affermato da solo. 70 Edgardo Baldi Blaps mortìsaga. — (N.° 86). Questo caso è interessante da più punti di vista. Avevo inferta la lesione alla metà destra del cervello ed avevo ripetuta più volte la lesione. Immobilizzatasi l'antenna sinistra, 1' animale si pone a descrivere un netto maneggio sulla destra con dissimmetria nello impiego degli arti, molto evidente sopratutto nelle prime due paia. Gli arti destri si mantengono attivi dentro il loro piano tibiofe- morale, mentre le tibie dei sinistri, specie dei primi due, ne escono per i moti impulsivi loro proprii. Così dicasi della linea dei tarsi, la cui rotazione intorno alla spina della tibia, a destra, è abolita. Il corpo è molto piegato a destra e tale obliquità si accentua per stimolazione del corpo dell' animale mentre il moto si accelera. Il moto non è rigorosamente continuativo, bensì intervallato da fre- quenti soste. Dura, senza segni dì ripristino dell' attività normale, una trentina di ore, sino all'uccisione dell'animale. Mozzate successivamente le tibie dei tre arti sinistri, il moto di maneggio non ne viene allargato che temporaneamente ed in- sensibilmente. La coordinazione non ne è tocca. Alla dissezione, il cervello si mostra leso a sinistra anterior- mente , sotto all'attaccatura del lobo ottico, che è intatto , in re- gione, cioè, simmetrica a quella della Blaps N.° 74 [Fig. 12). Riassumendo, l'involonta- rio errore di lesione ignorato sino al momento della disse/io- ne, dimostra all'evidenza come il maneggio sia legato alla la- teralità della lesione, l'altera- zione della meccanica locomo- toria dell'equilibrio è in questo caso simmetrica a quelle sin qui descritte. La lesione è ancora localizzata anteriormente. Fig. 12. Fotografia del cervello leso nel caso N.o 86. Blaps mortìsaga. — (N.o 112). Ad una lesione nella solita regione destra del capo segue un maneggio stretto di qualche giro, che si allarga subito dopo ed indi passa in un moto a ruota sull'addome. Ossia: l'animale, facendo approssimativamente perno sull'estremo dell'addome, gira come se Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 71 fosse vincolato al razzo di una ruota dotata di moto sinistrorso. La meccanica degli arti destri e sinistri delle due prime paia nei suoi movimenti flessomi ed estensorii non è diversa da quella del maneggio. Il moto a ruota sembra un moto di maneg- gio cui manchi la traslazione all' avanti. Cooperano a questa mancanza gli arti del terzo paio, fra cui il destro eseguisce moti puramente locali ed il sinistro è del tutto immobilizzato. Evidente e caratteristica nel moto a ruota è l'attività degli arti del primo paio: attività contenuta ad un dipresso in un piano normale all'asse sagittale. Il primo arto a sinistra eseguisce trasversalmente solo moti di attrazione, il destro, pure trasversal- mente, solo moti di estensione. Tali moti sono sempre coordinati, ossia coordinatamente legati a quelli delle paia posteriori, sembra loro manchi solamente l'attività propulsiva all'avariti. La velocità della rotazione è superiore a quella della deambulazione normale. A tale moto a ruota segue un periodo di immobilità. L' animale, eccitato, riprende la locomozione con un largo maneggio a sinistra. Nei giorni successivi la deambulazione si rifa lentamente normale. Fig. 13. — Lesione del cervello nel caso N.o 112. AI terzo giorno la dissezione mostra una larga extrusione di sostanza nervosa medialmente e quasi frontalmente (Fig. 13). Il disquilibrio locomotorio, che ha dato successivamente luogo ai due moti di maneggio e di ruota non ha occupato che un periodo di tempo limitato dopo la lesione. E poiché la le- sione sussiste ed ancora è situata in regione frontale, è lecita la domanda se questo Blaps non ci offra esempio di un caso di rigenerazione fisiologica. Indubbiamente, esso non è più tra i casi tipici . 72 Edgardo Baldi Pimelìa andnlata. — (N.° 114). A questa Pimelia ho asportata di netto la intera metà destra del capo, compresivi, naturalmente, l'antenna e l'occhio. Nei primi due giorni l'animale mi ha dato un nettissimo maneggio a sinistra dimostrante tutte le particolarità tipiche di tale moto. Il terzo giorno, il maneggio aveva lasciato il posto ad una lenta marcia in linea retta. La rigenerazione fisiologica qui però non è che appa- rente. In realtà, processi disintegrativi, presumibilmente di natura infettiva , cui 1' ampia superficie di sezione aveva lasciato libero adito, hanno aggredita la metà sinistra del cervello e l'hanno quasi distrutta. La marcia retta, infatti, è di tipo asensorio ed il pro- cesso quindi è completamente comparabile all'operazione di lesione bilaterale dei sopraesofagei l). La dissezione infatti non rivela che un informe frammento della porzione sinistra del cervello, ancora connesso con il nervo antennario. L' esempio dimostra come non si possa parlare di ri- generazione fisiologica ad ogni apparire della marcia rettilinea, dopo il maneggio. Prima di entrare nella trattazione dei maneggi decisamente atipici, accennerò ad una serie di errori di manualità nelle esperienze, i quali, dato quel particolare carattere logico del procedimento, che ho più indietro esposto, non mancano di si- gnificato. Tutti gli esemplari qui appresso elencati vennero ope- rati con l'intenzionale fine di ledere la metà destra dei sopra- esofagei. **->' Carabus morbillosus. — (N.° 31j. Ferito sopra e poco dietro l'inserzione dell' antenna destra. Ad un periodo, della durata di pochi minuti, di immobilità rotta da fremiti tarsei e da piccoli moti isolati di qualche arto , segue la spontanea ripresa della locomozione retta, senza tracce di maneg- gio. Comportamento molto vivace, frequenti moti di pulizia, spesso a vuoto, sulla antenna destra che è afflosciata. Nei periodi di quiete netti riflessi di sollevamento per pressione elitrale. Talora, a qualche stimolo più intenso, l'animale reagisce con autoemorree orali. Uc- ciso dopo venti giorni di simile comportamento senza mai tracce di moti in circolo. Alla dissezione, il cervello si mostra illeso. l) Veggasi ancora la mia nota I, precedentemente citata (1921). Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 73 Blaps mortisaga. — (N.° 50). È osservabile un certo indebolimento generale degli arti, per cui il corpo si muove quasi strisciando sul terreno. Deambulazione lenta, moti di tasteggiamento e di pulizia a vuoto. Non apprezzabili differenze dell'impiego degli arti dai due lati del corpo. L'animale non ha mai accennato a maneggi nei quindici giorni che seguono alla lesione. Alla dissezione il cervello si mostra illeso. Presumibil- mente l'ago è penetrato immediatamente avanti alla parte destra del cerebron. Carabus morbillosus. — (N.° 33). Leso sopra e poco innanzi l'antenna destra. Deambulazione ac- celerata. Netti riflessi di sollevamento solo in condizioni di riposo dell'animale. Durante la locomozione, una pressione elitrale non fa che accelerarla. L'animale sopravvive venti giorni e mostra alla dissezione i gangli cefalici integri. Pimelia undulata. — (N.° 52). La deambulazione ed il comportamento generale dell' animale non mostrano che un'eccitabilità più elevata del normale. Nessuno squilibrio locomotorio. Al ventottesimo giorno mostra il cervello illeso. Credo inutile proseguire la rassegna di casi analoghi, ab- bastanza numerosi nelle mie note, i quali tutti dimostrerebbero come la integrità dei gangli sopraesofagei — involontaria da parte dello sperimentatore — si accompagni al più a qualche passeggera turba della reattività, ma non mai a definite altera- zioni (e tanto meno nel senso della produzione di un maneggio) nell'attività degli arti. &* 74 Edgardo Baldi Seconda Serie Prenderemo ora in esame, dopo esserci convinti che il ma- neggio è legato ad una lesione laterale dei gangli sopraesofagei e probabilmente alla lesione di una loro regione frontale e che l'integrità di essi gangli si accompagna costantemente alla nor- malità del comportamento, i casi atipici, la cui analisi ci con- fermerà nei concetti sinora acquisiti. Tali casi, data la localiz- zazione che sembra necessaria alle lesioni, onde ottenere i fe- nomeni classici del maneggio, sono naturalmente in numero assai più rilevante dei tipici. Qui ne verranno passati in rassegna i più interessanti, che possono illuminare il problema così come lo abbiamo impo- stato, lasciando da parte tutti quelli in cui la documentazione appaia incompleta od insufficiente. Dividerò questa seconda serie in tre parti: comportamenti anormali accompagnati da lesione — lesioni del cerebron non accompagnate da distinto maneggio — maneggi manifestatisi senz'essere accompagnati da distinte lesioni della sostanza ner- vosa. Carabus morbillosus. — (N.° 37). La ferita è inferta poco addietro la congiungente le cornee, alquanto a destra al piano sagittale del capo. L'animale dà subito un bel maneggio a sinistra, che automaticamente viene registrato su di un foglio bianco da una copiosa e duratura autoemorrea boc- cale. Il maneggio continua ininterrottamente nella prima giornata: il corpo è flesso a sinistra, il capo, piegato pure a sinistra. L'an- tenna destra è immobilizzata. Il primo arto sinistro non compie che moti flessorii ed attrattivi della tibia sul femore; il secondo è pressoché immobile; così il terzo, flesso, mentre il terzo arto destro è irrigidito ed esteso. Il primo ed il secondo arto di destra descrivono arcate tanto ampie da impacciarsi a vicenda. Nel moto, continuativo, si nota una certa ritmicità di fasi; il giro si allarga e si restringe a seconda che la coordinazione fra i moti degli arti permane normale, oppure viene momentaneamente disturbata. Ventiquattr'ore dopo, la deambulazione è rifatta retta, i moti degli arti si sono simmetrizzati ; il terzo destro rimane però esteso, con un angolo tibiofemorale maggiore che a sinistra. Ma se l'ani- Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 75 male si locomove dirittamente e volge anche a sinistra, non compie mai svolte sulla destra. Posto a conlatto di un contorno circolare solido, lo segue, andando verso sinistra, ma non nel senso opposto. È però sufficiente premere prolungatamente sulle elitre e sul capo, oppure rivolgere l'animale sul dorso, senza che esso possa rivol- tarsi, perchè esso, appena riacquistata la stazione normale , e la libertà, si ponga a descrivere un maneggio sinistrorso di qualche giro. In tale maneggio appare costantemente disturbata la coordi- nazione normale fra gli arti. È notevole come la marcia retta del- l'animale non avvenga secondo una traiettoria contenuta nel piano sagittale, ma sia a questo obliqua sulla sinistra. Ma, al terzo giorno dalla lesione, trovo essersi stabilito un regolare e continuativo ma- neggio sinistrorso, con coordinazione dei moti degli arti ed asse del corpo flesso verso la sinistra, di curvatura un poco variabile. Le attività locomotorie sono così distribuite fra gli arti : il primo arto sinistro non compie che moti flessivi di attrazione — il secondo arto sinistro descrive minuscole arcate con il femore. I moti fles- sivi della tibia sul femore si accompagnano a moti di puntella- mento obliquo all'indietro ed all'indentro. - 11 terzo arto sinistro è pressoché immobile — il primo arto destro descrive ampie arcate regolari verso l'indietro ed all'infuori — il secondo arto destro de- scrive arcate regolari ed amplificate — il terzo arto destro dà im- pulsioni all'indietro, un poco oblique verso ['infuori. Oltre al moto proprio di maneggio che continuamente fa ruotare l'animale sulla sinistra, questo ne presenta un altro, d' assieme, che sembra tra- sportare ad ogni giro l'animale sulla destra dell'osservatore, così che il reogramma complessivo offre un notevole aspetto ad eliche sovrapposte. Né il moto di maneggio subisce alterazioni nella velocità o nella forma, facendo ruotare la scatola di vetro in cui conservo 1' animale, nei due versi. In essa scatola trovansi però — conviene notarlo — punti di ri- ferimento. Ucciso l'animale dopo quattro giorni, trovo sezionato e sfran- giato il lobo ottico destro. La metà destra del cervello è separata in più brani. Riassumendo: l'animale ha presentato un vario comportamento con dettagli, dei quali crederei prematuro tentare una interpreta- zione ipotetica. Sembra però che in esso la " propensione al ma- neggio sinistrorso „ siasi venuta successivamente sempre più net- tamente affermando ed in simili casi si può sempre pensare ad un estendersi della lesione dentro il tessuto sano. La gravità della lesione è del resto tale da giustificare il complesso comportamento dell'animale. 76 Edgardo Baldi Carabus morbillosas. — (N.° 38). Ad una ferita ripetutamente inferta quasi medialmente, sopra l'occhio destro, l'animale dapprima reagisce con una immobiliz- zazione interrotta da varii piccoli moti degli arti e nella quale già è evidente una flessione del capo e del corsaletto sulla sinistra, indi si pone a girare sulla sinistra e quasi su di sé medesimo, ma al- l'indietro, con complessa e varia meccanica degli arti, la quale si può così riassumere: mentre gli arti sinistri descrivono piccole arcate nel senso normale, i destri ne descrivono a rovescio. l'ig. iU. -- Lesione del cervello nel caso N.o 38. Nelle venti quatti*' ore tale curioso maneggio si allarga un poco. Nelle ventiquattro successive 1' animale si è rifatto alquanto nor- male ; con buona coordinazione ha ripresa una marcia rettilinea, con qualche sporadico giro a sinistra dovuto all'aumentata attività flessiva degli arti sinistri, del primo in ispecie. Tutti gii arti sini- stri sono permanentemente più flessi dei destri nell'articolazione ti- biof emorale. La marcia è sovente interrotta da pause di immobi- lità, con moti pendolari degli arti ed autoemorree boccali. Allorché il maneggio si stabilisce, esso si accompagna alla nota dissimmetria locomotoria. Alla dissezione la metà destra superiore del cerebron si mostra parzialmente staccata e sollevata sopra il lobo ottico destro; la re- gione frontale ne è parzialmente intaccata {Fig. 74). Carabus morbillosus. — (N.° 51). Ferito a due riprese nella solita regione, 1' animale dapprima si immobilizza con varie reazioni locali agli stimoli e diversi moti pendolari e tremolìi degli arti, accompagnati da anormale proten- sione degli ultimi segmenti addominali. Rovesciato, non manifesta il riflesso di sollevamento; ha frequenti moti di pulizia. Ma, dopo una diecina di minuti, dà inizio ad uno stretto e bellissimo ma- neggio sulla sinistra che dura una quindicina di minuti, con pochi arresti e netto autosollevamento durante la marcia. Il corpo è leg- germente inclinato sulla sinistra, la dissimmetria di impiego degli Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 77 arti è particolarmente evidente in (incili del primo paio. Le escur- sioni degli arti destri sono tanto ampie che sovente i tarsi si im- pigliano vicendevolmente. Dopo un quarto d'ora il maneggio si allarga e si inframmezzano ad esso brevi tratti di marcia rettilinea. Il quadro dura così, sino al settimo giorno, in cui l'animale viene sacrificato. Presenta spezzato di netto il lobo ottico destro, dalla coppa ottica sino al primo terzo prossimale. Più prossimalmente ancora vi è un'altra lesione, ma le superfici di sezione sono avvi- cinate. Nella stessa metà destra del cerebron vi sono altre lesioni, macroscopicamente non bene individualizzate. Per la mancanza di precisi dati anatomici forniti dalle dis- sezioni, non riferisco le mie osservazioni relative a numerosi altri Carabus, per quanto talune siano di notevole interesse. Farò però un' eccezione per il Carabus morbillosus. — (N.° 30). Ferito sopra l'inserzione dell'antenna destra, la dissezione ha rivelato un lato fra la coppa oculare destra e il plesso tracheale brillante che copre le masse centrali del cerebron. Ivi non era vi- sibile traccia di lobo ottico. Subito dopo l'operazione, 1' animale è piombato in uno stato di immobilità che solamente veniva interrotto dalle note reazioni locali. Per reiterati stimoli , al quinto minuto, l'animale si riscuote — ed il moto indi si fa spontaneo — descri- vendo un cerchio all' indietro e verso la propria sinistra, un vero e proprio maneggio rovesciato strettissimo. Con il suo farsi sempre più stretto, il maneggio passa infine ad un moto in tondo dell'ani- male su se stesso. Il giro è dovuto, anche qui", ad una maggiore attività della contromarcia degli arti destri. Ma dopo qualche ora e nei cinque giorni seguenti, il comportamento dell' animale si rifa regolarmente normale, conservando solamente una più esaltata ec- citabilità. Nella bibliografia, tranne le indicazioni del Comes sulla retromarcia dei termitidi decapitati, non si trovano indicazioni di maneggio retrogrado degli insetti. Segue una serie di casi, i quali non potrebbero essere net- tamente scissi dai precedenti ed in cui una evidente lesione cerebrale non ha avuto per conseguenza moti di maneggio o di rotazione. 78 Edgardo Baldi Carabus morbillosus. — (N.° 48). Ferito sopra l'occhio destro, dà un rapidissimo giro assai stretto verso destra, della durata di pochi secondi, indi si arresta, si ab- batte sulla sinistra, protende gli ultimi articoli addominali, estro- flette il cirro. Dopo una diecina di minuti il corpo si riequilibra, Fig. l'i. Lesione del cervello nel caso X.o 48. pur rimanendo tanto abbassato, da toccar terra con gli steriliti. Ha continuativi moti di pulizia dei tarsi destri sull'antenna destra. Rovesciato, ha deboli ed inefficienti moti degli arti , che non rie- scono al raddrizzamento. Nelle ventiquattro ore successive si sta- bilisce una lenta deambulazione retta e coordinata senza traccia alcuna di maneggio. Le antenne hanno moti esplorativi più vivaci del normale. Aperto il capo dopo otto giorni, il cerebron si presenta, a destra, parzialmente staccato dal lobo ottico destro da un net- tissimo foro cilindrico corrispondente al foro nella cuticola del capo, che trapassa la parte posteriore destra del cervello, appunto nella regione d' inserzione del lobo ottico (Fig. 17). Si noterà come tale lesione rispetti completamente la regione anteriore, frontale, del cervello e non si mancherà di porre tale fatto in relazione con la mancanza di moti di maneggio. Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 7^ Carabus morbìllosus. — (N.° 47). Ferito sopra l'occhio destro, dà uno strettissimo maneggio de- strorso, di durata inferiore al minuto, con pause e riprese a scatti. Capo e corsaletto sono . ri- volti a destra. Trascorso il minuto, gli si sostituisce una deambu- lazione diritta e sollevata anch'essa a scatti, con una curiosa alternanza di bru- schi arresti e di subite ri- prese. Anche il riflesso di raddrizzamento si attua con esplosioni violente, accom- pagnate da periodi d' immo- bilità. Tali sintomi si atte- nuano nei giorni successivi. La marcia è ben coordinata, il corpo bene equilibrato nello spazio. Aperto il capo dopo otto giorni, il lobo ot- tico destro si mostra isolato dalla coppa ottica e lievemente leso verso il suo mezzo. Il cerebron propriamente detto è intatto (Fiy. 16)., Fig. ICì. — Lesione del cervello nel caso n. 47. Pimelia undulata. — (N.° 109). Ferita praticata previo scoperchiamento del capo, per ledere i sopraesofagei a destra. Subito alcuni rapidi giri a sinistra, indi com- Fig. 11. — Lesione del cervello nel caso X.o KM). portamento eccitato e vario, senza più tracce di maneggio. Nei giorni successivi, l'animale si va immobilizzando. Alla dissezione 80 Edgardo Baldi è visibile una cospicua extrusione di sostanza nervosa da un' area subellittica situata nella regione posteriore interna della metà sinistra del celebro. Il sottoesofageo e le commissure sono illesi (Fig. 17). Blaps mortisaga. — iN.° 104). » Ad una prima ferita risponde con una marcia lenta, strisciata, che per eccitazione passa a marcia normale. Ad una seconda ferita succede un quadro simile a quello d'immobilizzazione per lesione del sottoesofageo, ma non identico, poiché il riflesso di raddrizza- mento persiste e perchè, per stimolazioni iterate, il Blaps compie qualche passo. In tali passi sembra l'animale tenda a girare a si- nistra. Anche gli arti sinistri si mantengono più flessi dei destri. Il sottoesofageo è intatto. Il cerebron, che a destra presenta qualche lesione, è separato dal corrispondente lobo ottico. Blaps mortisaga. — (N.° 69). Dopo la ferita e nella prima mezz'ora, l'animale ha maneggi spontanei e provocati (per pressione) sulla sinistra, con immobi- lità pressoché completa degli orti sinistri ; tali moti sono di breve durata; l'animale ordinariamente rimane in quiete con qualche manifestazione locale. Il quinto giorno si è stabilita una marcia lenta, non molto bene coordinata. Un toccamento sul dorso fa per- dere all'animale la coordinazione, lo arresta e provoca in lui moti di tasteggiamento. Il corpo è equilibrato, permane il riflesso di rad- drizzamento. I lobi ottici alla dissezione si rivelano intatti ; i cere- broidi sono lesi centralmente, con penetrazione di minuscoli fram- menti di chitina. Carabns morbillosns. — (N.° 32). Nelle prime ventiquattr' ore dalla lesione l'animale permane per lo più immobile, con esagerati riflessi tonici, manifestazioni e reazioni locali. Persiste però il riflesso di raddrizzamento. Nei giorni successivi riacquista la locomozione lenta, autosollevantesi senza tracce di maneggio , con frequenti autoemorree, sia per pressione, sia per autoeccitazione dell' animale. Alla dissezione, il cerebron si mostra parzialmente distaccato dal lobo ottico destro, secondo una netta superficie di sezione. Il lobo ottico è pure leso. Il cerebron si mostra rigonfio ed un poco sformato, però senza altre lesioni visi- bili (Fig. 18). Prendiamo ora brevemente in esame i casi di maneggio senza apparente lesione del cervello. Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 81 Blaps mortisaga. — (N.° 68). Ferita nel modo consueto , dà un netto maneggio a sinistra, con tutti i sintomi, il quale dura una diecina di minuti. Gli segue una marcia regolare coordinata e simmetrica, nella quale non posso notare come anormali che frequenti fremiti degli arti. L'animale, ucciso subito e dissettato, non rivela alcuna lesione al cerebron : l'ago è penetrato subito avanti al suo margine anteriore-destro. Blaps ino r lisa g a. — (N.° 70). Alla solita ferita l'animale reagisce con un largo e rapido ma- neggio sinistrorso, con qualche oscillazione e qualche deviazione Fig. Ì8. Lesione del cervello nel caso N'.o 32. dalla traiettoria teorica. Davanti ad un ostacolo, ad esempio, 1' a- nimale devia anche sulla propria destra. In capo ad una diecina di minuti, con l'allargarsi graduale del giro, ogni manifestazione dissimmetrica va scomparendo. Non persiste che una accresciuta eccitabilità dell'animale. In capo a ventiquattr'ore, l'animale s'è rifatto quasi completamente normale. Alla dissezione, i cerebroidi si dimostrano intatti. Pimelia undulata. — (N.° 92). Ferita molto laterale e posteriore, cui segue un netto maneg- gio della durata di circa un minuto. Nei quattro giorni successivi il comportamento si mantiene appieno normale. Cervello illeso. 6 82 Edgardo Baldi Pìmelia imdulala. — (N.° 89). L'animale, ferito al lato destro, come d'ordinario, ha un ma- neggio sulla destra, in cui si mostra alquanto inclinato a destra e gli arti destri sono più flessi dei sinistri, senza peraltro manife- stare una netta dissimmetria d'impiego. Il maneggio non dura che cinque primi e non ricompare più che per stimolazione. Ma tre giorni dopo anche tali stimolazioni non sortono più alcun effetto. E benché qualcuno dei fenomeni secondarli che accompagnano il maneggio persista, benché attenuato , la deambulazione è lenta e retta. Nella prima giornata il maneggio ricompare ancora per pro- lungate pressioni sul dorso o per prolungali ed inani tentativi di raddrizzamento, cioè quando il tono muscolare venga comunque esaltato. In tali comparse sporadiche, che non si ripetono oltre il secondo giorno, si restituiscono tutti i noti squilibrii del porta- mento. La marcia normale, in seguito, frequentemente è di tipo sollevato. Il cervello è rimasto integro. fìlaps mortisaga. — (N.° 71). Maneggio regolare e coordinato, sinistrorso. La dissimmetria d' impiego è particolarmente apprezzabile nel primo paio, non nei successivi. Corpo equilibrato e capo volto a sinistra. In capo a mez- z'ora si ristabilisce una deambulazione lenta, coordinata e diritta. In seguito, permane nel primo arto sinistro una certa attenuata attività flessoria che talora fa compiere alla Blaps qualche largo giro. In tali periodi, il corpo del- l'animale si flette un poco sulla sinistra. Sembra che il maneggio abbia degli intervallati ed atte- nuati ritorni nel comportamento dell'animale, il quale, però, per opportuni stimoli, sa piegare an- che sulla destra. I cerebroidi sono intatti : qualche lieve lesione al lobo ottico destro. Blaps mortisaga. — (N.° 80). Segue, ad un immediato e ra- pido maneggio sulla destra, dopo un brusco alt, un largo girare ver- so sinistra, cui di nuovo succede giro in circolo destrorso. Indi la deambulaziono si fa diritta oscil- lante, con frequenti marce a ritroso. Nei giorni seguenti, l'animale Fig. 19. -- Lesione del cervello nel caso N.o 80. Osservazioni ed esperienze sui moti di maneggio dei coleotteri 83 si comporta del tutto normalmente. Il cervello non ha sofferto al- cun visibile danno (Fig. 19). È interessante paragonare il comportamento della Blaps N. 80 a quello presentato dalla Pimelia undulata. — (N.° 78). Fig. 20. — Schema dei piani in cui av- vengono i moti degli arti in ima Blaps lesa, da porre in confronto con i piani normali (cfr. prec. nota). Scoperchiatole il capo, senza alcun sensibile effetto sulla normalità dei movimenti locomotori , mediante la capocchia finissima ed arrotondata di uno spillo da entomologo, premo leg- germente sulla regione destra del cer- vello, allo scopo di non lederlo, bensì di sperimentare gli effetti di un leg- gero trauma senza lesioni istologiche. L'animale mostra un alternare di giri sulla destra e sulla sinistra con moti normali in linea retta, ad ogni nuovo intervento. Il comportamento in Oìmi caso si fa normale trascorsi pochi minuti. La dissezione mi con- ferma che il cervello è rimasto il- leso. Con il medesimo fine e con l'identico procedimento ho ope- rato su altre Pimelia, ottenendone, senza ledere il cervello, ma con il solo comprimerlo, molli dei fenomeni già osservati e de- scritti in individui precedenti, feriti senza lesione diretta del cer- vello : in prevalenza, cioè, brevi moti in circolo stretto, seguiti subito dopo da una ripresa di locomozione normale {Fig. 20). Vediamo ora da questa congerie di fatti, la quale non rap- presenta che una parte delle mie esperienze, di trarre qualche osservazione sintetica, che stringa più dappresso il nostro pro- blema. Riassumerò paragraficamente : 1. — Non è sufficiente indicare, come sin qui hanno fatto gli autori, quale causa del maneggio la lesione generica di una metà del cervello ; 2. — Poi che abbiamo constatate lesioni, pure localizzate ad una metà del cervello, le quali non hanno provocati moti di maneggio, ma solamente alterazioni , di diverso -grado di complessità, del comportamento dell'animale ; 84 Edgardo Baldi 3. — La costante presenza di lesioni alla regione frontale del cerebron, isolate od accompagnate a lesioni in altre regioni, nei casi di maneggi tipici — la mancanza di lesioni nella detta regione frontale, allorché il comportamento alterato, ma scevro di maneggi, si accompagnava a ferite in regioni diverse dalla frontale— sembrano accennare ad una localizzazione nella detta regione della determinazione nervosa delle condizioni che pro- vocano il maneggio; 4. — L'integrità del cervello nei casi di mancato maneggio conferma, d'altro canto, che la lesione è fattore necessario degli squilibrii locomotorii che producono il maneggio ; 5. - - I moti di maneggio ottenuti per traumi senza lesione del cervello sono di efimera durata e di impreciso carattere: 6. -- Sembra quindi che il moto tipico di maneggio, il gi- rotondo, cioè, costante, continuativo ed universo, accompagnato dagli squilibrii locomotorii caratteristici, sia dovuto ad una le- sione localizzata nella regione frontale del cerebron e ristretta ad una sua metà laterale. L'avere accennato ad un maneggio prototipo implica che se ne ammettano delle varietà e delle attenuazioni. Quale in- terpretazione dar loro? Quale posto assegnare al maneggio tipo nel quadro delle alterate funzioni neuromuscolari dell'organi- smo ? Il problema non può dirsi peranco risolto dalle mie ri- cerche, ma un primo abbozzo di soluzione si può vedere nella citata mia precedente nota, cui nuove osservazioni, che ho in animo di intraprendere, porteranno forse maggiore luce. Istituto di Zoologia della R. Università di Pavia diretto da Rina Monti. Ricevuto il 18 Maggio 1921 — Finito di stampare il 14 Febbraio 1922 Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli Anfibi Anuri in riferimento a esperienze d'innesti del Dott. Giulio Cotronei Aiuto e libero docente nell'Istituto di anatomia e fisiologia comparate nella R. Università di Roma con la lavola 6 e due incisioni Sommario 1. Impostazione del lavoro. 2. Su alcuni problemi inerenti agli innesti negli Anfibi. 3. Esperienze preliminari sulle larve a litio di Bufo vulgaris. 4. Esperienze personali sugli innesti ó. Esperienze con parti isolate di larve di Bufo vulgaris. 6. Su condizioni differenziali tra Bufo vulgaris e Rana esculenta per la metamorfosi in determinate condizioni. 7. Riassunto e considerazioni generali. 8. Conclusioni. Impostazione del lavoro Le ricerche esposte nel presente *) lavoro rappresentano un nuovo mio contributo a un problema fondamentale, di cui mi occupo da molti anni: quello della metamorfosi degli Anfibi. Ho raggruppato molte esperienze (alcune delle quaji con procedimenti tecnici mai da me tentati finora) che pur appa- rendo a prima vista staccate fra loro, rappresentano invece lo svolgimento d' un medesimo piano organico di indagine. Il mio lavoro ha per punto di partenza le ricerche sugli innesti tra larve normali e larve a litio di Bufo vulgaris, allo scopo di accertare : 1. - Il comportamento dei due individui uniti a coppia nell' ulteriore sviluppo embrionale 2) dallo stadio di 4-5 mm. di lunghezza). ') Un riassunto della presente memoria fu comunicato nella seduta del 20 novembre 1921 della R. Accademia dei Lincei. 2) Va osservato che a 4 mm. di lunghezza viene già usata la deno- minazione di « larva » e 1' uso anche io per non sottrarmi alla conven- Art. 5. 8fi Giulio Cotronci 2. - Vedere se è possibile in tali condizioni sperimentali giungere alla fase di metamorfosi, e qual'è il comportamento dei due individui qualora si possa arrivare a tale condizione. Queste ricerche si sono svolte contemporaneamente allo studio delle larve a litio trattate isolatamente con l' endoti- roidina, per vedere il comportamento delle larve a litio a di- verso grado malformativo circa le fase di metamorfosi e la loro differente rapidità di sviluppo. Vi ho aggiunto le esperienze sulle parti isolate di Bufo vul- garis (mediante tagli trasversali) trattate con 1' Endotiroidina. Osservazioni e esperienze fanno risaltare la differenza tra il metabolismo (inteso in senso molto generale) embrionale, durante l'assorbimento vitellino, e il metabolismo larvale. Esperienze complementari mettono in luce un comporta- mento differenziale tra le giovani larve di Bufo vulgaris e di Rana esculenta, circa la metamorfosi da raggiunoersi in deter- minate condizioni. Su alcuni problemi inerenti agli innesti negli Anfibi La tecnica degli innesti, dalle antiche ricerche di Tremblev e da quelle divenute classiche di P. Bert, fino alle fondamen- tali ricerche di Bohn e agli interessanti studi sulla parabiosi, ha permesso di gettare una viva luce su molte e importanti questioni biologiche. Pej- la morfologia causale le ricerche di Bokn hanno se- gnato l'inizio d'un nuovo periodo di proficuo lavoro. Lavo- rando sulle larve di Anfibi , materiale prezioso per questo genere di studi, Born ha indicato dei procedimenti tecnici, sì da facilitare di molto lo studio degli innesti; ma le ricerche di Born hanno sopra tutto un valore intrinseco di grande im- portanza per i problemi che ha impostato e trattato. zione generale, ma poiché l'organismo è in tale momento in pieno svi- luppo, si può benissimo parlare ancora di sviluppo embrionale. Del resto è questione di parole e tutto consiste nel definire bene il senso che si vuol dare ad una data espressione, ed io intendo più propriamente per sviluppo larvale (che per molti organi è soltanto accrescimento) quello che avviene quando ultimato l'assorbimento vitellino, l'animale può met- tersi in rapporto con 1' ambiente esterno per nutrirsi. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 87 Le note preventive di Born furono pubblicate nel 1895. Il lavoro completo nel 1897. Il biologo tedesco riuscì con una grande facilità a fondere insieme individui che si erano per alcun tempo sviluppati separatamente; e a innestare tra loro larve di Anfibi di genere, di famiglie e persino di ordini dif- ferenti. Infatti il Born riuscì a saldare la parte cefalica di una larva di Rana esculenta con la parte posteriore di una larva di Bombinator igneus, e inversamente la parte cefalica di una larva di Bombinator igneus con la parte posteriore di una larva di Rana esculenta : unì ventralmente una larva di Bom- binator igneus con una di Rana esculenta: riuscì perfino a produrre innesti tra Tritoni e Rane. Nelle sue esperienze Born operava con larve assai giovani di 2 a 4 mm. di lunghezza. E questo il periodo migliore per ottenere una rapida fusione. Born avverte che quando più gio- vani sono gli esemplari , tanto più facile è la riuscita degli esperimenti. In generale, il tempo in cui si opera una com- pleta unione viene stabilito in 24 ore. La durata di vita dei pezzi innestati è naturalmente subordinata a svariate condi- zioni, e innanzi tutto alla maniera in cui è stato condotto l'in- nesto ; così innestando fra loro pezzi posteriori all' abbozzo del cuore, si hanno degli innesti privi del cuore , ove non si stabilisce la circolazione : la durata di vita in tali casi non su- pera gli otto giorni ; ma in tale periodo i pezzi innestati con- tinuano nel loro sviluppo. Una durata di vita assai superiore si ottiene quando il pezzo che si innesta contiene l'abbozzo del cuore. Born è riuscito anche ad ottenere l'unione tra pezzi anteriori di due larve. L'unione poi, tra il pezzo anteriore di una larva col pezzo posteriore di un'altra larva conduce ancora, naturalmente, a risultati differenti a seconda del differente li- vello del taglio : si possono così ottenere degli organi doppi. Born ha ottenuto dei mostri doppi unendo ventralmente due larve, ad ognuna delle quali aveva asportato un lembo cutaneo con un po' di vitello; le larve così si saldano con una grande facilità : l'autore tedesco è riuscito a far vivere questi mostri per cinque settimane e non dubita che si potrebbe giungere alla fase di metamorfosi. Una parte assai interessante delle ricerche di Born è quella che riguarda l'affinità che organi simili hanno l'uno per l'altro, anche quando si tratta d'innesti tra specie differenti : l'unione 88 Giulio Cotronei tra organi simili viene costituita da tessuto specifico e non da tessuto connettivo. Il tubo midollare del pezzo anteriore di una larva di Bom- bìnator ùjneus si continua direttamente col tubo midollare del pezzo posteriore di una larva di Rana esculenta. Tra liana fusca e Rana esculenta si può ottenere che i tubi digerenti si mettano in comunicazione perfetta Se invece vengono a con- tatto organi a struttura istologica differente, la sutura avviene per opera del tessuto connettivo. Le ricerche di Born furono riprese da molti autori. Har- rison eseguì importanti ricerche con innesti tra larve diffe- renti di Anfibi : riuscendo a verificare sperimentalmente la migrazione dell' abbozzo della linea laterale. Inoltre riuscì a fondere la parte anteriore di larve di Rana viscerens con la parte posteriore di larve di Rana paliislris. In un solo esperi- mento però (pag. 474) riuscì a condurre tale innesto alla meta- morfosi. Harrison osserva che nella combinazione dei due individui di specie differente ogni parte conserva i propri caratteri specifici. Giardina si è, a sua volta, molto servito degli innesti per vari problemi, e anche per seguire il destino di pezzi di Di- scoglossus privati di corda dorsale. Interessanti sono le ricerche di Anastasi, il quale vide negli innesti operati alla Born l'affinità degli abbozzi oculari, dando la prima verifica diretta della possibilità di fusione degli abbozzi oculari e della fusione del cristallino. Le ricerche di Anastasi sono quindi una verifica della legge di Born dell' affinità , con fusione ad opera del tessuto specifico, tra gli organi simili. Recentissime ricerche di Ekman (1921), pubblicate proprio in questi ultimi mesi, dimostrano che una medesima affinità esiste tra gli abbozzi del cuore, tra due larve di Bombinator unite ventralmente, in maniera opportuna, potendosi ottenere dei cuori doppi, nei quali le cavità tra i due cuori componenti possono comunicare. La metodica degli innesti è stata già usata negli studi sulla metamorfosi degli Anfibi. Un pezzo innestato su di un porta- innesto conserva la sua individualità rispetto al momento della metamorfosi o si mette nelle condizioni del portainnesto ? I lavori in proposito non sono concordi. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 89 Weigl innestò un pezzo di pelle di una giovane Salamandra su di un individuo della stessa specie e trovò che il pezzo innestato conserva in tutto i suoi caratteri originari, così il disegno, il colore della regione addominale da cui proveniva il pezzo innestato, ad esempio, dorsalmente. Questi fatti si ve- rificano , secondo Weigl, anche in innesti eteroplastici tra Axolotl e Salamandra. Un pezzo di pelle di Axolotl innestato sulla Salamandra conserva i suoi caratteri. Weigl ha esteso le sue ricerche alla fase di metamorfosi : partendo dalle ben note modificazioni che subisce la pelle delle larve degli Anfibi allorché vanno in metamorfosi, ha voluto vedere il comportamento di un pezzo di tegumento di larva più giovane innestato su una larva più vecchia , al- lorché quest'ultima andava in metamorfosi. L' autore osservò che il pezzo innestato non andava in metamorfosi al momento del portainnesto, ma seguiva sem- plicemente il comportamento che presentava la larva da cui proveniva l'innesto. Weigl interpretò questi risultati con l'am- mettere che i pezzi innestati conservano le tendenze origi- narie ed escluse, pertanto, ogni influenza d' insieme esercitata dall'individuo porta-innesto. In verità queste ricerche di Weigl pur rivelando una im- portante impostazione sperimentale, conducono a dei risultati che lasciano molto dubbiosi ; oggi che ben sappiamo l'influenza delle secrezioni interne nella metamorfosi degli Anfibi siamo riluttanti ad ammettere che il nuovo ambiente interno, umo- rale, del portainnesto non abbia nessuna influenza sul pezzo innestato. Bisogna subito avvertire che queste ricerche di Weigl non vanno d'accordo con altre ricerche ad esse con- temporanee. Uhlenhuth (1.913) partendo dal fatto che 1 iride della Sa- lamandra che è colorato in giallo diventa nero al momento della metamorfosi, ha eseguito esperienze di trapianti di occhi su individui di età differenti. L'occhio trapiantato in qualunque parte del corpo va in metamorfosi con le stesse modalità che quando si trovava al suo posto originario. L' autore osserva però che c'è una tendenza al sincronismo anche quando e' è differenza di età tra 1' innesto e il portainnesto : si può cioè ritardare o accelerare la metamorfosi del pezzo innestato sce- gliendo uh porta-innesto più giovane o più vecchio: Uhlen- 90 Giulio Colronei huth fa tuttavia osservare che se la differenza di età è troppo forte si nota eterocronia. Kornfeld ha esteso le ricerche dell'autore precedente, fa- cendo delle esperienze col trapianto delle branchie di individui più giovani su portainnesti più vecchi, e con branchie di in- dividui più vecchi su porta-innesti più giovani: ha notato che la metamorfosi nelle branchie trapiantate è accelerata nel primo caso ed è ritardato nel secondo caso. I risultali di Kornfelo sono dunque favorevoli alla tesi del sincronismo tra pezzo trapiantato e ospite. P. Della Valle s'è occupato negli Anfibi anuri del pro- blema cui ora ci riferiamo ; innestò code di girini di Rana su individui più adulti di due o tre giorni. Alla metamorfosi del- l'individuo porta-innesto più adulto anche la coda innestata proveniente dall'individuo più giovane si ridusse; la comuni- cazione dell'autore dice: " Tale fenomeno si verifica anche per questa coda innestata contemporaneamente alla riduzione della coda normale del porta-innesto, nonostante la differenza di età della parte e il fatto che la coda più giovane fosse stata innestata per es. nell'orbita o nella regione subioidea. Ciò è diverso dall'indipendenza di stadio di sviluppo constatata per il periodo iniziale di tali innesti eteroeroni „. Le ricerche ora esposte sul sincronismo o meno della me- tamorfosi dell'innesto e porta-innesto debbono farci prendere in considerazione la prevalenza che può esercitare il porta- innesto siili' innesto quando il pezzo innestato si limita a un solo organo, o a un lembo cutaneo, o alle branchie, o alla sola coda, rispetto al portainnesto che rappresenta un'indivi- dualità completa, morfologica e fisiologica. Che cosa avviene , invece, quando si uniscono due larve, di cui ognuna rappresenta una unità, morfologica e fisiologica, completa ? Di questo argomento tratterà il presente lavoro. Le ricerche fisiologiche siili' unione provocata artificial- mente tra due individui (parabiosi) hanno messo in luce fatti di grande importanza. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 91 Tanto sugli organismi animali quanto sugli organismi ve- getali si è riusciti a dimostrare il passaggio di sostanze attra- verso gli individui in parabiosi. Per la parabiosi vegetale ricordo le ricerche della Mameli che innestò due giovani individui d' Helianthus , non ancora provvisti di ossalato di calcio : uno degli individui fu messo in rapporto con una soluzione priva di calcio, l'altro con la stessa soluzione ma priva di magnesio: il risultato fu che tutti e due gli individui si mostrarono forniti di cristalli di ossa- lato di calcio, mentre i controlli tenuti in soluzione priva di calcio non ne mostravano. Per le ricerche, oramai numerosissime sulla parabiosi ani- male rimando il lettore agli importanti lavori di B. Morpurgo 1). Nell'ultimo suo recentissimo lavoro (1921) l'autore studia la conseguenza della nefroctomia nei topi siamesi, disuguali dal punto di vista fisiologico. Fra i quesiti di studio Morpurgo si è proposto il seguente: Come si comportano i topi senza reni per effetto delle loro tendenze costituzionali? Riporto in pro- posito alcune sue conclusioni: "La compensazione della fun- zione renale dopo la nefroctomia totale ad un topo di una coppia di siamesi disuguali , può avvenire soltanto da parte del topo prevalente. Il prevalente è in grado di effettuare la compensazione renale anche con un sol rene. I fenomeni di insufficienza renale si manifestano esclusivamente nel topo privo di reni, mentre nel compagno manca ogni traccia di al- terazione o di sofferenza e ciò si avvera anche in quei casi nei quali la corrente di liquido continua a fluire dal topo srenato (recessivo) verso il suo compagno prevalente „. Per comprendere queste conclusioni bisogna riferire che il Morpurgo aveva rilevato (1920) che assai spesso uno dei due compagni si mostra molto prevalente sull'altro nel senso che, essendo i due animali mantenuti a pane secco e acqua, l) Recentissime e interessanti ricerche sulla parabiosi dei ratti sono quelle pubblicale da R. Matsuyama (Frankfurter Zeit. Palh. 1921, p. 25J L'autore trova che dopo la morte di un componente della coppia, l'altro muore immediatamente, e che la differenza di accrescimento dei due in- dividui è conseguenza della loro differente vitalità. Studia inoltre le in- fluenze reciproche degli individui della coppia : influenze che sono assai notevoli negli organi sessuali. 92 CtUiIìo Cotronei si manifesta un enorme squilibrio nella nutrizione dei due ani- mali che in pochi giorni conduce a morte per atrofia gene- rale il compagno deperito. Mi sono limitato in questa rapida rivista a far risaltare l' importanza dei problemi che hanno attinenza con alcuni di quelli da me trattati nel presente lavoro. Prima però di riferire sugli innesti da me praticati, è ne- cessario dire delle mie esperienze sulle " larve a litio ., in quanto hanno attinenza coi risultati ottenuti con gli innesti, e debbono essere a questi preposti. Esperienze preliminari su larve a litio di Bufo uulgaris Da tempo io mi occupo dello studio delle " larve a litio „ degli Anfibi Anuri. Dico " larve a litio .. non già perchè io voglia dare un significato specifico all' influenza del litio, ma perchè con il cloruro di litio, adoperato in un determinato momento embrionale, si possono ottenere con grande facilità e abbondanza larve che presentano gravi malformazioni cefaliche. Si può ottenere tutta una serie di reperti da quelli che presentano un grado minimo r) di malformazioni cefaliche fino alle gravissime inibizioni della regione precordale , in quelle larve che hanno potuto proseguire nello sviluppo lar- vale fino al consumo del vitello. Oltre lo studio di morfologia causale da me compiuto sulle larve a litio, il mio studio è stato esteso al comporta- mento di queste larve rispetto alla metamorfosi, tentando ar- tificialmente di raggiungere un maggior grado di sviluppo. Tra i procedimenti da me tentati è stato già altrove , in altri miei lavori, riferito che per protrarre lo sviluppo oltre l'assorbimento vitellino, ho trattato le larve a litio di Bufo uul- garis, con 1' Endotiroidina (dell'Istituto sieroterapico milanese). Mettevo 5 gocce del succo tiroideo per ogni 100 ce. dell'acqua ambiente in cui erano le larve. E risultato dalle mie ricerche che le larve a litio di Bufo uulgaris, purché non sia raggiunto un determinato grado di processi inibitivi, riescono ad arrivare l) Anche esse dovute a fenomeni di inibizioni. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 93 alla fase di metamorfosi r) : sono riuscito ad ottenere che le larve entrassero nella fase di metamorfosi anche quando vi erano forti gradi di inibizioni nella regione olfattoria e vesti- bolo boccale. Nei casi di maggiori inibizioni (ciclopia ecc.) si ha una più accentuata malformazione cerebrale, e questo fatto può spie- gare i risultati negativi nel senso che il cervello viene a tro- varsi in tal grado di disfunzione da non poter più manife- stare la sua influenza nei processi metabolici e costruttivi (quando si sono stabilite le vie nervose). E implicita in tal caso l'affermazione che il cervello e, in linea generale, il siste- ma nervoso ha un'influenza diretta nella metamorfosi. Avendo considerala la metamorfosi come una fase determinata dal con- sumo delle energie cellulari e quindi come una fase di sene- scenza dell' organismo larvale (secondo il concetto di Minot l'organismo comincia a divenir vecchio fin dal periodo em- brionale), è ovvio pensare che non si può giungere a tale fase senza un'esplicazione metabolica in cui ha la sua parte il si- stema nervoso. È importante però constatare nelle nostre espe- rienze l' influenza che verrebbe esplicata in tal senso dalla parte precordale del cervello. Naturalmenìe ciò non esclude l' influenza che possono esplicare le altre parti del sistema nervoso. Le considerazioni ora espresse siili' influenza del sistema nervoso centrale nella metamorfosi o, per essere più esatti, sull'esplicazione dell'attività metabolica di cui la metamorfosi non è che un'espressione, sono del tutto estranee alle pretese affermazioni sulle influenze del sistema nervoso centrale nei processi differenziativi durante lo sviluppo embrionale. Io non ammetto in tale periodo (embrionale) altre influenze che quelle spaziali e di sostegno del cervello precordale sugli organi circostanti. L'influenza del sistema nervoso centrale, come influenza specifica propria al tessuto nervoso si manifesta, invece, per ciò che può riguardare i processi morfogenetici, anche quindi indirettamente come conseguenza di processi metabolici, sol- !) Questo prosieguo di sviluppo larvale non è stato da me ottenuto nei casi di ciclopia. 94 Giulio Cotronei tanto quando si sono stabilite e sono funzionanti le vie ner- vose, con il completo differenziamento del sistema nervoso centrale. Io considero questo momento concomitante al ter- mine dell assorbimento vitellino x). Nel seguire lo sviluppo delle larve a litio si nota che queste larve presentano un notevole ritardo rispetto allo svi- luppo delle larve normali, tenute come controllo: e, cosa ancor più notevole, questo ritardo di sviluppo è tanto più accentuato quanto più intense sono le malformazioni ottenute. Il lettore non pensi che questo rilardo possa essere indice di una possibile influenza nervosa per la ragione molto sem- plice che possiamo verificare il ritardo nelle fasi precoci dello sviluppo embrionale, anche quando il ritardo di sviluppo è preceduto da un momento in cui pare che si esplichi una qualche azione eccitatrice, (quando la soluzione del cloruro di litio non è troppo forte). Il ritardo di sviluppo, durante la fase embrionale, deve dunque ascriversi ad una azione gene- rale esercitata dalla soluzione salina sulle uova in sviluppo (come del resto un anestetico o un alcaloide). Naturalmente noi ci accorgiamo con più sicura evidenza di questi fenomeni , quando lo sviluppo successivo ci rivela le avvenute malformazioni , ciò che ci dimostra che 1' azione paralizzante era stata più intensa. Trattando poi con Endotiroidina, nella maniera sopra in- dicata queste larve a litio, si osserva, in quelle che possono risentire l'azione eccitatrice del succo tiroideo, che, a confronto con le larve normali appartenenti alla stessa deposizione d'uova e trattate ugualmente con l'Endotiroidina , presentano un ri- tardo nel giungere alla fase di metamorfosi. E tra quelle che possono raggiungere questa fase si riscontra che la raggiun- gono prima quelle in cui è meno accentuato il processo mal- formativo, ossia quelle larve che hanno meno risentita l'azione paralizzante della soluzione salina impiegata. ì) Bisogna fare una riserva per lo sviluppo degli arti per cui con molta probabilità, almeno in un primo tempo, valgono le considerazioni esposte per lo sviluppo embrionale. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi eletti anfibi anuri 95 Esperienze personali sugli innesti Le mie ricerche d'innesti si basano su quelle ora riferite. Stabilito che le larve a litio più malformate non pote- vano, sia pure col trattamento tiroideo, andare in metamor- fosi, mi è venuta l'idea di osservare il comportamento di tali larve innestate su larve normali , sottoponendo la coppia al trattamento tiroideo. Stabilito inoltre una differenza di rapidità di sviluppo tra una larva a litio trattala con endotiroidina, e una larva nor- male della stessa deposizione d'uova, trattata nello stesso modo, ne consegue che una larva a litio può considerarsi, per le con- seguenze sperimentali cui ora ci riferiamo , come eterocrona rispetto a quella normale; con questo vantaggio nel nostro caso di potere innestare ventralmente larve la cui differenza di di- mensioni è minima, perchè se è riuscito facile al Giardina di produrre innesti di qualsiasi età, io penso che 1' unione ven- trale tra due larve di età notevolmente differenti presenti dif- ficoltà tecniche troppo forti. La tecnica da me usata ripete quella del Bohx quando voleva ottenere una coppia di larve unite ventralmente ; per questi esperimenti ho fatto più lunghi tentativi. Ho eseguito però altre forme d' innesto. L'unione ventrale è stata eseguita tra due larve normali e tra una larva normale e una larva a litio. Queste ultime si erano sviluppate da uova che allo stadio di tappo vitellino erano state il 17 marzo 1919 messe in una soluzione di clo- ruro di litio m/oo '■ il trattamento con questo sale è durato ven- tiquatt' ore. Come sempre ho proceduto dopo il trattamento con il sale, dopo accurato e ripetuto lavaggio a far sviluppare le uova in acqua di fonte. Bisogna essere molto diligenti nelle operazioni di lavaggio delle uova, perchè bastano lievi tracce del sale di litio per condurre a morte gli embrioni, nel pro- sieguo dello sviluppo. Gli innesti da me praticati, sia tra larve normali che tra larva normale e larva a litio, furono fatti soltanto tra individui che avevano lunghezza 4-6 mm. Entro queste dimensioni, nelle quali le larve posseggono una notevole quantità di vitello, ho iXi Giulio Gotronei visto che Je operazioni d' innesto ventrale riescono più facil- mente. Bisogna però avvertire che ho scelto sempre per le coppie normali da innestare individui che avevano all'incirca le stesse dimensioni. Solo nell'innesto tra larva normale e larva a litio, che io soltanto descriverò perchè sono riuscito a portarlo fino alla metamorfosi, già allo stadio d'innesto si notava che la larva normale si presentava un po' più grande. Onesto innesto è stato praticato il giorno 25 marzo tra larve lunghe di 4-5 mm., del lotto cui ci siamo innanzi riferiti. Oltre a questi innesti avverto suhito che ho condotto fino alla fase di metamorfosi altri 4 innesti, tutti tra larve normali, prove- nienti (ogni coppia) dalla stessa deposizione d'uova. Le ope- razioni sono state praticate il giorno 26 marzo : le larve erano lunghe da 5 e 6 mm. (E ovvio avvertire che si può notare tra larve dello stesso lotto una variazione di dimensioni). ("redo non inutile dire qualche parola sulle modalità tec- niche delle operazioni d'innesti, pur avendo seguito il metodo BORN. Portavo la larva da operare su una lastra di vetro ab- bastanza spessa : asportavo con una lancetta molto affilata una sottile striscetta di ectoderma venlrale. Avevo cura di operare verso la parte centrale : il vitello tendeva a fuoruscire dalla ferita. Aspiravo con una pipetta a imboccatura larga così da non danneggiare il reperto e lometlevo suunacarta bibula già inzup- pata d'acqua. Operavo poi l'altra larva che doveva servire da coppia. Poscia univo ventralmente le due larve, avendo cura di tentare di riuscirci col deporre con la pipetta la seconda larva accanto alla prima, unendole nel punto della ferita : qualora non vi riuscivo, mi avvalevo di un pennellino molto morbido bagnato nell'acqua. Si tratta di operazioni molto delicate perchè è d'importanza capitale, come ognuno comprende, che le larve non siano maltrattate : ottenuto il contatto tra le due larve nel punto della ferita, il vitello dell'una si confonde con quello dell'altra ed è contenuto da quello dell'altra. Nelle mie operazioni d'innesti io purtroppo ebbi una forte mortalità. Una ragione di questo fatto è senza dubbio da ascri- versi alle ferite ventrali troppo estese, in modo che fuoresce una quantità rilevante di vitello, ciò che finisce con l'ostaco- lare la migrazione epiteliale che serve a chiudere la ferita. Può avvenire anche che la saldatura ventrale sembri ben riu- Nuove ricérche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 97 scita, ma dopo qualche giorno col movimento delle due larve la ferita in qualche punto si riapre e allora, anche dopo una resistenza di alcuni giorni, ho assistito alla morte della coppia. lTn'altra causa di mortalità della coppia si ha nel disfacimento che si può iniziare nella larva trattata precedentemente con il litio, disfacimento che poi si estende all'altra larva della coppia. Dopo le operazioni d'unione tra le due larve, già descritte, le coppie si mettono in una camera umida, sì che la carta su cui poggiano non rimanga mai all' asciutto, E stato già da altri osservatori fatto rilevare la grande importanza che ha la scelta della carta da innesto. Io confermo pienamente questa modalità; la qualità della carta deve essere tale da resistere a una sollecita macerazione e nello stesso tempo deve assorbire l'acqua. Se minutissimi frammenti di carta rimangono strettamente aderenti alla ferita, ciò conduce a morte gli innesti. In genere dopo 16-18 ore la guarigione delle ferite e la permanente unione ventrale delle due larve era effettuata e la coppia dalla camera umida veniva posta in una vaschetta con acqua di fonte. Oltre gli innesti ventrali, cui si riferisce il presente lavoro, praticai altre forme d'innesti. Unii la metà anteriore d'una larva a litio con la metà an- teriore d' una larva normale. Unii la metà posteriore d' una larva a litio con la metà posteriore d'una larva normale. Queste stesse forme d'innesto le praticai tra larve tutte due normali. Di tutti questi innesti, nella cui tecnica seguivo il Born, ot- tenni alcuni casi in cui l'operazione era perfettamente riuscita : ma vissero troppo poco tempo perchè io potessi rendermi conto dell'azione dell' endotiroidina. Ho tentato anche esperienza di innesti tra la parte ventrale d'una larva normale con la parte dorsale d'una larva a litio: l'operazione mi riusci una sola volta, ma dopo tre giorni l' innesto andò in disfacimento. Sgombrato il campo del nostro studio da tutte le altre forme d' innesto, possiamo ritornare allo studio di quei casi che mi furono più proficui di risultati, ossia gli innesti ven- trali. 98 Giulio Cotronei Ho già ricordato che 5 furono complessivamente le coppie che io condussi sino alla fase di metamorfosi (più o meno avanzata). La fase di metamorfosi fu raggiunta sempre mercè l'in- fluenza del succo tiroideo. Il procedimento sperimentale era il solito : 5 gocce di endotiroidina dell' Istituto sieroterapico milanese, su 100 ce. d'acqua- di fonte. Il buon esito dell'esperimento più complicato da me ten- tato presupponeva la riuscita successiva di tre differenti espe- rimenti : trattamento delle uova col sale di litio, con la con- seguente produzione di larve a litio: riuscita dell'innesto di una giovane larva a litio con una giovane larva normale ; con- durre fino alla metamorfosi tale innesto. Il lettore può quindi immaginare la difficoltà del risultato complessivo cui miravo. Per dare un'idea di tale difficoltà che s'è manifestata nei tanti risultati negativi, bisogna tener presente che le uova trat- tate coi sali di litio producono a una grande variabilità di risultati : alcune larve presentano un grado di malformazione maggiore, altre minori : molte larve che hanno troppo risen- tito 1' azione sperimentale finiscono con 1' andare in disfaci- mento , dopo un periodo di tempo che sono andate avanti a svilupparsi. Quante volte nei miei esperimenti, dopo aver pra- ticato con ogni cura un innesto m'avveniva di assistere al di- sfacimento della larva a litio usata nella coppia e quindi della compagna ! E poiché io avevo di mira di studiare il compor- tamento delle larve che presupponevo dovessero avere una malformazione maggiore, non era difficile incorrere in tale causa d'insuccesso. Nel seguire assiduamente lo sviluppo dell'innesto litio-nor- male ho osservato che i due individui si sviluppavano conser- vando nettamente le loro caratteristiche individuali, come di- pendenza del trattamento salino fatto subire precedentemente ad una di esse e di cui si è sopra riferito, fino presumibilmente a quel periodo che coincide con il termine dell'assorbimento vitellino. Durante tale periodo ho osservato, in altre parole, la maggiore rapidità nello sviluppo della larva normale rispetto alla larva a litio. Inoltre la larva normale raggiunge dimensioni maggiori che quella a litio. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 99 Non iniziai il trattamento tiroideo se non quando le larve innestate erano già avanti nello sviluppo , quando presuppo- nevo potessero aver raggiunto lo stadio adatto a risentire l'in- fluenza del succo tiroideo; perciò sugli innesti praticati il 25 e il 26 marzo soltanto il 12 aprile iniziai la somministrazione dell' endotiroidina. Fig 1. — La figura riproduce una larva normale di Bufo vulgaris innestata con una larva a litio della stessa specie, disegnata il 24 aprile 1919: si è già iniziato il trattamento con endotiroidina. La figura fu disegnata ingrandita dodici volte il vero : è stata riprodotta ridotta di 1/3. La Fig. /.si riferisce all'innesto disegnato il 24 aprile quando aia da dodici giorni avevo iniziato il trattamento tiroideo. La figura mostra la differenza di dimensioni che permane allo stadio osservato : la larva normale è lunga circa 12 mm., quelle a litio circa 10 mm. Le altre dimensioni del corpo con- fermano tutto il maggiore accrescimento raggiunto dalla larva normale. Le maggiori dimensioni della larva normale rispetto a quelli a litio possono avere una causa duplice. 100 Giulio Cotronei < Ho riferito che le larve provenienti da uova che hanno subito un trattamento a litio hanno uno sviluppo meno rapido di quelle normali. Ora quando si procede ad un innesto ventrale litio-normale di maniera che il vitello dell'una si trova a con- tatto con il vitello dell'altra, è logico pensare che data l'assi- milazione più rapida, la larva normale ha potuto usufruire anche di una parte del vitello che originariamente era desti- nato alla nutrizione dell'altra larva; ma non si può escludere che la larva a litio anche senza l' innesto, avrebbe raggiunto dimensioni minori, perchè è stato trovato (Leplat) una ten- denza al nanismo dopo un trattamento col cloruro di litio, per quanto io debba osservare che c'è una forte variabilità anche in questo caso e che larve nane se ne possono riscontrare anche da uova che non hanno subito il trattamento salino. In ogni modo, ed è questo l'essenziale, il reperto da me ottenuto dimostra (i fatti esposti sono naturalmente meno ap- pariscenti nelle coppie tra larve normali) che nelle coppie tra giovani larve manca una regolazione reciproca : ogni larva con- serva cioè durante lo sviluppo embrionale fino al consumo vitellino la sua originaria individualità di sviluppo. Nel seguito dello sviluppo si osserva che le due larve della coppia litio normale mostrano tendenza a mettersi nello stesso ritmo nel senso che la differenza della velocità di sviluppo delle due larve tende a sparire. Non bisogna però credere che ciò avvenga subito dopo il termine dell' assorbi- mento vitellino : osservando ad esempio lo sviluppo dell'arto posteriore , noto ancora che nella larva normale esso si conserva più avanti nello sviluppo quando nella larva a litio è più arretrato. E difficile poter assicurare quando le due larve possano mettersi nelle stesse condizioni, (anche rispetto alla metamorfosi) visto che le osservazioni istologiche non ho po- tuto compierle che sul materiale fissato alcuni giorni dopo che s'erano già mostrati i primi sintomi dei fenomeni di me- tamorfosi. Non ho ancora riferito nessun particolare descrittivo della larva a litio del nostro innesto : è soltanto in una fase inol- trata dello sviluppo che posso assicurarmi delle malformazioni apportate dal trattamento del sale, come si vede facilmente dalla forma della testa. All'osservazione col microscopio binoculare si nota una sola fossetta olfattiva mediana, gravi inibizioni nel Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 101 vestibolo boccale , che ora non posso precisare perchè le os- servazioni più accurate le ho fatte con la coppia già fissata e quindi non posso escludere che vi siano state alcune papille, andate distrutte nella fase di metamorfosi. Già durante lo svi- luppo mi sono accorto che benché la larva presentasse una notevole inibizione dello sviluppo cefalico, pure i due occhi si erano sviluppati. Il lettore può immaginare la mia delusione, perchè speravo che la larva a litio innestata rappresentasse un caso di malformazione maggiore. Fig. '?. — La figura riproduce la coppia litio-normale in metamorfosi dise- gnata quando il reperto era passato in alcool dopo la fissazione avve- nuta il 6 maggio. La figura fu disegnata ingrandita dodici volte il vero: (ridotta di 1/3). Negli ultimi giorni di aprile mi accorgo che tanto la larva normale che la larva a litio mostrano un inizio di processo di atrofia della coda. Sorveglio attentamente la coppia sperando di condurla alla condizione più inoltrata che sia possibile della metamorfosi. Il giorno 6 maggio, alle una del mattino, stimolando la coppia, mi accorgo che essa si muove. Ritorno verso le 6 del mattino ad osservare, e vedo che la coppia è morta, forse da pochissimo tempo (infatti l'esame istologico ha dimostrato la buona con- servazione dei tessuti). Fisso in liquido di Zenker la coppia. La coppia litio-normale (Fig. 2) è stata disegnata dopo il passaggio in alcool. La figura dimostra che s'è conservata la 102 Giulio Cotronei differenza di dimensioni. Del resto non poteva essere diversa- mente , dato che ci siamo astenuti dalla somministrazione di nutrimento , tranne il trascurabilissimo potere nutritivo che potevano rappresentare le poche gocce di succo tiroideo. La larva a litio mostra l'arto sinistro fuoriuscito mentre le osservazioni l'atte sulla larva normale mostrano che gli arti anteriori sono tutti e due ancora interni. La coda nella larva normale è più lunga che in quella a litio , ma questo fatto è sempre in relazione con la maggiore lunghezza originaria che si notava nella coda della larva nor- male. Dall'osservazione macroscopica e dalla riproduzione del disegno risulta però che il grado di atrofia è identico nella coda delle due larve. L' atrofia è fortissima nel lembo nata- toio : si vede inoltre un forte addensamento della muscolatura. L'osservazione col microscopico binoculare (obbiettivo a2 oculare 4) mi confermano le forti inibizioni del vestibolo boc- cale , infatti non c'è e non s'è formato nessuno accenno di apertura boccale. La figura mostra ancora la notevole riduzione di sviluppo della parte cefalica anteriore. Per quanto io avessi desiderio di conservare intatto il re- perto , pure ho dovuto decidermi a tagliarlo serialmente per esaminare (sulle sezioni microtomiche trasversali di 10 il ) : 1.-I1 reale grado di malformazione della larva a litio. 2. -In che cosa consisteva 1' unione tra le due larve, ossia quali organi erano impegnati in tale unione. 3. -Osservare più esattamente il grado di metamorfosi raggiunto dalle larve, e se era identico in tutte e due. L'esame istologico della testa della larva normale mi di- mostra la natura delle malformazioni come mi sono oramai consuete nel mio studio delle larve a litio. Nel cervello ante- riore si riscontra una notevole riduzione della cavità ventri- colare : questa riduzione in accordo con le mie precedenti ri- cerche va nel senso cranio-caudale : a livello dell' organo pi- neale la cavità ventricolare è ben sviluppata. La regione del diencefalo, pertanto, mostra poche alterazioni. I due occhi sono ben distinti; si nota però in confronto della larva normale che sono più pieni con notevole riduzione della cavità del vitreo e sono più vicini alla linea mediana. Gli strati re- tinici sono tutti ben differenziati. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 103 I due occhi che si presentano nelle stesse condizioni toc- cano entrambi l'epidermide, ognuno pertanto contiene il cri- stallino. Le malformazioni investono la parte preoculare : organi olfattori, vestibolo boccale, parte anteriore del cervello con la riduzione della parte anteriore della cavità ventricolare. Tutte le altre parti del sistema nervoso, come degli altri organi, hanno raggiunto uno sviluppo che io posso considerare normale. L'esame istologico seriale mi dimostra inoltre che le due larve si sono unite per il tubo digerente per mezzodì una diretta congiunzione intestinale : nella regione di saldatura si nota in- fatti un'ansa intestinale che è comune alle due larve. Il fegato non è impegnato in tale unione. Tra le due larve c'è anche (ed è naturale che sia così, date le osservazioni precedenti) un'u- nione vascolare e linfatica nella regione di saldatura. Si può quindi affermare che le due larve formano una unità umorale, che logicamente io presumo siasi stabilita dopo il differenziamento degli organi che formano l'intima unione tra le due larve. L'esame microscopico mostra che la fase di metamorfosi è più accentuata nel tubo intestinale che nelle altre parti del- l' organismo '). L'osservazione è perfettamente identica per le due larve: esaminando, infatti, il tubo intestinale in punti corri- spondenti per le due larve, si riscontra il medesimo grado nel processo della metamorfosi. Così , dalla regione pancreatica, procedendo in direzione caudale , si osserva in tutte e due le larve (Fig. 1 della tavola) la degenerazione dell'epitelio larvale che riempie in parte il lume, presentando quei fenomeni che sono oramai ben noti nello studio della metamorfosi intesti- nale degli Anfibi Anuri. La coda presenta anche essa i noti fenomeni di atrofia che si presenta in un medesimo grado tanto nella larva a litio quanto nella larva normale, le fibre muscolari già si mostrano in degenerazione. ') Anche in queste larve si nota che gli arti sono assai meno avanti nello sviluppo che le altre parti, rispetto alla fase di metamorfosi , rosi come ho scritto in precedenti lavori. 104 Giulio Cotronei In una parola gli organi che più risentono i fenomeni de- generativi della metamorfosi (coda, tubo intestinale) si presenta- no in una condizione identica tanto nella larva a litio che nella larva normale. Anche negli altri organi, al momento dell'esame istologico, io non riesco a scorgere una differenza di sviluppo. Vi è però una eccezione, ed è la condizione presentata dall'arto poste- riore. Ad un esame molto minuzioso ho potuto osservare che il differenziamento istologico dell'arto posteriore nella larva nor- male è più avanzato che nella larva a litio. • Si nota infatti nella larva normale, che nel blastema as- sile già si delinea un cilindretto di cellule che si presentano come cellule cartilaginee giovani (precondrio) in cui però noti è completato il differenziamento cartilagineo: in tal modo già si delinea (Fig. 2 della tavola) nel reperto in esame la forma- zione del femore. Nell'arto posteriore della larva normale si nota inoltre l'accenno alla differenziazione muscolare. 'Fra il tegumento e il blasfema assile si nota in alcuni punti il differenziamento di fibrille connettive. Nell'arto posteriore della larva a litio si osserva , invece , che nel blastema assile non appare nel tessuto primitivo de- lineata una differenziazione nella parte che dovrà diventare cartilagine. Anche la differenziazione è connettivale e un po' più arretrata nell' arto posteriore della larva a litio che nella larva normale. L'arto anteriore non s' è prestato per fare risaltare una differenza nel processo differenziativo delle due larve. L'esame istologico compiuto, di cui ho dato un sommario cenno, mi dimostra che le due larve si erano messe al momento della fissazione in un medesimo grado di metamorfosi. In ori- gine però hanno mostrato di conservare i propri caratteri in- dividuali in rapporto alla velocità di sviluppo e alle caratte- ristiche inerenti alle dimensioni che raggiungono. Queste ca- ratteristiche individuali sono per la larva a litio in gran parte conseguenza dell'azione sperimentale esercitata con la soluzione salina. Tutto mi lascia pensare che la tendenza a mettersi in uno stesso ritmo di sviluppo si sia iniziata quando si son po- tute stabilire mercè il differenziamento istologico le comunica- Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 105 zioni intestinali (nel nostro reperto) vascolari e linfatiche ; quando però si sia raggiunto il medesimo grado, almeno nei processi di metamorfosi, le mie osservazioni non hanno potuto precisare, è certo però che il chimismo della metamorfosi ha finito con 1' agire ugualmente nelle due larve unite a coppia. L'identità di fase di metamorfosi non viene contraddetta dal fatto che la larva a litio ha 1' arto anteriore sinistro fuo- riuscito, mentre la larva normale non presenta fuoriuscita di arti anteriori : il momento di fuoriuscita dell'arto in rapporto alla fase di metamorfosi è determinato da svariate condizioni. 1.- Dalla condizione presentata dalla massa intestinale lar- vale in relazione all'arto. 2. -Dallo sviluppo dell'arto che si collega alla relazione di massa della condizione precedente. 3. - Alla condizione dello spiracolo, per la fuoriuscita del- l'arto sinistro. Da quanto precede si vede che le dimensioni minori ot- tenute nelle larve a litio debhono provocare a parità di tutte le condizioni di metamorfosi una precoce fuoriuscita dell'arto anteriore sinistro. Che la precedenza nella fuoriuscita dell'arto anteriore si- nistro sia da considerarsi come un rapporto di grandezze ho dimostrato nel mio lavoro del 1914. (3) Anche nelle coppie di due larve normali io ho trovato identità di comportamento nella fase di metamorfosi. Questo sincronismo di metamorfosi in questo caso non reca sorpresa perchè le due larve sono della stessa età, senza che alcuna di esse abbia subito un trattamento che ne ritardi lo sviluppo ; ma è pur vero che bisogna pensare che anche fra larve della stessa età, purché si sviluppino isolatamente, si nota una certa variabilità l) per raggiungere una data fase della metamorfosi. Anche nelle coppie fra larve normali ho rilevato una dif- ferenza nel tempo di emissione dell'arto sinistro. L'osservazione però 1' ho potuta rilevare soltanto in un caso. l) Questa variabilità è molto minore quando agisce l'azione accelera- trice di un trattamento tiroideo e quando più intenso è tale trattamento (es. esclusiva nutrizione in eccesso con tiroide). 106 Giulio Colronei Esperienze con parti isolate di larve di Bufo vulgaris Riferisco sulle esperienze da me compiute sullo sviluppo di parti isolate di larve di Bufo vulgaris, trattate con 1' endo- tiroidina. L'esposizione di queste ricerche si collega con quelle avanti descritte in quanto tutte furono compiute allo scopo di illumi- nare i problemi della metamorfosi. Il quesito che mi son proposto è il seguente : E possibile fare andare artificialmente in metamorfosi parti isolate di Bufo vulgaris ? Questo problema poteva apparire assurdo e inconcepibile, dal punto di vista dell'impostazione sperimentale, fino a pochi anni or sono, ma dopo le ricerche degli ultimi tempi con le quali si è dimostrato che larve giovanissime che non hanno mai mangiato possono andare in metamorfosi con un tratta- mento di sostanza tiroidea messo nell'acqua, mi è sembrato che il problema dianzi formulato non potesse scartarsi a priori. Il lettore vedrà poi il nesso di queste ricerche con quelle dianzi esposte, (piando rifletterà che la dimostrazione dell'im- possibilità di parti isolate di una larva di Bufo vulgaris di an- dare in metamorfosi potrebbe avvalorare il concetto della ne- cessità dell' integrità funzionale dell'insieme per la fase di meta- morfosi, e quindi gettar luce sul fatto assodato nelle mie espe- rienze dell' impossibita per larve a litio molto malformate di andare in metamorfosi. Le esperienze pertanto da me tentale si collegano così le une alle altre e sono lo sviluppo di un organico e medesimo piano di lavoro. Le ricerche sullo sviluppo di metà o di parti isolate di embrioni di Anfibi Anuri sono molto numerose. Valorosi ri- cercatori hanno sviscerato l'argomento sotto molti punti di vista, ma nessuno ha nemmeno rasentato il problema da me trattato. Vulpian nel 1859 vide che la coda di giovanissime larve di Rana separata dal resto del corpo continuava a svilupparsi regolarmente. Born riprese nel 1897 le antiche ricerche di Vulpian con- fermando lo sviluppo indipendente di parti separate di larve Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi itegli anfibi anuri 107 di Anfibi Anuri: il biologo tedesco fece di questo argomento l'oggetto di interessanti e profonde ricerche. Born non ha studiato soltanto lo sviluppo isolato della coda; ma tagliando a vari livelli larve di vari Anfibi anuri della lunghezza da 6 a 8 millimetri, ne ha seguito lo sviluppo delle parti isolate , tenendole in una soluzione di cloruro di sodio a 0, 6 o/°, fino a tre settimane dopo l'operazione. Borx nota nei suoi reperti la rapida guarigione delle ferite; rapidità che è massima nella Rana esculenta, nel Bombinator igneus e nel Pelobates, minore nella Rana [lisca : la ferita si rimargina perchè l'epidermide si spinge subito sulla superficie di taglio. I pezzi isolati possono vivere fino al completo assorbi- mento del vitello (3.a settimana dopo il taglio). Nelle parli iso- late lo sviluppo continua come se il pezzo appartenesse ancora all'intero organismo: né l'assenza del cuore, né quella del cer- vello, hanno secondo Borx un'influenza importante sull'accre- scimento e sui processi differenziativi. Questi fatti sono una conferma del concetto di Roux dell'auto-differenziamento delle varie parti dell'organismo ; e quindi una verifica della teoria del mosaico. Raffaele con esperimenti l'atti su embrioni e larve di Rana e di Discuglossus dimostra : " che, decapitando le larve, i due monconi sopravvivono e continuano a svilupparsi senza che però si manifesti, oltre alla cicatrizzazione della ferita, da parte dell'ectoderma, alcuna rigenerazione. Lo sviluppo con- tinua, come se i pezzi fossero ancora uniti. Nei monconi po- steriori, cui è stata asportata tutta la testa fin dietro all'inte- stino respiratorio, prima che sia formalo l'abbozzo del cuore, non si manifesta, naturalmente, la circolazione , ma i vasi si sviluppano e si sviluppano anche i globuli del sangue in molti punti. La mancata circolazione è causa di una idrope, princi- palmente accentuata nelle vie venose. Le vene cardinali e la vena codale si dilatano enormemente.,, Goggio .1. tagliò trasversalmente una larva di Bufo vul- gati* di 4 mm. di lunghezza ; tenne in vita il pezzo posteriore per 20 giorni dopo l'operazione ed ammise anche essa l'indi- pendenza di sviluppo delle singole parti. Rossi operò su larve di Rana esculenta di mm. 4 a 5, o poco più ; le due parti nelle quali la larva veniva divisa con- 108 Giulio Cotronei tinuavano a vivere e a svilupparsi come nelle larve integre : un rallentamento di sviluppo si notò soltanto nella ipofisi. A.. Giardina ha seguito lo sviluppo di parti isolate nel Discoglossus. Queste ricerche rappresentano per l'autore una conferma che lo sviluppo degli Anfibi è uno sviluppo a mo- saico; le varie parti si differenziano indipendentemente : il pezzo posteriore può presentare contrazioni muscolari e si può os- servare che le code isolate sono capaci di notevolissimi movi- menti di traslazioni : ammette che nei pezzi isolati si possano verificare processi di regolazione. Goggio E. , al cui lavoro rimando il lettore per una più ampia trattazione storica, ha studiato, con grande accuratezza e ricchezza di particolari lo sviluppo dei due pezzi isolati, ot- tenuti con taglio trasversale, di giovani larve di Bufo vulgaris lunghe mm. 3 — 6 V2. Goggio E. ha trovato che le parti isolate possono avere una durata di vita talora assai lunga : una larva di mm. 6,5 decapitata può vivere più di 54 giorni in acqua comune. Nello sviluppo dei pezzi isolati, dice Goggio, si mostra una forte tendenza dei singoli organi a svilupparsi normalmente ed un forte potere di autodifferenziamento delle singole parti. Ma questa tendenza e questo potere si manifestano entro de- terminati limiti, messi dall'autore in evidenza, e ciò per le se- guenti cause: l.-I processi di chiusura della ferita richiedono un'at- tività che non può essere fornita dall'esterno, perchè è im- possibile l'alimentazione e deve quindi essere sottratta alla somma di attività destinata ai processi normali di sviluppo. 2. - Shock operativo almeno in limiti ristretti. 3. - Mancanza o diminuzione dello stimolo funzionale. 4. - Distribuzione anormale (negli stadi più avanzati) del materiale nutritizio, ossia del vitello, contenuto in ciascun pezzo dovuto ad irregolare circolazione ... I fenomeni di rigenerazioni, nelle esperienze di Goggio, si limitarono a quelli strettamente necessari per la chiusura della ferita, e scarsissimi e incerti furono i processi di regolazione. Nel riferire sinteticamente i risultati delle esperienze da me compiute, avverto subito che io non intesi, né di fare delle ricerche di conferma , né di estendere i risultati degli autori Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 109 che mi hanno preceduto; ma unicamente di rivolgere la mia attenzione al problema avanti esposto, ossia alla possibilità o meno di ottenere la Fase di metamorfosi in pezzi isolati di larve di Bufo vulgaris. Per queste ragioni non è il caso di fare un' esposizione analitica delle mie esperienze , appunto perchè il comportamento dei pezzi isolati è stato già minu- ziosamente descritto. Nelle mie ricerche sono partito da larve normali lunghe 4-6 mm. Ho diviso le larve con un taglio trasversale in due parti e ho assistito allo sviluppo indipendente delle due parti, (tranne in quei casi nei quali ebbi una sollecita macerazione dei pezzi). I tagli sono stati condotti a vari livelli ; perchè i pezzi po- tessero avere una lunga durala di vita era necessario che in- eludessero la maggiore quantità possibile di vitello ; ho quindi ottenuto la maggior durata di vita in pezzi decapitati (non si tien conto dei casi in cui era asportato soltanto il tubercolo codale) col taglio portato molto anteriormente. I pezzi anteriori, quando hanno una estensione molto li- mitata hanno vita breve : in tal caso si può pensare che questo fatto sia dovuto alla deficienza di vitello; tuttavia non bisogna riferirsi esclusivamente a questo fattore, perchè bisogna anche pensare che la minor durata di vita dei pezzi anteriori può essere un riflesso del più rapido differenziamento che in questi pezzi si riscontra. Nei pezzi isolati si nota spesso una tendenza ad assumere una forma globosa , più accentuato è questo fatto quando il pezzo è piccolo. Al pari di altri autori che mi hanno preceduto in questo studio noto che col progredire dello sviluppo si ha in moltissimi casi la produzione di idropi talora assai accentuati. II massimo di durata di vita da me ottenuto è stato di ventidue giorni in un pezzo decapitato. In molti altri casi mi sono avvicinato a questo massimo. Questo massimo di tempo da me raggiunto nei miei espe- rimenti è molto lontano da quello di Goggio (54 giorni) e si avvicina invece molto alla cifra data da Bohn (tre settimane). Debbo però ricordare che i miei risultati su tale argo- mento si riferiscono a larve che hanno vissuto in parte nel mese di aprile e quindi quando la temperatura si era note- volmente elevata. 110 Giulio Cotronei Circa 1' esito di questo genere di esperienze è stato no- tato l'importanza del fattore " specie „ per la buona riu- scita di esse : ma io ritengo che almeno in gran parte , pre- scindendo dalla quantità del vitello , la diversità dei risultati sia dovuto al fatto che le esperienze sulle varie specie sono state necessariamente condotte in epoche differenti e quindi a tem- perature differenti. La migrazione dell' epitelio è più rapida quando la temperatura si eleva fino a raggiungere un deter- minato optimum : è invece assai più lenta quando la tempe- ratura è bassa. Questo fatto ha una grande importanza perchè la lenta migrazione dell'epitelio per la chiusura delle ferite può essere causa di morte e può quindi spiegare 1' insuccesso di certe esperienze. Per quanto riguarda la condotta delle mie esperienze con I' endotiroidina, sui pezzi isolati adoperai il medesimo proce- dimento usato nelle altre esperienze: nell'acqua ambiente in cui erano i pezzi isolati di larva di Bufo vulgaris aggiungevo 5 gocce di Endotiroidina (dell' Istituto Sieroterapico Milanese) per ogni 100 ce. di acquo di fonte. Naturalmente durante il periodo dello sviluppo embrio- nale io non potevo aspettarmi che i pezzi isolati risentissero l'azione acceleratrice del succo tiroideo , perchè sapevo dalle ricerche di Giacomini e da quelle mie personali che durante tal periodo embrionale il succo tiroideo è inefficace, né c'era nessun motivo perchè i risultati ottenuti sull'embrione nel suo insieme fossero differenti da quelli sull'embrione diviso in due metà o in pezzi disuguali. La mia speranza di ottenere qualche risultato positivo poggiava unicamente sui pezzi che avendo mostrato una più lunga durata di vita , potevano raggiungere il termine dell'assorbimento vitellino. Orbene tutte le mie esperienze in proposito sono negative. Tutti i pezzi sono andati in disfacimento senza m o- strare ne m m e n o un segno iniziale dell a m e t a- morfosi (ad e s. l'inizio dell'atrofia della coda per i pezzi posteriori). Va subito osservato che i pezzi isolati , di Bufo vulgaris, e mi riferisco sempre a quelli che erano nelle migliori con- dizioni e quindi di più lunga durata di vita, non hanno mo- strato nessuna resistenza, nemmeno di pochi giorni, all' inani- zione , come invece la mostrano gì' individui della stessa età che si sono sviluppati integralmente. Nuo ve ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 111 È possibile che questo fatto (inazione del succo tiroideo) sia in rapporto con i disturbi funzionali cui si riferisce il Goggio. Nella mancanza dell'integrità funzionale viene impedito, al ter- mine del consumo vitellino , lo stabilirsi del nuovo metabo- lismo larvale ed allora il succo tiroideo non può agire. Se io sono ben riuscito a spiegare il mio pensiero, le espe- rienze da me condotte sulle larve divise con tagli trasversali, mentre rappresentano una conferma che il succo tiroideo non agi- sce durante lo sviluppo embrionale, ci dicono inoltre che perchè la sostanza tiroidea possa manifestare la sua ben nota influenza è indispensabile l'integrità individuale (almeno fino a un certo limite) e pertanto in dipendenza di queste condizioni si può affermare che è necessaria anche la integrità delle correlazioni umorali e nervose , necessarie al metabolismo larvale : la me- tamorfosi è quindi indissolubilmente legata a queste condi- zioni. Su condizioni differenziali tra Bufo vulgaris e Rana escu- lenta per la metamorfosi in determinate condizioni sperimentali. Tutte le fasi di metamorfosi che sono state descritte nel presente lavoro , sia di larve accoppiate , sia di larve isolate, sono state ottenute unicamente con la somministrazione di po- che gocce di succo tiroideo, il cui potere nutritivo era presso che nullo : inoltre in tutte queste esperienze il trattamento ti- roideo veniva iniziato sollecitamente, senza che le larve pren- dessero del nutrimento e potessero quindi immagazzinare delle riserve da spendere poi nel consumo del ricambio di esercizio e di costruzione per giungere alla fase di metamorfosi. Fin dalle mie prime ricerche io fui preoccupato da siffatti problemi e delti a mangiare a larve giovanissime di Rana escu- lenta la tiroide, per vedere se giungevano a metamorfosi; dalle dimensioni si arguiva che avevano da poco esaurito la riserva vitellina. Mi sia permesso di riferire che avevo iniziato delle ri- cerche con gli stessi procedimenti usati in questo lavoro, (ed anche in miei precedenti lavori) mettendo il succo tiroideo 112 (iiulio Cotronei nell'acqua ambiente ove si sviluppavano embrioni (fin dai primi stadi di segmentazione) e larve di Bufo vulgarìs. Avevo veduto che manca l'acceleramento tiroideo nei primi stadi embrionali. Esperimenti con succo di milza e di timo mi avevano inoltre dimostralo che nei primi stadi embrionali manca ogni azione ritardatrice di sviluppo prodotte da queste sostanze. Prima che io potessi nulla pubblicare in proposito, venne la guerra a interrompere la mia attività di studioso. Fu (ìiacomim a dimostrare nel 191f>, che la somministra- zione di sostanza tiroidea comincia a manifestare la sua influenza soltanto quando si rompe la lamina faringea e la larva può assumere cibo. Le mie osservazioni mi portarono ad ammettere che l'assorbimento della sostanza può avvenire solo al termine dell'assunzione vitellina, allorché s'iniziano le nuove modalità del metabolismo larvale. Anche le mie ricerche sulle larve a litio che presentano malformazioni vestibolo boccali convalidano questi fatti. Non v' è dunque dubbio che le risorse che possiede una larva di Bufo vulgarìs al termine del consumo vitellino bastino sotto lo stimolo acceleratore fornito da un trattamento tiroideo a produrre la metamorfosi. Nei miei precedenti lavori e in quelli del Giacomini il let- tore troverà molte osservazioni e considerazioni sull'influenza dello stadio di accrescimento larvale }) per la metamorfosi accelerata con un trattamento tiroideo. Premesso quanto è sopra esposto, voglio ora riferire alcuni risultati che non sono affatto in contraddizione con quelli ot- tenuti sul Bufo uulgaris, come un osservatore superficiale po- trebbe credere, ma sono bensì una conferma delle mie idee sulla metamorfosi. Esperienze da me eseguite su larve giovanissime di Rana esculenta mi hanno dimostrato come con il medesimo tratta- mento fatto al Bufo vulgarìs si hanno risultati inferiori, nel senso che Io sviluppo procede meno avanti. l) Cito a tal proposito anche il lavoro di Kollmaxn per quanto questo autore non conosca nulla dei lavori italiani (mi cita di straforo), la cui esatta conoscenza gli sarebbe stata non poco utile. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 113 Si potrebbe anche qui tirare in giuoco il fattore enigma- tico, e col quale non si dice nulla e si spiega meno, dell' im- portanza della specie. Bisogna invece interpretare i fatti sulla base fisiologica; in tal modo io credo di dare una spiegazione sufficiente dei risultati avuti nelle due specie di Anfibi Anuri. Le esperienze sulle larve di Rana esculenta sono state ese- guite come quelle sul Bufo vulgaris , mettendo al solito 5 gocce di endotiroidina per ogni 100 ce. di acqua ambiente : il trattamento era fatto in maniera che l'azione del succo tiroideo cominciasse ad agire appena la larva fosse in grado di assor- birlo (si mette il succo quando la larva è molto giovane e pre- senta ancora del vitello). Per spiegare i risultati di queste esperienze, io mi rivolgo a due ordini di fatti. 1. -Ammetto che la larva di Rana esculenta contenga al termine dell' assorbimento vitellino risorse proprie , da poter essere spese nel ricambio di esercizio e di costruzione in con- dizione di inanizione, minori che non una larva di Bufo vulgaris nella stessa fase di sviluppo. 2. - Le esperienze, cui mi riferisco, sulla Rana esculenta sono state compiute nel mese di luglio su uova deposte tar- divamente (alla fine di giugno), quando la temperatura si era di molto elevata in confronto delle stesse esperienze eseguite sul Bufo vulgaris. Nelle condizioni sperimentali ora accennate il ricambio di esercizio per l'elevata temperatura è molto intenso e quindi richiede un forte consumo nutritivo, che in mancanza di ali- mento (a parte il trascurabilissimo potere nutritivo delle poche gocce di endotiroidina) deve essere fornito dall'organismo stesso, ma la giovane larva di Rana esculenta riteniamo presenti ri- sorse potenziali minori che non quella di Bufo vulgaris e allora noi ci possiamo spiegare facilmente perchè la larva di Rana esculenta muore dopo aver esaurite le sue risorse, raggiun- gendo un grado di sviluppo larvale minore che la larva di Bufo vulgaris, nelle condizioni sperimentali cui ci siamo ri- feriti. Anche però nelle giovanissime larve di Rana esculenta si è ottenuto che vengono accelerati i processi differenziativi dello sviluppo larvale, come posso desumere dallo sviluppo dell' arto posteriore e dall' addensamento intestinale : questi 8 114 Giulio Cotronei fatti ci dimostrano che pur senza raggiungere la fase di me- tamorfosi , ( o solo raggiungendo una fase iniziale ) siamo sempre nello stesso ordine di fenomeni accertati per l'azione della tiroide, e che la somministrazione della sostanza tiroidea è attiva fin da quando 1' organismo larvale è in grado di as- sorbirla. Una giovane larva di Rana esculenta nutrita con ti- roide fresca (si può pensare che anche con compresse di tiroide siamo nello stesso ordine di fatti) può raggiungere la fase di metamorfosi perchè oltre il succo tiroideo vengono sommini- strate anche delle sostanze nutritive che vengono così spese (in aggiunta alle risorse dell'organismo) nel ricambio di eser- cizio e di costruzione per giungere appunto alla fase di meta- morfosi. Il lettore vede, in conclusione, che queste osservazioni dif- ferenziali tra Rana esculenta e Bufo uulgaris mettono in luce ancora una volta il fatto che la metamorfosi è una fase corrispondente a un determinato consumo delle ener- gie cellulari. Riassunto e considerazioni generali Il presente lavoro ha avuto per scopo essenziale di far risaltare con nuovi procedimenti di esperienze combinate la natura delle correlazioni di sviluppo e di accrescimento. Mi son servito a tal uopo delle mie ricerche sulle larve a litio. Trattando le uova in sviluppo di Bufo uulgaris con una soluzione di cloruro di litio, si osserva un'azione paralizzante: lo sviluppo viene rallentato : alcuni organi risentono maggior- mente quest'azione che si può tradurre in malformazioni molto intense nella regione cefalica precordale. Trattando, poi, le larve a litio, che hanno potuto prose- guire nel loro sviluppo ma che non presentano malformazioni tanto intense da frustrarne 1' azione, con succo tiroideo messo in soluzione nell'acqua ambiente, ho potuto osservare che le larve a litio, cui ora ci riferiamo, vanno in metamorfosi in ri- tardo rispetto alle larve normali della medesima età e che hanno anche esse subita l'azione del succo tiroideo. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 115 Ho tratto partito da questi risultati per procedere a nuovi esperimenti d' innesti sì da affrontare alcuni interessanti e gravi problemi. Ho pensato di unire mediante innesti ventrali larve nor- mali e larve a litio di Bufo vulgarls. Il procedimento tecnico seguito ricorda quello di Born e di altri autori per le loro operazioni d' innesti sugli Anfibi. Lo stadio d' innesto è stato di mm. 4-5 per le coppie litio- normali. Ho poi proceduto anche ad innesti tra larve normali. I problemi che mi sono proposto sulla base concreta dei miei esperimenti si possono riassumere nei seguenti : Come si comporta lo sviluppo di una larva a litio quando vien messa in unione permanente con una larva normale ? C è uno scambio di sostanze che mette all'unisono, per dir così, lo sviluppo delle due larve ? Quando s' inizia questo eventuale scambio di sostanze ? Qual' è il comportamento che presentano le due larve nella metamorfosi ? La riuscita completa dell'esperimento da me tentato pre- suppóneva la riuscita successiva e associata di tre differenti esperimenti : 1. - Trattamento delle uova in sviluppo con cloruro di litio in modo da ottenere un'azione paralizzante sullo sviluppo. 2. - Riuscita delle operazioni d' innesto tra larve a litio e larve normali. 3. - Trattamento delle coppie litio normali con succo di tiroide messo in soluzione nell'acqua ambiente in modo da raggiungere la fase di metamorfosi. Gravissime sono state, pertanto, le difficoltà tecniche e spe- rimentali incontrate e in gran parte superate in questo genere di studi ; il lettore non si stupisca nel sapere che soltanto per una coppia litio-normale sono riuscito a raggiungere la fase di metamorfosi. Le altre (litio-normale) finirono tutte col soc- combere, dopo avermi data la conferma delle osservazioni nel primo periodo della vita in comune. La larva a litio, appartenente alla coppia che ha progredito di più nello sviluppo larvale, presentava i seguenti caratteri : parte cefalica preoculare notevolmente malformata, con una 116 Giulio Cotronei sola fossetta olfattiva, gravi fenomeni di inibizioni del vestibolo boccale, cervello anteriore con la cavità ventricolare molto ri- dotta , questo fatto è indice del carattere malformativo delle larve a litio. I due occhi, però, si sono sviluppati, per quanto avvicinati nella linea mediana; gli strati retinici sono tutti ben differenziati : l'occhio tocca 1' epidermide e perciò è presente anche il cristallino. La larva a litio, della nostra coppia, non era dunque delle più malformate e le mie ricerche sull'argomento mi lasciano ritenere che anche se fosse rimasta isolata, con il trattamento tiroideo, avrebbe potuto raggiungere la fase di metamorfosi. Uno degli scopi iniziali del mio lavoro , ossia quello di tentare di fare andare in metamorfosi larve a litio che da sole non potevano raggiungere tale fase, per il grado troppo forte di malformazioni presentate, è andato frustrato. Tuttavia i risultati ottenuti in queste ricerche mi consen- tono di portare un contributo originale sui problemi avanti formulati. La coppia litio-normale che con infinite cure ho condotto sino alla fase di metamorfosi, mi è stata assai profittevole per i seguenti risultati : Ho veduto che durante tutto il periodo di sviluppo che è andato dall'operazione d'innesto fino ad un periodo che dai caratteri esterni io posso presumere corrisponda al termine dell'assorbimento vitellino, le due larve si sono sviluppate, seguendo ognuna le proprie caratteristiche individuali ; la ve- locità di sviluppo è stata maggiore nella larva normale che nella larva a litio. Al termine di detto periodo , che s' è per- tanto verificato prima nella larva normale, si nota che le di- mensioni delle due larve .sono notevolmente differenti : sono maggiori le dimensioni della larva normale. Ho iniziato in sif- fatte condizioni il trattamento con endotiroidina. Da principio, noto ancora all'osservazione macroscopica il maggiore sviluppo dell'arto posteriore nella larva normale che nella larva a litio. Bisogna, però, tener presente che la larva normale si trovava da principio più avanti nello sviluppo che quella a litio e quindi la condizione che ho riscontrato nello sviluppo dell'arto po- steriore è ancora un riflesso della differente condizione iniziale in cui si trovavano le due larve unite a coppia. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 117 In complesso le due larve mostrano tendenza di mettersi all'unisono nel loro sviluppo. Non bisogna però pensare che di colpo vengano annullati i caratteri di sviluppo raggiunto indipendentemente dalle due larve. Certo è che l'esame istologico eseguito nella coppia fis- sata alcuni giorni dopo che s'erano manifestati i processi iniziali della metamorfosi, mi ha dimostrato che i due individui presentano una identica condizione nei pro- cessi disintegrativi della metamorfosi, e una stessa condizione nella maggior parte degli organi, (non si considerano le mal- formazioni della larva a litio). Una eccezione è presentata dalla condizione di sviluppo mostrata dall' arto posteriore , come s' è rivelata soltanto ad un accurato esame istologico : l'arto posteriore della larva nor- male è più avanti nei processi differenziativi che l'arto poste- riore della larva a litio. L'esame istologico mi ha dimostrato inoltre che 1' opera- zione d' innesto aveva prodotto 1' intima unione dei due tubi digerenti, e' è infatti un'ansa intestinale comune nella zona di saldatura, il fegato non è impegnato in tale unione. L'unione delle due larve è assai intima: intestinale, vascolare e linfatica. Anche le quattro coppie tra larve normali (della stessa età) da me condotte fino alla fase di metamorfosi, mostrano nelle due larve una identica condizione nei processi della metamor- fosi : ma in tal caso il fenomeno, come è intuitivo, ha ben dif- ferente importanza dei fatti prima riferiti. I fatti obbiettivamente esposti m' inducono alle seguenti considerazioni: Durante tutto il periodo di sviluppo che va presumibil- mente tino al termine dell' assorbimento vitellino, i due ani- mali uniti a coppia si sviluppano indipendentemente, come se fossero isolati, né si può ritenere che tra i due individui ci sia nessuno scambio umorale (di secrezione interna) che possa influire vicendevolmente sullo sviluppo. Deduco inoltre dai fatti osservati che mentre essi sono una riprova che in un primo periodo domina- l'autodifferenziamento, dimostrano altresì che non v' è in tale periodo una diffusione di prodotti secretivi che regolano a distanza lo sviluppo di determinati organi, perchè allora queste presunte (e da me non ammesse) sostanze 118 Giulio Cotronei passerebbero anche nell' altro individuo della coppia per in- durre un sincronismo di sviluppo negli organi simili. La nessuna dimostrazione dell'esistenza di correlazioni umorali che regolano a distanza lo sviluppo embrionale durante il periodo che precede il differenziamento istologico non infir- ma, certamente, l'esistenza delle secrezioni che nello sviluppo embrionale hanno, come ha dimostrato il Ruffini, tanta impor- tanza morfogenetica. Queste secrezioni si possono sotto un certo senso, (Ruffini) considerare anche come secrezioni interne, ma io le considero sotto un significato differente da quello che at- tribuiamo ai prodotti degli organi a secrezione interna , già funzionanti e dopo, quindi, il differenziamento istologico. Le considerazioni esposte non sono nemmeno in contrad- dizione con i concetti da me riferiti in precedenti lavori sulle correlazioni (di natura meccanica) spaziali e di sostegno , da me ammesse nello sviluppo embrionale. Ultimatosi il differenziamento istologico e stabilitisi tra le due larve della coppia litio-normale i rapporti intestinali, va- scolari e linfatici, io ritengo che ci sia una diffusione di sostanze dall'una all'altra larva, nell' istessa guisa che ritengo che dopo il differenziamento istologico si stabilisca una diffusione di so- stanze dall'una all'altra parte dell'organismo; si nota di conse- guenza una tendenza delle due larve a mettersi all' unisono di sviluppo, per quanto è ancora notevole prima della meta- morfosi, la conservazione di differenze di sviluppo nelle due larve. Se la metamorfosi si sia iniziata nella larva normale prima che nella larva a litio, non ho argomenti né per affer- mare né per negare, dato il momento in cui ho proceduto alla fissazione; queste constatazioni bisognerebbe farle caso per caso su molte coppie. Certo è che nel caso da noi studiato il chimismo della metamorfosi ha finito col mettere le due larve nelle stesse condizioni ossia nella stessa fase. Ammetto dunque che nel chimismo della metamorfosi ci sia stato tra le due larve uno scambio di sostanze (Prodotti di autolisi ? Acidosi?) tale da influenzarle ugual-mente. I fatti ora riferiti nelle condizioni da me studiate, e sopra tutto la differenza nello stadio di sviluppo dell'arto posteriore delle due larve, che ci rivela pur nel chimismo della metamor- fosi la conservazione delle individualità di sviluppo proprio alle Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 119 due larve, ci deve indurre a essere molto cauti, ed ecco perchè io ho sempre parlato di tendenza a mettersi nello stesso ritmo di sviluppo. In sostanza riteniamo di trovarci di fronte a due fattori uno, il chimismo umorale, ossia l'ambiente interno che tende (riteniamo dopo il differenziamento istologico) a influire vicen- devolmente le due larve unite a coppia; l'tTltro fattore è rap- presentato dalle caratteristiche individuali dei tessuti delle due larve. L'effetto ultimo, sperimentale, che possiamo attenderci è rappresentato da una fase di equilibrio tra questi due fattori; equilibrio che si può, pertanto, stabilire prima o poi, a se- conda delle minori o più forti differenze che ci sono tra le due larve. Non può quindi stupirci la differenza di risultati avuti da Uhlenhuth, il quale nei suoi trapianti otteneva sin- cronismo di metamorfosi quando il pezzo innestato non pre- sentava troppo gravi differenze di età e eterocronia quando il pezzo innestato aveva un'età molto differente da quella del porta innesto. Con altri esperimenti sul Bufo uulgaris ho voluto vedere se le parti isolate con tagli trasversali , potevano risentire l' influenza acceleratrice del succo tiroideo, messo in soluzione nell'acqua ambiente. Tutte le mie esperienze in proposito hanno avuto esito negativo. Questi risultati negativi sono a parer mio una conferma della necessità dell'integrità funzionale dell'or- ganismo *) perchè si manifesti la fase di metamorfosi : integrità funzionale che presuppone la perfetta corrispondenza tra cor- relazioni nervose e umorali perchè possa espletarsi quel ri- cambio di esercizio e di costruzione, per cui solo dopo un de- terminato consumo organico , sopraggiunge la fase di meta- morfosi. Altre esperienze , per cui rimando al capitolo corrispon- dente , hanno messo in luce un comportamento differenziale tra Rana esculenta e Bufo uulgaris circa la metamorfosi in determinate condizioni. !) Integrità funzionale intesa nel senso che sia rispettato l'organismo come insieme funzionale, e pertanto l'asportazione di parti limi- tate di poca importanza o che comunque non alterino l'insieme fun- zionale non infirma il concetto espresso. 120 Giulio Cotronei Conclusioni Le conclusioni principali che traggo dal mio lavoro sono le seguenti : 1. - Unendo, mediante operazioni d'innesto alla Born, ven- tralmente una larva a litio di Bufo vulgaris con una larva nor- male della stessa specie (4-5 mm.), si osserva durante tutto il pe- riodo di sviluppo che va presumibilmente fino al termine del- l' assorbimento vitellino che ognuna delle due larve conserva le sue caratteristiche di sviluppo: quello della larva normale è più celere, lo sviluppo della larva a litio è invece più lento: si ottiene una larva normale che ha dimensioni maggiori della larva a litio. 2. - Mercè un trattamento con endotiroidina, messo a gocce nell' acqua ambiente si è riusciti a condurre la coppia litio nor- male sino alla fase di metamorfosi. Da principio le due larve mostrano ancora una differenza nello stadio di sviluppo che si considera come una conseguenza della differenza originaria, ma si nota la tendenza a mettersi in uno stesso ritmo di svi- luppo. Al momento della fissazione avvenuta, nel caso in esame, quando già da alcuni giorni si erano manifestati i primi sin- tomi della metamorfosi, i due individui della coppia si trova- vano in uno stesso stadio di metamorfosi. 3. - Si ritiene che durante lo sviluppo embrionale fino al termine dell'assorbimento vitellino non esista tra le due larve unite a coppia uno scambio di sostanze che possa influire vi- cendevolmente sullo sviluppo, mentre invece si ritiene che que- sto scambio avvenga dopo il differenziamento istologico. 4. - Si ammette che durante la metamorfosi ci sia uno scambio di sostanze proprio inerente al chimismo di questa fase, scambio che finisce col mettere le due larve nelle stesse condizioni di metamorfosi. Più estese ricerche sono tuttavia necessarie per precisare entro quali limiti si può raggiungere tra due individui uniti a coppia un medesimo ritmo di sviluppo e di metamorfosi. 5. - Al momento della fissazione, avvenuta durante la me- tamorfosi, lo sviluppo dell'arto posteriore è ancora nella larva normale più progredito che nella larva a litio. In tale fatto si Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 121 rivela tuttora la conservazione delle caratteristiche individuali nello sviluppo delle due larve, ciò ricorda quello che si è riscon- trato durante il primo periodo della vita in comune della coppia. 6. - Poiché le conclusioni precedenti ci hanno portato ad ammettere che non e' è per tutto il periodo di sviluppo, che si presume vada fino al termine dell' assorbimento vitellino, nessuna diffusione di sostanze morfogenetiche x) tra i due indi- vidui uniti a coppia, se ne deduce che durante lo sviluppo embrionale (individuale) fino alla medesima fase, non c'è mo- tivo di pensare a una diffusione di sostanze morfogenetiche tali che possano regolare a distanza lo sviluppo dei vari or- gani; in altre parole non si può in tale periodo di sviluppo par- lare di correlazioni umorali. Correlazioni umorali e nervose in- tervengono invece dopo il differenziamento istologico. 7. - Esperimenti sul Bufo vulgaris su parti isolate me- diante tagli trasversali, hanno dimostrato l' impossibilità in tali condizioni di risentire l'azione eccitatrice del succo tiroideo messo in soluzione nell'acqua ambiente. Se ne deduce che per raggiungere la fase di metamorfosi è sempre necessaria 1' in- tegrità funzionale dell'organismo. !) Nel senso che eccitano e regolano la morfogenesi. 122 Giulio Cotronei Bibliografia 1913 A n astasi, O, — Sul comportamento di alcuni innesti di occhi nelle larve di Discoglossus pictus : Ardi. Entwìcklung- smech. 37 Bd. p. 222, Taf. 9-1 1. 1895 Born, G. — 1. Ueber die Ergebnisse der mit Amphibien- larven angestellten Verwachsungsversuche: Verh.Anat. Ges. 9 Vers. Basel, p. 153. 1895 - 2. Ein Kùnstliehe Vereinigung lebender Theil- stùche von Amphibienlarven : (S7 Jahresb. Schlesisch. Ges. p. 19. 1897 - 3. Ueber Verwachsungsversuche mit Amphibien- larven: Arch. Entwcklungsmech. 43 Bd. p. 349, Taf. 16-22. 1913 Cotronei, G. — 1. Primo contributo sperimentale allo studio delle relazioni degli organi nell'accrescimento larvale e nella metamorfosi degli Anfibi Anuri : Bios, Voi 2, />. 21 (Estratto pubblicato in settembre del 1913). 1914 - 2. L' apparato digerente degli Anfibi nelle sue azioni morfogenetiche : Meni. Accad. Lincei, Voi 10,143>pp., 2 Tav. 1914 3. Ulteriori osservazioni sulle relazioni degli or- gani e sulla nutrizione con tiroide di mammiferi nell'ac- crescimento larvale e nella metamorfosi degli Anfibi Anuri. Nota I : Rend. Accad. Lincei, Voi 23, p. 453. 1914 - 4. Idem Nota II: Rend. Accad. Lincei, Voi. 23, p. 519. 1915 — — 5. Correlazioni e differenziazioni. Ricerche sullo sviluppo degli Anfibi Anuri. Nota I : Rend. Accad. Lincei, Voi 24, p. 124. 1915 6. Idem (sul Bufo vulgaris). Notali: Rend. Accad. Lincei, Voi 24, p. 294. 1916 -7, Influenza della temperatura siili' azione della tiroide sui girini : Rend. Accad. Lincei. Voi 26, p. 48. 1919 — 8. Correlazioni e differenziazioni. Nota III: Rend. Accad. Lincei, Voi 28, p. 206. 1919 - -9. Correlazioni e differenziazioni (sul Triton cri- status). Nota IV : Rend. Accad. Lincei, Voi 28, p. 511. Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli anfibi anuri 123 1919 Cotronei, G. — 10. Ricerche sperimentali sull'accrescimento larvale e sulla metamorfosi degli Anfibi Anuri : Mem. Soc. Ital. XL, Tomo 21, p. U. 1920 —11. Sull' identità delle influenze morfogenetiche nella metamorfosi degli Anfibi Anuri e Urodeli : Rend. Accad. Lincei, Voi. 29, p. 387. 1921 12. Sulla morfologia causale dello sviluppo oculare del Bufo vulgaris : Rend. Accad. Lincei, Voi. 30, p. 25. 1921 13. Sulla morfologia causale dello sviluppo ocu- lare del Bufo vulgaris: Ricerche Morf. Roma, Voi. 2, p. 105. 1921 — 14. I processi di inibizione differenziale nel ve- stibolo boccale degli Anfibi Anuri : Riv. Biol. Roma, Voi. 3, p. 471. 1921 15. Nuove ricerche sperimentali sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli Anfibi Anuri. — Sui problemi ine- renti agl'innesti tra larve a litio e larve normali di Bufo vulgaris : Rend. Accad. Lincei. Voi. 30, p. Ì3k- 1915 Della Valle, P. — L'epoca della riduzione delle code di girini di Rana innestate eterocronicamente in sito ano- malo : Boll. Soc. Natur. Napoli, Voi 2S, p. 3. 1906 Dusberg, I. — Contribution à l'étude des phénomènes hi- stologiques de la métamorphose chez les Amphibiens Anoures : Ardi. Biol. Tome 22, p. 163. 1991 Ekman, G. — Experimentelle Beitràge zur Entwicklung des Bombinator-Herzens : Ov. Finska Vet. Soc. Fór. Bd. 63. {Estratto p. 31). 1916 Giacomini, E. Osservazioni inaerò e microscopiche sopra giovanissimi girini di Rana metamorfosati per 1' azione della jodotirina e di preparati di tiroide secca : Rend. Accad. Se. 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Fig. 1. — Sezione trasversale nella regione di saldatura tra le due larve: si osserva la comunicazione intestinale dall'una all'altra larva; il tubo intestinale è in metamorfosi tanto nella larva a litio che nella larva normale (Oculare 4 comp. Obbiettivo 4.Koristka). „ 2. — Sezione trasversale della coppia a livello dell'abbozzo dell'arto posteriore Nella larva normale 1' arto posteriore presenta un grado difl'erenziativo maggiore che nella larva a litio, dove la sezione ha riportato un solo arto posteriore (Oculare 4 comp. Obbiettivo 4 Korislka). Le figure del testo e quelle della tavola sono state eseguite dal sig. G. Monti dello Istituto di Anatomia comparata di Roma. Ricevuto il 1. dicembre 1921 — Finito di stampare il 31 maggio 1922 Osservazioni sui Tilurus della dott.11 Antonia Nardi - Rinaldi con 19 incisioni Il nome di Tilurus è stato creato da Kòlliker (1853) per una particolare larva raccolta a Messina da Gegenbaur. La diagnosi che egli ne diede si applica esattamente alle forme del tipo Tilurus ed è sufficiente per denotare le differenze stabilite fra esso ed i Leptocephalus propriamente detti, perchè i Tilurus sono caratterizzati da un corpo molto allungato, che termina" con un' appendice codale filiforme. Dopo di lui molte altre forme di Tilurus furono descritte da diversi autori, citerò Kaup (1856), Facciola (1882), Stròm- man (1896), Schimidt (1906). Per quanto è possibile giudicare dalle loro singole descrizioni, sovente troppo brevi e talvolta imprecise, queste forme si avvicinano a quella del Tilurus Ge- GENBAUR. Ancora più recentemente il Facciola distinse due specie di Tilurus , tornò a riferirli all' O.vystomus di Rafinesque e descrisse l'uno con il nome di Oxystomus hyalinus Rafinesque e l'altro con quello di 0. Rafinesquei, specie nuova. I medesimi esemplari sono stati ristudiati dal Bellotti, che dette loro il nome di Tilurus hyalinus Rafinesque, e Ti- lurus Rafinesquei. Finalmente in questi ultimi tempi abbiamo avuto studi accurati sulle larve in parola per opera di Roule e Grassi. Que- sti autori, dietro osservazioni accurate su parecchi esemplari, han potuto riconoscere diversi tipi di Tilurus. Così il primo, nel suo studio in proposito, ci parla di tre forme fondamentali, da lui denominate Tilurus, Tiluropsis , Tilurella. Il secondo ce ne presenta altri due, con la denominazione di T. hyalinus l'uno e T. trichiurus l'altro. Art. 6. 128 Antonia Nardi -Rinaldi Gli esemplari serviti al Grassi nella sua classificazione fu- rono raccolti alcuni a Napoli, altri alla Plaia di Catania e la maggior parte a Messina (a Torre del Faro ed a Ganzirri). Ora avendo il prof. Mazza rel li avuto occasione di raccoglie- re, su materiale "spiaggiato„ a Ganzirri nel marzo del 1916, quattordici di tali larve, ed interessandosi dell'importanza del- l'argomento non ancora condotto a termine da alcuno, ha cre- duto opportuno consigliarmene lo studio, i cui risultati espongo nelle pagine seguenti. Larva N," 1. Aspetto generale. Si mostra sviluppata in lunghezza ed in larghezza, men- tre lo spessore del corpo è minimo. Fig. i. — Schema del capo della larva N. 1 (X 14) Immediatamente dietro la testa, piccola e terminante con muso appuntito, si origina, delineato da una lieve strozzatura, il corpo della larva. Esso si presenta sin dall'origine con una larghezza poco inferiore a quella massima che è raggiunta verso i 3 c/m Va della lunghezza del corpo , contati a partire dalla punta del muso. Essa va gradatamente restringendosi da questo punto in poi fino a ridursi al minimo lungo tutta la estre- mità codale. Il colore della larva è di un giallo non molto carico. Osservazioni sui Tiliirus 129 Caratteri generali e particolari del capò Lunghezza m/m 4, squarcio della bocca m/m 2 V2 , dia- metro massimo dell'occhio, di forma circolare, m/m 1. Lo squarcio della bocca, ampio m/m 2 l/a, segue in direzione il mar- gine inferiore. Distanza dell' apice del muso al centro della pupilla m/m 2 Va. Ha forma triangolare con muso alquanto ap- puntito e presenta al suo termine, d'ambo i margini, una stroz- zatura ben pronunciata che segna il termine di essa e l'ori- gine del corpo della larva. La bocca è provvista di denti co- nici , assai piccoli. Formula dentaria (^-). Il mascellare su- periore sporge di poco sull' inferiore. L' occhio è circondato inferiormente da una macchia pigmentaria che, mostrandosi assai intensa verso il centro di esso, si rende sempre meno di- stinta verso i lati. Caratteri particolari del corpo Lunghezza c/m 12, numero di miomeri visibili 220. Lungo il margine ventrale si osservano , a debole ingrandimento, a cominciare dalla regione branchiale, piccole macchie pigmen- tarie che dapprima ben distinte, si vanno man mano sempre più addossando le une alle altre. Esse si mantengono così nu- merose ed avvicinate, però sempre allineate, per circa Va dal loro inizio, indi si susseguono l'ima all'altra sino allo sbocco dello intestino in maniera regolare ed uniforme da poterle contare facilmente, con la caratteristica però di mostrarsi sempre più piccole ed a distanza sensibilmente più grande l'una dall'altra man mano che si avvicinano a quella regione. L' insieme di questi puntini oscuri costituisce un' intera linea impari se- guente il margine ventrale dell' animale, osservabile ad occhio nudo fino ad oltre la metà della lunghezza della larva ed an- che oltre se si guarda obliquamente quest'ultima quando essa giaccia nel senso della sua lunghezza. Parallelamente a tale linea, lungo il margine interno del- l'intestino se ne osserva un' altra pari costituita anch' essa da macchiette pigmentarie più piccole delle prime e che, a diffe- renza di queste, si succedono con grandezza costante ed a di- 9 130 Antonia Nardi-Rinaldi stanza uguale l'ima dall'altra. Tale linea ha un'origine al- quanto più a destra dal punto da cui si parte la prima, però si continua oltre l'apertura anale. Anch'essa si rende distinta ad occhio nudo. Altre macchie di pigmento si riscontrano in corrispondenza al margine anteriore e ventrale su ciascun mio- mero. Mentre la presenza di esse è costante sui miomeri della prima metà del corpo della larva, non si riscontrano invece nella rimanente parte. Lungo il margine dorsale, in corrispondenza all'origine della pinna primordiale, non si osserva alcuna traccia di pig- mento. Oltre l'apertura anale, lungo tutta l'estremità codale si osservano a debole ingrandimento macchie di pigmento che dapprima omogeneamente disposte, si mostrano in seguito con disposizione tale da formare delle zone pigmentale alternate a zone prive di pigmento. Sulla superficie del corpo si osserva pigmento sparso. Larva N.° 2. A s p e l l o generale Si presenta bene sviluppata in larghezza e in lunghezza, assai ridotto è lo spessore. A partire dal termine del capo, il corpo della larva si mantiene per un breve tratto (circa xjt c/m) con larghezza costante, indi va gradatamente allargandosi in modo da raggiungere il suo massimo a circa 6 c/m xjt della lunghezza del corpo. Da questo punto in poi sì va restringendo in ma- niera assai lenta e graduale, sì da rendere l'ultima parte del corpo assai allungata e sottile. Il colore generale della larva è di un giallo grigiastro. Caratteri generali e particolari del capo Lunghezza m/m 3, squarcio della bocca m/m 2 Va, dia- metro massimo dell' occhio, di forma circolare, poco più di un m/m. La bocca è provvista di piccoli denti conici. For- mola dentaria ({j\). Osservazioni sui Tilurns 131 La forma del capo è prossima a quella del triangolo, però il margine superiore si mostra un po' curvo con concavità ri- volta all'in su, eccetto che nell'estremità corrispondente al muso ove diventa convesso. Lo squarcio della bocca segue in dire- zione il margine inferiore della testa e raggiunge il margine anteriore dell' occhio. Caratteri particolari del corpo Lunghezza c/m 17, numero di miomeri, contati fino all'a- pertura anale, 300. Delle linee oscure, costituite da macchiette pigmentarie al- lineate, se ne osservano due : una pari, lungo il margine interno Fig. 2. — Schema del capo della larva N. 2 (X 10) dell'intestino, un'altra impari lungo l'origine della pinna dorsale. Tanto la prima che la seconda si presentano uniformi e con- tinue lungo tutto il corpo dell'animale sino all'apertura anale, ed osservandole attentamente si possono distinguere anche ad occhio nudo guardando la larva dall' alto. Oltre 1' ano non è facile osservarle separate, e lungo la estremità codale, in una parte di essa, si scorge, a debole ingrandimento, una lunga macchia nera dovuta a macchiette pigmentarie. In tutto il re- sto se ne osservano delle altre sparse irregolarmente. Su ciascun miomero , lungo la linea mediana e ventrale, si trovano pochi puntini neri allineati, però assai prima della apertura anale non si rendono più visibili. 132 Antonia Nardi-Rinaldi Larva N.° 3. Aspetto generale Analogamente alle due prime larve già descritte, anche essa si mostra alquanto sottile nello spessore, ben sviluppata in larghezza. Il muso alquanto appuntito si continua con il capo, piccolo e triangolare. Questo è distinto dal corpo da una Fig. 3. — Schema del capo della larva N. 3 (X 1G) lieve strozzatura, oltre la quale si origina il corpo stesso che, an- dando gradatamente allargandosi, raggiunge la massima dimen- sione in larghezza di m/m 6 verso i 4 c/m dal capo. Oltre que- sto punto essa larghezza si mantiene per un breve tratto pres- socchè costante, indi va sensibilmente restringendosi in modo che il corpo della larva si presenta con un'estremità codale allungata e sottile. Il colore generale di essa è uniforme : giallo un poco carico. Caratteri gè n e r a 1 i e p arti e o lari del e a p o Il capo, assai piccolo, presenta il margine superiore limi- tato da una linea a doppia curvatura della quale il tratto con- cavo precede quello convesso terminante con la strozzatura più sopra in parola. Il margine inferiore al contrario è limi- tato da una linea obliqua. Osservazioni sui Tilnrus 133 Lo squarcio è diretto nel senso del margine inferiore, rag- giungendo l'apertura di m/m 2 l/-2. L'occhio è piccolissimo, di forma circolare, il suo diametro massimo è di m/m 1. La distanza dall'apice del muso al centro della pupilla è di m/m 2 Va- La bocca è provvista di piccoli denti conici anche visibili ad occhio nudo. Il mascellare superiore è leggermente curvato ad uncino verso il mascellare inferiore e sporge di poco su di esso. Formula dentaria (,",,). Caratteri particolari del co r p o i Lunghezza della larva c/m 13 ; numero di miomeri visi- bili 220. A piccolo ingrandimento si osserva, lungo la linea me- diana ventrale, a partire dall'origine del corpo, una striscia im- pari di macchiette di pigmento disposte in vari ordini che si estende fino a 2 c/m Va della lunghezza di esso. Da questo punto per la distanza di 1 m/m 1/-> si trova una zona priva di pigmento, oltre quest'ultimo ricompare la linea pigmentaria, i cui singoli puntini oscuri si succedono allineati in maniera continua e regolare fin presso l'apertura anale, senza però rag- giungerla. Anche ad occhio nudo, osservando la larva in senso trasverso , è possibile distinguere la linea oscura in parola e seguirla nel senso della sua lunghezza ed anche il brevissimo tratto privo di pigmento. Un'altra linea pigmentaria pari si osserva lungo il mar- gine interno dell' intestino, « Lungo la linea dorsale , si osserva la pinna primordiale, che seguendo il corpo in tutta la sua lunghezza, si mostra un po' più sviluppata lungo tutto il tratto dell'estremità eodale. Lungo tutta la linea dorsale e su ciascun miomero non si os- serva alcuna macchia di pigmento; ma di questo se ne scorge raramente lungo la superficie del corpo. 134 Antonia Nardi-Rinaldi Larva N.° 4. Aspetto generale Presenta lo stesso aspetto generale delle larve N.° 2 e N.° 3, vi è soltanto una lieve differenza per ciò che riguarda il colore del corpo. Fin quasi la metà è di un giallo carico, oltre di essa si presenta gradatamente più oscura in modo da rendersi verso l'estremità codale di un giallo grigiastro. Fig. 4. — Schema del capo della larva N. 4 (x 10) Raggiunge la massima dimensione in larghezza intorno ai 4 cm. Vs della lunghezza del corpo, si mantiene quasi costante per un tratto non molto breve e poi va restringendosi assai lentamente lungo il resto di esso ; l'ultimo tratto della larva e l'estremità codale si presentano alquanto ristretti ed allungati. Caratteri generali e particolari del capo Il capo, assai piccolo, e di forma pressocchè trapezoidale, presenta il muso appuntito, ma non molto allungato. Il margine superiore mostra una leggerissima curvatura concava, quello inferiore è perfettamente rettilineo, ma obliquo. Lo squarcio della bocca segue in direzione il margine inferiore. Il mascel- lare superiore sporge di poco su quello inferiore ; la bocca è fornita di piccoli denti conici. Formula dentaria (fjf). Osservazioni sui Tilariis 135 Caratteri particolari del corpo Lunghezza della larva centimetri 16; numero di miomeri visibili 275. Osservando l' animale a piccolo ingrandimento lungo la linea ventrale, in corrispondenza al margine interno dell'inte- stino, si scorge una linea pigmentaria che, partendo dalla ori- gine del corpo, lo segue nella sua lunghezza. Le macchiette oscure che la costituiscono si mostrano distinte le une dalle altre per un brevissimo tratto dalla loro origine, in seguito sono disposte molto avvicinate fra loro, regolarmente allineate ed assai piccole. Mentre tali caratteri si mantengono anche per un buon tratto oltre 1' apertura anale, vanno in seguito man mano scomparendo. All'opposto, lungo l'estremità codale si osservano due mac- chiette pigmentari e costituite da singoli puntini oscuri irrego- larmente disposti, una prima all'origine di essa, una seconda al termine della medesima (subito dopo 1' osservazione una parte dell'estremità codale si è distaccata). Anche lungo il mar- gine dorsale all'origine della pinna primordiale, una serie con- tinua di macchiette pigmentarie, assai piccole, costituisce una linea oscura sottilissima che, partendo dall'origine del corpo, si estende fino a circa 12 c/m della lunghezza della larva. Oltre questo punto non è più possibile distinguerla. E' da notarsi che i singoli puntini oscuri costituitivi sono estremamente pic- coli molto più di cpielli osservali lungo il margine opposto, e che man mano che si avvicinano al loro termine, si mostrano sem- pre meno intensamente oscuri, fino a non rendersi più visibili. La linea pigmentaria del margine ventrale è possibile os- servarla anche ad occhio nudo fino alla lunghezza di circa 7 cm. Va del corpo dell'animale. Su ciascun miomero, lungo il margine anteriore e ventrale, si osservano poche macchie pigmentarie, il cui numero varia dall'uno all' altro. Però a cominciare da circa la metà del corpo della larva, se ne contano uno su ciascun miomero in corri- spondenza del vertice angolare. Si mantengono in tal numero per un breve tratto e qnindi non si rendono più visibili. Anche sul corpo con disposizione irregolare ed in scarsa quantità si riscontrano macchiette pigmentarie. 136 Antonia Nardi-Rinaldi Larva N.° 5. Aspetto general e Si presenta ben sviluppata in lunghenza ma, analogamente a quanto si è detto per le altre larve, lo spessore del corpo è alquanto ridotto. La piccola testa è resa ben distinta dal corpo dall'interposizione di una brevissima regione 4 di mm. la cui lar- ghezza (m/m 3) si può ritenere costante. Oltre quest'ultima il Fig. 5. Schema del capo della larva N. 5 (X 14) corpo della larva va allargandosi gradatamente e raggiunge la massima dimensione in larghezza (m/m 6) intorno ai 4 c/m Va dalla punta del muso, mantenendosi fissa per il tratto di mezzo centimetro. Oltre questa regione, essa larghezza tende sempre a diminuire in maniera assai graduale per cui l'animale pre- senta la massima parte del corpo assai ristretta ed una estre- mità eodale molto allungata e sottile. Il colore è di un giallo grigiastro, ma, oltre la metà del corpo, va rendendosi sensi- bilmente più carico e specialmente lungo 1' estremità codale. Caratteri generali e particolari del e a p o Lunghezza del capo m/m 4 ; il margine superiore ed in- feriore, e specialmente quest' ultimo, si mostrano rettilinei in Osservazioni sui Tihirus 137 modo che si può considerare la forma di essa assai somigliante a quella di un triangolo. Lo squarcio della bocca, ampio m/m 2 l/a , è pressoché disposto in senso orizzontale; il mascellare superiore è privo di denti, l' inferiore è invece provvisto di piccoli denti conici. 'V', v i i ( t \ \ v \ V \ "~ — — — — """ '"■-'"i-.L. \ \ \ \ \ -1-^.. Fig. d. — Parte anteriore del corpo della larva N. 5 (X5) Il diametro massimo dell'occhio, di forma circolare, supera di poco il millimetro. La distanza dall'apice del muso al centro della pupilla è di m/m 2 e mezzo. Il mascellare superiore rag- giunge in lunghezza quello inferiore. A piccolo ingrandimento si osserva che l'occhio è contornato da una zona circolare limitata da una sottilissima linea oscura, e che lungo il margine supe- riore del capo si trova una piccola infossatura, la quale, esten- dendosi trasversalmente, solca ambo le facce del medesimo. Caratteri particolari del corpo Lunghezza della larva c/m 18, numero di miomeri visi- bili 300 (contati fino ad un centimetro e mezzo precedente l'a- pertura intestinale). A debole ingrandimento si osserva: lungo il margine ven- trale, in corrispondenza al margine interno dell'intestino, una linea pigmentaria pari, le cui singole macchiette oscure costi- tuitive si mostrano dapprima separate l'una dall'altra, in se- guito assai avvicinate e quasi addossate le une alle altre, man- tenendo tuttavia una disposizione ben allineata. Con tali ca- ratteri segue il corpo della larva in tutta la sua lunghezza, e la si riscontra anche oltre l'apertura anale e lungo gran pari.' dell'estremità codale. Nell'ultimo tratto di quest'ultima, a co- 138 Antonia Nardi-Rinaldi minciare dal punto in cui scompare la linea pigmentaria fino al termine di essa, si osserva una lunga macchia assai oscura. Lungo il margine dorsale , in corrispondenza all'origine della Fig. 7 — Estremità codale della larva N. 5 (x 5) pinna primordiale , si osserva una seconda linea pigmentaria costituita da puntini oscuri assai avvicinati gli uni agli altri. Lungo il suo decorso si riscontrano delle interruzioni prodotte da zone in cui non si osserva traccia di pigmento, o se mai si presenta assai raro. Tale linea pigmentaria si rende visibile fino ai 12 c/m della lunghezza del corpo. Tanto la linea dorsale che la ven- trale si osservano anche ad occhio nudo sotto l'aspetto di due sottilissime linee oscure per tutta la loro estensione. Su cia- scun miomero lungo il margine anteriore e ventrale si osser- vano a debole ingrandimento, poche macchiette pigmentarie, il cui numero va via via riducendosi sino ad una sola macchietta per ciascun miomero, però oltre gli 8 c/m della lunghezza non si rendono più visibili. Assai di raro sulla superficie del corpo si trovano macchie di pigmento, se si esclude il primo tratto seguente la testa ove se ne osservano in buon numero. Caratteri della pi n n a p r i m o r dia 1 e. Nel primo tratto del suo decorso si presenta assai ristretta, indi si allarga rapidamente seguendo il corpo dell'animale con larghezza costante l'ino all'apertura anale, olire quest'ultima si riduce man mano fino a scomparire del tutto. Osservazioni sui Tilurus 139 Larva N.° 6- Aspetto generale Si presenta regolarmente sviluppata in lunghezza, alquanto in larghezza e, come sempre, ridotto è lo spessore; non pre- senta una estremità codale molto allungata terminando tut- tavia con coda filiforme. II capo è piccolo ed è fornito di muso Fig. 8, — Schema del capo della larva N. 5 (X 14) appuntito. Il corpo ne è separato da una strozzatura assai hen distinta, oltre la quale va crescendo rapidamente in larghezza in modo da raggiungere la massima dimensione di m/m (5 ai 3 cm. Va della lunghezza, mantenendola costante per circa un 1 era. Va. Oltre questa regione va riducendosi gradatamente, ma non lentamente verso la estremità codale. Il colore è uniforme e di un bianco giallastro. Caratteri della pinna p r i m o r d i a 1 e Lungo il margine dorsale si estende la pinna primordiale la quale si mostra assai ristretta sebbene ben distinta lungo il primo tratto del corpo; presenta il massimo sviluppo in quella regione della larva nella quale anche la larghezza è massima e con quest'ultima va riducendosi fino a scomparire verso la estremità codale. 140 Antonia Nardi-Rinaldi C a r a 1 1 e r i g e m e r a I i e p arti e o lari d e 1 e a j) o Osservando il capo dell'animale, si scorge che il suo mar- gine superiore presenta una doppia curvatura , il cui tratto concavo terminale, un po' pianeggiante, segue quella convesso; il margine inferiore, all' opposto, si mostra rettilineo. Per tal forma dei suoi margini limitanti, non è possibile ricondurla per aspetto ad una qualche figura geometrica, possiamo dire però che essa resta perfettamente iscritta in un triangolo, i cui due lati concorrenti a formare 1' apice del muso sono rappre- sentati uno dal margine inferiore, l'altro dalla tangente al tratto convesso del superiore. "n - Ì0ì ('•l'''\T1; IHh-J \\\\\\WfvV ■ • x-^fe -:) -U...l.;.1 vY V Fig. 9. — Parte anteriore del corpo della larva X. 6 (x <>) A debole ingrandimento si osserva che la strozzatura in- terposta fra la testa ed il corpo è dovuta ad una infossatura rettangolare, che seguendo il margine superiore nel suo spes- sore, si prolunga oltre d' ambo le facce della testa. Il mascel- lare superiore sporge di poco siili' inferiore. I denti non sono visibili ad occhio nudo. Lunghezza della testa m/m 3. Lo squarcio della bocca ampio, m/m 2, segue in direzione il mar- gine inferiore. L' occhio è piccolissimo, il suo diametro mas- simo raggiunge il mm. Distanza dall'apice del muso al centro della pupilla m/m 2 e mezzo. Formula dentaria (-jjf). Caratteri particolari del corpo Osservando l'animale a debole ingrandimento, si scorgono due linee pigmentarie, delle quali una pari si trova in corri- spondenza al margine interno dell' intestino e una impari lungo Osservazioni sui Tilurns 141 il margine ventrale. Tanto la prima che la seconda sono co- stituite da macchiette oscure avvicinate ed allineate, però quelle costituenti la seconda si mostrano assai ben distinte, più oscure ed alquanto più grosse di quelle costituenti la prima, quest' ul- time si presentano assai piccole, appena visibili. Le due linee pigmentarie si estendono per tutta la lunghezza della larva, ad occhio nudo si scorge soltanto quella marginale ventrale con le rispettive macchiette oscure. Lungo 1' estremità codale si osservano macchiette oscure costituite da puntini pigmentari. Su ciascun miomero lungo il margine anteriore e ventrale si osservano macchiette pigmen- tarie allineate ed assai piccole. Si mostrano visibili fin oltre la metà del corpo e non è possibile riscontrarle oltre questa regione. Lungo il margine dorsale non si osserva traccia di linea pigmentaria. Rarissimamente sul corpo si trova pigmento sparso. Lunghezza c/m 15 e mezzo. Larva N. 7. Aspetto generale Si presenta molto sviluppata in lunghezza, regolarmente in larghezza ed in spessore. Però, prevalendo 1' una e 1' altra su di esso, la larva mantiene lo stesso aspetto schiacciato che si è riscontrato essere caratteristico per tutte le altre larve già studiate. Oltre il capo, assai piccolo in rapporto alle dimen- sioni del corpo, si origina una brevissima regione di larghezza costante (3 m/m), oltre quest'ultima il corpo va gradatamente allargandosi ed in misura più intensa lungo il margine ven- trale, in modo da presentare la massima larghezza (8 m/m) ai 5 cm. della lunghezza, mantenendola costante per il tratto di circa 3 c/m. Da questo punto in poi va riducendosi gradata- mente, in modo da raggiungere la minima dimensione (un cen- timetro e mezzo) ai 23 c/m di essa. Con tale larghezza pres- soché costante, giacché assai di poco si restringe lungo il de- corso, si riscontra una parte del corpo lunga 10 cm 1i-> che estendendosi dal punto, in cui minima si presentala larghezza, all' ano, si prolunga oltre con la brevissima estremità codale, ancora più assottigliata. 142 Antonia Nardi-Rinaldi Sono ben distinti i miomeri dall' origine del corpo sino ai 23 c/m della lunghezza, non si distinguono affatto nemmeno a debole ingrandimento in quella parte assottigliata già sopra Fig. 10. — Schema del capo della larva N. 7 (x 12) in parola. Il colore è uniforme e di un giallo bruniccio, l'in- tensità di esso aumenta soltanto nella estremità codale, raggiun- gendo quella di un giallo verdastro. Caratteri della pinna primordiale Lungo il margine dorsale si estende la pinna primordiale, essa si mostra assai ristretta nel primo tratto seguente, il capo in seguito va rapidamente allargandosi in maniera da pre- sentare la sua massima dimensione in quella parte del corpo in cui anche la larghezza è massima, indi oltre il tratto di 6 c/m in cui è costante, la sua dimensione va riducendosi ra- pidamente, in modo da scomparire al punto di origine di quella parte assottigliata della larva. Uniformemente alla maggiore spessezza del corpo della larva, anche la pinna si presenta più distinta ed assai meno trasparente per la maggiore compat- tezza e per l'accresciuto spessore. Osservazioni sui Tiluriis 143 Caratteri g e ne.rali e p a r t i e o 1 a r i del e a p o Mantenendo il carattere delle altre larve, anche questa pre- senta assai appariscente il contrasto fra la ridotta dimensione del capo e l'accresciuto sviluppo del corpo. La forma è di un triangolo isoscele essendo perfettamenle uguale e rettilinei entrambi i margini di essa; l'apice angolare in cui essi con- vergono corrisponde al muso appuntito, ma pur breve. Una lieve strozzatura lo rende più distinto dal corpo. L' occhio , avente il diametro massimo di poco più di 1 mm 1/2 è con- tornato da una zona circolare di color giallo bruno che lo rende apparentemente più grande. Lunghezza del capo m/m 4. Distan- za dall'apice del muso al centro della pupilla m/m 3. Lo squarcio della bocca, ampio m/m 2, segue in direzione il margine infe- riore. Il mascellare superiore eguaglia in lunghezza quello infe- riore. I denti sono visibili ad occhio nudo. Formula denta- ria Caratteri particolari del corpo Numero di miomeri, visibili fino ai 23 c/m, 196. Lunghezza della larva c/m 30 e mezzo. Osservando 1' animale a debole ingrandimento, si scorge, lungo la linea ventrale, in corrispon- denza al margine interno dell' intestino, una linea pigmentaria pari seguente il corpo in tutta la sua lunghezza. Le singole macchiette oscure costituitive sono dapprincipio per il tratto di un centimetro lontane 1' una dall'altra; in seguito si mo- strano molto avvicinate, anzi addossate, in maniera da costituire una linea oscura e continua. Essa si rende ben distinta ad occhio nudo per quasi tutto il suo decorso. Lungo il margine dorsale all' origine della pin- na primordiale si osserva una seconda linea pigmentaria visibile fino ai 23 c/m della lunghezza del corpo. Anch' essa mostra di- stinte le prime macchiette oscure invece le altre sono addos- sate. Tutte e due le linee oscure, sono ben distinte ad occhio nudo per quasi tutto il loro decorso. Su ciascun miomero, lungo il margine anteriore e ventrale si osservano poche mac- 144 Antonia Nardi-Rinaldi chie pigmentarie allineate. Oltre ai 13 c/m della lunghezza non si rendono più visibili. Sulla superficie del corpo non si osserva traccia di pigmento sparso. Larva N. 8. Aspetto generale Si presenta molto sviluppata in lunghezza rispetto alla lar- ghezza un po' ridotta, ed allo spessore che,come sempre, è minimo. La testa, presentante un muso allungato, è divisa dal corpo da una strozzatura assai ben marcata dalla parte del margine ven- trale in maniera da mostrarsi come un taglio della profondità Fig. 11. — Schema del capo della larva N. 8 (x 10) di un millimetro diretto verso la linea mediana della larva. Oltre questa strozzatura, limitante la testa, si origina il corpo, il quale va allargandosi assai di poco lungo il percorso della lunghezza in maniera da raggiungere la massima larghezza (5 millimetri) dopo un breve tratto oltre la testa (3 c/m). Rimane costante fino ad altri due centimetri indi va riducendosi lentamente, rag- giungendo la minima dimensione verso l'apertura anale; oltre la quale si continua con la brevissima estremità codale. Il mar- gine dorsale dell'animale presenta fin dalla sua origine una direzione rettilinea continuantesi con il primo tratto del mar- gine anteriore del capo avente anch'esso la medesima direzione. Osservazioni sui Tilurus 145 Il margine ventrale, a partire dalla strozzatura corrispon- dente, mostra una curvatura assai pronunciata a convessità esterna per il rapido sviluppo che presenta in tale regione la porzione ventrale della larva. Il colore è giallo sporco uni- forme. Caratteri generali e particolari del capo A debole ingrandimento si osserva che il margine ante- riore del capo presenta nella parte mediana una deholissima concavità, però, data la sviluppata lunghezza di essa, lo si può considerare come rettilineo, corrispondentemente a quello in- feriore. L'uno e l'altro sono relativamente assai a llungati ed im- partiscono alla testa la forma di un triangolo isoscele con vertice molto appuntito, il cui apice è rappresentato dal muso. L'occhio ha il diametro massimo di un millimetro. Lunghezza della testa m/m 4. Lo squarcio della bocca, ampio m/m 3, se- ime in direzione il margine inferiore. Il mascellare superiore appuntito ed incurvato ad uncino sporge di poco sull'inferiore. La bocca è provvista di piccoli denti conici. Formula denta- ri» (ài- Caratteri della p i n n a p rimordiate Lunao il margine dorsale si estende la pinna primordiale. Si presenta molto sottile nello spessore, quasi trasparente, nel primo tratto si mostra assai ristretta ed uniforme nel suo de- corso, indi va rapidamente allargandosi e con tale dimensione massima (2 m/m) rimane costante per un breve tratto; in se- guito va riducendosi gradatamente lungo l'estremità codale fino a scomparire del tutto. Caratteri particolari del corpo Osservando V animale a debole ingrandimento, si scorge, lungo la linea ventrale in corrispondenza al suo margine, una linea pigmentaria impari le cui singole macchiette oscure sono 10 146 Antonia Nardi-Rinaldi distinte 1' una dall'altra lungo tutto il suo decorso. Essa si estende per quasi tutta la lunghezza dell'animale, però i pun- tini oscuri costituitivi non sono disposti tutti secondo un'unica linea, per la maggior parte di essa si osserva una disposizione a zig-zag. Ad 1 cm. 1/2 oltre la testa, si origina una seconda linea pigmentaria pari che dapprincipio addossata alla prima si rende in seguito ben distinta da essa occupando una posi- zione corrispondente al margine interno dello intestino. Lungo l'ultimo tratto della larva non è possibile osservarla più. Lungo il margine dorsale all' origine della pinna primordiale non si osserva traccia di linea pigmentaria. Su ciascun miomero si osservano lungo il margine anteriore e ventrale piccole mac- chie di pigmento allineate; di quest' ultime sparse sul corpo non se ne osservano affatto. Numero di miomeri visibili 220 (contati fino ai 2 c/m precedenti l'estremo codale). Lunghezza della larva c/m 17. Larva N.° 9. Aspetto generale Si presenta sviluppatissima in lunghezza, alquanto in lar- ghezza, lo spessore è minimo tanto che la larva, anche a causa dello stato non molto buono in cui si è rinvenuta, si mostra quasi trasparente. Il capo, più sviluppato in larghezza che in lunghezza, non è distinto dal corpo che da una lieve strozzatura poco vi- sibile. I margini di essa si continuano con quelli del corpo e questi ultimi si presentano nel loro andamento perfettamente rettilinei, specialmente all'origine, in maniera tale da mostrare il corpo dell' animale regolarmente orizzontale. Soltanto all'ori- gine del margine ventrale si nota un brevissimo tratto a con- cavità rivolta verso l'esterno per il continuarsi di esso con il tratto posteriore del margine inferiore del capo. La lar- ghezza del corpo va crescendo rapidamente oltre il capo, ed omogeneamente per ambo i lati di esso, raggiungendo la massima dimensione (8 m/m) ai 5 c/m oltre il capo; si mantiene costante per un tratto di 2 c/m, quindi si riduce egualmente ed assai gradatamente, da ambo i margini sì da raggiungere la minima larghezza (1 millimetro) ai 28 c/m della lunghezza. Da questo punto in poi si origina una zona molto allungata, che con Osservazioni sui Tiluriis 147 quella dimensione costante si continua in ultimo con la estre- mità codale, non visibile sulla larva, perchè il tratto in parola si presenta rotto alla distanza di 9 cm. 1/2 dal suo punto di origine. L'aspetto bene appariscente che ci mostra la larva ad Fig, 12. — Schema del capo della larva N. 9 (x 12) andamento perfettamente rettilineo quando è disposta nel senso della sua lunghezza, è un aspetto affusato le cui due estremità appuntite sono rappresentate dal muso l'anteriormente e dall'e- stremo codale posteriormente. Il colore è di un roseo assai tenue ed uniforme. Caratteri della pinna primordiale Lungo il margine dorsale si estende la pinna primor- diale. È caratteristica di essa una enorme riduzione nello spes- sore rispetto alla larghezza ben sviluppata. Come al solito si mostra più espansa nel tratto in cui anche la larghezza del corpo è massima, e con quest'ultima si riduce anch' essa lungo l'estremo posteriore della larva. Molto ridotto è anche il suo spessore attraverso al quale si manifesta trasparente. 148 Antonia Nardi-Rinaldi Caratteri generali e particolari del capo Lunghezza del capo m/m Va- Il margine superiore presenta una lieve curvatura sì da rendere il capo stesso prossimo per torma ad un triangolo isoscele. Il margine inferiore è perfetta- mente rettilineo ; i mascellari inferiori sono provvisti di denti ■ i \ \ \ i». Fig. 13. — Parte anteriore del corpo della larva N. 9 (X 7) conici. Formula dentaria (yY)- L'occhio è ben sviluppato ed i suo diametro massimo raggiunge il millimetro e mezzo oltre- passandolo anche di poco. Lo squarcio della bocca, orizzontale, è lungo poco più di 2 m/m. Caratteri particolari del corpo Osservando l' animale a debole ingrandimento si scorge lungo il margine ventrale in corrispondenza al margine in- terno dell'intestino, una linea pigmentaria pari le cui singole macchiette oscure, non molto piccole, sono allontanate le une dalle altre nel primo tratto del suo decorso , in seguito sono regolarmente allineate e contigue l'una all'altra. Essa si osserva continua fino ai 27 c/m della lunghezza, oltre questa regione, cioè lungo il decorso della zona filiforme, si osservano tracce di pigmento sparso , interrotte da zone prive del medesimo. Lungo il margine dorsale in corrispondenza dell'origine della pinna primordiale si scorge una seconda linea pigmentaria osservabile per quasi tutta quella parte della larva a larghezza massima ed a larghezza ridotta , cioè per il tratto di 28 c/m. Osservazioni sui Tilurus 149 Su ciascun miomero lungo il margine anteriore e ventrale si osservano macchiette pigmentarie , si rendono visibili fino agli 11 c/m della lunghezza, oltre questo punto non si rendono più distinti. Rarissimamente sul corpo si trovano tracce di pigmento sparso. Lunghezza della larva c/m 37 1/z. Non è pos- sibile contare i miomeri per lo stato non buono in cui si rin- viene la larva. Larva N.° 10. Aspetto generale Si presenta regolarmente sviluppata in lunghezza in lar- ghezza, ed alquanto ridotto è lo spessore. Oltre il capo, triango- lare e con muso un po' allungato, si origina il corpo, il quale andando gradatamente sviluppandosi ed omogeneamente da ambo i margini, presenta la massima dimensione in larghezza (mm 6) ai era. 3 Va della lunghezza del corpo. Con tale di- mensione essa rimane costante per il decorso di 1 cm., oltre il quale va riducendosi assai lentamente in maniera da rag- giungere la minima dimensione verso V apertura anale, oltre il quale il corpo si continua con la brevissima estremità co- dale (mm 4). Il margine dorsale in continuazione diretta con quello superiore della testa presenta nel primo tratto del suo decorso una leggera curvatura a convessità anteriore, nel ri- manente decorso si mostra perfettamente rettilineo. Il margine ventrale, nel primo tratto rettilineo, si presenta in seguito leg- germente curvo con convessità esterna, indi va in ultimo con- fondendosi con il tratto terminale, perfettamente rettilineo. Il colore della larva è uniforme e di un bianco avorio. Caratteri della pinna primordiale. Lungo il margine dorsale si estende la pinna primordiale. Essa si mostra ben ridotta in larghezza lungo tutto il suo de- corso, si riduce gradatamente verso l'ultimo tratto della larva per scomparire del tutto prima della estremità codale. E assai ridotta nello spessore e trasparente attraverso ad esso. 150 Antonia Nardi-Rinaldi Caratteri particolari del capo Non è possibile poter definire la forma del capo, perchè essendo rotto il mascellare superiore della bocca, anche il mar- gine anteriore di essa è incompleto. II margine inferiore è ret- tilineo, il mascellare omonimo e provvisto di denti. L'occhio ha il diametro massimo di un millimetro. Lo squarcio della bocca, ampio m/m 2 segue in direzione il mar- gine inferiore. Lunghezza del capo m/m 4. Caratteri particolari del corpo Osservando l'animale a debole ingrandimento si scorge, lungo il margine ventrale e proprio in corrispondenza ad essoi una striscia pigmentaria impari presentante nel suo decorso i seguenti caratteri particolari : a cominciare dalla sua origine coincidente con quella del corpo fino ai 3 c/m oltre il capo è costituita da numerosissime macchiette di pigmento, disposte secondo linee diverse e distinte, le quali, oltre quel limite, vanno scemando di numero fino a che a cominciare dai 5 c/m della lunghezza si trovano disposte secondo un'unica linea ed in maniera tale da mostrarsi molto separate l'una dall'altra. Con tale carattere e con intensità di pigmento sempre decrescente si continua fino all'apertura anale. Oltre questa lunga zona pig- mentaria se ne osserva un'altra pari lungo il margine interno dell'intestino, avente la sua origine oltre 1 cm e V2 da quello del corpo e tale che i suoi puntini oscuri costituitivi assai lontani gli uni dagli altri, nel primo tratto del suo decorso, si mostrano sempre più avvicinati e più piccoli lungo tutto il resto della sua estensione. A differenza della prima essa rag- giunge l'ano e percorre anche l'estremità codale. Di esse è visibile ad occhio nudo per tutto il suo decorso soltanto la prima, però della seconda si osserva, anche senza ingrandimento, l'ultimo tratto della seconda che, pur essendo formata da puntini di pigmento assai piccoli, si mostra come una sottile linea nera. Lungo il margine dorsale in corrispondenza dell'origine della pinna primordiale non si osserva traccia di linea pig- mentaria. Su ciascun miomero e lungo tutta la superficie del corpo manca ogni cenno di pigmento sparso. Osservazioni sui Tilurus 151 Larva N.° 11. Aspetto generale Si presenta molto sviluppata in lunghezza ed in larghez- za, lo spessore supera di poco quello delle altre larve già de- scritte. Oltre la piccola testa, si origina il corpo, senza inter- posizione alcuna di strozzatura distinta. Il corpo sin dalla sua origine va crescendo rapidamente ed ugualmente da ambo i lati di esso , in modo da raggiungere la massima dimensione Fig. M. — Schema del capo della larva N. 11 (X 14) in larghezza (19 mm) (senza pinna dorsale) ai 4 cm. della lun- ghezza. Rimane costante per il tratto di 2 cm. oltre questi ultimi va riducendosi assai gradatamente in modo da raggiun- gere la minima dimensione di 1 mm. oltre 1' ano , ai 23 cm. della lunghezza. Oltre questa dimensione si origina la coda, lunga 4 cm. ed assai filiforme. Per le modalità con cui varia la larghezza, 1' animale presenta un aspetto affusato. E carat- teristico per il margine ventrale nel primo tratto a partire dalla sua origine, una doppia curvatura il cui tratto concavo segue quello convesso per congiungersi con il terminale anch'esso convesso : in tutto il resto del suo decorso analogamente a tutto il margine dorsale manca ogni traccia di ulteriore curvatura. Il colore è uniforme di un giallo avorio un po' intenso. 152 ' Antonia Nardi-Rinaldi Caratteri generali e particolari del capo. 1 margini del capo (lungo mm. 4 Va) presentano i se- guenti caratteri : il superiore mostra una doppia curvatura tale che il tratto concavo, poco profondo, segue quello con- vesso con cui termina il muso, per continuarsi con 1' ultimo tratto terminale. Il margine inferiore è costituito da due tratti; di cui l'anteriore è rettilineo ed il posteriore debolmente curvo con concavità rivolta verso l'esterno. Lo squarcio della bocca, ampio mm. 2 V'2 segue in direzione quello inferiore. L'occhio ha il diametro massimo di 1 mm. Il mascellare superiore sporge di poco sull' inferiore. La bocca è provvista di piccoli denti conici, rormula dentaria y-^- )• C a r a 1 1 e r i della p i n n a p r imordial e. Lungo il margine dorsale, si estende la pinna primordiale. Essa presenta i seguenti caratteri particolari. A cominciare dalla sua origine si manifesta assai ristretta , rispetto alla ben svi- luppata larghezza della larva. Mantiene tali caratteri per i primi due centimetri del suo decorso , indi si accresce rapidissima- mente in maniera da raggiungere la massima larghezza (2 mm.) ai 5 cm. e Va della lunghezza. La mantiene costante per il tratto di altri 2 cm. , indi va riducendosi assai lentamente in maniera da rendersi quasi impercettibile lungo l'ultimo tratto dell'animale. Assai sottile è lo spessore attraverso al quale si mostra trasparente. Caratteri particolari del corpo Osservando l'animale a debole ingrandimento, si scorge lungo il margine ventrale una striscia pigmentaria presentante i seguenti caratteri particolari : per il decorso di 2 cm. 1/2 a partire dalla sua origine risulta costituita da numerosissime Osservazioni sui Tilurus 153 macchiette di pigmento, che, ben distinte l'ima dall' altra, si mo- strano disposte secondo linee diverse. Queste ultime oltre quei 2 cm. diminuiscono sempre più in numero finché a partire dai 5 cm. dalla sua origine si rinvengono disposte secondo un'unica linea. Le singole macchiette costitutive sono molto separate l'ima dall' altra, non rigorosamente allineate, né regolarmente costante è la loro reciproca distanza. Ai due cm. e Va precedenti l'apertura anale non si rendono più visibili. Lungo il margine interno dell'intestino si osserva una seconda linea pigmentaria pari le cui singole macchiette di pigmento sono assai distanti fra loro per tutto il primo tratto del suo decorso , mentre in seguito si vanno sempre più avvicinando in maniera tale da costituire una vera linea pigmentaria distinta; essa si estende anche oltre l'apertura anale. Ad occhio nudo si osserva soltanto la pinna ventrale e la si può seguire lungo tutta la sua estensione. Sul margine dor- sale non si osserva traccia alcuna di pigmento. In ciascun mio- mero di quella parte corrispondente quasi alla metà della lun- ghezza della larva, si osservano lungo il margine anteriore e ventrale numerosi puntini oscuri allineati, inoltre non si ren- dono più visibili. Sul corpo dell' animale di tanto in tanto si scorge pigmento sparso. Lunghezza della larva cm 25. Numero di miomeri visibili 220. Larva N.r 12. Aspetto g e n e r a 1 e Si presenta regolarmente sviluppata in larghezza ed in lunghezza, poco in spessore. Oltre il capo, piccolo e terminante con muso appuntito, si origina il corpo, in continuazione di- retta con esso, senza interposizione alcuna di strozzatura visi- bile. Il margine dorsale presenta in corrispondenza della sua origine un brevissimo tratto lievemente convesso; in tutto il resto della sua estensione segue , analogamente a quello ven- trale, un andamento perfettamente rettilineo a cui è dovuto anche quello dell'animale. Il corpo dell' animale, andando dolcemente allargandosi a partire dalla sua origine, presenta la massima dimensione 8 154 Antonia Nardi-Rinaldi mill. e V2 ai 4 cm. della lunghezza e la mantiene costante per un breve tratto. In seguito va man mano riducendosi in maniera assai graduale e raggiunge il minimo valore (1 mm.) oltre Fig. 15. — Schema del capo della larva N. 12 (X 14) l'ano, ai 17 cm. contati dall'apice del muso. Da questo punto si parte la coda che sottile e filiforme presenta uno sviluppo di 2 cm. II colore è uniforme e di un giallo paglia assai chiaro. Caratteri generali e particolari del e a p o Lunghezza del capo mm. 4. Il margine superiore pre- senta una doppia curvatura , i cui tratti costituitivi mostrano la stessa successione verificatasi a proposito della larve 9a, 10a e lla. Il margine inferiore è debolmente curvo nella sua parte centrale con convessità rivolta verso l'esterno. L'occhio è pic- colissimo , il suo diametro massimo raggiunge il millimetro- Lo squarcio della bocca, ampio mm. 2 è lievemente obliquo all'ingiù verso il margine inferiore. I mascellari, provvisti di piccolissimi denti, son tali che il superiore sporge di poco sull'inferiore. Formula denta- ri» (o)- Osservazioni sui Tihirns 155 Caratteri della pinna primordiale Lungo il margine dorsale, si estende la pinna primordiale ; dapprima assai ridotta in larghezza, va quindi sempre più cre- scendo , in modo da raggiungere la massima dimensione in quel tratto dell'animale in cui il corpo presenta il massimo sviluppo: rimane costante sino in corrispondenza della parte assottigliata e ridotta della larva, laddove essa pinna si rende appena appariscente fino a scomparire del tutto presso l'aper- tura anale. Caratteri particolari del corpo Osservando l'animale a debole ingrandimento si scorge, lungo il margine ventrale, una stessa linea pigmentaria impari, che, partendo dall' origine del corpo, si estende sino ad 1 cm. dall'ano. Nel suo primo tratto, assai breve, è costituita da macchiette pigmentate disposte secondo linee diverse, il cui numero va man mano riducendosi in maniera tale che a par- tire dai 5 cm. della lunghezza, esse macchie si osservano di- sposte su un' unica base. Nel loro ulteriore decorso queste macchiette presentano una distanza reciproca sempre più grande specialmente nell' ultimo tratto. Ancora lungo la linea ventrale, in corrispondenza del mar- gine interno dell'intestino, si osserva una seconda linea pig- mentata pari e continua; però le singole macchiette sono assai più piccole delle precedenti e la loro reciproca distanza va sempre più diminuendo, di modo che, oltre la metà del corpo della larva, si manifesta una viva linea pigmentata continua, che si estende oltre l'ano. Ad occhio nudo è soltanto visibile, per tutto il suo decorso la linea marginale impari; dalla pari si osserva solo il primo trdtto. Su ciascun miomero, lungo il margine anteriore e ventrale, si notano piccole macchie pigmentarie allineate. Tali macchie però scompaiono da quei miomeri precedenti di 4 cm. l'aper- tura anale. 156 Antonia Nardi-Rinaldi Né sul margine dorsale, né sulla superficie del corpo si osservano tracce di pigmento sparso. Lunghezza cm. 18 (tenendo conto dell'intera coda). Nu- mero dei miomeri visibili 240. Larva N.° 13. Aspetto generale Si presenta molto sviluppata in lunghezza, poco in lar- ghezza: ridotto è lo spessore oltre il capo, piccolo e con muso un po' breve, si origina il corpo distinto da una strozzatura a tratti curvi ben distinti. Fig. 16. — Schema del capo della larva N. 13 (X 14) È caratteristico l'andamento del corpo dell'animale, quando quest'ultimo giaccia nel senso della lunghezza, perii maggiore sviluppo che mostra la larva dalla parte del margine ventrale rispetto a quella dorsale; la quasi totalità del corpo di essa (giacché ne resta escluso soltanto l'ultimo tratto ristretto ed assottigliato) presenta una profonda curvatura con concavità rivolta superiormente , il cui tratto convesso è rappresentato dal margine ventrale e quello concavo dal dorsale. La lunghezza del tratto in parola raggiunge i 14 c/m. Oltre di esso si continua l'ultima parte del corpo dell'animale, che è assai ristretta ed allungata e termina con la brevissima coda Osservazioni sui Tilurus 157 (1 centimetro circa) la cui larghezza, pur essendo assai ridotta, accenna ad una graduale ed ulteriore riduzione verso la sua stessa estremità. Sin dall'origine del corpo si osserva un continuo aumento (sebbene non omogeneo) da ambo i lati di esso, in maniera da raggiungere la massima dimensione (6 m/m esclusa la pinna) ai 3 c/m della lunghezza del corpo medesimo Rimane costante per il tratto di 3 cm. ed oltre di esso si inizia la sua graduale riduzione, in maniera che soltanto in corrispondenza all'apertura anale raggiunge il suo minimo (1 m/m). Il colore della larva è di un giallo bruno molto in- tenso, che si rende ancora più carico nel tratto terminale. Caratteri della pinna primordiale Lungo il margine dorsale si estende la pinna primordiale, presentante i seguenti caratteri particolari : dal punto di sua origine sino ai 3 c/m del suo decorso si mostra uniforme e ridottissima in larghezza , in seguito si accresce rapidissima- mente, in maniera da raggiungere il massimo sviluppo (2 min. Va) verso la parte centrale del tratto più sviluppato della larva, indi, insieme con quest'ultimo, va riducendosi gradatamente in maniera da raggiungere la minima dimensione (1 m/m) ai 3 c/m precedenti l'ano, e con tale ridotto sviluppo raggiunge il me- desimo. Lo spessore è alquanto ridotto ed omogeneo, traspa- rente lungo tutto il suo decorso. Caratteri generali e particolari del capo Osservando il capo dell'animale a piccolo ingrandimento, si scorge che la parte anteriore del margine superiore si pre- senta fortemente convessa nel breve tratto terminale corri- spondente al muso, e leggermente concavo in tutto il resto. 11 margine inferiore del suo tratto anteriore è perfettamente ret- tilineo. I mascellari sono provvisti di piccoli denti conici; formula dentaria (-yjp). Lo squarcio della bocca,ampiom/m.2 72, segue in direzione il margine inferiore e si presenta con an- damento non perfettamente rettilineo, ma lievemente convesso. 158 Antonia Nardi-Rinaldi Il diametro massimo dell'occhio supera di poco il millimetro. Distanza dall'apice del muso al centro della pupilla m/m 2 Va- Lunghezza della testa m/m 4. Caratteri particolari del corpo Osservando l'animale a debole ingrandimento si scorge lungo la linea ventrale, in corrispondenza del margine interno dell'intestino, una serie continua di macchiette pigmentarie re- golarmente susseguentesi ed in maniera così avvicinate da dare origine ad una vera linea pigmentaria, però quest'ultima è assai meno intensa della ventrale. Di 6 cm. precedenti l'apertura anale essa linea non si distingue più, e, come la prima, anche essa è visibile ad occhio nudo per un certo tratto del suo decorso. Su ciascun miomero, lungo il margine anteriore e ventrale, si osservano pochissime macchiette di pigmento allineate, il cui numero va sempre riducendosi, talché nei pochi miomeri pre- cedenti i 9 c/m della lunghezza se ne osserva una per ciascuno di essi per scomparire del tutto nei seguenti. Sulla superficie del corpo non si osserva traccia di pig- mento sparso. Lunghezza della larva c/m 22. Numero di miomeri visi- bili 222 (contati fino ai 4 c/m precedenti l'ano). Larva N.° 14. Aspetto generale Si presenta molto sviluppata in lunghezza, regolarmente in larghezza, e, come sempre, assai ridotto è lo spessore, in ma- niera che per essa, come per tutte le precedenti larve, è co- stante il carattere della pronunziata assottigliatezza del corpo. Oltre la testa, piccola e con muso assai breve, si parte il corpo con strozzatura visibile soltanto dal lato ventrale. Sin dall'origine esso accenna ad accrescersi assai lentamente per raggiungere ai 4 c/m della lunghezza il massimo sviluppo, lo mantiene costante per il tratto di altri 4 c/m, in seguito ai quali va riducendosi assai lentamente per il decorso di un lungo tratto. Non si distingue l'apertura anale, né l'origine dell'estre- Osservazioni sui Tiliirus 159 rnità codale, perchè il tratto in parola si mostra rotto alla sua estremità. L'andamento del corpo dell'animale, quando esso giaccia nel senso della lunghezza, è prossimo all'orizzontale. Fig. 11. — Schema della larva N. 14 (X 1-1) Il colore della larva è di un giallo carico assai intenso, che va facendosi sempre più bruno oltre la metà del corpo, lungo il margine ventrale. Caratteri della pinna primordiale. Lungo il margine dorsale si estende la pinna primordiale, presentante all'osservazione i seguenti caratteri particolari: per il tratto di x\-i cm. contato a partire dall'origine di essa, (coin- cidente con quella del corpo) si mostra ridottissima in guisa da rendersi appena distinta ad occhio nudo in questa regione; però, al termine di essa, mostra subito un accrescimento re pentino tale da assumere uno sviluppo quasi doppio rispetto a quello del tratto suddetto. Con tale dimensione va sempre più ingrandendosi, in maniera da raggiungere e da mantenere la massima dimensione di 2 m/m x\-i lungo tutto il tratto più sviluppato del corpo dell'animale indi, come quest'ultimo, va restringendosi gradatamente in maniera che , ai 3 c/m prece- denti l'estremità posteriore della larva, non si rende ulterior- mente visibile. 160 Antonia Nardi-Rinaldi Non si manifesta trasparente attraverso il suo spessore, per la maggiore compattezza e l'accresciuto spessore. Caratteri generali e particolari del capo Lunghezza del capo m/m 4. Il margine superiore pre- senta nel punto medio del tratto anteriore una leggerissima concavità continuantesi con i due ultimi tratti terminali assai brevi e lievemente convessi. Il margine inferiore è perfetta- mente rettilineo. I mascellari sono provvisti di piccoli denti conici. Formula dentaria (]^) Il diametro massimo dell'occhio . • \ \ '■'; \ i '- Fig. 1S. - Farle anteriore del corpo della larva N. 14 (X C) raggiunge quasi il millimetro e mezzo. A debole ingrandimento si mostra contornato da una stretta zona circolare che lo rende ancora più ingrandito. Distanza dall'apice del muso al centro della pupilla m/m 2 V>- L° squarcio della bocca, ampio m/m 2, segue in dire- zione il margine inferiore, presentando tuttavia una lievissima concavità verso di esso. C a r a t t e ri particolari del e orpo Osservando l' animale a debole ingrandimento si scorge in corrispondenza del margine interno dell'intestino una linea pigmentaria pari molto intensa e regolarmente continua, che, par- tendo dall' origine di esso, si estende fino all' apertura anale, mantenendo durante il decorso il carattere della continuità. Anche lungo il margine dorsale si osserva linea pigmen- taria pur'essa continua ed uniforme, ma di intensità inferiore Osservazioni sui Tilurus 161 a quella ventrale. Come la prima si parte dall'origine del corpo per estendersi fino ai 5 c/m precedenti l'ano. Ad occhio nudo si rendono visibili tanto la prima che la seconda, però non per tutto l'intero decorso. Fig. 19. — Estremità caudale della larva N. 14 (X 6) Su ciascun miomero lungo il margine anteriore e ventrale si osservano poche macchiette pigmentarie allineate, il cui numero va sempre più riducendosi nei miomeri via via suc- cessivi. Oltre la metà del corpo non si osserva più traccia alcuna di pigmento. L'estremo caudale si mostra fortemente pigmentato. Lunghezza della larva c/m 25. Numero di miomeri visibili 300 (contati fino ad un cen- timetro precedente l'estremità dell'animale). 11 ce IO 00 1— P M p — • O CfQ O o o r*- P C e p {fi >3 h- 1 p ere. CfQ ac. p o »-; p P p u ro (—•* o O o ro <-t- o (fi C/3 P p tr P TP r— ' ti -i O o C e -1 "1 CfQ ro CfQ CfQ p p •>s ro ro re o o p ciò, p ro o ►1 G5 a» co IO p_ e* p CfQ P o o o 1 CfQ ro 3 ro ro o CfQ P P CIQ P Larva p o P o p P o p h— « H l™- ^^ r-t- JT-™- p P e e P c P --* y. P (fi s P (fi t-J P CfQ O CfQ o CfQ CfO o CfQ "3 O P P P P P r-t- r+ *-+• r+ o o O O O IO IO to IO >-k LO >-»■ IO <-*■ >-' OS Ci CJl »"■ k **■ P C/3 C/3 P 73 C/3 I-* Ul ro o io IO co — I col i-i. ce ro o cn io IO i-1 + + f, J° «1 *. *■.' —»• p C/3 •y cT "JQ P ro ro o CfQ P ro "JQ P ro CfQ -3 P P Cu ro CfQ P P Cu ro ro ro o _p _ © o o 1 CD 3 o ar- ro p C/3 -a oc ■p p |-S_ ro o •Zi oc io y -p S- 2. _, .— • »— • w y y P ip TP . 3 ro n ro a y ro p o rt y oc «o _Q5 To 00 «n 00 Ci IO IO u-l IO 1— k co co IO 00 cn +- ■^f IO co IO io 00 Ci IO h-i o p p o C/3 ro rt> C/3 O ro p -P p ^ O >— *■ r— l "■"i ^ .--» —i , — s "~" .> — <. < <« s. a> ' s. t» ro ro 0 r^ p -^ CL P ^ CL p p o ZTt o o ro •1 ■ — -■■ •-s ro y: V (fi p 1 C/3° ro ro" ro co io ro io ro to N t— ' ro O P (fi P tua . Capacità postauricolare 6. Lunghezza totale .... 7. Lunghezza preauricolare . 8. Lunghezza postauricolare . (J. Lunghezza basale 10. Altezza B. B 11. Altezza A. B 12. Altezza della calotta . 13. Larghezza biparietale 11. Larghezza frontale massima 15. Larghezza frontale minima 1G. Larghezza biauricale . 17. Larghezza biasterica . 18. Larghezza bizigomatica 19. Larghezza bimascellare 20. Larghezza biorbitale . 21. Lunghezza diretta della faccia 22. Lunghezza proiettata della faccia 23. Altezza dall'alveolo al nasion . 24. Altezza dall'alveolo alla glabella 25. Altezza dall'alveolo al vertice . 26. Diff. fra 24 e 25 . 27. Altezza dall'alveolo al rinion . grm. ce. mm. I1) ii^) Ili ') Differ. fra cf ad- cfad. ^ad. I - II IV4) 188'85 1()2'52 135 90 45 107'0 71'0 36'0 87'5 (57 '5 68'0 39' 0 67'0 54'0 43'0 80'0 59'0 HO'O 75'0 67'0 95'0 68'0 66'0 69'0 85'9 16'0 23'0 195'09 96'00 145 110 95 109'0 69'0 40'0 87'0 70'6 52' 0 26'0 67'5 55'5 44'0 85.0 63,0 1120 78'0 73'0 ÌOI'O 73'0 67'0 71*0 76'0 5'0 27'0 155'00 61 '00 120 80 40 99'0 69'0 30'0 79'0 63'0 45'0 25'0 69'0 51'0 440 78'0 63'0 97'0 73'0 66'0 76'0 520 49 '0 53'0 65'0 12'6 19'0 7'15 6'52 < 20'00 < 20'00 < 2'0 2'0 4'0 0'3 < 3'1 ÌO'O > 13'0 < 0'5 < 1*5 < 1*0 5'0 < 4'0 20 < 3'0 < 6'0 < 6'0 < 4'0 < l'O < 2'0 9'0 > 1100 < 4'0 99'03 82'0 71'0 67'0 53'5 43'5 85 '0 62'5 112'5 78'0 68'5 900 !) Gelada. — 2) obscurus O • — 3) obscurus 9 4) Cranio frammentario. 5) Vedi Vram (3) anche per le altre misure. Sul genere Theropythecus 189 Numero e sesso Altezza dall'alveolo al margine inferiore 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. Palato 40. 41. 42. 43. 44. 15. 46. 47. 48. 49. dell'orbita Orbite : Altezza .... Orbite: Larghezza Orbite : Profondità Orbite : Inclinazione M Larghezza infraorbitale Naso: Dal nasion al pav. nasale Naso: Dal nasion al rinion Naso : Larghezza dell'apertura nasale Palato ; Lunghezza .... Palato : Larghezza fra C. . ( Larghezza fra M1 ( „ a M3 . . Poro occipitale : Diam an-post Foro occipitale : Diam trasv. . Foro occipitale : aerea Angolo basiliare . nini gr unii Mandibola : Larghezza bigoniale Mandibola : Larghezza bicondiloidea Mandibola : Larghezza Fr. M3 . Mandibola: Lunghezza totale esterna Mandibola: Lungh. del tratto molare Mandibola: Lunghezza della branca ascendente min gr inni I cf ad. II d* ad. Ili i^ad. Iliffer. fra I— II IV 9* 50. 51. 52. 53. Mandibola : Alt. proiettata della sinfisi „ Mandibola: Alt. proiettala dei condili ., Mandibola: Corda della sinfisi. . „ Mandibola : Angolo gonico . . gr 40'0 22'0 26'0 32'0 22 100 75'0 47 '0 16'0 83'0 19'0 26'0 18'8 19'5 167 2478 50' oro 75'0 27'5 117'0 41.5 HO 420 58 '0 49'6 115 460 22'4 250 30'0 30 12'0 83'5 46'0 16'5 80'0 23'5 27'0 22'2 19'5 18'0 2767 46' 62'0 76'0 32'0 1160 48'0 440 37'0 62'0 47'0 122 33'0 21'3 28'0 33'0 18 10'5 62'0 33'5 15 0 71'6 22'0 270 24'5 19'0 15'0 2241 44' 540 64'5 (IO 0'4 1 2 8" > 2 8'5 > 1*9 < 0'5 > 3'0 4'5 < l'O 3'4 2'0 <-28'3 < 6° < l'O l'O 27'0 4'5 97'0 < l'O 42'5 < 6'5 32'5 < 3'0 28'0 > 5'0 58'0 < 4'0 36'5 > 2'6 06' < 7° 120 70'0 42'0 15'3 75'8 19.0 27'0 22'0 62'0 80'0 24'5 46?9 410 460 N. B. - Per le misure proiettate (11-12-22-23-24-25-27-28-50-51) il cranio si intende orientato sul piano condilo-alveolare. ») Vedi Vram (2). 190 Ugo G. Vram L'annessa tabella è completa per quanto necessita comple- tare la descrizione e comparazione dei tre crani e perciò non crediamo necessario di dilungarci in calcoli d'indice e passiamo a descrivere le altre parti dello scheletro. Scheletro del tronco. Colonna vertebrale. — Questa è rappresentata dalla formula G 7 D 13 L 6 S. (2+ 1) C? ') Delle vertebre cervicali, l'atlante è esile e sprovvista del tubercolo posteriore, l'espistrofeo ha il dente allargato all'apice. Le altre cinque vertebre differiscono le une dalle altre per l'altezza dei corpi che diminuisce mentre aumenta la loro lar- ghezza man mano che si avvicinano alla porzione dorsale della colonna. Non differiscono le vertebre cervicali nella forma da quelle del C. hamadrias sono però più profonde e più alte che in que- sto ed hanno un foro vertebrale più grande. Le apofisi spinose sono esili e rivolte in alto, quasi perpendicolari al corpo delle vertebre con margine posteriore concavo, concavità che dimi- nuisce nella penultima e che nell'ultima è diventata convessità, in quest'ultima apofisi il margine anteriore è leggermente con- cavo. Nella penultima vertebra le apofisi costali sono oblique dall'alto in basso. Le vertebre dorsali aumentano nei diametri del corpo e nella larghezza totale dalla prima all' ultima, contemporanea- mente diminuisce il diametro trasverso del foro. Le apofisi spinose son lunghe con apice scabroso ed ottuso ciò che signi- fica che esse devono servire all'attacco di robusti e numerosi fasci di fibre muscolari anche di territori non vicini. Queste apofisi son volte in senso caudale dalla IV alla decima, mai però quanto nei M. rhesus. La XII vertebra è l'anticlinale, qui l) La prima lettera seguita da cifra indica il numero delle vertebre cervicali la seconda quello delle dorsali la terza quello delle lombari il quarto e quinto in parentesi, indicano il primo il numero delle sacrali che articolano coll'ileo il secondo quello delle altre, cioè delle proprie o essenziali e delle seconde o accessorie (Calori), l'ultimo indica il numero delle vertebre caudali che nel caso presente mancano. Sul genere Theropythecus 191 occorre ricordare che la direzione delle apofisi spinose è dispo- sta nella direzione della risultante della trazione e della pres- sione (Strasser). Le vertebre lombari aumentano irregolarmente; i corpi più alti li troviamo nella III e nella X i più larghi nella Y e nella VI ; la forma più spiccata a cono del corpo è quella della III. Le apofisi spinose di queste vertebre son corte e grosse di forma quasi quadrilatera, hanno l'apice, o meglio il lato supe- riore, grosso e scabro che ha il medesimo significato di quello che abbiamo dato alle apofisi delle vertebre dorsali. Questi processi son volti verso il lato cefalico direzione tenuta anche dall' apofisi della XIII vertebra dorsale. Riferendo il criterio di esame tenuto nello studio delle vertebre dorsali a quello delle lombari potremo concludere che la media risultante della tra- zione e pressione esercitata dai muscoli è in direzione inversa e contraria nelle due porzioni della colonna e che s' incontra nella XII vertebra. Le apofisi mammillari in genere sono molto sviluppate e si originano sulla metà anteriore della prezigapofisi. Le anapofisi sono accennate nelle vertebre dorsali e si sviluppano soltanto nelle due ultime di questa porzione e nelle quattro prime vertebre lombari. Queste apofisi raggiungono il massimo sviluppo nella prima lombare quindi decrescono e spariscono nell'ultima, lo stesso avviene negli Amadriadi e nei Cinopiteci. Nei Semnopiteci, dalla seconda vertebra lombare in poi, le anapofisi son molto esili e rivolte distalmente cosicché l'apofisi articolare della vertebra successiva ha maggior spazio pel movimento. In uno scheletro di vecchio Colobus guerezza si riproduce ciò che abbiamo visto nel Th. gelada. Le anapofisi mancano nel Cimpanzè e nell'Orango e secondo Bluntschi in tutti gli antropoidi. Le faccette articolari anteriori delle vertebre cervicali sono oblique in senso dorsale cefalico e le posteriori in senso ven- trale caudale su due piani quasi paralleli. Le faccette artico- lari superiori delle vertebre dorsali inclinano verso la linea mediana e le inferiori verso l'esterno e questa inclinazione è più accentuata nelle vertebre lombari. Le vertebre sacrali hanno le apofisi spinose fuse formanti un robusto sprone volto verso il lato cefalico. Le masse late- 192 Ugo G. Vram rali (ali del sacro) dovute alla fusione delle ali delle due prime vertebre in genere, nel Th. Gelada e nelle altre specie summen- zionate, sono in massima parte formate dalle ali della prima vertebra sacrale, la loro parte rivolta al lato cefalico è la più grande, e quella rivolta al lato ventrale è la minore, anche la faccetta auricolare segue questa disposizione delle ali eia linea arcuata presenta una parte lunga al lato cefalico ed una breve al lato ventrale. La prima vertebra sacrale nell'articolare con l'ultima lom- bare forma un angolo col l'apice rivolto ventralmente che mi- sura 156° (misurato sulle vertebre di scheletro secco). Confrontando le vertebre cervicali dorsali e lombari del Th. gelada con quelle dei Cynocephalus e Cgnopithecus si vede che quelle del primo son molto più robuste di quelle degli altri due e quelle dell'ultimo son le più esili. Poca differenza vi è nella grandezza, nessuna nella direzione delle apofisi spinose della porzione dorsale della colonna. La vertebra anticlinale che nel Th. gelada è la dodicesima, su tredici vertebre dorsali, Io è tale anche nei Cynocephalus mentre nei Cgnopithecus è la undicesima su dodici vertebre. Questa vertebra è spostata verso il lato ce- falico della colonna nei Semnopithecus e manca negli Anthro- poidea. Nelle apofisi spinose delle vertebre lombari la differenza è nella grandezza, mentre nel gelada I' apofisi spinosa dell'ul- tima vertebra è uguale a quella delle precedenti , nei Cynoce- phalus essa è di molto ridotta. Nelle vertebre sacrali del gelada, come abbiamo detto , le apofisi spinose fuse insieme delle vertebre essenziali formano un' apofisi sviluppatissima la quale sorpassa in grandezza del doppio quelle delle specie summenzionate. Dall'osservazione delle apofisi articolari nelle diverse re- gioni si è indotti a ritenere che i movimenti della porzione lom- bare devono essere poco meno limitati di quelli della porzione dorsale. Il movimento rotatorio dell'atlante sull'epistrofeo dev'es- sere anch'esso limitato a dedurre dalla disposizione delle apo- fisi articolari (spalle dell'epistrofeo). La somma totale delle altezze dei corpi calcolata sulla faccia dorsale è per la porzione cervicale di mm 75,9 com- preso il dente dell' epistrofeo (corpo della prima vertebra), di Sul genere Theropytheeus 193 mm. 181,6 per la porzione dorsale, di 158,8 per la lombare e, di 37,0 per le vertebre sacrali. Ricordiamo che il Cunningham aveva dato molto peso al- l' indice lombare (Vraiii 4) = (altezza anteriore X 100) : altezza posteriore, col quale significava la curvatura della porzione lombare della colonna. .Nello scheletro del gelada l'indice lombare è uguale a 122,8 e nei Cinocefali maschi 116,5. La lunghezza totale proiettata della colonna è di mm 505, e la lunghezza della curva ventrale è di mm 525. Nella tabel- la (II) sono date le misure in mm. delle vertebre, divise per regione. 13 194 Ugo G Vram Tabella II. Corpo Vertebre Altezza Lar- anter. poster. Shezza Pro- fondità Lar- ghezza totale della verte- bra Diam. interno trasv. anter. poster. Il > u U a C/3 U o fi ■— 03 s o I II III IV V VI VII I II III IV V VI VII Vili IX X XI XII XIII I II III IV V VI 17'5 115 10 '5 8 '8 9'4 8'5 9 '9 10 '0 10 '5 10 '5 107 10 '9 10 '0 ÌO'O 11 '0 12'0 13 5 13 '0 14 '9 20 '0 17 0 25 0 21'4 25 '8 22 '4 8 '5 13 '0 11 '4 10 '5 6'0 11 4 11 '0 10 5 133 110 110 10 '5 11 '5 12 0 111 ire irs 11 '5 11 '5 12 '2 13 0 16 '5 18 '5 20 2 25 '5 22 '5 29 '4 27 '4 29 '0 25 0 13 3 15 0 17 '5 14 '2 15 '5 15 '5 160 16 '0 15'5 18. '5 19 5 20*0 20 7 22 '0 26 '2 26 7 25 '5 29 0 30 '5 31*0 31 0 7 10 0 9 0 8'4 8 7 9 '3 10 '0 10'2 11 '5 117 13 '2 13 '5 14 '4 15 '0 16 '5 17 '0 17 8 17 '4 17 '8 17 '3 19 -0 18'0 20 '0 18 5 19 '6 21 '0 46 7 34 '0 37 '0 39 0 43 '5 57 0 57 '0 52 '0 47 '3 45 '5 44 '0 44 '5 44 5 45 0 45 '2 42 '2 42 '9 50 2 56 '4 66 '5 61 !5 16 '9 15'0 13 '5 13 8 14 '5 15 '0 17 '5 18 '3 14 '8 12 7 12 '4 10 9 11 '6 11 '2 11*9 10 0 11 0 10 5 ii'2 11 0 12 8 130 9 7 11 5 10 5 9'0 19 '0 12 0 11<5 11 3 10 7 11 '6 12 '2 9 '4 8*9 7 '5 8 '8 9X) 9'0 9 2 9 '5 9'0 9'0 8 '5 9 0 9'0 12 '0 13 0 9 7 11 '5 10 5 9'0 ai a a ò 0) o a v t a m a> 2 *> -_ a> o. *& a c/5 zz ,2 & o 5 o *: O *03 • rH a > ^ TI 's ^ M ai ci a a ^3 C a> 'E o a> •a o a u o o '_ a» c cu a C a ,. a «3 0/ rt E U r"H a» ci — u o ai N > N a S-, c « -+^ o Z Sul genere Theropythecus 195 Le costole son tredici, le ultime due son fluttuanti 1' un- decima e decima si uniscono alle cartilagini della nona per congiungersi allo sterno. La lunghezza delle costole aumenta dalla prima alla nona che è la più lunga e diminuisce quindi dalla IX alla XIII. La diminuzione dalla IX alla X è di 36 mm. differenza superata soltanto dall' aumento fra IV e V che è di 39 mm. La diffe- renza in aumento fra V e IX non è rilevante , la massima è quella fra V e VI che è di 14 m/m. La differenza delle lunghezze non indica però la varietà della curvatura ed a questo scopo abbiamo misurato la corda, cioè la linea retta che va dall'angolo interno della costola al suo capo libero. Anche la corda è in continuo aumento e raggiunge il suo massimo valore nella VIII e IX costola nelle quali la troviamo uguale, quindi diminuisce. Le differenze dell'aumento son forti nelle prime costole, diminuiscono quindi nelle successive. Se poniamo in funzione corda e lunghezza -r— avremo un r ° lu indice di curvatura che se presenta un valore alto ci indica che la curvatura della costola è leggera se invece ha un va- lore basso significa che la curvatura è forte. Esaminando la quarta colonna della tabella vediamo che detto indice è in continuo aumento, basso nella prima che come è noto è la più curvata massimo nell'ultima che è quasi diritta. La Vili e IX costola posseggono l'indice più alto. La torsione avviene come nelle altre scimie catarrine. Completa la gabbia toracica lo sterno composto di 8 ster- nebre e un' apofisi xifoide. La prima sternebra è sviluppata a vero manubrio, e 1 apofisi xifoide è cartinaginea. E cosa difficile determinare la forma della gabbia toracica da uno scheletro macerato in campagna, ma dato il caso pre- sente che le costole rimasero naturalmente attaccate alle ver- tebre abbiam potuto misurare il diametro anteroposteriore al- l'altezza della IX costola ed abbiamo ottenuto. Diametro antero posteriore (compreso il corpo della IX vertebra) 206 mm. Diametro trasverso (IX costola) ; 182 „ ( X costola ) . 207 „ Rapporto (Diam. trasverso x 100); Diam. antero-post. 88 e 100 196 Ugo G. Vram Negli Amadriadi e Cinopiteci la IX costola non articola direttamente con lo sterno, ma si unisce alla cartilagine della Vili, che articola con lo spazio fra ultima sternebra e l'apofisi xifoide. Per questo carattere il gelada si avvicina ai Semnopithecus. Il massimo diametro trasverso negli Amadriadi si trova sulla IX costola. Tabella III. I II III IV V VI VII Vili IX X XI XII XIII Costole Arco I.ung. Cross. Corda Indice di curva- tura Sterno ! Stein. Allez. Larghezza mas. min. 41 0 6 '5 25 '4 61 75 0 68 55 3 73 106 '0 6'0 79 '0 74 1150 6'0 97 '0 87 154 0 6'0 120'0 77 168 \) 6.8 134*0 79 176 0 7 '4 145 '9 81 179 '5 7 '2 158 '0 85 181'5 7 '2 153 '5 84 145' 7y3 133'0 91 128<0 7 7 115,0 [89 98 '0 7'0 91 '0 94 I 29 '0 28 '0 12 '8 II 19'0 11 '5 7 '7 III 22 '5 11 '4 6 '5 IV 22 '0 14 '0 6 '5 V 210 11 '5 6,-5 VI 17 '6 10 5 7/0 VII 9'0 9 '3 8 '8 Vili 21 '5 8 '9 7 '5 + N. B. — La larghezza massima è dal margine superiore per la I e Vili sternebra per le altre sul margine inferiore. — La larghezza minima è sul margine inferiore per la I e Vili sternebra per le altre al centro. Scheletro degli arti. La clavicola, concava sul margine interno, convessa sul!' esterno nella parte acromiale, non fa nessuna curva nella parte mediana e nella sternale, differisce da quella dei Cyno- pithecus nei quali è di forma sigmoidea ed è più piccola. La cla- vicola del gelada tiene un posto intermedio tra quella dei Sul genere Theropythecus 197 Cynocephalus e quella dei Seinnopithecus, più piccola di quella dei primi, più grande di quella dei secondi. La lunghezza della clavicola del gelada misura 69,5 mm. a destra e 67,0 a sinistra. La scapola allungata dal margine vertebrale, o base, verso la cavità condiloidea ; presenta il suddetto margine meno curvo di quello delle scapule dei Cynocephalus e da questa differisce inoltre per avere il margine anteriore o coracoideo quasi ret- tilineo. Differisce da queste, anche per essere di minor gran- dezza, mentre è più grande e robusta di quelle dei Cynopilhecus e Semnopiihecus — che fra loro si rassomigliano — differisce anche da queste ultime per mancanza di margini curvi e per minor svilup- po delle fosse sulla faccia esterna. Differisce nei medesimi carat- teri da quelle dei Macacus alle quali rassomiglia nel margine vertebrale. Differisce fortemente da quelle degli Antropóidea nelle quali il margine vertebrale e il glenoidale l) o posteriore s'incontrano ad angolo, che rassomiglia all'acuto, dando alla scapola la forma triangolare. La soprascapola (Gegenbauer) cartilaginosa è conservata. L'apofisi coracoide è ben sviluppata e ha la solita forma d' incudine, disposta obliquamente, non sporge oltre il margine interno della cavità glenoidea colla sua parte mediana, la parte distale di essa apofisi sporge libera sul margine coracoideo rivolta verso la faccia esterna. Sulla su- perficie interna son ben marcate le costae scapnlares. Il mar- gine posteriore è ben sviluppato coi due spigoli interno ed esterno formando un ottimo attacco al M. leres minor 2). ') In anatomia umana questo margine è chiamato anteriore o anche ascellare, dico questo per la rassomiglianza die presenta la scapola degli Antropoidi con quelle dell'uomo. 2) La scapola s'intende orientata col margine coracoideo all' insù e orizzontale, la larghezza è parallela a questo margine. 198 Ugo G. Vram Tabella IV. Larghezza destra 124,8 m Altezza sopra spinale, 14,55 „ „ sotto spinale . • • • n 62,5 „ „ totale massima » 79.5 „ „ totale minima * * ' V) 23,0 .. „ della faccia articolai *e. . . „ 23,5 „ 15 24 Rapporto (altezza totale X 100)) : larghezza = 63.0 L'omero ha il collo anatomico e i solchi che dividono gli elementi della testa sono ben sviluppati, la spina anteriore della grande tuberosità è ben sviluppata. La spina posteriore, o me- glio laterale, è più accentuata nell'omero destro che nel sinistro. Dal punto ove termina lo spazio limitato dalle due creste la diafisi diviene quasi cilindrica. Non vi è nessun indizio del foro olecranico, e la fovea omonima è profonda. La Eossa sopratrocleare anteriore è per- corsa dall'alto in basso da un'esile cresta, probabile attacco di fasci di fibre del M. brachiale interno o del peronalus teres. Sul genere Theropythecus 199 Tabella V. Omero : Lunghezza .... „ Diam. trasvers. dell' epifisi sup. „ „ antero-poster. „ „ „ „ trasverso della diafisi „ „ antero-posteriori „ . „ „ trasverso dell'epifisi inferiore, „ Angolo di torsione .... Ulna : Lunghezza totale . ... Diametro anlero-posterior dell'olecrano Altezza della concavità sigmoidea. Diametro trasverso dell'epifisi inferiore Radio : Lunghezza totale. ... Diametro trasverso dell'epifisi superiore „ „ „ inferiore , „ „ dalla diafisi. „ antero posteriore „ destro sinistro 5 21 LO 213 '0 287 29 <0 . 34 '0 33 '5 • 13 '5 13 '6 . 15 '5 16 '5 . 35 '2 85 '1 94° 94° • 246 '0 246 '0 28 '5 27 '3 15 '0 15 '0 14 0 14 0 224 0 226 0 17'1 17 '0 23 '5 23 '5 12 '0 12 '0 9 0 9'0 Neil' ulna troviamo una epifisi superiore molto robusta e l'apofisi trocleare sporgente all'indietro, ciò che distingue que- st'osso dall'omonimo nei Cynocephalus, Cynopithecus, Macacus (Iihesus) e dai Semnopithecus. Il radio differisce da quello di scheletri di robusti Ama- driadi per minore asperità degli spigoli nel suo quarto infe- riore, per maggiore appiattamento, in senso antero-posteriore e maggior diametro trasverso. Le tre ossa del braccio del gelada son tutte più lunghe ed hanno i diametri dell'epifisi maggiori di quelli delle ossa del braccio dell'Amadriade, soltanto l'epifisi superiore dell'o- mero ha un diametro trasverso minore, e minore è anche il diametro anteroposteriore della diafisi di questo osso. 200 Ugo G. Vram Nel carpo si presentano i soliti rapporti con lo scheletro dell'avambraccio, e trovansi le solite ossicine e il centrale è fuso con lo s.cafoide, negli altri Cercopithecinae queste ossa ora son fuse ora no, quanto riguarda i metacarpi come lo dimostra la seguente tabella il terzo è sempre più lungo, lo stesso dicasi anche del terzo dito. Il più corto dei metacarpi è quello del primo e così pure le sue falangi, nessun metacarpo è appiattito sulla faccia vo- lare mentre lo sono le falangi. Tabella VI. Destra Sinistra Metacarpa I. 367 mm. II. 477 „ III. 497 „ IV. 4«S7 „ V. 49'3 „ I. 350 „ II. 48'5 „ III. 50,0 „ IV. 48'8 ,. V. 47'5 „ Falangi I il ni — — 8'5 24 '6 117 110 226 135 11'9 194 107 9'0 19'3 9'0 S'5 147 — 86 21'0 110 ÌO'O 22'6 137 12'5 232 140 9'0 mm. 20'5 8'6 100 Il bacino del gelada ha la tipica forma del bacino delle scimmie, il bacino delle quali, malgrado le differenze specifiche fra gruppo e gruppo , conserva nell' ordine delle scimmie 1) !) Dico ordine Simiae essendo perfettamente d'accordo col Webeb. che il termine Primates non può essere adoperato come un nome di ordine come fa il Tkouessakt. Non ritengo nemmeno affatto giustificalo di unire in un solo ordine Proscimie, Scinde ed Uomo come l'anno parecchi (Fohbes, Elliot) ritengo opportuno che all'ordine che il Trouessart dà il nome di Primates (Quadrumana IH.) sia dato il nome di ordine: Simiae. Non è qui il luogo di discutere se sia più o meno opportuno accet- tare l'opinione del Webek di dare il nome di Primates alla sottoclasse di Mammiferi comprendente i tre ordini di Prosimiae , Simiae e Homo, poi- ché si verrebbe ad una discussione sul significato e sul valore delle sot- toclassi. Sul genere Theropythecus 201 fino al genere Hapale e Cebus, — nei quali il bacino rassomiglia nell'ileo e nel pube, a quello delle proscimie - il tipo carat- teristico (ved. Weyle). Differisce il bacino del gelada da quello dei Cynocephalus e Cynophitecus per maggiori dimensioni e per minore angolo sottopubico L'ileo rassomiglia a quello dei Cynocephalus e lo innominato nel suo insieme a quello di Cynopithecus. L'altezza dell'osso ischio sta a quella dell'osso ileo (misure 3-4) come 1:2, 8 ; questo rapporto nei Cynocephalus e nei Cynopithecus è di 1 : 3, 1 . L'indice pelvico = (Diam. trasverso dell'orlo x 100): Diam. ant. post =83,1. NeiCynocephalus 6 =90,6 nelle 9 76,9 neìCynopithecus 6 =95 nelle 9 64. la media calcolata su tre bacini di Simia satyras 6 è di 74,5 in una femmina esso è di 70,0. Ho voluto ricordare questi dati riguardanti anche le dif- ferenze sessuali dell'orlo, che nelle femmine è più allungato in senso dorso ventrale che nei maschi essendo in questi ul- timi il diametro trasverso maggiore e l'antero-posteriore minore che nelle femmine l) poiché questo fatto che fa riflettere sulle influenze statiche e meccaniche che agiscono sullo sviluppo del bacino e che forse ulteriori studi dimostreranno, che esse sono più determinative che l'influenza del sesso. La quale influenza dovrebbe formare un bacino femminile principalmente adatto al parto, ma a questa bisogna è provveduto col ripreso accre- scimento progressivo dello scheletro della femmina adulta du- rante la gestazione, sotto l'influenza degli ormoni, cosicché anche il bacino — fisiologico — aumenta i suoi diametri (Seitz). Il diametro antero-posteriore esterno può aumentare per effetto della trazione sulla sinfisi pubica che produce un movimento di rotazione dell'ileo sul sacro (Strasser). La maggiore lunghezza (diam. ant. post.) relativa del ba- cino femminile si può spiegare col minor peso del corpo della !) Non coincidono questi dati con quelli del BrOCK, ma nei suoi due lavori vi è disaccordo come egli stesso lo ammette. Anche calcolando l'indice del Turner (vedi Vram 4) vi è maggior doli- copelvismo nelle femmine che nei maschi. Nel bacino di Cynopithecus niger l'indice del Turner = 155 9 104 £. 202 Ugo G Vram femmina, più piccola del maschio, minor peso che non esige dal bacino ima resistenza come quella che occorre nel maschio alla pressione che viene dagli arti posteriori, che nella deam- bulazione fanno il massimo sforzo. La resistenza del bacino esige a sua volta un allontanamento fra loro delle cavità co- tiloidee. L'osservazione in altri gruppi di animali, benché da questo lato lo scheletro sia poco studiato, ci dimostra che le diffe- renze di forma del bacino tra maschio e femmina son dovute più all' influenza meccanica che a quella del sesso così ad e- sempio nel genere Canis vediamo dalla tabella delle misure dataci dal Ellenherger che nelle razze di forma slanciata come il veltro (C. leporarius) la femmina ha il bacino relativamente più allungato in senso dorso ventrale del maschio mentre nelle altre razze avviene il contrario. Ritornando al bacino di gelada osserviamo che l'orlo po- steriore dell'innominato è rivolto obliquamente in senso cau- dale mediano ed i margini mediani dei piani ischiatici si tro- vano più prossimi ai piano mediano che a quello tangente l'ar- ticolazione sacro-iliaca. Queste disposizioni stanno in relazione col sistema di vita di questi animali pei quali la posizione se- duta è l'abituale quando stan fermi, e per speciale disposizione essi possono sedere anche su una natica sola sopra travi od alberi senza fatica e senza pericolo di cadere, questo fatto l'ho osservato nel M. rhesus. Il forame otturatorio è di forma ovale col polo più stretto rivolto verso il lato cefalico. L'osso è grosso, trasparente in parecchi punti della spa- tola iliaca e dell'osso del pube, gli attacchi muscolari ben svi- luppati, specialmente quelli del margine vertebrale, i piani ischiatici hanno il comune aspetto dovuto alla scarsezza di so- stanza compatta e alla aderenza del tessuto sottocutaneo. Sul genere Theropythecus 203 Tabella VII. 1. Larghezza della prima Vertebra sacrale 2. Altezza delle Vertebre sacrali . ( Altezza dell' innominato destro Altezza dell' innominato sinistro ( Altezza dell' ileo destro . ' Altezza dell' ileo sinistro . \ Larghezza dell'ileo destro mm 3., i Larghezza dell'ileo sinistro 1 Altezza ileo-pettinea ischiatico destra . 'Altezza ileo-pettinea ischiatico sinistra. 7. Altezza della sinfisi pubica 8. Distanza dall'eminenza pubica all'ileo-pubica 9. Diametro antero-posteriore dell'orlo 10. Diametro trasverso dell' orlo . 11. Diametro antero-posteriore del fondo 12. Diametro trasverso del fondo , 13. Distanza fra le creste iliache . 14. Distanza fra le spine iliache posteriori super 15. Distanza fra il labro esterno della sinfisi pu- bica e l'apofisi spinosa della prima V. sacrale 16. Distanza fra la eminenze ileo-pubiche . 17. Angolo sotto-pubico 18. Angolo pubico 19. Altezza dell'acetabolo 70 '0 37 '0 172 '9 - „ 127 » 53 '5 „ 54 !5 „ 79 '0 „ 78 '2 „ 41 -'5 „ 61 '5 86 '0 71 '5 58 '0 75 '5 „ 123 0 „ 105 '0 — 38°30' — 80° mm 24 '5 204 Ugo G. Vram Il femore ha la testa sferica, i profili verticale trasversale e 1' orizzontale di essa testa sono presso a poco segmenti di cerchio aventi il centro entro la testa stessa, l'appiattimento che di solito s'incontra intorno alla fossetta è appena percet- tibile, nelle altre specie da noi esaminate questo appiattimento varia secondo l'età. Nella zona equatoriale la testa è molto liscia e adattabile alla superficie corrispondente dell'acetabolo, così da rendere possibile un movimento concruente. La cresta intertroeanterica è robusta, molto più robusta che nei Cijnocephalns , di conse- guenza la fossa trocanterica è più stretta e più profonda e ben delimitata dallo spazio pretrocanterico, di quello che sia nei Cij- nocephalns. Il gran trocantere è schiacciato nella sua parte esterna e col suo apice oltrepassa in altezza la testa. Il pic- colo trocantere è robusto e volto più all' indietro che nei Cij- nocephalns. Tutto il femore è robusto, leggermente convesso nella sua faccia anteriore, e concavo nella posteriore, i femori d'ambo i lati portano sul condilo inferiore interno un grosso osso sesa- moideo. Il femore del gelada è più lungo ed ha le epifisi più larghe, e l'angolo del collo è maggiore che nei femori dei Cij- nocephalns. La tibia è leggermente concava dal Iato esterno. Nella sua parte superiore, e immediatamente sotto al condilo interno si nota una depressione che arriva in giù per tutto il quarto su- periore della faccia interossea. La faccia articolare inferiore è concava dall'avanti all' indietro e nel mezzo traversata da una prominenza che termina anteriormente in un tubercolo , questa prominenza interrompe la concavità traversale che al- l'esame superficiale potrebbe essere ritenuta convessa. L'aspe- rità posteriore è ben marcata nella tibia sinistra, meno nella destra. Il perone è cilindrico e la parte centrale della diafisi è appiattita verso 1' estremità, le creste ed i margini son poco pronunziati. Sul genere Theropijthecus 205 Tabella Vili. Femore : Lunghezza massima » » trocanterica . Larghezza dell'epifisi superiore „ » „ interiore Diametro trasverso della diafisi antero-post. „ verticale della testa antero-post. Angolo del collo di ohliquilà Tibia : Lunghezza col malleolo „ „ senza malleolo . Larghezza dell'epifisi superior . „ „ inferiore. Diametro trasverso della diafisi ., ,, antero-posterior « Perone : Lunghezza totale Larghezza della diafisi Rotula : Altezza „ Larghezza ..... destro sinistro 222 '5 232,0 mm 226 '0 227 0 45 '0 44 5 .. 37 '0 37 '0 .. 14 5 15 0 „ 14 0 15 0 .. 22 '0 23,0 ,. 22 0 22,2 .. 116° 116» 9C° 90° 224 0 225()mm 215/0 2160 .. 38,5 38 '2 .. 22 '5 — 13 '0 12,6 .. 16 '6 15,7 .. 27 7 208 '2 .. 6 5 6 0 .. manca manca manca manca L'articolazione tibiale dell'astragalo non presenta alcuna particolarità, la testa è relativamente ben sviluppala ed il collo la separa nettamente dal resto dell' osso. Il calcagno presenta la superficie inferiore piana , esso è allungato molto e possiede un ben sviluppato sustentacolo. I Metatarsi presentano una concavità plantare appena accennata, il quinto è convesso lungo il margine interdigitale e concavo sull'altro margine, ed a differenza degli altri metatarsi è appiattito sulla faccia plantare ; convesso sul margine inter- digitale e concavo sull'opposto è il secondo metatarso. La testa 206 Ugo G. Vram del metatarso dell' alluce possiede un osso sesamoideo (lo sche- letro è stato preparato in Africa mediante seppellimento della carogna, perciò non si può stabilire se siano più o meno an- date smarrite delle ossa sesamoidee come successe per le rotule). Le falangi sono appiattite sulla faccia plantare. Piede Destro tatarso I 41 '8 II. 62 '5 III. 67 '5 IV. 66 '5 V 65 '0 I. 41 '0 II. 63 '6 Ili 66 '5 IV. 55 8 Tabella IX (lunghezze in inni.) Fai. inge 1 II 14'0 III 9'0 totale 23 '0 11 '0 9 '9 1061 Media: 65 '4 27 '5 26'3 15 0 15'0 ll'O 122 121*0 119'S 22'5 ll'O 15'9 10'5 9'0 3991 22'5 120 9'6 1077 . 65 '4 27'5 15'2 113 120*2 26,0 15'3 115 108'6 Sinistro V. 66 3/ 23'5 I2'0 9'5 111'3 Metatarso dell'alluce: metatarso delle altre dita (media) = 1. 1.56 Lunghezza del calcagno destro 457 tallone „ 22'6 Larghezza del calcagno 170 Altezza r> 18'5 Calcagno + astragolo „ 29'5 Lunghezza del cuboide „ 16'3 Largii navicolare+cuboide „ 31'3 Lunghezza del tarso: lunghezza del piede = 1: l'83. m I rapporti fra le lunghezze delle ossa che costituiscono lo scheletro degli arti sono i seguenti : Th. gelada C. hamadrias Rapporto = (Radio 100); Omero 106,0 103,6 = (Tibia 100): Femore 100,6 88,3 (Radio -f- Omero) 100 ; 97,7 97,0 Tibia -j- Femore inistro 47'0 mm H 25'0 ,, ?1 17'5 „ *1 20'0 „ H 305 „ M 17'0 „ M 29'9 „ Sul genere Theropythecus 207 L' ultimo rapporto o indice intermembrale differisce po- chissimo fra i due generi cosicché si può concludere che in entrambi, gli arti anteriori son poco più corti dei posteriori. Il femore è relativamente alla tibia, più corto nell' Ama- driade che nel gelada, così pure l'omero relativamente al radio. Abbiamo visto che il rapporto tra larghezza e altezza della scapula é di 63,0 questo rapporto nell' Amadriade maschio è di 81,6 mentre l'area della scapola del gelada è di circa 1000 mm quadrati inferiore a quelli dell'Amadriade, l'allungamento della scapula, più che la diminuzione dell'area, ci sembra stare in rapporto con la maggior lunghezza dell' omero del gelada in confronto di quello dell'Amadriade. La lunghezza proiettata della colonna come abbiamo detto= 505 mm la lunghezza omero più radio = 439 quella Femore -f- Tibia = 447 l'altezza testa + collo = 143,4 mm unendo in fun- zione questi valori avremo i seguenti rapporti : Colonna vertebrale = 100 Arto anteriore = 86 Arto posteriore = 88 Testa più collo = 26 Integumento Descritto lo scheletro , passiamo ad esaminare l' integu- mento. Nelle pelli da me esaminate troviamo i medesimi caratteri descritti da altri e che abbiamo riferito nel riportare la storia del gen.ere in quanto riguarda la distribuzione del pelo, della giubba delle parti nude e delle unghie. Abbiamo esaminato la maniera di raggrupparsi dei peli ed abbiamo trovato che essi sono uniti in gruppi di due peli su quasi tutta la superficie, vi si notano zone povere di pelo ove questi non formano alcun raggruppamento, nella zona margi- nale dello spazio nudo, sul torace si notano peli radi aggrup- pati a due a due come sulla rimanente superficie del corpo, in parecchi di questi aggruppamenti i due peli si trovano con- ficcati in un follicolo comune. La pelliccia dell'animale è foltissima sulla testa, sulle spalle, sul dorso, sulle cosce, così da formare un'ampia giubba che 208 Ugo G. Vram ricopre posteriormente e lateralmente l'animale con peli lun- ghi dai 14 ai 30 cm. Corto è il pelo sul torace e siili' addome ove arriva a 3 o 4 cm. di lunghezza, più corto e grosso sul- 1' avambraccio, e sulle gambe, sul dorso delle mani e del piede andando sempre diminuendo di lunghezza; sulla coda il pelo diminuisce di lunghezza dalla radice verso la punta per al- lungarsi nuovamente su questa e formare un ben sviluppato ciuffo terminale. Il colorilo del pelo è in generale più chiaro alla punta, più scuro verso la radice , ed il colore è fulvo nelle diverse gradazioni cosicché nell'aspetto generale il mantello apparisce fulvo, più scuro sul dorso che nelle parti laterali, nelle quali però non manca la parte oscura verso la radice dei peli , le mani ed i piedi come gli avambracci sono di colore nero. La direzione dei peli è dall'alto in basso su tutto il corpo, dal- l'avanti all' indietro sulle parti temporali, dal centro ai lati obliquando in basso sulle spalle. Sul dorso vi sono dei peli neri. La regione facciale, le palme delle mani e piante dei piedi come pure le natiche, sono nude e di colore nero. Nulla pos- siamo dire sulla colorazione del derma e dell'epidermide lo studio dei quali ha destato tanto interesse dopo le ricerche del- I'Adachi e del Told junior, non avendo che materiale conciato come è noto questa operazione distrugge i pigmenti dei tessuti. Dall' esame del padiglione dell' orecchio sia nel materiale a nostra disposizione, e nelle fotografie, riteniamo che esso pre- senti delle differenze individuali. Il significato fisiologico dello spazio nudo sulla parete an- teriore del torace non è ancora conosciuto e la spiegazione del Matschie (citata dal Friedenthal) che serva all'irradiazione del calore a scopo di refrigerio dell' organismo non ci soddisfa , con ciò non vogliamo negare che serva anche a questo scopo. Questo spazio nudo non va confuso con spazi scarsi di pelo che si trovano sulla superficie anteriore del torace di alcune scimmie antropoidi. Per spiegare il significato è necessario os- servare individui vivi, in differenti periodi, specialmente du- rante la fregola , la gestazione e l'allattamento, per vedere se lo spazio nudo si modifica o meno non solo nel colorito ma anche nella formazione di pieghe od altro. Sul genere Theropythecus 209 Questo spazio va studiato su individui maschi e femmine di differente età. Dobbiamo anche rilevare 1' importanza del fatto che mentre lo spazio suddetto è di color rosso le na- tiche son nere. Anche di quest' ultimo non sappiamo se è carattere specifico o acquisito durante la vita dell' animale. Le unghie sono di colore nero a forma di tegola, quella del pollice è più appiattita delle altre, e quella del mignolo è più adunca, e rassomiglia esternamente ad un artiglio. Nei piedi le unghie sono di ugual colore di quelle delle mani e quella dell'alluce è più piccola delle altre e quella del mignolo, più adunca. Le unghie delle mani sono più lunghe di quelle dei piedi. Da quello che si può giudicare del penis esso dev'essere largo alla radice e va restringendosi verso il solco coronale e il glande è piccolo e ben distìnto. Dalla descrizione del mantello che abbiamo ora fatto, e da quella riportata, facendo la storia del genere, si vede che vi sono delle differenze nella colorazione; su queste differenze si basa la divisione del genere in due specie Th. obscnriis e Th. gelada; per il senex abbiamo detto non si è creduto di sta- bilire una specie ma si è fatto semplicemente una varietà della seconda. Del Th. senex Elliot (varietà) esiste un solo esemplare e mal conservato. Dalla descrizione della regione che riporteremo nel parlare della distribuzione geografica si vedrà che il terreno non presenta ostacoli ad una promiscuità fra le due specie e che gli studi fin ora fatti non giustificano l' istituzione di specie geografiche. Trattando della divisione in specie di un genere basata sulla sola colorazione viene spontanea la domanda : Dopo le ricerche sperimentali del Quenot e del Mirowsky si può fon- dare una specie per la sola differenza di colore? Noi crediamo di dover rispondere negativamente, se alla specie si vuol dare il significato classico basato sul criterio fisiologico della ri- produzione. Distribuzione geografica Quanto riguarda la distribuzione geografica del genere i punti estremi sono Axum a nord, Magdala a sud. Axum situata a 38° 15' 0 e 11" ) Tome 3, p. 173, Pie. 16. 1912 B o 1 k, L. — Ueber die Obliteration der Nàtheam Affenschàdel, zugleich ein Beitrag zur Kenntnis der Nathanomalien : Zeil. Morph. Anthroph. 15 Bd. p. 1. 1912 B 1 u n t s e h 1 i, H. — Beziehungen zwischen Form und Function der Primatenwirbelsàule: Morph. Jahrb. 4'iBd.p. 489, fig. 1. 1911 Broek A. I. P. v. d. — 1 Ueber Geschlechtsunterschiede im Be- cken bei Primaten : Arch. Anat. PIujs. Anat. Abth. 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Ricevuto i! 20 aprile 1922 — Finito di stampare il 30 agosto 1SJ22 Simbiosi, biofotogenesi e bioeromogenesi. Stato delle conoscenze e nuove ricerche sui Pirosomi. Nota del Prof. Umberto Pierantoni Dal tempo, in cui, nel 1909, io potei per primo mettere in evidenza il fenomeno della simbiosi fisiologica ereditaria, di- mostrando che, in molti animali , particolari organi possono esplicare la loro funzione per opera di microrganismi simbio- tici che essi ricettano e che vivono e si sviluppano entro le loro cellule e che vengono ereditati di generazione in gene- razione mediante penetrazione nelle uova, la letteratura, per casi sempre nuovi confermanti il fenomeno e la sua grande diffusione, si è andata di anno in anno accrescendo, per modo che i lavori sull' argomento possono ora contarsi a centinaia x). Scopo della presente nota è di mettere in rilievo i pro- gressi compiuti recentemente da questi studii e principalmente alcuni fatti risultanti da miei lavori in corso e di prossima pubblicazione. Già in un mio precedente scritto riassuntivo 2) io ho fatto rilevare come il fenomeno della simbiosi ereditaria appaia di solito in casi in cui le funzioni debbono esplicarsi in una maniera eccezionalmente intensa, come quando vi sono grandi quantità o speciali sorta di sostanze da digerire ( succhi ve- getali negli animali fitofagi e parassiti delle piante, legno ne- gli xilofagi, sangue negli ematofagi) o quando da piccoli organi debbono trarsi grandi effetti (luce dagli organi lumi- nosi, sostanze coloranti etc). Gli organi simbiotici non si rinvengono oramai solamente negli insetti. Tuttavia anche per quel che riguarda questi 1) Per la letteratura fino al 1920 confr. il volume del Buchner, P.— Tier uncl Pflanze in intrazellularer Symbiose : Berlin, Bornlràger, 1921. 2) Pierantoni, U. — Sul significato fisiologico della simbiosi ereditaria: Boll. Soc. Nalur. Napoli, Voi. 33, p. 55, 1920. Art. 8. 216 Umberto Pierantoni animali i più recenti lavori tendono a confermare la mia interpretazione, che negli insetti la simbiosi fisiologica è in istretto rapporto con la funzione digestiva. Il Sikora ha re- centemente dimostrato che l'organo ventrale , caratteristico di alcune specie di pidocchi, è un organo simbiotico. Tale scoverta è stata confermata dal Buchner in tutte e tre le spe- cie di pidocchi che vivono sull' uomo e nell' Haemalopinus piliferus del cane. In queste specie è stato seguito il passaggio dei microrganismi dall' organo simbiotico nell' uovo attraverso la porzione tubare dell' ovario. In altri pidocchi 1' organo sim- biotico è diffuso nella parete intestinale, ma le cellule a mi- crorganismi vi sono ugualmente assai ben visibili: anche l'organo concentrato delle specie parassite dell'uomo e di quella del cane del resto è strettamente aderente all'intestino, onde la fun- zione di organo ausiliario della digestione, nell' organo simbio- tico dei pidocchi, sembra molto verosimile. Cellule ricettatrici di microrganismi del resto sono state trovate anche in altri insetti ematofagi, quali le mosche del genere Glossina (Stuhl- mann e Roubaud), le ippobosche (Roubaud) e i mei of agi (Sikora). È perciò da ammettere che in tutti questi casi i microrganismi servano ad attivare con le loro diastasi la digestione delle grandi masse di sangue che questi animali ingeriscono, agendo special- mente sulle albumine e sugli elementi figurati, come osserva anche il Caullery nel suo recente libro sull' argomento 1). Seguendo questa lìnea di concetti io compii nella scorsa estate delle osservazioni sulle cimici dei letti e mi apprestavo a comunicarne i risultati, quando è. apparso nello scorso in- verno un lavoro del Buchner 2), che mi ha prevenuto nella comunicazione. Anche in questi animali, come era da prevedersi, esiste un organo simbiotico, ed un perfetto ciclo ereditario dei germi in esso contenuti. Ho in corso delle osservazioni per vedere se anche negli acari ematofagi siano presenti organi simbiotici deputati alla stessa funzione ò). ') Caullery, M. — Le Parasitisme et la Symbiose: Enciclopédie Scien- tifique, Paris, Doin, 1922. 2) Buchner, P. — Uber ein neues syrabiotisches Organ der Bettwanze: Biol. Zentralbl. il Bd. p. 570. :i) Nel rivedere le bozze del presente scritto trovo un recentissimo la- voro di E. Reichenow apparso nell' ultimo fascicolo dell' Arcbiv. fùr Pro- tistenkunde,, (45 Bd. Heft. 1, 1922) in cui 1' A. mette in rilievo organi sim- Simbiosi, biofotogenesi e biocromogenesi 217 In questi ultimi giorni un nuovo studio di H. Fraenkel *), ha esteso i fatti della simbiosi ereditaria a tutti i blattidi, in ciascuna specie dei quali esiste uno speciale batterio nei corpi grassi, che viene ereditato penetrando in una speciale parte dell' uovo attraverso le cellule nutrici. Ma anche in quel che riguarda gli organi luminosi si vanno sempre più estendendo le conoscenze tendenti ad affer- mare che in molti casi la luce è data dal concorso di batterli fotogeni partecipanti alla costituzione di questi organi. Nel 1910 io compii le mie prime osservazioni notando la presenza di batterii misti alla sostanza granulare fotogena de- gli organi luminosi di Lampyris. Le colture però in quel caso non diedero fenomeni di luminosità, onde io ho creduto di concludere in un secondo tempo che forse I' ufficio di questi batterii non è quello di produrre direttamente la luce, ma di operare le riduzioni necessarie pel ripetersi della ossidazione inerente al fenomeno, giusta gli studii di E. N. Harvey. La presenza dei microrganismi è tuttavia indubbia ed è stata con- fermata dal Buchner, che li ha rinvenuti negli organi corri- spondenti dei Pirofori : le microfotografie da me pubblicale di sezioni di organi luminosi e di uova sono molto evidenti. Tuttavia il Vogel in alcune recenti osservazioni non è riu- scito a rintracciarli 2) ed il Durois non potendo negarne la biotici in acari ematofagi (Liponyssus saurarum e L. musciili), nonché in Irudinei del genere Placobdella. Nell'uno e nell'altro caso l'organo sim- biotico è in istretto rapporto col sistema digerente e con l'ovario. L'A. annunzia il rinvenimento di simili organi anche nelle Zecche ed in Iti- melo medicinalis; nella quale specie tali organi furono recentemente indi- viduati anche dallo Zikpolo. V. Boll. Soc. Natur. Napoli, Voi 34 (Seduta del 6 gennaio 1922). Le mie vedute sui rapporti fra la funzione di questi organi e la dige- stione si vanno facendo sempre più strada, e sempre più si va allargando nel regno animale la sfera di diffusione di questi organi, funzionanti per opera di microrganismi endocellulari eredi tarii. *) Fraenkel, H. — Die Symbionten der Blattiden ina Fettgewebe und Ei: Zeit. W. Z. 119 Bd. p. 53. 2) Il Volgel (Biol. Contratti. 1922, Fase. 3) dice fra l'altro che l'afferma- zione della presenza di forme batteriche nei Pirofori da parte del Buchner è esitante: io non so in verità quale esitazione si possa riscontrare in queste parole del Buchner : « Pierantonis Studien erstreckten sicli nur auf Lampyris : ich habe Gelegenheit, die Organe eines Pyrophorus zu unter- suchen und findet auch in den entsprechena Zellen dieses Tieres jene bakterienartige Gebilde „. 218 Umberto Pierantoni presenza è ricorso alla strana ipotesi della penetrazione dei batterii negli organi attraverso le trachee. In questi casi in cui non è tutta la massa fotogena che è costituita da colture bat- teriche , il mettere in rilievo i microrganismi è spesso assai difficile e tale difficoltà trova riscontro nella difficoltà che spesso si incontra nel mettere in rilievo i microbi patogeni di tessuti ammalati. Ma dove il fatto della produzione della luce per opera di batterii fotogeni è di una evidenza inconfutabile è negli organi luminosi dei sepioìidi dei generi Rondeletia e Sepiola , nei quali le masse batteriche (ed unicamente batteriche) che co- stituiscono la sostanza luminosa dell'organo sono così evidenti, che tanto l'esame a fresco, che le colture ne mettono in rilievo una grande quantità. Qui, come è noto, gli organi luminosi sono macroscopici ed aperti all'esterno mediante sbocchi glandolari e, come hanno assodato varii osservatori, il detto contenuto viene proiettato all'esterno formando nuvole luminose nel buio della notte, mentre la glandola del nero può produrre il buio nell'ambiente durante il giorno. Non con eguale facilità possono mettersi in evidenza forme batteriche in organi luminosi dei cefalopodi abissali. Ivi riap- pare la sostanza finemente granulare che è negli organi lumi- nosi chiusi, ed appaiono talora, come io potei mettere in eviden- za in Carybdìteiithìs, forme batteriche in via di frammentarsi. Queste forme e l'origine embriologica degli organi luminosi e della glandola nidamentale accessoria dei sepiidi e sepioìidi mi hanno permesso di formulare l'ipotesi che anche in quei casi la massa granulare luminosa che si trova nelle cellule fotogene possa trarre la sua origine dalle masse batteriche de- gli organi luminosi dei sepioìidi di superficie , i quali organi luminosi sono incontestabilmente più primitivi. A confermare le mie osservazioni pochi mesi or sono è comparso uno studio del Harvey, il noto illustratore della lu- minosità e del chimismo del fenomeno in Cypridina hilgendorfi, nel quale studio l'A. dimostra che due pesci luminosi di super- ficie aventi organi luminosi molto somiglianti a quelli dei sepio- ìidi da me studiati, debbono la loro luminosità al fatto che i tubuli di detti organi sono ripieni di vere colture batteriche. Questi due pesci sono YAnomalops e il Photoblepharon, i cui organi luminosi furono accuratamente 'descritti dallo Steche. Simbosi, biofotogenesi e biocromogenesi 219 La breve nota in cui Harvey 1) ha esposto i risultati delle sue ricerche è stata maggiormente sviluppata in una relazione pubblicata recentemente 2). L/ importante osservazione del Harvey ha già trovato la sua conferma in altri pesci.1 Ulric Dahlgren, il noto autore di numerosi studii sugli animali lu- minosi, nel comunicare sommariamente i risultati di nuove ricerche sul potere luminoso degli animali, conclude con le se- guenti parole : " Further work on fishes confirms Harvey' s di- scovery that in some fishes luminous bacteria in the light organ are the principal source of the light „ 3). Un'ultima ed interessante serie di osservazioni sulla lumi- nescenza batterica riguarda i più belli ed eleganti animali lu- minosi : le colonie di Pyrosoma, che furono oggetto dei classici studii del Panceri. In questi animali, che ancora oggi io vo studiando perchè tanto vi è ancora da osservare sulla loro anatomia ed il loro sviluppo, fu per primo il Buchner che ebbe l'idea che il fenomeno della fosforescenza potesse esser dovuto a batterii simbiotici. Tale idea fu sviluppata dal Buchner in un primo lavoro e poi più ancora svolta nel suo lavoro sui simbionti intracellulari innanzi citato. Secondo queste vedute del Buchner i lavori da me compiuti sulla simbiosi ereditaria e la luminescenza batterica, messi in relazione colle osserva- zioni del Julin sulla embriologia dei Pirosomi, contenevano la prova che i corpuscoli che si rinvengono nelle cellule testacee (le quali vanno a costituire gli organi luminosi dell'adulto) e negli organi luminosi, costituiscono un caso analogo a quello dei simbionti ereditarii di molti insetti, che dalle cellule folli- colari passano, contenuti in cellule speciali, a costituire gli organi simbiotici degli insetti stessi. Ulteriori osservazioni sull'argomento sono state riprese da me ed i primi risultati furono pubblicati circa un anno fa 4). Io ') Harvey, E. N. — A t'ish with a luminous organ designed for the growth of luminous bacteria : Science, Voi. 33, p. 314. 2) Harvey, E. N. — Further Studies on Bioluminescence: Carnegie Inst. Washington, Year Book N. 20, 1921, p. 196. 3) Dahlgren, U. — Luminosity in marine animals : ìbid. p. 196. 4) Pierantoni, U. — Gli organi luminosi simbiotici ed il loro ciclo ere- ditario in Pyrosoma gigantcum : Pubbl. Sta:. Z. Napoli , Voi. 3, 1921, p. 191. 220 Umberto Pierantoni potei ricostruire l'intero ciclo ereditario dei corpuscoli lumi- nosi , che si rivelarono quali veri batterii fotogeni , che negli organi luminosi sporificano e le spore vanno ad infestare le cellule follicolari dell'uovo, da cui hanno origine per divisione ami lotica le cellule testacee, dalle quali, giusta le osservazioni del Julin, hanno poi origine gli organi luminosi della genera- zione successiva. Oueste osservazioni lasciavano non completamente chiarito un punto della storia degli organi luminosi : se risultava chiara la eredità e la comparsa degli organi nelle successive genera- zioni e quindi nei successivi individui iniziali delle colonie, non era del tutto illustrato il modo come si formassero le innu- merevoli paia di organi luminosi degli individui di ciascuna colonia, degli individui cioè originatisi dai quattro ascidiozoidi primarii per gemmazione. Onesto problema, appena adombrato e risoluto solo in forma preliminare nel mio lavoro, è stato da me recentemente fatto oggetto di ulteriori ricerche, di cui brevemente riassumo qui i risultati, riservandomi di esporli per esteso in un lavoro ac- compagnato da figure. Come già avevo affermato, la formazione delle innume- revoli cellule luminose con corpuscoli della colonia del Pyro- soma trae la sua origine dai gruppi mesenchimatici dorsali , posti nel seno dorsale, che si accennano fin nei quattro indi- vidui della colonia tetrazoica e che costituiscono gli obbozzi di quegli organi dorsali (masse dorsali mesenchimatiche) a cui furono date così diverse interpretazioni, mentre soltanto nel 1895 il Seeliger si avvicinò più al vero considerandoli come organi emopoietici : interpretazione confermata dal Neu- mann nel 1911. Tale interpretazione si avvicina al vero solo in quanto le cellule che si fanno libere da detti organi si trovano fluttuanti nel sangue ; ma il loro significato non è proprio quello di vere cellule sanguigne. Infatti esse sono di due sorta : alcune hanno nell'interno del loro nucleo un corpo rifrangente, non defor- mabile, che sporge per un tratto fuori del nucleo, nel plasma ameboide e granuloso, pei suoi due estremi appuntiti. Queste cellule sono destinate ad addossarsi alle pareti del seno san- guigno ed a farsi strada nella massa della tunica, favorite in questa funzione dal corpo nucleare di cui sopra. Simbiosi, biofotogenesi e biocromogenesi 221 Le cellule di un altro tipo poi (con nucleo più grande e protoplasma più uniforme) sono destinate a costituire gli or- gani luminosi degli individui originatisi da gemme, inglobando masse di corpuscoli distaccatesi dagli organi luminosi degli individui gemmanti. Gruppi di cellule dell'uno e dell'altro tipo, passando ugualmente attraverso lo stolone, vanno a costituire gli organi o gruppi mesenchimatici dorsali degli individui nati per gemmazione. Da innesti su piastre di agar di materiale tratto dal seno sanguigno degli individui delle colonie di Pyrosoma risultano colonie luminose di batterii aventi molte caratteristiche comuni coi corpuscoli degli organi luminosi. Tuttala somma dei fatti riguardanti il comportamento e l'eredità dei corpuscoli rendono per fortuna superflua la prova delle culture, le quali in questo caso non potrebbero costituire una prova decisiva come in Sepiola e Rondelelia. E ovvio infatti che in Pyrosoma il mezzo da cui si trae il materiale da innesto è tale che la sterilizza- zione esterna sarebbe insufficiente alla prova , data anche la estrema delicatezza dei tessuti limitanti il seno sanguigno dalla cavità respiratoria ed intestinale, le quali sono in comunica- zione con l'esterno. Nel 1912, riassumendo in un breve lavoro l) i miei studii sulla simbiosi ereditaria degli omotteri, notando come gli or- gani simbiolici mostrassero di solito vivaci e speciali colora- zioni, io formulai l'ipotesi che anche in altri omotteri produttori di sostanze coloranti la produzione di queste potesse attribuirsi all'attività di microrganismi simbiotici cromogeni. Tale ipolesi io non potei controllare per mancanza di materiale. Ma ciò che io non potei fare fu fatto recentemente dal Peklo 2), che ha già annunziato risultati positivi dei suoi studi sulla produzione del rosso della cocciniglia per opera di microrganismi cromo- geni che vivono con essa in simbiosi, mentre analoghe osser- vazioni che si compiono in India inducono il Mahdihassan a ritenere che anche la produzione della lacca sia operata dalle speciali cocciniglie per l'azione di particolari simbionti. !) Pierantoni, U. - - La simbiosi ereditaria: Natura, Voi. 3, p. 316. À) Perlo, I. — Uber die Blutlaus : Landioirtsch. Ardi. Jahrg. 7 222 Umberto Pierantoni • Tutti i fatti esposti nella presente nota dimostrano sempre più la diffusione e la importanza del fenomeno della simbiosi ereditaria da me scoperto, mettendo nel loro giusto punto lo stato degli studii e delle conoscenze ad esso inerenti. Sassari , Istituto di Zoologia ed Anatomia e Fisiologia Comparate, Aprile 1922. Ricevuto il 2 Giugno 1922— Finito di stampare il 30 agosto 1922 Sul ringiovanimento dei rami coloniali del Zoobotryon pellucidum Ehrbg. Ricerche del Prof. Giuseppe Zirpolo Libero Docente di Zoologia nella R. Università di Napoli con cinque figure nel testo Introduzione Varii anni di ricerche sul Zooboiryon pellucidum Ehrbg, mi hanno dato occasione di fare delle osservazioni degne di rilievo su alcuni fatti che si verificano nei rami coloniali di questo interessante briozoo. Seguendo con attenzione lo sviluppo delle colonie nei varii periodi della loro vita, si può osservare in esse una straordi- naria attività riproduttiva. Qualunque regione del ramo colo- niale, infatti, è capace di rigenerare in modo rapidissimo la parte perduta ed anche piccole porzioni di rami sono in grado di riformarne altri. In questo animale si osserva, inoltre, una riproduzione per gemmazione. In alcuni rami ricchi di sostanza blastogena *) si nota che da ogni Iato di essi si sviluppano, per gemmazione, dei rami che hanno una grande attività vitale. Tante volte questi rami, dopo che si sono molto sviluppati, si staccano dal ramo principale e seguitano a vivere per conto proprio, accrescendosi ulteriormente. Nel passato anno, poi, ho potuto mettere in evidenza una riproduzione attivissima per mezzo di larve. Queste fuori- uscite dal cistide, nello spazio di poche ore, danno origine ad un novello ramo che nei giorni successivi va continuamente sviluppandosi e forma così nuove colonie. Ma io ho potuto J) Indico col nome di " sostanza blastogena „ quella che il Reìchekt chiama genericamente " sostanza protozootica „ nella sua Monografia del 1869. Art. 9. 22} Giuseppe Zirpolo finalmente notare ancora che molti rami vanno soggetti ad uno speciale ringiovanimento. Onesto fatto 1' ho osservato la prima volta nel settembre del 1919. Negli anni successivi potetti seguire con maggiore at- tenzione il processo e constatai come su vecchi rami se ne formassero dei nuovi che, a loro volta, davano origine a intere colonie. Tutto questo avveniva talvolta verso la fine del mese di luglio ed in agosto, ma in particolar modo nel settembre. Del materiale osservato qui riferisco appena alcuni casi, riserbandomi uno studio più particolareggiato nel lavoro com- pleto che vado preparando su questo briozoo. Ricerche personali E noto che i rami del Zoobolrijon hanno una grande ve- locità di accrescimento. In poche settimane si possono formare colonie folte dovute all' allungamento del ramo principale ed allo sviluppo rapido dei rami laterali, i quali, a loro volta, danno origine lungo il loro asse ad altri rami in modo da formare un fitto cespuglio. Seguendo questi rami durante il corso della loro vita, in realtà di poche settimane nelle vasche degli acquarli, si os- serva che il ramo centrale per primo incomincia a perdere gli zoidi e da trasparente diviene opaco e poi via via si fa flaccido, perdendo il suo caratteristico turgore. La sostanza blastogena interna di un colore giallo vivo e molto densa incomincia a diventare sottile e quasi trasparente, poi si contrae o nel centro del tubo o verso una delle basi e si va sempre riducendo fino a scomparire quasi completa- mente. La sorte del ramo principale è poi preceduta dai rami laterali che via via diventano flaccidi e conservano appena pochi cistidi, i quali, col tempo, si staccano dal ramo e lo lasciano nudo. In generale la sorte delle colonie del Zoobolrijon è pres- socchè uguale in tutte. Tenendole in vasche con acqua corrente, esse si depositano sul fondo e in pochi giorni si dissolvono. Sul ringiovanimento dei rami coloniali del Zoobotryon pellucidum 225 Io ho creduto in un primo momento che il disfacimento delle colonie fosse dovuto a difetto dell'ambiente, perchè esse, nel mare, sono attaccate a corpi sommersi in vicinanza della linea di livello dell'acqua. I pali degli stabilimenti balneari ne sono invasi durante la stagione e propriamente al punto di livello dell' acqua, così pure le ghiglie delle navi ferme ed in generale qualunque corpo sommerso. Tenni perciò alcune colonie sospese ad un asse in modo che esse più che de- positarsi sul fondo della vasca si trovassero alla superficie come nel mare. Notai che la vita delle colonie fu alquanto più lunga — un ceppo, infatti, visse dal 16 al 27 settembre ed un altro dal 24 settembre all' 11 ottobre, cioè un periodo relativamente di 12 e 18 giorni — ma dopo questo tempo sopravvennero gli stessi fenomeni e le colonie si disfecero frammentandosi prima e poi lasciando piccoli residui di rami sul fondo della vasca. Evidentemente le colonie dopo che hanno subito un pe- riodo di accrescimento rapido e di grande vitalità, quando il differenziamento della colonia ha raggiunto il massimo del suo sviluppo, entrano in un periodo d' involuzione ed anche in esse si possono notare i fenomeni di senescenza così caratteristici nei varii tipi animali. Esiste anche qui un ciclo vitale determinato, superato il quale 1' organismo subisce quella fase di regresso che lo con- duce alla morte. Nelle colonie del Zoobotryon il processo ana- lcolico è quanto mai intenso, tanto che in pochi giorni si può avere sviluppo notevole di colonie numerose e folte, special- mente se tenute in ambiente adatto. Ma a questo processo analcolico segue quello inverso, il catabolico, che piglia origine dalla regione interna della colonia e propriamente dalla so- stanza blastogena e da essa si trasmette nelle singole regioni della colonia fino a che questa è distrutta. Il fatto è molto interessante in considerazione che la sostanza blastogena nei nuovi rami è abbondantissima e densa e dà propaggini a tutti e singoli i rami che si originano dall' asse principale non solo ma ancora si trasmette ai singoli zoidi. Essa è così univoca- mente in relazione con i zoidi che non appena incomincia a perdere contatto con questi , s' inizia la morte del polipide e successivamente avviene il distacco completo del cistide dal ramo stesso. 15 226 Giuseppe Zirpolo Per quanto la sostanza blastogena sia da considerarsi l'ele- mento importante e quasi organo di riserva per 1' attività ana- bolica durante lo sviluppo di tutta la colonia, pure il suo protoplasma ha limite nell'accrescimento e finisce coir esau- rirsi il che porta, in seguito, alla distruzione dell'intera colonia. Si tratta di un abbassamento dei processi dinamici legati alla differenziazione che ha subito ulteriormente la colonia col suo sviluppo. E per quanto i rami siano stati tenuti nelle migliori condizioni di vita non hanno potuto non subire quel processo involutivo che ha causato la morte della colonia. È un fenomeno di senescenza, com' è dato osservare in tutti gli organismi, anche se questi manifestano delle attività straordinarie come nel caso speciale si aveva nel Zoobotryon. Ma la senescenza di questi rami talvolta non produce la completa distruzione della colonia. Si avverano dei fatti im- portanti che è il caso di riferire ed analizzare. È risaputo che la rigenerazione nelle colonie del Zoobo- tryon peUncidiim Ehrbg è molto rapida 1). E un mezzo di ri- produzione che si verifica su larga scala e tutti e singoli rami del Zoobotryon sono capaci di riformare le parti perdute, dando origine a nuove colonie. Inoltre ho potuto osservare anche il modo col quale si riproduce questo briozoo. Ho seguito la formazione della larva ed il suo sviluppo, mettendo in evidenza i modi varii di riproduzione rapida di questo animale. Ora, a parte tutte le precedenti osservazioni da me fatte, verso la fine della seconda metà di settembre e principio di ottobre e talvolta anche prima ho potuto notare che su vecchi rami flaccidi o quasi ne erano sorti dei nuovi turgidi, vitali, ricchi di sostanza blastogena e capaci di dare origine a nume- rosi rami. Io ho seguito questi rami e ne descrivo qui, fra i nume- rosi osservati, alcuni che mi sono sembrati interessanti per questo studio. ') Ho già pubblicato una Nota preliminare su interessanti fenomeni rigenerativi che si verificano nel Zoobotryon. Il lavoro completo siili' ar- gomento spero poterlo pubblicare al più presto. Sul ringiovanimento dei rami coloniali del Zoobotryon pellucidum 227 Descrizione dei rami Sul vecchio ramo ( Fig. 1 ) ridotto ad un semplice mon- cone, flaccido, corrugato, di colore brunastro per il completo rivestimento di diatomee si osserva la formazione di un grosso novello ramo (b- h). In questo si distinguono sette ramifica- zioni, su ognuna delle quali sorgono novelli germogli di rami Fig. 1. — Ramo vecchio di Zoobotryon pellucidum Ehrbg.: su di esso si è formata una serie di rami (b-h) La zona nera rappresenta la sostanza blastogena. x 17. Il primo /) è sottile, conico, ed insieme col ramo e ricovre completamente il vecchio ramo da cui è sorto. Nel ramo e si può notare che la sostanza blastogena, come pure nei rami rf, e, f, occupa quasi completamente la regione interna del tubo e si continua nei rami successivi. Da questi, quelli che sono appena all'inizio del loro sviluppo hanno nell'interno la so- 228 Giuseppe Zirpolo stanza blastogena che li riempie tutti (Fig. 1, f /""), gli altri già sviluppati lasciano vedere la stessa sostanza divenuta fila- mentosa che segue il ramo in tutta la sua lunghezza. La sostanza blastogena non riempie completamente il ramo g, ma presenta una serie di strozzamenti e lungo il tubo non segue una linea retta, ma s' incurva ed in queste si assottiglia notevolmente. Così nel ramo h essa , pur avendo origine dal tratto g, si va sempre più assottigliando fino all' estremo. Lungo i rami d, e,/*, si possono osservare numerosi rami secondarli. Lo sviluppo di questi è notevolissimo; presentano una vitalità straordinaria. Sono turgidissimi , trasparenti , di forma ed aspetto vario. Come si vede dalla Fig. 1 alcuni hanno già i rami suddivisi ed in ognuno di essi è ben visibile la so- stanza blastogena che li accompagna in tutto il loro sviluppo. Seguendo ulteriormente questo ramo ho potuto notare che sui numerosi rami sviluppati si sono originati i zoidi e lo sviluppo dei rami è proceduto sempre rapido fino all'esaurimento della sostanza blastogena, il che dice che questa è parte attiva e principalissima nello sviluppo del ramo coloniale. Non mi fermo a descrivere in particolar modo questo ramo e la sua fine, non volendo occuparmi di questo nel presente lavoro, Descriverò solo ancora altri casi molto dimostrativi per il rin- giovanimento della colonia, in seguito alla senescenza dei primi rami coloniali. In un altro caso (Fig. 2) si osserva che il vecchio ramo, sebbene abbia conservato la forma, pure non ha più alcun zoide e dall' osservazione esterna non si vede traccia di so- stanza blastogena. Il ramo novello originatosi da esso presenta delle caratteristiche degne di rilievo. Innanzi tutto risulta di tre rami che si susseguono. Il primo è curvo, turgido, e nel- l'interno ha la sostanza blastogena che s'inizia sottilmente e va acquistando spessore a misura che procede verso il ramo successivo, il quale è il più lungo e presenta alla base un ri- gonfiamento in cui trovasi raccolta la sostanza blastogena che ne occupa quasi interamente la cavità. Nel terzo ramo e la sostanza blastogena va assottigliandosi verso la parte superiore fino a ridursi ad un filo esilissimo che raggiunge gli estremi limiti dell'ultimo ramo. Sul ramo a notasi a sinistra un novello ramo su cui già si sono formati i zoidi. Questi sono in numero di quattro, due Sul ringiovanimento dei rami coloniali del Zoobotryon pellucidum 229 più basali hanno già nell'interno del cistide formato l'animale che nel giorno successivo ha emesso fuori i tentacoli, gli altri due sono più piccoli e sono in fase iniziale di sviluppo. Esso pi- glia origine dal ramo a ed è a questi connesso anche per mezzo della sostanza blastogena. Il ramo b è quello che ha la mag- giore quantità di sostanza blastogena, presenta un turgore mas- Fig. 2. — Ramo di Zoobolruon pellucidum Ehrbg. A sinistra si osserva il vecchio ramo che è divenuto flaccido; a destra il novello ramo ricco di sostanza blastogena ed in piena attività di sviluppo. X 17. simo, ma su di esso non si sono sviluppati altri rami. Il ramo e presenta tre ramificazioni; di cui quella più a sinistra della Fig. 2 presenta nella sua superficie dorsale sviluppo di zoidi e delle altre due una, quella centrale, è appena al suo sviluppo e quella più a destra è abbastanza sviluppata e il ramo è tortuoso ed in esso la sostanza blastogena, ridotta ad un filo, non segue la tortuosità del tubo ma una linea retta fino al- l' estremo. Nella Fig. 3 viene rappresentato un ramo molto interes- sante. Sul vecchio ramo a, completamente flaccido, s'è sviluppato il novello ramo b da cui hanno presa origine gli altri e, d, e,/*. 230 Giuseppe Zirpolo Il ramo b s'è originato dall'estremo del vecchio ramo e pro- priamente nel punto in cui era raccolta notevole quantità di sostanza blastogena. A spese di questa esso si è sviluppato e mentre inizialmente tutta la regione interna era quasi com- pletamente ripiena di sostanza blastogena poi, con lo svilup- parsi dei rami, si è andata riducendo. Fig. 3.— Ramo di Zoobotri/on pellucidum Ehrbg. Sul vecchio ramo (a) se ne è formato uno (b) da cui si sono originati tutti gli altri numerosi rami e molti con varii zoidi. X 17. Difàtti di essa non ne resta che un grosso nucleo verso la regione superiore e propriamente nel punto di sviluppo de- gli altri rami. Questo nucleo residuale poi comunica per mezzo di un sottile straterello con l'altra che rimane ancora nel vec- chio ramo a. Dei vari rami sorti quello superiore che viene indicato con e presenta la sostanza blastogena più densa verso la base e l'apice, e più sottile verso la regione mediana. All'estre- mo di esso s'è sviluppato un piccolo ramo su cui si nota una piccola gemma. Il ramo d è il più sviluppato a la sostanza blastogena, alla distanza di un terzo della base, si sdoppia e così rimane lungo tutto il tubo fino all'estremo. Da questo sono sorti due pie- Sul ringiovanimento dei rami coloniali del Zoobotryon pelliicidum 231 coli rami che sono lateralmente disposti e divergenti fra di loro. Su di essi non si nota ancora alcun zoide. Verso la base si vede uo altro piccolo ramo che verso l'e- stremo devia, ma neppure mostra cenno di formazione di gemma. Il ramo e è il meno sviluppato, ha sostanza blastogena ri- dotta e verso l'estremo presenta un ramo su cui si osservano tre gemme in via di sviluppo successivo. Fig. 't. — Piamo di Zoobotrt/on pellucidum Ehrbg. Inferiormente a destra si vede il ramo vecchio divenuto flaccido , tortuoso e da esso i varii rami (a-f) nel loro pieno turgore vitale, x 17-. Il ramo /", quello inferiore conserva ancora una note- vole quantità di sostanza blastogena, che per quasi tre quarti della lunghezza del tubo si mantiene costante di calibro, poi si assottiglia e successivamente piglia una forma sferica e da questa raggiunge l'estremo del tubo di nuovo assottigliandosi. Lateralmente si sviluppano tre rami tutti con gemme in formazione: verso l'apice c'è un piccolo ramo, ma esso è sterile. Questo ramo è interessante perchè lascia vedere ancora un piccolo residuo di sostanza blastogena del vecchio ramo che è ancora in contatto con quella del nuovo ramo. Seguendo la formazione di questo ramo è stato notevole osservare come la sostanza blastogena che inizialmente riem- piva completamente il ramo poi si è andata via via assottigliando a misura che si sviluppavano gli altri rami. Evidentemente questa sostanza ha una importanza straordinaria nella forma- 232 Giuseppe Zirpolo zione delle colonie del Zoobotryon e questo ramo come gli altri descritti o che descriverò in seguito lo dimostra pienamente. Un quarto caso molto interessante è dato dalla Fig. 4. Il ramo vecchio è un piccolo moncone tutto flaccido ed avvizzito e da esso piglia origine il ramo nuovo che consta di sei pezzi. Il primo è quello che presenta maggior calihro, e la sostanza hlastogena segue un cammino quasi tortuoso ed è molto ri- dotta. I rami successivi si vanno sempre più assottigliando e 1' ultimo è straordinariamente sviluppato e tortuoso verso la fine. Su alcuni di essi si sono originati novelli rami fertili o sterili. Nel ramo a la sostanza hlastogena si origina alla hase con filamenti che hanno comunicazione con il vecchio ramo. Questi si uniscono poi in una masserella unica che a sua volta si estende lungo tutto il ramo fino a quello successivo. Nei primi momenti della formazione, quando esso era unico, la sostanza hlastogena riempiva quasi completamente tutto il tubo, ma poi in seguito, sviluppandosi gli altri rami essa si è andata assot- tigliando sempre più. Insomma nello sviluppo dei rami succes- sivi si è avuta riduzione della massa di sostanza hlastogena che può considerarsi come " riserva „ per alimentare i nuovi rami in formazione. Sul ramo b all'inizio si eleva un ramo su cui si sono svi- luppati numerosi zoidi, anzi su di esso si va formando un altro piccolo ramo che porta già piccole gemme. Fra i rami e e d si erge un altro ramo su cui si osservano tre gemme in for- mazione. Verso la fine di questo ramo vi sono due ramificazioni senza che abbiano alcun zoide e sul ramo / direttamente si è formata una gemma. C'è stato quindi in questo ramo l'assorbimento quasi com- pleto della massa di sostanza hlastogena per la formazione di una serie di ramificazioni che non si è osservata nei rami pre- cedentemente studiati. Nella Fig. 5 si osservano numerosi rami sorti su altri rami divenuti flaccidi. È stato questo uno dei casi più tipici che si siano presentati durante le mie osservazioni. Sul moncone di un vecchio ramo n se ne formò uno a molto spesso e turgido e ricchissimo di sostanza hlastogena. Da esso verso la base si formarono ben cinque rami che si sviluppa- Sul ringiovanimento dei rami coloniali del Zoobotryon pellucidum 233 rono abbastanza e quasi tutti con rami secondarli e inizio di formazione di zoidi. Il primo ramo infatti si ramificò per tre volte: esso è il più lungo e verso la sezione terminale dà ori- gine ad un novello ramo su cui sono formati zoidi varii. Lun- ghesso la sostanza blastogena, più densa verso la base, va assot- tigliandosi, e più che seguire il ramo in tutte le sue curve pro- cede in linea quasi retta fin verso 1' estremo apice del ramo. Fig. 5. — Ramo di Zoobotryon, pellucidum Ehrbg. Su vecchi rami se ne sono sviluppati numerosi vitalissimi. È un vero ceppo si è originato dal ramo a X 17. Il secondo ramo che trovasi immediatamente dopo il primo è ricurvo e verso 1' estremo ha già formato due zoidi. Anche in questo si vede che la sostanza blastogena segue la via quasi retta. Immediatamente dopo si partono dallo stesso punto due rami: uno, quello che guarda più l'osservatore è formato di quattro ramificazioni , di cui una porta zoidi numerosi verso l'apice e già quasi completamente sviluppati. L'altro ramo, quello posteriore, è unico e poco dopo la metà dà origine ad un piccolo ramo che presenta all'apice tre zoidi in via di sviluppo. 15 1234 Giuseppe Zirpolo Verso la regione di sinistra del ramo a si nota il piccolo ramo, sottilissimo, che verso l'estremo ha già abbozzate due gemme. A misura che questi rami si formarono, la sostanza blastogena andò riducendosi fino a diventare sottilissima. Sul ramo flaccido q si sono formati tre rami ed uno di essi risulta di due parti. Sul ramo p se ne sono invece formati due, di cui uno ha dato rami secondari e sviluppo di zoidi. In nessuno manca la sostanza blastogena che, anche ridotta a fili sottilissimi, corre lungo tutti i rami seguendoli nel loro sviluppo. Evidentemente in seguito a tutti i fatti osservati ed a quelli qui descritti si può affermare che essa ha un ufficio molto im- portante nello sviluppo dei rami e potrebbe paragonarsi a so- stanza di riserva per lo sviluppo delle colonie. Considerazioni generali Dalla descrizione fatta si desume che rami straordinaria- mente vitali si sono originati da vecchi rami in via di disfa- cimento. Le colonie hanno subito uno sdifferenziamento e le parti sdifferenziate sono state capaci di ricostruire nuove colonie, le quali hanno usufruito senza dubbio del materiale delle colonie in dissoluzione, o meglio di ringiovanire utilizzando le sostanze che per processi catabolici erano andate soggette ad una distru- zione vera e propria. E probabile che il processo osservato qui si possa conside- rare come un ritorno alle condizioni iniziali di vita delle co- lonie, in quanto le parti differenziate hanno subito un'anaplasia e si siano, in base a questo fenomeno, ringiovanite. Sono noti gli studi sulla Clcwelina, sulle planarie. Piccoli pezzi di questi animali possono determinare la riorganizzazione dell'animale completo e l'aumentato metabolismo è stato dimo- strato, nelle planarie, col gradiente assiale, secondo Child, cioè con la sensibilità al cianuro di potassio, che mostrano di avere come gì' individui della stessa grandezza. Ora questi rami di Zoobotryon che si riducono via via per senescenza contengono nell' interno o in parti di essi, special- mente in determinati punti terminali o all'incontro di gruppi Sul ringiovanimento dei rami coloniali del Zoobotrgon pellucidum 235 di rami, una potenzialità tale da poter riformare un nuovo ramo ricco di sostanza blastogena e capace quindi di dare origine a nuove colonie. Nei varii casi esaminati è stato facile osservare come la formazione delle nuove colonie aveva origine propriamente nel punto in cui e' era la sostanza blastogena. L' importanza di questa nel ringiovanimento della colonia è straordinaria, in quanto essa dà vita e sviluppo ai numerosi rami che si for- mano. Difatti mentre in un primo momento il ramo è ricco di sostanza blastogena, non appena s'inizia lo sviluppo dei rami novelli si osserva che questa si riduce e la sua riduzione è continua e dura fino a che non si è sviluppata completa- mente tutta la colonia. Si può affermare che la sua riduzione è in ragione diretta dello sviluppo delle nuove colonie. È un fatto molto importante questo della vitalità di rami nuovi su rami vecchi, e che trova facile spiegazione ove si considerino casi analoghi di altri gruppi animali, cioè che pezzi del corpo sono capaci, in determinate condizioni, di ridare in- dividui completi. Nei Tunicati il prof. A. Della Valle constatò un fenomeno di ringiovanimento nelle colonie di Diazona violacea Sav. e in Clavelina Paolo Della Valle osservò una serie di fatti sulla vitalità dei rami stoloniali e sulla potenzialità di questi a ri- formare le parti perdute ed a ricostituire l'animale. Esempì di ringiovanimento non mancano in altri tipi ani- mali, e particolarmente nei protozoi, dove osservazioni varie sono state eseguite da numerosi ricercatori per spiegare il si- gnificato di alcuni fatti che si verificano nella vita di questi organismi. Evidentemente si tratta di uno dei tanti mezzi che gli ani- mali adoperano per la conservazione della specie. Questi rami io li ho trovati in gran parte nella stagione autunnale, e deri- vano dai rami estivi e si sviluppano a spese del ramo che va disfacendosi. Sono questi rami che in un primo momento danno novelle colonie ma che poi , quando si formano nella tarda stagione, per la bassa temperatura, svernano e durante la primavera ridanno di nuovo le colonie su cui si sviluppano i zoidi, i quali poi a loro volta danno le larve ricominciando da capo il ciclo biologico. 336 Giuseppe Zirpolo Questo processo quindi da me descritto, per quanto appa- rentemente sembri un po' differente dagli altri noti, pure, in sé considerato, rientra nel quadro biologico dei fenomeni ripro- duttivi che presentano in generale gli animali coloniali. Napoli, Stazione Zoologica, luglio 1922. Sul ringiovanimento dei rami coloniali del Zoobotryon pellucidum 237 Bibliografia 18(59 Reichert, KB. Vergleichende Anatomische Untersu- chungen iiber Zoobotryon pellacidus (Ehrenberg ) : Abh. Akad. Berlin 233 pp. (ì Taf. 1884 Della V a 1 1 e , A. -- Sul ringiovanimento delle colonie di Diazona violacea : Rend. Accad. Se Napoli, Anno 23, p. 23. 1889 Maupas, E. — Le rajeunissement karyogamique chez les Ciliés: Ardi. Z. Exper. Tome 7. p. 149. 1904 Schultze, E. — Ueber Reduktionen — 1. Ueber Hungerser- scheinungen bei Planaria lactea : Arch. Entwicklungsmech.. 18 Bd. p. 555. 1905 Russo, A. — D i Mauro, S. — La coniugazione ed il ringio- vanimento nel Cryptochilum echini Maupas: Boll. Ac- cad. Gioenia Catania, Fase. 85, p. 1. 1907 M i n o t , Ch. S. - - 1. The problem of age, growth and death : Popnlar Se. Month. Voi. 7, p. 481. 1907 — — — 2. Moderne probleme der Biologie : Jena. 1911 C h i 1 d, C. M. — 1. A study of senescence and rejuvenescence based on experiments with Planaria dorotocephala: Arch. Entwicklungsmech. 31 Bd. p. 537. 1915 — — — 2. 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Napoli, Voi 33, p. 98. 238 Giuseppe Zirpolo 1922 Zirpolo, G. — 2. Sulla biologia del Zoobotryon pellucidum Ehbrg.: Ibid. Voi. M, p. 3. 1922 3. Sullo sviluppo del Zoobotryon pellucidum E h r b g. : Rend. 12 Assemb. e Convegno della U. Z. I., Trieste Sett. 1921, Napoli, 1922, p. 12. 1922 4. Contributo alla conoscenza del ciclo biologico del Zoobotryon pellucidum E h r b g : Mon. Z. (3) Ital. Ann. 32, p. 128. Ricevuto il 27 Luglio 1922 - Finito di stampare il 30 novembre 1922 Alcune osservazioni sullo sviluppo del tratto ileocolieo in embrioni di Mammifero sdentato ( Dasypus novemcinetus L. ) del Dott. Alfredo Corti (con quattro incisioni) In due miei scritti recenti ho cercato di portare qualche contributo al problema, tuttora assai incerto ed oscuro, delle conoscenze anatomiche, fisiologiche e morfologiche dell'inte- stino cieco, specialmente dei vertebrati superiori. In brevi rapidi accenni a sommarie nozioni di anatomia comparata delle varie Classi ho avuto occasione di ricordare il fatto particolare di Mammiferi inferiori , dell' ordine degli Sdentati, provvisti di due ciechi simmetrici: e ricordavo Cyclo- thurus (= Myrmecophaga) didactyhis, Myrmecophaga tamandua (=M. tetradactyla et tridaclyla), Dasypus (= Tatusia=Muletia) novemcinetus, D. sexcinctus, D. villosus. E necessario che io torni su tali indicazioni : i trattati di anatomia comparata, anche più accurati, e cito quello ben noto di Oppel, non ricordano al proposito che la prima specie di formichiere e le due ultime di armadillo. Per Myrmecophaga tamandua esistono anzi delle indica- zioni di W. Rapp, che io non ho potuto vedere, chiaramente riportate da Oppel, di " eine kleine, fast halbkugelige Hervor- ragung „; e altre posteriori (1872) di Flower, per Myrmeco- phaga tetradactyla (M. tamandua), che pur non ho conosciuto che attraverso la chiara citazione di Oppel " Es finden sich. ... ein kurzes, kugliches Caecum „. Il Rapp ha indicato due ciechi nel formichiere minore (Myrmecophaga didaetyla) , come già avevano visto altri osservatori ( Daubenton, Meckel ) e come confermava pochi anni dopo un anatomico italiano ben valoroso, Antonio Alessandrini x). Il quale nei primi anni della seconda ') Antonio Alessandrini nato a Bologna il 30 luglio 1786, dal 1815 per quattr'anni settore di Anatomia umana, nominato nel '19 professore Art. 10. 240 Alfredo Corti metà del secolo scorso pubblicò notevoli contributi alla cono- scenza degli Sdentati : in quelle Memorie dell'Accademia delle Scienze dell' Istituto di Bologna, che, in superba classica veste italiana , raccoglievano gli studi di una schiera ben eletta di cultori della biologia : e basta che io, con quello dell'ArESSAN- drini, ricordi i nomi del Galvani, del Bianconi, del Bertoloni, del Calori, dell'ERCOLANi. Contributi, i quattro dell'ALEssANDHiNi, stampati da un soda- lizio ben noto, dettati in forma magistralmente chiara, illustrati da grandi bellissime tavole; e, tuttavia, come troppo sovente accade per gli scritti degli studiosi italiani, non mai più ricor- dati : dimenticati da tutti: perfino dal diligentissimo Oppel, che in omaggio alla precisione bibliografica non ha mai trascurato lavori e note di altra lingua, se pure di piccolissimo o dubbio valore. La prima di dette memorie riguarda annotazioni anato- miche intorno a un Bradypus tridactylus L. , e non ha vera- supplente di Anatomia comparata ed Anatomia Patologica veterinaria, iniziò subito la costituzione del Museo, arricchendolo con indefesso la- voro, che gli valse la nomina a professore titolare nel 1824. Oltre la gran- dissima attività di ricercatore diede ininterrottamente la sua opera alla cosa pubblica, quale Magistrato di sanità. Amò 1' Italia di grande amore, quando i pericoli erano gravi, ed ebbe odio speciale per l'Austria. Pro- clamata la Repubblica Romana ne fu un solertissimo sostenitore; e, dopo Novara, quando Bologna fu investita dalle milizie straniere, I'Alessan- drini fu chiamato a reggere la città ed a rafforzare materialmente e mo- ralmente la resistenza : " chi dura vince „ era il suo motto. Con la resa del- 16 maggio 1849 tornò a vita privata ed ai suoi studi : ma, pochi mesi dopo, il restaurato governo pontificio lo interdiva da tutti gli uffici: l'Uni- versità di Padova, ammirata dello scienziato e del cittadino, gli offerse l'insegnamento dell'Anatomia, che I'Alessandrini rifiutò, per non lasciar la sua Bologna: il governo dopo pochi mesi fu costretto a riconoscerne gli alti meriti e reintegrò nei suoi uffici I'Alessandrini: il quale condusse vita domestica assai austera. Nel 1851, per infermità contratta nelle dis- sezioni animali, subì, con speciale stoicismo, 1' amputazione del braccio destro: alla perdita della mano preziosissima, tuttora con venerazione conservata nel Museo che I'Alessandrini aveva fondato e portato a grado altissimo di ricchezza, cercò di ribellarsi con l'apprendere a scrivere e disegnare con la mano sinistra. Nel 1859 membro della Costituente delle Legazioni pontificie, fu primo a votare il decadimento del governo papale e l'unione al Regno d' Italia. Morì il 6 aprile 1861. Non è possibile qui accennare con qualche dettaglio ai meriti ed ai lavori dell'ALESsANDRiNi : il suo museo, ricco di parecchie migliaia di pre- Osservazioni sullo sviluppo del tratto ileocolico in embrioni ecc. 241 mente speciale interesse per quanto riguarda questa nota. Per il canale digerente è rilevato lo stomaco complesso con lo speciale aspetto della sua superficie interna, e l'intestino sem- plice e breve, con lo sbocco, assieme alle vie urinarie e ge- nitali, " in una comune infossatura analoga alla cloaca degli Uccelli. „ Non vi è cenno alcuno che riguardi il cieco; e si può ciò ritenere quale una conferma indiretta di quell'assenza che già Cuvieh aveva rilevato al principio del secolo, e Owen confer- mato pochi anni prima delle osservazioni di Alessandrini. La seconda memoria è per noi di maggior interesse , in quanto l'A. ha voluto portare un contributo all'anatomia dei formichieri , valendosi di un esemplare 9 di Myrmecopliaga didactyla L. Ricordati gli studiosi che si erano occupati in antece- denza della struttura di questo animale , 1' Alessandrini ha parazioni, fu , dopo la sua morte, diviso nelle due imponenti collezioni della Anatomia comparala e dell'Anatomia patologica veterinaria. Nel dominio delle nostre scienze resta una lunga serie di memorie, specialmente sui Vertebrati : degli Invertebrati studiò il sistema nervoso di Scolopendra , e fece studi ed esperienze, non sempre felici, sulle tra- chee di insetti. Dei Pesci, accennando solo alle indagini principali, ne studiò il tegu- mento per l'interpretazione delle squame, l'apparecchio branchiale nella sua costituzione e per la funzione, arrivando alla conclusione di una mag- gior superficie respiratoria in confronto alla polmonare : dimostrò la presenza del pancreas anche in pesci con appendici piloriche, che se ne credevano privi. Nei Rettili studiò profondamente ofidi e chetoni, i primi specialmente per le ghiandole salivali e velenose, i secondi per 1' appa- rato ioideo, che ricondusse allo schema già noto, per la lingua, la laringe, la glottide, il meccanismo respiratorio sopratutto in rapporto alla rigidità delle pareti del corpo, illustrando molti altri fatti di costituzione. Degli Uccelli descrisse dettagli di angiologia. Fra i Mammiferi portò un notevole contributo all' anatomia degli Sdentati, scoprì la valvola esofagea dei delfini, studiò il cardias del ca- vallo, particolarità delle vie epatiche e pancreatiche della lontra, fece profonde indagini di osteologia comparata, dimostrò la importanza delle conoscenze e delle ricerche anatomiche per la sistematica, discutendo a tal proposito dei generi Moschus, Phoca, Dasypus, Bradypus, Paradoxurus, Vi- scaccia. Altrettanta la mole degli studi di Anatomia patologica veterinaria; più vicini a noi quegli sugli entozoi, dei quali lasciò una cospicua col- lezione ; su mostri, studiati nei dettagli strutturali; esperienze sulla cir- colazione. Ebbe profonde cognizioni di paleontologia e di paletnologia. 242 Alfredo Corti trattato lungamente del sistema osseo, dando, fra l'altro, an- che la figurazione, (Tav. 29) ancora mancante nella lettera- tura, dello scheletro completo: ancor oggi si ammira nel Museo bolognese il preparato dell' Alessandrini , nell'attitu- dine rappresentata nella illustrazione. Si può ricordare , anche per quanto si vedrà per altre specie , P osservazione fatta sulla discordanza del nome spe- cifico con la realtà anatomica, in quanto le dita (della zampa anteriore^ sono cinque e non due : ma poiché due sole sono le evidenti , fuori delle parti molli , per le robustissime un- ghie, converrebbe chiamar l'animale " Formichiere biungulo „. Ma , soggiunge 1' Alessandrini , " essendo però sempre da ri- provarsi il costume di introdurre nuovi nomi senza necessità, e per gli animali già da lungo tempo noti „ convenire per- ciò attenersi al nome già conosciuto , " abbenchè non del tutto esatto „. Per 1' intestino , di diametro quasi uniforme " ingrossan- dosi appena alcun poco più al di là dell' inserzione dei bre- vissimi intestini ciechi „ non son fornite molte notizie , né la illustrazione ( tav. 31, fig. 1 ) ci mostra alcun dettaglio per quanto ci interessa. Evidentemente i reperti si accordavano con quelli già noti. Per la struttura 1' Alessandrini ha trovato le pareti del tenue delicate e senza valvole conniventi, con lunghi e fittis- simi villi , scemanti verso il passaggio al crasso , nel quale vengono a mancare : il crasso , con parti robuste , breve , di appena 80 mm. Per quanto riguarda il tratto ileocolico è ancora da ri- cordare : " la separazione del tenue dal crasso non è indicata soltanto dalle brevissime cieche appendici : aperto 1' intestino si rende manifesta in prossimità dello sbocco di quelle, ma al davanti, una piega circolare a modo di valvola, la quale è certamente destinata ad impedire il rigurgito delle sostanze digerite dai crassi verso i tenui: disposizione che s'incontra quasi sempre anche in quelle specie carnivore di mammiferi, che mancando del tutto di cieco, presentano soltanto la no- minata piega a demarcazione dei tenui dai crassi intestini „. Dettaglio, quest' ultimo , che credo converrebbe pur oggi me- glio precisare. Osservazioni sullo sviluppo del tratto ileocolico in embrioni ecc. 243 La terza memoria riguarda osservazioni , modestamente dette cenni di struttura sul formichiere medio: è interessante la disquisizione fatta anche in questo caso per la denomina- zione di tale forma. Non era allora proclamata la ferrea legge della priorità nella nomenclatura zoologica: e I'Alessandrini non riteneva conveniente attenersi alla denominazione Linneana, giudicando, per le osservazioni anatomiche comparate, sinonimi i due nomi specifici di Myrmecophaga tetradaclyla e tridactgla di Linneo, e non rispondenti in nessuno dei due casi alla reale condizione delle cose: essendo in realtà le dita — della zampa anteriore — cinque, se pur l'esterno ricoperto dalle parti molli, e quindi solo quattro evidenti, e tre sole, le medie, con robusto artiglio. Per ciò preferibile la denominazione del Cuvier, di Myr- mecophaga tamandua, riflettente il nome volgare dato all'ani- male nei paesi suoi, della regione neotropica. Non starò a riferire le indagini de 11' Alessandrini, special- mente interessanti per la comparazione con forme vicine: per quanto più ora ci occupa riferisco il seguènte periodo, le os- servazioni essendo state fatte su un individuo neonato: p. 407 " Una modificazione importante, relativamente al tubo intesti- nale, si è l'esistenza di due piccole appendici cieche nel punto di comunicazione tra i tenui e i crassi, le quali si aprono nel crasso stesso in prossimità della valvola trasversa interposta alle due regioni, nel che somigliano a quelli degli uccelli, coi quali mantengono certa analogia anche per la brevità del crasso, che sta al tenue come uno ad undici „. Per queste ben chiare dimenticate osservazioni dell' Ales- sandrini io indicai la specie come provvista di due ciechi , contro le asserzioni del Rapp e del Flower , riportate dal Oppel. L'Alessandrini, diligente quanto valentissimo, aveva, fin dai primi studi su Myrmecophaga di didactyla (1851), rintracciato la monografia siili' anatomia degli Sdentati che W. Rapp aveva stampato, non in periodico, a Tuebingen, in una prima edizione', nel 1843: quella che servì ad Oppel per le predette indicazioni, in contrasto con le osservazioni dell' Alessandrini. Il quale però, in questa memoria del 1853, riferisce di una seconda edi- zione (1851), aumentata e corretta, che io non ho potuto cono- scere, e che è rimasta pure sconosciuta ad Oppel. L'anato- mico bolognese, nei suoi lavori, ha avvertito di aver sopratutto 244 Alfredo Corti messo in rilievo i reperti che non erano già stali descritti o che differivano da quelli già illustrati dal Rapp. Solo la conoscenza della edizione del 1851 potrà permettere un confronto de- finitivo. Difficile a spiegarsi resta la indicazione di Flower , che non so se basata su osservazioni originali, od eventualmente limitata a un riferimento alla prima monografia del Rapp. La quarta e più ampia memoria dell'ÀLESSANDRiNi riguarda l'anatomia del Dasypns se.vcinctus , con cenni su un giovane esemplare 9 ed un feto maturo di D. novemcinctus. L'A. si era già occupato , con due contributi pubblicati dall'Accademia, della struttura del peculiare sistema tegumen- tario degli Armadilli : i Tatù, così chiamati al Rrasile, che un sommo bolognese, I'Aldrovandi, aveva per primo descritti e figurati nel 1645. Ricordata la già menzionata monografia del Rapp, I'Alessandrini descrive magistralmente " i caratteri e- sterni di un Dasypns sexcinctus cj' adulto, e quindi l'apparec- chio digerente, fermandosi in modo speciale sui denti, sul fa- ringe, esofago, stomaco e intestini, sui visceri accessori del canale alimentare, sui visceri del torace, sugli organi uropoe- tico - genitali, sul sistema osseo „ : facendo seguire i cenni su Dasypns novemcinctus: e riunendo da ultimo in conclusioni ge- nerali i fatti osservati e le considerazioni relative. La memoria è corredata da sette grandi tavole in litogra- fia : i cui bellissimi disegni originali, firmati dai disegnatori C. Minardi e C. Bellini, e datati dai primi mesi del 1855, sono custoditi nelle bacheche del Museo di Anatomia comparata del- l' Università di Bologna. Nella riproduzione litografica le dette tavole sono tutte indicate come opera del Minardi : mentre, come ho detto , alcune sono a firma di Ces. Bellini , la XIV ad es. , che particolarmente ci interessa , datata nel 13 gen- naio 1855. Del Dasypus sexcinctus sono dati i caratteri generali e par- ticolari nonché le misure delle singole porzioni del tubo in- testinale, il quale " è marcatamente distinto in questa specie nelle due sezioni di tenue e di crasso per la interposizione del cieco ,,. L' Alessandrini ha descritto e figurato 1' ultima porzione dell'ileo, prima della valvola ileocolica, come alquanto rigonfia ad ampolla , con aspetto che ricorda con evidenza quanto si Osservazioni sullo sviluppo del tratlo ildocolice in embrioni ecc. 245 ha in Lepus , col sacculus rotundus ; sarebbe interessante il cercare se vi corrisponda una tonsilla iliaca. " singolarissima è la forma del cieco, che rassomi- glia molto a quella del rene di cavallo; la di lui periferia, re- solare interiormente e ai lati, superiorriiente ha una profonda incavatura, a modo per lo appunto dell'ilo del rene, nella quale si insinua e si apre l'ampolla del tenue convertendosi nell'op- Fig. 1. — Riproduzione, alquanto impiccolita, della fig. 4 della tav. 14 della Memoria dell' Alessandrini (1856), rappresentante: " Il cieco (di Dasypus sexcinclus) rappresentato gonfio d'aria: a, porzione ristretta dell'ileo troncata b (sembra invero h). la di lui ampolla presso 1' inserzione del cieco e, e, e, limiti dell'intestino cieco cordiforme d, il colon troncato. „ posta faccia del largo colon, del vistoso diametro di ventisei mm. Come è uguale e levigata l'esterna superficie del cieco, tale si mantiene pur anche la di lui faccia interna : . . . osservato l'in- testino , anche fresco , scorgevasi il bianco colore e la leviga- tezza della mucosa , del tutto priva delle complicazioni de- scritte nel tenue, e mostrante soltanto delle non frequenti chiazze o coadunamenti di glandole mucipare „. Le fig. 4 e 5 della tavola 14 rappresentano 1' estrema porzione dell' ileo, il cieco e la prima del colon, gonfiati d'aria, nella preparazione a secco. L' Alessandrini ha esaminato anche i visceri addominali, conservati da tempo in alcool , di una 9 giovane di Dasypus novemcinclus, ed un feto maturo Q della stessa specie : senza fare alcun cenno speciale per il cieco. Però la tav. 16 dà, con la fig. 7, una illustrazione dei vi- sceri addominali della 9 giovane , dove si vede chiaramente 246 Alfredo ('.orli una disposizione consimile a quella della specie prima descritta, essendo in questo caso pure l'avvertenza che gl'intestini erano moderatamente gonfi. La indeterminatezza di tale indicazione poteva lasciare qualche dubbio , davanti al fatto imponente del grossissimo Fig. 2. — Riproduzione, alquanto impicciolita, di parte della fig. 7 della tav. 16 della Memoria deH'.Ai.i:ssANRi\i (1856), tavola dedicata a " Dettagli anatomici del Dasypus novemcinctus „ ( Q giovane : lungh. del corpo cui. 35, della coda cm. 32) " Apparecchio digerente addominale: gl'intestini sono modestamente gonfi: a, e, parte pilorica dello stomaco, aperta rf, il duodeno e, e, e. i complicati giri degli intestini tenui f, il punto di inserzione dell' ileo nel crasso g.g, il largo e breve intestino colon h, piccola porzione del retto., la continuazione del quale fino all'ano si di- mostra nella fig. 10 „ non 8 come è detto per errore nella* spiegazione dell' A.). colon o delle due bollosità cieche. Dubbi che però , oltre la fiducia nella perizia e diligenza dell' Alessandrini, contribuiva a togliere la figura del Flower, riportata da Oppel , per lo stesso D. sexcinctus, dove le dette gibbosità sono quasi più ma- nifeste. In detta illustrazione dello studioso inglese non è rile- vato quel rigonfiamento dell'estrema porzione dell'ileo, di cui si è accennato, e che non si vede neppure nella figura del- Osservazioni sullo sviluppo del tratto ileocolico in embrioni ecc. 247 1' Alessandrini per il D. sexcinctus , essendo però strano che FA. non abbia fatto cenno della mancanza. Sono interessanti le conclusioni generali che l'A. ha tratto dalle sue osservazioni, avendo notato differenze strutturali fra le tre specie che gli erano note (Dasypus sexcinctus, D. novem- cinctus, D. villosus) tali da poter forse anche farne base per una divisione del genere. Ma più generali, numerose e importanti ]e somiglianze in tutti i sistemi studiati. Specialmente notevoli per noi le considerazioni sul cieco: In tutti il tubo intestinale è proporzionatamente molto lungo, ben distinta la sezione dei tenui da quella dei crassi ; anzi nel modo d' unione dell'ileo col colon, abbenchè abbia luogo se- condo l'asse del canale, né vi esista perciò vero intestino cieco, tuttavia a motivo dell' improvviso allargamento del crasso a de- stra ed a sinistra dell'ileo, produconsi nel crasso stesso due marcate prominenze, riguardate per lo appunto come una prima manifestazione del doppio cieco, proprio della maggior parte degli uccelli „ 1). Rievocate queste obliate osservazioni dell'anatomico bolo- gnese, reputai ben opportuna la possibilità di portare qualche altro contributo all'argomento: data la peculiarità del fatto, per Mammiferi, del cieco duplice, la posizione tassinomica di questi animali, e pur la infrequente possibilità di averne sot- tomano degli esemplari. Ho potuto esaminare due embrioni di Dasypus novemein- ctus, in due diversi stadi di sviluppo, e ho trovato che le con- dizioni del tratto del passaggio ileocolico meritavano un at- tento esame per caratteri speciali e per differenze con quanto era stato descritto, e che sopra ho riferito. Gli embrioni appartenevano a quella serie raccolta nell'Ame- rica meridionale (Repubblica Argentina) dal prof. Silvestri e donata al prof. Giacomini, con la quale il Vernoni, studiando lo sviluppo del cervello , riuscì a portare un ben notevole con- tributo alla morfogenesi dei centri nervosi dei Mammiferi. 1) L'Alessandrini studiava e scriveva a cavallo della meta del secolo scorso; la sua opera è ben pervasa dal convincimento che " le ricerche di Anatomia comparata tendano a rendere sempre più evidente e com- provata la grande verità, del collegarsi cioè mirabilmente le infinite specie degli Esseri organizzati per dei caratteri di struttura ... 2 lv Bagnall nel 1907 (1 p. 265) riferisce di averlo raccolto, oltre che in parecchie località di Inghilterra, a Grune pres- so Letmathe (Westfalia, Germania) e ad Antwerp nel Belgio (di Novembre) insieme con Trichoniscns pygmaeus Sars. Lo stesso Autore nel 1909 (3 p. 43) dice che Beresford gli co- municò di averlo trovato spesso a Howth in Irlanda, aggiunge poi (4, p. 223) che lo ha ritrovato ai pubblici giardini di Go- thenburg in Svezia. Carl nel 1908 (2 p. 147) per la Svizzera riferisce di averlo ritrovato in Frauenfeld (e? e p adulti e giovani, sotto tavole, in Ottobre); in Zùrichberg, in un bosco sopra Burgwies (in terreno argilloso pesante sotto pietre, di Ottobre, cf e P adulti e giovani); nel giardino botanico di Zurigo (Ottobre); a Bern (di Maggio, e? e P adulti, delle quali ultime alcune con uova nella cavità incubatrice); a Genf (Maggio, 1 cf adulto). Verhoeff nel 1908 (6) dice che, astrazione fatta dai giar- dini, Egli lo ha ritrovato al Kalksee presso Budersdorf sotto le pietre (Ottobre), nella regione del Beno nelle pietraie di Oberkassel , al lago di Garda presso Salò e Chiarana. (Que- sti esemplari Egli aveva descritto come specie nuova, Hapl. Dollfasi, v. 4), al Langensee presso Laveno (Aprile). Inoltre in- dividui spiccatamente chiari raccolse vicino a Pontafel in Set- tembre sotto lastre di scisti primitivi, in luogo umido presso cespugli ; fra di essi alcune femmine, le quali in parte porta- vano nella cavità incubatrice 8 uova, in parte 4 embrioni. Bacovitza nel 1908 (41 p. 371) riferisce di averlo trovato in Algeria, nella provincia di Costantina , a Bhar-el-Djemaa e Grotte de l'Ours, sopra il Djebel Taya, nell'Ottobre del 1906 (cf e P adulti, e 2 giovani; le P non ovigere). Pack Beresford e Foster nel 1911 (40 p. 175) lo citano per diverse località dell' Irlanda : essi dicono che nelle isole britanniche fu per la prima volta trovato a Corco mroe Abbey, Co. Giare, da Canon Norman e Mr. W. F. de V. Kane. For- ster poi nel 1915 (1 p. 102) a proposito di questa specie a Carlingford (Irlanda) dice : " So far as our present know- ledge points, this species appears to be not uncommon, main- ly in the vicinity of the coast, and is generally found under deeply-imbedded stones. At Carlingford four specimens were found, and it did not appear to be numerous. Mr. A. W. Stelfox tells me that in Drumbo Glen, Co. Down, he frequently turned Revisione del gruppo degli Haplophthalmi 267 over suitable stones and foand it in small numbers ; but that ou repeating the search late in the evening it proved abundant ; and he suggests that during the day it may burrow in the ground and only approach the surface at the coming of night. In Ballynamona Wood, on the shore of Lough Gill, Co. Sligo, I found this species exceedingly numerous just puvious to night fall, and looking in the sanie place during the forenoon I did not find a single specimen. „ (Vedi anche per Io stesso Autore Bibl. 2 p. 26). GRàvE nel 1913 (33 p. 193) dice che questa specie è dif- fusa in tutto il territorio di Bonn. Egli la rinvenne il 31 Maggio (in numero di 2 p ed 1 <$) al Landskrone nelle pie- traie basaltiche ; nelle pietraie presso Rheinbreitbach il 16 Maggio (2 p) insieme con Trichonisco'ides albidus ; al margine del Rhòndorfer in fogliame umido (1 p adulta) il 25 Marzo ; nella Mittlere Ittenbacher Strasse nel Siebengebirge (1 p ad. con uova) il 30 Giugno; nella Kommende Ramersdorf il 15 Maggio (1 P ad. e 1 p con embrioni prima della schiusura, e 1 giovane). Secondo questo Autore la specie in parola si trova in luoghi umidi, sopratutto sotto pietre solidamente poggiate, ma sempre in piccolo numero. Dice che si vedono gli anima- ♦ letti al tempo umido e piovoso venire su dall'humus e allora si trovano più frequenti. Un periodo di cova dovrebbe cadere nel Giugno e Luglio. In un solo caso egli potè stabilire il nu- mero degli embrioni che fu di 7. Per il numero e la grandezza delle larve, corrispondentemente alla grandezza eguale, la specie concorderebbe con l'affine H. fiumaranus Verh. Standen nel 1916 ( 1 p. 18 ) dice che fu trovato due volte nei boschi a Grange nel Lancashire da Mr. R. S. Ba- gnall. Nel 1917 (2 p. 46 ) riferisce che fu trovato da B. L. Lucas nell' Aprile 1916 a Pekforton, Cheshire. Aggiunge : " This is the second record for Cheshire, it having been pre- viously taken under stones in an old garden at Chester by Dr. A. R. Jakson. It has twice been recorded from Lanca- shire-viz., from waste garden ground near the Rovai Infir- mary, Manchester, in 1913 ; and again at Grange-over-Sands in November 1915, by R. S. Bagnall. This little species ought to turn up in other localities, it carefully searched for. To further this end it may he useful for intending collectors to note that it is found under deeply embedded stones, and must 268 Alceste Arcangeli be looked for just previous to nìghtfall; search during the ear- lier part of the day is generally unsuccessful, even where the animals are known to be plentiful (fide Nevin H. Foster : Irish Naturalist. June, 1915, p. 102). Collinge nel 1917 (1 p. 112) lo cita per V Inghilterra, Scozia, Wales, Irlanda e nell'anno stesso ne instituisce una va- rietà nuova flavovirescens, " Whole of body a light yellowish- green, with a tinge of grey „, su esemplari raccolti in Scozia a Dumbarton e Helensburgh nell'ottobre del 1917 da Miss De. J. Jardine. Dahl nel 1917 (3 p. 419 , vedi anche 2 p. 45) dice che è dappertutto diffuso nella Germania sudoccidentale su terreno molto ricco di calce. Non fu mai trovato sotto pietre di ges- so , arenaria e lava : sembrerebbe quindi che la specie ri- chieda un terreno contenente in modo speciale calcio e pro- priamente carbonato di calcio. Egli non lo ritrovò peraltro anche in pietraie calcaree ; ma aggiunge che le due catture furono fatte nella stagione piovosa, che pregiudica molto la raccolta accurata di piccole forme , e perciò non si deve da ciò dedurre la mancanza assoluta di tale specie in questi luoghi. Aggiunge poi che in due esemplari di questa specie da lui rac- colti mancavano una delle due gibbosità del 3.° pleonite. Po- • trebbe darsi anche che qualche volta vengano a mancare. Allora H. mengii si distinguerebbe facilmente per il maggior numero dei tubercoli (almeno 5 o 6 e più piccoli) sullj carene dei pereioniti da H. danicns (solo 3 o 4 e più grandi). Lo scrivente (1 p. 4 ) ne esaminò esemplari di diverse località dell' Italia continentale. Ne raccolse numerosi esem- plari adulti nell'humus (ricco di detriti di corteccia di ca- stagno) del R. Orto Botanico di Pisa nell' Aprile e nel Set- tembre ( anche giovani ) del 1911 e 1912 (insieme con Hapl. danicus B. L.). Inoltre possiede esemplari adulti raccolti dal Dott. Fiorio a Varone presso Riva di Trento nel Gennaio-Feb- braio 1913 ed altri ne raccolse (adulti) nel Maggio a Ganna (Dint. di Varese) a 700 metri, nell' humus delle faggete Inoltre dal Prof. Monticelli ebbe esemplari (adulti) raccolti a Cofaniello e sullo stradone di caccia presso il lago Astroni (Prov. di Na- poli), nel Marzo del 1912 e 1913, a Gamaldoli (Prov. di Na- poli, fra le Epatiche, Maggio 1908 e Febbraio 1909). Nella col- lezione del Museo Civico di Genova trovò esemplari raccolti a: Revisione del gruppo degli Haplophthaltni 269 Poggio Cavallo (Prov. di Grosseto, Maggio 1908, race. Dr. An- dreini); Grotta Spadoni (Liguria, 22-VI-1905, Dr. Solari); presso il lago di Castel Gandolfo (Lazio, Marzo 1908, race. Luigioni) ; Monte Viglio (Prov. di Roma, 10-VII-1900, race. Luigioni). Come si vede dunque questo Isopodo avrebbe un'area di diffusione molto grande e quantunque possa darsi il caso di nuovi reperti in nuove regioni, specialmente verso l'oriente dell' Europa , il fatto che, nonostante le raccolte fatte sui di- versi continenti, esso si mostra localizzato alla regione pale- artica , ci può autorizzare a considerarlo almeno come una specie caratteristica della stessa regione. Si tratta di un ani- male dell' humus. Noi lo ritroviamo sempre là dove si trovano detriti assai fini di sostanze organiche, quindi sotto pietre, sem- pre che sotto di esse humus si presenti, sotto legnami marce- scenti , più o meno profondamente in terra ricca di humus , quindi specialmente nei boschi. Non è corrispondente al vero l'asserzione di Dahl (2 p. 45) che questa specie abbia biso- gno di un substrato contenente molto calcio: basta che esi- stano detriti organici o terriccio perchè quivi essa possa pro- sperare. Se la umidità dell'ambiente gli è necessaria, essa non deve sorpassare quel limite oltre il quale si ha il bagnato, lì terriccio piuttosto soffice, non compatto, rappresenta la sua dimora preferita, dove si muove con lentezza e si può trovare in numerosi esemplari quando 1' alimento abbonda. Allora si può ricavare l'impressione che esso possa quasi costituire delle colonie : ma un esame su ampi tratti dimostra che niente ci autorizza a tale credenza : noi troviamo gli animaletti più rac- colti là dove il nutrimento più abbonda. Carl e Grave dicono che durante il tempo piovoso questa specie risale alla super- ficie del terreno : ciò è vero, ma non deve essere a parer mio interpretato nel senso che gli animaletti vengono alla superficie per ricercare 1' umidità , tutt' altro. Essi verisimilmente rifug- gono dalla falda di acqua che si è formata in seguito alla pioggia nello strato di terra nel quale si trovano. Un semplice esperimento mi ha convinto di questo fatto. Se si mette in un vaso cilindrico di vetro una quantità di humus (non bagnato) contenente gli animaletti , si nota che , mano a mano che gli strati più superficiali dell' humus si essiccano, gli animaletti stessi si approfondano (e ciò si può vedere attraverso il vetro) : se invece s' inaffia V humus in modo che nella parte profonda 270 Alceste Arcangeli del vaso si costituisca una falda d' acqua, si vedono tosto gli animaletti risalire, e tanto più quanto più sale la stessa falda. Se finalmente la falda arriva alla superficie dell' humus, essi fanno tentativi per risalire ancora lungo le pareti del vaso e se noi su tale superficie mettiamo delle erbe od altri corpi , quivi si arrampicano gli animali. Lo stesso fenomeno io ho constatato per molte specie che ho potuto tenere viventi in quantità per alcuni mesi , e cioè per Armadillidium uulgare , Arni. Zenckeri, Ann. sordidum, Porcellio laevis, Poro, arcuatus, Cylisticus convexus : e credo che lo stesso valga per moltissime altre specie. Quanto al periodo riproduttivo si può concludere che esso decorre dall' inizio della primavera alla fine dell'autunno, na- turalmente con varianti che stanno in rapporto sia con il clima della località sia con le condizioni di esposizione , di profon- dità dell' humus, di umidità dello stesso e dell'abbondanza di nutrimento. Dal complesso delle osservazioni degli Autori e di quelle mie personali io ho ricavato l' impressione che nella stessa località il primo periodo riproduttivo spetti agi' indi- vidui nati più precocemente nell' anno precedente o a quelli di due anni *) come lo dimostrano le dimensioni degli stessi, mentre il periodo riproduttivo più tardivo spetta ad individui nati nell' autunno dell' anno precedente , essendo che questi ultimi sorpresi, dopo la nascita, dal periodo di sosta di accre- scimento invernale, riprendono con la primavera quell'accre- scimento che li deve portare allo stato adulto. Del resto questo fatto mi risulta in molti altri Isopodi. 2. Haplophthalmus danicus B. L. v Lunghezza del corpo : 4 mm. Larghezza alla metà, 2 mm. Località: Grotta di Choranche (Isère), 1 $ ; Caverna di Saint- Nazaire-en-Royans (Dròme), 1 Q . L'Autore fa notare che la descrizione, come pure le sue figure, si riferiscono all'individuo della prima località. Nel- 1' esemplare proveniente dalla seconda località le creste del pereion e il mammellone addominale erano ancora più rile- vate , i pereioniti 3 a 5 più nettamente strozzati trasversal- mente sul dorso davanti alle creste e si rilevavano verso il bordo posteriore. Ma queste differenze erano solo graduali e non gli sembrarono avere un valore specifico. In tutti gli altri caratteri i due esemplari erano identici. 5. Leucocyphoniscus karawankianus Verh. Sinonimo : Pleurocyphoniscus karawankianus Verh. - Arch. Naturg. 74 Jahrg, 190#, p. 145, taf. 5, fig. 27-34. Anche questa specie io credo debba riportarsi a Leu- cyphoniscus. Riferisco quasi integralmente la descrizione di Verhoeff. Corpo lungo mm. 4 Va, grigio, ma che apparisce screziato di bruno a causa dei corpi estranei appiccicati al dorso (minuzzoli di humus e qua e là anche qualche barbulina di radice). II 3° pleonite è provvisto sulla parte mediana del tergite di un processo gigantesco (Fig. Ì0,s*\ lateralmente compresso, il quale è inclinato all'indietro e visto di lato apparisce in forma di clava, arrotondato e molto più largo alla estremità che alla base. Anche i sette pereioniti posseggono ognuno sui tergiti due grandi processi lateralmente compressi, paralleli rispetto alla linea me- diana (Fig. 10,3°), dei quali quelli dei pereioniti 1 a 4 all' indietro terminano senz' altro, mentre quelli dei pereioniti 5 a 7 posterior- mente vanno ingrossandosi in modo da sporgere con lobo trian- golare : i due del 7.° pereionite poi sono quasi sviluppati quanto il processo mediano del 3.° pleonite. Inoltre i sette pereioniti pos- seggono da ogni lato ancora una carena longitudinale, la quale è molto più bassa dei processi ed è situata quasi nel mezzo fra gli stessi e la base degli epimeri. Revisione del gruppo degli Haplophthalmi 301 Cephalon tergalmente provvisto di 2 + 2 poderose gobbe lon- gitudinali ( Fig. IO,29 ) l) delle quali le due anteriori sono ravvici- 23 30 Fio 10. - Leucocyphoniscus (= Pleurocijphoniscus) Karawankianus Verh. - 27. An- tenna esterna. 1x56.-28. Flagello della stessa, x 220.-29. Meta supenore del ce- phalon con gibbosità squamose. x56.-S0.Meta del tergile dell» percome xo6.- 31. Veduta anteriore del 3° pleonite. XÓ6. - 32.C.arpodite. propodite e dattilopod.te di un 1° pereiopode. X 22.0.-33. Metà distale della mandibola sinistra, X 220.- 34. Metà distale della mandibola destra. X220. (da Verhoeffi iì Di nuesla figura l'Autore non dice se rappresenta la parte ante- riore del S^Son vista dal davanti, ma deve essere cosi se la descri- zione è giusta. Certo è che si tratta di una figura infelice. 302 Alceste Arcangeli nate, mentre le posteriori compresse stanno lontane 1' una dall' altra e sono dirette parallelamente all' asse longitudinale; invece le an- teriori sono oblique l' una rispetto all' altra. Viste di profilo, le gobbe anteriori sporgono più in alto delle posteriori. Ai lati del cephalon si trovano ancora tre piccole gobbe. Tutte le gobbe e le carene del cephalon e del pereion sono rivestite di squamette, le quali conferiscono loro un aspetto granulato. Fra 1' ocello e la fossa anteiinaria di ogni lato sporge un lobo cefalico triangolare, quasi a punta, squamato. Antenne interne con tre articoli, dei (piali il 1.° è molto più largo del 2.° e del 3.°, che sono quasi eguali in lunghezza. Sul terzo stanno due bastoncini. Antenne esterne (Fig. IO,-7) con articoli dello scapo tarchiati e provvisti di corte puntine, solo all' estremità in- terna del 5.° articolo una setola lunga biarticolata; flagello distin- tamente triarticolato, con 3.° articolo provvisto di un forte ciuffo di fibre (Fig. 10,~*), con il 2° provvisto dal lato interno di alcuni lunghi bastoncini di senso. Mandibole con potente piastra masticatoria, arrotondata nella sinistra (Fig. IO,33), triangolare appuntita nella destra (Fig. IO,31). Inoltre la mandibola destra possiede un processo setoloso debol- mente sfibrillato, la sinistra due. Mentre nella mandibola sinistra non esiste davanti ai due bruni denti terminali nessun altro par- ticolare, nella destra si trova nello stesso luogo un processo vitreo diviso in 2 x 3 puntine. Endopodite delle mascelle del 1.° paio con tre zaffi sfibrillati, dei quali il più interno è molto più sviluppato degli altri due esterni. Exopodite delle stesse con 6-7 dentini terminali. Mascelle del 2.° paio divise al margine terminale in due lobi cibati quasi egualmente grandi. Piedi mascellari che corrispondono quasi del tutto a quelli del genere Cyphoniscellus , quindi con endopodite biarticolato, exopo- dite però triarticolato, con il 3.° piccolo articolo terminale non bene distinto. Pereiopodi negli articoli 2-5, al disotto, provvisti di setole acu- leate divise in fibre (Fig. 10,3^), con l'estremità del carpopodite e F intero dattilopodite muniti di setole e di squame oblunghe, che sono più o meno arricciate, fra le quali sul dattilopodite anche un processo filamentoso sfibrillato all' estremità. Il carpopodite dei pereiopodi del 1° paio con pettine di squame. Basipodite di tutti i pereiopodi in basso e all' infuori escavato secondo la lunghezza. 1° e 2.° pleonite distintamente sviluppati, il tergite squamato. Telson posteriormente smussato, ai lati lievemente incavato; gli epimeri del 5.° pleonite non raggiungono il suo margine posteriore. Revisione del gruppo degli Haplophthalmi 303 Gli exopoditi degli uropodi stanno in una profonda escavazione del protopodite, il quale all' indietro si estende circa quanto il telson : essi portano alla estremiià parecchie robuste setole tattili. Gli endopoditi degli stessi sorpassano il telson quasi della metà della loro lunghezza; rimangono un poco indietro con la estremità distale rispetto a quella degli exopoditi e su tale estremità si trova una setola molto robusta. L'Autore scoprì un esemplare P di questa specie il 24 Set- tembre 1907 sul pendio meridionale del Karawanken (Alpi orientali) neWhumus di un boschetto di Alnus fra blocchi cal- carei. Egli dice che il colore di questo animaletto (come di Cijphoniscellus), estremamente simile a quello dell'ambiente e determinato dall'appiccicarsi di minuzzoli di humus fra i cer- cini e i tubercoli dorsali, unitamente al fatto che vive molto nascosto, ne rende estremamente difficile il rinvenimento, tanto che nonostante i suoi sforzi, non riuscì a trovarne più altri esemplari. 6. Leucocyphon/scus Solarli Brian. Si tratta dell'unica specie del genere finora ritrovata in terreno italiano e riconosciuta dal Dott. A. Brian (1). Riferisco la descrizione data dall'Autore 1). Lunghezza del corpo da 3 Va a 5 mm. Corpo dorsalmente assai convèsso, formante un'ellisse allungata quasi regolare, circa 2 Va volte più lunga che larga. Cephalon dorsalmente rialzato, la faccia tergale munita in mezzo di una grossa protuberanza trasversale, ellittica, divisa leg- germente in due da un solco longitudinale e munita presso il mar- gine posteriore di un' altra protuberanza meno ampia ma un po' più prominente della prima, leggermente ovale, pur essa disposta traversalmente ma impari, semplice senza divisione , ma in qual- che esemplare con una leggera traccia di bipartizione sulla som- ') lo non posso riportare le figure date da Brian, perchè, mi dispiace dirlo, non lo meritano. Specialmente la prima che dovrebbe rappresentare l'intero animale visto dalla superficie dorsale e come tale sarebbe stata importantissima, è stata eseguita male. Basti dire che l'Autore non si è accorto di avere disegnato per il pleon un segmento in più, cioè sei seg- menti , cosa impossibile. Se 1' Autore ha visto così male per parti così visibili, figuriamoci per i minuti particolari. 304 Alceste Arcangeli &* mità. Ambedue queste protuberanze sono disposte sulla linea dor- sale mediana del cephalon e sono accompagnate lateralmente da parecchie secondarie gibbosità assai meno rilevate, rotondeggianti, che conferiscono un aspetto verrucoso alla regione cefalica-dorsale di questo isopodo l). Lobi laterali del margine frontale assai prominenti e sull' estre- mità arrotondati. Occhi mancanti. Pereion. Le due creste o coste dorsali su ognuno dei pereioniti sono assai spiccate e abbastanza rialzate. Esse sono ellittiche allun- gate e disposte longitudinalmente ma non parallele del tutto fra loro, fuorché nel settimo segmento. Quelle dei primi pereioniti sopratutto, sono disposte un po' obliquamente e colle loro estre- mità anteriori più avvicinate alla linea mediana dorsale del corpo. Tali coste sono inoltre gradatamente meno allungate nel V, VI e VII pereioniti : in quest' ultimo esse s' accostano di più alla forma rotondeggiante e sono parallele, più avvicinate fra loro che le precedenti. Da ogni lato di dette coste dorsali, su tutti i pereioniti, si no- tano (per quanto ho potuto osservare), due leggerissime gibbosità irregolarmente arrotondate e assai poco salienti, ricoperte come tutte le altre protuberanze in genere, da formazioni chitiniche sen- sorie (gruppi di peli o di squame simulanti piccole sferette). Però queste formazioni sensorie sul tegumento , nella nostra specie , sono piuttosto rade, non fitte ed addensate come nel L. gibbosns Carl. Epimero del VII pereionite di poco più lungo che largo. Protuberanza mediana del III pleonite rotondeggiante, semplice, non molto prominente. 2) Tutto il tegumento del corpo possiede quella caratteristica scultura cellulare poligonale fine propria del genere. Le antenne grandi, vistose, raggiungenti un terzo della lun- ghezza di tutto il corpo. Il flagello è composto di tre articoli, il terzo o ultimo è terminato da un fascio di setole o peli quasi tanto lunghi quanto il secondo e il terzo articolo del flagello riu- niti insieme. Antennule portanti sull' estremità distale 3 bastoncini sensitivi. Mandibola destra con apofisi dentaria apicale bi- dentata, sulla cui base si nota un' appendice piccola, espansa, crenata alla estre- ') Veramente dalla figura risulterebbe che le altre gibbosità sono tre per parte, una anteriore e due posteriori. -) E delle altre protuberanze raffigurate sul pleon perchè non parla 1' Autore ? Revisione del gruppo degli Haplophthalmi 305 mità libera, (che costituisce forse 1' apofisi mediana), e vicino uno stelo ciliato allungato. Mandibola sinistra con due apofisi, una sulla regione distale tridentata e un' altra mediana pure tridentata, con due steli cibati alla sua base. Le altre appendici boccali e i piedi mascellari non sono molto dissimili da quelli del Leiicocyphoniscus cristallinus Cari. Pereiopodi corti e robusti con propodite munito di due setole spiniformi ad eccezione del VII che ha sul propodite 4 (o 3) setole spiniformi nel <$ e 3 nella p. Il VII pereiopodo nel cT presenta il carpopodite un po' più allargato e tozzo che nella P ed è caratterizzato da una riga tra- sversale quasi dall'aspetto di un listello chitinico saliente, armato di diverse brevi spine. Un apparecchio risonante simile a quello descritlo da Verhoeff per gli Androniscus l) si trova sul basipodite del VII pereiopodo , nei due sessi. Pleopodi maschili. Sono presso a poco simili con quelli del Leuc. cristallinus. Primo paio con endopodite formato di due ar- ticoli , il primo breve e largo , il secondo lunghissimo e sottile a forma di stile. Esopodite allungato, più lungo del doppio dell'ar- ticolo basale dell' endopodite e terminato a punta rotondeggiante. Secondo paio : endopodite formato di due articoli di lunghezza circa uguale fra loro ; il secondo articolo munito di una doccia , obliquamente tagliato sull' estremità distale , provvisto ivi ( ester- namente della punta) di un piccolissimo dente. Esopodite allungato, irregolarmente triangolare, terminato con punta ottusa , superiore in lunghezza all' articolo basale dell' en- dopodite. Uropodi con rami corti e sottili : 1' endopodite di poco più corto e più minuto dell' esopodite : quest' ultimo terminante con un fascio di lunghe setole, quello invece provveduto sull'estremità di una grossa e lunga setola e di due o tre setoline brevi. Telson con margine posteriore debolmente sinuoso. Colore del corpo bianco sporco, con larga fascia mediana lon- gitudinale diritta , di colore grigio oscuro , che segna il percorso dell' intestino voluminosissimo e visibile per trasparenza. Luogo di rinvenimento : Grotta dell' Orso sopra Laglio (Como). Diversi esemplari p e cT raccolti il 29 Settembre 1913 dal Dott. F. Solari „. !) Ma Verhoeff ha supposto , non dimostrato , che si tratta di or- gani sonori. 29 306 Aleeste Arcangeli III. - Il genere Buddelundiella SlLV, Questo genere caratteristico tu stabilito da Silvestri nel 1897 (46, p. 540) ed i caratteri Egli ne dette insieme a quelli della specie che così descrisse: Buddelundiella armata gen. et sp. un. (Tav. 8, fig. 10) Corpus in globum contractile. Mandibula dextera parte distali dentibus duobus et processu brevi, lato, apice tridentato, nec non processu attenuato, parum arcuato, supra dentellato aucta. Mandibula sinistra parte distali 4-5- dentata, et processu atte- nuato, parum arcuato supra dentellato et penicillis tribus aucta. Maxillae primi paris expodite apice 9- dentato, endopodite apice penicillis tribus instructo. Maxillae secundi paris integrae, interne serie aculeorum auctae, externe et lateraliter setigerae. Pedes maxillares epipodite basipodite fere duplo breviore, en- dopodite integro. Caput fronte tuberculis quatuor aucta, prosepistoma scuto ele- vato , supra rotundato utrinque depressione singula magna , linea mediana cariniformi. Antennulae sat parvae, 3-articulatae, articulo ultimo attenuato. Antennae propodite articulo longiore, flagello triarticulato, ar- ticulo ultimo valde attenuato. Oculi ocellis e. 20. Pereìon lateribus deorsum et extrorsum aliquantum vergentibus; lateribus somiti primi coeteris maioribus, antrorsum etiam parum vergentibus, rotundatis. Dorsum somitorum omnium carinis lon- gitudinalibus 3 + 3, magnis, crassis, quarum externae maiores et extrorsum aliquantum vergentes. Pleon somitis duobus primis tuberculis nullis, somitis 3-5 tu- berculis duobus sat magnis instructis. Pleotelson latum, postice rotundatum, supra medium tuberculis duobus instructum. Uropodes articulo basali periato, expodite et endopodite fasciculo setarum terminatis, subconicis, expodite endo- podite vix breviore. Long. corp. mm. 13; lat. corp. mm. 3. Revisione del gruppo degli Haplophthalmi 307 Hab. In caverna dieta delle Grae apud 0 r m e a. Legit Prof. J. Gentile, mense Aug. 1882. „ Molto tempo dopo il reperto di Silvestri e cioè nel 1921 Brian (2) riferisce di avere di nuovo raccolto esemplari della specie nella stessa Grotta delle Grae ( Alta Val Tanaro , Pie- monte ) nel Luglio 1914. Alla descrizione del Silvestri ag- giunge che l'ultimo articolo delle antennule è provvisto in am- Jti Fig. lì. Buddelundiella armata Silv. — a. Cephalon visto dal davanti (mancano le antenne esterne). — b. Pleotelson visto dal lato dorsale. — e. Antenna esterna sinistra, vista dal disopra. — d. 3° pereionite visto dal davanti (da Silvestri). bedue i sessi all' estremità di due bastoncini sensitivi , ed il- lustra i pleopodi del 1° e del 2° paio del maschio con le se- guenti parole , accompagnate da due figure , che io non ri- porto perchè troppo schematiche e suscettibili di troppe mo- dificazioni. " Pleopodi maschili del primo paio. Endopodite formato di 2 articoli allungati, l'articolo distale un po' più lungo del prossi- 308 Alceste Arcangeli male e alquanto più sottile, a punta conica x) , con 7 linee tra- sversali ben marcate all'estremità 2) , con striature minutissime e pelosità fitte e diagonalmente disposte lungo quasi tutti i margini esterni. Esopodite un po' più breve dell'articolo prossimale dell'en- dopodite, di forma ovale allungata, circa due volte più lungo che largo e rotondeggiante sulla punta. Questo paio di pleopodi lascia scorgere in mezzo ai due en- dopoditi un'altra appendice, impari, libera e mediana, detta apo- fisi genitale o pene, assai allungata, sottile e leggermente conica, più breve dell'endopodite ma superante tuttavia di metà lunghezza 1' articolo prossimale di quest' ultimo. Pleopodi maschili del secondo paio. Endopodite formato di due articoli, il prossimale assai più breve del distale che si pre- senta due volte e mezzo circa più lungo. Quest' ultimo articolo è foggiato a guisa di sottile lancia o stiletto con contorno alquanto sinuoso. L'esopodite ovale o trapezoidale è quasi due volte più largo che lungo, uguale in lunghezza o poco più breve del primo arti- colo dell' endopodite. Il primo e il secondo paio di pleopodi nella femmina sono assai diversi e conformati assai più semplicemente che nel ma- schio. Il loro endopodite è molto meno sviluppato. La loro strut- tura non presenta particolarità degne di nota e non è molto dis- simile da quelta studiata per i gen. Haplophthalmus e Leucocypho- niscus. „ L'Autore nei riguardi della posizione sistematica di que- sto Isopodo conferma 1' affinità che Racovitza (41) riconobbe per esso con i generi Leucocyphoniscus e Haplophthalmus, ma anzi basandosi sulla forma dei pleopodi maschili di Bud- delundiella gli sembra di potere constatare in questo carat- teri intermedi fra 1' uno e V altro di questi generi e quindi modifica la classificazione di Racovitza mettendolo fra i due suddetti. Ora io mi permetto di osservare in primo luogo che i caratteri desunti dalla conformazione dei pleopodi maschili debbono essere bene studiati , perchè spesso i suddetti pleo- podi sono soggetti a variazioni inerenti al periodo riprodut- tivo, cosicché io ritengo che non siano quelli più appariscenti per potere servire senz'altro nella diagnosi generica e speci- fica. In secondo luogo io non riesco a vedere nei pleopodi di v) Nella figura non risulta conica. 2) Sembra al disopra, cioè dorsalmente. Revisione del gruppo degli Haptophthalmi 309 Buddelundiella i caratteri intermedi fra Haplophthalmus e Leu- cocyphonisciis e sfido io a trovarli. Se noi invece ci rivolgiamo ad altri caratteri forniti da Silvestri e nella descrizione e nelle figure, come per es. gli occhi con 20 ocelli, la conformazione del cephalon, delle antenne esterne, delle carene sui tergiti del pereion, dei due grossi tubercoli dei tergiti dei pleoniti 3-5, della forma del pleotelson e dei suoi due tubercoli dorsali, della forma degli uropodi, dobbiamo riconoscere che si tratta di un genere che non presenta affatto caratteri intermedi a quelli dei due suddetti, di un genere molto caratteristico. E che Brian non si trovi in condizioni di potere assurgere a considerazioni sistematiche lo prova anche il fatto di avere incluso nella sezione degli Haplophthalmi il genere Mesoniscus Carl e di averlo così distanziato dal genere Trichoniscus Brandt, dimostrando di non conoscere né l'uno né l'altro, perchè il primo non ha niente a che fare con gli Haplophthalmi e deve rien- trare nella sezione Trichonisci; il che è dimostrato anche dal fatto che fu fondato da Carl sopra una specie ritenuta per nuova, la quale invece è risultato poi essere il Titanethes al- picola Heller (vedi Dahl, 2 p. 43-44). È un peccato che Brian non ci abbia fornito alcun rag- guaglio ecologico su questo interessantissimo isopodo. IV. - Il genere Cyphoniscellus Verh. Verhoeff nel 1900 (2 p. 122) fondò il genere Cgphoni- scus sopra un esemplare p raccolto (aprile 1897) sotto un masso in una caverna dirupata *) dello Schuma (Suderzego- vina) , con la specie Cyph. herzegowinensis. Successivamente nel 1901 (3 p. 37) cambiò il nome generico (già adope- rato) in Cyphoniscellus ed aggiunse altri particolari per la de- scrizione della specie, della quale ritrovò un altro esemplare dello stesso sesso nella stessa caverna, su di una parete oscura e umida, all'altezza di un uomo, in una volta parzialmente illuminata da un barlume di luce. Fa meraviglia che fra i ca- ratteri dati per il genere l'Autore non abbia messo in evidenza il carattere , si può dire , più appariscente , accennandolo in !) La località indicata in questa nota ( " Wolfshòhle bei Trebinje „ ) è errata e fu corretta in seguito dall'Autore. 310 Alceste Arcangeli modo errato, mentre poi, corretto , lo descrive fra i caratteri della specie, senza assegnargli la dovuta importanza, nella se- conda nota, cioè la forma degli epimeri del terzo pleonite. Io presento qui una diagnosi del genere corretta in base ai dati stessi forniti da "Verhoeff. — Corpo presso a poco avvolgibile a palla. Antenne esterne con flagello triangolato. Antenne interne di tre articoli. Man- dibole *) con una setola curva fra denti terminali e piastra masticatoria. Endopodite delle mascelle del 1.° paio con due denti all'estremità. Mascelle del 2.° paio riccamente pelose alle estremità. Piedi mascellari con exopodite di 4 articoli: di questi il primo è nettamente individualizzato, solo debolmente i due piccoli terminali : endopodite con piccolo articolo terminale triangolare. Ogni segmento del pereion porta due grossi rilievi a guisa di verruca ai lati del piano mediano e un rilievo ancora più grosso nel mezzo del tergite del 3.° pleonite. Epimeri di que- sto 3.° pleonite, molto più piccoli degli altri, in forma di stretti e corti lembi, quasi rudimentali. Superficie del corpo quasi dap- pertutto provvista di fitti e corti steli, senza struttura a maglie.— La mancanza degli ocelli non può essere considerata come un carattere di genere : potrà darsi benissimo che altre specie rinvenute in avvenire presentino gli ocelli, ad ogni modo io credo che questi non possano esistere altro che uno per parte. Il carattere che per ora io ritengo come più importante è quello degli epimeri del 3.° pleonite. Cyphoniscellus herzegowinensis Vep.h. 2) Corpo grigio , nel mezzo bruniccio. Antenne interne con terzo articolo provvisto alla estremità di steli più lunghi. Fronte nel mezzo rigonfiata e provvista di fitti steli. Tergite del cephalon con due grossi tubercoli arrotondati e ravvicinati. Mancano gli ocelli. Margine del labrum cibato. Mandibola destra con tre dentini terminali ottusi, presso la setola con corto bottoncino; piastra ma- sticatoria triangolare, sporgente a punta. 1) Il carattere dell'asimmetria delle mandibole assegnalo da Verhoeff alla sottofamiglia Cyphoniscidae, è un carattere comune a tutti gì' Isopodi terrestri. 2) Descrizione ricostruita sui dati di Verhoeff. Revisione del gruppo degli Haplophthalmi 311 Mandibola sinistra con due ottusi dentini all'apice, con dente anteriore quasi acuto e senza bottoncino : piastra masticatoria smussata e un poco incavata. Lobi del labbro inferiore forte- mente cibati e regolarmente arrotondati. I pereioniti 1-6 posseggono, oltre ai due grossi tubercoli a zaffo, ancora un piccolo tubercolo per ogni lato nella parte supe- riore del pendio laterale, tubercolo che diminuisce in grandezza verso 1' indietro. Angoli posteriori degli epimeri dei pereioniti 6 e 7 quasi ad angolo retto. Margine posteriore del 7° pereionite con incavatura molto profonda ,- la quale apparisce come un trapezio ad angoli anteriori ottusi. Mentre gli epimeri del 4° e 5° pleonite sono molto grandi e continuano armonicamente nel contorno quelli del pereion , per Fig. 12 — Cgphoniscellus herzegowinensis Veeh. — a. Piede mascellare, ex. expodite ; en, endopodite. — b. Sezione trasversale del 3° pleonite — h, gibbosità del tergite; pi. epimere. — e. Epimere sinistro dell'ultimo pleonite e uropode sinistro. Visti dalla superficie ventrale. quanto separati dagli stessi da un piccolo intervallo, gli epimeri del 3° pleonite sono molto più piccoli , in forma di gheroni corti e stretti, quasi rudimentali. Angoli posteriori degli epimeri del 5° pleonite a punta. Pleotelson con margine posteriore incavato. Pe- reiopodi con setole alla superficie inferiore, le quali ^per lo più all' estremità sono divise in fini peli. 312 Alceste Arcangeli Prima dell'artiglio terminale il 7° paio di pereiopodi possiede una codetta filamentosa a due rami. Exopodite dei pleopodi del 2° paio con una profonda intaccatura all'esterno, quasi a semicircolo. Protopodite degli uropodi grande e provvisto di corti e fitti steli : 1' endopodite si estende fino solo alla metà della lunghezza del più largo exopodite. P lunga mm. 4 XU-A 3/4, larga mm. 2 V Verhoeff aggiunge che 1' animale (come i Trogulidi ed alcuni coleotteri ) è difficile a ritrovarsi nel suo ambiente perchè sembra che la superficie del corpo dell' animaletto elimini un secreto sottile ed attaccaticcio al quale aderiscono piccolissime particelle della polvere della caverna, dimodoché il dorso diventa oscuro, opaco e color della terra. Ed io osservo che questo fatto non è particolare di questa specie, ma si ve- rifica in molti Triconiscini (p. es. Haplophthalmus) e altri Iso- podi terrestri. V. - Il genere Notoniscus Chilt. Col nome di Haplophthalmus Helmsii Chilton nel 1901 (1 p. 119, pi. 12, fig. 3) descrisse una nuova specie raccolta ( da R. Helms ) in un esemplare a Greymouth nella Nuova Zelanda. Pur assegnando questa specie al genere Haplopthal- mus Egli fece notare che differiva dal genere quale fu descritto da Sars per avere i tre primi pleoniti (non i due primi) pic- coli e senza espansioni laterali, cioè epimeri. In seguito nel 1909 ( 2 p. 662 ) descrisse un' altra nuova specie , Haplophthalmus australis, raccolta (da lui , Chamrers e Du Barres) su legno marcescente e su radici di piante nell'isola di Campbell (al sud della N. Zelanda) , la quale presentava pure lo stesso carat- tere suddetto : dichiarò allora che probabilmente doveva essere stabilito un nuovo genere per le due specie sunnominate, ma difettando il materiale , attese di averne altro. E così avendo infine ricevuto in esame parecchi esemplari di Hapl. Helmsii raccolti (da T. Hall.) sul Monte Algidus (Rakaia Gorge, Car- terbury, New Zealand) potè non solo correggere ed ampliare la descrizione già data per questa specie, ma decidersi a sta- bilire per le due specie il nuovo genere Notoniscus (4 p. 418), che così caratterizzò : Revisione del gruppo degli Haplophthalmi 313 " Corpo oblungo, con parte centrale moderatamente convessa, con superficie dorsale sculturata e portante gibbosità o tubercoli. Testa con fronte sporgente a triangolo, lobi laterali volti all'ingiù, piuttosto piccoli . con estremità subacuta. Epimeri del pereion l) espansi a lamine e sporgenti quasi orizzontalmente, discontinui. Pleon che non si restringe improvvisamente rispetto al pereion, con lamine epimerali dei tre primi segmenti molto piccole o as- senti, quelle del 4° e 5° pleonite bene sviluppate, lamellari ; telson con margine posteriore troncato. Occhi piccoli con più di un ele- mento visivo ; antennule, antenne e parti boccali come in Trìcho- niscus. Pereiopodi piuttosto corti, non crescenti molto in lunghezza dai primi agli ultimi : setola del dattilopodite come in Trichoni- scus. Uropodi con exopodite ed endopodite piuttosto largamente se- parati, subeguali „. LA. nel primo esemplare di Noi. Helmsii trovò il flagello delle antenne esterne formato di tre articoli, in quelli del Monte Algidus trovò che comunemente era di quattro ed io credo che dobbiamo attenerci a questo ultimo reperto. In Not. australis Egli trovò il flagello delle stesse antenne costituito di 4 o 5 articoli subeguali. Questo fatto unito ad altre diffe- renze che compariscono nelle figure di Chilton forse potrebbe giustificare una suddivisione in due sottogeneri. Ad ogni modo io credo che nella diagnosi del genere si potrebbe aggiungere : Antenne esterne con flagello a non meno di 4 articoli. Per brevità io non riporto la descrizione delle due specie, ma solo le due figure di Chilton rappresentanti le due specie viste in toto dal lato dorsale e credo che ciò sia sufficiente per dare una idea chiara delle stesse. Con l'aiuto di tali figure e riferendoci alla descrizione del genere noi possiamo convincersi che si tratta di un genere del gruppo degli Haplophthalmi, nel quale trova un affine in Cy- phoniscellus Verh., con il quale condivide la particolarità della atrofia degli epimeri del 3° pleonite, ma dal quale si differen- zia a colpo d'occhio per il numero degli ocelli che sono tre (mentre in Cyph. mancano), per avere il flagello delle antenne esterne con 4 o 5 articoli (mentre in Cyph. sono tre), per la mancanza del rilievo sul tergite del 3.° pleonite. !) L'Autore li chiama " Side plates of body „. 314 Alceste Arcangeli VI. - Il genere Chiltonia Arc. Insieme con i due Notonìscus sunnominati, Chiltcn ( 4, p. 424, Tav. 37, fig. 23) descrisse una 'nuova specie che deno- minò Haplophlhalmiis tasmanicns. Secondo l'Autore questa specie somiglia, pur differendo, ad Hapl. Mengìi. Egli pur collocandola nel genere Haploph- thalmus, riconosce che ha tre ocelli invece di uno e che i seg- menti del pereion non sono lateralmente discontinui. Questi caratteri e. specialmente quello del numero degli ocelli, unita- mente al numero degli articoli del flagello delle antenne esterne e della forma più convessa e più raccolta di tutto il corpo, quale apparisce dalla figura che io riporto *) sono più che sufficienti per staccare questa specie e costituirne il tipo di un nuovo genere che invero non ha, almeno per quanto è noto, corrispondente nella fauna paleartica. Questo genere io dedico all'insigne carcinologo prof. Dr. Ch. Chilton e denomino Chil- tonia, del quale l'unico rappresentante è per ora Chili, tasmanica. Chiltonia tasmanica Chilt. (Tav. 7, fig. 6) Cosi descritto dall' autore : Corpo oblungo ovale, piuttosto convesso ; epimeri dei peren- niti non molto prolungati e rivolti più o meno all' ingiù , quasi contigui ; superficie dorsale di ogni pereionite con circa sei tuber- coli o gibbosità disposte in modo da formare dei rilievi longitudi- nali lungo il pereion, dei quali il paio di mezzo situati presso la linea mediana e gli altri più lateralmente : le gibbosità più laterali meno distinte delle altre. Superficie del pleon quasi liscia; i primi due pleoniti corti e senza espansioni laterali *) ; il 3°, 4° e 5° pleo- nite con espansioni moderatamente larghe. La testa con superficie irregolarmente tubercolata e scabrosa, con la fronte sporgente in un tubercolo bilobato. Lobi laterali pic- coli e che non sporgono molto dalla testa. Occhi con tre ocelli. Antenne corte; flagello lungo quanto l'ultimo articolo dello scapo, !) Da questa figura risulta che la forma complessiva del corpo diffe- risce alquanto da quella del genere Haplophthalmus e ricorda la forma che fra i Porcellioninae presenta il genere Cylisticus. 2) Ossia epimeri. Revisione del gruppo degli Haplophthalmt 315 con 3 o 4 articoli non distinti l). Pereiopodi tutti corti, non visi- bili dal dorso. Uropodi corti, con i due rami subeguali. Lunghezza 5 mm. Larghezza 2 mm. Colore bruno scuro. Luogo di rinvenimento: Sotto ceppi fracidi a Fern Tree Gully, Hobart, Tasmania. 1 solo esemplare raccolto dal Dr. Dendy. È un peccato che Chilton non abbia potuto fornirci rag- guagli ecologici circa Notoniscus e Chiltonia. Io credo che molto resti da fare sopra questo gruppo di animali che, con quello dei Trichoriisci, costituisce in grandissima parte la microfauna degli Isopodi terrestri. Occorrono ricerche più accurate , più coordinate , nelle quali devono essere tenuti sempre presenti i ragguagli ecolo- gici finora troppo trascurati. Il quadro quindi che io ho pre- sentato subirà profonde modificazioni e ampliamenti, ma credo che per ora possa essere di una certa utilità a coloro che vo- gliono dedicarsi a questo genere di studi , risparmiandosi la fatica di ricerche bibliografiche. Dallo stesso emerge un fatto assai importante per la distribuzione geografica degli Isopodi terrestri. I rappresentanti del gruppo degli Haplophthalmi si trovano limitati per una grandissima parte alla regione palear- tica, per una piccola parte alla regione australiana, così lon- tana dalla prima. Se si potesse affermare che la regione au- straliana e le terre intermedie sono state esplorate sufficiente- mente, per ciò che riguarda la microfauna isopodologica o per lo meno quanto la regione paleartica, si potrebbero trarre delle conclusioni assai verosimili. Ad ogni modo resta come reperto interessante il fatto che gli Haplophthalmi nella regione australiana sono finora rap- presentati non solo da specie , ma anche da generi differenti !) Per la pratica acquistata nello studio delle forme piccole posso dire che quando il flagello apparisce a prima vista ora di un numero ora di un altro di articoli, per lo più si arriva con la prolungata osservazione a decidersi per il numero maggiore: e ciò per la difficoltà di vedere gli articoli che non sono bene distinti. 316 Alceste Arcangeli da quelli paleartici e che la regione paleartica presenta come caratteristici i generi Haplophthalmus, Leucocyphoniscas, Bud- delundiella , Cyphoniscellus , centro di formazione dei quali molto verisimilmente deve essere stata la sottoregione medi- terranea. Gennaio, 1923. Revisione del gruppo degli Haplophthalmi 317 Bibliografia 1922 Arcangeli, A. — Isopodi terrestri del Museo Zoologico della R. Università di Napoli: Ann. Mus. Z. Univ. Napoli (N. 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Descrizione dei pleopodi maschili I e II del Trichonìscus feneriensis Par. e rapporti di pa- rentela di questa specie. — 3. Descrizione di una n. sp. di Trichonìscus (7>. Alzonae), raccolta dal Dott. C. A 1- z o n a in Sardegna: Genova, Stab. Tip. Papini. (7) 1870 Budde-Lund, G. — 1. Danmarks Isopode Landkrebsdyr : Nat. Tijd. (3) Raekke, 7 Bd. p. 217. (8) 1879 — 2. Prospectus generum specierum- que Crustaceorum Isopodum Terrestrium : Kopenhagen, 10 pp. (9) 1885 3. Crustacea Isopoda terrestria per fami- lias et genera et species descripta: Havniae, 319 pp. (10) 1906 — 4. DieLandisopoden der deutschen Sùd- polar Expedition 1901-1903. Mit Diagnosen verwandter Arten : Wiss. Ergebn. D. Sùdpoi Exped. 9. Bd. Z 1 Bd. p. 69, 2 Taf. (11) 318 Alceste Arcangeli ->v 1906 Cari, Joh.-l. Beitrag zur Hòhlenfauna der insubrischen Region . Revue Suisse Z. Tome U, p. 601, Pie. 20. (12) 1908 C a r 1, J o h. — 2. Monographie der Schweizerischen Isopoden : N. Denkschr. Schweiz. Naturf. GesA2 Bd. 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(59) Revisione del gruppo degli Haplophthalmi 321 Spiegazione delle Tavole 7-8. Tavola 7 Fig, 1. — Haplophthalmus Mengii Zadd. — -," visto dal lato dorsale. Ingr. 30 enea — p „ 2. — Haplophthalmus danicus B. L -? visto dal lato dorsale. Ingr. 30 circa — j— 3. — Haplophthalmus Monticellii Arc. ? visto dal lato dorsale. Ingr. 24 circa — j— „ 4. — Notoniscus Helmsii Chilt. — Visto dal lato dorsale. Ingr. circa — p (riprodotto da Chi 1 toni. „ 5. — Notoniscus australis Chilt -Visto dal lato dorsale. Ingr. circa 12 - - (np. da C h i 1 1 o n; „ 6. — Chiltonìa tasmanica Chilt. — Visto dal lato dorsale. Ingr. circa — — (rip. da C h i 1 1 o n) Tavola 8. „ 7. — Leucocyphoniscus verruciger Verh. — Visto dal lato dorsale (rip. da Cari). „ 8. — Leucocyphoniscus gibbosus Carl. — Quarto pereionite in sezione trasversale con il 4° paio di pereiopodi. Ingrandito (rip. da Carl). Ep, epimere; Sh, tubercoli di senso; Co, coxopodite ; Ba, basipodite; Is, ischiopodite; Me, meropodite; Ca, carpopodite; Pr, propodite ; Da, dattilopodite. 9. — Leucocyphoniscus Dollfusi Carl.— Ultimo pereionite, pleon e pleo- telson visti dal lato dorsale. Ingranditi (rip. da Carl). „ 10. — Buddelundiella armata Silv. — L'intero animale avvoltolato, vi- sto dal lato destro. Ingrandito (rip. da Silvestri). ., 11. — Leucocyphoniscus Dollfusi Carl. — L'animale intero visto dal lato destro. Ingrandito (rip. da Carl). Ricevuto il 12 gennaio 1923 — Finito eli stampare il 4 agosto 1923 'hrhn/o Zoo/og/co, Vo//tì fin:/ a^k 3. Q V •«!>•. ^ \ .\ V /. e- * I ir A* :J. . ' ti, . •■■..••;*•• ••'«•• 1 l r-: «- «< le • '•/ ti r \ (Uicp* SHA UT CUCCHI, PWrES KM, PìLRONi LC.f-AVJA Archiivo Zoo/og/co, Vo/JO. M • v . • ' O " • • . • » - /* «... % .• IO. • • • V ì "ir- ty fi 14. Tal:?. Il v- J i ; ^ - ì VA' IMI'' x; * \ IT , \»> /J! •V r r /'Ai »• ì\ IN.» .4' cv <^ CI - «J ^ yjf siib. ut. cucchi, Piacenim, picdoh: icpavia Archivio Zoologico, Voi. 10. Tav. 3. / z ">s: " v\ ^ kri> i» ' '***£{ « M* $ yi .. i/<- 4": . . . > - ■ I 3 .• ■ * «. / ?/.ìV:f ■•>■■•■■.■: ■■■.■ Affi » SS 4T •- -1 . ■ . p - ■ - - V- ' » -X - „ O. Monti dis. Eliotipia Calzone Arckww Zoologico Vol.JO. Tao. IV. Lo Giudice. - Sulle espansioni nervose negli organi ciatiformi dei barbigli del barbo. Archivio Zootycco VoL/O. Tao. V. 5 6 8 10 Archivio Zoologico. Voi. 10 Tav. 6 Fig. i INO GRAF CASOLARI. FERRAIO !:.. MILANO Archivio Zoologico Voi. 10 Tav. 7 GIFICHJA LKCMOTlPÙ'ÌRAflCA ALDINA - NAPOLI Archivio Zoologico Voi. 10 Tav. 8 FiS:B Fio: ? *ba ARCHIVIO ZOOLOGICO ITALIANO PUBBLICATO SOTTI) f il. I Al'SIMClI I ELLV UNIONE ZOOLOGICA ITTI (.lltA. DEL COMITATO DI REDAZIONE REDATTORE D.r Fr. Sav. Monticelli ' Prof. ord. di Zoologia nella R. Università di Napoli 1 VOLUME X. CON 8 TAVOLE E 70 FIGURE NEL TESTO Commissionari e rappresentanti: LIBRERIA INTERIM AZIONALE FRATELLI TREVES dell'Anonima Libraria Italiana Via. Roma, 258 NAPOLI NAPOLI H nPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI & FIGLI Cisterna dell'Olio 1923 INDICE Art. i. - Vivanti A. — Sul comportamento dei condriosomi nel rene del Triton cristatus durante le varie fasi di attività secretoria - Tav. 1-2 pag. 1 „ 2. - Genna M. — Ricerche sulla nutrizione dell' Ano- pheles claviger. - Tav. 3 e cinque figure nel testo „ 15 „ 3. - Lo Giudice P. — Sulle espansioni nervose negli organi ciatiformi dei barbigli del Barbo (Barbus plebejus Valenc). - Tav. 4-5 ..... „ 35 „ 4. - Baldi E. — Ricerche sulla Fisiologia del sistema nervoso negli Insetti. - III. Osservazioni ed espe- rienze sui moti di maneggio dei coleotteri. - Con venti figure nel testo „ 53 5. - Cotronei G. — Nuove ricerche sullo sviluppo e sulla metamorfosi degli Anfibi anuri in riferimento a esperienze d'innesti. - Tav. 6 e due figure nel testo „ 85 6. - Nardi-Rinaldi A. — Osservazioni sui Tilurus - Con diciannove figure nel testo „ 127 „ 7. - Vram G. U. — Sul genere Theropythecas - Con tre figure nel testo . . . „ 169 „ 8. - Pierantoni U. — Simbiosi, Biofotogenesi e Bio- ' cromogenesi. - Stato delle conoscenze e nuove ri- cerche sui Pirosomi „ 215 ». - Zirpolo G. — Sul ringiovanimento dei rami colo- niali del Zoobotryon pelliicidum Ehrb. - Con cinque * figure nel testo . . . . . . ... „ 223 „ 10. - Corti A. — Alcune osservazioni sullo sviluppo del tratto ileocolico in embrioni di mammifero sden- tato Dasypus nòvemcinctus L. - Con quattro figure nel testo „ 239 „ 11. - Arcangeli A. — Revisione del gruppo degli Haplo- phthalmi, Isopodi terrestri - Tav. 7-8 e dodici li- gure nel testo „ 259 Gli Autori avranno gratis n.° 50 estratti dei lavori pubblicati nell'Archivio: potranno richiederne un numero maggiore a proprie spese. COMITATO dTrEDAZIONE ~~ Prof. C. Cattaneo, Prof. C. Emery, Prof. Fr. Sav. Monticelli, Prof. D. Kosa Per la pubblicazione dei lavori dirigersi alla REDAZIONE ar~o H I V i o — _= ZOOLOGICO ITALIANO pubblicato sotto gli auspicii della UNIONE ZOOLOGICA Si pubblica a Volumi con numerose tavole e molte illu- strazioni nel testo, senza periodo determinato di tempo, ma pos- sibilmente in modo che ciascun Volume corrisponda ad un anno. Il prezzo del Volume in abbonamento (a partire dal X) è di lire Sessanta. Redazione ed Amministrazione : ISTITUTO ZOOLOGICO- R. Università di Napoli Rampe del Salvatore, n. 4 (73) Commissionari e rappresentanti: LIBRERIA INTERNAZIONALE FRATELLI TREVES dell'Anonima Libraria Italiana Via. Roma, 258 NAPOLI UNIONE ZOOLOGICA ITALIANA A datare dall'anno 1905 l'Unione Zoologica Italiana pubblica (nel Monitore Zoologico italiano) il : REPERTORIO di Specie nuove di animali trovate in Italia Gli estratti sono in vendita presso la Segreteria dell' U. Z. I. e presso il Concilium Bibliographicum, (Zurigo) Sono pubblicati ì seguenti Repertori : per il 1905 — Parte l.a (Specie nuove di animali italiani de- scritti in Italia) redatta dal Prof. E. Ficalbi [Pisa] — Parte 2.a (Spe- cie nuove di animali italiani descritti all'estero) redatta dal Prof. Fr. Sav. Monticelli [Napoli]. Prezzo L. 6. per il 1906 redatto dai Prof.ri E. Ficalbi [Pisa] e Fr. Sav. Mon- ticelli [Napoli] Prezzo L. 5. per il 1907 redatto dai Prof.ri E. Ficalbi [Pisa] e Fr. Sav. Mon- ticelli [Napoli] per il i908 redatto dal Prof. A. Ghigi [Ferrara per il 1909 „ per il 1910 „ per il 1911 per il 1912 , per il 1913 per il 1914 Per cura dell'Unione Zoologica Italiana sono state pubblicate : (edite dal Monitore Zoologico Italiano) Regole per la nomenclatura Zoologica italiana fissate dalla U. Z. I. Prezzo L. 3 Regole internazionali della nomenclatura zoologica, adottate dai Congressi Internazionali di Zoologia. -Edizione ufficiale italiana redatta a cura del Prof. Fr. Sav. Monticelli. Prezzo L. 5. In vendita presso la Segreteria della U. Z. I. Prezzo L. 5. [Ferrara . Prezzo L. 5. Ferrara TI » 0. Ferrara » » 5. Ferrara il » 5. Ferrara « 71 5. Ferrara] Bologna 5. • » n 5. ZFA/crisr-A. idzegkili ^.STi^onsri Ricerche dell'Istituto Zoologico della R. Università di Napoli Fascicolo I. — N. 1-7 N. 1 — Monticelli Fr. Sav. Il cratere di « Astroni » nella Campania, 15 inci- sioni. — Al. 2 - Marcolongo I. Gastrotrichi del lago - stagno craterico di Astroni, Tav. 1-3 — Al. 3 - Pierantonì U. Oligocheti del laghetto craterico di Astroni. I- Naididae, Tav. 4. — N. 4 - Caroli E. - Coliembola. I - Su di un nuovo genere di Neeli- dae, Tav. 5. — IM. 5 -Iroso 1. Rotiferi del lago-stagno craterico di Astroni, Tav. 6. — Al. 6 - Salvi L. I Ciliati aspirotriohi del lago - stagno craterico di Astroni, Tav. 7. — Al. 7 - Della Valle P. Tardigrada, Tav. 8-11. Fascicolo II. (Numeri pubblicati) IM. 8. — De Ci II is M. I Nematodidel lago-stagno craterico di Astroni, Tav. 12- — Al. 9. Torelli B. La Notiphila chamaeleon Beckeb e la sua larva rinvenute nel la- ghetto craterico degli Astroni, Tav. 11. — Al. IO. — Arcangeli A. Primo contributo alla fauna degli Isopodi degli Astroni. Pubblicazione supplementare dell' « Annuario del Museo Zoologico della R. Università di Napoli (Nuova serie) ». Prezzo del 1.° Fascicolo L. 40 L' ARCHIVIO ZOOLOGICO . URLinno é in vendita : presso : la .Libreria internazionale. FRATELLI TREVES dell' Anonima Libreria italiana Napoli, Via Roma, N.° 258 RENDICONTI DEI CONVEGNI DELL'UNIONE ZOOLOGICA ITALIANA PAVIA — 23-25 Aprile 1900 (Fondazione dell'Unione Zoologica) Monit. Zoo!. Ital. — Anno X, 1900. N. 4 [esaurito]. BOLOGNA — 24-27 Settembre 190.0. -— l.a Assemblea ordinaria. Monit. Zool. Ital. — Anno XI, 190fy N. 12, Suppl.t0 NAPOLI— 10-13 Aprile 1901. — 2.a Assemblea ordinaria. Monit. Zoo!. Ital. — Anno XII, 1901, N. 7-8. ROMA— 31 Ottobre-3 Novembre 1902 — 3.a Assemblea ordinaria. Monit. Zool. Ital. — Anno XIII, 1902, N. 12; Suppl.'" RIMINI — 14-16 Settembre 1903 — 4.» Assemblea ordinaria. Monit. Zool. Ital. Anno XIV, 1903, N. 12, Suppl.'0 P0RT0FERRAI0 — 15-19 Aprile 1905 — 5.* Assemblea ordinaria. Monit. Zool. Ital. Anno XVI, 1905. N. 7-8 [esaurito]. BORMIO — 31 Agosto-4 Settembre 1908 — 8.a Assemblea ordinaria. Moait. Zooi. Ital. Anno XX, 1909, N. 2-3 [esaurito]. NAPOLI — 12 Settembre 1910 — 9.a Assemblea ordinaria. Monit. Zool. Ital. Anno XXI, 1910, N. 11-12. PISA— 9-12 Aprile 1912— 10.a Assemblea ordinaria. Monit. Zool. ItaL Anno XXIII, 1912, N. S-10. PALERMO — 14-17 Aprile 1914— 11.» Assemblea ordinaria. Monit. Zool. Ital, Anno XXVI, N. 5-6 TRIESTE — 8-12 Settembre 1921 — 12. a Assemblea ordinaria. Napol, Tip. Aldina 1922. TRENTO — 11-16 Settembre 1922— In preparazione, In vendita a L. IO ciascuno presso le segreteria dell'Unione. NB. I Rendiconti di Milano (1906) e Parma (1907) 6.a e 7.a Assemblea ordinaria (V. Monit. Zool. Ital.) non sono in vendita. Dal Voi1 X. ài prezzo di abbonamento all' Archivio Zoologico Italiano è di L. 60 al Volume AVVISO IMPORTANTE Date le attuali condizioni del mercato librario e tipografico tutti 1 prezzi indicati sui volumi finora pubblicati (I - X) sono aumentati del 75 o/o. Prezzo di questo Volume : Lire ^es^ojrata, MBL WHOI I.1BH \K\ wh iflpp n -