Li Na 4 A BANK I Mt 4 AIDA Sf Library Ue Dati RIO Mo ATTI DELLA BEALE ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI DI PALERMO id DEL] DELLA REALE ACCADEMIA SUIENZE: LEDERE E BEEEE ARIDI DI PALERMO la 7A TERZA SERIE ( Anno 1892 ) \T- Volume II. DO PALERMO TIPOGRAFIA FILIPPO BARRAVECCHIA E FIGLIO 1893 de p4 A 7 qui pubblicati. TAVOLA DELLE MATERIE Magistrato Accademico. Per il IV Centenario della scoverta di America — Solenne adunanza del 30 ottobre 1892. Discorsi del Segretario Generale Prof. Luigi Sampolo e del Presidente Prof. Vin- cenzo Di Giovanni, Poesie dei signori Tommaso Cannizzaro, Prof. U. Antonio Amico, Can. Benedetto Marotta e Prof. Eliodoro Lombardi. CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE SoLer Inc. E. — Su talune teorie di Rifrazione geodetica. MonTtEROSsATO (MarRcHESE) — Molluschi terrestri delle isole adiacenti alla Sicilia. DopERLEIN Pror. Pietro. — Avifauna Sicula (continua). VextuRI A. — Sulla ricerca del coefficiente di rifrazione in Sicilia. CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE MaGgGIORE-PERNI Pror. FRANCESCO. — Il movimento economico e sociale in Italia di fronte a sè stessa e a talune grandi nazioni. CLASSE DI LETTERE ED ARTI PELLEGRINI AstoRRE. — Studii d’Epigrafia Fenicia (continuazione e fine). COMMEMORAZIONI OrLAnDOo Papre GiusePPE. — Elogio del Marchese Vincenzo Mortillaro. COMUNICAZIONI Zona T. — Risultati delle osservazioni Meteorologiche eseguite nel R. Osservatorio di Palermo (Valverde) per gli anni 1891-92. PATRONO IL MUNICIPIO DI PALERMO ee___ PROMOTORE IL Sindaco di Palermo: MARCHESE PIETRO UGO DELLE FAVARE Senatore del Regno, Gran Cord. =, Uff. «. ACCADEMICO Pe Presidente DI GrovaNNI Can. Vincenzo, Professore ordinario di storia della filosofia nella R. Università di Palermo, Preside della facoltà di filosofia e lettere , Incaricato della filosofia morale, membro della Real Com- missione pei testi di lingua, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia , della R. Accademia del Belgio, della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia della Crusca, del R. Istituto Lombardo, dell'Ateneo Veneto, della R. Accademia di San Luca, dei Virtuosi del Panteon, della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, etc. Vice Presidente della Società Siciliana per la Storia Patria, Uff. ». Vice-Presidenti GEMMELLARO Gaetano Giorgio, Senatore del Regno, Professore ordinario di mineralogia e geologia nella R. Università di Palermo, Incaricato di mineralogia e geologia applicata, Socio della R. Accademia dei Lincei, Socio della Società dei XL, Presidente della Società di scienze naturali ed economiche di Palermo, membro del Comitato Geologico, Cav. <=, Uff. *, Comm. *. DI MENzZA Giuseppe, Dottore in leggi, Presidente di Sezione della Corte di Appello di Palermo, Consigliere Provinciale Sanitario, Socio cor- rispondente della Società delle Scienze naturali ed economiche, Uff. *, e Comm. «. VIII Segretario Generale SampoLo Luigi, Dottore in leggi, Professore ordinario di dritto civile nella Università di Palermo, Incaricato della Esegesi sul Corpus juris civilis, Presidente a vita del Circolo giuridico di Palermo, Socio corrispon- dente della Società di Scienze naturali ed economiche di Palermo, Consigliere della Società Siciliana per la Storia Patria, Membro della Società geografica italiana, della Societe de legislation comparée di Pa- rigi, Socio dell’ Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Acireale, Membro dell’Istituto di Diritto Romano di Roma, Membro onorario dell’ Istituto di Storia del Diritto Romano nell’ Università di Cata- nia, Comm. cf. Classe di Scienze Naturali Direttore CALDARERA Francesco , Ingegnere, Professore ordinario di meccanica razionale nella R. Università di Palermo, Presidente del Circolo ma- tematico, Socio della Società matematica di Parigi, Socio ordinario della Società di Scienze naturali ed economiche di Palermo, Uff. &. Anziani CERVELLO Vincenzo, Dottore in medicina, Professore ordinario di ma- teria medica e farmaceutica sperimentale nella R. Università di Pa- lermo, Direttore della Scuola di Farmacia, Vice Segretario della So- cietà di scienze naturali ed economiche, Socio della R. Accademia delle Scienze mediche , Consigliere provinciale sanitario , Uff. &, Cav. &, è, ©. SIRENA Santi, Dottore in medicina , Professore ordinario di anatomia patologica nella R. Università di Palermo, Socio ordinario della So- cietà di Scienze naturali ed economiche e della R. Accademia delle Scienze mediche, Uff. *, Uff. &. Segretario della Classe CoppPoLa Giuseppe, Dottore in medicina, Professore ordinario di pato- logia speciale medica nella R. Università di Palermo, Socio della R .Accademia delle Scienze mediche, Cav. &, &. Classe delle Scienze morali e politiche Direttore MAGGIORE PERNI Francesco, Dottore in leggi, Professore straordinario di statistica nella R. Università di Palermo, Vice presidente della R. Commissione di agricoltura e pastorizia per la Sicilia, Socio della Società di Scienze naturali ed economiche, dei Zelanti di Acireale, dei Trasformati di Noto, dell’Agerina di Agira, della Libera Società degl’insegnanti di Palermo, del Progresso di Palazzolo Acreide. Anziani Gugino Giuseppe, Dottore in leggi, Avvocato, Preside della facoltà di giurisprudenza, Professore ordinario di dritto romano nella R. Uni- versità di Palermo, Incaricato d’introduzione alle scienze giuridiche ed istituzioni del dritto civile, Cav. +. Segretario di Classe ArpIZZzONE Girolamo, Socio dell’ Accademia dei Zelanti e Dafnica di Acireale e Socio della Società dei Letterati di Madrid, Comm. + Classe di Lettere e Belle Arti Direttore PirRrÈ Giuseppe, Dottore in medicina, Segretario generale perpetuo della Real Accademia delle Scienze mediche, Socio e Consigliere della Società Siciliana per la Storia Patria, Membro della Commissione Araldica Siciliana, Membro della R. Commissione pei testi di lin- gua, dello Ateneo Veneto, dell’ Accademia de Buenas Letras di Barcellona in Ispagna, delle Società del Folklore di Siviglia, Badajoz, Madrid, Londra, Cambridee (Amer) ecc. ecc., Cav. * e Uff. &. Anziani MoxTtALBANO Can. Giuseppe, già Professore di Lettere Italiane e Latine nel Seminario Arcivescovile. CosTANTINI Giovanni, Dottore in leggi, Avvocato. Segretario della Classe Amico U6o Antonio, Professore di lingua italiana nel R. Liceo Ginna- siale Umberto I, Professore pareggiato di letteratura italiana nella Università di Palermo, Socio della R. Commissione pei testi di lin- gua, Cav. &. Segretario aggiunto Russo OnEsTo Michele, Dottore in leggi, Sostituto Procuratore del Re, Cav. +. Tesoriere DI GIOVANNI Gaetano, Socio della Società Siciliana per la Storia Patria, Socio corrispondente della Colombaria di Firenze e di altre Acca- demie, Membro della Commissione ampelografica della provincia di Girgenti, Comm. «+, Decorato di 3 medaglie d’oro. PERE CENTEN VERI: DELLA COVERTA DI AMERICA ==RE==> SOLENNE ADUNANZA Della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti (30 Ottobre 1892). PER IL IV CENTENARIO DELLA SCOVERTA DI AMERICA —=©—_ La R. Accademia, nella tornata del 21 agosto, aveva ac- colto la proposta del Presidente di celebrare nel prossimo ot- tobre il IV Centenario della scoverta d’America. L’adunanza solenne fu tenuta il 30 di quel mese. Nella Sala delle Lapidi s’ era collocata la piccola statua di Cristoforo Colombo, opera di Benedetto Delisi; appesa al piedistallo di essa una ghirlanda di alloro di metallo. Leva- vansi sopra intrecciate fra loro le bandiere d’Italia, di Spagna e degli Stati-Uniti. Sopra la statua e a canto leggevansi tre iscrizioni, due la- tine ed una greca, del Can. Prof. Giuseppe Montalbano. La Sala era gremita di eletti uditori; molti erano i soci; moltissimi gli invitati. Intervennero alla Accademia il Consigliere Delegato, rap- presentante il Prefetto, il Marchese Ugo, Sindaco, l’avv. prof. AI- fonso Siragusa, Assessore per la Pubblica Istruzione ed il Con- sole di Spagna. Aperta alle 3 p. m. la seduta, l'avv. Siragusa disse in nome 4 PER IL IV CENTENARIO del Ministro Finocchiaro-Aprile che questi era dolente di non potere intervenire, perchè costretto a ripartire per Roma.. Il Segretario Generale prof. Sampolo lesse due telegrammi, uno del Sindaco di Genova, che delegò a rappresentante nella adunanza il Sindaco Marchese Ugo, e l’altro del Ministro della Pubblica Istruzione, che delegava il Prefetto. Indi lo stesso Segretario Generale lesse poche parole per dimostrare che al nostro secolo toccava il vanto di celebrare per la prima volta il grande avvenimento, della scoverta di America. Il Presidente prof. Di Giovanni fe’ la lettura di un discorso sulla vita e le vicende di Cristoforo Colombo e sulla impor- tanza dei suoi viaggi. Seguì poi la lettura di un’ ode in lingua spagnuola del poeta messinese Tommaso Cannizzaro, che fu letta dal Console di Spagna; quella di un polimetro del prof. Ugo Antonio Amico, di una poesia latina del Can. Benedetto Marotta, e di altra poesia italiana del prof. Eliodoro Lombardi, con la quale ebbe termine l'Accademia. ISCRIZIONI DEL CAN. PROF. GIUSEPPE MONTALBANO DUM INNUMERA EUROPA GENTES GENUAM ADHUC APPELLUNT CHRISTOPHORI COLUMBI NATALE SOLUM QUADRINGENTESIMO ANNO VERTENTE MULTIMODIS CELEBRATURA QUOD NATUS CONSTANS ET FERE PR/ESCIUS INEXPLORATUM TERRARUM ORBEM DETEXERIT QUOD SUPERBAR LIGURLE URBI ET TOTI ITALLA NOVUM DECUS ADDIDERIT BARBARICIS LITORIBUS CHRISTI FIDEM MORES HUMANOS INDUCENS PANORMUS SICULORUM VOTI INTERPRES R. ACADEMLA SCIENTIARUM LITERARUM AC ARTIUM STUDIO ET CURA LAUDES CARMINA ALMA COLUMBI PARENTI GRATULABUNDA OFFERT ET DICAT NI. KAL. NOV. AN. MDCCCXCIT. "Bag i; uiy del cla a Sa "duo rd 1) Tod x\cos fiv Mi0o xalye 0dacca Cosi “Ita)ov id: véas Kéouov Ti vgacato pbpas, "| 17) sz DA CRUEZ Dic Xpilotw miotsig ed enetpobe Be. | Joi CURSIBUS INDULGENS MYTHICUS ENITUIT. ITALUS ECCE NOVUM TERRARUM REPPERIT ORBEM, QUEM CHRISTO ET FIDEI I CREDIT AUSPICIS. i AAA AA TATATATA 3 2 = TI 2A DD RT TR_TTTT-TTTTTTTKTTKTTWweAnNkXTT= (2) V. M. pa Vezzano, Cristoforo Colombo, p. 95. (3) Altra lezione, « A Castilla y a Leon — Nuevo Mundo dio Colon.» Il LAZZARONI nota a p. 398 dell’opera citata : « Nella Regia provision è indicato e determinato secondo le ragioni araldiche, il modo di tale inquartamento.» Altri dubita che il motto sia origi- nario e di pari data dello inquartamento conceduto. Ma Fernandez de Oviedo lasciò scritto che il motto inciso nel sepolero dell'ammiraglio, era lo stesso di quello dello scudo o stemma, di cui i Re Cattolici gli avevano fatta concessione, V. Mizzi, Op. cit., p. ST. (4) Le grandi feste di Palermo per la presa di Granata furono notate sì dal MarINEO nell'opera sopra citata, e sì dai cronisti e dagli storici di Sicilia. Ma la magnificenza di esse feste si rileverà meglio quando potrò pubblicare i documenti che si trovano nei Registri della città di quell’anno, conservati nell'Archivio Comunale. - DELLA SCOVERTA DI AMERICA DI che facevano la civiltà e la fede cristiana per l’opera di Colombo delle terre e delle genti selvatiche del mondo nuovo. La maggiore scoverta del primo viaggio di Colombo fu certamente quella di Cuba (Colba), che chiamò Juana o Giovanna; e fra tante nuove bellezze di natura che vi trovò, le rosate cime de’ monti gli ricor- darono i monti di Sicilia, forse dal grande navigatore già veduti nella impresa di Renato di Angiò contro il Re di Napoli, o in qualche altra occasione di commerci de’ Genovesi nella nostra Isola, con la quale ne avevano frequentissimi , innoltrandosi fino nell’interno del paese. Pa- lermo, Messina, Siracusa, Girgenti, avevano colonie e scale floridissime di commercianti Genovesi con privilegi singolari de’ nostri Re, e con Loggie di molto credito esistite fino a qualche secolo addietro. Innanzi . a Teneriffa, Colombo calmò lo spavento de’ marinai a quell’ insolito fuoco, facendo i riscontri col nostro Etna, che già conosceva; siccome dà a vedere che conosceva pur il governo de’ Viceré di Sicilia frenato da speciali statuti, quando dice in sua difesa che diversamente doveva essere giudicato il suo governo delle Indie con popolazioni selvagge e senza civili ordinamenti, e tutt'altro che nel Vicereame di Sicilia. Chi sa se il Colombo che nel 1492 era canonico del nostro Duomo, fu ori- ginario della Liguria, e per parentela congiunto al grande Genovese, probabilmente anche ospitato da’ suoi concittadini qui in Palermo? M Cuba trovò case, trovò utensili domestici, vide rozze statue e maschere ben lavorate, le quali ancor si vedono nei Musei di Wa- shinton, di Haiti, e d’altre città di America. Nella Spagnola o in Haiti esperimentò la generosità del cacico Guacanagari, e la fedeltà e onestà degl’indigeni; e vi fondò la prima colonia di Spagnuoli con un forte. Il 16 gennaro 1493 partiva intanto da Haiti per ritornare in Spagna non più con tre caravelle come era partito, ma con la sola Nina, per- duta la Sarta Maria in un banco di sabbia, e scomparso con la Pinta il Pinson; e quasi disperato di salvarsi dalle continue tempeste e di rivedere la Spagna, scriveva verso il 15 febbraro presso alle Azzorre la narrazione del suo viaggio sopra pergamena, che chiusa in una bot- ticella affidava al mare perchè un giorno si sapesse almeno la scoverta che aveva fatta (1). Ma la Provvidenza lo salvava di tanti pericoli, affinchè (1) Di questa narrazione fece due copie, una gettò a mare, l'altra ritenne chiusa pure in un barilotto sopra la poppa, affinchè restasse a galla nel caso di naufragio; e vi se- gnava la promessa di mille ducati a cui la recasse ai Reali di Spagna. Pochi anni sono si annunziò in Inghilterra il ritrovamento del barilotto gettato in mare: ma fu una 10 38 PER IL IV CENTENARIO quella narrazione fosse fatta da lui stesso dopo 172 giorni di viaggio, da che era partito il 3 agosto da Palos, e affinchè dopo tante noncu- ranze, e già schernito, ricevesse onori regii dalla Corte di Barcellona, e dalle popolazioni di Spagna. Se non che, le prime scoperte di Colombo erano per accendere guerra tra il Portogallo e la Spagna, adducendo il Re Giovanni che Papa Martino V aveva concesso ai Re di Portogallo tutti i paesi che si sa- rebbero scoperti dal Capo Bogiador e dal Capo Non fino alle Indie : ma tutto acchetò la famosa linea così detta di demarcazione, tirata dal polo artico all’ antartico dal Papa Alessandro VI, non senza l’ avviso del srande scovritore; per la quale linea i paesi scoperti e da scoprire nell’Oceano occidentale oltre 100 leghe dalle Isole Azzorre e da Capo Verde, restavano attribuiti alla Spagna (1). Nel secondo viaggio disposto con migliori auspicii del primo, e con più numeroso naviglio di 17 navi ben provviste di tutto 1’ occorrente a una grande spedizione e alla colonizzazione delle nuove terre , Co- lombo, Capitan Generale della flotta, accompagnato dal venerando Gio- vanni Perez de Marquena come astronomo della spedizione, e fra altri dal giovine Giovanni de Vega, il cui nome ricorda il grande Viceré di Sici- lia dal 1547 al 1556, partiva da Cadice il 25 settembre 1493; e nei primi giorni di novembre erano già scoperte l’Isola che chiamò Domenica, e l’altra detta da un santuario famoso della Spagna Guadalupa , poi la Monferrato, la Santa Maria della Rotonda, la Santa Maria Antica, la Santa Croce, la Sant'Orsola, e quella che disse San Giovanni Battista, ed ora è chiamata Porto Ricco. Trovato distrutto il forte che aveva eretto nella Spagnola, e con esso la prima colonia lasciatavi, pensò a fabbricare piuttosto una città, che fu la prima che mani europee fondassero nel nuovo Mondo, ela chiamò Isabella, dal nome della grande Regina protet- trice della impresa. Indi seguì la scoperta della Giamaica, e provò grande allegrezza della lettera della Regina ricevuta trovandosi alla Spagnola, leggendo in essa lettera : « Grazie sien rese a Dio.... che per l’ opera vostra la nostra santa fede cattolica avrà una larga diffusione.... È per storiella messa avanti da falsificatori di carte, e null’altro. L° HaRRISSE non crede alla improvvisa composizione, durante la tempesta, della Narrazione o Relazione giunta fino a noi, e la reputa meditata tranquillamente: anche il De Louis ritiene che Colombo abbia pensato a redigere quella lettera da tempo innanzi, e che la sola data fu seritta quando si trovò in grande pericolo il 15 febbraro, e si credette presso le Canarie. (1) Vedi RoseLLy DE Lorcues, Op. cit, v. I, L, II, cap. IV. — Tarpuccer, Op. cit., v. I, cap. XXIII. DELLA SCOVERTA DI AMERICA 9 tutto questo ciò che principalmente ci allieta è che il vostro genio abbia concepita si mirabile impresa, la vostra abilità l’abbia cominciata, certi che la perseveranza la condurrà a fine. Ora vediamo che quanto pro- nunziaste sì avverò con tanta esattezza, che più non avreste fatto dopo la riuscita. » I Intanto si avvicinavano dopo tante interiori soddisfazioni i tristi casi, pe’ quali la grande Epopea doveva finire pel suo Eroe tragicamente. Le gravi accuse ordite dalla invidia di Corte e da uomini tristissimi lo fecero ritornare in Spagna a far le sue difese; sì che 1’ 11 luglio del 1496 entrava nel porto di Cadice, e dopo qualche giorno si pre- sentava in Borgos alla Corte in abito di francescano, non già di Am- miraglio dell’Oceano e di Vicerè delle Indie. Ma i Reali nemmeno per- misero che si facesse parola delle accuse, ringraziandolo anzi de’ grandi servigii resi alla loro Corona. Onde fu ordinato un terzo viaggio per continuare le scoverte; e dopo nuove accuse e nuove traversie e lunghi indugi, il 30 maggio del 1498 Colombo moveva dal porto di S. Lucar di Barrameda verso la Spagnola, tenendo via diversa delle precedenti; e il 31 luglio scopriva la Zrinitad e la Terra di grazia, e poi 1° Ascensione: sicchè il 7 luglio già si trovava nel Golfo di Paria, che chiamò Golfo delle Perle, e innanzi a una nuova terra, che indovinò per la corrente formata dall’ immenso fiume Orénoco , dover essere un grande Conti- nente; accorgendosi eziandio che l’isola 7rinitad era un pezzo di con- tinente eroso dalle acque, e che le piccole Antille erano un avanzo di terra spezzata dalla corrente : accorgimenti, dice in proposito il Bellio, che ci danno a vedere quanto fosse superiore il Colombo ai suoi con- temporanei, e come avesse ingegno pari a quello di Galileo. Tornava intanto alla Spagnola, premuroso della colonia impiantatavi, lasciando per allora altre scoverte; ma vi trovava tutto sossopra con suo grande dolore, e per di più le catene di malfattore. Gli Spagnuoli, scriveva, nel 1500, alla nutrice del Principe D. Giovanni, «mi hanno fatto la «guerra fino ad ora come ad un moro, e gl’ Indiani gravemente per «un altro capo. In questo venne l’ Hojeda, e si provò di mettervi il A suggello....... Venne fratanto a S. Domingo il commendatore Bovadi- glia; io mi trovavo nella Vega e il Prefetto in Xoragua... e divulgò À che doveva mandare in ferri e me e i miei fratelli, come ha fatto; e che non ci sarei colà tornato giammai; nè io, né altri del mio le- gnaggio; dicendo di me mille cose disoneste e scortesi.... Preso Don A À À & Diego, il fè porre in caravella carico di ferri; e a me arrivato che fui fece altrettanto ; e poi al Prefetto, quando venne. E quasi che non posso sapere il perchè io sia imprigionato. La sua prima dili- GI À 40 PER IL IV CENTENARIO «genza fu di pigliarsi l’oro, che trovò, senza misura, nè peso; e tro- «Vvandomi io assente, disse che volea pagarne la gente; e secondo che « ho udito fece per sè la prima parte e mandò nuovi riscattatori pe’ « riscatti.... Il commendatore al suo arrivo a S. Domingo albergò in < casa mia; e quanto si trovò tolse tutto per suo : sia in buon’ora, chè « forse ne avea mestieri. Non mai corsaro così adoperò contra mer- « canti. » Sono parole bastantemente sdegnose, quanto vere; e non so come il prof. A. V. Vecchi abbia qualche mese fa tentato di scolpare non solo re Ferdinando, ma pure il Bovadiglia dei maltrattamenti inflitti al grande scopritore, di non altro reo che della sua grandezza (1). Ricordava pertanto ai Reali in lettera del 1503 (7 luglio), lo stato miserevole in cui si trovava pel malanimo de’ suoi persecutori; e di- ceva: «Io venni a servire Vostra Maestà di età di anni 48 e adesso non ho capello che non sia canuto, il corpo debile e infermo e tutto malandato. Quanto io aveva portato con me, da costoro mi fu tolto ogni cosa a me e ai miei fratelli, fino il sajo; senza essere nè udito, nè visto, con grande mio disonore. È da credere che questo non Si facesse per suo reale mandamento : e se così è come dico, la resti- tuzione del mio onore e dei miei danni, e castigamento a chi lo ha fatto, faranno Vostra Maestà sonare per tutto il mondo; e altrettanto di coloro che mi hanno rubato le ricchezze e mi hanno fatto danno nel mio Almirantado ». Lungo il viaggio, che lo riportava in Spagna, Colombo non volle tolte le catene ordinate dal Bovadiglia e che osò ribadire solamente un ingrato servidore del Colombo. Ma la lettera ad Anna de Torres, la nutrice del principe Don Giovanni, affidata al Vellejo, era spedita lealmente e prestamente in Corte, appena la nave toccava ai 20 di settembre del 1500 il porto di Cadice; e tosto fu ordinato che si desse subito libertà all’ Ammiraglio e ai fratelli, si fornissero di Vesti e denaro, e si recassero all’ udienza de’ Sovrani in Granata. Al vedersi innanzi ai Re, Colombo non potè dir parola, piangendo al ri- cordo delle sofferenze patite ; e rispose al suo pianto quello della re- gina Isabella, commossa profondàmente al vedere in quale condizione era stato ridotto da un Regio Ministro lo scopritore di un nuovo Mondo. Ordinato dai Re un processo contro il Bovadilla, commesso a Don Nicola di Ovando, nuovo Governatore, Colombo, si ritirava nel convento de’ Francescani di Granata, cercando la pace dell’animo e dalle tempeste del mondo nello studio de’ libri santi, e scrivendo poesie cristiane in (1) Vedi La Rassegna Nazionale di Firenze., fasc. 1° sett. 1892, p. 36 e segg. DELLA SCOVERTA DI AMERICA 4l ispagnolo ed in italiano, ora perdute, e delle quali qualehe frammento è restato nel libro che allora scriveva delle Profezie (1). Se non che dal silenzio e dalla pace del Convento Francescano, e dalle occupazioni che si dava a delineare carte geografiche, e a fornire una grande Carta dei suoi viaggi all’ambasciatore Veneto in Spagna suo amico, lo richiamò una quarta volta ai fortunosi viaggi e alle disillusioni del mondo , il rumore giunto alle orecchie di Re Ferdinando delle nuove terre aggiunte ai possedimenti portoghesi, e il vedere come il passaggio del Capo di Buona Speranza già mutava le vie del commercio tenute dagli antichi popoli; sì che fu decisa una nuova spedizione di quattro caravelle con 180 uomini di equipaggio, della quale Colombo accettava la direzione e il comando, con l’intendimento di andare a scoprire « fra le terre che aveva ultimamente scoperte a Cuba, un passaggio che lo conducesse alle Indie. » Nè mal si avvisava, poichè indovinava lo stretto di Panama che credette dover essere un canale, indicato fino a tren- t'anni dopo col nome di stretto dubitoso (2). Il 9 maggio del 1502 si levavano le ancore dal porto di Cadice, e ai 15 di giugno Colombo giungeva alla Martinica, con la volontà, come egli stesso scriveva nella sua lunga e minuta e importantissima lettera dirizzata ai Re nel 7 luglio 1503 « di tendere nell’ isola chiamata Ja- naica; » toccata giorni dopo: donde partendo dopo grandi e terribili for- tune di mare, toccava «il Giardin della Regina, senza mai vedere terra; e di qui quando puotti navigai alla terra ferma, dove m’incontrò cor- rente terribile e vento all’ apposito, con quali combattetti giorni 60. » I quali pericoli furono maggiori nei giorni seguenti; e di più il grande Navigatore giunse per infermità « molte fiate al segno di morte;» lo animo aveva addoloratissimo pel fratello che si trovava « nel più tristo naviglio e pericoloso : » grande dolore, dice, « era il mio e molto mag- giore per averlo menato contro sua volontà ;» e «altra cosa mi dava grande dolore che era don Diego mio figlio, che io lassai in Spagna orfano e privo di facoltà. » Sbattuto furiosamente dall’acqua del mare e dall’acqua del cielo, che, dice « giammai fu visto così spaventoso », sì che «la gente già era tanto faticata e penosa che ognuno per sé de- sioso era di morte ;» per cessare tanti martiri, era costretto a ri- tornare un’ altra volta donde era uscito con tanta fatica. Ma tale fu (1) V. RoseLLY, Op. cit., L. IN, c. VIII, $S IV, e PrinzivaLLI, Op. cit., p. 255. Ne. parla largamente il TarDucCI nell’Op. cit. v. II, p. 3702-78. (2) Vedi BeLLIO, Op. cit., p. 116. ll 49 PER IL IV CENTENARIO lasua costanza nel proposito, che, nota, « passato l’anno novo tornai a tentare e perfidiare per andare a mio cammino.» In questo terribile IV viaggio il grande Navigatore ebbe negato in San Domingo dal go- vernatore Ovando il poter entrare in porto e ristorare le sue cara- velle, riparandole al sicuro; e pure con cristiano perdono raccoman- dava di non fare partire il numeroso naviglio che stava salpando per la Spagna col Bovadilla e col Roldano e co’ pricipali nemici di Colombo carichi di oro e di gemme ; stanteche era imminente un grande ura- gano: non però senza amaramente dolersi, dice, « che sebben si trat- tasse della vita mia, di mio figlio, di mio fratello, de’ miei amici, ne interdicevano la terra ai porti scoperti a prezzo del mio sangue. » La pomposa armata di 32 navi, ridendosi della predizione, lasciava il porto, negato al Colombo, in grande pompa: ma appena si trovò in alto, per- cossa furiosamente dall’uragano, andò tutta dispersa col naufragio del Bovadilla, del Roldano e di altri 500, e con la perdita di tante ricchezze, fra le quali una pepita non mai vista del peso di 3300. libre di oro netto. Solo una piccola e malconcia nave si salvò e giunse in Spagna, e fu quella che portava quanto era stato sequestrato nella casa di Co- lombo dal Bovadilla. La Provvidenza così salvava Colombo; e il mare inghiottiva i suoi nemici. Quando verso il 50 luglio scopriva l’isola di Giamaica, avrebbe po- tuto scoprire il Yucatan e poi il Messico : ma l’intendimento di trovare lo stretto, lo fece subito partire, arrivando alla costa di Mosquitos circa alla metà di settembre, e poi ai 2 novembre al porto che nominò Puerto Bello; dal quale navigando verso Veragua avvenne ai 13 dicembre che le fervide preghiere di Colombo, leggendo il principio del Vangelo di S. Giovanni, allontanarono col segno della Croce fatto colla spada in aria dalle sue navi già in pericolo il terribile tifone che stava assor- bendole : nè il fatto è negato anche dal Washington Irwing, scrittore non cattolico. Prima di giungere a Veragua, vide sulla costa, che poi fu detta Costa Fica, sepolcri e scolture fatte con arte, e bene eseguite come dice, non dissimili certamente dalle pietre funerarie scolpite con figure, e dai monumenti funebri e dalle statuette, che si sono scoperte in Guatemala (1), e nella Colombia; e in quel viaggio giunse a costeggiare (1) Mentre riveggo le bozze di questo Discorso i giornali annunziano la seoverta di una città sepolta dalla eruzione di un vulcano presso Santiago dei Cavalleros nel Gua- temala. Si sono trovati idoli di terra, e statue di pietra, vetri colorati, martelli, armi, giojelli, ete. Ma il FistE non crede a una antichità favolosa nemmeno per le rovine Palenque. DELLA SCOVERTA DI AMERICA 453 l’istmo, scoprendo, dice il Robertson, tutta la costa del continente dal Capo Grazia di Dio in fino a Porto Bello, e si spingeva fino al Capo Nome di Dio, quasi presentendo la vicinanza dell’altro mare. Ma nuove e sempre terribili fortune di mare , conflitti tra indigeni e spagnuoli, disastri recati alle caravelle anche da’ fiumi sulle cui riviere si cre- devano sicure, assalti del cacico di Veragua sulla improvvisata colonia, la cattura dell’astuto cacico Quibian, e poi la fuga di custui e l’assalto dato agli spagnuoli, indussero Colombo, preso da cocente febbre, a ri- volgere il cammino verso la Spagnola, fra le tempeste, la fame, e i disagi di ogni sorta, e l’eroico ardimento del Mendez di recarsi sopra un canotto con lungo viaggio al Governatore di San Domingo per do- mandare soccorso. Aggiungi la ribellione dei capitani Porras, la disil- lusione del soccorso apprestato dall’ Ovando con un barile di vino, e un quarto di majale salato; e senza la voce misteriosa e pietosa che incoraggiò l’Ammiraglio durante l’assopimento delle febbri (1), l’eroico petto del grande Navigatore sarebbe venuto meno. Il 28 giugno dal porto di Santa Gloria si diriggeva alla Spagnola : ma quivi l’aspettavano maggiori dolori dell’animo. Il paese era in grande desolazione per le crudeltà e i perfidi tradimenti dell’ Ovando: assas- sinati o incatenati i cacichi , trucidati crudelmente gl’ indigeni, e la bella, ingegnosa poetessa, ed eroica regina Anacoana fatta morire spie- tatamente strangolata. Colombo vide perduta in quell’Isola la sua opera, che gli era tanto costata: « Della Spagnola, della Paria e delle altre terre, indi scriveva, non me ne arricordo mai che le lacrime non mi cadano dagli occhi.» Onde è che a riposo di tante tribolazioni, e . stanchezze, rivolse il pensiero all'Europa, desiderando oramai compire sua vita pellegrinando a Roma, non avendo potuto nè condurre Mis- sionarii al creduto Catajo, nè liberare con forte esercito sostenuto dal- l’oro delle Indie la Terra Santa dai Musulmani, che minacciavano la Europa e la Civiltà Cristiana, nè « trovare » per difetto di navi, cose e vie « ascondite, » per le quali appunto intendeva tornare in Europa per la via dell’ Asia trionfatore della Mezzaluna. Povero Colombo ! non ebbe il conforto di presentire che l’oro del nuovo Mondo, doveva armare e sostenere circa un secolo dopo parte del grande naviglio Cristiano, che fiaccava per sempre a Lepanto nel 1571 la potenza Mu- sulmana ! (1) V. Lettera di Colombo del 7 luglio 1503, nella quale narra il fatto misterioso , e riferisce le parole, che sentì nel sonno, della voce molto pietosa. 44 PER IL IV CENTENARIO Partito da San Domingo il 12 settembre del 1504, il 7 novembre Co- lombo entrava nel porto di S. Lucar di Barrameda, donde si recava in Siviglia, albergando in un albergo che tuttavia esiste (1), e dove fu soc- corso da commercianti Italiani, e per lo più Genovesi; e fu dolorosa- mente colpito dalla infausta notizia della morte della Regina Isabella, che avveniva ai 26 di quel mese. La Spagna perdeva, scrisse il Marineo, tutta la felicità, tutto l’onore della Nazione : Colombo piangeva la vera ed unica sua protettrice, in cui erano poste tutte le sue speranze; e avvertiva pietosamente il figlio Diego di aver « precipua cura di raccomandare a Dio e molto devo- tamente l’ anima della Regina. » Isabella aveva fatto promettere sul letto di morte al Re Ferdinando di reintegrare l’ Ammiraglio in tutti i suoi diritti e privilegi; ma le insistenze di Colombo, oramai grave- mente infermo, a nulla approdarono; sì chè a stento si recò di persona in Segovia al Re ad esporre i casi dell’ultima navigazione e i suoi bi- sogni, ricordando i patti stabiliti a Granata e i privilegi conceduti. Se non che, trovò fredde accoglienze; si accorse che le promesse non sa- rebbero state mai attenute ; e sdegnoso di tanta ingratitudine , rifiutò le proposte della Corte di rinunziare ai suoi privilegi mercè la con- cessione di un feudo de’ fondi della Corona; e rimettendo tutto a Dio, si ritirava in Valladolid, scrivendo dignitosamente all’ arcivescovo di Siviglia, suo amico : « Pare che sua Altezza non giudichi a proposito di eseguire le promesse. Combattere contro la sua volontà sarebbe un combattere contro il vento. Io ho fatto tutto quello che dovevo fare, lascio il resto a Dio. » Così disgustato dagli uomini, ma sempre fidente in Dio, aggiungeva al testamento del 1498 un codicillo (2), ingiungendo al figlio Diego, in cui favore aveva istituito il maggiorasco, « di provvedere all’accorrenza ai bisogni della Santa Sede e di Terra Santa, di fondare una facoltà di cattedre teologiche nella Spagnola pe’ Missionarii delle popolazioni selvaggie » (3), e di innalzare una Cappella alla Madonna, « se possi- bile nell’ isola Spagnola, che Iddio miracolosamente mi diede, e colà dove io la invocai, cioè nella Vega detta della Concezione. » Nè dimen- ticò la sua Genova : il giorno 4 di maggio, scriveva nel foglio di un ufficiolo donatogli da papa Alessandro VI, dono che fu a me, notava, (1) V. MarceLLINO DA Vezzano, Op. cit., p. 147. (2) V. Testamento o codicillo Notarile di Cristoforo Colombo, estratto dall’ Archivio del Duca di Veragua, presso LAZzaRONI, Cristoforo Colombo, Appendice XIII, p. 372. (3) Vedi RoseLLy DE Lorcuers, L. IV, c. 10, v. 2, p. 349. DELLA SCOVERTA DI AMERICA 45 «di sommo conforto nelle cattività, nei combattimenti e nelle mie av- versità »; «voglio che dopo la mia morte sia consegnato per memoria all’ amatissima mia patria, la repubblica di Genova; e per i beneficii ricevuti nella stessa città voglio che cogli annui miei redditi ivi sia eretto un nuovo ospedale; e per la migliore sostentazione dei poveri in patria, ove si estinguesse la mia discendenza maschile nel mio am- miragliato delle Indie e titoli annessi secondo i privilegi del Re , di- chiaro e sostituisco mio successore la stessa Repubblica di S. Giorgio»(1). E già scrivendo a Nicolò Oderigo ai 29 dicembre del 1504 gli ricor- dava, « diedi a Francesco di Rivarolo un libro di copie delle lettere ed altro de’ miei privilegi in una sacca di cordovano colorato con la sua serratura di argento, e due lettere pel Banco di S. Giorgio, al quale io assegnava il decimo delle mie entrate a sconto dei dazii del grano e delle altre grasce.... Altro libro dei miei privilegi, come il so- pradetto:, diedi in Cadice a Franco Cattaneo latore di questi, perchè finalmente ve lo mandasse, e l’uno e 1’ altro fossero posti dove a voi meglio piacesse. » Il grande Italiano. aveva dato un nuovo Mondo alla Spagna, ma le cose sue più care affidava a mani Italiane, perchè si custodissero nella sua diletta patria sotto la protezione di San Giorgio; il cui popolo voleva col suo denaro esonerato dai dazii del grano e delle altre grasce. Le catene serbava per la sua stanza in vita, e pel suo sepolcro in morte. Aggravatasi la sua malattia, giaceva in un modestissimo albergo di Valladolid, (2) mentre si facevano grandi feste per la principessa Gio- vanna e Filippo il Bello di Austria, dimenticato da tutti, meno che dai pochi fedeli amici, fra quali il genovese Bartolomeo Fieschi, suo com- pagno di mare, assistito dai frati Francescani e da’ due figli, ma as- sente il fratello che era andato a ripetere i suoi reclami alla Corte : disteso su povero letto vestito dell’abito di San Francesco, con le ca- tene appese al nudo muro della stanza, e confortato alle celesti spe- ranze dalla Religione, spirava santamente la grand’ anima il 30 mag- gio 1506 giorno della Ascensione. La città tripudiante in pubbliche feste ignorò la morte che in quel giorno avveniva del più grande uomo de’ suoi tempi; né la notarono i suoi diarii; e soltanto per (1) Vedi la riproduzione in fototipia delle Lettere autografe di Colombo all'Ufficio di San Giorgio, e a Nicolò Oderigo, nel Colombo ete. pubblicato dal Treves, p. 9, 10, 11, 14, Milano 1892. Qualcuno erede apocrifo il testamento sulla carta dell’ufficiolo. (2) Vedi le incisioni a p. 217 dell’op. cit. del LAZZARONI, v. 2; nel Colombo del Treves, p. 50, e nel Colombo del BeLLIO, Tav. n. 10. 12 46 PER IL IV CENTENARIO tardo rimorso si apponeva per cura di quel Municipio sulla porta della povera osteria la effigie del grand’ uomo con la iscrizione: A quì murio Colon. La osteria del 1506 divenne indi pagliera mezzo diruta, e si crede essere scomparsa per nuove fabbriche nel 1877; ma esiste tuttavia (1) la iscrizione, come vi esisteva nel 1382, quan- do pietosamente la visitava il nostro socio Monsignor Isidoro Carini, nel Calle de Colon, n. 7. Alcuni anni dopo, Re Ferdinando fece tra- sportare con pubblici onori le dimenticate spoglie dello Scopritore del Nuovo Mondo dalla chiesa dei frati Minori Osservanti di Vallodolid a Siviglia : poi Carlo V permise che segretamente quella cassa mortuaria fosse trasportata a San Domingo e collocata in quella Cattedrale, ove erano stati sepolti i due fratelli del grande Ammiraglio; e donde, pas- sata S. Domingo ai Francesi, si trasportava nella Cattedrale di Avana nel 1795 la creduta cassa delle ceneri di Cristoforo Colombo, scambiata probabilmente con quella di Don Diego o di Don Bartolomeo. E dico la creduta cassa delle ceneri di Colombo, perchè nel 10 settembre 1877 con grande sorpresa di tutti Monsignor Cocchia prelato Italiano , Ve- scovo di Orope e Delegato Apostolico presso la Repubblica di S. Do- mingo e di Haiti, scopriva scavando presso l’Altare maggiore di quella Cattedrale, che la cassa di pietra e l’altra di piombo dentro cui si con- servavano le ceneri di Colombo, era restata al suo posto primitivo, leggendovisi ancora in una laminetta di argento inciso il nome Don Or stobal Colon, e trovatavi quasi tuttora conservata metà dello scheletro (2). Non vi si trovarono le catene che Colombo, secondo narrò il figlio Don Ferdinando, voleva sepolte con se; e pare essere restate presso I° al- bergatore di Valladolid, se per amorosa cura del cav. Giuseppe Baldi (1) Il PrinzivALLI nota che la casa del 1506 disparve dopo il 1872 < per nuovi lavori che il Governo e la Deputazione provinciale ordinarono in quella via (Op. cit., p. 318): anche il De LoLL1s crede che « forse quella iscrizione non è a posto, e la casa dove veramente morì Colombo non esiste oggi più (Op. cit., p. 372). Ma il Lazzaroni la vi- sitava nel 1875, quando ancora quella casa serviva a vendita di latte e di burro, e si mostrava l’alcova dove si credeva morto Colombo (v. Op. cit., vol. 2, p. 218). Il signor Ing. Dre Amicis dice intanto, che dopo il 1872, quando la visitava, quello storico mo- numento dispariva in occasione che in quel luogo si apriva una nuova via, e s’imnal- zava un grandioso ospedale, oltre una clinica Universitaria. ( V. Colombo, del Treves, p. 30). (2) Vedi PRINZIVALLI, Op. cit., p. 320. — De LoLLIs, Op. cit., p. 873. — DE NEGRI, nel Cristoforo Colombo del Treves, p. 31, e specialmente l’ opuscolo dello stesso M.r Coc- cHia, Descubrimento de los verdaderos restos de Cristobal. Colon. San Domingo 1878. — Id. Los restos de Cristobal Colon, 1879. — LAZzARONI, Op. cit., v. 2, pag. 220-222. DELLA SCOVERTA DI AMERICA 47 di Genova sono ora state da lui acquistate da uno spagnuolo discen- dente di quell’albergatore del 1506, e per tanti segni e per la iscrizione che portano, si ritengono da archeologi ed antiquarii autentiche, si che il Mizzi l’ha riprodotto nel suo libretto recentemente pubblicato (1). Oramai la grande Epopea è finita: sul sepolcro del grande Ammi- raglio dell’ Oceano si asside in aspettazione del 1892 il silenzio , sola- mente rotto dalle Mistorie che ne scrive il figlio don Ferdinando , il già ardito fanciullo di 13 anni che «faceva core ed animo » agli altri nel disastroso quarto viaggio del padre. Figli e nipoti di Colombo man- tennero il titolo di Ammiragli e di Vicerè delle Indie , e di Duchi di Veraguas; ma un anno dopo nel 1507 Amerigo Vespucci fiorentino, che Colombo aveva conosciuto « uomo molto dabbene, » e gli si era af fidato come amico per favorirlo presso la Corte, aveva la fortuna senza che egli il sapesse, di dare al Nuovo Mondo per proposta di un geo- grafo lorenese, Martino Waltzemiiller, il nome di Amèrigor, cioè terra di Americo, od America, nome che si lesse la prima volta in una Carta geografica del 1522. Dopo quattro secoli le rovine del Convento della Rabida sono state ri- storate da principi della Casa di Francia, e il 12 ottobre hanno risonato de’ gridi di ammirazione e di festa del Congresso degli Americanisti composto dei rappresentanti dei due mondi. Grandiosi monumenti in Italia, in Spagna, in America, si son visti sorgere, e tuttavia sorgono, in onore del grande Scovritore, al cui nome specialmente sulla fine del secolo passato si tentò negare la gloria dovuta; e forse tra le città di Europa soltanto in Palermo nel 1783 si celebrava in tornata acca- demica l’Eroe genovese, cantandosi in ottave Italiane : i nobili sudori Di chi del mar sprezzando l’ire e l’onte, Nuovo Mondo trovò del mondo fuori, E rive aperse a mortal pie’ non conte; sì che se Teti e le Ninfe Oceanine esclamavano al grande portento, Il domator dell’Oceàno è giunto; (1) V. Cristoforo Colombo, Appunti Storici, p. 66-69, San Pier d’Arena, 1891. —Laz- ZARONI, Op. cit., Appendice V. 48 PER IL IV CENTENARIO a Colombo faceva dire il poeta : È grande il ben che ne ridonda al mondo, Se tal teatro agli occhi suoi disvelo ; Dilato i Regni, e rendo il sen fecondo Di rare merci, di remoto cielo. Bandisco l’ozio, ed il commercio abondo Fra l’uno e l’altro mar, e tolgo il velo Alle miniere d’oro ancor sepolte, Nè viste mai da quelle genti incolte. E in versi latini cantava lo stesso poeta, Terra parum fuerat; satis adjecimus undas; Fortune magnas aurimus arte vias. Non mihi stat ferro terras succendere et igni; Non ea mens nobis vertere cuncta solo; Puppibus eratis non leva huc omina porto ! Bra conquista della fede e della civiltà, ministra la scienza, quella dell’eroe Genovese; e alla disconoscenza di pochi scrittori, i più hanno fatto rilevare nella riabilitazione che il nostro secolo ha fatto del nome di Cristoforo Colombo, portando la riverenza al grand’uomo, per opera specialmente del Roselly de Lorgues, fino ai limiti del culto, la grande mente dello Scovritore Italiano, e la sua opera scientifica, come l’ ha detto propriamente l’Hugues, e come più compiutamente sarà rilevata dalle pubblicazioni, cui attende la Regia Commissione Colombiana, ad onore dell’ Italia, e a degno ricordo che il primo scritto di Colombo, stampato lui vivente, un anno dopo la scoverta, cioè nel 1493, fu stam- pato in Roma; che un italiano, Pietro Martire d’ Anghiera, diffondeva con le sue lettere del 1495, e 94 la notizia della grande scoverta; che il messinese Nicolò Scillacio, professore in Padova, fu il primo a scri- vere della scoverta di Colombo una relazione al Moro in buon latino nel 1494 (1); che un romano, Cesare Stella, per invito del Cardinale Alessandro Farnese, scrisse il primo in versi latini un poema sul Nuovo Mondo, la cui lettura deliziava i convenuti negli orti Farnesiani, e forse (1) Questa opera dello SciLLacro stette ignorata fino al 1845, che la scopriva il signor Amadio Ronchini; ma, unico esemplare, passò dall’Italia in America nelle mani del si- gnor Iacopo Lenox di Nuova York, il quale la pubblicava nel 1860 in soli 152 esem- plari, di elegantissima edizione. Vedi TARDUCCI, Vita di Colombo, v.I, p. 440, Milano 1892. DELLA SCOVERTA DI AMERICA 49 nel luogo stesso dove Virgilio leggeva ad Augusto e ai suoi amici i mirabili versi della Eneide; che un poeta bresciano, Lorenzo Gambara, fu il primo a celebrare in poema italiano il grande Genovese; indi se- guito da molti, fino al nostro contemporaneo Lorenzo Costa; che il Bembo e lo Sforza Pallavicino, e il nostro Fazello, più o meno distesa- mente avevano stupendamente narrata la scoverta, e riconosciutone autore il Colombo ; e ciò mentre o non erano ancora pubblicate le Historie di Don Ferdinando Colombo e di Bartolomeo Las Casas, o ma- lamente ne scriveva là in Spagna il nostro umanista Lucio Marineo, o con invido animo, e con leggerezza, gli spagnuoli Mariana e Fer- reras, autori di storie generali della Spagna. Né si è dimenticato dai contemporanei che sin dal 1805, cioè dalle disputazioni del conte Na- pione all’ Accademia di Torino alla raccolta del Codice diplomatico Co- lombo-Americano ordinata nel 1823 in Genova e affidata allo Spotorno, e fino alle numerose pubblicazioni comparse in Italia dal 1880 a que- stanno 1892, l’Italia non ha potuto mai scordare, anzi sempre ha ri- petuti i versi della Gerusalemme : ] Tu spiegherai, Colombo, a un novo polo Lontano sì le fortunate antenne, Ch'a pena seguirà con gli occhi il volo La fama, c'ha mille oechi e mille penne. Conti ella Alcide e Bacco, e di te solo Basti a’ posteri tuoi ch'alquanto accenne; Chè quel poco darà lunga memoria Di poema degnissimo e di storia. (C. XV. 32). E se oggi s'annalzano da per tutto monumenti a Cristoforo Colombo, e massimo monumento l’Istituto dei Missionarii fondato dal dotto e pio Monsignor Scalabrini in Piacenza sotto il nome di Cristoforo Colombo, inteso a fornire ajuti spirituali e materiali ai poveri Italiani emigrati od emigranti in America, fu da Re Carlo Alberto ordinato nel 1844 il grande monumento di Genova; e fra’ primi scrittori della più im- portante opera che si aspettava sopra Cristoforo Colombo, quella ap- punto del Conte Roselly de Lorgues, con papa Pio IX e con la Impe- ratrice Eugenia, si trova il nome di sua Maestà Vittorio Emanuele, come con quello dell’ Arcivescovo di Genova Monsignor Charvaz, quello del Cardinale Angelo Mai; con quello del Conte di Falloux, il nome del Conte Tullio Dandolo; col nome del Padre Lacordaire, il nome del no- stro Padre Ventura, uno degli scrittori che tanto concorsero alla ria- bilitazione del Colombo, e il cui cognome si trova nella famiglia del- 13 50 PER IL IV CENTENARIO l’Ammiraglio con la Caterina Ventura, cui passarono eredità e titoli della famiglia Colombo, perchè pronipote di Diego I, primogenito di Cristoforo , indi da lei venuti a Giacomo Stuart barone di Bosvorth, suo sposo, insieme col titolo di Duca di Veragua della Veja. Ritornando pertanto alla mente di Colombo e alla sua opera scien- tifica, ’ Humboldt, tra’ i più competenti giudici, e niente parziale, oltre avere riconosciuto in Colombo un sentimento profondo e poetico della natura, aggiunge che «ciò che caratterizza Colombo è la penetrazione, la finezza estrema con cui coglie i fenomeni del mondo esteriore, ammi- rabile ugualmente e come osservatore della natura e come intrepido navigatore. Giunto sotto un nuovo cielo e un mondo nuovo, la confi- gurazione delle terre, l’aspetto della vegetazione, le consuetudini degli animali, la distribuzione del calore secondo gl’influssi della longitudine, le correnti oceaniche , le variazioni del magnetismo terrestre, nulla sfugge alla sua sagacità. Colombo non si limita a raccogliere fatti iso- lati, li combina, e cerca i loro vicendevoli rapporti, e s’ innalza tal- Volta con felice arditezza alla scoperta delle leggi generali che reggono il mondo fisico » (1). Onde è che da’ suoi scritti si sono tirate fuori queste principali scoverte di ordine scientifico, la menoma delle quali, dice il Roselly de Lorgues, « avrebbe illustrata tutta quanta un’Acca- demia:» e sono : « L'influenza che esercita la longitudine sulla declinazione dell’ ago magnetico. È « L’inflessione che provano le linee isoterme seguitando il tracciato delle curve, a cominciare dalle coste occidentali dell'Europa sino alle rive orientali del Nuovo Mondo. «La posizione del banco di fuoco ondeggiante nel bacino dell'Oceano Altantico. «La direzione generale della corrente de’ mari tropicali. « Le cagioni geologiche della configurazione dell’Arcipelago delle An- tille. «Il rigonfiamento equatoriale, implicante lo schiacciamento de’ poli. « L'equilibrio continentale del globo, da niuno innanzi supposto (pa- gina 335). » A queste enumerate dallo scrittore francese, l’Hugues aggiunge altre scoverte dovute alla mente e alla scienza di Colombo, scrivendo : « Primo fra tutti, Colombo attraversa il mare dei sargassi : indaga la origine (1) Vedi RosELLY, Op. cit., v. 2, p. 334. 1 (DI. DELLA SCOVERTA DI AMERICA di questa enorme massa di alghe galleggianti; ne fissa approssimati- vamente la posizione pressochè invariabile, e dal loro accumulamento sotto longitudini più orientali di quella della Spagnola, deduce 1’ esi- stenza di altre terre più vicine al continente antico. «I risultamenti ottenuti da Colombo nella misura delle latitudini per mezzo delle declinazioni e delle altezze meridiane, ed anche delle durate dei giorni e delle notti, e nella misura delle longitudini mediante le ecclissi della luna, giungono ad un grado di approssimazione non superato, in que’ tempi, da altri navigatori. « L’immensa copia di acque dolci che si versa nel golfo di Paria e nella parte adjacente dell’ Atlantico, conducono il Grande Navigatore alla idea della esistenza di un vasto continente meridionale. « La navigazione (dell’anno 1494) in mezzo al laberinto di isolette e gi scogli che fiancheggia, a variabile distanza, la costa meridionale di Cuba, dimostra luminosamente la somma perizia nautica di Colombo, e non può essere paragonata che a quelle famose di Giacomo Cook lungo le coste orientali del continente australiano e intorno alla Nuova Caledonia (p. 116-18). » Che se si è opposta alla vasta ed alta mente del Colombo 1 errore di aver creduto che il mare non occupasse della terra altro che la set- tima parte, e che il nuovo continente scoverto non fosse se non un estesissimo prolungamento della costa orientale dell’Asia, stantechè le punte de’ due antichi continenti Africa ed Asia non potevan essere molto distanti luna dall’ altra, siccome pur credevano in quel tempo e lo stesso Toscanelli e il famoso Martino Behaim , autore del Globo del 1492; il primo avviso fu di credenza antichissima presso i popoli orientali, passata pel medio evo fino al secolo del Risorgimento; e quanto al supposto di aver toccato l’Asia, anche questo, secondo il Reclus ed altri geografi contemporanei, non sarebbe oggi un errore, riguardan- dosi oramai 1’ America come un continente orientale e un prolunga- mento asiatico. E di aver creduto poi l’Orènoco uno de’ fiumi del Pa- radiso terrestre, lo scusa già il prof. Bellio, avvertendo che quell’idea «non fece ridere nessuno de’ suoi contemporanei, e Colombo era con- temporaneo de’ suoi contemporanei e non nostro. » Del resto, l’abbia chiamata pur Paradiso Terrestre, Colombo così notava sul proposito : «Io credo che questa sia terraferma, quale nessuno conobbe, e la ra- gione mi aiuta grandemente, perciochè vi è questo gran fiume.... e se questa è terra ferma, è cosa ammirabile, e lo sarà per tutti i saggi. » Altri ha pur detto che la declinazione dell’ ago magnetico era: ben conosciuta innanzi al Colombo, sì che nella carta nautica del veneziano 52 PER IL IV CENTENARIO Andrea Bianco delineata nel 1436, si trovano già tracciate le indicazioni della variazione magnetica : ma se tutto ciò è vero, Colombo ha sempre il merito della diligente osservazione scientifica del fenomeno, e non gli si può negare per lo meno «la scoverta di una linea magnetica senza declinazione, e delle variazioni cui va soggetto questo importan- tissimo elemento del magnetismo terrestre» (HUGUES, p. 34). Si è detto pure che il grande Navigatore genovese nella determinazione della la- titudine più volte cadde in errore ; senza intanto avvertire che simili errori e anche più gravi, furono comuni ai più famosi ed abili piloti di quel tempo, e che « nel celebre globo di Martino Behaim, che porta la memorabile data del 1492, gli errori in latitudine giungono fino a 16 gradi »; e che «era saputo anche in quel tempo che le misure fatte coll’astrolabio a bordo delle navi conducevano generalmente a risultati che erravano da 4 a 5 gradi (HUGUES, p. 29); quanto fu proprio l’er- rore vero di Colombo nel segnare la latitudine della prima isola sco- verta (San Salvador) il 12 ottobre del 1492 , e 1’ altra della Spagnola e delle altre isole notata nel 15 febbraro 1493. Dice appunto che quel paese era situato a 26 gradi della linea equinoziale : « ora questa lati- tudine di 25 gradi, avverte l’ Hugues, non differisce che di 5 gradi dalla latitudine media delle numerose isole comprese tra San Salvador e la Spagnola (p. 31 ).» Nè fa uopo ricordare gli errori in proposito dell’astronomo San Martin nella spedizione di Magellano; e quelli dei membri della Giunta de’ geografi ed astronomi radunata nel 1524 a fissare stabilmente la linea di demarcazione tra i possedimenti portoghesi e i possedimenti spagnuoli, in esecuzione della famosa Bolla di Ales- sandro VI del 4 maggio 1493 : errori tali, cui non giunse mai Colombo. Il voler anche dire che la scoverta delle nuove terre è dovuta allo errore del grande Genovese, che credette assai più breve la di- stanza delle coste occidentali dell'Europa e dell’Africa da quelle orientali dell’Asia, porterebbe a doversi negare in Colombo un disegno ben de- terminato e lungamente meditato sopra le teorie geografiche de’ più grandi scrittori antichi; quando per contrario, « nella sicurezza della base teorica, nel concorso di fine e ripetute osservazioni, nel consenso di tutti i geografi che allora avevano autorità, dice il Correnti, sta il secreto della ostinazione di Colombo» (1). La mente del srande scovritore fu pertanto grandissima, e di gran- dissima importanza fu l’opera sua scientifica, i cui trovati e le cui in- (1) Vedi Hugues, Op. cit., p. 18. — HARRISSE, Op. cit., p. 91. DELLA SCOVERTA DI AMERICA 53 duzioni servirono ai navigatori contemporanei e successivi, per riu- scire a nuove scoverte, e ordinare le fortunate spedizioni di Vasco, di Balboa, di Cortes, di Magellano. Uomo di delicati sentimenti, di grandi ideali, di mistiche elevazioni, fu Colombo singolare scrittore, vivace e affettuoso poeta. Il suo stile è spesso nella sua semplicità sublime, la sua parola o scolpisce , o dipinge mirabilmente; e quando apre il suo animo con la ingenuità di fanciullo, è limpida, tenera, appassionata. Il Villemain lo dice 1’ uomo più eloquente della Spagna nel suo se- colo; e con la eloquenza o il sublime delle sue lettere e del suo Gior- nale di navigazione, aveva tanta poesia nell’ anima, sempre fervida nella fede cristiana, che sopra una nave a stento uscita da furiosa procella nel viaggio del 1505, cantava in versi il 24 giugno la natività di San Giovanni; come fra le dolorose ansie e le aspettazioni di dieci mesi incagliato con le caravelle naufraghe nella baja di Santa Gloria, interrogava anche in versi, imitando Boezio, quale si fosse la cagione di tante sfortune che lo opprimevano (1). Vissuto quasi tutta sua vita fuori d’ Italia ; il primo suo pensiero, ritornato dal primo viaggio, è l’Italia, la sua Genova, e Savona, dove andò a trovare e consolare il vecchio padre; e partendo pel quarto ed ultimo viaggio, scriveva con profondo sentimento e affetto patrio ai reggitori del Banco di San Gior- gio : « benchè il corpo cammini qui, il cuore è costantemente costi. » L'Italia non fu mai da lui dimenticata nel pensiero della sua diletta patria Genova. Onorandosi quest'anno Cristoforo Colombo con feste civili e religiose splendidissime, con Congressi geografici e storici, e di dritto marittimo, e di scienze sociali, e cristiane, con tale una Esposizione Mondiale in Chicago, che ben riflette la grandezza industriale, gli ardimenti e la ricchezza senza pari del Nuovo Mondo; la Chiesa, che pur ha festeg- giato con religiose cerimonie il grande Italiano, il quale si pregiò più che del titolo di Almirante dell’Oceano, del nome di Araldo della Croce, sì che mutò il suo nome di CRISTOFORO in quello di Christoferens (2), (1) V. RoseLLY, Op. cit., v. 2, p. 304. (2) Pare che del nome (Cristoforo) fece un attributo, e del cognome (Colombo) il nome , nelle famose sigle della sua trascrizione ben nota. Molte e diverse interpetra- zioni si sono tentate delle dette sigle S. S. A. S. X. M. Y, terminate col Xpo ferens : io interpetrerei le prime quattro lettere Signum Servi Altissimi Salvatoris, e le altre tre lettere, più difficili, dovrebbero, a mio credere, essere segni del Columbus seguito dal Christoferens. Ne) segni incisi sulle catene si legge D. Cris-val, e il Columbus è 14 54 PER IL IV CENTENARIO avendo per fine delle sue scoverte «la propagazione della Fede,» ha dichiarato per la bocca del suo Augusto Capo, che « tanta è la gran- dezza delle cose da lui operate, e tanta la copia de’ beni che dall’in- gegno e costanza di lui sono derivati ad ambedue le parti del mondo, che pochi sono coloro che possono stargli al paragone.» La Civiltà lo vanta quale uno de’ suoi principali corifei, la Storia lo venera come uno de’ più grandi genii che siano comparsi sulla terra, la Scienza lo riconosce come una delle più alte menti, che possa vantare nelle scoverte scientifiche, e nell’arte nautica. Disceso dal cielo lo dissero i selvaggi del secolo XV; grandé ope- ratore dei portenti della scienza, e de’ miracoli della tolo, lo diciamo noi popoli civili del secolo XIX. rappresentato nella figura di una colomba con un ramo fiorito in bocca. Così la H indicata da una freccia, e la S che segue nel cerchio della prima manetta delle catene, valgono per me Haec Sunt, cioè catene, D. Cristobal (Columbi) de Genua, come si legge ben chiaro. Cee NDICE == Par) 6 Q. E E COMPONIMENTI INEDITI Estratti dal vol. mss. 4 Qq. B. 1, della Biblioteca Comunale di Palermo (1) OBENONXINERUNADH INVENTIONEM Genii Prosopopeja —— ua Quisquis es, armatus, qui ignota ad lictora tendis, Atque audes nostra ponere sede pedem, Dic 0 quid venias isthine, et comprime gressum, Nec naves altas longius ire sinas. Haud fas est homini nostras invisere sedes Per loca mortali non adeunda pede. Alcides olim (quis vero audacior illo, Quave parem tantum secla tulere virum?) Alcides potuit Stygias descendere ad umbras, Aspectuque suo contulit ora canis; Sed vada tentantem navi penetrare profunda Horrificus vultu terruit Oceanus. (1) Questo volume miscellaneo mss. segnato 4 Qq. B. 1, ora conservato nella Biblioteca Comunale di Palermo, è proveniente dalla Biblioteca del Monastero di San Martino delle Scale. Non si sa dove sia stata tenuta quell’ Accademia del 1783; ma probabilmente nella Chiesa dello Spirito Santo, allora Gangia de’ PP. Benedettini di San Martino in Palermo, e dove solevano esser tenute radunanze letterarie e pubbliche dispute filoso- fiche e teologiche. A f. 351 dello stesso vol. ms. si legge un Soretto per la scoverta del Nuovo Mondo o sia America, con una linea di cancellatura sopra, e fu seritto dallo stesso, il cui nome si legge nella pagina innanzi, segnato « CELESIA 1°». A f. 356 è altro Sonetto per la scoverta del Nuovo Mondo o sia dell’ America; ein margine è se- gnato « NaroLI 2°»: nomi di due padri benedettini di quel tempo. Credo anche questi due Sonetti essere stati letti nell'Accademia del 1783. Ai lati del titolo di questo Carmen, a f. 371, 72, si legge « Vaglica în Acc. I Jan. 1788 ». Il nome intero di Benedetto Va- glica si legge a f. 378, e 385, in testa di altri componimenti poetici. Il Vaglica fu cer- tamente di Monreale, e dovette insegnare nel Monastero di San Martino. PER IL IV CENTENARIO Nam fera monstra atram misero minitantia mortem Attonito trepidus lumine respiciens, Obstupuit, posuitque animum, sacva arma reliquit, Atque Indis subito finibus aufugiit. Desine Nauta pedem nostris advertere ripis, Obruet insanis unda voraginibus. Adiuro coelum (nec me mea numina fallunt ) Atque lacum Stygium, quem violare nefas, Teque tuosque simul post tot tantosque labores Lux una in mortis dejiciat baratrum. Aspice nunc quanti tollantur ad aethera fluctus, Utque maris patcant Tartara in ima sinus. Aspice uti venti decertent aequore vasto, Immensumque atri terreat unda maris. Corpora quanta oculis monstris lanianda marinis, Fluctibus aspicio nare sub aequoreis. En virides video prognatas aequore Nymphas Urgentes miserum mergere in interitum. Quid malesanus agis? Cursum ad tua litora verte, Linque maris cursus, limina tende domus. Iam pracclara nimis Superis est gloria visa, Et terris ingens gloria.... Dixerat Americo regni mostissima Imago Dum misero infelix ingemit exritio. Atque heros magnmus pietate inignis et armis, Pacato tales addidit ore sonos : Desine, me indigno, quaeso, turbare timore, Nec quaestus tantis ictibus exerucies : Constuntem fortemgne virum, mentisque tenacem, Atque animi impavidum, nulla vwina ferit. Nil maris et terre tantique pericula caeli Magnanimos possunt flectere corde viros : Terra parum fuerat, fatis adiecimus undas, Fortune magnas aurimus arte vias. Pone metum, sacvumque animis expelle timorem, Qui vanis miseram versat imaginibus. Non mihi stat ferro terras succendere et igni, Non ea mens nobis vertere cuneta solo; Puppibus acratis non leva huc omina porto : O nimium mostri maxima pars decoris ! Nam cunctis non parva feres tu commoda terris; Proh, quantis populos iuveris auxiltis ! Transferat huc Phaebus Musas artesque decoras, DELLA SCOVERTA DI AMERICA Atque novo deget laetus in hospitio. Tolle caput, me magna manent (sie numina poscunt ), Sydera sublimi vertice summa petes. Inclita tu fies tanto et cumulata decore, Evenies cunctis regula Principibus. Et decus admirata tuum, admirata decorem, Attonito aspiciet Fama supercilio. Dixerat: Interea laudum dulcedine capta, Induit ingentem facta superba animum. Nympharumque choris, magnis comitata catervis, Magnanimo heroi non negat ire comes. Accurrunt Oryades et Monticola Sylvani, Hircipedes Fauni rustica dona ferunt. Tanta viri vates portendens omina Nereus, Extulit ipse caput Thetidos e gremio. Caetatusque novum non dedignatur alumnum, Atque suis nate sedibus excipiunt. At qua laeta olim populum sibi vota ferentem Viderat insanas fundere ob ore preces, Vana Superstitio, magna correpta dolore, Morsibus insanis livida labra terens, Avertensque oculos, tremefacta repente refugit, Et subtit sedes pallida Tartareas. (51 1 OTTAVE DI (BENEDETTO) VAGLICA PER LA SCOVERTA DI AMERICA IC Febo, cingimi il crin di nuovi allori, Che ad altro vate non fregiar la fronte, Ch’io yo cantare i nobili sudori Di chi del mar sprezzando l’ire e l’onte, Nuovo Mondo trovò del mondo fuori, E rive aperse a mortal piè non conte ; Che con tre navi sol ebbe ardimento Di porre il fren a cento regni e cento. II. Sogni e favole fur, che a stolta gente L’imaginante fantasia dei vati Cantò che Teseo e Orfeo arditamente A Dite entrar contro il voler dei fati. Fola non è però che fingo in mente, Che gisse quegli ai regni fortunati, Cui il novo mondo in alto vanto onora Caro serbando il suo bel nome ancora. II. Usciva omai dall’Oceano fuore Più vaga in fronte la vermiglia aurora, Aure lievi portando e lieto albore, Che il mar, le valli e gli alti monti indora; Quando repente dopo un lungo errore Apparir da lontano ad ora ad ora Vede l’Eroe i termini di Alcide, Scintilla in volto e pien di gioja ride. (1) Dal vol. ms. 4 Qq. B. 1, dalla Biblioteca Comunale di Palermo, f. 388-389. “ DELLA SCOVERTA DI AMERICA ING Assiso là superbamente adorno Di Europa il Genio in quelle mete istesse, Volgea superbo i suoi begli occhi intorno; Da un lato il toro che una donna resse Paurosa in atto che si tiene al corno, Dall’altro Palla e l’alme Muse anch'esse; E siede al fianco lor la Scienza e l’Arte, E, deposto il cimier, vi siede Marte V. Tosto che vede l’orgogliosa nave Con le vele distese a se venire, Si rizza in piè, e in fiero suono e grave, Acceso in volto di minaccia e d’ire, «Schiva di questo mar le orrende cave » Grida il Genio real, le vane mire Deh lascia, o pellegrino !» : e da lontano Di fuggir gli fa segno con la mano. WIE « Regna colà, li dice, orrenda schiera Di nuovi mòstri, e tutto il mare infesta : Qui la faccia del ciel torbida e nera Fulmini lancia, e il mar sempre è in tempesta : Sparisce il dì col sole, e innanzi sera Notte si fa caliginosa e mesta, Nè rimane altro lume ai naviganti Che quel ch’esce dai folgori tonanti. VII. « Saltano l’onde a tant’altezza ch’elle Perdon la forma e le sembianze di onde, Le navi ora salir fino alle stelle, E su le nubi alzar vedrai le sponde : Or profondar tra l’anime ribelle Vedrai ne le voragini profonde; E al romper de l’antenne e delle sarte Vanno tutti i nocchier’ a perder l’arte. 60 PER IL IV CENTENARIO VII. « Poscia qual pro al prisco Mondo apporti Se mai colà vi fermi audace il piede 2; Di salvatiche genti un stormo porti Che l’un l’altro con l’unghia il volto fiede, Al mondo vecchio; e crederà riporti Di Pirra i monstri fier quando li vede ; E poi si fiera gente all’armi instrutta Di sangue tingerà l'Europa tutta. IX « Deh, muta di pensier, cangia consiglio, Ineauto pellegrin! volgi la prora, Corri alla patria a rasciugarle il ciglio Che la perdita tua compiange ognora : Non metter piede in così gran periglio, Grida l'Europa, e non l’intendi ancora ? Ascolta, ascolta i miei consigli, e cedi; Misero te, se ai detti miei non credi ! » X Tacque, e l’Eroe da.... alto possente Commosso il sen, così ragiona, e dice: Vano è il terror che tu mi pingi in mente, Invido Genio, e non sperar (nè lice A magnanimo cor ) che il corso allente : Là, là, n’andrò, e là n’andrò felice; Nè discolora il fermo mio sembiante La morte istessa, se mi viene avante. XI. Ho cuore anch’io che sente, sprezza, e crede Che ben si cangi con l’onor la vita; E se avverrà che la mia sorte cede Nel mio ritorno, e non mi porge aita; Mi basta sol di aver quì posto il piede, Per eternar la mia famosa uscita ; Nè vo mercè, sarò contento appieno Se tornar non potrò, che giunsi almeno. DELLA SCOVERTA DI AMERICA XII. È grande il ben che ne ridonda al mondo Se tal teatro agli occhi suoi disvelo, Dilato i regni, e rendo il sen fecondo Di rare merci, di rimoto cielo : Bandisco l’ozio ed il commerzio abondo Fra l’uno e l’altro mar, e tolgo il velo Alle miniere d’oro ancor sepolte, Nè viste mai da quelle genti incolte. XII. Del sacrilego culto e rito indegno Quelle misere genti al ciel rivolgo; Cangio in amor il lor ferino sdegno, E da rozzo costume alfin le sciolgo. Dolci maniere, ed un gentile ingegno, Farò che apprezzi l’indomabil volgo, E tratto fuor dai suoi covili orrendi, Mansueto farò che ogni arte apprendi. XIV. Socievol renduta in gentil viso Andrà la rozza a colta gente unita, Stupida ammirerà col ciglio fiso L’arte maestra che natura imita. E poi sue merci a trafficar l’avviso, Resa esperta nell’arte omai gradita; Rinovo insomma il mondo, e fo che tutto Alla tua gente ne ridondi il frutto. XV. Stupisce il Genio a quel parlare, e il petto Da stimoli di glorie acceso sante, Tu là n’andrai, rispose, ed io negletto Quì resterò tra la volgare gente ? Dunque in mio sen non hanno più ricetto Le scintille di amor, o in me son spente ? No, no, se pria ti contrastai la sorte, Ora con te vengo a sfidar la morte. 61 16 PER IL IV CENTENARIO XVI. Disse e repente ( alta mirabil vista!) Balzando giù, a quell’Eroe si unìo. Seco sen va all’insolita conquista, E scuoprir novo mondo ha pur desio. Partono entrambi e par che nova acquista Forza maggior il suo vigor natio, È lieto l’un che un prigionier ne porta, L'altro che tien di un grand’ Eroe la scorta XVI. Ma quale al suo apparir, ah! qual festivo Chiaror lampeggia in quell’alma marea: Vezzosa il suo bel sen aprir giulivo Vedeasi Teti, ed a chiamar correa Del grand’Eroe a festeggiar l’arrivo Di quel mare ogni Ninfa ed ogni Dea; E dice lor: Oh il bel felice punto! N domator dell’Ocèano è giunto ! XVII. Corrono là a tal novelle deste Tutte quelle del mar ignote Dive; Lo salutano a gara or quelle or queste Mostrandosi per lui tutte giulive : Corron le Ninfe in varie guise oneste Senza legge a danzar ch’arte prescrive, E fanno a prova in alto mar profondo. Chi salti più, e chi più scenda al fondo. XIX. Co’ Delfini a scherzar corron sull'onda; Porta Nettuno al vincitore i doni, Nè vuol più che il geloso mar l’asconda : Scherzano i pesci intorno, e par che suoni Della coda al guizzar l’acqua profonda : Chi salta, chi s’asconde, e chi sen fuge; Chi riede e spruzza l'onda, e chi la suge. DELLA SCOVERTA DI AMERICA XX L’Eroe si avanza intanto in mezzo all’onde Cinto da quella compagnia giuliva; E ovunque passa altro splendor diffonde. Ve come vola, e alla felice riva. A gran passi s’inoltra. Ah! si confonde, Nè regge più la mia virtù visiva : Troppo è lontan, l’occhio si perde, addio, Febo, scioglimi il crin, che’ già spario. i CORREGGI È Pag. 14, 1° 3, cantò | fn A LIO RG ea —» 16, nota(2), in versi latini in buon latino (Se VE PERTINI. PT._Z.LZT------—T->"-=-=<%Zz—-<=-=<-<=&#=- « «(@(@«—à«=M»à=< << <<<<--«- COLON EN SU CUARTO CENTENARIO Ya, desde cuatro siglos, su frente desterrada, léjos de su nacion, duerme — Al clamor del mundo en su tumba olvidada despiertase Colon. Alumbra un rayo nuevo el suelìo suspendido; entre duda y pavor los ojos abre incierto, àl inmenso ruido, del mundo à su redor. Qué gritos son? — ; Acaso del viento los bramidos, del trueno el retumbar , en la playa lejana son lugubres gemidos, el murmullo del mar ?.. — Son los tiros quizà de ocultos bandoleros ?... — preguntase Colon — los gritos : — j tierra, tierra! — de mis cien compaleros ò mis cadenas son? — DELLA SCOVERTA DI AMERICA 65 i Quién sabe! — En su morada eterna atento escucha, ya su crujido oyò ; ya recuerda su vida, su amargura, su lucha, el lecho do muriò. i Es mentira, es verdad?—levanta la cabeza vé los astros lucir, à ver vuelve las playas, suelio de su pobreza, de la India y del Ofir. Qué es el ruido estralo que al rededor retumba ? — j solo un nombre... no mas! .un nombre solo... el suyo, despiertale en su tumba, su alma va detràs ! Qué siglos de silencio rescata un solo instante !.. allà en su soledad con 0jos asombrados contempla el Almirante el tiempo en su verdad. En fin aun despuntan para los enterrados, que destruyò el dolor, los héroes, los martires, todos los olvidados, dos astros — gloria, amor! — Asì vé finalmente el suelìo de su vida, su inmenso frenesi por los pueblos bendito, su vasta obra cumplida de la mar el Rabi. El Oriente, el Ocaso sus liras, sus violas, van sus cantos mezclar, los silbidos del viento, los besos de las olas, el uno y el otro mar. De donde el sol se pone, con orgullo profundo, debajo el vendaval, sus 0jos derramarse miran por todo el mundo la luz universal. ILT( PER IL IV CENTENARIO «En su nombre levantase el libre Pensamiento, su divino fulgor cea i borra el pasado, huyen cual las nieblas al viento, el odio y el ciego « CREO ANN i Asi de Amor la ley, como un gigante muerto, del olvido en la mar, en nombre de Colon, que un mundo ha deseubierto, va un mundo a sepultar ! (AL 26 Oetubre 92) Tommaso Cannizzaro | 5 ChisTORORO COLOMBO . Deus haec, Deus omine dextro Imperat, ipse suo voluit commercia mundo Juppiter, et tantos hominum miscere labores. C. V. Fracci, Argon. L. I, v. 244. Quando nell’oceàno Il sol declina, e l’ultimo scompare Filo di luce nell’equoreo piano ; Una fragranza insolita di aromi Portan l’aure tranquille ; E, a fior delle spianate acque del mare, Notan monti, poggetti, e campi e ville ; Riguarda il Lusitano, Con attonite ciglia, Questa d’alti prodigj maraviglia ; E crede che di là da le largh’onde Sorgan verdi giardini, Che odorano le sponde Ai soavi tepori vespertini ; E 1 murmure de l’acque, Che il piè bacia a lo scoglio, ov’è seduto, Gli par di gente, che di là non tacque, O d’amici un saluto. PER IL IV CENTENARIO Ma di Palo sui greti Un solitario Ligure sedea. Lasciò dell’aureo Beti La fiorente di aranci aurea vallea ; E i placidi verzieri, e le fontane Cascanti in vasche di cristallo e d’ambra De la turrita Alhambra ; Ove il temuto Abenserage ingrata Ebbe la sorte, quando al fiero squillo Degl’Ispani cedè l’ardua Granata ; E piantaro i più baldi Sui guerreggiati spaldi Il vincente di Cristo aureo vessillo. Chiuso in un gran pensiero, Ne l’onda fuggitiva, Che s’invola alla riva, O ne la corsa de le bianche vele, Mira indomata la superba Idea Seguitarlo fedele ; E per l’oscura via, Che allontana l’incognito emisfero, Impavida lo avvia; E con fiati soavi Empie i lini a le tre fragili navi. II. Veleggia, veleggia ; per mare intentato Gli guida il timone la mano del Fato : Nell’ira del vento, che torbido rugge ; Nell’onda, che intorno dilagasi e mugge ; Nel guizzo dei brandi, nell’ira dei lagni, Nel srido rubelle d’infidi compagni ; Nell'’aspro periglio quel Forte grandeggia; Serena è la mente ; veleggia, veleggia. De l’ultimo sole coi pallidi raggi Gli s'aprono innanzi stupendi miraggi : Qua nubi posate su l’ultimo lembo, Siccome isolette, che sorgon dal grembo D'un mare senz’onda; là monti e poi monti, } DELLA SOOVERTA DI AMERICA Che chiudon lontani superbi orizzonti; Qua bruna foresta, che ai zefiri ondeggia : E il Grande pensoso veleggia, veleggia. II. Ed una notte, mentre da la prora Gli occhi aguzzava a vincer le tenebre; Trepido ad ogni scorrere dell’ora Per le minacce paurose e crebe ; Una luce di fiamma ad ora ad ora Squarciò la caligante ombra funebre : Torna il di; vede un’isola; e dagli occhi Sgorga il pianto; e s’inchina in su’ ginocchi, E prega. Oh! chi giammai lesse de alma Quel tumulto, quel. gemito sincero ? Chi ne la fronte dignitosa e calma Potè scovrir de l’anima il mistero ? Forse la gioja d’incruenta palma Chiama lacrime e voti al Gran Nocchiero; Forse, al presagio di fatal sventura, Apre gli occhi al domani, e s’impaura. E n’hai ben donde, o Ligure animoso, L’ira de l’uom su te vigila occulta : Sai che il core dei turpi limaccioso Ne la lode medesima t’insulta. Nel saperti che vai senza riposo Di terra in terra, festeggiando esulta; E merto inauspicato a tante pene Ti prepara vilissime catene. Vile chi le prepara. A te, divino, È gloria l’onta di plebei furori; Dal tempo intatti, e dal tuo rio destino Eterni ti fioriscono gli allori; Eterni, come il gran nome latino, Che tu risvegli e chiami ai prischi onori; Eterni, come il tuo genio fecondo Che a te diè lutti, e all’universo un mondo. Ugo Ant. 69 Amico 18 AEREE EEE ASSISI NAT TTTTTANA TTT CARMEN n _.—_ Ausonie Genius latiis qui prefuit oris, Italicasque suo complexus numine gentes, His dedit imperium, fatum et concredidit orbis. Iste prius patrii fammis succendit amoris Pectora Romulidum robur, viresque ministrans, Qui ferro atque magis propria virtute valentes Imperium Romae orbis finibus exzequarunt. At Roma imperium vitiis, armisque laborans Barbaricis tandem fatali concidit ictu. Totus ab integro seclorum nascitur ordo Quum nova relligio collustrat lumine terras; Ausonia et Genius fatis melioribus auctus, Natus ad imperium dominari pergit in orbem. Cedant arma: invecta recens sapientia et artes Immortale jubar cecum effudere per orbem. Ausoniz Genius, pressens cui insederat alma Relligio, huic proprior, concordi et foedere junctus, Quod prius imperium late queesiverat armis Instaurat, ffammisque novis dum purior ardet, Cuncta sibi vincit pertracta ligamine amoris Humani instaurans cultus elementa Magister. Urbane ac iterum vite documenta paravit. At gemit infelix penitus toto orbe remota Gens male nota, ferox, vastos palata per agros. 3 DS DELLA SCOVERTA DI AMERICA TO Littora curva colit pelagi circum objice septa, Ceelestis lucis cui nulla illuxerat aura, Nec socialis amor tulerat consortia vita. Viscera telluris fulvo illic 2ere gravescunt; Flumineusque latex auri subvectat arenam : Arborez scene glauca quae luce coruscant Sponte ferunt fetus, alimenta ac pinguia praebent. Illic plantarum, florum, genus omne animantum, Mille trahens varios adverso sole colores Exhilarat terras, pretioso et munere ditat. Regna ibi nature rerum novitate renident; Et natura suas procul occuluisse videtur Infossas auri venas, quas invida condit Inventori utinam ceu debita premia primo. Attamen innumeris gazis, opibusque superba Terra tenet gentem sine cultu, et lege vagantem, Inter opes inopem, qua duro exercita fato Sylvestrem degit vitam, franisque solutam. Vana superstitio grassatur; Numinis ulla Haud est Relligio que mores pectore fingit. Heu miseros ! fidei queis nondum lumen obortum Turpe gemunt velut orbe extorres, lumine cassi Quod tunc Relligio, cultusque humanior aque Imtulerat terris, qua Christi nuntius ibat, At maturat opus nulli per seecula visum Genua quem peperit divina mente Columbus, Cui quae terra latet cunctos, est cognita soli. Claustra inter Rabidze suspirans pectore ab imo Precipitatque moras, votisque flagrantibus instat, Cum pinus inter, que claustra silentia inumbrant Stura secunda strepit, cursumque invitat inire. Ausonie Genius, cui grandia credita fata Magnam animam, mentemque ispirat; cautus et ille Sidera suspiciens, casus dimensus et ortus, Sidereoque polo defixo lumine inherens, Orbem et describens, qui spheeree volvitur instar Motibus assiduis, animo spem concipit acri Reddere nune partem solidum que deficit orbem. Incassum Reges turpem inflixere repulsam, Frustra et Doctores irrident vota scientis i DO PER IL IV CENTENARIO Nondum exploratis terram consistere in undis; Ille velut scopulus nequidquam fluctibus ictus Mente sua stabat, tot et adversantibus unus Par est, cui soli secretus panditur orbis. Tantum Fernandi subridet gratia Regis, Isabella viro plaudit generosa virago. I quo te occiduas Magnes perducit ad oras Solve Columbe Palo, atque tuo tandem utere fato, Solve ac immensis animis longa et maria hauri. Perpetuum adspicitur celum undique, et undique pontus, Cum tres velivole, tenues fragilesque celoces ZEquoris ignoti spatium metiuntur iniquum. Qua mare inaccessum tenebris nigrantibus horret, Undique prerupti et montes glomerantur aquarum Vorticibus cacis jam naviculas hausturi, Prasentemque viris intentant omnia mortem, Haud pavet ille unus, qui certus queeritat orbem, Nam constans animus fixa et sententia mentis Nimborumque facit, tempestatumque potentem Turmarum, pelagique minze, vel mortis imago Haud animum excutiunt, intus qui gaudia libat, Sidera dum cursum czelo labentia ducunt, In caput atque viri renuunt stridere procelle. At spes certa datur cum spissee in gurgite nantes Arborea visee frondes, volucresque canore Advolitant cireum velate cornua navis; Omnia portendunt terram, sed terra refugit. IJamque Columbus avens non cassa in vota vocabat Terram que tentata diu se porrigit ultro, Excipit atque virum tot cursibus exantlatis Illam qui reperit studiis impulsus amoris. Non secus ac Virgo puris educta lavacris Obvia fit tellus viridanti gramine tecta, Virgineisque vocat tandem considere in oris. Astra ferit clamor, ripe sonitumque dedere Terram! conclamant turme, Terram! adsonat aether Et mare percussum responsat murmure, Terram ! Et terram referens dissultat vocis imago. Ille vir instinetus ceelesti flamine terram Attingens non arma tulit, non bella paravit, DELLA SCOVERTA DI AMERICA 753 At Christi signum sublime expandit ad auras. Littore barbarico celi lux alma refulgens Que lustrat mentes, ac effera pectora mulcet Sponte tulit cultum civilia sensa ferentem. Angelus aethereo veluti delapsus ab axe Grandia facta Dei cacis abscondita scenis, Natureque nova spectanda theatra reclusit. Quos tellus aliis thesauros invida condit Visceribus clausos profert tibi sponte, Columbe, Grata repertori, teque adventante ministro Tura lubens cedit, gentesque dat ire per omnes. Commutata vident rerum commercia gentes, Quotquot opes natura, hominumque industria gignit, Assiduis vicibus mutantur foedere amico ; Sic orbes gemini mira junguntur opum vi, Ac Europa prior sensit benefacta Columbi. Illic virgineo tellus suffusa decore Gentibus externis, quas turpis vexat egestas, Auri, et sacra fames opulentes pellit ad oras, Aut quorum ingenium sibi debita premia poscit, Hospitium pandit, gremioque receptat amico Aspera quos patrios fines Sors linquere adegit, Patria queis panem, renuitque parare laborem. Illic libertas natura conscia j]uris Asserit humanum, divinum servat et aquum. Hanc libertatem que jura innata tuetur, Dive Columbe, tua dirze peperere catene. Invida si valuit scelerata calumnia pectus Opprimere, atque manus duro costringere ferro, Spiritus at liber ccelum solamina duxit, Virtutisque sua sese involvebat amictu Turpis et obsequii, vilisque immunis et ira. Spiritus iste tuus, qui libera sensa fovebat Waxingthonem afflat, qui libertatis alumnus Iura sua gentis juratus sarta tueri Servitium excussit, libertatemque sacravit. Libertate fruens, maculari et nescia tellus Protulit ingenium fulvo pretiosi usauro, Quod nature et opes, vires, legesque revelans Usibus applicuit, viteque ad commoda flexit, 19 74 PER IL IV CENTENARIO Machina suspirans calido exundante vapore Hudsoniis primum ceu monstrum apparuit undis ; Fluctusque infractus gemuit levis impete cymb®, Qua velut ignita, advolvens et ad aethera fumum Vim maris horrisoni superante vapore retundit. Nubibus abscissis etsi micet ignibus aether, Et quatiat fulmen celsas a vertice turres, Attonitique homines trepident formidine pressi, Unus Francklinius cunctis trepidantibus audax Ignitum globulum ferro deprendit acuto, Illabique jubet pedibus sine murmure pressum. Et nova monstra parans mira Edissonius arte Ignibus aethereis lucem elicit albescentem, Atque novis lustrat fammis candentibus urbes. Ignea vis eadem studiis submissa severis Fulmineis alis filo vibrante per auras Fert verbum atque refert nullo crepitante fragore. Excidiique minax, nunc jussa it nuntia rerum ; Humanis longum quos dividit intervallum Affari alternis dat puncto temporis uno. Morsius Electro posuit systema fluenti. Sed qua lingua valet tot dia referre reperta et Ingeniorum ausus, queis nune nova terra superbit Auspiciis progressa tuis, divine Columbe ? Gloria parta tibi nunquam interitura per evum, Plausibus usque novis, ac laudibus increbrescens Clarior affulget geminum celebrata per orbem, Regibus, ac populis concentum edentibus unum, Et modo certatim Liguri gratantibus Urbi Luce hac, qua quatuor revolutis reddita seclis ; Postea quam mediis pelagis ceu candida concha Inventa est tellus, ac risit pulchrior Orbis. Inde superveniens frustra tulit alter honores ; Semper honos, nomenque tuum, laudesque manebunt. Zquora te referunt tune primum scissa carinis, Littora te dicunt, montes, planteque renarrant ; Indigenaeque viri, prisce testantur et Urbes. Sexcentum monumenta tibi dicat orbis uterque ; Orbis ut ipse recens monumentum illustre per aevum Stat tibi perpetuum, solidoque perennius are, DELLA SCOVERTA DI AMERICA Relligio atque sacris Divum te destinat aris. Ausonie Genius latiis qui prefuit oris, Italica ac genti fatum concredidit orbis, Tanto sese attollens jure superbit alumno. Terrarum imperium validis quod ceperat armis, Postea quam Christi lux alma illuxit ab axe Latius extendit sapientia, et arte retentum, Et cum terra suis visa est angusta triumphis Suscitat Italicum Liguri de gente Columbum, Qui terras alias, orbemque exquirat habendum Ingenii partum studiis, cedentibus armis. Agrestes homines degentes more ferarum Pacati veniant leta in consortia vita ; Gens effrena, ferox humanos exerat actus, Artibus atque bonis humanior et quoque fiat : Relligio invaleat non ulla compede vincta. Tante molis erat terram reperire novellam. He tibi erant artes presaga mente, Columbe ; Prosper et eventus tua grandia cepta coronat. Ante triumphatis sibi noti gentibus Orbis Ausonia Genius retulit novo et orbe triumphos. Canonicus Benedictus Marotta 15 TI Tac TTKiIiT.<{ <... yT.TT5TTTTT..WrToo. Dal triangolo P QP' della Fig. I si cava, difatti, detto de l’arco di trattoria P P' dr = do cos 2' o, in generale, a dr COS Z Richiamando allora la (2) del $ 1, si consideri che, essendo df l’an- golo compreso tra le tangenti in due punti infinitamente vicini della traettoria, il raggio di curvatura in un punto qualunque della stessa sarà dato da e quindi 1 du sen 2 1 rta dr U ) DI RIFRAZIONE GEODETICA 11 E poichè ordinariamente in Geodesia la distanza zenitale delle dire- zioni osservate è assai prossima a 90°, si può, con errore trascurabile, assumere : = (15) Si vede allora dalla (5) $ 1 che K=® P7 e quindi, detto %, il coefficente di na nella (13), che È ka = Soil (16) fi dove gi è il raggio di curvatura della traettoria nel punto origine P,. Se si considerasse per punto origine Ps, dovendosi assumere nega- tivamente il dr, si avrebbe 1 du 1 CAN I e nella (14), detto %» il coefficiente di T, sarebbe = CN (17) Risulta dunque che, arrestandosi nella ricerca degli angoli di rifra- zione Az; e Az, ai primi termini dalle (13) e (14), i coefficienti di ri- frazione son dati dal rapporto del raggio vettore del punto considerato al raggio di curvatura della traettoria nel punto stesso. ua SU TALUNE TEORIE II. Esposizione delle varie teorie. Dagli sviluppi precedenti si cava che facilmente si possono trovare per le varie teorie le espressioni di èz e dei Az, quando si trovi il valore del coefficiente X e delle sue derivate, valendosi delle diverse ipotesi proposte per determinare u in funzione dell’altezza r. 6. Teoria di Bouguer. Detto ») il raggio terrestre nel punto origine P , v1 l'indice assoluto di rifrazione nello strato d’aria cui tal punto appartiene; e detti » e w il raggio terrestre e l’indice di rifrazione per un altro punto qualunque dell’atmosfera, il Bouguer suppone la seguente relazione : nf ‘» dove m è una costante da determinarsi per mezzo delle osservazioni. Proponendoci di trovare il valore della rifrazione totale, è 2, tra due punti P, e P dell’ atmosfera, adoperiamo la (10) $ 2, limitata ai ter- mini contenenti la seconda potenza dell’angolo y. Pertanto, per calcolare il primo coefficiente X, si noti che dalla pre- cendente, si cava SILA du _ pal (E | TA dr m r rp? Detto % il dislivello tra P; e il punto P di raggio 7, si ha DREI h maer—h; ra ) 7 T 2 e, trascurando in questo il secondo termine, diviene SEI da Li dr m|_r rv Inoltre è DI RIFRAZIONE GEODETICA 13 e quindi vr du 1 VT 2 u dr »I ©) Ufp== Dalla precedente si cava facilmente RO 8) dr mr? Riferendo al punto origine Pi, le precedenti danno : SE MPI e sostituendole nella (10) $ 2, si ha: far cotg z1 sp =—1+P°- oi (4) Applicando allora la (13) $ 4, si ha immediatamente 1 cotg 21 A natia < 2 R ci ora GEMONA (9) Ove volessimo riferirci, come origine, al punto più elevato della traet- toria Pa, la (1) dovrebbe scriversi, supponendo noti 7. e wa: onde | e) | ta ua ua — m = e quindi Sh du ua Ve) J m 7, dr © mo r rv? o . Va 1 h In tal caso è 72 =r+ A, quindi cdi uno ; IESRSO e tenendo, come prima, soltanto 7 8 ha : dei E na dr m 14 SU TALUNE TEORIE Inoltre è GE % U TE Pa | ca 1 I ora m Fo e quindi du. 7 1 e= — — = ni dr u VO) mM F Da cui facilmente : pra TE E Ft, L mo T2 Sostituendo tali valori nella (12) $ 3, si ha: 1 COtg z3 dz =) Dn IRR (6) e quindi, per la (14) $ 4, 1 COtg ze, uni 6 ET sO) Come vedesi, i primi termini della (5) e della (7) sono identici, e arrestandosi ad essi, come ordinariamente si suole nella pratica, se ne cava che i raggi di curvatura ai due punti estremi della traettoria sono eguali, ed essendo P» un punto qualunque della traettoria, così l’ipotesi di Bouguer dà luogo ad una traettoria circolare. Per determinare la costante m, o meglio - che suole indicarsi con n, si noti che dal triangolo P, P» C della Fig. II si trae: (180° —z, — Az,) +(180° —z,—Az2)4-y= 180° Az + Azg= 180° Ly1_z,— 23 o, ponendo, Ù If Agg=ng e h&=NR 5 (8) DI RIFRAZIONE GEODETICA 15 si ha ny = 180°+ y Zi Za € quindi zi + za — 180° né Ì = (8°) Così, per mezzo delle distanze zenitali osservate 2, e zz e per mezzo della distanza dei punti prescelti, si determina per ogni coppia di os- servazioni contemporanee il valore di n, e si assume come coefficiente di rifrazione costante la media di un gran numero di determinazioni, fatte in condizioni diverse. 7. Teoria di Bessel. Detti r, e è, il raggio terrestre del punto origine P, e la densità atmosferica dello strato d’aria cui tal punto appartiene; detti » e è il raggio terrestre e la densità per un altro P dell’atmosfera, Bessel sup- pone la seguente relazione — pesa (1) [I r oz dé dove 8 è una costante da determinarsi per mezzo delle osservazioni. È noto inoltre che tra la densità di uno strato atmosferico e l’indice assoluto di rifrazione nello strato stesso la Fisica dà la relazione : u=Ves+1 dove c è una costante. Dalla (1) si cava quindi n Sai e=Vezo O (2) Volendo allora, al solito, adoperare la (10) $ 2 per ottenere il valore della rifrazione totale tra il punto P, e un altro punto P dell’atmosfera, dalla precedente caviamo : e inoltre 16 SU TALUNE TEORIE Quindi ai at ode vee O) 2(cè,e ro) E da questa —{ stona ea RA — open Sd S ci R2 ES % (Res \2 di Foa 2(cd,e +1)8 Suo +2 (ped,)fe 5) WR ze Facendo nelle precedenti » = 7; e trascurando nella (4) il termine contenente il quadrato di Lcd, si cava: RI G è Aloe) VE SI ai 3 2(cè3+4+1) Allora la (10) $ 2 da GIONI G2 CÒ] AI i ORE 2(cd, +1) ODIA oro 1) DO e quindi per la (13) $ 3 LA cà Y R? 2(cò3 +19 DI 9 ha GN) DIG 33, cotg 17? +.... (6) Se invece scegliessimo per origine il punto più elevato della traet- toria P,, e supponessimo quindi noti r» e è, la (1) precedente darebbe e quindi Sarebbe allora DI RIFRAZIONE GEODETICA JET e quindi VT (Sì E, È vr. du Bedse ta K= + p = È U dr ge DEE : 2 (cè, e +1) e Oi AIA Di bi Ù 52 x v U N x DI ao r Cda € +1). f*cdae — (Bc da) e 2r (cdae 7 Abi) Fatto » = r» e trascurando nell’ultima il termine con (? c da )} , si ha n ; N 3a Ò Ba E Òg (6 G i pel = cop z, Li... (1 inni Ta ne ) (O) (SY) ©) (O) no a (S7) È 2 09 9 ES = = — cotgz, +... . (8 cioe DI dar se (8) Così ciascuno degli angoli A z viene espresso negli elementi riferentesi al punto in cui esso è stato osservato. Resta a determinare 8 per mezzo delle osservazioni. Pertanto, posto secondo la notazione di Laplace : CÒ; i € dg NC LS) e arrestandosi, come si suole nella pratica, ai primi termini delle (6) e (8), si cava (V. Fig. Il). Li, da cui 1-8(>)- ciali (9) 18 SU TALUNE TEORIE Inoltre detta 5 la pressione barometrica in un dato punto espressa in millimetri, t la temperatura centigrada del punto suddetto, e il coef- ficente di dilatazione dell’aria, e 4 la densità dell’ aria a 760"m e a 0° Ci , si sa dalla Fisica che ON 1 VA 760: lH4et e quindi DIE A bi Ton aa e posto cA_0,000588763 _ ) 160 760 1 si ha È 3 Gus À di NO] Lek e quindi xd 051 Lore o, con sufficiente approssimazione, \b da = 5- (1—-st) e doi Dia (1—-c%) Sostituendo tali valori nella (9), si ottiene À Z ie (10) Così resta determinato £ per mezzo delle osservazioni zenitali, delle osservazioni barometriche e termometriche fatte nei due punti stazione, e per mezzo della distanza degli stessi. Notiamo che le formule cui siamo pervenuti nelle teorie di Bouguer e di Bessel coincidono, tenuto conto di alcune notazioni diverse, con quelle ritrovate per altra via dal Pucci nel Cap. Altimetria dei suoi Fondamenti di Geodesia Vol. I. 8. Teoria di Jordan. Detti u, e è, l’ indice assoluto di rifrazione e la densità atmosferica per lo strato d’ aria cui appartiene il punto origine Pi, e dette » e è DI RIFRAZIONE GEODETICA 19 le stesse quantità per lo strato d’aria cui appartiene un altro punto P, stante le note relazioni it \ 1) wu =14cì, ( si ha: us CÒ; o) 9 use 1+ ed, ( 1 1 ) (2) Ponendo, al solito, CO CORNI 9 e O =R@ (3) la (2) diviene 1-5 224(1-+ 4) Intanto dalla 1% delle (1), differenziando e dividendo per 2 u2, sì cava: du: ec dò ani 2A 2 da cui, stante la (1) e la (4) du. = (6) ui, o c Il “_ — dd 5 w nilo n.0 3 u due Z cò ; BA ‘ 7 1-2 ( l— Òl Ma dalla (3) si cava c MANGA 214 cd) è e quindi du. dò 02) niki 5 (9) lv O (o O iQ 04 ovvero, con sufficiente approssimazione, du _— dò CRI (6) TIE N PRI ò : Rao : poichè, essendo ° <1 e 2 «, infinitesimo , il loro prodotto sarà tra- 7 i scurabile. . . Ò È dò CA Proponghiamoci ora di esprimere tanto — quanto lo) Òl 1-2 mezzo di quantità osservabili. E noto che dette 5, # di e # la pressione e la temperatura negli 20 SU TALUNE TEORIE strati d’aria le cui densità siano è e è,, si ha per le leggi di Mariotte e Gay-Lussac Dj db 148, 1 Ta i l+=st 0 Inoltre, stante la piccolezza della costante c, si può, come si cava facilmente dalla (3), al rapporto delle densità sostituire quello delle quantità « e . Si rammenti ancora che a 751, 51"" e 9°, 31 Ci, Bessel determinò il Valore di «: DIA o, in parti di raggio : x = 0, 0002 che va detta costante di rifrazione. Dalla (7) allora si cava, per un’ altra condizione qualunque atmo- sferica, e rammentando che è : = 0, 003665 : bb 1-4+0,003665X9,31 ® 751,51 1+0,003665# i = Volendo ridurre quest’espressione ai valori normali 760"" e 0° Ci , si avrebbe " 5 « i £ CES t re? 1 i 0 0 00365 o, in parti di raggio: ) 1 00 Ted È Dalla precedente fatto b = 760%" e #= 0, si cava il valor costante cu = 60”,371 ovvero % = 0, 00029269 da cui Lo Q _—t_2=0, 00029286 MEZ ° Allora pel punto P, avremo dalla (8), considerando che si può con lieve errore sostituire 1—2% ad 1—-2: % val CI) di 1 Ted Ya Ra DI RIFRAZIONE GEODETICA 2A p1 i 1-20 pel punto P.. Riprendiamo la (7), e riferendola ai due punti di osservazione P, e Ps essa dà : Così è immediatamente calcolabile quando siano noti di e f, da LN, da l+=st SIA bs Ù ] Vo ATO: Rescaa CO Ancora detto « il dislivello tra i due punti P, e P:, si ha dalle for- | mule cavate dal Jordan nella Livellazione Barometrica : Lili mal ) D) x = C (log d, — log ds) (i SER (11) dove € è una costante barometrica, data da Dlelei e ORTA ( H , d= 18400 (1+0, SU i +0, 002575 cos 2 4) (tanza Mi C0%) in cui e è la densità media del vapor d’acqua dell’atmosfera, è la pres- sione media tra i due punti di osservazione, 9 la latitudine geografica media dei medesimi, 7 la loro media altezza sul mare, ed » il raggio terrestre riferentesi a questa altezza media. bi di ) | Intanto dalla (11) si cava: log bi — log de = —tog|. o ( es da cui, svolgendo in serie, e moltiplicando pel modulo M dei logaritmi : da da db, 3 ntog[1-(1-£)]a[(1-$)+(1- ce) +... .| e sostituendo nella (11): a-me| tt +(A7 a) AI . ]i+.4] (12) Ammettiamo ora che la decrescenza della temperatura coll’ altezza sia determinata dalla seguente legge : esse i (13) dove 7, m.... sono coefficienti da determinare colle osservazioni. Arrestandosi al primo termine si ha i_—-% XL =in (14) 22 SU. TALUNE TEORIE Dalla (13) si cava facilmente : h+% n - n 2 9 = Gue e Sostituendo nella (12), e arrestandosi ai termini di 1° ordine ac Mo i ‘Jlbaea =... 15) da cui si cava bi — da x na = Di el tai 2 i) e ancora - oa... (16) Sostituendo la (16) e la (13) nella (10) ), sì ha c=|i- Ce) ùi acne +... ][1t+as+....]= =1l i “poi Jota. OST (17) E da questa, finalmente, tenendo è, costante e è, variabile P=| (ro ni )+e... |... 0) Il 4 Sostituiamo, infine, la (9) e la (18) nella (6). Si ottiene in prima approssimazione b 1 (4) - 0 T 1 2; È ; REZZA 008 1l+e8 | ( MC n) ae ]oo Volendo ora, al solito, applicare la (10 $ 2 per la ricerca della ri- frazione totale tra P, e un altro punto dell’ atmosfera, si osservi che il coefficiente X può scriversi TER _ du 1 “= Pi a SIA DI RIFRAZIONE GEODETICA 23 Si ottiene, quindi, nel caso presente : e pel punto Pi: TO Xo bi 1 Ted * 6=[ 72% T60 IP \ uo n) Ponendo per brevità e arrestandoci al primo termine della (10) $ 1, si ottiene n bi i ù = ae 3 Data x2 9 dz=v IF MO 1 Jet SICMSRA (20) onde RS di IRA si Az=YT orali MO E oninin d'oro (21) Si vede facilmente che se scegliessimo per punto origine P,, se- guendo ragionamenti analoghi ai precedenti, giungeremmo alla seguente espressione : da 1 TRE 6) XU NE UT = — — me |) «Cacao 22 x TRES MC 5a Ea) Più brevemente può scriversi 1 A&E 5 kiY Î 1 A PESARO #2 9 9 denotando con X, e X: i coefficienti di di nelle (21) e (22). Notiamo che il Jordan trova pei A 2 valori diversi dai nostri, ma che si ricavano facilmente da alcune formule dei $$ 4 e 5. Riferendo la traettoria ai due assi cennati nel $ 4, e detti y ed 2 le 24 SU TALUNE TEORIE coordinate di un punto qualunque della stessa , il suo raggio di cur- vatura in detto punto è dato dalla nota formula: dy ° 5 [:+(#) J d y di pe d’onde, con sufficiente approssimazione : Ian po dE Richiamiamo dal $ 4 l’espressione di si limitata ai termini conte- nenti le seconde potenze di /; e osserviamo che da essa si trae imme- diatamente : 1 Mi 2N AP I p pz da cui, riferendo al punto origine Pi e all’ altro estremo della traet- toria P., si cavano i due valori : la ES? 1 E Mi 2% L Pa 7 Pi Dalle precedenti si traggono facilmente i valori di Mi ed N espressi per mezzo dei raggi di curvatura : Sostituendo tali valori nella equazione della traettoria ricavata al $ 4, cioè Mi 5 y= gp P+t Pa] = L° mal: 9 (9) si ottiene (AS) I DI RIFRAZIONE GEODETICA DI 3 9 fi Pa Da questa, dividendo per L : 2 1 TA SE Ns fi 2) ci D Moltiplicando e dividendo la precedente per », e notando che, secondo i criteri espressi al $ 5, si possono ai rapporti — e I Pa ficienti X, e £,, che entrano nelle (23) precedenti, viene sostituire i coef- essendo posto ; (24) k, + 2 ka ili DIANE Ad&= ( 9 ) 92 =k DI \ (25) Le (24) e (25) sono le espressioni date dal Jordan per gli angoli A 2. Riserbandoci di discutere in seguito tali formule rispetto a quelle da noi trovate (21) e (22), ci limitiamo per ora a notare che la determi- nazione’ di %, e £», da cui, in ogni caso, dipendono i A 2, e À 2,, richiede la conoscenza delle condizioni barometriche e termometriche dei due punti stazione, quella della loro distanza, e quella, anche approssima- tiva, della latitudine media e dell’altezza media sul mare degli stessi. =1 DO (en) SU TALUNE TEORIE III. Notizie sui Calcoli. Per sottoporre a calcolo le varie teorie abbiamo adoperato tre serie di osservazioni : 1. quelle fatte da Bayer nel 1849 tra due stazioni Kupferkuhle e Brocken e riportate da Jordan nel suo trattato Handbuch der Vermes- sungs Kunde, Vol. I; 2. quelle fatte da Bauernfeind nel 1879 e 1880 tra due stazioni Ka- pellenberg e Dòbra; 3. quelle fatte sotto la direzione dello stesso Bauernfeind nello ago- sto 1881 fra tre stazioni: Hohensteig, Kampenwand, Irschenberg. Queste due ultime serie sono pubblicate nelle memorie accennate nella prefazione. In quelle fatte nel 1879 e 1880, benchè numerose, pure di rado se ne trovano delle contemporanee, e ne abbiamo potuto raccogliere solo 89; invece dell’ altra serie ne abbiamo raccolto circa 600, cioè : 200 tra Hohensteig e Kampenwand; 206 tra Irsehenberg e Kampenwand; 198 tra Hohensteig ed Irschenberg. Tanto in quelle di Bayer che in queste ultime le osservazioni erano precedute dalla misura del dislivello geometrico tra i punti stazione, e quindi, conoscendo in ogni caso le distanze zenitali vere delle varie direzioni, si hanno facilmente gli angoli di rifrazione parziali A 3, e Az,. Le osservazioni di Bauernfeind sono fatte di giorno e di notte, e nell’ultima serie si ripetono ordinariamente di mezz’ora in mezz?’ ora. Noi, volendo provare le varie teorie nelle ore in cui più facilmente si eseguono i lavori pratici, abbiamo -tenuto pei calcoli le osservazioni di giorno dalle 7 a. m. alle 5 p. m., scegliendole di ora in ora, giacchè da una mezz'ora all’altra ordinariamente non si riscontra un sensibile cambiamento di condizioni. In quanto alla disposizione dei nostri calcoli diremo che abbiamo preparate tre serie di tavole. Nella Serie I si trovano gli angoli calcolati colle varie teorie tenendo le osservazioni contemporanee. Quindi si sono, per ogni coppia di os- servazioni , adoperate le formule (8) e (8°) $S 6 per Bouguer; le for- mule (6) (8) arrestate ai primi termini e la formula (10) del $ 7 per DI RIFRAZIONE GEODETICA 27 Bessel; e le formule (21) (22) insieme alle (11) (11’) (14) $ 8 per Jordan. È chiaro che per queste si fa praticamente AL ù=9= E Nella Serie II di tavole si trovano gli angoli calcolati colla teoria di Jordan tenendo le formule date dall’ Autore, cioè le (24) e (25) $ 8; e gli angoli calcolati colla teoria di Bouguer tenendo l’ n come coefficiente costante. E per questi abbiamo eseguite due serie di calcoli: una prima te- nendo per tutti i casi 1’ » medio dei due valori n=0,1370 . ed n=0,1306 dati da Bessel e da Gauss, cioè tenendo : n= 0, 1338 che vien nel seguito denotato brevemente con » di Bessel. Nell’altra abbiamo adoperato come costante 1’ » tratto dalle varie os- servazioni nell’epoca a loro relativa. Quindi per Kupferkuhle e Brocken - abbiamo avuto come media delle 12 osservazioni fatte da Bayer : n= 0, 1524 Per Kapellenberg e Dòbra : TA—40#1350 -E per le tre stazioni di Hòhensteig, Irschenberg, Kampenwand : TION: Si noti che nel trarre gli ultimi due valori abbiamo adoperato, oltre le osservazioni già prescelte dalle 7 a. m. alle 5 p. m., tutte le dispo- nibi delle ore medie, dalle 10 a. m. alle 2 p.m.; e quindi 1’n relativo a Kapellenberg e Dòbra è media di 20 osservazioni; e l’ultimo relativo alle 5 stazioni è media di 240 osservazioni. Nella Serie III di tavole abbiamo inscritti i dislivelli, che, per com- plemento di calcolo, abbiamo tratto dalle varie teorie. E precisamente nella 1% tavola della Serie III si trovano i dislivelli relativi a due stazioni calcolati per ogni giorno di osservazione , te- nendo per Bouguer e per Bessel 1’ x o il f medio relativo al giorno stesso; e per Jordan la media degli angoli calcolati pel giorno mede- simo e riportati nella Serie I di tavole. Nella 2° tavola invece abbiamo T 28 SU TALUNE TEORIE inscritti i dislivelli calcolati giorno per giorno colla teoria di Jordan adoperando la media degli angoli riportati dalla Serie II di tavole; e colla teoria di Bouguer in due modi : cioè usando in ogni caso n = 0, 1338, ovvero tenendo per le varie stazioni gli » costanti tratti dalle osser- vazioni e precedentemente citati. Le formule adoperate pel calcolo dei dislivelli nella teoria di Bouguer e di Bessel sono tratte dal Pucci (Fondamenti di Geodesia, Vol. I). Esse sono, relativamente alla teoria di Bouguer e per le due stazioni : 7 Cor uu Sto DA rd = scott, o La A 2ro Sen?z, Sp} ge 1% h= sq cotza NE Rtaia ee o da 2 2r, sen?z, 2 9 Sp U se 1— p: h= sot za + ca cot? zz + n. 270 2% Senfz, In quanto al Jordan le formule per la ricerca del dislivello sono date dallo stesso autore : h= tot (e z:+Az)+ > 9 h= s,cot(22-+ Az) +30 0 Nelle formule precedenti s, è la distanza orizzontale tra le due sta- zioni al livello del mare ; +, il raggio terrestre ad un’ altezza media tra le stesse; 2, e 2, le distanze zenitali osservate nei punti P, e P.. Inoltre nelle formule di Bessel le quantità p, e p, sono legate a g dalle relazioni n= 58% (1-8) pr = e to) Nelle formule di Jordan il Az, e il A 2, sono gli angoli di rifrazione calcolati. In quanto poi alla disposizione dei calcoli nelle varie tavole, diremo che quelli della Serie I si distribuiscono in due facciate. Nella facciata a sinistra le prime 5 colonne sono occupate dal giorno e dall’ora dell’osservazione e dai dati d’osservazione relativamente alla N DI RIFRAZIONE GEODETICA 29 ì stazione più bassa (A42,, dj, t,). Nella 6% colonna si trovano le diffe- renze tra il valore unico dell’angolo di rifrazione ottenuto per Bouguer e il Az; osservato. Nella 72 e 8% colonna si trovano i A z; calcolati colla teoria di Bessel e le relative differenze ; nella 9* e 10* i Az; calcolati colla teoria di Jordan e relative differenze. Nella facciata a destra dopo i dati di os- servazione relativi alla stazione più alta (A z2, %2, #), si trovano nella b* e 6% colonna i valori dei Az calcolati per Bouguer e le loro dif- ferenze col Az, osservato. Nelle ultime quattro colonne sono i calcoli per Bessel e Jordan relativi ai Az, e le corrispondenti differenze cogli osservati. Nella Serie II i calcoli, formanti le varie tavole, sono disposti in una facciata di cui le prime due colonne sono occupate dal giorno e dal- l’ora cui si riferisce il calcolo; la 3* e 4* dalle differenze tra l'angolo avuto nella teoria di Bouguer coll’ » costante tratto dalle osservazioni e gli angoli osservati; nella 5* e 6% le differenze tra l’angolo avuto nella stessa teoria tenendo 1’ costantemente 2 = 0, 1358 e gli angoli osservati; nelle ultime quattro sono gli angoli calcolati nella teoria di Jordan colle formule proposte dall’ Autore e le relative differenze cogli osservati. Facciamo seguire gli angoli ottenuti per la teoria di Bouguer cogli 7 costanti, scrivendo nella colonna a sinistra quelli relativi agli n medi delle osservazioni, a destra quelli relativi all’» di Bessel. Essi sono : per le stazioni di Kupferkhule e Brocken . Az = ur MATA 103, 3 » » Kapellenberg e Dòbra. . » 104,9 » 103,9 » » Hohensteig e Kampenwand. D( 30,0 » 44,2 » » Hohensteig ed Irschenberg. » 42,7 Dent N92; » » Irschenberg e Kampenwand » 84,2 > TO Nelle due tavole della Serie III : nella facciata a sinistra si trovano sempre i calcoli dei dislivelli fatti dalla stazione più bassa e in quella a destra i calcoli fatti dalla stazione più alta. Più specialmente : in ogni facciata della 1% tavola le prime due colonne sono occupate dai calcoli fatti colla teoria di Bouguer nel modo avanti accennato, e dalle re- lative differenze coi dislivelli veri; le due successive dai calcoli e dif- ferenze per Bessel, le due ultime da calcoli e differenze per Jordan. Nella 2° tavola invece le prime quattro colonne di ogni facciata sono occupate dai calcoli fatti per Bouguer tenendo gli n costanti e dalle relative differenze, e le ultime due dai calcoli per Jordan tenendo i risultati dalla Serie II. 30 SU TALUNE TEORIE Gli angoli calcolati sono sempre indicati con Az, e Az3, e con Az è indicato il valore unico di Bouguer. Le differenze dagli osservati sono notate con dAz; e dAz,.; a queste si è dato il segno + quando il va- lore calcolato supera l’osservato, il segno — nel caso opposto. I dislivelli calcolati e le relative differenze dai veri sono indicate con è e dh, e per questa è tenuta la stessa regola rispetto ai segni. Aggiungeremo infine alcuni dati relativi alle varie stazioni. Stazioni di Kupferkuhle e Brocken Kupferkuhle Brocken Latitudine geografica . . . . 51°,55%,557, 86 51°, 48°, 1%, 17 Altezza sul mare... . . m. 171,977 1142, 899 Distanze zenitali vere... . 899, 3, 1%, 87 91°, 22%, 37,20 Distanza orizzontale . . , . i s,= 47842, 8 Raggio terrestre... . . + log #, = 6, 8054354 Angolo al centro y= 25°, 44”, 56 Dislivello vero: 0. m. 970, 92 Stazioni di Kapellenberg e Dobra Kapellenberg Dibra Latitudine geografica . . . . OX (2206 50, 16°, 45° Altezza sull mare... m. 764, 749 94, 104 Distanzi zenitali vere. . . . 900, 10%, 46/91 1909, 104, 6/7,9 Distanza orizzontale . . . . sy= 47958, 4 Raggio terrestre... . . . log 7, = 6, 8045153 Angolo al centro... . + IZ, dl Mistralo veto oe SS mA 20, 05 Stazioni di Hohensteig — Irschenberg — Kampenwand H I K Latitudine geografica per la stazione di HONENSCICIRAR AR ERA AO ETNO IESCHERDEREMAR E OO inn e 47,49 ,47 41 Kampenwand. PILA REI SONS OOO VIAN NIE I 47,45 ,17,95 Hohensteig Irschenberg Kampenwand. HIinH. Ra ELI in Se in K. TK inIl es TONI H K. IRERS H. I. K. HI H K. IK. H ed I. H ed K IedK . DI RIFRAZIONE GEODETICA S1 Altezza sul mare per la stazione di m. 484,000 753, 626 1564, 331 Distanze zenitali vere per . 21 = 89°, 10°, 52”, 69 — 90.,58,,23 ,93 n 9 | | RIZIOO=ESIN 4, 3,65 .z:= 938, 6,57 ,15 . z1=88,47,18 ,69 . z2= 91,31, 0,39 Distanza orizzontale per Raggio terrestre per Angolo al centro per Dislivello tra s, = 17238, 46 m. 20445, 80 34038, 22 log x, = 6, 8041306 6, 8041278 6, 8041221 v= 556%, 62 660”, 79 1099”, 07 m. 269, 626 1080, 331 810, 705 QUADRI DEI CALCOLI a 34 SU TALUNE TEORIE CES Da Ne b, A Bouguer Bessel har Jordan daza | \Az | dazi Az (1) pen io i eos oa ad Settembre 1 6,35 | 184,4 | 747,16 | 10,50 | — 23,3 | 170,5 | — 13,9 | 166,4 ea 7,84 | 174,7 | 747,13 | 15,00 20,5 | 162,4 | — 12,38 | 147,6 8,34 | 148,1 | 747,27 | 17,88 TE 02370 Mo Roe 9,34 | 127,4 | 747,45 | 18,38 5A este oz Mega 10,34 | 117,3 | 747,27 | 19,88 3 ga eo 125,0 11,34 | 113,0 | 747,09 | 21,50 70) L10074 dial Mi 12,34 | 107,1 | 747,09 | 22,63 6,0, 105,3-| = 18. | 109% 1,34 || 106,5.| 747,13 | 23,38 6021090) a Moi 2,84 | 105,9 | 747,13 | 23,38 59 OZ A O 3,34 | 110,6 | 746,93 | 23,25 64° 108402 Mo 8 4,34 | 113,5 | 746,77 | 22,88 635 0 oo 5.Ii 5,34 | 118,3 | 746,84 | 22,25 6,3 | 1l6;3.|:— 2,0 (00268 ee | Stazioni di Kapellenberg Giugno 1879 im 7 zizi (694,0 zz il 75 110,0 - 72 ee 2: REI 80 MOI = za ao 36,7 MOR ERO I 0g (o ch 38,8]. 10 IS GS Oa ME oa a aa 43,9 Tr 06 0300) d693:8 0 a esiste ego 8 a 45,1 IUS 12,300 102,4 | 6935 | 15,6 | — 3,00 0958 | — 29 1277 45,3 Laren ass Re eo Re eee 46,8 2 05/20 69330 LS ela N99 0 41,1 2M 7 Ma GR UA as 105,2 | 72) 40,1 8 VOGA RG RI DI DESIO e SSN St > 36, 6 9 DOC oo i oe 49,2 i ll O o CR 5 59, 4 a (S Aa 10087 GIO Sla: sist vos 2 110 22068 110, 6 RE Roi 2) 000) MEZZA NO MCO SR o 299, 8 17 S 4 MAIA MT SSR 0) EL INPS ZIONI INDIA Nicosia Si een ozio — pd 19 S. 4,30 | 98,6 | 696,2 POS ONG NIOR pe ooo 5, 5 | 106,3 | 697,3 SOM E ONIN MIz, J00 Cal 10582 des 377,1 [na E |D7 E (36) (Di! DI RIFRAZIONE GEODETICA Bouguer Bessel Jordan Az dA za A 23 dA 25 A 20 dA 23 TUE NO Io ul eu TE NW me O A, 008 e 2388 LA ao A o, 665,92 | 12,88 | 1542 207 N90 OZ 035 0,0 666,30 | 14,25 132,1 16,0, 25: Ro asti Mor 666, 39 13, 38 122519 D; 9 116,5 =_.()5 120,9 + 3,9 666,30 | 14,38 | 119,5 + 070 To Rene NeeNisto 666,35 | 14,75 | 106.0 ACRI NONNA TO L10818 666,28 | 14,50 | 101,1 6,0 965900 NOIIAS IIO460) Iiio a 666,59 | 14,75 | 100,3 6,3 96,200 AZ: 200 VI 02001 NSA 666,44 | 14,75 | 100,0 5,9 SG GET 200) 01029 SESSO 666,30 | 14,75 | 104,2 GO RIO 0N 2300 NET 0200) META O 666,19 | 14,13 | 107,2 CIR rozIonI RESO: 102548 SITO 666,08 | 12,88 | 112,0 GA 76) ENO, RITO 80 Meo " Î e Dibra | | 7 102,0 690, 8 Zi 109,7 + 7,7 109,5 | + 7,5 150, 3 + 48,3 8 96,8 | 691,0 La 104,8 LO) 104K6IN NESIMTe 148,8 52,0 9 102,1 | 691,0 14, 4 106, 2 SEMI] LOGO RISI NI Ain 46,3 10 97,8 | 690,8 14,2 101,6 RS SIMO A N 148,6 50, 8 11,30 | 95,9 | 690,5 15,3 99, 4 ARE) 9020 SAS a 51,5 1 12,30 | 96,3 | 690,5 15,6 99, 4 SESSI DOIONE INTE Rio 147,0 50,7 RESO. 93; 690, 4 17,2 96, 4 DIEGIORG 96,2 Esa 4508 51,5 2 92,4 | 690,4 16,8 98,8 + 6,4 S86/0 e 06, 20 Msn 53,3 7] 97,5 | 691,7 11,4 104,9 Se A 04, 8 730 RSI 54,4 8 | 95,4 | 6920 12,6 105,0 + 9,6 104,9 | + 9,5 | 150,6 55,2 9 96,7 | 692,1 13,5 98,9 DONO SSA MIO ol 53,0 "ll 93,9 | 692,3 12, 4 93,0 O 9248 ASSAI] 150,9 57,0 4,15 | 87,2 | 691,8 19,3 98, 4 So 98050 Lion Roia 131,6 4,40 99,2 691,7 20, 1 DOM + 3,9 98,6 + 3,4 398, 2 303, 0 4 102,8 | 693,8 10,77 110,5 ug Ue (14,50 | 104,8 | 693,6 9,2 107,2 si a 107: 0A | MSSTOR5 i 4,30 | 117,8 | 694,4 5,4 108,2 96107790 oto 7 136,9 : 9, 5 | 126,6 | 6948 5,6 116,4 CA 350, 4 SY GIORNO (1) Agosto 1881 16 M. 16 S. 18 5. 23 M. SU TALUNE TEORIE Bouguer di zi (6) 22050 24,1 mv O 0 o = a. © 0 La FS n vel (©) DI Ul (A) DO) Tuco arcaico DU dI UD 09 VI IAP CIO RYAN == D_ (SJ) VI TO 9 DO SN Do © 0 I = I DE) ue) (©) 626, 1 633,1 633,0 DI RIFRAZIONE GEODETICA 6 I Ca NI Bio) SU TALUNE TEORIE CR da NE b A Bouguer Bessel Jordan daz, Az dA 21 Ag; dA z; O) ENO gus LE o oa va no) | 25M 8 70,5 | veL4 2 || = 193 537 16,8 E 9 70,5 | 721,5 | 16,2 185 | 544 3 21,2 | 10 68,6. | 721,5 | 17,0 19,2 | 51,5 17,1 | 62 23,4 ) 4 Il 66,8 | 721,4 | 18,2 17;5 | (515 15,3 | 449 21,9 | 12 66,0 | 721,2 19,0 18,6 49,7 16,3 45,9 20:10 25 S I 66,0. | 721,2. | 19,8 18,2 | 50,0 16,0-| 46,8 19,2 | 2,30 | 66,0 | 720,6 | 20,9 17,6). (50,7 15,3 | 45,4 20, 6 4 66, 17200 |b21,7 17,8 | 50,6 15,5 | 45,4 20,7 5 74,2 | 7199 |20,8 20,3 | 56,3 17,9 | 48,5 25,700 26 M. 7 BORE 20020 MG 26,2 | 59,1 34,8 | 8 79,0 | 7190 | 16,4 23,1. | 59,0 20,0 | 56,1 22,9 9 n 19208 SISI, 225. | 948 20,3 | 52,0 25,6 10 780187 205 18,5.| 55,9 15,9 | 2770 24,8 Il 6100 Mii 2206 18,2. 52,2 15,8} 47,0 21,0 12 63,7 | 718,2 | 23,8 15,5 | 50,4 13,3 | 45/2 18,5 26 S. I 65,2 | 717,8 | 242 15,0 | 52,4 12,8 | 46,8 18,4 2 66,4 | 717,2 | 25,9 15,5 | 53,3 131 | 45,2 21,2 3 72,3 | 716,9. | 251 20,0 | 54,8 17,5.) 4883 24,0 4 ORI 165 252 16,5 | 53,3 13,361 15,3 5 72009 ea la let 5887 14,1 | 53,3 19,5 27 M. Ù 9, | 740 | 18,0 27,4 | 67,4 23/7. 5g 32,4 8 89,3 | 713,9 | 20,6 26,8 | 65,9 23,4 | 54,4 34, 9 SINON IIS 6 206 23,8 .| 60,3 20,7 541 26,9 10 7080071860238 16,4 || 57,4 13,4 | 52,3 18,5 ll 63,7 | 713,4 | 25,0 15,2 | 50,9 12,8 | (48,2 15,3. Stazioni di Hohensteig 18.5. 12,30|/ 444 (7130. 139 | — 82 367) 77, Re OO ZGR TAI Ma to RIERRI 5,8 | 41,3 4,8 | 49,0 2,9) 900 i eo sie 8,6 46,6 8,1: 145,05 Son | IEZ0N SON e zi PIO 3,1} 49,7 2,6 | 35,8 16,5.) 19 M 7 58,3.| 720,2 | 15,8 3,9 | 55,1 Re co 8 A NZ AO 5,5 | 41,6 4,9 | (54,0 CRM 9 SOON O ER OA 86,9 OT 0 15,5 10 43,5 | 720,6 LONZIR8 e: 00 AT 4,9 ll 44,1 | 720,8 | 20,1 SC LIE 2,9 | 46,3 2,2. 12 44,8 | 720,8 | .20,3 3,7.| 41,2 9:6 | (45,0 0; DI RIFRAZIONE GEODETICA OrA AE, (11) (12) 8 31,9 9 33,6 10 30, 1 Il 31,8 12 28,9 I 29, 6 2,30 | 30,9 4 30, 7 fio 33, 6 Bi7 TO “E 32,8 Gioi Reza di: 10 34,9 ll 31,6 12 32,7 l 35, 1 2 95, 4 3 32,2 4 34,0 fis 38,6 fi 36,4 Dis 35,7 9 33, 4 | lo 38,1 fI) 398 Irschenberg 12/30}: 028/1 1,30 34, 4 Ri03,30 | 37,4 di 4,390 | 46,0 Ù 50, 4 35,5 9 36,8 10 37,5 ll 37,2 12 37,4 690, 4 690, 3 690,7 691,4 698, 1 698, 5 698,3 698, 1 698, 1 697,8 Bouguer Bessel Jordan NE dA 23 2 dA za Azz dAz, (15) (16) (17) (15) (19) (20) DIN + 19,3 48,8 + 16,9 46,7 + 14,8 52,0 18, 4 49,7 16, 1 44,8 Wo ® 49, 4 19,3 47,2 17,1 43,6 13,9 49,3 768 47,1 15,3 43,3 65 47,4 18,5 45,3 16, 4 44,0 15, 1 47,8 18,2 45,6 16,0 44,3 14,7 48, 4 17,5 46,2 SS 43,3 IZ: 48,3 17,6 46,2 5 43,3 12,6 53,9 20,3 5, 4 17,8 43,2 9,6 64,7 29.2 61,7 26,2 53; 4 137710) 55,9 2301 52,8 20,0 DI 18,4 al 22,4 52; 9 20, 2 43,2 15,5 53,3 18,4 50, 8 15,9 44,7 9,8 49,8 18,2 47,4 15,8 44,3 1297 48,2 15,5 46,0 1398) 43,0 10,3 50, 2 9,1 47,8 NZ 44,1 9,0 50,9 15,5 48,6 13,2 42,7 13 52,3 20, 1 49,7 17,5 45,0 12,8 50, 6 16,6 47,9 13,9 47,5 13,5 50, 7 1709 92,7 14, 1 48,5 9,9 63,7 IS) 60, 1 23, Vi 52,8 16,4 62,5 26, 8 59, 1 23; 4 49,4 MS 7 57,2 23,8 54,1 20,7 49,4 16,0 54, 4 16,3 DIL 15,4 47,9 9,8 48,5 op d 46, 1 12,8 45,1 11,8 36, 2 + 8,1 SEnU + 7,6 46, 1 + 18,0 40,3 5,9 39; 2 4,8 47,7 13,3 46, 1 8,7 45, di 8,0 44. ]l 6,7 49,2 DI2 48,4 2,4 39, 6 — 10,4 DA 4,0 53, 6 SHIz 48,5 1,9 41,0 DIO) 40, 4 4,9 52,3 + 16,8 36,3 —.0,5 39, 8 — 1,0 49,9 MS, 40,5 + 3,0 39,9 + 2,4 47,2 Shy 40,7 35) 40, 1 209 45,2 8,0 41,1 SH 40, 1 INT 44,0 6,6 40 SU TALUNE TEORIE Bouguer Bessel GIORNO ORA A zi di si di z; AZI dAz; Azi to) Ure TOI UNE: o SV Ue SONE 19 S. I OC Oo E SO Od e 2 44,2 | -719,7 | 22,0 2,3 |} 22,5 Riga PEcL: >) 3 44,9 | 719,3 | 22,0 2,0 | 43,6. 1,3) 50,2 4 SISEo71818 02272 0,2 | 389 | + 04| 52,2 5 51,5 | 718,3 | 22,2 50|41|—- 44)| 497 22 M. 7 61,7 | 720,8 | 17,0 3,2 | 59,4 2,3 | 51,9 8 64,1 | 720,7 | 18,9 5,6 | 59,6 4,5 | 62,4 9 48,9 | 720,9 | 20,8 3,8 | 45,9 3,0 | 60,4 10 46,2 | 720,6 | 21,8 5,0 | 41,9 4,3 | 5817 Il 43,0 | 720,3. | 22,2 3,7 | 39,9 3,1 | 541 12 41,8 | 720,1 | 22,5 1,4 | 41,3 0,5 | 68,9 92 S I 49,4 | 719,6 | 23,5 Miso 4207 6,7 | 45,6 2 LOT VION7 | 15230 40) 37,3 3,4 | 48,9 3 44,7 | 718,9 | 240 5,0 | 40,3 4,4 | 45,4 4 54,9 | 718,2 | 240 10,2 | 45,3 9,6 | 42,9 23 M. 8 TODI IZZO 3,8 | 69,6 2,9 | 43,0 9 ai N00 02208 3,1 | 53,3 2,1 | 64,2 ll 46,6 | 718,4 | 25,2 2,7 | 44,5 2,1 | 449 12 43,7 | 718,0 | 26,0 3,0 | 41,3 2,4 | 27,7 23 S. I 45,9 | 717,5 | 27,6 5,4 | 40,9 5,0 | 43,4 2 44,0 | 716,9 | 28,0 3,8 | 4058 3,2 | 43,2 3 41,6 | 716,1 | 27,2 3,2 | 39,0 2,6 | 53,1 4 50,9 | 715,9 | 26,7 5,8 | 45,7 5,2 | 44,8 5 50, 3 1979 26,2 4,1 46,8 SO 45,2 24 M. 7 49,0 | 716,9 | 19,3 GUI 437 5,3 | 45,0 8 44,2 | 717,5 | 19,9 0,8 | 43,9 0,3 | 42,4 9 45,2 | 717,8 | 20,2 1,3 | 44,5 0,7 | 45,4 10 48,0 718,3 20, 4 2,6 46,0 2,0 49, 1 ll 48,4.| 718,4 |\212 3,8 | 45,1 3,3 | 35,8 12 46,1 | 7190 | 21,6 1,4 | 45,0 1,1 | 27,6 24 S. 3,30 | 64,6 | 719,1 | 15,8 7,5 | 57,8 6,8 | 49,7 30 | (58,3 | 719,0. | 15,8 DIL RZ AS] 25 M. 7 Gli | 14/9 6,7 | 55,8 5,9 | 49,6 830/1541 | 7214 | 15,80 5,0 | 49,7 4,4 | 473 9,30 | 54,6 | 721,7 | 16,8 5,7.| 49,6 5,0 | 52,0 10,30 | 49,6 | 721,4 18,0 5,1 | 45,2 4,4 | 51,5 | 12 43,5 | 721,2 | 19,0 1,4 | 49,8 0,7 | 50,5 STAT RETRO PRO I INR A ON POSSI ù. Si, Re DI RIFRAZIONE GEODETICA 41 Bouguer | Bessel Jordan ORA Azz da to —————me__—T__ — - 7 Az | daz, NACONANOA ENEA dA z, Ceo /NrEGIEEA TUR ac: Go war Ie Tron Zar 1 37,8 | 697,6 20, 0 40,6 | + 2,8 | 40,1 SENIO 41,8 SRAIO 2 39,6, | 697,4 20,7 41,9 2,3 41,4 LR 43,4 3,8 | 3 40,8 697,2 21,6 42,9 2A CLS RS 48,5 Dr pa 38,0 | 696,9 | 22,2 | 38,3 ae ea 12,6 | 5 41,4 | 696,6 21,8 46,5 5,1 LE SLI TO Lia) 6,9 7 55, 4 698, 6 16, 6 58,5 IL 2,3 30,4 = pei | 8 Zion 06983 © (20,3. | 585 5,6 | 57,4 doge era 9 41,3 698,5 22,0 45, 1 SAS ZO 3,0 58,0 16,7 10 36, 1 698, 1 22,8 41,2 5,1 | 40,4 43 | 56,5 20, 4 ll 35,6 | 6980 | 22,5 | 39,3 37 | 38,7 oa 16,8 12 39,0 | 697,9 25,2 40,4 | IAA MEI 500 0,5 | 65,6 26,6 O l 34,9 697, 4 22,5 42,1 TZ | 41,6 6,7 44,6 9,7 ‘a 327 | 697,1 | 295 | 36,7 | 40 | 36,2 3 GU 7,5 14,8 3 34,8 696, 8 23,0. 39,7 | 4,9 | 39, 2 4,4 44,3 9,5 4 ce ZA PAN dp oval 0 8 64,9 696, 5 20,5 68,7 3,8 67,8 2,9 492, 2 = 23.7 9 49,2 | 696,2 24,8 52,3 3,1 RESI 2,1 Ao esa ll iosine9G,2. asa | zo 9,7 | 43,3. | 2,1 | 43,9 2,7 12 37;1 696,0 25,5 40,7 3,0 40, 1 | 2,4 46, 4 Sw, l 35010) 69,5 | 26,5 | 40,5. 5,4 | 40,1 | 5,0. | 42,9 7,8 2 36,5 695, 2 26,9 40,2 | Vr SEI | 3,2 42,3 5,8 3 35,2 | 6944 26,7 38,4 3,2 37,90 | 2,7 51,7 16,2 4 39, 4 694, 4 25,8 45,1 5,7 44,9 | 5, l 43;,8 4,4 5 .| 42,0 693, 4 25,0 46,2 ANTE] 39,5}. 4,2 0, 2 7 36,9 |- 695,2 | 180 | 40,9 60 | 424 | 55 | 4,2 7,3 8 42,5 | 695,6 18,2 43,4 0,9 | 42,8 | da via Ans 9 42,6 | 696,0 TO C0Re au i0e IE) POLEZENOI din dio Basra o 10 42,7 696, 5 19,8 45,4 DT 44,7 Z0) 47,9 5,2 ll 40, 8 696,6 | 18,5 44,6 3,8 44,2 dd 35, 6 DIA 12 43, 4 697,3 17,6 44,7 13 44 4 1,0 28, 1 15,3 3,30 | 49,5 697,5 15,0 57,1 7,6 26,3 6,8 48,5 1,0 is |a | 697,6 | 147 | 532 Sio M5zi5 DD NNRZGIE 1,2 di 48,4 698,5 14,0 55,0 6,6 54, 2 5,8 48,3 0, 8,30 | 44,0 698, 9 14,6 49,1 30 48,4 44 46,3 =L 33 9,30 | 43,2 699, 0 16,4 48,9. | 5,7 48,2 5,0 50,5 DE Mino, 394] 699,01 176 | 45 RUE LA ISS] 10,7 12 40,8 | 698,7 18,5 42, 1 IRE FAZI 0,7 49, 1 8,3 49 SU TALUNE TEORIE 4 Bouguer Bessel Jordan Giorno ORA A ZI b, t, de x a e Zi z 1 1 O) su go NICE N05 o ona OE o 25 8. 2 13,8 |:720,6 20,8 |. 5 €810 (Ae 3.30 | 514 | 7200 21,6 5,9 | 46,1 5,3 | 46,1 6,38 430 | 449 | 720,0 | 20,6 3,8 | 41,8 31 5 26 M. 9,30.| 55,5 | 719,0 | 19,6 UA SON 3,4 | 65,7 10,2 10,30 | 48,5 | 7186 | 22,0 5,7 | (43,5 5,0 | 540 5,5 lori 73200 2350 4,2| 42,9 20 RSS 7,9 96 S. 0 Zel0N sio 200 44 | 42,2 3,8 | 50,2 4,2 1,30 | 4460 717,6. | 25,2 3,5 | 41,6 3; 0°) RARO) RR o i 250 4,8 | 46,5 ty 13104088 0,8 3,30) 48,0 | 716,5 | 25,4 4,9 43,7 4,3% CATS 0,2 4.30 | 46,8 | 716,3. | 25,5 e 3,1| 45,9 0,9 27 M. 7 88,8 | 714,0 | 18,0 TENARIS] 5,7 | 71,5 17,3 8 73,0 | 713,9 | 20,6 23 72,0 105700 5,1 dl 9300) (53,0 | 71355 | 22,0 1,9 | 52,0 1,0 | 58,00) 5,008 10SS0N ASSO 55 24,0 6,8 46,9 6,1 | 57 o Il 46,9 | 713,4 | 25,0 41} 44 3,5 | 42,9 4,0 | 12 ATO 713035) 25,2 5,2 | 42,9 4,7 | 38,5 9,1 | Stazioni di Irschenberg 19 M 8 88,4. 698,50 | 18,0 | — 8,8) 81,9 |/— 6,5 | 6137256 9 90,5 | 698,3 | 17,9 TON 9,2 | 65,0 25,5 | 10 87,9 | 698,1 | 18,6 10,6 | 79,8 81 fe 20,2 | Il 89,0 | 698,1 19,0 10,7 80, 8 8,2 | 683 0a 12 88,4 | 697,8 | 19,0 8,9. | 82,2 6,2 | 71,8 16,6 |l 19 S. I 88,0 | 697,6 .| 20,0 8,4 | 82,3 pg II 16,9 | 2 88,1 | 6974 | 20,7 8&7.| 82,0 GL. |\7240 15,5 | 4 89,6 | 696,9 | 22,2 7,7 | 85,0 #6 | 700 9,7. 22 M. 8,30 | 87,6.) 698,4 | 20,4 7.9. 82,6 500 dz 11,5.) 10 85,4 | 698,1 | 22,8 GBL SIL0 44 | 582 27,2 Il 85,6 | 698,0 | 22,5 7,2 | 81,0 4,6 | 69,2.| IG 12 85,6 | 697,9 | 25,2 7,6 | .80,3 5,3 | 60,4 23,2. 22 S I 87,4 | 697,4 | 22,5 88 | 81,2 | 6,2 | 695 17:90) DAN CMS O 00725 9508079 | 60 o 16,9 | 3,30 87,1 | 696,4 22,5 9,0 80, 8 6,3 74,0 13,0 | 4,80 | (85,8 | 696,3 | 23,0 9,2 | 79,3 6,5 | 76,1 9,7 ; 23 M. 7 96,4 | 696,1 | 20,5 14, l | 85,2 Il,l.| 8258 13; 6.4) 8 88,5 | 696,5 | 20,5 11,0.) 89,4 851° | (068 7 OM al dotti O NE O IT A DI RIFRAZIONE GEODETICA 45 Di Ko b si Bouguer Bessel Jordan o) È 3 Ne clicca Az, dA zo AZ) dAz, TO rr oa SI To Gre us oss: Lu: VC sa 40,7 698, 4 19,0 42,3 + 1,6 41,8 + 1,1 41,0 + 0,3 3,30 | 39,8 | 697,8 20, 4 45,5 5,7 44,9 5, 1 44,1 4,3 4,30.| 37,2 | 697,4 20,5 AI 3,9 40,3 3,1 50, 6 13,4 9,30 | 46,7 | 696,0 21,6 51,1 4,4 50, 1 3,4 62,7 16,0 10,30. |. 37,1 | 695,8 22,3 42,8 DO7 42, 1 5,0 52,3 15,2 11,30 37,3 | 695,6 23,3 41,6 4,3 40,3 3,0 50, 4 13,1 12,30 | 37,2 | 695,8 23,8 41,6 4,4 41,0 3,8 48,8 11,6 1,30 STO 695,7 23,8 41 3,6 40,5 3,0 41,6 4,1 2,30 41,0 | 695,1 24,9 45,8 4,8 45, 1 4,1 48,3 7,3 RASO 8 N 694,7 24,9 43, 1 4,9 42,5 4,3 46,5 8,3 4,30 | 39,4 | 694,4 24,7 43,1 3,7 42,5 3,1 44,8 5,4 7 73,9 | 691,7 20,9 81,4 7,5 79,6 BUT Bo i 59 1 È 10,30 39,4 | 691,3 24.1 46,2 6,8 45,5 6, 1 50, 1 10,7 ll 38,6 | 691,2 23,7 42,8 4,2 42,2 3,6 41,9 3,3 12 37,2 | 691, 3 | 23,2 42,4 5,2 41,6 4,7 38,0 0,8 8 7007) 633,2 5 79,6 + 8,9 7000 METON6 DI TO WE 9 67,2 | 633,1 8,3 78,9 11h07: 76,4 9,2 64,6 2,6 10 66,8 | 633,0 9,8 TR 10,5 | 74,8 8,0 66, 6 0,2 Il 67,5 | 632,9 10, 4 78,3 10,8 757 8,2 67,0 0,5 12 70,6 | 633,4 11,3 79,5 8,9 76,8 6,2 69,8 0,8 l 71,2 | 633,2 12,3 79,6 8,4 76,9 DL 69, 2 2,0 2 70, 633,0 13,5 79, 4 8,6 76,6 5,8 70,3 0,5 4 7A, 633, 1 ig, 1 81,9 707 78,8 4,6 Tod ap 1 3,30 71,9 | 633,9 1451 79,7 7,8 76,9 5,0 73,0 Tel 10 72,3 | 633,8 12,1 78,9 6,6 76,7 4,4 538 | > (535 ll 71,2 | 633,6 14,7 78,4 7,2 75,8 4,6 67,4 3,8 12 70,5 | 633,9 15,4 78,0 7,5 75,8 5,3 60, 4 10, 1 I 69,8 | 633,8 14,8 78,6 8,8 76,1 6,3 67,7 2,1 68,0 | 633,5 15,0 TIRA 9,7 75, 1 7,1 68536 Gata 0, 3,30 | 69,1| 633,3 16,0 78,1 9,0 75,4 6,3 FILS 2,2 4,30 67,3. | 633;2 17,1 76,6 9,3 73,8 6,5 72,8 9,5 3 MAD 11,0 74,6 8,1 76,5 10,0 dl SU TALUNE TEORIE GIORNO ORA AZ, b, ti ir n ssa L hi AZ, dAzi (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) 923 M. 10 826 | 696,2 | 20,8 | — (6,9| 782 | — 44 23 S I 81,9 | 695,5 | 26,5 8,3.| 76,0 5,9 2 33,3 | 695,2 | 26,9 gioni Pete 6,7 3 8281 6920 M2607 6,6 | 78,0 4,1 4 92,1 | 6944 | 25;8 8,6 | 86,4 5,7 5 99,4 | 693,4 | 25,0 133/0891 10,3 2 M. 8 91,9 | 698,7 | 14,2 11,6) 83,0 8,9 9 90,6 | 698,9 | 15,1 9378359 6,7 10 89,7 | 6990 | 16,3 11,7 | 80,3 9,4 Il 81,5 | 699,0 | 17,9 BIGRIOI 5, 19 82,8 | 698,7 | 18,5 8,2 | 76,9 5,9 295 S. 1,30 84,9 698,5 19,5 9,2 78,2 6,7 2,30] 841 | 698,0 | 20,5 5,7 | 80,8 3,3 3,30 | 85,4 | 697,8 | 20,4 9,9 | 77,8 7,6 96 M. 7 101,7 | 696,1 | 16,6 pp 89 oo 8,30 | 944 | 696,1 | 20,1 13,5 | 83,5 Do 9,30 | 91,5 | 696,0 | 21,6 10,6 | 83,3 8,2 ll 90/1 | (695,7 | 22,1 108255 7,6 12 87,6 | 695,9 | 23,0 7,7) 834 9,2 926 S. I 842 | 695,7 | 23,9 5,7 | 81,0 3,2 2 87,5 | 695,4 | 24,0 9,2 | 81,0 6,5 3 90,2 | 695,0 | 24,9 10,0 | 82,9 TS) 4 920 69495002498 12,2 | 83,1 91 5 90,8 | 694,2 | 24,2 IS 827 8,1 25 M. TOSO INOStO GOA 22.07 re NA 10,9 8,30 | 104,0 | 691,4 | 22,3 16,7 | 90,4 13,6 9,30 | 100,3 | 691,4 | 23,0 14,9 | 88,6 11,7 10,30 .| 842 691,3 | 24,1 6,1 | 80,9 3,3 ll AGO 2257: RIZOI L USINO 5,9 n Bouguer DI RIFRAZIONE GEODETICA 45 Jordan OT II A rn et AI _- CD T00 | dA 23 (16) SL 0 dA 2, (20) SEMO 2 46 GIORNO (1) Settembre l 1849 Giugno 1879 1 M. 1055 IS Maggio 1880 16 S. 175. 19 S. SU TALUNE TEORIE SERIE II. Stazioni di Kupferkuhle e Brocken Bouguer Jordan n medio oss. n di Bessel "Ire 7 === —————— Az, dAz, Azz dA z5 dA 2; dA 23 dA z1 dAz; (3) (4) (0) (6) (7) (8) (9) (10) — 66,7 | — 20,1|-— 81,1) — 34,5 | 160,1) — 24,3 | 153,8 | 4 16,0 57,0 15,8 71,4 30,2 | 142,9 31,8 | 138,2 4,7 30,4 + 1,6 44,8 12,8 | 1182,,9 TO MIO 13,1 9,7 0,7 2401] IS 7 AA ISSN 2301 6, 1 + 0,4 10,0 14,0 4,4 | 122,22 4,9 119,4 TSizi 4,7 18,7 97. 4,3. | 115,0 2N00 MIUZZO, ERO) 10,6 22,6 3,8 8,2 | 107,8 0,7 | 106,2 TOP 11,2 23907 3,2 9,3 | 104,8 1,7 | 103,5 9,5 11,8 23,6 2,6 2 0/38 AMM M0385 9,4 mon 20,0 3 5,6 | 105,5 ©,1 | 104,2 6,5 4,2 16,8 10,2 Zi 104,8 8,7 | 103,6 Za — 0,6 12,1 lo, 0.) — 2,3 | 103,2 TONI 102508 ES Stazioni di Kapellenberg e Déòbra — 12,3|4+ 2,9) — 13,3|+4 1,9|150,8|4 33,6 |150,5|+ 48,5 7,9 8,1 8,9) | 1493 36,5 | 149,0 DEN2 5,4 2,8 6,4 1,8 | 148,9 38,6 | 148,6 46,5 0,5 Di IN5 6,1| 149,1 43,7 | 148,8 51,0 + 1,9 9,0|4 0,9 8,0 | 147,9 44,9 | 147,6 51,5 2,9 8,6 15) 7,6.| 147,5 45,1 | 147,2 50,9 5,8 IRON 4,8 10,1 | 145,7 46,6 | 145,5 DIL — 0,3 o IS 11,5 | 146,1 40,9 | 145,9 99) 9 7,4 8.5 6,4 | 152,3 39,9 | 192,1 54, 6 97 9,5 10,7 8,5 | 151,0 36,4 | 150,8 55, 4 + 3,8 82|4 2,8 MAZA MUSO 49,0 | 1499 DoN2 12,8 11,0 11,8 10,0 | 151,53 59,2 | 151,1 58, 2 — 4,8 Mei 58 16,7 | 219,8 110,1 2198 132, 1 + 1,9 ONE ZIONI 8,7 | 401,3 298,3 | 399,7 304,5 — 13,4 2,1| — 14,4 pal 4,5 0, 1 5,0 — 0,9 + 6,3) — 12,9/+ 5,3 13,9 | 255,8 157,2 | 255,3 137,5 — 1,4 2l,z7|—- 84 22,7 | 481,3 375,0 | 479,1 352,5 , DI RIFRAZIONE GEODETICA 47 Stazioni di Héhensteig e Kampenwand Bouguer Jordan GIORNO ORA n medio oss. ‘n di Bessel TE NEENTRE ==" i = AZI da 2, Az, dA za dà 2, dA 2, da 2; di 25 | IAT O) TC) ®) (a) 0) O) o) 8) O oO Lei ANS 08 270) Sti Sa Sao) Mi E a Mi o 8 I 24,9 23,2 219 16,8 | 43,0 32,5 | 42,6 15,2 2 17,3 17,0 23,7 10,6 | 48,2 OZ AI 13,5 18 S. 12, 30 9,5 23,9 115,9 16,9 40,8 19,3 40, 6 15,9 1,30 WED 21,9 17,6 15,9) 40,7 ZIA 40,5 11,8 2,30 9,5 17,1 15,9 1opsr | ast 16,7 | 42,9 9,4 19 M. 9 10,8 18,2 lA2 11,8 448. 16,6 | 441 11,7 10 MV 21,1 oa 14,7| 45.1 16,8 | 44,5 15,0 ll 12,1 19,2 18,5 12,8| 445 18,2 | 43,9 12,5 12 15,7 18,1 22, 1 7 045.7 20,6 | 44,9 12,4 19 S. l 13,1 20,7 19,5 14,3 | 44,8 18,9 | 44,0 14,1 2,30 10,5 17,0 16,9 10,6 | 46.8 14,3 | 45,8 12,2 3,30 14,9 16,7 21,3 10,3.) 46,6 18,9 | 45,7 11,8 4,30 16,2 16,9 22,6 10,5.| 47,3 19,5 | 46,3 12,6 20 M 7 31,6 18,0 38,0 11,6 | 48,3 390 o 14,7 8 31,5 19,3 37,9 12,9 | 50,4 31,7 49,1 17,8 299 M 7 27,6 12,1 34,0 9,7 | 48,8 29, 4 47,9 94 8 14,5 20, 1 20,9 13,7 28.8 16,3 ari 17,2 9 18,2 21,1 24,6 14,7| 49,2 19,6 | 47,7 18,2 10 10,55 17,8 16,9 ll, 4| 47,2 13,9 | 46,2 13,4 Il 18,1 16,3 24,5 99 | 47,3 21,4 | 46,3 12,0 12 9,6 17,4 16,0 11,0| 47,8 12,4 | 46,8 13,6 22 S 1 10,9 17,6 17,3 11,2| 44,8 16,7 44, 1 ITA 3,30 9,8 19,4 16,2 13,0 | 45,5 14,9 44,7 13,5 4,30 15,2 22,7 21,6 16,3.| 47,5 18,3 | 46,5 18,6 23 M. 7 31,0 20,7 57,4 14,3 | 53,9 ZITO ENO, 22,4 8 27,4 18,0 33,8 MES 287 29,3 479 14,9 9 24,3 19,3 30,7 12,9 | 49,6 25,3 | 48,4 godi 10 26,0 17,6 32,4 Wl2 47,8 28,8 46,7 13,7 11 17,8 18,8 24,2 12,4 | 48,0 20, 4 46,9 15,1 12 12,2 21,3 18,6 14,9 498 13,0 | 48,4 19,1 93 S. 1 13,4 20,2) 19,8 13,8 | 43,3 20,7 |. 42,6 12,2 2 11,5 21,2 Lo, 14,8) 44,1 18,0 43,3 13,9 4 19,6 14,2 26,0 7,8| 45,7 24,5 | 44,7 8,3 5 29,1 12,4 35, 5 6,0) 46,6 33, 1 45, 6 7,4 25 M 8 19,3 18,7 26,3 12,3 | 48,4 I 22; 1 47,6 15,7 48 SU TALUNE TEORIE i Bouguer (NG Jordan GIORNO OrA n medio oss. n di Bessel - ——| Az, di z, AE |__| dAz, dA 25 di z dA 2, | Mt (1) (2) (3) (4) (5) (6) | (7) (8) (9) 25M 9 REG I e eo 10 18,0 20,55 2A 4&| 14,1 | 44,7 23,9 | 44,1 ll 16,2 18,8 22,6 12,4 | 44,4 22,4 | 43, 12 15,4 21,7 21,8|. 15,1| 45,3 20,7 | 44,6 25 S 1 cia das e 20,1 | 45,1 2,30 15,4 19,7 21,8 13,3.| 24,7 21,3 | 44,0 4 15,5| 19,9 21,9 13,5.| 447 21,4 | 44,0 | 5 2300 IO 30,0) 10,6.| 46,7 27,5| 4 9% M 7 SORIA] 49,7 87|572 36 ii e oa ea ee 2,2 | 59,8 | 9 Rol No 3348 DAI po 26,9 | 49,4 RS ZIA 27,6| 9,3 | 46,6 25,2 | 45, LP Rei -d9%0 23,8) 12,6) 46,1 21,9 | 25, 12 13,1 17,9 19,5 11,5} 44,3 19;4 | 43, 2% S. ] 14,6 15,5 20) 91 45,9 19,3 | 45,0 2 15,8 bel 2 ee 2250 | 43,5 3 21,7 18,4 28,1 12,0} 47,2 25,1 | 46, 4 16,5 16,6 22.9 10,2 | 50,4 16,7 | 48,9 5 22,2| 12,0 28,6 5,6. 51,7 21,1 | 50,1 27 M 7 | 40,5 14,2 46,9 7,8 | 56, 7 34,4 | 54,8 8 38,7 14,9 45,1 | 85 52,7 36,6 | 51,1 9 30,4| 17,2 36,8 10,8| 535 28,5 | 50,9 INS no o Ga 508 20,0 | 49,4 11 Roo 010,0 473 16,40 ae Stazioni di Héhensteig ed Irschenberg 18 S. Roe i zi gt 68 Po 1,30 3,4 8,3 8,9 2,8| 48,6 | 2,5 | 48,1 3,30 12,0 5,3 I75|-- 02 4,7) -10,0, 444 4,30 do Ro ea 19M. 7 15,6.|097,7 21,1 13,2) 29,3 | 9,0 | 48,9 ala e 753,3 dea 9 + 6,8 a pnioa data 0,4 | 50,9 15,0 | 50,4 10 L'ARI ee 3830 455 | 47,6 ll 1,4 5,3 6,9 0,0 | 45,9 1,8|45, 12 2,1 5,3 7,6 0,20 447 | (0,1. 463 GIORNO (1) 19 S. 23 S. 24 M. DI RIFRAZIONE GEODETICA 49 Bouguer n medio oss. n di di z| dix, (3) (4) 2207 LIO) 1,5 3,1 2,2 1,9 EL a) 4,7 LIE IR3 TEO | = Jay 21,4 10,2 GRAM 3,5 6,6 0,3 7,1 SORA 3 Le] 7,8 IEZZO) 10,0 SES 20 7,9 12,2 8,2 Ze 222 12,7 6,5 ol CES 1,0 5,0 332 7,6 1,3 6,2 | SSSICO] 7,5 oigho 3,3 7,6 0,7 6,3 5,8 1,5 0,2 ,5 0, 1 5,3 0,0 5,7 1,9 SS 21,9 6,8 15,6 5,3 19,0 5,7 11,4 13 11,9 0,5 da z1 (5) GrorNO 26 M. 26 S. 27 M. 19 M. 22 M. do (A0) (9p} 23 M. SU TALUNE TEORIE Bouguer n medio oss. pani sa Poni Si Ul DI PS n ei Coe US dA 25 dA zi (4) | (5) 2,0 6,6 2,9 14,2 5,5 TANT SEGA 18,3 + 5,6 ÙL3 5,4 8,6 5,5 8,8 5,2 7,4 leg 13,4 4,5 10,8 3,3 | 9,6 Za 51,6 25,7 35,8 6,5 15,8 L 33 15,8 4,1 9,7 5,5 10,4 Stazioni di Irschenberg Sio aa 17,0 17,0 17,4 14,4 Ionio. Il ENZO 13,0 14,5 13,4 14,6 10,0 16, 1 12,3 14,1 11,9 11,9 13,0 12,1 13,7 12,1 14, 4 13,9 16,2 13,7 15,1 13,6 16,9 12,3 16,1 22,9 n di Bessel (SR (36) (00) GIORNO 26 M. 26 S. > 27 M. ORA DI RIFRAZIONE GEODETICA Bouguer Jordan n medio oss. | n di Bessel E = lit —— Az; dAz, A zo dA 22 dA z; dA zo dAzi dA za (8) (4) (5) (6) (7) (8) (9) (10) AE 0 N 08 02) O 0) + 1,6 15,5 9,1 4,8| 72,8 8 | ALO 3,2 RES 18,8 8,4 8,1| 67,0 14,9 | 66,5 Jia 0,9 19,2 9,8 Si 720] 11,2) 69,7 4,7 2,1 15,3 8,6 4,6 | 68,9 13124 N6S24 PS io 9,3 ISO ELMILAAEZba 20,8 | 70,4 4,5 15,2 11,4 25,9 +'0,7| 746 24,8) 73,4|4 0,6 TA 15,5 18,4 ARR TARE 17,1) 740 5,3 6,4 12,3 Riza 1,6.| 70,5 20010 (700 SIANO 5,5 18,0 16,2 7,3) 66,6 23,1| 66,0 No Jr 18,6 8,0 7,9| 64,0 17,5) 64,5 1,1 1,4 17,9 9,3 7,2 | 66,7 161665 So ND 17,8 11,4 TAIL 000 14,0 | 70,2 3,8 + 0,1 11,5 10,6 0,8 | 65,8 Es | 1 DUE 18,6 11,9 7,9) 65,8 19,6 | 65,6 0,0 17,5 13,6 28,2 21 SILA 20,3 | 80,1| 4 95 10,2 16,8 20,9 6,1| 68,5 25,9 | 68,1 0,7 79 13,9 18,0 3,2| 63,9 IT 6 ORA ME 5,9 14,4 16,6 3,7 | 69,4 20,7 | 68,8 1,0 3,4 12,0 14,1 1,3. 67,4 20,2 | 66,9 5,3 0,0 11,3 10.7 0,6 | 68,6 15,6| 68,0 4,9 999, 15, 1 14,0 ANAS RIO) 15,0 | 71,6) 4 35 6,0 14,0 16,7 a ZI 19,0 | 70,3 0; 1 8,0 16,4 18,7 5,7 | 81,3 10,9 | 79,6 11,8 6,6 16,1 17,3 5,4| 85,2 5,6| 83,2 15,1 14,0 13,5 247 2,8|. 71,5 Zog | TO 0,0 19,8 13,7 30, 5 3,0 | 76,8 27,2) 75,5 5,0 16,1 13,8 26,8 Sl 763 ZII 709) 0,0 12,2 10,7 1,5| 76,7 Ta 3,4 3,0 14,4 1397 3,7) 76,2 11,0| 74,9 5,1 52 SU TALUNE TEORIE SERIE Il. Stazioni di Kupferkuhle » Calcoli da Kupferkuhle (staz. bassa) elica Bouguer Bessel Jordan h dh h dh h i (1) (2) (3) | (4) (5) (6) 1 Settembre 1849 973, 11 MANO 971, 83 + 0, 91 972, 05 SE. 0, 13108 Stazioni di Kapellenberg Calcoli da Kapellenberg (staz. bassa) ; 1 Giugno 1879 31, 20 + 1,25 31, 25 9290 20, 40 Li i9, 55008 Dna > | 30, 53 0, 58 | 30, 58 0, 63 | 19, 28 | 10, 67 Stazioni di Hohensteig Calcoli da Hohensteig (staz. bassa) ° 19 Agosto 1881 1081, 83 + 1, 50 1081, 65 310039 1081, 81 La 22 > 5 1081, 93 1, 60 1081, 69 1, 36 1081, 81 1,48 | ZE 3 1082, 29 1, 96 1081, 98 1, 65 1082, 36 2,03 | 25005 > 1082, 15 1, 82 1081, 84 1, 51 1082, 26 1, 93 Z9 o 3 1082, 19 1, 86 1081, 93 1, 60 1082, 34 2, 01 ZA > 1082, 40 2, 07 1082, 09 1, 76 1082, 64 2, 3104 Stazioni di Hohensteig Calcoli da Héhensteig (staz. bassa) 19 Agosto 1881 269, 91 0), 23 269, 86 NET9jR03 269, 35 CRNOS 2200 3 269, 98 0, 35 269, 93 0, 30 269, 25 0, 38 Ia > 269, 95 0, 32 269, 98 0, 35 269, 87 zi DITE 5 270, 04 0, 41 269, 91 0, 28 270, 29 0, 66 | 25 > > 270, 02 0, 39 269, 92 0, 29 269, 79 0, 16 | 260000» > 270, 03 0, 40 269, 97 0, 34 269, 41 0,29 ZINIO > 270, 47 0, 84 269, 98 0, 35 270, 24 + 0,61 Stazioni di Irschenberg Calcoli da Irschenberg (staz. bassa) bi 19 Agosto 1881 812, 37 NENN67 812, 26 + 1, 56 813, 90 + 3,200 DIMM > 812, 17 1, 47 8Ì1, 76 1, 06 813, 62 2,92 | ABIN > 812, 43 10873 811, 98 28 813, 02 DB2 SALONE 812, 32 1, 62 811, 80 1, 10 813, 72 3, 02 i 26.» > 812, 56 1, 86 812, 10 1, 40 813, 60 2,90 i dra > 812, 79 2, 09 812, 31 1, 61 813, 65 2, 95 ; ; DI ea DI RIFRAZIONE GEODETICA av. I). + Brocken | Calcoli da Brocken (staz. alta) Bouguer Jordan | | i GIORNO È o . n a = 2a ==> Î | h dh h | dh | h dh i; TO) E ESETORERNO | (Il) (12) | (13) (1a) Bfcimbre 849 | 972,71 | 1,79 | 01,46 | 40,54 | gg +13 1 Déobra i Calcoli da Débra (staz. alta) 1 I Giugno 1879 | 310037 | iO. i 382 | 41,37 | 42, 19 + 12, 24 Bi > SO) 2.06 31, 86. | Rm 12. 06 Kampenwand | Calcoli da Kampenwand (staz. alta) MITO Agosto 1881 | 1081, 57 + 1,24 1081, 35 LAO I Neg aL 0 CES 3 | 1081, 68 1,35 1081, 44. | Ro | 1081, 45 1, 12 i polti AE 1081} 198 Ì, 65 1081, 72. | 1. 39 | 1081, 48 l. 15 LIE | 1081; 83 i 1, 50 1081, 62 1, 29 | 1081, 42 I, 09 } DO 08,9 1, 58 1081, 60 | IMNOx7 | 1081, 40 Lor ASA E rigga al Ver tenia SOA SOS 1, 18 . Irschenberg Calcoli da Irschenberg (staz. alta) | 19 Agosto 1881 | 269, 78 + 0,15 | 269,73 | +O.10 | 270,210, + 0,58 CA 269, 94 | 0,31 | 269,78 e a Me. 269.189 0,26 | 269, 75 | IO ER 0 25 SI VARGTA SPORE DOARO 269, 79. | e ao oa 29 » » IM 09 e 0, 28 | 269, 89 | 0, 26 270, 03 + 0. 40 | | | ZORO » | 269, 92 | 0, 29} 269, 87 | 0, 24 | 279, 39 | O, 76 Oro » ZO, 400) 269, 83. | 01200 26959 00 i Kampenwand Calcoli da Kampenwand (staz. alta) 19 Agosto ISSI 811, 82 ST RI2O I Val, i00 PISO ME SION0a 20,168 929 > > | (811; 62 0.92 | 811,19 | 0, 49 809, 93 0.177 fn. 11.88 1, 18 ia s10.51. | 0. 19 Mt 811 79 TOO a e E) 810, 29 0, 41 fo, s 812, 02 1 32 QUA Oc 810, 53 DXl7 uri... 812, 28 1, 58 Bnl CN 07 810,73 | -+ 0. 03 14 GIORNO (1) 1 Settembre 1849 1 Giugno 1879 DI » 19 Agosto 1881 22 5) > 23 od » 25 S 26 d > 27 » > 19 Agosto 1SSI 22 > » 23 » 24 » > 25 » » 26 » » 2TI » » 19 Agosto 1881 SU TALUNE TEORIE Stazioni di cure Calcoli da Kupferkuhle (staz. bassa) Bouguer | Jordan re are) dr h dh h Tesi ZA) VE (Tee cre Cer 9 gg dI | 971: (93 Stazioni di Kapellenber Calcoli da Kapellenberg (staz. bassa) 3050860, SR3073 + 0,78. | 20, 45/050 30,08 | 0,13 BR, I 031 | 193300 Stazioni di Hòhensteig Calcoli da Hbhensteig (staz. bassa) 0 Re SE 1082, 20 + 1,87] IRR 1081, 75 | 1.42 | 1082, 20 | 2,07. | 1081, Sì | 14850 1082, 36 2,03 | 1083, 01 2, 68 | 1082, 51 >, 180 1082, 05 ez] 1082170 SA 02 2, 030 1082, 45 2 IR 1083, 10 2a VI | 1082, 44 Dahl 1083. 05 2.72 | 1083, 70 3,37 | 1082, 79 2, 46 Stazioni di H6henstei; Calcoli da H6hensteig (staz. bassa) 269; 877 = 07241270, 32 4 0,069) 269, SIRAROAZA 270, 14 0, 51 270, 59 0. 96 269, 34 0, 29 | 270, 28 | OG 27073 1, 10 269, 93 SONNO | 270, 31 | 0, 68 270, 76 112t9)8) ZIONI? 0, 69 270, 31 | 0, 68 270, 76 IR. 269, 83 0, 20 270, 13 | 0,50. | 270, 58 0, 95 269, 46 — 01798 DIL) I dita 1. 96 270,720; VMIACIMIDEIDA Stazioni di Irschenberg Calcoli da Irschenberg (staz. bassa) 811,55 | +0, 85 313,33 | + 2.63 | 814, 00 + 3, 30 oi Detzi SI 9 3,25, il 81072 3, 02 811, 48 | 0, 78 813, 26 | 2, 56..| 813, 23 25.53 811, 15 0, 45 812, 93 2,23 | 813,78 3, 08. 811, 98 1, 23 813,71 | 3, 01 | 813, 75 3,057 812, 55 1, 85 814, 33 FIGI URTO 33 15° RA DI RIFRAZIONE GEODETICA 55 (Tav. Il. e Brocken Calcoli da Brocken (staz. alta) Bouguer Jordan GIORNO fi n medio oss. n di Bessel = —|= — — h dh h dh h dh (8) TOGO LIAN (10) | (11) (12) TT) (14) 1 Settembre 1849 SO RO 969, 34 — 1, 58 | 972, 87 | + 1,95 e Déobra Calcoli da Déòbra (Staz. alta) 1 Giugno 1879 32, 02 + 2, 07 31,84 | + 1,89 x, 21 + 12, 26 pzs2: > » | SUSA) 1, 89 | 32, 28 | 233, | 42, 21 | 12, 26 e Kampenwand Calcoli da Kampenwand (staz. alta) 19 Agosto 1891 | 1081, 85 SIMgr52 A NO8120 SIONI 1081, 42 + 1,09 | 22 » » 1081, 85 INS2NAN ISSLOSINZO 0, 87 1081, 56 I 28 agita » | 1081, 85 Tab? 1081, 20 0, 87 1081, 61 1, 28 25» SIR 103192 1,59 | 1081, 27 0,94 | 1081, 53 1, 20 dol > 1081, 65 1,32 | 1081, 00 0, 67 | 1081, 51 I, 18 Tit S >. | 1081,55 1,22 | 1081, 90 1}.57 1081, 53 1, 20 e Irschenberg Calcoli da Irschenberg (staz. alta) 19 Agosto 1881 | 269,82 | +0, 19 269,37. | — 0,26 | 270,24 + 0,61 DIE > | 269, 78 | 0, 15 269, 3 | 0,30 | 270,63 1, 00 ai BE E A | 969,01 0, 28 DIR 2° | 269, 58 | 0, 05 269, 03. | 0, 60 | 269, 47 (0); NE A 596 0 00 9 0, 46 270, 07 + 0, 44 0 MS e A e O 270, 45 0, 82 fapor > ee a 268, 37. | 1, 26 269, 64 0, 01 ‘e Kampenwand Calcoli da Kampenwand (staz. alta) ) 19 Agosto 1881 | 812,64 | 41,94 | 810,87 | + 0,17 SOI A 5 i: . » | 812,62 1, 92 810, 85 0, 15 810, 00 0, 70 Papini 812, 82 Z2ARA 05 0, 35 810, 73 + 0,03 fi... 812, 96 2,26, 811, 19 0, 49 810, 45 MONO fs... 812, 64 1, 94 810, 87 0, 17 810, 71 SOI fi; >. 812, 52 1, 82 810, 75 0, 05 811, 01 0, 31 OssERVAZIONE. — Nei quadri precedenti alle differenze che non portano alcun segno Rei Ri È "a compete quello immediatamente superiore. DI RIFRAZIONE GEODETICA DI IV. Osservazioni sulle varie teorie Dai calcoli precedenti trarremo diverse conclusioni riguardo alle teorie studiate. Per quanto quei calcoli si fondino su numerose ed at- tendibili osservazioni di rifrazione eseguite in luoghi e tempi diversi, e per quanto in essi si presentino alcuni fatti con una costanza assai rara in questa specie di teorie, pure intenderemo sempre riferire le varie conclusioni soltanto ai casi da noi considerati, augurandoci che presto altre serie di osservazioni e di calcoli vengano a confermarle. Non ci sembra inutile, anche a maggiore intelligenza del sesuito , premettere qualche considerazione sulle osservazioni adoperate. E in primo luogo notiamo che le differenze tra i due angoli di ogni coppia di osservazioni dipendono più dal dislivello, che dalla distanza tra le stazioni. Difatti per le stazioni di Hòhensteig ed Irschenberg (di- stanza = 17 km, dislivello m. = 269) le differenze tra gli angoli di rifra- zione osservati vanno da un minimo di 0,4 ad un massimo di 20, 8°, tenendosi nelle ore medie tra i 6” e i 12” all’incirca; per Hohensteig e Kampenwand (distanza = 20 km, dislivello = m. 1080) le differenze si spingono da un minimo di 26, 6° a un massimo di 58, 4”, tenendosi nelle ore medie tra i 30” e i 40” all'incirca; per Irschenberg e Kampenwand (distanza=84 km, dislivello=m. 810), benchè distino 14 km in più delle precedenti, pure, essendo minore il dislivello, si avvera che le differenze vanno dagli 11° ai 337, tenendosi nelle ore medie tra gli 11” e i 22”. Ancora per le stazioni di Kapellenberg e Dòbra, distanti 48 km circa ma con tenue dislivello (30 m. circa) le differenze nelle ore medie si tengono tra i 4” e i 7”, spingendosi eccezionalmente in qualche ora estrema ai 20”. Invece per Kupferkuhle e Brocken , pure distanti 47 km, ma con un dislivello di m. 970, le differenze si spingono sino ai 46‘, e deve attribuirsi alle eccezionali condizioni del giorno in cui furono eseguite le osservazioni, se nelle ore medie si tengono tra gli 11° e i 14”, valori molto limitati rispetto al dislivello. Notiamo ancora che il notevole accrescimento nel valore degli an- goli di rifrazione avverantesi nelle ore del mattino e in quelle della notte, pur mantenendosi in molti casi le condizioni generali di tempe- raturaà e di pressione molto vicine a quelle delle ore meridiane, mostra che su quel valore, oltre ai due elementi atmosferici citati, deve agirne qualche altro, e, molto probabilmente, 1 umidità, di cui pur troppo finora non si è tenuto aleun conto nelle varie teorie. 15 58 SU TALUNE TEORIE Passiamo alla discussione delle teorie studiate. Teoria di Bouguer. Dalle differenze relative ai calcoli fatti per la teoria di Bouguer, tenendo 1’ variabile [V. Tavole della Serie I, colonne (6) (16)] sorge questo fatto notevole e singolare : Le differenze dA zi e dA z, sono costan- temente equali e di segno contrario; e quindi il valore unico Az, tratto da que- sta teoria, è sempre la media aritmetica dei valori degli angoli di rifrazione osservati. Le differenze, essendo in valore assoluto eguali alla metà di quelle avverantesi tra gli angoli osservati, sono assai tenui quando per pic- cole distanze e specie per piccoli dislivelli, come ebbe prima ad os- servarsi, tali angoli sono poco differenti. Se poi si considerano i calcoli fatti coll’» costante [V. Serie II, co- lonne (5) (4) (9) (6)] sia cavandolo come medio delle osservazioni , sia tenendo il valore di Bessel, sparisce completamente quella regolarità. Le differenze presentano delle sensibili diversità da una stazione al- l’altra, e per una stessa stazione da un’ ora all’ altra, secondochè il valor costante assunto si adatta più o meno bene alle condizioni at- mosferiche nell’ istante e nel luogo dell’ osservazione. Così p. e. per le stazioni di Irschenberg e Kampenwand le differenze avute coll’ n medio delle osservazioni si mantengono tutte tenui per la stazione bassa, forti per la stazione alta. Il contrario avviene per quelle avute coll’7 di Bessel. Né l’adoperare il valor costante di Bessel attenua le dA z,. Difatti, per le stazioni di Hohensteig e Kampenwand tutte le ditfe- renze dA 2 tratte dall’» di Bessel sono superiori a quelle tratte dall’» medio delle osservazioni. Lo stesso avviene per le stazioni di Irschen- berg e Kampenwand. Per le stazioni di Hòhensteig e Kampenwand , per cui, essendo limitata la distanza e tenue il dislivello, le differenze risultano assai piccole per entrambi i coefficenti, si osserva che in 90 casi su 120 sono maggiori quelle tratte dall’» di Bessel. Dunque il valor costante di Bessel non è preferibile al valor di » ricavato da un numero sufficiente di osservazioni, fatte nella regione considerata. Allo stesso risultato saremmo pervenuti se per le varie coppie di stazioni si fossero adoperati gli » medi delle osservazioni re- lative ogni volta alle due stazioni in quistione, i quali », tranne che in un caso, differiscono sensibilmente da quello di Bessel. Difatti dai nostri calcoli risulta : DI RIFRAZIONE GEODETICA 59 Per le stazioni di Hòhensteig ed Irschenberg n=0,1615 medio di 93 oss. (distanza — km 17; dislivello m. 269) ». » » » Hohensteig e Kampenwand n=0,1544 » »._ 718» (distanza = km 20; dislivello m. 10S0) » >» » » IrschenbergeKampenwand n=0,1441 » » 69. > (distanza=km. 34; dislivello m. S10) > » » Kapellenberg e Déobra n=0,1550 » ».20. » (distanza =km 47; dislivello m. 30) L’osservazione di tali valori indurrebbe inoltre a stabilire, come cri- terio generale, che ln decresce al crescere della distanza. Farebbero eccezione le stazioni di Kupferkhule e Brocken (distanza 47 km, disli- vello m. 790) per cui l’2 medio di 12 osservazioni è » = 0, 1524. Però, sia pel numero delle osservazioni, sia perchè queste si riferiscono ad un solo giorno, non crediamo si possa al precedente prestare grande fiducia. Crediamo utile rammentare che in un ampio lavoro fatto in Liguria nel 1877 dallo Istituto Topografico Militare, calcolando i valori di 2 per osservazioni zenitali reciproche eseguite in 85 coppie di stazioni, poste a diverse distanze (da poche centinaia di metri a 60 km) si giunse alla seguente formula empirica n=za+6s—-yR ($) dove s e A sono la distanza e il dislivello tra le stazioni considerate e x, %, y, delle quantità costanti, che, per la Liguria, hanno i se- guenti valori : x= 0, 0876, 8 = 0, 000019 = 0, 00025 La formula precedente suppone che » cresca al crescere della di- stanza, giacché il termine relativo al dislivello sarà sempre piccolissimo, e certamente inferiore al 6 s, di cui si risentirà specialmente l’influenza. Tale risultato sarebbe in contraddizione con quello da noi trovato. Non ci sembrerebbe quindi inutile che si continuassero delle esperienze sul riguardo, giacchè qualora dalla determinazione del coefficiente, fatta in varie regione per istazioni aventi distanze e dislivelli diversi , si giungesse a dei criteri attendibili sulla sua variazione dipendentemente da quei due elementi, si potrebbe poi per due stazioni qualunque giudicare del valore più conveniente di n, e adoperarlo con fiducia maggiore di quella con cui può usarsi lo stesso valore in tutti i casi possibili. I calcoli dei dislivelli fatti colla teoria di Bouguer [Serie III, colonne (£) V. Puccr— Livellaz. Trigonometrica—Firenze 1877. 60 SU TALUNE TEORIE (2) (3) (9) (10) Tav. I, e (2) (3) (4) (8) (9) (10) (11) (12) Tav. II] con- fermano, in massima, le conclusioni tratte dai calcoli per gli angoli di rifrazione. Così le differenze ottenute dagli » variabili da un giorno all’ altro sono più regolari che quelle ottenute cogli » costanti. Nelle prime si avvera, quasi senza eccezione, il fatto che sono minori quelle relative ai calcoli faiti dalla stazione più alta. Inoltre si riscontrano differenze di pochi centimetri per le stazioni di Hòhensteig ed Irschen- berg, che sono vicine e poco diverse di altezze. Negli altri casi le dif- ferenze superano quasi sempre il metro. Teoria di Bessel. Dai calcoli relativi alla teoria di Bessel [Serie I, colonne (7) (8) (17) (18)] si rivela subito che, secondo lo scopo propostosi dall’ Autore nel- l’introdurre gli elementi barometrici e termometrici, i due valori Az, e Az. sono sempre diversi, e il Az, sì mantiene (a meno di qualche caso eccezionalissimo, (*)) superiore al A 2» come avviene nelle osservazioni dirette. Però è notevole e singolare che anche nei calcoli di Bessel : le dif: ferenze dA z, e dA z2 sì mantengono costantemente eguali e di segno contrario. I due valori Azi e 4 z> di Bessel si allontanano dunque egualmente, nei due sensi, dal valore unico di Bouguer, che è ancora la loro media. È da notare però che i due valori di Bessel si scostano poco, in ge- nerale, da quello di Bouguer; e quindi le loro differenze di 2, e di z> sono sempre poco diverse da quelle di Bouguer. Difatti i due angoli calcolati colla teoria di Bessel relativamente ad ogni coppia di osservazioni hanno tra loro una differenza da 4 a 6° per le stazioni di Ab6hensteig e Kampenwand; da 1° a 2° per Hòhen- steie ed Irschenberg; da 4” a 5” per Irschenberg e Kampenwand. Per Kapellenberg e Dòbra la differenza cennata arriva 1,5”; ed è un’ecce- zione se per Kupferkhule e Brocken si trova qualche differenza di 19”. Ne risulta che, in generale, le differenze dAz, e dA z, per Bessel si mantengono, al massimo, di 2°” o 3° inferiori a quelle di Bouguer. Può dirsi dunque che i valori di Bessel riproducono allo incirca un valor medio degli angoli osservati; e si accostano loro notevolmente quando è limitato il dislivello tra le stazioni, da cui quelli provengono. I dislivelli calcolati colla teoria di Bessel [V. Serie III, Tav. I, Co- (#) Questo caso avviene una sola volta su 400 — cioè per Kapellenberg e Débra (17 maggio, alle 4) Però è da notare che in quelle ore anche le osservazioni dirette pre- sentano delle anormalità (V. p. e. il 19 S). DI RIFRAZIONE GEODETICA 61 lonne (4) (9) (L1) (12)] si accostano ai veri un po’ più, che quelli di Bouguer; e si riscontra anche per essi il fatto che sono più tenui le differenze relative ai calcoli fatti per la stazione più alta. Teoria di Jordan. Dai calcoli relativi alla teoria di Jordan [Serie I, colonne (9) (10) (19) (20)] rileviamo principalmente questi fatti : 1° Essinon forniscono risultati migliori di quelli ottenuti con le teorie precedenti, giacchè le differenze dA z, e diz» si mantengono in 260 casi sopra 400 superiori a quelle di Bessel, e in 220 a quelle di Bouguer. 2° I due angoli 42, e 4z,, calcolati per ogni coppia di osservazioni, non differiscono tra loro più che quelli di Bessel. P. e. la loro ditfe- renza raggiunge i 3,9 all’ incirca per le stazioni di Héohensteig e Kampenwand ete. 3° Sparisce completamente nelle differenze di z, e di z: la regola rità segnata nelle due precedenti teorie; e si nota anzi una grande irregolarità sia rispetto alle due stazioni, sia rispetto alle ore del giorno, cosicchè occorre talvolta notare differenze massime nelle ore medie e differenze minime nelle ore estreme. La irregolarità dei risultati ottenuti colle formule tratte dalla teoria di Jordan dipende in gran parte dall’ influenza che in esse esercita il termine 2 e, il quale, calcolato praticamente mediante la differenza di temperatura nei due punti stazioni, assume valori diversi quando, per isvariate circostanze, muta quella differenza; ma intanto non riproduce la variazione di temperatura propria a ciascuna stazione e non segue l'andamento della rifrazione in essa realmente avverantesi. Cosicchè occorre qualche volta notare che, crescendo da un'ora al- l’altra in una delle stazioni l’angolo di rifrazione osservato, diminuisce invece quello calcolato e viceversa; ovvero che riscontrando da un’ora all’ altro sensibile differenza nella rifrazione osservata, se ne trova pochissima in quella calcolata ete. Richiamiamo l’attenzione su altri casi singolari. Quando, eccezionalmente, diviene f=# sparisce dalle formule il ter- mine 25, ed esse forniscono valori assai più grandi degli osservati; co- sicchè per le stazioni di Hohensteig ed Irschenberg le da 2 si spingono sino ai 30”; e per Rapellenberg e Dòbra (1 e 2 giugno) si tengono tra i 53” e i 50”, Ancora quando, eccezionalmente, diviene #, > #, il termine x : diviene additivo, e gli angoli calcolati assumono qualche volta valori inaccet- tabili [V. Serie I, Stazioni di Kapellenberg e Dobra, maggio 1880, 16,5. e 19 S.]. 16 62 SU TALUNE TEORIE Ovvero, in alcuni casi, essendo assai grande la differenza di tempe- ratura rispetto al dislivello delle due stazioni, il valore del coefficiente di variazione » risulta così elevato, e quindi così lontano dai valori possibili, che si ottiene il Az, > 42. Ciò avviene per le stazioni di Hohensteig ed Irschenberg il 24 ago- sto alle 12, e per le stazioni di Irschenberg e Kampenwand il 19 ago- sto alle 8 a. m., il 22 alle 10, e il 25 alle 11 a. m.; e nei casi consi- derati i valori di » sono : Stazioni Data Valore di v Variazione che ne risulterebbe per 100 m. di dislivello H edI 24agosto,ore12 n=0,01254 ICPR5) Ie Ono o 001279 1°, 27 ORO, pCVII 1°, 30 » DIO » Il > 0,01252 10525 In qualche altro caso il valore di 7, mantenendosi negativo e gran- dissimo, renderebbe negativi i coefficienti ke k:, e quindi il risultato nonha più alcun significato [V. Kapellenberg e Dòbra, maggio 1880, 17 S.]. Tutte le osservazioni precedenti sussistono ancora quando si passi alla considerazione dei calcoli fatti colle formule proposte dallo stesso autore (24) e (25) S 8, e inscritti nella Serie II, Colonne (7) (8) (9) (10). Rammentando il modo di formazione dei valori della Serie II ri- spetto a quelli della Serie I, si vede subito che i Az; ricavati dalle for- mule di Jordan si tengono di poco minori, e i Az, di poco maggiori di quelli avute colle formule da noi proposte. Dunque : 1° le differenze tra i due angoli calcolati per ogni coppia di osservazioni colle for- mule originarie di Jordan si tengono minori di quelle segnate per la serie I, cioè i due angoli si ravvicinano ; 2° le differenze dA z, sono maggiori di quelle della serie I tutte le volte in cui gli angoli Az; os- servati sono maggiori dei calcolati; e invece le dA 2» della Serie II sono più grandi quelle della Serie I, quando i 4z: osservati sono minori dei calcolati. E nel fatto pratico avviene che in 310 casi sopra 400, le dif- ferenze della Serie II sono maggiori di quelle della Serie I. Risulta adunque che non è vantaggioso legare in unica formula, alla maniera di Jordan, i coefficienti X e %» che dipendono dagli ele- menti atmosferici dei due punti stazioni. Questo fatto, messo in raffronto agli svantaggi prodotti dall’ adoperare nella ricerca di » la differenza di temperatura nei due punti stazioni, fa pensare se la teoria di Jordan non darebbe risultati pratici migliori, qualora si adoperasse nella ri- cerca di ogni angolo Az, e Az; il solo coefficente X o X» relativo alla stazione cui quello si riferisce, e s’introducesse il valore della varia- DI RIFRAZIONE GEODETICA 63 zione 2, determinato nel punto stesso stazione, per mezzo di termometri posti a varie altezze. Così si eviterebbe la necessità delle osservazioni contemporanee, si determinerebbe » in modo più rispondente all’ipotesi teorica, giacché lo sviluppo h-t=anrexr+a. s'intende riferito analiticamente alla verticale del punto stazione P,, e si eliminerebbero molte delle irregolarità segnalate sopra. Le suesposte considerazioni e il fatto che Bouguer e Bessel, adope- rando combinate nelle loro formule le osservazioni dei due punti sta- zioni, giungono a dei valori medi della rifrazione osservata, permettono di pensare se non possa stabilirsi come criterio generale che debba riuscire vantaggioso il calcolare ciascun angolo di rifrazione per mezzo degli elementi del punto stazione, cui esso si riferisce. Guardando il problema sotto il punto di vista geometrico, è certo che, data la curva di rifrazione, l’ultimo elemento verso P:, e quindi le condizioni atmosferiche di. P:, che determinano quello elemento, deb- bono influire su tutti gli altri elementi della curva e quindi anche in Pi. Ma nel fatto pratico si può osservare con Helmert che, specie se i punti sono lontani e notevole il dislivello, possono avverarsi lungo la traettoria diverse cause di perturbazioni, per modo che l’influenza del- l’ultimo elemento sul primo può essere ridotta al minimo. Nè, ci sembra, le idee accennate possono essere infirmate dalla con- siderazione che qualehe teoria, in cui gli angoli di rifrazione sono cal- colati nel modo suesposto, non dà risultati soddisfacenti, giacché tal fatto potrebbe dipendere dalla poca attendibilità della ipotesi, su cui si fonda la teoria stessa. Ad ogni modo noi non intendiamo per ora affermare il canone ge- nerale, ma ci limitiamo ad osservare che le precedenti considerazioni possono rafforzare, nel caso della teoria di Jordan, il criterio già sorto dai calcoli, e spingere, se non altro, a delle esperienze pratiche per verificare se essa non risponda meglio adoperandola nella maniera da noi proposta. CONCLUSIONE —e—_ I calcoli da noi fatti ci permettono, riepilogando, di trarre le seguenti conclusioni, che intendiamo sempre riferire ai casi da noi considerati: 1° Il valore dell’angolo di rifrazione calcolato colla teoria di Bou- guer, tenendo 1’ variabile, è la media aritmetica dei valori osservati. 2°I valori Az, e Az», calcolati colla teoria di Bessel, danno rispetto agli osservati differenze eguali e di segno contrario. Essi, in generale, si accostano al valor medio degli angoli osservati. 5° In quanto alla teoria di Jordan : _@ Essa, in generale, non presenta vantaggi rispetto alle precedenti. b) Le formule proposte dall’Autore (24) (25) $ 8, non recano vantaggi rispetto a quelle da noi trovate (23) $ 8. c) È supponibile che essa dia risultati pratici migliori, quando in queste ultime formule s’introduca il coefficiente di variazione 7, deter- minato in ogni stazione. Ci sembra che i risultati precedenti, qualora venissero confermati da altre serie di osservazioni e di calcoli, non sarebbero privi d’ impor- tanza per le operazioni pratiche. I primi due, difatti, darebbero un criterio (quando si avessero delle osservazioni contemporanee, e fosse noto all’incirca il dislivello tra i punti stazioni) sull’errore probabile negli angoli di rifrazione calcolati per mezzo di quelle teorie ; e ci assicurerebbero , quando è tenue il dislivello, che la teoria di Bessel, specialmente, riproduce a meno di qualche secondo il vero angolo di rifrazione. Dunque essa si potrebbe adoperare con piena fiducia, qualora si tenessero limitati i dislivelli tra i vari punti stazione. Il terzo (c), ci dispenserebbe dalle osservazioni contemporanee, tor- nendoci una formula che permetterebbe di determinare l’angolo di ri- frazione negli elementi di un solo punto stazione. Anche in questo caso, limitando i dislivelli, si potrebbero avere dei risultati accettabili. MOLLUSCHI TERRESTRI ISOLE ADIACENTI ALLA SICILIA MARCHESE DI MONTEROSATO (Comunicazione fatta all’ Accademia TOZZI # e... nEEE|||-EeEe r etPr__ ——_-___—r._r_rrr—rr__mm€ ui irreITTTTTrrcccTT.ggrrIé1(11111111 1900000000000 Iii III 600000000 NN. o. C0NNA No LIOBRCEGSCEHI ERRE STR DELLE ISOLE ADIACENTI ALLA SICILIA tp Tra le isole che circondano la Sicilia quelle che offrono un maggior contingente di Molluschi terrestri sono le isole Egadi, ossia il gruppo di Favignana, Levanzo e Marittimo o Maretimo, Formica, ecc., situate all’Ovest della Sicilia dirimpetto Trapani e Marsala e sono di natura calcarea e rocciosa. L’isola d’ Ustica a 60 miglia al Nord di Palermo, forma da se sola gruppo a parte ed è piuttosto vulcanica. Nel 1842 fu esplorata dal Dr. Calcara (1) il quale ci lasciò insieme a molte utili cognizioni sulla Zoologia in generale e sulla sua Geologia, un notamento di Molluschi marini e terrestri. Il gruppo delle isole Eolie, all’Est, di natura eminentemente vulca- nica, si compone delle isole di Alicuri, Filicuri, Salina, Stromboli, Vul- cano e Lipari (2), ch'è la più importante, senza contarne altre più pic- cole interamente disabitate. Sono luoghi desolati ed imponenti come (1) Storia Naturale dell’ Isola d’ Ustica, estratto dal Giornale letterario, N. 29, Pa- lermo 1842. (2) CaLcara : Breve cenno sulla Geogr. ed Agricoltura delle isole di Lipari e Vulcano — Palermo 1854. 4 MOLLUSCHI TERRESTRI dice Lojacono (1), ed il numero dei Molluschi che vi abita è veramente limitato, per la natura del loro suolo tutto coperto di lave e di pomici. Malgrado le difficoltà che rendono penose le spedizioni, il Cav. Benoit, ora non più fra i viventi, a cui si debbono la più parte delle nostre cognizioni sulla Fauna Siciliana, raccolse dei dati di una certa impor- tanza e delle specie non più ritrovate. Infine le isole Pelagie al Sud-Ovest della Sicilia, dirimpetto la Tunisia, formano un quarto gruppo composto delle isole di Pantelleria, Lam- pedusa (2), Linosa (8) e Lampione. Queste isole per la loro vicinanza con le coste Africane possiedono una fauna mista, che partecipa di specie nostre comuni dapertutto e di specie peculiari o di forme selezionate, che non si trovano in Sicilia e quel ch’è più che non vivono nel gruppo delle isole Maltesi. Quantunque le notizie che abbiamo sulla fauna di tutte queste isole sieno incomplete, pure si conosce già abbastanza e si può, dalle specie finora raccolte, formarsi un criterio su quelle che potrebbero rinvenirsi se le esplorazioni fossero fatte più accuratamente. Però nei tentativi fatti dopo le perlustrazioni eseguite dal Cav. Benoit, niente si è trovato in di più delle specie da lui accennate, e gli sforzi dei naturalisti non hanno contribuito che a darne una più corretta nomenclatura o ad ap- prezzare al loro giusto valore i prodotti di quelle isole. Le specie che sono in grado di menzionare fanno parte del mio ga- binetto e sono provenienti : dalla collezione del Dr. Calcara, da quella del Cav. Benoit, dalle ricerche ulteriormente fatte dal Barone v. Maltzan assisto dal Sig. Rolle, entrambi di Berlino, dal Maggiore G. B. Adami, estinto, di cui ho acquistato la collezione ed infine. dal Dr. H. Ross, botanico, di Berlino, dimorante a Palermo. A queste posso aggiungere un sacco di tutte specie fattemi raccogliere dal compianto Commenda- tore Ignazio Florio proprietario delle isole Egadi ed altre poche specie avute dal Prof. A. Issel e dalla Marchesa Paulucci. Queste ultime sono state raccolte in varie riprese nelle isole Pelagie, tanto dal Prof. Gi- glioli, come nelle corse del cutter « Violante» (4). Non è certamente senza una certa apprensione che io ora abbordo un soggetto sin’ora a me sconosciuto — le mie occupazioni scientifiche (1) Le isole Eolie e la loro vegetazione, ecc. — Palermo 1878. (2) Viaggio scientifico eseguito nelle isole di Lampedusa, Linosa e Pantelleria , ece. Palermo 1846 e Descrizione dell’Isola di Lampedusa. Palermo 1847, con tavola. (3) CaLcara : Descrizione dell’isola di Linosa. Palermo 1851. (4) La crociera del Cutter Violante in Ann. Mus. Civ. Genova, 1878-80. DELLE ISOLE ADIACENTI ALLA SICILIA tO) essendo state limitate alle specie marine, ma è un tentativo che forse potrà giovare perchè riunisce nettamente le cognizioni sparse che ab- biamo sui prodotti malacologici di queste isole. 1. Testacella haliotidea, Drap. Isola d’Ustica (Benoit). 2. Limax flavus, L. = L. variegatus, Drap. Isola di Lipari (Monts). Debbo questa determinazione all’ egregio confratello il signor Carlo Pollonera da Torino. Ne trovo una buona figura nel Manualetto delle conchiglie terrestri Brittanniche di R. Rimmer, 1880. 3. Hyalinia Rossmassleri, Westerlund. = H. Testae, Ph., var. Rossmassleri, West. — Binn. 1886, p. 46. (« Si- cilien bei Palermo »). Var. ex forma : plana, Monts. Var. ex forma : convera, Monts. Var. ex colore : cornea (tvpica) Monts. Var. ex colore : a/bina, Monts. — Scarsa. Abbondante a, Favignana. La località data da Westerlund « Sicilien bei Palermo, » credo che non sia ben fondata, essendo una specie pe- culiare delle isole Egadi. 4. H. Alicurensis, Benoit. = Helix cellaria, var. testa converiuscula; anfractibus numerosis, Cale. — Stor. Nat. Isola d’Ustica, 1842, p. 54. = Helix Alicurensis, Ben. — Il. Sist. 1857, p. 99, t. II f. lo (Isola d’Ustica) ex typo. = Hy. Riggii, Adami in Westerlund — Binn. Suppl. 1890, p. 6 (Isola d’Ustica) ex tvpo. Soltanto di Alicuri una delle Eolie e di Ustica. 5. H. De Natale, Benoit. = Helix De Natale, Ben.— Ill. Sist. 1857, p. 100, t. IV, f. 17 (Isola di Maretimo) ex typo. Maretimo. Non conosciuta delle altre Egadi. 6. H. diducta, Paulucci. = H. diducta, Paul. in West. — Binn. 1886, p. 46 (Isola di Lampedusa). Ritrovata a Lampedusa da Adami. Specie singolare, depressa, che ha la sostanza ed il colorito dell’ Helix 9 6 MOLLUSCHI TERRESTRI lenticula, a periferie angolata, opaca, del gruppo delle specie di Sar- degna : opaca, Shutl.; Lybisonis, Paul.; Iechnuse, Poll. ecc. T. H. Agusina, Monts. = H. Villae, (non Mort.) Ben. — Nuovo Catal. Messina 1881, p. 69 (Isola di Favignana) ex typo. Scarsa e sconosciuta; solo di Favignana (Benoit). Specie a «test» brillante come nell’H. Vi/lae dalla quale si distingue per minor numero di evoluzioni e per la sotura meno impressa. Rassomiglia alla H. nitidissima, Mouss. di Corfù e di altre località orientali. Secondo il Dr. Westerlund gli esemplari di Benoit, che volle gentilmente esami- nare, si riferiscono alla H. planella, Pfeiff., specie piuttosto oscura. 8. H. senilis, West. in litt. Un esemplare di Maretimo avuto da Benoit, riconosciuto come nuova specie dal Dr. Westerlund. Appartiene al gruppo delle specie polygyratce, ma la sua scultura assai fina e delicata, rammenta quella di una A- gopsina. 9. H. Sicula, Benoit. = Helix nitens, (non Mich.) var. Sicula, Ben. — Il. Sist. 1857, p. 158, t. III, f. 2 (Sicilia in varii punti) ex typo. = Hy. cellaria, (non L.) var. Sicula, West. — Fauna Eur. 1876 — Binn. 1886, p. 55 (Sicilien). = Hy. cellaria, (non L.) var. Sicula, Kob. — Binn. 1881, p. 9 e Icon. N.F. f. 1062 (Sicilien) ex typo. = Helix pseudonitens, Ben. — Nuovo Catal. 1881, p. 7 (Sicilia). Var. Vulcanica, Monts. — Isola di Lipari (Monts., assieme al Limax flavus). La stessa nelle pendici dell'Etna. Si distingue dalla forma descritta e figurata da varii scrittori, per es- sere di un biondo più carico e a pareti più tenui; presso 1’ ombelico si vede un po’ meno il vapore latteo di cui è ordinariamente prov- vista negli esemplari delle altre località, che piacemi ricordare: Var. major aut typica — Joppolo presso Girgenti ( Monts.), Girgenti (Benoit, Adami); Sciacca (Adami); Castelvetrano (Palumbo), ecc. Var. Melitensis, Kob. mss. — Si distingue appena per essere più tra- sparente. Confronta con esemplari riconosciuti per Mel:ersis dello stesso Dr. Kobelt. Malta (Gulia, Caruana). 10. H. (Egopsina) AUleryi, Paul., var. oriunda, Monts. Un esemplare avuto da Benoit come di Maretimo ed altri uguali e della medesima provenienza dati pure da Benoit a Mr. Bourguignat. DELLE ISOLE ADIACENTI ALLA SICILIA tI Differisce dal tipo, per essere piccola, solida, più conica ecc. (1). 11. Leucochroa sp. Favignana. Son lungi dal credere che la forma di Favignana e di varii punti della Sicilia sia identica alla vera candidissima di Algeria, ch'è liscia e globosa. La L. rimosa, Jan, o quella intesa per tale, è la forma che più somiglia. Nel caso che questa identificazione non sia soddisfacente, propongo il nome di Sicula. Riguardo alla specie di Jan, rimando il lettore alla Fauna della Sardegna di Paulucci p. 49. Var. conoidea, Bourg. — Esemplari di Favignana della coll. Adami, rappresentano una forma minor di questa varietà o specie di Algeria, di cui ho presente esemplari avuti da Mr. Debeaux e di Tolone avuti da Mr. Locard. 12. Helix (Gonostoma) lenticula, Fér. Abbondante a Favignana e probabilmente nelle altre Egadi. Anche di Lampedusa, esemplari piccoli. 15. H. (Patula) Erdelii, Roth. = H. flavida, Ziegl. = H. Teresae, Ben. = H. Balmei, (Paul). Qualche esemplare d’ incerta provenienza, ma possibilmente di Pan- telleria. La specie indubbiamente vive a Malta e non differisce nè da quella di Sicilia nè da quella di Brussa (Asia minore). L’ HM. Sudensés, Rossm., è la specie di Creta che vi è stata confusa. 14. H. (Carthusiana) subgregaria, Monts. Favignana non rara; non di altra località. È molto più tumida della gregaria, più ruvida ed a colorazione più (1) Si escludano dalle isole Siciliane le seguenti specie : a) H. Philippti, Arad. e Magg. = H. Testae, Ph. = H. Nortoni, Cale. (ex typo) = H. Canini, Ben. (ex tvpo), citata d’Ustica e delle vicinanze di Palermo. È ristretta alla provincia di Trapani e più di tutto abbonda a Cofano presso il Capo S. Vito. b) H. Villae, (Mort.) Strob. e suoi sinonimi, anche citata di Favignana (Benoit) e di Sicilia (Westerlund). Abita il 46 grado di latitudine nella Lombardia, nel Canton Ticino ed altri punti della Svizzera, tutte le provincie Italiane Veronesi, il Veneto , il Tirolo Italiano e la Carniola. e) H. polygyra, Poll = H. Oropaensis, Paul. — Citata di Maretimo ( Westerlund — Binn. 1886, p. 47). È una specie della Val d’Aosta. Questo bel gruppo a molte evoluzioni si può dividere in ispecie cornee e sp. lucide. Alle cornee appartengono 1’ H. Philippi, Rossmassleri , Alicurensis ( Hyalocornea, Monts.). Alle lucide 77. Villae, Uzzielliana, polygyra, PBygusina (Hyalofilgida, Monts.). L’H. De Natale, fa gruppo a parte (Ayalofusca, Monts.). o) MOLLUSCHI TERRESTRI carica con indizio di fascie chiare vicino l'apertura. Una forma vicina Siciliana è stata chiamata H. Camarota da Bourguignat (in sch.). 15. H. (Macularia) vermiculata, Muùll. Var. solidior, Monts. Isola di Favignana. Forma peculiare, globosa, solida, a labbro di porcellana ben rivoltato di un bianco eclatante. Colorazione che simula quella delle Macwlariae d’Algeria, ma a fascie fuse e poco distinte. Sotura piuttosto profonda. Var. Usticensis, Adami mss. Isola d’Ustica (Calcara, Adami ed altri). Calcara nella descrizione dell’Isola d’Ustica, a p. 53, accenna con questa frase :< var. t. parva, anfractibus magis converis, albo-sudicia-fusco fasciata ; aut nigro-castanea-fasciata. Nel tutto possiede una forma piccola e tenue a diverso sistema di colorazione, dal bianco sudicio al griggio e fasciata in diversi modi. — Dimensione non eccedente mill. 17 in diametro. Var. minuta, Issel—Ann. Mus. Civ. Genova 1880, p. 204 (Isola Galita, Galitone, Aguglia, Gallina e Cartagine). Isola di Lampednsa con diverse varietà ; ba, fasciata a fascie isolate o fuse. Il Prof. A. Issel dice: «L’ H. vermiculata si presenta nelle isolette « della Galita con dimensioni sempre minori del tipo e con caratteri « più o meno divergenti in guisa che merita di essere considerata come «varietà peculiare. Essa è più solida e più depressa del tipo ; la sua «apertura è relativamente piccola, il margine columellare apparisce « notevolmente ingrossato ed il peristoma piuttosto esteso. Le minori « dimensioni osservate in questa varietà sono: diametro maggiore « Milli. 13: altezza 12 ecc. » Gli esemplari di Lampedusa quadrano con quei di Galita favoritemi dall’egregio Prof. Issel; non li trovo però depressi, com’egli dice, anzi piuttosto globosi. Il fu Prof. Mousson, a cui ne comunicai qualche esemplare, mi seri- veva in lettera del 7 dicembre 1889, che questa forma potrebbe consi- derarsi come autonoma, se nell’isola Lampedusa si trova pure la forma ordinaria della vermiculata. Ora, appunto a Lampedusa trovasi VH. vermiculata della forma che vive dapertutto. Var. Linusae, Cale. — Descr. dell’isola di Linosa 1851, p. 26, figurata nella tavola topografica dell’isola. = H. vermiculata, var. Linusiana, Ben. — Il. Sist. 1857, p. 82, t.1, f. 17 (Isola di Linosa). DELLE ISOLE ADIACENTI ALLA SICILIA Se Possiedo il tipo proveniente dalla collezione Calcara. È uma forma piccola, solida e globosa, a colorazione mista senza fascie. La forma ordinaria si trova anche a Lipari assieme alla Rumina de- collata. 16. H. (berus) Iparia, Benoit. = H. platychela, (non auct.) var. Iparia, Ben. —Il. Sist. 1857, p. 77 t. 1, f. 13 (Calatafimi) ex typo. — I Kaguse, Kob. Nat. Sic. 1883, p. 260. e Icon. N. E. fi ib (Isole Egadi ?) ex typo. = H. subiparia, Bourg. mss. (ex typo). b) Ho sott'occhio il tipo di Benoit e 1’ esemplare figurato, gentilmente comunicatomi dal Dr. Kobelt. Non differiscono che pel colorito. Questa specie si distingue dall’ H. platychela, Aschere , spheroidea ( alle quali si avvicina solo per la dimensione ), pel carattere della sutura mar- ginata nei primi 3-4 anfratti come nel genere Levantina e nell’ Iberus del gruppo della scabriuseula. La specie che più vi si può confondere è ’H. Rosaliae, Benoit, avuta dall’autore, la quale, bene osservata, mo- stra pure la sotura marginata nei primi 3-4 anfratti. Benoit dice: su- tura profunda, ma questo carattere gli sfuggi e parla certamente degli anfratti posteriori dove è piuttosto profonda. L'habitat delle isole Egadi non è stato confermato e neppure quello di Calatafimi. I miei esemplari provengono da Torre Baria presso Scu- pedda, località accertatami da Reina il noto raccoglitore, ch’è fra Capo S. Vito e le pendici del Monte Erice. Si possono notare le var. ex colore: maculata ed albina. 17. I. insularis, Benoit. = Helix serpentina, (non L.) var. insularis, Ben.—H1. Sist. 1857, p. 109 (Isola Maretimo) ex typo. : = I. Rollei, Maltzan — Nachr. Blatt. Mal. Ges. 1886, p. 89 (Isola di Maretino) ex typo. Non H. insularis, Crosse et Debeaux — Journ. Conchyl. 1869, p. 51, t. II, f. 2 (Corse, specie del sruppo dell’. Raspailli, che dovrà cambiar nome). i Non mi resta alcun dubbio su questa identificazione, perchè ho pre- sente i due tipi di Benoit e di Maltzan e la sua sinonimia mi sembra correttamente stabilita. Recentemente ho avuto, per la gentilezza del Dr. Ross, botanico, esem- plari vivi raccolti a Maretimo. Il Prof. Issel ha usato il vocabolo Ph. I, p. 136. L'I. Eryeznus (Jan) Ph. (= MH. scabriuseula, auct.) n'è per- fettamente distinto. Conviene adottare il nome di £7ycénus, ch'è appoggiato da una buona figura ( Ph. I, t. VIII, f. 4,) mentre il nome di scabriuscula si applica a molte forme confuse e indescritte. (2) Nomina generica, sesquipedalia, enunciati difficîlia vel nauseabunda, fugienda sunt (Lin). (3) L'Iberus, voce latina che significa Spagnuolo, fu stabilito da Montfort sull’Helix Gualteriana di Spagna. Questa specie, per come l’attesta Bourguignat, con una veduta propria della sua istruzione, ha grandi rapporti con l’ Euparypha. Egli suggeri sce la scala delle specie che insensibilmente conducono a questa riunione (ved. Servain, Mol. Esp. et Port. p. 113). Westerlund, senza bisogno, vi sostitui il nome di Zuzberus. Le nostre specie appartengono ad altra suddivisione che chiamo : Transiberus. Murella, Pfeiffer, contiene specie diserepanti di questo gruppo grandioso, che prende DELLE ISOLE ADIACENTI ALLA SICILIA dI Non li ho nominati tutti, ma ve ne sono ancora molti da proporre ! Con- fesso che non sono Pfeifferiano. Giudico la specie da un altro punto di vista. Ogni autore ha la sua misura, che ha rapporto col materiale di cui dispone ed è perfettamente libero di stabilire nei suoi scritti, quale crede che sia la distanza che passa fra una specie e l’ altra. Nessuno può vantarsi di conoscerla o di precisare quale ne sia il principio e la fine. Certamente la specie esiste ma ci sfugge e sovente i più sperimentati naturalisti inciampano nell’errore. Regna una grande confusione fra il tipo storico di una specie ed il tipo naturale o il suo centro di creazione. È indubitato però che ogni forma debba portare, assieme alla località in cui vive, un simbolo di distinzione. Specie, va- rietà, forma, o qualunque altra espressione non ha importanza. Questa è la riforma della nuova scuola, che fa onore alla penetrazione dei mo- derni scrittori. Essi hanno, per necessità, rinunziato alla idea della grande specie Linneana. Gennaro 1892. origine negli Appennini, sviluppandosi nelle Calabrie con proporzioni sempre crescenti in Sicilia nelle Madonie «Quo mons Siconia non swrgit dilior unbra « che costituiseono i Monti Nebrodi, biforeandosi al Sud col Monte S. Calogero a Sciacca «e prolungandosi sino al Monte S. Giuliano o Erice, che n'è l’ultima cresta » (Z2ogzo di Pietro Calcara per Federico Lancia in Aff: Acc. Palermo 1854). Nel sotto genere MureZZa vanno pure comprese le specie del gruppo dell’. serpentina, le quali sono più Macularie che Iberi per la loro sostanza e colorazione. Questo gruppo insulare di Corsica e Sardegna, s'irradia nelle coste Toscane e di Provenza ed ha maggior relazione con le Macularie delle Baleari e della Spagna che con gl’Iberi Italiani, che sono precisamente i miei 7ransiberus. ERRATA-CORRIGE Pag. 11 lineo 1 » > 14 al murulis, peristona, solide legg. » » muralis peristoma solido SVIEAUNA SICULA PER PIETRO DODERLEIN Direttore del Museo Zoologico nella R. Università di Palermo == (Comunicazione fatta all’ Accademia) ua CrETTT-FTFFyTTyTy""——&fT-—_ --XkT-<*<=» 4984 In più N. 694 I reati contro la fede pubblica furono nel 1879 N. 12665 nel 1888. » 14491 In più N. 1828 XIH. — La ricchezza privata Conoscere l'ammontare della privata ricchezza e il suo movimento . è cosa ardua, è un problema, a cui statistici ed economisti hanno inteso e con problematico risultato. Si dovrebbe fare l’ inventario di tutti i beni immobili e mobili di ciascun cittadino al netto delle passività. E ciò è quasi impossibile; si dovrebbero ritrarre in un dato momento tutte le forme di ricchezza di un dato paese, ma mancano le statistiche. In questo stato di cose, seguendo le idee del Bodio, al sistema diretto bisogna sostituire 1° in- diretto. Noi non faremo la distinzione tra ricchezza nazionale, pubblica e privata, nè segneremo i caratteri che la qualificano; noi ci atterremo alla sola ricchezza privata, e, con le norme del nostro amico, ne fa- remo l’analisi, non col sistema diretto, ma con l’indiretto, che è stato seguito in diverse forme dal de Foville, dal Giffen, dal Saebeer. Anche questo sistema ha le sue difficoltà, e i risultati non sono che approssimativi. Questo sistema presenta due modi d’ investigazioni. L’uno sta nel rilevare dai registri delle contribuzioni dirette l’ammon- tare della ricchezza, ove esiste per dir così un ruolo unico di tutte le entrate dei cittadini al netto, calcolando qualche cosa per le occulta- zioni. L’altro sta nel ricorrere alle denunzie fatte in occasione di trapassi ECONOMICO-SOCIALE IN ITALIA 51 della proprietà per tasse di successioni, riunioni di usufrutto alla pro- prietà, donazioni, etc. calcolando una percentuale per le occultazioni, calcolando i redditi ad un giusto saggio e moltiplicando il tutto per 35 o 36, ritenendosi che 35 o 36 anni sia la vita di una generazione; e che in questo periodo tutta la proprietà sia trapassata in altre mani. Il primo sistema è stato seguito da R. Giffen, che calcolò nel 1875 e nel 1885 la ricchezza nazionale inglese sulla éncome-tar. Il secondo del de Foville che calcolò la ricchezza privata della Francia al 1880 e al 1888 sulla lista di trapasso della proprietà, ritenendo 35 anni la vita media di una generazione , e ritenendo altresi che le passività patrimoniali (non dedotte in Francia) possono rappresentare le occul- tazioni nei valori. Il Dott. A. Saebeer con sistemi quasi simili calcolò la ricchezza in Prussia nel 1876 e nel 1888. In Italia il Prof. Bodio, con qualche modifica, seguì il sistema del de Foville, e riusci a trovar la ricchezza privata dal 1875 al 1890. Un tentativo di questi calcoli erasi fatto al 1880 nella relazione del disegno di legge per l’abolizione del corso forzato. Pria di venire ai risultati di questi lavori bisogna premettere un’os- servazione generale. Noi crediamo che questi lavori, qualunque sia il sistema adoperato nella investigazione, nei loro risultati sono dubbii ed approssimativi, perchè l’arbitrio regna sovrano nel calcolare i vuoti e le diminuizioni dei dichiaranti ed anco nello stesso calcolo della vita media di una ge- nerazione. Ma se la verità è difficile a trovarsi, diremo così, nel cen- simento della ricchezza, il movimento però è una verità accertata, quando il lavoro è sempre fatto con gli stessi criterii. Di modo che ripetuto in varii periodi viene a segnarsi il vero progresso o regresso della ricchezza. Alla scienza non può dimandarsi più di quanto può dare. Il de Foville dai suoi calcoli dedusse che la ricchezza privata di Francia nel 1888 ammontava a 210 miliardi; e, rimontando indietro, al 1880 venne a dedurre la ricchezza essere cresciuta in ragione di 5 miliardi annuali nelle buone annate, di due nelle mediocri, di uno almeno nelle cattive. Il signor R. Giffen, calcolando la ricchezza nazionale della Gran Brettagna ed Irlanda nel 1875 e nel 1885 rilevò che per il decennio l'aumento annuo della ricchezza fu di 3,750 milioni. Il Dott. A. Saebeer dai suoi calcoli dedusse che la ricchezza pri- vata in Prussia che nel 1876 era 1617 milioni di reddito salì nel 1888 532 IL MOVIMENTO a 2317 milioni, per modo che l’aumento dei redditi sarebbe cresciuto per anno 60 milioni; l'economista tedesco non risale dai redditi al ca- pitale, chè il 5 per 100 sarebbe stato annualmente di 1200 milioni. Il Bodio, seguendo il sistema del de Foville, ma modificato , per la diversità di calcolare i valori rivelati, che fra noi sono di netto, ha aggiunto al valore delle denunzie di successioni e passaggi di usufrutti a proprietà il 25 per 100 per occultazioni o minori valori rivelati ; ed ha calcolato tutto sopra una vita media di 36 anni, anzichè di 35. Su queste basi ha desunto che la ricchezza privata italiana sarebbe in media di 45 miliardi e mezzo nel periodo 1875-80, di 51,1 miliardi nel quinquennio 1880-85 e dî 54,4 nel quinquennio 1885-90. Così si avrebbe : tra il primo e il secondo periodo aumento 5 miliardi e 600 milioni; tra il secondo e il terzo 3 miliardi e 300 milioni. Per tal secondo aumento annuo del 1° periodo L. 1 miliardo e 120 milioni, del secondo L. 660 milioni. Così nel secondo periodo, nel quale si mostra una diminuizione nella ricchezza privata, si specchia l’odierna sofferenza economica. Nè que- sta ricchezza di 660 milioni annua è tutta a vantaggio dell’ Italia, vi sono valori che appartengono agli stranieri e forse la metà di questa somma va a vantaggio di essi: è un debito degl’italiani. Come si scorge tra le nazioni di cui si è calcolata la ricchezza V’I- talia è la più povera. La Francia ha la ricchezza di 210 miliardi e un aumento medio annuale di altre 2 miliardi. L'Inghilterra ha una ricchezza che aumenta oltre quella della Francia, e un aumento an- nuo di 3 miliardi e 750 milioni. La Prussia una ricchezza di 32 mi- liardi e 340 milioni e un aumento annuo di 1 miliardo e 2009 milioni. L'Italia una ricchezza di 54 miliardi e 400 milioni, un aumento an- nuo di 660 milioni. È vero però che la nostra ricchezza privata è 54,400 milioni? Que- sta è l’incognita; ma è vero che la nostra ricchezza in questo periodo si è arrestata di fronte al passato, con l'aumento annuo di 660 milioni. I rapporti internazionali sono più difficili a caleolarsi. E vero che la Francia nel 1888 avea una ricchezza ragguagliata a. 210 miliardi? Ne possiamo dubitare. Ma è vero però che il suo au- mento medio annuale è dai 2 miliardi a 3, e che possiamo ritenere 2 miliardi e 500 milioni. I raffronti fra i due paesi, incerti nell’ inven- tario della ricchezza, sono certi in quello del movimento. Ricchezza francese 210 miliardi, ricchezza italiana 54 miliardi e 600 milioni, siamo quasi un terzo della Francia; aumento annuo della riechezza in Fran- ECONOMICO-SOCIALE IN ITALIA 39 cia 2 miliardi e mezzo, aumento della ricchezza in Italia 660 milioni, anche qui siamo in meno circa un terzo. La sproporzione è abbastanza grave, gravi altresì le conseguenze. XIV.— La ricchezza e le imposte Questo fatto ha una seria influenza non solo nella vita economica delle due nazioni, ma sul modo di pesare le imposte sui contribuenti delle due nazioni. In Francia le imposte non pesano come in Italia, esse là aumentano col crescere della ricchezza, mentre fra noi la schiacciano e la fanno retrocedere. Rouvier il 50 giugno 1892 annunziava al consiglio dei Ministri che le entrate dell’esercizio 1891 presentarono diffinitivamente un aumento di 83,990,292. Una relazione ufficiale in Italia nello stesso periodo an- nunzia che il deficit si chiuderà con milioni 44 ‘/ e che le entrate di fronte alle previsioni hanno dato un meno di 27 milioni (1). Osserviamo i bilanci delle due nazioni in cifre tonde, e vediamo co- me pesano le imposte fra le due nazioni. Il bilancio francese è 3 miliardi sopra una ricchezza di 210 miliardi, pesa quindi il 14 per 100. Il bilancio italiano è 1 miliardo e 600 mi- lioni, la ricchezza 54 miliardi e 600 milioni, pesa quindi quasi 30 per 100, cioè il doppio. Se lo stesso calcolo istituissimo sull’Inghilterra ci troveremo in peg- giori risultati. Ma un altro fenomeno pericoloso si manifesta studiando in Italia l’au- (1) Il disavanzo reale dell’ esercizio testè chiuso ascenderà a milioni 44 !/,. Ricorde- rete che, secondo le ultime rettificazioni dell’assestamento, il disavanzo non doveva es- sere che di 17 milioni. Quindi l’esercizio offre un peggioramento di 27 milioni di fronte alle previsioni. Questa differenza va attribuita anzitutto ai minori introiti che rappre- sentano la cifra principale di quella differenza, segnatamente nelle dogane. Come vi dissi giorni fa, vi contribuirono anche talune maggiori spese: come il Ministero del Tesoro per una maggiore spesa per aggi di 4 milioni; il Ministero delle Finanze per una maggiore spesa per rimborsi e imposte non dovute in 2 milioni; il Ministero di Grazia e Giustizia per mezzo milione, ece. Resta tuttora scoperto il debito del Tesoro che è di mezzo miliardo e resta sopratutto l’infelice situazione monetaria del paese, dal quale tutta la moneta circolante sembra essere emigrata. L'oro, tranne quello che si trova nei forzieri dei nostri istituti d’emissione, è scom- parso. Quanto alla moneta divisionaria in argento, la sua scarsezza si rende tutti i giorni più manifesta e più inquietante pel commercio. D DI IL MOVIMENTO mento delle imposte e l’aumento della ricchezza; quale sproporzione ! Il bilancio che nel 1881 era 1,200 milioni si alzò nel 1889 a 1,600 mi- lioni, aumento 400 milioni che importa il 33 per 100 sul bilancio 1881. La ricchezza privata ebbe nell’ ultimo quinquennio 1885-90 un au- mento di 3,300 milioni sopra una ricchezza di 51,000 milioni, che im- porta un aumento del 6 per 100. In tal modo mentre la ricchezza ere- sceva 6 per 100, l’imposta aumentava il 33 per 100; da ciò le soffe- renze, e la necessità di un pronto rimedio. Nel mondo sociale vi sono delle leggi, come nel mondo fisico, che non possono violarsi, e alle quali ogni resistenza è inutile; come non può impedirsi che un corpo lanciato nel vuoto precipiti sempre, così non può ottenersi che si spenda più di quanto si ha, senza non venire al fallimento, e che i popoli possono assoggettarsi a pagare, quando non hanno di che pagare. XV.— Lo sviluppo della vita economica e la quistione sociale Le cifre presentate, quasi in ogni ordine della vita sociale, ci mo- strano un progresso di fronte a noi, una marcata inferiorità di fronte alle altre nazioni. Ma studiando un fenomeno , che allarma l’ odierna vita dei popoli, noi ci troviamo in un grado di superiorità di fronte alle altre nazioni, mentre constatiamo un regresso di fronte a noi stessi. Intendiamo della cosidetta quistione sociale o del socialismo, che partendosi dal concetto economico si è allargato al giuridico e al politico. L’operaio e la plebe, che si dice quarto stato, reclama per se quello che al 1789 reclamò il terzo stato, che era nulla e che ora è tutto. L’operaio dal gretto sistema delle corporazioni è venuto a quello della libertà e della responsabilità, che lo nobilita e che fa il suo interesse e quello dell’industria. Una nuova dottrina vuol far credere questo sistema assai oppressivo, come il predominio dei forti e dei ricchi sui deboli e sui poveri; senza ponderare che lo scopo ultimo di ogni classe sociale è il massimo svi luppo delle facoltà umane, la maggiore partecipazione all’incivilimento: fini che la libertà può fare asseguire e che gradatamente accorderebbe alle classi operarie, che si dicono diseredate. Da ciò un’agitazione; e varii sistemi d’indirizzo politico-economico per il trionfo delle proprie idee. Il sistema cooperativo, avente a base la libertà e 1’ individualismo, e il sistema del socialismo. Quest'ultimo si parte in tante chiese, che vanno ug Gi (Di. ECONOMICO-SOCIALE IN ITALIA 3 dal socialismo di stato sino all’ anarchia; segno certo che quando si esce dal vero, si vaga in molteplici idee, di gradazione differente. L'indirizzo politico socialista attende tutto o dalla repubblica demo- cratica o dalla monarchia sociale; vi ha poi una esagerazione di questi sistemi che porta alla distruzione immediata, ritenendo lecito ogni mezzo, anco il furto e l'assassinio. Il primo vuole portare i lavoratori al potere per organizzare nel loro interesse il lavoro , il secondo vuole l’ alleanza colla monarchia per rompere il dominio della borghesia, e per mezzo delle leggi com- primere i grandi ed innalzare gl’imi. Il primo sistema ha origine nel socialismo del 1850 e trovò con Luigi Blane la sua massima espres- siva nella rivoluzione del 1848; il secondo ebbe sua base nel primo im- pero Napoleonico e trovò il suo sviluppo nel secondo impero. L’esagera- zione del socialismo che ebbe i suoi grandi propagatori in Prouhdon, Ledru, Rollin, trovò la sua manifestazione nella Comune di Parigi. L’agitazione scientifica, specialmente in Germania , seco condusse l'agitazione operaia, manifestantesi in diverse forme, e fece una nuova quistione che si disse soczale, e rell’ultimo quarto del secolo ha occu- pato la mente degli uomini di stato e fatto sorgere delle leggi limitative la libertà e la proprietà, che in una parola dicesi legislazione sociale. Gli operai nella loro agitazione pacifica, alimentata da uomini della scienza, si sono composti in Unioni di mestieri, delle quali 1 Inghil- terra ne conta 503,196 con un patrimonio di 11,384,076 lire, mentre nelle altre nazioni, e segnatamente in Italia, non raggiungono per nulla questo numero e questa potenza. Nel descrivere i mali sociali gli scrittori sono tutti di accordo, e vi riescono; non così nei rimedii, i quali, uscendo dalle idee fondamentali dell’ ordinamento degli stati, non possono apprestarsi. Con un archetipo che non si può raggiungere trovano i mali materiali ed economici nel basso salario, nel lungo tempo del lavoro, nel modo come esso si esplica, nei luoghi ove esso si svolge, nello esquilibrio fra l’entrata e la spesa dell’operaio; veggono poi i mali morali, che si dipingono a foschi co- lori, nella classe operaia, nella famiglia operaia, nell’operaio maschio e nella femina. Dei rimedii se ne sono proposti, e molti, chiamando lo Stato ad at- tuarli con calma o con violenza, senza aspettare l’opera del tempo e dello svolgersi della civiltà, che certamente li addurrà ove sono pos- sibili. E senza badare alle conseguenze, si chiama l’intervento dello Stato per ottenere il dritto alla coalizione e agli scioperi, l’obbligatorietà della 36 IL MOVIMENTO istruzione, i limiti di età e di sesso al lavoro, la riduzione delle ore del lavoro, la indennità nei casi di infortunio, le casse di soccorso, le casse per la vecchiaia, le case economiche, i regolamenti di fabbrica, il pa- gamento delle mercedi in denaro, i tribunali industriali e gli ufficii di conciliazione, gl’ispettori del lavoro, e le pene per le contravvenzioni. La maggior parte di queste dimande trovano il loro fondamento nel dritto, e si possono attuare senza ledere il dritto altrui ; ma molte di esse nella pratica non trovano esplicazione, e sono di danno allo stesso operaio, il quale non sa quel che chiede; e chiama in aiuto lo Stato per plaudire ai suoi ispettori e mettere il lavoro in tale servitù, che, ove fosse possibile, l’operaio stesso si ribellerebbe; mentre la libertà per tutti e il rispetto al dritto sono il rimedio ai mali. Dal dritto di coali- zione alle istituzioni di previdenza e di assistenza è la libertà che li sostiene, ma l'intervento del Governo, la limitazione a questa libertà, che pur s’invoca, non è che un danno per l’operaio, che ha dritto di resistere ad ogni violenza, ma non ha quello di voler sostituire alla tirannia del capitale quella del lavoro, all’intelligente opera della bor- ghesia le violenze della democrazia, all’egoismo dei proprietarii il la- droneggio dei non abbienti. L’ agitazione dal campo scientifico e parlamentare è discesa in ta- luni Stati nelle masse, impazienti di mutare l’ordine sociale, e prende sventuratamente il carattere rivoluzionario, abbracciando non solamente il problema economico, ma anche il politico, richiedendosi una più larga partecipazione al potere. La naturale evoluzione delle idee erronee ci ha fatto giungere sino all’anarchia, che richiede l'immediata e violenta distruzione di tutto ciò che esiste, per andare incontro ad un ignoto, orrendamente oscuro. Dove oggi sono partiti che si agitano, appartengono tutti alla demo- crazia sociale. Nei primi auni della nostra rigenerazione politica il concetto della libertà involgeva tutto, e il socialismo di stato e democratico non tro- vava che solitarii sostenitori. L’operaio aspirava ad una migliore esi- stenza e si sforzava con il lavoro e la giustizia dei suoi diritti rag- giungere questo fine. Gradatamente il socialismo nelle varie sue forme è penetrato. Il so- cialismo di stato, per timore del democratico , cominciò a parlare e fare delle leggi sociali, ma trovavano in tutti opposizione, e si volle da' scrittori radicali far sorgere una quistione sociale, che non esisteva; e le masse allettate dalle nuove .e lusinghiere idee cominciarono ad agitarsi, minacciando con parole un pericolo, che in fatto non esiste, UM IAA ECONOMICO-SOCIALE IN ITALIA dI dacchè le nuove e sovversive dottrine non sono radicate nella co- scienza popolare. Ecco un regresso di fronte a noi; ma di fronte alle altre nazioni noi possiamo vantare una superiorità. Per l’Italia e fuori mancano i dati statistici che si riferiscono a questa materia, ed ancora l’attendiamo; e bisogna quindi venire ai fatti per giungere a qualche risultato. Possiamo benissimo in riguardo a noi constatare che 1’ Italia è un paese più agricolo che manifatturiero; che il lavoro casalingo suppli- sce quello dell’officina; che le srandi manifatture a base delle macchine non esistono o in pochissime proporzioni; che l’operaio delle campagne e delle arti industriali è calmo, temperante, e i suoi voti non sono nella maggioranza antisociali, la tradizione dei buoni costumi non è violen- tamente interrotta, la piena delle idee sovversive non l’ha travolto. La proprietà è tuttavia sacra, il furto è furto, la famiglia ha un culto, la prole nasce e la popolazione aumenta, 1 idea di Dio è tuttavia un sentimento arcano che fa subire i mali di questa vita per i compensi in un’ altra migliore. Non sarà questo un progresso per quanti aspirano alla distruzione dell’ordine naturale della società civile, ma noi lo ritenghiamo per tale; noi lo costatiamo come una superiorità della nostra nazione sulle altre; e siamo sicuri che ove un nuovo sviluppo nell’industria agraria s’intro- ducesse, noi insieme alla ricchezza vedremo senza dubbio migliorati gli ordini sociali. Non così nelle altre grandi nazioni ove l’industrialismo è sviluppato, ove il socialismo democratico e la monarchia sociale sono inneggiati, per farli intervenire e mutare pacificamente o violentemente 1’ ordine sociale. Quivi la quistione sociale è all’ordine del giorno; e il socialismo si è spinto; non trattasi più di riparare alle giuste esigenze dell’operaio, non di rigenerare le infime classi con le riforme legislative , senza intaccare la libertà; ma si chiede la parificazione completa delle classi sociali in nome dell’uguaglianza, il collettivismo invece dell’ individua- lismo, l’intervento del potere politico invece della responsabilità perso- nale, la sovranità del lavoro sugli altri elementi della produzione, il dritto alla mercede anche senza lavoro; e tutto ciò con la minaccia della ri- voluzione e della distruzione che fanno milioni di lavoratori coalizzati; e la quistione operaia si vuole ridurre: nelle campagne a guerra con- tro chi possiede la terra, nelle città industriali a guerra contro chi ha il capitale. Orrendo spettacolo d’invidia e di lotta incessante fra le classi 10 38 IL MOVIMENTO sociali, che sbalzate dalla propria orbita, invadono quella delle altre. È per la naturale evoluzione delle idee, tendenti alla esagerazione, la qui- stione operaia è divenuta sociale, e dal concetto economico si è allar- gata al morale e al giuridico, attaccando Dio, la patria, la famiglia, la proprietà, la libertà, basi su cui poggia il civile consorzio. E di già siamo gradatamente venuti all’ anarchia, alla deificazione del furto e dell’ assassinio , dottrina che si è voluta chiamare sublime ed onesta, che ha i suoi gregarii e î suoi martiri. Queste false idee che gettano il veleno nell’anima, che aprono una lotta incessante tra le classi dirigenti e le lavoratrici, fortunatamente non sono sviluppate fra noi; sono un seme che non ha trovato propizio terreno, che germoglia, ma non dà frutto; sono idee traviate che si vogliono popolarizzare da pochi ed esagerati scrittori, che aspettano no- me dal voto delle masse, non sentimenti del popolo; ed è a sperare che, mercè l’ opera dei buoni , la carità filantropica e le leggi, che senza attentare alla libertà, assicurino quella delle classi operaie, e ap- poggino il loro legittimo progresso, la società italiana sarà immune di questi mali, che più. che altro si riverserebbero sugli operai mede- simi, che han bisogno di appoggio e di lavoro. Noi non abbiamo gli scioperi delle centinaia di migliaia di lavora- tori industriali che sono un pericolo per la società; noi non abbiamo i meetingh a migliaia ove le idee più ributtanti trovano un’ eco; noi non abbiamo quella mescolanza dei sessi nelle officine che ingenera il mal costume, noi non abbiamo quell’abbiezione delle infime classi che si trova a Parigi, a Berlino, a Vienna e nei quartieri infami di Londra. Le nostre classi operaie son buone e rispettose, la loro esistenza si va circondando di benefiche istituzioni che gradatamente nel miglior mo- do si accrescono per meglio provvedere al presente, per assicurar loro l’avvenire. - L’operaio ha gratuitamente l'istruzione, ma senza le violenze del- l’obbligarietà, e i figli dei più bassi popolani la fanno da maestri e da maestre, tutte le carriere son loro aperte e siedono nei consigli dei comuni e delle provincie. Istituzioni di credito, di previdenza, di assicurazioni sono aperte per l’operaio; le società di mutuo soccorso crescono, le casse per l’infortu- nio del lavoro funzionano, e se non progrediscono è colpa di loro. Po- trebbe l’opera delle società spingersi alle casse di pensioni, alle case economiche, mentre gli ospedali e le case di ricovero riparano alle loro malattie e alla loro miseria, e la riforma delle opere pie è tutta a loro ECONOMICO-SOCIALE IN ITALIA 59 vantaggio. La rigenerazione operaja è tutta affidata all’incivilimento, ed ogni scossa non farebbe che ritardare questo giorno felice. Tolga il cielo che ciò noi esponessimo perchè non sentiamo affetto per questa classe. Noi, meglio che altri, ne sostenghiamo la libertà, la ric- chezza, il miglioramento delle loro condizioni, sostenendo che nessuno ostacolo si frapponga al loro passaggio individuale nelle classi superiori, che la perfetta uguaglianza esista per loro e le altre classi sociali di fronte alle leggi; ma non si parli d’idee sovversive, d’idee che mentre turbano, senza speranza, la loro esistenza, la rendono più miserabile ed infelice. Si grida che fra noi manca una legislazione sociale, e pur abbiamo molte leggi che rimangono ineseguite; si grida che non sono limitate le ore del lavoro, che non vi ha una legge sui salarii, sull’interesse del capi- tale, ma se anco si facessero, come esse possono funzionare se sono in opposizione alle leggi naturali delle società, che non si possono forzare? Si biasima il Governo che non crea gli ispettori delle fabbriche per dar la caccia alle donne e ai fanciulli, che non s’ingerisce nel lavoro e nel- l’industria venendo in soccorso ora ad uno ora ad un altro degli ele- menti della produzione. Questo certamente non è un male in un paese, ove il lavoro manca e le braccia sono inerte. Il Governo ha avuto il buon senso di sapere resistere agli eccita- menti; il suo intervento non è giustificato, perchè la questione economica non si è mutata in sanitaria, in morale o politica; ha fatto quello che ha potuto indirettamente, ed ha fatto anche troppo, quando troviamo leggi sociali, che non si sono potute eseguire. Quando il bisogno manca la legge è inopportuna; nè questo bisogno è costituito dalle affermazioni di esagerati scrittori, di opuscoli e di gior- nali; il bisogno deve essere nella coscienza popolare e di tal natura che è possibile apportarvi un rimedio. Ecco una superiorità che ha il nostro paese di fronte alle altre nazioni. Il movimento socialista, or pacifico, or violento è da oltre 60 anni che agita le nazioni, ed ora sì è accentuato di più. Esso trova numerosi sosteni- tori in Inghilterra, assumendo il carattere delle pacifiche riforme,in Ger- mania or calmo or turbolento si appoggia massimamente alla monarchia sociale, in Francia rivoluzionario e violento si mesce alla democrazia sociale, in Russia inesorabile e distruggitrice vive nel segreto di tene- brose adunanze, in Ameriea si svolge all’ombra della più estesa libertà, ma non è entrato nella coscienza del popolo. Sostenuto da pochi scrittori, che si appoggiano alle idee tedesche o francesi della monarchia e della de- mocrazia sociale, le loro idee non trovano eco che in uno sparuto nu- 40 IL MOVIMENTO mero di operai, cui manca il lavoro; e i più esagerati socialisti italiani vanno altrove a far propaganda di idee e d’azione, e si stringono agli stranieri per portare il terrore nelle nostre pacifiche popolazioni. Questo movimento sociale, che si riscontra per ovunque in diverso grado, si manifesta altresì in quel gretto protezionismo che ha invaso î Governi e che è rappresentato dalla elevazione delle tasse e dalle rap- presaglie fra i varii stati. Socialismo e protezionismo sono i mali che minacciano le attuali nazioni; ma meno di tutta l’Italia, ove il popolo è devoto alla libertà, ed ove le idee socialiste ed autoritarie non attec- chiscono; ove gli uomini di stato non hanno abbandonato le gloriose tradizioni delle idee liberali; inneggiano, ma non attuano il socialismo cattedratico, ricorrono al protezionismo per rappresaglia, ma proclamano il libero cambio; a destra come a sinistra la statua della libertà non si vela; rammentiamo il Rudini che alla Camera fece professione di li- berista; e il Crispi che con nobili frasi ha combattuto il socialismo cat- tedratico e democratico. In una recente lettera allo Sbarbaro, devoto alla libertà anche lui, il grande uomo di stato diceva : «Per me le attribuzioni dello Stato possono determinarsi in due pa- role: Rimpetto allo straniero deve invigilare alla sicurezza del paese, all’interno eseguire le grandi opere di utilità generale, e far le leggi necessarie alla protezione dei cittadini nell’esercizio dei loro dritti. «. ...I nostri avversarii, gli uomini della scuola autoritaria, hanno sempre in bocca i dritti dello Stato. È un errore. Lo Stato non ha dritti, nè può averne. Lo Stato è una delegazione del popolo per funzioni che gli vengono attribuite, ed un popolo che eccede i limiti della delega- zione, abbandonando i suoi dritti allo Stato, non è degno di libertà, ma fonda con le sue mani la schiavitù. » (1) XVI.— Le deduzioni e le speranze Le cifre presentate, e di cui abbiamo fatto lunga ed accurata rivista, si prestano a gravi meditazioni, e permettono che da esse si tirino delle utili deduzioni, e delle regole di prudenza sulla vita economica mo- rale e politica della nazione. Fsse ci mostrano quale cammino abbia percorso l’Italia dal 1861 ad (1) Questo concetto dello Stato alla: Russeau, che ha pure le sue funeste conseguenze, potendo giustificare ogni eccesso, è pure opportuno per negargli la perniciosa ingerenza nella vita sociale. ECONOMICO-SOCIALE IN ITALIA 41 oggi, tanto economicamente, che intellettualmente, moralmente e poli- ticamente. Nella vita economica e nello svolgimento della ricchezza si scorge una progressione lenta e stentata, interrotta da crisi, che hanno resa triste la condizione del popolo, più che altro, per la sproporzione fra gli estesi desiderii di fronte ai nuovi orizzonti e la ricchezza del paese. Donde da una parte lo scontento e l’ardore insaziato di ricchezze, che ha por- tato agli esagerati ideali del socialismo sino all’anarchia, e dell’altra 1’ ab- bandono del giusto indirizzo verso l’agricoltura e il commercio, per andar dietro alle manifatture, credute migliore e più pronto mezzo di ricchezza; e il disinganno ha fatto ricorrere al protezionismo che ha portato danno alle popolazioni, e più segnatamente a quelle del sud, mentre l’abuso della magia del credito, galvanizzando il paese, lo ha poi condotto alla miseria, lasciando che banchieri e politici si arriechissero col denaro risparmiato alle credule popolazioni, e preparando scandali e vergogne. Intorno alla vita intellettuale e allo svolgersi dell’istruzione, le sta- tistiche ci mostrano un progresso: l’analfabetismo diminuito, il numero degli allievi nelle scuole cresciuto in ogni ordine dell’insegnamento. Ma se l’istruzione è cresciuta in estensione è diminuita in intensità, e l’e- ducazione che fa uomini di forte carattere e di grandi ideali manca del tutto, come mancano i grandi uomini di 50 anni addietro che illustra- vano il paese e ne guidavano il pensiero e l’opera. Oggi l’ambiente ha dato i suoi frutti, sia negli uomini che guidano, che nelle idee e sistemi che non sono efficaci ad un vero progresso del popolo. Negli ordini amministrativi, che pur costituiscono gran parte della vita della nazione, l’uniformità esagerata e l’accentramento nel potere centrale di ogni funzione dello Stato hanno portato l’anemia nelle singole regioni, la cui vita libera e rigogliosa avrebbe cementato la cultura, la ricchezza e la potenza della nazione. L’avere poi mescolato la politica all’amministrazione ha reso potente il parlamentarismo e la sua indebita ingerenza nei pubblici affari, ed ha fatto, senza l’onore sbandire il sistema regionale che fu il più alto portato dalla sapienza politica italiana negli scritti del Cattaneo e del Montanelli e nei progetti di legge del Farini e del Minghetti, per sosti - tuirvi il gretto sminuzzamento provinciale, che ha gradatamente infiac- chito il paese, rendendolo cieco strumento del potere, sostituendo al no- bile e disinteressato amor della patria, l’indifferenza, o il torna conto. Da ciò la decadenza politica e morale, la niuna distinzione tra il vizio e la virtù, la perdita di ogni idealità e il correr dietro alla realità, susci- tando una lotta insistente tra le classi ricche e le non abbienti, tra il 11 49 IL MOVIMENTO lavoro e il capitale, le cui incitazioni e manifestazioni si trovano in certi libri e in certi giornali. Da ciò l’invelenire di talune piaghe sociali, tra le quali più spiccate la emigrazione e la criminalità, che crescono in fortissime proporzioni, e si rivelano funesto effetto di questa morbosità sociale, tanto che l/una è divenuta un problema complesso, ove non agisce solamente il bisogno di equilibrio tra la popolazione e la sussistenza, e l’altra preoccupa i sociologi, che nella qualità dei crimini e dei delitti vedono l’espressione dell’accidia e della intemperanza dei costumi nei godimenti della vita. Il Governo nella sua opera educatrice e sociale anziechè opporsi a queste tendenze ha lasciato che certe idee e sistemi si popolarizzassero; e nella vita economica la sua ingerenza è riuscita funesta, soffocando con l’imposta e colle leggi restrittive lo sviluppo della privata ricchezza, mentre nella parte politica all’antico fervore è subentrata l’indifferenza e il malcontento, che si rivela nella ristretta frequenza degli elettori alle elezioni politiche e amministrative, nel creseere degli brogli elettorali e nelle sentenze dei magistrati che li condannano. La spensieratezza dei primi anni della nostra rigenerazione gettò le basi della decadenza economica e politica e l’accrebbe la mania della grandezza. Trascurato ogni miglioramento nella vita economica del paese a mezzo di un salutare raccoglimento che ci avrebbe fatti riechi e poi forti, il Governo ha lasciato che gl’interessi dei nostri debiti si elevassero a D74 milioni all’anno, che per la guerra e marina si spendessero miliardi e la loro spesa annua si elevasse a 433 milioni, di modo che appena 600 milioni restano in bilancio per tutti gli altri servizii sociali, mentre le imposte crescono con una grande sproporzione di fronte all’ aumento della ricchezza. Nè ci siamo arrestati in questa via. Oramai il capitale manca alla ri- generazione; e con dolore lo veggiamo dal Governo disperdere nelle aride terre dell’Eritrea; chè ove quanto si è consumato in Africa si fosse volto all’interna cultura e colonizzazione la nostra ricchezza si sarebbe ac- cresciuta con pubblico bene, e la nostra emigrazione si sarebbe dimi- nuita, essendo, più che esuberante, insufficiente la nostra popolazione agraria di fronte al territorio coltivabile. Venire poi al confronto tra le nostre condizioni e quelle di altre na- zioni, e volerne misurare il progresso, sarebbe opera stolta. È vero che ogni confronto è difficile per la diversità della posizione e dei criterii da adoperare a stabilire questa misura, ma ove questi raf fronti sono possibili, sia nella vita economica, che nella intellettuale e 14 ECONOMICO-SOCIALE IN ITALIA 3 morale, questi raffronti ci mostrano sventuratamente una marcata in- feriorità. Potrebbe dirsi che le cifre nostre e delle altre nazioni non esprimano la verità, non possono presentare il vero stato delle cose, ma comunque siano, non può sconvenirsi che esse presentano tale risultato approssi- mativo, innanzi al quale dobbiamo piegare il capo. La nostra posizione è vero che è infelice, ma non bisogna disperare. Siam poveri, ma potremo divenire ricchi; ma prima ricchi e poi forti: la fortezza viene dalla ricchezza. Arrestiamoci nella via dove le vicende ci han condotto, noi dobbiamo dominarle, non lasciarci dominare da esse. Facciamo che l’amore al lavoro si ridesti e si volga all’agricoltura; voler essere un paese manifatturiero, pria di svolgere la industria agra- ria, quando abbiamo 2 milioni di ettari di terreno incolto e 1400 mi- lioni da irrigare, è indirizzo sbagliato. Facciamo che i nostri capitali, risparmiati dall’imposta, si impieghino nella cultura delle terre, e che la nostra emigrazione non vada a men- dicare all’estero, ma trovi lavoro nel paese: 1’ agricoltura ha bisogno di braccia. Pensiamo a riformare tutti i nostri ordinamenti, senza preconcetti, se- guendo l’ordine naturale dei fatti, non l’artificiale delle idealità, o dei pa- radossi, ridestando la vita locale, che il sistema provinciale ha distrutto. Mostriamo il coraggio di dichiarare che abhiamo avuto torto nel com- battere il sistema del discentramento regionale dell’ amministrazione , che, quantunque bandito tuttodi nei programmi degli uomini di stato, pur si guarda con diffidenza; accettiamolo sinceramente, come unico mezzo della rigenerazione economica, politica e finanziaria della nazione, abbandonando le tortuose vie delle riforme organiche e del discentra- mento a parole; mentre in fatto si minacciano per ciascuna ragione gli ultimi avanzi d’istituzioni locali, che un resto di pudore ha fatto sin oggi rispettare. Diamo molto all’iniziativa privata e locale, poco a quella del Governo; non pensiamo a nuove imposte, ma ad economie e a far fruttare le vec- chie, con l’aumento della ricchezza. Abbandoniamo il sistema di rap- presaglie nel commercio, la guerra a tutto ciò che non è nuovo; e fac- ciamo che la libertà in tutto e per tutti dia movimento alla nostra vita economica politica e morale. Inculchiamo nel popolo l’amore al lavoro, alla preveggenza, alla mo- derazione e alla patria nostra che ci è costata tanti sacrificii; avveziamolo dd IL MOVIMENTO ad emulare, non ad invidiare, ad aver coscienza nel proprio dritto, non a violare quello degli altri; e sopratutto a rendersi pago di un migliora- mento possibile, rifuggendo da quelle idee che, pur mettendo il veleno nell’anima, non si è dato raggiungere. Dopo 32 anni di vita nazionale ci possiamo mettere in questa nuova via, con la fiducia nelle proprie forze, con la fede al progresso, ma a quel progresso ch'è illuminato dalla verità, sorretto dalla tradizione, ap- poggiato dalla libertà. ESSERE ERERE SRD ARI G DS ASTORRE PELLEGRINI = e i@oà NOTE ED APPUNTI ‘’SUBLE ISCRIZIONI FENICIE DEL CORPUS (Continuazione) ? ; v { H | Comunicato all'Accademia nella seduta dol fl Maggio 1891. — A ve NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 73: Ciò posto, non vedrei in a - za . fa - è che un epiteto della fortuna, 0 della dea che la governa, epiteto che non trovo nell’ epigrafi, ma è regi- strato nei Lessici (&4mtés, -1,, -6v Suid. et Zonar. è oefactòs ab &opa H. SrrpH.), e fa riscontro cogli altri di dep, xonotij, edxAetig, edpeviic, ru qui, cwtepa, cepvotdm, coi quali nelle iscrizioni e negli autori vien chia- mata la rerum omnium domina. Non è improbabile che anche nel- Pi.tu-ka-i.i-te-re-i-te-a--.dell’epigr. di Chytrea si asconda qual che cosa di simile (”I[v] tixa îi[v]meAet dea[i]? cfr. coll è[v]te[Aet]s [d]ea [Av]&ra[n] xa Bi[a] C. I. G. 4379, 0). La differenza poi che il Meister (op. cit. II, p. 297) crede scorgere tra la formula î[v] toxe e l'altra dyadf] tixn (lat. quod felix faustumque sit), che si alterna spesso, come accla- mazione di buon augurio, nel principio di atti politici, documenti, trat- tati etc., con quelle di deds tixmy, deds Toxmy dyadiy, Fede dbxa dyad&, er cwmmpia, Feoîs ètumobpors ete., è più apparente che reale; perchè anche nelle: iscrizioni dedicatorie, e negli ex-voto di Cipro (14°, 149, 14°, 341, 45, 72, 75 etc.) la prima formula non è tanto espressione e ringraziamento di un bene conseguito — ambedue impliciti nel fatto istesso della dedica del mo- numento—, quanto un augurio del fedele, che il cippo o la statua che: si consacra non abbia a tornare sgradita alla divinità, ma sia pegno di costante fortuna. In questo senso siffatta acclamazione trova esatto riscontro: nell’epigrafia latina: Deo | Mercu | rio sane | to aug- | M- Aure | lius De jcimus|v-p-p-p-N] votum solvit | libens a | nimo |. Feli- citer (C. I. L. 95). L'uso del dativo colla preposizione èvy, invece del da- tivo semplice, è pienamente autorizzato dai classici, sia per far sentire la sommissione e la fiducia nella divinità, sia piuttosto come equivalente a un avverbio (èv dixy, dv thxer eto., e dp èv tbxm ye Tm —cwript Balm Ed. re 80, 81). Un’ iscrizione bilingue e scorretta di Lapethos (C. I. S. 95), del tempo. di Tolomeo I, offre qual traduzione dell’axa[d]7t toxme il fen. o» >mbl: ma può darsi che anche colla formula scempia î(v) toxa, 0 coll’îv) tixa dtara abbiano inteso questi Fenicii far sentire con più libertà il loro pn» dene- dicat (Deus). 10 74 NOTE ED' APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS N. 90. fa ii 9 Lin. 1. Pel » servile il fen. vp=n: ebr. DbpI= ebr: mpab: ebr. apaLo N. 93. i Lin. 5. >» j3 vs. Meglio col Derenbourg > }3 ws, quod fit vovens, che: col Renan 5% j3 WS, quod voverat, perchè il costrutto arabo |k& 35 non ha riscontro, che io sappia, nè in fenicio, nè in ebraico. Poco' probabile l’ ebr. e cald. }3 sic, ita. { Lin. 2. xmnwx qui (fuit). C. O qui idem, o senz’altro qui est, col prè personale, in luogo del verbo sostantivo, come in ebr. V. Ges. TY. p. 369.1 is N05: Lin. 1. mv, graece "A&nva. Utrum hic sit fortuitus linguaée ludus, an deae ambae quadam affinitate conjunctae fuerint: alii viderint. Num rursus nw eadem sit quae dea persica Anaitis, dubitare licet... C. p. 115. Credo casuale e illusoria lavme= tatesi fra nw ed ’A9mva, e la rispondenza bustrofeda fra ‘Anat(a) ed °A94v2, che fa ripensare alla pretesa identità di Diana con Anait (For® ceLL. Lea. s. v.). Ma realmente qualche rapporto fra il mito, il carattere; e gli emblemi d’ Atena e quelli di mv ci doveva essere, altrimenti non? vedremmo un nome tradotto coll’ altro, come in altre epigrafi: il nome: diam con ’Ar2()vy, quello di mn con “Apres etc. Anche il de Vogiié» (Mel. d° arch. orient. p. 36 etc.) aveva dubitato che si trattasse dell’ A- naitis persiana: nondimeno questo ravvicinamento seduce, come? seduce: quello fra nw ed Anta-t. Forse il figlio di neo, che pare oriundo dall’ E-* gitto (Derenbourg, Revillout), riportò dalla patria il culto semitico di Anata od ‘Anati, eg. Anta-t, che fino dal tempo della XVII dinastia aveva: tempio in' Menfi, insieme con Bar o 5v2, ed Astarta 0 nonvv. Cfr. ‘an cora con An-it, forma di Hat-hor. Al nome della città fenicia ram> mentata dal C. (nîw ma Jos. XV, 59) si può aggiungere n» ma Jos. XIX, 38; Judd. 1, 33 = Bndava8& d’ Eusebio. Ii pos SS > Lin. 2. a3>eux, con m=» per assimilazione di mi. 3 TRL Lin. 3. «nbw>vs. Graece: Ipat(èmpos...Qua autem cognatione nomina Praxidemos et Baalsillem conjuncta sint, non vide- SLAVI ie ia | NOTE ED APP: SULLE, ISORIZ. FENICIE DEL: CORPUS 75 mus.» €. Forse in fondo al nome divino, che forma la prima parte di e5vbv», si asconde, e con lui si compenetra, per rendere in qualche modo il gr. Bquos, il sost. 5va locus, oppidum; e col pi°el B3v perfecit, absolvit,. si volle far sentire il mp4&<, azione, fatto etc. (mpiocw compio, A, 562). Ma non è improbabile un adattamento fonetico del nome greco al fenicio. Lin. 4. ng= mx, come spesso nelle iscrizioni neopuniche, occorre an- cora, e l’aveva notato lo Scaròper (D. P. S. p. 213) nell’iscrizione di Marsilia. Nel n. 1 si ha nx (linn. 3 e 7) ed mx (linn. 8 e 15). I N. 97 D. Lin. 2. impor Zibega[t]. C. Corretto ora in pv Zibegam o Zejebgun. V. num. 569. i Lin. 3. xnmo. Forse Kenat-to, Cognomen- Toi? Su xn divinità nu- midica o libica, il xv dei Nabatei, v. HALBVY, Et. berb. nel Journ. as. Févr.-Mars 1874, p. 194. Cfr. ancora coll’isnz» Admonwit-To dell’iser. 1% altiburitana, lin. 4, ovvero, se ivi x=1, To consolatur (cfr. ebr. Sn», mu). Pel significato che supporrei al nome xnn> cfr. ebr. Diamo. N. 100 a. pawmov per pavxasv è confermato dal n. 350, ove occorre due volte. NMGLO2S Lin.:4. jnmx. «Quisnam autem sit ille deus (x), incertum. Renan’Aypéa xaì ‘AX:éa illos a Philone Bybliensi memoratos, phoenicio sermone piaz, huc referendos putat.» C. p. 123. V. innanzi la mia nota al n. 247. — «Nomen quod deinceps venit omnes legunt 33», sed parum placet in nomine humano duo deorum nomina ita continuari.Malumusergo legere nm Ho- spes Sadi». C. p.123.Il confronto con altri nomi teofori formati in fen. con =, quali a, nanva, nopbiani, avvalora questa lezione. Nondimeno rammenta l’ ebr. >xn fortuna Dei, in cui la prima parte non è nome divino. 4 bid. ru a. «Litteras vero ‘7 quomodo expediamus valde anceps ». C. p. 123. >» potrebb’ essere l’ebr. ‘397 contusio, con facile pas- saggio di significato a quello di poggio, colle depresso, plateau; come in 76 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS ar. da sò contudit, depressus ac velut complanatus fuit, sì fece Si v colle «depresso, ISS a hill of mould or clay, not rugged, nor amounting to a mountain (LANE, p. 899). Per la R. cfr. l’assiro dakù prostrare, e Veg. «deh, deha esser basso, umile. L°» non sarebbe allora quiescente, come pare che ‘nol fosse nel dial. d’ Abido (nn. 103 €, 104, 107) l°» di *>x (cfr. a. eg. anuk-a, dove l’a è pron. surfisso della 1° p.). Lin. 2. nv5. Può pensarsi all’ebr. mv2 fisso, col significato probabile «di frazione di terreno, tépevos, come avvenne per leg. peq porzione di beni, sostanza, da una R. omofona che vale findere, aperire. Ma Java: discessit del 1 Sam. XIX, 10, ed il rabb. vb» discessus, obitus, mors, pajono avvalorare l’ interpretazione dello Zotenberg, navo3 quum proficisceretur, ovvero quum defunctus esset. N. 103 Dd. »bibvo Ba'aljelei. C. Potrebbe significare «Cui Ba°al fuit amicus», «da una R. += ar. è: ed avremmo, secondo il C., un altro esempio fen. di verbi in » in luogo degli ebr. 1, da aggiungersi a *am (n. 102 db). Ma la copia del Sayce, pubblicata dal Derenbourg, legge jmv=. Nn. 111 a e d. Lin. 1. mx huc venit. C. Forma oscura, con m riferibile, per gl’illustra- tori, alla R. mnx, che in fen. potè essere mm (cfr. aphel aram. *ma in Dan. III, 13). Altri suppose m= ebr. © con passaggio, molto incerto in fenicio, di v a n. V. Scuro. D. P. S. p. 111, Anm. Altri altre cose. Non potrem- mo veder qui addirittura l’ equivalente fenicio del verbo sir. e samar. mx, targg. n, cald. bibl. ‘ms, talm. Nm, est, erat, fuit, nel senso di venit? Se anche nella voce fenicia, come nelle forme sopraccitate, e secondo il ‘GESEN. (TA. p. 88, a), nell’ar. lo l’x è prostetico, allora nell’ avver- bio precedente x> = ebr. m> ebbe luogo l’elisione. Ma se l’ x dell’ avver- bio, e par più probabile, resistè eccezionalm., per evitar confusione con 5 =%3 e >, avremo allora m con dileguo dell’x, come nel samar. m che ‘occorre accanto ad mx e ad nx. Anche un m>, sul tipo dell’ ar. re e dell’ aram. m5, mò —omi sb di Dan. II, 10, 11: III, 29: IV, 32, si sa- rebbe potuto confondere coll’ urbico. NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 77 Ibid. mv» Iagoresmun, cioè Qui Esmunum veretur. Così il Re- nan, che lo confronta cogli ebr. n, 58% ed 58. Però quest’ ultimo, che non è di persona, ma geografico, può derivare col secondo da =. La lezione del nome fenicio non è sicurissima. Ibid. onnx Amasîs. C. Forse meglio leggere »nnns. N. 112 a, DI, bè, ct Lo Halévy spiega il gruppo ww di queste iscrizioni per campos Ae- thiopice ; ed il C., non escludendo che possano appartenere a tre merce- nari di Psammetico II, Cuseo, Gerhecalo, ‘Abdsakon, interpreta l’5v wa come prepositus. Tuttavia, siccome in queste epigrafi, in luogo del gruppo wv3w, è sostituito più volte mam, è probabile che anche que- sto gruppo contenga, come il primo, una designazione geografica. Ciò posto vedrei nella prep. >v la nozione di moto all’insù (©15»v >» ascen- dit in montem, Jes. XL, 9 etc.), un equivalente del perf. n5v adscendi, usato due volte in altra di queste iscrizioni (n. 113); e nel vocabolo an il nome indigeno dell’ Egitto, 1’ ebr. Dn, il Qem 0 Paese nero dei gero- glifici (Levi V. G. VI, 30), che in copto è xami, yemi, e nel dialetto sahitico Keme. Quindi n > può designare l entrata meridionale d’ E- gitto, Portae Aegypti od Ipsambul, come in Zach. XI, 4 le 335 nb» sono gli aditus ad interiora Libani: esser cioè un equivalente dell’ a, porta, du. at-i, che nei geroglifici designava «i passi che dall’estero introdu- <«cevano in Egitto; i quali passi, coperti da forti posizioni na- «turali, figuravano come le porte del paese, e rammentano le «parole di Giuseppe ai suoi fratelli» (Gen. XLII, 9. Levi V. G. I, 150). Cfr., del resto, colle TIlbXa IMéXotoc, MiXa IeXorovw)oou, Ibi at Ba- BoXbvia, Zupla IX, Portae Medicae, DH;:9i uo Porte Caspie ete. Vorrei pertanto spiegar così le quattro epigrafi. a) ‘Abdsakon, filius Petjehavi, qui (adscendit) ad [Por]tas Aegypti. bi) Gerhekal, filius Helemi, qui (adscendit) ad cam[pos] Ae- thiopie, (ad) [Por]tas Aegypti. b°) Gerhekal, filius Helemi, qui (adscendit) a[d Por]tas Ae- gypti, (ad) cam[pos] Aeth[iopice]. 78 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS x ei) Cuseus, filius “Abdpa°asni, qui (adscendit) ad cam[pos] Aethiopiae, (ad) [Por]tas: Aegypti. Restano però delle dubbiezze, quali la posizione alternata dei nomi, geografici, il pl. costr. m. 53 pel f.:n>n 0 na» (n. 7), e l’omissione co-. stante della prepos. >v dinanzi al secondo nome, dove almeno dovrebbe aversi la copula (cfr. Jes. XV, 8). INS 5, Lin. 1. Tanto il disegno dell'iscrizione ricavato dal calco (Tav. XXI, 115), come quello dell’ intiero monumento (Tav. XXIHI, 115 A) non con- fermano la lezione del C. pw Sem, ma mostran chiaro che dopo il n viene una lettera, anzichè ‘una mera erosione ‘del marmo. Che lettera sia. non è facile a definirsi, ma è assai probabile che si tratti d’un », come: lessero il Levy ed il Gildemeister, e come congetturò lo Schròder. Po- tremo allora confrontarlo coll’ ebr. “8% (castatus) 1 Par. II, 28, 44. IV, 17, benchè sfugga il rapporto coll’ ’Avtimatpos della parte greca. Lin. 2. myom) C. Meglio leggere ny, finchè in' fenicio non s’ abbiano esempii sicuri dell’ = preformativo dell’ hip°h. N. 120. ‘nai nbva xmm Irene civis Byzantii. L'ultima parola è il gr. BuGavroy fatto indeclinabile, e col dileguo dell’-ov finale, come in re. radi per na- dov, ovtàgL per orripuov, ete., ed in talm. "x = dpyetov, 35» = Pfadavetoy, mao =vivarium ete. V. ScaròpER, D. P. S. p. 106. Nn. 122 e 122.5. La storia non molto esatta delle vicende dell’ esemplare del Lowvre di questa iscrizione, fu rettificata per le importanti comunicazioni fatte dal Berger ‘all’ Académie nella seduta del 14 Decembre 1888. Lin. 4-2. Sbwaoxomai moNu=D uv DEN... quod voverunt servi tui ‘Abdosir set frater ejus Osirsamar. C. Meglio, collo Schlottmann (D. I. E. P. 175), e collo Schréder, (D. P. S. p. 204), quod vovit servus tuus, etc. N. 124. Lin. 1.... op obvna “om. Il C. intende penetrale domus aeternae;. sepulchrum. Preferirei, col Gesen., penetrale domus aeternae (est) sepul- NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 79 chrum. Al passo dell’ Eccl. XII, 5, a quello di Diodoro I, 5I, 2, ed alla DOMVS AETERNA delle iscrizioni latine, citati dal Gesenius e dal C., si può aggiungere il se-t nt-neheh locus aeternitatis, cioè él sepolcro, dî una stela geroglifica del Louvre (Levi, VE GAIENA8S:efMAVIA79)! ij NEgtode DICA Lin. 2. Il > di forma ebraica, qual’ è offerto dalla Tavola XXVI, sai rebbe in fenicio una novità. i NERA: Lin..1, 8. bm bv populus Gauli, e non gaulitanus, come ‘nel n. 7 “x by è populus Tyri. Linn. 2, 3. vip» penetrale. C. Forse è pl. come in Jer. LI, 51. Lin. 2. buona: Sadambaalis. C. Potrebbe anche leggersi Sidom- ba°al per Sidon-Ba°al, nome composto come Sed-Tanit, Ba‘al- Safon etc. V. retro p. 20. Sulla dea Xtdwy v. appresso n. 269. i Lin. 4. nav x (pro)curator impensarum, fepotapiac, èmpe)ntig. C. pp. 163, 164. Può anche vedersi in x 1° ebr. ©9I8 princeps, dux, ed in n33v una variante di nî7v5 ordines militum, acies, cfr. 1 Sam. XVII, 8: quindi, per dirla coi Greci, un ta&{pxos, od epigraf. anche ffeuòyv toy tafewv. Lin. 7. x5> « nomen ignotum ». €. Cfr. col v>> dell’ iscrizioni berbere. Ibid. >» Cullam. C. Può essere bm Helem (nn. 112%, 112”), col noto scambio fra > e n (ScaRODER, D. P. S. pì 116), di.cui abbiamo un esempio anche in questa stessa iscrizione (3>w>v2 per mbe», ove non si tratti di una radice affine, di cui il Clermont-Ganneau, ev. crit. 1885, 2, p. 58, trova indizio nell’ arabo volgare). Nb slst .«v sensu genitivi, ut apud Hebraeos recentiores 5w, et © apud Aramaeos.» C. Anche in. assiro $a,.S4 è ad un tempo pron..re- lativo e segno molto frequente del genitivo. N. 134 (neopunica). ci xm. Cfr. col nome berbero xnm (HaLEvy, op. cit. nn. 145, 147). SE CIR NES citi RA . Ebbi già a pubblicare nel Vessillo Israelitico, Apr. 1885, pp. 122-127, 80 NOTE ED APP SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS un tentativo di lettura e d’ interpretazione di quest’ epigrafe, che, per es- sersene perduto l’ originale, rimane la più scabrosa fra le puniche. Nuovi e ripetuti confronti m’° hanno condotto a mutare quasi per intiero quel primo mio tentativo, e ad accostarmi assai alle vedute del C., senza darmi neppur ora la certezza d’aver colto nel segno: resultato assai sconfortante, ma inevitabile con siffatto caleidoscopio! I punti fra una lettera e l’altra della seguente trascrizione in caratteri ebraici indicano le lettere per me affatto oscure: chiudo fra parentesi curvilinee il meno certo, rettilinee le restituzioni : (22 pin) mv es (590) DOM ps ronesb nao5 DIS(S) ANSE. IMA IN Son 0) ws 37 Di #4 (m)e+ pre pow (Me sw (av So m'0) wa qnrbus 3 nm vp0) ws (3: (pa 20) 5» (n mes tit r3 >ss0) j 5v5) 5 pes IIS a) Iminvi (20M) (pa 0 4 SO dI a_W w [IN2O92N x5ip DAWI NAM VND) E)Z2NZ0) 1. Magnae ‘Astartae saluti viventium (pelvim hanc) qu(ae). . . . . - DicarareR (cisternae et) CORIONACUCANIGUORE REA IE Mo SRO AARON Saito DEAR .. habitacul(um) [quod?®]. . .. CORSO in facie (cisternae in horto) ....qu(am)......- Himilko, filius Ba‘alja[tonis], 5. filiù Sedjatonis, filii (Juba'alim), fili (CAnni)el, filit... [in anno] 6. suffetum Magonis et Bod'astarti et............- Da TCA IONICA a Sa ne ‘Asta[rtae] . . .... s CRISES LA AI) A Lea 1 quia exaudivit vo[cem ejus: benedicat eum]. Lin. 4. mm qs, spiegato col C. per longae vitae (auctori), o per longi- tudo vitae vel prolongans vitam, (che non è, come sembra dalle note, l interpretazione del Lagumina, mentre questi dubita assai della lezione am, ed a ng mnvo non dà altro significato che quello di Astarte d° Erice, NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE. DEL CORPUS 84 V. Arch. Stor. Sic., 1877, pp. 387-99) soddisfa poco di fronte al ax manu dell’ iser. cagliaritana (n. 140). Senza escludere che il nostro vocabolo ax si colleghi, o si combini col nome d’ Erice, letto felicemente dal Salinas nell’ ax delle monete (Arch. Stor. Sic. 1873 p. 498), credo assai probabile che si tratti d'un sost. m. affine al f. ebr. 729% salus, se pur non è lo stesso nome, coll’omissione del n finale = = ebr., come in n del tit. 143, ed in ww» del 149. E notevole il fatto che anche nell’invocazione dell’ atto IV, scena 6* del Mercator, Astarte venga appellata vita, salus; il che ba- sterebbe a farci dubitare della pretesa apocrifità di quella scena, che può benissimo aver appartenuto all’*Europos di Filemone. Ibid. 55 pelvis, patera. Ex, XII, 22, Zach. XII, 2, occorre ancora nel- l’ iser. 1* di Tiro (linn. 1, 5, 6). La lezione js proposta dal C. non regge ai confronti alfabetici su questa e sull’ altre epigrafi; ma neppure 50 è interamente sicuro, potendosi anche legger tutta la frase 135» om qs lon- gitudo vite, simulacrum fusum hoc: =n = ebr. 1M292h. Pag. 181. «Ad hanc diem inscriptio phoenicia nulla in insula Cossura reperta «est. Die 29° martii anni 1867, vir doctissimus Franciscus Lenormant « Academiam inscriptionum et litterarum humaniorum monuit se accepisse xan, man, e ben s'addice alla divinità identificata dai Greci con Esculapio, l auipov Mep. Se la forma è un part. pi°el, la geminazione della liquida in Merre e Mmpgi del titolo latino e greco, ove non ci additi che in fenicio, come nella 2* forma del verbo arabo, anche il = mediano si raddoppiava al pi°el, sarà dovuta a corruzione indoeuropea (Copoòba = BI, ’Apoffotos = "N, butirro=butyrum etc.). La palatale muta diventata gutturale spirante, fatto rarissimo, chè gli esempii semi- tici addotti dal Gesen. Thes., p. 647, son quasi tutti più o meno incerti, ma confermato però pel fenicio da nn = n> e m> (ScHRÒD. D. P. S. p. 116), si sarà proferita poco o punto negli ultimi tempi; onde le forme Merre e Mnpp?. Così 1 ebr. mp3 unguentario, diventato cognome, si continua a scrivere, col vestigio della gutturale spirante, Racah, ma a Livorno ed altrove suona nè più nè meno Raggà. NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 83 Ibid. L’Ascoli vide in one la trascrizione fenicia della voce lat. socius, e confrontò ni coll’ ar. == turba, e coll ebr. 21m multitudo.Perlo Hart- wig Derenbourg lo vw è nota del genitivo, e niom è nome del padrone. Pel C.lo è indica la condizione servile. Che si tratti dell’ ar. GSS corpo, per- sona, nel senso di servo? Cfr. coll’ ar. NE servo, schiavo, uomo, col gr. coperte che vale anche schiavi, e col corpora servorum, di Ta- cito. Allora nabana ex ni ome pbox risponderebbe esattam. al Cleon sala- ri(orum) soc(ietatis) s(ervus), od anche soc(iorum) s(ereus) del titolo latino. N. 144. Linn. 2, 3. jmwa suv qui (Rabitavit) in Sardinia. C.E nelle note, p. 191, qui fuit in Sardinia « quamvis non videatur qua ratione res per se evidens indicetur.» E ciò appunto genera sospetto che la tradu- zione non sia giusta. Vorrei pertanto vedere in x, non già il pron. 87 (cfr. nn. 93, 2. 94, 2 etc.), ma una varietà dell’ ebr. 7, cald. s11 /ui/, nel senso di obiit, cecidit, come in Job. XXXVII, 6. Anche lar. e+9 ha lo stesso significato. Linn. 3 ed 8. =». È l’ebr. e cald. #» princeps, ar. DSi qual nome proprio. Cfr. col cognome romano Princeps, e col tit. 375. NE AZ. Lin. 5. s=> [Labius]. 0. Non occorre vedervi 1’ ebr. »°25 leone. Può supporsi un N°>= ebr. î275 flamma ejus (Ba‘alis), il cui fem. senza suffisso n=> = ebr. 25, occorre in altre epigr. Cfr. PELLEGRINI, Vess. israel., Giugno 1886, p. 193-194, e PWil. fr. 3. Del resto non pare che i nomi tratti dagli ani- mali piacessero poco a questi Semiti: basta rammentare l’ ebr. e fen. 253, gli ebr. 8*, MSr, jW, >, vw5, e l’ebr. e fen. 335» confrontato dal Cler- mont-Ganneau (Journ. asiat. Fevr.-Mars 1883, pp. 123-159) coll’ ebr. 95m mustela, e coi cognomi latini d’ Africa Mustelus, Mustela etc. V. an- cora più innanzi la nota al n. 336. N. 149 (neopunica). Linn. 2-3. nw=b5.... wnan [qui curavit....] exstruendum. C. Si può ‘ricorrere col Dillmann all’ar. b 2 i, ma intendendo (II e IV) properavit 84 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS exstrui. Cf. col porticus properantur di Plinio, col festinare ve- stes di Stazio, e col gr. ore5òw, che fra gli altri suoi significati ha quello di attendere con zelo a qualche cosa, studiose agere (2, 378). Ibid. vw». Può darsi che sia un’ abbreviazione: [nuo] decreto dalla R. so, ebr. 75M? Ibid. xwnxav. Pel Renan è voce straniera. Il C. suppone un totapxia, che in mancanza di meglio possiamo accettare: >=» ScaRròD. D. P. S p. 113: w=% come nel copt. as,nast=a. eg. ax, next, e nel volg. ro- maico di Terra d’ Otranto sim6na = re. XEuovas. Ibid. mobi Sulcensium. Così leggono Renan e Berger: ma il segno qui preso da loro per w ha sempre in questa epigrafe, come del resto in ogni altra neopunica, il valore di ?, mentre a w corrisponde dovunque il solito A munito a sinistra d'una sbarretta. Dell» finale non apparisce un vestigio sicuro. Meglio dunque leggere col Dillmann 35m. Il nome Sulci, col passaggio di 1 a s richiama "Ecòpas, Asdrubal etc. N. 150 (neopunica). pur ja filius Sadigi vel Sadogi. C. p. 200. Preferirei il secondo, pîTa giusto, che in ebr. è nome frequentissimo di persona. Il primo, se mai, sa- rebbe Saddigi, pix. i N. 151 (neopunica). Lin. 2. Il mostro xxxam non è forse altra cosa che x3xbm, con nesso di =x, e con x eccezionale, ma non nuovo, invece di n (cf. ScaròD. D. P. S. p. 172); se pur non vogliamo leggere addirittura n3x»m. Allora il bujo si dirada, ma non quanto occorre. Leggerei tutta 1’ epigrafe così: Imuxmana w5555 NDbma mis Isaxina n buo | NI J3 Nbmx NDISD Nip> DINI ND ]35 nImina5 nam N35 og mr x5 onmbx paon 23] [Felici Cere] 2. fecerunt [cippum] hunc [Pellius] NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 35 3. ‘Agbor, (et) Atma, filii [supra nominati] : 4. ut sit ei [matri]que eorum [Ba°anae]: o. quia [perierunit] hi Coe (coon: Wredunde ESA conUnen Linn. 2. Senza il » fra i nomi proprî, come nel n. 387, e nella grande iscr. altiburitana lin. 4-2. Lin. 3. naisv = ==>v del n. 1782 Ibid. x»ng, meglio un nome proprio, che un plurale allo stato costrutto con articolo ed x finale per *= (ScHRÒD. Op. cit. p. 181) = ebr. DN ge- mini Gen. XXV, 24: tuttavia cf. gli ja sens coi ja qux del n. 88 lin. 6 etc. Ibid. N99H ? Lin. 4. xv». Se è giusta la spiegazione del vocabolo precedente avre- mo allora un fem. in x come xasn (n. 64) e xmw (n. 51), che possiamo confrontare cogli ebr. xv e va, e col punico x, quantunque nomi di uomo: anche altri nomi, p. e. van» (nn. 261, 212 etc.) son promiscui ad ambedue i sessi. Può pensarsi anche ai nomi muliebri Bena e Bona delle iscrizioni latine. Lin. 5. NDI3D = 105) transierunt, perierunt come in Ps. XXXVII, 36 etc. Anche l’ ar. .2= vale transivit e mortuus fuit. Per l'x finale, proba- bile uscita neopunica=1, cfr. il xnw dell’ iscr. citata d’ Altiburos, lin. 4. Ibid. nom = ebr. 27 è nel n. 3, linn. 11. 22 e nel 165. 17. Lin. 6. Pare un’ acclamazione, ma non so cavarne il senso. N. 152 (neopunica). La riproduzione del calco (Tav. XXXV) è affatto inservibile per chi non può osservare l'originale. Ne hanno colpa i caratteri di questo non molto chiari. Lin. 4. jvnx <«quidnam significet plane ignoramus». C. Forse frater-adolescentiae, come gli ebr. pom frater praesidii, nn frater aurorae ete.? Sul valore della R. j;aw v. GEsEN. Thes. p. 1354. N. 159. Lin. 3. buo» Iesebbaal. C. Forse meglio Iosibba‘al, secondo l’e- 86 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS braico citato mat quem habitare fecit Jova. Altra forma affine a que- st’ ultima è mu del 1 Chron. XI, 46. N. 160. m potrebb’ essere per abbreviazione la prima parte del nome teoforo bv=im? Cfr. 1’ ebr. 20 Iud. IX, 26, 28 ete. per Dxuav Jer. XXXVI, 26, }m ebr. Jer. XXXVIII, 1, per 52, e il fen. jna (n. 7 lin. 2 etc.)= fen. M&t- tv re di Tiro (Erod. VII, 98) per van» (nn. 261, 242, etc.). N. 165. Lin. 1. mv» index, vel ratio, vel tabula. Così le note del C. ma con qualche incertezza sull’ origine del vocabolo fenicio. Quei significati non convengono al n. 171, ove riapparisce (lin. 7). Gli assegnerei il senso di nota, o quello di richiesta: cfr. ar. La; observavit rem, cà pettit, expe- tivit, quaesivit, SE res expetita, aram. Nba quaesivit, va petitio. Ibid. ipo ws quem statuerunt. C. Mi par più naturale riferire il pron. relativo ad nnxm»m] anzichè a ms: cfr. lin. 18. Secondo il C., p. 227, il verbo »w de re qualibet solo aut muro infixa usurpatum esse videtur: e ciò è confermato dalla formula x 1j3% lapis hic positus est, dell’ iscrizioni sepolcrali (ScaRòD. D. P. S. p. 270). Ma non è improbabile che qui abbia valore figurato, come 1° etiop. mx confirmatum, ratum est, che pare lo stesso verbo. Cfr. I’ ebr. new infixit e constituit, Vit. fissare, il lat. figere legem, pepigisse foedera, etc. Lin. 3. >>>. Il Judas, il de Vogié ed il Blau, ripensando al Zevit, I, 5, XXII, 19-25 ci vedono un epiteto del bove, integer, o sine macula, pari all’ ebr. mn. Invece pei dotti collettori del C. è 1 ebr. >>> olocausto (cfr. a. eg. qerer, cx Levi VI, 50), equivalente all’ ebr. 52, come già intesero il de Saulcy, il Munk, e lo Sehròder. Può accettarsi questa spie- gazione, ma non è necessario supporre dinanzi a 552 l’ omissione di un DI, potendo aversi in bs, ed in tutti gli altri nomi di quest’ epigrafe che precedono i sostantivi 555, mx, e >>> n5w, denotanti tre sacrifizii diversi, lo stato costrutto: de bove holocausti, seu sacrificii depreca- tivi, seu holocausti eucharistici. Giò vale ancora per la lin. 14 [de hi]rco domestico, vel silvestri holocausti eucharistici, NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 87 seu averrunci,seu divinatorii; quantunque dobbiamo poi ritornare sul valore della frase px px pax. Lin. 4. noxp prosecta da sp abscidit. Così il C. dopo il Munk, il Levy, e lo Schròder; ma è voce oscura. Cfr. pel significato coll’ ebr. >: Gen. XV, 17, segmenta hostiarum. Ibid. n5x> augmenta. C. Lo tradurrei per armi, it. spalle, da una R. bw —ar. Ju, ebr. ber iunoit, nîbys Jer. XXXVIII, 12, juncturae (ma- nus), o secondo altri ax/lae, in Ez. XII, 18, cubiti: ar. Jos, junceturae. Gf. il gr. dppés da &pw. Presso gli Ebrei il sacerdote aveva diritto alla spalla destra della vittima. V. Lew. VII, 32 etc. Ibid. n=5wn viscera. C. col Munk e collo Halévy. Nel 1 dei Re VII, 27, 25 significa propriamente orli, o listelli in forma di nastro, lat. taeniae. E taenia è in Arnobio (Adv. gent. VII) l’offerta dell’inte- stino retto della vittima. Ibid. © st. costr. pl. die Reste (des Fleisches) ScHRODER. Oc- corre anche nell’iscr. di Ma°sub lin. 9. Lin. 5. nonna 5 mp uN Din» De vitulo cornibus carente. C. Letteralm. de vitulo cui sua cornua (sunt) in privatione sua. Ibid. Sorsivx non castrato. C. La forma evidentemente straniera di questo vocabolo, che secondo la felice congettura del Renan è un &topn- tos per aruytos, ci fa sovvenire del talm. jiwmwy = &tiuntos. Il 1, se non è indizio di varietà dialettale greca, sarà un’ intrusione semitica per evi- tare l’incontro consonantico. Doveva esser voce d’ uso sul mercato di Cartagine per indicare l’ ariete, che 1’ autore della tariffa, o i magi- strati preposti ai tributi vollero poi dichiarare col termine proprio in fenicio, x. Sarebbe, a un di presso, come se noi dicessimo «un bull- dog o un mastino». Poco diversamente Lokmàn Fav. 2, e cu IU, un iyyalun, cioè una gazzella. 3 Lin. 7. 5». Il Munk, e dopo lui quasi tutti, l’interpretarono per ariete, fondandosi sul noto passo di ‘Aqiba (Talm. bab. Ros has. C. 3, fol. 26 a) in cui è detto espressamente che x>>v era chiamato dagli Arabi il 557. Lo stesso animale è per l’ Oppert l ass. ibili. Il Renan ed il 83 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS C. lo spiegan per becco (hircus), per la sola ragione che l’ ariete è già espresso in quest’ epigrafe dalla voce >» (lin. 5). Ma il becco può vedersi con più fondamento nel 35* della lin. 11, confuso da più d’un tra- duttore, e dallo stesso €., collo 3% della lin. 12, che per comune con- senso è un uccello, mentre nell’ 5> probabilmente s’asconde il castrato o berbice, preso nel senso di pecora (cfr. il fr. brebis da vervex; per contro il lat. ovis per vervex d’ 0v. I Fast. 588, e il gr. 6 oîs) parendo difficile che il rituale fenicio consentisse il sacrifizio del castrato, che era vietato anche agli Ebrei (Lev. XXII, 22, 24): laddove nell’ an della lin. 9, che il C. spiega per ovis, può vedersi il nome ben noto e diffuso dell’agnello, ar. dd cald. “8, colle varianti sir. samar. e sa- bee citate dal Gesenius Th. Polizze confrontato dal nostro Levi (V. G. I p. 69) coll’a. eg. amer animale pel sacrifizio, vittima, olocausto, ostia. Lin. 9. sm è = ebr. “© Hoedus, senza bisogno di sottintendervi col C. iv. V. Gen. XXXVIII, 23, Es. XXIII, 19, Deut. XIV, 21, etc. dove non ha mai il valore di catulus. Lo stesso significato di hoedus è nell’ a- rabo GAS, aram. e sir. nu. Ibid. >» 2>5x «designat certe catulum animalis dicti ail; vox 2n* 0bscura». €. Intenderei collo ScHRODER un cerbiatto (cfr. ) possa ricorrere al rab. 2% fortis, durus, talm. 2>* robustus, nel senso Virg. Ae. I, 184), ma non lattante. Più che all’ar. nu Lé mi pare si di maturus, ablactatus (cf. ebr. >ni ablactavit, maturavit). Allora 1° e- braico =3* urens (3 ardor) starebbe pel significato a 2>*, come l’ebr. e cald. >3w sta a Di o come il lat. adole(sc)o ad adolescens. Co- munque sia, la posizione del vocabolo rende perplessi. Ibid. nvbw v=>». Propriam. (sicli) quadrantes tres. Il sing. 225 0 ‘I, pel plur., come non di rado coi nomi di moneta, p. e. nD3 pv msn D3a» Gen. XXIII, 16, minmevbpum Zz. XLV, 12. Lin. 11. n5%3 de hirvco, e non già come vuole lo Schròder e il €. »a:3 de avi, riuscendo malagevole ad intendersi perchè fra varie offerte, una sola, quella di minore importanza, e di minor prezzo, venga a men- tovarsi due volte (“3% bIvi lin. 12), ed ora le sia imposta una tassa, ora NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 89 un’ altra. Certamente la frase px ox pix domestico o selvatico, meglio s’ad- dice all’ uccello, che al becco; ma non è inverosimile che il lapicida, o meglio colui che trascrisse dall’ editto generale (nan> lin. 18) sui tributi gli articoli di questa tariffa, spinto dall’omografia dei due nomi foneti- camente diversi, dopo aver copiato al principio della lin. 11 la parola saro de hirco, vi abbia soggiunto poi, o per sbadataggine, o per malinteso, quei tre vocaboli che nella lin. 12 dovevano succedere a nor 3v pro avi. E se è nel vero l’Ewald, che crede ripetuta per errore la frase 25m5m della lin. 14 (anche la Bibbia ha di queste ripetizioni : cfr. 1 mmx 2 Sam. VOI 19, che dalla fine del versetto s'è appiccicato poco prima al nome proprio =), avremo allora una prova di più dell’imperizia del trascrit- tore. Una volta incisa l’ epigrafe, si sarà notato naturalmente l’ errore; ma non era comodo il far correzioni, che vediamo trascurate fin sui sarco- faghi dei re: nè valeva la pena, per un fallo non grave, rifar da capo tutta l’epigrafe, quando e il prezzo del tributo, e la preposizione >v sosti tuita, come nella lin. 14, alla 3 dei sacrifizii cruenti, e al postutto le spiega- zioni orali dei sacerdoti potevano indicar chiaramente trattarsi in questo luogo di sacrifizii d’altro genere nei quali non entrava naturalmente il becco. La supposta mancanza del becco o “5% nell’iscrizione davisiana, non prova che quest’ animale non potesse esser mentovato nel titolo di Marsilia, quando in quella neppur figurano l’xvmex e 1°5=. Se colgo nel segno con quest’ ipotesi, i due capoversi della nostra epigrafe dovrebbero allora correggersi e spiegarsi così: 555 bw mnpra LLC ya DN pin mex Sp] 12. 11. De hirco holocausti eucharistici 12. Pro avi domestica vel silvestri . . . . e nella lin. 7 dell’iscrizione davisiana s’ avrebbe a supplire >b* 5» ete., e non già “>*5. Ma non sarà inutile il ricercare se non possa, in qualche modo, scusarsi per questo spostamento il trascrittore della legge, e se i vocaboli px px pax, oltre al significato di domestico o selvatico, non potes- sero per avventura averne un altro che rese a lui e ad altri difficile l’in- 12 90 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS tendere quale dei due “ax fosse l’ uccello e quale il becco. Dalla R. 3, texit, protexrit, ar. RE vennero, fra l’ altre voci, 1’ ebr. ja, l’ ass. ginu, lar. 2 hortus, il talm. ja Rortulanus, lar. Ica omne tectum, ed il cald. ja protectio, ju tabernaculum. Con gli ultimi possiam collegare il fenicio ja, cioè ja (con x prostetico come nel samar. pix fabernaculum) col valore probabile di stia, di gabbia, od anche di nido (cfr. ebr. ip nidus 3>p cellae, gr. onx6s tana, nido, gabbia). Quindi lo j3:8 38% sarebbe l'uccello di stia, o di gabbia, l’uccello domestico, od anche di nido. y2 è l’ ebr. 7°® penna, come in Jer. XLVIII, 9 (cf. Targ. px* Ps. CXXXIX, 9) col senso di ©?> ala. Quindi il 7% »5* non è altro che il 33 32* avis alae s. avis alata del Deut. IV, 17, e dei Ps. CXLVIII, 10; e quest’attributo esprime, non solo una differenza dai volatili non uccelli, p. e. dagli insetti, ma, in antitesi col primo, l'uccello vagabondo, o selvatico. E se in fe- nicio, come in altre lingue (gr. onxéc, lat. cavea, it. stia), uno stesso vocabolo può aver servito a indicare tanto la gabbia da uccelli, quanto la chiusura pei quadrupedì, il j3x =5* potrà anche significare un becco di ovile. Anche le voci 7%, ala, e © bestia selvatica (Ps. L, 11) si potevano facilmente scambiare pel suono e pel significato, derivando da radici strettamente affini, pix e m micare, moveri. Quando a tutto questo s’aggiunga la mancanza dei segni vocali nella voce >s*, non potremo meravigliarci se, come lo “it mm, bestia selvatica del Salmista (L, 14, LXXX, 14), diventò pel Targ. un gallo selvatico, e per Aben Esra un uccello, così pel trascrittore del nostro editto l’ uccello di gabbia o di nido, e quello di libero volo, si poterono prendere per un becco di ovile, e per un becco selvatico. Lin. 14. >b». È una focaccia di farina stemperata con olio. Cfr. con pavs bb nbo (Ex. XXIX, 40) e con jav> m>152 amm (Levit. VII, 10) SCARÒDER D. P. S. p. 246. La mancanza del n finale, rispondente in fen. all’ ebr. 37, rende probabile, o un participiale qatul (cfr. col sost. it. 7n7us0), ovvero linfinitivo ebr. >D3 farrago. Il C. legge la fine superstite della linea in questo modo tn:m>5 }37 Imim»3, pro oblatione, [erit sacerdotibus], senza tener conto del largo spazio, ba- NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 91 stante per lo meno a tre lettere, che nella pietra corre fra il m e )°». Leggerei pertanto, e supplirei colla lin. 15 fm» nim35 jar ba mms pro obla- tio[ne non] e[rit sacerdotibus quidquam]. Lin. 15. ni» «quoi que ce soit = assyr. mnanamma, quoi que ce soit ». LEDRAIN. Rev. d’ assyriol. 1884, p. 34-35. Par migliore dei con- sueti DI 0 DM. 16. I vocaboli min, mov e nbx mmm designano per Munk, Ewald, Halévy nuovi sacrifizii; per Meyer e Schròder difetti delle vittime; per Renan e Derenbourg certe classi di persone. Abbraccerei volentieri quest’ ultima opinione, senz’ accettare per necessità il significato dei voca- boli proposto dal C. Forse non si parla qui nè di indigeni, nè di inqui- lini, nè di parasiti, ma di membri addetti al servizio divino. Dopo i mo» surricordati, che dovevano rappresentare nella gerarchia sacerdotale un grado elevato, saranno venuti, come fra gli Ebrei, i le- viti ed i'm od fepédovAot (Esr. VII, 24). Ciò posto vedrei nel mn una specie di victimarius 0 di popa, o se vuolsi un ministro del culto pari al suten o seten egizio. Il vocabolo può essere un part. pi°el, e = confregit caput vel aliud membrum alicui. In new part. passivo spettante alla R. nav adiunait, associavit, parmi possa rav- collegarsi coll’ ar. visarsi un ministro, uno di quei n=» rammentati nell’iscrizione di Citium (n. 86 A 7. 44. B 11.), e nell’ Es. XXIV, 5. Anche in ebr. mmav vale ancilla. Nel mim potrebbe aversi un altro part. pi°el significante cantore, dalla R. mn alta voce clamavit (ebr. nimn jubilatio, in fen. anche nome d’ un mese) : cfr. con Poe che Geuhar. spiega per Wall Dadi vehementi voce praeditus, Grs. Thes. 1280), una specie di sacro xMpvé (Eur. Jon. 1167), calator, ne etc., oppure un Mn (1 Chr. XV, 27, Neh. X, 39), od un nai (Esr. VII, 24): ciò farebbe ripensare alle nav del titolo citato di Ci- tium B, lin. 9. Ovvero mn equivale all’ ebr. n*m» mactator, part. pi°el di n*> T ; 3: È confregit, contudit, con cui fu paragonato l’eg.rehes uccidere, scannare gli olocausti: cfr. Levi V. G. II, 247. Lin. 17. Im>no3 ne nin» secundum id quod positum est în scripto. Così il C., che trova oscura la voce nun. Mi pare l’ ebr. nn mensura, col 92 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS » di convenienza, a norma. Cfr. ScHRÒDER, D. P. S. p. 246. Sul na del passo citato del tit. 3, lin. 19, v. retr. p. 63. Lin. 18. «Prima litera dubia... Titulus Davisianus habet 55.» C. Non vedo questo >> se non nei supplementi degli editori: la pie- tra è spezzata, e ciò che realmente rimane della lin. 11 comincia colla parola b=x. Ibid. > tabula. C. Lo Schròder controntò questa voce coll’ ar. GE separavit, diremit (cfr. pure lar. i fregit, separavit), il che avvalo- rerebbe l’ opinione del Brugsch, che riconnette l’eg. pessa asse, favola, con peses dividere, partire. V. innanzi, nota al n. 226. Lin. 20. paa«Vox....obscura; sed ex contextu concludere licet idem fere eam valuisse quod praeter. Num a radice pm salire, transgredi? » C. Potrebb’ essere l’ ebr. 773 seorsum, per via di un *y=2? Sul passaggio di = in v, e di questo in x v. GeSsEN. Thes. pp. 309, 1144. Lin. 12. mus g[erae], o meglio [ger ae], legge il C. seguendo 1) E- wald: ma dopo l’x non v’ è affatto lo spazio per tre lettere. Convien quindi leggere mus, o abbreviazione del primo, o riduzione di 8 1 Sam. II, 36. Può darsi che quest’ ultima, anzichè la prima, fosse a Cartagine la minima frazione del siclo. I LXX rendono ambedue per èfo4éc. N. 166. Colonna sinistra. Il gesso trapanese della Fardelliana, che è meno malmenato di quello di Parigi, offre, a distanze ineguali, i fusti di cinque lettere irricono- scibili d’un linea perduta, che precedeva quella in cui si leggono le pa- role ‘paasa D'. Lin. 2. n», e non »»>, come nell’eg. per. Dopo lo è di wap=, vestigio di lettera incerta, che però non pare un n. Lin. 5. pn. La mancanza del n finale = ebr. n ed x cald., induce a credere che in fenicio il nome del fico suonasse tin come nell’arabo volgare; nè sarebbe questo il solo esempio di rapporto transultorio fra i due idiomi. Cfr. coll’ eg. tun, nome d’albero incerto. NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 93 Lin. 8. naamn m5v ne5. Probabile error di grafia per moana nbv nbv nb ponendum (est) in camera superiore penetralis. Ibid. Il up dulce del Derenbourg dovette forse sembrare al C. epiteto ozioso, non ostante l’om. pe YAvxep (v, 69). Anche supponendo altro epiteto, come Immuv, Imyuv molle, delicata, non si esce dall’ incertezza. Lin. 9. mi». Non avendosi la certezza che la parola sia intiera, le con- getture giovano a poco. Ad ogni modo i [fili] del C. non soddisfano troppo: duecento fanciulli per apparato d’una festa, sia pur solenne, mi paiono troppi: meglio forse, e più confacenti ‘al soggetto, iracemos del Derenbourg, ovvero le bacche di qualche frutto: all’ar. di già citato dal medesimo, si può aggiungere il talm. s»> granum, e 1 eg. ben, fune, fANNE, Benne; peni palmae fructus, dactylus (Levi, V. G. II, 139, VII, 102). Ibid. [moo. Non improbabile let paterae dell Euting. Lin. 10. Il €. legge . . . Imwpn m...). Il gesso di Trapani, da me esami- nato più volte, offre assai chiaro . . . m>wam con vestigii d’una o due let- tere incerte antecedenti, forse ». L’ Eutina Samml. d. carth. Inschr. I, Tav. CXXXVI, n. 24, ha chiaro il >. Colonna destra. Lin. 1. Il gesso di Trapani non offre vestigio sicuro di lettere. Il di- segno della Tav. XXXIX del C. e quello dell’ Euting l. c. mostrano il rimasuglio d’ una lettera più somigliante a » che a 5. Lin. 2. Il gesso di Trapani offre abbastanza chiaro il gruppo 5w pre- ceduto dal fusto verticale d’ una lettera, che potrebb’ essere un », come già sospettò il Derenbourg. Ciò è confermato dalla Tav. dell’ Euting. Il 5b=) supposto dal €. non ha qui verun fondamento. Forse, come nella lin. 10 della col. destra, . ..5 wmm cinque. Lin. 4. nm. Può supporsi vl destinat[um], parat[um]. Ibid. np è per l’ Euting, seguito dal C., un nio velo=ebr. mon. Pre- ferirei vedervi col Derenbourg l’ ebr. n° pl. di nt angolo, ar. sf an- gulus domus, cella, con v=1, come in “50 n. 7, lin. 6, e n. 116 lin. 1 dU NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS = ebr. >>: ma alla sua interpretazione di stabulum sostituirei quella di cellae, promptuaria, un sinonimo dell’ebr. Ma. Ibid. nbv = cald. m>v, camera alta, cenacolo, ar. SIC e E Cfr. colle nivbon movba e colle wipa mowb d’ Ez. XLII, 5, 6, 13, dove i sacerdoti ebrei riponevano e mangiavano le sacre offerte. Anche Nek. X, 37,38 rammenta le camere del tempio coi magazzini per le primizie e le de- cime. Lin. 6. Iimmn soon siratum infra. C. Ammessa la rottura del vocabolo non è improbabile che si abbia qui il wmna no» dei Num. IV, 25, qua- lunque sia l animale designato coll’ oscura voce wnn (cfr. RoEDIGER — Gesen. Thes. p. 1500-14): se pur si tratti d’ animale, ed il vocabolo non abbia rapporto coll’eg. tehes cuojo, pelle d’animale. Allora si avrebbe a tradurre tutta la linea . .... ex bysso, et tegumentum ex melis pellibus. INATIGNE Lin. 7. px». Se regge la mia congettura sulla frase px ox pas mnox SI) dell’iscr. di Marsilia (n. 165), il 5 prefisso qui al sostantivo y® è il 3 so- cietatis, mentre nell’iscr. di Marsilia il sostantivo stesso è un genitivo. Come nel Ps. XXIX, 4 m35 con potenza, e TM3 con magnificenza, equi valgono a potente e magnifico, così px= con ala, significa alato. Lin. 2. nn, esculenta, da mn3 comedit, DerRENBoURG. Meno bene il C. reliqua. Potrebb’ essere un mn = ebr. nM3 Cibus. Lin. 3. box. Forse il > è il segno del dativo, cui doveva succedere un nome indicante la persona alla quale si poteva dare la msn del vi- tello, anzichè all’ autore del sacrificio. Cfr. n. 170, linn. 2,3. Lin. 5. >»xo>xI5). Le parole di quest’ iscrizione son per lo più incise con lieve intervallo fra loro: questo manca fra 25% ed x, ma non possiamo inferirne che sia una voce composta. Lin. 9. “x opsonii= ebr. 1*, ass. pl. costr. si-di-it commeatus. Il C. nella versione unita al testo traduce, non so con qual fondamento, placentae. Lo stesso fa nell’ iscr. di Marsilia lin. 12, ma nelle note «venationis, vel generaliter alimenti ». Mi attengo collo Schròder a que- NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 95 st ultima interpretazione, che è confermata da Nel. XII, 15. Non so se “2 possa aver rapporto coll’eg. zat specie d’ uccello non definito, ani- male domestico che nei monumenti dell’evo greco-romano occorre come offerta sacra (LEvI, V. G., V. 74). N. 170. Lin. 2. n5v può essere un part. passivo con valore di gerundio. Cfr. GesEn. Hebr. Gr. $ 134. Il C. qui e nella lin. seguente supplisce così: MESS LSDIRESE0 box. Vorrei invece sostituire qn> as mam >vab ox o al [pa- drone del sacrificio, ovvero @....], in parte secondo la lin. 3 dell’ iscr. 167. Ma nella lin. 4 di questo titolo non è necessario supporre il ritorno della stessa frase. N. 174. Lin. 7. Oscurissimo il gruppo delle prime nove lettere superstiti. Lo mr [an]num del C. non è certo, come non lo sarebbe un av> n) gedi- ficavi in rure. Ibid. 1 mva3 xu .....puimn di Nel. III, 13. Non so indurmi ad ac- cettare il significato di gradibus, che l’ Euting (P. S. p. 16) ed il C. danno alla voce anvo. Questa voce occorre più volte nei nostri titoli (nn. 165, linn. 4, 6, 8, 10. 170 lin. 2) nel senso preciso e indubitato di piedi, ma nessuna iscrizione fenicia, come nessun passo biblico, ci autorizza a darle quell’ altro significato. In ebr. 255 vale: 1) incudine, 2) passo, 3) piede (in ehkili ass), ed il plur. mevs significa ancora, come in altre lingue, piedi artefatti. Quest’ ultimo senso mi par preferibile sott’ogni riguardo. Allora vedremo nel mov», non già un ammazzatoio con gradini o senza, ma semplicemente una tpd-refe di marmo o di pietra per scannarvi le vittime. Anche gli Egizî e gli Ebrei l’avevano nei loro templi: i primi la chiamavano uth, i secondi con nome più generico 96 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS In>w; ed Ezechiele, in un passo notevole (XL, 39-42), sfuggito alla diligenza del Roediger (GesEN. Thes. p. 1417), ce ne fa una descrizione minuta. N. 179. Secondo la restituzione del C. questo titolo conteneva sette linee. È probabile che ne contenesse nove, e comprendesse in tre linee ora per- dute la solita formula iniziale degli ex-voto a Tanit. Gli estremi di lettere che nell’ apografo del Gesenius sussistono in alto, e che si presero per vestigii del nome n3%», possono esser gli avanzi di jonb.... come al prin- cipio dell’ attuale lin. 2 c'è un rimasuglio del consueto n. N. 180. Incomincia con questo numero la serie infinita e monotona degli ex- voto a Tanit ed a Ba‘al-Hammon. Le formule finali dei medesimi, che ora offrono il verbo al passato, perchè il voto fu esaudito, ora al futuro od imperfetto jussivo, perchè la stela può essere qualche volta un segno d’ offerta, o promessa secondo l'intenzione, o meglio perchè la benedi- zione divina deve far seguito all’esaudimento del voto, e significare il gradimento della stela, variano nella forma, e ci lasciano quasi sempre incerti se il verbo sia singolare o plurale, e spesso se si tratti della se- conda o della terza persona. Il C. nella versione latina oscilla fra le due interpretazioni. In x>>an xbp unu» quia audivit vocem ejus, benedicat ei dei titoli 327, 497, 508 etc. allora il soggetto è Tanit, giacchè par diffi- cile ammettere 8352n dbenedicatis ei, quasi il voto fosse esaudito dalla sola Tanit, e la benedizione dovesse impartirsi dalla coppia divina. Lo stesso dicasi della formula del n. 180 xnw etc., dove anche lx invece del v, 0 di xv, è indizio, non costante, ma frequentissimo, del feminino. Ciò trova riscontro nel verbo della dedica, che è sempre = per gli uo- mini, e xnn (nn. 216, 280, 378, 406, 453, 486, 564, 595, 727, 818, 896) accanto ‘a = (nn. 273, 409, 469, 532, 582, 769, 792, 859 (?), 877, 879, 887) per le donne. Osservano giustamente gl’ illustratori del C. (al n. 446), che quando il x» precede un nome proprio cominciante per x o per v, allora il verbo ed il nome confondono, per lo più, in una le due lettere (v. i nn. 304, 307, 321, 395, 438, 846, 848 etc. — 279, 308, 387, 479, 481, NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 97 628, 740, etc.). I verbi vnwn (n. 252) o xvwn (n. 414), e woman (n. 180) si tra- ducono generalmente per audiat, benedicat ei (dea); ma non sarebbe im- probabile audias, benedicas, giacchè anche nella 2° p. s. fem. dell’ imper- fetto la scrittura fenicia doveva omettere 1°» quiescente. Notevole e inso- lita è la formula del titolo 418, pp unw» jaosn denedicat nobis (Tanit), quia audivit vocem nostram, dove il plurale non indica di necessità che il votante parli per sè e pei suoi, ma può essere un pluralis majesta- ticus. Nei titoli 184, 330 etc. è difficile ammettere che 352 xbp vnw> sia detto del solo Baal, perchè la figura principale della coppia divina invo- cata su queste stele è sempre Tanit. Meglio dunque intendere col C. quia audiverunt vocem ejus, benedicant ei, se pur non vogliamo, in base ai titoli 401, 402, 419, ed al neopunico riportato dallo ScHRÒDER (D. P. S. p. 267, n. 18) considerare Tanit come divinità ancora mascolina. Cfr. retro pag. 15. Ma nell’ iscr. 182 il dubbio è maggiore, giacchè la for- mula »2>2 x>p vsvo può del pari significare quia, ovvero quando audivit (Tanit) vocem ejus benedixit ei, come quando audiverunt vocem ejus benedixerunt ei. Il C. si attiene a quest'ultima; ma la formula surriferita del titolo 418 avvalora 1’ ipotesi che la benedizione sia come un effetto dell’ascoltata preghiera. Nè sarebbe strano il riguardare il x5n2 come un vero imperativo plurale. Che poi il plurale sia preferibile per queste stele ove s’ invocano due divinità, lo mostra il titolo 193 col quale sì di- rebbe che lo scrittore abbia voluto toglier di mezzo ogni ambiguità, bp obx psv audiant Dii vocem ejus. Parimente nel 195 abbiamo une» non sbp audiant (Di) vocem ejus: benedicant ei (cfr. n. 197). Raramente è omesso il suffisso verbale, n= (n. 887), od il nominale, 5p (nn. 197, 890). Della formula »=>275p vnw» quia audit (Ba°al) vocem verborum ejus delle iscrizioni maltesi (nn. 123, 123hi) non occorre finora esempio sulle stele di Cartagine. Affatto insolita è la formula ximm et bene faciat (Tanit) eè del tit. 196. Finalmente nel n. 197, colla parola 22>= il votante non chiede per sè solo, come negli altri casi, la benedizione di Tanit e di Ba°al Hammon, ma per suo padre (?) e per altra persona. 13 98 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS INMCLO3Ì Ml > di x>p spetta alla linea 4 N. 19%. Lin. 1. 5v=55n 5» cippus Malac-Baalis. C. Cfr. nn. 123, 123P8, 147. Tì secondo vocabolo non ha pel C. spiegazione sicura, dacchè agli illustra- tori non parve ben chiaro se si tratti d’un nome divino composto, come quelli di Esmun-Melqart, ‘Astor-Kemos ete., 0 se 4 equivalga a soa, SI angelo, nunzio. La frase nanerb» qubn pbxn Potestates (2), ministrì Molok-Astartae dell’iser. di Ma°sub, ed il nome personale 3s>abva dei titoli 182, 248 etc. per la sua grafia, parrebbero confermare quella prima opinione : l’ ar. LU per Sa avvalora la seconda, sostenuta dal Berger e dal Clermont-Ganneau. Allora le locuzioni 5r3
v3 3>». Cfr. GesEN. Thes. p. 736. INENIO6! Linn. 3-4. È meramente congetturale la restituzione dei nomi gawxuso e Benonis. Il primo è assai frequente in punico, ed ha certamente le maggiori probabilità: ma son possibili altri nomi, come mms32» (n. 295), molnszv (n. 122), pomisizo (n. 805), Euaunna» (n. 393), Imoaisa=v (n. 86 B), tolix225v (n. 50), tabixo=v (nn. 7, 87). Pel secondo è possibile anche wma (nn. 47, 117, 118). «Litteras mwxmwx facile vertas quod jussus sum; sed di- splicet quod niph'al verbi mx hebraice non usitatum.» C. La mancanza in ebraico d’ una forma di verbo esistente in fenicio non è nuova : il titolo 375 p. e. offre amm, cioè Im, 2° p. f. pi°el, «quamquam, nec in hebraico, nec in propinquis sermonibus, forma pi‘el de verbo 2% usitata est.» C. Il fen. n5: (BAAZIAAHX, BALSILECHIS NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 99 iscr. tril. leptitana) manca all’ ebr. che usa in sua vece l’hiph.; e nei ti- toli 165 lin. 13, 167 lin. 8, si ha il futuro niph. ohw che in ebr. non si incontra. Troverei piuttosto maggiore ostacolo nell’ x, che nei verbi $> (3>) suole omettersi in fenicio, come.ogni altra quiescente, p. e. kal m> (n. 3 lin. 4) = ‘39, N50 (n.113.1)="mbv. La 1* p. s. del perfetto niph. di mx dovrebb’ essere in fenicio mx. N. 197. « Lin. 33. Restitue melma vel mana, vel etiam tova». C. In fine della linea manca lo spazio per due lettere finali; quindi par prefe- ribile l’ ultimo. Linn. 4, 5. sax *mix 5v. Forse pro patre meo, et Siba, vel Soba. N>>% è nome proprio d’ un servo di Saul, 2 Sa. IX, 2. N3* potrebbe esser tolto, come =» (nn. 617, 913), dal noto nome urbico: 2 Sam. X, 6. La mancanza di genealogia giustifica il sospetto che questo s=x fosse di con- dizione servile. N. 204. VITTI TIZIA n mapbnmso p5 vawa /////4/0101 ImMobim vavn brani j> vivi NETTO suffe[tis], fili[i] AbAmelgarti [su/fe]tis, fili Azrubaalis suffetis, [ Calamensis]. Così il C., che circa all’ ultima parola soggiunge: «Ethnicum hic latere par est, et nomen a Calama (hodie «/&) ductum satis placeret: Calamensis; sed littera n obstat, nisi votum a fe- mina est factum cujus nomen perierit, quod non est impos- sibile.» Un etnico così lontano dal nome della votante non mi persuade. Forse lo n5:m wav indicherà una speciale categoria di suffeti o di giudici. Se, come sembra, i suffeti di questi ex-voto non sono la magistratura eponima (o fase), ma giudici veri e proprii, i membri del collegio dei 104, possiamo supporre adombrato in ma>im il distintivo d’ un loro grado: ma non oserei collegar questa voce coll’ ebr. nb; pallium, cal- 100 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS daico N&°Di 55:, pers. ps, (praetextatus agri judex d’ un’ iscrizione di Roma ©. I. L. VI, I n. 1372). Nessuna luce si ricava dallo obmo now del tit. 226, essendo molto incerto il rapporto di 5m» coll’ ar. =. N. 207. «Nomen bvmsx in titulis punicis modo viris, modo mulie- ribus inditum est.» €. Oltrechè in quest’ iscrizione, in tutte 1 altre del C. questo nome è sempre seguito dalla qualifica di n= figlia, o di nes moglie. V. nn. 371, 415, 582, 857. V. ancora EutinG P. S. p. 16 n. 189. Id. Sammlung nn. 189, 271, 350. Finchè il C. non abbia pubblicato qualche titolo inedito che avvalori quell’asserzione, è lecito dubitare che l’ illustratore abbia confuso il nome 5v=5* con 5vanb. N. 209. Linn. 1,2. Il C. supplisce n>mvvs>], ma senza alcun fondamento: con pari grado di probabilità potrebbero supporsi ancora altri nomi frequen- tissimi a Cartagine, come n>lp>»2), naImvv:i, nap>anani. N. 212. Lin. 3. bonimo Matanbaal. Nomen feminae punice Mutum- baal efferebatur. €. Non solo il nome muliebre (nn. 216, 349 etc.), ma quello virile (261, 406) dovrebbe scriversi, trattandosi di titoli cartaginesi, Mutunbatal, perchè questa è la vocalizzazione più costante: così la sua forma abbreviata jn» (nn. 7, 289, 291, 311 etc.) Mutun o Muttun. V. ScaròneER D. P. S. p. 127. N. 214. In fine della 1* linea manca lo spazio sufficiente per le lettere >; sup- plite dal C. Vanno perciò trasportate al principio della linea seguente. N. 216. Lin. 2. Non si legge intiero, almeno nel disegno, l’ jax offerto dal C., ma solo avanzano i fusti del } e dell’ x: il terzo fusto è quello del 1 co- pulativo. Linn. 7, 8. >vamms. Così il C. Ma non può escludersi la possibilità di bpspiar: quello non è ancora occorso tra i nomi epigrafici dei suffeti: questo sì, ed è assai frequente: v. retro pag. 43, not. 4. NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 101 N. 220. Lin. 5. sona Peturaei. C. Può essere il Butura delle iscrizioni ro- mane di Numidia. Su >= v. ScHRODER, D. P. S. p. 113. N. 224. Lin. 4. n5nn Hotlata. C. Meglio la correzione Hotallata=* n>snnw) soror Allatae (Euting), proposta nelle note del C. al titolo 480, poi seguita nel tomo II, n. 646. INA8223% Lin. 5. bo» Bafalaeus. €. Risponde al nostro Domenico ed al gre- co Kuptax6<. Altro denominativo che funge da nome proprio è »» (n. 300). Lin. 4. ‘bvz]. «Ultimam tantum hic litteram habes; sed no- men nullum novimus quod in zod desinat». C. Non può certo significare che non esistano in fenicio nomi proprii uscenti in >, che sono assai numerosi, come in ebraico, in aramaico, in berbero etc., ma che nes- sun nome di suffete presenta finora quell’ uscita. N. 226. Linn. 2, 3. nno» Pasnaamus. «Nomen nobis ignotum. Eundem in modum efformatum videtur, in quem o»mm. Vocabulum ca videtur aliquando significavisse pedem ». C. La congettura è ingegnosa; benchè il cald. xv oo palma manus (Dan. V, 6), ed il si riaco x: sno» pianta pedis non bastino a provare che in fenicio vs, oltre al significato non dubbio di tavola, (n. 165, linn. 18, 20: n. 167, lin. 11), avesse anche quello di piede, che si dice, come in ebr., ava (n. 165, linn. 4, 6, 8, 10: n. 170, lin. 2: n. 175, lin. 1). Ma forse, o in conformità degli ebr. =, 1 =", 29 = 25, avremo un m. fen. 32 — ebr. no abbondanza, quindi avi» abundantia gratiae (cfr. coi nomi propri ebr. mar, vav—it. Abbondio): ovvero, come nell’eg. p es-es (copt. rww divisione, rottura, cfr. ar. dos separavit), il vocabolo > può significare in fen. sorte, poîpa, esito; ed allora il nome mos sarebbe equi- valente, per formazione e significato, al fen. av; fortuna bona (nn. 383, 759, 902 etc.), o, come diremmo noi, Fortunata. Sul vocabolo finale =bma v. retr. n. 204. 102 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS INICZIA casi AVIV TIT III IETTAA In ja vovin Sv») VILITITILUITITI 73 onw N39 DX DPI Il C. interpreta « [Ado]ribaal [suffes, filius Han]|nonis suffetis, fili... deorum.» Il confronto dei titoli 260, 261, 262, 377 avvalora l’ipotesi che le parole n>x ap» esprimano una dignità od una carica, ipotesi avan- zata altrove (pag. 338 del tomo 1) dai redattori del C. E 1’ epiteto di 53m princeps, magister, che si trova preposto a quei vocaboli nell’ iscrizioni 260 e 377, ne induce, malgrado lo spostamento costante dell’ articolo (cfr. n. 235), di cui par parduta ormai la coscienza, ed è forse una con- crezione, qual vediamo in n>x> nanm> del tit. 149 (cfr. cald. 1590, gr. &\6pac, it. lambicco, algebra etc.), a ritenere che i a>x opa for massero una corporazione. Il vocabolo np» può essere un part. sing. hiph. dalla R. Di>: quindi in D>x DpA avremo un instaurator deorum, o se vuolsi una specie di curator sacrorum, o meglio di curator aedium sacrarum, mentre nei titoli 260 e 377 quel participio sarà plur. in stato costrutto. Potrebbe anche pensarsi allo himyar. opa potestas (C. I. S. P. IV, n. 40) ed agli ebx dell’iser. di Mas‘ub. N. 228. Il capo di lepre, o piuttosto di coniglio, inciso a piè dell’ epigrafe, e i topi del titolo citato dagli illustratori a pagg. 396, 453, sarebbero mai rappre sentazioni dei nomi proprii jav (n. 99, cfr. Gesen. Thes. 1467), e (221 (nn. 178, 344, 236)? Cfr. coll’iser. romana P : DECVMIVS - M-P.-V.L |] PHILOMVS VS | MVS, sotto alla quale l’ Henzen notò scolpite figure di topi. N. 232. Lin. 3, 4. mimen van « vOv%Ì Asdanita. Nomen muliebre niuvs unde formatum sit non videmus, nisi mmwux sit pro mnwvx.» C. Essendo quest’ ultimo un nome d’ uomo (n. 542), o l'x del primo è prostetico, 0 convien separare così i due vocaboli, niv sun», nonostante il distacco dell’x (cfr. n. 862). Il primo sarebbe allora una forma corrotta per N57 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 103 (cfr. n. 545 (?) e ScaròD. D. P. S. p. 201): il secondo, se non è il nome Sidonia dell’ iscrizioni latine, con w=x (cfr. ScaròD. op. cit. pp. 140, 111), sarà più probabilmente error di grafia per muw (n. 280) Sarda- nita, occasionato dalla contiguità di due lettere graficamente consimili. Anche nel titolo 515, ove gl’illustratori leggono noox vm vovit Abar- cata, con x prostetico, si può dividere no=2 xv vovit Birikt(V. Levr Ph. S. II, pp. 44, 58: id. Ph. W. p. 13, e ScHROD. op. cit. pp. 170, 325. N. 234. Lin. 1. Considerate le proporzioni della pietra, e il numero delle let- tere contenute nelle linee superstiti, che non sono più di 15 per linea, non è possibile che la prima linea contenesse, come suppone il C., le 19. lettere che occorrono per formare le parole + jax5: Sv ja mim5 n2a>b. INER2378 Lin. 5. mavn carnrificis. C. E lo confronta col mov n dell’ ebraismo seriore, che è una cosa sola col mmm w della Genesi XXXVII, 36 ete. mM 4° Sam. IX, 23, 24, lar. ue, Il sir. smov cuoco, e eg. tubahi macel- lare, potrebbero anche indurci a tradurre lanii vel coqui: ma la genea- logia del votante, e il titolo di 3a portato dal proavo avvalorano la spiegazione del C. ) N. 245. Linn. 3, 4. mnwvnus Esmun-Astartes. C. Gli illustratori l’identificano col’ Hermaphroditos dei Greci, e ci veggono una delle tante divinità che nei titoli fenicii presentano due elementi, maschile e femminile, insie- me congiunti. Veramente i Greci avevano identificato javx con Esculapio, nè vi son ragioni abbastanza fondate per rigettare questa opinione. Quanto alle coppie divine citate dal C. non serve al proposito che nanvv>n (nn. 8, 250, iscr. di Ma‘asub, linn. 2, 3; tuttavia vedi SELDEN De dzis Syris, synt. II, cap. 2); perchè mapbnrnes (nn. 16, 23-26), e probabilmente èms=nvv dell’iscriz. di Mesa‘, non sono androgini (V. The moabite inscr. nella North brit. Rew. Oct. 1870, p. 17): in mapbamx (n. 256) e mn (nn. 247-249) non è ben chiarito il carattere e il sesso di x, essendo me- ramente ipotetica la sua identificazione col Set dei geroglifici, o coll? °Aypebs 404 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS od ‘AMebs di Sankunjaton: finalmente >v3->», e nos» (nn. 123 e 123PS, Hadrum. 9 in EuTInG P. S. pp. 26, 27), se sono coppie divine, risultano di elementi mascolini. Ma vedi retro pp. 19, 20, 98. N. 247. Lin. 5. mm Sid-Tanit. ©. Sul dio «x vedi, fra gli altri, pe Vocuk, Journ. asiat. Aoùt 1867 p. 160, e Bull. de Vl’ Acad. des inscr. 1868, pp. 89,90: DERENBOURG, Journ. asiat. Mai-Juin 1869 p. 505 not. 2: HALEVY, Etudes berbères nel Journ. asiat. Fevr.-Mars 1874 p. 153: CLERMONT- GannEAU, Rev. crit. d’ hist. et de littér. 24 Mai 1883, pp. 413-415: ScARÒ- DER D. P. S. p. 109. Cfr. ancora Atti della R. Accad. d. Lincei, an.1884-82, ser. III, Trans. pp. 281-285, ed IZ Vessillo israelitico, Giugno 1883, pp. 4174476. Quanto all’ epiteto di Sidonia Dido citato dal C. non ha che far nulla col nome divino 3%, ma è un etnico equivalente a Tyria, come perchè vedilo in GesENn. Thes. 1154 a, ed in Movers, D. phon. Alterth. II, pp- 141, 142. N. 249. La lettera n del nome del padre del votante non par dubbia: ma an- corchè lo fosse, quel nome consta di sicuro di quattro lettere, e non può leggersi ws: daltronde av non è nome raro su queste epigrafi (v. nn. 258, 317, 353, 385, 431, 514, 653 etc.). Questo nome spetta alla categoria di quelli che assumono un è finale, il cui valore non è ancora ben chia- rito pel fenicio, e spesso è oscuro anche per l'ebraico. In fenicio abbiamo ni= (n. 515), accanto a x, in cui il © pare il suffisso plur. n3 (servus eorum sc. abs, come Nu3 servus ejus sc. Ba°alis od altra divinità), an- zichè il © additizio dell’ hymiar. aov (C. ZL. S. IV, tom. I, fasc. I, n. 80): sul colosso d’Ipsambul oi è reso in greco per OYAAM (C. p. 135: cfr. ScHRÒD. 0p. Cit., p. 114). Cfr. col nome del dio degli Ammoniti 255» (1 Reg. XI, 5. 33: 2 Reg. XXIII, 13), e 225» spiegato dai LXX per MeXxép, in Jer. XLIX, 1, e per è fuoveds adttyv in 2 Sam. XII, 30. Ma in altri nomi il n non può spiegarsi in questo modo. Le nostre iscrizioni offrono nima (nn. 192, 315), nn22v (n. 236) e s=25v (n. 395), accanto ai più frequenti NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 105 pro (nn. 346, 352 etc.) e =35v (nn. 178, 344, etc.). Inoltre porw (n. 274) e Au (n. 194), sn (n. 46) e sn (Levy P. W. p. 48), numi (n. 673) e mi (n. 405, 622), >») (n. 894) e 5» (n. 635), np (n. 132, 423) e par (n. 569). È dubbio il rapporto fra o=>* (n. 380) e l'oscuro =>x delle tariffe di Mar- silia (n. 165, lin. 9) e di Cartagine (n. 167, lin. 5). Anche il berbero offre Da), sn, e 255, accanto a = e 55 (HALEVY, Et. berb. nel Journ. asiat. Févr.-Mars 1874, nn. 14, 67, 126, 132 etc.); ma non oso supporre che si tratti d’uno stesso fenomeno. Piuttosto possiamo confrontare questi nomi fenicii cogli ebraici in n=, sillaba formativa, comune anche ai sostantivi, ed affine ad j=, colla quale partecipa la nozione aggettivale o denota un astratto; p. e. Das, DUM e Un, DmW accanto a MU, TY accanto a S®°P, BS, nome cananeo, 227? e DIV, DIN ed jiN accanto ad fin ete., tutti nomi d’ uomo, e 2a nome di donna: in alcuno dei quali il »- ed il ;- potrebb’ essere desinenza vezzeggiativa, come pei no- mi divini inclinò a credere il Gesenius (Thes. p. 795 s. v. 32). Nè è da escludersi la possibilità che parecchi dei nomi fenicii sopraccitati siano veri plurali di genti o famiglie, rimasti poi a singoli individui, come gli ebr. n m. e f., 2°2n, av etc. L'onomastico ebraico ci offre ancora dei duali, p. e. Das, 27», une. Occorrerebbe maggior numero d’esempii, e più agio di confronti per districare la matassa; tanto più arruffata, quanto meno si può stabilire con precisione il significato fondamentale del nome. Il cananeo 295, p. e., può venire da una R. o57= MICA Ii° magni fecit, extult, o da 33, monte, od anche da tutt'altra radice a noi sconosciuta: il tirio în, mM, amm, ora si trae da N, ed è tradotto per nobile, or si fa equivalere ad ovs frater alti (Num. XXVI, 38): ma non esclude altre spiegazioni. I Lessici, anche per questo rispetto, son pieni d’incertezze, dovute non di rado alla tradizione, che volentieri accoglieva le riduzioni a falsa etimologia, istintive nei volghi; ed in parte alla tirannia dei si- stemi, che per le lingue semitiche sono ancora troppo esclusivi e circoscritti. Quanto al fenicio poi, la mancanza dei segni per le vocali accresce natu- ralmente le difficoltà. 14 195 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS NSR25,0 Linn. 1, 2. Non è certa la restituzione api, potendo anche trattarsi di ap» (n. 158), o d’ altro nome a noi ignoto. Ad ogni modo, che npar possa essere con > (n. 341) il Syphax numidico, è smentito dalle mo- nete, sulle quali il nome di questo re è scritto pao. V. Levy, Ph. St. IL p. 48, e Ph. W. p. 34. NE255: Linn. 1, 2. momwnnza. C. Incerto; potendo anche supporsi mapa. N. 260. Linn. 3-5. Paminvrmoni 2b5ix Impha om. Che in obx np si possa vedere un curator sacrorum è già detto di sopra (n. 227). Ma il 5»; a>x nim> =n Ma- gister sacerdotum dei Nergalis del n. 119 può anche farci supporre che anche in questo titolo n>x equivalga ad >x. Avremmo allora in “mv il dio Mitra (cfr. col n. pr. m. d’uomo “n del n. 137, e hadr. 9): ma il resto? | Circa alla forma intiera del plurale nbx n:m> del tit. 119, invece dello stato costrutto, cfr. col map>ruzv ass» jwenn dell’ossario hadrumetino (Rev. arch. 1889, Juill.-Déc. pp. 32, 218). N. 264. « Linea 4°. nap>n no ovs vx qui de grege templi Melgarti. Cf. supra n.5" 263. Licet conjicere hic quoque mpbnrno fuisse oppidum, non templum.» C. Ma che nell’ mrneves hominum Astartes del n. 263 s’ asconda un nome geografico parve poco probabile agli stessi illustratori. Meglio supporre che questi nonvv x fossero adepti o cultori d’ Astarte spettanti ad una particolare congregazione (m»v n. 263); mentre il na a», se è letto bene, sarà il personale del tempio. V. retr. p. 23. An- che A. Bloch (Phroen. Glossar, Berlin 1891, spiega lo mpbn n3 ov per die Leute vom Tempel des M. (p. 50). N. 268. Lin. 1. Leggi jv» neopun., e non già ;>. Lin. 3. n553mn? Forse un nome teoforo formato con ;mx), j[ax] 0 j[9o], € < con n>> amplexus est (Iud. XVI, 29)? Anche l ultimo nome della linea pare un teoforo, ma non oso leggere [uamy. NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 107 Lin. 4. www C., che lo suppone senza necessità un nome geografico, mentre può leggersi immwv= ja filzi Ger‘as[tarti] col } neopun. come nella lin. 3, molto aderente al ». Nel disegno della Tav. XLVII si scorge a destra il rimasuglio d’ una 5° linea che poteva contenere le ultime let- tere del nome teoforo. Nn. 269-293 (eccetto il n. 288). even. L’wx è pronome e non sostantivo. Se yax fosse nome divino (la Dea Xtò®yv di Filone, frg. 21, che xad° èrepfoXNv EÙpwviag pon Upvov dî ebpe), avremmo allora un collegio di musici o symphRoniaci. Ma secondo ogni verosimiglianza, non è altro che la città di Sidone: quindi ins ws, come l’»n>wx (n. 117, Aten. 8) qui ex Cithio, è un equivalente degli etnici »»m* (nn. 115, 116, 308), mx (n. 419). Tuttavia non s’ intende come gli scrittori di questi titoli, scolpiti da mani diverse ed in varii tempi, abbiano usato, con singolare accordo, quel modo meno frequente ad esprimer la patria, senza ricorrere qualche volta alla forma più sem- plice surriferita, od alle altre aw» ava ws (n. 266) qui de populo Ebusi (cfr. nn. 265, 267); nas vs (nn. 294, 295) qui ex Sa‘arim; “ves nn. 299, 300) ex Safar; riessan bo (n. 309) civis [Tubursici]; ma nbvs (n. 120) Byzantia; e questo anche fin Hadrumetum, la cui urna cineraria il- lustrata, con altre congeneri, dal Berger, (Rev. arch. 1889, Juill.-Déc. pp. 21-41, 201-228), rammenta in scrittura neopunica un jo? ws ps mapbianav Abdmelgarto, consigliere di Sidone. È pur notevole il fatto che questi Sidonii abitatori di Gartagine hanno quasi tutti dei nomi che non s° in- contrano mai altrove così frequentemente come a Cartagine; mentre in questa categoria d’iscrizioni non occorre nessuno dei pochi nomi cono- sciuti di Sidonii, non trovati fin qui sulle stele di Cartagine: o fosse un . semplice caso, o che fattosi abitatore di Cartagine l’jax ws prendesse no- me cartaginese. Quanto al suffisso punico x delle parole finali x5520) x5p (nn. 274, 275, 277) in luogo del comune fenicio », che a Cartagine è ra- rissimo (n. 296), non prova altro che i redattori dell’epigrafi seguirono la grafia o il dialetto locale. Ben diciotto di questi Sidonii sopra ventiquattro son designati 108 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS nell’ epigrafi pubblicate dal C., nonchè sull’ urna d’ Hadrumetum, coll’epi- teto di »=, seguito da un nome proprio. Quest’epiteto, che occorre pure nell’iscriz. maggiore del Pireo (9° Aten.), come generalm. s’interpreta nei teofori, vien tradotto dal C. per servus, -a, nonostante che il Rodet, or sono parecchi anni, avesse dimostrato che 3=v 0 ‘Abd non potesse foneticamente diventar “> Bod; quindi i due vocaboli dovevano essere etimologicamente diversi. Agli argomenti del Rodet, rafforzati dal Nòldeke ( ZDMG. XLII, p. 486), possiamo aggiungere che, mentre nei titoli punici il figlio non porta se non rarissime volte il nome di suo padre (nn. 122, 152, 550), usci rebbero dall’ uso comune i frequenti m=p>rr2v ja map>ems (nn. 203, 234, 761 etc.), 0 napbns jp mapbnesv (nn. 245, 660, 720 etc.). Inoltre nei titoli 279 e 280 il =>, in scrittura ben chiara, è assegnato a nome muliebre. Senza tener conto del n. 320, in cui il v di 33v serva è incerto, si può rammentare il 5% del Pentateuco per ©, lar. E pei volg. St e gli eg. renen %l giovane, la fanciulla, rer, copt. A Xov, Xedov puer, puella (Levi, V. G., II pp. 220, 223). Ma non v'è ragione di credere che per questi soli titoli si fosse dimenticata la parola nò8 = ebr. bs, che per quanto accidentalmente occorra, qual sostantivo separato (n. 378), più assai di rado del sost. m. 3=v (nn. 5 F, 9, 122, 122)is, 236, 247), doveva pur essere la forma più ovvia, perchè abbonda nei teofori muliebri (>van»s, nn. 395, 848, mapbrmor n. 627, manvonss n. 3241, mnoxnoar n. 93 etc.), mentre in questi ultimi, come in ebr., non occorre mai nè il “3 nè lo ==» dei teofori d'uomo. Strano poi che nessun titolo di questi Sidonii ci offra l’intiero =2v, ma sempre il preteso suo .accorciamento ! Convien dunque rinunciare alla vecchia interpretazione del ==, benchè forse sia prematuro assegnargli un significato. Pel Rodet è una riduzione di 33) opera, fat- tura: per l’ Hoffmann è la prep. ‘2 pro (cfr. n. 87); ma avrebbe potuto pensare anche al =v2 (bòd in Plauto) iuxta, prope, pro: pel Fraenkel e per A. Bioch è il 713 per manum (Num. XV, 23), o *?3, in senso di pro. L’Halévy, nei naz => della citata iscriz. del Pireo, vede degli administra- teurs des sidoniens, e ne considera il 323 come st. cstr. pl. di 72 ramo, membro del corpo. Ora questo significato può convenire del pari ad un NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 109 affiliato, o al culto d'una divinità, come nei nomi teofori; o ad un patrono, come nei titoli degli jîx wx; o ad una comunità, come nella citata iscrizione del Pireo. L’Halèvy ravvicina ij ws us dei nostri titoli al 0:13 75 summenzionati, e, in base a un titolo er. del IV sec. (C. LA. II, 86), ritrova nei medesimi una classe privilegiata di Sidonii che sog- giornava fuori di patria per ragioni di commercio, ed era esente dalla tassa di domicilio (petotxtoy), dalla choregia, e da altri tributi. A siffatta esenzione alluderebbe la frase Dan 25 qu'il ne soit pas impose delle nostre iscrizioni: e le parole nwpnop av indicherebbero la nazionalità ottenuta da questi stra- nieri per opera dell’jix dominus, il cui nome è rammentato sopra le stele, mentre il >> esprimerebbe lo stato o condizione civile dell’ }ux ex. Possiamo per ora accettare questa spiegazione, che, quantunque non risolva ogni dubbio, è più soddisfacente di quelle proposte fin qui. Forse la scoperta d’ altre epigrafi ci dirà se la formula nvapnap av (nn. 270, 271, 290, 291), abbreviata anche in =v (n. 272), non sia come un controllo legale del pw» 2>, sottintendendosi un verbo come =» decrevit, o simile: od anche se non possa indicarci che a questi immunes di Sidone il po- polo di Cartagine pagava (pv, o simile) la spesa necessaria per scolpire, e collocare alle pareti del tempio, o nel terreno a ciò destinato, le stele votive. N. 288. Lin. 3. La Tavola del €. non consentirebbe leggere cogl’illustratori NIs3, ma Ns: il lapicida non potè, per difetto di spazio, riparare per intiero all’ omissione del j2, ma si limitò ad aggiungere il j sotto l’unico =. N. 290. «Fastigio columna, si columna est, insculpta fuit» C. Ci vedrei piuttosto un’ ara (cfr. n. 272), alla cui sinistra doveva essere scolpito, per simmetria, un altro emblema del simulacro divino. N. 293. Lin. 2. Del nome del votante rimangono due sole lettere 32. Gli illu- stratori del C. domandano se si tratta del nome 33m Ricoce, portato dal suffete delle monete (EckHEL D. N. V. IV pp. 137, 138); e soggiungono: 110 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS «obstat quod longius nomen spatium vacuum postulat.» Ma la restituzione dell’ intero titolo mostra che si può forse supporre quel nome senza che lo spazio faccia un vero ostacolo. Lin. 3. La Tav. L non consente in verun modo leggere col C. >v=>», ma >v= (difficilmente 5v=iv n. 429), che non oserei connettere coll’ebr. >y=n: il > sarà omesso dal lapicida per sbadataggine, come lo fu dopo questo nome il > di }5. N. 294-306. Gl’illustratori del C. credon probabile che il luogo di questi titoli detto EaU?, "NU, DIV, UU, “NY, NU, possa essere una cosa sola con quello delle iscr. di Cirta indicato per ana onv, ans avv, [nnz] ninv, che apparisce luogo d’importanza, con re (nix 35»), e che, secondo loro, può esser la stessa Cirta, od almeno una sua colonia. Non discuto questa opinione: ma, o Cirta 0 no, mì pare assai difficile, per la forma troppo diversa, collegare con questo nome quello citato dagli illustratori del nummo punico di Numidia, ancorchè vi si legga, com’essi sospettano, auxnD 0 puxD. N. 295. Linn. 4, 5. Forse =vwbo= ja fi[lii Ba°al]sa‘ari, od altro teoforo ? Cfr. coll’ebr. mare quem Deus cstimat. N. 300. Lin. 5. «:. «Nomen nobis novum» C. È pure in Eutine Samui. n. 68, e nell’iscrizioni berbere: v. HaLÉvy, l. c. nn. 57, 127. Non è altro che il “ma Fortunato dei Num. XIII, 11. Che 1° »= dei denominativi si man- tenga in fenicio, anche nei nomi personali, lo provano »>v> (n. 223), > (nn. 4112 c', c®) = ebr. “w2, 12 (EurING, Samml. nn. 8,484)= ebr. 133, sn (n. 273) = ebr. ‘325, w0D) (n. 95) = ebr. “SPD etc. Cfr. retro n. 224. N. 302. Lin. 4.05 di n2>> sarà nell’originale, ma non ha fatto presa nell’ ectipo. N. 305. Lin. 2. tx jmim C. Più esattamente mio (sic). N. 307. Linn. 3-5. Sis] | bo mono | nanex....... Arisata, filia Boda- “0 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 1411 SINCE CO SONA C. Supporrei omesso il ja dopo manvr3, come nei nn. 232, 380 etc., e leggerei =rnix>n Melek[a|]mari = quem Melek dixit, i. e. promistt. Cfr. coll ebr. ma, gr. Oeéoppaotos, e col berb. inzmox (Ha- ninna 65,105 16076 N. 309. L’emblema soggiunto all’iscrizione potrebb’ essere un aratro: comunque sia non mi pare che abbia nessun rapporto con quello del titolo 330. L’antitesi supposta da G. Derenbourg fra i nomi px «tristis» e psw «hilaris» mi pare arrischiata, perchè non è certo il rapporto del primo nome coll’ ebr. ji*, e la derivazione di questo dalla R. x. Inoltre 1’ ebr. inv vale quieto, sicuro, pigro, arrogante, fastoso, ma non hilaris, che sarebbe im. Cfr. il nostro px col jv d’ un'iscrizione ceramica d’ Hadru- metum. (V. BERGER, Rev. Arch. 1889 Juill-Déc. pag. 38), e col j» di Neh. X, 21. NESHE Lin. 3. br Conb(afalis). C. Non trovo in fen. un j>>v2, che avva- lori la congettura del C. Penserei piuttosto ad una corruzione di vr, pel noto passaggio di m in 5. N. 312. Linn. 4, 5. Se l’iscrizione termina colla lin. 5%, ed il supposto v della lin. seguente è un ornamento, potremmo leggere [OVSIRONER RA IMaN j3N REI VIT qui [ex populo] Rupis puellarum [duarum], cioè un nome di luogo ignoto, sul tipo degli ebr. >isa jax, nbmia j3x etc. N. 315. Linn. 5, 6. xp [obtusor]. C. Cfr. n. 358. Lezione e significato incerto. Posto che l’ ultima lettera della lin. 5 sia proprio un @, il vocabolo po- trebbe equivalere a mp1 unguentarius. Per »x=n cfr. lia Poenul. V, 4, 16,= ebr. m>, messe Aug. = 65, Okpa= ebr. man, (ScHRÒD. 0p. cit. p. 85), e v. retr. n. 143. 112 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS N. 317. Lin. 4. Pon wbnv Abimeleci, qui Himilconis. C. Certamente il primo nome potrebbe essere corruzione di 3>nax= ebr. 4>iasx: nondimeno, fin- chè l’esistenza di questo nome in fenicio non sia indubbiamente provata da altre iscrizioni, val meglio vedervi il noto 3>m73v (n. 46), o con di- leguo dialettale del =, come in n=pbnav, Bostar etc. (SCHROÒD. op. cit. p. 108), o per sbadataggine dello scalpellino. La somiglianza e contiguità del 3, e = agevolava siffatte omissioni. Cfr. l’ ipotesi sopraccitata (p. 61) del Barth sulla voce 2» del tit. 3 lin. 6. Lo stesso errore nel tit. 844. N. 319. Lin. 4. Dopo il 53], di cui solo si scorge una parte, non si vede nel disegno della Tav. LITI che il fusto obliquo d’ una lettera, che può an- ch’ essere il = di [....72v]; ma le lettere awo sono scomparse. N. 322. È lecito dubitare che gli emblemi scolpiti sotto al titolo del medico Asdrubale sieno patellae duae, forma diversae, come vuole il C. Uno di essi sembra piuttosto uno scalpello, od altro strumento da taglio. N. 323. Lin. 3. bvanma. Meglio Maharbafal, come nel tit. 184 (Liv. XXI, 22 45, Amm. Mare. XVII, 10 Maharbal: App. VII, 10, 11 Mapa): Polib. III, 84, 14 Ma&pfac), che Maherba‘al (Erod. VII, 98, G. Flav. in Ap. Mépfadoc). Lin. 5. La traduzione di xa= per medicus, preferita dal C., è la vera, ancorchè manchi l’articolo, come nel xp= del n. 315. Un sanavit (o sana- verunt) sarebbe formula affatto nuova su questi ex-voto, e rara l’omissione del suffisso: di più l'uscita in x, benchè regolare, sarebbe smentita dal »an del n. 143, che attesta il passaggio di questo verbo alla classe 5 (by). N. 324. Lin. 3. nom fabricator retium, vel faber (w>n). C. aan mi pare la vera lezione, ma l’ interpretazione è incerta, malgrado 1’ ebr. DIM rese. N. 326. Il primo dei due emblemi figurati sotto a questo titolo, che per forma NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 113 e disposizione sono identici a quelli del n. 265, è uno strumento da ta- gliare od incidere: l’ altro, con imboccatura ed intagli, pare uno stru- mento musicale, una specie di èAvpos «di6s ricurvo, o di corno. Se, per via dell’ ebr. 3 clamor, jubilum, ar. s3, sonus, Supponiamo nel nas wm un fabricator instrumentorum musicorum, od anche buccinarum, come P ebr. 22° jubilum, clangor tubae assunse il significato di 2rnstrumentum musicum, buccina 0 classicum (Ex. XIX, 13), allora gli emblemi scol- piti sulla stela confermerebbero il mestiere del votante, di cui tace 1’ i- scrizione del n. 265. Comunque sia, credo puramente illusorio il rapporto fra has e il nome insulare =» = aims, se questo, come congettura il Renan (C. p. 181), è per metatesi una cosa sola coll’ Inarime dei poeti latini. Lin. 3. nzsn [Hamil]catus. C. È lezione incerta per la forma insolita del » e del =. Se fu letta e tradotta a dovere (cfr. n. 211), il vizio di pro- nunzia che ci offre > per 5 non è del solo fenicio, ma d’altre lingue se-- mitiche e indoeuropee. V. GrsEN. 7/es. p. 727. A. BLocH, Ph. Gl. p. 30 legge « Himinchat (Bruder der Minchat)». Ibid. «vw. Già il Gesenius, Script. ling. phoen. mon. p. 391, aveva evocato le testimonianze di Servio e di Sparziano, secondo i quali Caesar era il nome africano dell'elefante; punico pel primo, mauro pel secondo. Quindi >w> rientra nella categoria dei nomi proprii tolti.da nomi di ani- mali (cfr. retr. nn. 147, 228), e può ben supporsi che sia l’ originale del cognome romano. Il Clermont-Ganneau (ev. cri. 1887, II, p. 56), che fa rivivere quest’ idea, propende per l’ origine maura, e la conforta anche con testimonianze cavate dalle monete, e dai cognomi romani di Spagna e d’ Africa. Anche nel titolo 589 troviamo un jawxa2v j3 avo. Ibid. 3-4. amixmwis 5va fabricator ..... um. C. Se il supposto > fosse un 5 quasi rettilineo, e l’wx un segno, per quanto insolito, di genitivo (cfr. ScaRODER D. P. S. p. 164), = v dei titoli 315, 379, avremmo allora in ooxo va bro un fabbricante di turbanti, o 2S® (Les. III, 20), eg. pir, peri berretta, cintura, cravatta, turbante (Levi, V. G. II, 180, 192. Ma 15 114 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS forse è meglio leggere naxsvn, e vedervi gli %oxepor, specie di calza- tura o di sandali (Esichio). N. 338. Linn. 3-4. aminn bra fabricator strigilum, C., secondo la felice inter- pretazione di G. Derenbourg, che ricorse al nt» strigilis della Misnah. Il Buxtorf riporta ancora un 1a pecten, strigilis. Arroge lar. e, nova- cula, scalprum, radiola: pel Freytag instrumentum chirurgicum, quo dentes purgantur. Gli emblemi scolpiti sotto l’ epigrafe alludono al me- stiere del votante. N. 339. Lin. 4. ann bva fabricator..... orum. C. Oltre a Yopg6s può pensarsi a {Ixyapoy rete rotonda per pescar l'ostriche. Ma può anche darsi che la geminazione del > sia una scorrezione grafica dovuta all’ orecchio: al- lora cfr. col talm. 3, che s'incontra « pro scala, vel alio quopiam instru- mento aut vase ad fructus colligendos et decerpendos necessario Ned. ‘89 b.» BuxroRF-FIscHER, Lea. chald. talm. et rabb. p. 239. N. 341. Lin. 4. »:. Ai nomi citati nella nota del C. aggiungi il sm: dei nn. 499, 676 del C., EurInG, Sammil. nn. 15, 78, ed iscr. 1* d’ Altiburos. Sul suo rapporto con Syphax v. retr. n. 251. Linn. 4-5. abit) >v». Può supporsi un fabricator lucernarum, da una R. ono, affine a ,5;, ebr. 33 splendor, ed a ma splenduit, 38 lumen, eg. sar accendere, allumare una lampada (Levi, V. G. III, p. 293). So- pra o fen.=: ebr. cfr. i nn. 166 (col sin. lin. 4) e 355. Ovvero possiamo vedervi un fabricator lunularum, da un sostantivo affine al sir. sus, ar. be luna. Cfr. coi sm momo lunulae aureae del Talmud, e coi 2297© 0 unvioxor (LXX) di Zes. III, 18. Anche in greco ed in latino piyn e luna significavano qualche volta lunetta. Su queste voci, e sull’ uso di siffatti ornamenti v. Gesen. Thes. 940. N. 351. «Linea 328 Nomen bv=» est pro brznas» C. Ciò è confermato dal » Y » È NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 115 non essersi fin qui rinvenuto in fenicio nessun nome teoforo formato co- me l’ ebraico 5x2 Grea Dei. N. 355. Lin. 2. xv. Mi par preferibile leggere xnwazr. Cfr. n. 696. xuv 0 principessa, dea affine a n>>» regina, è l ebr. Mt, nome della sorella e moglie d’ Abramo, Y&gg« nei LXX ed in Gius. Flavio. V. NòLDEKE, ZDMG. XLII, p. 484. Ibid. ano. Tradurrei inaurator, derivandolo, con G. Derenbourg, da 3m. Anche l’ar. 33 Il e IV ha lo stesso significato. Non fa ostacolo il nome dell’ oro pon già veduto nei nn. 1, 90, 327, 328 etc., perchè anche in ebraico son frequenti ambedue, più di 2n2 che è poetico. N. 356. Linn. 2-3. mam «restitue 2520 ponderator vel melius queestor.» C. La restituzione è avvalorata dal titolo 40, e dal teoforo 2>b25v3 B. com- planavit viam (cfr. Tes. XXVI, 7) d’ un graffito d’ Abido: v. DERENBOURG J. et H. Les inscr. phén. du temple de Séti à Abydos, Paris 1886, n. 24. Nondimeno non può escludersi la possibilità d’ altro participio, o d’ un nome, come >>a, o etc. Nn. 357, 358, 359. Lin. ultima. a) snom. ...0r «fortasse a radice ano ductum est.» b) span «[obtusor] fortasse pro vana». c) siva «....0r..?» C. Rife- rendo con G. Derenbourg, seguito ora da A. Bloch, queste forme a verbi derivati da Radd. geminate, quali a) ebr. nno /regit, ar. cd contudii, D) iS II tenuem effecit, c) ebr. pv, ar. a malt.senn acuzt, otteniamo significati un po’ vaghi e indeterminati. Forse l'x di questi vocaboli è espressione livellatrice d’altre gutturali spiranti (cfr. ScaròDER D. P. S. pp. 82, 83); ma non usciamo dall’ incertezza. Ad ‘ogni modo cfr. con sno Par. Us regit: con xp> l’ebr. vpa pi. tundendo diduatit, ar. g:, Il resar- civit vestem, se non vuol vedervisi un’alterazione di mp> (v. retr. n. 315): con sw l’ar. Lu luxit, splendvit, onde | ebr. »® coccum, color coccineus, e il plur. DI? vestes coccineae. 116 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS N. 360. Lin. 4. 53x «est fortasse 353; sive x articulum esse statuis, seu radicis in partem venisse mavis.» C. Nel primo caso potrebbe supporsi un 55 part. qal della R. inus. 5», alla quale i lessici assegnano il valore di volvere, rotare, confermato dall’eg. rer altorniare; quindi un fornitore od un vasajo: nel secondo un 55= cantore, derivato verbale di bn Rymnos cantavit, o per riduzione di m ad x (j?ax>v= in titolo di Cirta: ScaròD. D. P. S. p. 263), un /lautista, dalla R.>bm (denom. di 55m) tibia cecinit, eg. helel gridare, strillare (Levi, V, 201). N. 1365. Lin. 5. Leggendo 1’ ultima parola jim, coll’asta minore del : appena iniziata, od alquanto obliterata, come nella 18 linea del titolo 383, può supporsi una 2? p. plurale imperativo gal di :>3, col suff. pron. di 4 pers., » o ©, e col significato, rimasto in ebr. all’ hiph. di >, di dirigite me, od anche dirigite nos (cfr. retr. n. 180); formula abbreviata di preghiera il cui senso sarebbe indicato dall’moxs v>3mun del Ps. XXV, 5, 0 dall’a>man quiz mn del Ps. CXIX, 35. Il x per > ci è offerto nella stessa R. dal- ass. duruk, durgi, daragu=-ebr. 397 (Norris A. D. 269). Ma può ancora pensarsi al talm. j}7 familia, cognatio, comitatus, e veder adom- brate nel nostro vocabolo le persone che eressero la stela, o ne curarono la spesa invece del votante. Cfr. retr. n. 269, e C. n. 382. N. 368. Se dobbiamo prestar fede alla Tav. LIV, l’ultimo nome, che il C. legge per mbiam, non è certo : può ben essere Himilko, ma anche ibn, O [n3an; ovvero, non scorgendosi della seconda lettera che il fusto, [>vapn, Impn, o simile. INSESZAE «Linea 12. Litera > ante mn est dubia» C. Non sì vede nel dise- gno, e nemmeno si vede dinanzi a >v= nella 2 linea. N. 372. Lin. 5. Riferirei senza dubbio il j3 > a Him ilko. Il nome della votante, che torna nel tit. 375, può leggersi Kebuddat=ebr. 1m2> splendida, pre- NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 147 tiosa. Cfr. col noto cognome romano Pretiosa, adottato anche da donne ebree, e scritto morosa. V. l’aureo libro dell’ AscoLi, Iscr. di antichi se- poleri giudaici del Napolitano, p. 61. N93: Lin. 2. g2 3 som. C. Le tracce delle lettere superstiti, e lo spazio, non escludono la possibilità d’ altra restituzione. N. 375. Linn. 4-5. 35m}5 monvo=» n3 miss Cabdala, filia Gerastarti, fili [prin- cipis]. Così il C.: ma la mancanza del nome proprio dopo il ;j3 riesce molto strana. Non solo oggi, ma anche in antico, non sarebbe stato nè epigrafico, nè sensato il dire N., figlivolo di N., figliuolo del principe. Un’ amplificazione onorifica (con concrezione dell’articolo, v. retr. n. 227), in luogo di 2, come il 35%3 del Ps. LXXII, 1, sarebbe in queste epi- grafi una novità, che tanto più esigerebbe per ogni verso il nome del padre. Il j3 dunque è di più: o meglio 1’ 5== sarà il nome proprio del padre di Gerastarto, coll’ accennata concrezione dell’ articolo : cfr. col nome romano Princeps, e con =» e wa, che in ebraico erano titoli di dignità, ma in fenicio son nomi d’ uomo (n. 144). Cfr. ancora coll’ ebr. e fen. v2v (nn. 175, 183 etc.). Gl illustratori del C., per sostenere la loro interpreta- zione, che vedo ora accettata anche da A. Bloch (PR. Gl. p. 58), seri vono: «Errorem haud absimilem (cioè l’omissione del nome) habes supra, ad n*® 228». Ma nel n. 228 linn. 5-4 abbiamo bmx van n3 nas Arisata, filia suffetis Adoniba“alis, dove il nome proprio del magistrato non è omesso, ma solamente è posposto, contro il solito, all’ attributo. NL 3774. [N91=D. 13 bU2ITR 0. ja DX pa jaw DpA 397 5ranv Db _ _su_r Db Il C. spiega 3... Adonibaal, filius Ab[de]- 113 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 4 Smuni,.... or sacrorum, filius 5 Asrubaalis, principis . . .. orum 6 sacrorum. Al traduttore, non già alla madre di Adoniba‘al, è ad imputarsi se quest’ ultimo aveva due padri. Secondo quanto ho detto alle note dei ti- toli 227 e 260 possiamo interpretare: 3. .... Adoniba‘al, filius “Ab|de]- 4 smuni, instauratoris templorum, filti 5 ‘Asrubaalis, magistri instauratorum 6 templorum : forse meglio che A. 7. ‘A., instaurator t., f. “A., principis, instaura- . toris t. N. 384. Lin. 4. Nota il »> aram. ed ebr. in luogo di }3, o per vezzo fore- stiero, o per errore di scrittura. Se non è errore, può avvalorare 1’ opi- CLORO nione di chi assegna ai Fenicii, anzichè agli Aramei, la patera illustrata dall’ Euting (P. S. pp. 33, 34). N. 386. « Hot[milcata] et Baaljaton, filius Ozmeleci» C. Non è necessario sup- porre taciuto il nome paterno o materno di Hotmilkat, potendo il }5 esser anche un plur. in stato estr. Certamente, sarebbe stato più chiaro l’aver preposto al j3= ebr. = il numerale j® = ebr. »Y, come nei titoli 88, 6. 122,83: ma non può dirsi che ciò fosse proprio indispensabile, come non lo era in ebraico. Del resto, anche leggendo j3 è a rammentarsi il EMISE RELEASE PMI 41 Sam. XIV, 51, dove questo vocabolo si riferisce ai due figliuoli di Abiel. N. 387. Linn. 3-5. Anche qui, con voto di più persone (cfr. nn. 384-386), pos- siamo leggere j3, e tradurre Ammatastarte, filia Magonis, Adoniba"al (et) Hamilkatus, fili Ammaei, coll’ omissione del 1 come in Nek. X, 9. N. 390. Lin. 4. O si legga col €. nvasbva wn Marusi, Ba'alarisat[i], 0 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 119 come proposi nel Vessillo israel. (Luglio 1887, p. 214) n= bvaw>n Mo- rasba‘alis, Arisatae (il tit. 799 favorisce ora la prima lezione), è certa l’omissione del j3, come nei titt. 388, 389, 860, 874, nonchè nella 1* iscr. neop. d’ Altiburos, lin. 1. Non la credo sbadataggine dello scalpel- lino, ma idiotismo, cui forse non sarà estranea l’influenza del greco, ove quell’omissione era, più che in latino, normale. Del resto anche nell’ epigra- fia semitica non è fatto nuovo, e gli illustratori del €. nelle note del n. 388 citano l’osservazione del Vogié sull’omissione del =2 nelle genea- logie palmirene, ove questo vocabolo occorre sempre innanzi al nome del padre, ma spesso si tralascia dopo di quello. Un’iscriz. sabea di Safa omette il }> tra il nome del figlio e quello del padre (HaLEvy, Jourr. as. Fèvr.-Mars 1881, n. 219). Un’ altra in arabo letterale, trovata nel 1885 a Salaparuta (Sicilia), e pubblicata dal Lagumina nell’ Arch. Stor. Sic. N. S. An. XI, fase. 4, pp. 446-7, dice lol sosti | iu; aldo... questo è il sepolcro di Zaynab (Zenobia) di Muhammad al-Qamudi, il lanajuolo. Crede il dotto orientalista che il lapicida abbia omesso ap- positamente la parola c» per non tornare a scolpire le ultime tre let- tere arabiche del nome Zaynab, le quali appunto, secondo la scrittura cufica, in cui sono omessi i punti diacritici, possono significare figlia: ma è assai più naturale supporre involontaria, e favorita dalla forma dei caratteri, omissione di quella parola, se non vogliamo vedere anche qui uno degl’idiotismi sopra accennati. I quali probabilm. occorrono anche nel- l’iscr. berbere, in cui molle volte al nome del padre, preceduto da 1= bn figlio, segue uno o più nomi proprii, che per l’ Halévy sarebbero quelli de quelques amis qui ont concouru aux dépenses de l enterrement (Lt. berb. nel Journ. as. Fèvr.-Mars 1874, p. 75). N. 391. Linn. 2-4....«Hamilca[tus, filius Abd]astarti, fili[us) filiù Ger[a- starti, filiiù Bodas|tarti...... Utrum j>5j> ad Hamilcatum an ad patrem ejus referendum sit dubitare licet.» €. Non credo che possa nascer dubbio di sorta. Se il nipote di Gerastarto fosse Abda- 120 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS starto, strana riuscirebbe ed ingiuriosa l’ omissione del nome del padre di quest’ ultimo, tal non potendo essere Bodastarto, perchè rammentato dopo lavo. La traduzione del C. mi par dunque esatta, per ciò che spetta ai rapporti genealogici, ma è affatto congetturale una metà dei tre nomi teofori, i quali potrebbero anche essere stati diversi. N. :392. Lin. 3. «jrbon ja mena Ar/sus, filius [filii] Baaljatonis.» C.La Tav.LVI conferma l’ esistenza d’ una lettera incerta fra i due ;=, lettera che per gli illustratori francesi potrebb’essere un x. Avremmo allora 72 j= inuzwas, cioè Quem Arisus cdificat i. e. cui stabilem dat sedem, beneficiis auget:' cfr. l’ebr. #23, ed il nome proprio m. x: dei titoli 275, 304 (e secondo A. Bloch, Ph. GI. p. 21, verosimilmente anche 254), benchè quest’ultimo difficilmente possa essere la seconda parte d’un teoforo. x: è pur nome pr. m. nelle iscr. di Safa (HaLevy, l. c. n. 222). N. 396. «In lapide una littera legitur n, eaque insolitae magni- tudinis, videlicet initium, nominis deae Tanitidis. Cf. n°5 395 et 400. Initium esse vocis so=zn titulus 395 vetat, cujus in fine x>n> plene scriptum est.» C. Ammetto la spiegazione del n; ma, per quanto aguzzi la vista, non arrivo a distinguere nel disegno del titolo 395 (Tav. LVI) neppur }Y ombra della voce x==>: nella lin. 6 vi si legge solo x>p. Sarà certamente un’ imperfezione del caico. N. 397. Spiegherei le lettere ©>pas per *>ps3 baculus meus, od anche 7aec (sc. Dea est) baculus meus (cfr. Ges. Thes. p. 360), cioè il mio appoggio, la mia guida. La parola è scritta entro l'emblema divino, quindi si ri- ferisce molto probabilmente a Tanit. Anche nel Ps. XXIII, 4 si dice in senso metaforico «mm» man quem qasv. Cfr. cogli emblemi del titolo 486, Tav. LVII. N. 404. î Lin. 4. «In vocabulo ix ultima littera deest.» C. Mi par di scorgerla nel disegno, benchè con qualche difficoltà. J NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 124 N. 405. Lin. 4. wm: e Dem: (n. 678) fanno ripensare naturalmente al popolo dei Girgasei, stanziati in Numidia, che una tradizione non antica pre- tendeva discesi dai ‘73 cacciati dalla terra di Kena°an, e che nel VI sec. dell’E. V. parlavano ancora il fenicio (Procop. D. B. V. II c. 10). Se que- sto rapporto non è illusorio, avremo allora, come non di rado in ebraico e in altre lingue, un nome proprio di persona, d’ origine etnica. N. 409. Lin 3. «Nomen »wbv (Elisaea) mulieri inditum miramur; nu» praestat, sed lapis quantum videmus habet ».» C. Cer- tamente l’uscita in *-, e il titolo 168, Tav. 100 dell’ EutING, Samml. giu- stificano la maraviglia degli annotatori. Ma può trattarsi d’ un m male scolpito, o in parte obliterato, se non è errore del lapicida. Lin. 3. nam, col n, assai chiaro nella Tavola, è pel C. una 3? p. f. s. per N59 = ebr. 1 (pel = v. n. 375). Vorrei piuttosto considerarlo qual part. f. posto come predicato invece del verbo finito. Cfr. ScaròD. D. P. S. pag. 210. Questa forma eccezionale sfuggì al Bloch. Lin. 5. vw» Kenasi. C. Può confrontarsi col Cynasin d’un’epigrafe latina citata dal GeseN. Mon. p. 406. Lo stesso nome occorre, non solo nell’ iscriz. neopunica d’ Altiburos, citata dagl’ illustratori del C., ma in un ex-voto del Museo di Torino pubblicato dall’ EuTING, Samm/. Tav. 200, n. 364. Cfr. Vessillo israel. Luglio 1887, pag. 211, ove a torto sup- posi mm>Iw:5r. N. 426. Lin. 2. xx « Adae, nomen nobis novum» C. Non è nome nuovo. È in un sigillo proveniente da Beyruth, pubblicato dal Clermont-Gan- neau, Sceaux et cachets isr. phén. et syriens, Paris, 1883, n. 14. Sarà forse una cosa sola coll’x3x dell’ iscrizioni berbere. V. HALEVvY, loc. cit. nn. 1041, 115. Cfr. pure coll’ ebr. înx. } Nn. 429, 430. Questi titoli intieri, mancanti delle solite formule mnb na etc., e 16 122 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS x503 xbp vv», sono più rari, almeno a Cartagine. In Sardegna hanno ris- contro su parecchie stele votive, trovate nel maggio del 1889 al capo di Pula, in vicinanza dell’ antica Nora; le quali, ancora inedite, dovrebbero essere nel R. Museo di Cagliari. Chi me ne spedì copia assicura che le stele «provengono, con molte altre, da una piccola necropoli pu- nica, quasi totalmente coperta dal mare e dalle sabbie». Aspettando che un’esatta descrizione di quegli scavi, e nuove scoperte, ci dian modo d’intendere come in una necropoli s’ incontrino monu- menti di questo genere, leggerei così i pochi titoli di cui ho sott'occhio il disegno : 1. xu5v ja sia n Vovit Bodo, filius “Abdonis. Sopra al titolo è scolpita un’ara, o tavola sacra, sulla quale posa una specie di stela, o d’ obelisco smussato. 2. war 5 | ma mm Vovtt Beri, | filius Aristi. Sopra, tre obelischi c. s., dei quali quel di mezzo è più alto. 3. Impbnlnav n Vovit CAbA[melgartus]. Più che incerto, o per erosione della pietra, o per difetto della copia, il nome divino. Sopra, emblema identico a quello della stela di Lilibeo (n. 138) descritto retr. a p. 23: sotto, ara, o tavola. 4. im n Vovit Mago. 5. mamo] ja | Dolo mn Vovit Germi[s]kar, | filius ['Ahradi]. Ho dubbii sul 5, che avrebbe forma eccezionalissima, arieggiante quella del m: dif ficile ammettere il passaggio fonetico di v a m. Anche del nome «anv, nuovo in fenicio, non son sicuro; nè, ad ogni modo, oserei confrontarlo [OP pata OUeS coll’ ar. 0, agilis, robustus, 0 con 5,> audax, clamosus, glaber, che è pur n. pr. m.; perchè di regola a - risponde in fen. ed in ebr. :, an- E zichè m. Insieme a queste stele d’arenaria locale fu trovato un frammento d’ orlo di vaso a vernice nera, del diam. di 0", 275, colla seguente iscrizione votiva: vie =) 503 jd mb nam [M]agna[e] Tanitidi, faciei Ba'alis (vo- vit) Ger ........ NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 123 La scrittura assai nitida non autorizza a leggere, dopo il nome del votante, il consueto m3 figlio di...: tuttavia non saprei escluderlo deci- samente. N. 470. Lin. 4. « Nomen n3 (Labat) habes apud Sainte-Marie, nis 588 et 1845: anne femininum nominis *= vel x=5, vel con- tractum a m2> (Maltzan, 39=Euting, 176)?» C. n>5 n. p. f. è pure in un ex-voto cartaginese, pubblicato da me nel Vessillo israelitico, Giugno 1886, p. 193, ed esistente nel Museo di Treviso. È una cosa sola col n23> d’un titolo sepolcrale neopun. di Leptis Magna, come il cstr. n25 dell’ Ex. 3, 2 è — n39> fiamma. V. ScaròD. D. P. S. p. 174. Cfr. con DALE fiamma, figliuola di Téyvos nel 2 frg. S 7 di Filone di Byblos, col cogn. e nome romano Flamma, e coll’it. Fiammetta. N. 636. Lin. 6. «Nomen 52v nobis novum est. Anne contractum ab 5p35x (n° 378)? Cf. bvax (n° 405) et ‘>nzv=vaint vm vN, giacchè il = è alquanto incerto, ed il se- gno preso per n può essere una delle varie scalfiture che abbondano su questa stela. 124 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS N. 709. Lin. 3. Non credo col C. che wx possa esser nome promiscuo ai due sessi: in tutte l’epigrafi conosciute fin qui (nn. 132, 193, 196, 248, 258, i 292, 299, 301, 315, 316, 322, 325, 326, 328, 338, 342, 344, 356, 358, 360, — 392, 397, 404, 410, 424, 425 etc. del C.) è sempre nome d’ uomo. Quindi, o il lapicida scrisse erroneamente x per =, ovvero ws per nas (num. 713), o per nw>x (nn. 307, 383 etc.). max potrebb’ essere l’ ebr. iN Zuce, o il fem. di x fuoco, che è pur nome proprio in ebr. Cfr. con Déc e Hop di Filone di Byblos (2. c.). Lin. 4. jn>vo C. O per 5 del nome bpaywm v. retro n. 386, lin. 3. N. 712. Linn. 2, 3. Essendo bvzin» nome promiscuo ai due sessi (m. nn. 261, 406; f. nn. 212, 216, 349, etc.), non si ha la certezza se l'errore del la- : picida stia nel sm per &m, o nel ;> per n3. NAS: Lin. 2. nax nm. C., che aggiunge nelle note: « Votum muliebre; nota formam =», non xan ». Vedi retro al n. 709. Nondimeno non è ad escludersi na xnn vovit Rut, ebr. nm, malgrado lo spazio che corre fra il mne lx. N. 788. Lin. 3. xbmv ['AtZo]. C. Cfr. coll’ebr. *>nv Esr. X, 28= mn id. VII, 7. Ma la seconda lettera è più simile a v che a n. N. 822. Nel disegno della Tav. X non si vedono affatto le sette lettere del fram- mento minore offerto a pag. 98 del testo. Solo si scorge un fusto del 2 spettante al nome oscuro n» (cfr. col berb. »m, HaLkvy, Z. c. n. 60). NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 125 N. 858. Lin. 4. «Nomen patris jb» nobis est novum.» €. Non è no- me nuovo. È in un titolo già pubblicato dal C. (num. 340), ed in altro, ancora inedito (num. 1276), della raccolta Sainte-Marie. V. C. not. al numero 340. N. 863. Lin. 5. «Nomen 5» nobis novum est.» C. Anche questo nome, benchè oscuro, è già conosciuto per un’iscrizione neopunica del British Museum, pubblicata dal Levy, Ph. St. IMI, p. 67. Cfr. anche il suo PR. W. p. 21. Il Bloch non lo registra. N. 871. Linn. 5, 6. La forma dei caratteri di questo titolo, ed i suoi errori ortografici, mostrano che appartiene agli ultimi anni del governo di Cartagine. Può dunque supporsi con qualche fondamento che la lettera presa per » dagli illustratori del C. sia invece un v di forma ebraica od aramaica, simile a quello che occorre nel titolo 299, anch'esso scor- retto e seriore. Allora si leggerebbe nantvnx vm ws quod vovit Agor'a- storet (fem.). Cfr. coll’ ebr. © n. p. m. dei Prov. XXX, 1, con lar. Si mercede, premio, malt. agar elemosina, rab. 8 lucro. Pel signi- ficato dell’intiero teoforo cfr. coll’ ebr. ‘n>ro merces Jovae 1 Par. XXVI, 5, e mn premium (sc. Jovae) ibid. IV, 11. CORRIGENDA “set - Pag. 3,. . . - lin. 6: SCRHODER leggi SCHRODER. » 9,42, 14 etc. passim : Ma‘asub » Ma‘sub. SR Ci >» Citium. DS . » 47: Basal-Sidon » Bafal-Sidon. »; ir 20237 Sarfattb assai » SAR {e} » 28 * Hepì » Iepì. : 44, > 34: N. 143. (©) N. 143. 18, » 29: Asto As-t. 228 i 28 : cohenim kohenim. 30 : cohnot kohnot. | 17 : Gitium Citium. DI 3 DL (6) BERGER 94, BERGER. 29: 3929 (7) 329. (6) V. rete, p.i0 32 : (8) V. retr. pag. 19. V. BERGER e PimRIDES /. Cc. 23 TASTI qastir. 28: 28m sr. » 7: bn AOC 22-23 : himiar. Copa ZO mn passim : a. eg. . lin. 24 : Anta-t ‘avanti n IO Ei CORRIGENDA 1 Pag. 0i,. . . in 27: go CS | » 102,. . . . » 27: PHILOMVS VS > PHILOMVSVS. DIO, SIN O27A ya: >» himyar. dij 56 i e zi » 192). 7 SL ORI DATES »i Sb, È » HUT,. SE LS » DEU 3: SCR no) > In qualche copia, a pagg. 14 (lin. 19), 79 (lin. 12), 80 (lin. ult.), 98 (lin. 26), 102 © Re: (lin. 20), 109 (lin. 2), uscì di posto uno spazzetto di sostegno, e l’inchiostro vi fece 7 presa. AD DENDA 7 Pag. 12, lin. 15. Dopo le parole «ed a Sidone» (6) aggiungi «colle sue colonie, = È p. e. quella del Pireo», e dopo il «N. 3» della nota (6) «Aten. 9». È Pag. 106, lin. 28. Dopo «(p. 50).> aggiungi « Ma il Berger legge forse meglio i) mopanv= DI3 de populo Heracleae (Rev. crit. 1894, n. 43, p. 258).> - PE GEO MARCRESE VINCENZO. MORTILLARO duta Dal socio Padre GIUSEPPE ORLANDO D. C. D. G. P So È OSGHZO DEL MARCHESE VINCENZO MORTILLARO ee Tessere l’elogio dell’illustre Marchese di Villarena, Vincenzo Mortil- laro, socio antichissimo di questa veneranda Accademia, mi è difficile impresa, non solo per la mia pochezza, ma ancora perchè quel sommo ingegno nella lunga carriera di sua vita scrisse tanto , si occupò in tante cariche, sempre con sua gran lode, che io non sò nè quel che debba dire, né quel che sia costretto a tacere, persuaso che non un discorso accademico, piuttosto un buon volume potrebbe contenere la vastità del subietto. Ma 1’ amicizia che mi legava con lui ed or colla superstite famiglia, m’incoraggiò a non cedere al carico affidatomi, si- curo che mi compatirete, se non dirò tutto o lo dirò imperfettamente. Nuoce talora all’ eloquenza non men la soverchia copia che la steri- lità dell’argomento, ed io non posso fare altro che accennare, trattando per sommi capi di ciò che mi sembra più rilevante nel nobile ed arduo tema. Il Marchese di Villarena è gloria dell’ intera Sicilia, e mostrò una fecondità di mente e un’attività maravigliosa. Da giovinetto sino alla più tarda età scrisse sempre, e poco prima di morire era inteso ad alcuni lavori storici, sicchè dal suo studio passò al letto di morte. Storia, geografia, matematiche, paleografia, archeologia, statistica, lingua araba, 4 ELOGIO DEL MARCHESE volgare siculo, diplomatica, economia politica, letteratura, tutto com- prese colla sua mente, ed illustrò ne’ suoi libri. E nello stesso tempo esercitava i più difficili ufficii con mirabile diligenza. scrivendo ed operando. Quando poi le difficoltà del tempo gli tolsero l'agire, moltiplicò dirò quasi se stesso per comporre altri libri di grave interesse. Amante della patria, la servi sempre colla penna e coll’ azione. Carattere di ferro, non indietreggiò mai. Ingegno versatile, compì con energia quanto abbracciò , consacrandosi al bene del suo paese. Dopo più di mezzo secolo di vita gloriosa terminò la sua carriera, qual Nestore dei dotti contemporanei. Unito in relazioni con insigni personaggi, fu sempre laborioso ed illustre, nulla gli sfuggì di quanto potesse essere vantaggioso alla terra natia, lasciandone sincera testimonianza nei ben 22 volumi delle sue opere. Ecco ciò che rende difficile il mio dire. E come trattarne in breve ora ed innanzi a così cospicui personaggi, parlando parimenti delle sue cariche, delle sue virtù cittadine e cristiane, che il resero caro ad ogni classe di persone ? Da giovanetto chierico, avendo egli prima scelto lo stato chiesastico, che poi dimise non sentendosi ad esso chiamato, col suo grazioso panegirico di S. Luigi, sino alla più tarda età, scrisse tanto quanto non avrebbe potuto nè leggere nè operare. Non dirò del- l’uomo politico, rispettando le esigenze dei tempi, ma solo dell’ uomo dotto, che si dedicò al bene della patria coll’ingegno e coll’opera. Sicuro della vostra benevolenza per la difficoltà indicatavi, mi metto all’assunto. Dirò prima dei periodici che diresse, poi dei lavori diplo- matici, delle cose arabe, del suo Dizionario siciliano e di altri suoi scritti; indi delle cariche che esercitò e delle sue qualità morali. Sol mi inco- raggia il sapere, che l’accennarne anche di volo i libri, gli ufficii so- stenuti, le virtù, i titoli accademici, le persone con cui era in episto- lari relazioni, basta per tesserne l’elogio il più splendido, non ostante la mia pochezza. Il merito quindi è tutto suo. Quanto ai periodici, cennerò appena il Passatempo per le dame, in cui compose articoletti graziosi e geniali; il Vapore, fondato da lui col suo amico Linares, in cui svolse degli argomenti di storia sicula, ma durò pochi anni. Poi diresse le Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, a cui pose mano nel 1832, e vi pubblicò degli articoli su manoscritti arabi, ed alcuni saggi di filologia e letteratura araba. Era ancor giovane, e VINCENZO MORTILLARO 5 mostrava senno maturo, da farlo già stimare da uomini sommi, quali il Morso, il Piazzi, lo Scinà, il Palmeri. Ma, disgustatosi di alcuni redat- tori, ne dismise la cura, e cominciò a dirigere il più importante periodico di quell’epoca, cioè il Giornale di scienze lettere ed arti, fondato nel 1823 dall’Abate Bertini, che giunse fino al 1842. Questo insigne periodico, che conta ben 79 volumi, è vera gloria della Sicilia, e la sua preziosa raccolta, oggi divenuta assai rara, è ricercatissima dai dotti e dai bibliografi, anche stranieri, non meno della raccolta di Opuscoli siciliani della prima e seconda serie. Ne furono scrit- tori i più valenti uomini, il cui nome è un elogio, e basta citare il Morso, l'Abate Ferrara, lo Scinà, il marchese Haus, il Cacciatore, il Marchese Forcella, il Piazzi, il Martorana, il Maravigna, l'Abate Lavia, il Tineo, il Gemmellaro, Baldassare Romano, Celidonio Errante, il Nascè, lo Schirò, lo Spedalieri, il Bisazza, il Palmeri, il Costantini, il Lina- res, il Principe di Trabia, il Prof. Pandolfini, Pompeo Inzenga, Nicolò Maggiore, Mons. Crispi, l'Abate Raimondi, il Gargallo, Raffaele Politi, l’Abate Tarallo, ed altri simili, senza parlare degli stranieri che man- davano i loro libri, di cui si faceano le riviste. Le Memorie o discorsi contenevano argomenti di filosofia, di matema- tiche, di botanica, di storia naturale, di medicina, di numismatica, di archeologia , di diplomatica, di letteratura , di poesia e traduzioni dal greco. Era una vera Enciclopedia, un periodico che poteva gareggiare coi primi d’Italia, anzi d’ Europa, tenuto in alta stima dentro e fuori Sicilia, che serviva d’incitamento a mantenere in bella emulazione i più nobili studii, e che anche giovava per dar contezza del loro progresso d’oltremare ed oltremonti. Ma l’anima di questo periodico era il Mor- tillaro, che nel dirigerlo , seppe cattivarsi la benevolenza universale, e vi scrisse articoli di rilievo. Fu grave perdita la sua cessazione nel 1842, e causa non ultima ne fu la morte di quegli insigni scrittori, che la falce inesorabile del cho- lera del 185% colpi con tanto dolore di tutti. Pare fatal destino, che le più belle istituzioni umane arrivino all’ apogeo della grandezza , e poi cadano miseramente ! Ad ogni modo, quand’ anche non avesse il nostro Marchese fatto altro che dar vita e movimento a così famoso periodico , meriterebbe certo una pagina gloriosa nella nostra storia letteraria. Diresse pure dopo il 1860 giornali politici, come il Presente, con raro esempio di franchezza, quando si attraversava la sua parola. Più tardi comparve l’ aspettato, e durò varii anni. Ma l’uno e l’altro ebbero corta durata per le vicende che tutti sanno. a 6 ELOGIO DEL MARCHESE Ancor giovane, si applicò alle matematiche ed all’astronomia, disce- polo prediletto del Piazzi. A soli 20 anni riuscì il primo nel concorso di algebra all’ Università palermitana e ne pubblicò un breve Corso. Ma egli non continuò che interrottamente questi studii , e si dié con più amore a ricercare le antiche pergamene. Due opere importanti lasciò su tale materia, il Tabulario del mostro Duomo e quello della Magione. Il Pirri, il Mongitore, Francesco Tardia, Domenico Schiavo , i fra- telli Diblasi, il Morso, il Dichiara aveano più o meno studiato gli an- tichi diplomi, specialmente il Caruso e il Gregorio, seguendo la teorica del Mabillon come del pari di Scipione Maffei e del Muratori, che da essi vogliamo tratte le notizie storiche. Il Garofalo avea pubblicato il Tabulario della R. Cappella Palatina, ma con poche osservazioni che ac- crebbe poi il Buscemi. Miglior lavoro e più sicuro compì l'abate Ta- rallo sulle preziose pergamene che si conservano nella biblioteca mon- realese, e spiegano tanti diplomi dei Re Normanni. Il Mortillaro illustrò il Tabulario del Duomo di Palermo, per ordine del Vicerè Principe di Campofranco , il quale volle che ne stendesse un ragionato catalogo. E qui è da riflettere, che il Mongitore avea nel 1724 pubblicato la sua opera dal titolo : Bullae Privilegia et Instrumenta Ecclesiae Metropoli tanae Regni Siciliae. I canonici Amico e Schiavo, il Catalano, il Pasqua- lino e il Guzzetta aveano studiato alcuni di questi diplomi, ma non pochi se n’erano smarriti; i più stavano in gran disordine e confusione. Il nostro Marchese li ordinò, collocandoli in apposito scrigno, che ot- tenne dal Cardinal Pignatelli, e ne compilò un Catalogo ragionato. Egli vi lavorò col suo diletto discepolo , Francesco Castagna , e svolgendo quei diplomi, stampò gli inediti non pubblicati dal Mongitore. Esaminò pure i monogrammi ed alcuni simboli, utili alla storia, alla diplomatica, alla filologia. Il primo diploma di somma importanza è quello di Gregorio VII, che conferma alla Chiesa di Palermo gli antichi privilegi, la dignità di Metropolitana colle chiese suffraganee, come anche l’uso del pallio agli Arcivescovi. Sono in tutto ben duecento, e 100 ne contiene l’ap- pendice. L'ordine, la precisione, la diligente cronologia gli attirarono una grande stima, e il Duca di Luynes nel riportare i diplomi di Fe- derico II Imperatore, ne fece un bell’elogio. Né di minore interesse è 1’ altro lavoro sul Tabulario della Magione. Visitando quella chiesa col Chéèrrier, vi trovò i diplomi disordinati. Re VINCENZO MORTILLARO ] Ferdinando gli diè l’ incarico di metterlo in assetto , giusta il metodo del Fumagalli. Antichissimo, come tutti sanno, e di origine normanna è quel tempio, fondato da Matteo Aiello, nativo di Salerno e Gran Cancelliere del regno sotto i due Guglielmi, che coll’annesso monastero venne affidato ai Ci- sterciensi; ma caduti questi in disgrazia di Federico II, venne concesso ai templari. Il Mongitore li avea raccolto, ma non li pubblicò tutti. Il Mortillaro riempì le lacune e diè in luce gli inediti. Vi sono diplomi del 1150, di Enrico VI, di Federico II, dei Papi Onorio III, Alessan- dro IV, Urbano. VI. Pei greci fu aiutato da Mons. Crispi, Vescovo di Lampsaco, e dal suo nipote Francesco, ed egli rende a ciascuno l’onore dovuto. Ben si comprende l’utilità di tal pubblicazione, e quanta luce diffonda sui fatti della Sicilia. Egli ardeva di grande affetto per essa, e volle perciò illustrarne la storia ei documenti. In alcune lettere all’Abate Tarallo spiegò le sue idee sul proposito, e pubblicò alcune severe critiche al 7abulario della Cappella Palatina, edito dal Garofalo. Versato nell’ Archeologia , ne diè un saggio nei Cenni sulla distrutta Solunto, e ciò nella prima giovinezza. E conosceva benissimo i vasi antichi, le monete, gli idoletti, le lucerne, e simili oggetti che si trae- vano dagli scavi, parlandone e serivendone da maestro. Il suo libro fu applaudito, ed egli lo difese contro alcuni oppositori. Ma un altro campo non meno vasto si offre alla nostra considera- zione. La Sicilia, come tutti sanno, fu per più di due secoli sotto il do- minio degli Arabi, che vi lasciarono monumenti d’ogni genere, e per molto tempo, bisogna pur dirlo, vennero trascurati. Vero è che il Ca- ruso, il Gregorio , il Morso, 1’ Airoldi aveano promosso lo studio del- l’arabo, ma restava come un occulto e misterioso deposito presso i dotti. Il Mortillaro volle renderne più comune l’insegnamento, ed illustrarne le medaglie e i monumenti. Con immensa fatica ne apprese la lingua dal Morso, e la stimò quale fonte delle orientali. Già nel 1858 ne avea pubblicato la grammatica, ed a 25 anni l’insegnò nella nostra Univer- sità, come Professore interino. Egli spiegò la filologia ed archeologia araba, ne indicò i caratteri, trattò del Calendario , della metrologia, delle monete, dei vasi cufici, dalle cifre, come pure di un ‘celebre Codice del Libro di Giobbe, ch’ei credette vera poesia, scritta primieramente in questa lingua, e poi tra- dotto da Mosè in ebraico. Parlò della storia degli Arabi, dei libri pub- 8 ELOGIO DEL MARCHESE blicati su quelli di Sicilia, della celebre Cronaca di Cambridge ; e ciò in varii Ragionamenti od in Lettere dirette a dotti personaggi. Citeremo in particolare le sue osservazioni su d’un scrigno che con- servasi nella Chiesa palatina, con iscrizione araba ; su d’ una conca, su d’altri vasi e monete. La sua Biblioteca arabo-sicula è la più completa pel tempo in cui com- parve. Pure interessante il suo libro , intitolato Medagliere arabo-siculo della Biblioteca Comunale. Nella prefazione riflette quale e quanta sia stata la indifferenza degli antichi, poco curando le monete arabe. Ne raccolsero più tardi Vella, Poli, Minervini, e più Mons. Airoldi, quelle di costui fortunatamente passarono nella Comunale. Ed egli ne discorre in uno dei suoi Ragionamenti, il III, e nella Lettera VII, ben lodata più volte dall’ Amari, che poi, forse per motivi politici, non gli fu più amico, dimenticando, che la scienza e la letteratura non hanno altra politica, fuori della verità e del bello. Egli spiegò la serie delle medaglie arabo-sicule, cioè degli Aglabiti, dei Fatimidi, pria della conquista dei Normanni; e poi di quelle co- niate sotto i Normanni, con caratteri e leggende arabe , da Roberto Guiscardo e dal Conte Ruggero sino ai due Guglielmi; ed è un punto di gran rilievo nella nostra storia, sul quale ha fatto testè dottissime scoperte il Can. Prof. Lagumina. Distingue il Marchese le false dalle vere, corregge le già esaminate, benchè non sempre felicemente, de- siderando che più non si disperdano. In alcune Lettere fa delle spe- ciali osservazioni, dirette al De Sacy, al Vagliasindi, al Duca della Verdura, al Casano, al Serradifalco, al P. Romano. Esamina le pietre incise con iscrizioni arabe, ed alcune monete di paesi soggetti ai Mu- sulmani. È anche pregiato il suo studio su d’un celebre Astrolobéo di tempi remoti. Certo oggi tali studii sono giunti a più alta perfezione, e l’ Amari lî prosegui e migliorò con somma lode. Resta però singolar merito del nostro Marchese l’ averli intrapreso in età ancor giovanile, rendendo più comune questa lingua: studiandone le iscrizioni e le medaglie in un tempo, in cui generalmente n’ era trascurato l'insegnamento. Bellissimo dialetto è il siculo, il primo volgare che poi si chiamò e fu italiano.-È tal gloria, che ce la riconoscono l’Alighieri e il Petrarca, ed i secoli non ce l’hanno potuto levare. Sta sempre, che la prima poesia fu d’un siciliano, che alla corte di Federico si poetasse prima che altrove in modo solenne. Il volgare divenne italico, ma il dialetto restò. Ad illustrarlo si erano posti non pochi, e con amore. Antonino VINCENZO MORTILLARO 9 Drago ne avea disteso il primo Dizionario, ma imperfetto assai. Meglio il gesuita P. Delbono ne stampò uno elaborato in tre volumi nel 1751-52, che più corretto usci nel 1785; anche vi aveva lavorato Giuseppe Vinci da Messina. Il più completo fu quello di Giuseppe Pasqualino, che col suo figlio Michele, vi attese con molto impegno. Le etimologie vi erano più sicure, e vi pose delle aggiunte riguardanti le scienze. Venne giu- stamente applaudito, ma esaurita l’edizione, si pensò di accrescerlo e di perfezionarlo. Il Mortillaro vi lavorò con amore, ed in una lunga prefazione al suo, espone le mutazioni ed aggiunte da lui eseguite. Osserva, che tante radicali del Pasqualino erano inutili, perchè fanta- stiche, tante parole le quali sembravano volgari, sono italiane , come pure talune frasi, e quindi dovea migliorarsi questa parte; ne occorrevano altre di usi domestici, che mancavano delle corrispondenti italiane. Disse, che profittò dello Spadafora e del manoscritto di Malatesta, e che do- veano aggiungersene non poche pel progresso delle scienze. Così comparve il suo Dizionario, e fu ricercato ed applaudito, sicchè nel giro di alcuni anni se ne contano tre edizioni, e si spera che ne esca presto la quarta, con altre diecimila aggiunte da lui fatte. Ora può dirsi che la Sicilia ha il suo completo Dizionario, ed anche gli esteri lo dimandano per capire principalmente le poesie del Meli. Vi dirò del pari d’un suo dotto volume, cioè del Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XIX, che comparve nel Giornale di Scienze, .Lettere ed Arti a brani, e se ne trassero delle copie a parte. Ma l’opera eccellente rimase incompleta, essendo cessato quel periodico. Il Profes- sore Giuseppe Bozzo, già benemerito Segretario per lunghi anni, e poi Presidente Onorario di questa Accademia, pubblicò appresso : Le lodi dei più illustri siciliani nei primi 45 anni del secolo XIX. Il Mortillaro ne scrisse la storia letteraria, notando lo sviluppo degli studii con apposite rifles- sioni. Prese a modello l’opera simile dello Scinà pel secolo XVIII, ed è vero danno che egli non l’abbia continuato. Comparve nel 1838, de- dicato all’ egregia sua consorte, con apposita epigrafe. Egli ragiona prima delle scienze matematiche e poi delle fisiche e na- turali, della medicina, dell’agricoltura, dell’ economia politica; e dovea giungere alla storia, alla letteratura, alla poesia ed archeologia. Passa a rassegna gli scrittori che si segnalarono in ogni ramo, i libri com- parsi alla luce; parla del progresso degli studii nelle due Università di Palermo e di Catania; è insomma una vera storia letteraria, limitata ad un solo periodo, ma splendido per nomi insigni e per un nobile movimento scientifico. 10 ELOGIO DEL MARCHESE Leggendola, si ammira com’egli siasi ben versato in così diverse ma- terie, trattandone con senno, con critica e giustezza d’ idee. In parti- colare si ferma sull’agricoltura e sull’economia politica, con esatti rag- guagli delle condizioni della sicilia in quei tempi, delle vicende poli- tiche, economiche ed agrarie; e mostra come le due cattedre di Eco- nomia e di Agricoltura abbiano giovato alla nostra Isola. Quindi dei diversi sistemi, riguardanti le tasse , il commercio e la monetazione, e quel che fecero su tal riguardo le dotte lezioni di Paolo Balsamo, d’Ignazio Sanfilippo, di Francesco Scuderi, come del pari i libri di Sa- verio Scrofani, dell’ Abate Palmeri, del barone Ventura. Parla delle varie scuole d’economia, preferendo quella di Adamo Smith, notando d’ognuna i pregi e i difetti; come pure delle innovazioni del Viceré Caracciolo, della venuta dei Reali di Napoli in Palermo in rapporto a tali scienze, ed in particolare all’ agricoltura. Egli è fautore della li- bertà di commercio , e peritissimo si appalesa nell’ additare i bisogni particolari della Sicilia. Vi si legge con vivo interesse la lotta tra i baroni e gli scrittori contrarii al feudalismo, e come cessò coll’ aboli- zione del filecommesso. Se egli avesse dato 1’ ultima mano a questa storia, sarebbe stata forse la più importante delle sue opere. Ricorderò che fece delle aggiunte assai utili alla Visita del De Ciocchis dal 1735 al 1836 e con dotte note. Come sanno i nostri eruditi, questa Visita contiene notizie storiche di grande rilievo sulle Chiese di Sicilia. Egli la pubblicò per ordine del Re Ferdinando nel 1836, e gli appunti e le osservazioni sono eccellenti con indici copiosi e di grande utilità. Confutò in un libro alcune teorie di Ignazio Sanfilippo, e pubblicò le Considerazioni sull’’abolizione del Cabotaggio , lodate da persone com- petenti. Scrisse la Guida di Palermo e suoiî dintorni, tanto ricercata, che tra- dusse poi in francese l’egregio suo figlio Carlo. Il suo studio bibliografico fa pure encomiato. Ivi tratta delle principali Biblioteche, della storia letteraria, dell’origine della stampa, del modo di ordinare e disporre i libri, degli studii fatti in tal genere, e ciò con erudizione e saviezza di giudizio. Si trattiene dippiù sulla Comunale, già detta del Senato, quindi dei suoi fondatori e di coloro che l’accreb- bero di libri, e poi della sua collocazione nel sito attuale. Egli, qual Deputato, cooperò per più anni al suo lustro, anche coll’esterna forma del prospetto e della magnifica scala. Ben a ragione vi si pose un bel ritratto, come ad uomo illustre e della stessa Biblioteca benemerito. Riuniti in bel volume comparvero nel 1836 gli Opuscoli di diverso ge- VINCENZO MORTILLARO 11 nere, e fu un grazioso regalo di nozze alla sua fidanzata, a cui li de- :dicò colla seguente epigrafe : ALLA GENTILE DONZELLA ROSALIA BENSO E SAMMARTINO CULTA BELLA AMABILE PER CRISTIANE VIRTÙ PER MATURO SENNO PER ESIMIA PRUDENZA PREGIATISSIMA QUESTO VOLUME L'EDITORE INTITOLA Contengono lettere, articoli di cose arabe ed archeologiche, il suo studio bibliografico, le iscrizioni, alcuni discorsetti, già pubblicati nel Vapore, assai spiritosi, poesie giovanili ed aleune Nove/lette all’uso dei trecentisti, piene di sale e di stile forbito. Citerò pure il Dizionario geografico e statistico della Sicilia, molto utile, V Atlante Geografico topografico storico e statistico, che diè alla luce ajutato dal suo figlio Carlo, opera di vaste proporzioni e tanto stimata, ‘che poi per dolorosa vicenda non fu compita; ed avrebbe dato le norme più sicure per l’equa distribuzione del catasto, materia ch’egli conosceva pienamente ; e non dico di molte. memorie e discorsi che comparvero nei suoi Periodici o recitate nella R. Accademia di Palermo. In questi ultimi tempi profittò il Comune dei suoi lumi per l’ equa amministrazione delle acque, avendo egli pubblicato la Misura delle ac- que correnti in Palermo, e il Ragguaglio delle acque comunali per gli anni 1851, 52 e 53. Materia complicatissima; nessuno prima di lui avea saputo districarla, e di cui si sono occupate le diverse Giunte del Pa- lazzo di Città. E poiché la signora Benso Sammartino, vedova Mortil- laro, richiestane, avea mandato il ritratto dell’illustre sposo al Munici- pio; il sindaco comm. Emmanuele Paternò, le diresse la seguente let- tera, che onora molto il lodante, non meno che il lodato. Dopo rese grazie all’esimia Marchesa del pregiato dono, dice così : « Vincenzo Mortillaro è benemerito della Comune di Palermo, perchè da R. Delegato dedicò dal 1851 al 1853 la sua alta intelligenza a siste- mare l’amministrazione delle acque, disordinata per ingiuria dei tempi o fiacchezza di uomini. Impresa ardua , ch’ egli condusse a termine, dopo un lustro di penoso lavoro, pel coraggio, l’energia, la rettitudine, la ferrea volontà onde s’informava il carattere di lui. Nel porgere quindi a V. S. Ill.ma, a nome della Giunta, sentite azioni di grazie, colgo 3 12 ELOGIO DEL MARCHESE quest'occasione per attestarle , che quanto l’ illustre uomo , del quale Ella piange la perdita, seppe operare a favore del civico patrimonio, costituisce monumento di sapienza amministrativa, che è tenuta in al tissimo pregio dal Comune, sicchè della R. Delegazione mai per vol- gere di anni se ne perderà la memoria. » Stupendo ed imparziale elogio. Così bella e preziosa lettera porta la data del 21 ottobre 1891; similmente le scrisse il Principe di Galati, allora Assessore del Ramo. Anche nel diritto civile, di cui ben giovane avea preso la laurea, era versato, come si vide nei tanti e difficili officii che occupò, e nelle svariate sue opere. Accennerò ora le storiche. Tali sono le sue Leggende, che abbracciano otto secoli dal XIV al nostro, e contengono le interessanti tradizioni della Sicilia, che, come egli desiderava, furono tradotte in francese dalle sue care nipoti e non ha guari pubblicate. Scrisse il Compendio dell’in- vasione francese, e poi le Reminiscenze , gli Ultimi ricordi , le Notizie dei nostri tempi, e poi Memorie ed Avvenimenti, Nuove pagine di Cronaca, Av- venimenti sincroni, Cronografia contemporanea , Spigolature storiche, Appen- dice agli anni 80 di storia e V Era Novella. Già vecchio e ritirato dagli affari, scrisse quindi la storia contem- poranea dal 1806 al 1886, considerata con l’oechio esperto d’uomo po- litico, con libertà di concetti e di linguaggio , confermata con docu- menti, condannando gli errori ovunque li trovasse. Si trattiene sui principali avvenimenti d’ Europa, e più su quelli d’Italia. Quindi ab- braccia le più svariate materie del più alto interesse, e ne ragiona da vero pubblicista con vedute e con nobili sensi. Narra con stile chiaro e preciso, e con molta erudizione. Il suo linguaggio è vivo ed animato, sempre istruttivo e concettoso. Egli fu pure valente letterato, e poetò graziosamente nell’età giovanile. Conosceva i classici greci, latini ed italiani, di cui possedeva una buona raccolta, e li citava opportunamente nei suoi libri secondo il bisogno. Abile nell’epigrafia, dettò iscrizioni in latino ed italiano pubblican- dole in diverse stampe. Stimava giustamente, che dovessero seriversi nella lingua del Lazio, più raro in italiano. Ve ne ha assai belle ed affettuose per parenti ed amici, per solenni funerali di uomini illustri nel paese, anche Sovrani, come per Maria Cristina di Savoja ; stupende quelle in morte del Card. Gravina. Lodò in varie occasioni i più cospicui del tempo, ed è ottimo l’Elogio del veramente benemerito della patria, il Duca di Cumia. Seritto con VINCENZO MORTILLARO 15 vivo sentimento è quello in morte del dottissimo Scinà, ove dà un esatto ragguaglio dalle tante sue opere. Scrisse pure l'Elogio del cele- bre arabista, il Sac. Salvatore Morso, con riconoscente gratitudine di discepolo. Parlò dei suoi pregiati lavori ed in particolare del Palermo antico e della grande sua perizia nell’ arabo ; quindi ne lodò le virtù sacerdotali. Lo recitò in una solenne seduta di questa Accademia. Bello pure l’altro in morte del suo grande amico Giuseppe Bongiardina, en- comiando l’uomo dotto ed onesto con vero senso di affetto. In tali opere spicca sempre il gran pensatore , lo storico erudito, il pubblicista , il letterato, e più ancora il caldo amatore della Sicilia, a cui consacrò tutto se stesso nella lunga carriera della sua vita. La famiglia, la pa- tria, ‘dopo la religione che lo sostenne nelle più dure prove, nelle più dolorose vicende: ecco gli oggetti principali del suo affetto. Per tanti lavori fu in comunicazione epistolare cogli uomini più insigni del suo tempo. A lui si dedicarono discorsi, poesie, opere, come pratica- rono Mons. Crispi, Vescovo di Lampsaco, Filippo Parlatore, Giuseppe Fa- zio, Agatino Longo. Ed il celebre storico Gregorovius lo stimò tanto, che venuto in Palermo, si trattenne con lui più volte e lungamente, sepa- randosene con pena ed abbracciandolo e baciandolo affettuosamente. La famiglia conserva gelosamente nell’Archivio di casa gli autografi d’innumerevoli lettere direttegli da cospicui personaggi o per grado o per dottrina. Ve ne ha del Principe di Satriano, di Paolo Cumbo, del Marchese Ugo, del Cassisi, del Duca di Gualteri, di Ruggero Settimo, del Principe di Scordia, del Duca di Cumia, dello Scovazzo, e di altri funzionari che il tennero sempre in alta stima. Tra i dotti compariscono i nomi di Tommaso Gargallo, del Duca di Serradifalco, di Nicolò Palmeri, di Domenico Scinà, di Nicolò Caccia- tore, di Filippo Parlatore, di Francesco Tornabene, dell’ Abate Tarallo, del Gemmellaro, di Musumeci, del Galeotti, e poi dell’ Abate Gravina, dell’Amari, del Cardinale De Luca, di Isidoro La Lumia, di Agostino Todaro, del P. Giuseppe Romano, del Canonico Strano, dell’Ugdulena, del Sanfilippo, di Mons. Carini. In relazione epistolare con illustri scienziati e letterati d’Italia, il Nicolini, il Tommaseo, il Leopardi, il Fanfani, il Cantù, il D'Azeglio, il Muzzarelli, l'Abate Tosti, il Botta, il Borghi, il Cardinale Mai, che venne a visitarlo in Palermo, e poi il Conforti, il Conte Solara della Margherita, il Marchese, il Vallauri, il Balan. E tra gli stranieri il Mi- chelet, il Guizot, il Keller, il Duca di Buckingam. Carissimo ai Vescovi di Sicilia, e basta citare il Balsamo, Arcive- scovo di Monreale , il Card. Trigona, e fra i moderni Mons. Guarino, 14 ELOGIO DEL MARCHESE Arcivescovo di Messina, Mons. Turano, Vescovo di Girgenti, Mons. Va- lenti, Vescovo di Mazzara, e il Cardinal Celesia Arcivescovo di Paler- mo, che lo scelse a Consigliere dell’ Accademia cattolica. Sarebbe certo un monumento di gloria per lui pubblicare se non tutte, almeno le più importanti di tali lettere, nerchè oltre l’intimità delle idee e degli affetti, visi attingerebbero dei particolari sul movimento scientifico e letterario dei suoi tempi, e si tratta di ben sessanta anni di vita, letteraria e pubblica. Per tanti meriti venne ascritto a molte Accademie di Sicilia e d’Italia, e nell'Archivio della sua famiglia si conservano gli analoghi diplomi: tra questi mi piace di ricordarne uno della prima sua età. Non avea che soli 15 anni, e fu premiato con medaglia d’argento, qual Principe di matematica, nelle scuole dei PP. Gesuiti , ch’ egli frequentava. È del 1821, e mi sorprese il caro documento. Avea appena sedici anni, e desideroso di lavorare al pari di tanti sommi, chiese di essere ammesso nell’Accademia, detta allora del Buon Gusto, che è la presente, e dove fiorivano celebri soci. Ma l’età ancor tenera dal supplicante era d’impedimento. Allora l'Accademia, ammi- rando tanto zelo ei suoi rari talenti, creò per lui solo il posto di car- didato, e come tale fu ammesso nel 1822, poi confermato. come socio nel 1826, e promosso nel 1832. Sarebbe qui lungo numerare tutte le Accademie a cui fu ascritto; dirò solo che furono le principali di Sicilia, come di Firenze, di Na- poli e Roma. La famiglia conserva pure le decorazioni, e gli attestati di onore che meritò, fra i quali vi ha quello di Cavaliere dell’insigne Ordine Costan- tiniano. Egli però non ne facea pompa, amando piuttosto di essere che di parere. x Non veniva personaggio celebre in Palermo o per grado o per dot- trina, che non cercasse di lui e non lo visitasse; tanto era conosciuto e venerato. Ed egli amava di condurli a vederei monumenti, le chiese, i Musei, le Biblioteche : e tutti ne partivano contenti, ammirando le sue rare qualità e la svariata scienza. Visitavano pure la pregiata rac- colta, che teneva in casa, di pitture, di medaglie arabe, di bronzi, di maioliche, di opere d’intaglio e di cesello, di mobiglie antiche e sto- riche, ereditate dagli avi o da lui acquistate, oltre una scelta e ricca Biblioteca. VINCENZO MORTILLARO 15 II. Parrebbe, come accennammo, che un uomo il quale scrisse tanto, non avesse potuto occuparsi altrimenti, che studiando o leggendo, ep- pure non fu così. Per lunghi anni esercitò laboriosi ufficii, li disimpegnò con zelo ed amore, ne trasse felici risultati ; così la sua memoria sa- rebbe sempre venerata, se pur nulla avesse scritto. Quanto ad impieghi politici, ancor giovane fu sottintendente in Cal- tagirone, e vi lasciò la fama d’integerrimo magistrato. Nel 1848, oltre il grado di maggiore della Guardia Nazionale, sedette nel Parlamento alla Camera dei Pari, ove con sobri ed eloquenti discorsi difese la causa della giustizia e dell’ onestà, contrario sempre alle innovazioni religiose, quando se ne proponevano. Dopo il 1860 non prese più parte alla politica. Fu Segretario del Consiglio per le contribuzioni dirette e lavorò con sommo impegno nel Catasto fondiario, e con invitto coraggio sostenne la parte del popolo, perchè non crescesse l'imposta e si distribuisse con equità e giustizia. Tenne fermo nelle persecuzioni degli avversarii, e fu be- nedetto da tutti. Fu Direttore Generale dei Dazii indiretti, e poi delle Dogane. In questi uffizii spiccò mirabilmente la sua onestà. Estirpò abusi inveterati, no- bilitò le amministrazioni, riparò torti, tolse angherie, furti, violenze e soprusi. Quindi le Dogane diedero un ricco contingente, e cessò l’im- moralità di taluni impiegati. Ne guadagnò il Governo, non meno del paese. Fu incaricato straordinario per la Visita del Banco di Sicilia, membro della Commissione di Finanza, Direttore Generale del Regio Macino che re- golò con molta prudenza, Controlloro Generale della Regia Tesoreria di Sicilia; Incaricato speciale per la riforma del Lotto, della Posta, della Tassa dei zolfi, delle acque regie. Insomma godeva piena la fiducia del Governo e del popolo, cercandone il bene, e ciò che poteva promuoverne l’in- teresse e la prosperità. Fu Senatore Municipale in Palermo nel 1837, ein epoca tanto funesta, diede esempii di straordinaria abnegazione. Deputato più volte del Con- vitto Oglasanzio, di quello di S. Rocco, dell'Opera Pia della Sesta Casa, alle cui sante riunioni non mancò mai, membro della Deputazione di Sanità , Protettore dei monasteri della Pietà e delle Vergini. Onorevo- lissimo posto fu quello di membro della R. Commissione suprema per la Pubblica Istruzione in Sicilia, e con zelo attese all’incremento degli studii. 4 16 ELOGIO DEL MARCHESE Deputato più volte della Comunale di Palermo, Sindaco apostolico del Con- cento di S. M. di Gesù, ch’egli tanto predileggeva, e dove scelse 1’ ul- tima dimora per sè e pei suoi. Venuto Garibaldi in Palermo nel 1860 da Dittatore, e presentatoglisi il Mortillaro per sue private ragioni, ne ammirò i talenti e la forza d’animo. Certo avrebbe potuto occupare anche l’ufficio di ministro delle finanze in Italia, e chi di lui più abile in tal ministero? Almeno era. questa la voce unanime. Fu proposto in Palermo come deputato al Parlamento italiano col plauso quasi generale ; ma alla politica preferi la vita privata e tran- quilla. Nell'ultimo scorcio di sua età fu Consigliere comunale. Appena si pronunziava il suo nome, veniva accolto dall’ intera cittadinanza, segno sicuro della stima che godeva. Chiesto come mai potesse occuparsi in tante incombenze, senza’ tra- scurarle, rispondeva : coll’equa distribuzione delle ore. Egli sostenne le più dolorose vicende ; e se non fosse stato in lui fermo il carattere, e più ancora forte il sentimento religioso, avrebbe potuto soccombere. Ancora trilustre , gli moriva nel 1869 il suo figlio Francesco ; più tardi nel 1885 il primogenito Carlo, educato a severi studii, socio dei suoi lavori, tanto caro e buono, che lasciò numerosa e scelta prole. Tra le figlie ebbe a deplorare la perdita della Gaeta- nina, morta nel 1879, che invece di sposarsi al suo fidanzato in terra, volava vergine al cielo; e poi la Marianna, ancor giovane nell’agosto del 1885. Amarissima gli fu la perdita del genero, Giacomo Majorca, Conte di Francavilla, uomo incomparabile, che lasciò ancor giovane un’esimia sposa, madre di ben nove ed eccellenti figli. Era appena rimarginata una piaga, e se ne apriva un’altra, tormen- tando quel cuore di fibra delicatissima, sicchè fu paragonato a Giobbe per l’invitta ed eroica rassegnazione, che tutto il paese ammirò. Tra le varie persecuzioni degli avversarii fu assai triste quella che ebbe a sostenere nel 1866 da chi gli si dichiarò aperto nemico. Palermo restò commosso al vedere l’uomo onesto, gloria e decoro della Sicilia, il dotto e venerato Marchese Vincenzo Mortillaro, a nome della libertà e della giustizia, confuso trai rei qual malfattore, nelle Grandi prigioni, allontanato dall’amplesso dei suoi cari, che ne piangevano a calde la- grime, incerti dell’ avvenire. Divenuto infermo l’ illustre prigioniero, gli si concesse la dimora per più mesi in un abolito monastero. L’animo suo non restò vinto, fidando in quel Dio, che è il vindice dell’ onestà e della giustizia; e perdonò generosamente il suo avversario, lascian- VINCENZO MORTILLARO 17 done memoria con un’ iscrizione che egli stesso scriveva nelle mura del carcere. Quando poi, cessata la guerra sleale, potè tornare in seno alla famiglia, non dico riconosciuta, ma liberata la sua innocenza, tutti d’ogni partito ne esultarono, condannando la sofferta violenza. La religione era sempre in cima dei suoi pensieri ed affetti, e l’ebbe profonda. Quindi non l’abbatterono le più gravi tribulazioni, e ne at- tinse lumi e sollievo. Saviamente scrisse nelle sue Notizie storiche : « Vi sono degli avvenimenti sì funesti, che qualunque umano conforto non serve a nulla, soltanto la fede viene in nostro soccorso; è dessa che insegna, che le afflizioni entrano nell’economia della eterna salute, e la sorgente delle lagrime può divenire sorgente del gaudio.» E altrove : « La vita della famiglia è un tessuto di dolori necessarii ed indispen- sabili, che sopportar si devono con pazienza, chinando la fronte e cur- vandosi sotto la croce.» Ecco il secreto della sua calma. E chi più di lui tenero e affettuoso coi suoi? Unito in sacro legame colla nobile e culta donzella, Rosolia Benso e Sammartino della Casa Verdura, nel 7 gennaro del 18537, coniugi festeggiati con belle poesie dai primi poeti del tempo, con lei divise le gioje e i dolori della vita, e lui morto, tutto mancò alla vedova desolata. Eccellente padre, i figli educò con tutta la coltura intellettuale, religiosa e morale, non rispar- miando a spese di sorta, scegliendo i più cospicui professori; e ne hanno dato splendida prova in sè e negli amati loro figli. Bella ed ampia avea la fronte, ardenti e vivacissimi gli occhi, anche nella più tarda età; sereno e calmo lo sguardo, ma penetrante, indizio di profondo ingegno e di cuor sensibile ad ogni impressione del vero e del buono; serio, e al tempo stesso grave il volto, che indicava fer- mezza ed energia; nobile il portamento, sempre grato ed attraente il suo dire, che rivelava l’uomo di scienze e di lettere; fecondo ed eru- dito sì, che sapea citare a proposito, non solo i classici profani, ma anche i Padri della Chiesa, perito com’ era nelle scienze sacre. Con- servò l’ ingegno, la straordinaria memoria e le forze dell’ animo sino agli ultimi giorni della vita. La notizia della sua agonia attristò la cittadinanza, ed egli, placido e sereno, con grato sorriso ai parenti e agli amici, diresse loro un’estre- ma parola; e confortato dai sacerdoti, che accorsero al suo letto di morte, spirò la bell’ anima nell’ anno 82 di sua età. E cosa mirabile, nel giorno stesso in cui era nato, il 27 luglio, come le sue esequie eb- bero luogo il giorno appresso, anniversario del suo battesimo! La sua morte fu appresa con gran dolore da ogni classe di persone, senza distinzione di partito; e benchè egli avesse ordinato senza pompa il 18 ELOGIO DEL MARCHESE convoglio funebre, fu splendido, qual si conveniva a tant’'uomo. Quindi vi presero parte il Sindaco duca della Verdura, cognato dell’ estinto, non che i Consiglieri Comunali e poi i Senatori e Deputati, che si trovavano in Palermo, e poi una lunga schiera di patrizii , di magi- strati, di professori, di rappresentanti della stampa, delle Biblioteche, delle Accademie , del Clero, e un seguito commosso e devoto. Fatto sosta fuori Porta S. Antonino, e cessati i musicali e mesti concerti, in mezzo all’attenzione generale e al più profondo silenzio, il Cav. Sal- vatore Caruso Spinelli, egregio avvocato e amicissimo del Defunto, pro- nunziò un eloquente discorso, nel quale a rapidi cenni ne descrisse i meriti insigni, e gli diresse a nome dei Palermitani 1’ estremo vale. Solenni poi i funerali, con bellissimo Elogio ed analoghe iscrizioni. La stampa, dentro e fuori Sicilia, gli rese il giusto tributo di lode, e lettere affettuosissime si diressero alla famiglia e più alla desolata con- sorte. Il Marchese Vincenzo Mortillaro non è più, ma la sua memoria non perirà. I 22 volumi delle sue: opere, i 79 del Giornale letterario , le ca- riche sostenute, il suo patriottismo, le sue virtù, la sua religione, l’aver consacrato più di sessanta anni al bene della patria, all’amor dei pa- renti, alle scienze ed alle lettere, no, non sarà dimenticato mai. Ed egli va compreso nel numero degli illustri, che han reso glorioso e sacro il nome della Sicilia, ed in particolare della nostra Palermo. Egli resta stupendo esempio della fermezza ed energia del carattere siciliano. Ben si conviene, che a lui sorga un monumento nel Pantheon dei personaggi più insigni a S. Domenico, -e che una statua o mezzo busto si erga in una delle nostre Ville, anche in segno di rispettosa gratitu- dine e di devoto affetto; trascurarlo, sarebbe vero e grave torto. Posso dire che in questo mi rendo interprete d’un sentimento generale, qual meritato omaggio a tant’uomo ! eg 25 INSCRIEZIONES VINCENTIUM MORTILLARO PANORMITANUM EX MARCHIONIBUS VILLARENAE INGENII ACIE ET. OMNI DEXTERITATE SPECTATISSIMUM QUOD ALGEBRAM PROFESSUS VEL ARABICAM LINGUAM DOCUERIT IN HAC REG. STUD. UNIVERSITATE QUOD MUNIIS PUBLICIS ET OPERIBUS EDITIS DE OECONOMIA ET CIVIUM DESCRIPTIONE DE PATRIAE LITERATURA BENEMERENTISSIMUS FUERIT REGIA ACADEMIA SCIENTIARUM LITERARUM AC ARTIUM SOCIUM PERANTIQUUM OB MULTIGENUM IN SICULAM CULTURAM STUDIUM PECULIARI CONVENTU XII KAL. APRILIS AN. MDCCCXCII LAUDIBUS PROSEQUITUR. NATUS EST VI. KAL. AUG. MDCCCVI. OBIIT VII. KAL. AUG. MDCCCLXXXVHHII. II. RES ARABUM LEGIT SERMONEM DOCTUS AVORUM, PRISCA COLENS CHARTIS ADDIDIT ISTE FIDEM. NUMMORUM SERIES DIGESSIT, PLERAQUE AB AEVO INTERPRES DISCIT VISITOR AERA SUO. CIVILES FASTOS, MOTUS, SEPTENA RECENSENS _SAECLA, TENAX ANIMUM TRADIDIT HISTORIS. PROVIDUS UTILIUM COGNATA VOCABULA COGENS CONJUNXIT SICULIS ITALA VERBA MODIS. URBIS OPES NOSTRAE LUSTRANDO REXIT AQUARUM EXLEGES CURSUS COMMODA DISTRIBUENS. INDE VIRI NOMEN CONDIT SUB MENTE PANORMUS, JURE SODALITIUM TOT BENEFACTA CANIT. VIVENTEM ITALIAE COETUS COLUERE PRIORES, ORNARUNT TITULIS GALLUS EL ANGLIGENA. PER LA COMMEMORAZIONE DEL MARCHESE VINCENZO MORTILLARO DI 2, > ©WDTE Recitata nella solenne tornata del 20 marzo 1892 Scendete, o figlie dell’eterno accento, AI tumulo ferale, Diva Fede, alma Scienza.... io già vi sento AI remigar dell’ale !.... Discendi e piangi, indissolubil coppia, Su lui che diè feconda Luce al pensier, che nella Fe’ s’addoppia Qual raggio in placid’onda. Sui roseti e gli aranci onde beato È l’oreteo giardino, Passò un nembo di duol; discolorato Piangeva il cittadino ! Passò un nembo di duol, come procella Sulla spiga matura, E il subito sparir di tanta stella Fu sicula sventura! Non lo gemmato sfolgorar degli ori, Non l’avita colomba, O il pario marmo, ma i sudati allori Fan grande la sua tomba: Allori di feconda opra virile, Non carca di rimorso, Non di onori, comprati da servile Labbro e flessibil dorso. La favella dell'Arno e dell’Oreto Assembrò in un volume, Di vetuste monete accese al vieto Segno raggiante lume. Dell’arabo idioma incolse il fiore, Serutò le antiche etati, Quell’aula accrebbe, onde il pensier non muore Di tanti Sofi e Vati. E quando il merto suo, più che la sorte, Contro di lui pugnava, E quando acerba inesorabil morte Il cor gli desolava, Il suo disir volgea senza un lamento A region più lontana, Poichè, fuor di virtude, è polve al vento Ogni altra cosa umana ! Né dell’egro giammai deluse i pianti; Pietade a lui fu scola. Carità dei suoi labbri agonizzanti Fu l’ultima parola !... Ed io il conobbi, e mi rimase in seno Nel profondo dell’alma Impresso il vivo sguardo, il dir sereno, Del volto suo la calma! Con qual parterno affetto allor fu paga Di mie povere rime, Quale al mio cor la sua donata immago Lena novella imprime !... Or poca zolla e breve arca non cela Di tant’opre la gloria, Ché il suo nome ai futuri illustra e svela, Musa eterna, la Storia! 23 E mentre ha il secol diro ambagi ed onte Nel pensier, nell’affetto, Larve di fama, e coll’aprile in frorte Ha l’inverno nel petto, Vieni, grand’ombra a sollevarci il core, Fa, che coi preghi tuoi Qual fu ritorni questo suol d’amore Alfonsina Floreno Foschini. INFIMIOREIE DEL MARCHESE VINCENZO. MORTILLARO TERZINE "<= Alfine stanco dei terrestri affanni Ruppe i ceppi del carcere quel fiero Spirto, creato per più eccelsi scanni; E ad appagar l’indomito pensiero, Come colomba dal desio portata, Corse a l’amplesso dell’Eterno Vero! Inerte, su la bara immacolata, Restò muta la spoglia gloriosa Già sua compagna, ed or, di tanto orbata. In soavissim’ atto di chi posa L’egra persona, non avea sembiante Di morte, ma del giusto che riposa. Piangevan.... chini a quelle spoglie sante La sposa, i figli.... unanime favella Benedicea quel cor mite e costante. Ahi! così dispario quell’alma stella D’alto sapere, d’onestà, d’ardente No, non spari; chè certo una gran mente Con la vita non cade, ma la morte Vince, e nell’opre vive eternamente. Morto non è; quell’alto ingegno e forte Nei lodati volumi, nella fama Vive, e del tempo vince la ria sorte. Morto non è, chè ognor veglia la grama Patria, per cui parlò, scrisse, fremette, E ad onorarla con l’esempio chiama. Morto non è, ma sue forme dilette Io risaluto al raggio vespertino. E odo le sue voci benedette Dirmi : « Feconda, o figlia, in tuo cammino « Quel desio che s’accese; chè di Dio « L’arte è nepote, ed è splendor divino. » > T’ascolterò, diletto avolo mio, Sarò del bello ognor cultrice, e ’1 canto Ritemprerò per onorarti anch'io. Ch'io possa almeno al tuo cenere santo Un fiore tributar, tra i lauri e i serti, E tributarti del mio cuore il pianto. Fior, che fra quanti ti saranno ofterti Farà esultarti; pianto che più caro D’ogni altra lode salirà a piacerti; Ch’anco di lauro un serto si preclaro Non appaga il desio d’un alto core, Ma torna a l’alma di dolcezze avaro Se amor non l’orni, e nol conforti amore ! Rosalia Majorca Mortillaro. RISUE TARE DELLE ESEGUITE NEL R. OSSERVATORIO DI PALERMO (VALVERDE) NEGLI ANNI 1891-1892 ©, RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGIO BAROMETRO TERMOMETRO CENTIGRADO ——RÙÈE_ e Gi csc E, 9 S) 9 9 1 Anno e mesi E E E E e = È E È | s est È Ei © S is z È © 2 I E S is Si dt=. E È ‘7 S| he) = 5 5 = a e Fi e mn DI 2 3° a @ a a & fi | A A A A 1891 mm. mm. mm. (0) (o) (0) Gennaio... . . . 768,20) 31 |756,73| 741,40| 16 18,2 1 8,98|—0,6 | 21 SW Febbraio . . ..- 68,00 23 | 60,76| 4800| 14 | 16,7 27 | 9,08 08| 22 | SW MALZORNI N 66,501 6 55,50 4467) 13 | 284° 20 |1340| 0,0 3 SW ; : 2 SW FAP RICE 59,73) 7 53,14| 43,10] 28 33,3 | 28 | 1474] (34/19 | NW Maggio... .- 60,19) 19-20 | 52,97) 40,30) 11 20,5 || 22 |18,24| 67| 19 | ENE Giugno ...... 60,36| 15 56,29| 50,30) 6 34,7 6 |22,65| 11,1) lo.| NE Emo sos 58,19) 19 55,13) 51,00| 11 38,80] 101126131 A5;0 |a NE Agosto... +... 60,07| 25 56,30 | 50,00] 23 | 405 | 23 | 26,10] 16,2] 15 | NE Settembre. . . .. 62,50 14 | 58,03| 54,00) 21 33,7 | 16 |23,95| 11,8) 27 NE Ottobre nante 59,58) 18 | 5451| 4488) 28 30,8 | 25 |2054| 70| 31 SW Novembre. . . .. 63,70) 19 | 55,82| 50,66) 14 | 27,9 14 |16,30| 4,8 5 SW Dicembre... .. 68,78] 25 59,99 | 47,70) 17 20,1 | 12 | 1242/11) 21 SW Medie 162,98 156,52 | 757,17 28,6 17,1| 6,9 Massimo . . 168, 18 mm È Medio . . generale del barometre < 756, 32 | Escursione barometrica annua = 28, 48 Minimo . . 740, 30 Massima forza del vento = Km. 56,0 il 17 gennaio alle 3 p. m. cI QUANTITÀ . IN MILLIMBTRI GIORNI PIOVOSI 3,45,6,89,11,13,14,15,16,17,18,19,20,21,22,23,30 159,68 - || 1,2,3,4,5,6,7,8,9,11,12,13,14,15,16,20,21 117,16 || 3,4,5,6,12,13.22,23,24,25,29 21,71 9,10,11,13,14,15,16,17,21,24,28 38,36 3,6,7,8,11,19,16,24,27,98 48,52 18,19,26 6,40 13,18,19,20,21,93,24,25 29,65 3,5,6,18,14,15,21,29,95,27,28,29,3031 127,78 | 2,3,4,6,7,8,9,10,25,28,29 141,12 1,2,3,7,9,10,18,19,20,29,27,31. 90,92 774,30 GIORNI CON VENTO FORTE| TUONI | NEVE sori 1,14,15,17,18,19, | 8,16,19,22| 16,17,19. |9,14,16,18,19, PISO 7,8,15,20 5,7,15,20 ta 18,19,28 sd a Li SI 13,28 Le i 2 11,15 Ss ci fe 18,19 ps DE 10 do di SA FARE 12 se ab E. 8,1819920 — Zi 25,99 35,7,27,28) — Da 25 6,28,29 E CÒ 17 1920 |20 18,19,20 40,5 17,71 generale del termometro . è ibi Escursione termometrica annua = 41°, 6 BAROMETRO TERMOMETRO CENTIGRADO VE NT —_———— — T—_u _—__mk Anno e mesi È 5 È e sei Pi a & i 8 a D E) 1892 mm. mm. | mm. o o ° km. Gennaio... ... 164,70 23 |753,36|740,50| 13 25;0 | 13. | 12,22] 1,8. 18 SW 8,1 I Febbraio ..... 60,05| 1 52,43| 40,05) 3-4 | 24,4| 20 | 13,29 2,0 | 15 SW 9,2 MARZO 62,57 22-23 | 53,65, 40,45] 29 | 28,5 27 | 1423) 35) 24 SW | 10,1 PAPER 63,14) 24 53,22 | 44,20) 16 29,4 | 16 |15,82| 5,8) 23 NW 3,8 Maggio ...... 61,05] 29-30 | 55,72 | 50,20 3 29,8 | 27 |1843| 6,3) 10 E 2,1 Giugno ...... 99,90) 21 | 56,26| 51,56 6 39,7 | 29 |23,60| 124| 11 .| ENE 5,7 PUSTOI NARA 60,70] 29 55,49| 48,40) 22 | 393 | 31 | 26,29 15,19) 28 E 9,9 le) Agosto... . ....| 61,33] 16-17 | 56,27| 49,50 2 40,1 1 | 26,08| 15,4 5 | E DIS AE Settembre. . ... 61,21) 22 56,91 | 49,80| 11 38,1 4 | 23,32| 13,3 | 11 ENE 4,2 Ottobre ...... 60,63) 28 50,43 | 43,25| 21 35,0 6 | 20,71) 9,8) 13 SW 3,7 Novembre. . .... 64,25] 29-30 | 58,62 | 50,07| 18 2951 1 | 15,91) 48) 30 SW 3,2 Dicembre... .. 67,30] 18 54,98| 35,89| 31 29,2 | 10 | 12,93] 44| 13 SW 4,5 Medie. . | 162,24 (55,20 | 745,32 31,1 18,57) 7,9 5,5 Massimo . . 767, 30 Medio . . .. generale del barometre < 755, 20 | Escursione barometrica annua = 3L, 41° Minimo . . . 135, 89 Massima forza del vento = Km. 53,0 il 16 aprile alle 3 p. m. PARO ,GEG A GIORNI PIOVOSI 3,6,7,9,10,15,16,20,21,25,26,27,28,29 3,4,5,6,9,10,11,12,13,14,15,18,23,24,29 1,2,3,4,5,6,7,9,10,11,12,14.15,16,21,22,29,30 1,2,5,7,8,11,13,14,16,17,20,21,28,29,30 | 6,7,8,11,12,13,16 ‘10,19 21,29,23,24 13,27 || 5,10,11,12,13,14,15,25 7,9,10,11,14,15,18,20,21,23,24 12,3,4,5,17,18,29,26,27,28,29 4,5,6,7,9,11,14,15,21,22,23,24,25,26,29,31. v QUANTITA IN MILLIMETRI 94,35 92,28 51,82 65,33 21,10 17,00 22,13 | 14,47 72,29 155,67 65,96 100,93 773,33 GIORNI CON VENTO FORTE| TUONI | NEVE |GRANDINE 6,10,13,18 9 SCR 390 3,12,16,19,20 |3,4 CI A 3,5,12,13,14,16, | 10 SAM 16 $ 20,28 = | 23 pi sa n 9 27 fra Ri. Sé 11,12,13 de, DS sa 9A no 91 SS 1,10 ch È 5,6 |414,21 LIRICA generale del termometro . Escursione termometrica annua = 389,3 A TUT I n. Acadome cf Sciences Rec’'d Mar. 21 - Apr. 14. DELLA REALE ACCADEMIA DI SZESERCERE E BRRESS AI DI PACERMO TERZA SERIE ( Anno 1892 ) \D—_- Volume II. sala PALERMO TIPOGRAFIA FILIPPO BARRAVECCHIA E FIGLIO 1893 ATTI DELL'ACCADEMIA SCIEZE, LETTERE ED AR / DI PALERMO | che fu già Accademia del BUON GUSTO PRIMA SERIE Saggio di dissertazioni dell’ Accademia Palermitana del Buon Gusto . Saggio di dissertazioni dell’ Accademia Palermitana del Buon Gusto dop SUASA CCIIOGRAZIONER I ANNOIA: n I RIOT IE NUOVA SERIE Atti dell’Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti : CO Vol o Vol. Ile DR e MOLIN E RE OL VolNVI: Rei n — i NOV E A 0 dor: Vol. VII e SEE Me e I, DIE ANO RE I IRSA Ri ni a i È Vol. DIRI IT OA EEE GR SURI TERZA SERIE si A, MEDIA ANTA